Sharon: La Maledizione Dell'Albero

di manpolisc_
(/viewuser.php?uid=743540)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trailer c: ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***



Capitolo 1
*** Trailer c: ***


Trailer c:

Qua potete trovare il trailer che ho creato per la storia: https://youtu.be/duv37uRSdzs Spero vi piaccia!

Trama c:

•Primo libro della trilogia•

Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.

Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -

Angolo autrice c:

Salve a tutti! Grazie per aver cominciato a leggere la storia se sei qui. Se i capitoli ti piacciono o mi vuoi dire qualcosa, lascia pure una recensione sotto di essi. Sarebbe molto soddisfacente e gradita, dato tutto il lavoro svolto per creare questa storia. Alla fine mi piace parlare con nuove persone, e non mordo di certo :) O aggiungetela nelle preferite, seguite o ricordate se vi piace :)


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Sento il rumore dei suoi passi. È una donna: ne sono certa. Si sta avvicinando velocemente. Fuori il tempo non è dei migliori, sebbene siano i primi giorni di giugno. Nuvoloni grigi si avvicinano frettolosamente, impazienti di liberarsi di un peso più grande di loro. Ogni tanto un lampo illumina l'oscuro cielo e l'intera cittadina. Un tuono esplode subito dopo. Un forte vento si è alzato e costringe le foglie degli alberi a una violenta danza. Le sbatte in ogni direzione, staccandole dai rami e trascinandole in luoghi lontani. Un altro fulmine, un altro tuono, la prima goccia. È tutto in movimento mentre un altro lampo squarcia il cielo. Un'ombra appare sul marciapiede. La mia ipotesi è corretta. Sorrido dietro il vetro: è una bella donna, sicuramente slanciata. La sua attenzione è catturata da qualcosa di estraneo alla mia vista. Indossa un grosso cappello rosa abbinato al vestito. La pioggia inizia a farsi più insistente ed è costretta ad aprire l'ombrello. Una folata di vento la costringe a girarsi. Si tiene il cappello ben stretto in testa per non farlo volare via mentre osserva la grande casa in cui vivo. Per un breve attimo incontro il suo sguardo: capisco dal modo in cui serra le labbra, dal suo sguardo e dal tremolio delle mani che è curiosa, ma allo stesso tempo spaventata da cosa nasconda l'edificio che ha di fronte. Non so perché sia spaventata. La casa è normale, come qualunque edificio in città. È un po' vecchia, costruita con mattoni antichi. Forse questo senso di antichità le dà un'aria sinistra. Il giardino è pieno di vasi con diversi tipi di fiori, anche loro scossi dal vento. Un vaso è perfino caduto. Chiudo gli occhi, concentrandomi su quella donna. Intorno a me è calato un silenzio disumano, come se mi trovassi nel nulla. Dopo un po' sento un cuore battere, non il mio, della donna. Sta scappando, lo sento. Un secondo cuore pulsante si unisce al primo. È molto vicino, è lì, è...
- Sharon! - La voce di mia madre, Taylor, mi fa sussultare. Ritorno alla realtà. Risento tutti i suoni intorno: l'orologio che batte le 20:45, il vento che urla, i tuoni fuori, il mio cuore battere.
- Cosa c'è? Mi hai fatto prendere un colpo... - Ritorno a guardare fuori dalla finestra. La donna è scomparsa e al suo posto le gocce di pioggia cadono furiosamente sull'asfalto, sugli alberi, sulle case. Perfino la sua ombra sul cemento non è più delineata dai costanti lampi. Guardo le goccioline sul vetro gareggiare verso il basso. Quelle che non ce la fanno da sole si legano tra di loro, diventando grandi, forti e veloci. Mi ricordano tanto le persone. Le piante nel giardino si muovono fortemente, seguendo la direzione del vento. Ora non c'è più nessuno in strada. La vicina appare dietro la finestra, spostando le tende rosa. Guarda fuori e sospira tristemente. È brutto un tempo così quando è giugno e l'unica cosa che si vorrebbe fare è rilassarsi al sole. Ma forse a lei non interessa l'abbronzatura, bensì i suoi gerani. Quando il tempo migliora, avrà un bel lavoro da fare. Sono tutti caduti e molti di loro sono in condizioni pietose. È un miracolo che il terreno non sia diventato una poltiglia che avrebbe potuto risucchiare chiunque da un momento all'altro. Un lampione si è spento, oscurando un tratto di strada e donandole un'aria molto sinistra, come sempre quando è buio. Sembra una di quelle vie nei film horror dove c'è uno psicopatico dietro l'angolo, pronto ad ucciderti. Per fortuna gli altri sono ancora accesi e mostrano la pioggia che adesso cade furiosamente. I marciapiedi sono pieni di pozzanghere e altre se ne stanno formando in mezzo alla strada. La signora anziana richiude le tende. Subito dopo, un vaso su una delle sue finestre cade a terra e si rompe in mille pezzi. Giro la testa, smettendo di guardare fuori. Lo scenario è sempre lo stesso, non succede niente di nuovo. Un altro tuono esplode nel cielo. Mia madre è ancora sulla soglia.
- Che cosa stai facendo? - Mi chiede, alzando un sopracciglio con fare interrogativo e incrociando le braccia al petto. Potrebbe farmi anche paura, se solo fosse più grande. La sua statura minuta, però, gioca a suo sfavore. Nonostante mostri una faccia seria, farla sul serio non le riesce.
- Niente. - Rispondo con un sorriso innocente mentre lei sbuffa e rilassa le braccia lungo i fianchi.
- È mezz'ora che ti chiamo, non isolarti sempre dal mondo. - Cerca di parlare con voce ferma e dura, ma non ci riesce. Ha un tono così dolce e melodioso che non sarebbe mai in grado di rimproverare davvero. Il suo viso è piccolo, con un sorriso timido e grandi occhi verdi che esprimono felicità. Lei è la donna più bella e gentile che conosca (non che ne conosca molte) con i suoi bei capelli rossi sempre tirati in uno chignon, ben legati per impedire a delle ciocche di scappare.
- Sto solo osservando. - Dico quasi colpevolmente, abbassando lo sguardo sulle mie mani e facendo inseguire i pollici. Lei rotea gli occhi.
- Sei identica a tuo padre. - Esclama con un filo di tristezza. - La cena è pronta. Scendi. - Richiude la porta alle sue spalle, lasciandomi sola. Non sono identica a mio padre, non posso saperlo, non l'ho mai conosciuto. È morto prima che nascessi, e guardando una semplice foto o basandomi su quello che dice la gente, non posso affermare di conoscere una persona: la verità può anche essere distorta. So solo che ho i suoi stessi capelli scuri, poi era completamente diverso da me: aveva le spalle larghe che gli davano una statura imponente; i capelli sbarazzini gli incorniciavano il volto, sempre solcato dalle rughe intorno agli occhi. Non rimugino molto su mio padre: non sono insensibile, solo che è morto, non potrò mai conoscerlo. La gente muore tutti i giorni, è una cosa naturale. Io, solo, preferisco non soffrire.
***
Non appena mi siedo a tavola, mamma mi porge un piatto con carne e piselli. Nonostante le tendine della finestra al di sopra del lavello siano tirate, riesco comunque ad intravedere i fulmini fuori. Un tuono li segue dopo pochi secondi. La cucina non è molto grande ed è povera di mobili. Al centro della stanza c'è un tavolo, in legno di quercia, con quattro sedie intorno, le une di fronte alle altre. Sopra c'è una tovaglia di un giallo chiaro con delle palline verdi e arancioni che si fondono insieme. Dietro il tavolo ci sono dei banconi di un legno molto chiaro che tende al bianco. Sopra, le solite cose che si possono trovare in cucina: un cesto con la frutta contenente delle mele e delle banane; un lavello bianco al di sopra del quale si trova una finestra; vicino al muro, nell'angolo, c'è il frigo; due banconi dopo c'è il fornello e al di sopra un orologio bianco. Sopra tutti i banconi ci sono delle mensole con piatti, bicchieri e tazze. Guardo mia madre: lei ha già iniziato a gustarsi la cena. La sera è l'unico momento in cui possiamo parlare. Lavora tutto il giorno al comune e, naturalmente, io studio. Questo si trova proprio al centro della cittadina, Ruddy Village, nella piazza. È un piccolo villaggio al confine tra il Nevada e la California, completamente nel nulla. È così piccolo che non è riportato neanche sulle mappe e alcuni addirittura pensano che non esista. La cittadina è stata chiamata così poiché, più di cento anni fa, un'epidemia di peste la colpì e si narra che ebbe inizio proprio qui. Ma perché donarle un nome che ricordi questo episodio? A quanto pare, nessuno si è posto il dubbio. L'epidemia di peste nacque proprio nel mio quartiere, in una casa non molto lontana. Si narra che una coppia vivesse in quella casa, ma la moglie si ammalò a causa delle condizioni igieniche, che non erano delle migliori. Non passò molto che anche il marito si ammalò, e così anche la maggior parte delle persone. Quella casa si trova ancora lì. È stata ristrutturata e modificata più volte; disabitata, però, da diciassette anni. Il sindaco si è sempre rifiutato di demolirla, ritenendola un monumento storico. Non capisco come una casa che ricordi la peste possa essere considerata tale, ma egli ribatte sempre dicendo che la storia non è fatta solo di periodi ricchi e prosperi, ma anche di periodi colmi di sofferenze che non vanno mai dimenticati.
- Non mangi? - Chiede lei con la bocca piena. Afferro forchetta e coltello, annuendo e portando la prima fetta di carne in bocca. In realtà sto morendo di fame. Non ho mangiato niente tutto il giorno. Quando mia madre è fuori, tendo a dimenticarmi di mangiare o di fare qualsiasi altra cosa. Passo il tempo leggendo, studiando o ascoltando musica. Non ho voglia di fare altre cose. Tuttavia, ciò che non mi abbandona mai è questo sentimento dentro di me che mi divora giorno dopo giorno, come se fosse un buco nero. Mi sta risucchiando. Mi sto risucchiando. Ho un sentimento di solitudine dentro. Mi manca qualcosa, qualcosa che nessuno mi potrebbe dare, qualcosa che a parer mio è disumano. È impossibile per me sentire la mancanza di qualcosa che non conosco e di cui non so neanche l'esistenza. Non per questo motivo sono asociale. Ho imparato a conviverci. Infatti esco anche con la mia migliore amica. Si chiama Delice ed è completamente il mio opposto. Ci conosciamo da quando eravamo piccole e non ci siamo mai allontanate. È una ragazza ricca di energia e il sorriso è la sua parte migliore. Quando sorride, due piccole fossette si formano sulle sue guance e mostra una dentatura perfetta. Non ricordo che abbia mai portato l'apparecchio in vita sua. Ha dei lunghi capelli biondi che non hanno mai avuto una propria forma. Tende sempre a cambiarli: lisci, ricci, mossi. Alcune volte sperimenta anche acconciature nuove. È una vera e propria fissazione. Le si può toccare tutto, ma non i capelli se si tiene alla propria vita. Tralasciando questo suo lato assassino, ha degli occhi color verde acqua, uno di quei verdi così rari che sono difficili da trovare. Il suo corpo, poi, è perfetto: ha le curve al posto giusto. Mi meraviglio che non sia una modella o una delle ragazze più popolari della scuola. Un'altra delle sue fissazioni sono i vampiri, ma non quelli che si trovano nei film horror e che fanno accapponare la pelle, quei vampiri veri. Lei adora quelli dei film o delle fan fiction: quelli muscolosi e pericolosi, belli ma dannati, di una carnagione bianca da far paura ma con sguardo magnetico, dolci ma forti.
- Non dirmi che sei vegetariana adesso. - Mi guarda. Sono rimasta a girare i piselli nel piatto. Scuoto la testa, riprendendo a mangiare. Dopo qualche attimo di silenzio, comincia a parlare. - Che cosa hai intenzione di fare quest'estate? - È sempre eccitata all'arrivo dell'estate ma, per me, è solo una stagione come le altre. In fin dei conti la mia routine non cambia, tranne che per lo studio. Di quello sono felice. Non devo passare le giornate sui libri e soffrire di mal di schiena per studiare qualcosa che avrò già dimenticato a giugno.
- Niente di particolare. - Alzo di poco le spalle, non avendo la benché minima idea di cosa farò questa estate. Ogni anno è la stessa storia: lei che cerca di organizzare le mie vacanze, incoraggiandomi a divertirmi, io che ribatto, noi che litighiamo.
- Magari facendo nuove amicizie... -
- Loro non vogliono essermi amici. – La interrompo con tono abbastanza freddo, poi porto un altro boccone di carne in bocca. Fin da piccola ho avuto problemi nel crearmi amicizie: spesso facevo la cosa sbagliata, dicevo la cosa sbagliata o mi ponevo nel modo sbagliato. Sono davvero timida a volte e questa cosa di certo non mi aiuta. Con Delice, invece, è stato tutto diverso. Lei è stata la prima persona che, alle elementari, si è avvicinata a me per fare amicizia. Dal momento in cui mi ha sorriso, non ci siamo più divise.
- Sto solo dicendo che Delice ha anche altri amici e... -
- ... e non la definiscono una pazza. - Concludo.
- Non lo sei. - Dice con voce ferma, sicura di sé. E per un momento ci credo anche, ma poi penso che lei non sappia cosa vedo a volte. Immagini che prendono vita nella mia mente, forse ricordi o visioni, che però non sono miei. A volte, però, sembrano così reali da essere accaduti realmente, o non ancora. So solo che arrivano e non posso fermarli o controllarli, soprattutto quando si manifestano come sogni. Forse, davvero sono segni di pazzia.
- E se non fossi normale? - Chiedo in un sussurro, incontrando i suoi occhi verdi. La mia voce è spezzata. Non voglio piangere anche davanti a lei. Non voglio farmi vedere debole da nessuno.
- In che senso? - Chiede preoccupata. Cerca di non far tremare la voce, ma il suo tono sembra spaventato. Spaventata da me, oppure dall'idea di avere una figlia pazza.
- Diversa dalle altre persone. Non mi comporto o sono come loro. - Libera un sospiro di sollievo alla mia risposta, chiudendo gli occhi.
- Non sei neanche questo. – Li riapre e incrocia il mio sguardo. - Se per te essere una ragazza intelligente significa essere diversa, allora lo sei. Questo quartiere è troppo stupido per non soffermarsi sulle cose superficiali. Devo finire di lavorare al computer. Lavi tu i piatti? - Mi sorride. Annuisco, ricambiando il sorriso. Forse ha ragione, è tutto nella mia testa. Questo mondo è troppo superficiale per comprendere pienamente ciò che esso stesso ha da offrire. Ma alla fine, cosa ne posso sapere io? Sono solo Sharon Steel. Non sono nessuno, in fin dei conti. Finisco di mangiare per poi posare i piatti nel lavandino. Li laverò più tardi. Ritorno in camera e mi siedo sulla mia “postazione”. La adoro. È una semplice panca sotto la finestra dove passo la maggior parte del tempo. È fatta di legno, come quasi tutti i mobili in camera mia. Sopra ci sono due cuscini bianchi e una piccola pila di libri. La mia camera non è molto grande: è forse la stanza più piccola dopo la cucina. Però, è perfetta per me. Non ha senso avere una camera enorme se poi sono sola. È quadrata. Il pavimento è in legno e le pareti sono ricoperte da una carta da parati completamente bianca. Alcune parti del muro, però, sono grigie e dietro il letto la carta si è un po' strappata. Sembra graffiata, segno evidente degli anni che possiede questa casa. A fianco alla finestra c'è una piccola scrivania con un computer sopra e alcuni libri di scuola, tra cui quello di biologia, aperto sopra agli altri. C'è anche una piccola lampada nera, ora spenta. La sedia con le rotelle è coperta dalle maglie e dai pantaloni che devo ancora sistemare nell'armadio. Un letto a una piazza e mezza occupa la maggior parte della stanza. È tutto disfatto. Non ho avuto tempo di farlo questa mattina. I cuscini bianchi sono spostati al centro del letto e il materasso è pieno di pieghe. Le lenzuola sono gialle e blu, i miei due colori preferiti. A fianco al letto c'è un piccolo comodino, in legno scuro, con sopra un'altra piccola lampada, anch'essa gialla, e il caricatore del mio cellulare. Ai piedi del letto c'è una bottiglia d'acqua, ormai vuota. Vicino a esso, verso la finestra, è presente un armadio di legno chiaro. Di lato alla porta della camera c'è uno di quei semplici specchi rettangolari con accanto una piccola porta, quella del bagno, piccolo anch'esso. Quest'ultimo è completamente blu: le mattonelle, la doccia, il lavandino... solo il gabinetto è bianco.
Attiro le gambe al petto per poggiarci la testa. Fuori ancora piove e sembra non voler smettere. Accendo la lampada sulla scrivania per illuminare un po' la camera. È totalmente buia. La mia ombra viene proiettata sul soffitto tramite la luce dei lampioni nelle strade. Un altro tuono ruggisce più forte degli altri. Il cielo è del tutto nero. Un rumore in lontananza sovrasta il suono della pioggia. Sebbene non riesca a vedere, percepisco che si tratta di una macchina. Non capita che le auto passino per questa strada. Ci sono solo quattro case, delle quali una è in vendita. Nelle altre due case ci sono persone anziane e non ricevono mai visite. E poi c'è la casa abbandonata, in fondo alla strada. Lì finisce il quartiere.
Chiudo gli occhi per concentrarmi di più sulla macchina. Sono curiosa di sapere chi gira con questo tempo. È quasi sotto casa, posso sentirla. Apro gli occhi per vedere e la trovo ferma, con i fanali ancora accesi che illuminano le gocce di pioggia. Dalla macchina escono due figure, ma non riesco a distinguere le loro facce. La prima, che esce dalla portiera di destra, ha un cappuccio nero in testa, anche i pantaloni e le scarpe (un paio di Converse) sono dello stesso colore. Qualche secondo dopo la persona è completamente bagnata. S'intravedono alcuni capelli, forse biondi, che gli ricadono sulla fronte. È sicuramente un ragazzo. Non riesco, però, a guardarlo in faccia. Dalla portiera di sinistra esce una donna con un ombrello marrone. Si richiude la portiera alle spalle e fa il giro della macchina, una Jeep nera. Richiudo gli occhi per cercare di capire chi siano, o almeno cosa ci facciano qui. Apro gli occhi di scatto, spaventata: non sento niente, neanche il loro battito; nulla, il vuoto. Come se fossi immersa davvero nell'acqua ma incapace di sentire perfino il suo suono. Il silenzio più assoluto. Forse allora non sono pazza, magari mi stavo sbagliando per tutto questo tempo.
- Sharon! - Urla mia madre, così forte che non mi sarei meravigliata se i vicini l'avessero sentita. Poi appare sulla porta. - Ti avevo chiesto di lavare i piatti! -
- Stavo proprio andando. - Incrocio il suo sguardo per un secondo. Le sorrido innocentemente, poi riporto subito lo sguardo fuori dalla finestra, cercando la macchina che sembra essere sparita.
- Basta che domani mattina non li trovo ancora nel lavello con le mosche intorno. - Chiude la porta alle sue spalle. Non so perché m’interessi così tanto, ma ho la sensazione che quella macchina sia qui per un motivo. La cerco un'ultima volta prima di andare a lavare i piatti, ma niente. La pioggia è l'unica cosa che riempie la strada deserta. E per un breve istante, quella sensazione che mi ha seguita fin da piccola sembra essere sparita, come se avessi trovato quello che stavo cercando.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Tutto intorno a me è bianco. L'unica cosa visibile è un cancello nero. Non riesco a controllare me stessa. Ho la mente della me di diciassette anni, ma il corpo della me di dieci. Nonostante la mia mente sia più matura, è il corpo a dettare le regole. Non posso fare niente se non essere trascinata in questo viaggio. Ingenua e curiosa di sapere cosa nasconda quel bianco, che assomiglia tanto a una fitta nebbia, mi avvicino al cancello abbastanza arrugginito, intenzionata ad aprirlo. Quando lo tocco, dietro di esso appare gradualmente una grande casa abbastanza vecchia. Essa è costruita completamente in legno, ormai marcio. Infatti diventa più scuro in alcune zone e più chiaro in altre. In    quelle più buie mancano anche alcuni pezzi. Forse sono stati mangiucchiati dalle termiti. Nonostante la visione inquietante dinanzi a me, apro il cancello ed entro, chiudendomelo alle spalle. La prima cosa che attira la mia attenzione è un grosso albero, i cui rami sono scossi dal vento. Questi si sporgono sul vialetto, facendo ombra su di esso e rendendolo scivoloso a causa del muschio: quest'ultimo continua sul muro, dopo essersi fuso con delle piante rampicanti, fin sopra la finestra del secondo piano. A questa manca addirittura un'anta, finita chissà dove. Nell'aria c'è un odore acre, di sporco. L'unico suono udibile è il lieve fruscio del vento che mi scompiglia i capelli, spostandomeli davanti al volto. All'improvviso la visuale cambia: mi ritrovo seduta sotto l'albero e, sebbene voglia muovermi, non ci riesco. Sembro essere legata al tronco da catene invisibili, anche se effettivamente non c'è nulla. L'anta della finestra al secondo piano inizia a sbattere violentemente a causa del vento, ora molto più forte. Le risate di due ragazzi rimbombano in lontananza. La prima persona che vedo è un ragazzo dai capelli biondi che continua a chiamare la sua ragazza, incitandola a sbrigarsi. Lei appare subito dopo. I capelli ricci di un arancione ramato, quasi rosso, danzano a ogni suo movimento. Non riesco a vedere i due ragazzi perfettamente: la vista mi si sta cominciando ad annebbiare. Non sono sicura se sia colpa della "nebbia" intorno, è ancora presente (non mi mostra nient'altro se non la casa), ma il problema forse è nei miei occhi.
- Vuoi entrare? - Chiede lei, fermandosi di botto a osservare con sguardo perplesso la casa. Alcune foglie si sono staccate dai rami, come se volessero scappare via da questo posto. Il ragazzo fissa l'edificio, poi si gira verso la ragazza e sogghigna. La preoccupazione di lei è naturale: chiunque davanti a una scena del genere ci penserebbe due volte prima di aprire anche solo il cancello. Il ragazzo, però, non ci sbatte più volte la testa. Vuole solo mostrarsi coraggioso e intrepido davanti alla propria ragazza, ma anche lui sa di non esserlo.
- Non avrai paura di un po' di vento. - Il biondo apre il cancello mentre i rami sopra di lui sono sbattuti dalle folate di vento. Alzo lievemente il volto, osservandoli. C'è una strana energia nell'aria che si sta caricando sempre di più. Riesco a sentirla.
- Sì. E non è il vento. Mi mette i brividi questo posto. Andiamo via. - La casa, infatti, è molto vecchia. Non mi ci vuole molto a riconoscerla: è la casa abbandonata. Al ragazzo non sembra importare il luogo in cui si trovano. Eppure, dovrebbe.
- È solo un po' di vento. - Ribadisce lui. Vuole entrare a tutti i costi, quasi forzato da questa energia, come se lo stesse attirando poco a poco a essa. Io, ancora sotto l'albero, alzo lo sguardo verso l'alto non appena mi accorgo che uno dei rami, il più grande, viene agitato più degli altri. A tratti sembra che abbia vita propria, ma usi il vento come scusa per muoversi liberamente. Non mi ci vuole molto a capire cosa succederà, ma non posso urlare, non posso avvertirli. Sono impotente. Anche se apro la bocca, l'urlo mi si strozza in gola. Sono schiava della mia stessa mente. La ragazza, nel frattempo, prova ancora una volta a convincere il ragazzo ad andare via, inutilmente. Ha il volto contratto dalla paura e dalla preoccupazione mentre si tortura le mani e cerca nuovamente di persuadere il biondo a uscire fuori. Lui non le dà retta e continua ad avanzare verso la porta, passando sotto quel ramo. In una frazione di secondo, quest'ultimo si spezza, la ragazza urla, il terreno sotto i miei piedi sanguina.
 
 
Mi sveglio di colpo. Nella mia testa è ancora viva l'immagine del corpo immobile e schiacciato del ragazzo. Le sue unghie che piangono sangue, quel suono orribile e sordo di ossa che si spezzano, quel braccio (l'unica parte non schiacciata dal ramo) che diventa violacea mentre le vene dentro di lui esplodono...
Scuoto la testa per allontanare quell'immagine il più possibile. È solo un brutto sogno. Controllo il cellulare sul comodino: le otto. Mia madre deve essere già al lavoro poiché questa mattina non mi ha svegliata. Mi alzo di corsa dal letto: non ho nessuna intenzione di fare tardi anche gli ultimi giorni di scuola.
Esco di casa in tutta fretta e per poco non inciampo sui gradini. Parcheggiata al bordo della strada c'è la macchina di Delice, una Mini Cooper S decappottabile blu. Lei dentro si aggiusta i capelli, oggi mossi. Io, invece, non mi sono neanche pettinata.
- Sei in ritardo, come sempre. - Alza lo specchietto, una volta finito, per spostare lo sguardo su di me.
- E tu ti specchi, come sempre. Rimani da me nel pomeriggio? - Salgo a bordo mentre Delice annuisce, accende la radio, poi non perde tempo a partire. Trasmettono 'Chandelier', di Sia, e per tutto il tragitto sono costretta a sentire la voce "melodiosa" della mia migliore amica. Acuti, bassi, voci in sottofondo... fa tutto lei, perfino gli strumenti. Ecco un'altra sua passione: la musica. Non che non mi piaccia, ma per lei è una fissa. Nel frattempo, abbasso lo specchietto e cerco di aggiustarmi i capelli. Passo le dita fra diverse ciocche, cercando di sciogliere quei nodi che si sono creati durante la notte.
Dopo qualche minuto arriviamo nel parcheggio della scuola, nello stesso istante in cui suona la campanella. Giusto in tempo. Infatti molti studenti che sono rimasti qui a fumare cominciano a spegnere le sigarette per raggiungere le proprie classi.
- Questa è una delle ultime volte che ti sento. - Ringhia Delice alla campanella, ormai stanca del suo suono, mentre scende dalla macchina e io la seguo a ruota. Come biasimarla? È il più fastidioso del mondo.
- Per quest'anno. - La correggo e la tiro per il braccio per incitarla a muoversi. Non voglio arrivare tardi in classe e, conoscendola, salteremmo sempre la prima ora se non le mettessi fretta. Basta la benché minima cosa affinché si distragga. Una volta entrammo alla seconda ora perché non riusciva a trovare una cosa definita da lei di "vitale importanza". Dopo un'ora di ricerca, la trovò: il suo lucidalabbra.
- Hai sentito del ragazzo nuovo che si è trasferito? -
- Dovrei? - Controllo lo zaino mentre entriamo nell'edificio. Mi sono di certo dimenticata qualcosa. Infatti non trovo il mio libro di biologia. Chiudo lo zaino e sbuffo, ricordandomi di averlo lasciato sulla scrivania. Lei mi guarda in modo annoiato, sapendo già che mi dovrà spiegare tutto, come sempre. Non sono mai aggiornata sugli ultimi avvenimenti, non m’interessano più di tanto. Specialmente se ci saranno degli Hunger Games per conquistare il ragazzo nuovo. Anzi, vederli non mi dispiacerebbe. Cosa c'è di meglio da vedere se non ciocche di capelli volare, extension comprese?
- Non si sa molto, in realtà. Oh, folletto con la pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno, fammi un regalo di fine anno: fammi incontrare questo figo! - Urla con tono potente (come se stesse davvero invocando dei folletti) per i corridoi mentre ci dirigiamo alla lezione di Mr. Douglas, il nostro insegnante di storia. E poi parte sempre con l'idea che sia figo a prescindere. Come l'anno scorso, e ricordo ancora le facce demoralizzate di tutte le ragazze dell'istituto.
- Sai che non esistono. - Rido tappandole la bocca dato che alcuni ragazzi si sono girati a osservarla, divertiti. Anche questa mattina ha dato spettacolo. È normale per lei attirare l'attenzione in questa maniera e con i suoi modi di dire che forse ha appreso da suo nonno o suo padre, i quali sono entrambi inglesi, provenienti dalla zona Nord-Est del paese, ma non ne sono sicura. Andiamo, chi mai parlerebbe in questo modo? Lei, comunque, è nata a Ruddy Village, quindi è una cittadina americana.
Apro la porta della classe ed entriamo. Il mio sguardo cade su June Edwards e le sue amichette (animali da compagnia) Summer e Karen, gemelle. Entrambe capelli neri e occhi scuri. L'unica differenza è nel fisico: Summer, infatti, è più bassa di Karen mentre quest'ultima è più formosa della sorella. La nostra classe è la più brutta di tutto l'istituto. Le pareti sono grigie e il pavimento da verde è diventato giallo. Il come è per tutti noi un mistero. C'è perfino un buco nel muro che è stato coperto con una cartina geografica. I banchi sono vecchi e pieni di formule di matematica e fisica. Quelli in prima fila sono più puliti, poiché gli insegnanti li controllano più spesso, a differenza di quelli in fondo all'aula. Su un banco c'è perfino un'intera lezione di scienze sui batteri. Altri, invece, sono pieni di disegni, come il banco di Albert Sanchez, l'artista della scuola. Ha perfino fatto un murale vicino al campo da calcio, che però gli è costato due mesi di punizione. Anche lui è considerato un po' strano da tutti, perfino da me. Passa la maggior parte del tempo a disegnare l'oceano o qualunque cosa riguardi l'acqua. La gente spesso tende ad allontanarlo e lui si ritrova a parlare solo con le persone del club di chimica e della squadra di nuoto, le quali condividono le sue stesse passioni. Ha la pelle abbastanza scura e le labbra grandi e rosee. Un po' di peluria è presente sul suo viso. Ha gli occhi di un castano scuro e i capelli molto neri e ricci, nonostante siano cortissimi. Le spalle sono larghe per lo sport che pratica e non esce mai senza un orologio al polso destro: oggi ne porta uno nero. Le orecchie sono molto piccole e ha uno sguardo accattivante, che sembra nascondere qualcosa d’incomprensibile.
- Se esistessero, chiederei anche di farle esplodere. - Sussurra Delice, riferendosi al "Trio delle Streghe", ovvero June e le sue amiche. Ci avviamo ai nostri posti. Spesso la gente dice che il quartiere è infestato, addirittura stregato, abitato da creature malvagie, ma l'unica cosa malvagia che conosco bene ha un nome: June Edwards. Andiamo a scuola insieme fin da piccole e ogni giorno rende la mia vita un inferno. La sua famiglia è molto ricca ed è rispettata da tutti, quindi si può concedere anche il lusso di comportarsi come vuole, senza aver rispetto di nessuno. Inoltre suo padre è il vicesindaco, dunque ogni volta la passa liscia. Nonostante ciò, devo anche ammettere che è una ragazza davvero bella. Ha dei lunghi e ricci capelli rosso rame che lascia sempre sciolti. Non quei ricci intensi, però. I suoi occhi sono di un verde così scuro che sembra volerti trasformare in pietra ogni volta che ti guarda. Devo anche ammettere che un po' assomiglia a Medusa, la Gorgone della mitologia greca. Non le sono ancora cresciuti dei serpenti al posto dei capelli, ma mai dire mai. Non è una ragazza alta, ma i tacchi le permettono comunque di superarmi. Anche in questo senso, deve farmi sentire inferiore. Ha spesso atteggiamenti regali, direi arroganti. Inoltre, indossa sempre una piccola collana a forma di ellisse che va a chiudersi in una punta verso il basso. Vicino a essa ce ne sono altre due, arrotondate, sui lati. I ragazzi vogliono stare con lei e le ragazze vogliono essere lei. Io, invece, non capisco cosa ci trovino tutti a stare o anche solo a desiderare di essere Satana.
L'intera classe non sembra fare attenzione a noi mentre ci dirigiamo ai nostri posti poiché impegnata nei gossip quotidiani. Delice è seduta nel banco dietro il mio. Poggia lo zaino a terra e ricomincia a parlare. - Kaboom. - Dice indicando June con un ghigno.
- Non indicare. - La rimprovero, lanciandole un'occhiataccia. - Comunque, come fai a sapere di questo ragazzo nuovo? Anzi, come fai a sapere sempre tutto? -
- Esiste una scatoletta magica che si chiama pc, e dentro ci trovi Facebook. - Dice con un sorriso beffardo, quasi da stronza. Non ci faccio molto caso conoscendola: so che è il suo modo di comportarsi e non posso di certo cambiarlo, anche se a volte vorrei davvero.
- So cos'è Facebook, ma nessuno qui sta parlando di quello nuovo, eccetto te. - Guardo Delice con sospetto, assottigliando lievemente gli occhi mentre lei si morde il labbro inferiore in modo colpevole. Sembra una bambina che è stata colta a rubare le caramelle che la mamma le ha proibito di mangiare. - Non dirmi... -
- È come una malattia! In segreteria ci sono tante cose interessanti! -
- Non puoi entrare e frugare nei documenti ogni volta! - La rimprovero di nuovo, abbassando però il tono di voce: non vorrei causarle guai. Questo vizio l'ha dal secondo anno e non l'ha mai perso. Non capisco perché continui a fare così. Forse si sente superiore, quasi onnipotente, a sapere cose di cui gli altri non sono ancora al corrente. - Ecco perché in palestra non ci sei mai. -
- Hey! Conosci la mia filosofia: Delice non suda... -
- ... Delice è felice. - Concludo la frase alzando gli occhi al cielo, divertita. Non è mai stata un'amante dello sport, o anche solo di un movimento che implichi una camminata veloce. Da piccola, infatti, lei rimaneva sempre seduta su una panchina mentre tutti noi altri rincorrevamo una palla o semplicemente giocavamo a nascondino. Spesso leggeva le riviste che rubava alla madre di nascosto, come Cosmopolitan o Vogue.
- L'orgoglio di una madre... - Commenta Delice mentre finge di asciugarsi una lacrima, falsamente commossa. Accenno una lieve risata e prendo il libro di storia dallo zaino, lanciandole un'occhiata contemporaneamente. Delice controlla le notifiche sul cellulare e io sfoglio il libro, non sapendo cosa fare per passare il tempo. Questo è tutto evidenziato in verde e giallo e, accanto al testo, c'è anche qualche appunto scritto qua e là.
- Oddio! - Mi afferra la spalla, che stringe, per cercare di girarmi. Non riuscendoci, mi mette il cellulare in faccia, letteralmente. - Harry Styles si è tagliato i capelli! -
- Non vedo niente se me lo butti in faccia! -
- Buongiorno! - Saluta Mr. Douglas, entusiasta, appena entra in classe, sorridendo e interrompendo (e lo ringrazio per ciò) me e Delice, che nasconde subito il cellulare in tasca e molla la presa sulla mia spalla. Mi stava conficcando le unghie nella pelle. La classe ricambia il saluto mentre ognuno si siede nei propri posti. Mr. Douglas è uno di quei professori che tutti vorrebbero avere. Beh, quelli a cui interessa non rimanere ignoranti, ovviamente. Insegna con passione e riesce a far appassionare alla sua materia senza renderla pesante. Ha i capelli scuri, con la solita riga di lato e una parte di essi spostata verso destra, e una peluria scura in contrasto alla pelle abbastanza chiara. È un uomo sulla trentina, è sposato con una fioraia e solo una cosa ama più di sua moglie: i suoi gilet. Ha solo quelli nell'armadio. Vanno dal grigio e tutte le sue sfumature ad altri colori più vivaci. Si porta sempre dietro la sua valigetta beige. Si leva il giubbotto di pelle e lo poggia sullo schienale della sedia. Dopo si siede sul bordo della cattedra e ci guarda. - Bene! - Esclama sorridente. - Anche quest'anno è andato. Molti di voi andranno in vacanza, ma nonostante i divertimenti estivi pretendo anche voglia di studiare, un pochino almeno. - Si sente già un brusio di sottofondo in segno di protesta, colmo di voci scocciate a quelle parole. Lui continua a parlare nonostante tutto. - Alla fine delle vacanze, quando la scuola riaprirà, voglio tutte le vostre relazioni su un argomento di storia a vostra scelta. -
- Professore, ma come avete detto voi, molti di noi saranno in vacanza. - Osserva June, portando l'attenzione su di lei. È seduta compostamente, con le gambe accavallate, la schiena dritta e le mani unite sul banco di fronte alla cattedra. Naturalmente lei sarà una di quelle che andrà in vacanza.
- Niente giustificazioni. Chi non me la porterà sarà rimandato nella mia materia a prescindere. Avete l'esame l'anno prossimo e vi voglio già carichi per affrontare in modo eccellente quello che sarà il vostro diploma. - Prende il gessetto in mano dopo essersi alzato dalla cattedra, pulisce la lavagna sporca col cassino e poi comincia a spiegare le elezioni del 1860 e la Secessione. Quando spiega, la lavagna si riempie di mappe concettuali e geroglifici.
Dopo ben venti minuti di lezione, proprio quando la mia attenzione sta per calare, essa è attirata dal gesso che si frantuma nelle sue mani, da solo. Solo i pochi che lo stanno seguendo guardano la scena confusi. Mr. Douglas apre il palmo, stupito, mentre la polvere bianca cade sul pavimento. Per un attimo non sento alcun suono, come se una puntina mi avesse perforato il timpano. Mi giro a guardare Delice per assicurarmi che abbia avuto la mia stessa sensazione, ma sembra non aver sentito nulla. Infatti sta scarabocchiando tranquillamente sul suo quaderno. Mi rigiro per osservare il professore. Nonostante l'accaduto, si pulisce la mano con la fronte ancora aggrottata e prende un altro gesso per riprendere a spiegare, come se non fosse successo nulla. Io non riesco a sentire la spiegazione, però: odo solo dei passi rimbombarmi nella mente, nelle orecchie. Porto le mani su queste cercando di bloccare quel suono, inutilmente. Qualcuno mi guarda stranito, ma non ci do peso più di tanto: non è la prima volta che faccio qualcosa di strano. Sembra che la mia testa stia per esplodere. La porta della classe, fortunatamente, si apre proprio quando il rumore di quei passi si fa così acuto da non riuscire più a sopportarlo. Gradualmente, la voce grave del professore ricomincia a essere di nuovo chiara alle mie orecchie, dandomi addirittura sollievo. Fa il suo ingresso in classe il nostro preside, Mr. Scott, una persona insopportabile. Il suo unico pensiero è il denaro. Farebbe di tutto per la buona reputazione della scuola, ma odia i suoi studenti. Si arrabbia molto facilmente e se pensate che il suo aspetto sia migliore, vi sbagliate. Ha forse sessant'anni, ma ne dimostra di più. Ha una barba folta e bianca, lunga fino al collo; i capelli che gli sono rimasti in testa sono ben pochi e neanche il peso è a suo favore, una cosa positiva per noi dato che possiamo scappare facilmente da lui. La sua voce è profonda e roca, segno evidente delle sue continue urla contro gli studenti, specialmente quando corrono via da lui.
- Buongiorno ragazzi. - Mentre ci saluta, dalla porta entra una seconda persona: un ragazzo, un po' più alto di lui. Ha uno zaino su una spalla e subito studia la classe con lo sguardo. Ha sbarazzini capelli biondo scuro, più castani vicino alle orecchie e sulla nuca, che sembrano non essere stati pettinati da anni. Osserva per bene tutta la classe, spostando lo sguardo su ogni alunno presente in quest'aula, incontrando anche il mio per un attimo. Noto i suoi piccoli occhi di un raro colore, di un blu chiaro che, vicino alla pupilla, diventa più scuro. Anche le sue labbra sono piccole e carnose. Il volto è completamente liscio, a differenza di molti ragazzi della sua età; non ha neanche un accenno di peluria sulla pelle pallida. Il suo abbigliamento è casual. Indossa una maglia bianca e, sopra di essa, una camicia di jeans a maniche corte, un paio di skinny neri, strappati sulle ginocchia, e delle Converse dello stesso colore.
Ricambiamo il saluto del preside, alzandoci in piedi in segno di rispetto. Ci risediamo appena ci fa cenno di metterci seduti, non amando lui certe formalità. - Lui è Jackson Mitchell, un vostro nuovo compagno di classe. Fatelo sentire a suo agio, fate amicizia e tutte le altre cose di cui siete ormai a conoscenza. Buona giornata. - Apre la porta e se ne va abbastanza scocciato, lentamente. Davvero, lentamente. Il professore lo guarda sia divertito sia perplesso dopo averlo cordialmente salutato. Magari sta pensando a quanto sia stato sfortunato questo ragazzo a essere accompagnato dal preside in persona, dal momento che non si muove mai dal suo ufficio, e con quanta lentezza abbiano raggiunto l'aula.
- Ehm... bene, benvenuto nella nostra scuola. - Dice Mr. Douglas nel modo più accogliente possibile. Il ragazzo nuovo getta lo zaino a terra con aria menefreghista, si siede comodamente e allunga le gambe sotto il banco, picchiettando su di esso con la punta delle dita. Due ragazze davanti a lui lo guardano estasiate, bisbigliando tra loro. Non oso neanche immaginare i loro commenti. Il professore si siede nuovamente sulla cattedra. - Allora, cosa la porta qui? - Chiede al nuovo arrivato, girandosi il gesso tra le dita.
- Diciamo che Winchester è diventata noiosa perfino per me. - Dice con voce limpida e magnetica, ma allo stesso tempo forte. Una voce che vorresti ascoltare per sempre, senza mai stancarti. Lo guardo attentamente mentre parla, memorizzando i suoi lineamenti. Doveva essere molto popolare nella sua vecchia scuola. Ha un atteggiamento e dei modi di fare completamente diversi da quelli che adottano i ragazzi qui, sembra un vero duro, come se avesse visto e affrontato cose che non possono neanche essere immaginate. Non so perché, ma mi dà questa impressione.
- Ah, l'Inghilterra è un posto stupendo. Ci sono stato parecchie volte. - Annuisce mentre parla, continuando a tenere lo sguardo sul ragazzo. - Comunque speriamo che qui non si annoi, allora. –
Guardo l'inglese sorridere abbastanza falsamente. Mr. Douglas non ci fa caso e riprende a spiegare, rimanendo seduto sulla cattedra. Ritorno a sentire la spiegazione mentre mi rigiro la matita tra le dita. Il gesso si sgretola per l'ennesima volta e di nuovo, per un misero istante, mi sembra di aver perso l'udito. Mr. Douglas, però, non ci presta molta attenzione, così come la classe. Forse lo stringe solamente con troppa forza, dev'essere l'unica spiegazione possibile. - Questi vecchi gessi. - Dice imbarazzato mentre si pulisce le mani e la classe scoppia a ridere. Tutti tranne me e il ragazzo nuovo, intento a fissare il vuoto con sguardo vitreo. Gira la testa un po' di lato per squadrarmi con la coda dell'occhio, poi ritorna a fissare la lavagna, non prestando realmente attenzione a cosa ci sia scritto sopra.
 
 
- Ma mi sembra strano. - Commento mentre prendo alcuni libri dall'armadietto per poi metterli nello zaino. Mi conviene iniziare a toglierli dato che non posso lasciarli a scuola. Domani recupererò i rimanenti.
- Cosa? - Chiede Delice mentre si aggiusta il lucidalabbra con un dito all'angolo della bocca e si guarda in un piccolo specchio, appeso all'anta dell'armadietto.
- Che qualcuno si trasferisca qui e la prima cosa che fa è venire a scuola, dai. Non che poi lui abbia l'aria da secchione. - Chiudo l'armadietto. È bello, devo ammetterlo, e misterioso. Per tutta l'ora di storia ho fantasticato su cosa gli piaccia fare: magari suona la chitarra. In effetti ha le mani da musicista. Le dita sono lunghe e magre e, a differenza della loro carnagione pallida, le nocche sono lievemente rosee. Mi giro e incontro lo sguardo del ragazzo nuovo che sta passando proprio in questo momento. Lui gira subito la testa e continua a camminare fino a raggiungere la porta di ingresso ed uscire.
- Ha fatto un'ottima scelta a trasferirsi qui, però. - Afferma Delice mordendosi il labbro e guardandolo andare via. Le do una gomitata mentre lei esclama un "ahia" in risposta, guadagnandosi una mia occhiataccia. Ha la brutta abitudine di osservare per troppo tempo una persona e non rendersi conto dello sguardo da maniaca che assume.
L'ultima campanella è suonata da dieci minuti, ma tra poco andremo a casa. Compiti non ne abbiamo più e l'estate è appena cominciata per noi. Nonostante sia il penultimo giorno di scuola, il corridoio è quasi vuoto, tranne che per alcuni ragazzi che ridono prendendo gli ultimi libri. Di solito è piena fino alla fine. L'interno della scuola è molto migliore rispetto all'esterno. Fuori ha un'aria molto triste e spenta, come se fosse un carcere. È stata costruita con dei mattoni rossi che tendono a scurirsi quando piove. All'interno i muri sono bianchi; solo quelli in palestra e nei bagni sono sporchi, poiché pieni di scritte. Persone che lasciano messaggi ai loro amori segreti, altre che scrivono frasi o citazioni, testi di canzoni e quant'altro. Gli armadietti sono tutti blu. Molti di loro sono anche un po' arrugginiti, poiché abbastanza vecchi. La scuola non è male come edificio, tranne che per i muri, in cartongesso, e i laboratori, non sempre utilizzati. Sopra la porta d’ingresso è presente il nome della scuola: Abigayle Perket High School, in onore della sua fondatrice. Il parcheggio, nonostante sia piccolo, è sempre pieno di macchine e motorini.
Usciamo da scuola e ritorniamo a casa mia. Stavolta in macchina ha dovuto rovinare una canzone di Rihanna. Appena parcheggia usciamo, chiudendoci gli sportelli alle spalle. Mentre Delice si va a sedere sui gradini, io entro in casa per buttare lo zaino sul divano. Il pomeriggio nel mio quartiere è sempre tranquillo anche perché la signora Moore, la mia vicina, non esce quasi mai di casa; se lo fa, sta nel suo giardino con un bicchiere di tè freddo e una rivista sul giardinaggio. Raggiungo Delice sui gradini mentre caccia dallo zaino i suoi occhiali da sole e li indossa. Parliamo per una buona mezz'ora del più e del meno. La sua giornata non è stata niente male da quanto dice: ha già ricevuto due inviti per delle feste. Da un lato mi sento sollevata di non essere stata invitata, poiché non mi piacciono, dall'altro un po' messa da parte, non voluta: nessuno invita una pazza a una festa.
Oggi è una di quelle giornate afose in cui i vestiti si appiccicano addosso e sembrano non voler più mollare la pelle. Non c'è neanche un soffio di vento. Guardo Delice che si sta prendendo tutto il Sole e non vedo il minimo segno di sudore sul suo volto. Non riuscendo più a sopportare quel caldo, mi sposto all'ombra. Solo lì riesco a sentire una leggera brezza che mi dà finalmente sollievo.
- Come fai a starci? - Chiedo guardandola. Lei è ancora sotto il Sole, reggendosi con i gomiti sul gradino superiore, e ha la testa buttata all'indietro.
- Non ci penso. - Risponde con un sorriso furbo. Alza gli occhiali da sole in testa e mi guarda. - Com'è lì sotto? -
- Il paradiso. - Accenno una lieve risata. Lei ride e si mette in piedi per stiracchiarsi leggermente mentre chiudo gli occhi per riposarmi.
- Sharon. - Mi richiama lei, ma come risposta riceve solo un mio mugolio stanco. - Alzati. C'è Mitchell. - Apro un occhio per mettere a fuoco. Lui continua a camminare fino a entrare nella casa di fronte alla mia. Raddrizzo la schiena, aprendo anche l'altro occhio. Quindi era lui ieri sera in quella Jeep, e quella donna deve essere sicuramente sua madre.
- Che cosa dobbiamo farci? - Chiedo abbastanza confusa mentre la guardo. Lei osserva la casa tutta trepidante, di cosa non lo so.
- Lo seguiamo! - Esclama iniziando a scendere i gradini di fretta.
- Sì, va bene... - Dico rilassandomi nuovamente. Dopo aver elaborato le sue parole mi tiro su, guardandola mentre si allontana. - Aspetta. Cosa?! No! Delice, vieni qua! - Lei non mi ascolta e mi costringe ad alzarmi per impedirle di fare danni.
- Lo avevi di fronte casa e non me l'hai detto! -
- Ma non lo sapevo! - Alzo gli occhi al cielo, infastidita, mentre lei finalmente si ferma davanti al cancello della casa del ragazzo. La guardo negli occhi, lei ricambia il mio sguardo, implorandomi con occhi da cane bastonato. In quel momento capisco il suo piano: entrare. - Non pensarci neanche. - Dico secca mentre la afferro per il braccio, cercando di allontanarla dal cancello prima che lo possa aprire.
- Dai, non rubiamo mica. Ci mettiamo qua fuori e diamo una sbirciatina dalla finestra. Magari troviamo la sua bara. Hai visto com'è bianco? - Chiede ridendo. Mi porto una mano sulla fronte, rassegnata. Non può davvero credere a questa storia dei vampiri.
Non mi dà il tempo di ribattere che si è liberata dalla mia presa e ha già scavalcato il cancello, poi mi fa segno di seguirla. È incredibile che durante l'ora di educazione fisica non alzi un mignolo, ma quando si tratta di vampiri cominci a scavalcare cancelli. Che poi che senso ha scavalcarlo? Lo apro semplicemente e mi apposto sotto la finestra con lei. La casa non è grandissima ed è completamente marrone. Ci sono solo due finestre bianche che affacciano sul giardino principale. Sembra ce ne sia un altro dietro. Quello in cui ci troviamo è completamente vuoto; c'è solo il tipico prato verde che hanno tutti, per il resto non ci sono né vasi né poltrone per l'esterno. Sembra non esserci nessuno in casa, nonostante quel ragazzo sia appena entrato. Tende blu sono tirate davanti alla finestra per impedire di sbirciare dentro la casa. La porta d'ingresso è bianca e si abbina alle finestre, così come le tegole del tetto. Sul recinto intorno alla casa sono presenti piccole luci da esterno, nere come il cancello. Ci sono altre due luci sul muro, vicino alla porta, dello stesso colore.
- Se ci beccano il culo ce lo salvi tu stavolta. - Le sussurro. Mi fa l'occhiolino, accennando un piccolo sorriso, e si alza un po' per poter guardare dentro. La seguo a ruota. Nonostante sia giorno, la casa dentro è buia. Le tende sono abbastanza trasparenti, ma comunque non si vede molto. Riesco solo a intravedere il salotto pieno di scatoloni. - Le hanno tirate apposta per te. - Sussurro divertita. Lei mi tira una gomitata in risposta e sbuffa leggermente.
- Smettila. - Mi rimprovera infastidita, cercando di trovare qualcosa con lo sguardo.
- Hai cominciato tu. Te l'ho detto che non c'è niente. Hanno solo degli scatoloni per il trasloco. - Rimane zitta, continuando a osservare oltre le tende (o almeno ci prova) per cercare ancora l'ipotetica bara del ragazzo. All'improvviso, sento dei passi dietro di me e un rametto spezzarsi. Delice guarda oltre le mie spalle e lancia un urlo di terrore.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Mi giro di scatto per capire cosa ci sia dietro di me. In quel nanosecondo penso a tutte le ragioni per cui potremmo finire nei guai se il proprietario ci beccasse. O peggio: se ci beccasse il ragazzo nuovo, l'unico in tutto la città a non considerarmi pazza. Ancora. Quando mi giro, però, vedo solo un gallo. Ha un piumaggio maculato di colore nero che tende al blu. Sembra anche più grosso dei soliti galli, ma forse è solo la mia impressione. Lascio un grande sospiro di sollievo per liberarmi dell'ansia che si è accumulata. Delice, invece, libera un verso, misto a un urlo e a un sospiro, per scacciarla. La zittisco, preoccupata che qualcuno possa scoprirci per davvero questa volta. Se non l'ha già fatto, a causa delle urla, ma nessuno sembra raggiungerci.
- Era solo un gallo, fortunatamente. - Dice col suo solito sorriso da "e anche questa volta l'abbiamo scampata". Annuisco e la prendo per il polso con l'intenzione di trascinarla via di qui. È meglio andar via prima che il ragazzo nuovo possa uscire e tempestarci di domande alle quali sarebbe difficile rispondere. Non penso che "la mia migliore amica sbava per te perché crede che tu sia un vampiro e vuole cercare la tua bara" sia una buona scusa. Il gallo continua a guardarci, seduto comodamente sul terreno. Alterna ripetutamente lo sguardo da me a Delice e viceversa. Sembra che si stia godendo il nostro spavento.
- Spero che lo spettacolo gli sia piaciuto. Ora possiamo andare. - Mi muovo, ma lei rimane lì a fissare il gallo e costringe anche me a fermarmi. S’inginocchia con l'intenzione di avvicinarsi. L'animale la guarda in modo strano, curioso, chinando la testa di lato. Nonostante Delice odi lo sporco, ama gli animali. Davvero, ogni singola creatura vivente. Però, non mi sembra questo un buon momento per fargli le coccole. Poi non capisco che ci faccia un gallo in giardino. Mi guardo in giro, in cerca di una possibile gabbia che possa ospitarlo, ma non c'è. Non sono l'emblema della normalità, e va bene, ma perfino io non ho un gallo come animale domestico. Non ha senso tutto questo. È tutto troppo bizzarro.
- Ma guardalo! - Allunga la mano verso di lui per accarezzarlo. Sento una forte fitta allo stomaco, come se un coltello stesse spingendo da dentro per uscire fuori, bucandomi ogni parete interna. Mi porto istintivamente le mani su di esso, premendoci sopra per cercare di alleviare quel fastidio. Quella sensazione dura qualche secondo, poi sparisce. Non mi preoccupo più di tanto; ho spesso fitte del genere, e di certo queste sono causate dall’agitazione per le circostanze in cui ci troviamo. Il gallo mi guarda un secondo, come avvertendo il mio dolore, poi riporta lo sguardo su Delice. Sembra che le stia sorridendo, anche se è impossibile per lui.
- Non toccarlo. È pericoloso. - La avverto prima che possa accarezzarlo.
- Ma è solo un gallo! - Osserva divertita. Annuisco confusa, cercando di capire perché abbia detto una cosa che non sapevo, e che non avrei mai pensato, ma le parole sembrano essere uscite da sole. È solo un gallo, come può essere pericoloso? Scuoto lievemente la testa, sorpresa delle mie stesse parole. Credo che la pazzia sia tornata. Perché devo sempre pensare che qualunque cosa mi possa far del male o addirittura uccidere? Non riesco davvero a capirlo. Mi sono portata dietro questa convinzione fin da piccola. Ricordo ancora una volta quando gettai via delle caramelle al limone con la convinzione che fossero avvelenate. E poi questa costante sensazione di far del male alle persone che mi stanno intorno: alcune volte vorrei rinchiudermi in una camera blindata e non uscirne più.
Delice è a un passo dal toccarlo quando il gallo scatta in piedi (beh, sulle zampe) e inizia a chicchiriare, ma in un modo così forte che sembra urlare. Lei sussulta dallo spavento, cascando all'indietro, ma caccia un urlo di terrore solo quando si accorge della coda in fiamme. Il mio respiro sembra bloccarsi e così tutto il mio corpo. La coda brucia, eppure non c'è odore di fumo nell'aria. Appena riacquisto la capacità di respirare, lo faccio in modo irregolare. A momenti sembra mancare. Cerco di convincermi più volte di non star sognando, pizzicandomi insistentemente il polso, ma tutto ciò è fin troppo reale. Delice si rimette in piedi in un lampo e viene verso di me, terrorizzata. Il gallo cammina verso di noi, continuando a chicchiriare. Non riesco a muovermi, paralizzata a causa della mia stessa paura. Fortunatamente in mezzo alla strada non c'è mai nessuno. Se passasse qualcuno e vedesse ciò che sta accadendo, se realmente sta accadendo, sarebbe difficile spiegarlo. Incrocio lo sguardo dell'animale e solo ora mi rendo conto che i suoi occhi hanno un colore diverso: uno è del tutto nero, l'altro bianco. Con quest'ultimo sembra guardare Delice, con l'altro me. Lei, accanto a me, cade in ginocchio con le mani sulle orecchie e inizia a lamentarsi.
- Fallo smettere con questo rumore! - Urla, strizzando gli occhi e premendo fortemente le mani sulle orecchie, cercando di bloccare un suono inesistente. Fisso prima lei, poi l'animale, poi mi guardo in giro. Quale rumore, esattamente? Ritorno a guardarla.
- Smettila di scherzare, Delice. - Aspetto che interrompa il suo spettacolino per andare via. Non è proprio il momento di giocare. Delice spesso fa buffonate del genere, nonostante la maggior parte delle volte siano di cattivo gusto. Il gallo si è bloccato, ma la sua coda continua ad ardere. Tuttavia, solo ora mi rendo conto che non sta fingendo. Non riesce ad alzarsi e non è la persona che sta a terra, e sporcarsi i pantaloni, per fare uno scherzo del genere. Nella situazione meno adatta, poi. I pantaloni bianchi ora sono sporchi di terra. Cerco di aiutarla ad alzarsi ma continua a urlare, quasi dal dolore. Le sue urla non possono passare inosservate. Qualcuno dietro la finestra, infatti, sta osservando la scena, ma non riesco a distinguere i suoi tratti. Ci guarda senza intervenire, nessuna emozione sul volto coperto dalle tenebre. Il suo cappuccio nero, poi, non è d'aiuto dato che gli copre ulteriormente il viso. Osserva e basta. Sembra quasi una prova. Lui è dietro il vetro e ci sta studiando, noi siamo chiusi nella camera bianca e il test non sta andando bene.
- Sharon! - L'urlo di Delice mi riporta alla realtà e sposto di scatto lo sguardo su di lei, pensando che sia accaduto qualcos'altro. Fisso un'ultima volta la finestra appena noto che non è successo nulla di nuovo, ma non c'è nessuno. Me lo sarò sicuramente immaginato. Dovrei far qualcosa, ma sono completamente nel pallone. Non ho la minima idea di come aiutarla. Io ancora non sento nulla.
Il gallo smette di fissare Delice, che è appena caduta a terra, immobile, e sposta lo sguardo su di me. Inizio a sentire un ronzio fastidioso, poi il raschio delle unghie sulla lavagna, il rumore di un trapano elettrico, urla di persone e pianti di bambini. Cado anch'io in ginocchio con le mani sulle orecchie, cercando di fermare quei rumori insopportabili. Non posso farci niente, però, perché quei suoni sembrano provenire da dentro la mia testa. Sebbene non riesca a farli smettere, cerco di raggiungere Delice che non si muove più. Ho paura che sia svenuta. Purtroppo, la vista mi si sta gradualmente annebbiando e non riesco a raggiungerla. Cado con la faccia sul terreno e l'ultima cosa che vedo è quel dannato gallo che se ne sta andando. La sua coda è perfettamente intatta, come se non avesse preso fuoco per niente. Non posso essermi immaginata tutto ciò. Cerco di alzarmi da quel terreno freddo, facendo leva sulle mie braccia, ma non ci riesco. Crollo definitivamente, sentendo le palpebre degli occhi pesanti. Qualcuno con delle Converse nere si sta avvicinando. Il gallo rimane a guardare colui che deve essere il suo padrone mentre quest'ultimo avanza verso me e Delice. I suoni stanno andando via insieme ai miei sensi. Lo scricchiolio delle foglie sotto i piedi del ragazzo sono l'ultimo rumore che riesco a udire. Poi, il buio totale.
***
Il silenzio a volte è il suono più dolce di sempre. È come se avesse una propria melodia che pochi riescono ad ascoltare. Cerco di aprire gli occhi appena riprendo coscienza, ma le palpebre sembrano attaccate e la testa mi pompa. Le uniche cose che riesco a distinguere appena li apro sono le ombre dei mobili. Sbatto le palpebre più volte e, man mano che riacquisto la vista, mi tiro su a sedere nonostante il dolore alla testa. La stanza è buia: soltanto la luce dei lampioni la illumina un po'. Siamo nel mio soggiorno. La televisione è accesa e sta trasmettendo un programma di cui non ricordo il nome. Il volume è bassissimo. Si sente il presentatore parlare e fare battute mentre il pubblico applaude e ride. Chiamo Delice in un sussurro roco per farla svegliare, ma lei continua a dormire sull'altro divano. La sua borsa si trova, invece, sulla poltrona di pelle nera, a fianco al divano. Continuo a guardarmi in giro per cercare di capire cosa sia successo, se effettivamente sia accaduto qualcosa, ma tutto sembra essere al proprio posto. Accanto alla televisione, l'ampia libreria piena di CDs, DVDs e libri è in ordine; la lampada ancora all'altro lato della televisione. Lo stesso vale per il tavolino, tra quest’ultima e il divano, che poggia su un tappeto shaggy dello stesso colore del legno. Sopra al tavolino c’è sempre quel piccolo vaso contenente un cactus, ma in aggiunta sono presenti un piatto con delle caramelle, una tazza di tè e un fogliettino che il vento si porterà via a momenti a causa della finestra aperta.
"FAI MANGIARE QUELLE CARAMELLE A DELICE, HA AVUTO UN CALO DI ZUCCHERI. IL TÈ È PER TE. TI VOGLIO BENE, MAMMA."
Delice continua a dormire. Non ricordo di essermi addormentata. Non ricordo niente in verità, solo forti rumori ed un'emicrania pazzesca. Prendo la tazza e bevo velocemente data la gola secca, almeno il tè non è male. Inizialmente sembra aspro, ma dopo diventa dolce. Sento Delice muoversi leggermente sul divano e sbadigliare. Anche lei si è tirata su e si sta stiracchiando. Come fa a non essere a pezzi? Sembra che io abbia lottato per dei posti in prima fila a un concerto.
- Ci siamo addormentate... - Mormora lanciando prima uno sguardo a me, poi alla televisione. Assottiglia gli occhi per vedere cosa stia trasmettendo. - Si vede che quel film era molto noioso... - Corruga la fronte appena ritorna a guardarmi in faccia, cercando di capire se ci sia qualcosa su di essa o meno. Mi tocco una guancia, non sapendo bene cosa stia fissando. Magari è qualche ombra che mi fa sembrare la faccia sporca. Infine decide di non fare domande e guarda le caramelle, afferrandone una. Annuisco alla sua affermazione perché è l'unica cosa che posso fare. Nonostante cerchi di aggrapparmi a qualche ricordo, sembrano tutti spariti. Guardo l'orologio: quasi le otto di sera. Alza lo sguardo verso di me.
- Mangiale tutte. - Dico indicando le caramelle. Mi guarda confusa. Già è tanto che ne mangi una, figuriamoci tutte. - Hai avuto un calo di zuccheri, fai bene a mangiarle. - Le fissa per un po'. Sicuramente si sta chiedendo se non finiscano sui fianchi. Una volta che ho finito di bere il tè, poggio la tazza vuota nel piatto.
- Calo di zuccheri... - Ripete elaborando le mie parole. - Ecco perché mi sento così stanca. - Dopo le prende e le mangia una alla volta. Mi sento sollevata: almeno non sono l'unica che si sente uno schifo. Ci alziamo dal divano. Chiudo la finestra del soggiorno e saliamo in camera mia. Il mio sguardo cade sui suoi pantaloni, sulle ginocchia, sporchi di terra. Corrugo la fronte, ancora più perplessa di prima: non ricordo che siamo uscite.
- Delice, ma che film stavamo guardando? - Chiedo dopo che siamo entrate in camera. Lei si siede sul letto, io rimango in piedi vicino alla finestra e mi giro a guardarla.
- Non mi ricordo... - Risponde confusa. Aggrotta la fronte cercando di ricordare qualcosa, ma sembra delusa perché anche lei, come me, non riesce a trovare i suoi ricordi.
- Pensavo di essere l'unica con questo problema... - Mormoro portando poi lo sguardo fuori, un po' preoccupata. Nonostante mi sforzi, non riesco proprio a capirci qualcosa in tutta questa storia. E ci sono un sacco di cose a cui non riesco a dare una spiegazione plausibile, ma questa…
- Penso che abbiamo avuto entrambe una giornata pesante. Meglio se vada, a domani. - La saluto con un gesto della mano mentre esce. Qualche minuto dopo, la sua macchina abbandona la strada. A parte la Jeep nera parcheggiata davanti casa di Jackson Mitchell, la strada è deserta, come sempre. Non c'è vento: tutto è immobile, come se stesse per succedere qualcosa. Perfino la signora Moore non si trova in giardino come ogni sera. Trascorre le serate fuori a giocare a solitario mentre il suo gatto le gira intorno, bramante di carezze. Quando capisce che la padrona è troppo occupata a giocare, cammina via offeso e si stende davanti alla porta, aspettando che torni in casa. Alzo lo sguardo sulla finestra di fronte alla mia, quella del ragazzo nuovo probabilmente, osservando quanto vuota e buia la stanza sia. A un certo punto, dietro il vetro, spuntano due occhi bianchi nel mezzo di quel buio così nero che sembra nascondere qualcosa di soprannaturale. Mi strofino gli occhi per poi riaprirli: la stanza è di nuovo buia, ma quelle iridi erano lì fino a due secondi fa, non posso averle immaginate. All'improvviso, la mia mente viene presa in assalto da quelli che sembrano dei ricordi, anche se non so ben dire da dove sbuchino fuori: un gallo, delle fiamme e delle Converse nere. Cerco di capire da dove provengano e perché siano riemersi solo ora, senza una motivazione precisa. Inoltre, ancora non riesco a darmi una spiegazione riguardo ai pantaloni bianchi di Delice, sporchi di terra. Cerco di capire cosa sia successo e chi abbia scritto quel biglietto sul tavolo dato che solo ora, che sono meno assonnata, mi rendo conto quella non era la scrittura di mia madre, ma ogni ipotesi nella mia mente dura solo qualche misero secondo. C'è sempre qualcosa che non s’incastra con gli altri pezzi. Poi, la finestra in soggiorno non è mai aperta quando mia madre non è a casa. Inoltre, quale motivo c'era di aprirla? Non c'è neanche tutto quel caldo afoso, ma magari durante la giornata sì e Delice l'ha aperta, dato che io non lo faccio mai. Poi ci siamo addormentate e nessuna l’ha chiusa, forse. Ora nella mia testa c'è un tornado di punti interrogativi. Decido di andare a farmi una doccia per riprendermi. Devo levarmi questa stanchezza di dosso. Quando passo davanti allo specchio noto qualcosa di scuro sulla mia guancia. Mi avvicino per controllare. Ecco cosa stava fissando Delice prima: c'è della terra sulla mia faccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

- Dovresti parlare con Jackson. - Mi consiglia Delice, riferendosi a quanto accaduto ieri, mentre chiude il suo armadietto. Nonostante sia l'ultimo giorno di scuola, l'edificio è pieno di studenti. Ogni anno, quando l'ultima campanella suona, il cortile diventa un campo di battaglia. I ragazzi vengono e soffrono il caldo che riempie tutte le aule solo per usare pistole ad acqua e lanciare gavettoni non appena terminano le lezioni. È l'unico giorno in cui vuoi essere il primo a entrare in classe, cosicché, dopo, sarai il primo a uscire. Coloro che non sono in classe aspettano il suono della campanella chiacchierando e scherzando nei corridoi, senza le pressioni che hanno avuto durante tutto l'anno. Io e Delice, invece, preferiamo parlare dirigendoci verso le nostre classi. Alla prima ora ho matematica, l'unica materia che non voglio sorbirmi anche l'ultimo giorno di scuola. L'ho sempre odiata. Anzi, me l'hanno fatta odiare, e questa è colpa della mia insegnante.
Ho appena raccontato a Delice quelle piccole stranezze che avevo notato ieri, però non parlerò con Jackson Mitchell, non importa quanto lei insista. Dovrei, lo so, ma non posso presentarmi da lui e fargli domande riguardo ciò. Sembrerei una pazza a puntare il dito contro di lui, che non conosco, che non ho visto dietro le tende, che non ho visto portarci a casa, che non ho visto uscire dalla mia finestra. Non ho prove. O almeno, non concrete.
- Non credo che lo farò. Te l'ho detto. Ci vediamo dopo. - Saluto Delice non appena arrivo davanti alla mia classe, per poi entrare. Quanto la invidio: ha inglese. Ci vedremo a pranzo, ma già so che queste ore non passeranno mai. Mi siedo al mio posto, sempre in fondo ovviamente, e aspetto che la lezione inizi. Mrs. Balzac è già seduta alla cattedra, impegnata a scrivere qualcosa sul registro. È abbastanza anziana, ma ancora non si è decisa ad andare in pensione, sebbene ogni suo singolo alunno brami questo momento. Nonostante sia la più odiata dell'istituto, ha un aspetto dolce e innocente. Certo, finché non ci parli dato che ciò che dice non ha senso la maggior parte delle volte. La faccia è segnata dalle rughe ma cerca di recuperare gli anni truccandosi. Infatti sulle labbra ha costantemente un rossetto rosa scuro e sugli occhi un ombretto celeste perché, come dice lei, le risalta il grigio dell'iride. Ha i capelli corti, di un biondo platino, con un piccolo ciuffo che le scende sulla fronte, verso destra. Ha sempre una collana di perle bianche al collo, gli orecchini e un bracciale al polso destro abbinati. Al sinistro, invece, ha un orologio con un cinturino nero in pelle. Indossa sempre la stessa gonna nera e le stesse scarpe, anch'esse nere con un po' di tacco, le maglie solo bianche o nere (alcune volte anche di entrambi i colori) e sulle dita ha tre anelli in tutto, compresa la fede. Guardo verso la cattedra: un pacco di compiti corretti giace su di essa. La classe è quasi piena. Di June non si vede l'ombra, il che è una cosa buona, ma ho parlato troppo presto. Neanche due minuti dopo, infatti, fa il suo ingresso con un abito blu a fiori bianchi, lungo fino alle ginocchia. Dopo che l'ultima persona è entrata, la professoressa si alza per chiudere la porta e prende i nostri compiti. Solo la settimana scorsa abbiamo finito tutte le verifiche e l'ultima era proprio quella di matematica. Mi sorprende che questa volta non ci abbia impiegato un mese per correggerli.
- Come avete potuto vedere vi ho riportato i compiti. Sono sorpresa che siano andati tutti bene. - Annuncia mentre si alza a fatica, poi comincia a distribuirli. - Quasi tutti. - Aggiunge, fulminando con lo sguardo un ragazzo in ultima fila appena gli porge il suo compito. Quando passa accanto al mio banco lo lascia distrattamente e sarebbe caduto se non mi fossi affrettata a prenderlo. Non ha una simpatia per me, è vero, anche se non ne capisco il motivo. Sto costantemente alla lavagna, sono sempre la prima a relazionare e a essere rimproverata anche solo se mi muovo.
Una volta che ha finito il giro della classe, si va a sedere al suo posto nello stesso istante in cui la porta si apre e una testa bionda fa capolino da questa, costringendo l'insegnante a girare la testa per controllare chi sia.
- Mi scusi per il ritardo. - Mormora Jackson, abbastanza impacciato, sotto lo sguardo confuso di Mrs. Balzac. Lei non conosce lui e lui sicuramente si aspettava Mr. Douglas. In fin dei conti, nessuno vorrebbe avere la vecchietta malvagia e immortale di prima mattina, l'ultimo giorno di scuola, poi.
- Si vada a sedere signor... - Parla indossando i suoi piccoli occhiali rotondi, che tiene sulla punta del naso, mentre cerca il nome di Jackson sul registro di classe, inutilmente.
- Mitchell. - La anticipa lui. Mrs. Balzac gli fa segno di sedersi, senza importarsene più di tanto. Tutto quello che non conosce non sono affari suoi, come la sua materia, tra l'altro. Sicuramente non ha la stessa passione che ha Mr. Douglas, ma incolpiamo pure l'età invece che il desiderio di ricevere solo il suo stipendio.
Qualche secondo dopo l'inglese è seduto nel banchetto vuoto accanto al mio. Naturalmente nessuno si siede di fianco a me dato che la "Pazza" viene sempre isolata. Il nostro sguardo s’incrocia per un attimo, poi osserva la professoressa. Nonostante abbia girato la testa per guardare il compito, continuo a osservare il ragazzo biondo con la coda dell'occhio. Che senso ha ritornare qui, l'ultimo giorno tra l'altro, se poi ha già anche fatto il tour della scuola ieri? Mrs. Balzac si schiarisce la voce e poi riprende a parlare.
- Sono talmente sorpresa, forse sconvolta, che tutti voi abbiate passato anche quest'anno il mio corso. - Ricomincia a scrivere sul registro mentre parla. - E ora, Miss. Edwards, mi faccia il piacere di raccogliere i compiti. Tanto li avete visti e fanno schifo comunque. - June annuisce compiaciuta poiché per l'ennesima volta è lei a svolgere questo compito. Non che lo voglia fare io. Non voglio fare la leccapiedi.
June sta per prendere il suo stesso compito e alzarsi quando il foglio la precede. Si trasforma in un aereoplanino di carta e subito tutti gli altri fogli lo seguono. Il mio compito fluttua davanti al mio viso, trattenuto da chissà cosa. Sgrano leggermente gli occhi. Non è possibile, concepibile, questa cosa. Devo star per forza sognando.
- Ehm... Mrs. Balzac... - La chiama June con un filo di voce. Deglutisce subito dopo per sciogliere forse un nodo che le si è creato in gola. In un altro momento mi sarei anche divertita a farmi beffe di lei con Delice, ma ora anch'io mi sto pizzicando più volte il polso, cercando di capire se sia addormentata o meno. Come del resto tutta la classe, che si guarda intorno in modo confuso.
- Li poggi qui, signorina Edwards. - Lei continua a scrivere, ignara di tutto, battendo leggermente la mano sulla cattedra dove vuole che June poggi i compiti. Passo una mano sia sopra sia sotto il foglio, che continua a rimanere sospeso in aria. Spesso fanno scherzi gli ultimi giorni, ma questo è troppo perfino per loro. Mi guardo in giro. L'espressione di tutti è la stessa: panico totale, ma ancora nessuno riesce ad aprire bocca. Quella di Jackson, invece, si deve distinguere dalle altre: gli stessi occhi vitrei, come ieri. Picchietta con tre dita sul banco, indifferente a ciò che sta succedendo intorno a lui. Appena si sente abbastanza osservato, si gira verso di me, incrociando il mio sguardo. Distoglie immediatamente il suo dai miei occhi quando nota l'aereoplanino, corrugando la fronte. Sembra essersi appena svegliato da uno stato di trance. In quel momento tutti i fogli volano contro la lavagna, nella direzione della professoressa. La classe emette un urlo di terrore, costringendo Mrs. Balzac ad alzare lo sguardo. Si accorge giusto in tempo di quello che sta accadendo per buttarsi a terra, facendo cadere anche la sedia. I fogli si schiantano contro la lavagna, accompagnati dal tonfo sordo della sedia. I miei compagni di classe non perdono altro tempo a recuperare le loro cose ed escono di botto in pochi secondi, urlando spaventati. Tutti tranne me, Jackson, la professoressa e June, che guarda il ragazzo quasi inebriata. Lui mi rivolge un'altra occhiata e poi si alza, prendendo lo zaino da terra. Mi chiedo cosa ci sia dentro dato che non ha nessun libro. Lo seguo di corsa dopo aver afferrato anche il mio zaino mentre June si alza e corre ad aiutare la professoressa a tirarsi su. Vedo ancora il terrore nei suoi occhi. Sembra tremare mentre si lascia aiutare. Raggiungo Jackson e lo giro con forza una volta che gli ho strattonato il braccio. Il corridoio è vuoto e silenzioso. L'unica melodia che giunge alle mie orecchie è quella del mio cuore, che sta ancora impazzendo per quella scena assurda.
- Che cosa è successo lì dentro? - Gli chiedo in un sussurro, non trovando quasi la voce per parlare. Non riesco a spiegarmi cosa sia accaduto in classe. Non ci sono parole razionali per descrivere questa cosa. Non è razionale questa cosa. Mi guarda con un'espressione vuota, quasi strafottente. Quando incontra il mio sguardo mi sento avvampare e arrossisco. Non so neanche dove ho trovato il coraggio di fare una cosa del genere. Avrei dovuto correre fuori come sempre e invece, nell'euforia del momento, l'ho seguito. Come se fosse lui la causa di quello che è successo, poi. O forse sì? Mantengo lo sguardo fisso nei suoi occhi, ma non pensavo che fossero davvero così belli da vicino. Mi maledico mentalmente per essermi distratta quando si libera dalla mia presa.
- Un suicidio di massa. - Dice freddamente per poi allontanarsi da me, lasciandomi sola.
***
- Non ricordo di essere diventata famosa... - Mormora Delice mentre passiamo in mezzo ai tavoli della mensa, facendo attenzione a non far cadere il pranzo. Ci sediamo al nostro solito posto. Gli occhi dei ragazzi sono ancora puntati su di noi, cosa che m’infastidisce.
- È per quello che è successo in classe. - Guardo l'intera sala. Alcuni hanno lasciato perdere la nostra conversazione, altri ancora ci fissano ogni tanto, bisbigliando tra loro. Sospiro lievemente. Non mi piace che la gente parli di me alle mie spalle, figuriamoci se sono cosciente che lo stanno facendo. Non è colpa mia quello che è successo in classe e, anzi, ora mi sembra solo un ricordo sfumato nella mia mente. Come quei ricordi che non riescono a essere distinti tra il sogno e la realtà, e spesso si tende a credere che siano stati solo immaginati. Rimango ancora dell'idea che qualcuno abbia fatto uno scherzo, più che riuscito direi. Non c'è altra spiegazione.
- Ho sentito... non posso credere che tu abbia iniziato. - Commenta stupita, iniziando a mangiare. La guardo perplessa. Ecco perché tutti mi guardano in modo strano. Non che fosse una novità, ma maggiormente rispetto agli altri giorni. Di certo June ha messo voci in giro, false per giunta. Come posso aver iniziato io? Non sono mica una maga. Non che creda in queste cose, ma andiamo, è impossibile! Come fanno anche solo a crederci? Non è pensabile questa cosa! È... è... non so neanche io dire cosa è. So solo che non è normale quello che è successo in classe.
- Infatti non sono stata io. - Mi guardo intorno. Noto Jackson in un tavolo da solo a leggere. Non riesco a vedere quale libro, ma non sembra catturare molto la sua attenzione. Ogni tanto alza lo sguardo prima verso la mensa, poi verso il soffitto, come se stesse seguendo le tubature, poi verso di me. Quando nota che lo sto osservando, abbassa lo sguardo e riprende a leggere. Sembra si stia preparando per qualcosa e il libro sia solo una copertura. Delice continua a parlare, ma non ascolto neanche una parola di quello che sta dicendo. Alzo lo sguardo verso il soffitto per vedere cosa stava osservando solo pochi secondi fa. Jackson ripete gli stessi movimenti: mensa, tubature, me. Non capisco perché faccia così. Forse qualcuno gli ha già parlato della "Pazza" che vede i fantasmi e ora aspetta solo qualche mia scenata isterica.
- Mi stai ascoltando? - Delice mi scuote il braccio, facendomi riportare lo sguardo su di lei. Scuoto la testa, lei sbuffa e ricomincia da capo. Appena parla, sposto di nuovo lo sguardo sulle pareti tentando di capire cosa stia cercando Jackson. Appena Delice nota che per l'ennesima volta non m’importo delle sue parole, interrompe il discorso e sospira, rassegnata. - Ho capito. Ti do il tempo di osservare Mitchell quanto vuoi. Vado a prendere il mio cardigan in palestra. L'ho dimenticato lì. - M’informa con un tono abbastanza infastidito. Annuisco, guardandola, mentre lei si alza ed esce dalla mensa. Alcuni ragazzi la seguono con lo sguardo e poi ridono. Molte volte mi dispiace che Delice sia derisa per il semplice fatto che sia mia amica, perché non se lo merita per nulla.
Anche Jackson la osserva uscire. La stessa cosa fa Albert Sanchez, dall'altro lato della mensa, mentre al solito i suoi amici della squadra di nuoto parlano e schiamazzano. Vedo Jackson e Albert scambiarsi un'occhiata. Mentre il biondo riprende a leggere il libro, l'altro passa a guardare i muri, poi riprende a chiacchierare tranquillamente. Mi giro per mangiare quando noto una macchia su una parete. È così piccola che nessuno oltre a me sembra notarla. Solo Jackson cerca di capire cosa io stia fissando, spostandosi un po' di lato. Appena riesce a intravedere la macchia, leggermente più grande ora, si guarda intorno, allarmato. Sembra addirittura turbato, forse spaventato, ma non c'è bisogno di farne una tragedia: si sarà solo allentato un tubo. Invece, lui pare stia cercando una via di fuga. Il suo sguardo cade su Rosita, la signora della mensa, con la sua solita retina in testa che le regge i capelli neri, e il grembiule bianco. Adesso sta servendo il pranzo a delle ragazze del primo anno. Sto per alzarmi per chiedere a Jackson cosa abbia da guardare così tanto, dal momento che non sopporto essere fissata per molto tempo, quando un denso fumo nero appare dietro la donna. Una puzza di bruciato si sta diffondendo per la mensa. Quando Rosita se ne accorge, già delle piccole fiamme stanno uscendo dal forno. Porto lo sguardo su Jackson, che fissa il vuoto per l'ennesima volta, sebbene abbia gli occhi su di me. Il fumo raggiunge i rilevatori antincendio sul soffitto che si attivano. L'acqua inizia a cadere forte. I ragazzi si precipitano fuori, schiamazzando per il fatto che si bagneranno. Cerco Jackson con lo sguardo, ma è già sparito. Può anche essere una coincidenza, ma non ci credo tanto. Non è possibile che dopo che sia entrato in classe quei fogli siano diventati degli aereoplanini. La stessa cosa dopo aver notato quella macchia sul muro: il forno, infatti, ha preso fuoco. Non ho neanche un attimo per pensare che vengo trascinata fuori dalla folla. Prendo in tempo la mia roba e mi catapulto fuori insieme con gli altri. Non tanto per il forno in fiamme, dato che man mano si sta estinguendo, più che altro per l'acqua che cade dal soffitto. Già i miei capelli cominciano ad appiccicarmisi sul volto. Non riesco a raggiungere la porta d'ingresso per uscire che vengo spinta contro un armadietto e sbatto la testa. Prima di svenire vedo il ragazzo, uno dell'ultimo anno, che mi ha spinto, sento le urla e i passi dei ragazzi che risuonano in tutto il corridoio. I suoni vanno ad affievolirsi e le immagini ad annebbiarsi.
 
- Sharon! - Una voce lontana, colma di terrore, chiama il mio nome. Apro gli occhi, ma non vedo il mio corpo, solo quello che è presente intorno a me. Sembra uno di quei videogiochi in cui cerchi disperatamente di guardare in basso e scovare il tuo busto, ma puoi solamente osservare ciò che hai intorno. Sto sognando. Il posto è buio e distrutto per la maggior parte, come se un tornado ci fosse passato. Sento l'odore del sudore, vedo armadietti aperti e molti altri a terra, con le ante rotte o staccate, finite chissà dove. Conosco quel posto: sono gli spogliatoi della scuola. Una panca è addirittura sottosopra, mentre un'altra è messa a mo' di scudo. - Ho bisogno di aiuto... - Quella voce si sta trasformando in un sussurro. La voce è spezzata, tremante. Di una ragazza. La ragazza è Delice. Un verso mostruoso, gutturale, interrompe quel silenzio. La mia migliore amica urla.
 
