The World of Demons - Il Portale dei Demoni

di Zikiki98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Informazioni ***
Capitolo 2: *** 1. History ***
Capitolo 3: *** 2. Ave Idris ***
Capitolo 4: *** 3. Forks ***
Capitolo 5: *** 4. Traces in the woods ***
Capitolo 6: *** 5. First Day (part. 1) ***
Capitolo 7: *** 6. First Day (part. 2) ***
Capitolo 8: *** 7. Mr. Cullen ***
Capitolo 9: *** 8. Emmett ***
Capitolo 10: *** 9. Gold Eyes ***
Capitolo 11: *** 10. Sangui Sanguinis Mei ***
Capitolo 12: *** 11. He's back ***
Capitolo 13: *** 12. Looks ***
Capitolo 14: *** 13. You protected me ***
Capitolo 15: *** 14. No one will have mercy on you ***
Capitolo 16: *** 15. Seattle ***
Capitolo 17: *** 16. Strange Happenings ***
Capitolo 18: *** 17. Parabatai ***
Capitolo 19: *** 18. Clair De Lune ***
Capitolo 20: *** 19. No Matter What We Are ***
Capitolo 21: *** 20. Trouble Ahead ***
Capitolo 22: *** 21. Forgiveness ***
Capitolo 23: *** 22. Werewolves ***
Capitolo 24: *** 23. I'm a Shadowhunter ***
Capitolo 25: *** 24. Photographs ***
Capitolo 26: *** 25. Chaos ***
Capitolo 27: *** 26. Daughter of No One ***
Capitolo 28: *** 27. Lost ***
Capitolo 29: *** 28. Stories From The Past ***
Capitolo 30: *** 29. Be Careful ***
Capitolo 31: *** 30. The Gate ***
Capitolo 32: *** 31. No Way Out ***
Capitolo 33: *** Epilogo ***
Capitolo 34: *** SECONDA PARTE ***



Capitolo 1
*** Informazioni ***


Ciao a tutti! 
Probabilmente qualcuno già mi conosce e ha già letto, in parte, questa storia. Per altri invece, questa è la prima volta.
Io sono Zikiki98, ma il mio vero nome è Federica e ho 20anni. Ho iniziato a scrivere questa storia quando avevo 14anni e da allora il mio modo di esprimermi è decisamente cambiato. Proprio per questo motivo, ho deciso di riscriverla da capo, aggiungendo delle parti e modificandola, perché sono cresciuta e sono maturata. Non potevo continuare a pubblicare nella storia precendente perchè avrebbe voluto dire modificare tutti i capitoli pubblicati, e a quel punto, a mio parere, non avrebbe più avuto molto senso.
Non mi dilungherò a lungo, spero che questa storia vi piaccia. Potete trovare questa storia sia qui su Efp (questa ahah, non confondetevi con quella vecchia che è scritta male e non la terminerò) sia su Wattpad. Leggetela dove siete più comodi.
Fatemi sapere che cosa ne pensate.
Pubblicherò subito i primi 9 capitoli che su Wattpad sono già presenti, in modo da riequilibrare le tempistiche e il punto della storia.
Un beso :-*
Zikiki98.

 
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LINK WATTPAD: https://www.wattpad.com/story/153063535-the-world-of-demons-il-portale-dei-demoni-twilight

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Capitolo 2
*** 1. History ***


THE WORLD OF DEMONS 
IL PORTALE DEI DEMONI


1. HISTORY
 

Idris era incantevole: le infinite colline di prati verde acceso, i fiori delicati color bianco candido e il cielo azzurro chiaro e cristallino... Era così bella da non sembrare reale.

Idris era casa mia e tutto ciò che ne faceva parte rappresentava la mia vita. Avrei vissuto qui per l'eternità, eppure il fato aveva prescritto un altro destino per me.

Non riuscivo davvero a credere che avrei dovuto abbandonare tutto questo. Lasciare la mia patria e con essa una parte del mio cuore, senza essere sicura che un giorno vi avrei fatto ritorno. Tutto in questo momento dipendeva dal caso.

Ad ogni modo, volente o nolente, avrei dovuto adempire al mio compito.

Da cento anni ormai noi Shadowhunters ci eravamo nascosti per proteggerci da una situazione che ai nostri antenati era sfuggita di mano, fino a diventare una vera e propria catastrofe. Eravamo fuggiti dagli occhi del mondo, lo stesso che stavamo proteggendo e che contemporaneamente ci stava sterminando, a causa dell'incontrollata venuta di demoni sulla terra. Troppi per noi valorosi, capaci e forti Cacciatori: non eravamo abbastanza per vincere quella battaglia, avevamo perso troppi fratelli e sorelle già in precedenza.

Tutti ci credevano estinti, ma in realtà ci eravamo semplicemente rifugiati tra le braccia della nostra madre patria, l'unica che in quel momento ci avrebbe potuto concedere di vivere il più al sicuro possibile, ad un'unica condizione: restare nell'ombra.

Dopo un secolo in nostra assenza, stavamo per tornare a ricoprire nuovamente la nostra specie di gloria e onore, per svolgere il nostro dovere, ciò per cui eravamo stati creati: combattere i demoni anche a discapito della nostra vita.

Ognuno di noi ha il proprio ruolo nel mondo, il proprio scopo, il fine ultimo. Il nostro era quello di uccidere demoni per rispedirli nella loro dimensione e mantenere così l'equilibrio naturale delle cose. Era come una specie il ciclo della vita, in un certo senso: il più forte che si avventa sul più debole e così via, ma in una visione più battagliera e eroica.

Se da un lato ero triste e malinconica nel lasciare Idris, dall'altro ero elettrizzata e eccitata nel vedere, nello scoprire, com'era il mondo al di fuori dalle protezioni della città che ci avevano sempre fatto da scudo e da divisore.

I Cacciatori più giovani, come me, erano elettrizzati all'idea che un giorno questo momento sarebbe arrivato e, ora che era decisamente alle porte, nessuno, nemmeno gli adulti, stavano più nella pelle. L'idea di libertà, dopo quello che successe ai nostri antenati, ci appariva sempre più distante e inafferrabile, ma non ce la facevamo più a vivere costantemente protetti in una bolla di vetro, da minacce che per noi sarebbero state sempre gravose e difficili da contrastare. Nonostante Idris fosse perfetta, stava iniziando stare stretta a molti noi.

Eravamo stati addestrati per combattere demoni ed era giunto il momento di riappropriarci dei nostri compiti.

La nostra segregazione ad Idris iniziò nel 1919, con le persecuzioni e le occupazioni da parte dei demoni di ogni singolo Istituto presente sul pianeta. I nostri Cacciatori, per rispondere al loro colpo, grazie anche all'aiuto del nostro stregone di fiducia, li attirarono nel deserto del Sahara per combatterli. La loro strategia era perfetta: i demoni potevano anche essere forti e brutali, ma erano essenzialmente esseri stupidi che non agivano seguendo una vera e propria logica finalizzata, soprattutto senza la guida del loro evocatore; perciò, li trascinarono in un luogo lontano dagli occhi mondani. Non credevano di riuscire a sconfiggerli da soli con le loro forze, appunto per l'inferiorità numerica, ma speravano almeno di riuscire a domarli fino al sorgere del sole, dopodiché la luce avrebbe fatto il suo dovere. Purtroppo, non andò come previsto e tutti gli Shadowhunters che parteciparono partecipato alla battaglia morirono, tranne due cacciatori che vennero ritrovati quasi in fin di vita in mezzo ad un mare di cadaveri e di icore.

Io ovviamente non ero ancora nata, ma i racconti degli Anziani e dei Fratelli Silenti facevano accapponare la pelle e rendevano bene l'idea degli avvenimenti di quel periodo.

I giorni seguenti alla battaglia dovettero essere stati davvero terrificanti, vissuti tra la paura di sopravvivere e il desiderio macabro di morire per sfuggire ad altro dolore, dovuto a ferite sia fisiche sia morali. I nostri antenati combatterono quella guerra con tutte le loro forze, lottando per Idris e per i Cacciatori a venire, ma purtroppo fu persa. Tutti gli Anziani che vi parteciparono e quei due che riuscirono a sopravvivere, ormai morti di vecchiaia, sarebbero rimasti per sempre impressi nelle nostre memorie insieme alle loro gesta e al loro coraggio, in segno di rispetto e gratitudine.

Avevano perso quella battaglia, ma la loro determinazione e la loro forza avevano permesso che oggi esistessero ancora gli Shadowhunters.

Successivamente a quell'evento, un po' perché di cacciatori ne rimasero davvero pochi e un po' per paura, gli antenati si rifugiarono ad Idris chiudendo tutte le entrate, le uscite e aumentando a dismisura le difese delle protezioni che circondavano la città, facendo lampeggiare costantemente le Torri Antidemoni in segno di allerta. Non si sapeva con certezza, ma, tenendo presente la mancanza all'appello di alcune famiglie, ad un certo punto nacque il dubbio che qualcuno fosse rimasto fuori dalle porte di Idris perché non arrivato prima che le protezioni venissero azionate permanentemente. Infatti, per raggiungere la nostra patria in molti dovettero utilizzare i mezzi mondani dell'epoca, evitando appositamente i portali, per non facilitare i demoni nel rintracciarci. Quindi, un'opzione del genere risultò molto probabile tenendo tutto considerato. Ma tutti preferirono pensare comunque che fossero ancora vivi e che in qualche modo, là fuori, sarebbero riusciti a cavarsela e a sopravvivere, piuttosto che alla loro possibile morte. Probabilmente, pensarla così li fece sentire meno colpevoli per non averli aiutati abbastanza.

Nonostante fossimo sotto la costante protezione delle torri e ormai il resto del mondo viveva nella convinzione che i Nephilim fossero tutti morti, anche molti anni dopo, per la precisione nel 2004, alcuni demoni riuscirono a ingannare il sistema e a penetrare nella città, uccidendo Cacciatori su Cacciatori, non fermandosi neanche davanti a dei poveri e innocenti bambini.

I miei genitori, Charlie e Renée Swan, morirono quel maledetto giorno, il giorno che noi chiamavamo l'Attentato.

Ero solo una bambina: allora avevo sei anni e mio fratello Sebastian ne aveva solamente due più di me. Era un episodio della nostra vita che non avremmo mai dimenticato, fino alla fine dei nostri giorni. Fu un momento terribile per entrambi: restammo a guardare impotenti i loro volti deformarsi dal dolore, i loro sguardi spegnersi e abbandonare la vita che impregnava i loro corpi. Questo, i loro corpi fatti a brandelli, grondanti di sangue e imbrattati icore, erano ancora parte dei miei incubi peggiori.

Fortunatamente, grazie all'Angelo Raziel, dopo la scomparsa dei nostri genitori, io e mio fratello, non venimmo abbandonati a noi stessi, ma la famiglia Durwood si prese cura di noi piccole pesti, adottandoci.

Erano vecchi amici dei nostri genitori e li conoscevamo, perciò eravamo stati davvero molto fortunati. Non potevamo chiedere candidati migliori per crescere come nostro padre e nostra madre avrebbero voluto crescerci, perché sapevamo che ci avrebbero insegnato i giusti valori della famiglia, della patria e della guerra, gli stessi in cui loro credevano.

Non tutti avrebbero fatto quello che i Durwood fecero per me e per mio fratello, e di questo gliene sarei sempre stata grata per la vita.

Siamo stati cresciuti ed educati alla pari dei loro figli William, George e Stephan, imparando l'arte del combattimento e della guerra da nostro padre Jonathan e materie come la demonologia, la biologia e la botanica da nostra madre Marie.

Per me e Sebastian, ma soprattutto per me, erano dei veri e propri punti di riferimento. A loro dovevo tutto ciò che ero riuscita a diventare, senza riserve: una guerriera.

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Zikiki98

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Capitolo 3
*** 2. Ave Idris ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


2. AVE IDRIS


Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta della mia stanza, risvegliandomi dai miei pensieri.

- Avanti - dissi tranquillamente, senza cambiare posizione.

Seduta sul davanzale della finestra, stavo contemplando il paesaggio come mai avevo fatto prima. Lo scrutavo con occhi più attenti e vigili, nel tentativo di memorizzare qualunque cosa il mio cervello riuscisse poi a ricordare, in modo da avere meno nostalgia possibile una volta lontana da qui. Probabilmente perché sapevo che questa sarebbe stata l'ultima volta che avrei rivisto quello spettacolo dopo chissà quanto tempo.

La cosa sinceramente mi metteva un po' paura: spostarsi così, senza un preavviso abbastanza lungo che permettesse di realizzare appieno la cosa e dopo non aver visto nient'altro se non questa città era terrificante. Ma avrei dovuto accettarlo e lo avrei fatto ricordandomi che, in fondo, non ero l'unica a trovarmi in quella situazione. Fuori da quella casa c'erano altre migliaia di persone che si sentivano proprio come me. Non c'era spazio per i piagnistei o le lamentele.

La serratura scattò, spalancando la porta e rivelando così la figura di mio fratello Stephan, il minore della stirpe dei Durwood.

Io e Ste eravamo molto legati, soprattutto perché entrambi avevamo sedici anni e, in quella casa piena di adulti, era sollevante trovavare conforto l'uno nell'altra davanti alle ingiustizie imposte dai nostri genitori, che tendevano a differenziarci dai nostri fratelli maggiori, per via dell'età.

L'unica pecca di questo fantastico rapporto con lui era la gelosia costante di Sebastian, unico mio fratello di sangue. Seb viveva nella convinzione che io preferissi Stephan a lui, nonostante gli avessi spiegato più volte che non avevo alcun tipo di preferenza sui miei fratelli.

- Fatto le valige? - chiese avvicinandosi a me lentamente con uno sguardo che diceva più di mille parole.

Lo guardai e sospirai, accennando un piccolo sorriso - Sì... e tu? - .

- Pronte! - esclamò esagerando decisamente con l'entusiasmo, anche se mi fece ridere.

Senza che lo invitassi a farlo, si accomodò davanti a me sul davanzale facendo incrociare le nostre gambe in un groviglio confuso e cambiando la posizione comoda che ero riuscita a trovare precedentemente, con tanta fatica.

Decisi di continuare a mantenere il mio sguardo fuori dalla finestra con aria pensierosa, finché non iniziai a sentire i suoi occhi sulla mia figura, mettendomi a disagio. Sapeva quando mi desse fastidio sentirmi osservata e lui stava facendo esattamente una delle cose che mi irritavano di più al mondo.

- Qualcosa non va? - chiese scrutandomi con più attenzione.

Sapevo che si sarebbe accorto che qualcosa non andava, solo lui era capace di captare le mie emozioni e i miei pensieri prima ancora che riuscissi io a darne un senso. Probabilmente, aveva notato il mio malumore appena entrato nella mia stanza.

Mi mordicchiai leggermente il labbro inferiore pensando a cosa dire. Lo facevo sempre quando ero un po' nervosa e in quel momento lo ero. Fin troppo.

- È tutto okay, è solo che... questo posto mi mancherà come l'aria. Sarà difficile lasciarselo alle spalle - .

Non c'era alcuna necessità di aggiungere altro, sapevo che lui avrebbe capito ciò che intendevo.

I miei genitori biologici erano stati sepolti qui e questo avrebbe di conseguenza reso impossibile la possibilità che io andassi a trovarli con la stessa frequenza con cui ero andata finora. Avevo la sensazione di abbandonarli lasciando Idris in questo modo, di punto in bianco. Avevo già messo in conto che sarebbe stato difficile andarsene, per ovvi e validi motivi, ma credevo che avrei iniziato a percepire i sensi di colpa una volta che fossi stata catapultata nel mondo mondano, una volta che mi fossi resa conto di essere effettivamente distante da Idris. Non avrei mai immaginato che questo turbine di sentimenti e pensieri negativi si sarebbe presentato così presto.

Come volevasi dimostrare, Ste colse i miei pensieri al volo - Non ti lascerai nulla alle spalle, Bella. Vedrai che non sarà nulla di definitivo. Appena termineremo il nostro dovere torneremo qui, io ti riporterò qui -.

Le sue parole ebbero l'effetto desiderato e mi fecero sorridere - Ma quanto puoi essere dolce? -.

Rise sistemandosi meglio gli occhiali sul naso - Va bene, non dirlo agli altri -.

Per "altri" intendeva William, George e Sebastian che, ormai, secondo la nostra politica, potevano essere considerati senza problemi Cacciatori adulti, avendo compito la maggior età.

Per questo in quel momento, io e Stephan, eravamo gli unici rimasti a casa, perché tutta la nostra famiglia era alla riunione del Consiglio e, considerando che non avevamo ancora compiuto diciotto anni, per il Conclave eravamo dei bambini e, per tale motivo, era fuori discussione che potessimo parteciparvi.

Trovavo decisamente umoristico il fatto che, a causa della nostra giovane età, venissimo esclusi dalle riunioni del Conclave, perché considerati ancora dei bambini, ma, sempre secondo quest'ultimo e le sue leggi, eravamo comunque abbastanza adulti da affrontare orde di demoni, rischiando la nostra vita per proteggere quella altrui. Ero fermamente convinta che partecipare fosse un nostro diritto, ma sapevo che protestare per questo non avrebbe portato a nulla. Sarebbe stato come cercare di prendere una manciata di mosche. Inoltre, avevamo ben altri problemi più importanti da risolvere e poi, avrei dovuto attendere ancora qualche anno, e anche io avrei potuto ascoltare e intervenire alle riunioni, perciò il problema non mi avrebbe più riguardata in prima persona.

Lo giuro sull'Angelo - proclamai portandomi la mano destra sul cuore con fare solenne e rispettoso nei confronti del nostro creatore.

Alzò gli occhi al cielo - A volte sei davvero assurda -.

Gli feci la linguaccia, divertita dalla piega che aveva preso la nostra piccola conversazione. Tra di noi finiva sempre così: non importava quanto fosse serio il discorso che stavamo affrontando, noi trovavamo sempre il modo per riderci sopra.

- Davvero maturo! - mi prese in giro riferendosi alla mia smorfia, provando a farmi il solletico, ma fortunatamente riuscii a fuggire in tempo dalle sue mani.

- Parla per te, idiota! - dopodiché gli diedi un pugno sulla spalla abbastanza forte da fargli perdere l'equilibrio. Cadde a terra come un sacco di patate.

Ci guardammo per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere nuovamente. Era un dannato circolo vizioso. Stare insieme a Stephan era una delle cose più semplici e naturali che si potessero fare e condividere parte delle mie giornate con lui era bello, perché spesso era l'unico che riuscisse a capirmi davvero, o almeno ci provava, in modi che nemmeno Sebastian, nonostante quello che avevamo trascorso insieme, era mai riuscito a fare. Ma questo non significava che io lo amassi di meno rispetto a Ste.

Inoltre, guardandolo attentamente, dovevo ammettere che Stephan era un bel ragazzo. Non il tipo che mandava in brodo di giuggiole centinaia di ragazze, come William e Sebastian per esempio, ma era altrettanto affascinante, anche se in modo nettamente differente. Stephan aveva i capelli a ciuffo color biondo scuro, gli occhi sottili e azzurri e i tratti del suo viso erano in parte ancora infantili e dolci e in parte stavano diventando più maturi, questo dovuto al periodo di transizione in cui si trovava. Per di più, come avevo già accennato prima, un paio di occhiali tondeggianti gli ricadevano leggeri sul naso, dandogli un'aria decisamente più tenera rispetto a Will, George e Seb. Inoltre, era alto circa un metro e ottanta, era poco più basso dei suoi fratelli. Essendo un giovane cacciatore, fisicamente non era niente male, ma spesso, a causa della sua goffaggine, difficilmente veniva preso sul serio.

In ogni caso, i fratelli Durwood sembravano essere stati clonati uno ad uno: erano tutti uguali e spiaccicati al padre. Erano tutti e tre alti, muscolosi, biondi e con gli occhi chiari.

Dalla madre, invece, che era di media statura, con dei lunghi capelli neri che le ricadevano fini a poco dopo le spalle e gli occhi scuri, avevano preso poco se non niente. Probabilmente, le si avvicinavano di più caratterialmente parlando. Avevano ereditato le qualità migliori che Marie potesse offrire loro: la dolcezza, la comprensione, la compassione, la bontà d'animo e l'intelligenza.

Ad un certo punto in lontananza, guardando fuori dalla finestra, riuscii ad intravedere alcuni Shadowhunters che si stavano incamminando verso casa propria. Questo significava probabilmente che la riunione era finita e che da lì a poco la nostra famiglia sarebbe tornata a casa per annunciare le decisioni che erano state prese dal Conclave e le ultime raccomandazioni del Console prima delle partenze.

Quello di cui tutti eravamo certi, anche senza necessariamente partecipare all'incontro, era che ogni famiglia si sarebbe dovuta trasferire in una delle città dove era presente una maggior attività demoniaca. Fortunatamente, il Conclave era riuscito a localizzare sulla mappa, grazie soprattutto all'aiuto del nostro stregone Elias, l'unico nascosto che avesse mai abitato ad Idris da quando sorse, esattamente i luoghi dove poteva esserci un alto tasso di questa presenza, anche se ovviamente, essendo dei reclusi, non potevamo esserne completamente certi.

- Stanno tornando - pensò ad alta voce Ste, sedendosi nuovamente al mio fianco, con lo sguardo perso fuori dalla finestra.

- Già - e gli passai subito una mano davanti agli occhi per riportarlo alla realtà - Ehi, ci sei ancora? - .

- Sì, sì, scusa. Stavo solo pensando -.

- A cosa? - domandai curiosa.

Sorrise timidamente - Niente di importante, davvero -.

Era inutile insistere con lui se non aveva voglia di parlare di qualcosa. Sapevo che se non me ne parlava era perché o non si sentiva pronto o non la riteneva comunque una questione abbastanza importante da essere esplicata. Non ero di certo quel tipo di persona che insisteva, non ero così impicciona, ma in ogni caso lui sapeva che qualsiasi cosa avesse avuto, lo avrei ascoltato, sempre.

Sospirai - Come vuoi. Li aspettiamo di sotto? - .

- Certo! - .

Così, senza dire più nulla, ci alzammo e ci incamminammo verso il salotto, curiosi di sapere dove ci avrebbe portato questa nuova avventura.

__

- Forks? Non ne ho mai sentito parlare - mormorò poco convinto Stephan accanto a me, quando nostra madre ebbe finito di parlare.

Nemmeno io ne avevo mai sentito parlare, e dire che in geografia non me l'ero mai cavata male, anzi, ottenevo sempre degli ottimi risultati. Questo mi fece dedurre che molto probabilmente era una piccola cittadina abitata da pochissime persone. Soltanto per quest'ultimo fattore, non doveva essere poi così male, giusto? Non tenevo molto a trasferirmi in una metropoli super popolata e rumorosa, quando qui ero stata abituata ad uno stile di vita decisamente più tranquillo e poco "affollato".

- È vicino a Seattle - lo informò Will che, nonostante la stanchezza.

I miei famigliari erano tornati da quella riunione tutti molto stanchi e assonnati. A quanto detto da loro, erano state tre ore davvero allucinanti, a cui si avrebbe potuto fare volentieri a meno, se solo quest'evento fosse stato organizzato in modo migliore. Per questo, riuscivo a compatire la stanchezza dei miei fratelli maggiori, essendo stata per loro la prima assemblea del Conclave.

Ci spiegarono che alcuni conservatori della città, che non volevano assolutamente accettare le nuove riforme indette dal Consiglio e dal Console, avevano deciso di discutere le loro motivazioni, alzando la voce e causando così un grande caos generale.

Quindi, ripensandoci bene, essere adulti, non portava poi tutti questi grandi vantaggi...

- Ovviamente - riprese la mamma, che aveva parlato fino a poco prima che intervenisse il suo primo genito - Non controlleremo un territorio così vasto. Ci limiteremo a proteggere Forks, dove risiederemo stabilmente, Port Angeles e La Push. Tenete conto che alla riserva il territorio appartiene ai Quileutes, quindi ci sarà meno lavoro da svolgere -.

La guardai sorpresa. I Quileutes? Chi erano? Com'era possibile che un popolo di esseri umani potesse proteggere le proprie terre e le persone che ci vivevano?

Non potevano combattere contro dei demoni, non ne avevano né le capacità né i mezzi. Avrebbero scambiato quei mostri per cani rabbiosi o altri esseri simili, sottovalutando la situazione e conducendoli così ad una morte certa. Anche se fossero sopravvissuti, erano comunque troppo deboli per affrontarli.

- Com'è possibile? - chiesi infine, lasciando trapelare tutto il mio sconcerto.

Fu nostro padre Jonathan a rispondermi - A quanto sembra, il suolo è battuto da un branco di licantropi -.

Stephan, al mio fianco, si lasciò andare in un urlo di esaltazione - Wow! Licantropi? Quindi collaboreremo con i Nascosti! - .

Non avendone mai visto uno, in tutta onestà, l'idea di incontrare un gruppo di lupi eccitava anche me, nonostante fossi consapevole che, dopo tutto quello che era successo ai nostri antenati e soprattutto, per quanto mi riguarda, ai miei genitori, non avrei dovuto sentirmi in quel modo. Perciò, cercai di fare il possibile per non dare a vedere la mia esaltazione e di contenere le mie emozioni. In particolar modo, avrei dovuto nascondere i miei sentimenti da Sebastian.

Mio fratello era convinto fortemente che tutto quello che era capitato alla nostra specie negli ultimi cento anni, fosse dovuto anche in parte ad alcuni Nascosti. Lo credevo anche io, anzi, in realtà ne eravamo convinti tutti. Sapevamo che era così, un po' per gli innumerevoli diverbi tra noi Nephilim e le altre creature del mondo magico e un po' perché, dopo la stipulazione degli Accordi, i Nascosti credevano che noi Cacciatori volessimo dominare e controllare tutto e tutti. Ovviamente, anche a difesa della mia specie, non era così, fraintesero semplicemente le nostre intenzioni, ma non tutti lo capirono.

Per questo, Sebastian non sopportava le altre creature del Mondo Invisibile. Le riteneva tutte responsabili delle nostre disgrazie e probabilmente se se ne fosse ritrovato uno davanti, l'avrebbe fatto passare a miglior vita senza pensarci troppo.

- Non ci pensare nemmeno! - urlarono George e Sebastian ammonendo Stephan, con una decisione tale che uno schiaffo in faccia probabilmente avrebbe causato meno dolore e umiliazione.

Stephan, come previsto, si deprimi subito - Come? Perché? -.

- Non possiamo rivelare la nostra esistenza ai Nascosti - spiegò Sebastian - Non sappiamo esattamente come sia andata cento anni fa, potrebbero aver collaborato con chi ha creato quel maledetto esercito di demoni -.

Era vero e sicuro quanto la morte che qualche Nascosto, anni orsono, avesse collaborato con il nemico a noi sconosciuto. Soltanto gli stregoni avevano la capacità di creare portali per mettere in collegamento una dimensione con un'altra, quindi sicuramente c'era di mezzo qualche Figlio di Lilith in questa storia. Tutte le altre creature del Mondo Invisibile, compresi noi Nephilim, non ne avevano le capacità. Ma non avendo prove sull'accaduto e, soprattutto, i nomi dei responsabili, non potevamo fare delle accuse del genere dandole per certe. Quindi, quando incappavamo in questo argomento, noi Shadowhunters parlavamo sempre a livello ipotetico.

- Com'è possibile che non se ne accorgano? I lupi fiuteranno il nostro odore! - esclamai confusa, non riuscendo a seguirli.

Era davvero un'idea assurda e impensabile quella di nasconderci tra i Nascosti facendo finta di nulla. Per l'Angelo, non aveva alcun senso.

- Il branco è giovane, si è formato solo da qualche anno - continuò imperterrito mio fratello - Sicuramente non avranno mai sentito parlare di noi. Di chi ci dobbiamo preoccupare veramente sono i vampiri e gli stregoni: loro sono immortali e quelli che hanno anche solo un secolo di vita sanno che siamo esistiti. Dovremmo camuffarci, soprattutto voi - terminò riferendosi a me e Stephan.

- Perché? - domandai confusa, alzando le sopracciglia.

- Secondo lo stato Americano dovete andare a scuola - ci informò nostro padre - e per non destare sospetti, ci andrete davvero -.

A scuola? Avrei dovuto frequentare le scuole mondane? Non ne avevo mai frequentata una in tutta la mia vita, nemmeno qui, ad Idris. Come avrei mai potuto frequentare una scuola di esseri umani senza che capissero che effettivamente non ero mai andata a scuola? I miei insegnanti erano sempre stati Jonathan e Marie e, di conseguenza, né io né i miei fratelli avevamo mai messo piede in un vero e proprio istituto. E poi, ero più che convinta che le materie non fossero le stesse: non penso che per i mondani fosse utile studiare demonologia, come per me non era rilevante studiare matematica.

Anche Stephan al mio fianco sembrò preoccuparsi - Scuola? Ma noi non ci siamo mai andati! Di sicuro non ci saranno nemmeno le stesse materie e noi non abbiamo le giuste competenze per... -.

Marie lo interruppe quasi subito - Dovete solo stare attenti e proteggere gli umani presenti nella scuola, mentre noi penseremo al resto del territorio che ci hanno assegnato. Non dovete per forza prendere buone valutazioni, non ci interessa questo, ma dovete compiere in modo eccellente il vostro compito di Shadowhunters, senza dare confidenza a nessuno, sia chiaro. Non dovete farvi scoprire, il Conclave è stato molto severo su questo argomento -.

Incondizionatamente, mi guardai le braccia ricoperte dalle rune e dalle cicatrici prodotte dallo stilo. Sarebbe stato un impiego più difficile del previsto. Questi simboli, per quanto ne andassi orgogliosa, anzi, per quanto tutti noi ne andassimo orgogliosi, erano troppo evidenti e non sarebbe stato facile occultarle.

- Come faremo a nascondere le rune? - chiesi con una certa preoccupazione.

Ogni Shadowhunters amava le proprie rune e le proprie cicatrici, perché ognuna aveva una sua origine e una sua storia. Più il corpo ne era ricoperto, più si era rispettati dagli altri Cacciatori. Era una questione d'onore. Bisognava indossarle con orgoglio, perché dimostravano con quanta dedizione un cacciatore si impegnava nell'eseguire la propria missione. Detto volgarmente, erano come dei premi che rappresentavano la bravura di uno Shadowhunter in un certo senso.

- Questo sì che è un problema... - mormorò sfregandosi il mento con una mano, Will.

- Dovrete coprirle, non avete scelta. Niente maglie scollate. Dovrete indossare felpe, maglioni e magliette a maniche lunghe - affermò Sebastian - Non risulterà strano, a Forks fa freddo perfino in estate -.

Fantastico.

Una cosa che proprio non riuscivo a tollerare, oltre ai demoni ovviamente, era il freddo. Ero più quel tipo di persona che amava la calura del sole estivo e la brezza leggera della primavera. L'inverno e l'autunno non facevano proprio per me.

- E se, per sbaglio, un mondano dovesse vederle? - domandò grattandosi la testa Stephan, quasi impaurito da quella possibilità.

Alzai gli occhi al cielo. - I mondani al posto delle rune vedono cicatrici - gli ricordai con gentilezza.

Boccheggiò per qualche secondo, per poi mormorare un - Ah... giusto -.

Cercai di non ridere, anche se avevo una voglia matta di prenderlo in giro per il suo essere così sbadato. Ma questo non era esattamente il momento adatto per mettersi a sghignazzare. Era una questione seria dalla quale sarebbe dipesa la vita di ogni singolo essere vivente presente sulla Terra.

- Dovremmo prestare più attenzione ai Nascosti, invece. Loro le nostre rune le possono vedere senza difficoltà - ci ricordò Jonathan, alzandosi dalla poltrona dove si era accomodato appena messo piede in casa - Direi che è arrivato il momento di andare a riposare, domani sarà una giornata molto lunga -.

Tutti noi lo seguimmo a ruota.

- Perché? - chiesi, tanto per rompere il silenzio.

George si avvicinò di più a me poggiandomi un braccio sulle spalle, con un tale entusiasmo da prendermi quasi alla sprovvista - Domani si parte Bells! Alle cinque del mattino in piedi, anche se il portale verrà aperto alle sei, ma detto fra di noi: non ho voglia di essere l'ultimo a partire! -.

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Capitolo 4
*** 3. Forks ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI

3. FORKS


Avevamo attraversato il portale da qualche ora ormai e adesso ci trovavamo ufficialmente a Forks.

Era ancora abbastanza difficile da accettare, essendo appena arrivati, di trovarci in un posto diverso da Idris. Ma tutto sommato, per ora, Forks non sembrava poi così male...

Certo, faceva un freddo cane e non si riuscivano a scorgere altri colori oltre al verde muschio, però aveva fascino. Forse aveva fascino proprio perché era il primo luogo al mondo in cui avevo messo piede, dopo Alicante.

Quando varcammo la fine del portale, ci ritrovammo immediatamente in una casa molto ampia e solare, soprattutto considerando che era situata in una cittadina che anche d'estate vedeva a stento la luce del sole. Aveva una posizione strategica, nel bosco, per evitare l'indiscrezione degli occhi mondani. Per di più, era ben arredata e posta su tre livelli, contando la taverna. Inoltre, ognuno di noi aveva la sua stanza, proprio come ad Alicante. Questa era una delle poche cose che rimasero invariate con il trasferimento e ne fui grata. Condividere uno spazio così intimo come la camera da letto non sarebbe stato facile, non essendone abituata, soprattutto se in compagnia di quattro uomini.

Quella che in teoria doveva essere una taverna, scoprii in realtà che l'avremmo utilizzata come palestra, in modo da poterla sfruttare per i nostri allenamenti giornalieri. Inoltre, in quella zona della casa, c'era stanza, più piccola rispetto alla precedente, che sarebbe diventata la nostra Armeria.

Ma gli oggetti della casa che mi sorpresero di più, furono quelli che prima di quel momento non avevo mai avuto occasione di vedere dal vivo, come televisori, computer e telefoni. Non che ci servissero realmente, ma il loro dovere era quello di farci sembrare dei normali esseri umani al passo con i tempi.

Mentre i nostri genitori erano andati ad iscrivere me e Stephan alla Forks High School e Ste si era rifugiato nella sua nuova stanza per testare i suoi nuovi "giocattoli" elettronici, io e gli altri miei fratelli ci eravamo accomodati sui divani del salotto a parlare del più e del meno. Non era una cosa che avevamo occasione di fare spesso, perciò ogni volta che capitava, cercavo di godermelo il più possibile. Eravamo stati tutti cresciuti con una rigida educazione e ogni tanto, lasciare che il bambino represso dentro di noi prendesse il sopravvento, parlando di cose frivole e senza peso, non era poi questa gran brutta idea.

Dopo circa un'oretta, Will, George e Seb decisero di fare un pisolino, in modo da dare il massimo stanotte durante la loro prima ricognizione qui. Onestamente desideravo con tutta me stessa di andare con loro, ma sapevo già che sarebbe stato fuori discussione per diversi motivi, come il fatto che secondo loro non ero pronta o che fossi troppo piccola. Questo, in ogni caso, non mi avrebbe fermata dal tentare. Sapevo essere molto testarda e determinata quando volevo.

Dopo pochissimo tempo, i ragazzi si addormentarono profondamente ancora con la tenuta addosso. In realtà la indossavamo tutti quanti, ma questo semplicemente perché ci era stato ordinato dal Conclave la mattina stessa prima di oltrepassare il portale. Naturalmente, Marie e Jonathan si erano cambiati prima di uscire, indossando dei normalissimi abiti mondani.

Il salotto dove ci trovavamo in quel momento, comunque, era molto ampio e luminoso, arredato con tonalità di colore chiaro, con qualche pizzico di nero per rendere il tutto un po' meno monotono. Sull'unica parete senza finestre, era appeso un televisore che aveva l'aria di essere d'ultima tecnologia. Esattamente al centro della stanza era posizionato un tappeto persiano, circondato da tre divani in pelle nera.

Sdraiato sul divano posizionato alla mia sinistra c'era Will. Era talmente alto, che i piedi gli spuntavano fuori dal sofà. Probabilmente superava il metro e novanta d'altezza e, indipendentemente dalla faccia imbronciata per via del sonno, che lo faceva sembrare un bambino nonostante i suoi ventun anni d'età, era comunque molto bello e non lo dicevo perché ero la sorella. William aveva i capelli biondi a spazzola, gli occhi azzurro cielo sottili e espressivi, il naso dritto e le labbra carnose. La sua carnagione era lievemente abbronzata per tutti gli allenamenti all'aperto che svolgeva nel giardino di casa nostra, ad Idris, senza maglietta quando faceva caldo. I tratti del suo viso erano duri e dolci al tempo stesso, il giusto mix ereditato da Jonathan e Marie, e aveva una corporatura decisamente muscolosa.

Dopodiché, il mio sguardo si posò sul divano situato davanti a quello di Will, alla mia destra, dove stava dormento George. George aveva diciannove anni ed era la copia sputata di suo fratello maggiore. Poche cose lì differenziavano. Il più piccolo aveva i capelli più lunghi e ricci perennemente in disordine, era di poco più basso e aveva la carnagione più chiara rispetto a William.

Infine, mi soffermai su Sebastian, che aveva la testa appoggiata sulle mie gambe mentre russava pesantemente, completamente perso nel mondo dei sogni. Seb aveva compiuto da poco diciotto anni ed era alto circa un metro e ottanta. Aveva un bel fisico e la carnagione chiara. I suoi capelli erano corti e scuri, costantemente imbrattati di gel. A mio parere era stato fortunato, perché aveva avuto il privilegio di ereditare gli occhi da nostra madre Reneé: erano di un colore verde acceso, smeraldini, meravigliosi e incantevoli. Per il resto, come lineamenti del viso, somigliava molto a nostro padre Charlie.

Io invece, a differenza sua, avevo preso molti lineamenti da nostra madre: ero la sua copia identica per quando riguardava i tratti del viso. Il resto, come colore degli occhi o dei capelli, probabilmente lo ereditai da mio padre o comunque dai suoi antenati. Ero abbastanza pallida e poco più alta di un metro e sessanta, ma la mia piccola statura non pregiudicava di certo la mia forza, anzi mi ritenevo abbastanza muscolosa e agile. I miei capelli, mossi e color mogano, mi ricadevano lunghi fino alla vita. Una caratteristica un po' particolare era il colore dei miei occhi: erano talmente neri da non riuscire ad intravedervi la pupilla. Spesso mi ero sentita dire che il mio sguardo metteva soggezione e inquietudine, ma onestamente non avevo la minima idea da chi mai lo avessi potuto ereditare. Erano letteralmente color onice, però erano tanto scuri quanto espressivi.

Passando ancora un po' lo sguardo da un fratello all'altro, cercai di godermi questo momento di silenzio e relax il più possibile. Pochi secondi dopo, non mi ero nemmeno resa conto di aver raggiunto i miei fratelli tra le braccia di Morfeo.

_

Un rumore sordo che mi fece svegliare di soprassalto.

Quando aprii gli occhi mi resi contro di non trovarmi più in salotto con i miei fratelli, ma di essere nella mia stanza, al caldo, sotto le coperte.

Il rumore che avevo sentito si ripresentò un'altra volta e questo mi fece capire che qualcuno stava bussando alla mia porta, ed era anche abbastanza insistente.

Stiracchiandomi, scostai le lenzuola in modo da liberare il groviglio che si era creato durante la notte.

"Ma che ore sono?" pensai ancora intontita dal lungo pisolino.

Guardai l'aggeggio elettronico che si trovava alla destra del mio letto, su un comodino. Era l'una del mattino. Che cosa poteva volere la gente all'una del mattino? O meglio, cosa poteva volere la mia famiglia all'una del mattino?
Sentii bussare alla porta nuovamente - Bella? - .

Un'altra volta e, chiunque fosse dietro quella stupida superficie di legno, lo avrei ucciso a mani nude.

Lentamente scesi dal letto mormorando un - Adesso arrivo... arrivo... - con un tono così basso, che probabilmente non mi sentì nemmeno.

Arrivata davanti alla porta la aprii di scatto, rivelando così la figura imponente di mio fratello William.

Sorrise - Buongiorno, Bella addormentata! - .

Feci una smorfia abbastanza contrariata, sia dai modi con cui mi aveva risvegliata sia per il nomignolo - Che c'è?! - .

- Volevamo soltanto avvertirti che noi andiamo a fare qualche giro per controllare il territorio, in cerca di demoni. Tu e Stephan resterete a casa - mi avvertì, con un tono che non ammetteva repliche, decisamente.

Non era venuto per invitarmi, cosa che detestai con tutta me stessa, ma per informarmi. Improvvisamente, mi sentii più sveglia che mai.

- Vengo anche io! - esclamai pimpante, già consapevole della risposta che avrei ricevuto.

Scosse la testa in segno di diniego, come previsto - Non se ne parla neanche! - .

Come no?! Ero una Shadowhunters anche io, per l'Angelo! Non potevano screditarmi in questo modo. Okay, in realtà potevano e lo stavano facendo, ma non era per niente giusto.

- Perché no?! - mi lamentai battendo i piedi per terra, come una bambina di sei anni.

Non era esattamente il modo più conveniente che mi avrebbe portata ad ottenere ciò che desideravo, ma onestamente qualsiasi cosa avessi detto non sarebbe servita a molto, se non ad una discussione senza fine.

- Perché no! - ribadì irremovibile, non guardandomi più nemmeno in faccia.

Sapevo che stava per girare i tacchi e andarsene. Probabilmente si era persino pentito di avermi svegliata per avvertirmi, perché se non l'avesse fatto si sarebbe risparmiato una discussione con me, ma ormai non poteva tornare indietro. Per attirare nuovamente la sua attenzione su di me, gli diedi un pugno sul petto con tutta la forza che avevo in corpo. Anche se non lo spostai di un centimetro, almeno riportò gli occhi sulla mia figura.

Ci scannammo con lo sguardo per qualche secondo, poi, sapendo che da lui non avrei ottenuto nulla, lo sorpassai per raggiungere gli altri che sicuramente si trovavano al piano di sotto, in salotto.

Prima ancora di fare il mio ingresso nello stanzone, fermandomi sulle scale, esclamai - Voglio venire anche io! - .

Tutti alzarono lo sguardo sulla mia figura. Mamma, che era l'unica di spalle, si voltò di scatto verso di me, mentre sentii Will fermarsi alle mie spalle.

Dopo aver capito a cosa mi riferivo, mi sorrise con dolcezza - No cara, è troppo pericoloso -.

I presenti nella stanza non commentarono e non c'era bisogno che lo facessero, perché sapevo che la pensavano esattamente come lei, ma non lo potevo accettare.

- Voglio venire anche io! - dissi di nuovo con più enfasi, senza lasciarmi abbattere dal rifiuto.

Stavolta non dissero nulla, così continuai imperterrita - Sono una Shadowhunter, ho il vostro stesso diritto e dovere di venire con voi! I nostri antenati, alla mia età, andavano a caccia di demoni già da qualche anno! - .

Si guardarono pensierosi, poi Jonathan prese la parola - I nostri antenati, prima della battaglia, non avevano un'orda di demoni che incombeva sulle loro teste. Noi sì. Erano altri tempi e, paradossalmente, non era così pericoloso uscire per noi cacciatori. Fidati, è meglio se tu e Stephan restate a casa, è più sicuro e non ci farete stare in pensiero! - continuò - Mi capisci, vero? - .

Testarda, scossi con forza la testa - No, non sono d'accordo e non posso credere che Ste sia dalla vostra parte! - .

- Non è proprio dalla nostra parte - rifletté ad alta voce Will, dietro di me - più che altro, vuole dormire! - .

- Beh, allora portate me e lasciate qui quello scansa fatiche! - esclamai decisa, senza un minimo di esitazione.

- Domani hai anche il tuo primo giorno di scuola Bella - mi canzonò mio fratello, cercando di convincermi anche se sapeva che sarebbe stato inutile - Devi essere al pieno delle tue energie, se dovesse succedere qualcosa... -.

- Non succederà niente - lo interruppi bruscamente - Sai bene quanto me che i demoni non agiscono di giorno, ma di notte. Se ci lasciate qui, saremmo senza protezione! - .

- Starete al sicuro - provò a rassicurarmi George - intorno alla casa ci sono delle protezioni, terranno alla larga i demoni -.

Sbuffai. Perché non mi volevano portare con loro? Capivo quanto fosse pericoloso, davvero, ma era una missione! Una vera missione! Non una di quelle simulate per tenerci allenati, questa era roba seria! Una situazione di reale pericolo! Era una grande opportunità per me di dimostrare che ce la potevo benissimo fare da sola, che ero forte e all'altezza di tutti gli altri cacciatori esistenti.

Non avrei ceduto, arrendermi non mi piaceva per niente e non avrei iniziato quel giorno a farlo.

- Per favore - mormorai facendo il labbruccio, guardando mio fratello Sebastian - Ti prometto che resterò sempre dietro di te, non mi farò del male! - .

Sebastian mi guardò attentamente. Ci stava riflettendo seriamente e questo, come primo passo, era decisamente positivo. Mio fratello non era assolutamente un ragazzo facile da convincere, per niente, ma era la mia unica chance di ottenere ciò che volevo a quel punto.

- Farai tutto quello che ti dirò? - chiese con serietà, non staccando per un secondo gli occhi dai miei.

Voleva vedere se gli nascondevo qualcosa: qualche trucchetto... Onestamente, non pensavo che fosse così diffidente nei miei confronti, ma decisi di ignorare la questione per il momento.

Sorrisi senza contenermi, con la vittoria in tasca - Sì! - .

Non gli bastava - Giuralo sull'Angelo Raziel -.

Gli sguardi attoniti del resto della famiglia ci circondavano. Non riuscivano a credere alla decisione che aveva preso Sebastian e, a dirla tutta, nemmeno io avrei mai creduto di riuscire a convincerlo.

Portai la mano destra sul cuore con fare solenne - Lo giuro -.

Ridusse gli occhi a due fessure - Ripeti tutta la frase -.

Sbuffai, pensando che forse mi sarei dovuta offendere per tutta questa sfiducia che riservava nei miei confronti - Giuro sull'Angelo Raziel che farò tutto ciò che mi dirai -.

Sorrise, finalmente soddisfatto - Bene, hai cinque minuti per indossare la divisa! - .

Sorrisi di rimando, correndo velocemente giù per le scale, per poi saltargli in braccio. Lo strinsi con forza tra le mie braccia e lui fece lo stesso. Ero davvero contenta che mi avesse dato questa occasione.

- Grazie, grazie, grazie! - esclamai con vera gratitudine, lasciandogli una scia infinita di bacini sulle guance.

Stavo reagendo fin troppo affettuosamente persino per i miei gusti, ma non riuscivo a contenermi. In compenso, sentii mio fratello ridacchiare.

- Che lecca piedi che sei! - .

Risi con lui, abbracciandolo ancora.

Ero così felice! Ma, ovviamente, non poteva durare per sempre e qualcuno doveva interrompere il momento più magico che io e Seb avevamo avuto negli ultimi tre mesi.

- Sei sicuro Seb? Non pensi che sia un po' troppo pericoloso? - ribadì Will ancora una volta.

Alzai gli occhi al cielo: era davvero esasperante a volte. Capivo la loro preoccupazione, davvero, perché era anche la mia, però non potevano farmi vivere in una bolla di vetro e lo stesso discorso valeva anche per Stephan, ovviamente.

- Prima o poi dovrà fare esperienza questo mostriciattolo, tanto vale che cominci con me - disse per poi riappoggiarmi a terra, sciogliendo l'abbraccio - Dai cambiati, se no parto senza di te! - .

__

- Bene, è ora di dividerci - disse nostro padre, guardandoci uno ad uno con concentrazione e serietà.

Prima di fermarci e discutere sul da farsi, avevamo aspettato di uscire dalle difese della casa che, con mia grande sorpresa, si estendevano per ben due miglia. Non lo avrei mai detto, ma fu la passeggiata più esaltante della mia vita.

Con me, oltre allo stilo, avevo deciso di portare quattro pugnali che avevo posizionato nelle fodere degli stivali, altri quattro nella giacca e due spade angeliche issate dietro la schiena. Non avevo fatto in tempo a prendere di più a causa dei tempi ristretti imposti da mio fratello, ma in ogni caso ero convinta che sarebbe bastato. Non sapevamo cosa avremmo incontrato lungo il cammino, perciò non potevo appesantirmi troppo. E comunque, Sebastian era più equipaggiato di me: oltre ai pugnali e alle spade, aveva con sé arco e frecce. Era un abilissimo arciere e un ottimo combattente: ero sicura che quella notte avrei imparato molto da lui.

- Io e vostra madre continueremo a camminare verso Nord - continuò a parlare papà, riportandomi alla realtà - Sebastian e Bella, voi andrete ad Est. Mentre voi - riferendosi a Will e George - andrete dritti verso Ovest, tutto chiaro? - .

Un coro di "sì" si levò nel silenzio più totale.

Dopo le solite raccomandazioni fatte da nostra madre, comprensibilmente preoccupata per noi, io e Sebastian ci incamminammo nella direzione indicata da Jonathan. Sentivo le rune appena fatte bruciare di un calore familiare sulla mia pelle. La sensazione che mi dava lo stilo tutte le volte che creavo quei simboli mi trasmetteva sicurezza e fiducia nelle mie capacità.

Io e Sebastian non spiaccicavamo parola, eravamo troppo concentrati su ciò che ci circondava per non rischiare di farci sfuggire qualcosa: eravamo attenti ai suoni causati dal vento, ai movimenti della boscaglia, insomma a qualsiasi cosa che potesse esserci utile per prevedere un eventuale attacco da parte di qualche demone.

Non ricordo esattamente per quanto tempo camminammo così, senza incontrare niente di strano e sospetto, però, ad un certo punto, sentii un fruscio provenire alla mia destra. Era lontano per ora, ma mi bloccai comunque e picchiettai con un dito contro la spalla di Sebastian per informarlo. Appena mi iniziò a prestare attenzione, gli feci un segno tirando fuori la mia pietra stregaluce.

Ci fermammo a fissare un punto indefinito nella parte di boscaglia che gli avevo indicato, restando sempre in silenzio, con l'attenzione a mille e il cuore che batteva ad un ritmo inaudito, ma non per la paura.

In lontananza, sempre in quella direzione, iniziarono a sentirsi dei tonfi secchi, come se un branco di animali si stesse spostando. Era strano, di solito aspettavano il giorno per farlo.

- Saliamo su un albero - mormorò sbrigativo prendendomi per il polso, - Veloce! - ordinò subito dopo.

Grazie alla runa dell'agilità, non mi risultò molto difficile accontentarlo e in men che non si dica ci trovammo quasi sulla cima di quell'abete. Per sicurezza, salimmo circa per una quindicina di metri d'altezza. Ero ferma, immobile, con le gambe a penzoloni giù per il ramo. Ancora non si vedeva niente, ma il rumore era sempre più vicino.

- Cosa sta succedendo? - sussurrai stupidamente, dopo qualche minuto di silenzio.

- Sta' zitta! - mi sgridò a bassa voce.

Lo ascoltai. In fondo, glielo avevo promesso: avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto.

Il rumore si fece sempre più forte finché, sotto di noi, non notammo la sagoma di un lupo.

Merda.

Quello non era un branco qualsiasi, ma era il branco dei licantropi di La Push. Lo capii, e penso proprio che lo intuì anche Sebastian, non appena notai le loro dimensioni: erano troppo grandi per essere dei semplici lupi.

Dopo pochi secondi, come previsto, il lupo venne raggiunto dal resto del suo branco.

Sentii al mio fianco Sebastian irrigidirsi. Erano circa dieci, forse di più, e si erano fermati proprio sotto l'albero dove ci eravamo rifugiati per non farci notare. Questo voleva dire solo una cosa: avevano captato il nostro odore. Noi Nephilim avevamo un profumo diverso da quello dei mondani, e più delicato. In ogni caso, continuarono a fiutare e, ogni tanto, si guardavano fra di loro, negli occhi, come se stessero comunicando e, probabilmente, era così. Più tempo passava, più io e mio fratello eravamo in pericolo. Non dovevamo farci scoprire.

Dopo ancora una decina di minuti, passati con i nervi a fior di pelle, finalmente se ne andarono via, lasciandoci da soli.

- Non ci posso credere! - esclamò Seb, sempre tenendo un tono basso - Hai visto quanti erano?! - .

Annuii ancora un po' sconvolta. Non avevo mai visto dei licantropi in vita mia. Era stato così... eccitante! Una scarica di adrenalina pura, e pensare che non avevamo neanche combattuto!

- Siamo degli stupidi, ci siamo dimenticati la runa che camuffa l'odore! - disse mio fratello iniziando a scendere dal ramo - Avranno riconosciuto subito che qualcosa non andava nel nostro profumo! - .

Rimasi in silenzio, ascoltando tutte le sue paranoie mentre scendevamo insieme dall'albero, finché non mi ritrovai con i piedi sul terreno umido del bosco.

- Se abbiamo incontrato i licantropi - pensai ad alta voce - vuol dire che siamo usciti dal nostro territorio... giusto? - .

Sebastian mi guardò come se avesse commesso il crimine dell'anno. Si passò nervosamente le mani sul viso, dandosi dello stupido ripetutamente e con forza.

- Sì, siamo nel territorio di La Push. Li abbiamo incontrati mentre erano di ronda evidentemente... proprio come noi... Per l'Angelo! Sono uno stupido, avrei dovuto stare attento! Che idiota! - si incolpò disperato, prendendosi a sberle da solo.

Mi avvicinai, gli presi i polsi e lo obbligai a guardarmi negli occhi - Sentimi bene Sebastian, non è stata colpa tua, ok? Ma di entrambi. Questa è la prima volta per tutti, è normale sbagliare! Non siamo nel nostro elemento! Non te la puoi prendere con te stesso soltanto perché abbiamo fatto un errore! Vorrà dire che dalla prossima volta staremo più attenti e non sbaglieremo più! - .

Mi guardò con un'espressione colpevole in viso, ma sapeva che avevo ragione.

Sospirò sorridendo timidamente - Grazie sorellina... -.

- Di niente fratellone! Direi che per stanotte ne abbiamo combinate abbastanza. Possiamo tornare a casa? - domandai, sentendo che la stanchezza stava tornando a farsi sentire, nonostante il lungo pisolino che aveva occupato quasi tutta la mia giornata.

Circondò le mie spalle con un braccio con fare protettivo, lasciandomi un tenero e affettuoso bacio sulla tempia - Sì, sono d'accordo con te, torniamo a casa -.

E ci incamminammo verso la nostra nuova abitazione, insieme, sperando che il resto della nostra famiglia avrebbe perdonato il nostro errore.
__

Zikiki98

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Capitolo 5
*** 4. Traces in the woods ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI

4. TRACES IN THE WOODS

 

[POV NARRATORE]

Appena i lupi tornarono alla riserva, non persero tempo e andarono subito a parlare con Billy Black, il capo della loro tribù, i Quileutes.

- Potrebbero essere vampiri - mormorò sovrappensiero l'Anziano.

Il piccolo salotto di casa Black era stracolmo di ragazzoni super muscolosi alti quasi due metri. Billy adorava quei ragazzi, li aveva visti crescere e, considerando la sua posizione d'autorità all'interno della tribù, non poteva non considerarli anche figli suoi. In fondo, la loro vita era anche una sua responsabilità.

In particolare però, aveva un debole per Jacob, suo figlio di sangue, che gli era stato molto vicino dopo l'incidente che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle. Era orgoglioso di lui, del ragazzo che era diventato e delle decisioni che aveva preso per il suo futuro. Non avrebbe potuto chiedere un figlio migliore.

Quella notte l'aveva buttato giù dal letto alle quattro del mattino dicendogli che, durante la ricognizione, avevano avuto un problema. Senza farselo ripetere due volte, Billy accorse in aiuto di quei giovani che rappresentavano il futuro del loro popolo.

Sam, l'Alpha del branco, scosse la testa all'affermazione dell'Anziano - No, l'odore dei vampiri è diverso: è forte e talmente dolce da far venire il voltastomaco! Questo... è un aroma completamente diverso. Non è né fastidioso né pungente, è delicato. Non so spiegare, è come se, qualsiasi sia la creatura, sapesse di "fresco". Inoltre, è un odore che non si fiuta con la stessa facilità di quello umano -.

- Oltre ai vampiri - rifletté Jacob ad alta voce - non abbiamo mai incontrato nessun'altra specie sovrannaturale... Magari questo profumo appartiene alle fate o agli stregoni... -.

Era una buona considerazione, ma Billy non era d'accordo - Perché mai la gente del popolo fatato o i Figli di Lilith dovrebbero inoltrarsi nel bosco della riserva? Non c'è alcun nesso logico. Quelle creature non si sono mai interessate a noi e alle nostre terre, anzi, farebbero di tutto pur di evitarci -.

A quel punto nessuno seppe più aggiungere altro.

- Magari è una specie che ancora non conosciamo - mormorò Seth, il più piccolo del branco, dopo diversi minuti di silenzio assoluto.

- Non esistono specie che non conosciamo - fu Jacob a parlare, ma suo padre si permise di correggerlo.

- Il mondo è in continua evoluzione figliolo, così come gli esseri che ci vivono: umani, animali e anche noi, creature leggendarie. È possibile che una specie, come la chiamate voi, si sia evoluta dando così origine a nuovi individui - spiegò Billy mentre i ragazzi che lo circondavano, in segno di rispetto, tacquero.

- E se, invece -, iniziò Quil, che stranamente non aveva ancora parlato - queste creature fossero solo ricomparse? È strano che da un momento all'altro sia nato un nuovo "mostro", così, dal nulla! - .

Billy sospirò sconsolato - Niente nasce dal nulla, Quil. Abbiamo molte teorie, ma nessuna risposta concreta. Perfino io sono troppo giovane per darvi delle certezze. Fatto sta che dobbiamo scoprire di che cosa si tratta e in fretta! Non possiamo permetterci di mettere in pericolo la nostra gente. Magari i Cullen ne sanno qualcosa in più... In fondo, il più piccolo della loro stirpe ha più di un secolo di "vita"... - poi con più convinzione, diede degli ordini ben precisi guardando ognuno di quei ragazzi negli occhi - Dovete avvertirli, in modo tale che se ci dovesse essere qualche problema, sapranno che cosa fare. Magari riescono a riconoscere anche la scia, potrebbero aiutarci -.

Il loro rapporto con quel clan di vampiri, dopo il patto che avevano stipulato molti anni prima, prima ancora che Billy nascesse, erano davvero buoni. Onestamente, nessuno si sarebbe mai aspettato un esito simile da quell'accorso. Eppure, nonostante fossero nemici per natura, fra quei licantropi e quei vampiri c'era solo rispetto e, in casi come questo, aiuto reciproco.

- Quando partiamo? - chiese suo figlio Jacob, alzandosi dal divano, con un moto d'eccitazione.

- Il prima possibile - rispose avvicinandosi a lui con la sedia a rotelle - Vi consiglio di non andare tutti insieme, qualcuno dovrà pur proteggere La Push -.

Sam annuì in accordo con Billy e diede degli ordini più precisi seguendo comunque le sue direttive - Ha ragione. Jacob, Garret e Quil, voi andrete ad avvertire i Cullen, tutti gli altri resteranno alla riserva con me a controllare la zona -.

Senza dire più nulla tutti uscirono dalla casa di Billy per svolgere i compiti che gli erano stati assegnati.

__

Alice si fermò improvvisamente al centro del salotto, attirando così l'attenzione di tutta la sua famiglia. Le comparvero davanti agli occhi i volti che amava di più al mondo, dopodiché le si era oscurò la vista, per qualche secondo non vide più nulla se non il buio più totale. Era una visione, la stava mettendo in allerta: da lì a poco i licantropi sarebbero venuti a fare visita alla famiglia Cullen.

Jasper non perse tempo e le si avvicinò subito curioso - Che hai visto Alice? - .

Anche il resto della famiglia, nel frattempo, si era riunito intorno a lei.

- Ho visto tutti noi - iniziò a raccontare, ancora con lo sguardo perso nel vuoto - Poi ad un certo punto, più niente, l'oscurità! - .

- Che significa? - domandò Rosalie, appoggiandosi al petto di suo marito Emmett.

- Significa che il branco sta venendo qui - sospirò Carlisle preoccupato, stringendosi ad Esme - Deve essere successo qualcosa... -.

- Quanto ci resta prima che arrivino? - chiese Edward, seduto sul seggiolino del suo pianoforte.

- Pochi minuti, al massimo cinque - rispose di getto Alice, ancora con lo sguardo assorto.

Tutti annuirono, aspettando ansiosi l'arrivo dei licantropi.

__

Quando i lupi arrivarono a casa Cullen per avvertirli e confrontarsi per la loro recente scoperta, i vampiri ne rimasero talmente incuriositi da uscire a loro volta per controllare il territorio e verificare se ci fossero delle tracce, anche deboli. Sarebbe stato d'aiuto qualsiasi cosa pur di cercare di capire a che cosa si riferissero i licantropi.

Erano divisi in coppie, ma Emmett aveva preferito aggirarsi nei boschi da solo. Lui era fatto così, gli piaceva primeggiare, era testardo e voleva assolutamente dimostrare di essere bravo anche da solo, senza l'aiuto di nessuno.

Alla fine erano solo tracce così, lui e i suoi fratelli, l'avevano presa un po' come una sfida: il primo che le avrebbe trovate avrebbe vinto un'auto nuova, a spese dei perdenti. Non che servisse necessariamente scommettere per avere una macchina nuova di zecca, anche perché i soldi non mancavano a nessuno di loro, ma di certo quel metodo rendeva tutto molto più divertente.

Emmett corse, corse tantissimo, finché ad un certo punto non fiutò un odore diverso, ma senza essergli completamente estraneo. Lui aveva già annusato questa scia in passato, l'aveva riconosciuta, però non riusciva ad attribuirla ad una qualche specie nello specifico.

Stava per tirare fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni e digitare il numero di Carlisle, il suo creatore e padre adottivo, quando ad un certo punto gli venne un'illuminazione. Si ricordò a chi apparteneva quel particolare aroma. Restò paralizzato per qualche secondo, a riflettere.

Convenne, dopo aver rimuginato tra sé e sé per diversi minuti, che era meglio mettere via il cellulare e tornarsene a casa. Anche se avesse perso la scommessa, non avrebbe detto niente alla sua famiglia. Nonostante fosse passato tanto tempo, sentiva che non poteva farlo.

__

[POV BELLA]

Fortunatamente, mamma e papà non se la presero più di tanto. Erano stati abbastanza comprensivi, anche se ci eravamo comunque beccati una bella ramanzina, e ce la meritavamo tutta!

Eravamo tornati a casa alle tre di notte e, dopo una doccia veloce, mi ero fiondata nel mio letto caldo, con l'intenzione di dormire almeno un po', ma senza risultati. Ero ancora così euforica per quello che era successo quella notte da non riuscire a prendere sonno. Avevo visto dei licantropi, non in foto o su dei disegni rappresentati in vecchi libri nella vecchia biblioteca di Alicante, ma dal vivo. Quando una cosa come questa mi sarebbe potuta succedere ad Idris? Mai.

Avevo avuto una paura tremenda, sia per me che per mio fratello Sebastian, ma avevo provato anche tanta eccitazione. Riuscivo a sentire di avere ancora i nervi a fior di pelle. Non pensavo ad altro, solo a questo. O meglio, avrei voluto pensare solo a questo e concentrarmi esclusivamente su questa bellissima sensazione che stavo provando, ma non potevo.

Fra pochi minuti sarebbe suonata la sveglia che mi avrebbe costretto ad alzarmi dal letto per andare a scuola. Il mio primo giorno di scuola in assoluto. L'adrenalina che avevo ancora in circolo nascondeva il senso d'agitazione che provavo in vista del luogo in cui sarei dovuta andare quel giorno.

Ad Alicante era presente un'Accademia che, appunto, insegnava le materie fondamentali per l'istruzione di uno Shadowhunters. Non era frequentata da molti studenti, massimo un centinaio. Più che altro veniva bazzicata dagli orfani, dato che solitamente la maggior parte dei Nephilim venivano istruiti a casa dai loro genitori.

Probabilmente se, io e Sebastian non avessimo avuto la fortuna di essere stati addottati dalla famiglia Durwood, saremmo stati costretti a frequentarla anche noi. Non ci sarebbe stato niente di male nel frequentare un istituto come quello, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Jonathan e Mary erano degli insegnati formidabili, non avremmo potuto chiedere di meglio ed ero convinta che, in fondo, la pensasse anche Sebastian in questo modo. Ci era stata tolta una famiglia e l'Angelo Raziel aveva fatto in modo di darcene un'altra. Non poteva non essergli un minimo riconoscente.

Tuttavia, nonostante la mia ottima preparazione, qui a Forks, in una scuola mondana, tutto sarebbe stato completamente diverso: non conoscevo il programma e la maggior parte delle materie per me non erano comprensibili, non avendo le giuste basi.

Anche se i nostri genitori ci avevano rassicurati, più volte, che non sarebbe stato necessario andare bene a scuola, ero nervosa ugualmente. Per me, per come ero fatta e per come mi avevano educata, sbagliare non era concepito. Ma se, ipoteticamente, avessi commesso qualche errore? Cosa sarebbe successo se mi avessero scoperta? Cosa avrei fatto, come mi sarei comportata? Lo sapevo, non sarei riuscita mai a perdonarmelo, mai. Né io né la mia famiglia. Anni e anni di studi e allenamenti buttati via. Questo sarebbe successo: mi sarei sentita una fallita, totalmente inutile e non degna di essere chiamata Cacciatrice. Probabilmente mi avrebbero punita o bandita da Idris. Non riuscivo a sopportare nemmeno il pensiero che potesse succedere una cosa simile, figuratevi se fosse accaduto davvero.

Senza aspettare il trillo della sveglia, soprattutto perché mi stavo facendo sotterrare da una valanga di pensieri negativi che rappresentavano le mie più grandi paure, mi alzai dal letto per andare a fare colazione.

Quando arrivai in cucina, trovai Stephan già impegnato ad ingurgitare una tazza piena di latte e cereali.

- Buongiorno - lo salutai, tirando fuori dalla credenza una ciotola molto simile alla sua.

- Buongiorno cara, dormito bene? - chiese con la bocca piena e sputacchiando roba ovunque.

Alzai gli occhi al cielo per le sue buone maniere non acquisite quando, con tanta premura e dedizione, Mary aveva tentato, in tutti i modi, di insegnarci il galateo. Infatti, aveva tentato.

- Fino all'una del mattino, sì! E tu, ghiro che non sei altro? - domandai avvicinandomi al frigorifero per tirare fuori il latte e versarne un po' nel recipiente che avevo precedentemente preso.

Sospirò, con aria sognante - Ho dormito splendidamente -.

- Immaginavo - dissi, ridendo fra me e me, per poi accomodarmi sullo sgabello accanto al suo.

Iniziai a inzuppare i biscotti nel latte e a mangiarne tre, quando mi accorsi di una cosa.

Mi guardai intorno - Dove sono tutti? Perché non sono ancora scesi? - .

Non era da loro. Di solito a quell'ora erano già in piedi. Era nostra usanza mangiare tutti insieme, in famiglia, a colazione, pranzo e cena. Non era da loro violare questa tradizione.

Dopo aver finito di bere il latte in un solo sorso, Stephan rispose - Stanotte, a differenza tua e Sebastian, gli altri hanno incontrato sei o sette demoni che vagavano per il bosco in direzione della zona abitata. Sono tornati a casa pieni di icore! - esclamò storcendo il naso disgustato - Non è stata una notte facile, per essere la prima! - .

Lo guardai allibita. Demoni? Io e Sebastian non ne avevamo incontrati! Probabilmente perché noi avevamo preso la direzione opposta alla loro, mi risposi mentalmente quasi subito dandomi anche dell'idiota.

La cosa che mi premeva di più era una però: perché non ci avevano detto niente?

- Come lo sai? - chiesi, senza nascondere il mio stupore.

- Li ho sentiti parlare, questa mattina verso le due - disse come se niente fosse, alzandosi per mettere la tazza in quella che avevo scoperto essere una lavastoviglie - Tu e Sebastian non eravate ancora tornati, così andarono a farsi una doccia e quando poi avete fatto ritorno a casa, penso che foste talmente nervosi, che preferirono evitare l'argomento -.

Iniziai ad innervosirmi smettendo immediatamente di mangiare - Perché io non ne sapevo nulla? - .

Alzò le spalle, appoggiandosi con la schiena contro il lavello, ribadendo con altre parole quello che mi aveva già detto poco prima - Non volevano farti preoccupare -.

- Non è giusto - mormorai indispettita - Le cose importanti le vengo a sapere sempre all'ultimo minuto! Mi sembra di essere l'ultima ruota del carro... - .

Ste lasciò cadere la testa indietro, come se questo discorso l'avesse sentito migliaia e migliaia di volte, il che era vero probabilmente.

Per l'Angelo, non ti sembra di essere tu quella ingiusta?! Vogliono solo proteggerti! Fidati se ti dico che per loro è già stato un passo da giganti lasciarti libera di andare ieri sera! Dovresti esserne grata! Perché non riesci a vedere il lato positivo delle cose per una volta? - esclamò esasperato, passandosi una mano fra i capelli biondi.

Mi morsi la lingua come per punire la mia sfacciataggine e la mia ingratitudine nei confronti di quella famiglia che mi aveva dato tutto, pur non essendone affatto costretti. Probabilmente Stephan aveva ragione, volevano solo proteggermi...

Forks non era Idris, dove la cosa peggiore che mi potesse capitare era quella di farmi male durante gli allenamenti o le simulazioni. Qui rischiavo di morire, come tutti gli altri del resto.

Sospirai abbassando lo sguardo sul recipiente pieno di latte.

Lo sentii avvicinarsi a me per poi abbracciarmi da dietro. Le sue braccia ricoperte di rune mi circondavano il collo con delicatezza.

- Scusa, non volevo innervosirmi - fece una pausa, per poi confessarmi - Non mi va di andare a scuola, sono solo un po' nervoso... - si scusò, lasciandomi un tenero bacio sulla guancia.

Sorrisi mestamente - E pensa che è solo il primo giorno... -.

- Non aggiungere altro, sorella! - esclamò supplicante, uscendo dalla cucina per andare a cambiarsi.

Quando terminai la mia colazione, presi la tazza che avevo utilizzato, l'adagiai nella lavastoviglie e infine mi recai anche io al piano di sopra per prepararmi.

Dovevo stare molto attenta alle cose da indossare, sia per non dare troppo nell'occhio sia per evitare che i mondani vedessero le cicatrici che mi ricoprivano tutto il corpo. Non sarebbe stato semplice noi Shadowhunters eravamo abituati ad esporre il più possibile le nostre rune.

Appena raggiunsi il bagno, mi pettinai i capelli e mi lavai i denti. Quando tornai nella mia nuova stanza, indossai degli abiti che avevo trovato nel mio nuovo armadio: un paio di Blue Jeans, un maglione bianco aderente con una piccola scollatura a V che non lasciava intravedere alcuna runa e una giacca di pelle nera. Inoltre, ci abbinai i miei stivaletti marroni, che non centravano proprio niente, però erano gli unici dove potevo nascondere i pugnali senza che si notassero.

Non ero una patita per la moda, avevo ben altro a cui pensare, ovviamente. Tutto sommato, non mi sembrava di vestire poi così male.

Così, dopo essermi guardata un paio di volte allo specchio ed essermi detta che sarebbe andato tutto bene, recuperai lo zaino che Mary mi aveva procurato il giorno prima e scesi al piano di sotto, raggiungendo Stephan per vivere questa nuova avventura mondana insieme.

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Capitolo 6
*** 5. First Day (part. 1) ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


5. FIRST DAY (PART. 1)


Quando finii di prepararmi, presi la cartella e mi diressi al piano di sotto dove Stephan mi stava già aspettando da diversi minuti.

Lo trovai con la schiena appoggiata al muro del salotto, accanto alla porta che ci avrebbe condotti in quello che avevo scoperto essere il nostro garage, all'interno del quale erano parcheggiati i veicoli che ci erano stati forniti dal Conclave, insieme alla casa.

- Ehi! Ce l'hai fatta, eh? - rise dandomi una pacca sulla spalla appena fui abbastanza vicina.

Arrossii - Ci ho messo così tanto? - .

Scosse la testa - No, stavo scherzando. Comunque, tieni questo! - disse mettendomi qualcosa in mano.

Abbassai lo sguardo e aprii bene il palmo della mano per identificare l'oggetto che mi aveva dato. Era un aggeggio rettangolare e di colore nero. Era lucido, a effetto specchio, da un lato mentre dall'altro era più ruvido. Lo guardai come se fosse la cosa più strana che avessi mai visto in vita mia e, tecnicamente, era davvero così. Stephan me l'aveva dato come se dovessi sapere che cosa fosse a priori. Probabilmente lo avevamo pure studiato ad Alicante, ma io onestamente non riuscivo a ricollegarlo a niente. Nella mia memoria quell'oggetto non era presente, non in quelle sembianze almeno.

- È un cellulare - mi prese palesemente in giro Ste, vedendo la mia espressione perplessa.

Risi con lui, leggermente imbarazzata. Mi sentivo così, così... fuori dal mondo!

Dovevo ammettere di aver letto di quei cosi qualche tempo fa, su un libro di cultura mondana, in una biblioteca di Alicante, ma non ne avevo mai visto uno dal vivo. A Idris nessun apparecchio elettronico funzionava e diciamo anche che, con più di un secolo rinchiusi nella nostra terra, non potevamo pretendere di essere proprio allo stesso passo con i tempi mondani, tecnologicamente parlando almeno!

- Grazie - dissi, mettendo il mio nuovo bene materiale nella tasca posteriore dei jeans, sperando che qualcuno più tardi si prendesse la responsabilità di spiegarmi come funzionava.

Sorrise - Prego! - poi mi mostrò un paio di chiavi, staccandosi con la schiena dal muro - Sei pronta a cavalcare un vero mostro? - .

- Un vero mostro? - chiesi confusa, ma invece di rispondermi, si voltò e sparì dietro la porta del garage - Ehi, aspetta! - .

Lo rincorsi aprendo di scatto la porta - Che cosa vuoi di... -.

Mi bloccai.

Lo trovai in sella a una moto, con un casco in una mano e un altro nell'altra. Sulla fiancata del mezzo c'era scritto "YAMAHA R1". Era nera opaca, con i cerchi e gli ammortizzatori dorati.

