Bohemian Rhapsody for an Angel and a Demon di Stria93 (/viewuser.php?uid=319287)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mr. Bad Guy ***
Capitolo 2: *** Lazing on a Sunday Afternoon ***
Capitolo 3: *** The Miracle ***
Capitolo 4: *** Friends will be friends ***
Capitolo 5: *** I'm in love with my car ***
Capitolo 6: *** Crazy little thing called love ***
Capitolo 7: *** Another one bites the dust ***
Capitolo 8: *** Seaside rendezvous ***
Capitolo 9: *** Bicycle Race ***
Capitolo 10: *** Rain must fall ***
Capitolo 11: *** Pain is so close to pleasure ***
Capitolo 12: *** Somebody to love ***
Capitolo 13: *** Good old fashioned lover boy ***
Capitolo 14: *** Don't try suicide ***
Capitolo 15: *** Delilah ***
Capitolo 16: *** You're my best friend ***
Capitolo 17: *** A kind of magic ***
Capitolo 18: *** One vision ***
Capitolo 19: *** Killer Queen ***
Capitolo 20: *** Back chat ***
Capitolo 21: *** I'm going slightly mad ***
Capitolo 22: *** Let me live ***
Capitolo 23: *** Hammer to fall ***
Capitolo 24: *** Innuendo (Halloween shot) ***
Capitolo 25: *** Ride the wild wind ***
Capitolo 26: *** You and I ***
Capitolo 27: *** Made in heaven ***
Capitolo 28: *** Jealousy ***
Capitolo 29: *** A winter's tale ***
Capitolo 30: *** You don't fool me ***
Capitolo 31: *** Funny how love is ***
Capitolo 32: *** '39 ***
Capitolo 33: *** Radio Ga-Ga ***
Capitolo 34: *** Brighton Rock ***
Capitolo 35: *** You take my breath away ***
Capitolo 1 *** Mr. Bad Guy ***
mr
Mr.
Bad Guy, yes I'm everybody's Mr Bad Guy
Can't
you see this is my destiny
Oh,
spread your wings and fly away with me
Mr.
Bad Guy, Freddie Mercury, 1985
Crowley
scese con classe dalla Bentley del tutto incurante del fatto che le
sue quattro ruote poggiassero con sfacciata nonchalance su un'area
vistosamente segnalata come zona di divieto di sosta.
Con
le mani affondate nelle tasche della giacca si diresse a passo
tranquillo verso l'ingresso della libreria di Aziraphale
canticchiando tra sé il ritornello del brano che gli aveva tenuto
compagnia durante il tragitto in auto. Certo, le sue intenzioni
originarie erano di rilassarsi un po' al volante grazie alle sinfonie
di Bach, ma evidentemente doveva essersi dimenticato la cassetta nel
vano del cruscotto per più di due settimane e questa era andata
incontro alla stessa sorte delle sue sventurate compagne, ovvero
tramutarsi in una raccolta dei migliori pezzi dei Queen.
E
così il povero Johann Sebastian Bach era stato spodestato da sua
maestà Freddie Mercury che, in quell'occasione, aveva regalato a
Crowley la prima metà della sua Mr. Bad Guy.
Appropriato. Giusto la colonna sonora che gli occorreva quel giorno.
Quasi un messaggio subliminale, neanche troppo velato.
Negli ultimi tempi aveva infatti un po' trascurato le sue mansioni
demoniache di inviato speciale dell'Inferno tra gli uomini e i suoi
superiori non avevano tardato ad accorgersene e a mandargli un
ultimatum piuttosto inequivocabile e perentorio che gli era stato
recapitato da Ligur e Hastur, i quali erano parsi fin troppo
compiaciuti del loro incarico.
Il messaggio era il seguente: “Crowley, razza di sfaticato,
rimettiti immediatamente al lavoro oppure verremo a prenderti per
riportarti giù all'Inferno per sempre così avrai tutta l'eternità
per rimpiangere la tua cara Terra con tutte le sue comodità e i suoi
piaceri.”
Con un sospiro, Crowley aveva liquidato i due sgradevoli e gongolanti
messaggeri infernali promettendo che si sarebbe impegnato al massimo
per seminare discordia e caos tra gli umani, come era cosa buona e
giusta per un demone del suo rango.
Non che si stesse facendo venire una coscienza; non era accaduto in
seimila anni e la sua bussola morale non si sarebbe di certo riparata
adesso. Tutt'altro! Provava sempre un discreto piacere nel provocare
il male, nell'attizzare nei cuori degli umani quella piccola
fiammella che, grazie al loro temperamento e a una buona dose di
orgoglio, arroganza ed egoismo (doti nelle quali essi eccellevano)
faceva poi scoppiare un vero e proprio incendio che lui si godeva da
spettatore soddisfatto, come un piromane che ammirava il risultato
della sua opera.
Il fatto era che non gli piaceva ricevere ordini o forzature: Crowley
apprezzava molto la libertà che il suo ruolo di “inviato sul
campo” gli garantiva e quando, da laggiù, il suo
principale, il Big Boss con la S, tornava a ricordargli che lavorava
pur sempre alle sue dipendenze, il demone provava un moto di
fastidio.
In tutti quei secoli aveva sempre svolto il suo diabolico dovere, ma
con i tempi e le modalità che gli erano più congeniali e sì, forse
aveva un po' rallentato per adagiarsi sugli allori delle invenzioni
umane del ventesimo secolo asservite all'accidia, ma questo non
significava che avesse dimenticato la propria missione di portatore
di guai.
Tuttavia, la minaccia di ricondurlo in quel vespaio di fuoco e fiamme
che pullulava di anime lamentose e puzzava di zolfo aveva sortito
l'effetto desiderato, ovvero riscuoterlo da quel pigro torpore nel
quale si era crogiolato ultimamente.
Quel giorno, si era ripromesso, avrebbe svolto il suo lavoro con
impegno ed efficienza. Sì, sarebbe tornato ad essere il buon vecchio
Mr. Bad Guy.
Ma, del tutto casualmente, si era ritrovato ad imboccare la strada
che passava proprio dalla libreria di Aziraphale e, assecondando
un'abitudine che ormai si era radicata in lui come un'erba
infestante, aveva deciso di fermarsi per un saluto veloce. Una
deviazione non avrebbe di certo scatenato l'Apocalisse, no?
Il demone varcò la soglia e si ritrovò, come di consueto, immerso
in un labirinto di tomi polverosi, volumi antichi, manuali,
almanacchi e perfino qualche pergamena. L'odore penetrante di legno,
carta e cuoio centenari lo investì come a volergli dare il benvenuto
nel piccolo regno letterario del suo vecchio amico dalle ali piumate.
Col tempo, Crowley si era abituato ad associare quel particolarissimo
miscuglio di aromi ad Aziraphale e, in qualche modo, anche ad una
vaga idea di casa, a un senso di appartenenza e calore che mai prima
di allora aveva provato nei confronti di altri luoghi.
Ultimamente, lo sapeva, si era recato anche troppo spesso in
quell'eremo da topo di biblioteca. Chissà come, aveva finito per
sorprendersi sempre più di frequente a desiderare la compagnia di
Aziraphale, fosse anche solo per stuzzicarlo un po' e ricevere, in
risposta alle sue frecciatine, il sorriso gentile e paziente
dell'angelo.
- Ehi! Aziraphale? Ci sei? -
Una voce soffocata si levò da un angolo indistinto della libreria. -
Crowley? Sei tu? -
- No, sono Shirley Temple. Certo che sono io, tonto di un cherubino!
-
Ci fu un tonfo e un gemito, dopodiché, da dietro uno scaffale
ingombro di libri, emerse Aziraphale, impolverato dalla testa ai
piedi, gli occhiali di traverso e le mani grassottelle strette
intorno a un volumone rilegato in pelle dall'aria decisamente
pesante, almeno in senso letterale.
- Che stavi combinando là dietro? - domandò il demone, cercando di
trattenere le risate alla vista dell'amico conciato in quel modo.
Aziraphale si portò una mano ai capelli d'oro, ora ingrigiti dalla
polvere, e prese a massaggiarsi il capo con una smorfia sofferente. -
Stavo cercando di prendere questo libro da una mensola e mi è caduto
dritto sulla testa. -
- Be', è un vero peccato che tu non abbia un paio di ali che ti
aiutino a raggiungere le mensole troppo in alto. -
Aziraphale gli scoccò uno sguardo di lieve rimprovero. - Abbiamo
accettato di vivere sulla Terra in forma umana, Crowley. Non sarebbe
giusto sfruttare i nostri privilegi sovrannaturali per risolvere
problemi terrestri. Sarebbe come... barare al gioco, in un certo
senso. -
Il demone alzò le spalle. - Le regole esistono per essere infrante,
angelo. E poi non eri forse tu quello che ha usato i suoi doni per
convincere quell'antiquario di Canterbury a vederti il libro che
volevi tanto e che ti ha provvidenzialmente appena colpito sulla
testa? -
- Si tratta di una prima edizione dei Racconti di Chaucer. -
ribatté Aziraphale sulla difensiva. - Aveva troppo valore per
rimanere chiuso in quella cantina umida. Si sarebbe rovinato! Ho
svolto il mio dovere verso l'umanità salvandolo da quel posto
orribile. -
- Ma ceeeerto. - fece Crowley con un sogghigno. - E, dimmi un po':
perché mai un angelo dovrebbe avere nella sua preziosa collezione un
libro che narra storie tanto sconce? Non rischi un colpo di folgore
dal tuo capo? -
Aziraphale divenne paonazzo e distolse lo sguardo.
- Suvvia, amico.- cominciò Crowley, la voce addolcita da una nota
quasi di tenerezza, - Non c'è bisogno di vergognarsi. In fondo, chi
non apprezza un pizzico di pepe in una storia? Tutti amano i dettagli
scandalosi. -
- Forse da dove vieni tu, - ribatté l'angelo in tono pacato, - ma
dalle mie parti le cose funzionano diversamente. -
- Oh, lo so bene. - ridacchiò l'altro. - Dalle tue parti è tutto un
suonare l'arpa in tunica bianca e guardare all'infinito Tutti
insieme appassionatamente. -
- Non c'è niente di male in quel film, sai. -
- Già, è proprio questo il problema. A proposito di male, temo che
oggi non potremo pranzare insieme in quel nuovo ristorante in centro.
-
Sul viso dell'angelo si dipinse un'espressione delusa. - Come mai? -
Crowley alzò le spalle. - A quanto pare il mio capo non è
soddisfatto della mia media di cattive azioni qui sulla terra e ha
minacciato di rispedirmi all'Inferno se non correggo subito il tiro e
non mi rimetto in riga per riabilitare il mio buon nome di emissario
di Satana. Ragion per cui oggi mi dedicherò allo sporco lavoro di
corrompere i cuori degli uomini e creare un po' di scompiglio. -
- Mi dispiace che tu abbia avuto dei problemi con i tuoi, Crowley. -
Di nuovo, il demone fece spallucce. - Non posso farci niente. Questi
sono ordini dall'alto, o meglio, dal basso... molto in basso.
Bassissimo in effetti. -
- Mmm. -
Aziraphale osservò intensamente Crowley e, abbandonato il librone su
un tavolo, si portò una mano al mento con piglio assorto e pensoso.
Il demone poteva quasi vedere il cervello dell'amico freneticamente
all'opera sotto i suoi riccioli biondi.
- A che stai pensando, si può sapere? -
- Mmm. -
- Aziraphale? -
- Mmm. -
- Oh, per tutte le corna e i forconi dell'inferno! Smettila di
muggire! Vuoi dirmi che ti frulla nella testa?! -
- Stavo pensando... - cominciò l'angelo, - che in qualità di
inviato del Cielo, non posso certo lasciarti vagare in giro per la
città libero di portare a termine i tuoi misfatti. -
- E allora? -
Aziraphale fece un sorrisetto furbo. - Allora, mio caro, ecco come
riusciremo a non rinunciare al nostro pranzo e a fare entrambi una
bella figura con i nostri rispettivi superiori: tu farai il tuo
lavoro e io farò il mio e nessuno potrà accusarci di aver battuto
la fiacca. Tu combinerai i guai e io rimedierò. I tuoi capi non
potranno biasimare te se un angelo si mette in mezzo per sistemare i
tuoi disastri e io avrò il merito di aver vanificato i diabolici
piani di un demone... tra un boccone e l'altro. -
- Cavolo, angelo! - esclamò Crowley, un po' ammirato e un po'
sconcertato. - Stai passando al lato oscuro! Sono fiero di te! -
Aziraphale arrossì nuovamente ma non poté impedirsi di sorridere a
Crowley. Il loro programma per pranzo era salvo.
Angelo e demone uscirono dalla libreria e salirono sulla Bentley, che
un diligente ma sfortunato ausiliario del traffico aveva inutilmente
cercato di multare per divieto di sosta.
Crowley mise in moto e accese l'autoradio che tornò immancabilmente
alla sua ode ai Queen, riprendendo da dove il brano si era interrotto
poco prima.
Mr.
Bad Guy, yes I'm everybody's Mr Bad Guy
Can't
you see this is my destiny
Oh,
spread your wings and fly away with me
Crowley e Aziraphale si scambiarono uno sguardo d'intesa che presto
si tramutò in una risata a due voci.
- Fammi indovinare: tu saresti Mr. Bad Guy? -
- Ci puoi giurare, angelo! - rispose Crowley con un ghigno, premendo
il piede sull'acceleratore e facendo ruggire la Bentley. - E ora
andiamo a pranzo, sono affamato! Spread your wings and fly away with
me! -
*In realtà Mr. Bad Guy è un pezzo che Freddie Mercury
compose da solista e dunque non fa parte del repertorio vero e
proprio dei Queen, ma passatemi questa piccola licenza a beneficio
della storia. ;)
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Capitolo 2 *** Lazing on a Sunday Afternoon ***
lazing
I'll
be lazing on a Sunday
lazing on a Sunday
lazing on a Sunday
Afternoon.
Lazing
on a Sunday Afternoon, Queen,
1975
La
domenica pomeriggio non è solo un momento che si ripete puntualmente
ogni settimana.
La
domenica pomeriggio è uno stato d'animo calmo, rilassato e forse
anche un po' annoiato; è il silenzio che regna per le strade sgombre
da auto e mezzi pubblici; è il chiacchiericcio sommesso di chi
passeggia tranquillamente per le vie del centro concedendo ai propri
passi una lentezza impensabile in qualunque altro giorno.
La
domenica pomeriggio è fatta per riposare, perdere tempo in deliziose
futilità e dedicarsi a se stessi e alle persone care.
Questo
aveva pensato Aziraphale quando aveva finalmente proposto a Crowley
quel picnic al quale aveva accennato qualche mese prima ma che, con
l'arrivo del gelo invernale prima e degli acquazzoni primaverili poi,
era rimasto solo un'idea allettante nell'archivio dei progetti da
concretizzare in un futuro indefinito.
Ma
quel weekend le previsioni meteo avevano assicurato cielo sereno e
temperature in risalita in tutta l'Inghilterra, nonché una leggera
brezza estiva che le avrebbe rese sopportabili. Inoltre, Aziraphale
aveva saputo da Gabriele (fonte decisamente più attendibile dei
meteorologi) che l'Onnipotente era particolarmente di buon umore e
dunque ci si poteva aspettare le condizioni ideali per portare a
compimento quel piano non proprio ineffabile ma che attendeva di
essere realizzato già da troppo tempo.
E
così l'angelo aveva telefonato a Crowley e gli aveva esposto la sua
idea: trascorrere quella domenica insieme al parco, in compagnia di
una bottiglia di vino (o magari due) e di un cestino di vimini colmo
di manicaretti da gustare seduti su una soffice tovaglia a
quadrettoni, nel pieno rispetto della tradizione dei picnic.
Il
demone aveva sorriso furbescamente (non che Aziraphale potesse
vederlo dall'altro capo del telefono, ma ormai lo conosceva fin
troppo bene) e lo aveva punzecchiato con ironia.
-
Ma come? - aveva detto. - Mi stai proponendo di abbandonarci
spudoratamente all'ozio e ai piaceri del palato? La tentazione non
dovrebbe essere roba mia? Vuoi forse rubarmi il lavoro, angelo? -
Allora
Aziraphale aveva riso. - Oh, no, affatto! E comunque dimentichi, mio
caro demone, che, dopo aver creato l'universo, perfino Dio stesso si
riposò il settimo giorno. Dunque, come vedi, ciò che ti sto
proponendo non esula in alcun modo dalle prescrizioni divine, anzi le
onora! -
-
Mmm. - aveva fatto Crowley poco convinto. - Per me stai solo trovando
delle scuse, comunque non importa, non sono affari miei. -
-
Insomma, Crowley, accetti oppure no? -
-
Assolutamente sì! - esclamò l'altro. - Non rinuncio mai
all'occasione di poltrire circondato da buon cibo e vino in quantità.
Allora, dove avevi pensato di vederci per consumare questo rito
domenicale che non ha proprio niente a che fare con i peccati di
accidia e gola? -
Aziraphale
aveva colto la frecciatina ma decise di ignorarla. - St. James Park,
domenica a mezzogiorno. -
Il
mezzogiorno di domenica era arrivato e passato e Aziraphale e Crowley
si trovavano ora all'ombra di uno splendido salice piangente che
offriva loro un confortevole riparo naturale dai raggi del sole.
Avevano
pranzato con dei gustosi sandwich ai gamberi innaffiati da un ottimo
vino bianco e, al momento, piluccavano distrattamente da un piattino
di frutta fresca e colorata, particolarmente invitante in quel primo
pomeriggio di fine maggio.
Aziraphale
sedeva con la schiena comodamente appoggiata al forte tronco della
pianta, le gambe allungate in avanti, mentre Crowley si era disteso
sulla tovaglia, le mani incrociate dietro la testa amo' di cuscino.
-
Sai, dovresti provare queste. - disse l'angelo facendo sventolare
davanti al viso dell'amico una coppia di grosse ciliegie dalla buccia
lucida e più rossa che mai. - Sono davvero ottime. Le ho colte ieri
da quel grande ciliegio vicino alla mia libreria. -
Crowley
si fece scivolare gli occhiali scuri sul naso e i suoi occhi dorati
scrutarono il piccolo frutto con sospetto.
-
Non è ancora stagione di ciliegie. - constatò dubbioso.
Aziraphale
si strinse nelle spalle. - Sono una primizia miracolosamente
apparsa tra i rami. A volte capita. -
Crowley
sogghignò. - Oh, sì. Davvero miracolosamente. Quasi come se
un angelo avesse dato una piccola spinta alla natura per farle
accelerare un po' i ritmi, giusto in tempo per oggi, guarda caso. -
-
Non so proprio di cosa tu stia parlando. - fece Aziraphale sulla
difensiva, il tono di voce reso più acuto dall'imbarazzo che, in
questo modo, lo tradiva clamorosamente.
-
Sì, ne sono certo. -
-
Be', se non le vuoi peggio per te, caro. Non sai cosa ti perdi. -
concluse infine l'angelo, un po' stizzito.
-
Tu che tenti me con un frutto. - rise il demone. - Quando si dice
l'ironia. -
Le
gote di Aziraphale s'imporporarono e divennero dello stesso colore
delle ciliegie che teneva ancora tra le mani.
-
Dai, fa' sentire se il tuo miracolo ha funzionato. -
Così
dicendo, Crowley spalancò la bocca in attesa del boccone facendo
sparire il broncio dal volto di Aziraphale che si aprì invece in un
sorriso di divertita tenerezza.
L'angelo
calò una delle due ciliegie tra le labbra dell'altro che prese a
masticare lentamente per poi ingoiare il frutto e sputare via il
nocciolo.
-
Congratulazioni, angelo. - disse Crowley, passandosi la lingua
serpentina sul labbro superiore. - Miracolo riuscito. -
Aziraphale
avrebbe voluto negare ancora una volta il suo coinvolgimento nella
faccenda, ma la domenica pomeriggio era fatta anche per lasciar
correre e non dare troppo peso a certe cose, allora si abbandonò
semplicemente contro il corpo legnoso dell'albero e dette un morso
alla seconda ciliegia ormai rimasta sola, separata dalla sua gemella.
L'angelo
sospirò di piacere, deliziato dal sapore zuccherino del frutto, dal
canto degli uccellini e dal venticello fresco che gli portava alle
narici il misto di fragranze inebrianti dell'estate in arrivo.
Chissà
se anche il suo capo delle alte sfere celesti aveva trascorso il
pomeriggio del suo giorno di riposo mangiando squisite ciliegie
all'ombra di un salice.
Ne
dubitava.
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Capitolo 3 *** The Miracle ***
the miracle
Every
drop of rain that falls in Sahara Desert
Says
it all
It’s
a miracle
All
God’s creations great and small
The
Golden Gate and the Taj Mahal
That’s
a miracle
The
Miracle, Queen, 1989
La primavera si era ormai imposta sui
rigori della stagione invernale e, quell'anno, il giardino della
tenuta dell'ambasciatore americano si preparava ad una fioritura
davvero magnifica, degna dell'Eden.
Il merito di ciò andava in buona parte
riconosciuto al nuovo giardiniere che, da qualche mese a quella
parte, si occupava del parco.
Il piccolo Warlock, rampollo di casa,
era solito trascorrere diverso tempo in compagnia di quello strano
uomo dalle mani magiche in grado di far resuscitare un intero
giardino che, prima del suo arrivo, assomigliava molto di più a un
deserto arido e desolato.
Nonostante il bambino fosse convinto
che gli mancasse qualche rotella, il giardiniere gli andava a genio e
parlava sempre di cose buffe, come il fatto di amare e rispettare
tutte le creature, comprese le lumache che, a dirla tutta, non gli
piacevano poi così tanto.
Quel giorno gli stava mostrando dei
boccioli di rose ancora chiusi ma dai quali sarebbero nati degli
splendidi fiori quando fosse giunto il momento.
- Vedi, Warlock? Questo è un miracolo
del Cielo. Ogni fiore che sboccia è un miracolo, ogni cosa che
esiste al mondo, grande o piccola, lo è. -
A quel punto, l'espressione del bambino
si era fatta seria ma anche un po' scettica. - Che cosa vuol dire
“miracolo”? -
Il giardiniere gli aveva sorriso
bonariamente e gli aveva spiegato che i miracoli erano quegli
avvenimenti meravigliosi che accadevano senza che vi si potesse
trovare una spiegazione razionale.
- Come delle magie! - aveva esclamato
Warlock, il faccino acceso di entusiasmo.
- Esatto! Proprio come delle magie. Ma
accadono solo se ci si crede davvero e se il tuo cuore è puro e la
tua mente è mossa da buone intenzioni. -
- Quindi i miracoli li fa Babbo Natale?
-
- Come, prego? - chiese Aziraphale,
spiazzato.
- Sì, dev'essere così. - annuì
Warlock con convinzione, come se stesse seguendo un filo logico
inoppugnabile che, nella sua testa, non faceva una piega. - Babbo
Natale mi porta i regali se sono stato buono quindi se i miracoli
funzionano allo stesso modo, dev'essere lui a farli. Per forza! -
L'angelo-giardiniere sorrise di nuovo.
- Ma no, Warlock. - cominciò. - I
miracoli li fa Dio. Insomma, Dio e i suoi angeli. -
- Quindi io non posso fare un miracolo,
se voglio? -
Aziraphale stette un po' a pensarci,
mentre Warlock attendeva trepidante la sua risposta.
- Be', suppongo di sì. - disse infine.
- Chiunque può fare tanti piccoli miracoli ogni giorno. Non c'è
bisogno di arrivare a dividere le acque del Mar Rosso o di
moltiplicare pani e pesci. Se sei guidato dall'amore per gli altri e
per l'universo, anche tu puoi fare un miracolo, giovane Warlock. -
“Come,
ad esempio, evitare di dare inizio all'Armageddon” pensò
l'angelo, sperando con tutto il cuore nella riuscita del piano che
lui e Crowley avevano ideato per scongiurare l'Apocalisse.
- Allora, - proseguì il bambino. -
anche la tata può fare i miracoli? -
- Oh, no! - rise Aziraphale. - Lui, ehm
cioè, lei non può! -
Warlock si accigliò, sospettoso. - Ma
tu hai appena detto che tutti possono. -
L'angelo sentì la propria fronte
imperlarsi di sudore. - Sì, ma lui... lei è un dem... ehm, una
donna... che non è stata così buona. Ricordi? Solo i puri di cuore
possono compiere miracoli e lei non lo è. -
“Fiuuuu, salvato in corner. Bel
lavoro, angelo! Stavi quasi per far saltare la copertura” si
rimproverò mentalmente Aziraphale con una voce che suonava molto
simile a quella di Crowley.
Warlock non sembrava ancora convinto ma
la sua attenzione venne fortunatamente attirata da una lucertola che
era sgusciata fuori da un'aiuola e la questione “miracoli” venne
accantonata, con grande sollievo dell'angelo.
Accantonata almeno fino a quella sera.
Warlock si era appena infilato sotto le
coperte mentre la tata si era accomodata sulla sedia accanto al suo
letto per raccontargli una storia o cantargli una ninnananna.
Il bambino non aveva mai sentito fiabe
così strane e macabre ma, tutto sommato, non gli dispiacevano e
ascoltava sempre volentieri la voce stranamente sibilante della tata
che evocava nella sua mente immagini di mostri, sangue e oscurità,
paurose ma, a loro modo, anche ammalianti.
Era un personaggio bizzarro quanto il
giardiniere, la tata: vestiva sempre di nero, aveva quell'assurdo
ombrello e quella borsa che pareva più grande all'interno, per non
parlare del fatto che non si toglieva mai gli occhiali da sole.
Diceva di avere un problema agli occhi e che troppa luce le faceva
male, ma Warlock aveva l'impressione che nascondesse un segreto e più
di una volta aveva tentato di carpirglielo, senza successo.
Quella sera però, aveva un'altra
domanda per lei, che non riguardava gli occhiali scuri che indossava
sempre.
Le rivolse uno sguardo severo e
compunto. - Lo sai che tu non puoi fare miracoli? -
- Cosa? - domandò la tata, colta alla
sprovvista.
Il bambino annuì solennemente, come se
stesse decretando una verità universale. - Me l'ha detto il
giardiniere. Ha detto che tu non puoi fare miracoli perché non sei
abbastanza buona. -
- Ma davvero? Ha detto proprio così? -
Warlock annuì di nuovo. - Sì, perché
i miracoli possono farli solo Dio, gli angeli e le persone con il
cuore puro. -
- I miracoli non servono a niente,
caro. - sibilò in tono dolce. - Non c'è miracolo che tenga davanti
alla grandezza del Male. Ho proprio una storia della buonanotte che
può dimostrartelo. -
E iniziò a raccontare finché il
bambino non scivolò nel sonno.
Quando Crowley fu certo che Warlock
dormisse, si alzò dalla sedia e uscì dalla grande casa, salì sulla
Bentley e, con uno schiocco di dita, rientrò nei suoi soliti abiti
maschili.
Con Aziraphale erano d'accordo di
trovarsi al pub lì vicino alle 11.00 per discutere della giornata
appena trascorsa e dei progressi fatti con l'Anticristo. Lo facevano
ogni sera per assicurarsi che tutto stesse andando secondo i piani
ma, in quell'occasione, ne avrebbe approfittato per dire due paroline
all'angelo.
Quando Aziraphale arrivò al pub, trovò
Crowley seduto a un tavolo con una bottiglia di vino rosso davanti a
sé, già vuota per metà. Tamburellava con le dita e sembrava
irritato per qualcosa. Brutto segno. Che avesse avuto problemi con il
bambino?
- Ehi, ciao. - lo salutò, prendendo
posto di fronte a lui. - Com'è andata oggi? -
- Miracoli? Sul serio? -
sussurrò il demone sporgendosi verso Aziraphale. - Questo è stato
un colpo davvero sleale, angelo! Non me lo sarei mai aspettato da te.
-
- Che vuoi dire? - fece Aziraphale,
sinceramente stupito.
- Gli ha parlato dei miracoli e gli hai
detto che solo il Bene può compierli? -
- Be', sì, l'ho fatto. Ma... -
- E come pensi che potrei reggere il
confronto, eh? L'Inferno non fa miracoli, crea solo caos e
distruzione. Eravamo d'accordo di non intralciarci e che avremmo
dovuto cercare di tenere il ragazzino sempre tra il Bene e il Male,
senza mai far prevalere una delle due parti, ma con questa storia dei
miracoli l'hai letteralmente conquistato e io non ho niente da
contrapporre. Niente che possa avere la stessa presa sulla sua mente.
-
Nonostante tutto, Aziraphale non poté
impedirsi di fare un sorrisetto. - Allora, alla fine, ammetti che il
Bene ha una marcia in più, eh? -
Gli occhi d'oro di Crowley mandarono un
lampo da sotto le lenti nere. - Non ci provare, angelo. Non mi
strizzo in ridicoli abiti da donna vittoriana ogni giorno per vedere
l'Anticristo, il figlio di Satana, intraprendere la strada del Bene.
È ancora piccolo e, se abbiamo fortuna, il ragazzo dimenticherà
presto tutta questa storia e noi saremo di nuovo pari, ma non provare
mai più a tirarmi uno scherzo simile. I miei superiori non sarebbero
felici di sapere che L'Avversario, la Grande Bestia, il Distruttore
di Mondi si sta avviando verso la luce. -
Aziraphale fece un cenno d'assenso. -
Va bene, Crowley. Hai la mia parola. -
Il demone parve soddisfatto e ingollò
una generosa sorsata di vino dal bicchiere davanti a sé, per poi
passare la bottiglia ad Aziraphale, che, a sua volta, si riempì il
proprio.
- E comunque non è affatto vero che i
demoni non possono compiere miracoli. Tu ne sei la prova vivente. -
- Che accidenti vuoi dire? -
Aziraphale prese un sorso di vino, poi
sorrise di nuovo a Crowley. - Be', sei il migliore amico di un angelo
e un angelo è il tuo migliore amico. Se non è un miracolo questo! -
|
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Capitolo 4 *** Friends will be friends ***
friends
Friends
will be friends
When
you’re in need of love
they
give you care and attention
Friends
will be friends
When
you’re through with life and all hope is lost
Hold
out your hands cos friends will be friends right till the end
Friends
will be friends, Queen, 1986
Era
una tranquilla notte di fine estate: le cicale frinivano pigramente, la luna e
le stelle splendevano nel cielo terso e uno strano senso di serenità
pervadeva l'aria, come quando si ha la sensazione di aver superato un
grosso ostacolo o scampato un pericolo al quale, tuttavia, non si
riuscirebbe a dare un nome.
Naturalmente
gli umani non potevano sapere di essere appena scampati per un soffio
all'Apocalisse, e dunque si limitavano a gioire di quell'inspiegabile
sensazione e a vivere la propria vita come al solito, magari
concedendo al prossimo qualche sorriso e atto di gentilezza in più.
Ma
qualcuno sulla terra non si sentiva per niente sollevato, tutt'altro!
Due
individui legati da un'amicizia tanto profonda quanto improbabile se
ne stavano infatti seduti sui sedili di un autobus, semi-deserto a
quell'ora tarda,diretto da Tadfield a Londra, entrambi piuttosto in
ansia all'idea del futuro che li attendeva.
La
loro conversazione sarebbe stata incomprensibile per chiunque non
fosse stato al corrente del fatto che i due amici in questione
fossero un angelo del Cielo e un demone dell'Inferno che si erano
intromessi nella serie di eventi che aveva portato a rinviare la
distruzione del mondo, con grande disappunto dei loro colleghi.
-
Non saranno contenti, Crowley. - stava dicendo l'angelo. -
Aspettavano l'Armageddon da secoli. Non ce la faranno passare liscia
stavolta, né i miei né i tuoi. -
-
Sì, temo proprio che vorranno farcela pagare per avergli rovinato la
resa dei conti. E, se conosco bene quelli della mia fazione, saranno
fin troppo felici di avere un pretesto per torturarmi. -
-
E se non volessero limitarsi alla tortura? - chiese Aziraphale, con
un lampo di preoccupazione a oscurargli le iridi chiare.
-
Che vuoi dire? - domandò Crowley aggrottando le sopracciglia.
-
Be', gliel'abbiamo combinata davvero grossa e ormai sanno del nostro
sodalizio. Tu non pensi che intendano... liberarsi di noi
definitivamente? -
Crowley
avvertì un improvviso brivido lungo la schiena.
-
Belzebù, Hastur e il resto della cricca non aspettano altro. -
assentì. - Farmi fuori gli darebbe più piacere che torturare
migliaia di umani ma non credo che tu corra davvero questo rischio,
Aziraphale. Insomma, gli angeli non oserebbero mai uccidere uno di
loro, giusto? -
L'altro
sospirò e abbassò lo sguardo mestamente. - Lo credevo anch'io. Ma
negli ultimi giorni ho avuto modo di conoscere un lato dei miei
simili che non pensavo potesse esistere. Un lato sanguinario e
bellicoso che non mi fa ben sperare per la mia sorte. Voglio dire,
sapevo che a volte possono lasciarsi prendere un po' la mano quando
si tratta di giustizia divina, ma non immaginavo che amassero tanto
l'idea della guerra e del sangue. No, mio caro: non mi aspetto alcuna
clemenza da parte loro. -
-
Ma... ma non possono farlo! Insomma, stiamo parlando di angeli!
Che fine hanno fatto la pietà, il perdono, la misericordia e tutte
quelle altre sciocchezze che la tua parte va predicando da sempre? -
Aziraphale
sorrise tristemente davanti all'indignazione dell'amico ma scosse la
testa in un gesto che esprimeva una tacita rassegnazione.
-
Ok, allora diciamo che hai ragione tu. - esordì Crowley in tono
pratico come se si trattasse di risolvere un semplice problema
matematico. - Non esiste una grande scelta di metodi per annientare
un angelo e un demone. Le fiamme infernali e l'acqua santa sono le
uniche cose che possono davvero distruggerci. -
Aziraphale
fece un cenno d'assenso col capo. - Esatto. E ho paura che Paradiso e
Inferno non si farebbero scrupoli ad usare l'uno le armi dell'altro
pur di eliminarci, in fondo, ai loro occhi, siamo colpevoli di alto
tradimento e una vergogna per la categoria. -
-
Credi davvero che arriverebbero a tanto? -
L'angelo
distolse lo sguardo e prese a guardarsi le mani abbandonate in grembo
mentre Crowley sollevò gli occhiali scuri dal naso e si passò una
mano sul viso con un sospiro stanco.
Fuoco
infernale per Aziraphale, acqua santa per Crowley. Le loro vite
millenarie, la loro amicizia... erano davvero destinate a finire
così? Giustiziati dai loro simili nel modo più brutale possibile?
Nello
stesso momento, le menti dei due vennero inondate di spaventose
immagini riguardanti le rispettive esecuzioni. Non tanto la propria,
quanto quella dell'altro.
Aziraphale
vedeva davanti agli occhi che scrutavano l'oscurità fuori dal
finestrino il tremendo spettacolo del suo migliore amico corroso
dall'effetto devastante dell'acqua santa. Ne poteva sentire le urla
di dolore, poteva scorgere la vita abbandonarlo per lasciare a terra
solo un mucchietto di vestiti neri e null'altro.
Crowley,
d'altro canto, si trovava a contemplare l'immagine dell'angelo
circondato dalle fiamme infernali che gli mordevano la carne, l'anima
e lo facevano gemere di sofferenza prima di consumarlo del tutto.
Erano
pensieri strazianti per entrambi. Insopportabili.
E
pensare che il fuoco infernale avrebbe a stento provocato il
solletico a Crowley, mentre l'acqua santa sarebbe stata per
Aziraphale niente più che normalissima e rigenerante acqua fresca.
Fu
allora che i due ebbero la stessa folle idea e i loro sguardi accesi
di nuova speranza s'incontrarono.
-
Angelo? E se... -
-
Pensi quello che penso io? -
-
Sarebbe pericoloso. -
-
Sarebbe una pazzia. -
-
Ma potrebbe funzionare. -
-
Io salverò te e tu salverai me. Vivremo entrambi. -
-
Oppure no, ma non cambierebbe poi molto alla fine. Quantomeno,
sapremo di aver fatto un tentativo. -
-
Non permetterò che ti sciolgano nell'acqua santa. -
-
E io non permetterò che tu venga gettato tra le fiamme infernali. -
-
Siamo d'accordo allora? -
-
Tu te la senti? -
-
Sì, se te la senti tu. -
-
Allora siamo d'accordo. -
-
Facciamolo. -
-
Ci guarda qualcuno? -
I
due fecero scorrere lo sguardo tutto intorno ma gli unici altri
passeggeri del bus erano un ragazzino la cui attenzione era tutta per
il cellulare, una signora che dormiva con la testa reclinata
all'indietro sul sedile (non proprio un bello spettacolo), una
coppietta troppo intenta a scambiarsi effusioni per accorgersi di ciò
che li circondava e, naturalmente, il conducente, che però teneva
gli occhi fissi sul percorso.
Angelo
e demone unirono la propria mano destra alla sinistra dell'altro,
pronti a scambiarsi le identità e a tentare il tutto per tutto pur
di sopravvivere.
-
Angelo? -
-
Sì? -
-
Se le cose non dovessero andare a finire bene... Be', sappi solo che
è stato un onore e un piacere conoscerti. -
-
L'onore e il piacere sono stati miei, Crowley. -
-
Come dice quella canzone? “Gli amici saranno amici fino
alla fine”. -
Aziraphale
annuì con decisione e strinse più forte la mano di Crowley nella
sua. - Fino alla fine. -
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Capitolo 5 *** I'm in love with my car ***
car
Oooh
The
machine of a dream, such a clean machine
With
the pistons a pumpin’, and the hubcaps all gleam
When
I’m holding your wheel
All
I hear is your gear
With
my hand on your grease gun
Mmm
it’s like a disease son
I’m
in love with my car, gotta feel for my automobile
Get
a grip on my boy racer rollbar
Such
a thrill when your radials squeal
I'm
in love with my car, Queen, 1975
Di
tutte le diavolerie che gli umani si erano inventati nel corso della
Storia, Crowley trovava che nessuna fosse utile e spassosa quanto
l'automobile.
Aveva
sempre odiato viaggiare a cavallo, era così scomodo! Il suo
demoniaco didietro ne risentiva per settimane ogni maledetta volta
che, per un motivo o per l'altro, gli toccava affrontare un tragitto
appollaiato sul dorso di una di quelle bestie, bellissime ma
decisamente inadatte a sorreggere un umano cavalcioni per giorni
interi. Per non parlare del tempo che ci si impiegava a coprire anche
le distanze più brevi! E del fatto che non ci fossero tettuccio o
tergicristalli che potessero proteggere dalle intemperie! E della
mancanza del riscaldamento o del climatizzatore automatizzato! E
dell'odore terribile! E delle pulci!
Insomma,
quando l'automobile aveva fatto la sua comparsa sulla terra, Crowley
non avrebbe potuto esserne più felice ed entusiasta.
Erano
i ruggenti anni '20 (precisamente il 1926) quando il demone aveva
posato per la prima volta i suoi occhi d'oro su quella meraviglia a
quattro ruote: la carrozzeria nera fiammante tirata a lucido e fresca
di cera rifulgeva come il manto dello stallone più bello al mondo
non avrebbe mai potuto fare. E il rombo possente del motore era, alle
orecchie del demone, il suono più dolce ed eccitante che avesse mai
udito, tutt'altra cosa rispetto al nitrire acuto di un cavallo.
Non
ci aveva pensato due volte a comprarla e, da quel momento, la sua
Bentley era diventata la cosa più preziosa che possedesse, nonché
la sua fedele compagna di tanti viaggi che non lo deludeva mai e
ubbidiva ai suoi desideri quasi senza che lui avesse bisogno di
toccare i comandi.
Gli
piaceva stringere tra le mani il volante e sentire come l'auto
prendeva vita sotto di lui quando girava la chiave per accenderla.
Ogni
tanto le parlava perfino. Oh, non come parlava alle sue piante,
assolutamente no! Con la sua adorata Bentley era solito ricorrere ad
un tono di voce suadente e vellutato, come quello che si riserva in
genere ad un'amante.
La
prima volta che aveva fatto salire Aziraphale (unico passeggero al
quale avesse mai concesso l'onore di montare sulla sua amata auto),
l'angelo, ancora abituato alle carrozze, si era guardato intorno con
aria diffidente, scrutando ogni angolo dell'abitacolo come se si
aspettasse di veder esplodere qualcosa da un momento all'altro.
-
Crowley? Sei certo che questa, ehm... 'cosa', sia sicura? -
Il
demone gli aveva lanciato uno sguardo di fuoco da sotto le lenti
scure. - Lei non è una 'cosa', angelo. Lei è la mia
splendida auto e non ti permetterò di mancarle di rispetto o di
insultarla. Se non ti sta bene, puoi anche scendere e fartela a
piedi. -
Da
quel primo viaggio, Aziraphale invocava la protezione di tutti i suoi
compagni angeli del Cielo ogni volta che saliva sulla Bentley, non
tanto per sé quanto per i malcapitati che avevano la sfortuna di
incrociare il destriero cromato di Crowley che, come guidatore, era
un tantino spericolato.
Il
demone non permetteva che un solo granello di polvere intaccasse lo
splendore della carrozzeria e se per caso si accorgeva di qualche
piccola ammaccatura, gli bastava uno schiocco di dita o un lieve
soffio di alito demoniaco per sistemarla.
Così,
la Bentley aveva ormai raggiunto la veneranda età di novant'anni
conservando lo stesso aspetto di quando Crowley l'aveva acquistata...
fino a quella cruciale traversata della M25 in fiamme a poche ore dal
compiersi dell'Apocalisse.
Anche
in quell'ultimo viaggio si era dimostrata all'altezza della
situazione e aveva portato il demone sano e salvo a destinazione, in
quel caso la base aerea di Tadfield: un'ultima eroica performance
prima di quella tremenda esplosione.
Crowley
era crollato in ginocchio sull'asfalto, gli occhi sbarrati che
contemplavano con orrore ciò che rimaneva della sua auto consumarsi
inesorabilmente tra le fiamme e una densa colonna di fumo nero che
saliva verso il cielo.
Era
una fine gloriosa, degna di un'automobile come quella, ma pur sempre
una fine. In qualche modo, anche una parte di Crowley stesso stava
bruciando insieme alla Bentley e lui si sentiva sgomento e triste
come se si fosse appena separato per sempre da un caro amico.
Era
stato Aziraphale a comunicargli, il giorno dopo la quasi Apocalisse,
che la sua auto era tornata come nuova e lo attendeva parcheggiata
fuori dal palazzo dove il demone abitava.
Così,
una volta “sistemate le cose” con il Paradiso e l'Inferno ed
essere rientrati nei rispettivi corpi, i due avevano preso un taxi e
si erano precipitati a casa di Crowley e, proprio come aveva detto
l'angelo, davanti alla porta d'ingresso trovarono l'impavida auto
d'epoca che solo il giorno prima aveva sfidato l'anello di fuoco
della M25.
-
Allora? Sei felice di riavere la tua cara Bentley? -
Crowley
non rispose, invece abbassò il capo e posò una mano sul cofano con
estrema delicatezza, come se temesse di vederla svanire
all'improvviso o che si sbriciolasse sotto le sue dita.
Anche
se il demone gli dava le spalle, Aziraphale fu quasi certo di aver
intercettato una piccola lacrima sfuggire lungo la sua guancia da
sotto lo schermo degli occhiali.
-
Ciao, vecchia amica. - sussurrò Crowley. - Di nuovo insieme, eh? -
L'angelo
sospirò e sorrise: gli piacevano i lieti fini e quello lo era
davvero... o forse si trattava piuttosto di un lieto inizio?
Non
ne era sicuro ma venne sollevato da quel dilemma filosofico quando
Crowley si voltò verso di lui, aprendo lo sportello della Bentley. -
Un giretto d'inaugurazione, angelo? -
-
Ma certo! Potremmo andare in centro e provare quella nuova
pasticceria francese. - suggerì Aziraphale, speranzoso. - Ho sentito
che hanno i macarons migliori del mondo e credo di non averne più
mangiato uno decente dai tempi di Maria Antonietta. -
-
E allora, che pasticceria francese sia! - esclamò Crowley, sedendosi
al posto di guida e accarezzando il volante, nuovo di zecca eppure
vecchio di quasi un secolo.
Non
era cambiato niente: la sua fedele Bentley era identica a come era
sempre stata, fatta eccezione per quel lieve odore tipico delle auto
nuove che poi svanisce nel giro di qualche giorno.
Lo
sguardo del demone cadde sul vano del cruscotto dove conservava i CD
audio e notò che anche quelli erano esattamente gli stessi del
giorno prima. Chissà se anche “quella cosa” era rimasta
uguale...
-
Qualcosa non va? - domandò Aziraphale, il quale si era appena
accomodato dal lato del passeggero e aveva prudentemente allacciato
la cintura di sicurezza.
Crowley
stava osservando la sua collezione di CD con aria assorta.
-
No, è tutto a posto. Voglio solo fare una prova. - disse, scegliendo
un album dei Velvet Underground e inserendolo nell'autoradio.
Il
demone rimase in attesa di udire l'ipnotica melodia di Sunday
morning, invece, dalle casse,
irruppero le graffianti note della chitarra elettrica di Brian May
che davano inizio a I'm in love with my car, pezzo
storico dei Queen.
Crowley
sorrise, felice che anche quello strano difetto fosse rimasto
invariato.
Mise
in moto e la Bentley sembrò salutare il suo padrone con un rombo
particolarmente vigoroso. Era tornata dall'aldilà delle automobili
più in forma che mai e Crowley partì con una sgommata liberatoria
alla volta del centro di Londra, mentre la voce di Roger Taylor
cantava quell'inno d'amore che ogni automobile del mondo avrebbe
voluto sentirsi dedicare.
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Capitolo 6 *** Crazy little thing called love ***
CRAZY
This
thing called love
I
just can’t handle it
This
thing called love I must get round to it
I
ain’t ready
Crazy
little thing called love
Crazy
little thing called love, Queen,
1980
Anche
quell'anno febbraio era arrivato, succedendo a gennaio in un tripudio
di neve e gelo, e portandosi dietro una delle ricorrenze più amate o
detestate dagli umani, a seconda dei casi: San Valentino.
Non
che per Crowley la festa degli innamorati avesse qualche importanza,
ma quel genere di occasione (il Natale in primis) era sempre l'ideale
per far fruttare al massimo le sue malefatte. Non c'era infatti
periodo migliore di San Valentino per seminare zizzania e discordia:
bastava un nonnulla per scatenare le ire di fidanzate isteriche dalle
pretese discutibili o per portare all'esasperazione fidanzati e
mariti che non sapevano più come raccapezzarsi tra cuori, rose,
cioccolatini, bigliettini di auguri, prenotazioni di ristoranti e
regali vari.
Per
quel che lo riguardava, l'amore era un pretesto formidabile dietro il
quale spesso operava la sua fazione: molte azioni esecrabili e
meschine venivano commesse ogni giorno in nome di quel sentimento
così nobile che era tanto caro agli umani e che essi tiravano in
ballo ogni volta che dovevano giustificare il proprio discutibile
operato. Bastava dire: “L'ho fatto per amore” per essere quasi
sicuri di ricevere comprensione, solidarietà e forse perfino perdono
dai propri simili, indipendentemente dal crimine commesso e dalla sua
gravità.
Aveva
sentito dire molto spesso che essere davvero innamorati significava
mettere la persona amata davanti ai propri desideri egoistici.
Mettere il bene dell'altro al di sopra del proprio, insomma.
Ma
l'amore non faceva per lui, era più roba da angeli. Aziraphale, per
esempio, riusciva a percepirlo intorno a sé, nei luoghi che ne erano
impregnati.
E
San Valentino era la festa dell'amore per eccellenza, anche se
Crowley ricordava bene il martirio del santo in questione, visto che
nel lontano 14 febbraio 273 d.C. si trovava a Roma e aveva
presenziato in prima persona al macabro spettacolo, e proprio
faticava a far collimare quelle immagini di sangue e tortura con i
cuoricini rosa e le svenevolezze tipiche di quella ricorrenza.
Se
gli umani del XXI secolo avessero avuto modo di assistere con i
propri occhi a quella sequela di crudeltà indicibili, col cavolo che
avrebbero eletto quel poveraccio a protettore degli innamorati, il
quale, per inciso, era anche patrono degli epilettici (coincidenza?).
In
ogni caso, l'umanità aveva un talento innato per cannibalizzare
eventi come quello, occultandone le vere origini, svuotandoli del
loro significato e sacrificandoli sull'altare del consumismo e della
banalità.
Ma
tutto questo rendeva solo più facile il compito di Crowley che,
guarda caso, era appena passato accanto ad una coppia che stava
litigando furiosamente a causa di un messaggio apparso all'improvviso
(e senza alcun aiuto da parte di un certo demone) sul cellulare di
lui: un messaggio alquanto compromettente da parte di un'altra
lei.
Crowley
sospirò: gli umani erano così prevedibili! Ricorrere sempre ai
soliti vecchi trucchi per portare a termine la sua missione era
diventato quasi noioso... ma quegli espedienti funzionavano ancora
perfettamente e i suoi capi sarebbero stati soddisfatti del lavoro
svolto, e tanto bastava.
Ma
un povero demone doveva pur riposarsi un attimo e prendersi una pausa
tra una tentazione e l'altra e non c'era posto migliore della
libreria di Aziraphale per concedersi un break in compagnia di un
amico e di una bottiglia di vino pregiato.
Mentre
si avviava verso l'ingresso dell'edifico, Crowley pregustava già
sulle labbra il sapore di un buon sorso di Chateauneuf-du-Pape dunque
fu un'amara sorpresa quella di trovare il cartello con la scritta
'CHIUSO' che lo attendeva affisso alla porta.
Chiuso?
Com'era possibile?
Crowley
controllò l'orologio che portava al polso ma poté verificare solo
ciò di cui già era sicuro: non era orario né tantomeno giorno di
chiusura.
Doveva
esserci un motivo ben preciso per quella strana circostanza e lui era
determinato a scoprirlo.
Facendosi
beffe dell'avviso scritto a chiare lettere sul cartello, il demone
schioccò le dita e la serratura dell'uscio scattò docilmente con un
pigro “clack”.
Crowley
entrò e all'interno della libreria trovò tutto come al solito,
fatta eccezione per la totale assenza di clienti, che comunque non
erano mai troppo numerosi.
-
Aziraphale? - chiamò. - Aziraphale? Ci sei? -
Dal
retrobottega, dove l'angelo aveva ricavato anche un piccolo
appartamento per sé, arrivò una voce cavernosa che Crowley stentò
a riconoscere come quella del suo migliore amico. - Siamo ghiusi! -
-
Aziraphale, sono io, Crowley. Stai bene? -
-
Vaddene via, Crowley. Non hai leddo il cardello? Siamo ghiusi! -
-
E da quando mi fermo davanti a uno stupido cartello? -
-
Ti ho deddo di addare via! -
-
Angelo, va tutto bene? -
-
Sì, sì, è tuddo a posdo, ora va', ber favore... e, e...
EEEEETCHUUUU! -
Del
tutto incurante delle parole di Aziraphale e sempre più curioso di
capire cosa stesse succedendo, Crowley si affacciò sulla soglia del
retro della libreria e vide l'angelo avvolto in una vestaglia di
flanella sdraiato sul divano, con una coperta patchwork e una
quantità esorbitante di fazzoletti usati sparsi tutt'intorno.
I
suoi occhi chiari erano lucidi e lo sguardo offuscato, il naso e le
gote arrossate spiccavano sulla pelle pallida del viso e i capelli
d'oro erano tutti scarmigliati sul cuscino che sorreggeva il capo
dell'angelo. Nel complesso, aveva davvero una pessima cera.
-
A... Aziraphale? Sei tu? -
-
Ma ceddo ghe sono io, Crowley. E non guaddarmi così! -
-
Ma che ti è successo? - domandò il demone, combattuto tra la
voglia di ridere e la preoccupazione nel vedere l'amico ridotto in
quel modo.
L'espressione
di Aziraphale si fece ancora più depressa. - Non mi va di barlarne.
-
-
Sembra quasi che tu ti sia preso il raffreddore. - commentò Crowley,
ignorandolo. - Ma questo è impossibile. Le entità sovrannaturali
non si ammalano, neanche se sono incarnate in un corpo dalle
sembianze umane. -
L'angelo
abbassò gli occhi e prese a tormentare un lembo della coperta,
avvilito e un tantino imbarazzato.
-
Mi hanno faddo un righiamo. - ammise infine, sull'orlo delle lacrime.
- Solo ghe quedda volda mi hanno anghe punido. Digono ghe se mi piace
gosì dando sdare sulla derra, allora è giusdo che gonosga anghe i
ladi negadivi. -
-
E quindi ti hanno fatto provare l'esperienza del raffreddore? - rise
Crowley.
-
Non g'è niedde da ridere. - replicò Aziraphale, immusonito. - Ho
anghe la febbre e sdo malissimo! -
-
Non puoi fare un miracolo e guarirti da solo? -
L'angelo
scosse la testa mestamente. - Me l'hanno viedado. È gosì umiliande.
-
Crowley
smise di ridacchiare e un'ombra di tenerezza gli attraversò il viso.
Vedere Aziraphale in quello stato risvegliava in lui una sorta di
arcano istinto di protezione che nemmeno sapeva di possedere.
Alla
fine sospirò. - Be', non sarò in grado di rimetterti in piedi
completamente, ma posso almeno fare questo. -
Così
dicendo schioccò le dita, si udì uno sgradevole rumore simile a un
risucchio e il naso intasato di Aziraphale ebbe finalmente un po' di
sollievo. L'angelo inspirò a fondo come un naufrago che fosse stato
sul punto di annegare.
-
Grazie, Crowley. Va molto meglio. -
-
Bah, non ringraziarmi. Non l'ho fatto per te. È solo che quel tuo
modo di parlare mi stava irritando parecchio. -
-
Certo, certo. - annuì Aziraphale con un sorriso stampato sul volto
terreo e lucido.
-
E levati quel sorrisetto dalla faccia, angelo. Comunque, ero passato
a farti un saluto ma credo sia molto meglio che me ne vada. Non
voglio che mi attacchi i tuoi germi angelici, e poi ho un sacco di
disastri da combinare in vista di San Valentino. -
-
Oh, Cielo benedetto! - esclamò l'angelo, facendo sobbalzare Crowley.
-
Che cavolo ti prende ora? -
-
San Valentino! - gridò Aziraphale mettendosi le mani tra i capelli.
- Mancano pochi giorni! -
-
E allora? -
-
Avevo in programma di compiere qualche piccolo miracolo per
diffondere gioia e armonia tra gli innamorati ma non posso farlo
standomene chiuso qui. -
L'angelo
scattò in piedi facendo scivolare a terra la coperta. - Devo
rimettermi subito al lavoro. Devo... devo... -
Ma
Aziraphale non fece in tempo a concludere la frase perché la stanza
iniziò a girare forsennatamente intorno a lui e le ginocchia
minacciarono di cedere sotto il suo peso.
Sarebbe
crollato a terra se Crowley non si fosse precipitato a sorreggerlo. -
In queste condizioni dubito che tu possa ottemperare ai tuoi doveri,
angelo. -
Infischiandosene
delle deboli proteste di Aziraphale, Crowley lo fece sdraiare di
nuovo sul divano, poi raccolse la coperta e gliela mise addosso.
-
Non posso restare indietro col lavoro. - si lamentò. - San Valentino
è sempre un momento propizio per far nascere l'amore tra gli umani e
spingerli a commettere buone azioni. -
Per
la seconda volta, Aziraphale tentò di alzarsi, ma Crowley lo
risospinse tra i cuscini senza troppi complimenti.
-
Tu non vai da nessuna parte, angelo. Non finché non ti sarai
ripreso. Agli umani occorrono circa dai tre ai sette giorni per
guarire completamente e credo che sarà lo stesso per te. I tuoi
superiori ti hanno giocato proprio un bello scherzetto, e poi saremmo
noi demoni quelli malvagi! -
-
Ma avevo così tante idee per... e... eeeEEEEEETCHUUUU! -
Crowley
si ritrasse dalla traiettoria dello starnuto con aria leggermente
disgustata, poi passò un fazzoletto ad Aziraphale che lo ringraziò
e si soffiò rumorosamente il naso. Era una situazione decisamente
poco dignitosa per un angelo che un tempo aveva brandito una
magnifica spada di fuoco.
Di
nuovo, il demone venne assalito dalla bizzarra ondata di tenerezza
che l'aveva colto poco prima e sentì il forte desiderio di fare
qualcosa per l'amico.
-
Vado a prepararti una tazza di tè con del miele, gli umani dicono
che sia un rimedio eccezionale per l'influenza. -
Pochi
minuti più tardi, il demone tornò dalla piccola cucina con una
tazza fumante tra le mani, che porse ad Aziraphale.
-
Senti, ci ho pensato un po'. - iniziò Crowley, sedendosi a sua volta
sul divano, accanto ai piedi dell'angelo. - Sarebbe sleale andarmene
in giro per la città a combinare guai con te bloccato qui. Dunque,
hai la mia parola che sospenderò tutte le mie attività demoniache
fino a quando non sarai di nuovo in grado di fare la tua parte per
bilanciare le cose. -
Aziraphale
smise di bere e lo guardò con stupore. - Faresti questo per me? -
Crowley
distolse lo sguardo e scrollò le spalle. - Ora non farla tanto
lunga. -
-
Ma... ma i tuoi capi? Non si arrabbieranno? -
-
Be', sì. - ammise Crowley stringendosi nelle spalle con aria
noncurante. - Credo che non saranno troppo contenti, ma non sarà la
fine del mondo, giusto? -
-
Rischieresti l'ira dei tuoi... per me? -
-
Non essere stupido! Sto solo cercando di essere un avversario leale.
Non c'è gusto a far danni se nessuno prova a fermarti. -
-
Grazie. - ripeté Aziraphale. - Questo è un gesto davvero molto
gent... -
-
Non dirlo neanche per scherzo, angelo! Non osare dire quella parola.
Lo sai che non la sopporto! -
Aziraphale
tacque e continuò a sorseggiare il tè, sentendosi improvvisamente
molto meglio.
Intanto,
nella mente di Crowley, aveva preso forma un pensiero non richiesto
che, in quel momento, sembrava proprio un colossale sberleffo nei
suoi confronti: l'amore è mettere il bene dell'altro al di sopra
del proprio.
Che
fosse dannata quella piccola, pazza cosa chiamata Amore!
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Capitolo 7 *** Another one bites the dust ***
dust
How
do you think I’m going to get along,
Without
you when you’re gone
You
took me for everything that I had,
And
kicked me out on my own
Are
you happy, are you satisfied ?
How
long can you stand the heat ?
Out
of the doorway the bullets rip
To
the sound of the beat
Another
one bites the dust
Another
one bites the dust, Queen,
1980
-
Stupido, stupido, STUPIDO! -
Crowley
aveva lasciato Aziraphale al palco musicale nel centro del parco ed
era tornato alla Bentley, proprio mentre il cielo, fattosi scuro come
la notte, iniziava a tuonare minacciosamente: un ottimo preludio sia
musicale che scenografico per l'imminente Apocalisse.
Gli
capitava di rado di arrabbiarsi... di arrabbiarsi sul serio.
Come
demone aveva un'innata propensione a spingere al limite la pazienza
altrui per il semplice gusto di scoprire dove questa avrebbe infine
ceduto. Gli piaceva provocare, gli piaceva stuzzicare e conoscere le
debolezze degli altri per approfittarsene e trarne divertimento per
sé.
Non
era esattamente uno stinco di santo (e come avrebbe potuto?) ma era
molto raro che Crowley si sentisse ribollire di furia come una teiera
in procinto di esplodere per la pressione causata dal troppo vapore.
Ma
quel giorno era successo: il vaso era traboccato, il confine era
superato, le carote erano cotte (come dicevano i francesi) e tutto
per colpa di quell'idiota di Aziraphale che ancora si ostinava
ingenuamente a credere che l'Armageddon si potesse fermare parlandone
con calma e ragionevolezza ai suoi colleghi angeli, magari davanti a
una tazza di tè e una scatola di biscotti.
Stupido!
Aveva
rotto la loro alleanza millenaria, aveva deciso di schierarsi con la
fazione alla quale apparteneva per nascita piuttosto che restare al
suo fianco, uniti nell'unica fazione che avesse mai avuto veramente
una qualche importanza: la loro.
Per
cosa poi? Perché eoni prima era stato stabilito che angeli e demoni
fossero nemici predestinati e che i primi incarnassero il bene
assoluto e i secondi il suo diretto contrario?
Crowley
aveva vissuto sulla terra abbastanza a lungo da imparare che le cose
non stanno mai davvero in questo modo; non è così semplice. Niente
è mai del tutto bianco o del tutto nero e angeli e demoni non
facevano eccezione a questa regola universale.
Anche
Aziraphale lo sapeva, eppure, proprio nel momento in cui avrebbero
dovuto essere più uniti che mai per fronteggiare gli eventi
terribili che si paravano loro dinanzi, gli aveva rinfacciato la
solita vecchia storia della predestinazione e della conseguente
impossibilità di un loro fronte comune.
In
quei casi, la mente di Crowley correva ogni volta a Shakespeare e
alla sua opera più famosa. Si era sempre figurato angeli e demoni
come una sorta di Montecchi e Capuleti, e lui e Aziraphale costretti
a vedersi clandestinamente sapendo di infrangere tutte le regole
proprio come Romeo e Giulietta. Solitamente, quest'immagine lo faceva
ridacchiare: si vedeva davanti agli occhi l'angelo vestito in abiti
da dama medievale affacciato a un balcone a sospirare e scrutare il
cielo con aria assorta e sognante... ma non quel giorno.
Perché
Romeo si era rotto le scatole di guardare la finestra di Giulietta
dal basso del giardino e di sentirsi dire che no, lei non avrebbe
voltato le spalle alla sua angelica famiglia nonostante si stessero
tutti comportando come invasati pronti a distruggere il mondo solo
per affermare la propria supremazia sull'Inferno.
No,
Romeo le aveva dato un'ultima possibilità di collaborare, di unire
le loro forze per tentare un disperato e assai poco probabile
salvataggio in extremis della terra e di tutti i suoi abitanti, ma da
Giulietta era arrivato l'ennesimo rifiuto e Romeo era salito a bordo
della sua Bentley sbattendo la portiera e maledicendo il piano
ineffabile, il piano divino, santi, diavoli e soprattutto lui:
l'angelo che aveva avuto l'ardire di insediarsi nel suo cuore per poi
tradirlo in quel modo.
Ma
se ne sarebbe accorto presto! Oh, sì! Aziraphale si sarebbe reso
conto dell'errore madornale che aveva appena compiuto!
Pensava
davvero che lui, Crowley, avesse intenzione di andarci di mezzo per
colpa sua? Col cavolo! Nossignore! Lui aveva ben altri progetti che
stare a guardare la terra soccombere sotto i colpi inferti dagli
eserciti contrapposti del Paradiso e dell'Inferno.
L'universo
era grande: sarebbe partito per un altro pianeta, un'altra galassia,
un altro sistema solare e poco importava se il suo migliore amico non
sarebbe stato al suo fianco.
In
fondo, cos'erano seimila anni di complicità, risate, litigate,
collaborazione, scambi di favori alle spalle dei loro capi? Quanto
valeva davvero la loro cosiddetta “amicizia”?
A
quanto pareva meno di zero, per quanto riguardava l'angelo.
-
Spero che tu sia contento ora! Spero che tu sia soddisfatto! - inveì
Crowley, parlando ad un immaginario Aziraphale seduto accanto a lui
nell'abitacolo della Bentley. - Hai preso quello che c'era fra noi,
qualunque cosa fosse, e l'hai gettato nel grande cesso ineffabile. Ma
te ne accorgerai, angelo: non durerai cinque minuti senza di me, in
questa guerra. Perché fuori dalle mura della tua adorata libreria
volano proiettili, e quando uno finirà per colpirti, allora sarai
solo un altro che avrà morso la polvere. Niente di più. -
Avrebbe
voluto poterci credere sul serio, ma nell'istante stesso in cui
pronunciò quelle frasi dure, seppe che si trattava solo di un
mucchio di fesserie.
Forse,
alla fine, anche lui avrebbe morso la polvere.
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Capitolo 8 *** Seaside rendezvous ***
AVVISO: Scusate per la formattazione assurda del primo paragrafo ma non sono proprio riuscita a risolvere il problema con il programma.
s
Seaside
whenever you stroll along with me
I’m
merely contemplating what you feel inside
Meanwhile
I ask you to be my Clementine
You
say you will if you could but you can’t
I
love you madly
Let
my imagination run away with you gladly
A
brand new angle highly commendable
Seaside
rendezvous
Seaside
rendezvous, Queen, 1975
D'estate
non sono solo gli umani ad apprezzare una sana fuga dalla città in
favore magari di un suggestivo paesino della costa lambito
dall'oceano.
Anche
demoni e angeli infatti hanno bisogno di ristorarsi un po' dalla
calura estiva. O, per essere più precisi, demoni e angeli che da
seimila anni si sono incarnati in un corpo per vivere sulla terra,
corpo che patisce le alte temperature al pari di quello degli umani.
Aziraphale
e Crowley si erano messi in viaggio da Londra alle prime luci
dell'alba di quella che si preannunciava come un'altra torrida
giornata di luglio proprio con l'intenzione di spendere qualche ora
distesi al sole sulla spiaggia, magari sorseggiando un cocktail
tropicale con tanto di ombrellino.
Il
canale radio della BBC aveva annunciato che una frana avvenuta nella
notte (fortunatamente senza danni a cose o persone) aveva reso
impossibile raggiungere una deliziosa spiaggetta tra le scogliere
molto gettonata da turisti e locali in fuga dal caldo e che rimasero
molto delusi nell'udire quella notizia. I loro piani per la gita al
mare erano rovinati: avrebbero dovuto cercarsi un altro posto per
stendere il loro asciugamano e piantare l'ombrellone, ma sapevano che
non sarebbe stata la stessa cosa.
L'annuncio
era stato ascoltato anche da Aziraphale e Crowley, a bordo della
Bentley ma, mentre il primo aveva emesso un gemito di delusione,
sulle labbra dell'altro era comparso un sorrisetto compiaciuto che
non sfuggì all'angelo.
-
Ti prego, non dirmi che è stata
opera tua. -
-
D'accordo. Non ti dirò che è stata opera mia. Contento? -
-
Una frana?! Sul serio? -
-
Perché ti scaldi tanto, angelo? -
-
Qualcuno avrebbe potuto farsi male! -
-
Mi hai preso per un dilettante, per caso? - ribatté Crowley, offeso.
- Mi sono assicurato che non ci fosse nessuno nei paraggi e che non
venissero coinvolte abitazioni o altri edifici. -
-
Si tratta comunque di un abuso di potere. - insistette Aziraphale.
-
Non più di quanto lo sia far liberare per miracolo un tavolo al
Ritz, e comunque non credo che avresti preferito trovare una folla di
agguerriti vacanzieri pronti a tutto pur di accaparrarsi un posto
libero sulla sabbia e magari rischiare di dover condividere venti
centimetri quadrati di spazio con dei perfetti sconosciuti in costume
e tutti sudati. Ti assicuro che abbiamo cerchi dell'inferno meno
sovraffollati e sgradevoli di quella spiaggia nel weekend. -
Nonostante
il suo angelico senso di giustizia, che ancora gli impediva di
accettare di buon grado quel gesto scorretto, Aziraphale dovette
infine arrendersi davanti all'argomentazione più che valida e
convincente avanzata da Crowley.
Circa
un'ora più tardi, la Bentley riemerse miracolosamente indenne e
senza un graffio dal tratto di strada impedito dalla frana e
circondato da un nastro bianco e rosso con la scritta 'PERICOLO' a
caratteri cubitali. Certo, il tunnel dimensionale al quale aveva
provveduto Aziraphale era stato decisivo, ma alla fine l'auto arrivò
in vista di un'insenatura a mezzaluna tra le scogliere che nulla
aveva da invidiare alle spiagge dei Caraibi o delle Maldive.
La
sabbia bianchissima e fine come polvere di diamanti rifletteva la
luce del sole del mattino e l'acqua cristallina abbracciava tutte le
sfumature del blu e del turchese. Tirava un lieve venticello e il
mare era calmo.
-
Be', siamo arrivati. - annunciò Crowley, inserendo il freno a mano.
- Hai visto che fortuna, angelo? Non c'è nessuno. -
Aziraphale
gli scoccò un'occhiata di rimprovero ma non disse nulla, invece
chiuse gli occhi, allargò le braccia e inspirò a pieni polmoni la
brezza che sapeva di salsedine.
-
Ti muovi o no? - lo chiamò Crowley, ansioso di fare un tuffo in
acqua per rinfrescarsi dopo il viaggio.
-
Sì, arrivo subito. Devo solo prendere un paio di cose. -
-
Quali cose? -
-
Oh, niente. Solo qualche invenzione umana per la spiaggia. -
Aziraphale
fece un mezzo giro intorno alla Bentley e aprì il bagagliaio,
dopodiché si sporse e vi affondò dentro fino alla vita,
letteralmente.
Era
infatti un piccolo vezzo di Crowley quello di aver fatto ricorso ad
un aiutino sovrannaturale per aumentare la capienza del portabagagli
della sua auto, ma non aveva idea di cosa Aziraphale stesse cercando
lì dentro.
-
Si può sapere che cavolo stai... -
-
Ora vedrai! Ci sono quasi! - La voce di Aziraphale suonava lontana e
alterata dall'eco. Crowley aveva fatto le cose in grande quando aveva
apportato quella modifica al bagagliaio.
Finalmente,
l'angelo riemerse da retro della Bentley con le braccia cariche di
cianfrusaglie colorate, tra cui pistole ad acqua, un ombrellone a
righe con abbinate due sdraio pieghevoli, due gonfiabili (uno a forma
di unicorno, l'altro di drago), racchettoni, una palla da
beach-volley, due tavole da surf e una coppia di cappelli di paglia.
-
Oh, Satana, dammi la forza. - mormorò Crowley alla vista dell'amico
che barcollava sotto il peso di tutto quel ciarpame estivo. - Che
accidenti vorresti farci con tutta quella roba? -
-
Be', ho solo pensato che
potremmo provare qualcuno dei divertimenti più comuni a cui gli
umani si dedicano in spiaggia... Uffff -
Azirapahle
ansimava sotto il peso del suo fardello in equilibrio precario che
minacciava di rovesciarsi a terra da un momento all'altro.
Crowley
fece un sospiro irritato e intervenne svogliatamente in aiuto
dell'amico prima che finisse schiacciato sotto una montagna di
articoli da spiaggia.
-
Ufffff! Per un pelo. Grazie, Crowley. -
-
Forza, andiamo. Voglio buttarmi in acqua prima che questo sole mi
frigga il cervello. -
Poco
dopo, Aziraphale e Crowley individuarono il punto perfetto dove
posizionare sdraio e ombrellone
-
Bene. - disse l'angelo, soddisfatto della scelta. - Ora possiamo
anche farci un tuffetto. -
I
due schioccarono le dita nello stesso momento e i loro abiti vennero
all'istante sostituiti da un costume da bagno: quello di Crowley gli
arrivava poco sopra le ginocchia ed era nero decorato con delle
fiamme rosse e oro sull'orlo, mentre Aziraphale aveva optato per uno
di quei vecchi costumi interi da uomo in stile anni '20, a vistose
righe bianche e blu.
-
Sei molto fashion, angelo. - lo derise Crowley. - Credo che quella
fosse l'ultima moda sulle spiagge nel 1925 o giù di lì. -
-
Si chiama vintage. - ribatté Aziraphale, piccato.
-
Si chiama vecchio. -
-
Vogliamo andare a fare questo bagno o no? -
I
due entrarono in acqua, sfidando i pigri tentativi delle onde di
ricacciarli indietro. Crowley si gettò a capofitto senza pensarci
due volte, mentre Aziraphale avanzava prudentemente di qualche passo
alla volta, saggiando la temperatura prima di decidere quando
tuffarsi, decisione che arrivò quasi obbligata a seguito di una
secchiata d'acqua che Crowley gli aveva riversato sulla testa a
tradimento, ridendo di gusto.
Al
momento, angelo e demone se ne stavano tranquillamente sdraiati sui
gonfiabili. Crowley aveva preso il drago mentre Aziraphale si era
accomodato sopra l'unicorno.
Si
lasciavano dondolare dolcemente dalle onde chiacchierando e guardando
le nuvole bianche farsi portare dal vento sullo sfondo blu del cielo.
-
Ti va un cocktail? - chiese Aziraphale.
-
Un Bloody Mary sarebbe perfetto, angelo. -
-
E per me un daiquiri alla fragola. -
Uno
schiocco di dita e i cocktail apparvero tra le loro mani, con annessi
gli immancabili ombrellini colorati. Aziraphale e Crowley fecero
tintinnare i bicchieri e tornarono a godersi le meraviglie di
quell'angolo di paradiso, anche se ovviamente il paradiso vero e
proprio non era così bello... neanche lontanamente.
A
un tratto Aziraphale, che stava seguendo con gli occhi il volo di
alcuni gabbiani, si accigliò e Crowley non tardò ad accorgersene.
-
A che stai pensando, angelo? -
-
Oh, niente di importante. - minimizzò l'altro. - È solo che, a
volte, mi piacerebbe poter evadere almeno un po' dalla nostra
condizione di angelo e demone. Rilassarmi, sai, staccare dalle
responsabilità. -
-
Non è forse quello che stiamo facendo proprio adesso? -
Aziraphale
annuì con aria assorta. - Sì, ma cosa direbbero i nostri superiori
se sapessero che passiamo le giornate a oziare alla maniera degli
umani e per di più insieme? -
-
Andrebbero fuori di testa. - rispose semplicemente Crowley.
-
Sì, - confermò Aziraphale, - è proprio quello che temo. -
Crowley
aveva percepito la preoccupazione dell'amico, ma non avrebbe permesso
che la sua tendenza ad angustiarsi per niente rovinasse quella
giornata.
-
Senti, a loro non interessa controllare le nostre attività sulla
terra, fintantoché gli lasciamo credere di compiere il nostro
dovere. Sono troppo impegnati sia lassù che laggiù
per prestare attenzione a noi, quindi smettila di angosciarti e fammi
vedere quanto sei bravo con quelle tavole, ché si sta giusto alzando
il vento. -
Aziraphale
sapeva che Crowley si era prestato a provare il surf solo per
distrarlo, ma apprezzò ugualmente il suo gesto, che comunque sortì
l'effetto desiderato perché, dopo dieci minuti di tentativi andati
miseramente in fumo, la tavola colpì l'angelo dritto sul capo,
facendogli dimenticare ogni preoccupazione eccetto quella per il
bernoccolo che gli sarebbe spuntato.
Crowley
invece si divertiva un mondo a cavalcare le onde e Aziraphale dovette
riconoscergli un certo talento.
Dopo
il surf toccò al beach volley, poi ai racchettoni e, infine, a un
duello serrato con le pistole ad acqua.
Al
termine di quelle sfide, i due decisero che il divertimento migliore
da adottare in spiaggia era e rimaneva quello preferito da sempre
dagli umani: starsene spaparanzati sotto l'ombrellone a sonnecchiare
e ad ascoltare il suono gorgogliante delle onde... e così fecero
fino a quando il sole, ormai color rubino, non iniziò a calare
all'orizzonte, incendiando il cielo e tingendo d'oro la superficie
del mare.
Era
quasi ora di rimettersi in viaggio per tornare alla solita vita
londinese e Aziraphale avvertì una punta di malinconia. Se fosse
dipeso da lui, avrebbe trascorso il resto della sua vita eterna su
quella spiaggia, insieme a Crowley.
Certo,
forse dopo un po' avrebbe iniziato ad avvertire la mancanza dei
libri, o dei concerti di musica classica all'Albert Hall, o di quei
ristorantini dove era certo di gustare raffinate prelibatezze ogni
volta... ok, doveva ammettere che anche la città aveva i suoi
vantaggi; l'importante era poterli condividere con la persona giusta
o, nel suo caso, il demone giusto.
(Questa
Shot è dedicata a Menade Danzante e al suo ritorno su EFP.
Bentornata, dearie!)
|
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Capitolo 9 *** Bicycle Race ***
bike
Bicycle
bicycle bicycle
I
want to ride my…
bicycle
bicycle bicycle
I
want to ride my bicycle
I
want to ride my bike
I
want to ride my bicycle
I
want to ride it where I like
Bicycle
Race, Queen, 1978
Era
da un po' che quell'idea si presentava con sempre maggiore frequenza
nella mente di Aziraphale. Erano passati due anni dall'estate in cui,
almeno ufficialmente, il mondo avrebbe dovuto concludere la sua
esistenza e, negli ultimi tempi, l'angelo aveva preso sempre di più
a chiedersi come se la stesse passando l'Anticristo. In fondo, era in
gran parte merito di quel ragazzino coraggioso se l'Apocalisse era
stata infine evitata.
Pensava
ad Adam molto spesso e ogni volta veniva pungolato da uno spiacevole
senso di colpa e vergogna per aver tentato di ucciderlo, quando
ancora era convinto che egli intendesse distruggere la Terra. Se
Madame Tracy non avesse ripreso il controllo del suo corpo, del quale
l'angelo si stava servendo in quella circostanza, probabilmente Adam
sarebbe morto e allora sarebbe stato il caos più totale, per non
parlare del fatto che Aziraphale si sarebbe reso responsabile della
morte di un ragazzino di undici anni del tutto innocente e privo di
ogni intenzione malvagia.