Apro gli occhi di scatto all'udire la voce del preside dall'altoparlante. Cerca di far calmare tutti, tranquillizzandoli con tono fermo. Sfortunatamente non sta riuscendo nel suo intento. Ci sono ragazzi che ancora corrono, altri che si lamentano per essersi bagnati. Si stanno tutti dirigendo fuori dalla scuola. La testa mi fa male, ma nonostante tutto cerco la forza di alzarmi. Mi tiro su, appoggiandomi agli armadietti. Ora ci sono due possibilità: una plausibile e una folle. La prima è quella di uscire dalla scuola, pensando che sia una pazzia andare negli spogliatoi. Magari Delice è già fuori ad aspettarmi mentre io credo ancora ai sogni che faccio. La folle è quella di dargli retta, dato che la maggior parte delle volte hanno ragione, e morire nel luogo peggiore al mondo. Se non scendo, però, Delice potrebbe essere uccisa a causa del mio egoismo. Quindi opto per l'unica cosa che faccio quando non so cosa scegliere: smettere di pensare. Inizio a correre verso gli spogliatoi. Se non è lì, tornerò su il più velocemente possibile. Scendo le scale e imbocco il primo corridoio a destra. C'è una puzza di sudore mista a quella dell'acqua sporca. Le luci sul muro sono fuori uso. Arrivo davanti alla porta blu e guardo dentro: il caos. C'è dell'acqua sul pavimento che proviene dal bagno. La sua porta è spezzata in due: una metà giace a terra, l'altra è rimasta attaccata allo stipite. Su entrambe c'è un semicerchio, come se qualcosa ci fosse passato attraverso. Anche le ante degli armadietti sono esattamente come erano nel mio sogno. Apro lentamente la porta senza chiudermela alle spalle. Se dovessi scappare, non perderei tempo ad aprirla. Prendo un pezzo di ferro, forse di un armadietto, trovato a terra e lo incastro sotto la porta per tenerla aperta e ferma.
- Delice! - La chiamo, ma senza ricevere una risposta. Riprovo a chiamarla. Di nuovo niente. Sto già cominciando a preoccuparmi. Sapevo che non sarei dovuta venire qua. La mia mente sta già cominciando a fare pensieri orribili. Non ho mai visto gli spogliatoi così raccapriccianti.
All'improvviso, sento un verso, quasi metallico, e dei tonfi sordi sul pavimento, come se qualcuno stesse camminando con delle pinne bagnate ai piedi. Mi giro per controllare se ci sia qualcuno dietro di me, ma l'unica cosa che vedo è l'acqua che continua a uscire dal bagno. Mi giro e chiamo Delice per l'ennesima volta mentre scivolo su un panno bagnato, cadendo col sedere a terra. Impreco sotto voce sia per i pantaloni bagnati sia per il dolore. Solo dopo mi accorgo che quel panno è il cardigan di Delice. Questo vuol dire che lei è ancora dentro l'edificio. Non scapperebbe mai senza recuperare un suo capo d'abbigliamento, anche se ci fosse l'apocalisse. Lo prendo e mi siedo un attimo a terra con la schiena appoggiata a un armadietto per guardarmi in giro e cercarla. Perché hanno costruito gli spogliatoi così grandi? Non ho il tempo di pensare, fatico a respirare e so che l'ansia sta prendendo il sopravvento sul mio corpo, sulla mia mente. Poi, di nuovo quella risata metallica. La sento dentro le pareti, dentro i tubi. Fisso di fronte a me il bagno, da cui l'acqua non smette di fuoriuscire. Sto per alzarmi quando il muro vicino alla porta esplode. Mi copro la faccia con un braccio e urlo istintivamente dalla paura. Magari qualcuno mi ha sentita. Apro gli occhi, ma le uniche cose visibili sono le macerie sul pavimento e la polvere nell'aria. Dietro di questa, s’intravede una sagoma nera. Non ci credo che qualcuno sia sceso nonostante quello che stia accadendo sopra. - Sono qui. Sto bene. - Mi sto per alzare quando quella figura si avvicina. Infatti non ci ho creduto davvero. Nessuno è sceso giù. Guardo la porta: è chiusa. Il pezzo di ferro è sparito. Al contrario, c'è qualcosa dietro la porta, dall'esterno, per impedire che si apra. Sono bloccata qui. Morirò qui. Mi schiaccio contro gli armadietti quando la testa di un uomo spunta da quella polvere. Per un secondo penso che sia salva, che mi sia sbagliata e che sia stata colpa della mia immaginazione, adesso impossibile da controllare a causa della paura. Mi guarda con degli occhi azzurri che ricordano il mare. Sono dello stesso colore. Per un attimo penso che abbia l'oceano negli occhi. Poi, vedo qualcosa muoversi in essi: l'oceano stesso. O almeno, una microscopica parte. Quando esce dalla polvere lo vedo interamente. Si muove grazie a delle mani e dei piedi palmati. Una coda lunga due metri lo aiuta ancora meglio nel suo movimento. Ha una pinna dorsale simile a quella di uno squalo e la sua carnagione è di un colore grigio cenere, come le nuvole in tempesta. Dietro le orecchie, sul collo, ha delle branchie. La testa è l'unica cosa normale che possiede, o almeno così pensavo. Appena apre la bocca, infatti, mostra una fila di denti da squalo, appuntiti come rasoi. Emette un altro verso, ancora più forte, facendo volare un po' di saliva fino ai miei piedi. Li ritraggo appena in tempo. Non voglio quella cosa schifosa sulle mie scarpe, anche se è l'ultima cosa di cui mi sarei dovuta preoccupare dato che sto per essere divorata da questo essere. Sento il mio cuore martellarmi nel petto, in gola, in testa. Sono bloccata. Cerco di capire cosa sia, ma non so darmi una risposta. Respiro a fatica. Provo a muovere le gambe: se sono abbastanza veloce a scappare, posso salvarmi, ma niente; rifiutano i miei ordini. Goccioline di sudore mi cadono dalle tempie. È la fine per me. Delice non c'è. Sono stata una stupida a pensare davvero che fosse qui. Avrà sicuramente sentito la voce del preside e, non importandosene del cardigan, sarà uscita. In fin dei conti, stanno evacuando la scuola. Emette un altro urlo stridulo, deconcentrandomi dal quasi prendermi a schiaffi, e si lancia contro di me.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Piega gli arti e si lancia contro di me. Chiudo gli occhi, aspettando la mia ora, ma non arriva. Invece sento un urlo e percepisco una luce bianca, così bianca che sembra strapparmi le palpebre, gli occhi, la pelle, ma allo stesso tempo la desidero, non so perché. Si sente un botto metallico contro gli armadietti e un successivo tonfo. Qualcuno mi afferra per il braccio con forza per tirarmi su dal momento che comincio a ribellarmi, urlando. Non voglio aprire gli occhi, spaventata di quello che potrei trovare. Quel coso che ho visto prima era orrendo, terrificante, e non ho voglia di vedere qualcos'altro che mi manderebbe fuori di testa.
- Non uccidermi! - Imploro mentre cerco di liberarmi, dandogli pugni addosso, ma mi stringe il braccio ancora più forte. Non so con quale forza non stia singhiozzando come una deficiente. Semplicemente non ho tempo di piangere. Una piccola parte di me sta ancora cercando il modo di lottare, sebbene tutto il resto del mio corpo si sia del tutto arreso.
- Non ti voglio uccidere. Ringrazia che ti ho raggiunto in tempo. - Riconoscendo la voce, apro lentamente gli occhi, timorosa, mentre ne incontro un paio blu: Jackson Mitchell. Non so se sentirmi sollevata o spaventata ancora di più nel vederlo. Sollevata perché non sono morta, non ancora; spaventata perché non so dove sia quella cosa. Ma ancora più importante, come ha fatto Jackson a farlo scappare e come faceva a sapere che ero qui? Sto per chiederglielo, ma lui parla prima di me. - Non c'è tempo. Esci da qui. - Mi spinge verso la porta, allontanandomi di poco da lui nello stesso istante in cui un tubo esplode e così il muro del bagno. Jackson se ne accorge giusto in tempo e si mette davanti a me, come se fosse uno scudo, appena l'acqua si scaglia contro di noi. Chiudo gli occhi e mi copro il viso con un braccio, aspettando quella doccia fredda. L'acqua, però, non arriva. Li apro subito dopo, notando Jackson con le braccia aperte e tese, mentre essa si schianta contro i muri, bagnandoli ulteriormente. Non so se darmi un pizzicotto o meno per accettarmi di non star sognando. Non è possibile quello che sta facendo. I maghi non esistono, anche se sarebbe l'unica "spiegazione" per quello che sta succedendo. L'acqua, nel frattempo, sta diminuendo, ma i muri ancora tremano, come se qualcosa ci stesse passando attraverso.
- Ma... come... - Provo a parlare in un sussurro, senza respiro, non riuscendo neanche a trovare le parole per fare una semplice domanda e chiedergli come abbia fatto. Abbasso lo sguardo a terra: l'acqua ci arriva quasi alle caviglie. Si piega sulle ginocchia e immerge la mano, senza darmi una risposta. Pian piano, l'acqua comincia ad attorcigliarsi intorno alle sue dita, fino a inglobare la mano ed essere definitivamente assorbita, scomparendo all'altezza del polso. Sebbene sia rimasta solo una piccola pozza vicino alla porta rotta, il pavimento è ancora tutto umido. Nonostante lo stupore e il turbamento per quello che ha fatto, mi giro a cercare la vera ragione per cui sono venuta negli spogliatoi: Delice. Non ho tempo per dare di matto, seppur quello che ha fatto sia semplicemente assurdo. Comunque mi ha salvato. Solo... mi sembra di star sognando. Voglio uscire da qui il più presto possibile, e alla svelta. Se quella cosa è ancora qui dentro, non penso che possiamo perdere altro tempo. Lui sembra sapere quello che fa; cioè, ha fatto scappare quel mostro! Io, però, non so cosa sia né, tantomeno, come scacciarlo.
- Esci, ti ho detto. - Ripete un po' più preoccupato stavolta, continuando a mantenere un tono freddo e distaccato, ma soprattutto determinato a farmi seguire i suoi ordini.
- Devo trovare la mia amica. - Senza ribattere, sbuffa e inizia a controllare le tubature. Io vado vicino agli armadietti, cercando di ricordare nel mio sogno dove stava Delice. Cosa difficile dal momento che non l'ho direttamente vista, ho solo cercato di seguire la sua voce. Comunque cammino verso gli armadietti in fondo dato che qui, dove siamo noi ora, non c'è. Infatti Delice è stesa a terra vicino ad essi. Sorrido felice quando la vedo: il mio sogno aveva ragione. Per fortuna non me la sono data a gambe levate prima, altrimenti non oso immaginare la fine che avrebbe potuto fare. Ora devo solo trovare un modo per portarla fuori di qui. Potrei chiedere al ragazzo biondo di aiutarmi, ma preferisco che mi tenga lontano quell'essere. Non vorrei che spuntasse di nuovo davanti a me.
Mentre cerco di alzarla sento un botto contro gli armadietti dall'altra parte degli spogliatoi e un gemito strozzato di dolore. Mi giro di scatto per cercare con lo sguardo Jackson, preoccupata che gli possa essere successo qualcosa. Alla fine la mia peggior paura si è avverata: il mostro trascina il biondo contro il muro. Dopo aver creato due bolle di saliva di colore verdognolo, con cui gli tiene ferme le mani, lo trascina dai piedi. Devo fare qualcosa, devo aiutarlo. Glielo devo. Tra l'altro, se non lo aiuto, non usciremmo mai vivi da qui. E soprattutto lui sta rischiando la vita per una persona che non conosce neanche. Devo cercare un modo per liberargli le mani: queste ci hanno già salvato prima. Mi accorgo, però, di quanto sia stupido il mio pensiero: non so effettivamente di cosa siano fatte quelle bolle e, dal loro spessore, non penso che esploderanno con una semplice puntina. A tratti non riesco neanche più a vedere le mani del biondo. Cerco qualcosa a terra per colpirlo, dato che è l'unica cosa che posso fare, ma non c'è niente che possa lanciargli senza slogarmi un braccio. Si avvicina a Jackson che serra la mascella, impotente, e ritrae la testa all'indietro per allontanarsi dal mostro, per quanto gli sia possibile.
- Mitchell, nelle correnti marine del Mediterraneo sei il gossip dell'anno. - Dice la creatura con voce metallica. Con la sua lunga lingua, lecca la guancia di Jackson per assaporarlo. Lui si scansa mentre quella creatura gli gira intorno dopo avergli bloccato anche i piedi con un'altra bolla che produce con la bocca. La vicinanza dei loro volti è spaventosa. Come fa a non urlare per il terrore? Storco il naso a quel tanfo di pesce che si sta man mano diffondendo. Nonostante ciò, non perdo la mia concentrazione e continuo a guardarmi intorno. Deve esserci qualcosa alla fine. Peccato che gli attrezzi siano in palestra: sarei riuscita a lanciare qualche peso, credo.
Dopo aver trovato qualche lucchetto a terra, provo a tirarglielo contro, anche solo per distrarlo, ma è come se gli stessi lanciando dei fiori. È intenzionato a leccare di nuovo Jackson, ma lui non glielo permette questa volta, anticipandolo e sputandogli in un occhio.
- Ti sembra il modo di trattare una celebrità? - Chiede Jackson con sorriso beffardo. Il mostro caccia un urlo e, con un movimento secco della mano, gli graffia la gamba, lasciando le impronte degli artigli anche sui suoi jeans. Jackson urla per poi stringere i denti e respirare velocemente cercando di combattere il dolore mentre i suoi jeans iniziano a impregnarsi di sangue.
- Voi Ondini siete ripugnanti e stupidi, non mi meraviglio del fatto che siate sempre i primi a essere uccisi. - Si prepara ad attaccarlo di nuovo mentre il mio sguardo cade sulla sua coda che non si stacca dall'acqua, come se avesse bisogno di quella per... vivere.
- Mi sa che non hai letto abbastanza riviste su di me se pensi che sia un Ondino, allora. - Ghigna Jackson. Un sorriso più stanco che ironico questa volta. La sua gamba ora è quasi del tutto sporca di sangue. Prendo un'anta di un armadietto rotto e leggermente appuntito e corro d'impulso verso la coda. Il mostro si accorge troppo tardi di me per fermarmi. Gliela taglio come se avessi in mano un coltello affilato mentre questo urla, scagliandosi poi contro di me. Con una sola mano riesce a scaraventarmi contro il muro e farmi sbattere la testa. L'ultima cosa che riesco a sentire è l'urlo di Jackson.

 ***

Intravedo una forte luce sotto le palpebre che mi costringe pian piano ad aprirle. Quando riacquisto del tutto la vista mi guardo in giro a fatica per osservare una stanza a me ignota. C'è una sedia di fianco al lettino bianco sul quale sono sdraiata, più in là un piccolissimo tavolo e la porta. Sono dentro un'ambulanza, completamente blu. Provo a mettermi in piedi, scendendo dal lettino, ma la testa mi gira. È come se ci fosse un trapano dentro che cerca di bucarla. Inoltre sento anche un ronzio fin troppo fastidioso nelle orecchie, neanche fossi stata per un'intera notte in discoteca con la musica a livelli altissimi.
Cado a terra con le mani sulle tempie e proprio in quel momento la porta si apre ed entra un'infermiera che sta controllando dei fogli. Appena si accorge di me li poggia sul tavolo frettolosamente e mi dà una mano ad alzarmi. Le sussurro un "grazie" e mi passa una tazza di tè dopo che mi ha aiutato a sedermi di nuovo sul letto, poi ne bevo un sorso. Ha lo stesso sapore di quello che ho bevuto l'ultima volta che sono svenuta, quando successero quelle stranezze in casa.
- Allora, ti va di raccontarmi cosa è successo? - Bevo un altro sorso e poi le passo la tazza, che posa sul tavolo in modo delicato. È abbastanza giovane, con capelli neri che le arrivano fin sotto le spalle e gli occhi di un castano scuro, simile a quello della cioccolata fondente. È piccola di statura e l'uniforme le va un po' larga. Forse ha appena iniziato. Beh, venire a sentire le mie storie assurde non è male come primo giorno. Comunque le inizio a raccontare tutto quello che è successo poco prima, o almeno quello che ricordo. A ogni parola che dico, il suo sguardo diventa sempre più perplesso, quindi smetto di parlare. Lei mi fissa per qualche secondo, poi annuisce, accennandomi un sorriso dolce, anche se mi sembra più compassionevole.
- Hai preso una bella botta. È tutto a posto. Nello spogliatoio è solo scoppiato un tubo, e per la pressione troppo forte un pezzo d’intonaco si è staccato e ti è caduto in testa. Non sappiamo perché fossi lì tutta sola, ma è un miracolo che tu non abbia un’emorragia interna. - Mi rassicura lei, mostrandomi di nuovo quel sorriso irritante. Corrugo la fronte, in segno di disapprovazione.
- Non mi è caduto niente in testa, e non ero sola. C'era un ragazzo con me. E la mia migliore amica. - Mi guarda preoccupata, come se fossi pazza. È inutile insistere. Meglio che faccia finta di bermi la storia del pezzo d’intonaco. Non è la prima volta che qualcuno non mi crede.
Fortunatamente la porta si spalanca prima che possa riprendere il discorso e Delice mi salva da un dialogo alquanto scomodo da portare avanti.
- Grazie a Dio! Come ti senti?! - Lei si butta su di me, stringendomi forte. Gemo per il dolore alla schiena, ma sono felice che stia bene. L'unica cosa che mi sfugge è come sia uscita da lì e sia già così pimpante. Beh, alla fine mi sfuggono fin troppe cose in questa faccenda.
- Bene, credo... - Mormoro. - Cosa ci facevi negli spogliatoi, comunque? - Chiedo, non ricordandomi bene il motivo. La parte del pezzo d’intonaco potrebbe essere anche vera, visto che davvero alcune sfaccettature mancano, ma solo in modo parziale.
- Ero andata a prendere il mio cardigan, ricordi? Poi un tubo è esploso e mi ha preso in pieno. Tu cosa ci facevi lì? - L'acqua può averla anche colpita in pieno, ma mi sembra fin troppo asciutta. Io ancora sono umida. Questa storia mi puzza sempre di più. Non che non creda alle sue parole, però c'è sempre qualcosa che non mi torna.
- Avevo... - Sto per dirle del sogno che ho fatto, ma poi penso che sia più giusto tacere. Non voglio che anche Delice cominci a prendermi per strana dal momento che do retta a quello che è solo un fenomeno psichico. - ... lasciato la mia tuta lì. - Concludo vaga. So che non mi ha creduto. Nessuno mi crederebbe mai se dicessi come sono andate realmente le cose, e l'infermiera è stata un'ottima prova per verificarlo. Subito dopo sospira, sollevata.
- L'importante è che tu stia bene. Ti chiamo più tardi, mamma mi sta chiamando da ore e devo tornare a casa. - Annuisco. Mi abbraccia di nuovo e poi esce. Non mi meraviglio che sua madre non sia venuta ad assicurarsi di persona che la figlia stesse bene. Ormai conosco i suoi genitori e posso dire fermamente che il lavoro interessa loro più di Delice.
Mi alzo anch'io. Mi sento bene ora: il dolore alla schiena è come se fosse sparito e anche il mal di testa sta passando, specialmente quel ronzio. La stessa cosa è successa l'altro giorno nel mio salotto. Chi avrebbe mai detto che il tè fosse un ottimo antidolorifico? Prendo lo zaino e apro la porta.
- Dove pensi di andare? - Si affretta a fermarmi l'infermiera, preoccupata.
- A casa, mi sento meglio. - E lo penso davvero. È come se mi avessero ricaricato le batterie. Ho voglia addirittura di correre. E ho anche fame. Sta per ribattere, ma la rassicuro sorridendo. Nessuna infermiera mi avrebbe lasciato andare dopo quello che mi è successo eppure, notando che effettivamente sto bene, lo fa.
Appena esco dall'ambulanza noto immediatamente il preside parlare con un poliziotto. Alcuni ragazzi sono rimasti ad ascoltare, curiosi dell'accaduto. Quando mi vedono, iniziano a sussurrare. Mi guardo in giro, noncurante di loro, per poi vedere Jackson allontanarsi. Corro per raggiungerlo e gli sbarro la strada, superandolo. Lui mi fissa con sguardo allarmato. Non aveva previsto di dover rifare i conti con me, a quanto pare.
- Non voglio un "niente" o "un suicidio di armadietti" come risposta. Che cosa è successo lì dentro? -
- È esploso un tubo, non te l'hanno detto? - Mi risponde, disinteressato.
- Sì, ma voglio la tua versione dei fatti. - Mi guarda abbassando un po' la testa. Dannata la mia altezza. Non risponde, mi squadra solo. - Quel coso che è uscito dall'acqua... - Insisto, sapendo che non mi risponderà.
- Non ero lì dentro, non so cosa tu abbia o creda di aver "visto". – M’interrompe bruscamente, assumendo lo stesso tono freddo di quando mi ha risposto la prima volta. Gli controllo la gamba, dato che è stato ferito lì, per avere una prova di non essermi immaginata tutto: i pantaloni sono stati ricuciti. Sapevo che non avrebbe potuto nascondere facilmente quel graffio. Si accorge che lo guardo dove non dovrei e mi sorpassa infastidito. - Rimettiti presto. - È l'unica cosa che mi dice, con tono piatto, mentre se ne va. Sono furiosa a causa del suo comportamento. Lui era lì con me, non mi sto inventando nulla. Perché dovrei? Non capisco perché continui a negare l'evidenza. Senza rendermene conto, comincio a sentire un bruciore sulla mano, così forte da farmi lanciare un piccolo lamento di dolore. La apro, osservandone attentamente il palmo, ma non c'è niente. Sto impazzendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

L'estate ormai è iniziata da una settimana e già tutti sono pienamente nello spirito estivo, se così si può dire. Delice è anche andata alla sua prima festa e presto andrà anche alla seconda. Tutto normale alla fine, tranne per gli incubi frequenti. Sembrano davvero reali, ma appena mi sveglio li ricordo a pezzi. Di Jackson non ci sono tracce, letteralmente. Mi chiedo che fine abbia fatto. Vorrei che mi spiegasse cosa sia successo a scuola, cosa fosse quell'essere e che mi dia la conferma di non essere pazza. Ho troppe domande, ma poche risposte. Mia madre, riguardo all'incidente negli spogliatoi, non ha saputo nulla per fortuna. So quanto lei possa essere protettiva nei miei confronti e, se le fosse giunta questa voce, mi avrebbe accompagnato ovunque tenendomi la mano. È anche strano che nessuno l'abbia avvisata, o che non ne abbia sentito parlare. È come se l'intera faccenda fosse stata seppellita.
Il cielo è grigio, nuvoloso, ma non promette pioggia, almeno non ancora. Il calore, però, è sempre presente. Se ci fosse stata mia madre, avrebbe commentato dicendo che tira “aria da terremoto", ma lei esagera in tutto.
Scendo in cucina. I miei passi rimbombano nella casa vuota e il pavimento di legno scricchiola al mio passaggio. Decido di uscire: ne ho abbastanza di stare chiusa in casa e se rimango qui, con questo silenzio, comincio a pensare, e non ho voglia di deprimermi. Esco di casa e inizio a camminare senza una meta precisa. Poi mi ricordo di mia zia Tess: è da molto che non la vedo. 
***
Quando busso alla porta mi viene ad aprire una signora non molto anziana. È bassa e magra, con gli occhi grigi come se avesse il ghiaccio al loro posto, e capelli argentati ben pettinati in uno chignon, mantenuto da due matite. Indossa una gonna marrone che arriva fino al ginocchio e una semplice e leggera camicia bianca con dei fiori abbinati. Mi saluta con un sorriso accogliente e un abbraccio caloroso. Non la vedo spesso e le poche volte che vado a trovarla mamma non lo sa. È la sorella della mia nonna paterna e lei e mia madre non vanno molto d'accordo. Quest'ultima non la sopporta, anche se non ho mai capito il perché. Io, invece, le sono molto affezionata. È una donna molto intelligente, sempre informata su tutto e tutti. La sua più grande passione è la storia. La prima cosa che risalta all'occhio quando si entra in casa sua (decisamente rustica, almeno il soggiorno) è un'enorme libreria con centinaia di libri su ogni civiltà esistita: Maya, Romani, Egiziani. C'è veramente di tutto. In minor parte, ci sono libri su poeti e scrittori. Tre scaffali pieni delle opere di Oscar Wilde, il suo autore preferito. I suoi libri li ha letti e riletti e non si stanca mai di leggerli un'altra volta. Sarebbe stata capace di sposarlo, se solo lui non fosse stato omosessuale e vissuto in un'epoca totalmente differente. Inoltre se la cava benissimo anche ai fornelli, soprattutto con i dessert: i suoi sono i migliori dolci che io abbia mai mangiato.
Dopo aver preso biscotti e tè, e averli portati a tavola, ci accomodiamo. La prima cosa che vuole sapere, da brava "gossip girl", è cosa sia successo a scuola.
- Si è solo rotto un tubo. - Le rispondo e addento un biscotto. Non c'è molto da dire, in realtà. Cosa le avrei dovuto riferire? Non ho mai avuto problemi a parlare con lei dei sogni che faccio, ma questo purtroppo non è solo un sogno.
- Io vorrei sapere la tua versione. - Dice dolcemente, ma con sguardo deciso. Annuisco, riconoscendo quella luce nei suoi occhi. Quindi le inizio a raccontare cosa è successo realmente, anche se non dovrei. Non posso neanche mentirle perché, non so come, riesce sempre a capire quando lo faccio. Lei mi ascolta attentamente e, non appena ho finito, annuisce, portando le labbra vicino alla sua tazza dopo averci soffiato sopra, rimuginando sulle mie parole o cercando qualcosa di adatto da dirmi. Infine beve lentamente. Quando le racconto cosa mi capita, lei non ha mai trovato scuse per spiegarmi che non sono vere le cose che sogno o vedo, a differenza di mia madre. Forse perché ha una visione diversa, avendo anche più anni di esperienza rispetto a lei. Inoltre è anche appassionata dei messaggi che i sogni a volte celano. Non c'è bisogno che dica perché s’interessi tanto ai miei: chiunque li considererebbe troppo singolari, quasi al di fuori del normale. - Tesoro... io ti ho sempre creduto, lo sai... - Prende una pausa per pulirsi le labbra con un tovagliolino di carta. - ... ma con la paura e la botta in testa questa volta magari hai visto cose non vere. - Alzo di poco le sopracciglia e sgrano gli occhi, spiazzata dalle sue parole, poi abbasso lo sguardo sul tè e lo giro con il cucchiaino, non riuscendo a guardarla negli occhi. Non ce la faccio a capacitarmi del fatto che non mi creda. Oppure non l'ha mai fatto, ma fingeva solamente. Così si fa con i pazzi, no?
Trattengo le lacrime, mordendomi il labbro. Odio quando vengo invasa da una sensazione di abbattimento, senza saperne il motivo, e l'unica cosa che voglio fare è cullarmi sulle mie debolezze. Molte volte penso di avere un brutto carattere, mi butto giù con fin troppa semplicità se qualcosa non va e mi sento come se non avessi nulla, come se non fossi nulla. Vengo inondata da questa sensazione di angoscia così profonda e pesante che non conosco neanche, ma che mi impedisce tutto, costruendo dubbi su dubbi fino a sommergermi.
- Io ti credo, tesoro, sto solo dicendo... -
- ... che sono pazza. - Concludo. - Che vedo cose che non esistono, ma so che mi uccideranno prima o poi. Io vorrei solamente sfogarmi con l'unica persona che mi crede. - Dico riportando lo sguardo nei suoi occhi, sentendo i miei fin troppo lucidi. Li chiudo un attimo per prendere un respiro, impedendo che le lacrime possano scendere. - Credeva. - Apro nuovamente gli occhi, correggendomi. - Ma alla fine è come se parlassi al muro. - Dico con voce spezzata. Mi asciugo una lacrima che percepisco scorrere sulla mia guancia e che non mi ero resa conto di aver fatto scappare mentre la gola inizia a pizzicarmi.
- Io ti credo e tu sei così forte e coraggiosa a portare avanti la tua teoria da non fregartene di quello che dice la gente. Perché tu conosci la verità, una verità che loro non potranno mai capire, ma a volte bisogna tacere. - Dice lei con tranquillità, tenendo lo sguardo fisso nei miei occhi.
- Io non sono forte. Sono solo svitata. - Sussurro, prendo un altro respiro che rilascio subito dopo. Lei mi sorride con dolcezza.
- Oh tesoro, sei più forte di quanto tu creda. E un giorno, quando esserlo sarà necessario, te ne renderai conto. - Tiro su col naso, sentendolo umido, e mi asciugo definitivamente gli occhi. Prendo la felpa, alzandomi e infilandomela. Non credo di riuscire a stare ancora qui. Mi sento in un certo senso tradita. Non pensavo che anche lei mi avrebbe voltato le spalle come tutti.
- Devo andare. Grazie per il tè. - Mi dirigo verso la porta, esco e me la chiudo alle spalle mentre lei rimane seduta a finire la sua bevanda.
***
Il sole inizia a tramontare e io ancora vago per la strada, non avendo la benché minima idea di cosa fare. Potrei chiamare Delice e chiederle di raggiungermi, ma anche oggi è impegnata. Mi chiedo cosa faccia alcune volte, ma non importa molto: alla fine mi basta una bella passeggiata e quest'aria fresca perché ne avevo proprio bisogno. Fortuna che ho portato la felpa. Non mi reputo una persona freddolosa, ma a volte il vento che tira dà abbastanza fastidio. E poi non che questa sia così pesante.
Alcuni negozi sono ancora aperti, soprattutto bar e ristoranti, altri stanno per chiudere. Mi siedo su una panchina e mi guardo intorno. La gente è più allegra, non corre perché è in ritardo per il lavoro o per qualche appuntamento. Sono più spensierati. Questa è la cosa che adoro di più delle vacanze. Tuttavia, questo stato di pace è interrotto quando mi sento osservata in un certo senso. Quando mi volto verso sinistra, non molto lontano da me, noto una ragazza con degli occhiali da sole in testa per impedire a delle ciocche di capelli viola di caderle sul volto perfetto. Sembra sia fatto di porcellana. Indossa un giubbotto di pelle nero, strappato sul braccio destro, all'altezza del gomito. Poi ha dei pantaloncini di jeans e degli stivali neri. Distolgo lo sguardo, sentendomi immediatamente fuori luogo. Non mi piace che la gente mi fissi per troppo tempo, degli estranei poi. Mi alzo e riprendo a camminare, non sopportando più i suoi occhi sulla mia schiena. La ragazza si allontana subito dal muro al quale era appoggiata e mi segue. Al primo vicolo giro per seminarla e mi nascondo dietro un cassonetto della spazzatura. Non appena sarà passata tornerò indietro per l'altra strada, in direzione opposta alla sua. Molti mi prenderebbero per sciocca per il mio comportamento, ma non è la prima volta che vengo seguita senza alcun motivo, e ciò sta diventando inquietante.
- L'hai seminata? - Chiede una voce femminile dietro di me. Annuisco senza pensarci e giro la testa, trovandomi dietro la ragazza di prima. Non mi dà il tempo di alzarmi che mi afferra per il collo e mi butta dall'altro lato del vicolo, nell'altro cassonetto. Sbatto con la schiena contro la sua parete. Gemo per la botta che mi toglie il respiro per un attimo, per poi mugolare di nuovo quando mi alzo ed esco da lì, tenendomi la spalla che mi fa male. Lei mi guarda mentre schiocca le dita, ma non si avvicina. Mi massaggio il collo per la sua forte stretta e mi metto in piedi nonostante barcolli. Non capisco come sia arrivata alle mie spalle in così poco tempo e senza che me ne accorgessi.
- Ma sei impazzita?! Ma che cosa vuoi? - Sussurro cercando di stabilizzare il mio respiro e il battito del mio cuore. - Non ti ho fatto niente. -
- Niente? - Scoppia in una fragorosa risata. - Hai ucciso i miei fratelli. - Fa un passo avanti. Io indietreggio e mi schiaccio con la schiena al cassonetto. Quando la osservo negli occhi, noto che sono viola e il suo sguardo è gelido.
- Non li conosco i tuoi fratelli. - La mia voce trema dalla paura, sebbene cerchi di rimanere calma. Lei mostra un sorriso a trentadue denti. Schiudo la bocca, incredula, non appena noto che dalle sue gengive sono spuntati dei canini affilati. Ci passa la lingua sopra. Non può essere un vampiro. Ma questo spiegherebbe come sia riuscita a lanciarmi nel cassonetto... ma che pensieri sto facendo?!
- La tua specie dice sempre le stesse cose. Vi danno un copione da imparare? - Appena finisce la frase la sua testa si piega di lato, fino a staccarsi e cadere a terra con un tonfo sordo. Il corpo, senza vita, casca in ginocchio. Urlo, ma subito mi tappo con forza la bocca fino a far diventare sia le mie guance sia i miei polpastrelli bianchi. Non voglio attirare l'attenzione. Anche il corpo stramazza definitivamente sul terreno. Dal collo inizia a fuoriuscire del sangue abbastanza scuro, quasi nero. Cerco il più possibile di non urlare, ma il mio stomaco inizia a girare come una centrifuga. Un senso di vomito sta aumentando dentro di me.
- Quanto è melodrammatica. - Dice una voce maschile, una che sto ascoltando fin troppo spesso negli ultimi giorni. Guardo la testa della ragazza: lo sguardo fisso nel nulla e gli occhi non più viola, bensì neri sulla pupilla, ma intorno iniettati di venature rosse. Jackson ha un'ascia in mano, imbrattata di sangue, e tocca il corpo della ragazza con il piede per assicurarsi che non prenda vita magicamente. Pulisce l'arma e, dopo aver rotto il manico di legno, la butta nel cassonetto. Io rimango pietrificata, con lo sguardo pieno di terrore. Probabilmente mi ha appena salvato la vita, ma non ha potuto davvero uccidere una persona.
- Andiamo. -
- Ma vai tu! Hai appena ucciso una ragazza! - Gli urlo e mi metto in piedi. Mi allontano il più possibile da lui. Alza gli occhi al cielo, infastidito della mia reazione. Non capisco come avrei dovuto reagire, buttandomi tra le sue braccia e ringraziandolo? Magari facendogli anche una torta con su scritto "Grazie per aver decapitato una ragazza! Mi hai salvato la vita!"?
- Se non te ne fossi accorta, non era umana. - Mi afferra il braccio e mi fa avvicinare a lui. Mi gira e mi tiene saldamente la spalla. - Oh, grazie Jackson! Sei il mio eroe! - Esclama con voce poco virile, cercando di imitare quella di una ragazzina. Mi strattona con forza il braccio tirandolo verso di lui, cosa che mi fa urlare dal dolore, ma lui mi fa solamente segno di muoverlo, noncurante. Almeno ha rimediato a questo, anche se non so esattamente cosa abbia fatto. So solamente che mi sta mettendo una confusione assurda in testa. Prima mi mente, negando qualsiasi evento strano in cui ultimamente mi sto imbattendo, poi non si fa problemi a dirmi che questa tipa non è umana. Davvero non ci sto capendo più nulla. Non capisco il motivo del suo comportamento.
- Grazie... - Mormoro massaggiandomi la spalla mentre lo guardo. - Chi sei tu? - Chiedo. Non mi risponde. Si abbassa e afferra la testa della ragazza e me la lancia. La afferro al volo in modo meccanico, ma poi la lascio cadere, ripugnata. Gli occhiali da sole che aveva in testa cascano sul cemento. Sento che sto per rimettere. Lui nel frattempo prende una busta da uno dei cassonetti e ci mette il corpo dentro, poi se lo carica in spalla. Io rimango ferma a guardare la testa, immobile vicino ai miei piedi. Distolgo lo sguardo subito dopo. Davvero mi sto per sentire male. Nonostante la puzza, mi muovo verso i cassonetti con una mano sulla bocca. Se dovessi vomitare, non causerei altri danni a terra. Inizio a tossire, sentendo qualcosa risalire su per la gola, mentre lui pulisce anche il sangue sul cemento. Comincio a prendere dei respiri profondi, cercando di calmarmi.
- Mettila in una busta, ti guarderebbero male. - Mi consiglia, riferendosi alla testa della ragazza.
- Dici? - Chiedo sarcastica. Non ho intenzione di toccarla. Appena nota che non mi avvicinerei neanche morta, butta il corpo a terra e mette anche la testa, insieme agli occhiali, in una busta. Dopo afferra tutto, incamminandosi e uscendo dal vicolo. Quanto diamine è forte per portare tutto? Vedo i bicipiti contrarsi sotto la maglietta blu. Io rimango ferma lì. Non ho intenzione di seguirlo, non mi fido. E se uccidesse anche me? Lui, però, sembra non volermi fare del male.
Cerco qualcosa di appuntito da portarmi dietro nel caso cambi idea, ma non trovo niente.
- Vieni o no? - Chiede, girandosi. Ho paura di lui, ma ne avrei di più se un'altra ragazza uscisse dal nulla. E poi, Jackson mi ha appena salvato la vita. Se avesse voluto uccidermi, l'avrebbe già fatto. Cerco un po' di fiducia dentro di me e lo seguo. Non voglio rimanere sola in questo vicolo.
 ***
Decide di andare in un gran parcheggio, spesso deserto a quest'ora, per liberarsi del corpo. Vicino a esso c'è una foresta. Si sta facendo buio e questo posto mette i brividi la sera. Quel briciolo di fiducia che gli ho dato sta man mano sparendo. È una di quelle persone strane da tener lontano, soprattutto adesso che trascina un cadavere e io sono diventata la sua complice.
- Ora la bruciamo. - Butta a terra il sacco e si guarda in giro per assicurarsi che non ci sia nessuno. Come sempre, il parcheggio è quasi vuoto, solo qualche macchina è ancora qui. Il chiosco dei panini è ancora aperto, ma il solito signore con il grembiule bianco e la retina che mantiene fermi quei riccioli neri dorme sul bancone. Il mio stomaco brontola a sentire quel profumo di carne. Jackson, nel frattempo, caccia la testa dalla busta. Ecco di nuovo quel senso di nausea ritornare e quella poca fame che mi era venuta sparire.
- Non mi hai ancora risposto. - Osservo, riferendomi alla domanda di prima, a chi fosse, mentre incrocio le braccia al petto. Si gira a guardarmi, con aria stanca e rassegnata. Forse finalmente mi dirà cosa voglio sapere.
Sta per rispondere quando una macchina, una Range Rover nera, entra a tutta velocità nel parcheggio. Sgomma e si dirige verso di noi. Mi sposto, ma Jackson rimane lì a cacciare il cadavere, imperturbabile, dopo aver dato uno sguardo all'auto. Urlo per avvertirlo di spostarsi: l'avrebbe investito se fosse rimasto ancora lì. Però, la macchina si ferma a qualche metro di distanza da lui. Da lì esce un ragazzo con una felpa nera. Non riesco a vedere il suo volto a causa del cappuccio e i capelli che gli ricadono sulla fronte. Sbatte la portiera così forte che fa tremare l'intera macchina. Infila una mano nella tasca e ne estrae quello che sembra un coltello, poi lo lancia, mirando alla schiena di Jackson.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Vedo il coltello volare verso Jackson, ma non posso fare nulla per fermarlo se non disperarmi.
- Sei un idiota. - Scuote la testa, rassegnato, il ragazzo che glielo ha lanciato. Mentre parla, il coltello cambia direzione, tornando nella sua mano. Io ho perso più di un battito nel frattempo, pensando davvero che l'avrebbe ucciso. L'estraneo si appoggia allo sportello della macchina e si leva il cappuccio dalla testa. Ha dei capelli ricci, ma non troppo (sembrano più che altro spettinati), che gli ricadono sulla fronte, non coprendola del tutto però. Non riesco a guardarlo bene, ma i suoi lineamenti sembrano perfetti, decisi, come se fossero di porcellana. I muscoli non gli mancano, dato che s’intravedono anche con la felpa nera addosso. Anche gli skinny, strappati sulle ginocchia, e gli anfibi sono dello stesso colore. Continuo a guardarlo mentre si gira il coltellino tra le mani, preoccupata che possa avere un altro scatto di rabbia e possa davvero ucciderlo questa volta. I due, però, sembrano conoscersi.
- Ancora questi giochetti, Harry? Riconosco la macchina e non mi fai paura. - Sorride Jackson, dandogli ancora le spalle, piegato sulle ginocchia, mentre estrae un accendino dalla tasca dei pantaloni e dà fuoco al cadavere. Una puzza di bruciato si espande nell'aria e arriccio il naso. Questa volta anche Harry sorride. Quest'ultimo annuisce mentre si guarda in giro. Faccio la stessa cosa io: l'uomo dei panini sta ancora dormendo, per fortuna. Almeno non si sarebbe messo in mezzo a fare domande sul perché stessimo dando fuoco a una ragazza in un parcheggio.
- Quella che stai bruciando era mia. - Dice dopo un po', allontanando il fumo da lui con la mano. Non sembra un tipo loquace, però ha una bella voce, molto virile. Non sembra neanche un tipo amichevole, o paziente, ma alla fine non posso dir nulla sul suo conto: non lo conosco.
Finalmente nota anche la mia presenza, anche se io sono ancora molto confusa su quello che è appena successo. Fino a qualche secondo fa sembrava pronto a uccidere Jackson e ora, invece, a momenti ci scherza.
Mi squadra da capo a piedi. Gli sorrido timidamente per rompere quell'imbarazzo che si è creato, ma lui non ricambia, bensì mette a posto il proprio coltellino nella tasca posteriore dei pantaloni.
- Beh, sì, comunque dovevamo farla fuori. - Taglia corto il biondo.
- E come l'hai uccisa? - Insiste il riccio, alzando un sopracciglio in modo scettico.
- Con un'ascia. - L'altro fa un verso di scherno.
- E dove l'hai trovata? -
- Smettila di farmi l'interrogatorio. - Sbotta Jackson, stanco di ricevere sempre domande. - Thompson, non so! Era vicino a un cassonetto e l'ho usata. -
- Arriverà il giorno in cui il coltello te lo ficcherò nel cuore per davvero. - Ribatte lui, irritato, mentre scuote la testa. - Chi è questa? - Chiede poi con un cenno del mento nella mia direzione.
- Una mia amica. - L'inglese si mette in piedi per guardare l'altro ragazzo e mette l'accendino a posto, in tasca. Si scambiano un'occhiata d'intesa, ma Harry rimane con un'espressione neutra, senza lasciar intendere nulla. Io rimango confusa dalla risposta del biondo. Giorni fa non mi considerava neanche, ora siamo "amici". Il riccio sembra non dare peso alle sue parole, e forse neanche Jackson in fondo. Io, forse, sono l'unica che vuole davvero essere sua amica. Dal momento in cui ha messo piede in classe, sembra che mi abbia stravolto la vita, anche se non l'ha fatto esplicitamente. Non riesco a capire perché desidero creare così fortemente un legame con lui. È come se lo conoscessi da una vita, anche se non ho un ricordo vero di lui. Ho la sensazione di aver già incontrato quegli occhi e, se non li ho incontrati io, qualcuno l'ha fatto al posto mio e, in qualche modo, il loro ricordo è impresso nella mia mente. O forse mi sto solo creando un'illusione per spiegare come faccia ad attrarmi un ragazzo così quando la spiegazione più semplice del mondo è davanti ai miei occhi: è bello, sul serio.
- È come te? - La domanda di Harry interrompe i miei pensieri e mi costringe a portare lo sguardo su di lui.
- Come "come te"? - Domando confusa. Ritorno visibile per il riccio che incurva le labbra in un sorriso beffardo, incrociando le braccia al petto. Vedo i suoi bicipiti contrarsi. Si lecca le labbra, poi scoppia in una grossa risata. Jackson lo guarda divertito, aspettando che finisca di ridere, mentre il fuoco del cadavere si sta man mano estinguendo. Arrossisco alla sua reazione. Non ho fatto nessuna domanda strana, e non voglio farmi considerare stramba anche da lui. Mi mette in soggezione, però in modo diverso da Jackson. Saranno i muscoli o il suo atteggiamento sfacciato, o misterioso, non ne ho idea. L'unica cosa che so è che non voglio che lui sia un segreto. Sento di dover capire chi sia e perché è qui, anche se non ho la più pallida idea del motivo che mi sprona a ciò. È impossibile che non l'abbia mai visto. Quando Jackson nota che per me i miei piedi sono diventati davvero interessanti da guardare, prende la parola.
- Sì. - Si affretta a rispondere, forse volendo evitare altre domande scomode per lui. Deve ancora dare una risposta alla mia, non credo che abbia voglia di rispondere anche a quelle del suo "amico". - Cosa ci fai qui? - Chiede poi dopo, scoccando un'altra occhiata al ragazzo, ancora appoggiato contro la macchina.
- Il mio lavoro? - Chiede in modo ovvio. - E grazie per avermi avvertito che saresti venuto qua. L'ho saputo da tua madre, Mitchell. Comunque, non dovresti... - Mi guarda appena si ricorda di me, per poi correggersi. - ... dovreste stare qui. - Riporta nuovamente lo sguardo su Jackson.
- So difendermi da solo, grazie mamma. -
- Come a Roma? - Chiede inarcando un sopracciglio. Jackson sospira spazientito. È divertente vederli stuzzicarsi. Inoltre, è anche bello vedere Jackson levarsi quella maschera da duro che ho sognato tutte le notti dall'incidente negli spogliatoi. Non riesco a levarmi dalla testa i suoi gesti e il modo in cui è riuscito a muovere l'acqua. Cose che ho visto solamente nei film.
Quest'ultimo sta per ribattere quando nel cielo si sente un urlo acuto e agghiacciante di una donna. Jackson mi guarda come ad assicurarsi che io sia ancora qui, leggermente preoccupato, per poi prestare attenzione ai suoni intorno, ma non si sente nulla: silenzio assoluto. Cosa strana dal momento che qualche rumore si sente sempre: una macchina, la musica di qualche bar non lontano da qui, qualsiasi cosa. C'è un vento leggero che ci smuove dolcemente i capelli. Lancio immediatamente uno sguardo al chiosco dei panini, che ora è chiuso, sebbene fino a qualche minuto fa fosse aperto. Perfino Harry, che sembra non farsi spaventare da nessuno, è turbato. Continua a guardarsi in giro, per poi posare definitivamente lo sguardo su Jackson, abbastanza allarmato. Sembra che lo stia avvisando con gli occhi, ma non ha abbastanza tempo per continuare il contatto visivo. - Giù! - In un lampo, Harry mi afferra e mi trascina a terra con lui. Jackson, invece, si nasconde dietro la Range Rover giusto in tempo: qualcosa di enorme si abbatte nel punto dove eravamo pochi secondi prima, spazzando via le ceneri di quella ragazza. Forse un'aquila, ma è fin troppo grande e veloce per poterlo essere. I miei occhi non riescono neanche a catturarla. Harry, invece, credo abbia visto perfettamente cosa sia. Infatti non perde tempo a cacciare il coltellino di prima. - Porca puttana. - Impreca quest'ultimo, tirandosi su. - Vi ho detto che non dovevate stare qui! Ora tocca a me fermarla! -
- Fermarla? - Chiedo terrorizzata. Mi metto in piedi, ma nessuno dei due mi risponde. Harry continua a scrutare il cielo, Jackson invece sembra cercare un modo sicuro per scappare. Si alza anche lui, raggiungendoci. Mi pulisco le mani dai ciottoli che si sono attaccati. - Jackson! - Richiamo la sua attenzione, decisa e impaziente di una risposta. Harry mi tappa subito la bocca, premendoci una mano sopra.
- Non urlare, capito? - Mi rimprovera con tono severo mentre annuisco subito e ripetutamente, leggermente spaventata dalla reazione del ragazzo. Non so quali amicizie abbia Jackson, ma di certo non mi piacciono. Lui allontana la mano dalla mia bocca non appena è certo che non urlerò di nuovo.
- Come se toccasse solo a te fermarla. Sono cresciuto uccidendo mostri, ti ricordo. - Dice Jackson con tono rabbioso.
- E io sono uno di loro, ti ricordo. - Jackson non ha il tempo di ribattere che quella creatura di prima si poggia sul cofano della macchina di Harry, producendo un sordo rumore metallico. È enorme, alta quasi tre metri. Ha dei lunghi capelli rossi tenuti insieme da una treccia che le arriva fino al bacino. Del rossetto rosso dà vita a delle piccole labbra che contrastano la sua carnagione grigio scuro, simile al colore delle nubi in tempesta. Indossa una canotta bianca e dei pantaloncini. Dal ginocchio in giù, invece, ha delle enormi zampe da uccello con artigli lunghi quanto il mio braccio. Anche le unghie delle mani sono abbastanza lunghe, quasi da tagliarti in due. Ci squadra con un ghigno malefico per poi aprire le ali. Sono grandi e nere, ma non sono ricoperte di piume, bensì sembrano delle ali da pterodattilo. Harry mi passa un altro coltellino.
- Non perderlo, Sharon. - Mi avverte guardandomi negli occhi in modo serio e allarmato, poi si rivolge alla donna sulla sua macchina. - Se c'è un solo graffio sulla mia auto questo te lo ficco dove piace a me! - Sbraita, gesticolando con il suo coltellino dopo averlo estratto dalla tasca. Lei spicca il volo, ridendo. Guardo Harry che subito corre via chissà dove. Rimango ancora più confusa di quanto non lo sia già. Come fa a sapere il mio nome? Non ricordo di averglielo detto, tantomeno Jackson non l'ha pronunciato. Quest'ultimo si avvicina a me, continuando a guardarsi in giro per assicurarsi che quella cosa non torni.
- Ora devi ascoltarmi. Quello che vedi... -
- Non ti azzardare a dirmi che non è reale che ti buco lo stomaco! - Dico furiosa, agitando il coltello in aria. Lo prende delicatamente, poggiandomelo in tasca, poi mi guarda di nuovo negli occhi.
- ... è molto reale. - Ha un tono calmo, come se stesse calmando una bambina dopo un incubo. - Ora voglio che al mio segnale, tu corra più veloce che puoi, e raggiunga la casa più vicina. - In quel momento non riesco a pensare a un posto in cui mi possa nascondere. Le uniche cose che mi vengono in mente sono i modi in cui quella creatura ci avrebbe ucciso e a quanto sia impossibile questa situazione. Non esistono cose del genere, non possono esistere. Sento l'ansia salire ancora di più e il cuore martellarmi nel petto. Mi sta venendo anche mal di pancia a causa della paura. Quando Jackson si accorge che nel mio cervello non c'è una casa a cui stia pensando, ma solo caos, mi strattona il braccio per farmi concentrare su di lui. Un altro urlo rimbomba nel cielo.
- Sono due. - Dichiara Harry fermandosi dal correre, col fiatone. Solo ora mi accorgo che non corre come un essere umano. Sembra abbia dei cavalli al posto delle gambe. Sgrano di poco gli occhi, incredula, mentre comincio a respirare a fatica. Sono sicura di star per avere un attacco di panico. Un'altra creatura, identica alla prima se non fosse per i capelli più corti e verde scuro, vola verso Harry. Quando è a pochi metri da lui, quest'ultimo si gira di scatto, dandole un pugno in faccia e scaraventandola dall'altro lato del parcheggio. Lei va a schiantarsi contro un palo della luce, piegandolo e facendolo spegnere. Poi cade sul cemento, immobile.
- Corri! - Urla Jackson. - Vai! - Inizio a correre più veloce che posso. Il mio respiro sta iniziando già a diventare più pesante di quanto non lo fosse già. Sento i battiti del mio cuore nella testa. Sento il mio cuore in testa. Un altro urlo, però, mi distrae.
- Non voltarti, non voltarti. - Continuo a ripetermi, ma sono costretta a farlo quando vedo il biondo volare contro una macchina, ammaccandola di poco sul lato. Mi fermo subito con la brutta sensazione che sia morto dato che non si muove. L'unico movimento che fa, qualche secondo dopo, è girare la testa nella mia direzione e con non so quale forza riesce a urlarmi contro, dicendomi di correre per l'ennesima volta. Ma è troppo tardi. Mi sento afferrare e istintivamente chiudo gli occhi, pensando che sia Harry per qualche assurdo motivo. Però la presa mi fa male, come se qualcuno mi avesse pugnalato alle spalle. Quando riapro gli occhi, il terreno sotto i miei piedi si sta man mano allontanando. Alzo gli occhi in alto e la donna che prima si era poggiata sulla macchina di Harry ora mi sorride maleficamente al di sopra di me. Mi ha preso. Lancio un urlo, ma lei non mi porta via, bensì continua a volare sopra il parcheggio come se stesse mostrando un trofeo. Sento Jackson chiamarmi terrorizzato, però non può aiutarmi. Mi stringo nella felpa con la paura che possa cadere. La spalla mi fa male. Me la tocco, sfiorando anche il suo artiglio e, quando allontano la mano, noto qualcosa di rosso sulle dita: sangue. Ho una delle sue unghie nella spalla. L'unica cosa che posso fare in questa situazione è calmarmi e non pensare all'altezza a cui mi trovo. Vedo Jackson urlare contro Harry, ma non riesco a sentire le loro parole: siamo troppo in alto. A un certo punto l'altra ragazza, dopo essersi ripresa dallo schianto contro il palo, afferra Harry dalla felpa e cerca di trascinarlo anche lui via in volo. Jackson, però, con una mira da far paura, le lancia un coltello, sicuramente datogli dall'amico, dritto nel petto. La donna strilla dal dolore ed esplode in una polvere grigia mentre Harry ricade a terra, in ginocchio, insieme al coltello. Si rimettere in piedi, pulendosi i pantaloni, e poi recupera l'oggetto. La ragazza che mi regge si ferma dal volare e rimane sospesa a guardare la scena. Dopo lancia un urlo così forte da stonarmi i timpani, furiosa per il fatto che Jackson abbia ucciso la sua amica. Sudo freddo, pensando che possa mollarmi da un momento all'altro. È un ottimo modo per vendicarsi, no?
Quando mi strattona, qualcosa di gelido mi tocca la pancia: il coltello. Lo caccio lentamente, senza farle notare nulla. Lei continua a guardare di sotto, concentrata su altro. A un certo punto non sento più niente tranne il suo battito del cuore che accelera sempre di più dalla rabbia. Non so neanche come faccia a sentirlo. Sta preparando un attacco. Devo agire in fretta, prima che mi lasci cadere per uccidere Harry e Jackson. In una sola mossa, le infilzo il coltello in una gamba. Urla dal dolore e molla la presa sulla spalla. Sento l'unghia uscire dalla mia pelle, provocandomi un dolore allucinante. Per un attimo sembra che stia per perdere i sensi, ma non me lo posso permettere, non ancora. Infatti, subito dopo, sto precipitando verso il basso. Quella creatura vola via, ancora con il coltello nella coscia. Sento Jackson urlare il mio nome, terrorizzato. Chiudo gli occhi, aspettando la mia ora. Non è il modo migliore in cui sarei voluta morire, anzi: è una maniera che non mi sarei mai immaginata. La prima persona a cui penso è mia madre. Cosa le avrebbero potuto dire? Sarebbe un trauma per lei. Non possono neanche trovare una spiegazione credibile. E Delice? E Jackson? Non lo conosco, ma se ha un briciolo di umanità, mi terrà sulla coscienza, almeno spero.
La caduta sembra non finire più, e l'attesa è insopportabile. Finalmente arrivo giù, sbattendo su quello che deve essere il cemento. Stranamente non sento le mie ossa rompersi e neanche il dolore di quell'impatto, ma comunque la mia spalla viene attraversata da un fitta atroce. Non avrei mai immaginato che la morte fosse così indolore: pensavo peggio in effetti. Apro gli occhi lentamente, desiderosa di vedere che aspetto abbia l'aldilà. Però non vedo nubi bianche ed una calda luce che mi aspetta, bensì l'oscurità, ancora quel parcheggio e percepisco quella puzza di bruciato. Se l'aldilà ha quest’aspetto, preferisco il mondo in cui vivevo.
Solo quando mi appoggio sui gomiti per tirarmi su, noto che la spalla fa ancora più male di prima. Anche se vorrei strapparmela, non riuscendo più a sopportarla. Sono contenta di questo dolore: mi fa capire che sono ancora viva.
- Non muoverti! - Mi avverte Harry prima che possa fare un altro movimento. Solo quando urla realizzo di non trovarmi sul cemento, ma a metà strada per arrivarci. Non so cosa mi stia trattenendo, sembra legno, ma è del tutto impossibile. La creatura, nel frattempo, è sparita. Mi sporgo giù e qualsiasi parola stia cercando di dire mi si strozza in bocca: radici da ogni angolo del parcheggio si uniscono fin sotto di me per intrecciarsi a qualche metro da terra con lo scopo di formare quel pavimento che mi sta sostenendo. Cerco Jackson con lo sguardo e poi, finalmente, lo vedo. Avanza verso di me con le mani unite e rigide, con i palmi rivolti verso il cielo, come fa un bambino quando cerca di raccogliere la pioggia. Solo quando mi guarda capisco cosa sta succedendo: lui mi sta trattenendo. Continuo a osservarlo, quasi spaventata. L'ho visto mentre assorbiva e separava l'acqua, perché adesso non riesco a capacitarmi del fatto che abbia unito delle radici per trattenermi e che abbia impedito la mia morte? Cose da tutti i giorni, insomma. Ma forse non sono spaventata sul serio delle cose che fa, quanto dal fatto che sia proprio lui a farle. Quando lo vidi per la prima volta, pensai che i problemi che aveva affrontato fossero familiari o di salute. Tutto, ma non questo.
Continuo a squadrarlo e la stessa domanda mi sorge spontanea in testa: chi diamine è lui? Che cosa è? A un certo punto le sue mani iniziano a tremare. Quando sembra essere abbastanza vicino, le abbassa, non facendocela più a tenere insieme quelle radici. Queste si slegano lentamente fino a far sparire il pavimento a cui avevano dato forma e si ritirano fuori dal parcheggio. Urlo per il vuoto improvviso mentre riprendo la mia caduta verso il basso. Jackson corre verso di me e, prima che possa toccare terra, mi afferra. Cadiamo entrambi. Ansima per lo sforzo mentre goccioline di sudore gli bagnano la fronte e le sue guance assumono una colorazione rosea.
- Presa. - Sussurra tra i respiri affannati e sorride, felice che sia ancora viva. Gli sorrido stancamente. Il dolore alla spalla ritorna più acuto di prima. Me ne ero completamente dimenticata a causa della caduta. - Stai bene? - Corruga la fronte, crucciato dalla mia espressione di dolore e dal pallore del viso. Io mi sento svenire, ma non voglio dargli ulteriori preoccupazioni. Anche la testa inizia a farmi male, maggiormente rispetto alle altre volte.
- Sì... - Mormoro con un filo di voce. Involontariamente mi tocca la spalla proprio dove la ferita è aperta. Mi faccio scappare un gemito quando vengo invasa nuovamente da quel dolore atroce. In quel punto, la felpa si è colorata di un rosso scuro. Harry arriccia il naso, come percependo l'odore del sangue. Si porta il dorso della mano sul proprio naso impedendo a quell'odore di penetrargli nelle narici. Jackson mi sposta delicatamente la felpa per controllare cosa mi sia fatta e, quando nota un buco nella mia spalla, sgrana gli occhi, forse turbato, oppure disgustato, o entrambi.
- È una fortuna che tu sia ancora viva. - Mormora. Anche Harry, osservando la ferita, mostra una faccia disgustata.
- Sto per rimettere, e questo non succede mai. - Dice mentre si volta, trattenendosi dal vomitare. Sarei tentata di girare il volto per capire se quella ferita sia davvero tanto brutta, ma dalle parole di Harry è meglio non peggiorare la situazione a causa di una troppa e inutile curiosità. Jackson mi ricopre la ferita, aiutandomi piano a mettermi la felpa, e mi prende in braccio a mo' di sposa.
- Ce la faccio a camminare. - Affermo sicura, facendomi mettere giù ma, appena poggio i piedi a terra, sento le forze venir meno. Ringrazio che Jackson non si sia fidato a lasciarmi andare, altrimenti sarei già con la faccia sul cemento.
- Stai zitta. -
- Mi dispiace. Non puoi darmi un "niente" o un "suicidio di quello che vuoi" come risposta questa volta. - Accenno una debole risata per poi svenire tra le sue braccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Mi sveglio di soprassalto nel letto, con la fronte sudata e il cuore che batte come un tamburo. Sento scoppiarmelo nel petto. Cerco di calmarmi, ma non ci riesco. Un dolore alla spalla m’impedisce di muovermi completamente e non riesco ancora a mettere a fuoco la mia camera, buia e silenziosa. Gli occhi mi bruciano, come se ci fosse del fuoco dentro. Fanno così male che vorrei strapparmeli via. Quando il dolore si attenua un po', dopo averli strofinati più volte, riesco a osservare meglio la stanza. Però, non è la mia. Vorrei scendere dal letto, ma le mie gambe non ce la fanno a muoversi; come quando all'una di notte vuoi girarti dall'altro lato, ma non lo fai, nonostante la tua testa continui a dirti il contrario. Poi, alla fine, ci rinunci. Mi ributto sul cuscino, liberando un sospiro di frustrazione. Odio non avere il controllo sul mio corpo, soprattutto quando mi trovo chissà dove e gli arti preferiscono dormire invece che scappare via. Osservo il posto per un po', provando a riconoscerlo dato che è l'unica cosa che posso fare, e cercando di adeguarmi anche al buio. Quando i miei occhi si sono finalmente abituati all'oscurità, riesco a notare alcuni particolari che caratterizzano la stanza. C'è una piccola finestra non molto lontana da me, però chiusa, quasi blindata. Non riesco a capire se sia notte o meno. Dal silenzio, però, penso sia notte. Infatti non riesco a sentire neanche un ipotetico rumore dal piano di sotto, tantomeno in strada. Giro la testa verso destra, e sul muro vicino a me noto subito un poster dei Muse durante un loro concerto. Sotto questo c'è una sedia piena di panni. È tutto un casino: c'è roba ovunque. Quando volto la testa a sinistra incontro degli occhi blu che mi fissano nell'oscurità. Riesco a riconoscere il loro colore grazie alla luce chiara proveniente dallo schermo del cellulare che il ragazzo regge vicino al suo volto. Sussulto dalla paura. Mi chiedo come abbia fatto a non notarlo prima.
- Ti sei svegliata. - La voce di Jackson mi dà un senso di tranquillità. Almeno è qualcuno familiare. - E hai finito di lottare con le coperte. -
- Dove... dove sono? - La mia voce è molto roca e la mia gola così secca da farmi male. Mi tiro su col busto, con gran fatica, e mi appoggio allo schienale del letto per guardare meglio il ragazzo.
- Nel mio letto. – M’informa mentre si allontana dalla parete a cui era appoggiato e blocca il cellulare. Accende la lampada sul comodino per illuminare la stanza prima di sedersi di fianco a me, accanto alle mie gambe, e porgermi una bottiglia d'acqua. La afferro e me la scolo in pochi secondi, regalando alla mia gola un senso di sollievo finalmente.
- Cosa ci faccio qui? - Gli domando. Si gira per avermi di fronte e incrocia le gambe sulle coperte, accertandosi di non darmi fastidio.
- Sei svenuta. - Mi spiega. - Era tardi e non ti potevo portare da tua madre in quelle condizioni. Hai dormito per ben dodici ore. -
- Dodici ore? - Chiedo basita. - È... mezza giornata! Mia madre mi darà per dispersa... -
- Mi sono preoccupato anche di questo. - Mi rassicura. - Tua madre sa che sei da Delice. Ho preso il tuo cellulare e ho chiamato la tua amica. Mi regge il gioco, quindi prima di stasera non lascerai casa sua. - Dice con un'espressione soddisfatta in volto, avendo progettato tutto.
- E come facevi a sapere che Delice era mia amica e che ti avrebbe potuto aiutare? - L'avrebbe aiutato sicuro dato che gli sta sbavando dietro da quando è arrivato, ma questo lui non lo sa.
- Nella tua rubrica ci sono solo tre numeri, tra cui quello di tua zia e l'altro di tua madre. - Dice alzandosi dal letto. - Non ci voleva un genio per capirlo. E poi che nome è Delice? Sembra la merendina Kinder. - Ride del suo stesso commento mentre si gira a guardarmi. Io sono ancora molto confusa riguardo tutto. Alcuni ricordi della notte prima sono ancora offuscati e molti altri sembrano spariti. Non riesco neanche a pensare. Vorrei raggomitolarmi tra le coperte e dormire fino a domani, ma so che non posso. Non qui, almeno. - Oh, andiamo, è vero. -
- Puoi darmi, per una volta, una spiegazione decente? Sono stanca di pensare che sia pazza e non voglio passare l'intero mese a sognarti di nuovo per quest'altro episodio. - Mi accorgo solo dopo di cosa abbia detto e arrossisco immediatamente. La stanchezza sta prendendo il controllo, dovrei far attenzione alle cose che escono dalla mia bocca.
- Mi hai sognato? - Aggrotta la fronte, sorpreso. Avrebbe fatto lo stesso se tutto questo fosse successo a lui. Mi levo le coperte di dosso e poggio i piedi a terra, ma non riesco ad alzarmi. Sento la spalla tirarmi in quel piccolo gesto e mi massaggio delicatamente in quel punto. Meglio se comunque cerco di riprendere il controllo sulle mie gambe, altrimenti rimarrò qua a vita. Non che mi dispiaccia: stranamente mi sento protetta qui, ma allo stesso tempo so che non è il mio posto, e non mi posso permettere di rifugiarmi qui e scappare dalla realtà, anche se lo vorrei tanto.
- Mi puoi biasimare? Saresti rimasto scioccato anche tu... - Lo guardo, lasciando la frase incompleta. - ... se per tutta la tua vita non avessi combattuto mostri. - Abbassa lo sguardo sulle sue mani, pensando a una ragione plausibile, ma purtroppo non c'è. Fortunatamente alcune delle cose che ha detto le ricordo ancora. Mi ricordo anche del fatto che il suo amico è un mostro. Non so affatto il perché, però, ma non posso saperlo: non lo conosco. L'unica cosa chiara nella mia mente è il suo volto. Harry, mi sembra che si chiami.
- È troppo lungo da spiegare. Poi non ci crederesti e non voglio esporti a pericoli inutili e... -
- ... e non sono come te. Io non sapevo neanche della loro esistenza fino a poche settimane fa! - Esclamo, interrompendolo. - Non devo combatterli. Voglio solo una spiegazione e poi ti lascio in pace. -
- Il fatto è che non sei tu che devi lasciarmi in pace. È... tutto complicato. -
- Beh, non lascio casa di Delice fino a stasera. Abbiamo tutto il tempo. - Alza di nuovo lo sguardo nei miei occhi, poi annuisce.
 ***
Rimango stesa al sole, beandomi di quella fresca brezza pomeridiana. Non fa così caldo come i giorni precedenti. Sono contenta di essere riuscita ad alzarmi dal letto e di trovarmi qui ora: quella camera stava cominciando a deprimermi. Jackson è andato a prendere la mia maglia. Ha dovuto lavarla: era piena di sangue, e così la mia felpa. Quando esce dalla porta, mi raggiunge a mani vuote e con sguardo affranto. Si siede sull'erba, accanto a me, e mi osserva.
- Tieni la mia maglia. - Dice poi.
- Dov'è la mia? -
- Non sono bravo a fare la lavatrice. Mamma si occupa di queste cose. - Scoppio a ridere, per la prima volta dopo l'incidente a scuola. Non c'è bisogno che gli chieda che fine abbia fatto la mia felpa: sarà ristretta insieme alla maglia ora. Lo guardo, aspettando finalmente la verità. Fa un grande sospiro e poi inizia a parlare. Prima di tutto, mi rassicura dicendomi che non sono pazza. Rimane qualche secondo in silenzio, cercando le parole giuste, ma effettivamente parole giuste non ci sono per dare una spiegazione a quello che ho passato dall'episodio a scuola. Chiude gli occhi, scuotendo la testa. Continuo a tenere il mio sguardo su di lui: parlarmi del suo mondo non dev'essere affatto semplice. Prima di tutto perché è un mondo surreale, secondo perché è il suo. Ma in un certo senso lo capisco: è come se stesse al mio posto, assumendo lui la parte del pazzo questa volta.
- Onestamente non trovo le parole giuste per iniziare questa conversazione. - Gira il volto verso di me. - Tu mi hai chiesto, la settimana scorsa, cosa fosse successo negli spogliatoi. Non si è solamente rotto un tubo come ti hanno detto tutti. -
- Questo lo avevo capito. - Taglio corto, impaziente di sentire cosa mi dirà. Lui annuisce.
- Ci sono delle cose nel tuo mondo che vanno oltre a quello che tu vedi o percepisci. Che cosa penseresti e faresti se un bicchiere si rompesse cadendo dal tavolo? Da solo? - Stavolta è lui ad aspettare una risposta. Mi stringo nelle spalle, non sapendo cosa rispondere. Mi aspettavo un discorso diretto, non un mezzo interrogatorio.
- Penserei che l'abbia messo alla punta del tavolo e... -
- Se il bicchiere fosse al centro del tavolo. – M’interrompe di botto per specificare, forse sapendo già che avrei trovato qualsiasi spiegazione razionale per contrastarlo, ovviamente. È nella natura umana aggrapparsi alla realtà e alla razionalità, no? Lo guardo non sapendo che dire. - Io mi metterei sulla difensiva, aspettandomi un demone o un mostro nascosto da qualche parte, pronto a divorarmi. - Lo guardo perplessa, non riuscendo a seguirlo. So benissimo cosa ha affrontato in questi ultimi giorni, ma non può subito reagire in quel modo anche per una tazza che si rompe. Allora quando ruppi il vaso di mia madre avrei potuto dirle senza problemi che un fantasma me lo aveva fatto scappare di mano in modo da non beccarmi una settimana di punizione.
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso beffardo.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. - Sento un brivido corrermi lungo per la spina dorsale. Rielaboro le sue parole e un altro brivido scorre verso il basso, facendomi venire la pelle d'oca. Riprende la parola appena nota il mio turbamento. - Volevi la verità, no? Eccola. Il mondo è molto più vasto di quanto tu possa mai immaginare. Hai presente, da bambina, quando avevi paura dell'Uomo Nero, o del mostro che si nascondeva sotto il letto o nell'armadio? - Annuisco piano, cercando con tutta me stessa di seguire i suoi discorsi. - Perché non sei mai andata a controllare se effettivamente questi mostri c'erano? - Schiudo piano la bocca per darmi una risposta, ma la richiudo subito. Non so davvero cosa dirgli.
- Perché... - Abbasso lo sguardo in imbarazzo. - ... avevo paura che mi potessero mangiare. - Mormoro per poi rialzarlo subito nei suoi occhi.
- E hai fatto bene, perché avrebbero potuto farlo tranquillamente. - Dice con sguardo serio. - So che gli unici mali che conosci in questo mondo sono i brutti voti a scuola o le litigate con tua madre o con le tue amiche, oppure quanto la tua vita sia ingiusta a volte, ma fidati: esistono mali peggiori. Ne hai avuto la prova, li hai visti con i tuoi occhi. -
- Cos'erano allora... - Mormoro con il fiato corto. Metabolizzare tutte quelle informazioni non è per niente facile.
- Quel mostro negli spogliatoi era un Adaro, quella ragazza nel vicolo che ho decapitato era un vampiro e i mostri di ieri sera erano Ek Ek. - Nonostante mi stia dicendo finalmente la verità e abbia visto personalmente quei mostri, ho difficoltà a credere alle sue parole. Sembra tutto assurdo. Più volte, mentre parla, sono tentata di correre via. Però, il buco nella spalla che mi ha curato è la prova che quello che sta dicendo è vero. E ora, il ricordo di ieri sera diventa sempre più chiaro nella mia mente. Quelle donne-uccello, l'artiglio di una delle due conficcato nella mia spalla, l'amico di Jackson che correva fin troppo veloce per chiunque ed era anche decisamente più forte. Con un solo pugno, è riuscito a scaraventare una delle due donne contro il palo della luce e, la cosa più brutta di tutte, quell'atmosfera inquietante: perfino l'uomo dei panini era scappato via. Come avrei voluto fare lo stesso.
- Harry. - Comincio io dopo un po'. - Ha detto che lui è uno di loro... cosa intendeva? -
- Harry è un dampiro, madre umana, padre vampiro. Ma non succhia sangue, mangia i nostri stessi cibi. Però ha delle abilità "speciali": può diventare invisibile, hai visto come corre veloce... poi è anche forte e può soggiogare. Diciamo che queste cose gli sono rimaste da parte del padre. Qualcosa di buono gli ha lasciato, in fin dei conti. -
- E tu cosa sei? - Chiedo, guardandolo negli occhi.
- Un essere umano. Solo che sono anche un cacciatore di mostri. -
- Non puoi essere umano. - Scuoto la testa, diffidente. - Ho visto le cose che sai fare. È impossibile. -
- Il nome preciso è Elementale. E sono umano, come te o tua madre o qualunque persona su questa terra, con l'unica differenza che posso controllare gli elementi. Hai mai visto, che ne so, "L'ultimo Dominatore Dell'Aria"? È stato bravo il regista, si è avvicinato alla verità. - Scuoto la testa per dirgli di no. Mi guarda un attimo, scioccato dalla mia risposta. Credo che sia appassionato fin troppo ai film fantasy dalla sua espressione. Dopo il suo piccolo shock, riprende a parlare. Il mio sguardo diventa sempre più perplesso mentre parla. Ho costantemente la fronte corrugata. Inglobare tutte queste nuove cose insieme è difficile. Nonostante il mio sguardo sia sconcertato, Jackson non si ferma dal rivelarmi tutto. Racconta che gli Elementali sono sempre esistiti, fin dall'alba dei tempi. Il primo segno della loro presenza risale a quando l'uomo ha scoperto il fuoco. Racconta che non è stato un fulmine a far incendiare quell'albero, bensì un Elementale che stava imparando a controllare il suo potere. Molte persone, anche importanti personaggi storici, lo sono state. Mi fa l'esempio di Eraclito, un filosofo greco che aveva incentrato tutta la sua vita sui quattro elementi: fuoco, aria, terra e acqua.
- Aspetta... e come fai a esserlo? Cioè, è tutto assurdo. Ti sei svegliato un giorno e hai visto che sapevi dividere le acque mentre ti facevi un bagno? - Scoppia a ridere forte, attirando perfino l'attenzione di un signore che sta camminando tranquillamente. Per un attimo la sua risata mi contagia e rido anch'io, almeno per non piangere. Jackson è un ragazzo duro che non smuovi facilmente, ha costantemente la stessa faccia da maniaco, ti osserva e quando parla ha sempre una battuta pronta. È un po' strano vederlo così rilassato ora.
- Ognuno di noi lo è. Solo che ci sono persone scettiche, che non ci credono, e che non capiranno mai queste cose. Altre, invece, che ci credono così tanto da sentirsi troppo potenti e credersi superiori alle persone che conducono una vita normale, dimenticandosi della loro umanità. - Sputa queste ultime parole con un'amarezza improvvisa e rabbiosa, quasi come se la cosa lo toccasse personalmente, ma mi limito a non far domande. Inspira ed espira per calmarsi, poi riprende il discorso. - Ogni Elementale ha un proprio spirito. Io sono uno Gnomo. - Abbozzo una risata divertita alla sua affermazione, ma lui s’infastidisce per la mia interruzione dato che per la prima volta sta facendo un discorso serio. O forse perché non sono la prima persona a ridergli in faccia per il modo fiero in cui l'ha detto. Si schiarisce la voce e riprende a parlare. - Lo Gnomo è lo spirito della Terra. Ieri, infatti, ti ho salvato legando delle radici degli alberi insieme per sostenerti. - Ecco cos'era quel pavimento che mi ha salvato la vita. Ora ricordo perfettamente cosa sia successo ieri sera. Per l'ennesima volta, Jackson mi ha salvata. - Poi ci sono gli Ondini, o Nereidi per le donne, che sono gli spiriti dell'acqua, le Silfidi per l'aria e le Salamandre per il fuoco. -
- Quindi tu sei più legato alla Terra? Ti facevo un tipo da fuoco. - Commento, per poi rimanere qualche secondo in silenzio per cercare di fissare in mente quelle informazioni. - E come sai a quale elemento sei più legato? Cioè, lo scegli? E come te ne sei reso conto? -
- No, dipende dalla tua anima. E non lo diventi da un momento all'altro. Diciamo che cominci ad approcciarti in modo diverso alla natura, sentendola quasi parte di te. - Abbozza mezzo sorriso, per poi riprendere a parlare. - Tu a cosa ti assoceresti? - Mi lascia un attimo senza parole. Sicuramente non è una domanda che qualcuno ti pone appena lo conosci. Ci penso per un po', ma non mi viene niente in mente. Sono sempre stata attratta dalla chimica, meglio dire alchimia, nonostante non sia una cima. Penso a quello che so dell'alchimia per indovinare il mio elemento. Mi acciglio per ricordare quelle poche parole che Mr. Douglas ci ha detto quando ha parlato del Medioevo, ma non credo che la risposta sia in quelle informazioni.
- Acqua, mi piace. Comunque è inutile chiedermelo, non sono un Elementale, tantomeno una cacciatrice di mostri. -
- Invece sì. - Dice con tono pacato. Si stende sull'erba, con le mani dietro la nuca. Io, invece, rimango sconcertata ancora di più. Fino a ieri ha cercato in tutti i modi di tenermi lontana da questo mondo, e ora insiste affinché ne faccia parte. Che il ragazzo sia strano e lunatico l'avevo già capito, in fondo. - E tu sei una Salamandra, non una Nereide. -
- Cosa ne sai tu? E poi no, non ho mai ucciso nessuno e mai lo farò. -
- Dopo l'incidente a scuola con quel mostro, che hai ucciso tra parentesi, ne sono sicuro. Ho sentito quel calore sul palmo della tua mano, l'altro giorno. Tu hai sentito solo un pizzico, come se ti avesse punta qualcosa, ma io stavo per bruciarmi i vestiti addosso. Non negare che quando sei arrabbiata o spaventata senti qualcosa dentro che hai bisogno di cacciare, per vendetta o per sentirti al sicuro. -
- Non è vero. -
- Vorresti far sparire tutto, soprattutto la causa di quelle sensazioni. -
- Smettila. -
- Non negarlo. -
- Basta! - Urlo. Sento la mano bruciarmi subito dopo che mi costringe a gemere di dolore. La studio con lo sguardo e appena la tocco noto che è fredda. Guardo Jackson che sorride soddisfatto mentre m’indica un filo d'erba: ha una piccola fiamma che si sta spegnendo. Mi alzo di scatto, allontanandomi da lui. – Che cosa hai fatto? - Chiedo con il cuore a mille.
- Sei stata tu. -
- Non è vero. Io non sono come te! Io non dovrei essere qui... non avrei dovuto seguirti! E non avrei mai dovuto chiederti niente. Non capisci quanto sia surreale tutto ciò? Non esistono gli Elementali. Non esiste che produca fuoco. Non esiste niente. - Mi sento gli occhi lucidi e scoppiare dentro. Ecco, di nuovo. Devo iniziare a calmarmi. Se quello che sta dicendo è vero, avrei potuto scatenare un incendio. Non una, ma più di una volta. Avrei potuto uccidere delle persone...
Scuoto subito la testa, pensando all'assurdità di quella frase. Anche lui si alza e guarda l'erba. Ci passa lentamente il palmo della mano, lambendola, e una piccola margherita spunta qualche secondo più tardi. Mi ritraggo ulteriormente.
- Anche questa non esiste? - Non rispondo alla sua domanda, ma corro via, uscendo di corsa da quel giardino. Jackson non m’insegue stavolta, tantomeno io mi guardo dietro. Arrivo a casa e mi chiudo in camera. Mi sento svenire. Nella mia testa non c'è spazio per tutto questo. È troppo. Non la voglio la verità, avrei preferito mille volte vivere nella menzogna. Non posso vivere anche con la paura dei mostri ora. Mi sta facendo male questa verità. Ho sempre creduto di essere diversa, ma non può dirmi di essere un mostro. Non può dire che lui è umano se entrambi sappiamo che non è vero. Come può esserlo se passa la vita a uccidere? Avrei preferito mille volte essere asociale che una persona con poteri che non so neanche usare, che non so neanche se esistano davvero! Vorrei davvero che ci fosse qualche trucco di magia dietro. Voglio che tutto sparisca e che rimanga solo io, in una stanza bianca, vuota, sorda. Solo io e i miei pensieri. Anzi, neanche loro, nonostante sia cosciente che ciò è impossibile. Voglio piangere, urlare, ma voglio anche qualcuno che mi prenda a schiaffi dicendomi di smetterla e di affrontare questa situazione. A volte avrei bisogno solamente che qualcuno mi dia la forza di superare le difficoltà. Non voglio essere quella che rimette in piedi tutti, ma non sa farlo con se stessa. Sono stanca di essere quella forte. Perché devo reggere tutti e nessuno regge me? Non sono fatta di metallo. Sono umana anch'io. O almeno così credevo. E cado, cado peggio di quanto qualcuno possa mai fare, con l'unica differenza che io ho cercato di imparare a rialzarmi e ad asciugarmi le lacrime da sola. Chiunque altro, invece, si sarebbe alzato comunque, ma avrebbe continuato a lamentarsi e a cercare qualcuno da incolpare per la sua caduta. Se è caduto è perché egli stesso è inciampato, nessuno ha messo una pietra sotto i suoi piedi. Solo che, questa volta, non posso far finta di niente. Non è una situazione che si può nascondere, come se non sapessi niente. Soprattutto se Jackson vuole riparlarne.
Involontariamente alcune lacrime sono scappate dai miei occhi. Me le asciugo per poi buttarmi sul letto, ormai distrutta da tutto, mentre la stanchezza, non solo fisica, comincia a prendere il sopravvento su di me.
***
- Sharon! - Urla mia madre da sotto, costringendomi ad aprire gli occhi lentamente. Me li strofino. Sono ancora un po' umidi. Non ricordo di essermi addormentata. Mi sento così frastornata che non ce la faccio ad alzarmi dal letto. Ho la mente che è un peso morto, come se non bastasse già il mio corpo.
- Sono in camera. - Alzo un po' il tono di voce per farmi sentire. Poco dopo apre la porta.
- Ciao tesoro. Com’è andato il pigiama party da Delice? - Chiede con un sorriso smagliante. Finalmente mi sento al sicuro. L'abbraccio, stringendola forte.
- Bene. Mi sei mancata. - Rimane un attimo stupita del mio gesto, poi mi abbraccia e mi accarezza i capelli. È raro che le dica qualcosa del genere, ma fortunatamente non mi fa domande. Non vorrei di nuovo scoppiare a piangere e so benissimo che, in un modo o nell'altro, scoprirebbe tutto. E non voglio che Jackson finisca nei guai per colpa mia.
- Anche tu, ma per una notte che sei stata fuori tutto quest’affetto è esagerato! - Ride ancora, sorpresa. - Che avete fatto? - Chiede poi mentre scioglie l'abbraccio. Mi osserva per assicurarsi che sia tutta intera, come sempre. Aggrotta leggermente la fronte notando la maglietta di Jackson. Avrei dovuto levarmela. - Avete parlato di scuola, ragazzi? - Mostra un sorriso divertito, alzando ripetutamente le sopracciglia, e riporta lo sguardo nei miei occhi. Fortunatamente non ha commentato sulla maglia: ne ho una simile, sempre nera e dei Ramones, quindi non deve essersi fatta tanti problemi, anche se non la metto da secoli. Scuoto la testa mentre sorrido e mi strofino l'occhio. - Va bene! Argomento di cui non si discute con la mamma. Comunque, sono stanca per cucinare. Ho avuto una giornata pesante a lavoro. Ordino una pizza. - Dice alzandosi e uscendo dalla stanza.
- Una diavola per me! - Le urlo, anche se sa perfettamente la mia preferenza. Quando chiude la porta rimango sola di nuovo. Fuori è buio ormai. Controllo il cellulare: dieci messaggi di Delice. Le risponderò più tardi. Respiro profondamente e poi mi alzo dal letto. Prendo il pc e mi siedo nuovamente dopo aver spento il telefono, almeno per un po' voglio star sola. Mi connetto a internet e digito "Elementale". Inizio a cercare tutto quello che potrebbe essermi utile. La prima cosa che trovo sono le distinzioni degli elementi e gli spiriti legati a essi di cui Jackson mi ha parlato nel pomeriggio. Dopo una mezz'oretta che leggo, decido di riaccendere il cellulare per chiamare Delice dal momento che so che sarà piena di domande, dati i messaggi. Dopo che si è completamente acceso, ne trovo uno nuovo. Qualcuno ne ha lasciato uno in segreteria:
"Sharon, sono Jackson. Quando ti sei calmata e hai ascoltato questo messaggio, fammi sapere cosa vuoi fare. Se ci credi a quello che ti ho detto, lascia che io t’insegni quello che devi sapere. Non voglio che tu ti faccia male per colpa mia."
Ascolto il messaggio più di una volta. Voglio sentire la sua voce, ma voglio anche prendere una decisione ascoltando le sue parole. Non mi chiedo neanche come abbia il mio numero, ma sicuramente sapeva come intrattenersi per tutto il tempo in cui sono rimasta incosciente. Da un lato potrei accettare il suo aiuto: anche se rifiuto tutto questo, dei mostri hanno cercato davvero di uccidermi; dall'altro, mi sento una stupida a pensare che tutto questo faccia davvero parte della realtà.
Quando finalmente ho preso una decisione gli mando un messaggio e spengo il computer. Non voglio leggere più nulla sui mostri e sugli Elementali.
- La pizza è arrivata! – M’informa mia madre da sotto.
- Arrivo. -

