Bohemian Rhapsody for an Angel and a Demon

di Stria93
(/viewuser.php?uid=319287)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mr. Bad Guy ***
Capitolo 2: *** Lazing on a Sunday Afternoon ***
Capitolo 3: *** The Miracle ***
Capitolo 4: *** Friends will be friends ***
Capitolo 5: *** I'm in love with my car ***
Capitolo 6: *** Crazy little thing called love ***
Capitolo 7: *** Another one bites the dust ***
Capitolo 8: *** Seaside rendezvous ***
Capitolo 9: *** Bicycle Race ***
Capitolo 10: *** Rain must fall ***
Capitolo 11: *** Pain is so close to pleasure ***
Capitolo 12: *** Somebody to love ***
Capitolo 13: *** Good old fashioned lover boy ***
Capitolo 14: *** Don't try suicide ***
Capitolo 15: *** Delilah ***
Capitolo 16: *** You're my best friend ***
Capitolo 17: *** A kind of magic ***
Capitolo 18: *** One vision ***
Capitolo 19: *** Killer Queen ***
Capitolo 20: *** Back chat ***
Capitolo 21: *** I'm going slightly mad ***
Capitolo 22: *** Let me live ***
Capitolo 23: *** Hammer to fall ***
Capitolo 24: *** Innuendo (Halloween shot) ***
Capitolo 25: *** Ride the wild wind ***
Capitolo 26: *** You and I ***
Capitolo 27: *** Made in heaven ***
Capitolo 28: *** Jealousy ***
Capitolo 29: *** A winter's tale ***
Capitolo 30: *** You don't fool me ***
Capitolo 31: *** Funny how love is ***
Capitolo 32: *** '39 ***
Capitolo 33: *** Radio Ga-Ga ***
Capitolo 34: *** Brighton Rock ***
Capitolo 35: *** You take my breath away ***



Capitolo 1
*** Mr. Bad Guy ***


mr

Mr. Bad Guy, yes I'm everybody's Mr Bad Guy
Can't you see this is my destiny
Oh, spread your wings and fly away with me


Mr. Bad Guy, Freddie Mercury, 1985




Crowley scese con classe dalla Bentley del tutto incurante del fatto che le sue quattro ruote poggiassero con sfacciata nonchalance su un'area vistosamente segnalata come zona di divieto di sosta.
Con le mani affondate nelle tasche della giacca si diresse a passo tranquillo verso l'ingresso della libreria di Aziraphale canticchiando tra sé il ritornello del brano che gli aveva tenuto compagnia durante il tragitto in auto. Certo, le sue intenzioni originarie erano di rilassarsi un po' al volante grazie alle sinfonie di Bach, ma evidentemente doveva essersi dimenticato la cassetta nel vano del cruscotto per più di due settimane e questa era andata incontro alla stessa sorte delle sue sventurate compagne, ovvero tramutarsi in una raccolta dei migliori pezzi dei Queen.
E così il povero Johann Sebastian Bach era stato spodestato da sua maestà Freddie Mercury che, in quell'occasione, aveva regalato a Crowley la prima metà della sua Mr. Bad Guy.
Appropriato. Giusto la colonna sonora che gli occorreva quel giorno. Quasi un messaggio subliminale, neanche troppo velato.
Negli ultimi tempi aveva infatti un po' trascurato le sue mansioni demoniache di inviato speciale dell'Inferno tra gli uomini e i suoi superiori non avevano tardato ad accorgersene e a mandargli un ultimatum piuttosto inequivocabile e perentorio che gli era stato recapitato da Ligur e Hastur, i quali erano parsi fin troppo compiaciuti del loro incarico.
Il messaggio era il seguente: “Crowley, razza di sfaticato, rimettiti immediatamente al lavoro oppure verremo a prenderti per riportarti giù all'Inferno per sempre così avrai tutta l'eternità per rimpiangere la tua cara Terra con tutte le sue comodità e i suoi piaceri.”
Con un sospiro, Crowley aveva liquidato i due sgradevoli e gongolanti messaggeri infernali promettendo che si sarebbe impegnato al massimo per seminare discordia e caos tra gli umani, come era cosa buona e giusta per un demone del suo rango.
Non che si stesse facendo venire una coscienza; non era accaduto in seimila anni e la sua bussola morale non si sarebbe di certo riparata adesso. Tutt'altro! Provava sempre un discreto piacere nel provocare il male, nell'attizzare nei cuori degli umani quella piccola fiammella che, grazie al loro temperamento e a una buona dose di orgoglio, arroganza ed egoismo (doti nelle quali essi eccellevano) faceva poi scoppiare un vero e proprio incendio che lui si godeva da spettatore soddisfatto, come un piromane che ammirava il risultato della sua opera.
Il fatto era che non gli piaceva ricevere ordini o forzature: Crowley apprezzava molto la libertà che il suo ruolo di “inviato sul campo” gli garantiva e quando, da laggiù, il suo principale, il Big Boss con la S, tornava a ricordargli che lavorava pur sempre alle sue dipendenze, il demone provava un moto di fastidio.
In tutti quei secoli aveva sempre svolto il suo diabolico dovere, ma con i tempi e le modalità che gli erano più congeniali e sì, forse aveva un po' rallentato per adagiarsi sugli allori delle invenzioni umane del ventesimo secolo asservite all'accidia, ma questo non significava che avesse dimenticato la propria missione di portatore di guai.
Tuttavia, la minaccia di ricondurlo in quel vespaio di fuoco e fiamme che pullulava di anime lamentose e puzzava di zolfo aveva sortito l'effetto desiderato, ovvero riscuoterlo da quel pigro torpore nel quale si era crogiolato ultimamente.
Quel giorno, si era ripromesso, avrebbe svolto il suo lavoro con impegno ed efficienza. Sì, sarebbe tornato ad essere il buon vecchio Mr. Bad Guy.
Ma, del tutto casualmente, si era ritrovato ad imboccare la strada che passava proprio dalla libreria di Aziraphale e, assecondando un'abitudine che ormai si era radicata in lui come un'erba infestante, aveva deciso di fermarsi per un saluto veloce. Una deviazione non avrebbe di certo scatenato l'Apocalisse, no?
Il demone varcò la soglia e si ritrovò, come di consueto, immerso in un labirinto di tomi polverosi, volumi antichi, manuali, almanacchi e perfino qualche pergamena. L'odore penetrante di legno, carta e cuoio centenari lo investì come a volergli dare il benvenuto nel piccolo regno letterario del suo vecchio amico dalle ali piumate. Col tempo, Crowley si era abituato ad associare quel particolarissimo miscuglio di aromi ad Aziraphale e, in qualche modo, anche ad una vaga idea di casa, a un senso di appartenenza e calore che mai prima di allora aveva provato nei confronti di altri luoghi.
Ultimamente, lo sapeva, si era recato anche troppo spesso in quell'eremo da topo di biblioteca. Chissà come, aveva finito per sorprendersi sempre più di frequente a desiderare la compagnia di Aziraphale, fosse anche solo per stuzzicarlo un po' e ricevere, in risposta alle sue frecciatine, il sorriso gentile e paziente dell'angelo.
- Ehi! Aziraphale? Ci sei? -
Una voce soffocata si levò da un angolo indistinto della libreria. - Crowley? Sei tu? -
- No, sono Shirley Temple. Certo che sono io, tonto di un cherubino! -
Ci fu un tonfo e un gemito, dopodiché, da dietro uno scaffale ingombro di libri, emerse Aziraphale, impolverato dalla testa ai piedi, gli occhiali di traverso e le mani grassottelle strette intorno a un volumone rilegato in pelle dall'aria decisamente pesante, almeno in senso letterale.
- Che stavi combinando là dietro? - domandò il demone, cercando di trattenere le risate alla vista dell'amico conciato in quel modo.
Aziraphale si portò una mano ai capelli d'oro, ora ingrigiti dalla polvere, e prese a massaggiarsi il capo con una smorfia sofferente. - Stavo cercando di prendere questo libro da una mensola e mi è caduto dritto sulla testa. -
- Be', è un vero peccato che tu non abbia un paio di ali che ti aiutino a raggiungere le mensole troppo in alto. -
Aziraphale gli scoccò uno sguardo di lieve rimprovero. - Abbiamo accettato di vivere sulla Terra in forma umana, Crowley. Non sarebbe giusto sfruttare i nostri privilegi sovrannaturali per risolvere problemi terrestri. Sarebbe come... barare al gioco, in un certo senso. -
Il demone alzò le spalle. - Le regole esistono per essere infrante, angelo. E poi non eri forse tu quello che ha usato i suoi doni per convincere quell'antiquario di Canterbury a vederti il libro che volevi tanto e che ti ha provvidenzialmente appena colpito sulla testa? -
- Si tratta di una prima edizione dei Racconti di Chaucer. - ribatté Aziraphale sulla difensiva. - Aveva troppo valore per rimanere chiuso in quella cantina umida. Si sarebbe rovinato! Ho svolto il mio dovere verso l'umanità salvandolo da quel posto orribile. -
- Ma ceeeerto. - fece Crowley con un sogghigno. - E, dimmi un po': perché mai un angelo dovrebbe avere nella sua preziosa collezione un libro che narra storie tanto sconce? Non rischi un colpo di folgore dal tuo capo? -
Aziraphale divenne paonazzo e distolse lo sguardo.
- Suvvia, amico.- cominciò Crowley, la voce addolcita da una nota quasi di tenerezza, - Non c'è bisogno di vergognarsi. In fondo, chi non apprezza un pizzico di pepe in una storia? Tutti amano i dettagli scandalosi. -
- Forse da dove vieni tu, - ribatté l'angelo in tono pacato, - ma dalle mie parti le cose funzionano diversamente. -
- Oh, lo so bene. - ridacchiò l'altro. - Dalle tue parti è tutto un suonare l'arpa in tunica bianca e guardare all'infinito Tutti insieme appassionatamente. -
- Non c'è niente di male in quel film, sai. -
- Già, è proprio questo il problema. A proposito di male, temo che oggi non potremo pranzare insieme in quel nuovo ristorante in centro. -
Sul viso dell'angelo si dipinse un'espressione delusa. - Come mai? -
Crowley alzò le spalle. - A quanto pare il mio capo non è soddisfatto della mia media di cattive azioni qui sulla terra e ha minacciato di rispedirmi all'Inferno se non correggo subito il tiro e non mi rimetto in riga per riabilitare il mio buon nome di emissario di Satana. Ragion per cui oggi mi dedicherò allo sporco lavoro di corrompere i cuori degli uomini e creare un po' di scompiglio. -
- Mi dispiace che tu abbia avuto dei problemi con i tuoi, Crowley. -
Di nuovo, il demone fece spallucce. - Non posso farci niente. Questi sono ordini dall'alto, o meglio, dal basso... molto in basso. Bassissimo in effetti. -
- Mmm. -
Aziraphale osservò intensamente Crowley e, abbandonato il librone su un tavolo, si portò una mano al mento con piglio assorto e pensoso. Il demone poteva quasi vedere il cervello dell'amico freneticamente all'opera sotto i suoi riccioli biondi.
- A che stai pensando, si può sapere? -
- Mmm. -
- Aziraphale? -
- Mmm. -
- Oh, per tutte le corna e i forconi dell'inferno! Smettila di muggire! Vuoi dirmi che ti frulla nella testa?! -
- Stavo pensando... - cominciò l'angelo, - che in qualità di inviato del Cielo, non posso certo lasciarti vagare in giro per la città libero di portare a termine i tuoi misfatti. -
- E allora? -
Aziraphale fece un sorrisetto furbo. - Allora, mio caro, ecco come riusciremo a non rinunciare al nostro pranzo e a fare entrambi una bella figura con i nostri rispettivi superiori: tu farai il tuo lavoro e io farò il mio e nessuno potrà accusarci di aver battuto la fiacca. Tu combinerai i guai e io rimedierò. I tuoi capi non potranno biasimare te se un angelo si mette in mezzo per sistemare i tuoi disastri e io avrò il merito di aver vanificato i diabolici piani di un demone... tra un boccone e l'altro. -
- Cavolo, angelo! - esclamò Crowley, un po' ammirato e un po' sconcertato. - Stai passando al lato oscuro! Sono fiero di te! -
Aziraphale arrossì nuovamente ma non poté impedirsi di sorridere a Crowley. Il loro programma per pranzo era salvo.



Angelo e demone uscirono dalla libreria e salirono sulla Bentley, che un diligente ma sfortunato ausiliario del traffico aveva inutilmente cercato di multare per divieto di sosta.
Crowley mise in moto e accese l'autoradio che tornò immancabilmente alla sua ode ai Queen, riprendendo da dove il brano si era interrotto poco prima.


Mr. Bad Guy, yes I'm everybody's Mr Bad Guy
Can't you see this is my destiny
Oh, spread your wings and fly away with me


Crowley e Aziraphale si scambiarono uno sguardo d'intesa che presto si tramutò in una risata a due voci.
- Fammi indovinare: tu saresti Mr. Bad Guy? -
- Ci puoi giurare, angelo! - rispose Crowley con un ghigno, premendo il piede sull'acceleratore e facendo ruggire la Bentley. - E ora andiamo a pranzo, sono affamato! Spread your wings and fly away with me! -





*In realtà Mr. Bad Guy è un pezzo che Freddie Mercury compose da solista e dunque non fa parte del repertorio vero e proprio dei Queen, ma passatemi questa piccola licenza a beneficio della storia. ;)


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lazing on a Sunday Afternoon ***


lazing

I'll be lazing on a Sunday
lazing on a Sunday
lazing on a Sunday Afternoon.


 Lazing on a Sunday Afternoon, Queen, 1975




La domenica pomeriggio non è solo un momento che si ripete puntualmente ogni settimana.
La domenica pomeriggio è uno stato d'animo calmo, rilassato e forse anche un po' annoiato; è il silenzio che regna per le strade sgombre da auto e mezzi pubblici; è il chiacchiericcio sommesso di chi passeggia tranquillamente per le vie del centro concedendo ai propri passi una lentezza impensabile in qualunque altro giorno.
La domenica pomeriggio è fatta per riposare, perdere tempo in deliziose futilità e dedicarsi a se stessi e alle persone care.
Questo aveva pensato Aziraphale quando aveva finalmente proposto a Crowley quel picnic al quale aveva accennato qualche mese prima ma che, con l'arrivo del gelo invernale prima e degli acquazzoni primaverili poi, era rimasto solo un'idea allettante nell'archivio dei progetti da concretizzare in un futuro indefinito.
Ma quel weekend le previsioni meteo avevano assicurato cielo sereno e temperature in risalita in tutta l'Inghilterra, nonché una leggera brezza estiva che le avrebbe rese sopportabili. Inoltre, Aziraphale aveva saputo da Gabriele (fonte decisamente più attendibile dei meteorologi) che l'Onnipotente era particolarmente di buon umore e dunque ci si poteva aspettare le condizioni ideali per portare a compimento quel piano non proprio ineffabile ma che attendeva di essere realizzato già da troppo tempo.
E così l'angelo aveva telefonato a Crowley e gli aveva esposto la sua idea: trascorrere quella domenica insieme al parco, in compagnia di una bottiglia di vino (o magari due) e di un cestino di vimini colmo di manicaretti da gustare seduti su una soffice tovaglia a quadrettoni, nel pieno rispetto della tradizione dei picnic.
Il demone aveva sorriso furbescamente (non che Aziraphale potesse vederlo dall'altro capo del telefono, ma ormai lo conosceva fin troppo bene) e lo aveva punzecchiato con ironia.
- Ma come? - aveva detto. - Mi stai proponendo di abbandonarci spudoratamente all'ozio e ai piaceri del palato? La tentazione non dovrebbe essere roba mia? Vuoi forse rubarmi il lavoro, angelo? -

Allora Aziraphale aveva riso. - Oh, no, affatto! E comunque dimentichi, mio caro demone, che, dopo aver creato l'universo, perfino Dio stesso si riposò il settimo giorno. Dunque, come vedi, ciò che ti sto proponendo non esula in alcun modo dalle prescrizioni divine, anzi le onora! -
- Mmm. - aveva fatto Crowley poco convinto. - Per me stai solo trovando delle scuse, comunque non importa, non sono affari miei. -
- Insomma, Crowley, accetti oppure no? -
- Assolutamente sì! - esclamò l'altro. - Non rinuncio mai all'occasione di poltrire circondato da buon cibo e vino in quantità. Allora, dove avevi pensato di vederci per consumare questo rito domenicale che non ha proprio niente a che fare con i peccati di accidia e gola? -
Aziraphale aveva colto la frecciatina ma decise di ignorarla. - St. James Park, domenica a mezzogiorno. -


Il mezzogiorno di domenica era arrivato e passato e Aziraphale e Crowley si trovavano ora all'ombra di uno splendido salice piangente che offriva loro un confortevole riparo naturale dai raggi del sole.
Avevano pranzato con dei gustosi sandwich ai gamberi innaffiati da un ottimo vino bianco e, al momento, piluccavano distrattamente da un piattino di frutta fresca e colorata, particolarmente invitante in quel primo pomeriggio di fine maggio.
Aziraphale sedeva con la schiena comodamente appoggiata al forte tronco della pianta, le gambe allungate in avanti, mentre Crowley si era disteso sulla tovaglia, le mani incrociate dietro la testa amo' di cuscino.
- Sai, dovresti provare queste. - disse l'angelo facendo sventolare davanti al viso dell'amico una coppia di grosse ciliegie dalla buccia lucida e più rossa che mai. - Sono davvero ottime. Le ho colte ieri da quel grande ciliegio vicino alla mia libreria. -
Crowley si fece scivolare gli occhiali scuri sul naso e i suoi occhi dorati scrutarono il piccolo frutto con sospetto.
- Non è ancora stagione di ciliegie. - constatò dubbioso.
Aziraphale si strinse nelle spalle. - Sono una primizia miracolosamente apparsa tra i rami. A volte capita. -
Crowley sogghignò. - Oh, sì. Davvero miracolosamente. Quasi come se un angelo avesse dato una piccola spinta alla natura per farle accelerare un po' i ritmi, giusto in tempo per oggi, guarda caso. -
- Non so proprio di cosa tu stia parlando. - fece Aziraphale sulla difensiva, il tono di voce reso più acuto dall'imbarazzo che, in questo modo, lo tradiva clamorosamente.
- Sì, ne sono certo. -
- Be', se non le vuoi peggio per te, caro. Non sai cosa ti perdi. - concluse infine l'angelo, un po' stizzito.
- Tu che tenti me con un frutto. - rise il demone. - Quando si dice l'ironia. -
Le gote di Aziraphale s'imporporarono e divennero dello stesso colore delle ciliegie che teneva ancora tra le mani.
- Dai, fa' sentire se il tuo miracolo ha funzionato. -
Così dicendo, Crowley spalancò la bocca in attesa del boccone facendo sparire il broncio dal volto di Aziraphale che si aprì invece in un sorriso di divertita tenerezza.
L'angelo calò una delle due ciliegie tra le labbra dell'altro che prese a masticare lentamente per poi ingoiare il frutto e sputare via il nocciolo.
- Congratulazioni, angelo. - disse Crowley, passandosi la lingua serpentina sul labbro superiore. - Miracolo riuscito. -
Aziraphale avrebbe voluto negare ancora una volta il suo coinvolgimento nella faccenda, ma la domenica pomeriggio era fatta anche per lasciar correre e non dare troppo peso a certe cose, allora si abbandonò semplicemente contro il corpo legnoso dell'albero e dette un morso alla seconda ciliegia ormai rimasta sola, separata dalla sua gemella.
L'angelo sospirò di piacere, deliziato dal sapore zuccherino del frutto, dal canto degli uccellini e dal venticello fresco che gli portava alle narici il misto di fragranze inebrianti dell'estate in arrivo.
Chissà se anche il suo capo delle alte sfere celesti aveva trascorso il pomeriggio del suo giorno di riposo mangiando squisite ciliegie all'ombra di un salice.
Ne dubitava.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The Miracle ***


the miracle

Every drop of rain that falls in Sahara Desert

Says it all

It’s a miracle

All God’s creations great and small

The Golden Gate and the Taj Mahal

That’s a miracle



The Miracle, Queen, 1989





La primavera si era ormai imposta sui rigori della stagione invernale e, quell'anno, il giardino della tenuta dell'ambasciatore americano si preparava ad una fioritura davvero magnifica, degna dell'Eden.
Il merito di ciò andava in buona parte riconosciuto al nuovo giardiniere che, da qualche mese a quella parte, si occupava del parco.
Il piccolo Warlock, rampollo di casa, era solito trascorrere diverso tempo in compagnia di quello strano uomo dalle mani magiche in grado di far resuscitare un intero giardino che, prima del suo arrivo, assomigliava molto di più a un deserto arido e desolato.
Nonostante il bambino fosse convinto che gli mancasse qualche rotella, il giardiniere gli andava a genio e parlava sempre di cose buffe, come il fatto di amare e rispettare tutte le creature, comprese le lumache che, a dirla tutta, non gli piacevano poi così tanto.
Quel giorno gli stava mostrando dei boccioli di rose ancora chiusi ma dai quali sarebbero nati degli splendidi fiori quando fosse giunto il momento.
- Vedi, Warlock? Questo è un miracolo del Cielo. Ogni fiore che sboccia è un miracolo, ogni cosa che esiste al mondo, grande o piccola, lo è. -
A quel punto, l'espressione del bambino si era fatta seria ma anche un po' scettica. - Che cosa vuol dire “miracolo”? -
Il giardiniere gli aveva sorriso bonariamente e gli aveva spiegato che i miracoli erano quegli avvenimenti meravigliosi che accadevano senza che vi si potesse trovare una spiegazione razionale.
- Come delle magie! - aveva esclamato Warlock, il faccino acceso di entusiasmo.
- Esatto! Proprio come delle magie. Ma accadono solo se ci si crede davvero e se il tuo cuore è puro e la tua mente è mossa da buone intenzioni. -
- Quindi i miracoli li fa Babbo Natale? -
- Come, prego? - chiese Aziraphale, spiazzato.
- Sì, dev'essere così. - annuì Warlock con convinzione, come se stesse seguendo un filo logico inoppugnabile che, nella sua testa, non faceva una piega. - Babbo Natale mi porta i regali se sono stato buono quindi se i miracoli funzionano allo stesso modo, dev'essere lui a farli. Per forza! -
L'angelo-giardiniere sorrise di nuovo.
- Ma no, Warlock. - cominciò. - I miracoli li fa Dio. Insomma, Dio e i suoi angeli. -
- Quindi io non posso fare un miracolo, se voglio? -
Aziraphale stette un po' a pensarci, mentre Warlock attendeva trepidante la sua risposta.
- Be', suppongo di sì. - disse infine. - Chiunque può fare tanti piccoli miracoli ogni giorno. Non c'è bisogno di arrivare a dividere le acque del Mar Rosso o di moltiplicare pani e pesci. Se sei guidato dall'amore per gli altri e per l'universo, anche tu puoi fare un miracolo, giovane Warlock. -
Come, ad esempio, evitare di dare inizio all'Armageddon” pensò l'angelo, sperando con tutto il cuore nella riuscita del piano che lui e Crowley avevano ideato per scongiurare l'Apocalisse.
- Allora, - proseguì il bambino. - anche la tata può fare i miracoli? -
- Oh, no! - rise Aziraphale. - Lui, ehm cioè, lei non può! -
Warlock si accigliò, sospettoso. - Ma tu hai appena detto che tutti possono. -
L'angelo sentì la propria fronte imperlarsi di sudore. - Sì, ma lui... lei è un dem... ehm, una donna... che non è stata così buona. Ricordi? Solo i puri di cuore possono compiere miracoli e lei non lo è. -
“Fiuuuu, salvato in corner. Bel lavoro, angelo! Stavi quasi per far saltare la copertura” si rimproverò mentalmente Aziraphale con una voce che suonava molto simile a quella di Crowley.
Warlock non sembrava ancora convinto ma la sua attenzione venne fortunatamente attirata da una lucertola che era sgusciata fuori da un'aiuola e la questione “miracoli” venne accantonata, con grande sollievo dell'angelo.


Accantonata almeno fino a quella sera.
Warlock si era appena infilato sotto le coperte mentre la tata si era accomodata sulla sedia accanto al suo letto per raccontargli una storia o cantargli una ninnananna.
Il bambino non aveva mai sentito fiabe così strane e macabre ma, tutto sommato, non gli dispiacevano e ascoltava sempre volentieri la voce stranamente sibilante della tata che evocava nella sua mente immagini di mostri, sangue e oscurità, paurose ma, a loro modo, anche ammalianti.
Era un personaggio bizzarro quanto il giardiniere, la tata: vestiva sempre di nero, aveva quell'assurdo ombrello e quella borsa che pareva più grande all'interno, per non parlare del fatto che non si toglieva mai gli occhiali da sole. Diceva di avere un problema agli occhi e che troppa luce le faceva male, ma Warlock aveva l'impressione che nascondesse un segreto e più di una volta aveva tentato di carpirglielo, senza successo.
Quella sera però, aveva un'altra domanda per lei, che non riguardava gli occhiali scuri che indossava sempre.
Le rivolse uno sguardo severo e compunto. - Lo sai che tu non puoi fare miracoli? -
- Cosa? - domandò la tata, colta alla sprovvista.
Il bambino annuì solennemente, come se stesse decretando una verità universale. - Me l'ha detto il giardiniere. Ha detto che tu non puoi fare miracoli perché non sei abbastanza buona. -
- Ma davvero? Ha detto proprio così? -
Warlock annuì di nuovo. - Sì, perché i miracoli possono farli solo Dio, gli angeli e le persone con il cuore puro. -
- I miracoli non servono a niente, caro. - sibilò in tono dolce. - Non c'è miracolo che tenga davanti alla grandezza del Male. Ho proprio una storia della buonanotte che può dimostrartelo. -
E iniziò a raccontare finché il bambino non scivolò nel sonno.
Quando Crowley fu certo che Warlock dormisse, si alzò dalla sedia e uscì dalla grande casa, salì sulla Bentley e, con uno schiocco di dita, rientrò nei suoi soliti abiti maschili.
Con Aziraphale erano d'accordo di trovarsi al pub lì vicino alle 11.00 per discutere della giornata appena trascorsa e dei progressi fatti con l'Anticristo. Lo facevano ogni sera per assicurarsi che tutto stesse andando secondo i piani ma, in quell'occasione, ne avrebbe approfittato per dire due paroline all'angelo.


Quando Aziraphale arrivò al pub, trovò Crowley seduto a un tavolo con una bottiglia di vino rosso davanti a sé, già vuota per metà. Tamburellava con le dita e sembrava irritato per qualcosa. Brutto segno. Che avesse avuto problemi con il bambino?
- Ehi, ciao. - lo salutò, prendendo posto di fronte a lui. - Com'è andata oggi? -
- Miracoli? Sul serio? - sussurrò il demone sporgendosi verso Aziraphale. - Questo è stato un colpo davvero sleale, angelo! Non me lo sarei mai aspettato da te. -
- Che vuoi dire? - fece Aziraphale, sinceramente stupito.
- Gli ha parlato dei miracoli e gli hai detto che solo il Bene può compierli? -
- Be', sì, l'ho fatto. Ma... -
- E come pensi che potrei reggere il confronto, eh? L'Inferno non fa miracoli, crea solo caos e distruzione. Eravamo d'accordo di non intralciarci e che avremmo dovuto cercare di tenere il ragazzino sempre tra il Bene e il Male, senza mai far prevalere una delle due parti, ma con questa storia dei miracoli l'hai letteralmente conquistato e io non ho niente da contrapporre. Niente che possa avere la stessa presa sulla sua mente. -
Nonostante tutto, Aziraphale non poté impedirsi di fare un sorrisetto. - Allora, alla fine, ammetti che il Bene ha una marcia in più, eh? -
Gli occhi d'oro di Crowley mandarono un lampo da sotto le lenti nere. - Non ci provare, angelo. Non mi strizzo in ridicoli abiti da donna vittoriana ogni giorno per vedere l'Anticristo, il figlio di Satana, intraprendere la strada del Bene. È ancora piccolo e, se abbiamo fortuna, il ragazzo dimenticherà presto tutta questa storia e noi saremo di nuovo pari, ma non provare mai più a tirarmi uno scherzo simile. I miei superiori non sarebbero felici di sapere che L'Avversario, la Grande Bestia, il Distruttore di Mondi si sta avviando verso la luce. -
Aziraphale fece un cenno d'assenso. - Va bene, Crowley. Hai la mia parola. -
Il demone parve soddisfatto e ingollò una generosa sorsata di vino dal bicchiere davanti a sé, per poi passare la bottiglia ad Aziraphale, che, a sua volta, si riempì il proprio.
- E comunque non è affatto vero che i demoni non possono compiere miracoli. Tu ne sei la prova vivente. -
- Che accidenti vuoi dire? -
Aziraphale prese un sorso di vino, poi sorrise di nuovo a Crowley. - Be', sei il migliore amico di un angelo e un angelo è il tuo migliore amico. Se non è un miracolo questo! -


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Friends will be friends ***


friends



Friends will be friends

When you’re in need of love

they give you care and attention

Friends will be friends

When you’re through with life and all hope is lost

Hold out your hands cos friends will be friends right till the end


Friends will be friends, Queen, 1986




Era una tranquilla notte di fine estate: le cicale frinivano pigramente, la luna e le stelle splendevano nel cielo terso e uno strano senso di serenità pervadeva l'aria, come quando si ha la sensazione di aver superato un grosso ostacolo o scampato un pericolo al quale, tuttavia, non si riuscirebbe a dare un nome.
Naturalmente gli umani non potevano sapere di essere appena scampati per un soffio all'Apocalisse, e dunque si limitavano a gioire di quell'inspiegabile sensazione e a vivere la propria vita come al solito, magari concedendo al prossimo qualche sorriso e atto di gentilezza in più.
Ma qualcuno sulla terra non si sentiva per niente sollevato, tutt'altro!
Due individui legati da un'amicizia tanto profonda quanto improbabile se ne stavano infatti seduti sui sedili di un autobus, semi-deserto a quell'ora tarda,diretto da Tadfield a Londra, entrambi piuttosto in ansia all'idea del futuro che li attendeva.
La loro conversazione sarebbe stata incomprensibile per chiunque non fosse stato al corrente del fatto che i due amici in questione fossero un angelo del Cielo e un demone dell'Inferno che si erano intromessi nella serie di eventi che aveva portato a rinviare la distruzione del mondo, con grande disappunto dei loro colleghi.
- Non saranno contenti, Crowley. - stava dicendo l'angelo. - Aspettavano l'Armageddon da secoli. Non ce la faranno passare liscia stavolta, né i miei né i tuoi. -
- Sì, temo proprio che vorranno farcela pagare per avergli rovinato la resa dei conti. E, se conosco bene quelli della mia fazione, saranno fin troppo felici di avere un pretesto per torturarmi. -
- E se non volessero limitarsi alla tortura? - chiese Aziraphale, con un lampo di preoccupazione a oscurargli le iridi chiare.
- Che vuoi dire? - domandò Crowley aggrottando le sopracciglia.
- Be', gliel'abbiamo combinata davvero grossa e ormai sanno del nostro sodalizio. Tu non pensi che intendano... liberarsi di noi definitivamente? -
Crowley avvertì un improvviso brivido lungo la schiena.
- Belzebù, Hastur e il resto della cricca non aspettano altro. - assentì. - Farmi fuori gli darebbe più piacere che torturare migliaia di umani ma non credo che tu corra davvero questo rischio, Aziraphale. Insomma, gli angeli non oserebbero mai uccidere uno di loro, giusto? -
L'altro sospirò e abbassò lo sguardo mestamente. - Lo credevo anch'io. Ma negli ultimi giorni ho avuto modo di conoscere un lato dei miei simili che non pensavo potesse esistere. Un lato sanguinario e bellicoso che non mi fa ben sperare per la mia sorte. Voglio dire, sapevo che a volte possono lasciarsi prendere un po' la mano quando si tratta di giustizia divina, ma non immaginavo che amassero tanto l'idea della guerra e del sangue. No, mio caro: non mi aspetto alcuna clemenza da parte loro. -
- Ma... ma non possono farlo! Insomma, stiamo parlando di angeli! Che fine hanno fatto la pietà, il perdono, la misericordia e tutte quelle altre sciocchezze che la tua parte va predicando da sempre? -
Aziraphale sorrise tristemente davanti all'indignazione dell'amico ma scosse la testa in un gesto che esprimeva una tacita rassegnazione.
- Ok, allora diciamo che hai ragione tu. - esordì Crowley in tono pratico come se si trattasse di risolvere un semplice problema matematico. - Non esiste una grande scelta di metodi per annientare un angelo e un demone. Le fiamme infernali e l'acqua santa sono le uniche cose che possono davvero distruggerci. -
Aziraphale fece un cenno d'assenso col capo. - Esatto. E ho paura che Paradiso e Inferno non si farebbero scrupoli ad usare l'uno le armi dell'altro pur di eliminarci, in fondo, ai loro occhi, siamo colpevoli di alto tradimento e una vergogna per la categoria. -
- Credi davvero che arriverebbero a tanto? -
L'angelo distolse lo sguardo e prese a guardarsi le mani abbandonate in grembo mentre Crowley sollevò gli occhiali scuri dal naso e si passò una mano sul viso con un sospiro stanco.
Fuoco infernale per Aziraphale, acqua santa per Crowley. Le loro vite millenarie, la loro amicizia... erano davvero destinate a finire così? Giustiziati dai loro simili nel modo più brutale possibile?
Nello stesso momento, le menti dei due vennero inondate di spaventose immagini riguardanti le rispettive esecuzioni. Non tanto la propria, quanto quella dell'altro.
Aziraphale vedeva davanti agli occhi che scrutavano l'oscurità fuori dal finestrino il tremendo spettacolo del suo migliore amico corroso dall'effetto devastante dell'acqua santa. Ne poteva sentire le urla di dolore, poteva scorgere la vita abbandonarlo per lasciare a terra solo un mucchietto di vestiti neri e null'altro.
Crowley, d'altro canto, si trovava a contemplare l'immagine dell'angelo circondato dalle fiamme infernali che gli mordevano la carne, l'anima e lo facevano gemere di sofferenza prima di consumarlo del tutto.
Erano pensieri strazianti per entrambi. Insopportabili.
E pensare che il fuoco infernale avrebbe a stento provocato il solletico a Crowley, mentre l'acqua santa sarebbe stata per Aziraphale niente più che normalissima e rigenerante acqua fresca.
Fu allora che i due ebbero la stessa folle idea e i loro sguardi accesi di nuova speranza s'incontrarono.
- Angelo? E se... -
- Pensi quello che penso io? -
- Sarebbe pericoloso. -
- Sarebbe una pazzia. -
- Ma potrebbe funzionare. -
- Io salverò te e tu salverai me. Vivremo entrambi. -
- Oppure no, ma non cambierebbe poi molto alla fine. Quantomeno, sapremo di aver fatto un tentativo. -
- Non permetterò che ti sciolgano nell'acqua santa. -
- E io non permetterò che tu venga gettato tra le fiamme infernali. -
- Siamo d'accordo allora? -
- Tu te la senti? -
- Sì, se te la senti tu. -
- Allora siamo d'accordo. -
- Facciamolo. -
- Ci guarda qualcuno? -
I due fecero scorrere lo sguardo tutto intorno ma gli unici altri passeggeri del bus erano un ragazzino la cui attenzione era tutta per il cellulare, una signora che dormiva con la testa reclinata all'indietro sul sedile (non proprio un bello spettacolo), una coppietta troppo intenta a scambiarsi effusioni per accorgersi di ciò che li circondava e, naturalmente, il conducente, che però teneva gli occhi fissi sul percorso.
Angelo e demone unirono la propria mano destra alla sinistra dell'altro, pronti a scambiarsi le identità e a tentare il tutto per tutto pur di sopravvivere.
- Angelo? -
- Sì? -
- Se le cose non dovessero andare a finire bene... Be', sappi solo che è stato un onore e un piacere conoscerti. -
- L'onore e il piacere sono stati miei, Crowley. -
- Come dice quella canzone? “Gli amici saranno amici fino alla fine”. -
Aziraphale annuì con decisione e strinse più forte la mano di Crowley nella sua. - Fino alla fine. -




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I'm in love with my car ***


car





Oooh

The machine of a dream, such a clean machine

With the pistons a pumpin’, and the hubcaps all gleam

When I’m holding your wheel

All I hear is your gear

With my hand on your grease gun

Mmm it’s like a disease son

I’m in love with my car, gotta feel for my automobile

Get a grip on my boy racer rollbar

Such a thrill when your radials squeal


I'm in love with my car, Queen, 1975




Di tutte le diavolerie che gli umani si erano inventati nel corso della Storia, Crowley trovava che nessuna fosse utile e spassosa quanto l'automobile.
Aveva sempre odiato viaggiare a cavallo, era così scomodo! Il suo demoniaco didietro ne risentiva per settimane ogni maledetta volta che, per un motivo o per l'altro, gli toccava affrontare un tragitto appollaiato sul dorso di una di quelle bestie, bellissime ma decisamente inadatte a sorreggere un umano cavalcioni per giorni interi. Per non parlare del tempo che ci si impiegava a coprire anche le distanze più brevi! E del fatto che non ci fossero tettuccio o tergicristalli che potessero proteggere dalle intemperie! E della mancanza del riscaldamento o del climatizzatore automatizzato! E dell'odore terribile! E delle pulci!
Insomma, quando l'automobile aveva fatto la sua comparsa sulla terra, Crowley non avrebbe potuto esserne più felice ed entusiasta.
Erano i ruggenti anni '20 (precisamente il 1926) quando il demone aveva posato per la prima volta i suoi occhi d'oro su quella meraviglia a quattro ruote: la carrozzeria nera fiammante tirata a lucido e fresca di cera rifulgeva come il manto dello stallone più bello al mondo non avrebbe mai potuto fare. E il rombo possente del motore era, alle orecchie del demone, il suono più dolce ed eccitante che avesse mai udito, tutt'altra cosa rispetto al nitrire acuto di un cavallo.
Non ci aveva pensato due volte a comprarla e, da quel momento, la sua Bentley era diventata la cosa più preziosa che possedesse, nonché la sua fedele compagna di tanti viaggi che non lo deludeva mai e ubbidiva ai suoi desideri quasi senza che lui avesse bisogno di toccare i comandi.
Gli piaceva stringere tra le mani il volante e sentire come l'auto prendeva vita sotto di lui quando girava la chiave per accenderla.
Ogni tanto le parlava perfino. Oh, non come parlava alle sue piante, assolutamente no! Con la sua adorata Bentley era solito ricorrere ad un tono di voce suadente e vellutato, come quello che si riserva in genere ad un'amante.
La prima volta che aveva fatto salire Aziraphale (unico passeggero al quale avesse mai concesso l'onore di montare sulla sua amata auto), l'angelo, ancora abituato alle carrozze, si era guardato intorno con aria diffidente, scrutando ogni angolo dell'abitacolo come se si aspettasse di veder esplodere qualcosa da un momento all'altro.
- Crowley? Sei certo che questa, ehm... 'cosa', sia sicura? -
Il demone gli aveva lanciato uno sguardo di fuoco da sotto le lenti scure. - Lei non è una 'cosa', angelo. Lei è la mia splendida auto e non ti permetterò di mancarle di rispetto o di insultarla. Se non ti sta bene, puoi anche scendere e fartela a piedi. -
Da quel primo viaggio, Aziraphale invocava la protezione di tutti i suoi compagni angeli del Cielo ogni volta che saliva sulla Bentley, non tanto per sé quanto per i malcapitati che avevano la sfortuna di incrociare il destriero cromato di Crowley che, come guidatore, era un tantino spericolato.
Il demone non permetteva che un solo granello di polvere intaccasse lo splendore della carrozzeria e se per caso si accorgeva di qualche piccola ammaccatura, gli bastava uno schiocco di dita o un lieve soffio di alito demoniaco per sistemarla.
Così, la Bentley aveva ormai raggiunto la veneranda età di novant'anni conservando lo stesso aspetto di quando Crowley l'aveva acquistata... fino a quella cruciale traversata della M25 in fiamme a poche ore dal compiersi dell'Apocalisse.
Anche in quell'ultimo viaggio si era dimostrata all'altezza della situazione e aveva portato il demone sano e salvo a destinazione, in quel caso la base aerea di Tadfield: un'ultima eroica performance prima di quella tremenda esplosione.
Crowley era crollato in ginocchio sull'asfalto, gli occhi sbarrati che contemplavano con orrore ciò che rimaneva della sua auto consumarsi inesorabilmente tra le fiamme e una densa colonna di fumo nero che saliva verso il cielo.
Era una fine gloriosa, degna di un'automobile come quella, ma pur sempre una fine. In qualche modo, anche una parte di Crowley stesso stava bruciando insieme alla Bentley e lui si sentiva sgomento e triste come se si fosse appena separato per sempre da un caro amico.


Era stato Aziraphale a comunicargli, il giorno dopo la quasi Apocalisse, che la sua auto era tornata come nuova e lo attendeva parcheggiata fuori dal palazzo dove il demone abitava.
Così, una volta “sistemate le cose” con il Paradiso e l'Inferno ed essere rientrati nei rispettivi corpi, i due avevano preso un taxi e si erano precipitati a casa di Crowley e, proprio come aveva detto l'angelo, davanti alla porta d'ingresso trovarono l'impavida auto d'epoca che solo il giorno prima aveva sfidato l'anello di fuoco della M25.
- Allora? Sei felice di riavere la tua cara Bentley? -
Crowley non rispose, invece abbassò il capo e posò una mano sul cofano con estrema delicatezza, come se temesse di vederla svanire all'improvviso o che si sbriciolasse sotto le sue dita.
Anche se il demone gli dava le spalle, Aziraphale fu quasi certo di aver intercettato una piccola lacrima sfuggire lungo la sua guancia da sotto lo schermo degli occhiali.
- Ciao, vecchia amica. - sussurrò Crowley. - Di nuovo insieme, eh? -
L'angelo sospirò e sorrise: gli piacevano i lieti fini e quello lo era davvero... o forse si trattava piuttosto di un lieto inizio?
Non ne era sicuro ma venne sollevato da quel dilemma filosofico quando Crowley si voltò verso di lui, aprendo lo sportello della Bentley. - Un giretto d'inaugurazione, angelo? -
- Ma certo! Potremmo andare in centro e provare quella nuova pasticceria francese. - suggerì Aziraphale, speranzoso. - Ho sentito che hanno i macarons migliori del mondo e credo di non averne più mangiato uno decente dai tempi di Maria Antonietta. -
- E allora, che pasticceria francese sia! - esclamò Crowley, sedendosi al posto di guida e accarezzando il volante, nuovo di zecca eppure vecchio di quasi un secolo.
Non era cambiato niente: la sua fedele Bentley era identica a come era sempre stata, fatta eccezione per quel lieve odore tipico delle auto nuove che poi svanisce nel giro di qualche giorno.
Lo sguardo del demone cadde sul vano del cruscotto dove conservava i CD audio e notò che anche quelli erano esattamente gli stessi del giorno prima. Chissà se anche “quella cosa” era rimasta uguale...
- Qualcosa non va? - domandò Aziraphale, il quale si era appena accomodato dal lato del passeggero e aveva prudentemente allacciato la cintura di sicurezza.
Crowley stava osservando la sua collezione di CD con aria assorta.
- No, è tutto a posto. Voglio solo fare una prova. - disse, scegliendo un album dei Velvet Underground e inserendolo nell'autoradio.
Il demone rimase in attesa di udire l'ipnotica melodia di Sunday morning, invece, dalle casse, irruppero le graffianti note della chitarra elettrica di Brian May che davano inizio a I'm in love with my car, pezzo storico dei Queen.
Crowley sorrise, felice che anche quello strano difetto fosse rimasto invariato.
Mise in moto e la Bentley sembrò salutare il suo padrone con un rombo particolarmente vigoroso. Era tornata dall'aldilà delle automobili più in forma che mai e Crowley partì con una sgommata liberatoria alla volta del centro di Londra, mentre la voce di Roger Taylor cantava quell'inno d'amore che ogni automobile del mondo avrebbe voluto sentirsi dedicare.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Crazy little thing called love ***


CRAZY

This thing called love

I just can’t handle it

This thing called love I must get round to it

I ain’t ready

Crazy little thing called love


Crazy little thing called love, Queen, 1980



Anche quell'anno febbraio era arrivato, succedendo a gennaio in un tripudio di neve e gelo, e portandosi dietro una delle ricorrenze più amate o detestate dagli umani, a seconda dei casi: San Valentino.
Non che per Crowley la festa degli innamorati avesse qualche importanza, ma quel genere di occasione (il Natale in primis) era sempre l'ideale per far fruttare al massimo le sue malefatte. Non c'era infatti periodo migliore di San Valentino per seminare zizzania e discordia: bastava un nonnulla per scatenare le ire di fidanzate isteriche dalle pretese discutibili o per portare all'esasperazione fidanzati e mariti che non sapevano più come raccapezzarsi tra cuori, rose, cioccolatini, bigliettini di auguri, prenotazioni di ristoranti e regali vari.
Per quel che lo riguardava, l'amore era un pretesto formidabile dietro il quale spesso operava la sua fazione: molte azioni esecrabili e meschine venivano commesse ogni giorno in nome di quel sentimento così nobile che era tanto caro agli umani e che essi tiravano in ballo ogni volta che dovevano giustificare il proprio discutibile operato. Bastava dire: “L'ho fatto per amore” per essere quasi sicuri di ricevere comprensione, solidarietà e forse perfino perdono dai propri simili, indipendentemente dal crimine commesso e dalla sua gravità.
Aveva sentito dire molto spesso che essere davvero innamorati significava mettere la persona amata davanti ai propri desideri egoistici. Mettere il bene dell'altro al di sopra del proprio, insomma.
Ma l'amore non faceva per lui, era più roba da angeli. Aziraphale, per esempio, riusciva a percepirlo intorno a sé, nei luoghi che ne erano impregnati.
E San Valentino era la festa dell'amore per eccellenza, anche se Crowley ricordava bene il martirio del santo in questione, visto che nel lontano 14 febbraio 273 d.C. si trovava a Roma e aveva presenziato in prima persona al macabro spettacolo, e proprio faticava a far collimare quelle immagini di sangue e tortura con i cuoricini rosa e le svenevolezze tipiche di quella ricorrenza.
Se gli umani del XXI secolo avessero avuto modo di assistere con i propri occhi a quella sequela di crudeltà indicibili, col cavolo che avrebbero eletto quel poveraccio a protettore degli innamorati, il quale, per inciso, era anche patrono degli epilettici (coincidenza?).
In ogni caso, l'umanità aveva un talento innato per cannibalizzare eventi come quello, occultandone le vere origini, svuotandoli del loro significato e sacrificandoli sull'altare del consumismo e della banalità.
Ma tutto questo rendeva solo più facile il compito di Crowley che, guarda caso, era appena passato accanto ad una coppia che stava litigando furiosamente a causa di un messaggio apparso all'improvviso (e senza alcun aiuto da parte di un certo demone) sul cellulare di lui: un messaggio alquanto compromettente da parte di un'altra lei.
Crowley sospirò: gli umani erano così prevedibili! Ricorrere sempre ai soliti vecchi trucchi per portare a termine la sua missione era diventato quasi noioso... ma quegli espedienti funzionavano ancora perfettamente e i suoi capi sarebbero stati soddisfatti del lavoro svolto, e tanto bastava.
Ma un povero demone doveva pur riposarsi un attimo e prendersi una pausa tra una tentazione e l'altra e non c'era posto migliore della libreria di Aziraphale per concedersi un break in compagnia di un amico e di una bottiglia di vino pregiato.
Mentre si avviava verso l'ingresso dell'edifico, Crowley pregustava già sulle labbra il sapore di un buon sorso di Chateauneuf-du-Pape dunque fu un'amara sorpresa quella di trovare il cartello con la scritta 'CHIUSO' che lo attendeva affisso alla porta.
Chiuso? Com'era possibile?
Crowley controllò l'orologio che portava al polso ma poté verificare solo ciò di cui già era sicuro: non era orario né tantomeno giorno di chiusura.
Doveva esserci un motivo ben preciso per quella strana circostanza e lui era determinato a scoprirlo.
Facendosi beffe dell'avviso scritto a chiare lettere sul cartello, il demone schioccò le dita e la serratura dell'uscio scattò docilmente con un pigro “clack”.
Crowley entrò e all'interno della libreria trovò tutto come al solito, fatta eccezione per la totale assenza di clienti, che comunque non erano mai troppo numerosi.
- Aziraphale? - chiamò. - Aziraphale? Ci sei? -
Dal retrobottega, dove l'angelo aveva ricavato anche un piccolo appartamento per sé, arrivò una voce cavernosa che Crowley stentò a riconoscere come quella del suo migliore amico. - Siamo ghiusi! -
- Aziraphale, sono io, Crowley. Stai bene? -
- Vaddene via, Crowley. Non hai leddo il cardello? Siamo ghiusi! -
- E da quando mi fermo davanti a uno stupido cartello? -
- Ti ho deddo di addare via! -
- Angelo, va tutto bene? -
- Sì, sì, è tuddo a posdo, ora va', ber favore... e, e... EEEEETCHUUUU! -
Del tutto incurante delle parole di Aziraphale e sempre più curioso di capire cosa stesse succedendo, Crowley si affacciò sulla soglia del retro della libreria e vide l'angelo avvolto in una vestaglia di flanella sdraiato sul divano, con una coperta patchwork e una quantità esorbitante di fazzoletti usati sparsi tutt'intorno.
I suoi occhi chiari erano lucidi e lo sguardo offuscato, il naso e le gote arrossate spiccavano sulla pelle pallida del viso e i capelli d'oro erano tutti scarmigliati sul cuscino che sorreggeva il capo dell'angelo. Nel complesso, aveva davvero una pessima cera.
- A... Aziraphale? Sei tu? -
- Ma ceddo ghe sono io, Crowley. E non guaddarmi così! -
- Ma che ti è successo? - domandò il demone, combattuto tra la voglia di ridere e la preoccupazione nel vedere l'amico ridotto in quel modo.
L'espressione di Aziraphale si fece ancora più depressa. - Non mi va di barlarne. -
- Sembra quasi che tu ti sia preso il raffreddore. - commentò Crowley, ignorandolo. - Ma questo è impossibile. Le entità sovrannaturali non si ammalano, neanche se sono incarnate in un corpo dalle sembianze umane. -
L'angelo abbassò gli occhi e prese a tormentare un lembo della coperta, avvilito e un tantino imbarazzato.
- Mi hanno faddo un righiamo. - ammise infine, sull'orlo delle lacrime. - Solo ghe quedda volda mi hanno anghe punido. Digono ghe se mi piace gosì dando sdare sulla derra, allora è giusdo che gonosga anghe i ladi negadivi. -
- E quindi ti hanno fatto provare l'esperienza del raffreddore? - rise Crowley.
- Non g'è niedde da ridere. - replicò Aziraphale, immusonito. - Ho anghe la febbre e sdo malissimo! -
- Non puoi fare un miracolo e guarirti da solo? -
L'angelo scosse la testa mestamente. - Me l'hanno viedado. È gosì umiliande. -
Crowley smise di ridacchiare e un'ombra di tenerezza gli attraversò il viso. Vedere Aziraphale in quello stato risvegliava in lui una sorta di arcano istinto di protezione che nemmeno sapeva di possedere.
Alla fine sospirò. - Be', non sarò in grado di rimetterti in piedi completamente, ma posso almeno fare questo. -
Così dicendo schioccò le dita, si udì uno sgradevole rumore simile a un risucchio e il naso intasato di Aziraphale ebbe finalmente un po' di sollievo. L'angelo inspirò a fondo come un naufrago che fosse stato sul punto di annegare.
- Grazie, Crowley. Va molto meglio. -
- Bah, non ringraziarmi. Non l'ho fatto per te. È solo che quel tuo modo di parlare mi stava irritando parecchio. -
- Certo, certo. - annuì Aziraphale con un sorriso stampato sul volto terreo e lucido.
- E levati quel sorrisetto dalla faccia, angelo. Comunque, ero passato a farti un saluto ma credo sia molto meglio che me ne vada. Non voglio che mi attacchi i tuoi germi angelici, e poi ho un sacco di disastri da combinare in vista di San Valentino. -
- Oh, Cielo benedetto! - esclamò l'angelo, facendo sobbalzare Crowley.
- Che cavolo ti prende ora? -
- San Valentino! - gridò Aziraphale mettendosi le mani tra i capelli. - Mancano pochi giorni! -
- E allora? -
- Avevo in programma di compiere qualche piccolo miracolo per diffondere gioia e armonia tra gli innamorati ma non posso farlo standomene chiuso qui. -
L'angelo scattò in piedi facendo scivolare a terra la coperta. - Devo rimettermi subito al lavoro. Devo... devo... -
Ma Aziraphale non fece in tempo a concludere la frase perché la stanza iniziò a girare forsennatamente intorno a lui e le ginocchia minacciarono di cedere sotto il suo peso.
Sarebbe crollato a terra se Crowley non si fosse precipitato a sorreggerlo. - In queste condizioni dubito che tu possa ottemperare ai tuoi doveri, angelo. -
Infischiandosene delle deboli proteste di Aziraphale, Crowley lo fece sdraiare di nuovo sul divano, poi raccolse la coperta e gliela mise addosso.
- Non posso restare indietro col lavoro. - si lamentò. - San Valentino è sempre un momento propizio per far nascere l'amore tra gli umani e spingerli a commettere buone azioni. -
Per la seconda volta, Aziraphale tentò di alzarsi, ma Crowley lo risospinse tra i cuscini senza troppi complimenti.
- Tu non vai da nessuna parte, angelo. Non finché non ti sarai ripreso. Agli umani occorrono circa dai tre ai sette giorni per guarire completamente e credo che sarà lo stesso per te. I tuoi superiori ti hanno giocato proprio un bello scherzetto, e poi saremmo noi demoni quelli malvagi! -
- Ma avevo così tante idee per... e... eeeEEEEEETCHUUUU! -
Crowley si ritrasse dalla traiettoria dello starnuto con aria leggermente disgustata, poi passò un fazzoletto ad Aziraphale che lo ringraziò e si soffiò rumorosamente il naso. Era una situazione decisamente poco dignitosa per un angelo che un tempo aveva brandito una magnifica spada di fuoco.
Di nuovo, il demone venne assalito dalla bizzarra ondata di tenerezza che l'aveva colto poco prima e sentì il forte desiderio di fare qualcosa per l'amico.
- Vado a prepararti una tazza di tè con del miele, gli umani dicono che sia un rimedio eccezionale per l'influenza. -


Pochi minuti più tardi, il demone tornò dalla piccola cucina con una tazza fumante tra le mani, che porse ad Aziraphale.
- Senti, ci ho pensato un po'. - iniziò Crowley, sedendosi a sua volta sul divano, accanto ai piedi dell'angelo. - Sarebbe sleale andarmene in giro per la città a combinare guai con te bloccato qui. Dunque, hai la mia parola che sospenderò tutte le mie attività demoniache fino a quando non sarai di nuovo in grado di fare la tua parte per bilanciare le cose. -
Aziraphale smise di bere e lo guardò con stupore. - Faresti questo per me? -
Crowley distolse lo sguardo e scrollò le spalle. - Ora non farla tanto lunga. -
- Ma... ma i tuoi capi? Non si arrabbieranno? -
- Be', sì. - ammise Crowley stringendosi nelle spalle con aria noncurante. - Credo che non saranno troppo contenti, ma non sarà la fine del mondo, giusto? -
- Rischieresti l'ira dei tuoi... per me? -
- Non essere stupido! Sto solo cercando di essere un avversario leale. Non c'è gusto a far danni se nessuno prova a fermarti. -
- Grazie. - ripeté Aziraphale. - Questo è un gesto davvero molto gent... -
- Non dirlo neanche per scherzo, angelo! Non osare dire quella parola. Lo sai che non la sopporto! -
Aziraphale tacque e continuò a sorseggiare il tè, sentendosi improvvisamente molto meglio.
Intanto, nella mente di Crowley, aveva preso forma un pensiero non richiesto che, in quel momento, sembrava proprio un colossale sberleffo nei suoi confronti: l'amore è mettere il bene dell'altro al di sopra del proprio.
Che fosse dannata quella piccola, pazza cosa chiamata Amore!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Another one bites the dust ***


dust

How do you think I’m going to get along,

Without you when you’re gone

You took me for everything that I had,

And kicked me out on my own

Are you happy, are you satisfied ?

How long can you stand the heat ?

Out of the doorway the bullets rip

To the sound of the beat

Another one bites the dust


Another one bites the dust, Queen, 1980





- Stupido, stupido, STUPIDO! -
Crowley aveva lasciato Aziraphale al palco musicale nel centro del parco ed era tornato alla Bentley, proprio mentre il cielo, fattosi scuro come la notte, iniziava a tuonare minacciosamente: un ottimo preludio sia musicale che scenografico per l'imminente Apocalisse.
Gli capitava di rado di arrabbiarsi... di arrabbiarsi sul serio.
Come demone aveva un'innata propensione a spingere al limite la pazienza altrui per il semplice gusto di scoprire dove questa avrebbe infine ceduto. Gli piaceva provocare, gli piaceva stuzzicare e conoscere le debolezze degli altri per approfittarsene e trarne divertimento per sé.
Non era esattamente uno stinco di santo (e come avrebbe potuto?) ma era molto raro che Crowley si sentisse ribollire di furia come una teiera in procinto di esplodere per la pressione causata dal troppo vapore.
Ma quel giorno era successo: il vaso era traboccato, il confine era superato, le carote erano cotte (come dicevano i francesi) e tutto per colpa di quell'idiota di Aziraphale che ancora si ostinava ingenuamente a credere che l'Armageddon si potesse fermare parlandone con calma e ragionevolezza ai suoi colleghi angeli, magari davanti a una tazza di tè e una scatola di biscotti.
Stupido!
Aveva rotto la loro alleanza millenaria, aveva deciso di schierarsi con la fazione alla quale apparteneva per nascita piuttosto che restare al suo fianco, uniti nell'unica fazione che avesse mai avuto veramente una qualche importanza: la loro.
Per cosa poi? Perché eoni prima era stato stabilito che angeli e demoni fossero nemici predestinati e che i primi incarnassero il bene assoluto e i secondi il suo diretto contrario?
Crowley aveva vissuto sulla terra abbastanza a lungo da imparare che le cose non stanno mai davvero in questo modo; non è così semplice. Niente è mai del tutto bianco o del tutto nero e angeli e demoni non facevano eccezione a questa regola universale.
Anche Aziraphale lo sapeva, eppure, proprio nel momento in cui avrebbero dovuto essere più uniti che mai per fronteggiare gli eventi terribili che si paravano loro dinanzi, gli aveva rinfacciato la solita vecchia storia della predestinazione e della conseguente impossibilità di un loro fronte comune.
In quei casi, la mente di Crowley correva ogni volta a Shakespeare e alla sua opera più famosa. Si era sempre figurato angeli e demoni come una sorta di Montecchi e Capuleti, e lui e Aziraphale costretti a vedersi clandestinamente sapendo di infrangere tutte le regole proprio come Romeo e Giulietta. Solitamente, quest'immagine lo faceva ridacchiare: si vedeva davanti agli occhi l'angelo vestito in abiti da dama medievale affacciato a un balcone a sospirare e scrutare il cielo con aria assorta e sognante... ma non quel giorno.
Perché Romeo si era rotto le scatole di guardare la finestra di Giulietta dal basso del giardino e di sentirsi dire che no, lei non avrebbe voltato le spalle alla sua angelica famiglia nonostante si stessero tutti comportando come invasati pronti a distruggere il mondo solo per affermare la propria supremazia sull'Inferno.
No, Romeo le aveva dato un'ultima possibilità di collaborare, di unire le loro forze per tentare un disperato e assai poco probabile salvataggio in extremis della terra e di tutti i suoi abitanti, ma da Giulietta era arrivato l'ennesimo rifiuto e Romeo era salito a bordo della sua Bentley sbattendo la portiera e maledicendo il piano ineffabile, il piano divino, santi, diavoli e soprattutto lui: l'angelo che aveva avuto l'ardire di insediarsi nel suo cuore per poi tradirlo in quel modo.
Ma se ne sarebbe accorto presto! Oh, sì! Aziraphale si sarebbe reso conto dell'errore madornale che aveva appena compiuto!
Pensava davvero che lui, Crowley, avesse intenzione di andarci di mezzo per colpa sua? Col cavolo! Nossignore! Lui aveva ben altri progetti che stare a guardare la terra soccombere sotto i colpi inferti dagli eserciti contrapposti del Paradiso e dell'Inferno.
L'universo era grande: sarebbe partito per un altro pianeta, un'altra galassia, un altro sistema solare e poco importava se il suo migliore amico non sarebbe stato al suo fianco.
In fondo, cos'erano seimila anni di complicità, risate, litigate, collaborazione, scambi di favori alle spalle dei loro capi? Quanto valeva davvero la loro cosiddetta “amicizia”?
A quanto pareva meno di zero, per quanto riguardava l'angelo.
- Spero che tu sia contento ora! Spero che tu sia soddisfatto! - inveì Crowley, parlando ad un immaginario Aziraphale seduto accanto a lui nell'abitacolo della Bentley. - Hai preso quello che c'era fra noi, qualunque cosa fosse, e l'hai gettato nel grande cesso ineffabile. Ma te ne accorgerai, angelo: non durerai cinque minuti senza di me, in questa guerra. Perché fuori dalle mura della tua adorata libreria volano proiettili, e quando uno finirà per colpirti, allora sarai solo un altro che avrà morso la polvere. Niente di più. -
Avrebbe voluto poterci credere sul serio, ma nell'istante stesso in cui pronunciò quelle frasi dure, seppe che si trattava solo di un mucchio di fesserie.
Forse, alla fine, anche lui avrebbe morso la polvere.



Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Seaside rendezvous ***


AVVISO: Scusate per la formattazione assurda del primo paragrafo ma non sono proprio riuscita a risolvere il problema con il programma. s


Seaside whenever you stroll along with me

I’m merely contemplating what you feel inside

Meanwhile I ask you to be my Clementine

You say you will if you could but you can’t

I love you madly

Let my imagination run away with you gladly

A brand new angle highly commendable

Seaside rendezvous



Seaside rendezvous, Queen, 1975




D'estate non sono solo gli umani ad apprezzare una sana fuga dalla città in favore magari di un suggestivo paesino della costa lambito dall'oceano.
Anche demoni e angeli infatti hanno bisogno di ristorarsi un po' dalla calura estiva. O, per essere più precisi, demoni e angeli che da seimila anni si sono incarnati in un corpo per vivere sulla terra, corpo che patisce le alte temperature al pari di quello degli umani.
Aziraphale e Crowley si erano messi in viaggio da Londra alle prime luci dell'alba di quella che si preannunciava come un'altra torrida giornata di luglio proprio con l'intenzione di spendere qualche ora distesi al sole sulla spiaggia, magari sorseggiando un cocktail tropicale con tanto di ombrellino.
Il canale radio della BBC aveva annunciato che una frana avvenuta nella notte (fortunatamente senza danni a cose o persone) aveva reso impossibile raggiungere una deliziosa spiaggetta tra le scogliere molto gettonata da turisti e locali in fuga dal caldo e che rimasero molto delusi nell'udire quella notizia. I loro piani per la gita al mare erano rovinati: avrebbero dovuto cercarsi un altro posto per stendere il loro asciugamano e piantare l'ombrellone, ma sapevano che non sarebbe stata la stessa cosa.
L'annuncio era stato ascoltato anche da Aziraphale e Crowley, a bordo della Bentley ma, mentre il primo aveva emesso un gemito di delusione, sulle labbra dell'altro era comparso un sorrisetto compiaciuto che non sfuggì all'angelo.
- Ti prego, non dirmi che è stata opera tua. -
- D'accordo. Non ti dirò che è stata opera mia. Contento? -
- Una frana?! Sul serio? -
- Perché ti scaldi tanto, angelo? -
- Qualcuno avrebbe potuto farsi male! -
- Mi hai preso per un dilettante, per caso? - ribatté Crowley, offeso. - Mi sono assicurato che non ci fosse nessuno nei paraggi e che non venissero coinvolte abitazioni o altri edifici. -
- Si tratta comunque di un abuso di potere. - insistette Aziraphale.
- Non più di quanto lo sia far liberare per miracolo un tavolo al Ritz, e comunque non credo che avresti preferito trovare una folla di agguerriti vacanzieri pronti a tutto pur di accaparrarsi un posto libero sulla sabbia e magari rischiare di dover condividere venti centimetri quadrati di spazio con dei perfetti sconosciuti in costume e tutti sudati. Ti assicuro che abbiamo cerchi dell'inferno meno sovraffollati e sgradevoli di quella spiaggia nel weekend. -
Nonostante il suo angelico senso di giustizia, che ancora gli impediva di accettare di buon grado quel gesto scorretto, Aziraphale dovette infine arrendersi davanti all'argomentazione più che valida e convincente avanzata da Crowley.


Circa un'ora più tardi, la Bentley riemerse miracolosamente indenne e senza un graffio dal tratto di strada impedito dalla frana e circondato da un nastro bianco e rosso con la scritta 'PERICOLO' a caratteri cubitali. Certo, il tunnel dimensionale al quale aveva provveduto Aziraphale era stato decisivo, ma alla fine l'auto arrivò in vista di un'insenatura a mezzaluna tra le scogliere che nulla aveva da invidiare alle spiagge dei Caraibi o delle Maldive.
La sabbia bianchissima e fine come polvere di diamanti rifletteva la luce del sole del mattino e l'acqua cristallina abbracciava tutte le sfumature del blu e del turchese. Tirava un lieve venticello e il mare era calmo.
- Be', siamo arrivati. - annunciò Crowley, inserendo il freno a mano. - Hai visto che fortuna, angelo? Non c'è nessuno. -
Aziraphale gli scoccò un'occhiata di rimprovero ma non disse nulla, invece chiuse gli occhi, allargò le braccia e inspirò a pieni polmoni la brezza che sapeva di salsedine.
- Ti muovi o no? - lo chiamò Crowley, ansioso di fare un tuffo in acqua per rinfrescarsi dopo il viaggio.
- Sì, arrivo subito. Devo solo prendere un paio di cose. -
- Quali cose? -
- Oh, niente. Solo qualche invenzione umana per la spiaggia. -
Aziraphale fece un mezzo giro intorno alla Bentley e aprì il bagagliaio, dopodiché si sporse e vi affondò dentro fino alla vita, letteralmente.
Era infatti un piccolo vezzo di Crowley quello di aver fatto ricorso ad un aiutino sovrannaturale per aumentare la capienza del portabagagli della sua auto, ma non aveva idea di cosa Aziraphale stesse cercando lì dentro.
- Si può sapere che cavolo stai... -
- Ora vedrai! Ci sono quasi! - La voce di Aziraphale suonava lontana e alterata dall'eco. Crowley aveva fatto le cose in grande quando aveva apportato quella modifica al bagagliaio.
Finalmente, l'angelo riemerse da retro della Bentley con le braccia cariche di cianfrusaglie colorate, tra cui pistole ad acqua, un ombrellone a righe con abbinate due sdraio pieghevoli, due gonfiabili (uno a forma di unicorno, l'altro di drago), racchettoni, una palla da beach-volley, due tavole da surf e una coppia di cappelli di paglia.
- Oh, Satana, dammi la forza. - mormorò Crowley alla vista dell'amico che barcollava sotto il peso di tutto quel ciarpame estivo. - Che accidenti vorresti farci con tutta quella roba? -
- Be', ho solo pensato che potremmo provare qualcuno dei divertimenti più comuni a cui gli umani si dedicano in spiaggia... Uffff -
Azirapahle ansimava sotto il peso del suo fardello in equilibrio precario che minacciava di rovesciarsi a terra da un momento all'altro.
Crowley fece un sospiro irritato e intervenne svogliatamente in aiuto dell'amico prima che finisse schiacciato sotto una montagna di articoli da spiaggia.
- Ufffff! Per un pelo. Grazie, Crowley. -
- Forza, andiamo. Voglio buttarmi in acqua prima che questo sole mi frigga il cervello. -


Poco dopo, Aziraphale e Crowley individuarono il punto perfetto dove posizionare sdraio e ombrellone
- Bene. - disse l'angelo, soddisfatto della scelta. - Ora possiamo anche farci un tuffetto. -
I due schioccarono le dita nello stesso momento e i loro abiti vennero all'istante sostituiti da un costume da bagno: quello di Crowley gli arrivava poco sopra le ginocchia ed era nero decorato con delle fiamme rosse e oro sull'orlo, mentre Aziraphale aveva optato per uno di quei vecchi costumi interi da uomo in stile anni '20, a vistose righe bianche e blu.
- Sei molto fashion, angelo. - lo derise Crowley. - Credo che quella fosse l'ultima moda sulle spiagge nel 1925 o giù di lì. -
- Si chiama vintage. - ribatté Aziraphale, piccato.
- Si chiama vecchio. -
- Vogliamo andare a fare questo bagno o no? -
I due entrarono in acqua, sfidando i pigri tentativi delle onde di ricacciarli indietro. Crowley si gettò a capofitto senza pensarci due volte, mentre Aziraphale avanzava prudentemente di qualche passo alla volta, saggiando la temperatura prima di decidere quando tuffarsi, decisione che arrivò quasi obbligata a seguito di una secchiata d'acqua che Crowley gli aveva riversato sulla testa a tradimento, ridendo di gusto.
Al momento, angelo e demone se ne stavano tranquillamente sdraiati sui gonfiabili. Crowley aveva preso il drago mentre Aziraphale si era accomodato sopra l'unicorno.
Si lasciavano dondolare dolcemente dalle onde chiacchierando e guardando le nuvole bianche farsi portare dal vento sullo sfondo blu del cielo.
- Ti va un cocktail? - chiese Aziraphale.
- Un Bloody Mary sarebbe perfetto, angelo. -
- E per me un daiquiri alla fragola. -
Uno schiocco di dita e i cocktail apparvero tra le loro mani, con annessi gli immancabili ombrellini colorati. Aziraphale e Crowley fecero tintinnare i bicchieri e tornarono a godersi le meraviglie di quell'angolo di paradiso, anche se ovviamente il paradiso vero e proprio non era così bello... neanche lontanamente.
A un tratto Aziraphale, che stava seguendo con gli occhi il volo di alcuni gabbiani, si accigliò e Crowley non tardò ad accorgersene.
- A che stai pensando, angelo? -
- Oh, niente di importante. - minimizzò l'altro. - È solo che, a volte, mi piacerebbe poter evadere almeno un po' dalla nostra condizione di angelo e demone. Rilassarmi, sai, staccare dalle responsabilità. -
- Non è forse quello che stiamo facendo proprio adesso? -
Aziraphale annuì con aria assorta. - Sì, ma cosa direbbero i nostri superiori se sapessero che passiamo le giornate a oziare alla maniera degli umani e per di più insieme? -
- Andrebbero fuori di testa. - rispose semplicemente Crowley.
- Sì, - confermò Aziraphale, - è proprio quello che temo. -
Crowley aveva percepito la preoccupazione dell'amico, ma non avrebbe permesso che la sua tendenza ad angustiarsi per niente rovinasse quella giornata.
- Senti, a loro non interessa controllare le nostre attività sulla terra, fintantoché gli lasciamo credere di compiere il nostro dovere. Sono troppo impegnati sia lassù che laggiù per prestare attenzione a noi, quindi smettila di angosciarti e fammi vedere quanto sei bravo con quelle tavole, ché si sta giusto alzando il vento. -
Aziraphale sapeva che Crowley si era prestato a provare il surf solo per distrarlo, ma apprezzò ugualmente il suo gesto, che comunque sortì l'effetto desiderato perché, dopo dieci minuti di tentativi andati miseramente in fumo, la tavola colpì l'angelo dritto sul capo, facendogli dimenticare ogni preoccupazione eccetto quella per il bernoccolo che gli sarebbe spuntato.
Crowley invece si divertiva un mondo a cavalcare le onde e Aziraphale dovette riconoscergli un certo talento.
Dopo il surf toccò al beach volley, poi ai racchettoni e, infine, a un duello serrato con le pistole ad acqua.
Al termine di quelle sfide, i due decisero che il divertimento migliore da adottare in spiaggia era e rimaneva quello preferito da sempre dagli umani: starsene spaparanzati sotto l'ombrellone a sonnecchiare e ad ascoltare il suono gorgogliante delle onde... e così fecero fino a quando il sole, ormai color rubino, non iniziò a calare all'orizzonte, incendiando il cielo e tingendo d'oro la superficie del mare.
Era quasi ora di rimettersi in viaggio per tornare alla solita vita londinese e Aziraphale avvertì una punta di malinconia. Se fosse dipeso da lui, avrebbe trascorso il resto della sua vita eterna su quella spiaggia, insieme a Crowley.
Certo, forse dopo un po' avrebbe iniziato ad avvertire la mancanza dei libri, o dei concerti di musica classica all'Albert Hall, o di quei ristorantini dove era certo di gustare raffinate prelibatezze ogni volta... ok, doveva ammettere che anche la città aveva i suoi vantaggi; l'importante era poterli condividere con la persona giusta o, nel suo caso, il demone giusto.


(Questa Shot è dedicata a Menade Danzante e al suo ritorno su EFP. Bentornata, dearie!)