Nella
confusione di ciò che era seguito a quell'avventuroso pomeriggio,
l'angelo non aveva mai avuto la possibilità di scusarsi con lui per
il suo comportamento disdicevole.
Ma
Aziraphale sentiva di non poter più vivere serenamente con quel peso
che gli opprimeva la coscienza e così un giorno telefonò a Crowley
e gli propose una scampagnata a Tadfield il sabato successivo.
-
Tadfiled? - aveva ripetuto il demone, alquanto sorpreso. - E perché
mai vorresti tornare laggiù? -
Aziraphale
si sentì arrossire lievemente e ringraziò che Crowley fosse
dall'altra parte di Londra e non potesse vederlo. - Be', tanto per
cominciare è una cittadina deliziosa, specialmente in questo periodo
dell'anno, e poi... mi piacerebbe avere notizie del giovane Adam.
Ormai sono trascorsi due anni da quando... -
-
Da quando non ha provocato la fine del mondo, sì. - concluse il
demone. - Lo so, angelo. So contare, sai? Ma ancora non capisco
perché tu voglia sapere del ragazzo. Ormai non è più una minaccia
e vive tranquillamente la sua vita umana come chiunque altro. -
-
Sì, certo, ma... insomma, non si sa mai, no? - farfugliò
Aziraphale. - Cioè, è pur sempre il figlio di Satana in persona.
Non credi che dovremmo fare una piccola verifica? Solo per
assicurarci che vada tutto bene. -
Dall'altro
capo della linea telefonica ci fu qualche istante di silenzio, poi
Crowley parlò col suo solito tono insinuante e beffardo. - Dì la
verità, angelo: ti senti in colpa per aver cercato di sparargli con
quella mostruosità di schioppo del Sergente Shadwell e ora vuoi
andare da lui per scusarti e pulirti la coscienza. -
Aziraphale
arrossì ancora di più e il suo silenzio equivalse per Crowley ad
una conferma dei suoi sospetti.
-
Lo immaginavo. - disse, chiaramente compiaciuto delle sue doti
deduttive. - Comunque credo che non sia una cattiva idea quella di
fare un salto a Tadfiled per dare un'occhiatina. Mi sentirei più
tranquillo sapendo che l'Anticristo è tornato ad essere un
normalissimo preadolescente umano e che le forze celesti o infernali
non intendono servirsi di nuovo di lui per scatenare una guerra. -
-
Oh, bene. - fece Aziraphale, sollevato che l'amico appoggiasse la sua
decisione. - Allora siamo d'accordo? -
-
Sarò da te sabato mattina alle 9. - confermò Crowley.
E
così, alle 9 di sabato mattina, angelo e demone partirono con la
Bentley in direzione Tadfield.
-
Credi che il segugio infernale... ehm, insomma, il cagnolino
infernale, sia ancora con lui? - domandò Aziraphale.
-
Oh, ne sono sicuro. - rispose Crowley, lanciando l'auto a tutta
velocità sulla deserta strada di campagna che stavano percorrendo. -
Il ragazzo era pur sempre destinato ad essere il suo padrone e, anche
se le cose non sono andate proprio come ci si aspettava, quei due
saranno sempre legati l'uno all'altro. Niente e nessuno riuscirà mai
a separarli. -
-
Già. - fece l'angelo, pensoso. - Chissà che tipo di uomo diventerà
da grande. -
-
Mi auguro che resti il più possibile fedele alla versione che
abbiamo conosciuto due anni fa. - disse Crowley. - Il mondo ha
proprio bisogno di umani come lui. -
Nel
frattempo, a fare da sottofondo musicale alle loro chiacchiere, c'era
l'immancabile compilation dei Queen; proprio in quel momento Freddie
Mercury era intento a cantare la sua lode alla bicicletta e se
Aziraphale o Crowley non fossero stati tanto impegnati a fare ipotesi
e dissertazioni sul futuro dell'Anticristo, forse avrebbero capito
che si trattava di un segno, un ironico indizio di ciò che sarebbe
accaduto di lì a poco.
La
Bentley oltrepassò il cartello con la dicitura “TADFIELD” circa
quaranta minuti più tardi.
La
cittadina non era cambiata molto in quei due anni, e perché poi
avrebbe dovuto?
Tuttavia,
mentre Crowley guidava tra le vie del paese, cresceva sempre di più
in lui la sensazione che qualcosa non andasse e che ci fosse un ché
di surreale in ciò che vedeva attorno a sé.
Non
riusciva ad afferrare esattamente di cosa si trattasse, ma era come
se il suo subconscio avesse notato l'assenza di qualcosa, qualcosa
che avrebbe dovuto esserci e che invece mancava, suscitandogli
quell'impressione di stranezza.
-
Non ti sembra... che ci sia un non-so-ché di insolito qui? -
Aziraphale
si guardò intorno con attenzione ma alla fine scrollò le spalle. -
Non mi pare di percepire niente di particolare, Crowley. Perché me
lo chiedi? -
-
Mah, lascia perdere. Probabilmente è solo una mia impressione. Ecco,
siamo arrivati a casa del ragazzo. -
I
due scesero dalla Bentley e suonarono il campanello della graziosa
villetta. Rispose una voce di donna piuttosto affabile. - Sì? Chi è?
-
Fu
Aziraphale ad accostarsi al citofono. - Buongiorno signora Young,
siamo due amici di suo figlio Adam. Passavamo di qui e abbiamo
pensato di fargli un saluto. È in casa? -
La
voce si fece sorpresa. - Mi sembra che Adam sia un po' giovane per
avere degli amici adulti. -
-
Oh, in realtà l'abbiamo incontrato una volta sola ma è stato, come
dire, ehm... un incontro particolarmente intenso. -
-
Cosa?! - adesso il tono della povera Deirdre Young si era fatto
ansioso e allarmato. - Ma si può sapere chi diavolo siete? Cosa
avete fatto a mio figlio? Siete di quei pervertiti che se ne vanno in
giro a molestare i ragazzini mentre giocano?! -
Crowley
lanciò un'occhiataccia ad Aziraphale.
-
Complimenti, angelo. Ottima scelta di parole. - bisbigliò,
sarcastico. - Lascia fare a me. -
Il
demone fece scostare l'amico dal citofono e sfoderò il suo timbro
più suadente e sibilante. - Mi ascolti bene, signora Young: io sono
il demone Crowley e con me c'è l'angelo Aziraphale. Abbiamo
conosciuto suo figlio Adam, alias l'Anticristo, due anni fa in
occasione della fine del mondo e siamo passati per accertarci che non
si siano verificati altri eventi sovrannaturali nei paraggi. Può
dirci dove possiamo trovarlo, per favore? -
Ancora
una volta, la voce di Deirdre Young si levò dalle piccole casse del
citofono, ma stavolta parlò con un tono strascicato, quasi
assonnato. - Adam è andato a Hogback Wood con i suoi amici. Lo
troverete lì. -
-
Molte grazie, signora. - rispose Crowley con un sorrisetto.
-
L'hai ipnotizzata? - chiese Aziraphale, sospettoso.
-
Ho dovuto. - replicò l'altro, aprendo lo sportello della Bentley. -
Se non l'avessi fatto, avrebbe finito per chiamare la polizia grazie
alla tua brillante performance. -
Davanti
all'incontestabile verità di quelle parole, Aziraphale decise
saggiamente di non ribattere e si limitò a salire in auto.
La
Bentley era quasi giunta a Hogback Wood quando accadde il tutto.
L'auto
cominciò ad emettere un rumore simile a quello provocato da una
brutta crisi di tosse e prese inspiegabilmente a rallentare senza che
Crowley avesse premuto il piede sul freno.
In
quella che fu una frazione di secondo, le ruote si ridussero da
quattro a due, una davanti all'altra, alte e sottili; il tasto del
clacson divenne un campanello a molla, i fari si unirono in un'unica
piccola lampadina e i sedili si tramutarono in un singolo sellino di
pelle molto stretto. Contemporaneamente, i pedali della frizione, del
freno e dell'acceleratore subirono una drastica mutazione e il
volante prese le sembianze di un manubrio da bici.
In
effetti, tutta la Bentley aveva ora l'aspetto di una bici.
Sbalordito,
Crowley si era ritrovato in sella con le mani sul manubrio e i piedi
calcati sui pedali, mentre Aziraphale, non meno incredulo, era finito
cavalcioni sul portapacchi, dietro di lui.
Il
demone tirò bruscamente i freni e la bici inchiodò, facendo quasi
cadere Aziraphale.
I
due scesero e rimasero a contemplare sconcertati, a bocca spalancata,
quella che, fino a pochi secondi prima, era un'automobile in piena
regola e che adesso era decisamente, senza la più pallida ombra di
dubbio, una bicicletta.
-
Ma è... è... - balbettò l'angelo, incapace di pronunciare la
fatidica parola con la B.
-
Una BICICLETTA! - urlò Crowley, mettendosi le mani nei capelli. -
Una maledettissima bicicletta! Ma come accidentaccio è potuto
succedere?! -
-
Io... io non ne ho idea. È incredibile. -
A
quel punto Crowley si voltò verso Aziraphale e lo afferrò per il
bavero. - Sei stato tu, non è vero?! -
-
Cosa?! -
-
Ti lamenti sempre di come guido e la mia Bentley non ti è mai
piaciuta! Avanti, confessa! -
Aziraphale
alzò le mani in un gesto che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto
tranquillizzare l'amico. - Crowley, ti giuro che stai prendendo un
abbaglio. Io non ho fatto proprio niente. -
-
E allora chi è stato?! - ribatté il demone. - Perché non credo che
un qualsiasi umano si sia svegliato stamattina pensando che sarebbe
stato divertente giocarmi questo scherzo. -
-
No, non un qualsiasi umano. Ma forse l'Anticristo... -
Crowley
allentò la presa. - Come? Credi che sia opera sua? -
-
Be', se ci pensi, qui a Tadfield sono sempre successe cose un po'
strane a causa di Adam, anche se lui non ne era consapevole. -
Allora
Crowley lasciò andare il cappotto dell'angelo e si batté forte una
mano sulla fronte. - Oh, che idiota! Ma certo! Le automobili! -
Aziraphale
sbatté gli occhi senza capire. - Scusa? -
-
Le automobili! - ripeté Crowley come se fosse ovvio. - Ecco che cosa
mancava per le strade del paese! Ecco perché avevo quella sensazione
strana. Da quando siamo entrati a Tadfield non abbiamo visto neanche
un'auto! Le persone erano tutte in giro a piedi o in bicicletta! -
Aziraphale
ci pensò un attimo e, in effetti, doveva concordare con il demone:
neanche lui ricordava di aver notato una sola macchina per le vie di
Tadfield.
-
E pensi che potrebbe essere stato davvero Adam? - domandò incerto.
-
Ehi! Sei tu che hai avanzato per primo quest'ipotesi. Vieni, andiamo
a scoprirlo. -
Così
dicendo, Crowley salì sulla bici-ex-Bentley e impugnò saldamente il
manubrio. - Ti sbrighi? -
Aziraphale
si rassegnò ad appollaiarsi di nuovo sullo scomodo portapacchi.
-
Ma dove mi tengo? - chiese, notando la mancanza di punti d'appoggio
Crowley
alzò gli occhi al cielo. - Aggrappati a me, idiota! -
Allora
l'angelo posò le mani sui fianchi snelli di Crowley, che iniziò a
pedalare forsennatamente lungo il sentiero che attraversava il bosco.
Presto,
Aziraphale dovette allacciare le braccia intorno alla vita dell'amico
per non venire sbalzato via da quella scomoda sistemazione. Crowley
pedalava a più non posso e, grazie ad un piccolo aiuto di natura non
esattamente umana, la Bentley-Bike aveva raggiunto una velocità tale
da non far rimpiangere più di tanto la perdita del motore.
Quando
finalmente i due avvistarono Adam, e la sua cricca nel bel mezzo di
una radura ombrosa, Crowley tirò i freni e la bicicletta terminò la
sua corsa.
-
Eccoli là. - disse il demone, smontando agilmente dal veicolo.
Aziraphale
si sentiva come un vestito appena uscito dalla lavatrice. Di alcune
parti del corpo non aveva più percezione, di altre ne aveva fin
troppa, inoltre aveva l'impressione che i suoi organi interni fossero
finiti in una centrifuga.
-
Accidenti, quanto sei pallido. - commentò Crowley, lanciandogli uno
sguardo tra il preoccupato e il divertito.
-
Non sei spiritoso. - replicò Aziraphale appoggiandosi ad un albero
per riprendere fiato. - Sai, credo di preferirti alla guida di
un'auto che di una bicicletta. -
-
Ecco, tienilo a mente la prossima volta che vorrai lamentarti ancora.
- rispose Crowley con un sogghigno. - E comunque, io l'ho trovato
divertente. Dovremmo andare in bici più spesso. -
Il
demone ridacchiò alla vista dell'espressione terrorizzata di
Aziraphale, dopodiché si avviò verso il gruppo di ragazzini al
centro della radura.
Dog
fu il primo ad accorgersi delle due entità sovrannaturali in visita
e si mise a scodinzolare come un matto e a saltellare intorno alle
gambe di Crowley, il quale alzò una mano verso i Quelli in segno di
saluto.
-
Salve, ragazzi! -
Adam,
Wensleydale, Pepper e Brian erano cresciuti dall'ultima volta che li
avevano visti ma, nel complesso, non erano cambiati poi molto.
-
Che cosa ci fate qui? - domandò Adam, un po' felice e un po'
insospettito alla vista di quella bizzarra coppia. - Per caso, ci
sono guai in vista? Il mondo è di nuovo in pericolo? -
-
No, niente del genere. - rispose Crowley. - Siamo qui solo per
controllare che vada tutto bene e perché l'angelo deve dirti una
cosa. Ma prima voglio che tu dica una cosa a me, ragazzo. -
Il
demone si voltò ad indicare la bicicletta nera. - La mia Bentley si
è trasformata in una bici. C'entri qualcosa? -
Adam
sorrise colpevole. - Temo proprio di sì. -
-
Allora sei stato tu?! -
-
Non intenzionalmente. - si affrettò a precisare il ragazzino. - Il
fatto è che, a volte, faccio ancora succedere delle cose senza
volerlo. Ieri stavamo parlando dell'inquinamento atmosferico e io ho
detto che tutte le auto dovrebbero essere sostituite dalle
biciclette. -
-
Allora falla tornare come prima! -
Ma
Adam scosse la testa. - Mi dispiace ma non ho idea di come fare.
Comunque, una volta usciti da Tadfield penso che l'effetto svanisca.
-
Crowley
esalò un sospiro rassegnato, ma il ragazzo aveva ragione: le auto
erano scomparse dalle strade solo dopo aver passato il confine della
cittadina.
Così,
il demone cedette la parola ad Aziraphale, il quale proruppe in un
infinito discorso di scuse, che Adam accettò con un sorriso.
Quando
Crowley e Aziraphale si accomiatarono dai Quelli, fecero ritorno alla
Bentley-Bike e, ancora una volta, all'angelo toccò sistemarsi alla
bell'e meglio sul portapacchi, ma prima che Crowley iniziasse a
pedalare, ebbe l'accortezza di far apparire sulle loro teste un
caschetto da ciclista.
-
Sul serio? - fece il demone, scoccandogli un'occhiata derisoria.
Aziraphale
alzò le spalle. - Solo una precauzione. -
La
bicicletta raggiunse rapidamente il limitare di Tadfield e, quando
oltrepassò il cartello, Crowley chiuse gli occhi, rivolgendo una
preghiera silenziosa a chiunque fosse stato in ascolto: “Ti prego,
fa' che funzioni. Ti prego, fa' che funzioni.”
E
il suo desiderio venne esaudito perché, proprio come aveva detto
Adam, la bici scomparve e al suo posto tornò la Bentley di sempre,
con le sue quattro ruote e tutto il resto.
Aziraphale
tirò un sospiro di sollievo, felice che le sue natiche poggiassero
di nuovo sul morbido sedile di pelle.
Anche
Crowley si sentì sollevato e poté rilassarsi contro lo schienale.
Dalle
casse dell'impianto stereo giungevano ancora le note di Bicycle
Race.
-
Ah, no. Per oggi ne ho abbastanza di biciclette. - disse il demone,
allungano una mano verso l'autoradio e passando alla canzone
successiva.
Aziraphale
non avrebbe potuto essere più d'accordo.
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Capitolo 10 *** Rain must fall ***
rain
Your
every day is full of sunshine
But
into every life a little rain must fall
No
problem
Uh
Be
cool now
Rain must fall, Queen,
1989
Crawly e Aziraphale udirono il rombo
grave del tuono in lontananza da est. Era il primo tuono da quando
l'universo era stato creato, sette giorni prima, e dunque era anche
il primo temporale, la prima pioggia, i primi nuvoloni neri e
minacciosi ammassati all'orizzonte e carichi di elettricità.
L'angelo e il demone si ergevano fianco
a fianco sul colossale muro di cinta che separava l'Eden dalle
inospitali terre selvagge e osservavano la tempesta in arrivo che
presto si sarebbe abbattuta inesorabilmente anche sul giardino
primordiale.
Quando le prime gocce iniziarono a
cadere sul mondo, Aziraphale sollevò una delle sue immense ali
bianche piumate per offrire riparo a Crawly, che accettò l'offerta e
gli si fece più vicino.
Adamo ed Eva erano ormai poco più che
due puntini neri e indistinti che si muovevano lontani tra le dune
del deserto.
- Sono preoccupato per quei due. -
disse Aziraphale, accigliato.
- Sì, anch'io. - gli fece eco Crawly.
- Dopotutto sono stato io a indurli in tentazione. -
- Già, e io gli ho dato la mia spada
di fuoco. Ti dirò che mi sentirei molto più tranquillo se qualcuno
li tenesse d'occhio, loro e la stirpe che nascerà dalla loro unione,
intendo. -
- Be', potremmo farlo noi. - propose il
demone.
- Cosa? Lasciare il Paradiso e
l'Inferno per stabilirci sulla terra? -
Crawly si strinse nelle spalle con aria
indifferente e le sue grandi ali nere fremettero. - Perché no? Hai
qualcosa da perdere? Personalmente, non mi mancherà proprio nulla
dell'Inferno, è così buio e caldo, e non ti dico l'umidità che c'è
laggiù! E la puzza terribile di zolfo poi! -
Aziraphale ci pensò su qualche secondo
mentre il temporale infuriava intorno a loro. Effettivamente, la vita
in Paradiso non è che fosse poi così eccitante, inoltre l'angelo si
sentiva in qualche modo responsabile per quei due umani, per questo
aveva ceduto loro la sua spada. Forse quella di Crawly non era poi
un'idea così cattiva.
- Sai che ti dico, mio buon demone? Ci
sto! Da questo momento in poi vivremo sulla terra tra gli umani e
vigileremo sul destino del mondo. Quei poveri mortali avranno bisogno
di così tanti miracoli! Qualcuno deve pur provvedere. -
- Ceeeerto. Miracoli, sì. - fece
Crawly. - E magari qualche piccola tentazione ogni tanto. -
Erano passati circa seimila anni da
quel giorno.
L'umanità si era evoluta, città erano
sorte laddove prima vi erano solo deserti, foreste e paludi; erano
state inventate le automobili, le radio, la televisione... e anche
gli ombrelli. Sì, perché, per quanto la tecnologia avesse fatto
progressi, i temporali e la pioggia c'erano ancora, specialmente in
quella piccola parte del pianeta, su quell'isola chiamata Inghilterra
che sembrava attirare le precipitazioni come una calamita attrae il
metallo.
E si preannunciava essere una tempesta
coi fiocchi quella che si stava approssimando alla città di Londra
quel pomeriggio.
Crowley (ex Crawly) si aggirava a piedi
per le vie trafficate e piene di turisti in cerca di qualche buona
opportunità per svolgere il suo mestiere di demone tentatore. Aveva
lasciato a casa la Bentley, al sicuro in un garage dotato di tutti i
comfort che un'auto potesse desiderare, perché muoversi sulle sue
gambe, passeggiando tra la folla, era un ottimo metodo per
localizzare i bersagli più facili e approfittarsene.
Sentiva nell'aria l'odore vibrante del
temporale in avvicinamento e non aveva con sé nulla per difendersi
dalla pioggia ma, nel peggiore dei casi, avrebbe fatto tappa in un
bar e aspettato l'esaurirsi del fortunale.
Evidentemente però, Crowley aveva
sbagliato qualcosa nelle sue valutazioni riguardanti la tempistica e
l'intensità della perturbazione: presto, ben prima di quanto
immaginasse, il borbottio ovattato delle nubi si trasformò in un
susseguirsi di boati assordanti che scuotevano i muri delle case come
un terremoto e il cielo scuro sopra Londra venne squarciato da una
serie di argentee saette arzigogolate. Una pioggia torrenziale prese
a scrosciare sui tetti degli edifici, sulle finestre e anche sulle
teste dei passanti.
La gente iniziò ad armeggiare con
ombrelli e impermeabili, impresa assai ardua date le violentissime
raffiche di vento che investivano ogni cosa, animata o inanimata che
fosse.
Crowley alzò il bavero della giacca e
corse a ripararsi sotto una balconata, ma era troppo tardi: abiti e
capelli erano già praticamente zuppi.
- Ah! Dannata pioggia! - imprecò,
scrollandosi alla maniera dei cani e pulendosi gli occhiali con la
manica, col solo risultato di macchiare ancora di più le lenti.
Il demone attese che l'acquazzone
esaurisse un po' della sua potenza e, dopo una decina di minuti, si
arrischiò ad allontanarsi dal rifugio improvvisato.
Pioveva ancora ma con meno intensità,
in compenso le numerose buche che flagellavano le strade della città
si erano trasformate in veri e propri laghi, pozzi irregolari color
catrame colmi di acqua color ferro che riflettevano a loro volta il
color piombo del cielo.
Crowley si stava dirigendo di buon
passo verso un pub dall'altro lato della strada per asciugarsi e bere
qualcosa di caldo quando un'auto gli sfrecciò accanto a tutta
velocità, prendendo in pieno una profonda pozzanghera dalla quale si
levarono alti schizzi che lo infradiciarono ancora di più.
- Che Satana ti faccia schiantare, tu e
la tua maledetta auto! - gridò il malcapitato demone, agitando un
pugno alla volta dell'automobilista.
- Crowley? -
Si voltò e quando riuscì a togliersi
dagli occhi le ciocche di capelli gocciolanti riconobbe Aziraphale in
piedi accanto a lui. Con una mano reggeva un grande ombrello chiaro
decorato con una fantasia tartan che faceva da scudo a entrambi, con
l'altro braccio ghermiva con fare protettivo una busta di carta
marrone, probabilmente contenente libri.
- Aziraphale? Che ci fai da queste
parti e con questo tempaccio? -
- Dovevo vedere un tale tedesco per
comprare delle prime edizioni illustrate delle Fiabe dei
Grimm. Stavo per tornare alla libreria quando sono stato sorpreso dal
temporale. Fortunatamente avevo con me l'ombrello e, a giudicare dal
tuo stato, direi che ti ho appena salvato dall'annegamento, caro. -
- Adesso non esagerare, angelo. Due
gocce di pioggia non hanno mai ucciso nessuno. -
- Be', noi sappiamo che questo non è
del tutto vero. - puntualizzò Aziraphale. - Ti ricorda niente una
certa arca piena di animali? -
- Sta di fatto, - continuò il demone.
- che avevo tutto sotto controllo. -
- Oh, certo. Così sotto controllo che
sembri un pulcino nero appena uscito dall'uovo. -
La nota divertita che Crowley colse
nella voce di Aziraphale lo irritò ancora di più: di solito era lui
a prendere in giro l'angelo e ora non gli piaceva affatto ritrovarsi
dall'altra parte.
- Senti, lasciati almeno offrire un
caffè. - riprese Aziraphale, abbandonando il piglio ironico e
indicando con un cenno il pub lì vicino. - E magari anche un
asciugamano. -
- Solo se prometti di piantarla con
queste battutine sceme. Non ti si addicono proprio. -
- Ma davvero? E così tu puoi
sbeffeggiarmi quanto ti pare ma se, per una volta, sono io a farlo
con te ecco che ti metti a fare il permaloso? -
- Ma io sono un demone, è la mia
natura. Tu, come angelo, dovresti essere gentile e cortese sempre e
comunque. -
- E lo sono, Crowley. Per questo ti sto
offrendo metà del mio ombrello, ma non puoi lamentarti se, ogni
tanto, mi diverto un po' anch'io. -
I due si avviarono verso il pub sotto
il grande tetto di tartan di Aziraphale e, quando varcarono la
soglia, realizzarono che molte altre persone colte di sorpresa dalla
bufera dovevano aver avuto la stessa idea perché tutti i tavoli
erano occupati, salvo un piccolo tavolino di legno per due appartato
in un angolo, di cui Aziraphale e Crowley si appropriarono subito.
Con discrezione, l'angelo fece apparire
un morbido asciugamano di spugna che passò all'amico. Crowley si
tamponò il viso e i capelli, asciugò gli occhiali e si lasciò
andare contro lo schienale della sedia, godendosi il tepore del
locale e il profumo di caffè mentre fuori dalle finestre il cielo
tuonava ancora e la pioggia aveva ripreso a scrosciare impetuosa.
Il cameriere arrivò con le loro
ordinazioni: una cioccolata con panna per Aziraphale e uno scotch
(doppio) per Crowley.
Il demone prese un sorso di liquore
assaporando la sensazione di calore liquido scendergli giù per la
gola spazzando via l'umidità che gli era penetrata fin nelle ossa.
- Sai, tutto questo... - disse
Aziraphale, facendo un cenno verso il grigio panorama esterno, - mi
fa venire in mente il giorno in cui ci siamo conosciuti. Anche allora
pioveva. -
Anche Crowley prese a fissare la
tempesta che imperversava. - Già, il primo temporale nell'intero
universo. E chi se lo scorda! - replicò. - Quanto è passato? Sei
millenni? Anno più, anno meno. -
Aziraphale annuì. - E quello fu anche
il giorno in cui decidemmo di trasferirci sulla terra. Ne abbiamo
fatta di strada da allora, eh? -
- Direi di sì. -
- E non è stato sempre facile. -
proseguì Aziraphale. - Insomma, tu sei un tipo abbastanza...
impegnativo. -
- Ma senti chi parla! Come se avere a
che fare con te fosse una passeggiata! Hai idea di quante volte mi è
toccato tirarti fuori dai guai? -
- Voglio solo dire, - precisò
l'angelo, ignorando il commento tagliente di Crowley. - che ne
abbiamo passate tante insieme, e ci sono stati momenti di sole e
momenti di burrasca, ma ne siamo sempre usciti indenni e più forti e
uniti di prima. -
- In ogni vita deve cadere un po' di
pioggia, angelo. Non può essere sempre tutto un bagno di sole. Vale
per noi come per gli umani. -
Il nubifragio si arrestò
definitivamente dopo circa venti minuti.
Aziraphale e Crowley si unirono alla
folla di avventori che avevano aspettato la fine della burrasca
dentro il pub e uscirono di nuovo all'aperto. Il profumo della
pioggia li investì in pieno, portando alle loro narici quel senso di
pulito e frescura che rimane nell'aria dopo eventi climatici di quel
genere.
Le ultime nuvole antracite se ne
stavano andando e sopra i tetti di Londra si aprì uno sprazzo di
cielo sereno e limpido da cui fece capolino un raggio di sole che
andò a posarsi poco distante da loro.
A un tratto, Aziraphale afferrò il
braccio di Crowley e si mise ad indicare un punto imprecisato sopra
le loro teste. - Guarda lassù! -
Il demone seguì con lo sguardo la
direzione della sua mano e lo vide: un magnifico arcobaleno di una
nitidezza impressionante si stagliava contro lo sfondo blu della
volta celeste.
- Be', angelo, non può mica piovere
per sempre, giusto? -
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Capitolo 11 *** Pain is so close to pleasure ***
pain
Sunshine
and rainy weather
go
hand in hand together all your life
Ooh
ooh pain is so close to pleasure everybody knows
One
day we love each other then we’re fighting one another all the time
Pain is so close to
pleasure, Queen, 1986
- Ho
detto di no, Crowley. Non insistere. -
- Dai,
angelo! Per favore! -
- Non
se ne parla. Sono già abbastanza nei guai con i miei superiori e
poi... non voglio che tu ti faccia del male. -
- Hai
solo troppa paura per fare qualcosa alle spalle di Gabriele. E sai
che ti dico? Non ho bisogno dell'aiuto di un fifone come te! -
Era la
seconda volta che Aziraphale e Crowley affrontavano quella spinosa
questione. Sebbene l'angelo si fosse già opposto con forza alla
richiesta del demone di procurargli l'acqua santa, Crowley non si era
arreso ed era tornato all'attacco, senza ottenere un risultato molto
diverso, in realtà.
Era il
1962 ed era trascorso un secolo (letteralmente) da quando i due si
erano incontrati a St. James Park e avevano discusso per lo stesso
motivo.
Il
demone aveva pensato, sperato, che, con il passare del tempo,
l'angelo avesse cambiato idea e si mostrasse più disponibile ad
accogliere la sua richiesta. Diamine, nel 1941 l'aveva anche tirato
fuori da un brutto guaio e dunque si aspettava almeno un minimo di
riconoscenza!
Ma
così non era stato e Crowley uscì dalla libreria con nient'altro
che un pugno di mosche, sbattendo la porta e lasciandosi dietro un
Aziraphale alquanto risentito.
Era
così il loro millenario rapporto: un giorno si paravano le spalle a
vicenda o andavano a pranzo insieme condividendo una bottiglia di
vino, il giorno dopo litigavano come cane e gatto, o, più
precisamente, come angelo e demone.
Era un
continuo circolo che si rinnovava, come la pioggia che segue il sole,
al quale, a sua volta, segue di nuovo la pioggia.
Se, in
quel momento, Crowley non fosse stato così contrariato, si sarebbe
reso conto che, nel bene o nel male, la presenza di Aziraphale era
ormai diventata una costante irrinunciabile della sua esistenza.
Invece
pensava solo: “Bene! Se l'angelo non vuole aiutarmi, provvederò da
solo a ciò che mi serve, correndo tutti i rischi del caso ovvero, di
fatto, uno solo: quello di essere annientato dal potere micidiale
dell'acqua santa. Una bazzecola, insomma.”
Quella
stessa notte, il demone raggiunse con la sua Bentley un'isolata ma
graziosa chiesetta di campagna. Tentare il colpo mirando a una chiesa
di Londra sarebbe stato da idioti: troppi testimoni e, di
conseguenza, troppe spiegazioni da fornire nel caso il suo strano
comportamento fosse stato notato (cosa molto probabile, in effetti).
No,
quello che si apprestava a compiere era un lavoro estremamente
delicato e aveva bisogno di tutta la calma e la concentrazione
possibili. Non poteva rischiare che qualcuno lo disturbasse nel bel
mezzo... dell'operazione.
Ma
quella piccola chiesa era l'obiettivo perfetto: lì avrebbe potuto
portare a termine il suo piano in tutta tranquillità.
Posteggiò
la Bentley poco distante dall'edificio e spense i fari, dopodiché
sgattaiolò furtivo verso il grosso portone di legno massiccio. Bastò
un solo schiocco di dita per aprirlo e l'interno della chiesetta, con
le sue navate buie e deserte, rischiarate solo dai bagliori argentei
provenienti dalle vetrate, si presentò a Crowley in tutta la sua
suggestiva quiete. Come aveva previsto, non c'era nessuno e ogni cosa
sembrava dormiente, come avvolta da un incantesimo.
Il
demone, i cui occhi non risentivano minimamente dell'oscurità,
scandagliò con lo sguardo l'ambiente e trovò quasi subito ciò che
stava cercando: un fonte battesimale di pietra che si ergeva di lato
all'altare ed era colmo di acqua santa, la cui superficie immobile
catturava i riflessi della luce lunare.
Crowley
prese un lungo respiro per prepararsi a ciò che lo aspettava, poi
afferrò la borsa che aveva con sé e varcò la soglia della
chiesetta con passo deciso.
Saltellò
il più rapidamente possibile fino al fonte battesimale, il suolo
consacrato che scottava sotto i suoi piedi come fuoco vivo nonostante
si fosse premurato di indossare calzini pesanti e scarpe con doppia
suola. Quell'odiosa sensazione non avrebbe di certo facilitato le
cose, ma Crowley si sarebbe dovuto sforzare di ignorarla.
Posò
la borsa a terra e s'inginocchiò per frugare al suo interno, dal
quale estrasse un paio di guanti di gomma, una lunga pinza e una
borraccia.
Si
rimboccò le maniche con cura prima di infilarsi i guanti, poi
afferrò la pinza con la quale, a sua volta, sollevò la borraccia.
Usando
tutta la delicatezza e l'attenzione di cui era capace, Crowley fece
per immergerla nel bacile di pietra in modo da riempirla di acqua
santa, ma una voce famigliare eppure del tutto inaspettata in quel
momento, gli fece perdere la concentrazione.
- Per
tutti i Santi del Cielo, Crowley! Si può sapere cosa diamine stai
facendo? -
Lo
spavento e la sorpresa fecero sì che il demone lasciasse
inavvertitamente la presa sulla pinza, che cadde nel fonte
battesimale insieme alla borraccia. Un unico minuscolo schizzo di
acqua santa centrò in pieno la guancia sinistra del demone,
bruciandogli la pelle e facendolo gemere di dolore.
- Che tu sia dannato,
Aziraphale! - inveì Crowley, portandosi una mano al viso dolorante e
allontanandosi di scatto dal bacile con una smorfia. - Che accidenti
ci fai qui?! -
L'angelo lo guardò
severamente. - Dopo la nostra conversazione di stamattina, sospettavo
che avessi in mente di fare qualcosa di stupido, così ho deciso di
tenerti d'occhio, e avevo ragione. Tentare di rubare l'acqua santa da
un fonte battesimale! Ma come ti è venuto in mente? -
- Sai com'è, - fece
Crowley, la mano ancora premuta sul volto. - un certo angelo si è
rifiutato di aiutarmi e così ho dovuto pensarci da solo. -
- Saresti potuto rimanere
ucciso! -
- E scommetto che la cosa ti
avrebbe dato parecchia soddisfazione, vero? -
Il viso di Aziraphale
sbiancò. - Come... come puoi dire una cosa del genere? -
- Rilassati, angelo. Stavo
scherzando. Ad ogni modo... visto che sei qui, magari potresti... -
Crowley lanciò un'occhiata
eloquente verso il bacile e poi un'altra in direzione di Aziraphale.
- Assolutamente no! Hai già
corso abbastanza rischi stanotte. -
- Ecco perché lo sto
chiedendo a te. È facile: devi solo riempire la borraccia,
avvitare bene il tappo e darla a me. Nessuno si farà male e potremo
chiudere questa storia una volta per tutte. -
- Ma ti rendi conto che stai
chiedendo a un angelo di rubare in una chiesa?! Se Gabriele lo
sapesse non si limiterebbe a farmi un richiamo. E comunque non ho
cambiato idea: non ti aiuterò a procurarti l'acqua santa e queste
sono le mie ultime parole sull'argomento. -
- Bah, fa' come vuoi! -
sbottò Crowley. - Troverò un altro modo. Forse potrei chiedere a
degli umani di prenderla per me e... Ahi! -
L'espressione austera di
Aziraphale si raddolcì un poco. - Ti fa male? -
- Be', tu che dici? - fece
Crowley brusco, la smorfia di dolore ancora dipinta sul suo viso. -
Acqua santa e demoni non è che vadano molto d'accordo. -
L'angelo gli si avvicinò. -
Dai, lasciami dare un'occhiata. -
Il demone fece per
protestare e cercò di sottrarsi alle sue premure, ma Aziraphale lo
prese per il polso e riuscì a fargli togliere la mano dalla guancia,
così vide che la pelle era segnata da una brutta ustione. Crowley
faceva di tutto per non mostrarsi vulnerabile di fronte a lui,
specialmente dopo che avevano appena discusso, ma Aziraphale sapeva
che si trattava solo di una facciata d'orgoglio.
- Aspetta, lascia fare a me.
-
L'angelo alzò la mano
destra verso Crowley, che si scostò. - Ma che stai... ? -
- Sta' fermo, maledizione!
Voglio solo aiutarti! -
Forse fu più che altro lo
stupore di sentir imprecare Aziraphale, ma Crowley si immobilizzò e
lasciò che l'altro gli sfiorasse la pelle bruciata. Trasalì al suo
tocco ma non disse nulla e si limitò a stringere i denti.
Aziraphale chiuse gli occhi
e presto la dolorosa sensazione di un ferro rovente accostato alla
sua guancia scomparve, sostituita da una piacevole frescura e Crowley
non poté trattenere un sospiro di sollievo.
Dolore e piacere avevano
così tanto in comune. Il confine tra i due era sfumato, labile e,
nel caso di Crowley, era bastato il tocco gentile di Aziraphale su di
sé per varcarlo.
Passarono pochi secondi o
un'eternità, il demone non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma
quando Aziraphale ritrasse la mano, ogni traccia di bruciore era
svanita e quando si tastò con prudenza il punto in cui l'acqua santa
l'aveva ferito, constatò che la sua pelle era tornata liscia e
fresca.
- Suppongo che dovrei
ringraziarti. - mormorò Crowley. - D'altro canto, se tu avessi
acconsentito alla mia richiesta fin dall'inizio, io non avrei avuto
bisogno di venire qui e questo non sarebbe mai successo. -
Le labbra di Aziraphale si
strinsero in una linea dura. - Adesso non ricominciare. -
Ma, sotto sotto, l'angelo
sapeva che Crowley non aveva proprio tutti i torti: in fin dei conti,
era stato il suo rifiuto a spingerlo a rischiare tanto, ma non poteva
accontentarlo. Non poteva mettergli tra le mani l'unica arma in grado
di distruggerlo, era troppo pericoloso e se fosse accaduto qualcosa
all'amico, lui non sarebbe mai riuscito a perdonarsi e, nel suo caso,
mai significava davvero mai.
- Allora io me ne torno a
Londra. Per stanotte non ho altro da fare qui, in più questo terreno
consacrato mi sta friggendo i piedi - disse infine Crowley,
distogliendo la mente di Aziraphale da quegli infausti pensieri. -
Vuoi un passaggio? -
- No, grazie, Crowley. Sono
venuto in taxi ma quel poveretto è dovuto correre in ospedale perché
la moglie stava partorendo e non volevo trattenerlo. Credo che
prenderò l'autobus. -
L'altro alzò un
sopracciglio con aria scettica. - A quest'ora? -
Aziraphale affondò le mani
nelle tasche del cappotto, a disagio. - Be', potrebbe sempre passarne
uno... per miracolo. -
- Non dire sciocchezze!
Forza, sali in auto. Ti riaccompagno io. -
Tuttavia, Aziraphale
sembrava ancora esitante. - Non... non ce l'hai con me per... be',
per non averti aiutato e aver sventato il tuo furto? -
Crowley emise un sospiro
esasperato. - Certo che ce l'ho con te, angelo. Ce l'ho a morte
con te, se proprio vuoi saperlo. Allora, vieni o no? -
Fu un viaggio piuttosto
silenzioso. Nessuno dei due aveva molta voglia di parlare con l'altro
dopo ciò che era accaduto, ma, in qualche modo, la reciproca
presenza era di conforto ad entrambi.
Nonostante fosse certo di
aver agito per il meglio, Aziraphale si sentiva fastidiosamente in
colpa verso Crowley, mentre quest'ultimo... be', anche lui avvertiva
un lieve senso di colpa per aver dato del fifone all'angelo e per
tutte le altre cose poco carine che gli aveva detto.
Sapeva che avrebbe dovuto
essere infuriato con Aziraphale, insomma, si era perfino beccato
un'ustione da acqua santa a causa sua! Ma sapeva anche che l'angelo
si era comportato in quel modo credendo di proteggerlo e quando gli
si era avvicinato per rimediare al danno procuratogli dall'acqua
santa, Crowley aveva letto nei suoi occhi una genuina preoccupazione
mista a rincrescimento. Alla fine, le sue intenzioni erano buone, e,
data la sua natura celestiale, sarebbe sembrato strano il contrario.
Quando arrivarono alla
libreria, l'angelo ringraziò Crowley del passaggio e, prima di
scendere, gli rivolse uno sguardo di sincero rammarico. - Crowley, mi
dispiace per quello che è successo, davvero. -
Il demone fece un movimento
come per scacciare una mosca. - Non ci pensare, angelo. Stavi facendo
quello che ritenevi giusto, anche se vorrei sottolineare che nessuno
te l'aveva chiesto. Ma non finisce qui: sappi che non rinuncerò al
mio piano, e la prossima volta ti prego di tenere il tuo angelico
naso fuori dalle mie faccende. -
Per un attimo, sembrò che
Aziraphale volesse ribattere, invece si limitò a stringere le labbra
in quella linea rigida di disappunto che gli si formava sulla bocca
ogni volta che qualcosa lo disturbava, e scese dalla Bentley senza
aggiungere parola.
Quando ebbe oltrepassato la
porta, Crowley si lasciò andare contro il sedile con un sospiro.
Gli venne inspiegabilmente
spontaneo portarsi la mano alla guancia e accarezzare quello stesso
punto sul quale si era posata la mano di Aziraphale poco prima.
Avvertiva ancora un lieve formicolio sottopelle ma non avrebbe saputo
dire se si trattasse di un effetto postumo della bruciatura oppure
del tocco benevolo e taumaturgico, quasi tenero, dell'angelo. Così
come non avrebbe saputo stabilire se quel pizzicore fosse una
sensazione piacevole o meno.
Ma, in fondo, il dolore è
assai vicino al piacere.
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Capitolo 12 *** Somebody to love ***
somebody
Lord
what you’re doing to me
I
have spent all my years in believing you
But
I just can’t get no relief, Lord!
Somebody,
somebody
Can
anybody find me somebody to love?
Somebody to love,
Queen, 1976
L'angelo se ne stava in piedi con la
schiena appoggiata al muro di cinta e l'aria annoiata. Fece roteare
un paio di volte la sua spada fiammeggiante, tanto per tenersi in
esercizio e combattere il tedio, ma presto ripose l'arma e tornò a
scrutare il cielo terso e limpido che sovrastava l'Eden.
L'Onnipotente l'aveva incaricato di
difendere il cancello orientale del giardino, ma nulla sembrava
minacciare la quiete e l'armonia che vi regnavano, così lui si
ritrovava con ben poco da fare per tenersi occupato.
La sua routine quotidiana comprendeva
per lo più passeggiare lungo il perimetro est del muro, sonnecchiare
ascoltando il canto degli usignoli e vigilare affinché il tranquillo
fluire dell'esistenza nell'Eden non venisse turbato.
Ma capitava, a volte, che la curiosità
prendesse il sopravvento, allora Aziraphale lasciava il suo posto di
guardia e sgattaiolava furtivo all'interno del Paradiso Terrestre per
osservare con affascinato interesse il procedere della vita dei suoi
abitanti. Ogni volta rimaneva enormemente impressionato nel vedere
come, tra una creatura e un'altra, potesse svilupparsi un legame
tanto forte da essere in grado di trascendere qualunque cosa.
Assisteva attonito al miracolo dell'Amore e non poteva fare a meno di
restarne incantato. Non avrebbe saputo spiegare a parole la bellezza
infinita di quella forza arcana né enunciarne l'incredibile potere.
Era semplicemente ineffabile.
Eppure sembrava che ogni essere vivente
ne subisse la malìa. Dalle piante, agli animali. Per non parlare di
quelle due buffe forme di vita! Come si chiamavano? Ah, già! Umani.
L'uomo si chiamava Adamo, mentre il
nome della donna era Eva.
Erano loro i preferiti di Aziraphale,
per quanto egli amasse incondizionatamente tutto il creato. Ma quei
due parevano esternare l'amore in modi molto più complessi rispetto
alle altre creature. Si scambiavano sorrisi colmi di dolcezza, si
mormoravano melodiose parole di miele, si sfioravano delicatamente
oppure con fervore incontenibile, si muovevano quasi in una danza
ogni volta che erano insieme, come se i movimenti dell'uno trovassero
un proseguo in quelli dell'altro. Spesso avvicinavano i volti e
facevano in modo che le loro labbra si toccassero, che le loro bocche
si confondessero l'una con quella dell'altro, come se non vi fosse
più confine tra loro, come se i loro corpi venissero assorbiti a
vicenda fino a diventare un tutt'uno.
Sebbene l'invidia non facesse parte
della natura di un angelo, Aziraphale si sentiva pungere dallo spillo
fastidioso di una lievissima gelosia ogni volta che sbirciava il
perfetto microcosmo in cui Adamo ed Eva vivevano il loro idillio
d'amore.
La sua esistenza era così solitaria, a
confronto. Così vuota.
Non che osasse lamentarsi della sua
condizione. Era nato nella grazia dell'Onnipotente ed era ben felice
di servirlo e perorare la causa celeste, anche se i suoi intenti gli
erano spesso oscuri. Ma non rientrava nei compiti di un angelo porsi
degli interrogativi sulle ragioni di Dio.
Tuttavia, dopo quelle visite
clandestine alla coppia umana, Aziraphale faceva ritorno al suo posto
a testa bassa, con una sorta di malinconia a pesargli sul petto. Si
appoggiava al muro e si lasciava scivolare a terra, emettendo un
sospiro di sconforto dietro l'altro e rimuginando su quanto aveva
visto, domandandosi per quale motivo agli angeli non fosse concesso
il dono dell'amore.
Una volta, perfino Dio stesso gli
chiese ragione del suo malumore.
- Aziraphale, angelo del cancello
orientale. -
Lui era scattato immediatamente in
piedi e aveva afferrato la spada per creare almeno una parvenza di
attività e solerzia.
- Sì, Signore? - rispose, strizzando
gli occhi abbagliati dal fascio di luce bianca che lo avvolgeva.
- Sbaglio, o negli ultimi tempi sei un
po' giù di tono? -
Aziraphale non si sarebbe mai aspettato
quella domanda e, per un attimo, non seppe cosa replicare. Infine,
optò per una mezza battuta che, realizzò successivamente, dovette
suonare alquanto stupida.
- Be', data la Vostra infallibilità,
ritengo sia impossibile che siate in errore. -
- Non hai risposto a ciò che ti ho
chiesto, Aziraphale. - replicò la voce dell'Onnipotente in tono
severo.
L'angelo deglutì.
- Allora? -
Giunti a quel punto, tanto valeva dire
la verità. Non sarebbe comunque riuscito a nascondere qualcosa a Dio
in persona.
- Il fatto è... - cominciò,
tormentandosi l'orlo della tunica ricamato in oro. - che quei due
umani, Adamo ed Eva, sembrano così felici insieme. È come se
vivessero l'uno per l'altra e viceversa. E, a volte, mi chiedo come
ci si debba sentire nel provare quello che provano loro. Ma, Vi
prego, non fraintendete, Signore. Il mio interesse è puramente...
accademico. -
Se un angelo avesse potuto sudare,
Aziraphale avrebbe avuto la fronte imperlata di goccioline salate.
L'Onnipotente si prese qualche secondo
di silenzio, come se stesse riflettendo.
- Capisco. - disse alla fine, dopodiché
il raggio luminoso scomparve.
L'angelo espirò profondamente e si
accasciò di nuovo a terra, dandosi dell'idiota e sperando che Dio
non lo ritenesse un rammollito e un fallimento come guardiano.
Nel frattempo, parecchi piani più in
basso, un demone dai lunghi capelli rossi se ne stava appollaiato su
uno spuntone di roccia che emergeva da un lago di lava e fiamme.
Vapori sulfurei si sollevavano dal terreno incandescente rendendo
l'aria caliginosa e pesante.
Davanti a lui, aleggiava una specie di
bolla di gas nella quale prendevano vita delle immagini. Si trattava
di piccoli flash di ciò che accadeva nel giardino primordiale ed
erano quasi tutti incentrati sulla vita degli unici due umani che
popolavano l'Eden.
In teoria, non avrebbe dovuto
interessarsi a ciò che avveniva lassù, ma quei due
esercitavano su di lui un'inspiegabile attrattiva. La vita
all'Inferno non offriva molte opportunità di evadere dalla monotonia
che la caratterizzava e, ultimamente, Crawly aveva preso l'abitudine
di spiare (per quanto quel termine non gli piacesse e preferisse
piuttosto “monitorare”) il succedersi degli eventi in superficie,
in particolar modo quelli legati alla vita della coppia umana.
Crawly passava ore intere a cercare di
capire la natura ineffabile di ciò che legava quelle due
creature che sembravano non poter fare a meno l'una dell'altra. Si
poneva molte domande e si chiedeva se i loro gesti teneri e
affettuosi non celassero, in realtà, un sordido secondo fine. Eppure
aveva la netta impressione che tra loro vi fosse una sincerità e una
trasparenza di intenti che lui, in quanto demone, faticava a
concepire.
Possibile che quello fosse solo e
solamente Amore, nella sua forma più pura, più disinteressata?
Una parte di lui voleva crederlo
davvero. Sarebbe stato bello pensare che, nell'universo appena nato,
ci fosse anche spazio per una cosa tanto incantevole nella sua
semplicità, che pure era immensamente complessa.
Si sorprendeva del modo in cui quei due
si guardavano, come se tutto il mondo fosse racchiuso negli occhi
dell'altro, e si stupiva del bisogno viscerale di vicinanza reciproca
che condividevano. L'ardore dei loro abbracci, la passione dei baci
impetuosi, si accordavano con momenti di indescrivibile tenerezza
durante i quali i due umani semplicemente si tenevano tra le braccia
o si sfioravano le mani e il viso.
Crawly non capiva come quel fervore,
quello slancio, potesse accompagnarsi in modo tanto armonico con il
garbo e la dolcezza.
Chissà come doveva essere amare
qualcuno. Lui ne sarebbe mai stato in grado?
Molto probabilmente no. Era un demone,
in fondo. La sua anima era dannata in eterno e dubitava fortemente
che il suo cuore sarebbe mai stato terreno fertile per lo sbocciare
di un simile sentimento.
E, in ogni caso, chi avrebbe mai potuto
amare? Non è che i suoi colleghi infernali gli suscitassero molta
simpatia, figuriamoci amore!
Crawly si sorprese a ridacchiare di
quelle sue assurde fantasie e si diede dello sciocco. Sarebbe stato
molto meglio lasciare quelle faccende agli umani e tornarsene a
pensare a se stesso, come aveva sempre fatto da quando era caduto.
Eppure, per qualche insondabile ragione, ciò gli risultava pressoché
impossibile...
- Ehi, Crawly! -
Il demone fece svanire la sfera gassosa
in tutta fretta e si voltò nella direzione da cui aveva sentito
provenire quella voce gracchiante. I suoi occhi d'oro distinsero la
figura allampanata di Hastur, fermo sulla sponda del lago di fuoco.
Era avvolto dai fumi pestilenziali dell'Inferno e lo fissava con
espressione arcigna.
Crawly aveva sempre saputo di non
andargli a genio ma non è che la cosa lo facesse disperare poi
molto, anzi era sempre felice di avere l'occasione per mettere alla
prova la sua esigua scorta di pazienza.
- Hastur! Vecchio mio! Sei stato carino
a venire a trovarmi nella mia umile dimora! -
Il duca infernale sputò a terra in
segno di sprezzo.
- Sono qui solo perché ti è stato
assegnato un compito speciale nientemeno che dal Pezzo Grosso. -
Crawly si fece improvvisamente attento.
- Aspetta, intendi quel Pezzo Grosso? Quello che sta... - mimò
con l'indice verso l'alto e Hastur annuì.
- E da quando prendiamo ordini
dall'Onnipotente? - chiese, incredulo. - Pensavo che ormai ci avesse
rinnegati. -
Hastur si strinse nelle spalle con aria
infastidita. - E io che ne so?! - grugnì. - Mi hanno solo riferito
che Lui e il nostro signore Satana hanno avuto un abboccamento ed
egli ha acconsentito ad affidare a te l'incarico. -
Crawly si accigliò, sospettoso. - E
perché la scelta del Gran Capo sarebbe ricaduta proprio su di me?
Dov'è la fregatura? -
L'altro allargò le braccia. - Non ne
ho idea. Francamente, non mi sembri poi un granché e di sicuro
c'erano demoni molto più qualificati a cui commissionare un compito
così importante. Ma pare che Lui sia stato categorico su questo
punto. Bah, chi lo capisce! -
Crawly si portò una mano al mento. -
Mmm. E cos'è che dovrei fare? Sentiamo: quale sarebbe questo
incarico? -
- Riguarda... una mela. -
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Capitolo 13 *** Good old fashioned lover boy ***
good
Dining
at the Ritz we’ll meet at nine precisely
I
will pay the bill, you taste the wine
Driving
back in style, in my saloon will do quite
nicely
Just
take me back to yours that will be fine
(Come
on and get it)
Ooh
love, Ooh loverboy
What’re
you doin’tonight, hey boy –
Everything’s
all right
Just
hold on tight –
That’s
because I’m a good old fashioned loverboy
Good
old fashioned lover boy, Queen,
1976
Tic
Tac, Tic Tac... l'antico orologio a pendolo scandiva i secondi, i
minuti e le ore che separavano Aziraphale dal suo appuntamento con
Crowley.
Il
demone sarebbe passato a prenderlo alle 9 in punto per cenare insieme
al Ritz e lui si sentiva stranamente su di giri: aveva perso il conto
di quante volte aveva soppesato la propria immagine allo specchio
ripromettendosi di impegnarsi a perdere qualche chilo e a rinnovare
il guardaroba.
Perché
poi? Che se ne faceva un angelo di un bell'aspetto e di vestiti alla
moda? Si trattava solo di apparenza, vanità, frivolezza... di tutto
ciò che, in buona sostanza, Aziraphale avrebbe dovuto, per sua
celestiale natura, rifiutare e condannare.
Forse
aveva davvero vissuto tra gli umani troppo a lungo.
Ad
ogni modo, alle 9 di quella sera l'angelo aveva indossato il suo
cappotto migliore e passato una mano di lucido sulle scarpe. Proprio
nell'istante in cui le lancette formarono un perfetto angolo retto
sul quadrante dell'orologio, il campanello della porta d'ingresso
trillò allegramente.
Aziraphale
si precipitò ad aprire senza capire per quale motivo il suo cuore
avesse appena compiuto un triplo salto mortale carpiato nel suo
petto.
Sulla
soglia c'era Crowley, vestito di nero come sempre ma in un completo
elegante che sfilava ancora di più la sua figura alta e snella. Se
ne stava lì con una mano in tasca ad aspettarlo, il peso spostato
sulla gamba sinistra in modo da conferire al suo atteggiamento un ché
di noncurante e svagato. I lunghi capelli rossi (grazie al Cielo se
li era fatti ricrescere) erano accuratamente legati in una coda sulla
nuca.
-
Ciao, angelo. - salutò con quel mezzo sogghigno che gli era proprio.
-
Ciao Crowley. Stai molto bene. -
Il
demone fece un gesto con la mano, come a voler minimizzare. - Oh, ho
fatto solo un po' di acquisti in un negozio Dolce&Gabbana. Sono
due tipi in gamba, sai? Ci sanno proprio fare con giacche e pantaloni
e, per inciso, appartengono a noi, come quasi tutti gli
artisti in realtà. -
-
Non ne dubito. - ribatté Aziraphale, conscio della verità insita in
quelle parole. Nessun artista che fosse davvero degno di quel titolo
figurava tra le schiere del Paradiso, avevano tutti preso
l'autostrada di fuoco per l'Inferno.
-
Vogliamo andare, caro? -
-
Dopo di te. - fece Crowley, dirigendosi alla Bentley, la carrozzeria
ancora più lucida del solito, tanto che le luci di Soho vi si
riflettevano come su uno specchio d'acqua nera. Il demone precedette
Aziraphale di qualche passo e aprì la portiera dal lato del
passeggero, dopodiché si fece da parte per farlo salire.
L'angelo
lo guardò stupito. - A cosa devo tutta questa galanteria? -
Crowley
scrollò le spalle. - Io sono un gentildemone, angelo. E poi... è
un'occasione speciale, no? -
Prima
che Aziraphale potesse domandargli di cosa stesse parlando, Crowley
richiuse lo sportello e salì al posto di guida.
La
Bentley arrivò al Ritz e, nonostante il parcheggio fosse già
ingombro di auto, Crowley riuscì a infilarsi in un'improbabile
spazio tra due Suv mastodontici.
I
due entrarono dal lussuoso ingresso principale dell'edificio e
vennero subito accolti da un cameriere in livrea dai modi cerimoniosi
che si rivolse a loro con un piccolo inchino. - Signor Crowley, il
tavolo che ha prenotato è pronto. Se volete seguirmi. -
Ma,
con gran sorpresa di Aziraphale, l'uomo passò oltre la solita sala
da pranzo che lui e Crowley frequentavano abitualmente, invece li
scortò in una saletta più piccola ma altrettanto raffinata, a
pianta rotonda e con un solo tavolo apparecchiato per due al centro.
I lampadari di cristallo mandavano una luce calda e soffusa e sul
tavolo era stata sistemata una candela bianca. In generale,
quell'atmosfera raccolta risultava intima e gradevole
-
Crowley? Ma cosa...? -
Il
demone scrollò le spalle. - Te l'ho detto: è un giorno speciale. -
-
La saletta privata è a vostra disposizione per tutta la sera, come
espressamente richiesto. - illustrò il cameriere.
Crowley
gli fece un cenno d'intesa e gli allungò un paio di banconote che
l'uomo s'intascò rapidamente prima di proferirsi in un nuovo inchino
e lasciarli soli.
Aziraphale
stava ancora fissando la tavola apparecchiata con tutti i riguardi,
cercando di ricordare cosa ci fosse di tanto particolare in quel
giorno da giustificare quel trattamento di lusso ma si riscosse
quando Crowley scostò una sedia per invitarlo a prendere posto.
L'angelo
sedette e dispiegò il tovagliolo di seta sulle ginocchia. - Crowley?
Cos'è questa storia? Di che occasione si tratta? -
L'amico,
che si era seduto di fronte a lui, inarcò un sopracciglio e gli
rivolse una strana occhiata divertita. - Sul serio non lo sai? -
Aziraphale
scosse la testa e il demone ridacchiò. - Be', allora credo che la
tua curiosità sarà il piatto forte di questa cena. -
Fortunatamente,
la curiosità dell'angelo venne invece abbondantemente messa in ombra
dalle portate più prelibate che la multi-premiata cucina del Ritz
potesse offrire, il che comprendeva, in pratica, tutti i suoi piatti
preferiti.
Fu
una cena molto piacevole. Crowley e Aziraphale chiacchierarono un po'
di tutto e la sintonia tra loro era quasi palpabile nell'aria, come
un filo dorato che connettesse l'uno all'altro.
Alla
fine, il cameriere dai modi affettati portò il dessert e servì loro
una degustazione di vini pregiati. Nonostante Aziraphale si sentisse
già un po' brillo fece più che onore a quella selezione.
-
Oh, cielo. - sospirò, dopo aver posato l'ultimo bicchiere. - Temo di
avere esagerato. -
-
Nah, sciocchezze! - fece Crowley, ingollando quel che rimaneva del
contenuto del suo calice di cristallo finissimo. - Un po' di vino non
ha mai fatto male a nessuno. E poi oggi sei autorizzato a bere quanto
vuoi visto che è... -
Si
fermò appena in tempo prima di spiattellare tutto, ma Aziraphale
colse la palla al balzo. - Sì, Crowley? Ti prego, va' pure avanti. -
Il
demone fece oscillare l'indice. - Non ci provare, angelo. Non sono
così ubriaco da cadere in trappola tanto facilmente. -
-
Valeva la pena tentare. - disse l'altro con una scrollatina di
spalle. - Ad ogni modo, temo che il conto sarà parecchio salato
stavolta. Insomma, saletta privata, menù deluxe, selezione di
vini... tutto questo avrà senz'altro il suo costo. -
-
Tu non preoccupartene, stasera ci penso io. - affermò Crowley,
deciso.
-
Ma... -
-
Niente “ma”, Aziraphale. Ho detto che ci penso io. -
A
nulla valsero le proteste dell'angelo e, una volta che Crowley ebbe
saldato il conto (che, in effetti, si rivelò tutt'altro che a buon
mercato) i due tornarono alla Bentley.
L'auto
d'epoca posteggiò di fronte alla libreria e il demone insistette per
accompagnare un sempre più basito Aziraphale fino alla porta.
-
Si può sapere che ti prende oggi? - domandò, perplesso oltre ogni
dire.
-
In che senso? -
-
Be', non lo so. La cena privata con tutti i miei piatti preferiti, le
premure, l'attenzione per i dettagli, i modi galanti, il vestito
nuovo. Scusa se te lo dico ma questo non è proprio il tuo genere,
Crowley. Sicuro di stare bene? O devo forse pensare che stai tramando
qualcosa? -
Il
demone mise su un atteggiamento offeso. - Bel ringraziamento, angelo,
davvero. Volevo solo farti trascorrere una bella serata, dato che è
il tuo compleanno. -
Aziraphale
strabuzzò gli occhi. - Il mio... compleanno? -
-
Non “compleanno” in senso stretto, ovviamente. - precisò
Crowley. - Ma su tutti i tuoi documenti di copertura c'è scritto che
sei nato il 21 marzo. L'anno viene modificato continuamente per
salvare le apparenze ma giorno e mese sono sempre gli stessi da
secoli. E si dà il caso che oggi sia proprio il 21 marzo. -
Aziraphale
non rispose. Si era completamente dimenticato di quel dettaglio ed
era assai stupefacente che invece fosse stato proprio Crowley a
ricordarsene.
-
Io... l'avevo scordato. -
-
Non ci crederai, ma l'avevo intuito. - lo sbeffeggiò il demone. - E
comunque, spiegami una cosa: perché proprio il 21 marzo? -
L'angelo
si strinse nelle spalle, soppesando la risposta. - Non saprei. È il
giorno dell'equinozio di primavera. Il momento dell'anno in cui luce
e oscurità sono perfettamente bilanciate prima dell'inizio della
bella stagione. Direi che l'ho sempre trovato parecchio... evocativo.
-
-
Molto profondo. - commentò Crowley con una punta di ironia nella
voce. - In ogni caso, volevo rispettare in tutto e per tutto le
tradizioni umane e quindi ti ho lasciato una cosuccia nel tuo studio.
Ma non fidarti troppo, può darsi che io stia solo, com'è che hai
detto? Ah, già: tramando qualcosa. -
Aziraphale
arrossì, sentendosi un enorme stupido. - Crowley, mi dispiace tanto.
Non intendevo offenderti. E quello che hai fatto per me stasera... -
Il
demone alzò una mano per fermarlo. - Lascia stare, angelo. Non è
necessario aggiungere altro. -
-
Entra almeno a bere qualcosa. - lo invitò Aziraphale. - Per farmi
perdonare. -
Crowley
esitò. - Hai dello scotch? -
-
Il migliore che tu possa trovare in circolazione. -
-
Oh, be', in questo caso... -
Mezza
bottiglia più tardi, ogni traccia di malumore era sparita dall'animo
di Crowley e quando fu il momento di congedarsi, il demone lanciò ad
Aziraphale uno sguardo insolitamente appassionato che fece mancare un
battito al cuore dell'amico. - Buon compleanno, angelo. -
Quando
se ne fu andato, Aziraphale si ricordò della “cosuccia” che
Crowley gli aveva detto avrebbe trovato nel suo studio. Ardente di
curiosità, salì la scala a chiocciola in ferro battuto ed entrò
nella stanza dove conservava i suoi libri più preziosi, quelli dei
quali era particolarmente geloso. Sul vecchio scrittoio di legno
risalente all'epoca dei monaci amanuensi trovò un pacchetto avvolto
in una brillante carta da regalo vermiglia. Non c'era alcun biglietto
ma era indubbio da chi provenisse quel dono.
Aziraphale
scartò con attenzione il regalo e per poco non cadde dalla sedia per
la sorpresa e l'emozione: tra le sue mani c'era una prima edizione
della trilogia dell'Anello con tanto di dedica e autografo di J. R.
R. Tolkien.
Istintivamente,
l'angelo strinse a sé il volume e sorrise.
-
Grazie, Crowley. - sussurrò.
Forse,
anzi sicuramente, lo immaginò, ma ebbe la netta impressione di udire
la voce arguta dell'amico in risposta: “È stato un piacere,
angelo.”
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Capitolo 14 *** Don't try suicide ***
suicide
So
you think it’s the easy way out
Think
you’re gonna slash your wrists
This
time
Baby
when you do it all you do is
Get
on my tits
Don’t
do that try try try baby
Don’t
do that – you got a good thing going now
Don’t
do it Don’t do it – Don’t
Don't
try suicide, Queen, 1980
Londra,
1967
Aziraphale
si diede un'occhiata allo specchio e trasalì, stentando a
riconoscersi. Il viso era pallido e la pelle tirata sugli zigomi, con
due ombre scure che gli si allargavano sotto gli occhi stanchi, rughe
d'espressione si erano formate tra le sopracciglia e ai lati delle
labbra, non per l'avanzare dell'età che, in effetti, per lui non
avanzava affatto, quanto piuttosto per la preoccupazione e l'ansia
dalle quali era divorato senza requie negli ultimi giorni.
Era
passata una settimana da quando, seppur riluttante, aveva ceduto a
Crowley l'oggetto dei suoi desideri, ovvero l'acqua santa, ed erano
sette notti che l'angelo faticava a chiudere occhio e la sua mente
gli presentava gli scenari più angoscianti e terribili riguardo alla
sorte suo migliore amico.
Aziraphale
si svegliava di soprassalto con un velo di sudore a imperlargli la
fronte e il ricordo dell'ennesimo incubo seduto accanto a lui come un
fantasma spaventoso e molesto che non aveva nessuna intenzione di
andarsene.
La
maggior parte di quei sogni seguiva sempre lo stesso schema: Crowley
che svitava il tappo del thermos, gli occhi insolitamente vitrei e i
gesti delle mani lenti e controllati, e finiva per portarsi alle
labbra il liquido fatale che, dall'interno, corrodeva la sua forma
corporea ma anche la sua anima, annullandolo completamente e
strappandolo via per sempre dal tessuto dell'universo.
A
volte, Aziraphale aveva l'impressione che il Crowley del suo incubo
potesse vederlo e gli rivolgesse uno strano sguardo tra la tristezza
e la rassegnazione. Sembrava volergli dire: “Ecco, è finita,
angelo. Bevo quest'acqua alla tua salute. Addio.”
E
il macabro eco di quei sogni non veniva lenito neanche dal sorgere
del sole e dalla gioiosa luce del giorno, o da qualunque occupazione
alla quale l'angelo si dedicasse.
Qualsiasi
cosa facesse, ovunque si trovasse, sullo schermo dei suoi pensieri
veniva ossessivamente proiettato lo spettacolo che turbava le sue
notti: Crowley che, chissà per quale oscura ragione, si suicidava
per mezzo dell'acqua santa che lui stesso gli aveva procurato.
Aziraphale
conosceva Crowley abbastanza a fondo da escludere che il demone fosse
vittima di istinti suicidi, ma se fosse capitato qualcosa di brutto?
Se le cose si fossero messe davvero male? Crowley non era il
tipo da dare soddisfazione ai suoi nemici. Se si fosse trovato in
circostanze disperate e senza alcuna via di fuga...
L'angelo
si prese la testa fra le mani e cercò di respirare profondamente per
calmarsi e scacciare quell'idea. Avvertiva un peso enorme opprimergli
dolorosamente il petto ogni volta che si lasciava trasportare da
quelle lugubri fantasie e sapeva che, se avesse continuato così,
presto sarebbe diventato l'ombra di se stesso.
Non
ce la faceva più. Aveva bisogno di parlare con Crowley per
accertarsi delle sue intenzioni e, nel caso, tentare con ogni mezzo
di dissuaderlo dal suo sinistro proposito.
Aziraphale
afferrò il telefono e, con mano tremante, compose il numero
dell'amico.
Dopo
tre squilli a vuoto, partì il messaggio automatico della segreteria:
“Salve, sono Anthony Crowley. Sapete cosa fare, fatelo con stile.”
Aziraphale
sospirò. - Crowley? Sono io. Sei lì? Ho bisogno di parlarti, è
urgente. -
I
secondi passavano inesorabili e dall'altro capo della linea
telefonica non giungeva alcun suono. Il cuore dell'angelo prese ad
accelerare, il respiro gli si fece corto, la morsa dell'ansia aumentò
la sua stretta.
-
Crowley? CROWLEY! Rispondi, per l'amor del cielo! -
Finalmente,
Aziraphale sentì che la cornetta veniva sollevata e quasi scoppiò
in lacrime di sollievo quando udì una rispostaccia scocciata
dall'altra parte.
-
Insomma, angelo! Cosa c'è da gridare tanto? Mi stavo occupando delle
mie piante. -
-
Crowley! Stai bene? -
-
Ma che domande sono? Certo che sto bene! Perché non dovrei? -
Aziraphale
non rispose, ancora scosso.
-
Tu piuttosto, stai bene? - domandò il demone, la voce incrinata da
una lieve nota di preoccupazione. - Mi sembri un po' strano, perfino
per i tuoi standard. -
-
Io... io devo parlarti, Crowley. -
-
Va bene, dimmi. -
-
No, non al telefono. Ho bisogno di parlarti faccia a faccia. È una
questione un po' delicata. -
-
D'accordo, allora posso passare da te. Sarò lì tra circa quindici
minuti, ok? -
-
Sì, sì, perfetto. Quindici minuti. Sì, benissimo. -
-
Angelo, mi stai spaventando. Sembri sconvolto, è come se ti tremasse
la voce. Che diamine è successo? -
-
No, va tutto bene. Allora a... a tra poco. -
Aziraphale
riattaccò ed esalò l'ennesimo sospiro teso. Quindici minuti.
Crowley
rimase a fissare con aria perplessa il telefono che teneva ancora in
mano, anche se la comunicazione si era chiusa già da un po'.
Qualcosa
nella voce di Aziraphale l'aveva messo in allarme. Non l'aveva mai
sentito così agitato e, sebbene conoscesse la sua naturale tendenza
a preoccuparsi eccessivamente per ogni più piccola cosa, doveva
ammettere che quella vaneggiante conversazione aveva risvegliato in
lui un viscerale senso di allerta, quel sesto senso che in genere
prepara il terreno all'arrivo di brutte notizie.
Cosa
mai poteva essere successo di tanto grave?
Il
demone s'infilò rapidamente la giacca e si precipitò fuori
dall'appartamento.
Di
minuti, Crowley ne impiegò solamente otto per raggiungere la
libreria di Aziraphale a Soho. Aveva ignorato tutti i segnali di stop
e infranto tutti i limiti di velocità, si era probabilmente
guadagnato un paio di multe passando col semaforo rosso e aveva quasi
investito uno spaventatissimo vigile urbano, ma non gli importava.
Ciò che in quel momento gli stava davvero a cuore era che il suo
amico stesse bene.
Nel
frattempo, l'angelo aveva misurato a passi nervosi ogni centimetro
del retrobottega, cercando di attenuare l'agitazione e ammonendo se
stesso dal comportarsi in maniera inappropriata.
“Ok,
Aziraphale, sta' calmo. Crowley sarà qui a momenti ma non devi
fargli capire subito che sei preoccupato per lui. Arrivaci piano
piano, comincia il discorso con una frase informale, parla del tempo,
di argomenti banali, ma non lasciar trasparire i tuoi sentimenti per
nessuna ragione al mondo. Sarebbe controproducente. E, cosa più
importante, cerca di sondare il terreno con la massima discrezione.”
Quando
udì il rumore della porta d'ingresso e dei passi di Crowley sul
vecchio parquet scricchiolante, Aziraphale prese un respiro
particolarmente lungo. “Ci siamo.”
Il
demone irruppe nel retro della libreria come un fulmine. - Angelo? Ma
che sta succedendo? Stai... ? -
Ma
le parole gli morirono sulle labbra quando vide l'aspetto grigio e
sciupato dell'amico. - Aziraphale, ma cosa... ? -
-
Oh, Crowley! -
Mandato
all'inferno ogni buon proposito di mantenere discrezione e contegno,
l'angelo scattò in avanti e gettò le braccia al collo del demone,
stringendolo a sé e affondando il viso nell'incavo della sua spalla.
Crowley
rimase impietrito al punto che nemmeno cercò di opporre resistenza a
quell'assalto così inaspettato.
-
Amico mio, non farlo, ti prego! Non ne vale la pena! Qualunque cosa
sia successa, vedrai che tutto si sistemerà. Possiamo venirne fuori
insieme! -
-
Ma che accidenti stai blaterando, per Satana?! -
-
Lo sai benissimo! Ma non c'è motivo di arrivare a tanto e io ti
aiuterò in qualunque modo, caro. Te lo prometto. Ma, ti scongiuro,
non farlo! -
A
quel punto, Crowley afferrò l'angelo per le spalle e lo allontanò
bruscamente da sé, sciogliendosi dal suo disperato abbraccio.
-
Stammi bene a sentire. - cominciò, fissando Aziraphale dritto negli
occhi lucidi. - Ora tu ti siedi, bevi un sorso di brandy, prendi un
bel respiro e mi racconti per filo e per segno cos'è questa storia.
-
-
Come se tu non lo sapessi! - sbottò l'angelo.
-
Dannazione, Aziraphale! Vuoi parlare chiaro una buona volta?! -
-
Mi riferisco all'acqua santa che ti ho dato, è ovvio! -
Crowley
sbatté le palpebre, colto del tutto alla sprovvista. - Cosa? -
-
Non so cosa sia successo di tanto grave da spingerti a volerla usare
su di te per ucciderti, ma possiamo superarlo. Se mi permetti di
aiutarti, vedrai che risolveremo tutto. -
Il
demone rimase qualche secondo a scrutare il volto supplichevole di
Aziraphale, inebetito, come se avesse bisogno di un attimo perché il
suo cervello potesse assimilare ciò che egli aveva detto e rimettere
a posto i pezzi del puzzle per giungere ad una conclusione logica,
dopodiché, contro ogni previsione, scoppiò in una fragorosa risata.
-
Che c'è da ridere? - chiese l'altro, confuso e un po' offeso che la
sua angoscia venisse accolta in quel modo. In fondo stavano parlando
di un argomento molto serio e trovava che l'atteggiamento di Crowley
fosse del tutto fuori luogo oltre che irrispettoso.
-
Oh, angelo! Tu sei veramente un idiota! -
-
Come, prego? -
Crowley
si sforzò di fermare l'attacco di ilarità e dovette togliersi gli
occhiali per asciugarsi via le lacrime che gli si erano affacciate
agli occhi per il tanto ridere.
-
Non ho nessuna intenzione di usare l'acqua santa per suicidarmi. Mi
ci vedi a fare una cosa del genere? -
Fu
il turno di Aziraphale di sbattere le palpebre con aria stupita. -
Ah, no? -
-
Ma neanche per sogno! Ti ho già spiegato che la volevo solo come
polizza assicurativa, se per caso andasse tutto a rotoli e dovessi
ricevere, ehm... visite non gradite dai piani inferiori. -
Aziraphale
non era ancora convinto della sua sincerità, e Crowley se ne
accorse. La sua espressione tornò grave. - Angelo, ti giuro sulla
mia anima dannata in eterno che non intendo tentare il suicidio. -
-
Come posso fidarmi della parola di un demone? -
Crowley
esitò un momento prima di rispondere. - Fidati della parola di un
amico. -
Alla
fine, Aziraphale chinò lentamente il capo in un refrattario cenno di
assenso. - Suppongo di non avere altra scelta. -
Il
demone sorrise, si diresse al tavolo e scostò una sedia. - Bene! E
ora che abbiamo chiarito questo piccolo malinteso, siediti qui e
lascia che ti prepari un drink. Hai tutta l'aria di averne proprio
bisogno. -
Aziraphale
non replicò e si lasciò cadere sulla sedia. Tutto a un tratto, la
stanchezza fisica e mentale degli ultimi giorni si era impadronita di
lui, lasciandolo come svuotato di ogni energia.
Nonostante
la preoccupazione non fosse ancora svanita del tutto, si sentiva
sollevato ora che Crowley gli aveva assicurato di non avere intenti
suicidi e iniziava anche a percepire una lieve punta di vergogna per
essersi lasciato sopraffare dalle emozioni, mettendosi in una
posizione quantomai imbarazzante con il suo migliore amico.
-
Non ti dispiace se mi servo da solo, vero? - chiese Crowley con un
sorrisetto ironico, aprendo l'anta della cristalliera dove l'angelo
conservava gli alcolici.
-
Fa' pure. - rispose Aziraphale agitando una mano in segno di
noncuranza.
Dal
canto suo, Crowley era più che felice di avere una scusa per tenersi
impegnato e dargli le spalle. Lo slancio emotivo con cui Aziraphale
gli si era gettato tra le braccia poco prima l'aveva molto
impressionato. Era mai possibile che l'angelo si fosse ridotto in
quello stato, consumato dall'ansia nei suoi confronti? Era davvero
convinto che intendesse usare l'acqua santa per togliersi la vita?
Aveva riconosciuto nei suoi gesti convulsi, nel suo sguardo pieno di
urgenza e nel tremore della sua voce uno sgomento che l'aveva
lasciato a dir poco sbigottito.
Prese
dallo scaffale una bottiglia di brandy piena a metà, poi afferrò
due bicchieri e versò il liquore, la mente tutt'altro che
concentrata su quelle azioni.