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

La suoneria insistente del mio cellulare mi costringe controvoglia ad aprire gli occhi, almeno per quanto mi sia possibile. Ancora assonnata, lo cerco tra le lenzuola, lo afferro debolmente quando lo trovo e rispondo con voce impastata dal sonno.
- Pronto... -
- Tu! - La voce squillante di Delice quasi mi stona un timpano e istintivamente allontano il cellulare dall'orecchio per salvare quel poco di udito che mi è rimasto. - Mi devi raccontare tutto! Voglio sapere ogni minimo dettaglio! Non mi hai detto niente! -
- Di cosa parli? - Mi strofino gli occhi più volte per aprirli completamente. La voce è ancora debole e rauca; inoltre, è un miracolo che riesca a seguire le sue parole e che non mi sia di nuovo addormentata. Mentre Delice continua a starnazzare cose senza senso, che non sto seguendo neanche del tutto, lancio uno sguardo fugace alla stanza, fin troppo luminosa. Sicuramente è tardi.
- Ne parliamo faccia a faccia. Oggi vengo da te e me lo presenti. Okay? Perfetto. - Dice infine dopo aver finito i suoi scleri e aver interrotto la telefonata. Non mi dà neanche il tempo di dire qualcosa. Come se gli presentassi Jackson, tra l'altro. Gli amici si presentano ad altri amici, e mi sembra che lui non lo sia.
Guardo il cellulare, sbalordita dalla forza mattutina della mia migliore amica, e lo poso sul comodino, buttando successivamente la testa sul cuscino. Nonostante cerchi di riprendere sonno, sono cosciente del fatto che Delice mi abbia privato anche di questo, purtroppo, e mi alzo. Controllo l'orario, premendo il dito sul pulsante dell'iPhone: le undici. Sbadiglio rumorosamente e, mentre passo davanti allo specchio per uscire dalla camera, osservo la mia meravigliosa immagine di prima mattina: una coda più storta della torre di Pisa, i pantaloncini neri della tuta con i lacci bianchi che penzolano e una canotta dello stesso colore di questi ultimi. Uno splendore, in poche parole. Scendo giù, cercando ancora di vedere nitidamente per non inciampare o andare a sbattere da qualche parte. Ogni mattina la stessa storia; mai una volta che mi svegli entusiasta della giornata. Entro in cucina: la caffettiera è già sul fuoco e sul tavolo c'è un piatto con le posate accanto. Strano che mia madre mi abbia fatto trovare almeno queste cose già pronte. Sbadiglio rumorosamente per l'ennesima volta, schiudendo del tutto la bocca, mentre mi siedo a tavola. Incrocio le braccia sul tavolo e ci poggio la testa, chiudendo di nuovo gli occhi. Oggi non ho voglia di fare assolutamente nulla. Non che sia una novità questa. Con quale forza sopporterò Delice e il suo interrogatorio oggi proprio non lo so. Ma ho ancora tutta la giornata e, come ogni mattina, la fame non è molta; posso stare ancora qualche minuto con gli occhi chiusi per riposarmi prima di mangiare.
- Non ti hanno insegnato a mettere la mano davanti alla bocca? - Chiede una voce abbastanza profonda e virile. Mi alzo di scatto, costringendomi a mettere bene a fuoco la stanza questa volta. Quando mi accorgo di Harry, l'amico dampiro di Jackson che sta in un angoletto della stanza a girarsi con un cucchiaino il caffè nella mia tazza di Spongebob, afferro il coltello sul tavolo e indietreggio di qualche passo. Jackson si può anche fidare di lui, ma io non lo conosco. Non so nulla di lui. Sapere che è un mostro, mezzo vampiro, non migliora di certo la situazione. Certo, mi ha salvata, ma forse solo perché c'era Jackson, e quest'ultimo per primo stava evitando in tutti i modi di farmi uccidere, non lui.
- Come sei entrato? - Chiedo con voce severa e, forse, un tantino allarmata. Non credo che abbia trovato la chiave di riserva nella pianta: solo Delice sa che sta lì. Sorride divertito mentre estrae il cucchiaino dalla tazza e lo mette in bocca per pulirlo.
- Non fare la dura. Non ti riesce. - Dopo averlo leccato, lo lancia nel lavandino e avvicina la tazza, che regge con la mano sinistra, alle sue labbra per bere. Sicuramente è mancino: prima girava il cucchiaino con la sinistra, solo ora ha cambiato mano. - E comunque mi ha fatto entrare tua madre. - Tutto questo mentre continua a rimanere appoggiato al muro, con un piede contro di esso, il braccio destro sull'addome e l'altro sopra il polso del destro.
- Mia madre?! Stai scherzando?! - Chiedo furiosa. Come ha potuto far entrare uno sconosciuto e andarsene tranquilla a lavoro? Non è di certo qualcosa che quella donna farebbe. Mi chiedo se abbia un briciolo di buon senso a volte. Ha passato la sua vita a vigilarmi come un bodyguard e ora fa entrare il primo modello che si trova davanti? Non che sia un modello, però è bello come ragazzo e ha un aspetto imponente. Questo, secondo me, lo rende attraente. Non che il sorriso sia da meno.
- Sì, come se tua madre mi lasciasse entrare. - Fa un verso di scherno, poi ride. - Sono entrato dalla finestra della tua camera. Certo che è in disordine per appartenere a una ragazza. - Commenta prima di leccarsi lentamente le labbra per pulirsi via il caffè. - Solo una volta mi fecero entrare in una casa. Non finì bene. - Alzo un sopracciglio mentre lui parla e si siede tranquillamente per sorseggiare la bevanda. Non ho voglia di far conversazione con lui, ma almeno abbasso la guardia, poggiando il coltello sul tavolo. Se mi avesse voluto far del male, credo che l'avrebbe già fatto. Oppure mi avrebbe potuto uccidere prima, nel sonno. Non l'ho sentito neanche scassinare la finestra. E poi, perché dovrebbe farlo? Jackson mi ha assicurato che non si nutre di sangue, e questo mi tranquillizza un po'. Lui mi osserva con la coda dell'occhio mentre lo poso, ma comunque lo tengo accanto a me; giusto in caso, non si sa mai. - Li uccisi. - Continua dopo essersi reso conto che non avrei iniziato a parlare con lui. - Stai tranquilla, non ti uccido. E neanche tu mi ucciderai, non ci sono riusciti i cacciatori più in gamba, vorresti uccidermi tu? Con quel coso che chiami coltello al massimo ti spalmi la marmellata sui toast. - Lo indica, poi guarda la cucina con aria sprezzante. Infastidita, mi alzo per prendere il latte. Lui continua a tenere lo sguardo su di me.
- Ti serve qualcosa? - Chiedo irritata mentre chiudo in modo abbastanza forte l'anta del frigo, facendo sbattere alcuni vasetti di vetro all'interno.
- Volevo solo assicurarmi che tu stessi bene. Hai fatto un bel volo, e collezionato anche un bel buco. Potevi prenderti almeno l'artiglio. L'avrei aggiunto alla mia collezione. -
- Magari la prossima volta sarai tu più fortunato. - Dico ironicamente, fulminandolo con lo sguardo. - Sto bene, grazie. Jackson mi ha aiutato molto. - Mi verso il latte in un'altra tazza, dato che lui si è impossessato della mia, e prendo i cereali. Poi mi siedo di fronte ad Harry per guardarlo negli occhi. Finalmente li vedo: hanno lo stesso colore dell'acqua cristallina e ti portano quasi alla pazzia per capire se siano più verdi o celesti. È difficile distogliere lo sguardo: ti catturano e sembra che siano pieni di sofferenze nascoste.
- Jackson aiuta sempre i più bisognosi. Gli ho sempre detto che è il suo più grande difetto. - Scuote la testa, rassegnato. - Prima o poi morirà per salvare qualcuno che non se lo merita. -
- Abbiamo due modi diversi di vedere i difetti, a quanto pare. - Sussurro annoiata e più che irritata. Se pensavo che Jackson fosse strano e misterioso, Harry lo è di più. Sicuramente è il tipo di ragazzo che ti lascerebbe morire e, alla richiesta di aiuto, ti risponderebbe con un semplice "Oh, beh. Questo momento arriva per tutti, prima o poi". Però, alla fine è stato carino a venire a controllare se stessi bene. Anche se non ho capito il motivo del suo gesto. Coscienza pulita? Forse. "Mi sto confondendo la mente già di prima mattina", penso. Inizio a mangiare i cereali, noncurante se Harry continui a guardarmi o meno, sebbene questa cosa sia inquietante. Fortunatamente la sua attenzione è attirata da qualcos'altro fuori la finestra.
- Come ti pare. Ora devo andare. Uccidere Poukai non è una passeggiata. - Non mi dà il tempo di ingoiare e salutarlo che è già sparito. Almeno la tazza di Spongebob l'ha lasciata sul tavolo.
Mi sento strana, lo ammetto. Non è cambiato niente nella mia vita, soprattutto quando ieri ho detto esplicitamente a Jackson che non voglio saperne niente di questo suo mondo. Ma, da un lato, è come se fosse già cambiato tutto, ed è troppo tardi per tornare indietro. Se prima pensavo di essere costantemente fuori luogo, anche quando ero sola con me stessa, adesso questa sensazione è diventata insopportabile. Mi sento totalmente vuota. Senza uno scopo, senza un'appartenenza. Sono al centro di questo tiro alla fune: una parte mi spinge verso Delice e alla vita che avevo prima, l'altra verso Jackson e questo mondo nuovo. È tutta la notte che ci penso eppure una risposta a quello che è successo non l'ho trovata. È impossibile descrivere tutto ciò. È come se cercassi di dare un aggettivo a un gusto, tipo alla cioccolata. Ci si pensa e ripensa, ma alla fine gli unici tre aggettivi possibili da attribuirgli sono deliziosa, buona e amara. Ci si ferma lì. Non ci sono sfumature. Nella propria mente, invece, si cerca ancora quell'unico aggettivo che la differenzi dagli altri.
Il mio cervello è in catalessi ormai. Lo squillo del telefono fisso blocca quel fiume di pensieri creatosi nella mia mente. Non rispondo, bensì lo lascio squillare. Mi alzo per andare a cambiarmi: meglio non rimanere sola. Se continuo così, rischio di impazzire per davvero questa volta.
***
Dopo una passeggiata per il quartiere, e un pranzo solitario, decido di andare da zia Tess. Quando arrivo davanti casa sua, si sente una forte musica provenire dall'interno. Suono il campanello, al di sotto di una piccola scritta per indicare il cognome di mia zia Tess, Perry, ma non mi viene ad aprire. Ritento, ma niente. Sconsolata, prendo la chiave sotto lo zerbino e apro la porta. Una musica forte m’investe. Trovo mia zia in cucina che, mentre prepara l'impasto per un dolce, ascolta "I'm Afraid Of Americans", di David Bowie. Provo a chiamarla, ma non mi riesce a sentire. Quindi stacco la presa della radio. Lei, però, continua a cantare imperterrita.
- Zia! - Esclamo per farle notare la mia presenza. Quel suo balletto mi stava mettendo a disagio, sul serio. È strano vederla così euforica, ma quando si tratta di uno dei suoi cantanti preferiti è difficile riuscire a fermarla.
- Tesoro! - Sussulta dopo avermi notato con la fronte aggrottata, sorpresa di vedermi qua. Si aggiusta il grembiule bianco e con la scritta in nero "Kiss the chef" (bacia il cuoco), poi i capelli dal momento che qualche ciocca sulle tempie le è scappata dallo chignon. - Da quanto sei qui? - Chiede imbarazzata. Va a lavarsi le mani, sporche di farina, così come il grosso bancone dove sta lavorando. Dietro di lei, su un altro bancone vicino al forno, c'è una teglia pronta per poggiare il dolce quando sarà pronto. La cucina di zia è molto moderna, larga e soprattutto luminosa grazie ai muri e al pavimento, entrambi di colore bianco. Nonostante abbia un tavolo dove pranzare, mangia però direttamente sul bancone perché sola. L'unico colore in contrasto è il nero. Il frigo, infatti, lo è insieme al forno e il cestino dei rifiuti vicino al bancone.
- Poco, fortunatamente. - Mi avvicino a lei e mi siedo sulla sedia. – Che cosa stai facendo? -
- Un dolce, non vedi? - Si asciuga la mani bagnate sul grembiule. Mi osserva per un po', poi prende la parola. – Che cosa fai qui? Tua madre non è a casa? -
- No, per questo sono potuta venire. Devo parlarti. - Poggio le mani sul bancone, almeno sulla parte pulita di questo, e comincio a torturarmi le dita, cosa che faccio sempre quando sono nervosa. Il perché non lo so neanche, forse è strano che le porga domande del genere. Non mi sono mai interessata della storia e delle leggende che magari lei ha sempre voluto raccontarmi, ma cosa posso farci? La storia non è mai stata la mia materia preferita. - Hai mai sentito parlare degli Elementali? - Alla mia domanda, si ferma dallo stendere la pasta. Rimane in silenzio, a fissare l'impasto, per poi riprendere ciò che aveva interrotto. Forse sta ricordando se ha letto qualcosa riguardo questi. Alcune volte, non so proprio come faccia a non dimenticare ogni singolo libro che ha letto, anche perché ne ha letti davvero centinaia.
- No, perché questa domanda? -
- Ho sentito, e letto, alcune storie che sembrano interessanti. - Dico vaga, anche se il mio obiettivo è ben preciso: sapere se anche lei, che conosce qualsiasi cosa, è a conoscenza di loro.
- E chi te le ha raccontate? - Si schiarisce la voce prima di domandare. Non alza lo sguardo su di me, il che è strano. Lei odia non guardare negli occhi le persone con cui sta parlando. È come se la conversazione non esistesse. E forse, questo è il suo scopo: far sparire quest’argomento e l'intera discussione.
- Ho trovato diversi documenti. Dato che tu sei molto informata su storie di diverse popolazioni, pensavo... -
- Pensavi male. – M’interrompe bruscamente mentre continua a stendere l'impasto. - Alcune storie si definiscono "storie" per un motivo: sono frutto dell'immaginazione. Dovresti concentrarti su altre cose invece che su questi cacciatori. Non ti piace neanche la storia. Non accetto queste passioni improvvise. -
- Non ho mai detto che sono dei cacciatori. - Raddrizzo la schiena e la guardo, alzando gli occhi sul suo volto. Quindi qualcosa su di loro la sa, perché non spiegarmela allora? Su Internet non c'è scritto assolutamente nulla. Volevo almeno una prova sulla veridicità delle informazioni che mi ha dato Jackson e, ora che mia zia afferma che sono cacciatori, a quanto pare l'inglese è stato sincero su una cosa.
- Quasi tutte le popolazioni sono state cacciatori, perché questi non dovrebbero esserlo? E poi non so neanche dove tu ti sia informata. Nessuno ne ha mai parlato. -
- Quindi li conosci! -
- Non voglio sentirne parlare, Sharon Steel! - Mi rimprovera. - In questa casa, non voglio sentire la parola "Elementale". Sono solo leggende, sono stata chiara? - Rimango turbata dalla sua reazione. Non ho mai visto zia Tess tanto furibonda per una domanda così innocente. Dalla sua reazione, però, non deve essere così innocente. Adesso la fune sta tirando più verso Jackson perché devo ammettere che, in fondo, ha ragione. Quelle cose di cui mi ha parlato le ho viste, e ora mia zia mi rimprovera per averli nominati. Non vorrei che lei fosse una di loro e che non mi abbia detto nulla. Quello che sto pensando è una pazzia, è vero, ma cosa non lo è in tutta questa storia?
- Non capisco perché tu ti sia arrabbiata tanto... -
- Ci sono cose che non si possono capire, Sharon. - Detto questo, non parla più. Continua solamente a lavorare sul suo dolce, senza degnarmi neanche di uno sguardo. Decido di andarmene: non ha senso rimanere. Quando esco dalla cucina, sento mia zia liberare un forte sospiro di sollievo. Appena mi chiudo la porta alle spalle, la musica riparte allo stesso volume di prima. Anzi, sembra addirittura più alto.
***
Una volta arrivata nel mio quartiere, trovo già la macchina di Delice parcheggiata al bordo della strada, dal mio lato, poi la vedo corrermi incontro. Mi abbraccia, stringendomi forte. Quando addolcisce l'abbraccio, comincia a tempestarmi di domande. Com’è successo? Perché sei rimasta da lui? E altre venti di fila.
- Delice, ti prego, una per volta. Mi stai facendo venire il mal di testa. - Ora capisco cosa provano le persone famose quando sono circondate da paparazzi che le riempiono di domande. E dire che vicino a me c'è solo Delice. Ci sediamo sui gradini davanti casa mia, come sempre.
- Vi siete baciati? - Sputa impaziente.
- No, Delice, no! - Lei mi guarda con sguardo accusatorio. Lo so che lei l'avrebbe fatto sicuramente, se le circostanze fossero state diverse. Ci sbava dietro dal primo giorno in cui l'ha visto. Devo ammettere che l'avrei fatto anch’io, se lui l'avesse fatto per primo.
- Sei rimasta a dormire da lui, vuoi dirmi che non vi siete baciati? -
- È una lunga storia... - Sospiro, guardandomi in giro, quando il mio sguardo cade su Jackson che sta uscendo di casa, seguito da Harry. Delice si volta in direzione dell'abitazione di fronte alla mia, per poi poggiare gli occhi sul biondo, meglio dire sul suo lato B. Le do una gomitata. - La finisci? -
- Ho finito. - Il suo sguardo, però, è ancora fisso su di lui.
- Sicura? - Chiedo leggermente infastidita per i suoi modi di fare.
- Sì, aspetta... sì. - Poi si gira verso di me, sorridendomi in modo innocente. Strano che non abbia degnato neanche di uno sguardo Harry. Non che lui sia meno interessante di Jackson, anzi: forse lo è di più. Ha quel qualcosa che impone di guardarlo.
- Sei irrecuperabile. - Scuoto la testa in segno di disapprovazione. I due non sembrano prestarci attenzione, dato che parlano sottovoce. Solo Jackson, dopo un po', si gira e mi guarda. Fortunatamente indossa degli occhiali da sole. Non avrei voluto ricevere una delle sue fredde occhiate. Poi ritorna a guardare Harry. Quando quest'ultimo se ne va, lo Gnomo rimane in giardino a fare una telefonata. Indossa una semplice canotta dei Lakers e un paio di jeans neri, strappati sulle ginocchia. Ai piedi ha costantemente le sue Converse nere. Delice non gli leva gli occhi di dosso.
- Comunque, come stai? Non ti sento da un paio di giorni. - Lei si gira a fissarmi dopo aver staccato lo sguardo a gran fatica, aspettandosi il solito "bene". In realtà, non sto affatto bene. Osservo Jackson che continua a camminare avanti e indietro, con quella faccia dura che aveva il primo giorno che l'ho visto. Sinceramente, non mi so dare una risposta a questa domanda. L'unica cosa di cui sono sicura è che non so cosa significhi più normalità. Ho sempre la paura che qualche creatura mi attacchi per farmi del male. Odio Jackson solo per avermi aperto a questo mondo da cui, in piccola parte, sono affascinata, per quanto pericoloso possa essere. Però, non posso dire niente a Delice di tutto ciò. Anzi, non voglio. Sento che tutto questo debba rimanere un segreto, mio e di Jackson. Ma, a quanto pare, non è un nostro segreto, perché non c'è un noi in tutto questo. - Sharon? -
- Sto bene. Sono stanca, non ho dormito molto. -
- Lo so bene. - Afferma con un ghigno malizioso.
- Smettila. - È difficile nasconderle tutto questo, però. È l'unica che c'è quando ho bisogno, che mi fa sorridere e che per prima non mi mente. Mi sento male. Ho un senso di nausea proprio sulla bocca dello stomaco, forse causato dal fatto che le sto nascondendo tutto questo. Non le ho mai mentito. Però, ora ho capito da quale lato voglio seguire la corda: quello di Delice. Per quanto non mi senta più normale, non voglio neanche essere un mostro. Non voglio far del male alla mia migliore amica con dei segreti inutili che ci potrebbero allontanare, non voglio litigare con mia zia per vecchie storie e non voglio deludere mia madre. Sono le uniche persone a cui tengo veramente e non metterò mai nessuno davanti a loro.
- Sharon. - Delice, ancora una volta, interrompe i miei pensieri.
- Ti ho detto che sto bene, Delice. -
- Sta venendo qua. - Prima che possa chiederle chi, mi accorgo di Jackson che sta camminando verso di noi. Delice si morde il labbro e cerca di aggiustarsi i capelli per evitare brutte figure. Alzo gli occhi al cielo, annoiata dai suoi gesti. Quando Jackson arriva davanti a noi, la bionda non perde tempo per studiarlo con lo sguardo nei minimi dettagli.
- Dobbiamo parlare. - Si affretta a dire lui, rivolgendosi a me. Lo guardo torva, ma lui mi afferra il polso e mi costringe ad alzare. - Te la rubo un secondo. - Sorride in modo smagliante a Delice. Lei rimane incantata, e non dà neanche peso al fatto che Jackson non l'abbia calcolata di striscio. Rimane lì a guardare il suo sorriso e ad annuire. Lui mi fa scendere qualche gradino più in basso per parlarmi liberamente.
- Che cosa vuoi? Ti ho esplicitamente detto che non voglio avere niente a che fare con i mostri e tutte le cose di cui tu ti occupi. - Dico freddamente, liberandomi dalla sua stretta presa.
- Non hai detto niente alla tua amica, vero? - Chiede preoccupato che possa aver svelato tutto. Scuoto la testa.
- Non ti preoccupare. Non ti prenderebbe comunque per pazzo. - Borbotto tra me e me. Se anche le avessi raccontato tutto, sarebbe bastato un sorrisino da parte di Jackson e Delice sarebbe ritornata la solita, dimenticandosi di ciò che le è stato detto prima.
- Cosa? - Aggrotta la fronte, confuso dalle mie parole.
- No! - Esclamo per rassicurarlo, alzando un po' il tono di voce per l'irritazione e attirando ulteriormente l'attenzione di Delice. Quest'ultima sta cercando in tutti i modi di sentire anche una parola di quello che stiamo dicendo, senza successo. Mi mordo il labbro inferiore per calmarmi e non perdere le staffe. Sono furiosa con lui e anche il semplice fatto di starci parlando m’infastidisce. Lui m’infastidisce. Sono arrabbiata perché mi ha incasinato ancora di più la vita in soli due giorni e, per quanto ci provi, lui rimane un puntino fermo nella mia mente.
- Diamine, stai calma. Anche se non vuoi avere nulla a che fare con quello, questo non significa che non possiamo essere amici. Volevo solo chiederti se ti andasse di andare al cinema insieme. - Dice freddamente di nuovo, mettendosi sulla difensiva.
- Perché? - Chiedo confusa dalla sua richiesta.
- Perché è uscito un film e vorrei vederlo. Ci sei stata almeno una volta al cinema, sì? - Incurva le labbra in un sorriso divertito. E odio anche, soprattutto, l'effetto che mi fa. Mi è bastato quel piccolo sorriso per far scomparire tutta la rabbia che provavo. È bravo con gli elementi, devo ammetterlo, ma questa cosa che fa è magia vera e propria. Rimango a fissarlo, non sapendo cosa dirgli, sorpresa di star avendo una normale conversazione con lui per la prima volta.
- Ci sono stata. - Rispondo dopo, addolcendo la voce. Anche lui sembra essersi rilassato. Sento già il calore sulle mie guance. Spero solo che non sia troppo evidente: sarebbe decisamente imbarazzante.
- Allora vieni? - Domanda mentre estrae parzialmente due biglietti dalla tasca dei pantaloni per mostrarmeli, aspettando una risposta.
- Va bene. - Accetto alla fine. Tenta di nascondere un sorriso e abbassa lo sguardo sui biglietti mentre li ripone nella tasca.
- Ci vediamo più tardi allora. Passo per le otto. - Mi sorride e si allontana, camminando chissà dove per il quartiere. Lo saluto con la mano e mi vado a risedere vicino a Delice, in silenzio. Non la guardo, sapendo la faccia che potrebbe avere in questo momento: ulteriore stupore o invidia totale. Non voglio neanche che lei veda la mia, dato che ho le guance in fiamme e  so che mi prenderebbe in giro per ore.
- Mi sa che vado ora. - Dice senza espressione sul volto. Alzo lo sguardo verso di lei.
- Perché? - Chiedo confusa. - Sei appena arrivata. -
- Ti devi preparare. Ci sentiamo domani. - Detto questo, scende i gradini, entra in macchina e se ne va. Aggrotto la fronte, perplessa. Non può essere sul serio gelosa di un'uscita tra amici. Ciononostante, sorrido spontaneamente al pensiero di andare al cinema con lui. Spero di non rovinare la mia prima serata con un ragazzo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Mi guardo allo specchio e aggrotto la fronte. Non ho nulla da mettere e i miei vestiti fanno tutti schifo. Mi siedo sul letto, esausta e rassegnata. Jackson sarà qui a momenti, e io non sono ancora pronta. Dovrei essere nervosa, essendo il mio primo appuntamento, invece sono abbastanza tranquilla, tralasciando il fatto che il mio armadio faccia pena. Non mi sono mai preoccupata di avere qualcosa di carino: non c'è mai stata la possibilità di uscire con un ragazzo. Chi inviterebbe fuori la pazza che vede mostri ovunque? Non che li abbia sempre visti. Beh, una volta, alle elementari, credevo che ci fosse un fantasma nei bagni. Eppure, quella bambina col vestitino rosso, i corti capelli castani e gli occhi del tutto neri non posso essermela solo immaginata. Forse avrei dovuto tacere; a quest'ora non avrei la nomea di pazza a causa di quell'episodio. Non che sia stato l'unico alla fine, ma ciò che mi ha sempre spinto a ribadire il contrario riguardo queste cose che vedo è il fatto che la gente sembra chiudere gli occhi apposta quando accade qualcosa del genere. Mi dà fastidio che, anche se ho ragione, cerchino sempre di farmi passare nel torto. Non vedo perché dovrei inventarmi queste creature per puro divertimento. Però, alla fine, lascio sempre stare. È inutile rischiare il manicomio a causa loro. Ormai, sono cosciente che queste cose esistono, in fondo l'ho sempre saputo e in questi giorni ne ho avuto la conferma, solamente voglio rimanere alla larga.
Mia madre entra in camera, spalancando la porta con un sorriso pieno di gioia, emozionata. Appena nota le condizioni in cui mi trovo, cioè ancora in pantaloncini e con una vecchia canotta, anche con una macchia di cioccolato sopra, il suo sorriso si spegne.
- Che cosa stai facendo? - Chiede incredula del fatto che non sia ancora pronta. Lo sarei anch’io, ma ho già superato quella fase: adesso sto entrando in quella della disperazione. Già è stata una fatica dire a mia madre di quest’uscita, sapendo quanto sia protettiva nei miei confronti, e ora mi tocca combattere con lei per trovare qualcosa di decente da mettere.
- Mi deprimo, non vedi? - Le rispondo e mi stendo a pancia in su, acchiappando un cuscino e buttandomelo in faccia. Mia madre non perde tempo e va subito a frugare nell'armadio. Dopo vari minuti di totale immersione, scova una canotta bianca, molto più pulita di quella che indosso, e me la lancia. Subito dopo segue una camicia a quadri celesti e bianchi e un paio di jeans chiari.
- Fattelo dire... il tuo armadio fa letteralmente schifo. - Commenta con un'espressione di disgusto sul volto. Alzo gli occhi al cielo mentre prendo i vestiti che mi ha tirato. Questo lo so perfettamente: non c'è bisogno che me lo ripeta.
- Beh, mi potresti dare qualcosa di tuo. - Suggerisco mentre m’inizio a cambiare, lasciando gli indumenti vecchi sul letto.
- Ripeto: fa schifo. - Dice come se non mi avesse sentito. Rido alla sua risposta mentre lei esce dalla mia camera per lasciarmi preparare. Non mi darà mai qualcosa di suo; devo prima passare sul suo cadavere, come dice lei. Una volta che mi sono vestita, mi affaccio alla finestra per assicurarmi che Jackson non sia già sotto casa mia. Non sono ancora pronta, aspetterebbe inutilmente e non mi va di farlo annoiare. In quel momento, però, il biondo esce di casa. Per l'ennesima volta anche Harry lo segue. Mi chiedo che cosa facciano tutto il giorno quei due; non possono sempre cacciare mostri. E, soprattutto, come facciano a essere amici. Harry è un mostro, un dampiro, e Jackson li uccide. Perché non fa lo stesso con lui? Sicuramente deve essere successo qualcosa tra di loro.
Jackson si dirige verso casa mia; Harry, invece, mette in moto la sua Range Rover nera e sgomma via nella direzione opposta. Io corro in bagno e mi pettino, facendomi una treccia che cade sul lato destro del collo, per poi mettermi le scarpe. Questa volta seguo anch'io la moda di Jackson, optando per delle Converse di jeans. Mi affaccio di nuovo. Lui è appoggiato al muretto e gioca con il cellulare. Quando perde per l'ennesima volta, alza lo sguardo verso la mia finestra. Mi saluta con un cenno della testa. Sorrido e scendo giù, in salotto.
- Per mezzanotte devi già essere qui. - Mi avverte mia madre, sulla poltrona, non alzando lo sguardo dal suo libro. Sta leggendo l'ennesimo romanzo di Nicholas Sparks; è innamorata di quell'autore. Annuisco con la testa mentre apro la porta. Lei mi blocca, richiamando la mia attenzione. - Come si chiama il ragazzo, Jacob? Mi sono dimenticata. - Chiede e accenna un sorriso, guardandomi.
- Jackson. -
- Ah, giusto, Jackson...? -
- Mitchell. - Annuisce appena riceve la risposta, riprendendo a leggere il suo libro. Io controllo l'ora sul cellulare, cosciente di averlo fatto aspettare già abbastanza, ed esco.
- Cosa? - Chiede confusa, forse turbata, dopo aver elaborato la risposta. Io, però, mi sono già chiusa la porta alle spalle. Jackson indossa una semplice maglia bianca e un giubbino di pelle nero. Un jeans più chiaro e Converse bianche. Se non altro, ha cambiato il colore delle scarpe questa volta. Appena sente la porta chiudersi, ripone il telefono nella tasca dei pantaloni e mi sorride.
- Muoviamoci. Il film inizierà a breve. -
***
Jackson decide di andarci a sedere negli ultimi posti, cosa che mi va benissimo. Li adoro: in questo modo non posso essere osservata, cosa che mi mette a disagio, soprattutto se dietro di me si accomoda gente che passa la maggior parte del tempo a dar fastidio agli altri. Se ha scelto quelli in fondo, però, forse non vuole farsi vedere in giro con me. Scaccio quei pensieri: non devo auto rovinarmi la serata. Se mi ha chiesto di uscire è perché vuole uscire con me, devo smetterla di pensare sempre che le persone si vergognino di avermi accanto.
Una volta che ci siamo sistemati Jackson si leva la giacca e la poggia sullo schienale della poltrona. Entrambi ci siamo presi dei pop corn, con l'unica differenza che la mia porzione è quella piccola, la sua quella grande. La sala non è molto piena questa sera. I bisbigli di una coppia di anziani accanto a noi riempiono il silenzio imbarazzante che si è creato tra me e lui. Un gruppetto di ragazzi in prima fila parla a un tono di voce abbastanza alto, permettendo a tutti di ascoltare i loro discorsi su Megan Fox e il suo ultimo film; sul lato sinistro della sala ci sono due ragazze, entrambe con i cellulari in mano, su qualche social. Jackson, accanto a me, sbuffa non appena il suono di un messaggio fuoriesce dalla sua tasca, mutando la sua espressione rilassata in una scocciata e stanca.
- Ci sono problemi? - Chiedo preoccupata. Non voglio che s’infastidisca ulteriormente. Già non è facile trovare un argomento di cui parlare, uno normale, poi lui neanche si sta sforzando più di tanto per fare conversazione.
- No, è solo Harry. - Dice tranquillamente mentre ripone il cellulare in tasca. - Sta ancora cercando quel Poukai. - Un sorriso divertito affiora sul suo volto.
- E cosa è, esattamente? - Chiedo giusto per dire qualcosa, dato che non mi interessa minimamente di questo Pacai, o come si chiama.
- Un uccello che mangia la gente. - Certo, ovvio, nulla di più normale. Mi limito ad annuire, poi inizio a mangiare i pop corn. I bisbigli di quei due vecchietti, insieme ai commenti di quel gruppo di ragazzi, si placano non appena le luci si spengono e i trailer vengono proiettati sullo schermo. Il mio imbarazzo cresce ancora di più, non so perché. Avrei voglia di uscire e prendere un po' d'aria fresca. - Sharon. - Jackson richiama la mia attenzione. Lo guardo imbambolata, come se mi fossi appena svegliata dopo dieci ore di sonno. - Come ti senti? - Imbarazzata, a disagio, vorrei scomparire perché mi fa un effetto che non riesco a controllare e odio non avere il controllo sul mio corpo, sui miei sentimenti. - Intendo, dopo tutto quello che hai passato. Altri avrebbero dato di matto. -
- Lo dici solo perché non mi vedi quando sono sola. Sembro una pazza in un manicomio. - Sussurro l'ultima frase più a me stessa che a lui. Non faccio sul serio la pazza, però vivere nella mia testa sarebbe impossibile in questi giorni. Le immagini di quelle Ek Ek, o di quell'Adaro a scuola, sono ancora vive nella mia mente e continuano a perseguitarmi ogni volta che chiudo gli occhi, sebbene esternamente possa dare l'impressione di star bene.
- Cosa? - Mi schiarisco la voce dopo la sua domanda.
- Sto bene. Tralasciando i frequenti incubi. - Gli sorrido per rassicurarlo. Lui ricambia subito. Mi chiedo se anche lui faccia sogni di questo genere. Forse no, dato che è una vita che fa queste cose, da quanto ho capito. Vorrei chiederglielo, ma sembrerebbe stupido domandare se faccia degli incubi. Chi non li fa? Non come i miei, magari.
- È normale, stai tranquilla. - E adesso ho seriamente finito gli argomenti. In fin dei conti, io e lui non abbiamo mai parlato normalmente. Non c'è mai stato un "piacere, Jackson Mitchell" o un "piacere, Sharon Steel". Le nostre conversazioni sono state piene di urla e di discorsi impensabili. Solo mostri, mostri e mostri. E suicidi di massa. È quasi impossibile avere una normale conversazione con lui; non avrebbe senso. Sembra strano pensarlo, ma è così. Non so niente di lui. Non so se ha fratelli, non so cosa ne pensi della cittadina, non so niente. Il film sta iniziando. Respiro profondamente e lo inizio a guardare, cercando di smetterla con questi pensieri.
Questo che ha scelto è abbastanza noioso. Per poco non mi addormentavo. Ci sono sparatorie ogni due secondi ed esplosioni continue, e continua così da ben trenta minuti. Adoro questo genere ma ogni tanto diventa stancante. Mi passo una mano sulla fronte, asciugandomela, per poi sventolarmi un poco. Si muore di caldo.
- Esco un attimo. - Gli sussurro all'orecchio. Annuisce continuando a guardare il film e a mangiare pop corn, non prestandomi sul serio attenzione. Non so come, ma li ha quasi finiti. Poggio i miei sulla poltrona ed esco dalla sala. Faccio dei respiri profondi e vado all'aperto. Subito un vento leggero mi si scaglia contro, regalandomi un senso di sollievo; già mi sento meglio. È buio e alcuni lampioni illuminano la strada deserta, si riescono a vedere le stelle e i marciapiedi, abbastanza lontani dal cinema, sono pieni di persone che camminano scambiandosi sguardi e risate. Una bella serata, insomma. Mi siedo sui gradini, davanti alla porta d'entrata, e poggio la testa tra le mie mani. Sento ancora i rimbombi di quegli spari nella mente, sebbene ora sia circondata da un concerto di grilli.
- Stai bene? - Chiede una voce maschile che mi fa alzare lo sguardo, trovandomi un ragazzo accanto che si è fermato dal salire le scale. Non è molto alto, ma è abbastanza robusto. Un cappello nero, simile a quello di un cowboy ma senza il laccio che va sotto il mento o quella cinturina sopra, nasconde parte dei lunghi capelli neri che gli arrivano sulle spalle. Indossa una camicia a quadri verde, sbottonata in modo da scoprirgli un po' di petto e che gli va a evidenziare le spalle larghe, e dei pantaloni neri, abbastanza aderenti.
- Sì, tutto a posto. - Dico sorridendo per tranquillizzarlo, nonostante io non lo sia affatto. Annuisce per poi fermarsi a osservarmi. Un leggero sorriso, quasi invisibile, è presente sul suo volto. - Davvero. - Ripeto con sguardo deciso dato che sembra non avere nessuna intenzione di andarsene. Non sono brava, però, a intimidire le persone. Non capisco perché sia ancora qui: non ha un film da vedere o qualcuno che lo stia aspettando?
- Mi sembravi turbata. Tutto qua. - Si stringe nelle spalle in modo ovvio, sorridendomi. Gli getto uno sguardo interrogativo. Solo ora mi rendo conto di non averlo mai visto in tutta la mia vita. Il quartiere non è grandissimo: ci conosciamo tutti alla fine, ma la sua faccia davvero è un punto interrogativo.
- Sto bene, grazie. - Affermo per l'ennesima volta mentre cerco di mostrargli un sorriso vero. Rimane lì a guardarmi, aspettandosi qualcosa da me. Senza dargli importanza, chiudo gli occhi poggiando di nuovo la testa sui palmi delle mie mani. Magari, non prestandogli attenzione, se ne andrà. Mi concentro su quel tipo, sul suo cuore soprattutto, ma non riesco a sentirne i battiti. Sembra una scatola vuota, un involucro di carne. Solo una volta mi è successo di non riuscire a percepire qualcuno, Jackson, quando arrivò a scuola. Due sono le opzioni: è un Elementale o un mostro, e questa cosa non mi piace. Rimpiango che Jackson non mi abbia spiegato come funzioni questo fatto: perché non posso sentire i battiti dei mostri o degli Elementali? Solo con quell'Ek Ek sono riuscita a sentire il suo cuore, mentre con l'Adaro no, o con quel vampiro. Ma la donna con le ali era mezza umana, questo forse spiega come mai sono riuscita con lei.
Lancio un'altra occhiata a quel tipo. Ha qualcosa di sinistro nello sguardo. Il modo in cui mi guarda, in particolare, è fin troppo inquietante. Sembra che abbia trovato un ricercato e che stia segretamente esultando per la ricompensa che riceverà. Prima di scoprire il vero motivo per cui rimane qui, mi alzo tranquillamente per ritornare dentro. Egli mi afferra il polso, stringendomelo e tirandomi verso di lui. Mi tappa immediatamente la bocca con una mano per impedire che urli e mi strattona, trascinandomi nel vicolo più vicino. Nonostante mi divincoli, la sua presa è più forte. Cerco di urlare, ma le mie grida, ovviamente, sono soffocate dalla sua mano. Mi sbatte contro il muro, non appena scompariamo nel vicolo, e mi blocca con un braccio sul collo. Il mio respiro sta diventando irregolare a causa della poca aria che ricevo. Cerco con entrambe le mani di allontanare il suo braccio, ma non riesco per nulla a muoverlo.
- Ciao Sharon, ti cercavo da molto, molto tempo. - Dice con un ghigno. Rallenta un po' la presa, permettendomi di respirare meglio senza che scappi via. Sono la sua preda. A quel gesto i miei polmoni si riempiono nuovamente di aria e mi affretto a respirarne il più possibile.
- Mi fa piacere. - Emetto un bisbiglio strozzato. – Che cosa vuoi? -
- Parlarti, ma non ci riesco se continui a gridare, tesoro. - Sorride dolcemente, guardandomi negli occhi. Sento il suo respiro caldo sul volto che mi dà un fastidio incredibile.
- Potevi farlo lì. - Cerco di strattonarmi nuovamente, ma spinge di più il braccio contro il mio collo. Tossisco nervosamente in cerca d'aria mentre cerco di allentare la presa. - Ma mi hai trascinato qua, invece. Non vuoi soltanto parlarmi. - Faccio fatica a far uscire quelle parole dalla mia bocca. Sembra che passino attraverso la mia gola come spine, tagliandola.
- Non voglio farti del male. -
- Io sì. - Jackson, spuntato da chissà dove, afferra quel ragazzo dalla camicia e, con tutta la forza che ha, lo butta contro il muro opposto a quello dove sono appoggiata. Il mio collo è libero. Inspiro profondamente, massaggiandomelo, mentre cerco di riacquistare il respiro. Il ragazzo rimane a terra, immobile. Lo sento gemere e lamentarsi per la botta. Jackson non mi degna di uno sguardo e avanza furioso verso di lui. Quando il ragazzo gira il viso verso il biondo, quest'ultimo lo guarda in volto e si blocca impietrito. - Luke? - Domanda sorpreso mentre il moro si pulisce del sangue dalle mani.
- Sorpresa. - Apre una mano verso Jackson e dal palmo esce una lingua infuocata. Il biondo retrocede appena in tempo per evitare che la fiamma lo bruci, ma Luke la estingue subito non appena si mette in piedi. Jackson si guarda in giro nel frattempo, cercando qualcosa che non possiede, evidentemente. Il suo sguardo è leggermente allarmato e l'altro ne approfitta subito. Infatti avanza verso di lui e appena lancia di nuovo quella fiamma contro il biondo, quest'ultimo retrocede per evitare di scottarsi e allunga la mano verso un tubo, stringendola piano in un pugno. Questo comincia a tremare, producendo anche un rumore metallico quando inizia a sbattere ripetutamente contro il muro, finché non esplode, facendo in modo che l'acqua si abbatta su Luke e sul fuoco, estinguendolo nuovamente. Per la pressione elevata, questo cade con il sedere a terra e libera un gemito di dolore e frustrazione per l'azione improvvisa. Neanche io mi sarei aspettata questo gesto da Jackson; pensavo che gli buttasse qualche busta della spazzatura addosso, sinceramente.
- Non mi ricordavo fossi tanto debole. - Afferma lo Gnomo con un sorrisetto divertito sulle labbra.
- Sai benissimo che il più debole tra noi due sei tu. - Ringhia l'altro. Si gira di scatto e con un semplice gesto della mano, come a spostare l'aria nella direzione dell'inglese, scaraventa Jackson contro il muro, facendolo sbattere di faccia. Non ne sono sicura, ma credo che abbia letteralmente spostato l'aria. Rimango immobile a guardare la scena, paralizzata dalla paura. Sebbene abbia già visto Jackson combattere, questa volta è diverso. Tutto è più orribile. È disturbante vederlo combattere contro qualcuno della sua stessa "specie", se così si può dire. Non riesco a darmi una risposta al perché di questo combattimento. Che senso ha attaccarlo? Magari non si sopportano, va bene, ma non può sul serio lanciargli una fiamma contro. Anch’io odio June, ma non per questo le tiro uno zaino addosso, anche se vorrei tanto.
Corro verso Jackson che sta cercando di alzarsi facendo leva sui gomiti, ma non ce la fa. Ha un taglio sul labbro e un altro sul lato sinistro della fronte dal quale scorre un po' di sangue. È un miracolo che non sia svenuto per la forte botta. Chiamo aiuto, ma realizzo che è una cosa stupida da fare. Nessuno ci aiuterebbe e causerei solo ulteriori danni. Luke nel frattempo si è alzato e si dirige verso di noi, sebbene molto lentamente, del tutto bagnato. Preme una mano sulla coscia che sicuramente gli sta dolendo, facendo scorrere più velocemente qualche gocciolina giù fino al tallone.
- Stai indietro! - Gli urlo senza risultati. Caccia una risata divertita mentre continua a camminare. - Ti ho detto stai indietro. - Lo avverto nuovamente, stringendo i denti.
- Se no che fai? Chiami papino? - Scoppia in una grossa risata. In effetti, se Jackson non l’ha intimorito per nulla, come potrei riuscirci io? Mi sento comunque ribollire nelle viscere e percepisco la mia pelle accaldarsi. Se non fossi uscita, non sarebbe successo niente. Avremmo potuto passare una bella serata, senza stranezze per una volta. Jackson starebbe ancora mangiando i suoi pop corn e io avrei ancora un'emicrania per tutte quelle sparatorie. Sento la pelle bruciarmi dalla rabbia e dalla frustrazione per essere così impotente e non poterlo aiutare. Lui si sta divertendo, io no. Raccolgo tutto il fiato che ho nei polmoni e per un'ultima volta urlo contro di lui.
- NON TI AVVICINARE! - Una barriera di fuoco scoppia intorno a me e Jackson, costringendo Luke ad arretrare. Il suo sguardo è pieno di terrore. Vuole parlare, ma nessun suono esce dalla sua bocca; sembra un pesce fuor d'acqua. I suoi occhi corrono da destra a sinistra, da me a Jackson. Non sa se guardare me o lui.
- Ma tu... non è possibile! Non puoi... - Si riferisce a Jackson, guardando ancora il tutto sconvolto. Cerca di fare una frase completa, ma non ci riesce. Lo guardo ancora furiosa. Il mio respiro è di nuovo irregolare. Va a ritmo con la mia rabbia che sta solo aumentando.
- Lei sì. - Ansima Jackson con un filo di voce. Con fatica, si rimette in piedi, godendosi l'espressione di terrore sulla faccia di Luke. Sento qualcosa colarmi dal naso: sangue. Mi ripulisco subito, sporcandomi le dita e la canotta bianca, con cui levo via il rosso dalla mia pelle. Appena la mia rabbia si placa, dopo diversi respiri profondi, il fuoco si estingue pian piano permettendo a Jackson di raggiungere Luke. Quest'ultimo indietreggia, continuando a guardarmi orripilato. Abbasso lo sguardo, sentendomi un mostro, ma perché? Non ho fatto nulla. Non posso davvero aver acceso questo fuoco. Sarei bruciata con questo, altrimenti. Luke gli lancia un'altra fiamma che Jackson spegne subito, puntandogli contro quel poco di acqua che ancora esce dal tubo.
- Te ne pentirai. Avremmo potuto salvarla. - Ringhia Luke, avvicinandosi a Jackson. Ora la rabbia ha occupato il posto della paura sul volto di quello sconosciuto.
- Tu e chi? Il tuo gruppetto? - Il biondo fa un verso di scherno. - Anzi, mandagli questo messaggio da parte mia. - Dice poi senza espressione sul volto. Luke è confuso dalla sua affermazione. Non fa in tempo a chiedergli di quale messaggio stia parlando che Jackson gli molla un pugno sul naso, dandogli una risposta più che eloquente e chiara. Luke indietreggia, stringendo tra le dita il naso dal quale inizia a gocciolare sangue.
- Lei sarà la tua rovina. Ricordatelo. - Esclama furibondo, con voce nasale, per poi scappare via. Mi rimetto in piedi e mi premo una mano su una tempia. Ho un'emicrania pazzesca. Non capisco neanche il senso delle loro parole. Forse quei due cacciavano insieme e Jackson ha deciso di rinunciare, e forse quel Luke mi vede come una minaccia ora, la sua rovina. Non ne ho idea, ma era fin troppo arrabbiato, non so bene se con me o con lo Gnomo.
L'inglese rimane lì fermo a fissarlo mentre il ragazzo con il cappello sta diventando man mano un'ombra. Poi, sparisce completamente nell'oscurità. Mi avvicino al biondo.
- Grazie. - Gli sussurro. Annuisce, ma ha la mascella serrata e un'espressione cupa in volto. Espira rumorosamente, buttando fuori tutta la rabbia che non è riuscito a liberare prima.
- Andiamocene. - Dice freddamente, cominciando a camminare.
- Mi dispiace. - Sussurro mentre lo seguo. Mi dispiace per essere uscita, per avergli procurato un labbro dolorante, mi dispiace perché non sono in grado di proteggermi da sola, mi dispiace perché ho rovinato tutto, di nuovo. - Chi era quello? - Chiedo cercando di non piangere per il casino che ho combinato e per il dolore forte alla testa.
- Un Cacciatore Oscuro. -

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Sulla strada del ritorno nessuno dei due parla. Jackson continua a fissare un punto indefinito davanti a sé, io continuo a camminare a testa bassa. Mi vergogno di me stessa, anche se non riesco a capire il perché. L'unica vera emozione che riesco a spiegarmi è la paura che mi blocca lo stomaco, come se ci fosse qualcosa di pesante sopra. Ho paura che, dopo stasera, Jackson non mi parli più. Ho paura che possa davvero credere che io sia pazza, pazza per quello che sono: una ragazzina stupida che pensa di far del bene, quando invece non è così. Tutti quelli che mi stanno intorno si fanno male. Jackson si è avvicinato alla ragazza strana e le uniche cose che ha ricevuto sono state un graffio sulla gamba, un volo gratis contro una macchina e la possibilità di diventare cenere a causa di un "Cacciatore Oscuro" che io stessa ho attirato, anche se non so come. Ho paura che possa andare via, e di non abituarmi mai a quel senso di vuoto che lascerebbe. Cerco di scacciare quei pensieri dalla mia testa per non crollare e piangere davanti a lui. Sono dei pensieri senza senso, causati da quello che è successo poco fa, ma anche veri in fondo. Ho rovinato tutto, ho distrutto la nostra uscita da sola.
- Bella serata, vero? - Chiedo, cercando di sdrammatizzare. Lui mi fulmina con lo sguardo, per poi riportarlo di nuovo avanti. Siamo quasi sotto casa, la intravedo in lontananza. La strada è deserta e la luce pallida dei lampioni cerca di illuminarla. La Luna è alta nel cielo, privo di nuvole, e si vedono le stelle. Il frinire dei grilli adesso è più acuto. Jackson è ancora rigido e non sembra aver intenzione di addolcirsi. Mi sento come una bambina che ha rotto il vaso preferito della mamma. Tutto questo è straziante. Non so cosa fare per provare a tirargli fuori anche una piccola parola. Mi sento a disagio: potrei anche andarmene da un momento all'altro, almeno sarebbe contento. - Senti Jackson... -
- Ascolta tu, per una volta nella tua vita. - Dice, fermandosi di botto e guardandomi negli occhi dopo quella che sembrava un'eternità. Si avvicina così tanto che a dividerci sono solo pochi centimetri. Deglutisco a vuoto e innervosita, convinta che da un momento all'altro potrebbe anche tirarmi un pugno. So che non lo farebbe, ma me lo merito. - Tu puoi non credere a tutto quello che ti dico, puoi rimanere con le tue idee e cambiare la realtà a tuo piacimento, ma questa è la quarta volta che ti salvo il culo, e non ci sarò sempre a salvartelo. Soprattutto da tipi come lui. Quindi due sono le opzioni, Sharon Steel: o ti svegli dal tuo sogno o ti sveglio io. - Istintivamente gli mollo uno schiaffo così forte da fargli girare il volto verso destra. Non so perché l'abbia fatto, ma non mi è piaciuto per nulla il modo in cui l'ha detto. Ha fatto sembrare tutto una minaccia, o lo è sul serio, o semplicemente non volevo che mi sbattesse in faccia il fatto che ha ragione. Sto facendo di tutto per allontanare quello che non riesco a comprendere.
A quel gesto, anche i grilli sembrano aver smesso di frinire. Sento ancora il suono dello schiaffo riecheggiare in tutto quel silenzio. La mia mano trema, la sua guancia pallida sta iniziando a colorarsi, evidenziando soprattutto le mie piccole dita. Indietreggio, spaventata dalla sua reazione. Lui, però, rimane fermo lì. Quando gira di nuovo il volto, mi guarda stupito. Mi lecco le labbra secche e fisso la strada senza entusiasmo, giusto per osservare qualcos'altro. Non voglio incontrare i suoi occhi.
- Scusami. - Sussurro dispiaciuta. Lui si siede sul muretto della casa che precede la sua e mi osserva. Mi mordo il labbro, indecisa se raggiungerlo o meno.
- Se vuoi andare, vattene. - Dice con tono stranamente pacato, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Forse anche lui si è reso conto che non avrebbe dovuto essere così minaccioso. - Ma non potrai scappare per sempre da quello che sei. -
- E cosa sono, allora? - Sbotto esausta. - Un Elementale? Ti ho già detto che non lo sono. Dimmelo, perché davvero non lo so. - Anche lui abbassa lo sguardo sui suoi piedi. Sta sicuramente cercando qualche altro personaggio a cui abbinarmi, o forse si sta trattenendo dallo sbattermi la testa contro il muretto. Al suo posto, farei lo stesso, ma davvero non riesco ad accettare questa cosa.
- Secondo te, chi ha fatto quel semicerchio di fuoco? - Domanda dopo un po' mentre rialza lo sguardo su di me e incrocio le braccia al petto.
- Tu, naturalmente! Chi altro può essere... -
- Io non posso! - Esplode, interrompendomi. - Non posso usare il fuoco, tantomeno l'aria. - Confessa con sguardo sincero, abbassando anche il tono di voce. Mrs. Moore, seppur anziana, ha un udito perfetto e passa le serate vicino alla finestra in attesa di qualche gossip eccitante da raccontare poi alle sue amiche, nonostante nel mio quartiere non succeda mai nulla, non importa quanto inquietante tenda a diventare di notte. Meglio evitare che racconti dei nostri discorsi a chiunque.
- Perché? - Mi avvicino lentamente, ancora un po' intimorita, e mi siedo accanto a lui.
- Non posso e basta. Non ne voglio parlare. Voglio parlare di te. - Mi guarda. Mi perdo un attimo nei suoi occhi, poi sono costretta a distogliere lo sguardo. Osservo il cielo dove la costellazione del Cigno splende. - Ti sei sentita accaldata, vero? - Quando? Quando ero troppo vicino a te al cinema? - Quando urlavi contro Luke? -
- Sì. - Ammetto mentre ritorno a guardarlo.
- Ho visto il sangue colarti dal naso. - Annuisce, sorridendo. Il suo microscopico sorriso sparisce immediatamente, seguito da un piccolo gemito di dolore. Con il pollice si tocca il taglio sul labbro inferiore. Gli afferro il mento per guardare meglio la ferita. Il taglio non è profondo, ma sembra dargli fastidio lo stesso. Mi guarda negli occhi. Adesso sta diventando tutto imbarazzante. Allontano la mia mano dal suo volto e lui si schiarisce la voce. - Anche a me usciva spesso quando ero piccolo, non è nulla di grave. - Annuisco alle sue parole, non sapendo cos'altro dirgli. - Perché continui a negare ciò che sei? -
- Perché mi fa paura, va bene?! - Sbotto dopo essermi passata le mani sul volto, esasperata dalla sua insistenza. - Per tutta la mia vita mi sono sentita strana, diversa... ma non pensavo così diversa. -
- Chi non ha paura? - Chiede guardando la strada davanti a lui.
- Beh, tu. - Sorride e scuote la testa.
- Sono solamente bravo a controllarla. C'è differenza. - Mi guarda di nuovo. Inspiro ed espiro rumorosamente mentre lui ritorna a osservare la strada.
- Nonostante abbia provato paura... mi sono sentita anche viva per la prima volta. - Ammetto dopo un po'. Non voglio creare del silenzio che sarebbe difficile riempire dopo. Non voglio neanche mentirgli riguardo quello che sento: sono davvero spaventata di quello che potrebbe succedere dopo. Anche perché, se è vero ciò che dice, che sono come lui, dovrebbe sapere come sto. Lui ci è già passato. Ho paura, sì, ma non posso negare che tutto questo mi attrae, anche se sono ancora convinta di non essere ciò che lui dice. È davvero inconcepibile. Ma, se questo è l'unico modo per creare qualcosa con lui, sono pronta a rischiare. Sono stanca di rimanere chiusa in camera. Sono stanca di avere paura. Di cosa, ancora non so. Magari un giorno si renderà conto dell'errore che ha fatto, credendo che possa essere davvero come lui, ma nel frattempo voglio vivere questo errore. - Voglio provarci. -
- Provare cosa? - Chiede confuso, riportando lo sguardo su di me e mostrandomi una scintilla di speranza nei suoi occhi.
- A essere chi sono. - Mi sorride vittoriosamente. Gli sorrido anch’io, guardandolo negli occhi. Adesso il silenzio è piombato di nuovo tra noi due. Il rombo del motore di una macchina lontana riempie un po' questo suono nullo, ma non abbastanza da mettermi di nuovo a mio agio. Inconsciamente, il mio viso si sta avvicinando al suo. Il suo sguardo, invece, è smarrito a causa di quello che sta per succedere. Arrossisco dall'imbarazzo, ma non mi allontano. Mi piace tutto questo. Forse, mi piace lui. Quando pochi centimetri ci separano, il suono di un clacson ci fa sussultare, della stessa macchina che ho cercato di evitare per non tirarmi indietro. Una Range Rover nera è ferma davanti a noi.
- Hey! - Esclama Jackson quasi sollevato non appena riconosce la macchina dell'amico. Si alza e si avvicina a questa. Anch'io faccio lo stesso, cercando inutilmente di far sparire il rossore dalle mie guance. Le sento andare a fuoco.
- Ho interrotto qualcosa? - Chiede quest'ultimo con un sorriso malizioso, ma allo stesso tempo divertito. Io e Jackson non perdiamo tempo a negare, scuotendo la testa. Arrossisco ancora di più. Harry non poteva avere un tempismo migliore. Ora sicuramente Jackson penserà che mi piaccia o qualcosa del genere, dato che io mi stavo praticamente buttando su di lui. Il dampiro continua a tenere lo sguardo su di noi, poi apre l'altra portiera anteriore e fa segno a Jackson di entrare.
- Dove dobbiamo andare? - Chiede il biondo prima di salire in macchina in tutta fretta. Forse avrei dovuto evitare il mio gesto. È evidente che Jackson sia in imbarazzo.
- A quanto pare dei folletti si sono dati alla pazza gioia stanotte. Muoviti Mitchell. Non voglio passare tutta la notte sveglio. - Poggia un braccio fuori dal finestrino, continuando a tenere l'altra mano sul volante. - Come ti sei fatto quei tagli? - Chiede dopo, accorgendosi della faccia dell'inglese. Le ferite non sanguinano più, ma il labbro è abbastanza gonfio e di un colore violaceo; sulla fronte si sta formando un bel livido.
- Luke. -
- È vivo? - Gli occhi di Harry si dilatano dallo stupore. Jackson annuisce. Il riccio stringe il volante così forte da far diventare le nocche delle dita bianche, la faccia cupa e piena di rabbia. - La prossima volta che lo vedo, ti giuro, lo faccio fuori. - Dice furioso. Non mi meraviglio del fatto che abbia avuto questa reazione nel sentire quel nome. Se questi due sono nella stessa squadra (chiamiamola così) e Jackson ha fatto una bella rissa con Luke, credo sia ovvio che anche Harry lo odi. Jackson l'aveva chiamato Cacciatore Oscuro, anche se non ha ancora avuto modo di parlarne.
- Chi sono i Cacciatori Oscuri, comunque? - Li interrompo prima che Harry tiri fuori qualche frase tipo "gli spappolo le budella" o cose del genere. Il riccio si affloscia allo schienale, rassegnandosi all'idea di dover rimanere sveglio tutta la notte.
- Sono dei semplici Elementali, che sono stati istruiti con idee e regole diverse da un comune Elementale, non riguardanti gli elementi, ma regole etiche. Ogni Elementale che riconosce i suoi poteri viene addestrato su tutti e quattro gli elementi. Non che ci siano scuole o altro, eh. Ad esempio, io sono stato aiutato dai miei genitori. Nella maggior parte dei casi è così. Comunque, la cosa più importante è ricordare l'umanità che ti caratterizza, nonostante i poteri. Certe persone questo non lo riconoscono, o non gli è stato mai insegnato. I Cacciatori Oscuri basano la loro esistenza sulla superiorità. Guardano gli altri esseri umani come degli esseri incompleti, inferiori, perché non hanno mai sviluppato quest'altro loro lato. Possedendo la capacità di controllare gli elementi, pensano che tutto sia lecito per loro, anche attaccare altri Elementali. Noi abbiamo tantissime regole che non ho mai imparato. - Harry sorride divertito alla confessione di Jackson. - Ma so quali sono le più importanti che non devono essere mai dimenticate: liberarsi di ogni malvagità e non usare gli elementi su persone o altri Elementali. -
- Ecco perché Luke ti ha attaccato senza pensarci due volte. Ma anche tu hai attaccato lui, Jackson. -
- Non l'ho mai effettivamente attaccato, se non con le mani. Quando ho ricorso all'uso dell'acqua era solo per autodifesa. -
- La cosa che ci preoccupa di più non è questo, però. I Cacciatori Oscuri vedono anche l'esistenza dei mostri diversamente. Vogliono che il mondo sappia di loro. E questo non deve mai accadere. - Continua Harry, spostando lo sguardo su di me. Lo osservo con occhi pieni di preoccupazione. Non possono farlo. Se succedesse, le persone non riuscirebbero a guardare più il mondo come prima. E per me, che sto attraversando questa fase, è orribile. Non nego che mi sono guardata in giro per tutto il tempo mentre camminavamo, sicura che ci fosse un mostro da qualche parte. La gente non uscirebbe più di casa neanche per fare la spesa. Perché andare a comprare il pranzo quando potresti esserlo tu per qualche creatura? E ora mi sento anche stupida ad aver sempre cercato, in ogni modo, di farli scoprire solo per evitare che mi definissero pazza. - Idioti. Non capiscono quanto questo sia insensato! - Commenta dopo.
- Ma è impensabile. È... - Rinuncio a trovare le parole giuste. Non possono esserci parole per descrivere quello che penso di loro. Provo disgusto solo a pensare che uno di loro mi abbia toccato. E chissà cosa sarebbe successo se Jackson non fosse uscito in tempo. Ha ragione lui: devo imparare a cavarmela da sola, anche se non voglio. Ho letto e riletto storie sui cavalieri e su come salvassero le proprie donzelle. Leggevo di come avrebbero perso tutto per loro e immaginavo che qualcuno avrebbe fatto lo stesso per me un giorno. Jackson, in qualche modo, lo sta facendo. Ed è anche buffo come vorrei fare lo stesso per lui. Morirei per lui, ma comunque devo imparare a difendermi. Rimango con lo sguardo perso nel vuoto, immersa tra i miei pensieri. Harry nel frattempo sta mettendo in moto la macchina. Il suo rumore mi fa svegliare dai miei pensieri. - Voglio venire anch'io. - Affermo entusiasta. Se ho preso la scelta di far parte del loro mondo, meglio cominciare subito a capirlo. Harry e Jackson si scambiano un'occhiata, poi scoppiano a ridere. - Che c'è? Parliamo di folletti. Quanto può essere difficile? - Dico anche un po' presuntuosamente. Jackson si asciuga una lacrima dall'occhio, appoggiandosi del tutto al sedile, Harry invece si tiene la pancia da quanto forte sta sogghignando. Io li guardo confusa e leggermente infastidita.
- La porterei solo per farmi altre due risate. - Dice Harry mentre cerca di ritrovare quel poco di autocontrollo che aveva. Jackson concorda, senza cessare. Continuo a guardarli, poi roteo gli occhi al cielo. Apro lo sportello ed entro in macchina, sbattendo la portiera. - Hey! Hey! Non sbatterla! - Mi rimprovera Harry smettendo magicamente di ridere e assumendo un tono infastidito. Deve essere uno di quelli con la fissa per le macchine, che sarebbe capace di picchiarti per un graffietto sulla carrozzeria. Jackson si porta una mano sulla bocca per provare a smettere, ma non ci riesce. Gli do un colpetto in testa per farlo fermare e quando entrambi hanno finito di ridere, il dampiro parte. - Bene, ma l'hai voluto tu. –
 ***
Harry continua a guidare da ben dieci minuti senza una meta precisa. Siamo appena usciti da Ruddy Village e il riccio continua a tenere gli occhi fissi sulla strada. Jackson, invece, continua a muoversi senza sosta: si addossa alla portiera, poi allo schienale, poi poggia la testa al finestrino. Mi mette ansia solo in questo modo. Ogni tanto discutono e litigano, poi Harry cambia discorso, lamentandosi di una certa Avery. Jackson sorride al suo nome, non riesco a capire se in modo divertito poiché Harry la sta descrivendo come una strega o perché provi interesse per lei. Dopo qualche minuto che continuano a parlare di lei, intervengo e tento di cambiare argomento, non riuscendo più a sopportare il suo nome.
- Chi è Avery? - Ma, a quanto pare, neanche io riesco a cambiarlo. È da ben cinque minuti che mi tormento pensando se sia legata a Jackson in qualche modo.
- Mia cugina. - Risponde il biondo immediatamente, come se si aspettasse quella domanda.
- Una stronza. - Risponde anche Harry in modo serio, facendo ridere Jackson. Rido anch'io, sollevata che l'unica relazione che abbia con Jackson sia di parentela. Non pensavo che potessi provare gelosia per qualcuno, soprattutto per qualcuno che conosco da una settimana. Harry sterza improvvisamente, andando fuori strada e parcheggiando la macchina sotto un albero. Jackson scende dall'auto e si guarda in giro. Non so neanche dove siamo dal momento che, per tutto il viaggio in auto, non ho prestato la minima attenzione alla strada. Lo spazio dove Harry ha appena parcheggiato è di forma circolare con alberi intorno che segnano l'ingresso nella fitta foresta. È così buio dentro che non riesco neanche a vedere la corteccia degli alberi nella seconda fila. Tutto è statico e muto.
- Mi dispiace solo di aver messo le scarpe nuove. - Sospira Jackson, pentito, mentre le osserva. Harry gli guarda le scarpe, sorpreso.
- Hai cambiato colore? - Chiede meravigliato. - Sai che sei più visibile con i colori chiari ai mostri. - Questo spiega perché indossino spesso colori scuri, sebbene anche il dampiro abbia una maglietta bianca questa sera, ma i pantaloni e gli anfibi sono entrambi neri. Credo che avrebbe indossato anche la sua felpa nera che ha sempre addosso quelle poche volte che l'ho visto se non facesse così caldo. L'aria in questa parte dell'America è molto afosa, alla fine, essendo vicini al deserto.
- Beh, andare a caccia di folletti non era in programma stasera. - Delle risate quasi malvagie riecheggiano intorno. Scendo anch’io dalla macchina e osservo la zona, che mi procura la pelle d'oca e dei brividi. Ho visto una foresta del genere in un film horror, e non è finito per niente bene. Forse avrei dovuto lasciare queste cose a loro due, sono coscienti di quello che fanno. Non so neanche come sia fatto un folletto. Prendo il cellulare, cercando qualcosa su queste creature.
- Non mi sembra il momento di messaggiare. - Mi rimprovera Harry, poggiando i coltelli in macchina e chiudendola a chiave. Alzo lo sguardo dal cellulare e lo guardo sia confusa sia stupita del fatto che si sia liberato dei suoi coltelli.
- Non sto messaggiando. - Sbuffo. - Sto cercando un'immagine di questi folletti. - Jackson scoppia a ridere mentre Harry scuote la testa, stupito di quanto poco ne sappia riguardo queste cose. Cosa si aspettava da me, esattamente? Non che abbia studiato mostrologia.
- Come se fosse vera. Sono invisibili la maggior parte delle volte, sono poche le persone che li hanno visti. - Afferma Harry mentre mi raggiunge e leva il cellulare di mano. Protesto, ma l'unica cosa che fa è spegnerlo e mettermelo nella tasca dei pantaloni. Mi fa l'occhiolino e raggiunge Jackson. Sbuffo silenziosamente di nuovo a quel gesto. - Meglio dividerci. - Jackson concorda con l'idea di Harry, ma io scuoto la testa. È la mia prima volta a cacciare mostri e loro vogliono dividersi? Poi non si vede nulla: è troppo buio per i miei gusti. L'unica luce proviene dai fanali della macchina di Harry. Inoltre, siamo anche circondati da una leggera nebbia che non mi piace per nulla. Da quando lessi un libro di Stephen King, "Scheletri", non ho mai guardato la nebbia allo stesso modo. Che poi, è raro vederla in inverno, come fa a esserci adesso che è estate? - Attento alla nebbia. La stanno producendo quei nanetti per farti perdere. - Jackson annuisce alle parole dell'amico e poi gli fa un cenno col mento per indicargli la direzione da prendere. In un batter d'occhio, quest'ultimo è sparito. Jackson si avvicina a me e si leva la giacca di pelle da dosso, poi me la porge. Gli sussurro un "grazie" e la infilo. Non ho davvero freddo, ma mi sento più protetta.
- Harry sarà da quel lato. - Indica la parte della foresta di fronte alla macchina. - Quindi io vado a destra e tu a sinistra. - Annuisco, poi comincio a camminare non appena anche lui si allontana. Mi giro per assicurarmi che Jackson sia ancora dietro di me, ma vedo solo la sua ombra sparire dietro gli alberi ed essere risucchiata dalla nebbia. Mi stringo nella sua giacca mentre procedo. Percepisco il suo profumo, uno dolce e forte allo stesso tempo, un po' come lui alla fine. Non avrei voluto che mi lasciassero da sola, ma se avessi chiesto a uno di loro di venire con me, avrebbero riso ulteriormente, e non mi va che mi prendano in giro.
Dopo neanche un minuto, però, sento dei passi dietro di me. Mi giro di scatto, ma non trovo nessuno. Un po' titubante, mi volto nuovamente per continuare a camminare. Quando mi trovo davanti ad uno degli ingressi nella foresta esito un po'. Poco dopo, sento Jackson urlare. Per lo spavento improvviso, e anche per la paura che possa essere nei guai, corro indietro verso di lui più velocemente possibile. Sto anche per inciampare su un sasso. Non vedo assolutamente niente. Sto rincorrendo un'ombra, un urlo. Sento di nuovo dei passi dietro di me. Mi guardo alle spalle, continuando a correre, ma non vedo nessuno. Spero davvero che sia la mia mente e non qualcos'altro. Sbatto contro qualcuno, o qualcosa, cadendogli addosso. Urlo anch'io per la botta improvvisa e per la paura. Però, sotto di me non c'è nessuno, neanche il terreno. Lo vedo, ma non lo tocco col corpo. Sembra che ci sia qualcosa d’invisibile tra me e questo. Allungo un dito verso il nulla, per capire cosa sia e, appena percepisco una sostanza umida e morbida, ritraggo il dito, abbastanza disgustata. Quella cosa si lamenta dal dolore.
- Il mio occhio! -
- Harry? - Chiedo appena riconosco la voce e il suo solito tono rabbioso.
- Perché l'hai fatto?! - Sbraita sotto di me, buttandomi di lato per levarmi di dosso. Cado con la faccia a terra. A fianco a me, Harry ritorna visibile. Anche lui è disteso sul terreno. L'altra sua abilità speciale: l'invisibilità.
- Volevo vedere cosa ci fosse sotto di me! - Esclamo, difendendomi.
- Perché urli?! -
- Perché tu urli! -
- Logico che urlo, mi hai accecato! - Esclama, abbassando di poco il tono della voce mentre si strofina l'occhio, poi si mette in piedi. Lo seguo. Appena allontana la mano lo guardo negli occhi: il destro è arrossato e lucido. Gli volgo un sorriso dispiaciuto. In lontananza, dietro di lui, scorgo Jackson correre verso di noi e salutarci con entrambe le mani.
- Perché ci saluta? - Chiedo mentre il dampiro si volta per camminare nella direzione opposta alla sua.
- Non ci sta salutando. - Harry mi afferra la mano e inizia a correre. Quasi inciampo dal gesto improvviso. Mi giro dietro, cercando con lo sguardo Jackson. È a terra che si sbatte a destra e sinistra. Sembra... stia ridendo? Ma ad Harry non importa. Quando arriviamo dietro un albero, si ferma e mi blocca contro di questo. - Hai della musica sul cellulare? -
- Non mi sembra il momento... -
- Sì o no?! - Esclama impaziente. Annuisco e gli passo il cellulare. Lo afferra subito e lo accende. Tamburella con le dita sullo schermo nel frattempo. - Bene, corri in macchina. Non lasciare entrare nessuno. - Mi ordina non appena sblocco il cellulare. Chi dovrei far entrare? Faccio come mi dice mentre lui apre l'auto con la chiave. Corro più velocemente possibile e mi chiudo dentro, mettendo la sicura. Il cuore mi sta martellando nel petto. Jackson è ancora a terra che ride e si sbatte, come se stesse cercando di fermare qualcuno dal fargli il solletico. È rosso in volto e sembra non farcela più. Harry corre davanti alla macchina, in mezzo ai fanali. Ha il telefono in mano e lo getta non molto lontano dalla faccia di Jackson. Quest'ultimo smette di ridere, ma rimane disteso. Incrocia le braccia sullo stomaco, sicuramente dolorante, e cerca di respirare. Un silenzio quasi inquietante è calato. Non si sente nessun rumore. Poi il telefono s’illumina e della musica viene riprodotta: il respiro affannato di Jackson accompagna "Shake It Off", di Taylor Swift. Intorno al cellulare appaiono dal nulla cinque bambini, o almeno lo sembrano. Indossano tutti delle maglie verde scuro e dei pantaloni marroni. Sono scalzi e alti forse un metro. Hanno tutti i capelli scuri e le orecchie molto piccole. Continuano a guardare affascinati il cellulare che ancora riproduce musica. Esco lentamente dalla macchina e chiudo la portiera, sebbene Harry mi abbia detto di non farlo. Ma voglio vedere meglio quegli esseri, curiosa. Jackson si è messo in ginocchio e, quando realizza quello che sta succedendo, guarda sorpreso il cellulare.
- Questa mi è nuova. - Afferma con voce stanca il biondo. Harry apre la macchina e prende uno spruzzino. Senza distrarre i piccoli esseri, gli spruzza addosso quella che sembra acqua. Immediatamente cadono a terra, privi di sensi. Jackson si rimette in piedi e mi passa il cellulare una volta che l'ha preso da terra ed ha interrotto la musica.
- Ho trovato modi più efficaci per distrarre i folletti. - Harry se ne carica in spalla due e li poggia contro un albero. Jackson prende gli altri tre, affiancandoli agli altri.
- Non dovete ucciderli? - Chiedo con sguardo perplesso.
- Per ora meglio addormentarli. I folletti sono un gruppo numeroso e non vorrei che il resto ci rintracci e ci causi problemi. E poi non uccidono nessuno, giocano solamente. - Spiega Jackson.
- Anche se a volte perfino un bazooka lo prendono come un gioco e ti ritrovi con lo stomaco bucato. Per questo è meglio non avere armi addosso quando si tratta di loro. - Aggiunge Harry mentre si pulisce le mani. Ecco perché prima ha chiuso i coltelli in macchina. Lui alza lo sguardo su di me e incurva gli angoli della bocca in un sorriso beffardo. Mi osservo anch’io nel finestrino per capire cosa lo diverta: sono tutta sporca. La mia maglia bianca ormai è piena di macchie marroni e ho del fango anche sulla faccia. I miei capelli sono del tutto scompigliati. Piccole ciocche escono da quella che una volta era una treccia. Jackson non è messo meglio: ha la maglia bianca tutta sporca per essersi girato e rigirato nella terra. Ne ha un po' anche nei capelli e le Converse sono da buttare. Però, so per certo che non lo farà. Harry stranamente è pulito, nonostante indossi anche lui una maglia chiara. - Siete favolosi. - Ride il dampiro. Quando si gira per entrare in macchina, una grande striscia marrone, fango probabilmente, che parte dal collo e finisce giù, gli colora la maglia. Mi metto una mano davanti alla bocca per nascondere una risata; Jackson abbassa la testa, sogghignando sotto i baffi. Harry se ne accorge e rimane con lo sportello aperto, voltandosi verso il biondo. - Cosa c'è? - Chiede confuso.
- Niente. - Rispondiamo all'unisono, scoppiando poi a ridere forte.
 ***
Apro la porta di casa silenziosamente. Sono in ritardo di mezz'ora e, stanca come sono, non voglio sorbirmi anche l'interrogatorio di mamma su come mi sia sporcata e come sia andata la serata. Mi levo le scarpe e mi chiudo la porta alle spalle, senza far troppo rumore. Appena vedrà come sono conciata, mi chiuderà nella lavatrice direttamente. La casa è silenziosa: mamma starà dormendo. Tuttavia, quando noto che la luce della cucina è accesa, scatto verso le scale, preoccupata che possa vedermi così. Sono costretta a bloccarmi appena sento la sua voce abbassarsi, come se stesse nascondendo una conversazione. Incuriosita, scendo le scale e mi appoggio al muro. Sta parlando al telefono.
- Zia, sono preoccupata. - Questo è strano. Mia madre non parla mai con zia Tess. - Quanti altri si chiamano in quel modo? No, non è ancora tornata... sono solo preoccupata, e se lo sapesse? Se glielo avesse detto? - Aggrotto la fronte. Mi avvicino un po' di più alla porta della cucina, senza farmi vedere, curiosa. Mia madre non parla, ascolta attentamente e ogni tanto concorda con quello che sta dicendo mia zia. - Neanche io lo penso... ma zia, sono diciassette anni che le mento. - Mi acciglio. Su cosa mi sta mentendo? C'è un lungo momento di silenzio. - Sei pazza?! Non manderò tutto all'aria. L'ho protetta per tutto questo tempo, non la esporrò ora a un simile pericolo! La stanno ancora cercando. - Un altro lungo silenzio. - Quindi lo sa... - Il suono di un messaggio sul mio cellulare interrompe mia madre. Corro su per le scale, imprecando nella mia mente. Jackson ha un tempismo perfetto nel far suonare il mio telefono. - Sharon? Sei tu? -
- Sì! - Mi affretto a rispondere. - Sono appena tornata, sono stanchissima. Mi faccio una doccia e vado a letto, buonanotte mamma. Ti voglio bene! - Sbatto la porta della camera e mi accascio dietro di essa. Ci è mancato poco.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