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Bicycle Race ***


bike

Bicycle bicycle bicycle

I want to ride my…

bicycle bicycle bicycle

I want to ride my bicycle

I want to ride my bike

I want to ride my bicycle

I want to ride it where I like



Bicycle Race, Queen, 1978




Era da un po' che quell'idea si presentava con sempre maggiore frequenza nella mente di Aziraphale. Erano passati due anni dall'estate in cui, almeno ufficialmente, il mondo avrebbe dovuto concludere la sua esistenza e, negli ultimi tempi, l'angelo aveva preso sempre di più a chiedersi come se la stesse passando l'Anticristo. In fondo, era in gran parte merito di quel ragazzino coraggioso se l'Apocalisse era stata infine evitata.
Pensava ad Adam molto spesso e ogni volta veniva pungolato da uno spiacevole senso di colpa e vergogna per aver tentato di ucciderlo, quando ancora era convinto che egli intendesse distruggere la Terra. Se Madame Tracy non avesse ripreso il controllo del suo corpo, del quale l'angelo si stava servendo in quella circostanza, probabilmente Adam sarebbe morto e allora sarebbe stato il caos più totale, per non parlare del fatto che Aziraphale si sarebbe reso responsabile della morte di un ragazzino di undici anni del tutto innocente e privo di ogni intenzione malvagia.
Nella confusione di ciò che era seguito a quell'avventuroso pomeriggio, l'angelo non aveva mai avuto la possibilità di scusarsi con lui per il suo comportamento disdicevole.
Ma Aziraphale sentiva di non poter più vivere serenamente con quel peso che gli opprimeva la coscienza e così un giorno telefonò a Crowley e gli propose una scampagnata a Tadfield il sabato successivo.
- Tadfiled? - aveva ripetuto il demone, alquanto sorpreso. - E perché mai vorresti tornare laggiù? -
Aziraphale si sentì arrossire lievemente e ringraziò che Crowley fosse dall'altra parte di Londra e non potesse vederlo. - Be', tanto per cominciare è una cittadina deliziosa, specialmente in questo periodo dell'anno, e poi... mi piacerebbe avere notizie del giovane Adam. Ormai sono trascorsi due anni da quando... -
- Da quando non ha provocato la fine del mondo, sì. - concluse il demone. - Lo so, angelo. So contare, sai? Ma ancora non capisco perché tu voglia sapere del ragazzo. Ormai non è più una minaccia e vive tranquillamente la sua vita umana come chiunque altro. -
- Sì, certo, ma... insomma, non si sa mai, no? - farfugliò Aziraphale. - Cioè, è pur sempre il figlio di Satana in persona. Non credi che dovremmo fare una piccola verifica? Solo per assicurarci che vada tutto bene. -
Dall'altro capo della linea telefonica ci fu qualche istante di silenzio, poi Crowley parlò col suo solito tono insinuante e beffardo. - Dì la verità, angelo: ti senti in colpa per aver cercato di sparargli con quella mostruosità di schioppo del Sergente Shadwell e ora vuoi andare da lui per scusarti e pulirti la coscienza. -
Aziraphale arrossì ancora di più e il suo silenzio equivalse per Crowley ad una conferma dei suoi sospetti.
- Lo immaginavo. - disse, chiaramente compiaciuto delle sue doti deduttive. - Comunque credo che non sia una cattiva idea quella di fare un salto a Tadfiled per dare un'occhiatina. Mi sentirei più tranquillo sapendo che l'Anticristo è tornato ad essere un normalissimo preadolescente umano e che le forze celesti o infernali non intendono servirsi di nuovo di lui per scatenare una guerra. -
- Oh, bene. - fece Aziraphale, sollevato che l'amico appoggiasse la sua decisione. - Allora siamo d'accordo? -
- Sarò da te sabato mattina alle 9. - confermò Crowley.


E così, alle 9 di sabato mattina, angelo e demone partirono con la Bentley in direzione Tadfield.
- Credi che il segugio infernale... ehm, insomma, il cagnolino infernale, sia ancora con lui? - domandò Aziraphale.
- Oh, ne sono sicuro. - rispose Crowley, lanciando l'auto a tutta velocità sulla deserta strada di campagna che stavano percorrendo. - Il ragazzo era pur sempre destinato ad essere il suo padrone e, anche se le cose non sono andate proprio come ci si aspettava, quei due saranno sempre legati l'uno all'altro. Niente e nessuno riuscirà mai a separarli. -
- Già. - fece l'angelo, pensoso. - Chissà che tipo di uomo diventerà da grande. -
- Mi auguro che resti il più possibile fedele alla versione che abbiamo conosciuto due anni fa. - disse Crowley. - Il mondo ha proprio bisogno di umani come lui. -
Nel frattempo, a fare da sottofondo musicale alle loro chiacchiere, c'era l'immancabile compilation dei Queen; proprio in quel momento Freddie Mercury era intento a cantare la sua lode alla bicicletta e se Aziraphale o Crowley non fossero stati tanto impegnati a fare ipotesi e dissertazioni sul futuro dell'Anticristo, forse avrebbero capito che si trattava di un segno, un ironico indizio di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.


La Bentley oltrepassò il cartello con la dicitura “TADFIELD” circa quaranta minuti più tardi.
La cittadina non era cambiata molto in quei due anni, e perché poi avrebbe dovuto?
Tuttavia, mentre Crowley guidava tra le vie del paese, cresceva sempre di più in lui la sensazione che qualcosa non andasse e che ci fosse un ché di surreale in ciò che vedeva attorno a sé.
Non riusciva ad afferrare esattamente di cosa si trattasse, ma era come se il suo subconscio avesse notato l'assenza di qualcosa, qualcosa che avrebbe dovuto esserci e che invece mancava, suscitandogli quell'impressione di stranezza.
- Non ti sembra... che ci sia un non-so-ché di insolito qui? -
Aziraphale si guardò intorno con attenzione ma alla fine scrollò le spalle. - Non mi pare di percepire niente di particolare, Crowley. Perché me lo chiedi? -
- Mah, lascia perdere. Probabilmente è solo una mia impressione. Ecco, siamo arrivati a casa del ragazzo. -
I due scesero dalla Bentley e suonarono il campanello della graziosa villetta. Rispose una voce di donna piuttosto affabile. - Sì? Chi è? -
Fu Aziraphale ad accostarsi al citofono. - Buongiorno signora Young, siamo due amici di suo figlio Adam. Passavamo di qui e abbiamo pensato di fargli un saluto. È in casa? -
La voce si fece sorpresa. - Mi sembra che Adam sia un po' giovane per avere degli amici adulti. -
- Oh, in realtà l'abbiamo incontrato una volta sola ma è stato, come dire, ehm... un incontro particolarmente intenso. -
- Cosa?! - adesso il tono della povera Deirdre Young si era fatto ansioso e allarmato. - Ma si può sapere chi diavolo siete? Cosa avete fatto a mio figlio? Siete di quei pervertiti che se ne vanno in giro a molestare i ragazzini mentre giocano?! -
Crowley lanciò un'occhiataccia ad Aziraphale.
- Complimenti, angelo. Ottima scelta di parole. - bisbigliò, sarcastico. - Lascia fare a me. -
Il demone fece scostare l'amico dal citofono e sfoderò il suo timbro più suadente e sibilante. - Mi ascolti bene, signora Young: io sono il demone Crowley e con me c'è l'angelo Aziraphale. Abbiamo conosciuto suo figlio Adam, alias l'Anticristo, due anni fa in occasione della fine del mondo e siamo passati per accertarci che non si siano verificati altri eventi sovrannaturali nei paraggi. Può dirci dove possiamo trovarlo, per favore? -
Ancora una volta, la voce di Deirdre Young si levò dalle piccole casse del citofono, ma stavolta parlò con un tono strascicato, quasi assonnato. - Adam è andato a Hogback Wood con i suoi amici. Lo troverete lì. -
- Molte grazie, signora. - rispose Crowley con un sorrisetto.
- L'hai ipnotizzata? - chiese Aziraphale, sospettoso.
- Ho dovuto. - replicò l'altro, aprendo lo sportello della Bentley. - Se non l'avessi fatto, avrebbe finito per chiamare la polizia grazie alla tua brillante performance. -
Davanti all'incontestabile verità di quelle parole, Aziraphale decise saggiamente di non ribattere e si limitò a salire in auto.


La Bentley era quasi giunta a Hogback Wood quando accadde il tutto.
L'auto cominciò ad emettere un rumore simile a quello provocato da una brutta crisi di tosse e prese inspiegabilmente a rallentare senza che Crowley avesse premuto il piede sul freno.
In quella che fu una frazione di secondo, le ruote si ridussero da quattro a due, una davanti all'altra, alte e sottili; il tasto del clacson divenne un campanello a molla, i fari si unirono in un'unica piccola lampadina e i sedili si tramutarono in un singolo sellino di pelle molto stretto. Contemporaneamente, i pedali della frizione, del freno e dell'acceleratore subirono una drastica mutazione e il volante prese le sembianze di un manubrio da bici.
In effetti, tutta la Bentley aveva ora l'aspetto di una bici.
Sbalordito, Crowley si era ritrovato in sella con le mani sul manubrio e i piedi calcati sui pedali, mentre Aziraphale, non meno incredulo, era finito cavalcioni sul portapacchi, dietro di lui.
Il demone tirò bruscamente i freni e la bici inchiodò, facendo quasi cadere Aziraphale.
I due scesero e rimasero a contemplare sconcertati, a bocca spalancata, quella che, fino a pochi secondi prima, era un'automobile in piena regola e che adesso era decisamente, senza la più pallida ombra di dubbio, una bicicletta.
- Ma è... è... - balbettò l'angelo, incapace di pronunciare la fatidica parola con la B.
- Una BICICLETTA! - urlò Crowley, mettendosi le mani nei capelli. - Una maledettissima bicicletta! Ma come accidentaccio è potuto succedere?! -
- Io... io non ne ho idea. È incredibile. -
A quel punto Crowley si voltò verso Aziraphale e lo afferrò per il bavero. - Sei stato tu, non è vero?! -
- Cosa?! -
- Ti lamenti sempre di come guido e la mia Bentley non ti è mai piaciuta! Avanti, confessa! -
Aziraphale alzò le mani in un gesto che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto tranquillizzare l'amico. - Crowley, ti giuro che stai prendendo un abbaglio. Io non ho fatto proprio niente. -
- E allora chi è stato?! - ribatté il demone. - Perché non credo che un qualsiasi umano si sia svegliato stamattina pensando che sarebbe stato divertente giocarmi questo scherzo. -
- No, non un qualsiasi umano. Ma forse l'Anticristo... -
Crowley allentò la presa. - Come? Credi che sia opera sua? -
- Be', se ci pensi, qui a Tadfield sono sempre successe cose un po' strane a causa di Adam, anche se lui non ne era consapevole. -
Allora Crowley lasciò andare il cappotto dell'angelo e si batté forte una mano sulla fronte. - Oh, che idiota! Ma certo! Le automobili! -
Aziraphale sbatté gli occhi senza capire. - Scusa? -
- Le automobili! - ripeté Crowley come se fosse ovvio. - Ecco che cosa mancava per le strade del paese! Ecco perché avevo quella sensazione strana. Da quando siamo entrati a Tadfield non abbiamo visto neanche un'auto! Le persone erano tutte in giro a piedi o in bicicletta! -
Aziraphale ci pensò un attimo e, in effetti, doveva concordare con il demone: neanche lui ricordava di aver notato una sola macchina per le vie di Tadfield.
- E pensi che potrebbe essere stato davvero Adam? - domandò incerto.
- Ehi! Sei tu che hai avanzato per primo quest'ipotesi. Vieni, andiamo a scoprirlo. -
Così dicendo, Crowley salì sulla bici-ex-Bentley e impugnò saldamente il manubrio. - Ti sbrighi? -
Aziraphale si rassegnò ad appollaiarsi di nuovo sullo scomodo portapacchi.
- Ma dove mi tengo? - chiese, notando la mancanza di punti d'appoggio
Crowley alzò gli occhi al cielo. - Aggrappati a me, idiota! -
Allora l'angelo posò le mani sui fianchi snelli di Crowley, che iniziò a pedalare forsennatamente lungo il sentiero che attraversava il bosco.
Presto, Aziraphale dovette allacciare le braccia intorno alla vita dell'amico per non venire sbalzato via da quella scomoda sistemazione. Crowley pedalava a più non posso e, grazie ad un piccolo aiuto di natura non esattamente umana, la Bentley-Bike aveva raggiunto una velocità tale da non far rimpiangere più di tanto la perdita del motore.
Quando finalmente i due avvistarono Adam, e la sua cricca nel bel mezzo di una radura ombrosa, Crowley tirò i freni e la bicicletta terminò la sua corsa.
- Eccoli là. - disse il demone, smontando agilmente dal veicolo.
Aziraphale si sentiva come un vestito appena uscito dalla lavatrice. Di alcune parti del corpo non aveva più percezione, di altre ne aveva fin troppa, inoltre aveva l'impressione che i suoi organi interni fossero finiti in una centrifuga.
- Accidenti, quanto sei pallido. - commentò Crowley, lanciandogli uno sguardo tra il preoccupato e il divertito.
- Non sei spiritoso. - replicò Aziraphale appoggiandosi ad un albero per riprendere fiato. - Sai, credo di preferirti alla guida di un'auto che di una bicicletta. -
- Ecco, tienilo a mente la prossima volta che vorrai lamentarti ancora. - rispose Crowley con un sogghigno. - E comunque, io l'ho trovato divertente. Dovremmo andare in bici più spesso. -
Il demone ridacchiò alla vista dell'espressione terrorizzata di Aziraphale, dopodiché si avviò verso il gruppo di ragazzini al centro della radura.
Dog fu il primo ad accorgersi delle due entità sovrannaturali in visita e si mise a scodinzolare come un matto e a saltellare intorno alle gambe di Crowley, il quale alzò una mano verso i Quelli in segno di saluto.
- Salve, ragazzi! -
Adam, Wensleydale, Pepper e Brian erano cresciuti dall'ultima volta che li avevano visti ma, nel complesso, non erano cambiati poi molto.
- Che cosa ci fate qui? - domandò Adam, un po' felice e un po' insospettito alla vista di quella bizzarra coppia. - Per caso, ci sono guai in vista? Il mondo è di nuovo in pericolo? -
- No, niente del genere. - rispose Crowley. - Siamo qui solo per controllare che vada tutto bene e perché l'angelo deve dirti una cosa. Ma prima voglio che tu dica una cosa a me, ragazzo. -
Il demone si voltò ad indicare la bicicletta nera. - La mia Bentley si è trasformata in una bici. C'entri qualcosa? -
Adam sorrise colpevole. - Temo proprio di sì. -
- Allora sei stato tu?! -
- Non intenzionalmente. - si affrettò a precisare il ragazzino. - Il fatto è che, a volte, faccio ancora succedere delle cose senza volerlo. Ieri stavamo parlando dell'inquinamento atmosferico e io ho detto che tutte le auto dovrebbero essere sostituite dalle biciclette. -
- Allora falla tornare come prima! -
Ma Adam scosse la testa. - Mi dispiace ma non ho idea di come fare. Comunque, una volta usciti da Tadfield penso che l'effetto svanisca. -
Crowley esalò un sospiro rassegnato, ma il ragazzo aveva ragione: le auto erano scomparse dalle strade solo dopo aver passato il confine della cittadina.
Così, il demone cedette la parola ad Aziraphale, il quale proruppe in un infinito discorso di scuse, che Adam accettò con un sorriso.


Quando Crowley e Aziraphale si accomiatarono dai Quelli, fecero ritorno alla Bentley-Bike e, ancora una volta, all'angelo toccò sistemarsi alla bell'e meglio sul portapacchi, ma prima che Crowley iniziasse a pedalare, ebbe l'accortezza di far apparire sulle loro teste un caschetto da ciclista.
- Sul serio? - fece il demone, scoccandogli un'occhiata derisoria.
Aziraphale alzò le spalle. - Solo una precauzione. -
La bicicletta raggiunse rapidamente il limitare di Tadfield e, quando oltrepassò il cartello, Crowley chiuse gli occhi, rivolgendo una preghiera silenziosa a chiunque fosse stato in ascolto: “Ti prego, fa' che funzioni. Ti prego, fa' che funzioni.”
E il suo desiderio venne esaudito perché, proprio come aveva detto Adam, la bici scomparve e al suo posto tornò la Bentley di sempre, con le sue quattro ruote e tutto il resto.
Aziraphale tirò un sospiro di sollievo, felice che le sue natiche poggiassero di nuovo sul morbido sedile di pelle.
Anche Crowley si sentì sollevato e poté rilassarsi contro lo schienale.
Dalle casse dell'impianto stereo giungevano ancora le note di Bicycle Race.
- Ah, no. Per oggi ne ho abbastanza di biciclette. - disse il demone, allungano una mano verso l'autoradio e passando alla canzone successiva.
Aziraphale non avrebbe potuto essere più d'accordo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Rain must fall ***


rain

Your every day is full of sunshine

But into every life a little rain must fall

 No problem

Uh

Be cool now



Rain must fall, Queen, 1989




Crawly e Aziraphale udirono il rombo grave del tuono in lontananza da est. Era il primo tuono da quando l'universo era stato creato, sette giorni prima, e dunque era anche il primo temporale, la prima pioggia, i primi nuvoloni neri e minacciosi ammassati all'orizzonte e carichi di elettricità.
L'angelo e il demone si ergevano fianco a fianco sul colossale muro di cinta che separava l'Eden dalle inospitali terre selvagge e osservavano la tempesta in arrivo che presto si sarebbe abbattuta inesorabilmente anche sul giardino primordiale.
Quando le prime gocce iniziarono a cadere sul mondo, Aziraphale sollevò una delle sue immense ali bianche piumate per offrire riparo a Crawly, che accettò l'offerta e gli si fece più vicino.
Adamo ed Eva erano ormai poco più che due puntini neri e indistinti che si muovevano lontani tra le dune del deserto.
- Sono preoccupato per quei due. - disse Aziraphale, accigliato.
- Sì, anch'io. - gli fece eco Crawly. - Dopotutto sono stato io a indurli in tentazione. -
- Già, e io gli ho dato la mia spada di fuoco. Ti dirò che mi sentirei molto più tranquillo se qualcuno li tenesse d'occhio, loro e la stirpe che nascerà dalla loro unione, intendo. -
- Be', potremmo farlo noi. - propose il demone.
- Cosa? Lasciare il Paradiso e l'Inferno per stabilirci sulla terra? -
Crawly si strinse nelle spalle con aria indifferente e le sue grandi ali nere fremettero. - Perché no? Hai qualcosa da perdere? Personalmente, non mi mancherà proprio nulla dell'Inferno, è così buio e caldo, e non ti dico l'umidità che c'è laggiù! E la puzza terribile di zolfo poi! -
Aziraphale ci pensò su qualche secondo mentre il temporale infuriava intorno a loro. Effettivamente, la vita in Paradiso non è che fosse poi così eccitante, inoltre l'angelo si sentiva in qualche modo responsabile per quei due umani, per questo aveva ceduto loro la sua spada. Forse quella di Crawly non era poi un'idea così cattiva.
- Sai che ti dico, mio buon demone? Ci sto! Da questo momento in poi vivremo sulla terra tra gli umani e vigileremo sul destino del mondo. Quei poveri mortali avranno bisogno di così tanti miracoli! Qualcuno deve pur provvedere. -
- Ceeeerto. Miracoli, sì. - fece Crawly. - E magari qualche piccola tentazione ogni tanto. -



Erano passati circa seimila anni da quel giorno.
L'umanità si era evoluta, città erano sorte laddove prima vi erano solo deserti, foreste e paludi; erano state inventate le automobili, le radio, la televisione... e anche gli ombrelli. Sì, perché, per quanto la tecnologia avesse fatto progressi, i temporali e la pioggia c'erano ancora, specialmente in quella piccola parte del pianeta, su quell'isola chiamata Inghilterra che sembrava attirare le precipitazioni come una calamita attrae il metallo.
E si preannunciava essere una tempesta coi fiocchi quella che si stava approssimando alla città di Londra quel pomeriggio.
Crowley (ex Crawly) si aggirava a piedi per le vie trafficate e piene di turisti in cerca di qualche buona opportunità per svolgere il suo mestiere di demone tentatore. Aveva lasciato a casa la Bentley, al sicuro in un garage dotato di tutti i comfort che un'auto potesse desiderare, perché muoversi sulle sue gambe, passeggiando tra la folla, era un ottimo metodo per localizzare i bersagli più facili e approfittarsene.
Sentiva nell'aria l'odore vibrante del temporale in avvicinamento e non aveva con sé nulla per difendersi dalla pioggia ma, nel peggiore dei casi, avrebbe fatto tappa in un bar e aspettato l'esaurirsi del fortunale.
Evidentemente però, Crowley aveva sbagliato qualcosa nelle sue valutazioni riguardanti la tempistica e l'intensità della perturbazione: presto, ben prima di quanto immaginasse, il borbottio ovattato delle nubi si trasformò in un susseguirsi di boati assordanti che scuotevano i muri delle case come un terremoto e il cielo scuro sopra Londra venne squarciato da una serie di argentee saette arzigogolate. Una pioggia torrenziale prese a scrosciare sui tetti degli edifici, sulle finestre e anche sulle teste dei passanti.
La gente iniziò ad armeggiare con ombrelli e impermeabili, impresa assai ardua date le violentissime raffiche di vento che investivano ogni cosa, animata o inanimata che fosse.
Crowley alzò il bavero della giacca e corse a ripararsi sotto una balconata, ma era troppo tardi: abiti e capelli erano già praticamente zuppi.
- Ah! Dannata pioggia! - imprecò, scrollandosi alla maniera dei cani e pulendosi gli occhiali con la manica, col solo risultato di macchiare ancora di più le lenti.
Il demone attese che l'acquazzone esaurisse un po' della sua potenza e, dopo una decina di minuti, si arrischiò ad allontanarsi dal rifugio improvvisato.
Pioveva ancora ma con meno intensità, in compenso le numerose buche che flagellavano le strade della città si erano trasformate in veri e propri laghi, pozzi irregolari color catrame colmi di acqua color ferro che riflettevano a loro volta il color piombo del cielo.
Crowley si stava dirigendo di buon passo verso un pub dall'altro lato della strada per asciugarsi e bere qualcosa di caldo quando un'auto gli sfrecciò accanto a tutta velocità, prendendo in pieno una profonda pozzanghera dalla quale si levarono alti schizzi che lo infradiciarono ancora di più.
- Che Satana ti faccia schiantare, tu e la tua maledetta auto! - gridò il malcapitato demone, agitando un pugno alla volta dell'automobilista.
- Crowley? -
Si voltò e quando riuscì a togliersi dagli occhi le ciocche di capelli gocciolanti riconobbe Aziraphale in piedi accanto a lui. Con una mano reggeva un grande ombrello chiaro decorato con una fantasia tartan che faceva da scudo a entrambi, con l'altro braccio ghermiva con fare protettivo una busta di carta marrone, probabilmente contenente libri.
- Aziraphale? Che ci fai da queste parti e con questo tempaccio? -
- Dovevo vedere un tale tedesco per comprare delle prime edizioni illustrate delle Fiabe dei Grimm. Stavo per tornare alla libreria quando sono stato sorpreso dal temporale. Fortunatamente avevo con me l'ombrello e, a giudicare dal tuo stato, direi che ti ho appena salvato dall'annegamento, caro. -
- Adesso non esagerare, angelo. Due gocce di pioggia non hanno mai ucciso nessuno. -
- Be', noi sappiamo che questo non è del tutto vero. - puntualizzò Aziraphale. - Ti ricorda niente una certa arca piena di animali? -
- Sta di fatto, - continuò il demone. - che avevo tutto sotto controllo. -
- Oh, certo. Così sotto controllo che sembri un pulcino nero appena uscito dall'uovo. -
La nota divertita che Crowley colse nella voce di Aziraphale lo irritò ancora di più: di solito era lui a prendere in giro l'angelo e ora non gli piaceva affatto ritrovarsi dall'altra parte.
- Senti, lasciati almeno offrire un caffè. - riprese Aziraphale, abbandonando il piglio ironico e indicando con un cenno il pub lì vicino. - E magari anche un asciugamano. -
- Solo se prometti di piantarla con queste battutine sceme. Non ti si addicono proprio. -
- Ma davvero? E così tu puoi sbeffeggiarmi quanto ti pare ma se, per una volta, sono io a farlo con te ecco che ti metti a fare il permaloso? -
- Ma io sono un demone, è la mia natura. Tu, come angelo, dovresti essere gentile e cortese sempre e comunque. -
- E lo sono, Crowley. Per questo ti sto offrendo metà del mio ombrello, ma non puoi lamentarti se, ogni tanto, mi diverto un po' anch'io. -
I due si avviarono verso il pub sotto il grande tetto di tartan di Aziraphale e, quando varcarono la soglia, realizzarono che molte altre persone colte di sorpresa dalla bufera dovevano aver avuto la stessa idea perché tutti i tavoli erano occupati, salvo un piccolo tavolino di legno per due appartato in un angolo, di cui Aziraphale e Crowley si appropriarono subito.
Con discrezione, l'angelo fece apparire un morbido asciugamano di spugna che passò all'amico. Crowley si tamponò il viso e i capelli, asciugò gli occhiali e si lasciò andare contro lo schienale della sedia, godendosi il tepore del locale e il profumo di caffè mentre fuori dalle finestre il cielo tuonava ancora e la pioggia aveva ripreso a scrosciare impetuosa.
Il cameriere arrivò con le loro ordinazioni: una cioccolata con panna per Aziraphale e uno scotch (doppio) per Crowley.
Il demone prese un sorso di liquore assaporando la sensazione di calore liquido scendergli giù per la gola spazzando via l'umidità che gli era penetrata fin nelle ossa.
- Sai, tutto questo... - disse Aziraphale, facendo un cenno verso il grigio panorama esterno, - mi fa venire in mente il giorno in cui ci siamo conosciuti. Anche allora pioveva. -
Anche Crowley prese a fissare la tempesta che imperversava. - Già, il primo temporale nell'intero universo. E chi se lo scorda! - replicò. - Quanto è passato? Sei millenni? Anno più, anno meno. -
Aziraphale annuì. - E quello fu anche il giorno in cui decidemmo di trasferirci sulla terra. Ne abbiamo fatta di strada da allora, eh? -
- Direi di sì. -
- E non è stato sempre facile. - proseguì Aziraphale. - Insomma, tu sei un tipo abbastanza... impegnativo. -
- Ma senti chi parla! Come se avere a che fare con te fosse una passeggiata! Hai idea di quante volte mi è toccato tirarti fuori dai guai? -
- Voglio solo dire, - precisò l'angelo, ignorando il commento tagliente di Crowley. - che ne abbiamo passate tante insieme, e ci sono stati momenti di sole e momenti di burrasca, ma ne siamo sempre usciti indenni e più forti e uniti di prima. -
- In ogni vita deve cadere un po' di pioggia, angelo. Non può essere sempre tutto un bagno di sole. Vale per noi come per gli umani. -


Il nubifragio si arrestò definitivamente dopo circa venti minuti.
Aziraphale e Crowley si unirono alla folla di avventori che avevano aspettato la fine della burrasca dentro il pub e uscirono di nuovo all'aperto. Il profumo della pioggia li investì in pieno, portando alle loro narici quel senso di pulito e frescura che rimane nell'aria dopo eventi climatici di quel genere.
Le ultime nuvole antracite se ne stavano andando e sopra i tetti di Londra si aprì uno sprazzo di cielo sereno e limpido da cui fece capolino un raggio di sole che andò a posarsi poco distante da loro.
A un tratto, Aziraphale afferrò il braccio di Crowley e si mise ad indicare un punto imprecisato sopra le loro teste. - Guarda lassù! -
Il demone seguì con lo sguardo la direzione della sua mano e lo vide: un magnifico arcobaleno di una nitidezza impressionante si stagliava contro lo sfondo blu della volta celeste.
- Be', angelo, non può mica piovere per sempre, giusto? -


Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Pain is so close to pleasure ***


pain

    Ooh ooh pain is so close to pleasure oh yeah

Sunshine and rainy weather

go hand in hand together all your life

 
Ooh ooh pain is so close to pleasure everybody knows

One day we love each other then we’re fighting one another all the time



Pain is so close to pleasure, Queen, 1986




- Ho detto di no, Crowley. Non insistere. -
- Dai, angelo! Per favore! -
- Non se ne parla. Sono già abbastanza nei guai con i miei superiori e poi... non voglio che tu ti faccia del male. -
- Hai solo troppa paura per fare qualcosa alle spalle di Gabriele. E sai che ti dico? Non ho bisogno dell'aiuto di un fifone come te! -
Era la seconda volta che Aziraphale e Crowley affrontavano quella spinosa questione. Sebbene l'angelo si fosse già opposto con forza alla richiesta del demone di procurargli l'acqua santa, Crowley non si era arreso ed era tornato all'attacco, senza ottenere un risultato molto diverso, in realtà.
Era il 1962 ed era trascorso un secolo (letteralmente) da quando i due si erano incontrati a St. James Park e avevano discusso per lo stesso motivo.
Il demone aveva pensato, sperato, che, con il passare del tempo, l'angelo avesse cambiato idea e si mostrasse più disponibile ad accogliere la sua richiesta. Diamine, nel 1941 l'aveva anche tirato fuori da un brutto guaio e dunque si aspettava almeno un minimo di riconoscenza!
Ma così non era stato e Crowley uscì dalla libreria con nient'altro che un pugno di mosche, sbattendo la porta e lasciandosi dietro un Aziraphale alquanto risentito.
Era così il loro millenario rapporto: un giorno si paravano le spalle a vicenda o andavano a pranzo insieme condividendo una bottiglia di vino, il giorno dopo litigavano come cane e gatto, o, più precisamente, come angelo e demone.
Era un continuo circolo che si rinnovava, come la pioggia che segue il sole, al quale, a sua volta, segue di nuovo la pioggia.
Se, in quel momento, Crowley non fosse stato così contrariato, si sarebbe reso conto che, nel bene o nel male, la presenza di Aziraphale era ormai diventata una costante irrinunciabile della sua esistenza.
Invece pensava solo: “Bene! Se l'angelo non vuole aiutarmi, provvederò da solo a ciò che mi serve, correndo tutti i rischi del caso ovvero, di fatto, uno solo: quello di essere annientato dal potere micidiale dell'acqua santa. Una bazzecola, insomma.”


Quella stessa notte, il demone raggiunse con la sua Bentley un'isolata ma graziosa chiesetta di campagna. Tentare il colpo mirando a una chiesa di Londra sarebbe stato da idioti: troppi testimoni e, di conseguenza, troppe spiegazioni da fornire nel caso il suo strano comportamento fosse stato notato (cosa molto probabile, in effetti).
No, quello che si apprestava a compiere era un lavoro estremamente delicato e aveva bisogno di tutta la calma e la concentrazione possibili. Non poteva rischiare che qualcuno lo disturbasse nel bel mezzo... dell'operazione.
Ma quella piccola chiesa era l'obiettivo perfetto: lì avrebbe potuto portare a termine il suo piano in tutta tranquillità.
Posteggiò la Bentley poco distante dall'edificio e spense i fari, dopodiché sgattaiolò furtivo verso il grosso portone di legno massiccio. Bastò un solo schiocco di dita per aprirlo e l'interno della chiesetta, con le sue navate buie e deserte, rischiarate solo dai bagliori argentei provenienti dalle vetrate, si presentò a Crowley in tutta la sua suggestiva quiete. Come aveva previsto, non c'era nessuno e ogni cosa sembrava dormiente, come avvolta da un incantesimo.
Il demone, i cui occhi non risentivano minimamente dell'oscurità, scandagliò con lo sguardo l'ambiente e trovò quasi subito ciò che stava cercando: un fonte battesimale di pietra che si ergeva di lato all'altare ed era colmo di acqua santa, la cui superficie immobile catturava i riflessi della luce lunare.
Crowley prese un lungo respiro per prepararsi a ciò che lo aspettava, poi afferrò la borsa che aveva con sé e varcò la soglia della chiesetta con passo deciso.
Saltellò il più rapidamente possibile fino al fonte battesimale, il suolo consacrato che scottava sotto i suoi piedi come fuoco vivo nonostante si fosse premurato di indossare calzini pesanti e scarpe con doppia suola. Quell'odiosa sensazione non avrebbe di certo facilitato le cose, ma Crowley si sarebbe dovuto sforzare di ignorarla.
Posò la borsa a terra e s'inginocchiò per frugare al suo interno, dal quale estrasse un paio di guanti di gomma, una lunga pinza e una borraccia.
Si rimboccò le maniche con cura prima di infilarsi i guanti, poi afferrò la pinza con la quale, a sua volta, sollevò la borraccia.
Usando tutta la delicatezza e l'attenzione di cui era capace, Crowley fece per immergerla nel bacile di pietra in modo da riempirla di acqua santa, ma una voce famigliare eppure del tutto inaspettata in quel momento, gli fece perdere la concentrazione.
- Per tutti i Santi del Cielo, Crowley! Si può sapere cosa diamine stai facendo? -
Lo spavento e la sorpresa fecero sì che il demone lasciasse inavvertitamente la presa sulla pinza, che cadde nel fonte battesimale insieme alla borraccia. Un unico minuscolo schizzo di acqua santa centrò in pieno la guancia sinistra del demone, bruciandogli la pelle e facendolo gemere di dolore.

- Che tu sia dannato, Aziraphale! - inveì Crowley, portandosi una mano al viso dolorante e allontanandosi di scatto dal bacile con una smorfia. - Che accidenti ci fai qui?! -
L'angelo lo guardò severamente. - Dopo la nostra conversazione di stamattina, sospettavo che avessi in mente di fare qualcosa di stupido, così ho deciso di tenerti d'occhio, e avevo ragione. Tentare di rubare l'acqua santa da un fonte battesimale! Ma come ti è venuto in mente? -
- Sai com'è, - fece Crowley, la mano ancora premuta sul volto. - un certo angelo si è rifiutato di aiutarmi e così ho dovuto pensarci da solo. -
- Saresti potuto rimanere ucciso! -
- E scommetto che la cosa ti avrebbe dato parecchia soddisfazione, vero? -
Il viso di Aziraphale sbiancò. - Come... come puoi dire una cosa del genere? -
- Rilassati, angelo. Stavo scherzando. Ad ogni modo... visto che sei qui, magari potresti... -
Crowley lanciò un'occhiata eloquente verso il bacile e poi un'altra in direzione di Aziraphale.
- Assolutamente no! Hai già corso abbastanza rischi stanotte. -
- Ecco perché lo sto chiedendo a te. È facile: devi solo riempire la borraccia, avvitare bene il tappo e darla a me. Nessuno si farà male e potremo chiudere questa storia una volta per tutte. -
- Ma ti rendi conto che stai chiedendo a un angelo di rubare in una chiesa?! Se Gabriele lo sapesse non si limiterebbe a farmi un richiamo. E comunque non ho cambiato idea: non ti aiuterò a procurarti l'acqua santa e queste sono le mie ultime parole sull'argomento. -
- Bah, fa' come vuoi! - sbottò Crowley. - Troverò un altro modo. Forse potrei chiedere a degli umani di prenderla per me e... Ahi! -
L'espressione austera di Aziraphale si raddolcì un poco. - Ti fa male? -
- Be', tu che dici? - fece Crowley brusco, la smorfia di dolore ancora dipinta sul suo viso. - Acqua santa e demoni non è che vadano molto d'accordo. -
L'angelo gli si avvicinò. - Dai, lasciami dare un'occhiata. -
Il demone fece per protestare e cercò di sottrarsi alle sue premure, ma Aziraphale lo prese per il polso e riuscì a fargli togliere la mano dalla guancia, così vide che la pelle era segnata da una brutta ustione. Crowley faceva di tutto per non mostrarsi vulnerabile di fronte a lui, specialmente dopo che avevano appena discusso, ma Aziraphale sapeva che si trattava solo di una facciata d'orgoglio.
- Aspetta, lascia fare a me. -
L'angelo alzò la mano destra verso Crowley, che si scostò. - Ma che stai... ? -
- Sta' fermo, maledizione! Voglio solo aiutarti! -
Forse fu più che altro lo stupore di sentir imprecare Aziraphale, ma Crowley si immobilizzò e lasciò che l'altro gli sfiorasse la pelle bruciata. Trasalì al suo tocco ma non disse nulla e si limitò a stringere i denti.
Aziraphale chiuse gli occhi e presto la dolorosa sensazione di un ferro rovente accostato alla sua guancia scomparve, sostituita da una piacevole frescura e Crowley non poté trattenere un sospiro di sollievo.
Dolore e piacere avevano così tanto in comune. Il confine tra i due era sfumato, labile e, nel caso di Crowley, era bastato il tocco gentile di Aziraphale su di sé per varcarlo.
Passarono pochi secondi o un'eternità, il demone non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma quando Aziraphale ritrasse la mano, ogni traccia di bruciore era svanita e quando si tastò con prudenza il punto in cui l'acqua santa l'aveva ferito, constatò che la sua pelle era tornata liscia e fresca.
- Suppongo che dovrei ringraziarti. - mormorò Crowley. - D'altro canto, se tu avessi acconsentito alla mia richiesta fin dall'inizio, io non avrei avuto bisogno di venire qui e questo non sarebbe mai successo. -
Le labbra di Aziraphale si strinsero in una linea dura. - Adesso non ricominciare. -
Ma, sotto sotto, l'angelo sapeva che Crowley non aveva proprio tutti i torti: in fin dei conti, era stato il suo rifiuto a spingerlo a rischiare tanto, ma non poteva accontentarlo. Non poteva mettergli tra le mani l'unica arma in grado di distruggerlo, era troppo pericoloso e se fosse accaduto qualcosa all'amico, lui non sarebbe mai riuscito a perdonarsi e, nel suo caso, mai significava davvero mai.
- Allora io me ne torno a Londra. Per stanotte non ho altro da fare qui, in più questo terreno consacrato mi sta friggendo i piedi - disse infine Crowley, distogliendo la mente di Aziraphale da quegli infausti pensieri. - Vuoi un passaggio? -
- No, grazie, Crowley. Sono venuto in taxi ma quel poveretto è dovuto correre in ospedale perché la moglie stava partorendo e non volevo trattenerlo. Credo che prenderò l'autobus. -
L'altro alzò un sopracciglio con aria scettica. - A quest'ora? -
Aziraphale affondò le mani nelle tasche del cappotto, a disagio. - Be', potrebbe sempre passarne uno... per miracolo. -
- Non dire sciocchezze! Forza, sali in auto. Ti riaccompagno io. -
Tuttavia, Aziraphale sembrava ancora esitante. - Non... non ce l'hai con me per... be', per non averti aiutato e aver sventato il tuo furto? -
Crowley emise un sospiro esasperato. - Certo che ce l'ho con te, angelo. Ce l'ho a morte con te, se proprio vuoi saperlo. Allora, vieni o no? -


Fu un viaggio piuttosto silenzioso. Nessuno dei due aveva molta voglia di parlare con l'altro dopo ciò che era accaduto, ma, in qualche modo, la reciproca presenza era di conforto ad entrambi.
Nonostante fosse certo di aver agito per il meglio, Aziraphale si sentiva fastidiosamente in colpa verso Crowley, mentre quest'ultimo... be', anche lui avvertiva un lieve senso di colpa per aver dato del fifone all'angelo e per tutte le altre cose poco carine che gli aveva detto.
Sapeva che avrebbe dovuto essere infuriato con Aziraphale, insomma, si era perfino beccato un'ustione da acqua santa a causa sua! Ma sapeva anche che l'angelo si era comportato in quel modo credendo di proteggerlo e quando gli si era avvicinato per rimediare al danno procuratogli dall'acqua santa, Crowley aveva letto nei suoi occhi una genuina preoccupazione mista a rincrescimento. Alla fine, le sue intenzioni erano buone, e, data la sua natura celestiale, sarebbe sembrato strano il contrario.
Quando arrivarono alla libreria, l'angelo ringraziò Crowley del passaggio e, prima di scendere, gli rivolse uno sguardo di sincero rammarico. - Crowley, mi dispiace per quello che è successo, davvero. -
Il demone fece un movimento come per scacciare una mosca. - Non ci pensare, angelo. Stavi facendo quello che ritenevi giusto, anche se vorrei sottolineare che nessuno te l'aveva chiesto. Ma non finisce qui: sappi che non rinuncerò al mio piano, e la prossima volta ti prego di tenere il tuo angelico naso fuori dalle mie faccende. -
Per un attimo, sembrò che Aziraphale volesse ribattere, invece si limitò a stringere le labbra in quella linea rigida di disappunto che gli si formava sulla bocca ogni volta che qualcosa lo disturbava, e scese dalla Bentley senza aggiungere parola.
Quando ebbe oltrepassato la porta, Crowley si lasciò andare contro il sedile con un sospiro.
Gli venne inspiegabilmente spontaneo portarsi la mano alla guancia e accarezzare quello stesso punto sul quale si era posata la mano di Aziraphale poco prima. Avvertiva ancora un lieve formicolio sottopelle ma non avrebbe saputo dire se si trattasse di un effetto postumo della bruciatura oppure del tocco benevolo e taumaturgico, quasi tenero, dell'angelo. Così come non avrebbe saputo stabilire se quel pizzicore fosse una sensazione piacevole o meno.
Ma, in fondo, il dolore è assai vicino al piacere.


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Somebody to love ***


somebody

Lord what you’re doing to me

I have spent all my years in believing you

But I just can’t get no relief, Lord!

Somebody, somebody

Can anybody find me somebody to love?



Somebody to love, Queen, 1976





L'angelo se ne stava in piedi con la schiena appoggiata al muro di cinta e l'aria annoiata. Fece roteare un paio di volte la sua spada fiammeggiante, tanto per tenersi in esercizio e combattere il tedio, ma presto ripose l'arma e tornò a scrutare il cielo terso e limpido che sovrastava l'Eden.
L'Onnipotente l'aveva incaricato di difendere il cancello orientale del giardino, ma nulla sembrava minacciare la quiete e l'armonia che vi regnavano, così lui si ritrovava con ben poco da fare per tenersi occupato.
La sua routine quotidiana comprendeva per lo più passeggiare lungo il perimetro est del muro, sonnecchiare ascoltando il canto degli usignoli e vigilare affinché il tranquillo fluire dell'esistenza nell'Eden non venisse turbato.
Ma capitava, a volte, che la curiosità prendesse il sopravvento, allora Aziraphale lasciava il suo posto di guardia e sgattaiolava furtivo all'interno del Paradiso Terrestre per osservare con affascinato interesse il procedere della vita dei suoi abitanti. Ogni volta rimaneva enormemente impressionato nel vedere come, tra una creatura e un'altra, potesse svilupparsi un legame tanto forte da essere in grado di trascendere qualunque cosa. Assisteva attonito al miracolo dell'Amore e non poteva fare a meno di restarne incantato. Non avrebbe saputo spiegare a parole la bellezza infinita di quella forza arcana né enunciarne l'incredibile potere. Era semplicemente ineffabile.
Eppure sembrava che ogni essere vivente ne subisse la malìa. Dalle piante, agli animali. Per non parlare di quelle due buffe forme di vita! Come si chiamavano? Ah, già! Umani.
L'uomo si chiamava Adamo, mentre il nome della donna era Eva.
Erano loro i preferiti di Aziraphale, per quanto egli amasse incondizionatamente tutto il creato. Ma quei due parevano esternare l'amore in modi molto più complessi rispetto alle altre creature. Si scambiavano sorrisi colmi di dolcezza, si mormoravano melodiose parole di miele, si sfioravano delicatamente oppure con fervore incontenibile, si muovevano quasi in una danza ogni volta che erano insieme, come se i movimenti dell'uno trovassero un proseguo in quelli dell'altro. Spesso avvicinavano i volti e facevano in modo che le loro labbra si toccassero, che le loro bocche si confondessero l'una con quella dell'altro, come se non vi fosse più confine tra loro, come se i loro corpi venissero assorbiti a vicenda fino a diventare un tutt'uno.
Sebbene l'invidia non facesse parte della natura di un angelo, Aziraphale si sentiva pungere dallo spillo fastidioso di una lievissima gelosia ogni volta che sbirciava il perfetto microcosmo in cui Adamo ed Eva vivevano il loro idillio d'amore.
La sua esistenza era così solitaria, a confronto. Così vuota.
Non che osasse lamentarsi della sua condizione. Era nato nella grazia dell'Onnipotente ed era ben felice di servirlo e perorare la causa celeste, anche se i suoi intenti gli erano spesso oscuri. Ma non rientrava nei compiti di un angelo porsi degli interrogativi sulle ragioni di Dio.
Tuttavia, dopo quelle visite clandestine alla coppia umana, Aziraphale faceva ritorno al suo posto a testa bassa, con una sorta di malinconia a pesargli sul petto. Si appoggiava al muro e si lasciava scivolare a terra, emettendo un sospiro di sconforto dietro l'altro e rimuginando su quanto aveva visto, domandandosi per quale motivo agli angeli non fosse concesso il dono dell'amore.
Una volta, perfino Dio stesso gli chiese ragione del suo malumore.
- Aziraphale, angelo del cancello orientale. -
Lui era scattato immediatamente in piedi e aveva afferrato la spada per creare almeno una parvenza di attività e solerzia.
- Sì, Signore? - rispose, strizzando gli occhi abbagliati dal fascio di luce bianca che lo avvolgeva.
- Sbaglio, o negli ultimi tempi sei un po' giù di tono? -
Aziraphale non si sarebbe mai aspettato quella domanda e, per un attimo, non seppe cosa replicare. Infine, optò per una mezza battuta che, realizzò successivamente, dovette suonare alquanto stupida.
- Be', data la Vostra infallibilità, ritengo sia impossibile che siate in errore. -
- Non hai risposto a ciò che ti ho chiesto, Aziraphale. - replicò la voce dell'Onnipotente in tono severo.
L'angelo deglutì.
- Allora? -
Giunti a quel punto, tanto valeva dire la verità. Non sarebbe comunque riuscito a nascondere qualcosa a Dio in persona.
- Il fatto è... - cominciò, tormentandosi l'orlo della tunica ricamato in oro. - che quei due umani, Adamo ed Eva, sembrano così felici insieme. È come se vivessero l'uno per l'altra e viceversa. E, a volte, mi chiedo come ci si debba sentire nel provare quello che provano loro. Ma, Vi prego, non fraintendete, Signore. Il mio interesse è puramente... accademico. -
Se un angelo avesse potuto sudare, Aziraphale avrebbe avuto la fronte imperlata di goccioline salate.
L'Onnipotente si prese qualche secondo di silenzio, come se stesse riflettendo.
- Capisco. - disse alla fine, dopodiché il raggio luminoso scomparve.
L'angelo espirò profondamente e si accasciò di nuovo a terra, dandosi dell'idiota e sperando che Dio non lo ritenesse un rammollito e un fallimento come guardiano.


Nel frattempo, parecchi piani più in basso, un demone dai lunghi capelli rossi se ne stava appollaiato su uno spuntone di roccia che emergeva da un lago di lava e fiamme. Vapori sulfurei si sollevavano dal terreno incandescente rendendo l'aria caliginosa e pesante.
Davanti a lui, aleggiava una specie di bolla di gas nella quale prendevano vita delle immagini. Si trattava di piccoli flash di ciò che accadeva nel giardino primordiale ed erano quasi tutti incentrati sulla vita degli unici due umani che popolavano l'Eden.
In teoria, non avrebbe dovuto interessarsi a ciò che avveniva lassù, ma quei due esercitavano su di lui un'inspiegabile attrattiva. La vita all'Inferno non offriva molte opportunità di evadere dalla monotonia che la caratterizzava e, ultimamente, Crawly aveva preso l'abitudine di spiare (per quanto quel termine non gli piacesse e preferisse piuttosto “monitorare”) il succedersi degli eventi in superficie, in particolar modo quelli legati alla vita della coppia umana.
Crawly passava ore intere a cercare di capire la natura ineffabile di ciò che legava quelle due creature che sembravano non poter fare a meno l'una dell'altra. Si poneva molte domande e si chiedeva se i loro gesti teneri e affettuosi non celassero, in realtà, un sordido secondo fine. Eppure aveva la netta impressione che tra loro vi fosse una sincerità e una trasparenza di intenti che lui, in quanto demone, faticava a concepire.
Possibile che quello fosse solo e solamente Amore, nella sua forma più pura, più disinteressata?
Una parte di lui voleva crederlo davvero. Sarebbe stato bello pensare che, nell'universo appena nato, ci fosse anche spazio per una cosa tanto incantevole nella sua semplicità, che pure era immensamente complessa.
Si sorprendeva del modo in cui quei due si guardavano, come se tutto il mondo fosse racchiuso negli occhi dell'altro, e si stupiva del bisogno viscerale di vicinanza reciproca che condividevano. L'ardore dei loro abbracci, la passione dei baci impetuosi, si accordavano con momenti di indescrivibile tenerezza durante i quali i due umani semplicemente si tenevano tra le braccia o si sfioravano le mani e il viso.
Crawly non capiva come quel fervore, quello slancio, potesse accompagnarsi in modo tanto armonico con il garbo e la dolcezza.
Chissà come doveva essere amare qualcuno. Lui ne sarebbe mai stato in grado?
Molto probabilmente no. Era un demone, in fondo. La sua anima era dannata in eterno e dubitava fortemente che il suo cuore sarebbe mai stato terreno fertile per lo sbocciare di un simile sentimento.
E, in ogni caso, chi avrebbe mai potuto amare? Non è che i suoi colleghi infernali gli suscitassero molta simpatia, figuriamoci amore!
Crawly si sorprese a ridacchiare di quelle sue assurde fantasie e si diede dello sciocco. Sarebbe stato molto meglio lasciare quelle faccende agli umani e tornarsene a pensare a se stesso, come aveva sempre fatto da quando era caduto. Eppure, per qualche insondabile ragione, ciò gli risultava pressoché impossibile...
- Ehi, Crawly! -
Il demone fece svanire la sfera gassosa in tutta fretta e si voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire quella voce gracchiante. I suoi occhi d'oro distinsero la figura allampanata di Hastur, fermo sulla sponda del lago di fuoco. Era avvolto dai fumi pestilenziali dell'Inferno e lo fissava con espressione arcigna.
Crawly aveva sempre saputo di non andargli a genio ma non è che la cosa lo facesse disperare poi molto, anzi era sempre felice di avere l'occasione per mettere alla prova la sua esigua scorta di pazienza.
- Hastur! Vecchio mio! Sei stato carino a venire a trovarmi nella mia umile dimora! -
Il duca infernale sputò a terra in segno di sprezzo.
- Sono qui solo perché ti è stato assegnato un compito speciale nientemeno che dal Pezzo Grosso. -
Crawly si fece improvvisamente attento. - Aspetta, intendi quel Pezzo Grosso? Quello che sta... - mimò con l'indice verso l'alto e Hastur annuì.
- E da quando prendiamo ordini dall'Onnipotente? - chiese, incredulo. - Pensavo che ormai ci avesse rinnegati. -
Hastur si strinse nelle spalle con aria infastidita. - E io che ne so?! - grugnì. - Mi hanno solo riferito che Lui e il nostro signore Satana hanno avuto un abboccamento ed egli ha acconsentito ad affidare a te l'incarico. -
Crawly si accigliò, sospettoso. - E perché la scelta del Gran Capo sarebbe ricaduta proprio su di me? Dov'è la fregatura? -
L'altro allargò le braccia. - Non ne ho idea. Francamente, non mi sembri poi un granché e di sicuro c'erano demoni molto più qualificati a cui commissionare un compito così importante. Ma pare che Lui sia stato categorico su questo punto. Bah, chi lo capisce! -
Crawly si portò una mano al mento. - Mmm. E cos'è che dovrei fare? Sentiamo: quale sarebbe questo incarico? -
- Riguarda... una mela. -



Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Good old fashioned lover boy ***


good

Dining at the Ritz we’ll meet at nine precisely

I will pay the bill, you taste the wine

Driving back in style, in my saloon will do quite

nicely

Just take me back to yours that will be fine

(Come on and get it)

Ooh love, Ooh loverboy

What’re you doin’tonight, hey boy –

Everything’s all right

Just hold on tight –

That’s because I’m a good old fashioned loverboy




Good old fashioned lover boy, Queen, 1976




Tic Tac, Tic Tac... l'antico orologio a pendolo scandiva i secondi, i minuti e le ore che separavano Aziraphale dal suo appuntamento con Crowley.
Il demone sarebbe passato a prenderlo alle 9 in punto per cenare insieme al Ritz e lui si sentiva stranamente su di giri: aveva perso il conto di quante volte aveva soppesato la propria immagine allo specchio ripromettendosi di impegnarsi a perdere qualche chilo e a rinnovare il guardaroba.
Perché poi? Che se ne faceva un angelo di un bell'aspetto e di vestiti alla moda? Si trattava solo di apparenza, vanità, frivolezza... di tutto ciò che, in buona sostanza, Aziraphale avrebbe dovuto, per sua celestiale natura, rifiutare e condannare.
Forse aveva davvero vissuto tra gli umani troppo a lungo.
Ad ogni modo, alle 9 di quella sera l'angelo aveva indossato il suo cappotto migliore e passato una mano di lucido sulle scarpe. Proprio nell'istante in cui le lancette formarono un perfetto angolo retto sul quadrante dell'orologio, il campanello della porta d'ingresso trillò allegramente.
Aziraphale si precipitò ad aprire senza capire per quale motivo il suo cuore avesse appena compiuto un triplo salto mortale carpiato nel suo petto.
Sulla soglia c'era Crowley, vestito di nero come sempre ma in un completo elegante che sfilava ancora di più la sua figura alta e snella. Se ne stava lì con una mano in tasca ad aspettarlo, il peso spostato sulla gamba sinistra in modo da conferire al suo atteggiamento un ché di noncurante e svagato. I lunghi capelli rossi (grazie al Cielo se li era fatti ricrescere) erano accuratamente legati in una coda sulla nuca.
- Ciao, angelo. - salutò con quel mezzo sogghigno che gli era proprio.
- Ciao Crowley. Stai molto bene. -
Il demone fece un gesto con la mano, come a voler minimizzare. - Oh, ho fatto solo un po' di acquisti in un negozio Dolce&Gabbana. Sono due tipi in gamba, sai? Ci sanno proprio fare con giacche e pantaloni e, per inciso, appartengono a noi, come quasi tutti gli artisti in realtà. -
- Non ne dubito. - ribatté Aziraphale, conscio della verità insita in quelle parole. Nessun artista che fosse davvero degno di quel titolo figurava tra le schiere del Paradiso, avevano tutti preso l'autostrada di fuoco per l'Inferno.
- Vogliamo andare, caro? -
- Dopo di te. - fece Crowley, dirigendosi alla Bentley, la carrozzeria ancora più lucida del solito, tanto che le luci di Soho vi si riflettevano come su uno specchio d'acqua nera. Il demone precedette Aziraphale di qualche passo e aprì la portiera dal lato del passeggero, dopodiché si fece da parte per farlo salire.
L'angelo lo guardò stupito. - A cosa devo tutta questa galanteria? -
Crowley scrollò le spalle. - Io sono un gentildemone, angelo. E poi... è un'occasione speciale, no? -
Prima che Aziraphale potesse domandargli di cosa stesse parlando, Crowley richiuse lo sportello e salì al posto di guida.


La Bentley arrivò al Ritz e, nonostante il parcheggio fosse già ingombro di auto, Crowley riuscì a infilarsi in un'improbabile spazio tra due Suv mastodontici.
I due entrarono dal lussuoso ingresso principale dell'edificio e vennero subito accolti da un cameriere in livrea dai modi cerimoniosi che si rivolse a loro con un piccolo inchino. - Signor Crowley, il tavolo che ha prenotato è pronto. Se volete seguirmi. -
Ma, con gran sorpresa di Aziraphale, l'uomo passò oltre la solita sala da pranzo che lui e Crowley frequentavano abitualmente, invece li scortò in una saletta più piccola ma altrettanto raffinata, a pianta rotonda e con un solo tavolo apparecchiato per due al centro. I lampadari di cristallo mandavano una luce calda e soffusa e sul tavolo era stata sistemata una candela bianca. In generale, quell'atmosfera raccolta risultava intima e gradevole
- Crowley? Ma cosa...? -
Il demone scrollò le spalle. - Te l'ho detto: è un giorno speciale. -
- La saletta privata è a vostra disposizione per tutta la sera, come espressamente richiesto. - illustrò il cameriere.
Crowley gli fece un cenno d'intesa e gli allungò un paio di banconote che l'uomo s'intascò rapidamente prima di proferirsi in un nuovo inchino e lasciarli soli.
Aziraphale stava ancora fissando la tavola apparecchiata con tutti i riguardi, cercando di ricordare cosa ci fosse di tanto particolare in quel giorno da giustificare quel trattamento di lusso ma si riscosse quando Crowley scostò una sedia per invitarlo a prendere posto.
L'angelo sedette e dispiegò il tovagliolo di seta sulle ginocchia. - Crowley? Cos'è questa storia? Di che occasione si tratta? -
L'amico, che si era seduto di fronte a lui, inarcò un sopracciglio e gli rivolse una strana occhiata divertita. - Sul serio non lo sai? -
Aziraphale scosse la testa e il demone ridacchiò. - Be', allora credo che la tua curiosità sarà il piatto forte di questa cena. -


Fortunatamente, la curiosità dell'angelo venne invece abbondantemente messa in ombra dalle portate più prelibate che la multi-premiata cucina del Ritz potesse offrire, il che comprendeva, in pratica, tutti i suoi piatti preferiti.
Fu una cena molto piacevole. Crowley e Aziraphale chiacchierarono un po' di tutto e la sintonia tra loro era quasi palpabile nell'aria, come un filo dorato che connettesse l'uno all'altro.
Alla fine, il cameriere dai modi affettati portò il dessert e servì loro una degustazione di vini pregiati. Nonostante Aziraphale si sentisse già un po' brillo fece più che onore a quella selezione.
- Oh, cielo. - sospirò, dopo aver posato l'ultimo bicchiere. - Temo di avere esagerato. -
- Nah, sciocchezze! - fece Crowley, ingollando quel che rimaneva del contenuto del suo calice di cristallo finissimo. - Un po' di vino non ha mai fatto male a nessuno. E poi oggi sei autorizzato a bere quanto vuoi visto che è... -
Si fermò appena in tempo prima di spiattellare tutto, ma Aziraphale colse la palla al balzo. - Sì, Crowley? Ti prego, va' pure avanti. -
Il demone fece oscillare l'indice. - Non ci provare, angelo. Non sono così ubriaco da cadere in trappola tanto facilmente. -
- Valeva la pena tentare. - disse l'altro con una scrollatina di spalle. - Ad ogni modo, temo che il conto sarà parecchio salato stavolta. Insomma, saletta privata, menù deluxe, selezione di vini... tutto questo avrà senz'altro il suo costo. -
- Tu non preoccupartene, stasera ci penso io. - affermò Crowley, deciso.
- Ma... -
- Niente “ma”, Aziraphale. Ho detto che ci penso io. -
A nulla valsero le proteste dell'angelo e, una volta che Crowley ebbe saldato il conto (che, in effetti, si rivelò tutt'altro che a buon mercato) i due tornarono alla Bentley.


L'auto d'epoca posteggiò di fronte alla libreria e il demone insistette per accompagnare un sempre più basito Aziraphale fino alla porta.
- Si può sapere che ti prende oggi? - domandò, perplesso oltre ogni dire.
- In che senso? -
- Be', non lo so. La cena privata con tutti i miei piatti preferiti, le premure, l'attenzione per i dettagli, i modi galanti, il vestito nuovo. Scusa se te lo dico ma questo non è proprio il tuo genere, Crowley. Sicuro di stare bene? O devo forse pensare che stai tramando qualcosa? -
Il demone mise su un atteggiamento offeso. - Bel ringraziamento, angelo, davvero. Volevo solo farti trascorrere una bella serata, dato che è il tuo compleanno. -
Aziraphale strabuzzò gli occhi. - Il mio... compleanno? -
- Non “compleanno” in senso stretto, ovviamente. - precisò Crowley. - Ma su tutti i tuoi documenti di copertura c'è scritto che sei nato il 21 marzo. L'anno viene modificato continuamente per salvare le apparenze ma giorno e mese sono sempre gli stessi da secoli. E si dà il caso che oggi sia proprio il 21 marzo. -
Aziraphale non rispose. Si era completamente dimenticato di quel dettaglio ed era assai stupefacente che invece fosse stato proprio Crowley a ricordarsene.
- Io... l'avevo scordato. -
- Non ci crederai, ma l'avevo intuito. - lo sbeffeggiò il demone. - E comunque, spiegami una cosa: perché proprio il 21 marzo? -
L'angelo si strinse nelle spalle, soppesando la risposta. - Non saprei. È il giorno dell'equinozio di primavera. Il momento dell'anno in cui luce e oscurità sono perfettamente bilanciate prima dell'inizio della bella stagione. Direi che l'ho sempre trovato parecchio... evocativo. -
- Molto profondo. - commentò Crowley con una punta di ironia nella voce. - In ogni caso, volevo rispettare in tutto e per tutto le tradizioni umane e quindi ti ho lasciato una cosuccia nel tuo studio. Ma non fidarti troppo, può darsi che io stia solo, com'è che hai detto? Ah, già: tramando qualcosa. -
Aziraphale arrossì, sentendosi un enorme stupido. - Crowley, mi dispiace tanto. Non intendevo offenderti. E quello che hai fatto per me stasera... -
Il demone alzò una mano per fermarlo. - Lascia stare, angelo. Non è necessario aggiungere altro. -
- Entra almeno a bere qualcosa. - lo invitò Aziraphale. - Per farmi perdonare. -
Crowley esitò. - Hai dello scotch? -
- Il migliore che tu possa trovare in circolazione. -
- Oh, be', in questo caso... -


Mezza bottiglia più tardi, ogni traccia di malumore era sparita dall'animo di Crowley e quando fu il momento di congedarsi, il demone lanciò ad Aziraphale uno sguardo insolitamente appassionato che fece mancare un battito al cuore dell'amico. - Buon compleanno, angelo. -
Quando se ne fu andato, Aziraphale si ricordò della “cosuccia” che Crowley gli aveva detto avrebbe trovato nel suo studio. Ardente di curiosità, salì la scala a chiocciola in ferro battuto ed entrò nella stanza dove conservava i suoi libri più preziosi, quelli dei quali era particolarmente geloso. Sul vecchio scrittoio di legno risalente all'epoca dei monaci amanuensi trovò un pacchetto avvolto in una brillante carta da regalo vermiglia. Non c'era alcun biglietto ma era indubbio da chi provenisse quel dono.
Aziraphale scartò con attenzione il regalo e per poco non cadde dalla sedia per la sorpresa e l'emozione: tra le sue mani c'era una prima edizione della trilogia dell'Anello con tanto di dedica e autografo di J. R. R. Tolkien.
Istintivamente, l'angelo strinse a sé il volume e sorrise.
- Grazie, Crowley. - sussurrò.
Forse, anzi sicuramente, lo immaginò, ma ebbe la netta impressione di udire la voce arguta dell'amico in risposta: “È stato un piacere, angelo.”


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Don't try suicide ***


suicide

So you think it’s the easy way out

Think you’re gonna slash your wrists

This time

Baby when you do it all you do is

Get on my tits

Don’t do that try try try baby

Don’t do that – you got a good thing going now

Don’t do it Don’t do it – Don’t



Don't try suicide, Queen, 1980





Londra, 1967



Aziraphale si diede un'occhiata allo specchio e trasalì, stentando a riconoscersi. Il viso era pallido e la pelle tirata sugli zigomi, con due ombre scure che gli si allargavano sotto gli occhi stanchi, rughe d'espressione si erano formate tra le sopracciglia e ai lati delle labbra, non per l'avanzare dell'età che, in effetti, per lui non avanzava affatto, quanto piuttosto per la preoccupazione e l'ansia dalle quali era divorato senza requie negli ultimi giorni.
Era passata una settimana da quando, seppur riluttante, aveva ceduto a Crowley l'oggetto dei suoi desideri, ovvero l'acqua santa, ed erano sette notti che l'angelo faticava a chiudere occhio e la sua mente gli presentava gli scenari più angoscianti e terribili riguardo alla sorte suo migliore amico.
Aziraphale si svegliava di soprassalto con un velo di sudore a imperlargli la fronte e il ricordo dell'ennesimo incubo seduto accanto a lui come un fantasma spaventoso e molesto che non aveva nessuna intenzione di andarsene.
La maggior parte di quei sogni seguiva sempre lo stesso schema: Crowley che svitava il tappo del thermos, gli occhi insolitamente vitrei e i gesti delle mani lenti e controllati, e finiva per portarsi alle labbra il liquido fatale che, dall'interno, corrodeva la sua forma corporea ma anche la sua anima, annullandolo completamente e strappandolo via per sempre dal tessuto dell'universo.
A volte, Aziraphale aveva l'impressione che il Crowley del suo incubo potesse vederlo e gli rivolgesse uno strano sguardo tra la tristezza e la rassegnazione. Sembrava volergli dire: “Ecco, è finita, angelo. Bevo quest'acqua alla tua salute. Addio.”
E il macabro eco di quei sogni non veniva lenito neanche dal sorgere del sole e dalla gioiosa luce del giorno, o da qualunque occupazione alla quale l'angelo si dedicasse.
Qualsiasi cosa facesse, ovunque si trovasse, sullo schermo dei suoi pensieri veniva ossessivamente proiettato lo spettacolo che turbava le sue notti: Crowley che, chissà per quale oscura ragione, si suicidava per mezzo dell'acqua santa che lui stesso gli aveva procurato.
Aziraphale conosceva Crowley abbastanza a fondo da escludere che il demone fosse vittima di istinti suicidi, ma se fosse capitato qualcosa di brutto? Se le cose si fossero messe davvero male? Crowley non era il tipo da dare soddisfazione ai suoi nemici. Se si fosse trovato in circostanze disperate e senza alcuna via di fuga...
L'angelo si prese la testa fra le mani e cercò di respirare profondamente per calmarsi e scacciare quell'idea. Avvertiva un peso enorme opprimergli dolorosamente il petto ogni volta che si lasciava trasportare da quelle lugubri fantasie e sapeva che, se avesse continuato così, presto sarebbe diventato l'ombra di se stesso.
Non ce la faceva più. Aveva bisogno di parlare con Crowley per accertarsi delle sue intenzioni e, nel caso, tentare con ogni mezzo di dissuaderlo dal suo sinistro proposito.
Aziraphale afferrò il telefono e, con mano tremante, compose il numero dell'amico.
Dopo tre squilli a vuoto, partì il messaggio automatico della segreteria: “Salve, sono Anthony Crowley. Sapete cosa fare, fatelo con stile.”
Aziraphale sospirò. - Crowley? Sono io. Sei lì? Ho bisogno di parlarti, è urgente. -
I secondi passavano inesorabili e dall'altro capo della linea telefonica non giungeva alcun suono. Il cuore dell'angelo prese ad accelerare, il respiro gli si fece corto, la morsa dell'ansia aumentò la sua stretta.
- Crowley? CROWLEY! Rispondi, per l'amor del cielo! -
Finalmente, Aziraphale sentì che la cornetta veniva sollevata e quasi scoppiò in lacrime di sollievo quando udì una rispostaccia scocciata dall'altra parte.
- Insomma, angelo! Cosa c'è da gridare tanto? Mi stavo occupando delle mie piante. -
- Crowley! Stai bene? -
- Ma che domande sono? Certo che sto bene! Perché non dovrei? -
Aziraphale non rispose, ancora scosso.
- Tu piuttosto, stai bene? - domandò il demone, la voce incrinata da una lieve nota di preoccupazione. - Mi sembri un po' strano, perfino per i tuoi standard. -
- Io... io devo parlarti, Crowley. -
- Va bene, dimmi. -
- No, non al telefono. Ho bisogno di parlarti faccia a faccia. È una questione un po' delicata. -
- D'accordo, allora posso passare da te. Sarò lì tra circa quindici minuti, ok? -
- Sì, sì, perfetto. Quindici minuti. Sì, benissimo. -
- Angelo, mi stai spaventando. Sembri sconvolto, è come se ti tremasse la voce. Che diamine è successo? -
- No, va tutto bene. Allora a... a tra poco. -
Aziraphale riattaccò ed esalò l'ennesimo sospiro teso. Quindici minuti.


Crowley rimase a fissare con aria perplessa il telefono che teneva ancora in mano, anche se la comunicazione si era chiusa già da un po'.
Qualcosa nella voce di Aziraphale l'aveva messo in allarme. Non l'aveva mai sentito così agitato e, sebbene conoscesse la sua naturale tendenza a preoccuparsi eccessivamente per ogni più piccola cosa, doveva ammettere che quella vaneggiante conversazione aveva risvegliato in lui un viscerale senso di allerta, quel sesto senso che in genere prepara il terreno all'arrivo di brutte notizie.
Cosa mai poteva essere successo di tanto grave?
Il demone s'infilò rapidamente la giacca e si precipitò fuori dall'appartamento.


Di minuti, Crowley ne impiegò solamente otto per raggiungere la libreria di Aziraphale a Soho. Aveva ignorato tutti i segnali di stop e infranto tutti i limiti di velocità, si era probabilmente guadagnato un paio di multe passando col semaforo rosso e aveva quasi investito uno spaventatissimo vigile urbano, ma non gli importava. Ciò che in quel momento gli stava davvero a cuore era che il suo amico stesse bene.
Nel frattempo, l'angelo aveva misurato a passi nervosi ogni centimetro del retrobottega, cercando di attenuare l'agitazione e ammonendo se stesso dal comportarsi in maniera inappropriata.

Ok, Aziraphale, sta' calmo. Crowley sarà qui a momenti ma non devi fargli capire subito che sei preoccupato per lui. Arrivaci piano piano, comincia il discorso con una frase informale, parla del tempo, di argomenti banali, ma non lasciar trasparire i tuoi sentimenti per nessuna ragione al mondo. Sarebbe controproducente. E, cosa più importante, cerca di sondare il terreno con la massima discrezione.”
Quando udì il rumore della porta d'ingresso e dei passi di Crowley sul vecchio parquet scricchiolante, Aziraphale prese un respiro particolarmente lungo. “Ci siamo.”
Il demone irruppe nel retro della libreria come un fulmine. - Angelo? Ma che sta succedendo? Stai... ? -
Ma le parole gli morirono sulle labbra quando vide l'aspetto grigio e sciupato dell'amico. - Aziraphale, ma cosa... ? -
- Oh, Crowley! -
Mandato all'inferno ogni buon proposito di mantenere discrezione e contegno, l'angelo scattò in avanti e gettò le braccia al collo del demone, stringendolo a sé e affondando il viso nell'incavo della sua spalla.
Crowley rimase impietrito al punto che nemmeno cercò di opporre resistenza a quell'assalto così inaspettato.
- Amico mio, non farlo, ti prego! Non ne vale la pena! Qualunque cosa sia successa, vedrai che tutto si sistemerà. Possiamo venirne fuori insieme! -
- Ma che accidenti stai blaterando, per Satana?! -
- Lo sai benissimo! Ma non c'è motivo di arrivare a tanto e io ti aiuterò in qualunque modo, caro. Te lo prometto. Ma, ti scongiuro, non farlo! -
A quel punto, Crowley afferrò l'angelo per le spalle e lo allontanò bruscamente da sé, sciogliendosi dal suo disperato abbraccio.
- Stammi bene a sentire. - cominciò, fissando Aziraphale dritto negli occhi lucidi. - Ora tu ti siedi, bevi un sorso di brandy, prendi un bel respiro e mi racconti per filo e per segno cos'è questa storia. -
- Come se tu non lo sapessi! - sbottò l'angelo.
- Dannazione, Aziraphale! Vuoi parlare chiaro una buona volta?! -
- Mi riferisco all'acqua santa che ti ho dato, è ovvio! -
Crowley sbatté le palpebre, colto del tutto alla sprovvista. - Cosa? -
- Non so cosa sia successo di tanto grave da spingerti a volerla usare su di te per ucciderti, ma possiamo superarlo. Se mi permetti di aiutarti, vedrai che risolveremo tutto. -
Il demone rimase qualche secondo a scrutare il volto supplichevole di Aziraphale, inebetito, come se avesse bisogno di un attimo perché il suo cervello potesse assimilare ciò che egli aveva detto e rimettere a posto i pezzi del puzzle per giungere ad una conclusione logica, dopodiché, contro ogni previsione, scoppiò in una fragorosa risata.
- Che c'è da ridere? - chiese l'altro, confuso e un po' offeso che la sua angoscia venisse accolta in quel modo. In fondo stavano parlando di un argomento molto serio e trovava che l'atteggiamento di Crowley fosse del tutto fuori luogo oltre che irrispettoso.
- Oh, angelo! Tu sei veramente un idiota! -
- Come, prego? -
Crowley si sforzò di fermare l'attacco di ilarità e dovette togliersi gli occhiali per asciugarsi via le lacrime che gli si erano affacciate agli occhi per il tanto ridere.
- Non ho nessuna intenzione di usare l'acqua santa per suicidarmi. Mi ci vedi a fare una cosa del genere? -
Fu il turno di Aziraphale di sbattere le palpebre con aria stupita. - Ah, no? -
- Ma neanche per sogno! Ti ho già spiegato che la volevo solo come polizza assicurativa, se per caso andasse tutto a rotoli e dovessi ricevere, ehm... visite non gradite dai piani inferiori. -
Aziraphale non era ancora convinto della sua sincerità, e Crowley se ne accorse. La sua espressione tornò grave. - Angelo, ti giuro sulla mia anima dannata in eterno che non intendo tentare il suicidio. -
- Come posso fidarmi della parola di un demone? -
Crowley esitò un momento prima di rispondere. - Fidati della parola di un amico. -
Alla fine, Aziraphale chinò lentamente il capo in un refrattario cenno di assenso. - Suppongo di non avere altra scelta. -
Il demone sorrise, si diresse al tavolo e scostò una sedia. - Bene! E ora che abbiamo chiarito questo piccolo malinteso, siediti qui e lascia che ti prepari un drink. Hai tutta l'aria di averne proprio bisogno. -
Aziraphale non replicò e si lasciò cadere sulla sedia. Tutto a un tratto, la stanchezza fisica e mentale degli ultimi giorni si era impadronita di lui, lasciandolo come svuotato di ogni energia.
Nonostante la preoccupazione non fosse ancora svanita del tutto, si sentiva sollevato ora che Crowley gli aveva assicurato di non avere intenti suicidi e iniziava anche a percepire una lieve punta di vergogna per essersi lasciato sopraffare dalle emozioni, mettendosi in una posizione quantomai imbarazzante con il suo migliore amico.
- Non ti dispiace se mi servo da solo, vero? - chiese Crowley con un sorrisetto ironico, aprendo l'anta della cristalliera dove l'angelo conservava gli alcolici.
- Fa' pure. - rispose Aziraphale agitando una mano in segno di noncuranza.
Dal canto suo, Crowley era più che felice di avere una scusa per tenersi impegnato e dargli le spalle. Lo slancio emotivo con cui Aziraphale gli si era gettato tra le braccia poco prima l'aveva molto impressionato. Era mai possibile che l'angelo si fosse ridotto in quello stato, consumato dall'ansia nei suoi confronti? Era davvero convinto che intendesse usare l'acqua santa per togliersi la vita? Aveva riconosciuto nei suoi gesti convulsi, nel suo sguardo pieno di urgenza e nel tremore della sua voce uno sgomento che l'aveva lasciato a dir poco sbigottito.
Prese dallo scaffale una bottiglia di brandy piena a metà, poi afferrò due bicchieri e versò il liquore, la mente tutt'altro che concentrata su quelle azioni.
Era quasi commovente che Aziraphale fosse stato tanto in pena per lui e Crowley si ritrovò a chiedersi se, a posti scambiati, avrebbe mai potuto provare quella stessa angustia. Per quanto ciò fosse deplorevole, una parte di sé gioiva all'idea che l'angelo tenesse a lui a tal punto, ma questa veniva puntualmente compensata da un'altra che invece soffriva al pensiero del tormento al quale Aziraphale era stato esposto a causa sua.
Non aveva un buon rapporto con le emozioni, Crowley. In genere riusciva a contenerle e, all'occorrenza, camuffarle sotto un consistente strato di ironia e sarcasmo, ma quando c'era di mezzo l'angelo, riuscire in questa impresa si dimostrava più arduo che mai. In quelle occasioni si accontentava tutt'al più di dissimularle meglio che poteva, dato che reprimerle gli era praticamente impossibile.
- Ecco. - disse, posando il bicchiere davanti all'angelo e prendendo posto a sua volta di fronte a lui. - Bevi, ti aiuterà a tirarti un po' su e a calmare i nervi. -
Aziraphale lo ringraziò e bevve un sorso.
Per un po', gli unici rumori all'interno della stanza furono il tintinnio dei bicchieri sul tavolo e il ritmico ticchettare dell'orologio antico appeso alla parete.
Fu l'angelo a rompere quel silenzio imbarazzato. - Senti, Crowley... riguardo a poco fa, io... be', io... -
L'altro lo liquidò con un gesto secco. - Acqua passata, angelo. Se tu sei d'accordo, proporrei di chiudere qui questa faccenda e di dimenticare tutto prima di rendere le cose ancora più strane di quanto già non siano. -
Aziraphale non poteva che concordare e fu grato che Crowley non avesse fatto commenti sulla sua indegna scenata in pieno stile melodramma.
- Be', allora, alla tua salute. - brindò il demone, alzando il bicchiere nella sua direzione.
Memore del suo incubo ricorrente, Aziraphale impallidì a quelle parole.
- Che c'è? Ho detto qualcosa di male? - si allarmò Crowley, resosi conto di quel repentino cambiamento di colorito.
- No, non preoccuparti, caro. È tutto a posto. - lo rassicurò l'amico, sollevando a sua volta il proprio bicchiere per rispondere al brindisi. Bicchiere che, fortunatamente, non conteneva acqua santa ma solo pregiato brandy francese della migliore qualità.