Per essere una ragazza che aveva visto e studiato i veicoli mondani solo attraverso i libri, credevo di intendermene abbastanza di motori. Mio fratello Seb era ossessionato dalle macchine e dalle moto mondane e, quando ne aveva l'occasione, gli piaceva parlare di questa sua passione-ossessione con me, anche se a dirla tutta io la trovavo una noia mortale. Praticamente, acquisivo nozioni in materia per inerzia.

- ... dire? - sussurrai, concludendo la frase che avevo lasciato in sospeso poco prima.

Stephan mi guardò con un'aria decisamente soddisfatta ed eccitata, come se fosse riuscito nel suo intento di sorprendermi. Effettivamente, era stato così. Sorvolai con lo sguardo la moto e mio fratello per notare gli altri mezzi che avevamo: una Mercedes classe E bianca, una BMW 320 d Touring MSport blu elettrica e due Land Rover Discovery Sport enormi e grigie metallizzate, tutte con i vetri oscurati. Erano belle macchine, ma non riuscivo a riscontrare una vera utilità per la nostra famiglia: a noi non servivano. Il Conclave aveva davvero donato parte dei suoi fondi per far sì che tutte le famiglie, scelte per questo incarico, avessero una bella villa e tante macchine costose e veloci? Sicuramente parte dei soldi era stata anche la nostra famiglia a metterli, ma mi sembrava abbastanza inutile spendere così tanto per degli oggetti che avremmo usato poco. Di quanti soldi disponeva il Conclave?

- Ti piace? - mi richiamò Stephan, risvegliandomi dai miei stessi pensieri - Ci andiamo con questa a scuola, vedrai che figurone! - si esaltò mostrandomi il suo sorriso migliore.

Mi avvicinai un pochino per vedere la moto di cui andava così tanto fiero.

- Non penso che tu la sappia guidare... - dissi con onestà, indicandola - Da quel che ne so, per poterlo fare, dovresti avere un certificato o come si chiama... -.

Mi sorrise con uno sguardo da volpe negli occhi. Prese il portafoglio dalla tasca dei pantaloni per tirarne fuori una carta rettangolare e plastificata, sulla quale era raffigurata una sua foto di riconoscimento e i suoi dati personali, in parte veri e in parte falsi.

- Questa che cos'è secondo te? - chiese categoricamente, girandosela e rigirandosela tra le mani come se fosse qualcosa di luccicante e prezioso - È la mia patente! -.

- Ma tu non sei mai andato a scuola guida! - esclamai confusa.

Alzò gli occhi al cielo per la mia ingenuità o stupidità, insomma, chiamatela come volete.

- Ti devo insegnare proprio tutto! È falsa, ho tempo per fare la patente vera! - .

Lo guardai allibita, lui non era il tipo che faceva questo genere di cose. Jonathan e Mary ne erano al corrente? Ci pensai qualche secondo e probabilmente anche loro si erano muniti di patente falsa per poter utilizzare le nostre macchine. Quasi sicuramente, avendo sedici anni, ne avevo una falsa anche io da qualche parte, in giro per casa, forse per essere pronti ad ogni evenienza.

Indossò il casco sotto il mio sguardo leggermente spaventato, porgendone successivamente l'altro a me - Avanti sali o faremo tardi -.

Lo guardai come se fosse pazzo e non mi mossi di un centimetro.

- Non è che mi entusiasmi molto fare questa nuova esperienza, ad essere del tutto onesta -.

Lo sentii sbuffare, stanco di starmi a sentire, da sotto il casco - Bella, muoviti! - .

Mi feci coraggio. Mi convinsi che ero spaventata semplicemente perché era una cosa che ancora non avevo mai fatto e che era normale, perché non avevo mai avuto un incontro così ravvicinato con questi mezzi. Sarebbe andato tutto bene. Dopodiché, feci un respiro profondo e presi il casco dalle mani di mio fratello, per poi indossarlo.

Pensai che forse non ci saremmo ammazzati, come invece sentivo. Ero abbastanza positiva così? 

Stando attenta a non sbilanciare la moto, salii dietro Ste stringendo le braccia intorno ai suoi fianchi.

Nello stesso momento, mi avvertì - Reggiti forte, ho sempre voluto guidare una di queste e non ho intenzione di andare piano! - .

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- Tu sei un pazzo! - esclamai, nel cortile della scuola, mentre scendevo dalla moto con le gambe che ancora mi tremavano.

Tolse il casco e poi disse, schernendomi - Devi guardare il lato positivo, cioè che non siamo arrivati tardi -.

Lo guardai in cagnesco mentre mi slacciai il casco, per poi darglielo con una tale violenza da farlo sbilanciare dalla moto, quasi. Mi sarebbe piaciuto farlo cadere, se lo sarebbe meritato.

Durante il tragitto per raggiungere la scuola, Stephan aveva sfiorato i 180 km/h con la sua nuova Yamaha R1 facendomi, letteralmente, appiattire contro la sua schiena, pregando in tutte le lingue a me conosciute, di non vomitargli addosso.

Ed erano molte le lingue che parlavo, cavoli se lo erano.

Lui e il suo caspita di lato positivo, doveva andare proprio a fare in...

- Tu sei pazzo! - ribadii, per poi voltargli le spalle e dirigermi verso la segreteria, ovunque essa si trovasse.

Dopo qualche secondo notai che, mentre camminavo, tutte le persone presenti nel parcheggio mi fissavano, cosa che trovavo decisamente fastidiosa. Mi osservavano come se avessi qualcosa di strano in faccia o sui vestiti. Abbassai lo sguardo sul mio abbigliamento e potevo garantire che era normale. Non avevo messo nulla di appariscente in fondo, eppure tutte quelle persone non facevano altro che osservare me. Nonostante lo sforzo immane che stavo facendo per ignorarli, non ci riuscivo.

- Per educazione, potresti anche aspettare la persona che ti ha scorrazzato a scuola! - mi punzecchiò Stephan una volta che mi ebbe finalmente raggiunto.

Alzai gli occhi al cielo fermandomi davanti a lui per guardarlo meglio negli occhi - Invece di fare lo scemo, renditi utile! Mi spieghi perché ci stanno fissando tutti? - .

- Semplice. Siamo nuovi e i mondani sono primordialmente esseri curiosi... È come se fossimo il loro nuovo scoop sul quale indagare - sussurrò al mio orecchio, per poi sorridere a un paio di ragazze che l'avevano adocchiato per bene.

Appena posai il mio sguardo tagliente su quelle due studentesse, entrambe si dileguarono in un batter d'occhio.

Subito dopo, diedi una gomitata nelle costole a Stephan - Smettila! Ti ricordo che non dobbiamo interagire con nessuno! - .

Alzò le spalle con un certo disinteresse, caratteristica che non gli era mai appartenuta - Non so tu, ma non siamo più rinchiusi a Idris! Finalmente abbiamo la libertà e non voglio fare la parte del ragazzo asociale e problematico! Mi voglio divertire! - .

Mi aveva presa totalmente alla sprovvista e lo guardai con una certa sorpresa - Ma si può sapere che ti prende? - .

- Non mi prende niente - rispose subito - Semplicemente mi sono stancato di seguire il Conclave e le sue stupide regole fatte solo di divieti e limiti! Ho sedici anni, voglio uccidere demoni e divertirmi! Anche tu dovresti pensarla come me! - .

Leggermente scocciato, mi superò per entrare in segreteria. Non mi ero nemmeno resa conto che nel frattempo avevamo ripreso a camminare.

La scuola era divisa in vari e piccoli edifici a mattoni rossi, nei quali gli studenti si spostavano avanti e indietro a seconda dell'orario delle loro lezioni. Onestamente, ad occhi esterni, non sembrava nemmeno una vera e propria scuola. Se non ci fosse stata l'insegna "Forks High School" sulla strada che la precedeva, probabilmente né io né Stephan l'avremmo riconosciuta.

Sospirando per come si era conclusa la conversazione con mio fratello, mi avvicinai all'edificio della segreteria, aprii la porta ed entrai.

Come pensavo non era molto grande. Era arredata in modo semplice e sobrio e dietro il bancone vi sedeva una donna sulla cinquantina con i capelli rossi. Sulla targhetta c'era scritto "Cope".

Mi avvicinai a mio fratello che stava già parlando con la segretaria, sorridendole educatamente e con calore. Guardarlo comportarsi in quel modo faceva crescere dentro di me una malsana voglia di prenderlo e picchiarlo.

- Siamo i nuovi studenti - disse con un sorriso smagliante - Stephan e Isabella Durwood -.

- Oh! - esclamò la donna, girando su se stessa sulla sua sedia girevole e avvicinandosi ad uno degli scomparti pieni zeppi di fogli e documenti.

Cercò fra i vari fascicoli, per poi estrarne due - Bene, dovete firmare qui e qui - ci indirizzò, indicando con il dito due linee sottili e scure.

Dopodiché porse ad entrambi due biro e dopo aver eseguito quello che ci era stato chiesto, restituimmo i fascicoli alla donna dietro alla scrivania che, con molto entusiasmo, ci disse - Beh, benvenuti ufficialmente alla Forks High School! -.

- Grazie! - dissi secca, senza troppo entusiasmo.

Nessun contatto, per me, voleva dire nessun contatto.

Ricevetti un'occhiataccia da parte di Ste, alla quale risposi con un'altra occhiataccia a mia volta. Non ero io quella nel torto, ma era lui ad esserlo. Poteva lanciarmi tutti gli sguardi intimidatori che voleva, non avrei cambiato idea.

Successivamente, si voltò di nuovo e si rivolse alla Signora Cope - La scusi, è che non è molto entusiasta del trasferimento! - .

La segretaria, risentita per il tono in cui le avevo risposto poco prima, improvvisamente si addolcì, guardando entrambi con una sconfinata tenerezza - Oh, tesoro, ti capisco! I cambiamenti non sono mai facili e spesso non vengono accettati positivamente, ma possiamo solo imparare da essi! - fece una breve pausa per poi continuare - Vedrai che andrà tutto bene. La gente del posto è molto cordiale, farai tante amicizie, ne sono sicura -.

L'unica cosa che era capace di fare la gente del posto era quella di guardarti come se fossi la cosa più strana in circolazione su questo mondo e, considerando le mie conoscenze, potevo garantire per certo di non far parte di quella categoria o, almeno, di non essere prima in classifica.

Non le risposi, comunque. Già stufa di quella situazione, aspettai che Stephan risolvesse tutte le faccende burocratiche per poi ritirare gli orari dei corsi.

Alla prima ora avevo Letteratura, in aula due. Questa era una delle materie che mi piaceva di più studiare ad Alicante, perciò probabilmente sarei riuscita a cavarmela tranquillamente senza troppi disagi.

Con la cartella in spalla, senza salutare né Stephan né la signorina Cope, mi diressi nell'aula numero due della scuola. Non era molto lontana dalla segreteria, perciò non dovetti camminare a lungo sotto la pioggerellina fastidiosa di Forks.

Appena mi trovai davanti alla porta d'ingresso la spalancai, senza neanche bussare, nonostante alle lezioni di galateo impartitemi da Mary, mi avesse più volte corretta su questo punto. Sentivo lo sguardo di tutto addosso, per la seconda volta nell'arco di mezz'ora, ma almeno stavolta era comprensibile la loro attenzione nei miei riguardi, era colpa mia.

Lentamente mi avvicinai alla professoressa, presentandomi e mostrandole il foglio dei miei orari. Mi regalò un sorriso cordiale e successivamente mi invitò a sedermi e a seguire la sua lezione. Stavano studiando Shakespeare, autore che conoscevo come le mie tasche, se non meglio. Non appena mi consegnò il libro di testo, mi accomodai in fondo, accanto ad una ragazza rannicchiata su se stessa, come se la sua presenza potesse urtare i nervi di qualcuno. Quella ragazza, con la sua postura e con il modo intimorito in cui mi guardava dietro ai suoi occhiali e ai suoi lunghi capelli neri, mi aveva colpita. Senza indugiare troppo con lo sguardo sulla sua immagine, anche perché era chiaro che essere osservata le dava fastidio nello stesso modo in cui dava fastidio a me, se non di più, decisi di accomodarmi al banco e seguire la lezione. O almeno, ci provai.

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Capitolo 7
*** 6. First Day (part. 2) ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


6. FIRST DAY (PART. 2)


Una volta terminata la lezione, cacciai alla rinfusa le mie cose nello zaino, me lo portai in spalla e, velocemente, uscii fuori dall'aula lasciandomi alle spalle la mia timida compagna di banco.

Nelle due ore successive non sapevo nemmeno in che aula mi trovassi e che cosa il professore stesse spiegando. Non riuscivo a togliermi dalla testa quella ragazza, quella mondana, che faceva di tutto pur di risultare invisibile agli occhi degli altri. Il suo linguaggio del corpo non mentiva e ne ero sicura. Non che in ogni caso ci volesse un investigatore privato per capirlo, era abbastanza palese. Eppure non riuscivo nemmeno a comprendere perché riservassi tutto questo interesse morboso nei suoi riguardi, considerando oltretutto che di mondani come lei ce n'erano a bizzeffe e la conoscevo solamente da pochissime ore.

Decisi che dovevo smetterla di pensarci. Cercai di concentrarmi sul professore, di cui non ricordavo il nome, che stava spiegando qualcosa che si chiamava "trigomatematica" o qualcosa di simile. Qualsiasi cosa fosse e in qualsiasi lingua stesse scrivendo quell'uomo alla lavagna, per me sarebbe rimasto sempre un mistero, ma a vedere dalle espressioni perplesse dei mondani che mi circondavano, potei dedurre che persino i miei compagni si trovavano in difficoltà. Mi scappò un risolino, ma fortunatamente nessuno se ne accorse. Ci mancava, essendo già osservata per essere la ragazza nuova, di essere additata come la pazza che rideva da sola durante le lezioni. Me lo sarei risparmiata volentieri.

Terminata anche quella strana lezione, sul mio orario c'era segnata la pausa pranzo. Le indicazioni per la mensa non erano segnate da nessuna parte sul foglio, perciò decisi di seguire quella massa di persone che stavano uscendo dalle diverse classi giusto ora.

Appena arrivai davanti all'edificio in mattoni rossi che, a quanto pareva, doveva essere la mensa, vidi mio fratello Stephan appoggiato al muro accanto alla porta. Mi stava aspettando.

Mi avvicinai a lui con un sorriso - Ciao, come sono andate le tue prime ore di scuola? -.

Ricambiò il sorriso e alzò le spalle - Abbastanza bene direi: ho avuto un'ora biologia e poi due ore di ginnastica, perciò niente di troppo impegnativo. La tua com'è stata? -.

- Noiosa - tagliai corto, per poi aggiungere - Possiamo entrare? Sto morendo di fame! -.

- Assolutamente sì! -.

Ci dirigemmo insieme all'interno della mensa e, come quella mattina, gli studenti della Forks High School non persero tempo e iniziarono a fissarci. Questa cosa mi dava terribilmente sui nervi anche se, dentro di me, sapevo che mi sarei dovuta abituare perché, a quanto detto da Stephan, questa storia sarebbe andata avanti ancora per qualche settimana. In pratica, non sarebbe finita finché questi mondani non avessero trovato un altro soggetto a cui prestare tutte quelle odiose attenzioni. Era in quei casi che avrei desiderato, con tutta me stessa, essere come Medusa.

Seguii mio fratello, che mi portò in fila per prendere da mangiare. Dato che c'erano ancora una decina di persone davanti a noi, decisi di guardarmi intorno anche io. La mensa era spaziosa, ricca di finestre e con i muri addobbati da bandiere rappresentavano gran parte dei paesi del mondo. Le pareti dell'edificio erano color verde chiaro e il pavimento era ricoperto da piastrelle bianche e lucide. I tavoli erano rotondi e di varie misure, a occhio massimo potevano starci comode otto o nove persone. Era un posto abbastanza caotico e che odorava di strano.

Io amavo molto mangiare e, come ogni Shadowhunter, avevo sempre fame sprecando tante energie in allenamenti e esercitazioni varie. Perciò, mangiavo qualsiasi cosa fosse commestibile, ma quell'odore non era molto invitante, decisamente no, ed ero quasi sicura che fosse dovuto al cibo che le donne dietro al bancone avevano preparato. Mi appuntai mentalmente di chiedere a nostra madre Mary se, per le prossime volte, avrebbe potuto preparaci lei qualcosa di buono da mettere sotto ai denti.

Il mio sguardo continuò a vagare distratto per la stanza, quando ad un certo punto si fermò automaticamente su un tavolo in particolare, il più appartato rispetto agli altri, vicino alla porta secondaria dell'edificio. In quel tavolo erano sedute cinque persone, tre ragazzi e due ragazze. Erano tutti bellissimi, sembravano essere usciti da un quadro. Inoltre, avevano tutti la pelle chiarissima e, non sapevo perché, ma, nonostante avessero tutti caratteristiche fisiche diverse, non riuscivo a fare a meno di pensare a quanto si somigliassero tra di loro. Gli studenti seduti ai tavoli che li accerchiavano, anche se a distanza, sembravano essere sia intimoriti sia attratti da quel gruppo e riuscii a capirlo dalle occhiate fugaci che ogni tanto gli lanciavano. A mio modesto parere, quello con i capelli ramati era il più affascinante rispetto agli altri, ma anche il biondo con lo sguardo allucinato e il bestione con i capelli scuri non erano male. Tutti e tre erano presi da un'animata conversazione che, a quanto pare, escludeva l'altro sesso del gruppo. Le due ragazze, da quel che riuscivo a vedere a quella distanza, erano completamente opposte: una era bassa, magra e con i capelli corti e corvini, mentre l'altra era alta, formosa e con i capelli lunghi e dorati.

Dal modo in cui il biondo con lo sguardo allucinato e la piccoletta con i capelli corvini si guardavano, dedussi che fossero una coppia. Stesso discorso per il ragazzone tutto muscoli che, come a voler marcare il territorio, aveva un braccio appoggiato intorno alle spalle della bionda di porcellana al suo fianco. Non era per niente sorprendente il fatto che stessero insieme: come avevo già detto, una delle poche cose che li accomunavano, oltre al pallore che caratterizzava la loro pelle, era la loro bellezza intimidatrice. Ed era proprio questo il punto, proprio per questo non riuscivo a staccare lo sguardo da loro: erano troppo belli per essere dei semplici mondani. Era come se avessero una strana aura che costringeva, le persone che li vedevano, a provare un'attrazione smisurata nei loro confronti. Non era una cosa normale e ne ero convinta al cento per cento, anche perché non avevo mai provato questo genere di sensazione nei confronti di qualcuno che non conoscevo e con cui tantomeno avevo parlato.

Stavo proprio per esporre i miei dubbi a mio fratello quando, ad un certo punto, poco distante da noi, sentii un ragazzo alzare la voce. Automaticamente, tutti quelli che si trovavano in mensa si voltarono e sospesero le loro attività per vedere cosa stesse succedendo.

Il ragazzo era alto e abbronzato, nonostante il maltempo perenne di Forks. Aveva la testa rasata, ma si riusciva a capire che aveva i capelli chiari, e indossava la giacca di quella che doveva essere la squadra di football della scuola. Aveva un atteggiamento prepotente e un sorrisetto viscido sulle labbra. Sembrava il classico ragazzo che, circondato dal suo gruppo, come in quel momento, aveva la presunzione di sentirti Dio sceso in terra. Probabilmente era talmente annoiato dalla sua vita che, per darne un senso, doveva per forza stressare quella altrui e, in quel caso, aveva deciso di stressare quella della mia compagna di banco di Letteratura.

La ragazza aveva lo sguardo basso, fisso sul suo vassoio ricco di cibo, e probabilmente questo era il suo tentativo di ignorarlo.

- Angela! - disse con un tono appositamente squillante per attirare l'attenzione di quanta più gente possibile - Vedo che hai intenzione di abbuffarti, come al solito. Se continui di questo passo probabilmente rotolerai, anziché camminare -.

Quello stronzo, insieme ai suoi amici stronzi, scoppiarono in una fragorosa risata, alla quale si aggiunsero anche alcuni dei mondani che stavano osservando la scena. Che cosa avevano da ridere? Dovevano vergognarsi dell'umiliazione che le stavano facendo appositamente provare! 
Quel era l'obiettivo di quel ragazzo, poi? Dimostrare di essere il più forte? Ridicolo.

- Che cosa c'è? - insistette il ragazzo avvicinandosi lentamente, mentre Angela era completamente paralizzata sul posto - Hai perso la lingua? E dire che la sapevi usare così bene -.

Vidi la mora farsi sempre più piccola davanti alle provocazioni, alle risate e agli sguardi dei suoi compagni di scuola. Probabilmente non alzava lo sguardo perché stava piangendo silenziosamente e non voleva dare loro altri motivi per essere derisa. Quello a cui stavo assistendo era un vero schifo e speravo con tutto il cuore che Angela si riprendesse e tirasse un bel calcio in mezzo alle gambe di quel ragazzo ignorante. Ma non lo fece.

- Sei una tale perdente! - esclamò ad un certo punto, perdendo il suo sorriso strafottente - Non riesci neanche a guardare le persone in faccia quando ti parlano - disse, utilizzando un tono decisamente aggressivo.

Nessuno aveva intenzione di intervenire davanti a quella ingiustizia. Tutti li guardavano come se fossero esterni alla questione, come se stessero guardando uno spettacolo o qualcosa di simile, ma in realtà, non muovendo neanche un dito per difendere una loro coetanea messa ingiustamente in difficoltà, erano altrettanto complici dei bulli che la stavano maltrattando.

Quando vidi la mano di quel ragazzo avvicinarsi a lei per tirarle su il volto, persi decisamente le staffe. Mi ero trattenuta fino a quel momento perché era mio dovere, in base agli ordini che mi erano stati dati, mantenere un profilo basso e evitare di attirare l'attenzione su di me, su di Noi. A quel punto, però, non resistetti più.

Feci qualche passo avanti, sotto lo sguardo stravolto di mio fratello, e dissi a gran voce - Ehi, tu! -.

Il ragazzo in questione si voltò sorpreso nella mia direzione, come Angela e il resto della scuola - Possiamo tornare alle nostre vite oppure non hai ancora finito di dare spettacolo?! -.

Come speravo, si allontanò da Angela e si voltò verso di me, facendo ricomparire il suo sorrisetto sadico - Ma guardate un po' chi abbiamo qui - disse, lanciando delle occhiate ai suoi amici - La ragazza nuova o, forse, dovremmo chiamarti paladina della giustizia -.

- Definiscimi come ti pare, non me ne frega niente, ma smettila di fare il cazzone - lo guardai truce, non sforzandomi nemmeno di correggere il mio linguaggio - Onestamente, non so che cosa ci trovi nell'intimidire le persone e farle sentire sbagliate, ma credo che dovresti porti degli obiettivi più alti nella vita, ad esempio provocare qualcuno che sai che ti risponderà a tono. Dovresti smetterla di scegliere la via più facile per risolvere i tuoi complessi di inferiorità -.

Lo stronzo e i suoi amici stronzi restarono ammutoliti per qualche secondo, probabilmente perché quella era la prima volta che qualcuno gli rispondeva come si meritava. Nel frattempo, in reazione a quello che avevo detto, da alcuni studenti si era levato un "ohh" generale. Li guardai confusa: non sapevo esattamente a cosa si riferissero o a chi fosse rivolto, ma li ignorai.

Quando quel tizio iniziò ad avvicinarsi verso di me, notai che sulla sua giacca da football c'era scritto il suo nome: Luke Micheals.

- E saresti tu quella persona? - mi schernì ridendo - Piuttosto, si può sapere perché una ragazza bella e in gamba come te -, ghignò, per poi indicare Angela alle sue spalle, che nel contempo si era asciugata le lacrime dalle guance - difende uno sgorbio, una nullità, come lei? Sei sua parente per caso? Altrimenti non si spiega - dopodiché, si girò nuovamente verso la sua vittima preferita - Oppure l'hai pagata per esserti amica o per difenderti. Questo è triste e deprimente persino per te, Angie -.

Quel ragazzo stava rischiando grosso, decisamente. Mi prudevano le mani e la voglia di tirargli uno schiaffo davanti a tutti era talmente potente da essere indescrivibile. Mi ci volle una forza immensa per trattenermi dal fargli male.

- Dopo quello che hai appena detto, ti picchierei, ma, sai, la merda schizza! - sputai fuori dai denti, eliminando quella distanza di pochi metri che ancora ci divideva.

L'intero studentato scoppiò a ridere, applaudendo e urlando cose che non riuscivo a capire, perché si sovrapponevano le une con le altre.

Lo sguardo di Luke lo Stronzo, avevo deciso che d'ora in poi lo avrei chiamato così, si posò glacialmente e definitivamente sulla mia figura. Se credeva di farmi paura o che mi sarei lasciata condizionare dalla sua cattiveria gratuita, si sbagliava di grosso.

- Mi hai paragonato ad una merda? - domandò incredulo, facendo trapelare tutta la sua rabbia.

Decisi di prenderlo in giro - Wow... Non avrei mai creduto che un ragazzo biondo e che gioca a football, potesse essere anche perspicace. Mi stai decisamente sorprendendo! - esclamai sarcastica, regalandogli il sorriso più falso che riuscissi a fare - E tanto per essere chiari, non ti ci ho paragonato, ti ho proprio dato della merda! -.

Senza che riuscissi a fare in tempo a reagire, Luke lo Stronzo mi spintonò violentemente per le spalle, facendomi barcollare velocemente e per qualche metro all'indietro, finché non mi scontrai con mio fratello che mi prese e mi aiutò a riprendere stabilità.

In mensa non parlava più nessuno, vigeva un silenzio tombale. Tutti erano in attesa di una mia risposta, che ovviamente non tardò ad arrivare. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene e la faccia accaldarsi sempre di più. Mio fratello non fece in tempo a fermarmi che, sotto lo sguardo sbalordito di tutti, mi incamminai verso quel ragazzo con la stessa furia di un treno. Appena fui abbastanza vicina, tirai indietro il braccio destro e, con tutta la forza che avevo in corpo, ed era tanta, gli tirai un pugno sul naso talmente forte, da sentire l'osso scricchiolare sotto le mie dita.

Luke lo Stronzo cadde a terra piagnucolando, coprendosi il naso sanguinante con le mani nel tentativo di lenire il dolore e di rallentare l'emorragia. Immediatamente, i suoi compagni di squadra andarono in suo soccorso, mentre dalla sua bocca uscivano le peggiori parole nei confronti di tutto e tutti.

Improvvisamente, uno dei ragazzi che erano seduti al tavolo appartato che stavo osservando poco prima, il bestione dai capelli scuri, attirò la mia attenzione alzandosi in piedi e battendo le mani. Poco dopo, tutta la mensa lo seguì a ruota, urlando e applaudendo come se avessi fatto qualcosa memorabile. Iniziai a pensare che, probabilmente, molti di loro avrebbero voluto dare un pugno del genere a quel ragazzo almeno una volta nella loro vita, ma che per vari motivi alla fine non l'avevano mai fatto.

Notai in lontananza, nella confusione generale, il bestione dai capelli scuri e la sua combriccola andarsene via con urgenza, fin troppo velocemente per un normale passo mondano, dalla porta secondaria della mensa. Ma non potei pensarci troppo perché, all'improvviso, sentii Stephan abbracciarmi e congratularsi con me per ciò che avevo fatto. Mi guardai intorno in cerca di Angela, ma non la trovai. Probabilmente anche lei aveva approfittato della confusione per andarsene. Forse, se non fossi stata la causa di quel casino, me ne sarei andata anche io.

Ad un certo punto, l'intera mensa si zittì di nuovo allo sbattere della porta principale dell'edificio. Io e Stephan ci voltammo per vedere di chi si trattasse. In mensa aveva fatto il suo ingresso un uomo sulla cinquantina, in sovrappeso, con i capelli grigi e la barba dello stesso colore, vestito di tutto punto. Non ci volle molto per capire chi fosse e che ruolo ricoprisse in quella scuola.

- Che diamine è successo qui?! - urlò, facendo ammutolire tutti definitivamente.

Immediatamente, come se la domanda che aveva fatto fosse una parola d'ordine, tutti gli sguardi si posarono su di me, facendo praticamente intendere che, qualsiasi cosa fosse successa, fosse stata solo ed esclusivamente colpa mia.

Era da poco più di quattro ore che frequentavo quell'istituto ed avevo già ottenuto tre reputazioni diverse: la prima era lo status di ragazza nuova, la seconda era il titolo di "paladina della giustizia" e la terza, la mia preferita onestamente, era quella di spappolatrice di nasi a tradimento.

Che fantastico primo giorno, non siete d'accordo?

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Capitolo 8
*** 7. Mr. Cullen ***


THE WORLD OF DEMONS 
IL PORTALE DEI DEMONI

7. MR. CULLEN


- Non ci posso credere! - esclamò Will quanto, tornati a casa, Stephan gli raccontò cosa avevo fatto oggi a scuola.

Eravamo nel salotto della nostra villa immersa nel bosco e, fortunatamente, mamma e papà non erano ancora tornati a casa. Altrimenti, Ste non si sarebbe mai permesso di aprire l'argomento in loro presenza.

Con noi, oltre a William, seduti sui divani c'erano anche George e Sebastian, e quest'ultimo non sembrava molto entusiasta dopo aver sentito la storia raccontata da mio fratello.

Nella mia testa rimbombavano ancora le parole del preside, il professor Greene, che con molta disapprovazione mi sgridò prima davanti a tutta la scuola e successivamente nel suo ufficio. Mi disse che era terribilmente tentato di sospendermi, che comportarsi in questo modo, per di più il primo giorno di scuola, era vergognoso e di pessimo esempio per tutti i miei compagni. Senza contare che avevo fatto una bruttissima prima impressione e che tutti i professori d'ora in avanti mi avrebbero tenuta sotto controllo più del voluto. Successivamente, dopo aver dato di matto ancora per un po', ascoltò la mia versione dei fatti e quella di qualche testimone, considerando che tutta la mensa aveva assistito alla scena. In tutte le versioni, fortunatamente, fu specificato che avevo agito in quel modo solo per difendere una ragazza. Richiamò anche Luke lo Stronzo che, appena uscì dall'infermeria e ci raggiunse nell'ufficio del preside con del ghiaccio sul naso gonfio e livido, si prese anche lui una bella lavata di testa. Alla fine, il preside considerò la situazione nel complesso e decise che per sta volta avrebbe chiuso un occhio, un po' perché era il mio primo giorno e un po' perché comprese che volevo solo difendere una compagna di classe da uno stupido bullo. A Luke lo Stronzo ovviamente non andò giù e cercò di protestare, facendo leva sui suoi genitori benestanti tra l'altro, ma il preside non gli diede corda con mia grande soddisfazione, sostenendo che se lui in primis avesse avuto un atteggiamento rispettoso nei confronti di Angela Weber, così si chiamava la ragazza, non sarebbe accaduto nulla e il suo naso sarebbe sgonfio e ancora attaccato al cranio.

- Dovevate vederla, ragazzi! - continuò Stephan, ancora eccitato - È stata una forza, non avete idea di che cosa vi siete persi! -.

George intervenne per la prima volta in quel discorso, diventando improvvisamente serio - Hai fatto bene a difendere quella ragazza, da quello che ha detto Ste sembrava davvero in difficoltà. Brava, non eri tenuta a farlo, ma lo hai fatto lo stesso e questo ti fa onore -.

- Esatto - concordò Will, stritolandomi in uno dei suoi abbracci, approfittando del fatto che ero seduta vicino a lui - Sono molto fiero di te, piccolina mia -.

- Sì, però adesso lasciami - biascicai quasi senza fiato. Le dimostrazioni d'affetto inaspettate ed esagerate non mi piacevano molto, anzi, mi mettevano decisamente in imbarazzo.

Will rise a gran voce eseguendo la mia richiesta, ma continuando comunque a tenere un braccio intorno alle mie spalle.

- Appunto, non era tenuta a farlo - disse Sebastian, facendo ricadere lo sguardo di tutti sulla sua immagine.

L'espressione del viso e il tono che aveva utilizzato fecero ben intendere che non voleva essere un complimento. Non c'era nemmeno l'ombra di un sorriso sulle sue labbra e tantomeno finse di essere fiero di me. Si mostrò, fin da subito, contrario alla decisione che avevo preso di difendere quella ragazza e non ci voleva un genio per capirlo.

Restammo qualche secondo in silenzio, finché non fu Will a prendere parola.

- Che cosa vorresti dire con questo, sentiamo?! - chiese a bruciapelo a Sebastian, usando appositamente un tono scocciato.

- Will, lascia perdere - sussurrai.

Non volevo che discutessero a causa mia. Sapevo bene che niente avrebbe fatto cambiare idea a Sebastian: per lui avevo sbagliato ad intervenire a prescindere, e mi andava bene così perché conoscevo il modo di pensare di mio fratello.

Will si girò verso di me - No che non lascio perdere! Hai commesso una buona azione, hai difeso quella ragazza e dato un pugno a quello stupido, che se lo meritava tutto! Dovrebbe essere fiero di te! -.

- Fiero di lei? - Seb rise senza un briciolo di ironia- Io sono fiero di lei tutti i giorni e non c'è un minuto che non pensi che, se continua così, a studiare e ad allenarsi come si deve, diventerà una cacciatrice straordinaria. Perciò, non osare assolutamente ripetere che non sono fiero di mia sorella, perché non è assolutamente vero! -.

Ero grata per ciò che Sebastian aveva appena detto. Non aveva esattamente usato un tono pacifico per dirlo, anzi, sembrava abbastanza incazzato, e di sicuro non immaginavo che me lo avrebbe mai detto, soprattutto in un momento del genere, ma mi fece comunque piacere sentirglielo dire. Non erano complimenti che mi riservava spesso, perciò ogni volta che gli capitava di farmeli, li conservavo dentro di me come un tesoro prezioso e non me ne vergognavo.

- Ma disapprovo quello che ha fatto oggi - concluse categorico, lanciando a Will uno sguardo di sfida al quale quest'ultimo rispose senza problemi allo stesso modo.

- Noi shadowhunters difendiamo principalmente i mondani -, intervenne Stephan, confuso dal comportamento di Sebastian - questo è quello che facciamo ed è questo quello che ha fatto Bella -.

Seb scosse la testa contrariato - Il nostro compito non è quello di difendere i mondani da altri mondani! Bella non si sarebbe dovuta intromettere, perché il Conclave ha dato l'ordine di mantenere un basso profilo e di intervenire davanti agli umani solo in caso di estrema necessità. Adesso ha attirato attenzione su di sé, perciò sì, ha sbagliato -.

- Nessuno avrebbe mosso un dito per quella ragazza - provai a dire, non per fargli cambiare idea, ma semplicemente per placarlo - E so bene che non era mio compito intervenire, ma non riuscivo restare a guardare senza fare nulla -.

Sebastian mi guardò dritto negli occhi, con una sicurezza di cui solo lui era capace - Come fai a dire che nessun altro l'avrebbe difesa? - chiese e io non seppi rispondere - Non penso che questo sia stato l'unico episodio di bullismo che quella ragazza abbia subito e dubito che nessuno, prima di te, sia mai intervenuto. Ammetti che hai agito per impulsività, almeno -.

Confermare una cosa del genere, cioè ammettere di aver agito per impulsività, è qualcosa che ogni shadowhunter non vorrebbe mai dover fare. Tutte le nostre decisioni dovevano essere soppesate e definitive, perché non potevamo cambiare idea a nostro piacimento o comportarci con insicurezza. Ci insegnavo fin da piccoli a prendere scelte definitive in poco tempo, soprattutto perché da questo sarebbe dipesa la vita di qualcuno. Non potevamo né cincischiare né essere impulsivi. L'impulsività per noi cacciatori poteva essere molto pericolosa.

- Perché devi punirla per qualcosa per cui dovrebbe essere solo che premiata?! - domandò Will, sempre più infervorato.

- Ha ragione Sebastian - lo bloccai, facendogli uscire gli occhi fuori dalle orbite - Ho agito per impulsività e non avrei dovuto farlo -.

- Ma cosa dici? - intervenne Ste, quasi offeso.

- La verità - risposi, per poi fissare lo sguardo sull'immagine di mio fratello biologico - Non si ripeterà più -.

Dopo averlo ammesso, risultò fin da subito più tranquillo. Sebastian aveva ragione, non avevo ammesso la mia colpa per dargliela vinta o farlo stare più tranquillo. Nonostante la buona azione che avevo fatto, mi ero automaticamente esposta troppo e non andava assolutamente bene. Anzi, sperai con tutta me stessa che la notizia di ciò che avevo fatto non arrivasse mai ai nostri genitori, altrimenti lì sì che sarebbero stati guai.

Sebastian voleva solo il mio bene, voleva solo proteggermi, e io lo sapevo.

- Forza, vieni - si rivolse a me Sebastian, porgendomi la mano - Andiamo ad allenarci -.

Sgusciai fuori dalla presa di William e afferrai la mano di Seb con decisione e, sotto gli sguardi sorpresi e contrariati dei miei fratelli adottivi, mi feci trascinare dal moro al piano di sotto.

__

Iniziammo l'allenamento con un po' di combattimento corpo a corpo.

Allenarmi con Sebastian mi piaceva molto, proprio perché come Jonathan e William, era uno dei pochi a non trattenersi davanti a niente e a nessuno. Non importava se era solo un allenamento, se eri del sesso opposto o piccolo e mingherlino: loro usavano ugualmente tutta la loro forza e intelligenza, perché solo così avevi la possibilità di apprendere al meglio e diventare un ottimo cacciatore.

Continuammo a lottare per molto tempo, forse un'ora o un'ora e mezza, senza mai fermarci e senza pause, ma anche senza che uno di noi due prevalesse sull'altro. Lui era più forte e più alto, ma io ero più agile e scattante. Alla fine, decidemmo di concludere in parità in modo da poterci allenare anche con le armi.

Quando anche William, George e Stephan arrivarono in palestra per allenarsi, noi avevamo appena finito, così ci salutammo per andare a fare la doccia con la promessa che ci saremmo rincontrati in armeria per pulire e sistemare le armi.

Una volta sistematami e dopo aver indossato qualcosa di comodo, mi diressi in armeria, ove Sebastian già mi stava attendendo.

Appena entrai mi fece un piccolo sorriso, ma sincero. Ero felice che non stesse più pensando alla discussione di prima.

Iniziammo a pulire in un silenzio, ma non era imbarazzante, anzi, era abbastanza piacevole. Io e Sebastian non avevamo la necessità di parlare sempre, ci bastava semplicemente essere vicini l'uno all'altra. Dopo tutto quello che avevamo passato e nonostante tutti i litigi che c'erano tra di noi per differenze di vedute sulla concezione della nostra famiglia adottiva, avevamo comunque un legame molto unito e speciale. Sapevo che avrebbe dato la vita per me, e io per lui.

- Posso chiederti una cosa? - domandò ad un certo punto, interrompendo quella magia silenziosa che si era creata.

Lo guardai di sottecchi, stranita. Solitamente se mi doveva chiedere qualcosa, lo faceva e basta. Non perdeva mai tempo per domandarmi se poteva farlo. Probabilmente, voleva chiedermi qualcosa che non lo faceva a sentire totalmente a suo agio.

- Certo - lo rassicurai tranquillamente, senza guardarlo, in modo da non metterlo in imbarazzo.

Si sgranchì la voce prima di parlare - Hai mai pensato di avere un parabatai*? -.

La sua domanda mi lasciò talmente spiazzata, che quasi mi cadde un pugnale dalle mani.

Avevo parlato spesso con Stephan, ad Idris, dell'eventualità di diventare parabatai, ma alla fine non lo avevamo mai fatto, perché in quel momento non ce n'era la necessità. In fondo, eravamo segregati all'interno del nostro paese natale. Ma effettivamente, dato che eravamo a Forks, avremmo dovuto riparlarne.

Decisi di rispondere a mio fratello con sincerità - Sì, io e Stephan ne abbiamo parlato spesso -.

- Stephan?! - esclamò contrariato, quando alzai gli occhi su di lui per vedere la sua reazione.

Sbatté l'arma che aveva in mano sul tavolo in legno con forza, facendomi sobbalzare. Non mi aspettavo i fuochi d'artificio, ma nemmeno una reazione così fortemente negativa.

- Perché lui? Perché non me? - chiese, decisamente alterato e alzando la voce - Io sono tuo fratello! -.

- Perché con lui mi è capitato di parlarne spesso, mentre tu me ne stai parlando solo ora - tentai di rassicurarlo, senza riuscirci - E poi lo sai che per me Stephan è un fratello al pari di te, come William e George! -.

- Ma non lo sono! - esclamò esasperato - Non lo sono! Sono io il tuo vero fratello e, dopo tutti i nostri trascorsi, dovrebbe essere naturale per te desiderarmi come tuo parabatai! -.

Con quella frase mi fece salire i sensi di colpa - Sebastian... -.

- No, senti, lascia perdere! - disse adirato - Tanto so già che preferisci loro a me, lo hai sempre fatto. Ma ricorda: loro non sono la tua vera famiglia e non lo saranno mai - poi mi voltò le spalle e uscì dall'Armeria con queste ultime parole - Se dovessero arrivare a scegliere tra salvare i loro figli e salvare noi, sceglierebbero loro. Tu hai solo me al mondo e io ho solo te. Ricordatelo prima che sia troppo tardi -.

__

Il giorno dopo a scuola fu un vero disastro. Tutti gli sguardi della Forks High School erano fissi su di me con un'insistenza quasi maniacale. Chiunque si sarebbe sentito a disagio in una situazione simile.

Tentai con tutta me stessa di ignorarli, come il giorno precedente, ma quella mattina fu davvero difficile.

Speravo di avere almeno la vicinanza di Stephan a rassicurarmi, ma quando confrontammo l'orario delle lezioni, capimmo che non avremmo mai avuto nemmeno un'ora comune. Questa scoperta mi deprimi molto, soprattutto quel giorno, soprattutto dopo quello che era successo ieri sera con Sebastian. Volevo parlarne con Stephan, ma a casa non potevo aprire l'argomento per ovvie ragioni, per cui l'unica mia possibilità era a scuola, in una zona abbastanza appartata per poter discutere in sicurezza.

Mancava poco al suono della campanella, così fui costretta a salutare mio fratello e incamminarmi verso l'aula dove si sarebbe tenuta la lezione di biologia con il professor Banner.

Purtroppo non feci in tempo a raggiungere la classe prima che la campanella suonasse e infatti, quando vi entrai, tutti gli studenti erano seduti al loro posto.

Gli alunni iniziarono a fissarmi. Di nuovo. Quando sarebbe finita questa ossessione nei miei confronti?

Il professor Banner si accorse della mia presenza solo quando fui abbastanza vicina alla cattedra da farmi notare, considerando che era chino sulla scrivania, concentrato su un libro.

Appena si accorse della mia vicinanza, si raddrizzò sulla schiena e si sistemò gli occhiali sul naso - Tu sei...? - .

- Isabella Durwood - risposi a bassa voce, rivolgendomi solo a lui.

Senza fami attendere troppo, vagò con le mani sulla sua scrivania per poi porgermi il libro di testo, senza dimenticarsi di dirmi entusiasta - Beh, benvenuta al mio corso di biologia! - e aggiunse poco dopo, con più serietà - Per ora cerca solo di stare al passo e se non capisci qualcosa alza la mano! - .

Annuii velocemente e mi voltai, notando che, sulla mia traiettoria, un ragazzo stava sistemando il bacone da laboratorio per farmi spazio. Ma non era un ragazzo qualsiasi, no. Lui il giorno prima era seduto insieme ad altro quattro ragazzi, simili a lui, al tavolo più isolato della mensa. Non era il bestione con i capelli scuri o il biondo con lo sguardo allucinato, ma quello con i capelli rossicci che io avevo associato al David di Michelangelo.

Non feci in tempo a concludere quel mio pensiero stupido che, improvvisamente, i miei occhi si immersero nei suoi. Erano enigmatici, incantevoli... ma soprattutto, color castano-dorati.
Era un colore che non avevo mai visto in tutta la mia vita e, ero quasi certa, che non esistesse in natura. In ogni caso, ero come ipnotizzata e non riuscivo a fare altro se non osservare costantemente i suoi occhi come se non ci fosse cosa più bella al mondo. E forse era così, forse davvero non c'era cosa più bella al mondo dei suoi occhi.

Dopo aver fatto questo pensiero mi venne il voltastomaco, sia perché era fin troppo smielato per me sia perché non lo avevo mai fatto nei confronti di nessuno. Per questi motivi, mi diedi della ridicola e recuperai un minimo di dignità, cercando di tornare alla vita reale.

Notai che anche lui mi stava osservando come fino a pochi secondi prima stavo facendo io, e questo mi fece stranamente piacere. Ma che mi stava succedendo? Non mi stavo immaginando nulla, quello che stavo sentendo e vedendo era reale.

Il ragazzo non distoglieva lo sguardo e, di conseguenza, non riuscivo a farlo nemmeno io, nonostante avessi recuperato un po' di lucidità.

A farmi recuperare totalmente le capacità cognitive, servì l'intervento del professor Banner, che si schiarì la voce accanto a me per ottenere la mia attenzione - Ehm, ehm! Tutto bene Signorina Durwood? - .

Mi risvegliai di scatto, come se fossi appena stata liberata da un incantesimo - Sì... -.

- Bene... Si può accomodare vicino al Signor Cullen? Così possiamo iniziare la lezione - non c'era nessuna traccia di rimprovero nella sua voce e ne fui grata.

Questo scambio di sguardi mi aveva letteralmente scombussolata, ma eseguii quello che mi era appena stato chiesto dal professore. Facendo due respiri profondi, mi avvicinai lentamente al posto che mi era stato assegnato e che, casualmente, si trovava proprio vicino a quello del ragazzo a cui appartenevano quel paio di occhi mozzafiato.

Il Signor Cullen, aveva detto il professor Banner.

Senza guardarlo, mi sedetti al suo fianco. Come avrei fatto a prestare attenzione alla lezione se lui sarebbe stato il mio compagno di banco per tutto l'anno?

Improvvisamente, vidi con la coda dell'occhio il mio vicino irrigidirsi...

Alzai lo sguardo nel tentativo di riuscire a guardarlo meglio, senza farmi notare, ma lui mi stava già fissando, non aveva mai smesso di farlo. Ricascai di nuovo nei suoi occhi e, nonostante fossero una tentazione unica, cercai di concentrarmi e analizzarli. Non riuscivo proprio a smettere di pensare che quel colore non avesse proprio niente di naturale. Possibile che utilizzasse le lenti a contatto?

Iniziò a stranirmi anche il suo atteggiamento. Stava stringendo tra le dita la lastra di onice che completava il bancone del laboratorio di biologia, come se si stesse trattenendo dal compiere qualcosa.

Iniziai ad avere dei sospetti e, improvvisamente, tutta l'attrazione che avevo provato fino a pochi secondi prima, sparì... No, non era vero, mentivo, ma tentai comunque di mettere quelle sensazioni da parte per non distrarmi.

Iniziai così ad osservarlo ancora, però in modo differente rispetto a pochi secondi prima. Pensai che oltre al colore della sua iride, la sua carnagione era incredibilmente pallida, persino più della mia, e i suoi occhi erano ornati da delle leggerissime occhiaie.

E se dobbiamo parlare di bellezza, era davvero splendido e non lo si poteva negare: con quei capelli castano-ramati in disordine, il naso dritto, le labbra sottili e schiuse. Stesso discorso per il fisico: era muscoloso, ma non eccessivamente. Era praticamente perfetto e questo era surreale.

Per tutta la durata della lezione continuai ad osservarlo con la coda nell'occhio, in attesa di qualche suo movimento o azione che mi avesse potuto dare qualche altro indizio.

Quando poi, all'improvviso, nello stesso istante in cui suonò la campanella, la sua mano sfiorò la mia, al suo contatto rabbrividii: era fredda e dura come il marmo. I nostri occhi si incontrarono nuovamente, i miei strabiliati e i suoi scuri e assetati... assetati?!

Non feci in tempo ad osservarlo con più attenzione che si volatilizzò in un lampo, troppo velocemente per un mondano. Senza dar peso agli sguardi indiscreti e curiosi intorno a me, mi alzai dallo sgabello per poi uscire dall'aula.

Era pallido, innaturalmente freddo, duro come la pietra e bello, anzi bellissimo...

Aveva tutte le caratteristiche che si addicevano alla specie... alla specie dei vampiri...

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Capitolo 9
*** 8. Emmett ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


8. EMMETT

[
POV BELLA]

Ancora confusa e sconcertata, mi diressi verso la lezione successiva, che si teneva nell'aula sette con la professoressa Goff.

Fui la prima ad entrare in classe, così decisi di sedermi in fondo, verso gli ultimi banchi, per essere notata il meno possibile. L'idea di posizionarmi nelle prime file proprio non mi allettava, e le mie ragioni erano più che ovvie.

Dopo una decina di minuti, pian piano, l'aula iniziò a popolarsi. Nessuno ebbe il coraggio di sedersi accanto a me e ne fui sollevata. Avevo già gli occhi di tutti addosso, ci mancava soltanto qualche curioso che si sedesse accanto a me per fare amicizia. Non che non volessi amici, sia chiaro. Semplicemente, non potevo. In caso contrario, sarebbe stata un inutile perdita di tempo e per me era molto prezioso.

Appena la professoressa Goff entrò in aula e si accorse della mia presenza, mi invitò a presentarmi ai nuovi compagni di classe.

Ma è davvero necessario!?

Mi alzai dal mio posto e, con tutta la calma del mondo, mi avvicinai alla cattedra e mi voltai verso gli studenti seduti ai loro rispettivi banchi.

- Mi chiamo Isabella Durwood, ho sedici anni e mi sono trasferita qui qualche giorno fa dall'Europa. Prima abitavo in Francia, a Parigi, ma ho frequentato una scuola privata dove si parlava prevalentemente inglese - raccontai velocemente l'alibi che era stato costruito per me e mio fratello, inchiodando tutti con lo sguardo.

La professoressa Goff aveva dato loro la libertà di farmi qualche domanda se volevano, e io di sicuro non ero la candidata più adatta per rispondere alle loro stupide curiosità mondane. Era più una cosa da Stephan questa. In ogni caso, non mi sarei mai sottoposta ad una cosa del genere e intendevo appunto evitare questa possibilità con il mio atteggiamento ostile, volutamente distaccato e provocatorio.

Inoltre, come se non avessi avuto già abbastanza cose a cui pensare, alla mia lista delle preoccupazioni, si era aggiunto anche un vampiro scolarizzato con la passione per lo studio! Com'era possibile una cosa del genere?! I vampiri si nutrivano di sangue, non potevano frequentare gli stessi punti di ritrovo degli umani!

E i Volturi, cosa ne pensavano? Erano d'accordo? È così che proteggevano il loro segreto? Permettendo ad un vampiro qualunque di giocare a interpretare il ruolo di un essere umano?

Per quanto riguardava le regole, il Consiglio dei Vampiri era rigido come il nostro Conclave. Entrambi credevano fortemente nel "Sed Lex, Dura Lex", che in latino significa per l'appunto "La legge è dura, ma è la legge". Per questo motivo, mi risultava davvero difficile credere che i Volturi permettessero una simile libertà ad un vampiro, creatura pur sempre pericolosa e imprevedibile.

A meno che questa non fosse una loro tattica per arrivare ad ottenere qualcosa di cui ancora non sapevamo nulla...

Io proprio non riuscivo a capire, ero troppo confusa. Troppe supposizioni e zero risposte.

Iniziai a pensare che forse, noi Shadowhunters, eravamo stati fuori dal mondo per troppo tempo. Molte cose in nostra assenza, nel mondo dei Nascosti, erano inevitabilmente mutate e noi non avevamo potuto far parte di questo cambiamento, per diverse ovvie ragioni. Ne fummo esclusi, restando così indietro con i tempi e, di sicuro, questo non era un bene, non per noi.

- Come te la cavi in spagnolo? - tossì la professoressa al mio fianco, facendomi tornare alla realtà.

Così questa era l'aula di spagnolo. Ero così presa dai miei pensieri che non ci avevo neanche fatto caso sull'orario, mi ero semplicemente limitata a leggere il numero dell'aula.

- Non male - risposi modesta, semplicemente per non dare ulteriori pretesti a questi mondani per spettegolare su di me.

Noi Cacciatori venivamo educati fin da bambini a imparare cinque lingue, come minimo. Tempo fa, quando ancora i miei antenati potevano permettersi di girare liberamente per il mondo quasi senza preoccupazioni, per quando uno Shadowhunter potesse non averne, era davvero molto utile imparare più lingue possibili, per comunicare con un numero sempre maggiore di Nascosti e Cacciatori. Inoltre, considerando che, il nostro paese natale, Idris, si trovava esattamente nel continente europeo, composto a sua volta da diversi stati con diverse lingue... beh, questa era una motivazione in più per conoscerle tutte. Potevamo definirla come una peculiarità del nostro tipo di formazione, per completare l'istruzione di un Nephilim.

Io e i miei fratelli, ad esempio, ne avevamo studiate sette: inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco e le basi di greco e latino.

La lingua spagnola la conoscevo come le mie tasche, di sicuro non ci sarebbero stati problemi con questa materia.

Sorrise - Beh, lo vedremo nel corso dell'anno signorina Durwood! Prego, può tornare a sedersi! - .

Annuii e velocemente tornai al mio posto.

Non seguii la lezione, non mi serviva. Piuttosto, tornai a pensare a quel vampiro.

Era pericoloso. E se fosse successo qualcosa? Dovevo ucciderlo, farlo a pezzi e bruciare i resti. Non avevo altra scelta, ma non potevo farlo da sola. Avevo bisogno dell'aiuto della mia famiglia, loro sapevano che cosa fare in questi casi.

Lui era solo uno, mentre noi eravamo in sette... Se fosse stato necessario ricorrere ad uno scontro, lo avremmo potuto abbattere facilmente.

Magari, invece, mi stavo preoccupando per nulla e la situazione si poteva risolvere semplicemente parlando, senza utilizzare per forza alla violenza.

Secondo i Nascosti ci eravamo estinti un secolo fa, ma questo non voleva dire che avessimo dimenticato gli Accordi stipulati quasi mille anni prima. Gli Accordi erano un trattato che dichiarava la tregua fra i Nephilim e tutte le altre creature sovrannaturali, come vampiri, fate, stregoni e licantropi, e imponeva anche il rispetto che doveva esserci fra una specie e l'altra. Perciò, anche con la nostra "scomparsa", gli Accordi non decaddero. In fondo, era nell'interesse di tutti rispettarli.

Dovevo trovare una soluzione e al più presto.

Tutti quei mondani... avrebbe potuto ucciderli tutti, spezzando così le loro vite in un attimo.

Valeva la pena sacrificare l'esistenza di un vampiro, per salvare circa trecento vite umane?

Sì, ne valeva la pena.

__

Ero con le spalle appoggiate contro il muro della mensa, mentre aspettavo che mio fratello Stephan facesse la sua magica comparsa, da un minuto all'altro. Dovevo parlargli il prima possibile e, per evitare che qualcuno sentisse qualcosa di indesiderato, l'avrei portato nel boschetto vicino alla scuola.

Improvvisamente, il mio stomaco si fece sentire forte e chiaro. Iniziò a brontolare come se non ricevesse cibo da giorni. Avevo una fame terribile!

Noi Shadowhunters sprecavamo tante energie durante la giornata, essendo perlopiù formata da allenamenti, che si tenevano ogni giorno, e combattimenti. Di conseguenza eravamo abituati a mangiare il doppio, o addirittura il triplo, rispetto ai mondani. E poi, per quanto mi riguardava, amavo mangiare.

Dopo circa cinque minuti, finalmente, in lontananza notai mio fratello insieme al ragazzone tutto muscoli che il giorno prima aveva applaudito davanti al mio gancio contro Luke lo Stronzo. Stavano parlando animatamente, entrambi divertiti da qualcosa, palesemente felici di essere in compagnia l'uno dell'altro. Mio fratello stava facendo amicizia con un umano, cosa severamente vietata.

Appena Stephan mi notò, mi indicò al suo nuovo amico e si avvicinarono. Non potei fare a meno di lanciargli un'occhiata ammonitrice abbastanza truce. Stava giocando con il fuoco non rispettando le regole che ci erano state severamente imposte, ma ancora non aveva capito quanto potesse essere pericoloso.

Quando arrivarono di fronte a me, mio fratello ne approfittò per passarmi un braccio intorno alle spalle e stringermi a sé. Dopodiché, rivolse un sorriso al bestione davanti a noi.

- Ehi sorellina! - mi salutò, entusiasta di vedermi - Che ci fai qui fuori? -

- Ti stavo aspettando - risposi freddamente, per poi lanciare un'occhiataccia al ragazzo, di cui ancora non conoscevo il nome.

Da vicino, c'era da dire che era ancora più alto e imponente di come mi ero immaginata. Inoltre, potei notare che nonostante i suoi capelli fossero molto corti, erano ricci. Questo particolare, a differenza della stazza, gli dava un'aria decisamente più infantile. Gli occhi invece erano... erano dorati, anche i suoi.

Mi irrigidii immediatamente e mio fratello sembrò notarlo, posando il suo sguardo su di me, abbastanza incuriosito. Non capiva il mio repentino cambio di postura e questo mi mandava fuori di testa: possibile che davvero non avesse capito chi si trovava davanti a sé? Possibile che non si fosse accorto di star stringendo amicizia con un vampiro?!

Ad un certo punto, iniziai a credere di essere io quella pazza... insomma, seriamente?! Un altro vampiro?! Per l'Angerlo Raziel, quante probabilità c'erano di trovare due vampiri che frequentavano regolarmente un luogo pubblico come la scuola?

Guardai allarmata mio fratello che, al contrario, non capì il perché della mia agitazione, anzi, dall'espressione che aveva, sembrava la persona più tranquilla della terra.

Non riuscivo davvero a credere che non avesse riconosciuto la creatura mitologica sorridente e in piedi davanti a noi.

- Oh, grazie! - esclamò contento, ignorando completamente il mio stato d'animo, per poi fare le presentazioni - Comunque, Emmett questa è mia sorella Isabella. Bella questo è Emmett. Condividiamo la stessa ora di ginnastica! - .

Tentai di ignorare anche io i sentimenti contrastanti che, in quel momento, non riuscivo a fare a meno di provare, e rivolsi un altro sguardo al vampiro. Cercai di sembrare rilassata, ostentando quasi una calcolata indifferenza. Fin da piccoli, ci era stato insegnato a mascherare bene le nostre emozioni. Oltre ad essere utile, la meta-comunicazione in battaglia risultava di vitale importanza.

- È un piacere conoscerti, Bella - disse cordiale Emmett, facendomi un mezzo sorriso - Anche se, obiettivamente, dopo l'episodio di ieri, chi non ti conosce? - domandò retoricamente, facendo l'occhiolino a Stephan e scoppiando a ridere.

Dopodiché, notai la sua mano alzarsi, ma all'improvviso cambiò idea, riportandola al suo posto iniziale, cioè la tasca della sua giacca. Era un riflesso incondizionato: voleva stringermi la mano, ma casualmente si era ricordato di non poterlo fare. Forse, perché la sua pelle era ghiacciata e, sicuramente, avrei notato la differenza di temperatura che c'era fra di noi.

In ogni caso, il suo gesto non mi era per niente sfuggito e dal mio guardo attento, poté intuirlo anche lui.

- Ti devo parlare - dissi a mio fratello, non commentando la frase stupida di Emmett e il suo quasi-gesto di presentazione.

In cambio, lo vidi sbuffare e alzare contemporaneamente gli occhi al cielo - Ho fame, Bells! Parliamo dopo! - .

Fece per dirigersi verso l'entrata della mensa, ma lo bloccai prima che potesse anche solo muovere un passo in più, stringendogli il braccio e bloccandogli il passaggio. Se fosse stato necessario, gli avrei infilato anche le unghie nella pelle.

- È urgente! - sibilai, pensando tra me e me che quella mattina probabilmente voleva portarmi all'estremo della mia pazienza.

- Okay, allora parla! - esclamò esasperato, incrociando le braccia al petto.

- Da soli - sottolineai, lanciando un'occhiata furtiva alla mia destra, in direzione del vampiro accanto a noi.

Il diretto interessato, capendo l'antifona, si grattò la testa a metà tra il divertito e l'imbarazzato, congedandosi - Ho afferrato il concetto! - rise - Stephan, ci vediamo dopo! Vi lascio parlare! - .

E così, si avviò da solo verso le porte della mensa.

Mio fratello, in tutta risposa, gli urlò - Puoi contarci, mi devi ancora una rivincita a palla canestro! - .

In tutta risposta, il vampiro scoppiò in una fragorosa e potente risata e si voltó solamente per lanciarmi una lunga occhiata, della quale non riuscii a decifrare lo sguardo. Successivamente, sparì dietro la porta dell'edificio, che si chiuse subito dopo il suo passaggio.
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Capitolo 10
*** 9. Gold Eyes ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


9. GOLD EYES

[
POV BELLA]

Stephan appena vide il suo nuovo amico voltargli le spalle, si rivolse a me, facendo un lungo sospiro - Dimmi, che problema c'è? - .

- Non possiamo parlarne qui! - proclamai, come se fosse ovvio - Seguimi -.

Iniziai ad incamminarmi verso il bosco che costeggiava la scuola, senza voltarmi per vedere se mio fratello mi stesse seguendo, perché ero sicura che fosse così. La strada non era in piano e quando iniziammo ad addentrarci nella boscaglia fitta, il terreno si faceva sempre più ripido e scivoloso. Fortunatamente, eravamo entrambi allentati, perciò non era un grosso problema. Ci capitava di scivolare ogni tanto per via delle scarpe sbagliate che indossavamo, non adatte per quel tipo di percorso, ma ogni volta riacquistavamo subito l'equilibrio senza troppi intoppi.

Dopo qualche minuto, quando mi sentii al sicuro da occhi e orecchie indiscrete, decisi di fermarmi. Appoggiai le mie spalle al tronco di un grosso albero e mi voltai verso Stephan, che mi guardava sempre più curioso di sapere che diavolo mi passasse per la testa. Quello era un posto perfetto per parlare in privato, senza il pericolo che qualcuno potesse ascoltare la conversazione. Nessun mondano sarebbe arrivato fin qui senza farsi notare a metri di distanza, perciò potevamo stare tranquilli in quel senso. Invece, mi preoccupavano dei Nascosti in particolare, ma per loro in quel momento non potevo farci niente. Comunque, con tutta probabilità, se i due vampiri non si fossero mossi dalla scuola, ero sicura che non potessero ascoltare nulla per via della distanza che io e Ste avevamo percorso.

Iniziai a guardare Stephan, con l'intenzione di parlargli, però non sapevo esattamente come iniziare il discorso. Mi risultava assurdo che lui non avesse capito chi si era trovato davanti e non volevo farglielo notare con l'intenzione di pormi in una posizione di superiorità a lui o, addirittura, farlo sentire uno stupido.

Vedendo la mia improvvisa e palese indecisione, iniziò a spronarmi.

- Dimmi quello che mi devi dire - disse con fare disponibile, come per mettermi a mio agio.

Presi due lunghi respiri profondi e infine parlai - Ho incontrato un vampiro... -.

La sua espressione non si modificò di un centimetro, iniziando a pensare che non avesse compreso realmente ciò che gli avevo appena detto. Forse era dovuto allo shock e alla consapevolezza di aver avuto al suo fianco un vampiro per ben due ore e di non essersene accorto.

Quando interruppe il silenzio, mi lasciò quasi senza parole per la sorpresa - Quale? -.

Lo guardai, non nascondendo la mia confusione - Come sarebbe a dire "quale"? Che razza di domanda è? -.

- A Forks ci sono sette vampiri e, cinque di loro, vengono a scuola con noi, Bella - mi rivelò, abbassando notevolmente il tono di voce.

Cioè... lui sapeva...

Ma come?

Un'uscita del genere, considerando il modo in cui si era comportato con Emmett, non era per niente coerente. A meno che, non si fosse mostrato gentile agli occhi del vampiro, per far sì che si fidasse di lui.

In ogni caso, stava iniziando a dolermi la testa. Probabilmente, mi stava per venire anche una crisi di panico, cosa che in tutta la mia vita non mi era mai capitata.

- Tu mi stai dicendo che ben cinque vampiri frequentano assiduamente la Forks High School?! - esclamai, ricalcando con il tono di voce ogni singola parola che proferiva dalle mie labbra.

Annuì, concentrandosi un attimo su di me - Perché respiri in modo così strano? Stai bene? -.

Non mi ero nemmeno accorta di aver iniziato ad ansimare. Tutti quei mondani vivevano a stretto contatto con dei vampiri pericolosi e assassini, e nemmeno se ne rendevano conto. La loro vita era in pericolo e nemmeno lo sapevano. Quindi sì, stavo decisamente una favola.

- Come fai a saperlo? - gli domandai, tra un respiro e l'altro.

Ero contenta che ci fosse solo Ste qui con me. Una reazione di questo genere, da parte mia, non sarebbe stata vista bene da qualsiasi altro shadowhunters. Una delle cose più importanti era mantenere sempre i nervi saldi, sempre.

- Ho parlato con un mondano che, a sua volta, mi ha parlato di questi Cullen: stanno sempre per i fatti loro, non parlano mai con... -.

Lo interruppi bruscamente, iniziando ad innervosirmi - E perché mai, questo mondano, ti avrebbe parlato di loro? -.

Io stessa il giorno prima avevo già dato abbastanza spettacolo, davanti all'intera scuola. Ora più che mai dovevamo seguire le regole e mantenere un basso profilo, per quanto fosse possibile in questa cittadina.

- Beh... lui mi stava parlando della scuola e, dopo avermi fatto qualche domanda personale, in battuta, gli ho chiesto chi sono gli studenti più fichi, così è uscito il loro nome. Cioè, cognome - si corresse, per poi proseguire, grattandosi la nuca - Emmett, come ti ho già detto, l'ho incontrato in palestra. Dovevamo fare degli esercizi in coppia e il professore ci ha fatti lavorare insieme. Ho capito subito che era un vampiro, ma ho fatto finta di niente, ovviamente. Poi, quando si è presentato, ho collegato quello che mi ha detto Mike con quello che mi ha detto Emmett -.

Quindi era davvero così: lui era a conoscenza della loro natura e faceva tranquillamente amicizia con uno di loro? Non che avessi qualcosa contro i vampiri, per carità: sotto diversi aspetti, noi stessi cacciatori eravamo dei mostri e, in ogni caso, esistevano sempre creature peggiori. Ma frequentare una scuola mondana era un grande rischio, non solo per i mondani, ma anche per i vampiri stessi. Potevano facilmente rischiare di far saltare la loro copertura, in modi che nemmeno osavo immaginare.

Inoltre, eravamo a rischio anche io e Stephan: chissà quanti decenni o, peggio, secoli avevano... avrebbero potuto riconoscerci facilmente e, così, far saltare anche la nostra di copertura.

- E che cosa ne hai ricavato? - chiesi, in tono di sfida.

Il mio obiettivo era metterlo alla prova, per verificare se effettivamente rischiare così tanto parlando prima con un mondano e poi con un nascosto, avesse avuto i suoi frutti, perlomeno.

- Da quel che ho capito, sono stati adottati, tutti e cinque. Il "padre" lavora all'ospedale di Forks. Emm e uno degli altri due fratelli adottivi, non mi ricordo quale, sono fidanzati con le loro sorelle adottive. Sembrano essersi trasferiti dall'Alaska qualche hanno fa. Penso di averti detto tutto - mi informò, come se fosse la migliore tra le pettegole di quartiere.

Nonostante mi costasse ammetterlo, le informazioni che Stephan aveva raccolto erano interessanti, non di vitale importanza, ma comunque ci sarebbero state utili. Ma un particolare attirò la mia attenzione, più degli altri.

- Mi stai dicendo che sono fidanzati tra di loro?! - esclamai sconcertata.

Per un momento mi immaginai come sarebbe stare insieme a Stephan o con un altro dei miei fratelli adottivi. Immediatamente, venni colta da un conato di vomito. Persino immaginarlo mi faceva stare male. Forse, perché io li consideravo come veri e propri fratelli ed ero stata cresciuta, fin da piccola, con questa mentalità. Probabilmente, anzi, sicuramente, per loro era stato diverso.

Stephan in tutta risposta alzò le spalle con una calcolata indifferenza - Non sono fratelli di sangue - disse, iniziando a sghignazzare come uno stupido - L'hai capita? -.

Ignorai la sua ultima domanda, alzando gli occhi al cielo per la battuta squallida di mio fratello.

Cambiai totalmente discorso - Come hai fatto a restare così tranquillo in compagnia di Emmett? -.

- Che intendi dire? -.

Angelo Raziel, se avessi potuto invocarti, probabilmente in quel momento lo avrei fatto.

- Ci sono cinque vampiri solo a scuola. Non uno, come pensavo inizialmente, ma cinque - parlai con calma, nascondendo una valanga di preoccupazioni - Senza contare i loro "genitori". Cinque vampiri, assetati di sangue, che frequentano una scuola formata da trecento studenti, più il personale scolastico. Ti rendi conto, riesci a percepire il pericolo, per tutti gli studenti e i mondani che vivono qui nei dintorni? -.

Non riuscivo seriamente a capire perché Stephan non si ponesse le domande che invece mi ponevo io. Non riuscivo a capire come non dimostrasse nemmeno un minimo di preoccupazione, neanche con me, la persona a cui mostrava sempre le sue debolezze. Davvero non gli importava niente di tutte quelle persone? Era nostro compito, nostra responsabilità, tenerle al sicuro, anche da situazioni come queste!

Non gli diedi il tempo di rispondere, che lo anticipai - Se dovesse esserci uno scontro, tra noi e quei vampiri... Okay, in teoria, siamo ancora vincolati dagli Accordi, ma loro non sanno che siamo ancora vivi - dopodiché, gli domandai - Abbiamo le armi giuste per ucciderli, vero? Chiedo, giusto per essere pronti ad ogni evenienza -.

Iniziò a sfregare i palmi delle sue mani contro le mie braccia e poi, con più calma, mi disse nel tentativo di rassicurarmi - Qui nessuno uccide nessuno, okay? Non ce n'è alcun motivo, per ora -.

Annuii, trovandomi ad essere d'accordo con lui. Effettivamente aveva ragione.

Non sapevo perché ero andata così in apprensione. Forse perché ci trovavamo io e Stephan, da soli, per la prima volta, a dover risolvere una questione senza l'aiuto di nessuno. Era una grande responsabilità. Nessuno aveva detto che sarebbe stato facile eseguire il compito che il Conclave ci aveva assegnato, ma essere addestrati ad Idris in un luogo sicuro, quasi senza pericoli, per poi essere catapultati da un giorno all'altro nel mondo vero, con tutti i rischi che ne conseguono, era comunque un bel fardello. Possibile che me ne stessi rendendo conto solo in quel momento?

Ad un certo punto, Ste interruppe i miei pensieri - Hai visto di che colore sono i loro occhi? -.

- Sì, sono dorati - farfugliai mentre mi attirava al suo petto, per stringermi tra le sue braccia, ricordandomi improvvisamente l'ora di biologia.

In memoria di quello sguardo, un brivido di freddo mi percorse la schiena.

- E ti ricordi, ad Alicante, nella biblioteca, che cosa avevamo letto a riguardo sui vampiri? - domandò, riflettendo anche lui sulla stessa domanda che mi aveva posto.

Sciolsi l'abbraccio per guardarlo meglio in volto, non riuscendo a capire dove volesse realmente andare a parare.

- Abbiamo letto e studiato tante cose sui vampiri - gli ricordai, cercando di seguirlo passo dopo passo nel suo ragionamento.

- Sì, ma ti ricordi il capitolo che parlava del colore degli occhi? - .

Certo che me lo ricordavo, alla perfezione. Avevo una memoria formidabile per quanto riguardava lo studio. Una volta che immagazzinavo per bene un'informazione nel mio cervello, non la dimenticavo più. I miei fratelli mi invidiavano per questa mia dote, soprattutto quando eravamo più piccoli, perché ero sempre quella che finiva di studiare prima degli altri per avere il privilegio di iniziare gli allenamenti di combattimento con papà Jonathan.

- Diventano neri quando sono affamati e rossi quando si sono appena nutriti - dissi ad alta voce, sintetizzando la pagina del libro che ne parlava, capendo finalmente che cosa intendesse dire.

- Sono rossi quando si nutrono di sangue umano! - continuai, rivelando ad entrambi che c'era effettivamente qualcosa che non quadrava tra la realtà dei fatti e ciò che il libro scriveva.

Possibile che l'autore si fosse sbagliato? Lo dubitavo, ma avendo sempre vissuto ad Idris, non avevamo altri metodi di paragone con altri vampiri. Non potevamo sapere se questa fosse una peculiarità che riguardava solo i Cullen oppure era una specie di mutazione genetica che aveva colpito tutti o alcuni vampiri. Quest'ultima ipotesi mi sembrava altamente improbabile, anche se non totalmente impossibile.

- Di conseguenza -, concluse Stephan per me - i Cullen non si nutrono di sangue umano -.

Annuii, convinta anche io di quest'ultima possibilità. Questo spiegherebbe perché cinque di loro si aggiravano per i corridoi della Forks High School totalmente indisturbati.

- Se non si nutrono di sangue umano, allora di che cosa si cibano secondo te? -.

- Non ne ho idea, vuoi andare a chiederglielo? - scherzò, passandomi un braccio intorno alle spalle per poi spingermi a camminare nella direzione opposta a quella che avevamo intrapreso in precedenza, diretti verso la scuola.

Decisamente più tranquilla grazie a Stephan, scoppiai a ridere - No, non mi sembra proprio il caso -.

__

Il resto della giornata passò abbastanza tranquillamente, nonostante in mensa i Cullen ci avessero riservato qualche occhiata. Anche se, notando bene, al loro tavolo mancava un fratello all'appello: il vampiro che aveva frequentato la lezione di biologia con me quella stessa mattina.

Continuare a rimuginare su di loro non faceva altro che alimentare il mio mal di testa così, appena finito di pranzare, decisi di accantonare quel pensiero e concentrarmi sulla lezione di trigonometria che avrei avuto quel pomeriggio. Dire che non ci capii nulla era niente in confronto a quanto effettivamente il mio cervello si rifiutasse di apprendere ciò che era strettamente collegato a numeri e calcoli. Pensai che questa materia mi avrebbe dato filo da torcere, senza alcun dubbio.

Una volta concluse quelle due interminabili ore, finalmente la campanella che segnava il termine delle lezioni suonò e, con il pensiero che da lì a poco avrei rincontrato Stephan, mi sentii automaticamente più sollevata.