Era
quasi commovente che Aziraphale fosse stato tanto in pena per lui e
Crowley si ritrovò a chiedersi se, a posti scambiati, avrebbe mai
potuto provare quella stessa angustia. Per quanto ciò fosse
deplorevole, una parte di sé gioiva all'idea che l'angelo tenesse a
lui a tal punto, ma questa veniva puntualmente compensata da un'altra
che invece soffriva al pensiero del tormento al quale Aziraphale era
stato esposto a causa sua.
Non
aveva un buon rapporto con le emozioni, Crowley. In genere riusciva a
contenerle e, all'occorrenza, camuffarle sotto un consistente strato
di ironia e sarcasmo, ma quando c'era di mezzo l'angelo, riuscire in
questa impresa si dimostrava più arduo che mai. In quelle occasioni
si accontentava tutt'al più di dissimularle meglio che poteva, dato
che reprimerle gli era praticamente impossibile.
-
Ecco. - disse, posando il bicchiere davanti all'angelo e prendendo
posto a sua volta di fronte a lui. - Bevi, ti aiuterà a tirarti un
po' su e a calmare i nervi. -
Aziraphale
lo ringraziò e bevve un sorso.
Per
un po', gli unici rumori all'interno della stanza furono il tintinnio
dei bicchieri sul tavolo e il ritmico ticchettare dell'orologio
antico appeso alla parete.
Fu
l'angelo a rompere quel silenzio imbarazzato. - Senti, Crowley...
riguardo a poco fa, io... be', io... -
L'altro
lo liquidò con un gesto secco. - Acqua passata, angelo. Se tu sei
d'accordo, proporrei di chiudere qui questa faccenda e di dimenticare
tutto prima di rendere le cose ancora più strane di quanto già non
siano. -
Aziraphale
non poteva che concordare e fu grato che Crowley non avesse fatto
commenti sulla sua indegna scenata in pieno stile melodramma.
-
Be', allora, alla tua salute. - brindò il demone, alzando il
bicchiere nella sua direzione.
Memore
del suo incubo ricorrente, Aziraphale impallidì a quelle parole.
-
Che c'è? Ho detto qualcosa di male? - si allarmò Crowley, resosi
conto di quel repentino cambiamento di colorito.
-
No, non preoccuparti, caro. È tutto a posto. - lo rassicurò
l'amico, sollevando a sua volta il proprio bicchiere per rispondere
al brindisi. Bicchiere che, fortunatamente, non conteneva acqua santa
ma solo pregiato brandy francese della migliore qualità.
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Capitolo 15 *** Delilah ***
delilah
You
make me smile when I’m just about to cry
You
bring me hope, you make me laugh – and I like it
You
get away with murder, so innocent
But
when you throw a moody you’re all claws and you bite
That’s
alright!
Delilah, Queen,
1991
Warlock
Dowling era il bambino di sette anni più viziato che esistesse al
mondo.
Crowley
e Aziraphale l'avevano capito dal primo momento in cui avevano messo
piede nell'enorme casa dell'ambasciatore americano. Il rampollo della
famiglia veniva trattato come un principino, servito e riverito dalla
mattina alla sera.
Certo,
quattro anni più tardi l'errore sarebbe venuto alla luce, ma,
all'epoca, Crowley e Aziraphale erano fermamente convinti che egli
fosse l'Anticristo e dunque non trovarono poi così strano o
insensato che il moccioso ottenesse tutto ciò che desiderava, anzi,
probabilmente nemmeno si rendeva conto di esercitare i suoi poteri
demoniaci su coloro che lo circondavano, piegandoli al proprio volere
con la facilità del vento che piega gli steli d'erba.
Un
giorno, Warlock chiese, o meglio ordinò, che gli venisse regalato un
gatto.
Naturalmente
sua madre Harriet mandò subito una cameriera al più vicino negozio
di animali e, nel giro di poco meno di un'ora dalla richiesta, il
desiderio di Warlock era stato esaudito e casa Dowling aveva un nuovo
inquilino. Inquilina in effetti, poiché la cameriera tornò
dal negozio con una bella gatta grigia dagli occhi acquamarina di
nome Delilah.
Il
bambino cercò in tutti i modi di modificarlo, ma l'animale
rispondeva solo a quell'appellativo e non ci fu verso di farla
abituare ad uno nuovo. Così per tutti rimase Delilah.
Quando
Warlock corse in giardino per mostrarla a Fratello Francis, alias
Aziraphale, l'uomo s'inginocchiò con un sorriso e prese a
vezzeggiare la gatta, che proruppe in fusa deliziate e si strusciò
contro la sua mano, avida di carezze.
-
Hai buon gusto, giovane Warlock. - approvò Aziraphale. - Hai scelto
un esemplare davvero bellissimo. -
Ovviamente
il bambino non si curò di precisare che era stata una cameriera ad
effettuare l'acquisto e che, anzi, lui avrebbe di gran lunga
preferito un gatto maschio, ma Delilah era davvero splendida con quel
pelo morbido e lucido e quei magnetici occhi blu, inoltre non si
risparmiava in moine e riusciva a conquistare tutti conferendo
prestigio anche al padroncino che la esibiva con orgoglio, come un
improbabile trofeo peloso che attestasse un suo altrettanto
improbabile merito personale.
Quella
sera, Delilah si acciambellò in fondo al letto di Warlock, sebbene
fosse stata preparata per lei una morbida cuccia a forma di castello
a tre piani che la bella felina aveva sdegnosamente rifiutato.
Gli
occhi socchiusi e il respiro lento e profondo mostravano come ella
fosse già a un passo dal mondo dei sogni.
Ma
quando Tata Ashtoreth, alias Crowley, entrò nella camera del
bambino, scattò immediatamente sulle quattro zampe e rizzò il pelo,
soffiando e scrutando il demone con sguardo ostile, le pupille
ridotte a due fessure sottilissime.
Crowley
si richiuse la porta alle spalle e restituì l'occhiataccia alla
gatta.
-
Sta' buona, Delilah. - disse Warlock mentre si infilava sotto le
coperte.
L'animale
si sedette sulle zampe posteriori senza però smettere di fissare
Crowley con astio e diffidenza.
-
Si direbbe che non le piaci, tata. - commentò Warlock, senza
impegnarsi troppo nel nascondere la nota di soddisfazione per il
fatto che lui, al contrario, fosse nelle grazie della gatta.
Crowley
sorrise a denti stretti e prese posto sulla sua solita poltrona
accanto al letto.
-
Avevo sentito del nuovo arrivo. - disse, senza staccare gli occhi da
quelli del gatto. - L'hai chiamata Delilah, giusto? Ma che nome
carino! -
Crowley
detestava quei modi leziosi così come odiava parlare in falsetto, ma
aveva appreso da “Mary Poppins” che è così che si comportano le
tate e dunque cercava di aderire il più possibile allo stereotipo
del personaggio in cui sarebbe rimasto incastrato ancora per un po'.
-
Non sono stato io a chiamarla così. - puntualizzò Warlock. - Il
proprietario del negozio le aveva dato questo nome e non sono
riuscito a cambiarglielo. -
-
Mmm. -
Crowley
e Delilah si guardavano più storto che mai. Evidentemente, lei
avvertiva l'essenza demoniaca che emanava da lui, mentre Crowley, dal
canto suo, non era mai stato un grande amante dei felini.
Semplicemente, non c'era feeling tra lui e una qualsiasi creatura che
miagolasse e che possedesse affilati artigli retrattili e movenze
degne del più rapido, silenzioso e letale dei ninja.
Se
non fosse stato così ciecamente sicuro dell'identità di Warlock,
avrebbe potuto domandarsi per quale motivo Delilah non sembrasse
minimamente turbata dalle vibrazioni emesse dal figlio di Satana come
invece lo era dalle sue, che poi erano quelle di un semplice diavolo
minore. Allo stesso modo, sarebbe stato lecito chiedersi come fosse
possibile che l'Anticristo, con tutti i suoi poteri, non riuscisse a
imporre un nuovo nome alla gatta; ma quando si ha l'assoluta certezza
di qualcosa, si tende ad ignorare deliberatamente tutti quei segnali,
grandi o piccoli, che potrebbero minarla.
E
così, Crowley si limitò a raccontare al bambino una delle sue
solite truculente storie della buonanotte, senza mai tuttavia perdere
di vista la micia, che fece lo stesso con lui.
Quella
notte, Crowley e Aziraphale si incontrarono in un locale di Soho per
aggiornarsi sugli ultimi sviluppi riguardanti l'educazione di
Warlock.
-
Hai visto? Ora ha anche una gatta. - constatò Aziraphale. - Sono
sicuro che presto riuscirà a sottometterla alla propria volontà
come fa con gli umani. -
-
Non ne sarei così sicuro. - lo contraddisse Crowley con una smorfia
scettica. - Quella sembra una tipa tosta. Dubito che il
ragazzino avrà vita facile con lei, anche se è il figlio del
Diavolo. -
Il
tono di voce del demone suggerì ad Aziraphale che non corresse buon
sangue tra l'amico e la nuova arrivata a quattro zampe.
-
Non ti piace, vero? -
Crowley
assunse un'espressione interrogativa.
-
Delilah, intendo. La gatta. -
L'altro
sbuffò. - Mi piace quanto mi piacciono tutti i gatti, angelo. Cioè
meno di zero. E poi sono abbastanza sicuro che mi abbia già
inquadrato per quello che sono veramente. -
-
Ma che stai dicendo? Non essere assurdo. -
Crowley
annuì più volte, come a confermare la fermezza della sua posizione
in merito all'argomento. - Fidati. Lei sa. E questo potrebbe
provocarmi dei guai. Se il ragazzo iniziasse a sospettare qualcosa e
la copertura dovesse saltare... -
-
Non succederà. - lo rassicurò Aziraphale, convinto. - Vedrai, andrà
tutto bene. -
Ma
il demone non venne contagiato dall'ottimismo dell'amico. - Lo spero,
angelo. Ma non si può mai dire quando c'è di mezzo un gatto. -
Un
paio di giorni dopo, Crowley ebbe prova di ciò che aveva sospettato
fin dal primo istante: quella gatta era tutt'altro che la mansueta
cucciola dagli occhioni di zaffiro che tutti credevano.
Erano
le undici di una sera limpida e gradevole, rischiarata da una luna
piena color del grano. Lui aveva appena smesso i panni di Tata
Ashtoreth per rientrare, con un certo sollievo, nei propri abiti
maschili e moderni. Aveva raggiunto la Bentley, parcheggiata poco
distante dalla casa, e si stava apprestando a cercare le chiavi
quando intercettò un paio di occhi brillanti come fanali che
seguivano attentamente ogni suo movimento e lo fecero sobbalzare.
-
Che vuoi?! - berciò. - Vattene via. Sciò! -
Per
nulla intimorita, Delilah balzò fuori con eleganza da sotto la siepe
dove si era nascosta e prese a girargli attorno, passandolo ai raggi
X con quegli occhi di brace spudoratamente intelligenti.
Crowley
iniziò ad avvertire un certo disagio. Ecco come lo facevano sentire
quelle bestiacce: messo a nudo dalla punta dei capelli fino alla sua
anima maledetta.
-
Ma si può sapere che accidenti vuoi da me? -
Per
tutta risposta, Delilah saltò sul cofano della Bentley e Crowley
inorridì nel vedere la carrozzeria lustra imbrattata di fangose
impronte di gatto.
-
Scendi. - sibilò. - Scendi subito o per te saranno guai, mia cara. -
Delilah
se ne stava immobile e lo scrutava con aria di sfida. C'era qualcosa
di sfacciato e accusatorio nel suo sguardo, qualcosa che fece
comprendere a Crowley che sì, lei aveva capito tutto e sapeva cosa
egli fosse in realtà.
-
E va bene, signorinella. Dato che ormai mi hai scoperto, tanto vale
giocare ad armi pari, non credi? -
Un
secondo più tardi, dove fino a un attimo prima vi era un uomo, ecco
che apparve un grosso cane nero dagli occhi dorati e i denti bianchi
e aguzzi scoperti in un ringhio feroce.
Crowley
aveva sperato di spaventarla e indurla a fuggire, invece Delilah
saltò inaspettatamente giù dall'auto, il pelo più ritto che mai,
pronta alla zuffa.
Cane
e gatta lottarono per un po' finché la seconda, miracolosamente
illesa, decise di battere in ritirata e si arrampicò su un albero
con impressionante agilità.
Crowley,
in forma di cane, ringhiò sommessamente al ramo sul quale Delilah si
era rifugiata, dopodiché si ritrasformò in umano e salì a bordo
della Bentley, imprecando e tenendosi il braccio.
La
gatta l'aveva graffiato di brutto e il demone perdeva anche un po' di
sangue. La maglia era tutta sbrindellata e anche i pantaloni non
erano messi molto meglio.
Quando
arrivò al consueto appuntamento con Aziraphale, stavolta
direttamente alla libreria, l'angelo strabuzzò gli occhi nel vederlo
ridotto in quel modo.
-
Crowley, caro, ma cosa ti è capitato? -
-
Se proprio vuoi saperlo, ho appena finito un incontro di wrestling
con quella Terminator della gatta dei Dowling. -
-
E direi che te le ha anche suonate di santa ragione. - constatò
l'altro. - Allora è stata Delilah a conciarti così? -
-
Sai, credo che per tutto questo tempo abbiamo sbagliato obiettivo,
angelo. -
-
A cosa ti riferisci? - domandò Aziraphale mentre accompagnava
Crowley a una poltrona e gli arrotolava le maniche per osservare
meglio i graffi che gli deturpavano la pelle delle braccia.
-
Credo che sia lei il vero Anticristo. - scherzò il demone con una
smorfia a metà tra un sogghigno e un'espressione di dolore.
Aziraphale
abbozzò un sorriso. - Aspetta, prendo un paio di cose per medicarti
quelle ferite prima che si infettino. -
-
Medicare? - fece Crowley, stupito. - Non puoi fare un miracolo dei
tuoi e rimettere le cose a posto in un nanosecondo? -
Aziraphale
scosse la testa, gravemente. - Mi dispiace, caro, ma se ai piani alti
si scoprisse che ho usato i miei doni per guarire un demone, mi
troverei in un bel casino e probabilmente sarei costretto a lasciare
la Terra. È troppo rischioso, e poi non sono che un paio di graffi.
Basteranno i rimedi umani. -
Il
demone gemette e gettò la testa all'indietro esibendosi in una posa
quantomai melodrammatica. - Perché ho la sensazione che non sarà
per niente piacevole? -
-
Oh, quante storie. - lo prese in giro l'altro mentre radunava sul
tavolo una boccetta di disinfettante, una garza di cotone e un paio
di bende. - I bambini umani sono più coraggiosi di te, caro. -
Crowley
arricciò il naso e guardò con circospezione l'improvvisato kit di
pronto soccorso.
-
I bambini umani non devono affrontare una macchina da guerra con
baffi e coda. Credimi, neanche uno dei nostri segugi infernali
avrebbe potuto avere la meglio su quel killer travestito da gattina.
-
-
Non dovevi provocarla. - disse Aziraphale, sedendosi su uno sgabello
di fronte a Crowley e versando un po' del contenuto della boccetta
sulla garza.
-
E cosa ti fa pensare che sia stato io a provocarla? - domandò
l'altro, offeso.
L'angelo
alzò le spalle e cercò di usare un tono di scuse. - Be', conoscendo
la tua avversione per i gatti e il tuo temperamento, mi riesce
difficile immaginare il contrario. - fece una pausa. - E poi, Delilah
è un animale così dolce e mite. -
-
Dolce e mite?! - esclamò il demone. - Quella è un concentrato di
pura malvagità e perfidia! -
-
Ora non esagerare. - lo rimproverò Aziraphale.
-
Non esagero affatto. - ribatté Crowley, stizzito.
-
Pronto? - chiese l'angelo avvicinando la garza imbevuta di
disinfettante al braccio dell'amico. - Brucerà un po', temo. -
-
Ma non mi dire! -
Aziraphale
decise di interpretare quella reazione sarcastica come una risposta
affermativa e posò con delicatezza la garza sulla pelle del demone,
che si irrigidì all'istante e dovette mordersi la lingua per
trattenere un'esclamazione. Bruciava eccome!
Per
cercare di distrarre l'amico dal fastidio della medicazione,
Aziraphale gli raccontò di come il giorno prima Delilah lo avesse
fatto scoppiare a ridere rotolandosi tra i fiori di un'aiuola per poi
ritrovarsi con una farfalla che le si era posata sul naso.
-
Era così tenera e graziosa! -
-
Bah! Ci vuole davvero poco per mandarti in brodo di giuggiole,
angelo. A volte, proprio non mi spiego come tu possa essere così
ingenuotto e credulone. -
Aziraphale
si accigliò e premette più rudemente la garza sulle ferite di
Crowley, che si ritrasse con un gemito.
-
Ahia! Potresti usare un po' più di gentilezza, per favore?! -
L'angelo
mise su un'espressione affranta che non avrebbe tratto in inganno
nessuno. - Oh, scusa, caro. Ti ho fatto male? Mi dispiace tanto. -
-
Non è vero. L'hai fatto apposta, invece. - obiettò il demone,
facendo il broncio. - Ti conosco, Aziraphale, non puoi darmela a bere
con la recita dell'angioletto casto e puro. Non funziona con me. -
Le
labbra dell'altro si distesero in un sorrisetto nel quale Crowley
poté ravvisare un ché di vagamente diabolico.
-
Allora dovresti evitare di dire certe cose fintanto che il tuo
braccio è alla mia mercé. -
-
Lo sai, tu e quella gatta siete molto simili. - disse, immusonito. -
Vi piace far finta di essere carini e coccolosi ma, sotto sotto,
siete delle carogne. -
-
Non hai sempre detto che è per questo che ti piaccio? -
-
Hai ragione, - concesse Crowley. - Ma non quando usi la tua
bastardaggine contro di me. -
-
Sarebbe troppo comodo, mio caro. - ridacchiò Aziraphale. - Et
voilà! Ho finito. -
Il
demone provò a muovere il braccio che era stato bendato con cura. Le
ferite pizzicavano ma doveva ammettere che, dopo le premurose cure
dell'angelo, andava molto meglio.
-
Grazie. - bofonchiò Crowley, ancora corrucciato.
Aziraphale
gli sorrise con calore. - Di nulla. -
Il
giorno seguente, a casa Dowling, si scoprì che Delilah era sparita.
Vennero
organizzate squadre di ricerca per setacciare meticolosamente ogni
angolo dell'edificio, il giardino e perfino i dintorni dell'imponente
abitazione.
Gli
agenti della sicurezza e tutta la servitù vennero sollevati
temporaneamente dai propri incarichi e mobilitati affinché ogni uomo
e donna del personale fosse impegnato nelle ricerche della gatta
scomparsa.
Alla
fine, nessuno riuscì a trovarla e la Signora Dowling dovette
spiegare ad un Warlock in lacrime che probabilmente la micia era
fuggita durante la notte.
Dopo
l'alterco della sera prima, Crowley fu ben felice di udire quella
notizia. A quanto pareva, Delilah non era assolutamente disposta a
condividere il tetto con un demone infernale e aveva deciso di
filarsela, alla ricerca di un posto più consono in cui vivere.
Il
lutto di Warlock per la sparizione della gatta durò giusto qualche
ora, ovvero il tempo necessario perché la solita povera cameriera
tornasse al negozio di animali e riportasse a casa una coppia di
grassi e pelosi porcellini d'india.
Crowley
tirò un sospiro di sollievo. “Grazie a Di... grazie a Sat... oh,
insomma! Per fortuna non sono gatti!”
Note:
Delilah
era la gatta di Freddie Mercury, alla quale è dedicata la canzone, e
mi sembrava carino mantenere la stessa linea tematica anche per la
shot.
Il
nome di Crowley come tata (Ashtoreth) viene specificato nel libro, ma
non nella serie.
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Capitolo 16 *** You're my best friend ***
Best
Ooh
you’re the best friend that I ever had
I’ve
been with you such a long time
You’re
my sunshine and I want you to know
That
my feelings are true
I
really love you
Oh
you’re my best friend
You're
My Best Friend, Queen, 1975
La
Bentley, rinata a nuova vita dopo la traversata del tunnel di fiamme
che l'aveva distrutta solo ventiquattro ore prima, sfrecciava sulle
strade trafficate di Londra rombando ferocemente come a voler
intimidire le altre auto e indurle a scansarsi al suo passaggio.
Era
il giorno dopo la mancata Apocalisse. Tutto era finito bene, o
meglio... non era finito affatto, il che, in effetti, significava che
le cose si erano risolte nel migliore dei modi.
Il
pranzo al Ritz si era rivelato il migliore (e il più lungo) di
sempre, la compagnia di Crowley ancora più gradevole del solito.
Perfino il sapore dell'ottimo cibo pareva aver beneficiato di quel
clima da “lieto fine” che aleggiava nell'aria e ad Aziraphale non
era mai sembrato tanto squisito. A coronare il tutto e a donare un
ulteriore tocco di pace e serenità all'atmosfera, ci aveva pensato
la donna seduta al pianoforte, le cui dita accarezzavano abili e
leggiadre i tasti dello strumento, la voce dolce e melodiosa che
intonava quel romantico brano d'altri tempi, A nightingale sang in
Berkeley Square.
Ma
ora che l'adrenalina e la concitazione erano calate, la mente
dell'angelo, non più impegnata a trovare un modo per fermare
l'Armageddon o sfuggire alla punizione dei suoi dirigenti, si
soffermava in modo quasi ossessivo su un pensiero fisso, un ricordo
che risaliva al giorno precedente e al quale non aveva dato molta
importanza fino ad allora. Nello specifico, il ricordo di Crowley
seduto al tavolo di un bar con l'aria stravolta e disperata.
Aveva
detto di aver perso il suo migliore amico ma, sul momento, Aziraphale
non aveva dato troppo peso a quelle parole, anche perché in quel
frangente si trovava imprigionato in una spiacevole forma non
corporea della quale voleva liberarsi il prima possibile, senza
contare che il mondo sarebbe finito entro pochi minuti. Chi aveva il
tempo di lambiccarsi su certi dettagli?!
Ma
adesso che le acque si erano calmate e il pericolo era alle spalle,
l'angelo non riusciva a fare a meno di ripensare all'espressione
affranta che aveva scorto sul viso dell'amico e che risultava così
inusuale per lui, sempre pronto a sfoderare quel suo ghigno sardonico
che sembrava voler prendere in giro l'universo intero.
C'era
solo un modo per superare quella fissazione: chiederne ragione al
diretto interessato che, guarda caso, si trovava seduto proprio
accanto a lui nell'abitacolo dell'auto.
-
Crowley? - cominciò, un po' esitante.
-
Mmm? -
-
Posso... posso farti una domanda? -
-
Spara. -
Aziraphale
abbassò lo sguardo e si tormentò le mani. - Ecco, ieri, in quel
bar, quando… Be', hai detto di aver perso il tuo migliore amico...
-
-
E allora? -
-
Devo supporre che ti stessi riferendo a me? Eri convinto che
l'incendio alla libreria mi avesse, diciamo, ucciso? -
Crowley
esalò un sospiro di esasperazione e alzò gli occhi al cielo, anzi
al soffitto della Bentley. - Dove vuoi arrivare, angelo? -
-
Mi sei sembrato molto sconvolto. - continuò Aziraphale, senza
mollare il colpo. - Avevi un aspetto davvero orribile. -
-
E tu eri un ectoplasma semitrasparente senza corpo quindi chi pensi
vincerebbe la gara per l'aspetto peggiore? - sbottò il demone, punto
sul vivo.
-
Touché. - riconobbe
Aziraphale. - Ma non cambiare argomento. La verità è che non ti
avevo mai visto in quello stato prima d'ora, il che è tutto dire
dato che ti conosco da seimila anni! -
-
Oh, falla finita e arriva al punto. -
-
È solo che... non pensavo che tenessi tanto a me. - concluse
l'angelo, arrossendo un poco.
Crowley
non rispose e si limitò a sbuffare tenendo ostinatamente lo sguardo
fisso sulla strada ma Aziraphale notò che le sue nocche intorno al
volante erano diventate bianche da quanto lo stavano stringendo e che
la sua mascella si era irrigidita.
Tuttavia
il demone non sembrava intenzionato a proseguire la conversazione e
così Aziraphale, sicuro che non sarebbe riuscito a cavargli un'altra
parola, decise di lasciar perdere e tornò a guardare Londra scorrere
veloce fuori dal finestrino.
Passarono
circa due minuti durante i quali nell'abitacolo della Bentley regnò
un silenzio grave, carico di emozioni e pensieri inespressi che si
rincorrevano senza sosta e si accumulavano nell'aria
ingarbugliandosi, senza trovare sbocco nelle parole e rendendo
l'atmosfera satura di una certa tensione.
-
Idiota di un angelo! - esclamò a un tratto Crowley, facendo
sussultare Aziraphale seduto al suo fianco.
-
Ehi! Che ti prende? -
-
Non pensavi che tenessi tanto a te?! Ma certo che tengo a te, stupido
che non sei altro! Sei il mio migliore amico! E farai bene a
ricordatelo anche in futuro perché non ho intenzione di ripeterlo
un'altra volta anzi, sappi che negherò di aver mai detto una cosa
del genere. -
L'angelo
avvertì come una sorta di improvvisa ondata di energia provenire da
Crowley. Era un'energia calda, radiante, del genere che percepiva
ogni volta che era circondato da forti sentimenti positivi,
sentimenti di sincero amore e affetto.
Aziraphale
si sentì stringere il cuore dalla commozione e gli occhi gli si
inumidirono.
-
Oh, Crowley! Io... io non so davvero che cosa dire. -
-
Non devi dire proprio niente, angelo. Sul serio, non devi. -
replicò il demone a denti stretti, ansioso di chiudere al più
presto quel discorso scomodo e troppo sentimentale per i suoi gusti.
Aveva pur sempre una dignità da mantenere, per tutti i diavoli
dell'Inferno!
-
No, no! Io voglio che tu sappia quanto questo significhi per me e
quanto io sia... -
-
Sta' zitto! - esplose Crowley. - Ancora una parola e ti mollo qui in
mezzo alla strada. -
Aziraphale
non disse più nulla ma sulle sue labbra si dipinse un sorriso che
non le abbandonò fino a quando la Bentley giunse a Soho in
prossimità della sua libreria, il capolinea di quel tragitto denso
di emozioni e significato per entrambi.
Il
demone fece fermare l'auto davanti all'edificio ma Aziraphale non
aprì subito la portiera, invece si voltò verso di lui. - Crowley? -
-
Che c'è ancora? - berciò il demone in tono brusco.
Ci
fu un istante di silenzio durante il quale l'angelo sembrò soppesare
le parole, nel tentativo di trovare le più adatte ad esprimere ciò
che provava.
-
Grazie. - disse infine, decidendo per l'opzione più semplice ma
efficace. - E, per quello che vale, anche tu sei il mio migliore
amico. Non so cosa farei se dovessi perderti. -
Per
tutta risposta, il demone schioccò le dita e lo sportello del
passeggero si spalancò violentemente in un inequivocabile (e
piuttosto rude) invito a scendere.
Aziraphale
rivolse un ultimo sorriso a Crowley dopodiché uscì dall'auto e si
diresse verso l'entrata della libreria fischiettando un motivetto
allegro.
Finalmente,
il demone distolse lo sguardo dal parabrezza di fronte a sé e lo
puntò invece sulla figura dell'angelo che si apprestava a varcare
l'ingresso del negozio.
Di
colpo, le difese che aveva messo in atto fino ad allora cedettero e
il ricordo di quell'orribile momento in cui aveva creduto di aver
perso per sempre il suo angelo, gli piombò addosso come un
macigno.
Per
la prima volta in tutta la sua interminabile vita aveva sperimentato
la disperazione, la perdita di ogni speranza, di ogni motivazione, di
ogni certezza, di ogni flebile scintilla di senso.
Tutto
questo era stato risucchiato nel buco nero della perdita di
Aziraphale; tutto andato in malora, ridotto in cenere dalle stesse
fiamme che si erano portate via l'angelo a tradimento proprio nel
posto che lui amava di più al mondo e dove si sentiva più al sicuro
che mai.
Era
stato come perdere l'unico appiglio che potesse tenerlo a galla in un
mare nero e burrascoso che tentava continuamente di inghiottirlo tra
i flutti e trascinarlo a fondo. A quel punto, cosa poteva importargli
del fatto che la fine del mondo sarebbe giunta di lì a poche ore?
Che motivo aveva di lottare ancora per la salvezza della Terra?
Avrebbe forse potuto colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa di
Aziraphale? No. Certo che no. Nulla avrebbe mai più potuto guarire
quella ferita o alleviare il dolore che ne derivava.
Le
sensazioni del giorno prima riemersero in Crowley più vivide che
mai, provocandogli un brivido e una stretta di ghiaccio al cuore.
Come
se, in qualche modo, avesse avvertito il suo disagio, l'angelo si
bloccò all'improvviso nell'atto di girare la chiave nella toppa, poi
si girò indietro verso la Bentley e lo salutò con un gesto della
mano e il più dolce dei sorrisi che gli avesse mai dedicato, come a
dirgli: “Va tutto bene, caro. Sono qui, e ci sarò sempre.”
Crowley
si affrettò a voltarsi e a fingere un'indifferenza che non provava
affatto, ma la morsa del penoso ricordo si era istantaneamente
allentata, come per miracolo.
Quando
l'angelo tornò ad armeggiare con la serratura, Crowley si permise un
ultimo fugace sguardo alla sua figura prima che questa scomparisse
dietro la porta.
Aziraphale. Il suo
migliore amico.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa per lui. Qualsiasi... tranne che ammetterlo.
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Capitolo 17 *** A kind of magic ***
magic
It’s
a kind of magic
The
bell that rings inside your mind
Is
challenging the doors of time
It’s
a kind of magic
It’s
a kind of magic
A
kind of magic, Queen, 1986
Tutto
era iniziato nel 1870, quando aveva seguito le lezioni
dell'illusionista John Maskelyne.*
Da
quel momento, Aziraphale si era appassionato alla nobile e millenaria
arte della prestidigitazione e delle magie da palcoscenico. Aveva
acquistato innumerevoli testi e manuali che riportavano con dovizia
di particolari e illustrazioni dettagliate tutti i trucchi che un
vero mago avrebbe dovuto saper eseguire e passava le notti ad
esercitarsi nel retro della sua libreria.
Era
un modo come un altro per ammazzare il suo tempo infinito, un hobby
nel quale l'angelo si impegnava a fondo e che avrebbe desiderato
poter perfezionare tanto da arrivare, un giorno, ad esibirsi davanti
a un pubblico che rimanesse attonito e ammagliato dalla sua
incredibile performance. Chissà, forse il futuro gli avrebbe
riservato perfino l'onore di intrattenere nientemeno che Sua Maestà
la regina Vittoria, la quale, si diceva in giro, mostrava uno
spiccato interesse per le arti magiche.
Nel
giro di un paio di mesi, i numeri con le carte da gioco e le monete
non avevano più segreti per lui, o almeno così la pensava
Aziraphale secondo la sua visione molto ottimistica.
Era
giunto il momento di mettersi alla prova con qualcosa di nuovo e più
avanzato. E così un giorno l'angelo salì su una carrozza e si fece
portare al negozio di animali, dove comprò un coniglietto bianco e
un trio di colombe che arruffarono le piume e sembrarono molto
contrariate all'idea di lasciare il loro trespolo per essere infilate
a forza in un'angusta gabbia di ferro e portate via da quell'uomo.
Una
volta tornato alla libreria, Aziraphale si mise a consultare una
delle sue preziose guide cartacee e scelse un paio di numeri da
sperimentare con i suoi nuovi assistenti che, per dirla tutta, non si
rivelarono molto collaborativi.
Alla
fine di quel pomeriggio, il poveretto si ritrovò tutto sudato e
ansimante al centro di un vero e proprio disastro: c'erano piume
bianche ovunque ed escrementi sparsi qua e là. Le colombe avevano
tentato più volte la fuga e l'angelo aveva avuto il suo bel daffare
per riacchiapparle, tanto più che queste lo beccavano in
continuazione e gli rivolgevano occhiate sdegnose. Il coniglietto era
quasi soffocato nel doppiofondo sotto il tavolo in attesa di apparire
nel cilindro e ora si rifiutava di scendere dalla mensola sopra la
quale si era rintanato, al sicuro tra due grossi volumi polverosi.
Aziraphale
rimediò a quella devastazione con uno schiocco di dita, dopodiché
si sedette in poltrona con un sospiro frustrato.
Come
primo tentativo non era stato poi un granché. Ma se tutti i più
grandi illusionisti e prestigiatori del mondo si fossero arresi al
primo fallimento, non sarebbero mai diventati famosi. No, non poteva
arrendersi così. Ci avrebbe riprovato il giorno seguente e quello
dopo ancora, fino a padroneggiare pienamente quei trucchi.
In
realtà, trascorse un mese intero prima che l'angelo riuscisse a
collezionare qualche successo. C'erano stati anche un paio di
trascurabili “incidenti”
ai quali Aziraphale aveva posto rimedio ricorrendo a qualche piccolo
miracolo di resurrezione. Le colombe e il coniglio sembravano ormai
essersi rassegnati al loro destino e si sforzavano di assecondare
quel buffo uomo che li costringeva a fare cose assurde e, dal loro
punto di vista, assolutamente degradanti. Tutto sommato, era anche
molto premuroso quando si trattava di prendersi cura di loro e non
gli faceva mai mancare cibo e attenzioni amorevoli.
Un
giorno, Aziraphale decise che i tempi erano maturi per inserire un
nuovo elemento di difficoltà nei suoi spettacoli solitari, ovvero la
presenza di un pubblico.
Ci
pensò su e stabilì che, forse, avrebbe fatto meglio a cominciare
con un unico spettatore, qualcuno che potesse esprimere un giudizio
imparziale sulla sua performance e magari dargli dei consigli per
migliorarla. Un amico, insomma, o almeno qualcuno che si avvicinasse
il più possibile a quella definizione.
I
suoi pensieri corsero immediatamente a Crowley e il sorriso sicuro
s'incrinò sulle sue labbra. Erano trascorsi otto anni da quando
avevano litigato a St. James Park a causa della folle richiesta del
demone. Non si parlavano da allora ma forse quella era proprio
l'occasione giusta per riallacciare i rapporti e passare oltre.
Inviò
una lettera a Mayfair nella quale chiedeva al demone di recarsi da
lui per una “questione urgente” non meglio specificata e attese
qualche giorno con le dita incrociate, sperando che Crowley
raccogliesse il suo invito nonostante le loro passate divergenze.
Le
sue aspettative non vennero deluse perché il demone bussò alla sua
porta la settimana seguente, picchiettando sul legno con un bastone
da passeggio dall'impugnatura d'argento a forma di testa di serpente.
Quando
Aziraphale aprì, ci fu un istante di imbarazzo durante il quale
nessuno dei due riuscì a trovare qualcosa di adeguato da dire ed
entrambi decidettero di tacere nella speranza che fosse l'altro a
dare avvio alla conversazione.
L'impasse
venne superata quando l'angelo si rese conto della sua scortesia nel
lasciare l'ospite in piedi sulla soglia, per di più durante
l'imperversare di un temporale, e lo invitò con calore ad entrare.
-
Allora, di che si tratta, angelo? Nella lettera hai menzionato una
questione urgente. - disse Crowley, il tono di voce appositamente
modulato da apparire sufficientemente noncurante ma non privo di una
punta di insofferenza che facesse capire ad Aziraphale che egli non
aveva affatto dimenticato la loro discussione di otto anni prima.
-
Ehm, in realtà... forse “urgente” è una parola un po' forte. -
-
Non dirmi che mi hai fatto venire fin qui per una delle tue
sciocchezze! -
Aziraphale
alzò le mani. - Calma, calma, Crowley. Vorrei solo che mi facessi un
piccolo favore. Si tratta di una cosa molto importante per me e che
non ti costerà nulla. -
I
lineamenti del demone si contrassero in una smorfia di disappunto. -
E perché io dovrei accontentarti facendoti questo favore quando tu
invece, otto anni fa, ti sei categoricamente rifiutato di farne uno a
me? -
Aziraphale
sospirò. - Si tratta di una cosa completamente diversa. Tu mi stavi
chiedendo di procurarti dell'acqua santa, contravvenendo a tutte le
regole della mia fazione e mettendo a rischio la tua stessa vita, io
invece ti chiedo solamente di farmi da spettatore e poi dirmi
sinceramente cosa ne pensi. -
L'espressione
stizzita di Crowley si trasformò in sorpresa mista a curiosità. -
Farti da spettatore? Ma di che stai parlando? -
L'angelo
non poté evitare di arrossire un poco. - Ecco, è da un po' di tempo
che mi sto dedicando alla prestidigitazione e all'illusionismo e
credo di essere diventato piuttosto bravino, ma non mi sono mai
esibito davanti a qualcuno, prima d'ora. Mi piacerebbe che tu fossi
il mio primo spettatore. -
-
Prestidigitazione? Illusionismo? -
-
Sì, hai presente quegli spettacoli in cui gli umani fingono di
compiere magie davanti ad altri umani? -
-
Lo so benissimo, angelo. Quello che non capisco è perché perdere
tempo in queste cose quando, se volessi, potresti esercitare i tuoi
poteri sovrannaturali e lasciare a bocca asciutta qualsiasi mago
umano da strapazzo. -
Aziraphale
fece spallucce. - Non sarebbe divertente. -
Crowley
scosse la testa davanti a quell'incomprensibile atteggiamento.
-
Allora? Vuoi farmi da pubblico o no? - incalzò l'angelo.
-
Ma sì, perché no? Quantomeno mi farò quattro risate. - rispose
Crowley, caustico.
Aziraphale
gli fece cenno di seguirlo nel retro, dove aveva allestito una sorta
di palcoscenico amatoriale con tanto di sipario e una comoda
poltroncina di velluto per il demone proprio di fronte.
Crowley
prese posto, tolse il cappotto, il cappello e i guanti, appoggiò il
bastone da un lato e si mise comodo, in attesa dell'inizio dello
spettacolo.
Aziraphale
si recò dietro una tenda e qualche secondo più tardi ne uscì con
addosso una strana giacca di satin blu notte con qualche applicazione
luccicante qua e là e un cappello a cilindro nero sottobraccio.
Si
mise davanti a un tavolo sul quale erano sparsi diversi oggetti:
mazzi di carte, grandi anelli di metallo, una bacchetta di legno
verniciata di nero lucido e una gabbia vuota.
Nella
stanza regnava una studiata penombra, rischiarata solo da qualche
candela e, occasionalmente, dal chiarore dei lampi.
Aziraphale
si schiarì la voce con fare solenne. Aveva letto che la
presentazione iniziale era il trampolino di lancio per conquistarsi
l'attenzione del pubblico e creare la suspense necessaria.
-
Benvenuti, mesdames et monsieurs. Oggi è il giorno in cui
tutte le vostre certezze vacilleranno e il confine tra sogno e realtà
vi parrà null'altro che un sottile filo di fumo. Tutto ciò che,
fino ad ora, avete ritenuto impossibile si realizzerà magicamente
davanti ai vostri occhi pieni di meraviglia e stupore. -
Fece
una pausa teatrale, gli occhi spalancati come a voler sottolineare le
ultime due parole. Crowley dovette ricorrere a tutta la sua forza di
volontà e a una discreta dose di autocontrollo per non scoppiare a
ridere.
-
Oggi, - riprese l'angelo con la stessa voce ieratica. - sarete
testimoni di avvenimenti che andranno al di là della vostra
comprensione e che non avreste osato immaginare neanche nelle vostre
fantasie più bizzarre. Oggi, conoscerete... la Magia! -
Aziraphale
allargò le braccia come a voler salutare una platea immaginaria e
Crowley dovette riconoscergli un'ammirevole convinzione, anche se il
suo primo impulso fu di portarsi la mano al volto e nascondersi per
l'imbarazzo. Lo stava facendo sul serio?!
L'angelo
lo fissò con una certa insistenza e, a un tratto, il demone capì
che si aspettava che lui applaudisse in onore della fine del
discorso. Abbozzò un tiepido battito di mani decisamente privo di
entusiasmo ma ciò sembrò bastare ad Aziraphale, il quale s'inchinò
profondamente prima di afferrare il mazzo di carte.
-
Come potete vedere, signore e signori, questo altro non è che un
comunissimo mazzo di carte. -
A
testimonianza di quanto aveva appena detto, Aziraphale lo sfogliò
rapidamente, mettendone in mostra l'assoluta mancanza di
particolarità.
-
Ora sceglierò uno di voi e gli domanderò di estrarre una carta
qualunque e poi di rimetterla nel mazzo, avendo cura di non farmela
vedere. Volete farmi questo onore, signore? -
Crowley
alzò gli occhi al cielo mentre l'angelo gli si avvicinava con il
mazzo di carte tra le mani. Ne scelse una a caso, le diede una rapida
occhiata per poi reinserirla tra le sue sorelle.
Aziraphale
fece roteare le carte con movimenti che, teoricamente, avrebbero
dovuto risultare fluidi e ipnotici ma che in realtà parevano
piuttosto impacciati.
-
La vostra carta è... questa! - disse trionfante, mostrando al demone
un due di cuori.
Crowley
scosse la testa in segno di diniego e Aziraphale assunse
un'espressione perplessa. - No? Be', allora potrebbe essere...
questa! -
Di
nuovo, il demone fece cenno di no e un lieve sconforto iniziò a
segnare il viso di Aziraphale.
-
Ok, allora la terza volta è quella buona. La vostra carta è... -
Ma,
mentre tentava di mischiare il mazzo, questo gli sfuggì dalle dita e
una pioggia di carte si riversò sul pavimento.
-
Oh, accidenti! -
Non
andò molto meglio quando passò ai trucchi con le monete. Crowley
non credette neanche per un momento che l'angelo gli avesse estratto
un penny dall'orecchio.
-
Ce l'avevi in tasca. - affermò, deciso.
-
No, no! Era vicino al tuo orecchio. - protestò il “mago”.
-
Non è mai stato vicino al mio orecchio. -
Aziraphale
sospirò e tornò al tavolo, da cui prese la coppia di anelli di
metallo che, secondo il suo manuale, avrebbe dovuto dapprima unire e
poi separare, ovviamente senza aprirli.
Ci
mise tutto l'impegno e la concentrazione che poté, ma, dopo essere
riuscito chissà come ad incatenarli l'uno all'altro, non ci fu più
verso di scioglierli.
Ormai
al limite della pazienza e dello scoramento, Aziraphale cercò di non
perdersi d'animo e si giocò il tutto per tutto puntando sui numeri
con gli animali, nei quali si era esercitato a lungo nell'ultimo
mese.
Crowley,
dal canto suo, non si divertiva più ad osservare l'amico fallire in
ogni impresa magica. Anzi, iniziava a sentirsi a disagio e
dispiaciuto per quella serie di umiliazioni alle quali l'angelo si
stava sottoponendo. Avrebbe voluto dire ad Aziraphale di lasciar
perdere, di smettere con quel siparietto, che non valeva la pena di
continuare a ricoprirsi di ridicolo, ma temeva, in quel modo, di
abbatterlo ancora di più.
Fu
una disfatta su tutta la linea: le colombe, evidentemente rese
nervose dal temporale (o magari dalla presenza di un demone nella
stanza), non ne volevano sapere di stare ferme e di lasciarsi
infilare nella manica di Aziraphale, così finirono per riempirlo di
beccate. Il coniglietto, terrorizzato dal fragore di un tuono, si
divincolò dalle sue mani e, con un salto formidabile e degno di una
molla, atterrò in grembo a Crowley, che lo prese al volo.
-
Oh! Basta! Ci rinuncio! - fece Aziraphale, crollando su una sedia,
esausto. - Non sono tagliato per fare il mago. -
Crowley
diede una rassicurante grattatina dietro alle orecchie al povero
coniglio che tremava ancora tra le sue mani. Come poteva dirsi
perfettamente d'accordo con quell'affermazione senza ferire i suoi
sentimenti? Ogni traccia di livore nei suoi confronti per quanto
accaduto nel 1862 era svanita, sostituita da una reale pena per
quella batosta alla sua autostima.
-
Ehm, magari ti serve solo un po' più di pratica. - azzardò, per
niente convinto.
Aziraphale
gli scoccò un'occhiata torva. - Non ci credi neanche tu. -
La
piccola palla di pelo candido gli si acciambellò sulle gambe e,
all'improvviso, Crowley ebbe un'idea per risollevare il morale
dell'amico.
-
Senti, perché non vai a prendere un paio di bicchieri di vino e poi
magari potresti ritentare l'ultimo numero. Che ne dici? -
L'angelo
alzò le spalle, scoraggiato, ma seguì comunque il suggerimento di
Crowley.
Il
demone approfittò del fatto che Aziraphale fosse di spalle per
sussurrare rapidamente qualcosa alle lunghe orecchie del coniglietto,
per poi rimetterselo sulle ginocchia.
In
effetti, dopo qualche sorso di Château Lafitte, l'angelo parve più
incline all'idea di un secondo tentativo, e sperò che la sorte fosse
dalla sua parte.
Crowley
gli passò lo sventurato coniglio che ebbe un fremito quando finì
nuovamente tra le dita grassocce di Aziraphale ma rimase
insolitamente calmo.
L'angelo
costrinse Crowley a voltarsi mentre disponeva ogni cosa per la
riuscita del numero, dopodiché gli diede il permesso di tornare al
suo posto e si preparò allo show, la fronte aggrottata per la
concentrazione.
Mostrò
a Crowley l'interno del cilindro rovesciato e il demone poté
constatare che, in effetti, esso era completamente vuoto, poi afferrò
la bacchetta di legno e gli diede un colpetto mormorando un'assurda
formula magica inventata di sana pianta.
Due
orecchie pelose fecero immediatamente capolino dal cilindro, seguite
da un paio di zampine, due occhietti neri e intelligenti e lunghi
baffi sottili che incorniciavano un nasino rosa.
Aziraphale
fissava l'animaletto a bocca aperta e stentava a credere che il
numero fosse effettivamente riuscito senza il minimo intoppo.
-
Ehm, angelo? - fece Crowley. - Non sono un esperto, ma non dovresti
dire qualcosa a questo punto? -
-
Oh, sì! Ma... ma certo! -
Aziraphale
sollevò il coniglietto con delicatezza e fece come per offrirlo
orgogliosamente agli sguardi della platea. - Ed ecco a voi Harry, il
leprotto! -
Crowley
non poté trattenersi dal sorridere, felice che l'amico avesse
ritrovato la fiducia in se stesso. Poco importava se non sarebbe mai
diventato un grande prestigiatore.
Era
ormai tardo pomeriggio, e, dopo aver fatto onore a un altro paio di
bicchieri di vino, Crowley s'incamminò verso la porta, accompagnato
da Aziraphale, ora decisamente più allegro.
-
La prossima volta potrei esibirmi in un numero di escapologia appeso
a testa in giù in una gabbia di vetro piena d'acqua e con le manette
ai polsi, che ne dici? -
Il
demone lo guardò, allarmato.
-
Rilassati, caro, stavo scherzando. - ridacchiò Aziraphale. - Ma non
smetterò di esercitarmi con le carte e le monete. -
-
Come vuoi, ma per il prossimo spettacolo vedi di trovarti qualcun
altro come spettatore. Io ho chiuso con questi trucchetti umani da
due soldi. È stato imbarazzante, se proprio vuoi saperlo. Anche se
devo ammettere che quell'ultimo numero con il coniglio e il cilindro
ti è riuscito proprio bene. -
L'altro
sollevò un sopracciglio, severo. - Crowley, lo so che sei stato tu.
-
-
A fare cosa? -
Aziraphale
gli lanciò uno sguardo da: “Non fare il finto tonto. Lo sai
benissimo.”
-
Non eri tenuto a farlo, ma grazie. È stato molto gentile da parte
tua. -
-
Ancora quella parola! Lo sai che non la sopporto! Quante volte devo
dirtelo?! - sbottò il demone.
-
Va bene, va bene. Scusa. -
Crowley
gli scoccò un'occhiata d'avvertimento, dopodiché s'infilò il
cappotto, i guanti e il cappello, afferrò il bastone da passeggio e
uscì dalla libreria. Il temporale era ormai passato anche se il
cielo sopra la gloriosa Londra Vittoriana era plumbeo come il fumo
prodotto dalle fabbriche disseminate per la città.
-
Ci vediamo in giro, angelo. - disse Crowley sollevando mollemente una
mano in segno di saluto mentre si allontanava.
Aziraphale
sorrise richiudendo la porta e pensando che, dopotutto, la vera magia
della giornata era consistita nel risanamento della loro amicizia.
*Questa
informazione è presente nel libro ma non è stata inserita nella
serie TV.
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Capitolo 18 *** One vision ***
one vision
No
wrong no right
I’m
gonna tell you there’s no black and no white
No
blood no stain
All
we need is one world wide vision
One
vision, Queen,1986
Mesopotamia,
3004 b.C.
Ogni
uomo, donna, bambino e anziano interruppe ciò che stava facendo per
alzare lo sguardo verso il cielo spaventosamente scuro e rombante di
tuoni. Un rumoreggiare intimorito iniziò a serpeggiare tra la folla,
come se i loro cuori umani presagissero la catastrofe che di lì a
poco si sarebbe abbattuta su di loro.
Crawly
e Aziraphale si scambiarono un'occhiata preoccupata, nessuno di quei
poveracci aveva la minima idea di cosa stesse per scatenarsi sopra le
proprie teste, ma loro sapevano. Quella che si stava
rapidamente avvicinando da est non sarebbe stata una tempesta come
quelle che il mondo, ancora giovane, aveva conosciuto fino ad allora.
Non lo sarebbe stata affatto.
Crawly
rivolse all'angelo uno sguardo indignato. - Non posso credere che tu
sia davvero disposto ad accettare ciò che sta per succedere. -
Aziraphale
abbassò gli occhi, incapace di sostenere quell'espressione severa e
accusatoria che lo costringeva a fare i conti con la propria
coscienza, la quale, purtroppo per lui, aveva ben chiaro da che parte
schierarsi in quella tragica circostanza.
-
Si tratta del volere dell'Onnipotente, Crawly. Anche se
disapprovassi, e non sto dicendo che sia così, non potrei fare
proprio niente. -
-
Ma tu hai ceduto agli umani la tua spada di fuoco! Non puoi
semplicemente voltar loro le spalle e far finta di non vedere mentre
migliaia di persone vengono spazzate via dall'acqua solo perché Dio
ha deciso così. Tu tieni a questa gente, Aziraphale. Non provare a
negarlo. -
L'angelo
si morse forte il labbro e strinse i pugni, ostinandosi a tenere lo
sguardo fisso al suolo.
-
E non startene lì impalato a testa china. Dì qualcosa, maledizione!
-
Allora
Aziraphale sollevò il capo e guardò Crawly dritto in quegli occhi
da serpente. - E che cosa dovrei dire, eh? Che sono in disaccordo con
quanto stabilito dall'Onnipotente? Che, se dipendesse da me, porterei
in salvo queste persone senza pensarci due volte? Mi stai chiedendo
di sollevarmi contro Dio e contro la mia fazione? È questo che
pretendi da me, Crawly? -
Il
demone rimase attonito davanti a quell'accesso di rabbia che,
tuttavia, non sembrava rivolto direttamente a lui ma pareva anzi
molto più vicino ad esprimere frustrazione, senso di impotenza e
colpevolezza.
In
quel momento, Crawly comprese i veri sentimenti dell'angelo e si rese
conto della dolorosa battaglia interiore che infuriava nel suo animo,
combattuto tra il dovere verso il Cielo e la pietà per gli umani che
sarebbero morti in quel cataclisma che, almeno a suo parere, era del
tutto ingiustificato e ingiustificabile.
Il
fuoco di poco prima si estinse nelle iridi chiare di Aziraphale, che
emise un sospiro sofferente e scosse la testa. - Mi dispiace, Crawly.
Ma io sono un angelo e non posso contrastare la volontà
dell'Onnipotente o ribellarmi alle Sue disposizioni. Davvero, non
posso. -
Il
demone mimò un cenno d'assenso e, nonostante il moto di comprensione
che provava nei confronti di Aziraphale, non poté impedirsi di usare
un tono aspro, che suonò più duro di quanto volesse. - Capisco.
Be', in tal caso, stammi bene, angelo. -
Così
dicendo, Crawly si allontanò, lasciando l'altro triste e sconsolato
in piedi in mezzo alla moltitudine di umani affaccendati a radunare
le coppie di animali per farle salire sull'immensa arca costruita da
Noè.
Il
demone camminava nel deserto, tirando calci rabbiosi ai sassi che gli
capitavano a tiro. Aveva una tale voglia di sfogare il malcontento
che sentiva crescergli in corpo! Come ex-angelo ormai esiliato
all'Inferno, Crawly non era soggetto alle limitazioni imposte ad
Aziraphale quanto a biasimo verso l'Onnipotente e, a suo parere, Egli
dimostrava davvero un'abnorme ipocrisia. Davvero riteneva che la
migliore soluzione all'insoddisfacente condotta dei mortali fosse uno
sterminio di massa? Non Gli importava che, in quel disastro,
sarebbero morti anche dei poveri disgraziati senza colpa? Sul serio
era pronto a elargire una punizione tanto orribile anche a dei
bambini innocenti?
Si
sentiva tradito, Crawly. Deluso.
Un
conto era condannare all'eterno esilio nel pozzo infernale un
manipolo di angeli che avevano osato ribellarsi alla Sua autorità,
un altro decidere di punto in bianco di commettere un genocidio per
poter ricominciare da zero, come un bambino che traccia un disegno
sulla sabbia per poi cancellarlo con una sola passata di mano perché
scontento del risultato.
Quando
Crawly fu certo di essere solo, allargò le braccia, gettò la testa
all'indietro e si rivolse al cielo atro e minaccioso sopra di sé. -
Devo riconoscerlo! Mi hai davvero sorpreso, vecchio mio! Questa
proprio non me la sarei mai aspettata da Te! Ma complimenti per aver
battuto l'Inferno nella gara a chi è più crudele! Complimenti
davvero! -
Il
demone si esibì nella parodia irriverente di un applauso. A quel
punto, si sarebbe aspettato di essere colpito da una saetta, di
ricevere un segno qualunque dell'ira dell'Onnipotente dinanzi a
quella provocazione, invece non accadde nulla, e quel nulla fu quasi
peggio che essere folgorato sul posto.
Crawly
si lasciò cadere su un masso lì accanto prendendosi la testa tra le
mani.
Naturalmente
sapeva per esperienza personale che i metodi divini potevano, a
volte, rivelarsi un po' drastici, ma quel piano assurdo rasentava il
delirio di un pazzo omicida! Era dunque quella la tanto declamata
Giustizia Divina? Se tu o i tuoi simili vi comportate male, allora
tutta la razza umana (ok, la razza umana locale) merita
l'annegamento?
Se
essere un angelo comportava appoggiare una tale follia, allora Crawly
era felice di non esserlo più. Quantomeno, poteva dirsi apertamente
contrario a quel disegno vaneggiante; un privilegio che ad Aziraphale
non era concesso, nonostante la sua opinione discordante fosse
piuttosto palese.
Il
filo dei suoi pensieri venne interrotto da un movimento poco distante
che il demone colse con la coda dell'occhio.
Alzò
il capo e incrociò due occhioni neri che lo scrutavano con un misto
di timore e curiosità. Essi appartenevano ad una bambina che, valutò
Crawly, non poteva avere più di sei o sette anni. Era molto graziosa
e teneva in braccio un cagnolino dal folto pelo marroncino.
-
Si può sapere che cos'hai da guardare, ragazzina? -
Per
la seconda volta nel giro di pochi minuti, le parole sfuggirono dalle
sue labbra più rudi di quanto intendesse.
La
bambina si ritrasse un poco e Crawly sospirò profondamente, cercando
di controllarsi.
Non
ce l'aveva con quella bimba, ovvio. L'unico destinatario del suo
astio in quel momento era Dio, che però sembrava troppo occupato a
organizzare la Sua tempesta killer nell'alto dei Cieli per curarsi di
lui.
Sfoderò
quello che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere un sorriso
rassicurante.
-
Scusa, non volevo spaventarti. È solo che sono un po' arrabbiato
con, ehm... una persona. -
La
piccola lo studiò diffidente, indecisa se filarsela il più lontano
possibile da quello sconosciuto dai lunghi capelli color delle fiamme
o avvicinarglisi.
-
Ehm, ti serve qualcosa? - domandò il demone, incerto su come
comportarsi.
-
Da che parte è l'arca del signor Noè? - chiese lei con una vocina
sottile ma decisa.
Crawly
alzò un sopracciglio e le indicò un punto indistinto alle sue
spalle.
La
bambina annuì sia per dimostrare che aveva capito sia per
ringraziarlo dell'informazione e s'incamminò dritta per la strada
che lui le aveva mostrato, il passo svelto e risoluto.
-
Ehi, aspetta! - la chiamò Crawly, alzandosi in piedi e
raggiungendola.
La
bimba si arrestò e gli piantò addosso uno sguardo sospettosamente
interrogativo.
-
Dove sono i tuoi genitori? -
Lei
rimase in silenzio ma abbassò gli occhi a terra mestamente.
-
Oh. - fece Crawly, dandosi dell'idiota per non aver capito subito che
la piccola fosse un'orfana. Avrebbe dovuto intuirlo dall'eccessiva
magrezza, dalle vesti lacere e dalla polvere che la ricopriva da capo
a piedi. Inoltre quella diffidenza, quella cautela mista a coraggio e
fierezza denotavano che ella, nonostante la giovanissima età, fosse
già abituata a badare a se stessa.
Nel
frattempo, la fanciulla aveva ripreso a camminare rapida verso
l'imponente battello.
Crawly
le corse dietro e l'affiancò, adeguandosi al suo passo. - Perché
vuoi andare all'arca? -
Lei
gli rispose senza staccare gli occhi dall'orizzonte. - Hanno detto di
portare gli animali e io ho Toto* -
Il
demone immaginò che si stesse riferendo allo scodinzolante sacco di
pulci che reggeva tra le braccine.
-
E perché vorresti farlo salire sull'arca? - chiese Crawly,
inspiegabilmente affascinato da quella bambina.
-
Perché Toto è un maschio e magari lì ci sarà qualcuno con una
compagna per lui, così non sarà più solo. Avrà una famiglia. -
Suo
malgrado, il demone si sentì assalire da un fastidioso moto di
compassione e tenerezza per quella piccola umana.
-
E tu? - indagò. - Che farai dopo che Toto sarà partito? -
Solo
allora la bambina si fermò per voltarsi verso Crawly.
-
Io andrò con lui. - rispose, come se fosse la cosa più naturale del
mondo e la domanda che lui le aveva posto suonasse oltremodo stupida.
-
Ehm... -
Crawly
fece per obiettare, ricordando alla bimba che solo a Noè e ai membri
della sua famiglia sarebbe stato permesso di salire a bordo, ma
qualcosa nel suo sguardo determinato lo indusse a tacere.
Forse
il suo cagnolino si sarebbe salvato, ma quella bambina innocente e
del tutto ignara del funesto destino che l'attendeva, sarebbe presto
annegata.
Quella
consapevolezza lo trafisse come una stilettata e, a un tratto, Crawly
prese una decisione: l'avrebbe tratta in salvo. Se non poteva fare
nulla per impedire che il discutibile piano divino si compisse,
almeno avrebbe provato a salvare quell'unica giovane vita,
sottraendola al fato che Dio aveva decretato per lei. Si sarebbe
preso quella rivincita, anche se minima. Strappando alla morte quella
bambina, avrebbe espresso all'Onnipotente tutto il suo dissenso,
sarebbe valso come un atto dimostrativo.
Mentre
le camminava a fianco, il suo cervello iniziò ad elaborare un piano
per farla salire di nascosto sull'arca. Forse c'era una possibilità,
ma avrebbe avuto bisogno di aiuto...
Quando
arrivarono in vista della folla radunata attorno al battello, Crawly
fu sollevato di scorgere Aziraphale tra i presenti. Temeva che
l'angelo se ne fosse andato per evitare di assistere agli eventi
drammatici che sarebbero seguiti di lì a poco, invece sembrava che
intendesse restare a fianco di quegli umani sventurati fino alla
fine, pur sapendo di non poter fare nulla per loro.
Un
mezzo sorriso si disegnò sulle labbra del demone: quell'angelo gli
era piaciuto fin dall'inizio ed era felice che quella prima positiva
impressione venisse ora confermata.
Prima
che i due arrivassero troppo vicino alla calca, Crawly allungò un
braccio per fermare la bambina, poi le si inginocchiò di fronte e la
prese per le spalle, rivolgendole un'occhiata seria.
-
Ascoltami bene, non ti permetteranno di salire a bordo. È concesso
solo a Noè e alla sua famiglia. Vedi quei due grossi uomini con le
lance? Sono guardie che hanno il compito di assicurarsi che nessuno
salga sull'arca. -
La
piccola umana gli restituì uno sguardo allarmato. - Ma... ma io devo
andare. Non posso lasciare Toto! -
Crawly
annuì. - Lo so. Ascolta, credo di riuscire a farti imbarcare senza
che nessuno se ne accorga, ma mi servirà l'aiuto di un, ehm... una
specie di amico. Andiamo a parlarci, ti va? -
La
bimba annuì vigorosamente e Crawly le sorrise. - Bene, allora. Vieni
con me. -
Le
tese una mano e la piccola l'afferrò, non senza una lieve
esitazione, e si lasciò condurre tra la moltitudine di persone, fino
a quando non furono arrivati in prossimità di un uomo biondo vestito
di bianco e con gli occhi chiari che si guardava intorno con aria
sconfortata.
-
Aziraphale! - gridò Crawly, levando un braccio per attirare
l'attenzione dell'angelo che, in effetti, lo riconobbe subito e gli
si fece incontro.
-
Crawly, che ci fai ancora qui? Tra poco si scatenerà il caos! -
-
Potrei farti la stessa domanda, angelo. E comunque devo chiederti un
favore. -
Aziraphale
alzò gli occhi con espressione stanca. - Te l'ho già detto, non
posso fare niente per fermare la tempesta. -
-
Non è per questo che sono qui. - ribatté il demone. - Devi fare una
cosa per me, e per lei. -
Crawly
abbassò lo sguardo e solo allora Aziraphale notò la bambina che
stringeva la sua mano.
-
Crawly, ma che cosa... -
Il
demone abbassò la voce e si accostò all'angelo con atteggiamento
confabulatorio. - Intendo farla salire su quella dannata barca, costi
quel che costi. Una vita innocente risparmiata, la salvezza di
un'unica piccola umana senza colpe. Ti chiedo solo questo. -
-
Lo sai che ci sono guardie armate per evitare che i non autorizzati
mettano piede sull'arca. - obiettò Aziraphale.
-
Ecco perché mi serve il tuo aiuto. - replicò Crawly. - Tu creerai
un diversivo e distrarrai quegli energumeni mentre io farò salire la
bambina di nascosto. Sarà facile, non sembrano molto svegli. -
-
Ma Crawly, io... -
Aziraphale
stava per opporsi fermamente alla richiesta, poi commise l'errore
fatale di guardare in basso, verso la piccola. Incrociò quei grandi
occhi neri e profondi, colmi di domande, di suppliche, di aspettativa
e sentì le proprie resistenze sciogliersi come neve al sole. In
fondo, si trattava di una povera creatura che certamente non meritava
l'amaro castigo che l'Onnipotente stava per infliggere.
Emise
un sospiro rassegnato e, prima ancora che potesse comprendere la
portata delle sue parole, udì se stesso acconsentire.
-
Va bene, Crawly. Tu va', portala al sicuro. Mi occupo io delle
guardie. -
Il
sorriso luminoso con il quale lo ricompensò il demone gli fece
provare un bizzarro fremito lungo la schiena, dopodiché si fece
largo tra la folla per raggiungere le guardie, che lo osservarono con
piglio severo e circospetto.
-
Da qui non si passa. - decretò solennemente uno dei due uomini.
-
Oh, lo so. - fece Aziraphale, alzando le mani in segno di resa. - Ma
io sono solo venuto a dare un'occhiatina. Sapete, sono un
appassionato di ingegneria nautica e mi sarebbe piaciuto poter vedere
questo gioiellino con i miei occhi. Certo che è fatto davvero molto
bene, non trovate? È la barca più grande che abbia mai visto! Voi
ne avete mai viste di più grandi? -
-
Sparisci. - gli intimò l'altra guardia. - Abbiamo un compito da
svolgere e tu ci stai disturbando. -
-
Disturbando? - esclamò Aziraphale, portandosi teatralmente una mano
al petto. - Oh, ma io non avevo nessunissima intenzione di
distogliervi dal vostro dovere, anzi mi piacerebbe saperne di più.
Come mai state sorvegliando l'arca? Perché nessuno può salire? Vi
pagano molto per stare qui ad allontanare i curiosi? -
L'angelo
straparlò a raffica finché, con la coda dell'occhio, non vide
Crawly e la bambina sgattaiolare oltre il presidio e sparire dietro
lo scafo dell'enorme imbarcazione. Missione compiuta, e appena in
tempo dato che la pazienza delle guardie si stava esaurendo.
Aziraphale
decise di porre fine a quella farsa. - Ehm, sapete che vi dico, cari
signori? Ora me ne vado e vi lascio lavorare in pace, eh? -
Indietreggiò
di qualche passo sorridendo giovialmente ai due energumeni, poi si
dileguò tra la folla, confondendosi in mezzo alla gente.
“E
bravo l'angelo” pensò Crawly con un sogghigno mentre conduceva
furtivamente la bimba oltre le guardie.
Un
tuono formidabile squarciò la volta violacea del cielo e il demone
sentì le dita della piccola stringersi più forte attorno alle sue.
Toto lanciò un guaito spaventato, fiutando l'aria satura di
elettricità.
-
Sta' buono, Toto. Non è niente. - gli sussurrò la padroncina in un
orecchio, ma Crawly poté cogliere la paura che vibrava nella sua
voce.
Girarono
per un po' attorno all'arca e, finalmente, il demone scovò un
passaggio chiuso da una semplice asse di legno appoggiata allo scafo.
Crawly la scostò e sbirciò all'interno. Si trattava della stiva,
dove era stata già sistemata un'esorbitante quantità di fieno e
provviste di ogni genere. Una botola conduceva sopra coperta.
Il
demone condusse la bambina oltre quel varco, sollevò cautamente la
botola e si accorse di essere finito in una specie di stalla dove una
mucca dall'aria mite riposava placidamente ruminando fieno con aria
beata.
Crawly
fece nascondere bimba e cagnolino in una nicchia lì accanto. Nessuno
li avrebbe notati se non dopo la partenza. Erano tutti troppo
indaffarati a occuparsi degli ultimi preparativi. Noè e la sua
famiglia non avrebbero avuto cuore di gettarla fuori bordo una volta
che la Terra fosse stata sommersa dall'acqua, o almeno lo sperava.
-
Resta qui. Non ti troveranno. - raccomandò alla bambina, la quale si
era rannicchiata con le ginocchia al petto e il cagnolino stretto a
sé come a volerne trarre conforto e, nello stesso tempo, donarne a
lui, altrettanto spaventato.
Lei
annuì ed esibì di nuovo il piglio fiero e caparbio che tanto aveva
colpito il demone.
-
Be', allora buona fortuna, piccola. -
Crawly
fece per andarsene quando si sentì chiamare da quella voce sommessa.
-
Aspetta... -
Il
demone si voltò di tre quarti verso la bimba.
-
Grazie. - sussurrò lei, l'ombra di un sorriso a incresparle le
labbra.
Crawly
annuì piano. - Abbi cura di te, - disse in tono amaro. - perché
puoi star certa che Dio non ne avrà. -
L'espressione
sul volto della piccola si fece perplessa ma il demone si era già
avviato verso il passaggio dal quale erano arrivati, sparendo oltre
la botola.
Quando
si riunì ad Aziraphale, il cielo si era ormai tramutato in un
tripudio di fulmini. I boati dei tuoni si susseguivano quasi
ininterrottamente e i primi goccioloni avevano iniziato a cadere sul
deserto.
La
gente si disperse, correndo alla ricerca di un riparo dalla tempesta.
-
Meglio andarcene da qui. - consigliò l'angelo, più mortificato che
mai.
-
Sì, non sono molto attratto dall'idea di farmi una nuotata. -
convenne Crawly, sarcastico, il viso rabbuiato.
-
Ma prima di salutarci, - riprese Aziraphale. - dimmi, perché hai
voluto salvare quella bambina? -
Il
demone si strinse nelle spalle. - Se vuoi, puoi considerarlo un atto
di disobbedienza civile. Un piccolo dispetto per l'Onnipotente,
diciamo. -
-
Crawly! - fece Aziraphale, scandalizzato.
-
Che c'è? Io sono un demone, non sono vincolato alle Sue leggi
ineffabili. Sono già stato bandito all'Inferno, cos'altro può
farmi? -
-
Vuoi dire che mi hai reso complice del tuo... com'è che l'hai
chiamato? -
-
Atto di disobbedienza civile? - suggerì il demone, serafico.
-
Sì, esattamente! Hai idea di che guai passerei se si venisse a
sapere?! Nel mio caso si tratterebbe di un'insubordinazione bella e
buona! -
Crawly
si accigliò. - Dunque trovi che salvare la vita a una bambina sia
stato sbagliato? Pensi che sarebbe stato più giusto lasciarla
annegare? -
-
Be', io non... -
-
La verità, angelo, è che niente è mai del tutto giusto o del tutto
sbagliato e ciò che tu vedi bianco dalla tua prospettiva, può
diventare nero se visto dalla mia, non trovi? -
Aziraphale
aggrottò la fronte. - Suppongo di sì. - concesse. - Ma la nostra
comprensione è limitata. Non possiamo permetterci di giudicare le
decisioni dell'Onnipotente. Non siamo in grado di vedere il quadro
d'insieme. Forse, anzi, sicuramente, Egli agisce a fin di
bene, anche se non ci è dato sapere per quali vie. -
Crawly
lo trafisse con uno sguardo tanto gelido e penetrante da provocargli
un brivido. - Sai com'è il quadro d'insieme che vedo io, angelo?
Migliaia di corpi senza vita che galleggiano nel mare in cui questa
parte della Terra si trasformerà tra poche ore. Ma se a te sta bene
così... -
Aziraphale
prese fiato per replicare, ma il demone schioccò le dita e svanì
prima che potesse farlo. Che poi, cosa mai avrebbe potuto ribattere a
parole tanto dure che però sapeva essere impietosamente vere?
L'angelo
sospirò di nuovo e lanciò un ultimo sguardo amareggiato verso le
persone in fuga dal temporale.
-
Mi dispiace. - mormorò con un filo di voce. - Mi dispiace tanto. -
dopodiché schioccò a sua volta le dita, scomparendo e lasciandosi
dietro un'unica piccola lacrima che andò a confondersi con la
pioggia.
*Toto
è il nome del cagnolino di Dorothy ne Il Mago di Oz. Sì, in
questo caso, lo sforzo creativo da parte mia è stato praticamente
nullo.
|
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Capitolo 19 *** Killer Queen ***
killer
She’s
a Killer Queen
Gunpowder,
gelatine
Dynamite
with a laser beam
Guaranteed
to blow your mind
Anytime,
ooh
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at the price
Insatiable
an appetite
Wanna
try?
Killer
Queen, Queen, 1974
Parigi,
16 ottobre 1793
-
Crowley! Abbi un po' di rispetto! Quella poveretta è appena morta
sulla ghigliottina. -
-
Dico solo che, da parte sua, non è stata proprio una gran mossa
uscirsene con quella frase. S'ils
n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche*. Ma
andiamo! -
A
dispetto dell'esagitazione che regnava nella capitale francese per la
serie di esecuzioni che stavano avendo luogo in Place de la
Révolution, Aziraphale e Crowley erano riusciti a trovare un
grazioso bistrot (anche se il termine vero e proprio sarebbe stato
coniato solo qualche anno più tardi) i cui proprietari avevano
deciso di proseguire il lavoro piuttosto che abbassare le serrande e
correre in piazza ad assistere al macabro spettacolo della
decapitazione ed esultare ogni volta che la lama della ghigliottina
si abbatteva sibilando sull'ennesimo collo blasonato.
-
Non puoi giudicarla così duramente. - ribatté Aziraphale. - Per
tutta la sua vita è stata una vittima, una pedina inconsapevole
nelle mani della nobiltà. -
Il
demone alzò le spalle. - Se lo dici tu, angelo. - Dopodiché dedicò
tutta la sua attenzione al calice quasi vuoto di Moët & Chandon
davanti a sé, che si affrettò a rabboccare.
Aziraphale
decise che avrebbero fatto meglio a concludere quel discorso prima
che sfociasse in una discussione vera e propria e rovinasse il pranzo
a entrambi. Un clima di tensione non era certo l'ideale per
facilitare i processi digestivi. Del resto, Crowley lo aveva appena
tirato fuori dalla Bastiglia e salvato dal patibolo, dunque gli
pareva piuttosto scortese iniziare un litigio con il suo liberatore
per difendere la memoria di una donna che, tutto considerato, non
aveva mai conosciuto se non per fama.
Si
portò alla bocca l'ultima porzione della sua crêpe e masticò
lentamente per gustarne fino in fondo il delizioso sapore.
L'angelo
si lasciò scappare un mugolio di piacere; ci aveva quasi rimesso la
testa per soddisfare le brame del suo palato, ma le crêpes parigine
non conoscevano eguali in tutto l'universo, doveva riconoscerlo.
-
Lo sai, mi hai davvero sorpreso poco fa. - disse Crowley, incrociando
le braccia e accavallando le lunghe gambe sotto il tavolo.
-
A cosa ti riferisci, caro? - domandò Aziraphale, tamponandosi gli
angoli delle labbra con il tovagliolo in un gesto piuttosto
affettato.
-
Quel tale che avrebbe dovuto decapitarti, quel... Jean-Claude... -
Lasciò
volutamente la frase in sospeso per osservare la reazione di
Aziraphale, il quale si irrigidì all'istante per poi riporre il
quadrato di seta sul tavolo con un lungo sospiro. Aveva un preciso
sospetto riguardo alle intenzioni del demone ma decise comunque di
provare a fare lo gnorri.
-
Temo di non capire, Crowley. Potresti essere più specifico? -
Le
labbra dell'altro si stirarono in un sorrisetto scaltro. - Niente
giochetti, angelo. Sai perfettamente a cosa mi riferisco. -
Aziraphale
tentò di mimare l'espressione più innocente e confusa che gli
riuscisse ma, a giudicare dallo sfavillio malizioso che balenò da
sotto le lenti scure che celavano gli occhi di Crowley, il risultato
non doveva essere stato dei migliori.
-
Non trovi che sia stato un po' crudele da parte tua? - riprese il
demone. - Scambiare i tuoi vestiti con i suoi e lasciare che quel
poveraccio venisse trascinato sul patibolo e decapitato al posto tuo.
Onestamente, non me lo sarei mai aspettato da te. -
Era
fin troppo ovvio che quella provocazione non contenesse la benché
minima traccia di pietà o dispiacere per la triste sorte toccata al
povero monsieur Jean-Claude. Crowley intendeva solo stuzzicare
Aziraphale per il gusto di scoprire come egli intendesse giustificare
la sua azione assai poco angelica.
L'altro
si portò il proprio calice alle labbra e sorseggiò lentamente il
vino per guadagnare tempo mentre il suo cervello lavorava frenetico
alla ricerca di una possibile spiegazione che legittimasse il suo
gesto tutt'altro che lusinghiero.
Alla
fine posò il bicchiere e inspirò profondamente prima di parlare. -
Quell'uomo era un boia, Crowley, un carnefice senza scrupoli che
provava piacere nel togliere la vita. Ha orgogliosamente ammesso di
aver giustiziato sulla ghigliottina ben novecentonovantotto persone,
io sarei stato il novecentonovantanovesimo, e chissà quanti altri
sarebbero morti per mano sua in futuro. -
Il
demone inclinò leggermente la testa di lato, come se stesse
studiando un fenomeno naturale particolarmente affascinante.
Aziraphale si sentì spoglio di ogni difesa sotto il suo sguardo
penetrante e indagatore ma fece ugualmente del suo meglio per
mantenere una certa noncuranza.
-
Interessssante. - commentò Crowley, facendo sibilare sonoramente la
S. - Dunque stai suggerendo che il tuo sia stato un gesto di
misericordia per le ipotetiche vittime future? O piuttosto di
punizione verso il boia e i suoi peccati? -
L'angelo
iniziò ad agitarsi sulla sedia e si sentì avvampare, maledicendo
sia la sua incapacità di nascondere le emozioni che la maestria del
demone nel metterlo in difficoltà, toccando sempre i tasti giusti. -
Io... suppongo che la si possa vedere in entrambi i modi. -
Il
ghigno di Crowley si fece più marcato. - Sai invece cosa penso io,
angelo? -
Aziraphale
deglutì e strinse istintivamente le dita attorno alle posate
d'argento. Qualunque cosa stesse per uscire dalla bocca di Crowley,
aveva idea che non gli avrebbe fatto piacere.
-
Io penso, - cominciò il demone, senza fretta. - che, nel profondo,
dietro quei tuoi occhioni innocenti, il sorriso bonario e
l'espressione serafica, tu sia un piccolo bastardo perfettamente in
grado di mandare qualcuno a morire senza battere ciglio per poi
andare a farsi una scorpacciata di crêpes come se niente fosse. -
Aziraphale
abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. Non poteva negare la
verità delle parole di Crowley né fornire una spiegazione che lo
discolpasse, dato che non ve n'era alcuna.