- Mi fa male la mano. - Mi lamento, stanca.
- Non mollare. – M’implora Jackson con il respiro irregolare, preoccupato di quello che succederà dopo. La mia mano, però, inizia a tremare, scossa da un lieve dolore che arriva fin sopra il bicipite. Quando lui si accorge che sto per cedere, mi lancia uno sguardo pieno di terrore e allo stesso tempo di supplica per resistere ancora un po', ma io già ho messo giù la mano, sospirando di sollievo per non doverla sforzare più. Lui rimane disteso a terra, non riuscendo a muoversi in tempo, e strizza gli occhi mentre si becca quella massa di acqua fredda che stavo cercando di trattenere sopra di lui. Lo seguo a terra anch'io, distrutta. Ieri sera, quando mi ha chiesto di vederci per allenarci oggi pomeriggio, mi ha lasciato stupita: non credevo che avrebbe voluto iniziare così presto; adesso, sono due ore che mi sta allenando senza sosta ed è riuscito a farmi controllare l'acqua, sebbene per un misero minuto. Sua madre, Lizzie, mi ha aiutato con il fuoco. Almeno adesso lo riesco a dominare, specialmente quello causato dalla rabbia, anche se in modo imperfetto. I mezzi che hanno adoperato per raggiungere questo traguardo non sono stati i miei preferiti, però. Almeno, Harry si è divertito a lanciarmi qualsiasi cosa si trovasse davanti ai suoi occhi, senza preoccuparsi di fingere di colpirmi, e a insultarmi. Ringrazio Lizzie che l'ha fermato, anche se dopo una buona mezz'oretta. Comunque, è un'ottima insegnante.
Mrs. Mitchell è una donna davvero incantevole e inizialmente sono rimasta meravigliata del fatto che anche lei fosse un Elementale: deve essere un sollievo avere la madre come se stessi, almeno Jackson non deve tenerglielo nascosto. Come me, è legata al fuoco. È molto in gamba e forte per essersi trasferita da sola con Jackson in America. Ronald, suo marito, è rimasto in Inghilterra, ma non ha accennato a un perché. Ha un corpo stupendo: è slanciata e i suoi occhi sono neri quasi quanto l'oscurità, da riuscire ad attrarre in modo singolare, così tenebrosi da aspettarsi qualcosa che non mostreranno. I suoi lineamenti sono dolci ma decisi, le labbra di un rosso acceso e quello inferiore leggermente più grande di quello superiore. Nei suoi gesti si riscontrano le stesse movenze di Jackson, soprattutto nel modo di sorridere e di socchiudere gli occhi quando squadra qualcuno attentamente. I suoi capelli sono di un castano così dorato da diventare ancora più chiari sotto i raggi del Sole. È un peccato che le arrivino poco sopra le spalle: i capelli lunghi le donerebbero molto.
Rimango distesa sull'erba e chiudo gli occhi per rilassarmi. Mi manca il fiato. Dal naso non mi cola più sangue, fortunatamente. Jackson mi ha spiegato che il controllo che abbiamo sugli elementi richiede uno sforzo enorme, sebbene pensassi il contrario. Se usato nel modo sbagliato, alcuni capillari si potrebbero rompere a causa della pressione che ci mettiamo per controllare i poteri e potremmo danneggiare noi stessi, anche in modo grave. Non è assolutamente facile avere il controllo su di loro. Inizialmente, pensavo che bastasse muovere le mani in una direzione a mia scelta e che l'acqua si sarebbe mossa, ma niente. È davvero faticoso e la concentrazione è un punto importante, e allo stesso tempo il più difficile, da mantenere. Jackson me l'aveva già mostrato, non direttamente, ma non ci ho prestato davvero tanta attenzione: la prima volta che entrò in classe e frantumò quei gessi, infatti, aveva lo sguardo perso nel nulla. Anche se ancora non so come abbia fatto, ma è l'unico ad avere un po' più di esperienza in questo campo. Se non è stato lui, chi altri è stato? Mi domando se avrò anch'io un aspetto sinistro, quasi inquietante, quando mi dovrò concentrare sul serio. Comunque, è difficile spiegare come controllarli. Jackson continua a ripetere le stesse cose: che devo focalizzare bene il movimento da compiere, che devo avere resistenza... come se fosse semplice. Certo, per lui lo è: praticamente, è una vita che si esercita. La cosa più brutta che manca dopo gli "allenamenti" è il fiato. Va costantemente trattenuto in certi momenti per far fluire tutta l'energia che si ha sulla punta delle dita finché queste non vengono solleticate da un formicolio. O almeno è quello che afferma Jackson.
Appena riapro gli occhi, mi asciugo la fronte e mi metto in ginocchio. Non voglio neanche sapere quale lago si sia formato sotto le mie ascelle. Jackson si è messo in piedi e si passa una mano tra i capelli bagnati. Li scuote, cercando di asciugarli, senza risultati. Mi lancia un'occhiata gelida per averlo bagnato mentre gli sorrido dispiaciuta e mi siedo a terra, non riuscendo a rimanere sulle ginocchia poiché mi fanno male le gambe, infine poggio le braccia su queste. Sono così accaldata che avrei preferito quell'acqua gelida al posto suo. Mi pulisco i leggins neri, leggermente sporchi di terra, così come la canotta grigia. Jackson nel frattempo si strizza la maglia bianca per far uscire tutta l'acqua e poi se la sfila, rimanendo solo con i jeans addosso. Gli guardo il petto mentre le gocce gli scivolano lungo il busto, arrossendo leggermente. Ringrazio che io abbia appena finito di tenere l'acqua in aria, altrimenti sarebbe stato imbarazzante se avessero notato il rossore per altro.
- Sai, hai ragione. Guardare i vostri allenamenti fa morire dalle risate. - Afferma Harry con un sorriso divertito. Si dondola leggermente su un'amaca, legata tra due alberi all'ombra, con le mani dietro la nuca. Anche lui ha messo da parte i suoi abiti neri e indossa una canotta rossa, con la scritta nera "Non guardarmi, ignorante", e un paio di jeans, leggermente scuri. Degli occhiali da sole, neri questi, gli cadono sulla punta del naso. La canotta mostra finalmente i suoi muscoli. Pensavo che fossero molto più gonfi, come quelli dei tipi palestrati e pieni di steroidi, invece sono giusti, normali.
Scorgo di sfuggita Jackson che lo fulmina con lo sguardo mentre mi osservo le mani per pulirle dalla terra. Mi chiedo quando Jackson mi eserciterà sul controllo di questa e dell'aria.
- La prossima volta ti farò ridere ancora di più, usando te come cavia. - Gli ringhia contro. Il dampiro annuisce e lo guarda per qualche secondo in modo serio, come se gli importassero davvero le parole del biondo, poi storce le labbra per trattenere una risata che libera subito dopo. Jackson sbuffa e nel frattempo continua a strizzarsi la maglietta. Le sue mani diventano bianche dalla forza che ci sta applicando, ma almeno sta facendo uscire tutta l'acqua. Scommetto qualsiasi cosa che sta immaginando il collo di Harry al posto della maglietta. Quest'ultimo ritorna a rilassarsi sull'amaca, sbadigliando un poco, senza preoccuparsi di coprirsi la bocca, e chiudendo gli occhi. Immagino che non gli capitino spesso questi pomeriggi di puro riposo, oppure sta solo risparmiando le forze per una battuta di caccia notturna.
- Chi vuole del tè freddo? - Esclama Lizzie con un sorriso raggiante e un vassoio in mano quando esce dalla porta di casa che trattiene un'ombra a dir poco accogliente. Jackson, dopo aver lasciato la maglietta a terra, non se lo fa chiedere una seconda volta e corre subito a prendere uno dei bicchieri. Lizzie scuote la testa, sorpresa dalla velocità del figlio, e gli lancia un'occhiataccia dal momento che stava per farle cascare tutto. Sarebbe un vero peccato se la camicetta bianca si sporcasse. - Se solo corresse così anche quando deve riordinare la sua camera. - Si lamenta parlando più a se stessa. Jackson fa una smorfia alla madre e si siede sul prato mentre Lizzie lascia il vassoio sul tavolo e mi osserva. Anche Harry, controvoglia, si alza per prendersi da bere, per poi ritornare sull'amaca e consumare la sua bibita in silenzio, mordicchiando di tanto in tanto la cannuccia.
- È stancante. - Ammetto, guardandola. Lei mi sorride in modo complice, cosciente di ciò che sto provando. Sembra che abbia le ossa rotte. Mi sento come se avessi corso nel bosco, fossi caduta e fossi rotolata giù per una collinetta così tanto da non sentire neanche più il mio mignolo del piede.
- Lo so, ma non preoccuparti. Col tempo ci farai l'abitudine e diventerai molto brava. Prometti bene. Hai avuto un ottimo allenatore. -
- Non devi ringraziarmi. - Dice Jackson con un’espressione compiaciuta mentre gira la cannuccia nel bicchiere, guardandoci.
- Parlavo di me. - Ribatte Lizzie in modo disinvolto mentre passa anche a me il bicchiere, che afferro subito, per poi prendere il vassoio e rientrare in casa. Harry e io scoppiamo a ridere. La mia gioia si tramuta in sofferenza quando noto due secchi d'acqua che mi attendono. Sono stanca e non voglio concentrarmi ulteriormente. Ho la testa che mi fa malissimo. Appena l’abbasso sento il cervello cadere contro la mia fronte; ne sono piuttosto convinta. Poi questo caldo di certo non aiuta. Perfino le foglie sugli alberi sembrano dormire: non c'è neanche un soffio di vento.
Mi chiedo cosa stia facendo Delice. Non la sento da un po'. Spesso, se non ci vediamo, la sera mi scrive per sapere cosa ho fatto durante la giornata; invece adesso è come se non esistessi più. Non credo che sia ancora arrabbiata per quella specie di uscita al cinema. Se sapesse come si è conclusa la serata, direbbe lo stesso, e farebbe qualche commento sarcastico sull'efficacia di Taylor Swift a tenere a bada i folletti.
Porto la cannuccia alla bocca e bevo la bibita, la quale mi dà immediatamente sollievo alla gola, del tutto secca.
- Hai caldo? - Mi domanda Jackson, finendo il suo tè. Annuisco, leccandomi le labbra mentre mi alzo e vado ad appoggiare il bicchiere sul tavolo.
- Possiamo finire qui per oggi? Davvero ho bisogno di una doccia e la mia testa sta per esplodere. - Harry si accomoda sull'amaca dopo aver posato il bicchiere a terra, cosciente della futura risposta di Jackson. Unisce le braccia dietro la testa e la gira verso di noi, attendendo l'ultimo spettacolo della giornata. Lo Gnomo non risponde, bensì si alza e si dirige verso i secchi. Più soddisfacente di una vera risposta. Sbuffo stanca, rinunciando definitivamente ad andare a casa.
- Va bene. Puoi avere la tua doccia. Stenditi a terra, però. - Aggrotto leggermente la fronte, non capendo le sue parole contraddittorie. Comunque faccio come mi dice: sono stanca persino di discutere e prima faccio questa cosa, anche se non ho capito quale, e prima me ne torno a casa.
Jackson con una sola mano solleva l'acqua dal secchio e la dirige verso di me, bloccandola esattamente al di sopra della mia testa. Unisce le mani prima di allargarle, come se stesse tirando un elastico, per plasmare l'acqua, la quale si distende in modo orizzontale, rimanendo in aria. Sento Harry ridere, avendo già capito le intenzioni di Jackson. Sospiro innervosita: volevo farmi una doccia, ma non in questo modo! Senza avvertirmi molla l'acqua che afferro (si fa per dire) immediatamente, alzando le braccia in alto.
- Facciamo scommesse. - Propone Harry a Jackson. Sento già le gocce di sudore riapparire sulla mia fronte. Devo superare il minuto, stavolta. Non solo per andare a casa, ma anche per sfidare me stessa e per dimostrare a Jackson che, nonostante sia stanca, riesca ancora a non mollare definitivamente. Il biondo lo zittisce con un gesto della mano, poi incrocia le braccia al petto e mi osserva impassibile. - Dai Jackson. Scommetto dieci dollari che arriva a venti secondi. - Lui non lo ascolta di nuovo. Nonostante l'insistenza di Harry, riesco a concentrarmi. I miei muscoli, per quanti ne abbia, s’irrigidiscono e le mie braccia cominciano a tremare. Non è un buon segno. Jackson ha detto chiaramente che non devo mai irrigidirmi, ma rimanere calma, rilassata. Se contraggo troppo i muscoli è la fine. Cerco di concentrarmi sulle punte delle mie dita e continuo a ripetermi di far fluire l'energia lì, anche se adesso mi sembra un'impresa troppo ardua. Almeno le mie braccia non tremano più. Mi sento finalmente rilassata, sia da un punto di vista fisico che emotivo: ho un buon presentimento di riuscire a superare il minuto questa volta.
Guardo Jackson, con un sorriso compiaciuto in volto. Lui, però, ha uno sguardo perplesso e sta fissando l'acqua, cercando di capire cosa non vada. Anche Harry ha smesso di fare commenti stupidi; si è alzato gli occhiali da sole sopra la testa, bloccandoci sotto qualche riccio, e sta fissando l'acqua in modo curioso. Mi volto anch'io, turbata dai loro sguardi. Quando noto cosa sta succedendo al liquido, rimango un attimo sconcertata. Non è calma com'era prima: è agitata. Improvvisamente, iniziano a formarsi anche delle bollicine, sia sulla superficie sia più all'interno. Harry spalanca gli occhi, non so se per la sorpresa o per altro, poi scoppia a ridere. Jackson si morde le labbra, cercando di trattenere una risata, e una piccola fossetta si forma sulla sua guancia sinistra. - Lizzie, porta la pasta! - Esclama Harry con un tono leggermente più alto per farsi sentire dalla Salamandra. Ride così forte che per poco non cade dall'amaca. Jackson si è messo una mano sulla bocca e sta cercando in tutti i modi di non ridere per non prendersi beffa di me. O almeno lo spero. Il mio sguardo è ancora confuso e perplesso. Quando capisco cosa sta succedendo, getto l'acqua contro le piante e mi metto in piedi di fretta: stavo facendo bollire l'acqua e, se avessi ceduto, mi sarei ustionata. Ringrazio Jackson di non aver riso forte, altrimenti davvero mi sarei scottata. Incrocio le braccia al petto, demoralizzata e fin troppo in imbarazzo dal momento che quei due stanno ancora sogghignando. Da una parte sarebbe stato meglio se quell'acqua mi avesse ustionato, almeno non li avrei sentiti ridere di un mio piccolo errore.
- Non preoccuparti. Succede spesso di usare un altro elemento per sbaglio. Almeno sei riuscita anche a trattenerla in aria. - Mormora quest'ultima frase in tono perplesso, aggrottando la fronte. - Solo... vedi di non sbagliare quando siamo a caccia, e di usare un solo elemento. - Harry, nel frattempo, sta ancora ridendo. Jackson, notando il mio imbarazzo, fa levitare l'acqua contenuta nell'altro secchio e la scaglia contro di lui per zittirlo una volta per tutte. In quello stesso istante, però, Lizzie appare di nuovo da dentro casa, forse avendo sentito l'esclamazione precedente del dampiro, e cammina davanti a quest'ultimo proprio nel momento meno opportuno: infatti, l'acqua le finisce addosso. Lancia un urlo per quella doccia fredda e improvvisa che si è appena beccata, irrigidendosi all'istante. Mi porto istintivamente una mano davanti alla bocca per cercare di non sorridere, divertita. Harry, che ormai non si preoccupa davvero più di niente, si sta sbellicando dalle risate; Jackson, invece, ha uno sguardo terrorizzato.
- JACKSON IRVIN MITCHELL! - Sbraita Lizzie, furibonda e grondante d'acqua. Con un solo gesto della mano, raccoglie tutte le goccioline recuperabili sul proprio corpo e, dopo aver formato una minuscola palla d'acqua, la getta contro il figlio con tale forza da beccarlo dritto in fronte e farlo cadere a terra. Dopo osserva Harry, che non ne vuole sapere di smettere di ridere. La Salamandra inizia a girare l'indice nella sua direzione, formando dei piccoli cerchi nell'aria. Nello stesso momento in cui lei compie questo gesto, l'amaca comincia a girare con ancora Harry sopra. Ora non ride più, ma si aggrappa forte a questa. L'amaca si muove così velocemente che è difficile distinguerlo. Lizzie continua ancora per qualche secondo, godendosi le implorazioni del riccio, per poi smettere di muovere il dito. Automaticamente, anche l'amaca si ferma, bloccandoci Harry dentro. Non so come, ma è riuscito a incastrarsi sia con le gambe sia con le braccia. Successivamente Lizzie guarda me. - Questo è l'unico modo per tenerli a bada, ricordalo. - Dice con un sorriso. - Voglio vedere il mio giardino com'era prima. - Avverte i ragazzi, poi ritorna dentro casa, borbottando tra sé e sé, irritata del fatto che deve cambiarsi. In effetti, c'è acqua ovunque. Rimango a osservare Harry, ancora intrappolato nell'amaca. Continua a farfugliare e a imprecare sottovoce, cercando di liberarsi.
- Tua madre è fantastica. - Commento ancora meravigliata di quello che ha appena fatto. Mentre la guardavo, un senso di desiderio mi ha invaso. Voglio imparare tutto ciò che c'è da sapere. Voglio imparare a controllarli e magari diventare brava e forte come Lizzie. I miei occhi brillano, ancora rivivendo le scene di quello che lei è stata in grado di fare. Usare in meno di un minuto prima l'acqua e poi l'aria non è niente male, al contrario. C'è qualcosa dentro di me che si agita, che spinge, che vuole rompermi il petto per uscire. C'è qualcosa di vivo. È come se sentissi qualcosa dentro respirare, famelico di questo potere. Qualcosa che per un attimo mi fa venire i brividi, qualcosa di malvagio, di avido. Mentre Lizzie destreggiava con l'aria e l'acqua, ho percepito qualcosa di soprannaturale dentro che, per un momento, mi ha fatto spaventare di me stessa. Però non so per quale motivo sto pensando questa cosa solo adesso, e non anche quando Jackson ha, ad esempio, creato quel pavimento di radici. Guardo il biondo che cerca di liberare Harry, che continua a sbuffare e rimproverare l'amico di essere troppo lento. Si vede chiaramente che Jackson è infastidito poiché sua madre l'ha fatto sfigurare e non solo perché Harry continua ad associare la sua velocità a quella di una lumaca. Non mi meraviglio di questo, però: Jackson è il tipo che vuole fare tutto da solo, che vuole dimostrare che riesce a farcela senza l'aiuto di nessuno. Questo suo lato è abbastanza chiaro, ma a volte non è così: ha bisogno di aiuto anche lui. Quando riesce a liberare Harry, questo cade sul terreno di schiena e geme per la botta.
- Abbiamo finito per oggi, puoi avere la tua doccia. - Dice Jackson mentre si strofina le mani per pulirle dai segni della corda dopo averla tirata, poi aggiusta l'amaca.
- A proposito, ti va di mangiare qualcosa insieme più tardi? - Chiedo timorosa della sua risposta. Non mi dirà di no. Cioè, a parte me, non ha nessuno con cui uscire o altro. Beh, potrebbe sempre andare a cacciare con Harry, però. Nonostante ormai siamo decisamente più in confidenza rispetto a prima, provo sempre timore a parlargli. Ho paura di un suo rifiuto o di un allontanamento definitivo da parte sua.
- Non posso stasera. - Taglia corto e in un modo alquanto brusco. Rimango un attimo senza parole, sorpresa, mentre la mia testa comincia già a pensare a un milione di ragioni per cui possa avermi dato questa risposta. 1) Non mi piaci sul serio; 2) vado a cacciare con Harry ma tu non vieni; 3) ho un appuntamento con un'altra ragazza; 4) non vorrei che tu attirassi qualche altro Cacciatore Oscuro. Tutti validi motivi, insomma.
- Va… va bene. Certo. Magari domani, dopo l'allenamento. -
- Domani niente allenamento. Sono fuori città. - Ribatte nuovamente, continuando ad aggiustare l'amaca. Ha un tono che non mi piace per niente. Lo stesso tono che assunse quando ci parlai la prima volta: freddo, duro e quasi arrogante. Il tono che non augurerei mai a nessuno di ricevere. Quando fa così, sembra che ti possa attaccare da un momento all'altro e prenderti a pugni finché non scoppi a piangere, o semplicemente inizia a urlarti contro, cacciando tutta la sua rabbia e ira come l'altra sera.
Non volendo far questioni, faccio la cosa più semplice: giro i tacchi e me ne vado. Lo saluto, ma lui non ricambia; alza solo una mano, sventolandola. Quando si comporta in questo modo mi verrebbe da prenderlo per i capelli e sbattergli la testa contro il muro. Sento la mia mano riscaldarsi e, senza rendermene conto, le ho entrambe serrate in due pugni. Le apro il più possibile e mi calmo, raffreddandole.
- Ciao Harry. - Lo saluto, con tono duro anch’io questa volta, nonostante lui non se lo meriti, ma Jackson riesce davvero a farmi innervosire più di quanto immagini.
- Ciao. - Risponde in un gemito mentre si tiene la schiena e si mette in piedi.
***
- Che cosa significa che hai preso parte a una partita di calcio? Non giochi neanche a calcio. - Dice mia madre, diffidente. Continua a studiarmi con lo sguardo dalla testa ai piedi, cercando di darsi una giustificazione plausibile al fatto che sono sudata come un maiale e più sporca di Fritz, il gatto di Mrs. Moore, quando si dà alla pazza gioia tra le piante.
- Ho pensato che fosse divertente provare qualcosa di nuovo. - Mi giustifico. - E poi sono io quella che dovrebbe fare domande qui! Non parli con zia Tess da mesi e ieri bisbigliavate al telefono di me. Che cosa sta succedendo? -
- Dovremmo parlare di te che non rispetti gli orari, invece, signorina. - Ribatte mia madre dopo aver deglutito, a disagio per la domanda. Sì, sta nascondendo decisamente qualcosa. - Avevo detto a mezzanotte, e invece sei tornata quasi all'una. -
- Non cambiare discorso. E poi ho quasi diciotto anni, sono abbastanza matura da sapermela cavare. Allora? - Incrocio le braccia al petto. Mi siedo sulla sedia per stare più comoda e la guardo. Le mie gambe non avrebbero retto oltre. Lei prende un bel respiro e si siede a tavola, di fronte a me. Mi guarda negli occhi con sguardo preoccupato. - Chi mi sta cercando? Da chi mi vuoi proteggere? -
- Sharon, è complicato. Siamo solo preoccupate per te. Non ci parliamo, è vero, ma mettiamo da parte i nostri litigi quando si tratta di te. Siamo preoccupate che tu possa fare amicizie... sbagliate, e che poi te ne penta. -
- I miei amici sono a posto. Anzi, Delice è a posto. - Mi lancia uno sguardo perplesso. - Quindi, c'è qualcuno da cui mi stai proteggendo? - Concludo dopo le sue parole.
- Promettimi che non vedrai più quel ragazzo di ieri. Quel... Mitchell. - Dice, evitando la mia domanda. La guardo stranita non appena lo nomina. Prima dice che devo fare amicizie e poi, quando finalmente incontro qualcuno che mi capisce sul serio, mi avverte di tenermi alla larga. - Promettimelo. -
- Perché? Non ha niente che non va! - Affermo, alzando il tono di voce. Ha tante cose che non vanno, in realtà, ma non mi avrebbe mai fatto del male volontariamente. È grazie a lui se un Adaro non mi ha ucciso negli spogliatoi, o se quella vampira non mi ha prosciugato, o se quella Ek Ek non mi ha trasportato solo lei sa dove. E devo anche ringraziarlo per avermi fatto capire cosa mancava nella mia vita, per avermi colmato quel vuoto che avevo. Non avrei mai detto che riconoscere di essere un Elementale, una Salamandra, fosse quel pezzo mancante del puzzle, e non avrei neanche mai detto di poter pensare una cosa che mi sono obbligata di rifiutare.
- Ti prego, non urlare. – M’implora, passandosi una mano sulla fronte.
- No! Ti prego tu! Stai dando i numeri?! - La guardo smarrita. Mi alzo di botto dalla sedia, facendola cadere. Il rumore breve e profondo che provoca rimbomba in tutta la cucina. Lei raddrizza la schiena e mi rimprovera con lo sguardo.
- Ti farai male! - Adesso anche lei urla. - Ti proibisco di continuare a seguirlo e parlarci! E soprattutto a fare quello che fa lui! Mi hai capita?! Fila in camera tua. - Ormai sta andando in escandescenza. Ha perso il controllo. Sento gli occhi bruciarmi e le mani scaldarsi di nuovo. La gola mi si è seccata di botto. Mi attaccherei a una bottiglia piena d'acqua e non la mollerei più. Ho bisogno di calmarmi: le mie mani stanno cominciando a bruciare ulteriormente. Lei continua a fissarmi. Sembra un toro che sta per partire all'attacco: ha le narici leggermente dilatate e sta cercando di riprendere il controllo su se stessa, mentre una vena le pulsa sulla fronte. Se avessi continuato a risponderle, una sberla non me l'avrebbe tolta nessuno.
- Mi stai rovinando la vita. - Sussurro con gli occhi lucidi. Lei rimane immobile a fissarmi, stupefatta dalle mie parole. Non riuscendo più a sopportare il suo volto angosciato, scappo in camera mia. Sbatto la porta e mi spoglio, non vedendo l'ora di levarmi quella puzza di sudore da dosso e di buttarmi successivamente sul letto. Qualche minuto dopo sono sotto la doccia. L'acqua fredda, che mi scorre su tutto il corpo, finalmente mi dà un po' di sollievo. Non pensavo che l'avrei mai detto, ma mi manca un casino la persona che ero prima che Jackson arrivasse qui, prima che prendesse il controllo su di me, prima che avessi perso qualcuno, me stessa. Mi abbraccio, cercando un supporto. Se non trovo conforto da sola, chi mai me lo darà?
Una lacrima scende da sola lungo la mia guancia e, prima che possa accorgermene, i miei singhiozzi si sono già fusi col rumore dell'acqua che continua a scorrere.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Le mie braccia ricominciano a tremare. Esausta e nervosa, rinuncio e lascio cadere la massa d'acqua che casca nella vasca da bagno così forte da farne fuoriuscire una parte, la quale si riversa sul pavimento. Demoralizzata, mi alzo dal gabinetto. Mi passo una mano sulla fronte, massaggiandola a causa del mal di testa. Se poggio le dita sulle tempie riesco a sentirle pulsare. Asciugherò dopo quel disastro.
Sono ben cinque giorni che non ho notizie di Jackson. Neanche la macchina di Harry è parcheggiata in strada. Ormai ho completamente abbandonato l'allenamento con lo Gnomo. Di tanto in tanto lo intravedo uscire di casa e solo qualche ora più tardi ritorna. La maggior parte del tempo rimane chiuso in casa. Ho pensato più volte che potesse essere in punizione, è la spiegazione più ragionevole, ma non ho un motivo per questo. Anche se lo fosse stato, poi, credo che me lo avrebbe detto: è strano che abbia smesso di aiutarmi, dopo aver insistito tanto, così all'improvviso. Poi, però, c'è l'opzione a cui non penso mai: si è stancato di me. Mi sento così confusa, e totalmente stupida. Continuo a pensare che non mi voglia vedere, ma non ho neanche pensato al motivo di questa sua scelta. I miei pensieri vagano, cercano una meta, ma cadono sempre nello stesso punto e sullo stesso viso. È insopportabile questa situazione. La parte peggiore è che non posso andare a chiedergli spiegazioni poiché, quando Jackson è in questo stato, la risposta è sempre la stessa: una frase monosillabica per congedarti e uno sguardo gelido. È uno spreco di tempo persino provarci.
Premo con due dita entrambe le tempie, cercando di alleviare quel dannato mal di testa, e scendo giù alla ricerca di una bustina di Oki. Appena arrivo in cucina, apro tutti i cassetti nella speranza di trovare quella dannata bustina ma, dopo aver controllato anche l'ultimo, lo chiudo di botto e urlo dal nervosismo non avendone neanche una. Questa è una di quelle giornate in cui vorrei rompere tutto. Inizio a respirare ripetutamente e in modo più irregolare, cosa che mi fa capire che è il momento di rilassarmi: mi sto riscaldando. Odio essere un Elementale. Odio essere una Salamandra. A volte mi sembra di essere una bomba pronta a esplodere da un momento all'altro. Non posso più neanche prendermi la comodità di arrabbiarmi come si deve perché altrimenti ci rimetto io, morendo carbonizzata. L'unica cosa buona che Jackson abbia fatto: avvertirmi del mio limite d’ira per evitare di diventare una torcia umana.
Mi siedo a terra e incrocio le gambe a mo' di Buddha, con le braccia poggiate sulle gambe e i palmi delle mani aperti verso l'alto. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, per poi espirare. Sento le palpebre pesanti. Prendo un altro respiro per poi lasciarlo uscire nuovamente. Mi allontano dalla stanza con la mente, cercando di tener a distanza i rumori di fuori. Dopo un po', l'abbaiare del cane della vicina e il rumore di un'ambulanza scompaiono. Cado in uno stato di assoluta tranquillità. Credo di rimanere così per un bel po' di tempo, ma chi può dirlo con esattezza. A me sembrano solo pochi secondi che sto vagando nel nulla col mio corpo, sebbene sia ancora seduta a terra, ma potrebbero anche essere passate ore. Quando accade questo, perdo completamente la cognizione del tempo. Improvvisamente, questo stato di trance è interrotto dalla porta d'ingresso che si spalanca di botto. Sussulto per lo spavento senza muovermi da terra e apro gli occhi. Sulla soglia c'è Delice, immobile, con uno sguardo pietrificato, colmo di terrore. Sta fissando qualcosa dietro le mie spalle. Mi volto anch’io, preparandomi al peggio; se ci fosse stato un mostro, ne avrei avvertito prima la presenza, però. Non sono esattamente esseri silenziosi. La mia bocca si schiude istintivamente, formando una "O" perfetta: l'acqua presente nel lavandino sta fluttuando in aria. Mi volto verso di lei mentre passa a guardarmi le mani: piccole fiamme danzano leggiadramente sulla punta delle dita, lambendole. Quando la guardo negli occhi, l'acqua dietro di me cade di botto, tornando nel lavandino. Solo alcune gocce mi arrivano sulla maglietta e nei capelli. Le fiamme scompaiono, mosse da un vento improvviso. Non mi ero resa conto di star usando gli elementi; pensavo solamente di rilassarmi ed essere finalmente in armonia con me stessa. Cerco di dire qualcosa, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Delice cerca di ritornare in sé.
- Sapevo che mi tenevi nascosto qualcosa... - Sussurra dopo. Rimane ferma sulla soglia della porta. Cerco le parole giuste, ma non ci riesco. Non si può trovare una scusa per questo. Cosa le avrei potuto dire? Ora capisco la difficoltà di Jackson nel farmi quel discorso. Lei getta la borsa su una delle poltrone e si richiude velocemente la porta alle spalle, come se mi stesse nascondendo dagli occhi di qualcuno. - Che cosa diamine stai facendo? - Mi alzo da terra e le vado incontro. - Non toccarmi. - Mi avverte prima che mi possa avvicinare troppo, in tono duro. Alzo le mani in aria e indietreggio per rassicurarla che non l'avrei toccata. Prendo i guanti da forno e mi copro le mani per evitare che le mie dita prendano fuoco nuovamente. So controllare le fiamme, ma meglio non rischiare di fronte a lei: è già fin troppo scossa. Tuttavia avrei potuto bruciare i guanti se mi fosse scappata anche una minima scintilla.
- Non sono pericolosa, riesco a controllarlo. -
- Sei come Elsa? Ti metti i guanti e finisce lì? Sharon, sei... malata? - Mi afferra bruscamente un polso, togliendomi il guanto e lasciandolo cadere a terra. Studia attentamente le mie mani e si sofferma sulle dita come se cercasse di trovare il meccanismo per farle accendere di nuovo. - Non sono bruciate... - Mormora dopo un po'. La mia faccia è contorta dalla preoccupazione. Adesso scapperà anche lei e mi ritroverò da sola. Sento un nodo in gola. Da un momento all'altro sarei scoppiata in un pianto disperato, mi conosco troppo bene. Succede sempre così quando non so cosa fare e lascio la disperazione prendere il sopravvento. Dovrei trovare qualche scusa, come ha fatto Jackson con me, ma come posso mentirle dopo quello che ha visto? Poi, è la mia migliore amica: non posso proprio dirle una bugia, non se lo merita. Tuttavia, lei molla la mia mano più delicatamente questa volta. - ... e non scottano nemmeno... - Retrocede di poco per potermi squadrare bene. Ora capisco perché gli Elementali si sono nascosti per tutto questo tempo. Tutti li avrebbero guardati nello stesso modo in cui sta facendo Delice ora: come un mostro. Mi volto verso il lavandino, appoggiandomici con le mani e dandole le spalle. Non riesco a reggere il suo sguardo ulteriormente.
- Sono un mostro... - Sussurro e comincio a piangere in silenzio mentre subito cerco di asciugare in fretta gli occhi; non sopporto l'idea che la gente possa vedermi in questo stato, perfino la mia migliore amica. Non mi piace farmi vedere debole. So che non avrei dovuto autodefinirmi così, un mostro, ma non mi veniva altro in testa. Starò giocando scorrettamente in questo momento, ma provare a farle pena forse è l'unico modo per evitare che scappi da me. Anche se in parte è vero che sono vittima di questa mia natura: non l'ho scelta io. Delice mi poggia una mano sulla spalla seppur lei stia tremando. Ha paura che la possa ustionare ma, nonostante il timore, mi fa sedere e mi lascio trascinare senza guardarla in faccia, non ce la faccio.
- Cosa ti è successo? - Mi levo l'altro guanto e lo getto con tutta la forza e la rabbia che ho contro il muro. La sua faccia si contrae in un'espressione preoccupata quando mi asciugo di nuovo gli occhi con le dita, forse credendo che me li sarei bruciati. Non so come ringraziarla per non star dando di matto, seppur abbia uno sguardo dubbioso: non può pensare che possa farle male sul serio, sa benissimo che non lo farei mai.
- Non lo so... a quanto pare è nel mio DNA, e anche nel tuo, e anche in quello di tutti, ma naturalmente doveva capitare a me tutto questo! Non posso fare niente altrimenti mi brucio da sola! - Sento il calore riaffiorare sulla mia pelle e subito cerco di calmarmi, prendendo dei profondi respiri, inspirando con la bocca ed espirando con le narici. Sembro un toro. - E cosa ci fai tu qui? - Chiedo confusa anche per cambiare discorso dopo aver notato la sua faccia perplessa. Rimpiango quel giorno quando le dissi dove custodisco le chiavi di riserva: se non lo avesse saputo, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione scomoda adesso, ma è stata anche colpa mia che non l'ho sentita bussare.
- C'è stato un incidente alla casa abbandonata. Non hai sentito l'ambulanza? Un ragazzo è morto schiacciato da un ramo. C'è la polizia sul posto adesso. - Ora la mia faccia è perplessa. Non può essere accaduto sul serio, è stato solo un sogno. - Sharon, ti senti bene? Sei pallida... - Guardo il vuoto. Senza accorgermene, il sogno che feci qualche settimana fa s’impossessa della mia mente. Il ramo rotto e il ragazzo biondo sotto di esso, il terreno che è un misto di sangue e muschio, una ragazza riccia che piange e urla, chiedendo aiuto. Queste immagini offuscano completamente la mia vista.
- Il ragazzo è biondo? - Chiedo ancora, persa a ricordare quel sogno. Non oso immaginare la faccia di Delice. Sta scoprendo l'altro lato di me, quello che prende vita quando mi lascio trasportare dai miei pensieri e mi allontano dalla realtà: un lato che nessuno dovrebbe conoscere, specialmente lei. In questo momento, forse sono anche più inquietante di Harry. Almeno non ho ancora gli occhi bianchi da spettro e la voce della ragazza posseduta nel film "L'esorcista". Riesco a prendere di nuovo il controllo sulla mia mente, schiarendomi la vista. Delice non è spaventata come immaginavo, ma più tranquilla di prima. Annuisce alla mia domanda.
- Come fai a saperlo? - Chiede ancora un po' confusa. Mi alzo di scatto e lei retrocede, spaventata dal mio gesto. Ovviamente è ancora nella fase dove non riesce a capire se la attaccherò veramente, e sto solo fingendo di non farlo, o non accadrà sul serio.
- Prendi la borsa. -
***
L'intera casa abbandonata è circondata da un nastro giallo della polizia con una scritta nera: "Non attraversare". È pieno di gente accorsa curiosa. L'ambulanza è parcheggiata vicino all'auto della polizia. Cerchiamo di farci largo tra la gente, ma è impossibile avvicinarsi: quella folla inghiotte l'intero luogo dell'incidente. Un paio di giornalisti locali riempiono di domande alcuni agenti, i quali continuano a scuotere la testa affermando di non rilasciare interviste; altri, invece, tartassano le persone che non distolgono lo sguardo da quella scena orripilante. Ogni tanto si rivolgono alla stampa per lasciare qualche dichiarazione, ripetendo costantemente le stesse cose: è una tragedia quello che è successo; povero ragazzo; com’è potuto accadere? Uno di loro ha perfino cercato di avere un'intervista con una ragazza dai capelli rossi e ricci. È seduta nella macchina della polizia, tremante, mentre un ufficiale più giovane cerca di tranquillizzarla senza successo. Deve essere la fidanzata del ragazzo morto. Lei continua ad annuire, con lo sguardo perso nel vuoto, non ascoltando realmente quello che il poliziotto le sta dicendo. I suoi occhi sono rossi, segno evidente dell'interrotto pianto che si è fatta fino a pochi secondi fa. Si gira a guardarmi, notando che la sto fissando. La osservo qualche secondo negli occhi, riuscendo quasi a sentire il dolore che sta provando, poi distolgo lo sguardo poco dopo. Altra gente sta arrivando insieme a un'altra macchina della polizia. Gli agenti escono dall'auto e cercano di tenere lontano le persone mentre io e Delice avanziamo tra la folla. Non ho mai visto tanta gente nel mio quartiere: alcuni ci spingono, non volendo perdere il posto per continuare a guardare quella scena ma, nonostante le gomitate e le imprecazioni da parte loro, riusciamo a raggiungere la linea gialla. Oltre il cancello arrugginito, un medico, nel suo camice bianco, aspetta impaziente di controllare il corpo del ragazzo, battendo il piede a terra per rilasciare la tensione. Ha le braccia incrociate al petto e gli occhiali sulla punta del naso. Si passa una mano tra i pochi capelli grigi che gli sono rimasti mentre guarda alcuni poliziotti che cercano di alzare quel ramo gigante, staccatosi e ora giacente sul terreno. Anzi, sul ragazzo. Delice si porta una mano sulla bocca, forse per trattenere un urlo di ribrezzo. L'unica parte non schiacciata del ragazzo è il braccio destro, per il resto il ramo è completamente su di lui. La mano è viola e gonfia e mi fa solo accrescere un senso di nausea. Giro lo sguardo per evitare conati di vomito e incrocio quello di June Edwards. Aggrotto la fronte, stupita di trovarla lì: è raro vederla in giro. Mi sorride per poi riprendere a guardare la scena. Sembra quasi soddisfatta, contenta della sofferenza altrui. È proprio vero che quella ragazza è il male personificato. Vorrei vedere cosa farebbe lei se sotto quel ramo ci fosse il suo, di ragazzo. Delice mi scuote il braccio.
- L'hai visto anche tu? - Mi chiede. Mi giro verso di lei. Ha lo sguardo fisso su una finestra del secondo piano. È terrorizzata. Alzo lo sguardo per controllare bene la stanza scura, per quanto mi è permesso. Qualche secondo dopo scuoto la testa, non notando nulla al di fuori del buio. Le poggio una mano sulla spalla per tranquillizzarla, ma lei si tira indietro, ancora spaventata da questa. Appena riescono ad alzare il ramo, un silenzio tombale cala fra la gente. I bisbigli e perfino delle frasi contro i malocchi che stanno lanciando le signore più anziane terminano. La ragazza riccia si alza, volendo passare e guardare a tutti i costi. Gli agenti, però, la bloccano. Lei inizia a ribellarsi, urlando e cercando di liberarsi dalla loro presa, ma scoppia a piangere quando non ci riesce. I suoi singhiozzi e le sue urla riempiono quel silenzio sovraumano. I poliziotti hanno fatto bene a non farla avvicinare: è una scena agghiacciante e raccapricciante, tipica dei film horror, se non peggiore. Alcune persone si sono allontanate, orripilate dalle condizioni del ragazzo. Perfino il dottore incurva la bocca in segno di disgusto, ma non si lascia comunque sopraffare dalle emozioni. Deve rimanere serio: ha un lavoro da svolgere, anche se non sono sicura di quale sia. Il ragazzo ormai è più piatto di un foglio di carta. La faccia è schiacciata, quasi irriconoscibile, ed è coperto di sangue ovunque. Le gambe sono entrambe rotte e solo Dio sa se anche solo un pezzetto delle costole sia rimasto. Guardo triste la scena: egli avrà più o meno vent'anni. Delice si gira, cercando di non rimettere il pranzo.
- Andiamo a prenderci un gelato. - Trovo una scusa qualsiasi e le do una leggera gomitata per trascinarla via da questa scena. La strada di uscita è molto più semplice. Appena passiamo, la gente si accalca immediatamente per riempire gli spazi vuoti che lasciamo. La ragazza riccia ora è seduta di nuovo in macchina. Ha rinunciato a cercare di vedere quel che rimane del suo ragazzo. Le lancio un ultimo sguardo dispiaciuto.
***
- Quindi sei un Elementale? - Chiede Delice prima di raccogliere con la lingua alcune gocce di gelato sciolto, che stanno scivolando lungo il cono. Non ha intenzione di macchiarsi la nuova maglietta bianca o i pantaloni beige. Annuisco e mangio il mio. Lei ne ha preso uno alla vaniglia e fragola a differenza mia, al semplice cioccolato. Diversamente dalla sua, la mia maglietta blu ha una piccola macchia scura. Dovrei stare più attenta quando mangio. - E anche Jackson Mitchell. Pensavo fosse figo, ma non così figo! Cioè... che figo! - Esclama entusiasta. Io non lo sono per nulla, invece. Ho ancora quella scena del ragazzo schiacciato in mente. Mi sento in colpa: se solo avessi saputo che quel sogno si sarebbe avverato, avrei potuto far qualcosa per evitare questo incidente. Decido però di non rimuginarci sopra e di seguire i discorsi di Delice per una volta: già è un miracolo che sia ancora qui con me, non voglio infastidirla non prestandole attenzione.
- Che figo? Mi hai paragonato a Elsa e lui "che figo"? - Chiedo stupita. Almeno sono felice che si sia rilassata e che non mi tema più di tanto, o così credo. Se sta fingendo di non esserlo perché sono la sua migliore amica, tanto di cappello. Finisco il mio gelato e getto la carta in un cestino. Delice è così impegnata a parlare e a fare domande che non è neanche a metà. Seppure le abbia raccontato ogni singola cosa che Jackson mi ha detto e che è successa, tralasciando l'episodio dell'Adaro, ha ancora domande. Non potevo dirle che stava per morire lì dentro, negli spogliatoi. Vivrà comunque senza essere al corrente di ciò. Non è necessario alla fine.
Stiamo camminando senza una meta precisa nel mio quartiere. Adesso il sole sta tramontando e il buio non tarderà a calare. Si sta bene. Non c'è più quel caldo afoso di qualche ora fa. Ora tira un vento leggero che rinfresca l'intera cittadina. Oltrepassiamo sia casa mia sia quella di Jackson. Non voglio arrivare fino alla fine del quartiere, però, e avvicinarmi di nuovo a quella casa. Non so come quelle vecchiette che abitano lì vicino possano dormire stanotte. Io non ci riuscirei. Starei costantemente vicino alla finestra a scrutare fuori, nell'attesa che accada qualcosa, o a leggere. Insomma, mi terrei occupata. E perché no? Cercare una soluzione per la questione riguardante Jackson. A un certo punto Delice mi afferra per la maglietta, trascinandomi dietro la siepe del vicino. - Ma che cosa fai? - Chiedo stupita del suo gesto mentre le allontano la mano dalla mia maglia. Mi zittisce, portandosi l'indice sulle labbra.
- Cosa ci fa lei qui? - Chiede mentre si sporge di poco dalla siepe. Mi affaccio anch’io, cercando di capire cosa stia guardando. Sento un'esplosione dentro di me quando vedo Jackson camminare accanto a June. Sento mancarmi il respiro. Passeggiano e scherzano come se fossero una coppia. Delice mi rivolge una faccia sconvolta e infastidita. Da un momento all'altro potrebbe andare lì e staccare uno a uno tutti i capelli ricci di June. Però non la fermerei, a meno che non sia io a staccarglieli. Non so se sia dovuto al mio fastidio per quella scena, ma scommetto qualsiasi cosa che una voce nella mia testa mi abbia suggerito di bruciarla. Rimango un attimo scossa da quel pensiero. Io non penso queste cose, e non devo pensarle. Non sono un mostro. Delice mi dà una gomitata per farmi guardare i due. Stavolta sono io a zittirla. Jackson ha le mani in tasca e continua a camminare, guardandola. Ogni tanto sorride mentre lei non smette neanche un secondo di parlare. - Quella lingua ammaliatrice... - Dice con rabbia mentre stringe il cono del gelato fino a romperlo, sporcarsi le mani e farlo cascare a terra. La zittisco per l'ennesima volta, notando quei due che si stanno avvicinando alla nostra siepe. June è particolarmente elegante, anche Jackson non sta male. Lui indossa una canotta bianca con la scritta nera "The Stone Roses" e l'immagine di una fetta di limone al di sotto del nome della band. Tutto questo racchiuso in una linea nera che forma un rettangolo, con uno dei lati minori verso l'alto. Ha gli stessi jeans che aveva il primo giorno di scuola e le sue Converse nere, di nuovo. Lei, invece, ha un top nero. Da sopra un'altra maglia, con le maniche lunghe e trasparenti e l'immagine di vari pipistrelli sopra, poi un jeans nero. Ai piedi non potevano mancare i tacchi, anch'essi neri. Ci sorpassano mentre continuano a parlare e ridere. Sento una fitta allo stomaco, non so se di rabbia o gelosia, forse entrambi. Questo è il motivo per cui Jackson non vuole fare allenamento o qualsiasi altra cosa con me: June. Delice è molto più furiosa. Appena ci superano e si allontanano abbastanza, raggiungiamo casa mia. Entriamo e mi chiudo la porta alle spalle, poi andiamo in cucina. Lei butta la borsa sul tavolo dal nervosismo. - Quella vipera! - Esclama arrabbiata mentre prende un tovagliolo per pulirsi le mani. - Lo sapevo che prima o poi avrebbe fatto qualcosa per cui l'avrei fatta fuori! -
- Io non sono stata fatta fuori, però. - Commento, guardandola. Quando Jackson mi ha chiesto di uscire è solo sparita per un paio di giorni, nulla di che. Lei mi rivolge uno sguardo, risentito.
- Sharon... - Un gemito di dolore proviene dal salotto. Anche Delice sembra sentirlo dato che ha smesso di lamentarsi e sta ascoltando in silenzio, sicura di udirne un altro presto. Quella voce mi chiama di nuovo con più insistenza e, appena la riconosco, raggiungo in fretta il salotto. Delice mi segue a ruota dopo aver buttato il tovagliolo. Trovo Harry steso sul divano che si stringe il braccio destro. Singhiozzo, preoccupata, appena noto le condizioni in cui si trova: ha l'occhio destro gonfio e nero, turgido di lacrime; il labbro inferiore ha un bel taglio proprio al centro; la manica destra della sua maglietta blu è diventata di un colore ancora più scuro poiché impregnata di sangue e, appena noto il suo braccio, sono costretta a mantenere un altro singhiozzo. Ha un grosso taglio che parte dalla spalla e finisce leggermente dopo il gomito. Con la mano fa pressione sulla ferita, riuscendo non so come a coprirla quasi del tutto, per cercare di bloccare il sangue. Quando Delice osserva Harry non riesce a trattenere un urletto per il disgusto. Il riccio sbuffa alla reazione di Delice, nonostante stia penando, ma lo capisco: è cosciente della situazione in cui si trova, non gli serve anche lei a ricordarglielo.
- Cosa ti è successo? - Chiedo preoccupata. Ordino a Delice di andare a prendere degli strofinacci e la cassetta per le emergenze e subito lei corre via, lasciandomi sola con Harry.
- Una strega, una gran puttana. - Ringhia cercando di tirarsi su. Geme rumorosamente per le ferite e si appoggia di nuovo sul divano, non riuscendo nel movimento. - Sharon, qualcosa non va in questo quartiere. - Mi guarda in modo serio con l'occhio buono. Io annuisco, sapendolo perfettamente. Quel ragazzo questo pomeriggio, quelle Ek Ek, l'Adaro, il vampiro... - Tutti questi mostri qui... adesso e dal nulla... qualcosa deve averli attirati. - Jackson mi ha informato del fatto che i mostri percepiscono l'odore degli Elementali e, da quando è arrivato lui, hanno cominciato a mostrarsi. Non vorrei incolparlo, ma i conti tornano.
Delice mi raggiunge con la cassetta e gli strofinacci. Non perdo tempo e li arrotolo intorno al braccio di Harry, stringendoli forte per evitare altre fuoriuscite di sangue. Geme e impreca ad alta voce appena glielo tocco. Delice guarda la scena preoccupata, mordendosi le unghie. - Hey, bionda. - La richiama. - Non mordertele che te le rovini. -
- Lascialo stare. A quanto pare affronta il dolore in questo modo. - Delice si siede sulla poltrona e smette di mordicchiarsi le unghie. Sta in silenzio, aspettando un nostro futuro discorso.
- Posso parlare davanti a lei? - Chiede Harry mentre la indica con un cenno del mento. Emette un altro gemito subito dopo, che poi blocca tra i denti.
- Anche tu sei un Elementale? - Chiede subito dopo lei, curiosa come una bambina. Harry mi guarda confuso, ma io abbasso lo sguardo in modo colpevole. Annuisce mentre s’inumidisce le labbra, capendo che ho ammesso quello che è capitato. Spiegarle tutto non è stato così difficile, omettendo naturalmente le parti peggiori riguardo ai mostri e non dicendole affatto di quell'Adaro. A tutto c'è un limite e non voglio che anche lei abbia la costante paura di diventare cibo per unicorni.
- No. - Le risponde freddamente per poi lanciare un urlo appena gli tocco la ferita. Inizia a tossire, cercando di coprirlo. Anche adesso deve evitare di farsi vedere debole. Stringe forte i denti e con la mano sinistra il cuscino fino a strapparlo un po' da un lato.
- Che cosa stavi dicendo? - Chiedo cercando di distrarlo dal dolore mentre finisco di stringere gli strofinacci. Per quanto possa evitare che muoia dissanguato, non posso chiudergli del tutto la ferita. Bisogna portarlo in ospedale.
- Dobbiamo parlare. Quel coglione di Jackson preferisce uscire con la sua ragazza mentre io sanguino su questo divano pieno di polvere! - Sbuffa forte. Sento un'altra fitta allo stomaco quando dice "la sua ragazza". Non dovrei essere gelosa, non siamo neanche amici, io e Jackson. Nonostante ciò, non perdo la concentrazione. Non è proprio il caso di pensare a lui quando Harry sta soffrendo qui. Stringo bene le bende, poi prendo un fazzoletto pulito e l'acqua ossigenata per disinfettargli il labbro mentre lui riprende a parlare. - La morte di quel ragazzo oggi non è stata un incidente. C'è qualcosa dentro quella casa. - Come corrono veloci le notizie. Lo guardo perplessa, ma non stupita, mentre avvicino il fazzoletto bagnato alle sue labbra, facendolo mugolare dal fastidio. Sono cosciente che quella casa abbia un non so che di sinistro, l'ho sempre sospettato. Anche Delice afferma di aver intravisto qualcosa prima, se solo fossi riuscita a vederla anch’io...
- Penso lo stesso. - Ammetto, non aggiungendo nulla. Non è nelle condizioni per formulare ipotesi ora. Dopo che gli ho tamponato abbastanza il labbro da evitare che s’infetti mi volto a guardare la mia amica. - Delice, hai la macchina? Dobbiamo andare in ospedale. - Lei scuote la testa. - Harry? - Mi fissa impassibile, guardandomi bene con entrambi gli occhi questa volta. È costretto a richiudere subito l'occhio destro, che ha cominciato di nuovo a lacrimare. Impreca sotto voce e annuisce.
- So che sono forte e duro da uccidere, ma non posso guidare in queste condizioni. -
- La fortuna vuole che io sappia guidare. – S’intromette Delice mentre si alza dalla poltrona con un sorriso compiaciuto sul volto.
- Ah, allora non tutte le bionde sono stupide. - Commenta. Poso il fazzoletto sul tavolino e gli stringo così forte uno strofinaccio da farlo urlare. Non mi piace il modo in cui si rivolge alla gente. Mi fulmina con lo sguardo. - Mi dispiace, biondina, ma la mia macchina è off-limits. - Dice rivolgendosi a Delice.
- Bene. - Mi allontano dal dampiro e faccio il giro intorno al divano, mettendomici dietro. - Delice, aiutami ad alzarlo. Se vuole morire in una pozza di sangue morirà fuori casa, non sul mio divano. - Cerco di ribaltarlo per farlo cadere mentre lui sospira spazientito. Potrei sembrare cattiva ai suoi occhi, ma così si fa con i bambini capricciosi. Preferisce rimanere ferito qua pur di non far guidare a Delice la sua Range Rover.
- E va bene! - Sbotta prima che possa cercare di alzarlo di nuovo, sebbene non ce l'avremmo fatta neanche con un esercito. - Le chiavi sono nella tasca sinistra dei miei pantaloni, la mia macchina è la Range Rover nera qui di fronte. - Sorridiamo trionfanti mentre Harry continua a lamentarsi su quanto andare in ospedale sia una cattiva idea. Nel frattempo che Delice recupera la sua borsa in cucina, io prendo le chiavi. - Vedi di prendere solo quelle. - Dice ghignando e facendomi l'occhiolino. Gli do un colpetto in testa per farlo smettere, lancio le chiavi a Delice appena ritorna in salotto e, mentre lei esce in modo da andare a mettere in moto la macchina, io aiuto Harry a mettersi in piedi.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Dopo numerosi litigi in macchina tra Harry e Delice, finalmente arriviamo in ospedale. Il parcheggio non è del tutto pieno e riusciamo a trovare posto facilmente. L'edificio è interamente bianco tranne che per la grossa insegna rossa con su scritto "Ospedale". Il mese scorso è stata anche cambiata: ora è luminosa. Appena entriamo una forte luce bianca ci investe. L'ingresso è molto silenzioso e, a parte un'infermiera alla reception, la sala è vuota. Prevedibile, dato che l'orario per le visite è ormai passato. Appena l'infermiera ci nota, interrompe la telefonata e ci viene incontro. Harry sembra nervoso, come se avesse paura di stare qui. Continua a pregarci di andar via e cerca di tirarci fuori dall'edificio in ogni modo. Se non avesse avuto un braccio quasi distrutto, forse ci sarebbe anche riuscito. L'infermiera ha dei corti capelli castani, a caschetto, e degli occhi celesti nascosti dietro gli occhiali dalla montatura marrone che sembrano più piccoli del normale a causa delle sue guance paffute. Indossa la tipica uniforme da infermiera, che le va leggermente stretta poiché abbastanza formosa, con quelle orrende scarpe bianche ai piedi. Immagino già la faccia di Delice solo a vederle, sapendo quanto sia fissata con la moda. La donna ci viene incontro con un sorriso accogliente, ma quando nota il braccio di Harry rimane un attimo scossa. Subito dopo s’informa su cosa sia successo e, dopo varie scuse da parte di Delice alle quali non ha ovviamente creduto, ma comunque ha finto di accettare, chiama un medico che non tarda ad arrivare. È una donna sui trent'anni, molto slanciata, con capelli castani legati in uno chignon e occhi verdi. Cammina verso di noi sorridendo, senza mostrare i denti, e con le mani nelle tasche del camice aperto che fa intravedere la sua camicetta celeste e i jeans. Mi ricordo di lei: è la stessa donna che mi ha curato l'appendicite quando avevo otto anni.
Appena Harry la vede cerca di fare il duro, nonostante stia per svenire. Quando la dottoressa se ne accorge, dopo essersi presentata come Leanna Villegas, prende una sedia a rotelle dove farlo sedere. Lo aiuto a staccarsi da me in modo da facilitargli il movimento poiché lo sostenevo per non farlo cadere. Ci fa segno di seguirla mentre lo trasporta fino alla fine del corridoio, raggiungendo una porta blu con su scritto "Pronto Soccorso" che apre successivamente. La sala è abbastanza spaziosa e bianca. Sul lato sinistro sono presenti tre lettini, ora vuoti; sulla destra, accanto al muro, c'è un lungo tavolo con gli attrezzi indispensabili per un medico. Ci sono anche un defibrillatore e un dispenser d'acqua. Io e la dottoressa Villegas aiutiamo Harry ad alzarsi e a stendersi sul lettino. Appena lo muoviamo, geme dal dolore.
- Scusate se ve lo chiedo, ma dovete aspettare fuori. Potreste rimanere un po' scosse dalla sua condizione. -
- Gli ho fasciato la ferita e ho avuto un buco in una spalla una volta, questo taglietto posso sopportarlo. - Interrompo bruscamente la dottoressa, acquisendo un tono scontroso, simile a quello di Harry. Corruga la fronte alle mie parole e mi scuso subito dopo per le mie maniere. Delice è rimasta dietro di me a mangiucchiarsi le unghie, nervosa ma determinata a non lasciarmi sola. Leanna non insiste nel buttarci fuori e ci fa rimanere. Senza perdere altro tempo, prepara il necessario per curare Harry.
- Starà bene? - Mormora Delice, preoccupata. Annuisco, lanciandole un'occhiata per la domanda stupida che ha appena fatto. Harry è forte, questo graffietto non è niente per lui. E poi non ha subito una ferita davvero così grave. Fortunatamente non sta perdendo neanche tanto sangue. Delice prende il cellulare e si connette a internet mentre la dottoressa rimuove quelle specie di bende ormai colorate di rosso con cui gli avevo fasciato il braccio. Lui stringe con forza i denti e il lettino dal dolore. In un punto è riuscito anche a strapparlo, ma la dottoressa sembra non essersene accorta. Guardo curiosa la bionda, cercando di capire cosa stia facendo, mentre Harry si lamenta di nuovo. Mi giro a guardarlo per un attimo, poi riporto lo sguardo su Delice.
- Che cosa stai facendo? -
- Sto cercando delle informazioni sui vampiri. -
- E perché? -
- So che è un vampiro! - Esclama in un sussurro per non farsi sentire sia da lui sia da Leanna. - Guarda come stringe il lettino... potrebbe scaraventarlo dall'altro lato della strada. Poi è pallido e... -
- ... e non è un vampiro. - La guardo facendole abbassare ulteriormente il tono di voce. - È un dampiro. - Sussurro per impedire a Leanna di sentire. Beh, Delice ormai è dentro questa storia, meglio informarla su quello che chiede. Mi guarda confusa, ma non perde tempo e cambia la sua ricerca su Wikipedia. Roteo gli occhi al cielo: chissà quante sciocchezze troverà lì sopra. Tutti possono cambiare una pagina su quel sito.
- Figlio di un vampiro e un umano? - Chiede per cercare conferma dopo che si è limitata a leggere la prima frase su Wikipedia. Annuisco mentre lei mi guarda ancora con la stessa espressione, confusa. - E che fa, esattamente? -
- È umano, ma è anche veloce, forte... può diventare invisibile... - Cerco di ricordarmi cos'altro ha detto Jackson riguardo alle abilità speciali del riccio, ma ho un vuoto. Con tutte quelle informazioni con cui mi ha riempito la testa, è normale che mi sfugga un particolare riguardo ai dampiri.
- Ne hai mancata una. – S’intromette Harry, poi guarda male la dottoressa appena mette i punti in modo più determinato per chiudere la ferita. - Vacci piano, dolcezza. Non sono un animale da macello. - Lei ride alle sue parole, continuando inflessibile. Sicuramente non è la prima volta che sente qualcosa del genere. Lui muove le labbra senza effettivamente parlare, come se stesse imprecando in silenzio o architettando diversi modi per ucciderla. - Guardami. - Comanda Harry a Leanna con tono profondo. Ha una voce strana, più bella e virile, quasi seducente. Mi viene voglia di diventare sua schiava. Anche Delice sembra ammaliata. La donna alza lo sguardo negli occhi del ragazzo e interrompe il suo lavoro. - Tappati le orecchie adesso, è una conversazione privata. Cantati qualche canzoncina in mente, ma continua pure ad armeggiare con i miei tendini. - La bionda sembra completamente in trance. Io, non so in che modo, riesco a riprendermi da quello stesso stato in cui stavo cadendo e schiocco le dita davanti alla mia amica, che si riprende quasi subito. Poi, per lei è come se non fosse successo nulla. Leanna invece annuisce in modo meccanico, poi comincia a muovere lievemente la testa a ritmo di musica mentre riprende ciò che aveva lasciato incompleto.
- Ipnosi. - Mormoro meravigliata, lui annuisce. Ne avevo sentito parlare così tanto, ma non l'avevo mai provata (o quasi) personalmente. È una sensazione strana, affascinante. Più o meno la stessa cosa che si prova quando ci si trova tra la veglia e il sonno: non sai se stai già sognando e hai perso il controllo sul tuo corpo o meno.
Leanna gli fascia il braccio dopo avergli messo abbastanza punti da chiudere la ferita, per poi occuparsi dell'occhio. Fortunatamente non ha dovuto mettere un gesso. Una volta che glielo ha curato, passa al labbro, per poi andare a lavarsi le mani appena finito. Io mi avvicino al lettino di Harry, Delice invece corre fuori per rispondere al cellulare che ha appena cominciato a squillare.
- Grazie. - Dice a bassa voce per non farsi sentire se non da me, come se non fosse abituato a dirlo.
- Ho fatto quello che era giusto. - Gli sorrido. Lui ricambia e raddrizza la schiena, tirando su il braccio per poggiarlo sulla gamba, e geme dal dolore a quel movimento. Mi dà una lieve gomitata, seppur il suo braccio sia a pezzi, per attirare la mia attenzione.
- Guarda qua. - Accenna un sorriso divertito. - Fa caldo in questa stanza, non è vero dottoressa? - Le chiede con la stessa voce seducente di prima. Lei si gira. Nonostante stia guardando Harry, il suo sguardo è perso nel vuoto. Si porta le dita ai primi bottoni della camicetta, sotto il camice, e inizia a sbottonarli. La guardo allarmata dopo aver capito le intenzioni di Harry.
- Smettila. - Mi affretto a dire prima che Leanna si spogli. Lui ride e parla di nuovo con quella voce sensuale di prima per bloccarla. La dottoressa si ferma ed esce, sempre su ordine di Harry, mentre si riabbottona. Mi siedo sul letto di fronte a lui. - Con quella lingua potresti combinare un sacco di guai. -
- Oh, sì. - Alza ripetutamente le sopracciglia e mi volge un ghigno malizioso. Gli do un colpetto sul braccio buono, ridendo. Sono contenta che stia bene: mi sono preoccupata moltissimo quando l'ho visto in quelle condizioni. Quel senso di timore che Harry mi provocava ora sta sparendo. Non è così male come vuol far credere, dopotutto.
Ride anche lui mentre mi guarda e sorrido involontariamente, contagiata dalla sua risata. Non ho idea da dove tutta questa confidenza sia saltata fuori, ma spero che dopo averlo aiutato non mi volti le spalle anche lui come Jackson. Non vorrei rimanere sola in questo nuovo mondo in cui lo Gnomo mi ha spinto a entrare. Giro lo sguardo, sentendomi troppo osservata da lui. Non sono abituata a essere fissata da un ragazzo per diversi secondi senza che dica qualcosa. Ringrazio Delice che è tornata non appena sento la porta aprirsi di botto, ma impreco subito dopo nella mia testa quando mi trovo Jackson sulla soglia e non lei, come avevo pensato. Non ho voglia di vederlo, tantomeno di parlargli dopo quello che ho visto nel pomeriggio. Può sembrare un comportamento immaturo, ma non posso nascondere il fastidio che mi hanno provocato quei due.
Jackson ha gli stessi vestiti che aveva oggi quando l'ho visto con June. Solo adesso che si avvicina a noi, però, percepisco il suo profumo di Davidoff che si mischia all'odore del sangue, creando il profumo più buono che abbia mai sentito.
- Come stai? - Chiede preoccupato. Appena nota le condizioni di Harry si morde il labbro: potrebbe scoppiare a piangere da un momento all'altro. Mi fa tenerezza. Sembra si senta in colpa per quello che è accaduto. Non dico che dovrebbe, ma se ha preferito stare in giro con June invece che aiutare Harry almeno qualche senso di colpa deve averlo.
- Bene. E non grazie a te. - Aggiunge freddamente, osservandolo. Sposto lo sguardo da Harry a Jackson e viceversa, sicura che presto scoppierà una discussione.
- Ero impegnato. -
- A puttane potresti andare in altri momenti. - Si tira su e si siede goffamente. Fa oscillare le gambe fuori dal lettino con l'intenzione di alzarsi e si tiene il braccio, stringendo i denti. Si vede che gli dà fastidio.
- Non è una puttana. - Ribatte Jackson, leggermente irritato. Sposto lo sguardo su quest'ultimo, infastidita, e alzo un sopracciglio. Certo che June lo è! È un'approfittatrice di prima categoria. Non sa neanche cosa significhi la parola “umiltà” e lui la difende come se la conoscesse da una vita quando invece non sa niente di lei. Come fa a dire che non lo è? Solo perché ha un bel corpo o dei bei capelli si lascia influenzare così facilmente. Eppure lui non è un tipo che si lascia persuadere subito. Delice è più bella di June, eppure Jackson non l'ha calcolata di striscio. Lui cercava solo e unicamente me, e ora mi dà fastidio il fatto che non cerchi neanche più me, ma solo June. Non che fossi così importante per lui, alla fine sono solo un altro Elementale ai suoi occhi, ma ci speravo.
- Stavo morendo e tu eri con quella! - Sbotta Harry, fin troppo irritato. Sposto lo sguardo su quest'ultimo, rimanendo in silenzio. Incrocio le braccia al petto e seguo la conversazione. Sembrano una vecchia coppia che s’incolpa a vicenda perché uno dei due ha mangiato l'ultimo dolcetto. Mi mordo il labbro, sentendomi fuori luogo. Vorrei dire qualcosa, e dare ragione a Harry, ma forse è meglio non immischiarsi. Già i rapporti tra me e Jackson sembrano essersi disintegrati, non voglio che cominci anche a odiarmi.
- Tu non m’informi che vai a cacciare! Che cosa posso saperne io?! Mi sono catapultato qui appena me l'hanno detto! -
- E chi diavolo te l'ha detto?! - In quel momento bussano di nuovo alla porta.
- Avanti! - Urlano Jackson e Harry all'unisono mentre si girano verso la porta. Mi massaggio le tempie e scendo dal lettino per allontanarmi da quei due: mi sta venendo mal di testa con tutte queste urla. La porta si apre lentamente ed entra l'ultima persona che vorrei vedere in questo momento: June Edwards.
Se la chiude timidamente alle spalle, sotto il mio sguardo adirato: che faccia tosta a presentarsi qui. Fisso tutti e tre. Harry si ristende, avendo rinunciato a scendere, mentre Jackson guarda la riccia. Mi avvicino al lettino, quasi a difendere il dampiro. Mi sento come se dovessi tenerlo lontano da June, come se lei fosse la causa del suo dolore. Mi metto tra Harry e Jackson e fisso quest'ultimo freddamente. Il moro mi afferra il braccio attirandomi più vicino a lui e allontanandomi dallo Gnomo. Rimango in piedi guardando quei due con disprezzo. Non capisco il motivo per cui io ce l'abbia tanto con June: non c'entra in questa storia, e neanche Jackson in fin dei conti se non per il fatto di essere stato egoista. Non può essere sul serio solo gelosia, o sì?
Li guardo mentre la rossa si avvicina a Jackson. Mi viene da mollarle un ceffone in faccia, ma stringo il pugno, trattenendomi dal momento che le mie mani iniziano a riscaldarsi lievemente. Non doveva portarmi via Jackson, non anche lui. Quei pochi momenti felici a scuola, che mi ha rovinato, le sarebbero dovuti bastare.
- Come ti senti? - Mormora in maniera timida mentre osserva Harry. - Sono June Edwards, comunque, la ragazza di Jackson. - Sorride amichevolmente e gli porge la mano. Stringo i denti a quelle parole, costringendomi a deglutire per non offenderla. Ora non è il momento. Mi mordo il labbro per non urlare mentre il dampiro osserva con riluttanza la mano, poi la guarda in faccia.
- Conosco il tuo nome, me l'hanno detto le tue colleghe quando sono andato in cerca di una puttana. Complimenti, a quanto pare sei la migliore sul campo. - Esclama ironicamente, come se lei avesse vinto un premio, mentre passo a mordermi l'interno guancia, questa volta per non ridere. June ritrae la mano, offesa, guardandolo con disprezzo. Poi sposta gli occhi verdi su di me.
- E tu che ci fai qui? - Chiede mentre mi squadra dalla testa ai piedi com'è suo solito fare, senza l'aria amichevole di qualche secondo prima.
- Il mio amico sta male. - Le rispondo con il suo stesso tono. Mi squadra ancora in modo orribile, come se stesse architettando un modo per farmi fuori. Jackson le poggia una mano su un fianco, attirandola verso di lui in maniera protettiva; in tutta risposta lei lo stringe e gli circonda la vita con le braccia, appoggiando la testa sul suo petto mentre mi sorride maleficamente.
- E anche questa volta ho vinto io. - Mi mima June con le labbra, stringendosi di più a Jackson. Inizio a sentirmi davvero bruciare. Non sotto la pelle stavolta, bensì nelle vene. Non mi piace il modo in cui si stringe a lui, come se fosse di sua proprietà. Beh, lo è... ma mi dà fastidio comunque. Odio vederlo con un'altra. Odio vederlo con lei. Mi viene voglia di bruciarle tutti i capelli rossi che si ritrova. Sento i miei pugni tremare dalla rabbia. Perché esiste la gelosia? È un sentimento orribile. Dannato Jackson, dannata June e dannato il suo bel faccino.
Il biondo le sorride dolcemente mentre Harry si sporge dal lettino, facendo finta di vomitare. Stavolta mi lascio scappare una piccola risata e anche Harry ride dopo. June riassume l'espressione cupa che aveva poco fa mentre Jackson ci guarda freddamente.
- Siete due bambini. - Commenta quest'ultimo. - Non solo mi preoccupo per te, mi prendi anche in giro. -
- Io sarei il bambino? Io?! - Non mi piace sentirli litigare, per colpa di June poi. Mi allontano di poco dal lettino e mi avvicino al muro. Vorrei rimanere accanto ad Harry, ma so che il mio mal di testa mi ucciderà prima. Anche June si allontana da Jackson mentre quei due continuano a litigare.
- Non sapevo che avessi il ragazzo. - Mi sorride falsamente. La guardo, senza risponderle. È già un miracolo che qualcuno non sia venuto a interrompere le urla di quei due, non voglio mettermi a litigare anch’io. Inoltre, se avessi cominciato a discutere con lei, le avrei davvero bruciato i capelli. Sento ancora la pelle calda e quei due cretini mi stanno facendo salire il nervoso. Vorrei far loro testa e testa, almeno per qualche minuto la smetterebbero. Harry sembra il più incazzato tra i due, ed è giusto che lo sia. Jackson è solamente spaventato per le condizioni dell'amico, ma un po' di rabbia nella sua voce è presente, non posso negarlo. - È carino. - La voce di June comincia a infastidirmi. Sento che sto per perdere la pazienza e non posso permettermelo. - Però il mio ragazzo lo è di più. - Sogghigna, mordendosi il labbro inferiore. Sento il sangue bollirmi nelle vene questa volta e perfino la voce di quei due mi sta iniziando a irritare. In quel momento entra Delice e guarda tutti e quattro, abbastanza sconvolta, soprattutto appena nota la rossa accanto a me.
- Oh, ma andiamo, anche qua! - Sbotta. June rotea gli occhi al cielo e si gira verso Delice, incrociando le braccia al petto.
- Mi sembrava strano che non ci fossi anche tu. Guarda caso quando succedono casini sei sempre in mezzo, come negli spogliatoi a scuola. - Vedo Delice che respira profondamente. Noto una piccola vena pulsarle sulla tempia: sicuramente starà contando fino a dieci prima di liberare i peggiori insulti. Mi metto le mani sulla fronte, non riuscendo più a sopportare Harry e Jackson litigare.
- Stai con me quando succedono queste cose, magari una volta di queste ci rimani secca. - Risponde a tono Delice. June scoppia a ridere, infastidendo ulteriormente la bionda che comincia a sbraitarle contro. Quest'ultima le risponde con lo stesso tono. Mi guardo in giro mentre mi premo le dita sulle tempie con forza e subito il dispenser d'acqua risalta ai miei occhi. Corrugo la fronte appena noto le bollicine nel liquido: sto per far bollire l'acqua, di nuovo.
- Vi prego, smettetela. - Imploro tutti, non riuscendo più a sopportare quelle urla. Non sembrano darmi retta, però. La macchina con l'acqua inizia a muoversi un po' più forte a ritmo con i miei battiti mentre le bolle aumentano ulteriormente. Non sono sicura di riuscire a fermarlo. - Davvero, basta. Jackson, Delice. -
- Non è il momento. - Mi ammonisce la mia migliore amica. - E con questo? Chi vuole venirci alla tua stupida festa di metà luglio! Non m’importa che non abbiamo l'invito! - Continua a urlare contro June. L'acqua comincia a formare bolle sempre più grandi e il dispenser non smette di muoversi, ma nessuno lo nota, troppo impegnati ad urlare. Sento le mani tremare e i muscoli delle braccia irrigidirsi per il fastidio.
- Davvero, basta. BASTA! - Urlo a pieni polmoni mentre il recipiente del dispenser scoppia e l'acqua schizza ovunque, bagnando anche un po' i ragazzi, più vicini a questo rispetto a noi altre. All'esplosione rimangono tutti zitti a fissare l'acqua a terra e sui muri, ora di un colore leggermente più scuro. Tutti, tranne June. Mi guarda meravigliata, come se avesse trovato un tesoro; nello stesso identico modo in cui ha guardato Jackson durante quel "suicidio di massa" dei compiti di matematica. Rimaniamo tutti in silenzio per un po', cercando di capire cosa sia successo. Arrossisco leggermente, colpevole, ma nessuno, se non Jackson e Harry, realizza che è stata opera mia. June è la prima a muoversi: si avvicina a Jackson e gli afferra la mano.
- Andiamocene via. Questi ospedali fanno schifo, così come i pazienti. - Detto ciò lo trascina fuori dalla sala senza dargli il tempo neanche di salutare. Non credo che l'avrebbe fatto comunque. La guardo finché non si chiude la porta. Nel frattempo, a terra, ai piedi del dispenser, si è formata una pozza d'acqua.
- Ma guarda tu questa. - Esclama Delice e scuote la testa, rassegnata. Senza neanche pensarci, muovo la mano verso la pozza d'acqua per sollevarla in aria e la stringo, andando a formare un pugno, come se stessi afferrando qualcosa, per poi spostarlo verso la porta, aprendo il palmo verso di essa. Allo stesso modo, l'acqua levita e si va a schiantare contro la porta. Rilascio un grido di frustrazione. Harry e Delice portano lo sguardo verso di me, abbastanza sorpresi del mio gesto, soprattutto la bionda che ancora non mi aveva sul serio visto maneggiare un elemento. Respiro profondamente per cercare di calmarmi.
- Ci conviene andare via prima che arrivi qualcuno. Abbiamo fatto fin troppi danni. - Dico dopo mentre aiuto Harry ad alzarsi.
- Prendo la macchina, ma meglio non uscire dalla porta d'ingresso. - Dice Delice mentre annuisco, concordando con lei. Un interrogatorio sulla morte di quel povero dispenser è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora.
***
Delice ci lascia davanti casa mia e mi aiuta a far uscire Harry. La saluto con un sorriso per ringraziarla. Lui mette il braccio buono intorno al mio collo e lo aiuto a salire i gradini mentre geme ad ogni passo. Controllo se ci sia qualcuno in casa: fortunatamente non vedo nessuna luce accesa. Se mi fossi presentata con Harry davanti a mia madre, nelle condizioni in cui si trova oltretutto, mi avrebbe sul serio rimproverato per farmi allontanare anche da lui, cosa che non voglio assolutamente, soprattutto ora. Primo, perché ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lui; secondo, perché è l'unico che può aiutarmi con questa mia nuova natura.
- Siamo fortunati. Mia madre ancora non è tornata. - Dico, aprendo la porta con le chiavi. Me la chiudo alle spalle e aiuto Harry fino al divano per farlo stendere su di esso, accompagnati dalle ennesime imprecazioni del dampiro. Mi stiracchio, premendo le mani sulla schiena. Eccome se pesa.
- Allora possiamo spassarcela, una notizia buona finalmente. - Ridacchia, guardandomi per alleggerire la situazione. Scuoto la testa, divertita alle sue parole, e mi siedo sul tavolino di fronte a lui.
- Come ti senti? -
- C'è davvero bisogno che te lo dica? -
- Domanda stupida, scusami. - Mi mordo il labbro, abbastanza impacciata. Lui inspira ed espira rumorosamente. - Comunque, hai idea di chi fosse quella strega? - Chiedo mentre incrocio il suo sguardo.
- Non lo so. Stavo cacciando un clan di vampiri quando quella pazza è uscita dal nulla. Non ho mai visto niente di più malato... tranne Skah quando ha fame, è una vera bestia. - Lo guardo, confusa.
- Skah? -
- L'Aitvaras di Jackson. - Osserva il mio salotto mentre lo fisso, corrugando la fronte. - Il suo gallo. - Specifica appena nota la mia confusione dopo che ha riportato lo sguardo di me. Rimango un attimo a fissarlo. Ho un ricordo sfocato di un gallo in mente, ma non penso che sia di Jackson. Pensavo di essermi sognata questa cosa. Ogni volta che guardo verso casa sua, non vedo mai l'animale. Ora che ci penso, però, ricordo a tratti il suo piumaggio, forse nero, e gli occhi del medesimo colore, o erano bianchi? - Gli Aitvaras sono creature di protezione. Sono specialmente galli, nella forma di drago ne trovi pochi. Lo regalai a Jackson dopo un incidente che accadde a Roma. Sono in grado di far svenire chiunque. Il colore degli occhi cambia in base all'essere da cui devono difendere il loro padrone: bianco per gli umani, nero per chiunque, o qualunque cosa, abbia una caratteristica diversa. - Sorride poi divertito. - Ti ha fatto perdere la memoria, vero? - Arrossisco un po' imbarazzata. Ora che i pezzi si stanno legando man mano insieme ricordo meglio tutto, e capisco anche finalmente. Quel pomeriggio confusionario a casa mia è stato causato da un gallo.
- Ma perché? Non gli ho fatto niente. - Harry ride di gusto per poi gemere leggermente a causa del braccio.
- Beh, sembravate piuttosto sospette. È tipo un cane da guardia, vi ha visto e ha fatto il suo dovere. Spesso gli Elementali li usano sugli umani per fargli dimenticare dei mostri e di loro stessi. Ecco perché ha un gallo libero in giardino. Avrei dovuto fermarlo, lo so, ma mi stavo divertendo troppo dietro la finestra. - Ridacchia. Ora ricordo anche lui, quel ragazzo nascosto tra le tenebre, che ci fissava. Allora, non sono del tutto pazza, c'era davvero qualcuno in salotto a osservarci.
- E hai lasciato che un gallo mi mettesse KO?! Sono stata con l'emicrania per un giorno intero! - Sbotto, irritata. Lui si morde l'angolo della bocca per non ridere e non afferrare il taglio con i denti. Rimango a fissargli le labbra a quel suo gesto mentre penso anche a quando vidi quegli occhi nella finestra di fronte, quella di Jackson. Dopo averli guardati, mi sono ritornate in mente quelle immagini, come se mi fossero stati restituiti quei ricordi rubati e, se non è stato Skah, non so chi possa essere stato. - L'Aivaro... -
- Aitvaras. - Mi corregge Harry.
- Beh, sì, quello... può restituirti la memoria? -
- Certo, ma non lo fanno quasi mai. - Lo guardo turbata. Gli basta darmi un'occhiata per capire la mia preoccupazione. - A te l'ha ridata... perché? - Chiede più a se stesso, cercando una risposta a quella domanda. Scrollo le spalle mentre inspiro ed espiro rumorosamente prima di andare in cucina a prendere una bottiglietta d'acqua nel frigo, data la gola secca. Poi ritorno in salotto, la apro, mi siedo sul tavolino e ci do un sorso.
- Quindi immagino che Jackson ci abbia riportato a casa dopo che Skah ci ha fatto svenire. -
- Io e lui, sì. -
- Beh, grazie. - Dico in tono ironico e bevo di nuovo. Sebbene il sorso di prima, la gola è così secca da bruciarmi. - Quindi immagino che ci abbiate fatto anche la merenda dopo. -
- Il tè e quelle caramelle? Beh, sì. Quando un Aitvaras ti fa svenire prende anche un po' della tua energia. Spesso la perdi in zuccheri, circa tremila calorie. Le quattro caramelle al miele erano essenziali per la tua amichetta bionda. Spero che non si tolga la vita ora che ha qualche grasso in più sulle chiappe. - Sorrido immediatamente alle sue parole, e scuoto la testa.
- Tranquillo, se la caverà. Ma non capisco perché non avete dato anche a me quelle caramelle. - Lui comincia a mangiucchiarsi le unghie della mano sinistra mentre parlo.
- Sei un Elementale, un po' più di zuccheri rispetto a un altro essere umano è il minimo per riprenderti. Ovviamente, perdi più energia dato le tue abilità speciali. Lizzie sa fare un tè apposta, ma non chiedermi cosa ci sia dentro. Comunque... - Si tira un po' su. - Voglio trovare quella stronza e bruciarla viva. - Dice Harry con voce carica. - Deve pagare per quello che mi ha fatto. - Scovare quella strega non credo sia necessario ora che è appena uscito dall'ospedale. Ha altre priorità.
- Dovresti stare a riposo. - Gli ricordo. Non riesce neanche ad alzarsi, come pretende di combattere una strega, pazza per giunta, dato il modo in cui l'ha attaccato senza neanche un motivo?
- Non sembra che la dottoressa me l'abbia raccomandato... anche perché mi avete fatto uscire da una finestra! - Mi guarda male. Sbuffo nel sentire il suo tono. Sembra uno di quei nobili a cui bisogna levare la zolletta di zucchero in più dal caffè. - Un po' di carne e starò benissimo. Sono mezzo vampiro, ti ricordo. Le ferite si rimarginano in fretta, ho più piastrine rispetto agli altri, e cellule staminali e... - Si blocca appena nota il mio sguardo perplesso quando comincia a utilizzare tutti quei termini scientifici, poi mi sorride. - Beh, e altre cose. - Osserva nuovamente il salotto fin quando il suo sguardo cade sulla porta d'ingresso. - Cos'è quello? - Mi giro a fissare nella sua stessa direzione: sotto la porta c'è un biglietto viola. Harry e io ci fissiamo negli occhi per qualche secondo, confusi, poi gli passo la bottiglina d'acqua e mi alzo. Mentre Harry la finisce, bevendo avidamente, io mi chino per prendere quel biglietto. Me lo rigiro tra le mani e poi lo apro: è un invito per una festa che si terrà il sedici luglio a casa di June. Corrugo la fronte, stranita. - Cos'è? - Chiede Harry dopo essersi passato il polso sulle labbra per asciugarle e aver alzato la testa in modo da vedere il biglietto, curioso.
- Un invito per la festa di June... - Sussurro mentre lo guardo perplessa. Anche lui assume la mia stessa espressione, poi il mio cellulare squilla e mi affretto a prenderlo dalla tasca posteriore dei jeans per rispondere.
- Dimmi Delice. -
- Hai ricevuto anche tu l'invito? - Chiede lei con tono sorpreso.
- Sì... - Mormoro ancora turbata. - Proprio oggi ha detto che non ci avrebbe invitato, perché ha cambiato idea? -
- Ha capito che siamo fighe anche noi. - Ride dall'altro capo del telefono. - Domani andiamo a fare shopping e ci andiamo a trovare qualcosa di sexy da mettere. -
- Certo... - Concordo senza ascoltarla sul serio. Guardo ancora l'invito: questa è la cosa più strana che mi sia successa da quando ho scoperto di essere una Salamandra. Sicuramente ci ha invitato per sbatterci un altro po' in faccia il fatto che stia con Jackson.
- Oh! E poi... - Chiudo la chiamata nonostante Delice stia ancora parlando, ma ora non è il momento di decidere quale abito scomodo indossare. Mi giro a fissare Harry, che mi sta studiando attentamente con lo sguardo.
- Questa storia mi puzza. - Afferma serio. Mi torturo nervosamente il labbro con i denti, levandomi qualche pellicina.
- Anche a me. -

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

- Io penso che quel vestito ti stesse bene invece. -
- Non è il mio stile. - Mormoro mentre mando l'ennesimo messaggio a Harry. Delice spia lo schermo del cellulare, curiosa, e mi guarda.
- C'è qualcosa fra voi due? - Chiede mentre continua a fissarmi.
- No. Non lo vedo da qualche giorno e mi sto solo assicurando che stia bene. Mi ha salvato la vita. Prendermi cura di lui è il minimo che possa fare. - Le sorrido mentre attraversiamo la strada. Io e Delice siamo state tutto il giorno fuori a fare shopping. Alla fine è riuscita a trascinarmi per i negozi con lei. Ne abbiamo girati più di dieci per cercare dei vestiti per la festa di June. Dopo almeno cinquanta abiti, Delice ha optato per un vestito aderente nero e lungo, al di sopra del ginocchio e con le spalline; io, invece, ne ho comprato uno blu scuro, quasi notte, un po' ricamato sul corpetto e con le spalline trasparenti.
Delice è rimasta sorpresa quando le ho detto che saremo andate alla festa. Sono sorpresa anch’io, in realtà, ma farei di tutto pur di scoprire cosa sta macchinando June. Non mi convince per niente quella ragazza, specialmente in questi giorni. Ricevo un altro messaggio da Harry:
"Ci vediamo nella foresta vicino al parcheggio più tardi allora."
Blocco il cellulare e lo ripongo nella tasca del pantalone.
- Ancora non ho capito perché hai cambiato idea. - Dice mentre camminiamo nel mio quartiere. Sorrido non appena noto comparire casa mia in lontananza. Non vedo l'ora di gettarmi sul divano e levarmi le scarpe. Mi stanno sanguinando i piedi.
- Riguardo cosa? - La guardo mentre mi divido le buste in mano. Stanno cominciando a pesarmi e a formarsi dei segni sulle dita a causa loro.
- Riguardo alla festa. Tu odi le feste, e non hai neanche nessuno con cui andare. - Aggiunge in tono abbastanza fastidioso, ma al tempo stesso onesto.
- Hey! - Esclamo un po' offesa, ma lei ride e mi guarda.
- Sappiamo entrambe che è la verità. - La guardo male e poi roteo gli occhi al cielo. Lei nel frattempo caccia le chiavi della macchina dalla borsa e la apre da lontano.
- E tu con chi vai, allora? - Le chiedo, incrociando le braccia al petto. Delice alcune volte è insopportabile. Riesce a farmi sentire esclusa facilmente. Solo perché non ho un accompagnatore, non vuol dire che non posso partecipare. Non è mica il ballo della scuola.
- Non lo so... vorrei chiedere ad Albert Sanchez. Anche lui è stato invitato. - La guardo sorpresa per due ragioni. La prima: June non sa dell'esistenza di Albert ma è stato invitato; la seconda: Delice sa dell'esistenza di Albert. Potrei sembrare cattiva a dire così, ma è pur sempre la verità. Non l'ha mai preso in considerazione e lo definisce un vandalo solo per i murales che crea e che, per precisare, sono davvero stupendi.
- Albert? Non lo degni neanche di uno sguardo a scuola! - Esclamo, camminando verso la macchina di Delice. Lei ride e impedisce a una busta di cadere dalla sua mano. Ho perso il conto di quante ne abbia.
- Ieri ci siamo presi un caffè e ci siamo fatti quattro chiacchiere, tutto qui. È simpatico. E poi forse lui mi vuole invitare, quindi lascio a lui il primo passo. -
- Ah, bene. - Dico un po' irritata del fatto che mi abbia lasciata da sola anche questa volta. Quando si tratta di ragazzi non guarda in faccia a nessuno. Solo io preferisco metterla al primo posto in tutto. Delice non sembra accorgersi del mio evidente fastidio e poggia tutte le buste sui sedili posteriori quando raggiungiamo la sua auto. Apre lo sportello ed entra in macchina.
- Allora. - Si alza gli occhiali da sole in testa per reggere i capelli che le cadono davanti agli occhi. - Stasera serata film da me? - Mi mordo il labbro dopo aver preso le buste in un'unica mano per cercare le chiavi di casa nella piccola borsa a tracolla, abbassando lo sguardo su di essa per evitare i suoi occhi. Non le mento quasi mai, se non in casi di estrema riservatezza, come con il fatto dei mostri. È vero che la metterei al primo posto in tutto, ma mi tocca l'allenamento con Harry e questo davvero non posso saltarlo. È davvero gentile ad aiutarmi con gli elementi, anche se lui non può controllarli, e mi sembra brutto rimandare.
- No, mi dispiace. Ho alcune cose da fare con mia madre e sai quanto diventi isterica se non passo del tempo con lei. - Alzo gli occhi al cielo in modo scocciato, anche se per finta. Assottiglia gli occhi e mi squadra. Deglutisco nervosa che possa aver intuito che le sto mentendo. Non ci vuole un genio a capirlo infatti, dato che sono una pessima bugiarda.
- Sì, in effetti diventa molto isterica. - Concorda dopo un po'. Mette in moto e abbassa gli occhiali da sole sugli occhi. - Beh, mi chiami tu allora. - Mi sorride prima di partire. La guardo allontanarsi. Incredibile, ci ha creduto sul serio. Allora non sono poi tanto male a dire le bugie.
- Guida piano! - Urlo per farmi sentire. Lei suona il clacson come segno di saluto e alza un braccio in aria, mostrandomi il pollice all'insù. Rido e mi giro, incamminandomi verso casa, mentre apro le buste e controllo gli acquisti. Non ho mai comprato tanta roba in vita mia. Non mi piace fare shopping, ma quando Delice mi porta con lei non la finisco più, anche se maggiormente compro magliette. Le richiudo tenendole tutte nella mano destra e con l'altra la cinghia della borsa a tracolla. Non la uso mai, ma da qualche parte dovevo pur mettere il portafoglio e le chiavi di casa. Mi guardo in giro mentre cammino. Un vento fresco soffia leggermente e muove quelle poche ciocche che sono scappate dalla mia treccia. Chiudo per un attimo gli occhi, inspiro ed espiro profondamente, beandomi di quella tranquillità presente nel quartiere oggi. Sembra essere tornato tutto alla normalità dopo l'incidente alla casa abbandonata. Perfino le vicine adesso stanno in giardino a bere il tè e a chiacchierare. Appena passo vicino a loro mi salutano e ricambio con un sorriso. Mi sento anch’io normale dopo tanto tempo, senza problemi. Menomale che Harry si è occupato di risolvere tutto con quelli dell'ospedale, anche se non mi ha detto come ha fatto. Dei ragazzi che entrano per delle cure mediche e poi scompaiono, senza lasciar nome e nulla. Già immagino Harry nella sua felpa nera, col cappuccio in testa, ad ammaliare quelle due povere donne per evitare che possano metterci nei guai. Sicuramente avrà fatto qualcosa del genere, conoscendo i suoi modi.
Continuo a camminare con un sorriso stampato sulla faccia fino a casa per la tranquilla giornata trascorsa. Questo si spegne quando trovo Jackson sul mio muretto e con le mani in tasca. Ha una maglietta bianca e una camicia a quadri rossi e neri sopra. Dei pantaloni scuri strappati sulle ginocchia e le stesse Converse nere ai piedi. Per un momento, mi sembra lo stesso Jackson che vidi per la prima volta a scuola, con i capelli sbarazzini, lo sguardo perso nel vuoto a guardare solo lui sa cosa e l'aria da duro. Si gira non appena si sente osservato e, appena incrocia il mio sguardo, rimane un attimo perso, quasi felice (o almeno credo) di vedermi, poi scende dal muretto con un piccolo saltello. Giro lo sguardo cercando qualcos'altro su cui posare gli occhi.
- Hey. - Mormora ancora con lo sguardo su di me. Non gli rispondo, lo supero, apro il cancello e salgo velocemente i gradini. - Sharon. - Mi chiama, seguendomi. Rimpiango che Delice abbia parcheggiato la macchina più avanti. Se l'avesse lasciata qui, davanti casa mia, mi avrebbe aiutato a scacciare Jackson più facilmente perché so che il mio essere sgarbata giunge ad un limite, poi mi dispiace per l'altra persona.
- Ora mi parli? - Chiedo freddamente.
- Scusami, ma Harry è irritante a volte e in ospedale... -
- Forse sei tu che fai irritare la gente, ti sei mai posto il problema? Scusami, domanda retorica: certo che no. - Lo interrompo, prendendo le chiavi e aprendo la porta. Entro e, prima che possa chiuderla, Jackson la blocca con una mano.
- Posso parlarti? - Chiede mentre mi guarda negli occhi. Mi faccio forza e spingo la porta per chiuderla, senza lasciare che questi mi distraggano. - Lo prendo come un forse? - Chiede di nuovo da fuori, alzando leggermente il tono di voce per farsi sentire. Mi lascio scappare un piccolo sorriso che blocco subito. Sono ancora arrabbiata con lui, dal modo in cui si è comportato con me e soprattutto con Harry poiché non se lo meritava proprio. Vado in cucina, poggiando le chiavi e le buste sul tavolo. Prendo un bicchiere dalla mensola in alto e lo lascio sul bancone, poi mi dirigo al frigo per prendere una bottiglia d'acqua fresca che apro dopo averla posata sul tavolo. Afferro il cellulare per mandare un messaggio a mia madre per informarla che sono tornata e nel frattempo mi verso da bere, puntando un dito verso la bottiglia e muovendolo piano verso il bicchiere. Allo stesso modo, l'acqua esce dalla bottiglia e segue la mia direzione, levitandosi in aria.
- Sei migliorata. - Sussulto a quella voce, perdendo la concentrazione e facendo cadere l'acqua a terra. Impreco nella mia testa alla vista di Jackson appoggiato allo stipite della porta della cucina, con le braccia incrociate al petto.
- Come diamine sei entrato? - Chiedo infastidita, lascio il telefono sul bancone e vado a prendere dei fazzoletti per asciugare l'acqua.
- Nello stesso modo in cui sono uscito quella sera che sei svenuta nel mio giardino. A proposito, ti saluta il mio gallo. - Ridacchia mentre si dirige verso l'acqua, poi ci posa un dito sopra.
- Ricambia. - Rispondo seccata. L'acqua, nel frattempo, si attorciglia intorno al suo dito e viene successivamente risucchiata dalla sua pelle. Lo guardo mentre appoggio una mano sul bancone della cucina e l'altra sul fianco, bloccandomi dal prendere i fazzoletti. - Ti chiederei di insegnarmelo così la prossima volta che entri di nascosto e mi fai spaventare ci metto un secondo a pulire, ma non mi alleni più. - Ride di nuovo e chiude la bottiglia d'acqua, poi me la lancia. La afferro prima che possa cadere a terra, la riapro e verso l'acqua nel bicchiere.
- Ti volevo chiedere scusa. - Per esserti messo con June? Per avermi spezzato il cuore? Per aver interrotto gli allenamenti, l'unica cosa che non avrei mai fatto eppure la facevo solo per te?
- Per cosa? - Mi limito a chiedere. Ormai non voglio neanche sprecare più tanto fiato con lui: sarebbe del tutto inutile. Pensavo fosse un cretino, gli ho dato una possibilità, seguendolo nelle sue pazzie, e alla fine mi ha confermato di essere un cretino.
- Per non calcolarti molto ultimamente. - Rido con amarezza prima di posare le mie labbra sul bicchiere e bere. Mi giro per guardarlo e mi appoggio con la schiena contro il bancone. Come se gli dispiacesse davvero.
- Se vuoi passare le tue giornate con una vipera hai tutta la libertà di farlo. Non sono nessuno per dirti di non stare con lei, e questo me l'hai dimostrato. -
- Non è una vipera. Lei è una persona fantastica, soprattutto simpatica e dolce. - Acquisisce un tono strano mentre mi fissa negli occhi, ma ha lo sguardo vitreo. Corrugo la fronte nell'osservarlo: sembra stia recitando un copione. Beh, direi che June gli ha fatto un eccellente lavaggio del cervello.
- Se sei venuto qua per adularla la porta è lì. - La indico per poi mettere il bicchiere nel lavandino e la bottiglia nel frigo.
- Sto cercando di scusarmi. - Ora il suo tono sembra quello di sempre. Corrugo di nuovo la fronte, dandogli le spalle questa volta. Non riesco a capire se mi stia prendendo in giro o meno. L'unica cosa che voglio è che se ne vada.
- Invece sono più che sicura che tu la stia adulando. -
- Ci sarai alla festa? - Mi chiede all'improvviso.
- Sì, ma che c'entra ora la festa? -
- Bene. Volevo sapere solo questo. – M’interrompe per poi uscirsene di casa, senza darmi il tempo di elaborare cosa stia effettivamente succedendo. Schiudo la bocca, guardandolo sbigottita.
- Scuse accettate. - Dico in modo ironico.
***
- Quindi era rincoglionito? - Chiede Harry. Sospiro, facendo ballare delle piccole fiamme sulle dita della mano destra. Rimango appoggiata all'albero mentre Harry pulisce il suo coltellino, seduto sull'erba. Non mi piacciono i coltelli, ma il suo non è male, anzi: è molto bello. È nero con il manico abbastanza sottile, con su disegnati degli scorpioni in acciaio, che viene aperto in due parti per scoprire la lama. Sposto lo sguardo in alto, nel cielo stellato. Non c'è neanche una nuvola e anche l'aria è fresca. Si sta proprio bene. Siamo nel bel mezzo della foresta. Abbiamo trovato un piccolo spazio dove gli alberi non sono molti fitti affinché possiamo allenarci. Dovrei esercitarmi con l'acqua, ma dopo raggiungeremo il lago quindi, per il momento, l'unico a far pratica è Harry.
- Non ho detto che era rincoglionito. - Mi guarda scettico, alzando un sopracciglio. - Ma sì, lo sembrava abbastanza. - Ammetto mentre spengo il fuoco sulle dita, sospirando. Si mette in piedi e guarda il proprio riflesso nel coltellino, aggiustandosi i capelli, mentre lo fisso, divertita.
- L'amore fa male. - Commenta, scuotendo la testa in segno di disapprovazione, poi mi fa cenno di star ben ferma all'albero. Mi blocco contro di questo, stringendo le braccia ai fianchi e le gambe una contro l'altra in modo molto rilassato. Da quante volte ormai me l'ha lanciato, ed essendo a conoscenza della sua mira infallibile, non ho più timore che possa uccidermi. Lo guardo negli occhi mentre lui mi sorride. - Non c'è sfizio se non tremi più di paura. -
- No, Harry, stai attento. Ho paura. - Dico senza sentimento nella voce, per poi sbadigliare. Si gira il coltello tra le mani più volte, guardandomi in modo divertito. Una volta, su Internet, ho visto che ogni mossa con il coltello ha un nome, anche se non ricordo questa come si chiama. Sicuramente ha a che fare con un Rollover o qualcosa del genere.
- Oh, andiamo. Fammi divertire un po' e fai una faccia terrorizzata. - Accenno un sorriso divertito mentre lancia il coltello senza preavviso, mirando al mio naso. Quando questo è a pochi centimetri dalla mia faccia urlo il suo nome per farglielo fermare, sul serio spaventata che possa uccidermi, mentre lui lo fa tornare indietro, ridendo. Lo guardo con gli occhi sbarrati.
- MA SEI PAZZO?! - Urlo sconvolta mentre lui ride di nuovo, riprendendo a girarsi il coltello tra le mani con gli stessi movimenti di prima.
- Quella è la faccia che volevo. - Accendo una piccola fiamma sul palmo della mano e gliela lancio contro per spaventarlo come lui ha fatto con me. Appena vede il fuoco andare verso di lui, smette di ridere e lo blocca, difendendosi col coltello. La fiamma esplode contro la lama, illuminando di poco lo spazio intorno a noi. Sorrido mentre questa volta lui mi guarda sbalordito.
- Mi hai preso per un hot dog o cosa?! - Sbotta mentre ripone il coltellino nella tasca anteriore dei pantaloni e cammina dall'altro lato, dandomi le spalle, abbastanza offeso.
- Dai, non dirmi che ti sei arrabbiato. - Si gira e mi mostra entrambe le dita medie continuando a camminare all'indietro. Rido e porto le mani dietro la mia schiena per muovere una radice senza che lui se ne accorga. Dietro il dampiro se ne sta allungando una abbastanza robusta dall'albero più vicino, ma non sembra accorgersene. Continua solo a camminare e a guardarmi male, infastidito. Forse ho esagerato un pochino: so che alla fine non mi avrebbe fatto davvero del male. Appena raggiunge la radice ci inciampa sopra, cadendo col sedere a terra. Scoppio a ridere e libero la radice dal mio controllo, per poi raggiungerlo.
- Stupidi Elementali. - Sbotta. - Dovrei uccidervi tutti, partendo da quel coglione del mio migliore amico. - Continuo a sogghignare e gli porgo la mano, lui la afferra e si tira su. Sorrido alle sue parole: non ho mai sentito dalla bocca di Harry le parole "migliore amico", riferite a Jackson. Allora anche lui ha un cuore nel profondo. Davvero, davvero nel profondo.
- Non mi hai ancora detto come vi siete conosciuti voi due. - Dico mentre lui si pulisce i jeans sporchi di terra e successivamente le mani. Mi soffermo a guardargli il braccio destro, stupita: non porta più le bende e le ferite si sono già rimarginate. Ora c'è solo una bella cicatrice che gli arriva fino sotto la manica bianca. È probabile che si sia tolto da solo i punti dato che non penso che avrebbe messo di nuovo piede in un ospedale. È incredibile anche il fatto che, nonostante quell'incidente al braccio, abbia lanciato il coltellino con la destra, quasi a sfidare se stesso. So per certo che è mancino, ma anche con la destra la sua mira è comunque perfetta. Se dovessi lanciare qualcosa con la mano opposta a quella che uso di solito non oso immagine che fine farebbe quell'oggetto.
- A Roma. - Taglia corto. Non che sia sorpresa di ciò: non è molto loquace. - Andiamo al lago, così ti alleni anche un po' tu. - Annuisco mentre comincia a camminare. Lo guardo allontanarsi per poi fare una piccola corsetta per raggiungerlo.
- Allora? Come mai non ti ha ucciso? Comunque sei mezzo vampiro. - Mi osserva e poi porta lo sguardo davanti a sé, mettendosi le mani in tasca, dopodiché sospira, cosciente che è costretto a rispondermi se non vuole che continui a insistere.
- Ero a Roma perché dovevo incontrarmi con mia madre mentre Jackson e Avery erano lì per cacciare. Stavano cercando un vampiro e in poche parole hanno scambiato me per lui. Eravamo tutti e tre nello stesso ristorante e, quando sono uscito, anche loro si sono alzati. Io non pensavo che quei due mi seguissero sul serio, ma quando sono entrato in un vicolo per esserne certo arriva quella testa vuota e mi blocca al muro mentre la cugina mi ruba il coltello. Nello stesso istante il vero vampiro che stavano cacciando ci raggiunge e si occupa di mettere fuorigioco lei, rompendole una bottiglia di vetro in testa. Jackson mi aveva legato a un palo nel frattempo e mi aveva allontanato il coltello. Ho provato a raggiungerlo, ma non sono riuscito a prenderlo. Non potevo neanche fare qualcosa a causa della corda stregata per neutralizzare le mie abilità speciali, altrimenti Jackson sarebbe volato da un pezzo. Poi quell'uomo pieno di tatuaggi e piercing che non vedeva l'ora di bucare il collo a Jackson si era sdoppiato e... -
- Si era sdoppiato? - Lo interrompo, confusa.
- Sì, sono pochi i vampiri che sanno creare una proiezione di se stessi. Comunque, Jackson stava cercando di usare quel poco di cervello che si ritrova per capire quale fosse il vero vampiro, e ovviamente ha scelto quello sbagliato. Mentre litigava con il sosia, il vero stava per ucciderlo da dietro. Quindi mi sono allungato il più possibile anche a costo di farmi male e ho attirato il coltello vicino a me. Mi sono slegato e gli ho tagliato la testa. -
- Wow, sei un eroe. - Ridacchio. - Ma perché l'hai salvato? Cioè, senza offesa, ma sei un mostro: avresti dovuto aiutare il tuo simile. E poi come facevi a sapere quel era il vero vampiro? - Non mi risponde, ma si mordicchia il labbro mentre osserva i suoi piedi, poi alza la testa.
- Sono metà vampiro, riesco a riconoscerlo. Comunque trovavo Avery carina, e avrei fatto colpo se avessi salvato quel deficiente del cugino. - Lo guardo. Harry innamorato è la cosa più strana che abbia sentito finora, e di cose strane ne ho sentite tante. Non perché non lo veda con qualcuno, ma perché non lo vedo essere dolce, dati i suoi modi.
- Ci sei riuscito alla fine? - Lo guardo.
- Sì, e dopo lei ha colpito me. Quella troia. Un giorno di questi la lascio sul serio. - Sbuffa mentre scoppio a ridere.
- Quindi hai la ragazza? - Lui annuisce, anche se non molto convinto. Alla fine è un bel ragazzo: avrei dovuto immaginare che stava con qualcuno. - Hai un coltello figo, comunque. Come fai a farlo tornare indietro? - Chiedo per cambiare discorso.
- Non lo so, sinceramente. Mio padre me lo regalò quando ero piccolo. - Si limita a dire mentre si stringe nelle spalle. Annuisco solamente, non volendogli chiedere niente su suo padre. Appena l'ha nominato la sua espressione è cambiata, tramutandosi in un misto di malinconia e di rabbia.
Continuiamo a camminare in silenzio fino al lago. Rimango con lo sguardo basso in modo da fare attenzione a dove metto i piedi per evitare di cadere. Appena usciamo dalla parte più fitta della foresta Harry si blocca. Alzo lo sguardo e lo porto su di lui per capire perché si sia fermato, confusa, poi noto il lago. Schiudo di poco la bocca, stupita, quando vedo dei serpenti d'acqua grandi quanto Harry fendere l'aria, rimanendo però con la coda immersa nel lago. Sulla riva, e ai piedi dei serpenti, c'è un ragazzo seduto a gambe incrociate. È girato di spalle e indossa una felpa verde scuro con le maniche tirate su, fino al gomito, e il cappuccio in testa. Al polso destro ha un orologio nero. Muove le braccia in modo strano, indicando la direzione da seguire a quei serpenti. Harry mi fa segno di fare silenzio e m’incita a muovermi per allontanarci prima che lui se ne accorga. Capisco la sua preoccupazione, ed è analoga alla mia: e se fosse un Cacciatore Oscuro?
Comincio a muovermi piano ma, non appena calpesto un rametto e lo spezzo, le braccia del ragazzo si fermano. Lascia cadere i serpenti d'acqua sulla superficie del lago che s’increspa, facendo sparire il riflesso della Luna. Il ragazzo si mette in piedi, ma continua a darci le spalle. Harry, invece, s’irrigidisce e mette una mano sul coltello, pronto a estrarlo; io impreco nella mia testa. Ho una grazia da far invidia a una ballerina di danza classica.
Il ragazzo alza piano le braccia, con i palmi rivolti al cielo, e allo stesso modo l'acqua sorge nuovamente, creando una specie di muro. Harry osserva attentamente i suoi movimenti mentre io ho lo sguardo fisso sull'acqua. Quando il muro è del tutto immobile, il ragazzo si gira di scatto verso di noi, e getta le braccia in avanti, come se stesse spingendo qualcuno alle sue spalle. Prima che l'acqua possa colpirci, riesco a vedere il suo volto. La mia bocca si schiude completamente e sgrano gli occhi, stupefatta, non appena riconosco quel ragazzo: Albert Sanchez.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Corro davanti ad Harry nello stesso istante in cui Albert lancia quel muro d'acqua e chiudo gli occhi, portando le mani in avanti e i palmi rivolti verso il mio compagno di scuola per concentrarmi, bloccare quella massa e difendere entrambi. Non ho mai usato l'aria come elemento, quindi cerco di rivolgere maggiormente la mia attenzione a questo. Non deve essere così difficile alla fine. È sempre la stessa procedura: concentrarsi e sentire l'energia della natura fondersi con te prima di lasciarla fluire dentro fin quando non si avverte quella stupenda sensazione, sentirsi potente, così potente da poter far tutto. Percepire quei brividi che dovrei avere sulla pelle anche dentro le vene mentre un flusso, che parte dalle spalle, attraversa l'intero braccio fino alla punta delle dita; è come ascoltare una canzone che fa sentire inarrestabili. In quei pochi minuti, ci si sente invincibili.
Tuttavia, mi sembra che non sia così, almeno con questo elemento. Non riesco a fermare il muro, che ci travolge e ci scaglia a terra. Cado su Harry, tenendo ancora gli occhi chiusi a causa della forte pressione. Tossisco e sputo un po' d'acqua, sentendola perfino nei polmoni. Il terreno intorno a noi è completamente bagnato, pieno di numerose pozzanghere che lo rendono fangoso. Prendo grandi boccate d'aria per riacquistare il respiro, bloccato anche a causa della freddezza dell'acqua, e mi giro verso il lago per guardare il mio compagno di classe, ma è sparito. Harry mi leva di dosso, gettandomi al suo fianco, e si mette subito in piedi mentre impreca con tono rabbioso, urlando contro quel ragazzo, sebbene sia andato via. Mi sposto i capelli bagnati dalla faccia e sciolgo la treccia, ormai rovinata, per farmi uno chignon. Ovviamente, è venuto da schifo. Harry continua a guardarsi in giro per cercare il ragazzo, strizzandosi la maglia bianca che ormai è attaccata al suo busto. È diventata così trasparente da far intravedere l'addome piatto. Goccioline d'acqua tracciano i suoi zigomi e i capelli sono ammaccati sulla fronte. Giro subito lo sguardo, arrossendo, e mi metto in piedi. Non dovrei fissarlo così insistentemente.
- Se lo prendo, lo uccido. - Ringhia, tirandosi i capelli bagnati all'indietro. Un secondo dopo, un movimento d'aria mi sfiora il volto nello stesso istante in cui Harry sparisce. Mi giro a guardare verso i cespugli, seguendo la direzione di questa corrente, e noto che anch’essi si muovono per la stessa scia di vento. Sbuffo, essendo rimasta sola, e cerco di capire dove Harry sia andato. Mi strizzo anch’io la maglietta e prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Il telefono è completamente bagnato e non dà segni di vita.
Un'altra scia di vento alle mie spalle, seguita da dei lamenti, mi costringe a riporre subito il cellulare in tasca, farmi voltare e prepararmi al peggio. Lascio un sospiro di sollievo quando noto che è solo Harry. Mi sarei preoccupata di darmela a gambe se fosse stato un mostro, o almeno di guadagnare tempo. Il dampiro cammina furiosamente e sembra tirarsi qualcosa dietro. Pongo una mano aperta sopra il viso in segno d’imbarazzo appena realizzo cosa sta trascinando, meglio dire chi. Con la mano sinistra stringe il cappuccio della felpa verde di Albert facendo attenzione a non strangolarlo, anche se sono sicura che lo farebbe con piacere. L'altro continua a dimenarsi, cercando invano di liberare il busto dalle corde con cui Harry l’ha legato. Mi chiedo solo dove le abbia trovate.
Quando mi raggiunge, molla la presa sul cappuccio, facendo sbattere Albert con la testa sul terreno. Il ragazzo geme e chiude istintivamente gli occhi dal dolore. Harry si mette sopra di lui, poggia un ginocchio sul suo petto per tenerlo fermo e gli punta il coltellino alla gola.
- Un altro lamento e giuro che ti apro la trachea. - Ringhia, guardandolo negli occhi e premendo di più il coltellino sulla sua pelle per spaventarlo, ma senza ferirlo. Mi avvicino a loro con le braccia incrociate al petto e squadro Albert attentamente per cercare di capire il motivo per cui ci ha fatto una doccia mentre il coltellino accarezza il suo pomo d'Adamo quando deglutisce, respirando affannosamente dalle narici e spostando lo sguardo da Harry a me e viceversa. Non sono sicura se mi stia implorando di far allontanare Harry, credo che sia più spaventato del fatto che potrei lasciar il moro fargli del male, anche se non lo farei. Per un attimo mi sento anche in colpa. Io odio essere chiamata quella "strana" senza una ragione perché, effettivamente, nessuno è a conoscenza di quello che so io. Ciononostante, ero una delle prime a definire quel ragazzo "strambo" quando lui è come me: un Elementale.
Appena si avvede che non allontanerò Harry, visto che quest'ultimo non si muove, Albert gira il volto verso di lui e gli sputa in faccia. Sgrano gli occhi, impaurita per quello che il riccio potrebbe fargli, e allontano il dampiro, afferrandolo per le spalle prima che gli possa squarciare la gola sul serio. Si alza da sopra di lui mentre si pulisce il viso. - Ringrazia chi cazzo ti pare che c'è lei! - Urla furioso mentre m’indica. - Altrimenti avrei dovuto sciogliere il mio coltellino nell'acido dalla quantità di sangue in cui sarebbe annegato non appena avrei finito con te. - Ripone l'arnese in tasca e si allontana per calmarsi, torturandosi le mani al posto di distruggere qualcosa. Poso il mio sguardo su Albert, che si gira a guardarmi, sconvolto per le parole di Harry.
- Sei un Ondino? L'acqua è il tuo elemento principale? - Chiedo. O è un Ondino o si è allenato parecchio, perché io non sarei mai in grado di fare ciò che ha fatto lui. Deglutisce e mi guarda, aggrottando la fronte.
- Come fai a sapere il termine? Sei uno di quei Cacciatori Oscuri, vero? - Chiede, diffidente.
- No, non sono uno di loro. Sono semplicemente informata. - Dico vaga. Non so perché, ma non voglio rivelare ad Albert di essere una Salamandra. Già è abbastanza strano sapere del suo segreto. So che non mi giudicherà, essendo come me, ma ho comunque timore che possa essere troppo diversa da lui, e non ne capisco il motivo. Mi guarda assottigliando gli occhi, poi scuote la testa lentamente, non credendomi.
- Non puoi semplicemente essere informata se sai di loro. - Ride amaramente. - A maggior ragione se te ne vai in giro con un dampiro. - Osserva Harry con disprezzo e disgusto, come se sentisse l'odore di morte solo a guardarlo.
- Salamandra, il mio elemento principale è il fuoco. - Ammetto prima che il riccio possa dire qualcosa. Si mette le mani in tasca e mi guarda in silenzio. Meglio rassicurarlo e dirgli di essere dalla sua parte che essere vista come un nemico, cosa che non sono. L'Ondino mi osserva, poi curva lentamente le labbra in un sorriso e infine scoppia in una sonora risata. Non so se ridere con lui o mollargli uno schiaffo. Non mi piace quando la gente ride di me, tantomeno se lo fa lui, che è come me.
- Sharon Steel, una Salamandra. Wow. Chi l'avrebbe mai detto. -
- Fai ridere anche me? - Chiede Harry in modo freddo. - Non capisco cosa ci sia da ridere. - Albert gli lancia un'occhiata di disprezzo. Prendo il coltellino di Harry e vado a liberare l'Ondino dal momento che è inutile lasciarlo lì legato come un salame. Non farebbe male a nessuno dei due ora che mi ha riconosciuto, perché spero che questo sia il motivo per cui ci ha attaccati: non averci identificato. Con questo buio non riuscirei a riconoscere neanche mia madre. Inoltre, non credo che voglia far arrabbiare ulteriormente Harry. Il riccio mi guarda male per aver preso il suo coltellino senza permesso ma non mi ferma.
- No, no! Scusa, scherzavo. Sharon, dai, non mi uccidere. Siamo compagni di classe! - Continua a implorare mentre la sua voce diventa man mano più acuta, piena di terrore. M’inginocchio vicino a lui, senza interessarmi delle sue preghiere inutili (non sto mica per ferirlo) e comincio a slegarlo. Albert sospira di sollievo, realizzando le mie vere intenzioni. Solo ora mi accorgo che non sono corde quelle che lo tengono legato, bensì radici di alberi. Le taglio con più forza fin quando non si staccano. Quanto diamine è forte Harry per averlo legato con delle radici?! Ma soprattutto per averle staccate!
Appena lo libero si tira su e mi ringrazia, poi si aggiusta la felpa e guarda entrambi. Mi alzo anch'io, restituendo successivamente l'arma ad Harry. Me la strappa di mano e la mette al sicuro nella sua tasca, regalandomi un'altra occhiataccia.
- Scusate per la doccia. Pensavo foste... - Lascia la frase in sospeso senza una ragione. - ... niente. - Si gira verso di me. - Da quanto sei Elementale? -
- Penso da una vita, ma è dalla fine della scuola che sto iniziando a sviluppare i poteri. - Rispondo mentre lo guardo negli occhi, molto più scuri con questo buio. Harry ci osserva in silenzio e con le braccia incrociate al petto, ancora adirato. Sicuramente l'avrebbe lasciato legato per sempre, magari appeso a testa in giù al ramo di un albero, come un pipistrello. Albert annuisce e mi sorride mentre ricambio timidamente. Mi sento in imbarazzo, non abbiamo mai parlato e ora non posso neanche negare che una piccola parte di me spera che magari le cose tra noi possano cambiare. Non sarebbe male avere un amico con cui condividere questo, soprattutto ora che Jackson è impazzito. Sembra che io stia usando Albert come ruota di scorta, ma non è così. Nel profondo, ho sempre saputo che Jackson e io siamo troppo diversi per essere anche solo conoscenti. Dovrei cercare di stringere amicizia con persone simili a me, e Albert lo è davvero. Sa anche cosa significa essere escluso da tutti gli altri per giudizi infondati, sa cosa si prova.
- Sharon. - Mi richiama Harry. Lo ringrazio mentalmente per aver interrotto questo silenzio, almeno da parte mia dato che Albert sembra rilassato, invece, per nulla a disagio. - Muoviti, dobbiamo andare. – S’incammina, passando successivamente tra me e Albert, e spinge di poco quest'ultimo per allontanarlo da me. L'Ondino lo guarda divertito mentre chiudo gli occhi, scuotendo la testa per il suo comportamento, e volgo uno sguardo dispiaciuto ad Albert, che mi sorride per tranquillizzarmi che va tutto bene.
- Arrivo. - Lo saluto con un gesto rapido della mano e seguo Harry. L'Ondino ricambia il saluto, guardandomi. Sento il dampiro borbottare tra sé e sé sul fatto che dovrà prendere dei vestiti nuovi mentre ci allontaniamo dal lago.
- Sharon! - Mi richiama Albert prima che possiamo addentrarci di nuovo tra quei fitti alberi, senza avvicinarsi. Mi fermo e giro il capo per guardarlo. Harry sbuffa rumorosamente e alquanto seccato per l'ennesima interruzione, fermandosi però per aspettarmi. - Se vuoi, qualche volta possiamo allenarci insieme. -
- Certo. - Accenno un sorriso per poi riprendere a camminare. Albert annuisce, felice, e ritorna per la sua strada.
- Non potevi dirmi prima che lo conoscevi? - Si lamenta Harry. - Mi avresti risparmiato la fatica di legarlo. Pensavo fosse un Cacciatore Oscuro. -
- È come se non lo conoscessi. - Mormoro.
***
La mattina dopo mi sveglio presto, non riuscendo a dormire. Ho ancora l'immagine di Albert che forma serpenti d'acqua nella mia testa e non riesco a credere di non essermi accorta prima di questa sua capacità, almeno dopo che ho scoperto la verità. Disegna sempre qualcosa che riguardi l'acqua a scuola, dovevo aspettarmelo. Decido di smetterla di pensare a questo, per ora ho altri problemi per la testa. Ad esempio, la festa di June. Devo capire cosa sta tramando quella ragazza.
Sbadiglio mentre scendo giù, facendo attenzione a non inciampare sui gradini. Mi strofino gli occhi e passo per il salotto prima di andare in cucina. Appena entro, un odore di caffè, bacon e uova mi penetrano nelle narici. Mia madre è seduta al tavolo e legge il giornale mentre sorseggia la sua tazza di caffè. Corrugo la fronte nel trovarla ancora a casa, invece che a lavoro, e mi soffermo sugli abiti che indossa alle nove di mattina: un tailleur nero con una camicia bianca e dei tacchi neri. Spesso indossa dei vestiti meno formali. Alza gli occhi dal giornale appena mi vede, posa la tazza sul tavolo, si leva gli occhiali e li gira tra le dita.
- Buongiorno tesoro. - Mi sorride per poi indossarli di nuovo e riprendere la sua lettura. Ricambio il saluto e vado vicino ai fornelli. Verso un po' di caffè in una tazza e riempio il piatto con bacon e uova, prendendo successivamente un toast e guardando in giro alla ricerca del tostapane, ma non c'è più.
- Il tostapane? -
- Si è rotto. Troppo vecchio. L'ho buttato ieri sera. Domani andrò a comprarne un altro. - Mi risponde prima di prendere un altro sorso al suo caffè, finendolo, quindi si alza per poggiare la tazza nel lavandino.
- Meraviglioso. - Borbotto, accettando l'idea di mangiare il toast freddo. Lei esce dalla cucina, facendo risuonare i tacchi sul pavimento di legno e portandosi dietro il giornale. Guardo in giro per cercare un altro modo per riscaldarlo, poi sbuffo, non trovando niente. Improvvisamente un'idea. Do le spalle alla cucina per non farmi beccare nel caso mia madre torni e stringo il toast tra le mani. Chiudo gli occhi per concentrarmi sulle dita e sui palmi: se avessi guardato altrove mi sarei sicuramente distratta. Sento un flusso di energia che mi solletica sotto la pelle, poi la mia mano comincia a riscaldarsi. Cerco di regolare il calore per non polverizzare il toast e neanche me.
- Sharon. - Mia madre entra in cucina all'improvviso e, alle sue parole, sussulto e faccio cadere la fetta di pane sul bancone per lo spavento. Mi giro verso di lei e copro il toast fumante col busto. Una volta che ho perso la concentrazione le mie mani si raffreddano all'istante. Lei mi guarda con un sopracciglio alzato e sguardo interrogativo.
- Che cosa stai facendo? - Mi chiede, incuriosita.
- Niente. - Mi stringo nelle spalle e le sorrido innocentemente. Mi squadra per qualche secondo, poi sospira, rinunciandoci. Ormai sa che è meglio non fare domande. - Allora, hai una riunione speciale oggi? - Chiedo per cambiare discorso. - Sei vestita abbastanza elegante. -
- No. C'è la commemorazione di quel ragazzo che è stato... - Indugia prima di parlare, deglutendo per sciogliere un nodo in gola e assumendo un'espressione triste in volto. Ciò che è successo al ragazzo biondo, schiacciato sotto il ramo, è stata una vera tragedia per tutta Ruddy Village. - ... che ha avuto quell'incidente alla casa abbandonata. Tra mezz'ora inizia. - Annuisco mentre prendo il piatto riempito con le uova, il bacon, il toast e mi siedo a tavola per fare colazione. - Devi venire anche tu. - Aggiunge dopo mentre do un morso al pane caldo.
- Perché devo? Non mi preparo in così poco tempo e devo fare ancora colazione. - Obietto col cibo in bocca, ma lei mi leva il toast dalle mani.
- Non si parla con la bocca piena. Hai diciassette anni e ti devo ancora dire queste cose? - Mi rimprovera con tono fermo, cosa che mi fa sbuffare silenziosamente. - Quindi mangia in fretta così andiamo. - Dà un morso anche lei mentre mi guarda.
- Ma perché? - Sbotto, gesticolando. - Vai solo tu, preferisco stare qui. -
- Sharon Steel. Viene tutta la cittadina, o almeno la maggior parte, per sostenere Mrs. Walch. -
- Non so neanche chi sia... -
-Lavora al supermercato. È una signora così gentile, ed è la madre del ragazzo rimasto coinvolto in quell'incidente. Quindi mangia e andiamo. - Dice prima di dare un altro morso al toast prima che glielo strappi di mano.
- Se permetti è il mio. - Appoggia una mano sul tavolo e l'altra sul fianco mentre mastica nervosamente. Odia quando non faccio quello che vuole. Pretende di controllare ogni singolo secondo della mia vita. Magari ha un'agenda con su scritto cosa vuole che faccia fino ai cinquant'anni.
Mordo il toast e lo poggio nel piatto, afferrando la forchetta e il coltello per tagliare il bacon e cominciare a gustarmi la colazione.
- Come mai il toast è caldo? - Chiede masticando lentamente, come se si stesse assicurando che lo sia davvero. La guardo allarmata. In effetti, non avevo modo di riscaldarlo.
- Sai che ti dico? Vengo anch'io. - Mi alzo di fretta, senza dare più importanza alla colazione sul tavolo. - Mi vado a preparare! - Sorrido a trentadue denti, falsamente entusiasta, ed esco dalla cucina frettolosamente per evitare altre domande. Lei mi segue con lo sguardo, corrugando la fronte e scuotendo la testa.
***
Mia madre parcheggia mentre guardo fuori dal finestrino. Osservo la chiesa: è un piccolo edificio interamente bianco con il tetto grigio, a punta, e una croce sopra; è ricco di finestre e si trova non molto lontano dal centro della piccola cittadina. Sulla soglia della porta, anch'essa bianca, c'è una folla di persone vestite di nero. Molte di loro stanno piangendo mentre altre porgono le loro condoglianze alla famiglia del ragazzo defunto. Un altro gruppo, appena arrivato, cammina verso la chiesa. Li guardo tristemente: non mi piacciono questi tipi d’incontri. Inoltre, non sono una persona che va molto in chiesa, tranne che a Pasqua e a Natale, sotto costrizione di mia madre.
Appena spegne il motore prendo un respiro profondo e scendo dalla macchina. Mi aggiusto il vestito nero e chiudo la portiera. Tutta la gente ancora fuori si affretta a entrare non appena le campane suonano le dieci. Li seguiamo anche noi. La chiesa è quasi piena, ma fortunatamente troviamo due posti in ultima fila. Odio stare davanti, soprattutto in una commemorazione che non mi tocca davvero nel profondo. Certo, mi dispiace, ma non so neanche il suo nome.
Ci sediamo sul lato destro. L'interno è diviso in due sezioni da una lunga navata che porta a un piccolo altare. Accanto a questo c'è un cavalletto con una foto di quel ragazzo con un sorriso smagliante, i capelli di un biondo lucente ed il nome sotto: Ramsey Kansas. Sui due lati della navata ci sono diverse file di panche con sopra dei fogliettini che spesso preparano per le messe in modo che la gente possa seguirle. Inoltre, sempre su entrambi i lati, due grandi finestre permettono alla luce di risplendere sul pavimento di marmo bianco, così come il soffitto. Su di esso si trovano delle piccole luci rotonde del medesimo colore. I muri, invece, sono in legno, così come la porta in fondo a destra da cui entra normalmente il prete.
Mi guardo in giro: nelle prime file ci sono i parenti di quel ragazzo che si fanno forza l'un l'altro. C'è perfino Mrs. Balzac qualche posto dietro di loro. La guardo sorpresa e divertita allo stesso tempo: non pensavo avesse un cuore nel petto. Anche lei è vestita di nero con un enorme cappello, dello stesso colore del vestito, che le nasconde anche un po' la faccia. Accanto a me si siede una signora sulla quarantina, anche lei con pantaloni e camicia scuri. Ha i capelli castani, raccolti in uno chignon, e il trucco un po' colato sul volto. Regge un fazzolettino vicino alla bocca per evitare di piangere di nuovo.
- Che brutta fine... - Mormora poi con voce rotta. Annuisco, non sapendo che altro dire. Mia madre sta attentamente studiando il foglietto pieno d’immagini di santi per intrattenersi nell'attesa del prete. Continuo a guardarmi in giro, annoiata. - Era un ragazzo d'oro. - Aggiunge sul punto di piangere. Mi giro a fissarla.
- Sarà in un posto migliore adesso. - Sorrido cercando di confortarla con quella frase fatta a cui, in realtà, non crede nessuno. Mia madre ci guarda un attimo, poi riporta lo sguardo sul fogliettino.
- Già, hai ragione. Se lo merita. - Tira su col naso per poi asciugarsi gli occhi prima che altre lacrime possano cadere. Osservo il fazzoletto sporco di mascara, poi giro lo sguardo appena il prete, col suo solito abito nero troppo grande per lui poiché snello, la Bibbia in mano, gli occhiali sulla punta del naso, le guance incavate e i pochi capelli bianchi sbarazzini varca la porta, facendo alzare in piedi tutti contemporaneamente. Seguo la massa, unendo le mani e tenendole vicino al ventre. Il prete comincia la commemorazione mentre io continuo a guardarmi in giro, non prestando realmente attenzione alle sue parole. In realtà, non vedo l'ora che finisca tutto questo. Noto la ragazza riccia (quella che stava seduta nella macchina della polizia qualche giorno fa) piangere in prima fila e un'altra ragazza vicino a lei, con i capelli castani, piangere anche più forte della fidanzata.
- Povera la fidanzata... - Mormoro tra me e me, tristemente. La donna accanto a me si soffia il naso e mi guarda, avendo udito le mie parole.
- Anche l'altra ragazza. - Sussurra. - Dicono avesse l'amante. - Guarda la ragazza mora di fianco la riccia con i capelli rossi. "Ci credo che fosse un ragazzo d'oro", penso, per poi meravigliarmi del mio stesso pensiero: sembro Harry. - Era un bravo ragazzo, però. - Dice prima di scoppiare di nuovo in un pianto quasi disperato. Sbuffo silenziosamente, pregando che la commemorazione finisca presto. Lancio un ultimo sguardo alla donna vicino a me, osservandone bene i lineamenti. L'ho già vista da qualche parte, anche se non riesco a ricordare dove. La fisso un altro po', senza essere invadente, fin quando una piccola luce si accende nel mio cervello: è la stessa donna che vidi sotto casa mia qualche settimana fa, con quel vestito e quel grosso cappello, entrambi rosa, che correva via. Ricordo ancora il suo sguardo quando osservava la mia casa: di puro terrore.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