Uscii dalla classe e mi incamminai verso la nostra moto. In lontananza, potei notare che mio fratello si trovava già lì, seduto in sella, mentre sosteneva con entrambe le mani i nostri caschi. Non mi aveva ancora vista da quanto era perso nei suoi pensieri e, tantomeno, si accorse di tutti gli sguardi che le ragazze nei dintorni gli lanciavano.

Aumentai il passo nella sua direzione, quando ad un certo, sentii una mano racchiudersi delicatamente intorno al mio braccio, facendomi voltare.

Mi ritrovai davanti Angela, con lo sguardo intimorito e le gote più arrossate del solito. Pensai che le fosse successo nuovamente qualcosa e che fosse venuta a chiamarmi per aiutarla, ma quando mi parlò per la prima volta in quei due giorni, restai sorpresa di quello che mi disse. Non me lo aspettavo proprio, anzi, non mi aspettavo proprio che mi parlasse in generale, considerata la sua timidezza. Anche se più che timidezza, a pensarci bene, sembrava paura.

- Grazie - sussurrò.

Non aggiunse altro. Mi fece un sorriso piccolo, ma sincero, dopodiché mi voltò le spalle e si allontanò verso il suo autobus.

Una sensazione di gratificazione si espanse nel mio petto, facendomi automaticamente sorridere. Anche se non avrebbe dovuto farmi piacere, il gesto di ringraziarmi mi aveva leggermente sciolta. Dovevo ammetterlo, almeno a me stessa.

Sperai con tutta me stessa che nessuno mi stesse osservando in quel momento, ma quando alzai lo sguardo per verificare che effettivamente fosse così, i miei occhi caddero su Emmett che a quanto pare mi stava già osservando da un po'. Non fece cadere lo sguardo nemmeno per un istante e non sapevo come interpretarlo. Era serio, come se mi stesse analizzando, però i suoi occhi non sembravano cattivi. Erano solo troppo curiosi, troppo curiosi di sapere ciò che eravamo, potevo facilmente intuirlo.

Gli lanciai un'occhiata gelida e gli regalai un dito medio, al quale rispose con un sorriso palesemente divertito. Già stanca di quella interazione totalmente inutile, mi girai per raggiungere mio fratello che, da come mi stava guardando, sembrava aver assistito a tutta la scena.

Appena gli fui davanti, senza dire niente, mi passò il mio casco. Lo indossammo contemporaneamente e poi salii sulla moto, allacciando le braccia intorno alla vita di Stephan.

Mise in moto, ma prima di partire, mi disse - Devi stargli molto simpatica -.

Naturalmente, il suo commento era riferito a Emmett e a quello che era successo poco più di un minuto prima.

Alzai gli occhi al cielo e lo ammonii dandogli una pacca, per niente leggera sul fianco - Chiudi il becco -.

Finalmente partì, lasciandoci alle spalle la Forks High School.

Il viaggio di ritorno verso casa fu veloce e tranquillo: dopo meno di mezz'ora Stephan stava già parcheggiando la moto in garage. Scesi dalla sella e aspettai che finisse di sistemare i caschi al loro posto prima di rientrare.

Quando finì, mi voltai verso la porta che conduceva in salotto, ma mi prese alla sprovvista afferrandomi per il braccio e tirandomi verso di sé.

- Che c'è? - domandai confusa.

L'espressione di Stephan era preoccupata - Devo chiederti un favore...-.

Restai in attesa che continuasse a parlare per qualche minuto. Quando intuii che forse gli serviva un certo incoraggiamento, parlai - Dimmi pure -.

- Potresti... - iniziò titubante, mordendosi il labbro per l'agitazione - Potresti non dire niente agli altri di quello che ho fatto oggi? -.

Ci misi qualche secondo per capire a che cosa si stesse riferendo esattamente. Quando finalmente ci arrivai, non potei fare a meno di sorridere: aveva paura che potessi rivelare al resto dei nostri famigliari che quel giorno aveva conversato amichevolmente con dei mondani e avesse intrapreso un rapporto, molto vicino all'amicizia, con un vampiro.

- Dov'è finita tutta la strafottenza che avevi stamattina? -.

Quel giorno non era stato poi così tanto strafottente, ma la tentazione di punzecchiarlo era talmente grande da non resistere. Volevo farlo penare un po', volevo fargli credere di avere io il coltello dalla parte del manico.

Ma un sorrisino divertito si espanse sulle sue labbra, facendomi intendere che la mia domanda non aveva ottenuto l'effetto desiderato - Per caso, ti devo ricordare che cosa hai fatto tu ieri in mensa? -.

Immediatamente mi ammutolii. Cavolo, eravamo sulla stessa barca e, considerando che entrambi avevamo sbagliato, non potevo avere alcuna sorta di potere su di lui. Peccato.

- È pericoloso, Stephan - dissi, non del tutto convinta che fosse la scelta giusta - Non è un gioco -.

Iniziai a massaggiarmi le mani nervosamente. C'era un motivo ben preciso se il Conclave ci aveva impartito regole e limiti da rispettare rigorosamente. Il motivo principale era garantire la nostra sicurezza e quella della nostra specie. Ci era stato assegnato un compito non da poco e non potevamo permettere che andasse tutto all'aria per colpa di qualche mondano o nascosto, anche perché la nostra missione era rivolta anche a salvaguardare le loro vite, non solo le nostre.

- Lo so, hai ragione. Ti prometto che sarò responsabile, ma appoggiami - mi supplicò, scatenando il potere che i suoi occhi azzurri esercitavano su di me - Ti prego -.

Capivo perché ci tenesse così tanto ad avere più libertà e a godersi tutto ciò che l'esperienza di andare a scuola potesse darci, incluso farsi delle amicizie. Eravamo finalmente nel mondo vero e, nonostante la nostra realtà comprendesse demoni pericolosi e puzzolenti, essere qui era elettrizzante e spaventoso allo stesso tempo. Avevamo l'occasione di vivere una vita normale per qualche ora al giorno, per poi tornare ad essere dei comuni Cacciatori in "missione".

Era mio fratello, mi era sempre stato vicino e gli volevo un bene dell'anima. Ma se lo avessi appoggiato, avremmo tutti rischiato molto. Se, per pura sfortuna, qualcosa fosse andato storto, ci sarebbe andata di mezzo tutta la nostra famiglia.

D'altra parte, per quanto noi tutti amassimo Idris, viverci senza mai avere l'occasione di esplorare nient'altro, ti faceva sentire inevitabilmente prigioniero. Molte volte avevamo immaginato, la notte, al posto di dormire, insieme agli altri nostri fratelli, come sarebbe stato il mondo là fuori. Ipotizzavamo e raffiguravamo mentalmente grandi e piccole città, con i loro cittadini, i caratteri delle persone, il loro modo di vestire...

Ora che potevamo smettere di immaginare e vivere tutto questo per davvero, creava quasi dipendenza.

Notando la mia indecisione, Stephan mi abbracciò con l'intenzione di farmi cedere con il solletico. Sapeva quanto ne soffrissi, così non potei fare a meno di cominciare a dimenarmi e ridere nello stesso momento quando le sue dita mi sfiorarono i fianchi. Sentendo la mia risata, anche lui iniziò a sghignazzare.

Improvvisamente, sentimmo sbattere una porta. Presi alla sprovvista sobbalzammo e, senza accorgercene, ci separammo. Sebastian aveva appena fatto il suo ingresso in garage e non sembrava avere un'aria contenta.

- Che cosa sta succedendo qui? - indagò, con il tipico tono di voce scontroso che lo sentivo utilizzare nel momento in cui mi vedeva ridere e scherzare con un qualcuno che non fosse lui.

Corrugai le sopracciglia, mettendomi sulla difensiva - Niente -.

Mi squadrò per qualche secondo, prima di passare ad incenerire Stephan, che abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. Ste si sentiva sempre molto a disagio in presenza di Seb, e come dargli torno onestamente? Ogni scusa, soprattutto se riguardava me, era buona per litigare.

- Bene - concluse, capendo perfettamente che quella che gli avevo detto era una balla - Bella, ti aspetto in palestra per l'allenamento - ordinò con un tono che non ammetteva repliche, per poi andarsene, ma non senza riservarci un'altra occhiata, naturalmente.

Possibile che fosse davvero così infastidito dal rapporto che legava me e Stephan?

Il biondo, che sembrava aver ritrovato il buonumore non appena Sebastian se ne andò, attirò la nuovamente la mia attenzione - Mi aiuterai? -.

Alzai gli occhi al cielo, nella speranza che non me lo chiedesse nuovamente.

- Sì, basta che non mi stressi più! - esordii.

Sorrise, attirandomi di nuovo tra le sue braccia, ma stavolta non per farmi il solletico. Mi abbracciò dolcemente e, ancora più teneramente, mi sussurrò all'orecchio - Grazie -.

Il secondo "grazie" di quella giornata. In fin dei conti, sotto questo punto di vista, il secondo giorno di scuola non era stato poi così male. Senza alcun'ombra di dubbio, batteva il precedente.

Mentre sciolsi l'abbraccio, mi ricordai che non avevamo ancora deciso come organizzarci sull'argomento "vampiri".

- Ascolta - mormorai, per essere sicura che potesse sentirmi solo lui - Cosa facciamo con i Cullen? Lo diciamo agli altri oppure ce lo teniamo per noi? -.

Ci pensò per qualche secondo prima di parlare - Secondo me, è meglio se ce lo teniamo per noi. Prima di prendere qualsiasi altra decisione più "drastica", sarebbe meglio informarsi a dovere sulle abitudini dei Cullen -.

Gli sorrisi teneramente, concordando con lui - Va bene, mi fido di te -.

- Anche io mi fido di te -.

__

[POV EMMETT]

La guardai uscire dall'aula di trigonometria. Indossava la sua solita espressione seria, nonostante i suoi tratti fossero delicati e dolci. I capelli scuri le ricadevano lungo tutta la schiena e, i suoi occhi, così scuri e profondi, erano a me talmente familiari...

Non volevo trarre conclusioni affrettate, ma d'altra parte, quanti altri cacciatori avevano gli occhi di quel particolare colore? Purtroppo, questa prova non bastava però, non per me.

Ero solo pieno di sensazioni, sensazioni che mi portavano a pensare che fosse proprio lei, il dono più prezioso che mi era stato portato via, che ero stato costretto a lasciare con la convinzione di non poterlo rivedere mai più. Era davvero riuscita a sopravvivere?

Inoltre, il nome "Isabella" era abbastanza popolare tra gli shadowhunters, quasi quanto "Jonathan", perciò non potevo affidarmi del tutto a questo particolare. Anche il cognome non corrispondeva a quello che ricordavo, nonostante Durwood non mi fosse comunque nuovo.

Diamine! Erano passati troppi anni dalla mia vita umana e i miei ricordi, purtroppo, stavano vacillando da tempo ormai. Non riuscivo a ricordare bene quel tipo di dettagli, nonostante per me fossero importanti. L'idea che i pochi ricordi della mia vita passata mi stessero abbandonando definitivamente mi terrorizzava, e non poco.

Continuai a guardarla dalla mia postazione, accanto alla mia Jeep. Avremmo usato solo quella per tornare a casa, dato che Ed aveva deciso di abbandonarci all'ultimo momento, a bordo della sua volvo grigio metallizzata, senza troppe spiegazioni.

All'improvviso, Angela Weber fermò la cacciatrice per dirle semplicemente un "grazie". Onestamente, lo trovai abbastanza strano ed inquietante, soprattutto perché non le avevo mai sentito aprir bocca prima di quel giorno. Isabella, da parte sua, rimase immobile per qualche secondo prima di lasciarsi andare in un piccolo sorriso che, ovviamente cercò di nascondere subito. Non mostrare le proprie emozioni era la regola base dei cacciatori.

Ad un certo punto, si accorse che la stavo fissando. Non distolsi appositamente lo sguardo, soprattutto perché volevo vedere la sua reazione. Naturalmente, tenendo conto dell'episodio del giorno precedente, la ragazza non mi deluse: mi lanciò un'occhiata decisamente poco gioviale, per poi regalarmi la bellezza del suo dito medio.

Mi limitai a sorridere divertito, anche se la tentazione di scoppiare a ridere era tanta. Jaz, che aveva assistito alla scena, invece non si trattenne. Rose, dal canto suo, mi incenerì con lo sguardo.

- Perché la stavi fissando? - chiese gelida, posizionandosi esattamente davanti me per far sì che la guardassi.

Se nemmeno Rosalie l'aveva riconosciuta, allora con tutta probabilità ero io che mi stavo riempiendo di idee e sogni stupidi.

- Non per i motivi che stai pensando tu in questo momento - la rassicurai con una serietà che non mi apparteneva, sorprendendola.

Decise di sorvolare la discussione, almeno per quel momento. Dopodiché, salimmo tutti in macchina: io ero al volante e Rose nel sedile del passeggero accanto a me, mentre Jaz e Alice erano seduti nei posti dietro.

Guidai a tutta velocità in direzione di casa nostra. L'unica cosa che volevo fare era prendere in mano l'album fotografico del mio passato, che si trovava in camera mia e di Rosalie, per colmare la forte nostalgia e preoccupazione che provavo in quel momento, con la consapevolezza che non se ne sarebbero mai andate del tutto.
 

#IlMioAngolo

Buonasera!

Come state? Spero bene. Ecco a voi il nono capitolo, con qualche aggiunta che la versione originale non dispone. Da qui, possiamo dire di starci addentrando finalmente nel vivo della storia.

Fatemi sapere cosa ne pensate e, se volete, lasciate qualche stellina.

Un beso <3

Zikiki98

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Capitolo 11
*** 10. Sangui Sanguinis Mei ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


10. SANGUI S
ANGUINIS MEI
 
[POV BELLA]

Schivai il suo pugno diretto alla mia faccia. Parai il successivo, in direzione del mio fegato. Schivai un altro gancio, abbassandomi sulle gambe e spostando il mio peso sulle mani con un balzo in avanti. Mi ressi sulle braccia, facendo roteare le gambe in modo da tirargli un calcio dietro le ginocchia, recandogli così la perdita dell’equilibrio.
Lo presi talmente alla sprovvista, da farlo cadere all’indietro come un sacco di patate.
Senza perdere tempo, mi misi velocemente a cavalcioni su di lui, per poi bloccargli le braccia dietro la testa. Avevo il fiatone, ero stanca, ma avevo ancora abbastanza forza per contrastarlo. Non mi sarei arresa facilmente, non lo facevo mai.
Io e Sebastian ci eravamo rinchiusi in palestra da poco più di due ore e non avevamo smesso un attimo di allenarci. Ci eravamo concentrati maggiormente sulla lotta corpo a corpo. Amavo la dedizione con cui ci allenavamo e il fatto che cercasse di insegnarmi tutto ciò che sapeva, facendo del suo meglio.
Gli allenamenti con Seb erano tra i più duri ai quali mi sottoponevo, ma mai pesanti quanto quelli di nostro padre, naturalmente. Jonathan si trasformava ogni qual volta ci doveva allenare. Diventava quasi più temibile di un demone. Questa era probabilmente l’unica cosa che mio fratello e nostro padre adottivo avevano in comune: entrambi tenevano in modo smisurato alle formalità e agli allenamenti. Per formalità si intendono le restrizioni del Conclave.
- Sei migliorata… - dovette ammettere, con un tono di voce che mi fece immediatamente pensare che, con tutta probabilità, era ancora turbato per quello che era successo in garage con Stephan.
Persino un cieco sarebbe riuscito a notare la sua gelosia. Il fatto che io e Ste andassimo così d’accordo lo faceva andare fuori di testa e io non riuscivo a fare a meno di sorprendermene ogni volta, soprattutto perché più i giorni passavano, più la situazione sembrava degenerare.
Sorrisi compiaciuta, nel tentativo di fargli cambiare umore – Grazie! - .
Poi, all’improvviso, una spinta dal basso mi costrinse a fare una capriola in avanti, che mi lasciò stesa a terra in posizione supina. Ora era lui a trovarsi a cavalcioni sopra di me.
- Ma non abbastanza – ghignò, prendendomi in giro e alzandosi da terra.
Mi guardò per qualche secondo dall’alto, con le braccia incrociate e lo sguardo palesemente alterato, mentre io ero ancora sdraiata sotto la sua figura. Dopo qualche secondo si spostò e, senza neanche porgermi una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi, mi voltò le spalle e si allontanò verso l’Armeria.
Sbuffai innervosita. Mi misi seduta e con un balzo tornai in piedi. Mi asciugai il sudore prendendo da terra uno degli asciugamani puliti che avevamo a disposizione e anche una bottiglietta d’acqua. Come ho già detto, l’allenamento non fu tra i più leggeri, perciò mi era venuta molta sete. Tracannai tutta d’un sorso la bottiglietta, sentendomi subito meglio.
Successivamente, mi incamminai verso l’Armeria per raggiungere Sebastian.
Appena varcai la soglia della stanza, lo osservai mentre stava lucidando la sua spada angelica. Il suo arco si trovava sul tavolo ed era circondato dalle frecce, sparpagliate sulla superficie di legno.
Nel momento in cui si accorse della mia presenza, mi voltò le spalle, come per far finta che non ci fossi. Di tutta risposta, anche se non poteva vedermi, alzai gli occhi al cielo, pensando a quanto poco fosse maturo il suo atteggiamento.
Perché doveva comportarsi in quel modo? Proprio non riusciva a comprendere che, così facendo, il nostro rapporto non avrebbe fatto altro che peggiorare?
Queste erano le parti di lui che proprio non riuscivo a sopportare: l’egocentrismo, il vittimismo…
- Che problema c’è? – chiedo neutra, mantenendo forzatamente un tono di voce controllato per non urlargli addosso.
Si voltò lentamente nella mia direzione, ma senza staccare, per nemmeno un secondo, gli occhi dall’arma che stava lucidando.
Utilizzando un tono indifferente e alzando appositamente le spalle per irritarmi, rispose – Non so di cosa tu stia parlando -.
Per l’Angelo.
Incrociai le braccia sotto al seno, cercando con insistenza il suo sguardo, sguardo che non venne ricambiato neanche per un attimo. Sapeva che lo stavo osservando e ero a conoscenza di quanto fastidio provasse ogni qualvolta qualcuno si azzardava a fissarlo, ma io non avevo paura di lui e di una sua eventuale reazione.
- Sebastian, io davvero non riesco a capirti! – ammisi, non tradendo alcun tono di voce.
Lui sembrò prenderla come una battuta, dato cominciò a ridacchiare, anche se non sembrava divertito, per niente.
- Beh, questa non è una novità, sorella! – esclamò, sistemando la lama al suo posto, iniziando così a trafficare con le frecce, sempre con il suo solito ghigno strafottente sulle labbra.
Boccheggiai per qualche secondo confusa, senza sapere come rispondere alla sua provocazione. Scontrarsi a parole con Seb non era mai facile: di solito vinceva sempre lui, ti stancava talmente tanto mentalmente da, alla fine, dargliela vinta.
Non udendo nessuna risposta da parte mia, andò a vanti a parlare, semplicemente per provocarmi – In fin dei conti, il tuo tempo lo passi perlopiù con quel ragazzo che reputi tuo “fratello”, quando non è realmente tuo fratello! Io lo sono, ma sembri dimenticartene o, addirittura, non sembra importartene! -.
Istintivamente pensai di avvicinarmi a lui per dargli uno schiaffo, ma mi trattenni. Non so come, considerato che mi prudevano le mani e avevo davvero tanta voglia di farlo, ma resistetti.
Forse perché, in fondo, sapevo che ero io a spingerlo al limite in questo modo, perché sapevo quanto soffriva a vedermi insieme ai nostri fratelli. Però non potevo farci niente, li amavo quanto lui e questo non sarebbe mai cambiato. Il mio cuore apparteneva ad ognuno di loro e a nessun altro.
- Stai esagerando, Sebastian – lo rimproverai in modo pacato, cercando di non farlo aizzare ancora di più nei miei confronti.
Finalmente alzò lo sguardo sulla mia figura, ma con tutta onestà avrei preferito che non lo facesse. I suoi occhi erano rosso fuoco, incandescenti, e le sue mani iniziarono a tremare talmente tanto che fu costretto ad abbandonare le frecce sul tavolo, rimettendole nuovamente in disordine.
- Sto esagerando? – domandò retorico, a bassa voce, facendo una smorfia con la bocca e scuotendo la testa – Per l’Angelo, Bella! Non te ne rendi nemmeno conto! Stai sempre con lui, vi cercate, condividete delle cose insieme… ed io? Tu mi hai messo da parte! Quel rapporto che c’è tra voi due, quello… dovrebbe esserci tra noi! – preso da un eccesso di rabbia, con il braccio, buttò per terra arco e frecce, facendo un frastuono enorme.
Mi bloccai davanti a quella sua reazione. Mi aspettavo di tutto, ma non che reagisse così. Ci stava riuscendo, mi stava facendo sentire colpevole e, non riuscivo davvero a capire, se la colpa fosse davvero tutta mia oppure fosse di entrambi. Non avrebbero dovuto mai nascere queste gelosie e incomprensioni: siamo tutti fratelli, ci saremo sempre gli uni per gli altri e, il fatto che lui non riuscisse proprio a capirlo, o ad accettarlo, mi faceva soffrire. Una famiglia non è legata solo dal sangue, eppure lui era letteralmente fissato su questo concetto.
- Siamo stati adottati – ricominciai a parlare, dopo una serie di minuti dove si sentivano solo i suoi sospiri pesanti – e, che ti piaccia o no, siamo cresciuti tutti insieme. Siamo una famiglia e, anche se non lo sono realmente, io li considero miei fratelli a tutti gli effetti, tanto quanto lo sei tu -.
Appoggiò entrambe le mani sul tavolo, ormai sgombro da qualsiasi arma, stringendo il legno fino a far diventare le nocche bianche e tendendo le braccia. Era difficile vederlo soffrire in quel modo. Sapevo che se mi fossi avvicinata sarebbe stato peggio, perciò optai per lasciargli il suo spazio. Sapevo anche quanto fosse difficile per lui mostrarsi debole agli occhi degli altri, soprattutto davanti ai miei di occhi. Ma su questo argomento, non riusciva proprio a contenersi.
Sanguis sanguinis mei – mi ricordò mormorando, ad un certo punto, nel silenzio più totale – Loro non sono la nostra vera famiglia. Sei così ingenua. Io darei la mia vita per te, ogni giorno – e voltò il viso per avere un contatto diretto con i miei occhi – Loro non farebbero altrettanto con noi. Loro sono una famiglia e, in quanto tale, si proteggeranno sempre le spalle a vicenda. Noiio e tesiamo la nostra famiglia e dovremmo fare lo stesso. Dovresti… - ma si bloccò.
Scosse la testa, come per scacciare via un pensiero fastidioso. Dopodiché, si voltò nuovamente nella mia direzione, ma solo per uscire dall’Armeria, sbattendo la porta.
Io restai ferma dov’ero, come paralizzata. Non lo rincorsi, non lo cercai. Non cercai nessuno. Restai ferma e immobile a riflettere sulle parole che mi aveva detto.
Sangui sanguinis mei. Sangue del mio sangue.
__
Il giorno dopo, le prima lezioni della mattina passarono molto velocemente. Ormai era già ora di pranzo, così iniziai ad incamminarmi verso l’edificio in mattoni rossi che costituiva la mensa. Appena fui abbastanza vicina notai, oltre ai numerosi gruppetti di studenti che iniziavano ad addentrarsi della grande sala, che appoggiato con le spalle al muro c’era Emmett.
Valutai per diversi secondi se fosse il caso avvicinarmi a lui, essere falsamente gentile e salutarlo, per non destare sospetti, oppure seguire in linea i miei istinti da Cacciatrice e ignorarlo.
Non appena notò dirigermi verso la sua direzione, un sorrisetto spontaneo nacque sulle sue labbra.
Non ci misi molto a capire che cosa o, meglio, chi, stesse aspettando per entrare, dato che con tutta
probabilità i suoi fratelli erano già all’interno a recitare la solita messa in scena del nutrirsi.
Quella mattina Stephan mi aveva avvertita che avrebbe pranzato con Emmett. Nonostante il mio dissenso, lui si era giustificato dicendo che si stava sacrificando per la nostra missione, che avrebbe fatto di tutto per capire meglio il mistero chiamato “Cullen”.
Ovviamente, non gli credetti. Sapevo che passare il suo tempo con il vampiro, in realtà, gli piaceva, però sapevo anche che si sarebbe davvero informato come meglio poteva e, soprattutto, senza creare sospetti.
Una volta davanti alla porta della mensa, con la mano appoggiata sulla maniglia, mi fermai. Sentivo lo sguardo di Emmett addosso e, con mia grande sorpresa, l’istinto di protezione nei confronti di mio fratello prevaricò ogni cosa. Se prima ero decisa ad entrare in mensa, ora mi stavo muovendo verso il vampiro, a pochi metri di distanza da me, che non aveva perso il sorriso nemmeno per un attimo.
Una volta che gli fui davanti, rimasi impressionata dalla sua stazza. Non che prima non l’avessi notata, sia chiaro. Ma quella era effettivamente la prima volta che lo vedevo così da vicino. Inoltre, qualsiasi cosa indossasse, sembrava risaltare i suoi muscoli.
Immediatamente, i miei occhi neri si scontrarono con i suoi dorati.
- Buongiorno! – mi salutò, facendomi l’occhiolino.
Lo ignorai – Stai alla larga da mio fratello -.
Non era un consiglio, né tantomeno una minaccia. Era semplicemente un’affermazione.
Il suo sorriso, contrariamente alle aspettative, sembrò allargarsi – Risposta sbagliata, si dice “buongiorno a te!” – ridacchiò da solo – Sei sempre così seriosa? -.
I nostri corpi erano ad un palmo di distanza l’uno dall’altro e, per quanto Emmett potesse essere intimidatorio, non avevo intenzione di allontanarmi e, ancor meno, di sottostare ai suoi stupidi sproloqui.
- Stai alla larga da mio fratello – ribadii, più lentamente, con un tono volutamente più minaccioso del precedente.
Incrociò le braccia al petto, a mo’ di sfida – Dammi una ragione -.
- Sei pericoloso -.
Non era una constatazione sfuggita per caso, sapevo ed ero consapevole di quello che avevo detto. L’avevo fatto apposta per ponderare la sua reazione. Sapevamo, sia io che Stephan che, fiutando il nostro odore, avevano notato sicuramente che c’era qualcosa di diverso in noi, che non eravamo semplici umani. Loro, però, non sapevano che noi in realtà eravamo a conoscenza della loro vera natura e, per questo, eravamo avvantaggiati in un certo sento. Il mio era un modo per far intendere loro che avrebbero dovuto prestare attenzione alle loro azioni e che non avrebbero dovuto sottovalutarci.
Ma, onestamente, Emmett non reagì come mi aspettavo. Anzi, non reagì proprio, restò impassibile davanti alla mia provocazione.
- Anche tu lo sei -.
Cercai di non far trapelare nessuna emozione anche io, per non dargli nessuna soddisfazione.
Staccai gli occhi dalla sua immagine solo per voltargli le spalle e dirigermi, stavolta per davvero, in mensa. Per tutto il breve tragitto sentii lo sguardo del vampiro addosso, finché finalmente non entrai nell’edificio.
Mi inserii velocemente in fila per prendere da mangiare. Riempii il mio vassoio abbondantemente, senza preoccuparmi delle calorie o degli sguardi dei miei compagni di scuola. In questi tre giorni, mi ero quasi abituata ad essere sempre sotto osservazione e, onestamente, non sapevo se fosse una cosa positiva o negativa.
Dopo aver acquistato una quantità di cibo tale da saziarmi come si deve, mi allontanai dal bancone per cercare un posto dove sedermi. Iniziai a camminare tra i tavoli e, involontariamente, passai accanto alla “postazione Cullen”. Non potei non notare che il mio compagno di biologia mancava all’appello anche quel giorno. Non che mi dispiacesse, ma la cosa mi insospettiva. Mi appuntai mentalmente di indagare sulla questione.
Ovviamente, come io stavo osservando loro, loro stavano osservando me. Gli sguardi degli altri tre fratelli non erano gioviali come quelli del bestione che avevo incontrato poco prima, ma non mi interessava minimamente. I loro vassoi erano pieni di cibo, ancora intatto.
Guardai ognuno di loro in faccia, memorizzando i loro visi e le loro espressioni scontente, prima di scuotere la testa pensierosa e proseguire per la mia strada.
Trovai un tavolo non molto grande e abbastanza isolato. Mi sedetti lì e inizia a mangiare tutto ciò che avevo preso. La qualità del cibo non era il massimo, ma almeno mi saziava. Mi guardai intorno e vidi Luke lo Stronzo, con il naso gonfio e dolorante per il mio diretto destro, lanciarmi qualche occhiata furtiva ogni tanto, mentre era intento a conversare con i suoi compagni di squadra.
Appena si accorse che avevo notato le sue “attenzioni” poco gradite, lanciandogli un’occhiata glaciale, spostò alla velocità della luce gli occhi da un’altra parte. Risi tra me e me. Codardo.
Continuai a pranzare in tutta tranquillità, quando una figura si bloccò al mio fianco. Mi voltai per incontrare gli occhi nocciola di Angela. Aveva un vassoio tra le mani con sopra una bottiglietta di succo e un’insalata mista. Indossava una tuta semplice, probabilmente dovuta alla lezione di ginnastica, e un paio di occhiali da vista le ricadevano sul naso. Aveva raccolto la metà superiore dei capelli in una coda alta, la metà inferiore invece l’aveva lasciata sciolta.
Nonostante il suo sguardo fosse intimidito, probabilmente dalla mia presenza, la postura sembrava più sicura del solito.
Decisi di andarle incontro e parlare per prima, anche se avevo ancora la bocca piena – Ciao -.
- Ciao – rispose immediatamente, facendomi un mezzo sorriso – Ehm… posso sedermi? -.
Sapevo che avrei dovuto dirle di no, sapevo che era sbagliato: mi ero arrabbiata con Stephan per lo stesso motivo, più o meno, e l’ultima cosa che volevo era risultare ipocrita. Ma rifiutare la sua mi proposta mi sembrava un errore più grande rispetto a farla sedere accanto a me. Perciò, per una volta, provai a lasciarmi andare e a seguire le mie emozioni, dando un’occasione a quella ragazza che mi aveva colpita fin dal primo momento in cui l’avevo vista.

Quello che non sapevo e che non avrei mai potuto immaginare è che, col tempo, proprio quella ragazza timida e in difficoltà, sarebbe diventata la mia più grande forza per andare avanti.  


#IlMioAngolo
Ciao a tutti! Come state? Spero bene!
Mi scuso per l'attesa, ma purtroppo questa settimana ho avuto molte cose da fare e sarà sempre peggio con l'andare avanti dei giorni. Anche se sarò super impegnata, cercherò di aggiornare non appena posso. 
Vi auguro una dolce notte.
Un beso <3

Zikiki98

Instagram: _.sunnyellow._
 

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Capitolo 12
*** 11. He's back ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


11. HE'S BACK

[POV BELLA]

Le settimane trascorsero molto velocemente e in men che non si dica arrivò il mese di novembre. Anche se onestamente non credevo che fosse possibile, l'aria a Forks si era fatta ancora più fredda in questo periodo, costringendo tutti gli abitanti, me compresa, ad indossare indumenti più pesanti e termici.

Le mie giornate, dopo poco più di un mese trascorso qui, in questa cittadina, erano diventate pericolosamente monotone: mi alzavo presto la mattina per andare a scuola, verso sera tornavo a casa per allenarmi e la notte, per qualche ora, io e Stephan ispezionavamo il bosco intorno alla nostra abitazione. Il resto della famiglia, invece, aveva il compito di controllare il centro della contea, quindi la zona abitata e più frequentata di Forks, e Port Angeles.

Potevo dire con orgoglio che, in quell'arco di tempo, io e Stephan avevamo ucciso la bellezza di ventitré demoni. Non male per due novellini. Ovviamente, non ne eravamo sempre usciti indenni: saltando giù da un albero, ad esempio, Stephan si era rotto una caviglia la scorsa notte. Niente di grave e niente che non si potesse risolvere in un'oretta grazie all'aiuto dello stilo, fortunatamente.

C'era da dire che io e Ste lavoravamo molto bene in squadra: avevamo un'affinità rara in ricognizione, quasi alla pari tra quella che c'era tra me e mio fratello Seb. Infatti, in quel periodo ci avevo riflettuto molto e mi sarebbe piaciuto chiedere a Stephan di diventare parabatai, ma temevo la reazione di Sebastian che, già sapevo, l'avrebbe presa negativamente. Probabilmente, l'avrebbe anche considerata una provocazione, fatta appositamente per fargli saltare i nervi. Naturalmente, non era così, non mi sarei mai sognata di farlo arrabbiare o soffrire appositamente, ma era quello che di sicuro sarebbe arrivato lui a pensare.

A scuola la situazione era leggermente migliorata e, finalmente, non ero più al centro dell'attenzione. Me la cavavo abbastanza bene in tutte le materie a me comprensibili, come biologia e letteratura, ma matematica e trigonometria non erano proprio il mio forte. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a capirle.

Stephan, a differenza mia, adorava frequentare la Forks High School. Aveva fatto tantissime amicizie e si era molto avvicinato ad Emmett. Per quanto mi costasse ammetterlo, ad occhi esterni, il rapporto fra i due sembrava sincero da entrambe le parti. Passavano gran parte del loro tempo insieme e la cosa non andava palesemente a genio, né a me né ai Cullen. Certi sguardi non mentono.

Stephan ed Emmett erano così in sintonia da essersi iscritti alle selezioni per la squadra di basket della scuola che, naturalmente, avevano superato senza problemi. Gli allenamenti li tenevano impegnati tutti i mercoledì pomeriggio dopo la scuola. Io avevo il dovere di coprire mio fratello dalla nostra famiglia, spiegando la sua assenza per via delle partite, inventandomi una scusa sul momento. Tenere questo segreto, ad un gruppo di Shadowhunters perennemente sospettosi di tutto e sull'attenti, non era una cosa esattamente facile da portare a termine, anche se fino a quel momento aveva funzionato. Probabilmente, avevo solo avuto fortuna.

Un pensiero che in quel periodo non mi aveva mai abbandonato, era il vampiro dell'aula di biologia, Edward Cullen. Dal nostro primo incontro non si era presentato più a scuola e, onestamente, questa sua sparizione aveva instillato in me e Stephan ulteriori dubbi. Non sapevamo esattamente che cosa pensare, considerando che se fosse sparita l'intera famiglia, avremmo potuto attribuire la loro fuga al timore nei nostri confronti, nel non sapere esattamente cosa eravamo e cosa sapevamo. Ergo, per precauzione e istinto di sopravvivenza, avrebbero cercato probabilmente di mantenere il loro segreto il più occulto possibile. Ma in questo caso, essendo sparito un solo vampiro, non riuscivo a comprenderne il collegamento con il nostro arrivo. Sapevo che quello sarebbe stato un bel rompicapo da risolvere.

Naturalmente, a scuola i pettegolezzi a riguardo non mancavano! Erano in molti, infatti, a credere che il ragazzo si fosse ammalato e che suo padre, essendo un dottore, se ne stesse prendendo cura in privato, a casa. Per ovvi motivi, ciò non era possibile e sia io che Stephan non prendemmo nemmeno in considerazione quella eventualità. Solo il tempo avrebbe potuto rispondere alle nostre domande.

Io e Stephan quel giorno eravamo arrivati a scuola in anticipo. In fretta e furia, dopo avermi stampato un bel bacio sulla guancia, corse velocemente in direzione di Emmett e degli altri suoi amici e compagni di basket. Il più imponente e terrificante dei Cullen, naturalmente, non perse tempo e, dopo aver dato un veloce abbraccio amichevole a mio fratello, lanciò uno sguardo nella mia direzione regalandomi un occhiolino. Io, in tutta risposta, alzai gli occhi al cielo palesemente infastidita. Lui, invece, ridacchiò, divertito e trionfante, come se fosse riuscito nel suo intento, prima di tornare a chiacchierare e ridere con il resto della compagnia di cui ormai faceva parte insieme a Stephan.

Io, invece, per aspettare l'arrivo di Angela e l'inizio delle lezioni, mi ero accomodata sui gradini ghiacciati che conducevano alle classi. Alla fine sì, avevo ceduto all'amicizia con quella mondana. In un mese eravamo riuscite a legare molto, portando la mora a fidarsi così tanto di me, da raccontarmi la sua storia. Angela Weber era nata e cresciuta a Forks ed era figlia di un pastore luterano. Viveva con i suoi genitori e i suoi fratelli minori, due gemelli alquanto turbolenti, di nome Joshua e Isaac. Nonostante fossero delle totali pesti, da come ne parlava, si vedeva che li amava incondizionatamente. Prima che nella sua vita comparisse Luke lo Stronzo, nonostante fosse comunque molto timida, era circondata di amici ed era una delle ragazze più promettenti della Forks High School, con la media più alta tra tutti gli studenti del suo anno, allegata ad un record di presenze scolastiche. A mettere a repentaglio il suo tranquillo equilibrio, fu quando venne invitata ad una festa dalla sua amica Jessica, una delle ragazze più popolari e insopportabili di tutta la scuola. Quest'ultima osservazione non venne detta da Angela durante il racconto, ma la aggiunsi io mentalmente. Tornando al discorso, fu invitata a questa festa, perciò lei e Jessica ci andarono insieme. A quella festa conobbe Luke, del quale si prese una "cotta esponenziale", sue testuali parole. Lui sembrava ricambiare, la trattava come una principessa, e decisero, per non attirare troppo l'attenzione, di stare insieme di nascosto. Quando, dopo qualche mese, vennero scoperti, Luke smentì tutto, dicendo che aveva tirato in ballo tutto quel teatrino semplicemente per portarsela a letto. La cosa fece soffrire Angela immensamente. Si vergognava talmente tanto da essersi allontanata dal suo gruppo di amici, da essersi chiusa in se stessa, facilitando Luke Lo Stronzo nel prenderla di mira davanti a tutti, infastidendola e rendendola così ancora più vulnerabile ed insicura. Con grande gratitudine, alla fine, aggiunse che, con il mio arrivo, la situazione cambiò talmente tanto da essere riuscita a recuperare sia i suoi vecchi amici sia a zittire quell'imbecille del suo ex-ragazzo, che ora non la infastidiva più. Dire che ero semplicemente orgogliosa della sua ripresa era restrittivo.

Quando finalmente vidi l'autobus arrivare, mi alzai in piedi. Mi si era congelato il sedere a stare seduta ad aspettare sugli scalini. Quando vidi Angela scendere dal bus giallo e avvicinarsi a me, le sorrisi da lontano.

Una volta che fu abbastanza vicina, si lanciò letteralmente tra le mie braccia in cerca di un abbraccio. Difficilmente ero una persona che si abbandonava ai sentimenti, soprattutto in pubblico, ma con Angie facevo un'eccezione. Non riuscivo a fingere o a nascondere quanto in realtà io tenessi a lei. Mi sentivo un po' come una sorella maggiore, anche se, sull'aspetto anagrafico, la più grande tra le due era lei.

- Ciao! - esclamò ad alta voce, troppo vicina al mio orecchio, facendomi ritrarre per il fastidio al timpano.

- Ciao anche a te! - risposi, con una punta di acidità, massaggiandomi l'orecchio dolente - Come mai così pimpante stamattina? -.

- Sono solo felice di vederti - mi sorrise, salendo velocemente gli scalini su cui poco prima ero seduta, per raggiungere la classe della sua prima lezione - Potresti anche essere più entusiasta di così - si lamentò, ma senza risultare troppo pesante - Non mi hai vista per tutto il weekend e con il cellulare sei un disastro, non mi rispondi quasi mai -.

Effettivamente aveva ragione, con il telefono ero un vero disastro. Non essendo mai stata abituata ad usarlo, non ne sentivo minimamente la necessità, tant'è che mi dimenticavo di averne uno. Inoltre, nel weekend, io e la famiglia organizzavamo degli allenamenti intensivi all'aperto, indipendentemente dal tempo atmosferico, che occupavano praticamente quasi tutta la giornata, fino al tardo pomeriggio. Il tempo rimanente lo sfruttavo per mangiare, studiare e prepararmi per la ricognizione della notte. In questo itinerario, di sicuro il cellulare non era una priorità.

- Mi dispiace - dissi semplicemente, mantenendo il suo passo senza difficoltà.

La accompagnai fuori dall'aula dove sapevo si sarebbe tenuta la sua prima lezione, ma prima di entrare e salutarmi, si voltò verso di me.

- Grazie per avermi accompagnata -, mi sorrise, regalandomi un sorriso gentile - ma ti conviene velocizzarti, altrimenti farai tardi -.

Sorrisi di rimando, facendole l'occhiolino - Non ti preoccupare, tanto non ho niente di meglio da fare -.

Rise, ma in tono più serio, aggiunse - Se vuoi passare l'anno dovrai iniziare ad impegnarti un po' di più, Bella... -.

Non mi infastidivano i suoi rimproveri gentili, anzi, mi faceva piacere pensare che lei si preoccupasse della mia carriera scolastica, anche perché lei effettivamente era l'unica a farlo. Come Cacciatrice, avevo altre priorità e cose a cui pensare. Lo stesso valeva per i miei genitori, ai quali non importava niente se prendevo buoni voti o meno, perché il mio dovere in quella scuola e in questa città, era un altro. Lei non se lo poteva di certo immaginare, e mi andava bene così. Angela era una ventata d'aria di normalità che avevo la necessità di respirare a pieni polmoni. Non volevo contaminare il suo mondo con il mio.

In ogni caso, alzai gli occhi al cielo per prendermi scherzosamente gioco di lei - Sì, va bene, come vuoi! Adesso fila in classe, altrimenti la professoressa Goff se la prende con me, dicendo che ti porto sulla cattiva strada! -.

Rise di nuovo, ma con più ilarità - Vero! Ormai sei sulla sua lista nera, ti devi rassegnare! -.

Annuii pensierosa - E dire che nella sua materia vado più che bene -.

Questo sì che era un vero grattacapo. La professoressa Goff, insegnante di spagnolo, riservava palesemente un certo odio nei miei confronti, che non tardava mai a farmi notare, lanciandomi occhiate stizzite e riempiendomi di domande prima di iniziare a spiegare. Eppure, paradossalmente, ero l'unica sua alunna a prendere voti eccellenti. Probabilmente, la infastidiva che le mie conoscenze di spagnolo fossero più elevate rispetto alle sue, facendole coltivare nei miei confronti questa sorta di antipatia.

- Adesso che lezione hai? - chiese Angela, riportandomi alla realtà.

Nel frattempo aveva aperto la porta dell'aula per appendere la sua giacca sull'attaccapanni, mentre io rimasi fuori sulla soglia, mentre ricominciava a piovigginare. Voltai lo sguardo verso il cielo, che man mano diventata sempre più annuvolato. Lo guardai male, anche se sapevo benissimo che non avrebbe mai potuto rispondere alle mie occhiatacce, se non con un fulmine.

Possibile che a Forks il sole si fosse estinto!?

- Biologia - borbottai, alzando il cappuccio della mia giacca per evitare di bagnarmi i capelli.

Sghignazzò non appena percepì il mio cambio d'umore dovuto al tempo atmosferico - Proprio non sopporti la pioggia... -.

- Già, è la cosa che odio di più al mondo - dopo i demoni.

- Prima o poi ti ci dovrai abituare -.

- Sì, prima o poi. Ci vediamo in mensa? - le domandai, iniziando a congedarmi.

Avevo capito che pranzare da sola non mi piaceva e, inoltre, non faceva altro che attirare l'attenzione su di me. Stephan si sedeva sempre al tavolo dei suoi compagni di squadra con Emmett, anche se quest'ultimo puntualmente non toccava cibo. Perciò, avevo preso l'abitudine di pranzare con Angela.

Mi guardò con aria colpevole, facendomi un sorriso tirato, di scuse - In realtà, ho promesso a Jessica e agli altri che mi sarei unita a loro... - ma subito dopo aggiunse, usando un tono più allegro, forse per convincermi - Perché non ti siedi con noi? Se impari a conoscerla, Jess è simpatica... -.

Sicuramente, la persona più simpatica e meno pettegola del pianeta!

Da quel che ne sapevo, Jessica Stanley era l'autrice della maggior parte dei pettegolezzi che passavano di bocca in bocca tra gli studenti della Forks High School. Non era un bene farsela amica e, ancor meno, mi interessava passare mezzora del mio tempo in sua compagnia, soprattutto all'ora di pranzo, uno dei momenti più sacri della giornata per me.

Angela aveva sicuramente intuito i miei pensieri dal mio sguardo, ma decisi comunque di dar voce ai miei dubbi, restando pur sempre educata - Non saprei... Non mi entusiasma l'idea di farmi venire il mal di testa per colpa di una pettegola, logorroica e... -.

Mi interruppe immediatamente, anche se divertita - Ti ricordo che stai parlando di una mia amica! -.

- Infatti, mi sono risparmiata di dire che è anche una stupida impicciona! -.

Scosse la testa e cercò di trattenere una risata - E se ti dico che ti voglio bene e che sei la persona più buona che io conosca? - .

Alzai gli occhi al cielo davanti alla sua sviolinata, ma alla fine decisi di accettare - Va bene, ci sarò! Basta che non mi fai sedere vicino alla tua amica. Adesso entra in classe -.

Finalmente soddisfatta, la mia amica mi salutò con un altro caloroso abbraccio, ma stavolta fu talmente veloce che non feci nemmeno in tempo a ricambiare l'azione. Nell'esatto istante in cui la mia amica si chiuse la porta dell'aula alle spalle, mi incammina verso la mia lezione. La maggior parte degli studenti si trovavano già seduti dietro ai loro banchi, ma all'esterno degli edifici a mattoni rossi, fortunatamente, c'era ancora qualcuno, proprio come me.

In quell'istante, la campanella che segnava l'inizio delle lezioni suonò, facendomi automaticamente velocizzare il passo. Ero in ritardo.

Quando finalmente arrivai davanti all'aula di biologia, notai che la porta era chiusa, segno che la lezione era già iniziata.

Merda...

Sovrappensiero, entrai velocemente in aula, senza nemmeno bussare, interrompendo così la parlantina disinvolta del professor Molina, che ovviamente mi guardò con aria di rimprovero.

- Grazie per averci degnati della sua presenza, signorina Durwood! -.

Gli feci timidamente le mie scuse e mi avvicinai al mio solito banco, che ormai ero abituata a vedere vuoto, trovandomelo inaspettatamente occupato. O meglio, occupato per metà.

Il posto alla mia sinistra, che per circa un mese di lezioni era rimasto inabitato, ora era occupato da un bel ragazzo, alto, con la pelle color porcellana, i capelli rossicci, gli occhi dorati e, naturalmente, di una bellezza indescrivibile.

Possibile che sia più bello della prima volta che l'ho visto?

Appena i miei occhi si scontrarono con i suoi, mi venne un capogiro talmente forte, da costringermi ad immobilizzarmi. Non lo vedevo da così tanto tempo, eppure non mi aspettavo che il mio corpo reagisse in quel modo. Ovviamente, la cosa mi irritava parecchio, anche e soprattutto perché stavo dando spettacolo davanti a tutta la classe. Eppure, nemmeno il vampiro dagli occhi dorati aveva smesso di guardarmi, nemmeno per un secondo, e, grazie all'espressività del suo viso, potei intuire che non se la stava passando bene nemmeno lui.

- Signorina Durwood - sentii una voce in lontananza chiamarmi.

Una mano si posò sul mio braccio, scuotendomi leggermente, ma facendomi effettivamente tornare alla realtà - Signorina Durwood, si sente bene? Vuole andare in infermeria? -.

Sempre più confusa e arrabbiata da questa mia reazione improvvisa, mi accorsi che la testa mi girava ancora. Sicuramente, tutto ciò non era dovuto al mio compagno di banco. Sicuramente, avevo avuto un calo di zuccheri, nonostante la colazione abbondante. Sicuramente, era dovuto allo stress di quel periodo, avendo molte preoccupazioni per la testa. Sì, sicuramente era così.

- Scusi, ho avuto solo un capogiro - ammisi, prendendo contemporaneamente posto al mio solito sgabello, sotto gli occhi attenti di tutta la classe - Mi sento meglio -.

Il professore si assicurò che io stessi effettivamente bene, prima di riprendere la sua lezione. Cercò per un po' di convincermi ad andare in infermeria, ma lo tranquillizzai abbastanza in fretta, garantendogli di sentirmi meglio.

Nonostante ciò, non riuscivo a seguire la spiegazione. L'elettricità, la tensione, tra noi era palpabile. Riuscivo a pensare soltanto che il mio compagno di banco era tornato, che Edward Cullen era tornato.

 

#IlMioAngolo

Buon pomeriggio, come state? Spero bene!
Mi dispiace immensamente di averci messo così tanto, ma come vi ho spiegato, è un periodo incasinatissimo per me.

In ogni caso, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Buona domenica e alla prossima.

Un beso <3

Zikiki98

Instagram: _.sunnyellow._

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Capitolo 13
*** 12. Looks ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI
12. LOOKS

[POV BELLA]

La lezione di biologia trascorse davvero molto lentamente. Io ero tesa e anche il vampiro lo era, lo sentivo. Il suono della campanella che determinava la fine della lezione, fu un sollievo per me.
Il professor Banner, nonostante i suoi studenti non lo stessero più ascoltando, aggiunse velocemente che a breve ci avrebbe assegnato un lavoro di gruppo e che la prossima lezione saremmo andati a fare una piccola gita, avvertendoci di ritirare i moduli per il consenso in segreteria, da riportare compilati dai propri genitori il giorno seguente.
Nel frattempo, cercai, in fretta e furia, di sistemare tutte le mie cose nello zaino per andarmene alla lezione successiva, ma il professor Banner si avvicinò al nostro banco.
- Signor Cullen, sono felice di rivederla alle mie lezioni. Come si sente? – chiese gentilmente.
Il mio sguardo era mantenuto rigorosamente basso, intenta a non attirare l’attenzione. Tecnicamente, avevo messo in ordine tutto, ma la mia curiosità ebbe la meglio, così alla fine decisi di rimanere per ascoltare la risposta del vampiro.
- Sì, sto molto meglio, grazie – lo sentii annunciare con aria serena – Sono contento di essere tornato, mi mancava la scuola -.
La sua voce mi causò dei brividi che si propagarono per tutto il corpo. Era la prima volta che lo sentivo parlare e aveva un tono talmente dolce, pacato ed elegante… Non lo stavo guardando, eppure soltanto quel suono, mi attirava a lui. Era talmente suadente…
Ero quasi sicura che avesse qualche capacità particolare legata a questo, perché nessun altro di quei vampiri mi provocava quello che mi causava lui. Certo, erano attraenti, come tutti quelli della loro specie, ma Edward era nettamente superiore. Aveva qualcosa in più.
Per l’Angelo, che pensieri sto facendo!
- Mi rende felice saperlo – rispose sincero il professor Banner – È tornato proprio in tempo per svolgere il lavoro di gruppo, almeno la signorina Durwood non sarà costretta a svolgerlo da sola! -.
Quando sentii pronunciare il mio nome, alzai il volto e, regalando un sorriso cordiale al prof, uscii di scena, augurando un generico “buona giornata”.
Una volta varcata la porta dell’aula di biologia, tirai un lungo sospiro e mi sistemai al meglio la cartella sulla spalla.
Secondo l’orario, ora dovevo andare alla lezione di spagnolo, per la gioia della professoressa Goff. L’ultima cosa che volevo era arrivare tardi anche alla sua lezione, così decisi di velocizzare il passo, soprattutto per non darle modo di rimproverarmi, almeno su questo.
Non sapevo esattamente quando fosse cominciato ad importarmi della scuola e dell’opinione altrui, ma a quanto pare questa esperienza mi stava cambiando, senza che me ne rendessi realmente conto. Su questo non sapevo cosa pensare. I cambiamenti non mi piacevano. Eppure vivere qui, frequentare una scuola mondana, mi stava inevitabilmente rendendo una Bella diversa rispetto a quella di qualche mese fa, quella di Iris.
- Isabella! -.
La sua voce idilliaca, alle mie spalle, aveva iniziato a chiamarmi. Con il cuore in gola mi voltai verso di lui.
I capelli rossicci erano spettinati per via del vento e i suoi occhi dorati sembravano molto più chiari sotto la luce naturale che traspariva comunque dagli immensi nuvoloni grigi di quella mattina.
Quando mi raggiunse, con quella sua camminata cadenzata, mi sorrise.
- Volevo solo cogliere l’occasione e presentarmi – disse, guardandomi direttamente negli occhi e facendomi trasalire – Io sono Edward Cullen -.
- So già chi sei – mormoro con una calcolata indifferenza, per poi dargli le spalle e continuare a camminare per la mia strada – Tutta la scuola parla di te e della tua famiglia -.
Naturalmente, mi seguì e mantenne senza troppi problemi il mio passo.
Non so perché, ma mi immaginai le sue labbra piegarsi leggermente in un sorriso divertito, mentre aggiunse – Non sempre le voci che girano su di me, su di noi, sono veritiere -.
- Questo è indubbiamente vero – concordai.
Perché sto perdendo tempo a parlare con lui?! Sono forse diventata stupida?!
- Che lezione hai adesso? – chiese cordialmente.
Probabilmente mi voleva accompagnare all’aula. Probabilmente voleva fare amicizia e, probabilmente, avrebbe sfruttato questa nostra amicizia a suo favore per scoprire informazioni sul mio conto. Non avrò avuto secoli e secoli di esperienza, come lui forse, ma di certo non ero stupida e non sarei caduta in quel suo tranello infantile.
Perciò, mi bloccai e mi voltai verso di lui, guardandolo fissa negli occhi, per quanto mi fosse costato mantenere la concentrazione – Nessuna in comune con la tua. Ti auguro buona giornata, Edward -.
Quella fu la prima volta in cui il suo nome uscì dalle mie labbra. Soltanto nominarlo, smosse qualcosa dentro di me.
Una volta ripreso il controllo delle mie facoltà mentali, mi voltai, ottenendo ciò che volevo, cioè che il vampiro non mi seguisse.
Mi indirizzai verso la lezione di spagnolo, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Era preoccupazione, ma non riuscivo a capire a chi o a cosa fosse rivolta. Quando finalmente trovai la risposta, dentro di me, avrei preferito non saperla. Ero preoccupata che il mio atteggiamento avesse potuto offendere il vampiro.
Appena lo capii, cercai in tutti i modi di cancellare questo mio stupido pensiero e concentrarmi su quella che ero un tempo. La Bella di una volta non si sarebbe preoccupata di niente e di nessuno, se non della sua famiglia. La missione, dovevo pensare solo ed unicamente alla nostra missione.
_
- Vediamo… - pensai ad alta voce, mentre l’addetta alla mensa attendeva impazientemente soltanto che io mi dessi una mossa – Voglio la pasta al sugo, la carne con le patate, l’insalata mista e un pezzo di torta al cioccolato, per favore – subito dopo aggiunsi – Ah, dimenticavo! Anche una bottiglietta d’acqua e una mela, grazie -.
Angela, che si trovava accanto a me e mi stava aspettando con il suo vassoio in mano, carico solo di una misera insalata, una mela e una bottiglietta d’acqua, mi guardava sbigottita. Diciamo che non si era ancora abituata alla mia ricca e abbondante alimentazione. Ma se posso dire la mia opinione, nemmeno io ero abituata a vedere mangiare qualcuno così poco.
Una volta che la donna dall’altra parte del bancone accontentò tutte le mie richieste, riempiendomi il vassoio, la pagai e, insieme alla mia amica, mi allontanai per trovare il tavolo a cui avremmo preso posto quel giorno.
- Io ancora non riesco a capacitarmene – mi disse per l’ennesima volta, facendo lo slalom tra gli studenti – Hai preso talmente tanta di quella roba che sta in bilico sul vassoio! -.
Risi divertita – Esagerata! -.
- Sai, è davvero demoralizzante – continuò, ignorando il mio commento – Io devo stare attenta a qualsiasi cosa mangio, rischiando comunque di assumere due chili in un colpo solo! -.
Mi venne nuovamente da ridere, ma stavolta cercai di trattenermi.
– Ho sempre fame – mi giustificai, semplicemente – Non è colpa mia -.
- Ma a casa mangi? – investigò curiosa.
Alzai gli occhi al cielo, sempre più divertita – Certo! -.
Non sarei mai riuscita a resistere più di qualche ora senza mangiare.
- E allora come… -.
La anticipai – Faccio tanto movimento -.
Annuì tra sé e sé, trovando così una risposta convincente a tutte le sue domande, fortunatamente.
Finalmente, trovammo alcuni suoi amici, Mike, Ben e Tyler, seduti ad un tavolo che si trovava esattamente al centro di tutta la mensa. Non feci in tempo ad avvicinarmi e ad accomodarmi, che Angela si bloccò sul posto. Dato che i ragazzi non mi avevano ancora notata, feci qualche passo indietro per raggiungere la mia amica.
- Che ti prende? – chiesi, palesemente confusa.
Deglutì a fatica – C’è Ben… -.
- E allora? – continuai, non capendo dove volesse andare a parare.
Davvero, non riuscivo a seguire e a comprendere la sua reazione. Ben faceva parte del suo vecchio gruppo di amici, perché si meravigliava così della sua presenza? Era successo qualcosa anche con lui? Dovevo intervenire?
Alla mia domanda, arrossì violentemente, per poi ammettere a voce alta – Ben mi piace -.
Sorrisi leggermente alla sua rivelazione – E dov’è il problema? -.
Abbassò lo sguardo sul suo vassoio – Con tutte le voci che sono girate su di me negli scorsi mesi, a causa di Luke, temo che lui abbia una brutta immagine di me -.
Mi spostai leggermente per mettermi esattamente davanti a lei – Angela, guardami -.
Non si mosse, allora usai un tono un po’ più prepotente – Ti ho detto di guardarmi -.
Aveva gli occhi lucidi e questo mi fece capire quanto ancora soffrisse, quanto ancora si sentisse a disagio, per tutto quello che era successo nei mesi precedenti al mio arrivo.
- Tu non hai niente di cui vergognarti. La colpa di tutto quello che è successo non è tua, ma della persona che ti ha preso in giro – cerco di rassicurarla – L’unico errore che si può dire tu abbia fatto è quello di esserti fidata della persona sbagliata, ma non potevi immaginarlo, non potevi pensare che ti avrebbe trattata in quel modo. Troveremo sempre qualcuno che vorrà avere a che fare con noi per secondi fini, ma la brutta figura la fa chi pensa di poterci prendere per stupide e tutti quelli che danno loro corda. Perciò, togliti dalla testa queste idee malsane, che non sei inferiore proprio a nessuno -.
La vidi fare un lungo respiro profondo, mordicchiandosi il labbro inferiore – Okay, grazie. Quindi, che faccio? -.
- Direi che per prima cosa ci accomodiamo al loro tavolo e iniziamo a mangiare… - mormorai, immaginando già la sua reazione.
Spostai gli occhi sul suo gruppo di amici nello stesso istante in cui sentii il suo sguardo incenerirmi.
- Puoi smettere di pensare al cibo almeno per un secondo, per favore? - .
Annuii, trattenendo una risata mentre continuavo a guardare Ben che, indisturbato, rideva con i suoi amici. Doveva essere un bravo ragazzo, per forza, altrimenti gli avrei spezzato le ossa.
- Intendevo dire… – continuò Angela che, istintivamente, mi fece roteare gli occhi al cielo, senza che se ne accorgesse – mi siedo vicino a lui? Oppure lontana, per non destare sospetti? Lo saluto o faccio finta di niente? - .
L’amore per qualcuno che non facesse parte della mia famiglia non lo avevo mai provato. Non che mi interessasse scoprire che cosa si provasse nel sentirsi completati da un’altra persona, escluso il discorso parabatai ovviamente, ma mi incuriosiva il fatto che questo sentimento tra i mondani fosse così ricercato. Mi incuriosiva, perché non lo riuscivo a comprendere appieno.
Durante la mia vita ad Idris non avevo mai incontrato qualcuno che si fosse sposato e avesse messo su famiglia perché si amava. Il Conclave, dopo le numerose perdite della Battaglia di cento anni fa, decise di procedere con il metodo dell’eugenetica: selezionare i cacciatori più meritevoli e forti, farli sposare, per avere una prole e dei futuri shadowhunters degni di essere chiamati tali. Un altro obbligo che era stato stabilito sempre in quel periodo, era quello di dare alla luce minimo tre figli. Dopo l’Attentato però, non tutte le famiglie riuscirono a raggiungere almeno quel numero, come ad esempio i miei defunti genitori.
Quindi sì, Renée e Charlie non si amavano, erano stati costretti, come tutti gli altri cacciatori, a sposarsi per la patria, unendosi con l’obiettivo di essere degli abili insegnanti ed esempi, crescendo dei figli valorosi e degni del ruolo che successivamente avrebbero dovuto ricoprire nel mondo. Solo con il tempo avevano imparato a volersi bene. Infine, avrebbero dovuto darci un altro fratello, ma purtroppo non fecero in tempo.
Sapevo che un giorno, neanche troppo lontano, sarebbe toccato anche a me: il Conclave avrebbe scelto il mio futuro marito, con il quale poco dopo avrei dovuto cominciare a cercare di avere un figlio. Per quanto l’idea non mi entusiasmasse, ero pronta a farlo, in qualsiasi momento. D’altronde, che cosa potevo farci? Era la mia cultura, questo era quello che fin da piccola mi era stato insegnato, perciò, tutto sommato, lo sentivo giusto. L’idea che il mio destino fosse già stato scritto da altri non mi disturbava semplicemente perché lo avevo accettato già da tempo.
Per questi motivi, non mi interessava scoprire l’amore. O forse, non volevo e basta, perché se fosse stato qualcosa di bello, probabilmente proseguire per la mia strada in favore della patria sarebbe stato più difficile.
- Siediti dove vuoi e salutalo come tutti gli altri – le risposi ad un certo punto, quando il suo gomito incontrò la mia costola per farmi tornare alla realtà.
Non mi fece male, ma fu abbastanza per farmi riprendere lucidità.
Con la coda dell’occhio, notai che stava facendo dei respiri profondi. Ad un certo punto, mi prese alla sprovvista quando iniziò ad incamminarsi a grandi passi, senza di me, al tavolo dove erano seduti Ben e i suoi amici.
Restai totalmente senza parole per la sua reazione improvvisa. Fui costretta a rincorrerla, cercando di non far cadere nulla dal vassoio, nel tentativo di raggiungerla. Non ci misi molto.
Una volta arrivate, ci accomodammo entrambe con disinvoltura ai posti che avevamo scelto e salutammo il resto del gruppo cordialmente.
- Ehi ragazze! – esclamò Mike, per poi aggiungere – Come mai qui? -.
Il mio sguardo tagliente era fisso nei suoi occhi celesti, mentre afferrai una carota dalla mia insalata mista per iniziare a sgranocchiarla – Perché? Non possiamo? Non mi pare che questi posti siano stati occupati da qualcun altro -.
Il povero Mike arrossì violentemente, causando la risata del suo “amicone” Tyler.
Sentii qualcosa schiacciarmi il piede: era Angela.
La guardai confusa. Cosa avevo fatto? Che avevo detto di male?
- Quello che sta cercando di dire – iniziò a spiegare, lanciandomi qualche sguardo di sottecchi – è che Jessica ci ha invitate. È un problema per voi? -.
- Certo che no, ragazze. Siete le benvenute! – rispose Ben regalandoci un caldo sorriso, al quale solo Angela cercò di rispondere, nonostante l’imbarazzo.
Notai che aveva tutto il viso arrossato, come se avesse la febbre, mentre Ben si beccò una forte gomitata nelle costole da Tyler. Quel tizio stava cominciando a darmi sui nervi…
Mi fermai a pensare quanto sarebbe stato soddisfacente afferrargli la testa e spiaccicargliela nel piatto pieno di pasta al sugo davanti a sé. Invece, afferrai la forchetta, abbassai lo sguardo, e inizia a mangiare tentando, al contempo, di isolarmi dai discorsi di quelle persone.
Proprio quando pensai che, forse, fortunatamente, Jessica non sarebbe più arrivata, la ragazza comparì al mio fianco, sedendosi proprio nel posto libero accanto al mio. Perché non avevo pensato a occupare la sedia?
- Ciao ragazzi, scusate il ritardo! – esclamò con la sua vocetta odiosa.
Immediatamente, il mio sguardo supplicante si alzò verso Angela, che mi stava già guardando. Probabilmente, il mio viso doveva esprimere per me tutta l’irritazione che sentivo, perché la ragazza iniziò a scuotere la testa divertita, prima di rispondere alla sua amica – Ciao Jess, non ti preoccupare -.
- La professoressa Brown non voleva lasciarmi andare! – continuò, appoggiando il suo vassoio vicino al mio, troppo vicino.
Sentivo lo sguardo di Angela costantemente su di me, come se ciò potesse bastare a controllare le mie reazioni.
- Come mai? – si interessò Mike.
- Interrogazione a sorpresa, ma alla fine mi è andata bene! – esultò, alzando la voce di qualche ottava.
Per l’Angelo Raziel...
La forchetta mi scivolò dalle mani e in quel momento Jessica si accorse della mia presenza.
– Oh… Ciao Isabella! – disse, passando lo sguardo tra me e la mia amica Angela.
Di sicuro non si aspettava di vedermi e, inoltre, non dovevo nemmeno starle molto simpatica. Fortunatamente, la cosa era reciproca e, a prescindere, anche se così non fosse stato, non me ne sarebbe importato proprio per niente.
- L’ho invitata io – spiegò Angie – Spero non ti dispiaccia -.
Portai gli occhi sulla Stanley semplicemente per godermi la bellezza del sorriso falso che avrebbe fatto di lì a poco.
Come volevasi dimostrare, la mia previsione si realizzò. Sforzò gli angoli della sua bocca in un sorriso e aggiunse – No, assolutamente nessun problema -.
Dopo quell’ultimo intervento di Jessica, io non parlai più con nessuno e nessuno tentò di approcciare un discorso con me, se non Angela naturalmente.
L’ora di pranzo, tutto sommato, trascorse abbastanza rapidamente e arrivò il momento delle lezioni pomeridiane. Avevo trigonometria e matematica. Ovviamente, trascorsi entrambe le due ore a scarabocchiare sul quaderno. Al professore importava così poco che seguissimo, che non si prese nemmeno la briga di rimproverarmi, nonostante avesse notato la mia scarsa attenzione.
Quando finalmente l’ultima campanella suonò, trovai Angela ad aspettarmi fuori dalla classe. Come sempre, mi accompagnò fino alla moto di mio fratello e parlammo del più e del meno. Una volta arrivate al parcheggio, insistette per aspettare con me l’arrivo di Stephan.
Mi appoggiai leggermente con la schiena alla Yamaha per stare più comoda, ma senza sbilanciarla troppo.
Improvvisamente, Angela disse – I Cullen ti stanno fissando -.
Mi voltai per verificare la cosa ed immediatamente incontrai gli occhi dorati e lucenti di Edward. Era vero, l’intero clan mi stava fissando, ma ero troppo occupata ad ammirare la bellezza del mio compagno di biologia per preoccuparmi degli altri.
Ci guardammo per un tempo che sembrò non finire mai. Nessuno dei due voleva arrendersi.
Ma la voce di Angela mi fece nuovamente tornare alla realtà – Che cosa vorranno? -.
Mi girai di scatto verso di lei e, fingendo disinteresse, risposi – Non ne ho idea -.
- È come… - iniziò a parlare pensierosa, passando lo sguardo tra me e loro – È come se stessero aspettando che tu faccia qualcosa… -.
Improvvisamente, la paura che potessero fare del male ad Angela prese il sopravvento, e le intimai – Stagli alla larga -.
Sapevo che potevano sentirmi.
- Come? – chiese Angela, naturalmente confusa.
- Ti ho detto di stargli lontana – la avvertii nuovamente, tenendo un tono di voce moderato per evitare che altri mondani mi sentissero – Non mi piacciono – conclusi, lasciando un’ultima occhiata poco carina all’intera famiglia.
Annuì velocemente senza fare ulteriori domande, come se dentro di se sapesse di non poterne fare. Proprio in quell’istante arrivò mio fratello.
- Chi non ti piace? – si intromise gentilmente, essendo riuscito solamente ad ascoltare l’ultima parte del nostro discorso.
Mentre mi porse il casco, che mi curai di allacciare attentamente, lanciai uno sguardo d’intesa ad Angela, rispondendo a mio fratello – Niente di rilevante -.
Mentre salì sulla sella della moto, spalancò la bocca sorpreso prima di indossare il suo casco, facendo ridere Angela – Non hai mai avuto dei segreti con me! -.
- È ora che cominci ad averne, allora – stetti al gioco, salendo a mia volta sulla moto e allacciando le mie braccia intorno alla sua vita.

Salutammo Angela e, una volta che si fu allontanata, Ste fece ringhiare il motore della moto un paio di volte, facendomi ridere. Gli piaceva troppo mettersi in mostra con quel mezzo. Subito dopo, partì per tornare a casa e, finché non sparimmo totalmente dalla loro visuale, sentii lo sguardo dei Cullen perforarmi la schiena.


#IlMioAngolo
Buonasera e buone feste!!!
Vi avviso che il prossimo capitolo sarà anche... POV. EDWARD e succederà qualcosa che nell'idea originale non era prevista.
Anyway, mi scuso come al solito se ci metto sempre troppo ad aggiornare, ma come vi ho già detto sono piena di impegni, come tutti, e faccio del mio meglio.
Un beso <3
Zikiki98

Instagram: _.sunnyellow._

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Capitolo 14
*** 13. You protected me ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


13. YOU PROTECTED ME

 

[POV EDWARD]

Isabella Durwood.

Ultimamente, c'era solo lei nei miei pensieri. Mi aveva incuriosito fin dal primo giorno in cui incontrai il suo sguardo, fin dalla prima volta che annusai il suo profumo irresistibile, provocandomi un forte bruciore alla gola: la sete, la sete del suo sangue.

Me ne ero andato, convinto che questa malsana ossessione nei suoi confronti, prima o poi, sarebbe svanita com'era cominciata. Andai dai nostri parenti, in Alaska, ma nemmeno la loro compagnia, in particolar modo quella di Tanya, fu d'aiuto. Così seguii il consiglio di mio padre e mia madre, ai quali mancavo molto. Mi chiesero di tornare e di affrontare il problema, e così feci. 

Il primo giorno non ero riuscito a leggerle nel pensiero, ma credevo che fosse stata colpa mia, dato che ero più concentrato sul suo sangue che sulla sua mente. Ieri però ero ben nutrito e mi ero unicamente concentrato sui suoi pensieri, senza ottenere risultati differenti. Durante la pausa pranzo, preoccupato, parlai con i miei fratelli e sia Alice che Jasper mi rivelarono di riscontrare gli stessi problemi con i loro poteri. Inizialmente, credevamo che fosse una forma di difesa della sua specie, anche se non sapevamo esattamente a quale "razza" appartenessero sia lei che suo fratello. Capimmo che non era così, quando testammo i nostri poteri anche su suo fratello Stephan, sul quale funzionavano normalmente. Arrivammo alla conclusione che il problema riguardava soltanto lei.

Lei.

Mi trovavo in salotto, accanto ad una delle enormi vetrate che caratterizzavano la casa in cui abitavo con la mia famiglia, con lo sguardo fuori, verso il bosco.

Quella ragazza, che apparentemente poteva sembrare umana, mi incuriosiva troppo. Giustificai a me stesso più volte in quegli ultimi due giorni in cui non l'avevo vista, che la causa di tutto questo interesse era dovuto al fatto che non potevo leggerle nel pensiero. Sicuramente era così.

Ascoltai il ruscello a meno di un chilometro di distanza da casa nostra, mentre aspettavo che i miei fratelli terminassero di prepararsi per uscire e andare a scuola. Ovviamente, io ero sempre il primo a finire di sistemarsi.

Sentii Esme avvicinarsi e fermarsi proprio accanto a me. Posò una mano sulla mia spalla e con fare rassicurante cominciò a muoverla. Esme era la madre migliore che avessi mai potuto chiedere in questa mia seconda vita. Ci considerava davvero i suoi figli. Sapevo di essere privilegiato, di essere fortunato, ad appartenere ad una famiglia come questa, eppure talvolta me ne dimenticavo. Forse, non me la meritavo abbastanza.

- Sei riuscito a parlare con Isabella? – chiese Esme, guardandomi di sottecchi.

Ieri, subito dopo la scuola, mi ero ritirato nella mia radura per stare da solo e perdermi nei miei pensieri, perciò non aveva avuto occasione di chiedermi com'era stato il mio tanto atteso rientro a scuola.

Risposi sinceramente, in tono mesto – Sì, più o meno. Non ha un carattere facile e sembra detestare tutti fuorché suo fratello e Angela Weber. In particolar modo, sembra detestare noi -.

Sentii mia madre sussultare, voltandosi totalmente verso di me. Io continuai a mantenere lo sguardo fisso fuori dalla vetrata.

- Ne sei certo? Perché mai dovrebbe odiarci? -.

Esme era talmente dolce e buona, da soffrire anche solo all'idea che qualcuno potesse detestare lei o la sua amata famiglia, a maggior ragione se senza motivo. Anche se forse, in questo caso, la motivazione c'era.

- Credo che Isabella sospetti qualcosa sulla nostra natura – confessai – Non so se sia a conoscenza della nostra specie o meno, anche se ho le mie motivazioni per crederlo -.

- Quali motivazioni? – domandò, sempre più allarmata.

Sapevo quanto le piacesse vivere a Forks, come tutti noi del resto, e l'idea di lasciare questa piccola cittadina la faceva soffrire. Ma non potevo spiegarle che, una volta tornato in città, leggendo nella mente di Emmett, avevo scoperto che c'era stata una breve discussione tra lui e Isabella, nella quale lei sottolineava quanto noi fossimo pericolosi. Emmett non ne aveva parlato con nessuno, ma la cosa doveva averlo scombussolato parecchio, anche perché convivendo da più di dieci anni con me, aveva imparato come nascondere i suoi pensieri e una mancanza del genere da parte sua era davvero insolita. Teneva molto alla sua privacy.

Mi voltai verso Esme e finsi alla perfezione un sorriso tranquillo – Non preoccuparti, ho tutto sotto controllo, va bene? -.

- Edward... -.

- Davvero, non preoccuparti – la rassicurai nuovamente, dandole un abbraccio.