Che
gli piacesse o no, l'amico aveva ragione. Si era appena macchiato di
un crimine ignobile per un angelo. La cosa peggiore era che non ci
aveva neanche pensato. Aveva agito d'impulso senza prendere in
considerazione il peso della colpa che avrebbe finito per gravare
sulle proprie spalle, senza curarsi del fatto che, seppure
indirettamente, quello fosse in tutto e per tutto un omicidio.
E
forse quell'umano, per quanto sadico e malvagio potesse essere, aveva
una famiglia. Forse una donna era appena rimasta vedova e dei figli
incolpevoli si erano ritrovati orfani di padre a causa sua.
All'improvviso,
il piattino di macarons dai delicati colori pastello che ammiccava
verso di lui dall'altro lato del tavolo perse ogni attrattiva, così
come il richiamo del vino spumeggiante nel bicchiere di cristallo.
-
Che cosa ho fatto? - sussurrò Aziraphale con un filo di voce
strozzata. - Oh, Dio Onnipotente, che cosa ho mai fatto? Sono un
mostro! -
Crowley
vide le lacrime affacciarsi agli occhi dell'angelo e avvertì una
fitta di disagio. Non aveva intenzione di arrivare a sconvolgerlo
fino a quel punto. E che diamine! Voleva solo spassarsela un po' e
punzecchiarlo come faceva di solito, non certo turbarlo in quel modo!
Evidentemente doveva essersi spinto un po' troppo oltre.
Una
sgradevole sensazione gli arpionò la bocca dello stomaco. Si
divertiva sempre un mondo a provocare scherzosamente Aziraphale, ma
non poteva sopportare di vederlo sull'orlo del pianto per colpa sua e
della sua indole dispettosa. Davvero non poteva. Avrebbe dovuto
inventarsi qualcosa per rimediare e subito.
-
Ehm, senti, angelo... - cominciò con voce incerta e venata
d'imbarazzo. - Io, non... non intendevo dire... Insomma, forse ho un
po' esagerato, ecco. -
Aziraphale
scosse la testa senza alzare lo sguardo. - No, Crowley. Hai ragione.
Mi sono comportato in maniera spregevole, specialmente per un angelo.
Sono stato un vero bastardo. E dire che io dovrei far parte dei
buoni! Bell'esempio di carità che ho dato! -
Crowley
si stupì di quanto lo sconvolgimento dell'amico lo toccasse nel
profondo. Non voleva vederlo in quello stato, non voleva sentire
dalle sue labbra quei giudizi spietati verso se stesso. Se avesse
potuto, avrebbe chiuso con forza gli occhi e si sarebbe coperto le
orecchie per non dover assistere a quell'increscioso spettacolo di
cui, lo sapeva, egli era il solo ed unico responsabile.
“Stupido
serpente.” si rimproverò tra sé. “Mai che ti morda quella tua
linguaccia biforcuta, eh? Guarda che bel casino hai combinato.”
Il
labbro inferiore dell'angelo iniziò a tremolare e, a quel punto, il
demone si alzò, fece un mezzo giro intorno al tavolo e raggiunse
l'amico, torreggiando su di lui.
Esitò
un istante, poi allungò una mano e gli premette le dita sotto il mento
con estrema dolcezza, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-
Sì, forse un po' bastardo lo sei. - disse in tono serio. - Ma, se
vuoi proprio saperlo, la cosa non mi dispiace neanche un po', semmai
il contrario. -
-
Come? - Sul volto di Aziraphale si disegnò un'espressione smarrita,
accentuata dall'inaspettato tocco della mano del demone sulla sua
pelle, fermo ma gentile.
Crowley
sorrise. Non il solito ghigno beffardo e derisorio che gli riservava
ogni volta. Si trattava piuttosto di un sorriso infinitamente dolce
che non ci si aspetterebbe mai di poter trovare sulla bocca di un
demone infernale; un sorriso di quelli colmi di calore e affetto che
riescono a scaldare anche il cuore più gelido o, in quel caso
specifico, più inquieto e traboccante di sensi di colpa.
-
Non devi vergognarti per quello che hai fatto, angelo. Spetta
all'Onnipotente stabilire se si sia trattato di un'azione giusta o
meno. Non devi farti carico tu di questa responsabilità e poi, come
hai detto, quel tizio aveva le mani sporche del sangue di chissà
quanti innocenti. Onestamente, non credo sia stata una gran perdita
per l'umanità. -
-
S... sì, ma ho pur sempre ucciso una persona, Crowley. -
Il
demone interruppe il contatto delle proprie dita con il viso
dell'angelo e si portò le mani ai fianchi, ridacchiando. - Se è per
questo, Aziraphale, i tuoi colleghi dalle ali bianche hanno fatto di
molto peggio nel corso dei secoli. Ti dicono niente Sodoma e Gomorra?
E vogliamo parlare di quella volta che al Gran Capo nell'Alto dei
Cieli sono girate le palle tanto da decidere di annegare l'umanità
intera? Dammi retta: non hai proprio niente da rimproverarti. E poi,
un po' di bastardaggine mi piace in un angelo. -
Gli
fece l'occhiolino con aria furba e riuscì perfino a strappare un
tiepido sorriso ad Aziraphale, un po' rincuorato dalle sue
rassicurazioni.
-
Bene! - fece il demone, riappropriandosi dei suoi soliti modi
spavaldi. - E adesso che ne diresti di tornare in Inghilterra? Questo
clima rivoluzionario è così melodrammatico! -
L'altro
annuì. - Be', ero venuto in Francia per mangiare una crêpe in
solitudine, ma sono felice che tu mi abbia fatto compagnia, Crowley.
Anzi, a dire il vero è stato piacevole, dovremmo farlo più spesso,
non credi? Andare a pranzo insieme, intendo. -
Il
demone inarcò un sopracciglio e il sogghigno ironico tornò al suo
posto. - Certo! Ma magari la prossima volta evitiamo la parte in cui
devo correre a salvarti le chiappe. Che ne dici? -
Aziraphale
arrossì ma scelse di ignorare la frecciatina. Non era il caso di
rivangare l'umiliante accaduto.
-
Allora siamo d'accordo. - decretò. - La prossima volta sarai tu a
dovermi invitare... e a dover pagare il conto, è chiaro. Lo farai?
Promesso? -
Crowley
alzò solennemente la mano sinistra e si portò la destra all'altezza
del petto. - Lo giuro, angelo. E che io possa essere dannato se
non dovessi tenere fede alla mia parola. -
Aziraphale
scoppiò a ridere e quel suono argentino parve a Crowley il più
soave del mondo.
Per
la cronaca, sarebbero dovuti passare ben duecentoquattordici anni
prima che il demone si decidesse a onorare il proprio giuramento.
Meglio tardi che mai.
*
“Se non hanno più pane, che mangino brioche.” Frase
tradizionalmente attribuita a Maria Antonietta di Francia,
giustiziata sulla ghigliottina il 16 ottobre 1793.
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Capitolo 20 *** Back chat ***
backchat
Don’t
push your luck
I’m
ready to attack
Cos
when I’m trying to talk to you
All
you do is just talk back
You
stand so tall, you don’t frighten me at all
Don’t
talk back, don’t talk back, don’t talk back
Just
leave me alone
Back
chat, Queen, 1982
Erano
ormai tre mesi che Crowley e Aziraphale si erano infiltrati a casa
Dowling come Tata Ashtoreth e Fratello Francis per mettere in atto il
loro piano di “educazione condivisa” dell'Anticristo.
Il
personale di servizio aveva rinunciato già da tempo all'idea di
farseli amici. Certo, il giardiniere era gentile e affabile con
tutti, a differenza della tata che invece sembrava possedere una
sorta di aura malefica che induceva chiunque a non avvicinarsi troppo
a lei. Eppure entrambi emanavano un non-so-ché che scoraggiava
chiunque intendesse dar loro confidenza, come un muro di vetro
invisibile e impalpabile. In qualche modo inspiegabile a parole, loro
erano diversi.
Ma
ciò non impediva che il folto gruppo di dipendenti dei Dowling si
interrogasse su quegli eccentrici personaggi, al contrario! Da quando
erano arrivati, ci si divertiva a imbastire le teorie più svariate
su chi fossero e da dove venissero. L'argomento preferito dei
pettegoli però riguardava il tipo di rapporto che intercorreva tra
quei due.
All'inizio
nessuno ci aveva badato, ma col trascorrere del tempo, le cameriere
più attente e con il fiuto più sviluppato per i pettegolezzi,
avevano appurato che la tata e il giardiniere si scambiavano
inequivocabili sguardi complici ogni volta che le loro strade si
incrociavano. La missione in cui i più impiccioni della casa si
erano lanciati aveva come obiettivo scoprire il significato di quegli
scambi, discreti ma non abbastanza da sfuggire ai loro occhi di
falco, e capire se davvero la tata inquietante se la intendesse con
il giardiniere bonaccione.
Un
assolato pomeriggio di fine primavera, Warlock pregò Tata Ashtoreth
di accompagnarlo in giardino per cacciare lucertole.
-
Mi sembra un'ottima idea, caro. - aveva approvato Crowley. - E magari
potresti divertirti a strappargli le code, che ne dici? -
Il
visetto del bambino si era illuminato di un diabolico entusiasmo a
quella proposta e presto lui e la tata si ritrovarono all'aria aperta
nel centro del grande parco della proprietà.
Le
malcapitate bestioline si dibattevano nel retino che Warlock usava
per catturarle, imprigionandole poi in una scatola da scarpe dove si
divertiva a infastidirle e tormentarle nei modi più fantasiosi che
gli venissero in mente.
Crowley
si era seduto su una panchina e lo osservava distrattamente,
sorridendo tra sé. Quel mocciosetto aveva chiaramente un talento
innato per le azioni malvagie. E come avrebbe potuto essere
altrimenti considerando la linea paterna dalla quale discendeva?
D'altro
canto, era convinto che la sua influenza demoniaca stesse giocando un
ruolo fondamentale e i suoi sforzi erano ampiamente ripagati ogni
volta che il piccolo Warlock dava prova di eccellente cattiveria e
perfidia ai danni, in genere, di piccoli animali ma, a volte, anche
di sventurati esseri umani (in primis, quel tapino dell'insegnante di
matematica che subiva le sue angherie a testa bassa per paura di
essere licenziato).
Ma
l'autocompiacimento del demone venne interrotto dal sopraggiungere di
una figura cicciottella armata di annaffiatoio e con un fascio di
rose rosse sottobraccio. Aziraphale, in quel contesto meglio
conosciuto come Fratello Francis, rivolse un saluto gioviale a
Warlock, al quale il bambino non rispose, troppo occupato a
rincorrere e braccare l'ennesima lucertolina terrorizzata, dopodiché
individuò Crowley seduto sulla panchina e gli si avvicinò.
-
Buongiorno, madame. - disse, toccandosi la tesa del cappello
di paglia.
-
Buongiorno. - rispose svogliatamente la tata.
-
Posso sedermi? - domandò Aziraphale indicando la parte di panchina
vuota accanto a Crowley, il quale gli fece sbrigativamente cenno di
accomodarsi.
-
Bellissima giornata, non è vero? - buttò lì il giardiniere, il
tono della voce un po' troppo alto per risultare credibile.
-
Puoi anche smetterla con la commedia, angelo. Non c'è nessuno qui a
parte noi e il ragazzino. - bisbigliò Crowley.
-
Sì, a proposito, - cominciò Aziraphale, sussurrando a sua volta. -
mi spieghi che tipo di gioco starebbe facendo con quelle povere
creaturine? -
-
Si chiama “strappacoda”. - sogghignò Crowley. - Gliel'ho
suggerito io. -
-
Mi sembra orribile. - commentò l'angelo lanciando un'occhiata di
disapprovazione alla volta del bambino.
-
Certo che lo è. - ribatté tranquillamente l'altro. - Se non lo
fosse, non starei facendo bene il mio dovere, non credi? -
Aziraphale
tacque ma continuò a osservare il sadico divertimento di Warlock con
una smorfia di disappunto.
-
Eppure gli avevo raccomandato di amare e rispettare ogni essere
vivente, grande o piccolo. -
Crowley
staccò gli occhi dal bambino e li posò su di lui. - Che non ti
venga in mente di intervenire con una delle tue stucchevoli prediche
sull'amore e la gentilezza. Eravamo d'accordo di non intralciarci e
questa parte della giornata spetta a me e all'educazione diabolica. -
-
Sì, - ammise Aziraphale. - ma siete nel giardino e questo è il mio,
ehm... terreno d'insegnamento. È qui che il ragazzo viene da me per
imparare la bontà e la virtù. Quindi, come vedi, siamo in stallo. -
Gli
occhi di Crowley lampeggiarono minacciosamente sotto le lenti. - Non
ci provare, angelo. Domani potrai imbottirlo di nozioni celestiali
quanto ti pare, ma ora lasciami fare il mio lavoro. E poi non avrebbe
senso confondergli ancora di più le idee. -
-
Sì, almeno su questo credo tu abbia ragione. - concesse l'altro,
arrendendosi. - Allora sarà meglio che me ne vada, non sono a mio
agio ad assistere a certi spettacoli crudeli senza fare nulla. -
Aziraphale
si alzò dalla panchina, recuperò da terra l'annaffiatoio e i fiori
e, prima di andarsene, estrasse una rosa dal mazzo e la porse a
Crowley con un breve inchino galante.
-
Le auguro una buona giornata, madame. -
Il
demone sbuffò ma accettò comunque il fiore, rigirandoselo
pigramente tra le dita evitando le spine. All'angelo piaceva calarsi
nella parte del gentiluomo d'altri tempi e non perdeva mai occasione
per esibirsi in qualche gesto cavalleresco nei suoi confronti anche
se, spesso, Crowley si chiedeva se quella sceneggiata non fosse
piuttosto un modo per burlarsi sottilmente di lui e della sua
identità di copertura.
Nessuno
dei due si era però accorto del vigile sguardo di Warlock che aveva
seguito con interesse tutta la scena, culminata nell'offerta di
quella rosa vermiglia che dalla mano del giardiniere era passata in
quelle della tata.
Dall'alto
della sua settennale esperienza di vita, il bambino sapeva bene che
quando un maschio regala un fiore a una femmina è perché ne è
innamorato e, se lei accetta, significa che ricambia i suoi
sentimenti, e allora ecco che i due sono fidanzati e forse si
sposeranno per vivere felici e contenti e fare quelle altre cose
delle quali gli adulti si rifiutavano sempre di parlargli,
assicurandogli che avrebbe capito tutto quando fosse diventato più
grande.
Quella
sera, a cena, Warlock raccontò a sua madre Harriet di come avesse
trascorso il pomeriggio cacciando lucertole in giardino e non mancò
di menzionare l'episodio in cui Fratello Francis aveva fatto dono di
una rosa rossa a Tata Ashtoreth, forse esagerando qualche dettaglio
qua e là.
L'informazione
raggiunse le orecchie attente della cameriera che stava servendo loro
le portate, la quale puntualmente riferì la notizia succosa in
cucina.
-
Lo dicevo io! - esultò la cuoca, brandendo un cucchiaio di legno in
aria in segno di trionfo. - Ho capito subito che quei due non ce la
raccontavano giusta. E infatti... -
-
Hai capito il giardiniere! - rise un giovane lavapiatti. - Fa tanto
il santerellino e poi va con una donnaccia come quella. Non riesco a
immaginarmi una coppia peggio assortita. -
-
Al cuor non si comanda. - ribatté una giovane apprendista cuoca con
aria sognante. - Non puoi decidere di chi ti innamorerai e se tra
loro le cose funzionano e sono felici, tanto meglio! -
-
Pensate che si incontrino di nascosto durante la notte? -
-
Io ne sono sicura! - asserì la cuoca. - Magari hanno un posto
segreto qui in casa o forse direttamente in giardino. -
-
Certo che la tata non sembra proprio il tipo di donna di cui ci si
potrebbe innamorare. Fratello Francis deve avere dei gusti un po'
strani riguardo al genere femminile. -
-
Forse hanno una di quelle relazioni perverse, tipo sadomaso. -
intervenne l'apprendista. - Può darsi che lei indossi corsetti di
pelle, calze a rete e lo picchi con un frustino o roba del genere e
che a lui piaccia così. -
-
Hai ragione! - diede manforte il lavapiatti. - E probabilmente usano
anche le manette! E forse perfino le corde e le bende per gli occhi!
C'è gente che lo fa, l'ho visto in un film. -
-
Ma siamo sicuri che una donna del genere possa fare la tata? -
osservò la cameriera con una certa preoccupazione. - Dovremmo
avvertire la signora Dowling? -
-
Non possiamo, senza prove. - obiettò la cuoca. - Dobbiamo prima
esserne certi. -
L'altra
annuì vigorosamente. - Allora sarà meglio tenerli d'occhio. -
La
mattina seguente, il pettegolezzo a proposito di una sospetta
relazione tra Fratello Francis e Tata Ashtoreth aveva raggiunto tutto
il personale di casa Dowling e, come sempre accade, man mano che
passava di bocca in bocca era stato infarcito di dettagli morbosi
nati dalla galoppante fantasia di quei chiacchieroni impertinenti.
Ma
i due protagonisti della storia in questione erano ovviamente ignari
di tutto ciò e così, quando Crowley incrociò un trio di giovani
cameriere lungo un corridoio intente a confabulare tra loro non fece
caso più di tanto al fatto che queste si azzittirono improvvisamente
al suo passaggio per poi tornare a bisbigliare e ridacchiare.
Allo
stesso modo, Aziraphale non capì perché il custode della villa
avesse ammiccato verso di lui con aria furba e gli si fosse rivolto
chiamandolo “diavolaccio d'un Don Giovanni”.
In
effetti, sguardi sfacciati e insistenti seguirono Aziraphale e
Crowley ovunque andassero per tutta la giornata.
Lo
stesso copione si ripeté il giorno successivo e, quando l'angelo e il demone si
incontrarono alla libreria quella notte, Aziraphale diede voce alle
sue perplessità.
-
Hai notato che tutti si comportano in modo un po' strano in questi
giorni? -
Crowley,
che si stava avvicinando alle labbra un bicchiere di vino, alzò lo
sguardo sull'amico. - Ti riferisci al fatto che spettegolano su Tata
Ashtoreth e Fratello Francis perché pensano che abbiano una tresca
segreta? -
Sul
volto di Aziraphale balenò un lampo di comprensione. - Oh! Pensi che
sia quello il motivo? -
Crowley
sollevò gli occhi al soffitto senza riuscire a trattenersi. Certe
volte, l'ingenuità dell'angelo era quasi esasperante.
-
Ma certo che è per quello! Sperano di trovare qualche conferma dei
loro sospetti tenendoci d'occhio, si credono tanto furbi. -
Aziraphale
aggrottò la fronte. - Ma perché dovrebbe interessargli? -
Crowley
alzò le spalle. - Sai come sono gli umani: dei tremendi ficcanaso.
Specialmente quelli che hanno bisogno di impicciarsi della vita
altrui per rendere più interessante la propria. -
-
E quindi in casa Dowling si crede che io e te, insomma, che il
giardiniere e la tata... -
-
… abbiano un relazione amorosa. - concluse Crowley per lui. - Una
liaison, un affaire, un flirt, chiamalo come
vuoi. -
-
Oh, cielo. - fece Aziraphale, arrossendo suo malgrado.
-
Sono solo un branco di ciarloni dalle linguacce affilate, non
m'importa di quello che pensano o dicono. - mise in chiaro Crowley,
enfatizzando quelle parole con un gesto secco della mano. - Tuttavia
ho origliato una conversazione tra due cameriere e pare che domani
sera intendano seguirci di nascosto dopo l'orario di lavoro per
vedere se Fratello Francis abbia davvero una storia con la tata.
Questo potrebbe darci dei problemi. Quegli idioti rischiano
seriamente di danneggiare il nostro piano e far saltare la copertura.
-
-
Dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo permettere che succeda una cosa
simile. La posta in gioco è troppo alta. - disse Aziraphale,
preoccupato.
-
Be'... - esordì Crowley con un sorrisetto storto. - Se vogliono
qualcosa di succulento di cui sparlare, perché non darglielo? -
L'angelo
conosceva fin troppo bene quel ghigno. - Cos'hai in mente? -
Entro
l'indomani, Crowley e Aziraphale avevano messo a punto la loro
strategia anti-pettegoli.
Durante
il giorno, disseminarono indizi in maniera apparentemente casuale
riguardanti un appuntamento romantico che avrebbe avuto luogo quella
notte, a mezzanotte esatta, nel giardino della tenuta, vicino alla
fontana degli amorini.
Naturalmente,
già all'ora di pranzo l'indiscrezione si era diffusa tra tutti i
membri del personale di servizio, percorsi da una specie di
fibrillazione all'idea di avere un'occasione d'oro per cogliere sul
fatto i due presunti amanti. Qualcuno avrebbe dovuto seguirli con
discrezione e dare una sbirciatina, magari attraverso i rami di un
cespuglio, per poi tornare alla villa e riferire ciò che aveva
visto, senza tralasciare i particolari scottanti, ovvio!
Venne
stabilito che fossero la cuoca e una cameriera ad occuparsi
dell'operazione di spionaggio. Si sarebbero appostate nei dintorni
della fontana e avrebbero atteso l'arrivo dei piccioncini.
Mancavano
venti minuti alla mezzanotte e le due donne avevano già preso
posizione, acquattate tra la vegetazione ma con un'ottima visuale
sulla fontana. La cuoca, veterana di quel genere di missioni, si era
perfino munita di binocolo.
Aspettavano
con trepidazione l'arrivo del giardiniere e della tata, brucianti di
quella curiosità ossessiva che sempre anima i cuori di chi ama il
pettegolezzo e lo scandalo.
Ciò
che non sapevano, era che Aziraphale e Crowley fossero già presenti
sul posto, appollaiati al sicuro tra i rami di una quercia frondosa.
Alle
dodici in punto, il demone sorrise furbescamente all'amico. - Inizia
lo spettacolo. -
Crowley
schioccò le dita e l'acqua zampillante della fontana si tramutò in
un liquido cremisi che assomigliava orrendamente a sangue vivo,
mentre i due angioletti scolpiti nella pietra presero vita, mutando
in due brutti sgorbi dagli occhi di fiamme che iniziarono a guardarsi
intorno come per cercare qualcosa, qualcuno.
Cuoca
e cameriera non potevano credere a ciò che stavano vedendo ma questo
non impedì loro di restare paralizzate dal terrore.
I
due paia di occhi fiammeggianti si fermarono quando intercettarono il
punto esatto dove si trovavano le due donne e tutto divenne ancora
più terrificante e assurdo perché le statue iniziarono a parlare
all'unisono con una voce cavernosa e ieratica, come se provenisse
direttamente dagli inferi.
-
Stupide umane che avete osato immischiarvi in ciò che non potete
comprendere! Se intendete preservare le vostre misere vite mortali
non proverete mai più ad impicciarvi degli affari altrui. E
assicuratevi che questo avvertimento giunga anche agli altri
scarafaggi che vi attendono accucciati nell'ombra. Se vi azzarderete
a disubbidire a questi ordini, la collera dell'Inferno si abbatterà
su di voi! -
Dall'alto
del loro nascondiglio tra le fronde, Crowley e Aziraphale scorsero le
due fuggire a gambe levate verso la casa, urlando e gesticolando come
ossesse.
Il
demone sghignazzò. - Correte, correte, acide pettegole che non siete
altro! - poi si rivolse all'amico con uno dei suoi sorrisini
sardonici. - Be', credo che il problema sia risolto, angelo. Direi
che ora possiamo stare tranquilli. -
Ma
Aziraphale gli scoccò un'occhiata di biasimo. - C'era proprio
bisogno di arrivare a tanto, caro? Quelle povere donne rimarranno
traumatizzate a vita. -
L'altro
scrollò le spalle. - Ha funzionato, no? -
L'incredibile
storia si diffuse presto tra le mura di casa Dowling.
Cuoca
e cameriera erano tornate dal loro appostamento pallide e sconvolte.
Vaneggiavano di una fontana che, all'improvviso, si era messa a
spillare sangue e di una coppia di statue dagli occhi scarlatti che
aveva parlato loro in tono minaccioso. Naturalmente, nessuno prese
sul serio il loro delirante racconto e i loro colleghi si convinsero
che le due donne si fossero scolate un paio di bicchieri di troppo
prima di uscire.
Ad
ogni modo, lo stratagemma diede i suoi frutti, poiché, dopo quella
notte, tutti parvero perdere interesse nei confronti della tata e del
giardiniere e se qualcuno provava a risollevare l'argomento, la cuoca
sveniva all'istante e la cameriera era colta da una specie di
crisi isterica.
Crowley
e Aziraphale poterono tornare al lavoro senza impiccioni tra i piedi.
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Capitolo 21 *** I'm going slightly mad ***
mad
When
the outside temperature rises
And
the meaning is oh so clear
One
thousand and one yellow daffodils
Begin
to dance in front of you, oh dear
Are
they trying to tell you something?
You’re
missing that one final screw
You’re
simply not in the pink my dear
To
be honest you haven’t
got
a clue
I'm
going slightly mad, Queen, 1991
Durante
i suoi lunghi secoli trascorsi sulla Terra, Aziraphale aveva
sviluppato un amore particolare per una delle bevande più apprezzate
dagli umani in ogni parte del mondo: il tè.
Forse
si era lasciato influenzare dalle abitudini inglesi, ma l'angelo non
rinunciava mai ad una buona tazza di tè fumante, meglio ancora se
servita accompagnata da fragranti biscottini al burro o tramezzini.
All'angelo
piaceva recarsi in erboristeria e sostare interi minuti di fronte
agli scaffali, odorando i diversi aromi delle miscele e leggendo le
accurate didascalie che ne elencavano le proprietà, il modo d'uso e
i benefici.
Quel
pomeriggio, dietro al bancone, Aziraphale notò la presenza di una
giovane che non aveva mai visto prima e che lo abbagliò con uno
smagliante sorriso a trentadue denti non appena varcò la soglia.
-
Buongiorno! Posso aiutarla? - cinguettò.
Aziraphale
rimase interdetto ma ricambiò il sorriso, cortese. - Ehm,
buongiorno, signorina. In realtà avrei bisogno di Mrs. Smith. -
Mrs.
Smith era la proprietaria del negozio, nonché colei che lo serviva
di solito, gli mostrava gli ultimi arrivi e gli consigliava i tè più
pregiati e raffinati.
La
ragazza scosse la testa. - Mi dispiace ma purtroppo Mrs. Smith è a
letto con l'influenza. Mi occupo io dei clienti e del negozio finché
non sarà guarita. Vuole che le mostri il nostro nuovo tè oolong*? I
nostri fornitori ci hanno portato le nuove miscele proprio stamattina
e le ho etichettate personalmente. -
La
giovane si avviò con entusiasmo verso uno scaffale ingombro di
barattoli di latta dall'aspetto piacevolmente vintage, tutti
contrassegnati da un cartellino adesivo. Si alzò sulle punte dei
piedi e tese il braccio più che poté per raggiungere il ripiano più
alto ma, non appena riuscì a sfiorare con le dita uno dei
recipienti, si sbilanciò, cadde rovinosamente a terra e venne
sommersa da una valanga di barattoli di tè.
Aziraphale
schioccò prontamente le dita e qualunque danno fosse stato provocato
dalla caduta e dalla conseguente flagellazione venne annullato,
dopodiché si precipitò al fianco della commessa per aiutarla a
rialzarsi.
-
Sta bene, mia cara? - chiese con premura, nonostante sapesse
benissimo che, grazie al suo intervento, la risposta sarebbe stata
affermativa.
La
ragazza si portò una mano alla testa e sbatté le palpebre,
intontita. - Sì, non so come sia possibile ma credo di non essermi
fatta niente. -
Aziraphale
sorrise, soddisfatto di sé.
-
Oh, che disastro! - gemette la giovane, lanciando un'occhiata
allarmata ai barattoli sparsi sul pavimento del negozio. - A volte
sono così maldestra! Forse ha ragione Mrs. Smith quando dice che
questo lavoro non fa per me. -
-
Oh, non si preoccupi. - la rassicurò l'angelo, conciliante. - Non è
successo nulla di grave. Ad ogni modo, potrebbe, per favore,
prepararmi mezzo etto di quel nuovo tè oolong di cui mi parlava poco
fa? Mi fido del suo consiglio. -
L'espressione
mesta sul volto della commessa mutò in un sorriso raggiante non
privo di un certo stupore. - Ma certo! Sarà pronto in un attimo, nel
frattempo perché non dà un'occhiata alla nostra nuova linea di tè
bianchi aromatizzati? -
Dieci
minuti dopo, l'angelo uscì dal negozio con una grande busta di carta
tra le mani. Alla fine, quella pasticciona di una commessa gli aveva
fatto talmente tenerezza che aveva comprato praticamente metà dei tè
e degli infusi esposti. Sarà anche stata un disastro nel suo lavoro,
ma era chiaro che avesse un buon cuore e che ci mettesse tutto il
proprio impegno per riuscire al meglio in ciò che faceva, nonostante
i risultati incontestabilmente pessimi.
Quando
tornò alla libreria, notò un'inconfondibile Bentley nera
parcheggiata in modo tale da infrangere almeno una dozzina di regole
del codice stradale tutte in una volta. Gli bastò spostare lo
sguardo di qualche metro per scorgere la figura allampanata di
Crowley; se ne stava in piedi, appoggiato alla porta con le braccia
incrociate al petto, in evidente attesa del suo ritorno.
-
Crowley! - fece l'angelo, affrettando il passo verso di lui. - Che
sorpresa! Cosa ci fai qui? -
Il
demone lo salutò con il solito sorrisino sghembo. - Ero nei paraggi
per qualche tentazione e ho pensato di passare a trovarti. - Fece un
pausa e indicò il cartello scritto a mano in un corsivo svolazzante
e affisso alla porta con la scritta “Sono uscito per una
commissione. Torno quando torno. Baci, baci!” - Vedo che ti ammazzi
di lavoro, eh? -
Aziraphale
distese le labbra in un sorrisetto colpevole. - Sai, avevo terminato
la mia scorta di tè. Ma, già che ci siamo, perché non entri un
attimo? Ho comprato una nuova varietà di oolong, possiamo provarla
insieme, se ne hai voglia. -
L'altro
arricciò il naso, disgustato. - Bah, quegli intrugli di erbe non
fanno per me. Ma se, per miracolo, tu potessi offrirmi un
caffè, allora d'accordo. -
Aziraphale
gli sorrise. - Perfetto! -
Crowley
si scostò dalla porta per permettere all'angelo di estrarre le
chiavi dalla tasca del cappotto e sbloccare la serratura, impresa non
facile considerando l'ingombrante busta che reggeva tra le mani e che
minacciava di volare a terra da un momento all'altro. Il demone
inarcò le sopracciglia e sospirò davanti a quella sequela di vani
tentativi, infine schioccò le dita e l'uscio si socchiuse
spontaneamente di fronte ad Aziraphale, ancora impegnato a
barcamenarsi tra i suoi acquisti e il mazzo di chiavi.
L'amico
gli indirizzò un'occhiata riconoscente, poi spinse la porta e lo
invitò a entrare.
-
Accomodati pure, caro. -
Aziraphale
porse a Crowley una tazzina di caffè nero, rigorosamente senza
zucchero, poi attese che la miscela di oolong raggiungesse il tempo
d'infusione indicato sul cartellino allegato al sacchetto. Quando il
timer lo avvisò che i cinque minuti prescritti erano trascorsi,
l'angelo rimosse i rimasugli di foglie zuppe e versò il tè in una
graziosa tazza di fine porcellana decorata con motivi floreali e il
bordo dorato.
Sedette
di fronte all'amico e inalò profondamente i fili di fumo che si
levavano dalla bevanda.
-
Curioso. - commentò, aggrottando le sopracciglia con fare perplesso.
- Non ricordavo che il tè oolong avesse questo aroma così...
intenso. Ma forse si tratta di una varietà particolare che non ho
mai assaggiato. -
L'angelo
si portò la tazza alle labbra e bevve un sorso, facendo poi
schioccare la lingua.
-
Mmm. Non male. - decise, sebbene trovasse che il gusto avrebbe potuto
trarre non poco giovamento da un paio di zollette di zucchero.
Crowley,
che nel frattempo aveva già svuotato la sua tazzina di caffè,
scosse la testa. - Proprio non capisco questa tua passione per il tè.
-
Prima
di replicare, Aziraphale sorbì un altro po' del contenuto della
tazza. - Non è solo una passione, caro. Quella del tè è un'arte
che gli umani praticano da secoli. In oriente esiste un rituale
chiamato "cerimonia del tè" e... -
Ma
Crowley lo interruppe alzando una mano. - Sì sì sì, ho capito,
angelo. Non serve che tu mi faccia una lezione completa
sull'argomento. -
L'amico
diede una scrollatina di spalle e tacque, dedicandosi interamente al
suo oolong dal sapore insolito ma, tutto sommato, gradevole... be',
non troppo disgustoso.
Aziraphale
e Crowley rimasero seduti a chiacchierare per un po'.
L'angelo
si sentiva... strano. Non c'era una definizione che potesse
esprimere meglio il mix di sensazioni anomale delle quali era
vittima.
La
testa gli si era fatta pesante ma, allo stesso tempo, provava come
una sorta di leggerezza. Mettere insieme i pensieri conferendo loro
un ordine logico gli risultava curiosamente arduo, come se la sua
mente avesse rallentato il ritmo di lavoro. Cominciava anche ad
avvertire una certa mancanza d'aria, come se i suoi polmoni
richiedessero più ossigeno del solito.
-
No, no, no, caro. - stava dicendo. - Il punto è che... -
E
all'improvviso, il vuoto! Aziraphale si arrestò bruscamente a mezza
frase, la bocca ancora leggermente aperta ma priva di parole.
-
Angelo? Tutto a posto? - chiese Crowley, osservando l'amico con una
certa apprensione. Le gote gli si erano arrossate e un velo di sudore
gli ricopriva la fronte.
-
Ehm, s... sì, certo. - balbettò Aziraphale, incapace di
raccapezzarsi. - Ma credo che un po' d'aria fresca mi farà bene.
Perché non usciamo a fare una passeggiata? -
Crowley
annuì. - Come vuoi. -
I
due si alzarono e si diressero verso la porta, l'andatura di
Aziraphale era un po' barcollante, il passo malfermo come se fosse in
preda alle vertigini.
-
Sicuro che sia una buona idea? - domandò il demone, allungano
istintivamente le braccia verso l'angelo, pronto a sostenerlo nel
caso avesse perso l'equilibrio.
-
Ma sì, non preoccuparti. - rispose Aziraphale. - Sono solo un paio
di capogiri. Uscire all'aria aperta mi farà... -
E,
ancora, un'espressione vacua si dipinse sul suo viso e la frase
rimase tronca.
Una
volta in strada, dopo che l'angelo fu riuscito a indossare il
cappotto dal verso giusto, la situazione non migliorò affatto, al
contrario!
Tutte
quelle sagome in movimento, quei rumori che si mescolavano in una
cacofonia indistinta, i colori e i fari delle auto che sfrecciavano
attorno a lui, non fecero che peggiorare gli inspiegabili sintomi che
affliggevano Aziraphale.
-
Oh, cielo. Forse non è stata una gran pensata. - disse,
stropicciandosi gli occhi nel vano tentativo di rendere la vista più
chiara.
-
Meglio tornare alla libreria. Credo tu abbia bisogno di stenderti un
po'. - propose saggiamente Crowley, sempre più sconcertato
dall'evidente stato di alterazione dell'amico.
Aziraphale
annuì più volte ma non pareva aver colto del tutto il senso delle
parole dell'amico, come se quel movimento fosse stato innescato da un
riflesso automatico più che da un'intenzionalità razionale.
-
Non trovi che faccia caldo? - gli domandò, facendosi aria con una
mano a mo' di ventaglio.
-
Angelo, siamo in pieno inverno e ci sono cinque gradi. Si può sapere
che cosa ti... -
-
Ehi, guarda! - esclamò a un tratto Aziraphale, indicando un punto
non meglio precisato in fondo alla strada. - Hai visto quanti bei
narcisi gialli** ci sono laggiù? Sono dei fiori bellissimi, vero? -
Il
demone sgranò gli occhi. - Ma quali narcisi?! -
-
E perché quei tizi hanno un casco di banane in testa? O forse sono
alberi di banane che camminano? Dici che farei la figura del
maleducato se andassi a chiederglielo? -
Ormai
Crowley assisteva sgomento e impotente a quella delirante
manifestazione di follia senza neanche provare ad opporsi alle
assurdità che uscivano in sequenza dalla bocca di Aziraphale. Aveva
comunque l'impressione che non sarebbe servito a nulla.
-
Ehi! E perché le auto hanno solo tre ruote? Non erano quattro
l'ultima volta? Queste invenzioni umane, non fai in tempo ad
abituarti che subito cambiano. -
-
Ok, ora basta! -
Crowley
intrappolò il volto ciondolante di Aziraphale tra le proprie mani
per costringerlo a guardarlo negli occhi e sentì che la sua pelle
scottava. Come immaginava, le pupille dell'angelo erano dilatate in
modo impressionante, lo sguardo allucinato e febbrile. Non aveva idea
di cosa gli stesse succedendo, ma di un fatto era assolutamente
certo: il suo migliore amico non stava per niente bene.
-
Vieni, ti riaccompagno a casa. - disse, passandosi un braccio
dell'angelo attorno alle spalle e cingendogli un fianco.
Il
demone dovette trascinarsi dietro l'amico quasi a peso morto per
tutto il tragitto e quando finalmente giunse alla libreria aveva il
fiatone ed era sudato e accaldato quasi quanto Aziraphale.
Entrò
e raggiunse il retrobottega.
-
Ecco, sdraiati sul divano. Ti sentirai meglio. - disse, sfilandogli
il cappotto e gettandolo di lato.
L'angelo
lo guardò con quegli occhi sbarrati e febbricitanti colmi di un
commosso stupore, anche se nient'affatto lucido. - Oh, Crowley, sei
sempre così buono e gentile con me! -
Il
demone stava per lanciarsi in una delle sue solite invettive contro
quegli aggettivi tanto odiati quando Aziraphale lo prese per la
giacca e lo attirò a sé, posando le proprie labbra sulle sue.
Crowley
rimase paralizzato dallo shock, le braccia abbandonate inermi lungo i
fianchi, gli occhi spalancati, il respiro momentaneamente sospeso
insieme al battito cardiaco, o almeno così gli sembrava.
Il
tempo si fermò, accelerò, poi rallentò di nuovo, si accartocciò
su se stesso, perse ogni significato, sempre che ne avesse mai avuto
uno. Il demone era consapevole solo del corpo di Aziraphale rasente
al suo, delle sue labbra rese bollenti dalla febbre a contatto con le
proprie, del profumo inebriante della sua colonia che gli riempiva le
narici. In compenso, aveva perduto ogni percezione di tutto il resto
del mondo, come se i suoi sensi fossero concentrati unicamente
sull'angelo, come se, nell'intero universo, esistessero loro e solo
loro.
Passò
un minuto, un'ora, un'era geologica o forse solo qualche secondo, poi
Aziraphale lasciò andare la presa sulla giacca di Crowley e crollò
sul divano, privo di sensi.
Il
demone rimase immobile, come congelato. Molto lentamente, sentì che
le sue funzioni biologiche ricominciavano ad attivarsi e con esse
anche quelle cognitive che gli permisero di accorgersi di un
dettaglio all'apparenza infinitesimale: sulla sua bocca, era rimasto
un sapore eccezionalmente amaro, quasi erbaceo.
Crowley
si passò con cautela la lingua sulle labbra e avvertì ancor più
distintamente quel gusto acre che, nonostante la sua limitata
conoscenza del vasto universo dei tè, sapeva non poter appartenere a
un innocuo oolong. Venne folgorato da un sospetto.
La
confezione dalla quale Aziraphale aveva estratto la miscela che aveva
usato per preparare la bevanda era ancora accanto al fornello. Il
demone l'afferrò e lesse il contrassegno che ne identificava il
contenuto come pregiatissimo tè oolong dei Monti Wuyi, ma qualcosa
non quadrava e Crowley decise di andare a fondo di quella faccenda.
Poco
distante dalla libreria di Aziraphale c'era una farmacia
specializzata in prodotti di origine naturale e così, dopo essersi
assicurato che l'angelo dormisse profondamente sul divano, Crowley si
precipitò di corsa nel negozio e mostrò il contenuto del sacchetto
ad una farmacista che gli confermò quanto aveva temuto: non si
trattava affatto di tè ma di un preparato per un infuso purissimo
di... belladonna!***
Ed
ecco spiegati il delirio, le allucinazioni, il rossore, la febbre e
tutto il resto. Si trattava dei tipici segnali di un avvelenamento da
atropina, una sostanza curativa ma anche estremamente tossica se
assunta in quantità eccessive e contenuta, per l'appunto, in quella
particolare specie di pianta. Non esisteva antidoto che potesse
contrastarne la micidiale tossicità.
Per
un umano, la quantità ingerita da Aziraphale sarebbe risultata
letale ma, fortunatamente, il corpo di un angelo mantiene delle
caratteristiche sovrannaturali che gli forniscono dei notevoli
vantaggi rispetto a quello dei mortali, come il fatto di non
invecchiare e di possedere una soglia molto alta di tollerabilità ai
veleni. Per questo motivo angeli e demoni potevano bere alcolici e
ubriacarsi per ore consecutive senza subire le conseguenze spiacevoli
che toccavano agli umani (il coma etilico, per dirne una).
Crowley
tornò alla libreria e vide Aziraphale ancora steso sul sofà. Gli
sfiorò la fronte con il dorso della mano e sentì che, sebbene fosse
ancora calda, non scottava più come quando l'aveva riportato a casa.
Un bel sonno ristoratore l'avrebbe aiutato a recuperare le forze dopo
quella disavventura e il demone decise di rimanere fino al suo
risveglio.
Si
lasciò sprofondare in una comoda poltrona imbottita e rimase in
attesa.
Presto,
i suoi pensieri corsero inesorabilmente a quanto accaduto poco prima.
Aziraphale l'aveva baciato. L'aveva baciato! BACIATO!
Crowley
non era mai stato baciato da nessuno prima di allora, né gli era mai
importato. Quelle erano esperienze riservate agli umani anche se,
doveva ammetterlo, a volte si era chiesto come potesse essere. Ma
quella era solo la sua naturale propensione alle domande e alla
curiosità, un demone millenario doveva pur ingannare la noia
ponendosi qualche innocente interrogativo, no? Insomma, non era come
desiderare di essere baciato per davvero!
Eppure
era successo. Non solo, era successo con Aziraphale e, chissà
perché, improvvisamente Crowley si rese conto che non sarebbe potuto
essere altrimenti.
Ma
bisognava tener conto del fatto che lo stato di coscienza dell'angelo
fosse stato ridotto a uno psichedelico colabrodo e che, al momento
del “fattaccio”, egli non fosse conscio delle sue azioni, nel
modo più assoluto.
Non
era neanche stato un vero e proprio bacio, no? Insomma, Crowley
conosceva la teoria a grandi linee e non era sicuro che ciò che era
avvenuto tra lui e Aziraphale potesse propriamente definirsi “bacio”.
Inoltre, riconoscere quel contatto tra le loro labbra come tale
avrebbe significato aprire una porta pericolosa che dava su un mondo
intero fatto di domande, dubbi, quesiti ai quali non avrebbe saputo
trovare soluzione e che l'avrebbero inevitabilmente costretto a
fronteggiare un labirintico garbuglio di emozioni. La prospettiva non
lo allettava per nulla e Crowley decise di archiviare
quell'esperienza come un'accidentale parentesi della sua giornata
dovuta agli effetti allucinogeni della belladonna inavvertitamente
ingerita da Aziraphale. Niente di più.
Circa
due d'ore più tardi, l'angelo aprì gli occhi e, nonostante la vista
ancora un po' appannata, riconobbe Crowley seduto in poltrona,
assorto in chissà quali riflessioni.
Appena
il demone si rese conto che l'amico era cosciente, scattò verso il
divano.
-
Angelo! Era ora che ti svegliassi. Come ti senti? -
Aziraphale
batté le palpebre un paio di volte per mettere meglio a fuoco il
viso dell'altro. - Uno schifo. - rispose, schietto. Per parlare in
quel modo, doveva sentirsi davvero male.
-
Cos'è successo? - domandò debolmente.
-
Non ricordi niente? -
Aziraphale
scosse piano la testa, mossa decisamente poco opportuna dato gli
scatenò un accesso di nausea.
-
Be', a quanto pare, il tuo prezioso tè oolong non era affatto tè ma
un micidiale infuso di belladonna: un toccasana per la salute, in
poche parole. Mi spieghi come cavolo hai potuto essere così stupido
da confonderti? -
L'angelo
aggrottò la fronte, come se si stesse concentrando a fondo per
recuperare qualcosa tra i meandri della sua memoria annebbiata.
-
La commessa. - mormorò alla fine.
Crowley
sbatté le palpebre. - Come dici? -
-
La nuova commessa dell'erboristeria ha detto di aver etichettato
personalmente le nuove miscele arrivate stamattina. Deve aver messo
il cartellino sbagliato al barattolo. È un ragazza ehm... un po'
sbadata. -
-
Alla faccia della sbadataggine! - esclamò il demone. - Se fossi
stato un essere umano, ci saresti rimasto secco! -
Lo
sguardo offuscato di Aziraphale si fece a un tratto orripilato. -
Dobbiamo avvisare qualcuno dell'errore prima che succeda qualcosa di
grave! -
-
Tranquillo, angelo. Ci penso io. Basterà un miracolino demoniaco. -
L'amico
si rilassò e si lasciò andare di nuovo contro il cuscino con un
sospiro.
Crowley
si morse il labbro e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. -
Ehm, quindi... hai detto di non ricordare proprio nulla? -
-
L'ultima cosa che ricordo è che eravamo seduti a parlare ma non mi
sentivo molto bene e ti ho proposto di andare a fare una passeggiata.
-
-
Nient'altro? -
-
No, caro. Perché? Ho dato spettacolo, per caso? -
-
Tu non puoi immaginare quanto! - ridacchiò Crowley. - A un certo
punto ho pensato che fossi completamente impazzito. -
-
Oh, per tutti i santi del cielo. - gemette Aziraphale, coprendosi il
volto con una mano.
Il
demone sorrise, sollevato che l'amico si fosse ripreso, ma non
avrebbe saputo dire se il fatto che egli non ricordasse di averlo
baciato gli suscitasse più sollievo o delusione. Probabilmente un
misto delle due cose, dove il primo predominava pur senza riuscire a
soffocare del tutto la seconda.
Note:
*
Il tè Oolong, chiamato
anche tè blu, è un tipo di tè semiossidato prodotto in Cina e a
Taiwan.
**
Le allucinazioni di Aziraphale fanno tutte riferimento al testo della
canzone.
***
La belladonna è una pianta della famiglia delle Solanaceae
largamente impiegata per uso cosmetico e farmacologico ma può
diventare un veleno micidiale se assunta in dosi e modalità
sbagliate.
Consiglio:
se amate i personaggi alla Tim Burton, correte a cercare il video di
questa canzone. Non rimarrete deluse/i. ;)
|
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Capitolo 22 *** Let me live ***
let me live
Why
don't you take another little piece
of
my heart
Why
don’t you take it and break it
And
tear it all apart
All
I do is give
And
all you do is take
Baby
why don’t you give me
A
brand new start
Let
me live, Queen, 1995
Londra,
1862
Crowley
rimase solo davanti allo stagno a guardare il foglietto di carta
consumarsi lentamente tra le fiamme. Le anatre osservavano quello
spettacolo incuriosite, ma abbastanza prudenti da non avvicinarsi
troppo, e continuavano a scivolare placidamente sull'acqua verdastra
a caccia di qualche briciola di pane generosamente offerta dalla mano
guantata di qualche dama o di un distinto signore.
La
mascella del demone era serrata in una morsa, le mani strette a pugno
intorno all'elsa argentata del suo bastone da passeggio. Le labbra
sottili erano contratte a formare una linea dura, affilata come una
lama. Se i suoi occhi d'oro non fossero stati coperti dalle lenti
scure, qualcuno avrebbe potuto anche notare la pupilla verticale
ridotta a una fessura.
Tutto
in Crowley esprimeva un'aggressività repressa, una rabbia mista a
delusione che gli ribolliva furiosamente nell'animo come lo zolfo
ribolliva giù all'Inferno dal quale egli proveniva.
Il
chiacchiericcio indistinto dei passanti giungeva alle sue orecchie
come da molto distante, coperto dal sonoro ronzio dei suoi pensieri
inquieti.
Quando
gli ultimi rimasugli di cenere dell'ormai ex pezzo di carta
affondarono nel laghetto, Crowley se ne andò, percorrendo i viali di
St. James's Park. Fermò una carrozza con un gesto secco e salì,
dando ordine al conducente di portarlo a Mayfair.
Il
demone si accomodò scompostamente sul sedile di velluto, il viso
assorto rivolto verso il finestrino della vettura.
Non
si aspettava una simile reazione da parte dell'angelo. Non se
l'aspettava proprio.
Insomma,
c'era ragionevolmente da presupporre che Aziraphale si opponesse alla
sua richiesta che, in quel caso, ne era consapevole, consisteva in
molto di più che inviare al Cielo un resoconto leggermente ritoccato
del suo lavoro sulla Terra a beneficio del reciproco quieto vivere.
Non
era uno stupido, Crowley; immaginava che avrebbe dovuto imbarcarsi in
un'opera di convincimento non da poco per spingere l'angelo a
procurargli l'acqua santa. Aveva perfino messo in conto di dover
pagare svariate decine di bottiglie di vino prima di raggiungere il
suo scopo (sapeva che Aziraphale tendeva a diventare più accomodante
dopo una bella sbronza) ma l'indignazione che gli aveva riversato
addosso dopo aver dato una scorsa alle due parole scritte sul
biglietto lo aveva spiazzato.
Una
parola tira l'altra, specialmente quando mosse dall'eccezionale moto
propulsore dell'ira, e così ne erano volate di pesanti durante
quell'accesa discussione che si era conclusa con una brusca
separazione. Separazione che recava in sé qualcosa di orribilmente
definitivo... almeno per i prossimi novanta o cent'anni, dipendeva
dal tempo che sarebbe occorso per smaltire l'arrabbiatura.
Crowley
cambiò posizione sul sedile, esalando un lungo sospiro frustrato. La
collaborazione clandestina tra lui e l'angelo procedeva a meraviglia.
Per secoli avevano rispettato quell'accordo segreto di non
belligeranza, evitando accuratamente di pestarsi i piedi a vicenda e,
di quando in quando, aiutandosi reciprocamente.
Funzionava.
Funzionava alla perfezione, e ora l'angelo intendeva gettare via
tutto per una stupidaggine. Non gli aveva mica chiesto la luna, per
tutti i diavoli! Gli serviva solo una modica quantità di acqua santa
da tenere come assicurazione nel malaugurato caso che i suoi
dirigenti si fossero fatti vivi. Aziraphale poteva dirsi fortunato
che la sua fazione si limitasse a inviare un richiamo d'ammonimento
in cui, tutt'al più, lo rimproveravano invitandolo a tornare sulla
retta via, ma per lui era diverso. I duchi infernali non erano soliti
ricorrere a metodi così sottili per esprimere disapprovazione nei
confronti di un proprio dipendente. No, la sua fazione era
decisamente propensa all'impiego di strumenti un tantino più
incisivi, tipo la tortura.
Non
si era disturbato a spiegarlo all'angelo, anche perché questi non
gliene aveva nemmeno fornito il tempo e l'occasione, ma sarebbe
bastato fare due più due in quella sua testaccia bionda per
arrivarci, no? Aveva usato apposta i termini “precauzione” e
“assicurazione”. Cos'altro doveva fare?!
Bel
soggetto che si era scelto per amico! Aziraphale si era dimostrato un
gran voltafaccia. Finché le cose erano andate relativamente bene a
entrambi, egli si era mostrato bendisposto nei suoi confronti e in
qualche occasione lo aveva anche invitato a pranzo, ma appena gli
aveva chiesto un favore davvero importante, ecco che l'angelo
gliel'aveva negato, voltandogli le spalle come se nulla fosse.
Evidentemente non gli importava un fico secco del fatto che Crowley
rischiasse grosso a causa del loro legame.
Gran
bel ringraziamento considerando che, poco più di un secolo prima,
gli aveva anche salvato il collo dalla lama della ghigliottina, in
Francia.
In
effetti, pensandoci bene, quando mai l'angelo aveva fatto qualcosa
per lui? Da che Crowley ricordava, in tutti quei secoli di
collaborazione, Aziraphale non aveva fatto altro che prendere. Ogni
rapporto si basava sul principio della giusta proporzione tra dare e
avere e, in tutto quel tempo, a lui sembrava di aver sempre e solo
dato, di non aver mai ricevuto niente da Aziraphale. Semmai, l'unica
cosa che aveva ottenuto, era stata, metaforicamente, un gigantesco
schiaffo in piena faccia.
Ma
la cosa peggiore era che aveva finito per affezionarsi a quel testone
di un angelo, che idiota!
Si
era lasciato abbindolare da quegli occhioni chiari colmi di bontà,
dal sorriso impacciato e dai modi sempre un po' pavidi ma che
celavano una fierezza e un coraggio che lui, Crowley, aveva sempre
percepito sotto quello spesso strato di mansuetudine.
Aziraphale
gli era diventato caro. Era inutile ostinarsi a negare l'evidenza con
se stesso.
Crowley
non aveva mai avuto amici; Lucifero e la sua cricca di ribelli
rappresentavano la causa del suo esilio all'Inferno. Lui non voleva
cadere, si era solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato,
in mezzo agli angeli sbagliati.
No,
non aveva mai considerato gli altri demoni come amici o come una
famiglia.
Ma
con Aziraphale era diverso. Per un assurdo scherzo del destino,
sentiva di avere molte più cose in comune con quell'angelo che con
ogni singolo demone della sua fazione. Col tempo, aveva imparato ad
apprezzarlo; ne ricercava sempre più spesso la compagnia e scopriva,
non senza un certo stupore, che quei momenti trascorsi al suo fianco
costituivano i migliori ricordi della sua esistenza millenaria.
Ma
ora era tutto finito. Aziraphale si era espresso molto chiaramente in
quel senso e Crowley non aveva potuto fare altro che guardarlo
allontanarsi per poi contemplare quel misero frammento di carta
bruciare, farsi cenere e colare a picco, come le sue speranze.
Una
volta lasciatosi alle spalle St. James's Park, Aziraphale fece per
fermare una carrozza, poi cambiò idea e decise di tornare alla
libreria a piedi.
Normalmente,
l'angelo non era un grande estimatore dell'attività fisica, ma
camminare gli avrebbe fatto bene. Aveva bisogno di muoversi per
smaltire un po' dello scontento e dell'irritazione che l'incontro con
Crowley gli aveva instillato.
Contrariamente
al solito, il suo passo era svelto e deciso: la tipica andatura di
chi ha bisogno del lavoro muscolare per compensare l'iperattività
della mente. Interruppe la sua camminata solo per lasciar cadere
qualche moneta tra le sudice manine di un monello di strada che lo
ricompensò con un sorriso sdentato.
Perché
lui era un angelo, e questo era il suo destino: aiutare l'umanità,
sostenerla nei momenti difficili e diffondere amore e armonia.
Aziraphale
non si tirava mai indietro quando riceveva una richiesta d'aiuto,
anzi era sempre felice di poter essere utile a qualcuno, ovviamente
nei limiti delle sue possibilità.
Quello
era il punto. Ciò che Crowley si aspettava da lui, ciò che
pretendeva egli facesse si collocava senza ombra di dubbio
molto oltre quei limiti. Rubare dell'acqua santa e cederla a un
demone! Figurarsi! Tanto valeva presentarsi davanti al consiglio dei
suoi superiori al completo e confessare candidamente di aver fatto
comunella con un esponente dell'Opposizione.
Possibile
che Crowley non si rendesse conto dell'assoluta irrealizzabilità di
quel suo folle disegno? Aveva osato davvero chiedergli di compiere
quello che, ai piani alti, sarebbe stato considerato a tutti gli
effetti un imperdonabile atto di insubordinazione? Aveva almeno una
vaga idea di ciò che lui, Aziraphale, avrebbe rischiato se, secondo
la più assurda delle ipotesi, avesse acconsentito ad aiutarlo?
No,
certo che no. Come poteva? Crowley era sempre stato un viscido
serpente egoista. Ora che ci pensava, il demone non aveva mai agito
al di fuori del proprio interesse che, solo per pura coincidenza,
spesso andava a braccetto col suo. Sì, gli aveva salvato la vita
quasi cent'anni prima a Parigi, e allora? Probabilmente quel gesto
gli era servito solo per mettersi in mostra, per burlarsi di lui e
metterlo nella spiacevole condizione di essergli debitore. Un angelo
che doveva la “vita” a un demone: ma dove mai si era sentita una
cosa simile? Crowley doveva aver trovato l'idea parecchio spassosa.
Chissà quante volte aveva riso alle sue spalle!
Non
solo, ora Aziraphale si dava dello stupido per avergli creduto così
facilmente quando lui gli aveva assicurato di non avere nulla a che
fare con i moti rivoluzionari che imperversavano in Francia a
quell'epoca e che avevano inondato di sangue le strade di Parigi. Ma
certo che c'era il suo zampino! Solo un demone infernale poteva
ordire un piano tanto perverso per disseminare caos e odio, e Crowley
era l'unico membro della sua fazione di stanza sulla Terra. Come
poteva non essere stato lui? Si era fatto raggirare dalla scenetta
del finto tonto imbastita ad arte, ma ora il suo coinvolgimento gli
risultava così ovvio!
Non
era da lui provare quel genere di sentimenti astiosi. Aziraphale
aveva sempre avuto un temperamento pacato, bonario, incline alla
comprensione e al perdono piuttosto che al rancore. Ma Crowley aveva
dato erroneamente per scontato che quella sua natura indulgente
l'avrebbe spinto a compiere quel... quel crimine odioso e
blasfemo. L'aveva sottovalutato e, nel momento in cui si era accorto
che egli non avrebbe ceduto, si era risentito. Be', tanto peggio per
lui. Che s'arrangiasse pure da solo, d'ora in avanti.
Ma,
per quanto ci provasse, Aziraphale non poteva ignorare il ricordo
della gelida ondata di panico che l'aveva travolto nell'istante in
cui il demone gli aveva allungato il foglietto e lui aveva letto
“Acqua Santa” sulla superficie di carta stropicciata. Era stato
come se una mano di ghiaccio invisibile gli stringesse la gola fino a
bloccargli il respiro.
Per
quanto lo riguardava, c'era una sola possibile spiegazione per quella
richiesta, ovvero che Crowley intendesse usare l'acqua su di sé.
Era
quella l'idea che lo faceva uscire di senno: non tanto che Crowley
fosse disposto a fargli correre un simile rischio con i suoi
dirigenti, né le parole dure che gli aveva rivolto al suo rifiuto.
No, era il pensiero dell'uso che il demone avrebbe fatto dell'acqua
santa, se egli avesse accettato di procurargliela, che lo torturava e
lo faceva imbestialire più di tutto.
Come?
Come aveva potuto chiedergli la pillola del suicidio? Non aveva
pensato a lui? Non si era fermato neanche per un attimo a
immaginare la sua disperazione se quel progetto suicida fosse andato
in porto? Credeva veramente che la loro amicizia contasse così poco?
La
cruda verità era che Aziraphale non gli aveva negato quel favore
tanto per mere questioni di principio o di fazione, quanto piuttosto
per evitare che l'orribile eventualità della perdita del demone si
realizzasse.
Il pensiero che l'amico intendesse togliersi la vita e avesse domandato proprio a
lui di farsi carico della gravosa responsabilità di fornirgli su un
piatto d'argento il metaforico cappio col quale si sarebbe poi
impiccato, gli dava il voltastomaco.
Sarebbe
stato lo stesso se Crowley gli avesse strappato il cuore dal petto e
l'avesse spezzato con le proprie mani per poi gettarlo via. Suo
malgrado, l'angelo sentì due lacrime calde scivolargli lungo le
guance.
Nota:
Ho
volutamente esagerato un po' i sentimenti negativi di entrambi per
enfatizzare il tipico momento di rabbia in cui si formulano i
peggiori pensieri anche se poi ci si pente subito.
|
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Capitolo 23 *** Hammer to fall ***
hammer
What
the hell we fighting for?
Just
surrender and it won’t hurt at all
You
just got time to say your prayers
While
your waiting for the hammer, to hammer to fall
Hammer
to fall, Queen, 1984
La
battaglia era cessata. Era finita, e i Ribelli avevano perso.
L'angelo
dai capelli rossi se ne stava in ginocchio tra gli altri sconfitti,
il capo chino, gli occhi smarriti accecati dalla luce purissima che
splendeva su di loro non come un segno di benedizione ma piuttosto
come un terribile presagio. Sentiva i suoi compagni di sventura
agitarsi e tremare al suo fianco ma non provava la minima
solidarietà.
Gli
angeli che li avevano combattuti, guidati dall'Arcangelo Michele, si
ergevano in piedi intorno a loro e li circondavano, chiudendoli in un
anello serrato dal quale facevano piovere sguardi di granito e
biasimo verso quei dieci milioni di traditori che si erano lasciati
incantare dalle lusinghe blasfeme di Lucifero e dalla sua smisurata
ambizione di elevarsi al di sopra di tutti loro, equiparandosi
all'Onnipotente.
Ah,
sciocchi! Nessun angelo avrebbe mai ottenuto un tale privilegio.
L'Altissimo era l'essenza stessa della Perfezione inarrivabile, della
Potenza creatrice che permetteva l'esistenza di ogni cosa, compresa
la loro. Egli aveva creato gli angeli, e ora i Suoi stessi figli Gli
si erano rivoltati contro, nel vaneggiante tentativo di essere come
Lui, di appropriarsi indebitamente dei Suoi diritti ed eguagliarLo
nei Suoi poteri, nella Sua infallibilità e onniscenza.
L'ambizioso
Lucifero era stato incatenato e trascinato davanti al gruppo,
lasciato solo a fronteggiare la luce che si faceva sempre più
intensa e vicina, la schiena curva e l'aria rassegnata, spezzata. Il
rosso lo vide fremere di terrore mentre la sua esile figura veniva
inondata di quel bagliore folgorante che pulsava di collera.
Tutto
ciò era tristemente ironico: Lucifero, letteralmente “Colui che
porta la Luce”, ora ne era sopraffatto e atterrito. Un tempo il più
bello, il più risplendente, il Serafino prediletto del Paradiso si
trovava adesso in ginocchio, le ali sanguinanti, le vesti lacerate e
l'aspetto stravolto, quasi restio a credere che tutto ciò stesse
succedendo proprio a lui.
L'angelo
dalla chioma di fiamma si guardava intorno freneticamente con gli
occhi sbarrati, come se sperasse di individuare una fortuita, quanto
inesistente, via di fuga.
Cosa
ci faceva lì? Com'era possibile che un'innocente chiacchierata con
Lucifero, un normalissimo quanto sano scambio di opinioni, l'avesse
trascinato sul campo di battaglia, bersaglio delle armi impugnate dai
suoi stessi fratelli, da coloro che, fino a un attimo prima, avevano
rappresentato la sua famiglia, la sua stirpe, i suoi simili?
Cos'aveva fatto di tanto grave per essere ora additato come feccia,
traditore, sovversivo? Porsi delle domande, dubitare, voler conoscere
l'inconoscibile costituiva veramente un Male così grande? Per questo
lo stavano condannando? A causa della sua sete di sapere e della sua
propensione al dubbio?
Ma
la sequela di interrogativi dell'angelo, destinati con ogni evidenza
a rimanere senza risposta, venne bruscamente troncata dalla voce
incorporea e tonante di Dio che si levò dalla luce e parlò col
timbro più duro e grezzo che ciascuno di loro avesse mai udito,
scevro di ogni grazia, di ogni promessa di perdono o redenzione.
Pronunciò
invece sentenze di rimprovero, delusione, amarezza e, ad ogni frase
perentoria, pareva che la figura di Lucifero si accasciasse un po' di
più a terra, come se quelle fossero state non già parole, ma
pesanti macigni che gli venivano posti sulla schiena, prosciugandolo
di ogni energia residua.
Il
discorso si faceva sempre più inclemente, la voce stentorea
dell'Onnipotente si levava con sempre maggior impeto, furore, ira,
indignazione.
I
Ribelli iniziarono a gemere e si portarono le mani alla testa, nel
tentativo di scacciare quel suono assordante, di mettere a tacere
l'insostenibile baccano che ricordava loro la colpa vergognosa di cui
si erano macchiati.
Anche
il rosso emise un lamento disperato. - No, no, no! Perché mi state
facendo questo? Perché? Che cosa ho fatto per meritarmelo? Che cosa
ho fatto?! Ditemelo! -
Gli
angeli intorno a loro non sembravano risentire minimamente di quel
frastuono. Si limitavano a mantenere quella sembianza imperturbabile,
glaciale e sprezzante. Nessun aiuto sarebbe giunto da parte loro;
nessuna misericordia, nessuna compassione li avrebbe mossi in
soccorso degli insorti, che un tempo chiamavano fratelli e che ora
ripudiavano.
La
collera divina stava raggiungendo l'apice, l'angelo dai capelli rossi
poteva sentirlo: presto la punizione dell'Onnipotente si sarebbe
abbattuta su di lui e si sentì afferrare da un panico raggelante che
non aveva mai conosciuto prima di allora e che mai avrebbe potuto
dimenticare nei millenni a venire. Da un momento all'altro, il
Martello avrebbe colpito.
Ormai
la luce era così intensa da non riuscire a scorgere quasi nulla
intorno a sé, ad eccezione di un'unica sagoma: un angelo dai corti
capelli biondi chiarissimi in piedi poco distante da lui che
impugnava una spada di fuoco e guardava il gruppo di traditori con
un'insolita espressione ambigua. Disagio, forse? Dispiacere?
Proprio
in quell'istante, il biondo diresse provvidenzialmente lo sguardo
verso di lui e intercettò i suoi occhi verdi imploranti e grandi di
terrore.
-
Aiutami. - sussurrò il rosso con la voce ridotta a un flebile
gemito. - Aiutami, ti supplico. -
Forse
fu solo la sua disperazione che lo indusse in una vana illusione, ma
egli credette di veder balenare un lampo di pietà nelle iridi
cristalline di quell'angelo che, malgrado la spada di fuoco che
ardeva minacciosamente nella sua mano, emanava un'aura pacifica,
lontana dalla bellicosità che invece sembrava caratterizzare i suoi
compagni d'armi.
E
poi accadde. Il baratro si aprì sotto i Ribelli, inghiottendoli tra
le proprie fauci oscure. Ci furono strepiti, grida di orrore,
preghiere di perdono tanto appassionate quanto inutili.
L'angelo
dai capelli rossi emise un urlo terribile che andò a confondersi con
gli altri in una cacofonia agghiacciante. Un coro di dieci milioni di
voci che, all'unisono, intonavano il canto di un'agonia straziante,
di una ferita sempiterna che non avrebbe mai smesso di sanguinare.
Precipitava
a una velocità indicibile, incalcolabile, trascendente ogni legge
della fisica. Sembrava che la Caduta non dovesse mai avere fine.
A
un tratto avvertì una sensazione di dolore bruciante e si accorse di
essere circondato da fiamme altissime. L'etere stesso attraverso il
quale stava Cadendo sembrava essersi fatto incandescente. Il fuoco lo
lambiva, lo mordeva, lo feriva senza requie; riscriveva ogni sua
cellula, annientava ciò che era per trasformarlo in qualcosa di
completamente diverso. Forse sarebbe stato meglio arrendersi e
lasciare che il rogo lo divorasse, consumandolo fino all'ultimo
brandello della sua anima squarciata; forse avrebbe sofferto meno e
tutto sarebbe finito più in fretta.
Non
c'era nulla che egli potesse fare, tranne continuare a gridare con
quanto fiato avesse in gola, ben consapevole che nessuno l'avrebbe
mai udito...
-
Crowley, caro. Crowley, svegliati! Per l'amor di Qualcuno,
svegliati! -
Il
demone spalancò gli occhi e la visione della Caduta nel
fiammeggiante abisso infernale svanì, sostituita dall'immagine di
Aziraphale chino su di lui con l'aria preoccupata e una mano posata
delicatamente sulla sua spalla.
-
A... angelo? - esalò, il respiro affannoso, ancora profondamente
scosso dalle vivide impressioni dell'incubo.
Aziraphale
prese una sedia e sedette di fronte a lui, spostando la mano dalla
spalla del demone al suo ginocchio in un gesto amorevole e
tranquillizzante.
-
Va tutto bene, caro. Ti sei appisolato e hai fatto un brutto sogno. È
finita adesso. -
Crowley
si accorse di aver istintivamente artigliato le dita ai braccioli
della poltrona sulla quale si era assopito; vi aveva conficcato le
unghie fino a farsi sbiancare le nocche come se, nel suo sonno
agitato, a un certo punto avesse avvertito la necessità di
aggrapparsi a qualcosa di solido che potesse arrestare il suo
precipitare.
S'impose
di rilassare i muscoli della mano e lasciò la presa, dopodiché
gettò un'occhiata febbrile intorno a sé e riconobbe il famigliare e
caotico arredamento della libreria di Aziraphale.
Quel
pomeriggio era passato a trovarlo in negozio ma l'angelo era
impegnato con un cliente e così Crowley si era seduto nel retro ad
aspettare che si liberasse per scambiare quattro chiacchiere. Aveva
abbassato le palpebre per qualche secondo e doveva essere scivolato
nel sonno senza neanche accorgersene, quella maledetta poltrona era
così comoda!
Realizzò
con orrore che gli occhiali scuri gli erano scivolati di traverso,
lasciando scoperti gli occhi serpenteschi che, immaginava, in
quell'istante dovevano essere uno specchio riflettente sgomento e
angoscia.
Si
affrettò a rimetterseli a posto, prima che quel senso di sgradevole
nudità potesse metterlo ancora più a disagio e, nello sfiorarsi la
pelle, si rese conto di avere il volto madido di sudore gelido.
Maledizione!
Era
consapevole della mano calda di Aziraphale ancora appoggiata con
garbo sul suo ginocchio e anche dello sguardo ansioso con cui lo
stava scrutando, ma, per quanto la sua presenza gli fosse di
conforto, non era sicuro di volersi mostrare tanto vulnerabile di
fronte all'amico.
Crowley
cercò di assumere una posizione più dignitosa tra i vaporosi
cuscini della poltrona, curandosi di non incrociare lo sguardo ancora
fastidiosamente allarmato di Aziraphale e pensando ad una qualsiasi
frase che potesse far cessare quel silenzio insopportabile e
alleggerire l'atmosfera tesa, ma l'altro lo precedette. - Ti senti
bene? Sei così pallido. -
Crowley
sbuffò. “No, angelo! Non mi sento bene! Ho appena rivissuto in
sogno il tremendo istante della mia dannazione eterna e la Caduta in
quell'orribile pozzo di zolfo. E dopo millenni mi sembra ancora di
essere lì, come se si ripetesse tutto quanto da capo. Quindi no che
non sto bene! Non sto bene affatto!”
Invece,
il demone si appellò a tutta la sua capacità di autocontrollo e al
suo sangue freddo di serpente e scosse una mano con fare seccato. -
Sì, sì, angelo, sto benissimo. Non serve che tu mi guardi in quel
modo. Era solo uno stupido sogno. Niente per cui valga la pena fare
tante storie, davvero. -
Crowley
sperò con tutto il cuore che Aziraphale non si fosse accorto del
tremito che gli intaccava la voce, minando di molto la credibilità
delle sue asserzioni che altro non erano se non un mucchio di
spudorate bugie.
-
Che cosa stavi sognando, caro? Vuoi dirmelo? - chiese l'angelo,
gentilmente.
Malgrado
la situazione per nulla confortevole, il demone apprezzò quella sua
vena discreta: Aziraphale non gli stava imponendo nulla, si era
offerto semplicemente di ascoltarlo nel caso avesse deciso di
esternare lo spiacevole ricordo onirico e condividerlo con il suo
migliore amico... e la cosa strana era che ne aveva davvero
voglia. Per una volta, aveva desiderio di confidarsi, di
togliersi quel peso dal petto, di rendere egoisticamente partecipe
l'angelo delle sue sofferenze.
Non
era cosa rara che il ricordo della Caduta tornasse a perseguitarlo in
sogno, ma, solitamente, quando ciò accadeva, Crowley si risvegliava
di soprassalto nel suo letto, troppo grande per lui, completamente
solo e tutto ciò che poteva fare era rimanere disteso al buio, in
attesa che il batticuore si placasse e il respiro affannoso
rallentasse per tornare alla normalità. Ma quel giorno poteva
scegliere, non era costretto ad affrontare in solitudine quel
gigantesco spettro di paura e dolore che periodicamente tornava a
fargli visita. Non necessariamente.
Aziraphale
aspettava paziente che l'amico giungesse a una decisione. Capiva che
era combattuto. Non l'avrebbe forzato a raccontargli in cosa
consistesse l'incubo che l'aveva tanto sconvolto, ma sperava davvero
che Crowley optasse infine per metterlo a parte dei suoi tormenti.
Quantomeno, avrebbe potuto tentare di fare qualcosa per confortarlo,
qualunque cosa pur di vedere attenuarsi quella pena e il panico
abbandonare i suoi occhi.
Il
demone sollevò uno sguardo esitante verso l'amico in una muta
domanda; voleva accertarsi che Aziraphale fosse davvero convinto di
voler prendere su di sé parte del dolore che lo mordeva con ferocia
dopo ciascuna di quelle orribili esperienze. L'angelo intuì il
silente interrogativo e annuì, incoraggiante.
Crowley
inspirò a fondo, come a voler trarre dall'etere la forza necessaria
a convertire in parole le immagini terrificanti che ancora gli
invadevano la mente.
-
La Caduta, angelo. È sempre la Caduta. Ogni dannata volta. -
Aziraphale
non disse nulla e, dopo aver preso un altro lungo inspiro, il demone
riprese. - Siete tutti lì, voialtri, in piedi intorno a noi
inginocchiati e stretti gli uni addosso agli altri. Ci fissate in un
modo che mi fa sentire di pietra, mentre mi domando come accidenti
sia possibile che io sia finito in quella situazione. E poi
l'Onnipotente che parla con una voce più dura del marmo, più fredda
del ghiaccio, la luce che si fa sempre più accecante, e infine il
baratro che si apre sotto di me, l'abisso che mi inghiotte e il fuoco
che mi divora l'anima, che mi brucia le ali e le annerisce,
riducendole in cenere... -
Crowley
scoprì di non poter proseguire oltre; la voce gli si spezzò, le
parole bloccate da un nodo alla gola che gli impediva di continuare a
parlare. Avvertì la stretta della mano di Aziraphale farsi più
forte sulla sua gamba e vide le iridi celesti dell'angelo incupirsi,
come se dietro di esse fosse calato uno schermo opaco.
-
Mi dispiace tanto, caro. - esalò. - Se solo a quel tempo avessi
potuto fare qualcosa... -
Crowley
scosse la testa seccamente e proruppe in una risatina amara. - Non
avresti potuto fare proprio niente, angelo. Nessuno avrebbe potuto. -
Un
velo di dolore oscurò il volto di Aziraphale e Crowley si pentì
all'istante dell'asprezza con cui gli si era appena rivolto.
-
Senti, - cominciò, addolcendo il tono di voce. - anche se avessi
voluto aiutarmi, non ti sarebbe stato permesso. Con ogni probabilità,
saresti stato dannato anche tu. -
-
Forse sarebbe stato meglio così. Saremmo stati insieme. Ci saremmo
presi cura l'uno dell'altro. - sbottò l'angelo con voce roca e
appassionata.
A
quel punto, Crowley scattò in avanti con un movimento fulmineo degno
del serpente che era stato, gli afferrò i lembi della giacca con le
mani tremanti e si portò il viso di Aziraphale a un soffio dal
proprio. Poteva scorgere il suo riflesso in quelle pupille circondate
di limpido azzurro.
-
Non dirlo mai più, angelo! Mai più! - scandì, digrignando i denti,
le labbra contratte in una smorfia di rabbia mista a orrore. - Tu non
hai idea di cosa sia stato per me. Non sai cosa voglia dire Cadere e
prego chiunque Lassù e Laggiù che tu non debba
mai scoprirlo. Sarei distrutto alla sola idea che tu possa patire la
stessa sorte toccata a me, quindi non provare mai più a sparare
certe stronzate! -
Il
demone lasciò andare Aziraphale con malagrazia, quasi respingendolo
lontano da sé, dopodiché si accasciò sulla poltrona con un sospiro
esausto e si passò una mano sul volto, cercando di arrestare il
tremore che lo scuoteva da capo a piedi. Quello sfogo, unito
all'esagitazione del sogno, l'aveva provato pesantemente.
L'angelo
rimase ammutolito per qualche secondo, tenendo lo sguardo basso e
riflettendo con mestizia su ciò che Crowley gli aveva appena
rivelato, forse lasciandosi sfuggire anche più di quanto avrebbe
voluto.
Che
gli piacesse o no, era la triste verità. Non poteva conoscere nel
dettaglio ciò che l'esperienza della Caduta avesse significato per
il demone. Era una parte della sua esistenza dalla quale egli sarebbe
sempre stato escluso e non poteva arrogarsi il diritto di stabilire
che, se fossero stati dannati entrambi, le cose sarebbero state più
semplici. La reazione grave ed esasperata di Crowley gli aveva fatto
comprendere quanto quell'esternazione fosse suonata stupida e
incosciente da parte sua, e se ne vergognò profondamente.