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Delilah ***


delilah



You make me smile when I’m just about to cry

You bring me hope, you make me laugh – and I like it

You get away with murder, so innocent

But when you throw a moody you’re all claws and you bite

That’s alright!



Delilah, Queen, 1991





Warlock Dowling era il bambino di sette anni più viziato che esistesse al mondo.
Crowley e Aziraphale l'avevano capito dal primo momento in cui avevano messo piede nell'enorme casa dell'ambasciatore americano. Il rampollo della famiglia veniva trattato come un principino, servito e riverito dalla mattina alla sera.
Certo, quattro anni più tardi l'errore sarebbe venuto alla luce, ma, all'epoca, Crowley e Aziraphale erano fermamente convinti che egli fosse l'Anticristo e dunque non trovarono poi così strano o insensato che il moccioso ottenesse tutto ciò che desiderava, anzi, probabilmente nemmeno si rendeva conto di esercitare i suoi poteri demoniaci su coloro che lo circondavano, piegandoli al proprio volere con la facilità del vento che piega gli steli d'erba.
Un giorno, Warlock chiese, o meglio ordinò, che gli venisse regalato un gatto.
Naturalmente sua madre Harriet mandò subito una cameriera al più vicino negozio di animali e, nel giro di poco meno di un'ora dalla richiesta, il desiderio di Warlock era stato esaudito e casa Dowling aveva un nuovo inquilino. Inquilina in effetti, poiché la cameriera tornò dal negozio con una bella gatta grigia dagli occhi acquamarina di nome Delilah.
Il bambino cercò in tutti i modi di modificarlo, ma l'animale rispondeva solo a quell'appellativo e non ci fu verso di farla abituare ad uno nuovo. Così per tutti rimase Delilah.
Quando Warlock corse in giardino per mostrarla a Fratello Francis, alias Aziraphale, l'uomo s'inginocchiò con un sorriso e prese a vezzeggiare la gatta, che proruppe in fusa deliziate e si strusciò contro la sua mano, avida di carezze.
- Hai buon gusto, giovane Warlock. - approvò Aziraphale. - Hai scelto un esemplare davvero bellissimo. -
Ovviamente il bambino non si curò di precisare che era stata una cameriera ad effettuare l'acquisto e che, anzi, lui avrebbe di gran lunga preferito un gatto maschio, ma Delilah era davvero splendida con quel pelo morbido e lucido e quei magnetici occhi blu, inoltre non si risparmiava in moine e riusciva a conquistare tutti conferendo prestigio anche al padroncino che la esibiva con orgoglio, come un improbabile trofeo peloso che attestasse un suo altrettanto improbabile merito personale.
Quella sera, Delilah si acciambellò in fondo al letto di Warlock, sebbene fosse stata preparata per lei una morbida cuccia a forma di castello a tre piani che la bella felina aveva sdegnosamente rifiutato.
Gli occhi socchiusi e il respiro lento e profondo mostravano come ella fosse già a un passo dal mondo dei sogni.
Ma quando Tata Ashtoreth, alias Crowley, entrò nella camera del bambino, scattò immediatamente sulle quattro zampe e rizzò il pelo, soffiando e scrutando il demone con sguardo ostile, le pupille ridotte a due fessure sottilissime.
Crowley si richiuse la porta alle spalle e restituì l'occhiataccia alla gatta.
- Sta' buona, Delilah. - disse Warlock mentre si infilava sotto le coperte.
L'animale si sedette sulle zampe posteriori senza però smettere di fissare Crowley con astio e diffidenza.
- Si direbbe che non le piaci, tata. - commentò Warlock, senza impegnarsi troppo nel nascondere la nota di soddisfazione per il fatto che lui, al contrario, fosse nelle grazie della gatta.
Crowley sorrise a denti stretti e prese posto sulla sua solita poltrona accanto al letto.
- Avevo sentito del nuovo arrivo. - disse, senza staccare gli occhi da quelli del gatto. - L'hai chiamata Delilah, giusto? Ma che nome carino! -
Crowley detestava quei modi leziosi così come odiava parlare in falsetto, ma aveva appreso da “Mary Poppins” che è così che si comportano le tate e dunque cercava di aderire il più possibile allo stereotipo del personaggio in cui sarebbe rimasto incastrato ancora per un po'.
- Non sono stato io a chiamarla così. - puntualizzò Warlock. - Il proprietario del negozio le aveva dato questo nome e non sono riuscito a cambiarglielo. -
- Mmm. -
Crowley e Delilah si guardavano più storto che mai. Evidentemente, lei avvertiva l'essenza demoniaca che emanava da lui, mentre Crowley, dal canto suo, non era mai stato un grande amante dei felini. Semplicemente, non c'era feeling tra lui e una qualsiasi creatura che miagolasse e che possedesse affilati artigli retrattili e movenze degne del più rapido, silenzioso e letale dei ninja.
Se non fosse stato così ciecamente sicuro dell'identità di Warlock, avrebbe potuto domandarsi per quale motivo Delilah non sembrasse minimamente turbata dalle vibrazioni emesse dal figlio di Satana come invece lo era dalle sue, che poi erano quelle di un semplice diavolo minore. Allo stesso modo, sarebbe stato lecito chiedersi come fosse possibile che l'Anticristo, con tutti i suoi poteri, non riuscisse a imporre un nuovo nome alla gatta; ma quando si ha l'assoluta certezza di qualcosa, si tende ad ignorare deliberatamente tutti quei segnali, grandi o piccoli, che potrebbero minarla.
E così, Crowley si limitò a raccontare al bambino una delle sue solite truculente storie della buonanotte, senza mai tuttavia perdere di vista la micia, che fece lo stesso con lui.


Quella notte, Crowley e Aziraphale si incontrarono in un locale di Soho per aggiornarsi sugli ultimi sviluppi riguardanti l'educazione di Warlock.
- Hai visto? Ora ha anche una gatta. - constatò Aziraphale. - Sono sicuro che presto riuscirà a sottometterla alla propria volontà come fa con gli umani. -
- Non ne sarei così sicuro. - lo contraddisse Crowley con una smorfia scettica. - Quella sembra una tipa tosta. Dubito che il ragazzino avrà vita facile con lei, anche se è il figlio del Diavolo. -
Il tono di voce del demone suggerì ad Aziraphale che non corresse buon sangue tra l'amico e la nuova arrivata a quattro zampe.
- Non ti piace, vero? -
Crowley assunse un'espressione interrogativa.
- Delilah, intendo. La gatta. -
L'altro sbuffò. - Mi piace quanto mi piacciono tutti i gatti, angelo. Cioè meno di zero. E poi sono abbastanza sicuro che mi abbia già inquadrato per quello che sono veramente. -
- Ma che stai dicendo? Non essere assurdo. -
Crowley annuì più volte, come a confermare la fermezza della sua posizione in merito all'argomento. - Fidati. Lei sa. E questo potrebbe provocarmi dei guai. Se il ragazzo iniziasse a sospettare qualcosa e la copertura dovesse saltare... -
- Non succederà. - lo rassicurò Aziraphale, convinto. - Vedrai, andrà tutto bene. -
Ma il demone non venne contagiato dall'ottimismo dell'amico. - Lo spero, angelo. Ma non si può mai dire quando c'è di mezzo un gatto. -


Un paio di giorni dopo, Crowley ebbe prova di ciò che aveva sospettato fin dal primo istante: quella gatta era tutt'altro che la mansueta cucciola dagli occhioni di zaffiro che tutti credevano.
Erano le undici di una sera limpida e gradevole, rischiarata da una luna piena color del grano. Lui aveva appena smesso i panni di Tata Ashtoreth per rientrare, con un certo sollievo, nei propri abiti maschili e moderni. Aveva raggiunto la Bentley, parcheggiata poco distante dalla casa, e si stava apprestando a cercare le chiavi quando intercettò un paio di occhi brillanti come fanali che seguivano attentamente ogni suo movimento e lo fecero sobbalzare.
- Che vuoi?! - berciò. - Vattene via. Sciò! -
Per nulla intimorita, Delilah balzò fuori con eleganza da sotto la siepe dove si era nascosta e prese a girargli attorno, passandolo ai raggi X con quegli occhi di brace spudoratamente intelligenti.
Crowley iniziò ad avvertire un certo disagio. Ecco come lo facevano sentire quelle bestiacce: messo a nudo dalla punta dei capelli fino alla sua anima maledetta.
- Ma si può sapere che accidenti vuoi da me? -
Per tutta risposta, Delilah saltò sul cofano della Bentley e Crowley inorridì nel vedere la carrozzeria lustra imbrattata di fangose impronte di gatto.
- Scendi. - sibilò. - Scendi subito o per te saranno guai, mia cara. -
Delilah se ne stava immobile e lo scrutava con aria di sfida. C'era qualcosa di sfacciato e accusatorio nel suo sguardo, qualcosa che fece comprendere a Crowley che sì, lei aveva capito tutto e sapeva cosa egli fosse in realtà.
- E va bene, signorinella. Dato che ormai mi hai scoperto, tanto vale giocare ad armi pari, non credi? -
Un secondo più tardi, dove fino a un attimo prima vi era un uomo, ecco che apparve un grosso cane nero dagli occhi dorati e i denti bianchi e aguzzi scoperti in un ringhio feroce.
Crowley aveva sperato di spaventarla e indurla a fuggire, invece Delilah saltò inaspettatamente giù dall'auto, il pelo più ritto che mai, pronta alla zuffa.
Cane e gatta lottarono per un po' finché la seconda, miracolosamente illesa, decise di battere in ritirata e si arrampicò su un albero con impressionante agilità.
Crowley, in forma di cane, ringhiò sommessamente al ramo sul quale Delilah si era rifugiata, dopodiché si ritrasformò in umano e salì a bordo della Bentley, imprecando e tenendosi il braccio.
La gatta l'aveva graffiato di brutto e il demone perdeva anche un po' di sangue. La maglia era tutta sbrindellata e anche i pantaloni non erano messi molto meglio.
Quando arrivò al consueto appuntamento con Aziraphale, stavolta direttamente alla libreria, l'angelo strabuzzò gli occhi nel vederlo ridotto in quel modo.
- Crowley, caro, ma cosa ti è capitato? -
- Se proprio vuoi saperlo, ho appena finito un incontro di wrestling con quella Terminator della gatta dei Dowling. -
- E direi che te le ha anche suonate di santa ragione. - constatò l'altro. - Allora è stata Delilah a conciarti così? -
- Sai, credo che per tutto questo tempo abbiamo sbagliato obiettivo, angelo. -
- A cosa ti riferisci? - domandò Aziraphale mentre accompagnava Crowley a una poltrona e gli arrotolava le maniche per osservare meglio i graffi che gli deturpavano la pelle delle braccia.
- Credo che sia lei il vero Anticristo. - scherzò il demone con una smorfia a metà tra un sogghigno e un'espressione di dolore.
Aziraphale abbozzò un sorriso. - Aspetta, prendo un paio di cose per medicarti quelle ferite prima che si infettino. -
- Medicare? - fece Crowley, stupito. - Non puoi fare un miracolo dei tuoi e rimettere le cose a posto in un nanosecondo? -
Aziraphale scosse la testa, gravemente. - Mi dispiace, caro, ma se ai piani alti si scoprisse che ho usato i miei doni per guarire un demone, mi troverei in un bel casino e probabilmente sarei costretto a lasciare la Terra. È troppo rischioso, e poi non sono che un paio di graffi. Basteranno i rimedi umani. -
Il demone gemette e gettò la testa all'indietro esibendosi in una posa quantomai melodrammatica. - Perché ho la sensazione che non sarà per niente piacevole? -
- Oh, quante storie. - lo prese in giro l'altro mentre radunava sul tavolo una boccetta di disinfettante, una garza di cotone e un paio di bende. - I bambini umani sono più coraggiosi di te, caro. -
Crowley arricciò il naso e guardò con circospezione l'improvvisato kit di pronto soccorso.
- I bambini umani non devono affrontare una macchina da guerra con baffi e coda. Credimi, neanche uno dei nostri segugi infernali avrebbe potuto avere la meglio su quel killer travestito da gattina. -
- Non dovevi provocarla. - disse Aziraphale, sedendosi su uno sgabello di fronte a Crowley e versando un po' del contenuto della boccetta sulla garza.
- E cosa ti fa pensare che sia stato io a provocarla? - domandò l'altro, offeso.
L'angelo alzò le spalle e cercò di usare un tono di scuse. - Be', conoscendo la tua avversione per i gatti e il tuo temperamento, mi riesce difficile immaginare il contrario. - fece una pausa. - E poi, Delilah è un animale così dolce e mite. -
- Dolce e mite?! - esclamò il demone. - Quella è un concentrato di pura malvagità e perfidia! -
- Ora non esagerare. - lo rimproverò Aziraphale.
- Non esagero affatto. - ribatté Crowley, stizzito.
- Pronto? - chiese l'angelo avvicinando la garza imbevuta di disinfettante al braccio dell'amico. - Brucerà un po', temo. -
- Ma non mi dire! -
Aziraphale decise di interpretare quella reazione sarcastica come una risposta affermativa e posò con delicatezza la garza sulla pelle del demone, che si irrigidì all'istante e dovette mordersi la lingua per trattenere un'esclamazione. Bruciava eccome!
Per cercare di distrarre l'amico dal fastidio della medicazione, Aziraphale gli raccontò di come il giorno prima Delilah lo avesse fatto scoppiare a ridere rotolandosi tra i fiori di un'aiuola per poi ritrovarsi con una farfalla che le si era posata sul naso.
- Era così tenera e graziosa! -
- Bah! Ci vuole davvero poco per mandarti in brodo di giuggiole, angelo. A volte, proprio non mi spiego come tu possa essere così ingenuotto e credulone. -
Aziraphale si accigliò e premette più rudemente la garza sulle ferite di Crowley, che si ritrasse con un gemito.
- Ahia! Potresti usare un po' più di gentilezza, per favore?! -
L'angelo mise su un'espressione affranta che non avrebbe tratto in inganno nessuno. - Oh, scusa, caro. Ti ho fatto male? Mi dispiace tanto. -
- Non è vero. L'hai fatto apposta, invece. - obiettò il demone, facendo il broncio. - Ti conosco, Aziraphale, non puoi darmela a bere con la recita dell'angioletto casto e puro. Non funziona con me. -
Le labbra dell'altro si distesero in un sorrisetto nel quale Crowley poté ravvisare un ché di vagamente diabolico.
- Allora dovresti evitare di dire certe cose fintanto che il tuo braccio è alla mia mercé. -
- Lo sai, tu e quella gatta siete molto simili. - disse, immusonito. - Vi piace far finta di essere carini e coccolosi ma, sotto sotto, siete delle carogne. -
- Non hai sempre detto che è per questo che ti piaccio? -
- Hai ragione, - concesse Crowley. - Ma non quando usi la tua bastardaggine contro di me. -
- Sarebbe troppo comodo, mio caro. - ridacchiò Aziraphale. - Et voilà! Ho finito. -
Il demone provò a muovere il braccio che era stato bendato con cura. Le ferite pizzicavano ma doveva ammettere che, dopo le premurose cure dell'angelo, andava molto meglio.
- Grazie. - bofonchiò Crowley, ancora corrucciato.
Aziraphale gli sorrise con calore. - Di nulla. -


Il giorno seguente, a casa Dowling, si scoprì che Delilah era sparita.
Vennero organizzate squadre di ricerca per setacciare meticolosamente ogni angolo dell'edificio, il giardino e perfino i dintorni dell'imponente abitazione.
Gli agenti della sicurezza e tutta la servitù vennero sollevati temporaneamente dai propri incarichi e mobilitati affinché ogni uomo e donna del personale fosse impegnato nelle ricerche della gatta scomparsa.
Alla fine, nessuno riuscì a trovarla e la Signora Dowling dovette spiegare ad un Warlock in lacrime che probabilmente la micia era fuggita durante la notte.
Dopo l'alterco della sera prima, Crowley fu ben felice di udire quella notizia. A quanto pareva, Delilah non era assolutamente disposta a condividere il tetto con un demone infernale e aveva deciso di filarsela, alla ricerca di un posto più consono in cui vivere.
Il lutto di Warlock per la sparizione della gatta durò giusto qualche ora, ovvero il tempo necessario perché la solita povera cameriera tornasse al negozio di animali e riportasse a casa una coppia di grassi e pelosi porcellini d'india.
Crowley tirò un sospiro di sollievo. “Grazie a Di... grazie a Sat... oh, insomma! Per fortuna non sono gatti!”



Note:

Delilah era la gatta di Freddie Mercury, alla quale è dedicata la canzone, e mi sembrava carino mantenere la stessa linea tematica anche per la shot.

Il nome di Crowley come tata (Ashtoreth) viene specificato nel libro, ma non nella serie.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** You're my best friend ***


Best

Ooh you’re the best friend that I ever had

I’ve been with you such a long time

You’re my sunshine and I want you to know

That my feelings are true

I really love you

Oh you’re my best friend



You're My Best Friend, Queen, 1975





La Bentley, rinata a nuova vita dopo la traversata del tunnel di fiamme che l'aveva distrutta solo ventiquattro ore prima, sfrecciava sulle strade trafficate di Londra rombando ferocemente come a voler intimidire le altre auto e indurle a scansarsi al suo passaggio.
Era il giorno dopo la mancata Apocalisse. Tutto era finito bene, o meglio... non era finito affatto, il che, in effetti, significava che le cose si erano risolte nel migliore dei modi.
Il pranzo al Ritz si era rivelato il migliore (e il più lungo) di sempre, la compagnia di Crowley ancora più gradevole del solito. Perfino il sapore dell'ottimo cibo pareva aver beneficiato di quel clima da “lieto fine” che aleggiava nell'aria e ad Aziraphale non era mai sembrato tanto squisito. A coronare il tutto e a donare un ulteriore tocco di pace e serenità all'atmosfera, ci aveva pensato la donna seduta al pianoforte, le cui dita accarezzavano abili e leggiadre i tasti dello strumento, la voce dolce e melodiosa che intonava quel romantico brano d'altri tempi, A nightingale sang in Berkeley Square.
Ma ora che l'adrenalina e la concitazione erano calate, la mente dell'angelo, non più impegnata a trovare un modo per fermare l'Armageddon o sfuggire alla punizione dei suoi dirigenti, si soffermava in modo quasi ossessivo su un pensiero fisso, un ricordo che risaliva al giorno precedente e al quale non aveva dato molta importanza fino ad allora. Nello specifico, il ricordo di Crowley seduto al tavolo di un bar con l'aria stravolta e disperata.
Aveva detto di aver perso il suo migliore amico ma, sul momento, Aziraphale non aveva dato troppo peso a quelle parole, anche perché in quel frangente si trovava imprigionato in una spiacevole forma non corporea della quale voleva liberarsi il prima possibile, senza contare che il mondo sarebbe finito entro pochi minuti. Chi aveva il tempo di lambiccarsi su certi dettagli?!
Ma adesso che le acque si erano calmate e il pericolo era alle spalle, l'angelo non riusciva a fare a meno di ripensare all'espressione affranta che aveva scorto sul viso dell'amico e che risultava così inusuale per lui, sempre pronto a sfoderare quel suo ghigno sardonico che sembrava voler prendere in giro l'universo intero.
C'era solo un modo per superare quella fissazione: chiederne ragione al diretto interessato che, guarda caso, si trovava seduto proprio accanto a lui nell'abitacolo dell'auto.
- Crowley? - cominciò, un po' esitante.
- Mmm? -
- Posso... posso farti una domanda? -
- Spara. -
Aziraphale abbassò lo sguardo e si tormentò le mani. - Ecco, ieri, in quel bar, quando… Be', hai detto di aver perso il tuo migliore amico... -
- E allora? -
- Devo supporre che ti stessi riferendo a me? Eri convinto che l'incendio alla libreria mi avesse, diciamo, ucciso? -
Crowley esalò un sospiro di esasperazione e alzò gli occhi al cielo, anzi al soffitto della Bentley. - Dove vuoi arrivare, angelo? -
- Mi sei sembrato molto sconvolto. - continuò Aziraphale, senza mollare il colpo. - Avevi un aspetto davvero orribile. -
- E tu eri un ectoplasma semitrasparente senza corpo quindi chi pensi vincerebbe la gara per l'aspetto peggiore? - sbottò il demone, punto sul vivo.
- Touché. - riconobbe Aziraphale. - Ma non cambiare argomento. La verità è che non ti avevo mai visto in quello stato prima d'ora, il che è tutto dire dato che ti conosco da seimila anni! -
- Oh, falla finita e arriva al punto. -
- È solo che... non pensavo che tenessi tanto a me. - concluse l'angelo, arrossendo un poco.
Crowley non rispose e si limitò a sbuffare tenendo ostinatamente lo sguardo fisso sulla strada ma Aziraphale notò che le sue nocche intorno al volante erano diventate bianche da quanto lo stavano stringendo e che la sua mascella si era irrigidita.
Tuttavia il demone non sembrava intenzionato a proseguire la conversazione e così Aziraphale, sicuro che non sarebbe riuscito a cavargli un'altra parola, decise di lasciar perdere e tornò a guardare Londra scorrere veloce fuori dal finestrino.
Passarono circa due minuti durante i quali nell'abitacolo della Bentley regnò un silenzio grave, carico di emozioni e pensieri inespressi che si rincorrevano senza sosta e si accumulavano nell'aria ingarbugliandosi, senza trovare sbocco nelle parole e rendendo l'atmosfera satura di una certa tensione.
- Idiota di un angelo! - esclamò a un tratto Crowley, facendo sussultare Aziraphale seduto al suo fianco.
- Ehi! Che ti prende? -
- Non pensavi che tenessi tanto a te?! Ma certo che tengo a te, stupido che non sei altro! Sei il mio migliore amico! E farai bene a ricordatelo anche in futuro perché non ho intenzione di ripeterlo un'altra volta anzi, sappi che negherò di aver mai detto una cosa del genere. -
L'angelo avvertì come una sorta di improvvisa ondata di energia provenire da Crowley. Era un'energia calda, radiante, del genere che percepiva ogni volta che era circondato da forti sentimenti positivi, sentimenti di sincero amore e affetto.
Aziraphale si sentì stringere il cuore dalla commozione e gli occhi gli si inumidirono.
- Oh, Crowley! Io... io non so davvero che cosa dire. -
- Non devi dire proprio niente, angelo. Sul serio, non devi. - replicò il demone a denti stretti, ansioso di chiudere al più presto quel discorso scomodo e troppo sentimentale per i suoi gusti. Aveva pur sempre una dignità da mantenere, per tutti i diavoli dell'Inferno!
- No, no! Io voglio che tu sappia quanto questo significhi per me e quanto io sia... -
- Sta' zitto! - esplose Crowley. - Ancora una parola e ti mollo qui in mezzo alla strada. -
Aziraphale non disse più nulla ma sulle sue labbra si dipinse un sorriso che non le abbandonò fino a quando la Bentley giunse a Soho in prossimità della sua libreria, il capolinea di quel tragitto denso di emozioni e significato per entrambi.
Il demone fece fermare l'auto davanti all'edificio ma Aziraphale non aprì subito la portiera, invece si voltò verso di lui. - Crowley? -
- Che c'è ancora? - berciò il demone in tono brusco.
Ci fu un istante di silenzio durante il quale l'angelo sembrò soppesare le parole, nel tentativo di trovare le più adatte ad esprimere ciò che provava.
- Grazie. - disse infine, decidendo per l'opzione più semplice ma efficace. - E, per quello che vale, anche tu sei il mio migliore amico. Non so cosa farei se dovessi perderti. -
Per tutta risposta, il demone schioccò le dita e lo sportello del passeggero si spalancò violentemente in un inequivocabile (e piuttosto rude) invito a scendere.
Aziraphale rivolse un ultimo sorriso a Crowley dopodiché uscì dall'auto e si diresse verso l'entrata della libreria fischiettando un motivetto allegro.
Finalmente, il demone distolse lo sguardo dal parabrezza di fronte a sé e lo puntò invece sulla figura dell'angelo che si apprestava a varcare l'ingresso del negozio.
Di colpo, le difese che aveva messo in atto fino ad allora cedettero e il ricordo di quell'orribile momento in cui aveva creduto di aver perso per sempre il suo angelo, gli piombò addosso come un macigno.
Per la prima volta in tutta la sua interminabile vita aveva sperimentato la disperazione, la perdita di ogni speranza, di ogni motivazione, di ogni certezza, di ogni flebile scintilla di senso.
Tutto questo era stato risucchiato nel buco nero della perdita di Aziraphale; tutto andato in malora, ridotto in cenere dalle stesse fiamme che si erano portate via l'angelo a tradimento proprio nel posto che lui amava di più al mondo e dove si sentiva più al sicuro che mai.
Era stato come perdere l'unico appiglio che potesse tenerlo a galla in un mare nero e burrascoso che tentava continuamente di inghiottirlo tra i flutti e trascinarlo a fondo. A quel punto, cosa poteva importargli del fatto che la fine del mondo sarebbe giunta di lì a poche ore? Che motivo aveva di lottare ancora per la salvezza della Terra? Avrebbe forse potuto colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa di Aziraphale? No. Certo che no. Nulla avrebbe mai più potuto guarire quella ferita o alleviare il dolore che ne derivava.
Le sensazioni del giorno prima riemersero in Crowley più vivide che mai, provocandogli un brivido e una stretta di ghiaccio al cuore.
Come se, in qualche modo, avesse avvertito il suo disagio, l'angelo si bloccò all'improvviso nell'atto di girare la chiave nella toppa, poi si girò indietro verso la Bentley e lo salutò con un gesto della mano e il più dolce dei sorrisi che gli avesse mai dedicato, come a dirgli: “Va tutto bene, caro. Sono qui, e ci sarò sempre.”
Crowley si affrettò a voltarsi e a fingere un'indifferenza che non provava affatto, ma la morsa del penoso ricordo si era istantaneamente allentata, come per miracolo.
Quando l'angelo tornò ad armeggiare con la serratura, Crowley si permise un ultimo fugace sguardo alla sua figura prima che questa scomparisse dietro la porta.
Aziraphale. Il suo migliore amico.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Qualsiasi... tranne che ammetterlo.


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** A kind of magic ***


magic

It’s a kind of magic

The bell that rings inside your mind

Is challenging the doors of time

 
It’s a kind of magic

It’s a kind of magic

 


A kind of magic, Queen, 1986





Tutto era iniziato nel 1870, quando aveva seguito le lezioni dell'illusionista John Maskelyne.*
Da quel momento, Aziraphale si era appassionato alla nobile e millenaria arte della prestidigitazione e delle magie da palcoscenico. Aveva acquistato innumerevoli testi e manuali che riportavano con dovizia di particolari e illustrazioni dettagliate tutti i trucchi che un vero mago avrebbe dovuto saper eseguire e passava le notti ad esercitarsi nel retro della sua libreria.
Era un modo come un altro per ammazzare il suo tempo infinito, un hobby nel quale l'angelo si impegnava a fondo e che avrebbe desiderato poter perfezionare tanto da arrivare, un giorno, ad esibirsi davanti a un pubblico che rimanesse attonito e ammagliato dalla sua incredibile performance. Chissà, forse il futuro gli avrebbe riservato perfino l'onore di intrattenere nientemeno che Sua Maestà la regina Vittoria, la quale, si diceva in giro, mostrava uno spiccato interesse per le arti magiche.
Nel giro di un paio di mesi, i numeri con le carte da gioco e le monete non avevano più segreti per lui, o almeno così la pensava Aziraphale secondo la sua visione molto ottimistica.
Era giunto il momento di mettersi alla prova con qualcosa di nuovo e più avanzato. E così un giorno l'angelo salì su una carrozza e si fece portare al negozio di animali, dove comprò un coniglietto bianco e un trio di colombe che arruffarono le piume e sembrarono molto contrariate all'idea di lasciare il loro trespolo per essere infilate a forza in un'angusta gabbia di ferro e portate via da quell'uomo.
Una volta tornato alla libreria, Aziraphale si mise a consultare una delle sue preziose guide cartacee e scelse un paio di numeri da sperimentare con i suoi nuovi assistenti che, per dirla tutta, non si rivelarono molto collaborativi.
Alla fine di quel pomeriggio, il poveretto si ritrovò tutto sudato e ansimante al centro di un vero e proprio disastro: c'erano piume bianche ovunque ed escrementi sparsi qua e là. Le colombe avevano tentato più volte la fuga e l'angelo aveva avuto il suo bel daffare per riacchiapparle, tanto più che queste lo beccavano in continuazione e gli rivolgevano occhiate sdegnose. Il coniglietto era quasi soffocato nel doppiofondo sotto il tavolo in attesa di apparire nel cilindro e ora si rifiutava di scendere dalla mensola sopra la quale si era rintanato, al sicuro tra due grossi volumi polverosi.
Aziraphale rimediò a quella devastazione con uno schiocco di dita, dopodiché si sedette in poltrona con un sospiro frustrato.
Come primo tentativo non era stato poi un granché. Ma se tutti i più grandi illusionisti e prestigiatori del mondo si fossero arresi al primo fallimento, non sarebbero mai diventati famosi. No, non poteva arrendersi così. Ci avrebbe riprovato il giorno seguente e quello dopo ancora, fino a padroneggiare pienamente quei trucchi.


In realtà, trascorse un mese intero prima che l'angelo riuscisse a collezionare qualche successo. C'erano stati anche un paio di trascurabiliincidenti” ai quali Aziraphale aveva posto rimedio ricorrendo a qualche piccolo miracolo di resurrezione. Le colombe e il coniglio sembravano ormai essersi rassegnati al loro destino e si sforzavano di assecondare quel buffo uomo che li costringeva a fare cose assurde e, dal loro punto di vista, assolutamente degradanti. Tutto sommato, era anche molto premuroso quando si trattava di prendersi cura di loro e non gli faceva mai mancare cibo e attenzioni amorevoli.
Un giorno, Aziraphale decise che i tempi erano maturi per inserire un nuovo elemento di difficoltà nei suoi spettacoli solitari, ovvero la presenza di un pubblico.
Ci pensò su e stabilì che, forse, avrebbe fatto meglio a cominciare con un unico spettatore, qualcuno che potesse esprimere un giudizio imparziale sulla sua performance e magari dargli dei consigli per migliorarla. Un amico, insomma, o almeno qualcuno che si avvicinasse il più possibile a quella definizione.
I suoi pensieri corsero immediatamente a Crowley e il sorriso sicuro s'incrinò sulle sue labbra. Erano trascorsi otto anni da quando avevano litigato a St. James Park a causa della folle richiesta del demone. Non si parlavano da allora ma forse quella era proprio l'occasione giusta per riallacciare i rapporti e passare oltre.
Inviò una lettera a Mayfair nella quale chiedeva al demone di recarsi da lui per una “questione urgente” non meglio specificata e attese qualche giorno con le dita incrociate, sperando che Crowley raccogliesse il suo invito nonostante le loro passate divergenze.
Le sue aspettative non vennero deluse perché il demone bussò alla sua porta la settimana seguente, picchiettando sul legno con un bastone da passeggio dall'impugnatura d'argento a forma di testa di serpente.
Quando Aziraphale aprì, ci fu un istante di imbarazzo durante il quale nessuno dei due riuscì a trovare qualcosa di adeguato da dire ed entrambi decidettero di tacere nella speranza che fosse l'altro a dare avvio alla conversazione.
L'impasse venne superata quando l'angelo si rese conto della sua scortesia nel lasciare l'ospite in piedi sulla soglia, per di più durante l'imperversare di un temporale, e lo invitò con calore ad entrare.
- Allora, di che si tratta, angelo? Nella lettera hai menzionato una questione urgente. - disse Crowley, il tono di voce appositamente modulato da apparire sufficientemente noncurante ma non privo di una punta di insofferenza che facesse capire ad Aziraphale che egli non aveva affatto dimenticato la loro discussione di otto anni prima.
- Ehm, in realtà... forse “urgente” è una parola un po' forte. -
- Non dirmi che mi hai fatto venire fin qui per una delle tue sciocchezze! -
Aziraphale alzò le mani. - Calma, calma, Crowley. Vorrei solo che mi facessi un piccolo favore. Si tratta di una cosa molto importante per me e che non ti costerà nulla. -
I lineamenti del demone si contrassero in una smorfia di disappunto. - E perché io dovrei accontentarti facendoti questo favore quando tu invece, otto anni fa, ti sei categoricamente rifiutato di farne uno a me? -
Aziraphale sospirò. - Si tratta di una cosa completamente diversa. Tu mi stavi chiedendo di procurarti dell'acqua santa, contravvenendo a tutte le regole della mia fazione e mettendo a rischio la tua stessa vita, io invece ti chiedo solamente di farmi da spettatore e poi dirmi sinceramente cosa ne pensi. -
L'espressione stizzita di Crowley si trasformò in sorpresa mista a curiosità. - Farti da spettatore? Ma di che stai parlando? -
L'angelo non poté evitare di arrossire un poco. - Ecco, è da un po' di tempo che mi sto dedicando alla prestidigitazione e all'illusionismo e credo di essere diventato piuttosto bravino, ma non mi sono mai esibito davanti a qualcuno, prima d'ora. Mi piacerebbe che tu fossi il mio primo spettatore. -
- Prestidigitazione? Illusionismo? -
- Sì, hai presente quegli spettacoli in cui gli umani fingono di compiere magie davanti ad altri umani? -
- Lo so benissimo, angelo. Quello che non capisco è perché perdere tempo in queste cose quando, se volessi, potresti esercitare i tuoi poteri sovrannaturali e lasciare a bocca asciutta qualsiasi mago umano da strapazzo. -
Aziraphale fece spallucce. - Non sarebbe divertente. -
Crowley scosse la testa davanti a quell'incomprensibile atteggiamento.
- Allora? Vuoi farmi da pubblico o no? - incalzò l'angelo.
- Ma sì, perché no? Quantomeno mi farò quattro risate. - rispose Crowley, caustico.
Aziraphale gli fece cenno di seguirlo nel retro, dove aveva allestito una sorta di palcoscenico amatoriale con tanto di sipario e una comoda poltroncina di velluto per il demone proprio di fronte.
Crowley prese posto, tolse il cappotto, il cappello e i guanti, appoggiò il bastone da un lato e si mise comodo, in attesa dell'inizio dello spettacolo.
Aziraphale si recò dietro una tenda e qualche secondo più tardi ne uscì con addosso una strana giacca di satin blu notte con qualche applicazione luccicante qua e là e un cappello a cilindro nero sottobraccio.
Si mise davanti a un tavolo sul quale erano sparsi diversi oggetti: mazzi di carte, grandi anelli di metallo, una bacchetta di legno verniciata di nero lucido e una gabbia vuota.
Nella stanza regnava una studiata penombra, rischiarata solo da qualche candela e, occasionalmente, dal chiarore dei lampi.
Aziraphale si schiarì la voce con fare solenne. Aveva letto che la presentazione iniziale era il trampolino di lancio per conquistarsi l'attenzione del pubblico e creare la suspense necessaria.
- Benvenuti, mesdames et monsieurs. Oggi è il giorno in cui tutte le vostre certezze vacilleranno e il confine tra sogno e realtà vi parrà null'altro che un sottile filo di fumo. Tutto ciò che, fino ad ora, avete ritenuto impossibile si realizzerà magicamente davanti ai vostri occhi pieni di meraviglia e stupore. -
Fece una pausa teatrale, gli occhi spalancati come a voler sottolineare le ultime due parole. Crowley dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà e a una discreta dose di autocontrollo per non scoppiare a ridere.
- Oggi, - riprese l'angelo con la stessa voce ieratica. - sarete testimoni di avvenimenti che andranno al di là della vostra comprensione e che non avreste osato immaginare neanche nelle vostre fantasie più bizzarre. Oggi, conoscerete... la Magia! -
Aziraphale allargò le braccia come a voler salutare una platea immaginaria e Crowley dovette riconoscergli un'ammirevole convinzione, anche se il suo primo impulso fu di portarsi la mano al volto e nascondersi per l'imbarazzo. Lo stava facendo sul serio?!
L'angelo lo fissò con una certa insistenza e, a un tratto, il demone capì che si aspettava che lui applaudisse in onore della fine del discorso. Abbozzò un tiepido battito di mani decisamente privo di entusiasmo ma ciò sembrò bastare ad Aziraphale, il quale s'inchinò profondamente prima di afferrare il mazzo di carte.
- Come potete vedere, signore e signori, questo altro non è che un comunissimo mazzo di carte. -
A testimonianza di quanto aveva appena detto, Aziraphale lo sfogliò rapidamente, mettendone in mostra l'assoluta mancanza di particolarità.
- Ora sceglierò uno di voi e gli domanderò di estrarre una carta qualunque e poi di rimetterla nel mazzo, avendo cura di non farmela vedere. Volete farmi questo onore, signore? -
Crowley alzò gli occhi al cielo mentre l'angelo gli si avvicinava con il mazzo di carte tra le mani. Ne scelse una a caso, le diede una rapida occhiata per poi reinserirla tra le sue sorelle.
Aziraphale fece roteare le carte con movimenti che, teoricamente, avrebbero dovuto risultare fluidi e ipnotici ma che in realtà parevano piuttosto impacciati.
- La vostra carta è... questa! - disse trionfante, mostrando al demone un due di cuori.
Crowley scosse la testa in segno di diniego e Aziraphale assunse un'espressione perplessa. - No? Be', allora potrebbe essere... questa! -
Di nuovo, il demone fece cenno di no e un lieve sconforto iniziò a segnare il viso di Aziraphale.
- Ok, allora la terza volta è quella buona. La vostra carta è... -
Ma, mentre tentava di mischiare il mazzo, questo gli sfuggì dalle dita e una pioggia di carte si riversò sul pavimento.
- Oh, accidenti! -


Non andò molto meglio quando passò ai trucchi con le monete. Crowley non credette neanche per un momento che l'angelo gli avesse estratto un penny dall'orecchio.
- Ce l'avevi in tasca. - affermò, deciso.
- No, no! Era vicino al tuo orecchio. - protestò il “mago”.
- Non è mai stato vicino al mio orecchio. -
Aziraphale sospirò e tornò al tavolo, da cui prese la coppia di anelli di metallo che, secondo il suo manuale, avrebbe dovuto dapprima unire e poi separare, ovviamente senza aprirli.
Ci mise tutto l'impegno e la concentrazione che poté, ma, dopo essere riuscito chissà come ad incatenarli l'uno all'altro, non ci fu più verso di scioglierli.
Ormai al limite della pazienza e dello scoramento, Aziraphale cercò di non perdersi d'animo e si giocò il tutto per tutto puntando sui numeri con gli animali, nei quali si era esercitato a lungo nell'ultimo mese.
Crowley, dal canto suo, non si divertiva più ad osservare l'amico fallire in ogni impresa magica. Anzi, iniziava a sentirsi a disagio e dispiaciuto per quella serie di umiliazioni alle quali l'angelo si stava sottoponendo. Avrebbe voluto dire ad Aziraphale di lasciar perdere, di smettere con quel siparietto, che non valeva la pena di continuare a ricoprirsi di ridicolo, ma temeva, in quel modo, di abbatterlo ancora di più.
Fu una disfatta su tutta la linea: le colombe, evidentemente rese nervose dal temporale (o magari dalla presenza di un demone nella stanza), non ne volevano sapere di stare ferme e di lasciarsi infilare nella manica di Aziraphale, così finirono per riempirlo di beccate. Il coniglietto, terrorizzato dal fragore di un tuono, si divincolò dalle sue mani e, con un salto formidabile e degno di una molla, atterrò in grembo a Crowley, che lo prese al volo.
- Oh! Basta! Ci rinuncio! - fece Aziraphale, crollando su una sedia, esausto. - Non sono tagliato per fare il mago. -
Crowley diede una rassicurante grattatina dietro alle orecchie al povero coniglio che tremava ancora tra le sue mani. Come poteva dirsi perfettamente d'accordo con quell'affermazione senza ferire i suoi sentimenti? Ogni traccia di livore nei suoi confronti per quanto accaduto nel 1862 era svanita, sostituita da una reale pena per quella batosta alla sua autostima.
- Ehm, magari ti serve solo un po' più di pratica. - azzardò, per niente convinto.
Aziraphale gli scoccò un'occhiata torva. - Non ci credi neanche tu. -
La piccola palla di pelo candido gli si acciambellò sulle gambe e, all'improvviso, Crowley ebbe un'idea per risollevare il morale dell'amico.
- Senti, perché non vai a prendere un paio di bicchieri di vino e poi magari potresti ritentare l'ultimo numero. Che ne dici? -
L'angelo alzò le spalle, scoraggiato, ma seguì comunque il suggerimento di Crowley.
Il demone approfittò del fatto che Aziraphale fosse di spalle per sussurrare rapidamente qualcosa alle lunghe orecchie del coniglietto, per poi rimetterselo sulle ginocchia.
In effetti, dopo qualche sorso di Château Lafitte, l'angelo parve più incline all'idea di un secondo tentativo, e sperò che la sorte fosse dalla sua parte.
Crowley gli passò lo sventurato coniglio che ebbe un fremito quando finì nuovamente tra le dita grassocce di Aziraphale ma rimase insolitamente calmo.
L'angelo costrinse Crowley a voltarsi mentre disponeva ogni cosa per la riuscita del numero, dopodiché gli diede il permesso di tornare al suo posto e si preparò allo show, la fronte aggrottata per la concentrazione.
Mostrò a Crowley l'interno del cilindro rovesciato e il demone poté constatare che, in effetti, esso era completamente vuoto, poi afferrò la bacchetta di legno e gli diede un colpetto mormorando un'assurda formula magica inventata di sana pianta.
Due orecchie pelose fecero immediatamente capolino dal cilindro, seguite da un paio di zampine, due occhietti neri e intelligenti e lunghi baffi sottili che incorniciavano un nasino rosa.
Aziraphale fissava l'animaletto a bocca aperta e stentava a credere che il numero fosse effettivamente riuscito senza il minimo intoppo.
- Ehm, angelo? - fece Crowley. - Non sono un esperto, ma non dovresti dire qualcosa a questo punto? -
- Oh, sì! Ma... ma certo! -
Aziraphale sollevò il coniglietto con delicatezza e fece come per offrirlo orgogliosamente agli sguardi della platea. - Ed ecco a voi Harry, il leprotto! -
Crowley non poté trattenersi dal sorridere, felice che l'amico avesse ritrovato la fiducia in se stesso. Poco importava se non sarebbe mai diventato un grande prestigiatore.


Era ormai tardo pomeriggio, e, dopo aver fatto onore a un altro paio di bicchieri di vino, Crowley s'incamminò verso la porta, accompagnato da Aziraphale, ora decisamente più allegro.
- La prossima volta potrei esibirmi in un numero di escapologia appeso a testa in giù in una gabbia di vetro piena d'acqua e con le manette ai polsi, che ne dici? -
Il demone lo guardò, allarmato.
- Rilassati, caro, stavo scherzando. - ridacchiò Aziraphale. - Ma non smetterò di esercitarmi con le carte e le monete. -
- Come vuoi, ma per il prossimo spettacolo vedi di trovarti qualcun altro come spettatore. Io ho chiuso con questi trucchetti umani da due soldi. È stato imbarazzante, se proprio vuoi saperlo. Anche se devo ammettere che quell'ultimo numero con il coniglio e il cilindro ti è riuscito proprio bene. -
L'altro sollevò un sopracciglio, severo. - Crowley, lo so che sei stato tu. -
- A fare cosa? -
Aziraphale gli lanciò uno sguardo da: “Non fare il finto tonto. Lo sai benissimo.”
- Non eri tenuto a farlo, ma grazie. È stato molto gentile da parte tua. -
- Ancora quella parola! Lo sai che non la sopporto! Quante volte devo dirtelo?! - sbottò il demone.
- Va bene, va bene. Scusa. -
Crowley gli scoccò un'occhiata d'avvertimento, dopodiché s'infilò il cappotto, i guanti e il cappello, afferrò il bastone da passeggio e uscì dalla libreria. Il temporale era ormai passato anche se il cielo sopra la gloriosa Londra Vittoriana era plumbeo come il fumo prodotto dalle fabbriche disseminate per la città.
- Ci vediamo in giro, angelo. - disse Crowley sollevando mollemente una mano in segno di saluto mentre si allontanava.
Aziraphale sorrise richiudendo la porta e pensando che, dopotutto, la vera magia della giornata era consistita nel risanamento della loro amicizia.



*Questa informazione è presente nel libro ma non è stata inserita nella serie TV.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** One vision ***


one vision


No wrong no right

I’m gonna tell you there’s no black and no white

No blood no stain

All we need is one world wide vision



One vision, Queen,1986




Mesopotamia, 3004 b.C.



Ogni uomo, donna, bambino e anziano interruppe ciò che stava facendo per alzare lo sguardo verso il cielo spaventosamente scuro e rombante di tuoni. Un rumoreggiare intimorito iniziò a serpeggiare tra la folla, come se i loro cuori umani presagissero la catastrofe che di lì a poco si sarebbe abbattuta su di loro.
Crawly e Aziraphale si scambiarono un'occhiata preoccupata, nessuno di quei poveracci aveva la minima idea di cosa stesse per scatenarsi sopra le proprie teste, ma loro sapevano. Quella che si stava rapidamente avvicinando da est non sarebbe stata una tempesta come quelle che il mondo, ancora giovane, aveva conosciuto fino ad allora. Non lo sarebbe stata affatto.
Crawly rivolse all'angelo uno sguardo indignato. - Non posso credere che tu sia davvero disposto ad accettare ciò che sta per succedere. -
Aziraphale abbassò gli occhi, incapace di sostenere quell'espressione severa e accusatoria che lo costringeva a fare i conti con la propria coscienza, la quale, purtroppo per lui, aveva ben chiaro da che parte schierarsi in quella tragica circostanza.
- Si tratta del volere dell'Onnipotente, Crawly. Anche se disapprovassi, e non sto dicendo che sia così, non potrei fare proprio niente. -
- Ma tu hai ceduto agli umani la tua spada di fuoco! Non puoi semplicemente voltar loro le spalle e far finta di non vedere mentre migliaia di persone vengono spazzate via dall'acqua solo perché Dio ha deciso così. Tu tieni a questa gente, Aziraphale. Non provare a negarlo. -
L'angelo si morse forte il labbro e strinse i pugni, ostinandosi a tenere lo sguardo fisso al suolo.
- E non startene lì impalato a testa china. Dì qualcosa, maledizione! -
Allora Aziraphale sollevò il capo e guardò Crawly dritto in quegli occhi da serpente. - E che cosa dovrei dire, eh? Che sono in disaccordo con quanto stabilito dall'Onnipotente? Che, se dipendesse da me, porterei in salvo queste persone senza pensarci due volte? Mi stai chiedendo di sollevarmi contro Dio e contro la mia fazione? È questo che pretendi da me, Crawly? -
Il demone rimase attonito davanti a quell'accesso di rabbia che, tuttavia, non sembrava rivolto direttamente a lui ma pareva anzi molto più vicino ad esprimere frustrazione, senso di impotenza e colpevolezza.
In quel momento, Crawly comprese i veri sentimenti dell'angelo e si rese conto della dolorosa battaglia interiore che infuriava nel suo animo, combattuto tra il dovere verso il Cielo e la pietà per gli umani che sarebbero morti in quel cataclisma che, almeno a suo parere, era del tutto ingiustificato e ingiustificabile.
Il fuoco di poco prima si estinse nelle iridi chiare di Aziraphale, che emise un sospiro sofferente e scosse la testa. - Mi dispiace, Crawly. Ma io sono un angelo e non posso contrastare la volontà dell'Onnipotente o ribellarmi alle Sue disposizioni. Davvero, non posso. -
Il demone mimò un cenno d'assenso e, nonostante il moto di comprensione che provava nei confronti di Aziraphale, non poté impedirsi di usare un tono aspro, che suonò più duro di quanto volesse. - Capisco. Be', in tal caso, stammi bene, angelo. -
Così dicendo, Crawly si allontanò, lasciando l'altro triste e sconsolato in piedi in mezzo alla moltitudine di umani affaccendati a radunare le coppie di animali per farle salire sull'immensa arca costruita da Noè.


Il demone camminava nel deserto, tirando calci rabbiosi ai sassi che gli capitavano a tiro. Aveva una tale voglia di sfogare il malcontento che sentiva crescergli in corpo! Come ex-angelo ormai esiliato all'Inferno, Crawly non era soggetto alle limitazioni imposte ad Aziraphale quanto a biasimo verso l'Onnipotente e, a suo parere, Egli dimostrava davvero un'abnorme ipocrisia. Davvero riteneva che la migliore soluzione all'insoddisfacente condotta dei mortali fosse uno sterminio di massa? Non Gli importava che, in quel disastro, sarebbero morti anche dei poveri disgraziati senza colpa? Sul serio era pronto a elargire una punizione tanto orribile anche a dei bambini innocenti?
Si sentiva tradito, Crawly. Deluso.
Un conto era condannare all'eterno esilio nel pozzo infernale un manipolo di angeli che avevano osato ribellarsi alla Sua autorità, un altro decidere di punto in bianco di commettere un genocidio per poter ricominciare da zero, come un bambino che traccia un disegno sulla sabbia per poi cancellarlo con una sola passata di mano perché scontento del risultato.
Quando Crawly fu certo di essere solo, allargò le braccia, gettò la testa all'indietro e si rivolse al cielo atro e minaccioso sopra di sé. - Devo riconoscerlo! Mi hai davvero sorpreso, vecchio mio! Questa proprio non me la sarei mai aspettata da Te! Ma complimenti per aver battuto l'Inferno nella gara a chi è più crudele! Complimenti davvero! -
Il demone si esibì nella parodia irriverente di un applauso. A quel punto, si sarebbe aspettato di essere colpito da una saetta, di ricevere un segno qualunque dell'ira dell'Onnipotente dinanzi a quella provocazione, invece non accadde nulla, e quel nulla fu quasi peggio che essere folgorato sul posto.
Crawly si lasciò cadere su un masso lì accanto prendendosi la testa tra le mani.
Naturalmente sapeva per esperienza personale che i metodi divini potevano, a volte, rivelarsi un po' drastici, ma quel piano assurdo rasentava il delirio di un pazzo omicida! Era dunque quella la tanto declamata Giustizia Divina? Se tu o i tuoi simili vi comportate male, allora tutta la razza umana (ok, la razza umana locale) merita l'annegamento?
Se essere un angelo comportava appoggiare una tale follia, allora Crawly era felice di non esserlo più. Quantomeno, poteva dirsi apertamente contrario a quel disegno vaneggiante; un privilegio che ad Aziraphale non era concesso, nonostante la sua opinione discordante fosse piuttosto palese.
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto da un movimento poco distante che il demone colse con la coda dell'occhio.
Alzò il capo e incrociò due occhioni neri che lo scrutavano con un misto di timore e curiosità. Essi appartenevano ad una bambina che, valutò Crawly, non poteva avere più di sei o sette anni. Era molto graziosa e teneva in braccio un cagnolino dal folto pelo marroncino.
- Si può sapere che cos'hai da guardare, ragazzina? -
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, le parole sfuggirono dalle sue labbra più rudi di quanto intendesse.
La bambina si ritrasse un poco e Crawly sospirò profondamente, cercando di controllarsi.
Non ce l'aveva con quella bimba, ovvio. L'unico destinatario del suo astio in quel momento era Dio, che però sembrava troppo occupato a organizzare la Sua tempesta killer nell'alto dei Cieli per curarsi di lui.
Sfoderò quello che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere un sorriso rassicurante.
- Scusa, non volevo spaventarti. È solo che sono un po' arrabbiato con, ehm... una persona. -
La piccola lo studiò diffidente, indecisa se filarsela il più lontano possibile da quello sconosciuto dai lunghi capelli color delle fiamme o avvicinarglisi.
- Ehm, ti serve qualcosa? - domandò il demone, incerto su come comportarsi.
- Da che parte è l'arca del signor Noè? - chiese lei con una vocina sottile ma decisa.
Crawly alzò un sopracciglio e le indicò un punto indistinto alle sue spalle.
La bambina annuì sia per dimostrare che aveva capito sia per ringraziarlo dell'informazione e s'incamminò dritta per la strada che lui le aveva mostrato, il passo svelto e risoluto.
- Ehi, aspetta! - la chiamò Crawly, alzandosi in piedi e raggiungendola.
La bimba si arrestò e gli piantò addosso uno sguardo sospettosamente interrogativo.
- Dove sono i tuoi genitori? -
Lei rimase in silenzio ma abbassò gli occhi a terra mestamente.
- Oh. - fece Crawly, dandosi dell'idiota per non aver capito subito che la piccola fosse un'orfana. Avrebbe dovuto intuirlo dall'eccessiva magrezza, dalle vesti lacere e dalla polvere che la ricopriva da capo a piedi. Inoltre quella diffidenza, quella cautela mista a coraggio e fierezza denotavano che ella, nonostante la giovanissima età, fosse già abituata a badare a se stessa.
Nel frattempo, la fanciulla aveva ripreso a camminare rapida verso l'imponente battello.
Crawly le corse dietro e l'affiancò, adeguandosi al suo passo. - Perché vuoi andare all'arca? -
Lei gli rispose senza staccare gli occhi dall'orizzonte. - Hanno detto di portare gli animali e io ho Toto* -
Il demone immaginò che si stesse riferendo allo scodinzolante sacco di pulci che reggeva tra le braccine.
- E perché vorresti farlo salire sull'arca? - chiese Crawly, inspiegabilmente affascinato da quella bambina.
- Perché Toto è un maschio e magari lì ci sarà qualcuno con una compagna per lui, così non sarà più solo. Avrà una famiglia. -
Suo malgrado, il demone si sentì assalire da un fastidioso moto di compassione e tenerezza per quella piccola umana.
- E tu? - indagò. - Che farai dopo che Toto sarà partito? -
Solo allora la bambina si fermò per voltarsi verso Crawly.
- Io andrò con lui. - rispose, come se fosse la cosa più naturale del mondo e la domanda che lui le aveva posto suonasse oltremodo stupida.
- Ehm... -
Crawly fece per obiettare, ricordando alla bimba che solo a Noè e ai membri della sua famiglia sarebbe stato permesso di salire a bordo, ma qualcosa nel suo sguardo determinato lo indusse a tacere.
Forse il suo cagnolino si sarebbe salvato, ma quella bambina innocente e del tutto ignara del funesto destino che l'attendeva, sarebbe presto annegata.
Quella consapevolezza lo trafisse come una stilettata e, a un tratto, Crawly prese una decisione: l'avrebbe tratta in salvo. Se non poteva fare nulla per impedire che il discutibile piano divino si compisse, almeno avrebbe provato a salvare quell'unica giovane vita, sottraendola al fato che Dio aveva decretato per lei. Si sarebbe preso quella rivincita, anche se minima. Strappando alla morte quella bambina, avrebbe espresso all'Onnipotente tutto il suo dissenso, sarebbe valso come un atto dimostrativo.
Mentre le camminava a fianco, il suo cervello iniziò ad elaborare un piano per farla salire di nascosto sull'arca. Forse c'era una possibilità, ma avrebbe avuto bisogno di aiuto...


Quando arrivarono in vista della folla radunata attorno al battello, Crawly fu sollevato di scorgere Aziraphale tra i presenti. Temeva che l'angelo se ne fosse andato per evitare di assistere agli eventi drammatici che sarebbero seguiti di lì a poco, invece sembrava che intendesse restare a fianco di quegli umani sventurati fino alla fine, pur sapendo di non poter fare nulla per loro.
Un mezzo sorriso si disegnò sulle labbra del demone: quell'angelo gli era piaciuto fin dall'inizio ed era felice che quella prima positiva impressione venisse ora confermata.
Prima che i due arrivassero troppo vicino alla calca, Crawly allungò un braccio per fermare la bambina, poi le si inginocchiò di fronte e la prese per le spalle, rivolgendole un'occhiata seria.
- Ascoltami bene, non ti permetteranno di salire a bordo. È concesso solo a Noè e alla sua famiglia. Vedi quei due grossi uomini con le lance? Sono guardie che hanno il compito di assicurarsi che nessuno salga sull'arca. -
La piccola umana gli restituì uno sguardo allarmato. - Ma... ma io devo andare. Non posso lasciare Toto! -
Crawly annuì. - Lo so. Ascolta, credo di riuscire a farti imbarcare senza che nessuno se ne accorga, ma mi servirà l'aiuto di un, ehm... una specie di amico. Andiamo a parlarci, ti va? -
La bimba annuì vigorosamente e Crawly le sorrise. - Bene, allora. Vieni con me. -
Le tese una mano e la piccola l'afferrò, non senza una lieve esitazione, e si lasciò condurre tra la moltitudine di persone, fino a quando non furono arrivati in prossimità di un uomo biondo vestito di bianco e con gli occhi chiari che si guardava intorno con aria sconfortata.
- Aziraphale! - gridò Crawly, levando un braccio per attirare l'attenzione dell'angelo che, in effetti, lo riconobbe subito e gli si fece incontro.
- Crawly, che ci fai ancora qui? Tra poco si scatenerà il caos! -
- Potrei farti la stessa domanda, angelo. E comunque devo chiederti un favore. -
Aziraphale alzò gli occhi con espressione stanca. - Te l'ho già detto, non posso fare niente per fermare la tempesta. -
- Non è per questo che sono qui. - ribatté il demone. - Devi fare una cosa per me, e per lei. -
Crawly abbassò lo sguardo e solo allora Aziraphale notò la bambina che stringeva la sua mano.
- Crawly, ma che cosa... -
Il demone abbassò la voce e si accostò all'angelo con atteggiamento confabulatorio. - Intendo farla salire su quella dannata barca, costi quel che costi. Una vita innocente risparmiata, la salvezza di un'unica piccola umana senza colpe. Ti chiedo solo questo. -
- Lo sai che ci sono guardie armate per evitare che i non autorizzati mettano piede sull'arca. - obiettò Aziraphale.
- Ecco perché mi serve il tuo aiuto. - replicò Crawly. - Tu creerai un diversivo e distrarrai quegli energumeni mentre io farò salire la bambina di nascosto. Sarà facile, non sembrano molto svegli. -
- Ma Crawly, io... -
Aziraphale stava per opporsi fermamente alla richiesta, poi commise l'errore fatale di guardare in basso, verso la piccola. Incrociò quei grandi occhi neri e profondi, colmi di domande, di suppliche, di aspettativa e sentì le proprie resistenze sciogliersi come neve al sole. In fondo, si trattava di una povera creatura che certamente non meritava l'amaro castigo che l'Onnipotente stava per infliggere.
Emise un sospiro rassegnato e, prima ancora che potesse comprendere la portata delle sue parole, udì se stesso acconsentire.
- Va bene, Crawly. Tu va', portala al sicuro. Mi occupo io delle guardie. -
Il sorriso luminoso con il quale lo ricompensò il demone gli fece provare un bizzarro fremito lungo la schiena, dopodiché si fece largo tra la folla per raggiungere le guardie, che lo osservarono con piglio severo e circospetto.
- Da qui non si passa. - decretò solennemente uno dei due uomini.
- Oh, lo so. - fece Aziraphale, alzando le mani in segno di resa. - Ma io sono solo venuto a dare un'occhiatina. Sapete, sono un appassionato di ingegneria nautica e mi sarebbe piaciuto poter vedere questo gioiellino con i miei occhi. Certo che è fatto davvero molto bene, non trovate? È la barca più grande che abbia mai visto! Voi ne avete mai viste di più grandi? -
- Sparisci. - gli intimò l'altra guardia. - Abbiamo un compito da svolgere e tu ci stai disturbando. -
- Disturbando? - esclamò Aziraphale, portandosi teatralmente una mano al petto. - Oh, ma io non avevo nessunissima intenzione di distogliervi dal vostro dovere, anzi mi piacerebbe saperne di più. Come mai state sorvegliando l'arca? Perché nessuno può salire? Vi pagano molto per stare qui ad allontanare i curiosi? -
L'angelo straparlò a raffica finché, con la coda dell'occhio, non vide Crawly e la bambina sgattaiolare oltre il presidio e sparire dietro lo scafo dell'enorme imbarcazione. Missione compiuta, e appena in tempo dato che la pazienza delle guardie si stava esaurendo.
Aziraphale decise di porre fine a quella farsa. - Ehm, sapete che vi dico, cari signori? Ora me ne vado e vi lascio lavorare in pace, eh? -
Indietreggiò di qualche passo sorridendo giovialmente ai due energumeni, poi si dileguò tra la folla, confondendosi in mezzo alla gente.


E bravo l'angelo” pensò Crawly con un sogghigno mentre conduceva furtivamente la bimba oltre le guardie.
Un tuono formidabile squarciò la volta violacea del cielo e il demone sentì le dita della piccola stringersi più forte attorno alle sue. Toto lanciò un guaito spaventato, fiutando l'aria satura di elettricità.
- Sta' buono, Toto. Non è niente. - gli sussurrò la padroncina in un orecchio, ma Crawly poté cogliere la paura che vibrava nella sua voce.
Girarono per un po' attorno all'arca e, finalmente, il demone scovò un passaggio chiuso da una semplice asse di legno appoggiata allo scafo. Crawly la scostò e sbirciò all'interno. Si trattava della stiva, dove era stata già sistemata un'esorbitante quantità di fieno e provviste di ogni genere. Una botola conduceva sopra coperta.
Il demone condusse la bambina oltre quel varco, sollevò cautamente la botola e si accorse di essere finito in una specie di stalla dove una mucca dall'aria mite riposava placidamente ruminando fieno con aria beata.
Crawly fece nascondere bimba e cagnolino in una nicchia lì accanto. Nessuno li avrebbe notati se non dopo la partenza. Erano tutti troppo indaffarati a occuparsi degli ultimi preparativi. Noè e la sua famiglia non avrebbero avuto cuore di gettarla fuori bordo una volta che la Terra fosse stata sommersa dall'acqua, o almeno lo sperava.
- Resta qui. Non ti troveranno. - raccomandò alla bambina, la quale si era rannicchiata con le ginocchia al petto e il cagnolino stretto a sé come a volerne trarre conforto e, nello stesso tempo, donarne a lui, altrettanto spaventato.
Lei annuì ed esibì di nuovo il piglio fiero e caparbio che tanto aveva colpito il demone.
- Be', allora buona fortuna, piccola. -
Crawly fece per andarsene quando si sentì chiamare da quella voce sommessa.
- Aspetta... -
Il demone si voltò di tre quarti verso la bimba.
- Grazie. - sussurrò lei, l'ombra di un sorriso a incresparle le labbra.
Crawly annuì piano. - Abbi cura di te, - disse in tono amaro. - perché puoi star certa che Dio non ne avrà. -
L'espressione sul volto della piccola si fece perplessa ma il demone si era già avviato verso il passaggio dal quale erano arrivati, sparendo oltre la botola.


Quando si riunì ad Aziraphale, il cielo si era ormai tramutato in un tripudio di fulmini. I boati dei tuoni si susseguivano quasi ininterrottamente e i primi goccioloni avevano iniziato a cadere sul deserto.
La gente si disperse, correndo alla ricerca di un riparo dalla tempesta.
- Meglio andarcene da qui. - consigliò l'angelo, più mortificato che mai.
- Sì, non sono molto attratto dall'idea di farmi una nuotata. - convenne Crawly, sarcastico, il viso rabbuiato.
- Ma prima di salutarci, - riprese Aziraphale. - dimmi, perché hai voluto salvare quella bambina? -
Il demone si strinse nelle spalle. - Se vuoi, puoi considerarlo un atto di disobbedienza civile. Un piccolo dispetto per l'Onnipotente, diciamo. -
- Crawly! - fece Aziraphale, scandalizzato.
- Che c'è? Io sono un demone, non sono vincolato alle Sue leggi ineffabili. Sono già stato bandito all'Inferno, cos'altro può farmi? -
- Vuoi dire che mi hai reso complice del tuo... com'è che l'hai chiamato? -
- Atto di disobbedienza civile? - suggerì il demone, serafico.
- Sì, esattamente! Hai idea di che guai passerei se si venisse a sapere?! Nel mio caso si tratterebbe di un'insubordinazione bella e buona! -
Crawly si accigliò. - Dunque trovi che salvare la vita a una bambina sia stato sbagliato? Pensi che sarebbe stato più giusto lasciarla annegare? -
- Be', io non... -
- La verità, angelo, è che niente è mai del tutto giusto o del tutto sbagliato e ciò che tu vedi bianco dalla tua prospettiva, può diventare nero se visto dalla mia, non trovi? -
Aziraphale aggrottò la fronte. - Suppongo di sì. - concesse. - Ma la nostra comprensione è limitata. Non possiamo permetterci di giudicare le decisioni dell'Onnipotente. Non siamo in grado di vedere il quadro d'insieme. Forse, anzi, sicuramente, Egli agisce a fin di bene, anche se non ci è dato sapere per quali vie. -
Crawly lo trafisse con uno sguardo tanto gelido e penetrante da provocargli un brivido. - Sai com'è il quadro d'insieme che vedo io, angelo? Migliaia di corpi senza vita che galleggiano nel mare in cui questa parte della Terra si trasformerà tra poche ore. Ma se a te sta bene così... -
Aziraphale prese fiato per replicare, ma il demone schioccò le dita e svanì prima che potesse farlo. Che poi, cosa mai avrebbe potuto ribattere a parole tanto dure che però sapeva essere impietosamente vere?
L'angelo sospirò di nuovo e lanciò un ultimo sguardo amareggiato verso le persone in fuga dal temporale.
- Mi dispiace. - mormorò con un filo di voce. - Mi dispiace tanto. - dopodiché schioccò a sua volta le dita, scomparendo e lasciandosi dietro un'unica piccola lacrima che andò a confondersi con la pioggia.



*Toto è il nome del cagnolino di Dorothy ne Il Mago di Oz. Sì, in questo caso, lo sforzo creativo da parte mia è stato praticamente nullo.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Killer Queen ***


killer



She’s a Killer Queen

Gunpowder, gelatine

Dynamite with a laser beam

Guaranteed to blow your mind

Anytime, ooh

Recommended at the price

Insatiable an appetite

Wanna try?



Killer Queen, Queen, 1974






Parigi, 16 ottobre 1793



- Crowley! Abbi un po' di rispetto! Quella poveretta è appena morta sulla ghigliottina. -
- Dico solo che, da parte sua, non è stata proprio una gran mossa uscirsene con quella frase. S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche*. Ma andiamo! -
A dispetto dell'esagitazione che regnava nella capitale francese per la serie di esecuzioni che stavano avendo luogo in Place de la Révolution, Aziraphale e Crowley erano riusciti a trovare un grazioso bistrot (anche se il termine vero e proprio sarebbe stato coniato solo qualche anno più tardi) i cui proprietari avevano deciso di proseguire il lavoro piuttosto che abbassare le serrande e correre in piazza ad assistere al macabro spettacolo della decapitazione ed esultare ogni volta che la lama della ghigliottina si abbatteva sibilando sull'ennesimo collo blasonato.
- Non puoi giudicarla così duramente. - ribatté Aziraphale. - Per tutta la sua vita è stata una vittima, una pedina inconsapevole nelle mani della nobiltà. -
Il demone alzò le spalle. - Se lo dici tu, angelo. - Dopodiché dedicò tutta la sua attenzione al calice quasi vuoto di Moët & Chandon davanti a sé, che si affrettò a rabboccare.
Aziraphale decise che avrebbero fatto meglio a concludere quel discorso prima che sfociasse in una discussione vera e propria e rovinasse il pranzo a entrambi. Un clima di tensione non era certo l'ideale per facilitare i processi digestivi. Del resto, Crowley lo aveva appena tirato fuori dalla Bastiglia e salvato dal patibolo, dunque gli pareva piuttosto scortese iniziare un litigio con il suo liberatore per difendere la memoria di una donna che, tutto considerato, non aveva mai conosciuto se non per fama.
Si portò alla bocca l'ultima porzione della sua crêpe e masticò lentamente per gustarne fino in fondo il delizioso sapore.
L'angelo si lasciò scappare un mugolio di piacere; ci aveva quasi rimesso la testa per soddisfare le brame del suo palato, ma le crêpes parigine non conoscevano eguali in tutto l'universo, doveva riconoscerlo.
- Lo sai, mi hai davvero sorpreso poco fa. - disse Crowley, incrociando le braccia e accavallando le lunghe gambe sotto il tavolo.
- A cosa ti riferisci, caro? - domandò Aziraphale, tamponandosi gli angoli delle labbra con il tovagliolo in un gesto piuttosto affettato.
- Quel tale che avrebbe dovuto decapitarti, quel... Jean-Claude... -
Lasciò volutamente la frase in sospeso per osservare la reazione di Aziraphale, il quale si irrigidì all'istante per poi riporre il quadrato di seta sul tavolo con un lungo sospiro. Aveva un preciso sospetto riguardo alle intenzioni del demone ma decise comunque di provare a fare lo gnorri.
- Temo di non capire, Crowley. Potresti essere più specifico? -
Le labbra dell'altro si stirarono in un sorrisetto scaltro. - Niente giochetti, angelo. Sai perfettamente a cosa mi riferisco. -
Aziraphale tentò di mimare l'espressione più innocente e confusa che gli riuscisse ma, a giudicare dallo sfavillio malizioso che balenò da sotto le lenti scure che celavano gli occhi di Crowley, il risultato non doveva essere stato dei migliori.
- Non trovi che sia stato un po' crudele da parte tua? - riprese il demone. - Scambiare i tuoi vestiti con i suoi e lasciare che quel poveraccio venisse trascinato sul patibolo e decapitato al posto tuo. Onestamente, non me lo sarei mai aspettato da te. -
Era fin troppo ovvio che quella provocazione non contenesse la benché minima traccia di pietà o dispiacere per la triste sorte toccata al povero monsieur Jean-Claude. Crowley intendeva solo stuzzicare Aziraphale per il gusto di scoprire come egli intendesse giustificare la sua azione assai poco angelica.
L'altro si portò il proprio calice alle labbra e sorseggiò lentamente il vino per guadagnare tempo mentre il suo cervello lavorava frenetico alla ricerca di una possibile spiegazione che legittimasse il suo gesto tutt'altro che lusinghiero.
Alla fine posò il bicchiere e inspirò profondamente prima di parlare. - Quell'uomo era un boia, Crowley, un carnefice senza scrupoli che provava piacere nel togliere la vita. Ha orgogliosamente ammesso di aver giustiziato sulla ghigliottina ben novecentonovantotto persone, io sarei stato il novecentonovantanovesimo, e chissà quanti altri sarebbero morti per mano sua in futuro. -
Il demone inclinò leggermente la testa di lato, come se stesse studiando un fenomeno naturale particolarmente affascinante. Aziraphale si sentì spoglio di ogni difesa sotto il suo sguardo penetrante e indagatore ma fece ugualmente del suo meglio per mantenere una certa noncuranza.
- Interessssante. - commentò Crowley, facendo sibilare sonoramente la S. - Dunque stai suggerendo che il tuo sia stato un gesto di misericordia per le ipotetiche vittime future? O piuttosto di punizione verso il boia e i suoi peccati? -
L'angelo iniziò ad agitarsi sulla sedia e si sentì avvampare, maledicendo sia la sua incapacità di nascondere le emozioni che la maestria del demone nel metterlo in difficoltà, toccando sempre i tasti giusti. - Io... suppongo che la si possa vedere in entrambi i modi. -
Il ghigno di Crowley si fece più marcato. - Sai invece cosa penso io, angelo? -
Aziraphale deglutì e strinse istintivamente le dita attorno alle posate d'argento. Qualunque cosa stesse per uscire dalla bocca di Crowley, aveva idea che non gli avrebbe fatto piacere.
- Io penso, - cominciò il demone, senza fretta. - che, nel profondo, dietro quei tuoi occhioni innocenti, il sorriso bonario e l'espressione serafica, tu sia un piccolo bastardo perfettamente in grado di mandare qualcuno a morire senza battere ciglio per poi andare a farsi una scorpacciata di crêpes come se niente fosse. -
Aziraphale abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. Non poteva negare la verità delle parole di Crowley né fornire una spiegazione che lo discolpasse, dato che non ve n'era alcuna.
Che gli piacesse o no, l'amico aveva ragione. Si era appena macchiato di un crimine ignobile per un angelo. La cosa peggiore era che non ci aveva neanche pensato. Aveva agito d'impulso senza prendere in considerazione il peso della colpa che avrebbe finito per gravare sulle proprie spalle, senza curarsi del fatto che, seppure indirettamente, quello fosse in tutto e per tutto un omicidio.
E forse quell'umano, per quanto sadico e malvagio potesse essere, aveva una famiglia. Forse una donna era appena rimasta vedova e dei figli incolpevoli si erano ritrovati orfani di padre a causa sua.
All'improvviso, il piattino di macarons dai delicati colori pastello che ammiccava verso di lui dall'altro lato del tavolo perse ogni attrattiva, così come il richiamo del vino spumeggiante nel bicchiere di cristallo.
- Che cosa ho fatto? - sussurrò Aziraphale con un filo di voce strozzata. - Oh, Dio Onnipotente, che cosa ho mai fatto? Sono un mostro! -
Crowley vide le lacrime affacciarsi agli occhi dell'angelo e avvertì una fitta di disagio. Non aveva intenzione di arrivare a sconvolgerlo fino a quel punto. E che diamine! Voleva solo spassarsela un po' e punzecchiarlo come faceva di solito, non certo turbarlo in quel modo! Evidentemente doveva essersi spinto un po' troppo oltre.
Una sgradevole sensazione gli arpionò la bocca dello stomaco. Si divertiva sempre un mondo a provocare scherzosamente Aziraphale, ma non poteva sopportare di vederlo sull'orlo del pianto per colpa sua e della sua indole dispettosa. Davvero non poteva. Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa per rimediare e subito.
- Ehm, senti, angelo... - cominciò con voce incerta e venata d'imbarazzo. - Io, non... non intendevo dire... Insomma, forse ho un po' esagerato, ecco. -
Aziraphale scosse la testa senza alzare lo sguardo. - No, Crowley. Hai ragione. Mi sono comportato in maniera spregevole, specialmente per un angelo. Sono stato un vero bastardo. E dire che io dovrei far parte dei buoni! Bell'esempio di carità che ho dato! -
Crowley si stupì di quanto lo sconvolgimento dell'amico lo toccasse nel profondo. Non voleva vederlo in quello stato, non voleva sentire dalle sue labbra quei giudizi spietati verso se stesso. Se avesse potuto, avrebbe chiuso con forza gli occhi e si sarebbe coperto le orecchie per non dover assistere a quell'increscioso spettacolo di cui, lo sapeva, egli era il solo ed unico responsabile.