- Quindi una vecchia di quanto, duecento anni, ti ha messo KO? - Ridacchio mentre leggo alcune scartoffie. Sono ore che Harry e io siamo nel comune, nell'ufficio anagrafe. Si è fissato con quella strega e vuole fare di tutto per scovarla e vendicarsi. Quindi eccoci qui, nel bel mezzo della notte, a cercare qualcuno di cui non sappiamo niente, ma Harry continua a pensare di poterla trovare semplicemente sfogliando dei documenti e riconoscerla sulle foto. Non è detto che abiti qui, poi.
L'ufficio non è grandissimo. Al centro c'è una grande scrivania con sopra dei fogli, un computer, un portapenne ed una piccola agenda. Intorno ci sono in tutto tre sedie: due per i clienti e una per l'addetto in ufficio, ovvero mia madre. Un'unica finestra, abbastanza grande, permette a una pallida luce di rendere la stanza meno buia sebbene sia piena di cassetti blu scuro contenenti cartelle sui dati di ogni cittadino. Su una parete c'è un calendario che segna il dieci luglio. Sono seduta comodamente sulla scrivania a controllare uno dei registri presenti nella sezione "E" mentre lui è vicino a uno dei cassetti per indagare sulla sezione "J". Mi sento come una di quelle spie nei film: sia io che Harry abbiamo un una felpa, con il cappuccio tirato su, dei pantaloni e degli anfibi, tutti neri. Controllo l'orologio al mio polso: le quattro di mattina. Devo comprarmi un nuovo cellulare, non sopporto questi accessori.
- Non sappiamo effettivamente quanti anni abbia. Continua a cercare. - Dice irritato mentre io sogghigno senza smettere di sfogliare la cartella. Non trovo niente di strano tra quei documenti. Sbadiglio leggermente, tenendo una piccola torcia nella mano destra per illuminare i fogli. Lui chiude anche quel cassetto, passando alla lettera "K". Lo fisso per qualche secondo, chiedendomi come faccia a leggere senza un minimo di luce. Poggio i fogli sopra la loro cartella e mi passo una mano in fronte, massaggiandomela da destra a sinistra per alleviare il leggero mal di testa. Sono stanca e, se potessi, mi addormenterei su questa scrivania. Non sono abituata a rimanere alzata fino a tardi, anzi: non è mai successo.
- Secondo me è tutto inutile. - Si ferma dal cercare per guardarmi. Fortunatamente è buio, ma so per certo che mi sta fulminando con lo sguardo. Quando si vuole vendicare, davvero non lo ferma nessuno. - È una strega! - Sbotto. - È logico che tra i suoi documenti non ci sia scritto "Professione: strega." -
- Sei diventata un'esperta ora? - Ribatte mentre chiude il cassetto, anche con un po' di forza. Vuole fargliela pagare, ma innervosirsi e sbattere cose non aiuterà di certo la sua ricerca e a risolvergli i problemi. Soprattutto se comincia a fare rumore e ci fa scoprire.
- Sto solo dicendo che non la troveremo tanto facilmente, Harry. Ti ho accontentato a venire qua nel bel mezzo della notte, rubando le chiavi a mia madre del suo stesso ufficio, ma ora sono stanca. Ho sonno e voglio andare a dormire. - Comincio a mettere in ordine quei documenti nelle proprie cartelle per evitare sospetti il giorno dopo e recare problemi a mia madre.
- Non preoccuparti! - Sbotta stanco delle mie lamentele. - In caso li soggiogo. - Dice, riferendosi ai custodi, anche se non ne abbiamo visto neanche uno finora. Da quando siamo entrati nel comune ho la costante paura che qualcuno possa coglierci con le mani nel sacco e che, riconoscendomi, possa riferirlo a mia madre e causarle qualche problema. È vero, sono io a commettere un reato, però nessuno mi assicura che non ci saranno ripercussioni anche su di lei. Già prima sono andata in panico solo alla vista dell'auto della polizia. Mi meraviglio così tanto di me stessa: se ripenso a qualche settimana fa, l'idea di star in un posto del genere ad infrangere la legge mi sembra del tutto impensabile. Sono la ragazzina timida e impacciata; chi mai crederebbe a questa nottata se mai lo confessassi a qualcuno?
- Mia madre potrebbe perdere il lavoro, Thompson. - Ribatto, guardandolo. Lui si gira di nuovo e mi fissa con un sopracciglio alzato in modo scettico, ma allo stesso tempo divertito.
- Cos'è tutta questa confidenza da chiamarmi per cognome, Steel? - Sorride piano prima di cominciare a mettere al proprio posto tutto ciò che ha preso. Roteo gli occhi al cielo, divertita, e apro il cassetto della scrivania per poggiarci la piccola torcia che mia madre conserva lì. Nel posarla sposto di poco un foglio, scoprendo una cartella che non ho mai visto prima. Molte volte le vengo a portare il pranzo e ogni tanto le do una mano a riordinare, ma quella non ci è mai stata. Corrugo la fronte, confusa. Harry si gira dopo aver chiuso l'ultimo cassetto e si pulisce le mani sporche di polvere, poi mi guarda curioso. - Finora volevi andartene e ora frughi di nuovo tra i cassetti? - Sposto lo sguardo su di lui, poi prendo quella cartella in mano e la osservo per qualche secondo.
- Non ho mai visto questa cartella prima d'ora... - Mormoro. Non appena la apro, il rumore di un tonfo da fuori la stanza mi fa distogliere lo sguardo da questa e me lo fa spostare su Harry per cercare di aggrapparmi alla sua tranquillità, a differenza mia che sto di nuovo andando nel panico. Mi fa segno di stare zitta e cammina piano verso la porta per controllare fuori. Osservo nuovamente la cartella, sfogliandola in fretta: Proprietà Jenkins, la casa abbandonata. La guardo stranita, non capendo perché si trovi nel cassetto di mia madre. Lei non si occupa delle proprietà.
- Via, sotto la scrivania. - Sussurra Harry di fretta prima di muoversi. Apro la felpa e nascondo la cartella lì dentro, subito dopo lo raggiungo. Mi appiccico a lui cosicché possiamo starci entrambi. Quando la porta si apre, Harry mi mette una mano sulla bocca, mi guarda negli occhi e porta un dito sulle proprie labbra per farmi segno di star zitta. Annuisco piano prima di sentire dei tacchi risuonare sul pavimento. Appena questi risaltano ai miei occhi, giro di poco la testa per seguirli con lo sguardo, notando che si stanno muovendo verso destra. Uno dei due, entrambi neri, ha anche graffio proprio sul tacco. Qualche secondo dopo, quella persona ancora ignota a entrambi apre un cassetto, lo richiude subito dopo, poi si affretta a uscire da lì. Aspettiamo qualche secondo prima di alzarci. Harry caccia di poco la testa per controllare che la strada sia libera e si muove in un batter d'occhio, letteralmente. Non lo vedo compiere il movimento. Quando sono in piedi anch'io, ritorna al mio fianco, facendomi trasalire per il piccolo spavento. A volte sembra apparire come un fantasma. - Non penso sia qualcuno della sicurezza, altrimenti avrebbe acceso la luce. - Annuisco, in accordo con lui, prima di accigliarmi confusa. Sebbene non lavori qui, sapeva benissimo dove si trovava ciò che stava cercando. È stata davvero pochissimo tempo per prendere una cartella.
- Chi era allora? - Si stringe nelle spalle, non avendo una risposta. Eppure, quei tacchi mi sembra di averli già visti da qualche parte, ma non so dove. Harry guarda la stanza per cercare di capire quale sezione la donna abbia aperto quando il suo sguardo viene attirato da un piccolo pezzo di carta quadrato e bianco sul pavimento. Si china per recuperarlo, poi lo gira sotto il mio sguardo attento.
- Siamo stati fortunati che non ha trovato di persona chi cercava, allora. - Mormora, osservando quel minuscolo foglio per qualche secondo, poi sposta lo sguardo nei miei occhi. Gira quel pezzo di carta e me lo mostra: è una foto, la mia. Raddrizzo la schiena, sentendomi rabbrividire. Non vorrei pensare subito che sia stato Luke a mandare qualcuno qui, però quest'ultimo ha menzionato un gruppo e, se mi sta cercando, loro avranno le sue stesse intenzioni. Se non mi stanno cercando loro, chi altro potrebbe essere interessato a me? Non sono nessuno, e non valgo così tanto da organizzare una vera e propria caccia nei miei confronti.
***
Mi siedo a bordo vasca insieme a Delice. Io e lei non andiamo quasi mai alla piscina comunale ma oggi, proprio quando volevo dormire per recuperare le ore di sonno perse durante la notte per colpa di Harry, ha dovuto trascinarmici. Almeno a me, non piace abbronzarmi, tantomeno mettermi in costume davanti a mezza cittadina. Non è neanche tanto grande alla fine: si trova in un piccolo spazio circondato da delle mura non esageratamente alte. C'è una piccola postazione destinata al bagnino e poi delle sdraio intorno alla vasca che si trova al centro. L'unica cosa che migliora un po' il posto è un piccolo bar, alle cui spalle ci sono docce e bagni.
Delice naturalmente è a suo agio qui con addosso un costume viola a fascia con qualche brillantino sopra mentre io uno semplice azzurro. Io invece mi sento fuori luogo, come sempre, sebbene la piscina non sia troppo affollata oggi. Ci sono alcuni ragazzi che giocano a palla nella parte bassa della vasca, delle ragazze che si prendono il sole sulle sdraio e altre ancora che si rilassano a bordo piscina.
- Stasera vieni da me? È da un sacco che non facciamo un pigiama party solo noi due. - Insiste, alzandosi gli occhiali da sole per guardarmi negli occhi. Si leva l'elastico dal polso e si alza i capelli per raccoglierli in una coda alta mentre sbuffa per il caldo. Sono giorni che insiste su questa cosa, dormire da lei. Non mi piace dire di starla trascurando, ma se non andassi a caccia con Harry frequentemente, non ci sarebbe neanche nessuno da trascurare. Non mi sarei immaginata di trovare così tanti mostri in una città che non è neanche segnata sulle cartine. Stabilire un equilibrio tra le due cose è davvero difficile, anche se non sembra. La mattina ragazza normale e la sera, soprattutto, cacciatrice di mostri. Purtroppo, non è così. La mia vita va oltre a questa giusta ma generale separazione. In ogni momento potrebbe esserci qualcosa dietro l'angolo, aspettando una vittima di cui nutrirsi.
- Lo so, anche a me piacerebbe passare una serata con te come i vecchi tempi, ma non posso. Ho già detto a Harry che... -
- Che cosa credi? Che non me ne sia accorta? – M’interrompe bruscamente, guadagnandosi un mio sguardo confuso. Schiudo la bocca per chiederle di cosa stia parlando, ma mi anticipa. - Passi tutto il tuo tempo con lui solo perché Jackson non ti parla più, ma devi capire che Harry non è Jackson. Non è il suo sostituto. -
- Io non sto cercando un sostituto a Jackson! - Sbotto, alzando un po' il tono di voce e attirando l'attenzione di tre ragazze sedute non molto distanti da noi. La loro curiosità dura solo qualche secondo, poi ritornano a scherzare e ridere normalmente.
- A me sembra di sì. Sembra che tu stia cercando un sostituto anche a me. Da quando sono arrivati quei due passiamo pochissimo tempo insieme e non sembrate neanche amici, solo compagni di caccia. - Mormora con un tono sia arrabbiato che dispiaciuto. In effetti, ha ragione. Ormai spendo la maggior parte del tempo con Harry da quando Jackson non mi parla più. Però, delle tantissime cose confuse nella mia vita, di una ne sono certa: non sto cercando un sostituto a Jackson, non l'ho mai pensato. È vero: ci sono stata male e volevo che anche lui, almeno un po', capisse come ci si sente a essere esclusi da qualcuno che mi aveva dato una speranza di salvarmi da ciò che stavo diventando, ma Harry l'ho separato benissimo dal definirlo il "sostituto di Jackson". Anzi, sono più amica del dampiro di quanto lo sia mai stata con lo Gnomo, anche se per alcuni giorni. Se qualcuno come me, un altro Elementale, vedesse il rapporto che si sta formando tra me e il moro, penserebbe anche che sia una Cacciatrice Oscura, anche se non è così. Harry è molto più umano di tantissimi mostri e persone. Non capisco perché lo definiscano ancora come uno di loro, di quelle creature. Queste mangiano gli uomini, vogliono fargli del male, ma non lui, che cerca di salvarli. Ciononostante, non sono sicura di poter definire la nostra relazione davvero amicizia, e non solo perché le nostre conversazioni riguardano sempre l'omicidio di qualcosa o qualcuno. In fin dei conti, Harry sta passando del tempo con me perché vuole che lo aiuti con la faccenda della strega. Tutto qui.
- Siamo amici. - Decido di dire a Delice, volendo evitare altre storie da parte sua. - È venuto a cercare me quando si è fatto male e l'abbiamo portato in ospedale, dopotutto. - Mormoro, guardandola. Un'altra abilità di Delice è quella di confonderti e in questo ci riesce benissimo. Se fosse un Dampiro anche lei, ammalierebbe tutti facilmente, ma ci riesce benissimo anche essendo umana.
- Perché Jackson non c'era. Lui riconosce il suo migliore amico, perché tu non fai lo stesso? - Continua a guardarmi con quello sguardo colmo di dispiacere? Rabbia? Fastidio? Magari gelosia. Forse, tutti e quattro insieme.
- Delice, sei tu la mia migliore amica. Solo che voglio passare anche del tempo con lui perché capisce tutta questa pazzia dei mostri. - Alzo lo sguardo su di lei, sussurrando l'ultima parola per non far partecipi della nostra conversazione altre persone.
- Io invece non lo capisco. - Conclude. - Stai dicendo questo? Solo perché non controllo gli elementi o le menti non posso capirlo? - Sussurra anche lei per non farsi sentire, questa volta più infastidita. Odia essere esclusa dalle persone, ma ci sono cose in cui non c'entra, e non può sempre cercare di farne parte. Dovrebbe capire quando bisogna non immischiarsi. Sto solo cercando di proteggerla, dopotutto.
- Non sto dicendo questo, De’. Sto dicendo che finalmente, dopo anni, trovo qualcuno che non dice che sono pazza per quello che sono, nonostante nessuno sappia chi sono in realtà e... -
- E chi sei allora? – M’interrompe di nuovo, facendomi sospirare silenziosamente per il nervosismo. A volte è impossibile fare un discorso diretto con lei.
- Sharon Steel, e sono una Salamandra. - Le rispondo in un sussurro con un tono abbastanza fiero, e non so neanche il perché. Per la prima volta, mi sento bene a rispondere a questa domanda. Mi sento giusta, finalmente io. Completa perché ho finalmente trovato la mia parte mancante e avevo ragione a dire che era qualcosa di disumano perché, nonostante sia umana, sento qualcosa di mostruoso dentro di me. Per tanto tempo, troppo, ho cercato di far parte di qualcosa ed è bruttissimo esserci dentro essendo, sebbene consapevole di non appartenerci davvero. Troppe volte ho provato a colmare quel vuoto seguendo Delice e cercando di entrare nei suoi gruppi di amici, senza successo. Sembra che a volte la gente abbia pietà di me, per questo m’inviti. O magari per accontentare Delice, sapendo che lei non sarebbe andata da nessuna parte se non ci fossi stata io. Beh, la maggior parte delle volte. Quando ci sono le cose importanti, però, nessuno si ricorda di me. La risata di Delice mi riporta alla realtà.
- Scusami, ma sarebbe stato meglio se avessi detto Elementale. - Nel ghignare forma delle piccole fossette sulle guance. - Sono Sharon Steel e sono una Salamandra. – M’imita, sempre a bassa voce e con lo stesso tono fiero, per poi ridere e non posso far a meno di unirmi a lei. In effetti, dire che sono un anfibio non è il migliore modo di presentarmi. Quando si zittisce, mi volge un dolce sorriso. - Scusami per prima. È che non voglio che tu ti allontani per un ragazzo figo. - Alzo un sopracciglio, divertita, sapendo che lei l'avrebbe fatto eccome se fosse stata al mio posto. - Va bene, puoi. - Alza le mani in segno di resa, ridendo. - Credi di riuscire a liberarti per venire a dormire da me? - Chiede di nuovo amichevolmente.
- Va bene, stasera vengo da te allora. - Le sorrido mentre due ragazze si siedono accanto a Delice. Ci giriamo a guardarle per poi alzare gli occhi al cielo, riconoscendole: Karen e Summer Casey. La prima indossa un costume a fascia bianco con delle palme verde acqua sopra; la seconda uno a fascia senza spalline di colore blu e con dei piccoli fiocchi sui fianchi. Entrambe hanno degli occhiali da sole neri sugli occhi e dei cappelli di paglia in testa.
- Guarda chi c'è, Karen. - Ci sorride Summer.
- La senti anche tu questa voce stridula? - Chiede Delice, come se non avesse per nulla notato le gemelle, mentre tiene lo sguardo su di me.
- Cos'è? Una cornacchia o...? - Chiedo con un sorriso divertito. Le ragazze a fianco a noi forzano una risata.
- Simpatiche. - Dice Karen.
- Dov'è il vostro capo? - Delice gira la testa per darle un minimo di attenzione cosa che, secondo me, non meritano.
- Con il suo ragazzo. - Rispondono all'unisono mentre si girano entrambe a fissare me. Drizzo la schiena per non far intravedere il mio fastidio e abbasso il capo per osservare l'acqua, muovendo lievemente i piedi.
- Dovrebbero raggiungerci a momenti. - Dopo le sue parole la guardo, cosa che non avrei dovuto fare: ora, con quel sorriso malvagio in volto, mi viene voglia di prenderla a pugni. Comincio anche a sentire la mia mano calda; questo non va bene. Alcuni ragazzi stanno uscendo dall'acqua, affermando di sentirla molto meno fredda rispetto a prima. Guardo nuovamente la piscina: questa è la terza volta che potrei far bollire il liquido. Delice si accorge del mio sguardo e poggia una mano sulla mia, senza esitare. È incredibile come si sia abituata così velocemente al mio segreto, e che non mi tema più di tanto. Quella si raffredda piano al contatto e spero che succeda lo stesso all'acqua. Successivamente, Delice sposta lo sguardo sulle sorelle appena nota i loro sguardi puntati sull'entrata. Faccio lo stesso anch'io, curiosa di sapere cosa stiano fissando. June fa il suo ingresso tenendo con una mano quella del suo ragazzo e con l'altra i suoi occhiali da sole nuovi. Se li alza in testa, fermandoli tra i capelli ricci, e abbraccia con lo sguardo tutti con un sorriso splendente. Indossa un semplice top bianco che fa intravedere il pezzo di sopra (a triangolino) del costume nero, i pantaloncini di jeans strappati e delle infradito bianche. Anche Jackson ha la stessa calzatura, e solo il costume lungo fino alle ginocchia di colore blu scuro. Gli occhiali da sole neri gli coprono gli occhi azzurri mentre sulle spalle regge un asciugamano con la bandiera inglese. Molto patriottico, direi.
Delice schiude di poco la bocca, soffermandosi sul suo corpo, mentre io roteo gli occhi al cielo per questo suo gesto. Ecco che ci risiamo. Karen e Summer hanno la stessa espressione della bionda mentre si abbassano gli occhiali da sole sul naso per osservare meglio Jackson. Le guardo, alzando un sopracciglio. Oggettivamente, lo Gnomo non ha un corpo da modello, ma solo un addome piatto che, non so come, riesce a distrarre abbastanza queste tre in modo da non farle discutere.
- Bravo. - Commenta Karen dopo un paio di secondi che è rimasta a godere del corpo del ragazzo.
- Molto bravo. - La corregge Summer.
- Davvero bravo. - Si aggrega Delice. Le do una piccola gomitata per farle distogliere lo sguardo, ma lei mi guarda infastidita per averle interrotto lo spettacolo. Non sono sicura che alla bionda piaccia davvero Jackson dato che assume la stessa espressione innamorata con ogni ragazzo; d'altronde, non mi ha mai neanche confessato nulla, e questo è strano. Lei mi dice tutto, ma non ha mai fatto cenno a una possibile cotta. Forse, vuole evitare litigi tra me e lei, convinta che provi i suoi stessi sentimenti nei confronti del ragazzo, cosa non vera.
- Meglio se andiamo via. - Mi alzo e do delle piccole pacche sulla schiena di Delice per farla muovere. Appena mi giro incrocio lo sguardo di June e questa, notandomi, fa apparire un ghigno sul suo volto. Si gira verso Jackson e, dopo aver incrociato le braccia al suo collo per attirarlo al suo viso, lo bacia. Sento un dolore possente al petto mentre il mio cuore va in mille pezzi, di nuovo. Batte forte, scosso da mille spari uno di seguito l'altro, e la parte peggiore è che non si fermeranno. Provo a respirare, ma sembra che anche l'aria circolante in me sia morta. Non so spiegarmi perché mi faccia questo effetto, ma comunque una bomba è esplosa nel mio petto e l'esplosione sta prendendo i polmoni, lo stomaco, la testa, ogni singolo organo del mio corpo, disintegrandomi dentro. Mi sento stupida: sto soffrendo per un cretino che mi tratta malissimo e non si accorge neanche della mia esistenza. Non più, almeno. Come si fa a sfuggire a questo dolore? Si è impossessato di me ormai. Siamo uniti, come le dita a una mano. Però, è anche vero che ho bisogno di lui come una chitarra ha bisogno delle sue corde per essere suonata. Okay, forse un po' mi piace, ma sul serio mi serve il suo aiuto. È l'unico qui che può capirmi in tutto questo schifo di mondo. Harry fa il suo meglio, sì, ma Jackson saprà sempre più di lui sull'argomento.
June apre gli occhi mentre continua a baciarlo, ammiccandomi, mentre Delice mi afferra la mano, decisamente furiosa anche lei.
- Andiamocene via da queste due lucertole. - Dice, riferendosi alla coppietta. Lancio un ultimo sguardo a quei due che si sono appena staccati. Osservo Jackson che sorride a June e mi giro di scatto. Ho detto di aver bisogno di lui, è vero, ma sono così delusa in questo momento che non riesco neanche a guardarlo in faccia. Non voglio vedere lui, June... non voglio vedere nessuno. Come fa la gente a dire che se la persona che ti piace è felice, lo sei anche tu? Non capisco se lo dicono per auto-convincersi che riusciranno a sopportare quel dolore oppure hanno un animo così buono che lo pensano davvero. Nessuno, però, l'ha sul serio, quindi non mi capacito del perché dicano stupidaggini. Se la persona che ami è felice con qualcun altro, tu non puoi far altro che starci male, è la realtà. Perché sai che la sua felicità non dipende da te, ma la tua da quella persona, e questo fa schifo.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

- Say yeah. Let's be alone together. We could stay young forever. Scream it from the top of your lungs, lungs, lungs! - Delice mi afferra i polsi per farmi alzare. - Canta con me! – M’incoraggia con un sorriso. - Say yeah! Let's be alone together. We could stay young forever. We'll stay young, young, young, young, young. - Scoppio a ridere senza distogliere lo sguardo da lei mentre continua a urlare e ballare, euforica, in camera. I suoi sono a cena fuori e, conoscendoli, prima dell'una di notte non torneranno. Mi risiedo sul letto da una piazza e mezza, non essendo il tipo che si lascia trasportare così facilmente, e guardo Delice ballare. La sua camera è molto spaziosa rispetto alla mia. Il pavimento bianchissimo è coperto da un tappetto viola rettangolare e, quando si entra nella stanza, ci si trova di fronte al letto, anch'esso con le coperte lilla, con la testiera attaccato al muro. Su quest'ultimo c'è uno scaffale pieno di CDs dei suoi artisti preferiti, e sono tanti: OneRepublic, Ed Sheeran, Katy Perry, The Fray... conosce tutti gli artisti di questo mondo. Sul soffitto chiaro c'è un semplice lampadario paralume bianco. Nel lato sinistro della camera, un grosso armadio dello stesso colore, e con specchi sulle ante che le coprono interamente, occupa la maggior parte dello spazio; dall'altro, invece, c'è una scrivania in legno chiaro con sopra un Mac con la schermata di iTunes aperta che riproduce i Fall Out Boy, una piccola lampada nera, i suoi trucchi e i suoi occhiali da sole. Alle sue spalle, il muro è tappezzato di poster di cantanti e attori: uno enorme di Robert Pattinson in bianco e nero nei panni di Edward Cullen ne ricopre la maggior parte, lasciando poco spazio ad altri più piccoli tra cui uno di Calum Hood, un altro di Jensen Ackles, Sam Claflin, Evan Peters e altri di cui non conosco il nome.
Roteo gli occhi al cielo e lascio un sospiro quando insiste di nuovo per farmi danzare, così la accontento e mi tiro su, cominciando a scatenarmi con lei. Devo essere abbastanza ridicola mentre mi muovo dato che ha iniziato a ridere, felice. Non ne sono tanto sorpresa: c'è una ragione se non ballo mai. Appena termina la canzone mi lascio cadere sul letto con il respiro affannato, lei mi guarda sorridendo, per nulla stanca. Com’è possibile? Stava in piedi anche da più tempo di me.
- Ho bisogno d'acqua. - Dico prima di scoppiare a ridere.
- Vado a prenderla. - Sogghigna anche lei mentre esce dalla camera. Mi alzo dal letto e vado a fermare l'altra canzone che è appena partita per avere un po' di silenzio. Mi guardo in giro mentre mi risiedo e sorrido contenta. Finalmente, dopo tanto tempo, sto passando una serata normale con una persona normale. Niente mostri, niente elementi, niente streghe, niente Harry e niente Jackson. Chiudo gli occhi e sospiro tristemente. Ho costantemente il suo nome in mente nonostante quel bacio con June. Li riapro, mi mordo il labbro e scuoto la testa. Vorrei essere arrabbiata con lui, davvero, ma non ci riesco. A volte sento il dovere di aiutarlo, come se si fosse cacciato in qualcosa di più grande di lui. Ho questa strana sensazione che mi spinge a proteggerlo, ma non ho capito da cosa. Oltre che da June, certo. Ho sempre odiato quella ragazza e ora che ha una relazione con lui, beh, di certo non mi sta più simpatica di prima. Vorrei cercare un modo per farli rompere: prima di tutto, perché starei più tranquilla e, forse, quel bizzarro pensiero che mi porta a credere che possa capitare qualcosa di brutto a Jackson sparirebbe; secondo, potrebbe riprendere ad allenarmi. Ho pensato più volte di chiedere ad Albert, ma non ho il suo numero e quando ci siamo incrociati per strada mentre venivo da Delice, nessuno dei due ha salutato l'altro. Non so se l'Ondino non mi abbia visto, oppure non voleva realmente esercitarsi insieme e l'ha detto solo per educazione.
La bionda ritorna in camera con una bottiglia d'acqua e due bicchieri. Mi osserva mentre si avvicina a me, lasciando la porta della camera aperta. Di solito tende a chiuderla, ma siamo solo io e lei in casa.
- Finalmente. Ti eri persa? - Accenno un sorriso divertito mentre porto lo sguardo su di lei, intenta a porgermi la roba. Scuote la testa e sorride mentre mi riempio il bicchiere, bevo e infine poggio tutto sul comodino.
- Sto facendo i pop corn. Scegli un film horror. - Mi passa il computer dopo aver chiuso la finestra di iTunes, poi esce di nuovo per andare a prendere da mangiare. Mi appoggio con la schiena alla testiera del letto e le gambe distese. Comincio a cercare qualche film carino su Netflix, optando poi per Dead Birds. Faccio caricare il film mentre Delice ritorna con una ciotola piena di pop corn. Ne mangia qualcuno mentre chiude la porta della camera e si siede accanto a me, assumendo la mia stessa posa. Lascio il pc sul materasso, vado a spegnere le luci, ritorno sul letto e faccio partire il film.
***
I primi minuti erano interessanti, ma ora rimango solo a fissare lo schermo, non seguendo veramente il film. Pensavo fosse più spaventoso, invece non fa per niente paura. Almeno per me, dato che Delice lo sta seguendo con il fiato sospeso. Il suo sgranocchiare pop corn interrompe di tanto in tanto i rantoli e le urla degli attori, ma sembra comunque seguire perfettamente. Dopo tutto quello che ho passato, soprattutto con le Ek Ek (quelle donne con le ali nel parcheggio), non ho più così tanta paura. Ormai so che tutto quello che vedo nei film è davvero finzione. Devo aver timore della realtà, invece. Mi tocco la spalla dove solo qualche settimana fa c'era un buco. Non so bene cosa abbia usato Jackson, ma Harry mi ha raccontato che sua nonna gli ha procurato una pozione efficace, essendo una strega, e devo dire che è stata molto d'aiuto: ormai è rimasta solo una piccola cicatrice.
Afferro il cellulare non appena lo sento vibrare mentre Delice sussulta per una scena. Finalmente mia madre me ne ha procurato uno nuovo; non saprei come avrei fatto senza ancora per molto, soprattutto se ci fosse stata un'emergenza e non avessi avuto modo di rintracciare nessuno. Sblocco il cellulare e leggo il messaggio di Harry:
 
"Hey Steel, come procede la serata?"
 
"Normale. Stiamo guardando un horror. Tu e il tuo concerto privato in macchina?"
 
Poggio il cellulare sul letto per ritornare a far finta di seguire il film quando noto che Delice mi studia con la coda dell'occhio, curiosa di sapere chi sia a messaggiarmi alle undici di sera, sebbene sappia perfettamente che è Harry. In fin dei conti, messaggio solo con loro due.
 
"Il McDonald's e la mia Pepsi, accompagnati dagli Starset, sono una delizia ;)"
 
Sto per rispondere quando Delice, nel sobbalzare e strillare dalla paura, fa volare tutti i pop corn su di noi. Urlo anch’io per lo spavento mentre mi giro verso di lei con sguardo turbato. Lei blocca il film, chiude gli occhi e abbassa lo schermo di fretta.
- Stai bene? - Chiedo mentre osservo i suoi movimenti. Annuisce e alza un dito verso di me in segno di attesa, cercando un attimo di calmarsi dopo aver posato l'altra mano sul petto, all'altezza del cuore. Curvo le labbra in un sorriso divertito e alzo lo schermo per controllare chi, meglio dire cosa, abbia visto di tanto spaventoso: un bambino sotto un letto con occhi neri, naso storto e bocca completamente aperta in modo disumano mostrante dei denti affilati; tutto il viso pieno di vene rosse. Appena Delice apre gli occhi e si ritrova quel mostro davanti, a pieno schermo, li richiude di scatto e si copra il volto con le mani.
- Leva questa... cosa. E il film. - Mormora con un filo di voce. Accenno una risata e chiudo la pagina, spengo il computer e lo faccio scivolare sul materasso, vicino ai nostri piedi.
- Puoi aprire. - La informo, appoggiandomi di nuovo con la schiena alla testiera del letto. Lei sposta due dita per scoprire l'occhio destro, ma continua a tenere le mani sul volto. Appena si accerta che non ci sia niente di spaventoso, si scopre la faccia.
- Mai più un horror, mai più! -
- Pensa che queste cose sono la mia quotidianità. - Accenno una risata per sdrammatizzare prima di perdermi con lo sguardo nell'oscurità della stanza.
- Hai visto un bambino sotto un letto? In quello stato? - Quando sento il suo tono allarmato mi giro verso di lei con fronte corrugata e bocca semischiusa per rispondere alla domanda sciocca che ha fatto.
- No! Certo che no. - Annuisce, poi rimane in silenzio per qualche secondo.
- Non te l'ho mai chiesto ma... com'è essere Elementali? - Mormora, girandosi a guardare nel buio mentre io non sposto i miei occhi dal suo volto, seguendo i suoi lineamenti.
- Non lo so. - Sospiro in modo sconfortato. - Vedi tutto... diversamente. È come se tutto quello che sapevi, tutto quello in cui vivevi, fosse solamente una bugia, una finta realtà. - Mormoro, mordicchiandomi le labbra mentre cerco di trattenere le lacrime. Vorrei trovare una via d'uscita da ciò che sono, ma non è possibile.
- Ma tu vuoi esserlo? - Accenno una risata amara.
- È parte di me, Delice. Che voglia o meno devo accettarla. - Lei gira il volto, rimanendo in silenzio a guardarmi negli occhi. Ha un'espressione triste, come se provasse pena per me, per il mio destino. Prima che lei possa parlare, viene interrotta da un rumore al piano di sotto, forse un piatto caduto. - Sono tornati i tuoi? - Lei corruga la fronte. Si alza e sposta un po' le tende per guardare fuori, poi scuote la testa.
- La loro macchina non c'è. - Mormora preoccupata. Le faccio segno di rimanere in silenzio e sul letto, poi mi alzo piano per non farlo cigolare. Di sotto si sente un altro rumore: un vaso che va in frantumi. Delice sobbalza, mettendosi una mano sulla bocca per bloccare un urlo.
- Stai calma. - Sussurro il più piano possibile. La casa di Delice è abbastanza in periferia rispetto alle altre, quindi potrebbe essere facilmente derubata. In questo momento sto sperando con tutta me stessa che siano i ladri. Meglio degli uomini che posso far scappare via facilmente, utilizzando gli elementi, che un mostro famelico. Lei annuisce con il respiro pesante. Le direi di non andare in panico, ma ci sono passata e so che le parole non funzionano a nulla quando la propria testa sta già mandando tutto in confusione.
Un'aria gelida mi procura subito la pelle d'oca, anche se ci saranno almeno venticinque gradi. Non devo andare in ansia, altrimenti è la fine. Provo a cercare una ragione a quei rumori: un fantasma, un demone, folletti? Interrompo i miei pensieri notando quali cause sto prendendo in considerazione. Scuoto la testa, rassegnata. Ormai sono un Elementale a tutti gli effetti, partendo dal modo di pensare. Ora capisco sul serio l'esempio del bicchiere che Jackson mi fece quando mi confessò la verità, e non lo trovo più tanto assurdo. Mi avvicino alla porta della stanza, girando piano la maniglia.
- Sharon! - Mi chiama in un sussurro, allarmata. - Non vorrai scendere?! -
- Hai un'idea migliore? - Mi giro a osservarla.
- Una valanga! - Esclama sempre a tono basso. - Polizia, CIA, FBI, Harry. Dobbiamo solo scegliere. - Bisbiglia nervosa mentre cerca qualcosa tra i cassetti, ma scuoto la testa.
- No. Me la cavo da sola. - Non voglio che, nell'eventualità fosse qualcosa di più di un ladro, quegli uomini si facciano male. Apro lentamente la porta e trattengo il fiato. Lo rilascio piano appena noto il corridoio buio e silenzioso. Delice prende una torcia e mi segue, avvicinandosi. Scuoto la testa in segno di disapprovazione, non volendo che mi segua e che capiti qualcosa, soprattutto a lei. - Stai in camera. È più sicuro. -
- Vengo con te. - Dice seria e convinta della sua scelta. Apro la bocca per ribattere, ma mi zittisce prima che ne abbia l'occasione. - Ho detto che vengo con te. -
- Va bene! - Sbotto piano, sapendo quanto sia testarda. - Ma posa quella torcia. - Annuisce e la getta sul letto, ma questa rimbalza e cade a terra, facendo fin troppo rumore. Dal piano di sotto si sente un'altra botta. Delice trasalisce di nuovo mentre stringe la presa sul telefono. Glielo lascio portare: se non fosse un mostro, un aiuto da parte della polizia non dispiacerebbe.
Accendo una piccola fiamma sul palmo della mano sinistra ed esco dalla camera. Fortunatamente chiunque (o qualunque cosa) sia non si è accorto della nostra presenza, nonostante il rumore che la torcia ha provocato cadendo. Infatti, non sento nessuno, o niente, salire di sopra.
- Avrei dovuto lasciare almeno la luce in salotto accesa. - Piagnucola spaventata. La zittisco per concentrarmi su quel silenzio, certa che tra poco sarebbe stato interrotto di nuovo. Comincio a camminare piano per il corridoio e lo illumino quanto basta. Mi segue standomi appiccicata, letteralmente. I rumori sembrano essersi placati. Con questo buio, riesco a distinguere a malapena i quadri che raffigurano Delice e la sua famiglia. È una fortuna che non ci siano mobili, altrimenti ci saremmo già sbattute contro e avremmo provocato altro rumore.
Raggiungiamo piano le scale e sporgo un po' la mano sinistra in avanti nel tentativo di illuminare un po' il salotto. Non sembra esserci nessuno, però. Subito dopo, i miei capelli si muovono leggermente, come se una corrente d'aria ci fosse passata vicino. Purtroppo, non c'è questa possibilità, data la finestra chiusa in fondo al corridoio. Mi giro verso Delice che sussulta, sentendo anche lei quello spostamento. Aumento un po’ la fiamma, decisa a vedere cosa ci sia, ma il corridoio è vuoto. Lei cominciare a respirare a fatica.
- Non farti prendere dall'ansia. - Sussurro, guardandola negli occhi. I suoi respiri si fanno più pesanti mentre cerca una spiegazione plausibile. Mi fa pena guardarla terrorizzata; rivedo la me di qualche settimana fa in lei. - Hey. - La scuoto piano con l'altra mano. - Ora devi ascoltarmi. So che la tua mente lo rifiuterà in qualsiasi modo, ma quello che vedrai è molto reale. - Le parlo con tono calmo. - Hai capito che non è possibile che sia qualcosa di umano. Voglio che tu stia calma e che non vada in ansia. Ho bisogno di te, okay? - Lei chiude gli occhi e prende dei grandi respiri per calmarsi, poi annuisce, riaprendoli. Le sorrido e vado verso le scale per scendere giù. Anche il salotto è completamente scuro. Mi raggiunge mentre faccio comparire una fiamma anche sull'altro palmo, illuminando per bene il soggiorno. Il fuoco riesce a catturare il vaso in frantumi, accanto al divano, e la soglia della porta della cucina. S’intravede di poco il tavolo, ma questo viene coperto da una figura che passa davanti alla porta della cucina, restando nella stanza, veloce come un lampo. Delice lascia un rantolo strozzato mentre quella figura cammina di nuovo davanti al tavolo fino a fermarsi tra questo e la porta, permettendoci di catturarla con gli occhi. Rimane ferma e gira piano la testa. Nulla di strano in questa situazione già inconcepibile, fin quando non la rotea di un angolo piatto per guardarci. Sgrano gli occhi, ma cerco di rimanere concentrata e di non perdere la calma; lo stesso fa Delice, sebbene i respiri irregolari che sta facendo. Spero non le stia venendo un infarto.
La donna ha solo un lungo vestito bianco addosso, una specie di camicia da notte. È a piedi scalzi e i capelli bianchi le arrivano quasi al fondoschiena. Strano, dato che sembra molto giovane, sui trent'anni. Deglutisco, cercando di controllare la mia paura. La donna ci rivolge un sorriso a trentadue denti rimanendo nella parte buia della stanza, dove la luce non la raggiunge del tutto, ma abbastanza da delinearle il corpo.
- Ciao. - Dice con voce soave che rimbomba ovunque come un eco. Guarda prima Delice, poi me. Sento il respiro della bionda aumentare di nuovo man mano. La donna accenna una risata quasi inquietante e poi soffia nella mia direzione. Lei scompare insieme alle fiamme sulle mie mani. Il suo ghigno inquietante riecheggia di nuovo per il salotto. Immediatamente, ci mettiamo spalla a spalla per evitare che afferri una delle due da dietro. Solo i nostri sospiri pesanti rompono il silenzio, poi nessun altro suono. La udiamo sogghignare di nuovo, poi tutto ritorna muto. Questi secondi di puro silenzio mi stanno distruggendo. Prima che riesca a muovermi, qualcosa mi agguanta il braccio, affondando le unghie nella carne per non farmi scappare. Lancio un urlo, sia per l'azione improvvisa sia per il fastidio, mentre cerco di riaccendere le fiamme sulle mani, ma non riesco a concentrarmi. La donna scoppia a ridere di nuovo. Credo sia un fantasma, ma non ne sono certa. Le sue unghie nella pelle non mi fanno male, le percepisco solamente, però ha una stretta decisamente forte per essere uno spirito.
- Sharon! - Urla Delice prima di scagliare la luce della torcia del cellulare nella mia direzione, seguendo con l'udito i miei movimenti. Appena vengo illuminata, Delice strilla come non mai. Mi volto a guardare la donna e cerco con tutta me stessa di non dare di matto. La faccia è storta, la bocca le pende da un lato del volto e un occhio sembra impazzito mentre si muove in ogni direzione possibile. A volte l'iride scompare, lasciandolo interamente bianco. La donna svanisce, per poi riapparire dietro le spalle di Delice, lanciandole via il cellulare prima di afferrarla per le spalle e gettarla di schiena a terra. Questo continua, però, a emanare luce verso loro due. Quella creatura sta nella parte buia rispetto alla torcia e non osa avvicinarcisi. Cerco di afferrarlo, senza che lei mi si rivolti contro, per puntargliela direttamente in volto, avendo capito il suo punto debole. Nel frattempo afferra Delice per i capelli e comincia a trascinarla via per allontanarla da me. Lascio perdere il cellulare e corro verso l'interruttore della luce. Quella cosa, però, molla la bionda non appena realizza le mie vere intenzioni, e non quella di scappare via come magari ha creduto. Mi giro appena in tempo per creare un muro di fuoco davanti al mio volto, a pochi passi dal pulsante, facendo attenzione a non causare un incendio. Automaticamente, lo spazio intorno a me risplende grazie alle fiamme e lei, accorgendosi troppo tardi di ciò che ho fatto e non avendo possibilità di fermarsi, si schianta contro il fuoco, venendo fagocitata. Mi affretto a premere l'interruttore del salotto e aiutare Delice a mettersi in piedi non appena smette di urlare.
- Accendi tutte le luci! - Le urlo, correndo al piano di sopra più in fretta che posso per far ciò ed evitare che quella donna si materializzi di nuovo. Lei fa lo stesso al piano di sotto. Quando entrambe abbiamo finito, e l'intera casa è illuminata, ci rincontriamo in salotto col respiro affannato.
- Cosa diamine era quella cosa?! - Urla Delice, ancora turbata. Scuoto la testa, non avendo una risposta.
- Non lo so. So solo che quella cosa non tornerà. - Noto che sta ancora tremando. In effetti, anch'io, ma meno rispetto a lei. Mi avvicino e la stringo forte. - È tutto finito. - Sussurro, tenendola stretta. So come ci si sente a vivere una cosa del genere per la prima volta, anche se per lei non lo è dato che ha visto anche quell'Adaro, ma il suo ricordo sembra essere completamente sparito quando è svenuta. Ad ogni modo, non è una cosa bella, soprattutto se una pazza pulisce il pavimento con te, trascinandoti ovunque. Delice comincia a singhiozzare, scaricando la paura che ha cercato di controllare poco prima. - Non torna, tranquilla. - Continuo a tenerla tra le mie braccia, in silenzio, per lasciarla sfogare.
***
Due ore dopo, Delice finalmente dorme. Abbiamo riordinato il piano di sotto per non far sospettare nulla e cercare scuse. Ora che siamo entrambe sotto le coperte nel suo letto, lei russa piano mentre io ancora non riesco a prendere sonno. I suoi sono appena tornati, ma abbiamo preso delle vecchie lucine a muro e le abbiamo lasciate accese, soprattutto vicino al letto, nonostante non siamo sole. Vorrei rimanere sveglia a controllare che nulla si avvicini a noi, o a chiunque altro, ma le mie palpebre si fanno pesanti ogni minuto che passa.
 
Il nero assoluto ingloba tutto ciò che c'è intorno a me. Sembra che io abbia due pezzi di ferro sugli zigomi per impedirmi di guardare con la coda dell'occhio; mi è concesso solo davanti. Non vedo il mio corpo, ma solo quello che gli occhi mi mostrano. Man mano, una persona appare davanti a me e si allontana per un po', poi si blocca. È una ragazza con dei capelli scuri e davvero lunghi da coprirle l'intera schiena. Non mi mostra il volto, rimanendo di spalle. Con la mano destra si sposta una parte dei capelli sul lato sinistro, ma molti le rimangono tra le dita e altri cadono sul pavimento fino a renderle calva solo quella parte. Rilassa di nuovo il braccio lungo i fianchi mentre sul lato vuoto della testa si forma un puntino nero che s’ingrandisce gradualmente fino a formare una macchia scura abbastanza grande. Vorrei cambiare visuale, ma non mi è possibile. I miei occhi rimangono fermi su quella parte di capo che sta cominciando a mettermi ansia, la quale sta mutando poi in ribrezzo. La ragazza si avvicina, rimanendo di spalle. Vorrei chiudere gli occhi, ma neanche questo mi è possibile. Poi tutto accade velocemente. Un urlo straziante di una ragazza mi stona i timpani mentre su quel punto nero si apre un occhio insanguinato. La visuale cambia, mostrandomi prima una casa con un albero che dà ombra sul vialetto e un suo ramo che si stacca. Senza lasciarmi il tempo di osservare per bene quell'incubo, mi ritrovo in un posto nuovo: un ingresso vecchio e buio, caratterizzato da pareti con la vernice scrostata; alle spalle ho una porta di legno. Questa si spalanca di botto, senza che nessuno l'abbia aperta, per mostrarmi quel ramo precedentemente caduto. L'unica differenza è che adesso c'è qualcosa, qualcuno, sotto di esso: un ragazzo biondo. Alla sua vista, realizzo dove mi trovo: nella casa abbandonata.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

Stendo per bene tutti i fogli che si trovavano nella cartella della casa abbandonata sul mio letto, cercando di metterli in ordine per l'ennesima volta. Sbadiglio leggermente mentre mi passo una mano sulla faccia. Devo stare sveglia e leggere quei documenti. Dopo quel sogno dell'altra notte devo scoprire cosa nasconde quella dannata abitazione. C'è qualcosa dentro; ora ne sono più che certa.
Lancio uno sguardo alla finestra, mi alzo piano dal letto e trascino i piedi fino alla mia postazione, stanca. Mi ci siedo e guardo fuori per prendere una pausa dallo studio di stanotte: tutto è immobile e tra non molto spunterà l'alba. Metto una mano davanti alla bocca per nascondere un altro sbadiglio mentre mi perdo a osservare il cielo. È così bello a quest'ora: non ho mai visto il Sole sorgere. C'è un contrasto tra oscurità e luce, tra blu scuro nella parte più alta, al di sopra delle nuvole, e celeste in quella più bassa. Di fronte la casa di Jackson sta man mano riassumendo il suo biancore insieme con le altre. Osservo un altro po' la cittadina dormiente. C'è un senso di tranquillità che quasi mi stupisce. Mi sento così bene con me stessa, ma forse è solo il sonno che si sta facendo sentire di più. Ho sempre voluto provare a star sveglia tutta la notte, ma non in questo modo, analizzando quella cartella.
Decido di scendere in cucina per cercare un po' di caffè. Sbadiglio nuovamente e mi riempio una tazza, poi esco dalla stanza. Sotto la porta d'ingresso noto le riviste settimanali di mia madre, con il suo nome scritto sopra: Taylor Diaz. Decido di lasciarle lì. Tra non molto si sveglierà per andare a lavoro, come sempre, quindi le raccoglierà direttamente lei. Ritorno in camera mentre continuo a bere a piccoli sorsi, poi prendo un foglio in mano quando mi siedo sul letto, rileggendolo per la terza volta. In nove ore non ho trovato niente di strano. Sono riportate le solite informazioni noiose: i proprietari della casa, i lavori di restauro a cui è stata sottoposta, le spese e tante altre informazioni inutili per me. Lascio il foglio sul letto e bevo di nuovo. Nel posare la tazza sul comodino, faccio cadere alcuni fogli. Mi chino senza alzarmi dal materasso mentre sbuffo, li afferro e mi tiro su. Mettendoli a posto, struscio involontariamente il pollice e l'indice su ognuno di essi, ma la carta del secondo attira maggiormente la mia attenzione: questa, infatti, sembra più spessa rispetto alle altre. Corrugo di poco la fronte, confusa. Per assicurarmi che il sonno non faccia brutti scherzi, prendo un altro foglio e lo strofino piano tra le dita dell'altra mano per comparare i diversi spessori ed essere certa di quello che ho notato. In effetti, è meno sottile. Lascio l'altra carta sul letto e mi concentro su quella doppia. Mi sporgo verso la lampada sul comodino per metterla sotto la luce e osservarla meglio. Presto attenzione al suo angolo, continuando a strofinarla con più forza finché non si divide in due. Mi affretto ad accendere la luce sul soffitto e a buttarmi sul letto dopo aver spostato gli altri fogli. Entusiasta di aver scoperto qualcosa dopo ore, lo tiro piano per separarlo dall'altro. Mi ritrovo con due documenti diversi in mano. Sorrido soddisfatta, sperando solamente che anche questo foglio non sia un'ulteriore delusione. Raccolgo tutte le altre carte e le ripongo in ordine nella cartella, poi comincio a leggere ciò che m’interessa. Su quest'ultima vengono riportate tutte le morti che sono avvenute in quella casa. Non mi dovrei meravigliare tanto: a causa dell'epidemia di peste, sicuramente i nomi su quella lista saranno molteplici. Tuttavia, non è così. Infatti, quando noto che i decessi sono tutti causati da quel ramo, rimango un attimo scossa. Nel contare i nomi, divento ancora più perplessa: oltre trenta ragazzi sono morti per questo e tutti di età diverse. Ora ci sono varie domande nella mia mente, ma al primo posto è il motivo di tener segreto ciò. Forse, vedendo tutti questi "incidenti", le persone sarebbero state riluttanti a comprare nuovamente la casa. Purtroppo questi non sono semplici disgrazie. Non può essere una coincidenza che tutte le vittime siano degli uomini. Non so cosa li accomuni, ma di certo non l'età: il più giovane era un ragazzo di sedici anni, il più anziano uno di settanta. Comincio a leggere i nomi con la fronte aggrottata. Non posso neanche ammettere l'idea che nessun uomo sia mai entrato in quella casa. Il primo proprietario l'ha fatto; inoltre, ci sono stati dei lavori. Qualche uomo di certo ha superato il vialetto. Quindi, questo mi porta a pensare che il ramo non cade sempre. Ciò che non torna, il punto più evidente almeno, è come riesca a rigenerarsi così velocemente. Ormai è più che ovvio che sulla casa ci sia un qualche tipo di maledizione, ma non so quale, e soprattutto il perché.
Prendo nuovamente il foglio per cercare il nome delle persone che si sono occupate di questi lavori, poi recupero il computer sulla scrivania. Forse qualche maledizione pendeva sul capo di uno di loro, e in qualche modo è rimasta legata alla casa. Ritorno più veloce che posso sul letto, ci poggio il pc sopra e accendo quest'ultimo. Continuo a leggere i loro nomi mentre questo si accende e la pagina del giornale online di Ruddy Village si carica. Forse, in qualche vecchia notizia di cronaca, troverò qualcosa che potrei collegare a loro, anche se ne dubito. Le maledizioni rimangono legate all'oggetto o alla persona che le riceve, non passano da uno all'altro. Non dovrei cercare gli operai attuali, non c'entrano niente alla fine, bensì il gruppo precedente alla prima morte avvenuta a causa di quel ramo. Probabilmente uno di loro è morto durante i lavori e il suo spirito è rimasto intrappolato lì in cerca di vendetta, ma per quale motivo? Non perdo altro tempo e comincio a cercare informazioni sugli operai. Un uomo ha perso la vita a causa di una scossa elettrica con successivo infarto durante la seconda ristrutturazione. Però, se avesse voluto vendetta sugli operai, sarebbero morti tutti, eppure questo non è accaduto. Ci sono stati altri lavori in seguito, e nessuna vittima.
Lascio un respiro rumoroso e mi passo nervosamente le mani sul volto, frustrata. C'è sempre qualcosa che non torna. Anche se volessi trovare qualche maledizione a cui è soggetta la casa, non credo che su internet scoprirei qualcosa. Afferro il foglio di nuovo e comincio a cercare quegli uomini su internet, tentando di individuare un nesso tra loro. Se quel dannato ramo cade solo in un caso, devo capire quale sia. I miei occhi scorrono come impazziti dal documento allo schermo del computer e viceversa mentre le mie dita digitano veloci sulla tastiera. Mi allungo verso il comodino per poi afferrare la tazza di caffè e berla avidamente, finendola quasi. Ho fretta di cercare un senso in tutto questo e di avere delle risposte, finalmente. I miei sogni sono troppo concentrati su quest’abitazione per passare inosservata. Sono un Elementale, una Cacciatrice, ed è mio compito evitare altri morti a causa sua. Non so perché solo io abbia questi incubi, ma non posso semplicemente far finta di nulla.
Dopo qualche minuto, e dieci pagine aperte su Google, un briciolo di speranza si fa largo dentro di me. Guardo le loro foto: tutte le vittime hanno un colore degli occhi chiaro. Forse questo è ciò che li accomuna. Aprendo le pagine successive, però, quella piccola fiducia di aver risolto finalmente il caso sparisce gradualmente. Le iridi degli altri ragazzi sono scure e i loro capelli tutti di colori diversi. Questo, però, non sarebbe sufficiente in ogni caso come motivo, anzi: sarebbe stupido.
Mi stiracchio per un leggero fastidio alla schiena, poi riprendo a digitare. Dopo una buona mezz'oretta in cui riporto dati e informazioni, trovo finalmente il vero nesso che cercavo: il tradimento. Ogni uomo che è stato ucciso da quel ramo ha tradito la propria moglie o ragazza. Anche ragazzo, in due casi. E ora che ci penso, quella donna seduta vicino a me alla commemorazione aveva detto che quel ragazzo biondo non era stato fedele; infatti erano presenti due ragazze in prima fila a piangere per lui in chiesa.
Corrugo la fronte, più confusa di prima, e premo i palmi delle mani sulle tempie mentre sospiro rumorosamente. Tutto questo non ha senso. Non è possibile, figuriamoci normale. Non si possono uccidere delle persone per questo. Certo, è un atto ignobile, ma non si può arrivare a tanto. Mentre la mia mente continua a friggere a causa di tutte quelle ricerche e pensieri per cercare di legare i pezzi insieme, un raggio di luce penetra nella stanza, abbagliandomi. Sento la testa scoppiarmi. Spengo il computer quando le palpebre diventano troppo pesanti. Ho davvero bisogno di riposo. Metto tutti i fogli in ordine nella cartellina per poi nasconderla in un cassetto. Vado a posare il pc sulla scrivania prima di mandare un messaggio a Delice e uno a Harry, chiedendo a entrambi di passare da me più tardi, senza menzionare nulla riguardo ciò che ho probabilmente scoperto. Il dampiro mi risponde subito, rifiutando tuttavia l'invito perché è impegnato con la faccenda della strega. Delice, invece, ancora non ha visto il messaggio, ma sono solamente le sette del mattino. Lo farà quando si sveglierà. Non dovrei metterla in mezzo a tutto questo e farla entrare nel mio mondo, eppure quando mi ha scoperto a usare gli elementi non è rimasta così sconvolta. Non come mi aspettavo, almeno. Ognuno reagisce in modo diverso, però. Tuttavia, voglio almeno informarla di ciò; è bello sapere che posso raccontarle anche cose al di fuori dell'ordinario. Lei, tra l'altro, è sempre stata un'appassionata del soprannaturale e ora, sapendo che molte cose sono vere, è diventata ancora più curiosa di conoscere cosa succede nella mia vita. È la mia migliore amica, dopotutto, e mi fa piacere riuscire a trovare un punto d'unione tra la mia vecchia vita e la nuova, e soprattutto che non sia completamente spaventata da questa, nonostante l'episodio dell'altra sera.
Mi accascio sul letto, stremata, e non faccio in tempo a ripensare se ciò che ho scoperto sia valido o meno che mi addormento.
 ***
- Sharon! - La voce squillante di Delice mi sveglia di botto, facendomi sobbalzare, scattare in piedi e accendere una piccola fiamma sulla mano in segno di difesa.
- Dov'è il Treant?! - Urlo alla ricerca di quell'albero umanoide che stava trasformando le sue radici in braccia e gambe nel mio sogno. Anche Delice strilla di rimando mentre si allontana da me alla vista del fuoco, spaventata dalla mia reazione. Quando mi rendo conto di trovarmi nella mia camera, e non in un bosco nel bel mezzo del nulla a rincorrere quella creatura, estinguo la fiamma. Guardo Delice che nel frattempo si è messa in un angolino della stanza, terrorizzata, e sospiro. - Scusami. - Mormoro prima di stringermi la testa tra le mani non appena una fitta di dolore la trapassa.
- Va tutto bene. - Mi accenna un sorriso dolce sebbene indugi prima di avvicinarsi. - Sono le tre del pomeriggio. Hai dormito quasi tutto il giorno. - Lancio un'occhiata al cellulare sul comodino e illumino lo schermo: ho sei messaggi di Delice più tre sue chiamate, due da parte di mia madre e una da Harry. Li chiamerò più tardi. - Come mai hai dormito tanto? - Chiede mentre studia con lo sguardo l'intera camera, soffermandosi sulla tazza di caffè vuota e sporca ai bordi, poi me, storcendo il naso. Lancio un'occhiata allo specchio a causa della sua espressione: ho una coda orribile con l'elastico che sta quasi per cadere, delle occhiaie profonde, una vecchia canotta bianca e dei pantaloncini grigi. Fortuna che è venuta lei a svegliarmi e non Harry. Ho evitato una brutta figura con lui.
- Ho fatto le ore piccole stanotte. - Le rispondo mentre cerco qualcosa da mettermi. Mi spoglio, rimanendo in intimo per pochi secondi prima di infilarmi dei jeans scuri e una semplice maglietta nera dei Nirvana. Mi rifaccio la coda, più alta stavolta, e filo in bagno per darmi una rinfrescata sotto lo sguardo di disappunto di Delice, che continua a scuotere la testa in segno di disappunto.
- Di nuovo a cacciare? -
- Ho fatto delle ricerche e ti dovevo parlare. - Le spiego mentre ritorno nella stanza da letto.
- Per questo mi hai chiamato? - Chiede curiosa mentre continua a osservarmi dalla testa ai piedi. Appena inizierò a parlare, sicuramente non mi presterà attenzione ma penserà a degli abiti migliori che potrei mettere al posto di questi. Ci scommetto tutto.
Dopo aver preso il cellulare mi infilo delle Vans nere mentre le spiego ciò che ho scoperto: il duplice foglio, le vittime, il nesso tra di loro, questa probabile maledizione sulla casa... tutto. Lei mi guarda perplessa, ma per una volta mi fissa seriamente per comprendere davvero quello che sto cercando di dirle, evitando di imbrogliarmi. Non vorrei confondermi dato il sonno e le diverse possibilità ipotizzate questa mattina, già leggermente sfumate nella mia mente. Avrei dovuto scriverle da qualche parte.
- Perciò dobbiamo entrare in quella casa. - Concludo una volta che le ho spiegato la situazione. - Ho bisogno di prove, e di più informazioni possibili. - Sgrana gli occhi alle mie parole e si mette subito in piedi, scuotendo la testa e ripetendo più volte la parola "no".
- Non pensare che io entri lì dentro! E se ti sbagli? E se una delle due muore? Ma sei impazzita?! Prove per cosa?! Che cosa devi dimostrare?! - Mi guarda male mentre comincia a sparare domande a raffica com’è suo solito fare quando sta per dare di matto.
- Che qualcosa non va in quella casa! E quel qualcosa non è umano! - Le rispondo allo stesso tono. - Anche tu hai affermato di aver visto qualcosa lì dentro. Devo farlo. -
- Ma ti sei bevuta il cervello?! Io lì dentro non ci entro, e tu non devi far proprio nulla! - Incrocia le braccia al petto, guardandomi sconvolta. Io sospiro per l'ennesima volta.
- Delice, sono un Elementale... -
- Non per questo devi suicidarti. – M’interrompe, guardandomi negli occhi.
- ... ma sono anche una Cacciatrice di mostri. - Riesco a sostenere il suo sguardo deluso a causa della mia folle idea e continuare il mio discorso, non importandomene delle sue parole. - È mio dovere proteggere le persone, e hai visto con i tuoi stessi occhi la fine di quel povero ragazzo sul vialetto di quella casa. Non posso permettere che qualcun altro perda la vita così, magari per il divertimento di qualche spirito. - Scuote la testa e ride nervosamente, per niente d'accordo con me.
- Ma ti ascolti? -
- Quei sogni che ho avuto, riguardo quella casa, non possono essere solo una coincidenza. Forse è un'abilità che hanno pochi Elementali, non so, ma devo far qualcosa. Sono una specie di sogni premonitori, magari, delle visioni o... -
- Sharon. – M’interrompe con voce più decisa questa volta, lo stesso tono che userebbe un insegnante per zittire gli alunni più indisciplinati. - Per favore, smettila di giocare. - La osservo, delusa, e distolgo lo sguardo da lei mentre mi passo la lingua sulle labbra. Cerco una delle due nuove felpe nere che mia madre mi ha ricomprato (due giusto in caso Jackson abbia la brillante idea di far di nuovo la lavatrice e restringermene un'altra) con un sorriso amaro in volto.
- Sai qual è il tuo problema? - Me la infilo mentre ritorno a osservarla. - Che pretendi di conoscere il mio mondo, dici che posso parlare di queste cose apertamente con te, ma in realtà non cerchi neanche di comprenderlo. Mi assecondi e basta. Eppure ci hai vissuto per qualche minuto l'altra sera, con quel fantasma, in questa realtà. - Apro la porta della camera con l'intenzione di uscire e andare a svolgere le mie ricerche da sola. - E non lamentarti poi se preferisco stare con Harry quando si tratta di queste cose. - Mi giro un'ultima volta prima di lasciare definitivamente la stanza. - Tu fai pure quello che vuoi, io entro in quella dannata casa. - Sbatto la porta, non importandomi se Delice è ancora dentro. Per ora m’interessa solo confermare la mia teoria e trovare una soluzione.
Scendo velocemente le scale, esco di casa e mi incammino verso la fine del quartiere. Sento la porta d'ingresso aprirsi di nuovo, ma non mi volto e continuo a procedere, alzandomi il cappuccio in testa. Ho caldo così coperta, ma preferisco che la gente non mi riconosca e magari spifferi tutto a mia madre. Sento Delice chiamarmi, ma comunque non mi fermo. Qualche secondo dopo è al mio fianco e tiene il mio passo. Giro il volto per guardarla: ha l'altra mia felpa nera addosso e il cappuccio alzato in testa. I mossi capelli biondi sono dentro di esso. Accenno un sorriso così piccolo che è impossibile da vedere, felice che abbia deciso di venire con me.
- Se muoio, giuro che ti perseguiterò fino alla tomba. - Mormora a denti stretti mentre guarda davanti a sé. Accenno una risata alle sue parole.
Come sempre, non mancano le vecchiette che tranquillamente fanno gossip in strada, ma non ce ne importiamo più di tanto; infatti continuiamo a camminare a passo svelto verso il nostro obiettivo. Appena giungiamo davanti a quella casa, sorpassiamo la linea gialla della polizia che non è stata ancora rimossa ed entriamo nel giardino, chiudendoci il cancello alle spalle. Guardo l'enorme edificio davanti a me. Immagini del mio sogno offuscano ogni tanto la mia mente, ma scaccio subito quei pensieri. Devo concentrarmi sulla mia missione, ovvero cercare altre informazioni su questa casa e verificare davvero se c'è una maledizione o mi sfugge qualcosa. Faccio i primi passi sul vialetto quasi pieno di muschio, nervosa, mentre mi mordicchio il labbro per scaricare la tensione. Un senso di vomito si fa largo nel mio stomaco appena noto il sangue di quel ragazzo ancora sul terreno. Delice mi segue lentamente e si assicura che nessuno guardi nella nostra direzione. Qualcuno potrebbe chiamare la polizia e sarebbe difficile spiegare cosa ci facciamo qui, tralasciando la parte soprannaturale, ovviamente.
Indugio in prossimità dell'albero. Devo arrivare fino in fondo ora, non posso tirarmi indietro. Ho paura che il ramo cada, ma se ciò che ho ipotizzato è giusto, dovrei essere ancora viva dopo. Smetto di pensare prima che cambi idea, conoscendomi, e scatto in avanti per correre fino alla porta d'ingresso dopo aver superato l'albero. Respiro affannosamente più per paura che per fatica. Mi giro dietro e fisso Delice, rimasta più vicino al cancello. Non penso abbia intenzione di raggiungermi. Alzo lo sguardo verso il ramo: è completamente immobile. Incurvo le labbra in un sorriso, sollevata di aver avuto ragione. Forse, la mia ipotesi è corretta, e quindi anche la maledizione.
- Vieni! Muoviti! - La incito mentre lei prende un bel respiro e corre in avanti verso di me. Appena mi raggiunge si getta ad abbracciarmi. Controllo il ramo, ma è ancora fermo.
- Sono viva? Dimmi che sono viva. - Piagnucola, stringendomi con occhi chiusi, mentre accenno una risata e annuisco.
- Sì, sei viva. – La allontano da me e lei riapre gli occhi. - Ora però dobbiamo entrare. - Mi osserva di nuovo in quel modo insicuro. So che non vuole entrare, chi vorrebbe? Eppure è qui per me. Mi dispiace per lei e che si senta costretta a seguirmi, ma devo andare in fondo a questa storia. Alla fine annuisce piano, rassegnata. Mi guardo in giro per assicurarmi che nessuno ci noti entrare, poi mi volto per aprire la porta. Sto per abbassare la maniglia quando il mio cellulare comincia a squillare, facendo sussultare entrambe. Lo afferro dalla tasca e controllo chi sia: Harry, che non mi dà neanche il tempo di parlare dopo aver accettato la chiamata.
- Sharon, devi ascoltarmi attentamente. È una cosa seria. -
- Harry, sono un po' impegnata... -
- Non m’interessa! - Esclama lui dall'altra parte della cornetta avendo anche il respiro un po' pesante. Sembra stia correndo. - So chi è la strega. -
- Beh, uccidila e basta. È un problema tuo, no? Volevi vendicarti tu. - Sbuffo mentre Delice mi guarda. In un altro momento avrei potuto anche dargli una mano, ma come lui ha i suoi compiti, anch’io ho i miei, e in questo momento la strega non è affar mio. Tra l'altro, ha anche detto che se ne sarebbe occupato da solo, quindi meglio impiegare il mio tempo per questa faccenda.
- Sharon, è un problema nostro! Fin troppo! So chi è e dobbiamo vederci. Non ti chiamerei se non fosse così importante, e ti assicuro che la cosa non ti piacerà per niente. Ci vediamo tra qualche minuto da te. - Detto ciò, attacca. Ripongo il cellulare in tasca mentre sospiro.
- Non entriamo? - Chiede speranzosa la bionda. Annuisco piano, leggermente delusa di non poter controllare cosa ci sia dentro la casa e di rimandare le mie ricerche, soprattutto ora che avevo trovato abbastanza coraggio per farlo.
- È la tua giornata fortunata, a quanto pare. - Sorride ampiamente, essendo al settimo cielo, poi corre verso il cancello, già assaporando la libertà. - Non la mia... - Mormoro seguendola.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Sposto nuovamente le tende dalla finestra per guardare la strada. L'attesa mi sta uccidendo. Dove diamine si è cacciato Harry? Aveva detto che sarebbe stato qui entro qualche minuto, invece si è fatto buio. Lo abbiamo aspettato per più di due ore. A questo punto, saremmo potuti benissimo entrare nella casa abbandonata, indagare quanto volevamo (beh, volevo) e poi tornare. Però non ci siamo mosse, sapendo che da un momento all'altro sarebbe arrivato. Delice continua a far avanti e dietro per il salotto, nervosa, dopo aver passato la maggior parte del tempo a far zapping e aver letto un po' quel documento che ho studiato questa mattina. Ora si mordicchia le unghie colorate di verde, tirando con i denti qualche pellicina intorno. Alla fine si decide ad alzare lo sguardo su di me, impaziente ma allo stesso tempo agitata. Non vedendolo arrivare, abbiamo anche preso in considerazione l'idea di andare fuori a cercarlo, pensando al peggio, ma alla fine ci siamo limitate a rimanere sedute ad aspettare il suo arrivo. Non sappiamo dove sia, quindi è inutile uscire.
- È arrivato? - Chiede con tono preoccupato. Porto lo sguardo su di lei e scuoto la testa, poi scruto di nuovo fuori dalla finestra. Delice sospira e si siede sul divano, abbattuta. - Siamo sicure che davvero verrà? -
- È un tipo affidabile. - Mormoro mentre vado ad accomodarmi sulla poltrona. Porto le gambe al petto, poggiandoci la testa sopra. - Forse sta ancora dietro quella strega. - Sbuffo, stanca di aspettare. È vero che se ne dovrebbe occupare lui, ma sono curiosa di sapere chi sia. Sono stata ore con lui per tentare di scoprire la sua identità e non abbiamo mai trovato nulla. Ora non può tenermi sulle spine in questo modo. Credo anche che gli serva una mano date le condizioni in cui la strega l'ha ridotto la scorsa volta. Non può affrontarla di nuovo senza l'aiuto di nessuno. Non sono sicura di essergli davvero utile, non essendo brava quanto lui, ma meglio di star del tutto da solo. Mi dispiace anche di averlo congedato così velocemente al telefono prima, ma quando voglio delle risposte divento troppo egoista e agisco senza pensare alle conseguenze. Se avessi riflettuto meglio prima di costringere Jackson a dirmi la verità, non sarei caduta in una specie di stato di angoscia ad esempio.
Smetto di pensare ai possibili posti in cui possa essersi disperso quando sento il rumore di una macchina che si fa man mano più vicina. Non è la prima volta che ne passa una e non vorrei alzarmi inutilmente per poi scoprire che qualcuno ha sbagliato strada e sta solo facendo inversione di marcia. Solo quando sento la portiera dell'auto essere sbattuta in quel modo così familiare mi alzo e scatto verso la finestra, spostando le tende. Un piccolo sorriso spunta sul mio volto quando noto il dampiro con i suoi soliti abiti neri (una maglietta a maniche corte, gli skinny strappati sul ginocchio e gli anfibi) camminare velocemente verso casa mia dopo aver chiuso la Range Rover.
- È lui? - Chiede Delice, che si è messa in piedi e sta camminando verso la porta per farlo entrare, mentre io annuisco in risposta. Harry non le dà il tempo di aprirla del tutto che la spalanca e in un nanosecondo è già in casa. Osserva prima lei freddamente, poi me, ancora con sguardo duro.
- Anche lei deve stare qui? - Chiede abbastanza infastidito. Lancia un'altra occhiata di disprezzo alla bionda. Non gli sta davvero antipatica, ma gli dà fastidio il fatto che abbia comunque voluto cercar di capire quello che noi affrontiamo quando, in fondo, non ci riuscirà mai completamente. E poi credo che ce l'abbia ancora con lei per aver guidato la sua macchina quando dovevamo portarlo in ospedale.
Lei si mordicchia il labbro, sentendosi forse fuori luogo o un po' mortificata, oppure intimidita da Harry, ma escludo subito quest'ultima opzione dato che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, mai. Muove lo sguardo su di me, forse aspettando che dica qualcosa a suo favore per farla rimanere, ma la guardo dispiaciuta mentre le mimo un "mi dispiace" con le labbra. Se avessimo discusso riguardo alla casa abbandonata, sarebbe rimasta di certo, ma la voglio tenere fuori dalla faccenda della strega. È vero, sa che Harry le sta dando la caccia da quando si è tolto i punti (da solo) e sta programmando la sua vendetta già dal pronto soccorso, ma non è al corrente di tutte le altre cose che le ho tenuto nascoste. Ad esempio, la nostra nottata all'ufficio anagrafe. Sicuramente mi rinfaccerà di averla esclusa per l'ennesima volta.
- No. Me ne stavo giusto andando. - Risponde poi mentre fissa il dampiro. - Vado a posare la tua felpa. - Dice con tono leggermente irritato quando sale i gradini, fino a sparire in cima alle scale. Guardo Harry in attesa che cominci a parlare, ma lui sembra non voler ancora aprire bocca, non finché ci sarà ancora Delice in casa, almeno. Tiene lo sguardo fisso sulle scale e incrocia le braccia al petto, aspettando con impazienza che la mia amica se ne vada. Qualche secondo dopo, Delice riscende giù. - Ci teniamo in contatto. - Incurva un angolo della bocca in un piccolo sorriso forzato mentre annuisco debolmente, sentendomi in colpa a mandarla via. Si affretta a lasciare la casa, senza neanche degnare di un saluto il dampiro, ma lui non si cura minimamente di ciò. Si gira verso di me, fissandomi, ma io continuo a mantenere lo sguardo sulla porta, ancora desolata. A volte vorrei che anche lei fosse come me, ma altre penso invece che sia meglio per lei rimanere più legata e fedele alla sua vita normale, ringraziando anche di averne una. Molta gente ne preferirebbe una spericolata, piena di avventure, ma si sofferma solo ai pro di ciò, non ai rischi che potrebbe correre. Devo ammetterlo, anch'io ho desiderato questo, ma ora che conosco tutte le sue sfumature farei di tutto pur di tornare indietro a quel momento quando incrociai lo sguardo di Jackson Mitchell perché, dentro di me, sapevo già che tutto era cambiato permanentemente e l'unica cosa che ho fatto è stato continuare ad alterare la mia vita. Forse è meglio che lei eviti di commettere il mio stesso errore. Delice è davvero umana. Non riuscirebbe a reggere anche questo universo. È già ammirevole come non sia crollata e non sia finita in un istituto psichiatrico. Ed è anche strano come io non abbia fatto quella fine. Credo che una parte di me abbia sempre saputo di tutto questo, essendo da sempre un Elementale, ma mi serviva solo una spinta per scoprirlo.
- Chi è? - Guardo Harry negli occhi. Non so perché, ma il mio cuore comincia a battere più forte, in ansia per la risposta.
- Mi dispiace di non averlo capito prima. Forse ora è troppo tardi. - Mormora serrando la mascella. - Avevo la risposta davanti ai miei occhi! - Sbraita indignato mentre lascia le braccia lungo i fianchi e stringe i pugni. Deglutisco, insicura di voler sapere il nome. Sta reagendo troppo male per essere qualcuno che nessuno dei due conosce. Non sono al corrente delle identità delle streghe, se ce ne sono altre, ma molto probabilmente lui sì per opporsi in questo modo.
- Harry. - Lo richiamo con tono tranquillo. Lui cerca di calmarsi, respirando rumorosamente dalle narici. - Chi è? - Chiedo di nuovo con un filo di voce.
- È June! - Esclama prima di riprendere a respirare. Io mi sento mancare il respiro. Non credo di aver capito bene; non ha senso. Quando si accorge che non parlerò, troppo turbata in questo momento, riprende la parola. - È quella puttana con cui Jackson continua a frequentarsi! - Sbraita nuovamente. Schiudo la bocca, sconvolta dalle sue parole. Non può essere vero. Ci sono stata per anni a scuola, ogni giorno, e non mi sono mai accorta di nulla. Certo, ormai ho perso il conto di quante volte io e Delice le abbiamo associato quel nome, ma non pensavo fosse il più adatto tra tutti quelli detti. La cosa più brutta di ciò che mi sta dicendo è che non sono del tutto scioccata, forse perché non riesco a capacitarmene, oppure perché l'ho sempre sospettato nel profondo. Però, da quando ho visto quei due insieme, ho vissuto con la costante sensazione che Jackson fosse in pericolo e, ammettendo che lei sia una strega, potrei darmi una spiegazione a quel timore.
- Ma cosa stai dicendo? June non è una strega, Harry. Jackson se ne sarebbe accorto. Tu, te ne saresti accorto. - Incrocio le braccia al petto, ancora incredula.
- Sharon, è lei! Non ti sto mentendo! Torna tutto! - Comincia a camminare per il salotto mentre si tortura le mani. Non l'ho mai visto così in ansia da quando lo conosco, e questo è preoccupante, forse anche più del fatto che June sia una strega. - Da quando Jackson esce con quella è cambiato. Quando è venuto da te era rimbambito, direi ammaliato. - Mi guarda e per un secondo si ferma, evitando di formare un solco nel pavimento. - E questa è una delle loro specialità. - Aggiunge mentre riprende a muoversi.
- Beh, sì, sembrava ammaliato, ma non può essere lei. - Lui smette di spostarsi e mi guarda con occhi sgranati, esasperato e incredulo. Sono lievemente sorpresa anch'io di ciò che sto dicendo, la odio eppure sembra che la stia difendendo, però sto solo cercando di non puntare il dito contro di lei e commettere un errore. Non posso subito condannarla perché mi sta antipatica e perché voglio solo un pretesto per allontanarla da Jackson.
- Possono sembrare coincidenze, va bene, te lo concedo, ma non al pronto soccorso. Quando mi feci male combattendo contro una strega, contro di lei, Jackson venne in ospedale perché qualcuno gli aveva detto che mi ero fatto male. Jackson è stato con June quel giorno! E June ha lottato contro di me prima di andare da lui! Chi altro potrebbe averglielo detto?! Neanche Lizzie sapeva ciò che è successo! - Lo guardo prima di mordermi il labbro e abbassare gli occhi sul pavimento, riflettendo. In effetti, su questo ha ragione. Lo Gnomo non ha mollato June per tutto il pomeriggio e nessuno avrebbe potuto dirgli cosa fosse accaduto. Siamo gli unici che conosce e che sanno del suo segreto da Elementale, non c'è proprio possibilità che qualcuno abbia parlato con lui di questo. Beh, nessuno tranne June. Se fosse davvero la verità, solo una cosa non torna: perché lei l'avrebbe spinto ad andare in ospedale? Sul motivo per il quale Jackson non abbia fatto domande riguardo al fatto di raggiungerci al pronto soccorso non mi pongo tanti dubbi: con l'ammaliamento, June riesce a controllarlo perfettamente. Ora sono perplessa anche riguardo a un'altra cosa: quando Jackson venne a casa mia per porgermi le sue "scuse", quando sembrava rimbambito, anche lì era ammaliato, allora? E lo stesso quando mi trattò in maniera fredda durante il nostro ultimo allenamento, che ormai risale a settimane fa? È l'unica spiegazione plausibile riguardo al suo comportamento.
- Se questo che mi stai dicendo è vero, perché lei vorrebbe Jackson? Perché avrebbe dovuto avvertirlo delle tue condizioni, di cui lei era la causa? - Chiedo, non riuscendo a riflettere su nessuna possibile ipotesi.
- Non lo so! Blaterava qualcosa su un demone... e su un Elementale. - Corruga la fronte, cercando di ricordare le parole di June. Alzo la testa senza smettere di riflettere su tutto ciò che riguarda June e le sue azioni strane che potrebbero darmi la certezza che lei sia più che umana.
- Quando Jackson lanciò i nostri compiti di matematica contro la lavagna, June fu l'unica a non correre fuori terrorizzata, anzi lo guardava ammirata come se... avesse trovato ciò che cercava, un Elementale. - Dico dopo un paio di secondi, avendo racimolato diversi momenti recenti. Harry incrocia il mio sguardo, prestandomi ascolto ma con un'espressione confusa. - E anche in ospedale! - Aggiungo quando anche questo ricordo risalta chiaro nella mia mente. - Non ha battuto ciglio quando ho fatto esplodere quel dispenser d'acqua. Delice conosce la mia natura, non si è sconvolta tanto, ma per June davvero sembrava una cosa normale, e non doveva essere così. -
- Dobbiamo avvisare Jackson. - Harry era convinto delle sue parole già prima, essendo un tipo testardo e che non ammette di aver torto, ma ora lo è di più, così io. Però adesso mi sento il cuore esplodere in petto. Ho paura che sia troppo tardi e di non riuscire a fargli capire ciò che gli sta succedendo. Non posso neanche perdere tempo per rimanere scioccata riguardo June: dobbiamo aiutare Jackson.
- Non ci ascolterà se è sotto ammaliamento. Già sembra impossibile resistere a quella tua specie d’ipnosi. - Mormoro irritata di non aver una soluzione in mente.
- Chi ha detto di parlargli? - Batte un pugno contro il palmo dell'altra mano, guardandomi negli occhi, ma io sospiro e scuoto la testa: non risolveremo niente con la violenza.
***
- Ed io dovrei credervi? - Jackson scoppia in una grossa risata, ancora appoggiato al muro del soggiorno con le braccia incrociate al petto, diffidente. Pensavo che la stanza fosse più grande vista dall'esterno, invece è quasi priva di mobili, la maggior parte di legno. Di fianco alla porta d'ingresso, sulla destra, c'è un piccolo tavolino con sopra una lampada verde pastello dalla forma ovale; accanto, un divano di pelle bianca a tre posti con vari cuscini di diversi colori, tutti prettamente chiari, soprattutto beige. Alla fine del sofà, un altro tavolino regge un'altra lampada identica alla prima; davanti, un tavolo basso con nulla sopra. Alle spalle, una finestra abbastanza grande, la stessa da cui io e Delice spiammo Jackson. Di fronte, c'è una semplice e vecchia televisione contro il muro sul quale c'è solo un orologio dai contorni neri, così come le lancette e i numeri romani, e a sfondo marroncino chiaro rappresentante tutti i continenti, come se fosse una cartina geografica.
Sento Harry sospirare più volte rumorosamente: sta cercando in tutti i modi di non perdere il controllo e fargli male. Il biondo non ha creduto neanche un po' a quello che gli abbiamo appena raccontato. Ragionevole, essendo sotto ammaliamento.
- Jackson. - Provo a parlare con voce tranquilla rispetto al dampiro che subito si è infastidito. - Harry è il tuo migliore amico, perché dovrebbe mentirti? - Jackson sposta lo sguardo su di me.
- Perché magari lui vorrebbe stare con June. - Il riccio lascia un respiro furioso dalle narici mentre serra la mascella e si sposta minacciosamente verso lo Gnomo, gli afferra il colletto della maglia e lo sbatte al muro. In altre occasione mi sarei già fiondata a fermarlo, ma ora no. So che non lo ucciderà di botte, almeno spero.
- Ora ascoltami bene, testa di cazzo. - Sbatte la testa di Jackson contro il muro, senza fargli davvero male, mentre i suoi pugni stringono di più la maglietta del ragazzo. Cominciano una gara di sguardi che nessuno dei due è intenzionato a perdere. - Capisco che sei sotto l'effetto di una sua fottuta pozione ma chiama a raccolta i tuoi pochi neuroni, magari qualcosa di ciò che ti stiamo dicendo rimane nel tuo cervello. - Ringhia a pochi centimetri dal suo viso. - Svegliati da questa merda d’illusione che ti sta facendo vivere quella strega. - Dice con tono più seducente questa volta. Cerco di concentrarmi su Jackson, non ascoltando la lingua ammaliante di Harry. Jackson lo guarda e poi scoppia a ridere. Il riccio si acciglia, confuso, addirittura deluso di non essere riuscito a vincere contro i poteri di June. Doveva aspettarselo, però: lei sa che Harry è un dampiro, quindi è a conoscenza anche delle sue abilità e sicuramente ha preso qualche precauzione per evitare che svegliassimo Jackson con il soggiogamento. Il biondo gli dà una testata, dritto sul naso, per allontanarlo. L'altro barcolla e si porta immediatamente una mano sul volto. Rimpiango che Lizzie non sia in casa: avrebbe potuto darci un grande aiuto. Però forse è meglio non mettere in mezzo sua madre. Prima di tutto, la faremmo preoccupare; secondo, Harry mi ha detto che è molto occupata con delle faccende che non ha menzionato, ma sicuramente riguardano andare a cacciare. Credo che toccherà a noi due aiutarlo.
- Non sai niente di lei. Smettila di chiamarla strega! - Ringhia a sua volta Jackson. Appena avanza verso Harry, che si è appena accorto di star sanguinando, date le dita sporche, gli taglio la strada per mettermi tra i due e poggiare le mani sui petti di entrambi prima che comincino a pestarsi sul serio.
-Ora basta. Basta. - Dico alternando lo sguardo tra di loro, timorosa che uno dei due mi potrebbe togliere di mezzo per prendere a pugni l'altro, ma loro continuano solamente a scambiarsi occhiate di odio.
- Vai a farti fottere. - Dice Harry a denti stretti prima di allontanarsi e aprire la porta d'ingresso per uscire. Nel chiuderla, la sbatte con così tanta forza che vicino allo stipite si sono formate delle piccole crepe. Osservo per l'ultima volta lo Gnomo con disprezzo, poi corro fuori per raggiungere il dampiro. Quando lo chiamo, lui gira solamente la testa senza rallentarsi o fermarsi, bensì procede verso il cancello per aprirlo. È ancora sporco di sangue sotto il naso e sul labbro superiore.
- Quella vecchia! Se solo avesse mostrato il suo vero aspetto davanti a me l'avrei riconosciuta. - Ringhia con tono arrabbiato, ma anche rammaricato.
- Non è colpa tua. - Mormoro mentre cerco di tenere a fatica il suo passo, veloce e deciso quando è furibondo. Non ho capito però se con se stesso o Jackson. Spalanca il cancello così forte che ho seriamente pensato che si sarebbe staccato, ma per fortuna si limita a sbattere contro il muretto. Sono costretta a bloccarlo e richiuderlo con calma quando entrambi siamo usciti, sicura che si sarebbe rotto nell'impatto.
- Lo so. - Sbuffa, alzando gli occhi al cielo. Finalmente si decide a fermarsi prima di raggiungere la sua macchina, o attraversare la strada, o andare da qualunque parte stesse pensando. Si passa due dita sotto il naso per cercare di pulirsi, ma si sporca solo di più le dita. Quindi afferra il bordo della sua maglietta e lo alza per darsi una pulita, scoprendosi un po' la vita.
- Che cosa facciamo ora? - Mormoro mentre do uno sguardo alla strada deserta davanti a me, poi lo riporto sul suo volto.
- Gli salvo il culo di nuovo. Anzi, glielo salviamo. Abbiamo una festa tra due giorni, no? - Annuisco mentre torno a osservarlo. Si sta sporcando tutta la maglia e c'è un odore orribile di sangue nell'aria.
- Vieni dentro. Ti aiuto a darti una ripulita. - Gli faccio segno col capo di seguirmi e, stranamente, questa volta non fa tante storie. Continua solo a borbottare riguardo quanto stupido sia Jackson mentre attraversiamo la strada per andare a casa mia.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