Nello stesso istante, i miei fratelli e le mie sorelle finalmente mi raggiunsero in salotto per andare a scuola.

- Finalmente – mormorai scocciato appena li vidi, staccandomi dalle braccia rassicuranti di Esme.

Emmett alzò gli occhi al cielo per poi venirmi incontro e darmi una pacca sulla spalla talmente forte da farmi cadere quasi per terra – Che musone che sei! Rilassati un po'! -.

- Sono rilassato. Semplicemente mi scoccia dovervi aspettare tutte le mattine – risposi monotono.

Fu Rosalie ad intervenire, con un tono decisamente acido, prima di sparire dietro la porta del garage – Come se per noi il tempo fosse un problema -.

Sbuffai, con l'intenzione di entrare in garage per avviare la macchina, quando un corpicino esile ma allo stesso tempo molto forte, strinse le sue braccia in una morsa intorno al mio busto.

- Buongiorno fratellone-musone! – mi salutò allegra il mio mostriciattolo, liberandomi dall'abbraccio.

Alzai gli occhi al cielo, infastidito dalle risate di Emmett, Alice e Jasper.

– Non sono un musone – mi lamentai, sapendo che in ogni caso avrei dimostrato il contrario.

- Il tuo umore dice altro, fratello! – rispose Jazz, con un sorriso tranquillo, mentre tutti mi seguivano in garage per prendere posto in macchina.

Decisi di non rispondere più ad alcuna provocazione per non dare soddisfazioni a nessuno.

__

Appena entrati nel parcheggio della scuola con la mia luccicane e argentata volvo, notai subito il professor Banner, accanto a un autobus giallo, discutere con il conducente. Fu in quel momento che mi ricordai della gita didattica che ci sarebbe stata quel giorno.

Banner oggi avrebbe sfruttato la sua ora didattica, e anche quella di qualche altro insegnante, per portare la sua classe migliore all'orto botanico di Forks. Probabilmente, ci sarebbe stata anche Isabella.

Parcheggiai la macchina al solito posto, lontano da qualsiasi carrarmato arrugginito che avesse potuto rigarla o ammaccarla. Dopodiché, scendemmo ad uno ad uno dalla macchina e come al solito, gli sguardi di tutta la scuola furono su di noi. Ma qualcosa cambiò nel momento in cui il rombo di una moto si fece strada nel cortile. E in quel momento, tutta l'attenzione, dai Cullen si spostò sui fratelli Durwood in sella alla loro YAMAHA R1.

Anche loro, proprio come noi, venivano considerati abbastanza bizzarri da occupare la maggior parte delle attenzioni e conversazioni umane.

Quando Isabella scese dalla moto e si tolse il casco insieme a suo fratello, sentii immediatamente l'andamento dei pensieri di Emmett modificarsi. Se fino all'attimo prima era concentrato sulla sua bellissima moglie Rose, in quel momento la sua attenzione era virata sulla ragazza misteriosa dai lunghi capelli mori e gli occhi più scuri delle tenebre.

C'era qualcosa che non mi convinceva nel comportamento strano di Emmett nei confronti di Isabella e ciò mi innervosiva parecchio. Non che mi interessasse direttamente, ma Emmett era sposato e non aveva mai mostrato interesse per nessun'altra donna al mondo se non per sua moglie Rosalie. Il fatto che Emmett fosse così profondamente attento ad ogni movimento di Isabella, era davvero anomalo.

Fissai lo sguardo su Emmett, che a sua volta non perdeva di vista Isabella mentre, bellissima, rideva e scherzava con suo fratello Stephan. Ci volle molto poco a Emmett per capire che qualcuno lo stava osservando e immediatamente rivolse gli occhi nella mia direzione. Succube della mia occhiata e, probabilmente, anche di quella di Rosalie che aveva notato quanto fosse strano il suo comportamento, fece finta di nulla. Si scostò da sua moglie dandole un bacio sula fronte e si avvicinò a Jasper e Alice per parlare a gran voce della moto che possedevano i Durwood.

Per un secondo incrociai lo sguardo di Rose, insicuro e demoralizzato.

"Edward, cose senti nei suoi pensieri?" supplicò mia sorella con il pensiero, sapendo che potevo sentirla "Perché è così ossessionato da quella stupida umana?"

Cercai di ignorare il fastidio che provavo nel sentir definire Isabella "stupida umana" e alzai le spalle con indifferenza, cercando di far capire a Rosalie che non era niente di preoccupante.

L'ossessione che aveva Emmett per quella ragazza non c'entrava niente con i dubbi che si stavano instaurando in Rosalie. Non era decifrabile dai suoi pensieri a cosa fosse dovuto esattamente questo interesse, era diventato bravo a velare c'ho che pensava, ma potevo ben percepire che non si sentiva attratto da Isabella, non era quello a innescare il suo comportamento sospetto. Era qualcos'altro. Eppure, tutto questo interesse da parte sua non riuscivo a capirlo.

Nonostante i nostri diverbi, Rosalie sapeva che non le avrei mai mentito su una cosa del genere, di conseguenza, interpretando la mia mossa con le spalle, si tranquillizzò.

Dopo qualche minuto, ci incamminammo verso le nostre lezioni. Salutai i miei fratelli e mi diressi verso l'aula di biologia. Provavo una strana eccitazione e non ne identificavo il motivo. Provai a pensare che potesse essere per la gita di quella mattina, dandomi del ridicolo mezzo secondo dopo. Avevo più di cent'anni di vita, più nulla mi entusiasmava mai da tempo, e di sicuro non poteva essere una visita all'orto botanico di Forks a farmi questo effetto.

Una volta entrato in classe, vidi che la mia compagna di banco aveva già preso posto. I capelli scuri le nascondevano il viso mentre scarabocchiava qualcosa sul quaderno. Era l'unica ad essere già in classe. Non seppi perché, ma una sensazione di felicità mi pervase il corpo. Allora compresi cosa, o meglio chi, quella mattina mi aveva reso così elettrizzato. Era possibile essere contento di stare vicino ad una persona che, per ovvie ragioni, non ti sopportava? Possibile che fossi caduto così in basso?

Diamine, ero un vampiro, un vampiro di centootto anni per giunta! Potevo seriamente farmi abbindolare in questo modo da una ragazzina?

- Hai intenzione di stare lì a fissarmi ancora per molto, Cullen? – disse stizzita Isabella, risvegliandomi dai miei pensieri.

Mi guardava con le sopracciglia aggrottate e non potei fare a meno di pensare a quanto fosse effettivamente stupenda. L'alone di mistero che le volteggiava attorno non faceva altro che renderla ancora interessante. In quel momento capii che quella ragazza, con il suo modo di essere, dava un po' di pepe alla mia vita, se così poteva essere chiamata la mia esistenza.

Inevitabilmente, sorrisi quando decisi di risponderle – Ti infastidisco? - .

Sbuffò, abbassando la testa per tornare ai suoi scarabocchi – No, ti ritieni così importante da infastidirmi? - .

- Lo stai affermando tu, Durwood – la provocai, riciclando il suo stesso modo di parlare per schernirla a sua volta.

Inaspettatamente, la vidi sogghignare sotto la sua folta chioma di capelli, anche se cercava palesemente di nasconderlo. L'avevo appena fatta ridere e immediatamente una parte di me si sentì soddisfatta, come se avessi raggiunto un piccolo traguardo.

Non potei fare a meno di faglielo notare – Allora sai anche fare un sorriso ogni tanto – dissi, avvicinandomi con passo cadenzato per poi sedermi al mio posto, sulla sedia accanto alla sua – Credevo sapessi solo tenere il broncio -.

Come se qualcuno le avesse appena dato un pizzicotto sulla pelle, si ridestò e cambiò atteggiamento, zittendomi maleducatamente – Chiudi il becco e fatti gli affari tuoi -.

Tutta la soddisfazione che avevo provato fino a quel momento scomparì in un nano secondo. Effettivamente, se si fosse lasciata andare così velocemente nei miei confronti, non mi avrebbe dato filo da torcere.

Per assecondare i suoi desideri, estrassi fuori dal mio zaino il libro di biologia e feci finta di ripassare l'ultimo argomento trattato in classe. Non sapevo esattamente che cosa mi spingesse così intensamente nei suoi confronti, eppure d'altro canto non riuscivo a costringermi ad ignorarla, era più forte di me. Avrei anche potuto metterci tutta la buona volontà di questo mondo, ma, proprio come Emmett, per motivazioni differenti ancora sconosciute per entrambi, non riuscivamo a lasciarla perdere come i nostri fratelli.

C'era qualcosa che ci attraeva, ci legava, indissolubilmente a lei. Chissà se anche per lei era lo stesso...

Pensai, che se anche per lei fosse stato così, era molto brava a nascondere i suoi sentimenti. Era evidente che intorno a sé avesse costruito una fortezza invalicabile, se non dalla cerchia ristretta di persone che lei amava. Decideva lei chi poteva entrare e chi invece doveva restare chiuso fuori.

Io ero fra quelli che dovevano restare chiusi fuori. Non mi conosceva e, tantomeno, mi voleva conoscere. Sospettava la mia natura e quella della mia famiglia.

Aveva tutte le ragioni a suo favore per non darmi confidenza. Potevo forse darle torto?

__

[POV ISABELLA]
 

Cercai di ignorare la presenza insistente e magnetica del vampiro al mio fianco, ma era difficile, davvero difficile. I suoi occhi, il suo corpo, il suo profumo, tutto, tutto mi attirava a lui. Sapevo che era una caratteristica fisica fondamentale nella sua specie per la caccia eppure, tra tutti i Cullen, era l'unico che mi creava un disagio interiore simile.

Diventò più facile ignorare la sua esistenza accanto a me nel momento in cui la classe iniziò a riempirsi piano piano dei nostri compagni di corso. Quando finalmente anche il professor Banner ci degnò della sua presenza, fece un veloce appello per verificare che tutti quelli che avevano acconsentito a venire all'orto botanico di Forks fossero presenti. Dopodiché, ci invitò a prendere le nostre cose, uscimmo dalla classe e ci avviammo verso il pulmino che ci aspettava in cortile.

Salimmo uno alla volta sul veicolo, in fila indiana per via dello spazio ristretto, e nonostante non lo stessi guardando, sapevo che Cullen era poco dietro di me. Sentivo il suo sguardo addosso, sempre, non era necessario che verificassi.

Quando salii, presi posto in uno dei sedili centrali, mi accomodai vicino al finestrino e appoggia la mia giacca e la cartella sul sedile libero accanto a me, in modo tale che a nessuno venisse la brillante idea di sedersi accanto a me, soprattutto se questo qualcuno era Mike. Quel mondano era viscido tanto quanto quella gallinella pettegola di Jessica che gli andava dietro. Non li sopportavo.

Vidi con la coda dell'occhio, mentre facevo finta di guardare fuori dal finestrino il paesaggio del bosco accanto alla scuola, Edward passarmi accanto e sedersi esattamente nella mia stessa fila di sedili, ma nella corsia opposta. Per stare da solo, proprio come me, mi copiò l'idea e occupò il sedile accanto al suo con i suoi oggetti personali.

Non so perché, ma quel gesto mi fece venir da ridere, ma mi trattenni. Forse stavo impazzendo.

Anche se non eravamo ancora partiti, tirai fuori dallo zaino il cellulare e le cuffiette. Una delle cose della vita mondana che mi piacevano e che Angela mi aveva insegnato, era come scaricare la musica sul telefono per ascoltarla ovunque volessi. Per me, abituata ai giradischi vintage, era un enorme passo avanti, considerato che ancora non avevo capito come inserire i CD nello stereo di casa senza spaccarli in due.

Stavo per inserire le cuffiette nelle orecchie e far partire la mia raccolta di musica classica preferita quando, proprio una delle persone che non volevo mi disturbassero, era venuta ad irritarmi. Probabilmente era talmente stupido da non saper leggere i messaggi subliminali.

- Ciao – mi salutò Mike Newton – ti disturbo? -.

Alzai gli occhi al cielo, cercando di fargli notare quanto fossi irritata – Sì. Che cosa vuoi? -.

Notando il tono scocciato con cui mi ero rivolta, cominciò a balbettare – V-Volevo s-solo chiederti se p-potevo sedermi a-accanto a t-te... -.

Un impeto di rabbia mi scaldò fino alle punte delle orecchie e, mentre incenerivo Newton con lo sguardo, notai Cullen dietro di lui ridere sotto i baffi mentre osservava la scena. A pensarci bene, non solo il vampiro stava assistendo alla scena, ma tutta la classe.

Persi la pazienza – Punto primo, perché mai dovresti sederti accanto a me? Punto secondo, se fossi in te e se avessi un minimo di senso di sopravvivenza, mi siederei molto distante da me, in uno degli altri dieci maledetti posti liberi di questo autobus – e per finire, aggiunsi sistemandomi le cuffie nelle orecchie e facendo partire la musica – Punto terzo, evapora dalla mia vista -.

- I-Io... - balbettò di nuovo, ma non gli permisi di andare oltre.

- Ti ho fottutamente detto di evaporare! – ringhiai – Sparisci! Cerca un altro dannato posto! -.

Quando finalmente sparì dalla mia vista, alzai la musica classica al massimo per evitare di sentire sghignazzare i miei stupidi compagni di classe.

Ci volevano circa venti minuti, da quel che ne sapevo, per raggiungere l'orto botanico, eppure avevo l'impressione che il tempo trascorresse lentamente. Anche troppo lentamente.

In un'occasione normale, non avrei trattato così male Mike, soprattutto davanti a tutti, considerando come si evolvevano le voci e i pettegolezzi qui a Forks. Eppure sentivo uno strano peso sul cuore da quella mattina, tanto pesante, che mi convinsi a parlarne anche con Stephan prima di andare a scuola. Non sapevo come spiegargli ciò che sentivo, gli dissi solo che era come se avessi la sensazione che oggi qualcosa sarebbe andato nel verso sbagliato. Lui mi rassicurò dicendomi che probabilmente questo sentimento era dovuto alla gita di oggi, che non mi dovevo preoccupare. Però questa brutta sensazione si faceva sempre più presente e puntigliosa.

Sentivo che era qualcosa legato al mio istinto e lo avessi seguito, oggi non mi sarei presentata a scuola.

Eppure, eccomi qui, su un autobus che da qui a poco ci avrebbe portato a spasso per Forks.

L'autista mise in moto il motore e finalmente partimmo.

Per calmarmi, cercai di concentrarmi sulla mia musica classica e sugli alberi verdi che mi scorrevano accanto veloci. Il verde aveva il potere di calmarmi, mi faceva pensare a Idris, a casa mia.

Chiusi gli occhi solo un secondo, per godermi le note della sonata di Bach che in quel momento mi stava pervadendo tutto il corpo, e quando li riaprii vidi una macchia nera schiantarsi a tutta velocità nella parte dell'autobus dove mi trovavo io. Anzi, oserei dire, che puntava proprio nella mia direzione.

Non feci in tempo a reagire che un gelido scudo mi avvolse completamente e mi costrinse a rannicchiarmi su me stessa. Chiusi gli occhi automaticamente. In un attimo, un frastuono assordante e lancinante mi riempì le orecchie, insieme alle urla terrorizzate dei mondani presenti. L'autista non riusciva a controllare il mezzo, che sbandava da una parte e dall'altra della strada nonostante tutti i suoi sforzi, e finimmo fuori dalla carreggiata, nel bosco. Oltre alle urla, adesso si sentiva anche il rumore dei vetri del pullman rompersi e caderci addosso. Non sapendo come comportarmi, cercai di restare il più immobile possibile, dato che qualsiasi cosa mi tenesse bloccata, mi impediva di muovermi. Per un secondo, credetti addirittura di essermi incastrata da qualche parte e che sarei morta. Mi aggrappai con forza alla cosa che mi teneva ferma.

Ad un certo punto, l'autobus cominciò a ribaltarsi, finché il mezzo non concluse la sua corsa schiantandosi contro qualcosa. Non sapevo cosa perché non avevo ancora aperto gli occhi, e non li aprii finché non sentii questo scudo di ghiaccio trascinarmi fuori dal pulmino e cadere sull'erba.

Sentivo lo scudo sopra di me. Sentivo sempre più freddo. Sentivo anche dolore, un po' in tutto il corpo a dire la verità.

Avevo il respiro affannoso e quando mi decisi ad aprire gli occhi, incontrai quelli dorati di Edward. L'oro liquido nel suo sguardo doveva avere qualche proprietà terapeutica, perché in quel momento non sentii più dolore. I nostri corpi erano sigillati in un abbraccio stretto e i nostri visi, le nostre labbra, erano a pochissimi centimetri di distanza. La mia attenzione era talmente distratta, a tratti concentrata sulla situazione e a tratti sull'uomo che mi stava facendo scudo con il suo corpo, che non mi ero nemmeno accorta che le mie mani gli stavano accarezzando i folti capelli color rame.

I nostri visi erano sempre più vicini e, per un impercettibile secondo, le sue labbra sfiorarono le mie senza toccarsi davvero. Mi ridestai quando sentii le urla disperate dei mondani ancora intrappolati.

Anche lui doveva essersene reso conto e si spostò da sopra di me per rotolare al mio fianco.

Mi hai protetto – sussurrai impercettibilmente, ma sapevo che lui mi poteva sentire, mentre guardavo il cielo nascosto dalle foglie degli alberi.

Non disse nulla. Si mise seduto per poi alzarsi in piedi. Si voltò verso di me e mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi.

Non ci pensai troppo ed afferrai la sua mano gelida. Mi aiutò a tirarmi su e quando il mio sguardo cadde sulle nostre mani unite, notai che la manica del maglione che indossavo si era alzata leggermente, mostrando un lieve accenno di una runa. Di scatto, lasciai la sua mano e ricoprii immediatamente quel lembo di pelle. Edward non mi staccò gli occhi di dosso un secondo.

Mi diressi verso l'autobus fumante e ribaltato a pochi metri da noi e gli dissi – Forza, andiamo ad aiutare gli altri -.

Zoppicavo e tutto il corpo mi faceva male, ma non potevo permettere che qualcuno morisse per l'imboscata di un demone. Non me lo sarei mai perdonato.

Mentre Edward chiamava i soccorsi, cominciai ad arrampicarmi sulla parete metallica e scivolosa del mezzo ribaltato. Pochi secondi dopo mi raggiunse anche lui e, insieme, aiutammo tutti a uscire dall'autobus. Quando arrivarono i soccorsi erano già tutti al sicuro: feriti non gravemente per fortuna, ma in salvo.

Guardai Edward in lontananza parlare con la polizia per raccontare l'accaduto. Sicuramente, gli stava dicendo un alibi e gli avrebbero creduto senza problemi, qualsiasi cosa avesse detto, perché veniva da una buona famiglia e di lui si fidavano. Di certo non poteva dire loro che era stato un demone a buttarci fuori di strada.

In quel momento, iniziai a ricredermi sul conto di quei vampiri, in particolare, sul suo conto. Mi aveva protetta, mi aveva salvato la vita, e mi aveva dato una mano a tirare fuori tutti gli altri, nonostante ci fosse sangue ovunque. Aveva un incredibile autocontrollo.

Cominciai a pensare che, in qualche modo, questo avvenimento ci avrebbe legati. Sentivo dentro di me che qualcosa era cambiato.

Quando Edward finì di parlare con la polizia, si voltò verso di me e, notando che lo stavo guardando a mia volta, mi sorrise. Non potei che fare altrettanto, così ricambiai il sorriso. Un sorriso sincero, bello, senza veli.

Mi aveva salvato la vita.

#IlMioAngolo

Ciao a tutti! Come state? Spero bene.
Si non mi faccio sentire da una vita, lo so. 
E' inutile scusarsi, è passato decisamente troppo tempo. Vi dico solo che approfitto e prendo il "lavo positivo" di questa quarantena per tornare a fare ciò che mi piace davvero: scrivere.

Spero davvero che riusciremo a farci compagnia a vicenda in questo periodo difficile <3

Un beso :-*

Zikiki98

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Capitolo 15
*** 14. No one will have mercy on you ***


 

THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


14: NO ONE WILL HAVE MERCY ON YOU

 
[POV ISABELLA]

Portarono tutti in ospedale per degli accertamenti, me compresa, nonostante avessi insistito sul fatto che stavo bene e che non avevo bisogno di cure.
Ci avevano portati in pronto soccorso. Ogni lettino era diviso da una semplice tendina tirata. Questo mi permetteva di non vedere i miei compagni, ma purtroppo riuscivo comunque a sentirli, soprattutto quella lagna isterica di Mike Newton. Era terrorizzato all’idea di dover mettere dei punti al braccio.
Non era ancora arrivato nessuno a visitarmi e, onestamente, mi stavo spazientendo. Non avevo bisogno di stare qui, dovevo solo avere abbastanza intimità da prendere lo stilo e disegnarmi sulla pelle la runa di guarigione. Solo così sarei stata meglio.
Mi balenò in testa l’idea di svignarmela. Alla fine, chi se ne sarebbe accorto? Infermiere e medici erano impegnati a controllare gli studenti che palesavano una diagnosi più seria della mia: fratture, squarci sulla pelle, isterismi. Io mostravo semplicemente una caviglia slogata ed ero tranquilla.
Feci per alzarmi dal letto quando la mia tendina si aprì, rivelando la figura di Edward mentre mi coglieva sul fatto.
Gli venne quasi da ridere – Dove pensavi di andare? -.
Sbuffai roteando gli occhi mentre prendevo di nuovo posto sul lettino – Da nessuna parte -.
- Ah – e mi sorrise – Credevo te ne stessi andando via senza aver fatto nemmeno la visita di controllo -.
- No, ti sbagli – mentii, anche se lui sapeva benissimo qual era la verità.
Strano che non avessero voluto controllare anche lui. Probabilmente aveva usato le sue capacità da vampiro per risparmiarsi questo incomodo. Perché anche noi cacciatori non potevamo avere questa qualità? Ci sarebbe tornata molto utile.
- Beh, non temere. Sono qui per salvarti -.
Stavo per chiedergli a che cosa si stesse riferendo quando, accanto ad Edward, proprio in quell’istante, arrivò un dottore. Era alto e giovane, non doveva avere più di trent’anni. Aveva i capelli biondo platino, gli occhi dorati e la pelle pallida, proprio come Edward. Sul camice, in corsivo, c’era cucito il suo nome: Dottor Carlisle Cullen.
Doveva essere il creatore di Edward e dei suoi fratelli.
Il dottore, con un bel sorriso, superò Edward e si avvicinò a me accanto al lettino – Buongiorno, signorina Durwood. Sono il Dottor Cullen, il padre di Edward. Come ti senti? -.
Saltai i convenevoli e andai dritta al punto – Io sto benissimo, posso andare a casa? -.
Evitò di rispondere alla mia domanda, con un’altra domanda – Mio figlio dice di averti vista zoppicare. Ti fa male la caviglia? -.
Sostai lo sguardo sul mio compagno di banco di biologia e lo incenerii - Niente che un po’ di ghiaccio e riposo non possano guarire -.
Il Dottor Cullen mi sorrise cordialmente – Ne sono certo, ma vorrei verificare. Per scrupolo -.
Cercai con tutta me stessa di trovare un’altra scusa, ma non mi venne in mente nulla. Se avesse sollevato la stoffa dei jeans per valutare le condizioni della mia caviglia, avrebbe visto le rune e, probabilmente, essendo un vampiro anziano, avrebbe capito che cosa ero. Ci mancava soltanto che mi facessero fare degli esami del sangue!
Stavo cercando di inventarmi una scusa al più presto, quando sentii una voce familiare chiamarmi.
- Bella, Bella dove sei?! Mi porti immediatamente da mia figlia! – sentii urlare Marie a pochi metri di distanza - Senta, non mi interessa se il dottore la sta visitando. È minorenne e io sono la madre, voglio vederla! -.
- Mamma, sono qui – la chiamai nella speranza che mi sentisse.
In un secondo, le tendine si scostarono e me la trovai accanto al letto mentre mi abbracciava e mi coccolava. Ricambiai tutte le sue attenzioni.
- Come stai, amore mio? -.
Sospirai – Sono tutta intera -.
Per un secondo, mi dimenticai che non eravamo sole e che, soprattutto, i nostri spettatori non solo erano vampiri, ma che Marie non ne sapeva niente. Nella mia testa si scatenò il panico. Come potevo spiegare a Marie il segreto che avevo promesso a Stephan di mantenere? Lo sapevo, questa situazione era un disastro annunciato, eppure, per proteggere mio fratello e i suoi desideri avrei fatto qualsiasi cosa.
Con la testa appoggiata sulla spalla di Marie, guardai Edward e suo padre terrorizzata, che a loro volta mi osservarono confusi. Ero spaventata dalla reazione che avrebbe potuto avere mia madre non appena li avesse guardati. Chissà a che conclusioni sarebbe giunta.
Stava per staccarsi dall’abbraccio, quando la strinsi a me ancora più forte. Non ero ancora pronta per sbatterle la verità in faccia.
- Sai, mamma, ho avuto tanta paura – cercai di prendere tempo.
Molto, ma davvero molto confusa di avermi sentita dire una frase del genere, mi cullò fra le sue braccia con sospetto. Il mio comportamento al momento non rispecchiava quello di una cacciatrice in piena regola.
- Adesso sono qui – mi rassicurò, reggendo il gioco, anche se non ne aveva capito nulla – Non ci pensare, andrà meglio -.
Quando si staccò dall’abbraccio e si voltò verso le altre due figure presenti in quello spazio angusto e intimo creato dalla tendina, trattenni il respiro e chiusi istintivamente gli occhi, come se mi dovessi aspettare una scenata. Riflettendoci bene però non sarebbe arrivata, o almeno, non in quel momento. L’avrebbe posticipata di sicuro nel momento in cui fossimo rimaste da sole.
Vidi il suo corpo paralizzarsi e il respiro accelerare. A me, per l’ansia di quella situazione, mancò l’aria.
Il dottor Cullen e Edward, palesemente a disagio e preoccupati, non dissero nulla.
Cercai di interrompere quel gioco di sguardi – Mamma, possiamo andare a casa? -.
Ci mise ancora un attimo prima di reagire e voltare nuovamente lo sguardo su di me. Quando finalmente lo fece, avrei tanto preferito sotterrarmi.
- Sì – mi rispose, gelida – Dobbiamo proprio andare a casa -.
Mi prese per il braccio e mi fece saltare giù dal lettino bruscamente. Prese i miei oggetti personali dal comodino accanto al letto e si diresse in fretta e furia verso la tenda per scostarla e andarsene, ma il Dottor Cullen la precedette.
- Non potete andarvene, non ho ancora potuto visitare Isabella – provò a fermarla Carlisle, confuso da quella reazione imprevista.
Marie mi tirò verso di lei, stringendomi a sé e, con uno sguardo di sfida e un tono minaccioso disse – Azzardatevi soltanto a guardare, parlare, toccare o pensare a mia figlia e non avrete più un altro giorno da vivere della vostra schifosa esistenza su questo mondo -.
Sentendo quella frase, mi sentii morire dai sensi di colpa. Mormorai a voce molto bassa uno “scusa”, in modo tale da farmi sentire solo da Edward e suo padre: erano sconvolti.
Voltai loro le spalle e mi feci trascinare da Marie, senza dire una parola, nei corridoi dell’ospedale in direzione dell’uscita. Anche se zoppicavo e sentivo un dolore lancinante alla caviglia, non provai a lamentarmi nemmeno per un secondo, non tentai nemmeno di farmi sfuggire un gemito sofferente. Non ci tenevo a peggiorare la situazione.
Quando arrivammo nella hall dell’ospedale, mi sentii chiamare e Marie si fermò. Dannazione.
Marie mi incenerì con lo sguardo, mentre Angela mi correva in contro, felice di vedermi viva.
Quando la mia amica fu abbastanza vicina, mi abbracciò.
- Ero così preoccupata – mi sussurrò all’orecchio – Appena a scuola si è sparsa la voce di quello che è successo, ho preso tutte le mie cose e sono arrivata subito -.
- Sto bene – risposi secca, nel tentativo di mantenere almeno un certo distacco davanti a mia madre.
Angela era talmente su di giri per via della situazione che non percepì nemmeno il tono glaciale che avevo usato per risponderle – Ma come è potuto accadere un incidente del genere? -.
Stavo per inventarmi una scusa, quando Marie mi precedette – Mi dispiace Cara, ma adesso devo portare mia figlia a casa. Avrete tempo per rifarvi in chiacchiere successivamente -.
La mia amica, sorpresa da quell’interruzione, si fece da parte per farci passare. Dall’espressione sul suo viso, notai palesemente la sua delusione. Si era preoccupata talmente tanto per me e voleva solamente assicurarsi che stessi bene. D’altro canto, lei non conosceva la mia vera identità, mentre la mia famiglia non conosceva la mia vita scolastica. Non potevo sbilanciarmi troppo da nessuna delle due parti. Di conseguenza, mi lasciai trascinare via da Marie, con il cuore colmo di sensi di colpa.
_
 
- Non so nemmeno spiegarti quanto sono furiosa, sai? – urlò, mentre era alla guida di uno dei nostri Range Rover.
Non mi aveva nemmeno fatta spiegare. Appena salite in macchina, aveva cominciato a gridarmi contro per non smettere più. Non che avesse totalmente torto, sia chiaro. Ma quando provavo a spiegarle la mia versione dei fatti, attaccava di nuovo. Non mi faceva fiatare. Così, optai per il silenzio assenso.
Semplicemente, le stavo facendo sfogare tutta la sua rabbia nei miei confronti. Io, nel frattempo, ero seduta nell’ala posteriore della macchina, in modo tale che potessi allungare comodamente le gambe sui sedili per disegnarmi un Iratze sulla caviglia dolorante.
- Ti sei esposta, mi hai nascosto la presenza dei vampiri qui in zona, hai persino fatto amicizia con una mondana! – continuò, battendo la mano con forza contro il volante della macchina – Non sono furiosa, sono incazzata! Sei così sconsiderata, che cosa credevi di fare? -.
Non provai nemmeno a rispondere, considerando i tentativi falliti delle volte precedenti.
- Cos’è? Hai perso la lingua? Parla! -.
- Ma stai scherzando? – sbottai a quel punto – Come faccio ad interrompere il tuo monologo da madre incazzata? -.
- Non mi rispondere con quel tono, non ci provare! – mi rimproverò, lanciandomi un’occhiataccia sfruttando lo specchietto retrovisore.
Sospirai e abbassai lo sguardo sulla mia runa ancora calda e bruciante. Il dolore alla caviglia pian piano stava sparendo, era un buon segno.
Ci fermammo ad un incrocio davanti ad un semaforo rosso. Vidi Marie mettersi le mani fra i capelli e si lasciò andare in uno sbuffo nervoso.
- Penso di essermi calmata – disse, ad un certo punto, quando il semaforo tornò verde e lei poté rimettere in moto l’auto – Raccontami quello che è accaduto, dall’inizio – sottolineando l’ultima parola.
Così, cominciai a raccontarle quello che era successo in queste settimane da quando vivevamo qui, a Forks. Le parlai dell’incontro con la famiglia Cullen, che erano dei Nascosti, ma non erano i soliti vampiri convenzionali. Cominciai a spiegare le loro differenze a partire dal colore degli occhi: non il classico rosso che richiamava il colore del sangue umano, ma di un caldo castano dorato. Parlai del loro rapporto con gli esseri umani, distaccato e vigile, e che, secondo i pettegolezzi che giravano per la contea, da quando il Dottor Cullen aveva preso a lavorare in ospedale, c’era stato un notevole calo dei morti. Infine, le raccontai dell’incidente di quel giorno, che in base a quello che avevo visto e a quello che ricordavo, a mio parere, era stato un demone a colpire l’autobus e farci andare fuori strada. Probabilmente era diretto verso di me, confessai, ma Edward si era messo in mezzo e mi aveva protetta. Chissà quanto gli era costato quel gesto eroico.
Ormai, quando finii il mio racconto, eravamo quasi arrivate a casa. Si fermò nel sentiero del bosco a qualche metro dalla casa, un po’ nascoste dagli alberi, per far sì che potessimo avere ancora qualche attimo di intimità dalla nostra famiglia. Apprezzai il gesto, anche se non mi sorprese.
Marie si arrabbiava tanto perché mi amava più della sua stessa vita, come amava gli altri suoi figli. Ma non era come gli altri Shadowhunters. Prima di essere una cacciatrice, era una madre, e sapevo che non avrebbe spifferato niente a Jonathan o al Conclave. Sapevo che mi avrebbe protetta con tutte le sue forze.
- Animali… - sussurrò Marie, interrompendo il corso dei miei pensieri.
Mi voltai verso di lei, palesemente confusa – Come? -.
Si girò per guardarmi e, con l’espressione di chi aveva appena avuto una rivelazione, rispose – I Cullen, si nutrono di sangue animale -.
- E tu come lo sai? – domandai, sbalordita.
- Ho avuto a che fare con un vampiro, molti anni fa – e notando il mio viso sconcertato, aggiunse – È una storia molto lunga e, soprattutto, appartiene al passato. Fai come se non ti avessi detto nulla, ma so per certo che i Cullen si nutrono di sangue animale -.
- Adesso mi hai messo curiosità… -.
- Non ti racconterò mai questa storia – concluse, chiudendo quel discorso prima ancora che cominciasse.
Annuii, ancora incuriosita da tutto quel mistero. Come aveva fatto Marie ad incontrare un vampiro in passato, se fino a qualche mese fa per il Conclave dovevamo restare tutti segregati ad Idris?
- E non dirò niente a Jonathan di quello di cui abbiamo parlato oggi, riguardo ai vampiri – mi rassicurò – Gli parlerò solo dell’incidente con l’autobus e che dici di aver visto un demone venirvi addosso. Ma mi devi promettere, anche per tuo fratello Stephan, che farete più attenzione d’ora in avanti. Non possiamo permettere che qualcuno di noi si esponga per sbaglio, soprattutto se ci sono di mezzo vampiri secolari che potrebbero riconoscerci – e poi mi supplicò, accarezzandomi dolcemente una guancia – Stai attenta, Amore mio. Non siamo a Idris, questo mondo è crudele, spietato e, di conseguenza, se si venissero a scoprire le tue azioni ad Alicante potrebbero essere giudicate molto severamente, con conseguenze devastanti. Niente vale di più della tua vita, abbine cura e rispetta le regole, altrimenti, nessuno avrà pietà di te -.
_
 
Appena Marie parcheggiò la macchina in garage, mi diressi verso la mia stanza per riposare, mentre lei decise di raggiungere Jonathan e gli altri in palestra per allenarsi.
Mi distesi sul mio letto a due piazze e cominciai a pensare. La giornata di oggi, sia fisicamente, sia psicologicamente, era stata davvero pesante, eppure non potevo fare a meno di sentirmi sollevata.
Percepivo dei nuovi sentimenti positivi dentro di me, perché avevo capito che i Cullen non erano malvagi e non avevano secondi fini. Ero finalmente arrivata a comprendere che cercavano semplicemente di sopravvivere in questo mondo come meglio credevano, rispettando un codice morale che li rendeva più umani di molti esseri umani stessi.
Nella mia mente, era rimasto fisso lo sguardo ferito di Edward davanti alle parole taglienti di Marie in ospedale. Domani gli avrei assolutamente chiesto scusa. L’incidente di oggi aveva generato un cambiamento in noi o, comunque, di sicuro lo aveva innescato in me. Mi promisi che mi sarei comportata meglio con Edward e la sua famiglia. Non saremmo di sicuro diventati amici del cuore, ma decisi di provare a fidarmi prendendo spunto da Stephan, che non aveva mai sbagliato sul loro conto.
Alla fine, che colpa avevamo tutti noi di essere ciò che eravamo?
Infine, mi misi anche a riflettere sul misterioso passato di Marie. Chissà che cosa nascondeva di così sconvolgente da non parlarne nemmeno con la sua stessa famiglia. E Jonathan, il suo stesso marito, ne era al corrente oppure Marie aveva preferito tenere all’oscuro di tutto anche lui?
Qualunque cosa fosse successa, sentivo di doverla sapere e avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per venirne a capo. E lo giurai sull’Angelo Raziel.
 

 

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Capitolo 16
*** 15. Seattle ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


15. SEATTLE


 [POV ISABELLA]


La mattinata seguente arrivò presto. Le luci del giorno penetrarono dalle finestre della mia stanza, svegliandomi dolcemente. Sbadigliai e mi stiracchiai avvolta nelle coperte, pensando al sogno che avevo fatto durante la notte. Il mio cuore palpitava ancora veloce, come se fosse accaduto veramente.  Avevo sognato Edward. E fin qui, poteva essere ritenuto normale. Solo il giorno precedente mi aveva salvato la vita. Probabilmente il mio inconscio stava semplicemente mostrando un minimo di riconoscenza nei suoi confronti, se non fosse che sognai di baciarlo. Cercai di non darci peso, anche se era davvero difficile, soprattutto considerando che, ostilità pregresse a parte, era davvero un ragazzo attraente.
Adesso basta, pensai.
Mi costrinsi ad alzarmi dal letto e mi diressi in bagno. Tutti i dolori del giorno precedente erano come svaniti, grazie alle rune di guarigione, per cui non ebbi alcuna difficoltà a muovermi. Cominciai con il districarmi i capelli dai nodi. Dopo averli sistemati, li legai in una coda alta e mi sciacquai il viso con acqua fredda. Dopodiché, tornai nella mia stanza e scelsi un paio di jeans scuri e un maglione bianco a collo alto da indossare. Mi infilai i miei soliti stivali, in modo tale da poterci nascondere all’interno lo stilo e un paio di pugnali, e scesi di sotto per mangiare qualcosa.
Stephan era già lì a fare colazione, appoggiato al bancone della cucina.
Si voltò verso di me e mi sorrise – Buongiorno! -.
- Buongiorno a te! – gli risposi, accomodandomi accanto a lui.
- Hai dormito bene? – chiese, portandosi alla bocca un cucchiaio di cereali.
Annuii, versandomi un po’ di succo d’arancia nel bicchiere – E tu? -.
- Sì, direi di sì – sogghignò, passandomi un paio di biscotti con le gocce di cioccolato, i miei preferiti da quando vivevamo qui – Sei pronta ad affrontare tutti gli sguardi adolescenziali della Forks High School? -.  
Sbuffai, addentando un biscotto – No, direi proprio di no. Ma probabilmente, se saltassi la scuola, inventerebbero congetture sulla mia assenza e non mi sembra il caso -.
Rise – Temo che tu abbia ragione! -.
Una volta che entrambi finimmo di fare colazione, mi recai nuovamente in bagno per lavarmi i denti. Dopodiché, raggiunsi Ste al piano di sotto, ci mettemmo la giacca, raccogliemmo i nostri zaini e ci dirigemmo in garage per ind0ssare i caschi. Salimmo in sella alla moto e partimmo per andare a scuola. Sperai con tutta me stessa, almeno per una volta, di non ricevere tutte le attenzioni che in realtà mio fratello aveva previsto.  
_
 
Ovviamente, tutte le mie speranze si vaporizzarono quando entrammo nel parcheggio della scuola in sella alla nostra moto. Ero stata davvero un’idiota a credere che questa situazione potesse andare diversamente da come previsto. Neanche il primo giorno di scuola avevamo attirato tutta questa attenzione su di noi. O per meglio dire, avevo
Ma non ero solo io la protagonista di quel giorno, anche Edward sembrava avere addosso gli sguardi di tutti. Cercava di ignorare la cosa, restando appoggiato con indifferenza alla carrozzeria argentata della sua macchina, ma appena sentì la Yamaha entrare nel parcheggio, si voltò pure lui a guardarci. A guardarmi.
Una volta che Stephan spense la Yamaha gli porsi il casco e, senza proferire parola, sotto il suo sguardo confuso, gli voltai le spalle e cominciai ad incamminarmi da sola verso la postazione dei Cullen. Sentii tutto lo studentato nel parcheggio andare in trepidazione. Effettivamente, quanto poteva essere emozionante vedere insieme i due studenti più discussi della Forks High School che, solo il giorno prima, avevano salvato una trentina di compagni di classe da un autobus fumante?
Nonostante tutto, cercai di continuare camminare a testa alta, come se le loro occhiate non potessero trafiggermi.  
Quando finalmente attraversai l’intero parcheggio e mi trovai davanti ai Cullen, mi blocca per un secondo a guardarli, mentre loro studiavano ogni mia singola azione. C’era Alice che mi sorrideva dolcemente, accanto a Jasper che aveva la solita aria di essere trattenuto nel suo mondo. Emmett, invece, era teso come una corda di violino e Rosalie, dall’alto della sua glaciale bellezza, si strinse al suo compagno e mi incenerì con lo sguardo. Infine, spostai i miei occhi su Edward che, bello come sempre, si scostò dalla sua Volvo e, raddrizzando meglio la postura, mi sorrise.
Cercando di ignorare gli altri fratelli, mi avvicinai a lui fino ad arrivare ad un palmo di distanza.
- Ehi! – esclamai, abbastanza imbarazzata. 
- Buongiorno – rispose Edward sua volta, allargando il suo magico sorriso – Ti sei ripresa da ieri? -.
Annuii timidamente – Sì, direi di sì grazie. E tu? -.
Strabuzzò gli occhi, sorpreso dalla mia improvvisa cordialità e di certo non lo potevo biasimare. 
- Sì, ti ringrazio – disse, allargando il suo sorriso talmente tanto che potei intravederne i denti bianchi e luccicanti. 
Sarei potuta a restare a guardarlo per ore e ore, però forse era il caso che io cominciassi a parlare.
- Ci tengo a ringraziarti per avermi protetta ieri...- mormorai, estremamente grata, guardandolo direttamente nei suoi occhi caldi e dorati – Ti sono davvero riconoscente perché, considerate le divergenze che ci sono... che ci sono state, non eri tenuto a salvarmi e sai cosa intendo...- riferendomi al fatto che, non facendo parte della stessa specie, poteva tranquillamente lasciarmi in pasto a quel demone.
Il suo sguardo cominciò a brillare nel mio – L’unica cosa a cui pensavo era tenerti al sicuro -.
- Grazie, di nuovo – feci per salutarlo, ma poi mi ricordai che mi stavo dimenticando una cosa – Ah, mi dispiace per quello che ha detto ieri mia madre, non lo pensava davvero... Era solo un po’ “fuori di testa” per quello che è successo -.
- Non ti preoccupare – mi rassicurò dolcemente – Ha solamente reagito come qualsiasi altra
madre -.
Annuii – Okay, allora ci vediamo a lezione -. 
- Certamente -.
Abbassai lo sguardo e me ne andai. Tentai con tutta me stessa di non mostrarmi troppo imbarazzata mentre mi voltavo, ma ad Idris non mi avevano mai insegnato a dialogare civilmente con i Nascosti. Speravo solamente che sia Edward sia la sua famiglia avessero apprezzato il gesto che avevo fatto. Non era nelle mie corde, fu molto difficile, perché dovetti accantonare tutto quello che mi era stato insegnato fino a qualche mese prima, eppure lo feci. Di sicuro, Stephan era orgoglioso di me, ma non so quanti altri consensi avrei trovato se avessi parlato di questa mia decisione con il resto della famiglia.
Ad ogni modo, mi incamminai abbastanza velocemente verso l’edificio a mattoni rossi dove si trovava la biblioteca, sicura di trovarci Angela tra uno scaffale e l’altro. Infatti, quando entrai, la trovai appollaiata su una delle poltroncine viola vicine all’ingresso, intenta a leggere un libro. Appena sentì la porta della biblioteca sbattere, alzò lo sguardo su di me e mi corse incontro, lasciando cadere il libro per terra. Mi abbracciò stretta a sé e, anche se, non ero abituata a scambi d’affetto simili, ricambiai la stretta con decisione.
- Ero così preoccupata – singhiozzò – Mi dispiace di aver infastidito tua madre ieri, non era mia intenzione. Volevo solamente sapere come stessi -.
Sciolsi l’abbraccio e la presi per le spalle per guardarla dritta negli occhi – Non hai fatto niente di male, la mia famiglia è abbastanza… particolare. Cerca di non darci troppo peso, anzi, grazie per esserti preoccupata per me, raramente qualcuno lo fa -.
Noi Cacciatori eravamo una specie potente, che sapeva gestire emozioni, forza, poteri, capacità… Non c’era spazio per i deboli, non c’era spazio per preoccuparsi di qualcun altro se non della propria sopravvivenza. Ovviamente, bisognava assolutamente fare gioco di squadra per prevalere, spalleggiarsi e lavorare insieme, per l’obiettivo comune. Ma non sempre era così, come avrebbe dovuto essere.
_
 
Fortunatamente, la mattinata trascorse abbastanza velocemente. Tra una lezione e l’altra, io e Edward fummo chiamati in presidenza. Inizialmente ero confusa, poi capii che il preside voleva semplicemente complimentarsi con noi per il comportamento tenuto il giorno precedente dopo l’incidente, per aver aiutato i nostri compagni a liberarsi e per aver gestito a dovere quella situazione d’emergenza. Mentre io mi sentivo tremendamente in imbarazzo davanti a tutti quei ringraziamenti, Edward, al contrario, sembrava talmente sicuro di sé, come se gli fosse capitato di continuo. Effettivamente, chissà quante altre volte gli sarà capitato di salvare la vita a qualcuno.
Quando quell’agonia finì ed entrambi potemmo uscire dalla presidenza, ci salutammo abbastanza velocemente per poi ognuno tornare alle proprie lezioni. Non riuscivo a smettere di pensare a quanto fosse strano cercare di essere gentile con lui, ma forse in fondo non mi dispiaceva. Se non fosse stato per lui, adesso sarei sepolta nel cimitero di Alicante accanto ai miei genitori.
Dopo aver trascorso la pausa pranzo insieme ad Angela, frequentai le lezioni del pomeriggio e tornai a casa insieme a Stephan in sella alla nostra moto.
La giornata tutto sommato era andata bene e per la prima volta in vita mia mi sentii spensierata. Cercai di godermi quella sensazione sconosciuta per tutto il tragitto di ritorno, finché Stephan non parcheggiò la moto in garage.
Una volta sistemati caschi, giacche e guanti al loro posto nell’armadio, aprimmo la porta del garage e facemmo il nostro ingresso in salotto. Alla scena che ci si parò davanti, sia io sia Ste, ne restammo paralizzati.
Jonathan, Marie, Will, George e Sebastian si trovavano in piedi, proprio in centro al salotto. Indossavano la tenuta da combattimento ed erano armati fino ai denti. Avevano lo sguardo concentrato e serio, come qualsiasi soldato prima dell’inizio della guerra, ed erano scuri in volto.
Dato che Stephan non sembrava avere intenzione di parlare, intervenni io – Cosa succede? -.
- Dobbiamo andare a Seattle – disse Jonathan – Sono stati trovati, nel pieno centro della città, una trentina di corpi tra uomini, donne e bambini. La polizia sta cercando il serial killer, ma sappiamo bene che non si tratta di un essere umano. Il Conclave ci ha dato l’autorizzazione per intervenire, anche se il territorio è controllato dai Fayrglass – sospirò, per poi aggiungere – E verrete anche voi, quindi preparatevi velocemente, perché sarà una lunga notte -.
Mentre Stephan ci mise qualche secondo prima di reagire, io non gli feci nemmeno terminare la frase, che già mi trovavo in armeria a prepararmi. Indossai la tenuta da combattimento, presi tutte le armi che riuscii ad inserire nella giacca e nei pantaloni e nascosi lo stilo e tre pugnali nelle tasche laterali degli stivali. Mi rilegai i capelli, aspettai che anche Ste avesse finito, dopodiché salimmo entrambi al piano di sopra per raggiungere il resto della famiglia che ci stava aspettando.
Entrammo velocemente in garage e ci dividemmo su due macchine: io, Marie, Will e Sebastian su una e Jonathan, George e Stephan sull’altra.
In macchina inizialmente non volava una mosca e questo silenzio non fece altro che rendermi un po’ preoccupata, tant’è che cominciai a muovere le dita ritmicamente sulla mia gamba. Sebastian, che era seduto sui sedili posteriori insieme a me, mi prese saldamente la mano con la sua e la accarezzò. Lo guardai e mi fece un piccolo sorriso d’incoraggiamento, che ricambiai.
Sicuramente ci aspettava qualche ora di viaggio e, anche se Will non sembrava rispettare i limiti di velocità, ci avremmo messo un po' ad arrivare a destinazione. Così, mi avvicinai a Seb e appoggiai la mia testa sulla sua spalla, mentre guardavo il panorama fuori. Sentii le braccia del mio fratellone, avvolgermi in un abbraccio protettivo.
Forse era solamente un po’ di agitazione per essere la mia prima vera e propria missione, ma avevo una brutta sensazione.
- Credete che possa essere opera di un solo demone? – chiesi, dopo una decina di secondi.
Sentii Sebastian scuotere la testa in segno di diniego – Non può essere opera di un solo demone -.
- Sono d’accordo – intervenne Will – Devono essere almeno tra gli otto e i dieci demoni -.
Era davvero assurdo, Seattle era solo a poche ore da Forks... in men che non si dica, quel "branco di demoni" avrebbe potuto spostarsi...
La cosa di cui rimasi più sconvolta fu appunto il loro muoversi in gruppo. Per natura erano esseri solitari e, se proprio dovevano viaggiare in coppia, non erano mai più di due o tre. Non erano creature intelligenti e, questa caratteristica, li portava anche a scontrarsi tra di loro, quindi certamente non erano in grado di gestirsi in un vero e proprio branco.
Anche il fatto che avessero lasciato dei corpi era alquanto sospetto, semplicemente perché non ne lasciavano, mai. Non poteva essere una dimenticanza, ma sembrava un’intenzione voluta per attirare l'attenzione.
Non essendo abbastanza astuti e brillanti per poter prendere una decisione del genere, dovevano essere controllati da qualcuno di molto potente. Qualche stregone, magari.
- Com'è possibile che ci siano così tanti demoni a piede libero? - chiese nostra madre, che era stata in silenzio fino a quel momento.
- Potrebbe esserci un portale anche a Seattle - disse William, pensando a varie spiegazioni.
Sebastian, apparentemente annoiato, sbuffò - Non penso proprio. Sulla cartina possiamo vedere la presenza dei portali demoniaci e a Seattle non ce ne sono mai stati. Due dei motivi principali sono la popolazione mondana e l’assenza di luoghi isolati. Per questo qui a Forks ce n'è uno, anche se non sappiamo esattamente dove. È una cittadina perfetta: non è molto abitata e, di conseguenza, ci sono molti posti sperduti. Un altro fattore che aiuta è il bosco, che è molto dispersivo. Tutto questo è voluto da qualcuno che sa giocare molto bene le sue carte! -.
Lo guardai sbalordita per la sua acuità. Quello che sosteneva aveva decisamente senso. Forks era la città più adatta per creare un esercito, ma non per sfruttarlo al meglio con la sua piccola quantità di abitanti. A Seattle invece, essendo più grande e più popolata, si poteva attirare l’attenzione senza dimezzare la popolazione e mandare tutti nel panico.
Ci fu qualche minuto di silenzio, noi tutti dovevamo pensare a come agire e ai pro e i contro di ogni azione. Non era per niente una situazione facile.
- Sicuramente c'è qualcuno che sta orchestrando la cosa - dissi, appoggiando l'ipotesi di Seb e esternando finalmente i miei pensieri - I demoni non stanno mai in gruppo, qualcosa deve averli legati fra di loro -.
Vidi Will sgranare gli occhi dallo specchietto retrovisore, annuendo - Giusta osservazione, potrebbe essere come dici tu! A questo punto, deve esserci dietro uno stregone... o più di uno! Soltanto loro possono creare portali e evocare demoni sulla terra! -.
Se era davvero così, a che scopo facevano tutto questo? Cosa volevano ottenere? Una guerra? Dominare il mondo? Oppure, erano venuti a conoscenza della nostra ricomparsa e volevano farci fuori? Perché proprio a Seattle e non un'altra città?
La cosa che forse mi preoccupava di più era la vicinanza con Forks. In fondo, distava solo quattro ore di macchina, non era molto lontana.
Sebastian mi risvegliò dai miei pensieri, aggiungendo – Bisogna capire come mai neanche le mappe del Conclave riescono a vedere l'orda di demoni che abita le vie di Seattle -.  
- Davvero? – chiesi sorpresa – Allora come hanno fatto ad avvertirci? -.
- Per essere più scrupolosi, si stanno tenendo aggiornati sulla criminalità mondana, in caso di eventuali falle nel sistema. Direi che è stata una buona mossa – mi rispose Will.
Concordai mentalmente. Dopodiché, guardai Marie, che aveva le mani incrociate nervosamente in grembo. Sembrava abbastanza scossa. Era una Shadowhunters, ma non aveva mai amato lottare.
Anche se dentro le nostre vene scorreva il sangue dell'Angelo, non significava che tutti noi fossimo portati per essere Cacciatori. C'era chi nasceva Shadowhunters e chi, invece, era stato costretto a diventarlo.
Marie mi aveva raccontato che le mie antenate erano sempre state delle ottime Cacciatrici, avevano la guerra nel sangue. Secondo lei, somigliavo molto alla mia madre biologica Renée. Io personalmente, non ricordavo molto di lei. Mi era rimasta solo una vecchia foto in bianco e nero, quasi sbiadita, sua e con mio padre Charlie abbracciati. La cosa che mi fermavo sempre a guardare di quella foto era la differenza dei loro sguardi: Charlie la guardava come se fosse la donna più preziosa della sua vita, mentre Renée aveva lo sguardo perso, quasi triste, dritto nell’obiettivo. Se si guardava attentamente, si riusciva a notare una lieve protuberanza a livello del ventre. Probabilmente, la fotografia risaliva al periodo in cui era incinta di Sebastian.
Uno dei tanti momenti, che mi erano rimasti impressi nella mente, era quando mi invitava a sedermi accanto a lei, sul seggiolino del pianoforte. Amava suonare, forse anche più di combattere. Ogni pomeriggio, dopo le solite lezioni e gli allenamenti, ci mettevamo lì e mi suonava sempre una sinfonia diversa. Le imparai tutte dopo la sua morte, solo per sentirla più vicina.
Ma sicuramente, il ricordo che non avrebbe mai abbandonato la mia mente, era quello della morte dei miei genitori. Era impossibile da dimenticare.

 

Zikiki98
Instagram: _.sunnyellow._

Besos :-*

 

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Capitolo 17
*** 16. Strange Happenings ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI

16. STRANGE HAPPENINGS

Una volta arrivati a Seattle, lasciammo le macchine in un parcheggio pubblico lì in zona. Prima di scendere dalle auto, tutti ci disegnammo le rune sulla pelle, tra cui anche quella dell’invisibilità, in modo tale che i mondani non potessero notarci. Quando tutti finimmo di sistemarci, scendemmo dai nostri mezzi. Senza dire nulla, papà Jonathan si posizionò davanti al gruppo, seguito da William, George e Sebastian, mentre io, Marie e Stephan eravamo in terza posizione.
Durante il cammino, in alcune occasioni, ci spostavamo in fila indiana, in modo da riuscire a schivare più facilmente i mondani, ignari totalmente della nostra presenza. Sembravano ansiosi di ritornare alle proprie case, come se stessero percependo che qualcosa di brutto sarebbe accadut0.
L'istinto, in certi casi, era davvero una buona cosa. Erano le otto di sera e in quel periodo dell'anno faceva buio molto presto, di conseguenza era normale che non si sentissero al sicuro, soprattutto dopo gli ultimi fatti di cronaca.
All'improvviso, qualcuno mi strattonò per la manica della giacca, risvegliandomi dai miei pensieri. Mi voltai di scatto e incontrai lo sguardo preoccupato di Marie.
- Cosa c'è? - chiesi gentilmente, dando qualche occhiata al resto del gruppo che andava avanti indisturbato.
Non disse nulla. Mi prese la mano con una certa urgenza, la aprì, ci mise dentro qualcosa e la richiuse. Confusa, la riaprii per rivelarne il contenuto: era una collana, con un modesto ciondolo a forma di goccia, color blu zaffiro.
All'interno, era inciso in nero lo stemma della famiglia di Marie, i Midwinter, cioè un fiocco di neve ornato da rune angeliche dai riflessi dorati, quasi invisibili in quella composizione così minuta.
- È una collana speciale - sussurrò vicino al mio viso, come se non volesse farsi sentire da nessun altro – Me la diede mia madre quando mi sposai. Rileva la presenza di demoni già ad un centinaio di metri di distanza, è quasi come una bussola. Ti aiuterà a difenderti -.
La guardai stupefatta, doveva essere davvero preziosa, per non parlare naturalmente del valore sentimentale che aveva. Rimirai nuovamente tra le mie mani quella pietra che, sotto il bagliore chiaro dei lampioni, luccicava trasmettendo dei riflessi giocosi sulla mia mano.
Era talmente bella da essere ipnotizzante, per questo scossi la testa in segno di diniego - Non posso accettarla, è parte della tua famiglia! -.
Sorrise amorevolmente, accarezzandomi la guancia - Isabella, tu sei parte della mia famiglia, della nostra famiglia, proprio come Sebastian - mormorò, aggiungendo sconfitta - Anche se non è proprio dello stesso parere... -.
Quindi Marie era a conoscenza della difficoltà di Sebastian nel considerare i Durwood una vera e propria famiglia. Restai per qualche attimo impassibile. Non sapevo cosa risponderle, non volevo ferirla.
Sospirò – Credevi che non l’avessi notato? Tuo fratello è molto testardo -.
Ridacchiai, alleggerendo la tensione - Sono d'accordo! - e poi dissi, stringendo il ciondolo fra le mani - Ti ringrazio, lo porterò sempre con me -.
Non facemmo in tempo ad aggiungere altro che qualcuno ci interruppe.
- Mamma! Bella! Cosa state facendo? Avete visto qualcosa? - urlò George per farsi sentire.
Erano andati avanti per circa una ventina di metri senza di noi.
Ci guardammo di sfuggita per qualche secondo e poi urlai di rimando - No, mi è sembrato di notare qualcosa, ma mi sono sbagliata, scusate! -.
Loro annuirono per poi proseguire l’ispezione. Velocemente allacciai la collana dietro al collo, la nascosi sotto la giacca in modo che fosse a contatto diretto con la pelle, e raggiunsi gli altri, seguita da nostra madre. La ricerca durò un’altra mezzora, finché non percepii il ciondolo scaldarsi sul mio petto. A quella prima reazione della pietra, istintivamente, rabbrividii per la sorpresa. Non mi aspettavo che avrebbe funzionato così presto o, perlomeno, di averne immediata necessità.
Continuammo a camminare per un’altra ventina di metri, finché non passammo davanti ad un vicolo buio e stretto e, in quel momento, il ciondolo cominciò a vibrare. Mi fermai proprio lì davanti e liberai la mia spada dalla fodera che portavo sulla schiena. Il resto della famiglia che aveva proseguito, si voltò verso di me e mi raggiunse in un secondo.
- Hai visto qualcosa? – chiese Sebastian, posizionandosi davanti a me, a mo’ di protezione.
- Sì – mentii.
Di sicuro quello non era il momento adatto per affrontare un discorso così importante come quello dei cimeli di famiglia magici. Avevamo tempo per litigare anche per questo una volta tornati a casa.
Improvvisamente, dal vicolo, sentimmo arrivare una brezza gelida avvolgere i nostri corpi. Nell’aria c’era una puzza tremenda.
In men che non si dica, impugnai meglio la spada e sussurrai - Cassiel -, facendone illuminare l’Adamas.
Anche gli altri fecero la stessa identica cosa e, senza indugiare oltre, ci addentrammo in quel corridoio angusto e viscido, finché non raggiungemmo uno spiazzo, illuminato da un lampione, fra alcuni edifici abbandonati. Il ciondolo, oltre a vibrare, diventò tanto incandescente, quasi da farmi male. Notai un’ombra nera, fumante e con sembianze umane, cadere dall’alto.
Sgranai gli occhi e, stringendo l’elsa tra le mie mani con forza, dissi - Sono qui! -.
Neanche il tempo di terminare la frase che notammo ulteriori, gigantesche, ombre avvicinarsi a noi a tutta velocità, da tutte le direzioni. Erano demoni, di varie specie, e in una quantità numerica non indifferente: venti o trenta... non riuscivo a contarli con precisione, essendo in costante movimento e, anche se avessi voluto, non ce l’avrei fatta perché in pochissimi secondi ce li trovammo addosso.
Anche noi partimmo immediatamente all’attacco. Ruotando la spada, ne uccisi due in un colpo solo e, nello stesso momento, schivai la freccia di Seb che schizzò al mio fianco colpendo un demone che si trovava alle mie spalle e che mi voleva attaccare.
Mi voltai e con la coda dell'occhio, notai Marie in difficoltà, accerchiata da tre demoni. Saranno stati alti due metri e sembravano fatti di roccia.
Non ci pensai nemmeno per un secondo. Subito corsi verso da lei, schivando colpi a destra, morsi a sinistra. Non avevo alcuna pietà e uccisi mostri che avevano sempre fatto parte delle leggende che mi raccontavano da bambina.
Non appena fui abbastanza vicina, saltai su un bidone della spazzatura e, successivamente, sulla schiena di uno dei demoni che stavano alle calcagna di Marie. Preso alla sprovvista, il demone iniziò a ribellarsi, ringhiando e muovendosi nel tentativo di farmi cadere, ma senza risultati. Sfilai un pugnale dalla cintura che avevo in vita e iniziai a trafiggerlo sul fianco, in modo da indebolirlo. Il demone gemette, cadendo a terra, ma non era ancora morto.
Velocemente mi misi meglio a cavalcioni su di lui e, lanciando via dalla mano sinistra il pugnale, impugnai con entrambe le mani l'elsa della spada angelica e, con forza, gli trafissi il petto.
Morto.
Mi guardai intorno e notai che tutti se la stavano cavando alla grande. In lontananza, notai mio fratello Sebastian darsi all'inseguimento di due demoni che stavano fuggendo.
Mi alzai immediatamente, correndo verso di lui e urlai - Seb, ti copro le spalle! -.
Annuì, per poi sparire dietro l'angolo insieme ai demoni.
Appena mi voltai, venni travolta da qualcosa di enorme e viscido: aveva le sembianze di una lumaca, ma era enorme e un paio di ali si muovevano veloci sulla sua schiena. Tentai con tutte le mie forze di levarmela di dosso, ma era davvero pesante. Avvicinò il suo muso al mio viso e ringhiò. Aveva un alito tremendo e, in più, la bava che gli colava dalla bocca mi stava letteralmente facendo il bagno. Che schifo. Poi, improvvisamente, le sue fauci si allargarono ancora di più, mostrando il suo palato e le sue file di gengive senza denti. Voleva mangiarmi!
Con tutta la forza che avevo, anche se le mie gambe erano bloccate sotto di lui, tentai di assestare delle ginocchiate al ventre del demone, ma non sembrò fargli male. Disperata, tentai di arrivare ad una delle mie armi che era caduta quando mi aveva assalito, ma non ci riuscii. Sorprendentemente, quando si avvicinò ancora di più per "addentarmi", mugolò dolorante prendendo il volo, che fu subito interrotto da un altro pugnale tirato nel punto giusto. Sospirai pesantemente: l'avevo scampata.
- Stai bene? - chiese papà Jonathan, porgendomi una mano.
- Sì - dissi stringendogliela, lasciando che mi aiutasse ad alzarmi.
Mi guardai intorno e non potei fare a meno di notare che, l’intero piazzale, era occupato da corpi senza vita di demoni e, bagnato, da una fanghiglia scura e puzzolente. Icore.
In quel momento mi sorse un dubbio. Se erano tutti morti, perché le loro carcasse non scomparivano? Solitamente, dopo le convulsioni, i corpi dei demoni si dissolvevano, letteralmente, in una nuvola di fumo nera, non facendo parte di questa dimensione.
Preoccupata, rivolsi lo sguardo alla mia famiglia, anch'essa stranita da quell'anomalia. Non andava bene, non andava per niente bene!
Mi avvicinai a uno dei corpi per esaminarlo e accertarmi che fosse davvero morto. Dalla ferita fuoriuscivano flotti di icore e il ciondolo, che indossavo da poco, aveva smesso di vibrare e si era raffreddato.
- Perché non si dissolvono? - chiese retoricamente William, preoccupato.
Nessuno seppe rispondergli. Restammo lì, così, in quello scomodo silenzio, ad attendere una spiegazione. Com'era possibile? Il mio cuore palpitava veloce nel petto e iniziai a sudare a freddo. Era la prima volta che avevo realmente paura di qualcosa, qualcosa che non conoscevo e a cui non potevo dare una risposta.
Improvvisamente, una lampadina si accese nella mia testa, ricordandomi che mancava qualcuno...
- Per l’Angelo, Sebastian! - esclamai di getto, correndo nella direzione che aveva intrapreso con quei demoni.
Continuai a correre, sempre più veloce, spinta dall'adrenalina e dalla runa della velocità, ma soprattutto dalla paura che gli fosse successo qualcosa. Non me lo sarei mai personata se gli fosse accaduto qualcosa. Gli avevo assicurato che gli avrei coperto le spalle e mi ero totalmente lasciata condizionare dagli eventi.
Corsi, corsi fino a non avere più fato nei polmoni, finché vidi che a pochi metri davanti a me si innalzava un muro. Un vicolo cieco e, in un angolo, una sagoma scura, accasciata per terra in posizione fetale e completamente immobile, attirò la mia attenzione. Il corso dei miei pensieri si paralizzò, ma i miei piedi si mossero da soli, lenti ed esitanti, come se avessero avuto paura di mostrarmi quello spettacolo. Quando fui abbastanza vicina, riconobbi il sangue del mio stesso sangue.
Mi guardai intorno: dei due demoni nessuna traccia. Quindi, probabilmente, se erano come gli altri, erano riusciti a sopravvivere.
Senza pensarci due volte corsi verso di lui, mi inginocchiai al suo fianco e, con mani tremanti, presi la sua testa per appoggiarla sulle mie gambe. Lo strinsi a me e, nervosa e preoccupata, cominciai a chiamarlo scuotendolo per le spalle - Sebastian, Sebastian, Sebastian... -.
Mi scostai per guardarlo meglio: la sua fronte grondava di sudore, i capelli scuri erano più disordinati del solito, gli occhi erano chiusi e la bocca leggermente aperta.
Iniziai a dargli dei colpetti veloci sulle guance, come per risvegliarlo - Sebastian... Seb... Dai, svegliati! Svegliati... Apri gli occhi... Ti prego... - sulle ultime due parole, sentii la mia voce incrinarsi.
Non dovevo piangere, dovevo restare concentrata. Velocemente, con una mano, tolsi dallo stivale lo stilo, iniziando a disegnare sulle sue braccia delle rune di guarigione. Poi attesi.
Dietro di me sentii delle voci. Mi voltai leggermente, anche se riconobbi subito di chi erano. Il resto della famiglia mi aveva raggiunta in poco tempo.
- Che è successo? - chiese mamma apprensiva, sedendosi al mio fianco.
- I-Io... non lo so! – balbettai, aspettando ansiosa il suo risveglio.
Come se mi avesse letta nel pensiero, batté le palpebre un paio di volte prima di aprirle completamente, rivelandomi così i suoi meravigliosi occhi smeraldini, uguali a quelli della nostra mamma Renée. Presa dalla gioia del momento, lo strinsi a me, per poi riempirgli le guance i baci.
- Ehi... Ahi! Basta, Bella! – esclamò, cercando di evitare le mie effusioni.
Risi nervosamente, come per scaricare la tensione - Mi hai fatta preoccupare! -.
- Mi dispiace - mormorò confuso.
Probabilmente aveva picchiato la testa o non si ricordava niente dell'accaduto. Sospirai accarezzandogli i capelli, stringendolo più forte a me. Sentii gli altri allontanarsi di qualche metro, per lasciarci un momento da soli.
- Ti fa male qualcosa? - sussurrai.
Fece ciondolare la testa a destra e a sinistra - No, ho solo le braccia un po' intorpidite... Mi hai fatto degli iratze, vero? -.
Annuii, poi gli chiesi - Ti hanno morso? -.
Lo sentii irrigidirsi tra le mie braccia - No -.
Giustificai velocemente quella reazione, era ancora scosso. Chissà cosa gli avevano fatto.
- Sei stato davvero fortunato... È strano che ti abbiano risparmiato, ma di cose strane questa sera ne sono successe, quindi... non mi dovrei stupire poi così tanto... - pensai ad alta voce.
Le sue sopracciglia si corrugarono, segno che non aveva capito che cosa stavo dicendo - Che intendi dire? -.
- Tutti i corpi dei demoni che abbiamo ucciso - iniziai cautamente, guardandolo negli occhi - non si sono dissolti... -.
- Cosa... In che senso? – biascicò, ancora molto confuso.
- Nel senso che sono ancora lì, a terra, che perdono icore... -.
Boccheggiò sconcertato - Stai scherzando?! -.
- No, purtroppo no. Ma troveremo una soluzione, adesso hai solo bisogno di riposare fratellone... - mormorai, baciandogli una tempia per poi accarezzargli una guancia.
Non volevo agitarlo, ma non era neanche giusto mentirgli. Vidi le palpebre di mio fratello farsi sempre più pesanti, fino a chiudersi completamente, lasciandosi andare così, in un sonno profondo.
_
 
Qualcuno bussò delicatamente alla porta.
- Avanti - mormorai il più piano possibile, per non svegliare mio fratello.
Ormai era il secondo giorno che mi trovavo nella stanza di Seb. Ero stata seduta al suo capezzale ininterrottamente, dormendo a tratti, uscendo dalla sua stanza solamente per andare in bagno. Il resto della famiglia si preoccupava di portare da mangiare sia a me sia a lui, quelle poche volte che si svegliava e riusciva a restare cosciente abbastanza a lungo da aiutarlo a sfamarsi. Ero estremamente preoccupata. Non riuscivo a capire come mai ci stesse mettendo così tanto a reagire alle cure.
La porta si aprì leggermente, rivelando così la figura di Marie.
- Come sta andando? - chiese, riferendosi a Seb.
Non staccavo gli occhi dal suo viso nemmeno per un secondo. Gli accarezzai i capelli, per poi appoggiare la mano sulla sua fronte.
- Penso che la febbre sia un po' scesa - constatai, notando la differenza di temperatura rispetto a qualche ora prima.
- Meno male - mormorò con sollievo, sedendosi dall'altro capo del letto.
Iniziò ad accarezzargli anche lei una guancia e per un po' restammo così, in un piacevole silenzio. L’altra notte avevo rischiato di perderlo per sempre. Sotto diversi punti di vista, aveva avuto fortuna, un'inspiegabile fortuna... Quale demone risparmierebbe uno Shadowhunters? Nessuno, eppure loro l'avevano fatto.
Ad ogni modo, questa situazione mi aveva fatto riflettere. Cosa avrei fatto se si fosse gravemente ferito? O se l'avessero rapito? O se, addirittura, fosse morto?
Facevo tanto la dura, ma alla fin fine, ero più fragile di un bicchiere di cristallo.
Io amavo mio fratello, più della mia stessa vita!
Era anche vero che litigavamo spesso e non eravamo mai d'accordo su nulla, ma era mio fratello. A volte preferivo la compagnia di Ste piuttosto che la sua, ma questo non significava niente!
Forse, in fin dei conti, Sebastian aveva ragione: eravamo soli al mondo. Solo io e lui, saremmo sempre stati solo io e lui. I Durwood potevano amarci, ritenerci loro figli e dircelo fino allo sfinimento, ma non sarebbe mai stato così. Erano gentili e protettivi nei nostri confronti, ma non sarebbe mai stata la stessa cosa. Per loro sarebbero venuti sempre prima Will, George e Stephan. Non potevano amarci quanto amavano loro. Erano i loro bambini, frutto del loro amore e dei loro sacrifici ma, soprattutto, erano dei Durwood a tutti gli effetti.
Noi eravamo soltanto dei piccoli orfanelli che avevano avuto la fortuna di essere stati adottati. Noi non eravamo quelli indispensabili.
- Ci ha fatto prendere un bello spavento, eh? - interruppe i miei pensieri, sorridendo mestamente.
Annuii senza staccare gli occhi da lui.
Era così carino mentre dormiva: aveva i capelli spettinati, le guance arrossate e l'espressione corrucciata.
Ridacchiai, era buffo.
Marie mi guardò confusa - Cosa c'è da ridere? -.
Scossi la testa - Niente -.
Sorrise di rimando - Sono quasi le tre del mattino... Te la senti di tornare a scuola? -.
- In realtà, volevo stare accanto a Seb ancora per un paio di giorni... non ti dispiace, vero? - mi accertai.
In fondo, Sebastian non aveva nulla fisicamente, ma non riuscivo a capire per quale motivo fosse così debole da non riuscire effettivamente a svegliarsi. Non si trovava in una situazione di vita o di morte, stava bene, probabilmente aveva solo bisogno di riposo, ma comunque ci stava mettendo troppo a riprendersi e io volevo stargli accanto per qualsiasi evenienza.
- Certo che no, cara! - sorrise amorevolmente - Qualche giorno di riposo te lo puoi prendere! Si occuperà Stephan di tutto! -.
Annuii, sperando con tutta me stessa che si comportasse in modo responsabile e attento.
- Ti conviene dormire per qualche ora - mi consigliò, prima di uscire dalla stanza - Sicuramente sarai parecchio stanca, hai combattuto molto bene l’altra notte! -.
Arrossii abbassando lo sguardo - Grazie! -.
Successivamente, si richiuse la porta alle spalle.
Avrei tanto voluto sdraiarmi al fianco di mio fratello e riposare, ma avevo decisamente bisogno di una doccia. Quando avevamo varcato la soglia di casa, l'unico mio desiderio, era di prendermi cura del mio fratellone. Decisi quindi di fare un salto in bagno e di farmi una doccia veloce. Uscii dalla stanza di mio fratello e, in corridoio, incontrai William che, invece, stava per entrare nella sua camera. Indossava il pigiama, quindi probabilmente era rientrato da poco dalla ricognizione. Appena mi vide, si avvicinò cautamente a me.
- Come sta Sebastian? – il suo sguardo era davvero preoccupato.
Alzai le spalle - Abbastanza bene, la febbre è scesa. Sembra solamente essere molto debole -.
Sospirò, evidentemente sollevato - Sei riuscita a capire cosa sia successo? -.
Mi grattai la nuca con sconforto - Purtroppo no. Ha solo pochi momenti di lucidità e non sono riuscita ad intrattenere una vera e propria conversazione. Come hai potuto vedere anche tu, non c'erano indizi sul luogo dell'incidente. Non ha conseguito ferite, lesioni, lividi o morsi… Io, davvero, non riesco a capire cosa sia successo da fare così fatica a riprendersi -.
- Magari, un attacco d'ansia... -.
- Sebastian?! Un attacco d'ansia?! - esclamai, tentando di non ridergli in faccia - Non è proprio da lui e questo comunque non spiega la febbre... -.
Si portò una mano al mento - Non saprei... Ad ogni modo, l'importante è che si riprenda e che stia meglio di prima! Cosa sia successo, per me, è irrilevante, non avendone comunque neanche una minima idea! Possiamo solo sperare che, quando torni cosciente, si ricordi dell’accaduto -.
Annuii, completamente d'accordo con lui. Era inutile perdere tempo tentando di capire cosa fosse successo non avendo niente per le mani. L’unica cosa che potevo fare era prendermi cura di lui, per la sua ripresa.
Prima di voltarmi le spalle, aggiunse – Ti posso dare un consiglio? -.
- Certamente -.
Si avvicinò per appoggiarmi una mano sul braccio con tenerezza e mi sussurrò – Accetta di diventare la sua Parabatai -.