Stupido serpente.” si rimproverò tra sé. “Mai che ti morda quella tua linguaccia biforcuta, eh? Guarda che bel casino hai combinato.”
Il labbro inferiore dell'angelo iniziò a tremolare e, a quel punto, il demone si alzò, fece un mezzo giro intorno al tavolo e raggiunse l'amico, torreggiando su di lui.
Esitò un istante, poi allungò una mano e gli premette le dita sotto il mento con estrema dolcezza, costringendolo a guardarlo negli occhi.
- Sì, forse un po' bastardo lo sei. - disse in tono serio. - Ma, se vuoi proprio saperlo, la cosa non mi dispiace neanche un po', semmai il contrario. -
- Come? - Sul volto di Aziraphale si disegnò un'espressione smarrita, accentuata dall'inaspettato tocco della mano del demone sulla sua pelle, fermo ma gentile.
Crowley sorrise. Non il solito ghigno beffardo e derisorio che gli riservava ogni volta. Si trattava piuttosto di un sorriso infinitamente dolce che non ci si aspetterebbe mai di poter trovare sulla bocca di un demone infernale; un sorriso di quelli colmi di calore e affetto che riescono a scaldare anche il cuore più gelido o, in quel caso specifico, più inquieto e traboccante di sensi di colpa.
- Non devi vergognarti per quello che hai fatto, angelo. Spetta all'Onnipotente stabilire se si sia trattato di un'azione giusta o meno. Non devi farti carico tu di questa responsabilità e poi, come hai detto, quel tizio aveva le mani sporche del sangue di chissà quanti innocenti. Onestamente, non credo sia stata una gran perdita per l'umanità. -
- S... sì, ma ho pur sempre ucciso una persona, Crowley. -
Il demone interruppe il contatto delle proprie dita con il viso dell'angelo e si portò le mani ai fianchi, ridacchiando. - Se è per questo, Aziraphale, i tuoi colleghi dalle ali bianche hanno fatto di molto peggio nel corso dei secoli. Ti dicono niente Sodoma e Gomorra? E vogliamo parlare di quella volta che al Gran Capo nell'Alto dei Cieli sono girate le palle tanto da decidere di annegare l'umanità intera? Dammi retta: non hai proprio niente da rimproverarti. E poi, un po' di bastardaggine mi piace in un angelo. -
Gli fece l'occhiolino con aria furba e riuscì perfino a strappare un tiepido sorriso ad Aziraphale, un po' rincuorato dalle sue rassicurazioni.
- Bene! - fece il demone, riappropriandosi dei suoi soliti modi spavaldi. - E adesso che ne diresti di tornare in Inghilterra? Questo clima rivoluzionario è così melodrammatico! -
L'altro annuì. - Be', ero venuto in Francia per mangiare una crêpe in solitudine, ma sono felice che tu mi abbia fatto compagnia, Crowley. Anzi, a dire il vero è stato piacevole, dovremmo farlo più spesso, non credi? Andare a pranzo insieme, intendo. -
Il demone inarcò un sopracciglio e il sogghigno ironico tornò al suo posto. - Certo! Ma magari la prossima volta evitiamo la parte in cui devo correre a salvarti le chiappe. Che ne dici? -
Aziraphale arrossì ma scelse di ignorare la frecciatina. Non era il caso di rivangare l'umiliante accaduto.
- Allora siamo d'accordo. - decretò. - La prossima volta sarai tu a dovermi invitare... e a dover pagare il conto, è chiaro. Lo farai? Promesso? -
Crowley alzò solennemente la mano sinistra e si portò la destra all'altezza del petto. - Lo giuro, angelo. E che io possa essere dannato se non dovessi tenere fede alla mia parola. -
Aziraphale scoppiò a ridere e quel suono argentino parve a Crowley il più soave del mondo.

Per la cronaca, sarebbero dovuti passare ben duecentoquattordici anni prima che il demone si decidesse a onorare il proprio giuramento. Meglio tardi che mai.




* “Se non hanno più pane, che mangino brioche.” Frase tradizionalmente attribuita a Maria Antonietta di Francia, giustiziata sulla ghigliottina il 16 ottobre 1793.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Back chat ***


backchat



Don’t push your luck

I’m ready to attack

Cos when I’m trying to talk to you

All you do is just talk back

You stand so tall, you don’t frighten me at all

Don’t talk back, don’t talk back, don’t talk back

Just leave me alone



Back chat, Queen, 1982





Erano ormai tre mesi che Crowley e Aziraphale si erano infiltrati a casa Dowling come Tata Ashtoreth e Fratello Francis per mettere in atto il loro piano di “educazione condivisa” dell'Anticristo.
Il personale di servizio aveva rinunciato già da tempo all'idea di farseli amici. Certo, il giardiniere era gentile e affabile con tutti, a differenza della tata che invece sembrava possedere una sorta di aura malefica che induceva chiunque a non avvicinarsi troppo a lei. Eppure entrambi emanavano un non-so-ché che scoraggiava chiunque intendesse dar loro confidenza, come un muro di vetro invisibile e impalpabile. In qualche modo inspiegabile a parole, loro erano diversi.
Ma ciò non impediva che il folto gruppo di dipendenti dei Dowling si interrogasse su quegli eccentrici personaggi, al contrario! Da quando erano arrivati, ci si divertiva a imbastire le teorie più svariate su chi fossero e da dove venissero. L'argomento preferito dei pettegoli però riguardava il tipo di rapporto che intercorreva tra quei due.
All'inizio nessuno ci aveva badato, ma col trascorrere del tempo, le cameriere più attente e con il fiuto più sviluppato per i pettegolezzi, avevano appurato che la tata e il giardiniere si scambiavano inequivocabili sguardi complici ogni volta che le loro strade si incrociavano. La missione in cui i più impiccioni della casa si erano lanciati aveva come obiettivo scoprire il significato di quegli scambi, discreti ma non abbastanza da sfuggire ai loro occhi di falco, e capire se davvero la tata inquietante se la intendesse con il giardiniere bonaccione.


Un assolato pomeriggio di fine primavera, Warlock pregò Tata Ashtoreth di accompagnarlo in giardino per cacciare lucertole.
- Mi sembra un'ottima idea, caro. - aveva approvato Crowley. - E magari potresti divertirti a strappargli le code, che ne dici? -
Il visetto del bambino si era illuminato di un diabolico entusiasmo a quella proposta e presto lui e la tata si ritrovarono all'aria aperta nel centro del grande parco della proprietà.
Le malcapitate bestioline si dibattevano nel retino che Warlock usava per catturarle, imprigionandole poi in una scatola da scarpe dove si divertiva a infastidirle e tormentarle nei modi più fantasiosi che gli venissero in mente.
Crowley si era seduto su una panchina e lo osservava distrattamente, sorridendo tra sé. Quel mocciosetto aveva chiaramente un talento innato per le azioni malvagie. E come avrebbe potuto essere altrimenti considerando la linea paterna dalla quale discendeva?
D'altro canto, era convinto che la sua influenza demoniaca stesse giocando un ruolo fondamentale e i suoi sforzi erano ampiamente ripagati ogni volta che il piccolo Warlock dava prova di eccellente cattiveria e perfidia ai danni, in genere, di piccoli animali ma, a volte, anche di sventurati esseri umani (in primis, quel tapino dell'insegnante di matematica che subiva le sue angherie a testa bassa per paura di essere licenziato).
Ma l'autocompiacimento del demone venne interrotto dal sopraggiungere di una figura cicciottella armata di annaffiatoio e con un fascio di rose rosse sottobraccio. Aziraphale, in quel contesto meglio conosciuto come Fratello Francis, rivolse un saluto gioviale a Warlock, al quale il bambino non rispose, troppo occupato a rincorrere e braccare l'ennesima lucertolina terrorizzata, dopodiché individuò Crowley seduto sulla panchina e gli si avvicinò.
- Buongiorno, madame. - disse, toccandosi la tesa del cappello di paglia.
- Buongiorno. - rispose svogliatamente la tata.
- Posso sedermi? - domandò Aziraphale indicando la parte di panchina vuota accanto a Crowley, il quale gli fece sbrigativamente cenno di accomodarsi.
- Bellissima giornata, non è vero? - buttò lì il giardiniere, il tono della voce un po' troppo alto per risultare credibile.
- Puoi anche smetterla con la commedia, angelo. Non c'è nessuno qui a parte noi e il ragazzino. - bisbigliò Crowley.
- Sì, a proposito, - cominciò Aziraphale, sussurrando a sua volta. - mi spieghi che tipo di gioco starebbe facendo con quelle povere creaturine? -
- Si chiama “strappacoda”. - sogghignò Crowley. - Gliel'ho suggerito io. -
- Mi sembra orribile. - commentò l'angelo lanciando un'occhiata di disapprovazione alla volta del bambino.
- Certo che lo è. - ribatté tranquillamente l'altro. - Se non lo fosse, non starei facendo bene il mio dovere, non credi? -
Aziraphale tacque ma continuò a osservare il sadico divertimento di Warlock con una smorfia di disappunto.
- Eppure gli avevo raccomandato di amare e rispettare ogni essere vivente, grande o piccolo. -
Crowley staccò gli occhi dal bambino e li posò su di lui. - Che non ti venga in mente di intervenire con una delle tue stucchevoli prediche sull'amore e la gentilezza. Eravamo d'accordo di non intralciarci e questa parte della giornata spetta a me e all'educazione diabolica. -
- Sì, - ammise Aziraphale. - ma siete nel giardino e questo è il mio, ehm... terreno d'insegnamento. È qui che il ragazzo viene da me per imparare la bontà e la virtù. Quindi, come vedi, siamo in stallo. -
Gli occhi di Crowley lampeggiarono minacciosamente sotto le lenti. - Non ci provare, angelo. Domani potrai imbottirlo di nozioni celestiali quanto ti pare, ma ora lasciami fare il mio lavoro. E poi non avrebbe senso confondergli ancora di più le idee. -
- Sì, almeno su questo credo tu abbia ragione. - concesse l'altro, arrendendosi. - Allora sarà meglio che me ne vada, non sono a mio agio ad assistere a certi spettacoli crudeli senza fare nulla. -
Aziraphale si alzò dalla panchina, recuperò da terra l'annaffiatoio e i fiori e, prima di andarsene, estrasse una rosa dal mazzo e la porse a Crowley con un breve inchino galante.
- Le auguro una buona giornata, madame. -
Il demone sbuffò ma accettò comunque il fiore, rigirandoselo pigramente tra le dita evitando le spine. All'angelo piaceva calarsi nella parte del gentiluomo d'altri tempi e non perdeva mai occasione per esibirsi in qualche gesto cavalleresco nei suoi confronti anche se, spesso, Crowley si chiedeva se quella sceneggiata non fosse piuttosto un modo per burlarsi sottilmente di lui e della sua identità di copertura.
Nessuno dei due si era però accorto del vigile sguardo di Warlock che aveva seguito con interesse tutta la scena, culminata nell'offerta di quella rosa vermiglia che dalla mano del giardiniere era passata in quelle della tata.
Dall'alto della sua settennale esperienza di vita, il bambino sapeva bene che quando un maschio regala un fiore a una femmina è perché ne è innamorato e, se lei accetta, significa che ricambia i suoi sentimenti, e allora ecco che i due sono fidanzati e forse si sposeranno per vivere felici e contenti e fare quelle altre cose delle quali gli adulti si rifiutavano sempre di parlargli, assicurandogli che avrebbe capito tutto quando fosse diventato più grande.


Quella sera, a cena, Warlock raccontò a sua madre Harriet di come avesse trascorso il pomeriggio cacciando lucertole in giardino e non mancò di menzionare l'episodio in cui Fratello Francis aveva fatto dono di una rosa rossa a Tata Ashtoreth, forse esagerando qualche dettaglio qua e là.
L'informazione raggiunse le orecchie attente della cameriera che stava servendo loro le portate, la quale puntualmente riferì la notizia succosa in cucina.
- Lo dicevo io! - esultò la cuoca, brandendo un cucchiaio di legno in aria in segno di trionfo. - Ho capito subito che quei due non ce la raccontavano giusta. E infatti... -
- Hai capito il giardiniere! - rise un giovane lavapiatti. - Fa tanto il santerellino e poi va con una donnaccia come quella. Non riesco a immaginarmi una coppia peggio assortita. -
- Al cuor non si comanda. - ribatté una giovane apprendista cuoca con aria sognante. - Non puoi decidere di chi ti innamorerai e se tra loro le cose funzionano e sono felici, tanto meglio! -
- Pensate che si incontrino di nascosto durante la notte? -
- Io ne sono sicura! - asserì la cuoca. - Magari hanno un posto segreto qui in casa o forse direttamente in giardino. -
- Certo che la tata non sembra proprio il tipo di donna di cui ci si potrebbe innamorare. Fratello Francis deve avere dei gusti un po' strani riguardo al genere femminile. -
- Forse hanno una di quelle relazioni perverse, tipo sadomaso. - intervenne l'apprendista. - Può darsi che lei indossi corsetti di pelle, calze a rete e lo picchi con un frustino o roba del genere e che a lui piaccia così. -
- Hai ragione! - diede manforte il lavapiatti. - E probabilmente usano anche le manette! E forse perfino le corde e le bende per gli occhi! C'è gente che lo fa, l'ho visto in un film. -
- Ma siamo sicuri che una donna del genere possa fare la tata? - osservò la cameriera con una certa preoccupazione. - Dovremmo avvertire la signora Dowling? -
- Non possiamo, senza prove. - obiettò la cuoca. - Dobbiamo prima esserne certi. -
L'altra annuì vigorosamente. - Allora sarà meglio tenerli d'occhio. -


La mattina seguente, il pettegolezzo a proposito di una sospetta relazione tra Fratello Francis e Tata Ashtoreth aveva raggiunto tutto il personale di casa Dowling e, come sempre accade, man mano che passava di bocca in bocca era stato infarcito di dettagli morbosi nati dalla galoppante fantasia di quei chiacchieroni impertinenti.
Ma i due protagonisti della storia in questione erano ovviamente ignari di tutto ciò e così, quando Crowley incrociò un trio di giovani cameriere lungo un corridoio intente a confabulare tra loro non fece caso più di tanto al fatto che queste si azzittirono improvvisamente al suo passaggio per poi tornare a bisbigliare e ridacchiare.
Allo stesso modo, Aziraphale non capì perché il custode della villa avesse ammiccato verso di lui con aria furba e gli si fosse rivolto chiamandolo “diavolaccio d'un Don Giovanni”.
In effetti, sguardi sfacciati e insistenti seguirono Aziraphale e Crowley ovunque andassero per tutta la giornata.
Lo stesso copione si ripeté il giorno successivo e, quando l'angelo e il demone si incontrarono alla libreria quella notte, Aziraphale diede voce alle sue perplessità.
- Hai notato che tutti si comportano in modo un po' strano in questi giorni? -
Crowley, che si stava avvicinando alle labbra un bicchiere di vino, alzò lo sguardo sull'amico. - Ti riferisci al fatto che spettegolano su Tata Ashtoreth e Fratello Francis perché pensano che abbiano una tresca segreta? -
Sul volto di Aziraphale balenò un lampo di comprensione. - Oh! Pensi che sia quello il motivo? -
Crowley sollevò gli occhi al soffitto senza riuscire a trattenersi. Certe volte, l'ingenuità dell'angelo era quasi esasperante.
- Ma certo che è per quello! Sperano di trovare qualche conferma dei loro sospetti tenendoci d'occhio, si credono tanto furbi. -
Aziraphale aggrottò la fronte. - Ma perché dovrebbe interessargli? -
Crowley alzò le spalle. - Sai come sono gli umani: dei tremendi ficcanaso. Specialmente quelli che hanno bisogno di impicciarsi della vita altrui per rendere più interessante la propria. -
- E quindi in casa Dowling si crede che io e te, insomma, che il giardiniere e la tata... -
- … abbiano un relazione amorosa. - concluse Crowley per lui. - Una liaison, un affaire, un flirt, chiamalo come vuoi. -
- Oh, cielo. - fece Aziraphale, arrossendo suo malgrado.
- Sono solo un branco di ciarloni dalle linguacce affilate, non m'importa di quello che pensano o dicono. - mise in chiaro Crowley, enfatizzando quelle parole con un gesto secco della mano. - Tuttavia ho origliato una conversazione tra due cameriere e pare che domani sera intendano seguirci di nascosto dopo l'orario di lavoro per vedere se Fratello Francis abbia davvero una storia con la tata. Questo potrebbe darci dei problemi. Quegli idioti rischiano seriamente di danneggiare il nostro piano e far saltare la copertura. -
- Dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo permettere che succeda una cosa simile. La posta in gioco è troppo alta. - disse Aziraphale, preoccupato.
- Be'... - esordì Crowley con un sorrisetto storto. - Se vogliono qualcosa di succulento di cui sparlare, perché non darglielo? -
L'angelo conosceva fin troppo bene quel ghigno. - Cos'hai in mente? -


Entro l'indomani, Crowley e Aziraphale avevano messo a punto la loro strategia anti-pettegoli.
Durante il giorno, disseminarono indizi in maniera apparentemente casuale riguardanti un appuntamento romantico che avrebbe avuto luogo quella notte, a mezzanotte esatta, nel giardino della tenuta, vicino alla fontana degli amorini.
Naturalmente, già all'ora di pranzo l'indiscrezione si era diffusa tra tutti i membri del personale di servizio, percorsi da una specie di fibrillazione all'idea di avere un'occasione d'oro per cogliere sul fatto i due presunti amanti. Qualcuno avrebbe dovuto seguirli con discrezione e dare una sbirciatina, magari attraverso i rami di un cespuglio, per poi tornare alla villa e riferire ciò che aveva visto, senza tralasciare i particolari scottanti, ovvio!
Venne stabilito che fossero la cuoca e una cameriera ad occuparsi dell'operazione di spionaggio. Si sarebbero appostate nei dintorni della fontana e avrebbero atteso l'arrivo dei piccioncini.


Mancavano venti minuti alla mezzanotte e le due donne avevano già preso posizione, acquattate tra la vegetazione ma con un'ottima visuale sulla fontana. La cuoca, veterana di quel genere di missioni, si era perfino munita di binocolo.
Aspettavano con trepidazione l'arrivo del giardiniere e della tata, brucianti di quella curiosità ossessiva che sempre anima i cuori di chi ama il pettegolezzo e lo scandalo.
Ciò che non sapevano, era che Aziraphale e Crowley fossero già presenti sul posto, appollaiati al sicuro tra i rami di una quercia frondosa.
Alle dodici in punto, il demone sorrise furbescamente all'amico. - Inizia lo spettacolo. -
Crowley schioccò le dita e l'acqua zampillante della fontana si tramutò in un liquido cremisi che assomigliava orrendamente a sangue vivo, mentre i due angioletti scolpiti nella pietra presero vita, mutando in due brutti sgorbi dagli occhi di fiamme che iniziarono a guardarsi intorno come per cercare qualcosa, qualcuno.
Cuoca e cameriera non potevano credere a ciò che stavano vedendo ma questo non impedì loro di restare paralizzate dal terrore.
I due paia di occhi fiammeggianti si fermarono quando intercettarono il punto esatto dove si trovavano le due donne e tutto divenne ancora più terrificante e assurdo perché le statue iniziarono a parlare all'unisono con una voce cavernosa e ieratica, come se provenisse direttamente dagli inferi.
- Stupide umane che avete osato immischiarvi in ciò che non potete comprendere! Se intendete preservare le vostre misere vite mortali non proverete mai più ad impicciarvi degli affari altrui. E assicuratevi che questo avvertimento giunga anche agli altri scarafaggi che vi attendono accucciati nell'ombra. Se vi azzarderete a disubbidire a questi ordini, la collera dell'Inferno si abbatterà su di voi! -
Dall'alto del loro nascondiglio tra le fronde, Crowley e Aziraphale scorsero le due fuggire a gambe levate verso la casa, urlando e gesticolando come ossesse.
Il demone sghignazzò. - Correte, correte, acide pettegole che non siete altro! - poi si rivolse all'amico con uno dei suoi sorrisini sardonici. - Be', credo che il problema sia risolto, angelo. Direi che ora possiamo stare tranquilli. -
Ma Aziraphale gli scoccò un'occhiata di biasimo. - C'era proprio bisogno di arrivare a tanto, caro? Quelle povere donne rimarranno traumatizzate a vita. -
L'altro scrollò le spalle. - Ha funzionato, no? -


L'incredibile storia si diffuse presto tra le mura di casa Dowling.
Cuoca e cameriera erano tornate dal loro appostamento pallide e sconvolte. Vaneggiavano di una fontana che, all'improvviso, si era messa a spillare sangue e di una coppia di statue dagli occhi scarlatti che aveva parlato loro in tono minaccioso. Naturalmente, nessuno prese sul serio il loro delirante racconto e i loro colleghi si convinsero che le due donne si fossero scolate un paio di bicchieri di troppo prima di uscire.
Ad ogni modo, lo stratagemma diede i suoi frutti, poiché, dopo quella notte, tutti parvero perdere interesse nei confronti della tata e del giardiniere e se qualcuno provava a risollevare l'argomento, la cuoca sveniva all'istante e la cameriera era colta da una specie di crisi isterica.
Crowley e Aziraphale poterono tornare al lavoro senza impiccioni tra i piedi.


Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** I'm going slightly mad ***


mad

When the outside temperature rises

And the meaning is oh so clear

One thousand and one yellow daffodils

Begin to dance in front of you, oh dear

Are they trying to tell you something?

You’re missing that one final screw

You’re simply not in the pink my dear

To be honest you haven’t

got a clue



I'm going slightly mad, Queen, 1991




Durante i suoi lunghi secoli trascorsi sulla Terra, Aziraphale aveva sviluppato un amore particolare per una delle bevande più apprezzate dagli umani in ogni parte del mondo: il tè.
Forse si era lasciato influenzare dalle abitudini inglesi, ma l'angelo non rinunciava mai ad una buona tazza di tè fumante, meglio ancora se servita accompagnata da fragranti biscottini al burro o tramezzini.
All'angelo piaceva recarsi in erboristeria e sostare interi minuti di fronte agli scaffali, odorando i diversi aromi delle miscele e leggendo le accurate didascalie che ne elencavano le proprietà, il modo d'uso e i benefici.
Quel pomeriggio, dietro al bancone, Aziraphale notò la presenza di una giovane che non aveva mai visto prima e che lo abbagliò con uno smagliante sorriso a trentadue denti non appena varcò la soglia.
- Buongiorno! Posso aiutarla? - cinguettò.
Aziraphale rimase interdetto ma ricambiò il sorriso, cortese. - Ehm, buongiorno, signorina. In realtà avrei bisogno di Mrs. Smith. -
Mrs. Smith era la proprietaria del negozio, nonché colei che lo serviva di solito, gli mostrava gli ultimi arrivi e gli consigliava i tè più pregiati e raffinati.
La ragazza scosse la testa. - Mi dispiace ma purtroppo Mrs. Smith è a letto con l'influenza. Mi occupo io dei clienti e del negozio finché non sarà guarita. Vuole che le mostri il nostro nuovo tè oolong*? I nostri fornitori ci hanno portato le nuove miscele proprio stamattina e le ho etichettate personalmente. -
La giovane si avviò con entusiasmo verso uno scaffale ingombro di barattoli di latta dall'aspetto piacevolmente vintage, tutti contrassegnati da un cartellino adesivo. Si alzò sulle punte dei piedi e tese il braccio più che poté per raggiungere il ripiano più alto ma, non appena riuscì a sfiorare con le dita uno dei recipienti, si sbilanciò, cadde rovinosamente a terra e venne sommersa da una valanga di barattoli di tè.
Aziraphale schioccò prontamente le dita e qualunque danno fosse stato provocato dalla caduta e dalla conseguente flagellazione venne annullato, dopodiché si precipitò al fianco della commessa per aiutarla a rialzarsi.
- Sta bene, mia cara? - chiese con premura, nonostante sapesse benissimo che, grazie al suo intervento, la risposta sarebbe stata affermativa.
La ragazza si portò una mano alla testa e sbatté le palpebre, intontita. - Sì, non so come sia possibile ma credo di non essermi fatta niente. -
Aziraphale sorrise, soddisfatto di sé.
- Oh, che disastro! - gemette la giovane, lanciando un'occhiata allarmata ai barattoli sparsi sul pavimento del negozio. - A volte sono così maldestra! Forse ha ragione Mrs. Smith quando dice che questo lavoro non fa per me. -
- Oh, non si preoccupi. - la rassicurò l'angelo, conciliante. - Non è successo nulla di grave. Ad ogni modo, potrebbe, per favore, prepararmi mezzo etto di quel nuovo tè oolong di cui mi parlava poco fa? Mi fido del suo consiglio. -
L'espressione mesta sul volto della commessa mutò in un sorriso raggiante non privo di un certo stupore. - Ma certo! Sarà pronto in un attimo, nel frattempo perché non dà un'occhiata alla nostra nuova linea di tè bianchi aromatizzati? -


Dieci minuti dopo, l'angelo uscì dal negozio con una grande busta di carta tra le mani. Alla fine, quella pasticciona di una commessa gli aveva fatto talmente tenerezza che aveva comprato praticamente metà dei tè e degli infusi esposti. Sarà anche stata un disastro nel suo lavoro, ma era chiaro che avesse un buon cuore e che ci mettesse tutto il proprio impegno per riuscire al meglio in ciò che faceva, nonostante i risultati incontestabilmente pessimi.
Quando tornò alla libreria, notò un'inconfondibile Bentley nera parcheggiata in modo tale da infrangere almeno una dozzina di regole del codice stradale tutte in una volta. Gli bastò spostare lo sguardo di qualche metro per scorgere la figura allampanata di Crowley; se ne stava in piedi, appoggiato alla porta con le braccia incrociate al petto, in evidente attesa del suo ritorno.
- Crowley! - fece l'angelo, affrettando il passo verso di lui. - Che sorpresa! Cosa ci fai qui? -
Il demone lo salutò con il solito sorrisino sghembo. - Ero nei paraggi per qualche tentazione e ho pensato di passare a trovarti. - Fece un pausa e indicò il cartello scritto a mano in un corsivo svolazzante e affisso alla porta con la scritta “Sono uscito per una commissione. Torno quando torno. Baci, baci!” - Vedo che ti ammazzi di lavoro, eh? -
Aziraphale distese le labbra in un sorrisetto colpevole. - Sai, avevo terminato la mia scorta di tè. Ma, già che ci siamo, perché non entri un attimo? Ho comprato una nuova varietà di oolong, possiamo provarla insieme, se ne hai voglia. -
L'altro arricciò il naso, disgustato. - Bah, quegli intrugli di erbe non fanno per me. Ma se, per miracolo, tu potessi offrirmi un caffè, allora d'accordo. -
Aziraphale gli sorrise. - Perfetto! -
Crowley si scostò dalla porta per permettere all'angelo di estrarre le chiavi dalla tasca del cappotto e sbloccare la serratura, impresa non facile considerando l'ingombrante busta che reggeva tra le mani e che minacciava di volare a terra da un momento all'altro. Il demone inarcò le sopracciglia e sospirò davanti a quella sequela di vani tentativi, infine schioccò le dita e l'uscio si socchiuse spontaneamente di fronte ad Aziraphale, ancora impegnato a barcamenarsi tra i suoi acquisti e il mazzo di chiavi.
L'amico gli indirizzò un'occhiata riconoscente, poi spinse la porta e lo invitò a entrare.
- Accomodati pure, caro. -


Aziraphale porse a Crowley una tazzina di caffè nero, rigorosamente senza zucchero, poi attese che la miscela di oolong raggiungesse il tempo d'infusione indicato sul cartellino allegato al sacchetto. Quando il timer lo avvisò che i cinque minuti prescritti erano trascorsi, l'angelo rimosse i rimasugli di foglie zuppe e versò il tè in una graziosa tazza di fine porcellana decorata con motivi floreali e il bordo dorato.
Sedette di fronte all'amico e inalò profondamente i fili di fumo che si levavano dalla bevanda.
- Curioso. - commentò, aggrottando le sopracciglia con fare perplesso. - Non ricordavo che il tè oolong avesse questo aroma così... intenso. Ma forse si tratta di una varietà particolare che non ho mai assaggiato. -
L'angelo si portò la tazza alle labbra e bevve un sorso, facendo poi schioccare la lingua.
- Mmm. Non male. - decise, sebbene trovasse che il gusto avrebbe potuto trarre non poco giovamento da un paio di zollette di zucchero.
Crowley, che nel frattempo aveva già svuotato la sua tazzina di caffè, scosse la testa. - Proprio non capisco questa tua passione per il tè. -
Prima di replicare, Aziraphale sorbì un altro po' del contenuto della tazza. - Non è solo una passione, caro. Quella del tè è un'arte che gli umani praticano da secoli. In oriente esiste un rituale chiamato "cerimonia del tè" e... -
Ma Crowley lo interruppe alzando una mano. - Sì sì sì, ho capito, angelo. Non serve che tu mi faccia una lezione completa sull'argomento. -
L'amico diede una scrollatina di spalle e tacque, dedicandosi interamente al suo oolong dal sapore insolito ma, tutto sommato, gradevole... be', non troppo disgustoso.


Aziraphale e Crowley rimasero seduti a chiacchierare per un po'.
L'angelo si sentiva... strano. Non c'era una definizione che potesse esprimere meglio il mix di sensazioni anomale delle quali era vittima.
La testa gli si era fatta pesante ma, allo stesso tempo, provava come una sorta di leggerezza. Mettere insieme i pensieri conferendo loro un ordine logico gli risultava curiosamente arduo, come se la sua mente avesse rallentato il ritmo di lavoro. Cominciava anche ad avvertire una certa mancanza d'aria, come se i suoi polmoni richiedessero più ossigeno del solito.
- No, no, no, caro. - stava dicendo. - Il punto è che... -
E all'improvviso, il vuoto! Aziraphale si arrestò bruscamente a mezza frase, la bocca ancora leggermente aperta ma priva di parole.
- Angelo? Tutto a posto? - chiese Crowley, osservando l'amico con una certa apprensione. Le gote gli si erano arrossate e un velo di sudore gli ricopriva la fronte.
- Ehm, s... sì, certo. - balbettò Aziraphale, incapace di raccapezzarsi. - Ma credo che un po' d'aria fresca mi farà bene. Perché non usciamo a fare una passeggiata? -
Crowley annuì. - Come vuoi. -
I due si alzarono e si diressero verso la porta, l'andatura di Aziraphale era un po' barcollante, il passo malfermo come se fosse in preda alle vertigini.
- Sicuro che sia una buona idea? - domandò il demone, allungano istintivamente le braccia verso l'angelo, pronto a sostenerlo nel caso avesse perso l'equilibrio.
- Ma sì, non preoccuparti. - rispose Aziraphale. - Sono solo un paio di capogiri. Uscire all'aria aperta mi farà... -
E, ancora, un'espressione vacua si dipinse sul suo viso e la frase rimase tronca.
Una volta in strada, dopo che l'angelo fu riuscito a indossare il cappotto dal verso giusto, la situazione non migliorò affatto, al contrario!
Tutte quelle sagome in movimento, quei rumori che si mescolavano in una cacofonia indistinta, i colori e i fari delle auto che sfrecciavano attorno a lui, non fecero che peggiorare gli inspiegabili sintomi che affliggevano Aziraphale.
- Oh, cielo. Forse non è stata una gran pensata. - disse, stropicciandosi gli occhi nel vano tentativo di rendere la vista più chiara.
- Meglio tornare alla libreria. Credo tu abbia bisogno di stenderti un po'. - propose saggiamente Crowley, sempre più sconcertato dall'evidente stato di alterazione dell'amico.
Aziraphale annuì più volte ma non pareva aver colto del tutto il senso delle parole dell'amico, come se quel movimento fosse stato innescato da un riflesso automatico più che da un'intenzionalità razionale.
- Non trovi che faccia caldo? - gli domandò, facendosi aria con una mano a mo' di ventaglio.
- Angelo, siamo in pieno inverno e ci sono cinque gradi. Si può sapere che cosa ti... -
- Ehi, guarda! - esclamò a un tratto Aziraphale, indicando un punto non meglio precisato in fondo alla strada. - Hai visto quanti bei narcisi gialli** ci sono laggiù? Sono dei fiori bellissimi, vero? -
Il demone sgranò gli occhi. - Ma quali narcisi?! -
- E perché quei tizi hanno un casco di banane in testa? O forse sono alberi di banane che camminano? Dici che farei la figura del maleducato se andassi a chiederglielo? -
Ormai Crowley assisteva sgomento e impotente a quella delirante manifestazione di follia senza neanche provare ad opporsi alle assurdità che uscivano in sequenza dalla bocca di Aziraphale. Aveva comunque l'impressione che non sarebbe servito a nulla.
- Ehi! E perché le auto hanno solo tre ruote? Non erano quattro l'ultima volta? Queste invenzioni umane, non fai in tempo ad abituarti che subito cambiano. -
- Ok, ora basta! -
Crowley intrappolò il volto ciondolante di Aziraphale tra le proprie mani per costringerlo a guardarlo negli occhi e sentì che la sua pelle scottava. Come immaginava, le pupille dell'angelo erano dilatate in modo impressionante, lo sguardo allucinato e febbrile. Non aveva idea di cosa gli stesse succedendo, ma di un fatto era assolutamente certo: il suo migliore amico non stava per niente bene.
- Vieni, ti riaccompagno a casa. - disse, passandosi un braccio dell'angelo attorno alle spalle e cingendogli un fianco.


Il demone dovette trascinarsi dietro l'amico quasi a peso morto per tutto il tragitto e quando finalmente giunse alla libreria aveva il fiatone ed era sudato e accaldato quasi quanto Aziraphale.
Entrò e raggiunse il retrobottega.
- Ecco, sdraiati sul divano. Ti sentirai meglio. - disse, sfilandogli il cappotto e gettandolo di lato.
L'angelo lo guardò con quegli occhi sbarrati e febbricitanti colmi di un commosso stupore, anche se nient'affatto lucido. - Oh, Crowley, sei sempre così buono e gentile con me! -
Il demone stava per lanciarsi in una delle sue solite invettive contro quegli aggettivi tanto odiati quando Aziraphale lo prese per la giacca e lo attirò a sé, posando le proprie labbra sulle sue.
Crowley rimase paralizzato dallo shock, le braccia abbandonate inermi lungo i fianchi, gli occhi spalancati, il respiro momentaneamente sospeso insieme al battito cardiaco, o almeno così gli sembrava.
Il tempo si fermò, accelerò, poi rallentò di nuovo, si accartocciò su se stesso, perse ogni significato, sempre che ne avesse mai avuto uno. Il demone era consapevole solo del corpo di Aziraphale rasente al suo, delle sue labbra rese bollenti dalla febbre a contatto con le proprie, del profumo inebriante della sua colonia che gli riempiva le narici. In compenso, aveva perduto ogni percezione di tutto il resto del mondo, come se i suoi sensi fossero concentrati unicamente sull'angelo, come se, nell'intero universo, esistessero loro e solo loro.
Passò un minuto, un'ora, un'era geologica o forse solo qualche secondo, poi Aziraphale lasciò andare la presa sulla giacca di Crowley e crollò sul divano, privo di sensi.
Il demone rimase immobile, come congelato. Molto lentamente, sentì che le sue funzioni biologiche ricominciavano ad attivarsi e con esse anche quelle cognitive che gli permisero di accorgersi di un dettaglio all'apparenza infinitesimale: sulla sua bocca, era rimasto un sapore eccezionalmente amaro, quasi erbaceo.
Crowley si passò con cautela la lingua sulle labbra e avvertì ancor più distintamente quel gusto acre che, nonostante la sua limitata conoscenza del vasto universo dei tè, sapeva non poter appartenere a un innocuo oolong. Venne folgorato da un sospetto.
La confezione dalla quale Aziraphale aveva estratto la miscela che aveva usato per preparare la bevanda era ancora accanto al fornello. Il demone l'afferrò e lesse il contrassegno che ne identificava il contenuto come pregiatissimo tè oolong dei Monti Wuyi, ma qualcosa non quadrava e Crowley decise di andare a fondo di quella faccenda.
Poco distante dalla libreria di Aziraphale c'era una farmacia specializzata in prodotti di origine naturale e così, dopo essersi assicurato che l'angelo dormisse profondamente sul divano, Crowley si precipitò di corsa nel negozio e mostrò il contenuto del sacchetto ad una farmacista che gli confermò quanto aveva temuto: non si trattava affatto di tè ma di un preparato per un infuso purissimo di... belladonna!***
Ed ecco spiegati il delirio, le allucinazioni, il rossore, la febbre e tutto il resto. Si trattava dei tipici segnali di un avvelenamento da atropina, una sostanza curativa ma anche estremamente tossica se assunta in quantità eccessive e contenuta, per l'appunto, in quella particolare specie di pianta. Non esisteva antidoto che potesse contrastarne la micidiale tossicità.
Per un umano, la quantità ingerita da Aziraphale sarebbe risultata letale ma, fortunatamente, il corpo di un angelo mantiene delle caratteristiche sovrannaturali che gli forniscono dei notevoli vantaggi rispetto a quello dei mortali, come il fatto di non invecchiare e di possedere una soglia molto alta di tollerabilità ai veleni. Per questo motivo angeli e demoni potevano bere alcolici e ubriacarsi per ore consecutive senza subire le conseguenze spiacevoli che toccavano agli umani (il coma etilico, per dirne una).
Crowley tornò alla libreria e vide Aziraphale ancora steso sul sofà. Gli sfiorò la fronte con il dorso della mano e sentì che, sebbene fosse ancora calda, non scottava più come quando l'aveva riportato a casa. Un bel sonno ristoratore l'avrebbe aiutato a recuperare le forze dopo quella disavventura e il demone decise di rimanere fino al suo risveglio.
Si lasciò sprofondare in una comoda poltrona imbottita e rimase in attesa.
Presto, i suoi pensieri corsero inesorabilmente a quanto accaduto poco prima. Aziraphale l'aveva baciato. L'aveva baciato! BACIATO!
Crowley non era mai stato baciato da nessuno prima di allora, né gli era mai importato. Quelle erano esperienze riservate agli umani anche se, doveva ammetterlo, a volte si era chiesto come potesse essere. Ma quella era solo la sua naturale propensione alle domande e alla curiosità, un demone millenario doveva pur ingannare la noia ponendosi qualche innocente interrogativo, no? Insomma, non era come desiderare di essere baciato per davvero!
Eppure era successo. Non solo, era successo con Aziraphale e, chissà perché, improvvisamente Crowley si rese conto che non sarebbe potuto essere altrimenti.
Ma bisognava tener conto del fatto che lo stato di coscienza dell'angelo fosse stato ridotto a uno psichedelico colabrodo e che, al momento del “fattaccio”, egli non fosse conscio delle sue azioni, nel modo più assoluto.
Non era neanche stato un vero e proprio bacio, no? Insomma, Crowley conosceva la teoria a grandi linee e non era sicuro che ciò che era avvenuto tra lui e Aziraphale potesse propriamente definirsi “bacio”. Inoltre, riconoscere quel contatto tra le loro labbra come tale avrebbe significato aprire una porta pericolosa che dava su un mondo intero fatto di domande, dubbi, quesiti ai quali non avrebbe saputo trovare soluzione e che l'avrebbero inevitabilmente costretto a fronteggiare un labirintico garbuglio di emozioni. La prospettiva non lo allettava per nulla e Crowley decise di archiviare quell'esperienza come un'accidentale parentesi della sua giornata dovuta agli effetti allucinogeni della belladonna inavvertitamente ingerita da Aziraphale. Niente di più.


Circa due d'ore più tardi, l'angelo aprì gli occhi e, nonostante la vista ancora un po' appannata, riconobbe Crowley seduto in poltrona, assorto in chissà quali riflessioni.
Appena il demone si rese conto che l'amico era cosciente, scattò verso il divano.
- Angelo! Era ora che ti svegliassi. Come ti senti? -
Aziraphale batté le palpebre un paio di volte per mettere meglio a fuoco il viso dell'altro. - Uno schifo. - rispose, schietto. Per parlare in quel modo, doveva sentirsi davvero male.
- Cos'è successo? - domandò debolmente.
- Non ricordi niente? -
Aziraphale scosse piano la testa, mossa decisamente poco opportuna dato gli scatenò un accesso di nausea.
- Be', a quanto pare, il tuo prezioso tè oolong non era affatto tè ma un micidiale infuso di belladonna: un toccasana per la salute, in poche parole. Mi spieghi come cavolo hai potuto essere così stupido da confonderti? -
L'angelo aggrottò la fronte, come se si stesse concentrando a fondo per recuperare qualcosa tra i meandri della sua memoria annebbiata.
- La commessa. - mormorò alla fine.
Crowley sbatté le palpebre. - Come dici? -
- La nuova commessa dell'erboristeria ha detto di aver etichettato personalmente le nuove miscele arrivate stamattina. Deve aver messo il cartellino sbagliato al barattolo. È un ragazza ehm... un po' sbadata. -
- Alla faccia della sbadataggine! - esclamò il demone. - Se fossi stato un essere umano, ci saresti rimasto secco! -
Lo sguardo offuscato di Aziraphale si fece a un tratto orripilato. - Dobbiamo avvisare qualcuno dell'errore prima che succeda qualcosa di grave! -
- Tranquillo, angelo. Ci penso io. Basterà un miracolino demoniaco. -
L'amico si rilassò e si lasciò andare di nuovo contro il cuscino con un sospiro.
Crowley si morse il labbro e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. - Ehm, quindi... hai detto di non ricordare proprio nulla? -
- L'ultima cosa che ricordo è che eravamo seduti a parlare ma non mi sentivo molto bene e ti ho proposto di andare a fare una passeggiata. -
- Nient'altro? -
- No, caro. Perché? Ho dato spettacolo, per caso? -
- Tu non puoi immaginare quanto! - ridacchiò Crowley. - A un certo punto ho pensato che fossi completamente impazzito. -
- Oh, per tutti i santi del cielo. - gemette Aziraphale, coprendosi il volto con una mano.
Il demone sorrise, sollevato che l'amico si fosse ripreso, ma non avrebbe saputo dire se il fatto che egli non ricordasse di averlo baciato gli suscitasse più sollievo o delusione. Probabilmente un misto delle due cose, dove il primo predominava pur senza riuscire a soffocare del tutto la seconda.




Note:


* Il tè Oolong, chiamato anche tè blu, è un tipo di tè semiossidato prodotto in Cina e a Taiwan.

** Le allucinazioni di Aziraphale fanno tutte riferimento al testo della canzone.

*** La belladonna è una pianta della famiglia delle Solanaceae largamente impiegata per uso cosmetico e farmacologico ma può diventare un veleno micidiale se assunta in dosi e modalità sbagliate.
Consiglio: se amate i personaggi alla Tim Burton, correte a cercare il video di questa canzone. Non rimarrete deluse/i. ;)


Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Let me live ***


let me live


Why don't you take another little piece

of my heart

Why don’t you take it and break it

And tear it all apart

All I do is give

And all you do is take

Baby why don’t you give me

A brand new start



Let me live, Queen, 1995




Londra, 1862


Crowley rimase solo davanti allo stagno a guardare il foglietto di carta consumarsi lentamente tra le fiamme. Le anatre osservavano quello spettacolo incuriosite, ma abbastanza prudenti da non avvicinarsi troppo, e continuavano a scivolare placidamente sull'acqua verdastra a caccia di qualche briciola di pane generosamente offerta dalla mano guantata di qualche dama o di un distinto signore.
La mascella del demone era serrata in una morsa, le mani strette a pugno intorno all'elsa argentata del suo bastone da passeggio. Le labbra sottili erano contratte a formare una linea dura, affilata come una lama. Se i suoi occhi d'oro non fossero stati coperti dalle lenti scure, qualcuno avrebbe potuto anche notare la pupilla verticale ridotta a una fessura.
Tutto in Crowley esprimeva un'aggressività repressa, una rabbia mista a delusione che gli ribolliva furiosamente nell'animo come lo zolfo ribolliva giù all'Inferno dal quale egli proveniva.
Il chiacchiericcio indistinto dei passanti giungeva alle sue orecchie come da molto distante, coperto dal sonoro ronzio dei suoi pensieri inquieti.
Quando gli ultimi rimasugli di cenere dell'ormai ex pezzo di carta affondarono nel laghetto, Crowley se ne andò, percorrendo i viali di St. James's Park. Fermò una carrozza con un gesto secco e salì, dando ordine al conducente di portarlo a Mayfair.
Il demone si accomodò scompostamente sul sedile di velluto, il viso assorto rivolto verso il finestrino della vettura.
Non si aspettava una simile reazione da parte dell'angelo. Non se l'aspettava proprio.
Insomma, c'era ragionevolmente da presupporre che Aziraphale si opponesse alla sua richiesta che, in quel caso, ne era consapevole, consisteva in molto di più che inviare al Cielo un resoconto leggermente ritoccato del suo lavoro sulla Terra a beneficio del reciproco quieto vivere.
Non era uno stupido, Crowley; immaginava che avrebbe dovuto imbarcarsi in un'opera di convincimento non da poco per spingere l'angelo a procurargli l'acqua santa. Aveva perfino messo in conto di dover pagare svariate decine di bottiglie di vino prima di raggiungere il suo scopo (sapeva che Aziraphale tendeva a diventare più accomodante dopo una bella sbronza) ma l'indignazione che gli aveva riversato addosso dopo aver dato una scorsa alle due parole scritte sul biglietto lo aveva spiazzato.
Una parola tira l'altra, specialmente quando mosse dall'eccezionale moto propulsore dell'ira, e così ne erano volate di pesanti durante quell'accesa discussione che si era conclusa con una brusca separazione. Separazione che recava in sé qualcosa di orribilmente definitivo... almeno per i prossimi novanta o cent'anni, dipendeva dal tempo che sarebbe occorso per smaltire l'arrabbiatura.
Crowley cambiò posizione sul sedile, esalando un lungo sospiro frustrato. La collaborazione clandestina tra lui e l'angelo procedeva a meraviglia. Per secoli avevano rispettato quell'accordo segreto di non belligeranza, evitando accuratamente di pestarsi i piedi a vicenda e, di quando in quando, aiutandosi reciprocamente.
Funzionava. Funzionava alla perfezione, e ora l'angelo intendeva gettare via tutto per una stupidaggine. Non gli aveva mica chiesto la luna, per tutti i diavoli! Gli serviva solo una modica quantità di acqua santa da tenere come assicurazione nel malaugurato caso che i suoi dirigenti si fossero fatti vivi. Aziraphale poteva dirsi fortunato che la sua fazione si limitasse a inviare un richiamo d'ammonimento in cui, tutt'al più, lo rimproveravano invitandolo a tornare sulla retta via, ma per lui era diverso. I duchi infernali non erano soliti ricorrere a metodi così sottili per esprimere disapprovazione nei confronti di un proprio dipendente. No, la sua fazione era decisamente propensa all'impiego di strumenti un tantino più incisivi, tipo la tortura.
Non si era disturbato a spiegarlo all'angelo, anche perché questi non gliene aveva nemmeno fornito il tempo e l'occasione, ma sarebbe bastato fare due più due in quella sua testaccia bionda per arrivarci, no? Aveva usato apposta i termini “precauzione” e “assicurazione”. Cos'altro doveva fare?!
Bel soggetto che si era scelto per amico! Aziraphale si era dimostrato un gran voltafaccia. Finché le cose erano andate relativamente bene a entrambi, egli si era mostrato bendisposto nei suoi confronti e in qualche occasione lo aveva anche invitato a pranzo, ma appena gli aveva chiesto un favore davvero importante, ecco che l'angelo gliel'aveva negato, voltandogli le spalle come se nulla fosse. Evidentemente non gli importava un fico secco del fatto che Crowley rischiasse grosso a causa del loro legame.
Gran bel ringraziamento considerando che, poco più di un secolo prima, gli aveva anche salvato il collo dalla lama della ghigliottina, in Francia.
In effetti, pensandoci bene, quando mai l'angelo aveva fatto qualcosa per lui? Da che Crowley ricordava, in tutti quei secoli di collaborazione, Aziraphale non aveva fatto altro che prendere. Ogni rapporto si basava sul principio della giusta proporzione tra dare e avere e, in tutto quel tempo, a lui sembrava di aver sempre e solo dato, di non aver mai ricevuto niente da Aziraphale. Semmai, l'unica cosa che aveva ottenuto, era stata, metaforicamente, un gigantesco schiaffo in piena faccia.
Ma la cosa peggiore era che aveva finito per affezionarsi a quel testone di un angelo, che idiota!
Si era lasciato abbindolare da quegli occhioni chiari colmi di bontà, dal sorriso impacciato e dai modi sempre un po' pavidi ma che celavano una fierezza e un coraggio che lui, Crowley, aveva sempre percepito sotto quello spesso strato di mansuetudine.
Aziraphale gli era diventato caro. Era inutile ostinarsi a negare l'evidenza con se stesso.
Crowley non aveva mai avuto amici; Lucifero e la sua cricca di ribelli rappresentavano la causa del suo esilio all'Inferno. Lui non voleva cadere, si era solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, in mezzo agli angeli sbagliati.
No, non aveva mai considerato gli altri demoni come amici o come una famiglia.
Ma con Aziraphale era diverso. Per un assurdo scherzo del destino, sentiva di avere molte più cose in comune con quell'angelo che con ogni singolo demone della sua fazione. Col tempo, aveva imparato ad apprezzarlo; ne ricercava sempre più spesso la compagnia e scopriva, non senza un certo stupore, che quei momenti trascorsi al suo fianco costituivano i migliori ricordi della sua esistenza millenaria.
Ma ora era tutto finito. Aziraphale si era espresso molto chiaramente in quel senso e Crowley non aveva potuto fare altro che guardarlo allontanarsi per poi contemplare quel misero frammento di carta bruciare, farsi cenere e colare a picco, come le sue speranze.



Una volta lasciatosi alle spalle St. James's Park, Aziraphale fece per fermare una carrozza, poi cambiò idea e decise di tornare alla libreria a piedi.
Normalmente, l'angelo non era un grande estimatore dell'attività fisica, ma camminare gli avrebbe fatto bene. Aveva bisogno di muoversi per smaltire un po' dello scontento e dell'irritazione che l'incontro con Crowley gli aveva instillato.
Contrariamente al solito, il suo passo era svelto e deciso: la tipica andatura di chi ha bisogno del lavoro muscolare per compensare l'iperattività della mente. Interruppe la sua camminata solo per lasciar cadere qualche moneta tra le sudice manine di un monello di strada che lo ricompensò con un sorriso sdentato.
Perché lui era un angelo, e questo era il suo destino: aiutare l'umanità, sostenerla nei momenti difficili e diffondere amore e armonia.
Aziraphale non si tirava mai indietro quando riceveva una richiesta d'aiuto, anzi era sempre felice di poter essere utile a qualcuno, ovviamente nei limiti delle sue possibilità.
Quello era il punto. Ciò che Crowley si aspettava da lui, ciò che pretendeva egli facesse si collocava senza ombra di dubbio molto oltre quei limiti. Rubare dell'acqua santa e cederla a un demone! Figurarsi! Tanto valeva presentarsi davanti al consiglio dei suoi superiori al completo e confessare candidamente di aver fatto comunella con un esponente dell'Opposizione.
Possibile che Crowley non si rendesse conto dell'assoluta irrealizzabilità di quel suo folle disegno? Aveva osato davvero chiedergli di compiere quello che, ai piani alti, sarebbe stato considerato a tutti gli effetti un imperdonabile atto di insubordinazione? Aveva almeno una vaga idea di ciò che lui, Aziraphale, avrebbe rischiato se, secondo la più assurda delle ipotesi, avesse acconsentito ad aiutarlo?
No, certo che no. Come poteva? Crowley era sempre stato un viscido serpente egoista. Ora che ci pensava, il demone non aveva mai agito al di fuori del proprio interesse che, solo per pura coincidenza, spesso andava a braccetto col suo. Sì, gli aveva salvato la vita quasi cent'anni prima a Parigi, e allora? Probabilmente quel gesto gli era servito solo per mettersi in mostra, per burlarsi di lui e metterlo nella spiacevole condizione di essergli debitore. Un angelo che doveva la “vita” a un demone: ma dove mai si era sentita una cosa simile? Crowley doveva aver trovato l'idea parecchio spassosa. Chissà quante volte aveva riso alle sue spalle!
Non solo, ora Aziraphale si dava dello stupido per avergli creduto così facilmente quando lui gli aveva assicurato di non avere nulla a che fare con i moti rivoluzionari che imperversavano in Francia a quell'epoca e che avevano inondato di sangue le strade di Parigi. Ma certo che c'era il suo zampino! Solo un demone infernale poteva ordire un piano tanto perverso per disseminare caos e odio, e Crowley era l'unico membro della sua fazione di stanza sulla Terra. Come poteva non essere stato lui? Si era fatto raggirare dalla scenetta del finto tonto imbastita ad arte, ma ora il suo coinvolgimento gli risultava così ovvio!
Non era da lui provare quel genere di sentimenti astiosi. Aziraphale aveva sempre avuto un temperamento pacato, bonario, incline alla comprensione e al perdono piuttosto che al rancore. Ma Crowley aveva dato erroneamente per scontato che quella sua natura indulgente l'avrebbe spinto a compiere quel... quel crimine odioso e blasfemo. L'aveva sottovalutato e, nel momento in cui si era accorto che egli non avrebbe ceduto, si era risentito. Be', tanto peggio per lui. Che s'arrangiasse pure da solo, d'ora in avanti.
Ma, per quanto ci provasse, Aziraphale non poteva ignorare il ricordo della gelida ondata di panico che l'aveva travolto nell'istante in cui il demone gli aveva allungato il foglietto e lui aveva letto “Acqua Santa” sulla superficie di carta stropicciata. Era stato come se una mano di ghiaccio invisibile gli stringesse la gola fino a bloccargli il respiro.
Per quanto lo riguardava, c'era una sola possibile spiegazione per quella richiesta, ovvero che Crowley intendesse usare l'acqua su di sé.
Era quella l'idea che lo faceva uscire di senno: non tanto che Crowley fosse disposto a fargli correre un simile rischio con i suoi dirigenti, né le parole dure che gli aveva rivolto al suo rifiuto. No, era il pensiero dell'uso che il demone avrebbe fatto dell'acqua santa, se egli avesse accettato di procurargliela, che lo torturava e lo faceva imbestialire più di tutto.
Come? Come aveva potuto chiedergli la pillola del suicidio? Non aveva pensato a lui? Non si era fermato neanche per un attimo a immaginare la sua disperazione se quel progetto suicida fosse andato in porto? Credeva veramente che la loro amicizia contasse così poco?
La cruda verità era che Aziraphale non gli aveva negato quel favore tanto per mere questioni di principio o di fazione, quanto piuttosto per evitare che l'orribile eventualità della perdita del demone si realizzasse.
Il pensiero che l'amico intendesse togliersi la vita e avesse domandato proprio a lui di farsi carico della gravosa responsabilità di fornirgli su un piatto d'argento il metaforico cappio col quale si sarebbe poi impiccato, gli dava il voltastomaco.
Sarebbe stato lo stesso se Crowley gli avesse strappato il cuore dal petto e l'avesse spezzato con le proprie mani per poi gettarlo via. Suo malgrado, l'angelo sentì due lacrime calde scivolargli lungo le guance.





Nota:

Ho volutamente esagerato un po' i sentimenti negativi di entrambi per enfatizzare il tipico momento di rabbia in cui si formulano i peggiori pensieri anche se poi ci si pente subito.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Hammer to fall ***


hammer



What the hell we fighting for?

Just surrender and it won’t hurt at all

You just got time to say your prayers

While your waiting for the hammer, to hammer to fall



Hammer to fall, Queen, 1984




La battaglia era cessata. Era finita, e i Ribelli avevano perso.
L'angelo dai capelli rossi se ne stava in ginocchio tra gli altri sconfitti, il capo chino, gli occhi smarriti accecati dalla luce purissima che splendeva su di loro non come un segno di benedizione ma piuttosto come un terribile presagio. Sentiva i suoi compagni di sventura agitarsi e tremare al suo fianco ma non provava la minima solidarietà.
Gli angeli che li avevano combattuti, guidati dall'Arcangelo Michele, si ergevano in piedi intorno a loro e li circondavano, chiudendoli in un anello serrato dal quale facevano piovere sguardi di granito e biasimo verso quei dieci milioni di traditori che si erano lasciati incantare dalle lusinghe blasfeme di Lucifero e dalla sua smisurata ambizione di elevarsi al di sopra di tutti loro, equiparandosi all'Onnipotente.
Ah, sciocchi! Nessun angelo avrebbe mai ottenuto un tale privilegio. L'Altissimo era l'essenza stessa della Perfezione inarrivabile, della Potenza creatrice che permetteva l'esistenza di ogni cosa, compresa la loro. Egli aveva creato gli angeli, e ora i Suoi stessi figli Gli si erano rivoltati contro, nel vaneggiante tentativo di essere come Lui, di appropriarsi indebitamente dei Suoi diritti ed eguagliarLo nei Suoi poteri, nella Sua infallibilità e onniscenza.
L'ambizioso Lucifero era stato incatenato e trascinato davanti al gruppo, lasciato solo a fronteggiare la luce che si faceva sempre più intensa e vicina, la schiena curva e l'aria rassegnata, spezzata. Il rosso lo vide fremere di terrore mentre la sua esile figura veniva inondata di quel bagliore folgorante che pulsava di collera.
Tutto ciò era tristemente ironico: Lucifero, letteralmente “Colui che porta la Luce”, ora ne era sopraffatto e atterrito. Un tempo il più bello, il più risplendente, il Serafino prediletto del Paradiso si trovava adesso in ginocchio, le ali sanguinanti, le vesti lacerate e l'aspetto stravolto, quasi restio a credere che tutto ciò stesse succedendo proprio a lui.
L'angelo dalla chioma di fiamma si guardava intorno freneticamente con gli occhi sbarrati, come se sperasse di individuare una fortuita, quanto inesistente, via di fuga.
Cosa ci faceva lì? Com'era possibile che un'innocente chiacchierata con Lucifero, un normalissimo quanto sano scambio di opinioni, l'avesse trascinato sul campo di battaglia, bersaglio delle armi impugnate dai suoi stessi fratelli, da coloro che, fino a un attimo prima, avevano rappresentato la sua famiglia, la sua stirpe, i suoi simili? Cos'aveva fatto di tanto grave per essere ora additato come feccia, traditore, sovversivo? Porsi delle domande, dubitare, voler conoscere l'inconoscibile costituiva veramente un Male così grande? Per questo lo stavano condannando? A causa della sua sete di sapere e della sua propensione al dubbio?
Ma la sequela di interrogativi dell'angelo, destinati con ogni evidenza a rimanere senza risposta, venne bruscamente troncata dalla voce incorporea e tonante di Dio che si levò dalla luce e parlò col timbro più duro e grezzo che ciascuno di loro avesse mai udito, scevro di ogni grazia, di ogni promessa di perdono o redenzione.
Pronunciò invece sentenze di rimprovero, delusione, amarezza e, ad ogni frase perentoria, pareva che la figura di Lucifero si accasciasse un po' di più a terra, come se quelle fossero state non già parole, ma pesanti macigni che gli venivano posti sulla schiena, prosciugandolo di ogni energia residua.
Il discorso si faceva sempre più inclemente, la voce stentorea dell'Onnipotente si levava con sempre maggior impeto, furore, ira, indignazione.
I Ribelli iniziarono a gemere e si portarono le mani alla testa, nel tentativo di scacciare quel suono assordante, di mettere a tacere l'insostenibile baccano che ricordava loro la colpa vergognosa di cui si erano macchiati.
Anche il rosso emise un lamento disperato. - No, no, no! Perché mi state facendo questo? Perché? Che cosa ho fatto per meritarmelo? Che cosa ho fatto?! Ditemelo! -
Gli angeli intorno a loro non sembravano risentire minimamente di quel frastuono. Si limitavano a mantenere quella sembianza imperturbabile, glaciale e sprezzante. Nessun aiuto sarebbe giunto da parte loro; nessuna misericordia, nessuna compassione li avrebbe mossi in soccorso degli insorti, che un tempo chiamavano fratelli e che ora ripudiavano.
La collera divina stava raggiungendo l'apice, l'angelo dai capelli rossi poteva sentirlo: presto la punizione dell'Onnipotente si sarebbe abbattuta su di lui e si sentì afferrare da un panico raggelante che non aveva mai conosciuto prima di allora e che mai avrebbe potuto dimenticare nei millenni a venire. Da un momento all'altro, il Martello avrebbe colpito.
Ormai la luce era così intensa da non riuscire a scorgere quasi nulla intorno a sé, ad eccezione di un'unica sagoma: un angelo dai corti capelli biondi chiarissimi in piedi poco distante da lui che impugnava una spada di fuoco e guardava il gruppo di traditori con un'insolita espressione ambigua. Disagio, forse? Dispiacere?
Proprio in quell'istante, il biondo diresse provvidenzialmente lo sguardo verso di lui e intercettò i suoi occhi verdi imploranti e grandi di terrore.
- Aiutami. - sussurrò il rosso con la voce ridotta a un flebile gemito. - Aiutami, ti supplico. -
Forse fu solo la sua disperazione che lo indusse in una vana illusione, ma egli credette di veder balenare un lampo di pietà nelle iridi cristalline di quell'angelo che, malgrado la spada di fuoco che ardeva minacciosamente nella sua mano, emanava un'aura pacifica, lontana dalla bellicosità che invece sembrava caratterizzare i suoi compagni d'armi.
E poi accadde. Il baratro si aprì sotto i Ribelli, inghiottendoli tra le proprie fauci oscure. Ci furono strepiti, grida di orrore, preghiere di perdono tanto appassionate quanto inutili.
L'angelo dai capelli rossi emise un urlo terribile che andò a confondersi con gli altri in una cacofonia agghiacciante. Un coro di dieci milioni di voci che, all'unisono, intonavano il canto di un'agonia straziante, di una ferita sempiterna che non avrebbe mai smesso di sanguinare.
Precipitava a una velocità indicibile, incalcolabile, trascendente ogni legge della fisica. Sembrava che la Caduta non dovesse mai avere fine.
A un tratto avvertì una sensazione di dolore bruciante e si accorse di essere circondato da fiamme altissime. L'etere stesso attraverso il quale stava Cadendo sembrava essersi fatto incandescente. Il fuoco lo lambiva, lo mordeva, lo feriva senza requie; riscriveva ogni sua cellula, annientava ciò che era per trasformarlo in qualcosa di completamente diverso. Forse sarebbe stato meglio arrendersi e lasciare che il rogo lo divorasse, consumandolo fino all'ultimo brandello della sua anima squarciata; forse avrebbe sofferto meno e tutto sarebbe finito più in fretta.
Non c'era nulla che egli potesse fare, tranne continuare a gridare con quanto fiato avesse in gola, ben consapevole che nessuno l'avrebbe mai udito...


- Crowley, caro. Crowley, svegliati! Per l'amor di Qualcuno, svegliati! -
Il demone spalancò gli occhi e la visione della Caduta nel fiammeggiante abisso infernale svanì, sostituita dall'immagine di Aziraphale chino su di lui con l'aria preoccupata e una mano posata delicatamente sulla sua spalla.
- A... angelo? - esalò, il respiro affannoso, ancora profondamente scosso dalle vivide impressioni dell'incubo.
Aziraphale prese una sedia e sedette di fronte a lui, spostando la mano dalla spalla del demone al suo ginocchio in un gesto amorevole e tranquillizzante.
- Va tutto bene, caro. Ti sei appisolato e hai fatto un brutto sogno. È finita adesso. -
Crowley si accorse di aver istintivamente artigliato le dita ai braccioli della poltrona sulla quale si era assopito; vi aveva conficcato le unghie fino a farsi sbiancare le nocche come se, nel suo sonno agitato, a un certo punto avesse avvertito la necessità di aggrapparsi a qualcosa di solido che potesse arrestare il suo precipitare.
S'impose di rilassare i muscoli della mano e lasciò la presa, dopodiché gettò un'occhiata febbrile intorno a sé e riconobbe il famigliare e caotico arredamento della libreria di Aziraphale.
Quel pomeriggio era passato a trovarlo in negozio ma l'angelo era impegnato con un cliente e così Crowley si era seduto nel retro ad aspettare che si liberasse per scambiare quattro chiacchiere. Aveva abbassato le palpebre per qualche secondo e doveva essere scivolato nel sonno senza neanche accorgersene, quella maledetta poltrona era così comoda!
Realizzò con orrore che gli occhiali scuri gli erano scivolati di traverso, lasciando scoperti gli occhi serpenteschi che, immaginava, in quell'istante dovevano essere uno specchio riflettente sgomento e angoscia.
Si affrettò a rimetterseli a posto, prima che quel senso di sgradevole nudità potesse metterlo ancora più a disagio e, nello sfiorarsi la pelle, si rese conto di avere il volto madido di sudore gelido. Maledizione!
Era consapevole della mano calda di Aziraphale ancora appoggiata con garbo sul suo ginocchio e anche dello sguardo ansioso con cui lo stava scrutando, ma, per quanto la sua presenza gli fosse di conforto, non era sicuro di volersi mostrare tanto vulnerabile di fronte all'amico.
Crowley cercò di assumere una posizione più dignitosa tra i vaporosi cuscini della poltrona, curandosi di non incrociare lo sguardo ancora fastidiosamente allarmato di Aziraphale e pensando ad una qualsiasi frase che potesse far cessare quel silenzio insopportabile e alleggerire l'atmosfera tesa, ma l'altro lo precedette. - Ti senti bene? Sei così pallido. -
Crowley sbuffò. “No, angelo! Non mi sento bene! Ho appena rivissuto in sogno il tremendo istante della mia dannazione eterna e la Caduta in quell'orribile pozzo di zolfo. E dopo millenni mi sembra ancora di essere lì, come se si ripetesse tutto quanto da capo. Quindi no che non sto bene! Non sto bene affatto!”
Invece, il demone si appellò a tutta la sua capacità di autocontrollo e al suo sangue freddo di serpente e scosse una mano con fare seccato. - Sì, sì, angelo, sto benissimo. Non serve che tu mi guardi in quel modo. Era solo uno stupido sogno. Niente per cui valga la pena fare tante storie, davvero. -
Crowley sperò con tutto il cuore che Aziraphale non si fosse accorto del tremito che gli intaccava la voce, minando di molto la credibilità delle sue asserzioni che altro non erano se non un mucchio di spudorate bugie.
- Che cosa stavi sognando, caro? Vuoi dirmelo? - chiese l'angelo, gentilmente.
Malgrado la situazione per nulla confortevole, il demone apprezzò quella sua vena discreta: Aziraphale non gli stava imponendo nulla, si era offerto semplicemente di ascoltarlo nel caso avesse deciso di esternare lo spiacevole ricordo onirico e condividerlo con il suo migliore amico... e la cosa strana era che ne aveva davvero voglia. Per una volta, aveva desiderio di confidarsi, di togliersi quel peso dal petto, di rendere egoisticamente partecipe l'angelo delle sue sofferenze.
Non era cosa rara che il ricordo della Caduta tornasse a perseguitarlo in sogno, ma, solitamente, quando ciò accadeva, Crowley si risvegliava di soprassalto nel suo letto, troppo grande per lui, completamente solo e tutto ciò che poteva fare era rimanere disteso al buio, in attesa che il batticuore si placasse e il respiro affannoso rallentasse per tornare alla normalità. Ma quel giorno poteva scegliere, non era costretto ad affrontare in solitudine quel gigantesco spettro di paura e dolore che periodicamente tornava a fargli visita. Non necessariamente.
Aziraphale aspettava paziente che l'amico giungesse a una decisione. Capiva che era combattuto. Non l'avrebbe forzato a raccontargli in cosa consistesse l'incubo che l'aveva tanto sconvolto, ma sperava davvero che Crowley optasse infine per metterlo a parte dei suoi tormenti. Quantomeno, avrebbe potuto tentare di fare qualcosa per confortarlo, qualunque cosa pur di vedere attenuarsi quella pena e il panico abbandonare i suoi occhi.
Il demone sollevò uno sguardo esitante verso l'amico in una muta domanda; voleva accertarsi che Aziraphale fosse davvero convinto di voler prendere su di sé parte del dolore che lo mordeva con ferocia dopo ciascuna di quelle orribili esperienze. L'angelo intuì il silente interrogativo e annuì, incoraggiante.
Crowley inspirò a fondo, come a voler trarre dall'etere la forza necessaria a convertire in parole le immagini terrificanti che ancora gli invadevano la mente.
- La Caduta, angelo. È sempre la Caduta. Ogni dannata volta. -
Aziraphale non disse nulla e, dopo aver preso un altro lungo inspiro, il demone riprese. - Siete tutti lì, voialtri, in piedi intorno a noi inginocchiati e stretti gli uni addosso agli altri. Ci fissate in un modo che mi fa sentire di pietra, mentre mi domando come accidenti sia possibile che io sia finito in quella situazione. E poi l'Onnipotente che parla con una voce più dura del marmo, più fredda del ghiaccio, la luce che si fa sempre più accecante, e infine il baratro che si apre sotto di me, l'abisso che mi inghiotte e il fuoco che mi divora l'anima, che mi brucia le ali e le annerisce, riducendole in cenere... -
Crowley scoprì di non poter proseguire oltre; la voce gli si spezzò, le parole bloccate da un nodo alla gola che gli impediva di continuare a parlare. Avvertì la stretta della mano di Aziraphale farsi più forte sulla sua gamba e vide le iridi celesti dell'angelo incupirsi, come se dietro di esse fosse calato uno schermo opaco.
- Mi dispiace tanto, caro. - esalò. - Se solo a quel tempo avessi potuto fare qualcosa... -
Crowley scosse la testa seccamente e proruppe in una risatina amara. - Non avresti potuto fare proprio niente, angelo. Nessuno avrebbe potuto. -
Un velo di dolore oscurò il volto di Aziraphale e Crowley si pentì all'istante dell'asprezza con cui gli si era appena rivolto.
- Senti, - cominciò, addolcendo il tono di voce. - anche se avessi voluto aiutarmi, non ti sarebbe stato permesso. Con ogni probabilità, saresti stato dannato anche tu. -
- Forse sarebbe stato meglio così. Saremmo stati insieme. Ci saremmo presi cura l'uno dell'altro. - sbottò l'angelo con voce roca e appassionata.
A quel punto, Crowley scattò in avanti con un movimento fulmineo degno del serpente che era stato, gli afferrò i lembi della giacca con le mani tremanti e si portò il viso di Aziraphale a un soffio dal proprio. Poteva scorgere il suo riflesso in quelle pupille circondate di limpido azzurro.
- Non dirlo mai più, angelo! Mai più! - scandì, digrignando i denti, le labbra contratte in una smorfia di rabbia mista a orrore. - Tu non hai idea di cosa sia stato per me. Non sai cosa voglia dire Cadere e prego chiunque Lassù e Laggiù che tu non debba mai scoprirlo. Sarei distrutto alla sola idea che tu possa patire la stessa sorte toccata a me, quindi non provare mai più a sparare certe stronzate! -
Il demone lasciò andare Aziraphale con malagrazia, quasi respingendolo lontano da sé, dopodiché si accasciò sulla poltrona con un sospiro esausto e si passò una mano sul volto, cercando di arrestare il tremore che lo scuoteva da capo a piedi. Quello sfogo, unito all'esagitazione del sogno, l'aveva provato pesantemente.
L'angelo rimase ammutolito per qualche secondo, tenendo lo sguardo basso e riflettendo con mestizia su ciò che Crowley gli aveva appena rivelato, forse lasciandosi sfuggire anche più di quanto avrebbe voluto.
Che gli piacesse o no, era la triste verità. Non poteva conoscere nel dettaglio ciò che l'esperienza della Caduta avesse significato per il demone. Era una parte della sua esistenza dalla quale egli sarebbe sempre stato escluso e non poteva arrogarsi il diritto di stabilire che, se fossero stati dannati entrambi, le cose sarebbero state più semplici. La reazione grave ed esasperata di Crowley gli aveva fatto comprendere quanto quell'esternazione fosse suonata stupida e incosciente da parte sua, e se ne vergognò profondamente.
- Hai ragione. - iniziò, sollevando gli occhi e tornando a guardare il suo migliore amico ancora sprofondato tra i cuscini e pallidissimo, come un malato privo di forze. - Sì, all'epoca mi sarebbe stato impossibile impedire ciò che ti è accaduto, e purtroppo non ho il potere di cambiare il passato e far svanire i ricordi dolorosi. - fece una pausa prima di riprendere a parlare infondendo una potente carica di decisione alle sue parole risolute. - Ma non vuol dire che non possa fare qualcosa adesso. -
Il demone lasciò ricadere la mano che gli nascondeva parte del viso e lo guardò, stupito. - Che cosa? -
Aziraphale gli rivolse un sorriso infinitamente dolce. - Posso esserci per portare insieme a te questo fardello. Posso ascoltarti, posso alleviare il tuo tormento, anche se in minima parte. Per esempio, adesso potrei cominciare col prepararti una bella tazza di cioccolata calda. Lo sanno tutti che il cioccolato aiuta a scacciare il dolore e la tristezza, come in quel libro, ricordi? Quello con il mago con gli occhiali e la cicatrice... -
Crowley inarcò un sopracciglio. - Vuoi dire Harry Potter? -
- Esatto! - confermò l'angelo, sforzandosi di adottare un atteggiamento allegro, mentre trafficava con un pentolino di latte ai fornelli e tirava fuori dalla credenza una busta di cioccolata alla nocciola. - Ricordo di un passaggio in cui arrivano queste creature mostruose, questi vampiri della felicità... oh, come si chiamavano? I disseccatori? No, i dissodatori... -
Il demone non poté fare a meno di sorridicchiare. - Dissennatori, angelo. Si chiamano Dissennatori. -
- Proprio quelli. - affermò l'amico, armandosi di un cucchiaio di legno col quale iniziò a mescolare la cioccolata.
Crowley scosse la testa senza smettere di sorridere: Aziraphale si stava davvero impegnando per fargli ritrovare il buonumore. Ciò che lo sorprendeva di più, era che i suoi tentativi stessero funzionando sul serio.
Il gelo rimastogli incastrato nel cuore si stava pian piano sciogliendo, l'angoscia recedeva, le visioni spaventose del sogno venivano scalzate e soppiantate da quella del suo migliore amico impegnato a preparargli la cioccolata mentre fingeva di non ricordare il termine esatto di un libro al fine di distrarlo e risollevargli il morale.
Quando Aziraphale gli porse la tazza colma fino all'orlo di cioccolata fumante, Crowley gli regalò un sorriso grato che valse tutta la riconoscenza che non sarebbe mai riuscito ad esprimere a parole.
Si irrigidì quando l'angelo gli depose una mano tiepida sulla guancia ancora umida di sudore freddo, e forse anche di lacrime sfuggitegli dalle palpebre durante il sonno, ma non si sottrasse a quel contatto, lo accolse invece con indescrivibile sollievo.
- Non devi più affrontare tutto questo da solo, caro. - mormorò Aziraphale. - D'ora in poi ci sarò io. Ci sarò sempre per te. -






Nota:

Per quanto abbia cercato di documentarmi, non ho trovato nessuna narrazione particolarmente dettagliata della Caduta di Lucifero e degli angeli Ribelli. Teoricamente, dovrebbero essere entità incorporee quindi la questione dell'aspetto fisico, del sangue, delle ferite e tutto il resto non avrebbe senso; ma sarebbe stato troppo complicato presentare la situazione in questo modo quindi ho preferito scrivere come se fossero dotati di un corpo materiale, anche se non lo sono.
La rappresentazione che ho dato della Caduta è quella sognata da Crowley, che dunque è soggettiva e non è detto che corrisponda a quella “vera”.



Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Innuendo (Halloween shot) ***


Innuendo

You can be anything you want to be

Just turn yourself into anything you think

that you could ever be

Be free with your tempo, be free be free

Surrender your ego,

be free, be free to yourself



Innuendo, Queen, 1991




Ottobre era giunto anche quell'anno; le foglie degli alberi si arrendevano docilmente alla forza di gravità e si lasciavano cadere a terra danzando leggiadre nel vento freddo dell'autunno, formando un tappeto soffice e compatto la cui trama abbracciava tutte le sfumature del rosso e dell'oro.
Le giornate si erano visibilmente accorciate e le ore di luce avevano ceduto il passo all'oscurità che calava già a metà pomeriggio.
E naturalmente in casa Dowling fervevano i preparativi per la grande festa di Halloween che si sarebbe svolta la sera del 31. Sebbene gli americani vivessero la sacra ricorrenza di origini celtiche come nient'altro che un carnevale dai toni tenebrosi, l'ambasciatore e sua moglie Harriet sembravano particolarmente desiderosi di allestire un ricevimento in grande stile, specie ora che il loro unico figlioletto aveva sei anni. Sarebbero intervenuti alcuni esponenti del mondo politico e diplomatico portando con sé i propri piccoli rampolli che si sarebbero divertiti a giocare e a fare scherzi travestiti da ciò che più desideravano.
Warlock non stava nella pelle: sarebbe stata la sua prima vera festa di Halloween! Il bambino era entusiasta e già pregustava i giochi, gli scherzi e le caramelle di cui si sarebbe rimpinzato.
In quel periodo, le storie della buonanotte di Tata Ashtoreth si erano fatte, se possibile, ancora più sinistre e inquietanti ma il bambino non se ne lamentava, trovava piuttosto che fossero perfettamente in linea con il periodo e che ben si adattassero alle decorazioni che la servitù aveva sistemato per tutta la casa, rendendola simile a una di quelle vecchie magioni infestate che il ragazzino trovava in quasi ogni puntata di Scooby Doo (solo un po' più pulita e meno autentica).
Una sera, Warlock si arrampicò sul letto mentre la tata abbassava le luci della stanza, poi attese che lei prendesse posto sulla solita poltrona. Aveva una questione della massima urgenza da sottoporre alla sua attenzione.
- Vuoi sentire una bella storia, caro? Oppure preferisci una ninnananna? - propose con un sorriso mieloso.
Nonostante Warlock si ritenesse ormai un po' cresciuto per le litanie con cui si usava far addormentare i bambini piccoli, quelle di Tata Ashtoreth erano sempre talmente strane da spingerlo a richiedergliele quasi ogni volta, ma non quel giorno. Invece di distendersi tra i cuscini, il bimbo si sedette a gambe incrociate sul materasso, piantando uno sguardo serissimo nelle lenti nere della donna, oltre le quali non era mai riuscito a scoprire cosa si celasse.
- Tata, lo sai che mancano dieci giorni alla festa? - esordì in tono grave.
- Quale festa, caro? -
Il bambino roteò gli occhi ed emise uno sbuffo impaziente. - Quella dei mostri e dei fantasmi, tata! -
- Oh, ma certo! Quella festa. Sono così sbadata. - esclamò Tata Ashtoreth battendosi una mano sulla fronte con fare teatrale. - E, dimmi, tesoro, sei emozionato? -
Warlock annuì serio. - Sì, ma ho un grossissimo problema. -
Tata Ashtoreth reclinò la testa di lato con interesse. - Di che si tratta? -
Il bimbo inspirò come se dovesse fare un annuncio particolarmente penoso. - Non so da che cosa travestirmi. -
La tata annuì solidale e ci pensò su, portandosi una mano al mento e aggrottando la fronte con aria concentrata.
- Mmh, vediamo un po'. Che ne diresti di un bel lupo mannaro? -
Ma il piccolo scosse la testa, categorico. - Lo fa già Billy Tyler, e non voglio essere vestito come lui. È stupido, Billy. -
- Capisco. Allora potresti mascherarti da fantasma. -
- Ma quello è solo un lenzuolo con i buchi! - fece Warlock, scandalizzato. - Io voglio un costume bello, tata! -
- Un pirata? -
- No, la mamma dice che i pirati sono fuori moda. -
- Be', allora una strega... -
- Le femmine fanno le streghe. - osservò, arricciando il naso. - E io non sono una femmina. -
- No, certo che no, caro. -
Dietro la facciata serafica alla Mary Poppins, Crowley sudava freddo e iniziava ad essere a corto di opzioni. Gli rimaneva ancora una carta da giocare e sperò con tutto il cuore che fosse quella giusta. - A questo punto, che ne pensi di vestirti da vampiro? -
Warlock guardò la sua bambinaia, gli occhi spalancati di perplessità al suono affascinante di quella nuova parola sconosciuta. - Che cos'è un vampiro? -
Tata Ashtoreth sogghignò, soddisfatta di aver catturato la sua attenzione. - Mettiti giù, tesoro. Ti racconto una storia che parla di vampiri e ti spiego che cosa sono. Vedrai che ti piacerà. -
Warlock annuì convinto e s'infilò sotto le coperte che la tata gli rimboccò con cura.
- Comincia la storia, tata. Comincia! - la esortò il bambino, il visetto illuminato di trepidante aspettativa.
- Dunque, c'era una volta in Transilvania... -


Il giorno seguente, Warlock si recò nel grande giardino della tenuta per andare a trovare Fratello Francis, intento a rastrellare le foglie cadute a terra che poi ammucchiava in una piccola montagnetta lì accanto.
Quando il giardiniere vide il bambino farglisi incontro trotterellando, lo accolse con il consueto sorriso bonario.
- Buongiorno, giovane Warlock! Come stai oggi? -
- Bene. - rispose il bambino, ma l'uomo sollevò un sopracciglio e gli rivolse uno sguardo particolarmente allusivo.
- Bene, grazie Fratello Francis. - recitò il piccolo, cantilenando e trattenendosi a stento dallo sbuffare. - E tu come stai? -
- A meraviglia, ragazzo mio. Grazie per avermelo chiesto. - gli rispose il giardiniere, soddisfatto dello sfoggio di quelle maniere educate, anche se assai poco spontanee.
- Cosa stai facendo? - domandò Warlock accennando col capo al mucchio di foglie secche.
- Oh, sto ripulendo il giardino. Vedi, quando arriva l'autunno, Dio fa spogliare gli alberi delle foglie vecchie per farne nascere di nuove in primavera. Vuoi aiutarmi? -
Il ragazzino lanciò un'occhiata dubbiosa verso il rastrello e il folto strato di foglie a terra. Sembrava un lavoro molto faticoso.
- Ehm, no. La mamma non vuole. Dice che se sto fuori per troppo tempo, poi mi prendo il raffreddore . - buttò lì, inventando una scusa di sana pianta. - Ma devo chiederti una cosa importantissima. - disse, assumendo di nuovo il piglio serioso e risoluto che la sera prima aveva sfoderato con Tata Ashtoreth.
- Chiedi, pure, Warlock. Chiedi pure! - rispose il giardiniere, gioviale come sempre, cessando di lavorare e appoggiandosi al rastrello, tutta la sua attenzione focalizzata sul bambino.
- La festa di Halloween è tra poco, ma io non so da cosa travestirmi. -
Fratello Francis assentì con il capo, attendendosi forse un seguito che però tardava ad arrivare. L'espressione insistente e impaziente del piccolo davanti al suo silenzio fu la conferma che la “cosa importantissima” a cui Warlock alludeva, era effettivamente la scelta del costume per la festa.
- Oh, e quindi vorresti un consiglio da me? -
Il bambino fece cenno di sì con la testa. - Ieri l'ho chiesto anche alla tata e lei mi ha detto di vestirmi da vampiro, come Dracula. -
Per poco, il giardiniere non perse l'appoggio del rastrello. - Ah, Tata Ashtoreth ti ha detto così, eh? -
Warlock annuì di nuovo.
- E tu... tu vorresti vestirti da vampiro come ti ha consigliato lei? -
Il ragazzino alzò le spalle. - Non lo so. Non ho ancora deciso. -
Aziraphale tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé. Crowley aveva fatto egregiamente la sua parte, ora toccava a lui tirare fuori dal cilindro un'idea che potesse allettare l'Anticristo e, allo stesso tempo, coincidere con i precetti della sua fazione. Stette qualche secondo a pensarci dopodiché ebbe un'illuminazione.
- Che ne diresti, mio caro ragazzo, di travestirti da cavaliere? Con l'armatura scintillante proprio come quella che hanno i principi delle fiabe. -
- Come quelli che salvano la principessa e uccidono il drago? - s'illuminò Warlock.
- Esattamente, figliolo! - confermò il giardiniere, felice di aver suscitato il suo entusiasmo. - A questo proposito, conosci la storia di San Giorgio? -
Il bimbo scosse la testa. - Anche lui è un cavaliere? -
L'uomo annuì vigorosamente. - Proprio così, ed è diventato un grande eroe... -
E così, Fratello Francis raccontò a Warlock di come il prode San Giorgio, protetto dalla Grazia del Signore e dalla forza della sua Fede, sconfisse il terribile drago in nome di Cristo e salvò la principessa da una morte brutale, divenendo il paladino del Bene.
Il piccolo parve favorevolmente impressionato dal racconto, tuttavia, quando il giardiniere gli domandò se avesse preso una decisione circa il suo costume di Halloween, la risposta fu di nuovo vaga e incerta.
- Non lo so. Mi piacerebbe fare il cavaliere, ma mi piacciono anche i vampiri. Non so scegliere! Uffa! -
Fratello Francis gli rivolse un'occhiata incoraggiante. - Hai ancora tempo, ragazzo mio. La festa non sarà che fra nove giorni. Puoi decidere con tutta calma. -
Warlock accennò un assenso col capo. - Ci penserò. - asserì solennemente, imitando i modi pomposi del padre, come se quella scelta avesse riguardato il destino di una nazione e non un costume per una festa in maschera.


Era mezzanotte, e Crowley e Aziraphale erano seduti al tavolo di un pub a condividere una bottiglia di vino rosso e a scambiarsi i resoconti della giornata appena trascorsa.
- Sai, il ragazzo è venuto da me questo pomeriggio e mi ha chiesto consiglio su come mascherarsi la sera della festa di Halloween. - disse l'angelo, facendo roteare il vino nel calice e inalandone il bouquet.
- Ah, sì. - fece Crowley. - Il nostro giovane Anticristo si trova di fronte a un vero dilemma. E, dimmi un po', cosa gli hai suggerito? Cos'hai escogitato per distoglierlo dal fascino di Dracula? -
- Be', a dire il vero, gli ho raccontato la storia di San Giorgio e gli ho consigliato di vestirsi da cavaliere. -
Il demone gli concesse un'occhiata ammirata. - Complimenti. Ottimo argomento, angelo. L'avrai senz'altro conquistato. Uomini in armatura che uccidono draghi con una spada fanno sempre colpo sui ragazzini della sua età. -
- Oh, non saprei. - si schermì l'amico. - Mi è parso piuttosto combattuto, in realtà. Il tuo racconto sui vampiri l'ha affascinato molto, sai? -
Crowley si permise un sorrisetto orgoglioso. - Sì, modestamente, sono sempre stato un bravo cantastorie. - poi bevve un sorso di vino, fece schioccare le labbra e si rivolse nuovamente all'angelo. - Ma temo che, nella peggiore delle ipotesi, ci toccherà aspettare la sera del 31 per scoprire la sua decisione. Potrebbe sempre presentarsi travestito da cavaliere vampiro, ammazza-draghi e succhia-sangue allo stesso tempo, così la partita sarebbe ancora una volta alla pari. -
Il demone ridacchiò, divertito da quell'idea improbabile, ma Aziraphale gli restituì uno sguardo preoccupato. - Non lo so, caro. A volte ho l'impressione che gli stiamo confondendo un po' le idee. -
Crowley smise di ridere sotto i baffi e fissò con aria pensierosa il liquido vermiglio che stava facendo vorticare pigramente nel suo bicchiere.
- Sì, crescere con un modello educativo demoniaco e uno angelico dev'essere complicato, - ammise. - ma ricorda, angelo, che stiamo facendo tutto questo per scongiurare l'Apocalisse e se, una volta compiuta la nostra missione, il ragazzo dovrà passare gli anni dell'adolescenza in terapia da un buon strizzacervelli, sapremo almeno che sarà stato per il meglio. -
- Sì, hai ragione. - riconobbe Aziraphale, sollevando il bicchiere. - Allora, ai cavalieri e ai vampiri. -
Il demone rispose al brindisi ammiccando. - Che vinca il migliore. -


Nei giorni a seguire, Warlock non parlò più del suo costume e così Crowley e Aziraphale dovettero attendere la sera di Halloween per ottenere risposta a quel piccolo enigma.
Il piccolo Dowling aveva insistito perché al ricevimento dei bambini fossero presenti anche Tata Ashtoreth e Fratello Francis, a patto che anche loro si mascherassero “almeno un pochino”.
E così, alle 21.00 del 31 ottobre, Crowley e Aziraphale si ritrovarono sulla soglia di una grande stanza rettangolare ingombra di decorazioni sgargianti, palloncini arancioni, viola e neri, festoni che richiamavano ragnatele argentate e tavoli imbanditi di dolciumi dalle forme ripugnanti. Un paio di animatori, anch'essi in costume, stavano armeggiando con una grossa cassa audio. I bambini sarebbero arrivati di lì a poco.
Crowley non aveva dovuto faticare più di tanto per modificare il look di Tata Ashtoreth in modo che risultasse in linea con l'atmosfera generale della ricorrenza: si era limitato ad applicare un rossetto viola molto scuro, a tagliuzzare un po' la gonna in modo che apparisse sbrindellata come quella di una strega o di uno zombie e ad indossare un cerchietto con un paio di corna. A essere onesti, neanche Aziraphale aveva lavorato molto di creatività, optando per una tunica bianca (che sembrava più un camicione da notte risalente all'Età Vittoriana) un paio di alucce piumate applicate alla schiena e una coroncina dorata che gli cingeva la testa bionda a mo' di aureola.
Angelo e demone si squadrarono a vicenda, facendo di tutto per non scoppiare a ridersi in faccia reciprocamente. Quella situazione era talmente buffa, talmente paradossale!
- Be', vedo che entrambi abbiamo compiuto un grande sforzo di fantasia. - commentò Crowley, lanciando un'occhiata divertita alle piccole ali dell'amico, decisamente sproporzionate per il suo fisico.
Aziraphale si strinse nelle spalle. - Warlock voleva che ci mettessimo in maschera e così abbiamo fatto. Temo proprio che dovrà accontentarsi del misero risultato. -
- Ironico, non trovi? -
- Che cosa, caro? -
- Mi riferisco al fatto che, in questo preciso momento, siamo più noi stessi che mai. Insomma, indossiamo una maschera, certo, ma sono maschere che rappresentano la nostra vera natura. Non è buffo? -
Aziraphale assentì. - Suppongo che lo sia. -
Nel giro di dieci minuti, la sala si riempì di chiassosi bambini mascherati, gli animatori fecero partire la musica e la festa ebbe inizio.
- Riesci a vedere Warlock? - domandò Aziraphale avvicinandosi a Crowley per sovrastare il baccano di urla infantili, risate e musica.
- Di sicuro non vedo nessun cavaliere dall'armatura scintillante. - rispose il demone, aguzzando la vista. - Ci sono un paio di vampiri ma nessuno dei due è Warlock. -
Crowley e Aziraphale scandagliarono la folla di ragazzini in cerca dell'Anticristo ma non riuscirono ad individuarlo per altri due minuti, fino a quando uno degli animatori non fece disporre in riga i piccoli invitati per formare le squadre che avrebbero partecipato a un gioco.
L'angelo sfiorò il braccio dell'amico e indicò uno dei bambini. - Guarda! Eccolo là, è lui! -
Crowley volse lo sguardo verso la direzione indicatagli da Aziraphale e lo vide.
- Be', non è né un cavaliere né un vampiro, e neanche un misto delle due cose, a quanto pare. - constatò il demone.
- Già, - concordò Aziraphale. - sembra proprio che, dopotutto, nessuno di noi due sia stato convincente quanto J. K. Rowling. -
Warlock si accorse dello sguardo della tata e del giardiniere su di sé: levò la mano e rivolse loro un sorriso raggiante, indicando se stesso e mimando con le labbra le parole “Harry Potter”.
Il bambino portava un paio di occhiali tondi con le lenti trasparenti, si era disegnato una cicatrice a forma di saetta sulla fronte, brandiva una bacchetta di legno e indossava la lunga tunica nera che, nell'opera della rinomata scrittrice, fungeva da divisa scolastica per gli studenti della scuola di Hogwarts, con tanto di cravatta a righe rosse e oro e lo stemma di un leone rampante appuntato all'altezza del petto.
- Be', almeno si è vestito da Grifondoro e non da Serpeverde. - osservò Aziraphale con un certo compiacimento.
Crowley gli scoccò un'occhiata torva. - Ovvio che si sia vestito da Grifondoro, angelo. Harry Potter è un Grifondoro. Non è stata una libera scelta, la sua. -
- Ma avrebbe sempre potuto decidere di travestirsi da Draco Malfoy, in quel caso... -
- Nessuno vuole essere Malfoy. - puntualizzò il demone, stroncando la replica dell'amico. - Harry Potter è il protagonista che le ha sempre tutte vinte, è naturale che la scelta di Warlock sia ricaduta su di lui. -
- Rimane il fatto, - proseguì Aziraphale. - che il ragazzo ha scelto di testa sua. La nostra influenza è stata irrilevante in questo caso e, a dirla tutta, non so se sia un bene o un male. -
- Abbiamo fatto del nostro meglio, - riconobbe Crowley. - ma il giovane Warlock ha una personalità sua e sta crescendo. È normale che sviluppi delle decisioni autonome. Dobbiamo solo sperare di riuscire a contenere il suo lato distruttivo. -
L'angelo sospirò. - Me lo auguro davvero, per tutti noi. -


Circa un'ora più tardi, il party entrò nel vivo e la sala si trasformò in una sorta di discoteca a misura di bambino, con tanto di luci stroboscopiche. I ragazzini si scatenavano nel ballo, guidati dagli instancabili animatori, e sembravano divertirsi come non mai.
Crowley e Aziraphale erano rimasti in piedi con la schiena appoggiata al muro, intenti ad osservare distrattamente quell'orda di piccole creature selvagge in maschera.
- Sai, un po' lo invidio. - mormorò Aziraphale.
Il demone si voltò verso l'amico, perplesso. - Di chi parli? -
- Di Warlock. -
Crowley inarcò un sopracciglio. - Potresti spiegarti meglio, angelo? -
L'altro tentennò per un attimo e si agitò sul posto, indeciso se dare o meno voce ai propri pensieri. Infine deliberò per il sì.
- Lui ha potuto scegliere. Stasera ha deciso cosa essere. Aveva due alternative valide ma ha voluto ignorarle entrambe e trovare da sé una terza opzione e guarda ora com'è felice. -
Crowley intuì che ci fosse dell'altro e non rispose, dando modo ad Aziraphale di proseguire il suo discorso che, ad essere onesti, gli pareva assai interessante oltre che molto insolito per le labbra dell'angelo, sempre pronto a rimarcare la propria appartenenza alle schiere celesti del Paradiso.
- Guarda noi invece. - aggiunse con una punta di rimpianto a incrinargli la voce. - Siamo costantemente intrappolati nei nostri ruoli. Non abbiamo una terza scelta, a meno di andare contro tutte le regole delle nostre fazioni e subirne le conseguenze. Per esempio, tu vorresti fare qualcosa per risollevare il morale della piccola sirenetta ma ritieni che sia un comportamento inappropriato per un demone, vero? -
Aziraphale accennò con il capo ad una bambina vestita da sirena seduta su una sedia a rotelle in disparte, che guardava mestamente gli altri bambini ballare e giocare al centro della sala.
Crowley fece per ribattere ma l'amico lo precedette. - Non provare a negarlo, caro. È tutta la sera che la tieni d'occhio ed è palese che tu voglia fare qualcosa per lei. -
- E tu invece vorresti dare una lezione a quel bulletto vestito da Mostro di Frankenstein che non fa altro che infastidire le bambine e tirare loro i capelli, ma pensi che un angelo non dovrebbe comportarsi così, giusto? - contrattaccò Crowley con un sogghigno. - Gli lanci di quelle occhiate di fuoco che neanch'io saprei eguagliare. -
- Già, - confessò Aziraphale, puntando uno sguardo truce verso il bambino che, proprio in quel momento, stava inseguendo una bimba terrorizzata brandendo un grosso ragno di gomma disgustosamente realistico, ridendo di sadico gusto. - Non mi sono mai piaciuti i prepotenti. Se potessi, saprei io come toglierli quel sorriso cattivo dalla faccia. -
- Be', perché non lo fai? - propose Crowley.
Aziraphale spostò l'attenzione sul demone. - Caro, te l'ho appena detto: noi siamo un angelo e un demone, abbiamo delle regole ben precise da rispettare. -
Crowley rispose con un'irriverente pernacchia. - Le abbiamo già infrante tante volte e non è mai successo niente di grave. Perché non ti togli la soddisfazione di dare a quel ragazzino ciò che si merita. Anche gli angeli possono elargire punizioni, all'occorrenza. -
- Sì, - ammise Aziraphale. - ma non dovrebbero goderne, in teoria. -
Crowley scrollò le spalle. - Dettagli. -
L'altro tornò a volgere lo sguardo verso il piccolo bullo che aveva appena strappato una delle alucce ad un costume da fata, facendo scoppiare in lacrime la malcapitata vittima, chiaramente molto più piccola di lui.
- Sai che ti dico, caro? - fece Aziraphale, le sopracciglia aggrottate e il tono di voce stranamente agguerrito. - Lo farò, ad una condizione. -
Il demone sbatté le palpebre, interdetto. - E quale? -
Aziraphale gli sorrise furbescamente. - Che anche tu assecondi il tuo istinto e vada da quella bambina per consolarla. -
Crowley sbirciò di nuovo la piccola Ariel in sedia a rotelle, prima di tornare a rivolgersi all'amico in tono di sfida. - E va bene, angelo. Affare fatto. -
I due si divisero. Crowley si avvicinò alla bambina seduta in un angolino accanto alla parete, gli occhi tristi e ardenti di desiderio ancora puntati sul gruppo di ballerini scatenati, le dita affusolate delle mani posate in grembo che tenevano il tempo della musica.
Il demone provò un moto di commozione per quella giovane anima sfortunata e decise di mandare al diavolo (era l'espressione corretta per un demone?) gli ultimi scrupoli legati al codice di comportamento infernale.
Quando la raggiunse, s'inginocchiò in modo da avere la linea dei loro sguardi alla stessa altezza.
- Ciao. - la salutò con voce dolce. - Io sono Tata Ashtoreth, tu come ti chiami? -
La bimba gli rivolse un sorriso timido. - Melody, ma tutti mi chiamano Mel. -
- Piacere di conoscerti, Mel. Ti andrebbe se restassi qui con te per un po'? -
Il sorriso della piccola si fece più largo e luminoso. - Oh, sì, per piacere! -
Crowley afferrò una sedia di plastica e si sedette accanto alla carrozzina, iniziando a chiacchierare con Melody, la quale pareva felicissima della sua presenza.
Aziraphale osservava quell'inconsueto spettacolo con le labbra increspate in un sorriso intenerito, ma un urlo di orrore proveniente dalla folla di bambini lo riportò a concentrarsi sulla sua missione, la sua spedizione punitiva. Il Mostro di Frankenstein si stava ora dedicando a un nuovo divertimento: lanciare caramelle gommose a forma di vermiciattoli e ragni colorati contro i più piccoli.
L'angelo si fregò le mani e le scosse come a volersi riscaldare i muscoli delle dita. - Bene. Ti piace tormentare i più deboli, eh? Ora vedrai. -
Bastò uno schiocco leggero e i dolciumi a forma di vermi e ragni presero vita, trasformandosi in animali orrendamente veri.
Il bullo cacciò un grido acutissimo e tentò di mollare la presa sugli animaletti, ma un vermiciattolo gli si infilò sotto la maglietta del costume e il ragazzino iniziò a girare intorno forsennatamente come una trottola, cercando di sfilarsela, incontrando non poche difficoltà a causa della grossa maschera. Nel tentativo, andò a sbattere contro uno dei tavoli e una scodella piena di succo di frutta gli si rovesciò sulla testa, inzuppandolo da capo a piedi e suscitando l'ilarità degli altri bambini.
Quando finalmente fu riuscito a togliersi la maschera e il pezzo superiore del vestito da Mostro, il ragazzino si accorse con stupore che il verme che credeva di aver visto, non era altro che un'innocua caramella.
Il coro di risate non accennava ad arrestarsi, alimentato dall'espressione confusa e un po' stupida che era apparsa sul faccione del bulletto, ora non più così tronfio e rosso sia di vergogna e che di succo alla fragola.
Aziraphale sghignazzò, soddisfatto della propria opera. Forse quell'incidente non avrebbe reso quel ragazzo un santo, ma almeno l'avrebbe convinto ad abbassare la cresta per il resto del party e aveva riscattato l'onore delle sue povere vittime indifese di quella serata, inoltre... era stato piuttosto divertente e appagante, doveva ammetterlo.
La scenetta esilarante era stata seguita con attenzione anche da Melody e Crowley. La bambina ridacchiava timidamente, come se non fosse sicura di che sentimenti fosse giusto provare, mentre Tata Ashtoreth, di fianco a lei, ghignava con tutta la perfidia del mondo.
Per una frazione di secondo, angelo e demone incrociarono gli sguardi e si rivolsero un cenno complice. Missione compiuta, per entrambi.


A mezzanotte e mezza la festa era ormai terminata. Gli ultimi piccoli invitati se n'erano andati, alcuni esausti portati a spalla direttamente dai genitori, e già le cameriere si apprestavano ad entrare nella stanza armate di aspirapolvere, stracci e sacchi della spazzatura per ripulire i postumi dei bagordi.
Warlock crollava dalla stanchezza e presto avrebbe finito per addormentarsi sulla sedia, così Tata Ashtoreth lo prese per mano e lo ricondusse alla sua cameretta, dove lo liberò del costume da mago, gli pulì la faccia dal trucco e lo aiutò ad infilare il pigiamino.
- Ti sei divertito alla festa, caro? -
Impossibilitato a rispondere a voce a causa di un enorme sbadiglio, il bambino si limitò ad annuire.
La tata lo fece distendere e gli rimboccò le coperte ma per quella sera non ci furono né storie della buonanotte né una ninnananna perché un secondo dopo aver poggiato la testa sul cuscino, Warlock dormiva già come un ghiro.
Crowley e Aziraphale, sbarazzatisi dei rispettivi costumi, si incontrarono poco dopo al pub e ordinarono due bicchieri di scotch.
- Allora? - esordì Crowley. - Com'è stato calarsi nei panni del terribile angelo vendicatore? -
Aziraphale ci rifletté per qualche secondo prima di rispondere. - Direi che è stato... liberatorio. Quasi catartico, in effetti. -
Il demone approvò. - Ti sei divertito, vero? Confessa. Avevi la tipica espressione del gatto che si è appena mangiato il topolino. -
L'angelo arrossì. - Ok, potrei aver provato una leggerissima soddisfazione. - riconobbe, onesto. - Ma la cosa importante è che, dopo il mio intervento, quel bullo abbia deciso di lasciare in pace gli altri bambini e di restarsene buono per il resto della festa. -
- Certo, certo. - rise Crowley. - Lo scopo era quello, non certo compiacere il tuo ego. Ci mancherebbe! -
Aziraphale gli scoccò un'occhiata al vetriolo, dopodiché sorrise e incrociò le braccia al petto, mettendosi più comodo contro lo schienale della sedia, assumendo una posa che ricordava molto quelle tipiche del suo migliore amico.
- E tu, mio caro? - soffiò con insinuante dolcezza. - Come ti sei trovato a ricoprire il ruolo dell'angelo custode dei bimbi sfortunati? Quella povera bambina ti guardava come se fossi un miracolo piovuto dal cielo. -
Il demone si permise di inarcare gli angoli della bocca in un sorriso lieve, molto diverso dai suoi soliti ghigni beffardi. - Melody è una brava bambina. È intelligente, buona e ha una grande forza d'animo. Non meritava quello che le è successo, ma se operassi un miracolo demoniaco per guarirla, i miei superiori mi trascinerebbero all'Inferno per linciarmi seduta stante, - fece una breve pausa riflessiva prima di riprendere. - e poi sono certo che diventerà una donna eccezionale, forse proprio grazie alla disgrazia che l'ha colpita. -
Aziraphale rimase a bocca aperta davanti a quell'esternazione così genuina, così brutalmente sincera, così poco da Crowley.
- Non guardarmi in quel modo, angelo. Sembri un pesce lesso. - borbottò il demone, ritrovando la sua vena scorbutica.
L'altro bevve un sorso di liquore, prendendosi qualche secondo per riflettere su quanto apprezzasse sempre di più il suo migliore amico. In particolare, da quando erano entrati a servizio dai Dowling per educare l'Anticristo, il loro rapporto si era fatto più stretto. Si vedevano ogni giorno durante il “lavoro” e la notte si incontravano per confrontarsi e scambiarsi opinioni. Quella vicinanza giornaliera recava una conseguenza inevitabile: Aziraphale e Crowley stavano approfondendo la conoscenza l'uno dell'altro, gli aspetti più latenti della loro personalità si svelavano giorno per giorno come pagine di un libro, sotto la spinta di quella quotidianità condivisa. E ciò che l'angelo scopriva del demone lo lasciava sempre più piacevolmente sorpreso.
D'altro canto, quella sera avevano di comune accordo deciso di concedersi la libertà di essere se stessi, indipendentemente dall'Inferno e dal Paradiso: un lusso che non potevano permettersi spesso date le loro condizioni di entità sovrannaturali legate rispettivamente all'una e all'altra fazione. Avevano abbracciato il proprio sé più autentico e assecondato ciò che l'istinto suggeriva loro, comportandosi di conseguenza, ed erano stati sorprendentemente bene.
La gioia di essere ciò che si è davvero, non ha prezzo. Aziraphale lo stava apprendendo di giorno in giorno durante quella strana parentesi della sua esistenza che viaggiava in parallelo con quella di Crowley, divenuto ormai più di un semplice alleato, e certamente molto più di un compagno di pranzi e bevute occasionali.


Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Ride the wild wind ***


ride


Get your head down baby – we’re gonna ride tonight

Your angel eyes are shining bright

I wanna take your hand

lead you from this place

Gonna leave it all behind

Check out of this rat race

Ride the wild wind

Ride the wild wind

Gonna ride the whirlwind

It ain’t dangerous enough for me



Ride the wild wind, Queen, 1991





Crowley e Aziraphale sedevano quietamente sulla solita panchina di St. James's Park che dava sul laghetto delle anatre.
Si erano incontrati per consumare una sostanziosa colazione a base di cornetto e cappuccino in una raffinata caffetteria italiana per poi decidere di fare una passeggiata nel parco, con sosta obbligata alla loro panchina preferita, sempre miracolosamente libera.
Crowley stava dicendo qualcosa ma l'attenzione di Aziraphale era stata attirata da un piccolo usignolo che aveva appena spiccato il volo da un ramo e ora si librava elegantemente nell'aria facendosi trasportare dalle correnti.
Era così bello, così aggraziato. Pareva che non facesse alcuno sforzo per mantenersi nella sua leggiadra sospensione.
- Angelo? Mi stai ascoltando? -
La voce di Crowley fece breccia nella sua fitta cortina di pensieri e Aziraphale si riscosse volgendosi verso l'amico. - Cosa? Oh, scusa caro, temo di essermi distratto. -
- Sai che novità. - sospirò il demone. - Scommetto che stavi pensando a quel libro che hai appena acquistato e che non vedi l'ora di tornare alla libreria per leggerlo. -
- No, in realtà stavo pensando a quello. -
Aziraphale indicò con un cenno del capo l'usignolo che ora si era posato sul parapetto in ferro battuto che circondava lo stagno, cantando dolcemente. Crowley seguì la linea del suo sguardo e intercettò l'animaletto.
- Stai forse prendendo in considerazione di darti all'ornitologia? - ridacchiò.
L'angelo scosse la testa senza distogliere gli occhi dall'uccellino. - No, è solo che... mi manca, sai? Volare, intendo. Mi manca la sensazione delle ali sulla schiena, del vento sulla faccia e tra i capelli. Mi manca vedere il mondo dall'alto. -
L'espressione di Crowley perse il piglio beffardo e divenne altrettanto pensierosa e nostalgica. - Sì, lo capisco. Anch'io mi farei volentieri un giro tra le nuvole. Insomma, gli umani hanno inventato gli arei ma non è la stessa cosa. -
- No, non lo è. -


Trascorsero un paio di settimane e una sera, discutibilmente tardi, Crowley bussò alla porta della libreria di Aziraphale brandendo una copia tutta stropicciata del Times.
- Crowley? Che ci fai qui a quest'ora? - chiese l'angelo, richiudendo l'uscio alle spalle dell'amico.
Per tutta risposta, Crowley gli ficcò in mano il giornale. - Vai a pagina 7. - gli intimò.
Aziraphale fece scorrere le enormi pagine del quotidiano fino alla settima e lesse il titolo posto in cima: “LA TEMPESTA PERFETTA ARRIVA A LONDRA”
L'articolo sottostante riportava la notizia dell'imminente arrivo in città di una serie di forti perturbazioni temporalesche che, stando ai meteorologi, si sarebbero abbattute sulla capitale inglese la notte successiva. Le autorità raccomandavano ai londinesi massima prudenza e consigliavano di rimanere in casa ed evitare di mettersi in strada nelle ore contrassegnate dal segnale di allerta rossa.
Ma Aziraphale aveva assistito al Diluvio Universale e non sarebbe certo rimasto impressionato da un qualsiasi temporale, anche se particolarmente violento, e non riusciva a trovare una ragione valida che spiegasse l'interesse di Crowley.
Sollevò gli occhi dal quotidiano e li posò sull'amico con aria interrogativa. - Temo proprio di non aver colto il messaggio. -
Il demone si riprese il giornale e premette con impazienza l'indice sul titolo, come se fosse ovvio. - Una tempesta di vento, pioggia, lampi e tuoni, angelo! Domani notte! -
Aziraphale era sempre più confuso. - Sì, è quello che c'è scritto. E allora? -
- E allora è l'occasione che stavamo aspettando! - esclamò l'altro, il volto acceso di un entusiasmo e un'emozione quasi febbrili.
- Quale occasione? Ma di che stai parlando? -
Crowley allargò le braccia. - Parlo di volare, Aziraphale! È da quel giorno che non faccio che pensare a quello che hai detto riguardo al volo. Mi mancano quelle sensazioni come mancano a te. Non capisci? Possiamo sfruttare questa cosa per farci un volo clandestino sopra Londra e nessuno lo verrà mai a sapere! -
- Ma, caro... se qualcuno ci vedesse nella nostra vera forma? - obiettò Aziraphale. - Non credi che due uomini alati che scorrazzano per il cielo possano dare un po' nell'occhio? -
- Hai letto l'articolo, no? Non ci sarà nessuno per le strade. E se anche qualcuno ci fosse, sarebbe troppo impegnato a trovare un riparo dalla tempesta per accorgersi di noi. E poi voleremo sopra lo strato di nubi, dunque sarà impossibile vederci da quaggiù. -
- E se incrociassimo la rotta di un aereo? -
- Tutti i voli sopra Londra sono stati sospesi per l'intera nottata, fino a quando l'allarme non sarà cessato. -
Nonostante quelle ineccepibili considerazioni, Aziraphale non pareva ancora del tutto persuaso, anche se la prospettiva di ritrovare le proprie ali, anche solo per una notte, era oltremodo allettante. Da quanto non le usava? Più di quanto potesse ricordare.
- Non lo so, Crowley. - sospirò, dubbioso.
- Oh, avanti! Una sola notte di libertà dopo secoli di vita umana con i piedi sempre piantati a terra. Pensaci: io e te, lassù tra le stelle, il silenzio, la quiete, la luna... -
Il demone gli si era avvicinato con un sorriso che Aziraphale trovò irresistibile, la sua voce vellutata si stava insinuando nella sua mente carica di promesse, facendo recedere ogni obiezione e alimentando il suo desiderio di acconsentire alla proposta come benzina sul fuoco.
L'angelo inspirò a fondo, cercando di ragionare a mente lucida, ma era impossibile con Crowley che continuava a sussurrargli all'orecchio con quel suo timbro sibilante, serpentesco. - E dài, angelo, cosa sarà mai? Ti ricordi quanto erano belle le tue ali bianche? Ricordi quanto erano morbide e leggere? Non vorresti provare ancora una volta il brivido del volo? -
Aziraphale sentiva il fiato caldo di Crowley vicino al collo, gli faceva un solletico delizioso provocandogli la pelle d'oca. Non sarebbe riuscito a resistere ancora per molto prima di cedere alla sua malìa demoniaca che, a dirla tutta, l'amico esercitava magistralmente.
- Oh, d'accordo! - cedette infine, sentendosi improvvisamente liberato da un gran peso. - Faremo questa cosa, questa... pazzia. Ma se qualcosa dovesse andare storto... -
- Niente andrà storto, Aziraphale. Te lo prometto. -
- Me lo auguro. - bofonchiò l'altro arricciando il labbro in un broncio adorabile.
Crowley ridacchiò di nuovo e gli batté una mano sulla spalla. - Non fare quella faccia abbattuta, angelo. Domani a quest'ora saremo tra le stelle! -


La profezia meteorologica del Times non tardò a realizzarsi.
Tutto il giorno seguente fu caratterizzato da un crescendo di fattori che preannunciavano l'uragano in procinto di abbattersi sulla capitale del Regno Unito. Dapprima fu solo l'aumentare del vento, poi l'incremento dell'elettricità statica che procurava piccole scosse dolorose ogni volta che si toccava qualcosa di metallico, infine giunse un compatto banco di nuvoloni violacei a oscurare la luce del sole come un'eclissi.
Entro sera, Londra si trasformò in quello che avrebbe potuto essere il set di un film apocalittico. Ma almeno non piovevano pesci come l'ultima volta.*
Non c'era anima viva per le vie della città, ma Crowley e Aziraphale si diressero comunque in aperta campagna, per ulteriore precauzione.
Gli alberi erano scossi da potenti raffiche mentre tutt'intorno rimbombava il ruggito assordante dei tuoni. Non sarebbe stato un decollo proprio facile, senza contare il fatto che i due erano fuori allenamento.
- Ne sei proprio sicuro? - urlò Aziraphale nel tentativo di sovrastare quel baccano.
- Assolutamente! - rispose Crowley, urlando a sua volta. - Trovo che il rischio renda tutto più interessante. -
- Ci guarda qualcuno? -
Crowley fece una rapida scansione mentale dei dintorni ma l'unico riscontro fu un vecchio gufo che li stava osservando con aria annoiata da dentro il tronco di un albero.
- Via libera! -
Angelo e demone si posizionarono uno di fronte all'altro nel bel mezzo del sentiero deserto, chiusero gli occhi e inspirarono, concentrandosi intensamente.
In pochi secondi, dalle loro schiene presero forma due sagome che li avvolsero a mo' di bozzoli, uno nero come la notte, l'altro candido e luminoso. Infine, quegli involucri si dispiegarono in due paia di immense ali piumate.
Aziraphale e Crowley sorrisero ed emisero un sospiro di piacere, deliziati dalla sensazione di completezza che li invase come un'ondata di calore.
- Andiamo? - chiese Aziraphale, incapace di nascondere l'emozione.
- Dopo di te, angelo! -
I due spinsero con i piedi il terreno e si librarono nell'aria.
Non fu semplice bilanciarsi e contrastare la forza inaudita del tifone, inoltre avrebbero dovuto salire non poco per superare la perturbazione.
A un tratto, Aziraphale venne investito da una raffica particolarmente violenta che rischiò di farlo precipitare, ma Crowley lo afferrò prontamente per la mano.
- Non mollare la presa! Dobbiamo salire più in alto! -
L'angelo annuì e strinse a sua volta le dita di Crowley tra le proprie, lasciandosi guidare attraverso le correnti impetuose.
Insieme, mano nella mano, ascesero cavalcando il vento selvaggio come i surfisti cavalcano le onde. Intorno a loro esplodevano saette argentate che li costringevano a una sorta di slalom senza schema. Crowley rideva, sentendosi più vivo che mai, e scoccando sorrisi smaglianti ad Aziraphale che, una volta superata la reticenza iniziale, si stava godendo quella cavalcata aerea quanto il demone. L'elettricità dei fulmini sembrava essersi riversata nelle loro vene, ma forse si trattava solo di picchi di adrenalina e serotonina nel loro corpo materiale.
Finalmente giunsero oltre la spessa barriera di nubi e si godettero la vista di una meravigliosa falce di luna che si stagliava contro il cielo notturno trapuntato di stelle e sembrava voler dar loro il benvenuto con un sorriso sornione.
La notte era serena e limpida a dispetto della tempesta che infuriava appena sotto di loro e Crowley e Aziraphale rimasero in ascolto del silenzio quasi mistico che li attorniava, contemplando la bellezza del panorama aereo che si estendeva all'infinito davanti ai loro occhi. Le loro mani si separarono lentamente.
- Allora? Ne è valsa la pena? - domandò il demone, sbirciando di sottecchi l'espressione dell'amico.
- Decisamente. - affermò l'angelo. Il bagliore delle stelle si rifletteva nei suoi occhi e Crowley non poté fare a meno di constatarne l'insolita brillantezza. Si sentì fremere quando Aziraphale gli rivolse uno sguardo colmo di intensità, di euforia e forse anche un po' di gratitudine per averlo trascinato in quella mezza follia.
La notte era fredda e loro erano bagnati fradici, ma bastò un solo schiocco di dita dell'angelo perché i loro vestiti tornassero perfettamente caldi e asciutti.
Crowley gli rivolse un cenno di ringraziamento col capo. - Bene, e ora vogliamo andare a farci un giro? -
- Con molto piacere, caro. -


I due sorvolarono il temporale finché, guardando in basso, non riuscirono a scorgere i tetti e le luci della città. Tutto sembrava così piccolo, così distante, così pacifico.
Era quello il loro destino originale: distacco. Osservare lo scorrere della vita sulla Terra distrattamente, con una lente d'ingrandimento ogni tanto, senza mai prendere parte attiva agli avvenimenti che la riguardavano e, men che meno, alle piccole faccende umane.
Ma Crowley e Aziraphale avevano rinunciato a quell'esistenza moltissimo tempo prima, optando per una sorta di esilio volontario tra gli umani. Scelta della quale non si erano mai pentiti.
Sedettero comodamente su un soffice cumulonembo per concedersi un po' di riposo (avevano messo a dura prova le ali, inutilizzate da troppo tempo) e i loro sguardi si persero a contemplare il panorama sottostante.
- Il mondo è così diverso visto da quassù. - commentò Aziraphale.
- Nah, il mondo è sempre uguale, angelo. È la prospettiva che è diversa. È sempre una questione di prospettiva. -
L'altro annuì, assorto. - Sì, credo tu abbia ragione. -
Aziraphale e Crowley rimasero seduti fianco a fianco per un po', mentre la nuvola viaggiava veloce nel cielo, sospinta dal vento.
A un certo punto, l'angelo avvertì qualcosa di morbido e caldo sfiorargli il dorso della mano. Abbassò lo sguardo e vide quella di Crowley rasente alla sua, non proprio a contatto ma abbastanza vicina da poterne sentire il calore radiante. Istintivamente, Aziraphale venne colto dall'impulso di allontanare la propria. Insomma, si erano tenuti per mano durante l'ascesa al di sopra del temporale ma non si era trattato propriamente di un gesto fine a se stesso, no? Avevano bisogno entrambi di controbilanciarsi, di unire le forze per superare la tempesta e impedire che uno dei due venisse sbalzato via. Era completamente diverso dal ricercare o accettare il contatto con la mano dell'altro solo per il piacere di sentire la reciproca vicinanza.
Ma il tempo delle esitazioni era finito. Dall'avvento della mancata Apocalisse, con il conseguente scambio di corpi per evitare di finire giustiziati, l'angelo aveva messo da parte un po' di quel suo lato più inflessibile e rigido a proposito del legame che lo univa a Crowley, permettendosi di vivere più liberamente quell'ineffabile... be', qualunque cosa ci fosse tra loro. Come aveva detto il demone, si trattava di una questione di prospettiva, e, nell'ultimo periodo, la sua era mutata radicalmente.
Così, sorprendendo innanzitutto se stesso, Aziraphale non solo non si scostò, ma colmò l'irrisoria distanza tra le loro dita e stabilì proprio quel contatto che, in altri tempi, avrebbe ritenuto di dover evitare. Avvertì il lieve sussulto di Crowley al suo fianco e, senza sapere bene il perché, sorrise.


Aziraphale e Crowley trascorsero ancora qualche minuto in muta contemplazione delle campagne inglesi che scivolavano sotto di loro, la mano dell'uno allacciata a quella dell'altro in una stretta lieve, timida, impacciata ma presente. Nessuno dei due avvertiva il bisogno di rompere il silenzio pacifico in cui erano immersi, sarebbe bastata una sola parola appena sussurrata per mandare in frantumi quella delicata e fragile bolla di serenità che si era spontaneamente costruita intorno a loro mentre il confine della pelle dell'angelo si confondeva con quello del demone e le loro mani raggiungevano la stessa temperatura.
- Sarà meglio tornare indietro. - disse infine l'angelo, a malincuore. - Ci siamo allontanati di un bel pezzo e il cielo si sta rasserenando, qualcuno potrebbe notarci mentre discendiamo. -
Crowley annuì e, seppur controvoglia, i due interruppero il contatto mettendo fine anche a quella specie di meraviglioso incantesimo che li aveva avvinti dal momento in cui le loro dita si erano intrecciate.
Con un paio di colpi delle loro possenti ali, lasciarono la nube e invertirono la direzione. Non parlarono molto durante il volo di ritorno. Tanto Aziraphale quanto Crowley si stavano ancora cullando nel vivido ricordo dell'impressione che la mano dell'altro aveva lasciato nella propria, come se avesse sempre dovuto trovarsi lì. Ma né l'angelo né il demone ebbero il coraggio di prendere l'iniziativa e ricreare quell'unione. Non ancora, non subito, non quella notte.
Per il momento, a entrambi bastava sapere che quel legame c'era stato e aveva donato loro sensazioni nuove, dolci e potenti che avrebbero dovuto imparare a conoscere e a riconoscere.
Quando tornarono qualche miglio sopra la campagna dalla quale erano decollati, i nuvoloni si erano diradati molto, ma il vento soffiava ancora impetuoso e angelo e demone ebbero il loro bel daffare per riuscire a poggiare i piedi a terra.
Nei paraggi non c'era nessuno e Crowley e Aziraphale poterono ritirare le ali con tutta calma prima di risalire a bordo della Bentley.
- Crowley? -
- Sì, angelo? -
Aziraphale esitò un istante. - Ci sono altre tempeste in vista? Perché, sai, stavo pensando che, in fondo, è stato divertente e forse potremmo rifarlo... qualche volta. -
Il demone appoggiò il braccio destro sopra il volante e si voltò verso Aziraphale con un sopracciglio inarcato e un sogghigno più malizioso che mai. - Qualcuno ci ha preso gusto o sbaglio? -
- Sta' zitto e pensa a guidare. - rise l'angelo, mollandogli un leggero pugno sulla spalla e forse indugiando un po' più del necessario con la mano sulla sua giacca.
Probabilmente si trattò solo del riflesso di un lampo in lontananza, ma Aziraphale scorse una scintilla di qualcosa balenare sotto lo schermo delle lenti che celavano gli occhi del demone. Felicità? Gioia? Non avrebbe saputo dirlo, ma lo sperava davvero.
- D'accordo, - accettò Crowley, rispondendo alla proposta avanzata dall'angelo. - ma la prossima volta ci portiamo un paio di bottiglie di vino. Offri tu. -
- Affare fatto! - approvò Aziraphale, il cuore traboccante di un'insolita contentezza. - E magari anche qualcosa da sgranocchiare. -
Il demone scosse la testa con aria divertita mentre azionava il motore della Bentley. - Sei incredibile, angelo. Pensi sempre al cibo. -
- No, non sempre. - ribatté Aziraphale usando uno strano tono allusivo e, quando Crowley gli scoccò uno sguardo per capire il significato di quelle parole, l'amico prese a ridacchiare. - Penso molto anche ai libri. -
Il demone emise un indefinibile verso a metà tra uno sbuffo, una risatina e un sospiro dopodiché tornò a concentrarsi sulla strada.
Non poteva sapere che l'angelo fosse stato ad un soffio da aggiungere tre cruciali paroline dopo “libri” e che quelle paroline fatidiche fossero E a te.



*La pioggia di pesci prima della fine del mondo è nominata nel libro ma è stata tagliata nella serie TV.

Il programma per l'html ha deciso di farmi di nuovo lo scherzetto di rimpicciolire il primo paragrafo. -.-" Scusate per questo difetto ma non so proprio come risolvere (si accettano consigli in proposito).

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** You and I ***


youandi

Time don’t mean a thing

When you’re by my side

Please stay a while

You know I never could foresee the future years

You know I never could see

where life was leading me

But will we be together forever?



You and I, Queen, 1976




Quando Crowley si svegliò quella mattina del 1° novembre, non capì subito perché dall'altro lato del letto ci fosse un pigiama di seta celeste piegato con cura e riposto sul guanciale ben sprimacciato, almeno finché il ricordo degli eventi della sera prima non riaffiorò alla coscienza emergendo dal nebuloso mondo del sonno.
- Oh, per tutti i diavoli dell'Inferno. - sospirò, passandosi una mano sul viso e stropicciandosi gli occhi ancora appannati. Le circostanze che avevano portato Aziraphale nel suo letto erano piuttosto imbarazzanti e più i ricordi si facevano chiari, più il demone avrebbe voluto sprofondare tra le lenzuola.
Ma il suo stomaco non sembrava essere della stessa opinione e protestava energicamente reclamando la colazione, inoltre dalla cucina proveniva un invitante profumo di caffè che convinse Crowley ad alzarsi, darsi una rapida sistemata e uscire dalla camera ancora a piedi nudi e in tenuta notturna, che nel suo caso consisteva in un paio di morbidi pantaloni di raso neri e una T-shirt rossa con la scritta HELL WAS BORING stampata sul davanti in antichi caratteri gotici.
Quando arrivò nell'enorme cucina, trovò Aziraphale intento a trafficare ai fornelli, con tanto di grembiule. Proprio in quel momento si stava apprestando a spadellare dei pancake cotti a puntino per impilarli su un piatto e, infine, versarci sopra una generosa quantità di sciroppo d'acero.
La tavola era imbandita con ogni prelibatezza che si potesse desiderare per un primo pasto della giornata degno di un re: succo d'arancia, tè, caffè, latte schiumoso, croissant, biscotti, marmellata, frutta fresca, yogurt, fiocchi d'avena, pane tostato, miele, uova strapazzate...
L'angelo aveva fatto le cose in grande, non c'era che dire. Anche se l'amico dubitava fortemente che le sue doti culinarie (per la verità, non proprio eccellenti) non fossero state aiutate da un paio di miracoli.
Quando Aziraphale si accorse della presenza di Crowley, che appoggiato allo stipite della porta studiava di sottecchi i suoi movimenti, gli rivolse un sorriso. - Buongiorno, caro. Arrivi giusto in tempo per la colazione. -
L'angelo non pareva minimamente turbato dagli accadimenti della notte appena trascorsa e Crowley decise di adottare lo stesso atteggiamento noncurante, come se nulla fosse successo.
- Buongiorno, angelo. Da quanto sei in piedi? - domandò, sedendosi a tavola e servendosi del caffè bollente dalla moka.
Aziraphale posò il piatto di pancake al centro del tavolo e prese posto accanto a Crowley, versandosi una tazza di tè.
- Oh, da un po'. Sono un tipo piuttosto mattiniero, a quanto pare. Tu, piuttosto, direi che te la sei presa comoda. - commentò, lanciando un'occhiata all'orologio che segnava le 10 in punto.
Troppo impegnato a masticare un biscotto all'uvetta, Crowley si limitò a scrollare le spalle.
- A proposito, - riprese Aziraphale spalmando una generosa porzione di marmellata su una fetta di pane tostato già precedentemente cosparsa di burro. - mi sono occupato io di far sparire le decorazioni. -
Crowley colse il tono casuale che l'angelo aveva usato e capì che, dietro l'ostentata indifferenza, anche Aziraphale considerava i fatti avvenuti poche ore prima come una red-zone nella quale sarebbe stato pericoloso avventurarsi. Fare finta di niente era l'opzione migliore, sebbene entrambi avessero ancora ben chiare nella mente le conseguenze impreviste di quella che, secondo il loro piano iniziale, sarebbe dovuta essere una normalissima serata di Halloween a base di film, pizza a domicilio e caramelle disgustosamente sature di zuccheri di ogni genere e coloranti.
Angelo e demone terminarono la colazione rispettando il tacito accordo di glissare sulla notte precedente e disquisendo di argomenti frivoli e banali: i classici temi di cui si parla quando si vuole evitare di portare la conversazione su sentieri impervi che condurrebbero ad esiti imbarazzanti per gli interlocutori.
Alla fine, Aziraphale si alzò da tavola, fece svanire tutte le rimanenze con uno schiocco di dita e comunicò a Crowley che per lui era giunto il momento di tornare alla libreria e al suo lavoro.
Il demone fu ben felice di potersi congedare dall'amico. Dopo quanto era successo tra loro, avevano decisamente bisogno di stare lontani per un po' in modo da elaborare il tutto, metabolizzare e lasciar decantare le proprie emozioni per vedere le cose nella giusta prospettiva e, perché no, di cullarsi nel ricordo ancora fresco di quella notte passata insieme.
I saluti furono sbrigativi e impacciati e, quando l'angelo se ne fu andato, Crowley tornò in camera per vestirsi e si accorse che Aziraphale si era dimenticato il pigiama.
Il demone scosse la testa davanti alla sbadataggine dell'amico, ma un lieve sorriso gli increspò gli angoli delle labbra sottili. In fondo, quell'indumento abbandonato sul cuscino rappresentava il souvenir di un'esperienza tutt'altro che spiacevole, anche se inedita tanto per lui quanto per l'angelo.


Poco più di dodici ore prima...


Aziraphale suonò il campanello modellato a forma di serpente dell'appartamento di Crowley, domandandosi ancora una volta come caspita avesse fatto il demone a convincerlo ad assecondarlo in quell'iniziativa.
Gli aveva proposto, in occasione della ricorrenza del 31 ottobre, di trascorrere una serata da lui, guardando film spaventosi dai quali gli umani erano soliti lasciarsi intrattenere in onore di quella festa antica quasi quanto l'umanità stessa.
Aziraphale ricordava quando Halloween si chiamava ancora Samhain, prima che iniziassero le inutili quanto feroci crociate cristiane contro quella nobile festività pagana.
Non aveva pregiudizi di quel genere, Aziraphale. Sapeva che Halloween non aveva niente a che fare con il Diavolo o il satanismo, ma l'atmosfera lugubre e oscura tipica di quella ricorrenza non era mai stata molto in assonanza con la sua personalità.
Eppure, quando Crowley gli aveva presentato quel programma, Aziraphale si era ritrovato ad accettare quasi senza riflettere. La compagnia del demone gli era sempre gradita, a prescindere dal contesto e dall'attività che avrebbero svolto. E poi era un angelo immortale che viveva sulla Terra da seimila anni; aveva vissuto il Medioevo, aveva attraversato i secoli bui, gli orrori del nazismo... cos'altro poteva spaventarlo, a quel punto?
E così si era presentato alle 7 precise a casa di Crowley, reggendo una busta di carta stracolma di dolciumi, cioccolato e caramelle di ogni tipo.
Il demone non venne ad aprire, ma la porta si socchiuse inaspettatamente davanti a lui con un cigolio sinistro e stridulo, come un invito ad entrare che egli accolse timidamente.
L'interno dell'appartamento era immerso nelle tenebre.
- Ehm, Crowley? Ci sei? È permesso? -
Aziraphale mosse qualche passo incerto oltre l'ingresso. Udiva come degli strani bisbiglii incomprensibili e, chissà come e da dove, un refolo di vento gelido lo accarezzò dietro il collo facendolo rabbrividire.
- Crowley? C'è qualche problema con la rete elettrica? -
L'angelo avanzava nell'oscurità alla cieca, un braccio teso avanti a sé per individuare eventuali ostacoli e orientarsi.
A un tratto, Aziraphale urtò contro qualcosa di duro e freddo ma, prima che potesse avere il tempo di realizzare di cosa si trattasse, a un soffio dal suo viso si materializzò un ghignante scheletro umano di un improbabile color verde fluorescente.
L'angelo cacciò un urlo e arretrò di scatto ma si sentì afferrare per le spalle da due mani mollicce e appiccicose che, di certo, non potevano appartenere a un umano.
Una voce sibilante gli sussurrò minacciosamente all'orecchio. - Benvenuto nel tuo incubo peggiore, angelo. -
Aziraphale urlò di nuovo e tentò di divincolarsi da quella stretta. Nella foga, colpì qualcosa con il gomito e sentì un sonoro AHIA! levarsi alle sue spalle.
- C... Crowley? Sei tu? -
- Sì, maledizione! E quello che hai appena colpito era il mio naso! -
Si udì uno schiocco di dita e le lampade si accesero, rischiarando le stanze dell'appartamento.
Crowley aveva tappezzato ogni angolo di decorazioni: ragnatele, pipistrelli che pendevano dal soffitto, zucche intagliate all'interno delle quali tremolava la flebile luce di una fiammella, ossa di vario genere...
Aziraphale si voltò e vide Crowley, il quale, liberatosi dei guanti mostruosi, si stava premendo un fazzoletto sul naso, il tessuto bianco macchiato di sangue vermiglio.
- Ben ti sta, mio caro! Così impari a giocarmi certi scherzi. -
Il demone gli restituì uno sguardo di fuoco. - Siamo ad Halloween, aggelo. Tuddi fanno sgherzi! E non è colpa bia se du sei un fifone! -
Dopo aver miracolosamente guarito il naso di Crowley, lui e Aziraphale si accomodarono sul grande divano in soggiorno, davanti al mega-schermo piatto di design di ultima generazione. Una pila di DVD, rigorosamente procurati per vie illegali, era stata sistemata sul tavolino accanto a due cartoni di pizza extra large.
- In quanto mio ospite, a te l'onore della scelta. - disse Crowley, ammiccando verso l'amico.
Aziraphale ne prese qualcuno e diede una rapida scorsa ai titoli, nessuno dei quali si rivelò molto attraente ai suoi occhi. Alla fine, la sua decisione cadde sulla pellicola che gli parve la più innocente: Hocus Pocus.
Passò la custodia a Crowley, che inserì il DVD nel lettore e spense le luci, lasciando che le candele all'interno delle zucche rimanessero l'unica fonte di soffuso chiarore.


Aziraphale ringraziò mentalmente la Walt Disney per aver prodotto un film che si sposasse perfettamente con i requisiti halloweeniani pur non eccedendo nella componente spaventosa e, mentre i titoli di coda scorrevano sullo schermo, l'angelo dovette ammettere che, in fondo, non era stato poi così male.
- Bene. - fece Crowley allungando una mano verso gli altri DVD ammucchiati sul tavolo. - E ora tocca a me scegliere. Vediamo un po'. A te piacciono i musical, vero? -
- Ehm, sì. - rispose Aziraphale, sospettando che si sarebbe presto pentito di quella conferma.
Il demone sogghignò. - Allora ho proprio quello che fa al caso nostro. Non è la versione del tuo adorato Stephen Sondheim*, ma sempre di musical si tratta. -
Durante la visione di Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, diretto da Tim Burton, Aziraphale perse ogni interesse per le caramelle e qualunque altro cibo fosse presente nella stanza, lo stomaco rivoltato da quel susseguirsi di perturbanti sgozzamenti all'insegna dello splatter.
- Mi sembri un po' pallido, angelo. - insinuò Crowley quando il film terminò. - Forse certe scene erano troppo forti per il tuo cuoricino? -
Aziraphale gli scoccò un'occhiataccia. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione, anche se non capiva come certi umani potessero apprezzare uno spettacolo simile. Dopo quanto aveva visto quella sera, sarebbe passato un bel po' di tempo prima che fosse riuscito a rimettere piede dal barbiere. Fece comunque del suo meglio per mantenere una parvenza di spavalderia.
- Be', certo, la gente uccisa e poi trasformata in pasticci di carne non è proprio un bel vedere, ma se pensi che mi sia impressionato, ti sbagli di grosso, caro. Ci vuole ben altro per terrorizzarmi. -
Crowley gli indicò i DVD rimanenti. - Abbiamo tutta la notte e un bel po' di materiale per mettere alla prova questa tua asserzione. Scegli pure, ma che non sia troppo spaventoso, mi raccomando. Non vorrei che venissi discorporato a causa di un infarto. -
- E tu, Crowley? - fece Aziraphale, insinuante.
- Io cosa? -
- Scommetto che, tra questi, ci sono film che terrorizzerebbero anche te. -
Il demone scoppiò a ridere. - Dimentichi che io adoro la paura, angelo. Sono un grande ammiratore della paura. Niente potrebbe terrorizzarmi. -
- Allora proviamo questo. -
L'angelo passò il DVD a Crowley. Si trattava di Paranormal Activity, di Oren Peli.


Mezzanotte era passata già un po', il film era finito e Aziraphale sarebbe dovuto rientrare alla libreria ma, dopo il trauma di quella conturbante esperienza cinematografica, la prospettiva di rimanere solo nel suo regno di carta e inchiostro gli risultava insopportabile. Tremava al solo pensiero.
- Ehm, senti, Crowley... Si è fatto piuttosto tardi e dato che tu hai delle stanze in più... -
In altri momenti, il demone si sarebbe appigliato a quella velata richiesta per prendersi gioco dell'amico e rinfacciargli la sua natura pavida, ma quella notte si accontentò di annuire senza fare commenti derisori, sentendosi anzi addirittura sollevato all'idea che l'angelo non se ne andasse, lasciandolo da solo nell'appartamento vuoto.
Forse vedere quel film non era stata proprio un'idea brillante. Quell'Oren Peli sapeva il fatto suo come regista horror. Ah, se lo sapeva!
- Sì, non c'è problema. - disse. - Puoi usare la camera in fondo al corridoio, io dormo nell'altra. Ma credevo che tu non... -
Aziraphale capì al volo. - Oh, sì, in genere preferisco passare la notte a leggere o ascoltare musica, ma per stavolta farò un'eccezione, credo. Qualche ora di sonno non ha mai fatto male a nessuno, giusto? Bene, ehm, grazie. Allora io... io vado. -
- Sì, ora me ne vado a letto anch'io. Ehm, allora buonanotte, angelo. -
- Certo, buonanotte a te, caro. -
Era talmente palese che nessuno dei due volesse ritrovarsi da solo, anche se a pochi metri di distanza. Ma ovviamente erano entrambi troppo orgogliosi per ammettere di non volersi separare l'uno dall'altro perché, dopo la visione di Paranormal Activity, erano percorsi da brividi freddi in tutto il corpo; così come erano stati troppo orgogliosi per proporre di spegnere il video, ammettendo in quel modo di esserne atterriti. E così, a malincuore, si ritirarono ciascuno nella propria stanza.
Aziraphale fece apparire un pigiama di seta celeste e uno spazzolino, si lavò i denti, si svestì e si infilò sotto le coperte. Crowley fece altrettanto.
Ma, nel preciso istante in cui angelo e demone, nelle rispettive camere, spensero la luce e si distesero nel letto, immersi nell'oscurità, furono colti da una sensazione di profonda inquietudine.
Le immagini terrificanti e raccapriccianti di quel maledetto film avevano avuto un forte impatto sul loro stato emotivo e sui loro nervi, tanto da farli sobbalzare nel letto ad ogni minimo rumore, reale o immaginario che fosse. Ombre spettrali venivano continuamente proiettate sul soffitto e sulle pareti dalle sparute fonti luminose esterne e, ben presto, sia Crowley che Aziraphale realizzarono che, in quelle condizioni, non avrebbero potuto chiudere occhio.


Aziraphale non era avvezzo al riposo notturno. Non che un angelo incorporato in una forma umana non fosse in grado di dormire, ma la questione era facoltativa ed egli, a differenza di Crowley che invece amava dedicarsi a quell'attività, non aveva quasi mai ceduto al fascino del sonno, impiegando le ore risparmiate per i fini più svariati, primo fra tutti la lettura.
Ma in quel momento si trovava fuori dal suo ambiente; non aveva con sé i suoi libri, il suo scrittoio, i suoi strumenti, né il grammofono con la sua collezione di vinili di musica classica e operistica (che comunque non avrebbe potuto ascoltare senza disturbare Crowley) e così Aziraphale stabilì che un pisolino fosse l'opzione migliore da adottare. Non ricordava a quando risalisse la sua ultima dormita, ma quanto poteva essere difficile? Sarebbe bastato rilassarsi, chiudere gli occhi e lasciarsi scivolare nell'oblio.
Ma, trascorsa una buona mezz'ora di vani tentativi, l'angelo si rigirò per l'ennesima volta tra le lenzuola e gli si mozzò il fiato quando vide la silhouette nera e arcuata di un corvo stagliarsi contro il vetro della finestra. L'animale diede un altezzoso Cra-Cra per poi volarsene via nella notte scura in un frullo d'ali.
Aziraphale prese qualche respiro profondo per permettere al suo cuore di rallentare dopo lo spavento. Sembrava che un cavallo imbizzarrito volesse bucargli il petto dall'interno.
Non aveva senso restare lì, semi-paralizzato dal terrore sotto le coperte a trasalire per ogni piccola sciocchezza. Al diavolo il suo stupido orgoglio! Avrebbe affrontato lo scherno di Crowley e le sue battutine, ma aveva bisogno di lui per poter placare quel turbamento che gli era rimasto addosso dopo il film.
Aziraphale fece materializzare una sfera di luce bianca tra le mani e si alzò, uscendo dalla camera.


Durante quella stessa mezz'ora, a due muri di distanza, il demone faceva di tutto per attrarre a sé il sonno, ma questo si beffava allegramente dei suoi richiami.
Davanti ad Aziraphale si era calato nella parte del duro e aveva fatto del proprio meglio per fingere una certa imperturbabilità di fronte alle scene mozzafiato di Paranormal Activity, ma ora che si trovava in quel letto da solo a fare i conti con l'abisso della propria mente, era tutta un'altra storia!
Razionalmente, sapeva che era assurdo, per non dire umiliante, che un demone (un demone!) subisse l'effetto sconvolgente di un film dell'orrore, per quanto ben fatto. Ma in più di un'occasione aveva avuto modo di constatare quanto l'immaginazione umana potesse spingersi oltre nel creare e dare forma agli incubi più orrendi, agli scenari più cupi, alle torture fisiche e psicologiche più aberranti, arrivando perfino a battere l'Inferno al suo stesso gioco. E così Crowley si ritrovava ora con i nervi tesi come una corda di violino e il suo cervello, preda della suggestione, gli dava continuamente l'impressione di vedere e udire cose spaventose.
In qualche modo, sapere che Aziraphale si trovasse a pochi metri da lui lo rassicurava, ma avrebbe desiderato poterlo avere ancora più vicino, sentire la sua presenza al proprio fianco in quel letto troppo grande.
Fu in quel momento che udì distintamente un suono di passi fuori dalla porta della camera e vide penetrare una lama di luce che si allargava sul pavimento.
La maniglia prese ad abbassarsi con inesorabile lentezza. Crowley scattò a sedere e, rispondendo ad un cieco istinto, afferrò la prima cosa che gli capitò tra le mani, ovvero un cuscino.
Quando la porta iniziò a ruotare sui cardini, il demone si sentiva un concentrato di adrenalina, pronto all'azione, a fronteggiare il pericolo in agguato, qualunque forma avesse assunto.
Prima che i suoi occhi potessero riconoscere la sagoma in piedi sulla soglia, Crowley lanciò un urlo di guerra (che, suo malgrado, assomigliò terribilmente a un grido di terrore) e scagliò il cuscino in quella direzione con tutta la forza che possedeva.
- Ahi! -
Aziraphale barcollò sotto il colpo di quel micidiale proiettile imbottito di piume e la sfera luminosa nella sua mano si spense.
Solo in quel momento Crowley venne assalito dal dubbio che il tremendo mostro appostato fuori dalla sua camera fosse in realtà nient'altro che il suo migliore amico.
- Ehm, angelo? Sei tu? -
- Ouch! Sì, Crowley. Chi altri doveva essere? -
Il demone accese l'abat-jour sul comodino e poté vedere l'angelo in mezzo al corridoio in penombra mentre recuperava il cuscino da terra e si accostava alla porta.
- Posso entrare? - chiese, fermandosi rispettosamente sulla soglia.
Crowley scrollò le spalle come a dire “fa' come vuoi, per me è indifferente”, sperando che il sollievo e la gioia provocati dal suo arrivo inaspettato non trasparissero.
Con una certa audacia scaturita dalla paura e dal bisogno di vicinanza con Crowley, Aziraphale salì sul letto dal lato accanto a quello occupato dal demone e sedette sul materasso a gambe incrociate.
La stranezza della situazione colse entrambi alla sprovvista e, per qualche secondo, non riuscirono neanche a guardarsi negli occhi a vicenda, troppo imbarazzati.
- Non riuscivo a dormire. - buttò lì Aziraphale, più che altro per interrompere quel silenzio sconcertato e surreale. - Ho pensato che, se fossi stato ancora sveglio, magari avremmo potuto fare quattro chiacchiere. Ma se ti disturbo... -
- Niente affatto! - ribatté Crowley, un po' troppo in fretta e con la voce esageratamente stridula per non destare qualche sospetto. Si schiarì la gola, cercando di assumere un timbro più profondo e controllato. - Voglio dire, neanch'io riesco a dormire. Chiacchieriamo pure, se ti va... -


Restarono svegli a parlare del più e del meno per un po' e i loro cuori si fecero più leggeri, i loro nervi meno tesi, le impressioni terrificanti del film meno vivide nelle loro menti, ora più rilassate.
La presenza di Aziraphale era un toccasana per Crowley come quella di Crowley lo era per Aziraphale.
Quando finalmente i due si sentirono sufficientemente affrancati dai terrori di poco prima, Aziraphale gettò alla porta uno sguardo esitante. Non voleva andarsene e tornare in quella camera, ma che figura avrebbe fatto se avesse chiesto a Crowley di rimanere nel suo letto? Come minimo, il demone sarebbe scoppiato a ridergli in faccia e l'avrebbe sbeffeggiato per il resto delle loro vite eterne.
- Ehm, suppongo che ora dovrei tornare di là. -
Crowley finse un improvviso interesse per le sue iniziali ricamate sull'angolo del lenzuolo, iniziando a seguirle distrattamente con l'indice.
- Be', potresti... potresti anche rimanere qui, per stanotte. Sempre che condividere il letto con un demone non sia troppo blasfemo per i tuoi standard. -
Aziraphale lo guardò, stupefatto e incapace di credere a ciò che le sue orecchie avevano appena udito. - Parli sul serio? -
Ancora una volta, Crowley si esibì in quella scrollatina di spalle. - Perché no? Insomma, se ti va, ovviamente. -
Il volto dell'angelo si aprì in un sorriso radioso che scosse le fondamenta stesse dell'animo del demone, come un terremoto scuote le fondamenta di un edificio.
Non senza un'imbarazzata goffaggine, Aziraphale si sdraiò vicino a Crowley tirandosi le coperte fino al petto e stringendole a sè, colmo di una strana felicità che, ne era certo, non poteva dipendere solo dal sollievo di non rimanere da solo quella notte.
Con movimenti altrettanto ingessati, il demone spense l'abat-jour e si coricò a sua volta su un fianco, dando le spalle all'angelo ma perfettamente conscio del suo corpo disteso a pochi centimetri da sé. Riusciva a sentirne il respiro e quasi ne percepiva il battito cardiaco che riverberava sul materasso.
- Crowley? - chiamò Aziraphale, soffocando uno sbadiglio.
- Sì, angelo? -
- In realtà, non riuscivo a dormire perché quel film mi ha terrorizzato. - confessò candidamente.
- Già. - il demone se ne uscì con quel laconico commento che sembrava non voler dire assolutamente nulla e non aggiunse parola, ma Aziraphale indovinò i suoi pensieri e sorrise. Non gli avrebbe rinfacciato la cosa, non quella notte almeno.