-
Hai ragione. - iniziò, sollevando gli occhi e tornando a guardare il
suo migliore amico ancora sprofondato tra i cuscini e pallidissimo,
come un malato privo di forze. - Sì, all'epoca mi sarebbe stato
impossibile impedire ciò che ti è accaduto, e purtroppo non ho il
potere di cambiare il passato e far svanire i ricordi dolorosi. -
fece una pausa prima di riprendere a parlare infondendo una potente
carica di decisione alle sue parole risolute. - Ma non vuol dire che
non possa fare qualcosa adesso. -
Il
demone lasciò ricadere la mano che gli nascondeva parte del viso e
lo guardò, stupito. - Che cosa? -
Aziraphale
gli rivolse un sorriso infinitamente dolce. - Posso esserci per
portare insieme a te questo fardello. Posso ascoltarti, posso
alleviare il tuo tormento, anche se in minima parte. Per esempio,
adesso potrei cominciare col prepararti una bella tazza di cioccolata
calda. Lo sanno tutti che il cioccolato aiuta a scacciare il dolore e
la tristezza, come in quel libro, ricordi? Quello con il mago con gli
occhiali e la cicatrice... -
Crowley
inarcò un sopracciglio. - Vuoi dire Harry Potter? -
-
Esatto! - confermò l'angelo, sforzandosi di adottare un
atteggiamento allegro, mentre trafficava con un pentolino di latte ai
fornelli e tirava fuori dalla credenza una busta di cioccolata alla
nocciola. - Ricordo di un passaggio in cui arrivano queste creature
mostruose, questi vampiri della felicità... oh, come si chiamavano?
I disseccatori? No, i dissodatori... -
Il
demone non poté fare a meno di sorridicchiare. - Dissennatori,
angelo. Si chiamano Dissennatori. -
-
Proprio quelli. - affermò l'amico, armandosi di un cucchiaio di
legno col quale iniziò a mescolare la cioccolata.
Crowley scosse la
testa senza smettere di sorridere: Aziraphale si stava davvero
impegnando per fargli ritrovare il buonumore. Ciò che lo sorprendeva
di più, era che i suoi tentativi stessero funzionando sul serio.
Il gelo rimastogli
incastrato nel cuore si stava pian piano sciogliendo, l'angoscia
recedeva, le visioni spaventose del sogno venivano scalzate e
soppiantate da quella del suo migliore amico impegnato a preparargli
la cioccolata mentre fingeva di non ricordare il termine esatto di un
libro al fine di distrarlo e risollevargli il morale.
Quando Aziraphale
gli porse la tazza colma fino all'orlo di cioccolata fumante, Crowley
gli regalò un sorriso grato che valse tutta la riconoscenza che non
sarebbe mai riuscito ad esprimere a parole.
Si irrigidì quando
l'angelo gli depose una mano tiepida sulla guancia ancora umida di
sudore freddo, e forse anche di lacrime sfuggitegli dalle palpebre
durante il sonno, ma non si sottrasse a quel contatto, lo accolse
invece con indescrivibile sollievo.
- Non devi più
affrontare tutto questo da solo, caro. - mormorò Aziraphale. - D'ora
in poi ci sarò io. Ci sarò sempre per te. -
Nota:
Per quanto abbia
cercato di documentarmi, non ho trovato nessuna narrazione
particolarmente dettagliata della Caduta di Lucifero e degli angeli
Ribelli. Teoricamente, dovrebbero essere entità incorporee quindi la
questione dell'aspetto fisico, del sangue, delle ferite e tutto il
resto non avrebbe senso; ma sarebbe stato troppo complicato
presentare la situazione in questo modo quindi ho preferito scrivere
come se fossero dotati di un corpo materiale, anche se non lo sono.
La rappresentazione
che ho dato della Caduta è quella sognata da Crowley, che dunque è
soggettiva e non è detto che corrisponda a quella “vera”.
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Capitolo 24 *** Innuendo (Halloween shot) ***
Innuendo
You
can be anything you want to be
Just
turn yourself into anything you think
that
you could ever be
Be
free with your tempo, be free be free
Surrender
your ego,
be
free, be free to yourself
Innuendo,
Queen, 1991
Ottobre
era giunto anche quell'anno; le foglie degli alberi si arrendevano
docilmente alla forza di gravità e si lasciavano cadere a terra
danzando leggiadre nel vento freddo dell'autunno, formando un tappeto
soffice e compatto la cui trama abbracciava tutte le sfumature del
rosso e dell'oro.
Le
giornate si erano visibilmente accorciate e le ore di luce avevano
ceduto il passo all'oscurità che calava già a metà pomeriggio.
E
naturalmente in casa Dowling fervevano i preparativi per la grande
festa di Halloween che si sarebbe svolta la sera del 31. Sebbene gli
americani vivessero la sacra ricorrenza di origini celtiche come
nient'altro che un carnevale dai toni tenebrosi, l'ambasciatore e sua
moglie Harriet sembravano particolarmente desiderosi di allestire un
ricevimento in grande stile, specie ora che il loro unico figlioletto
aveva sei anni. Sarebbero intervenuti alcuni esponenti del mondo
politico e diplomatico portando con sé i propri piccoli rampolli che
si sarebbero divertiti a giocare e a fare scherzi travestiti da ciò
che più desideravano.
Warlock
non stava nella pelle: sarebbe stata la sua prima vera festa di
Halloween! Il bambino era entusiasta e già pregustava i giochi, gli
scherzi e le caramelle di cui si sarebbe rimpinzato.
In
quel periodo, le storie della buonanotte di Tata Ashtoreth si erano
fatte, se possibile, ancora più sinistre e inquietanti ma il bambino
non se ne lamentava, trovava piuttosto che fossero perfettamente in
linea con il periodo e che ben si adattassero alle decorazioni che la
servitù aveva sistemato per tutta la casa, rendendola simile a una
di quelle vecchie magioni infestate che il ragazzino trovava in quasi
ogni puntata di Scooby Doo (solo un po' più pulita e meno
autentica).
Una
sera, Warlock si arrampicò sul letto mentre la tata abbassava le
luci della stanza, poi attese che lei prendesse posto sulla solita
poltrona. Aveva una questione della massima urgenza da sottoporre
alla sua attenzione.
-
Vuoi sentire una bella storia, caro? Oppure preferisci una
ninnananna? - propose con un sorriso mieloso.
Nonostante
Warlock si ritenesse ormai un po' cresciuto per le litanie con cui si
usava far addormentare i bambini piccoli, quelle di Tata Ashtoreth
erano sempre talmente strane da spingerlo a richiedergliele quasi
ogni volta, ma non quel giorno. Invece di distendersi tra i cuscini,
il bimbo si sedette a gambe incrociate sul materasso, piantando uno
sguardo serissimo nelle lenti nere della donna, oltre le quali non
era mai riuscito a scoprire cosa si celasse.
-
Tata, lo sai che mancano dieci giorni alla festa? - esordì in tono
grave.
-
Quale festa, caro? -
Il
bambino roteò gli occhi ed emise uno sbuffo impaziente. - Quella dei
mostri e dei fantasmi, tata! -
-
Oh, ma certo! Quella festa. Sono così sbadata. - esclamò
Tata Ashtoreth battendosi una mano sulla fronte con fare teatrale. -
E, dimmi, tesoro, sei emozionato? -
Warlock
annuì serio. - Sì, ma ho un grossissimo problema. -
Tata
Ashtoreth reclinò la testa di lato con interesse. - Di che si
tratta? -
Il
bimbo inspirò come se dovesse fare un annuncio particolarmente
penoso. - Non so da che cosa travestirmi. -
La
tata annuì solidale e ci pensò su, portandosi una mano al mento e
aggrottando la fronte con aria concentrata.
-
Mmh, vediamo un po'. Che ne diresti di un bel lupo mannaro? -
Ma
il piccolo scosse la testa, categorico. - Lo fa già Billy Tyler, e
non voglio essere vestito come lui. È stupido, Billy. -
-
Capisco. Allora potresti mascherarti da fantasma. -
-
Ma quello è solo un lenzuolo con i buchi! - fece Warlock,
scandalizzato. - Io voglio un costume bello, tata! -
-
Un pirata? -
-
No, la mamma dice che i pirati sono fuori moda. -
-
Be', allora una strega... -
-
Le femmine fanno le streghe. - osservò, arricciando il naso.
- E io non sono una femmina. -
-
No, certo che no, caro. -
Dietro
la facciata serafica alla Mary Poppins, Crowley sudava freddo e
iniziava ad essere a corto di opzioni. Gli rimaneva ancora una carta
da giocare e sperò con tutto il cuore che fosse quella giusta. - A
questo punto, che ne pensi di vestirti da vampiro? -
Warlock
guardò la sua bambinaia, gli occhi spalancati di perplessità al
suono affascinante di quella nuova parola sconosciuta. - Che cos'è
un vampiro? -
Tata
Ashtoreth sogghignò, soddisfatta di aver catturato la sua
attenzione. - Mettiti giù, tesoro. Ti racconto una storia che parla
di vampiri e ti spiego che cosa sono. Vedrai che ti piacerà. -
Warlock
annuì convinto e s'infilò sotto le coperte che la tata gli rimboccò
con cura.
-
Comincia la storia, tata. Comincia! - la esortò il bambino, il
visetto illuminato di trepidante aspettativa.
-
Dunque, c'era una volta in Transilvania... -
Il
giorno seguente, Warlock si recò nel grande giardino della tenuta
per andare a trovare Fratello Francis, intento a rastrellare le
foglie cadute a terra che poi ammucchiava in una piccola montagnetta
lì accanto.
Quando
il giardiniere vide il bambino farglisi incontro trotterellando, lo
accolse con il consueto sorriso bonario.
-
Buongiorno, giovane Warlock! Come stai oggi? -
-
Bene. - rispose il bambino, ma l'uomo sollevò un sopracciglio e gli
rivolse uno sguardo particolarmente allusivo.
-
Bene, grazie Fratello Francis. - recitò il piccolo, cantilenando e
trattenendosi a stento dallo sbuffare. - E tu come stai? -
-
A meraviglia, ragazzo mio. Grazie per avermelo chiesto. - gli rispose
il giardiniere, soddisfatto dello sfoggio di quelle maniere educate,
anche se assai poco spontanee.
-
Cosa stai facendo? - domandò Warlock accennando col capo al mucchio
di foglie secche.
-
Oh, sto ripulendo il giardino. Vedi, quando arriva l'autunno, Dio fa
spogliare gli alberi delle foglie vecchie per farne nascere di nuove
in primavera. Vuoi aiutarmi? -
Il
ragazzino lanciò un'occhiata dubbiosa verso il rastrello e il folto
strato di foglie a terra. Sembrava un lavoro molto faticoso.
-
Ehm, no. La mamma non vuole. Dice che se sto fuori per troppo tempo,
poi mi prendo il raffreddore . - buttò lì, inventando una scusa di
sana pianta. - Ma devo chiederti una cosa importantissima. - disse,
assumendo di nuovo il piglio serioso e risoluto che la sera prima
aveva sfoderato con Tata Ashtoreth.
-
Chiedi, pure, Warlock. Chiedi pure! - rispose il giardiniere,
gioviale come sempre, cessando di lavorare e appoggiandosi al
rastrello, tutta la sua attenzione focalizzata sul bambino.
-
La festa di Halloween è tra poco, ma io non so da cosa travestirmi.
-
Fratello
Francis assentì con il capo, attendendosi forse un seguito che però
tardava ad arrivare. L'espressione insistente e impaziente del
piccolo davanti al suo silenzio fu la conferma che la “cosa
importantissima” a cui Warlock alludeva, era effettivamente la
scelta del costume per la festa.
-
Oh, e quindi vorresti un consiglio da me? -
Il
bambino fece cenno di sì con la testa. - Ieri l'ho chiesto anche
alla tata e lei mi ha detto di vestirmi da vampiro, come Dracula. -
Per
poco, il giardiniere non perse l'appoggio del rastrello. - Ah, Tata
Ashtoreth ti ha detto così, eh? -
Warlock
annuì di nuovo.
-
E tu... tu vorresti vestirti da vampiro come ti ha consigliato lei? -
Il
ragazzino alzò le spalle. - Non lo so. Non ho ancora deciso. -
Aziraphale
tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé. Crowley aveva fatto
egregiamente la sua parte, ora toccava a lui tirare fuori dal
cilindro un'idea che potesse allettare l'Anticristo e, allo stesso
tempo, coincidere con i precetti della sua fazione. Stette qualche
secondo a pensarci dopodiché ebbe un'illuminazione.
-
Che ne diresti, mio caro ragazzo, di travestirti da cavaliere? Con
l'armatura scintillante proprio come quella che hanno i principi
delle fiabe. -
-
Come quelli che salvano la principessa e uccidono il drago? -
s'illuminò Warlock.
-
Esattamente, figliolo! - confermò il giardiniere, felice di aver
suscitato il suo entusiasmo. - A questo proposito, conosci la storia
di San Giorgio? -
Il
bimbo scosse la testa. - Anche lui è un cavaliere? -
L'uomo
annuì vigorosamente. - Proprio così, ed è diventato un grande
eroe... -
E
così, Fratello Francis raccontò a Warlock di come il prode San
Giorgio, protetto dalla Grazia del Signore e dalla forza della sua
Fede, sconfisse il terribile drago in nome di Cristo e salvò la
principessa da una morte brutale, divenendo il paladino del Bene.
Il
piccolo parve favorevolmente impressionato dal racconto, tuttavia,
quando il giardiniere gli domandò se avesse preso una decisione
circa il suo costume di Halloween, la risposta fu di nuovo vaga e
incerta.
-
Non lo so. Mi piacerebbe fare il cavaliere, ma mi piacciono anche i
vampiri. Non so scegliere! Uffa! -
Fratello
Francis gli rivolse un'occhiata incoraggiante. - Hai ancora tempo,
ragazzo mio. La festa non sarà che fra nove giorni. Puoi decidere
con tutta calma. -
Warlock
accennò un assenso col capo. - Ci penserò. - asserì solennemente,
imitando i modi pomposi del padre, come se quella scelta avesse
riguardato il destino di una nazione e non un costume per una festa
in maschera.
Era
mezzanotte, e Crowley e Aziraphale erano seduti al tavolo di un pub a
condividere una bottiglia di vino rosso e a scambiarsi i resoconti
della giornata appena trascorsa.
-
Sai, il ragazzo è venuto da me questo pomeriggio e mi ha chiesto
consiglio su come mascherarsi la sera della festa di Halloween. -
disse l'angelo, facendo roteare il vino nel calice e inalandone il
bouquet.
-
Ah, sì. - fece Crowley. - Il nostro giovane Anticristo si trova di
fronte a un vero dilemma. E, dimmi un po', cosa gli hai suggerito?
Cos'hai escogitato per distoglierlo dal fascino di Dracula? -
-
Be', a dire il vero, gli ho raccontato la storia di San Giorgio e gli
ho consigliato di vestirsi da cavaliere. -
Il
demone gli concesse un'occhiata ammirata. - Complimenti. Ottimo
argomento, angelo. L'avrai senz'altro conquistato. Uomini in armatura
che uccidono draghi con una spada fanno sempre colpo sui ragazzini
della sua età. -
-
Oh, non saprei. - si schermì l'amico. - Mi è parso piuttosto
combattuto, in realtà. Il tuo racconto sui vampiri l'ha affascinato
molto, sai? -
Crowley
si permise un sorrisetto orgoglioso. - Sì, modestamente, sono sempre
stato un bravo cantastorie. - poi bevve un sorso di vino, fece
schioccare le labbra e si rivolse nuovamente all'angelo. - Ma temo
che, nella peggiore delle ipotesi, ci toccherà aspettare la sera del
31 per scoprire la sua decisione. Potrebbe sempre presentarsi
travestito da cavaliere vampiro, ammazza-draghi e succhia-sangue allo
stesso tempo, così la partita sarebbe ancora una volta alla pari. -
Il
demone ridacchiò, divertito da quell'idea improbabile, ma Aziraphale
gli restituì uno sguardo preoccupato. - Non lo so, caro. A volte ho
l'impressione che gli stiamo confondendo un po' le idee. -
Crowley
smise di ridere sotto i baffi e fissò con aria pensierosa il liquido
vermiglio che stava facendo vorticare pigramente nel suo bicchiere.
-
Sì, crescere con un modello educativo demoniaco e uno angelico
dev'essere complicato, - ammise. - ma ricorda, angelo, che stiamo
facendo tutto questo per scongiurare l'Apocalisse e se, una volta
compiuta la nostra missione, il ragazzo dovrà passare gli anni
dell'adolescenza in terapia da un buon strizzacervelli, sapremo
almeno che sarà stato per il meglio. -
-
Sì, hai ragione. - riconobbe Aziraphale, sollevando il bicchiere. -
Allora, ai cavalieri e ai vampiri. -
Il
demone rispose al brindisi ammiccando. - Che vinca il migliore. -
Nei
giorni a seguire, Warlock non parlò più del suo costume e così
Crowley e Aziraphale dovettero attendere la sera di Halloween per
ottenere risposta a quel piccolo enigma.
Il
piccolo Dowling aveva insistito perché al ricevimento dei bambini
fossero presenti anche Tata Ashtoreth e Fratello Francis, a patto che
anche loro si mascherassero “almeno un pochino”.
E
così, alle 21.00 del 31 ottobre, Crowley e Aziraphale si ritrovarono
sulla soglia di una grande stanza rettangolare ingombra di
decorazioni sgargianti, palloncini arancioni, viola e neri, festoni
che richiamavano ragnatele argentate e tavoli imbanditi di dolciumi
dalle forme ripugnanti. Un paio di animatori, anch'essi in costume,
stavano armeggiando con una grossa cassa audio. I bambini sarebbero
arrivati di lì a poco.
Crowley
non aveva dovuto faticare più di tanto per modificare il look di
Tata Ashtoreth in modo che risultasse in linea con l'atmosfera
generale della ricorrenza: si era limitato ad applicare un rossetto
viola molto scuro, a tagliuzzare un po' la gonna in modo che
apparisse sbrindellata come quella di una strega o di uno zombie e ad
indossare un cerchietto con un paio di corna. A essere onesti,
neanche Aziraphale aveva lavorato molto di creatività, optando per
una tunica bianca (che sembrava più un camicione da notte risalente
all'Età Vittoriana) un paio di alucce piumate applicate alla schiena
e una coroncina dorata che gli cingeva la testa bionda a mo' di
aureola.
Angelo
e demone si squadrarono a vicenda, facendo di tutto per non scoppiare
a ridersi in faccia reciprocamente. Quella situazione era talmente
buffa, talmente paradossale!
-
Be', vedo che entrambi abbiamo compiuto un grande sforzo di fantasia.
- commentò Crowley, lanciando un'occhiata divertita alle piccole ali
dell'amico, decisamente sproporzionate per il suo fisico.
Aziraphale
si strinse nelle spalle. - Warlock voleva che ci mettessimo in
maschera e così abbiamo fatto. Temo proprio che dovrà accontentarsi
del misero risultato. -
-
Ironico, non trovi? -
-
Che cosa, caro? -
-
Mi riferisco al fatto che, in questo preciso momento, siamo più noi
stessi che mai. Insomma, indossiamo una maschera, certo, ma sono
maschere che rappresentano la nostra vera natura. Non è buffo? -
Aziraphale
assentì. - Suppongo che lo sia. -
Nel
giro di dieci minuti, la sala si riempì di chiassosi bambini
mascherati, gli animatori fecero partire la musica e la festa ebbe
inizio.
-
Riesci a vedere Warlock? - domandò Aziraphale avvicinandosi a
Crowley per sovrastare il baccano di urla infantili, risate e musica.
-
Di sicuro non vedo nessun cavaliere dall'armatura scintillante. -
rispose il demone, aguzzando la vista. - Ci sono un paio di vampiri
ma nessuno dei due è Warlock. -
Crowley
e Aziraphale scandagliarono la folla di ragazzini in cerca
dell'Anticristo ma non riuscirono ad individuarlo per altri due
minuti, fino a quando uno degli animatori non fece disporre in riga i
piccoli invitati per formare le squadre che avrebbero partecipato a
un gioco.
L'angelo
sfiorò il braccio dell'amico e indicò uno dei bambini. - Guarda!
Eccolo là, è lui! -
Crowley
volse lo sguardo verso la direzione indicatagli da Aziraphale e lo
vide.
-
Be', non è né un cavaliere né un vampiro, e neanche un misto delle
due cose, a quanto pare. - constatò il demone.
-
Già, - concordò Aziraphale. - sembra proprio che, dopotutto,
nessuno di noi due sia stato convincente quanto J. K. Rowling. -
Warlock
si accorse dello sguardo della tata e del giardiniere su di sé: levò
la mano e rivolse loro un sorriso raggiante, indicando se stesso e
mimando con le labbra le parole “Harry Potter”.
Il
bambino portava un paio di occhiali tondi con le lenti trasparenti,
si era disegnato una cicatrice a forma di saetta sulla fronte,
brandiva una bacchetta di legno e indossava la lunga tunica nera che,
nell'opera della rinomata scrittrice, fungeva da divisa scolastica
per gli studenti della scuola di Hogwarts, con tanto di cravatta a
righe rosse e oro e lo stemma di un leone rampante appuntato
all'altezza del petto.
-
Be', almeno si è vestito da Grifondoro e non da Serpeverde. -
osservò Aziraphale con un certo compiacimento.
Crowley
gli scoccò un'occhiata torva. - Ovvio che si sia vestito da
Grifondoro, angelo. Harry Potter è un Grifondoro. Non è
stata una libera scelta, la sua. -
-
Ma avrebbe sempre potuto decidere di travestirsi da Draco Malfoy, in
quel caso... -
-
Nessuno vuole essere Malfoy. - puntualizzò il demone, stroncando la
replica dell'amico. - Harry Potter è il protagonista che le ha
sempre tutte vinte, è naturale che la scelta di Warlock sia ricaduta
su di lui. -
-
Rimane il fatto, - proseguì Aziraphale. - che il ragazzo ha scelto
di testa sua. La nostra influenza è stata irrilevante in questo caso
e, a dirla tutta, non so se sia un bene o un male. -
-
Abbiamo fatto del nostro meglio, - riconobbe Crowley. - ma il giovane
Warlock ha una personalità sua e sta crescendo. È normale che
sviluppi delle decisioni autonome. Dobbiamo solo sperare di riuscire
a contenere il suo lato distruttivo. -
L'angelo
sospirò. - Me lo auguro davvero, per tutti noi. -
Circa
un'ora più tardi, il party entrò nel vivo e la sala si trasformò
in una sorta di discoteca a misura di bambino, con tanto di luci
stroboscopiche. I ragazzini si scatenavano nel ballo, guidati dagli
instancabili animatori, e sembravano divertirsi come non mai.
Crowley
e Aziraphale erano rimasti in piedi con la schiena appoggiata al
muro, intenti ad osservare distrattamente quell'orda di piccole
creature selvagge in maschera.
-
Sai, un po' lo invidio. - mormorò Aziraphale.
Il
demone si voltò verso l'amico, perplesso. - Di chi parli? -
-
Di Warlock. -
Crowley
inarcò un sopracciglio. - Potresti spiegarti meglio, angelo? -
L'altro
tentennò per un attimo e si agitò sul posto, indeciso se dare o
meno voce ai propri pensieri. Infine deliberò per il sì.
-
Lui ha potuto scegliere. Stasera ha deciso cosa essere. Aveva due
alternative valide ma ha voluto ignorarle entrambe e trovare da sé
una terza opzione e guarda ora com'è felice. -
Crowley
intuì che ci fosse dell'altro e non rispose, dando modo ad
Aziraphale di proseguire il suo discorso che, ad essere onesti, gli
pareva assai interessante oltre che molto insolito per le labbra
dell'angelo, sempre pronto a rimarcare la propria appartenenza alle
schiere celesti del Paradiso.
-
Guarda noi invece. - aggiunse con una punta di rimpianto a
incrinargli la voce. - Siamo costantemente intrappolati nei nostri
ruoli. Non abbiamo una terza scelta, a meno di andare contro tutte le
regole delle nostre fazioni e subirne le conseguenze. Per esempio, tu
vorresti fare qualcosa per risollevare il morale della piccola
sirenetta ma ritieni che sia un comportamento inappropriato per un
demone, vero? -
Aziraphale
accennò con il capo ad una bambina vestita da sirena seduta su una
sedia a rotelle in disparte, che guardava mestamente gli altri
bambini ballare e giocare al centro della sala.
Crowley
fece per ribattere ma l'amico lo precedette. - Non provare a negarlo,
caro. È tutta la sera che la tieni d'occhio ed è palese che tu
voglia fare qualcosa per lei. -
-
E tu invece vorresti dare una lezione a quel bulletto vestito da
Mostro di Frankenstein che non fa altro che infastidire le bambine e
tirare loro i capelli, ma pensi che un angelo non dovrebbe
comportarsi così, giusto? - contrattaccò Crowley con un sogghigno.
- Gli lanci di quelle occhiate di fuoco che neanch'io saprei
eguagliare. -
-
Già, - confessò Aziraphale, puntando uno sguardo truce verso il
bambino che, proprio in quel momento, stava inseguendo una bimba
terrorizzata brandendo un grosso ragno di gomma disgustosamente
realistico, ridendo di sadico gusto. - Non mi sono mai piaciuti i
prepotenti. Se potessi, saprei io come toglierli quel sorriso cattivo
dalla faccia. -
-
Be', perché non lo fai? - propose Crowley.
Aziraphale
spostò l'attenzione sul demone. - Caro, te l'ho appena detto: noi
siamo un angelo e un demone, abbiamo delle regole ben precise da
rispettare. -
Crowley
rispose con un'irriverente pernacchia. - Le abbiamo già infrante
tante volte e non è mai successo niente di grave. Perché non ti
togli la soddisfazione di dare a quel ragazzino ciò che si merita.
Anche gli angeli possono elargire punizioni, all'occorrenza. -
-
Sì, - ammise Aziraphale. - ma non dovrebbero goderne, in teoria. -
Crowley
scrollò le spalle. - Dettagli. -
L'altro
tornò a volgere lo sguardo verso il piccolo bullo che aveva appena
strappato una delle alucce ad un costume da fata, facendo scoppiare
in lacrime la malcapitata vittima, chiaramente molto più piccola di
lui.
-
Sai che ti dico, caro? - fece Aziraphale, le sopracciglia aggrottate
e il tono di voce stranamente agguerrito. - Lo farò, ad una
condizione. -
Il
demone sbatté le palpebre, interdetto. - E quale? -
Aziraphale
gli sorrise furbescamente. - Che anche tu assecondi il tuo istinto e
vada da quella bambina per consolarla. -
Crowley
sbirciò di nuovo la piccola Ariel in sedia a rotelle, prima di
tornare a rivolgersi all'amico in tono di sfida. - E va bene, angelo.
Affare fatto. -
I
due si divisero. Crowley si avvicinò alla bambina seduta in un
angolino accanto alla parete, gli occhi tristi e ardenti di desiderio
ancora puntati sul gruppo di ballerini scatenati, le dita affusolate
delle mani posate in grembo che tenevano il tempo della musica.
Il
demone provò un moto di commozione per quella giovane anima
sfortunata e decise di mandare al diavolo (era l'espressione corretta
per un demone?) gli ultimi scrupoli legati al codice di comportamento
infernale.
Quando
la raggiunse, s'inginocchiò in modo da avere la linea dei loro
sguardi alla stessa altezza.
-
Ciao. - la salutò con voce dolce. - Io sono Tata Ashtoreth, tu come
ti chiami? -
La
bimba gli rivolse un sorriso timido. - Melody, ma tutti mi chiamano
Mel. -
-
Piacere di conoscerti, Mel. Ti andrebbe se restassi qui con te per un
po'? -
Il
sorriso della piccola si fece più largo e luminoso. - Oh, sì, per
piacere! -
Crowley
afferrò una sedia di plastica e si sedette accanto alla carrozzina,
iniziando a chiacchierare con Melody, la quale pareva felicissima
della sua presenza.
Aziraphale
osservava quell'inconsueto spettacolo con le labbra increspate in un
sorriso intenerito, ma un urlo di orrore proveniente dalla folla di
bambini lo riportò a concentrarsi sulla sua missione, la sua
spedizione punitiva. Il Mostro di Frankenstein si stava ora dedicando
a un nuovo divertimento: lanciare caramelle gommose a forma di
vermiciattoli e ragni colorati contro i più piccoli.
L'angelo
si fregò le mani e le scosse come a volersi riscaldare i muscoli
delle dita. - Bene. Ti piace tormentare i più deboli, eh? Ora
vedrai. -
Bastò
uno schiocco leggero e i dolciumi a forma di vermi e ragni presero
vita, trasformandosi in animali orrendamente veri.
Il
bullo cacciò un grido acutissimo e tentò di mollare la presa sugli
animaletti, ma un vermiciattolo gli si infilò sotto la maglietta del
costume e il ragazzino iniziò a girare intorno forsennatamente come
una trottola, cercando di sfilarsela, incontrando non poche
difficoltà a causa della grossa maschera. Nel tentativo, andò a
sbattere contro uno dei tavoli e una scodella piena di succo di
frutta gli si rovesciò sulla testa, inzuppandolo da capo a piedi e
suscitando l'ilarità degli altri bambini.
Quando
finalmente fu riuscito a togliersi la maschera e il pezzo superiore
del vestito da Mostro, il ragazzino si accorse con stupore che il
verme che credeva di aver visto, non era altro che un'innocua
caramella.
Il
coro di risate non accennava ad arrestarsi, alimentato
dall'espressione confusa e un po' stupida che era apparsa sul
faccione del bulletto, ora non più così tronfio e rosso sia di
vergogna e che di succo alla fragola.
Aziraphale
sghignazzò, soddisfatto della propria opera. Forse quell'incidente
non avrebbe reso quel ragazzo un santo, ma almeno l'avrebbe convinto
ad abbassare la cresta per il resto del party e aveva riscattato
l'onore delle sue povere vittime indifese di quella serata,
inoltre... era stato piuttosto divertente e appagante, doveva
ammetterlo.
La
scenetta esilarante era stata seguita con attenzione anche da Melody
e Crowley. La bambina ridacchiava timidamente, come se non fosse
sicura di che sentimenti fosse giusto provare, mentre Tata Ashtoreth,
di fianco a lei, ghignava con tutta la perfidia del mondo.
Per
una frazione di secondo, angelo e demone incrociarono gli sguardi e
si rivolsero un cenno complice. Missione compiuta, per entrambi.
A
mezzanotte e mezza la festa era ormai terminata. Gli ultimi piccoli
invitati se n'erano andati, alcuni esausti portati a spalla
direttamente dai genitori, e già le cameriere si apprestavano ad
entrare nella stanza armate di aspirapolvere, stracci e sacchi della
spazzatura per ripulire i postumi dei bagordi.
Warlock
crollava dalla stanchezza e presto avrebbe finito per addormentarsi
sulla sedia, così Tata Ashtoreth lo prese per mano e lo ricondusse
alla sua cameretta, dove lo liberò del costume da mago, gli pulì la
faccia dal trucco e lo aiutò ad infilare il pigiamino.
-
Ti sei divertito alla festa, caro? -
Impossibilitato
a rispondere a voce a causa di un enorme sbadiglio, il bambino si
limitò ad annuire.
La
tata lo fece distendere e gli rimboccò le coperte ma per quella sera
non ci furono né storie della buonanotte né una ninnananna perché
un secondo dopo aver poggiato la testa sul cuscino, Warlock dormiva
già come un ghiro.
Crowley
e Aziraphale, sbarazzatisi dei rispettivi costumi, si incontrarono
poco dopo al pub e ordinarono due bicchieri di scotch.
-
Allora? - esordì Crowley. - Com'è stato calarsi nei panni del
terribile angelo vendicatore? -
Aziraphale
ci rifletté per qualche secondo prima di rispondere. - Direi che è
stato... liberatorio. Quasi catartico, in effetti. -
Il
demone approvò. - Ti sei divertito, vero? Confessa. Avevi la tipica
espressione del gatto che si è appena mangiato il topolino. -
L'angelo
arrossì. - Ok, potrei aver provato una leggerissima soddisfazione. -
riconobbe, onesto. - Ma la cosa importante è che, dopo il mio
intervento, quel bullo abbia deciso di lasciare in pace gli altri
bambini e di restarsene buono per il resto della festa. -
-
Certo, certo. - rise Crowley. - Lo scopo era quello, non certo
compiacere il tuo ego. Ci mancherebbe! -
Aziraphale
gli scoccò un'occhiata al vetriolo, dopodiché sorrise e incrociò
le braccia al petto, mettendosi più comodo contro lo schienale della
sedia, assumendo una posa che ricordava molto quelle tipiche del suo
migliore amico.
-
E tu, mio caro? - soffiò con insinuante dolcezza. - Come ti sei
trovato a ricoprire il ruolo dell'angelo custode dei bimbi
sfortunati? Quella povera bambina ti guardava come se fossi un
miracolo piovuto dal cielo. -
Il
demone si permise di inarcare gli angoli della bocca in un sorriso
lieve, molto diverso dai suoi soliti ghigni beffardi. - Melody è una
brava bambina. È intelligente, buona e ha una grande forza d'animo.
Non meritava quello che le è successo, ma se operassi un miracolo
demoniaco per guarirla, i miei superiori mi trascinerebbero
all'Inferno per linciarmi seduta stante, - fece una breve pausa
riflessiva prima di riprendere. - e poi sono certo che diventerà una
donna eccezionale, forse proprio grazie alla disgrazia che l'ha
colpita. -
Aziraphale
rimase a bocca aperta davanti a quell'esternazione così genuina,
così brutalmente sincera, così poco da Crowley.
-
Non guardarmi in quel modo, angelo. Sembri un pesce lesso. - borbottò
il demone, ritrovando la sua vena scorbutica.
L'altro
bevve un sorso di liquore, prendendosi qualche secondo per riflettere
su quanto apprezzasse sempre di più il suo migliore amico. In
particolare, da quando erano entrati a servizio dai Dowling per
educare l'Anticristo, il loro rapporto si era fatto più stretto. Si
vedevano ogni giorno durante il “lavoro” e la notte si
incontravano per confrontarsi e scambiarsi opinioni. Quella vicinanza
giornaliera recava una conseguenza inevitabile: Aziraphale e Crowley
stavano approfondendo la conoscenza l'uno dell'altro, gli aspetti più
latenti della loro personalità si svelavano giorno per giorno come
pagine di un libro, sotto la spinta di quella quotidianità
condivisa. E ciò che l'angelo scopriva del demone lo lasciava sempre
più piacevolmente sorpreso.
D'altro
canto, quella sera avevano di comune accordo deciso di concedersi la
libertà di essere se stessi, indipendentemente dall'Inferno e dal
Paradiso: un lusso che non potevano permettersi spesso date le loro
condizioni di entità sovrannaturali legate rispettivamente all'una e
all'altra fazione. Avevano abbracciato il proprio sé più autentico
e assecondato ciò che l'istinto suggeriva loro, comportandosi di
conseguenza, ed erano stati sorprendentemente bene.
La
gioia di essere ciò che si è davvero, non ha prezzo. Aziraphale lo
stava apprendendo di giorno in giorno durante quella strana parentesi
della sua esistenza che viaggiava in parallelo con quella di Crowley,
divenuto ormai più di un semplice alleato, e certamente molto più
di un compagno di pranzi e bevute occasionali.
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Capitolo 25 *** Ride the wild wind ***
ride
Get
your head down baby – we’re gonna ride tonight
Your
angel eyes are shining bright
I
wanna take your hand
lead
you from this place
Gonna
leave it all behind
Check
out of this rat race
Ride
the wild wind
Ride
the wild wind
Gonna
ride the whirlwind
It
ain’t dangerous enough for me
Ride
the wild wind, Queen, 1991
Crowley
e Aziraphale sedevano quietamente sulla solita panchina di St.
James's Park che dava sul laghetto delle anatre.
Si
erano incontrati per consumare una sostanziosa colazione a base di
cornetto e cappuccino in una raffinata caffetteria italiana per poi
decidere di fare una passeggiata nel parco, con sosta obbligata alla
loro panchina preferita, sempre miracolosamente libera.
Crowley
stava dicendo qualcosa ma l'attenzione di Aziraphale era stata
attirata da un piccolo usignolo che aveva appena spiccato il volo da
un ramo e ora si librava elegantemente nell'aria facendosi
trasportare dalle correnti.
Era
così bello, così aggraziato. Pareva che non facesse alcuno sforzo
per mantenersi nella sua leggiadra sospensione.
-
Angelo? Mi stai ascoltando? -
La
voce di Crowley fece breccia nella sua fitta cortina di pensieri e
Aziraphale si riscosse volgendosi verso l'amico. - Cosa? Oh, scusa
caro, temo di essermi distratto. -
-
Sai che novità. - sospirò il demone. - Scommetto che stavi pensando
a quel libro che hai appena acquistato e che non vedi l'ora di
tornare alla libreria per leggerlo. -
-
No, in realtà stavo pensando a quello. -
Aziraphale
indicò con un cenno del capo l'usignolo che ora si era posato sul
parapetto in ferro battuto che circondava lo stagno, cantando
dolcemente. Crowley seguì la linea del suo sguardo e intercettò
l'animaletto.
-
Stai forse prendendo in considerazione di darti all'ornitologia? -
ridacchiò.
L'angelo
scosse la testa senza distogliere gli occhi dall'uccellino. - No, è
solo che... mi manca, sai? Volare, intendo. Mi manca la sensazione
delle ali sulla schiena, del vento sulla faccia e tra i capelli. Mi
manca vedere il mondo dall'alto. -
L'espressione
di Crowley perse il piglio beffardo e divenne altrettanto pensierosa
e nostalgica. - Sì, lo capisco. Anch'io mi farei volentieri un giro
tra le nuvole. Insomma, gli umani hanno inventato gli arei ma non è
la stessa cosa. -
-
No, non lo è. -
Trascorsero
un paio di settimane e una sera, discutibilmente tardi, Crowley bussò
alla porta della libreria di Aziraphale brandendo una copia tutta
stropicciata del Times.
-
Crowley? Che ci fai qui a quest'ora? - chiese l'angelo, richiudendo
l'uscio alle spalle dell'amico.
Per
tutta risposta, Crowley gli ficcò in mano il giornale. - Vai a
pagina 7. - gli intimò.
Aziraphale
fece scorrere le enormi pagine del quotidiano fino alla settima e
lesse il titolo posto in cima: “LA TEMPESTA PERFETTA ARRIVA A
LONDRA”
L'articolo
sottostante riportava la notizia dell'imminente arrivo in città di
una serie di forti perturbazioni temporalesche che, stando ai
meteorologi, si sarebbero abbattute sulla capitale inglese la notte
successiva. Le autorità raccomandavano ai londinesi massima prudenza
e consigliavano di rimanere in casa ed evitare di mettersi in strada
nelle ore contrassegnate dal segnale di allerta rossa.
Ma
Aziraphale aveva assistito al Diluvio Universale e non sarebbe certo
rimasto impressionato da un qualsiasi temporale, anche se
particolarmente violento, e non riusciva a trovare una ragione valida
che spiegasse l'interesse di Crowley.
Sollevò
gli occhi dal quotidiano e li posò sull'amico con aria
interrogativa. - Temo proprio di non aver colto il messaggio. -
Il
demone si riprese il giornale e premette con impazienza l'indice sul
titolo, come se fosse ovvio. - Una tempesta di vento, pioggia, lampi
e tuoni, angelo! Domani notte! -
Aziraphale
era sempre più confuso. - Sì, è quello che c'è scritto. E allora?
-
-
E allora è l'occasione che stavamo aspettando! - esclamò l'altro,
il volto acceso di un entusiasmo e un'emozione quasi febbrili.
-
Quale occasione? Ma di che stai parlando? -
Crowley
allargò le braccia. - Parlo di volare, Aziraphale! È da quel giorno
che non faccio che pensare a quello che hai detto riguardo al volo.
Mi mancano quelle sensazioni come mancano a te. Non capisci? Possiamo
sfruttare questa cosa per farci un volo clandestino sopra Londra e
nessuno lo verrà mai a sapere! -
-
Ma, caro... se qualcuno ci vedesse nella nostra vera forma? - obiettò
Aziraphale. - Non credi che due uomini alati che scorrazzano per il
cielo possano dare un po' nell'occhio? -
-
Hai letto l'articolo, no? Non ci sarà nessuno per le strade. E se
anche qualcuno ci fosse, sarebbe troppo impegnato a trovare un riparo
dalla tempesta per accorgersi di noi. E poi voleremo sopra lo strato
di nubi, dunque sarà impossibile vederci da quaggiù. -
-
E se incrociassimo la rotta di un aereo? -
-
Tutti i voli sopra Londra sono stati sospesi per l'intera nottata,
fino a quando l'allarme non sarà cessato. -
Nonostante
quelle ineccepibili considerazioni, Aziraphale non pareva ancora del
tutto persuaso, anche se la prospettiva di ritrovare le proprie ali,
anche solo per una notte, era oltremodo allettante. Da quanto non le
usava? Più di quanto potesse ricordare.
-
Non lo so, Crowley. - sospirò, dubbioso.
-
Oh, avanti! Una sola notte di libertà dopo secoli di vita umana con
i piedi sempre piantati a terra. Pensaci: io e te, lassù tra le
stelle, il silenzio, la quiete, la luna... -
Il
demone gli si era avvicinato con un sorriso che Aziraphale trovò
irresistibile, la sua voce vellutata si stava insinuando nella sua
mente carica di promesse, facendo recedere ogni obiezione e
alimentando il suo desiderio di acconsentire alla proposta come
benzina sul fuoco.
L'angelo
inspirò a fondo, cercando di ragionare a mente lucida, ma era impossibile
con Crowley che continuava a sussurrargli all'orecchio con quel suo
timbro sibilante, serpentesco. - E dài, angelo, cosa sarà mai? Ti
ricordi quanto erano belle le tue ali bianche? Ricordi quanto erano
morbide e leggere? Non vorresti provare ancora una volta il brivido
del volo? -
Aziraphale
sentiva il fiato caldo di Crowley vicino al collo, gli faceva un
solletico delizioso provocandogli la pelle d'oca. Non sarebbe
riuscito a resistere ancora per molto prima di cedere alla sua malìa
demoniaca che, a dirla tutta, l'amico esercitava magistralmente.
-
Oh, d'accordo! - cedette infine, sentendosi improvvisamente liberato
da un gran peso. - Faremo questa cosa, questa... pazzia. Ma se
qualcosa dovesse andare storto... -
-
Niente andrà storto, Aziraphale. Te lo prometto. -
-
Me lo auguro. - bofonchiò l'altro arricciando il labbro in un
broncio adorabile.
Crowley
ridacchiò di nuovo e gli batté una mano sulla spalla. - Non fare
quella faccia abbattuta, angelo. Domani a quest'ora saremo tra le
stelle! -
La
profezia meteorologica del Times non tardò a realizzarsi.
Tutto
il giorno seguente fu caratterizzato da un crescendo di fattori che
preannunciavano l'uragano in procinto di abbattersi sulla capitale
del Regno Unito. Dapprima fu solo l'aumentare del vento, poi
l'incremento dell'elettricità statica che procurava piccole scosse
dolorose ogni volta che si toccava qualcosa di metallico, infine
giunse un compatto banco di nuvoloni violacei a oscurare la luce del
sole come un'eclissi.
Entro
sera, Londra si trasformò in quello che avrebbe potuto essere il set
di un film apocalittico. Ma almeno non piovevano pesci come l'ultima
volta.*
Non
c'era anima viva per le vie della città, ma Crowley e Aziraphale si
diressero comunque in aperta campagna, per ulteriore precauzione.
Gli
alberi erano scossi da potenti raffiche mentre tutt'intorno
rimbombava il ruggito assordante dei tuoni. Non sarebbe stato un
decollo proprio facile, senza contare il fatto che i due erano fuori
allenamento.
-
Ne sei proprio sicuro? - urlò Aziraphale nel tentativo di sovrastare
quel baccano.
-
Assolutamente! - rispose Crowley, urlando a sua volta. - Trovo che il
rischio renda tutto più interessante. -
-
Ci guarda qualcuno? -
Crowley
fece una rapida scansione mentale dei dintorni ma l'unico riscontro
fu un vecchio gufo che li stava osservando con aria annoiata da
dentro il tronco di un albero.
-
Via libera! -
Angelo
e demone si posizionarono uno di fronte all'altro nel bel mezzo del
sentiero deserto, chiusero gli occhi e inspirarono, concentrandosi
intensamente.
In
pochi secondi, dalle loro schiene presero forma due sagome che li
avvolsero a mo' di bozzoli, uno nero come la notte, l'altro candido e
luminoso. Infine, quegli involucri si dispiegarono in due paia di
immense ali piumate.
Aziraphale
e Crowley sorrisero ed emisero un sospiro di piacere, deliziati dalla
sensazione di completezza che li invase come un'ondata di calore.
-
Andiamo? - chiese Aziraphale, incapace di nascondere l'emozione.
-
Dopo di te, angelo! -
I
due spinsero con i piedi il terreno e si librarono nell'aria.
Non
fu semplice bilanciarsi e contrastare la forza inaudita del tifone,
inoltre avrebbero dovuto salire non poco per superare la
perturbazione.
A
un tratto, Aziraphale venne investito da una raffica particolarmente
violenta che rischiò di farlo precipitare, ma Crowley lo afferrò
prontamente per la mano.
-
Non mollare la presa! Dobbiamo salire più in alto! -
L'angelo
annuì e strinse a sua volta le dita di Crowley tra le proprie,
lasciandosi guidare attraverso le correnti impetuose.
Insieme,
mano nella mano, ascesero cavalcando il vento selvaggio come i
surfisti cavalcano le onde. Intorno a loro esplodevano saette
argentate che li costringevano a una sorta di slalom senza schema.
Crowley rideva, sentendosi più vivo che mai, e scoccando sorrisi
smaglianti ad Aziraphale che, una volta superata la reticenza
iniziale, si stava godendo quella cavalcata aerea quanto il demone.
L'elettricità dei fulmini sembrava essersi riversata nelle loro
vene, ma forse si trattava solo di picchi di adrenalina e serotonina
nel loro corpo materiale.
Finalmente
giunsero oltre la spessa barriera di nubi e si godettero la vista di
una meravigliosa falce di luna che si stagliava contro il cielo
notturno trapuntato di stelle e sembrava voler dar loro il benvenuto
con un sorriso sornione.
La
notte era serena e limpida a dispetto della tempesta che infuriava
appena sotto di loro e Crowley e Aziraphale rimasero in ascolto del
silenzio quasi mistico che li attorniava, contemplando la bellezza
del panorama aereo che si estendeva all'infinito davanti ai loro
occhi. Le loro mani si separarono lentamente.
-
Allora? Ne è valsa la pena? - domandò il demone, sbirciando di
sottecchi l'espressione dell'amico.
-
Decisamente. - affermò l'angelo. Il bagliore delle stelle si
rifletteva nei suoi occhi e Crowley non poté fare a meno di
constatarne l'insolita brillantezza. Si sentì fremere quando
Aziraphale gli rivolse uno sguardo colmo di intensità, di euforia e
forse anche un po' di gratitudine per averlo trascinato in quella
mezza follia.
La
notte era fredda e loro erano bagnati fradici, ma bastò un solo
schiocco di dita dell'angelo perché i loro vestiti tornassero
perfettamente caldi e asciutti.
Crowley
gli rivolse un cenno di ringraziamento col capo. - Bene, e ora
vogliamo andare a farci un giro? -
-
Con molto piacere, caro. -
I
due sorvolarono il temporale finché, guardando in basso, non
riuscirono a scorgere i tetti e le luci della città. Tutto sembrava
così piccolo, così distante, così pacifico.
Era
quello il loro destino originale: distacco. Osservare lo scorrere
della vita sulla Terra distrattamente, con una lente d'ingrandimento
ogni tanto, senza mai prendere parte attiva agli avvenimenti che la
riguardavano e, men che meno, alle piccole faccende umane.
Ma
Crowley e Aziraphale avevano rinunciato a quell'esistenza moltissimo
tempo prima, optando per una sorta di esilio volontario tra gli
umani. Scelta della quale non si erano mai pentiti.
Sedettero
comodamente su un soffice cumulonembo per concedersi un po' di riposo
(avevano messo a dura prova le ali, inutilizzate da troppo tempo) e i
loro sguardi si persero a contemplare il panorama sottostante.
-
Il mondo è così diverso visto da quassù. - commentò Aziraphale.
-
Nah, il mondo è sempre uguale, angelo. È la prospettiva che è
diversa. È sempre una questione di prospettiva. -
L'altro
annuì, assorto. - Sì, credo tu abbia ragione. -
Aziraphale
e Crowley rimasero seduti fianco a fianco per un po', mentre la
nuvola viaggiava veloce nel cielo, sospinta dal vento.
A
un certo punto, l'angelo avvertì qualcosa di morbido e caldo
sfiorargli il dorso della mano. Abbassò lo sguardo e vide quella di
Crowley rasente alla sua, non proprio a contatto ma abbastanza vicina
da poterne sentire il calore radiante. Istintivamente, Aziraphale
venne colto dall'impulso di allontanare la propria. Insomma, si erano
tenuti per mano durante l'ascesa al di sopra del temporale ma non si
era trattato propriamente di un gesto fine a se stesso, no? Avevano
bisogno entrambi di controbilanciarsi, di unire le forze per superare
la tempesta e impedire che uno dei due venisse sbalzato via. Era
completamente diverso dal ricercare o accettare il contatto con la
mano dell'altro solo per il piacere di sentire la reciproca
vicinanza.
Ma
il tempo delle esitazioni era finito. Dall'avvento della mancata
Apocalisse, con il conseguente scambio di corpi per evitare di finire
giustiziati, l'angelo aveva messo da parte un po' di quel suo lato
più inflessibile e rigido a proposito del legame che lo univa a
Crowley, permettendosi di vivere più liberamente quell'ineffabile...
be', qualunque cosa ci fosse tra loro. Come aveva detto il demone, si
trattava di una questione di prospettiva, e, nell'ultimo periodo, la
sua era mutata radicalmente.
Così,
sorprendendo innanzitutto se stesso, Aziraphale non solo non si
scostò, ma colmò l'irrisoria distanza tra le loro dita e stabilì
proprio quel contatto che, in altri tempi, avrebbe ritenuto di dover
evitare. Avvertì il lieve sussulto di Crowley al suo fianco e, senza
sapere bene il perché, sorrise.
Aziraphale
e Crowley trascorsero ancora qualche minuto in muta contemplazione
delle campagne inglesi che scivolavano sotto di loro, la mano
dell'uno allacciata a quella dell'altro in una stretta lieve, timida,
impacciata ma presente. Nessuno dei due avvertiva il bisogno di
rompere il silenzio pacifico in cui erano immersi, sarebbe bastata
una sola parola appena sussurrata per mandare in frantumi quella
delicata e fragile bolla di serenità che si era spontaneamente
costruita intorno a loro mentre il confine della pelle dell'angelo si
confondeva con quello del demone e le loro mani raggiungevano la
stessa temperatura.
-
Sarà meglio tornare indietro. - disse infine l'angelo, a malincuore.
- Ci siamo allontanati di un bel pezzo e il cielo si sta
rasserenando, qualcuno potrebbe notarci mentre discendiamo. -
Crowley
annuì e, seppur controvoglia, i due interruppero il contatto
mettendo fine anche a quella specie di meraviglioso incantesimo che
li aveva avvinti dal momento in cui le loro dita si erano
intrecciate.
Con
un paio di colpi delle loro possenti ali, lasciarono la nube e
invertirono la direzione. Non parlarono molto durante il volo di
ritorno. Tanto Aziraphale quanto Crowley si stavano ancora cullando
nel vivido ricordo dell'impressione che la mano dell'altro aveva
lasciato nella propria, come se avesse sempre dovuto trovarsi lì. Ma
né l'angelo né il demone ebbero il coraggio di prendere
l'iniziativa e ricreare quell'unione. Non ancora, non subito, non
quella notte.
Per
il momento, a entrambi bastava sapere che quel legame c'era stato e
aveva donato loro sensazioni nuove, dolci e potenti che avrebbero
dovuto imparare a conoscere e a riconoscere.
Quando
tornarono qualche miglio sopra la campagna dalla quale erano
decollati, i nuvoloni si erano diradati molto, ma il vento soffiava
ancora impetuoso e angelo e demone ebbero il loro bel daffare per
riuscire a poggiare i piedi a terra.
Nei
paraggi non c'era nessuno e Crowley e Aziraphale poterono ritirare le
ali con tutta calma prima di risalire a bordo della Bentley.
-
Crowley? -
-
Sì, angelo? -
Aziraphale
esitò un istante. - Ci sono altre tempeste in vista? Perché, sai,
stavo pensando che, in fondo, è stato divertente e forse potremmo
rifarlo... qualche volta. -
Il
demone appoggiò il braccio destro sopra il volante e si voltò verso
Aziraphale con un sopracciglio inarcato e un sogghigno più malizioso
che mai. - Qualcuno ci ha preso gusto o sbaglio? -
-
Sta' zitto e pensa a guidare. - rise l'angelo, mollandogli un leggero
pugno sulla spalla e forse indugiando un po' più del necessario con
la mano sulla sua giacca.
Probabilmente
si trattò solo del riflesso di un lampo in lontananza, ma Aziraphale
scorse una scintilla di qualcosa balenare sotto lo schermo
delle lenti che celavano gli occhi del demone. Felicità? Gioia? Non
avrebbe saputo dirlo, ma lo sperava davvero.
-
D'accordo, - accettò Crowley, rispondendo alla proposta avanzata
dall'angelo. - ma la prossima volta ci portiamo un paio di bottiglie
di vino. Offri tu. -
-
Affare fatto! - approvò Aziraphale, il cuore traboccante di
un'insolita contentezza. - E magari anche qualcosa da sgranocchiare.
-
Il
demone scosse la testa con aria divertita mentre azionava il motore
della Bentley. - Sei incredibile, angelo. Pensi sempre al cibo. -
-
No, non sempre. - ribatté Aziraphale usando uno strano tono allusivo
e, quando Crowley gli scoccò uno sguardo per capire il significato
di quelle parole, l'amico prese a ridacchiare. - Penso molto anche ai
libri. -
Il
demone emise un indefinibile verso a metà tra uno sbuffo, una
risatina e un sospiro dopodiché tornò a concentrarsi sulla strada.
Non
poteva sapere che l'angelo fosse stato ad un soffio da aggiungere tre
cruciali paroline dopo “libri” e che quelle paroline fatidiche
fossero E a te.
*La
pioggia di pesci prima della fine del mondo è nominata nel libro ma
è stata tagliata nella serie TV.
Il programma per l'html ha deciso di farmi di nuovo lo scherzetto di rimpicciolire il primo paragrafo. -.-" Scusate per questo difetto ma non so proprio come risolvere (si accettano consigli in proposito). |
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Capitolo 26 *** You and I ***
youandi
Time
don’t mean a thing
When
you’re by my side
Please
stay a while
You
know I never could foresee the future years
You
know I never could see
where
life was leading me
But
will we be together forever?
You
and I, Queen, 1976
Quando
Crowley si svegliò quella mattina del 1° novembre, non capì subito
perché dall'altro lato del letto ci fosse un pigiama di seta celeste
piegato con cura e riposto sul guanciale ben sprimacciato, almeno
finché il ricordo degli eventi della sera prima non riaffiorò alla
coscienza emergendo dal nebuloso mondo del sonno.
-
Oh, per tutti i diavoli dell'Inferno. - sospirò, passandosi una mano
sul viso e stropicciandosi gli occhi ancora appannati. Le circostanze
che avevano portato Aziraphale nel suo letto erano piuttosto
imbarazzanti e più i ricordi si facevano chiari, più il demone
avrebbe voluto sprofondare tra le lenzuola.
Ma
il suo stomaco non sembrava essere della stessa opinione e protestava
energicamente reclamando la colazione, inoltre dalla cucina proveniva
un invitante profumo di caffè che convinse Crowley ad alzarsi, darsi
una rapida sistemata e uscire dalla camera ancora a piedi nudi e in
tenuta notturna, che nel suo caso consisteva in un paio di morbidi
pantaloni di raso neri e una T-shirt rossa con la scritta HELL WAS
BORING stampata sul davanti in antichi caratteri gotici.
Quando
arrivò nell'enorme cucina, trovò Aziraphale intento a trafficare ai
fornelli, con tanto di grembiule. Proprio in quel momento si stava
apprestando a spadellare dei pancake cotti a puntino per impilarli su
un piatto e, infine, versarci sopra una generosa quantità di
sciroppo d'acero.
La
tavola era imbandita con ogni prelibatezza che si potesse desiderare
per un primo pasto della giornata degno di un re: succo d'arancia,
tè, caffè, latte schiumoso, croissant, biscotti, marmellata, frutta
fresca, yogurt, fiocchi d'avena, pane tostato, miele, uova
strapazzate...
L'angelo
aveva fatto le cose in grande, non c'era che dire. Anche se l'amico
dubitava fortemente che le sue doti culinarie (per la verità, non
proprio eccellenti) non fossero state aiutate da un paio di miracoli.
Quando
Aziraphale si accorse della presenza di Crowley, che appoggiato allo
stipite della porta studiava di sottecchi i suoi movimenti, gli
rivolse un sorriso. - Buongiorno, caro. Arrivi giusto in tempo per la
colazione. -
L'angelo
non pareva minimamente turbato dagli accadimenti della notte appena
trascorsa e Crowley decise di adottare lo stesso atteggiamento
noncurante, come se nulla fosse successo.
-
Buongiorno, angelo. Da quanto sei in piedi? - domandò, sedendosi a
tavola e servendosi del caffè bollente dalla moka.
Aziraphale
posò il piatto di pancake al centro del tavolo e prese posto accanto
a Crowley, versandosi una tazza di tè.
-
Oh, da un po'. Sono un tipo piuttosto mattiniero, a quanto pare. Tu,
piuttosto, direi che te la sei presa comoda. - commentò, lanciando
un'occhiata all'orologio che segnava le 10 in punto.
Troppo
impegnato a masticare un biscotto all'uvetta, Crowley si limitò a
scrollare le spalle.
-
A proposito, - riprese Aziraphale spalmando una generosa porzione di
marmellata su una fetta di pane tostato già precedentemente cosparsa
di burro. - mi sono occupato io di far sparire le decorazioni.
-
Crowley
colse il tono casuale che l'angelo aveva usato e capì che, dietro
l'ostentata indifferenza, anche Aziraphale considerava i fatti
avvenuti poche ore prima come una red-zone nella quale sarebbe stato
pericoloso avventurarsi. Fare finta di niente era l'opzione migliore,
sebbene entrambi avessero ancora ben chiare nella mente le
conseguenze impreviste di quella che, secondo il loro piano iniziale,
sarebbe dovuta essere una normalissima serata di Halloween a base di
film, pizza a domicilio e caramelle disgustosamente sature di
zuccheri di ogni genere e coloranti.
Angelo
e demone terminarono la colazione rispettando il tacito accordo di
glissare sulla notte precedente e disquisendo di argomenti frivoli e
banali: i classici temi di cui si parla quando si vuole evitare di
portare la conversazione su sentieri impervi che condurrebbero ad
esiti imbarazzanti per gli interlocutori.
Alla
fine, Aziraphale si alzò da tavola, fece svanire tutte le rimanenze
con uno schiocco di dita e comunicò a Crowley che per lui era giunto
il momento di tornare alla libreria e al suo lavoro.
Il
demone fu ben felice di potersi congedare dall'amico. Dopo quanto era
successo tra loro, avevano decisamente bisogno di stare lontani per
un po' in modo da elaborare il tutto, metabolizzare e lasciar
decantare le proprie emozioni per vedere le cose nella giusta
prospettiva e, perché no, di cullarsi nel ricordo ancora fresco di
quella notte passata insieme.
I
saluti furono sbrigativi e impacciati e, quando l'angelo se ne fu
andato, Crowley tornò in camera per vestirsi e si accorse che
Aziraphale si era dimenticato il pigiama.
Il
demone scosse la testa davanti alla sbadataggine dell'amico, ma un
lieve sorriso gli increspò gli angoli delle labbra sottili. In
fondo, quell'indumento abbandonato sul cuscino rappresentava il
souvenir di un'esperienza tutt'altro che spiacevole, anche se inedita
tanto per lui quanto per l'angelo.
Poco
più di dodici ore prima...
Aziraphale
suonò il campanello modellato a forma di serpente dell'appartamento
di Crowley, domandandosi ancora una volta come caspita avesse fatto
il demone a convincerlo ad assecondarlo in quell'iniziativa.
Gli
aveva proposto, in occasione della ricorrenza del 31 ottobre, di
trascorrere una serata da lui, guardando film spaventosi dai quali
gli umani erano soliti lasciarsi intrattenere in onore di quella
festa antica quasi quanto l'umanità stessa.
Aziraphale
ricordava quando Halloween si chiamava ancora Samhain, prima che
iniziassero le inutili quanto feroci crociate cristiane contro quella
nobile festività pagana.
Non
aveva pregiudizi di quel genere, Aziraphale. Sapeva che Halloween non
aveva niente a che fare con il Diavolo o il satanismo, ma l'atmosfera
lugubre e oscura tipica di quella ricorrenza non era mai stata molto
in assonanza con la sua personalità.
Eppure,
quando Crowley gli aveva presentato quel programma, Aziraphale si era
ritrovato ad accettare quasi senza riflettere. La compagnia del
demone gli era sempre gradita, a prescindere dal contesto e
dall'attività che avrebbero svolto. E poi era un angelo immortale
che viveva sulla Terra da seimila anni; aveva vissuto il Medioevo,
aveva attraversato i secoli bui, gli orrori del nazismo... cos'altro
poteva spaventarlo, a quel punto?
E
così si era presentato alle 7 precise a casa di Crowley, reggendo
una busta di carta stracolma di dolciumi, cioccolato e caramelle di
ogni tipo.
Il
demone non venne ad aprire, ma la porta si socchiuse inaspettatamente
davanti a lui con un cigolio sinistro e stridulo, come un invito ad
entrare che egli accolse timidamente.
L'interno
dell'appartamento era immerso nelle tenebre.
-
Ehm, Crowley? Ci sei? È permesso? -
Aziraphale
mosse qualche passo incerto oltre l'ingresso. Udiva come degli strani
bisbiglii incomprensibili e, chissà come e da dove, un refolo di
vento gelido lo accarezzò dietro il collo facendolo rabbrividire.
-
Crowley? C'è qualche problema con la rete elettrica? -
L'angelo
avanzava nell'oscurità alla cieca, un braccio teso avanti a sé per
individuare eventuali ostacoli e orientarsi.
A
un tratto, Aziraphale urtò contro qualcosa di duro e freddo ma,
prima che potesse avere il tempo di realizzare di cosa si trattasse,
a un soffio dal suo viso si materializzò un ghignante scheletro
umano di un improbabile color verde fluorescente.
L'angelo
cacciò un urlo e arretrò di scatto ma si sentì afferrare per le
spalle da due mani mollicce e appiccicose che, di certo, non potevano
appartenere a un umano.
Una
voce sibilante gli sussurrò minacciosamente all'orecchio. -
Benvenuto nel tuo incubo peggiore, angelo. -
Aziraphale
urlò di nuovo e tentò di divincolarsi da quella stretta. Nella
foga, colpì qualcosa con il gomito e sentì un sonoro AHIA!
levarsi alle sue spalle.
-
C... Crowley? Sei tu? -
-
Sì, maledizione! E quello che hai appena colpito era il mio naso! -
Si
udì uno schiocco di dita e le lampade si accesero, rischiarando le
stanze dell'appartamento.
Crowley
aveva tappezzato ogni angolo di decorazioni: ragnatele, pipistrelli
che pendevano dal soffitto, zucche intagliate all'interno delle quali
tremolava la flebile luce di una fiammella, ossa di vario genere...
Aziraphale
si voltò e vide Crowley, il quale, liberatosi dei guanti mostruosi,
si stava premendo un fazzoletto sul naso, il tessuto bianco macchiato
di sangue vermiglio.
-
Ben ti sta, mio caro! Così impari a giocarmi certi scherzi. -
Il
demone gli restituì uno sguardo di fuoco. - Siamo ad Halloween,
aggelo. Tuddi fanno sgherzi! E non è colpa bia se du sei un fifone!
-
Dopo
aver miracolosamente guarito il naso di Crowley, lui e Aziraphale si
accomodarono sul grande divano in soggiorno, davanti al mega-schermo
piatto di design di ultima generazione. Una pila di DVD,
rigorosamente procurati per vie illegali, era stata sistemata sul
tavolino accanto a due cartoni di pizza extra large.
-
In quanto mio ospite, a te l'onore della scelta. - disse Crowley,
ammiccando verso l'amico.
Aziraphale
ne prese qualcuno e diede una rapida scorsa ai titoli, nessuno dei
quali si rivelò molto attraente ai suoi occhi. Alla fine, la sua
decisione cadde sulla pellicola che gli parve la più innocente:
Hocus Pocus.
Passò
la custodia a Crowley, che inserì il DVD nel lettore e spense le
luci, lasciando che le candele all'interno delle zucche rimanessero
l'unica fonte di soffuso chiarore.
Aziraphale
ringraziò mentalmente la Walt Disney per aver prodotto un film che
si sposasse perfettamente con i requisiti halloweeniani pur non
eccedendo nella componente spaventosa e, mentre i titoli di coda
scorrevano sullo schermo, l'angelo dovette ammettere che, in fondo,
non era stato poi così male.
-
Bene. - fece Crowley allungando una mano verso gli altri DVD
ammucchiati sul tavolo. - E ora tocca a me scegliere. Vediamo un po'.
A te piacciono i musical, vero? -
-
Ehm, sì. - rispose Aziraphale, sospettando che si sarebbe presto
pentito di quella conferma.
Il
demone sogghignò. - Allora ho proprio quello che fa al caso nostro.
Non è la versione del tuo adorato Stephen Sondheim*, ma sempre di
musical si tratta. -
Durante
la visione di Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet
Street, diretto da Tim Burton, Aziraphale perse ogni
interesse per le caramelle e qualunque altro cibo fosse presente
nella stanza, lo stomaco rivoltato da quel susseguirsi di perturbanti
sgozzamenti all'insegna dello splatter.
-
Mi sembri un po' pallido, angelo. - insinuò Crowley quando il film
terminò. - Forse certe scene erano troppo forti per il tuo
cuoricino? -
Aziraphale
gli scoccò un'occhiataccia. Non gli avrebbe dato quella
soddisfazione, anche se non capiva come certi umani potessero
apprezzare uno spettacolo simile. Dopo quanto aveva visto quella
sera, sarebbe passato un bel po' di tempo prima che fosse riuscito a
rimettere piede dal barbiere. Fece comunque del suo meglio per
mantenere una parvenza di spavalderia.
-
Be', certo, la gente uccisa e poi trasformata in pasticci di carne
non è proprio un bel vedere, ma se pensi che mi sia impressionato,
ti sbagli di grosso, caro. Ci vuole ben altro per terrorizzarmi. -
Crowley
gli indicò i DVD rimanenti. - Abbiamo tutta la notte e un bel po' di
materiale per mettere alla prova questa tua asserzione. Scegli pure,
ma che non sia troppo spaventoso, mi raccomando. Non vorrei che
venissi discorporato a causa di un infarto. -
-
E tu, Crowley? - fece Aziraphale, insinuante.
-
Io cosa? -
-
Scommetto che, tra questi, ci sono film che terrorizzerebbero anche
te. -
Il
demone scoppiò a ridere. - Dimentichi che io adoro la paura, angelo.
Sono un grande ammiratore della paura. Niente potrebbe
terrorizzarmi. -
-
Allora proviamo questo. -
L'angelo
passò il DVD a Crowley. Si trattava di Paranormal Activity,
di Oren Peli.
Mezzanotte
era passata già un po', il film era finito e Aziraphale sarebbe
dovuto rientrare alla libreria ma, dopo il trauma di quella
conturbante esperienza cinematografica, la prospettiva di rimanere
solo nel suo regno di carta e inchiostro gli risultava
insopportabile. Tremava al solo pensiero.
-
Ehm, senti, Crowley... Si è fatto piuttosto tardi e dato che tu hai
delle stanze in più... -
In
altri momenti, il demone si sarebbe appigliato a quella velata
richiesta per prendersi gioco dell'amico e rinfacciargli la sua
natura pavida, ma quella notte si accontentò di annuire senza fare
commenti derisori, sentendosi anzi addirittura sollevato all'idea che
l'angelo non se ne andasse, lasciandolo da solo nell'appartamento
vuoto.
Forse
vedere quel film non era stata proprio un'idea brillante. Quell'Oren
Peli sapeva il fatto suo come regista horror. Ah, se lo sapeva!
-
Sì, non c'è problema. - disse. - Puoi usare la camera in fondo al
corridoio, io dormo nell'altra. Ma credevo che tu non... -
Aziraphale
capì al volo. - Oh, sì, in genere preferisco passare la notte a
leggere o ascoltare musica, ma per stavolta farò un'eccezione,
credo. Qualche ora di sonno non ha mai fatto male a nessuno, giusto?
Bene, ehm, grazie. Allora io... io vado. -
-
Sì, ora me ne vado a letto anch'io. Ehm, allora buonanotte, angelo.
-
-
Certo, buonanotte a te, caro. -
Era
talmente palese che nessuno dei due volesse ritrovarsi da solo, anche
se a pochi metri di distanza. Ma ovviamente erano entrambi troppo
orgogliosi per ammettere di non volersi separare l'uno dall'altro
perché, dopo la visione di Paranormal Activity, erano
percorsi da brividi freddi in tutto il corpo; così come erano stati
troppo orgogliosi per proporre di spegnere il video, ammettendo in
quel modo di esserne atterriti. E così, a malincuore, si ritirarono
ciascuno nella propria stanza.
Aziraphale
fece apparire un pigiama di seta celeste e uno spazzolino, si lavò i
denti, si svestì e si infilò sotto le coperte. Crowley fece
altrettanto.
Ma,
nel preciso istante in cui angelo e demone, nelle rispettive camere,
spensero la luce e si distesero nel letto, immersi nell'oscurità,
furono colti da una sensazione di profonda inquietudine.
Le
immagini terrificanti e raccapriccianti di quel maledetto film
avevano avuto un forte impatto sul loro stato emotivo e sui loro
nervi, tanto da farli sobbalzare nel letto ad ogni minimo rumore,
reale o immaginario che fosse. Ombre spettrali venivano continuamente
proiettate sul soffitto e sulle pareti dalle sparute fonti luminose
esterne e, ben presto, sia Crowley che Aziraphale realizzarono che,
in quelle condizioni, non avrebbero potuto chiudere occhio.
Aziraphale
non era avvezzo al riposo notturno. Non che un angelo incorporato in
una forma umana non fosse in grado di dormire, ma la questione era
facoltativa ed egli, a differenza di Crowley che invece amava
dedicarsi a quell'attività, non aveva quasi mai ceduto al fascino
del sonno, impiegando le ore risparmiate per i fini più svariati,
primo fra tutti la lettura.
Ma
in quel momento si trovava fuori dal suo ambiente; non aveva con sé
i suoi libri, il suo scrittoio, i suoi strumenti, né il grammofono
con la sua collezione di vinili di musica classica e operistica (che
comunque non avrebbe potuto ascoltare senza disturbare Crowley) e
così Aziraphale stabilì che un pisolino fosse l'opzione migliore da
adottare. Non ricordava a quando risalisse la sua ultima dormita, ma
quanto poteva essere difficile? Sarebbe bastato rilassarsi, chiudere
gli occhi e lasciarsi scivolare nell'oblio.
Ma,
trascorsa una buona mezz'ora di vani tentativi, l'angelo si rigirò
per l'ennesima volta tra le lenzuola e gli si mozzò il fiato quando
vide la silhouette nera e arcuata di un corvo stagliarsi contro il
vetro della finestra. L'animale diede un altezzoso Cra-Cra per
poi volarsene via nella notte scura in un frullo d'ali.
Aziraphale
prese qualche respiro profondo per permettere al suo cuore di
rallentare dopo lo spavento. Sembrava che un cavallo imbizzarrito
volesse bucargli il petto dall'interno.
Non
aveva senso restare lì, semi-paralizzato dal terrore sotto le
coperte a trasalire per ogni piccola sciocchezza. Al diavolo il suo
stupido orgoglio! Avrebbe affrontato lo scherno di Crowley e le sue
battutine, ma aveva bisogno di lui per poter placare quel turbamento
che gli era rimasto addosso dopo il film.
Aziraphale
fece materializzare una sfera di luce bianca tra le mani e si alzò,
uscendo dalla camera.
Durante
quella stessa mezz'ora, a due muri di distanza, il demone faceva di
tutto per attrarre a sé il sonno, ma questo si beffava allegramente
dei suoi richiami.
Davanti
ad Aziraphale si era calato nella parte del duro e aveva fatto del
proprio meglio per fingere una certa imperturbabilità di fronte alle
scene mozzafiato di Paranormal Activity, ma ora che si trovava
in quel letto da solo a fare i conti con l'abisso della propria
mente, era tutta un'altra storia!
Razionalmente,
sapeva che era assurdo, per non dire umiliante, che un demone (un
demone!) subisse l'effetto sconvolgente di un film
dell'orrore, per quanto ben fatto. Ma in più di un'occasione aveva
avuto modo di constatare quanto l'immaginazione umana potesse
spingersi oltre nel creare e dare forma agli incubi più orrendi,
agli scenari più cupi, alle torture fisiche e psicologiche più
aberranti, arrivando perfino a battere l'Inferno al suo stesso gioco.
E così Crowley si ritrovava ora con i nervi tesi come una corda di
violino e il suo cervello, preda della suggestione, gli dava
continuamente l'impressione di vedere e udire cose spaventose.
In
qualche modo, sapere che Aziraphale si trovasse a pochi metri da lui
lo rassicurava, ma avrebbe desiderato poterlo avere ancora più
vicino, sentire la sua presenza al proprio fianco in quel letto
troppo grande.
Fu
in quel momento che udì distintamente un suono di passi fuori dalla
porta della camera e vide penetrare una lama di luce che si allargava
sul pavimento.
La
maniglia prese ad abbassarsi con inesorabile lentezza. Crowley scattò
a sedere e, rispondendo ad un cieco istinto, afferrò la prima cosa
che gli capitò tra le mani, ovvero un cuscino.
Quando
la porta iniziò a ruotare sui cardini, il demone si sentiva un
concentrato di adrenalina, pronto all'azione, a fronteggiare il
pericolo in agguato, qualunque forma avesse assunto.
Prima
che i suoi occhi potessero riconoscere la sagoma in piedi sulla
soglia, Crowley lanciò un urlo di guerra (che, suo malgrado,
assomigliò terribilmente a un grido di terrore) e scagliò il
cuscino in quella direzione con tutta la forza che possedeva.
-
Ahi! -
Aziraphale
barcollò sotto il colpo di quel micidiale proiettile imbottito di
piume e la sfera luminosa nella sua mano si spense.
Solo
in quel momento Crowley venne assalito dal dubbio che il tremendo
mostro appostato fuori dalla sua camera fosse in realtà nient'altro
che il suo migliore amico.
-
Ehm, angelo? Sei tu? -
-
Ouch! Sì, Crowley. Chi altri doveva essere? -
Il
demone accese l'abat-jour sul comodino e poté vedere l'angelo in
mezzo al corridoio in penombra mentre recuperava il cuscino da terra
e si accostava alla porta.
-
Posso entrare? - chiese, fermandosi rispettosamente sulla soglia.
Crowley
scrollò le spalle come a dire “fa' come vuoi, per me è
indifferente”, sperando che il sollievo e la gioia provocati dal
suo arrivo inaspettato non trasparissero.
Con
una certa audacia scaturita dalla paura e dal bisogno di vicinanza
con Crowley, Aziraphale salì sul letto dal lato accanto a quello
occupato dal demone e sedette sul materasso a gambe incrociate.
La
stranezza della situazione colse entrambi alla sprovvista e, per
qualche secondo, non riuscirono neanche a guardarsi negli occhi a
vicenda, troppo imbarazzati.
-
Non riuscivo a dormire. - buttò lì Aziraphale, più che altro per
interrompere quel silenzio sconcertato e surreale. - Ho pensato che,
se fossi stato ancora sveglio, magari avremmo potuto fare quattro
chiacchiere. Ma se ti disturbo... -
-
Niente affatto! - ribatté Crowley, un po' troppo in fretta e con la
voce esageratamente stridula per non destare qualche sospetto. Si
schiarì la gola, cercando di assumere un timbro più profondo e
controllato. - Voglio dire, neanch'io riesco a dormire.
Chiacchieriamo pure, se ti va... -
Restarono
svegli a parlare del più e del meno per un po' e i loro cuori si
fecero più leggeri, i loro nervi meno tesi, le impressioni
terrificanti del film meno vivide nelle loro menti, ora più
rilassate.
La
presenza di Aziraphale era un toccasana per Crowley come quella di
Crowley lo era per Aziraphale.