 
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Capitolo 18
*** 17. Parabatai ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


17. PARABATAI

 
[POV SEBASTIAN]
 
Una donna bellissima, dalla pelle olivastra, continuava ad apparirmi in sogno da quella sera a Seattle. Non riuscivo a ricordare esattamente che cosa fosse successo in quel vicolo, era decisamente tutto troppo confuso, ma c’era una cosa che di sicuro non avrei mai dimenticato: le labbra, poggiate sulle mie, di quella donna incredibilmente incantevole con gli occhi color tenebra.
Mi aveva baciato proprio quando ero accasciato a terra, inerme e senza forze. Inizialmente credevo che l’angelo della morte, in tutta la sua bellezza, fosse venuto a prendermi. Faticavo a tenere le palpebre aperte, ma allo stesso tempo non volevo perdermi nemmeno un secondo della vista di quella donna. Continuò a restare chinata su di me anche dopo quel bacio. I suoi lunghi capelli neri, per metà raccolti in una composizione di trecce, le incorniciavano il viso alla perfezione. Sopra il capo indossava una corona argentata ornata da delle pietre color onice alle estremità. Indossava un vestito lungo nero che sembrava molto antico, quasi principesco, se il colore non fosse stato così tetro, con il corpetto che le stringeva la vita per risaltare il decolté.
Ero totalmente e completamente estasiato ed ipnotizzano dalla sua vista. Ogni volta che chiudevo gli occhi e cadevo nel sonno più profondo di cui avessi mai avuto memoria, lei era la protagonista dei miei sogni.
Ogni volta, si avvicinava al mio orecchio per sussurrarmi – Fidati di me, trovami, seguimi… e ti condurrò dove il tuo cuore desidera davvero -.
Sognavo questo, di continuo. Non sapevo nemmeno che giorno fosse o quanto tempo fosse passato da Seattle. Ogni tanto, nei miei pochi momenti di lucidità, riuscivo a sentire la voce di mia sorella. Ma io non riuscivo a smettere di pensare a quella donna. Mi sentivo come se fossi stato indissolubilmente incatenato a lei, sentivo il bisogno di cercarla persino in questi momenti d’incoscienza. Dovevo trovarla.

 
 
[POV ISABELLA]
 
Passarono altri tre giorni prima che Sebastian fu abbastanza in forma da stare seduto a letto e a riuscire a mangiare da solo. Vedere che finalmente stava migliorando mi aveva resa molto più tranquilla.
In questi ultimi tre giorni avevo riflettuto davvero tanto sul consiglio di Will, anche se totalmente inaspettato. L’idea di aver quasi perso mio fratello mi era sicuramente servita di lezione, ma ero davvero pronta a scegliere lui come Parabatai? Non che lui avesse molto altro tempo per decidere, aveva già diciott’anni, ma io? Io avevo ancora tempo due anni prima di valutare chi scegliere come Parabatai e, soprattutto, se volevo avere un Parabatai.
Mentre riflettevo, avevo portato in camera di mio fratello delle armi da lucidare, per rendermi utile senza perderlo di vista.
Alzò gli occhi dal libro che stava leggendo per guardarmi. Si trattava di un volume che parlava dell’arte della guerra e dei diversi stili di combattimento. Era uno dei suoi libri preferiti.
- Lo sai che adesso mi sento meglio, vero? – ridacchiò, osservandomi.
Lo guardai di rimando, confusa.
- Ti ringrazio per essermi stata vicino – cominciò a spiegarsi, con una dolcezza che non usava da tempo – Ma sto meglio e sono in grado di badare a me stesso -.
Smisi di lucidare il pugnale e risposi guardandolo negli occhi – Sono qui accanto a te perché voglio stare qui accanto a te -.
Sembrò emozionarsi. Chiuse il libro che stava leggendo e lo appoggiò sul comodino. Dopodiché, mi fece segno di sedermi accanto a lui.  Senza farlo attendere troppo, strisciai verso Seb sul letto e accettai l’invito tra le sue braccia. Le sue labbra si appoggiarono sulla mia fronte.
- Mi dispiace se ogni tanto sono stato duro e crudele con te – sussurrò tra i miei capelli, sorprendendomi – Non mi sono mai reso conto di quanto la mia paura di perderti, ti stesse facendo allontanare da me -.
Alzai il viso per guardarlo dritto negli occhi – Dici davvero? -.
- Sì, sei la persona più importante della mia vita. Mi dispiace di non essere stato in grado di dimostrartelo abbastanza – era strano sentirsi dire questo genere di cose da Sebastian e, forse, lui si sentiva ancora più stranito nel dirle ad alta voce – Ti prometto che cercherò di migliorare sotto questo punto di vista -.
Mi scostai leggermente da lui per guardarlo meglio, proprio perché faticavo a crederci.
– Sul serio? – domandai, estremamente sorpresa.
- Sì, assolutamente -.
Non riuscivo a credere che queste parole fuoriuscissero realmente dalla sua bocca. Ero stata talmente abituata, per anni, ad avere a che fare con un Sebastian che mi amava, ma che lo dimostrava a modo suo, in quello più sbagliato possibile, e mi sembrava assurdo che di punto in bianco non fosse più così. Era sempre stato protettivo e leale nei miei confronti e, allo stesso tempo, geloso, aggressivo, possessivo… Possibile che l’incubo di una notte traumatica potesse radicalmente cambiare una persona? Fargli capire all’improvviso che il modo in cui si era comportato fino al giorno prima era distruttivo?
Forse questo poteva davvero rappresentare un cambiamento per Sebastian, per il nostro rapporto.
- Voglio solo che io e te restiamo uniti – disse teneramente – Voglio che siamo una famiglia a tutti gli effetti e che ci copriamo le spalle a vicenda. Non ci resta altro che noi due in questo mondo e non ho alcuna intenzione di perderti. Ti vorrei come mia alleata -.
In quel momento, non pensai minimamente che in tutte quelle parole, così belle e sentite, potesse esserci un secondo fine. Forse, una parte di me, quella inconsciamente più sospettosa, era allerta, ma il resto di me pendeva totalmente dalle sue labbra. Quel discorso mi rese talmente felice da non riuscire più a contenere l’impulsività.
- Forse potremmo essere qualcosa di più di questo – mormorai.
- Cioè? – chiese confusamente lui.
Mi sgranchii la voce – Vuoi essere il mio Parabatai? -.
Restò a guardarmi in silenzio per qualche secondo, finché improvvisamente non mi stritolò in un abbraccio, ridendo per la felicità. Era la prima volta dopo la morte dei nostri genitori che sentivo ridere Sebastian in questo modo. Scoppiai a ridere a mia volta, con il cuore che straboccava dall’emozione di quel momento decisamente indimenticabile.
- Deduco che questo sia un “sì”! – sghignazzai.
Finalmente eravamo felici ed in sintonia come non mai. Il ricordo di quella giornata me lo sarei sempre portato nel cuore, anche perché sarebbe stato l’unico. Il comportamento genuino di Sebastian era solamente un brutto presagio di quello che sarebbe accaduto successivamente, tutte le promesse e le belle parole erano destinate a precipitare nell’obblio. Solo che, in quel momento, io ancora non lo sapevo.
_
**LEGGETE L’AVVISO IN FONDO**
 
Il giorno seguente comunicammo al Conclave le nostre intenzioni con un messaggio di fuoco. In tutta risposta il Consiglio accettò la nostra richiesta, nonostante il periodo intensamente stressante a cui eravamo sottoposti tutti noi Shadowhunters. Probabilmente credevano che non avrebbe fatto altro che giovare alla nostra famiglia avere una coppia di Parabatai per i combattimenti.
Ci venne aperto un portale da Idris grazie al nostro stregone di fiducia e, quando lo attraversammo, ci condusse direttamente ad Alicante. Come testimoni per la cerimonia avevamo scelto Stephan e William, che ci avrebbero raggiunto nel momento in cui sarebbe stata richiesta la loro presenza.
Ogni momento del rituale era supervisionato dai membri del Conclave. Io e Sebastian superammo entrambi la prova dell’acqua con successo. Bevemmo l’acqua del lago Lyn e, nonostante le allucinazioni, riuscimmo a proteggerci a vicenda, dimostrando la profondità del nostro legame.
Superammo egregiamente anche la prova del fuoco, chiamata anche “processo ardente”. Fu in quel momento che i nostri testimoni, Ste e Will, ci raggiunsero. C’erano tre cerchi di fuoco sul terreno: uno per me, uno per Seb e l’ultimo nel mezzo che serviva come anello per simboleggiare la nostra unione come Parabatai.
In quel momento, davanti ai nostri fratelli adottivi, al consiglio e al potere del fuoco, pronunciammo all’unisono il giuramento guardandoci intensamente negli occhi – “Non insistere perché ti abbandoni, o che rinunci a seguirti, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò. Il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io e lì vi sarò sepolto. L’Angelo faccia a me questo e anche di peggio, se altra cosa che non sia la morte mi separerà da te” -.
Dopodiché, per concludere il rituale, incidemmo sul corpo l’uno dell’altra la runa Parabatai con il proprio stilo personale.
Da quel giorno io e Sebastian eravamo ufficialmente diventati Parabatai. Percepivo pienamente l’intensità del nostro legame, la forza condivisa, il senso di protezione reciproco. Tutto ciò mi faceva sentire estremamente potente, ma una parte di me, molto piccola e apparentemente senza motivo, non poteva fare a meno di essere angosciata. Non riuscivo a godermi totalmente il momento a causa di quella brutta sensazione. Chissà cosa mi avrebbe riservato il futuro ora che Sebastian era il mio Parabatai.
_
 
Il ritorno a scuola non fu per nulla semplice. Fortunatamente c’era Ste accanto a me, anche se da quando avevo scelto Seb come Parabatai era diventato leggermente più distaccato nei miei confronti. Potevo ben capirlo, tutto sommato. Non si aspettava che avrei scelto lui. Onestamente, prima che Will mi mettesse la pulce nell’orecchio, non ci avevo mai pensato neppure io. A quel punto, speravo solamente di aver fatto la scelta giusta.
Comunque, spiegare la mia assenza di una settimana, alla Forks High School, ma, soprattutto, alla mia amica Angela Weber, sapevo già che sarebbe stata un’impresa impossibile. Fortunatamente, Stephan aveva raccontato che avevo dovuto accompagnare nostra madre a sbrigare della burocrazia che riguardava i suoi genitori in Francia, a Parigi. Era una bugia bella e buona ma, a detta di mio fratello, ci credettero tutti, ma a vedere le chiamate lasciate nella segreteria, del mio odioso cellulare, dalla mia amica mondana, gli credetti un po’ meno. Ero sicura che stavolta non sarebbe stato facile cercare di appianare le cose con Angela. Non era stupida e il mio comportamento ultimamente l’aveva fatta sospettare molto. Odiavo l’idea che si potesse sentire presa in giro da me, ma d’altra parte non riuscivo a trovare un modo migliore per starle accanto, lasciandola il più possibile fuori dal mondo a cui appartenevo.
Mi diressi velocemente verso l’edificio dove si svolgeva la lezione di letteratura, dove sapevo che avrei incontrato Angela. Quella mattina avevo chiesto a mio fratello se potevamo arrivare con qualche minuto d’anticipo a scuola, in modo tale che potessi parlare con la mia amica senza nessuno tra i piedi. I pochi studenti che c’erano nel cortile, naturalmente, non mi toglievano gli occhi di dosso, ma ero talmente abituata ormai che quasi non ci facevo più caso.
In pochi minuti mi trovai davanti all’edificio della lezione di letteratura e, per la prima volta, esitai ad entrare per qualche secondo. Dai, era Angela, non poteva essere così arrabbiata con me, sicuramente mi avrebbe perdonata.
Entrai in classe e la trovai seduta al solito banco, in fondo, con la testa chinata verso il basso. Stava leggendo un libro e volutamente ignorando il fatto che qualcuno fosse arrivato a lezione in anticipo, proprio come lei. Quando però presi posto accanto al suo, non poté fate a meno di alzare lo sguardo.
- Questo posto è occupa… - ma quando notò che ero io, si bloccò – Ah, chi non muore si rivede! – mi rinfacciò immediatamente, voltando di nuovo lo sguardo sul suo libro.
Sbuffai – Per favore, Angela. Non essere arrabbiata con me -.
- Hai ragione, non sono arrabbiata – continuò, non guardandomi come se stesse ignorando fisicamente la mia presenza – Sono proprio incazzata -.
- Perché? Non sono andata a giocare, ma a sbrigare delle faccende oltreoceano insieme a mia madre – cercai di fare ingiustamente leva sui suoi sensi di colpa, accampando la scusa che aveva arrangiato Stephan.
Fu in quel preciso istante che finalmente si voltò a guardarmi – Credi davvero che il problema sia quello? – scosse la testa, incredula – Come fai a non capire? Credevo che fossimo amiche! -.
- Lo siamo! – confermai, non riuscendo a comprendere il senso del suo discorso.
-  Allora, spiegami perché ignori totalmente le mie chiamate e i miei messaggi? -.
- Perché non sono ancora molto pratica con quel “coso” – risposi onestamente.
Scoppiò a ridere, senza alcuna traccia di divertimento – Tutti sanno come funziona un cellulare al giorno d’oggi, tutti, tranne te. A stento ti ricordi come si chiama. Ogni tanto mi chiedo davvero da che pianeta arrivi! -.
Non seppi davvero cosa rispondere a quella provocazione, anche perché vera, ma comunque non le ci volle molto prima di riprendere a parlare.
- Ed è proprio questo che volevo discutere, da che pianeta vieni? – chiese a bruciapelo.
Mi paralizzai a quella domanda – Cioè? -.
- Beh! Tu sai tutto di me, ti ho raccontato ogni cosa della mia vita. Ma io? Io non so niente di te. Non che non ti abbia mai fatto domande in merito, ma le tue risposte sono sempre state vaghe. So che vieni dall’Europa, ma non mi hai mai detto dove di preciso, anzi, non lo hai mai detto a nessuno. Non so come si chiamano i tuoi genitori. Conosco Stephan solamente perché anche lui frequenta questa scuola. Non so dove abiti. Non conosco la tua storia, se hai avuto un’infanzia felice, se sei mai stata innamorata. Non mi hai nemmeno avvisata che partivi e che saresti stata via per giorni – esplose tutta d’un fiato, con una foga che la fece arrossire – Io sto provando a conoscerti, ma tu non mi stai dando alcuna occasione in merito. Sembra che tu non voglia parlare di te, come se stessi nascondendo qualcosa -.
- Io non nascondo proprio niente – mentii spudoratamente, spostando lo sguardo da un’altra parte.
Angela lo notò – Allora, come spieghi questo “modo di fare”? -.
Alzai le spalle, cercando di abbassare i toni della conversazione – Sono semplicemente un tipo di persona che fa fatica ad aprirsi -.
- A me sembri più una persona che non vuole farsi conoscere – dopodiché, la vidi raccogliere tutte le sue cose per infilarle nello zaino – Senti, io ti sono davvero molto grata per quello che hai fatto per me quando sei arrivata. Mi hai aiutata a rialzarmi quando ormai tutti mi consideravano una nullità – sospirò, guardandomi tristemente negli occhi – Ma io ho bisogno che le persone della mia vita ne facciano parte a pieno, che siano presenti. Ho bisogno che si interessino a me nello stesso modo in cui io mi interesso a loro. Ho bisogno che siano trasparenti e tu, anche se hai buone intenzioni, non lo sei -.
Fece per alzarsi dalla sedia, ma la presi per il braccio, come per fermarla – Dove stai andando adesso? -.
- Non mi fermo a lezione, mi è venuto il mal di testa – e senza aggiungere altro, mi lasciò da sola in quell’aula vuota a riflettere sui miei errori.
_
 
Dopo il litigio con Angela, restare a scuola mi sembrava una vera e propria agonia. Durante l’ora di pranzo mi nascosi in biblioteca a mangiare qualche insulsa merendina acquistata alle macchinette del corridoio principale.
Angela aveva ragione. Non mi stavo comportando bene nei suoi confronti, ma lei non poteva sapere che era la prima amica che avessi mai avuto in tutta la mia vita. Non avevo la minima idea di come si facesse ad instaurare un rapporto, perché le uniche persone con cui avevo sempre avuto a che fare erano proprio i membri della mia famiglia. Di sicuro, il fatto che si fosse allontanata da me era un bene per lei, ma egoisticamente stavo già pensando ad un modo per cercare di far conciliare le mie “due vite” senza metterla in pericolo.
La pausa pranzo finì presto, così uscii dalla biblioteca per dirigermi verso la lezione di biologia. Una volta entrata in classe, non mi sorpresi di vedere Edward già seduto al nostro bancone da laboratorio. Ovviamente, non si era scordato a casa la sua innaturale bellezza.
Non appena mi avvicinai, il suo sguardo, che era posato sul libro di scienze, si alzò su di me e mi seguì finché non mi accomodai accanto a lui.
- Buongiorno Isabella - mi salutò cordialmente, accennando un sorriso gentile e rilassato.
Ora che avevamo appianato le nostre divergenze, non c’era motivo per essere maleducati.
- Buongiorno anche a te, Edward - risposi posizionandomi meglio sullo sgabello, lasciando cadere lo zaino vicino alla mia sedia.
La classe non si era ancora riempita completamente, ma il professor Banner era presente e stava già scrivendo qualcosa di incomprensibile alla lavagna. Aveva davvero una scrittura orribile.
In fondo all’aula si udiva solo il chiacchiericcio dei pochi studenti che, come noi, erano arrivati in anticipo.
Tanto per fare qualcosa, aprii lo zaino e estrassi i libri di testo per posizionarli sul banco.
- Com’è andata in Europa? – chiese cordialmente Edward, con un sorriso incantevole.
Ridacchiai, cercando di sembrare il più naturale possibile – È stato abbastanza noioso in realtà, essendo stato un viaggio di dovere, ma Parigi è sempre meravigliosa -.
- Non a caso, è una delle città più belle del mondo -.
Annuii, immaginandola, dato che in realtà non ero mai uscita da confini di Idris se non per venire qua a Forks – Anche una delle più romantiche – ricordai di averlo letto da qualche parte.
Mi guardò a metà tra il confuso e il divertito – Ti sei mangiata una brochure per turisti, per caso? -.
Mascherai l’imbarazzo scoppiando a ridere – Perdonami, sono ancora un po’ stanca dal viaggio -.
- È comprensibile – mi rassicurò dolcemente, con i suoi occhi caldi e dorati, per poi cambiare totalmente discorso – Mi dispiace dover già rovinare l’atmosfera, ma mentre eri assente il professore ha assegnato una ricerca a coppie. È da consegnare entro la fine della settimana prossima e, per ovvi motivi, noi siamo gli unici a non averla ancora iniziata -.
- Su che argomento? – domandai, portandomi una ciocca di capelli ribelle dietro le orecchie.
- Sulle fasi delle cellule – rispose, passandosi una mano sul mento – Pensavo, se per te non è un problema, di proporti di venire a casa mia a svolgere la ricerca -.
Boccheggiai per qualche secondo, totalmente colta alla sprovvista – Casa tua? -.
- Sì – rispose, facendomi l’occhiolino scherzosamente, come per mettermi a mio agio – Dispongo di un ottimo portatile, una rete internet super veloce e una biblioteca privata -.
Sorrisi di rimando – Sembra un buon piano -.
Dopodiché, si fece improvvisamente serio – Se preferisci per stare più tranquilla, so che Emmett ha invitato tuo fratello Stephan a casa nostra a giocare a basket questa settimana. Possiamo organizzarci per far coincidere tutto nello stesso pomeriggio -.
La sua proposta non era per niente male. Avrei accettato anche se non ci fosse stato mio fratello. Non temevo più i Cullen. Dopo tutto quello che era successo, avevo finalmente capito che erano dei vampiri innocui ma, soprattutto, delle brave persone. Inoltre, mi sentivo inspiegabilmente felice all’idea di passare un po’ di tempo insieme a Edward.
- Sì, direi che si può fare –.
 
**Buonasera 😊 Volevo solo avvisarvi, riguardo al paragrafo che parla di Bella e Seb che diventano Parabatai, che le informazioni le ho recuperate in internet. Purtroppo non possiedo il Codice e non mi ricordo se nella prima saga di Cassandra Clare, lei ne abbia mai parlato. Di conseguenza, sono andata molto ad intuizione e il rituale potrebbe non essere totalmente corretto. Anche se fosse scorretto, ormai lo lascerò così, avendolo già adattato alla storia. In caso però se sapete in cosa consiste esattamente, scrivetemelo pure nei commenti. Mi fa piacere leggervi**

 
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Capitolo 19
*** 18. Clair De Lune ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


18. “Clair De Lune”
 
- Sei totalmente certo che sia questo l’indirizzo? – domandai a Stephan, mentre scendevo dalla moto.
- Certo – rispose, togliendosi il casco, ma restando in sella al suo mezzo – Me lo ha scritto Emmett per messaggio -.
Lo guardai sorpresa, da dietro la visiera– Ti scrivi con Emmett? -.
Sbuffò – Ovvio, siamo amici! -.
Era un giovedì di inizio novembre e ci trovavamo fuori casa dei Cullen, anche se non ne ero totalmente certa. Sicuramente era un pregiudizio bello e buono, ma di certo non mi aspettavo di trovarmi davanti ad una casa del genere. Non so perché, ma istintivamente, mi immaginavo una specie di grande castello in pietra, tetro e influenzato dall’arte gotica. Magari, vicino ad un cimitero.
Invece, quello che mi trovai davanti fu totalmente inaspettato: la casa era moderna e dava sulle montagne. Era situata precisamente tra il bosco e una stradina asfaltata, probabilmente sfruttata solamente dalla famiglia Cullen. Era molto grande e strutturata almeno su quattro livelli. Aveva delle ampie vetrate e, poco distante, ci doveva essere un ruscello, perché riuscivo a sentire la delicata musica che creava l’acqua quando si scontrava con le rocce. Se anche la loro casa si trovava vicino al fiume Calawah, probabilmente le nostre abitazioni erano vicine.
- Benvenuti – urlò Emmett, cogliendoci totalmente di sorpresa.
Quando mi volai, vidi che si trovava in veranda, accanto alla porta di ingresso. Indossava una semplice maglietta a maniche corte e un paio di pantaloncini da basket, abbigliamento che risaltava decisamente la sua stazza e i suoi muscoli.
- Ehi! – gridò di rimando Stephan, felicissimo di vedere il suo amico – Come stai, gigante buono? -.
L’altro scoppiò a ridere – “Buono”, è ancora tutto da vedere – rispose con una certa punta di malizia – Non avrò alcuna pietà in questa partita -.
Dopodiché, si voltò nella mia direzione e mi disse – E tu Isabella? Hai paura che ti cada un meteorite in testa? -.
- Perché? – domandai confusa.
Sorrise divertito incrociando le braccia al petto – Stai indossando il casco sulla terra ferma -.
Gli lanciai un’occhiataccia che sicuramente aveva notato anche da sotto la visiera. Slacciai subito il casco e me lo sfilai dalla testa, posizionandolo poi sotto al braccio sinistro. Spostai meglio lo zaino sull’altra spalla e mi incamminai verso l’ingresso della casa, salendo lentamente gli scalini, mentre Emmett dava istruzioni a Stephan su come parcheggiare la moto nel vialetto in sicurezza.
Mentre mio fratello terminava di fare le sue manovre, Emmett ne approfittò per cercare di fare due parole con me.
- Allora? Come te la passi, Scricciolo? – chiese, con un’aria decisamente troppo divertita per i miei gusti.
Inspiegabilmente, quel soprannome, mi procurò un brivido lungo la schiena. Nessuno mi aveva mai chiamata in quel modo, eppure non mi sembrava nuovo. Sentivo di avere un ricordo a riguardo, ma non lo riuscivo a ricollegare a nessun cassetto della mia memoria.
Cercai di fare finta di niente - Tutto bene, finché non mi hai chiamata “Scricciolo” -.
Scoppiò a ridere in una fragorosa risata – Dai, non essere permalosa -.
Nonostante gli arrivassi all’altezza dei pettorali, non ebbi alcuna esitazione nello scoccargli un’occhiata da dura – Non sono permalosa -.
Emmett captò la provocazione e non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto – Sento aria di sfida -.
Non staccai neanche per un secondo lo sguardo dal suo – Quando e dove vuoi -.
Il vampiro in questione fece per ribattere, quando qualcuno lo interruppe.
- Emmett, potresti, per favore, lasciare in pace la mia ospite – disse la voce soave di Edward, con una certa serietà.
Mi voltai immediatamente. Si trovava esattamente davanti alla porta d’ingresso, in tutta la sua bellezza. I capelli rossicci erano più spettinati del solito. Indossava un maglione blu, che donava particolarmente alla sua carnagione così chiara, un paio di pantaloni morbidi color beige e delle scarpe marroni molto eleganti, che in realtà utilizzava anche per venire a scuola.
Emmett, dopo essere stato ripreso da Edward, si placò immediatamente e raggiunse mio fratello che, in quel momento, stava controllando la carrozzeria della moto.
- Benvenuta – sorrise cordialmente Edward, aprendo la porta d’ingresso – Entra pure -.
- Grazie – accennai timidamente, mentre varcavo la porta d’ingresso.
Come mi aspettavo, avendo visto l’esterno della casa, l’arredamento interno era contemporaneo e non mi deluse. Era tutto molto elegante e allo stesso tempo, moderno. In salotto c’era un ampio divano in pelle bianca, con diverse poltrone abbinate. Posizionato in mezzo, su un tappeto persiano, si trovava un tavolino di vetro e, al centro della parete, era appesa la tv a schermo piatto, proprio davanti al divano. Inoltre, non si poteva non notare, in un angolo del salotto, vicino alle scale che conducevano al piano superiore, un pianoforte a coda bianco latte. Appena lo vidi mi paralizzai. Restai totalmente incantata a guardarlo e, non me ne resi nemmeno conto ma, come ipnotizzata, cominciai a camminare in quella direzione, dimenticandomi addirittura della presenza di Edward, che naturalmente stava studiando ogni mia mossa.
Una volta che fui davanti a quel bellissimo strumento, non potei fare a meno di sfiorarlo delicatamente con le dita. Ero totalmente estasiata.
Sentii i passi di Edward avvicinarsi a me, mentre io giravo lentamente intorno al pianoforte per poterlo ammirare completamente.
- Ti piace il pianoforte? – chiese Edward, notando questo mio interesse spropositato.
Alzai lo sguardo verso di lui e, riuscii a pensare che, probabilmente, quella era per la prima volta che vedeva un sorriso sincero e limpido sul mio viso. Non era una semplice smorfia di circostanza, ma era incontenibile e contagiava persino gli occhi. Insomma, si poteva facilmente capire che era creato da un’emozione vera.
- Questo strumento meraviglioso è tuo? – domandai, strabiliata.
Vidi lo sguardo di Edward illuminarsi come non mai, sempre più stupefatto – Sì, me lo hanno regalato i miei genitori, Carlisle e Esme -.
- Wow, devi proprio essere un figlio modello – ipotizzai, e il ragazzo non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
- Per la maggior parte del tempo, diciamo di sì – rispose poi, quando si calmò, ma decisamente mantenendo il buon umore – Sai suonare? -.
- Suonavo, quando ero più piccola – risposi brevemente e cambiai subito discorso – Ti andrebbe di suonare qualcosa? È da tantissimo che non ascolto la musica di un pianoforte dal vivo -.
Edward sembrava quasi imbarazzato dalla mia richiesta, ma mi accontentò. Si accomodò sul seggiolino, in tinta al pianoforte, e mi invitò a fare altrettanto. Con un po’ di incertezza, mi sedetti accanto a lui. Eravamo estremamente vicini, tanto che riuscivo a percepire il freddo che emanava il suo corpo. Il cuore mi batteva all’impazzata per la strana energia che si era creata tra di noi. Poi, con una delicatezza disarmante, appoggiò le sue dita lunghe e affusolate sui tasti dello strumento, e cominciò a suonare.
La melodia risuonava in tutta la sala e, probabilmente, anche nel resto della casa. Era estremamente dolce e armoniosa, e ad un certo punto la riconobbi. Era una delle canzoni che mia madre mi suonava sempre al pianoforte quando era ancora in vita. Dopo quella personale rivelazione, il petto mi si strinse in una morsa e la malinconia prese il sopravvento.
Quando Edward finì di suonare non mi ero nemmeno resa conto che, dopo anni che non accadeva, le mie guance si erano inumidite per le lacrime. Mi ero commossa, per la prima volta in tutta la mia vita.
- Non ti è piaciuta? – chiese allarmato.
- Era “Clair De Lune” – dissi, guardandolo negli occhi, sorridendo tra le lacrime.
Il suo sguardo tornò nuovamente stupito – Conosci Debussy? -.
- Mia madre lo adorava, era il suo compositore preferito – risposi – Grazie per aver suonato, sei davvero bravissimo -.
Ignorò il mio complimento – Il motivo per cui stai piangendo, riguarda lei? -.
- Non sto piangendo – mi difesi, asciugandomi le lacrime – Mi sono solamente commossa, perché avevamo questa passione per la musica in comune -.
- Stai parlando al passato, però – constatò, con preoccupazione.
Sorrisi, quasi con imbarazzo, cercando di deviare il discorso – È storia vecchia e complicata -.
- Puoi parlarmene se ne senti la necessità – si offrì dolcemente, facendomi un sorriso rassicurante, come per incoraggiarmi.
Era semplicemente curioso. Curioso di saperne di più su di me e sulla mia vita, come io lo ero di lui. Avevo un sacco di domande da fargli, ma prima lui doveva rivelarmi la sua vera natura. Anche se lui di certo era a conoscenza del fatto che io sapessi a che specie appartenesse insieme a tutta la sua famiglia, questo non voleva dire che avrei fatto io il primo passo o che lo avrei costretto a “smascherarsi”. Volevo tentare di rispettare i suoi tempi. Se non cominciavo a fidarmi di lui e ad aprimi, per quanto possibile, lui non avrebbe mai fatto altrettanto con me. E inspiegabilmente, a quel punto, desideravo che Edward si fidasse di me.
Presi un respiro profondo e iniziai a parlare, con voce tremante - Quando ero piccola, molto piccola, passavo molto tempo con mia madre. Lei suonava benissimo il piano e mi ricordo che ci passavamo pomeriggi interi. Nel suo repertorio, Debussy non mancava mai e il suo componimento preferito era proprio “Clair De Lune”. Fu la prima canzone che imparai a suonare, lei era una maestra eccellente – presi un respiro e continuai - Quando poi è morta, quando entrambi i miei genitori sono morti, questo componimento per me è diventato una specie di commemorazione, qualcosa che mi aveva regalato prima di andarsene e che mi avrebbe aiutata a non dimenticarla mai. E direi che ha funzionato -.
Edward restò in silenzio a guardarmi per qualche secondo, con un’espressione cupa sul viso, prima di ricominciare a parlare – Come è successo? -.
Sentii la sua mano gelida, appoggiata al seggiolino, avvicinarsi leggermente alla mia, come per sfiorarla. Non mi tolsi da quel lieve contatto e, con la mente, tornai indietro a dieci anni prima.
 
Ad Alicante era un pomeriggio d’estate qualunque. Eravamo tutti e quattro insieme nel giardino della nostra casetta vicino al bosco e, come noi, tante altre famiglie di Cacciatori si stavano divertendo all'aria aperta, giocando a palla o semplicemente chiacchierando un po' in veranda.
Io ero seduta sull'erba verde del nostro prato, dando le spalle a mia madre, che in quel momento mi stava facendo una lunga e grossa treccia.
Papà e Sebastian invece, che si catturava sempre tutte le attenzioni del primo, stavano giocando a pallone con una palla fatta di stracci, rilegati insieme da una composizione di nodi, assumendo così una forma un po' più ovale rispetto a quelle che utilizzavano i mondani, ma per loro era perfetta.
Ci stavamo godendo quella bella giornata di sole, tutti quanti, quando ad un certo punto, verso sera, da lontano, le torri anti-demoni diventarono rosso fuoco e iniziarono a lampeggiare, in segno di pericolo.
Qualcuno aveva abbattuto le difese di Idris ed era riuscito ad entrare.
Mamma e papà ci ordinarono, come fece qualsiasi altro genitore con i propri figli in quell’immediato istante, di correre dentro casa e di non muoverci di lì. Sguainarono le loro spade angeliche dai foderi delle loro cinture e si misero in posizione d’attacco. A noi spettava solamente eseguire gli ordini, ma eravamo dei piccoli coraggiosi e non volevamo lasciarli a combattere da soli. Perciò, ci nascondemmo sul portico di casa, tra le strette ringhiere in legno, in modo da poter guardare ciò che sarebbe successo, convinti di poter intervenire in qualsiasi momento per proteggere la nostra mamma e il nostro papà.
Dopo qualche secondo iniziarono a vedersi i primi demoni. Quella fu la prima volta che li vidi e, fin da subito, provai un senso di repulsione nei loro confronti.
All'inizio, mamma e papà se la cavarono bene, poi però, un demone più intelligente rispetto agli altri si accorse della nostra presenza e ci puntò, distraendo i nostri genitori. Noi, di conseguenza, ci mettemmo ad urlare, attirando l'attenzione di nostra madre che si posizionò tra noi e il demone, combattendolo da sola.
Ma non ce la fece: quel mostro di due metri, dopo essere stato accoltellato due volte, addentò per il busto nostra madre, facendola urlare tremendamente di dolore, la lanciò in aria, per poi farsela cadere perfettamente nell'enorme bocca che si ritrovava.
Io e mio fratello, dopo aver visto quella scena, ci immobilizzammo come due statue, totalmente paralizzati. Non ci eravamo messi a piangere, non avevamo urlato, non eravamo andati incontro al demone per dirgliene quattro e farci restituire nostra madre, eravamo rimasti semplicemente sotto shock.
Anche nostro padre, che aveva assistito a tutta la scena, si bloccò immediatamente ma, quando si accorse che, dietro di lui qualcuno era pronto ad attaccarlo, ormai era troppo tardi. Non fece in tempo a concludere nessuna mossa che il demone gli aveva già staccato la testa.
Quel prato, come tutto il resto d’Alicante, non aveva più niente di verde: ormai era ricoperto da litri di sangue, sia rosso che nero. E un pomeriggio d’estate qualunque, diventò il giorno dell’Attentato.
 
Socchiusi gli occhi e scossi la testa, nel tentativo vano di smettere di pensare all’unico ricordo dei miei genitori che, purtroppo, ricordavo più chiaramente.
Decisi di rispondergli, ma restai comunque sul vago – Sono stati assassinati e noi eravamo presenti -.
Lo sentii sussultare, probabilmente non se lo aspettava. Ero sicura di averlo colpito con le mie parole, così dirette e distaccate.
La sua mano si spostò delicatamente sulla mia guancia, senza esitazione, estremamente dispiaciuto – Non avrei mai dovuto chiedere… -.
Aprii gli occhi all’istante davanti a quel gesto, ma non mi tirai indietro. Anzi, cogliendolo totalmente di sorpresa, appoggiai a mia volta la mano sulla sua, che mi stava ancora accarezzando.
Mantenendo il suo sguardo, lo rassicurai – Non ti preoccupare. Fortunatamente io e Sebastian siamo stati adottati dalla famiglia di Stephan e siamo riusciti ad avere un’infanzia normale -.
Un’infanzia normale, per due bambini che crescendo avrebbero dovuto vivere ammazzando demoni come se non ci fosse un domani, certo.
- Anche i miei genitori sono morti - disse improvvisamente con un tono che lì per lì non seppi decifrare, come se saperlo potesse aiutarmi a sentirmi compresa - molti anni fa, per una malattia mortale. Anche mia madre suonava il pianoforte e mi ha insegnato tutto ciò che sapeva. Mio padre l'amava molto - sorrise con mestizia - non ricordo molto di loro, ma la scena che mi è rimasta più impressa è quando mio padre tornava dai suoi lunghi viaggi di lavoro. Mia madre si arrabbiava tantissimo per la sua assenza, scossa dall'ansia per non aver ricevuto sue notizie per settimane magari, ma quando poi le mostrava il regalo che comprava puntualmente per lei, per farsi perdonare, tutta l'ira, l'ansia e l'agitazione scomparivano. Sempre. Non era tanto attaccata all'oggetto in sé, non le importava se era prezioso o meno, non era quel tipo di persona. Per lei il fatto di avere fra le mani il suo dono, era come avere la conferma che mio padre era riuscito a tornare a casa. Ancora una volta -.
Gli sorrisi dolcemente – Si dovevano amare davvero molto -.
- Sono il mio esempio d’amore vero e puro, insieme ad Esme e Carlisle – rispose guardandomi intensamente negli occhi – È quello a cui auspico -.
Involontariamente rabbrividii e sentii improvvisamente le guance calde. Stavo già inspiegabilmente arrossendo, reazione che mi capitava davvero molto raramente, per non dire mai.
Senza che nemmeno ce ne rendessimo conto, i nostri visi si stavano avvicinando sempre di più, tant’è che riuscivo a sentire il profumo del suo alito fresco e dolce. Il mio cuore stava battendo all’impazzata e penso che per la prima volta riuscii a sperimentare il concetto di “farfalle nello stomaco” di cui spesso avevo letto nei libri. Ero totalmente spaesata e in balia del momento, non mi era mai capitato di sentirmi così in tutta la mia vita. Non riuscivo più a negare di sentirmi attratta da Edward e, a vedere il suo atteggiamento nei miei confronti, forse pure lui provava qualcosa per me, anche se era tremendamente sbagliato. Appartenevamo a due specie troppo diverse che, nonostante gli Accordi, in quel momento erano rivali. Non era colpa nostra, non era colpa di nessuno, ma questa era la verità. Come se non bastasse, io avrei dovuto essere sotto copertura, cosa che ultimamente, non mi stava riuscendo per niente bene. Stavo andando contro a tutte le regole che ci aveva imposto il Conclave. Avevo stretto amicizia con un essere umano, mi piaceva un Nascosto che, per di più, insieme alla sua famiglia, avevano notato che non ero una Mondana qualunque.
Giusto un secondo prima che Edward potesse sfiorare le sue labbra con le mie, mi allontanai di scatto, alzandomi da seggiolino e mettendo un po’ di distanza tra i nostri corpi, cercando di smorzare l’attrazione che si era creata.
Mi asciugai totalmente le lacrime e, inscenando una sicurezza che in quel momento non mi apparteneva, dissi scherzosamente – Dovremmo cominciare a studiare e a buttar giù qualcosa. Non vorrei mai che mi accusassi di averti abbassato la media del corso -.
Edward, che era rimasto totalmente preso alla sprovvista dalla mia reazione improvvisa, cercò di non dare troppo a vedere la sua delusione e sforzò un sorriso – Puoi tentare quanto vuoi di sfruttarmi per alzare la media dei tuoi voti, tanto non te lo permetterò -.
Scoppiai a ridere, anche per scaricare un po’ di tensione, cosa che fece anche il mio compagno di studi.
- Dai, seguimi – aggiunse poi, nascondendomi le sue emozioni, facendomi un cenno verso le scale che conducevano al piano si sopra.
_
 
[POV EMMETT]
 
– “Sono stati assassinati e noi eravamo presenti” – disse Isabella ad Edward.
Stavo palleggiando, mentre di nascosto ascoltavo la conversazione tra mio fratello e la sua compagna di studi.
Schivai Stephan, che stava cercando di bloccarmi il passaggio, e feci canestro subito dopo.
C’erano troppe somiglianze in questa storia per essere una coincidenza. Probabilmente potevo sbagliarmi, ma la sensazione di essere sulla strada giusta era troppo potente. E più Edward si interessava a Isabella, più avevo chance di andare scoprire la verità.
- Emmett? – mi richiamò Ste, con il fiato corto – Tutto ok? Perché sei lì fermo? -.
Non mi ero nemmeno accorto di essermi fermato esattamente sotto al canestro per riflettere, ma la possibilità che la persona che stavo cercando fosse proprio a casa mia in questo momento, viva e vegeta mi paralizzava. Se era davvero lei, era riuscita a sopravvivere all’Attentato, nonostante fosse stata così piccola.
- Sì, tutto ok – risposi ad un certo punto, correndo verso di lui per prendergli la palla – Ricominciamo. Abbiamo bisogno di allenarci, soprattutto tu -.
Stephan sbuffò e si mise in posizione di gioco.
 
 
Zikiki98
 
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Besos :-*
 
 
Mi dispiace se mi ci è voluto tanto per pubblicare, ma ho fatto due settimane di turno di notte consecutive che mi hanno sconvolto la vita.

 

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Capitolo 20
*** 19. No Matter What We Are ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


19. No Matter What We Are

[POV ISABELLA]

Eravamo rinchiusi nella biblioteca di casa Cullen da quasi due ore. Dato che era decisamente più pratico di me, Edward si occupava di scrivere la nostra ricerca al computer, mentre io avevo il compito di trovare le informazioni sui libri e riorganizzarle in modo da dar loro un senso.
Tra l’altro, la loro biblioteca era davvero incantevole. Non riuscivo a smettere di guardarmi intorno per ammirarne i mobili di ciliegio antico, mantenuti alla perfezione nonostante gli anni. C’era spazio addirittura per tre massicce scrivanie, tutte posizionate al centro della stanza, sopra un tappeto persiano. Una di queste disponeva di un computer fisso d’ultima generazione, per questo l’avevamo preferita per svolgere il nostro compito. I manoscritti secolari all’interno delle librerie, che occupavano tutte e quattro le pareti, tranne una, che era dedicata ad un antico dipinto a olio, con la cornice in oro, che rappresentava la Guardia dei Volturi. Forse mi stavo sbagliando, ma mi sembrava che raffigurato nel quadro ci fosse anche Carlisle, il padre di Edward.
Edward probabilmente notò che non riuscivo a staccare gli occhi dal quadro, ero decisamente troppo curiosa, ma non sembrò dargli fastidio, anzi, andammo d’accordo per tutto il pomeriggio. Ogni tanto scappò pure una battuta qua e là. Diciamo che quello che era successo qualche ora prima sul seggiolino del pianoforte, non era totalmente superato, ma stavamo comunque cercando di ignorarlo, nonostante non avessi mai provato niente del genere in vita mia.
Vidi Edward battere le ultime righe di testo sul computer, per poi salvare il progetto.
- Ottimo, direi che abbiamo finito – disse soddisfatto, voltandosi verso di me – In serata la stampo e la rilego, così prima del fine settimana la possiamo consegnare -.
Quando il suo sguardo raggiunse il mio rabbrividii e, da un lato, ero stranamente dispiaciuta di aver già terminato quella ricerca. Avevo lo sconosciuto desiderio di passare più tempo possibile con lui.
Cercai di forzare un sorriso – Credevo che ci avrebbe occupato molto più tempo -.
Nonostante cercassi di nasconderlo, lui sembrò notare il mio dispiacere e questo lo fece sorridere.
- Possiamo andare a fare una passeggiata, se vuoi – propose guardandomi intensamente negli occhi.
Restai qualche secondo imbambolata prima di alzarmi di scatto dalla sedia e riuscire a rispondergli – No, scusami, avrai tantissime cose da fare -.
- Ho il pomeriggio libero – mi rassicurò prontamente, alzandosi a sua volta e prendendomi delicatamente per il polso, come per non farmi andare via.
Tutto questo era dannatamente sbagliato. Avevo commesso solo errori da quando eravamo arrivati qui a Forks, eppure non riuscivo a non pensare al fatto che quello che stavo provando, quello che ero tentata di fare, era il peggiore e il più imperdonabile. Eppure, quello che provavo mi sembrava così puro e giusto.
Non avrei dovuto dare confidenza a nessuno, non avrei dovuto dare ascolto a Stephan, e soprattutto non avrei mai dovuto far nascere questi sentimenti sconosciuti che mi invadevano il cuore ogni volta che lo guardavo o ero vicino a lui. Avrei dovuto essere crudele e imporre della distanza, anche a costo di perdere questi sentimenti e di non riprovare mai più niente del genere, per nessuno.
Invece, dalle mie labbra, uscì tutt’altro – Va bene, cosa vorresti fare? -.
Il suo sorriso, se possibile, si allargò ancora di più. Non riusciva a contenersi dalla felicità e questo mi fece arrossire.
Da vero galantuomo qual era, mi porse la sua mano e disse - Vieni con me, vorrei portarti in un posto -.
A quel punto probabilmente non gli importava più che percepissi la reale temperatura della sua pelle, perciò lo accontentai. A quel contatto rabbrividii e non per il freddo.
Guardandomi il polso sinistro, aggiunse in tono scherzoso - Non credevo che fossi una ragazza da tatuaggi -.
- Tatuaggi? - e seguii il suo sguardo per capire a cosa si riferisse.
Nel dargli la mano, mi si era alzata leggermente la manica del maglione. La pelle sottostante era così rimasta leggermente in mostra, scoprendo la punta di una runa angelica permanente che avevo in quel punto. Sistemai immediatamente la manica per coprirla nuovamente.
- Non è niente di che - tagliai corto, nella speranza che non indagasse oltre, e così fu.
Mi condusse fuori dalla biblioteca, mi fece percorrere uno dei lunghi corridoi di casa sua, fino a tornare in salotto. Uscimmo tranquillamente dalla porta di ingresso e ci immergemmo completamente nel bosco. Era la prima volta da quando ero a Forks che ci passeggiavo durante la luce del giorno. Le ricognizioni erano sempre svolte di notte e sicuramente non erano programate per ammirare la natura circostante. L'aria era umida per via delle frequenti pioggie, l'erba sotto i piedi era molto morbida e c'erano tantissimi fiori profumati, di innumerevoli colori, davvero meravigliosi.
Ci vollero almeno venti minuti di cammino, rigorosamente in silenzio. Una parte di me avrebbe tanto voluto inondarlo di domande, ma sapevo che sarebbe stato meglio aspettare. D'altro canto, quanto ci poteva volere ancora prima di arrivare a destinazione?
Arrivammo ad un certo punto che Edward dovette aprire un varco nella boscaglia con le sue stesse mani, da quanto ormai ci eravamo addentrati nel bosco. Lo guardai confusa finché, una volta terminato, non si fece da parte per farmi spazio. Mi avvicinai e, quando guardai quello che nascondeva questo posto, ne restai abbagliata.
Un'immensa radura incontaminata. Superai Edward, che non mi staccò gli occhi di dosso neanche per un secondo e, lentamente, mi ci addentrai. I fiori, tutti color panna, mi arrivavano fino alle ginocchia. Ogni movimento che facevo, delicatamente mi seguivano. Il cielo, come sempre, era ricoperto di nuvole e lo spazio della radura era delimitato da questi alberi e quercie secolari, che rendevano il tutto ancora più affascinante. Questo posto mi ricordava terribilmente Idris. Era meraviglioso. Adesso capivo perché a Edward piacesse tanto.
La mia mano sfiorava delicatamente i petali di quei fiori candidi e incantevoli, finchè, inaspettatamente, la mano fredda di Edward raccolse la mia.
Non mi ero resa conto che mi aveva seguito e, quando alzai lo sguardo per guardarlo negli occhi, sembrava molto pensieroso.
- Cosa ne pensi? - chiese, cercando la mia approvazione.
Sorrisi timidamente e, considerato che eravamo da soli, uno davanti all'altra, presi coraggio e feci in modo che anche l'altra mano raggiunse la sua. Sorpreso dal mio gesto, non si scostò. I suoi pollici freddi accarezzavano delicatamente il dorso delle mie mani.
Sospirai - Penso che sia davvero incantevole -.
Edward, a quel punto, non si trattenne più e sorrise talmente tanto che riuscii a intravedergli i canini. Come poteva un uomo essere così affascinante?
Senza pensarci oltre, si abbassò verso di me per far passare un braccio dietro alla mia schiena, attirandomi a sé. Lo guadai confusa, finchè non cominciò a canticchiare una melodia che non conoscevo e ad ondeggiare delicatamente. Stavamo ballando. Non avevo mai ballato in vita mia, soprattutto con qualcuno. Non potei fare a meno di irrigidirmi, ma Edward non si fermò, continuando a sussurrare al mio orecchio quella dolce melodia che tanto andava a tempo con i suoi piedi. Era davvero virtuoso. Ad un certo punto, mi fece fare una piroetta su me stessa e, non aspettandomelo, rischiai quasi di cadere a terra, ma fortunatamente lui non lo permise. Mi riavvicinò a lui e scoppiammo entrambi a ridere. In quel momento i nostri visi erano terribilmente vicini, tant'é che Edward divenne improvvisamente serio. Le sue braccia mi circondavano i fianchi. Il cuore mi batteva talmente forte che credevo che da un momento all'altro sarebbe scoppiato. Fu in quel momento, davanti a quelle emozioni, che mi ridestai e mi allontanai di scatto da lui di qualche metro, dandogli le spalle, così da mettere distanza fra i nostri corpi e non vedere la sua espressione delusa.
- Perché? - chiese solamente, con un tono che non riuscii a percepire.
Deglutii a fatica, ma non mi girai - Non possiamo -.
- Perché? Stavamo solamente ballando - domandò nuovamente, cercando di mantenere la calma.
Non riuscii più a trattermi a quel punto - Non stavamo solamente ballando, non è questo il problema. Siamo troppo diversi -.
- Vuoi dire, che apparteniamo a due specie troppo diverse, non è vero? - disse quasi deluso.
Mi voltai lentamente verso di lui, guardandolo di sottecchi, ma restando in silenzio.
- Lo so che sei a conoscenza della mia natura - continuò - So che sai che siamo una famiglia di vampiri. E sento che nemmeno tu e la tua famiglia siete totalmente umani - fece una piccola pausa - Ma se c'è una cosa che ho compreso in questo secolo della mia inutile esistenza, è che non conta niente. Sono trascorsi cento anni della mia vita, senza vivere mai davvero, ma sopravvivendo - sospirò, avvicinandosi lentamente per cercare il mio sguardo - La curiosità che mi susciti, le emozioni sconosciute che mi provochi, mi hanno fatto giungere alla conclusione che non ho più intenzione di "resistere" alla giornata. C'è qualcosa che mi attrae a te. E so che è improvviso e probabilmente non te lo aspettavi, ma sento che anche io, per qualche assurdo motivo, non ti sono totalmente indifferente - portò una mano sulla mia guarcia per accarezzarmi il viso - Non mi interessa che cosa sei o che cosa sono io. Non più. Mi importa solamente di ciò che c'è nel mezzo, tra noi due. Mi sono costretto a rinunciare a tutto quello che mi potesse rendere felice in questa vita da vampiro, credevo di meritarlo per essere il mostro che sono, ma sono stanco di dovermi reprimere - mi scostò una ciocca di capelli che mi era caduta davanti agli occhi, mentre io lo guardavo senza parole - Dimmi che non è solo nella mia testa, dimmi che anche tu provi... -.
Non lo lasciai finire di parlare. Senza pensarci due volte, avvicinai il mio viso al suo e lo baciai. Non rispose al bacio, probabilmente lo avevo colto di sorpresa, io stessa mi ero presa alla sprovvista per questo gesto impulsivo, ma la realtà era che lo volevo. Volevo quel bacio, come volevo stare accanto a lui e dimenticarmi, ancora una volta, i doveri che avevo nei confronti del Conclave. Non volevo vivere la vita che gli altri avevano scritto per me. Volevo avere la possibilità di scegliere, necessità di cui non avevo mai sentito il bisogno prima di venire qui, prima di mettere il naso fuori da Alicante, prima di scoprire questo mondo che per me era nuovo.
Dato che Edward sembrava parlizzato, mi staccai dal bacio per verificare che fosse tutto a posto. Magari ero stata troppo invadente e lo avevo sconvolto, ma non feci in tempo a chiedergli niente che mi prese il viso tra le mani e la sua bocca gelida si rifiondò sulla mia, in un bacio molto più passionale del precedente, al quale non seppi resisitere e mi ci abbandonai totalmente.
_

Restammo tutto il pomeriggio da soli, seduti vicini, in mezzo ai fiori di quella radura, talmente alti che sembravano quasi proteggerci nell'intimità di quel momento. Avevamo parlato di tutto e di niente e, dopo quel meraviglioso bacio, tutto era diventato decisamente più spontaneo. Ero addirittura riuscita a fargli qualche domanda sulla sua natura. Mi confermò che lui e la sua famiglia si nutrivano effettivamente di sangue animale e che, anche se aveva avuto qualche difficoltà all'inizio di questa "nuova dieta vegetariana", la sua preda preferita era il ghepardo e non sarebbe mai tornato indietro sui suoi passi. Non volevano essere degli assassini. Questo stile di vita era decisamente apprezzabile, non era da tutti riuscire a reprimere un istinto così forte come la sete di sangue, perciò questa scelta faceva davvero onore ai Cullen.
Inoltre, parlando del quadro nella sua biblioteca, mi aveva confermato che, secoli fa, Carlisle aveva effettivamente fatto parte della Guardia dei Volturi, ma la sua permanenza non era durata a lungo. Carlisle non era come loro, non voleva nutrirsi di sangue umano e non condivideva il loro modo di fare. Nonostante Aro, Marcus e Caius fossero contrariati, lo lasciarono andare senza troppe ripercussioni. Carlisle passò qualche altro secolo in solitaria, a studiare medicina e lavorare come medico, prima di cominciare a costruire il suo clan, la sua famiglia.
Edward restò sorpreso su come io potessi essere a conoscenza dell'esistenza del Volturi, ma non mi chiese niente. Da quello che avevo capito, non mi avrebbe fatto alcun tipo di pressione sul rivelare la mia vera natura, nonostante avesse i suoi sospetti. Per questo, gli ero molto grata.
Presto si fece sera e si fece anche il momento per me di tornare a casa.
- Stephan si starà chiedendo dove sono - lo informai, alzandomi in piedi.
Lo vidi concentrarsi su qualcosa prima di alzarsi a sua volta - Tuo fratello sembra essere già tornato a casa da un'oretta -.
Sgranai gli occhi, sorpresa - Che cosa?! -.
- Non sento più i suoi pensieri a casa mia - constatò.
- In che senso scusa? - chiesi confusamente.
Sapevo che alcuni umani, una volta trasformati in vampiri, potevano sviluppare certi "doni", ma l'idea che proprio Edward potesse averne uno non mi aveva mai sfiorato.
Si grattò la testa, quasi con imbarazzo - Ho il potere di leggere nel pensiero, ma prima di andare nel panico, sappi che sei l'unico essere vivente su questa terra con il quale non funziona -.
Effettivamente, prima che specificasse la cosa, stavo già per andare fuori di testa per l'agitazione. La mia paura era che potesse aver sentito qualche mio pensiero inappropriato sul suo conto. Invece, fortunatamente, non era così.
- E come mai? Se posso chiedere -.
Alzò le spalle a mo' di resa - Onestamente, non ne ho la più pallida idea. E' la prima volta che mi capita - dopodiché cambiò totalmente argomento, prendendomi per mano e cominciando a incamminarsi verso il bosco - Dove abiti? -.
- Mi sa che non abitiamo molto distanti - riflettei ad alta voce - Il fiume che costeggia casa tua, costeggia anche casa mia -.
- Non ha una vera e propria via, vero? - domandò, pensando giustamente che, come nel suo caso, anche nel mio e della mia famiglia la segretezza era fondamentale.
Non potevamo permettere che qualche umano ci vedesse.
- Esatto - confermai, con una smorfia - C'è una strada sterrata prima di arrivare alla mia abitazione, perché è inoltrata nel bosco. So ovviamente come ci si arriva, ho i miei punti di riferimento, ma da qui o da casa tua non saprei proprio come arrivarci -.
- Credo di aver capito - mi informò, sovrappensiero - Prima del vostro arrivo, quella casa era stata abbandonata già da qualche anno. Non deve esssere molto lontana - dopodiché si voltò verso di me, con un sorrisino strano - Ti fidi di me? -.
Quella domanda mi sorprese, nonostante fosse così semplice.
- Dovrei? - scherzai, non avendo la minima idea di quello che gli passasse per la testa.
Rise - Dovresti -.
- Allora, mi fido -.
In un batter d'occhio, senza neanche rendermene conto, mi ritrovai sulle sue spalle e cominciò a correre. Era talmente veloce che non riuscivo nemmeno a distinguere il paesaggio circostante. Nonostante la sua presa fosse salda su di me, istintivamente mi strinsi ancora di più a lui. In pochi secondi, letteralmente, mi ritrovai sulla strada sterrata che conduceva direttamente a casa mia. Delicatamente, mi fece tornare con i piedi per terra.
- Grazie per il passaggio - barcollai, per poi scoppiare a ridere.
Edward, altrettanto divertito, mi abbracciò per ristabilire il mio equilibrio - Figurati -.
Ricambiai l'abbraccio. Era incredibile come una persona, in così poco, potesse tirare fuori un lato di te del quale nemmeno tu stesso eri a conoscenza.
- Siamo a circa duecento metri da casa tua - mi avvisò, accarezzandomi i capelli - Avrei voluto accompagnarti alla porta d'ingresso, ma immagino che la mia presenza non sarebbe stata altrettanto gradita -.
Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe, imbarazzata dalla situazione - Purtroppo, hai ragione -.
Si abbassò verso di me e mi baciò, prima le labbra e poi la fronte. Il mio cuore non ce la faceva più, stava impazzendo.
- Ci vediamo domani a scuola? - chiese, cominciando a congedarsi.
- Va bene -.
- Prima però promettimi una cosa - disse facendosi improvvisamente serio, guardandomi intensamente negli occhi - Promettimi che non ti tirerai indietro -.
Si riferiva probabilmente a tutte le difficoltà che avremmo avuto sul nostro cammino, ora che i nostri sentimenti erano allo scoperto. A dire la verità, avevo un po' paura. Non avevo mai considerato l'eventualità di cominciare a provare questo genere di cose per qualcuno. Mi ero promessa che sarei stata alla larga da queste situazioni, perché nel momento in cui il Conclave avesse organizzato il mio matrimonio combinato con un altro Cacciatore, sarebbe stato ancora più difficile da accettare. I sentimenti rendono tutto più complicato.
- Te lo prometto - risposi, nella speranza di crederci io stessa in primis.
Mi accarezzò la guancia e, prima di sparire nell'oscurità del bosco, mi sorrise teneramente.
Sospirai sconsolata. Ero davvero in un bel pasticcio.
Mi voltai e, con la poca visibilità che avevo, dato che il sole era quasi calato totalmente, cominciai a camminare sul sentiero che da lì a poco mi avrebbe condotto a casa mia.
Era la prima volta che sentivo effettivamente quanto la vita da Shadowhunter mi stesse stretta, che provavo sulla mia stessa pelle quanto mi limitasse. Ero sempre stata fiera di essere ciò che ero, e lo sarei sempre stata. Ma dovevo cominciare a convivere con l'idea che la vita di un Cacciatore era fatta più di rinunce che di conquiste.
Continuai a camminare, immersa in questi pensieri non proprio felici, finché ad un certo punto il mio piede si impigliò in qualcosa, facendomi inciampare e cadere per terra. Istintivamente, misi le mani avanti per evitare di sbattere la testa.
- Ma che cavolo... - mormorai, girando la testa indietro per vedere cosa ci fosse sul terreno.
Appena i miei occhi si abituarono al buio, notai un piede sbucare fuori da un ammasso di foglie che si trovava accando al sentiero. Mi sentii ghiacciare.
In un secondo, gattonai in quella direzione e, totalmente nel panico, cominciai a spostare velocemente con le mani, tutte quelle foglie, i rami, la terra, i sassi... Estrassi la stregaluce dalla tasca della giacca e quello che mi si parò davanti mi sconvolse.
Era una fata, ormai senza vita. Aveva dei lunghi capelli rossi intrecciati tutti scompigliati, le lentiggini sulle guance, la pelle chiarissima e un fisico decisamente gracile coperto da un vestito verde. A giudicare dalle condizioni in cui era stato ridotto il suo corpo, doveva essere stata torturata e seviziata senza alcuna pietà.
Restai per qualche secondo a guardarla, estremamente dispiaciuta e addolorata, senza sapere che cosa fare o come comportarmi.
- Mi dispiace tanto - sussurrai, come se mi potesse sentire, accarezzandole una guancia che sembrava sporca di terra.
Me ne restò un po' sulla mano e, immediatamente, mi accorsi che aveva una consistenza troppo liquida e, soprattutto, era troppo scuro per essere fango. Quando mi portai la mano sporca al naso, per sentirne l'odore, l'allontanai di scatto e cercai di pulirla nell'erba come meglio potevo. Una furia cieca si impadronì di me.
Non era terra. Era icore.

 

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Capitolo 21
*** 20. Trouble Ahead ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


20. Trouble Ahead

Immediatamente mi guardai intorno, ancora sconvolta. Come un segno premonitore, la pietra blu che portavo al collo, regalatami da Marie, cominciò a scaldarsi e a vibrare, fino a diventare incandescente. Mi alzai in piedi e cercai di disegnarmi più rune possibili sulla pelle rimasta disponibile, scrupolosamente. Da una delle tasche interne della mia giacca, sfilai una spada angelica, la quale la lunghezza dell’elsa purtroppo era inferiore al mio avambraccio, ma avrei cercato di farla andar bene. In ogni caso, avevo ancora un paio di pugnali negli stivali e quattro shuriken nelle maniche della giacca.
- Micah – sussurrai alla mia spada angelica, facendola illuminare come un faro nella notte, prima che la figura di una donna cominciasse ad uscire dall’oscurità del bosco.
La mia collana era talmente bollente da risultare quasi insopportabile il contatto con la pelle.
La donna si avvicinava sempre di più, finché la luce che emetteva l’elsa della mia spada, la illuminò quasi totalmente, uscendo finalmente allo scoperto. Era piu’ alta di me, dalla pelle chiara e i capelli scuri raccolti in uno chignon. Indossava un tailleur sui toni del grigio molto elegante e, in quel preciso momento, era rimasta scalza. All'altezza del seno aveva una targhetta con su scritto “Nancy”, quello che presumibilmente doveva essere il suo nome. Nonostante l’aspetto fosse umano, il suo sguardo non lo era per niente. Non più.
- Guarda un po' chi abbiamo qui... - sussurrò, con una voce metallica che proveniva da mondi lontani - Una Cacciatrice, finalmente -.
Ignorai la sua frase, ponendole un'altra domanda - Perché hai ucciso quella fata? -.
- Perché non avrei dovuto? - rise malignamente, rispondendomi con un'altra domanda, per niente intimorita dalla lama della mia spada - Carino il tuo Nascosto... Il Conclave lo sa che te la fai con un Vampiro? -.
- Non devi essere invidiosa - la provocai, mantendendo la guardia, guardadola fissa negli occhi, pronta a qualsiasi attacco - Non ti avrebbe considerata comunque -.
Senza aggiungere altro, partii all'attacco sferzando l'aria con l'Adamas della mia spada. La mancai per un soffio. Mi guardai intorno per capire dove fosse, quando ad un certo punto qualcosa mi cadde addosso, facendomi cadere a terra. La spada mi scivolò dalle mani e il peso di quel dannato demone mi schiacciava al suolo, con la faccia nel fango. Faticavo a respirare. Mi tirò i capelli sollevandomi la testa, per poi sbattermela di nuovo contro il terreno freddo e lurido. Gemetti per il dolore.
Con tutta la forza, la rabbia e l'adrenalina che avevo in corpo, invertii le posizioni, bloccandola sotto di me. Il suo viso era mutato: i suoi tratti erano sfumati in qualcosa di più grande di lei e che di certo non poteva controllare. Non c'era più alcuna traccia della povera Nancy che, trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato, era stata impossessata da questo orribile demone. Per un momento pensai a lei e alla sua famiglia. Non avrebbe mai più fatto ritorno a casa, la sua famiglia e le persone che la amavano l'avrebbero cercata, ma senza successo. Non sarebbero mai riusciti nemmeno ad avere un corpo da seppellire, da pregare, per raggiungere la pace.
La pelle dell'essere immondo sotto di me stava cominciando a diventare viscida e a tendere verso il nero, aveva degli zigomi decisamente troppo appuntiti, dei lunghi canini che uscivano dalla bocca e i suoi occhi erano diventati completamente color onice, persino la sclera.
Rabbrividii, nauseata sia da quello che stavo vedendo sia dal fetore che emanava, ma non persi ulteriore tempo. Prima che potesse iniziare a fare qualsiasi cosa, le assestai una manciata di colpi in faccia, con una violenza che non credevo possibile. Le sue mani viscide e palmate cercarono il mio collo, ma guadagnai tempo dandole un altro cazzotto, stavolta su quello che sembrava essere il suo naso, o quello che ne restava.
Mi alzai da lei e corsi velocemente verso la spada angelica, la raccolsi da terra e mi voltai di nuovo verso il demone, puntandogliela addosso.
Nel frattempo si era alzato in piedi e distava poco meno di due metri da me.
- Non è pericoloso per voi demoni scorrazzare in giro in pieno giorno? Pensavo vi abbrustolisse al sole - dissi sarcastica, riferendomi al momento in cui doveva essersi impossessato del corpo di Nancy.
Il sole era calato da poco, quindi doveva averlo fatto di giorno.
Scoprì i denti affilati - Giovane Cacciatrice, sei proprio ingenua! - rise, anche se sembrava più un colpo di tosse forzato - Il mondo è cambiato dall'ultima volta che ci avete messo piede, la vostra assenza è stata un sollievo per tutti, demoni e Nascosti. Credevate davvero di essere così indispensabili? - .
Sapevo che il mondo era cambiato in nostra assenza, ma non poteva aver mutato anche le capacità dei demoni di uscire alla luce del sole, non che qui a Forks ce ne fosse parecchio comunque...
Non risposi, mi limitai semplicemente a tenere ben salda fra le mani l'elsa della mia spada.
- Perchè hai ucciso quella fata innocente? - domandai di nuovo.
Noi Shadowhunters eravamo nemici per eccellenza dei demoni, da migliaia di anni. Era una "selezione naturale", noi Nephilim eravamo stati creati per uccidere loro, e loro per uccidere noi. Ma era raro che i demoni attaccassero i Nascosti, per il semplice fatto che potevano essere considerati della stessa "parentela", anche se naturalmente molto alla lontana. I più vicini a loro erano le fate e gli stregoni, proprio per questo non aveva senso un attacco del genere e io volevo capirne il significato prima che fosse troppo tardi.
Inoltre, prendere una vita umana in quel modo per rapire e uccidere una fata, mi lasciava decisamente perplessa. Solitamente si impossessavano di corpi umani per sfamarsi di altre anime umane, in modo tale da passare inosservati, non come travestimento per uccidere dei Nascosti.
- Per lo stesso motivo di prima, stupida ed insignificante Cacciatrice. Il mondo è cambiato dall'ultima volta che i tuoi antenati hanno respirato l'ossigeno di questa terra - sibilò, con un sorriso malizioso, mostrando il resto dei suoi denti appuntiti e sporchi.
Inziai ad avvicinarmi cautamente, puntando la lama verso il suo collo, facendolo arretrare finché non si fermò con la schiena contro ad una quercia dietro di lui - Sai che ti ucciderò, vero? -.
Ghignò soddisfatto, come se si aspettasse un'uscita del genere - La mia Creatrice e la mia Evocatrice mi hanno fatta venire qui per questo- .
Con un gesto fulmineo, pigiai l'Adamas della spada contro il suo collo, facendo sgorgare dei rivoli icore lungo di esso.
- Che vuoi dire? - ringhiai.
I nostri nasi quasi si sfioravano da quanto eravamo vicini, ma non avevo intenzione di allontanarmi. Doveva darmi delle spiegazioni e sapevo che avrebbe approfittato di un qualsiasi mio attimo di disattenzione per tentare la fuga.
- Seattle - alitò sul mio viso, facendomi contrarre lo stomaco per la puzza e il disgusto. Sapeva di morte e sangue, l'acqua di colonia preferita dai demoni praticamente.
Quindi avevamo ragione io e la mia famiglia a sospettare che ci fosse qualcuno a controllare la situazione. Adesso mi era tutto più chiaro, volevano creare una specie di esercito e senza alcun dubbio c'era lo zampino di qualche Stregone.
- Chi è la tua Signora? - .
Rise - Di certo non lo vengo a dire a te, ingenua Cacciatrice - .
Non era per niente preoccupato che la lama della mia arma stesse affondando sempre di più dentro la sua carne. Anzi, sembrava non importargli minimamente.
 - Così giovane, così inesperta... - continuò a parlare imperterrito - Non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando, loro ti troveranno e ti uccideranno. Il tuo destino non è così lontano dal mio -.
A chi si riferisse in quel momento non lo capii. Forse stava parlando delle sue Creatrici, oppure si stava riferendo al Conclave una volta si fosse scoperta la mia relazione con un vampiro. Ma in quel momento non ci diedi peso e, approfittando dell'istinto suicida di questo demone, decisi di farla finita. Tanto non mi avrebbe rivelato più niente.
- Non devi essere in pena per me, tanto non mi vedrai morire - e a quel punto, tenendo la lama della spada contro al suo collo, velocemente tolsi dagli stivali uno dei miei pugnali e ne conficcai l'Adamas in mezzo al petto senza troppi indugi.
Dopo averlo pugnalato al cuore, venne assalito dalle convulsioni e si dissolse in una nuvola di fumo nero, lasciando dietro di se una pozza di icore putrido e scuro.
Pulii l'elsa della spada nell'erba e la riposi nella fodera interna della mia giacca. Mi voltai verso il corpo abbandonato di quella fata e mi avvicinai a lei. Guardando attentamente i lineamenti del viso di quella povera creatura, probabilmente le mancavano ancora diversi anni prima di raggiungere l'età adulta.
Non ci pensai troppo e, anche se una volta tornata probabilmente mi sarei dovuta sorbire le urla della mia famiglia, mi abbassai per metterle un braccio dietro le spalle e l'altro dietro le ginocchia, sollevandola dal fango e dalle foglie su cui era stata abbandonata.
Così, con quella piccola e indifesa fata tra le braccia, mi avviai lentamente verso casa.
__

Durante il tragitto, provai a pensare a qualche giustificazione da dare ai miei genitori. Inutile dire che no mi venne in mente nulla. Certamente non era così facile spiegare come mai avessi passato il pomeriggio a studiare a casa del vampiro del quale provavo qualcosa, per poi passare ad aver trovato una fata morta vicino a casa e ad aver lottato contro un demone.
Sperai davvero, con tutto il cuore, che Ste avesse preparato una buona scusa al posto mio. Almeno, per la prima parte del pomeriggio.
Anche se ero completamente consapevole di doverglielo dire... l'ultima parte almeno.
Mentre camminavo bel bosco, stanvo attenta a non inciampare nelle radici degli alberi e a qualche ombra sospetta che magari si nascondeva fra questi ultimi.
Arrivata davanti all'enorme villa, mi bloccai sui miei stessi passi sentendo l'agitazione impossessarsi di me. Il piccolo corpo senza vita tra le mie braccia stava cominciando a pesare, oppure stavano solamente uscendo i primi dolori dopo il combattimento precedente, non avendo minimamente pensato di disegnarmi un iratze.
Presi un bel respiro profondo e, con estrema lentezza, mi avvicinai alla porta di ingresso come se fosse un buco nero. Non suonai al campanello, sapevo che era aperta.
Qualsiasi creatura magica che avesse avuto l'intenzione di attaccarci non si sarebbe fermata davanti ad una porta chiusa, l'avrebbe semplicemente sfondata, perciò non aveva senso chiudere la porta a chiave, non di giorno almeno, e questo posto non era facilmente accessibile per gli umani. Era troppo lontano dalla civiltà e si trovava in una zona strategica. Senza contare poi l'incantesimo che ricopriva la casa, che la faceva sembrare una vecchia catapecchia pericolosamente traballante.
Spinsi la porta con un piede, dandole un calcio, ed entrai in salotto, ma non c'era nessuno.
Solitamente, se c'era qualche problema, venivano tutti qui. Iniziai a preoccuparmi della possbilità che fossero usciti di casa per cercarmi, ma una voce in cima alle scale mi fece ricredere.
Era William.
- Per l'Angelo, si può sapere dove diavolo ti sei cacciata?! - gridò scendendo di fretta i gradini per venirmi incontro - E che cosa hai fatto?! Chi stai tenendo in braccio? Sembri appena uscita da un combattimento! - .
- E' una fata... è morta -.
Immediatamente si ammutoli - Non ho mai visto una fata in vita mia - disse avvicinandosi per guardarla meglio - Cosa le hanno fatto? Deve essere molto piccola -.
- E' stato un demone -.
Will mi guardò con sorpresa, ma non indagando oltre, prese la fata dalle mie braccia e la posò delicatamente sul divano. Tanto di lì a poco ci sarebbe stato un lungo interrogatorio presenziato da papà Jonathan.
Come se la voce alta di Will fosse stato un segnale per avvisare il mio ritorno, tutto il resto della famiglia si precipitò al piano di sotto per vedermi.
Sebastian, scese violentemente dalle scale, sorpassando bruscamente Will con una spallata per poter prendere il mio viso tra le mani.
- Stai bene? - chiese allarmato, come se quelle ore senza di me fossero state le più difficili di tutta la sua vita.
- Sì, sto bene - cercai di annuire, ma le sue grandi mani ai lati della mia testa non mi lasciavano molta libertà di movimento.
Mi lasciò libera solo per qualche secondo, per poi racchiudermi in un abbraccio che mi lasciava intendere quanto fosse stato in ansia per me. Questo lato dolce e protettivo di mio fratello mi piaceva, era da molto tempo che non mi abbracciava in quel modo.
- Isabella Dorwood - mi richiamò la voce spessa di papà Jonathan facendomi voltare, ma senza mai lasciare l'abbraccio protettivo di Seb - Dove sei finita?! - .
Nella speranza che mi suggerisse qualcosa, il mio sguardo finì su Stephan che, con aria risentita, si limitò ad alzare le spalle come per dire "scusa, non ho pensato a niente".
Sospirai, stringendomi di più al corpo di Seb - Ho fatto tardi a scuola con un mio compagno di classe per una ricerca di biologia...Mi dispiace padre, madre, so che avrei dovuto avvisarvi... - .
- Pensi che delle semplici scuse basteranno? - chiese mamma, con il petto che si alzava e abbassava velocemente - Non mi sono mai preoccupata così tanto, potevi almeno avvisare! Hai un cellulare ora! - .
Mi morsi il labbro, iniziando a sentirmi davvero in colpa per come li avevo fatti sentire, non doveva essere stato bello.
- Lo so, è che non ne ho mai avuto uno e spesso mi dimentico di avercelo, perciò non lo porto... - dissi la verità, sperando in un loro perdono per la mia dimenticanza - Mi dispiace!- .
E fu in quel momento che, finalmente, tutti si accorsero della piccola fata senza vita accasciata sul divano di casa.
Marie divenne immediatamente paonazza. Jonathan sembrava che stesse facendo fatica a trattenere la rabbia. Il resto dei presenti era semplicemente sconvolto.
- E dopo cos'è successo? - chiede nostro padre lentamente, con un tono di voce eccessivamente controllato, riferendosi naturalmente al collegamento tra il mio ritardo e quella fata.
Sebastian si posizionò dietro di me, abbracciandomi la vita in modo protettivo, ma nonostante la sua vicinanza, non riuscii a non deglutire a quella domanda.
- Dato che Ste è andato via prima da scuola - risposi, lanciando un'occhiataccia al diretto interessato che, in tutta risposta, colpevole, abbassò lo sguardo - Ho deciso di tornare a casa a piedi. Ad un centinaio di metri da qui, sul sentiero verso casa, ho trovato questa fata. Era già morta al mio arrivo e ho capito subito che ad ucciderla è stata un demone, perché era sporca di icore, ma non ho dovuto attendere molto prima che il bastardo saltasse fuori - dissi, digrignando i denti - Si era impossessato del corpo di una donna... Mi dispiace di avervi fatto preoccupare, non era mia intenzione. Non si ripeterà più -.
- Certo che non si ripeterà! - esclamò papà, per niente più calmo - Perchè sei in punizione! - .
Lo guardai con gli occhi fuori dalle orbite: non mi aveva mai messa in castigo prima d'ora e, sinceramente, non pensavo che sarebbe mai successo, soprattutto dopo quello che gli avevo appena raccontato.
Ero sempre stata quella che combinava meno guai, la bambina dolce e innocente di casa, ma evidentemente le cose erano cambiate.
George sembrò volermi accorrere in aiuto - Non esageriamo, padre... Adesso è qui e è stato molto nobile il gesto di Bella: ha portato qui la fata, non ha ignorato la cosa, magari potremmo... - .
Scattò verso di lui, con gli occhi furenti, interrompendolo - Sto esagerando?! Secondo te sto esagerando?! Sono io che comando qui, sono io che faccio le regole e non accetto obiezioni e trasgressioni in merito! Tua sorella ha sbagliato, ed è giusto che paghi e impari che cosa significa il rispetto! - prese fiato, per poi ricominciare ad urlarmi contro - Sei arrivata ora, dopo ore passate a preoccuparci per te e a cercare di capire dove cavolo fossi! Sembri uno straccio e come se non bastasse, emani un odore tremendo di icore! Come hai potuto pensare di combattere contro un demone da sola? E peggio ancora, come hai potuto pensare di portare a casa nostra una schifosa Nascosta? - scosse velocemente la testa, portandosi le mani al viso, infuriato - Sei tale e quale a tuo padre! -.
- Jonathan! - lo riprese immediatamente Marie, come se quella fosse l'ultima cosa che avrebbe mai dovuto dire.
Non capii esattamente il senso di quella frase, detta in modo così dispreggiativo. Da quel che ricordavo, Jon e Charlie si ammiravano, erano Parabatai. Perché dire una cosa del genere? C'era qualcosa che nè io nè Sebastian conoscevamo?
Sentii le mani di Seb sui miei fianchi trasformarsi in due pugni per la rabbia, come se si stesse trattenendo dal fare altro. Tutta la saliva che avevo in bocca si era come seccata.
In cerca di rassicurazioni, il mio sguardo finì di nuovo su Stephan, che sembrava essere in pensiero quanto me.
Gli avevo raccontato parte della verità ed era diventato una furia. Non volevo immaginare come ci avrebbe ridotti una volta scoperto che frequentavamo un paio di vampiri e, soprattutto, che io provavo qualcosa per uno di loro.
- Io volevo solo... - provai a giustificarmi, ma mi bloccò sul nascere.
Alzò una mano con delusione, come per incitarmi a fare silenzio - Non mi interessa. Non ti voglio ascoltare, ne ho già sentite abbastanza per oggi. Fra te e i tuoi fratelli non so chi abbia fatto peggio! - .
Perchè, che avevano fatto?
Sebastain, ora che mi aveva fra le sue braccia, sembrava molto più tranquillo, quindi probabilmente non si stava riferendo a lui. Spostai lo sguardo invece sui volti di Will e George, che invece avevano un'aria più colpevole e amareggiata, come se si vergognassero di loro stessi. Iniziai a chiedermi che cosa avesseromai mai potuto fare di tanto grave e imperdonabile...
- Proprio oggi avete deciso di farmi saltare i nervi, tutti insieme - continuò nostro padre, senza accorgersi del piccolo scambio di sguardi che ci eravamo dati fra noi fratelli - Sono davvero molto deluso da voi, sopratutto da te - mi puntò il dito contro, facendomi venire voglia di sotterrarmi immeditamente da qualche parte - Non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere, vi ho cresciuti e addestrati meglio di così! E' una fortuna che non avvisi il Conclave della vostra bravata - e si voltò verso i suoi due primogeniti, facendomi battere forte il cuore come le ali di un colibrì - ma che sia la prima e l'ultima volta! Non sarò più così tollerante se succederà di nuovo, ci siamo intesi? E sto parlando con tutti voi, per qualsiasi guaio combinerete! - .
Ci limitammo ad annuire silenziosamente, con uno strano groppo in gola che ci impediva di parlare. Eravamo tutti visibilmente preoccupati, soprattutto io. Aveva detto che non avrebbe avvisato il Conclave questa volta, ma la prossima?
Ero sicura, sicurissima, che mi avrebbe scoperta, sopratutto dopo quello che era successo oggi. Inoltre, ero già pronta all'idea che avrebbe iniziato a controllarmi più di quanto già non facesse prima. Ma era stato colto di sorpresa, e di certo non positivamente, ergo non potevamo aspettarci una reazione differente da questa.
- Come facciamo con lei? - osai domandare, flebilmente dopo qualche secondo di silenzio assoluto, riferendomi alla fata minuta adagiata sul divano.
- William, fai sparire il corpo - rispose duramente nostro padre con un tono che non ammetteva obiezioni in merito.
Will restò interdetto per qualche secondo, come il resto della famiglia. Il diretto interessato annuì lentamente, ma sembrava che stesse per sentirsi male da un momento all'altro provando ad immaginare quello che intendeva Jonathan con quell'indicazione.
Feci un passo avanti, staccandomi da Sebastian e mettendomi fra nostro padre e la fata, come se sentissi il dovere di difenderla, anche dopo la sua tragica e precoce morte.
- Padre, se posso permettermi - dissi - Posso riportarla alle porte del Regno delle Fate, alla corte più vicina, in modo tale che possa avere una sepoltura degna della sua cultura -.
Sbuffò, roteando gli occhi al cielo - Stai ancora dando aria alla bocca? Non ti è bastata la mia sfuriata di prima? -.
Nonostante gli sguardi dei presenti mi pregassero di lasciar perdere, insistetti, ignorando di buon grado il suo modo di fare brusco - Me ne occupo io. Non sarà di peso a nessuno. Io l'ho trovata e l'ho portata qui, ed io la riporto a casa sua -.
- Appunto perchè sei stata tu a portarla qui, non sarai tu ad occupartene - reagì violentemente, facendo sussultare tutti i presenti - Sei troppo coinvolta. Se ne occuperà William, e subito! -.
Sconsolata, mordendomi le labbra per cercare di trattenermi, mi girai e mi incamminai verso le scale per salire al piano di sopra, ma la sua voce mi richiamò, di nuovo.
Mi voltai lentamente, terrorizzata all'idea di guardarlo in faccia - Sì? - .
- Non ti ho ancora dato la tua punizione - disse severamente Jonathan, guardando fuori da una delle finestre del salotto.
Deglutii a fatica - Mmm... Ok, quale sarebbe? - .
I suoi occhi freddi e distanti entrarono in contatto con i miei, che erano pieni di risentimento, preoccupazione e senso di colpa - Dopo le lezioni dovrai tornare subito a casa, non mi interessa che cosa devi fare o chi devi incontrare, e in più - fece una pausa, sapendo che mi avrebbe imposto qualcosa di più difficile da accettare - non andrai più in ricognizione insieme ai tuoi fratelli fino a nuovo ordine! -.
Sentivo la rabbia ribollire dentro di me, ma l'ultima cosa che volevo era creare ulteriori problemi o scatenare scenate inutili. Qualsiasi cosa avessi detto o fatto, non gli avrebbe fatto cambiare idea, anzi, avrebbe potuto solo che peggiorare la mia situazione. Perciò accettai silenziosamente la mia punizione, voltai le spalle a tutti e salii al piano di sopra, per poi chiudermi nella mia stanza. Una volta chiusa la porta, crollai contro di essa fino a cadere per terra. In che guaio mi ero cacciata?