Paradossalmente, fu proprio Aziraphale a scivolare nel sonno per primo.
Crowley si accorse del suo respiro profondo e regolare e capì che l'angelo si era addormentato. Per un po' cercò di combattere l'impulso a girarsi verso di lui, anche perché temeva di svegliarlo al minimo movimento. Ma alla fine non poté più opporsi a quel desiderio insopprimibile, come il mitologico Orfeo cedette all'istinto di voltarsi per guardare la sua Euridice firmando la propria condanna all'infelicità.
Si mosse con la massima cautela, trattenendo il respiro, ma Aziraphale sembrava dormire quel sonno sereno e pacifico che nulla avrebbe potuto disturbare. Un risultato davvero notevole per qualcuno che non dormiva mai.
Crowley si girò completamente sul fianco e appoggiò il viso al cuscino. L'angelo era a un soffio da lui, sarebbe bastato un gesto impercettibile per annullare l'esigua distanza tra loro.
Il demone si prese qualche minuto per studiare i lineamenti del suo migliore amico fin nei minimi particolari, quei particolari che gli erano divenuti così indicibilmente cari in quei secoli di amicizia. Secoli che, almeno per lui, avevano assunto significato solo in funzione di quel legame con il più improbabile degli esseri: un angelo, nientemeno!
Non avrebbe saputo prevedere cosa il futuro riservasse loro, non avrebbe saputo dire dove il corso delle loro vite immortali li avrebbe portati, ma, mentre osservava il volto di Aziraphale placidamente immerso nel sonno, gli affiorò alla mente un'unica, irrefutabile certezza: sarebbero stati insieme. Dovunque e per sempre.


Aziraphale si destò alle prime luci dell'uggiosa alba novembrina.
Nel giro di pochi secondi, il torpore degli ultimi rimasugli di sonno si dileguò e l'angelo poté ricordare ogni singolo dettaglio della catena di eventi che l'avevano spinto a passare la notte nel letto di Crowley.
Quella del risveglio era una sensazione estranea e inconsueta per lui, ma non la trovò per nulla sgradevole. Il tepore delle coltri, la morbidezza delle lenzuola profumate e del pigiama di seta lo stavano gradualmente riaccompagnando alla veglia e Aziraphale si godette ciascuna di quelle sensazioni nuove.
Quando girò lentamente la testa sul cuscino vide il demone ancora profondamente addormentato, tutto scomposto, con una gamba sopra le coperte e un braccio abbandonato di lato che penzolava inerte dal letto, le labbra lievemente dischiuse e il petto che si alzava e si abbassava dolcemente, assecondando il ritmo calmo del suo respiro.
Quella visione fece sorridere Aziraphale. Non capitava tutti i giorni di vedere un demone infernale dormire come il più innocente dei bambini.
L'angelo si tirò su a sedere sul materasso, stiracchiandosi cautamente per non disturbare il riposo di Crowley, dopodiché si alzò e, con un unico schiocco di dita, si ritrovò rasato e vestito di tutto punto, pronto per iniziare la giornata. Piegò con attenzione il pigiama celeste e lo depose ordinatamente sul cuscino.
In quel momento, Crowley si mosse nel sonno e borbottò qualcosa di incomprensibile, anche se Aziraphale fu quasi certo di aver distinto piuttosto chiaramente la parola “angelo”.
Sorrise di nuovo e, a un tratto, fu colto da una strana epifania, come una folgorazione che gli apriva gli occhi su un'evidenza tanto semplice, tanto ovvia da sembrare banale, ma che riversò nel suo cuore un'ondata di calore e felicità, instaurando in lui un'incrollabile, assoluta convinzione: lui e Crowley sarebbero rimasti insieme in eterno, indipendentemente da tutto ciò che avrebbe potuto intervenire per separarli, che si trattasse di un intero esercito di angeli e demoni o addirittura dell'Apocalisse.
Forse avrebbe perfino rivalutato l'idea di dormire, a patto che Crowley fosse stato al suo fianco anche nelle notti a seguire.




* Stephen Sondheim è un compositore, paroliere e drammaturgo americano che viene citato da Crowley nella 1x01. Nel 1979, ha effettivamente scritto le musiche e i testi di una delle tante versioni teatrali di Sweeney Todd.



Nota:

Letta e riletta decine di volte, modificata altrettante, questa shot continua a non convincermi pienamente per quanto riguarda l'IC. Mi rendo conto di aver umanizzato molto sia Crowley che Aziraphale e forse è proprio questo a farmi storcere il naso.
Spero comunque che questa storia fluffosa vi sia piaciuta. <3

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Made in heaven ***


heaven

A M., sempre con me... ovunque tu sia.




When stormy weather comes around

It was made in heaven

When sunny skies break through behind the clouds

I wish it could last forever, yeah

Wish it could last forever, forever

Made in heaven



Made in heaven, Queen, 1995





L'angelo se n'era andato, lasciando Crawly in piedi sul muro di cinta che circondava l'Eden lungo il versante ad est, in compagnia dei dubbi che gli aveva appena esposto riguardo a quella faccenda della mela proibita e che l'altro aveva, contro ogni previsione, affermato di ricambiare.
Che tipo strano” aveva pensato il demone, sforzandosi di accostare l'immagine bonaria e un po' impacciata del suo interlocutore a quella austera e boriosa degli angeli che lui ricordava. Da che avesse memoria, questi erano sempre stati esseri fieri e gloriosi, eretti in tutta la loro mirabile altezza e splendenti del fulgore delle aure celesti che emanavano intorno a sé; un ritratto di imponente, granitica bellezza intaccata però dagli occhi di ghiaccio e dai volti severi e spigolosi, come se fossero stati scolpiti nella pietra più dura dalla mano di un artista talentuoso ma al quale era completamente estranea la parola “pietà”.
Eppure in quell'angelo, in quell'Aziraphale, c'era qualcosa di diverso. Splendidamente diverso.
Gli aveva rivelato il proprio nome con un sorriso timido mentre spiegava una delle sue grandi ali per offrirgli riparo dalla pioggia, atto alquanto generoso considerando la loro posizione di nemici ancestrali e predestinati.
Tanto per cominciare, gli aveva confidato di essere preoccupato e Crawly sapeva che gli angeli non si preoccupavano mai perché, molto semplicemente, non nutrivano dubbi né incertezze in merito al proprio operato né, tanto meno, sulla rettitudine indiscussa di ogni sacro ordine impartito dall'Altissimo che essi si limitavano ad eseguire con la massima efficienza e ricavandone una certa soddisfazione personale che li faceva gonfiare d'orgoglio come pavoni altezzosi.
In secondo luogo, quel buffo angelo biondo dal viso paffuto aveva donato ai due umani peccatori nientemeno che la sua spada di fuoco. Non solo, era giunto a quella decisione in completa autonomia, senza mettere al corrente i suoi superiori e commettendo, in tal modo, un'azione illecita alle spalle dell'Onnipotente. Aveva fegato da vendere, il biondino! E tutto perché si era preso a cuore la sorte di quelle creature rinnegate e indifese che, nella loro audace ma cieca arroganza, si erano appena macchiate di un'onta che avrebbe pesato sulla loro stirpe per sempre.
Crawly si scoprì a sorridere tra sé. Quell'Aziraphale gli suscitava un'istintiva simpatia. Aveva avuto come l'impressione che egli potesse capirlo, che tra loro si fosse spontaneamente instaurata un'intesa particolare che mai, prima di allora, aveva sperimentato con un altro essere, divino o infernale.
Erano rimasti fianco a fianco per tutta la durata del temporale, senza dire nulla ma consapevoli della reciproca presenza e limitandosi ad osservare con interesse quel nuovo fenomeno atmosferico che reclamava il suo spazio nell'ordine universale delle cose.
Si trattava di uno spettacolo talmente spaventoso a vedersi, che Crawly e Aziraphale si trovarono a formulare silenziosamente la stessa riflessione: le abilità creative e creatrici di Dio erano incredibilmente versatili. Egli poteva dar vita alla più piccola e innocente delle creature così come scatenare i più impressionanti cataclismi. Del resto, il mite agnello era opera Sua tanto quanto la tigre feroce.*
Quando il furore della tempesta si era infine placato, Crawly e Aziraphale si erano scambiati qualche stentata parola di commiato, adducendo come scusa la necessità impellente di tornare dai rispettivi dirigenti per riferire l'accaduto e ricevere nuove disposizioni. Ma in cuor loro, nessuno dei due aveva rinunciato senza rimpianti alla compagnia dell'altro. Le strade dei demoni difficilmente incrociavano quelle degli angeli e l'eventualità che si rivedessero in futuro era molto improbabile.
Eppure, se gli fosse stato chiesto, Crawly avrebbe potuto asserire con inesplicabile certezza che l'incontro appena avvenuto sarebbe stato solo il primo passo di un lungo percorso che l'avrebbe portato, da quel momento in poi, ad intrecciare spesso il proprio destino con quello di Aziraphale. Si trattava di un pensiero del tutto privo di ogni fondamento razionale, ma il demone ne era intimamente convinto.
Un timido raggio di sole dorato si fece largo tra gli ultimi nuvoloni e andò a posarsi sul viso del demone come se intendesse accarezzarlo o benedirlo. Crawly chiuse gli occhi e lasciò che quel tocco tiepido lo pervadesse, infondendogli la forza di abbandonare l'Eden per rientrare all'Inferno, luogo in cui l'unica fonte di luce della quale egli potesse godere era quella del sempiterno fuoco che consumava ogni cosa.
Con un sospiro rammaricato si preparò a fare ritorno ai piani inferiori dove, con ogni probabilità, sarebbe stato accolto con grandi onori, pacche sulle spalle e grida entusiastiche per l'impresa appena compiuta che aveva dato lustro e gloria a tutta la fazione infernale. Dopotutto, instillare la scintilla del Male nel Paradiso Terrestre non era cosuccia da poco. Quella prima violazione avrebbe corrotto la razza umana nei millenni a venire e lui, Crawly, si era fregiato del titolo di Diavolo Tentatore per eccellenza. Forse avrebbe perfino ottenuto una promozione a Duca o qualche altro encomio speciale da Satana in persona.
Curioso: la prospettiva di essere acclamato ed elogiato dagli altri demoni e dai suoi superiori non lo rallegrava per niente, gli faceva anzi provare un moto di fastidio e ribrezzo. Non si sentiva un eroe, Crawly. Affatto. Forse non si era mai sentito più lontano da quella definizione.
Il demone s'incamminò nel giardino primordiale, deciso almeno ad assaporare qualche boccata di quell'aria pura e piacevolmente frizzante prima di tornare agli antri bui, rocciosi e inospitali dell'Inferno. Era giunto fin lì e aveva portato a termine il suo compito con zelo e diligenza: tanto valeva concedersi un giro turistico e dare un'occhiatina qua e là.
I suoi piedi nudi affondavano nella terra morbida e accogliente ancora umida della pioggia che l'aveva appena fecondata, l'erba gli faceva il solletico e le sue narici erano sature di odori vibranti di vita. Un bel sollievo rispetto al lezzo sterile dello zolfo che egli era costretto ad inalare giù all'Inferno, dove nulla poteva nascere o crescere.
Crawly passeggiava con calma, cercando di imprimere nella sua mente quante più sensazioni potesse catturare in quel luogo ameno; dal canto melodioso degli uccellini ai colori sgargianti della vegetazione rigogliosa e lussureggiante. Voleva riempirsi l'anima di tanta meraviglia, colmarla fino all'orlo di quella pacifica bellezza. Se non altro, ne avrebbe conservato il ricordo una volta rientrato alla base.
Giunto in prossimità di un limpido ruscello gorgogliante, Crawly s'inginocchiò e immerse una mano nell'acqua fresca. In quel momento, il suo sguardo intercettò il proprio riflesso sulla superficie cristallina e il demone trasalì alla vista dei propri occhi d'oro striati di nero. Era stato bandito all'Inferno da moltissimo tempo ormai, più di quanto potesse ricordare, ma la reazione che quel particolare del suo aspetto gli suscitava era sempre la stessa ogni singola volta. Quelle iridi da rettile gli conferivano un'aria selvatica e infida; rivelavano l'essenza stessa della sua natura dannata, impossibile da celare perfino a se stesso. Certo, ad alcuni dei Caduti era andata molto peggio; almeno Crawly poteva dirsi grato del fatto di non aver assunto una forma ripugnante e mostruosa come quella di Hastur, Ligur, Dagon o dello stesso Beelzebub. Ma quella minuzia degli occhi da serpente l'aveva sempre disturbato. Avrebbe dovuto trovare un modo per camuffarli.
Il demone si appuntò mentalmente quell'idea e fece per alzarsi dalla sponda del torrente quando qualcos'altro attrasse la sua attenzione: un dettaglio bianco che stonava vistosamente contro il nero della sua veste e il rosso acceso dei suoi capelli.
Guidato dalla propria immagine riflessa, Crawly si portò una mano alla spalla sinistra e si tolse una candida piuma che gli era rimasta impigliata tra il tessuto della toga e un ricciolo ribelle.
Il demone la osservò stupito e incantato, come se si fosse trattato di un gioiello di inestimabile valore. Doveva essere caduta dall'ala che Aziraphale aveva dispiegato sopra la sua testa per proteggerlo dal temporale.
Crawly l'accarezzò con un dito. Era così leggera, così soffice, di un candore a dir poco stupefacente. Sembrava impossibile che le immense e forti ali degli angeli fossero costituite da unità all'apparenza tanto piccole e fragili.
Un tempo, anche lui aveva posseduto quelle stesse ali tanto immacolate e perfette che potevano essere state create solo in Paradiso dalle sapienti mani dell'Onnipotente. Le ricordava bene, Crawly: erano vaporose e morbide come nuvole ma energiche e poderose quando si trattava di librarsi tra le stelle appena accese nel firmamento. Catturavano la loro luce e la rifrangevano tutt'intorno in un lampo di lattea lucentezza.
Ma ora non più. Ora le sue ali erano nere come una notte di luna nuova, le piume sempre in disordine e arruffate. Ancora forti, sì; ancora maestose e possenti ma cupe e oscure, quasi minacciose alla vista.
D'altra parte, il bianco era una prerogativa del Paradiso, della Luce, della Maestà divina. Ai demoni infernali non era concesso indossare quel segno di nobiltà e grazia, anzi essi stessi lo ripudiavano con disprezzo in quanto simbolo privilegiato di Colui che li aveva rinnegati e condannati all'esilio.
Crawly fece per lasciare la presa delle dita sulla piuma per affidarla alla corrente del ruscello, ma all'ultimo momento cambiò idea e se la nascose sotto le vesti, all'altezza del cuore.
Avrebbe conservato quell'unico minuscolo frammento di Paradiso in ricordo di ciò che era stato e non era più, di ciò che aveva perduto per sempre e, perché no, anche di quel buffo angelo che l'aveva fatto sentire bene per la prima volta da quando era stato precipitato nell'Abisso sulfureo.


Molti secoli più tardi, se qualcuno avesse sbirciato nella cassaforte del lussuoso appartamento di Mayfair registrato a nome di Anthony J. Crowley, avrebbe potuto scorgere una curiosa serie di oggetti: un thermos decorato in tartan, dei guanti di gomma con un grembiule da lavoro abbinato… e un'antica scatola di legno finemente intarsiata. La decorazione sul coperchio rappresentava una mela avvolta tra le spire di un serpente.
Se quello stesso ipotetico qualcuno avesse forzato l'apertura dello scrigno, probabilmente aspettandosi perle, ori, diamanti o un altro genere di quei beni che solitamente si custodiscono in quel tipo di pregiato contenitore, sarebbe rimasto assai sorpreso e forse anche un po' deluso di trovarvi null'altro che una singola piuma nivea.
Ma quella piuma dall'aspetto così insignificante era stata fatta in Paradiso e al Paradiso sarebbe sempre appartenuta se, un giorno lontano, un angelo di innata bontà non avesse offerto la sua ala a un demone per ripararlo dalla prima pioggia che il mondo avesse mai conosciuto e, in quell'occasione, essa non si fosse staccata dalle sue sorelle per andare a posarsi leggiadra proprio sulla spalla di quello stesso demone, il quale, da allora, la conservava come il più prezioso dei tesori che potesse esistere in cielo, mare e terra.
Ed ecco che allora quella piuma non apparteneva più al Paradiso, ma a colui che la custodiva gelosamente da millenni come un dolce segreto nascosto nei meandri più reconditi della sua anima e che, di tanto in tanto, nel cuore della notte alla quale si sussurrano i desideri, tornava a cullare con dedizione e tenerezza al riparo dagli occhi indiscreti del mondo.




*The Lamb (L'Agnello), pubblicata nel 1789, e The Tyger (La Tigre), pubblicata nel 1794, sono due poesie del poeta e incisore inglese William Blake che vengono spesso messe a confronto e indicate come complementari. Il poeta si chiede quale forza creatrice sia stata in grado di dare vita a due creature tanto diverse.



Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Jealousy ***


j

Oh jealousy you tripped me up

Jealousy you brought me down

You bring me sorrow you cause me pain

Jealousy when will you let go?

Gotta hold of my possessive mind

Turned me into a jealous kind

How how how all my jealousy

I wasn’t man enough to let you

hurt my pride

Now I’m only left with my own jealousy



Jealousy, Queen, 1978





Aziraphale tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo, aspettando che lo snervante Tùù-Tùù del telefono accostato al suo orecchio venisse sostituito dalla voce di Crowley.
Quando finalmente il demone rispose, l'angelo liberò il respiro che solo a quel punto si accorse di aver trattenuto.
- Ciao Crowley. Come stai? -
- Oh, non c'è male. - rispose l'altro, vago.
Ed ecco la prima goccia di pioggia sul morale di Aziraphale, il quale si sarebbe aspettato come minimo che l'amico gli restituisse la domanda, anche solo per dovere di cortesia, anche solo con un misero: “e tu?”. Ma ciò non avvenne e l'angelo proseguì, sforzandosi di conservare un tono allegro.
- Senti, ehm... ti andrebbe di pranzare insieme oggi? Hanno aperto un nuovo ristorante thailandese qui vicino e... -
Il demone non gli permise neppure di portare a termine la frase. - Mi dispiace, angelo, ma temo di avere già un impegno. -
Aziraphale venne afferrato dalla solita sgradevole sensazione che provava ultimamente quando Crowley rifiutava di vederlo; era come ricevere una secchiata d'acqua gelida dritta sulla testa... acqua gelida e mattoni. Una secchiata di mattoni fatti di ghiaccio.
- Capisco. - mormorò Aziraphale, senza neanche preoccuparsi di mascherare la propria delusione dietro una parvenza di leggerezza.
- Scusa, ora devo proprio andare. - si congedò Crowley, frettoloso. - Ti chiamo io, d'accordo? -
- Ma Crowley, va tutto... ?- iniziò, ma la voce del demone era stata di nuovo sostituita dall'ipnotico suono che annunciava la linea libera. Aveva riattaccato senza nemmeno attendere la sua risposta, senza neanche aspettare di ricevere un suo saluto.
Aziraphale esalò un lungo sospiro rassegnato e ripose la cornetta.
Era l'ennesima volta in poco più di due settimane che il suo migliore amico declinava la sua offerta di trascorrere qualche ora in reciproca compagnia, accampando scuse generiche che avevano un inequivocabile retrogusto amaro di bugia.
L'angelo non riusciva a figurarsi un motivo valido per quel suo comportamento. Aveva anche passato mentalmente in rassegna i loro ultimi incontri, nel tentativo di individuare una frase sbagliata o un gesto casuale e involontario che avessero potuto offenderlo e farlo allontanare da lui; ma non era riuscito a trovare alcun ricordo che potesse far propendere per quella spiegazione. Tra loro non c'era stato nessun litigio, nessuna discussione, neanche un piccolo diverbio che fosse in grado di fornire un pretesto a quella sequela di inviti rigettati.
Doveva esserci un'altra ragione, per forza.
Aziraphale non riteneva probabile che Crowley stesse passando dei guai con i suoi dirigenti, poiché quelle rare volte che lo incontrava o che lo contattava al telefono, il demone gli pareva più distratto che preoccupato. Del resto, sia il Paradiso che l'Inferno, memori di ciò che era accaduto il primo giorno dopo la mancata Apocalisse, sembravano aver rinunciato (almeno temporaneamente) all'idea di vendicarsi di loro.
Era piuttosto come se l'amico avesse continuamente la testa fra le nuvole, come se tutta la sua mente fosse occupata da pensieri segreti ai quali Aziraphale non aveva accesso, dai quali era escluso. Ogni volta che l'angelo provava ad affrontare l'argomento, Crowley svicolava e cambiava discorso all'istante, eludendo le sue domande.
Aziraphale si sforzava di non prendersela; dopotutto era un diritto del demone quello di tenere per sé certi aspetti della propria vita. Non era tenuto a condividere tutto con lui, anche se era il suo migliore amico; anche se avevano alle spalle ben seimila anni di vissuti comuni; anche se insieme avevano contribuito a fermare l'Armageddon (più o meno); anche se si erano salvati la vita a vicenda scambiandosi i corpi... Oh, al diavolo! Chi voleva prendere per il naso?! Certo che Crowley era tenuto a metterlo al corrente di ciò che gli stava capitando, e il fatto che questo non fosse ancora avvenuto poteva significare solo una cosa: lui, Aziraphale, non avrebbe approvato.
Ma, qualunque fosse la misteriosa motivazione, essa stava tenendo il demone lontano da lui e tanto bastava per disapprovare a priori.
Il non sapere lo mandava ai matti. Avrebbe di gran lunga preferito essere messo a parte di una verità spiacevole piuttosto che sostare in quel limbo di dubbi e incertezze.


Ma, per un crudele scherzo del destino (o forse dell'Onnipotente), quella verità spiacevole gli venne accidentalmente rivelata un pomeriggio della settimana seguente.
Quella mattina Aziraphale aveva invitato Crowley a bere un tè, ma la sua proposta era andata a sbattere contro il solito muro di “No”.
- Mi dispiace, angelo, ma ho un impegno. -
- Sei sempre impegnato! - aveva sbottato Aziraphale senza riuscire a trattenersi. - Non so perché, ma mi stai evitando. È evidente! -
- Ma che dici? Non essere sciocco! -
- Allora dimmi cosa sono tutti questi “impegni” che ti impediscono di trovare anche solo un'ora di tempo per una maledettissima tazza di tè. -
Crowley era rimasto in silenzio per qualche secondo, forse spiazzato dall'imprecazione dell'angelo.
- Senti, - aveva poi esordito con voce più conciliante. - sto portando avanti un, ehm... un affare piuttosto delicato. Sono a un passo dall'ottenere ciò che voglio ed è davvero importante, quindi ti prego di avere ancora un po' di pazienza. Ti spiegherò tutto quando questa storia sarà finita. -
Poi era accaduta una cosa al limite del bizzarro: Aziraphale aveva udito distintamente una voce in sottofondo. Una voce femminile!
- Crowley? Ma c'è qualcuno lì con te? - aveva domandato, incredulo.
- Ma certo che no! È solo la ehm... la televisione. - aveva ribattuto l'altro, la voce fattasi improvvisamente acuta e nervosa. - Ora devo andare. Stammi bene, angelo. -
Il demone aveva riagganciato in tutta fretta e Aziraphale era rimasto ancora una volta solo con l'irritante Tùù-Tùù del telefono a pulsargli nell'orecchio.
Non era la televisione. Aziraphale era certo di ciò che aveva sentito e, a meno che la BBC non stesse trasmettendo una soap opera in cui una donna chiamava “Anthonyyy? Vieni o no? Lo champagne si riscalda.”, c'era decisamente qualcuno nell'appartamento insieme a lui.
Che egli sapesse, Crowley non riceveva mai visite a casa, a meno che l'ospite non fosse lui, ovviamente, e se non si contava quella volta in cui Hastur e Ligur si erano presentati alla sua porta per catturarlo e portarlo all'Inferno: visita che si era conclusa con la tragica dipartita di Ligur per mezzo di una formidabile secchiata di acqua santa.
No, Crowley non era proprio il tipo da inviti e la sua ristretta cerchia di amici si componeva fondamentalmente di un unico individuo: Aziraphale stesso.
Ma allora come poteva spiegarsi ciò che aveva udito? Chi poteva mai essere quella donna? Cosa ci faceva in casa del demone e per quale dannata ragione il suo migliore amico non gliene aveva mai fatto cenno?
Aziraphale si era macerato in quelle domande fino al pomeriggio, quando aveva stabilito che un po' d'aria fresca gli avrebbe fatto bene per distrarsi e ritrovare la lucidità.
Dato che il suo invito era stato declinato, sarebbe andato da solo a bersi quella tazza di tè. D'altra parte, non aveva certo bisogno di Crowley al suo fianco per ogni minima cosa, no? Insomma, non stava scritto da nessuna parte che lui non potesse uscire in compagnia unicamente di se stesso, di tanto in tanto.
Arrivò alla sala da tè e sedette al solito tavolino rotondo, fingendo che la visione della sedia vuota di fronte a sé non lo disturbasse affatto.
Ordinò una tazza di rooibos* aromatizzato al cacao e si guardò intorno, rigirandosi i pollici a disagio. Il locale era pieno di coppiette e gruppi di amici che ridevano e chiacchieravano spensieratamente tra loro. Quante volte lui e Crowley si erano seduti a quello stesso tavolo, parlando di tutto e di niente. Quante volte il demone l'aveva preso in giro per il fatto che, dopo aver sfogliato la carta dei dolci per mezz'ora, egli scegliesse sempre la solita fetta di torta alle fragole e crema chantilly, della quale gli offriva ogni volta un assaggio.
La nostalgia lo assalì come un animale feroce, che lo strinse tra i suoi artigli affilati. Non era la stessa cosa senza Crowley. Il suo migliore amico gli mancava terribilmente e neanche l'aroma squisito del rooibos fumante riuscì a cancellare il sapore amaro che Aziraphale avvertiva in gola.
A un tratto, l'angelo alzò lo sguardo desolato verso la finestra e fu allora che la vide: una Bentley d'epoca tirata a lucido parcheggiata proprio lì di fronte, dall'altro lato della strada.
Aziraphale ebbe un tuffo al cuore: quell'auto poteva appartenere solo a una persona. Che Crowley avesse cambiato idea e avesse deciso di raggiungerlo?
Ma ben presto fu chiaro che quell'ipotesi fosse da scartare perché davanti agli occhi allibiti dell'angelo si svolse una scena che ebbe dell'inverosimile.
Crowley camminava verso la macchina ma non era solo; accanto a lui, appesa al suo braccio e con il corpo decisamente troppo vicino a quello del demone, c'era una donna. Aziraphale calcolò che dovesse avere circa quarant'anni: era alta (o forse era solo merito dei tacchi vertiginosi che indossava), il fisico slanciato ma formoso fasciato in un tailleur dalla scollatura generosa, la gonna troppo corta le lasciava scoperte le lunghe gambe e i folti capelli biondi le incorniciavano un viso dai lineamenti forse un un po' troppo marcati ma, nell'insieme, non sgradevole. Le sue labbra carnose scolpite dal rossetto (e quasi sicuramente da un piccolo aiutino da parte di qualche chirurgo plastico) erano distese in un sorriso smagliante, come se stesse ridendo per una battuta particolarmente esilarante.
Crowley, dal canto suo, sembrava non dispiacersi della vicinanza con quella donna e rideva a sua volta. Quando arrivarono alla Bentley, il demone aprì lo sportello del passeggero e, usando una certa galanteria, aiutò la sua accompagnatrice a salire a bordo, dopodiché fece il giro per raggiungere il posto di guida. Aziraphale si ritrasse dalla finestra nel timore che il demone volgesse lo sguardo verso la sala da tè e lo sorprendesse lì ad osservarlo. Quando osò accostarsi di nuovo alla vetrata, la Bentley stava già sfrecciando verso quella che era inconfondibilmente la direzione per Mayfair.
A un tratto, Aziraphale si sentì travolgere da un accesso di vertigini e un moto di nausea. Lasciò a metà la tazza di tè e abbandonò la fetta di torta praticamente ancora intatta. Si recò alla cassa per pagare e si precipitò fuori dal locale, il cui interno si era fatto improvvisamente soffocante, insopportabile.


L'angelo rientrò alla libreria come alla cieca. I suoi piedi lo conducevano automaticamente verso la meta, ma la sua testa non ne voleva sapere di concentrarsi sul tragitto. La scena alla quale aveva appena assistito l'aveva lasciato scosso, deluso, triste, arrabbiato.
Allora era quello l'affare a cui Crowley si riferiva? Be', l'affare in questione aveva un gran bel paio di gambe e una dotazione di curve da fare invidia a un circuito di Formula 1.
Non avrebbe mai pensato che il demone potesse provare quel tipo di interesse per gli esseri umani ma, forse, dopo tutto quel tempo trascorso sulla Terra, aveva deciso di aprirsi a nuove esperienze. O magari Crowley aveva già avuto avventure carnali di cui egli non era al corrente. In fondo doveva ammettere che nell'arco dei secoli, lui e l'amico non si erano frequentati molto assiduamente, almeno non fino agli ultimi anni. Che ne sapeva delle attività alle quali il demone si dedicava quando non era impegnato a indurre in tentazione i mortali? Che ne sapeva delle sue frequentazioni, dei suoi passatempi, dei suoi svaghi, del modo in cui era solito occupare il proprio tempo?
Aziraphale aveva trovato le sue piccole distrazioni nella lettura, nella musica, nel cibo, nell'arte dell'illusionismo... forse Crowley aveva scovato i suoi diversivi nella lussuria, nel piacere procuratogli dai corpi altrui. Gli angeli erano, per loro natura, del tutto estranei a quel tipo di appagamento, ma forse i demoni... se avessero voluto...
Sarebbe stato del tutto normale, e comunque Aziraphale sapeva che la faccenda non lo riguardava. Eppure non poteva fare a meno di sentirsi ferito, amareggiato e... tradito.
Si sorprese a sbattere la porta della libreria con una veemenza che non gli apparteneva. Che gli stava succedendo? Perché, tutto d'un tratto, si sentiva come se il suo animo fosse stato avvelenato? Cos'era quella bile che si stava impossessando dei suoi pensieri, corrompendoli?
L'angelo si rese conto di quelle potenti sensazioni aliene e ne fu spaventato. Doveva fare qualcosa, dedicarsi ad un'occupazione che potesse distoglierlo dal ricordo di quanto aveva visto.
Decise di riordinare la sezione della libreria dove conservava le opere di Shakespeare, tanto avrebbe dovuto farlo comunque, prima o poi.
Aziraphale prese un treppiedi, si rimboccò le maniche e si mise al lavoro.


L'impresa di riordino si rivelò più infruttuosa di quanto Aziraphale avesse sperato.
Per quanto tentasse di canalizzare la propria attenzione sui volumi polverosi, questa sfuggiva ad ogni briglia per tornare sempre all'immagine di Crowley e della donna misteriosa abbracciata a lui.
- Maledizione! - inveì Aziraphale, tirando un pugno allo scaffale per poi emettere un gemito di dolore: quel legno massello era più duro di quanto credesse. Il suo gesto aveva scosso leggermente la mensola e quella minima vibrazione aveva fatto sì che uno dei libri in bilico sulla superficie cadesse a terra, aperto sul dorso.
Aziraphale si stava ancora massaggiando la mano dolorante ma si affrettò a scendere dal treppiedi e a sollevare il malcapitato tomo, sentendosi lievemente in colpa per averlo fatto precipitare dallo scaffale. L'occhio gli cadde su una delle pagine alle quali il libro si era spontaneamente aperto nell'impatto con il suolo.
Si trattava di un passo dell'Otello, atto III, scena III:
Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Beato vive quel cornuto il quale, conscio della sua sorte, non ama la donna che lo tradisce: ma oh, come conta i minuti della sua dannazione chi ama e sospetta; sospetta e si strugge d'amore!
L'angelo lesse quelle accorate parole di avvertimento più e più volte, come incantato e, all'improvviso, tutto gli fu chiaro. Era questo che provava? Gelosia? Questa era la spiegazione che si celava dietro alla fiele che gli stava corrodendo anima e mente?
Aziraphale si lasciò cadere su una poltrona, con il volume ancora aperto tra le mani. Non aveva mai capito a fondo il dramma di Otello: la gelosia era un sentimento che gli era ignoto, non gli apparteneva e non l'aveva mai sperimentato. Ma ora, con davanti a sé il vivido fotogramma mentale di Crowley e della sconosciuta avvinghiata al suo braccio che ridevano per qualcosa che a lui non era dato sapere, il tragico eroe shakespeariano aveva tutta la sua comprensione.


Da quel giorno, Aziraphale non provò più a contattare Crowley. Cessò di telefonargli, di implorare la sua compagnia, di elemosinare un po' di quell'attenzione che, a quanto pareva, il demone dedicava interamente alla sua nuova fiamma.
Fu Crowley stesso a farsi vivo una settimana dopo.
Il telefono della libreria squillò e Aziraphale rispose, la voce un po' più brusca del solito. - Mi dispiace, ma temo che siamo proprio chiusi. -
- Angelo, sono io. Ma si può sapere dove sei sparito negli ultimi giorni? -
Aziraphale si sentì mancare. Nonostante il veleno della gelosia non si fosse ancora stemperato, risentire la voce dell'amico gli provocò una scintilla di gioia.
- Non sono sparito da nessuna parte, caro. - rispose, sforzandosi di non lasciar trasparire alcun sentimento. - Ero qui come sempre, solo che, sai, ero impegnato. -
- Ah. - Crowley rimase interdetto, evidentemente non gli era sfuggita la pungente sfumatura sarcastica, ma si riprese quasi subito. - Senti, pensavo di passare a trovarti oggi pomeriggio. Devo mostrarti una cosa che ti farà piacere. -
Aziraphale pensò che quella fosse l'occasione perfetta per restituire pan per focaccia al demone e, per quanto ogni cellula del suo corpo materiale e spirituale premesse per fargli accettare la proposta, l'angelo s'impose con fermezza di non farlo.
- Oh, non lo so, Crowley. Sai, sono molto occupato e non credo che troverei il tempo. -
L'interpretazione non gli riuscì per nulla convincente. Le sue doti attoriali erano sempre state oltremodo scarse.
- Angelo? Che ti prende? Mi dici per quale motivo ti comporti in modo tanto strano? -
- Strano? Trovi che io sia strano, caro? Non so cosa dirti, sono sempre il solito. -
- Smettila, Aziraphale. - gli intimò Crowley, severo. - Con questa tua patetica performance stai facendo rivoltare nella tomba tutti i grandi attori e drammaturghi del passato, oltre a insultare la mia intelligenza. Allora, cosa c'è? Perché sei arrabbiato con me? Ho forse fatto o detto qualcosa di male? -
Aziraphale avrebbe voluto fare il sostenuto ancora per un po', invece...
- FATTO O DETTO QUALCOSA DI MALE?! - esclamò. - Tu... tu sei l'essere più irritante e incredibile che abbia mai conosciuto! Ti fai negare per settimane senza darmi la minima spiegazione, mi dai buca ogni volta che ti propongo di vederci e non ti degni di farmi neanche una telefonata se non sono io a cercarti. E poi cosa succede? Ti trovo in compagnia di quella... quella sciacquetta tutta curve e silicone che ride come una cretina e ti si struscia contro mangiandoti con gli occhi! Proprio il giorno in cui ti avevo invitato a bere una tazza di tè e tu hai rifiutato blaterando qualcosa riguardo a un affare delicato che stavi per portare a termine. Be', il tuo affare non mi è parso poi un granché, lasciatelo dire, caro! -
Il silenzio che seguì venne intaccato solo dall'ansimare tremante di Aziraphale, intento a riprendere fiato dopo quello sfogo.
- Tu... tu mi hai visto con lei? - fece Crowley, con voce strozzata.
- Pfff, ma certo che ti ho visto. - sbottò l'angelo. - Non è che la tua ragazza facesse poi molto per passare inosservata, sai? E, un piccolo consiglio: la prossima volta che vuoi girare per Londra in incognito, lascia a casa la Bentley. -
- Aspetta, la mia ragazza? -
- Sì, è quello che ho detto. - ribatté Aziraphale, glaciale. - La sua vocetta stridula ti ha per caso reso sordo, Anthony? -
- Va bene. Basta così. Credo che tu abbia urgente bisogno di una spiegazione. - stabilì il demone. - Lascia perdere oggi pomeriggio, vengo subito da te. Sarò lì tra dieci minuti. Non ti muovere. -
- Oh, non ti disturbare, caro. Non vorrei mai che “il tuo affare” si ingelosisse. -
Tùù-Tùù, Tùù-Tùù...
Aziraphale si accorse di come la sua ultima replica al vetriolo fosse caduta nel vuoto e ripose la cornetta con un gesto secco. Stupido di un demone!
Ma non poteva negare che la prospettiva di vederlo di lì a pochi minuti lo elettrizzasse.


Crowley entrò nella libreria col solito passo ancheggiante. Sottobraccio teneva un oggetto avvolto in una carta da pacco marrone.
- Angelo? Dove ti sei cacciato? -
Aziraphale uscì dal retro senza fretta, dominandosi per non cedere all'istinto di corrergli incontro.
- Buongiorno, Crowley. Stavo per mettere a bollire l'acqua per il tè ma non sapevo se dovessi preparare due o tre tazze. -
Il demone colse l'allusione e gli scoccò uno sguardo torvo. - Ti stai comportando come un idiota, Aziraphale. Ma sono sicuro che cambierai atteggiamento quando avrai sentito come sono andate le cose. -
- Sono tutto orecchi, caro. - soffiò l'angelo in tono dolce, dopodiché si accomodò compostamente sulla poltrona, accavallò le gambe e allacciò le dita in grembo in una posa che trasudava calma e dignità, come se fosse pronto ad ascoltare un lungo racconto e avesse tutte le intenzioni di non lasciarsi turbare da alcunché.
Crowley si appollaiò su un bracciolo del divano. - Innanzitutto, hai idea di chi fosse quella donna? -
Aziraphale si strinse nelle spalle. - Ovviamente no. Qualcuno che dovrei conoscere, forse? Perché temo che noi due non frequentiamo gli stessi ambienti. -
Crowley finse di non aver sentito l'ultima parte. - Era Betsy Jones.** -
Il contegno sostenuto di Aziraphale vacillò. - Cosa? Quella Betsy Jones? Stai scherzando? -
Il demone scosse la testa, serio. - Per niente. Era proprio lei, in carne, ossa... e plastica. -
L'angelo aggrottò la fronte, perplesso. - Ma che diavolo avete da spartire voi due? -
- Te. - rispose semplicemente Crowley.
Aziraphale stralunò gli occhi. - Prego? -
L'altro sospirò come se gli toccasse sottolineare l'ovvio e la cosa lo infastidisse particolarmente. - Tempo fa mi hai detto che una tale Betsy Jones possedeva una rarissima prima edizione de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, acquistata da un suo antenato durante un viaggio a Milano, e che le tue telefonate per convincerla a vedertela erano sempre state un buco nell'acqua. Eri ossessionato da quel dannato libro, mi tiravi scemo ogni volta che ci vedevamo, come se aggiungerlo alla tua collezione fosse una questione di importanza vitale. -
- Sì, in effetti ci tenevo molto. - ammise Aziraphale. - Però continuo a non capire come questo abbia a che fare con... -
Ma il demone gli stava porgendo il pacco con uno sguardo eloquente e un sopracciglio inarcato.
L'angelo squadrò dapprima l'involto, poi Crowley, poi di nuovo l'oggetto misterioso.
- No, non può essere. - mormorò con un filo di voce.
Prese con delicatezza il pacco dalle mani del demone e iniziò a scartarlo attentamente. Ad ogni pezzo di carta che scivolava via e rivelava un nuovo frammento del suo contenuto, Aziraphale avvertiva l'eccitazione aumentare sempre di più, finché non si ritrovò tra le dita tremanti la prima edizione de I promessi sposi che tanto aveva anelato.
- Per Gesù, Giuseppe, Maria e tutto il presepe! È proprio lui! -
Dovette ricorrere ad un grande sforzo di volontà per sollevare gli occhi dal volume e dirigerli verso Crowley.
Il demone annuì e confermò. - Già. È proprio lui. -
- Ma... ma come hai fatto? - domandò l'angelo con voce strozzata. - Io avrò tentato un centinaio di volte di convincere la signorina Jones a vedermelo, ma si è sempre rifiutata. Diceva che apparteneva alla sua famiglia da generazioni e che non voleva separarsene per nessuna cifra al mondo. -
Crowley scrollò le spalle. - Be', forse io sono più persuasivo di te, angelo. E poi, - fece una smorfia, - diciamo che non erano tanto le cifre a interessarle. -
Un lampo di comprensione balenò sul viso di Aziraphale. - Allora quell'affare di cui mi parlavi e quando vi ho visti insieme... -
L'amico annuì di nuovo. - Sì, stavo cercando di ottenere quello stupido libro per te, razza di idiota. E, per la cronaca, non hai idea di quello che ho dovuto subire, di quello che ho dovuto sopportare per arrivare a farla cedere. Quella donna ama farsi pregare, non c'è dubbio. Queste ultime settimane sono state un vero inferno, e lo dico da uno che all'Inferno ci ha vissuto! -
Crowley rabbrividì, come se il solo ricordo dei giorni precedenti gli suscitasse un moto di ribrezzo. - Se avessi saputo che avresti ripagato il mio sacrificio comportandoti come una ragazzina isterica e gelosa, non mi sarei dato tanto disturbo. Sei stato davvero insopportabile al telefono e... -
Ma il demone non poté terminare il discorso perché Aziraphale si alzò dalla poltrona e lo raggiunse in un battibaleno, gettandogli le braccia al collo e stringendolo a sé fin quasi a soffocarlo.
- Oh, Crowley! Sono stato un tale stupido! Non avevo capito niente e ho pensato... Ho pensato... -
- Sì, ho capito perfettamente quale idea ti fossi fatto, angelo. E sì, sei stato davvero uno stupido. - esalò l'altro, stretto nell'abbraccio che gli comprimeva il petto e la gola, mozzandogli il respiro, e che pure non gli dispiaceva neanche un po'.
Aziraphale lo lasciò andare e gli regalò un sorriso luminoso come il sole a mezzogiorno, gli occhi azzurri brillavano di contentezza. - Non so proprio come ringraziarti, caro. -
Il demone tentò di non lasciarsi sopraffare dalla violenta scarica di emozioni che lo attraversò alla vista del volto dell'angelo risplendente di felicità. - Lascia stare, non serve. -
Ma Aziraphale scosse la testa con decisione. - Oh, no. Non se ne parla. Mi sono comportato in modo odioso mentre tu stavi cercando di procurarti questo libro per me. È giusto che mi sdebiti. -
Un moto di fastidio assalì Crowley. - Non c'è nessun debito, angelo. L'ho fatto perché mi faceva piacere. Non devi ricambiare proprio niente. -
Aziraphale ci pensò su per qualche istante, prima di distendere di nuovo le labbra in un sorriso raggiante. - E se ti proponessi una cena al Ritz stasera? Non per sdebitarmi, - aggiunse in fretta. - solo per passare una serata insieme, visto che è da un po' che non ne abbiamo occasione. -
Crowley parve prendersi qualche secondo per soppesare l'offerta, dopodiché sogghignò furbescamente. - Sai, Betsy si metteva sempre un vestito nero di pizzo quando uscivamo a cena. -
L'espressione di Aziraphale si raggelò all'istante, indurendosi quanto la sua voce. - Come? -
Il demone ridacchiò. - Rilassati, angelo. Volevo solo stuzzicarti un po', e poi non l'ho mai portata al Ritz, come avrei potuto? - disse, con un sorriso ammiccante che poteva avere un solo significato: “Quella è una cosa nostra e solo nostra.”
- Cretino. - rispose l'angelo, senza riuscire a dissimulare a sua volta un sorriso divertito ma che tradiva anche un po' di sollievo.
Col senno di poi, era stato veramente un perfetto idiota a sospettare che Crowley avesse una relazione con quella donna. Spesso, la gelosia porta ad immaginarsi gli scenari più assurdi e a credere ciecamente alle proprie peggiori paure. Ora lo sapeva anche l'angelo e si ripromise, in futuro, di guardarsi bene da quel subdolo sentimento.





* Il rooibos, detto anche tè rosso africano, è una varietà di tè nota soprattutto per le sue proprietà antiossidanti, l'assenza di caffeina e il ridotto contenuto di tannini.


** Elizabeth (Betsy) Jones non è un riferimento a qualcuno in particolare. Ho preso semplicemente un nome e un cognome comunissimi in Inghilterra e li ho uniti. Sforzo di fantasia pari a zero. Ma Elizabeth mi pareva troppo raffinato per il tipo di personaggio che avevo in mente, e così l'ho reso un po' più frivolo. A questo proposito, mi scuso con tutte le Betsy del mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** A winter's tale ***


winter


So quiet and peaceful tranquil and blissful

There’s a kind of magic in the air

What a truly magnificent view

A breathtaking scene

With the dreams of the world

In the palm of your hand

(Dreaming)


A winter's tale, Queen, 1995




Era il quarto inverno che Crowley e Aziraphale trascorrevano alla tenuta dei Dowling.
Il parco si era ricoperto di soffice neve bianca e il principale compito di Fratello Francis come giardiniere consisteva ora nel salvaguardare le piante del giardino dormiente e proteggerle dalle insidie del gelo per permettere loro di conservare intatta la linfa vitale e sbocciare più floride che mai all'arrivo della primavera che le avrebbe risvegliate.
La metà di Dicembre si approssimava rapidamente all'orizzonte e con essa le annuali festività natalizie, insieme al loro carico di chiassosa allegria e trepidante aspettativa.
L'ambasciatore americano aveva fatto arrivare direttamente dalle foreste del nord degli Stati Uniti un magnifico abete che troneggiava fiero nell'ingresso della villa, addobbato riccamente e sfavillante di una miriade di lucine colorate. A onor del vero, tutta la casa riluceva di sfarzosi ornamenti a tema natalizio e, nell'insieme, ogni stanza emanava una discreta dose di cattivo gusto e sovrabbondanza. L'oro, il rosso e il verde dominavano incontrastati e squillanti in lungo e in largo tra le mura della tenuta di Regent's Park.
Le cameriere mormoravano che Thaddeus Dowling lo facesse per spirito di competizione nei confronti del Presidente e del tripudio di decorazioni che ogni anno facevano bella mostra di sé alla Casa Bianca e suscitavano l'interesse e l'ammirazione di giornalisti, politici e altre celebrità.
A Crowley poco importavano le ragioni di tutto quel ciarpame sparso per casa: non si era mai trovato a proprio agio tra le ipocrite sdolcinatezze tipiche del moderno clima natalizio a stampo consumistico, e ritrovarsi bloccato per il quarto anno consecutivo in quella maledetta villa sempre più simile a una succursale anglo-americana della Lapponia, dove gli echi delle canzoni di Natale sembravano seguirlo ovunque andasse, gli pesava particolarmente.
A peggiorare le cose ci pensava l'esaltazione del piccolo Warlock per l'avvicinarsi del fatidico 25 Dicembre. Il bambino stordiva la povera Tata Ashtoreth con le sue incessanti chiacchiere a proposito di Babbo Natale, degli elfi, delle renne volanti e dei regali che avrebbe trovato sotto l'albero.
Inoltre, per quanto s'impegnasse a fondo per mantenere la sua influenza demoniaca su di lui, il demone capiva bene che quello non fosse proprio il periodo dell'anno più propizio per educare Warlock ai valori infernali. Ogni racconto, ogni canzone, ogni film, perfino ogni spot pubblicitario in cui ci si imbatteva, parlava sempre e solo di buoni sentimenti, smancerie legate alla pace universale, all'amore verso il prossimo e a tutte quelle altre sviolinate zuccherose da cartolina di auguri, tanto sbandierate e auspicate fino al 25, e delle quali ci si dimenticava puntualmente a partire dal giorno dopo. L'Umanità era fatta così.
Una volta, Tata Ashtoreth aveva provato a leggere al bambino la storia del Grinch, avendo cura di modificarne radicalmente il finale in modo che nessuno ottenesse i regali e trionfasse l'odio della creatura nei confronti delle feste. Ma il bambino, già mezzo addormentato, aveva scosso la testa sul cuscino e sbadigliando aveva detto: “Ma no, tata. Non finisce così, la storia. Alla fine il Grinch diventa buono e salva il Natale e tutti cantano e festeggiano felici e contenti.”
Crowley aveva condensato tutta la sua rassegnazione in un profondo sospiro sconfortato e aveva richiuso il libricino con un gesto secco.
Portare avanti il suo compito di educazione diabolica si stava rivelando particolarmente arduo, tutto sembrava remargli contro. Se Warlock fosse stato un adulto sarebbe stato più semplice, poiché spesso gli umani tiravano fuori il peggio di sé proprio durante le festività natalizie a causa dello stress da corsa ai regali e dell'ipocrisia dilagante che raggiungeva livelli record proporzionalmente all'avvicinarsi del giorno tanto atteso.
Ma i bambini vivevano quella ricorrenza con il cuore leggero, colmo di meraviglia e innocenza e Warlock, Anticristo o meno, non faceva eccezione.
Chi invece cavalcava l'onda di bontà natalizia e beneficiava di quelle atmosfere stucchevoli e melense era Aziraphale, il quale, sotto le spoglie del buon Fratello Francis, incoraggiava il piccolo di casa a coltivare le virtù e gli insegnamenti del Natale. Poco importava che quell'aspetto sentimentalistico delle festività invernali fosse un recente retaggio derivante dall'epoca Vittoriana e ormai consolidato nella cultura popolare: l'angelo sfruttava sapientemente l'occasione per instillare l'amore universale nel cuoricino dell'Anticristo.
Il bambino lo raggiungeva spesso nella piccola biblioteca della casa, dove sedeva sul morbido tappeto davanti al camino o si raggomitolava su una poltrona, ascoltando il giardiniere che lo incantava leggendogli storie e racconti che parlavano della magia del Natale e dell'importanza di essere buoni e altruisti, in particolar modo con i più sfortunati e bisognosi.


Una sera, come di consueto, Tata Ashtoreth si recò nella cameretta di Warlock per raccontargli una delle sue lugubri storie della buonanotte o cantargli una ninnananna sinistra, ma quando varcò la soglia, si accorse che il letto era vuoto e del bambino non c'era la minima traccia.
La tata sbuffò, preparandosi a cercare la piccola peste in giro per tutta l'enorme casa. Non era la prima volta che il bambino si nascondeva in qualche anfratto della villa per evitare l'ora della nanna e, quando accadeva, Tata Ashtoreth aveva il suo bel daffare per trovarlo e convincerlo ad andare a letto. In genere, la corruzione per mezzo di dolcetti vari o caramelle si rivelava un'infallibile modalità di convincimento e la demoniaca bambinaia non esitava a farvi ricorso senza ritegno, con buona pace di ogni prescrizione pedagogica o teoria educativa. E così anche quella sera si riempì le tasche di biscottini allo zenzero e partì alla ricerca dell'Anticristo perduto.
Mezz'ora più tardi, Tata Ashtoreth si ritrovò di nuovo davanti alla porta della camera di Warlock a grattarsi la testa, perplessa. Le sue ricerche erano state del tutto inconcludenti. Eppure aveva perquisito accuratamente ogni stanza, ogni nicchia, ogni ripostiglio dei sottoscala (accidenti a Harry Potter!). Dove poteva essersi cacciato quel ragazzino?
A un tratto, le venne in mente un luogo che, nella sua spedizione, aveva incautamente mancato di controllare: la biblioteca.
Tata Ashtoreth salì le scale e si precipitò al piano di sopra. Dall'uscio socchiuso filtrava una lama di luce calda e un flebile suono famigliare proveniva dall'interno: Aziraphale, intento a leggere a voce alta.
La tata capì di aver fatto centro e, prima ancora di entrare, seppe con assoluta certezza che avrebbe trovato Warlock lì dentro, in compagnia di Fratello Francis.
Strinse la maniglia d'ottone e spinse piano la porta.
Come previsto, il giardiniere era seduto comodamente in poltrona e teneva tra le mani una vecchia edizione dei Racconti di Natale di Dickens. Un fuocherello morente ardeva ancora nel caminetto, quel tanto che bastava a rischiarare l'ambiente circostante ingombro di scaffali stipati di libri. Warlock dormiva della grossa acciambellato sulla poltrona accanto a quella dell'angelo. Indossava il suo nuovo pigiamino intero disegnato per assomigliare a un soffice costume da Rudolph, con tanto di naso rosso e un paio di adorabili cornine applicate al cappuccio.
Tata Ashtoreth mosse qualche passo oltre la soglia e la porta cigolò sommessamente, distogliendo l'attenzione di Fratello Francis dal libro che stava leggendo e inducendolo ad alzare lo sguardo verso l'entrata della stanza.
- Crowley. - fece, sorpreso. - Che ci fai qui? -
- Secondo te? - ribatté il demone in tono vagamente infastidito. - Devo mettere a letto il moccioso. - Si interruppe per indirizzargli uno sguardo obliquo. - E comunque vorrei farti notare che queste non sono le tue ore d'insegnamento; come se poi, in tutto questo disgustoso clima natalizio, tu non fossi già abbastanza in vantaggio su di me. -
Aziraphale gli lanciò un'occhiata d'avvertimento e si portò un dito alle labbra, indicando il bambino assopito con un eloquente cenno del capo.
- Mi spieghi perché diamine leggi ad alta voce? Sta dormendo, non lo vedi? - bisbigliò Crowley.
L'angelo si strinse nelle spalle. - I concetti e la morale passano lo stesso. L'ho letto in un manuale di psicologia infantile e neuroscienza. -
Il demone non poté trattenere uno sbuffo. - Be', per stasera la sessione di lettura finisce qui. -
Crowley si avvicinò alla poltrona e si protese verso Warlock, nell'atto di sollevarlo di peso tra le braccia e portarlo fuori dalla biblioteca.
- Crowley, aspetta. -
Il demone si bloccò e si volse in direzione di Aziraphale con aria interrogativa. L'angelo se ne stava in piedi dietro di lui e sembrava improvvisamente a disagio, come se si fosse pentito di quelle due parole che gli erano sfuggite dalle labbra ma che ormai non poteva più rimangiarsi.
- Ecco, pensavo che, già che sei qui, potrei, ehm... offrirti una cioccolata calda. Insomma, se ti va... -
L'altro ci rifletté un momento, dopodiché diede una scrollatina di spalle e annuì. - Perché no? Ho giusto qui dei biscotti allo zenzero che potresti apprezzare. Li avevo presi per convincere il ragazzino a tornare a letto ma direi che, ora come ora, sono inservibili. - aggiunse, indirizzando uno sguardo divertito al bimbo-renna pacificamente raggomitolato sulla poltrona.
Aziraphale sorrise, si guardò intorno furtivo (mossa più di impatto scenico che altro, dato che era evidente che fossero soli e che il bambino galleggiasse ancora beatamente nel mare dei sogni) e fece apparire tra le mani due tazze fumanti dalle quali si sprigionava un intenso aroma di cacao.
Crowley fece per allungare il braccio e afferrarne una ma l'angelo la ritrasse. - Aspetta, la tua è questa. - disse, porgendogli la tazza che reggeva nell'altra mano.
Il demone alzò un sopracciglio sagomato dal trucco. - E si può sapere che differenza c'è? -
Forse fu l'effetto della luce proveniente dal focolare, ma un delicato rossore imporporò le guance piene di Fratello Francis. - Ci ho aggiunto la cannella. So che ti piace. -
- Oh. - articolò Crowley, incapace di trovare replica migliore e limitandosi a prendere la propria tazza per accomodarsi sull'ultima poltrona rimasta libera nella biblioteca.


I due sorseggiarono la bevanda in silenzio, lasciando che il dolce crepitio del fuoco nel camino e lo sgranocchiare dell'angelo, intento a fare onore ai biscottini speziati, fossero gli unici suoni a fungere da sottofondo per quel momento, almeno fino a quando Aziraphale non decise di rompere il silenzio.
- Sai, l'altro giorno stavo pensando: ti ricordi la notte di Natale? Intendo, la vera notte di Natale. - precisò. - Eravamo entrambi a Betlemme. -
Crowley mandò giù l'ultimo sorso di cioccolata. - Già, gran nottata. - assentì. - A proposito, bel lavoro con quella stella cometa: davvero d'effetto, anche se un po' pretenziosa come trovata. -
Aziraphale si strinse nelle spalle. - Be', l'Onnipotente aveva detto di volere qualcosa d'impatto e che fosse altamente simbolico. -
Crowley inclinò le labbra scarlatte in un mezzo sogghigno. - Sì, la tua fazione è sempre stata eccezionale nell'allestimento delle scenografie. Qualcuno di voialtri dovrebbe lavorare a Hollywood, davvero. -
- Non trovi sia curioso? - proseguì Aziraphale, sorvolando sull'ironia del demone. - Insomma, eravamo presenti alla nascita di Cristo e ora, duemila anni dopo, siamo qui a prenderci cura della sua nemesi affinché non distrugga la Terra. -
Crowley assentì. - Un bel casino etico-filosofico. -
- Già. - concordò Aziraphale, pensieroso ma, con ogni evidenza, poco intenzionato ad approfondire oltre l'argomento.
La lancetta dei minuti compì un altro paio di giri sul quadrante della pendola.
Angelo e demone si godevano quell'atmosfera intima e sonnacchiosa che non richiedeva alcun discorso, alcuna parola superflua. Di tanto in tanto, scoccavano un'occhiata verso Warlock per assicurarsi che stesse ancora dormendo: vederlo così acciambellato nel suo pigiama da renna li faceva sentire incredibilmente tranquilli e sereni a loro volta, come se fossero stati contagiati dallo stato di incosciente benessere del bimbo. Avvertivano ancora sulla lingua il sapore delizioso e avvolgente della cioccolata: senza dubbio, una delle migliori invenzioni umane in fatto di bevande, dopo il vino e i liquori.
Se ne avessero avuto la possibilità, avrebbero semplicemente lasciato passare in quel modo le ore che li separavano dalla mattina seguente, quando entrambi avrebbero dovuto riprendere la recita che portavano avanti da quattro anni e tornare ai loro incarichi di copertura.
Crowley pensò che tanto valesse mettere fine a quell'idillio invernale prima che la situazione si facesse troppo confortevole e, di conseguenza, oltremodo difficile da abbandonare. Posò la tazza vuota sul tavolino di fianco al bracciolo della poltrona e si alzò.
- Ora devo andare. - esalò a malincuore. - Se qualcuno dovesse scoprire che il ragazzino è ancora fuori dal letto, finirei nei guai. Harriet è molto puntigliosa sull'ora della nanna per il suo prezioso pargolo. -
- Oh, ma certo. Capisco. - rispose Aziraphale, incupendosi un poco a causa di quel brusco ritorno alla realtà. Si alzò a sua volta e gettò un'occhiata di sfuggita alla grande finestra che si affacciava sul giardino, illuminandosi. - Guarda, caro: ha ricominciato a nevicare. -
Crowley diresse lo sguardo oltre la vetrata e i due rimasero per qualche istante fianco a fianco a contemplare l'ipnotica danza dei fiocchi di neve nell'aria gelida della notte dicembrina.
Tutto era silenzio, quiete e scintillante bellezza. Ogni tanto un raggio di luna riversava la propria luce argentea sulla coltre bianca, facendola risplendere di tanti piccoli luccichii, come polvere di diamanti.
- L'Onnipotente ha avuto proprio una gran pensata quando ha creato la neve, a proposito di scenografie. - osservò Aziraphale, sognante.
Crowley non rispose, invece girò lentamente la testa per lanciare un'occhiata di sottecchi all'amico, totalmente rapito dall'incantevole spettacolo che si stava svolgendo davanti a sé. Per qualche ragione che nulla aveva a che vedere con il freddo invernale, il demone avvertì un lieve fremito caldo percorrergli la schiena e, a un tratto, fu come se il retrogusto lasciato dalla cioccolata alla cannella si accentuasse, addolcendogli la bocca e sprigionando in lui un meraviglioso senso di tepore e appagamento.
Prima che quelle sensazioni inspiegabili si facessero troppo pregnanti per essere ignorate o nascoste, Crowley si allontanò dalla finestra, si chinò sulla poltrona e prese delicatamente in braccio Warlock, ancora immerso in quel sonno profondo che è privilegio solo dei bambini e degli ubriachi.
- Grazie per la cioccolata, angelo. - sussurrò con un mezzo sorriso ad inclinargli gli angoli delle labbra. - Ci si vede più tardi al pub. -
- Di nulla, caro. È stato un piacere. Grazie a te per la compagnia. -
Tata Ashtoreth uscì in punta di piedi dalla biblioteca, il capo del bambino addormentato che ciondolava inerme sulla sua spalla. Aziraphale si lasciò sfuggire un sorriso, impietosito dalla tenerezza di quella visione.
Checché ne dicesse il demone, in fondo a quel suo animo dannato c'era un oceano di dolcezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** You don't fool me ***


fofooof

You don’t fool me – those pretty eyes

That sexy smile – you don’t fool me

You don’t rule me – you’re no surprise

You’re telling lies – hey, you don’t fool me


You don't fool me, Queen, 1995





Aziraphale si lasciò cadere sulla poltrona con un sospiro di sollievo. Era stata una di quelle giornate, non molto frequenti ma neanche tanto rare quanto gli sarebbe piaciuto, in cui la libreria era stata presa d'assalto.
Per lo più si era trattato di curiosi e comitive di turisti che si erano lasciati avvincere dall'atmosfera piacevolmente vintage che si respirava nel suo tempio letterario di Soho, ma l'angelo aveva comunque dovuto calarsi nei panni del libraio cortese e paziente, assecondando le richieste dei clienti e vigilando affinché nessuno si facesse scivolare in tasca o nella borsa qualcuno dei suoi preziosi volumi come souvenir londinese.
Quell'ultimo cliente poi l'aveva fatto sudare sette camicie e aveva preteso che gli venissero mostrati tutti i libri presenti nel negozio che trattassero di araldica inglese e alla fine, com'era prevedibile, se n'era andato a mani vuote (non che la cosa gli dispiacesse dato che detestava separarsi dai suoi tesori di carta e non era certo afflitto dal bisogno di denaro).
A volte, la sua attività di libraio antiquario si rivelava un vero fardello. Certo, grazie a quella copertura era riuscito a entrare in possesso di un discreto numero di tomi altrimenti introvabili per chi non bazzicasse nell'ambiente dell'editoria d'élite. Ma il dover avere a che fare con alcune tipologie di clienti incontentabili o semplicemente perditempo era un indubbio svantaggio nonché una gran seccatura.
Fortunatamente la giornata lavorativa si era quasi conclusa e l'angelo non prevedeva l'arrivo di nuovi scocciatori almeno fino alla riapertura del mattino seguente.
Stava giusto pensando di versarsi un bicchiere di vino e accendere il grammofono per godere delle sinfonie di Bach, quando udì la porta della libreria aprirsi di nuovo.
Aziraphale emise un gemito frustrato e maledisse se stesso per essersi lasciato convincere dalla sua coscienza a non anticipare la chiusura del negozio. “Si tratta di aspettare ancora una mezz'ora” si era detto. “Non arriveranno altri clienti. Tanto vale chiudere all'orario indicato sul cartello... per una volta.” E invece...
L'angelo si alzò di malavoglia dalla poltrona e si preparò ad accogliere l'ignoto visitatore col solito sorriso gentile, del resto non poteva sapere se quel cliente si sarebbe rivelato l'ennesima rottura di scatole o qualcuno realmente interessato ai suoi libri.
Ma tutto il suo fastidio evaporò all'istante non appena posò gli occhi sul nuovo arrivato che si stava già incamminando verso il retro.
- Crowley! Che bello vederti. Che ci fai qui? -
Il demone alzò pigramente una mano in segno di saluto, ancheggiando verso di lui.
- Ciao, angelo. È tutto il giorno che passo di fronte alla libreria per proporti di bere un bicchiere insieme, ma ogni volta che sbirciavo dalle finestre ti trovavo sempre preso con qualche cliente. Giornata impegnativa? -
Aziraphale alzò gli occhi al cielo ed emise uno sbuffo esasperato. - Non me ne parlare, caro! - poi scostò la tenda che separava l'ambiente del negozio dal retrobottega in cui aveva ricavato la sua dimora, il suo rifugio. - Vieni, accomodati. Stavo giusto per versarmi da bere. -
Crowley avanzò verso il passaggio che Aziraphale stava tenendo aperto per lui e fu allora che l'angelo notò la borsa di plastica che pendeva dal suo braccio.
- Hai fatto spese? - domandò, incuriosito.
Il demone sedette al tavolo e posò la sporta. - Ho solo pensato di portarti uno spuntino. - rispose in tono casuale. - Conoscendo il tuo insaziabile appetito, ho immaginato che avresti potuto apprezzare qualcosa da sgranocchiare. -
Aziraphale lo raggiunse e prese posto sulla sedia di fronte, piacevolmente stupito da quell'attenzione da parte del demone. - Be', in effetti è tutto il giorno che non metto qualcosa di decente sotto i denti. Che cosa mi hai portato di buono? -
- Oh, un po' di tutto, in realtà. - disse Crowley, iniziando ad estrarre uno ad uno gli articoli contenuti nella borsa. - Ho preso del sushi, un po' di involtini primavera, dei macarons francesi, un paio di tranci di pizza gourmet... -
Aziraphale rise. - Hai svaligiato i ristoranti di mezza Londra, vedo. -
- Solo dei migliori. - precisò l'altro. - Conosco i tuoi gusti raffinati. -
- Grazie per la premura, caro, ma ora come farò a scegliere tra tutti questi manicaretti? -


Nonostante tutto, l'angelo non sembrò incontrare poi troppe difficoltà nel decidere da dove iniziare il suo sostanziosissimo spuntino e, circa un'ora più tardi, solo la scatola di macarons era rimasta intatta, insieme a un piattino di frutta dai colori brillanti e dal profumo intenso.
Crowley si era tolto gli occhiali e aveva osservato l'amico ripagare egregiamente i suoi sforzi di accontentare il suo esigente palato. Aveva assistito con un certo compiacimento allo sfilare dei piatti davanti all'angelo che, poco a poco, si svuotavano e scomparivano miracolosamente. Dal canto suo, si era concesso soltanto qualche assaggio e solo nel momento in cui era stato Aziraphale ad offrirglielo.
A un tratto, la sua attenzione venne calamitata verso il piatto di frutta e il demone allungò una mano per afferrare una mela dalla buccia rossa e lucente come un rubino. La porse all'angelo con un sorrisetto. - Perché non provi questa? Scommetto che è deliziosa. -
A quel punto, Aziraphale, intento a masticare un macaron alla fragola, sembrò congelarsi sul posto e prese a fissare il frutto che Crowley gli offriva con sguardo diffidente.
- Che c'è? - fece il demone, sinceramente sorpreso da quella reazione. - Non ti piacciono le mele? -
L'angelo mandò giù il boccone e, prima di parlare, si tamponò le labbra con un tovagliolino di carta, dopodiché scosse la testa. - No, caro. Le mele mi piacciono molto... è solo che... -
- Solo che cosa, angelo? - insistette Crowley, inarcando un sopracciglio, in attesa.
Aziraphale esitò. - Ehm, hai presente la storia, no? La mela e tutto il resto... -
Il demone sogghignò. - Tu non sei Biancaneve e io non sono la Regina Cattiva. Non è avvelenata, te l'assicuro. -
Ma l'angelo parve ritrovarsi ancora più a disagio. - No, non intendevo quella storia. -
- E allora quale? -
Aziraphale fece guizzare la lingua sulle labbra e prese ad agitarsi sulla sedia, distogliendo lo sguardo e portando una mano al colletto per sistemarsi il papillon di tartan già perfettamente in ordine.
- Per l'amor di Qualcuno! - sbottò il demone con una marcata nota di esasperazione nella voce. - Vuoi dirmi che ti prende? -
L'angelo lanciò un altro sguardo combattuto alla mela che Crowley teneva ancora tra le dita. Era evidente che desiderasse prenderla, ma qualcosa lo tratteneva e gli impediva di accettare la sua offerta.
A un tratto, il demone capì. - Oh, mio... No, non ci posso credere! - esclamò, esterrefatto.
- Crowley, caro... - iniziò l'angelo in tono conciliante.
Ma il demone scoppiò in una risata amara - Tu non vuoi questa mela perché sono io a offrirtela, non è così? Oh, angelo! Sei incredibile, lo sai?! -
Aziraphale non poté impedirsi di arrossire. - Niente di personale, caro... è solo che... -
- Solo che, come esponente del Paradiso, non ti senti a tuo agio ad accettare il frutto del peccato originale dallo stesso diavolo tentatore che, in quel giardino, convinse Eva a coglierlo e ad assaggiarlo insieme ad Adamo, condannando così l'umanità a ciò che sappiamo, vero? È questa la storia a cui ti riferivi? La nostra storia? -
Aziraphale annuì piano, mordendosi il labbro. - Te l'ho detto, non c'entra con te. Ma non credo sia il caso, non so come spiegarlo: è qualcosa che mi pare profondamente... be', sbagliato. -
Crowley distese le labbra in un ghigno feroce. - Hai appena commesso un grosso errore, Aziraphale. -
L'amico lo guardò, incapace di dissimulare una certa preoccupazione. - Che vuoi dire? -
Un luccichio ferino balenò negli occhi del demone. - Mi hai lanciato una sfida... che ho tutte le intenzioni di vincere. -
- Una... una sfida? Ma di che stai parlando? - chiese Aziraphale, paventando la risposta.
- Sto parlando di tentare un angelo reticente ad assaggiare una gustosissima mela rossa. Dopotutto, la tentazione è il mio lavoro, no? - disse, ammiccando verso di lui con aria furba.
- Oh, caro, non essere sciocco. Tu non... -
Ma Crowley lo zittì posandogli l'indice sulle labbra. - Non un'altra parola, angelo. Ormai è deciso. Il dado è tratto. Il penny è stato lanciato, scegli l'espressione che preferisci. Il punto è che, presto o tardi, riuscirò a farti cedere alla tentazione. -


La mattina seguente, Aziraphale si arrampicò su una scaletta per spolverare i ripiani più alti delle sue massicce librerie di legno, quando la porta del negozio si aprì timidamente, rivelando... una bambina!
Era incredibilmente carina, con le trecce bionde, gli occhi verdi e qualche lentiggine a segnarle il viso che le conferiva un'aria adorabile. Era vestita poveramente e si guardava intorno un po' impacciata, esitando sulla soglia.
L'angelo scese dal treppiedi e le si avvicinò, piegandosi lievemente sulle ginocchia in modo da poterla guardare negli occhi.
- Ciao, piccola. Ti sei persa? Cerchi la tua mamma? -
La bimba fece cenno di no con la testa, dopodiché espose alla sua attenzione un cestino di vimini colmo di mele rosse, sfoderando un'espressione supplichevole alla Oliver Twist. - Signore, vorrebbe assaggiare una delle mie mele? Sono molto dolci e succose. -
Aziraphale sbatté le palpebre e rimase interdetto. - Cosa? -
La bambina prese uno dei frutti con una delle sue manine candide e gliela porse con un sorriso irresistibilmente tenero e innocente. - Solo un morso, per favoooore. -
Fu allora che l'angelo intuì il trucco e il bagliore dorato che scintillò nelle iridi di giada della bimba confermò i suoi sospetti.
- Falla finita con questa ridicola sceneggiata dickensiana, caro. Non ci casco. E poi non siamo più nell'Ottocento e nemmeno in un film di Frank Capra*. -
La piccola mise il broncio e gli lanciò un'occhiataccia tutt'altro che fanciullesca. - Non finisce qui, angelo. - dopodiché se ne andò, sconfitta.
Aziraphale ridacchiò e tornò ad occuparsi dei suoi libri, complimentandosi con se stesso per aver smascherato il demone. Era stato piuttosto facile, in realtà. Se anziché proporgli di assaggiare una mela, la bambina gli avesse chiesto di comprarla, probabilmente sarebbe caduto in pieno nella trappola, mosso a pietà. Ma Crowley aveva usato quella parola e, memore di ciò che gli aveva detto il giorno prima, Aziraphale aveva capito che dietro quella serafica bambina si celava in realtà il suo diabolico migliore amico.