Quando
finalmente i due si sentirono sufficientemente affrancati dai terrori
di poco prima, Aziraphale gettò alla porta uno sguardo esitante. Non
voleva andarsene e tornare in quella camera, ma che figura avrebbe
fatto se avesse chiesto a Crowley di rimanere nel suo letto? Come
minimo, il demone sarebbe scoppiato a ridergli in faccia e l'avrebbe
sbeffeggiato per il resto delle loro vite eterne.
-
Ehm, suppongo che ora dovrei tornare di là. -
Crowley
finse un improvviso interesse per le sue iniziali ricamate
sull'angolo del lenzuolo, iniziando a seguirle distrattamente con
l'indice.
-
Be', potresti... potresti anche rimanere qui, per stanotte. Sempre
che condividere il letto con un demone non sia troppo blasfemo per i
tuoi standard. -
Aziraphale
lo guardò, stupefatto e incapace di credere a ciò che le sue
orecchie avevano appena udito. - Parli sul serio? -
Ancora
una volta, Crowley si esibì in quella scrollatina di spalle. -
Perché no? Insomma, se ti va, ovviamente. -
Il
volto dell'angelo si aprì in un sorriso radioso che scosse le
fondamenta stesse dell'animo del demone, come un terremoto scuote le
fondamenta di un edificio.
Non
senza un'imbarazzata goffaggine, Aziraphale si sdraiò vicino a
Crowley tirandosi le coperte fino al petto e stringendole a sè,
colmo di una strana felicità che, ne era certo, non poteva dipendere
solo dal sollievo di non rimanere da solo quella notte.
Con
movimenti altrettanto ingessati, il demone spense l'abat-jour e si
coricò a sua volta su un fianco, dando le spalle all'angelo ma
perfettamente conscio del suo corpo disteso a pochi centimetri da sé.
Riusciva a sentirne il respiro e quasi ne percepiva il battito
cardiaco che riverberava sul materasso.
-
Crowley? - chiamò Aziraphale, soffocando uno sbadiglio.
-
Sì, angelo? -
-
In realtà, non riuscivo a dormire perché quel film mi ha
terrorizzato. - confessò candidamente.
-
Già. - il demone se ne uscì con quel laconico commento che sembrava
non voler dire assolutamente nulla e non aggiunse parola, ma
Aziraphale indovinò i suoi pensieri e sorrise. Non gli avrebbe
rinfacciato la cosa, non quella notte almeno.
Paradossalmente,
fu proprio Aziraphale a scivolare nel sonno per primo.
Crowley
si accorse del suo respiro profondo e regolare e capì che l'angelo
si era addormentato. Per un po' cercò di combattere l'impulso a
girarsi verso di lui, anche perché temeva di svegliarlo al minimo
movimento. Ma alla fine non poté più opporsi a quel desiderio
insopprimibile, come il mitologico Orfeo cedette all'istinto di
voltarsi per guardare la sua Euridice firmando la propria condanna
all'infelicità.
Si
mosse con la massima cautela, trattenendo il respiro, ma Aziraphale
sembrava dormire quel sonno sereno e pacifico che nulla avrebbe
potuto disturbare. Un risultato davvero notevole per qualcuno che non
dormiva mai.
Crowley
si girò completamente sul fianco e appoggiò il viso al cuscino.
L'angelo era a un soffio da lui, sarebbe bastato un gesto
impercettibile per annullare l'esigua distanza tra loro.
Il
demone si prese qualche minuto per studiare i lineamenti del suo
migliore amico fin nei minimi particolari, quei particolari che gli
erano divenuti così indicibilmente cari in quei secoli di amicizia.
Secoli che, almeno per lui, avevano assunto significato solo in
funzione di quel legame con il più improbabile degli esseri: un
angelo, nientemeno!
Non
avrebbe saputo prevedere cosa il futuro riservasse loro, non avrebbe
saputo dire dove il corso delle loro vite immortali li avrebbe
portati, ma, mentre osservava il volto di Aziraphale placidamente
immerso nel sonno, gli affiorò alla mente un'unica, irrefutabile
certezza: sarebbero stati insieme. Dovunque e per sempre.
Aziraphale
si destò alle prime luci dell'uggiosa alba novembrina.
Nel
giro di pochi secondi, il torpore degli ultimi rimasugli di sonno si
dileguò e l'angelo poté ricordare ogni singolo dettaglio della
catena di eventi che l'avevano spinto a passare la notte nel letto di
Crowley.
Quella
del risveglio era una sensazione estranea e inconsueta per lui, ma
non la trovò per nulla sgradevole. Il tepore delle coltri, la
morbidezza delle lenzuola profumate e del pigiama di seta lo stavano
gradualmente riaccompagnando alla veglia e Aziraphale si godette
ciascuna di quelle sensazioni nuove.
Quando
girò lentamente la testa sul cuscino vide il demone ancora
profondamente addormentato, tutto scomposto, con una gamba sopra le
coperte e un braccio abbandonato di lato che penzolava inerte dal
letto, le labbra lievemente dischiuse e il petto che si alzava e si
abbassava dolcemente, assecondando il ritmo calmo del suo respiro.
Quella
visione fece sorridere Aziraphale. Non capitava tutti i giorni di
vedere un demone infernale dormire come il più innocente dei
bambini.
L'angelo
si tirò su a sedere sul materasso, stiracchiandosi cautamente per
non disturbare il riposo di Crowley, dopodiché si alzò e, con un
unico schiocco di dita, si ritrovò rasato e vestito di tutto punto,
pronto per iniziare la giornata. Piegò con attenzione il pigiama
celeste e lo depose ordinatamente sul cuscino.
In
quel momento, Crowley si mosse nel sonno e borbottò qualcosa di
incomprensibile, anche se Aziraphale fu quasi certo di aver distinto
piuttosto chiaramente la parola “angelo”.
Sorrise
di nuovo e, a un tratto, fu colto da una strana epifania, come una
folgorazione che gli apriva gli occhi su un'evidenza tanto semplice,
tanto ovvia da sembrare banale, ma che riversò nel suo cuore
un'ondata di calore e felicità, instaurando in lui un'incrollabile,
assoluta convinzione: lui e Crowley sarebbero rimasti insieme in
eterno, indipendentemente da tutto ciò che avrebbe potuto
intervenire per separarli, che si trattasse di un intero esercito di
angeli e demoni o addirittura dell'Apocalisse.
Forse
avrebbe perfino rivalutato l'idea di dormire, a patto che Crowley
fosse stato al suo fianco anche nelle notti a seguire.
*
Stephen Sondheim è un compositore, paroliere e drammaturgo americano
che viene citato da Crowley nella 1x01. Nel 1979, ha effettivamente
scritto le musiche e i testi di una delle tante versioni teatrali di
Sweeney Todd.
Nota:
Letta e riletta
decine di volte, modificata altrettante, questa shot continua a non
convincermi pienamente per quanto riguarda l'IC. Mi rendo conto di
aver umanizzato molto sia Crowley che Aziraphale e forse è proprio
questo a farmi storcere il naso.
Spero comunque che
questa storia fluffosa vi sia piaciuta. <3
|
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Capitolo 27 *** Made in heaven ***
heaven
A
M., sempre con me... ovunque tu sia.
When
stormy weather comes around
It
was made in heaven
When
sunny skies break through behind the clouds
I
wish it could last forever, yeah
Wish
it could last forever, forever
Made
in heaven
Made
in heaven, Queen, 1995
L'angelo
se n'era andato, lasciando Crawly in piedi sul muro di cinta che
circondava l'Eden lungo il versante ad est, in compagnia dei dubbi
che gli aveva appena esposto riguardo a quella faccenda della mela
proibita e che l'altro aveva, contro ogni previsione, affermato di
ricambiare.
“Che
tipo strano” aveva pensato il demone, sforzandosi di accostare
l'immagine bonaria e un po' impacciata del suo interlocutore a quella
austera e boriosa degli angeli che lui ricordava. Da che avesse
memoria, questi erano sempre stati esseri fieri e gloriosi, eretti in
tutta la loro mirabile altezza e splendenti del fulgore delle aure
celesti che emanavano intorno a sé; un ritratto di imponente,
granitica bellezza intaccata però dagli occhi di ghiaccio e dai
volti severi e spigolosi, come se fossero stati scolpiti nella pietra
più dura dalla mano di un artista talentuoso ma al quale era
completamente estranea la parola “pietà”.
Eppure
in quell'angelo, in quell'Aziraphale, c'era qualcosa di
diverso. Splendidamente diverso.
Gli
aveva rivelato il proprio nome con un sorriso timido mentre spiegava
una delle sue grandi ali per offrirgli riparo dalla pioggia, atto
alquanto generoso considerando la loro posizione di nemici ancestrali
e predestinati.
Tanto
per cominciare, gli aveva confidato di essere preoccupato e Crawly
sapeva che gli angeli non si preoccupavano mai perché, molto
semplicemente, non nutrivano dubbi né incertezze in merito al
proprio operato né, tanto meno, sulla rettitudine indiscussa di ogni
sacro ordine impartito dall'Altissimo che essi si limitavano ad
eseguire con la massima efficienza e ricavandone una certa
soddisfazione personale che li faceva gonfiare d'orgoglio come pavoni
altezzosi.
In
secondo luogo, quel buffo angelo biondo dal viso paffuto aveva donato
ai due umani peccatori nientemeno che la sua spada di fuoco. Non
solo, era giunto a quella decisione in completa autonomia, senza
mettere al corrente i suoi superiori e commettendo, in tal modo,
un'azione illecita alle spalle dell'Onnipotente. Aveva fegato da
vendere, il biondino! E tutto perché si era preso a cuore la sorte
di quelle creature rinnegate e indifese che, nella loro audace ma
cieca arroganza, si erano appena macchiate di un'onta che avrebbe
pesato sulla loro stirpe per sempre.
Crawly
si scoprì a sorridere tra sé. Quell'Aziraphale gli suscitava
un'istintiva simpatia. Aveva avuto come l'impressione che egli
potesse capirlo, che tra loro si fosse spontaneamente instaurata
un'intesa particolare che mai, prima di allora, aveva sperimentato
con un altro essere, divino o infernale.
Erano
rimasti fianco a fianco per tutta la durata del temporale, senza dire
nulla ma consapevoli della reciproca presenza e limitandosi ad
osservare con interesse quel nuovo fenomeno atmosferico che reclamava
il suo spazio nell'ordine universale delle cose.
Si
trattava di uno spettacolo talmente spaventoso a vedersi, che Crawly
e Aziraphale si trovarono a formulare silenziosamente la stessa
riflessione: le abilità creative e creatrici di Dio erano
incredibilmente versatili. Egli poteva dar vita alla più piccola e
innocente delle creature così come scatenare i più impressionanti
cataclismi. Del resto, il mite agnello era opera Sua tanto quanto la
tigre feroce.*
Quando
il furore della tempesta si era infine placato, Crawly e Aziraphale
si erano scambiati qualche stentata parola di commiato, adducendo
come scusa la necessità impellente di tornare dai rispettivi
dirigenti per riferire l'accaduto e ricevere nuove disposizioni. Ma
in cuor loro, nessuno dei due aveva rinunciato senza rimpianti alla
compagnia dell'altro. Le strade dei demoni difficilmente incrociavano
quelle degli angeli e l'eventualità che si rivedessero in futuro era
molto improbabile.
Eppure,
se gli fosse stato chiesto, Crawly avrebbe potuto asserire con
inesplicabile certezza che l'incontro appena avvenuto sarebbe stato
solo il primo passo di un lungo percorso che l'avrebbe portato, da
quel momento in poi, ad intrecciare spesso il proprio destino con
quello di Aziraphale. Si trattava di un pensiero del tutto privo di
ogni fondamento razionale, ma il demone ne era intimamente convinto.
Un
timido raggio di sole dorato si fece largo tra gli ultimi nuvoloni e
andò a posarsi sul viso del demone come se intendesse accarezzarlo o
benedirlo. Crawly chiuse gli occhi e lasciò che quel tocco tiepido
lo pervadesse, infondendogli la forza di abbandonare l'Eden per
rientrare all'Inferno, luogo in cui l'unica fonte di luce della quale
egli potesse godere era quella del sempiterno fuoco che consumava
ogni cosa.
Con
un sospiro rammaricato si preparò a fare ritorno ai piani inferiori
dove, con ogni probabilità, sarebbe stato accolto con grandi onori,
pacche sulle spalle e grida entusiastiche per l'impresa appena
compiuta che aveva dato lustro e gloria a tutta la fazione infernale.
Dopotutto, instillare la scintilla del Male nel Paradiso Terrestre
non era cosuccia da poco. Quella prima violazione avrebbe corrotto la
razza umana nei millenni a venire e lui, Crawly, si era fregiato del
titolo di Diavolo Tentatore per eccellenza. Forse avrebbe perfino
ottenuto una promozione a Duca o qualche altro encomio speciale da
Satana in persona.
Curioso:
la prospettiva di essere acclamato ed elogiato dagli altri demoni e
dai suoi superiori non lo rallegrava per niente, gli faceva anzi
provare un moto di fastidio e ribrezzo. Non si sentiva un eroe,
Crawly. Affatto. Forse non si era mai sentito più lontano da quella
definizione.
Il
demone s'incamminò nel giardino primordiale, deciso almeno ad
assaporare qualche boccata di quell'aria pura e piacevolmente
frizzante prima di tornare agli antri bui, rocciosi e inospitali
dell'Inferno. Era giunto fin lì e aveva portato a termine il suo
compito con zelo e diligenza: tanto valeva concedersi un giro
turistico e dare un'occhiatina qua e là.
I
suoi piedi nudi affondavano nella terra morbida e accogliente ancora
umida della pioggia che l'aveva appena fecondata, l'erba gli faceva
il solletico e le sue narici erano sature di odori vibranti di vita.
Un bel sollievo rispetto al lezzo sterile dello zolfo che egli era
costretto ad inalare giù all'Inferno, dove nulla poteva nascere o
crescere.
Crawly
passeggiava con calma, cercando di imprimere nella sua mente quante
più sensazioni potesse catturare in quel luogo ameno; dal canto
melodioso degli uccellini ai colori sgargianti della vegetazione
rigogliosa e lussureggiante. Voleva riempirsi l'anima di tanta
meraviglia, colmarla fino all'orlo di quella pacifica bellezza. Se
non altro, ne avrebbe conservato il ricordo una volta rientrato alla
base.
Giunto
in prossimità di un limpido ruscello gorgogliante, Crawly
s'inginocchiò e immerse una mano nell'acqua fresca. In quel momento,
il suo sguardo intercettò il proprio riflesso sulla superficie
cristallina e il demone trasalì alla vista dei propri occhi d'oro
striati di nero. Era stato bandito all'Inferno da moltissimo tempo
ormai, più di quanto potesse ricordare, ma la reazione che quel
particolare del suo aspetto gli suscitava era sempre la stessa ogni
singola volta. Quelle iridi da rettile gli conferivano un'aria
selvatica e infida; rivelavano l'essenza stessa della sua natura
dannata, impossibile da celare perfino a se stesso. Certo, ad alcuni
dei Caduti era andata molto peggio; almeno Crawly poteva dirsi grato
del fatto di non aver assunto una forma ripugnante e mostruosa come
quella di Hastur, Ligur, Dagon o dello stesso Beelzebub. Ma quella
minuzia degli occhi da serpente l'aveva sempre disturbato. Avrebbe
dovuto trovare un modo per camuffarli.
Il
demone si appuntò mentalmente quell'idea e fece per alzarsi dalla
sponda del torrente quando qualcos'altro attrasse la sua attenzione:
un dettaglio bianco che stonava vistosamente contro il nero della sua
veste e il rosso acceso dei suoi capelli.
Guidato
dalla propria immagine riflessa, Crawly si portò una mano alla
spalla sinistra e si tolse una candida piuma che gli era rimasta
impigliata tra il tessuto della toga e un ricciolo ribelle.
Il
demone la osservò stupito e incantato, come se si fosse trattato di
un gioiello di inestimabile valore. Doveva essere caduta dall'ala che
Aziraphale aveva dispiegato sopra la sua testa per proteggerlo dal
temporale.
Crawly
l'accarezzò con un dito. Era così leggera, così soffice, di un
candore a dir poco stupefacente. Sembrava impossibile che le immense
e forti ali degli angeli fossero costituite da unità all'apparenza
tanto piccole e fragili.
Un
tempo, anche lui aveva posseduto quelle stesse ali tanto immacolate e
perfette che potevano essere state create solo in Paradiso dalle
sapienti mani dell'Onnipotente. Le ricordava bene, Crawly: erano
vaporose e morbide come nuvole ma energiche e poderose quando si
trattava di librarsi tra le stelle appena accese nel firmamento.
Catturavano la loro luce e la rifrangevano tutt'intorno in un lampo
di lattea lucentezza.
Ma
ora non più. Ora le sue ali erano nere come una notte di luna nuova,
le piume sempre in disordine e arruffate. Ancora forti, sì; ancora
maestose e possenti ma cupe e oscure, quasi minacciose alla vista.
D'altra
parte, il bianco era una prerogativa del Paradiso, della Luce, della
Maestà divina. Ai demoni infernali non era concesso indossare quel
segno di nobiltà e grazia, anzi essi stessi lo ripudiavano con
disprezzo in quanto simbolo privilegiato di Colui che li aveva
rinnegati e condannati all'esilio.
Crawly
fece per lasciare la presa delle dita sulla piuma per affidarla alla
corrente del ruscello, ma all'ultimo momento cambiò idea e se la
nascose sotto le vesti, all'altezza del cuore.
Avrebbe
conservato quell'unico minuscolo frammento di Paradiso in ricordo di
ciò che era stato e non era più, di ciò che aveva perduto per
sempre e, perché no, anche di quel buffo angelo che l'aveva fatto
sentire bene per la prima volta da quando era stato precipitato
nell'Abisso sulfureo.
Molti
secoli più tardi, se qualcuno avesse sbirciato nella cassaforte del
lussuoso appartamento di Mayfair registrato a nome di Anthony J.
Crowley, avrebbe potuto scorgere una curiosa serie di oggetti: un
thermos decorato in tartan, dei guanti di gomma con un grembiule da
lavoro abbinato… e un'antica scatola di legno finemente intarsiata.
La decorazione sul coperchio rappresentava una mela avvolta tra le
spire di un serpente.
Se
quello stesso ipotetico qualcuno avesse forzato l'apertura dello
scrigno, probabilmente aspettandosi perle, ori, diamanti o un altro
genere di quei beni che solitamente si custodiscono in quel tipo di
pregiato contenitore, sarebbe rimasto assai sorpreso e forse anche un
po' deluso di trovarvi null'altro che una singola piuma nivea.
Ma
quella piuma dall'aspetto così insignificante era stata fatta in
Paradiso e al Paradiso sarebbe sempre appartenuta se, un giorno
lontano, un angelo di innata bontà non avesse offerto la sua ala a
un demone per ripararlo dalla prima pioggia che il mondo avesse mai
conosciuto e, in quell'occasione, essa non si fosse staccata dalle
sue sorelle per andare a posarsi leggiadra proprio sulla spalla di
quello stesso demone, il quale, da allora, la conservava come il più
prezioso dei tesori che potesse esistere in cielo, mare e terra.
Ed
ecco che allora quella piuma non apparteneva più al Paradiso, ma a
colui che la custodiva gelosamente da millenni come un dolce segreto
nascosto nei meandri più reconditi della sua anima e che, di tanto
in tanto, nel cuore della notte alla quale si sussurrano i desideri,
tornava a cullare con dedizione e tenerezza al riparo dagli occhi
indiscreti del mondo.
*The
Lamb (L'Agnello), pubblicata nel 1789, e The Tyger (La
Tigre), pubblicata nel 1794, sono due poesie del poeta e incisore
inglese William Blake che vengono spesso messe a confronto e indicate
come complementari. Il poeta si chiede quale forza creatrice sia
stata in grado di dare vita a due creature tanto diverse.
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Capitolo 28 *** Jealousy ***
j
Oh jealousy you tripped me up
Jealousy you brought me down
You bring me sorrow you cause me pain
Jealousy when will you let go?
Gotta hold of my possessive mind
Turned me into a jealous kind
How how how all my jealousy
I wasn’t man enough to let you
hurt my pride
Now I’m only left with my own jealousy
Jealousy, Queen, 1978
Aziraphale tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo, aspettando che lo snervante Tùù-Tùù del telefono accostato al suo orecchio venisse sostituito dalla voce di Crowley.
Quando finalmente il demone rispose, l'angelo liberò il respiro che solo a quel punto si accorse di aver trattenuto.
- Ciao Crowley. Come stai? -
- Oh, non c'è male. - rispose l'altro, vago.
Ed ecco la prima goccia di pioggia sul morale di Aziraphale, il quale
si sarebbe aspettato come minimo che l'amico gli restituisse la
domanda, anche solo per dovere di cortesia, anche solo con un misero:
“e tu?”. Ma ciò non avvenne e l'angelo
proseguì, sforzandosi di conservare un tono allegro.
- Senti, ehm... ti andrebbe di pranzare insieme oggi? Hanno aperto un nuovo ristorante thailandese qui vicino e... -
Il demone non gli permise neppure di portare a termine la frase. - Mi
dispiace, angelo, ma temo di avere già un impegno. -
Aziraphale venne afferrato dalla solita sgradevole sensazione che
provava ultimamente quando Crowley rifiutava di vederlo; era come
ricevere una secchiata d'acqua gelida dritta sulla testa... acqua
gelida e mattoni. Una secchiata di mattoni fatti di ghiaccio.
- Capisco. - mormorò Aziraphale, senza neanche preoccuparsi di
mascherare la propria delusione dietro una parvenza di leggerezza.
- Scusa, ora devo proprio andare. - si congedò Crowley, frettoloso. - Ti chiamo io, d'accordo? -
- Ma Crowley, va tutto... ?- iniziò, ma la voce del demone era
stata di nuovo sostituita dall'ipnotico suono che annunciava la linea
libera. Aveva riattaccato senza nemmeno attendere la sua risposta,
senza neanche aspettare di ricevere un suo saluto.
Aziraphale esalò un lungo sospiro rassegnato e ripose la cornetta.
Era l'ennesima volta in poco più di due settimane che il suo
migliore amico declinava la sua offerta di trascorrere qualche ora in
reciproca compagnia, accampando scuse generiche che avevano un
inequivocabile retrogusto amaro di bugia.
L'angelo non riusciva a figurarsi un motivo valido per quel suo
comportamento. Aveva anche passato mentalmente in rassegna i loro
ultimi incontri, nel tentativo di individuare una frase sbagliata o un
gesto casuale e involontario che avessero potuto offenderlo e farlo
allontanare da lui; ma non era riuscito a trovare alcun ricordo che
potesse far propendere per quella spiegazione. Tra loro non c'era stato
nessun litigio, nessuna discussione, neanche un piccolo diverbio che
fosse in grado di fornire un pretesto a quella sequela di inviti
rigettati.
Doveva esserci un'altra ragione, per forza.
Aziraphale non riteneva probabile che Crowley stesse passando dei guai
con i suoi dirigenti, poiché quelle rare volte che lo incontrava
o che lo contattava al telefono, il demone gli pareva più
distratto che preoccupato. Del resto, sia il Paradiso che l'Inferno,
memori di ciò che era accaduto il primo giorno dopo la mancata
Apocalisse, sembravano aver rinunciato (almeno temporaneamente)
all'idea di vendicarsi di loro.
Era piuttosto come se l'amico avesse continuamente la testa fra le
nuvole, come se tutta la sua mente fosse occupata da pensieri segreti
ai quali Aziraphale non aveva accesso, dai quali era escluso. Ogni
volta che l'angelo provava ad affrontare l'argomento, Crowley svicolava
e cambiava discorso all'istante, eludendo le sue domande.
Aziraphale si sforzava di non prendersela; dopotutto era un diritto del
demone quello di tenere per sé certi aspetti della propria vita.
Non era tenuto a condividere tutto con lui, anche se era il suo
migliore amico; anche se avevano alle spalle ben seimila anni di
vissuti comuni; anche se insieme avevano contribuito a fermare
l'Armageddon (più o meno); anche se si erano salvati la vita a
vicenda scambiandosi i corpi... Oh, al diavolo! Chi voleva prendere per
il naso?! Certo che Crowley
era tenuto a metterlo al corrente di ciò che gli stava
capitando, e il fatto che questo non fosse ancora avvenuto poteva
significare solo una cosa: lui, Aziraphale, non avrebbe approvato.
Ma, qualunque fosse la misteriosa motivazione, essa stava tenendo il
demone lontano da lui e tanto bastava per disapprovare a priori.
Il non sapere lo mandava ai matti. Avrebbe di gran lunga preferito
essere messo a parte di una verità spiacevole piuttosto che
sostare in quel limbo di dubbi e incertezze.
Ma,
per un crudele scherzo del destino (o forse dell'Onnipotente), quella
verità spiacevole gli venne accidentalmente rivelata un
pomeriggio della settimana seguente.
Quella mattina Aziraphale aveva invitato Crowley a bere un tè,
ma la sua proposta era andata a sbattere contro il solito muro di
“No”.
- Mi dispiace, angelo, ma ho un impegno. -
- Sei sempre impegnato! - aveva sbottato Aziraphale senza riuscire a
trattenersi. - Non so perché, ma mi stai evitando. È
evidente! -
- Ma che dici? Non essere sciocco! -
- Allora dimmi cosa sono tutti questi “impegni” che ti impediscono di trovare anche solo un'ora di tempo per una maledettissima tazza di tè. -
Crowley era rimasto in silenzio per qualche secondo, forse spiazzato dall'imprecazione dell'angelo.
- Senti, - aveva poi esordito con voce più conciliante. - sto
portando avanti un, ehm... un affare piuttosto delicato. Sono a un
passo dall'ottenere ciò che voglio ed è davvero
importante, quindi ti prego di avere ancora un po' di pazienza. Ti
spiegherò tutto quando questa storia sarà finita. -
Poi era accaduta una cosa al limite del bizzarro: Aziraphale aveva
udito distintamente una voce in sottofondo. Una voce femminile!
- Crowley? Ma c'è qualcuno lì con te? - aveva domandato, incredulo.
- Ma certo che no! È solo la ehm... la televisione. - aveva
ribattuto l'altro, la voce fattasi improvvisamente acuta e nervosa. -
Ora devo andare. Stammi bene, angelo. -
Il demone aveva riagganciato in tutta fretta e Aziraphale era rimasto ancora una volta solo con l'irritante Tùù-Tùù del telefono a pulsargli nell'orecchio.
Non era la televisione. Aziraphale era certo di ciò che aveva
sentito e, a meno che la BBC non stesse trasmettendo una soap opera in
cui una donna chiamava “Anthonyyy? Vieni o no? Lo champagne si
riscalda.”, c'era decisamente qualcuno nell'appartamento insieme
a lui.
Che egli sapesse, Crowley non riceveva mai visite a casa, a meno che
l'ospite non fosse lui, ovviamente, e se non si contava quella volta in
cui Hastur e Ligur si erano presentati alla sua porta per catturarlo e
portarlo all'Inferno: visita che si era conclusa con la tragica
dipartita di Ligur per mezzo di una formidabile secchiata di acqua
santa.
No, Crowley non era proprio il tipo da inviti e la sua ristretta
cerchia di amici si componeva fondamentalmente di un unico individuo:
Aziraphale stesso.
Ma allora come poteva spiegarsi ciò che aveva udito? Chi poteva
mai essere quella donna? Cosa ci faceva in casa del demone e per quale
dannata ragione il suo migliore amico non gliene aveva mai fatto cenno?
Aziraphale si era macerato in quelle domande fino al pomeriggio, quando
aveva stabilito che un po' d'aria fresca gli avrebbe fatto bene per
distrarsi e ritrovare la lucidità.
Dato che il suo invito era stato declinato, sarebbe andato da solo a
bersi quella tazza di tè. D'altra parte, non aveva certo bisogno
di Crowley al suo fianco per ogni minima cosa, no? Insomma, non stava
scritto da nessuna parte che lui non potesse uscire in compagnia
unicamente di se stesso, di tanto in tanto.
Arrivò alla sala da tè e sedette al solito tavolino
rotondo, fingendo che la visione della sedia vuota di fronte a
sé non lo disturbasse affatto.
Ordinò una tazza di rooibos* aromatizzato al cacao e si
guardò intorno, rigirandosi i pollici a disagio. Il locale era
pieno di coppiette e gruppi di amici che ridevano e chiacchieravano
spensieratamente tra loro. Quante volte lui e Crowley si erano seduti a
quello stesso tavolo, parlando di tutto e di niente. Quante volte il
demone l'aveva preso in giro per il fatto che, dopo aver sfogliato la
carta dei dolci per mezz'ora, egli scegliesse sempre la solita fetta di
torta alle fragole e crema chantilly, della quale gli offriva ogni
volta un assaggio.
La nostalgia lo assalì come un animale feroce, che lo strinse
tra i suoi artigli affilati. Non era la stessa cosa senza Crowley. Il
suo migliore amico gli mancava terribilmente e neanche l'aroma squisito
del rooibos fumante riuscì a cancellare il sapore amaro che
Aziraphale avvertiva in gola.
A un tratto, l'angelo alzò lo sguardo desolato verso la finestra
e fu allora che la vide: una Bentley d'epoca tirata a lucido
parcheggiata proprio lì di fronte, dall'altro lato della strada.
Aziraphale ebbe un tuffo al cuore: quell'auto poteva appartenere solo a
una persona. Che Crowley avesse cambiato idea e avesse deciso di
raggiungerlo?
Ma ben presto fu chiaro che quell'ipotesi fosse da scartare
perché davanti agli occhi allibiti dell'angelo si svolse una
scena che ebbe dell'inverosimile.
Crowley camminava verso la macchina ma non era solo; accanto a lui,
appesa al suo braccio e con il corpo decisamente troppo vicino a quello
del demone, c'era una donna. Aziraphale calcolò che dovesse
avere circa quarant'anni: era alta (o forse era solo merito dei tacchi
vertiginosi che indossava), il fisico slanciato ma formoso fasciato in
un tailleur dalla scollatura generosa, la gonna troppo corta le
lasciava scoperte le lunghe gambe e i folti capelli biondi le
incorniciavano un viso dai lineamenti forse un un po' troppo marcati
ma, nell'insieme, non sgradevole. Le sue labbra carnose scolpite dal
rossetto (e quasi sicuramente da un piccolo aiutino da parte di qualche
chirurgo plastico) erano distese in un sorriso smagliante, come se
stesse ridendo per una battuta particolarmente esilarante.
Crowley, dal canto suo, sembrava non dispiacersi della vicinanza con
quella donna e rideva a sua volta. Quando arrivarono alla Bentley, il
demone aprì lo sportello del passeggero e, usando una certa
galanteria, aiutò la sua accompagnatrice a salire a bordo,
dopodiché fece il giro per raggiungere il posto di guida.
Aziraphale si ritrasse dalla finestra nel timore che il demone volgesse
lo sguardo verso la sala da tè e lo sorprendesse lì ad
osservarlo. Quando osò accostarsi di nuovo alla vetrata, la
Bentley stava già sfrecciando verso quella che era
inconfondibilmente la direzione per Mayfair.
A un tratto, Aziraphale si sentì travolgere da un accesso di
vertigini e un moto di nausea. Lasciò a metà la tazza di
tè e abbandonò la fetta di torta praticamente ancora
intatta. Si recò alla cassa per pagare e si precipitò
fuori dal locale, il cui interno si era fatto improvvisamente
soffocante, insopportabile.
L'angelo
rientrò alla libreria come alla cieca. I suoi piedi lo
conducevano automaticamente verso la meta, ma la sua testa non ne
voleva sapere di concentrarsi sul tragitto. La scena alla quale aveva
appena assistito l'aveva lasciato scosso, deluso, triste, arrabbiato.
Allora era quello l'affare a cui Crowley si riferiva? Be', l'affare in
questione aveva un gran bel paio di gambe e una dotazione di curve da
fare invidia a un circuito di Formula 1.
Non avrebbe mai pensato che il demone potesse provare quel tipo di
interesse per gli esseri umani ma, forse, dopo tutto quel tempo
trascorso sulla Terra, aveva deciso di aprirsi a nuove esperienze. O
magari Crowley aveva già avuto avventure carnali di cui egli non
era al corrente. In fondo doveva ammettere che nell'arco dei secoli,
lui e l'amico non si erano frequentati molto assiduamente, almeno non
fino agli ultimi anni. Che ne sapeva delle attività alle quali
il demone si dedicava quando non era impegnato a indurre in tentazione
i mortali? Che ne sapeva delle sue frequentazioni, dei suoi passatempi,
dei suoi svaghi, del modo in cui era solito occupare il proprio tempo?
Aziraphale aveva trovato le sue piccole distrazioni nella lettura,
nella musica, nel cibo, nell'arte dell'illusionismo... forse Crowley
aveva scovato i suoi diversivi nella lussuria, nel piacere procuratogli
dai corpi altrui. Gli angeli erano, per loro natura, del tutto estranei
a quel tipo di appagamento, ma forse i demoni... se avessero voluto...
Sarebbe stato del tutto normale, e comunque Aziraphale sapeva che la
faccenda non lo riguardava. Eppure non poteva fare a meno di sentirsi
ferito, amareggiato e... tradito.
Si sorprese a sbattere la porta della libreria con una veemenza che non
gli apparteneva. Che gli stava succedendo? Perché, tutto d'un
tratto, si sentiva come se il suo animo fosse stato avvelenato? Cos'era
quella bile che si stava impossessando dei suoi pensieri, corrompendoli?
L'angelo si rese conto di quelle potenti sensazioni aliene e ne fu
spaventato. Doveva fare qualcosa, dedicarsi ad un'occupazione che
potesse distoglierlo dal ricordo di quanto aveva visto.
Decise di riordinare la sezione della libreria dove conservava le opere
di Shakespeare, tanto avrebbe dovuto farlo comunque, prima o poi.
Aziraphale prese un treppiedi, si rimboccò le maniche e si mise al lavoro.
L'impresa di riordino si rivelò più infruttuosa di quanto Aziraphale avesse sperato.
Per quanto tentasse di canalizzare la propria attenzione sui volumi
polverosi, questa sfuggiva ad ogni briglia per tornare sempre
all'immagine di Crowley e della donna misteriosa abbracciata a lui.
- Maledizione! - inveì Aziraphale, tirando un pugno allo
scaffale per poi emettere un gemito di dolore: quel legno massello era
più duro di quanto credesse. Il suo gesto aveva scosso
leggermente la mensola e quella minima vibrazione aveva fatto sì
che uno dei libri in bilico sulla superficie cadesse a terra, aperto
sul dorso.
Aziraphale si stava ancora massaggiando la mano dolorante ma si
affrettò a scendere dal treppiedi e a sollevare il malcapitato
tomo, sentendosi lievemente in colpa per averlo fatto precipitare dallo
scaffale. L'occhio gli cadde su una delle pagine alle quali il libro si
era spontaneamente aperto nell'impatto con il suolo.
Si trattava di un passo dell'Otello, atto III, scena III:
Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È
un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Beato
vive quel cornuto il quale, conscio della sua sorte, non ama la donna
che lo tradisce: ma oh, come conta i minuti della sua dannazione chi
ama e sospetta; sospetta e si strugge d'amore!
L'angelo lesse quelle accorate parole di avvertimento più e
più volte, come incantato e, all'improvviso, tutto gli fu
chiaro. Era questo che provava? Gelosia? Questa era la spiegazione che
si celava dietro alla fiele che gli stava corrodendo anima e mente?
Aziraphale si lasciò cadere su una poltrona, con il volume
ancora aperto tra le mani. Non aveva mai capito a fondo il dramma di
Otello: la gelosia era un sentimento che gli era ignoto, non gli
apparteneva e non l'aveva mai sperimentato. Ma ora, con davanti a
sé il vivido fotogramma mentale di Crowley e della sconosciuta
avvinghiata al suo braccio che ridevano per qualcosa che a lui non era
dato sapere, il tragico eroe shakespeariano aveva tutta la sua
comprensione.
Da
quel giorno, Aziraphale non provò più a contattare
Crowley. Cessò di telefonargli, di implorare la sua compagnia,
di elemosinare un po' di quell'attenzione che, a quanto pareva, il
demone dedicava interamente alla sua nuova fiamma.
Fu Crowley stesso a farsi vivo una settimana dopo.
Il telefono della libreria squillò e Aziraphale rispose, la voce
un po' più brusca del solito. - Mi dispiace, ma temo che siamo
proprio chiusi. -
- Angelo, sono io. Ma si può sapere dove sei sparito negli ultimi giorni? -
Aziraphale si sentì mancare. Nonostante il veleno della gelosia
non si fosse ancora stemperato, risentire la voce dell'amico gli
provocò una scintilla di gioia.
- Non sono sparito da nessuna parte, caro. - rispose, sforzandosi di
non lasciar trasparire alcun sentimento. - Ero qui come sempre, solo
che, sai, ero impegnato. -
- Ah. - Crowley rimase interdetto, evidentemente non gli era sfuggita
la pungente sfumatura sarcastica, ma si riprese quasi subito. - Senti,
pensavo di passare a trovarti oggi pomeriggio. Devo mostrarti una cosa
che ti farà piacere. -
Aziraphale pensò che quella fosse l'occasione perfetta per
restituire pan per focaccia al demone e, per quanto ogni cellula del
suo corpo materiale e spirituale premesse per fargli accettare la
proposta, l'angelo s'impose con fermezza di non farlo.
- Oh, non lo so, Crowley. Sai, sono molto occupato e non credo che troverei il tempo. -
L'interpretazione non gli riuscì per nulla convincente. Le sue doti attoriali erano sempre state oltremodo scarse.
- Angelo? Che ti prende? Mi dici per quale motivo ti comporti in modo tanto strano? -
- Strano? Trovi che io sia strano, caro? Non so cosa dirti, sono sempre il solito. -
- Smettila, Aziraphale. - gli intimò Crowley, severo. - Con
questa tua patetica performance stai facendo rivoltare nella tomba
tutti i grandi attori e drammaturghi del passato, oltre a insultare la
mia intelligenza. Allora, cosa c'è? Perché sei arrabbiato
con me? Ho forse fatto o detto qualcosa di male? -
Aziraphale avrebbe voluto fare il sostenuto ancora per un po', invece...
- FATTO O DETTO QUALCOSA DI MALE?! - esclamò. - Tu... tu sei
l'essere più irritante e incredibile che abbia mai conosciuto!
Ti fai negare per settimane senza darmi la minima spiegazione, mi dai
buca ogni volta che ti propongo di vederci e non ti degni di farmi
neanche una telefonata se non sono io a cercarti. E poi cosa succede?
Ti trovo in compagnia di quella... quella sciacquetta tutta curve e
silicone che ride come una cretina e ti si struscia contro mangiandoti
con gli occhi! Proprio il giorno in cui ti avevo invitato a bere una
tazza di tè e tu hai rifiutato blaterando qualcosa riguardo a un
affare delicato che stavi per portare a termine. Be', il tuo affare non
mi è parso poi un granché, lasciatelo dire, caro! -
Il silenzio che seguì venne intaccato solo dall'ansimare
tremante di Aziraphale, intento a riprendere fiato dopo quello sfogo.
- Tu... tu mi hai visto con lei? - fece Crowley, con voce strozzata.
- Pfff, ma certo che ti ho visto. - sbottò l'angelo. - Non
è che la tua ragazza facesse poi molto per passare inosservata,
sai? E, un piccolo consiglio: la prossima volta che vuoi girare per
Londra in incognito, lascia a casa la Bentley. -
- Aspetta, la mia ragazza? -
- Sì, è quello che ho detto. - ribatté Aziraphale,
glaciale. - La sua vocetta stridula ti ha per caso reso sordo, Anthony? -
- Va bene. Basta così. Credo che tu abbia urgente bisogno di una
spiegazione. - stabilì il demone. - Lascia perdere oggi
pomeriggio, vengo subito da te. Sarò lì tra dieci minuti.
Non ti muovere. -
- Oh, non ti disturbare, caro. Non vorrei mai che “il tuo affare” si ingelosisse. -
Tùù-Tùù, Tùù-Tùù...
Aziraphale si accorse di come la sua ultima replica al vetriolo fosse caduta nel vuoto e ripose la cornetta con un gesto secco. Stupido di un demone!
Ma non poteva negare che la prospettiva di vederlo di lì a pochi minuti lo elettrizzasse.
Crowley
entrò nella libreria col solito passo ancheggiante. Sottobraccio
teneva un oggetto avvolto in una carta da pacco marrone.
- Angelo? Dove ti sei cacciato? -
Aziraphale uscì dal retro senza fretta, dominandosi per non cedere all'istinto di corrergli incontro.
- Buongiorno, Crowley. Stavo per mettere a bollire l'acqua per il
tè ma non sapevo se dovessi preparare due o tre tazze. -
Il demone colse l'allusione e gli scoccò uno sguardo torvo. - Ti
stai comportando come un idiota, Aziraphale. Ma sono sicuro che
cambierai atteggiamento quando avrai sentito come sono andate le cose. -
- Sono tutto orecchi, caro. - soffiò l'angelo in tono dolce,
dopodiché si accomodò compostamente sulla poltrona,
accavallò le gambe e allacciò le dita in grembo in una
posa che trasudava calma e dignità, come se fosse pronto ad
ascoltare un lungo racconto e avesse tutte le intenzioni di non
lasciarsi turbare da alcunché.
Crowley si appollaiò su un bracciolo del divano. - Innanzitutto, hai idea di chi fosse quella donna? -
Aziraphale si strinse nelle spalle. - Ovviamente no. Qualcuno che
dovrei conoscere, forse? Perché temo che noi due non
frequentiamo gli stessi ambienti. -
Crowley finse di non aver sentito l'ultima parte. - Era Betsy Jones.** -
Il contegno sostenuto di Aziraphale vacillò. - Cosa? Quella Betsy Jones? Stai scherzando? -
Il demone scosse la testa, serio. - Per niente. Era proprio lei, in carne, ossa... e plastica. -
L'angelo aggrottò la fronte, perplesso. - Ma che diavolo avete da spartire voi due? -
- Te. - rispose semplicemente Crowley.
Aziraphale stralunò gli occhi. - Prego? -
L'altro sospirò come se gli toccasse sottolineare l'ovvio e la
cosa lo infastidisse particolarmente. - Tempo fa mi hai detto che una
tale Betsy Jones possedeva una rarissima prima edizione de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, acquistata
da un suo antenato durante un viaggio a Milano, e che le tue telefonate
per convincerla a vedertela erano sempre state un buco nell'acqua. Eri
ossessionato da quel dannato libro, mi tiravi scemo ogni volta che ci
vedevamo, come se aggiungerlo alla tua collezione fosse una questione
di importanza vitale. -
- Sì, in effetti ci tenevo molto. - ammise Aziraphale. -
Però continuo a non capire come questo abbia a che fare con... -
Ma il demone gli stava porgendo il pacco con uno sguardo eloquente e un sopracciglio inarcato.
L'angelo squadrò dapprima l'involto, poi Crowley, poi di nuovo l'oggetto misterioso.
- No, non può essere. - mormorò con un filo di voce.
Prese con delicatezza il pacco dalle mani del demone e iniziò a
scartarlo attentamente. Ad ogni pezzo di carta che scivolava via e
rivelava un nuovo frammento del suo contenuto, Aziraphale avvertiva
l'eccitazione aumentare sempre di più, finché non si
ritrovò tra le dita tremanti la prima edizione de I promessi sposi che tanto aveva anelato.
- Per Gesù, Giuseppe, Maria e tutto il presepe! È proprio lui! -
Dovette ricorrere ad un grande sforzo di volontà per sollevare gli occhi dal volume e dirigerli verso Crowley.
Il demone annuì e confermò. - Già. È proprio lui. -
- Ma... ma come hai fatto? - domandò l'angelo con voce
strozzata. - Io avrò tentato un centinaio di volte di convincere
la signorina Jones a vedermelo, ma si è sempre rifiutata. Diceva
che apparteneva alla sua famiglia da generazioni e che non voleva
separarsene per nessuna cifra al mondo. -
Crowley scrollò le spalle. - Be', forse io sono più
persuasivo di te, angelo. E poi, - fece una smorfia, - diciamo che non
erano tanto le cifre a interessarle. -
Un lampo di comprensione balenò sul viso di Aziraphale. - Allora
quell'affare di cui mi parlavi e quando vi ho visti insieme... -
L'amico annuì di nuovo. - Sì, stavo cercando di ottenere
quello stupido libro per te, razza di idiota. E, per la cronaca, non
hai idea di quello che ho dovuto subire, di quello che ho dovuto
sopportare per arrivare a farla cedere. Quella donna ama farsi pregare,
non c'è dubbio. Queste ultime settimane sono state un vero
inferno, e lo dico da uno che all'Inferno ci ha vissuto! -
Crowley rabbrividì, come se il solo ricordo dei giorni
precedenti gli suscitasse un moto di ribrezzo. - Se avessi saputo che
avresti ripagato il mio sacrificio comportandoti come una ragazzina
isterica e gelosa, non mi sarei dato tanto disturbo. Sei stato davvero
insopportabile al telefono e... -
Ma il demone non poté terminare il discorso perché
Aziraphale si alzò dalla poltrona e lo raggiunse in un
battibaleno, gettandogli le braccia al collo e stringendolo a sé
fin quasi a soffocarlo.
- Oh, Crowley! Sono stato un tale stupido! Non avevo capito niente e ho pensato... Ho pensato... -
- Sì, ho capito perfettamente quale idea ti fossi fatto, angelo. E sì, sei stato davvero uno
stupido. - esalò l'altro, stretto nell'abbraccio che gli
comprimeva il petto e la gola, mozzandogli il respiro, e che pure non
gli dispiaceva neanche un po'.
Aziraphale lo lasciò andare e gli regalò un sorriso
luminoso come il sole a mezzogiorno, gli occhi azzurri brillavano di
contentezza. - Non so proprio come ringraziarti, caro. -
Il demone tentò di non lasciarsi sopraffare dalla violenta
scarica di emozioni che lo attraversò alla vista del volto
dell'angelo risplendente di felicità. - Lascia stare, non serve.
-
Ma Aziraphale scosse la testa con decisione. - Oh, no. Non se ne parla.
Mi sono comportato in modo odioso mentre tu stavi cercando di
procurarti questo libro per me. È giusto che mi sdebiti. -
Un moto di fastidio assalì Crowley. - Non c'è nessun
debito, angelo. L'ho fatto perché mi faceva piacere. Non devi
ricambiare proprio niente. -
Aziraphale ci pensò su per qualche istante, prima di distendere
di nuovo le labbra in un sorriso raggiante. - E se ti proponessi una
cena al Ritz stasera? Non per sdebitarmi, - aggiunse in fretta. - solo
per passare una serata insieme, visto che è da un po' che non ne
abbiamo occasione. -
Crowley parve prendersi qualche secondo per soppesare l'offerta,
dopodiché sogghignò furbescamente. - Sai, Betsy si
metteva sempre un vestito nero di pizzo quando uscivamo a cena. -
L'espressione di Aziraphale si raggelò all'istante, indurendosi quanto la sua voce. - Come? -
Il demone ridacchiò. - Rilassati, angelo. Volevo solo
stuzzicarti un po', e poi non l'ho mai portata al Ritz, come avrei
potuto? - disse, con un sorriso ammiccante che poteva avere un solo
significato: “Quella è una cosa nostra e solo
nostra.”
- Cretino. - rispose l'angelo, senza riuscire a dissimulare a sua volta
un sorriso divertito ma che tradiva anche un po' di sollievo.
Col senno di poi, era stato veramente un perfetto idiota a sospettare
che Crowley avesse una relazione con quella donna. Spesso, la gelosia
porta ad immaginarsi gli scenari più assurdi e a credere
ciecamente alle proprie peggiori paure. Ora lo sapeva anche
l'angelo e si ripromise, in futuro, di guardarsi bene da quel subdolo
sentimento.
*
Il rooibos, detto anche tè rosso africano, è una
varietà di tè nota soprattutto per le sue
proprietà antiossidanti, l'assenza di caffeina e il ridotto
contenuto di tannini.
** Elizabeth (Betsy) Jones non
è un riferimento a qualcuno in particolare. Ho preso
semplicemente un nome e un cognome comunissimi in Inghilterra e li ho
uniti. Sforzo di fantasia pari a zero. Ma Elizabeth mi
pareva troppo raffinato per il tipo di personaggio che avevo in mente,
e così l'ho reso un po' più frivolo. A questo proposito,
mi scuso con tutte le Betsy del mondo.
|
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Capitolo 29 *** A winter's tale ***
winter
So
quiet and peaceful tranquil and blissful
There’s
a kind of magic in the air
What
a truly magnificent view
A
breathtaking scene
With
the dreams of the world
In
the palm of your hand
(Dreaming)
A
winter's tale, Queen, 1995
Era
il quarto inverno che Crowley e Aziraphale trascorrevano alla tenuta
dei Dowling.
Il
parco si era ricoperto di soffice neve bianca e il principale compito
di Fratello Francis come giardiniere consisteva ora nel salvaguardare
le piante del giardino dormiente e proteggerle dalle insidie del gelo
per permettere loro di conservare intatta la linfa vitale e sbocciare
più floride che mai all'arrivo della primavera che le avrebbe
risvegliate.
La
metà di Dicembre si approssimava rapidamente all'orizzonte e con
essa le annuali festività natalizie, insieme al loro carico di
chiassosa allegria e trepidante aspettativa.
L'ambasciatore
americano aveva fatto arrivare direttamente dalle foreste del nord
degli Stati Uniti un magnifico abete che troneggiava fiero
nell'ingresso della villa, addobbato riccamente e sfavillante di una
miriade di lucine colorate. A onor del vero, tutta la casa riluceva
di sfarzosi ornamenti a tema natalizio e, nell'insieme, ogni stanza
emanava una discreta dose di cattivo gusto e sovrabbondanza. L'oro,
il rosso e il verde dominavano incontrastati e squillanti in lungo e
in largo tra le mura della tenuta di Regent's Park.
Le
cameriere mormoravano che Thaddeus Dowling lo facesse per spirito di
competizione nei confronti del Presidente e del tripudio di
decorazioni che ogni anno facevano bella mostra di sé alla Casa
Bianca e suscitavano l'interesse e l'ammirazione di giornalisti,
politici e altre celebrità.
A
Crowley poco importavano le ragioni di tutto quel ciarpame sparso per
casa: non si era mai trovato a proprio agio tra le ipocrite
sdolcinatezze tipiche del moderno clima natalizio a stampo
consumistico, e ritrovarsi bloccato per il quarto anno consecutivo in
quella maledetta villa sempre più simile a una succursale
anglo-americana della Lapponia, dove gli echi delle canzoni di Natale
sembravano seguirlo ovunque andasse, gli pesava particolarmente.
A
peggiorare le cose ci pensava l'esaltazione del piccolo Warlock per
l'avvicinarsi del fatidico 25 Dicembre. Il bambino stordiva la povera
Tata Ashtoreth con le sue incessanti chiacchiere a proposito di Babbo
Natale, degli elfi, delle renne volanti e dei regali che avrebbe
trovato sotto l'albero.
Inoltre,
per quanto s'impegnasse a fondo per mantenere la sua influenza
demoniaca su di lui, il demone capiva bene che quello non fosse
proprio il periodo dell'anno più propizio per educare Warlock ai
valori infernali. Ogni racconto, ogni canzone, ogni film, perfino
ogni spot pubblicitario in cui ci si imbatteva, parlava sempre e solo
di buoni sentimenti, smancerie legate alla pace universale, all'amore
verso il prossimo e a tutte quelle altre sviolinate zuccherose da
cartolina di auguri, tanto sbandierate e auspicate fino al 25, e
delle quali ci si dimenticava puntualmente a partire dal giorno dopo.
L'Umanità era fatta così.
Una
volta, Tata Ashtoreth aveva provato a leggere al bambino la storia
del Grinch, avendo cura di modificarne radicalmente il finale in modo
che nessuno ottenesse i regali e trionfasse l'odio della creatura nei
confronti delle feste. Ma il bambino, già mezzo addormentato, aveva
scosso la testa sul cuscino e sbadigliando aveva detto: “Ma no,
tata. Non finisce così, la storia. Alla fine il Grinch diventa buono
e salva il Natale e tutti cantano e festeggiano felici e contenti.”
Crowley
aveva condensato tutta la sua rassegnazione in un profondo sospiro
sconfortato e aveva richiuso il libricino con un gesto secco.
Portare
avanti il suo compito di educazione diabolica si stava rivelando
particolarmente arduo, tutto sembrava remargli contro. Se Warlock
fosse stato un adulto sarebbe stato più semplice, poiché spesso gli
umani tiravano fuori il peggio di sé proprio durante le festività
natalizie a causa dello stress da corsa ai regali e dell'ipocrisia
dilagante che raggiungeva livelli record proporzionalmente
all'avvicinarsi del giorno tanto atteso.
Ma
i bambini vivevano quella ricorrenza con il cuore leggero, colmo di
meraviglia e innocenza e Warlock, Anticristo o meno, non faceva
eccezione.
Chi
invece cavalcava l'onda di bontà natalizia e beneficiava di quelle
atmosfere stucchevoli e melense era Aziraphale, il quale, sotto le
spoglie del buon Fratello Francis, incoraggiava il piccolo di casa a
coltivare le virtù e gli insegnamenti del Natale. Poco importava che
quell'aspetto sentimentalistico delle festività invernali fosse un
recente retaggio derivante dall'epoca Vittoriana e ormai consolidato
nella cultura popolare: l'angelo sfruttava sapientemente l'occasione
per instillare l'amore universale nel cuoricino dell'Anticristo.
Il
bambino lo raggiungeva spesso nella piccola biblioteca della casa,
dove sedeva sul morbido tappeto davanti al camino o si raggomitolava
su una poltrona, ascoltando il giardiniere che lo incantava
leggendogli storie e racconti che parlavano della magia del Natale e
dell'importanza di essere buoni e altruisti, in particolar modo con i
più sfortunati e bisognosi.
Una
sera, come di consueto, Tata Ashtoreth si recò nella cameretta di
Warlock per raccontargli una delle sue lugubri storie della
buonanotte o cantargli una ninnananna sinistra, ma quando varcò la
soglia, si accorse che il letto era vuoto e del bambino non c'era la
minima traccia.
La
tata sbuffò, preparandosi a cercare la piccola peste in giro per
tutta l'enorme casa. Non era la prima volta che il bambino si
nascondeva in qualche anfratto della villa per evitare l'ora della
nanna e, quando accadeva, Tata Ashtoreth aveva il suo bel daffare per
trovarlo e convincerlo ad andare a letto. In genere, la corruzione
per mezzo di dolcetti vari o caramelle si rivelava un'infallibile
modalità di convincimento e la demoniaca bambinaia non esitava a
farvi ricorso senza ritegno, con buona pace di ogni prescrizione
pedagogica o teoria educativa. E così anche quella sera si riempì
le tasche di biscottini allo zenzero e partì alla ricerca
dell'Anticristo perduto.
Mezz'ora
più tardi, Tata Ashtoreth si ritrovò di nuovo davanti alla porta
della camera di Warlock a grattarsi la testa, perplessa. Le sue
ricerche erano state del tutto inconcludenti. Eppure aveva perquisito
accuratamente ogni stanza, ogni nicchia, ogni ripostiglio dei
sottoscala (accidenti a Harry Potter!). Dove poteva essersi cacciato
quel ragazzino?
A
un tratto, le venne in mente un luogo che, nella sua spedizione,
aveva incautamente mancato di controllare: la biblioteca.
Tata
Ashtoreth salì le scale e si precipitò al piano di sopra.
Dall'uscio socchiuso filtrava una lama di luce calda e un flebile
suono famigliare proveniva dall'interno: Aziraphale, intento a
leggere a voce alta.
La
tata capì di aver fatto centro e, prima ancora di entrare, seppe con
assoluta certezza che avrebbe trovato Warlock lì dentro, in
compagnia di Fratello Francis.
Strinse
la maniglia d'ottone e spinse piano la porta.
Come
previsto, il giardiniere era seduto comodamente in poltrona e teneva
tra le mani una vecchia edizione dei Racconti di Natale di
Dickens. Un fuocherello morente ardeva ancora nel caminetto, quel
tanto che bastava a rischiarare l'ambiente circostante ingombro di
scaffali stipati di libri. Warlock dormiva della grossa acciambellato
sulla poltrona accanto a quella dell'angelo. Indossava il suo nuovo
pigiamino intero disegnato per assomigliare a un soffice costume da
Rudolph, con tanto di naso rosso e un paio di adorabili cornine
applicate al cappuccio.
Tata
Ashtoreth mosse qualche passo oltre la soglia e la porta cigolò
sommessamente, distogliendo l'attenzione di Fratello Francis dal
libro che stava leggendo e inducendolo ad alzare lo sguardo verso
l'entrata della stanza.
-
Crowley. - fece, sorpreso. - Che ci fai qui? -
-
Secondo te? - ribatté il demone in tono vagamente infastidito. -
Devo mettere a letto il moccioso. - Si interruppe per indirizzargli
uno sguardo obliquo. - E comunque vorrei farti notare che queste non
sono le tue ore d'insegnamento; come se poi, in tutto questo
disgustoso clima natalizio, tu non fossi già abbastanza in vantaggio
su di me. -
Aziraphale
gli lanciò un'occhiata d'avvertimento e si portò un dito alle
labbra, indicando il bambino assopito con un eloquente cenno del
capo.
-
Mi spieghi perché diamine leggi ad alta voce? Sta dormendo, non lo
vedi? - bisbigliò Crowley.
L'angelo
si strinse nelle spalle. - I concetti e la morale passano lo stesso.
L'ho letto in un manuale di psicologia infantile e neuroscienza. -
Il
demone non poté trattenere uno sbuffo. - Be', per stasera la
sessione di lettura finisce qui. -
Crowley
si avvicinò alla poltrona e si protese verso Warlock, nell'atto di
sollevarlo di peso tra le braccia e portarlo fuori dalla biblioteca.
-
Crowley, aspetta. -
Il
demone si bloccò e si volse in direzione di Aziraphale con aria
interrogativa. L'angelo se ne stava in piedi dietro di lui e sembrava
improvvisamente a disagio, come se si fosse pentito di quelle due
parole che gli erano sfuggite dalle labbra ma che ormai non poteva
più rimangiarsi.
-
Ecco, pensavo che, già che sei qui, potrei, ehm... offrirti una
cioccolata calda. Insomma, se ti va... -
L'altro
ci rifletté un momento, dopodiché diede una scrollatina di spalle e
annuì. - Perché no? Ho giusto qui dei biscotti allo zenzero che
potresti apprezzare. Li avevo presi per convincere il ragazzino a
tornare a letto ma direi che, ora come ora, sono inservibili. -
aggiunse, indirizzando uno sguardo divertito al bimbo-renna
pacificamente raggomitolato sulla poltrona.
Aziraphale
sorrise, si guardò intorno furtivo (mossa più di impatto scenico
che altro, dato che era evidente che fossero soli e che il bambino
galleggiasse ancora beatamente nel mare dei sogni) e fece apparire
tra le mani due tazze fumanti dalle quali si sprigionava un intenso aroma
di cacao.
Crowley
fece per allungare il braccio e afferrarne una ma l'angelo la
ritrasse. - Aspetta, la tua è questa. - disse, porgendogli la tazza
che reggeva nell'altra mano.
Il
demone alzò un sopracciglio sagomato dal trucco. - E si può sapere
che differenza c'è? -
Forse
fu l'effetto della luce proveniente dal focolare, ma un delicato
rossore imporporò le guance piene di Fratello Francis. - Ci ho
aggiunto la cannella. So che ti piace. -
-
Oh. - articolò Crowley, incapace di trovare replica migliore e
limitandosi a prendere la propria tazza per accomodarsi sull'ultima
poltrona rimasta libera nella biblioteca.
I
due sorseggiarono la bevanda in silenzio, lasciando che il dolce
crepitio del fuoco nel camino e lo sgranocchiare dell'angelo, intento
a fare onore ai biscottini speziati, fossero gli unici suoni a
fungere da sottofondo per quel momento, almeno fino a quando
Aziraphale non decise di rompere il silenzio.
-
Sai, l'altro giorno stavo pensando: ti ricordi la notte di Natale?
Intendo, la vera notte di Natale. - precisò. - Eravamo
entrambi a Betlemme. -
Crowley
mandò giù l'ultimo sorso di cioccolata. - Già, gran nottata. -
assentì. - A proposito, bel lavoro con quella stella cometa: davvero
d'effetto, anche se un po' pretenziosa come trovata. -
Aziraphale
si strinse nelle spalle. - Be', l'Onnipotente aveva detto di volere
qualcosa d'impatto e che fosse altamente simbolico. -
Crowley
inclinò le labbra scarlatte in un mezzo sogghigno. - Sì, la tua
fazione è sempre stata eccezionale nell'allestimento delle
scenografie. Qualcuno di voialtri dovrebbe lavorare a Hollywood,
davvero. -
-
Non trovi sia curioso? - proseguì Aziraphale, sorvolando sull'ironia
del demone. - Insomma, eravamo presenti alla nascita di Cristo e ora,
duemila anni dopo, siamo qui a prenderci cura della sua nemesi
affinché non distrugga la Terra. -
Crowley
assentì. - Un bel casino etico-filosofico. -
-
Già. - concordò Aziraphale, pensieroso ma, con ogni evidenza, poco
intenzionato ad approfondire oltre l'argomento.
La
lancetta dei minuti compì un altro paio di giri sul quadrante della
pendola.
Angelo
e demone si godevano quell'atmosfera intima e sonnacchiosa che non
richiedeva alcun discorso, alcuna parola superflua. Di tanto in
tanto, scoccavano un'occhiata verso Warlock per assicurarsi che
stesse ancora dormendo: vederlo così acciambellato nel suo pigiama
da renna li faceva sentire incredibilmente tranquilli e sereni a loro
volta, come se fossero stati contagiati dallo stato di incosciente
benessere del bimbo. Avvertivano ancora sulla lingua il sapore
delizioso e avvolgente della cioccolata: senza dubbio, una delle
migliori invenzioni umane in fatto di bevande, dopo il vino e i
liquori.
Se
ne avessero avuto la possibilità, avrebbero semplicemente lasciato
passare in quel modo le ore che li separavano dalla mattina seguente,
quando entrambi avrebbero dovuto riprendere la recita che portavano
avanti da quattro anni e tornare ai loro incarichi di copertura.
Crowley
pensò che tanto valesse mettere fine a quell'idillio invernale prima
che la situazione si facesse troppo confortevole e, di conseguenza,
oltremodo difficile da abbandonare. Posò la tazza vuota sul tavolino
di fianco al bracciolo della poltrona e si alzò.
-
Ora devo andare. - esalò a malincuore. - Se qualcuno dovesse
scoprire che il ragazzino è ancora fuori dal letto, finirei nei
guai. Harriet è molto puntigliosa sull'ora della nanna per il suo
prezioso pargolo. -
-
Oh, ma certo. Capisco. - rispose Aziraphale, incupendosi un poco a
causa di quel brusco ritorno alla realtà. Si alzò a sua volta e
gettò un'occhiata di sfuggita alla grande finestra che si affacciava
sul giardino, illuminandosi. - Guarda, caro: ha ricominciato a
nevicare. -
Crowley
diresse lo sguardo oltre la vetrata e i due rimasero per qualche
istante fianco a fianco a contemplare l'ipnotica danza dei fiocchi di
neve nell'aria gelida della notte dicembrina.
Tutto
era silenzio, quiete e scintillante bellezza. Ogni tanto un raggio di
luna riversava la propria luce argentea sulla coltre bianca,
facendola risplendere di tanti piccoli luccichii, come polvere di
diamanti.
-
L'Onnipotente ha avuto proprio una gran pensata quando ha creato la
neve, a proposito di scenografie. - osservò Aziraphale, sognante.
Crowley
non rispose, invece girò lentamente la testa per lanciare
un'occhiata di sottecchi all'amico, totalmente rapito
dall'incantevole spettacolo che si stava svolgendo davanti a sé. Per
qualche ragione che nulla aveva a che vedere con il freddo invernale,
il demone avvertì un lieve fremito caldo percorrergli la schiena e,
a un tratto, fu come se il retrogusto lasciato dalla cioccolata alla
cannella si accentuasse, addolcendogli la bocca e sprigionando in lui
un meraviglioso senso di tepore e appagamento.
Prima
che quelle sensazioni inspiegabili si facessero troppo pregnanti per
essere ignorate o nascoste, Crowley si allontanò dalla finestra, si
chinò sulla poltrona e prese delicatamente in braccio Warlock,
ancora immerso in quel sonno profondo che è privilegio solo dei
bambini e degli ubriachi.
-
Grazie per la cioccolata, angelo. - sussurrò con un mezzo sorriso ad
inclinargli gli angoli delle labbra. - Ci si vede più tardi al pub.
-
-
Di nulla, caro. È stato un piacere. Grazie a te per la compagnia. -
Tata
Ashtoreth uscì in punta di piedi dalla biblioteca, il capo del
bambino addormentato che ciondolava inerme sulla sua spalla.
Aziraphale si lasciò sfuggire un sorriso, impietosito dalla
tenerezza di quella visione.
Checché
ne dicesse il demone, in fondo a quel suo animo dannato c'era un
oceano di dolcezza.
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Capitolo 30 *** You don't fool me ***
fofooof
You
don’t fool me – those pretty eyes
That
sexy smile – you don’t fool me
You
don’t rule me – you’re no surprise
You’re
telling lies – hey, you don’t fool me
You
don't fool me, Queen, 1995
Aziraphale
si lasciò cadere sulla poltrona con un sospiro di sollievo. Era
stata una di quelle giornate, non molto frequenti ma neanche tanto
rare quanto gli sarebbe piaciuto, in cui la libreria era stata presa
d'assalto.
Per
lo più si era trattato di curiosi e comitive di turisti che si erano
lasciati avvincere dall'atmosfera piacevolmente vintage che si
respirava nel suo tempio letterario di Soho, ma l'angelo aveva
comunque dovuto calarsi nei panni del libraio cortese e paziente,
assecondando le richieste dei clienti e vigilando affinché nessuno
si facesse scivolare in tasca o nella borsa qualcuno dei suoi
preziosi volumi come souvenir londinese.
Quell'ultimo
cliente poi l'aveva fatto sudare sette camicie e aveva preteso che
gli venissero mostrati tutti i libri presenti nel negozio che
trattassero di araldica inglese e alla fine, com'era prevedibile, se
n'era andato a mani vuote (non che la cosa gli dispiacesse dato che
detestava separarsi dai suoi tesori di carta e non era certo afflitto
dal bisogno di denaro).
A
volte, la sua attività di libraio antiquario si rivelava un vero
fardello. Certo, grazie a quella copertura era riuscito a entrare in
possesso di un discreto numero di tomi altrimenti introvabili per chi
non bazzicasse nell'ambiente dell'editoria d'élite. Ma il dover
avere a che fare con alcune tipologie di clienti incontentabili o
semplicemente perditempo era un indubbio svantaggio nonché una gran
seccatura.
Fortunatamente
la giornata lavorativa si era quasi conclusa e l'angelo non prevedeva
l'arrivo di nuovi scocciatori almeno fino alla riapertura del mattino
seguente.
Stava
giusto pensando di versarsi un bicchiere di vino e accendere il
grammofono per godere delle sinfonie di Bach, quando udì la porta
della libreria aprirsi di nuovo.
Aziraphale
emise un gemito frustrato e maledisse se stesso per essersi lasciato
convincere dalla sua coscienza a non anticipare la chiusura del
negozio. “Si tratta di aspettare ancora una mezz'ora” si era
detto. “Non arriveranno altri clienti. Tanto vale chiudere
all'orario indicato sul cartello... per una volta.” E invece...
L'angelo
si alzò di malavoglia dalla poltrona e si preparò ad accogliere
l'ignoto visitatore col solito sorriso gentile, del resto non poteva
sapere se quel cliente si sarebbe rivelato l'ennesima rottura di
scatole o qualcuno realmente interessato ai suoi libri.
Ma
tutto il suo fastidio evaporò all'istante non appena posò gli occhi
sul nuovo arrivato che si stava già incamminando verso il retro.
-
Crowley! Che bello vederti. Che ci fai qui? -
Il
demone alzò pigramente una mano in segno di saluto, ancheggiando
verso di lui.
-
Ciao, angelo. È tutto il giorno che passo di fronte alla libreria
per proporti di bere un bicchiere insieme, ma ogni volta che
sbirciavo dalle finestre ti trovavo sempre preso con qualche cliente.
Giornata impegnativa? -
Aziraphale
alzò gli occhi al cielo ed emise uno sbuffo esasperato. - Non me ne
parlare, caro! - poi scostò la tenda che separava l'ambiente del
negozio dal retrobottega in cui aveva ricavato la sua dimora, il suo
rifugio. - Vieni, accomodati. Stavo giusto per versarmi da bere. -
Crowley
avanzò verso il passaggio che Aziraphale stava tenendo aperto per
lui e fu allora che l'angelo notò la borsa di plastica che pendeva
dal suo braccio.
-
Hai fatto spese? - domandò, incuriosito.
Il
demone sedette al tavolo e posò la sporta. - Ho solo pensato di
portarti uno spuntino. - rispose in tono casuale. - Conoscendo il tuo
insaziabile appetito, ho immaginato che avresti potuto apprezzare
qualcosa da sgranocchiare. -
Aziraphale
lo raggiunse e prese posto sulla sedia di fronte, piacevolmente
stupito da quell'attenzione da parte del demone. - Be', in effetti è
tutto il giorno che non metto qualcosa di decente sotto i denti. Che
cosa mi hai portato di buono? -
-
Oh, un po' di tutto, in realtà. - disse Crowley, iniziando ad
estrarre uno ad uno gli articoli contenuti nella borsa. - Ho preso
del sushi, un po' di involtini primavera, dei macarons francesi, un
paio di tranci di pizza gourmet... -
Aziraphale
rise. - Hai svaligiato i ristoranti di mezza Londra, vedo. -
-
Solo dei migliori. - precisò l'altro. - Conosco i tuoi gusti
raffinati. -
-
Grazie per la premura, caro, ma ora come farò a scegliere tra tutti
questi manicaretti? -
Nonostante
tutto, l'angelo non sembrò incontrare poi troppe difficoltà nel
decidere da dove iniziare il suo sostanziosissimo spuntino e, circa
un'ora più tardi, solo la scatola di macarons era rimasta intatta,
insieme a un piattino di frutta dai colori brillanti e dal profumo
intenso.
Crowley
si era tolto gli occhiali e aveva osservato l'amico ripagare
egregiamente i suoi sforzi di accontentare il suo esigente palato.
Aveva assistito con un certo compiacimento allo sfilare dei piatti
davanti all'angelo che, poco a poco, si svuotavano e scomparivano
miracolosamente. Dal canto suo, si era concesso soltanto qualche
assaggio e solo nel momento in cui era stato Aziraphale ad
offrirglielo.
A
un tratto, la sua attenzione venne calamitata verso il piatto di
frutta e il demone allungò una mano per afferrare una mela dalla
buccia rossa e lucente come un rubino. La porse all'angelo con un
sorrisetto. - Perché non provi questa? Scommetto che è deliziosa. -
A
quel punto, Aziraphale, intento a masticare un macaron alla fragola,
sembrò congelarsi sul posto e prese a fissare il frutto che Crowley
gli offriva con sguardo diffidente.
-
Che c'è? - fece il demone, sinceramente sorpreso da quella reazione.
- Non ti piacciono le mele? -
L'angelo
mandò giù il boccone e, prima di parlare, si tamponò le labbra con
un tovagliolino di carta, dopodiché scosse la testa. - No, caro. Le
mele mi piacciono molto... è solo che... -
-
Solo che cosa, angelo? - insistette Crowley, inarcando un
sopracciglio, in attesa.
Aziraphale
esitò. - Ehm, hai presente la storia, no? La mela e tutto il
resto... -
Il
demone sogghignò. - Tu non sei Biancaneve e io non sono la Regina
Cattiva. Non è avvelenata, te l'assicuro. -
Ma
l'angelo parve ritrovarsi ancora più a disagio. - No, non intendevo
quella storia. -
-
E allora quale? -
Aziraphale
fece guizzare la lingua sulle labbra e prese ad agitarsi sulla sedia,
distogliendo lo sguardo e portando una mano al colletto per
sistemarsi il papillon di tartan già perfettamente in ordine.
-
Per l'amor di Qualcuno! - sbottò il demone con una marcata nota di
esasperazione nella voce. - Vuoi dirmi che ti prende? -
L'angelo
lanciò un altro sguardo combattuto alla mela che Crowley teneva
ancora tra le dita. Era evidente che desiderasse prenderla, ma
qualcosa lo tratteneva e gli impediva di accettare la sua offerta.
A
un tratto, il demone capì. - Oh, mio... No, non ci posso credere! -
esclamò, esterrefatto.
-
Crowley, caro... - iniziò l'angelo in tono conciliante.
Ma
il demone scoppiò in una risata amara - Tu non vuoi questa mela
perché sono io a offrirtela, non è così? Oh, angelo! Sei
incredibile, lo sai?! -
Aziraphale
non poté impedirsi di arrossire. - Niente di personale, caro... è
solo che... -
-
Solo che, come esponente del Paradiso, non ti senti a tuo agio ad
accettare il frutto del peccato originale dallo stesso diavolo
tentatore che, in quel giardino, convinse Eva a coglierlo e ad
assaggiarlo insieme ad Adamo, condannando così l'umanità a ciò che
sappiamo, vero? È questa la storia a cui ti riferivi? La nostra
storia? -
Aziraphale
annuì piano, mordendosi il labbro. - Te l'ho detto, non c'entra con
te. Ma non credo sia il caso, non so come spiegarlo: è qualcosa che
mi pare profondamente... be', sbagliato. -
Crowley
distese le labbra in un ghigno feroce. - Hai appena commesso un
grosso errore, Aziraphale. -
L'amico
lo guardò, incapace di dissimulare una certa preoccupazione. - Che
vuoi dire? -
Un
luccichio ferino balenò negli occhi del demone. - Mi hai lanciato
una sfida... che ho tutte le intenzioni di vincere. -
-
Una... una sfida? Ma di che stai parlando? - chiese Aziraphale,
paventando la risposta.
-
Sto parlando di tentare un angelo reticente ad assaggiare una
gustosissima mela rossa. Dopotutto, la tentazione è il mio lavoro,
no? - disse, ammiccando verso di lui con aria furba.
-
Oh, caro, non essere sciocco. Tu non... -
Ma
Crowley lo zittì posandogli l'indice sulle labbra. - Non un'altra
parola, angelo. Ormai è deciso. Il dado è tratto. Il penny è stato
lanciato, scegli l'espressione che preferisci. Il punto è che,
presto o tardi, riuscirò a farti cedere alla tentazione. -
La
mattina seguente, Aziraphale si arrampicò su una scaletta per
spolverare i ripiani più alti delle sue massicce librerie di legno,
quando la porta del negozio si aprì timidamente, rivelando... una
bambina!
Era
incredibilmente carina, con le trecce bionde, gli occhi verdi e
qualche lentiggine a segnarle il viso che le conferiva un'aria
adorabile. Era vestita poveramente e si guardava intorno un po'
impacciata, esitando sulla soglia.
L'angelo
scese dal treppiedi e le si avvicinò, piegandosi lievemente sulle
ginocchia in modo da poterla guardare negli occhi.
-
Ciao, piccola. Ti sei persa? Cerchi la tua mamma? -
La
bimba fece cenno di no con la testa, dopodiché espose alla sua
attenzione un cestino di vimini colmo di mele rosse, sfoderando
un'espressione supplichevole alla Oliver Twist. - Signore, vorrebbe
assaggiare una delle mie mele? Sono molto dolci e succose. -
Aziraphale
sbatté le palpebre e rimase interdetto. - Cosa? -
La
bambina prese uno dei frutti con una delle sue manine candide e
gliela porse con un sorriso irresistibilmente tenero e innocente. -
Solo un morso, per favoooore. -
Fu
allora che l'angelo intuì il trucco e il bagliore dorato che
scintillò nelle iridi di giada della bimba confermò i suoi
sospetti.
-
Falla finita con questa ridicola sceneggiata dickensiana, caro. Non
ci casco. E poi non siamo più nell'Ottocento e nemmeno in un film di
Frank Capra*. -
La
piccola mise il broncio e gli lanciò un'occhiataccia tutt'altro che
fanciullesca. - Non finisce qui, angelo. - dopodiché se ne andò,
sconfitta.
Aziraphale
ridacchiò e tornò ad occuparsi dei suoi libri, complimentandosi con
se stesso per aver smascherato il demone. Era stato piuttosto facile,
in realtà. Se anziché proporgli di assaggiare una mela, la
bambina gli avesse chiesto di comprarla, probabilmente sarebbe caduto
in pieno nella trappola, mosso a pietà. Ma Crowley aveva usato
quella parola e, memore di ciò che gli aveva detto il giorno prima,
Aziraphale aveva capito che dietro quella serafica bambina si celava
in realtà il suo diabolico migliore amico.
Un
paio di giorni più tardi, Aziraphale stava passeggiando per i viali
di Regent's Park, di ritorno da un incontro d'affari con un altro
libraio.
Camminava
a passo rilassato fischiettando allegramente quando intercettò con
lo sguardo un uomo in abiti colorati e sgargianti in piedi dietro una
bancarella straripante di dolciumi dalla quale proveniva un profumino
delizioso che gli fece venire l'acquolina in bocca.
Aziraphale
si avvicinò al banco e notò la presenza di un cartello scritto a
mano in un vistoso color vermiglio che recitava: “SOLO PER OGGI,
MELE CARAMELLATE GRATIS!”