 

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Capitolo 22
*** 21. Forgiveness ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI
 
21. Forgiveness

Restai immobile, seduta contro la porta, per un periodo di tempo inquantificabile. Dalle ampie vetrate della mia stanza si poteva notare che non mancasse molto all'alba.
Durante la notte nessuno dei miei fratelli mi cercò, ma riuscivo tranquillamente a sentire Sebastian russare al di là del pezzo di legno che ci divideva. Probabilmente voleva starmi vicino senza invadere troppo il mio spazio. Lo apprezzai, nonostante il suo comportamento nei miei confronti, da dopo la cerimonia Parabatai, era diventato ancora più possessivo e tossico. Forse le parole che Jonathan aveva usato contro di me quella sera, lo avevano ferito parecchio, soprattutto il riferimento al nostro defunto padre. Si doveva essere sentito ancora di più un estraneo in quella casa, come per un attimo mi sono sentita io.
A risvegliarmi dal mio stato di trance fu il mio cellulare che squillava, dimenticato ormai da giorni sul comodino accanto al mio letto. Mi alzai per vedere chi mi avrebbe mai potuto contattare a quell'ora del mattino. Era un messaggio da parte di Will.
Lo aprii per leggerlo.

Will: Stai tranquilla, ho portato la fata alla prima Contea più vicina. Sono appena rientrato. Ho detto a papà di averci messo così tanto perché per un attimo mi era mancato il coraggio, ma che alla fine ero riuscito a sbarazzarmi del corpo molto lontano da qui. Mantieni il segreto.

Alla vista di quel messaggio quasi mi commossi e tirai un sospiro di solievo. Ero contenta di non essere l'unica ad avere una certa sensibilità in quella casa, che qualcuno condividesse le mie idee. Lo ringraziai e appoggiai di nuovo il telefono sul comodino, mentre mi sdraiavo sul letto.
C'era un'altra cosa importante che dovevo risolvere, cioè il mio rapporto con Angie. Era sicuramente meglio per lei che avessimo litigato, il problema era che io non riuscivo a sopportarlo. Era la prima e l'unica mondana da quando ero arrivata in questo nuovo mondo, ad avermi colpito. Quindi, cominciai a pensare che forse potevo dirle la verità senza dirle davvero la verità. Cercare di essere il più sincera possibile, ma restando allo stesso tempo vaga.
Mi promisi che la mattina seguente, una volta arrivata a scuola, l'avrei cercata e le avrei parlato. Di che cosa esattamente ancora non lo sapevo, ma lo avrei fatto. Non volevo perderla.
Con questi pensieri, mi addormentai.
_

[POV EMMETT]

Ero in uno di quei momenti. Non mi capitavano molto spesso in realtà. Rispetto agli inizi di questa mia nuova vita, la situazione era decisamente migliorata, ma ogni tanto tornava un po' di malinconia del passato, delle persone che appartenevano al mio passato. Soprattutto una.
Quando ero nel pieno di questi attacchi, tendevo sempre ad isolarmi rispetto al resto della mia famiglia. Infatti, in quell'istante, si trovavano tutti in salotto, mentre io mi ero appena allontanato per salire in soffitta. Erano tutti elettrizzati per Edward che, dopo un secolo, aveva finalmente trovato qualcuno da amare. Non che fosse stata una sua decisione rivelarlo all'intera famiglia, ma con Jasper che leggeva le emozioni e Alice che nelle sue visioni lo vedeva felice ed innamorato, non poteva più nascondersi da nessuna parte. Così, mentre la mia Rosalie sbuffava, Carlisle e Esme, soprattutto nostra madre, cominciarono a fare domande su quella ragazza. E fu proprio in quel momento che decisi di cambiare stanza, sotto lo sguardo stranito di alcuni e sospetto di altri. Mi rendevo conto che ogni volta che si parlava di Isabella Durwood mi comportavo in modo insolito, ma non potevo farci niente.
Avevo dei pensieri, delle supposizioni, che non riuscivo a controllare e mi tormentavano a qualsiasi ora del giorno, da quando l'avevo vista. La mia mente era un fiume in piena, ma ogni giorno mi sforzavo per non far trapelare nessuno di questi pensieri ad Edward. Poteva sembrare sciocco, ma finché non ne fossi stato totalmente certo, non avrei parlato di questo con nessuno, nemmeno con Rose, nonostante lei fosse a conoscenza di molte cose che gli altri non sapevano.
Preferivo tenermelo per me, perché parlarne direttamente con qualcuno avrebbe potuto rendere le mie fantasie reali. Se tutto quello che pensavo fosse andato in fumo, sarebbe stato ancora più difficile gestire la sofferenza. Avevo già avuto il cuore disintegrato in mille pezzi e Rose mi aveva aiutato ad uscirne, nonostante stesse soffrendo anche lei. Non avevo intenzione di avere il cuore spezzato per la seconda volta.
Salii in soffitta, dove tenevo segretamente i ricordi del mio passato, quelli più importanti, in un baule. Mi inginocchai e presi la chiave, che portavo sempre con me, per infilarla nella serratura e aprirlo. Sapevo già cosa avrei trovato all'interno, eppure ogni volta che mi concedevo di guardare al suo interno mi sentivo come se fosse la prima volta. Dentro c'erano la mia vecchia tenuta da combattimento, qualche arma che avevo conservato, il mio stilo, ormai antiquato, e qualche cianfrusaglia dei miei genitori e di mia sorella. Poi, nell'angolo più remoto del baule, c'era un piccolo scrigno, lucchettato. Girai le rotelline numeriche per sbloccare il lucchetto e il piccolo scrigno si aprì. Le foto erano i ricordi che costudivo con più gelosia. Cominciai a guardarmele lentamente una ad una. Il fatto che fossero in bianco e nero rendevano il tutto ancora più nostalgico. Nelle foto c'erano rappresentati i miei avi, i miei genitori, mia sorella maggiore, io e il mio primo amore, costretti a separarci per i matrimoni combinati organizzati dal Conclave in base alla potenza delle famiglie...
In fondo allo scrigno c'era una busta bianca. Al suo interno c'erano altre fotografie, ma quelle mi costringevo a guardarle solamente una volta all'anno, cioè il giorno dell'Attentato, come commemorazione. Ogni volta che le vedevo era una pugnalata al cuore. Ma me lo meritavo. Meritavo di stare male. Se solo l'avessi protetta di più, se fossi stato più presente, sarei stato sicuro che lei ce l'avesse fatta. Invece, ero condannato a vivere nel dubbio, logorato dal dolore di aver potenzialmente perso la creatura più importante, che sarebbe per sempre stata una parte di me. Per l'eternità.
_

[POV ISABELLA]

La mattina seguente io e Stephan arrivammo a scuola abbastanza puntuali, parcheggiando la moto al solito posto. Il dialogo tra noi si era ridotto quasi a zero. Il suo comportamento del giorno precedente non mi era piaciuto e lui ne era consapevole. Provò anche a parlarmi e a chiedermi scusa, ma dalle mie risposte distaccate e fredde probabilmente aveva capito che avrebbe dovuto farmi sbollire la rabbia in santa pace. Se solo mi avesse aspettata ieri sera, invece di lasciare casa Cullen senza di me, avremmo potuto trovare una soluzione insieme e probabilmente non sarei finita nei guai.
Scesi dalla moto e gli mollai il mio casco tra le mani. Sistemai meglio lo zaino in spalla e attraversai il parcheggio per raggiungere l'ingresso della scuola. Ad un certo punto, un braccio freddo si appropriò delle mie spalle, rallentandomi il passo. Sapevo già chi fosse senza alzare lo sguardo.
- Buongiorno Signorina Durwood - mi sussurrò all'orecchio Edward, con fare decisamente troppo attraente.
- Buongiorno Signor Cullen - lo salutai, voltandomi per guardarlo negli occhi - Come mai così di buon umore questa mattina? -.
Lo sentii ridacchiare, per poi sussurrarmi sulla guancia - Starvi accanto mi mette allegria, non lo posso negare -.
Risi per questo scambio di battute dai toni decisamente poco attuali - Sono sinceramente lieta di farvi questo effetto, Signor Cullen -.
- Chiamatemi pure Edward - rimbeccò, ridendo a sua volta.
Improvvisamente, mi trascinò lontano dagli occhi indiscreti degli studenti, che naturalmente stavano già studiando il cambiamento repentino del nostro modo di fare. Come potevo dar loro torto? Qualche giorno fa ci parlavamo a malapena, oggi invece era evidente che ci fosse tutt'altra confidenza. Sarà che era davvero diventato estenuante continuare a fingere di essere ciò che non ero. Ero stanca di costringermi a tenere distanti delle persone che in realtà avrei voluto vicino.
Ci trovavamo dietro l'ultimo edificio in mattoni della scuola, quello che dava direttamente sul bosco e qui non c'erano più occhi curiosi ad osservarci. Mi spinse delicatamente contro il muro e mi baciò con un estrema dolcezza. Le sue labbra fredde mi avvolsero completamente in un gesto che mi colse totalmente di sorpresa.
Mi staccai per prendere un po' d'aria e Edward ne approfittò per appoggiare la sua fronte alla mia.
- A cosa devo questo bel bacio? - chiesi innocentemente, cercando di regolarizzare il mio respiro, e anche il battito cardiaco.
Sorrise maliziosamente - Al fatto che è la prima volta che mi sento così vivo, da un'eternità -.
Ridacchiai, accarezzandogli una guancia - Non vale usare frasi da vampiro centenario per conquistare le donzelle -.
- Ne ho tutto il diritto - rise, alzando gli occhi al cielo - Da questa affermazione posso dedurre che con te sta funzionando? -.
Mi morsi il labbro, scostandomi da lui per raggiungere la mia prima lezione della giornata. Cominciai a camminare all'indietro per non perdere il contatto visivo con i suoi occhi meravigliosamente dorati.
- Mi avvalgo della facoltà di non rispondere - ribeccai, per non dargli troppe soddisfazioni.
Scosse la testa passandosi una mano fra i capelli.
- Ci vediamo a pranzo? - mi invitò.
- Non credo, devo risolvere un problema con Angela - lo informai e in tutta risposta mi guardò con aria confusa - Ci vediamo a biologia per consegnare il progetto -.
Mi sorrise guardandomi con intensità - A più tardi, allora -.
_

- Spero che sia una cosa veloce - annunciò Angela dirigendosi verso la sua macchina, con me al seguito - Vorrei riuscire a mangiare qualcosa prima che le lezioni ricomincino -.
Aprì le portiere con la chiave e finalmente potemmo ripararci dalla pioggia, salendo in auto, lei dal lato del guidatore e io da quello del passeggero.
- Perché hai chiesto di parlarmi con così tanta urgenza? - chiese a bruciapelo.
Dal modo in cui mi stava trattando si riusciva a capire quanto fosse terribimente offesa e ferita dalle mie mancanze in amicizia, ma avevo realmente intenzione di rimediare ai miei errori, cercando di essere sincera quanto più potevo.
- Perché voglio essere totalmente onesta con te, Angie - risposi risoluta - Mi dispiace se ti ho fatto del male, ma sei la prima amica che io abbia mai avuto e non sono abituata a dare o ricevere certe attenzioni di riguardo. Ho sempre e solo avuto la vicinanza della mia famiglia. Quindi sono qui per rispondere alle tue domande -.
Restò stupita davanti alla mia trasparenza - Davvero? E' per questo motivo che hai scelto un luogo appartato? -.
- Esattamente -.
Prese un respiro profondo e cominciò a riflettere a quale domande pormi. Nel frattempo, fuori cominciò a piovere e il suono delle gocce d'acqua sul vetro della macchina era decisamente rilassante.
- Da quanti membri è composta la tua famiglia? - domandò come prima cosa, cambiando decisamente umore.
Le raccontai che ero stata adottata, insieme a mio fratello Sebastian, a causa della morte prematura dei miei genitori, dovuta ad un incidente. Che la nostra famiglia era composta da Jonathan e Marie, i nostri tutori legali, e i nostri fratelli adottivi William, George e Stephan. Per un attimo restò sconvolta dal mio racconto, ma si ridestò e in meno che non si dica continuò a pormi altre domande. Mi chiese se avessi mai visitato altri stati europei oltre al mio paese natale e le dissi di no. Domandò quale fosse il mio sport preferito, quali libri e film amavo, quale cibo avrei mangiato tutti i giorni senza mai stancarmi... Insomma, erano tutti quesiti normali, quesiti che si poneva una ragazza mondana e mi piacque particolarmente risponderle, finché non fece quella domanda.
- Cosa c'è tra te e Edward Cullen? - sparò a all'improvviso, con uno sguardo malizioso, da dietro gli occhiali.
Arrossii violentemente, senza neanche aspettarmelo - Cosa ti fa pensare che tra me e Cullen ci sia qualcosa? -.
Sapevo che quella mattina alcuni mondani ci avevano notato, ma non pensavo che le voci girassero cosi velocemente. Mi aspettavo che ci volessero almeno un paio di giorni prima che il pettegolezzo arivasse a tutta la scuola. Forks non smetteva mai di stupirmi.
- Dicono di aver visto Edward seguirti prima delle lezioni e metterti un braccio intorno alle spalle, per poi vedervi sparire da qualche parte chissà dove - mi rivelò, con il tono di voce di chi la sapeva lunga - Hai detto che saresti stata onesta! - scherzò con un velo di rimprovero, puntandomi il dito contro.
Sbuffai, stranamente divertita, invece che infastidita, dalla situazione - Credo che ci stiamo frequentando -.
Mi guardò con confusione - Credi? -.
Annuii - Non ne abbiamo parlato, ci siamo solo baciati un paio di volte e... -.
- COSA?! E ME LO DICI COSI'?! - esclamò ad alta voce prendendomi alla sprovvista, facendomi spaventare.
- Perché? Come te lo dovevo dire? - domandai innocentemente.
La mia confusione a riguardo era palpabile.
Mi ignorò - Come sei passata dall'intimarmi di non avvicinarmi mai ai Cullen al metterti insieme ad uno di loro? -.
Risi, leggermente a disagio, grattandomi la tempia - Innanzitutto, non stiamo insieme - feci una pausa, sospirando - In secondo luogo, onestamente, le cose per me sono cambiate dall'incidente con l'autobus di qualche settimana fa. Lì l'ho visto sotto tutta un'altra luce - ammisi, cercando di non andare troppo nei dettagli - E poi negli scorsi giorni ci siamo dovuti frequentare per il compito di biologia, abbiamo passato un po' di tempo insieme e abbiamo capito di avere qualcosa in comune... -.
- Da cosa nasce cosa, finché non vi siete baciati - mi interruppe, portandosi la mano alla bocca - Non ci posso credere -.
- Mi raccomando, mantieni il segreto -.
Mi guardò come se l'ovvio fosse già accaduto - Direi che è decisamente troppo tardi, considerando che il tuo ragazzo a quanto pare è meno riservato di te -.
Risi per l'assurdità di quella situazione, alzando gli occhi al cielo - Non è il mio ragazzo, Angie -.
- Forse per ora, ma lo diventerà -.
- Va bene, medium dei miei stivali - la presi in giro - Tra poco la pausa pranzo finisce. Ci conviene muoverci adesso per mettere qualcosa sotto ai denti, prima che sia troppo tardi! -.
Mi ascoltò. Uscimmo volocemente dalla macchina e, tirando sulla testa il cappuccio delle nostre giacche per evitare di bagnarci i capelli, cominciammo a correre verso la mensa per evitare di prendere meno acqua possile. La melodia della pioggia intrecciata a quella delle nostre risate l'avrei ricordata per sempre.
Varcammo la porta della mensa fradice e sghignazzanti, attirando così l'attenzione di tutti i presenti. Stephan era seduto insieme agli altri giocatori da basket, guardandomi con occhi colpevoli. Non gli prestai attenzione e seguii Angela in fila per prendere da mangire. Come al solito non mi limitai nella scelta del cibo, anzi. Ci accomodammo al nostro solito posto e cominciammo a mangiare chiacchierando delle sue ultime novità in questi giorni di lontananza. Ogni tanto sentivo lo sguardo di Edward addosso e, puntualmente, quando mi voltavo per verificare se fosse solo la mia immaginazione a crearmi questa sensazione, i suoi occhi si incontravano con i miei. A causa sua perdevo il filo del discorso per qualche secondo, ma puntualmente Angela mi richiamava schioccandomi le dita davanti al viso.
La pausa pranzo finì abbastanza velocemente, tra le chiacchiere frivole di Angela e gli sguardi complici di Edward. Salutai la mia amica, che sembrava aver dimenticato totalmente la discussione dei giorni scorsi, e mi avviai verso la lezione di biologia.
Il mio collega di approfondimenti si era già accomodato al suo posto e quando entrai in classe, potei già sentire i nostri compagni spifferare idiozie alle nostre spalle, ma li ignorai.
Mi sedetti accanto ad Edward e sistemai tutti i miei libri sul banco da lavoro. Riuscimmo a parlare solamente per uno scambio breve di battute, perché il professore arrivò prima del previsto e fece zittire l'intera aula in pochissimi secondi. Anziché, consegnargli le nostre ricerche, decise di farcele esporre a turno, con tanto di voto a fine esposizione. Il resto della classe entrò nel panico, ma io ed Edward eravamo tranquilli, quindi ci proponemmo per primi. Naturalmente, con lui al mio fianco, andò tutto bene e il professore ci diede una valutazione davvero alta per il nostro impegno.
Una volta tornati a sedere, ci battemmo il cinque di nascosto sotto al banco in granito per il nostro successo.
Un paio di ore più tardi suonò la campanella che annunciava la fine delle lezioni. Raccogliemmo tutte le nostre cose e ci dirigemmo verso l'esterno dell'edificio. Fortunatamente, aveva terminato di piovere, eppure era rimasta parecchia umidita.
Sbuffai, guardando verso il cielo, ancora cosparso di nuvole grige.
Sul viso di Edward comparve una smorfia divertita - Non ti piace la pioggia? -.
Ridacchiai, scuotendo la testa - No, decisamente no, ma mi sto abituando... - e poi aggiunsi, spontaneamente - Da dove vengo io, non piove quasi mai -.
Allora Edward colse la palla al balzo e, facendo sfriorare il dorso della sua mano con la mia, mentre camminavamo, mi chiese - Ecco, da dove vieni esattamente? -.
Mi fermai, guardandolo dritto negli occhi, con fare biricchino - Segreto! -.
Lui, in tutta risposta, rise portando la testa all'indietro - Prima o poi me lo dovrai dire, oppure lo scoprirò da solo -.
- Prima che accada, anche solo una di queste due possibilità, penso proprio che passerà del tempo -.
Annuì, pensieroso con la risposta già pronta, come sempre - Se solo avessi l'eternità a disposizione. Aspetta un attimo... -.
Lo guardai storto a causa di quella battuta infelice che aveva divertito solo lui. Era la prima volta che vedevo questo lato di lui, più carismatico. Comunque, gli diedi un pugnetto leggero sulla spalla per farlo smettere di ridere.
- Avrei voluto invitarti da qualche parte oggi pomeriggio, ma ho letto dai pensieri di tuo fratello che purtroppo sei in punizione - mi rivelò all'improvviso, facendo sfiorare le nostre dita timidamente, non staccando il suo sguardo intenso dal mio.
Per un momento persi un battito - Sì, esatto. Hai letto altro nella sua mente? -.
- No, pensava di continuo che doveva trovare un modo per farsi perdonare da te - confessò, palesemente curioso - E' successo qualcosa che dovrei sapere? -.
Fortunatamente, Stephan non si era fatto sfuggire niente. Quello che era accaduto la sera precedente non lo doveva riguardare ed era meglio così.
- No, è stato un classico litigio fra fratelli - mentii abilmente.
Essendo cresciuta in una famiglia numerosa, l'abilità di racconare bugie si sviluppava in modo innato, quasi come se fosse un istinto di sopravvivenza.
Annuì e si voltò velocemente verso la sua famiglia, che lo stava aspettanto accanto alla sua macchina argentata. Rosalie sembrava decisamente scocciata di attendere ulteriormente, a differenza degli altri Cullen che lo stavano aspettando chiacchierando tranquillament. Quindi chissà a cosa stava pensando la sorella per fare sbuffare Edward.
- Devo andare - confermò - Ci vediamo domani? -.
- Certamente - dissi, cercando con lo sguardo Stephan nel parcheggio - Tanto devo andare anche io adesso -.
Annuì velocemente, per poi sporgersi verso di me e avvicinare il suo viso al mio. Per un attimo mi paralizzai, pensando che baciarmi davanti a tutti, in quel momento, sarebbe stato un azzardo, eppure non mi mossi. Invece, le sue labbra deviarono verso la mia guancia, dove si poggiarono delicatamente per qualche secondo che sembrò un'eternità. Dopodiché, ci guardammo negli occhi intensamente.
- A domani - mi salutò.
- C-Ciao - balbettai, leggermente in imbarazzo, facendolo sorridere mentre mi voltava le spalle per raggiungere i suoi fratelli.
Sotto lo sguardo indagatore di tutte le persone presenti nel cortile, mi avviai nel parcheggio dove quella mattina Stephan aveva lasciato la moto, accorgendomi solo successivamente che la Yamaha non c'era più. La rabbia cominciò subito a ribollirmi nelle vene. Non ci potevo credere. Mi aveva lasciata a piedi, di nuovo.
Vidi Angela, che aveva prestato attenzione alla scena, allontanarsi dalla sua macchina per raggiungermi.
- Dov'è Stephan? - chiese, quando fu abbastanza vicino.
- Vorrei saperlo anche io! -.
- Se vuoi ti posso portare a casa - si propose, ma prima che potessi rifiutare la sua offerta gentile, un'auto nera, grossa e con i finestrini oscurati fece ingresso nel parcheggio della Forks High School, attirando ovviamente l'attenzione di tutto lo studentato, per l'ennesima volta quel giorno.
Non tutti a Forks potevano permettersi quel genere di macchina, che tra l'altro, ci misi poco a riconoscere. Non era una macchina qualsiasi. Quella era una delle Range Rover nere che possedeva la mia famiglia. A confermare la mia ipotesi, fu il fatto che si fermò esattamente accanto a me e, quando si spende il motore della vettura, dal lato del guidatore scese un ragazzo alto, muscoloso e biondo. Mio fratello Will.
Oltre ad avere addosso lo sguardo dei Cullen e di tutto il resto della scuola in quel momento, dovevo persino sorbirmi Angela in iperventilazione alla vista di mio fratello magiore adottivo.
Will mi venne in contro con un sorriso, allargando le braccia - Ciao sorellina! -.
- Ciao - lo abbracciai, per poi sistemarmi meglio lo zaino in spalla - Dov'è Stephan? -.
Si grattò la testa, come se avesse il terrore di sorbirsi la mia furia - Ha avuto un imprevisto con alcuni suoi compagni della squadra di basket - disse per poi portare l'attenzione su di sè - Non sei contenta? Il tuo fratellone preferito è venuto a prenderti a scuola! -.
Risi, decisamente divertita - Sì Will, hai proprio ragione -.
Sentii Angie sgranchirsi la voce al mio fianco. Mi voltai verso di lei, guardandola un po' interdetta. Le sue gote erano arrossite e sembrava in imbarazzo. Inizialmente non ne compresi il motivo, ma poi capii che forse non si sentiva a suo agio perché l'avevo lasciata lì senza presentarla. Così, tentai di rimediare.
- Will, questa è la mia amica Angela - la presentai - La ragazza di cui parlo spesso -.
Will fece uno dei suoi sorrisi migliori, quelli che facevano sciogliere le donne sul posto, e mosse un passo avanti per prenderle la mano e baciarle il dorso. Angela era decisamente sotto shock, come il resto della scuola, mentre io ero estremamente a disagio. Per Will era la prima volta che si confrontava con una ragazza mondana e, essendo stati esclusi dal mondo per più di cento anni, certamente non poteva sapere che le donne non si salutavano più con il bacio a mano. Ad Idris si usava ancora.
- Molto piacere, Angela - sussurrò con una voce calda e sensuale, sulla mano della mia amica - Le descrizioni di mia sorella non ti rendono giustizia -.
- G-Grazie - mormorò, totalmente rapita dal gesto di mio fratello.
Mi sentii quasi di troppo in quel momento. Anzi, senza quasi. Ero decisamente di troppo.
- Andiamo a casa, Will? - lo richiamai, cercando di riportarlo alla realtà, facendogli notare che non eravamo gli unici in quel parcheggio.
- Certamente, sorellina - dopodiché, si rivolse verso Angie - E' stato un piacere conoscerti, Angela -.
- Anche per me - balbettò la mia amica, mentre lui le strizzava l'occhio.
Successivamente, Will si voltò e risalì in macchina, mettendola in moto.
Feci per salutare la mia amica, che si trovava ancora in un profondo stato di mancata connessione da questo mondo, quando prima che potessi dire qualsiasi cosa, lei se ne uscì con - Perché non mi hai detto che tuo fratello è così figo? -.
Scoppiai a ridere e, abbracciandola, la salutai - Ciao Angie, guida con prudenza -.
Mi girai e notai che Edward mi stava osservando con un elevato interesse. Lo salutai con un sorriso e un cenno di mano, che ricambiò prima di salire in macchina. Anche Emmett era rimasto qualche secondo in più fermo a fissarci, appoggiato all'auto del fratello, ma infine prese posto anche lui sulla Volvo.
Io aprii la portiera della nostra Range Rover e mi accomodai sul sedile del passeggero, lasciandomi alle spalle gli occhi indiscreti della Forks High School.

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Capitolo 23
*** 22. Werewolves ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


22. WEREWOLVES
 
Eravamo a metà novembre e il mio rapporto con Stephan non era cambiato nell’ultimo periodo, ma comunicavamo solo se strettamente necessario. Io ero ancora arrabbiata per come aveva gestito la situazione e lui si era stancato di chiedermi scusa a riguardo. L'aria in casa, per via dell'ultima sfuriata di nostro padre Jonathan, era talmente tesa da poter essere tagliata con il coltello. Gli unici momenti di "riunione" famigliare erano la cena e le ricognizioni notturne, ma in quest’ultime si dividevano in gruppi e io, essendo ancora in punizione, non potevo parteciparvi.  Infatti, trascorrevo la maggior parte del tempo da sola in camera mia, in armeria a sistemare le armi con Will o in palestra ad allenarmi con Sebastian, come in quel momento.
Io e Seb ci stavamo allenando con le nostre spade angeliche e mi stava insegnando come attaccare e difendermi in un duello a quattro lame. Era un’esercitazione per aiutarmi a coordinare anche la mano sinistra e farle compiere movimenti totalmente differenti rispetto alla destra.
- Ottimo, facciamo una pausa - disse Sebastian dopo un paio di ore, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente - Stai migliorando parecchio in questa pratica - si complimentò appoggiando per terra le sue due spade angeliche.
Feci lo stesso con le mie, appoggiandole vicino alle sue - Se sto migliorando è solo grazie a te. Mi piacerebbe affinare anche l'abilità di tiro con l'arco, quando hai tempo. Hai una mira infallibile - ammisi ammirevolmente mentre, piena di sudore, mi sistemavo la coda che con tutto quel movimento si stava sciogliendo.
Mio fratello sorrise - Quando vuoi, io sono qui per te -.
Gli sorrisi timidamente a mia volta, per poi voltarmi e sdraiarmi sul pavimento fresco della palestra. La canotta verde militare che indossavo era fradicia da quanto avevo sudato. Avevo bisogno di riposarmi un po'.
Durante i suoi insegnamenti, Sebastian non si risparmiava mai, a differenza degli altri miei fratelli che, tendevano sempre a non essere magari troppo duri o violenti. Sostanzialmente, cercavano di trattenersi dato che fisicamente ero più piccola e debole di loro. Il problema era che non riuscivano a capire che in quel modo non mi avrebbero mai aiutata a migliorare. Il nemico era spietato e essere "teneri" nei miei confronti durante i combattimenti di prova, avrebbe potuto rendermi una preda facile e io non volevo esserlo. E non volevo essere nemmeno quella di cui tutti si dovevano preoccupare e proteggere durante un combattimento. Sebastian invece cercava di rendere la lotta sempre più complicata. Infatti, era veramente raro che riuscissi a vincere contro di lui e, se succedeva, la volta dopo era ancora più brutale per cercare di sovrastarmi e rendermi il duello sempre più difficile.
Ad un certo punto, lo sentii stendersi accanto a me e prese la mia mano nella sua. Vi voltai con la testa verso di lui e vidi che mi stava già guardando.
- Sai, da un lato sono contento che i rapporti tra te e Stephan non siano più come quelli di una volta - confessò sinceramente, lasciandomi leggermente spiazzata - Ma d'altra parte, il modo in cui si è comportato, mi ha fatto infuriare. Avrebbe dovuto proteggerti e invece ti ha messa in cattiva luce e nei guai con Jonathan -.
- Sì, lo so - ammisi, cercando di controllare le mie emozioni - Sono arrabbiata anche io -.
- Capisci perché ho sempre insistito sull'argomento della parentela di sangue? - domandò retoricamente, continuando il filo del suo discorso - Il resto del mondo non ti proteggerà mai come faccio io. Tu sei la mia priorità, Isabella. Non metterò mai nessun altro davanti a te, a noi due -.
Sospirai e mi limitai a sorridergli. Sapevo che prima o poi sarebbe entrato in argomento, ma onestamente speravo che non capitasse mai. Naturalmente da un lato, quello che diceva, aveva senso, ma dall'altro, allo stesso tempo, mi sembrava così sbagliato. Ero sicura che, nonostante tutto, la nostra famiglia adottante non avrebbe mai voluto il nostro male. Mai. Magari non ci avrebbero mai protetto come facevano con i loro figli biologici, ma il fatto che avessero deciso di prenderci e di crescerci, nonostante fossero già una famiglia con tre bambini a cui pensare, non era un gesto da sottovalutare.
Eppure, decisi di non discutere di nuovo di questo argomento con Seb. Ultimamente lo avevo accontentato in tante cose. Eravamo diventati Parabatai, avevamo aumentato il numero di allenamenti alla settimana e di conseguenza passavamo più tempo insieme. Era ovvio che fosse contento della distanza che si era creata tra me e Ste, ma doveva anche rendersi conto che prima o poi avremmo fatto pace.
Mi sollevai da terra e lo guardai dall'alto, porgendogli la mano - Su, forza! Usciamo in giardino e insegnami un po' di tiro con l'arco! -.
Accettò la mia mano e si tirò su, ridendo, ma si percepiva che fosse stanco - Certo che sei proprio instancabile, non riesco a capire da chi tu abbia preso -.
_
 
Mi girai e rigirai più volte nel letto, senza riuscire a prendere sonno. Sicuramente il resto della mia famiglia era in ricognizione a notare l'orario che dava la sveglia sul mio comodino. Queste due settimane di punizione appena trascorse mi stavano facendo sentire come se fossi in una prigione. Non ce la facevo più e, forse, era proprio per questo che non riuscivo ad addormentarmi.
Scostai le lenzuola, mi alzai dal letto e aprii la finestra, uscendo sul balcone che dava su tutto il bosco, per prendere un po' d'aria.
C'era talmente buio che non si riuscivano a distinguere le ombre degli alberi che venivano create dal bagliore della luna piena. Era incantevole. Quella notte il cielo era persino libero dalle nuvole, tanto che si riuscivano a vedere le stelle e le costellazioni. Per un attimo, se chiudevo gli occhi, la brezza, fresca e leggera, riportava inconsciamente la mia mente ad Idris. Quanto mi mancava. Quanto mi mancava vivere senza tutta questa tecnologia. Quanto mi mancavano i vialetti e le case antiche del mio quartiere. Quanto mi mancava stare con la mia gente senza dover pensare costantemente a nascondere la mia vera identità. E, per ultimo ma non per importanza, quanto mi mancava non sentirmi un pesce fuor d'acqua.
Senza dubbio, vivere tra i mondani, era un'esperienza che i nostri antenati Cacciatori non si erano neanche mai sognati di poter fare, considerati gli avvenimenti dell'ultimo secolo. I miei genitori in tutta la loro vita avevano visto solamente Alicante, e così anche i genitori dei miei genitori. Essere tra i prescelti di questa missione, mi faceva sentire orgogliosa di me stessa e di ciò che ero. Tutto quello che stavo vivendo non avrebbe fatto altro che arricchirmi culturalmente, ma non c'era nessun posto come casa mia.
Qui stavo imparando molto sui mondani: avevo trovato l'amore e anche una bella amicizia, cosa che in quella piccola gabbia d'orata di Alicante non avevo. Necessità di cui non credevo di aver bisogno, finché non le avevo provate.
Mi sentivo così diversa, oppure ero sempre io, sempre la stessa ragazza, ma molto più libera.
Prima di venire a Forks non avrei mai mentito alla mia famiglia, eppure in quel momento, per amore, lo stavo facendo e stava cominciando a pesarmi. Prima, non mi sarebbe neanche lontanamente passato per la mente di socializzare con dei Nascosti o dei Mondani, per via delle faide storiche burrascose tra le diversità delle nostre specie, eppure adesso ero decisamente incuriosita a scoprirne di più, perché non erano decisamente gli esseri "loschi" e "cattivi" che ci descrivevano fin da piccoli. Prima, non avrei mai commesso nulla che sarebbe potuto andare contro il volere del Conclave, ora invece...
Smisi di pensare, passandomi entrambe le mani sul viso. Tutti quei pensieri mi avevano agitata. Avevo bisogno di distrarmi e, l'unico modo che conoscevo, era quello di andare in ricognizione. Decisi di cogliere al balzo quel moto di impulsività che stavo provando e, senza indugiare oltre, perché altrimenti sapevo che avrei cambiato idea, mi diressi verso l'armadio, aprii le ante di scatto per prendere la mia tenuta da combattimento e la indossai in fretta e furia.
Dopodiché, mi voltai verso la cassettiera dove, nel terzo cassetto, conservavo delle armi varie e il mio stilo, in caso d'emergenza. Fulminea, mi armai fino ai denti e mi disegnai qualche runa principale con lo stilo: in un attimo la mia pelle venne ricoperta da linee, spirali e cerchi scuri.
Alla fine, dopo essermi guardata intorno per verificare di non aver dimenticato nulla, tornai sul balcone della mia stanza, scavalcai la ringhiera e saltai giù. Atterrai con i piedi puntati nel terreno, piegando le ginocchia in modo tale da attutire meglio l'atterraggio.
Una volta finito, con la collana regalatami da Marie al collo, che probabilmente dopo l'ultima discussione famigliare le avrei dovuto restituire, e la pietra stregaluce stretta in una delle mie mani, mi inoltrai nell'oscurità del bosco. Per la prima volta, da sola.
_  
 
Non sapevo esattamente che ore fossero, ma sicuramente era passata almeno un'ora da quando avevo lasciato la mia stanza. Stranamente, nessuno mi aveva cercata al telefono che avevo appositamente portato con me, per evitare altre ramanzine in merito. Se nessuno aveva ancora tentato di contattarmi, poteva significare solamente che credevano che fossi ancora rinchiusa nella mia stanza a dormire.
Avevo fatto bene ad uscire, per la mia sanità mentale: ora che mi trovavo in mezzo alla natura mi sentivo più tranquilla e riuscivo a pensare con chiarezza.
Era buio pesto e, se non fosse per il potente bagliore che emanava la stregaluce, ero sicura che sarei caduta almeno quindici volte. La pietra che portavo al collo non aveva ancora cominciato a vibrare e questo era un buon segno. Tutto sommato, mi sentivo stranamente in pace, quasi a mio agio, in quell'ambiente, nonostante fossi da sola.
Cercai di non pensarci e, piuttosto, di concentrarmi su ciò che si muoveva intorno a me e sui suoi rispettivi rumori.
Si sentivano solo lo scroscio delle foglie degli alberi e dei cespugli, a causa del vento, e il rumore che provocavano i miei stivali ad ogni passo che facevo sulla terra umida. Sentivo l'acqua del fiume scorrere sempre più vicino a me, finché non mi ritrovai letteralmente sopra una delle sponde rocciose che lo costeggiavano.
Mi fermai per un attimo ad ammirare lo spettacolo della luna che rifletteva nell'acqua del fiume, quando ad un certo punto, sulla sponda opposta, notai un movimento tra gli alberi. Immediatamente, spensi la stregaluce e mi nascosi dietro il tronco di un albero, sporgendomi leggermente per continuare ad osservare la situazione, restando mimetizzata.
I rami e le foglie si mossero, finché dal bosco non uscì un lupo enorme, dal pelo che, sotto la luce fioca della luna, sembrava rossiccio. Era uno dei licantropi della riserva di La Push.
Restai per qualche secondo incantata ad osservarlo. Era proprio affascinante da vedere da vicino. Si trovava anche lui in cima alle rocce del fiume, sporto in avanti per annusare l'aria. Sembrava di vedere uno di quei documentari sulla natura incontaminata e gli animali maestosi che, ultimamente, ossessionavano George.
E poi successe tutto in un secondo. Il ciondolo che portavo al collo divenne incandescente e un'ombra scura e viscida mi passò accanto e si fiondò contro il lupo, che ululò, preso alla sprovvista. Il demone si era avvinghiato sulla schiena del licantropo, che si continuava a dimenare nella speranza di levarselo di dosso. Il lupo perse l'equilibrio e cadde su una delle rocce sottostanti, qualche metro più in basso. Fu in quel momento che capii che il Nascosto non ce la poteva fare da solo e, quando i mugolii aumentarono, decisi di uscire allo scoperto e intervenire. Mi avvicinai a gattoni alle rocce, per non farmi notare troppo evidentemente e, una volta che fui abbastanza a limite del bordo da prendere una buona mira, tirai fuori il mio pugnale.
- Amriel - sussurrai, e l'Adamas si illuminò.
Il demone notò immediatamente il bagliore alle sue spalle e si voltò leggermente nella mia direzione mostrandomi un sorriso pieno di lame, ma prima che potesse agire contro di me, ormai era troppo tardi. Il mio pugnale lo aveva già trafitto e il suo corpo scomparve in una nuvola di fumo nera, dopo essere stato scosso dalle convulsioni.
Restai sorpresa dalla scena che mi si presentò dopo. Non c'era più alcuna traccia del lupo rossiccio che stavo ammirando poco prima. Al suo posto c'era un ragazzo, muscoloso e dalla pelle ambrata, con i capelli corti neri e un tatuaggio sulla spalla destra. Era totalmente nudo, per via della trasformazione probabilmente e, oltre a gemere dal dolore, stava cercando di rannicchiarsi il più possibile su sé stesso, come per coprirsi o difendersi.
- Non ti muovere, adesso arrivo ad aiutarti - urlai, per evitare che si facesse ulteriormente male.
Vidi il suo sguardo terrorizzato setacciare una parte all’altra della riva, finché non mi vide. Probabilmente, si aspettava di essere da solo.
Scesi agilmente e con cautela le rocce e, grazie alla runa dell'agilità, riuscii a saltare il fiume, arrivando così sulla sponda opposta. Mi arrampicai velocemente, fino ad arrivare sul masso dove era adagiato il ragazzo.
- Chi sei?! Non mi toccare! - urlò, guardando il mio strano abbigliamento e l’elsa delle spade angeliche che mi spuntavano da dietro la schiena.
Notai che con una mano si stava coprendo una parte del braccio tatuato. Non chiedendo il permesso, gliela spostai con la forza, facendolo gridare. Il lembo di pelle che stava nascondendo era ferito e stava diventando nero molto velocemente. Quel demone lo aveva morso.
- Cosa sei?! - chiese nuovamente, in preda al panico.
- Vuoi davvero perdere tempo in convenevoli? - gli feci notare, indicandogli l’arto ferito - Se non ti fai aiutare, morirai! -.
- Lasciami, guarisco da solo! - si lamentò testardo, mentre si dimenava, per poi chiedermi - Cos'era quella cosa che mi ha aggredito? -.
Aspettai qualche secondo prima di ricominciare a parlare - Come ti chiami? -.
- Jacob -.
- Jacob, io sono Isabella. Quello era un demone e ti ha appena morso - gli spiegai, mentre nei suoi occhi vedevo passare diverse emozioni – Non puoi guarire da solo. Se non ti fai aiutare morirai e capire cosa sono sarà l'ultimo dei tuoi problemi -.
Si ammutolì. Dopo qualche secondo, mi fece cenno con la testa di proseguire e finalmente mi mostrò il braccio ferito senza ulteriori proteste. Dal morso pulsante uscivano rivoli di sangue mischiato a icore maleodorante. Non sapevo esattamente come comportarmi. Se fosse stato un Cacciatore, gli avrei disegnato un iratze con lo stilo, e la guarigione avrebbe cominciato a fare il suo corso in autonomia per combattere il veleno. Ma lui era un Licantropo e stava rischiando di fare la fine della fata che avevo trovato morta qualche settimana prima, se non mi fossi data una mossa.
Avevo letto da qualche parte, che se ti mordeva un serpente, avevi possibilità di salvarti se qualcuno ti succhiava via il veleno. Solamente l'idea mi faceva venire da vomitare, e non ero nemmeno sicura che potesse funzionare, ma non vedevo altre soluzioni. Era un tentativo.
- Devo provare a succhiare via l'icore - lo avvisai, ma Jacob si stava indebolendo, quindi si limitò ad annuire e chiudere gli occhi.
Attesi qualche secondo per prendere coraggio, dopodiché avvicinai la mia bocca al morso e cominciai succhiare. Immediatamente, mi voltai con la testa per sputare nel fiume il veleno che ero riuscita a raccogliere e ricominciai quel procedimento da capo. Continuai per un po' di minuti, facendo delle pause brevi tra un conato di vomito e l'altro, finché non notai che la ferita era chiara e pulita.
- Grazie - sussurrò dopo un po’ Jacob, che stava cominciando a riprendersi.
- Prego - risposi, facendogli un mezzo sorriso.
Ero contenta che fosse vivo, nonostante ancora debole. Stava per aggiungere qualcosa, quando sopra la mia testa sentii un ringhio. Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, paralizzati, finché non decisi di alzare lo sguardo. Tre lupi, sulla roccia qualche metro sopra di noi, mi stavano puntando. Mi sentii ghiacciare.
Jacob cercò di intervenire - Sam, non è come sembra -.
Ma il lupo nero al centro non sembrò ascoltarlo e gli altri due, con il pelo marrone chiaro dietro di lui, cominciarono ad ululare. Intuendo la situazione che si stava creando, decisi di non rischiare ulteriormente. Lasciai lì Jacob e cominciai a correre tra una roccia e l'altra e, quando mi trovai nella posizione giusta, saltai per tornare sull'altra sponda del fiume. Scalai velocemente i sassi e cominciai a correre per addentrarmi nuovamente nel bosco.
Dopo qualche minuto mi fermai a prendere fiato, convinta di averli seminati e di non essere più seguita. L’avevo scampata per un pelo.
Una volta ripresa, cominciai a guardarmi intorno per capire dove fossi finita. Non riuscivo a vedere niente, perciò sfilai dalla fodera della mia cintura Cassiel, sussurrando il suo nome. La lama della spada si illuminò al mio comando, facendo abbastanza luce da permettermi di vedere che cosa mi circondava.
Iniziai a girare su me stessa, per illuminare quanta più boscaglia possibile, per capire dove andare, quando all'improvviso, per la paura, rischiai di far cadere la mia spada a terra.
Mi ritrovai nuovamente davanti il branco di La Push, solo che stavolta erano in quattro. Restammo immobili a fissarci per qualche secondo. Così da vicino, potei effettivamente notare che la loro altezza sfiorava circa i due metri e i loro nasi sbuffavano aria come delle locomotive.
Con il cuore in gola, strinsi più forte la mia mano destra intorno all'elsa della spada.
Anche se non volevo combatterli, non solo perché ero in netta minoranza, ma anche perché non mi andava di fare del male a dei Nascosti che stavano svolgendo soltanto il compito di proteggere la loro tribù, mi ritrovai costretta a farlo, quando un lupo iniziò a corrermi incontro ringhiando.
Mettendomi in posizione d'attacco, saltai quando fu abbastanza vicino, schivandolo, per poi ficcare l'Adamas della mia spada nella sua schiena.
Nello stesso istante che il lupo emise un gemito dolorante e, senza che me ne accorgessi, un altro licantropo prese il suo posto, prendendomi per la manica della mia giacca di pelle e iniziando a trascinarmi lontano dal suo compagno ferito.
Mi stava facendo male al braccio sinistro, perciò decisi di abbandonare la spada, dato che mi era solo di intralcio in quel momento, per iniziare a colpirlo con una raffica di ganci destri sul muso, nel tentativo di fargli male o anche solo di dargli fastidio.
Il lupo nero ringhiò più forte e, di conseguenza, la sua presa sul mio braccio si fece più salda, facendomi sussultare: i suoi denti avevano lacerato la mia carne. Mi aveva ferita. Dei puntini neri iniziarono ad oscurarmi la vista, confondendomi per qualche istante. Iniziai a sentire il sangue sgorgare a flotti e scendere appiccicoso lungo il mio braccio. L’adrenalina mi diede nuovamente qualche secondo di lucidità, così cominciai a scalciare nel tentativo che quel cavolo di lupo mi lasciasse andare.
Vidi un altro licantropo davanti a me, che stava seguendo la scia che i miei stivali stavano tracciando sull'erba bagnata.
Tentai più volte di raggiungere con le dita, i pugnali che si trovavano all'interno dei miei stivali, ma ogni volta che ci provavo, il lupo mi strattonava facendomi tornare alla posizione di partenza, di proposito. Iniziai a stringere i denti per il dolore, non ero mai stata così tanto tempo senza l'effetto di una runa di guarigione. I suoi denti si trovavano ancora nella mia ferita. Avrei urlato dal dolore se solo non mi fosse stato insegnato fin da piccola a sopportare e a non far mai vedere le mie debolezze all'avversario.
Piuttosto, continuai a muovermi nel tentativo di sfuggire al lupo e, quando miracolosamente ci riuscii, non senza però assestare un altro cazzotto alla sua mascella, mi alzai velocemente in piedi con l'intenzione di arrampicarmi su un albero.
Ero abbastanza veloce, grazie alla runa della velocità, per correre via da loro, ma non abbastanza per seminarli, infatti riuscivo a sentire benissimo i loro passi pesanti seguirmi.
Quando finalmente davanti a me si parò il tronco perfetto, iniziai ad arrampicarmi velocemente, afferrandomi ai rami per aiutarmi a salire. Sfinita, mi sedetti a penzoloni su un ceppo dell’albero.
Probabilmente, non riuscii ad andare molto in alto, perché potevo ancora vedere chiaramente i due lupi che si trovavano alla base del tronco. Il terzo licantropo li raggiunse poco dopo, probabilmente si era preoccupato del compagno che avevo ferito poco prima.
Sapevo che se non fosse stato per il dolore che provavo in tutto il braccio, sarei riuscita ad arrivare fino alla cima dell'albero per mettermi al sicuro. Comunque, ormai era troppo tardi.
Il piccolo gruppo di lupi iniziò ad abbaiarmi contro, finché ad un certo punto, uno di loro, non iniziò a saltare sulle sue zampe posteriori, in modo tale da potermi raggiungere.
Cercai di alzarmi in piedi sul ramo, in modo tale che non potesse afferrarmi per una caviglia e trascinarmi giù, ma nello stesso istante in cui i miei piedi si puntarono saldamente sul legno, uno dei lupi prese la rincorsa e si scagliò contro l'albero facendomi perdere l'equilibrio.
Fortunatamente, persi i sensi prima ancora che il mio corpo toccasse terra.
 
 
 
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Besos :-*
 
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Capitolo 24
*** 23. I'm a Shadowhunter ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


23. I’m a Shadowhunter

 

Quando iniziai a riprendere conoscenza, la prima cosa che mi colpì fu l'indolenzimento che attanagliava tutto il mio corpo, a partire dall'attaccatura dei capelli fino alle punte dei piedi.
Qualunque cosa avessi combinato la sera precedente, era strano che l'iratze non avesse ancora fatto effetto. Avevo serie difficoltà a ricordare che cosa fosse accaduto. Ero estremamente confusa e stanca, in sedici anni di vita non mi era mai capitato di sentirmi così male.
Senza aprire gli occhi, mi mossi leggermente cercando di trovare una posizione più comoda per i miei poveri muscoli, ma una fitta improvvisa al braccio, che si trasformò subito in un bruciore lancinante, mi immobilizzò immediatamente facendomi gemere. A susseguirsi, altri piccole fitte in tutto il corpo mi bloccarono quasi il respiro.
E fu proprio in quel momento, come un flash, che le immagini della sera precedente mi assalirono: l’insonnia, la mia piccola e stupida fuga, il demone, i licantropi, lo scontro, la caduta dal ramo… improvvisamente divenne tutto più chiaro.
Con una strana angoscia che faceva male al petto, aprii di scatto gli occhi guardandomi intorno, sbattendo le palpebre un paio di volte. Ero sola. Completamente sola.
L'arredamento che mi circondava era scuro, ciò nonostante era ben illuminato dalla luce chiara che penetrava dalle tende delle finestre. Sulla parete alla mia destra si trovava un enorme libreria, piena di manufatti molto antichi. Al centro della stanza si trovava una pesante, antichissima e costosissima scrivania in non so quale legno, dove erano appoggiate parecchie scartoffie, comunque tenute molto in ordine.
Capii dove mi trovavo quando guardai i quadri appesi ad una delle pareti spoglie della stanza, anzi, uno in particolare attirò la mia attenzione: quello dei Volturi.
Con cautela, cercando di moderare i movimenti, puntai i gomiti sul lettino, che somigliava tanto a uno di quelli che venivano utilizzati a scuola, e dove, evidentemente, avevo passato la notte.
In quel momento mi guardai meglio e notai che non indossavo più la mia tenuta da combattimento. Al suo posto, stavo indossando una maglietta bianca, abbastanza larga, a mezze maniche che lasciavano intravedere la fasciatura della ferita causata dai licantropi, i lividi, le rune e anche le cicatrici causate da quest'ultime. Inoltre, portavo dei pantaloni da ginnastica scuri, allacciati alla vita con un fiocco.
Mi agitai ulteriormente quando mi resi conto di non avere più alcuna arma con me. Dove erano state messe?
Lentamente, mi alzai, lottando con i capogiri, e mi diressi verso la porta. Tanto valeva affrontare la situazione immediatamente, che senso aveva aspettare?
La cosa che mi terrorizzava di più era di non avere il controllo sulla situazione. Non avevo la minima idea di quello che mi sarebbe aspettato quel giorno.
Appena misi piede in corridoio, delle voci attirarono la mia attenzione e non esitai un attimo a seguirle. Nonostante casa Cullen fosse un labirinto da quanto era immensa, riuscii a riconoscere il corridoio che conduceva alle scale che portavano al piano inferiore.
Le voci improvvisamente si trasformarono in un litigio, ma non riuscivo a capire molto bene di cosa stessero discutendo.
Appena arrivai ai piedi delle scale che portavano al piano di sotto, la stanza calò in un silenzio a dir poco glaciale. Non guardai nessuno, anzi, abbassai lo sguardo sui miei piedi nudi, stando attenta a non sbagliare e scendere due gradini al posto che uno alla volta, tenendo la mano ben salda sulla ringhiera.
Quando arrivai quasi alla fine, una figura si smaterializzò al mio fianco, porgendomi la sua mano pallida.
- Lascia che ti aiuti -.
Alzai lo sguardo e non mi stupii di riconoscere il volto di Edward che mi guardava preoccupato, anche se potei notare che i suoi occhi tendevano a scivolare anche sui disegni che riempivano le mie braccia. Non lo ascoltai. Anzi, lo ignorai, senza alcuna pietà. Improvvisamente mi sentivo furiosa, con chiunque, anche con lui.
Mi fermai sugli ultimi gradini delle scale e iniziai a studiare i volti del resto delle persone presenti in salotto.
A sinistra, vicino alla vetrata più grande della stanza, accanto al pianoforte, si trovava Carlisle, il medico che voleva curarmi in ospedale qualche settimana prima, nonché creatore e capo clan della famiglia Cullen. Aveva le braccia incrociate, ma non sembrava avere un atteggiamento minaccioso. Paradossalmente mi sorrise, forse nel vano tentativo di rassicurarmi.
Alla mia destra, seduta su un divano in pelle bianca, c'era una donna che non conoscevo, con dei capelli lunghi fino alle spalle color caramello. Aveva uno sguardo dorato molto dolce e un sorriso leggermente teso. Era incantevole.
Dietro di lei, in piedi, si trovavano Jasper e Emmett, immobili e seri come due statue. Mi resi conto che Emmett faceva quasi fatica a guardarmi, ma non riuscivo a capirne il motivo.
Non seppi fare a fare a meno di sentirmi come se mi stessero studiando, come se stessero aspettando che esplodessi o facessi una strage, quando comunque quella ad essere in netta minoranza ero io.
In quel momento, per quanto cercassi di fidarmi di Edward, proprio non ci riuscivo. Mi sentivo in pericolo, esposta e anche un po' presa in giro. Chissà da quanto aspettava questo momento per mettermi alle strette. E se tutto quello che mi aveva detto era solo una trappola a cui, ingenuamente e stupidamente, io avevo abboccato? Nonostante fossi totalmente immersa in questo turbine di pensieri decisamente negativi, ad un tratto mi accorsi che non eravamo soltanto noi in quel salotto.
Esattamente davanti a me, in linea d’aria, dalla parte opposta della stanza, davanti alla porta d'ingresso, si trovavano tre ragazzi dalla pelle olivastra, alti e muscolosi. Indossavano solamente un paio di bermuda e mi guardavano con sguardi indecifrabili. Improvvisamente, riconobbi Jacob, il ragazzo che avevo salvato la sera precedente da quel demone.
A quella vista, tutto il mio corpo si impadronì di una rabbia incontrollabile.
- BRANCO DI CANI IDIOTI, SI PUO' SAPERE CHE COSA AVETE NEL CERVELLO?! - gli urlai contro.
Superai Edward in un lampo, saltai gli ultimi gradini che mi restavano e iniziai ad incamminarmi verso il branco come un treno in corsa.
Le braccia fredde di Edward mi riacciuffarono immediatamente, prima che le mie gambe potessero cedere, trattenendomi per la vita - Bella... Non fare così... -.
Se fino a qualche secondo prima, lo sguardo del licantropo al centro sembrava indecifrabile, in quel momento era molto più simile al mio. Furente.
Nel frattempo me la presi con Edward, cercando di liberarmi dalla sua presa e provando ad ignorare il dolore che sentivo in tutto il corpo - Lasciami andare! Non toccarmi! Io mi fidavo di te! -.
Iniziai a tirargli pugni sul petto, facendomi soltanto ancora più male, ma non mi arresi.
Lui mi guardava allibito, completamente preso alla sprovvista - Bella ti assicuro che non è come pensi... -.
Con un ultimo strattone mi liberai dalle sue braccia, rischiando quasi di perdere l'equilibrio - Non chiamarmi Bella! Non hai alcun diritto dopo ciò che mi hai fatto! -.
Sgranò gli occhi - Io non ti ho fatto proprio niente! -.
- Non è vero! - urlai, puntando un dito contro i licantropi - Hai cospirato insieme a loro per togliermi di mezzo! Come ho potuto credere a tutte le tue assurdità?! -.
Mi veniva da piangere, mi sentivo presa in giro e non potevo far altro che prendermela con me stessa. Era tutta colpa mia, me l'ero cercata. Ero stata ingenua e stupida. Non avrei mai dovuto farmi abbindolare da un vampiro.
- Jasper - lo chiamò Edward, preoccupato e ferito.
Mi voltai verso suo fratello, per cercare di avere un minimo di controllo su quella situazione che mi era totalmente sfuggita di mano.
Il biondo aveva gli occhi neri come la pece puntati su di me, sembrava estremamente concentrato, ma la sua espressione era frustrata - Non funziona Edward, non riesco a capire... -.
- Che cosa non funziona? Cosa sta succedendo? - chiesi allarmata passando lo sguardo fra Edward e Jasper, fino a che non mi ricordai dei loro poteri, così urlai, totalmente fuori di me – COSA STATE CERCANDO DI FARMI?! -.
Carlisle nel frattempo si era posizionato davanti a me, come se stesse cercando di farmi da scudo dai licantropi, probabilmente perché l’Alpha aveva fatto minacciosamente qualche passo nella mia direzione.
- Perché hai attraversato il confine?! Ci sembrava di essere stati chiari! – ringhiò.
- Sam... - lo canzonò il vampiro davanti a me, tranquillamente, ma senza voltarsi.
- Non so di che cosa stai parlando! - gridai di rimando - E poi non ho attraversato nessun confine! -.
- Sì che l'hai fatto! - si avvicinò a grandi passi verso di me, a un metro di distanza dal dottore - Avremmo dovuto uccidere i due ragazzi immediatamente, così adesso non avremmo avuto questo problema! -.
I due ragazzi? Non poteva di certo riferirsi ai miei fratelli… 
Ma poi mi ricordai la sera in cui Jonathan aveva perso la testa e il fatto che non ci avesse ancora perdonati. E in quel momento capii: Will e George avevano attraversato il confine, ancora per motivi a me sconosciuti, ed era per questo che mi avevano attaccata, nonostante stessi solamente cercando di salvare la vita ad un membro del loro branco.
Sapevo che la mia ipotesi era corretta, noi eravamo gli unici Cacciatori presenti a Forks, non potevano aver confuso il nostro aroma con il fiuto che avevano. Sinceramente, l’ultima cosa a cui avevo pensato in quel momento era prestare attenzione ai confini mentre salvavo la vita di uno di loro.
Comunque, il modo in cui aveva parlato dei miei fratelli, minacciando di ucciderli, non era accettabile.
- Non azzardarti a parlare in questo modo della mia famiglia! – mormorai, scandendo lentamente le parole, cercando di spostare il vampiro con uno spintone per poter mettere le mani addosso a quel cane – Se non fosse stato per me, il lupacchiotto alle tue spalle non sarebbe qui a respirare il nostro stesso ossigeno! -.
Edward mi afferrò per la vita, mentre Carlisle per il braccio, bloccandomi prima che riuscissi a raggiungere Sam. Lo stesso fecero i suoi due scagnozzi con lui, trattenendolo per le spalle. Il suo respiro era aumentato molto velocemente.  
- Basta! - ci rimproverò il Carlisle - Possiamo discuterne civilmente, per favore? - poi si rivolse all'Alpha - Posso comprendere questo atteggiamento da Isabella, in quanto spaventata, ma non da te Sam. Perciò, prendiamo un ber respiro e calmiamoci, va bene? -.
Io, spaventata?! Okay, forse un po'...
Nessuno a quel punto osò più fiatare, eseguimmo gli ordini del nostro mediatore provvisorio, anche se io e Sam continuavamo comunque a lanciarci certe occhiate che lasciavano intendere più delle parole.
Edward non si era allontanato da me neanche per un secondo, nonostante la mia scenata di prima, come se volesse essere davvero sicuro di non mettermi in pericolo. Adesso che ero riuscita a tranquillizzarmi e a riprendere un minimo di lucidità, mi sentivo una stupida. Impulsivamente me l’ero presa con lui, quando non aveva alcuna colpa, ma mi ero semplicemente fatta prendere dal panico! Ero da sola, circondata da vampiri con un palese atteggiamento difensivo, e licantropi che nemmeno conoscevo. Sarebbe stato normale per chiunque sentirsi un po’ sotto attacco, no?
- Adesso - disse Carlisle, che mi stava ancora tenendo per il braccio sano - ti prego di accomodarti sul divano, vicino a mia moglie Esme - indicandola educatamente con la mano - Sei ancora molto debole, non è un bene per te fare sforzi in questo momento -.
Ero confusa. Non riuscivo a capire perché fosse così gentile con me, senza neppure sforzarsi troppo, dopo tutto lo scompiglio che avevo creato in casa sua con la sua famiglia. Probabilmente, era stato lui a curare le mie ferite e prendersi cura di me, mentre ero incosciente.
Edward mi risvegliò dai miei pensieri prendendomi delicatamente e con indecisione la mano, come se si aspettasse un rifiuto da parte mia, ma ero più calma, e in quel momento non l'avrei mai fatto.
Mi serviva la vicinanza di una persona fidata e volevo davvero sforzarmi a credere nella buona fede di Edward, volevo davvero fidarmi di quello che avevamo costruito nelle ultime settimane a questa parte, anche se qualunque cosa ci fosse fra di noi, non riuscivo ancora a darle un nome.
Il ragazzo accanto a me, decisamente più tranquillo dopo la mia reazione, mi trascinò verso il divano, facendomi accomodare accanto ad Esme, che mi regalò un sorriso materno. Edward invece rimase in piedi, ma sempre accanto a me.
Dovevo davvero fare pena a tutti quanti. Non sapevo più cosa pensare.
- Anche se ci siamo già conosciuti, ci tengo a presentarmi ufficialmente. Io sono Carlisle - attirò la mia attenzione il sottoscritto - Nonostante non sia un buon momento, è un piacere conoscerti. Ho sentito tanto parlare di te -.
Immediatamente il mio guardo si posò sulla figura di Edward che, invece, con aria colpevole, decise di non guardarmi. Aveva parlato di me alla sua famiglia e, con tutta probabilità, Emmett aveva fatto lo stesso con Stephan. Non riuscivo a non sentirmi un po' tradita dal suo comportamento, considerando che io non avevo parlato di lui ai miei genitori. Certo, i motivi non erano esattamente quelli giusti, ma non l'avevo fatto. Mentre lui sì.
Carlisle, notando la mia reazione, capì l'errore che aveva appena commesso, perché cercò di distrarmi presentandomi il resto delle persone nella stanza - Come ho già detto, lei è mia moglie Esme. -
Mi voltai verso quella donna così bella e materna, che mi sorrise e inaspettatamente catturò la mia mano con la sua fredda, facendomi sussultare. Tutti i vampiri che si trovavano in quella stanza sembrarono trattenere il fiato, ma notando che non mi ero messa a urlare e a strepitare, non dissero nulla.
- È davvero un piacere conoscerti per me, Isabella - disse la donna.
Annuii sorridendo appena, imbarazzata dal tono di voce che aveva usato. Nessuno si era mai rivolto così a me, in un modo così smielato... mi aveva presa alla sprovvista.
Carlisle si avvicinò di qualche passo, indicando i due vampiri alle mie spalle - E sono convinto che conosci già Emmett e Jasper, alcuni dei nostri figli -.
- Sì, li conosco - affermai, girandomi per spostare lo sguardo su Jasper, che aveva ancora un'espressione severa sul volto, per poi indugiare qualche secondo in più sul viso di Emmett, che era talmente serio e pensieroso da non sembrare nemmeno lui. Edward invece teneva lo sguardo basso, sembrava quasi in difficoltà in quella situazione.
- Mentre loro sono alcuni membri del branco La Push - disse voltandosi verso di loro - Sam, che come avrai ben capito, è l'Alpha, e poi ci sono Jacob e Seth - li indicò uno ad uno.
Sam sembrava ancora arrabbiato con me e questo mi faceva venir voglia di prendergli la testa e sbattergliela tante volte contro il muro. Gli altri due invece sembravano piuttosto tranquilli e incuriositi. Ovviamente, io ero una novità per loro. Non potevo dire lo stesso per gli altri cinque vampiri presenti nella stanza.
- Penso che abbiamo molte cose da dirci - iniziò Carlisle, guardandomi negli occhi come se mi stesse chiedendo il permesso.
Sospirai e abbassai lo sguardo sui pantaloni che stavo indossando, di cui non sapevo ancora la provenienza - Lo penso anche io -.
E fu in quell'istante che sentii di nuovo gli occhi di Edward puntati su di me. Alzai il capo per verificare quella sensazione, ed era così, mi stava guardando. Aveva una strana luce negli occhi, sembrava quasi un misto tra sorpresa e insaziabile voglia di sapere, di conoscermi. Arrossii e spostai lo sguardo da un’altra parte.
- Che cos'è Carlisle?! - domandò bruscamente Sam, incenerendomi con lo sguardo.
Mi voltai immediatamente verso di lui, tornando sulla difensiva. Digrignai i denti e tutti in quella stanza sembrarono notarlo.
- Una cosa alla volta, Sam - lo ammonì gentilmente lui, facendogli gesto con le mani di essere più paziente - Prima una cosa - disse rivolgendosi nuovamente a me - Come ti senti Isabella? Ti serve qualcosa? -.
Lo guardai con gli occhi praticamente fuori dalle orbite: si stava interessando a me, ai miei bisogni, alle mie ferite, e non potevo non restarne sorpresa nonostante tutto.
- Esatto cara, hai fame? Hai sete? - continuò in modo apprensivo sua moglie Esme - Posso prepararti qualcosa, tutto quello che vuoi... -.
La interruppi nel modo più gentile possibile - No... No, grazie, sto bene... Un po' indolenzita, ma bene... -. 
Entrambi mi sorrisero rincuorati dalla conferma che gli avevo appena dato.
- Ne sono contento - aggiunse Carlisle, prendendo posto sulla poltrona vicina a dove eravamo sedute io ed Esme e, indicando invece ai licantropi, di sedersi pure sull'altro divano, quello più vicino alle finestre. Quando si accomodarono anche loro, vidi Edward farsi più tranquillo e, di conseguenza, anche Jasper e Emmett sembrarono abbassare la guardia. Il vampiro dai capelli ramati si sedette esattamente vicino a me e non riuscivo a non pensare ad altro che alle nostre gambe che si sfiorarono per un secondo. Improvvisamente sentivo caldo, davvero caldo. Anche lui non sembrava essere totalmente indifferente a quel contatto.
Jasper e Emmett, invece, fecero il giro del divano e il primo si accomodò sul seggiolino del pianoforte mentre il secondo restò in piedi rigidamente accanto al fratello.
- Bene - annunciò Carlisle - Ora che siamo tutti più tranquilli, direi che possiamo iniziare a discutere di quello che è successo -.
Carlisle era un vero Leader, come ruolo gli calzava proprio a pennello, probabilmente per la sua lunga esperienza di vita. Tutto sommato, non riuscivo a capire che legame ci fosse tra i Quileutes e i Cullen: avrebbero dovuto essere nemici per natura, e invece se ne stavano lì, tranquilli, a parlare e discutere dei problemi invece che farsi la guerra. Probabilmente erano riusciti a raggiungere qualche accordo.
- Ricordi qualcosa Isabella? – continuò Carlisle.
Mi guardai intorno, sentendomi un po' a disagio dato che avevo gli occhi di tutti puntati su di me.
Il mio sguardo si posò di nuovo su Edward che, nonostante tutta la preoccupazione che gli leggevo negli occhi, mi sorrise tranquillamente, come per incoraggiarmi a parlare.
Presi un bel respiro e cominciai - Sì, ricordo tutto, anche se in modo confuso - .
Sam intervenne senza pensarci due volte - Allora raccontaci, cosa ci facevi di nuovo nel nostro territorio? - domandò, controllando comunque il tono di voce.
Assottigliai gli occhi - Non sapevo di aver attraversato il confine – dopodiché spostai lo sguardo sul licantropo che avevo salvato - Avevo altri pensieri per la testa in quel momento - .
Jacob mi guardò riconoscente, annuendo, mentre io ricambiai sorridendogli timidamente.
- Non mi riferisco solamente a ieri notte. È la terza volta che lo fate, quindi cosa cercate? Cosa volete? - aggiunse senza prestare troppa attenzione a quello che avevo appena detto.
- La terza volta? – domandai retoricamente, ma proprio in quell'istante ricordai.
Si stavano riferendo a quando avevano captato il nostro odore per la prima volta, il mio e quello di Sebastian. Qualche settimana fa, quando l'avevano fiutato per la seconda con George e Will e infine, con me la scorsa notte. Avevano ragione.
- Sì, la terza volta! La prima tu e un altro ragazzo vi siete nascosti su un albero, come se non potessimo vedervi o non potessimo raggiungervi! - esclamò alzando gli occhi al cielo - La seconda, altri due ragazzi della tua razza hanno oltrepassato il confine, e poi tu - continuò l'Alpha, facendomi rabbrividire quando dalle sue labbra uscì la parola "razza", con così tanta cattiveria...
Non risposi.
Non sapevo cosa dire ed ero troppo scioccata per inventarmi una qualche scusa campata in aria.
- Avremmo dovuto uccidervi la prima volta, solo così avreste imparato la lezione - sussurrò Sam, ma lo sentirono praticamente tutti.
- Sam! - lo rimproverò Seth, mentre Edward al mio fianco si tese come una corda di violino.
Dalla sua bocca uscì un ringhio che fece tremare persino le pareti del salotto. E anche me a dirla tutta, che senza accorgermene, mi ero allontanata di qualche centimetro da lui.
Esme mi accolse tra le sue braccia - Edward! - lo rimproverò - La stai spaventando, torna in te! -.
Immediatamente i suoi occhi dorati si posarono su di me, colpevoli e preoccupati.
- Mi dispiace – sussurrò talmente a bassa voce, come se volesse farlo sentire solo a me.
Non ero sicura che si riferisse soltanto al ringhio mostruoso che aveva emanato poco prima...
Annuii debolmente e cercai di concentrarmi di nuovo su Sam - Allora perché non l'avete fatto? Perché non ci avete uccisi? -.
- Noi non uccidiamo senza prima avere delle giuste motivazioni, a differenza di qualcun altro... – constatò, riferendosi palesemente a me.
Forse perché aveva visto le mie armi e, per questo, credeva che uccidessi per il semplice piacere di farlo. Non era così, non sapeva neanche lontanamente quanto si sbagliava. Poi improvvisamente ricordai un altro dettaglio della sera precedente: avevo ferito gravemente uno dei loro compagni e forse era proprio per questo che mi stava trattando in quel modo. Sentii il mio cuore iniziare a battere più velocemente: e se lo avevo ucciso? Non volevo fargli del male, stavo solo cercando di difendermi.
Sentii gli occhi pizzicare per quella che sembrava l’ennesima volta in quella giornata infinita - Io... Io non volevo... come sta? Sta bene? -.
La mia voce tremava, come le mie mani del resto.
Sembravano tutti sorpresi della mia reazione, ma Sam non si lasciò incantare - Non sono affari che ti riguardano! -.
Mi morsi il labbro passandomi una mano fra i capelli annodati.
Sentii Carlisle sospirare per l’atteggiamento di Sam - L'ho visitato, sta bene. Qualche ora di sonno e sarà come nuovo -.
Annuii riconoscente per avermi degnata di una risposta e poi gli chiesi senza troppi peli sulla lingua – Come fai a resistere? -.
Insomma, lavorava in ospedale, immaginavo che gli potesse capitare di tutto. Inoltre, le ferite che avevo inflitto al licantropo dovevano essere davvero profonde e sicuramente aveva perso tanto sangue. Aveva medicato anche le mie ferite.
Sembrò notare la mia espressione quasi sconvolta, perciò ridacchiò – Amo il mio lavoro e non c'è pericolo per gli abitanti di Forks: ho più di trecento anni e sono ben allenato! -.
Sentii le mie guance colorarsi leggermente di rosa. Non ero mai arrossita così tante volte nella mia vita finché non avevo messo piede in questa città. Ormai era ovvio, sapevano che sapevo cos'erano, ma non sembravano esserne troppo turbati.
- Da quanto sai che siamo vampiri? - parlò Jasper.
Edward mi guardava attentamente. Effettivamente non mi aveva mai posto questa domanda in particolare. Sembrava frustrato. Sapevo che i Nascosti avevano parecchi sbalzi d'umore, ma non pensavo così tanti.
- Dalla prima volta che ti ho visto, che vi ho visto – sussurrai, guardandolo negli occhi.
Lessi sgomento nel suo sguardo, ma durò solo qualche secondo.
Senza che se ne accorgesse il suo viso si era avvicinato di più al mio - Che cosa sei? -.
Il suo alito fresco rischiò di mandare in tilt tutti i miei sensi. Guardai Carlisle: dal suo sguardo capii che sapeva già cos'ero, lo stesso Edward probabilmente, ma forse volevano solo che gli dessi la conferma. Emmett continuava ad essere impassibile.
Non sapevo cosa fare.
Io sapevo di loro, e non mi sembrava corretto non rivelargli la mia vera natura dopo che Carlisle mi aveva salvato la vita. Ma ero sotto giuramento del Conclave, e non potevo, davvero, dire cos'ero. Ero già nei guai per aver fraternizzato con dei mondani e dei Nascosti, non osavo pensare che cosa mi avrebbero fatto se avessi confermato a parole i loro dubbi e le loro ipotesi.
Stavo iniziando ad entrare in panico.
Scossi la testa velocemente - Non posso dirvelo - .
- Tu ce lo devi dire! - esclamò Sam ad alta voce.
Mi presi il viso fra le mani, cercando di non impazzire.
- Chiudi quella bocca, Sam! - urlò in tutta risposta Edward, per poi posarmi delicatamente una mano sulla schiena, come per tranquillizzarmi.
- No che non la chiudo! È più di un mese che corriamo dietro a questi esseri senza capire cosa diamine sono e... -.
Ma venne interrotto da un'altra voce, mai sentita prima d'ora - Sam, è inutile che ti arrabbi, è in difficoltà e la stai aggredendo. Se le urli contro non ci dirà niente -.
Ringraziai mentalmente quel ragazzo, che doveva chiamarsi Seth.
Questa scelta mi stava facendo scoppiare la testa, letteralmente.
- Isabella - fu Carlisle a prendere la parola - Non riveleremo a nessuno la tua natura, ti promettiamo la nostra più totale discrezione, a patto che tu ovviamente mantenga il nostro di segreto... -.
Non sapevo dove sbattere la testa, non sapevo se fidarmi... Come avevo fatto a cacciarmi in questo casino? Perché non avevo detto a Jonathan e Marie dell'esistenza della famiglia Cullen? Perché avevo ascoltato a Ste? Perché non avevo insistito di più per stare lontana da Edward? Perché non ero stata più prudente e basta? Che incosciente.
Decisi di confermare le loro teorie e ipotesi, anche se loro sapevano sicuramente già tutto. Non avevo più nulla da perdere ormai. Con tutto quello che avevo combinato, ero già nei guai. Alzai la testa togliendomi le mani dalla faccia.
- Okay, ve lo dirò - dal mio tono di voce traspariva una sicurezza che in quel momento non mi apparteneva - Sono una Shadowhunter, una Cacciatrice di demoni -.
 