Continuo a correre nonostante le mie gambe implorino pietà e i miei polmoni stiano per esplodere. Sorpasso altri due alberi, saltando oltre le loro radici. Da un lato il bosco non è un ottimo posto per allenarsi, specialmente di notte: già è difficile vedere durante il giorno a causa dei fitti alberi che impediscono ai raggi del sole di filtrare, con l'oscurità è anche peggio. D'altro canto, è buono per imparare a percepire anche i più piccoli dettagli con i propri sensi grazie al silenzio.
Sento dei passi alle mie spalle e aumento la velocità per quanto posso, cercando di non inciampare. Se cado, è la fine. Mi giro per un singolo secondo per assicurarmi che non ci sia nessuno dietro di me. Adoro allenarmi con Harry: nonostante non sia un Elementale, è davvero bravo come allenatore. Odio, però, essere inseguita da lui mentre cerca di accoltellarmi. Questa parte veramente la detesto. Negli ultimi due giorni mi sta aiutando a migliorare la resistenza, scappando da lui e sperando di non trovarmi un altro buco nella spalla a causa del suo coltello. Naturalmente mi dà qualche minuto di vantaggio data la sua super velocità. In poche parole, giochiamo ad acchiapparello.
Appena noto un cespuglio muoversi improvvisamente dietro di me cambio direzione, svolto dietro un tronco e corro verso destra. Devo trovare qualcosa per fermarlo, o almeno rallentarlo. Dopo aver sorpassato qualche altro albero mi fermo, appoggio una mano sulla corteccia e mi chino per recuperare fiato, sentendo i miei polmoni andare a fuoco. Con l'altra mi asciugo la fronte, grondante di sudore, e mi guardo in giro, soprattutto alle mie spalle. La zona, però, sembra essere vuota e silenziosa, fin troppo. Prendo un bel respiro e chiudo gli occhi, cercando di estraniarmi da ciò che mi circonda per concentrarmi su Harry. All'inizio sento solo il mio cuore, poi gradualmente ne affiora un altro, i cui battiti sono davvero veloci. Mi focalizzo su questi, cercando di capire da dove provengano. Quando sento il loro suono più grave, come se fosse un tamburo, mi giro verso destra. Tra poco passerà davanti all'albero dove sono appoggiata. Apro gli occhi e cerco ancora di prestare attenzione al suo cuore per non perderlo, poi sposto lo sguardo in giro alla ricerca di un modo per rallentarlo. La mia attenzione cade sulla radice dell'albero di fronte al mio. Mentre la osservo, ancora conficcata nel terreno, muovo il braccio in avanti e chiudo la mano in un pugno. Pian piano, comincio ad allargarlo, stendendo le dita. Appena ritraggo il braccio di botto, dopo essere sicura di avere il controllo sulla radice, questa spunta tutta d'un colpo fuori dal terreno nella mia direzione, allungandosi come se fosse una corda. Arriccio leggermente il naso per il lieve rumore che provoca nel movimento, dubbiosa se Harry l'abbia sentito o meno. Controllo dove sia: sicuramente ha percepito lo spostamento, dato che sento il suo cuore battere sempre più vicino. Mi appoggio all'albero con la schiena, quasi schiacciandomici contro per non farmi vedere. Trattengo il respiro e rimango immobile, sapendo che al minimo sospiro mi troverà. Qualche secondo dopo, passa veloce come un fulmine davanti all'albero e, come da copione, inciampa sulla radice e casca a terra. Esco fuori dal mio nascondiglio per raggiungerlo e, appena lo trovo a testa in giù contro un tronco scoppio a ridere, portando una mano davanti al viso per coprire il ghigno. Lui sbuffa mentre si mette in piedi e controlla la sua maglietta grigia, un po' sporca di terra e con qualche strappo sopra, all'altezza dell'addome.
- Mi hai fatto strappare la maglia. - Dice con tono quasi scioccato mentre continua ad accertarsi che l'indumento non sia da buttare, poi sospira appena nota che anche la manica sinistra è leggermente lacerata.
- Non l'ho fatto apposta. - Dico prima di mordermi il labbro per trattenere un'altra risata. Adoro vedere Harry arrabbiarsi: è buffo, ma allo stesso tempo figo, direi. Sembra uno di quei ragazzi nei film d'azione, con le esplosioni alle spalle e gli occhiali da sole sugli occhi, anche se lui non ha bisogno di queste cose.
- Sei stata brava, comunque. - Si complimenta. Mi appoggio a un albero mentre si avvicina a me con una mano chiusa in pugno, aspettandosene uno di rimando. Lo ricambio e gli sorrido, felice di essere riuscita a batterlo dopo settimane che mi esercitavo. - Vieni, ti sei meritata una birra. - Dopo essersi pulito anche i pantaloni, mi fa cenno col capo di seguirlo mentre comincia a camminare e lo raggiungo.
- Non possiamo bere. Non abbiamo ventun anni. - Lo guardo, o almeno ci provo. Siamo a pochi centimetri di distanza l'un dall'altro eppure faccio fatica ad osservarlo in volto con questo buio. Mi chiedo come sia possibile che non ci siamo ancora persi dato che la maggior parte delle volte che siamo qui è tutto scuro e gli alberi sembrano tutti gli stessi.
- Io li ho, in realtà. - Ammette mentre usciamo dal bosco e ci dirigiamo verso la sua macchina. Lo guardo stranita, forse un po' sorpresa per la sua confessione. Sembra grande, è vero, ma non gli avrei mai dato ventun anni, al massimo diciannove, sebbene i suoi lineamenti siano decisamente più marcati.
- Non sembra, cioè... - Mi zittisco, non volendo dire la cosa sbagliata. Alza un sopracciglio poiché mi sono auto-interrotta, aspettandosi una domanda forse, ma gli sorrido e scuoto la testa. - Niente. - Lui scrolla le spalle e apre la portiera, poi caccia due bottiglie di birra. Le tiene entrambe con una sola mano e con l'altra le stappa mentre chiude la portiera con una gamba, poi me ne passa una. Lo osservo, ammirata: immaginavo già le sue mani sanguinanti, invece ci sono solo i segni dei tappi. Mette questi ultimi nelle tasche per evitare di buttarli a terra e mi guarda dopo aver notato il modo dubbioso in cui fisso la bottiglia.
- Se vai in galera ti faccio evadere io, tranquilla. - Ammicca divertito mentre si va a sedere sul cofano, successivamente dà un sorso alla bibita e si lecca le labbra. Mi siedo accanto a lui e osservo ancora la birra, sentendo le mani raffreddarsi lievemente al contatto con il vetro fresco. Sospiro e butto giù una minuscola quantità, facendo una piccola smorfia al sapore. Non ne ho mai bevuto una in vita mia. Tutti affermano che sia buona, ma sinceramente non è così fantastica. Nonostante ciò, bevo di nuovo, come sentendone il bisogno. In effetti ho la gola secca a causa della corsa, ma purtroppo non è acqua, e la mia reazione è l'ennesima smorfia. Lui scoppia a ridere dopo aver notato la mia espressione di disgusto, arricciando il naso e strizzando gli occhi.
- Fa schifo. Come fai a berla? - Chiedo dopo aver deglutito più volte per levarmi quel saporaccio dalla bocca mentre lui si stringe nelle spalle.
- Dopo un po' ci fai l'abitudine. - Si riporta la birra tra le labbra e butta giù un altro sorso. - Anche se nella mia top three delle bevande è al secondo posto. -
- Hai una top three delle bevande? - Accenno un ghigno divertito, tenendo ancora la bottiglia di birra in mano mentre giro il volto verso di lui. - Sentiamola allora. -
- Al terzo posto la Pepsi, assolutamente. Al secondo la birra e al primo la camomilla. - Dice, tenendo il conto con le dita. Appena sento il primo posto lo guardo con un sorriso divertito.
- La camomilla è la tua bevanda preferita? - Aggrotto la fronte, sorpresa. Non lo faccio un tipo da bibite così. - Perché? Ti rilassa quando vuoi, non so, sradicare alberi? -
- No. - Accenna l'ennesima risata mentre scuote la testa. - Ma alla temperatura giusta ustiona la pelle che è una bellezza. - Faccio una smorfia a quell’immagine che si è formata nella mia mente. Appena lui si accorge del mio volto abbastanza disgustato sogghigna nuovamente. - Dai, ci hai creduto sul serio? - Schiudo la bocca per cercare qualcosa da dire e non fare la figura della stupida credulona, ma lui mi anticipa. - Al primo posto va la Pepsi, ovviamente. Poi la birra e il latte. Magari con i biscotti. - Ripete la lista prima di attaccare di nuovo le labbra alla bottiglia, poi si stacca sospirando. Rimaniamo entrambi in silenzio per diversi secondi, restando a sentire il suono lontano delle macchine che scorrono sull'autostrada. Fortunatamente sono poche: c'è una tranquillità stupenda qui e non vorrei che fosse interrotta dal traffico. Sotto le stelle, col calore che si appiccica sulla pelle e neanche una luce che interrompe quello spettacolo che è il cielo, sembra proprio una delle sere che passavo con mia madre in campeggio quelle poche volte che mi ci portava. Poi, all'improvviso, ha smesso e non siamo più andate in quella foresta in California, il che è un vero peccato: adoravo quel luogo.
- Tra parentesi. - Apro bocca per far interrompere quel silenzio tra di noi. - Non ci ho creduto. - Concedo un'altra chance alla mia birra, ma davvero non riesce a piacermi per nulla. In questi momenti, rimpiango la mia bottiglia d'acqua da un litro sempre fedelmente accanto al letto.
- Ti prego, non sai mentire. - Scuote la testa ancora con le labbra vicino all'orlo e sorride.
- So mentire. - Ribatto, ma lui gira il volto verso di me con un sopracciglio alzato, con fare scettico. Okay, è vero, mentire non rientra nelle mie abilità speciali, ma una misera bugia penso di saperla dire. Non sono tanto incapace.
- Sono cresciuto da solo. Credo di saper distinguere il falso dal vero. - Mormora mentre ritorna a fissare un punto indefinito davanti a lui e beve, finendo quasi la bevanda. - Ho incontrato così tante persone, e tu sei la peggiore tra tutte quelle a mentire. -
- Perché... - Mi fermo prima di porre la domanda, pensando se fargliela o meno. Non vorrei essere indiscreta, chiedendogli del suo passato: non ci conosciamo così bene o anche abbastanza da toccare un argomento tanto delicato. Ricordo ancora lo sguardo amareggiato che acquisì solo a nominare il padre. Tuttavia mi faccio coraggio e glielo chiedo comunque. Non so nulla di lui, è vero, ma se terrò sempre le domande per me non scoprirò mai Harry. - Perché sei cresciuto da solo? I tuoi dov'erano? - Rimane in silenzio e abbassa lo sguardo sulla bottiglia, accarezzandone il vetro con il pollice della mano sinistra.
- Morti. - Risponde freddamente prima di scolarsi la sua birra in un solo sorso. Sospira leccandosi le labbra e lascia cadere la bottiglia ai suoi piedi. Dovrei dirgli qualcosa, ma so per esperienza che nessuna parola ha valore in queste situazioni. Semplicemente lo osservo in silenzio e con sguardo rammaricato.
- Mi dispiace. - Decido comunque di dire alla fine. Parlare di queste cose è difficile e non voglio che pensi che non me ne importi niente se non gli rispondo, sebbene ciò che gli ho appena detto è la frase più scontata di questo mondo in situazioni del genere.
- Non è colpa tua, ma di quel bastardo. - Butta fuori furioso, come se quel segreto e i suoi ricordi li avesse tenuti dentro per troppo tempo fino a diventare un macigno sul petto e, forse, è sul serio così.
- Non ti seguo... - Dico sinceramente con tono dispiaciuto. Vorrei sapere cosa sia successo per farlo sfogare, ma al tempo stesso ho paura, non sapendo come potrebbe reagire. Prende un bel respiro per calmarsi e poi porta i suoi occhi blu nei miei. Mi giro di poco verso di lui per prestargli tutta la mia attenzione.
- Sai che sono mezzo vampiro. Mio padre, Joel, lo era, ma mia madre, Celeste, era umana. I miei s’incontrarono mentre lui cercava qualcuno di cui nutrirsi, ma quando vide mia madre s’innamorò di lei. Scoparono, nove mesi dopo nacqui io... blah, blah, credo tu sappia come funziona. - Quando comincia a spiegare, sposta lo sguardo sulle mani; io, invece, continuo a tenere il mio sul suo volto. - Sei anni dopo nacque Daisy, mia sorella. Una sera, però, mio padre tornò a casa, ma aveva una luce strana negli occhi. Erano così rossi che quando li vidi mi spaventai e mi rinchiusi in camera. Mia madre non era ancora tornata dal lavoro e toccava a me badare a mia sorella. - Si ferma dal parlare per poi deglutire mentre lo studio attentamente. Credo di non aver mai visto Harry così a nudo con qualcuno al di fuori di Jackson, così umano con questa voce colma di rimpianto.
- Harry, va tutto bene. Non è necessario. - Poggio una mano sulla sua spalla per fargli capire che non è costretto a parlarmi di quest’argomento. Non voglio che soffra nel ricordarlo o che si senta in colpa per questo, sebbene non sappia cosa sia successo. Tuttavia, lui scuote la testa e si volta a guardarmi negli occhi.
- Rimasi diversi minuti in camera per evitarlo, ma quando sentii mia sorella urlare scesi giù di corsa. Appena arrivai in salotto, trovai delle macchie di sangue che portavano in cucina. Provai a chiamare mio padre o Daisy, terrorizzato all'idea che ci potesse essere qualcuno in casa oltre a noi, ma nessuno dei due rispondeva. Quindi decisi di seguire la scia di sangue. - Riabbassa lo sguardo sulle sue mani e sospira, scuotendo la testa prima di deglutire. - Ogni notte... sogno il viso pallido di mia sorella mentre mio padre la prosciugava. Quando si rese conto della mia presenza, la lasciò a terra in una pozza di sangue, come se fosse un animale. E... - Prende un respiro per poi rilasciarlo, carico d’ira. - ... il sangue di Daisy che colava dalla bocca di quel bastardo. Non ho mai pensato che mio padre fosse un mostro, nonostante fossi cosciente della sua vera natura, eppure quella sera volevo solo ammazzarlo. E ci provai, ma era più forte. Quando capì che non avrebbe potuto nascondere ciò che aveva fatto, cercò di uccidere anche me per trovare un pretesto con mia madre, dicendole che quando era tornato ci aveva già trovati morti. - Alza leggermente la maglietta per scoprire il fianco e per indicarmi con un dito una lunga cicatrice sulla vita. Schiudo lievemente la bocca quando la vedo, turbata: se suo padre avesse voluto estrargli le budella, credo ci sarebbe perfettamente riuscito.
- Te l'ha fatta lui... - Sussurro più a me stessa che a lui mentre, senza pensarci due volte, protraggo la mano verso di essa fino a sfiorarla lievemente con due dita. Quando mi rendo conto di cosa sto facendo, le allontano subito, sebbene il mio tocco non sembri turbarlo; infatti, annuisce con una luce triste negli occhi mentre si riabbassa la maglietta. A vederlo così, e a sentire cosa è successo in casa sua, mi viene da piangere. È tutto così orribile. Sembra la trama perfetta per un film horror.
- Dopo che mi accoltellò, mi mise spalle al muro, pronto a uccidermi, ma mia madre arrivò in tempo e riuscì a mozzargli la testa. Fu anche furba a non farsi sentire, altrimenti non sarei qui con te ora. Dopo che lo ammazzò, cercò in tutti i modi di farmi star seduto e non muovermi, data la ferita sul fianco, ma dovevo accertarmi che mia sorella fosse ancora viva. - Dice l'ultima frase con un filo di voce. - Aveva solo quattro anni. Avrei dovuto correre in camera sua invece che rintanarmi nella mia come un codardo. Ero sicuro che mio padre avrebbe fatto qualcosa, eppure sono stato egoista e non ho pensato a lei. - Questa volta il suo tono diventa più rabbioso e comincia a torturarsi le mani con più forza; le vene sugli avambracci, infatti, s’intravedono maggiormente ogni volta che stringe le dita.
- Poi cosa successe? - Chiedo in un sussurro, aspettando qualche secondo. Dal modo in cui contraeva le labbra e deglutiva, sono sicura che se gli avessi fatto questa domanda subito dopo che aveva finito di parlare, sarebbe scoppiato a piangere. Si sta torturando le mani, è vero, ma ammiro il modo in cui non si sta scomponendo. Tutto sommato, è la sorella la bambina di cui mi sta parlando, non una persona qualunque. Penso che, al suo posto, sarei già in un mare di lacrime, a maggior ragione se mi fossi sentita in colpa come lui, sebbene lui sbagli a credere di esserlo.
- Vicino casa nostra c'era un piccolo studio medico e mia madre mi portò lì. Se non fosse stato per quel dottore sarei morto dissanguato. Mamma bruciò i loro corpi e dopo quel giorno cominciò a cambiare. Ricordo che prendeva dei farmaci che l'aiutassero a dormire, diceva che glieli aveva prescritti il medico, ma so per certo che non era vero. Qualche giorno dopo aver tolto i punti, tornai a casa da scuola. Mia madre mi costringeva ad andarci, affermava che dovevamo comportarci normalmente; in poche parole, voleva seppellire la faccenda, come se Daisy e mio padre non fossero mai esistiti. Parlava di trasferirci e che avrei dovuto sopportare di star lì solo per qualche altro giorno. Però, quando tornai a casa dopo le lezioni, non la vidi tornare, ma non mi preoccupai sapendo che spesso era a lavoro e la sera a volte non rientrava. Tuttavia, quando successe per due giorni di seguito, capii che si era trasferita, però non mi aveva portato con sé. Forse voleva far finta che neanche io fossi mai esistito. Sapevo che era impazzita, ma non pensavo arrivasse a tanto. Quindi ho cominciato a cavarmela da solo. Ho dovuto rubare per vivere. Sai, non era difficile chiedere cose in prestito per me. - Racchiude quest'ultimo verbo in due virgolette con le dita e con un sorriso beffardo sul volto, riferendosi alla sua abilità speciale: il soggiogamento. Sforzo anch'io un sorriso, sebbene non mi senta proprio di farlo in questo momento. Ho come un macigno sullo stomaco. - Solo la Range Rover non è rubata. Era di mia madre. - Mormora. Mi mordicchio il labbro, non trovando le parole giuste da dire. Se qualcuno mi avesse raccontato una cosa del genere, lo avrei preso per pazzo ma allo stesso tempo gli avrei fatto le congratulazioni per la fantasia. È davvero tutto surreale. Dalla prima volta che lo vidi capii che era diverso; disse di essere un mostro, ma ora rimpiango di averlo chiamato così. Lui è solo la conseguenza delle azioni di un vero mostro. E ora capisco anche altre cose. Ad esempio, la paura per gli ospedali. Avendo detto di essersi tolto i punti senza l'aiuto di nessuno, avrà sicuramente imparato a cavarsela da solo anche riguardo queste cose, quindi non avrà neanche mai messo piede dentro uno di quegli edifici.
- Non l'hai mai cercata? - Annuisce lievemente.
- Certo. Tante volte, ma era brava a nascondersi. A Roma, quando incontrai Jackson, dovevo vedermi con lei. Dopo anni mi aveva finalmente risposto ed ero sollevato che fosse viva. Essendo italiana, ho anche pensato più volte che potesse stare dai suoi genitori, ma non sapevo dove abitassero. Stando con un vampiro, aveva allontanato la sua famiglia e si era trasferita fuori dall'Italia, quindi non conoscevo neanche qualche parente da cui poter andare. Però, nella capitale mi diede buca. Solo settimane dopo una sua amica riuscì a rintracciarmi e mi informò che si era suicidata. - Dice senza espressione sul volto. Poi si gira a guardarmi, accennando una lieve risata amara. - Che vita di merda. - Afferra la mia birra, sapendo che non la berrò, e la scola in pochi secondi. Almeno non dovrò cercare un posto dove svuotarla dopo.
- Quindi anche con la macchina te la sei dovuta vedere da solo? Intendo dire, imparare a guidare, patente e tutto? - Lui annuisce di nuovo prima di leccarsi le labbra secche. Devo ammetterlo: mi sorprende sempre di più. Al posto suo non sarei mai riuscita a essere così forte. Avrei cercato qualcuno che mi avrebbe potuto aiutare, a differenza sua. Ora capisco anche perché stava cacciando quel clan di vampiri la prima volta che lo incontrai, e perché non si fece davvero problemi a difendere due Elementali, Jackson ed Avery, che non conosceva neanche: lui odia quelle creature ormai. Mi è anche chiaro perché abbia deciso di combattere i mostri, adesso. - Io non ho mai conosciuto mio padre. - Dico dopo qualche secondo di silenzio per continuare a conversare. Lui si è aperto con me, e voglio fare lo stesso. Non ho mai parlato di ciò con nessuno, neanche con Delice. Lo sapeva già quando alle elementari mia madre lo disse agli insegnanti e la voce si diffuse in tutta la classe, come accade sempre. Inoltre, lei non ha mai chiesto nulla. - È morto prima che nascessi. Non so niente di lui. So solo che si chiamava Harvey, ma avrei davvero voluto conoscerlo. - Dico in un sussurro, portando le gambe al petto per poi poggiarci la testa sopra.
- Com’è morto? - Scuoto lievemente la testa, non conoscendo la risposta.
- Non l'ho mai chiesto a mia madre. -
- Mi dispiace. - Dice sinceramente mentre poggia una mano sulla mia spalla e la accarezza. Mi giro a guardarlo, un po' sorpresa del suo gesto, ma gli sorrido comunque per il tentativo di consolarmi, seppur non ce ne sia bisogno. Non posso rimpiangere una persona che non odio e che non amo. Da un lato, non sono sicura di voler sapere come sarebbe stata la mia vita se lui fosse ancora vivo, specialmente dopo quello che mi ha appena confidato Harry; dall'altra, mi sarebbe piaciuto conoscerlo, sapere come era e se davvero gli somiglio
Appena lui allontana la mano e si tira su per andare a buttare le birre, anche quella che aveva lasciato a terra, sul sedile posteriore, estraggo il cellulare dalla tasca dei jeans per controllare l'ora: quasi le undici.
- Pronto per la festa di June? - Chiedo per cambiare discorso.
- Oh, assolutamente. Le squarcerò anche l'anima se ne ha ancora una. - Dice con un ghigno, schioccandosi le nocche mentre si riavvicina a me per sedersi di nuovo sul cofano. Accenno una risata quando dietro di noi un tonfo fa tremare la terra. Sussulto mentre Harry si gira di scatto. Scende dalla macchina per guardare dietro di essa: un albero per poco non l'ha schiacciata.
- Non è niente di buono, vero? - Chiedo, notando la sua espressione. Ha gli occhi che si muovono freneticamente in tutte le direzioni per cercare qualcosa che non si mostrerà tanto facilmente nell'oscurità.
- Tieniti pronta. Mi sa che continuiamo a fare jogging. -

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Harry fa il giro della macchina per avvicinarsi con cautela all'albero caduto sul terreno mentre io sospiro prima di seguirlo: è più forte di me, ha la super velocità e riesce a diventare invisibile, ma comunque non voglio lasciarlo da solo. È incredibile come il mio atteggiamento sia cambiato verso queste stranezze, se non pazzie vere e proprie. Qualche settimana fa sarei corsa via per la paura infatti; adesso, invece, sento la necessità di scoprirne la causa e, nel peggiore dei casi, fermarla.
- Sembra che qualcosa abbia mangiucchiato il legno. - Mormora mentre segue attentamente con lo sguardo le parti del tronco dove appaiono delle discontinuità, forse segni di morsi. Rimango in piedi dietro di lui, ancora piegato sulle ginocchia, e incrocio le braccia al petto.
- Fino a farlo cadere? - Chiedo un po' diffidente alla sua osservazione. Lui gira la testa per guardarmi dal basso, poggiando un gomito sulla coscia.
- Dopo tutto quello che hai visto sei ancora scettica? - Domanda con un sorriso beffardo mentre si mette in piedi. Alzo gli occhi al cielo, divertita, sapendo che ha ragione. Ormai, anche se dovesse entrare un drago in casa mia, non mi farebbe né caldo né freddo. Beh, si fa per dire: non voglio che diventi un falò. Diciamo che non mi farei problemi a credere che sia reale per davvero, ecco.
- Che cosa pensi che sia? - Lui si allontana dall'albero e si dirige verso la macchina. Lo seguo a ruota, non volendo rimanere da sola, e lo osservo mentre assume un'espressione pensierosa. Appena arriva all'auto scrolla le spalle in risposta.
- Potrebbe essere un Gandharva, uno spirito della natura, ma non ce la farebbe ad abbattere un albero. Oppure un Troll. Spiegherebbe perché non l'abbiamo visto, poiché ci riescono solo i bambini, ma l'avremmo almeno sentito date le loro dimensioni e il tanfo che emanano, quindi escluderei anche questo. - Lo guardo assottigliando gli occhi, confusa, mentre cerco di non perdermi nel discorso. Naturalmente lui è un esperto di mostri, ma io non li conosco tutti. Non saprei neanche dove informarmi dato che su internet chiunque può cambiare la verità a proprio piacimento, registrando nozioni false che magari potrebbero farmi uccidere.
- Sì, concordo in pieno. - Dico con un cenno d’ironia. Lui mi guarda e sospira irritato. So che non mi spiegherà altro: quando c'è bisogno di agire, diventa molto silenzioso per concentrarsi sull'azione, ed è giusto che sia così. Un passo falso, e potrebbe essere morto prima che se ne accorga. Afferra una pistola, estraendola da sotto il suo sedile, e la carica con dei proiettili d'argento sotto il mio sguardo attento. Solo ora noto le sue mani callose ed un'altra piccola cicatrice sul dorso della sinistra.
- Tieni. - Quando mi porge l'arma, sgrano leggermente gli occhi, stupita, e mi rifiuto di prenderla. Non può davvero mettermene una in mano. Non ho idea di come si usi, prima di tutto, e poi non sono tipa da cose come questa, per nulla.
- Meglio se rimane in mano tua. - Rido nervosamente. Non voglio sembrare impacciata, sebbene lo sia fin troppo. E poi, ciò che mi preoccupa davvero in tutto questo è la mia mira. Fa schifo. Come potrei maneggiare una pistola se non centro neanche il cestino con una pallina di carta? Lui mi osserva qualche secondo, riflettendo, poi ci mette la sicura e se la infila nella tasca posteriore dei pantaloni.
- Giusto, sei una Salamandra. Non hai problemi a difenderti. - Chiude a chiave la macchina, al solito, e mi guarda. - Meglio non muoversi finché la cosa che ha fatto cadere l'albero non fa il primo passo. - Annuisco, concordando. È inutile rincorrere un'ombra.
- Perché pallottole d'argento, comunque? Perfino io so che un lupo mannaro non riesce ad abbattere un albero. - Osservo mentre lo guardo negli occhi. Lui alza un sopracciglio insieme all'angolo della bocca in un sorriso beffardo.
- Dovresti farti una cultura sui mostri. - Scuote ripetutamente la testa con ancora quel piccolo ghigno sul volto. - L'argento ammazza la maggior parte delle creature, oppure le rallenta. -
- Allora quando finiamo qui mi accompagni in libreria a comprare la guida sui mostri, come riconoscerli e ucciderli. - Ribatto, ma lui abbozza una piccola risata e rotea gli occhi al cielo.
- Stai diventando troppo arrogante. - Continua a sorridere con fare divertito mentre parla, ma un ululato alle nostre spalle ci interrompe, facendoci girare. Un grande lupo con il pelo nero, bianco sul muso e sull'addome, ci mostra i denti, assumendo un'aria tutt'altro che pacifica. I suoi occhi sono di colori diversi: uno castano, l'altro azzurro. Avanza piano verso di noi, ringhiando, mentre Harry estrae la pistola e toglie la sicura. - Me lo levo subito davanti, così cerchiamo il mostro. - Mira a lui, pronto a farlo fuori, ma non può ucciderlo. Alla fine è solo un animale. Prima che possa premere il grilletto, sposto il suo braccio affinché la traiettoria del proiettile venga deviata. Il colpo va a vuoto, verso l'alto. Il lupo sussulta e scappa via con la coda fra le zampe, spaventato dallo sparo, mentre Harry si gira a guardarmi con gli occhi sgranati, sbalordito. - Era solo un lupo! - Sbraita prima di rimetterle la sicura e riporla in tasca.
- Appunto! Non c'era bisogno di sparargli. - Lo guardo torva. Non mi piace che degli animali innocenti vengano maltrattati, figuriamoci uccisi. Naturalmente lui pensa subito che la soluzione migliore a qualsiasi problema siano le armi, invece sarebbe bastata una semplice fiamma per farlo scappare senza ferirlo. Lui rilascia un sospiro irritato mentre si mette le mani in tasca e si allontana da me. Va di nuovo verso l'albero, forse per esaminarlo ancora e trovare qualche indizio in più che ci illumini sulla natura del mostro.
- Non permetterti più di toccarmi mentre ho un'arma in mano, altrimenti la uso su di te. - Mi avverte mentre cammina, senza degnarmi neanche di uno sguardo. Sbuffo infastidita e gli faccio il verso, ripetendo le sue parole, prima di dirigermi nella direzione opposta per cercare di scoprire qualcosa, senza tuttavia addentrarmi nella boscaglia. So che ha detto che non dobbiamo far nulla prima di un'azione da parte di questa probabile creatura, ma voglio comunque tentare di capirci qualcosa. Non mi capacito del fatto che non riusciamo neanche a percepirla intorno a noi se, per aver fatto cadere un albero, deve essere abbastanza grande e forte. Eppure, sembra che non ci sia nessuno. Qui non è semplice rintracciare un mostro a causa di tutti questi alberi fitti che permettono di trovare facilmente un nascondiglio. Se ci avesse voluto uccidere, però, perché non è rimasto nei paraggi per attaccare subito, senza neanche darci il tempo di realizzare cosa stesse accadendo?
- Trovato qualcosa? - Mi giro a guardare Harry e alzo quel poco che basta il tono di voce affinché possa sentirmi. Anche lui si volta e scuote la testa in risposta, dopodiché riprende a cercare. Sospiro e decido di incamminarmi all'interno del bosco. Se stessimo attendendo qualcosa che magari non succederà neanche, potremmo star qui anche tutta la notte inutilmente. Dunque meglio darsi da fare per evitare probabili danni futuri, specialmente se a quella creatura venisse voglia di muoversi verso il centro cittadino. Dopo aver superato qualche tronco, però, comincio a udire strani versi, sicuramente di animali. Il mio cuore già martella un po' nel petto per la paura con cui la mia mente mi sta già assoggettando. Per questo motivo decido di tornare indietro da Harry. In questi momenti mi sento una totale fifona, e forse lo sono sul serio, ma non m’importa. Preferisco sentirmi protetta vicino a lui.
Tuttavia, quando mi volto, una grossa figura nera sbuca all'improvviso davanti a me, portandomi a lanciare un urlo terrorizzato: una pantera. Non è possibile che ce ne sia una qui. I boschi sono pericolosi, ma non a causa loro; nessuno ne ha mai avvistata una. Retrocedo piano, cercando di evitare qualsiasi mossa che possa innervosirla. Il mio cammino, però, viene interrotto da un albero. Non potendo fare nient'altro, mi ci appoggio con la schiena e mi ci stringo il più possibile contro. Deglutisco, osservando l'animale. Prima che possa scagliarsi contro di me, uno sparo risuona tutt'intorno, facendomi sobbalzare ancora di più quando il proiettile si conficca nella corteccia dell'albero contro cui sono appoggiata, qualche centimetro sopra la mia testa. La pantera scappa prima che Harry possa sparare di nuovo, ma non sembra sua intenzione. Infatti abbassa l'arma, ma non la ripone nella tasca, tenendosi pronto ad utilizzarla un'altra volta se necessario.
- Stai bene? - Chiede e mi guarda negli occhi, preoccupato. Annuisco piano mentre cerco di calmare i battiti del mio cuore. Credo che tra poco mi uscirà dal petto.
- Ti avevo detto di non sparargli. - Sono le uniche parole che riesco a racimolare dopo qualche secondo di silenzio per riprendermi da ciò che è appena successo.
- Ma non hai mai menzionato il fatto di non spaventarlo. - Ribatte ancora con l'arma in mano. Infatti è strano che Harry abbia mancato il bersaglio. - C'è, tipo, il circo in città e non abbiamo visto i manifesti? - Chiede con il suo solito tono ironico, riferendosi agli animali incrociati, che sono rari da trovare in queste zone. Beh, tranne la pantera: non dovrebbe proprio esserci.
- Appena spunterà un elefante potrai richiedermelo. - Prendo un bel respiro per calmarmi, percependo il mio cuore rallentare, mentre mi tiro su e mi pulisco il fondoschiena. - Pensiamo a quel mostro, piuttosto. - Senza perdere altro tempo, corriamo verso la macchina con lo scopo di avere una maggiore visibilità, non essendoci così tanti alberi tra i quali la creatura potrebbe trovare rifugio per attaccarci all'improvviso.
- Non riesco a capire quale mostro sia, e dove sia. - Ringhia infastidito mentre apre la macchina per rifornirsi di proiettili ma, nel caricare la pistola, qualcuno gli cade sul terreno a causa dei tremolii delle sue mani per la rabbia, facendolo imprecare di più perché costretto ad abbassarsi per raccoglierli. So che è abituato ad avere il controllo della situazione, ma innervosirsi non aiuterà molto. Non so come io faccia a star calma, invece: dovrei essere turbata dal fatto che neanche lui riesca a identificarlo, quindi ci viene di conseguenza più difficile ucciderlo.
Inserisce il caricatore dopo averlo riempito e, prima che possa ribattere, il barrito di un elefante rimbomba in tutto il bosco. Lui si arresta del tutto, rimanendo con la mano ferma sulla sicura della pistola poiché intenzionato a metterla, e presta ascolto mentre guarda oltre la macchina. Mi volto piano, schiudendo del tutto la bocca per l'incredulità quando trovo il mammifero qualche metro dietro di noi. Anche Harry si gira, dando le spalle alla macchina, ma si limita a sbarrare gli occhi per lo stupore.
- Ripropongo. C'è il circo in città e non abbiamo visto i manifesti? - Chiede il dampiro. Sento la sua domanda, ma non gli rispondo poiché ancora leggermente sotto shock nel vedere l'enorme elefante squadrarci dall'alto. Non so dire cosa sia scattato in Harry, ma questo comincia a camminare con determinazione verso l'animale, tenendo il braccio teso per mirare alla sua testa.
- No! - Urlo, sperando che Harry mi dia ascolto e rinuncia a ucciderlo, ma con un solo colpo di proboscide il pachiderma lo ferma, lanciandolo verso un albero. Il riccio, prima di sbattere con violenza contro il tronco, perde la pistola nel volo, che finisce dalla parte opposta. Lo guardo spaventata, sperando che si rialzi, ma sembra esser svenuto.  Quando l'elefante incrocia il mio sguardo, riesco a vedere i suoi occhi: uno castano, l'altro azzurro. Ora capisco perché Harry si sia affrettato a puntargli l'arma contro: è lui il mostro. Vorrei provare a prenderla, ma mi bloccherebbe subito la strada, magari trasformandosi in pochi attimi in un animale più veloce. Ancora non riesco a capire, però, di quale creatura si tratti. Dunque, non avendo nessuna brillante idea in mente, utilizzo il piano di fuga, letteralmente. Usare il fuoco sarebbe inutile data la mia scarsa concentrazione: se mi fosse scappata anche una minuscola fiammella, avrei provocato un incendio. Comincio a correre più veloce che posso verso il bosco. Se si trasforma, potrei cercare di rallentarlo in qualche modo, magari usando l'energia della terra.
Harry mi ha sempre raccomandato di non girarmi se non è necessario, di continuare a correre, ma questa mi sembra un'emergenza: ho bisogno di sapere dove il mostro si trovi. Però, avrei dovuto seguire il suo consiglio: nel vederlo assumere di nuovo le sembianze di un lupo, rischio di inciampare su una radice per la distrazione. M’immergo nel fitto degli alberi. È decisamente meglio giocare ad acchiapparello con Harry. Il silenzio viene interrotto dal mio respiro affannato, dal suono dei rametti che vengono spezzati durante la corsa e dal ringhio del lupo. Prima che questo raggiunga la radice che ho già superato, la faccio allungare con un movimento della mano e, fortunatamente, ci inciampa sopra, riuscendo a farmi guadagnare un po' di tempo. Devo far il giro e tornare indietro a recuperare la pistola di Harry. L'animale, però, è già di nuovo in piedi e per un pelo non mi afferra la gamba con la sua morsa, sbucando tra due alberi sul mio lato sinistro e facendomi urlare per lo spavento. Riesco a recuperare un po' di terreno quando sbatte contro un tronco subito dopo aver cercato di acciuffarmi, ma non vado lontano perché cado. Oltre ai polmoni, ai muscoli delle gambe e dell'addome, ora anche le mani e le ginocchia mi bruciano dal dolore. Cerco di mettermi in piedi, ma ricasco senza forze. Non potendo far nulla, mi accosto all'albero più vicino per appoggiarmici contro, cercando di essere più silenziosa possibile. I jeans, all'altezza della rotula, si sono strappati e mostrano due belle sbucciature coperte di sangue e terra. Sposto lievemente il tessuto per controllarle mentre sibilo tra i denti un verso di dolore anche a causa delle mie mani, che mi affretto a guardare: il palmo è rifinito da alcuni tagli e ciottoli incastrati. Me li levo dalle ferite, stringendo i denti per alleviare quel fastidio. Non ho il tempo di alzarmi che il lupo è di nuovo di fronte a me. Vorrei usare il fuoco, ma ho paura che a causa dei tagli non ci riesca.
Credo che il momento in cui sono sola e con le spalle al muro, senza che nessuno possa aiutarmi sul serio, sia arrivato. Io e il mio problema. Non posso scappare, non ci sono vie d'uscita. Non importa cosa succederà, questa è solo la prima volta. So che mi potrei ritrovare in situazioni del genere altre mille volte, se non dovessi morire stasera, e che prima o poi potrei riuscire ad evitarle, ma essendo un Elementale è meglio prendere in considerazione il mai ed accettare che la mia vita è questa adesso e che sarà impossibile non essere sola contro il mondo.
Mi guardo intorno, in cerca di un modo per salvarmi, prima che la mia attenzione sia catturata da dei rami sopra di noi, ma sospiro esasperata quando mi rendo conto che non riuscirò a farli cadere. Sono a corto di forze. Nel frattempo il lupo, con il pelo rizzato, ringhia e mostra i denti, immaginando già il sapore della mia carne. L'animale ulula, felice di aver catturato la sua preda, ma il suo verso viene interrotto da uno sparo che lo fa collassare a terra e che mi fa urlare per il disgusto di vedere una parte della sua testa saltare. Adesso che è morto davanti ai miei piedi, i suoi occhi sono completamente bianchi e, non lontano da quello sinistro, c'è il buco che il proiettile ha formato. Qualche secondo dopo, l'animale esplode in una nuvola grigia che viene fagocitata dal terreno. Cerco di mettermi in piedi, sebbene non ci riesca, mentre sento i passi di Harry avvicinarsi. Devo trattenermi dal piangere dalla felicità che si sia svegliato. Però, non appena si avvicina, mi rendo conto che non è il dampiro, bensì Albert. A vederlo qui, corrugo la fronte e storco le labbra, del tutto meravigliata.
- Ho notato il tuo amico dormire vicino a un albero, poi mi sono ricordato che ha pulito mezzo bosco con le mie chiappe l'altra volta e non poteva solo fare un sonnellino. Soprattutto con la sua pistola in bella vista. Fortuna che ti ho sentito urlare. - Mi sorride mentre lascia cadere a terra l'arma e mi porge la mano per aiutarmi ad alzare. - Ed ho trovato anche il mio Skinwalker. - Aggiunge prima di sorridermi. Giusto, anche lui caccia, essendo un Elementale.
- Mi ricorderò subito di controllare i suoi occhi la prossima volta. - Dico dopo qualche secondo in cui cercavo di realizzare cosa è successo mentre tento di togliere quei ciottoli dalle mani, nonostante mi procurino un bruciore orribile.
- Non è sempre così facile. - Mi lascia il braccio appena si assicura che riesca a camminare, almeno abbastanza da non cadere.
- Grazie, comunque. - Mormoro mentre usciamo da quegli alberi fitti e ci dirigiamo verso la Range Rover nera. Harry è lì accanto e, quando ci nota, corre verso di noi, allontana Albert da me in maniera sgarbata e mi abbraccia. Mi lascio stringere, sebbene lui non sembri il tipo da queste cose e io sia ancora turbata dall'accaduto.
- Menomale che sei viva. - Sussurra sulla mia spalla senza neanche lasciarmi il tempo di parlare, poi si stacca e poggia le mani sulle mie spalle per squadrarmi con attenzione, controllando che non sia ferita gravemente. - Per fortuna sono solo due taglietti. - Sospira dopo aver notato le mie ginocchia sbucciate e i palmi, poi fa un cenno col mento ad Albert di ringraziamento. Questo sorride prima di guardare me.
- Allora vi lascio. - Chiede dopo attimi di silenzio in cui Harry ancora si sta assicurando che non abbia nulla di rotto e io sono ancora troppo agitata per dire qualcosa di concreto. - Ci vediamo domani alla festa di June, quindi? - Annuisco.
- Grazie di nuovo per l'aiuto. - Dico sinceramente con lo sguardo nei suoi occhi.
- Grazie per avermi fatto uccidere il mostro che cacciavo. - Mi sorride prima di lanciare un'occhiata fugace al dampiro, poi si allontana con le mani in tasca. Credo che il vero motivo per cui Albert non abbia più proposto di allenarci insieme sia Harry. Lo mette troppo in soggezione, ma non ne sono sicura. Appena mi viene in mente il volo che invece quest'ultimo ha fatto mi giro verso il moro.
- Tu stai bene? -
- Solo un leggero dolore alla schiena. - Mi rassicura con un piccolo sorriso. - Dai, andiamo. Ti porto a casa. - Dice prima di circondarmi la schiena con un braccio per aiutarmi a camminare, nonostante non ne abbia bisogno.
- Dobbiamo recuperare la tua pistola. -
- Non m’importa nulla della pistola, ora. -
***
- Ancora non ho capito come facciano le tue ferite a rimarginarsi subito. - Sussurro, ancora seduta sulla tazza del water. Lascio un sospiro di dolore quando Harry estrae l'ennesimo, minuscolo ciottolo dalla lesione con la pinzetta. Comunque rimane inginocchiato a lavorare, noncurante dei miei continui lamenti.
- Fibrinogeno, piastrine e fattori di coagulazione in numero maggiore. - Alzo un sopracciglio, divertita, a sentire quei termini scientifici che ha usato. Non udendo le mie lamentele quando estrae l'ultima pietruzza, alza il volto per guardarmi. - O qualche cazzata del genere. - Continua prima di posare la pinzetta e afferrare un panno pulito, poi mi tampona le ginocchia in modo da pulirle. Lo osservo in silenzio mentre scarta due cerotti abbastanza grandi e li applica sulle ferite, successivamente mi afferra con delicatezza una mano e passa a disinfettarne il palmo con un po' di cotone ed acqua ossigenata. - Non ho ancora capito come tu sia caduta, comunque. -
- Una pietra. - Sbuffo alquanto infastidita al pensiero. Una sola roccia avrebbe potuto farmi uccidere. - Non capisco perché tutti questi mostri stiano uscendo solo ora. In diciassette anni non è mai successo niente mentre adesso cercano di attaccarmi tutti insieme. - Oppure, non me ne sono mai accorta. Forse la sera, quando camminavo per strada per tornare a casa, c'era qualche orribile creatura dietro di me che mi stava col fiato sul collo ma non me ne sono mai resa conto. Rabbrividisco solo al pensiero. Harry scrolla le spalle, indifferente, e passa a disinfettarmi l'altra mano. - C'è una cosa che mi sono sempre chiesta. - Dico per interrompere quel silenzio tra di noi. Non mi piace quando si crea. Gli fa assumere un'aria seria che, dopo settimane che ormai stiamo quasi tutti i giorni insieme, mi mette leggermente in soggezione. Preferisco di gran lunga quando sorride. Alza il mento per osservarmi e incitarmi a parlare. - Come riescono i tuoi vestiti a scomparire quando diventi invisibile? Cioè, non dovresti essere nudo? - Scoppia a ridere alla mia domanda, poi scuote la testa.
- Non ne ho idea, sinceramente. Non ho avuto il tempo per chiederlo a mio padre, sai com'è, ma credo sia lo stesso meccanismo del sudore. -
- Del sudore? - Trattengo una risata mentre lui sorride.
- Sì. Sudo io, si bagna la maglia. - Afferma quasi serio, ma so che sta scherzando. Prende la garza per strapparla, poi la arrotola intorno ai miei palmi.
- Beh, è una teoria interessante. - Ridiamo di nuovo mentre lui afferra con i denti un pezzo del tessuto e lo lacera, poi lo blocca tra le fessure per evitare che scivoli via dalle mani. - Sei un ottimo medico. - Mormoro, osservandolo all'opera.
- È una delle tante cose che ho dovuto imparare. - Mi sorride lievemente, continuando a tenere lo sguardo nei miei occhi. - E poi, per dei taglietti del genere tutti sono bravi medici. - Annuisco, concordando, mentre lui accenna un ghigno divertito, che fa sorridere anche me. Allungo una mano verso il suo volto per spostargli un ciuffo di capelli dagli occhi mentre non distoglie lo sguardo dai miei. Li osserva per qualche secondo, dopodiché si alza in piedi e si schiarisce la voce. - È meglio che vada ora. Domani abbiamo una festa da rovinare. - Sorride entusiasta.
- Allora ci vediamo domani. - Lui fa un cenno per salutarmi, poi se ne va mentre mi tiro su e vado in camera a togliermi la maglia sporca di terra e infilarmene un'altra blu. Recupero i panni sporchi per lavarli. Tutti, tranne i jeans che già avevo rimosso per scambiarli con dei pantaloncini e facilitare il lavoro a Harry con le mie ginocchia. Fortuna che non avevo peli.
Mi affaccio alla finestra quando sento il dampiro mettere in moto la macchina e uscire dal quartiere: la strada è completamente deserta ora, come sempre; l'orologio batte quasi la mezzanotte. Chissà per che ora tornerà mia madre, data la cena di lavoro. Non concludo neanche il mio pensiero che il campanello suona. Scendo giù, prestando attenzione ai gradini. Non vorrei cadere e perdere altro sangue stasera.
- Ma perché ti scordi sempre le chiavi? - Accompagno la mia domanda con uno sbuffo mentre apro la porta. Sulla soglia, però, non c'è mia madre, bensì un ragazzo con i capelli legati in un piccolo codino, una maglia blu acciaio con la scritta Chicago e dei jeans chiari: Luke, quel Cacciatore Oscuro. - Non osare avvicinarti. - Gli ordino con tono duro mentre faccio un piccolo passo indietro, pronta a sbattergli la porta in faccia.
- Voglio solo parlarti. - Dice con tono e sguardo sinceri mentre alza le mani in segno di pace senza fare un passo.
- Ricordo che la scorsa volta mi hai detto qualcosa di simile, e non finì bene. - Sto per chiudere la porta, ma lui la blocca di nuovo con una mano, spingendola di poco. Infila l'altra nella tasca e ne estrae una pistola. Adesso sono determinata più che mai a lasciarlo fuori, prima che abbia la possibilità di fare qualsiasi cosa, ma lui getta l'arma tra i cespugli, dopodiché mi guarda.
- Posso? - Insiste, in maniera fin troppo gentile.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Luke è ancora sulla soglia e non intende spostarsi. Non posso farlo entrare in casa e basta: non lo conosco e non mi fido di lui. Ricordo ancora quando ha provato a rapirmi fuori dal cinema. È un estraneo.
Continuo a guardarlo, aspettando una sua azione. Magari si scoccerà con questa falsa aria gentile e proverà a trascinarmi via di prepotenza. Però, ciò non avviene, anzi rimane in silenzio, ancora in attesa di una risposta. Serro le labbra, respiro a pieni polmoni dalle narici e annuisco. Un sorriso affiora sul suo volto dopo che apro la porta e mi ci appoggio contro per lasciarlo passare. Subito cammina dentro mentre io cerco con lo sguardo la sua pistola, affacciandomi di poco oltre la soglia. Appena risalta ai miei occhi, attendo che Luke sia abbastanza lontano da permettermi di correre verso l'arma senza che lui riesca a fermarmi. Comincio a scendere i gradini in fretta. Tuttavia, sono lenta a causa delle ginocchia ancora doloranti, e lui riesce a slanciarsi verso di me senza troppa fatica. Avevo tralasciato questo minuscolo particolare. Sul vialetto, infatti, mi afferra la spalla, stringendola e cercando di acciuffarmi per bene, ma questa volta non l'avrà vinta. Metto la mano sulla sua, graffiandola con una tale forza da provocargli un gemito. Quando la allontana, la agguanto velocemente e gli giro del tutto il braccio. Caccia un urlo di dolore mentre gli do una spallata sul petto, senza neanche dargli il tempo di reagire, facendolo successivamente cadere in un cespuglio. Con il respiro lievemente affannato e le ginocchia doloranti, acciuffo la pistola e la impugno con tutte e due le mani, puntandola verso Luke. Quest'ultimo si alza, pronto ad agguantarmi di nuovo, ma si ferma immediatamente quando nota l'arma. Non gli sparerò, non sono in grado di usare una pistola e non voglio neanche, ma lui non lo sa.
- Entra subito in casa. - Gli ordino, preoccupata che qualcuno possa notare cosa sta accadendo e chiamare la polizia. - E al primo passo falso che fai, ti piazzo una pallottola tra le costole. - Lo minaccio con tono freddo e distaccato, ma lui sorride divertito alle mie parole, sotto il mio sguardo duro. Non c'è niente da ridere. Sono seria. Non solo arriva a casa mia dicendomi di voler parlare, ma alla prima occasione si scaglia contro di me. L'ha fatto per difesa, va bene, ma davvero credeva che non avrei preso anch'io delle precauzioni? Continuo a respirare irregolarmente, un po' per la rabbia, un po' per il piccolo scontro.
- Noto che Harry ti ha dato delle lezioni. - Commenta con un sorriso beffardo.
- Entra. - Ripeto, avvicinandomi a lui nel modo più minaccioso possibile, mentre miro alla sua fronte. - Ora. - Sibilo tra i denti. Lui incrocia il mio sguardo e fa sparire il ghigno dal volto. Nonostante lui scherzi, sa benissimo che se mi ha allenato Harry l'unica a ridere, alla fine, sarò io. Nonostante abbia ancora la garza, sento i palmi bruciare lievemente a contatto con la pistola a causa dei tagli. Luke alza le mani al cielo, in segno di resa, e si dirige verso la porta, non aggiungendo altro. Lo seguo a ruota mentre continuo a tenere la pistola puntata sulle sue spalle, senza abbassare la guardia. Chiudo la porta una volta che siamo entrati e gli indico la cucina con un cenno del mento. Una volta lì, si siede su una sedia e poggia le braccia sul tavolo, incrociandole. Io non mi accomodo, bensì rimango dietro di lui per assicurarmi che non si muova.
- Posso avere un po' d'acqua? - Chiede mentre gira piano il volto verso di me per guardarmi. Stacco una mano dall'impugnatura della pistola e la protraggo verso il lavandino, dove è ancora presente dell'acqua, e con un solo gesto la sposto verso la faccia di Luke, bagnandola.
- Spero che la liscia vada bene. Non beviamo la gassata. - Lui sbuffa, facendo cadere qualche goccia a terra, dopodiché si asciuga il volto con la maglietta, madida sul colletto per lo schizzo.
- Perfetta. - Risponde lui, alquanto irritato.
- Prima che inizi a parlare, e spero che sarai veloce dato che non ho tutta la sera da dedicarti, ho delle domande. Come facevi a sapere dove abito? - Lui accenna una lieve risata, inumidendosi le labbra.
- Spero che le persone di cui tu ti fidi siano poche. - Senza innervosirmi eccessivamente, avvicino la pistola alla sua testa e la mia bocca al suo orecchio.
- Non mi hai risposto. - Sussurro prima di ritrarmi. Sospira, poi picchietta con la punta delle dita sul tavolo e si adagia allo schienale della sedia, poggiando l'altro braccio su di esso.
- Il quartiere è piccolo e la gente giusta parla. - Non so perché, ma ho la vaga sensazione che June c'entri qualcosa in tutto questo. Mi odia da quando ci siamo incontrate e sapere che è una strega mi convince sempre di più del fatto che lei abbia a che fare con questa storia. L'unica parte che mi sfugge è cosa voglia da Jackson e come conosca Luke, ipotizzando che lo conosca. Se fosse così, nessuno esclude che abbiano fatto un patto dato che il Cacciatore Oscuro vuole morto Jackson, e la strega me: l'Elementale si occupa della sottoscritta, e June dello Gnomo. Ed ecco un altro pezzo mancante del puzzle: l'odio enorme nei miei confronti. Non le ho mai fatto nulla.
- Come fai a sapere chi sono? - Lui ride nuovamente.
- Chiunque abbia quel pizzico in più nella vita, se hai capito cosa intendo, conosce il tuo nome, Sharon Steel. - Ovviamente, si riferisce al controllo sugli elementi. Anche qui non riesco a darmi ancora una risposta concreta: sono un Elementale come qualunque altro, cosa ho di speciale?
- Perché mi hai cercato? - Chiedo mentre faccio il giro intorno al tavolo per mettermi di fronte a lui, all'altra estremità, e fissarlo. Voglio vedere la sua espressione quando parla, e capire se davvero sta dicendo la verità o meno.
- Perché sei unica e speciale. - Dice stavolta in modo davvero serio, staccando la schiena dalla sedia e incrociando le braccia sul tavolo mentre tiene lo sguardo fisso nei miei occhi.
- So chi sei, e non ho nessun motivo per crederti. Sei un Cacciatore Oscuro, e non siamo dalla stessa parte. - Lui rotea gli occhi al cielo e riporta un gomito sullo schienale della sedia, senza smettere di osservarmi.
- Ancora questa inutile distinzione buoni e cattivi... - Sbuffa mentre sposta lo sguardo sulla mano che gli ho graffiato prima, dove sono presenti piccoli segni rossi, alcuni con un po' di sangue raggrumato. Lui si limita a pulirsi, senza battere ciglio. - L'unica differenza che c'è tra un cacciatore come te e uno come me è l'idea, Sharon. -
- La conosco benissimo la tua idea. - Lo interrompo. - So che volete addestrare quelle creature per comandare tutti, ma sei umano anche tu! Come puoi pensare di sottomettere la tua stessa specie alleandoti con un'altra peggiore? - Lui mi guarda per qualche secondo, poi scoppia in una fragorosa risata.
- Tu credi che vogliamo comandare? - Cerca di smettere di ridere mentre pone questa domanda, poi riacquista il suo atteggiamento serio prima di parlare. - Noi conosciamo perfettamente la pericolosità di alcune creature, ma non tutte sono così. Crediamo in un mondo dove possano convivere perfettamente gli uni e gli altri, umani e mostri. Molti di loro non sono cattivi, Sharon, solamente impauriti. Il mondo come lo conoscevano è cambiato profondamente. Tu non avresti paura di un mondo che non conosci? - Chiede, guardandomi negli occhi. So cosa significa avere paura di un mondo interamente nuovo, dove tutto quello che si pensava fosse vero, si è rivelato una bugia, un'illusione. Venire a conoscenza degli Elementali, dei mostri, è stato come una bomba nella mia testa. In effetti le cose che ho visto milioni di volte in televisione sono vere, e questo non posso negarlo. Se l'idea dei Cacciatori Oscuri è una fusione tra mondi diversi per crearne uno dove regni la pace, non è un'idea tanto oscura, ma neanche del tutto possibile. La vedo complessa da realizzare.
- Molte persone non capirebbero. Cercherebbero di ucciderli. Se lo facciamo noi al posto loro, ci deve essere un motivo. - Mormoro. - Ci deve essere un motivo perché vi chiamano Cacciatori Oscuri. - Aggiungo alzando leggermente il tono di voce, ma lui sospira.
- È per una vecchia storia successa in Grecia milioni di anni fa. -
- Io non la conosco. - Ribatto nuovamente. Se posso avere delle risposte, le voglio ora. Se è davvero questa la morale dei Cacciatori Oscuri, non capisco perché Jackson non mi abbia raccontato sul serio tutto su di loro. Se voleva farmi schierare dalla sua parte ci è riuscito, ma nessuno mi assicura che non abbia scelto quella sbagliata. Ora sono solo confusa.
- Gli Elementali più famosi furono gli Olimpi, gli dei greci. Penso che tu li conosca. Zeus, Silfide, fu considerato il sovrano solo perché fu il primo a fondare sul serio quella che oggi è la stirpe dei Cacciatori, ma aveva la stessa potenza degli altri. Durante quel tempo sarebbe stato difficile spiegare quello che tu sai, ovvero degli elementi e come controllarli. Non che sia facile oggi, ma le storie nei film, nei fumetti e nei libri portano a crederci più facilmente. - Aggiunge. - Però era più semplice ingannare la popolazione allora, dichiarandosi delle divinità. Così nacquero miti su miti per celare la verità. Tuttavia, se ci sono Elementali, ci sono anche mostri, ovviamente. Il più famoso era la Chimera. Molti cacciatori cercarono di ucciderla, ma era troppo forte. Solo Bellerofonte, un Ondino, ci riuscì. La creatura, insieme con tante altre, fu rinchiusa in un apposito vaso che Efesto costruì. - Spiega, guardando la cucina.
- Il vaso di Pandora... - Mormoro. Credo che i greci siano l'unica popolazione che ho avuto davvero il piacere di studiare, soprattutto la mitologia, che mi ha sempre affascinato. E Delice che era sicura che fossero solamente storie quando, invece, mi toccano più di quanto non avrei mai creduto. Lui gira il volto nella mia direzione e accenna quello che sembra un piccolo sorriso.
- Proprio quello. La sua custodia fu affidata a Pandora. Zeus aveva piena fiducia in lei. Eppure, quando alcuni cacciatori giunsero per aprire il vaso, lei non riuscì ad allontanarli, nonostante avesse lottato. Quello fu il primo vero scontro tra Elementali, in cui morì carbonizzata poiché uno di loro usò l'elemento del fuoco su di lei. Non ricevendo notizie dalla Nereide, Zeus andò dalla guardiana, ma l'odore di fumo lo precedette e, quando realizzò cos'era successo, non poté far nulla se non incolparla di aver aperto il vaso. Per proteggere il segreto degli Elementali, inventò che da quel contenitore fossero usciti i mali del mondo al posto dei mostri. Se avesse raccontato tutto ciò che era realmente successo, si sarebbe scatenato il panico. -
- Perché quei Cacciatori l'hanno aperto, allora? La Chimera era un mostro pericoloso. Le loro azioni sono state completamente insensate. -
- Insieme con lei, anche altre creature, come i Satiri e i Centauri, furono rinchiuse lì dentro. Questi, ad esempio, aiutavano gli Gnomi a salvaguardare le foreste, ma la loro scomparsa non portò niente di buono. Lo stesso capitò ai fiumi a causa dell'assenza delle Ninfe. - Abbasso del tutto l'arma e la poggio sul tavolo senza allontanare la mia mano dall'impugnatura, prevenendo Luke dall'afferrarla, magari. Vorrei metterci la sicura, ma non so come fare. Dovrò farmi insegnare anche questo da Harry, anche se non userò mai una pistola in vita mia.
- Quindi, quegli Elementali erano semplici cacciatori? - Chiedo, turbata, mentre cerco di rielaborare tutto ciò che ha detto. Lui annuisce in risposta. È impensabile come dall'egoismo dei buoni siano nati i cattivi.
- Sì. Non esisteva neanche quella distinzione. -
- E cosa c'entro io? -
- Tu sei l'esempio migliore per dimostrare al mondo che un cacciatore può convivere perfettamente con un mostro. - Alzo le sopracciglia, scettica.
- Harry non è un mostro. - Replico, irritata. Lui non sa niente di lui e non saprà mai nulla. Non si può permettere di chiamarlo così quando lui non è di certo migliore. Scuote nuovamente la testa.
- Non mi riferisco a lui. Se l'avessi fatto, avrei cercato di ragionare con Jackson. - Fa un verso di scherno, poi poggia le braccia sul tavolo per guardarmi negli occhi. - Sto parlando di te. - Ora la confusione ha occupato il posto della rabbia, ma non ho il tempo di pensare alle sue parole né di fargli un'altra domanda che il campanello suona ripetutamente. Gli vorrei chiedere di cosa stia parlando, e cosa c'entri questo con l'idea del loro mondo pacifico, ma non mi è possibile. Raddrizza la schiena e si alza di scatto: il tempismo di mia madre mi stupisce sempre.
- È mia madre. Devi andartene. - Faccio scorrere la pistola verso Luke, che la afferra subito. Se ho capito bene e gli servo viva, sono sicura che non mi ucciderà. Gli indico la finestra per mostrargli la via migliore affinché possa uscire mentre mi dirigo velocemente fuori dalla cucina. - Eccomi! - Esclamo, camminando verso la porta prima di spalancarla. Guardo con sorpresa mia zia, Tess Perry: non esce quasi mai di casa, specialmente la sera, a mezzanotte passata poi.
- Ciao tesoro. Devo parlare con tua madre. È in casa? - Sorride dolcemente mentre i suoi occhi brillano di un grigio scuro a causa del buio, dato che la luce sulla parete, accanto alla porta, risplende pallida.
- No. Ancora non è tornata, stranamente. - Il suo sorriso si spegne e sul volto compare un'aria dispiaciuta. Non capisco cosa ci sia di tanto urgente da rattristarsi così.
-Oh... vuol dire che le dirai che sono passata. - Ride lievemente prima di assumere la sua solita espressione felice.
- Certo, non preoccuparti. - Scrollo le spalle. - Potresti rimanere ad aspettarla qui. - Propongo poi, sperando di scoprire cosa deve dirle, essendo di sicuro qualcosa d’importante per non averla chiamata. Non s’incontrano mai, già è tanto se si parlano attraverso una cornetta: deve per forza essere successo qualcosa di grave da spingere mia zia a venire fin qui, a quest'ora per giunta.
- Non ti preoccupare tesoro. Vado un po' di fretta, in realtà. Ci vedremo presto. - Mi volge un ultimo sorriso prima di scendere i gradini e andare via sotto il mio sguardo curioso. Quando è sparita alla mia vista, decido di chiudere la porta. Se avessi saputo che era solo lei, avrei fatto rimanere Luke in modo da non interrompere il nostro discorso, dato che è stato bloccato in un momento critico e non credo avremmo la possibilità di parlare di nuovo.
Quando torno in cucina trovo solo la finestra aperta e le tendine svolazzare leggermente. Non appena la chiudo queste si fermano, adagiandosi sul vetro. Mi giro per assicurarmi che sia davvero uscito. È vero che stavamo conversando civilmente, ma non si può mai sapere. Quando mi volto per salire in camera, il mio sguardo viene attirato da un libro sul tavolo. Prima non c'era. Mi avvicino cautamente per osservarlo meglio: le pagine, da quanto riesco a vedere lateralmente, sono abbastanza vecchie, ingiallite, e la copertina è marrone, coperta da della polvere sopra. Indugio prima di soffiarla via. Sembra che non venga aperto da anni. Luke non aveva nessun libro con sé ed io non ne ho uno del genere in casa. Tra l'altro non può essersi materializzato così dal nulla. Ci passo una mano sopra per pulirlo meglio e cercare di distinguere le incisioni in nero, che raffigurano quattro triangoli: due diritti, uno normale e uno con una linea che lo taglia orizzontalmente vicino al vertice, e due capovolti, uguale ai primi. Questi sono posti al centro della copertina: quelli con le strisce in alto e in basso; gli altri tra questi, più sui lati, quasi a formare insieme una specie di rombo. Apro il libro, curiosa, vedendo poi sulla pagina principale il titolo: Enciclopedia dei Mostri.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