L'angelo
non aveva neanche iniziato a studiare le caramelle esposte che l'uomo
gli sventolò sotto il naso una grossa mela ricoperta di glassa e
granella di nocciole infilzata su uno stecchino di legno.
-
Prego, signore, assaggi! Queste sono le migliori mele caramellate che
ci siano al mondo! E oggi non le costeranno neanche un penny! -
annunciò il venditore, indicando solennemente l'avviso affisso alle
sue spalle.
Aziraphale
inspirò l'aroma caramelloso del frutto e prese lo stecchino,
ringraziando e pregustando già il delizioso sapore di quella
prelibatezza.
Ma,
proprio mentre si portava la mela alle labbra, venne colto da un
dubbio che lo fece esitare. - Un momento. -
Il
suo sguardo circospetto si posò sull'uomo e stavolta indugiò più
attentamente sul suo aspetto: era alto, allampanato e portava un paio
di occhiali da sole con le lenti molto scure, nonostante quel giorno
il cielo fosse coperto e minacciasse pioggia da un momento all'altro.
Malgrado gli abiti alla Willy Wonka, la barba lunga e il cappello a
cilindro, aveva qualcosa di decisamente famigliare.
L'angelo
ebbe l'impressione che il venditore impallidisse sotto il suo sguardo
sospettoso e severo.
-
Crowley? Sei tu, non è vero? -
-
Crowley? Mi scusi ma temo proprio che lei mi abbia confuso con
qualcun altro. - tentò il venditore, imbastendo un accento
improponibile che non ingannò Aziraphale neanche per mezzo secondo.
-
Oh, smettila, caro. Lo so che sei tu. Non mi fai fesso. - fece una
pausa per guardare con severità l'improbabile commerciante. - E devo
proprio dirtelo: questa faccenda sta diventando assurda. -
Con
malagrazia, il demone, ormai smascherato, si riprese lo stecco con la
mela caramellata rimasta intonsa.
-
Peggio per te, angelo. Non sai cosa ti perdi. - berciò. - E comunque
non ho intenzione di arrendermi. -
Aziraphale
sospirò. No, Crowley non si sarebbe arreso, lo sapeva fin troppo
bene.
Una
volta rientrato alla libreria, Aziraphale appese il cappotto e si
abbandonò ad un profondo sospiro. Sapeva di doversi attendere altri
agguati da parte di Crowley: conosceva troppo a fondo il demone per
sperare che egli potesse darsi per vinto.
A
mente fredda, l'angelo si rendeva conto di essere stato indelicato e
di aver ferito i suoi sentimenti. Non c'era ragione valida che
giustificasse la sua stupida titubanza di quella sera nell'accettare
una mela dalla mano di Crowley, tanto più considerando che, da dopo
il mancato avvento dell'Apocalisse, Aziraphale non poteva più
neppure considerarsi un dipendente del Paradiso a pieno titolo.
Se avesse potuto riavvolgere il tempo e tornare a quel preciso
momento, avrebbe agito diversamente ed evitato di provocare un dolore
immeritato a Crowley, seppure in maniera tutt'altro che volontaria.
Ma
ora non si trattava più del frutto in sé, quanto piuttosto del
fatto che l'angelo non fosse disposto a lasciarsi attirare in
trappola. Non voleva concedere al suo migliore amico la soddisfazione
di riuscire a raggirarlo e si ripromise perciò di stare in guardia.
Ma,
sorprendentemente, passarono un paio di settimane senza che la
faccenda delle mele tornasse a turbare il delicato equilibrio emotivo
dell'angelo e, una domenica, quest'ultimo decise di approfittare di
una rara giornata di sole autunnale per proporre a Crowley una
colazione all'aperto a St. James's Park. L'amico accettò e i due
stabilirono di incontrarsi direttamente al parco, al loro posto
preferito: davanti al laghetto delle anatre.
Aziraphale
aveva quasi raggiunto la sua destinazione quando si ritrovò a dover
superare un piccolo mercato gremito per lo più di anziane signore
che esaminavano la merce con occhio clinico ed esperto come
chirurghi. Mentre si faceva largo tra i capannelli di avventori
intenti a chiacchierare e contrattare con gli ambulanti, Aziraphale
colse uno stralcio di conversazione tra due donne di mezz'età:
-
Hai visto il nuovo banco della frutta? Quelle mele hanno un'aria
squisita. -
-
Sì, e che mi dici del fruttivendolo? Un bel tipo, vero? Con quei
capelli rossi e gli occhiali da sole! Avessi qualche anno in meno, un
pensierino ce lo farei. -
Aziraphale,
messo in allarme da quelle parole, si guardò intorno e individuò
immediatamente il camion della frutta. Quando l'uomo dietro il banco,
vestito con una salopette lisa e un consunto cappello di paglia a
ricalcare il più banale stereotipo del contadino, intercettò il suo
sguardo, gli rivolse un sorriso smagliante e sollevò una mela dalla
buccia lustra verso di lui.
-
Venga qui! Provi a dare un morso a questa squisitezza e le assicuro
che volerà dritto in Paradiso! Sentirà cantare gli angeli,
garantito! -
-
E va bene, adesso basta, Crowley! - sbottò l'angelo. - Sono stufo di
questa storia. Piantala di seguirmi ovunque per rifilarmi una delle
tue maledette mele. Ti ho detto che non cederò e mi dispiace per te,
ma dovrai rassegnarti a questo fatto. Ora datti una sistemata,
abbiamo appuntamento tra dieci minuti, ricordi? E se vedo un'altra
mela giuro che darò di matto. -
Così
dicendo, Aziraphale si allontanò, proseguendo a passo di carica
verso St. James's Park, lasciando uno sbigottito fruttivendolo a
bocca aperta a domandarsi per quale assurdo motivo quello sconosciuto
gli avesse appena urlato contro in quel modo.
Quando
l'angelo arrivò al laghetto delle anatre, rintracciò la figura
snella di Crowley in piedi davanti al parapetto, immobile quasi fosse
in contemplazione di qualcosa. Gli dava le spalle e quando Aziraphale
gli si avvicinò per sfiorargli un braccio in modo da annunciare la
propria presenza, il demone sobbalzò lievemente.
-
Guada chi c'è! Il mio angelo preferito! -
-
Il tuo angelo preferito? - gli fece eco l'altro con un sorriso
divertito. - Dimmi, caro, quanti altri angeli conosci oltre a me? -
Crowley
affondò le mani nelle tasche e scrollò le spalle. - Nessuno che mi
piaccia quindi, in effetti, sei il mio preferito. - sorrise e si fece
scivolare gli occhiali sul naso di un paio di centimetri per fargli
l'occhiolino.
Aziraphale
sollevò un sopracciglio in quella che, teoricamente, sarebbe dovuta
essere un'espressione scettica ma che risultò più simile ad una
risata trattenuta a stento.
-
In ogni caso, spero davvero che tu abbia rinunciato a quella storia
della mela. Non avrei voluto sbottare in quel modo, poco fa, mi
dispiace, ma mi hai davvero portato al limite della sopportazione. -
Il
volto di Crowley si trasfigurò in una maschera di sorpresa e
confusione. - Aspetta, si può sapere di che stai parlando? -
Aziraphale
sbuffò, spazientito. - Non far finta di non capire, caro. Eri lì al
mercato che ti spacciavi per un venditore ambulante di frutta e mi
hai offerto una mela. - mise su un atteggiamento teatrale, sgranò
gli occhi e imitò i modi enfatici dell'ambulante. - Volerà
dritto in Paradiso! Sentirà cantare gli angeli! Potevi
almeno scegliere degli slogan più sottili, ti sei reso
riconoscibilissimo. Onestamente, mi sarei aspettato qualcosa di più
sofisticato da te. -
Ma
lo stupore non accennava a scemare dal viso del demone, piuttosto
pareva aumentare. - Non ho idea di che cosa ti sia capitato lungo la
strada, angelo, ma posso assicurarti di non essermi mai travestito da
venditore ambulante di frutta. Il mio ultimo tentativo di rifilarti
una mela risale a quel giorno del banco dei dolciumi a Regent's Park.
-
Non
c'era traccia di falsità nelle parole dell'amico e Aziraphale
cominciò ad avvertire una vampa di calore e disagio incendiargli le
guance.
-
Oh... Oh, Santo Cielo! Vuoi dire che quell'uomo non eri tu? -
Crowley
scosse la testa. - Te lo giuro sulle mie ali. -
Aziraphale
venne colto da una lieve vertigine e da uno spiacevolissimo senso di
vuoto allo stomaco. - Allora, questo vuol dire che... -
-
Da quel che ho potuto capire, - intervenne il demone con un ghigno. -
questo vuol dire che hai dato in escandescenze davanti a un
poveraccio che stava solo cercando di fare il suo lavoro e che ti
avrà certamente preso per uno psicopatico con la fobia e l'odio per
le mele. -
L'espressione
orripilata di Aziraphale contribuì a far scoppiare l'amico in una
sonora risata che si arrestò soltanto quando Crowley si rese conto
dell'eccezionale tonalità di bordeaux raggiunta dal viso dell'angelo
e temette di vedere il suo migliore amico discorporarsi per
combustione spontanea.
-
Non prendertela, non è successo niente di grave. - provò a
confortarlo, nonostante l'attacco di ridarella non si fosse ancora
esaurito del tutto. - Probabilmente quel tipo si sarà già
dimenticato dell'accaduto. Londra è piena di gente bizzarra, nessuno
avrà fatto caso più di tanto alla tua scenata. Oh, Satana, quanto
avrei voluto essere presente! - aggiunse, riattaccando a
sghignazzare.
Aziraphale
lo fulminò con lo sguardo. - Non c'è niente da ridere, Crowley. E
poi è colpa tua se ogni volta che vedo una mela vengo colto dal
sospetto che tu stia cercando di tentarmi per vincere la tua stupida
sfida e appagare il tuo orgoglio. -
-
D'accordo, forse sono stato un po' troppo agguerrito. - concesse.
-
Sei stato snervante. - sentenziò Aziraphale, schietto e corrucciato.
-
Sì, lo ammetto. Hai ragione. Mea culpa. - rispose il demone
in tono contrito, battendosi una mano sul petto. - Ecco perché
vorrei farmi perdonare. -
L'angelo
lo fissò con stupore. - Farti perdonare? E come? -
Crowley
sfoggiò il suo irresistibile sorriso obliquo. - Invitandoti a cena a
casa mia. -
Aziraphale
percepì una seconda ondata di calore, stavolta di origine molto
diversa, salirgli alle gote. - Cosa? A casa tua? Tu... tu cucini? -
Il
demone si schermì. - Be', non sarò Gordon Ramsay che, a proposito,
sarà sicuramente dei nostri quando arriverà il suo momento,
ma posso affermare di cavarmela piuttosto bene ai fornelli. -
L'angelo
si riprese da quella proposta inaspettata e cercò di mettere insieme
una replica adeguata. - Questo è molto gentile da parte tua,
Crowley... Ehm, cioè, accetto volentieri. - si corresse, notando
l'occhiata assassina dell'altro nell'udire la parola “gentile”. -
Pensavi a una sera in particolare? -
-
Che ne diresti di domani? - suggerì l'amico. - 19.30? -
-
Certo, sì, perfetto. -
Alle
19.30 spaccate Aziraphale premette l'indice sul tasto del citofono
del lussuoso complesso residenziale di Mayfair dove Crowley risiedeva
stabilmente ormai da secoli.
Il
cancello si aprì senza neanche bisogno che l'angelo annunciasse la
sua presenza, d'altra parte, Crowley non doveva essere molto avvezzo
a ricevere visite.
Aziraphale
entrò nell'androne in marmo del palazzo e lasciò che il grande
ascensore lo conducesse fino all'ultimo piano, dove la porta
dell'attico del demone era già accostata per lui.
L'angelo
si costrinse a prendere un profondo inspiro prima di varcare la
soglia.
-
Crowley? È permesso? -
La
voce dell'amico si levò da una delle stanze. - Entra pure, angelo.
Sono in cucina. -
Aziraphale
seguì la scia non solo di quel suono ma anche di un inconfondibile
profumo di ragù alla bolognese che gli richiamò l'acquolina in
bocca e lo fece improvvisamente sentire molto più fiducioso rispetto
alle doti culinarie che il demone aveva affermato di possedere.
L'angelo
raggiunse la cucina super-attrezzata dell'appartamento e vi trovò
Crowley intento a mescolare con cura in una pentola colma di sugo di
carne. Indossava un grembiule nero con la scritta HELL'S KITCHEN in
graffianti caratteri cremisi, le maniche della camicia arrotolate fin
sopra i gomiti. Faceva un strano effetto vederlo in una veste così...
domestica.
Quando
Aziraphale entrò nella stanza, il demone gli rivolse uno dei suoi
immancabili sorrisetti sardonici. - Puntuale come un orologio
svizzero, eh? -
L'angelo
scelse di ricorrere a un tono casuale. - Sai com'è, non sta bene che
un invitato si presenti in ritardo. -
Crowley
ridacchiò furbamente. - Già, sarebbe stato davvero maleducato da
parte tua. E poi scommetto che avevi una voglia matta di scoprire se
davvero mi sarei messo ai fornelli di persona, senza ricorrere a
miracoli di sorta, ho ragione? -
-
Touché. - fece Aziraphale con un sorrisino colpevole. - Comunque, ti
ho portato un piccolo pensiero. Pare che tra gli umani sia buona
creanza fare un dono al padrone di casa quando si viene invitati a
cena. -
Arrossendo
lievemente, l'angelo estrasse dal sacchetto che aveva con sé una
piantina di orchidea dai fiori bianchi.
Crowley,
che non si aspettava quel gesto, smise di mescolare il ragù e prese
a fissare il regalo tra le mani di Aziraphale.
-
Non ti piace? - domandò l'altro, costernato. - Oh, lo sapevo! Avrei
dovuto comprare il bonsai. -
-
Cosa? Oh, no! No, è... è molto bella. Davvero. Ehm... grazie. -
-
Di nulla. - ribatté l'amico, stringendosi nelle spalle, non meno
imbarazzato del demone. - Promettimi solo che sarai gentile con lei.
Non voglio che mi odi per tutta la vita per averla messa tra le
braccia di un tiranno. -
-
Vedremo, in base a come si comporterà. - ghignò Crowley, ritrovando
la sua solita vena ironica e rivolgendo un'occhiata feroce alla
piantina, le cui foglie sembrarono impallidire leggermente.
-
Ehm, caro? -
-
Sì? -
-
Sono io, o c'è qualcosa che brucia? -
-
Oh, merda! - imprecò il demone, riprendendo a mescolare in tutta
fretta il contenuto ribollente della pentola.
Aziraphale
dovette reprimere una risatina, dopodiché domandò il permesso di
sistemare la nuova arrivata insieme alle altre inquiline vegetali,
nell'atrio dell'appartamento.
-
Sì sì, vai pure. Almeno le verrà spiegato come funzionano le cose
nel mio regno. -
L'angelo
gli indirizzò un'occhiata di rimprovero e portò la piantina
nell'ingresso, appoggiandola a terra accanto a uno splendido ficus.
-
Sai, non è cattivo come vuole far credere. - bisbigliò, rivolto
all'orchidea. - Sotto sotto, è davvero una brava persona. Non farti
spaventare dai suoi modi dispotici. -
-
Angelo! Qui è tutto pronto! Vieni o no? -
Aziraphale,
richiamato all'ordine dalla voce impaziente del padrone di casa,
indirizzò un ultimo sorriso rassicurante alla piantina, poi si alzò
e si diresse verso la sala, dalla quale provenivano delle note di
pianoforte e sassofono, elette a sottofondo musicale per
quell'occasione.
Al
centro della stanza era stato allestito un tavolo rotondo,
apparecchiato con gusto e semplicità. I due piatti traboccavano di
una generosa porzione fumante di spaghetti al ragù, quello
dell'angelo, almeno. Crowley si era servito una quantità di pasta
decisamente più contenuta.
Il
demone si era tolto il grembiule da cucina e aveva indossato una
giacca nera damascata che gli donava moltissimo. Attese che
Aziraphale si sedette prima di prendere posto a sua volta.
-
Be', dacci dentro, angelo. - disse, mentre l'altro dispiegava il
tovagliolo sulle ginocchia.
Aziraphale
non avrebbe mai immaginato di avere per migliore amico uno chef
provetto.
Il
primo piatto di pasta alla bolognese si rivelò delizioso, così come
il secondo di pesce che seguì, accompagnato da un contorno di
verdure gratinate al forno altrettanto sfizioso.
Tra
una forchettata e un sorso di vino, il tutto condito da chiacchiere
piacevoli e rilassate, la cena casalinga giunse all'atto finale: il
dessert.
Crowley
si alzò da tavola per portare via i piatti vuoti della seconda
portata e tornò reggendo due piattini da dolce sui quali erano state
sapientemente disposte due grandi fette di torta dall'aspetto
oltremodo invitante, affiancate da una pallina di gelato alla
vaniglia.
-
Che meraviglia! - esclamò Aziraphale, ammirato. - Di che si tratta?
-
Crowley
gli rivolse un sorriso furbo mentre gli posava davanti uno dei due
piatti. - Questa, angelo, è una ricetta speciale di mia invenzione,
e un vero chef non rivela mai i suoi segreti. -
-
Mi pare giusto. - rise l'amico, dopodiché inspirò l'aroma che si
levava dalla sua porzione e afferrò coltello e forchetta, pronto a
degustare l'ultimo capitolo di quel pasto squisito, pur nella sua
semplicità.
Il
primo boccone di torta gli regalò sensazioni favolose. Il gelato
bilanciava il calore del dolce appena uscito dal forno, la
consistenza era morbida e umida e Aziraphale riconobbe dei pezzi di
frutta cotta tra gli ingredienti principali, spruzzati di cannella e
forse altre spezie.
Furono
sufficienti tre colpi di forchetta perché il piattino tornasse
immacolato, fatta eccezione per qualche briciola. Aziraphale si
tamponò le labbra con un lembo del tovagliolo.
-
Mmm. Devo farti i miei complimenti, caro. Credo sia la torta più
buona che abbia mai mangiato in seimila anni. -
Ma
il volto di Crowley aveva assunto una bizzarra espressione,
indecifrabile.
Aziraphale
se ne accorse. - Che ti prende? Ho detto qualcosa di male? -
-
Come ti senti, angelo? Tutto bene? - chiese il demone, scrutandolo
intensamente.
-
Cosa... ma sì, certo che sto bene, Crowley. Perché non dovrei? -
-
Non senti nulla di insolito? - insistette l'altro. - Tipo un paio di
corna spuntarti sulla testa o una strana voglia di provocare danni e
seminare caos? Non ti senti un po'... corrotto nell'animo? -
Aziraphale
era sempre più smarrito. - Ma che... Perché mai mi fai domande così
assurde? Sicuro che invece non sia tu ad avere qualcosa che non va? -
Il
rosso si coprì il volto con una mano e dapprima furono solo le sue
spalle a scuotersi come se avesse le convulsioni, poi i singulti si
estesero a tutto il suo corpo. L'impressione era che il demone fosse
preda di un accesso di pianto disperato.
-
Crowley? Crowley, ma che cos'hai?! Per l'amor di Qualcuno, stai male?
-
L'angelo
si protese in avanti sul tavolo e fece per porre una mano sulla
spalla dell'amico, quando si accorse che il demone non stava affatto
piangendo... rideva a crepapelle!
-
Oh, angelo! È stato così facile! - latrò.
-
Facile? Ma si può sapere di che cavolo stai... ? -
Ma
le parole gli morirono sulle labbra e lo sguardo gli cadde sul
piattino vuoto.
-
Crowley? Cosa c'era in quella torta, esattamente? -
Il
demone si sforzò di porre fine alla sua risata sguaiata e gli gettò
uno sguardo malizioso. - Tu che dici, cervellone? -
Aziraphale
non poteva crederci. - Tu... tu hai organizzato tutto questo solo per
indurmi con l'inganno a mangiare una mela?! -
-
Inganno? - ripeté Crowley, indignato. - Nessun inganno, angelo! Io
ti ho offerto un'innocentissima torta di mele e tu hai scelto di
mangiarla, in totale libertà. E non mi sembra che la cosa ti sia
dispiaciuta così tanto. E poi, correggimi se sbaglio, ma mi pare che
non si sia verificata alcuna conseguenza catastrofica. -
-
Tu mi hai preso in giro! - esclamò Aziraphale. - Mi hai subdolamente
manipolato! E io che credevo... credevo... Ah, lascia perdere! -
L'angelo
si alzò di scatto da tavola e si diresse a grandi falcate verso
l'atrio dell'appartamento. - Me ne vado a casa, Crowley. Spero che tu
ti goda la vittoria della tua stupida sfida. Il tuo ego demoniaco
sarà molto soddisfatto, mi auguro. -
Il
demone si alzò a sua volta e lo raggiunse. - Angelo, aspetta! Dài,
non fare così. Non ce n'è ragione! -
Aziraphale,
che si stava già infilando il cappotto, si voltò per trovarsi
faccia a faccia con l'amico e ne approfittò per indirizzargli
l'occhiata più furibonda e sdegnata che gli riuscì.
-
Non ce n'è ragione, dici? - sibilò. - Mi hai fatto credere di voler
passare una bella serata insieme; mi hai attirato qui con la promessa
di una cena, solo noi due, in un ambiente intimo e famigliare e poi
scopro che il tuo intento non era altro che quello di riuscire a
farmi mangiare una maledettissima mela! Miravi solo a questo, non ti
importava niente di trascorrere del tempo con me! -
Crowley
ricordava poche occasioni in cui avesse visto Aziraphale così
adirato e sconvolto. Era solo uno scherzo, possibile che l'angelo non
lo capisse?!
-
Stai facendo una tragedia per niente, come al solito. - replicò,
stizzito. - Certe volte sei così permaloso! -
Ci
fu un attimo di silenzio teso in cui i due si guardarono storto come
in una gara a chi avesse interrotto per primo quell'incendiario
contatto visivo.
-
Me ne vado. - ribadì infine Aziraphale piantandogli negli occhi, o
meglio, nelle lenti, un ultimo sguardo incendiario. Ma, prima di
voltarsi di nuovo per guadagnare la porta, si chinò e raccolse da
terra la piccola orchidea. - E lei viene con me. - sentenziò,
mettendosi il vaso sottobraccio con fare protettivo. - Per il suo
bene. -
Aziraphale
girò sui tacchi ma non arrivò mai alla porta dell'appartamento
perché si sentì afferrare il polso da una stretta salda, urgente.
-
Angelo, aspetta. Non andartene. Per favore. -
Stavolta,
il tono di Crowley non tradiva la minima spavalderia o stizza. Al
contrario, la sua sembrava più una richiesta accorata pronunciata in
un mormorio dolce e sottile, come se la presenza dell'amico fosse, in
quel momento, la cosa più importante del mondo. Una vera e propria
preghiera.
Aziraphale
rimase talmente sbalordito da quel repentino cambio di atteggiamento
che non tentò neppure di divincolarsi dalla presa del demone, anzi
si volse nuovamente verso di lui, in attesa e con il fiato sospeso.
-
Mi dispiace, sono stato un idiota. - esalò Crowley. - Ma non ti ho
invitato qui solo per quel motivo. - aggiunse. - L'ho fatto perché
volevo davvero che cenassimo insieme da me. Credi che mi sarei
messo a preparare tutte quelle pietanze se avessi mirato solo a farti
mangiare una torta di mele? -
-
Non l'avresti fatto? - chiese Aziraphale, la rabbia che ormai
vacillava sotto il peso di altri sentimenti sconosciuti.
Crowley
sorrise dolcemente. - Ma certo che no. Mi faceva piacere cucinare per
te, angelo. -
Il
demone infuse a quell'ultimo appellativo una tale tenerezza, un tale
affetto, che ogni rimanente scia di astio svanì completamente
dall'animo di Aziraphale.
-
Sul serio? - L'angelo ci mise tutto il suo impegno affinché quella
domanda potesse suonare almeno un po' minacciosa, con scarsi
risultati che arrivarono più vicini a una nota di speranza.
L'altro
annuì, risoluto. - Sul serio. -
Aziraphale
emise un lungo espiro che parve esiliare dal suo corpo qualunque
sentimento negativo avesse provato verso il demone fino a un secondo
prima.
-
D'accordo, allora credo di poterti perdonare. -
-
No che non puoi. - obiettò Crowley con un sorrisetto dolceamaro. -
Sono un demone, ricordi? Sono imperdonabile per definizione. -
Aziraphale
sorrise e scosse la testa. - Non per me, caro. -
Il
resto della serata trascorse piacevolmente e senza intoppi, anche
grazie all'aiuto di qualche bottiglia di vino che contribuì a
diluire le ultime tensioni lasciate dalla discussione.
Quando
Aziraphale si accinse a tornare alla libreria, Crowley indicò la
piccola orchidea, che l'angelo aveva ridepositato accanto al ficus
dopo aver deciso di rimanere.
-
Quindi ti fidi a lasciarla qui con me? -
L'amico
gli sorrise mentre si sistemava il bavero del cappotto. - Confido che
la tratterai bene. -
La
smorfia agrodolce tornò a incupire il volto di Crowley. - Attento a
dove riponi la tua fiducia, angelo. -
-
Ho le mie buone ragioni per farlo. - replicò Aziraphale senza
smettere di sorridere candidamente. - E, ad ogni modo,
congratulazioni, caro. -
-
Per cosa? -
L'angelo
gli fece l'occhiolino. - Be', alla fine, sei riuscito a farmi
mangiare la mela proibita. Sei proprio un bravo tentatore. -
Crowley
sbuffò una risatina imbarazzata. - Sono stato un cretino. -
-
Sì, anche quello. - soggiunse Aziraphale senza smettere di
sorridere. - Buonanotte, caro. -
Quando
la porta si fu richiusa alle spalle dell'angelo, Crowley si ritrovò
di nuovo solo nel suo appartamento. L'orologio segnava quasi l'una di
notte e il demone decise che una buona dormita non gli avrebbe fatto
male dopo quella serata densa di emozioni.
Era
felice di non aver lasciato andare via Aziraphale. Quando gli aveva
afferrato la mano, aveva temuto che l'angelo reagisse in malo modo,
magari arrivando addirittura a mollargli uno schiaffo, invece era
rimasto ad ascoltare le sue scuse per poi perdonarlo con quel suo
sorriso caldo e amorevole che avrebbe potuto sciogliere l'Antartide.
Prima
di lasciare l'atrio per dirigersi in camera da letto, il demone
abbassò gli occhi sulla piantina che l'amico gli aveva portato in
dono. Le foglie ebbero un fremito: evidentemente le sue compagne di
sventura l'avevano già informata su come si svolgeva la vita in
quella casa.
Crowley
stette per un po' a squadrarla intensamente, come se stesse
riflettendo tra sé, infine s'inginocchiò, sollevò il vaso da terra
e lo portò con sé in camera.
Appoggiò
l'orchidea sul comodino accanto al letto e s'infilò il pigiama di
raso nero.
Quando
si coricò, lanciò un'occhiata d'ammonimento alla piantina. - Non ti
ci abituare, carina. È solo per stanotte. -
Crowley
spense la luce e chiuse gli occhi. Scivolò beatamente tra le braccia
di Morfeo, accompagnato dall'immagine di Aziraphale che gli sorrideva
affettuosamente e gli concedeva il suo perdono.
La
piccola orchidea non venne mai spostata da quel comodino, né subì
mai alcuna minaccia da parte del demone. E rimase fiorita... molto a
lungo.
*
Riferimento al film del 1961 Angeli
con la pistola (Pocketful of Miracles),
di Frank Capra, dove la protagonista, interpretata da Bette Davis, è
una vecchia mendicante che vaga per New York con un cestino di mele
rosse che cerca di vendere per racimolare qualche soldo.
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Capitolo 31 *** Funny how love is ***
funny
Funny
how love came tumbling down
with
Adam and Eve
Funny
how love is running wild and feeling free
Funny
how love is coming home in time for tea
Funny,
funny, funny
Funny
how love is, Queen, 1974
Varicella.
Il
verdetto del pediatra accorso alla villa dell'ambasciatore americano
non dava adito a dubbi. Il rampollo di cinque anni di casa Dowling
vantava da un paio di giorni un discreto numero di sintomi tra i
quali spiccavano febbre e vistosi puntini rossi su tutto il corpo,
come se il bambino si fosse divertito a giocare con un pennarello.
La
signora Dowling aveva mandato immediatamente a chiamare il medico di
fiducia che aveva in cura il figlioletto per sottoporgli la questione
e, dopo una visita approfondita, la diagnosi fu inequivocabile:
Warlock Dowling aveva vinto alla lotteria immunitaria buscandosi una
delle malattie esantematiche più comuni durante gli anni
dell'infanzia.
Il
pediatra raccomandò una cura a base di antivirali e paracetamolo, e
che il personale della casa a stretto contatto con il bambino
risultasse immune al virus.
Tata
Ashtoreth e Fratello Francis si rivelarono perfettamente idonei ad
avvicinarsi al malato senza correre il rischio di venire contagiati.
Entrambi affermarono di aver già contratto la malattia in passato,
ma quell'immunità era chiaramente dovuta alla loro condizione di
entità sovrannaturali.
E
così, per i giorni a seguire, il piccolo dovette rimanere a letto,
confinato sotto le coperte almeno fino a quando la febbre non fosse
scesa. Harriet Dowling chiese a Tata Ashtoreth di restare con lui
durante il giorno e anche per buona parte della notte in modo da
fargli compagnia e vegliare sul suo sonno reso agitato e irregolare a
causa della febbre.
Ma
ovviamente questo poneva un grosso ostacolo al piano che il demone e
l'angelo avevano messo a punto per educare l'Anticristo secondo i
precetti sia dell'Inferno che del Paradiso. Di solito,Warlock si
recava in giardino per ricevere gli insegnamenti di Aziraphale, ma
ora che il bimbo era bloccato a letto con la costante presenza di
Crowley al suo fianco (praticamente h 24), il demone avrebbe goduto
di un vantaggio indiscutibile che avrebbe inevitabilmente finito col
rovinare l'equilibrio che si stavano dando tanto da fare per
costruire e mantenere.
Nel
frattempo, Harriet Dowling si era premurata di far pervenire a suo
figlio qualunque distrazione possibile per distoglierlo dal fastidio
della malattia e fargli trascorrere piacevolmente il tempo della sua
forzata permanenza in camera, evitandogli di finire preda della noia
e del malcontento, condizione della quale, lo sapeva bene, avrebbero
risentito per estensione tutti gli abitanti della casa.
E
così la stanza di Warlock si era riempita di giocattoli, passatempi
più o meno tecnologici e libri illustrati prelevati direttamente
dalla biblioteca della tenuta.
Tata
Ashtoreth era stata eletta a dama di compagnia del piccolo malato,
nonché governante e, all'occorrenza, infermiera. A lei toccava il
compito di misurare la temperatura del bambino ogni ora e di avvisare
immantinente la signora Dowling in caso di peggioramento, di vigilare
affinché il piccolo sorbisse il suo brodo di pollo e di assicurarsi
che prendesse la medicina prescritta dal dottore; sempre a lei era
stato inoltre affidato l'incarico di occuparsi dell'intrattenimento
di Warlock, leggendogli ad alta voce i libri che lui le indicava e
prestandosi a qualunque gioco egli volesse dedicarsi, dai videogiochi
alle battaglie con i robot.
Alla
fine della giornata, Crowley era esausto e non ne poteva più di
termometri, medicine, raccomandazioni apprensive da parte di Harriet,
giocattoli e chiacchiere infantili. Fortunatamente, Warlock passava
anche molto del suo tempo dormendo, fiaccato dalla febbre, e così il
demone poteva disporre di qualche ora per tirare un po' il fiato e
riprendersi prima di ricominciare tutto da capo un'altra volta.
Date
le circostanze, era diventato più difficile anche combinare gli
incontri strategici con Aziraphale ma un pomeriggio capitò che
Warlock si addormentasse profondamente e Crowley ne approfittò per
sgattaiolare fuori dalla cameretta e recarsi nel giardino, dove
Fratello Francis stava potando un cespuglio. Quando il giardiniere si
accorse della presenza del demone, sgranò gli occhi.
-
Oh, cielo. Hai una pessima cera, caro. -
Crowley
sbuffò. - Vorrei vedere te al mio posto. Giorno e notte ad occuparmi
del ragazzino con sua madre che mi sta perennemente col fiato sul
collo ma non muove un dito; non è proprio come essere in vacanza,
sai? -
Aziraphale
si guardò intorno per verificare l'eventuale presenza di ascoltatori
inopportuni, poi si rivolse alla tata con un bisbiglio sommesso. -
Non so proprio di cosa ti lamenti. Ti è capitata un'occasione d'oro
per avere l'esclusiva sull'educazione del giovane Anticristo, i tuoi
dirigenti saranno molto fieri di te. -
-
Sì, be', ti sfugge un piccolo particolare, angelo. - ribatté
Crowley risentito, bisbigliando a sua volta. - Non ho alcun interesse
a portare il figlio di Satana sulla via del Male. Il nostro obiettivo
comune è fare in modo che non propenda né per la tua fazione né
per la mia, ricordi? A volte sembra quasi che tu tenda a considerarmi
ancora il nemico. -
Aziraphale
arrossì sotto la folta peluria che ricopriva le guance di Fratello
Francis. - Scusa, caro. Le vecchie abitudini sono dure a morire,
temo. Il fatto è che il bambino sarà costretto a letto ancora per
un po' e io sto decisamente perdendo terreno con gli insegnamenti
virtuosi. Questo contrattempo potrebbe minare seriamente il lavoro
che abbiamo fatto fin'ora. -
-
Ecco perché sono qui: per proporti una soluzione a questo problema.
- rispose Crowley, sbrigativo. - Sai come si dice, no? Se Maometto
non va alla montagna... -
Da
dietro gli occhiali, il demone rivolse uno sguardo eloquente
all'amico, aspettandosi di scorgere un lampo di comprensione balenare
sul suo viso, ma ciò non accadde e l'unica cosa che poté rilevare
fu l'apparire di un'espressione confusa.
-
Scusa, ma adesso cosa c'entra Maometto? -
Crowley
emise un verso frustrato e scosse la testa, era inutile usare certe
sottigliezze con l'angelo. Occorreva essere più diretti. - Sto
dicendo che potresti andare tu dal ragazzo, tonto! -
Aziraphale
sbatté le palpebre. - Io? Ma, Crowley, io sono il giardiniere. Non
credo proprio di potermi auto-invitare così nella cameretta del
piccolo, senza una valida ragione. -
Il
demone scrollò le spalle. - Be', vai a genio a Warlock e sei uno dei
pochi in questa casa a poterglisi avvicinare senza rischiare il
contagio. Potresti chiedere a sua madre il permesso di andare a
trovarlo per tenerlo un po' occupato; sono certo che non ti dirà di
no. E poi siamo quasi in inverno e il giardino non ha bisogno di
molte cure al momento. Potresti darmi il cambio per qualche ora e
così la partita tornerebbe in parità. -
Aziraphale
parve riflettere su quella proposta, peraltro molto sensata, per
qualche secondo, dopodiché sfoderò un'espressione decisa e
raggiante. - Hai ragione, caro. È esattamente ciò che farò. Vado
subito a parlare con la signora Dowling. -
E
così, da quel giorno stesso, Fratello Francis ottenne
l'autorizzazione ad accantonare parzialmente il suo lavoro nel parco
della villa per recarsi in camera di Warlock e trattenersi per un po'
giocando con lui o leggendogli qualche storia. Durante quei momenti,
Tata Ashtoreth si ritirava con la scusa di alcune commissioni urgenti
da sbrigare per poi fare ritorno una volta che il giardiniere si
apprestava ad andarsene.
Se
non altro, lo stratagemma pareva aver riportato in stallo la
situazione e il piccolo Warlock, seppure prigioniero a letto,
assumeva quotidianamente la sua quotidiana dose di educazione
infernale e celestiale (oltre alle medicine per la varicella, che
egli mandava giù molto meno volentieri e avanzando molte più
proteste).
A
quel ritmo di lettura serrato, i libri prelevati dalla biblioteca al
piano di sopra iniziarono a scarseggiare quanto a varietà. Ormai il
bimbo li conosceva praticamente a memoria ed esigeva che la tata o il
giardiniere gli leggessero qualcosa di nuovo. Un solo volume era
rimasto in disparte rispetto a quelli già sfogliati più e più
volte: si trattava di un'edizione illustrata che riportava alcuni
degli episodi più famosi della Bibbia, adattati a misura di
bambino... almeno per quanto riguardava lo stile narrativo.
Quando
il libricino capitò fra le mani di Aziraphale, l'angelo pensò che,
in fondo, si trattava pur sempre di una storia che avrebbe potuto
avvincere la giovane mente del suo protetto, tanto più per il fatto
che egli era destinato a divenirne parte integrante e con un ruolo
non da poco, per giunta.
Si
sedette sul bordo del letto e sorrise bonariamente al visetto
puntinato di rosso di Warlock, che lo fissava con aspettativa.
-
Oggi, mio caro ragazzo, ti leggerò una storia nuova. E ti dirò di
più: è una storia vera! -
Il
bambino arricciò il naso. - Le storie vere sono sempre noiose. -
Fratello
Francis gli strizzò l'occhio. - Questa non lo sarà, promesso. -
Il
giardiniere iniziò a leggere, mentre Warlock divorava con gli occhi
le figure senza perdersi una parola. Contro ogni previsione, il bimbo
dovette ammettere che quella storia non era noiosa per niente, anche
se non era sicuro che fosse proprio tutta vera. Un serpente
che parlava, ma andiamo! Lo sanno tutti che i serpenti sibilano!
Ma forse Eva era come Harry Potter e poteva capire il linguaggio dei
rettili. Warlock diede voce a questo pensiero e sul volto pienotto di
Fratello Francis si dipinse un'espressione vagamente disorientata.
-
Ehm, no, ragazzo mio. Eva poteva capire il serpente perché in realtà
quello non era affatto un serpente ma un demone tentatore sotto forma
di animale. -
Il
bambino non parve troppo convinto da quella teoria, ma lasciò che il
giardiniere proseguisse il racconto senza ulteriori osservazioni da
parte sua, per quanto intelligenti e brillanti... almeno per i
successivi tre minuti.
-
E quindi Adamo ed Eva erano sposati? Come la mia mamma e il mio papà?
-
Di
nuovo, Fratello Francis parve preso in contropiede ed esitò un
momento prima di rispondere. - Be', no, non proprio, in realtà. Ma
si amavano molto. -
-
Allora perché lei ha fatto assaggiare la mela a lui anche se sapeva
che era sbagliato? L'ha fatto apposta? -
Il
giardiniere scosse la testa con vigore. - No! Certo che no, anzi, Eva
pensava di fare una cosa buona. Succede così quando si è
innamorati: se si ha qualcosa di bello, lo si vuole condividere con
l'altra persona, credo. -
-
Tu sei innamorato, Fratello Francis? -
Il
viso tondo dell'uomo assunse una lieve sfumatura cremisi. - Io,
ecco... -
Warlock
sbuffò. - Nessuno vuole mai dirmi cosa succede quando ci si innamora
ma sembra una cosa molto difficile da capire. Me lo spieghi tu,
Fratello Francis? -
-
Ma, figliolo, è qualcosa di veramente complesso da esprimere a
parole. Io non... -
-
Provaci, ti preeeeego. -
Aziraphale
trasse un gran sospiro e cercò di radunare tutte le nozioni che
aveva acquisito a proposito dell'amore nei suoi lunghi secoli di
permanenza sulla Terra e organizzarle in un discorso logico che però
risultasse abbastanza comprensibile alle orecchie di un bambino di
cinque anni.
-
Be', prima di tutto, ci sono tanti tipi diversi di amore. - esordì.
- Ma quello di cui vuoi sapere è in assoluto il più complesso.
Vedi, l'amore ha tante facce, non tutti lo vivono nello stesso modo.
L'amore è proprio strano, per certi versi. Ti può far sentire la
persona più felice del mondo, o la più triste, a seconda della
situazione; può nascere in un istante o può impiegarci anche anni;
ti fa venire voglia di trascorrere la maggior parte del tuo tempo con
l'altra persona, di farle dei regali, di renderla felice e appagata.
-
Warlock
aggrottò la fronte, desideroso di capire meglio. - Quindi non si
litiga mai? -
-
Oh, al contrario. - rise Fratello Francis. - Si litiga spessissimo, a
volte per delle sciocchezze e poi ci si pente di ciò che si è detto
e allora si cerca di farsi perdonare in qualche modo perché sapere
che l'altra persona è arrabbiata con te ti fa stare malissimo. Ma
anche questa è una delle caratteristiche principali dell'amore. -
Aziraphale
approfittò di un momento di riflessione del suo piccolo ascoltatore
per sorprendersi di quante cose sapesse sull'amore, senza esserne
conscio. Come era arrivato a costruirsi tutta quella cultura a
proposito del sentimento più antico e intricato che esistesse al
mondo? Forse aveva appreso tutto ciò grazie ai libri, ma era
convinto che ci fosse dell'altro. Una parte ribelle della sua psiche
continuava prepotentemente a sfuggire al suo controllo e a
presentargli l'immagine del volto di Crowley.
Proprio
in quell'istante, la porta della cameretta si aprì, rivelando Tata
Ashtoreth in piedi sulla soglia. Parve molto sorpresa (e non troppo
contenta) di trovare Warlock ancora in compagnia del giardiniere.
-
Fratello Francis, cosa ci fa ancora qui? Non doveva rimanere fino
alle 16.30? - abbassò gli occhi sul grosso orologio che portava al
polso. - Sono le 16.45. -
Il
bambino anticipò la risposta. - Fratello Francis mi ha letto la
storia di Adamo ed Eva e mi ha spiegato cos'è l'amore. -
-
Ma davvero? - fece la tata con un sorrisetto allusivo alla volta
dell'uomo. - E, dimmi, caro: che cos'hai capito? -
-
Che l'amore è un casino. - sentenziò il bambino, ricorrendo
a un termine che aveva sentito spesso alla televisione dei grandi. -
Io non mi innamorerò mai. È troppo difficile essere innamorati! -
Tata
Ashtoreth sfoderò un sorriso d'approvazione. - Bene, l'amore è una
gran perdita di tempo prezioso. Tempo che potresti dedicare ad
attività più piacevoli, come governare sul Mondo che verrà dopo
che avrai distrutto la Terra. -
Aziraphale
gli scoccò un'occhiata obliqua ma non replicò, in fondo Crowley
stava solo facendo la sua parte, come da progetto.
-
E comunque io avrei fatto come Eva. - affermò il bambino, risoluto.
-
Che vuoi dire, tesoro? - chiese la tata, il tono dolce e fintamente
casuale.
-
Anch'io avrei colto la mela. - dichiarò Warlock, con tutta la
sicurezza del caso. - Se Dio non voleva farlo succedere, doveva
nasconderla meglio, non metterla lì dove tutti la potevano vedere,
no? -
Tata
e giardiniere si scambiarono uno sguardo d'intesa, riportando alla
memoria il loro primo incontro e l'obiezione molto simile che il
demone aveva sollevato riguardo a quella stessa falla nel Piano
Ineffabile dell'Onnipotente, e non poterono trattenere un sorrisino
complice davanti a quel lontano ricordo.
Dopo
che Tata Ashtoreth ebbe svolto le sue mansioni di infermiera,
misurando la febbre al bambino e facendogli ingollare di malavoglia
un bicchiere nel quale era stata disciolta una disgustosa compressa
effervescente di paracetamolo, Warlock si distese nel letto, le
palpebre visibilmente pesanti.
-
Vuoi dormire un po', diavoletto? - domandò la tata, rimboccandogli
le coperte.
In
risposta, il bambino fece cenno di sì con la testa, poi chiuse gli
occhi e si addormentò profondamente.
Crowley
valutò che la sua presenza non sarebbe stata necessaria almeno per
un'ora o due, nella migliore delle ipotesi, e così si diresse fuori
dalla camera, socchiudendo piano la porta.
Nel
corridoio quasi si scontrò con Aziraphale. L'angelo reggeva un
vassoio sul quale era posato un intero servizio da tè di finissima
porcellana, completo di zuccheriera e lattiera. Il demone osservò il
tutto con espressione interrogativa.
-
Oh, eccoti qui, caro. - sorrise, cercando di mantenere in equilibrio
il tutto che tremolava e tintinnava spaventosamente tra le sue mani.
- Ho incontrato una cameriera che stava scendendo le scale e mi ha
detto che la signora Dowling le aveva ordinato di servirle il tè
alle 5 in punto ma, a quanto pare, ha preferito andare a fare
shopping con un'amica americana in visita e così lei ha preparato
tutto per niente. Mi ha letteralmente rifilato il vassoio tra le mani
e così ho pensato che, forse, avremmo potuto bere una tazza insieme.
Il salottino piccolo è sempre vuoto a quest'ora ed è proprio qui di
fianco alla camera di Warlock. -
Crowley
scosse le spalle ed emise un suono intraducibile che valse come un
bizzarro segno d'assenso e aprì la porta della stanza adiacente alla
cameretta.
I
due si ritrovarono in un salotto arredato secondo un gusto
spiccatamente retrò che strizzava l'occhio allo stile barocco.
Aziraphale
depose il vassoio sul tavolino posto fra un divano e due poltrone, al
centro di un tappeto dalla trama variopinta. Nel frattempo, Crowley
si lasciò cadere mollemente sul divano, la posa scomposta come suo
solito, nel limite di quello che la longuette aderente gli
permetteva.
L'angelo
sedette sulla poltrona, versò il tè in due tazze e ne porse una al
demone, prima di aggiungere un goccio di latte nella propria.
-
E così gli hai raccontato come tutto ebbe inizio. - commentò
Crowley, pensieroso. - Mi sembra appropriato visto che il suo destino
sarebbe, teoricamente, quello di scrivere la parola Fine a
quella stessa storia. -
-
Non succederà, caro. - lo rassicurò Aziraphale riponendo
delicatamente la lattiera sul vassoio. - Stiamo lavorando bene, non
credi? Tutto sta procedendo secondo i piani e il bambino non sembra
propendere né per la tua fazione né per la mia. È normale, come
volevamo. Non c'è ragione di preoccuparsi. -
Crowley
accennò un tacito assenso, dopodiché prese un sorso di tè.
-
E comunque come siete finiti a parlare dell'amore? -
Aziraphale
si prese un secondo per assaporare a sua volta la bevanda calda prima
di rispondere. - Il ragazzo voleva capire per quale motivo Eva avesse
condiviso la mela con Adamo. -
-
Mi sembra più che lecito. - approvò Crowley. - E tu cosa gli hai
risposto? -
-
Gli ho detto che quando si è innamorati si vuole condividere tutto
con la persona amata e poi lui mi ha chiesto come sia l'amore. -
-
E... ? - incalzò il demone, le sopracciglia sempre più sollevate
sopra le lenti che tradivano una fremente curiosità.
Aziraphale
si sentì improvvisamente arrossire e abbassò lo sguardo sulla tazza
che teneva tra le dita. - Be', gli ho spiegato che l'amore può
essere vissuto in modo diverso da individuo a individuo ma che,
solitamente, fa sentire molto felici oppure molto tristi e spinge a
donarsi completamente all'amato pur di farlo felice e che, anche se a
volte si litiga, se si è davvero innamorati e ci si rispetta a
vicenda, alla fine tutto si risolve per il meglio. Sai, le solite
cose che gli umani vanno raccontando sull'amore da... be', da sempre.
-
Crowley
aveva ascoltato con attenzione ogni parola dell'angelo, ostentando
una calma apparentemente imperturbabile. Eppure, se i suoi occhi non
fossero stati protetti dal filtro scuro, forse Aziraphale avrebbe
potuto accorgersi della fissità del suo sguardo intenso mentre
parlava, del modo insolitamente appassionato con cui l'amico lo
osservava mentre lui era intento a raccontargli di come avesse
spiegato il mistero dell'amore ad un bambino di cinque anni con tanta
naturalezza e, perché no, magari anche di un flebile guizzo di... di
cosa? Dolore? Frustrazione? Oppure di una remota speranza?
-
Una spiegazione davvero esemplare, angelo. - decretò infine il
demone, con voce piatta e indecifrabile, scevra di qualunque emozione
tranne forse una punta di ironia appena percepibile.
-
Dici? - fece Aziraphale, sollevato. - Oh, grazie al cielo! Certe
volte, quel ragazzino fa domande talmente complicate e bizzarre! Mi
mette in difficoltà. -
Un
angolo delle labbra perfettamente disegnate di Crowley si inarcò in
un sorrisetto sghembo. - Me ne sono accorto. È un tipo sveglio, il
nostro Anticristo. Ed è anche curioso: una qualità che,
personalmente, apprezzo sempre in chiunque, umano o no. -
-
Già. - annuì Aziraphale, sorridendo a sua volta prima di
sorseggiare un po' del suo tè col cuore inspiegabilmente molto più
leggero.
Aziraphale
e Crowley finirono la bevanda appena in tempo, prima che, dalla
parete accanto, si levasse la voce strillante e autoritaria di
Warlock. - TAAAATAAAAA! DOVE SEI? -
Il
demone sospirò, conscio di essere stato troppo ottimista nei suoi
calcoli circa il tempo libero che avrebbe avuto a disposizione. Il
sonnellino del piccolo malato era durato decisamente meno del
previsto.
-
Meglio che vada. - disse, posando la propria tazza di nuovo sul
vassoio. - Il figlio del mio Signore reclama la mia presenza. -
aggiunse in tono rassegnato.
Aziraphale
annuì, conciliante. - Va' pure. Ci penso io a riportare questo in
cucina. -
Crowley
si diede una rapida sistemata alla gonna e all'acconciatura e, prima
di uscire dal salotto, si volse verso l'amico con una mano appoggiata
allo stipite. - Angelo? -
L'altro
alzò lo sguardo, in attesa. - Sì, caro? -
Il
demone parve titubare per un attimo. - Stasera non devo badare a
Warlock. Ci vediamo più tardi per parlare della giornata, vero? Come
al solito? -
-
Ma certo. - confermò Aziraphale, leggermente sorpreso da quella
domanda. Insomma, era ovvio che si sarebbero visti per fare il punto
della situazione, no? Non lo facevano sempre?
Crowley
non fornì alcun chiarimento che potesse lenire la sua perplessità e
si limitò ad un cenno del capo. - Bene. - Sparì oltre la porta
senza aggiungere altro e Aziraphale udì riaprirsi quasi in
contemporanea quella della camera di Warlock.
L'angelo
ripose anche la sua tazza vuota sul vassoio e si preparò a scendere
in cucina per restituire le preziose stoviglie. Ma, proprio mentre si
accingeva ad alzarsi, gli tornò alla mente una delle frasi che aveva
rivolto al bambino poco prima: Succede così quando si è
innamorati: se si ha qualcosa di bello, lo si vuole condividere con
l'altra persona.
E
non era forse ciò che egli aveva appena fatto? Si era
inaspettatamente ritrovato tra le mani un vassoio con due tazze e una
teiera fumante e subito aveva assecondato l'istinto che gli suggeriva
con insistenza di condividerlo con Crowley. Non si era fermato
neanche per un attimo a riflettere sulla possibilità di tenerlo per
sé o offrirlo a qualcun altro. Era successo tutto automaticamente.
E
poi c'era quell'inaspettata conoscenza che aveva interiorizzato a
proposito dell'amore senza neanche rendersene conto. Possibile
che...?
Aziraphale
scosse la testa, come per liberarsi di quelle idee tanto bislacche e
che, lo sapeva bene, non avrebbero portato a niente se non
distoglierlo pericolosamente dalla sua missione, la quale godeva
della priorità assoluta. Non poteva permettersi alcuna distrazione.
Sebbene
questa giustificazione fosse più che valida, una molesta vocina
interiore continuava a sussurragli una versione ben diversa: “Hai
solo paura della verità che potresti scoprire se scavassi un po' più
a fondo dentro di te. Sei un vigliacco, angelo.”
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Capitolo 32 *** '39 ***
39
Don’t
you hear my call
though
you’re many years away
Don’t
you hear me calling you
All
your letters in the sand
cannot
heal me like your hand
'39, Queen,
1975
Da
qualche parte in Inghilterra, dicembre 1939
La spiaggia era
deserta, fatta eccezione per qualche bianco gabbiano che lanciava il
proprio grido nel vento. Vento che, come una frusta gelata, sferzava
senza pietà quella lingua di sabbia tra le scogliere bianche
svettanti verso un cielo di ferro popolato da nuvole plumbee.
Crowley aveva
l'impressione che quel cielo fosse tanto pesante da potersi
schiantare sulla Terra da un momento all'altro, ma forse si trattava
solo dell'eco della pesantezza che gravava sul suo petto e che veniva
proiettato all'esterno.
Il demone
passeggiava sul bagnasciuga in ascolto dello sciabordio dell'oceano
agitato, lasciando dietro di sé orme profonde ma che non potevano
dare la misura della portata di tutte le atrocità alle quali i suoi
occhi avevano assistito.
Il Diluvio
Universale, le grandi pestilenze che nel '300 avevano sconvolto
l'Europa decimandone la popolazione, le guerre e le faide più
sanguinose, rivoluzioni cruente. Ognuno di questi cupi avvenimenti
era impresso a fuoco nella memoria millenaria di Crowley.
Perché vivere tra
gli umani come entità sovrannaturale, e dunque non soggetta al
decadimento fisico e all'azione divoratrice del Tempo, tra gli
indiscutibili benefici, comportava questo svantaggio: scivolare
inerme attraverso epoche in cui la speranza sembra evaporare nel
nulla e abbandonare ogni creatura vivente, condannando a un'esistenza
di sconforto e terrore collettivi, virulenti, come un'epidemia dello
spirito che sfianca anche il cuore più forte fino a rendere
insostenibile la quotidianità; fino a quando tutto sembra
precipitare senza freni verso un baratro nero dal quale non potrà
esserci ritorno.
Ma gli umani
potevano almeno sperare nella pace dell'eterno oblio, lui era
obbligato ad andare avanti e a ritrovarsi periodicamente spettatore
delle stesse tragedie che si ripresentavano puntuali come fantasmi
impossibili da scacciare.
Ma naturalmente non
si trattava di fantasmi, Crowley lo sapeva bene. Ciò che minacciava
il regolare corso della vita era dotato di una forma spaventosamente
più concreta.
Erano i Tre
che si dedicavano alle proprie macabre scorribande sulla Terra a
spese dei suoi abitanti. Tre, ai quali immancabilmente si
accompagnava il Quarto, che pure era sempre al lavoro con la
propria falce, instancabile: la sua costante presenza all'ombra della
Creazione si poteva ravvisare nel fiore che appassiva, o in un
vecchio che si arrendeva infine alla forza usurante degli anni e
prendeva congedo da questo mondo, andandosene al braccio del
Cavaliere dal manto nero.
Nei secoli addietro,
Crowley aveva avuto la possibilità di vederli all'opera più volte
e, per quanto le loro modalità d'azione differissero per metodi e
mezzi e mutassero adeguandosi ai tempi, avevano una cosa in comune:
il loro passaggio era sempre fonte di immenso dolore e incontenibile
sofferenza. Spezzavano la vita di chi soccombeva fisicamente sotto i
loro colpi micidiali, certo; ma anche quella di coloro che restavano,
di tutti quegli altri che, per una questione di tempra o forse
solamente di mera fortuna, scampavano temporaneamente alla falce di
Morte e si riducevano a trascinarsi giorno dopo giorno lungo una
strada impervia e oscura, che nessuno poteva dire dove avrebbe
condotto, sempre che vi fosse una destinazione.
Una di loro era
particolarmente attiva in quel periodo e aveva fomentato venti di
burrasca che già da anni soffiavano silenti serpeggiando tra i paesi
e le nazioni del cosiddetto Vecchio Continente. Guerra era
tornata e prometteva di dare spettacolo di sé come mai aveva fatto
prima di allora. Aveva lavorato alacremente dietro le quinte, sotto
le ceneri lasciate dall'ultimo grande conflitto mondiale, infettando
ferite ancora aperte e avvelenando le menti degli uomini con i suoi
mezzi preferiti: la paura e l'odio.
Il 1° settembre di
quell'anno era scoppiato ufficialmente il nuovo conflitto, con
l'invasione della Polonia da parte della Germania guidata da Adolf
Hitler e due giorni più tardi il re Giorgio VI aveva annunciato
pubblicamente ai sudditi la presa di posizione del paese contro
l'avanzata nazista.1
Il demone l'aveva
vista in azione molto spesso, Guerra. Le piacevano il clamore, il
boato dei cannoni, il clangore delle spade, il rosso del sangue vivo
che sgorgava copioso dalle ferite e inzuppava le divise, la polvere
che ricopriva i corpi dei caduti ammassati l'uno all'altro... non
amava passare inosservata e agire con pazienza e lentezza, a
differenza di quanto soleva fare invece Carestia.
Ma questa volta
c'era qualcosa di diverso: Crowley poteva sentirlo nell'aria fredda e
metallica vibrante di un'indefinibile tensione, come elettricità. Lo
avvertiva intimamente, ben più in profondità del suo involucro
corporeo, fin nell'animo, fin nella sua essenza più antica e
ancestrale. Di notte era visitato da incubi che brulicavano di
immagini orribili e gli parlavano dell'avvento di una delle ore più
buie che la Terra avesse mai conosciuto. Un'ora che si stava
avvicinando a velocità drammatica.
Ne era
inesplicabilmente certo: si era messo in moto qualcosa di proporzioni
colossali. Si preparavano avvenimenti che avrebbero segnato per
sempre la storia dell'Umanità intera e lui ne percepiva tutta la
potenza non ancora manifesta, allo stesso modo in cui poteva
percepire l'avvicinarsi della tempesta che presto si sarebbe
abbattuta su quella stessa spiaggia.
Non gli piacevano le
guerre, le pestilenze o le carestie. Erano periodi foschi che
inghiottivano famelici ogni cosa buona potesse esserci al mondo; ogni
cosa bella, ogni cosa per la quale valesse la pena continuare a
vivere laggiù.
Gli umani perdevano
la voglia di inventare, di creare meraviglie, di abbellire e
migliorare la propria esistenza grazie a quelle idee ingegnose che
Crowley tanto apprezzava e ammirava. Tutte le qualità creative e
intellettuali di uomini e donne erano invece piegate per servire la
causa di Guerra: si sviluppavano armi sempre più distruttive, sempre
più letali, sempre più orrende; si pianificavano strategie da usare
contro il nemico; si sottometteva la tecnologia alla tattica militare
per schiacciare l'avversario, prevederne le mosse e anticiparle in
modo da coglierlo di sorpresa. In tempo di Guerra non c'era spazio
per minuzie e facezie; non quando la priorità assoluta era la
sopravvivenza propria e delle persone amate.
Vivere a stretto
contatto con gli umani aveva portato Crowley ad affezionarsi a loro.
Aveva maturato un sincero apprezzamento per quelle creature effimere
ma tenaci e assistere impotente agli orridi tormenti che queste
pativano a causa del flagello di Guerra e dei suoi illustri colleghi
faceva affiorare in lui un vivo senso di dispiacere.
Crowley rabbrividì
all'ennesima coltellata del vento pungente che si insinuava sotto le
sue vesti. Si strinse nel cappotto e levò lo sguardo verso il cielo,
oltre i gabbiani, oltre le nubi gravide di pioggia.
Mai come in quei
momenti il demone sentiva su di sé la presa ferrea della solitudine.
Quando venivano a mancare le distrazioni che lo tenevano occupato e
l'aria stessa che si respirava era satura di timore e sospetto, ogni
frivolo diversivo appariva solo come una vana fuga da una realtà che
gli alitava sul collo con il suo fiato gelido e fetido, sempre troppo
pregnante per essere elusa. Una cappa di tetraggine opprimente calava
sul mondo che lo circondava e Crowley veniva afferrato dal prepotente
desiderio di avere qualcuno al proprio fianco: una presenza amica che
potesse alleviare il fardello che, talvolta, la sua condizione di
immortale comportava
Avanzò affondando
con le scarpe nella sabbia bagnata e compatta fino ad arrivare in
prossimità di un massiccio tronco d'albero sospinto a riva dalla
forza delle onde. Crowley osservò quel rugoso naufrago arboreo e si
domandò quanto potesse essere lontano dal suo luogo d'origine. Era
approdato sulla costa inglese per decisione congiunta della sorte e
delle correnti marine dell'Atlantico, ma da dove era partito? Da
quanto tempo era in viaggio e dov'era il resto di sé? Dove aveva
lasciato le sue radici? E le sue foglie?
Crowley non avrebbe
saputo spiegare a parole la ragione del suo sentimentale interesse
per quel triste relitto che giaceva dinanzi a sé, ma era come se
avvertisse un sottile collegamento: anche lui si percepiva alla
deriva, immerso in un mondo ostile e preda di una corrente che non
sapeva dove l'avrebbe trascinato. Il demone sfiorò con la mano la
ruvida superficie della corteccia madida imbiancata dalla salsedine
dopodiché si sedette, allungando le gambe verso la distesa d'acqua
rabbiosa che ruggiva a pochi metri di distanza da lui.
Raccolse da terra un
bastoncino di legno umido e cominciò a tracciare dei segni sulla
sabbia, lasciando che i suoi pensieri prendessero il largo.
Avrebbe potuto
semplicemente andarsene. Lasciare l'Inghilterra per trasferirsi in un
angolo remoto del pianeta che gli artigli di Guerra, troppo presa dai
suoi affari in Europa, non avrebbero potuto ghermire.
Dopotutto, un demone
infernale non era legato a formalità umane come la cittadinanza o la
residenza. Aveva scelto la Gran Bretagna come dimora fissa, ma non
c'era nulla che lo legasse davvero a quella terra. Be', a parte lui.
Un repentino moto di
affetto misto a fastidio assalì Crowley, come succedeva ogni volta
che volgeva la sua mente consapevole ad Aziraphale. La loro ultima
litigata, risalente a quel giorno del 1862, li aveva indotti a
prendere le distanze l'uno dall'altro: non avevano contatti da
allora.2
Ma il demone non
aveva mai perso d'occhio l'amico. Conoscendolo, era abbastanza sicuro
che, presto o tardi, l'angelo si sarebbe cacciato in qualche guaio e
allora lui sarebbe dovuto accorrere in suo aiuto proprio come aveva
già fatto in Francia più di un secolo prima. E così seguiva
discretamente le sue mosse, pur senza mai riuscire a trovare il
coraggio necessario per avvicinarlo e parlargli, anche solo per un
saluto. Gli mancava la sua compagnia, ma non aveva idea di quali
sentimenti Aziraphale nutrisse attualmente nei suoi confronti: era
ancora arrabbiato per la faccenda dell'acqua santa? Probabile.
L'aveva perdonato? Difficile da credere, ma, del resto, quell'angelo
era sempre in grado di sorprenderlo. Avrebbe reagito bene ad un
tentativo di riconciliazione? Impossibile a dirsi.
C'erano troppe
incognite in quell'equazione. La paura di essere respinto, di
ricevere un rifiuto e di scoprire che settantasette anni non erano
bastati a stemperare l'acredine lasciata da quel litigio, lo
inducevano a tenersi a debita distanza da Aziraphale, il quale, in
ogni caso, pareva cavarsela piuttosto bene anche senza di lui.
Crowley avvertì una
stretta dolorosa comprimergli il petto e digrignò i denti,
maledicendosi per essersi di nuovo lasciato trasportare dal groviglio
di sentimenti e pensieri nei quali finiva sempre per rimanere
impastoiato quando c'era di mezzo l'angelo.
Tuttavia, non poteva
fare a meno di domandarsi se anche Aziraphale presagisse la
catastrofe imminente. Erano gli unici due esseri sovrannaturali
incarnati stabilmente sulla Terra e il demone avrebbe voluto poter
condividere i suoi crucci con l'unico individuo che sapeva avrebbe
potuto comprenderli del tutto e fornirgli consolazione.
Desiderò
ardentemente di averlo accanto, di perdersi nei pozzi di acqua
cristallina delle sue ridi e di sentire la sua voce dolce mentre gli
si rivolgeva con quell'appellativo speciale che, sebbene fosse
riluttante ad ammetterlo, faceva provare a Crowley un brivido di
felicità ogniqualvolta l'angelo ne faceva uso: caro.
La nostalgia
dell'angelo si era fatta così risonante da fargli provare un sordo
dolore fisico che pulsava in ogni fibra e gli stringeva la gola in un
nodo che quasi gli impediva il respiro.
Proprio in quel
momento, un'onda più determinata delle altre si spinse fino al
tronco e lambì i suoi piedi. Quando si ritirò, portò via con sé
le dieci lettere che Crowley aveva distrattamente scavato nella
sabbia.
Il demone osservò i
piccoli solchi colmarsi dell'acqua salmastra e decise che, allo
stesso modo, quelli tra i suoi pensieri, ben più profondi e
radicati, avrebbero tratto giovamento da una salutare innaffiata di
alcool scadente del pub più vicino che potesse trovarsi in quel
luogo sperduto.
Abbandonò il
legnetto, si alzò dal tronco e riprese a camminare a passo lento
lungo la battigia mentre un primo rombo in lontananza faceva da
araldo al temporale in arrivo.
La scritta nel suolo
vergata da Crowley si leggeva ormai a stento, ma prestando attenzione
e aguzzando la vista, si sarebbe ancora potuto distinguere un nome:
Aziraphale.
Soho,
Londra
Aziraphale aveva
allungato una mano verso lo scaffale per estrarre dalla fila ordinata
un volume di poesie di Oscar Wilde quando fu colto da una bizzarra,
intensa sensazione: come un formicolio sottopelle o un soffio caldo
solleticargli la nuca.
Per la sorpresa, le
sue dita si aprirono sul dorso del libro e questo cadde a terra con
un tonfo sordo.
L'angelo a malapena
se ne accorse e si guardò intorno per capire la causa di
quell'improvviso scombussolamento dei sensi. Gli era quasi parso di
udire una voce lontana che sussurrava il suo nome, ma la libreria era
vuota e immersa in una quiete silenziosa: il cartello apposto sulla
porta d'ingresso specificava a chiare lettere che quel giorno il
negozio non avrebbe aperto i battenti. L'angelo era completamente
solo, eppure...
Aziraphale scrollò
le spalle: doveva essersi sbagliato. D'altra parte, la tensione che
pervadeva le strade filtrava anche attraverso i muri della libreria e
doveva aver finito per suggestionarlo e fargli percepire cose non
reali.
Il Principato si
chinò a raccogliere il libro e spazzò via la polvere dalla
copertina usando delle carezze gentili; recuperò la tazza di tè che
si era appena preparato e si accomodò in poltrona, inforcando gli
occhiali da vista, dei quali non aveva alcun bisogno, e immergendosi
nella lettura.
Ma ben presto si
rese conto di star sprecando il proprio tempo: fissava le frasi sulle
pagine senza vederle o riuscire a conferirne un senso. Il suo spirito
irrequieto non traeva alcun beneficio né godimento dalle immagini
sapientemente drappeggiate dal poeta irlandese che solitamente
rappresentavano per lui un toccasana.
Ma non quel giorno.
Quel grigio dì di
dicembre non c'era sublime composizione lirica che potesse dare un
tocco di colore al mondo. Aziraphale richiuse il libro con un sospiro
e lo depose sul tavolo insieme agli occhiali. Tenne invece stretta la
tazza di tè tra le mani, lasciandosi pervadere dal calore che
emanava attraverso la porcellana, e uscì dal retro della libreria
per avvicinarsi alle finestre che davano sull'esterno: le poche
persone che camminavano per Soho si aggiravano convulsamente tra le
vie tenendosi rasenti ai muri, con movimenti furtivi, l'aria spaurita
e diffidente, le teste chine. Gli occhi spenti incastonati nei loro
volti tirati le facevano assomigliare a morti resuscitati dalla
tomba.
Perfino il Natale
sembrava aver perduto molta della sua forza e positività, oscurato
dall'ombra della minaccia proveniente da est che aleggiava su tutto
il paese come una nube tossica di fumo nero alla quale nessuno, uomo,
donna, o bambino, era immune.
L'angelo rilasciò
un secondo sospiro greve e tornò alla sua poltrona, prendendo un
sorso di tè e cercando di trarne quando più conforto possibile.
L'Europa era
nuovamente alle prese con una guerra. Non erano trascorsi che
vent'anni dagli orrori delle trincee fangose e del filo spinato3,
e ora ecco che il medesimo incubo si ripresentava in tutta la sua
efferatezza.
Come la maggior
parte degli inglesi, il 3 settembre Aziraphale aveva ascoltato alla
radio la voce grave e profonda del sovrano mentre annunciava al regno
che l'Inghilterra non sarebbe rimasta ferma a guardare mentre il
Führer e i suoi eserciti prendevano possesso del continente, ed
esortava i suoi sudditi a rimanere saldi e uniti per far fronte al
pericolo che incombeva e ai giorni bui che si sarebbero presentati,
confidando nella rettitudine e nella giustizia della resistenza al
folle disegno egemonico nazista.
La cadenza lenta e
solenne, unita alle lunghe pause tra le parole, potevano anche aver
costituito, all'inizio, un escamotage per ovviare al problema dalla
balbuzie che affliggeva il monarca fin da bambino, ma l'idea generale
che ne era conseguita era quella di una forte partecipazione empatica
e una vicinanza al cuore degli inglesi che non era affatto usuale per
i membri della famiglia reale.
Giorgio VI non aveva
fatto mistero della gravità della situazione, né aveva tentato
inutilmente di addolcire la pillola. Aveva parlato con franchezza ma
senza che ciò spogliasse di potenza la carica emozionale che
trasudava da ogni frase, da ogni pausa. Il suo era stato un discorso
denso di pathos che aveva raggiunto e toccato gli animi di tutti,
incluso quello angelico di Aziraphale.
Perché, per quanto
egli fosse una creatura eterea del Paradiso, risiedeva sulla Terra
dal 4004 e dunque non poteva completamente distaccarsi dalle vicende
umane, soprattutto di quella portata. Era come una goccia d'olio in
un fiume: non si sarebbe mai amalgamato con le singole particelle
d'acqua, ma ne seguiva lo stesso corso. E talvolta capitava che certi
eventi lo smuovessero più di altri.
Nel suo accorato
discorso alla nazione, il re aveva invitato tutti a stringersi e a
trarre forza e coraggio dalla reciproca vicinanza. Quel passo aveva
commosso particolarmente l'angelo: aveva immaginato padri, madri,
figli, figlie, fratelli e sorelle, intere famiglie in ascolto intorno
alla radio col fiato sospeso; aveva immaginato dita intrecciate,
sguardi d'intesa nei quali era racchiuso un intero universo di
significati, piccoli gesti di amore e reciprocità che alimentavano
la tenue fiammella della speranza per tenerla viva, per evitare che
si spegnesse e lasciasse campo libero a una disperazione dilagante e
fatale.
E allora le briglie
dei suoi pensieri si erano sciolte ed essi erano corsi, com'era
prevedibile, alla sola persona che Aziraphale avrebbe voluto avere
accanto a sé in quei tempi duri e spietati: Crowley.
Era a lui che il
Principato desiderava offrire appoggio e sostegno, e riceverne a sua
volta.
Negli ultimi tre
mesi, l'angelo si era ritrovato a pensare al vecchio amico più di
quanto avesse fatto nei settantasette anni che lo separavano dal loro
ultimo burrascoso incontro.
Non si era mai
chiesto davvero se avesse perdonato il demone per avergli sottoposto
una richiesta, una pretesa, tanto gravosa; ma ciò che era accaduto
quel giorno non poteva soffocare in Aziraphale il tormentoso
desiderio di rivedere Crowley, specialmente adesso che, con la nuova
guerra alle porte, le prospettive per il futuro si erano fatte così
incerte e desolanti.
In più di
un'occasione Aziraphale si era recato nei pressi di Mayfair senza la
spinta di una reale necessità. Sperava di incappare casualmente nel
demone e a quel punto... non lo sapeva. Non aveva idea di cosa
avrebbe fatto se gli fosse effettivamente capitato di imbattersi in
Crowley. Molto sarebbe dipeso anche dalla sua reazione e Aziraphale
non disponeva di alcun indizio che potesse fornirgli una dritta in
quel senso.
E così quando il
Principato rientrava alla libreria a seguito di quelle rapide ma
infruttuose incursioni nell'esclusivo quartiere londinese, si
ritrovava posseduto da un miscuglio contrastante di sentimenti: da
una parte il sollievo del codardo che preferiva rimanere nel dubbio
piuttosto che affrontare la realtà a viso aperto, dall'altra la
delusione mista a tristezza della parte di sé che invece avrebbe
sinceramente voluto un confronto diretto e risolutivo con Crowley,
fosse stato anche solo per realizzare che, dopo tutti quegli anni, il
demone ce l'aveva ancora con lui per avergli negato quel drastico
favore.
Ma il destino non
gli aveva mai arriso e le sue spedizioni si erano sempre concluse con
un nulla di fatto che lo gettava nello sconforto per almeno un paio
di giorni, durante i quali un cupo malumore si impossessava
dell'angelo a discapito degli incolpevoli clienti che si presentavano
in negozio.
La verità era una e
soltanto una, inconfutabile: Crowley gli mancava terribilmente.
Forse proprio per
questo motivo, poco prima, aveva avuto la netta impressione di
sentirlo invocare il suo nome: perché era esattamente ciò che
Aziraphale si ritrovava a fare sempre più spesso nel silenzio
polveroso del suo rifugio di carta e inchiostro.
Note:
1
:
Mi riferisco al discorso radiofonico che re Giorgio VI, padre
dell'attuale regina Elisabetta II, tenne il 3 settembre 1939 per
annunciare l'entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania
di Hitler e che costituisce anche la conclusione del film Il
discorso del re, del
2010. Il ritorno su questo argomento nella seconda parte della OS si
compenetra bene con il periodo e l'argomento di cui tratto, ma vuole
essere anche un piccolo tributo a quest'opera cinematografica che,
personalmente, amo molto.
2
:
In questa storia, considero valida la scansione temporale mostrataci
nella serie. Faccio questa precisazione per chi avesse letto il
capitolo 17 della raccolta (A
kind of magic), nel
quale faccio ritrovare Crowley e Aziraphale dopo soli otto anni dalla
litigata del 1862.
3 :
Mi riferisco ovviamente alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918) della
quale i simboli e le immagini iconiche e più forti rimangono ancora
oggi proprio le trincee e il filo spinato.
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Capitolo 33 *** Radio Ga-Ga ***
gaga
All
we hear is Radio ga-ga
Radio
goo-goo
Radio
ga-ga
All
we hear is Radio ga-ga
Radio
blah blah
Radio,
what’s new?
Radio,
someone still loves you
Radio
Ga-Ga, Queen, 1984
Warlock Dowling
aveva compiuto un anno a fine estate.
In quei dodici mesi,
Crowley e Aziraphale avevano vigilato su di lui con solerte
attenzione, pronti a captare qualunque segnale della sua presupposta
natura satanica. A quella giovanissima età, non potevano ancora
sperare in una vera e propria influenza effettiva sull'educazione
dell'Anticristo, ma almeno potevano studiare il bambino per rendersi
conto della forza dei suoi poteri e prepararsi al meglio per
adempiere al loro compito una volta che il bimbo fosse divenuto
abbastanza grande da interiorizzare gli insegnamenti che avrebbero
provveduto a somministrargli.
Nel corso del loro
anno di osservazione, angelo e demone avevano potuto inaspettatamente
constatare, non senza un certo sollievo, che Warlock sembrava proprio
un comunissimo bambino umano. Non si erano verificati episodi
insoliti che potessero mettere in allarme i due. Il latte del biberon
non si era mai tramutato in sangue, gli oggetti della cameretta non
si erano mai animati e, durante i bagnetti, Tata Ashtoreth aveva
potuto accertarsi della totale assenza anche del più piccolo
connotato diabolico nell'aspetto dell'Anticristo. Niente zoccoli
caprini, codine o marchi infernali di alcun genere.
Anche l'intelligenza
di Warlock sembrava perfettamente nella media e, qualche mese dopo lo
spegnimento della sua prima candelina (operato in realtà da Harriet
Dowling per evitare che il suo figlioletto si avvicinasse troppo alla
fiamma e per il trascurabile fatto che ogni tentativo del bimbo si
fosse risolto in un assai poco risolutivo spruzzo di saliva), egli
aveva iniziato a sperimentare la magia del linguaggio verbale. Il suo
vocabolario, per quanto ancora molto ridotto e primitivo, si stava
gradualmente ampliando e Warlock si divertiva a ripetere i nomi,
talvolta storpiandoli vistosamente, degli oggetti e delle persone a
lui famigliari, oltre ad articolare una serie di altri suoni dal
significato indefinibile.
Crowley e Aziraphale
sapevano che molto presto il loro lavoro sarebbe entrato nel vivo.
Avrebbero messo in campo tutta la propria abilità per allevare
l'Anticristo in modo da scongiurare il destino di sventura che
sarebbe toccato alla Terra da lì a dieci anni, se avessero fallito.
Con quella
consapevolezza e un carico di responsabilità non da poco a gravare
sulle loro spalle, angelo e demone affrontavano ogni giorno la
pomposa quotidianità di casa Dowling, in attesa che i tempi fossero
maturi per iniziare a manipolare la giovane e fresca mente
dell'Anticristo.
Un pomeriggio, poco
dopo l'ora di pranzo, Tata Ashtoreth si trovava nella cameretta di
Warlock. La luce dorata del tiepido sole invernale era schermata
dalle tende alla finestra per consentire al piccolo inquilino della
stanza di godersi il sonnellino di metà giornata in tutta
tranquillità.