 
 
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Capitolo 25
*** 24. Photographs ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


24. Photographs

 
- Sei una… cosa? - domandò allibito Sam, sporgendosi in avanti come se avesse sentito male.
Sospirai, passandomi una mano tra i lunghi capelli annodati per la nottata precedente - Sono una Shadowhunters, una Cacciatrice di demoni - il mio tono di voce era incolore.
Ormai avevo sganciato la bomba, dovevo solo aspettare che da un momento all'altro esplodesse. Carlisle e Edward non sembravano per niente sorpresi, anzi, si sorrisero discretamente a vicenda e sembravano felici di aver trovato una conferma alle loro ipotesi. Poi guardai Jasper, che sembrava piacevolmente sorpreso dalla mia rivelazione. La luce negli occhi di Esme invece non era cambiata, mi guardava con così tanta dolcezza da farmi arrossire nuovamente. Jacob e Seth alla notizia sembravano sovraeccitati, i loro occhi brillavano di curiosità. Mentre Emmett, che si era comportato in modo anomalo per tutto il tempo, a quella conferma sembrò essere ancora più in difficoltà rispetto a prima. Nonostante non ci andassi tanto d’accordo, cominciai a preoccuparmi. Era davvero così brutto per i Nascosti avere vicino uno di noi?
- Noi... – balbettò Edward dopo un lungo silenzio, guardandomi di sottecchi - Noi pensavamo che foste morti con l'Invasione... -.
Mi si gelò il sangue nelle vene – Cosa? -.
Com’era possibile che fossero a conoscenza dell’Invasione di dieci anni prima? Per il mondo sovrannaturale, dopo la nostra memorabile Battaglia contro i demoni, noi Cacciatori ci eravamo estinti da almeno un secolo quando, in realtà, i nostri antenati si erano rifugiati tra le braccia della nostra terra madre di nascosto. Ma l’informazione della nostra ritirata non era mai uscita dalle porte di Idris, e nemmeno quella dell’Invasione. Perlomeno, credevo che fosse così fino a quel momento.
Edward si rese conto di aver commesso un errore e si voltò verso Carlisle, come per salvare la situazione. Il dottore a sua volta lanciò qualche sguardo ad Emmett, come se si aspettasse che sarebbe intervenuto nella conversazione da un momento all’altro, cosa che non fece. E dire che, da quando lo conoscevo, aveva sempre una parola per tutto.
Carlisle si sgranchì la voce – Fino a tredici anni fa, Emmett è stato un Cacciatore, proprio come te -.
Mi paralizzai. Il mio cervello non sapeva esattamente come reagire a questa scoperta, soprattutto perché non riusciva a comprendere come fosse potuta accadere una cosa del genere tredici anni prima. Il Conclave aveva dato il consenso solo quest’anno di uscire da Idris e, fino a quel momento, nessuno aveva mai potuto varcare le protezioni delle torri anti-demoni. Non c’era modo di uscire, quindi, per forza di cose, se Emmett fosse stato al sicuro dentro ai confini, non sarebbe mai stato morso. Come aveva fatto a sviare le difese della città?
Ero totalmente senza parole. Guardai Emmett, ma lui non ricambiò il gesto neanche per sbaglio. Aveva lo sguardo fisso, perso, davanti a sé, pensieroso. Mai come in quel momento desideravo essere dotata dello stesso potere di Edward, anche se lui stesso, nonostante le sue capacità, sembrava confuso riguardo a quello che stava succedendo al fratello.
Inevitabilmente, mi rivolsi ad Emmett, ancora sotto shock – Com’è possibile? Il Conclave… -.
Mi interruppe bruscamente, guardandomi finalmente negli occhi – È stato proprio il Conclave a farmi uccidere, se vogliamo essere del tutto onesti – si passò una mano nervosamente sul viso, per poi continuare a parlare – Se credi che il Conclave sia buono e giusto, ti sbagli di grosso. Ti fanno credere di avere una voce, di essere ascoltato, di lottare tutti insieme per una giusta causa, di avere lo stesso obiettivo comune… ma tu non hai idea di quante volte si sia mosso di nascosto per raggirarci tutti. Lo stesso è successo sia a me sia ad altri Cacciatori, solamente che io sono l’unico rimasto a poterlo ancora raccontare! -.
Quelle parole mi spiazzarono, ma dal modo in cui si era espresso, non potevo dubitare di lui: sembrava essere ancora molto infuriato da ciò che gli era successo. E potevo comprenderlo, anche se comunque stava avendo una nuova seconda vita, circondato da delle persone che lo amavano. Non doveva sottovalutare la cosa, anche se potevo capire perfettamente la sua frustrazione.
Nonostante la tensione che si era creata dopo quello che Emmett aveva detto, mi sentivo stranamente più tranquilla e leggera ad aver rivelato loro la mia natura, anche se sapevo che non avrei dovuto sentirmi così. Dovevo sentirmi in colpa, costituirmi al Conclave, pagare le conseguenze delle mie azioni, ma la verità era che non ne avevo voglia e tantomeno l'intenzione. Da quando avevo messo piede a Forks, ero cambiata tantissimo. Dopo anni e anni passati a sorbirmi lavaggi del cervello sui Nascosti, adesso mi fidavo di loro. Non sapevo come spiegarlo, ma ero convinta che non mi avrebbero fatto del male. Almeno, non i vampiri. Non sapevo che cosa mi trasmettesse così tanta sicurezza, ma ero convinta che non mi avrebbero torto un capello, anche perché se ne avessero avuta l'intenzione, l'avrebbero già fatto senza perdere altro tempo.
- È assurdo - parlò di nuovo Sam, facendomi irritare fino all'inverosimile.
Dopo tutto ciò che aveva sentito oggi e quello che era successo ieri a Jacob, quel lupo aveva ancora dei dubbi a riguardo?
Vidi con la coda dell’occhio che Emmett stava cominciando ad agitarsi sul posto. Sicuramente andavano d’accordo, ma quel giorno sembrava parecchio nervoso, perciò decisi di intervenire io per evitare che si alzassero nuovamente i toni della conversazione.
- Cosa c’è che ti turba? – chiesi, rivolta verso l’Alpha.
- I demoni non esistono! – esclamò Sam in tutta risposta.
Sorrisi maliziosamente, attirando gli sguardi straniti di tutti i presenti su di me – Disse il licantropo in una casa piena di vampiri! -.
Edward, Carlisle e Esme non riuscirono a trattenersi e scoppiarono a ridere. Jasper e Emmett invece si guardarono con un ghigno divertito sul viso. Mentre, i due lupi più giovani cercarono di contenersi per evitare di fare innervosire ancora di più il loro Capo.
Decisi comunque di spiegarmi meglio - Sei troppo convinto di te stesso. Non crederai davvero di avere l'esclusiva di combattere tutte le specie nemiche, vero? - dissi tagliente nel tentativo di zittirlo.
Quello stupido Alpha, se fosse da solo, se non avesse un branco, varrebbe meno di niente.
- Allora spiegami Cacciatrice, perché non ne abbiamo mai incontrato uno? - chiese sfidandomi con lo sguardo.
Gli feci il sorriso più falso che ero capace di fare – Ieri sera il tuo amico Jacob non ha avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo, sai? Quello era proprio un demone -.
Vidi il ragazzo interessato, rabbrividire al solo pensiero. Doveva essersi preso un bello spavento. Non era una cosa a cui ci si abituava facilmente, soprattutto se si era stati aggrediti come era capitato a lui. Perché Sam non riusciva a credere alla loro esistenza? Uno dei membri del suo branco era stato ferito da uno di quegli esseri immondi e aveva ancora dei dubbi in merito? Doveva capitare una cosa simile a lui prima che cominciasse a crederci?
- Quello che Isabella sta cercando di dire - disse Carlisle, lanciandomi un'occhiata ammonitrice - È che a quanto pare i demoni, per natura, è raro che si interessino a noi Nascosti. I loro nemici diretti sono gli Shadowhunters - poi i suoi occhi si posarono di nuovo su di me, come per avere una conferma - È corretto? -.
Annuii decisa - È esatto -.
- Praticamente, vi sterminate a vicenda? Da dove vengono? - chiese Seth, rivolgendosi a me.
Ci pensai su per qualche secondo, prima di rispondere - Non funziona proprio così. I demoni vengono da altri mondi, arrivano qui attraversando dei portali, i quali possono essere soltanto creati da stregoni. Le loro intenzioni non sono mai buone: vogliono creare scompiglio, distruggere le vite di esseri umani e dei Nascosti... cioè, voi, vampiri, lupi, fate, eccetera... - mi corressi, non volevo che qualcuno si offendesse - Ma cento anni fa, con la guerra, perdemmo tanti dei nostri... Non ci lasciarono altra scelta che rifugiarci tra le mura di Idris. Il Conclave aveva dato un limite di tempo per rientrare nel paese, ma molte famiglie arrivarono in ritardo e restarono chiuse fuori, tuttora non abbiamo notizie a riguardo. Ma quale altra possibilità avevamo? – domandai retoricamente, prima di proseguire - In ogni caso, avevamo intenzione di tornare presto a combatterli, ma dopo l’Invasione, con tutte le ulteriori perdite che avevamo subito, eravamo troppo deboli per combatterli - mi stavano ascoltando tutti con attenzione e curiosità, tutti tranne Emmett che aveva lo sguardo perso fuori dalla finestra - Così, in un certo senso, ci siamo rifugiati, protetti dalle torri anti-demoni di Alicante. Abbiamo continuato ad allenarci, addestrarci e ad esercitarci con simulazioni che ci potessero preparare per tornare a ricoprire il nostro ruolo nel mondo -.
Jasper intervenne, facendomi una domanda – Che cosa successe esattamente la notte dell’Attentato? -.
Davanti a quella richiesta, deglutii a fatica, rabbrividendo – Una notte di dieci anni fa, dei demoni riuscirono ad abbattere il potere delle torri, riuscendo ad entrare nella città. Ancora oggi non si sa come, è rimasto un mistero - dissi mentre la voce mi si rompeva sull'ultima parola – Ci furono così tanti morti e della nostra casa rimasero solo macerie, come quelle di tante altre famiglie - scossi la testa cercando di non ricordare, mentre raccontavo loro un evento che ancora faceva male al solo pensiero - Ci abbiamo rimesso un po' per riprenderci e ricominciare d'accapo. È stata dura - mi sfuggì una lacrima, che asciugai subito con il palmo della mano.
Emmett sembrava sempre più intrepido, come se volesse intervenire, ma si stesse allo stesso tempo trattenendo dal farlo. Forse la mia versione della storia non coincideva totalmente con la sua, ma questo era quello che ricordavo e che c’era scritto sul verbale del Conclave, reso pubblico mesi dopo il tragico evento di quella notte.
- Dev'essere stata davvero dura... Quanti anni avevi quand'è successo? - domandò cauto Carlisle, con una leggera nota di compassione nella voce.
Sentivo la mano di Edward posarsi leggera sulla mia schiena, facendomi quasi spaventare. Non mi guardava, ma sapevo di avere un’espressione indecifrabile sul volto: tra il raccontare episodi, davvero molto dolorosi, della mia vita a degli sconosciuti e la sua mano a contatto con la mia schiena, questo era davvero il minimo. Non mi aspettavo un gesto del genere da parte sua, non in quel momento, non davanti alla sua famiglia e ai lupi.
- Già - risposi distogliendo lo sguardo da Edward per abbassarlo sulle mie ginocchia - Comunque, avevo all'incirca sei anni -.
Alzai lo sguardo per decifrare le loro reazioni e sembravano tutti abbastanza sconvolti. L'oro liquido degli occhi di Edward diventò troppo pesante da sopportare, perciò il mio sguardo finì sulle grosse figure dei licantropi. Avevano molte domande, glielo riuscivo a leggere negli occhi, ma non ero ancora completamente sicura di mettermi a nudo, non interamente almeno. Avevo appena tradito la mia specie e, in un certo senso, anche la mia famiglia, e non avevo intenzione di recare altri danni maggiori raccontando i nostri punti di forza o i nostri segreti. Almeno quelli, decisi di tenermeli per me. Se avessero avuto intenzioni sbagliate, come ad esempio tradirmi con quel poco di informazioni che gli avevo rivelato, avrei saputo come vendicarmi.
- Quanti anni hai ora, cara? - chiese Esme, riportandomi alla realtà, accarezzandomi i capelli lunghi e scuri.
- Sedici -.
Emmett, sotto lo sguardo di tutti i presenti, sembrava dover svenire da un momento all’altro, quindi si appoggiò contro al muro per contrastare la cosa. Non riuscivo davvero a capire che cosa gli stesse succedendo. Mi sembrava di fargli del male ogni volta che aprivo bocca.
Esme invece sussultò, portandosi la mano libera alla bocca - Però non combatti ancora, vero? -.
Mi sorprese molto la sua domanda. Questo vampiro, questa donna, questa persona, perché lo era, era molto più umana di qualsiasi altro mondano che viveva su questa terra, in quel momento, si stava preoccupando per me. Per me, una completa sconosciuta, entrata nella sua casa zuppa di sangue e fango, a creare scompiglio e disordine. Per qualsiasi altro, sarei stata soltanto una brutta nottata da dover dimenticare: ma loro si erano presi cura di me, si erano preoccupati, si erano fatti in quattro per curare le mie ferite, dato che non potevano sapere che io avevo un trucco più semplice e veloce per guarire, cioè lo stilo. Ma mi avevano salvata comunque. Quello sguardo, quello che c'era negli occhi di Esme, in vita mia l'avevo visto soltanto in un'altra persona, in una sola occasione: in mia madre, poco prima che morisse. Sapevo che stava pensando a me, Sebastian e al nostro futuro quando i suoi occhi disperati e sofferenti si posarono su di noi, due bambini che avrebbero visto da un momento all'altro i loro genitori morire sotto i loro stessi occhi, nello stesso giardino dove poco prima una famiglia come tante altre, si stava divertendo in una magnifica giornata di sole.
- Sì, combatto. Vado in ricognizione con i miei fratelli - sussurrai timidamente, cercando di mantenere un tono tranquillo e rilassato.
Sembrava già abbastanza sconvolta, non volevo peggiorare le cose, ma a quanto pare, non funzionò.
- Carlisle, è soltanto una bambina... - disse, rivolgendosi disperatamente al marito.
Sembrava che da un momento all'altro stesse per scoppiare a piangere. Oddio. Per fortuna i vampiri non pativano questo tipo problema, altrimenti non avrei saputo cosa fare. Non sapevo molto bene come gestire i sentimenti altrui, a stento riuscivo a tenere sotto controllo i miei!
- Non sono poi così piccola... - cercai di toglierle dal viso quell'espressione spaventata che mi stava lasciando letteralmente spaesata.
- Non pensavo vi facessero... iniziare così presto - mormorò Carlisle, anche lui sembrava leggermente ansioso.
Emmett ormai stava sempre peggio, probabilmente non doveva essere facile per lui sentirmi parlare della sua vecchia vita. Jasper guardava per terra, ma riuscivo a vedere le sue spalle tremare. Iniziai a pensare che si stesse sentendo male, ma era un vampiro, e ciò non era possibile. La sua postura mi aiutò a smettere di guardarlo, mi sembrava di invadere la sua privacy e non volevo farlo. E poi c'era Edward, che aveva un’espressione indecifrabile sul volto, eppure era sempre così bello e affascinante, nonostante quel cipiglio sul viso che gli dava più anni di quanti ne dimostrasse in realtà. Anche lui tremava leggermente, o forse ero talmente stanca da cominciare ad avere le allucinazioni. I licantropi invece erano gli unici che, come me forse, non riuscivano a capire il perché di tutte quelle reazioni esagerate: per loro non era un argomento nuovo l'idea di crescere in fretta e andare a combattere giovane con la consapevolezza di non poter tornare più a casa sano e salvo. Questa era una cosa che avevamo in comune.
- Non è decisamente presto, è l’età giusta – spiegai – Anche i nostri antenati lo facevano -.
- Ma erano altri tempi - ribatté Carlisle - Allora non era così pericoloso come lo è adesso, l'hai detto tu stessa -.
- Vero, ma pericoloso o meno, resta comunque il mio compito. È il mio lavoro, ciò per cui sono nata - aggiunsi dopo un attimo di riflessione.
L'espressione con cui mi guardava Esme mi faceva capire che in me non vedeva una Shadowhunters, ma una specie di bambina-soldato con un fucile in mano, costretta ad uccidere per vivere, con il rischio di morire in qualsiasi momento. Ma non volevo che la pensasse così, perché non era così che funzionava. O forse ero io quella che non riusciva a vedere la realtà dei fatti.
- Povera piccola - ripeté, come se non ci fossi.
- Sono abbastanza grande per conseguire il ruolo che investo - dissi, lasciando trapelare per sbaglio un tono leggermente infastidito.
Non volevo far pena a nessuno, ma nonostante ciò non potevo negare che, in fondo, mi piacevano quelle attenzioni. Non così esagerate e, magari, non dà degli sconosciuti. Mi sarebbe piaciuto riceverle dalla mia famiglia qualche volta, come prova del loro bene nei miei confronti. Ma noi Cacciatori non ci lasciavamo andare a molte moine e gesti dolci, eravamo dei guerrieri per natura e dovevamo esserlo per tutto il tempo. Non eravamo stati cresciuti ed educati, ma addestrati per conseguire uno obiettivo, in mezzo ad armi e con giochi che le ricordavano, perciò non poteva essere altrimenti.
- Certo Isabella, non intendevo mettere in dubbio le tue capacità, ti chiedo scusa se te ne ho data l'impressione - si scusò frettolosamente, ma con sincerità, Carlisle.
- È tutto okay, davvero - li rassicurai, tutti quanti - E io non volevo risultare maleducata -.
Carlisle sorrise apertamente - Non ti preoccupare, siamo abituati a questo -.
E tutti i presenti della stanza si lasciarono andare in una leggera e piccola risata. Evidentemente Carlisle aveva appena fatto una battuta, che io non ero riuscita ad afferrare, ma se voleva alleggerire la situazione, c'era riuscito. Era riuscito persino a far ridere Edward.
- Isabella - richiamò la mia attenzione Jacob - Non penso di aver capito che cosa sei... - fece una pausa, studiandomi da capo a piedi con i suoi occhi scuri - Cioè, ho recepito che sei una Shadowhunter e che uccidi i demoni, ma di che cosa sei "fatta"? Hai qualche potere? -.
Mi presi qualche secondo per riflettere e mentalmente feci una specie tabella con le informazioni che potevo rivelare e con quelle che invece non avrei detto nemmeno sotto tortura.
- Sono una Nephilim, cioè per metà umana e per metà angelo - spiegai cercando di essere il più chiara possibile - Nelle mie vene scorre il sangue dell'Angelo Raziel, che ci rende molto potenti. Siamo stati creati più di mille anni fa, quando gli uomini stavano per essere uccisi a causa delle continue invasioni di demoni sulla terra. Uno stregone invocò l'Angelo Raziel, che versò in una coppa il suo sangue meschiandolo con quello umano per darlo da bere agli uomini. Tutti coloro che bevvero dalla coppa divennero Cacciatori e così i loro figli, e i figli dei loro figli. Di generazione in generazione diventiamo sempre più forti –.
- Quei tatuaggi che cosa significano? Sono simboli di appartenenza come quello che abbiamo noi sulla spalla? - chiese elettrizzato Seth, beccandosi un'occhiataccia e una gomitata da parte del suo Alpha.
Effettivamente, in quel momento, mi resi conto che il tatuaggio che aveva Jacob sulla spalla, ce l’avevano anche Seth e Sam, e probabilmente anche il resto del branco.
- Una specie... Ci aiutano quando ci troviamo in situazioni di pericolo - spiegai abbastanza velocemente, ma cercando di non rilasciare troppe informazioni a riguardo.
L'ultima cosa di cui avevo bisogno era che si informassero troppo sul nostro conto.
E poi all'improvviso mi ricordai, portando lo sguardo su Carlisle - Dove avete messo le mie arm... le mie cose? - .
- Spero non ti dispiacerà - disse timidamente Esme - Mi sono presa la briga di lavare la tua... divisa. Era tutta sporca di sangue, perciò... -.
- Oh... Ehm... Grazie! - risposi, leggermente a disagio.
Non mi piaceva per niente che degli estranei avessero toccato la mia roba, ma d’altronde, gli avevo appena raccontato quello che nascondevo perciò non avevo il diritto di lamentarmi, soprattutto perché l'aveva fatto per essere gentile, senza secondi fini.
- Le tue armi invece le abbiamo semplicemente ammucchiate per terra nel mio studio - si intromise, informandomi, Carlisle - Non le hai notate? - .
- Ehm no... non ci avevo fatto caso... - che stupida, le avevo a portata di mano e non me n'ero nemmeno resa conto.
- Non importa - mi sorrise, facendomi un occhiolino gentile - Penso che per oggi possa bastare - disse poi, riferendosi ovviamente a tutta la conversazione che avevamo avuto.
I licantropi si alzarono e si diressero verso la porta, tranne Sam che si incamminò verso di me lentamente, ma con fare minaccioso. Vidi Edward irrigidirsi e alzarsi in piedi quando, evidentemente, ritenne che la distanza tra me e il lupo fosse diventata davvero troppo corta. Il suo comportamento mi faceva sentire bene in un certo senso, protetta, anche se allo stesso tempo un po' in imbarazzo. Non riuscivo a capire perché ci tenesse così tanto a tenermi al sicuro. Sapevo cavarmela da sola, volevo solo che lo capisse.
- Calmati Cullen - lo ammonì con strafottenza l'Alpha - Devo soltanto dire una cosa alla vostra amichetta Cacciatrice - continuò cercando si sorpassare Edward, ma Emmett in mezzo secondo gli bloccò la strada, piazzandosi tra loro due, lasciando tutti i presenti stupiti.
- Puoi dirglielo benissimo anche da qui - gli ringhiò in faccia, sotto lo sguardo confuso di Edward.
Sam si innervosì, ma si limitò ad eseguire il suo ordine e a portare il suo sguardo su di me - Voglio soltanto avvisarti, poi riferirai quello che ti ho detto al tuo “clan”: non azzardatevi, mai più, ad entrare nei nostri confini, siamo intesi? La prossima volta non esiterò ad uccidervi, tutti quanti. Chiaro? - .
- Non sei il mio Alpha, io non eseguo i tuoi ordini - risposi tranquillamente.
In fondo, era la verità. Non era suo diritto impartirmi certi comandi e non avevamo stipulato nessun accordo. Avevo un carattere abbastanza orgoglioso, soprattutto se mi veniva parlato con quel tono accondiscendente che odiavo tanto.
- Allora andrete incontro a morte certa - cercò di spaventarmi, ma senza successo.
Assottigliai gli occhi a due fessure - Mi stai minacciando? - .
- Il mio è un consiglio, ma se vuoi puoi prenderla pure come una minaccia, purché stiate lontani dal nostro territorio. Non avete il diritto di oltrepassarlo quando vi pare e piace! - esclamò inviperito - Noi non ci siamo mai permessi di entrare nel tuo territorio -.
- Okay - sospirai velocemente, ero stanca di ascoltarlo - Noi staremo lontani dal vostro territorio e voi dal nostro, fine della storia - questa situazione in qualche modo doveva finire.
- Perfetto - disse, per poi salutare cordialmente i Cullen.
Gli altri due licantropi fecero lo stesso e dopo seguirono Sam fuori dalla porta. Stavano facendo ritorno a casa e sapevo che prima o poi lo avrei dovuto fare anche io e raccontare, una volta per tutte, tutto quello che era accaduto alla mia famiglia dal momento del nostro arrivo qui, a Forks. Ma con che parole? Cosa gli avrei detto? In ogni caso mi avrebbero sbattuta fuori a calci, su questo ero totalmente certa. Ma l'unica cosa che temevo, era di aver perso per sempre l'unica famiglia che mi restava, l'unico punto fermo e costante della mia vita. Sarei rimasta da sola. Me la sarei cavata? In ogni caso, mi avrebbero protetto dal Conclave? Ero così stanca, confusa, triste...
- Vado a togliere i tuoi panni dalla lavatrice - disse Esme e prima di alzarsi dal divano, mi posò una mano sul braccio, come per farmi forza.
Annuii sorridendole appena. Ero troppo impegnata a pensare alla mia famiglia per prestarle troppa attenzione. Avevo rovinato tutto. Già lo sapevo, ma in quel momento era come se avessi realizzato veramente la cosa. L'avevo fatto davvero, avevo tradito la mia specie, e intenzionalmente. Non ero stata minacciata, nessuno mi aveva obbligata. Eppure l'avevo fatto. Come avevo potuto? Non riuscivo a capacitarmene. Come avrei guardato i miei genitori non appena varcata la soglia di casa? Semplice, sarei entrata a testa bassa. Mi ero comportata troppo irrispettosamente per meritarmi di guardarli negli occhi, come se fossi una loro pari. Non lo ero, non più.
Ero talmente persa nei miei pensieri che non mi ero resa conto che Emmett si era inginocchiato davanti a me, per guardarmi dritto negli occhi. Me ne accorsi solamente nel momento in cui mi parlò, a voce bassissima, nonostante tutti ci potessero sentire e vedere.
Il suo sguardo era disperato – Possiamo parlare in privato, per favore? -.
Ero estremamente stranita dai suoi modi di fare, tant’è che quasi mi faceva paura, per il semplice fatto che non sapevo cosa aspettarmi da lui. Ero abituata ad avere a che fare con un Emmett insopportabile, burlone e sprovveduto, non sapevo come reagire a questo.
Alzai gli occhi su Edward, nella speranza di capire cosa dovessi fare e di trovarlo abbastanza innervosito dal comportamento del fratello. Invece, tutto il contrario: doveva avergli letto nel pensiero, perché sembrava sconvolto quasi quanto lui e non disse niente.
Allora, abbassai di nuovo gli occhi su Emmett e, sotto il suo sguardo sofferente e speranzoso, annuii. Non perse tempo, con le sue braccia forti mi aiutò ad alzarmi dal divano e mi condusse al piano di sopra, aiutandomi a salire le scale gradino per gradino e adeguando il suo passo al mio.
Mi condusse in una delle prime stanze del secondo piano della casa, nel corridoio alla sinistra delle scale. Aprì la porta e mi ritrovai davanti una camera da letto matrimoniale molto elegante. La stanza era spaziosa e luminosa, con letto a baldacchino al centro abbinato a delle lenzuola blu, due comodini e un armadio in legno chiaro e sulla parete di destra c’era uno specchio che sembrava avere un’aria preziosa e antica. Per quanto fosse bella ed elegante, si capiva che doveva essere una camera per gli ospiti, era troppo spoglia e impersonale per essere vissuta da qualcuno tutti i giorni.
- Accomodati pure – mi rassicurò indicandomi il letto.
Lo assecondai. Mi accomodai ai piedi del materasso mentre lo fissavo, ancora molto confusa su quello che stava per succedere. Lo vidi passarsi le mani sul viso parecchie volte, per l’ennesima volta che giorno. Inoltre, si stava muovendo così tanto avanti e indietro per la stanza che ero certa che da un momento all’altro avrebbe consumato talmente tanto il pavimento da finire al piano di sotto.
Dopo qualche minuto in questo modo, decisi di intervenire – Emmett, cosa mi devi dire? Mi stai agitando… -.
Si fermò esattamente davanti a me. Nei suoi occhi potevo leggere una certa indecisione, ma alla fine sospirò e mise una mano nella tasca posteriore dei jeans per tirarne fuori una busta bianca abbastanza consumata. Me la passò senza aggiungere nulla, se non facendomi capire che dovevo aprirla.
Quasi come se potesse esplodere da un momento all’altro, la aprii con cautela e all’interno con mia sorpresa trovai delle fotografie in bianco e nero. E fin qui niente di strano, finché non mi resi conto che nella maggior parte delle foto c’ero io. Saranno state una ventina in tutto e io ero presente in almeno quindici, se non di più. Sentii il resto del mio corpo gelare. Emmett possedeva delle mie fotografie, dei miei primi sei anni di vita, di cui non sapevo l’esistenza, che racchiudevano momenti che nemmeno ricordavo. Le sfogliai lentamente. In una foto mi stava tenendo in braccio quando ancora ero in fasce, pareva molto emozionato. Nella successiva dovevo avere circa tre anni e mi teneva sulle spalle tra le strade di Alicante, sorridendo a trentadue denti mentre io gli tiravo i capelli ricci e scuri. In un’altra, dovevo avere sei anni, eravamo in un bosco che non riuscivo a riconoscere e gli stavo dando un bacio sulla guancia, ma lui sembrava diverso dalle fotografie precedenti, probabilmente era già stato trasformato in un vampiro. In quella dopo, ci trovavamo sempre nello stesso bosco, avrò avuto all’incirca quattro anni, ed ero in braccio a Rosalie che mi stava coccolando, mentre Emmett abbracciava entrambe da dietro. Com’era possibile? Non riuscivo a capire più niente.
Il colpo di grazia lo ricevetti quando, tra le ultime foto, ne trovai una di mia madre quando aveva circa diciotto anni, che sorrideva all’obiettivo, bella e giovane con i capelli al vento.
Non riuscivo più ragionare, volevo sapere come faceva Emmett ad avere quelle foto e se erano vere, quando ad un certo punto finalmente parlò.
- La bambina presente in quelle fotografie, che sto cercando da anni, è mia figlia – disse tutto d’un fiato – E ho il forte presentimento che sia tu -.
 
 
 
Grazie per aver letto il capitolo :-)
Se vi fa piacere, lasciate una stellina e un commento.
Besos :-*
 
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Capitolo 26
*** 25. Chaos ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI

 
25. Chaos

 
 
- No, non sono io – mormorai, dopo diversi minuti di silenzio tra noi due.
Avevo ancora gli occhi fissi su quelle dannatissime fotografie. Ero letteralmente sotto shock.
Per quanto mi riguardava, erano state ore davvero stressanti e non potevo sopportare anche questo. Sicuramente da Emmett potevo immaginarmi qualsiasi cosa, ma non che mi ponesse una situazione del genere. La bambina in quelle foto ero io effettivamente, non potevo non riconoscermi, ma allo stesso tempo non riuscivo a evitare di negare l’evidenza.
Come poteva essere che un ragazzo, un vampiro, che conoscevo appena, venisse da me e mi dicesse che era mio padre? Dopo sedici anni?
Avevo molti ricordi su Renée, qualche memoria vaga su Charlie, ma niente su Emmett. Per qualche strano scherzo del destino, cominciai a pensare che si stesse prendendo gioco di me.
Emmett aggrottò le sopracciglia e incrociò le braccia al petto, quasi mettendosi sulla difensiva – Come fai a dirlo? Eri piccola e la maggior parte delle cose che hai memorizzato sono quelle che ti sono state inculcate una volta che sei cresciuta abbastanza da poter creare dei ricordi fantomatici -.
- Potresti star facendo anche tu la stessa cosa in questo momento – ribattei a mo’ di sfida.
Emmett alzò il tono di voce, innervosito – E perché mai dovrei fare una cosa del genere? -.
- Non lo so, dimmelo tu -.
Ricominciò a fare avanti e indietro per la stanza, con le mani nelle tasche dei jeans. Probabilmente si stava moderando dal distruggere qualcosa, perché riuscivo a notare senza difficoltà quanto si stesse trattenendo. Si stava spazientendo.
- Cosa ti fa pensare che sia io? – domandai, cercando di essere il più gentile possibile.
Sospirò, evitando di guardarmi negli occhi – Ho avuto questa sensazione dal primo giorno che ti ho visto a scuola, in mensa. Avevo già capito che tu e Stephan siete dei Cacciatori. Mi incuriosivi, così ho cominciato a studiare i tuoi atteggiamenti e mi somigli in molte cose. Sei impulsiva, testarda, ribelle… -.
Sbarrai gli occhi sconcertata – E tu con queste motivazioni vai a pensare che io sia tua figlia? -.
Alzò gli occhi al cielo, stava decisamente perdendo la pazienza – Ovviamente no, ma mia figlia si chiama Isabella… -.
Lo interruppi subito, con scherno – Il nome Isabella tra noi Shadowhunters è comune tanto quanto il nome Jonathan! -.
- Se solo tu mi facessi finire di parlare! – esclamò alterato – Purtroppo, per diverse motivazioni, non le ho potuto dare il mio cognome da Cacciatore, quindi il suo nome completo sarebbe Isabella Marie Swan -.
Restai di nuovo in silenzio e, per evitare di dover affrontare il suo sguardo indagatore assetato di risposte, tornai a fissare le fotografie, ma senza guardarle per davvero. Il mio cervello stava andando in confusione. Emmett poteva certamente inventarsi tutte le scuse che voleva per farmi credere che stesse dicendo la verità, anche se eventualmente non riuscivo a trovarne uno scopo. Ma su una cosa non poteva mentire, semplicemente per il fatto che in questo mondo non lo avevo mai detto a nessuno, di conseguenza ero sicura che non potesse esserne a conoscenza. Il mio vero cognome. Solo la famiglia con cui ero cresciuta lo conosceva e, successivamente, io e Sebastian avevamo acquisito il cognome della nostra famiglia adottante.
- Il mio cognome è Durwood -.
Sbuffò – Sì, ma sei stata adottata. Qual è il tuo vero cognome? -.
- Sicuramente non è Swan – mentii, e non sapevo nemmeno io perché lo stavo facendo.
Forse negare qualcosa che in quel momento non riuscivo a capire e a elaborare era più facile che rispondere con sincerità. Volevo solamente che la conversazione finisse lì. Non volevo sapere altro. Ne avevo abbastanza per quel giorno.
Mi alzai dal letto e, con le mani che tremavano, restituii le fotografie a Emmett.
- Mi dispiace, ma non sono io chi stai cercando – e senza guardarlo, uscii dalla stanza, mentre Emmett restò lì, in piedi, immobile.
Percorsi a grandi passi il corridoio, quasi come se stessi fuggendo da ciò che mi era appena stato detto. Scesi un piano di scale e cercai di ricordarmi dove si trovasse le studio dove mi ero svegliata qualche ora prima, per prendere tutte le mie cose. Me ne dovevo andare via da qui, e subito. Il mio unico pensiero era tornare a casa il prima possibile, ma quando finalmente trovai il corridoio giusto e cercai di aprire la porta, una mano fredda mi fermò per il polso. Mi voltai di scatto e mi trovai davanti Edward.
Ero talmente nervosa che mi tolsi bruscamente dal suo contatto, prendendolo alla sprovvista– Tu sapevi ciò che passava per la testa di Emmett? -.
Edward mi guardò con sgomento – Non ne avevo idea. Mi ha nascosto i suoi pensieri fino a poco prima che ti chiedesse se ti poteva parlare in privato! -.
- Hai ascoltato la conversazione? – chiesi, anche se naturalmente sapevo già la risposta – Io non sono sua figlia -.
Mi porse nuovamente la mano, cercando di tranquillizzarmi, ma lo ignorai – Perché non vieni con me e mi concedi di aiutarti a calmarti? -.
- No! – risposi fermamente, cercando di aprire la porta dello studio di Carlisle, senza risultati perché Edward in un millesimo di secondo l’aveva bloccata con la mano – Devo andare a casa! -.
- Prima devi tranquillizzarti -.
- Lasciami in pace, Edward! – urlai ad un certo punto, decisamente al limite della sopportazione.
Non avrei mai voluto rispondergli così, ma alla fine era necessario. Dovevo tenerlo lontano da me, soprattutto adesso che sarei dovuta tornare dalla mia famiglia e costituirmi. Non sapevo come sarebbero andate le cose e volevo tentare di proteggerlo come meglio potevo e l’unico modo che conoscevo era tenerlo lontano da me, anche a costo che mi odiasse.
- Non ti lascio in pace! – rispose con convinzione – Noi siamo… -.
Lo interruppi, con gli occhi lucidi, sforzandomi di utilizzare il tono più duro e crudele che sapevo fare – Non c’è nessun noi – presi un respiro – Credevi davvero che avrebbe funzionato? Una come me con uno come te? -.
Sapevo di aver toccato un tasto dolente e me ne pentii all’istante, nonostante fosse per una buona causa. L’espressione sul suo viso tramutò immediatamente, tant’è che per non supplicarlo in ginocchio chiedendogli perdono, dovetti abbassare lo sguardo a terra. Lo avevo umiliato, lo avevo esposto a ciò che più lo preoccupava e senza pensarci due volte.
- Spero davvero che la tua famiglia ti perdoni – sussurrò deluso, come per dirmi addio.
No… Non doveva andare così. Quando alzai nuovamente lo sguardo per chiedergli scusa e incontrare i suoi occhi caldi e dorati, lui purtroppo non c’era già più. Era troppo tardi. Mi sentii mancare la terra sotto ai piedi. L’avevo ferito irreparabilmente.
Mi appoggiai un attimo con la schiena contro la porta dell’ufficio di Carlisle. Avevo bisogno di riprendere fiato. Era tutto troppo, decisamente troppo. La conversazione con Emmett, il litigio con Edward… Dovevo tornare a casa e prendere il controllo della situazione, anche se inconsciamente sapevo che tutta la mia vita mi stava sfuggendo dalle mani, e sicuramente la situazione non sarebbe migliorata presto.
Dopo qualche interminabile minuto, aprii la porta, entrando così nell’ufficio dove si trovavano tutti i miei effetti personali. Trovai la mia tenuta da combattimento piegata e profumata sul lettino dove mi ero svegliata proprio quella mattina, ma prima di avvicinarmi a prenderla, con la coda dell’occhio, mi accorsi che non ero da sola. In un angolo, accanto ad una delle librerie, c’era Carlisle intento a sfogliare un libro. Almeno, così sembrava, anche se ero certa che avesse sentito le mie recenti conversazioni con i suoi figli, come il resto della famiglia d’altro canto.
- Posso fare qualcosa per te, Isabella? – chiese cordialmente.
Quasi mi sentii presa in contropiede quando notai che non sembrava avercela minimamente con me. Mi aspettavo un atteggiamento più risoluto e distaccato, invece si stava comportando come se niente fosse successo, come se suo figlio non fosse appena fuggito di casa perché gli avevo spezzato il cuore.
- Devo chiederti un favore - iniziai, spostando in imbarazzo il peso del mio corpo da un piede all'altro - So che non dovrei, avete già fatto tanto per me, ma ho bisogno di chiedertelo - .
- Certo, accomodati pure - disse indicando una delle sedie dinanzi alla sua scrivania - Sei ancora debole, hai fatto un brutto volo ieri sera – continuò, accomodandosi sulla sua poltrona.
Ero stata così concentrata sui sensi di colpa e sulla sofferenza di Edward dopo tutte quelle menzogne, da non sentire neanche più il dolore dei muscoli stanchi e tremolanti.
- Preferisco stare in piedi, grazie comunque -.
Annuì e chiuse con un tonfo il libro che, fino a poco prima stava tenendo in mano, e lo appoggiò sul ripiano in legno davanti a lui; dopodiché si alzò dalla sua poltrona in pelle nera, fece il giro della scrivania e si ci si appoggiò contro, proprio davanti a me.
- Ti ascolto - mi incoraggiò, sorridendomi rassicurante.
Boccheggiai qualche secondo, prima di iniziare a parlare - Ho... Ho bisogno che tu non dica a nessuno che gli Shadowhunters sono ancora vivi. Ti prego... Ti prego, non dire nulla. Mi puoi garantire che tu e la tua famiglia manterrete il segreto? -.
Ero così nervosa da non riuscire a controllare né il tono della voce né le parole che proliferavano dalla mia bocca. Peggio di così non poteva andare.
Carlisle sembrò essere preso alla sprovvista - Certo che manterremo il segreto, te lo avevo già promesso -.
- Lo so, ma avevo bisogno di sentirmelo dire esplicitamente -.
- Isabella, ti prometto a nome di tutti noi che non diremo assolutamente niente sugli avvenimenti di questi due ultimi giorni. Hai la mia parola - giurò solennemente.
Sospirai, non sentendomi per niente sollevata, nonostante la sua promessa - E che mi dici dei licantropi? Anche loro manterranno il segreto? -.
- Sam potrà sembrare un po' burbero nei modi, ma è una persona onesta - mi assicurò, con un sorriso - Non racconterà nulla a nessuno, puoi stare tranquilla -.
No, non sarei mai stata tranquilla. Mi immaginavo già il Conclave prendermi con la forza e riportarmi a Idris, ma non per una visita di piacere. Sapevo già cosa mi aspettava, a che cosa sarei andata in contro: una cella buia e stretta, interrogatori finché la Spada dell'Anima non mi avrebbe sfinita e, probabilmente, torture per la mia insolenza e sconsideratezza. Dovevo fare del mio meglio per tenere al sicuro almeno loro e, il metodo più efficace, era che fingessero di non sapere nulla di me. Io avrei fatto il resto.
- Perfetto - mormorai, scostando lo sguardo da lui per posarlo sulle armi ammucchiate sul pavimento e sugli stivali scuri e pesanti che mi appartenevano – È estremamente importante che manteniate la promessa, non solo per me, ma anche per la vostra incolumità -.
Non rispose, ma dopo qualche minuto di silenzio mi chiese - Pensi che ti faranno del male? -.
Ancora oggi non so se si stesse riferendo alla mia famiglia o al Conclave, ma in ogni caso, sarebbe stata una sofferenza devastante, e non solo fisica, che, tra l'altro, potevo benissimo sopportare se restavo concentrata. Ma nessuno avrebbe più riparato i miei sentimenti dopo quel giorno se mi avessero ripudiata.
- Non ne ho idea - risposi sinceramente, lasciando trapelare un po' della mia preoccupazione.
Lo sentii avvicinarsi, per poi poggiare una sua mano sulla mia spalla - Voglio che tu sappia che potrai sempre decidere di venire a stare qui, per la tua sicurezza. Ti proteggeremo –.
Non potei fare a meno di sorprendermi ulteriormente davanti alla sua estrema disponibilità. Non riuscivo a capire perché, dopo tutti i problemi e lo stress che gli avevo recato, lui continuasse a tentare di “salvarmi” da ciò che mi aspettava.
- Perché continui a farlo? -.
Mi guardò confuso - Fare cosa? -.
- Non hai fatto altro che prenderti cura di me - dissi come se fosse una cosa surreale, quasi impossibile da credere - Perché? Perché cercare di complicarti la vita in questo modo? Potreste essere in pericolo anche voi in questo momento -.
- Perché no? Perché non aiutarti? - rispose invece con un'altra domanda, mantenendo il mio sguardo - Sono del parere che tutti abbiano diritto ad una seconda possibilità e, con le ferite che ti sei causata, hai rischiato di morire ieri sera; ti avrei curata anche se tu fossi stata una fata, una stregona , una ladra... Non importa ciò che sei, Isabella, nessuno merita una morte ingiusta -.
- Ma ho fatto del male a tuo figlio - sussurrai, con le lacrime agli occhi.
Lo sentii sospirare sconsolato - Lo so, ma ora riesco a capire perché - fece una lunga pausa, mentre mi guardava direttamente negli occhi - Tu e mio figlio avete entrambi l'inesauribile bisogno di tenervi al sicuro l'un l'altra, cercando di stare distanti. Il primo è stato Edward, quando ha deciso di scappare in Alaska per proteggerti. Ora lo stai facendo tu, cercando di allontanarlo da te per essere sicura che quando dirai la verità alla tua famiglia, e successivamente lo verrà a sapere il Conclave, la situazione non si ritorca contro di lui, contro di noi -.
Il suo modo di intuire così velocemente la verità mi sorprese talmente tanto da lasciarmi senza parole.
- Come fai saperlo? - ma poi mi corressi - Non puoi esserne sicuro -.
Sorrise, quasi divertito, anche se sicuramente sapeva bene anche lui che non c'era niente che facesse ridere in quella situazione - Conosco mio figlio e ho visto come vi guardate, l'elettricità che vi lega... Ho più di tre secoli di vita, queste cose non mi sfuggono -.
Sentii le mie guance arrossire violentemente. Non era esattamente il tipo di conversazione che avrei mai pensato di fare in compagnia di un vampiro secolare, con cui nemmeno avrei mai dovuto parlare e che, come se non bastasse, era anche il padre del ragazzo per cui avevo messo tutto in discussione.
- Per questo voglio che tu sappia che qui avrai sempre una casa, Isabella - disse, ora senza la minima traccia di divertimento nella voce - So cosa stai cercando di fare e quando anche Edward lo capirà, ti verrà a cercare e non smetterà finché non ti troverà, a costo di mettere in pericolo sé stesso. Non posso impedirtelo, non sono nessuno per farlo. Ma posso dirti che secondo me non è la soluzione migliore quella che stai intraprendendo -.
Annuii, sempre più confusa. Lui aveva capito il mio piano prima ancora che io finissi di idealizzarlo alla perfezione, nei minimi dettagli. Non riuscivo davvero a capire come avesse fatto. Forse i suoi trecento anni di vita e esperienze gli avevano regalato una mente così aperta e libera dal giudizio degli altri da non dare nessuna possibilità per scontata.
La mia testa era nel caos più totale.
- Grazie ancora, per tutto - gli dissi guardandolo negli occhi, per fargli capire quanto potessero essere significative quelle parole per me.
Non aspettai nessuna risposta, mi avvicinai verso le mie armi e cominciai a controllare che fossero in ordine e pulite. Prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, mi sentii chiamare nuovamente da Carlisle. Decisi di non voltarmi e di continuare a prestare attenzione alle mie armi.
- Un’ultima cosa, Isabella. Emmett ha un carattere particolare e tu ci hai avuto a che fare poco, ma sicuramente non è un bugiardo - disse in tono convinto – Lo conosco da tanti anni e certamente sono rimasto molto sorpreso di conoscere questa “nuova cosa” di lui. Non ci ha quasi mai parlato della sua vita da Cacciatore, ha sempre preferito tenerci all’oscuro. Per questo, ti voglio chiedere, sei veramente sicura di non essere tu la bambina che sta cercando? -.
- Sì, ne sono sicura Carlisle – e no, non ne ero sicura proprio per nulla – Ho già dei genitori che mi aspettano a casa -.
Il dottore annuì brevemente, dopodiché lasciò il suo stesso studio per permettermi di indossare la mia tenuta da combattimento, gli stivali e le armi. Una volta finito a testa bassa, uscii da quell'ufficio, da quella casa, per dirigermi, per quella che sarebbe stata l'ultima volta, nella casa della mia famiglia.  
_
 
[POV EMMETT]
 
Rimasi in piedi in quella stanza degli ospiti spoglia, a guardare il vuoto, per diverse ore. Non avrei mai voluto che le cose andassero in quel modo. Io desideravo solamente trovare la mia bambina, la parte di me che avevo perduto diversi anni fa e che avevo sempre sperato con tutto il mio cuore di poterla rivedere, ma soprattutto che fosse ancora viva. Potevo sopportare il fatto che probabilmente non avrebbe mai voluto recuperare i rapporti con me, ma l’idea che il giorno dell’Invasione potesse non avercela fatta mi distruggeva.
Mi ero appigliato all’unica speranza che il destino mi aveva portato, Isabella Durwood, ma lei rifiutava anche soltanto di prendere in considerazione l’eventualità che io potessi essere effettivamente suo padre. Eppure non potevo non notare le somiglianze che, anche se forse solo per me, erano così evidenti. Quei lunghi capelli scuri e mossi che le incorniciavano il viso, le fossette sulle guance, la carnagione chiara… era così simile a me, anche e soprattutto nel carattere. La linea degli occhi e il sorriso li aveva presi da Renée, invece.
Nonostante Isabella fosse convinta di non avere niente a che fare con me, io d’altro canto continuavo a restare sicuro della mia idea.  Ad avvalorare ulteriormente la mia ipotesi c’era un dettaglio che non era assolutamente da sottovalutare, cioè il colore dei suoi occhi. Così scuri, neri come la pece, profondamente abissali, a causa di una maledizione. Un’iride del genere, dove addirittura la pupilla in confronto sembrava più chiara, non esisteva in natura, e il fatto che una cosa così importante potesse essere solo una casualità mi lasciava decisamente perplesso. Se avevo ragione ed era davvero lei la mia bambina, avrei recuperato il tempo perso e l’avrei protetta dal suo destino prima che fosse troppo tardi.
Qualcuno, o meglio Rose, bussò alla porta, risvegliandomi dai miei pensieri. Non mi mossi, ero ancora troppo sconvolto per farlo.
Sentii la mia dolce donna abbracciarmi da dietro, come per rincuorarmi. Nonostante non le avessi fatto passare delle settimane facili a causa del mio repentino cambio di atteggiamento e dal mio silenzio a riguardo, mi stava consolando come solo lei sapeva fare. Già soltanto quel contatto mi fece sentire un po’ meglio, allora mi voltai per riuscire ad inglobarla in un abbraccio. Avevo bisogno di lei ora più che mai.
- Perché mi hai tenuto all’oscuro, Emm? – sussurrò, con la testa appoggiata al mio petto – Hai dovuto affrontare tutto questo da solo per settimane, mi hai fatto pensare al peggio -.
Rosalie era l’unica ad aver conosciuto mia figlia quando ancora era in fasce e, naturalmente essendo innamorata dell’idea di avere un bambino e diventare madre, aveva perso la testa per la mia piccola Bella dalla prima volta che l’aveva vista. Renée era rassicurata dal fatto che la nostra bambina avesse un piccolo villaggio di persone che l’amavano, pronte a proteggerla sempre e comunque. Lei avrebbe voluto che la portassimo via da Idris e la crescessimo noi, ma purtroppo non era stato possibile… Non avevamo fatto in tempo.
Se il Conclave avesse scoperto la verità… non ci volevo pensare a cosa le sarebbe potuto accadere.
- Non volevo che soffrissi nel caso in cui non fosse lei – ammisi, baciandole la fronte con dolcezza.
Rosalie alzò lo sguardo con sicurezza, per guardarmi dritta negli occhi – Sono tua moglie, a me puoi dire tutto -.
Le regalai un sorriso sincero, giusto per tranquillizzarla, dopodiché mi abbassai per stamparle un bacio sulle labbra.
- Adesso che parte della verità è uscita allo scoperto, converrà parlarne con tutta la famiglia – mi consigliò, portando una mano sulla mia guancia – Così, giusto in via precauzionale -.
- Hai ragione – ammisi, anche se mi sentivo in difficoltà solo all’idea di doverlo fare – Starai al mio fianco tutto il tempo? – chiesi.
Lei era la mia roccia, la mia forza, la donna che amavo e che mi aveva salvato la vita. Non sarei sopravvissuto neanche un solo giorno senza di lei in questa nuova vita.
- Per l’eternità – rispose senza esitazione, sugellando questa promessa con un bacio prima di scendere al piano inferiore e affrontare il resto della famiglia.
 
 
 
Grazie per aver letto il capitolo :-)
Se vi fa piacere, lasciate una stellina e un commento.
Besos :-*
 
Zikiki98
 
Instagram: _.sunnyellow._
 
Ps: Mi dispiace per il ritardo, ma ho avuto parecchi problemi sia personali sia di organizzazione sul lavoro in questi giorni.
Buonanotte <3

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Capitolo 27
*** 26. Daughter of No One ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI

26. Daughter of No One
 
Mentre camminavo nel bosco per tornare a casa, sentivo i muscoli bruciare come mai prima d’ora, tant’è che avevo persino il fiato corto da quanto stavo faticando. Mi sentivo così svuotata da non riuscire a pensare con lucidità, ma avrei dovuto riprendermi alla svelta considerato che da lì a poco avrei dovuto affrontare la mia famiglia. Non solo dovevo confessare che mi ero innamorata di un vampiro, ma esigevo che mi venissero date delle spiegazioni per capire se quello che Emmett mi aveva rivelato era vero oppure no. Sapevo già che era inutile pensare di prepararmi una specie di discorso, l'avrei scordato in ogni caso, ma dovevo cercare di fare ordine nella mia testa, dovevo creare una specie di scaletta. Il sole era ancora alto nel cielo, anche se nascosto sia dalle nuvole che dalla fitta foresta di Forks. Probabilmente, era circa mezzogiorno.
Quando iniziai a riconoscere il sentiero che riportava verso casa, e che indicava che ero davvero vicina, realizzai quanto poco tempo mi restasse prima della mia fine, e mi venne la tachicardia. Mi bloccai per qualche secondo, cercando di mantenere la calma. Non serviva a niente entrare nel panico ora, avrei dovuto pensarci prima. Ormai era troppo tardi. Me l'ero cercata, me lo meritavo. Ripresi a camminare, stavolta a passo spedito lungo il sentiero, e in meno di cinque minuti mi ritrovai davanti ad un enorme villa tinta di bianco, ma mai grande ed elegante come quella dei Cullen. Non sapevo il perché di quel confronto, tanto non ci avrei rimesso più piede comunque, in entrambe le abitazioni. Salii gli scalini che conducevano al portico e suonai il campanello, anche se sapevo che la porta era aperta. Stavolta volevo annunciare il mio arrivo, non volevo cogliere di sorpresa nessuno. Ad aprirmi venne George, che appena si accorse che ero io, mi accolse tra le sue braccia, preoccupato.
- Per l'Angelo Raziel! - esclamò al mio orecchio - Sei ancora viva, sei sana e salva! - e dopo qualche secondo, aggiunse - Perché stai bene, vero? -.
Annuii contro il suo petto godendomi quello che sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio - Sì, sto bene. Mi dispiace di avervi fatti preoccupare -.
- Non importa, davvero. Adesso risolveremo tutto - disse scostandosi per afferrare la mia mano nella sua e trascinarmi nel salotto di quella casa - Madre, padre! Fratelli! Scendete, è tornata! Isabella è tornata! -.
Come se non aspettassero altro che sentire quelle parole, tutti si precipitarono giù dalle scale per abbracciarmi; tranne Stephan che restò a distanza, ed era meglio così. Venni ricoperta di scuse, di domande apprensive e di carezze. Non sapevo come sentirmi a riguardo onestamente. Una parte di me si sentiva tradita dalle stesse persone che mi avevano cresciuta, l’altra parte invece si sentiva in colpa per aver mentito e messo in pericolo la propria famiglia.
- Mi dispiace di aver reagito in quel modo, ieri sera - si scusò stupendomi Jonathan - Ma ero così terribilmente preoccupato e mi sono lasciato prendere dalla rabbia che provavo, non solo per te, ma anche per i tuoi fratelli -.
Ecco, questo era Jonathan Durwood: incuteva timore da quanto era grande e grosso, e si comportava da orso la maggior parte delle volte, ma quando capiva di aver commesso degli errori, lo riconosceva sempre e chiedeva scusa.
- Anche a me dispiace, tesoro mio - borbottò con le lacrime agli occhi Marie, stringendomi nel suo abbraccio stritolatore.
- Avrei dovuto stare al tuo fianco ieri sera - si rimproverò Sebastian - Non sarei dovuto uscire -.
- Ci dispiace così tanto - concluse William, tremante.
Io... Io non sapevo cosa dire. Si stavano comportando tutti in un modo che non avevo previsto neanche lontanamente, stavano reagendo così diversamente dal loro solito modo di reagire. Mi aspettavo una sfuriata simile a quella del giorno precedente, forse anche peggiore, ma non delle scuse sincere. Una parte di me si stava illudendo che forse non se la sarebbero presa poi così tanto dopo quello che avevo fatto, ma dovevo bloccarla prima che contagiasse anche la parte razionale della mia mente. Non potevo spettarmi niente di positivo.
- Smettetela - sussurrai, allontanandomi da tutti facendo qualche passo indietro, quasi scossa – Su questo non avete niente di cui rimproverarvi – probabilmente, su altre cose sì, pensai.
- Questo non è vero... - iniziò dolcemente Marie, cercando di avvicinarsi, ma la bloccai.
- No, per favore - sospirai, per poi tentare di regolarizzare il mio respiro accelerato – Dobbiamo parlare e dovete essere sinceri come non lo siete mai stati finora... Sedetevi - li pregai, indicando i divani alle loro spalle.
Titubanti e sorpresi, eseguirono la mia richiesta. Stephan si sedette all’inizio dei gradini che conducevano al piano superiore. Sebastian, per restarmi il più vicino possibile, si accomodò su una delle poltrone, mentre Marie e Jonathan si sedettero su uno dei divani del salotto e Will e George sull’altro.
Non sapevo bene come cominciare il discorso, forse perché ne sapevo così poco e mi sembrava così assurdo allo stesso tempo, che non riuscivo bene ad elaborare una frase. Arrivai alla conclusione che forse il miglior metodo per affrontare la questione, era essere il più diretti e schietti possibili.
Guardai negli occhi Jonathan e Marie per una diversa manciata di secondi, sotto i loro sguardi confusi, finché finalmente non mi decisi a rivolgermi a loro.
- Chi sono i miei genitori biologici? – domandai a bruciapelo, mantenendo lo sguardo su di loro per captare qualsiasi segnale che potesse rivelare che mi stavano mentendo.
Jonathan sembrava non sentirsi per niente a disagio, mentre Marie improvvisamente era diventata più inquieta.
Sebastian, palesemente confuso, si alzò dalla sua postazione e mi prese delicatamente per mano – Ma cosa stai… -.
- Shh – lo zittii, restando concentrata sui nostri tutori – Allora, chi sono i miei genitori biologici? -.
- I vostri genitori biologici sono Charlie e Renée Swan – rispose a macchinetta Marie, con la voce tremolante.
- Lascia fuori Sebastian da questa storia – ribattei innervosita dalla risposta palesemente forzata che mi era stata data – Lo chiederò per l’ultima volta e gradirei che mi rispondeste sinceramente. Chi sono i miei genitori? -.
Tutti i presenti si stavano agitando, i miei fratelli si guardavano confusi. Gli unici che non sembravano essere presi alla sprovvista erano proprio Jonathan e Marie. Onestamente, stavo cominciando ad arrabbiarmi. Da come si stavano comportando, sembrava proprio che Emmett mi avesse detto la verità.
- Che cosa vuoi sapere esattamente? – mi chiese Jonathan, beccandosi un’occhiataccia da parte di Marie, alla quale rispose – Se insiste in questo modo, significa che ha già dei sospetti! -.
Marie si passò nervosa entrambe le mani sul viso. Non potevo crederci.
- Tutto! – esclamai a Jonathan, con gli occhi sbarrati.
- Va bene – disse – Tu e Sebastian avete la stessa madre… ma non avete lo stesso padre – fece una pausa, per poi specificare – L’unico figlio legittimo di Charlie Swan è Sebastian -.
Nonostante Emmett sembrasse avere ragione a questo punto, avere questa conferma dall’uomo che mi aveva cresciuta per la maggior parte della mia vita, era una pugnalata al cuore. Lo rendeva effettivamente reale. Sebastian accanto a me sembrava non capire, come se stessimo parlando in un’altra lingua.
I miei occhi si riempirono di lacrime fuori controllo. Non potevo crederci. Avevo vissuto sedici anni pieni di menzogne e segreti sulla mia vera identità. Come avevano potuto mentirmi su una cosa del genere, con tutto quello che io e Sebastian avevamo già dovuto affrontare dopo l’Invasione?
Mi sforzai a guardare i volti di Will, George e Stephan, totalmente sconvolti.
- Chi è mio padre? – mormorai e, lentamente sentii Sebastian allontanarsi da me per appoggiarsi con la schiena contro il muro.
- Non ti serve saperlo – rispose duramente Marie, cambiando totalmente atteggiamento – È morto da più di un decennio -.
Scoppiai a ridere senza alcuna traccia di divertimento, mentre le lacrime correvano senza sosta giù dalle mie guance arrossate. Cominciai a camminare avanti e indietro, nervosamente, passandomi le mani fra i capelli e tirandomeli dall’attaccatura.
- Non mi serve saperlo – ripetei, senza alcuna emozione nella voce, schernendola – Non mi serve -.
- No, davvero, non ti serve – ribadì, cercando il mio sguardo – Lo dico per evitarti un’ulteriore sofferenza, fidati di me -.
- Direi che ormai è un po’ troppo tardi per fare questo ragionamento – sussurrai, piena di rabbia, per poi aggiungere – O forse per voi, il fatto che sia ancora vivo, ma sotto una forma diversa, è ancora peggio della morte stessa! -.
Non riuscii proprio a trattenermi. Volevo fargli capire che sapevo molto di più di quello che mi stavano propinando, per fargli vuotare il sacco più velocemente. Volevo dargli la possibilità di confessare e, allo stesso modo, fornire un’occasione anche a me per cominciare a dire la verità.
Jonathan si alzò in piedi, stringendo i pugni lungo i fianchi – Cosa stai insinuando? -.
- Quello che ho detto – ribadii con sicurezza – Che i Nascosti vi danno talmente il voltastomaco che in confronto preferireste la morte -.
Marie guardò suo marito, dallo sguardo sembrava sfinita e non l’avevo mai sentita così lontana e distaccata nei miei confronti come in quel momento. L’avevo sempre considerata come una madre per me e vedere che ciò in cui avevo sempre creduto, tutte le mie sicurezze, quella che avevo sempre considerato la mia famiglia, sgretolarsi pezzo per pezzo davanti ai miei occhi, era devastante. Una cosa che onestamente non avrei mai immaginato di vivere.
Dopodiché, spostò lo sguardo su di me, constatando – Sai che è un vampiro -.
- Sì, lo so! – esclamai, non riuscendo a controllare il tono di voce né le parole che sgorgavano dalla mia bocca – E adesso capisco anche il perché della tua reazione quando sei venuta a prendermi in ospedale qualche settimana fa, dopo l’incidente! -.
- Non so di cosa… - cominciò a mentire, ma la interruppi.
- Hai finito di prendermi in giro?! – urlai, lasciando senza parole tutti i presenti.
Odiavo dover alzare la voce e sicuramente non avrei mai pensato in vita mia che un giorno sarei arrivata a farlo contro la donna che mi aveva cresciuta e accudita. Ma ero furiosa e in cerca di spiegazioni, e non mi interessavano le modalità che avrei dovuto usare per ottenere le risposte che volevo.
Dopo qualche secondo di imbarazzo, moderai il tono di voce – Sai benissimo di cosa sto parlando -.
Jonathan passò lo sguardo più volte tra una e l’altra, con un evidente sospetto che gli si leggeva in volto – Che cosa mi state nascondendo voi due? -.
- Niente! – disse Marie, ma rispose con una tale velocità che si capì subito che era una bugia.
Mi soffermai a guardare i miei fratelli, tutti e quattro, con i volti confusi e preoccupati di chi non riusciva a capire cosa stava succedendo e quello che sarebbe successo da lì a breve. Mi voltai verso Sebastian che era distrutto. Solo una volta nella vita l’avevo visto soffrire in quel modo, ed era il giorno della morte di Charlie e Renée. Sapevo quanto lui tenesse particolarmente ai legami di sangue e sicuramente l’idea di non essere “fratelli puri”, lo stava facendo impazzire divorandolo dall’interno. E infine, lasciai per ultimi i miei genitori adottivi, i miei tutori. Marie era addolorata, piegata su sé stessa con le mani in grembo, come per farsi più piccola e sparire da quella stanza. Jonathan invece… Beh, lui, capendo di essersi perso molte cose in queste settimane, sembrava un leone pronto ad attaccare non appena avessi rivelato la verità. L’unica cosa che di certo non sapeva era che, dopo tutte le cose che mi avevano nascosto, e a intuizione potevo immaginare che fossero parecchie, anche io ero pronta e carica allo scontro.
Sgranchii la voce e, senza paura e senza vergogna, dissi ad alta voce – Mi sono innamorata di un vampiro e, il caso vuole, che uno dei suoi fratelli vampiri mi ha detto che sono sua figlia – non riuscii trattenere una risata isterica – E inizialmente credevo che fosse un modo per raggirarmi o semplicemente volevo negare l’evidenza anche dopo le prove che mi sono state fornite. Ma a vedere dal modo in cui avete reagito… - mormorai, estremamente delusa da loro – ho capito che siete voi ad avermi raggirata, da tutta la vita, e non lo avete fatto solamente con me o con Sebastian, ma anche con i vostri stessi figli – e infine, aggiunsi – Inoltre, è giusto che sappiate che gli ho raccontato tutto su di me, su di noi, considerato che mi hanno raccontato di loro e dei Licantropi -.
Gli sguardi di tutti i presenti, persino quello di Stephan, erano di stupore, sorpresa, delusione e incredulità. Ormai ero certa che quella discussione non potesse terminare pacificamente. Era come se me lo sentissi che da lì a breve ci sarebbe stato uno scontro.
- Tu... - provò a dire Jonathan incredulo, talmente fuori di sé da non riuscire a formulare una frase di senso compiuto - L'hai fatto davvero? Tu... Tu ci hai traditi? -.
- Sì – ammisi sostenendo il suo sguardo, anche se un po’ impaurita dal fatto che non avesse ancora iniziato a sbraitare - Ho tradito tutti voi, ho ignorato le regole imposte dal Conclave. Mi dispiace. Ma anche voi avete le vostre colpe e siete dei traditori nei miei confronti -.
L’unica cosa che mi dava un po’ di sicurezza era proprio quella. Conoscere parte delle mie vere origini che loro avevano palesemente, da sempre, cercato di insabbiare. Se il Conclave fosse stato a conoscenza di questa storia, sicuramente non avrei raggiunto il mese di vita. A Idris qualsiasi tipo di tradimento era condannato gravemente, quindi anche l’adulterio e il frutto che ne poteva nascere, ad esempio una figlia illegittima come me. Era il Conclave a decidere chi si doveva sposare con chi e, di conseguenza, le famiglie che si dovevano unire. Non potevamo avere libero arbitrio in merito, come in realtà non potevamo averlo su niente. E sicuramente, se avessero saputo della storia clandestina fra Renée e Emmett, sarebbero intervenuti prima ancora che qualcuno potesse prendere esempio da loro. Alla fine, è un bene che il popolo tema il suo aguzzino senza riserve, solamente così si ha il pieno controllo delle vite altrui. Se dai loro un pezzetto di pane, pretenderanno di avere una pagnotta intera. Secondo lo stesso ragionamento, dai loro un briciolo di libertà e cominceranno a desiderare di avere il diritto decisionale su qualsiasi cosa.
Jonathan scoppiò a ridere, ma senza alcuna traccia di divertimento - Hai sentito Marie? - disse voltandosi verso di lei, che lo guardava allarmata - Le dispiace e ci ha dato dei traditori, che coraggio! -.
Dopodiché, con uno scatto impressionante, si lanciò verso di me e bruscamente, racchiuse le sue enormi mani intorno al mio collo, facendomi sbattere la schiena contro il muro alle mie spalle. Sentivo le urla disperate del resto della mia famiglia, ma le mie orecchie pulsavano talmente forte in quel momento da non riuscire a distinguerne le voci. Le sue dita intorno alla mia gola erano talmente strette da impedirmi di respirare correttamente. Mi aveva praticamente sollevata da terra e l'unico appoggio che avevo era il muro dietro di me. La mia testa era inclinata innaturalmente verso il soffitto bianco, dove iniziarono a comparire delle insolite macchioline nere. Mi sentivo confusa. Non riuscivo a credere che mi stesse facendo del male intenzionalmente, lui, l'uomo che mi aveva cresciuta e addestrata. Non riuscivo a credere nemmeno alla calma dei miei pensieri. Ma in tutto ciò, ci trovavo della leggera ironia: neanche ventiquattro ore fa ero stata salvata dopo aver quasi rischiato la vita, e ora la stavo rischiando di nuovo. Se non era destino questo.
- Jonathan! Mettila giù immediatamente! Non riesce a respirare! - urlò Marie disperatamente.
Ci fu altro trambusto e quando finalmente lasciai i miei occhi chiudersi e sentii i miei pensieri diventare dei piccoli sussurri incomprensibili, capii che dovevo fare qualcosa se volevo sopravvivere, dovevo agire. Con cautela, cominciai a sfilare uno dei miei pugnali dalla fodera che avevo sul fianco e, sempre con gli occhi chiusi, alzai di scatto il braccio destro e con tutta la forza che avevo, cominciai a colpirlo, ma non con la lama, bensì con la parte bassa dell’elsa che stavo tenendo. Preso alla sprovvista e, probabilmente perché lo colpii di netto dietro al collo, cadde a terra in preda agli spasmi, liberandomi dalla sua presa ferrea. Aprii gli occhi di scatto, con la bocca completamente spalancata alla ricerca di ossigeno, mentre un attacco di tosse mi fece tremare la cassa toracica. I polmoni smisero gradualmente di formicolare. Istintivamente mi portai le dita al collo, stringendolo leggermente per sentirmi meglio. Aveva stretto così forte, da farmi più male l'assenza delle sue dita intorno alla pelle della mia gola, che tutta l'azione in sé. Quando iniziai a riprendermi, mi accorsi che tutt'intorno a me, inginocchiati, c’era la mia schiera di fratelli che mi facevano da scudo. Marie, invece, si stava assicurando che Jonathan stesse bene, aiutandolo ad alzarsi.
Con fatica, ignorando l’aiuto dei miei fratelli, mi alzai in piedi e feci qualche passo avanti per guardare meglio Jonathan. Il mio fiato era ancora affaticato e mi tremavano le gambe per lo spavento, ma ormai lo avevo affrontato e non avevo più nulla da temere.
- Osa un’altra volta mettermi le mani addosso e, te lo giuro sull’Angelo Raziel, sarà l’ultima volta che vedrai le tue mani! – lo minacciai, mentre Sebastian mi teneva per un braccio e Will per l’altro.
Jonathan non rispose, si limitò a sbuffare rabbiosamente dal naso. Senza che potessi controllarlo, una volta che Sebastian si era assicurato che stavo bene, cominciò a tremare dalla furia che provava e istintivamente estrasse la sua spada.
- HAI CAPITO?! – gridò mio fratello con tutto il fiato che aveva in corpo.
Non pensavo nemmeno che fosse umanamente possibile urlare in quel modo.
- Sebastian - lo richiamò Marie, che stava aiutando suo marito a sorreggersi, nel tentativo di calmarlo - Basta, metti giù la spada! -.
Ma non funzionò.
- CON CHE CORAGGIO HAI FATTO UNA COSA DEL GENERE?! - continuò imperterrito, senza ascoltarla, lasciandomi tra le braccia di Will, per fare qualche passo verso di lui - DOPO OGGI, HAI ANCHE IL CORAGGIO DI DEFINIRCI FIGLI TUO?! LA STAVI UCCIDENDO, STAVI UCCIDENDO LA STESSA BAMBINA A CUI RIMBOCCAVI LE COPERTE PRIMA DI ANDARE A DORMIRE! MA CHE MOSTRO SEI?! -.
Avrei tanto voluto voltarmi, andare in contro a mio fratello e abbracciarlo. Avrei voluto dirgli che sarebbe andato tutto bene e che ce la saremmo cavata comunque, perché dentro di me sapevo che in qualche modo lui ne era uscito più ferito di me da quel che era accaduto quel giorno. In fondo, lui era quello che non ci aveva mai creduto. Lui aveva sempre messo in discussione la nostra "nuova famiglia", non si era mai lasciato andare completamente alle loro coccole, ai loro doni, ai loro gesti. Era convinto che nonostante tutto, non ci saremmo mai integrati totalmente a loro. Come diceva lui, noi non eravamo quelli "indispensabili". Lui era quello terribilmente insicuro nella nostra coppia. A lui, in questo momento, era crollato il mondo addosso, avendo ricevuto su un piatto d'argento, tutte le sue paure diventate realtà. Perché in fondo, l'ho sempre saputo inconsciamente, che desiderava più di qualsiasi altra cosa essere considerato un figlio e un fratello alla pari, ma non si era mai concesso di sentirsi così per non essere ferito… eppure.
- Ha messo in pericolo tutti noi, la nostra specie! - esclamò furioso Jonathan, contrastando mio fratello con la sua altezza – Deve pagare Sebastian, ha sbagliato! Lo sai anche tu che ha sbagliato! -.
- Per arrivare a lei, prima dovrai passare sul mio cadavere! – esclamò in tutta risposta mio fratello.
Will, che era ancora al mio fianco, si intromise dicendo – Non ti permetterò di farle del male, padre! -.
- Neanche noi! – si schierarono George e Stephan.
Per l'Angelo, non vedevo l'ora che la smettessero, tutti quanti.
- Jonathan! - lo richiamò Marie, stavolta alzando la voce - Smettila, ci stai spaventando, tutti quanti! Nessuno ucciderà nessuno, nemmeno il Conclave lo farà! Gli parleremo e troveremo una soluzione! -.
Non mi importava di morire sinceramente, tanto ormai avevo perso tutto. Non avevo più nulla: la nostra famiglia si era appena distrutta, mio fratello si sarebbe reso conto del valore dello sbaglio che avevo commesso e mi avrebbe allontanata e, come se non bastasse, avevo abbandonato e ferito Edward. Quanto ero stata stupida.
Mi scostai da William per fare qualche passo avanti, ma la sua mano finì immediatamente sulla mia spalla, come per fermarmi.
- Stai bene? - chiese apprensivo, con gli occhi spalancati per l’adrenalina.
Annuii silenziosamente guardandolo negli occhi. Afferrò la mia mano e, insieme a George, mi trascinarono in un abbraccio, nel quale alla fine si aggiunse anche Ste. Pure Marie cambiò posizione, avvicinandosi di più e con cautela a suo marito e a suo figlio adottivo.
- Abbassa la spada, Sebastian - sussurrò guardandolo gentilmente, prima di posare un dito sul lato liscio della lama per spingerla verso il basso - Forza - lo incoraggiò di nuovo.
Sebastian obbedì, e tutti tirammo un lungo sospiro di sollievo. Poi Marie si voltò completamente nella direzione di Jonathan. Non l'avevo mai vista così arrabbiata e la sua calma apparente la rendeva ancora più terrificante.
- Si può sapere che cosa ti è preso? - chiese, cercando di mantenere il tono tranquillo che usava solitamente, anche se a causa di ciò che provava realmente, le tremava la voce - Ti sembra il modo di reagire? Ti sembra il modo di trattare tua figlia? Ti rendi conto di ciò che hai fatto? -.
- Lei non è mia figlia - ringhiò, facendomi rendere conto chi avevo davvero davanti – Oggi ho finalmente capito che è la degna figlia bastarda di suo padre! -.
Rimasi in silenzio perché non volevo dargli la soddisfazione di avermi ferita, ma quelle parole facevano male davvero. Ma non mossi assolutamente ciglio. Lui aveva rivalutato me? Bene, anche io avevo rivalutato loro e non in positivo.
- Non trovi che sia buffo? - continuò improvvisamente, l'uomo che mi aveva cresciuta - Avevamo deciso di non dire a Stephan e Isabella, il giorno della riunione del Conclave prima di partire, cosa sarebbe successo se un Cacciatore non avesse rispettato i patti. Che cosa avevamo detto? Ah sì, che era inutile, perché tanto tutti i nostri figli avrebbero rispettato le nuove leggi, che sarebbe stato meschino spaventarli inutilmente - fece una lunga pausa, spostando il suo sguardo gelido su di me - E guarda che cos'è successo, Marie. Guarda. Soltanto Stephan e Sebastian hanno rispettato a pieno le raccomandazioni - poi si rivolse unicamente a me - Vuoi sapere che cosa succede a chi non rispetta gli ordini, Isabella? -.
Deglutii a fatica, immaginando già che cosa stesse per dire. Non ci voleva sicuramente un genio per capirlo.
- Viene interrogato, torturato e, se dovesse sopravvivere alle torture, giustiziato davanti al popolo - disse seriamente, senza un briciolo di pietà nello sguardo - E sai perché? Perché sono convinti che usare lo stesso metodo che usano i Volturi, per mantenere sotto controllo la situazione, per evitare che i vampiri parlino troppo agli umani o si facciano scoprire, possa aiutare a tenere nascosta la razza. Tu, in questo momento, sei una nemica del Conclave, Isabella. Hai rivelato la nostra esistenza a dei Nascosti -.
Marie, che a quanto pare non ce la faceva più a starlo a sentire, uscì di corsa dalla stanza con le lacrime che le cadevano dagli occhi e i singhiozzi che le uscivano ritmicamente dalla bocca. Nonostante fossi molto arrabbiata anche con lei, mi si spezzava il cuore vederla così. Avrei voluto abbracciarla, stretta a me, per non farla soffrire così tanto, ma non ne sarei stata in grado. Stavo ancora cercando di smaltire il gesto e le parole di Jonathan. I miei fratelli, intorno a me, sembravano appena tornati da una ricognizione a sentire i loro respiri accelerati.
- Prima di essere il tuo tutore, io sono un Cacciatore, Isabella – sottolineò incrociando le braccia al petto con fare risoluto - E questo discorso non vale solo per te o per Sebastian, ma anche per i miei figli biologici. Prima di essere vostro padre, sono un Guerriero, che lotta per avere giustizia. Se l'avesse fatto Stephan, avrei reagito allo stesso modo - continuò, passandosi una mano sul viso, deluso, davvero deluso – Mi dispiace di aver perso il controllo -.
Non sapevo se credere ancora a quelle parole, dopo che mi aveva quasi strozzata e aver ammesso di volermi uccidere, o che mi avrebbe lasciata morire per mano del Conclave. Lui era davvero d'accordo all'idea che morissi? In quell'istante ringraziai la mia intelligenza per aver tenuto fuori dalla mia versione Stephan. Non volevo che anche lui finisse nei guai, non volevo che rischiasse di morire o di finire in prigione. Lui non aveva rivelato niente della sua vera natura ai Cullen, avevo fatto tutto io. Quindi, se lui non avesse mandato a quel paese tutto il mio piano dicendo la sua versione dei fatti, sarebbe rimasto al sicuro. Per quanto potesse essere al sicuro uno Shadowhunters.
- E proprio per questo, ti darò tre giorni per scappare prima di avvisare il Conclave. Avrai tre giorni di vantaggio per trovarti un posto sicuro prima che ti trovino loro. Questa è l'unica concessione che posso farti in questo momento. Vattene, e non tornare mai più -.
Come per farmi coraggio, cercai con le dita la pietra blu zaffiro che portavo sempre al collo. Toccarla mi faceva tranquillizzare e ragionare meglio. Eppure tastando la pelle, non la trovai. Probabilmente l’avevo persa la sera precedente durante lo scontro con i licantropi. Quella collana era l’unica cosa che mi faceva sentire ancora parte di una famiglia, e adesso non avevo più nemmeno quella. Da quel giorno, sarei stata ufficialmente figlia di nessuno.
 