Mi guardo per l'ultima volta allo specchio, girandomi su entrambi i lati per osservarmi meglio, poi sospiro leggermente. Aspettavo il sedici luglio da giorni e, adesso che è ora di andare alla festa, non mi sento pronta; sono preoccupata che qualcosa possa andare storto, in realtà. Osservo il mio riflesso: ho una luce strana negli occhi. Forse paura, forse desiderio di mettere fine a questa storia, ma la verità è che non ne sono sicura. È un casino di sensazioni. Un'ombreggiatura scura bluastra-viola sotto gli occhi è evidente sul mio volto, segno di una notte non molto tranquilla. Infatti sono rimasta ore sveglia a ripassare il piano che io e Harry abbiamo preparato e che si concluderà con l'uccisione di June, ma toccherà a lui farlo, naturalmente. Io non ho intenzione di far del male a qualcuno, anche se quel qualcuno è una strega che odio. Non sono quel tipo di persona. Strano da dire, dato che sono stata io ad aver ucciso l'Adaro e aver quasi amputato la gamba a una delle due Ek Ek. Ma ora è diverso: parliamo di pugnalare una ragazza, per quanto lo sia. Non riuscirei a convivere con questo ricordo, sebbene Harry ripeta più volte che questo ormai sarà parte della mia vita. Ciononostante, è più forte di me: non sono nata per uccidere.
Passo frettolosamente le mani sul vestito non per aggiustarlo, bensì per scaricare la tensione. L'unica volta in cui mi sono addormentata questa notte ho fatto un incubo: il piano falliva, June riusciva a farla franca ma, non so per quale motivo, risparmiava me e Jackson. L'unico che ammazzava era Harry. Spero sul serio che questo sogno non si avveri. Non mi meraviglio di non essere riuscita a chiudere occhio: se morisse stasera, sarà solo per causa mia e della mia paura perché, se lui si trovasse in pericolo, non saprei affrontare la rossa, come avrei già dovuto fare molto tempo fa, anche solo per avermi messo in ridicolo per tutti questi anni. Avrei dovuto dirle qualcosa, tenerle testa, invece non l'ho fatto.
Comunque ora non ho tempo per pensare a quello che avrei potuto fare: devo concentrarmi sulla nostra "missione". Non sarà facile distrarre e allontanare June dalla festa per liberarci di lei, evitando tra l'altro che qualcuno ci veda e chiami la polizia. Devo già affrontare l'essere definita pazza; posso anche far a meno di essere chiamata assassina e di andare in prigione. Ad ogni modo, il fatto che non sia al corrente che noi conosciamo la sua vera identità è l'unico vantaggio che abbiamo su di lei. Perciò, combatterla alla festa è l'occasione più adatta. Non possiamo aspettare oltre.
Un altro motivo per cui non ho dormito molto è perché ho passato la nottata a studiare un po' il libro sui mostri. Non avrei mai pensato che ci fossero così tante informazioni interessanti su di loro. L'unica cosa che mi ha lasciato perplessa è aver trovato anche la sezione sugli Elementali. So che Jackson ha sempre affermato il contrario, eppure siamo una specie di mostri, in fin dei conti. Anche per questo, oltre ad essere moralmente scorretto, voglio evitare di uccidere June: e se mi piacesse? Anche se non sono umana, non voglio perdere la mia umanità. È anche assurdo che faccia certi pensieri: è assodato che non mi piaccia far del male alle persone, eppure ho come il presentimento di dover far attenzione a ciò, ma alla fine so che è solo una brutta sensazione causata dall'agitazione.
Lancio un'occhiata rapida al libro e mi allontano dallo specchio per afferrare l'enciclopedia e nasconderla sotto le coperte, timorosa che mia madre possa trovarla. Quando sento il suono ripetuto di un clacson dalla strada, segno che Harry è arrivato, mi affretto a recuperare e indossare le ballerine nere. Corro in bagno per aggiustarmi i capelli, che lascio sciolti, e mettermi un filo di matita sotto gli occhi. Devo comunque far finta che me ne importi qualcosa della festa.
- Sharon! C'è il tuo accompagnatore! - Esclama entusiasta mia madre dal piano di sotto. Mi sbrigo a prendere il giubbino di pelle e il cellulare, che infilo in una delle tasche, poi scendo giù. Alzo gli occhi al cielo quando la becco a scrutare fuori da dietro le tende. È una cosa nuova per lei vedermi andare di mia "spontanea volontà" a una festa, ma potrebbe evitare di far ciò, dato che mi imbarazza. Immagino se fosse stato il ballo della scuola: sarebbe stato di gran lunga peggio.
- Mamma! - Sbuffo rassegnata. Lei si gira, sussultando di poco per lo spavento. Era così concentrata a cercare di scoprire chi sia il ragazzo che mi aspetta in macchina che non mi ha neanche sentito scendere. Giustamente, le ho già detto come si chiama e le ho raccontato come ci siamo conosciuti (sebbene su questo punto sia stata davvero creativa), ma penso che abbia creduto alla solita storia del compagno di corso. Però, è ancora curiosa di vederlo di persona.
- Oh, sei stupenda. - Commenta dopo avermi osservato. Io provo a sorriderle nel modo più sincero possibile. Non credo sarebbe così felice se sapesse la vera ragione per cui andrò alla festa. Stranamente non mi ha fatto tante domande su questo, sapendo benissimo quanto le odi e che questa scelta avrebbe dovuto insospettirla, però si è limitata a fare i salti di gioia. Forse, ha avuto la speranza che queste cose cominciassero a piacermi, come quasi a tutti i ragazzi della mia età.
- Grazie. - Dico nel modo più gentile possibile. Harry suona nuovamente il clacson, con più insistenza però.
- Muoviti, su. Altrimenti Tondon sfonda quel volante. - Dice mia madre, scherzosamente. Se solo sapesse ciò di cui è davvero capace quel ragazzo, non avrebbe indugiato a credere che l'avrebbe sfondato sul serio, senza troppa fatica.
- Thompson. - La correggo, cercando di non riderle in faccia, poi prendo un bel respiro e mi faccio coraggio: questa sarà una serata che non dimenticherò facilmente, non solo perché andremo a combattere contro una strega, ma perché sarà la prima, vera e seria caccia della mia vita, la prima volta in cui sarò una cacciatrice e, un po', questa idea mi eccita. Finalmente mi sentirò parte di qualcosa, nonostante sia surreale. L'ho fatto altre volte, certo, ma stasera c'è qualcosa di troppo importante in ballo: Jackson.
Cammino velocemente verso la porta mentre mia madre comincia a farmi le solite raccomandazioni: non bere, non fumare, torna a casa presto... Quanto vorrei una serata normale, anche a quella festa inutile, ma abbiamo del lavoro da svolgere: eliminare June. O almeno lo spero.
- E mi raccomando: stai attenta con lui e non farti mettere le mani addos... -
- Ciao! - La interrompo, stufa di sentire altri avvertimenti, ma soprattutto prima che questi diventino troppo imbarazzanti. Ha già elencato ben venti cose a cui dovrei prestare attenzione. Fortunatamente, non ha menzionato la più importante: June Edwards.
Appena supero la soglia di casa, un venticello fresco mi si abbatte contro, dandomi sollievo. Non c'è l'afa di oggi, e questo è un bene: mi sto già accaldando a causa dell'ansia. La strada, come sempre, è vuota e buia e un lampione ha addirittura smesso di funzionare: l'atmosfera perfetta per commettere un omicidio, al solito. Entro velocemente nella macchina di Harry, mi siedo davanti e chiudo lo sportello, sbattendolo leggermente per la fretta.
- Lo sportello. - Mi rimprovera ancora con lo sguardo sul suo cellulare, intento a scrivere un messaggio, dopodiché si volta a osservarmi e fa affiorare un sorriso sul suo volto. - Wow. - Commenta poi, alzando lo sguardo nei miei occhi mentre pone il telefono in tasca. Io mi sento avvampare. Ringrazio che sia buio e che il rossore sulle mie guance non sia evidente. Controllo l'ora per evitare di fissarlo: le nove e mezzo di sera. - Immagino quanti cuori infranti. -
- M’interessa solo quello di June. - Cerco di non mostrarmi imbarazzata. Non sono abituata a ricevere complimenti, specialmente dai ragazzi. Da Harry, poi. Accenna una risata, inumidendosi le labbra e mettendo in moto mentre riporta lo sguardo su di me. - Dobbiamo aspettare qualcuno? - Chiedo dopo essermi resa conto che non si decide a partire, ma mi osserva. Dobbiamo dare un passaggio anche ad Albert e Delice e non vorrei fare tardi, far preoccupare mia madre e, soprattutto, non tornare a casa. Lui sembra riprendersi e scuote la testa, osservando la strada. In un attimo schizza via, costringendomi a tenere la schiena attaccata al sedile e ad affrettarmi a mettere la cintura. Accende anche la radio alla ricerca di qualche canzone decente. Gira qualche stazione senza staccare l'altra mano dal volante e lo sguardo dalla strada.
- Odio questa cittadina. - Sbuffa, lasciando poi una stazione a caso dove mandano il telegiornale. Infatti è difficile prendere linea, e questo è davvero fastidioso. Chissà quali sono i suoi gusti musicali, sempre che ne abbia, naturalmente. Non mi sembra il tipo che perde tempo con artisti vari. Porta l'altra mano sul cambio, aumentando la velocità, mentre io cerco qualcosa da ascoltare. Sono già abbastanza in ansia, non voglio che questa aumenti ulteriormente a causa della guida di Harry, quindi cerco di concentrarmi sulla musica. Cambio nuovamente stazione, lasciandone definitivamente una che trasmette "If I Lose Myself", degli OneRepublic e Alesso. Il riccio accanto a me sterza nuovamente di fretta, costringendomi a tenermi al sedile. Non ho la patente, e non ne capisco nulla di macchine, ma sono sicura che prima o poi ci ribalteremo.
- Puoi evitare di far finta di essere Tanner Foust? Mi stai mettendo più ansia di quanta non ne abbia già. - Borbotto mentre gli lancio un'occhiata. Vedo un piccolo sorriso divertito sul suo volto appena la luce dei lampioni glielo illumina.
- E tu potresti evitare di mettere canzoni di merda. - Controbatte, scendendo con la marcia in seconda, ma sterzando nuovamente a destra all'improvviso, facendomi muovere verso di lui. Sospiro e mi raddrizzo.
- Gli OneRepublic sono bravi. - Replico. - Comunque, per casa di Delice sempre dritto. - Dico mentre indico davanti a me per fargli prendere la strada per la periferia. Lui annuisce.
- Sì, lo so. Mi hai ripetuto più volte dove abita.  - Ridacchia, divertito della mia agitazione, cosa che mi fa sbuffare. - Hai fatto qualche altra ricerca sulla casa abbandonata, comunque? - Chiede subito dopo mentre mi osserva con la coda dell'occhio e io scuoto la testa in risposta. In effetti mi sono totalmente dimenticata di quella faccenda. Con tutte le cose a cui abbiamo dovuto pensare, ovvero a June e ad un modo per riportare Jackson in sé, i segreti contenuti in quella casa mi sono proprio passati di mente.
- Dobbiamo occuparci di June. Magari ci penseremo più avanti. Abbiamo tutta l'estate, no? - Chiedo, girando la testa verso di lui. Harry annuisce e sposta definitivamente lo sguardo sulla strada. Riprendo a osservare fuori, soffermandomi su alcune persone che chiacchierano e camminano tranquillamente sui marciapiedi. La luce dei lampioni illumina i loro volti e mostra i loro sorrisi colmi di gioia. Quando sento il riccio accanto a me tamburellare con le dita sul volante per tenere il ritmo, abbozzo un piccolo ghigno, divertita. Non è vero che gli OneRepublic gli fanno schifo, allora.
***
Un paio di minuti dopo, parcheggia davanti casa di Delice, dove accanto al cancello c'è Albert che guarda il cellulare. La sua luce gli delinea il viso. Sicuramente l'Ondino sta aspettando la mia migliore amica da un bel po'. Ha la brutta abitudine di far tardi. Mi chiedo come lui non sia ansioso di star qua fuori da solo dato che, nelle ore notturne, questo tratto di strada è ancora più raccapricciante del mio.
Mi levo la cintura e apro lo sportello mentre il dampiro spegne la radio, poi esco dalla macchina. Albert alza lo sguardo dal cellulare, bloccandolo appena sente la portiera chiudersi, e mi rivolge un sorriso mentre mi aggiusto l'abito. Harry mi segue a ruota, affiancandomi qualche secondo dopo. Nonostante sia vestito di nuovo in nero, è la prima volta che lo vedo senza la sua solita felpa. Infatti ha una semplice maglia, sicuramente a maniche corte, degli skinny jeans strappati sulle ginocchia ed una giacca di pelle che lascia aperta. Lancio uno sguardo alla casa: la luce in camera sua, al secondo piano, è accesa; lo stesso quella in salotto, segno evidente che ci sono ancora i suoi. È raro trovarli dato che sono sempre in viaggio per lavoro, e le poche volte che non sono indaffarati vanno a divertirsi fuori, poiché anche Delice non sta quasi mai in casa. Questa, interamente bianca, non è grande, anche se da fuori può dare questa impressione a causa dell'immenso giardino. Una volta c'era anche la piscina, ma poi i suoi decisero di rimuoverla dopo che la mia amica stava per annegarci dentro da piccola. Non ci si avvicinò più per almeno due-tre anni.
- Sei incantevole. - Mi sorride prima di abbracciarmi per salutarmi, quindi faccio lo stesso e lo ringrazio, seppur un tantino impacciata. Non mi ricordavo che fosse così amichevole. D'altronde, non ci parlavo neanche fino a un mese fa. Appena si stacca dall'abbraccio, Harry gli regala uno dei suoi peggiori sguardi che hanno un'aria piuttosto minacciosa, però non ne capisco il motivo: Albert Sanchez mi ha salvato la vita, eppure si vede chiaramente che il riccio non si fida di lui. Dopo avergli lanciato un'occhiata d'intesa per evitare che cominci a litigare con l'Ondino, mi avvicino al citofono per chiamare Delice. Nel frattempo, entrambi incrociano le braccia al petto; il riccio si appoggia alla sua macchina, l'altro al muretto. Schiaccio di nuovo sul pulsante con il cognome Lambton poiché nessuno ha ancora risposto. Infine la voce di suo padre si fa chiara all'apparecchio elettronico.
- Chi è? -
- Sono Sharon, Mr. Lambton. Delice è pronta? - Chiedo, avvicinando la bocca al citofono.
- Sì. Cinque minuti ed esce. - Riattacca.
- Immagino che i cinque minuti si rinnovino ogni cinque minuti. - Commenta Harry, facendo ridere Albert. Mi siedo sul muretto anch'io, accanto a quest'ultimo.
- In effetti hai ragione. Sono qui da ben quindici minuti. -
- Questo è quello che ti aspetta per aver invitato Delice. - Mormoro senza neanche pensarci.
- Beh, io non li farò rinnovare di nuovo. Se non è pronta me ne vado. - Afferma con tono serio il riccio, senza staccarmi gli occhi di dosso, mentre annuisco. Non possiamo perdere tempo dietro a Delice. Lei e Albert non c'entrano con quella che è la nostra missione e non voglio coinvolgerli, tantomeno rovinare loro la serata. Anche se, per aver invitato gli "sfigati della scuola", penso che sarà June a rovinarcela. In ogni caso, meglio tenerli fuori da questa storia. Inoltre, Harry ha fatto capire perfettamente a Delice che questi sono affari da cacciatori e Albert, sebbene lo sia, non sa cosa è successo, quindi meglio che si divertano stasera.
Qualche secondo dopo, i tacchi di Delice risuonano sul vialetto. Apre il cancello e ci raggiunge, sorridente, nel suo vestito nero aderente.
- Scusate il ritardo! - Esclama con tono dispiaciuto. Harry, appena la vede, fa il giro per entrare in macchina e metterla in moto. Albert e io ci sbrighiamo a salutarla, poi ci affrettiamo tutti a salire a bordo, sapendo che il dampiro adesso non aspetterà neanche un secondo di più. Quando si tratta di cacciare è difficile rallentarlo.
Non appena tutte le portiere sono chiuse, non mi dà neanche il tempo di mettere la cintura che parte subito, facendomi salire il cuore in gola e sbattere tutti noi contro il sedile.
- Harry! - Lo rimprovero, ma lui accenna una risata.
- Abituati. Questo è il mio modo di guidare. -
***
Qualche minuto dopo, a causa della guida spericolata di Harry, siamo finalmente davanti casa di June. Non che la cittadina sia grandissima, ogni posto si raggiunge in una decina di minuti massimo, però noi non ne abbiamo impiegati neanche cinque. Il riccio accanto a me sbuffa quando nota che su ambedue i lati della strada non c'è posto per fermarsi.
- Vado a parcheggiare e vi raggiungo. - Annuncia. Delice e Albert non se lo fanno ripetere una seconda volta che subito si catapultano fuori dalla macchina. Forse più per evitare di star ancora qui dentro dopo la guida di Harry che per la voglia matta di raggiungere la festa. Sospiro, leggermente infastidita, quando mi accorgo che la bionda sta già trascinando l'accompagnatore dentro la casa, lasciandomi di conseguenza sola, come sempre.
- Ti aspetto davanti al cancello. - Lo informo. Prima che possa aprire lo sportello, mi afferra il braccio per farmi girare a guardarlo nelle sue iridi blu, decisamente più scure ora.
- Fai attenzione. - Mi avverte. - Niente pressioni, mi raccomando. So che è difficile, ma cerca di controllare l'agitazione, va bene? Ho fiducia in te. - Deglutisco per sciogliere quel nodo che mi stava soffocando da oggi e annuisco.
- Stai attento anche tu. - Rispondo, cercando di non far tremare la mia voce o far risuonare la frase come una preghiera. Gli dovrei dire del sogno e di quella pistola che potrebbe ucciderlo, ma non ce la faccio. Se c'è un modo carino per dire a una persona che è destinata a morire, vorrei tanto sapere qual è. Ho ancora l'immagine di Harry che cade ai miei piedi, tenendosi le mani sullo stomaco, ormai distrutto dal proiettile. In realtà il mio sogno era per la maggior parte oscurato, quindi erano poche le cose che riuscivo a distinguere. Inoltre mi dava le spalle, quindi non sono del tutto certa che fosse lui, ma è l'unico che indossa la maggior parte delle volte una felpa nera e che si troverà in una situazione pericolosa tra non molto. Poi, ho passato l'ultimo mese con lui: è di sicuro Harry. Alla fine della serata vorrei solamente tornarmene a casa e pensare che tutta questa storia sia finita, senza nessun morto.
Prima di scendere dalla macchina lo abbraccio, non sapendo se avrò la possibilità di farlo ancora dopo stasera. Senza aggiungere altro mi stringe a sua volta, poi si stacca.
- Muoviti, che dobbiamo prendere a calci in culo una vecchia decrepita. - Mi rivolge un sorriso per rassicurarmi, che ricambio subito prima di scendere dalla macchina, fare un bel respiro e chiudere la portiera. L'unico modo per evitare di non riabbracciarlo più è quello di concentrarsi sulla missione. Basta aver paura, basta camminare con la testa bassa. L'unica a piangere stasera sarà June.
Osservo la casa della strega. È abbastanza grande, sebbene il vialetto sia stretto. Il giardino, però, è spazioso, con diversi bicchieri vuoti e accartocciati di qua e di là. Inoltre mi sembra di intravedere una piscina alle spalle della villa. Molti ragazzi, infatti, camminano in intimo o senza maglia verso quella zona; altri, invece, stanno in disparte a fumare o a sbaciucchiarsi. Lancio un'occhiata alle finestre al piano di sotto: luci di diverso colore si alternano passando dal giallo al rosso, dal fucsia al blu, dal verde a tanti altri colori. Queste colpiscono i ragazzi dentro, che danzano scatenati. La musica, poi, si sente fin qui. Non capisco il motivo di tenerla così alta. Dopo un po' fa addirittura male, specialmente quando si torna a casa e si ha quel ronzio fastidioso nelle orecchie. Ringrazio che Harry stia arrivando: cominciavo già a sentirmi a disagio da sola. Appena mi raggiunge mette un braccio intorno alle mie spalle e cammina insieme a me.
- Di qua. - Fa un cenno col mento per indicarmi la porta d'ingresso.
- So dove si trova l'entrata. - Sento il suo braccio pesante sulle mie spalle e gli occhi di alcune persone su di noi. L'imbarazzo che provavo prima con i commenti di Harry e Albert non è niente paragonato a questo. Odio dar così nell'occhio, e lui lo sa. Sembra lo stia facendo apposta.
- Lo so. E so anche come ti definiscono, pazza. - Mi rivolge un ghigno beffardo quando marca l'ultima parola. - Se arrivi con un tipo figo, il sottoscritto, ti guarderanno diversamente. - Dice, ammiccando. In effetti, alcune ragazze non gli tolgono gli occhi di dosso. Sospiro, rinunciando a cercare una scusa per fargli togliere il braccio, ed entriamo direttamente poiché la porta è aperta. La musica ci investe del tutto e sono perfino tentata di coprirmi le orecchie per attenuarla un po', ma evito per prevenire ulteriori prese in giro.
- Non m’interessa, sinceramente. - Alzo il tono di voce per farmi sentire da lui, ma sembra non udirmi. Quest'ultimo si guarda in giro, cercando sia Jackson sia June, senza successo. Tra quella marea di persone è impossibile che li trovi subito. Leva il braccio dalla mia spalla e mi afferra la mano per non perdermi, dirigendosi verso il salotto, la sala più affollata di tutte. È difficile anche solo vedere il pavimento per tutti quelli che ballano. Uno stereo enorme e nero, addossato alla parete, riproduce al massimo volume "I'm Sexy And I Know It", dei LMFAO. Non ci credo che ancora si balli su questa canzone.
- Sapevano che sarei venuto. - Dice Harry vicino al mio orecchio mentre ride, riferendosi a quella canzone. Lo guardo e scuoto la testa, rassegnata ormai della sua vanità. Okay, è bello, ma non può ancora dire queste cose. Pensavo avesse smesso. Comunque si allontana di poco da me per guardarsi di nuovo in giro, senza però lasciarmi la mano. - Che diamine ci fa lui qui? - Chiede con tono quasi scioccato quando fissa definitivamente gli occhi in una direzione. Mi volto per vedere a chi si stia riferendo, poi assumo la sua stessa espressione di turbamento quando vedo Luke in camicia bordeaux, pantaloni neri, le scarpe ed il solito cappello dello stesso colore, chiacchierare tranquillamente con Albert Sanchez. Delice, invece, già si è allontanata anche dal suo accompagnatore. Chissà dove si è cacciata. Luke gira il volto verso di noi, forse sentendosi osservato. Appena incontra il mio sguardo mi rivolge un sorriso, più simile ad un ghigno. Se è venuto qua per fare amicizia, ha scelto il posto sbagliato. Credo che non si sia neanche accorto di Harry con questo casino, altrimenti sarebbe già corso via.
- Oh, beh. Ci sarà da divertirsi stasera. - Commento mentre continuo a tenere i miei occhi sul Cacciatore Oscuro, e lui i suoi su di me.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

- Non ho dubbi sul fatto che ci divertiremo. - Dice Harry mentre mi fa voltare per distogliere lo sguardo da quei due, ancora intenti a parlare. È strano che non si sia già catapultato sull'Elementale, ma è meglio così. Se iniziasse una rissa, potrebbero cacciarci dalla festa e potremmo dire addio ad ogni possibilità di salvare Jackson. Mi chiedo anche dove sia finita Delice, dato che non conosce molta gente, quindi non so con chi potrebbe effettivamente essere. Spero solo che non si sia cacciata in qualche guaio. Non è l'ideale girare da sola con una strega che la odia e con un Elementale come suo schiavo. Inoltre, ci toccherebbe preoccuparci anche per lei.
- Da dove cominciamo a cercarli? - Arrivo direttamente al punto, non volendo perdere neanche un altro secondo. Ho la brutta sensazione che succederà qualcosa di male a Jackson stasera se non ci sbrighiamo, e non voglio questo. Mi ha fatto star male, infuriare, perdere la pazienza, ma è stato anche l'unico che ha tentato di aiutarmi in quel breve tempo in cui la sua mente era ancora libera, prima che arrivasse anche Harry.
- Non ne ho idea. Per quanto ne so, potrebbero anche essere dietro una libreria a produrre pozioni. - Dice con un sorriso beffardo mentre abbraccia con lo sguardo l'intero salotto. Due ragazze more, entrambe con minigonna nera e top bianco, non molto lontane da lui, gli sorridono prima di bere dal loro bicchiere mentre si muovono leggermente a ritmo di musica. Lui ricambia il sorriso, godendo della loro vista per qualche secondo, poi mi afferra la mano e cammina nella direzione opposta, verso l'uscita del salotto. - Andiamo in un posto più tranquillo. - In effetti, a causa della musica alta, non riesco neanche a sentire i miei pensieri. Lo seguo mentre lancio un'occhiata a quelle due: una di loro si lecca il labbro superiore, come se avesse visto un pasto delizioso. Non mi convincono per nulla, non perché si stanno mangiando Harry con gli occhi, ma perché ho il timore che i miei compagni di scuola non siano gli unici invitati a questa festa. Ma, forse, è solo il nervosismo che mi porta a pensare al peggio. Non ha senso invitare mostri che non sarebbe in grado di gestire e che le potrebbero far perdere tempo. Non so cosa abbia in mente June, e se davvero trami qualcosa stasera nei confronti di Jackson, ma meglio cercare di fermarla ora che abbiamo una buona opportunità. Abbiamo aspettato fin troppo: non gli ha fatto nulla finora e ci ha invitato alla festa. Deve significare qualcosa questo, e so per certo che agirà stasera.
Anche Luke ci segue con lo sguardo per un attimo, poi torna a guardare Albert accanto a lui, che continua a parlare. Il dampiro e io ci facciamo largo tra la gente per dirigerci nel corridoio. Qualche ragazzo, occupato a ballare con i propri amici, si lamenta delle piccole spinte che riceve da Harry. Se fossi in loro, non mi lamenterei tanto perché li farebbe volare fuori dalla finestra senza molta fatica se solo il riccio volesse. Quest'ultimo cammina fin quando non raggiunge una parte tranquilla del corridoio, dove c'è solo una coppietta che si sta baciando. Lei, bruna, una semplice maglietta lilla e degli skinny neri aderenti, è appoggiata al muro e, a causa dei tacchi, supera di poco lui, capelli rossi, stravagante camicia a fiori e dei bermuda bianchi. Il riccio mi lascia la mano per stringere la spalla del rosso, interrompendo il suo bacio e allontanandolo dalla ragazza con una leggera spinta. Lei lo guarda sorpresa.
- Hey! Ma che cosa vuoi?! - Il ragazzo fulmina Harry con lo sguardo mentre la fidanzata non fa tante storie, bensì si limita a sbuffare, a staccarsi dal muro e ad allontanarsi.
- Penso che fuori ci siano posti abbastanza appartati. Muovi quel culo. - Gli risponde a tono l'altro mentre io mi mordo il labbro, imbarazzata. Potrebbe chiedere in modo più gentile e semplice le cose, invece no, deve ricorrere alle parole pesanti o alle mani.
- Che figlio di puttana. - Borbotta il rosso mentre raggiunge la ragazza che stava baciando. Incrocio le braccia al petto e guardo il dampiro, preoccupata che possa mettergli le mani addosso sul serio.
- Oh, conoscevi mia madre allora. - Replica quest'ultimo, facendomi sospirare per i suoi modi, poi si gira a osservarmi. Almeno non l'ha picchiato. - Ci conviene dividerci. Tu controlli il piano di sopra e io il giardino. - Annuisco, sebbene un po' diffidente. Non è la prima volta che ci dividiamo se dobbiamo occuparci di qualche mostro, si guadagna un sacco di tempo così, però sono ansiosa: non so se riuscirò a cavarmela da sola e, a differenza delle altre volte, la posta in gioco è troppo alta per rischiare. Non posso permettere che succeda qualcosa a Jackson per un nostro piccolo errore, magari anche insignificante. E so che neanche Harry vuole questo.
- E se la trovo prima io? -
- La uccidi, no? - Mi risponde come se fosse ovvio, ma non lo è. Lo sa come la penso, eppure insiste a voler farmi ammazzare gente. So che dovrò e che, anche se lo rifiuto, è ciò per cui sono nata, ma preferisco uccidere me stessa piuttosto. Non voglio macchiarmi le mani. Sembra stupido pensarlo, data la situazione, ma ho paura di cambiare troppo a causa del mio essere Elementale, cosa che non voglio. Già accettare tutto questo in così poco tempo non è stato facile, e non l'ho neanche fatto completamente. Ormai ho solo incubi, non ricordo neanche più cosa significhi sognare serenamente.
- Sai che non la ucciderò. - Protesto con tono deciso, non avendo intenzione di muovere un dito contro di lei. Ho fatto la mia scelta ormai, e non la cambierò.
- Vedila in questo modo: o muore lei, o muori tu. - Mi guarda negli occhi per qualche secondo. Potrebbe ipnotizzare solo con uno sguardo, senza usare davvero il soggiogamento. Respiro a pieni polmoni e lo sorpasso, camminando verso le scale.
- Pensa a non morire tu, Thompson. - Gli auguro, anche un po' scocciata. Però, spero davvero che June non gli faccia del male. Non riuscirei a sopportarlo. È l'unico che mi sia stato davvero vicino in quest'ultimo periodo e non voglio perderlo, specialmente per mano di una come lei. È grazie a lui se sono ancora viva, e ricambiare il favore, guardandogli le spalle per quanto posso, è il minimo che possa fare.
- Sono duro da buttare giù. - Mi tranquillizza, ma entrambi sappiamo che questo non è vero. L'Enciclopedia dei Mostri l'ho studiata per bene. Lui, più di me, sa perfettamente che nonostante abbia la super forza, la super velocità, l'invisibilità e il soggiogamento, basterebbe una coltellata per ucciderlo. A differenza di un vampiro, non è già morto, e potrebbe esserlo in qualunque momento se non fa attenzione. Dovrebbe smetterla di comportarsi da duro davanti a chiunque e cominciare a pensare di più ai rischi a cui va incontro. È vero che il suo atteggiamento distaccato lo aiuta, intimorendo la maggior parte delle persone, e cose, ma non dovrebbe dar nulla per scontato.
Salgo velocemente di sopra, bramando il volume più basso. Accendo la luce per illuminare il lungo corridoio, pieno di porte, e comincio a camminare. Non c'è nessun altro mobile se non quadri di diversi personaggi storici importanti sulla parete in legno. Sembrano seguirmi con lo sguardo, cosa che mi fa venire i brividi. Apro una porta per controllare se Jackson sia qui, ma la stanza è completamente buia e vuota. La chiudo e riprendo la mia ricerca. È strano che non ci sia nessuno qui sopra. Mi aspettavo già di sentire qualche coppietta passare il tempo a divertirsi, eppure sono sola. Tra l'altro, non capisco perché June abbia così tante stanze che non usa. Solo ora mi vengono in mente i suoi genitori. Se è una strega, avrà una certa età, quindi come possono i suoi genitori essere ancora vivi ed il padre essere vicesindaco? Non è possibile.
Mentre procedo sento la porta accanto a me spalancarsi all'improvviso, ma non faccio in tempo a reagire, poiché persa nei miei pensieri, che vengo trascinata dentro. Cerco di strillare, ma il mio urlo viene soffocato subito da una mano, sebbene provi inutilmente a toglierla dalla mia bocca. Chiunque mi abbia afferrato, mi spinge lontano dalla porta e si affretta ad accendere la luce, illuminando la piccola stanza da letto. Mi sbrigo a girarmi verso la porta per difendermi, ma invece di June, un mostro o qualunque altro suo collaboratore, mi trovo Luke a sbarrarmi la strada per uscire, rimanendo fermo davanti alla porta di legno.
- Di nuovo tu. - Sbuffo infastidita, ma anche un tantino sollevata che non sia la strega, mentre vado verso di lui e lo spingo per cercare di muoverlo da lì, senza successo.
- Che felicità hai di vedermi. - Accenna una risata, senza far cenno a volersi spostare. - Eppure l'altra volta stavamo chiacchierando così tranquillamente, e tu mi sembravi desiderosa di risposte. - Rinuncio a cercare di allontanarlo, quindi retrocedo, lanciando un'occhiata fugace alla finestra aperta. Non sarebbe una buona idea scappare da lì, dato che mi schianterei al suolo.
- Che cosa vuoi questa volta? - Chiedo con tranquillità, cercando di prendere tempo mentre sposto gli occhi su ogni angolo della stanza, posandoli successivamente sul comodino accanto al letto dove c'è un piccolo vaso contenente dei fiori, immersi nell'acqua. Mi metto davanti a questo, dando le spalle all'Elementale per impedirgli di farmi vedere mentre estraggo il liquido, facendolo fluttuare. Se lo sorprendo, forse avrei il tempo sufficiente per aprire la porta e scappare via. L'altra volta avevo una pistola per non farlo avvicinare, ma ora posso contare solo su me stessa.
- Non abbiamo finito la nostra conversazione. - Quando nel vaso sono rimasti solamente i fiori, comincio a plasmare l'acqua, facendole assumere la forma di una palla.
- Oh, già. Giusto. Tu non sei cattivo né buono. Afferrato. - Non gli do il tempo di replicare che gli scaglio la massa contro. Lui, però, riesce a bloccarla tra le mani a pochi centimetri dal volto, continuando a farla fluttuare.
- Pensi ancora che ti voglia far del male? - Chiede, guardandomi negli occhi. M’inumidisco le labbra e sospiro, non sapendo che altro fare per tirarmi fuori da questa situazione.
- Sai, afferrarmi mentre cammino per cercare un bagno non va certo a tuo favore. - Ancora non so cosa ci faccia Luke qui, ma non penso che sappia che in questa casa ci sia una strega altrimenti, se sono importante come afferma, starebbe già facendo qualcosa per proteggermi. E se in realtà lo stesse facendo sul serio, mentre io lo sto allontanando in ogni modo? Questo, però, non toglie che conosca June per essere stato invitato. Oppure è al corrente dei miei piani. In fin dei conti, come poteva essere sicuro che sarei salita qua su? Non penso si beva la scusa del bagno. Ma come ha fatto a saperlo? Troppe ipotesi, poche certezze, come sempre. Non voglio che la testa cominci a farmi male. Devo rimanere concentrata. Appena mi libero di Luke, naturalmente.
Lancia la palla d'acqua fuori dalla finestra per sbarazzarsene, facendo urlare una ragazza. Sicuramente ha fatto il bagno a qualcuno. Mi scappa un piccolo sorriso divertito mentre lui scoppia a ridere.
- Sharon? - Sento la voce di Harry fuori dalla porta. Finalmente sono arrivati i rinforzi. Beh, solo lui, ma vale per più persone. Guardo Luke con un sorriso soddisfatto sul volto, incrociando le braccia al petto, mentre lui assume un'espressione piuttosto preoccupata. È terrorizzato da lui. So che è successo qualcosa tra di loro, ma non so cosa. L'unica volta in cui ho visto Luke così spaventato è stata in quel vicolo, accanto al cinema. Credo sia il momento adatto per cogliere l'occasione e scappare.
- Lo faccio entrare io? O tu? - Chiedo con sorriso beffardo. - Oppure facciamo un patto dato che, parole di Harry, ti avrebbe fatto fuori la prossima volta che ti avrebbe incontrato. - Luke sospira, più frustrato che mai.
- E va bene! - Sbotta. – Che cosa vuoi? -
- Che tu la smetta di seguirmi. Non so cosa tu ci faccia qui stasera, ma non voglio ritrovarti anche al supermercato. -
- Mi sono intrufolato. Non sapevo che tu saresti stata qui, ma sai, ho ventun anni. Ogni tanto mi voglio anche divertire. Essere un Cacciatore non significa non avere una vita, anzi: solo ora comincia. Adesso, cerca di non farmi mordere dal tuo rottweiler. - Dice preoccupato mentre si sposta per lasciarmi uscire. Di certo non vuole essere la prima persona che Harry vedrà. Quando ritorno nel corridoio il dampiro è un po' più avanti, intenzionato ad aprire una porta a caso. Prima che si giri, faccio segno a Luke di correre via. Non so esattamente perché lo sto aiutando, ma di certo mi deve un favore, e so già come può ricambiarlo: dobbiamo finire una chiacchierata io e lui. Spero solo che il fatto di averlo lasciato andare, più avanti, non mi si ritorca contro. Luke è già sparito quando Harry si volta, sentendo quei passi, e mi guarda prima di avvicinarsi.
- Non c'è traccia di June né di Jackson in giardino. - Sospiro, preoccupata. Non penso abbia una cantina o una stanza segreta dove possa averlo imprigionato, ma se così fosse, dobbiamo sbrigarci a trovarla.
- Non abbiamo molto tempo. Se June scopre che siamo qui... -
- Oh, ma già lo sa. - Dice una voce femminile alle spalle di Harry. La riconoscerei ovunque: June. Lui si gira subito e indietreggia per allontanarsi da lei, ma allo stesso tempo rimane davanti a me per difendermi. Con un semplice gesto della mano, come se scacciasse un moscerino, scaglia Harry contro una porta alla sua destra, frantumandola, e lo fa volare in quella stanza. La strega si guarda lo smalto rosso sulle unghie come se non fosse accaduto nulla. Indossa un vestito di seta, lungo fino alle ginocchia con una fascia in vita, entrambi color rubino. Il corpetto, invece, è bianco con qualche brillantino sopra. - La festa è giù, Sharon. - Si avvicina a me con un sorriso amichevole, ma che fa accapponare la pelle. Magari non sa che siamo venuti con l'intento di ucciderla, almeno spero. – Che cosa ci fai qui? -
- Cercavo il bagno. - Mento, cercando di sostenere il suo sguardo, sebbene sia difficile. Lei mi sorride, dolcemente.
- Grazie per avermi dimostrato di sapere che sono una strega. - Dice ancora con quel ghigno mentre la guardo del tutto confusa. - Non hai battuto ciglio quando ho lanciato il tuo ragazzo nella stanza. - Aggiunge quando si accorge della mia espressione. Chiudo gli occhi e sospiro in silenzio, nonostante stia urlando dentro. Mi sento così stupida. Se prima avevamo qualche chance di batterla, ora le ho bruciate tutte. Avrei dovuto fingere di mettermi a strillare e dare i numeri, un po' come ho fatto con Jackson quando mi ha raccontato la verità, in poche parole. Lei mi gira intorno prima di poggiare le mani sulle mie spalle, rimanendo dietro di me. - Stai cercando Jackson? - Chiede in un sussurro, avvicinando la sua bocca al mio orecchio.
- Dov'è? - Sibilo tra i denti. Lei allontana le mani, ma rimane comunque vicino a me.
- Sta' tranquilla. - All'improvviso, vengo sollevata da terra e gettata nella stessa stanza di Harry, senza che nessuno mi abbia toccato. Nonostante urli, non penso che qualcuno giù si accorga di quello che sta succedendo qui sopra. La musica è troppo alta, e credo che June si sia occupata personalmente del volume per non farsi sentire. Mi vado a schiantare sul letto, in mezzo ai cuscini. Non posso dire che l'atterraggio di Harry sia stato comodo quanto il mio, dato che si sta alzando da terra, reggendosi il braccio.
- Quella troia. - Ringhia mentre lo gira un paio di volte, per poi muoverlo normalmente. Arriccio il naso sentendolo schioccare. Non sembra rotto, per fortuna. Sarebbe in grado di proteggersi anche con uno solo, ma due sono sempre meglio.
- Troia non lo sono, ma strega lo prendo come un complimento. - Ridacchia. Mi alzo di corsa dal letto mentre lei rotea una mano verso lo stipite. Pian piano, tutti i pezzi sul pavimento si vanno a incastrare perfettamente per formare la porta. - Evitate di farmi rompere altro. Ci tengo a questa casa. -
- Non preoccuparti. Romperò tutto tranne che la casa. - Le ringhia lui. Velocemente afferra il coltellino e glielo lancia contro, mirando al suo volto, ma June ripete lo stesso gesto della mano che ha fatto prima per liberarsi di Harry. La direzione dell'arma cambia, e quest'ultima si va a conficcare nella parete.
- Harry, puoi fare di meglio. - Lui la osserva per qualche secondo, trattenendosi dal perdere il controllo, poi ritorna a guardare June.
- Se trovi un buco nel muro, non prendertela con me. Miravo alla tua faccia. - Lei incrocia le mani dietro la schiena e ci osserva entrambi. È più calma del solito. La June che conosco avrebbe cominciato a dare di matto e avrebbe cercato di ucciderci in tutti i modi sapendo che l'unico motivo per cui siamo qui è quello di liberarci di lei. Ormai questo mi sembra piuttosto ovvio, eppure si comporta in modo troppo normale, diventando perfino inquietante. Non so come attaccherà, né quando, e se veramente lo farà.
- Che cosa vuoi da Jackson, June? Non ti ha fatto niente. – M’intrometto, noncurante di rovinarle la villa se fosse necessario.
- Niente. Volevo solo assicurarmi che fosse un Elementale come te. M’interessi tu, Sharon. - La guardo confusa. - Sto bramando questo momento da così tanto. - Esclama entusiasta.
- Fammi indovinare, almeno due secoli? - La schernisce Harry con il suo umorismo. Gli voglio bene, ma in queste situazioni potrebbe anche metterlo da parte. A volte lo trovo fastidioso perfino io, non oso immaginare la sua vittima. Forse avrei dovuto avvertirlo del rischio che potrebbe correre stasera. Se lo avessi fatto, magari avrebbe fatto a meno del suo sarcasmo, ma so benissimo che lui sa quanto tutto questo sia rischioso, e so anche che mi avrebbe riso in faccia se glielo avessi detto.
June gli sorride solamente, lasciandosi scorrere addosso le sue provocazioni, ed annuisce. Sono sicura che voglia staccargli la testa, ma si trattiene per non so quale motivo.
- Perché hai ammaliato Jackson, allora, e non me? -
- Sai, era il candidato perfetto per attirarti qui. Sapevo che saresti venuta a recuperarlo. E poi, sarebbe stato inutile ammaliarti. Non funziona con te. - Scuote la testa. - Da quando è arrivato, ho percepito subito il suo odore. Dopo aver lanciato quegli aereoplanini di carta, poi, ne ho avuto la conferma. -
- Perché li hai lanciati?! - Sbotto, furiosa. - Potevi ferire qualcuno, June! È una fortuna che Mrs. Balzac non si sia fatta male! - Lei rimane serena mentre Harry, approfittando del fatto che io stia parlando, si avvicina al muro nel modo più silenzioso possibile per staccare il proprio coltello. La strega, però, se ne accorge e apre il palmo della mano nella sua direzione. Investito dalla stessa forza magica di prima, viene bloccato al muro da cui ora prova a staccarsi, senza successo.
- No no, tesoro. Tu e il tuo coltello rimanete lì. - Dice guardandolo, poi gira la testa verso di me. - Avevo sentito la sua puzza di Elementale e volevo essere certa di non sbagliarmi. - Dice assumendo un'espressione più seria.
- Beh, anche con trecento anni il tuo olfatto è migliore di quello di un cane da tartufo. - Le ghigna Harry. June si volta di nuovo verso di lui e comincia a stringere con lentezza il pugno. Il dampiro schiude la bocca e tenta di fare dei profondi respiri, in cerca di aria, mentre le sue gote cominciano a colorarsi lievemente di rosso.
- Mi sono rotta delle tue battutine. Che ne dici se ti faccio incontrare Daisy? - Nonostante stia per soffocare, Harry si irrigidisce dall'ira a quel nome. Rimango bloccata, non sapendo cosa fare per farle mollare la presa su di lui. Mi sento impotente come quella volta nel giardino di Jackson contro il suo gallo, Skah.
- Smettila! - Urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni. Come un pezzo di ferro attratto da una calamita, June viene bloccata al muro dove c'è la porta mentre lui cade in ginocchio sul pavimento e comincia a prendere dei grandi respiri per recuperare l'aria. Lei mi lancia un'occhiata colma di rabbia mentre io rimango stupefatta a guardarmi intorno. Ci deve essere per forza qualcun altro, qualcos'altro, perché non posso essere stata io. Non ho un controllo sull'aria così potente.
- Come hai osato? - Mi chiede poi. Si stacca dal muro pochi secondi dopo, riuscendo a vincere la forza che la teneva inerme. Credo che mi stia uccidendo nella sua mente dallo sguardo che ha.
- Non ho fatto niente. - Ribatto, convinta, sebbene mi senta inspiegabilmente stanca. Le gambe mi tremano un po' e faccio fatica a rimanere in piedi: non vorrei cadere da un momento all'altro e permetterle di farmi del male. Lei, però, non mi prende in considerazione, bensì si avvicina minacciosa a Harry, bloccandolo di nuovo al muro con un gesto ardito della mano. Per un secondo, nella mia mente scorre l'immagine dell'incubo di stanotte, anche se June non sembra avere una pistola nascosta da qualche parte.
- So che sei stata tu. Non sono nata ieri, ragazzina. - June mi guarda, poi si mette di fronte ad Harry e si avvicina al suo viso. Tento di accendere il fuoco per spaventarla e impedirle di fargli del male, ma la fiamma muore nelle mie mani. Credo che mi abbia fatto qualcosa, altrimenti non mi spiegherei questa stanchezza improvvisa. Lui si lecca le labbra e le sorride beffardamente.
- Del fatto che tu non sia nata ieri, ne siamo tutti certi. - Questa volta non risponde alla sua ennesima frecciatina, bensì lo fissa dritto negli occhi. Sento un brivido corrermi lungo la spina dorsale appena capisco le sue intenzioni.
- Ascoltami. - Dice June con tono fermo e voce ammaliante. - Squarta Sharon Steel, e non farti problemi a sporcarmi la stanza. Preferisco vedere le pareti imbrattate del suo sangue. E poi, penso sia arrivato il momento di ridipingere. - Detto ciò, si allontana da Harry che annuisce alle sue parole, ma con occhi vitrei e persi.
- Non puoi... - Cerco di parlare e guardo June, che si avvicina alla porta. La chiude a chiave con un gesto della mano prima di voltarsi con un ghigno malvagio, quello che mi ha sempre rivolto quando mi prende di mira.
- Avrei preferito ucciderti con le mie mani, ma il mio ragazzo mi aspetta. -
- Hai detto che non te ne importa nulla di lui! - Le urlo contro mentre il riccio estrae il coltellino dal muro e lo impugna con decisione.
- Però è bello, non credi? - Ammicca, dopodiché mi sorride. - Spero che tu bruci all'Inferno, Sharon Steel. - Harry cammina minaccioso verso di me, obbedendo, mentre June osserva la scena, godendosene ogni singolo istante. Sono nella merda.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

- Harry, fermo. - Gli ordino, cercando di farlo arrestare mentre indietreggio. June rimane vicino alla porta con un sorriso stampato in faccia. Ci manca solo che immortali questo momento per il suo album fotografico intitolato "E così fu uccisa dal migliore amico del ragazzo che le piace". Okay, devo concentrarmi. Iniziare a perdere tempo con certi pensieri sarcastici in stile Thompson non mi aiuterà, però non ho idea di cosa fare per fermarlo. Le mie parole sono vane: Harry continua a camminare verso di me tenendo stretto, in un pugno, il coltellino. Non avrei mai pensato di dirlo, ma l'unica soluzione è June. Devo guadagnare minuti e farla parlare per escogitare qualcosa. In questo modo potrebbe tenere a bada il dampiro. Non sono certa che le importerà delle mie domande, ma ormai non ho nulla da perdere, e provare non mi costa niente. - Sei una strega. - Dico nel modo più sereno possibile. - Non avresti dovuto esitare sul fatto che Jackson fosse un Elementale. - Solleva una mano e comanda a Harry di fermarsi, che subito obbedisce. Alza le sopracciglia, forse stupita dal fatto che, in una situazione del genere, mi possa interessare questo dettaglio.
- Sono una persona che deve essere sicura completamente delle scelte che compie. - Non appena mi risponde, abbassa la mano, pronta a sguinzagliare Harry, ma per fortuna non lo fa, bloccata dalla seconda domanda da parte mia.
- E per il nome? - Inclina di poco la testa, confusa per ciò che le ho chiesto. - Intendo dire... in tutto questo tempo, hai mantenuto lo stesso? -
- Beh, certo che no. Non sono così stupida da non cambiarlo dopo secoli. -
- Qual è il tuo nome originale, allora? - Non me ne frega nulla, sinceramente, ma farla distrarre potrebbe aiutare. Almeno penso a qualcosa per far riprendere Harry nel frattempo, ma purtroppo non ho idee. Però, adesso capisco perché, quando gli è possibile, fa quelle battute idiote che si potrebbe risparmiare: guadagna tempo.
- Imogen Foster. - Cerco di trattenere una risata per il modo in cui ha pronunciato il suo nome, ma lei comunque ha notato la mia espressione divertita, cosa che la fa arrabbiare ancora di più. - Mi stai solo facendo distrarre, ragazzina. - Mi rimprovera, furiosa. Dal piano di sotto si sente un tonfo, causato di certo dai ragazzi, che la fa ringhiare. - Mi sarei voluta godere lo spettacolo, ma ho degli scimpanzé come ospiti a cui badare prima che mi distruggano la casa. - Harry si gira a guardarla, attendendo i suoi ordini. Dovrei fare qualcosa in questo momento: è distratto e potrei togliergli il coltellino, ma se fossi troppo lenta? La velocità non è la mia specialità, mentre i riflessi pronti sono la sua, e ciò potrebbe uccidermi. Mentre cerco di venire a capo di questa situazione, la strega gli fa segno di attaccarmi. Non se lo fa ripetere due volte e s’incammina nella mia direzione. Mi avvicino ancora di più al muro fino ad appoggiarmici contro. Stavolta nessuno mi aiuterà. Non ci sarà Albert a salvarmi come con quello Skinwalker, né Jackson come negli spogliatoi o in quel vicolo. Non ci sarà nessuno per me.
Faccio esplodere una fiamma sulla mia mano e la allungo verso di lui, facendo attenzione a non bruciarlo. Non è mia intenzione ferirlo sul serio, solo farlo retrocedere.
- Non costringermi a farlo. - Dico con voce tremante, ma lui sembra non avere paura per nulla, e ciò mi causa parecchi problemi. Se non si tira indietro, dovrò attaccare, e non voglio farlo. Ero sicura di tante cose, eppure sono solo confusa adesso. Non avrei mai pensato che l'unica colpevole per la morte di Harry potessi essere io; mai pensato che, quando lui mi ripeteva più volte che, se avessi dovuto scegliere tra la vita del mio nemico e la mia, avrei preferito salvare la mia. E, ora come ora, sarei capace di ucciderlo pur di non morire. Ho i crampi alla pancia. Lui sa bene che non gli farei del male e che non userei mai gli elementi su qualcuno, e lo pensavo anch'io, ma non ne sono più così sicura. La fiamma sulla mano si estingue da sola a causa di un forte dolore allo stomaco che mi fa deconcentrare. Non so cosa mi stia succedendo, ma sembra che qualcuno si stia divertendo a prendere a pugni le pareti del mio intestino. Le mani bruciano, ma non a causa dei tagli, sebbene non abbia la garza. Vorrei evitare di credere che mi stia sovraccaricando. È strano da pensare, ma può accadere, e questa non è la prima volta. Già la settimana scorsa avvenne la stessa identica cosa mentre mi esercitavo in camera, sebbene lì stessi quasi per usare due elementi contemporaneamente, cosa che nessun Elementale può permettersi di fare se vuole rimanere in vita. Tra l'altro mi era venuto un mal di testa assurdo, mentre ora ho solo un dannato bisogno di sedermi e cercare di ragionare, ma in una situazione del genere la razionalità che rimane è ben poca, soprattutto con i nervi tesi. Provo comunque a inginocchiarmi a terra e, con un ultimo sforzo, ad alzare un muro di fuoco tra me e lui. Questo, però, si estingue immediatamente, lasciando solo una striscia di fuliggine sul pavimento. Mi rimetto subito in piedi, a fatica. Sono furiosa per il fatto che sia debole quando bisogna essere forti; furiosa perché sono costretta ad uccidere Harry per salvarmi la pelle e, soprattutto, furiosa con me stessa per essermi arrabbiata con Jackson senza pensarci due volte, quando invece dovevo realizzare che c'era qualcosa che non andava.
June mi osserva in silenzio, cercando di capire cosa mi stia succedendo. Lancio un piccolo urlo a causa dell'ennesima fitta allo stomaco, decisamente più acuta delle altre. Nel frattempo Harry si avvicina troppo, ancora con quello sguardo perso ma deciso. Mi blocca al muro, tenendomi ferma con un gomito sotto il mento, proprio sopra la gola. Gli potrei dare un calcio tra le gambe, ma questo servirebbe solo a ritardare (e successivamente peggiorare) la mia morte, non a salvarmi. - Thompson, non costringermi a usare il fuoco. - Lo avverto con un filo di voce, non riuscendo a respirare bene a causa del suo braccio. Nel frattempo avvicino una mano al suo fianco. Se è l'unico modo, allora è meglio ucciderlo subito. Se dovessi morire, nessuno sarà in grado di fermare June, soprattutto con Harry dalla sua parte. E non riesco a credere che stia prendendo davvero in considerazione l'idea di bruciarlo vivo. Questa non sono io, non sarei dovuta mai essere così. Dal piano di sotto si sente un botto, seguito da altri. June sospira, spazientita.
- Le fiere dell'Ottocento erano più silenziose! - Urla, irritata, dopodiché sparisce in una piccola nube di fumo nero. La lama del coltellino, a contatto con la mia pelle, mi procura dei brividi di freddo, così come il suo fiato caldo sul collo quando avvicina il volto al mio orecchio. Allontano la mano dal suo fianco, abbandonando definitivamente l'idea di fargli del male. Non posso ucciderlo, non ci riesco. Preferisco morire io al suo posto. Non potrei vivere con un ricordo del genere e lui non si merita una fine così crudele. Ci sono altri cacciatori, altri Elementali; qualcuno potrebbe occuparsi della faccenda. Ad esempio Luke: uccidere la strega sarebbe un ottimo modo per ricambiare il favore.
- È andata via? - Mi chiede in un sussurro. La sua presa si allenta lievemente sulla mia gola, permettendomi finalmente di inspirare una buona quantità di aria. Annuisco per rispondergli mentre si allontana e ripone il coltellino in tasca. Passo a tenermi stretto lo stomaco, cercando di fermare quelle fitte, mentre lo guardo confusa e turbata.
- Harry? - Lo chiamo per assicurarmi che non sia qualche tipo di scherzo di Imogen, ma lui si gira e mi guarda, forse aspettando una frase che non uscirà dalla mia bocca. Nel frattempo il mio stomaco sembra darmi pace per un momento. Odio il troppo nervosismo che arriva a causarmi dolore.
- Che cosa aspetti? – M’incita con un sopracciglio alzato. - Muoviti che dobbiamo fermare June, Imogen... o qualunque sia il suo nome. - Rimango vicino al muro, non avendo intenzione di allontanarmi. Un minuto prima è mio amico, l'attimo dopo di June per poi essere nuovamente dalla mia parte? Non oso avvicinarmi, timorosa che questo possa essere l'ennesimo trucco della strega. - Sharon! - Esclama per farmi muovere.
- Non mi metterai al muro anche questa volta! - Gli urlo contro. È un altro scherzo, ne sono sicura. È impossibile che sia riuscito a resistere al suo sguardo e, specialmente, alla sua lingua ammaliatrice.
- Sono io, muoviti! - Continuo a fissarlo, ancora diffidente delle sue parole.
- Ma... ma tu volevi uccidermi e... - Lui sospira, di certo stanco di sentire ancora i miei balbettii per la confusione. Sono sicura che mi sta prendendo in giro. Non è vero che non sta ancora eseguendo gli ordini di June. Conosco benissimo i modi del moro per truffare le persone, soprattutto quando deve ucciderle, e June è stata chiara su questo punto. Potrebbe star facendo finta di non essere ammaliato, e questo è solo un trucco per farmi credere il contrario affinché mi fidi di lui e mi possa ammazzare. Tuttavia, sarebbe comunque inutile questo spettacolo dato che ormai doveva solo strisciare il coltello sulla mia trachea. Diamine, mai qualcosa di chiaro nella mia vita; deve essere sempre tutto così confuso.
- Si chiama recitare, Sharon. Recitare. - Con l'indice e il pollice, allarga bene la zona intorno all'occhio e, con le stesse dita dell'altra mano, cerca di estrarre qualcosa dall'iride. Poi fa la stessa cosa all'altra. Lo guardo con espressione arricciata, leggermente disgustata dal suo gesto. Dopo aver poggiato qualcosa di trasparente, a tratti invisibile, sul palmo della mano, si avvicina e me lo mostra.
- Sono delle lenti a contatto? - Chiedo confusa mentre lo guardo negli occhi e lui annuisce.
- Ho scoperto che sono ottime contro l'ipnosi. - Spiega e, notando la mia espressione ancora turbata, sospira. – Che cosa credi? Che sarei venuto fin qui impreparato? Benvenuto nel mondo dei cacciatori, Sharon Steel. - Sul suo viso affiora un sorriso furbo mentre lascia cadere le lentine a terra e si pulisce le mani.
- Ecco perché non hai neanche utilizzato l'invisibilità. Avresti potuto senza problemi. - Mormoro. In effetti, non ha fatto per niente uso delle sue abilità speciali, con cui avrebbe subito ucciso la strega.
- Sapevo che avrebbe usato l'ipnosi su di me e ho voluto sfruttare questa situazione a mio vantaggio. -
- Sei stato troppo positivo, Harry. - Scuoto la testa e incrocio le braccia al petto. - Non avevi la certezza che ti avrebbe ammaliato e che sarebbe successo qualcosa che l'avrebbe fatta allontanare. È stata una fortuna che di sotto la festa stia degenerando, altrimenti cosa avresti fatto se non se ne fosse andata? Mi avresti davvero ucciso?! - Non dovrei arrabbiarmi in quanto sono stata più egoista di lui: non ho esitato neanche un secondo a preferire la mia vita alla sua. Comunque avrebbe dovuto informarmi di quest'altra parte del piano, cosa che invece mi ha tenuto nascosta. Si è limitato solo a dirmi che avremmo cercato June, l'avremmo uccisa, avremmo salvato Jackson e saremmo andati via.
- Tu sicuramente non avresti ucciso me, infatti sono ancora vivo. E poi non sono tanto stupido, ho pensato a tutto. - Mi tranquillizza con un sorriso entusiasta in volto, cosa che, sì, in un certo senso mi rasserena. - Sapevo che mi avrebbe ammaliato perché adora avere il controllo sulle persone, l'hai detto tu stessa. Sarebbe stato perfetto avermi dalla sua parte. E ho fatto bene a svegliare stasera quei folletti che addormentammo insieme. Hanno allontanato June, infatti, e ci daranno il tempo necessario per cercare Jackson e portarlo via di qui. Sicuramente lo tiene rinchiuso in qualche camera. Non lo avrebbe lasciato girovagare in una casa con tutta questa gente. - Lo guardo, sorpresa ed affascinata allo stesso tempo. Credo che questo sia stato l'esempio migliore che avrebbe mai potuto darmi per farmi capire bene ciò che disse una volta, durante un allenamento: “Non soffermarti solo sulle debolezze del tuo avversario per ucciderlo, ma cerca di diventarlo per distruggerlo”. Ha ancora un sacco da insegnarmi se ha pensato a un'idea che, personalmente, reputo geniale.
- Aspetta. - Freno l'entusiasmo appena mi rendo conto che il piano di sotto è invaso da creature a piede libero. - La casa è piena di folletti? -
- Tranquilla. Non fanno del male a nessuno. E poi, ci pensa Albert a loro. - Gli lancio un'occhiataccia.
- Avevamo detto di lasciarlo fuori da questa storia. -
- Infatti non gli ho spiegato nulla. - Replica con un ghigno beffardo in volto. Avrei dovuto immaginare che l'avrebbe solamente soggiogato, sicuramente sulla strada per raggiungermi dopo che ci siamo separati. E capisco anche perché abbia voluto dividersi e abbia scelto lui di andare fuori in giardino: doveva occuparsi dell'altra parte del piano che ha tenuto per sé. Spero solo che i folletti non gli causino davvero problemi e che non sia costretto a ucciderli, ma credo che Harry gliel'abbia chiaramente vietato. L'ultima volta, quella sera dopo il cinema, è stato lui a decidere di addormentarli.
- Bene, allora cerchiamo Jackson. - Guardo Harry abbassare la maniglia, intenzionato a uscire, ma la porta non si apre. - È chiusa a chiave. Non riuscirai a... - Non mi dà il tempo di finire la frase che la butta giù con una spallata dopo aver preso una piccola rincorsa. - ... aprirla. - Sospiro per i suoi modi, seguendolo fuori. Almeno siamo liberi, e spero che June non ci abbia sentito. - E poi, come facevi a sapere che le lentine sono efficaci contro l'ipnosi? - Cominciamo ad aprire diverse porte e a controllare con attenzione ogni stanza. Mi chiedo che cosa se ne faccia dal momento che abita da sola, o almeno credo. Forse le ha costruite solo per confondere la gente, e direi che ci sta riuscendo bene dato che non sappiamo dove tenga Jackson.
- Ti prego, stai parlando con uno che soggioga anche un pasticciere per avere un biscotto. -
- Questo non spiega la tua sicurezza sulla loro efficacia. -
- Quel pasticciere aveva le lentine e non mi diede il biscotto. - Sbuffa. - Sei contenta ora? - Accenno una risata e chiudo l'ennesima porta, abbastanza delusa. Jackson sembra essere sparito. Ne apro un'altra subito dopo, ma anche questa è vuota. Non so per quanto tempo quei folletti riusciranno a trattenere Imogen, ma dal chiasso che proviene dal piano inferiore, sembrano svolgere un buon lavoro.
Quando apro l'ennesima porta in quel corridoio, la prima cosa che vedo è un ragazzo seduto su una sedia, vicino ad un'enorme finestra priva di tende. Se non fosse per questa, e la luce della Luna, la stanza sarebbe completamente buia. Oltre a Jackson, ci sono un comodino e un piccolo letto dall'altro lato della camera. Rimango sull'uscio della porta, indecisa se entrare o meno. Lo Gnomo indossa la sua semplice maglietta bianca a maniche corte, gli stessi jeans strappati sulle ginocchia che aveva il primo giorno in cui lo vidi e le sue Converse nere. La luce della Luna gli illumina il volto pallido mentre tiene lo sguardo fisso su di essa, come incantato.
- Jackson... - Mormoro intimorita per fargli realizzare che sono qui. Lui si gira debolmente, mostrandomi delle piccole borse sotto gli occhi, e mi sorrise in modo inquietante.
- Ciao Sharon. - Mi saluta cordialmente, cosa che lo rende ancora più strano di quanto non lo sia già. - Tutto bene? - Non c'è bisogno che dica che questa versione di Jackson mi fa persino più paura di quella da indifferente. Non è mai stato così normale nei miei confronti. Non pensavo che l'avrei detto, ma preferisco quella versione arrogante, fredda e presuntuosa a questa. Almeno sapevo che con quella lui era davvero se stesso, ma ora è solo freddo, inquietante, addirittura inesistente. Harry si affretta a raggiungermi appena mi nota paralizzata davanti alla porta. Jackson si alza dalla sedia e va ad accendere la luce, permettendoci di vedere meglio.
- Sto bene. - Rispondo, cercando di mantenere un tono calmo dopo aver deglutito a causa della gola secca. - Tu come stai? - Penso sia la cosa più adatta da dire adesso: sembra stravolto in qualche modo. Harry, con tutta la finezza che non possiede, mi sposta per entrare in camera, dopodiché afferra Jackson per la maglia e lo strattona per farsi seguire verso l'uscita.
- Mitchell, so bene che sei completamente fuso, ma dobbiamo sbrigarci. - Il biondo gli sorride di nuovo in quel modo bizzarro e gli afferra il polso, lo stringe con forza e lo ruota, costringendo anche il braccio allo stesso movimento. Harry, appena capisce le sue intenzioni, si libera subito, allontanandosi di poco, e lo fissa incredulo. - Sei impazzito? Stavi per rompermi il braccio! - Jackson nel frattempo scoppia a ridere.
- Le tue braccia? Rompersi? Ma tu non sei il forte e veloce Harry Thompson? Nessuno riesce a farti del male sul serio, nonostante una vecchia strega ti abbia quasi ucciso. - Continua a sogghignare forte mentre io corrugo la fronte, perplessa. Sembra ubriaco. Ora ho una prova in più per credere che non sia in lui. Non sta affatto bene. Non so cosa gli abbia fatto June, ma la pagherà in qualche modo. Mi fa quasi male vederlo così. Harry, dalla sua espressione, sembra aver elaborato il mio stesso pensiero.
- Ma hai bevuto? - Chiede dopo. L'altro si passa una mano tra i capelli biondi e guarda l'amico, poi scuote leggermente la testa e gli sorride di nuovo in quel modo inquietante.
- No. Sto solo dicendo la verità. Non è vero, Harry? Vuoi sempre salvare tutti, eppure non ci riesci... - Schiocca la lingua più volte, sapendo che quello che sta dicendo è vero, e sembra che anche Harry lo sappia. Mi avvicino a loro prima che possano arrivare alle mani come l'altro giorno.
- Jackson. - Lui sposta lo sguardo su di me. - Non è il momento di litigare, okay? Dobbiamo andarcene via di qui. Ora. -
- Fottiti. - Mi dice, come se non avesse per niente udito le mie parole, poi si volta verso Harry. - E anche tu. - Blocco il dampiro prima che gli dia un pugno sulla faccia. Scuoto la testa mentre lo guardo negli occhi per fargli capire che non è il caso. Non ne vale davvero la pena: si vede chiaramente che Jackson non è in sé. Sarebbe inutile cominciare a prenderlo a pugni, non servirebbe a nulla. Il riccio si allontana da me e cerca di calmarsi mentre si passa le mani tra i capelli, spostando un piccolo ciuffo dalla fronte. Il biondo, invece, rimane fermo al suo posto, guardando entrambi come farebbe un bambino spaesato. Prima che possa aprire bocca di nuovo per cercare di farlo riprendere, una nuvola di fumo nero appare vicino a me e una mano, uscita da essa, mi afferra il polso in un modo così forte da trascinarmici dentro. Urlo e mi slancio inutilmente per allontanarmi da quella nube, ma Harry se ne accorge troppo tardi per aiutarmi. Prova a buttarsi verso di me per acciuffarmi, ma mi trovo già in un'altra stanza. Mi sento stordita, seppur non abbia fatto davvero nulla di stancante, ma credo che sia colpa della nuvola. In ginocchio vicino a un muro, legata a esso per mezzo di una corda di ferro incastrata a un chiodo nella parete, alzo lo sguardo verso l'alto: June è in piedi di fronte a me con le braccia conserte. La stanza è interamente in legno e priva di mobili. Non c'è neanche una finestra, solo una piccola luce al soffitto per permetterci almeno di guardarci in faccia.
- Il tuo amico è furbo, devo ammetterlo, ma io lo sono di più. - Ancora accigliata, si volta. Ora che si è un po' spostata, noto uno schermo addossato a una parete che mostra Harry e Jackson ancora nella camera di prima. - Sai cosa facciamo ora? - Mi sorride mentre mi lancia uno sguardo. - Guardiamo gli amici del cuore distruggersi l'un l'altro, ti va? -

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

Osservo la stanza in cui June mi tiene prigioniera: sembra un ripostiglio. A differenza delle altre, questa non ha le pareti verniciate o tappezzate, ma ogni singolo pezzo di legno, qualcuno più vecchio rispetto agli altri, è ancora ben visibile. Sembra stretta perfino per due persone, ma, non so come, ce ne potrebbero entrare anche dieci. Forse ha lanciato qualche incantesimo; non mi sorprenderei se fosse sul serio così. Lei, ancora in piedi di fronte a me, mi fissa mentre strattono le mani per tentare di liberarle, ma produco solo un orribile rumore metallico.
- È inutile che continui a muovere le tue piccole manine. Sono catene speciali. - Le osservo bene: ci sono dei simboli sopra, gli stessi che caratterizzano la copertina dell'Enciclopedia dei Mostri. Ricordo perfettamente il significato di quei triangoli: quello diritto indica il fuoco; lo stesso ma con una linea che lo divide l'aria; quello capovolto l'acqua mentre l'ultimo, uguale ma con lo stesso segmento, la terra.
- Perché ci sono questi simboli? - Chiedo alzando lo sguardo verso di lei, confusa. Credo siano state costruite appositamente per un Elementale, ma spero davvero di sbagliarmi perché, se la mia ipotesi fosse corretta, non potrei usare i poteri e sarei davvero nei guai. June si appoggia al muro, accanto a me, tenendo lo sguardo fisso sullo schermo. Non mi ero per nulla accorta della telecamera sul muro quando sono entrata nella camera dove sono i ragazzi, ma d'altronde avevo altro a cui pensare.
Lancio un'occhiata al monitor: vedo lo Gnomo e il dampiro parlare, ma non riesco a sentire le loro voci. Assottiglio leggermente gli occhi per seguire meglio il loro discorso, provando a decifrare il labiale, ma non ci riesco. Inoltre, mi viene anche difficile distinguere i due poiché le immagini sono in bianco e nero e più oscurate, sebbene la stanza in cui si trovano sia ben illuminata.
- Inibiscono il controllo sugli elementi. - Mi spiega la strega mentre sul suo volto affiora un ghigno. Ora che mi è impossibile usarli mi sento troppo umana, piccola e impotente, e questo fa schifo. Non credevo che avrei potuto soffrire per la mancanza dei miei poteri, ma non pensavo possibili un sacco di cose, eppure stasera sembra che stia aprendo gli occhi di nuovo: aver aiutato Luke, aver preso in considerazione di uccidere Harry e ora June. Non riesco a rendermi conto che possa essere sul serio diventata così.
Rivolgo lo sguardo al monitor: vorrei far qualcosa per fermare tutto ciò, davvero, ma non mi è possibile. Mi fa arrabbiare che qualcuno si farà male per causa mia. Se non fosse stato per me, June non avrebbe ammaliato Jackson e Harry non sarebbe costretto a combattere contro il suo migliore amico. Non so cosa abbia contro di me, ma quest’odio si deve pur basare su qualcosa. Nel frattempo, dallo schermo vedo il riccio bloccare un pugno da parte di Jackson e, dopo che l’ha afferrato per la maglietta, lo lancia di forza sul letto. Sento un brivido corrermi lungo la spina dorsale: finirà male, me lo sento. Il biondo si rimette subito in piedi e si scaglia su Harry, che cerca di parlargli per fermarlo, ma inutilmente poiché viene bloccato contro il muro, sbattendo la testa. Sussulto, sperando che non si sia fatto nulla di grave.
- Falli smettere June! - Urlo furiosa mentre cerco di togliermi quelle stupide catene, strattonandomi i polsi, e continuo a seguire con lo sguardo quei due. Harry riesce a liberarsi dalla sua presa, gli tira un pugno sulla mascella, facendolo retrocedere, e lo butta a terra. Non attacca di nuovo, ma si limita a osservarlo dall'alto. Ho paura per Jackson. Il dampiro perde la calma molto facilmente e non vorrei che arrivasse a ferirlo in modo serio o, addirittura, ad ammazzarlo, dato che si vede bene che il riccio è abbastanza irritato, sebbene la qualità delle immagini non sia perfetta.
- È un peccato che il tuo amichetto non usi le sue abilità da mostro. Sarebbe stato più divertente capire dove sarebbe comparso. - Dice Imogen, riferendosi a Harry e facendo finta di non aver udito le mie parole. Quest'ultimo, infatti, non sta usando né la velocità né la forza, tantomeno l'invisibilità. Mi sento lievemente più tranquilla: non ha intenzione di fargli male sul serio, ma reagisce solo per difendersi, o almeno spero sia così. Non lo conosco abbastanza bene da affermare ciò, ma penso che sappia meglio di tutti cosa significhi vedere qualcuno di caro morire e non farebbe mai del male al suo migliore amico. Jackson si rialza e controlla la mascella, muovendola con una mano per assicurarsi che non sia rotta, dopodiché guarda l'amico e comincia a parlare, ma non posso udire le sue parole. Darei di tutto pur di sentire cosa stanno dicendo. Lui ghigna appena chiude bocca, per poi essere spinto a terra ed essere colpito con un calcio nello stomaco. Lo vedo gemere dal dolore mentre si porta le mani sull'addome. Muovo istintivamente le mani, volendo fare qualcosa, ma non posso. Devo calmarmi e cercare una soluzione a queste catene se voglio scappare e porre fine a tutto questo. L'unica cosa che posso fare è fidarmi di Harry e convincermi che non ucciderà Jackson, nonostante mi venga difficile a causa dei crampi per l'ansia, di nuovo.
Il riccio si piega sulle ginocchia. Riesco a intravedere la sua mano sul collo di Jackson prima che dia le spalle alla telecamera e copra l'Elementale. Quando si rimette in piedi e si allontana dal ragazzo, qualche attimo dopo, il biondo rimane a terra immobile, privo di sensi. Guardo lo schermo con occhi pieni di terrore. Che cosa diamine ha combinato? Cosa diavolo ha fatto?
- Liberami subito! - Comincio a urlare, pregando nella mia testa che Jackson si alzi, ma sembra privo di vita. June scoppia in una fragorosa risata mentre la mia vista comincia a essere sfocata per le lacrime che stanno riempiendo i miei occhi. Non capisco più niente. Non l'ha davvero ucciso. Non può averlo ucciso. Non può aver pensato a quel discorso del "nemico da uccidere se necessario" con lui. L'ha tradito nello stesso modo in cui volevo tradire Harry prima, quando ho pensato di ammazzarlo.
- Oh, beh, e uno è andato. Mi ha fatto un favore. - Si stacca dal muro e va a spegnere lo schermo. - Così non ho dovuto neanche macchiarmi le mani. - Alzo lo sguardo su di lei quando i suoi tacchi risuonano sul legno. Un nodo in gola m’impedisce di ingoiare come dovrei e lo stomaco sottosopra mi procura dei giramenti di testa e un senso di nausea orribili. Jackson deve rialzarsi. Mi rifiuto di credere che sia davvero morto, non può essere finito tutto così, in un solo attimo. Non ha senso, non è possibile. Lui è vivo, deve esserlo.
- Davvero, June. Che cosa vuoi da me? Se devi vendicarti, fallo su di me. Loro non c'entrano nulla. - Dico con tono stanco, chiudendo gli occhi per scacciare indietro le lacrime. Piangere davanti a lei è l'ultima cosa che voglio. Quando li riapro, però, questi ritornano di nuovo lucidi. Non ci credo, non voglio. Harry non può averlo davvero soffocato. È il suo migliore amico, non doveva andare così!
- Da te non voglio niente, sei solo sfortunata. Sai, la morte di Harvey, le prese in giro a scuola... - Scuote la testa, guardandomi con compassione. Se fosse solamente più vicino, le sputerei in faccia in questo momento per quanto sono arrabbiata, delusa e stanca di tutto. Non m’importa se non l'ho conosciuto: era comunque mio padre, e non ha nessun diritto di nominarlo. Non ha il diritto di far nulla. - Mi fai pena Sharon, però devo regolare i conti. -
- Io non ti ho mai dato fastidio. Non ti ho mai tolto qualcuno a cui tieni. Non ti ho mai fatto del male. - Sibilo tra i denti, tremando dalla rabbia ora. - Quali conti devi regolare?! -
- Oh, non con te, con Tess Perry. - Tutta l'ira che provo si attenua un po', ma non abbastanza da non volerle staccare più la testa. Viene solo messa da parte quando la mia mente già si riempie di domande a cui, per l'ennesima volta, non ho una risposta. Non capisco cosa c'entri mia zia con June e con tutto questo. Non si conoscono neanche! - Abbiamo un conto in sospeso da più di cento anni. - Continua a camminare per la stanza, tranquilla, mentre aggrotto la fronte: sta mentendo. Mia zia ha settantadue anni; non è possibile. Mi sorride in modo malefico, sapendo di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto, ma non mi sorprenderei se l'avesse fatto di proposito. - Tu non lo sai, vero? -
- Che cosa dovrei sapere? Smettila di mettere in mezzo la mia famiglia, June. – La ammonisco, strattonando per l'ennesima volta le catene. Lascio un piccolo gemito di dolore e mi controllo immediatamente i polsi, sentendoli bruciare: devo smettere di cercare di liberarmi se non mi voglio strappare tutta la pelle. Già le mani e le ginocchia sono sufficienti.
- Tua zia non ha settantadue anni. - Ride mentre scuote la testa. Io continuo a non capirci più niente in tutta questa faccenda. - Ne ha quattrocentosessantotto ed è una strega come me. - La guardo in volto, per poi scoppiare in una risata isterica, suscitando una sua espressione quasi offesa. Non può dirmi ora che mia zia ha tipo conosciuto Luigi XIV. Sono sempre più convinta che stia mentendo. Mia zia non è una strega. È vero che non mi ha mai considerato pazza quando le parlavo di ciò che mi succedeva, ma non posso credere che questo sia vero, naturalmente. Lei è un'appassionata di sogni: è normale che s’interessi dei miei, quindi non dovrei star qui a dar ragione a June. Però, se ciò che mi sta dicendo fosse in qualche modo vero, per assurdo, spiegherebbe la reazione di mia zia quel giorno quando mi cacciò fuori da casa sua appena le chiesi degli Elementali. Forse mi stava proteggendo da questo mondo che conosce fin troppo bene; in effetti, ha fatto di tutto pur di sotterrare la faccenda l'altra volta. Tutto questo è insensato, improponibile, infattibile, impensabile. Sta solo cercando di distrarmi, lo so. Non capisco da cosa, ma ne sono sicura.
- Ripeto: cosa c'entro io in tutto questo? -
- Uccidere te è il modo perfetto per vendicarmi di lei. - Dice con fare ovvio, scrollandosi le spalle. Io non riesco a seguire il suo ragionamento, prima di tutto perché non credo neanche a una singola parola di quello che sta dicendo; secondo, perché uccidere me e non direttamente zia Tess? Non voglio che l'ammazzi, per carità, però non ha senso agire così. Non posso credere che mia zia sia una strega, perché sono completamente sicura che è umana, ma se lei ne è convinta, posso guadagnare tempo facendola parlare a vanvera mentre trovo un modo per liberarmi da queste catene. Cerco una spiegazione plausibile al perché June abbia deciso di uccidere me quando le cose cominciano a essermi più chiare.
- Lei è più forte di te. - Mormoro mentre le mie labbra si curvano in un sorriso beffardo. - Hai paura di lei. - Lei s’incupisce, stringendo lievemente i pugni, e questo mi porta a continuare per il gusto di vederla adirarsi. - Sì, ne sei terrorizzata. -
- Lei mi ha rubato il marito! Lo avrei ucciso, quel bastardo di Nivek Jenkins, ma ho pensato che un castigo infinito sarebbe stato migliore. E ora passerà l'eternità a uccidere traditori, proprio come lui! - Urla mentre comincio a elaborare le sue parole. Ho già sentito da qualche parte questa storia d’infedeli uccisi, ma solo quando comincio a collegare i pezzi insieme sgrano gli occhi, incredula.
- L'albero... - Mormoro. Quindi non era la casa la causa diretta di tutte quelle morti, bensì il ramo. La maledizione era sull'albero. Ma non può essere davvero lui. Non può aver ucciso quel ragazzo biondo qualche settimana fa, Ramsey Kansas, e tanti altri prima di lui. Non può essere vero che l'albero sia il marito di June, Nivek Jenkins. O almeno la sua anima, o quel che ne rimane. Lei, però, incrocia le braccia al petto mentre mi guarda con aria stupita: non si aspettava che conoscessi questa storia, e io che combaciasse con il motivo per cui Imogen mi vuole morta. Eppure, mancava solo un pezzo al mio puzzle: la ragione di quegli omicidi, e ora che la so, non posso far a meno di credere alle sue parole. Però, devo comunque continuare a negare che mia zia sia una strega. Magari Imogen si è sbagliata, e l'ha scambiata per un'altra. Deve per forza essere così. Mia zia è vedova da venti anni e suo marito aveva un nome diverso: Jensen Kiven. Tuttavia, ora torna tutto, anche come il ramo riesca a rigenerarsi subito: grazie all'incantesimo che ha lanciato June. Tutto ha un senso adesso, per quanto assurdo sia. Il problema non è la casa, tantomeno l'albero, ma solo June. È stata sempre e solo lei, e la sua voglia di vendetta. Se riuscissi a slegarmi, e sconfiggessi la strega, risolverei due problemi in un solo colpo: fermerei quelle morti alla casa abbandonata e mi sbarazzerei di lei. Quindi ora devo solo trovare il modo per liberarmi, e credo che farla continuare a urlare sia ottimo per guadagnare tempo. - Non capisco perché mia zia ti avrebbe dovuto rubare il marito, comunque. -
- Non sono fatti che ti riguardano. -
- Quindi abitavi nella casa abbandonata? - Lei sbuffa, scocciata delle mie domande, però annuisce. - Sai che c'era la peste in quella casa? -
- Certo che lo so, idiota! - Sbraita poi, esasperata. - Sono stata io a provocare quell'epidemia! Ho assaporato ogni momento di quel periodo, vedendo tutti morire pian piano. Tutte quelle persone che hanno sempre saputo che mio marito mi tradiva, eppure non mi hanno mai detto nulla. Meritavano di morire! - Mentre spiega, gesticola con le mani. Io rimango qualche secondo in silenzio a collegare tutte le informazioni che mi sta dando, cercando di non dare di matto.
- Sei pazza. - June mi guarda incredula e turbata allo stesso tempo, come se fosse sul punto di buttarsi addosso a me e uccidermi una volta per tutte.
- Sono stata tradita! - Schiamazza, furiosa. Alzo le sopracciglia, sorpresa della sua reazione. - Ho speso così tante energie per far sì che l'epidemia di peste si diffondesse proprio da quella maledetta casa, diventata loro dopo che mio marito mi cacciò via, in modo da ammazzare tua zia... e non ha avuto neanche un piccolo raffreddore! E ora gioisco del fatto che, ogni volta che il ramo si spezza, lui desideri di essere morto invece che soffrire e portar via da questo mondo un'innocente vita umana, nonostante non lo sia davvero per tradire il suo partner. Sto solo portando giustizia. - Ringhia. June è l'esempio perfetto di quanto una persona possa essere malvagia. È impensabile che per amore abbia ucciso più di mille persone facendo diffondere la peste per Ruddy Village. Ancora mi rifiuto di credere che mia zia sia una strega. Non può essere vero, ma se lo fosse, mi sentirei male per lei. Vedere la peste nella sua stessa casa e poi sparsa ovunque mentre suo marito è ancora intrappolato in quell'albero deve essere stato orribile. Non credevo potesse esistere un dolore tanto grande. Per tutti questi anni pensavo che la coppia di quella casa fosse morta a causa della peste e, forse, mia zia ha desiderato quest'altro finale. Non ci credo che sto davvero facendo questi pensieri: lei non è una strega, eppure non riesco a non prendere in considerazione questa ipotesi, nonostante mi opponga subito dopo. Ma si sa: tendiamo a rifiutare la verità se non ci piace.
Ringrazio che la porta si spalanchi di botto e sbatta contro il muro, interrompendo quel flusso insensato di pensieri. Entrambe sussultiamo per lo spavento mentre Harry entra cupo in volto e con le nocche della mano destra sporche di sangue.
- Harry. - Gli sorride June in modo malvagio. - Adoro il sangue di Jackson sulla tua mano. - Lui le rivolge un sorriso beffardo, rimanendo stranamente calmo. Un senso di terrore mi scuote fin nelle ossa: dov'è Jackson?
- Non è suo. Diciamo che mi sono fatto una pelliccia con i tuoi animali da compagnia. - Questa volta è June a spegnere il proprio sorriso.
- Hai... tu hai ucciso Karen e Summer? - Corrugo la fronte, davvero spaesata questa volta. Per tutti questi anni ho discusso con dei mostri? Sapevo che quelle due gemelle fossero malvagie quasi quanto lei, ma non pensavo che fossero perfino delle creature che avrebbero potuto sbranare chiunque da un momento all'altro, me soprattutto. Mi sento rabbrividire anche più di prima adesso solo al pensiero.
- Mi dispiace che i tuoi Skinwalker siano morti. -
- E mi congratulo con te per essere riuscita anche a dargli un aspetto umano. - A parlare questa volta è una voce femminile ancora fuori la porta. Schiudo la bocca, incredula, appena zia Tess fa il suo ingresso nella piccola stanza. I capelli sono uniti in uno chignon; indossa la solita gonna marrone, lunga fino alle ginocchia, e una semplice camicia bianca. - Ciao Imogen. È da tanto che non ci vediamo. - Dice con tono pacato, mostrando un sorriso dolce.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

- Tu. - Mormora June tra i denti, fulminando con lo sguardo mia zia che è rimasta sulla soglia.
- Silenzio. Stavo parlando io. - La interrompe quest'ultima sempre con tono calmo, alzando un dito per farle segno di stare zitta. Mi giro a guardare Imogen, le cui labbra si riducono a una linea sottile. Nonostante cerchi di aprir bocca, non ci riesce. È costretta a limitarsi a mugolii furiosi mentre tenta di dividere le labbra, muovendole, ma senza successo. Espira rumorosamente e stringe i pugni, abbastanza irritata, mentre guardo del tutto scioccata Tess Perry: ho cercato in tutti i modi di rifiutare l'idea che fosse una strega, ma ora, vedendola usare la magia, posso solo dar ragione a June. Adesso davvero è chiaro perché non voleva che scoprissi la verità: lei conosce troppo bene tutto questo, sa da tempo cosa significhi avere questo genere di vita. Ora che ci penso, è probabile che mia madre abbia sempre voluto tenermi lontana da lei perché sapeva che è una strega. È l'unica spiegazione plausibile, irrazionale forse, ma comunque la sola che riesco a prendere in considerazione in questo momento. Affermando questo, però, dovrei anche ammettere che mia madre sappia tutto, e so perfettamente che le cose non stanno così. Sono sicura che la mia testa potrebbe scoppiare in qualsiasi istante. Se non avessi imparato almeno un po' a tenere a bada le emozioni forti, adesso starei urlando. Non riesco ancora a crederci, nonostante ne abbia avuto la conferma di persona. - Sto comodamente seduta sul mio divano a guardare la mia puntata di Grey's Anatomy quando suonano alla porta, e un giovanotto con uno strano cappello in testa mi dice che mia nipote è in pericolo a casa tua, Imogen. Mi vuoi gentilmente spiegare cosa succede, per favore? - Chiede mentre incrocia le braccia al petto, senza distogliere lo sguardo dall'altra strega. L'unico che indossa sempre un cappello, e che poteva sapere di questa storia, è Luke, ma non capisco perché avrebbe dovuto chiamare mia zia di sua spontanea volontà e, soprattutto, come possa conoscerla. Zia Tess la guarda, aspettando una risposta, mentre Harry rimane dietro di lei per assicurarsi che nessuno entri. - Oh, già. Scusami. - Schiocca le dita per permetterle di parlare di nuovo quando si rende conto che June non può farlo.
- Ti prego, Tess. Nessuno ha toccato la tua nipotina. Non fare tante storie. - Sbuffa l'altra, abbastanza annoiata al pensiero di una futura ramanzina.
- Disse colei che ha trasformato il suo ex marito in un albero. - Le risponde a tono l'altra, senza alzare la voce o perdere le staffe. È fin troppo calma, come se fosse un semplice incontro tra due vecchie amiche, e questo sta irritando parecchio June. Sposto lo sguardo su Harry, che segue entusiasta la conversazione tra le due. Sono più che sicura che brami il momento in cui entrambe arriveranno a usare le mani, o i poteri. Forse si divertirebbe di più con quest'ultima opzione; chi trasforma in scarafaggio una, chi fa trucchetti sull'altra. Mi godrei la lotta anch'io, se mia zia non fosse coinvolta in questa futura, probabile, rissa. Le donne si scambiano un'occhiata torva. Solo dopo zia nota le mie manette e, con un solo sguardo, le fa sparire in una piccola nuvola verde. Mi massaggio entrambi i polsi per alleviare il rossore dei segni che quelle hanno provocato mentre Harry si avvicina a me e mi aiuta ad alzarmi.
- Tu non sei nella situazione di proferire sull'argomento, dato che sei la causa della sua metamorfosi in pianta. -
- Il vero problema è che tu non hai mai accettato che voi due foste troppo diversi. Hai duecentotrentaquattro anni, ritengo che sia ora di comportarsi da adulti, non credi? - Apre il palmo della mano verso June, che viene bloccata al muro. Cerca di allontanarsi, ma viene respinta indietro, e questo la fa sospirare in maniera spazientita. - Poteva anche soprassedere sul fatto che tu fossi una strega, ma non poteva davvero far finta di niente riguardo a ciò che sei in realtà. -
- Stai zitta! - Sbraita June, liberandosi definitivamente da quella magia che la teneva inerme al muro. Protrae le mani verticalmente in avanti, come se le avesse poggiate su un muro invisibile, dopodiché chiude gli occhi e comincia a sermonare. - Venite, spirituum immundorum. Ambula coram me, et faciat pacem. - Non comprendo cosa stia dicendo, non conosco la lingua, ma sembra un’evocazione dal tono profondo e autorevole che sta usando. Ha un'espressione dura e decisa in volto, e non ci vuole un genio per capire che questo non porterà nulla di buono.
- Che cosa ha detto? - Chiedo in un sussurro al riccio accanto a me, ma anche lui scuote la testa e scrolla le spalle, perplesso.
- È latino. Jackson lo parla. In queste situazioni traduce sempre lui. - Mi spiega con tono dispiaciuto, forse rimpiangendo che non sia qui con noi. Se June non l'avesse ammaliato, avrebbe potuto dare una mano, sempre ammettendo che sia ancora vivo. Harry ha detto che il sangue sulle sue mani, e che adesso si sta pulendo sulla maglietta, non è quello di Jackson. Gli credo, dato che nel video sembrava lo stesse strangolando, quindi di sicuro non è dello Gnomo. Tuttavia ancora non so cosa gli sia successo. Spero solamente che il suo tono di voce non sia dovuto ad altro. Non riesco neanche a pensare a una cosa del genere. In pochissimo tempo sono stata costretta ad adattarmi alla realtà che è cambiata senza neanche lasciarmi il tempo di concretizzare per bene tutto. Non credo di riuscire ad abituarmi anche a quella possibilità: sarebbe sul serio troppo per me saperlo morto per davvero.
- Non provare a evocare nessuno, Imogen! Sappiamo entrambe che non sei capace di far trovare pace a quei fantasmi! - La rimprovera severamente zia. - Non fare promesse che non riuscirai a mantenere. Pagherai le conseguenze delle tue azioni. - Prova nuovamente a fermarla, ma l'altra non batte ciglio e apre gli occhi, dopodiché la osserva con un sorrisetto compiaciuto. Dietro di lei appaiono due ragazze more con un top bianco e una minigonna nera, le stesse che hanno sorriso a Harry prima in salotto. Sapevo che c'era qualcosa che non andava in quelle due. Entrambe, con un gesto rapido, si legano i capelli neri in uno chignon e scompaiono, comparendo subito dopo vicino a mia zia. Le agguantano i polsi e la trascinano fino al muro per tenerla ferma ed evitare che scappi, così velocemente che zia Tess non riesce a fermarle in tempo. Non so dire se quelle due siano spettri o meno, ma entrambe guardano June, forse aspettando i suoi ordini, mentre lei rilassa le braccia lungo i fianchi.
- June, Imogen e ora Melinda Gordon. - Commenta Harry. - Come strega hai una piccola crisi d'identità. - Si muove in un modo così rapido che non riesco a comprendere quale sia la sua azione; poi, vedo il coltellino volare verso una delle due ragazze. Il bersaglio del dampiro scompare un attimo prima che l'arma possa colpirla. La lama si conficca nella parete. Il ragazzo si scaglia sull'altra ragazza, ma inutilmente poiché anche questa svanisce. La strega subito lo getta verso la parete opposta con un gesto della mano, facendolo sbattere e cadere successivamente a terra. Mia zia sta per agire, avendo le mani libere ora, ma June è più veloce di lei. Nello stesso istante in cui quest'ultima stringe il palmo in un pugno, fa cedere il suo ginocchio in modo da farla cascare. È più forte di Imogen, ma non capisco perché si trattenga dall'ucciderla. Forse ha paura che non la guarderò con gli stessi occhi, ma questo mi sembra normale, dato ciò che ho scoperto. Però abbiamo bisogno del suo aiuto ora.
Harry, gemendo dal dolore per la forte botta, cerca di tirarsi su, ma una volta in piedi le due ragazze fantasma riappaiono vicino a lui e lo spingono di nuovo sul pavimento, facendolo cadere di schiena. Una di loro si siede a cavalcioni sul suo petto per bloccargli i polsi mentre l'altra, accanto alla testa del dampiro, poggia un piede sulla sua gola per evitare che possa alzarsi. Non so come ci riescano se sono davvero fantasmi, ma se ne sono capaci, devono essere più forti di lui.
- Non è una strega, ma un Diwata. - Mormora mia zia a fiato corto. Questo spiega la particolare bellezza di June e la pelle pallida e perfetta, nonostante le vacanze estive. Sono caratteristiche fondamentali. Tra l'altro, sono creature note per causare disgrazie se trattate male, e direi che lei lo è stata abbastanza. Avrei dovuto rendermene conto prima. Ecco perché il marito, Nivek Jenkins, l'ha lasciata. - Una strega sarebbe incapace di provocare la peste, non ha i mezzi per farlo. E con le regole che abbiamo, e che vanno rispettate se non si vuole una revoca delle proprie abilità, non potrebbe usare la magia a suo piacimento. A quanto pare non la considerano neanche una strega, altrimenti una delle Congreghe l'avrebbe già privata di tutto. Sono molto severe su alcuni punti. - Mi affretto a raggiungerla, essendo stata ferma anche troppo tempo, ma Imogen me lo impedisce, scagliandomi sul pavimento e facendomi bruciare le ginocchia a contatto con esso.
- Però so maneggiarla, il che mi rende una strega. -
- Maneggi anche palle, ma questo non significa che tu non le rompa. – S’intromette Harry con il solito sorriso beffardo sul volto. Gli lancio un'occhiataccia: June stavolta lo ucciderà sul serio.
- Devi smetterla! - Urla mentre cammina furiosa verso di lui. Appena lo raggiunge gli molla un calcio sul volto, girandoglielo di conseguenza. Sconvolta e allarmata, trattengo un urlo per la paura che si possa essere fatto male sul serio mentre guardo arrabbiata June. Harry gira di poco la testa e le sorride, mostrando i denti e il labbro inferiore macchiati di rosso. Chiude per un attimo la bocca, recuperando il sangue, prima di sputarlo a terra verso di lei. - Avrei preferito romperti le costole con un solo schiocco delle dita, ma niente mi dà più piacere di osservarti sanguinare. - Sibila tra i denti mentre lo guarda dall'alto. Appena mi rimetto in piedi, Imogen si preoccupa di non farmi avvicinare, bloccandomi nuovamente al muro.
- Aggressiva. - Commenta lui ancora con quel solito ghigno. Sono ancora bloccata qui, ma questo non m’impedisce di usare gli elementi. Dovrei bruciare June, lo so, ma perché macchiarmi le mani quando potrei usare il fuoco su quelle due ragazze, che sono già morte? In questo modo, libererò Harry e se ne occuperà lui. Ha già funzionato con quello spettro a casa di Delice. Dall'inizio questo è stato il nostro piano: io gli copro le spalle, lui la uccide, ed è giusto così.
Mi concentro sul calore dentro di me senza staccare i polsi dalla parete e senza pensare troppo alla stanchezza che ancora mi sommerge o ai taglietti sulle mani che bruciano insieme alle ginocchia. Quando mi sento pronta, investo quelle ragazze, che ancora lo tengono fermo per impedirgli di liberarsi, con una fiamma, prestando attenzione al corpo di Harry sotto una di loro per evitare di bruciarlo. Lanciano un urlo atroce al contatto col fuoco e svaniscono nel nulla. Quando il dampiro non è più tenuto a terra contro la sua volontà, molla un calcio sull'addome di June, facendola retrocedere e gemere per la forza che ci ha messo. Cerco di liberarmi dal muro, ma non ci riesco. Incrocio lo sguardo di mia zia per un attimo. I suoi occhi sono colmi di dispiacere e rimorso. Non potendo essere utile a Harry fisicamente, mi concentro e immagino un cerchio intorno a June, pronta a dargli fuoco. Appena fa un passo, ed entra nel punto in cui l'ho rappresentato nella mia mente, libero tutta l'energia che nel frattempo ho accumulato, facendo esplodere le fiamme intorno a lei, che sussulta. Le attizzo fino a farle arrivare alla sua vita in modo da impedirle di uscire dalla circonferenza e le concentro solo sul cerchio, senza farle diramare: non vorrei che la stanza, e di conseguenza tutta la casa, noi e tutta la gente di sotto prendano fuoco. Mia zia, a fatica, si rimette in piedi e con un gesto della mano fa staccare con forza la collana dal collo di June e la fa volare nel suo pugno. Dopo aver sussurrato alcune parole in una lingua incomprensibile, una polvere grigia comincia a scivolare via tra le dita della sua mano.
- No! - Urla in modo disperato June con voce rotta, sul punto di piangere. Man mano, la forza che mi teneva fino a pochi secondi fa bloccata al muro mi lascia andare. – Che cosa hai fatto?! -
- Ti privo della tua magia. - Risponde mia zia con lo stesso tono pacato di prima. Apre definitivamente il pugno e, dopo aver fatto cadere tutta la polvere della collana sul pavimento, si pulisce le mani.
- Tanto non riuscirai a liberarlo! - Ride in modo isterico l'altra, ormai nella disperazione più totale. - Rimarrà sempre legato a quell'albero, per il resto dei suoi giorni! -
- I suoi giorni sono finiti tempo fa! - Stavolta è mia zia ad alzare la voce, parlando subito dopo di lei. - Secondo te l'avrei lasciato lì a marcire? Ho dovuto uccidere tutte quelle persone affinché tu potessi credere che lui fosse ancora lì dentro, scagliando un altro incantesimo su quell'albero. Ho dovuto uccidere Nivek stesso per evitare che tu potessi fargli più male di quanto non gliene avessi già fatto. Ho dovuto ammazzare quel povero ragazzo il mese scorso, quando l'unica che avrei dovuto uccidere dall'inizio eri tu. - Si asciuga una lacrima che le scorre sul viso, per poi prendere un bel respiro. June nel frattempo sgrana gli occhi, completamente angosciata. La capisco: è brutto sentirsi dire che quello che si credeva vero è solo una finzione. Non per questo mi dispiace per lei. Non provo neanche pietà nei suoi confronti. Voglio solo vederla soffrire come lei ha fatto con ogni singolo essere umano che ha ucciso. Meriterebbe le peggiori torture per non essersi pentita neanche un po' per ciò che ha fatto. Le si dovrebbe togliere la vita tante volte quanto lei ha fatto ad altri.
- Tu... tu l'hai liberato... - Dice più a se stessa che a noi altri. Sta cercando di metabolizzare le sue parole, senza riuscirci sul serio. Harry incrocia le braccia al petto, avvicinandosi a me. Ormai è una questione tra loro due. Tra l'altro June, senza la sua magia, è del tutto innocua. Non ha neanche più il controllo sui fantasmi, avendo perso i suoi poteri. Abbiamo un problema in meno di cui preoccuparci, senza abbassare sul serio la guardia. Non si sa mai. Poi, quegli spettri sono spariti ormai.
- Stai bene, vero? - Mi sussurra Harry con il Diwata in sottofondo che continua a ripetere le stesse parole, forse sotto shock.
- Sì. - Rispondo, sebbene non sia vero. Mi sento troppo stanca e non riesco a capire perché. Utilizzare il fuoco non mi ha mai prosciugato così tanto le energie, mentre ora è diverso. Ho ancora il controllo sul cerchio, ma sento che lo sto lentamente perdendo. Ero sicura che mi avesse lanciato una specie d’incantesimo per auto-giustificarmi questa stanchezza, ma non ne sono più così convinta da quando la sua magia è svanita. Il dampiro si sta godendo questa scena patetica senza insistere. Lei è stata anche la causa dei suoi problemi: l’ha quasi ucciso, gli ha portato via il suo migliore amico e, come se non bastasse, ha nominato sua sorella. Ormai anche per lui è diventata una questione personale. Non sono sicura di sapere come June sia venuta a conoscenza di Daisy, ma credo che abbia ricevuto tutte le informazioni che voleva da Jackson. Ammaliato, e sotto il suo controllo, aveva la mente del tutto fragile. Forse, allo stesso modo, ha saputo che saremmo venuti qua: abbiamo provato a svegliare lo Gnomo, avvertendolo di lei, e lui è andato a confessarle tutto. È abbastanza ragionevole. Oppure Imogen è in grado di leggere le menti, e subito ha avuto accesso alle nostre. Però, questo rimarrà un mistero, e non ho voglia neanche di capirlo. Ormai non ha più importanza.
- È colpa tua! - Comincia a urlarmi contro il Diwata, portandomi ad alzare un sopracciglio, confusa. - Hai fatto saltare tutti i miei piani! Volevo il tuo sangue, ne avevo bisogno! -
- Non alzerai neanche un dito su di lei, Imogen Foster! - La zittisce mia zia.
- Che cosa aspetti, allora? Uccidimi, oso sfidarti! - Urla dopo qualche secondo di silenzio mentre s’inginocchia a terra, ormai abbattuta. Ha quel ghigno furbo in volto, ma che cela un po' di resa. Non dovrebbe farmi pena, lo so, ma ora che ha perso tutto, non riesco a non dispiacermi per lei. Posso essere anche stupida, stolta, per pensarlo, ma sono fatta così: non riesco a essere vendicativa.
- Non ti ucciderò. - Annuncia zia Tess. - Sai, un mio vecchio amico diceva che la morte annulla anni di sofferenza e l'unico dolore che puoi sentire è nel momento della fine. Mi dispiace per te che io non sia compassionevole, ma voglio che tu capisca il dolore che hai provocato. - Chiude gli occhi e allunga la mano verso di lei mentre parla di nuovo parole in una lingua strana.
- No, Tess. Ti prego. Uccidimi, voglio morire. - Mia zia non la ascolta e continua a sermonare in latino mentre June viene avvolta da una nube verde. - Uccidimi! - Urla mentre cerco di capire cosa le stia accadendo, ma non ne ho idea. La riccia continua a strillare e pregarla di ammazzarla mentre la sua pelle comincia a invecchiare, se non marcire. Ora credo che sarei disposta perfino a fermare mia zia per quanto mi dispiaccia per Imogen. Da quanto afferma l'Enciclopedia dei Mostri, non può essere uccisa, essendo immortale, e il fatto che lo chieda in un modo così disperato mi fa provare sempre più pietà per lei. Tuttavia credo sia inutile. Devo accettare che, se voglio continuare a essere un cacciatore, la morte sarà qualcosa di quotidiano per me. È inevitabile e, se provassi a sfuggirle, l'avrò solo ritardata, non eliminata.
Mia zia riapre gli occhi e si rilassa, cercando di recuperare energia con un'espressione dura in volto. Appena la nube si dissolve, spengo le fiamme del cerchio. Al posto di June rimane solo un topolino bianco. Zia Tess si avvicina e lo afferra prima che possa scappare via, dopodiché lo stringe tra le mani e lo addormenta, infine si volta verso di me.
- Tu e io faremo una bella chiacchierata dopo. Ora devo cercare una gabbia per Imogen. – M’informa con tono severo prima di sparire in una nuvola verde. Guardo la stanza vuota, ancora confusa. Un topo, sul serio? Pensavo che le provocasse le più atroci sofferenze di questo mondo.
- Beh, almeno ha ripreso la sua forma naturale. - Commenta Harry, come se ciò che è appena accaduto fosse una cosa del tutto normale, mentre si pulisce un altro po' il sangue dal labbro e cammina verso la porta. Mi giro a guardarlo e muovo l'aria in modo da spingerlo a terra. Lui cade e mi osserva con espressione stupita, non aspettandosi per nulla un gesto del genere da parte mia. - Vuoi finire di uccidermi anche tu? - Chiede ancora sul pavimento, continuando a fissarmi meravigliato.
- Dov'è Jackson? - Cerco di mantenere la calma mentre parlo. Non so dove sia, tantomeno cosa Harry gli abbia fatto. Tra l'altro, sto tremando dalla rabbia perché se l’ha ucciso davvero, non sarei responsabile delle mie azioni. Prima di tutto, perché è, per qualche assurdo motivo, mio amico, diciamo; secondo perché non sono riuscita a chiedergli niente in quanto June ha causato l'apocalisse per un semplice uomo. Però, so anche che se dichiarassi guerra a Harry, vincerebbe lui. Questo si alza e mi fulmina con lo sguardo.
- Sta dormendo in macchina. L'ho fatto svenire e l'ho portato lì. -
- E come hai fatto? - Chiedo diffidente, incrociando le braccia al petto. Lui sbuffa e rotea gli occhi al cielo.
- Esiste un punto sotto il lobo che, se premuto per pochi secondi, blocca il flusso di sangue al cervello in modo da provocare una perdita temporanea dei sensi. - Mi spiega, ma io continuo a guardarlo impassibile. - Stai tranquilla. Non uccido il mio migliore amico. Non ancora, almeno. - Mi rassicura. So che non lo farebbe, ma con tutta questa storia davvero non ci ho capito più nulla e sono perfino arrivata a dubitare di lui, cosa che non dovrei fare. Apre la porta e mi fa segno di uscire. Prendo un bel respiro per calmarmi prima di seguirlo. Per ora ho solo bisogno di assicurarmi che Jackson stia bene, e magari di sedermi perché mi sento svenire. Per quanto riguarda ciò che è successo con mia zia, me ne occuperò dopo.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