Un paio di giorni più tardi, Aziraphale stava passeggiando per i viali di Regent's Park, di ritorno da un incontro d'affari con un altro libraio.
Camminava a passo rilassato fischiettando allegramente quando intercettò con lo sguardo un uomo in abiti colorati e sgargianti in piedi dietro una bancarella straripante di dolciumi dalla quale proveniva un profumino delizioso che gli fece venire l'acquolina in bocca.
Aziraphale si avvicinò al banco e notò la presenza di un cartello scritto a mano in un vistoso color vermiglio che recitava: “SOLO PER OGGI, MELE CARAMELLATE GRATIS!”
L'angelo non aveva neanche iniziato a studiare le caramelle esposte che l'uomo gli sventolò sotto il naso una grossa mela ricoperta di glassa e granella di nocciole infilzata su uno stecchino di legno.
- Prego, signore, assaggi! Queste sono le migliori mele caramellate che ci siano al mondo! E oggi non le costeranno neanche un penny! - annunciò il venditore, indicando solennemente l'avviso affisso alle sue spalle.
Aziraphale inspirò l'aroma caramelloso del frutto e prese lo stecchino, ringraziando e pregustando già il delizioso sapore di quella prelibatezza.
Ma, proprio mentre si portava la mela alle labbra, venne colto da un dubbio che lo fece esitare. - Un momento. -
Il suo sguardo circospetto si posò sull'uomo e stavolta indugiò più attentamente sul suo aspetto: era alto, allampanato e portava un paio di occhiali da sole con le lenti molto scure, nonostante quel giorno il cielo fosse coperto e minacciasse pioggia da un momento all'altro. Malgrado gli abiti alla Willy Wonka, la barba lunga e il cappello a cilindro, aveva qualcosa di decisamente famigliare.
L'angelo ebbe l'impressione che il venditore impallidisse sotto il suo sguardo sospettoso e severo.
- Crowley? Sei tu, non è vero? -
- Crowley? Mi scusi ma temo proprio che lei mi abbia confuso con qualcun altro. - tentò il venditore, imbastendo un accento improponibile che non ingannò Aziraphale neanche per mezzo secondo.
- Oh, smettila, caro. Lo so che sei tu. Non mi fai fesso. - fece una pausa per guardare con severità l'improbabile commerciante. - E devo proprio dirtelo: questa faccenda sta diventando assurda. -
Con malagrazia, il demone, ormai smascherato, si riprese lo stecco con la mela caramellata rimasta intonsa.
- Peggio per te, angelo. Non sai cosa ti perdi. - berciò. - E comunque non ho intenzione di arrendermi. -
Aziraphale sospirò. No, Crowley non si sarebbe arreso, lo sapeva fin troppo bene.


Una volta rientrato alla libreria, Aziraphale appese il cappotto e si abbandonò ad un profondo sospiro. Sapeva di doversi attendere altri agguati da parte di Crowley: conosceva troppo a fondo il demone per sperare che egli potesse darsi per vinto.
A mente fredda, l'angelo si rendeva conto di essere stato indelicato e di aver ferito i suoi sentimenti. Non c'era ragione valida che giustificasse la sua stupida titubanza di quella sera nell'accettare una mela dalla mano di Crowley, tanto più considerando che, da dopo il mancato avvento dell'Apocalisse, Aziraphale non poteva più neppure considerarsi un dipendente del Paradiso a pieno titolo. Se avesse potuto riavvolgere il tempo e tornare a quel preciso momento, avrebbe agito diversamente ed evitato di provocare un dolore immeritato a Crowley, seppure in maniera tutt'altro che volontaria.
Ma ora non si trattava più del frutto in sé, quanto piuttosto del fatto che l'angelo non fosse disposto a lasciarsi attirare in trappola. Non voleva concedere al suo migliore amico la soddisfazione di riuscire a raggirarlo e si ripromise perciò di stare in guardia.


Ma, sorprendentemente, passarono un paio di settimane senza che la faccenda delle mele tornasse a turbare il delicato equilibrio emotivo dell'angelo e, una domenica, quest'ultimo decise di approfittare di una rara giornata di sole autunnale per proporre a Crowley una colazione all'aperto a St. James's Park. L'amico accettò e i due stabilirono di incontrarsi direttamente al parco, al loro posto preferito: davanti al laghetto delle anatre.
Aziraphale aveva quasi raggiunto la sua destinazione quando si ritrovò a dover superare un piccolo mercato gremito per lo più di anziane signore che esaminavano la merce con occhio clinico ed esperto come chirurghi. Mentre si faceva largo tra i capannelli di avventori intenti a chiacchierare e contrattare con gli ambulanti, Aziraphale colse uno stralcio di conversazione tra due donne di mezz'età:
- Hai visto il nuovo banco della frutta? Quelle mele hanno un'aria squisita. -
- Sì, e che mi dici del fruttivendolo? Un bel tipo, vero? Con quei capelli rossi e gli occhiali da sole! Avessi qualche anno in meno, un pensierino ce lo farei. -
Aziraphale, messo in allarme da quelle parole, si guardò intorno e individuò immediatamente il camion della frutta. Quando l'uomo dietro il banco, vestito con una salopette lisa e un consunto cappello di paglia a ricalcare il più banale stereotipo del contadino, intercettò il suo sguardo, gli rivolse un sorriso smagliante e sollevò una mela dalla buccia lustra verso di lui.
- Venga qui! Provi a dare un morso a questa squisitezza e le assicuro che volerà dritto in Paradiso! Sentirà cantare gli angeli, garantito! -
- E va bene, adesso basta, Crowley! - sbottò l'angelo. - Sono stufo di questa storia. Piantala di seguirmi ovunque per rifilarmi una delle tue maledette mele. Ti ho detto che non cederò e mi dispiace per te, ma dovrai rassegnarti a questo fatto. Ora datti una sistemata, abbiamo appuntamento tra dieci minuti, ricordi? E se vedo un'altra mela giuro che darò di matto. -
Così dicendo, Aziraphale si allontanò, proseguendo a passo di carica verso St. James's Park, lasciando uno sbigottito fruttivendolo a bocca aperta a domandarsi per quale assurdo motivo quello sconosciuto gli avesse appena urlato contro in quel modo.
Quando l'angelo arrivò al laghetto delle anatre, rintracciò la figura snella di Crowley in piedi davanti al parapetto, immobile quasi fosse in contemplazione di qualcosa. Gli dava le spalle e quando Aziraphale gli si avvicinò per sfiorargli un braccio in modo da annunciare la propria presenza, il demone sobbalzò lievemente.
- Guada chi c'è! Il mio angelo preferito! -
- Il tuo angelo preferito? - gli fece eco l'altro con un sorriso divertito. - Dimmi, caro, quanti altri angeli conosci oltre a me? -
Crowley affondò le mani nelle tasche e scrollò le spalle. - Nessuno che mi piaccia quindi, in effetti, sei il mio preferito. - sorrise e si fece scivolare gli occhiali sul naso di un paio di centimetri per fargli l'occhiolino.
Aziraphale sollevò un sopracciglio in quella che, teoricamente, sarebbe dovuta essere un'espressione scettica ma che risultò più simile ad una risata trattenuta a stento.
- In ogni caso, spero davvero che tu abbia rinunciato a quella storia della mela. Non avrei voluto sbottare in quel modo, poco fa, mi dispiace, ma mi hai davvero portato al limite della sopportazione. -
Il volto di Crowley si trasfigurò in una maschera di sorpresa e confusione. - Aspetta, si può sapere di che stai parlando? -
Aziraphale sbuffò, spazientito. - Non far finta di non capire, caro. Eri lì al mercato che ti spacciavi per un venditore ambulante di frutta e mi hai offerto una mela. - mise su un atteggiamento teatrale, sgranò gli occhi e imitò i modi enfatici dell'ambulante. - Volerà dritto in Paradiso! Sentirà cantare gli angeli! Potevi almeno scegliere degli slogan più sottili, ti sei reso riconoscibilissimo. Onestamente, mi sarei aspettato qualcosa di più sofisticato da te. -
Ma lo stupore non accennava a scemare dal viso del demone, piuttosto pareva aumentare. - Non ho idea di che cosa ti sia capitato lungo la strada, angelo, ma posso assicurarti di non essermi mai travestito da venditore ambulante di frutta. Il mio ultimo tentativo di rifilarti una mela risale a quel giorno del banco dei dolciumi a Regent's Park. -
Non c'era traccia di falsità nelle parole dell'amico e Aziraphale cominciò ad avvertire una vampa di calore e disagio incendiargli le guance.
- Oh... Oh, Santo Cielo! Vuoi dire che quell'uomo non eri tu? -
Crowley scosse la testa. - Te lo giuro sulle mie ali. -
Aziraphale venne colto da una lieve vertigine e da uno spiacevolissimo senso di vuoto allo stomaco. - Allora, questo vuol dire che... -
- Da quel che ho potuto capire, - intervenne il demone con un ghigno. - questo vuol dire che hai dato in escandescenze davanti a un poveraccio che stava solo cercando di fare il suo lavoro e che ti avrà certamente preso per uno psicopatico con la fobia e l'odio per le mele. -
L'espressione orripilata di Aziraphale contribuì a far scoppiare l'amico in una sonora risata che si arrestò soltanto quando Crowley si rese conto dell'eccezionale tonalità di bordeaux raggiunta dal viso dell'angelo e temette di vedere il suo migliore amico discorporarsi per combustione spontanea.
- Non prendertela, non è successo niente di grave. - provò a confortarlo, nonostante l'attacco di ridarella non si fosse ancora esaurito del tutto. - Probabilmente quel tipo si sarà già dimenticato dell'accaduto. Londra è piena di gente bizzarra, nessuno avrà fatto caso più di tanto alla tua scenata. Oh, Satana, quanto avrei voluto essere presente! - aggiunse, riattaccando a sghignazzare.
Aziraphale lo fulminò con lo sguardo. - Non c'è niente da ridere, Crowley. E poi è colpa tua se ogni volta che vedo una mela vengo colto dal sospetto che tu stia cercando di tentarmi per vincere la tua stupida sfida e appagare il tuo orgoglio. -
- D'accordo, forse sono stato un po' troppo agguerrito. - concesse.
- Sei stato snervante. - sentenziò Aziraphale, schietto e corrucciato.
- Sì, lo ammetto. Hai ragione. Mea culpa. - rispose il demone in tono contrito, battendosi una mano sul petto. - Ecco perché vorrei farmi perdonare. -
L'angelo lo fissò con stupore. - Farti perdonare? E come? -
Crowley sfoggiò il suo irresistibile sorriso obliquo. - Invitandoti a cena a casa mia. -
Aziraphale percepì una seconda ondata di calore, stavolta di origine molto diversa, salirgli alle gote. - Cosa? A casa tua? Tu... tu cucini? -
Il demone si schermì. - Be', non sarò Gordon Ramsay che, a proposito, sarà sicuramente dei nostri quando arriverà il suo momento, ma posso affermare di cavarmela piuttosto bene ai fornelli. -
L'angelo si riprese da quella proposta inaspettata e cercò di mettere insieme una replica adeguata. - Questo è molto gentile da parte tua, Crowley... Ehm, cioè, accetto volentieri. - si corresse, notando l'occhiata assassina dell'altro nell'udire la parola “gentile”. - Pensavi a una sera in particolare? -
- Che ne diresti di domani? - suggerì l'amico. - 19.30? -
- Certo, sì, perfetto. -


Alle 19.30 spaccate Aziraphale premette l'indice sul tasto del citofono del lussuoso complesso residenziale di Mayfair dove Crowley risiedeva stabilmente ormai da secoli.
Il cancello si aprì senza neanche bisogno che l'angelo annunciasse la sua presenza, d'altra parte, Crowley non doveva essere molto avvezzo a ricevere visite.
Aziraphale entrò nell'androne in marmo del palazzo e lasciò che il grande ascensore lo conducesse fino all'ultimo piano, dove la porta dell'attico del demone era già accostata per lui.
L'angelo si costrinse a prendere un profondo inspiro prima di varcare la soglia.
- Crowley? È permesso? -
La voce dell'amico si levò da una delle stanze. - Entra pure, angelo. Sono in cucina. -
Aziraphale seguì la scia non solo di quel suono ma anche di un inconfondibile profumo di ragù alla bolognese che gli richiamò l'acquolina in bocca e lo fece improvvisamente sentire molto più fiducioso rispetto alle doti culinarie che il demone aveva affermato di possedere.
L'angelo raggiunse la cucina super-attrezzata dell'appartamento e vi trovò Crowley intento a mescolare con cura in una pentola colma di sugo di carne. Indossava un grembiule nero con la scritta HELL'S KITCHEN in graffianti caratteri cremisi, le maniche della camicia arrotolate fin sopra i gomiti. Faceva un strano effetto vederlo in una veste così... domestica.
Quando Aziraphale entrò nella stanza, il demone gli rivolse uno dei suoi immancabili sorrisetti sardonici. - Puntuale come un orologio svizzero, eh? -
L'angelo scelse di ricorrere a un tono casuale. - Sai com'è, non sta bene che un invitato si presenti in ritardo. -
Crowley ridacchiò furbamente. - Già, sarebbe stato davvero maleducato da parte tua. E poi scommetto che avevi una voglia matta di scoprire se davvero mi sarei messo ai fornelli di persona, senza ricorrere a miracoli di sorta, ho ragione? -
- Touché. - fece Aziraphale con un sorrisino colpevole. - Comunque, ti ho portato un piccolo pensiero. Pare che tra gli umani sia buona creanza fare un dono al padrone di casa quando si viene invitati a cena. -
Arrossendo lievemente, l'angelo estrasse dal sacchetto che aveva con sé una piantina di orchidea dai fiori bianchi.
Crowley, che non si aspettava quel gesto, smise di mescolare il ragù e prese a fissare il regalo tra le mani di Aziraphale.
- Non ti piace? - domandò l'altro, costernato. - Oh, lo sapevo! Avrei dovuto comprare il bonsai. -
- Cosa? Oh, no! No, è... è molto bella. Davvero. Ehm... grazie. -
- Di nulla. - ribatté l'amico, stringendosi nelle spalle, non meno imbarazzato del demone. - Promettimi solo che sarai gentile con lei. Non voglio che mi odi per tutta la vita per averla messa tra le braccia di un tiranno. -
- Vedremo, in base a come si comporterà. - ghignò Crowley, ritrovando la sua solita vena ironica e rivolgendo un'occhiata feroce alla piantina, le cui foglie sembrarono impallidire leggermente.
- Ehm, caro? -
- Sì? -
- Sono io, o c'è qualcosa che brucia? -
- Oh, merda! - imprecò il demone, riprendendo a mescolare in tutta fretta il contenuto ribollente della pentola.
Aziraphale dovette reprimere una risatina, dopodiché domandò il permesso di sistemare la nuova arrivata insieme alle altre inquiline vegetali, nell'atrio dell'appartamento.
- Sì sì, vai pure. Almeno le verrà spiegato come funzionano le cose nel mio regno. -
L'angelo gli indirizzò un'occhiata di rimprovero e portò la piantina nell'ingresso, appoggiandola a terra accanto a uno splendido ficus.
- Sai, non è cattivo come vuole far credere. - bisbigliò, rivolto all'orchidea. - Sotto sotto, è davvero una brava persona. Non farti spaventare dai suoi modi dispotici. -
- Angelo! Qui è tutto pronto! Vieni o no? -
Aziraphale, richiamato all'ordine dalla voce impaziente del padrone di casa, indirizzò un ultimo sorriso rassicurante alla piantina, poi si alzò e si diresse verso la sala, dalla quale provenivano delle note di pianoforte e sassofono, elette a sottofondo musicale per quell'occasione.
Al centro della stanza era stato allestito un tavolo rotondo, apparecchiato con gusto e semplicità. I due piatti traboccavano di una generosa porzione fumante di spaghetti al ragù, quello dell'angelo, almeno. Crowley si era servito una quantità di pasta decisamente più contenuta.
Il demone si era tolto il grembiule da cucina e aveva indossato una giacca nera damascata che gli donava moltissimo. Attese che Aziraphale si sedette prima di prendere posto a sua volta.
- Be', dacci dentro, angelo. - disse, mentre l'altro dispiegava il tovagliolo sulle ginocchia.


Aziraphale non avrebbe mai immaginato di avere per migliore amico uno chef provetto.
Il primo piatto di pasta alla bolognese si rivelò delizioso, così come il secondo di pesce che seguì, accompagnato da un contorno di verdure gratinate al forno altrettanto sfizioso.
Tra una forchettata e un sorso di vino, il tutto condito da chiacchiere piacevoli e rilassate, la cena casalinga giunse all'atto finale: il dessert.
Crowley si alzò da tavola per portare via i piatti vuoti della seconda portata e tornò reggendo due piattini da dolce sui quali erano state sapientemente disposte due grandi fette di torta dall'aspetto oltremodo invitante, affiancate da una pallina di gelato alla vaniglia.
- Che meraviglia! - esclamò Aziraphale, ammirato. - Di che si tratta? -
Crowley gli rivolse un sorriso furbo mentre gli posava davanti uno dei due piatti. - Questa, angelo, è una ricetta speciale di mia invenzione, e un vero chef non rivela mai i suoi segreti. -
- Mi pare giusto. - rise l'amico, dopodiché inspirò l'aroma che si levava dalla sua porzione e afferrò coltello e forchetta, pronto a degustare l'ultimo capitolo di quel pasto squisito, pur nella sua semplicità.
Il primo boccone di torta gli regalò sensazioni favolose. Il gelato bilanciava il calore del dolce appena uscito dal forno, la consistenza era morbida e umida e Aziraphale riconobbe dei pezzi di frutta cotta tra gli ingredienti principali, spruzzati di cannella e forse altre spezie.
Furono sufficienti tre colpi di forchetta perché il piattino tornasse immacolato, fatta eccezione per qualche briciola. Aziraphale si tamponò le labbra con un lembo del tovagliolo.
- Mmm. Devo farti i miei complimenti, caro. Credo sia la torta più buona che abbia mai mangiato in seimila anni. -
Ma il volto di Crowley aveva assunto una bizzarra espressione, indecifrabile.
Aziraphale se ne accorse. - Che ti prende? Ho detto qualcosa di male? -
- Come ti senti, angelo? Tutto bene? - chiese il demone, scrutandolo intensamente.
- Cosa... ma sì, certo che sto bene, Crowley. Perché non dovrei? -
- Non senti nulla di insolito? - insistette l'altro. - Tipo un paio di corna spuntarti sulla testa o una strana voglia di provocare danni e seminare caos? Non ti senti un po'... corrotto nell'animo? -
Aziraphale era sempre più smarrito. - Ma che... Perché mai mi fai domande così assurde? Sicuro che invece non sia tu ad avere qualcosa che non va? -
Il rosso si coprì il volto con una mano e dapprima furono solo le sue spalle a scuotersi come se avesse le convulsioni, poi i singulti si estesero a tutto il suo corpo. L'impressione era che il demone fosse preda di un accesso di pianto disperato.
- Crowley? Crowley, ma che cos'hai?! Per l'amor di Qualcuno, stai male? -
L'angelo si protese in avanti sul tavolo e fece per porre una mano sulla spalla dell'amico, quando si accorse che il demone non stava affatto piangendo... rideva a crepapelle!
- Oh, angelo! È stato così facile! - latrò.
- Facile? Ma si può sapere di che cavolo stai... ? -
Ma le parole gli morirono sulle labbra e lo sguardo gli cadde sul piattino vuoto.
- Crowley? Cosa c'era in quella torta, esattamente? -
Il demone si sforzò di porre fine alla sua risata sguaiata e gli gettò uno sguardo malizioso. - Tu che dici, cervellone? -
Aziraphale non poteva crederci. - Tu... tu hai organizzato tutto questo solo per indurmi con l'inganno a mangiare una mela?! -
- Inganno? - ripeté Crowley, indignato. - Nessun inganno, angelo! Io ti ho offerto un'innocentissima torta di mele e tu hai scelto di mangiarla, in totale libertà. E non mi sembra che la cosa ti sia dispiaciuta così tanto. E poi, correggimi se sbaglio, ma mi pare che non si sia verificata alcuna conseguenza catastrofica. -
- Tu mi hai preso in giro! - esclamò Aziraphale. - Mi hai subdolamente manipolato! E io che credevo... credevo... Ah, lascia perdere! -
L'angelo si alzò di scatto da tavola e si diresse a grandi falcate verso l'atrio dell'appartamento. - Me ne vado a casa, Crowley. Spero che tu ti goda la vittoria della tua stupida sfida. Il tuo ego demoniaco sarà molto soddisfatto, mi auguro. -
Il demone si alzò a sua volta e lo raggiunse. - Angelo, aspetta! Dài, non fare così. Non ce n'è ragione! -
Aziraphale, che si stava già infilando il cappotto, si voltò per trovarsi faccia a faccia con l'amico e ne approfittò per indirizzargli l'occhiata più furibonda e sdegnata che gli riuscì.
- Non ce n'è ragione, dici? - sibilò. - Mi hai fatto credere di voler passare una bella serata insieme; mi hai attirato qui con la promessa di una cena, solo noi due, in un ambiente intimo e famigliare e poi scopro che il tuo intento non era altro che quello di riuscire a farmi mangiare una maledettissima mela! Miravi solo a questo, non ti importava niente di trascorrere del tempo con me! -
Crowley ricordava poche occasioni in cui avesse visto Aziraphale così adirato e sconvolto. Era solo uno scherzo, possibile che l'angelo non lo capisse?!
- Stai facendo una tragedia per niente, come al solito. - replicò, stizzito. - Certe volte sei così permaloso! -
Ci fu un attimo di silenzio teso in cui i due si guardarono storto come in una gara a chi avesse interrotto per primo quell'incendiario contatto visivo.
- Me ne vado. - ribadì infine Aziraphale piantandogli negli occhi, o meglio, nelle lenti, un ultimo sguardo incendiario. Ma, prima di voltarsi di nuovo per guadagnare la porta, si chinò e raccolse da terra la piccola orchidea. - E lei viene con me. - sentenziò, mettendosi il vaso sottobraccio con fare protettivo. - Per il suo bene. -
Aziraphale girò sui tacchi ma non arrivò mai alla porta dell'appartamento perché si sentì afferrare il polso da una stretta salda, urgente.
- Angelo, aspetta. Non andartene. Per favore. -
Stavolta, il tono di Crowley non tradiva la minima spavalderia o stizza. Al contrario, la sua sembrava più una richiesta accorata pronunciata in un mormorio dolce e sottile, come se la presenza dell'amico fosse, in quel momento, la cosa più importante del mondo. Una vera e propria preghiera.
Aziraphale rimase talmente sbalordito da quel repentino cambio di atteggiamento che non tentò neppure di divincolarsi dalla presa del demone, anzi si volse nuovamente verso di lui, in attesa e con il fiato sospeso.
- Mi dispiace, sono stato un idiota. - esalò Crowley. - Ma non ti ho invitato qui solo per quel motivo. - aggiunse. - L'ho fatto perché volevo davvero che cenassimo insieme da me. Credi che mi sarei messo a preparare tutte quelle pietanze se avessi mirato solo a farti mangiare una torta di mele? -
- Non l'avresti fatto? - chiese Aziraphale, la rabbia che ormai vacillava sotto il peso di altri sentimenti sconosciuti.
Crowley sorrise dolcemente. - Ma certo che no. Mi faceva piacere cucinare per te, angelo. -
Il demone infuse a quell'ultimo appellativo una tale tenerezza, un tale affetto, che ogni rimanente scia di astio svanì completamente dall'animo di Aziraphale.
- Sul serio? - L'angelo ci mise tutto il suo impegno affinché quella domanda potesse suonare almeno un po' minacciosa, con scarsi risultati che arrivarono più vicini a una nota di speranza.
L'altro annuì, risoluto. - Sul serio. -
Aziraphale emise un lungo espiro che parve esiliare dal suo corpo qualunque sentimento negativo avesse provato verso il demone fino a un secondo prima.
- D'accordo, allora credo di poterti perdonare. -
- No che non puoi. - obiettò Crowley con un sorrisetto dolceamaro. - Sono un demone, ricordi? Sono imperdonabile per definizione. -
Aziraphale sorrise e scosse la testa. - Non per me, caro. -


Il resto della serata trascorse piacevolmente e senza intoppi, anche grazie all'aiuto di qualche bottiglia di vino che contribuì a diluire le ultime tensioni lasciate dalla discussione.
Quando Aziraphale si accinse a tornare alla libreria, Crowley indicò la piccola orchidea, che l'angelo aveva ridepositato accanto al ficus dopo aver deciso di rimanere.
- Quindi ti fidi a lasciarla qui con me? -
L'amico gli sorrise mentre si sistemava il bavero del cappotto. - Confido che la tratterai bene. -
La smorfia agrodolce tornò a incupire il volto di Crowley. - Attento a dove riponi la tua fiducia, angelo. -
- Ho le mie buone ragioni per farlo. - replicò Aziraphale senza smettere di sorridere candidamente. - E, ad ogni modo, congratulazioni, caro. -
- Per cosa? -
L'angelo gli fece l'occhiolino. - Be', alla fine, sei riuscito a farmi mangiare la mela proibita. Sei proprio un bravo tentatore. -
Crowley sbuffò una risatina imbarazzata. - Sono stato un cretino. -
- Sì, anche quello. - soggiunse Aziraphale senza smettere di sorridere. - Buonanotte, caro. -
Quando la porta si fu richiusa alle spalle dell'angelo, Crowley si ritrovò di nuovo solo nel suo appartamento. L'orologio segnava quasi l'una di notte e il demone decise che una buona dormita non gli avrebbe fatto male dopo quella serata densa di emozioni.
Era felice di non aver lasciato andare via Aziraphale. Quando gli aveva afferrato la mano, aveva temuto che l'angelo reagisse in malo modo, magari arrivando addirittura a mollargli uno schiaffo, invece era rimasto ad ascoltare le sue scuse per poi perdonarlo con quel suo sorriso caldo e amorevole che avrebbe potuto sciogliere l'Antartide.
Prima di lasciare l'atrio per dirigersi in camera da letto, il demone abbassò gli occhi sulla piantina che l'amico gli aveva portato in dono. Le foglie ebbero un fremito: evidentemente le sue compagne di sventura l'avevano già informata su come si svolgeva la vita in quella casa.
Crowley stette per un po' a squadrarla intensamente, come se stesse riflettendo tra sé, infine s'inginocchiò, sollevò il vaso da terra e lo portò con sé in camera.
Appoggiò l'orchidea sul comodino accanto al letto e s'infilò il pigiama di raso nero.
Quando si coricò, lanciò un'occhiata d'ammonimento alla piantina. - Non ti ci abituare, carina. È solo per stanotte. -
Crowley spense la luce e chiuse gli occhi. Scivolò beatamente tra le braccia di Morfeo, accompagnato dall'immagine di Aziraphale che gli sorrideva affettuosamente e gli concedeva il suo perdono.

La piccola orchidea non venne mai spostata da quel comodino, né subì mai alcuna minaccia da parte del demone. E rimase fiorita... molto a lungo.





* Riferimento al film del 1961 Angeli con la pistola (Pocketful of Miracles), di Frank Capra, dove la protagonista, interpretata da Bette Davis, è una vecchia mendicante che vaga per New York con un cestino di mele rosse che cerca di vendere per racimolare qualche soldo.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Funny how love is ***


funny

Funny how love came tumbling down

with Adam and Eve

Funny how love is running wild and feeling free

Funny how love is coming home in time for tea

Funny, funny, funny


Funny how love is, Queen, 1974






Varicella.
Il verdetto del pediatra accorso alla villa dell'ambasciatore americano non dava adito a dubbi. Il rampollo di cinque anni di casa Dowling vantava da un paio di giorni un discreto numero di sintomi tra i quali spiccavano febbre e vistosi puntini rossi su tutto il corpo, come se il bambino si fosse divertito a giocare con un pennarello.
La signora Dowling aveva mandato immediatamente a chiamare il medico di fiducia che aveva in cura il figlioletto per sottoporgli la questione e, dopo una visita approfondita, la diagnosi fu inequivocabile: Warlock Dowling aveva vinto alla lotteria immunitaria buscandosi una delle malattie esantematiche più comuni durante gli anni dell'infanzia.
Il pediatra raccomandò una cura a base di antivirali e paracetamolo, e che il personale della casa a stretto contatto con il bambino risultasse immune al virus.
Tata Ashtoreth e Fratello Francis si rivelarono perfettamente idonei ad avvicinarsi al malato senza correre il rischio di venire contagiati. Entrambi affermarono di aver già contratto la malattia in passato, ma quell'immunità era chiaramente dovuta alla loro condizione di entità sovrannaturali.
E così, per i giorni a seguire, il piccolo dovette rimanere a letto, confinato sotto le coperte almeno fino a quando la febbre non fosse scesa. Harriet Dowling chiese a Tata Ashtoreth di restare con lui durante il giorno e anche per buona parte della notte in modo da fargli compagnia e vegliare sul suo sonno reso agitato e irregolare a causa della febbre.
Ma ovviamente questo poneva un grosso ostacolo al piano che il demone e l'angelo avevano messo a punto per educare l'Anticristo secondo i precetti sia dell'Inferno che del Paradiso. Di solito,Warlock si recava in giardino per ricevere gli insegnamenti di Aziraphale, ma ora che il bimbo era bloccato a letto con la costante presenza di Crowley al suo fianco (praticamente h 24), il demone avrebbe goduto di un vantaggio indiscutibile che avrebbe inevitabilmente finito col rovinare l'equilibrio che si stavano dando tanto da fare per costruire e mantenere.
Nel frattempo, Harriet Dowling si era premurata di far pervenire a suo figlio qualunque distrazione possibile per distoglierlo dal fastidio della malattia e fargli trascorrere piacevolmente il tempo della sua forzata permanenza in camera, evitandogli di finire preda della noia e del malcontento, condizione della quale, lo sapeva bene, avrebbero risentito per estensione tutti gli abitanti della casa.
E così la stanza di Warlock si era riempita di giocattoli, passatempi più o meno tecnologici e libri illustrati prelevati direttamente dalla biblioteca della tenuta.
Tata Ashtoreth era stata eletta a dama di compagnia del piccolo malato, nonché governante e, all'occorrenza, infermiera. A lei toccava il compito di misurare la temperatura del bambino ogni ora e di avvisare immantinente la signora Dowling in caso di peggioramento, di vigilare affinché il piccolo sorbisse il suo brodo di pollo e di assicurarsi che prendesse la medicina prescritta dal dottore; sempre a lei era stato inoltre affidato l'incarico di occuparsi dell'intrattenimento di Warlock, leggendogli ad alta voce i libri che lui le indicava e prestandosi a qualunque gioco egli volesse dedicarsi, dai videogiochi alle battaglie con i robot.
Alla fine della giornata, Crowley era esausto e non ne poteva più di termometri, medicine, raccomandazioni apprensive da parte di Harriet, giocattoli e chiacchiere infantili. Fortunatamente, Warlock passava anche molto del suo tempo dormendo, fiaccato dalla febbre, e così il demone poteva disporre di qualche ora per tirare un po' il fiato e riprendersi prima di ricominciare tutto da capo un'altra volta.
Date le circostanze, era diventato più difficile anche combinare gli incontri strategici con Aziraphale ma un pomeriggio capitò che Warlock si addormentasse profondamente e Crowley ne approfittò per sgattaiolare fuori dalla cameretta e recarsi nel giardino, dove Fratello Francis stava potando un cespuglio. Quando il giardiniere si accorse della presenza del demone, sgranò gli occhi.
- Oh, cielo. Hai una pessima cera, caro. -
Crowley sbuffò. - Vorrei vedere te al mio posto. Giorno e notte ad occuparmi del ragazzino con sua madre che mi sta perennemente col fiato sul collo ma non muove un dito; non è proprio come essere in vacanza, sai? -
Aziraphale si guardò intorno per verificare l'eventuale presenza di ascoltatori inopportuni, poi si rivolse alla tata con un bisbiglio sommesso. - Non so proprio di cosa ti lamenti. Ti è capitata un'occasione d'oro per avere l'esclusiva sull'educazione del giovane Anticristo, i tuoi dirigenti saranno molto fieri di te. -
- Sì, be', ti sfugge un piccolo particolare, angelo. - ribatté Crowley risentito, bisbigliando a sua volta. - Non ho alcun interesse a portare il figlio di Satana sulla via del Male. Il nostro obiettivo comune è fare in modo che non propenda né per la tua fazione né per la mia, ricordi? A volte sembra quasi che tu tenda a considerarmi ancora il nemico. -
Aziraphale arrossì sotto la folta peluria che ricopriva le guance di Fratello Francis. - Scusa, caro. Le vecchie abitudini sono dure a morire, temo. Il fatto è che il bambino sarà costretto a letto ancora per un po' e io sto decisamente perdendo terreno con gli insegnamenti virtuosi. Questo contrattempo potrebbe minare seriamente il lavoro che abbiamo fatto fin'ora. -
- Ecco perché sono qui: per proporti una soluzione a questo problema. - rispose Crowley, sbrigativo. - Sai come si dice, no? Se Maometto non va alla montagna... -
Da dietro gli occhiali, il demone rivolse uno sguardo eloquente all'amico, aspettandosi di scorgere un lampo di comprensione balenare sul suo viso, ma ciò non accadde e l'unica cosa che poté rilevare fu l'apparire di un'espressione confusa.
- Scusa, ma adesso cosa c'entra Maometto? -
Crowley emise un verso frustrato e scosse la testa, era inutile usare certe sottigliezze con l'angelo. Occorreva essere più diretti. - Sto dicendo che potresti andare tu dal ragazzo, tonto! -
Aziraphale sbatté le palpebre. - Io? Ma, Crowley, io sono il giardiniere. Non credo proprio di potermi auto-invitare così nella cameretta del piccolo, senza una valida ragione. -
Il demone scrollò le spalle. - Be', vai a genio a Warlock e sei uno dei pochi in questa casa a poterglisi avvicinare senza rischiare il contagio. Potresti chiedere a sua madre il permesso di andare a trovarlo per tenerlo un po' occupato; sono certo che non ti dirà di no. E poi siamo quasi in inverno e il giardino non ha bisogno di molte cure al momento. Potresti darmi il cambio per qualche ora e così la partita tornerebbe in parità. -
Aziraphale parve riflettere su quella proposta, peraltro molto sensata, per qualche secondo, dopodiché sfoderò un'espressione decisa e raggiante. - Hai ragione, caro. È esattamente ciò che farò. Vado subito a parlare con la signora Dowling. -


E così, da quel giorno stesso, Fratello Francis ottenne l'autorizzazione ad accantonare parzialmente il suo lavoro nel parco della villa per recarsi in camera di Warlock e trattenersi per un po' giocando con lui o leggendogli qualche storia. Durante quei momenti, Tata Ashtoreth si ritirava con la scusa di alcune commissioni urgenti da sbrigare per poi fare ritorno una volta che il giardiniere si apprestava ad andarsene.
Se non altro, lo stratagemma pareva aver riportato in stallo la situazione e il piccolo Warlock, seppure prigioniero a letto, assumeva quotidianamente la sua quotidiana dose di educazione infernale e celestiale (oltre alle medicine per la varicella, che egli mandava giù molto meno volentieri e avanzando molte più proteste).
A quel ritmo di lettura serrato, i libri prelevati dalla biblioteca al piano di sopra iniziarono a scarseggiare quanto a varietà. Ormai il bimbo li conosceva praticamente a memoria ed esigeva che la tata o il giardiniere gli leggessero qualcosa di nuovo. Un solo volume era rimasto in disparte rispetto a quelli già sfogliati più e più volte: si trattava di un'edizione illustrata che riportava alcuni degli episodi più famosi della Bibbia, adattati a misura di bambino... almeno per quanto riguardava lo stile narrativo.
Quando il libricino capitò fra le mani di Aziraphale, l'angelo pensò che, in fondo, si trattava pur sempre di una storia che avrebbe potuto avvincere la giovane mente del suo protetto, tanto più per il fatto che egli era destinato a divenirne parte integrante e con un ruolo non da poco, per giunta.
Si sedette sul bordo del letto e sorrise bonariamente al visetto puntinato di rosso di Warlock, che lo fissava con aspettativa.
- Oggi, mio caro ragazzo, ti leggerò una storia nuova. E ti dirò di più: è una storia vera! -
Il bambino arricciò il naso. - Le storie vere sono sempre noiose. -
Fratello Francis gli strizzò l'occhio. - Questa non lo sarà, promesso. -
Il giardiniere iniziò a leggere, mentre Warlock divorava con gli occhi le figure senza perdersi una parola. Contro ogni previsione, il bimbo dovette ammettere che quella storia non era noiosa per niente, anche se non era sicuro che fosse proprio tutta vera. Un serpente che parlava, ma andiamo! Lo sanno tutti che i serpenti sibilano! Ma forse Eva era come Harry Potter e poteva capire il linguaggio dei rettili. Warlock diede voce a questo pensiero e sul volto pienotto di Fratello Francis si dipinse un'espressione vagamente disorientata.
- Ehm, no, ragazzo mio. Eva poteva capire il serpente perché in realtà quello non era affatto un serpente ma un demone tentatore sotto forma di animale. -
Il bambino non parve troppo convinto da quella teoria, ma lasciò che il giardiniere proseguisse il racconto senza ulteriori osservazioni da parte sua, per quanto intelligenti e brillanti... almeno per i successivi tre minuti.
- E quindi Adamo ed Eva erano sposati? Come la mia mamma e il mio papà? -
Di nuovo, Fratello Francis parve preso in contropiede ed esitò un momento prima di rispondere. - Be', no, non proprio, in realtà. Ma si amavano molto. -
- Allora perché lei ha fatto assaggiare la mela a lui anche se sapeva che era sbagliato? L'ha fatto apposta? -
Il giardiniere scosse la testa con vigore. - No! Certo che no, anzi, Eva pensava di fare una cosa buona. Succede così quando si è innamorati: se si ha qualcosa di bello, lo si vuole condividere con l'altra persona, credo. -
- Tu sei innamorato, Fratello Francis? -
Il viso tondo dell'uomo assunse una lieve sfumatura cremisi. - Io, ecco... -
Warlock sbuffò. - Nessuno vuole mai dirmi cosa succede quando ci si innamora ma sembra una cosa molto difficile da capire. Me lo spieghi tu, Fratello Francis? -
- Ma, figliolo, è qualcosa di veramente complesso da esprimere a parole. Io non... -
- Provaci, ti preeeeego. -
Aziraphale trasse un gran sospiro e cercò di radunare tutte le nozioni che aveva acquisito a proposito dell'amore nei suoi lunghi secoli di permanenza sulla Terra e organizzarle in un discorso logico che però risultasse abbastanza comprensibile alle orecchie di un bambino di cinque anni.
- Be', prima di tutto, ci sono tanti tipi diversi di amore. - esordì. - Ma quello di cui vuoi sapere è in assoluto il più complesso. Vedi, l'amore ha tante facce, non tutti lo vivono nello stesso modo. L'amore è proprio strano, per certi versi. Ti può far sentire la persona più felice del mondo, o la più triste, a seconda della situazione; può nascere in un istante o può impiegarci anche anni; ti fa venire voglia di trascorrere la maggior parte del tuo tempo con l'altra persona, di farle dei regali, di renderla felice e appagata. -
Warlock aggrottò la fronte, desideroso di capire meglio. - Quindi non si litiga mai? -
- Oh, al contrario. - rise Fratello Francis. - Si litiga spessissimo, a volte per delle sciocchezze e poi ci si pente di ciò che si è detto e allora si cerca di farsi perdonare in qualche modo perché sapere che l'altra persona è arrabbiata con te ti fa stare malissimo. Ma anche questa è una delle caratteristiche principali dell'amore. -
Aziraphale approfittò di un momento di riflessione del suo piccolo ascoltatore per sorprendersi di quante cose sapesse sull'amore, senza esserne conscio. Come era arrivato a costruirsi tutta quella cultura a proposito del sentimento più antico e intricato che esistesse al mondo? Forse aveva appreso tutto ciò grazie ai libri, ma era convinto che ci fosse dell'altro. Una parte ribelle della sua psiche continuava prepotentemente a sfuggire al suo controllo e a presentargli l'immagine del volto di Crowley.
Proprio in quell'istante, la porta della cameretta si aprì, rivelando Tata Ashtoreth in piedi sulla soglia. Parve molto sorpresa (e non troppo contenta) di trovare Warlock ancora in compagnia del giardiniere.
- Fratello Francis, cosa ci fa ancora qui? Non doveva rimanere fino alle 16.30? - abbassò gli occhi sul grosso orologio che portava al polso. - Sono le 16.45. -
Il bambino anticipò la risposta. - Fratello Francis mi ha letto la storia di Adamo ed Eva e mi ha spiegato cos'è l'amore. -
- Ma davvero? - fece la tata con un sorrisetto allusivo alla volta dell'uomo. - E, dimmi, caro: che cos'hai capito? -
- Che l'amore è un casino. - sentenziò il bambino, ricorrendo a un termine che aveva sentito spesso alla televisione dei grandi. - Io non mi innamorerò mai. È troppo difficile essere innamorati! -
Tata Ashtoreth sfoderò un sorriso d'approvazione. - Bene, l'amore è una gran perdita di tempo prezioso. Tempo che potresti dedicare ad attività più piacevoli, come governare sul Mondo che verrà dopo che avrai distrutto la Terra. -
Aziraphale gli scoccò un'occhiata obliqua ma non replicò, in fondo Crowley stava solo facendo la sua parte, come da progetto.
- E comunque io avrei fatto come Eva. - affermò il bambino, risoluto.
- Che vuoi dire, tesoro? - chiese la tata, il tono dolce e fintamente casuale.
- Anch'io avrei colto la mela. - dichiarò Warlock, con tutta la sicurezza del caso. - Se Dio non voleva farlo succedere, doveva nasconderla meglio, non metterla lì dove tutti la potevano vedere, no? -
Tata e giardiniere si scambiarono uno sguardo d'intesa, riportando alla memoria il loro primo incontro e l'obiezione molto simile che il demone aveva sollevato riguardo a quella stessa falla nel Piano Ineffabile dell'Onnipotente, e non poterono trattenere un sorrisino complice davanti a quel lontano ricordo.


Dopo che Tata Ashtoreth ebbe svolto le sue mansioni di infermiera, misurando la febbre al bambino e facendogli ingollare di malavoglia un bicchiere nel quale era stata disciolta una disgustosa compressa effervescente di paracetamolo, Warlock si distese nel letto, le palpebre visibilmente pesanti.
- Vuoi dormire un po', diavoletto? - domandò la tata, rimboccandogli le coperte.
In risposta, il bambino fece cenno di sì con la testa, poi chiuse gli occhi e si addormentò profondamente.
Crowley valutò che la sua presenza non sarebbe stata necessaria almeno per un'ora o due, nella migliore delle ipotesi, e così si diresse fuori dalla camera, socchiudendo piano la porta.
Nel corridoio quasi si scontrò con Aziraphale. L'angelo reggeva un vassoio sul quale era posato un intero servizio da tè di finissima porcellana, completo di zuccheriera e lattiera. Il demone osservò il tutto con espressione interrogativa.
- Oh, eccoti qui, caro. - sorrise, cercando di mantenere in equilibrio il tutto che tremolava e tintinnava spaventosamente tra le sue mani. - Ho incontrato una cameriera che stava scendendo le scale e mi ha detto che la signora Dowling le aveva ordinato di servirle il tè alle 5 in punto ma, a quanto pare, ha preferito andare a fare shopping con un'amica americana in visita e così lei ha preparato tutto per niente. Mi ha letteralmente rifilato il vassoio tra le mani e così ho pensato che, forse, avremmo potuto bere una tazza insieme. Il salottino piccolo è sempre vuoto a quest'ora ed è proprio qui di fianco alla camera di Warlock. -
Crowley scosse le spalle ed emise un suono intraducibile che valse come un bizzarro segno d'assenso e aprì la porta della stanza adiacente alla cameretta.
I due si ritrovarono in un salotto arredato secondo un gusto spiccatamente retrò che strizzava l'occhio allo stile barocco.
Aziraphale depose il vassoio sul tavolino posto fra un divano e due poltrone, al centro di un tappeto dalla trama variopinta. Nel frattempo, Crowley si lasciò cadere mollemente sul divano, la posa scomposta come suo solito, nel limite di quello che la longuette aderente gli permetteva.
L'angelo sedette sulla poltrona, versò il tè in due tazze e ne porse una al demone, prima di aggiungere un goccio di latte nella propria.
- E così gli hai raccontato come tutto ebbe inizio. - commentò Crowley, pensieroso. - Mi sembra appropriato visto che il suo destino sarebbe, teoricamente, quello di scrivere la parola Fine a quella stessa storia. -
- Non succederà, caro. - lo rassicurò Aziraphale riponendo delicatamente la lattiera sul vassoio. - Stiamo lavorando bene, non credi? Tutto sta procedendo secondo i piani e il bambino non sembra propendere né per la tua fazione né per la mia. È normale, come volevamo. Non c'è ragione di preoccuparsi. -
Crowley accennò un tacito assenso, dopodiché prese un sorso di tè.
- E comunque come siete finiti a parlare dell'amore? -
Aziraphale si prese un secondo per assaporare a sua volta la bevanda calda prima di rispondere. - Il ragazzo voleva capire per quale motivo Eva avesse condiviso la mela con Adamo. -
- Mi sembra più che lecito. - approvò Crowley. - E tu cosa gli hai risposto? -
- Gli ho detto che quando si è innamorati si vuole condividere tutto con la persona amata e poi lui mi ha chiesto come sia l'amore. -
- E... ? - incalzò il demone, le sopracciglia sempre più sollevate sopra le lenti che tradivano una fremente curiosità.
Aziraphale si sentì improvvisamente arrossire e abbassò lo sguardo sulla tazza che teneva tra le dita. - Be', gli ho spiegato che l'amore può essere vissuto in modo diverso da individuo a individuo ma che, solitamente, fa sentire molto felici oppure molto tristi e spinge a donarsi completamente all'amato pur di farlo felice e che, anche se a volte si litiga, se si è davvero innamorati e ci si rispetta a vicenda, alla fine tutto si risolve per il meglio. Sai, le solite cose che gli umani vanno raccontando sull'amore da... be', da sempre. -
Crowley aveva ascoltato con attenzione ogni parola dell'angelo, ostentando una calma apparentemente imperturbabile. Eppure, se i suoi occhi non fossero stati protetti dal filtro scuro, forse Aziraphale avrebbe potuto accorgersi della fissità del suo sguardo intenso mentre parlava, del modo insolitamente appassionato con cui l'amico lo osservava mentre lui era intento a raccontargli di come avesse spiegato il mistero dell'amore ad un bambino di cinque anni con tanta naturalezza e, perché no, magari anche di un flebile guizzo di... di cosa? Dolore? Frustrazione? Oppure di una remota speranza?
- Una spiegazione davvero esemplare, angelo. - decretò infine il demone, con voce piatta e indecifrabile, scevra di qualunque emozione tranne forse una punta di ironia appena percepibile.
- Dici? - fece Aziraphale, sollevato. - Oh, grazie al cielo! Certe volte, quel ragazzino fa domande talmente complicate e bizzarre! Mi mette in difficoltà. -
Un angolo delle labbra perfettamente disegnate di Crowley si inarcò in un sorrisetto sghembo. - Me ne sono accorto. È un tipo sveglio, il nostro Anticristo. Ed è anche curioso: una qualità che, personalmente, apprezzo sempre in chiunque, umano o no. -
- Già. - annuì Aziraphale, sorridendo a sua volta prima di sorseggiare un po' del suo tè col cuore inspiegabilmente molto più leggero.


Aziraphale e Crowley finirono la bevanda appena in tempo, prima che, dalla parete accanto, si levasse la voce strillante e autoritaria di Warlock. - TAAAATAAAAA! DOVE SEI? -
Il demone sospirò, conscio di essere stato troppo ottimista nei suoi calcoli circa il tempo libero che avrebbe avuto a disposizione. Il sonnellino del piccolo malato era durato decisamente meno del previsto.
- Meglio che vada. - disse, posando la propria tazza di nuovo sul vassoio. - Il figlio del mio Signore reclama la mia presenza. - aggiunse in tono rassegnato.
Aziraphale annuì, conciliante. - Va' pure. Ci penso io a riportare questo in cucina. -
Crowley si diede una rapida sistemata alla gonna e all'acconciatura e, prima di uscire dal salotto, si volse verso l'amico con una mano appoggiata allo stipite. - Angelo? -
L'altro alzò lo sguardo, in attesa. - Sì, caro? -
Il demone parve titubare per un attimo. - Stasera non devo badare a Warlock. Ci vediamo più tardi per parlare della giornata, vero? Come al solito? -
- Ma certo. - confermò Aziraphale, leggermente sorpreso da quella domanda. Insomma, era ovvio che si sarebbero visti per fare il punto della situazione, no? Non lo facevano sempre?
Crowley non fornì alcun chiarimento che potesse lenire la sua perplessità e si limitò ad un cenno del capo. - Bene. - Sparì oltre la porta senza aggiungere altro e Aziraphale udì riaprirsi quasi in contemporanea quella della camera di Warlock.
L'angelo ripose anche la sua tazza vuota sul vassoio e si preparò a scendere in cucina per restituire le preziose stoviglie. Ma, proprio mentre si accingeva ad alzarsi, gli tornò alla mente una delle frasi che aveva rivolto al bambino poco prima: Succede così quando si è innamorati: se si ha qualcosa di bello, lo si vuole condividere con l'altra persona.
E non era forse ciò che egli aveva appena fatto? Si era inaspettatamente ritrovato tra le mani un vassoio con due tazze e una teiera fumante e subito aveva assecondato l'istinto che gli suggeriva con insistenza di condividerlo con Crowley. Non si era fermato neanche per un attimo a riflettere sulla possibilità di tenerlo per sé o offrirlo a qualcun altro. Era successo tutto automaticamente.
E poi c'era quell'inaspettata conoscenza che aveva interiorizzato a proposito dell'amore senza neanche rendersene conto. Possibile che...?
Aziraphale scosse la testa, come per liberarsi di quelle idee tanto bislacche e che, lo sapeva bene, non avrebbero portato a niente se non distoglierlo pericolosamente dalla sua missione, la quale godeva della priorità assoluta. Non poteva permettersi alcuna distrazione.
Sebbene questa giustificazione fosse più che valida, una molesta vocina interiore continuava a sussurragli una versione ben diversa: “Hai solo paura della verità che potresti scoprire se scavassi un po' più a fondo dentro di te. Sei un vigliacco, angelo.”







Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** '39 ***


39

Don’t you hear my call

though you’re many years away

Don’t you hear me calling you

All your letters in the sand

cannot heal me like your hand


'39, Queen, 1975




Da qualche parte in Inghilterra, dicembre 1939



La spiaggia era deserta, fatta eccezione per qualche bianco gabbiano che lanciava il proprio grido nel vento. Vento che, come una frusta gelata, sferzava senza pietà quella lingua di sabbia tra le scogliere bianche svettanti verso un cielo di ferro popolato da nuvole plumbee.
Crowley aveva l'impressione che quel cielo fosse tanto pesante da potersi schiantare sulla Terra da un momento all'altro, ma forse si trattava solo dell'eco della pesantezza che gravava sul suo petto e che veniva proiettato all'esterno.
Il demone passeggiava sul bagnasciuga in ascolto dello sciabordio dell'oceano agitato, lasciando dietro di sé orme profonde ma che non potevano dare la misura della portata di tutte le atrocità alle quali i suoi occhi avevano assistito.
Il Diluvio Universale, le grandi pestilenze che nel '300 avevano sconvolto l'Europa decimandone la popolazione, le guerre e le faide più sanguinose, rivoluzioni cruente. Ognuno di questi cupi avvenimenti era impresso a fuoco nella memoria millenaria di Crowley.
Perché vivere tra gli umani come entità sovrannaturale, e dunque non soggetta al decadimento fisico e all'azione divoratrice del Tempo, tra gli indiscutibili benefici, comportava questo svantaggio: scivolare inerme attraverso epoche in cui la speranza sembra evaporare nel nulla e abbandonare ogni creatura vivente, condannando a un'esistenza di sconforto e terrore collettivi, virulenti, come un'epidemia dello spirito che sfianca anche il cuore più forte fino a rendere insostenibile la quotidianità; fino a quando tutto sembra precipitare senza freni verso un baratro nero dal quale non potrà esserci ritorno.
Ma gli umani potevano almeno sperare nella pace dell'eterno oblio, lui era obbligato ad andare avanti e a ritrovarsi periodicamente spettatore delle stesse tragedie che si ripresentavano puntuali come fantasmi impossibili da scacciare.
Ma naturalmente non si trattava di fantasmi, Crowley lo sapeva bene. Ciò che minacciava il regolare corso della vita era dotato di una forma spaventosamente più concreta.
Erano i Tre che si dedicavano alle proprie macabre scorribande sulla Terra a spese dei suoi abitanti. Tre, ai quali immancabilmente si accompagnava il Quarto, che pure era sempre al lavoro con la propria falce, instancabile: la sua costante presenza all'ombra della Creazione si poteva ravvisare nel fiore che appassiva, o in un vecchio che si arrendeva infine alla forza usurante degli anni e prendeva congedo da questo mondo, andandosene al braccio del Cavaliere dal manto nero.
Nei secoli addietro, Crowley aveva avuto la possibilità di vederli all'opera più volte e, per quanto le loro modalità d'azione differissero per metodi e mezzi e mutassero adeguandosi ai tempi, avevano una cosa in comune: il loro passaggio era sempre fonte di immenso dolore e incontenibile sofferenza. Spezzavano la vita di chi soccombeva fisicamente sotto i loro colpi micidiali, certo; ma anche quella di coloro che restavano, di tutti quegli altri che, per una questione di tempra o forse solamente di mera fortuna, scampavano temporaneamente alla falce di Morte e si riducevano a trascinarsi giorno dopo giorno lungo una strada impervia e oscura, che nessuno poteva dire dove avrebbe condotto, sempre che vi fosse una destinazione.
Una di loro era particolarmente attiva in quel periodo e aveva fomentato venti di burrasca che già da anni soffiavano silenti serpeggiando tra i paesi e le nazioni del cosiddetto Vecchio Continente. Guerra era tornata e prometteva di dare spettacolo di sé come mai aveva fatto prima di allora. Aveva lavorato alacremente dietro le quinte, sotto le ceneri lasciate dall'ultimo grande conflitto mondiale, infettando ferite ancora aperte e avvelenando le menti degli uomini con i suoi mezzi preferiti: la paura e l'odio.
Il 1° settembre di quell'anno era scoppiato ufficialmente il nuovo conflitto, con l'invasione della Polonia da parte della Germania guidata da Adolf Hitler e due giorni più tardi il re Giorgio VI aveva annunciato pubblicamente ai sudditi la presa di posizione del paese contro l'avanzata nazista.1
Il demone l'aveva vista in azione molto spesso, Guerra. Le piacevano il clamore, il boato dei cannoni, il clangore delle spade, il rosso del sangue vivo che sgorgava copioso dalle ferite e inzuppava le divise, la polvere che ricopriva i corpi dei caduti ammassati l'uno all'altro... non amava passare inosservata e agire con pazienza e lentezza, a differenza di quanto soleva fare invece Carestia.
Ma questa volta c'era qualcosa di diverso: Crowley poteva sentirlo nell'aria fredda e metallica vibrante di un'indefinibile tensione, come elettricità. Lo avvertiva intimamente, ben più in profondità del suo involucro corporeo, fin nell'animo, fin nella sua essenza più antica e ancestrale. Di notte era visitato da incubi che brulicavano di immagini orribili e gli parlavano dell'avvento di una delle ore più buie che la Terra avesse mai conosciuto. Un'ora che si stava avvicinando a velocità drammatica.
Ne era inesplicabilmente certo: si era messo in moto qualcosa di proporzioni colossali. Si preparavano avvenimenti che avrebbero segnato per sempre la storia dell'Umanità intera e lui ne percepiva tutta la potenza non ancora manifesta, allo stesso modo in cui poteva percepire l'avvicinarsi della tempesta che presto si sarebbe abbattuta su quella stessa spiaggia.
Non gli piacevano le guerre, le pestilenze o le carestie. Erano periodi foschi che inghiottivano famelici ogni cosa buona potesse esserci al mondo; ogni cosa bella, ogni cosa per la quale valesse la pena continuare a vivere laggiù.
Gli umani perdevano la voglia di inventare, di creare meraviglie, di abbellire e migliorare la propria esistenza grazie a quelle idee ingegnose che Crowley tanto apprezzava e ammirava. Tutte le qualità creative e intellettuali di uomini e donne erano invece piegate per servire la causa di Guerra: si sviluppavano armi sempre più distruttive, sempre più letali, sempre più orrende; si pianificavano strategie da usare contro il nemico; si sottometteva la tecnologia alla tattica militare per schiacciare l'avversario, prevederne le mosse e anticiparle in modo da coglierlo di sorpresa. In tempo di Guerra non c'era spazio per minuzie e facezie; non quando la priorità assoluta era la sopravvivenza propria e delle persone amate.
Vivere a stretto contatto con gli umani aveva portato Crowley ad affezionarsi a loro. Aveva maturato un sincero apprezzamento per quelle creature effimere ma tenaci e assistere impotente agli orridi tormenti che queste pativano a causa del flagello di Guerra e dei suoi illustri colleghi faceva affiorare in lui un vivo senso di dispiacere.
Crowley rabbrividì all'ennesima coltellata del vento pungente che si insinuava sotto le sue vesti. Si strinse nel cappotto e levò lo sguardo verso il cielo, oltre i gabbiani, oltre le nubi gravide di pioggia.
Mai come in quei momenti il demone sentiva su di sé la presa ferrea della solitudine. Quando venivano a mancare le distrazioni che lo tenevano occupato e l'aria stessa che si respirava era satura di timore e sospetto, ogni frivolo diversivo appariva solo come una vana fuga da una realtà che gli alitava sul collo con il suo fiato gelido e fetido, sempre troppo pregnante per essere elusa. Una cappa di tetraggine opprimente calava sul mondo che lo circondava e Crowley veniva afferrato dal prepotente desiderio di avere qualcuno al proprio fianco: una presenza amica che potesse alleviare il fardello che, talvolta, la sua condizione di immortale comportava
Avanzò affondando con le scarpe nella sabbia bagnata e compatta fino ad arrivare in prossimità di un massiccio tronco d'albero sospinto a riva dalla forza delle onde. Crowley osservò quel rugoso naufrago arboreo e si domandò quanto potesse essere lontano dal suo luogo d'origine. Era approdato sulla costa inglese per decisione congiunta della sorte e delle correnti marine dell'Atlantico, ma da dove era partito? Da quanto tempo era in viaggio e dov'era il resto di sé? Dove aveva lasciato le sue radici? E le sue foglie?
Crowley non avrebbe saputo spiegare a parole la ragione del suo sentimentale interesse per quel triste relitto che giaceva dinanzi a sé, ma era come se avvertisse un sottile collegamento: anche lui si percepiva alla deriva, immerso in un mondo ostile e preda di una corrente che non sapeva dove l'avrebbe trascinato. Il demone sfiorò con la mano la ruvida superficie della corteccia madida imbiancata dalla salsedine dopodiché si sedette, allungando le gambe verso la distesa d'acqua rabbiosa che ruggiva a pochi metri di distanza da lui.
Raccolse da terra un bastoncino di legno umido e cominciò a tracciare dei segni sulla sabbia, lasciando che i suoi pensieri prendessero il largo.
Avrebbe potuto semplicemente andarsene. Lasciare l'Inghilterra per trasferirsi in un angolo remoto del pianeta che gli artigli di Guerra, troppo presa dai suoi affari in Europa, non avrebbero potuto ghermire.
Dopotutto, un demone infernale non era legato a formalità umane come la cittadinanza o la residenza. Aveva scelto la Gran Bretagna come dimora fissa, ma non c'era nulla che lo legasse davvero a quella terra. Be', a parte lui.
Un repentino moto di affetto misto a fastidio assalì Crowley, come succedeva ogni volta che volgeva la sua mente consapevole ad Aziraphale. La loro ultima litigata, risalente a quel giorno del 1862, li aveva indotti a prendere le distanze l'uno dall'altro: non avevano contatti da allora.2
Ma il demone non aveva mai perso d'occhio l'amico. Conoscendolo, era abbastanza sicuro che, presto o tardi, l'angelo si sarebbe cacciato in qualche guaio e allora lui sarebbe dovuto accorrere in suo aiuto proprio come aveva già fatto in Francia più di un secolo prima. E così seguiva discretamente le sue mosse, pur senza mai riuscire a trovare il coraggio necessario per avvicinarlo e parlargli, anche solo per un saluto. Gli mancava la sua compagnia, ma non aveva idea di quali sentimenti Aziraphale nutrisse attualmente nei suoi confronti: era ancora arrabbiato per la faccenda dell'acqua santa? Probabile. L'aveva perdonato? Difficile da credere, ma, del resto, quell'angelo era sempre in grado di sorprenderlo. Avrebbe reagito bene ad un tentativo di riconciliazione? Impossibile a dirsi.
C'erano troppe incognite in quell'equazione. La paura di essere respinto, di ricevere un rifiuto e di scoprire che settantasette anni non erano bastati a stemperare l'acredine lasciata da quel litigio, lo inducevano a tenersi a debita distanza da Aziraphale, il quale, in ogni caso, pareva cavarsela piuttosto bene anche senza di lui.
Crowley avvertì una stretta dolorosa comprimergli il petto e digrignò i denti, maledicendosi per essersi di nuovo lasciato trasportare dal groviglio di sentimenti e pensieri nei quali finiva sempre per rimanere impastoiato quando c'era di mezzo l'angelo.
Tuttavia, non poteva fare a meno di domandarsi se anche Aziraphale presagisse la catastrofe imminente. Erano gli unici due esseri sovrannaturali incarnati stabilmente sulla Terra e il demone avrebbe voluto poter condividere i suoi crucci con l'unico individuo che sapeva avrebbe potuto comprenderli del tutto e fornirgli consolazione.
Desiderò ardentemente di averlo accanto, di perdersi nei pozzi di acqua cristallina delle sue ridi e di sentire la sua voce dolce mentre gli si rivolgeva con quell'appellativo speciale che, sebbene fosse riluttante ad ammetterlo, faceva provare a Crowley un brivido di felicità ogniqualvolta l'angelo ne faceva uso: caro.
La nostalgia dell'angelo si era fatta così risonante da fargli provare un sordo dolore fisico che pulsava in ogni fibra e gli stringeva la gola in un nodo che quasi gli impediva il respiro.
Proprio in quel momento, un'onda più determinata delle altre si spinse fino al tronco e lambì i suoi piedi. Quando si ritirò, portò via con sé le dieci lettere che Crowley aveva distrattamente scavato nella sabbia.
Il demone osservò i piccoli solchi colmarsi dell'acqua salmastra e decise che, allo stesso modo, quelli tra i suoi pensieri, ben più profondi e radicati, avrebbero tratto giovamento da una salutare innaffiata di alcool scadente del pub più vicino che potesse trovarsi in quel luogo sperduto.
Abbandonò il legnetto, si alzò dal tronco e riprese a camminare a passo lento lungo la battigia mentre un primo rombo in lontananza faceva da araldo al temporale in arrivo.
La scritta nel suolo vergata da Crowley si leggeva ormai a stento, ma prestando attenzione e aguzzando la vista, si sarebbe ancora potuto distinguere un nome: Aziraphale.



Soho, Londra


Aziraphale aveva allungato una mano verso lo scaffale per estrarre dalla fila ordinata un volume di poesie di Oscar Wilde quando fu colto da una bizzarra, intensa sensazione: come un formicolio sottopelle o un soffio caldo solleticargli la nuca.
Per la sorpresa, le sue dita si aprirono sul dorso del libro e questo cadde a terra con un tonfo sordo.
L'angelo a malapena se ne accorse e si guardò intorno per capire la causa di quell'improvviso scombussolamento dei sensi. Gli era quasi parso di udire una voce lontana che sussurrava il suo nome, ma la libreria era vuota e immersa in una quiete silenziosa: il cartello apposto sulla porta d'ingresso specificava a chiare lettere che quel giorno il negozio non avrebbe aperto i battenti. L'angelo era completamente solo, eppure...
Aziraphale scrollò le spalle: doveva essersi sbagliato. D'altra parte, la tensione che pervadeva le strade filtrava anche attraverso i muri della libreria e doveva aver finito per suggestionarlo e fargli percepire cose non reali.
Il Principato si chinò a raccogliere il libro e spazzò via la polvere dalla copertina usando delle carezze gentili; recuperò la tazza di tè che si era appena preparato e si accomodò in poltrona, inforcando gli occhiali da vista, dei quali non aveva alcun bisogno, e immergendosi nella lettura.
Ma ben presto si rese conto di star sprecando il proprio tempo: fissava le frasi sulle pagine senza vederle o riuscire a conferirne un senso. Il suo spirito irrequieto non traeva alcun beneficio né godimento dalle immagini sapientemente drappeggiate dal poeta irlandese che solitamente rappresentavano per lui un toccasana.
Ma non quel giorno.
Quel grigio dì di dicembre non c'era sublime composizione lirica che potesse dare un tocco di colore al mondo. Aziraphale richiuse il libro con un sospiro e lo depose sul tavolo insieme agli occhiali. Tenne invece stretta la tazza di tè tra le mani, lasciandosi pervadere dal calore che emanava attraverso la porcellana, e uscì dal retro della libreria per avvicinarsi alle finestre che davano sull'esterno: le poche persone che camminavano per Soho si aggiravano convulsamente tra le vie tenendosi rasenti ai muri, con movimenti furtivi, l'aria spaurita e diffidente, le teste chine. Gli occhi spenti incastonati nei loro volti tirati le facevano assomigliare a morti resuscitati dalla tomba.
Perfino il Natale sembrava aver perduto molta della sua forza e positività, oscurato dall'ombra della minaccia proveniente da est che aleggiava su tutto il paese come una nube tossica di fumo nero alla quale nessuno, uomo, donna, o bambino, era immune.
L'angelo rilasciò un secondo sospiro greve e tornò alla sua poltrona, prendendo un sorso di tè e cercando di trarne quando più conforto possibile.
L'Europa era nuovamente alle prese con una guerra. Non erano trascorsi che vent'anni dagli orrori delle trincee fangose e del filo spinato3, e ora ecco che il medesimo incubo si ripresentava in tutta la sua efferatezza.
Come la maggior parte degli inglesi, il 3 settembre Aziraphale aveva ascoltato alla radio la voce grave e profonda del sovrano mentre annunciava al regno che l'Inghilterra non sarebbe rimasta ferma a guardare mentre il Führer e i suoi eserciti prendevano possesso del continente, ed esortava i suoi sudditi a rimanere saldi e uniti per far fronte al pericolo che incombeva e ai giorni bui che si sarebbero presentati, confidando nella rettitudine e nella giustizia della resistenza al folle disegno egemonico nazista.
La cadenza lenta e solenne, unita alle lunghe pause tra le parole, potevano anche aver costituito, all'inizio, un escamotage per ovviare al problema dalla balbuzie che affliggeva il monarca fin da bambino, ma l'idea generale che ne era conseguita era quella di una forte partecipazione empatica e una vicinanza al cuore degli inglesi che non era affatto usuale per i membri della famiglia reale.
Giorgio VI non aveva fatto mistero della gravità della situazione, né aveva tentato inutilmente di addolcire la pillola. Aveva parlato con franchezza ma senza che ciò spogliasse di potenza la carica emozionale che trasudava da ogni frase, da ogni pausa. Il suo era stato un discorso denso di pathos che aveva raggiunto e toccato gli animi di tutti, incluso quello angelico di Aziraphale.
Perché, per quanto egli fosse una creatura eterea del Paradiso, risiedeva sulla Terra dal 4004 e dunque non poteva completamente distaccarsi dalle vicende umane, soprattutto di quella portata. Era come una goccia d'olio in un fiume: non si sarebbe mai amalgamato con le singole particelle d'acqua, ma ne seguiva lo stesso corso. E talvolta capitava che certi eventi lo smuovessero più di altri.
Nel suo accorato discorso alla nazione, il re aveva invitato tutti a stringersi e a trarre forza e coraggio dalla reciproca vicinanza. Quel passo aveva commosso particolarmente l'angelo: aveva immaginato padri, madri, figli, figlie, fratelli e sorelle, intere famiglie in ascolto intorno alla radio col fiato sospeso; aveva immaginato dita intrecciate, sguardi d'intesa nei quali era racchiuso un intero universo di significati, piccoli gesti di amore e reciprocità che alimentavano la tenue fiammella della speranza per tenerla viva, per evitare che si spegnesse e lasciasse campo libero a una disperazione dilagante e fatale.
E allora le briglie dei suoi pensieri si erano sciolte ed essi erano corsi, com'era prevedibile, alla sola persona che Aziraphale avrebbe voluto avere accanto a sé in quei tempi duri e spietati: Crowley.
Era a lui che il Principato desiderava offrire appoggio e sostegno, e riceverne a sua volta.
Negli ultimi tre mesi, l'angelo si era ritrovato a pensare al vecchio amico più di quanto avesse fatto nei settantasette anni che lo separavano dal loro ultimo burrascoso incontro.
Non si era mai chiesto davvero se avesse perdonato il demone per avergli sottoposto una richiesta, una pretesa, tanto gravosa; ma ciò che era accaduto quel giorno non poteva soffocare in Aziraphale il tormentoso desiderio di rivedere Crowley, specialmente adesso che, con la nuova guerra alle porte, le prospettive per il futuro si erano fatte così incerte e desolanti.
In più di un'occasione Aziraphale si era recato nei pressi di Mayfair senza la spinta di una reale necessità. Sperava di incappare casualmente nel demone e a quel punto... non lo sapeva. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto se gli fosse effettivamente capitato di imbattersi in Crowley. Molto sarebbe dipeso anche dalla sua reazione e Aziraphale non disponeva di alcun indizio che potesse fornirgli una dritta in quel senso.
E così quando il Principato rientrava alla libreria a seguito di quelle rapide ma infruttuose incursioni nell'esclusivo quartiere londinese, si ritrovava posseduto da un miscuglio contrastante di sentimenti: da una parte il sollievo del codardo che preferiva rimanere nel dubbio piuttosto che affrontare la realtà a viso aperto, dall'altra la delusione mista a tristezza della parte di sé che invece avrebbe sinceramente voluto un confronto diretto e risolutivo con Crowley, fosse stato anche solo per realizzare che, dopo tutti quegli anni, il demone ce l'aveva ancora con lui per avergli negato quel drastico favore.
Ma il destino non gli aveva mai arriso e le sue spedizioni si erano sempre concluse con un nulla di fatto che lo gettava nello sconforto per almeno un paio di giorni, durante i quali un cupo malumore si impossessava dell'angelo a discapito degli incolpevoli clienti che si presentavano in negozio.
La verità era una e soltanto una, inconfutabile: Crowley gli mancava terribilmente.
Forse proprio per questo motivo, poco prima, aveva avuto la netta impressione di sentirlo invocare il suo nome: perché era esattamente ciò che Aziraphale si ritrovava a fare sempre più spesso nel silenzio polveroso del suo rifugio di carta e inchiostro.





Note:


1 : Mi riferisco al discorso radiofonico che re Giorgio VI, padre dell'attuale regina Elisabetta II, tenne il 3 settembre 1939 per annunciare l'entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania di Hitler e che costituisce anche la conclusione del film Il discorso del re, del 2010. Il ritorno su questo argomento nella seconda parte della OS si compenetra bene con il periodo e l'argomento di cui tratto, ma vuole essere anche un piccolo tributo a quest'opera cinematografica che, personalmente, amo molto.


2 : In questa storia, considero valida la scansione temporale mostrataci nella serie. Faccio questa precisazione per chi avesse letto il capitolo 17 della raccolta (A kind of magic), nel quale faccio ritrovare Crowley e Aziraphale dopo soli otto anni dalla litigata del 1862.


3 : Mi riferisco ovviamente alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918) della quale i simboli e le immagini iconiche e più forti rimangono ancora oggi proprio le trincee e il filo spinato.




Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Radio Ga-Ga ***


gaga

All we hear is Radio ga-ga

Radio goo-goo

Radio ga-ga

All we hear is Radio ga-ga

Radio blah blah

Radio, what’s new?

Radio, someone still loves you



Radio Ga-Ga, Queen, 1984





Warlock Dowling aveva compiuto un anno a fine estate.
In quei dodici mesi, Crowley e Aziraphale avevano vigilato su di lui con solerte attenzione, pronti a captare qualunque segnale della sua presupposta natura satanica. A quella giovanissima età, non potevano ancora sperare in una vera e propria influenza effettiva sull'educazione dell'Anticristo, ma almeno potevano studiare il bambino per rendersi conto della forza dei suoi poteri e prepararsi al meglio per adempiere al loro compito una volta che il bimbo fosse divenuto abbastanza grande da interiorizzare gli insegnamenti che avrebbero provveduto a somministrargli.
Nel corso del loro anno di osservazione, angelo e demone avevano potuto inaspettatamente constatare, non senza un certo sollievo, che Warlock sembrava proprio un comunissimo bambino umano. Non si erano verificati episodi insoliti che potessero mettere in allarme i due. Il latte del biberon non si era mai tramutato in sangue, gli oggetti della cameretta non si erano mai animati e, durante i bagnetti, Tata Ashtoreth aveva potuto accertarsi della totale assenza anche del più piccolo connotato diabolico nell'aspetto dell'Anticristo. Niente zoccoli caprini, codine o marchi infernali di alcun genere.
Anche l'intelligenza di Warlock sembrava perfettamente nella media e, qualche mese dopo lo spegnimento della sua prima candelina (operato in realtà da Harriet Dowling per evitare che il suo figlioletto si avvicinasse troppo alla fiamma e per il trascurabile fatto che ogni tentativo del bimbo si fosse risolto in un assai poco risolutivo spruzzo di saliva), egli aveva iniziato a sperimentare la magia del linguaggio verbale. Il suo vocabolario, per quanto ancora molto ridotto e primitivo, si stava gradualmente ampliando e Warlock si divertiva a ripetere i nomi, talvolta storpiandoli vistosamente, degli oggetti e delle persone a lui famigliari, oltre ad articolare una serie di altri suoni dal significato indefinibile.
Crowley e Aziraphale sapevano che molto presto il loro lavoro sarebbe entrato nel vivo. Avrebbero messo in campo tutta la propria abilità per allevare l'Anticristo in modo da scongiurare il destino di sventura che sarebbe toccato alla Terra da lì a dieci anni, se avessero fallito.
Con quella consapevolezza e un carico di responsabilità non da poco a gravare sulle loro spalle, angelo e demone affrontavano ogni giorno la pomposa quotidianità di casa Dowling, in attesa che i tempi fossero maturi per iniziare a manipolare la giovane e fresca mente dell'Anticristo.