La tata l'aveva
deposto nel lettino cercando di ignorare le energiche proteste
espresse a suon di calci, strilli, pugnetti, e acuti “No voio!”,
che sembrava essere diventata la sua espressione verbale prediletta.
Compiendo uno sforzo di volontà notevole per evitare di ricorrere ad
un miracolino demoniaco che facesse sprofondare istantaneamente nel
sonno un Warlock più sveglio che mai e per nulla intenzionato a
trascorrere le ore successive tra le sbarre della sua confortevole
prigione, Tata Ashtoreth aveva fatto appello a tutta la propria
riserva di determinazione e non si era lasciata scoraggiare dalla
fiera resistenza opposta dal piccolo.
Fortunatamente, il
recalcitrante ragazzino si era infine rassegnato alla sua sorte di
recluso e aveva cessato di strepitare, lasciando che la melodia
ipnotica di un carillon lo acquietasse per poi accompagnarlo
dolcemente nel mondo dei sogni, qualunque cosa potesse sognare un
baby-Anticristo.
Si trattava di un
trucchetto che Tata Ashtoreth aveva scoperto di recente ma che
funzionava a meraviglia e le risparmiava un bel po' di fatica quando
si trovava ad affrontare l'impresa sempre più ardua della nanna.
Qualche tempo prima, una zia aveva inviato dall'America un regalo di
Natale destinato al nipotino che per la bambinaia demoniaca si era
rivelato sorprendentemente utile: un CD musicale sul quale era stata
incisa una selezione di canzoncine per bambini e arie classiche
eseguite per carillon.
Warlock ne subiva
l'effetto tranquillante e soporifero come se si fosse trattato di
cloroformio. Bastava inserire il CD nell'impianto stereo presente
nella cameretta e azionare il tasto PLAY perché il bimbo si
addormentasse nel giro di pochi minuti, anche quando pareva più
riluttante che mai. Con grande amarezza, Crowley si era trovato
costretto a riconoscere che le sue cupe litanie infernali non si
avvicinavano neanche lontanamente a sortire quegli esiti mirabolanti,
e così aveva deciso di affidarsi a quel metodo straordinariamente
efficace ogni volta che ne avesse avuto necessità.
Tata Ashtoreth,
seduta comodamente in poltrona, si stava appunto gustando
quell'attimo di pace quando le casse dello stereo gracchiarono
sonoramente e il suono deliziosamente malinconico e delicato delle
note di Für Elise venne bruscamente sostituito da una voce
cavernosa che Crowley riconobbe all'istante con un brivido.
- Croooleyyy? Ci
sei? -
Il demone imprecò a
denti stretti. Quell'idiota di Hastur aveva scelto un pessimo momento
per mettersi in contatto con lui. Eppure gli aveva raccomandato tante
volte di non cercarlo! La Sede Centrale sapeva di dover attendere che
fosse lui a contattarli per non mettere a rischio l'operazione. Ma
naturalmente le sue disposizioni erano state bellamente ignorate e
adesso quella tarma di Hastur aveva deciso di fargli una visita non
programmata e tutt'altro che gradita.
- Crowley? Rispondi,
maledizione! - insistette, indispettito dal silenzio del suo
sottoposto. - Sono un tuo superiore e un duca infernale ed esigo che
tu venga subito qui a rispondere! -
Il tono del
dispotico diavolo si era fatto impaziente e rabbioso. Crowley non si
sarebbe stupito di vedere lo stereo sputacchiare e ringraziò di non
trovarsi alla presenza fisica del suo sgradevole dirigente.
Lanciò uno sguardo
a Warlock e lo vide muoversi nel lettino, disturbato dallo sbraitare
di Hastur ma ancora addormentato. Tuttavia, se il duca infernale
avesse continuato di quel passo, avrebbe certamente finito per
svegliarlo, e allora le sue urla di sdegno sarebbero state una
bazzecola in confronto a quelle del bambino.
Il demone sospirò,
si alzò dalla poltrona e si avvicinò alle casse. - Sono qui,
Hastur. Non c'è bisogno di gridare. Per poco non hai svegliato il
figlio del nostro Signore. - sussurrò con un sogghigno, godendosi
l'istante di silenzio pregno di terrore che seguì dall'altra parte
di quell'insolito canale di comunicazione. Era sempre divertente
instillare un po' di sano spavento nell'animo viscido di quel rospo.
- Lui... lui è lì
con te? - balbettò Hastur, chiaramente impaurito di fronte alla
prospettiva di aver involontariamente turbato il figlio di Satana.
- Ovvio che sia qui
con me. - replicò Crowley, calmo. - Sono il suo tutore, no? Un anno
fa, non avete forse affidato al sottoscritto l'incarico di preparare
l'Anticristo alla sua missione? Mi sembra che domandarmi una cosa del
genere sia oltremodo pleonastico. -
Dubitava fortemente
che il suo superiore conoscesse il significato di quella parola.
- E ti sembra che
io... ehm, l'abbia irritato? - chiese Hastur, la spocchia usuale
surclassata da una remissività dettata dal timore reverenziale che
il giovane Anticristo gli incuteva.
Crowley sorrise,
godendo dell'appagante sensazione di avere in pugno l'irascibile
duca. - Per tua fortuna, sembra che l'Avversario abbia il sonno
pesante. Ma, fossi in te, adotterei un tono più gentile in futuro.
Warlock non ama essere svegliato durante il pisolino e non vorrai
che, tra qualche anno, si ricordi di te come del duca infernale che
interrompeva sempre il suo riposino pomeridiano, vero? -
Il demone riusciva
quasi a figurarsi Hastur mentre rabbrividiva e quell'immagine mentale
gli diede una corroborante scarica di soddisfazione.
Il duca borbottò
una rispostaccia incomprensibile, dopodiché tornò a rivolgerglisi
con una voce decisamente più misurata, anche se non meno rude. - Non
riesco a vederlo da qui. Perché cavolo non usi quell'aggeggio dove
ci sono anche le figure? -
L'altro sollevò un
sopracciglio. - Ti riferisci alla televisione? -
- Quello che è! -
abbaiò Hastur.
- Oh, sai com'è. -
rispose Crowley, vago. - Sono un tipo all'antica. -
Non era affatto
vero, ovviamente. In realtà preferiva di gran lunga comunicare con
l'Inferno tramite l'impianto stereo e la radio per non doversi
ritrovare a fissare le brutte facce dei suoi superiori. Era già
abbastanza spiacevole udirne le voci untuose e sgarbate.
- Bah! Fa' come
vuoi. - sputò Hastur. - Ti chiamavo per avere un aggiornamento sulla
situazione. Come procede? Ligur vuole sapere se Warlock ha già
ucciso qualcuno. -
Crowley roteò gli
occhi e dovette mordersi la lingua per trattenere la risposta
sarcastica che gli era salita alle labbra.
- Ha un anno e
mezzo, Hastur. - disse in tono pratico e ragionevole come se stesse
parlando con un imbecille (cosa che, in effetti, si avvicinava molto
alla realtà). - È già tanto se riesce a fare dieci passi di fila
senza ruzzolare a terra. -
- Allora la tortura!
- tentò il duca, senza mollare il colpo. - Come se la cava con
quella? -
Crowley ci rifletté
un attimo e concluse che, in fin dei conti, qualche giocattolo
deliberatamente mutilato, l'esaurimento nervoso della cuoca che non
sapeva più come mimetizzare le verdure nei piatti perché il bambino
le mangiasse, e averlo quasi ridotto alla sordità a forza di strilli
e capricci potevano a tutti gli effetti essere considerati atti di
sevizia.
- Oh,
magnificamente. - rispose il demone, convinto. - Sì, direi che il
nostro Anticristo è un torturatore nato, come suo padre, del resto.
-
Hastur sembrò
approvare quella notizia. - Molto bene. Lo riferirò al nostro
Signore. -
Crowley sbuffò.
Certo che l'avrebbe fatto; il duca non perdeva mai occasione per
farsi bello agli occhi del Gran Capo, anche quando il grosso del
lavoro era svolto da altri e lui si fregiava del compito di semplice
ambasciatore.
- Hai altro da
aggiungere? - fece Hastur in tono speranzoso, forse accarezzando
l'idea di allungare un po' la lista di buone nuove da riportare
all'autorità massima dell'Inferno.
- Gli piacciono i
dinosauri. - riferì il demone con voce piatta. - E i cartoni di
SpongeBob. -
Il silenzio
interdetto che ricevette in risposta a quelle considerazioni fu la
conferma di aver gettato il duca nella confusione più totale, cosa
che lo divertì parecchio.
- E cosa c'entrano
queste sciocchezze con la preparazione dell'Anticristo alla sua
gloriosa missione? -
Crowley alzò le
spalle. - Be', mi hai chiesto se avevo qualcosa da aggiungere... -
- Non fare lo
spiritoso con me, ti avverto. - ringhiò l'altro. - Lo sai che non
sopporto le battute! -
Il demone si finse
ammirato. - Wow! Impressionante, Lord Hastur. Il fatto che tu abbia
colto l'ironia della mia replica è già un risultato ben oltre le
aspettative. -
Sapeva di aver
passato il segno, ma sapeva anche che finché fosse stato incaricato
di badare all'Anticristo, la sua posizione delicata e imprescindibile
per il compiersi dell'Armageddon l'avrebbe protetto da ogni proposito
di rivalsa da parte dei suoi detestabili dirigenti, i quali, per
quanto lui mettesse alla prova la fragile corda della loro pazienza,
avevano le mani legate.
- TU, RAZZA DI
INSOLENTE! TI FARÒ INGOIARE QUELLA LINGUACCIA VELENOSA! RICORDA CON
CHI STAI PARLANDO! IO SONO UN DUCA INFERNALE MENTRE TU SEI SOLO LA
BASSA MANOVALANZA! NON TI PERMETTERE MAI PIÙ DI... -
Ma la sfuriata di
Hastur venne interrotta dal prorompere di un acuto pianto proveniente
dal lettino.
- Ecco, hai visto? -
fece Crowley, esalando un lungo sospiro. - Hai svegliato Warlock. Bel
lavoro. -
Il demone poté
sentire l'inspiro terrorizzato del suo dirigente, il cui fiume di
parole iraconde si prosciugò all'istante mentre, al contrario, il
pianto del bimbo aumentava d'intensità.
- Ora devo andare. -
disse Crowley senza curarsi di dissimulare un certo fastidio. - Dopo
la tua scenata, mi ci vorrà almeno mezz'ora per calmare Warlock. -
- Non... non gli
dirai che sono stato io a svegliarlo, vero? -
- Oh, non lo so.
Vedremo. - ridacchiò perfido.
- Non ti
azzardare... -
Il seguito della
minaccia si perse nell'aria satura delle urla del bambino.
- Buona giornata,
Lord Hastur. - si congedò Crowley, allontanandosi dallo stereo e
sporgendosi sul lettino per sollevare il disperato Warlock tra le
braccia e stringerselo al petto.
- Aaaata. -
piagnucolò, aggrappandosi con le ditine alla camicetta della sua
bambinaia e nascondendo il visino nell'incavo della sua spalla.
Tata Ashtoreth gli
sussurrò dolcemente qualche parola di conforto e il bambino parve
tranquillizzarsi.
Lo stereo gracchiò
di nuovo, dopodiché riprese a spandere per la stanza le note di
carillon, come se fino a due secondi prima non avesse affatto
ospitato la voce sbraitante di un diavolo imbestialito.
- Be', Warlock, hai
appena fatto conoscenza con il duca Hastur e, nel caso te lo stessi
chiedendo: sì, è un idiota. -
- Iota! - le fece
eco il bimbo, imitandone il timbro sprezzante con impressionante
abilità. - Attur, iota! -
- Proprio così,
tesoro. - sghignazzò la tata, ricompensando l'acume del suo pupillo
con un buffetto sul pancino che lo fece prorompere in un risolino
deliziato. Lo spavento di poco prima, provocato dal collerico duca
infernale, era ormai nient'altro che un fumoso ricordo che presto
sarebbe svanito del tutto.
Tata Ashtoreth
camminò avanti e indietro per la cameretta con in braccio il bambino
e attese pazientemente che il CD della sconosciuta zia americana
compisse ancora una volta il suo miracolo.
Quando il demone
sentì il respiro di Warlock farsi profondo e regolare, il corpicino
inerme abbandonato e rilassato contro di sé, si azzardò a rideporlo
nel lettino con la massima cautela.
Trattenne il fiato
quando il bimbo toccò la superficie del materasso e si contorse nel
sonno, emettendo dei mugolii. Fortunatamente, una volta assestatosi
meglio tra le copertine, Warlock continuò a dormire beato e
pacifico.
Crowley si concesse
di tornare a respirare e sprofondò nella poltrona, maledicendo tra
sé l'incommensurabile mancanza di tatto e intelligenza degli
esponenti della sua fazione. Non che gli angeli dell'Opposizione
potessero vantare un grande sfoggio di quelle qualità, ma almeno non
irrompevano dalla radio di una casa umana nel bel mezzo della
giornata, rischiando di mandare a monte il progetto anti-Apocalisse
in cui lui e Aziraphale si impegnavano strenuamente ogni giorno.
Trascorse circa un
mese da quell'episodio e nessuno dei suoi superiori provò più ad
insinuarsi nelle apparecchiature audio o video presenti in casa
Dowling.
Quella latitanza
prolungata di messaggi dall'Inferno indusse Crowley a pensare (e
sperare) che giù alla Sede Centrale avessero infine deciso di
lasciarlo in pace, attendendo i suoi rapporti periodici senza più
intromettersi.
Speranza che però
venne presto disattesa e ciò accadde ancora una volta durante il
sonnellino pomeridiano di Warlock.
Come la volta
precedente, il demone si era appena accomodato dopo essere riuscito,
non senza grandi sforzi, a persuadere il bambino a rimanersene
disteso quieto nel suo lettino. La versione carillon di una dolce
ballata ungherese* risuonava nella cameretta e il piccolo si stava
ormai per arrendere all'abbraccio di Morfeo quando accadde di nuovo.
Una gracchiante distorsione si inserì tra le note della melodia.
- Oh, no, no, no. -
gemette Crowley, portandosi una mano alla fronte. - Non adesso, per
l'amor di Qualcuno. -
- Crowley? Sei lì?
-
Il demone dovette
combattere contro l'istinto di ignorare la chiamata, ma fare finta di
nulla non avrebbe portato a niente di buono e così si alzò di
malavoglia, accostandosi all'impianto stereo.
- Sì, presente. -
disse, senza alcun entusiasmo. - Con chi ho l'onore di parlare, di
grazia? -
- Dagon, Signore
degli Schedari e Padrone dei Tormenti. -
Crowley si ritrovò
a sogghignare. Quel codardo di Hastur doveva essersi preso proprio
una bella paura in occasione del loro ultimo scambio, tanto da non
osare più disturbarlo di persona. Ben gli stava!
Si produsse in un
atteggiamento falsamente cortese e disponibile. - Salve, Dagon. Cosa
posso fare per te? -
- Lord Hastur mi ha
chiesto di contattarti per sapere come vanno le cose con
l'Anticristo. Novità? -
- Procede tutto a
meraviglia. - riferì stancamente. - E, nel caso Ligur abbia domande
su eventuali uccisioni, puoi dirgli che due giorni fa Warlock ha
ucciso il canarino, brutalmente. -
Crowley omise di
specificare che il tragico uccellicidio fosse avvenuto a causa di uno
sfortunato incidente durante il quale il bimbo aveva fatto
inavvertitamente cadere una serie di spessi volumi di storia politica
degli Stati Uniti da un'altezza considerevole, facendoli schiantare
proprio sopra la gabbietta del pennuto e provocando l'immediata
dipartita dello stesso per attacco cardiaco conseguente all'enorme
spavento.
- Splendido! -
approvò Dagon. - Suo padre ne sarà molto fiero. Ottimo lavoro,
Crowley. -
- Sì. - assentì il
demone con lo stesso tono annoiato. - Ora posso tornare al mio
lavoro? -
- Ma certo, va' e
rendici fieri di te, vecchio serpente che non sei altro! -
La voce di Dagon
svanì per lasciare nuovamente spazio alle armonie delicate di
Tavaszi szél vizet áraszt.
Crowley scosse la
testa. Era stato uno sciocco a sperare che i suoi dirigenti avessero
capito l'antifona. Non lo avrebbero lasciato in pace, ormai era
chiaro.
Le sue rassegnate
riflessioni si dissolsero quando udì la vocina di Warlock provenire
dal lettino. - Aa-ta. -
Il demone si
avvicinò e vide che il bimbo era completamente sveglio e gli tendeva
le braccine con aria imperiosa.
Tata Ashtoreth
assecondò il suo desiderio e lo prese in braccio. Il bambino le
indicò lo stereo.
- Àdio?
- disse, rivolgendole uno sguardo interrogativo colmo di aspettativa.
La tata annuì. -
Sì, esatto: quella è la radio. -
- Àdio!
- ripeté Warlock, trionfante. - Gagon! -
La sorpresa di
Crowley fu tale che per poco non si fece sfuggire il piccolo dalle
braccia.
- Cosa hai detto? -
chiese con voce strozzata.
- Gagon! - ripeté
il bimbo, indicando forsennatamente lo stereo. - Àdio!
Gagon! Àdio gaga! -
- Dagon? È questo
che vuoi dire? -
- Gagon! - ribadì
Warlock, annuendo.
- Allora eri
sveglio, razza di demonietto! -
Il bambino rideva
come un matto ma Crowley non era sicuro di quali sentimenti provare.
Certo, Warlock era ancora molto piccolo, ma aveva pur sempre sentito
la sua conversazione con Dagon, e se fosse andato a riferire a uno
degli adulti della casa che la tata comunicava segretamente con
qualcuno tramite l'impianto stereo della sua cameretta? E se se ne
fosse ricordato in futuro? Al momento, le sue capacità verbali erano
decisamente troppo scarse per poter mettere insieme anche solo una
frase di senso compiuto, ma se avesse conservato quell'avvenimento
nella sua memoria per poi raccontarlo una volta divenuto più abile
nell'uso del linguaggio? Era abbastanza cresciuto per ricordare
qualcosa? Di norma, sapeva che i piccoli umani sviluppano facoltà
mnemoniche solo intorno al terzo anno di vita, ma chi gli assicurava
che le cose funzionassero allo stesso modo anche per l'Anticristo?
- Tata, àdio gaga!
- trillò di nuovo il piccolo con vocetta allegra, indicando prima la
propria bambinaia e poi le casse dello stereo. - Tata, Gagon, àdio
bla bla! -
Complice l'effetto
della risata briosa del bimbo, Crowley decise di rilassarsi e di
ridimensionare le sue preoccupazioni. Se anche, da grande, Warlock
avesse narrato a qualcuno di quel fatto bizzarro, nessuno gli avrebbe
comunque dato il minimo credito. Eventualmente, lui stesso si sarebbe
adoperato per indurlo a credere di aver solo sognato che la sua
eccentrica tata parlasse con qualcuno attraverso lo stereo.
Il demone permise a
se stesso di sorvolare su quei pensieri e di archiviarli in un
recesso della sua mente sotto la voce “preoccupazioni inutili”.
Si ritrovò perfino a ridacchiare all'idea che il bimbo stesse, senza
saperlo, citando uno dei più famosi successi musicali dei Queen.
* Tavaszi szél
vizet áraszt è una canzone popolare ungherese che Freddie
Mercury cantò accompagnato dalla chitarra di Brian May in onore del
paese che ospitò il concerto dei Queen nel luglio del 1986, durante
una data del Magic Tour. Imparò il testo in lingua originale e se lo
scrisse perfino su una mano per non rischiare di sbagliare le parole.
Non è rilevante ai fini della storia, ma tenevo particolarmente a
menzionare questa ballata almeno in una OS della raccolta, e questa
mi sembrava un'occasione propizia.
Angolo
autrice:
Storiella assurda e
senza senso scritta solo ed esclusivamente per poter sfruttare il
prompt di Radio Ga-Ga e, nella migliore delle ipotesi,
strapparvi un sorriso. :)
Mi scuso per
l'assenza di Aziraphale ma non sapevo proprio come inserirlo
all'interno di questa trama non-trama.
L'idea per suddetta
stupidata mi frullava in testa già da un po' ma ho deciso di
metterla in pratica solo dopo aver scoperto che le origini di questa
canzone si devono al figlio di Roger Taylor, che all'epoca stava
proprio imparando a parlare e un giorno se ne uscì con “Radio
caca”. È stato come avere una conferma del fatto che l'idea non
fosse poi così campata per aria.
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Capitolo 34 *** Brighton Rock ***
brighton
A
happy pair they made, so decorously laid
Neath
the gay illuminations all along the promenade
It’s
so good to know there’s still a little magic in the air
I’ll
weave my spell
Le
luci del Brighton Palace Pier si stagliavano verso l'alto contro il
cielo terso della notte estiva e contemporaneamente anche verso il
basso tuffandosi nell'acqua per essere poi rifratte in un variopinto
gioco psichedelico.
Il
suggestivo luna park di Brighton occupava fieramente l'ultimo tratto
del molo panoramico inaugurato nel 1899 che malgrado la veneranda età
attirava ancora a sé frotte di visitatori e costituiva una delle
principali mete turistiche dell'Inghilterra.
La
serata era stata molto piacevole: Crowley e Aziraphale avevano cenato
in un delizioso ristorantino con vista sulla spiaggia e ora
passeggiavano sul molo mano nello mano, confondendosi tra la
variegata fiumana di persone, inglesi e non, che si godevano la
frescura notturna dopo una giornata di rovente sole agostano.
Ogni
tanto qualcuno li intercettava con lo sguardo e magari si lasciava
sfuggire un sorriso intenerito da quanto quei due formassero una
bella coppia: bizzarra, forse, ma certamente unita e affiatata.
L'amore che li legava sembrava irradiarsi oltre la superficie dei
loro corpi e lambire chiunque entrasse a contatto con quell'aura di
gaiezza.
Percorsero
il molo fino ad arrivare all'ingresso del Pier, con la sua pomposa
insegna luminosa e le torri parallele sulle quali svettava la Union
Jack mossa appena dalla pigra brezza marina. Dall'interno del parco
proveniva una musichetta allegra: una fanfara irriverente e
scanzonata dal sapore un po' vintage appositamente scelta per
regalare agli avventori la sensazione di trovarsi alcune decadi
indietro nel tempo, quando, prima dell'avvento di internet e dell'era
digitale, posti come quello rappresentavano un baluardo di sollazzo e
aggregazione per umani di tutte le età.
La
coppia si fermò ad ammirare la facciata costruita in modo da
richiamare quella di un palazzo reale balzato fuori direttamente
dalle pagine de Le Mille e una Notte.
-
Che ne dici, angelo? - domandò Crowley, voltandosi verso il biondo
al suo fianco. - Andiamo a dare un'occhiata? Ti va? -
Aziraphale
gli rispose con un sorriso che, agli occhi del demone, fece sfigurare
miseramente il tripudio di luci che sfavillavano intorno a loro. -
Con piacere, caro. Non ci sono mai stato. -
I
due si avviarono senza fretta verso l'entrata, accodandosi a uno
stuolo di ragazzini ridanciani. Crowley allungò una banconota al
ragazzo dei biglietti, il quale staccò due rettangoli di carta
colorata da un blocchetto e augurò loro una buona permanenza.
Una
volta entrati, furono investiti da un miscuglio di odori, suoni e
colori che, tutti insieme, gridavano una sola parola d'ordine:
“DIVERTIMENTO!”
L'aroma
zuccheroso e penetrante dei dolciumi si univa a quello degli hot-dog
e dei popcorn che scoppiettavano vivacemente; tutt'intorno a loro
risuonava un concerto di risa, chiacchiere spensierate e voci di
bambini che andavano ad unirsi al sottofondo della fanfara
preregistrata che aveva appena attaccato un valzer dai toni sfacciati
e un po' dissonanti, quasi che i musicisti fossero stati ubriachi
durante l'esecuzione; le giostre dai colori sgargianti erano tutte in
movimento creando l'impressione di trovarsi in un chiassoso
caleidoscopio multidimensionale.
Crowley
fece scorrere lo sguardo sulle attrazioni e gli stand. - Be', è
quasi uguale a come lo ricordavo. -
Aziraphale
lo guardò, incuriosito. - Se già stato qui? -
Il
demone aggrottò la fronte e una piccola ruga di concentrazione gli
comparve tra le sopracciglia. - Mmh, dovevano essere gli anni '80,
credo. Appena dopo la costruzione del parco per rimpiazzare il
vecchio teatro. Forse l'88, ma non ci giurerei. - fece una pausa e
distolse l'attenzione dalle attrazioni del parco per farla confluire
tutta su Aziraphale. - Però, in
effetti, qualcosa di diverso c'è. -
-
Che cosa, caro? -
-
Tu, angelo. - rispose con semplicità, sfiorando con le nocche le
gote morbide del Principato. - Direi che è una differenza degna di
nota. -
Il
biondo emise una gioiosa risata argentina e depositò rapidamente un
bacio sulle dita del demone, dopodiché passò un braccio intorno
alla sua vita sottile e gli posò il capo sulla spalla.
-
Be', direi che è perfetto! Così puoi farmi da guida. - disse
allegramente, premendosi più forte contro il fianco di Crowley. -
Non sono un grande esperto in fatto di luna park. Per esempio, quello
cos'è? -
Aziraphale
indicò una struttura circolare sulla quale ruotavano almeno una
decina di coloratissime tazze da tè con tanto di manico e motivi
decorativi.
-
Sono le tazze rotanti. - rispose il demone, sorpreso che l'amico non
ne avesse mai viste. - Ti siedi all'interno, ti aggrappi al sostegno
al centro e quelle ruotano su loro stesse mentre girano anche in
tondo. -
L'angelo
osservò la giostra in funzione: le persone ridevano in quel modo un
po' isterico tipico di quando il divertimento si interseca con una
punta di paura, che paradossalmente non fa che amplificarlo. Alcuni
gridavano ma nessuno sembrava davvero spaventato.
Quando
la corsa terminò, tutti abbandonarono le postazioni barcollando e
pendendo ora a destra, ora a sinistra come se avessero bevuto troppo.
Molti di loro avevano un colorito indefinibile tra il bianco e il
verdognolo.
-
Oh, cielo. Non sembrano stare molto bene. - constatò Aziraphale
seguendo con gli occhi la figura vacillante di un ragazzo in preda
alle vertigini e pallidissimo.
Crowley
si permise un piccolo sogghigno. - Non è un'esperienza per i deboli
di stomaco, questo è vero. - ammise. - Però ti assicuro che ha il
suo perché. -
La
giostra si svuotò, pronta ad accogliere nuovi intrepidi che
desiderassero mettere alla prova la resistenza dei propri stomaci.
-
Vuoi salire? - Il tono del demone era suonato piuttosto neutro, ma ad
Aziraphale non era sfuggita la nota speranzosa nascosta in fondo a
quella domanda.
Crowley
si sarebbe volentieri concesso un giro su quelle tazze scatenate, era
palese; lo si poteva facilmente intuire dal malcelato desiderio col
quale scrutava le sedute che si stavano pian piano riempiendo
un'altra volta.
L'angelo
venne afferrato dall'improvvisa voglia di esaudire le speranze
dell'amico, sebbene quel tipo di giostra non sembrasse incontrare
esattamente i suoi gusti.
Aziraphale
si accorse che Crowley stava sbirciando la sua espressione per capire
se avrebbe infine acconsentito a provare quella nuova esperienza. Ma
sì, che male c'era nello sperimentare qualcosa di inedito? Era stato
proprio il demone, nel corso della loro millenaria frequentazione, a
fargli comprendere come il divergere dagli schemi e dalle abitudini
potesse aprire nuovi, spettacolari orizzonti e portare a risvolti
sorprendentemente gradevoli.
Il
Principato mise fine all'attesa di Crowley volgendosi verso di lui
con un sorrisone. - Sì, mi piacerebbe molto. -
La
stupita felicità che illuminò i tratti del demone fu più che
sufficiente per convincere Aziraphale che, nel bene o nel male, ne
sarebbe comunque valsa la pena.
I
due si accomodarono all'interno di una tazza e strinsero saldamente
il sostegno circolare. L'ultima cosa che l'angelo vide prima che il
mondo iniziasse a vorticare a più non posso fu l'occhiata colma
d'amore ed entusiasmo che Crowley gli indirizzò.
Le
tazze presero sempre più velocità. Aziraphale, schiacciato contro
lo schienale dalla pressione del movimento, era solo vagamente coscio
della risata euforica del demone seduto accanto a lui poiché tutti i
suoi sensi erano troppo occupati nel tentativo di raccapezzarsi e
trovare un baricentro che potesse riportare ordine in quella folle
doppia centrifuga.
Le
dita del Principato stringevano spasmodicamente la maniglia, tuttavia
egli non poté fare a meno di scoppiare a ridere a sua volta quando
la forza della rotazione finì per scaraventarlo senza tanti
complimenti addosso a Crowley.
La
corsa durò per un tempo che Aziraphale non avrebbe saputo
inquadrare, ma quando finalmente le tazze rallentarono il ritmo
convulso della loro giravolta, l'angelo scoprì di essere scivolato
di lato e di essere finito lungo disteso col busto addossato a
Crowley, anch'egli afflosciato sul sedile della giostra.
Tutti
e due scoppiarono in una fragorosa risata che, nel caso del
Principato, conteneva un'evidente sfumatura di sollievo.
-
Come ti senti, angelo? Tutto bene? - domandò il demone, cercando a
tentoni il braccio di Aziraphale, impresa non così facile dato che
vedeva la sua immagine quadruplicata.
-
Sì, ma ora mi verranno le vertigini ogni volta che vorrò bermi una
tazza di tè. - gemette l'angelo, sistemandosi il cravattino tutto
storto.
-
Poco male. - ironizzò Crowley, rimettendosi in piedi e tendendo una
mano ad Aziraphale malgrado l'equilibrio precario. - Ci sono sempre
gli alcolici. -
Il
tour del luna park proseguì seguendo all'incirca lo stesso schema:
Aziraphale indicava una giostra e Crowley gliene illustrava il
funzionamento, lasciando poi che fosse l'angelo a stabilire se fosse
il caso di provarla oppure no. Le adrenaliniche montagne russe
vennero strategicamente ignorate, mentre la giostra dei cavalli
meritò addirittura un bis. Aziraphale si era sistemato su un
maestoso cigno a due posti con tanto di coroncina, Crowley si era
seduto accanto a lui e le loro mani erano rimaste allacciate l'una
all'altra per tutta la durata della corsa.
L'alta
torre dello scivolo elicoidale, decorata a patriottiche strisce
bianche, rosse e blu, era, purtroppo e con grande delusione di
Aziraphale, un'attrazione riservata ai soli bambini.
L'Horror
Hotel aveva fornito ad entrambi il pretesto, se mai ce ne fosse stato
bisogno, per stare ben bene appiccicati l'uno all'altro nella
penombra inquietante del locale degli orrori. Crowley era quasi
letteralmente saltato in braccio ad Aziraphale quando un orrendo
mostro meccanico era comparso all'improvviso di fronte a lui. Il
demone aveva cercato di uscirne con nonchalance e contegno, ma aveva
capito dal sorrisino malizioso del biondo che quella clamorosa caduta
di stile gli sarebbe stata rinfacciata molto a lungo.
Anche
la ruota panoramica aveva regalato ai due una gemma preziosa da
conservare nel proprio scrigno dei ricordi: le luci della città
costiera di Brighton brillavano placide nella notte mentre una
magnifica luna piena e pasciuta splendeva sul mare specchiandosi sulla
superficie ondeggiante. Una vista incantevole alla quale tuttavia
entrambi dedicarono solo una fugace occhiata d'apprezzamento,
preferendo poi contemplare il paesaggio, non meno mozzafiato, dei
rispettivi volti uno di fronte all'altro.
Nessuno
faceva caso a loro: gli umani che li circondavano erano troppo presi
dal proprio svago per dedicarsi ad altro ma, a onor del vero, un
discorso analogo valeva anche per gli stessi Crowley e Aziraphale,
immersi in quella moltitudine festante ma uniti nella loro personale
bolla di serenità e armonia.
Quando
ebbero provato tutte (o quasi) le attrazioni offerte dal Palace Pier,
angelo e demone visitarono la sala giochi che sorgeva esattamente al
centro del luna park sotto una vasta cupola dalla struttura in ferro.
Aziraphale
sgranò gli occhi davanti a quello spettacolo di lucine lampeggianti,
box di vetro colmi di peluche e apparecchiature più o meno datate
ideate al solo scopo di intrattenere e divertire. Lì sotto l'aria
era ancora più satura di profumini invitanti, probabilmente a causa
di un paio di chioschi rasenti le pareti, e la melodia ironica della
fanfara arrivava alle orecchie più smorzata, sovrastata dai suoni
emessi dalle macchine per giocare: un'irritante cacofonia di Bip,
Bang!, Crash! Ai quali si aggiungevano gli immancabili “Ritenta,
sarai più fortunato” e i più rari “Bravo! Hai vinto!”.
-
Caro, come funziona quello? Sembra piuttosto spassoso. -
Aziraphale
indicò un chiosco strabordante di peluche e animali di pezza davanti
al quale si era radunata una famigliola: i due bambini stavano
lanciando degli anelli di plastica alla volta di uno strano
pupazzetto che sorrideva sornione e seguitava a muoversi
sconnessamente e senza schema lungo il fondo della struttura,
rendendo l'impresa più ardua alla coppia di determinati fratellini.
Crowley
seguì la direzione dell'indice di Aziraphale tra la folla di
giocatori e macchinari fino a intercettare la scena.
-
Si tratta di un gioco molto semplice, almeno a parole. - fornì con
tranquillità. Ormai si era abituato al suo ruolo di cicerone e, a
dirla tutta, non gli dispiaceva per niente anzi cercava di
interpretarlo al meglio delle sue capacità. - Stanno cercando di
centrare il bersaglio a forma di clown con quanti più cerchi
possibile. Più anelli riesci a impilare attorno al pupazzo
meccanico, più sale il punteggio e alla fine puoi ritirare un
premio, in base a quanto hai totalizzato. -
Aziraphale
aveva ascoltato la spiegazione puntuale del demone con aria rapita,
neanche Crowley gli stesse rivelando la formula alchemica per
tramutare la materia in oro. Osservò affascinato il bambino più
grande fare un centro perfetto ed emettere un ruggente urlo di
trionfo.
Crowley
sorrise davanti alla sua espressione stupefatta: Aziraphale era un
angelo millenario, aveva visto l'Eden e brandito una spada di fuoco,
operava miracoli e aveva attraversato la Storia intera della Terra
fino a quel momento, eppure bastava un'invenzione semplice come un
passatempo umano per stupirlo e incantarlo. Era una delle cose che
amava di lui: l'età e la sua condizione di entità sovrannaturale
non intaccavano minimamente la sua capacità di provare stupore e
meraviglia per le cose più banali. Qualità che quella serata stava
ponendo eccezionalmente in risalto.
La
partita era terminata e i bambini avevano appena scelto di portarsi a
casa un orso di peluche grande il doppio di loro due messi insieme.
La famiglia si allontanò dallo stand con il gigantesco premio peloso
proprio nel momento in cui Crowley e Aziraphale lo raggiunsero.
-
Vuoi provare? - fece il demone, al quale non sfuggì la lunga
occhiata che il suo compagno rivolse al clown ghignante.
L'angelo
gli scoccò uno sguardo raggiante. - Possiamo? -
Crowley
scrollò le spalle. - Ormai siamo qui. Tanto vale immergersi
nell'esperienza del luna park a 360 grandi, non credi? -
La
coppia si avvicinò al chiosco, dove li accolse una sorridente
signora di mezz'età. - Buonasera, ragazzi! Volete tentare la sorte?
-
Crowley
annuì. - Ci dia un cesto di anelli, per favore. -
La
donna posò un cestino colmo di cerchi colorati proprio di fronte a
loro, dopodiché azionò il meccanismo del gioco: la musichetta
insolente ripartì e il supporto sul quale era collocato il pupazzo
riprese a muoversi.
Aziraphale
agguantò una manciata di anelli e iniziò a lanciarli verso il clown
mentre Crowley cercava di aiutarlo con qualche consiglio
sconclusionato.
-
No, non da quella parte... aspetta, hai lanciato troppo presto... a
sinistra, a sinistra! Troppo a sinistra! -
-
Smettila, Crowley! Mi stai mandando in confusione! -
-
Prendi la mira, angelo! Non gettare i cerchi a caso! -
-
Ci sto provando! Quel coso si muove troppo in fretta! -
Alla
fine, grazie agli sforzi congiunti di angelo e demone, almeno un
terzo del totale degli anelli centrò il bersaglio.
-
Molto bravi! - cinguettò la donna del chiosco, recuperandoli uno ad
uno e contandoli con l'occhio esperto di chi praticava quell'attività
tutti i santi giorni da anni. - Avete raggiunto un punteggio finale
di 50! Complimenti! Potete scegliere uno di questi come premio. -
indicò una serie di animali di peluche appesi al soffitto che li
scrutavano con i loro occhi vitrei e le espressioni simpatiche
quantomai improbabili.
-
A te la scelta. - fece Crowley. - Io mi chiamo ufficialmente fuori. -
Aziraphale
non parve convinto. - Sei sicuro? -
-
Assolutamente. - dichiarò il demone, alzando le mani. - Questa è la
tua prima volta al luna park ed è giusto che tu abbia un souvenir.
Forza, scegline uno. - lo incoraggiò con una strizzatina d'occhio.
Aziraphale
studiò attentamente l'assortimento di peluche prima di aprirsi in un
grande sorriso e indicare un buffo serpente verde acceso con tanto di
occhietti strabici (dorati, guarda caso) e linguetta biforcuta di
stoffa rossa. - Prendo quello, se non le dispiace. -
Mentre
la signora del chiosco era intenta a recuperare l'animaletto
prescelto, Aziraphale ne approfittò per far balenare un sorrisetto
allusivo verso il demone.
-
Molto spiritoso. - commentò Crowley con un sogghigno divertito che
fece miseramente fallire ogni proposito di allestire un'espressione
imbronciata che risultasse anche solo lontanamente credibile.
-
Lo chiamerò Anthony, in tuo
onore. - scherzò l'angelo prendendo il serpente dalle mani della
donna.
-
Idiota. - bofonchiò Crowley girandosi dall'altra parte per sottrarre
all'angelo la vista della stupida espressione lusingata che
troneggiava stupidamente sulla sua stupida faccia.
La
luna aveva compiuto ormai più della metà del suo cammino nel cielo
quando i due arrivarono allo stand delle caramelle. Acquistarono un
sacchetto di dolciumi assortiti e uno di popcorn, più un enorme
matassa di zucchero filato rosa confetto da dividersi. Solo a quel
punto si avviarono verso l'uscita del parco.
-
Allora, - esordì il demone, staccando una nuvoletta fragrante dal
bastoncino di legno. - com'è stata la tua prima volta al luna park?
Qual è il verdetto? -
Il
Principato finì di sgranocchiare i popcorn. - Oh, è stata
un'esperienza molto interessante, caro. -
-
Molto interessante? - ripeté Crowley arricciando il naso in una
smorfia contrariata. - Solo “molto interessante”? -
-
Che c'è? Ho detto qualcosa di male? - chiese l'angelo con un mezzo
sorriso furbo.
Crowley
sbruffò plateale. - Un documentario sulle anatre è molto
interessante. Un libro sulle auto d'epoca può essere molto
interessante. Una maledettissima Apocalisse mancata è una storia
molto interessante... -
-
E va bene, mi sono divertito tantissimo. - si corresse l'altro,
sghignazzando. - Una delle serate migliori che abbia mai passato in
vita mia. Assolutamente tickety-boo! Questa versione ti piace di più?
-
-
Direi di sì. - borbottò Crowley, prendendo tardivamente coscienza
dello scherzo. - Bastardo. -
-
Permaloso. -
Aziraphale
lasciò che il demone gli cingesse le spalle con il braccio mentre si
lasciavano alle spalle l'insegna scintillante del Palace Pier e
ripercorrevano a ritroso la promenade.
Camminarono
in silenzio per un po', peni di una felicità e una spensieratezza
che avevano conosciuto di recente, per la precisione da quando erano
quasi morti per mano dei rispettivi dirigenti.
Popcorn
e zucchero filato erano terminati a una velocità impressionante
durante la passeggiata ma il sacchetto delle caramelle poteva vantare
ancora qualche superstite.
Infine,
Crowley prese la parola dando voce ad un pensiero che lo assillava
già da qualche ora. - Sai, non posso credere che tu non avessi mai
visitato un luna park prima di oggi. -
Aziraphale
si strinse nelle spalle, ancora cinte nell'abbraccio del demone. - I
miei ex-capi non hanno mai approvato quel genere di luogo. - ammise
con noncuranza. - Gabriel non era troppo contento neppure del fatto
che mi fossi stabilito a Soho e non mi sembrava il caso di mettere
ulteriormente alla prova la sua pazienza. Era molto prevenuto. -
-
Ha senso. - commentò Crowley annuendo con fare pensieroso. - In
effetti non mi sorprende che lassù non approvino i luna park.
-
-
Che vuoi dire? -
-
Hai visto com'è, no? Se ci pensi bene, un luna park è un
concentrato di vizi e tentazioni. Un paese dei balocchi in piena
regola. -
Aziraphale
inarcò le sopracciglia, stupito. - Vizi e tentazioni, dici? -
-
Ma sì. - fece Crowley, prendendo a contare sulle dita. - Dunque,
abbiamo il gioco d'azzardo, - indicò il peluche che l'angelo teneva
sottobraccio e sollevò il pollice. - poi i peccati di gola, -
continuò, alludendo al sacchetto di caramelle e alzando l'indice, -
e naturalmente i tunnel dell'amore: antri di lussuria e lascivia. -
L'angelo
rise. - Antri di lussuria e lascivia, addirittura? Non ti sembra di
esagerare un po'? -
-
Affatto! - esclamò l'altro, sgranando gli occhi. - Sai quanti
bambini sono stati concepiti grazie ai tunnel dell'amore di tutti i
luna park del mondo? - Crowley ammiccò furbescamente.
-
Mmh, mi sa che questa te la sei inventata, caro. -
Il
demone fece affiorare alle labbra un sorrisino colpevole. - Può
darsi. - concesse, enigmatico. - Ma, d'altra parte, chi può saperlo
con certezza? -
Azirapahle
gli scoccò una finta occhiata di rimprovero, dopodiché estrasse dal
sacchetto dei dolciumi un bastoncino di zucchero caramellato e se lo
portò distrattamente alla bocca. L'ingenua sicurezza con cui si
preparò ad addentare il dolce mise in allarme il demone: era chiaro
che egli non avesse la minima idea della minaccia nascosta in quel
subdolo cilindro dai colori squillanti.
Crowley
sbiancò: sapeva cosa sarebbe successo e doveva assolutamente
impedirlo prima che fosse troppo tardi.
-
Sta' attento! Quella caramella è... -
Nel
momento esatto in cui il bastoncino entrò in collusione con i denti
di Aziraphale, si udì uno schiocco secco immediatamente seguito da
un gemito di dolore da parte dell'angelo.
-
...dura come un sasso. - concluse Crowley con un sospiro. Non aveva
fatto in tempo.
-
Ouch! Me ne sono accorto. - fece il biondo, tenendosi una mano
premuta contro la guancia destra con aria sofferente.
-
Be', c'è un motivo se si chiama Brighton Rock. - commentò il
demone con un sottile velo di ironia nella voce. - È davvero della
stessa consistenza di una roccia. Credo che molti dentisti abbiano
fatto fortuna grazie a questi bastoncini traditori. -
-
Mmh. - mugolò Aziraphale,
continuando a premersi la mano contro la guancia. - Credo di essermi
appena giocato almeno un canino e forse un paio di molari. -
Crowley
lo guardò con infinita tenerezza. - Fortunatamente per te, sei più
che in grado di guarirti da solo senza ricorrere all'ortodonzia degli
umani. -
-
Già. - assentì Aziraphale, massaggiandosi delicatamente la mascella
dolorante. - Ma potresti... potresti farlo tu? -
Il
demone sbatté le palpebre, interdetto. - Io? E perché mai? -
domandò. - Ti basterebbe un banalissimo miracolo per risolvere il
problema. -
Aziraphale
sospirò. Era ovvio che gli sarebbe bastato ricorrere ad un
banalissimo miracolo, se avesse voluto. Il punto era proprio quello:
la volontà, che, nel suo caso, nulla aveva a che fare con la
necessità. Perché a volte la sorte gli presentava su un piatto
d'argento delle occasioni imperdibili per spingere Crowley a
elargirgli una dose extra di coccole, premure e tenerezze. Non che il
loro rapporto risentisse della mancanza di tali elementi, ma
Aziraphale non se ne sentiva mai sazio e fare gli occhi dolci al
demone era qualcosa che lo divertiva oltremodo.
-
Per favore, caro. Accontentami. - mormorò con voce morbida,
esibendosi nella sua migliore interpretazione del cucciolo ferito.
Crowley
capitolò all'istante: sentì la bocca prosciugarsi all'improvviso,
il cuore mancare un battito e si convinse a gettare via qualunque
obiezione circa la completa inutilità pratica di un suo intervento
per una questione che Aziraphale sarebbe stato in grado di risolvere
tranquillamente da solo. Alzò una mano verso il viso dell'angelo,
preparandosi a guarire il danno provocato dalla caramella rocciosa,
poi parve ripensarci e la ritirò, esitando.
Aziraphale
lo guardava in attesa, totalmente fiducioso, totalmente innamorato.
La fede limpida e incondizionata che lesse nel suo sguardo
cristallino diede al demone il coraggio di assecondare la curiosa
idea che lo solleticava. Si chinò un poco e accostò le labbra alla
guancia destra di Aziraphale. Le mantenne a contatto con la sua pelle
per qualche secondo, assaporandone il tepore e la morbidezza e
inalandone il profumo divino.
Sarebbe potuto rimanere in quella condizione di beatitudine per ore,
giorni, settimane. Il respiro dell'angelo gli lambiva l'orecchio e
anche se in quel momento non lo poteva vedere, ebbe la certezza che
un sorriso si fosse appena dipinto sulla sua bocca fragrante di
zucchero. Crowley si prese ancora un secondo per incamerare le
sensazioni meravigliose che quel momento gli aveva generosamente
regalato, infine lasciò cadere un serico bacio e soffiò lievemente
sulla gota dell'angelo provocandogli la pelle d'oca sul collo.
-
Come va ora? - chiese in un sussurro, allontanandosi e guardando
l'altro con intensità, come se lo stesse accarezzando con gli occhi.
Aziraphale
rilasciò un espiro più profondo prima di rispondere: era evidente
che l'iniziativa del demone non avesse avuto un effetto piacevole
solo su di lui.
-
Mai stato meglio, caro. - dichiarò il Principato, arrossendo
leggermente. - Mai stato meglio. -
O
rock of ages, do not crumble,
love
is breathing still
O
Lady Moon, shine down
a
little people magic if you will
Brighton
Rock, Queen, 1974
Nota:
Ho
cercato di presentare il Brighton Palace Pier e le sue attrazioni il
più fedelmente possibile alla realtà, basandomi soprattutto sulle
immagini che ho trovato in rete e sui social. Le giostre nominate
sono tutte presenti nel vero luna park, così come la sala giochi
sotto la cupola.
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Capitolo 35 *** You take my breath away ***
You take
Look
into my eyes and you’ll see
I’m
the only one
You’ve
captured my love
Stole
my heart
Changed
my life
You
take my breath away, Queen, 1976
Aziraphale
premette il tasto del citofono contrassegnato dalla scritta “A. J.
Crowley” e attese l'arrivo di una risposta dondolandosi
nervosamente sui piedi.
Non
era un fatto usuale che fosse lui a recarsi a casa del demone.
Solitamente era Crowley che passava a trovarlo in libreria e che poi
lo scarrozzava sulla sua Bentley ovunque dovessero andare (il ché,
la maggior parte delle volte, significava un luogo in cui l'angelo
potesse gustarsi qualche prelibatezza, dolce o salata che fosse).
Ma
quella mattina, Aziraphale si era incontrato con un collega libraio
interessato all'acquisto di un'antica Bibbia miniata risalente al
Medioevo in possesso dell'angelo, il quale l'aveva avuta direttamente
da un monaco amanuense ne lontano XII secolo. In genere, Aziraphale
detestava separarsi dai suoi adorati libri e faceva di tutto pur di
evitarlo, ma quella versione medievale della Bibbia non era neppure
di qualità eccelsa e nella sua corposa collezione l'angelo poteva
vantare copie assai più pregiate. Ad ogni modo, il negoziato era
avvenuto proprio nei pressi di Mayfair e, una volta concluso
l'affare, egli aveva pensato di tentare la sorte e fare
un'improvvisata a Crowley, sperando di non disturbarlo. La Bentley
era parcheggiata di fianco all'ingresso del lussuoso condominio,
dunque il demone doveva trovarsi in casa.
Ma
le casse del citofono rimasero ostinatamente mute e Aziraphale
immaginò che l'amico stesse schiacciando uno dei suoi soliti
sonnellini. In quel caso, avrebbe dovuto rassegnarsi all'idea di non
vederlo né sentirlo almeno fino alla settimana seguente.
L'angelo
pazientò ancora qualche minuto, aggrappandosi alla tenue speranza
che, alla fine, Crowley rispondesse al campanello e lo facesse
salire, anche solo per rimproverarlo di averlo svegliato.
Com'era
prevedibile il suo tentativo si concluse con un nulla di fatto. Il
suo dito indice era ancora accostato al tasto accanto alla targhetta
con il nome dell'inquilino, ma l'angelo non sarebbe stato così
scortese e importuno da premerlo di nuovo, per quanto lo desiderasse.
Sospirò
e fece per tornare sui propri passi quando udì una voce affabile
dietro di sé.
-
Sta cercando il signor Crowley? -
Aziraphale
si voltò per ritrovarsi faccia a faccia con una donna anziana dal
fisico minuto, ben vestita, con i capelli candidi acconciati in una
crocchia ordinata e un filo di perle ad incorniciarle il collo
sottile. Gli sorrideva amabilmente e lo guardava con una lieve
curiosità.
-
Oh, ehm, sì, ero passato a trovare il mio amico, ma temo di non aver
avuto fortuna. Non ha risposto al citofono. -
La
distinta vecchietta fece una risatina. - Non mi sorprenderebbe se non
l'avesse neppure sentito. Quando quel giovanotto si siede al
pianoforte e inizia a suonare, si isola completamente dal mondo. È
tipico di tutti gli artisti, sa. Mi dia retta, non si accorgerebbe di
nulla neanche se si scatenasse l'Apocalisse. -
Aziraphale
impiegò qualche secondo ad elaborare quelle parole; le sue
difficoltà riguardarono nello specifico la parte sul pianoforte.
La
donna dovette rendersi conto della sua perplessità perché nei suoi
vispi occhi azzurri balenò un guizzo di comprensione. - Oh, povera
me. A giudicare dalla sua espressione, direi che non aveva idea che
il suo amico fosse un pianista provetto. Temo di averle
involontariamente procurato un piccolo shock. -
L'angelo
si riscosse. - No, in effetti non sapevo nulla di questa sua
passione. -
A
un tratto, si accorse che dalle braccia della signora pendevano due
grosse borse della spesa dall'aria piuttosto pesante.
-
Oh, cielo! Che villano che sono. Posso aiutarla con quelle buste,
madame? -
La
donna gli rivolse un sorriso grato. - Be', non sarò più una
ragazzina ma queste braccia sono ancora forti, sa? Ad ogni modo, una
signora non rifiuta mai l'offerta di un gentiluomo tanto cortese. -
Aziraphale
rise e si affrettò a toglierle di mano i due grossi sacchetti mentre
la donna estraeva un mazzo di chiavi dalla borsetta e apriva la porta
d'ingresso del palazzo.
-
E così, ehm, Crowley sarebbe un musicista? - indagò l'angelo mentre
seguiva la signora nell'ascensore.
Lei
annuì, premendo il pulsante. - Eccome! Ed è anche molto bravo, sa?
Io abito al piano di sotto e mi capita spesso di sentirlo suonare.
Per fortuna le mie orecchie sono ancora in buono stato. -
Aziraphale
corrugò la fronte. Non voleva mettere in dubbio le sue parole
rischiando di offenderla, ma faticava davvero a coniugare l'immagine
mentale che aveva di Crowley con quella inedita descritta da quella
vecchia signora, così fece ricorso al tono di voce più gentile e
delicato che gli riuscì di evocare. - Ma è sicura che non si tratti
di brani registrati? Insomma, potrebbe essere semplicemente lo stereo
acceso o magari la radio... -
Ma
la donna scosse la testa, decisa. - Si fidi di me, ho avuto la
fortuna di partecipare a molti concerti di musica classica fin da
quando ero una ragazzina e so riconoscere quando qualcuno suona dal
vivo. Il suo amico ha un talento innato, glielo dico io. Certo, ogni
tanto si mette a suonare a orari improponibili, benedetto ragazzo! Ma
devo ammettere che non mi dispiace ascoltarlo mentre sono distesa a
letto. Mi dia pure della vecchia sciocca sentimentale, ma a volte mi
capita perfino di commuovermi mentre lo ascolto suonare al piano di
sopra. C'è qualcosa nel suo modo di far scorrere le dita sui
tasti... qualcosa di struggente e malinconico, ed è meraviglioso.
-
Aziraphale
non poté far altro che fissare a bocca aperta l'espressione beata e
sognante comparsa sul viso della vecchina, la quale non tardò ad
accorgersi della sua incredulità.
-
Vedo che il suo amico ha mantenuto gelosamente per sé questo suo
hobby. - ridacchiò, vagamente imbarazzata. - Almeno finché una
vecchia chiacchierona come me non ha spiattellato tutto. -
Aziraphale
le sorrise, intenerito. - Non si preoccupi, rimarrà tra noi. -
Il
sonoro DING dell'ascensore annunciò l'apertura delle porte e
l'arrivo a destinazione.
L'angelo
insistette per accompagnare la signora all'interno dell'appartamento
e quando ebbe posato le borse sul tavolo della cucina e la donna lo
ebbe ringraziato sentitamente, uscì sul pianerottolo e lanciò
un'occhiata verso l'alto.
Una
sola rampa di scale lo divideva dall'attico di Crowley. Sarebbe stato
un peccato non cogliere l'occasione per fare un ultimo tentativo.
Aziraphale
salì i gradini di marmo e quando si ritrovò davanti all'uscio della
dimora del demone, tese le orecchie, aspettandosi magari di cogliere
qualche sparuta nota di pianoforte, ma non poté distinguere
nient'altro che uno spesso strato di silenzio.
Lo
sguardo gli cadde sul campanello a forma di serpente. Allungò la
mano e ne sfiorò la superficie fredda e affusolata ma quando fu il
momento di esercitare quella piccola pressione che avrebbe azionato
il meccanismo, decise di non proseguire oltre.
Non
voleva passare per invadente. Se Crowley non aveva risposto al
citofono del cancello cinque minuti prima, cosa gli faceva pensare
che avrebbe ottenuto un risultato diverso?
Aziraphale
sospirò e si diede dello stupido, allontanandosi dalla porta e
riprendendo la via delle scale.
Il
pensiero di quanto aveva appreso grazie alla conversazione con
quell'amabile signora non abbandonò Aziraphale per tutto il tragitto
in autobus fino a Soho.
Gli
riusciva stranamente arduo immaginare il demone seduto al pianoforte
intento ad accarezzare i tasti intrecciando melodie e sinfonie tanto
sublimi da poter ridurre qualcuno alla commozione. Non che a Crowley
non piacesse la musica; solo, Aziraphale faticava a figurarsi il suo
migliore amico nei panni di un pianista. Inoltre il demone non aveva
mai fatto cenno a una sua eventuale dedizione per il pianoforte, né
l'angelo poteva rammentare di aver colto qualche indizio, anche molto
vago, che potesse fornirgli una conferma di ciò che l'anziana donna
gli aveva riferito.
Quel
pomeriggio, Aziraphale si stava ancora lambiccando su quel piccolo
mistero. Era seduto nel retro, talmente assorto da non accorgersi che
l'oggetto delle sue riflessioni era appena entrato ancheggiando nella
libreria.
-
Ehi, angelo. Ci sei? - chiamò Crowley una volta varcata la soglia
del locale.
Non
ottenendo risposta, il demone si diresse speditamente verso il
retrobottega, dove trovò l'amico sprofondato tra i cuscini della sua
poltrona preferita e immerso nei suoi pensieri, le dita delle mani
intrecciate sul petto.
-
Cos'è, stai meditando? -
Aziraphale
sobbalzò. - Crowley! Ti sembra il caso di apparire così
all'improvviso?! -
Il
demone inarcò un sopracciglio. - Ti ho chiamato, angelo. Sei tu che
non mi hai sentito, preso com'eri da chissà quale fantasia. A
proposito, a cosa stavi pensando per estraniarti dal mondo in quel
modo? -
Aziraphale
avvertì il calore del sangue che gli affluiva alle gote. - Oh,
niente di importante, caro. Te l'assicuro. -
Crowley
scrollò le spalle, gesto che l'angelo interpretò come una tacita
promessa di non insistere oltre sull'argomento.
-
Sai, sono passato da te stamattina. - buttò lì in tono casuale
mentre fingeva di spazzare via un inesistente granello di polvere dai
pantaloni.
Il
demone non disse nulla e Aziraphale si sentì autorizzato a
continuare. - Ero in zona per la compravendita di un libro e ho
pensato di farti una sorpresa, ma quando ho provato a citofonare, non
hai risposto. Spero di non averti disturbato, stavi forse dormendo?
Erano circa le undici. -
Crowley,
ora appollaiato sul bracciolo del divano, sembrò pensarci su qualche
secondo, come se si stesse sforzando di richiamare alla memoria le
sue occupazioni durante il lasso di tempo indicatogli da Aziraphale.
-
Alle undici, dici... ah, ma certo! Ero sotto la doccia. -
-
Sotto la doccia? - fece l'altro sbattendo le palpebre.
Crowley
sbuffò, più divertito che infastidito. - Sì, angelo. Sotto la
doccia. A differenza dei miei ex colleghi e dirigenti, io non
nutro un profondo disprezzo per l'igiene personale e il sapone.
Credevi che, in quanto demone, dovessi odiare le docce per principio?
-
Aziraphale
si affrettò a cercare una risposta che potesse non suonare troppo
stupida, ma venne dispensato da quel compito dallo stesso Crowley.
-
Comunque, come mai hai voluto passare da me? C'era un motivo
particolare? Avevi bisogno di qualcosa? -
L'angelo
scosse la testa. - No, caro. Pensavo semplicemente che avremmo potuto
fare quattro chiacchiere davanti a un bicchiere di vino o una tazza
di té. Tutto qui. -
Il
demone sembrò preso in contropiede. - Oh, be'... in tal caso, mi
dispiace che non se ne sia fatto niente. -
Aziraphale
notò con stupore che l'amico pareva veramente dispiaciuto e
sentì una piccola ondata di calore riempirgli il petto. Ma lui aveva
ancora un mistero da risolvere, un segreto da svelare, e così decise
di approfittare della presenza del demone per tentare di fare un po'
di luce su quel piccolo arcano che, da quella mattina, era diventato
un chiodo fisso.
-
Sai, pensavo che dovrei mettere un po' d'ordine tra i miei vinili. -
esordì senza preamboli, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso
lo scaffale dove custodiva i suoi dischi di musica classica. - Forse
dovrei dividerli in base al compositore, al periodo storico o magari
per strumento. Ad esempio, potrei sistemare qui tutti i concerti per
pianoforte. Ecco: Mozart, Beethoven, Debussy... -
Crowley
sogghignò. - Che mi dici di Elgar e Liszt? Non sono forse gli unici
due musicisti che il Paradiso possa vantare tra le sue schiere?¹
Immagino che quel pallone gonfiato di Gabriel ne fosse molto
orgoglioso. -
Aziraphale
si produsse in un sorrisetto. - Be', certo. Ovviamente ho anche
qualcosa composto da loro... qui, da qualche parte. Mettevo le loro
opere ben in mostra quando ricevevo visite dai miei superiori. -
Il
demone ridacchiò di gusto, seguendo con gli occhi il trafficare
dell'amico tra le custodie dei dischi.
L'angelo
impilò una serie di vecchi vinili sul tavolino accanto al grammofono
e decise di tentare un affondo diretto.
-
Senti un po', caro. Tu hai mai suonato uno strumento musicale? -
Si
voltò per osservare attentamente la reazione di Crowley e cogliere
anche solo un minimo cambiamento nella sua espressione, ma il demone
si limitò a stirare le labbra sottili nel famigliare sorrisino
storto. - Se il clacson della mia Bentley conta come strumento
musicale, allora sì, angelo. Innumerevoli volte, a dire il vero. -
Aziraphale
gli scoccò uno sguardo di sottile rimprovero. - Dico sul serio,
Crowley. -
Il
demone strizzò gli occhi, insospettito. - Ma perché caspita ti
interessa tanto? -
L'angelo
si strinse nelle spalle. - Be', visto che stavamo parlando di musica
e compositori, mi è venuto in mente di domandartelo. Tutto qui. -
-
Mmm. -
Aziraphale
sapeva di non essere riuscito a darla a bere a Crowley, ma apprezzò
il fatto che il demone non si fosse impuntato per fargli vuotare il
sacco.
-
E tu, angelo? Hai mai imparato a suonare uno strumento? A parte
l'arpa celestiale, s'intende. -
Per
la seconda volta, Aziraphale gli indirizzò un'occhiata di sbieco. -
Lo sai che gli angeli non suonano l'arpa, caro. È solo un cliché
inventato dagli umani, come quello dei demoni che impugnano forconi.
- fece una pausa, prima di riprendere in tono meno severo. - Per
rispondere alla tua domanda, no, temo di non aver mai posseduto un
grande talento per la musica. Antonio Vivaldi in persona provò ad
insegnarmi le basi del violino nel '700, ma fu un completo disastro.
-
-
Be', forse il problema non è la mancanza di talento ma il fatto che
tu non abbia ancora trovato lo strumento adatto a te. -
Aziraphale
sollevò lo sguardo dal vinile che teneva tra le mani e fissò
l'amico, piacevolmente sorpreso da quel gentile incoraggiamento.
-
O magari sei solo negato e basta. - si riprese subito il demone,
accortosi di quella piccola défaillance e affrettandosi a tornare ai
suoi modi beffardi.
L'angelo
volse il capo verso il grammofono per nascondere il sorriso che gli
era affiorato alle labbra. Sapeva fin troppo bene quanto l'amico
tenesse alla sua reputazione e non voleva deluderlo mostrandogli di
aver colto e apprezzato quell'estemporaneo bagliore di gentilezza.
E
va bene, il primo affondo non era andato a buon fine, ma forse con il
secondo avrebbe avuto più fortuna.
-
Ehi, Crowley, guarda qui. Ho trovato qualcosa che forse potrebbe
interessarti. -
-
Ne dubito fortemente. - ribatté il demone, che pure si alzò di
malavoglia dal bracciolo del divano e si avvicinò ad Aziraphale con
passo strascicato.
L'angelo
brandiva una cartelletta di cuoio consunto contenente una pila di
fogli spessi e ingialliti. Il primo, posto in cima, era molto
rovinato ma si poteva ancora distinguere il volto inconfondibile di
Frédéric Chopin occhieggiare benevolente verso di loro.
Aziraphale
fece scorrere con attenzione le vetuste pagine, le quali rivelarono
un'abbondante quantità di spartiti.
-
Sono tutti i ventuno Notturni di Chopin. - spiegò l'angelo. -
Perché non li tieni tu? -
Crowley
lo guardò sorpreso. - Io? E che accidenti dovrei farci? -
L'altro
allargò le braccia. - Non saprei, ma vorrei che l'avessi tu. Che c'è
di male? Ti sto facendo un regalo e i regali si accettano a
prescindere, sempre. È buona educazione. -
Il
demone afferrò con sospettosa riluttanza il plico che Aziraphale gli
porgeva, quasi si aspettasse di vederselo esplodere tra le mani.
-
Ti comporti in modo molto bizzarro oggi, lo sai? - disse,
lanciandogli uno sguardo circospetto.
-
Che posso dirti, caro? Sarà la primavera. -
-
Siamo a novembre, angelo. -
-
Ah. -
Alla
fine del pomeriggio, tutta la collezione di vinili di Aziraphale era
stata spolverata con cura e riposta ordinatamente sugli scaffali.
Crowley
aveva assistito distrattamente a tutta l'operazione e i due avevano
discusso di musica per quasi tutto il tempo.
Il
demone se ne andò verso le sei e Aziraphale dovette constatare con
una certa delusione di non aver compiuto alcun significativo passo
avanti nella sua indagine. Nel corso della conversazione aveva
lasciato cadere diverse allusioni sperando di riuscire a indurre
Crowley, se non proprio ad una piena confessione, almeno a un passo
falso; ma l'amico non si era tradito neanche per un secondo, e lui si
ritrovava di nuovo in compagnia di quel tarlo che lo consumava di
curiosità.
Per
quel giorno non aveva concluso niente, ma non si sarebbe dato per
vinto. Avrebbe scoperto se davvero il suo migliore amico si
dilettasse a suonare il pianoforte, a costo di impiegarci anche un
intero secolo. D'altra parte, questo era uno degli indiscutibili
vantaggi del disporre di un'esistenza eterna: si potevano portare
avanti progetti a lunghissimo termine.
Erano
ormai le dieci di sera quando Aziraphale, seduto in poltrona a
leggere, per l'ennesima volta, Il Conte di Montecristo, notò
qualcosa che attirò la sua attenzione tra i cuscini del divano.
Si
alzò per osservare meglio e si accorse che Crowley aveva dimenticato
il volumetto con gli spartiti di Chopin. L'aveva appoggiato accanto a
sé dopo essersi seduto ma evidentemente doveva essersi scordato di
prenderlo prima di andarsene.
L'angelo
lo sollevò tra le mani con fare pensieroso. Il demone non avrebbe
potuto obiettare se si fosse presentato da lui per portarglielo,
giusto?
Aziraphale
allungò la mancia al tassista che l'aveva accompagnato a Mayfair
esattamente di fronte al palazzo davanti al quale aveva sostato
quella stessa mattina.
Una
coppia di sposini a braccetto stava uscendo dal cancello proprio in
quel momento e, dopo aver lanciato uno sguardo fugace al citofono,
l'angelo decise di approfittare di quel colpo di fortuna e sgattaiolò
alle spalle dei piccioncini, ritrovandosi nell'androne d'ingresso.
Attese
l'arrivo dell'ascensore e premette il pulsante per l'ultimo piano.
Dopo il DING, le porte presero a scorrere pigramente e Aziraphale
uscì dal montacarichi incamminandosi verso la porta
dell'appartamento di Crowley. Il tutto gli suscitava una strana
impressione di deja-vu, ma quella sera era deciso a farsi aprire dal
demone.
Proprio
mentre la sua mano si accingeva a premere sul campanello, un suono
delicato emerse frusciando dal silenzio del pianerottolo deserto e
raggiunse le sue orecchie. Note di pianoforte, non c'era alcun
dubbio.
Per
un istante, Aziraphale temette che, sotto il peso della suggestione,
la sua mente gli stesse giocando un qualche scherzo. Ma quando
accostò una guancia alla fredda superficie dell'uscio per
accertarsene, dovette riconoscere che il suo cervello non lo stava
ingannando affatto. Qualcuno stava davvero suonando un pianoforte
dall'altro lato del muro.
L'angelo
sapeva che intrufolarsi in casa di Crowley senza che gli fosse stato
esteso un invito o concesso il permesso sarebbe equivalso a una
violazione di domicilio, ma non voleva rompere quella sorta di
incantesimo musicale facendo strillare il campanello. Del resto, non
aveva forse passato la giornata a scervellarsi sull'arcano che vedeva
coinvolti il demone e il pianoforte? Quella era l'occasione d'oro per
scoprire la verità. Avrebbe solo dovuto usare un po' di cautela.
Aziraphale
deglutì e cacciò via gli ultimi scrupoli, dopodiché fece scattare
silenziosamente la serratura grazie ad un piccolo miracolo ed entrò
in punta di piedi nell'appartamento, seguendo la scia della musica.
Si
guardò intorno e si rese conto che la melodia proveniva dall'ultima
stanza in fondo al corridoio. Percorse quella direzione con il fiato
sospeso, il libro con gli spartiti di Chopin stretto tra le mani.
Raggiunse
la porta e restò in ascolto. La musica era ormai solo leggermente
ovattata dall'attrito del legno, ma sufficientemente nitida perché
Aziraphale potesse udirla senza alcuno sforzo.
Si
trattava di un pezzo che gli era del tutto sconosciuto e che, ne era
abbastanza certo, non apparteneva al repertorio classico.
Erano
suoni lenti, dolci, timidi; le pause erano piuttosto marcate, ogni
nota era come un sussurro, un bisbiglio alla sua anima. Gli
trasmetteva una malinconia ancestrale, uno struggimento che gli
arrivava dritto al cuore e risaliva dalla sua gola formandovi un nodo
fino a sgorgare dai suoi occhi inumiditi.
Entro
una manciata di secondi, Aziraphale scoprì di non potersi
allontanare da quella melodia neanche di un solo centimetro. Accostò
la schiena alla parete e si lasciò andare a quelle sensazioni,
abbracciandole una ad una con gli occhi chiusi mentre tutti i suoi
sensi (umani e angelici) convergevano nel cogliere ogni
infinitesimale sfumatura di quell'incantevole armonia che lo
avvinceva e s'insinuava in lui trascinandolo sempre più a fondo (o
elevandolo sempre più in alto) in quell'estasi dal sapore agrodolce.
Era come seta sulla pelle e miele sulle labbra.
Inconsapevolmente,
l'angelo arrivò perfino a sospendere il proprio respiro, come se
ogni superflua traccia d'aria nei suoi polmoni fosse stata
risucchiata via e sostituita dalla soave pervasività di quella
musica suonata con eccezionale trasporto e dedizione.
Aziraphale
si trovava in uno stato di tale beatitudine che non si accorse
neppure di quando il pianoforte si azzittì e nemmeno fu in grado di
udire i passi in avvicinamento verso la porta.
Fu
così che quando questa venne spalancata, l'angelo fu ricatapultato
bruscamente alla realtà. Bruscamente e dolorosamente visto che il
suo naso finì per trovarsi proprio sulla traiettoria dell'uscio.
-
Ahi! Che male! -
Crowley
fece un balzo all'indietro e sgranò gli occhi. - Aziraphale?! Ma
cosa... come... Per le sacre corna di Satana, si può sapere che
accidentaccio ci fai qui?! -
L'angelo
emise un gemito, si passò la mano sul volto insanguinato e il naso
tornò al suo posto con uno schiocco nauseante. Nessuna traccia
dell'increscioso incidente.
-
Ero venuto a portarti questo. L'avevi dimenticato. - si giustificò,
porgendogli la cartella con gli spartiti.
Il
demone lo fissò con un misto di incredulità ed esasperazione. - E
tu saresti uscito a quest'ora solo per venire qui a consegnarmi un
oggetto che avresti potuto tranquillamente miracolare per farmelo
apparire sul tavolo in due secondi? -
Aziraphale
distolse lo sguardo. - Mi andava di fare una passeggiata. - azzardò.
- Non ringraziarmi, eh! -
-
In ogni caso, - riprese Crowley. - non ricordo di averti invitato ad
entrare. Sai che degli umani intellgenti hanno inventato una cosa
molto utile chiamata citofono o campanello? Non è difficile da
usare, basta premere un tasto. -
-
L'ho fatto! - mentì l'angelo. - Ma tu non mi hai sentito. -
-
E allora hai pensato bene di operare un miracolino dei tuoi sulla
serratura e di entrare lo stesso, giusto? -
L'angelo
diventò paonazzo. - Il fatto è che quella musica era così bella...
non sono riuscito a resistere... -
-
Vuoi dire che mi hai spiato per tutto il tempo?! - esclamò Crowley,
sdegnato. - Aziraphale, da quanto eri appostato qui fuori,
esattamente? -
L'altro
prese a tormentarsi il papillon di tartan spostando il peso da un
piede all'altro. - Ehm, diciamo due o tre minuti. -
E,
a quel punto, accadde una cosa totalmente inaspettata: fu il volto di
Crowley a colorirsi di un bel rossore imbarazzato.
-
Non devi vergognarti, caro! - lo rassicurò Aziraphale. - Suoni
meravigliosamente, davvero. -
-
Cosa... come puoi essere sicuro che fossi io a suonare? Poteva
benissimo trattarsi di un CD. -
L'angelo
scosse piano la testa. - No, non lo era. - replicò con ferrea
convinzione.
-
Cosa te lo fa pensare? - berciò Crowley, stizzito e terribilmente
consapevole delle sue gote imporporate.
Aziraphale
volse lo sguardo verso l'interno della stanza misteriosa e indicò un
punto alle spalle del demone. - Quello. -
-
Oh. - fece Crowley, incapace di trovare replica migliore al fatto che
l'amico stesse indicando un bellissimo pianoforte a coda laccato di
nero lucido che faceva bella mostra di sé nel centro esatto
dell'ambiente. La scritta Bösendorfer² brillava in caratteri
gotici dorati sul fianco dello strumento.
-
Be', congratulazioni, angelo. Mi hai scoperto. - riconobbe il demone,
la voce più depressa che mai.
-
Oh, Crowley, non fare quella faccia abbattuta. Mi dispiace, non
intendevo spiarti. È solo che quella melodia mi ha rapito
completamente. Che cos'era, a proposito? Schumann? Mendelssohn? -
Il
demone gli lanciò uno sguardo indecifrabile prima di rispondere. -
Queen. -
Aziraphale
scavò a fondo tra le proprie nozioni in fatto di cultura musicale ma
non ottenne alcun riscontro. - Come, scusa? Chi è Queen? Credo
proprio di non averlo mai sentito nominare. È un compositore? In che
anni ha lavorato? XIX secolo? -
Crowley
rispose a quelle domande sollevando un sopracciglio con aria
divertita, nonostante la stizza e l'imbarazzo non fossero ancora
scemati.
-
Oh! - esclamò improvvisamente Aziraphale. - Vuoi dire i Queen?
-
L'altro
annuì. - Precisamente. -
L'espressione
interdetta che apparve sul viso dell'angelo lo fece ridacchiare. -
Che c'è? Pensavi che la loro musica fosse tutto uno stridore di
chitarre elettriche, colpi di batteria e urla a squarciagola? Rock
allo stato puro? -
Aziraphale
fece un buffo gesto a metà tra un'alzata di spalle e un cenno di
diniego con la testa.
-
Be', ti sbagliavi di grosso, angelo. Che tu ci creda o no, quella che
hai ascoltato nascosto dietro la porta è proprio una delle loro
canzoni. -
-
Come si chiama? La canzone, voglio dire. Che titolo ha? - chiese
Aziraphale, cercando di ignorare la vergogna di essere stato colto in
flagrante e intenzionato a spostare il focus della conversazione su
qualcosa che non fosse la sua figura poco edificante.
Gli
occhi serpentini di Crowley trafissero i suoi con un'intensità che
avrebbe potuto scuotere anche una montagna. L'angelo fremette:
l'assenza dello schermo nero degli occhiali si faceva notare. Eccome!
-
You take my breath away. -
Aziraphale
si sentì la bocca asciutta e riconobbe il nodo alla gola che aveva
percepito durante l'ascolto. Anche se avesse avuto intenzione di
parlare, non ne sarebbe stato in grado. L'unico pensiero lontanamente
razionale che riuscì ad estrapolare dal vortice confuso che gli
turbinava nella mente fu che nessun titolo avrebbe potuto essere più
appropriato per quella canzone davvero mozzafiato.
-
Si è fatto piuttosto tardi, adesso è meglio che tu vada. Grazie per
il libro. -
Crowley
gli prese il volumetto dalle mani e le loro dita si sfiorarono per un
secondo. Quel contatto fu un'inezia ma bastò per riscuotere l'angelo
e fargli ritrovare la parola.
-
Oh, ma certo. Di nulla, caro, figurati. È... è stato un piacere. -
Crowley
lo accompagnò alla porta ma, prima di andarsene, l'angelo raccolse
il coraggio a due mani e si rivolse all'amico in tono incerto ma
speranzoso.
-
Senti, ehm... non è che, magari, qualche volta potrei venire qui e
ascoltarti suonare? Insomma, se la cosa non ti crea problemi, è
chiaro. -
Il
demone lo squadrò come si fa con un'opera d'arte contemporanea
particolarmente contorta e di difficile interpretazione ma, alla
fine, il suo sguardo si addolcì e le sue labbra si aprirono in un
sorriso. - Mi farebbe piacere, angelo. -
Mentre
pronunciava quelle parole, Crowley si stupì molto nell'accorgersi di
quanto fossero vere.
La
porta dell'appartamento si richiuse e Aziraphale si mise ad attendere
con pazienza l'arrivo dell'ascensore. Nel momento esatto in cui le
porte iniziarono a scorrere una verso l'altra per chiudersi, l'angelo
fece appena in tempo a cogliere le note lontane di un inconfondibile
Chopin e un gran sorriso illuminò il suo volto.
Note:
¹
: Informazione contenuta nel
libro.
²
: La Bösendorfer
è uno dei più antichi produttori di pianoforti di lusso al mondo.
L'attività ebbe inizio a Vienna nel 1828.
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