Non appena scendiamo in salotto mi guardo intorno, incredula: la festa sta continuando come se non fosse accaduto nulla. Chi balla immerso nella musica ancora alta, altri che bevono, fumano, chiacchierano, s’intrattengono in giochi come quello della bottiglia o fanno gare di shottini. C'è perfino una ragazza che sta vomitando fuori dalla finestra, ma, oltre a questo, non c'è niente di davvero strano. Sembra tutto fin troppo normale in questo trambusto, ma così deve essere: quello che è accaduto al piano superiore è ormai finito, e rimarrà un segreto. Mi chiedo che fine abbiano fatto i folletti. Non vedo Albert in giro, ma probabilmente li starà ancora inseguendo. Spero che non abbia dovuto ucciderli: sono solo burloni alla fine. Io, invece, non so se essere sollevata o preoccupata. June non è più un problema ormai, è destinata a passare la sua vita in una gabbia a casa di zia Tess, ma allora perché sono ancora agitata? La testa sembra potermi esplodere da un momento all'altro e ho un senso di nausea assurdo. Sto ripensando ancora alle parole di June e a ciò che ha causato per un uomo, alle azioni di mia zia e al fatto che lei sia una strega. Non riesco a crederci, ma adesso mi è chiaro perché non si sia mai fatta problemi a non darmi della pazza quando le raccontavo cosa sognavo, vedevo o percepivo. Solo dopo l'incidente con l'Adaro, nei bagni della scuola, la sua reazione cambiò: cercò di convincermi che la mia versione dei fatti fosse sbagliata perché sapeva che mi stavo avvicinando sempre di più a quello stile di vita che lei non voleva per me. Era anche palese che sapesse degli Elementali, e che tentasse di tenermi lontana da loro e da questo mondo, eppure mi mancava il motivo per il quale quasi mi scacciò da casa sua quando chiesi di loro. Sono stata sciocca a pensare che lei fosse come me, ma come potevo immaginare che in realtà è una strega? Sapeva tutto e non mi ha mai detto nulla. Tuttavia, credo anche che lei voleva che scoprissi la verità, altrimenti non mi spiego perché non mi abbia detto da subito che ero una povera illusa che vedeva cose inesistenti. O magari lo faceva solo per non farmi sentire più male di quanto non stessi già, ma poi le cose le sono sfuggite di mano e non ha potuto evitare tutto questo. Ma andiamo, è una strega! Avrebbe potuto benissimo, se solo avesse voluto. Mi sento così ingenua. La causa dei litigi fra lei e mia madre è sicuramente la sua natura. Quest'ultima voleva tenermi lontana da un mio parente per questo e so anche che, quando parlottavano in segreto, era per accettarsi che non sapessi cosa è mia zia. Però, quando beccai mia madre in quella conversazione con lei al telefono, al ritorno dalla mia uscita con Jackson, mia zia le aveva riferito che ero al corrente di tutto. Io non sapevo che lei fosse una strega, però. L'unica cosa che avevo scoperto era il mio essere Elementale, ma, seppur zia Tess riesca a percepire il mio odore, essendo una strega, mia madre non dovrebbe sapere queste cose. Non poteva riferirsi a quello. Eppure, sto cominciando a credere il contrario. È sempre stata protettiva, in una maniera quasi morbosa a volte. Se ciò che sto prendendo in considerazione fosse vero, davvero non saprei più come comportarmi con lei, e la parte peggiore è che non sarei neanche sorpresa di questo, solo furiosa. Mi ha già turbato abbastanza mia zia questa sera; non riuscirei sul serio a reggere altro. Mi viene anche da rimettere ora. Forse è solo l'ansia accumulata che si sta facendo sentire. Ho voglia di piangere e non so perché. Ho notato dall'espressione di Harry che ciò che è successo stasera è stato duro perfino per lui, come posso resistere io che in confronto sembro fatta di cartone, allora? Come se non bastasse, la giornata non è ancora finita: mi aspetta l'interrogatorio di mia zia. Non dovrei lamentarmi, dato che per Jackson sarà ancora più dura una volta che avrà ripreso coscienza, ma sul serio sto per crollare.
- Sharon! - Urlacchia Delice, preoccupata, mentre si fa largo tra la gente per raggiungermi. - Dove eri finita? - Mi chiede, ma le sue parole arrivano come un suono distorto alle mie orecchie. Harry, fortunatamente, si accorge del fatto che non sia così lucida e guarda la bionda.
- Ha bevuto un po'. Ora la porto a casa. - Mente, provocando un'espressione meravigliata sul volto della mia amica quando fissa il dampiro. L'alcol sarebbe stato un'ottima scusa, ma purtroppo Delice sa bene che non ho mai bevuto in vita mia. Tranne quella birra con Harry, ma due sorsi non cambiano nulla. Tuttavia, le mie condizioni la portano a credere alle parole del ragazzo. Lei non sa niente di cosa sia accaduto, quindi il bere è l'unica verità a cui può aggrapparsi. Il mio stomaco sembra una centrifuga ed è una fortuna che non stia vomitando anche l'anima. Un'altra orrenda fitta alla testa mi distrae dai miei pensieri e non so dire se stia per svenire o meno.
- Tu dove eri finita? - Chiedo prima che lei possa domandare altro. Sposta di nuovo lo sguardo sul mio viso, studiandolo attentamente.
- Ero in giro con delle mie compagne del corso d’inglese. Stavo raggiungendo Albert, ma l'ho visto andare via di fretta, come se stesse inseguendo qualcuno. - Mi risponde mentre poggia le mani sulle mie guance, avvicinando il mio viso al suo per potermi guardare meglio negli occhi. - Sharon, ti senti bene? - Anche se non ho bevuto, mi sento come se fossi ubriaca. Posso giurare che Delice si sia sdoppiata ai miei occhi. Non capisco cosa mi stia accadendo, ma non ho intenzione di dare spettacolo anche alla "festa dell'anno". Appena sento il vomito risalire, allontano Delice in modo abbastanza brusco e mi avvicino a una pianta, per poi rimettere. Harry non perde tempo ad aiutarmi e mi tiene i capelli, spostandomeli dal viso per impedire che si sporchino.
- Ti avevo avvisato di non bere tutta quella vodka, Steel. - Mi rimprovera con un tono credibile. Anche Delice mi affianca dopo aver afferrato un tovagliolo da un tavolino. Tossisco più volte mentre allontano la faccia dal vaso, passandomi il dorso della mano sulle labbra per pulirle. Afferro il pezzo di carta, che la bionda mi porge, e mi levo via i residui di vomito mentre Harry mi lascia andare i capelli e mi osserva disgustato.
- Vado a prenderti qualcosa da bere, ma non la vodka. - Dice la bionda, affrettandosi ad andare in cucina dopo che mi ha lanciato un'occhiataccia che aveva tutta l'aria di un rimprovero. Harry mi afferra il volto con una mano per alzarlo verso di lui, dopodiché mi controlla gli occhi. So già che saranno un po' rossi, dato il bruciore che mi sta uccidendo e che mi fa sbattere più volte le palpebre. Mi schiarisco la voce, sentendo ancora un saporaccio in bocca, ma almeno il senso di nausea è sparito per ora.
- Tranquilla. È normale. - Mi rassicura con un sorriso. - Sei la prima neo-Elementale che abbia resistito un mese prima di vomitare anche il tacchino del Ringraziamento dell'anno scorso. Hai battuto un record. -
- Yeah. - Esclamo con un filo di voce, per niente entusiasta. L'unica cosa che mi tranquillizza un po' è che questa specie di sbornia che mi sta massacrando è solo causata dall'ansia che ho avuto costantemente in questo periodo per tutti quei cambiamenti che non sono riuscita a realizzare ancora per bene. Con tutto quello che stava succedendo, non mi potevo permettere neanche un momento con me stessa a riflettere. Avrei potuto rimettere già quel giorno nel vicolo, dopo che Jackson decapitò quel vampiro, ma non l'ho fatto; oppure quando avevo un buco nella spalla o quando quel ragazzo è stato schiacciato dal ramo, eppure, anche in quelle occasioni, mi sono trattenuta. Avrei avuto milioni di motivi per vomitare e avrei potuto farlo tantissime volte, ma non l'ho permesso. Non so come abbia potuto resistere, ma credo che mia zia avesse ragione quando disse che sarei stata forte solo quando fosse stato necessario. Non credevo che l'avrei mai detto, ma non sono tanto debole come pensavo, in fin dei conti. Chi avrebbe ancora i nervi saldi dopo aver passato questo mese allo stesso modo? E non nascondo di aver pensato di scappare più di una volta. Non dalle persone che mi sono intorno, ma solo da me stessa. Ancora non mi piace ciò che sto diventando, ma è quello che sono e sto solo fingendo di accettarlo. Purtroppo non posso cambiare ma, se ne avessi l'occasione, lo farei sul serio. Invidio le persone che non devono preoccuparsi di controllare se ci sia qualche mostro sotto il letto prima di andare a dormire; coloro che non cominciano a sfogliare mentalmente la propria Enciclopedia dei Mostri se devono percorrere un tratto buio di strada, spaventati che un Hupia (uno spirito notturno) o un Pishacha (un demone che si nutre di carne) possano seguirli.
Delice ritorna subito dopo e mi porge un bicchiere d'acqua. Lo bevo velocemente, impaziente di levarmi quel saporaccio dalla bocca. Una volta che ho finito, lo poggio su un tavolino lì vicino.
- Torno con te, così mi assicuro che tu stia bene. -
- Ci penso io a lei. – S’intromette Harry in un modo abbastanza protettivo non appena l'altra termina la frase. In effetti, tra lei e lui preferisco quest'ultimo. È la mia migliore amica, ma lui sa bene con che cosa ha a che fare. Ho paura di sentirmi male di nuovo e che Delice non sia d'aiuto. Lei si gira verso di me per aspettare una conferma da parte mia, un tantino infastidita, quindi annuisco debolmente.
- Ti chiamo comunque dopo, non preoccuparti. - Lei annuisce, mi abbraccia un'ultima volta e poi si stacca, sorridendomi.
- Non farmi stare in pensiero. - Strofina la mano sulla mia spalla in modo affettuoso prima di allontanarsi per raggiungere le sue compagne, che ballano insieme. Harry mi poggia una mano sulla schiena per indirizzarmi verso l'uscita ed evitare di perdermi. Non faccio tanto caso alla gente fuori mentre ci dirigiamo alla macchina in silenzio: la situazione è uguale a quella dentro casa. Tra l'altro non m’interessa sul serio, avendo altro per la testa. Non mi reggo neanche più in piedi, ma so che devo fare un ultimo sforzo per affrontare mia zia. Neanche quel po' di venticello riesce a farmi sentire meglio. Solo quando arriviamo all'auto, e noto una testa bionda dai capelli leggermente scompigliati contro lo sportello, mi sento un po' sollevata. Almeno Jackson sta bene e al sicuro sui sedili posteriori della Rover. Ha le braccia incrociate al petto mentre questo si solleva e abbassa ritmicamente ogni volta che respira. Harry mi apre lo sportello anteriore e non perdo tempo a sedermi, rimanendo con le gambe fuori dalla macchina per fermarmi un attimo di muovermi, ma anche di pensare.
- Ti senti meglio? - Mi chiede dolcemente mentre alzo il volto per guardarlo negli occhi. Annuisco subito dopo, seppur stanca, e incurvo di poco l'angolo della bocca in un sorriso per tranquillizzarlo. Ha già fatto tanto per me, non solo stasera, e non voglio dargli altre preoccupazioni.
- Vomitare fa schifo. - Lui accenna un sorriso divertito mentre mi fa segno di mettere le gambe dentro.
- Però ti fa sentire bene. - Chiude lo sportello al posto mio e fa il giro della macchina per entrare, dopodiché mette in moto. Appoggio la testa contro il vetro del finestrino, chiudendo per un attimo gli occhi. Entrambi non apriamo bocca per non svegliare lo Gnomo quando invece vorrei urlare fino a rompermi le corde vocali. Non so per quanto riuscirò a tenermi tutto dentro. I mostri che esistono, gli Elementali che li cacciano, Jackson che è stato ammaliato da una strega, mia zia che è una di loro, June che era un Diwata-strega, ma ora un topo... non riesco a reggere tutto questo. C'è troppa confusione nella mia mente e nella mia vita. Vorrei tanto congelare ogni singolo pensiero, ma so che non è possibile. Non credo di riuscire a sopportare la chiacchierata con mia zia, neanche di riuscire a guardarla in faccia, in realtà. Non so come comportarmi con mia madre riguardo tutta la faccenda. Non so ancora se davvero sappia tutto e da chi, o cosa, mi stia proteggendo. Da Tess Perry? È mia zia, e mi ha salvato. Se avesse voluto farmi del male, l'avrebbe già fatto. L'unica cosa dalla quale mi potrebbe tenere al sicuro sono i mostri. Quindi mia madre sapeva tutto dall'inizio. Non credo di reggere anche la sua confessione sul fatto che potrebbe essere un Elementale, per essere al corrente di ciò, altrimenti non mi spiego come faccia a sapere di loro. Ho bisogno di risposte, nonostante stia male. Mi devo fare forza e sapere la verità una volta per tutte. Sono stanca di rimandare ancora e ancora: prima o poi salterà fuori, e preferirei saperla da lei che da qualcun'altro.
Appena sento la radio accendersi, nonostante il volume sia basso per non svegliare Jackson, i miei pensieri scappano via come degli uccelli al suono di uno sparo, portandomi a guardare il ragazzo accanto a me.
- Cosa c'è? - Mi chiede mentre mi osserva con la coda dell'occhio. - Gli Imagine Dragons sono bravi. - Scrolla le spalle, come a difendersi per il CD che ha inserito. Non ho la forza di ribattere, anche perché non voglio: sono d'accordo con lui per la scelta della canzone, per una volta. Quindi mi rilasso sul sedile, continuando a tenere lo sguardo fuori dal finestrino, ed ascolto "Smoke And Mirrors" in silenzio.
***
Harry parcheggia sul lato sinistro della strada, quello di Jackson. Quest'ultimo ancora dorme dietro, russando un po'. Apro lo sportello della macchina ed esco mentre il riccio mi segue a ruota e si avvicina a me.
- Grazie di tutto. - Lo guardo negli occhi e gli rivolgo un sorriso di gratitudine mentre lui si appoggia alla macchina e s’infila le mani in tasca.
- Non devi ringraziarmi. Fa parte del mio lavoro, e poi siamo amici ormai. - Dice mentre lancia un'occhiata alla mia casa. Mi chiedo dove abiti. Mi ha detto che ha cominciato a rubare e che si è spostato varie volte, ma non ha mai accennato a un posto suo. Questa è una cittadina in cui non è mai stato, quindi è ragionevole che abbia dormito da Jackson a volte, ma non so dove viva davvero.
- Tornerai a casa tua? - Chiedo mentre giro il volto verso di lui, che scuote la testa più di una volta.
- Non ho una casa. Bruciai quella dei miei. Tanto c'erano solo fantasmi lì dentro. Anch’io lo sono, alla fine. - Lo osservo con espressione dispiaciuta, ma anche confusa poiché non capisco se intenda spiriti veri o solo il ricordo di ciò che era la sua vita prima di quella sera, quando morì Daisy. - Intendo dire che la mia famiglia non era registrata al comune. Mia madre decise di togliere i nostri nomi dopo quell'accaduto. È come se non fossimo mai esistiti, e io non esistessi. - Dice mentre allontana la schiena dalla macchina, rimanendo però accanto a me.
- E quindi dove dormi? - Ormai non ho più il timore di essere invadente o di chiedergli qualcosa che non dovrei. È come se fossimo migliori amici, anche se non lo siamo davvero poiché è un mese che ci conosciamo, ma comunque gli voglio bene e non sopporterei l'idea di pensarlo solo, sperduto chissà dove.
- In macchina la maggior parte delle volte. È il luogo migliore. Diventerebbe difficile anche registrarsi in un Motel o in un Bed & Breakfast. Le altre volte a casa di Jackson, a Winchester. - Annuisco, sapendo che ha ragione. Sebbene riesca ad ammaliare le persone, sarebbe complicato gestire nomi falsi o persino il suo in quanto è come se non esistesse, ed è meglio che non incasini la sua vita più di quanto non lo sia già. Il nostro silenzio viene interrotto dalla suoneria del cellulare di Harry, che subito infila la mano nella tasca dei pantaloni e controlla lo schermo, poi risponde. - Hey Avery. - Rimango in silenzio mentre lui ascolta ciò che la ragazza ha da dirgli. - Ne sei sicura? - Corrugo la fronte quando il suo timbro di voce comincia a essere più preoccupato. - E mi cercano ora dopo mesi da questa storia? Va bene, ho capito. Torno il prima possibile. - Alzo lo sguardo su di lui mentre chiude la chiamata e infila il cellulare di nuovo in tasca.
- Era la tua ragazza? - Chiedo per prendere parola con un tono leggermente dispiaciuto, curiosa di sapere cosa sia successo di così urgente. Sento uno strano formicolio allo stomaco. Non sono gelosa di Avery, per niente, ma non voglio che Harry se ne vada. Potrei sembrare egoista, dato che sembra sia successo qualcosa di allarmante e per la quale potrebbe finire nei casini, conoscendolo, ma è difficile sopportare l'assenza di qualcuno con cui si è stati ogni giorno. Non sembrando propenso ad aggiungere altro, annuisce solamente e picchietta con una nocca sul finestrino dove Jackson dorme.
- Aurora, svegliati. - Apre lo sportello, facendo attenzione a non farlo cascare fuori dalla Rover, e gli dà qualche schiaffetto sulla guancia. Lo Gnomo mugola parole incomprensibili di disapprovazione a quei buffetti.
- Mi alzo tra un po'... non chiamare Skah, mamma. - Si lamenta mentre si gira dall'altro lato, con la faccia verso il sedile. Accenno una piccola risata mentre l'osservo, felice che sia tornato lo stesso di prima. Da quando June ha perso i poteri magici, non ha più il controllo sul cervello di Jackson e anche gli effetti dell'ammaliamento sembrano essere spariti.
- Che cosa è successo? - Incrocio le braccia al petto mentre lo guardo sbuffare, scocciato del fatto che il biondo ancora non abbia intenzione di svegliarsi. Scommetto tutto sul fatto che stia pensando di afferrarlo per il ciuffo e trascinarlo in giro finché non gli passi il sonno. Fortunatamente non lo fa, bensì si volta verso di me.
- Premetto che non ho i canini, lo sai che mangio cibo come te e non mi nutro di sangue, ma qualche mese fa, per liberarmi da una situazione scomoda, fui costretto a mordere uno e gli strappai un po' di pelle dalla gamba. A quanto pare, Avery ha scoperto che i suoi amici mi stanno cercando, e mi conviene nascondermi per un po'. - Schiudo di poco la bocca, sorpresa per ciò che mi sta dicendo. So bene che Harry non è un tipo poi così pacifico e che sicuramente non ha ucciso solo un essere vivente nella sua vita, ma non credevo davvero che arrivasse a strappare la carne a morsi alla gente.
- C'è un cocco... non mi piace il cocco, ma le Bahamas sì. Adoro questo posto. - Farfuglia Jackson nel sonno, girandosi per l'ennesima volta. Sia Harry che io ci voltiamo a guardarlo, poi mi avvicino al biondo e lo scuoto per svegliarlo. Qualche secondo dopo, apre finalmente gli occhi, mostrandomi quel blu particolare che li caratterizza. Però, il suo sguardo è del tutto smarrito e confuso. - Che ci faccio qui? - Chiede con voce roca prima di schiarirsi la gola subito dopo. - Non ero in giro con June? - Sicuramente, si riferisce all'ultima volta in cui era lucido, quando io e Delice l'abbiamo visto solo con il Diwata. Del resto non ricorda niente, e purtroppo mi dispiace sapere che, quando mi trattò male dopo l'allenamento, era ancora in sé.
- Oh, sì. Ti ha fatto fare un bel gran giro. Davvero indimenticabile. - Sbuffa Harry prima di afferrargli la maglietta e strattonarlo per farlo muovere. A sua volta, lo Gnomo lo guarda in maniera torva e lo allontana, nonostante sia ancora assonnato. - Non farmi perdere tempo. Devo andare da tua cugina. - Lo informa mentre l'amico si passa le mani sul volto per mettere a fuoco completamente ciò che lo circonda.
- Che cosa è successo? - Con calma, quando si è ripreso abbastanza, esce dalla macchina. Ha ancora i capelli scompigliati e, quando si mette in piedi, si porta le mani allo stomaco per un leggero dolore, sicuramente causato dal calcio che Harry gli ha dato prima, ma non credo che il dampiro lo menzionerà.
- Ti spiegherò tutto. -
- JACKSON IRVIN MITCHELL! - La voce infuriata di Lizzie interrompe Harry, che si volta nella direzione da cui proviene il timbro minaccioso della Salamandra. Lei apre il cancello in tutta fretta e ci raggiunge.
- Mi sa che l'ha scoperto. - Sospira il riccio mentre la guarda avvicinarsi.
- Che June ha ammaliato Jackson? - Mi chiedo come Lizzie, per tutto questo tempo, davvero possa non essersi accorta di nulla. Alla fine era chiaro che il figlio non stesse bene e che ci fosse qualcosa che non andava in lui, come può essere stata così cieca?
- Che cosa? - Il biondo sgrana gli occhi non appena ascolta le nostre parole, turbato e stordito allo stesso tempo.
- Avevo ammaliato Lizzie apposta, ma a quanto pare l'effetto è durato meno del dovuto. -
- Tu cosa?! - Esclama ancora più confuso Jackson quando comprende che Harry ha usato il soggiogamento su sua madre.
- Tu! - Lizzie punta il dito contro Harry. - Mi credi tanto stupida? Secondo te non me ne sarei accorta? Sono nata prima di te, caro mio. E tu! - Sposta l'indice verso l'altro. - Tu sei stato ancora più stupido di Harry per esserti fatto ammaliare da una strega! Tua nonna è come loro, non hai imparato a distinguerle ormai?! - Mentre la madre continua a urlare, Jackson si mette le mani sulle tempie. Come biasimarlo: anch'io al suo posto avrei un mal di testa terribile, non ci capirei più niente ed un rimprovero di certo non migliorerebbe la situazione.
- Lizzie, dai. Abbiamo ventun anni e diciassette ormai. Sappiamo cavarcela. - Si difende il dampiro mentre la donna incrocia le braccia al petto, ancora più arrabbiata di prima.
- Ho notato come sapete cavarvela. - Replica ironicamente mentre alterna lo sguardo tra l'uno e l'altro.
- Non fare l'isterica. Nessuno è morto. - Le risponde a tono Jackson, stanco delle urla della madre.
- Non osare rispondermi. -
- E tu non osare urlare come una pazza quando la mia testa sta per esplodere. - Questa volta, Lizzie non ribatte, bensì prende un respiro per mantenere la calma, dopodiché guarda il figlio.
- Sai che faccio ora? Chiamo tuo padre! E vediamo se mi rispondi ancora! - Lei fa dietrofront e si dirige a casa in tutta fretta, ribollendo dall'ira. A quelle parole, Jackson diventa ancora più pallido di quanto non lo sia già e rincorre la mamma mentre la supplica di non fare quella telefonata. Suo padre deve essere un uomo severo se Jackson sta avendo questa reazione. Harry scoppia a ridere a quella scena, e non posso far a meno di sorridere a mia volta mentre mi appoggio alla Range Rover e incrocio le braccia.
- Quindi te ne vai? - Gli chiedo mentre muovo lo sguardo su di lui, che annuisce.
- Devo. È una questione abbastanza personale. - Annuisco a mia volta, sapendo bene che, se è davvero urgente, non posso trattenerlo qui per il mio egoismo. Mi stacco dalla macchina e mi avvicino a lui per abbracciarlo. Mi stringe tra le sue braccia, ma adesso non voglio diventare nostalgica e pensare di non rivederlo più. È Harry Thompson alla fine. È il ragazzo più forte che abbia mai incontrato, e non solo fisicamente.
- Mi mancherai. - Mormoro con la guancia contro il suo petto. Lui mi accarezza la schiena prima di staccarsi.
- Anche tu, Steel. Tieni d'occhio quel coglione del tuo vicino per me, d'accordo? - Mi sorride. - Non vorrei che qualche altra strega lo ammaliasse di nuovo. -
- Tranquillo. Alla fine sappiamo entrambi che dobbiamo salvargli noi il culo. - Gli sorrido, cercando di non rendere tutto questo un vero addio, dato che non voglio.
- Linguaggio, Steel. - Accenna una risata mentre si avvicina al cancello di Jackson, poi lo apre. - Credo che quei due abbiano bisogno di una spiegazione per capire cosa sia successo. - Mi sorride di nuovo prima di voltarsi e camminare fino alla porta. Appena Lizzie apre, ancora rossa in volto dalla rabbia, si gira un'ultima volta e mi saluta con un cenno del mento, poi entra in casa e sparisce definitivamente dalla mia vista. A quel gesto lo saluto con la mano, sussurrando un "ciao" con un filo di malinconia. Vorrei con tutto il cuore che restasse, ma è meglio che risolva i suoi problemi e che io mi concentri sui miei. La serata non è finita: devo ancora discutere con mia madre e questa volta urlerò, se sarà necessario, finché non avrò delle risposte serie e soprattutto vere.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

Sbatto la porta alle mie spalle dopo essere entrata in casa. Sia la luce in salotto sia quella in cucina sono accese, quindi mia madre deve essere ancora sveglia. Strano, dato che la mezzanotte è ormai passata e la sua sveglia è alle sei domattina; sicuramente mi sta aspettando prima di andare a letto. Lancio uno sguardo fugace al salotto per controllare se sia lì, ma è vuoto. Solo le voci di due donne, provenienti dalla televisione, riempiono il silenzio che c'è. Stanno discutendo riguardo quale abito da sposa comprare e, neanche un attimo dopo, una delle due scoppia a piangere. Mia madre, avendo sentito il rumore della porta, si affaccia dalla cucina per controllare che sia tornata. In mano ha una tazza fumante di tè alla vaniglia, il cui profumo si espande per tutto l'ingresso.
- Lo sai che quella porta è vecchia e si potrebbe rompere. - Mi rimprovera con sguardo serio per averla chiusa con forza. - Com'è andata la serata? - Mi chiede tranquillamente mentre ritorna in cucina. Non le rispondo, bensì la seguo, cercando di calmarmi. Se prima mi sentivo priva di forze, ora sto tremando dalla rabbia e potrei perdere il controllo da un momento all'altro. Se veramente sa cosa sono, e me l'ha tenuto nascosto, non so davvero come potrei reagire. È come se fosse stata colei che ha costruito questa bugia nella quale mi ha fatto vivere per diciassette anni. Mi ha mentito e lasciato in agonia per pensare a quanto fossi sbagliata, quando invece sono solo diversa.
Lei si appoggia con la schiena al bancone e prende un sorso di tè, ancora in attesa di una risposta che non le darò. Rimanendo sulla soglia della cucina, stendo un braccio verso il rubinetto e mi concentro sull'acqua. Questo comincia a tremare, ma mia madre sembra non accorgersene. Si acciglia solamente per il mio gesto, che so essere insensato ai suoi occhi. Se sapessi maneggiarla meglio, mi sarebbe bastato uno sguardo per il mio scopo. – Che cosa stai facendo? - Quando percepisco un formicolio sulle dita, segno di avere il controllo totale sull'acqua, faccio aprire di botto il rubinetto per la forte pressione e muovo la mano verso mia madre con l'intenzione di bagnarla. Nello stesso momento l'acqua segue la direzione che le do, facendo strillare la rossa.
- Sharon! - Mi urla contro mentre le rivolgo un ghigno amaro e pieno di rabbia. Quindi avevo ragione. Si preoccupa di più del fatto che si sia bagnata invece di come sua figlia sia riuscita a far ciò.
- Sapevi tutto, vero? - La guardo con disprezzo mentre lei poggia la tazza sul bancone per prendere un tovagliolo con cui asciugarsi. Incrocia il mio sguardo e, in quei pochi secondi, intravedo la preoccupazione nei suoi occhi verdi. Sento il sangue ribollirmi dall'ira. Non appena apro il palmo della mano, una piccola fiammella prende vita. Voglio mostrarle ciò di cui lei mi ha sempre privato. - Lo sapevi, non è vero mamma?! - Alzo un po' il tono di voce, muovendo la mano verso di lei come per mostrarle il mio segreto, ma lei sospira e guarda la fiamma ardere.
- Non cominciare a urlare. - Mi ammonisce con tono severo. - E spegni quella cosa. - Estinguo il fuoco, poi fendo e sposto l'aria con la mano per farle cadere la tazza a terra, scompigliandole i capelli che le ricadono sciolti sulle spalle. Questa s’infrange in mille pezzi sul pavimento mentre quel che ne resta del tè schizza contro il bancone e sporca a terra. Una lacrima riga il mio viso, cosa che non volevo accadesse, almeno non davanti a lei. Sono così arrabbiata che non so cosa dirle. Avevo una montagna d’insulti, così tanti discorsi che avrei potuto farle, ma adesso sembra che la mia bocca si rifiuti di funzionare. Quindi decido di aspettare che lei dica qualcosa, ma non lo fa. Mi lancia un'occhiata e poi s’inginocchia a terra, cominciando a raccogliere ciò che rimane della sua tazza in silenzio. Con un altro gesto della mano muovo nuovamente l'aria, impiegandoci più forza per allontanare i pezzi da lei. Questi scivolano via insieme a alcune gocce di tè.
- Parlami! - Sbraito mentre mi asciugo le lacrime. Lei scatta in piedi, infastidita dal mio comportamento. Devo cercare di non perdere sul serio il controllo, perché ho paura davvero di ucciderla stasera, e non sto scherzando. Non so cosa mi stia prendendo, ma sento questa forza dentro di me che non sono sicura di riuscire a trattenere.
- Che cosa avrei dovuto dirti?! - Le sue urla si sovrappongono alle mie e stringe i pugni. Sta cercando di rimanere calma e di non mollarmi una sberla. Mi chiedo se non abbia veramente paura di toccarmi, sapendo cosa sono. Forse per questo non ha mai alzato le mani su di me. Non ce n'è mai stato motivo, in realtà, ma quando poteva farlo ha sempre evitato. Non posso spaventarla sul serio. Però, ora che ci penso, Delice non ha voluto toccarmi per un po' quando ha scoperto il mio segreto. Perché non devo mai avere qualcosa di chiaro nella mia mente, ma mille ipotesi? - Che sei un Elementale, una Salamandra, e che un giorno morirai?! - Le sue urla mi distraggono dai miei dubbi. Sposta con rabbia una delle sedie del tavolo per sedersi, producendo un rumore irritante.
- Per questo zia Tess mi trattò male quando le chiesi degli Elementali. - Che lei sapesse di loro l'ho sempre sospettato, sinceramente, ma non del fatto che fosse una strega. Era ovvio che sapesse tutto.
- Tua zia, poi! - Fa un verso di scherno, simile a uno sbuffo. - Quella vecchia strega. Aveva un solo compito, uno. Cosa le costava negarti tutto?! - Ed ecco qui la prima verità. Ecco perché mia madre non sopportava la strega: non voleva che mi avvicinassi a questo mondo e, tenendola fuori dalla famiglia, voleva in qualche modo evitare che scoprissi tutto.
- Avresti dovuto dirmelo! Tu non sai quello che ho passato! - Alza la testa per guardarmi con disprezzo, forse ferita dalle parole che ho detto o che potrei dire. Non può capire cosa ho provato per tutto questo tempo, davvero non può. Mi hanno insultato, mi hanno allontanato. Per tutta la mia vita mi sono sentita esclusa e non riuscivo a fare pace con me stessa. Ho persino creduto di essere pazza e lei sapeva come la pensassi riguardo questo. Mi continuava a invogliare a farmi amicizie quando sapeva che non avrei potuto per ciò che sono. Non posso mettere in pericolo le persone che amo, e lei dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro. So già quello che mi dirà ora, che non me l’ha detto perché voleva proteggermi, perché non ero matura abbastanza da affrontarlo, è un mondo pericoloso e non è adatto a me, ma oltre a questo, avrebbe anche dovuto sapere che prima o poi l'avrei scoperto. Non poteva davvero credere di tenermelo nascosto per sempre.
- Quello che hai passato tu? - Si alza piano dalla sedia facendo leva con le braccia sul tavolo. Sputa quella domanda con disprezzo, poi scuote la testa in segno di disapprovazione. - Quello che hai passato tu non è niente in confronto a quello che ho e sto ancora sopportando io, Sharon! - Stavolta è lei a sbraitare. - Tu non sai... -
- No, infatti. Non so. - La interrompo bruscamente. - E quello che so, avrei voluto saperlo dall'unica persona di cui mi fidi veramente. Eppure questo... - Apro nuovamente la mano per accendere una piccola fiamma. - ... l'ho scoperto da sola. - Meglio omettere la parte in cui anche Jackson è un Elementale. Non la scioccherebbe, ma non voglio che le colpe ricadano su di lui. Non è giusto. L'unica colpevole in tutto questo è mia madre. Avrebbe potuto evitare un sacco di cose, ad esempio il dolore e i momenti di agonia; invece no, ha lasciato che mi squarciassero poco a poco.
- Cazzate! - Esclama furiosa, facendomi sussultare e spegnere istintivamente il fuoco. - Se non fosse stato per quel Mitchell, tutto ciò non sarebbe successo! - Una precedente litigata con lei, sempre riguardo a lui, riaffiora nella mia mente: già in quell’occasione mi aveva intimato di stargli alla larga, di non fare quello che faceva lui poiché mi avrebbe fatto male. Da ciò, deduco che si fosse resa conto che anche lui è diverso, come me, ma lei non lo conosce, non ci ha mai parlato, e non può commentare. Se non fosse stato per lo Gnomo, sarei morta da tempo. Dovrebbe ringraziarlo invece che prendersela con lui per avermi aperto gli occhi su ciò che lei non ha mai avuto il coraggio di spiegare.
- Non incolpare lui per cose che avresti dovuto fare tu! -
- Io non sono un Elementale! Non avrei neanche dovuto fartela io, questa chiacchierata! Ma quando Harvey è morto... – S’interrompe quando nomina mio padre, ma io continuo a tenere lo sguardo su di lei. Dalla sua espressione, sembra che stia decidendo se dirmi qualcosa o meno. Mentre la sua mente è annebbiata, un pensiero folle si fa largo nella mia. Nell'Enciclopedia dei Mostri c'è scritto che non è una cosa ereditaria l'essere Elementale, ma se anche lui fosse stato un Cacciatore?
- Taylor, cara. - La voce di mia zia alle mie spalle fa trasalire entrambe e scattare me di lato per la paura, presa alla sprovvista. - È inutile continuare a trovare scuse o incolpare gli altri per il suo destino. Entrambe abbiamo sempre saputo che un giorno avremmo dovuto affrontare quest’argomento. - Schiocca le dita mentre si avvicina al tavolo e una sedia si trascina da sola verso di lei per farla sedere.
- Niente magie in casa mia, Tess. - La rimprovera mia madre. Si accomoda di nuovo e si regge la testa tra le mani, poggiando i gomiti sul tavolo. Non importa quanto questo momento sia difficile da affrontare per lei: ogni giorno è stato una sfida per me. Non riesco neanche a provare pena nei suoi confronti, forse a causa della rabbia. Tuttavia, anche quando questa si attenuerà, sono certa che continuerò a non averne. Lei non ne ha mai avuta per me, perché dovrei averne io? Harry, per il poco tempo che è stato qui, mi ha fatto capire più cose di quanto me ne abbia fatte capire mia madre in tutti questi anni. Se non fosse stato per lui, non avrei davvero realizzato di essere diversa rispetto a tutti gli altri; non mi sarei resa conto che ci sono problemi più grandi rispetto a stupide gare per avere un follow da una persona famosa o possedere le ultime novità uscite; non avrei imparato così bene ad avere un controllo sugli elementi e sulle mie emozioni e, cosa più importante, a rialzarmi dopo una sconfitta perché lui ne è l'esempio perfetto. Grazie a Harry, non ho mai rinunciato, anche se avrei voluto sul serio scappare via.
- Vi prego. Posso sapere la verità una volta per tutte? Smettetela di trattarmi con una bambina. - Dico con voce spezzata. Sono stanca, vorrei andarmene a letto. Lascerei sul serio questa stanza, ma so già che non riuscirò a prendere sonno senza sapere cosa mi nascondono. Non sono sicura neanche di riuscire ad addormentarmi davvero. Ho nuovamente i crampi allo stomaco.
- Taylor. - La incita mia zia mentre nota la tazza rotta a terra e sulla quale non fa domande. La rossa annuisce debolmente e prende un bel respiro, rinunciando al fatto che tutta la "realtà" che aveva costruito è stata distrutta da un ragazzino.
- Harvey era una Silfide. Il suo spirito era legato all'aria, cosa anche rara, dato che di solito le Silfidi sono donne. - Mia zia fa comparire in silenzio una scopa tra le mani per ripulire quel disastro a terra, noncurante della regola "niente magie in questa casa".
- Ma lui era donna dentro. - Commenta la strega per sdrammatizzare la situazione mentre comincia a spazzare via i pezzi della tazza. Mia madre fa finta di non averla sentita, chiude un occhio anche per la scopa apparsa dal nulla e riprende il suo discorso, più importante in questo momento.
- Prima di morire, ucciso da un mostro per proteggerci, mi pregò di tenerti al sicuro e così ho fatto. È ovvio che l'avrei fatto, sei mia figlia. Quando quel ragazzo nuovo è arrivato, però, tua zia non ha perso tempo ad avvisarmi per pensare a come agire. - Ora capisco come mia madre potesse essere sicura del fatto che Jackson fosse un Elementale: una strega ne percepisce l'odore, e mia zia gliel'ha riferito. - Ma, in qualche modo, lui riusciva sempre a trascinarti in quell'altra realtà. Ho provato in ogni modo a fartene uscire, ma da quando sei nata sapevo benissimo che questa sarebbe stata una parte di te che purtroppo avrei dovuto accettare un giorno, ma... -
- ... ma meglio tardi che mai, anche se avresti preferito il mai. - Concludo. Lei, dopo aver rielaborato le mie parole, annuisce. Prendo un bel respiro e alzo il volto per impedire alle lacrime di scorrermi sul viso. Ciò che è successo a mio padre dovrebbe toccarmi, visto che ha sacrificato la sua vita per salvarmi, ma non ce la faccio a piangere per qualcuno che non ho mai conosciuto. È più forte di me. L'unica ragione per cui sto per farlo è per il fatto che lei abbia aspettato tutto questo tempo per dirmelo.
- Mi dispiace così tanto, Sharon. - Mormora mentre mia zia, dietro le sue spalle, fa scomparire la scopa. - Devi capirmi, però. Non potevo perdere anche te e sono andata nel panico quando ti ho visto bruciare quel divano con un solo tocco dopo che avevi rotto il tuo giocattolo preferito. Sapevo che lo saresti diventata, ma non immaginavo tanto presto. Avevi solo tre anni la prima volta. - Cerca di difendersi mentre riporto lo sguardo su di lei, sbigottita per le sue parole. Non posso davvero aver quasi appiccato un incendio per un semplice giocattolo. Avevo ragione a dire che avrei dovuto imparare a controllare la mia rabbia perché a volte è esagerata, ma quello che ho fatto è assurdo.
- Alcune decisioni che abbiamo preso sono state necessarie. – S’intromette zia Tess, poggiando una mano sulla spalla di mia madre per darle un po' di supporto. - Vivo da così tanto tempo eppure non mi sono mai trovata in una situazione del genere, e tua madre ha fatto le scelte giuste. - Forse loro, essendo adulte, vedono la cosa in modo diverso, ma non sono per nulla d'accordo con ciò che stanno dicendo. Rimango dell'idea che avrei dovuto sapere tutto, a maggior ragione se sono stata capace di usare il fuoco già da piccola. Sono pericolosa, e di questo ne sono cosciente anche senza il loro aiuto, ma non mi possono dire di aver fatto le scelte giuste.
- Avreste comunque dovuto dirmelo. -
- Ho passato anni a mettere il sale su ogni uscio e su ogni davanzale affinché qualche fantasma o demone non sentisse il tuo odore e ti raggiungesse. Mi assicuravo che fossi al sicuro quando eri a casa da sola e tutto ciò che fai è arrabbiarti. Io ti ho protetto! -
- Sono capace di difendermi da sola, e comunque mi hanno trovato! - Esplodo essendo arrivata al limite della sopportazione. So benissimo che non dovrei dirglielo, ma prima o poi lo scoprirà, e non voglio avere ulteriori segreti, a differenza sua. Mi levo la giacca di pelle e le mostro la spalla dove il mese scorso c'era un buco causato dell'artiglio di quella Ek Ek, ma ora solo una cicatrice. - Ho ucciso un Adaro, ho accoltellato una Ek Ek e sono stata capace di allontanare uno spirito, da sola, a casa di Delice e... - Mia zia scuote la testa prima che possa continuare a parlare, prevenendo di farmi menzionare cosa sia successo alla festa. Forse ha ragione: è meglio non citare anche la faccenda della strega. Non per ora, almeno. Mia madre sbianca di colpo solo a sentire nominare quei mostri, e non posso far a meno di arrabbiarmi di più, capendo che li conosce.
- Un Adaro? - Scuote la testa, incredula. - È impossibile. Vive solo nelle trombe marine. Dove l'hai incontrato? - Corrugo la fronte alle sue parole. Se è vero quello che sta dicendo, qualcuno deve averlo messo nelle tubature della scuola. Non so come ci sia arrivato, altrimenti. Però è morto, e non voglio addossarmi altri problemi inutilmente. Fa parte del passato ormai.
- Ti spiego tutto io. - Mia zia si affretta a risponderle prima che possa parlare. - È meglio che tu vada a riposarti, Sharon. Hai avuto una serata difficile. - Annuisco, sebbene voglia altre risposte, anche se non so a quali domande. Ho la sensazione che mi stia nascondendo altro, nonostante mi abbia detto quello che ha evitato di farmi sapere da una vita. È sicuramente la stanchezza che adesso mi sta mandando in paranoia, unita al fatto che forse non mi fido più completamente di lei. Troppe cose tutte insieme. Non ce la faccio più. Mi alzo e mi dirigo fuori dalla cucina, ma prima mi giro nuovamente verso mia madre.
- Se questo... - Dico portandomi una mano sul petto, riferendomi all'essere un Elementale. - ... non è ereditario, come facevi a sapere che lo sarei diventata, anche prima di quell'incidente? -
- Certe cose le senti. - Mi guarda negli occhi con sguardo sincero. - Non sei l'unica ad avere brutti presentimenti. In questa vita è difficile essere ottimisti. - Ricambio il suo sguardo e sento già che tutta l'ira sta man mano scivolando via. Non riesco a essere arrabbiata con lei per troppo tempo, e questa cosa mi fa innervosire. So di aver ragione, eppure devo lasciar stare tutto così velocemente, come se non avesse importanza, e non ne ho intenzione.
Salgo di corsa in camera e mi chiudo la porta alle spalle. Mi sento persa, e con lo stesso vuoto dentro come l'avevo all'inizio. Sembra sempre che mi manchi qualcosa, qualcuno, anche se non so cosa. È una mia fissa di certo, lo so bene, ma in questo momento non posso far a meno di averne. Voglio solo piangere, spegnere la luce e mettermi in un angolino. Ho persino paura di farlo: non voglio che mi sentano. Non voglio farmi vedere debole, ma sono stanca della gente che sceglie al posto mio, pretendendo di aver ragione; stanca anche di essere forte per tutti, di trovare ogni volta il buono nelle decisioni altrui. Non posso sempre scusarli. Sono umana anch’io, cazzo. Crollo, mi alzo e ricrollo, ed è un miracolo se mi tiro su perché sono troppo arrogante per lasciar perdere tutto. Mi sento come una vecchia maglietta: strappata e buttata in un angolo perché tanto nessuno la usa più.
Mi siedo a terra con le spalle al muro, porto le gambe al petto e, senza rendermene conto, i miei occhi sono diventati lucidi. Il suono della finestra che si apre da sola mi distrae e non ho il tempo di prepararmi a difendermi, pensando a una probabile creatura, che il ciuffo biondo di Jackson spunta dal davanzale e sospiro di sollievo. Non ho neanche la forza di pensare a come abbia fatto a raggiungerla. Ciò che m’importa è asciugarmi le lacrime per ora.
- Hey Steel. Ho bisogno di parlarti. - Dice, entrando come se fosse casa sua. - Per fortuna non hai l'abitudine di salire sui tetti come Harry, altrimenti sarebbe stato difficile raggiungerti lì. - Ridacchia mentre mi asciugo quei dannati occhi prima che possa vedermi e gli sorrido gentilmente, cercando di nascondere questo lato di me. Non voglio che mia madre, mia zia o Delice lo vedano, figuriamoci lui. Non sono stata veloce e si rende conto della mia situazione, ma non dice niente. In silenzio si siede accanto a me, assume la mia stessa posizione e poggia la testa contro il muro, dopodiché la gira verso di me. Mi guarda con occhi a cui è difficile resistere, che sembrano sapere tutto, capire la mia sofferenza. Stremata da tutto, faccio l'ultima cosa che avrei mai immaginato: lo abbraccio, mettendo la testa tra la sua spalla e il collo e comincio a piangere. Lui non dice niente e, seppur stupito per il mio gesto, mi stringe a sé. - Se pensi che sia tutto sbagliato, non è vero. Andrà tutto bene. - Mi sussurra all'orecchio. - Ci sono io ora, e non me ne andrò. - Detto ciò, non parla più, ma continua a stringermi mentre i miei singhiozzi riempiono quel maledetto silenzio della stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

21 agosto.
Apro gli occhi, godendo dei raggi del Sole che entrano timidamente dalla finestra ed arrivano ad illuminarmi il volto. Avrei mugolato per il fastidio in altre occasioni, senza la benché minima voglia di alzarmi dal letto, ma oggi non vedo l'ora di uscire con Jackson. Abbiamo deciso di fare un picnic perché, dopo tutto quello che è successo nei primi mesi estivi, e le varie uscite di caccia ultimamente, abbiamo proprio bisogno di una giornata tranquilla. Per le ultime settimane di luglio, dopo la festa di June, abbiamo anche continuato gli allenamenti senza saltare neanche un giorno. È ammirevole il modo in cui adesso riesca a controllare gli elementi grazie ai suoi consigli: non in maniera perfetta, neanche del tutto efficiente, ma è già un passo avanti. Sapevo già che l'essere Elementale non è ereditario, ma dipende dal modo in cui ci si rapporta alla realtà e, a volte, è anche puro caso. La settimana scorsa, infatti, Jackson mi ha raccontato di un suo amico Ondino i cui genitori sono completamente umani, a differenza sua. Mi ha anche chiarito le diverse caratteristiche di ogni Elementale, dato che L'Enciclopedia dei Mostri purtroppo non contiene tutte queste informazioni. Tutti riescono a controllare i quattro elementi ma, in base a quello che prevale su ogni persona, si ha una diversa abilità speciale. Gli Ondini riescono ad assorbire l'acqua, non in grande quantità però, altrimenti scoppierebbero; gli Gnomi provocano terremoti; le Silfidi formano bolle d'aria e le Salamandre possono produrre fuoco da sole, senza che ci sia una fonte di calore preesistente, ma facendo affidamento sul movimento delle molecole, o qualcosa del genere. Se Jackson deve spiegarlo in termini scientifici, fa una confusione assurda, quindi ho lasciato stare. La cosa più interessante è che, ad esempio, una Silfide non deve cominciare dalle basi per imparare a usare il proprio elemento in quanto, essendo legata a esso, riesce meglio a controllarlo. Tutto ciò che deve fare è esercitarsi. Personalmente ci ho messo un po' per riuscire a utilizzare l'aria: è l'unico elemento con cui ho ancora difficoltà, ma Jackson mi ha rassicurato dicendomi che è normale. Tra l'altro non posso neanche lamentarmi di ciò, dato che lui ne controlla solamente due: l'acqua e la terra, anche se non so ancora perché, non gli ho voluto chiedere il motivo. Già quella volta, durante la nostra uscita al cinema, sembrava parecchio turbato di parlarne. Un'altra cosa che mi ha spiegato è che, una volta superati i diciotto anni, viene più difficile cominciare a sviluppare un controllo sulla natura e, in vari casi, molti ragazzi non ci riescono più.
All'inizio dell'estate non immaginavo che la mia vita potesse mutare così radicalmente. Avevo sempre desiderato cambiare città, addirittura Stato, per ricominciare da zero dove nessuno mi conoscesse, dove la gente non ridesse di me se la "Pazza" era in circolazione, dove non giudicasse prima di conoscermi, ma questo posto non esiste, purtroppo, e so che dovrò lottare contro i pregiudizi delle persone ovunque vada. Jackson, nell'ultimo periodo, mi ha aiutato un sacco con gli elementi, mi ha insegnato a diventare sul serio ciò che sono e che per molto tempo non avevo capito. Davvero non saprei cosa fare se lui non ci fosse, ma devo ringraziare soprattutto Harry che mi ha dato quella spinta che mi serviva. Non so se la mia vita mi piace adesso. Credo che mi stia abituando, ma con essa ho comunque un rapporto di amore-odio: andare a cacciare, col dubbio di non tornare a casa, è una sensazione abbastanza forte che, pur mettendo da parte, mi rimane incollata addosso. D'altro canto, la apprezzo più di prima. Mi ha facilitato diverse cose, specialmente quando bisogna riscaldare qualcosa.
Mi tiro su e mi stiracchio prima di controllare l'orario sullo schermo del cellulare, sul comodino. Sono le undici e mia madre tornerà tra poco. Come ogni mercoledì, va a fare la spesa prima di cucinare. Il nostro rapporto è un'altra cosa che è cambiata. Non smetto di volerle bene, ma comunque so che nulla tornerà come prima, quando ancora mi fidavo completamente di lei. Ora non fa più così tante storie da non lasciarmi andare dove voglio e, se rientro sporca o con qualche graffio, mi sorride solamente, felice che sia viva. Non fa domande, ma so che nasconde solo la preoccupazione. Non parliamo mai della caccia ai mostri o degli elementi. Se ho qualche domanda, Jackson è sempre pronto a darmi una mano e mia madre ormai si è arresa al fatto che lui faccia parte della mia vita. Insieme con Albert, con cui mi vedo ogni tanto, sono gli unici che mi capiscono davvero, e non può allontanarmi da loro. Il rapporto tra mia madre e mia zia, invece, è stranamente migliorato, ma credo che usi la maga (sì, mia zia mi ha corretto sulla parola errata con cui la definivo) solo per tenermi d'occhio in segreto, ma a me va bene così. In fondo la capisco: è comunque mia madre, e non posso di certo impedirle di non preoccuparsi per me. In ogni caso, l'ho perdonata, in un certo senso. È stato scorretto avermi tenuto nascosta una verità così grande, ma lei sapeva prima di me i rischi cui potrei andare incontro, e non posso arrabbiarmi in modo esagerato per il fatto che volesse proteggermi.
Scendo giù e trovo il suo solito bigliettino del buongiorno, ma non mi ha preparato la colazione, e devo occuparmene io. Gli altri giorni avrei sbuffato e me ne sarei tornata a letto, ma oggi mi sento stranamente bene. È stata la prima notte in cui non ho avuto incubi o sogni insoliti e durante la quale mi sono potuta riposare sul serio.
Mi affaccio alla finestra che si trova sopra il lavello e mi sporgo a guardare il giardino della vecchia casa abbandonata. Mia zia si è occupata dell'intera faccenda, ma non ha voluto il mio aiuto. Ciononostante, mi ha comunque informato su diverse cose. Prima di tutto, sullo spirito che continuava ad avvertirmi attraverso piccoli indizi, soprattutto alla commemorazione di Ramsey Kansas. Quella donna vestita di rosa, che passò sotto casa mia in quella giornata di pioggia prima che Jackson arrivasse, è la stessa che ritrovai seduta accanto a me durante quella messa. Ora capisco perché mia madre mi guardò in modo strano: lei non riusciva a vederla. La donna era la moglie di uno degli uomini morti sotto il ramo e che, successivamente, si suicidò dopo essere caduta in depressione, non essendosi mai ripresa dalla perdita subita. Non sono rimasta così turbata quando mi ha detto che ho parlato con uno spettro, forse perché non ho realizzato ancora, oppure perché la possibilità di essermi trovata in una situazione del genere sta cominciando a sembrarmi davvero una cosa normale.
Al posto dell'enorme albero, che si trovava lì fino a due giorni fa, mia zia ha fatto spuntare un piccolo germoglio, volendo comunque far ricrescere l'arbusto. Mia madre mi ha detto che il sindaco ha firmato un documento per ristrutturare la casa che ospiterà una futura famiglia, ma i lavori inizieranno solo a settembre. Quindi, fino all'anno prossimo, l'abitazione rimarrà la solita vecchia casa infestata dai fantasmi del passato. Credo che, il giorno in cui Ramsey Kansas morì, Delice abbia visto quella stessa identica donna dietro la finestra.
Solo dopo aver scoperto che dietro la faccenda dell'albero c'era June, ho capito perché nel sogno quel ragazzo fosse biondo, come Jackson, e la ragazza avesse i capelli ricci e rossi, come quelli di June: in qualche modo, la mia mente cercava di avvertirmi. Non capisco come funzioni, tantomeno i miei sogni dato che non potevo sapere di tutta quella storia, ma avevo una pista, sebbene fosse inutile poiché non ci sarei mai arrivata. La cosa di cui mi meraviglio è il piano che June aveva architettato, perfino la parte riguardante il dire a Jackson che Harry fosse in ospedale per assicurarsi che il dampiro non fosse morto, altrimenti non sarei mai andata alla sua festa se lui non avesse voluto vendetta. Ha organizzato e predetto tutto nei minimi dettagli, glielo devo riconoscere, nonostante stessi per morire. Ora, però, non devo più preoccuparmi di Imogen, dato che passerà la sua vita in una gabbietta nel salotto di zia Tess. Da un lato è stato meglio lasciare che zia si occupasse di questo: ognuno deve combattere le proprie battaglie, e questa non era la mia. Per lo stesso motivo, non ho voluto dire nulla a Jackson riguardo quella specie di fantasma a casa di Delice.
Ho anche scoperto chi mi ha dato l'Enciclopedia dei Mostri, ovvero mia zia. Quella sera, quando c'era anche Luke in casa, il fatto che cercasse mia madre era solo un pretesto per lasciarmi il libro sul tavolo. Non lo avrebbe mai tolto dal suo scaffale, ma a lei non è mai servito sul serio, e aveva capito che sarebbe stato più utile a me, invece. Ormai non poteva più cercare di farmi distaccare da questa nuova realtà. Mi sono sentita anche un po' stupida quando mi ha confessato di aver solo giocato col nome di Nivek Jenkins, trasformandolo in Jensen Kiven, per tenere tutto nascosto. Poi, anche Albert mi ha informato su ciò che è successo la sera della festa, dopo che fu costretto a lasciarla pur di allontanare i folletti, altrimenti avrebbero causato guai seri. In poche parole, è riuscito a distrarli fino al bosco con diversi pacchi di patatine alla paprika. Quindi, non ho nient'altro da sapere su tutta questa faccenda.
Colloco un bicchiere sotto il rubinetto del lavandino per riempirlo, poi chiudo l'acqua. Questa mattina non ho molta fame, soprattutto sapendo che Jackson potrebbe portare tutto il cibo presente nel suo frigo. Quindi mi limito a bere prima di salire su per andare a cambiarmi. Una volta indossata una canotta bianca, una camicia a quadri blu sopra che lascio aperta, i pantaloncini di jeans e delle Converse bianche, prendo il cesto con dentro dei sandwich che avevo preparato la sera prima ed esco. Attraverso la strada quasi correndo, non vedendo l'ora di aiutarlo a prendere le ultime cose e andare nel bosco a pranzare. Nelle ultime settimane il nostro rapporto è migliorato: passiamo quasi tutta la giornata insieme, cacciando o semplicemente per farci un giro, ma comunque non posso considerarlo un migliore amico. Delice rimane sempre la prima anche se, quando usciamo, alcune volte ci raggiunge anche Albert Sanchez. Lui non è male, anzi è molto solare e simpatico ora che lo conosco un po' meglio, anche se la bionda ogni tanto prova un po' di gelosia se l'Ondino viene con noi, dato che io e lei passiamo poco tempo insieme rispetto a prima.
Dopo aver aperto il cancello ed essere entrata, vedo la porta d'ingresso spalancata, ma nessuno sulla soglia o fuori in giardino. Mi avvicino cautamente a essa, attraversando il viale. La macchina non c'è, ma non credo siano usciti senza chiudere.
- Cerchi Mitchell? - Chiede la signora Moore oltre la recinzione metallica, nel giardino della casa a fianco. Il gatto continua a girarle intorno, aspettando la sua porzione di cibo. Mi meraviglio che non sia obeso. È triste invece non vedere più Skah qui intorno il giorno. La settimana scorsa è stato ucciso durante una caccia. Non ero legata a quel gallo, l'Aitvaras, poiché non gli sono mai andata tanto a genio, però comunque mi dispiace.
- Ehm sì, dovevamo vederci, ma a quanto pare non c'è. - Accenno un sorriso cortese, giusto per essere gentile, ma non mi piace per niente quella donna. Deve sempre farsi i fatti degli altri e non pensare mai ai suoi.
- Siete carini insieme. - Afferma mentre si siede rumorosamente sulla sua sedia. Sospiro e lascio perdere i suoi commenti, non essendo la prima volta che ne fa uno del genere. Io e Jackson passiamo molto tempo insieme, ma non ho mai pensato a noi due in quel modo. Non più, almeno. Ora che l'ho conosciuto meglio, non sento le stesse cose di prima: solo un semplice affetto nei suoi confronti. Non perché sia male come ragazzo, anzi: alla fine è davvero gentile e sa sempre come aiutarti, solamente mi sono resa conto che tra di noi può esserci solo amicizia.
- Per l'ennesima volta, non siamo una coppia, Mrs. Moore. - Dico nel modo più gentile possibile. Sono sul punto di entrare in casa e magari salutare cordialmente la madre con un "Buongiorno, Lizzie", ma la mia attenzione viene richiamata dalla simpatica vecchietta ficcanaso.
- Però eri gelosa di June. - Lei mi sorride in modo arrogante prima di riprendere a leggere la sua rivista sul giardinaggio. La guardo male, trattenendomi dal risponderle in modo scortese. Nello stesso momento, Jackson parcheggia la Jeep nera al bordo della strada.
- Sharon. - Mi chiama appena chiude lo sportello della macchina. Cammina verso di me ancora sotto lo sguardo della vecchietta.
- Pensavo fossi in casa visto che la porta è aperta. - Gli sorrido e gli mostro il cesto. - Hai svuotato tutto il frigo? - Le sue labbra sono una linea sottile e sul suo volto non compare neanche un mezzo sorriso, ma continua solo a guardarmi con occhi spenti, senza tralasciare nessuna emozione. Mi sembrava strano che l'ultimo periodo fosse stato fin troppo tranquillo, in effetti.
- Non posso più venire al picnic con te, mi dispiace. -
- Che cosa è successo stavolta? - Chiedo mentre incrocio le braccia al petto. Sono giorni che non si vedono mostri in giro e mi avrebbe già informato se ce ne fossero stati.
- Cose che non potresti capire. - Si stringe nelle spalle, noncurante. Odio quando fa così, quando mi tratta come una bambina a cui non bisogna rivelare i segreti dei grandi. Mi è già capitato ultimamente con mia madre, e non voglio che accada la stessa cosa con lui. Ormai so tutto, che cosa non potrei capire? Come se fosse più in gamba lui, poi. Se fosse stato quel genio che dice di essere, si sarebbe accorto che June era un mostro come gli altri. Menomale che quella nuova in questo campo sono io.
- Come capire che June era una strega prima di te? -
- Teoricamente, era un Diwata. -
- Praticamente, chi se ne frega? -
- A quanto pare, tu. - Dice con un sorrisino malizioso in volto. Sento le miei mani iniziare a bruciare dal nervosismo, ma cerco di evitare di urlargli in faccia. - Mi trasferisco. - Butta fuori poi, senza lasciarmi il tempo di ribattere. La rabbia mi abbandona immediatamente e con essa quel calore, come se avessi ricevuto una secchiata d'acqua fredda addosso. Credo che il mio cuore sia esploso, ma di certo non può sentire il buco dentro che mi sta provocando.
- Cosa? Dove vai? Perché? - Non voglio che i miei occhi diventino lucidi adesso, non voglio farmi vedere debole di nuovo. Da quando si è ripreso dall'ammaliamento ho sempre cercato di batterlo in tutte quelle cose che lui non credeva riuscissi a fare, ed ora sarebbe una sconfitta farmi rivedere quella bambina spaventata con le spalle al muro. Preferivo sentire solo rabbia perché adesso sono sommersa da troppe emozioni insieme e che non riesco a gestire: tristezza, smarrimento, delusione, ma soprattutto rimpianto di non aver passato tanto tempo con lui. Qualche giorno fa andai a trovare zia Tess e, parlando del più e del meno, uscì fuori anche il nome dello Gnomo. Non mi faccio problemi a dirle che a volte sono preoccupata per Jackson. È normale che tenga a un mio amico, come tengo a Delice e anche ad Albert, dopotutto. L'altra volta, oltre le solite rassicurazioni però, mi disse anche che solo quando l'avrei perso sarei uscita dal mio bozzolo. Non ho mai capito il senso di quella frase, e non credevo che si sarebbe avverata così presto. Non sto uscendo da nessun metaforico bozzolo, ma so che lo sto perdendo.
- Mio padre ha bisogno di me a Winchester e devo ritornare in Inghilterra. Ho finito qui. - Mi dà le spalle per entrare in casa. Senza pensarci due volte, lascio cadere la cesta che avevo preparato e lo strattono per il polso prima che possa allontanarsi.
- Che cosa hai finito?! Che cosa hai mai iniziato qui?! - Urlo con le lacrime agli occhi. Jackson mi guarda come se fossi impazzita mentre abbassa lo sguardo sulla mia mano, che lo sta stringendo un po' troppo, dopodiché alza nuovamente gli occhi nei miei.
- Non posso dirtelo. -
- Su, parla. - Lo incito. – Che cosa credi? Di andartene senza una spiegazione? Non puoi venire qua e sconvolgermi la vita, dicendomi che sono un Elementale, per poi andartene come se niente fosse! - Mollo la presa su di lui per asciugarmi le lacrime. Stupidi sentimenti.
- Abbassa la voce. - Sussurra a denti stretti, non volendo farsi sentire dalla vicina che, stranamente interessata alla nostra chiacchierata, si è riappoggiata alla recinzione che separa le loro case per sentire meglio i nostri discorsi. Gli lascio finire giusto in tempo la frase che gli mollo uno schiaffo, presa dall'ira, e gli giro di poco il volto. La signora Moore sorride divertita e deve ringraziare che sia furiosa con Jackson, altrimenti il suo giardino sarebbe già in fiamme e il suo gatto arrostito.
- Avanti, ridammelo se hai il coraggio. - Mi guarda fisso negli occhi, serrando la mascella, mentre la sua guancia sta già prendendo colore. Mi osserva con quell'aria di sfida che riserba alle creature, e mi chiedo se non sia anch'io un mostro in questo momento. Tiro su col naso, pronta a dargli un altro schiaffo, ma mi afferra la mano non appena la indirizzo di nuovo verso la sua guancia. Il suo respiro è calmo, mentre io ribollisco di rabbia. Quando meno me l’aspetto, mi abbraccia e mi stringe a sé per calmarmi.
- Non voglio che tu te ne vada. - Sussurro mentre mi accarezza i capelli. Poggia il mento sulla mia testa e rimane per qualche secondo in silenzio. Forse sta cercando le parole giuste per non ricevere un altro schiaffo, o semplicemente si sta godendo questo momento, consapevole che sarà l'ultimo.
- Mi dispiace che sia andata così. - Mormora con voce fievole. Mi libera dall'abbraccio e mi osserva con sguardo rammaricato.
- Perché mi lasci? -
- Per salvarti. - Dice come se la risposta fosse ovvia, ma non lo è. Non c'è niente di evidente e di sensato in quello che mi sta dicendo. Come posso dimenticarmi di qualcuno che mi ha reso ciò che sono? Non può finire qui, non deve. E ora mi sento rotta perché ci ho creduto, gli ho creduto. Gli ho detto tutto di me, ma solo ora mi rendo conto che io non so niente di lui. Gli ho aperto il mio cuore, ma lui non ha mai aperto il suo con me. - Ho fatto del mio meglio per aiutarti. -
- Allora tu sapevi che ero qui. L'hai sempre saputo. - Turbata, lo osservo mentre è incerto se confermare o meno le mie parole. Ora capisco come Harry faceva a sapere il mio nome quando lo incontrai la prima volta in quel parcheggio. Mi conosceva, ma non ha mai detto nulla. E non posso neanche arrabbiarmi con lui per avermi mentito, perché sono sicura che sia stata un'idea di Jackson. Quest'ultimo, dopo un paio di secondi in silenzio, decide di annuire. - Da chi vuoi salvarmi? Dai Cacciatori Oscuri? Dai mostri? Sono una Cacciatrice anch'io, non ce n'è bisogno. Stammi bene, Mitchell. - Mi allontano e serro i pugni, pur avendo una voglia tremenda di sapere come faceva a conoscermi già. Ora non suona più tanto strano che il ragazzo nuovo e figo abbia stretto "amicizia" solo con me: ero la sua missione.
- Sharon! -
- Smettila di trattarmi come una bambina! Non lo sono! Solo perché credi di avere più esperienza sei migliore di me?! Beh, notizia flash: non sei il migliore, non lo sei mai stato! - Urlo, voltandomi e fermandomi un'ultima volta per guardarlo. Non voglio lasciarlo così, ma ho sempre saputo che non avrebbe funzionato. Non saremmo mai potuti essere davvero amici. Era troppo strana la nostra tranquillità negli ultimi giorni: niente litigi, niente discussioni. Che sapesse di dover partire, ma non mi ha detto nulla? Proprio non ce la faccio a rimanere calma con lui. Mi fa sul serio venire voglia di urlare, di piangere, di infuriarmi fino a rompere tutto, a distruggermi, ma allo stesso tempo di stringerlo così forte da impedirgli di scappare via di nuovo. Sto agendo in modo egoistico, è vero, ma non mi ha mai spiegato nulla della sua vita, quando forse c'entro anche con essa, e merito di avere delle spiegazioni. Però sono troppo furiosa con lui per insistere. Non riesco neanche a guardarlo in faccia. Mi aveva detto che sarebbe rimasto, me l'aveva promesso, invece mi sta dicendo addio.
- Sharon! -
- Ciao Jackson. Non voglio sapere dove vai. Non m’interessa. Buona fortuna con la tua nuova Cacciatrice o Cacciatore. - Mi volto e riprendo a camminare quando mi rendo conto che mi sta inseguendo a passo svelto. Apro di fretta il cancello, non vedendo l'ora di buttarmi sul mio letto e sfogarmi. Sento un nodo in gola così spesso da rendermela secca e bloccarmi il respiro. Gli occhi mi pizzicano di nuovo e i singhiozzi aspettano solo di essere liberati.
- Ricorda che l'ho fatto per te! - Urla a pieni polmoni dopo che si è fermato vicino alla Jeep. Faccio finta di non sentirlo e continuo a camminare, ma non mi allontano neanche di un metro in più che cado su delle radici, dal mio lato di strada. Giro la testa nella sua direzione, sicura che sia stato lui. Infatti si sta avvicinando, stringendo lentamente un pugno. Mentre lo chiude, le radici si attorcigliano contemporaneamente attorno alle mie caviglie. Cerco di liberarmi, ma non ci riesco. Ormai mi ha già raggiunto, quindi rimango seduta a terra e lo guardo.
- Perché? - Gli chiedo solamente, stanca di ribattere, sperando in una risposta sincera.
- Dovevo assicurarmi che non perdessi il controllo. -
- Non mi conoscevi neanche. Come... -
- Mi dovevo assicurare che il mostro non avesse già preso il sopravvento su di te, Sharon! – M’interrompe bruscamente, stanco anche lui delle mie continue lamentele. - Che non ti trasformassi prima di capire di poterlo controllare. - Mi libera le caviglie e mi guarda per l'ultima volta. Vorrei chiedergli a cosa si riferisce, ma Lizzie esce di casa, con le mani occupate dalle valigie, e rivolge un sorriso nella nostra direzione. Lui sembra voler dire qualcosa, ma alla fine ci rinuncia e mi rivolge uno sguardo dispiaciuto. Infine, va ad aiutare la madre con le valigie. Ora, guardandolo andare via, una sola cosa mi viene in mente: "Tu sei l'esempio migliore per mostrare al mondo che un Cacciatore può convivere perfettamente con un mostro". Luke ha sempre avuto ragione, allora.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32

-Delice-
Li osservo discutere senza muovermi dalla mia macchina, parcheggiata in un vicoletto e a una buona distanza da quei due per evitare che mi vedano. Tamburello con le dita sul volante per scaricare la tensione. Spero che Jackson non le dica nulla, o farebbe saltare i miei piani, e di conseguenza quelli dei miei compagni. Non può proprio ora: sarebbe un casino tremendo. Abbasso di poco il finestrino per ascoltare meglio la loro conversazione, anche se con queste urla perfino un sordo li sentirebbe. Almeno questo quartiere è abbastanza isolato e le vecchiette non prestano sul serio attenzione a due ragazzini che litigano.
- Mi dovevo assicurare che il mostro non avesse già preso il sopravvento su di te, Sharon! - Strilla furioso Jackson. Rassegnata, libero un sospiro e allungo la mano verso il sedile accanto a me, con sopra la borsa, per prendere il cellulare. Mi alzo gli occhiali da sole in testa mentre lancio uno sguardo fugace ai due: Sharon è appena entrata in casa mentre lo Gnomo, passandosi le mani tra i capelli biondi, è tornato indietro per aiutare la madre con le valigie. Mi mordicchio il labbro, impaziente, mentre compongo il numero del mio capo.
- Aggiornami. - Risponde una voce calda e profonda qualche secondo dopo.
- Jackson ha appena rivelato a Sharon perché è qui. - Lo informo mentre mi mordicchio un'unghia per l'agitazione, non sapendo come potrebbe reagire. In poche parole, tutto ciò su cui abbiamo posto la nostra fiducia, ovvero il silenzio da parte di Jackson, è stato frantumato. Non che lo Gnomo sappia di me e delle altre persone con cui collaboro, ma non pensavamo che le avrebbe confessato quelle cose, sebbene non in modo completo. Soprattutto adesso, tra l’altro, dopo aver passato settimane senza aprir bocca. Alla fine ha ceduto.
- Quell'idiota! - Tuona la voce dall'altro capo del telefono. Rimango in silenzio, aspettando che dica qualcos'altro.
- E sta partendo per tornare in Inghilterra. - Aggiungo quando capisco che sta ancora metabolizzando la mia informazione per cercare una soluzione al problema che ha creato il biondo. Vedo quest'ultimo sbattere lo sportello con forza dopo che sia lui che sua madre hanno finito di caricare le loro valigie in auto. Anche lui è nervoso, sicuramente perché rivelarle quel segreto non faceva parte dei piani nemmeno per lui. Hanno avuto una bella discussione, in effetti.
- Io a volte mi domando perché collaboro ancora con te. - Mormora tra i denti, arrabbiato. Ora la sua voce è ancora più profonda e roca. Smetto di torturarmi l'unghia e mi abbasso in modo da nascondermi quando la Jeep nera passa davanti alla mia auto. In ogni caso dubito che mi noterebbe, visto quanto è nervoso, ma meglio non rischiare. È strano che mi trovi qui, nascosta in un vicoletto, invece che davanti casa di Sharon, come sempre. Sta andando via, ma meglio evitare ulteriori problemi.
- Come, scusa? - Chiedo poi indignata mentre raddrizzo la schiena dopo che la sua auto si è allontanata. Se non fosse stato per me, avrebbe continuato a cercare Sharon senza mai trovarla e sarebbe anche morta, nel frattempo. Avrei posto fine alla mia amicizia con lei tempo fa se non fosse per il fatto che mi serve, nonostante abbia cominciato a volerle bene sul serio col passare del tempo. Io ho riferito a Luke che la Salamandra era al cinema con Jackson, perfino dove abita affinché potesse andarci a parlare. Dovrebbe anche ringraziarmi di averlo tenuto aggiornato sulle mosse di Jackson per il periodo in cui quest'ultimo è stato qui, oltre che su quelle di Sharon.
- Se non avessi deciso di mandare tutti quei mostri agli inizi di giugno, Sharon non avrebbe mai sviluppato i poteri. -
- Ma a liberare quell'Adaro in quegli spogliatoi fetidi e ad aver messo quell'ascia in quel vicolo, quando ho seguito le tue istruzioni con quel demone, sono stata io. - Ancora non so come lui sia riuscito a far assumere a questo sembianze da vampiro, quella a cui dava la caccia Harry tra l'altro, ma credo che il riccio sarà contento di sapere che ha ancora la possibilità di uccidere quella ragazza.
- Wow, senza di te non sarei riuscito a fare nulla e sarei morto. - Replica con tono ironico e infastidito.
- Ti ricordo che lo sei per tutti quelli che ti conoscono. Dovresti portarmi un po' di rispetto, come io lo porto a te. -
- Tu me lo porti solo perché sei cosciente del fatto che potrei ucciderti da un momento all'altro, se solo volessi. O potrei rompere il nostro patto. Moriresti comunque, alla fine. - Replica in tutta tranquillità.
- Sono quasi morta per te, più di una volta. Ho fatto finta di essere svenuta negli spogliatoi, non certa del fatto che Sharon mi avrebbe raggiunto, con un mostro lì che mi avrebbe potuto divorare! E hai mandato in casa mia un Draugr! -
- Oh, smettila di fare la vittima, Delice! - Sbraita lui, abbastanza annoiato dal mio comportamento, mentre io sospiro furiosa. Lui è solo la mente in tutto questo, non rischia di morire. Sembra che sia solo un gioco per lui. - Quel fantasma in casa tua lo controllo perfettamente! Se vuoi metterla sul "se non fosse stato per me", allora sì: saresti morta. Tu devi ringraziarmi che quel Draugr abbia eseguito i miei ordini e che sia entrato nei sogni di Sharon. Se non le avesse mostrato quell'Adaro come volevo io, beh, ciao ciao Delice. Quel fantasma è stato essenziale per muovere Sharon a mio piacimento. -
- Lo so che è la tua pedina preferita, ma è anche la mia migliore amica, non dimenticartelo. - Dico con tono duro. - Se le dovesse succedere qualcosa, io... -
- Tu cosa? La stai tradendo da anni, e ora ti viene in mente che è la tua migliore amica? La posta in gioco è troppo alta per non rischiare, Lambton. E se ti riferisci alla storia di June, è stato necessario. Aveva preso Jackson, e so che l'avrebbe ucciso e... -
- Stava per ammazzare Sharon! - Replico, facendolo sbuffare, non solo per il mio tono di voce, ma anche per averlo interrotto, dato che odia essere bloccato nel bel mezzo di un discorso.
- Ha rapito Jackson. Non potevo permetterlo, lo sai. Ho dovuto mostrarle in sogno quella casa abbandonata, quando è rimasta a dormire da te. Doveva capire cosa stava succedendo. June voleva morti sia lei sia Jackson, e io voglio vivi entrambi. - Sospiro mentre lancio gli occhiali da sole sul cruscotto e mi passo una mano tra i capelli. In effetti, June ha deciso di vendicarsi nel momento meno opportuno. Lui aveva un piano ben preciso, e mandare a salvare Jackson non ne faceva parte. Da quando l'ho avvertito del fatto che la strega aveva ammaliato lo Gnomo, ha cominciato a mandare quel Draugr nei sogni di Sharon, ma credo che lui sapesse cosa sarebbe successo con June anche prima. Da quella creatura ha fatto plasmare quel sogno sulla casa abbandonata settimane prima dell'incidente di Ramsey Kansas e dell'ammaliamento di Jackson. Forse stava cercando di impedirlo in qualche modo, ma comunque non poteva far molto utilizzando Sharon: lei non sapeva che June c'entrasse con la maledizione dell'albero. Credo però che quella donna-fantasma non avesse chiesto aiuto solo a Sharon, ma anche a lui. Forse è grazie a lei che sapeva. Mi domando però come lui faccia sempre a sapere tutto in generale. Beh, non proprio tutto: per spiare Sharon gli servo io perché non può farsi vedere in giro, ovviamente, dato che tutti lo credono morto. Qui non conosce nessuno, quindi potrebbe girare senza problemi, ma il suo aspetto fisico gioca a suo sfavore, purtroppo.
- Ed evita di chiamarmi. Ti avevo detto che l'avrei fatto io. Menomale che l'altra volta, al Pronto Soccorso, Sharon era presa da Harry, altrimenti avrei dovuto inventarmi un'altra bugia per non fare il tuo nome. -
- Luke ha parlato con Sharon? - Chiede dopo, con voce più calma, come se non avesse per nulla udito le mie parole. M’inumidisco le labbra, assaporando il gusto del mio lucidalabbra alla ciliegia, e annuisco, pur sapendo che lui non mi può vedere.
- Sì. Credo che adesso, dopo il casino che ha combinato Jackson, Sharon sia più dalla parte di Luke. In fin dei conti, non è un problema che Jackson le abbia accennato qualcosa, no? - Lui non mi risponde. Forse sta pensando se effettivamente sia un bene o meno, ma lo conosco: se anche un minimo dettaglio non rientra nei suoi piani, va del tutto nel pallone, e questa informazione doveva rimanere ancora segreta. Però, per qualche mese di anticipo, non è la fine del mondo. È sempre con i nervi tesi, secondo me. Dovrebbe rilassarsi un po'. Una bella giornata alla SPA, con tanto di massaggi, trattamenti e sauna non gli farebbero male.
- Devi ucciderlo prima che parta. Fatti aiutare da Luke. - Dichiara dopo un lungo silenzio. Stavolta rimango io senza parole dopo che il mio respiro si è fermato per un attimo. So che è strano, ma non è mai stato incoerente. Ha fatto di tutto per salvarlo, mentre ora vuole che lo ammazzi? Non posso farlo, sebbene Jackson abbia ucciso me non degnandomi mai di un suo sguardo quando ho cercato in tutti i modi di farmi notare da lui.
- Non posso. - Sussurro, spaventata dalla sua possibile reazione. Non sempre mi oppongo, ma non posso davvero far questo allo Gnomo. Passo solo le informazioni, non mi macchierei le mani di sangue. E poi, mi si rovinerebbero anche le unghie. E vomiterei. E il mio alito non sarebbe per nulla buono dopo.
- Preferisci vedere i tuoi parenti morire? - Non so che fare. Non voglio uccidere Jackson, ma non voglio neanche che la mia maledizione uccida i miei futuri figli. So che lui non aspetterà molto per una risposta, quindi devo decidere in fretta: Jackson o loro.
- Non ucciderò nessuno dei due, Gabriel. - Affermo infine con tono deciso. - Ci sarà un altro modo, ci deve essere. Lo troverò io, ma non ucciderò tuo fratello. -
- È proprio vero che l'amore è una debolezza. - Sospira lui. Serro la mascella alle sue parole, infastidita. Non dovrei neanche chiedermi come faccia a sapere che mi piace lo Gnomo. Credo sia abbastanza ovvio, eppure quella ignorante di Sharon non è mai riuscita a capirlo. Tanto mi ha promesso che non le interessa più, e poi comunque non ci potrebbe mai essere nulla tra di loro.
- Stai zitto! - Alzo il tono della voce, irritata. - Come tu potresti uccidere la mia sola salvezza, anch’io potrei uccidere la tua. Potrei uccidere Sharon. - Respiro velocemente, non riuscendo più a trattenere quella frustrazione. Non la ucciderei davvero, ma bluffare sembra una buona tecnica. Lui la usa sempre. - Non giocare con me. -
- Ti potrei dar fuoco da un momento all'altro, tu non giocare con me! - Ribatte lui, trasformando nuovamente quella voce pacata in un timbro forte e carico di rabbia. Nessuno dei due parla: entrambi abbiamo bisogno di calmarci perché sappiamo che nessuno dei due vuole far saltare i piani dell'altro. Senza di me, lui non avrebbe modo di sapere sempre dove sia Sharon: sono l'unica più vicina a lei che può riferirgli ogni suo singolo movimento. Tra i due, ci rimetterà più lui. Non può neanche mandare qualcuno del gruppo a stringere amicizia con lei al posto mio: Sharon non è così ingenua come lo era prima e, se qualcosa dovesse andare storto, potrebbero anche ucciderla, e lui cerca di evitarlo da sempre. Motivo per cui ha mandato anche dei mostri meno pericolosi per farle sviluppare i poteri senza correre rischi eccessivi, nonostante le Ek Ek non siano state davvero così sicure. Lei non sa che erano solo prove, ma così deve essere. Tutto ciò che sta succedendo alle sue spalle deve ancora rimanere un segreto.
- Aspetto i tuoi ordini, Gabriel. - Affermo alla fine, come sempre, mentre attendo nuovamente una sua risposta. Lui, però, sta ancora prendendo dei respiri per calmarsi. Non perde mai la calma, e quando succede ha bisogno di tranquillizzarsi di nuovo per non prendere decisioni stupide.
- A Jackson penso io, tu continua a fare quello che hai fatto finora: non perdere di vista Sharon. Voglio che la mia cuginetta preferita sia viva quando ci parlerò. - Chiude la chiamata, lasciandomi ad ascoltare quel "tu tu tu" insopportabile. Rimango con la schiena attaccata al sedile, immobile, mentre una scarica di adrenalina percorre tutto il mio corpo. Sono preoccupata per quello che potrebbe succedere, non voglio che nessuno si faccia male, specialmente Jackson, ma non sono molto tranquilla dopo le sue parole. Ho paura che Gabriel possa ucciderlo, e ne è capace. Aspetta questo da sempre, praticamente; sono sicura che vuole questo. Forse non avrei mai dovuto chiedere aiuto proprio a lui, ma quando lo incontrai in Inghilterra due anni fa, mi sembrava l'unica scelta che avevo. Rimpiango di non aver capito prima che zia Tess è una maga e che solo Gabriel me l'abbia detto dopo: lei mi avrebbe aiutato senza volere qualcosa in cambio. Soprattutto ora che anche Sharon sa dei poteri di sua zia, mi avrebbe potuto dare una mano. Avrei potuto fare scelte diverse, ma ora è troppo tardi. Non può più cercare di risolvere il mio problema. Non avrei dovuto intromettermi negli affari di famiglia degli altri, specialmente in quelli di Gabriel, ma ciò che è fatto è fatto, e non ho voglia né tempo di pensare a come sarebbe potuto essere se avessi scelto un'altra strada. Lascio il cellulare sulle mie gambe e infilo di nuovo la mano nella borsa. Ne estraggo la cartella che rubai una sera nell'ufficio anagrafe e la studio con lo sguardo, soffermandomi sul nome sulla copertina: Sharon Steel.
- Vediamo un po' cosa non so di te. - Mormoro mentre la apro.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3893752