Un pomeriggio, poco dopo l'ora di pranzo, Tata Ashtoreth si trovava nella cameretta di Warlock. La luce dorata del tiepido sole invernale era schermata dalle tende alla finestra per consentire al piccolo inquilino della stanza di godersi il sonnellino di metà giornata in tutta tranquillità.
La tata l'aveva deposto nel lettino cercando di ignorare le energiche proteste espresse a suon di calci, strilli, pugnetti, e acuti “No voio!”, che sembrava essere diventata la sua espressione verbale prediletta. Compiendo uno sforzo di volontà notevole per evitare di ricorrere ad un miracolino demoniaco che facesse sprofondare istantaneamente nel sonno un Warlock più sveglio che mai e per nulla intenzionato a trascorrere le ore successive tra le sbarre della sua confortevole prigione, Tata Ashtoreth aveva fatto appello a tutta la propria riserva di determinazione e non si era lasciata scoraggiare dalla fiera resistenza opposta dal piccolo.
Fortunatamente, il recalcitrante ragazzino si era infine rassegnato alla sua sorte di recluso e aveva cessato di strepitare, lasciando che la melodia ipnotica di un carillon lo acquietasse per poi accompagnarlo dolcemente nel mondo dei sogni, qualunque cosa potesse sognare un baby-Anticristo.
Si trattava di un trucchetto che Tata Ashtoreth aveva scoperto di recente ma che funzionava a meraviglia e le risparmiava un bel po' di fatica quando si trovava ad affrontare l'impresa sempre più ardua della nanna. Qualche tempo prima, una zia aveva inviato dall'America un regalo di Natale destinato al nipotino che per la bambinaia demoniaca si era rivelato sorprendentemente utile: un CD musicale sul quale era stata incisa una selezione di canzoncine per bambini e arie classiche eseguite per carillon.
Warlock ne subiva l'effetto tranquillante e soporifero come se si fosse trattato di cloroformio. Bastava inserire il CD nell'impianto stereo presente nella cameretta e azionare il tasto PLAY perché il bimbo si addormentasse nel giro di pochi minuti, anche quando pareva più riluttante che mai. Con grande amarezza, Crowley si era trovato costretto a riconoscere che le sue cupe litanie infernali non si avvicinavano neanche lontanamente a sortire quegli esiti mirabolanti, e così aveva deciso di affidarsi a quel metodo straordinariamente efficace ogni volta che ne avesse avuto necessità.
Tata Ashtoreth, seduta comodamente in poltrona, si stava appunto gustando quell'attimo di pace quando le casse dello stereo gracchiarono sonoramente e il suono deliziosamente malinconico e delicato delle note di Für Elise venne bruscamente sostituito da una voce cavernosa che Crowley riconobbe all'istante con un brivido.
- Croooleyyy? Ci sei? -
Il demone imprecò a denti stretti. Quell'idiota di Hastur aveva scelto un pessimo momento per mettersi in contatto con lui. Eppure gli aveva raccomandato tante volte di non cercarlo! La Sede Centrale sapeva di dover attendere che fosse lui a contattarli per non mettere a rischio l'operazione. Ma naturalmente le sue disposizioni erano state bellamente ignorate e adesso quella tarma di Hastur aveva deciso di fargli una visita non programmata e tutt'altro che gradita.
- Crowley? Rispondi, maledizione! - insistette, indispettito dal silenzio del suo sottoposto. - Sono un tuo superiore e un duca infernale ed esigo che tu venga subito qui a rispondere! -
Il tono del dispotico diavolo si era fatto impaziente e rabbioso. Crowley non si sarebbe stupito di vedere lo stereo sputacchiare e ringraziò di non trovarsi alla presenza fisica del suo sgradevole dirigente.
Lanciò uno sguardo a Warlock e lo vide muoversi nel lettino, disturbato dallo sbraitare di Hastur ma ancora addormentato. Tuttavia, se il duca infernale avesse continuato di quel passo, avrebbe certamente finito per svegliarlo, e allora le sue urla di sdegno sarebbero state una bazzecola in confronto a quelle del bambino.
Il demone sospirò, si alzò dalla poltrona e si avvicinò alle casse. - Sono qui, Hastur. Non c'è bisogno di gridare. Per poco non hai svegliato il figlio del nostro Signore. - sussurrò con un sogghigno, godendosi l'istante di silenzio pregno di terrore che seguì dall'altra parte di quell'insolito canale di comunicazione. Era sempre divertente instillare un po' di sano spavento nell'animo viscido di quel rospo.
- Lui... lui è lì con te? - balbettò Hastur, chiaramente impaurito di fronte alla prospettiva di aver involontariamente turbato il figlio di Satana.
- Ovvio che sia qui con me. - replicò Crowley, calmo. - Sono il suo tutore, no? Un anno fa, non avete forse affidato al sottoscritto l'incarico di preparare l'Anticristo alla sua missione? Mi sembra che domandarmi una cosa del genere sia oltremodo pleonastico. -
Dubitava fortemente che il suo superiore conoscesse il significato di quella parola.
- E ti sembra che io... ehm, l'abbia irritato? - chiese Hastur, la spocchia usuale surclassata da una remissività dettata dal timore reverenziale che il giovane Anticristo gli incuteva.
Crowley sorrise, godendo dell'appagante sensazione di avere in pugno l'irascibile duca. - Per tua fortuna, sembra che l'Avversario abbia il sonno pesante. Ma, fossi in te, adotterei un tono più gentile in futuro. Warlock non ama essere svegliato durante il pisolino e non vorrai che, tra qualche anno, si ricordi di te come del duca infernale che interrompeva sempre il suo riposino pomeridiano, vero? -
Il demone riusciva quasi a figurarsi Hastur mentre rabbrividiva e quell'immagine mentale gli diede una corroborante scarica di soddisfazione.
Il duca borbottò una rispostaccia incomprensibile, dopodiché tornò a rivolgerglisi con una voce decisamente più misurata, anche se non meno rude. - Non riesco a vederlo da qui. Perché cavolo non usi quell'aggeggio dove ci sono anche le figure? -
L'altro sollevò un sopracciglio. - Ti riferisci alla televisione? -
- Quello che è! - abbaiò Hastur.
- Oh, sai com'è. - rispose Crowley, vago. - Sono un tipo all'antica. -
Non era affatto vero, ovviamente. In realtà preferiva di gran lunga comunicare con l'Inferno tramite l'impianto stereo e la radio per non doversi ritrovare a fissare le brutte facce dei suoi superiori. Era già abbastanza spiacevole udirne le voci untuose e sgarbate.
- Bah! Fa' come vuoi. - sputò Hastur. - Ti chiamavo per avere un aggiornamento sulla situazione. Come procede? Ligur vuole sapere se Warlock ha già ucciso qualcuno. -
Crowley roteò gli occhi e dovette mordersi la lingua per trattenere la risposta sarcastica che gli era salita alle labbra.
- Ha un anno e mezzo, Hastur. - disse in tono pratico e ragionevole come se stesse parlando con un imbecille (cosa che, in effetti, si avvicinava molto alla realtà). - È già tanto se riesce a fare dieci passi di fila senza ruzzolare a terra. -
- Allora la tortura! - tentò il duca, senza mollare il colpo. - Come se la cava con quella? -
Crowley ci rifletté un attimo e concluse che, in fin dei conti, qualche giocattolo deliberatamente mutilato, l'esaurimento nervoso della cuoca che non sapeva più come mimetizzare le verdure nei piatti perché il bambino le mangiasse, e averlo quasi ridotto alla sordità a forza di strilli e capricci potevano a tutti gli effetti essere considerati atti di sevizia.
- Oh, magnificamente. - rispose il demone, convinto. - Sì, direi che il nostro Anticristo è un torturatore nato, come suo padre, del resto. -
Hastur sembrò approvare quella notizia. - Molto bene. Lo riferirò al nostro Signore. -
Crowley sbuffò. Certo che l'avrebbe fatto; il duca non perdeva mai occasione per farsi bello agli occhi del Gran Capo, anche quando il grosso del lavoro era svolto da altri e lui si fregiava del compito di semplice ambasciatore.
- Hai altro da aggiungere? - fece Hastur in tono speranzoso, forse accarezzando l'idea di allungare un po' la lista di buone nuove da riportare all'autorità massima dell'Inferno.
- Gli piacciono i dinosauri. - riferì il demone con voce piatta. - E i cartoni di SpongeBob. -
Il silenzio interdetto che ricevette in risposta a quelle considerazioni fu la conferma di aver gettato il duca nella confusione più totale, cosa che lo divertì parecchio.
- E cosa c'entrano queste sciocchezze con la preparazione dell'Anticristo alla sua gloriosa missione? -
Crowley alzò le spalle. - Be', mi hai chiesto se avevo qualcosa da aggiungere... -
- Non fare lo spiritoso con me, ti avverto. - ringhiò l'altro. - Lo sai che non sopporto le battute! -
Il demone si finse ammirato. - Wow! Impressionante, Lord Hastur. Il fatto che tu abbia colto l'ironia della mia replica è già un risultato ben oltre le aspettative. -
Sapeva di aver passato il segno, ma sapeva anche che finché fosse stato incaricato di badare all'Anticristo, la sua posizione delicata e imprescindibile per il compiersi dell'Armageddon l'avrebbe protetto da ogni proposito di rivalsa da parte dei suoi detestabili dirigenti, i quali, per quanto lui mettesse alla prova la fragile corda della loro pazienza, avevano le mani legate.
- TU, RAZZA DI INSOLENTE! TI FARÒ INGOIARE QUELLA LINGUACCIA VELENOSA! RICORDA CON CHI STAI PARLANDO! IO SONO UN DUCA INFERNALE MENTRE TU SEI SOLO LA BASSA MANOVALANZA! NON TI PERMETTERE MAI PIÙ DI... -
Ma la sfuriata di Hastur venne interrotta dal prorompere di un acuto pianto proveniente dal lettino.
- Ecco, hai visto? - fece Crowley, esalando un lungo sospiro. - Hai svegliato Warlock. Bel lavoro. -
Il demone poté sentire l'inspiro terrorizzato del suo dirigente, il cui fiume di parole iraconde si prosciugò all'istante mentre, al contrario, il pianto del bimbo aumentava d'intensità.
- Ora devo andare. - disse Crowley senza curarsi di dissimulare un certo fastidio. - Dopo la tua scenata, mi ci vorrà almeno mezz'ora per calmare Warlock. -
- Non... non gli dirai che sono stato io a svegliarlo, vero? -
- Oh, non lo so. Vedremo. - ridacchiò perfido.
- Non ti azzardare... -
Il seguito della minaccia si perse nell'aria satura delle urla del bambino.
- Buona giornata, Lord Hastur. - si congedò Crowley, allontanandosi dallo stereo e sporgendosi sul lettino per sollevare il disperato Warlock tra le braccia e stringerselo al petto.
- Aaaata. - piagnucolò, aggrappandosi con le ditine alla camicetta della sua bambinaia e nascondendo il visino nell'incavo della sua spalla.
Tata Ashtoreth gli sussurrò dolcemente qualche parola di conforto e il bambino parve tranquillizzarsi.
Lo stereo gracchiò di nuovo, dopodiché riprese a spandere per la stanza le note di carillon, come se fino a due secondi prima non avesse affatto ospitato la voce sbraitante di un diavolo imbestialito.
- Be', Warlock, hai appena fatto conoscenza con il duca Hastur e, nel caso te lo stessi chiedendo: sì, è un idiota. -
- Iota! - le fece eco il bimbo, imitandone il timbro sprezzante con impressionante abilità. - Attur, iota! -
- Proprio così, tesoro. - sghignazzò la tata, ricompensando l'acume del suo pupillo con un buffetto sul pancino che lo fece prorompere in un risolino deliziato. Lo spavento di poco prima, provocato dal collerico duca infernale, era ormai nient'altro che un fumoso ricordo che presto sarebbe svanito del tutto.
Tata Ashtoreth camminò avanti e indietro per la cameretta con in braccio il bambino e attese pazientemente che il CD della sconosciuta zia americana compisse ancora una volta il suo miracolo.
Quando il demone sentì il respiro di Warlock farsi profondo e regolare, il corpicino inerme abbandonato e rilassato contro di sé, si azzardò a rideporlo nel lettino con la massima cautela.
Trattenne il fiato quando il bimbo toccò la superficie del materasso e si contorse nel sonno, emettendo dei mugolii. Fortunatamente, una volta assestatosi meglio tra le copertine, Warlock continuò a dormire beato e pacifico.
Crowley si concesse di tornare a respirare e sprofondò nella poltrona, maledicendo tra sé l'incommensurabile mancanza di tatto e intelligenza degli esponenti della sua fazione. Non che gli angeli dell'Opposizione potessero vantare un grande sfoggio di quelle qualità, ma almeno non irrompevano dalla radio di una casa umana nel bel mezzo della giornata, rischiando di mandare a monte il progetto anti-Apocalisse in cui lui e Aziraphale si impegnavano strenuamente ogni giorno.


Trascorse circa un mese da quell'episodio e nessuno dei suoi superiori provò più ad insinuarsi nelle apparecchiature audio o video presenti in casa Dowling.
Quella latitanza prolungata di messaggi dall'Inferno indusse Crowley a pensare (e sperare) che giù alla Sede Centrale avessero infine deciso di lasciarlo in pace, attendendo i suoi rapporti periodici senza più intromettersi.
Speranza che però venne presto disattesa e ciò accadde ancora una volta durante il sonnellino pomeridiano di Warlock.
Come la volta precedente, il demone si era appena accomodato dopo essere riuscito, non senza grandi sforzi, a persuadere il bambino a rimanersene disteso quieto nel suo lettino. La versione carillon di una dolce ballata ungherese* risuonava nella cameretta e il piccolo si stava ormai per arrendere all'abbraccio di Morfeo quando accadde di nuovo. Una gracchiante distorsione si inserì tra le note della melodia.
- Oh, no, no, no. - gemette Crowley, portandosi una mano alla fronte. - Non adesso, per l'amor di Qualcuno. -
- Crowley? Sei lì? -
Il demone dovette combattere contro l'istinto di ignorare la chiamata, ma fare finta di nulla non avrebbe portato a niente di buono e così si alzò di malavoglia, accostandosi all'impianto stereo.
- Sì, presente. - disse, senza alcun entusiasmo. - Con chi ho l'onore di parlare, di grazia? -
- Dagon, Signore degli Schedari e Padrone dei Tormenti. -
Crowley si ritrovò a sogghignare. Quel codardo di Hastur doveva essersi preso proprio una bella paura in occasione del loro ultimo scambio, tanto da non osare più disturbarlo di persona. Ben gli stava!
Si produsse in un atteggiamento falsamente cortese e disponibile. - Salve, Dagon. Cosa posso fare per te? -
- Lord Hastur mi ha chiesto di contattarti per sapere come vanno le cose con l'Anticristo. Novità? -
- Procede tutto a meraviglia. - riferì stancamente. - E, nel caso Ligur abbia domande su eventuali uccisioni, puoi dirgli che due giorni fa Warlock ha ucciso il canarino, brutalmente. -
Crowley omise di specificare che il tragico uccellicidio fosse avvenuto a causa di uno sfortunato incidente durante il quale il bimbo aveva fatto inavvertitamente cadere una serie di spessi volumi di storia politica degli Stati Uniti da un'altezza considerevole, facendoli schiantare proprio sopra la gabbietta del pennuto e provocando l'immediata dipartita dello stesso per attacco cardiaco conseguente all'enorme spavento.
- Splendido! - approvò Dagon. - Suo padre ne sarà molto fiero. Ottimo lavoro, Crowley. -
- Sì. - assentì il demone con lo stesso tono annoiato. - Ora posso tornare al mio lavoro? -
- Ma certo, va' e rendici fieri di te, vecchio serpente che non sei altro! -
La voce di Dagon svanì per lasciare nuovamente spazio alle armonie delicate di Tavaszi szél vizet áraszt.
Crowley scosse la testa. Era stato uno sciocco a sperare che i suoi dirigenti avessero capito l'antifona. Non lo avrebbero lasciato in pace, ormai era chiaro.
Le sue rassegnate riflessioni si dissolsero quando udì la vocina di Warlock provenire dal lettino. - Aa-ta. -
Il demone si avvicinò e vide che il bimbo era completamente sveglio e gli tendeva le braccine con aria imperiosa.
Tata Ashtoreth assecondò il suo desiderio e lo prese in braccio. Il bambino le indicò lo stereo.
- Àdio? - disse, rivolgendole uno sguardo interrogativo colmo di aspettativa.
La tata annuì. - Sì, esatto: quella è la radio. -
- Àdio! - ripeté Warlock, trionfante. - Gagon! -
La sorpresa di Crowley fu tale che per poco non si fece sfuggire il piccolo dalle braccia.
- Cosa hai detto? - chiese con voce strozzata.
- Gagon! - ripeté il bimbo, indicando forsennatamente lo stereo. - Àdio! Gagon! Àdio gaga! -
- Dagon? È questo che vuoi dire? -
- Gagon! - ribadì Warlock, annuendo.
- Allora eri sveglio, razza di demonietto! -
Il bambino rideva come un matto ma Crowley non era sicuro di quali sentimenti provare. Certo, Warlock era ancora molto piccolo, ma aveva pur sempre sentito la sua conversazione con Dagon, e se fosse andato a riferire a uno degli adulti della casa che la tata comunicava segretamente con qualcuno tramite l'impianto stereo della sua cameretta? E se se ne fosse ricordato in futuro? Al momento, le sue capacità verbali erano decisamente troppo scarse per poter mettere insieme anche solo una frase di senso compiuto, ma se avesse conservato quell'avvenimento nella sua memoria per poi raccontarlo una volta divenuto più abile nell'uso del linguaggio? Era abbastanza cresciuto per ricordare qualcosa? Di norma, sapeva che i piccoli umani sviluppano facoltà mnemoniche solo intorno al terzo anno di vita, ma chi gli assicurava che le cose funzionassero allo stesso modo anche per l'Anticristo?
- Tata, àdio gaga! - trillò di nuovo il piccolo con vocetta allegra, indicando prima la propria bambinaia e poi le casse dello stereo. - Tata, Gagon, àdio bla bla! -
Complice l'effetto della risata briosa del bimbo, Crowley decise di rilassarsi e di ridimensionare le sue preoccupazioni. Se anche, da grande, Warlock avesse narrato a qualcuno di quel fatto bizzarro, nessuno gli avrebbe comunque dato il minimo credito. Eventualmente, lui stesso si sarebbe adoperato per indurlo a credere di aver solo sognato che la sua eccentrica tata parlasse con qualcuno attraverso lo stereo.
Il demone permise a se stesso di sorvolare su quei pensieri e di archiviarli in un recesso della sua mente sotto la voce “preoccupazioni inutili”. Si ritrovò perfino a ridacchiare all'idea che il bimbo stesse, senza saperlo, citando uno dei più famosi successi musicali dei Queen.





* Tavaszi szél vizet áraszt è una canzone popolare ungherese che Freddie Mercury cantò accompagnato dalla chitarra di Brian May in onore del paese che ospitò il concerto dei Queen nel luglio del 1986, durante una data del Magic Tour. Imparò il testo in lingua originale e se lo scrisse perfino su una mano per non rischiare di sbagliare le parole. Non è rilevante ai fini della storia, ma tenevo particolarmente a menzionare questa ballata almeno in una OS della raccolta, e questa mi sembrava un'occasione propizia.



Angolo autrice:


Storiella assurda e senza senso scritta solo ed esclusivamente per poter sfruttare il prompt di Radio Ga-Ga e, nella migliore delle ipotesi, strapparvi un sorriso. :)
Mi scuso per l'assenza di Aziraphale ma non sapevo proprio come inserirlo all'interno di questa trama non-trama.
L'idea per suddetta stupidata mi frullava in testa già da un po' ma ho deciso di metterla in pratica solo dopo aver scoperto che le origini di questa canzone si devono al figlio di Roger Taylor, che all'epoca stava proprio imparando a parlare e un giorno se ne uscì con “Radio caca”. È stato come avere una conferma del fatto che l'idea non fosse poi così campata per aria.


Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Brighton Rock ***


brighton

A happy pair they made, so decorously laid

Neath the gay illuminations all along the promenade

It’s so good to know there’s still a little magic in the air

I’ll weave my spell



Le luci del Brighton Palace Pier si stagliavano verso l'alto contro il cielo terso della notte estiva e contemporaneamente anche verso il basso tuffandosi nell'acqua per essere poi rifratte in un variopinto gioco psichedelico.
Il suggestivo luna park di Brighton occupava fieramente l'ultimo tratto del molo panoramico inaugurato nel 1899 che malgrado la veneranda età attirava ancora a sé frotte di visitatori e costituiva una delle principali mete turistiche dell'Inghilterra.
La serata era stata molto piacevole: Crowley e Aziraphale avevano cenato in un delizioso ristorantino con vista sulla spiaggia e ora passeggiavano sul molo mano nello mano, confondendosi tra la variegata fiumana di persone, inglesi e non, che si godevano la frescura notturna dopo una giornata di rovente sole agostano.
Ogni tanto qualcuno li intercettava con lo sguardo e magari si lasciava sfuggire un sorriso intenerito da quanto quei due formassero una bella coppia: bizzarra, forse, ma certamente unita e affiatata. L'amore che li legava sembrava irradiarsi oltre la superficie dei loro corpi e lambire chiunque entrasse a contatto con quell'aura di gaiezza.
Percorsero il molo fino ad arrivare all'ingresso del Pier, con la sua pomposa insegna luminosa e le torri parallele sulle quali svettava la Union Jack mossa appena dalla pigra brezza marina. Dall'interno del parco proveniva una musichetta allegra: una fanfara irriverente e scanzonata dal sapore un po' vintage appositamente scelta per regalare agli avventori la sensazione di trovarsi alcune decadi indietro nel tempo, quando, prima dell'avvento di internet e dell'era digitale, posti come quello rappresentavano un baluardo di sollazzo e aggregazione per umani di tutte le età.
La coppia si fermò ad ammirare la facciata costruita in modo da richiamare quella di un palazzo reale balzato fuori direttamente dalle pagine de Le Mille e una Notte.
- Che ne dici, angelo? - domandò Crowley, voltandosi verso il biondo al suo fianco. - Andiamo a dare un'occhiata? Ti va? -
Aziraphale gli rispose con un sorriso che, agli occhi del demone, fece sfigurare miseramente il tripudio di luci che sfavillavano intorno a loro. - Con piacere, caro. Non ci sono mai stato. -
I due si avviarono senza fretta verso l'entrata, accodandosi a uno stuolo di ragazzini ridanciani. Crowley allungò una banconota al ragazzo dei biglietti, il quale staccò due rettangoli di carta colorata da un blocchetto e augurò loro una buona permanenza.
Una volta entrati, furono investiti da un miscuglio di odori, suoni e colori che, tutti insieme, gridavano una sola parola d'ordine: “DIVERTIMENTO!”
L'aroma zuccheroso e penetrante dei dolciumi si univa a quello degli hot-dog e dei popcorn che scoppiettavano vivacemente; tutt'intorno a loro risuonava un concerto di risa, chiacchiere spensierate e voci di bambini che andavano ad unirsi al sottofondo della fanfara preregistrata che aveva appena attaccato un valzer dai toni sfacciati e un po' dissonanti, quasi che i musicisti fossero stati ubriachi durante l'esecuzione; le giostre dai colori sgargianti erano tutte in movimento creando l'impressione di trovarsi in un chiassoso caleidoscopio multidimensionale.
Crowley fece scorrere lo sguardo sulle attrazioni e gli stand. - Be', è quasi uguale a come lo ricordavo. -
Aziraphale lo guardò, incuriosito. - Se già stato qui? -
Il demone aggrottò la fronte e una piccola ruga di concentrazione gli comparve tra le sopracciglia. - Mmh, dovevano essere gli anni '80, credo. Appena dopo la costruzione del parco per rimpiazzare il vecchio teatro. Forse l'88, ma non ci giurerei. - fece una pausa e distolse l'attenzione dalle attrazioni del parco per farla confluire tutta su Aziraphale. - Però, in effetti, qualcosa di diverso c'è. -
- Che cosa, caro? -
- Tu, angelo. - rispose con semplicità, sfiorando con le nocche le gote morbide del Principato. - Direi che è una differenza degna di nota. -
Il biondo emise una gioiosa risata argentina e depositò rapidamente un bacio sulle dita del demone, dopodiché passò un braccio intorno alla sua vita sottile e gli posò il capo sulla spalla.
- Be', direi che è perfetto! Così puoi farmi da guida. - disse allegramente, premendosi più forte contro il fianco di Crowley. - Non sono un grande esperto in fatto di luna park. Per esempio, quello cos'è? -
Aziraphale indicò una struttura circolare sulla quale ruotavano almeno una decina di coloratissime tazze da tè con tanto di manico e motivi decorativi.
- Sono le tazze rotanti. - rispose il demone, sorpreso che l'amico non ne avesse mai viste. - Ti siedi all'interno, ti aggrappi al sostegno al centro e quelle ruotano su loro stesse mentre girano anche in tondo. -
L'angelo osservò la giostra in funzione: le persone ridevano in quel modo un po' isterico tipico di quando il divertimento si interseca con una punta di paura, che paradossalmente non fa che amplificarlo. Alcuni gridavano ma nessuno sembrava davvero spaventato.
Quando la corsa terminò, tutti abbandonarono le postazioni barcollando e pendendo ora a destra, ora a sinistra come se avessero bevuto troppo. Molti di loro avevano un colorito indefinibile tra il bianco e il verdognolo.
- Oh, cielo. Non sembrano stare molto bene. - constatò Aziraphale seguendo con gli occhi la figura vacillante di un ragazzo in preda alle vertigini e pallidissimo.
Crowley si permise un piccolo sogghigno. - Non è un'esperienza per i deboli di stomaco, questo è vero. - ammise. - Però ti assicuro che ha il suo perché. -
La giostra si svuotò, pronta ad accogliere nuovi intrepidi che desiderassero mettere alla prova la resistenza dei propri stomaci.
- Vuoi salire? - Il tono del demone era suonato piuttosto neutro, ma ad Aziraphale non era sfuggita la nota speranzosa nascosta in fondo a quella domanda.
Crowley si sarebbe volentieri concesso un giro su quelle tazze scatenate, era palese; lo si poteva facilmente intuire dal malcelato desiderio col quale scrutava le sedute che si stavano pian piano riempiendo un'altra volta.
L'angelo venne afferrato dall'improvvisa voglia di esaudire le speranze dell'amico, sebbene quel tipo di giostra non sembrasse incontrare esattamente i suoi gusti.
Aziraphale si accorse che Crowley stava sbirciando la sua espressione per capire se avrebbe infine acconsentito a provare quella nuova esperienza. Ma sì, che male c'era nello sperimentare qualcosa di inedito? Era stato proprio il demone, nel corso della loro millenaria frequentazione, a fargli comprendere come il divergere dagli schemi e dalle abitudini potesse aprire nuovi, spettacolari orizzonti e portare a risvolti sorprendentemente gradevoli.
Il Principato mise fine all'attesa di Crowley volgendosi verso di lui con un sorrisone. - Sì, mi piacerebbe molto. -
La stupita felicità che illuminò i tratti del demone fu più che sufficiente per convincere Aziraphale che, nel bene o nel male, ne sarebbe comunque valsa la pena.
I due si accomodarono all'interno di una tazza e strinsero saldamente il sostegno circolare. L'ultima cosa che l'angelo vide prima che il mondo iniziasse a vorticare a più non posso fu l'occhiata colma d'amore ed entusiasmo che Crowley gli indirizzò.
Le tazze presero sempre più velocità. Aziraphale, schiacciato contro lo schienale dalla pressione del movimento, era solo vagamente coscio della risata euforica del demone seduto accanto a lui poiché tutti i suoi sensi erano troppo occupati nel tentativo di raccapezzarsi e trovare un baricentro che potesse riportare ordine in quella folle doppia centrifuga.
Le dita del Principato stringevano spasmodicamente la maniglia, tuttavia egli non poté fare a meno di scoppiare a ridere a sua volta quando la forza della rotazione finì per scaraventarlo senza tanti complimenti addosso a Crowley.
La corsa durò per un tempo che Aziraphale non avrebbe saputo inquadrare, ma quando finalmente le tazze rallentarono il ritmo convulso della loro giravolta, l'angelo scoprì di essere scivolato di lato e di essere finito lungo disteso col busto addossato a Crowley, anch'egli afflosciato sul sedile della giostra.
Tutti e due scoppiarono in una fragorosa risata che, nel caso del Principato, conteneva un'evidente sfumatura di sollievo.
- Come ti senti, angelo? Tutto bene? - domandò il demone, cercando a tentoni il braccio di Aziraphale, impresa non così facile dato che vedeva la sua immagine quadruplicata.
- Sì, ma ora mi verranno le vertigini ogni volta che vorrò bermi una tazza di tè. - gemette l'angelo, sistemandosi il cravattino tutto storto.
- Poco male. - ironizzò Crowley, rimettendosi in piedi e tendendo una mano ad Aziraphale malgrado l'equilibrio precario. - Ci sono sempre gli alcolici. -


Il tour del luna park proseguì seguendo all'incirca lo stesso schema: Aziraphale indicava una giostra e Crowley gliene illustrava il funzionamento, lasciando poi che fosse l'angelo a stabilire se fosse il caso di provarla oppure no. Le adrenaliniche montagne russe vennero strategicamente ignorate, mentre la giostra dei cavalli meritò addirittura un bis. Aziraphale si era sistemato su un maestoso cigno a due posti con tanto di coroncina, Crowley si era seduto accanto a lui e le loro mani erano rimaste allacciate l'una all'altra per tutta la durata della corsa.
L'alta torre dello scivolo elicoidale, decorata a patriottiche strisce bianche, rosse e blu, era, purtroppo e con grande delusione di Aziraphale, un'attrazione riservata ai soli bambini.
L'Horror Hotel aveva fornito ad entrambi il pretesto, se mai ce ne fosse stato bisogno, per stare ben bene appiccicati l'uno all'altro nella penombra inquietante del locale degli orrori. Crowley era quasi letteralmente saltato in braccio ad Aziraphale quando un orrendo mostro meccanico era comparso all'improvviso di fronte a lui. Il demone aveva cercato di uscirne con nonchalance e contegno, ma aveva capito dal sorrisino malizioso del biondo che quella clamorosa caduta di stile gli sarebbe stata rinfacciata molto a lungo.
Anche la ruota panoramica aveva regalato ai due una gemma preziosa da conservare nel proprio scrigno dei ricordi: le luci della città costiera di Brighton brillavano placide nella notte mentre una magnifica luna piena e pasciuta splendeva sul mare specchiandosi sulla superficie ondeggiante. Una vista incantevole alla quale tuttavia entrambi dedicarono solo una fugace occhiata d'apprezzamento, preferendo poi contemplare il paesaggio, non meno mozzafiato, dei rispettivi volti uno di fronte all'altro.
Nessuno faceva caso a loro: gli umani che li circondavano erano troppo presi dal proprio svago per dedicarsi ad altro ma, a onor del vero, un discorso analogo valeva anche per gli stessi Crowley e Aziraphale, immersi in quella moltitudine festante ma uniti nella loro personale bolla di serenità e armonia.
Quando ebbero provato tutte (o quasi) le attrazioni offerte dal Palace Pier, angelo e demone visitarono la sala giochi che sorgeva esattamente al centro del luna park sotto una vasta cupola dalla struttura in ferro.
Aziraphale sgranò gli occhi davanti a quello spettacolo di lucine lampeggianti, box di vetro colmi di peluche e apparecchiature più o meno datate ideate al solo scopo di intrattenere e divertire. Lì sotto l'aria era ancora più satura di profumini invitanti, probabilmente a causa di un paio di chioschi rasenti le pareti, e la melodia ironica della fanfara arrivava alle orecchie più smorzata, sovrastata dai suoni emessi dalle macchine per giocare: un'irritante cacofonia di Bip, Bang!, Crash! Ai quali si aggiungevano gli immancabili “Ritenta, sarai più fortunato” e i più rari “Bravo! Hai vinto!”.
- Caro, come funziona quello? Sembra piuttosto spassoso. -
Aziraphale indicò un chiosco strabordante di peluche e animali di pezza davanti al quale si era radunata una famigliola: i due bambini stavano lanciando degli anelli di plastica alla volta di uno strano pupazzetto che sorrideva sornione e seguitava a muoversi sconnessamente e senza schema lungo il fondo della struttura, rendendo l'impresa più ardua alla coppia di determinati fratellini.
Crowley seguì la direzione dell'indice di Aziraphale tra la folla di giocatori e macchinari fino a intercettare la scena.
- Si tratta di un gioco molto semplice, almeno a parole. - fornì con tranquillità. Ormai si era abituato al suo ruolo di cicerone e, a dirla tutta, non gli dispiaceva per niente anzi cercava di interpretarlo al meglio delle sue capacità. - Stanno cercando di centrare il bersaglio a forma di clown con quanti più cerchi possibile. Più anelli riesci a impilare attorno al pupazzo meccanico, più sale il punteggio e alla fine puoi ritirare un premio, in base a quanto hai totalizzato. -
Aziraphale aveva ascoltato la spiegazione puntuale del demone con aria rapita, neanche Crowley gli stesse rivelando la formula alchemica per tramutare la materia in oro. Osservò affascinato il bambino più grande fare un centro perfetto ed emettere un ruggente urlo di trionfo.
Crowley sorrise davanti alla sua espressione stupefatta: Aziraphale era un angelo millenario, aveva visto l'Eden e brandito una spada di fuoco, operava miracoli e aveva attraversato la Storia intera della Terra fino a quel momento, eppure bastava un'invenzione semplice come un passatempo umano per stupirlo e incantarlo. Era una delle cose che amava di lui: l'età e la sua condizione di entità sovrannaturale non intaccavano minimamente la sua capacità di provare stupore e meraviglia per le cose più banali. Qualità che quella serata stava ponendo eccezionalmente in risalto.
La partita era terminata e i bambini avevano appena scelto di portarsi a casa un orso di peluche grande il doppio di loro due messi insieme. La famiglia si allontanò dallo stand con il gigantesco premio peloso proprio nel momento in cui Crowley e Aziraphale lo raggiunsero.
- Vuoi provare? - fece il demone, al quale non sfuggì la lunga occhiata che il suo compagno rivolse al clown ghignante.
L'angelo gli scoccò uno sguardo raggiante. - Possiamo? -
Crowley scrollò le spalle. - Ormai siamo qui. Tanto vale immergersi nell'esperienza del luna park a 360 grandi, non credi? -
La coppia si avvicinò al chiosco, dove li accolse una sorridente signora di mezz'età. - Buonasera, ragazzi! Volete tentare la sorte? -
Crowley annuì. - Ci dia un cesto di anelli, per favore. -
La donna posò un cestino colmo di cerchi colorati proprio di fronte a loro, dopodiché azionò il meccanismo del gioco: la musichetta insolente ripartì e il supporto sul quale era collocato il pupazzo riprese a muoversi.
Aziraphale agguantò una manciata di anelli e iniziò a lanciarli verso il clown mentre Crowley cercava di aiutarlo con qualche consiglio sconclusionato.
- No, non da quella parte... aspetta, hai lanciato troppo presto... a sinistra, a sinistra! Troppo a sinistra! -
- Smettila, Crowley! Mi stai mandando in confusione! -
- Prendi la mira, angelo! Non gettare i cerchi a caso! -
- Ci sto provando! Quel coso si muove troppo in fretta! -
Alla fine, grazie agli sforzi congiunti di angelo e demone, almeno un terzo del totale degli anelli centrò il bersaglio.
- Molto bravi! - cinguettò la donna del chiosco, recuperandoli uno ad uno e contandoli con l'occhio esperto di chi praticava quell'attività tutti i santi giorni da anni. - Avete raggiunto un punteggio finale di 50! Complimenti! Potete scegliere uno di questi come premio. - indicò una serie di animali di peluche appesi al soffitto che li scrutavano con i loro occhi vitrei e le espressioni simpatiche quantomai improbabili.
- A te la scelta. - fece Crowley. - Io mi chiamo ufficialmente fuori. -
Aziraphale non parve convinto. - Sei sicuro? -
- Assolutamente. - dichiarò il demone, alzando le mani. - Questa è la tua prima volta al luna park ed è giusto che tu abbia un souvenir. Forza, scegline uno. - lo incoraggiò con una strizzatina d'occhio.
Aziraphale studiò attentamente l'assortimento di peluche prima di aprirsi in un grande sorriso e indicare un buffo serpente verde acceso con tanto di occhietti strabici (dorati, guarda caso) e linguetta biforcuta di stoffa rossa. - Prendo quello, se non le dispiace. -
Mentre la signora del chiosco era intenta a recuperare l'animaletto prescelto, Aziraphale ne approfittò per far balenare un sorrisetto allusivo verso il demone.
- Molto spiritoso. - commentò Crowley con un sogghigno divertito che fece miseramente fallire ogni proposito di allestire un'espressione imbronciata che risultasse anche solo lontanamente credibile.
- Lo chiamerò Anthony, in tuo onore. - scherzò l'angelo prendendo il serpente dalle mani della donna.
- Idiota. - bofonchiò Crowley girandosi dall'altra parte per sottrarre all'angelo la vista della stupida espressione lusingata che troneggiava stupidamente sulla sua stupida faccia.


La luna aveva compiuto ormai più della metà del suo cammino nel cielo quando i due arrivarono allo stand delle caramelle. Acquistarono un sacchetto di dolciumi assortiti e uno di popcorn, più un enorme matassa di zucchero filato rosa confetto da dividersi. Solo a quel punto si avviarono verso l'uscita del parco.
- Allora, - esordì il demone, staccando una nuvoletta fragrante dal bastoncino di legno. - com'è stata la tua prima volta al luna park? Qual è il verdetto? -
Il Principato finì di sgranocchiare i popcorn. - Oh, è stata un'esperienza molto interessante, caro. -
- Molto interessante? - ripeté Crowley arricciando il naso in una smorfia contrariata. - Solo “molto interessante”? -
- Che c'è? Ho detto qualcosa di male? - chiese l'angelo con un mezzo sorriso furbo.
Crowley sbruffò plateale. - Un documentario sulle anatre è molto interessante. Un libro sulle auto d'epoca può essere molto interessante. Una maledettissima Apocalisse mancata è una storia molto interessante... -
- E va bene, mi sono divertito tantissimo. - si corresse l'altro, sghignazzando. - Una delle serate migliori che abbia mai passato in vita mia. Assolutamente tickety-boo! Questa versione ti piace di più? -
- Direi di sì. - borbottò Crowley, prendendo tardivamente coscienza dello scherzo. - Bastardo. -
- Permaloso. -
Aziraphale lasciò che il demone gli cingesse le spalle con il braccio mentre si lasciavano alle spalle l'insegna scintillante del Palace Pier e ripercorrevano a ritroso la promenade.
Camminarono in silenzio per un po', peni di una felicità e una spensieratezza che avevano conosciuto di recente, per la precisione da quando erano quasi morti per mano dei rispettivi dirigenti.
Popcorn e zucchero filato erano terminati a una velocità impressionante durante la passeggiata ma il sacchetto delle caramelle poteva vantare ancora qualche superstite.
Infine, Crowley prese la parola dando voce ad un pensiero che lo assillava già da qualche ora. - Sai, non posso credere che tu non avessi mai visitato un luna park prima di oggi. -
Aziraphale si strinse nelle spalle, ancora cinte nell'abbraccio del demone. - I miei ex-capi non hanno mai approvato quel genere di luogo. - ammise con noncuranza. - Gabriel non era troppo contento neppure del fatto che mi fossi stabilito a Soho e non mi sembrava il caso di mettere ulteriormente alla prova la sua pazienza. Era molto prevenuto. -
- Ha senso. - commentò Crowley annuendo con fare pensieroso. - In effetti non mi sorprende che lassù non approvino i luna park. -
- Che vuoi dire? -
- Hai visto com'è, no? Se ci pensi bene, un luna park è un concentrato di vizi e tentazioni. Un paese dei balocchi in piena regola. -
Aziraphale inarcò le sopracciglia, stupito. - Vizi e tentazioni, dici? -
- Ma sì. - fece Crowley, prendendo a contare sulle dita. - Dunque, abbiamo il gioco d'azzardo, - indicò il peluche che l'angelo teneva sottobraccio e sollevò il pollice. - poi i peccati di gola, - continuò, alludendo al sacchetto di caramelle e alzando l'indice, - e naturalmente i tunnel dell'amore: antri di lussuria e lascivia. -
L'angelo rise. - Antri di lussuria e lascivia, addirittura? Non ti sembra di esagerare un po'? -
- Affatto! - esclamò l'altro, sgranando gli occhi. - Sai quanti bambini sono stati concepiti grazie ai tunnel dell'amore di tutti i luna park del mondo? - Crowley ammiccò furbescamente.
- Mmh, mi sa che questa te la sei inventata, caro. -
Il demone fece affiorare alle labbra un sorrisino colpevole. - Può darsi. - concesse, enigmatico. - Ma, d'altra parte, chi può saperlo con certezza? -
Azirapahle gli scoccò una finta occhiata di rimprovero, dopodiché estrasse dal sacchetto dei dolciumi un bastoncino di zucchero caramellato e se lo portò distrattamente alla bocca. L'ingenua sicurezza con cui si preparò ad addentare il dolce mise in allarme il demone: era chiaro che egli non avesse la minima idea della minaccia nascosta in quel subdolo cilindro dai colori squillanti.
Crowley sbiancò: sapeva cosa sarebbe successo e doveva assolutamente impedirlo prima che fosse troppo tardi.
- Sta' attento! Quella caramella è... -
Nel momento esatto in cui il bastoncino entrò in collusione con i denti di Aziraphale, si udì uno schiocco secco immediatamente seguito da un gemito di dolore da parte dell'angelo.
- ...dura come un sasso. - concluse Crowley con un sospiro. Non aveva fatto in tempo.
- Ouch! Me ne sono accorto. - fece il biondo, tenendosi una mano premuta contro la guancia destra con aria sofferente.
- Be', c'è un motivo se si chiama Brighton Rock. - commentò il demone con un sottile velo di ironia nella voce. - È davvero della stessa consistenza di una roccia. Credo che molti dentisti abbiano fatto fortuna grazie a questi bastoncini traditori. -
- Mmh. - mugolò Aziraphale, continuando a premersi la mano contro la guancia. - Credo di essermi appena giocato almeno un canino e forse un paio di molari. -
Crowley lo guardò con infinita tenerezza. - Fortunatamente per te, sei più che in grado di guarirti da solo senza ricorrere all'ortodonzia degli umani. -
- Già. - assentì Aziraphale, massaggiandosi delicatamente la mascella dolorante. - Ma potresti... potresti farlo tu? -
Il demone sbatté le palpebre, interdetto. - Io? E perché mai? - domandò. - Ti basterebbe un banalissimo miracolo per risolvere il problema. -
Aziraphale sospirò. Era ovvio che gli sarebbe bastato ricorrere ad un banalissimo miracolo, se avesse voluto. Il punto era proprio quello: la volontà, che, nel suo caso, nulla aveva a che fare con la necessità. Perché a volte la sorte gli presentava su un piatto d'argento delle occasioni imperdibili per spingere Crowley a elargirgli una dose extra di coccole, premure e tenerezze. Non che il loro rapporto risentisse della mancanza di tali elementi, ma Aziraphale non se ne sentiva mai sazio e fare gli occhi dolci al demone era qualcosa che lo divertiva oltremodo.
- Per favore, caro. Accontentami. - mormorò con voce morbida, esibendosi nella sua migliore interpretazione del cucciolo ferito.
Crowley capitolò all'istante: sentì la bocca prosciugarsi all'improvviso, il cuore mancare un battito e si convinse a gettare via qualunque obiezione circa la completa inutilità pratica di un suo intervento per una questione che Aziraphale sarebbe stato in grado di risolvere tranquillamente da solo. Alzò una mano verso il viso dell'angelo, preparandosi a guarire il danno provocato dalla caramella rocciosa, poi parve ripensarci e la ritirò, esitando.
Aziraphale lo guardava in attesa, totalmente fiducioso, totalmente innamorato. La fede limpida e incondizionata che lesse nel suo sguardo cristallino diede al demone il coraggio di assecondare la curiosa idea che lo solleticava. Si chinò un poco e accostò le labbra alla guancia destra di Aziraphale. Le mantenne a contatto con la sua pelle per qualche secondo, assaporandone il tepore e la morbidezza e inalandone il profumo divino. Sarebbe potuto rimanere in quella condizione di beatitudine per ore, giorni, settimane. Il respiro dell'angelo gli lambiva l'orecchio e anche se in quel momento non lo poteva vedere, ebbe la certezza che un sorriso si fosse appena dipinto sulla sua bocca fragrante di zucchero. Crowley si prese ancora un secondo per incamerare le sensazioni meravigliose che quel momento gli aveva generosamente regalato, infine lasciò cadere un serico bacio e soffiò lievemente sulla gota dell'angelo provocandogli la pelle d'oca sul collo.
- Come va ora? - chiese in un sussurro, allontanandosi e guardando l'altro con intensità, come se lo stesse accarezzando con gli occhi.
Aziraphale rilasciò un espiro più profondo prima di rispondere: era evidente che l'iniziativa del demone non avesse avuto un effetto piacevole solo su di lui.
- Mai stato meglio, caro. - dichiarò il Principato, arrossendo leggermente. - Mai stato meglio. -




O rock of ages, do not crumble,

love is breathing still

O Lady Moon, shine down

a little people magic if you will


Brighton Rock, Queen, 1974






Nota:

Ho cercato di presentare il Brighton Palace Pier e le sue attrazioni il più fedelmente possibile alla realtà, basandomi soprattutto sulle immagini che ho trovato in rete e sui social. Le giostre nominate sono tutte presenti nel vero luna park, così come la sala giochi sotto la cupola.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** You take my breath away ***


You take



Look into my eyes and you’ll see

I’m the only one

You’ve captured my love

Stole my heart

Changed my life



You take my breath away, Queen, 1976




Aziraphale premette il tasto del citofono contrassegnato dalla scritta “A. J. Crowley” e attese l'arrivo di una risposta dondolandosi nervosamente sui piedi.
Non era un fatto usuale che fosse lui a recarsi a casa del demone. Solitamente era Crowley che passava a trovarlo in libreria e che poi lo scarrozzava sulla sua Bentley ovunque dovessero andare (il ché, la maggior parte delle volte, significava un luogo in cui l'angelo potesse gustarsi qualche prelibatezza, dolce o salata che fosse).
Ma quella mattina, Aziraphale si era incontrato con un collega libraio interessato all'acquisto di un'antica Bibbia miniata risalente al Medioevo in possesso dell'angelo, il quale l'aveva avuta direttamente da un monaco amanuense ne lontano XII secolo. In genere, Aziraphale detestava separarsi dai suoi adorati libri e faceva di tutto pur di evitarlo, ma quella versione medievale della Bibbia non era neppure di qualità eccelsa e nella sua corposa collezione l'angelo poteva vantare copie assai più pregiate. Ad ogni modo, il negoziato era avvenuto proprio nei pressi di Mayfair e, una volta concluso l'affare, egli aveva pensato di tentare la sorte e fare un'improvvisata a Crowley, sperando di non disturbarlo. La Bentley era parcheggiata di fianco all'ingresso del lussuoso condominio, dunque il demone doveva trovarsi in casa.
Ma le casse del citofono rimasero ostinatamente mute e Aziraphale immaginò che l'amico stesse schiacciando uno dei suoi soliti sonnellini. In quel caso, avrebbe dovuto rassegnarsi all'idea di non vederlo né sentirlo almeno fino alla settimana seguente.
L'angelo pazientò ancora qualche minuto, aggrappandosi alla tenue speranza che, alla fine, Crowley rispondesse al campanello e lo facesse salire, anche solo per rimproverarlo di averlo svegliato.
Com'era prevedibile il suo tentativo si concluse con un nulla di fatto. Il suo dito indice era ancora accostato al tasto accanto alla targhetta con il nome dell'inquilino, ma l'angelo non sarebbe stato così scortese e importuno da premerlo di nuovo, per quanto lo desiderasse.
Sospirò e fece per tornare sui propri passi quando udì una voce affabile dietro di sé.
- Sta cercando il signor Crowley? -
Aziraphale si voltò per ritrovarsi faccia a faccia con una donna anziana dal fisico minuto, ben vestita, con i capelli candidi acconciati in una crocchia ordinata e un filo di perle ad incorniciarle il collo sottile. Gli sorrideva amabilmente e lo guardava con una lieve curiosità.
- Oh, ehm, sì, ero passato a trovare il mio amico, ma temo di non aver avuto fortuna. Non ha risposto al citofono. -
La distinta vecchietta fece una risatina. - Non mi sorprenderebbe se non l'avesse neppure sentito. Quando quel giovanotto si siede al pianoforte e inizia a suonare, si isola completamente dal mondo. È tipico di tutti gli artisti, sa. Mi dia retta, non si accorgerebbe di nulla neanche se si scatenasse l'Apocalisse. -
Aziraphale impiegò qualche secondo ad elaborare quelle parole; le sue difficoltà riguardarono nello specifico la parte sul pianoforte.
La donna dovette rendersi conto della sua perplessità perché nei suoi vispi occhi azzurri balenò un guizzo di comprensione. - Oh, povera me. A giudicare dalla sua espressione, direi che non aveva idea che il suo amico fosse un pianista provetto. Temo di averle involontariamente procurato un piccolo shock. -
L'angelo si riscosse. - No, in effetti non sapevo nulla di questa sua passione. -
A un tratto, si accorse che dalle braccia della signora pendevano due grosse borse della spesa dall'aria piuttosto pesante.
- Oh, cielo! Che villano che sono. Posso aiutarla con quelle buste, madame? -
La donna gli rivolse un sorriso grato. - Be', non sarò più una ragazzina ma queste braccia sono ancora forti, sa? Ad ogni modo, una signora non rifiuta mai l'offerta di un gentiluomo tanto cortese. -
Aziraphale rise e si affrettò a toglierle di mano i due grossi sacchetti mentre la donna estraeva un mazzo di chiavi dalla borsetta e apriva la porta d'ingresso del palazzo.
- E così, ehm, Crowley sarebbe un musicista? - indagò l'angelo mentre seguiva la signora nell'ascensore.
Lei annuì, premendo il pulsante. - Eccome! Ed è anche molto bravo, sa? Io abito al piano di sotto e mi capita spesso di sentirlo suonare. Per fortuna le mie orecchie sono ancora in buono stato. -
Aziraphale corrugò la fronte. Non voleva mettere in dubbio le sue parole rischiando di offenderla, ma faticava davvero a coniugare l'immagine mentale che aveva di Crowley con quella inedita descritta da quella vecchia signora, così fece ricorso al tono di voce più gentile e delicato che gli riuscì di evocare. - Ma è sicura che non si tratti di brani registrati? Insomma, potrebbe essere semplicemente lo stereo acceso o magari la radio... -
Ma la donna scosse la testa, decisa. - Si fidi di me, ho avuto la fortuna di partecipare a molti concerti di musica classica fin da quando ero una ragazzina e so riconoscere quando qualcuno suona dal vivo. Il suo amico ha un talento innato, glielo dico io. Certo, ogni tanto si mette a suonare a orari improponibili, benedetto ragazzo! Ma devo ammettere che non mi dispiace ascoltarlo mentre sono distesa a letto. Mi dia pure della vecchia sciocca sentimentale, ma a volte mi capita perfino di commuovermi mentre lo ascolto suonare al piano di sopra. C'è qualcosa nel suo modo di far scorrere le dita sui tasti... qualcosa di struggente e malinconico, ed è meraviglioso. -
Aziraphale non poté far altro che fissare a bocca aperta l'espressione beata e sognante comparsa sul viso della vecchina, la quale non tardò ad accorgersi della sua incredulità.
- Vedo che il suo amico ha mantenuto gelosamente per sé questo suo hobby. - ridacchiò, vagamente imbarazzata. - Almeno finché una vecchia chiacchierona come me non ha spiattellato tutto. -
Aziraphale le sorrise, intenerito. - Non si preoccupi, rimarrà tra noi. -
Il sonoro DING dell'ascensore annunciò l'apertura delle porte e l'arrivo a destinazione.
L'angelo insistette per accompagnare la signora all'interno dell'appartamento e quando ebbe posato le borse sul tavolo della cucina e la donna lo ebbe ringraziato sentitamente, uscì sul pianerottolo e lanciò un'occhiata verso l'alto.
Una sola rampa di scale lo divideva dall'attico di Crowley. Sarebbe stato un peccato non cogliere l'occasione per fare un ultimo tentativo.
Aziraphale salì i gradini di marmo e quando si ritrovò davanti all'uscio della dimora del demone, tese le orecchie, aspettandosi magari di cogliere qualche sparuta nota di pianoforte, ma non poté distinguere nient'altro che uno spesso strato di silenzio.
Lo sguardo gli cadde sul campanello a forma di serpente. Allungò la mano e ne sfiorò la superficie fredda e affusolata ma quando fu il momento di esercitare quella piccola pressione che avrebbe azionato il meccanismo, decise di non proseguire oltre.
Non voleva passare per invadente. Se Crowley non aveva risposto al citofono del cancello cinque minuti prima, cosa gli faceva pensare che avrebbe ottenuto un risultato diverso?
Aziraphale sospirò e si diede dello stupido, allontanandosi dalla porta e riprendendo la via delle scale.


Il pensiero di quanto aveva appreso grazie alla conversazione con quell'amabile signora non abbandonò Aziraphale per tutto il tragitto in autobus fino a Soho.
Gli riusciva stranamente arduo immaginare il demone seduto al pianoforte intento ad accarezzare i tasti intrecciando melodie e sinfonie tanto sublimi da poter ridurre qualcuno alla commozione. Non che a Crowley non piacesse la musica; solo, Aziraphale faticava a figurarsi il suo migliore amico nei panni di un pianista. Inoltre il demone non aveva mai fatto cenno a una sua eventuale dedizione per il pianoforte, né l'angelo poteva rammentare di aver colto qualche indizio, anche molto vago, che potesse fornirgli una conferma di ciò che l'anziana donna gli aveva riferito.
Quel pomeriggio, Aziraphale si stava ancora lambiccando su quel piccolo mistero. Era seduto nel retro, talmente assorto da non accorgersi che l'oggetto delle sue riflessioni era appena entrato ancheggiando nella libreria.
- Ehi, angelo. Ci sei? - chiamò Crowley una volta varcata la soglia del locale.
Non ottenendo risposta, il demone si diresse speditamente verso il retrobottega, dove trovò l'amico sprofondato tra i cuscini della sua poltrona preferita e immerso nei suoi pensieri, le dita delle mani intrecciate sul petto.
- Cos'è, stai meditando? -
Aziraphale sobbalzò. - Crowley! Ti sembra il caso di apparire così all'improvviso?! -
Il demone inarcò un sopracciglio. - Ti ho chiamato, angelo. Sei tu che non mi hai sentito, preso com'eri da chissà quale fantasia. A proposito, a cosa stavi pensando per estraniarti dal mondo in quel modo? -
Aziraphale avvertì il calore del sangue che gli affluiva alle gote. - Oh, niente di importante, caro. Te l'assicuro. -
Crowley scrollò le spalle, gesto che l'angelo interpretò come una tacita promessa di non insistere oltre sull'argomento.
- Sai, sono passato da te stamattina. - buttò lì in tono casuale mentre fingeva di spazzare via un inesistente granello di polvere dai pantaloni.
Il demone non disse nulla e Aziraphale si sentì autorizzato a continuare. - Ero in zona per la compravendita di un libro e ho pensato di farti una sorpresa, ma quando ho provato a citofonare, non hai risposto. Spero di non averti disturbato, stavi forse dormendo? Erano circa le undici. -
Crowley, ora appollaiato sul bracciolo del divano, sembrò pensarci su qualche secondo, come se si stesse sforzando di richiamare alla memoria le sue occupazioni durante il lasso di tempo indicatogli da Aziraphale.
- Alle undici, dici... ah, ma certo! Ero sotto la doccia. -
- Sotto la doccia? - fece l'altro sbattendo le palpebre.
Crowley sbuffò, più divertito che infastidito. - Sì, angelo. Sotto la doccia. A differenza dei miei ex colleghi e dirigenti, io non nutro un profondo disprezzo per l'igiene personale e il sapone. Credevi che, in quanto demone, dovessi odiare le docce per principio? -
Aziraphale si affrettò a cercare una risposta che potesse non suonare troppo stupida, ma venne dispensato da quel compito dallo stesso Crowley.
- Comunque, come mai hai voluto passare da me? C'era un motivo particolare? Avevi bisogno di qualcosa? -
L'angelo scosse la testa. - No, caro. Pensavo semplicemente che avremmo potuto fare quattro chiacchiere davanti a un bicchiere di vino o una tazza di té. Tutto qui. -
Il demone sembrò preso in contropiede. - Oh, be'... in tal caso, mi dispiace che non se ne sia fatto niente. -
Aziraphale notò con stupore che l'amico pareva veramente dispiaciuto e sentì una piccola ondata di calore riempirgli il petto. Ma lui aveva ancora un mistero da risolvere, un segreto da svelare, e così decise di approfittare della presenza del demone per tentare di fare un po' di luce su quel piccolo arcano che, da quella mattina, era diventato un chiodo fisso.
- Sai, pensavo che dovrei mettere un po' d'ordine tra i miei vinili. - esordì senza preamboli, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso lo scaffale dove custodiva i suoi dischi di musica classica. - Forse dovrei dividerli in base al compositore, al periodo storico o magari per strumento. Ad esempio, potrei sistemare qui tutti i concerti per pianoforte. Ecco: Mozart, Beethoven, Debussy... -
Crowley sogghignò. - Che mi dici di Elgar e Liszt? Non sono forse gli unici due musicisti che il Paradiso possa vantare tra le sue schiere?¹ Immagino che quel pallone gonfiato di Gabriel ne fosse molto orgoglioso. -
Aziraphale si produsse in un sorrisetto. - Be', certo. Ovviamente ho anche qualcosa composto da loro... qui, da qualche parte. Mettevo le loro opere ben in mostra quando ricevevo visite dai miei superiori. -
Il demone ridacchiò di gusto, seguendo con gli occhi il trafficare dell'amico tra le custodie dei dischi.
L'angelo impilò una serie di vecchi vinili sul tavolino accanto al grammofono e decise di tentare un affondo diretto.
- Senti un po', caro. Tu hai mai suonato uno strumento musicale? -
Si voltò per osservare attentamente la reazione di Crowley e cogliere anche solo un minimo cambiamento nella sua espressione, ma il demone si limitò a stirare le labbra sottili nel famigliare sorrisino storto. - Se il clacson della mia Bentley conta come strumento musicale, allora sì, angelo. Innumerevoli volte, a dire il vero. -
Aziraphale gli scoccò uno sguardo di sottile rimprovero. - Dico sul serio, Crowley. -
Il demone strizzò gli occhi, insospettito. - Ma perché caspita ti interessa tanto? -
L'angelo si strinse nelle spalle. - Be', visto che stavamo parlando di musica e compositori, mi è venuto in mente di domandartelo. Tutto qui. -
- Mmm. -
Aziraphale sapeva di non essere riuscito a darla a bere a Crowley, ma apprezzò il fatto che il demone non si fosse impuntato per fargli vuotare il sacco.
- E tu, angelo? Hai mai imparato a suonare uno strumento? A parte l'arpa celestiale, s'intende. -
Per la seconda volta, Aziraphale gli indirizzò un'occhiata di sbieco. - Lo sai che gli angeli non suonano l'arpa, caro. È solo un cliché inventato dagli umani, come quello dei demoni che impugnano forconi. - fece una pausa, prima di riprendere in tono meno severo. - Per rispondere alla tua domanda, no, temo di non aver mai posseduto un grande talento per la musica. Antonio Vivaldi in persona provò ad insegnarmi le basi del violino nel '700, ma fu un completo disastro. -
- Be', forse il problema non è la mancanza di talento ma il fatto che tu non abbia ancora trovato lo strumento adatto a te. -
Aziraphale sollevò lo sguardo dal vinile che teneva tra le mani e fissò l'amico, piacevolmente sorpreso da quel gentile incoraggiamento.
- O magari sei solo negato e basta. - si riprese subito il demone, accortosi di quella piccola défaillance e affrettandosi a tornare ai suoi modi beffardi.
L'angelo volse il capo verso il grammofono per nascondere il sorriso che gli era affiorato alle labbra. Sapeva fin troppo bene quanto l'amico tenesse alla sua reputazione e non voleva deluderlo mostrandogli di aver colto e apprezzato quell'estemporaneo bagliore di gentilezza.
E va bene, il primo affondo non era andato a buon fine, ma forse con il secondo avrebbe avuto più fortuna.
- Ehi, Crowley, guarda qui. Ho trovato qualcosa che forse potrebbe interessarti. -
- Ne dubito fortemente. - ribatté il demone, che pure si alzò di malavoglia dal bracciolo del divano e si avvicinò ad Aziraphale con passo strascicato.
L'angelo brandiva una cartelletta di cuoio consunto contenente una pila di fogli spessi e ingialliti. Il primo, posto in cima, era molto rovinato ma si poteva ancora distinguere il volto inconfondibile di Frédéric Chopin occhieggiare benevolente verso di loro.
Aziraphale fece scorrere con attenzione le vetuste pagine, le quali rivelarono un'abbondante quantità di spartiti.
- Sono tutti i ventuno Notturni di Chopin. - spiegò l'angelo. - Perché non li tieni tu? -
Crowley lo guardò sorpreso. - Io? E che accidenti dovrei farci? -
L'altro allargò le braccia. - Non saprei, ma vorrei che l'avessi tu. Che c'è di male? Ti sto facendo un regalo e i regali si accettano a prescindere, sempre. È buona educazione. -
Il demone afferrò con sospettosa riluttanza il plico che Aziraphale gli porgeva, quasi si aspettasse di vederselo esplodere tra le mani.
- Ti comporti in modo molto bizzarro oggi, lo sai? - disse, lanciandogli uno sguardo circospetto.
- Che posso dirti, caro? Sarà la primavera. -
- Siamo a novembre, angelo. -
- Ah. -


Alla fine del pomeriggio, tutta la collezione di vinili di Aziraphale era stata spolverata con cura e riposta ordinatamente sugli scaffali.
Crowley aveva assistito distrattamente a tutta l'operazione e i due avevano discusso di musica per quasi tutto il tempo.
Il demone se ne andò verso le sei e Aziraphale dovette constatare con una certa delusione di non aver compiuto alcun significativo passo avanti nella sua indagine. Nel corso della conversazione aveva lasciato cadere diverse allusioni sperando di riuscire a indurre Crowley, se non proprio ad una piena confessione, almeno a un passo falso; ma l'amico non si era tradito neanche per un secondo, e lui si ritrovava di nuovo in compagnia di quel tarlo che lo consumava di curiosità.
Per quel giorno non aveva concluso niente, ma non si sarebbe dato per vinto. Avrebbe scoperto se davvero il suo migliore amico si dilettasse a suonare il pianoforte, a costo di impiegarci anche un intero secolo. D'altra parte, questo era uno degli indiscutibili vantaggi del disporre di un'esistenza eterna: si potevano portare avanti progetti a lunghissimo termine.
Erano ormai le dieci di sera quando Aziraphale, seduto in poltrona a leggere, per l'ennesima volta, Il Conte di Montecristo, notò qualcosa che attirò la sua attenzione tra i cuscini del divano.
Si alzò per osservare meglio e si accorse che Crowley aveva dimenticato il volumetto con gli spartiti di Chopin. L'aveva appoggiato accanto a sé dopo essersi seduto ma evidentemente doveva essersi scordato di prenderlo prima di andarsene.
L'angelo lo sollevò tra le mani con fare pensieroso. Il demone non avrebbe potuto obiettare se si fosse presentato da lui per portarglielo, giusto?


Aziraphale allungò la mancia al tassista che l'aveva accompagnato a Mayfair esattamente di fronte al palazzo davanti al quale aveva sostato quella stessa mattina.
Una coppia di sposini a braccetto stava uscendo dal cancello proprio in quel momento e, dopo aver lanciato uno sguardo fugace al citofono, l'angelo decise di approfittare di quel colpo di fortuna e sgattaiolò alle spalle dei piccioncini, ritrovandosi nell'androne d'ingresso.
Attese l'arrivo dell'ascensore e premette il pulsante per l'ultimo piano. Dopo il DING, le porte presero a scorrere pigramente e Aziraphale uscì dal montacarichi incamminandosi verso la porta dell'appartamento di Crowley. Il tutto gli suscitava una strana impressione di deja-vu, ma quella sera era deciso a farsi aprire dal demone.
Proprio mentre la sua mano si accingeva a premere sul campanello, un suono delicato emerse frusciando dal silenzio del pianerottolo deserto e raggiunse le sue orecchie. Note di pianoforte, non c'era alcun dubbio.
Per un istante, Aziraphale temette che, sotto il peso della suggestione, la sua mente gli stesse giocando un qualche scherzo. Ma quando accostò una guancia alla fredda superficie dell'uscio per accertarsene, dovette riconoscere che il suo cervello non lo stava ingannando affatto. Qualcuno stava davvero suonando un pianoforte dall'altro lato del muro.
L'angelo sapeva che intrufolarsi in casa di Crowley senza che gli fosse stato esteso un invito o concesso il permesso sarebbe equivalso a una violazione di domicilio, ma non voleva rompere quella sorta di incantesimo musicale facendo strillare il campanello. Del resto, non aveva forse passato la giornata a scervellarsi sull'arcano che vedeva coinvolti il demone e il pianoforte? Quella era l'occasione d'oro per scoprire la verità. Avrebbe solo dovuto usare un po' di cautela.
Aziraphale deglutì e cacciò via gli ultimi scrupoli, dopodiché fece scattare silenziosamente la serratura grazie ad un piccolo miracolo ed entrò in punta di piedi nell'appartamento, seguendo la scia della musica.
Si guardò intorno e si rese conto che la melodia proveniva dall'ultima stanza in fondo al corridoio. Percorse quella direzione con il fiato sospeso, il libro con gli spartiti di Chopin stretto tra le mani.
Raggiunse la porta e restò in ascolto. La musica era ormai solo leggermente ovattata dall'attrito del legno, ma sufficientemente nitida perché Aziraphale potesse udirla senza alcuno sforzo.
Si trattava di un pezzo che gli era del tutto sconosciuto e che, ne era abbastanza certo, non apparteneva al repertorio classico.
Erano suoni lenti, dolci, timidi; le pause erano piuttosto marcate, ogni nota era come un sussurro, un bisbiglio alla sua anima. Gli trasmetteva una malinconia ancestrale, uno struggimento che gli arrivava dritto al cuore e risaliva dalla sua gola formandovi un nodo fino a sgorgare dai suoi occhi inumiditi.
Entro una manciata di secondi, Aziraphale scoprì di non potersi allontanare da quella melodia neanche di un solo centimetro. Accostò la schiena alla parete e si lasciò andare a quelle sensazioni, abbracciandole una ad una con gli occhi chiusi mentre tutti i suoi sensi (umani e angelici) convergevano nel cogliere ogni infinitesimale sfumatura di quell'incantevole armonia che lo avvinceva e s'insinuava in lui trascinandolo sempre più a fondo (o elevandolo sempre più in alto) in quell'estasi dal sapore agrodolce. Era come seta sulla pelle e miele sulle labbra.
Inconsapevolmente, l'angelo arrivò perfino a sospendere il proprio respiro, come se ogni superflua traccia d'aria nei suoi polmoni fosse stata risucchiata via e sostituita dalla soave pervasività di quella musica suonata con eccezionale trasporto e dedizione.
Aziraphale si trovava in uno stato di tale beatitudine che non si accorse neppure di quando il pianoforte si azzittì e nemmeno fu in grado di udire i passi in avvicinamento verso la porta.
Fu così che quando questa venne spalancata, l'angelo fu ricatapultato bruscamente alla realtà. Bruscamente e dolorosamente visto che il suo naso finì per trovarsi proprio sulla traiettoria dell'uscio.
- Ahi! Che male! -
Crowley fece un balzo all'indietro e sgranò gli occhi. - Aziraphale?! Ma cosa... come... Per le sacre corna di Satana, si può sapere che accidentaccio ci fai qui?! -
L'angelo emise un gemito, si passò la mano sul volto insanguinato e il naso tornò al suo posto con uno schiocco nauseante. Nessuna traccia dell'increscioso incidente.
- Ero venuto a portarti questo. L'avevi dimenticato. - si giustificò, porgendogli la cartella con gli spartiti.
Il demone lo fissò con un misto di incredulità ed esasperazione. - E tu saresti uscito a quest'ora solo per venire qui a consegnarmi un oggetto che avresti potuto tranquillamente miracolare per farmelo apparire sul tavolo in due secondi? -
Aziraphale distolse lo sguardo. - Mi andava di fare una passeggiata. - azzardò. - Non ringraziarmi, eh! -
- In ogni caso, - riprese Crowley. - non ricordo di averti invitato ad entrare. Sai che degli umani intellgenti hanno inventato una cosa molto utile chiamata citofono o campanello? Non è difficile da usare, basta premere un tasto. -
- L'ho fatto! - mentì l'angelo. - Ma tu non mi hai sentito. -
- E allora hai pensato bene di operare un miracolino dei tuoi sulla serratura e di entrare lo stesso, giusto? -
L'angelo diventò paonazzo. - Il fatto è che quella musica era così bella... non sono riuscito a resistere... -
- Vuoi dire che mi hai spiato per tutto il tempo?! - esclamò Crowley, sdegnato. - Aziraphale, da quanto eri appostato qui fuori, esattamente? -
L'altro prese a tormentarsi il papillon di tartan spostando il peso da un piede all'altro. - Ehm, diciamo due o tre minuti. -
E, a quel punto, accadde una cosa totalmente inaspettata: fu il volto di Crowley a colorirsi di un bel rossore imbarazzato.
- Non devi vergognarti, caro! - lo rassicurò Aziraphale. - Suoni meravigliosamente, davvero. -
- Cosa... come puoi essere sicuro che fossi io a suonare? Poteva benissimo trattarsi di un CD. -
L'angelo scosse piano la testa. - No, non lo era. - replicò con ferrea convinzione.
- Cosa te lo fa pensare? - berciò Crowley, stizzito e terribilmente consapevole delle sue gote imporporate.
Aziraphale volse lo sguardo verso l'interno della stanza misteriosa e indicò un punto alle spalle del demone. - Quello. -
- Oh. - fece Crowley, incapace di trovare replica migliore al fatto che l'amico stesse indicando un bellissimo pianoforte a coda laccato di nero lucido che faceva bella mostra di sé nel centro esatto dell'ambiente. La scritta Bösendorfer² brillava in caratteri gotici dorati sul fianco dello strumento.
- Be', congratulazioni, angelo. Mi hai scoperto. - riconobbe il demone, la voce più depressa che mai.
- Oh, Crowley, non fare quella faccia abbattuta. Mi dispiace, non intendevo spiarti. È solo che quella melodia mi ha rapito completamente. Che cos'era, a proposito? Schumann? Mendelssohn? -
Il demone gli lanciò uno sguardo indecifrabile prima di rispondere. - Queen. -
Aziraphale scavò a fondo tra le proprie nozioni in fatto di cultura musicale ma non ottenne alcun riscontro. - Come, scusa? Chi è Queen? Credo proprio di non averlo mai sentito nominare. È un compositore? In che anni ha lavorato? XIX secolo? -
Crowley rispose a quelle domande sollevando un sopracciglio con aria divertita, nonostante la stizza e l'imbarazzo non fossero ancora scemati.
- Oh! - esclamò improvvisamente Aziraphale. - Vuoi dire i Queen? -
L'altro annuì. - Precisamente. -
L'espressione interdetta che apparve sul viso dell'angelo lo fece ridacchiare. - Che c'è? Pensavi che la loro musica fosse tutto uno stridore di chitarre elettriche, colpi di batteria e urla a squarciagola? Rock allo stato puro? -
Aziraphale fece un buffo gesto a metà tra un'alzata di spalle e un cenno di diniego con la testa.
- Be', ti sbagliavi di grosso, angelo. Che tu ci creda o no, quella che hai ascoltato nascosto dietro la porta è proprio una delle loro canzoni. -
- Come si chiama? La canzone, voglio dire. Che titolo ha? - chiese Aziraphale, cercando di ignorare la vergogna di essere stato colto in flagrante e intenzionato a spostare il focus della conversazione su qualcosa che non fosse la sua figura poco edificante.
Gli occhi serpentini di Crowley trafissero i suoi con un'intensità che avrebbe potuto scuotere anche una montagna. L'angelo fremette: l'assenza dello schermo nero degli occhiali si faceva notare. Eccome!
- You take my breath away. -
Aziraphale si sentì la bocca asciutta e riconobbe il nodo alla gola che aveva percepito durante l'ascolto. Anche se avesse avuto intenzione di parlare, non ne sarebbe stato in grado. L'unico pensiero lontanamente razionale che riuscì ad estrapolare dal vortice confuso che gli turbinava nella mente fu che nessun titolo avrebbe potuto essere più appropriato per quella canzone davvero mozzafiato.
- Si è fatto piuttosto tardi, adesso è meglio che tu vada. Grazie per il libro. -
Crowley gli prese il volumetto dalle mani e le loro dita si sfiorarono per un secondo. Quel contatto fu un'inezia ma bastò per riscuotere l'angelo e fargli ritrovare la parola.
- Oh, ma certo. Di nulla, caro, figurati. È... è stato un piacere. -
Crowley lo accompagnò alla porta ma, prima di andarsene, l'angelo raccolse il coraggio a due mani e si rivolse all'amico in tono incerto ma speranzoso.
- Senti, ehm... non è che, magari, qualche volta potrei venire qui e ascoltarti suonare? Insomma, se la cosa non ti crea problemi, è chiaro. -
Il demone lo squadrò come si fa con un'opera d'arte contemporanea particolarmente contorta e di difficile interpretazione ma, alla fine, il suo sguardo si addolcì e le sue labbra si aprirono in un sorriso. - Mi farebbe piacere, angelo. -
Mentre pronunciava quelle parole, Crowley si stupì molto nell'accorgersi di quanto fossero vere.

La porta dell'appartamento si richiuse e Aziraphale si mise ad attendere con pazienza l'arrivo dell'ascensore. Nel momento esatto in cui le porte iniziarono a scorrere una verso l'altra per chiudersi, l'angelo fece appena in tempo a cogliere le note lontane di un inconfondibile Chopin e un gran sorriso illuminò il suo volto.



Note:


¹ : Informazione contenuta nel libro.


² : La Bösendorfer è uno dei più antichi produttori di pianoforti di lusso al mondo. L'attività ebbe inizio a Vienna nel 1828.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3842849