 
 
 
 
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Mi scuso per il ritardo, ma dato che alla sfiga piaccio particolarmente, sono a casa con il covid e non sono stata molto bene. Perciò sono riuscita a prendere in mano il computer per scrivere solamente oggi. Spero mi perdoniate, buonanotte.

 

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Capitolo 28
*** 27. Lost ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


27. Lost

 
[POV EDWARD]
 
Erano ormai passati quasi due giorni da quando ero fuggito da casa mia, da lei e dalle sue parole taglienti, ma terribilmente vere. Ero sdraiato al centro esatto della mia radura, che sarebbe potuta diventare la nostra radura se tutto fosse andato come desideravo. Mentre pensavo ai miei errori, mi rigiravo tra le mani una collana che avevo trovato nel bosco per venire qui. Era piccola, ma sembrava preziosa. Il ciondolo era color blu zaffiro a forma di goccia, con all’interno inciso in nero un fiocco di neve e vari ghirigori dorati, quasi invisibili per l’occhio umano. Doveva avere qualche potere magico, perché ogni volta che la prendevo in mano la sentivo scaldarsi, a tratti quasi sembrava bruciarmi la pelle, eppure non volevo liberarmene. Non perché potesse essere avere valore, ma perché portava il suo profumo. Non gliela avevo mai vista indosso, probabilmente la nascondeva sotto i vestiti, ma doveva averla persa durante lo scontro con i licantropi. Tenerla stretta a me certamente non le avrebbe mai fatto cambiare idea su di noi, eppure era un modo per sentirla vicino, anche se mi faceva male. Eventualmente c’era anche la possibilità che gliela restituissi, ma in quel momento non era il caso, sarebbe stato un azzardo ed ero stato già fin troppo sconsiderato. Tutta la sofferenza che provavo in quel momento era una conseguenza che avrei dovuto affrontare.
Ero stato troppo avventato a fidarmi di qualcuno al di fuori della mia famiglia, ad innamorarmi, ma soprattutto, a credere che un essere come me potesse essere amato. Come poteva un vampiro, un essere spregevole e demoniaco come me, trovare qualcuno che potesse provare anche solamente qualcosa di lontanamente simile all’amore nei miei confronti. E poi, l’avevo preteso proprio da lei, una meravigliosa creatura per metà umana e per metà angelo, generata per eliminare il male da questo mondo e la mia natura, mio malgrado, ne faceva parte.
Avevo sbagliato. Avevo messo in pericolo tutti i miei affetti per inseguire l’idea di un amore non coronabile. Avevo illuso me stesso, che mi ero privato per secoli di provare sentimenti per chiunque al di fuori della mia famiglia, con il solo obiettivo di risparmiarmi diverse sofferenze. Invece, con lei, erano esplosi, incontrollabili e indomabili, per la prima volta in tutta la mia inutile esistenza. Eppure, Bella non contraccambiava.
Per la prima volta, dopo più di un secolo di vita, sentivo di aver perso tempo e, a pensarci bene, non solo quello. Avevo perduto sia la testa sia il cuore per quella ragazza. Avrei dato la mia vita per la sua, ma lei non mi voleva. E io, stupido, come avevo potuto credere che qualcuno potesse volermi?
In fin dei conti, era stata tutta colpa mia. Se non mi fossi esposto e avessi soppresso quello che provavo per lei, niente di tutto questo sarebbe successo. Il rifiuto era un’emozione che non avevo ancora mai provato, soprattutto in questa esistenza da vampiro.
L’unica cosa che volevo era dimenticare e andare avanti, ma se Emmett avesse avuto ragione e Bella era davvero sua figlia, questo forse avrebbe reso tutto molto più complicato del previsto. Anche questo non riuscivo a capire. Perché mio fratello aveva nascosto alla sua famiglia, sulla quale poteva certamente contare e fidarsi, che aveva una figlia? Inoltre, la cosa impressionante, era che in questi anni di convivenza con lui non si era mai lasciato sfuggire alcun dettaglio a riguardo. Se solo ce ne avesse parlato, avremmo potuto essere di supporto e aiutarlo nelle ricerche che stava seguendo da solo.
Sospirai cercando di liberare la mente dai pensieri, ma senza successo. Stavo guardando il cielo e, allo stesso tempo, ragionando sul fatto che probabilmente sarei davvero rimasto da solo per sempre, senza l’amore di una donna che desideravo, quando ad un certo punto si levò una grossa corrente d’aria. Mi misi seduto, nascondendo nella tasca dei pantaloni il ciondolo che fino a quel momento avevo fra le mani, per evitare di perderlo. I grossi tronchi degli alberi che circondavano la radura si piegavano, inermi davanti al volere del vento, e un turbine di luci e lampi vorticavano a pochi metri da me, creando un ovale perfetto. Non ne avevo mai visto uno di persona, avevo solamente letto delle informazioni a riguardo in qualche libro decenni fa, ma quello sembrava proprio un portale. Da quello spiraglio di luce, uscirono tre ombre dalla figura maschile, vestite interamente di nero.
Mi alzai in piedi, preso alla sprovvista, pronto a difendermi.
- Dite che è lui? – chiese uno di loro.
L’altro alzò le spalle - Sicuramente è un vampiro – rispose – Catturiamolo –.
Non aspettai altro, cominciai a correre, ma non servì a nulla. Sentii qualcosa sbattermi contro la schiena, aprirsi e stritolarmi il corpo come un ragno gigante, immobilizzandomi totalmente e facendomi cadere a terra. Ogni volta che tentavo di muovermi, la trappola si stringeva e mandava un impulso elettrico in tutto il mio corpo, stordendomi.
- Ti conviene stare fermo, se vuoi sopravvivere al viaggio – disse il più piccolo, guardandomi dall’alto, sempre incappucciato per nascondere il volto.
Sulla pelle portavano gli stessi simboli che aveva anche Bella. Quindi erano Cacciatori anche loro.
Cercai di ribellarmi, ma senza successo, beccandomi un’altra scossa – Cosa volete da me?! -.
- Da te niente – rise il più massiccio, abbassandosi su di me e prendendomi duramente per i capelli, per guardarmi meglio negli occhi – Sei solamente la nostra esca, ci servi per un obiettivo più grande -.
- Non vedo a cosa potrei esservi utile, non vi conosco nemmeno – mormorai, mentre la trappola mi stringeva sempre di più.
- È vero, ma abbiamo una conoscenza in comune – disse qualcuno che fino a quel momento non aveva ancora parlato – La ragazzina che ti piace tanto, ci ha esposti tutti. È una traditrice e pagherà per ciò che ha fatto -.
 
 
[POV BELLA]

Il primo giorno era stata una sofferenza indescrivibile: per la prima volta il tutta la mia breve vita, mi sentivo davvero abbandonata a me stessa, senza una famiglia, senza nessuno su cui contare o fare affidamento. Avevo camminato per ore intere senza meta, con le lacrime agli occhi, ma senza mai piangere davvero. Non meritavo di lasciarmi andare alle emozioni, esternandole. Mi meritavo tutto ciò che provavo e il modo migliore per punirmi era tenerle dentro di me. Jonathan mi aveva dato la possibilità di prendere uno zaino, quello che di solito utilizzavo per andare a scuola e che, inevitabilmente mi aveva immediatamente ricordato Angela, per metterci dentro qualunque cosa volessi. Avevo scelto di utilizzarlo per contenere provviste, acqua, la foto dei miei genitori, o almeno quelli che avevo creduto fossero i miei genitori, e una mia con Sebastian. Non avevo bisogno di altre armi che aumentassero il peso che portavo, ne avevo più che a sufficienza addosso.
Avevo voglia di urlare, ma mi sembrava di non avere abbastanza fiato per farlo. Il mio cuore sembrava essere stato schiacciato sotto un macigno, sia dopo aver scoperto che non ero chi credevo di essere, sia dopo aver preso la decisione di abbandonare i miei fratelli. Sapevo che la decisione giusta sarebbe stata quella di prendere di petto la situazione e dire a Jonathan di avvisare immediatamente il Conclave per dire tutta la verità. Ma poi avevo visto i loro visi, quelli delle persone che amavo e che già stavano soffrendo per un mio eventuale abbandono, e non ce l'avevo fatta a fare loro una cosa del genere. Assistere ad un processo ed infine alla mia morte... Sapevo che nonostante tutto, il loro amore nei miei confronti era forte, forte come la prima volta che mi avevano accolta nella loro casa, nella loro vita. Avrebbero sofferto molto, a causa mia. Il minimo che potessi fare era quello di ridurre i danni. E Sebastian, il mio dolce Seb; lui aveva insistito tanto per partire con me, per scappare, per fingere che la verità che mi era stata detta non appartenesse alla realtà, ma fortunatamente ascoltò le mie ragioni e, anche se a malincuore, lo costrinsi a restare in quella casa, in quella famiglia che aveva fatto così tanto fatica ad accettare e in cui ora non si trovava più a proprio agio. Ma se mi avessero trovata, e sapevo che l'avrebbero fatto, e lui mi avesse seguita, avrebbero ucciso anche lui per aver collaborato e contribuito alla mia fuga e, in questa situazione, Sebastian mi serviva di più saperlo vivo e al sicuro che morto. Se l'avessero ucciso, io sarei morta con lui. Non ero abbastanza forte per vivere questa vita senza di lui, che per me era tutto; dovevo proteggerlo come meglio potevo e questo era l'unico modo. Sapevo che i Durwood l'avrebbero tenuto al sicuro, perché i miei errori non erano i suoi errori, ma ero comunque preoccupata che facesse qualcosa di stupido che potesse metterlo in pericolo, e come aveva detto Jonathan, prima di essere un padre e un marito, lui era un Cacciatore e, come tale, si sarebbe comportato. Ne sarebbe stato capace: se Sebastian si metteva qualcosa in testa, era difficile, quasi impossibile, fargli cambiare idea.
Due persone, due Shadowhunters, con idee e mentalità così differenti, erano difficili da tenere a bada, soprattutto se nessuno dei due era incline ai compromessi.
E così il primo giorno finì con questi pensieri: mi addormentai al freddo, sotto un albero, sognando un fratello felice, ad Idris, mentre giocava con dei bambini e una giovane donna. Ma in quel quadretto famigliare, io non ero presente. Il secondo giorno, quando mi svegliai, andò un po' meglio. Mi sentivo meno in pena per le persone che amavo, ma la voglia di preparare un vero e proprio piano di fuga non era ancora arrivata. Non sapevo dove andare, che cosa ne avrei fatto della mia vita... per la miliardesima volta pensai al senso di una mia ipotetica fuga. Decisi di non allontanarmi ulteriormente, tanto mi avrebbero scovata anche se mi fossi diretta in Antartide; stando qui invece, avrei solo accelerato il processo, e io non vedevo l'ora che tutto questo finisse. Consumai qualche provvista e mi misi subito a dormire, ma non sognai nulla. Il terzo giorno, sentivo di non provare più emozioni. Non pensavo alla mia famiglia, non pensavo ai Cullen e tantomeno ad Angela. Il vuoto più totale. Ma ripresi a camminare: non riuscivo a stare ferma per troppo tempo e mi inoltrai ancora di più nella vegetazione del bosco di Forks. Non ero più nemmeno sicura di trovarmi nei confini della cittadina, ma sicuramente non ero né nel territorio del Quileutes né il quello dei vampiri. In compenso, incontrai un demone: non fece nemmeno in tempo a saltarmi addosso che lo uccisi immediatamente. Il suo piccolo corpo svanì in una nuvoletta scura. Mangiucchiai qualcosina e mi misi a dormire. Il quarto giorno trovai una grotta. Era enorme e quando mi addentrai all'interno, notai che si congelava, anche troppo a dir la verità. Volevo utilizzarla come rifugio, ma mi dissi che non era il caso. Quel covo non mi convinceva per niente, sicuramente c'era qualcosa di strano, ma non sarei andata a controllare. Ero da sola, e qualunque cosa ci fosse là dentro non valeva di certo la mia morte, pensai nonostante il mio istinto di sopravvivenza in quei giorni mi avesse un po' abbandonata. Preferivo morire per mano del Conclave, che morire per dei mostri qualsiasi. Mi allontanai dalla caverna. Poco distante, trovai un fiume. Puzzavo davvero tanto, sia di sudore che di icore, perciò pensai di farmi un bagno veloce e, nel frattempo, di lavare la tenuta. Mi guardai intorno attentamente, per verificare che non ci fosse nessuno; successivamente mi spogliai delle armi e dei vestiti e mi inoltrai nell'acqua fredda, stando comunque a riva per cercare di non essere trascinata via dalla corrente. Sfregai le mani sulla mia pelle, sia per pulirmi che per darmi sollievo. Dopodiché lavai la tenuta velocemente e la rimisi sotto la luce del sole. Uno dei pochi giorni di sole da quando mi ero trasferita a Forks. Non avrei mai pensato di passarlo così. Uscii dall'acqua soltanto quando mi assicurai che la tenuta si fosse asciugata almeno un po'. Mi rivestii e mi impossessai nuovamente delle mie armi. Mangiai a bevvi qualcosa, poi mi addormentai. Il quinto giorno, mentre dormivo, sentii qualcosa afferrare la mia spalla e scuotermi debolmente, come se volesse svegliarmi. Il mio pensiero arrivò subito al Conclave e al fatto che mi avrebbero uccisa: erano davvero lì e mi avrebbero assicurato la pena di morte. Ma poi qualcosa di freddo accarezzò la mia guancia, e riflettendoci, se fosse stato davvero chi pensavo che fosse, non mi avrebbe mai svegliato con tutta questa delicatezza. Perciò aprii gli occhi e l'immagine che mi si parò davanti, mi sorprese.  
 
 
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Capitolo 29
*** 28. Stories From The Past ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


28. Stories From The Past
 
Sgranai gli occhi per poi stropicciarmeli con le mani, non riuscendo a credere chi avevo davanti -Emmett? Cosa ci fai qui? -.
La mia voce era roca, sia per essermi appena svegliata, sia per non aver parlato molto in quei cinque giorni. Sentivo tutta la bocca impastata, ma feci uno sforzo. Il fisico di Emmett sembrava ancora più massiccio visto così da vicino, nonostante si fosse accovacciato al mio fianco. La sua enorme mano, aperta, riempiva quasi lo spazio del mio intero avambraccio. I suoi occhi dorati mi scrutavano con attenzione, e lo stesso facevo io.
- Ti abbiamo cercata ovunque - disse burbero, facendo un piccolo sorriso per alleggerire il tono che aveva usato - Sei ferita? -.
Non riuscivo a capirlo, nonostante parlassimo la stessa lingua. Ero ancora sconvolta per averlo trovato al mio risveglio, ma soprattutto in imbarazzo per come ci eravamo lasciati la volta precedente. Nonostante fossi giunta ad avere delle conferme dalla mia “famiglia”, non ero intenzionata a dirgli che gli credevo. La situazione era già abbastanza complicata anche senza creare ulteriori attriti, a maggior ragione se causati da me.
Ad ogni modo, sicuramente, sul mio volto pallido aleggiava un’aria stupita. Era l'ultima persona che mi sarei aspettata di trovare al mio risveglio, anche perché onestamente, non mi aspettavo nessuno se non il Conclave.
- C-Come hai fatto a t-trovarmi? - balbettai, sedendomi e guardandomi intorno circospetta.
Il suo sorriso si allargò, ma i suoi occhi sembravano preoccupati. Era successo qualcosa?
- Super olfatto - mi ricordò, toccandosi la punta del naso - Ci siamo divisi e ti abbiamo cercata, provando a captare la tua scia. All'inizio abbiamo scoperto solo tracce vecchie, ma alla fine ti ho trovata -.
- E perché mi stavate cercando? – domandai allarmata, anche se non ero sicura di voler conoscere la risposta.
Se mi stavano cercando tutti, non era sicuramente un caso, ed era davvero improbabile che Carlisle mi avesse tradito rivelando le mie intenzioni alla sua famiglia. Aveva detto che non l'avrebbe fatto e gli credevo, non sapevo perché, ma lo facevo. Mi fidavo di lui. Se mi cercavano con tutta questa urgenza doveva essere successo qualcosa di grave.
In quell'istante gli squillò il telefono. Si alzò in piedi mostrandomi una mano, come per scusarsi. Anche io allora feci lo stesso: mi tirai su lentamente, sgranchendomi le gambe e pulendomi i vestiti dalla terra e dalle foglie secche.
- Pronto, Alice? Sì, l'ho trovata... No, non gliel'ho ancora detto, stavo per farlo. Okay, Riesci a vedere dove mi trovo? Perfetto, dillo agli altri e raggiungeteci. A tra poco -.
Quando finì di parlare, lo guardai attendendo una spiegazione. Volevo sapere che cosa stava succedendo prima che arrivassero gli altri, in modo tale da riuscire a regolare al meglio le emozioni. In particolar modo, volevo essere messa al corrente prima che arrivasse Edward. Ero parecchio agitata all’idea di vederlo dopo ciò che avevo detto. Sapevo che avrei avuto delle serie difficoltà a reggere il suo sguardo, proprio come stavo facendo con Emmett. Ma in un certo senso, egoisticamente parlando, ero felice di rivederlo. Lo consideravo una specie di ultimo desiderio prima di morire.
- Che succede? - chiesi, con il cuore a mille per l'emozione.
Gli occhi dorati di Emmett si spostarono dallo schermo del suo telefono, sul mio viso.
Erano attenti e circospetti - Edward è sparito -.
Il mio cuore sembrò smettere di battere per qualche secondo. Edward... Edward era sparito? Era fuggito per colpa mia? Per le cose che gli avevo detto? Quando quel giorno l’avevo visto fuggire via da casa sua per causa mia, non avrei mai immaginato che non ci avrebbe rimesso più piede. Ero convinta che appena me ne fossi andata, lui sarebbe tornato. Un ormai conosciuto groppo in gola mi impedì di dire qualsiasi cosa. Sicuramente Emmett e il resto della famiglia erano venuti a cercarmi per farmela pagare, un altro conto in sospeso da risolvere. Prima il Conclave e ora i Cullen. A quel punto, sarebbe stato meglio costituirmi dal primo momento.
- Alice ha avuto una visione qualche giorno fa - iniziò a spiegare velocemente - Sai, lei vede il futuro, di azioni o fatti che si devono ancora compiere - fece una pausa - E ha visto Edward, mentre veniva rapito, nella sua radura, da uomini in tenuta scura, armati e con dei simboli disegnati sulla pelle - mormorò, lanciandomi uno sguardo di intesa.
Degli Shadowhunters, probabilmente il Conclave. Dovevamo salvarlo, non potevamo permettere che gli accadesse qualcosa! Emmett aveva detto che le visioni di Alice accadevano prima che i fatti riuscissero a compiersi, avevamo ancora qualche ora magari...
- E perché perdete tempo cercando me?! Per l'Angelo, andate a salvare lui! - esclamai, alzando il braccio destro simbolicamente, per invitarlo ad andarsene.
- Ci abbiamo già provato! - alzò la voce, sovrastandomi - Non abbiamo fatto in tempo a salvarlo! Quando siamo arrivati alla radura, non c'era già più nessuno! -.
- Dovevate seguire le loro tracce! -.
- L'avremmo fatto, se solo ce ne fossero state! - rispose a tono, per poi calmarsi - Le scie di quei uomini si trovavano soltanto alla radura, non portavano da nessuna parte. Seguire quella di Edward non sarebbe servito a nulla, perché era quella che ci avrebbe ricondotto a casa nostra. È stato trasportato con loro... -.
- Tramite un portale... - conclusi io per lui.
- È quello che penso anche io -.
Restammo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Dovevo ancora realizzare di essermi trovata Emmett, il mio presunto padre, al mio risveglio, quando ormai mi ero rassegnata all’idea di vivere una vita totalmente in esilio e in solitudine. Rivederlo dopo l’ultima conversazione che avevamo avuto, mi metteva parecchio in difficoltà, soprattutto perché avevo avuto la conferma che quello che mi aveva rivelato era vero. Eppure non me la sentivo di dirglielo, o perlomeno, non in quel momento. Dovevo scervellarmi, dovevo trovare il modo di salvare Edward.
Ma come aveva fatto il Conclave a trovarlo? Io non avevo fatto alcun nome alla mia famiglia. L'unico che sapeva, oltre a me ovviamente, era... era Stephan. Lui non avrebbe mai potuto farmi una cosa del genere, giusto? Non avrebbe mai messo in pericolo la vita di una persona, a cui tenevo davvero molto. Con quale scopo? No, era impossibile. Non l'avrebbe mai fatto. Era leale, non mi avrebbe mai tradita così, nonostante nelle ultime settimane tra noi non fosse corso buon sangue, lo consideravo comunque come un fratello e ci teneva a me.  Non avrebbe mai mandato a monte un rapporto che perdurava da così tanti anni, c’era troppo affetto e rispetto fra di noi. Conclusi quindi che Ste non avrebbe mai commesso un errore del genere.
- È tutta colpa mia - sussurrai senza pensare, abbassando lo sguardo sui miei stivali.
Sentii Emmett sospirare, appoggiandomi la sua enorme mano sulla spalla, come per confortarmi - No, non è vero -.
- Sì, invece! Se non mi fossi lasciata prendere dal panico dopo la nostra… “conversazione” – ammisi arrossendo e spostando lo sguardo lontano dalla sua immagine – Non gli avrei mai mentito, non lo avrei mai fatto scappare e a quest’ora non sarebbe in pericolo! -.
Sentivo di avere il destino contro. Io andavo a duecento kilometri all’ora in una direzione, mentre il resto del mondo andava alla stessa velocità ma in direzione opposta, cercando di trascinarmi con sé. Io tenevo tantissimo a lui, non potevo dire di amarlo, perché era davvero una parola da significato enorme per me, ma sicuramente ne ero innamorata. Volevo soltanto proteggerlo, proteggerlo dal male che avrebbe potuto infliggergli la mia razza, ma alla fine, il Conclave era riuscito a trovarlo comunque. Non appena avessi scoperto chi e come aveva fatto a dare informazioni al Consiglio, gli avrei fatto passare decisamente una brutta giornata. Era una promessa.
- È colpa mia – disse Emmett, mentre si infilava le mani nelle tasche.
Scossi la testa violentemente – Sono io che l’ho fatto soffrire -.
- Avrei dovuto capire che non era il momento adatto per affrontare un argomento del genere con te – si colpevolizzò amaramente – Eri appena sopravvissuta ad un brutto combattimento, eri sconvolta e in più esaurita di tutte le tue energie dopo averci rivelato la verità sulla tua natura – sospirò, passandosi le mani sul viso come per svegliarsi da un brutto sogno – Se qualcuno ha delle colpe, quello sono io. Avrei dovuto assicurarmi che fossi davvero tu, prima di mandarti in crisi con le mie false credenze. Mi dispiace, tu stavi soltanto provando a proteggerlo -.
Mi sentii mancare il respiro e il mio battito accelerò all’istante. Una forte stretta allo stomaco mi rese difficile dargli una risposta sensata, ma la verità era che non sapevo cosa dire. Cosa potevo dirgli alla fine? Non gli stavo mentendo, ma allo stesso tempo stavo omettendo che quello che mi aveva confessato era effettivamente la verità. Non riuscivo a non sentirmi in colpa a riguardo, ma allo stesso tempo non riuscivo a dirglielo. Una parte di me era come se fosse ancora bloccata nel dubbio, nell’incredulità che il ragazzo, il vampiro, in piedi davanti a me, fosse mio padre.
Non sapendo cosa dire, aspettai qualche minuto prima di rispondere - Te l'ha detto Carlisle? -.
Rise nervosamente, ma senza alcuna traccia di divertimento - Di certo non serve Carlisle per notare una cosa così palese. Penso che lo abbiano capito tutti ormai. Quando hai parlato con Carlisle, nel suo studio, non abbiamo potuto fare a meno di ascoltare. Non l'abbiamo fatto apposta, ma il nostro udito non ci lascia altra scelta... -.
- Non dare la colpa alle vostre capacità, eravate semplicemente curiosi -.
- Okay, è anche questo è vero – ridacchiò, stavolta più sinceramente.
Era sicuramente preoccupato per suo fratello, eppure aveva un controllo incredibile nel non palesarlo così apertamente. Come faceva, in una situazione del genere, a riuscire ad essere così concentrato e razionale?
- Allora perché Edward non l'ha notato? – domandai a voce tremolante, quasi con rammarico.
Capì subito a cosa mi riferivo - Perché Edward è uno sciocco, insicuro ed è convinto di essere sbagliato per te, si sente inferiore. Per questo non ha fatto molta resistenza. Lo conosci quel detto, no? Se tieni ad una persona, lasciala andare, e se anche lei tiene davvero a te, tornerà -.
- Io... Io tengo davvero a lui -.
Restammo per qualche altro secondo in silenzio, senza sapere cosa aggiungere, finché non sentimmo dei rumori provenire alle spalle di Emmett. Immediatamente, dalla boscaglia, comparirono i Cullen al completo... al completo, senza Edward. Mi stavano fissando tutti perciò, appena Emmett si voltò verso la sua famiglia, istintivamente, mi spostai leggermente dietro di lui. I loro sguardi erano indecifrabili e mi mettevano in soggezione. Fu Esme a parlare per prima.
- Se davvero tieni così tanto a mio figlio, ti prego - mi supplicò dolcemente, unendo le mani davanti a sé - Ti prego, aiutaci a trovarlo, a salvarlo. Portaci a Idris -.
Era sicuro come la morte che i Cacciatori che l'avevano catturato l'avessero portato lì. L'avrebbero tenuto in prigione, torturato e, se alla fine non fossero stati soddisfatti, l'avrebbero ucciso. Rabbrividii al solo pensiero.
- Vi aiuterò - proclamai e, per un attimo, vidi il sollievo sul volto di tutta la famiglia - Ma non posso portarvi ad Idris -.
Rosalie iniziò ad urlarmi contro - Non me ne importa nulla se non ci puoi portare a Idris, lo farai! Sei forse stupida?! Hai messo nei guai mio fratello e il minimo che tu... -.
- Rose, Amore, basta - la interruppe Emmett.
- Rosalie, calmati - la ammonì Carlisle - Lasciala spiegare -.
Presi un respiro profondo, guardandoli uno per uno - Quello che intendevo dire, è che non posso portarvi a Idris perché non ho il potere di creare un portale. Ci serve uno stregone, e si dà al caso, che io non ne conosca neanche uno qui - poi mi rivolsi a Emmett - Per caso, nella tua vita da Cacciatore, ricordi di averne conosciuto qualcuno? O magari, ricordi i posti che frequentano... -.
Scosse la testa - No, non mi ricordo. Non sono mai uscito da Idris, se non per fare gli sporchi comodi del Conclave al posto loro e, ad ogni modo, non ci spingevano mai oltre le foreste limitrofe dei nostri confini. L’unico stregone che conosco si trova a Idris, l’unico Nascosto a cui è concesso usare la magia e vivere ad Alicante -.
Annuii comprensiva. Avevamo bisogno di uno stregone e nessuno sapeva dove trovarlo. Non avevamo mezzi per raggiungere Alicante e questo aveva messo in ansia tutti quanti. Bisognava trovare un altro metodo, una soluzione, e in fretta. Forse, se avessimo cercato con attenzione, potevamo trovarne uno qui a Forks: spesso, come copertura, fingevano di essere dei falsi chiromanti, in modo che la gente che venisse a fargli visita non fosse molta e si potessero divertire con i pochi creduloni che bussavano alle loro porte. Ma io non sapevo come muovermi a Forks, avevo bisogno del loro aiuto.
- Jazz, tu non conosci una stregona? - chiese Alice, voltandosi di scatto verso di lui.
Annuì in risposta - Sì, ci stavo pensando anche io... Ma appartiene alla mia vecchia vita, non mi sembra il caso di metterla in mezzo... -.
- Non importa - dissi io - L'importante è trovare Edward -.
- Ha ragione - concordò Carlisle - Sai dove potrebbe essere, Jasper? -.
- Se non si è spostata, presumo che si trovi ancora a Houston, in Texas -.
- Allora che stiamo aspettando? - ci incitò Emmett - Muoviamoci! - .
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Dopo aver percorso tutto il tragitto verso casa Cullen sulle spalle di Alice, che si era gentilmente offerta di trasportarmi per velocizzare i tempi, iniziammo ad ipotizzare un piano di salvataggio per Edward. Jasper sembrava essere quello con le idee più chiare tra tutti noi, forse perché sapeva già che cosa aspettarsi dalla sua amica stregona, ma qualcosa mi diceva che nemmeno lui era entusiasta alla possibilità di rivederla. In ogni caso, non potevamo perdere altro tempo: avevamo la possibilità che questa stregona si trovasse ancora nello stesso posto dove in precedenza Jasper viveva, non potevamo lasciarci scappare questa opportunità. Non sapevo su quali basi lui affermasse questo, considerando che Alice mi rivelò di non poter prevedere le intenzioni dei Figli di Lilith e che, quindi, non poteva proiettare un eventuale incontro futuro con lei, stesso discorso per quanto riguardava i Licantropi. Ma che altro avremmo potuto fare? Quale altra scelta avevamo? Se avessimo optato per cercare un altro stregone nelle vicinanze, senza avere la certezza della sua effettiva presenza, avremmo potuto perdere il triplo del tempo, e il tempo doveva giocare a nostro favore in questa partita, perché più passava, più Edward rischiava la vita. Alice camminava avanti e indietro per il salotto con il telefono attaccato all'orecchio per prenotare i primi biglietti aerei disponibili per il Texas, mentre io guardavo fuori dalla finestra, pensierosa. Il resto dei Cullen parlava di non so che cosa, seduti sui divani in pelle che si trovavano al centro esatto della stanza. Non riuscivo ancora a realizzare il fatto che Edward fosse stato rapito. La visione di Alice era arrivata esattamente due giorni dopo l'accaduto che costrinse Edward ad andarsene, pochi minuti prima che si compiesse. Non avevano fatto in tempo a raggiungere la radura che non c'era già più nessuno. L'unica cosa che provava il loro passaggio e che quindi, avevano lasciato alle loro spalle, era la piega che avevano preso l'erba e i fiori, calpestati evidentemente da degli stivali molto pesanti e piegati dai turbini di vento creati dal portale. La veggente era sicura che fossero Shadowhunters, e di certo non dubitavo delle sue capacità. L'unica cosa che mi chiedevo era: perché Edward? Non poteva essere stato un caso, no di certo. Doveva esserci una spiegazione logica dietro a tutto questo. I Cacciatori volevano essere considerati morti. Perché arrivare a tanto? Perché rischiare tanto per un vampiro? Okay, un vampiro che era a conoscenza di qualcosa che non doveva sapere, ma loro non potevano esserne certi che lui fosse quello “giusto”. E anche se ne fossero stati sicuri, restava comunque un'azione spropositata e sconsiderata. Se i Cullen avessero deciso di chiedere aiuto ai Volturi, avrebbero rischiato di metterseli contro.
- Brutti pensieri? - chiese una voce al mio fianco, facendomi spaventare.
Mi voltai immediatamente. I miei occhi incontrarono quelli scuri di Jasper, che scrutavano il mio viso curiosi, come se mi stessero studiando. La sua postura era rigida, le sue mani erano unite in un groviglio di dita dietro la schiena e il suo viso era inespressivo.
- No - risposi incerta - solo pensieri -.
Dopodiché tornai ad ammirare il paesaggio fuori da quelle ampie finestre, mentre vidi il biondo annuire con la coda dell'occhio. Da quel che avevo capito, non aveva intenzione di tornare a conversare con gli altri per idealizzare al meglio questo piano di salvataggio. In realtà era abbastanza elementare, o almeno, sempre se tutto fosse andato bene: avremmo raggiunto Houston e Jasper ci avrebbe condotto dalla stregona, dopodiché, se avesse accettato di collaborare con noi e trasportarci a Idris, io li avrei condotti fino alle prigioni di Alicante e lì avremmo escogitato qualcosa per liberare Edward. Non era un grande piano, considerando che era anche incompleto, ma era tutto ciò che potevamo fare, per ora. Dopo tutti gli attacchi che avevamo ricevuto, la città era sempre molto protetta, non solo dalle difese che garantivano le Torri Antidemoni, ma c'era sempre qualche pattuglia di Cacciatori che a turni controllavano le strade. Non sarebbe stata una passeggiata, per niente. Non avevamo la sicurezza di farcela, ma la nostra motivazione era molto più grande di qualsiasi rischio che avremmo potuto correre.
- Pensieri fastidiosi? - insistette.
- Forse -.
Non parlò più.
- Come si chiama la tua amica Stregona? – domandai, dopo qualche istante di silenzio.
Scosse la testa - Non è mia amica. Si chiama Rashida, ha origini arabe -.
- E che cosa ci fa in Texas? - .
- È una lunga storia - rispose sbrigativo, come se l'avessi infastidito in qualche modo con le mie domande.
Ma avevo bisogno di distrarmi da ciò che sarebbe potuto succedere ad Edward, perciò continuai.
- Una storia lunga che fa parte della tua vecchia vita? - chiesi senza peli sulla lingua, ricordando la frase che aveva lasciato a metà quella mattina.
Stavolta toccava a me studiare la sua espressione e, a vedere da come i suoi muscoli facciali si tesero, capii di averlo colpito.
- Esatto - disse solo, continuando a guardare fuori dalla finestra, senza più degnarmi di uno sguardo.
- In che cosa consisteva la tua vecchia vita? - domandai, non riuscendo a tenere a freno il mio interesse.
Restò a contemplare il silenzio per molti secondi, come se stesse rielaborando tutti i suoi ricordi. Probabilmente si sentiva costretto a dirmelo, ma avevo dovevo capire perché si comportava in modo così insolito. Oggi aveva esitato: aveva esitato a salvare un fratello, a causa della sua vita passata, nonostante sapesse che non avevamo molte altre opzioni. Sembrava che non fosse sicuro di voler arrivare a tanto per salvarlo, forse perché così rischiava di mettere in pericolo anche il resto della famiglia, soprattutto Alice. Ed Edward era suo fratello, non un vampiro qualsiasi.
- Sono nato nel 1844 - iniziò a raccontare con un tono che non seppi decifrare - E ricordo che non avevo nemmeno compiuto diciassette anni quando mentii sull'età per arruolarmi nell'Esercito Confederato - un piccolo sorriso, che durò neanche mezzo secondo, comparì sulle sue labbra - Feci carriera molto in fretta in quel settore, c'erano uomini arruolati da molto più tempo di me e che erano invidiosi del mio successo, ma non gli diedi mai peso. Alla battaglia di Galveston, dopo aver condotto un gruppo di profughi a Houston, m'imbattei in quattro donne di straordinaria bellezza: Maria, Nettie, Lucy e Rashida. Non ero a conoscenza della loro vera natura, io semplicemente credevo che fossero delle giovani dame bisognose d'aiuto - la stanza era calata in un silenzio assordante, soltanto la voce di Jasper rimbombava contro le pareti del grande salotto - Maria era a capo di quel gruppo e aveva deciso di trasformarmi. Sarei stato ottimo per l'esercito personale che stava creando. Aveva scelto me, per il ruolo da militare che ricoprivo da umano e per la capacità che avevo, e che ho, di attrarre le persone, emotivamente parlando. In poche parole per il mio carisma, che nella mia esistenza da vampiro si è trasformato in un vero e proprio potere, dandomi la possibilità di percepire e manipolare le emozioni altrui, anche se con qualche eccezione - ammise, lanciandomi un'occhiata furtiva - Comunque, ero un guerriero e un leader per natura. Ero un grande punto a favore per Maria e il suo esercito, insieme alla sua amica stregona, Rashida. Rashida ci fu davvero molto d'aiuto all'inizio, non solo in battaglia, ma anche con l'addestramento dei neonati. Con il tempo, io e Maria iniziammo a legare molto e spesso mi trattava come se fossi il pezzo più prezioso della sua collezione, trascurando la Stregona. Rashida ne era invidiosa, forse perché in fondo provava qualcosa per lei, non lo so, ma cercò più volte di togliermi di mezzo, senza mai riuscirci. Ad ogni modo, uno dei miei compiti principali era quello di giustiziare i membri del clan usciti dalla fase neonatale senza sviluppare doti tali da essere utili in guerra. Per darmi una mano, decisi di prendermi carico di un aiutante. Si chiamava Peter e una sera, mentre svolgevamo esattamente quel tipo di attività, mi resi conto del peso emotivo che gravava sulle spalle di quel ragazzo, e che si moltiplicava a causa delle battutine mirate da parte di Rashida, per farlo soffrire - si fermò un attimo, scuotendo la testa - Quando arrivò il turno di Charlotte, una neonata, ad essere giustiziata, Peter ebbe uno scatto d'ira e le ordinò di scappare, seguendola subito dopo. Avrei potuto raggiungerli, ma non lo feci. Rashida cercò di bloccarli con la magia, con l'intenzione di conquistare l'amore di Maria, ma glielo impedii. Con il passare degli anni, le emozioni dei neonati avevano iniziato a devastarmi e questo Maria lo aveva notato. Per lei ero diventato un debole. Ero depresso, sapevo che stava progettando di uccidermi, e io stesso stavo progettando di eliminarla prima che fosse lei a farlo. Ovviamente, Rashida faceva tutto quello che era in suo potere per rendere a suo vantaggio la situazione - sospirò - Ma prima che potessi fare qualsiasi cosa, Peter tornò da me, assicurandomi l'esistenza di altri clan che convivevano civilmente tra di loro. Non immaginavo nemmeno che si potesse vivere in un modo diverso da quello, lo ignoravo completamente. Perciò scappai con lui, ma la depressione non mi abbandonò come avevo sperato - e poi si voltò, incrociando lo sguardo di Alice, che traboccava d'amore - Nel 1948 incontrai Alice. Lei... Lei è stata, ed è, la mia salvezza. Immediatamente venni travolto dalla positività delle sue emozioni e mi raccontò di un clan, i Cullen, che avevano uno stile di vita completamente differente dal nostro, dal mio - si corresse, non staccando i suoi occhi da quelli dell'amata - Non sapevo se crederci, ma non potei fare altro che seguirla. Quando arrivammo, ci accolsero tutti a braccia aperte... Be', sì, più o meno - ridacchiò, facendo comparire un sorrisino nostalgico sulle bocche di tutti - Edward non era tanto entusiasta. Alice si prese la briga di spostare tutte le sue cose dalla sua stanza, in garage. Quando tornò a casa... -.
Venne interrotto dalla piccola ragazza dai capelli corvini - Si ritrovò una bella sorpresa - concluse per lui, alzando le spalle.
- Senza di lei, senza Alice, non so dove sarei ora - mormorò Jasper, con lo sguardo inchiodato sulle sue scarpe firmate.
Alice, con un'espressione intenerita sul volto, gli si avvicinò e lo abbracciò stretto a sé, come per consolarlo. La vidi avvicinare le sue labbra all'orecchio del biondo, mentre si muovevamo quasi impercettibilmente. Gli stava sussurrando parole dolci e rassicuranti, per tranquillizzarlo. Scostai lo sguardo imbarazzata e mi allontanai concedendogli un po' di privacy, avvicinandomi al pianoforte di Edward. Iniziai ad immaginarmelo mentre, seduto sul seggiolino, riempiva la stanza di dolci note che avrebbero emozionato i cuori di tutti. E magari, avrebbe scritto qualcosa che avrebbe dedicato a me e me lo avrebbe suonato finché non mi sarei stancata di ascoltarlo, cosa che non sarebbe mai successa. Poteva accadere, se lui fosse stato qui e non fosse furioso con me.
- È per questo che non sono convinto all'idea di portarvi da Rashida: era infuriata con me perché credeva che io fossi la causa del rifiuto di Maria nei suoi confronti. Da quando l'ha conosciuta è diventata vendicativa, insensibile... oserei dire anche crudele e manipolatrice - confessò ringhiando, scuotendo il capo - Non penso sia cambiata. Potrebbe essere pericoloso, non so come potrebbe reagire alla nostra visita -.
- E ora lo capisco - mormorai, voltandomi verso di lui, - ma Edward ha bisogno del nostro aiuto e se è l'unica possibilità che abbiamo... -.
Non riuscii a terminare la frase, che un groppo in gola mi impedì di continuare. Solo il pensiero che Edward venisse torturato, mi lacerava dentro. Mi sentivo così patetica e, allo stesso tempo, così disperata.
- Forse - iniziò a parlare Rosalie in tono pungente, facendomi voltare verso di lei - se non gli avessi detto tutte quelle cose, niente di tutto questo sarebbe successo! -.
- Rosalie - la rimproverò tranquillo Carlisle - Le intenzioni di Isabella erano buone. Se avesse davvero avuto la possibilità di sapere a che cosa avrebbe condotto la sua decisione, non l'avrebbe fatto -.
- Tu dici?! Carlisle, è una Cacciatrice! Non ci possiamo fidare! - esclamò indignata, alzandosi in piedi per intimidirmi - Chi ti garantisce che non sia tutto un loro diabolico piano per eliminarci tutti?! A quest'ora Edward potrebbe essere già morto! - un gemito di dolore uscì dalle labbra di Esme, ma la bionda non era decisa a fermarsi - Non possiamo sapere le sue vere intenzioni: Jasper non riesce a controllare le sue emozioni, Alice non riesce a vedere il suo futuro, e nemmeno Edward riusciva a leggerle nel pensiero! È come fare un patto con il diavolo! -.
Il fatto che avesse utilizzato il passato per riferirsi ad Edward, mi fece vedere rosso. Edward non era morto, stava rischiando molto, ma non era morto. Non ancora. Ne ero sicura, al cento per cento. Avevo sbagliato, ma non ero una persona cattiva. Se lo fossi stata, non avrei nemmeno accettato di aiutarli, aggravando così la mia colpa e la mia posizione con il Conclave. Avrei fatto del mio meglio, ma loro dovevano provare a fidarsi della mia persona, non della Cacciatrice che ero. E poi non era di certo colpa mia se i loro poteri non funzionavano su di me.
- Stamattina mi hai quasi costretta ad aiutarvi, ed ora cambi idea? - chiesi, cercando di mantenere un tono di voce fermo e sicuro – Noto con piacere che sei molto coerente -.
Sul suo viso nacque un’espressione indignata - Ma come ti permetti, razza di... -.
- Di cosa? Avanti, dillo - la provocai avvicinandomi a lei, minacciosamente.
Non me ne fregava nulla se era di quindici centimetri più alta di me, le avrei dato una lezione che avrebbe ricordato per l’eternità se questo mi avrebbe garantito il suo silenzio. Parlava inutilmente, e solo per dire crudeltà. Sarebbe stato un sollievo per tutti quanti.
Emmett si mise subito tra di noi - Per favore - ci pregò, tenendoci lontane mentre ci incenerivamo con lo sguardo - Abbiamo altro a cui pensare in questo momento. Inoltre, fino a non troppo tempo fa, ti ricordo che anche io ero un Cacciatore -.
Rosalie scosse subito la testa – È diverso, sei uno di noi adesso -.
- Ma ti sei innamorata di me prima che io diventassi un vampiro – sussurrò, guardandola con amore e prendendola fra le braccia – Non è diverso da quello che stanno vivendo Edward e Bella, anzi, forse la loro situazione è anche peggiore della nostra -.
Lo ringrazia mentalmente per aver fatto tranquillizzare la sua metà senza ulteriori sceneggiate e mi allontanai per tornare alla mia postazione precedente, accanto al pianoforte, rasserenando così tutti i vampiri presenti. Carlisle si smaterializzò immediatamente al mio fianco, come per assicurarsi un confronto simile non sarebbe più ricapitato. Non mi sarei mai fatta mettere i piedi in testa da una bionda ossigenata con la testa piena di frivolezze.
- Che cosa ti ha detto l'agenzia? - chiesi ad Alice, tentando di portare la discussione su altri argomenti.
Sorrise gentilmente capendo le mie intenzioni - Ha detto che mi avrebbe richiamata il prima possibile per avvisarmi dei primi voli disponibili -.
E proprio in quell'istante, lo sguardo di Alice si perse nel vuoto e un minuto dopo il suo telefono squillò. 
 
 
 
 
Grazie per aver letto il capitolo :-)
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Besos :-*
 
Zikiki98
 
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Capitolo 30
*** 29. Be Careful ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


29. Be Careful
 
 
POV EMMETT
 
I biglietti disponibili per Huston erano solamente quattro e questo significava che non potevamo partire tutti insieme. Jasper e Isabella decisero che era meglio far venire con loro Carlisle e Alice. Cercai di non polemizzare eccessivamente quella decisione, ma in realtà, anche solo l’idea che andassero senza di me, mi faceva impazzire. Non tanto perché mi sentissi escluso o non volessi perdermi quell’adrenalina che mi ricordava il mio passato da cacciatore, caratteristica che ancora dopo tanti anni sentivo che mi apparteneva. Stavolta non era per quello. La verità era che avevo paura di essere così lontano da lei da non riuscire a proteggerla.
Anche se lei aveva smentito il mio pensiero sul fatto che io fossi suo padre, in realtà il mio istinto, il mio cuore, non riuscivano a farsene una ragione. Avevo passato mesi a credere che fosse lei la mia dolce e scatenata Bella, come la chiamavo spesso quando era bambina, e adesso era difficile togliersi dalla testa quella convinzione.
Mentre Alice correva in tutta la casa per sistemare i bagagli, Jasper ridefiniva gli ultimi dettagli del piano e Carlisle si era recato in ospedale per sistemare le cose prima della sua imminente partenza, io ero in salotto a guardare Isabella dalle vetrate. Lei era fuori, seduta sugli scalini dell’ingresso, a guardare il bosco e sentire il rumore del ruscello lì vicino. Indossava ancora la tenuta da combattimento, ma con Alice in giro, sarebbe durata ancora poco.
Ero indeciso se andare da lei oppure no. Volevo approfittare di quel momento, dove Rosalie era fuori a caccia con Esme, per assicurarmi che stesse bene. Non che volessi tenere mia moglie all’oscuro o fare qualcosa di male, ma non volevo che si facesse strane idee. In fondo, che motivo avevo di andare a parlarle se lei mi aveva confermato di non essere mia figlia? Nessuno.
Ma le mie gambe si mossero da sole e in men che non si dica mi ritrovai fuori, seduto sui gradini accanto a lei. Lei mi guardò con la coda dell’occhio, poi arrossì e, con le mani, spostò una grossa ciocca di capelli scuri tra di noi, come per creare una barriera. Non potei fare a meno di pensare a quanto il colore dei nostri capelli fosse simile. Decisi di scacciare subito quel pensiero.
- Sei nervosa? – chiesi, non sapendo bene come rompere il ghiaccio.
Ci mise un po’ a rispondere - Più che nervosa, per ora non riesco a smettere di pensare al fatto che dovrò rinchiudermi in una “cosa” che vola -.
Scoppiai a ridere – Si chiama aereo -.
Alzò le spalle con finto disinteresse – Quello che è -.
Capivo quanto fosse difficile per lei. Idris era un paese antico che viveva senza elettricità e senza tecnologia. Venire qui sarà stato sicuramente uno shock temporale, proprio come lo era stato per me dieci anni fa.
- Ti posso assicurare che è uno dei mezzi di trasporto più sicuri al mondo -.
- Se lo dici tu, non posso fare altro che crederti – disse, con un velato sarcasmo che non compresi.
Innocentemente, percepii quella frase come se ci fosse stato un doppio senso alla base, ma in quel momento non ci diedi troppo peso. Sembrava parecchio nervosa e, date le circostanze, non poteva essere solamente per la paura di volare.
La vita dei Cacciatori era difficile da gestire. Fin da piccoli c’erano tantissime regole da rispettare e troppe responsabilità di cui farsi carico. Probabilmente stava anche pensando alla sua famiglia che, in quegli ultimi giorni, le aveva voltato le spalle. E tutto questo perché, per gli Shadowhunters, prima dell’amore e della famiglia venivano il Conclave e le sue leggi.
- Volevo assicurarmi solamente che tu stessi bene e che non ti servisse altro prima della partenza – le dissi, cercando di risultare tranquillo.
Lei mi guardò e forzò un sorriso – Sto bene. Grazie, Emmett -.
Una volta compreso che era il momento di lasciarla di nuovo da sola, tra i suoi pensieri, mi alzai in piedi e feci per andarmene, quando mi venne in mente una cosa. Scesi di nuovo i gradini di casa, mi posizionai davanti a lei e le porsi il mio avambraccio muscoloso. Per un secondo restò interdetta, poi sorrise timidamente, si alzò in piedi e, quando lo fece, non potei non notare la differenza d’altezza fra di noi. Sembrava ancora una bambina in confronto a me. Dopodiché, avvicinò il suo avambraccio al mio, stringendolo con forza. Era la stretta di mano dei soldati romani, simbolo di fiducia e rispetto, riutilizzata spesso da noi Cacciatori prima di una battaglia.
Non riuscii a resistere. La tirai verso di me di scatto e l’abbracciai. Lei si irrigidì e rimase per qualche secondo con le braccia lungo i fianchi, ma alla fine, tentennante, ricambiò il gesto.
Abbassai il viso e al suo orecchio le sussurrai – Ti prego, fai attenzione -.
 
 
POV BELLA
 
Erano passati solo dieci minuti da quando ci avevano fatti imbarcare sull'aereo. Avevamo deciso che saremmo partiti io, Carlisle, Jasper e Alice per Huston. Invece Emmett, Rosalie ed Esme sarebbero rimasti a casa di vedetta, insieme ai licantropi, che erano già stati puntualmente avvertiti da qualche ora dell'accaduto. Ovviamente, Emmett aveva esternato tutto il suo dissenso per non essere stato scelto per il viaggio, ma il mio istinto mi diceva che sarebbe stato meglio lasciarlo a casa. Non mi sembrava una buona idea far tornare un ex Cacciatore ad Idris, soprattutto perché se ci avessero scoperti, avrebbe dovuto rispondere a molte domande sul suo passato e sugli avvenimenti della notte della sua trasformazione. Avrebbe dovuto ammettere di essere riuscito a raggirare le protezioni di Alicante e questo avrebbe potuto provocare diverse conseguenze. Inoltre, per me, la situazione era già diventata abbastanza imbarazzante e difficile anche senza avere il mio presunto padre in questo spiacevole viaggio.
Eravamo stati io e Jasper decidere chi portare con noi: alla fine, eravamo proprio noi due quelli indispensabili affinché il piano procedesse al meglio. Avevamo scelto Carlisle per la sua saggezza ed esperienza. Alice per il suo potere, anche se non sarebbe servito a molto né ad Idris, considerando che il potere delle Torri contrastava quello dei Nascosti, né con Rashida. Infatti, lo stregone che avevamo ad Alicante, l'unico di cui i Cacciatori si siano mai fidati in queste centinaia di anni, era in grado di creare soltanto dei portali, che permettevano a noi Shadowhunters di uscire dalla città, e di fare altri piccoli incantesimi di poca importanza.
Il potere delle Torri era così potente, per la nostra protezione, da azzerare l'efficacia di altri poteri. Quindi, nemmeno il potere di Jasper sarebbe stato utile e quello di Edward non avrebbe potuto aiutarlo in alcun modo a sopravvivere durante la sua permanenza ad Idris.
Ma nonostante la mia mente fosse sommersa da questi problemi, il mio pensiero principale, che non riuscivo a scacciare, era che mi trovavo su un aereo. Non avevo mai volato in vita mia e non potevo negare di non essere stata assalita dal nervosismo, almeno un po'. Mi dovetti ripetere più volte nella testa che tutto quello che stavo facendo, era per Edward e che, per questo, valeva la pena soffrire un po' su uno stupido velivolo.
Seduto al mio fianco, nella fila centrale, si era accomodato Carlisle. Aveva tutta l'aria di un padre modello che, da lì a poco, sarebbe partito per fare una breve vacanza con i suoi figli. Nei sedili dietro, invece, erano seduti Jasper e Alice, che si scambiavano tranquillamente delle dolci coccole. Non so se per salvare le apparenze e farci risultare normali agli occhi degli altri, oppure perché ne sentissero il bisogno.
Distratta dai miei stessi pensieri, posai lo sguardo sul maglione color lilla che mi aveva comprato Alice poco prima in Aeroporto. Mi aveva fatto una "testa così" sul mio pessimo aspetto e sul fatto che non potevamo rischiare di farci scoprire, a causa dei miei strani tatuaggi. Per l’Angelo!
Per andare in Aeroporto, mi aveva dato alcuni dei suoi vecchi vestiti. Una volta arrivati, mi aveva fatto fare il giro di metà negozi, finché finalmente il nostro volo non fu chiamato. Nei panni che indossavo sembravo una qualsiasi brava ragazza e, probabilmente, la vicinanza di Carlisle mi faceva risultare ancora più innocente.
- Nervosa? -  mi chiese ad un certo punto, con un sorriso gentile, mentre si allacciava la cintura di sicurezza, anche se avrebbe potuto benissimo farne a meno.
- Un po' -, ammisi titubante - ma non solo per il volo -.
- Per Edward? -.
Annuii abbassando lo sguardo sulle due estremità della cintura ancora slacciata. Sembrava un meccanismo abbastanza complicato… Questa non somigliava per niente alla cintura di una normale automobile.
All'improvviso, sentii la sua mano fredda, ma confortante, posarsi sul mio avambraccio - Penso che andrà tutto bene -.
Gli feci un sorriso tirato - Lo spero -.
- Dovresti imparare ad essere più positiva, sai? - disse istintivamente per smorzare la tensione - E anche a sorridere di più. Ti conosco da poco tempo, è vero, e non in circostanze che sicuramente ci farà piacere ricordare in futuro, ma Edward quando mi parla di te ti descrive come una ragazza che porta il peso del mondo sulle sue piccole spalle -.
Ero felice che avesse usato il presente e non il passato per dire quello che mi stava dicendo. Mi faceva sentire un po' meglio il fatto che lui confidasse che suo figlio fosse ancora vivo. Mi dava più speranza e un'estrema voglia di cercarlo e trovarlo.
- Edward probabilmente esagera -.
- Sono a contatto con gli esseri umani da più di trecento anni -, mi sorrise paterno - penso di saper riconoscere lo sguardo sfinito e spento di chi ne ha viste troppe. Per essere così giovane, ti è sempre stata data parecchia responsabilità -.
E in quel momento mi chiesi come facesse ad essere così gentile e cordiale, mentre mi stava appena conducendo in un discorso decisamente indiscreto, alla scoperta della vera me. E la cosa più assurda era che non lo faceva nemmeno pesare. Sembrava tutto così naturale e spontaneo.
- Vuoi parlarne? - domandò, nello stesso istante in cui dei piccoli televisori si abbassarono dal soffitto dell'aereo.
Partì un video che indicava tutte le procedure da seguire in caso l'aereo fosse precipitato, ci fosse stato un incendio o una fuga di gas durante il volo, sulle cose da fare e non fare e su come allacciare la cintura.
Quando capii, unii immediatamente le due estremità della cinta, finché non sentii un "click". Carlisle, che a quanto pare stava ancora aspettando che gli rispondessi, tossì come se volesse attirare nuovamente la mia attenzione. Non ero ancora sicura di volerne parlare. La ferita che si era aperta dentro di me, era ancora troppo fresca e profonda per riuscirne a parlare senza essere sicura di non scoppiare a piangere. Non aveva avuto ancora abbastanza tempo per cicatrizzare, o forse ero io a non aver avuto abbastanza tempo per realizzare l'accaduto di quella sera, la sera che ero stata costretta a dire la verità alla mia famiglia e che loro erano stati costretti a dirla a me.
Dato che non ricevette ancora alcuna risposta, Carlisle aggiunse - Non voglio costringerti. Voglio solo che tu sappia che, se vorrai, io sarò qui ad ascoltarti -.
Mi voltai verso di lui, facendogli un sorriso sbilenco, ma riconoscente guardandolo negli occhi - Lo so, grazie -.
Ricambiò velocemente e senza esitazioni il sorriso, per poi guardare dritto davanti a sé. L'aereo aveva già iniziato a muoversi sulla pista, finché non iniziò a prendere velocità e a staccarsi dal suolo.
Come riflesso, cercai di aggrapparmi di più ai braccioli del sedile, fino a far diventare le mie nocche pallide, ancora più bianche. All'improvviso, sentii la mano di Carlisle posarsi sulla mia, come un padre che prende la mano della propria figlia piccola per intimarle coraggio e che non c'è nulla da temere. Quel gesto, quel semplice gesto, che mai mio padre…  anzi, gli uomini che mi avevano cresciuta, né Charlie né Jonathan, avevano fatto per me, mi commosse, e a stento riuscii a trattenere le lacrime.
Carlisle Cullen aveva fatto davvero tanto per me in quegli ultimi giorni, per una sconosciuta che aveva quasi rischiato di distruggere la sua famiglia. Sicuramente, qualsiasi cosa sarebbe successa, quel nome lo avrei ricordato con un tenero e malinconico sorriso sulle labbra.
_
 
Atterrammo in Texas, più precisamente a Huston, verso sera, quando ormai il sole era già calato e i Cullen potevano muoversi in tutta libertà senza avere il timore di coprirsi dalla luce del giorno.
Una volta recuperati i pochi bagagli di cui eravamo provvisti, ci incamminammo verso l'uscita dell'aeroporto alla ricerca di un taxi. Fortunatamente ne trovammo uno abbastanza in fretta che ci condusse in un motel senza troppe pretese. In fondo, non eravamo lì per una vacanza e, la maggior parte di noi, non necessitava né di ore di riposo né di soddisfare chissà quale altro bisogno umano.
Una volta arrivati alla reception, ci accolse una donna anziana, con i capelli raccolti bianchi e un forte accento che faticavo a capire. Ci diede le chiavi di due camere da letto sotto sua insistenza, perché il suo motel non disponeva di stanze abbastanza grandi da contenere quattro persone, anche se per poche notti.
Avevo bisogno di farmi una doccia e di mangiucchiare qualcosa, così decidemmo che Alice mi avrebbe fatto compagnia mentre Carlisle e Jasper mi avrebbero cercato qualcosa da sgranocchiare.
Appena arrivate in camera, la veggente abbandonò le valigie in un angolo, per poi voltarsi verso di me e guardarmi con un bel sorriso caloroso sulle labbra.
- Hai bisogno di rilassarti -, mi disse - lascia che mi prenda cura di te -.
Così mi preparò l'acqua calda per fare il bagno e ci aggiunse qualche strano olio che in vita mia non avevo mai visto. Avevano un buon profumo, simili a quello dei fiori che crescevano solo ad Idris. Quando finì di preparare tutto l'occorrente, mi lasciò da sola con i miei pensieri.
Mi spogliai lentamente dei miei stessi vestiti e, con una calma che non mi apparteneva, mi immersi completamente nella vasca colma d'acqua.
Cercai di lasciarmi andare il più possibile, scaricare la tensione, in modo tale che al ritorno di Jasper e Carlisle sarei stata abbastanza in forma da essere d'aiuto. In fondo, ero ancora reduce dalla mia fuga e non potevo utilizzare lo stilo per farmi sentire meglio, considerando che lo avevo lasciato a Forks, insieme a tutte le mie armi. Cosa avrebbero pensato ai controlli dell'aeroporto le guardie mondane? Che conducevo un traffico clandestino di spade strane, bacchette strane e altre armi strane?
Gli unici oggetti che avevo con me erano la collana di Marie e la mia pietra Stregaluce: erano le sole cose che potevano senza problemi passare inosservate. Non potevo assicurare lo stesso per gli altri miei averi: né io né i Cullen sapevamo se i metal detector li avrebbero intercettati o lasciati passare, per questo era meglio evitare di rischiare.
Avevo già abbastanza problemi con la giustizia sovrannaturale, ci mancava solo di mettere in mezzo quella mondana.
Dopodiché, iniziai a pensare a Edward: se stava bene, se fosse ferito, se lo nutrivano abbastanza, se lo stavano torturando, se lo avevano già interrogato... se stesse pensando a me come io pensavo a lui... e se un giorno avrei ottenuto il suo perdono.
Una lacrima sfuggì al mio controllo. In fondo, anche io avevo qualcosa di umano.
_
 
- Ti abbiamo portato due tramezzini al prosciutto, qualche barretta energetica al cioccolato, una Coca Cola e due bottigliette d'acqua - mi informò Carlisle appena mise piede in camera, seguito da Jasper, mentre mi porgeva un sacchettino di plastica bianca - Spero sia abbastanza, almeno per stasera -.
Gli sorrisi riconoscente - Grazie mille -.
Non appena finii di farmi il bagno, di asciugarmi e vestirmi, raggiunsi Alice, sedendomi accanto a lei sul letto a gambe incrociate. Stava cercando di predire il futuro di Edward, inutilmente. Voleva provare a vedere se sarebbe mai uscito al di fuori delle protezioni di Alicante, quindi se mai un giorno sarebbe stato liberato, ma senza grandi successi. Forse perché neanche noi sapevamo esattamente come muoverci: non avevamo un piano preciso, stavamo camminando a tentoni, nel vuoto più assoluto, senza sapere a che cosa avrebbero portato le nostre decisioni. Almeno per ora, dovevamo procedere a tentativi: era l'unica possibilità che avevamo per trovare una via che ci avrebbe condotto ad una soluzione, ad Edward.
Il primo passo nel vuoto era trovare Rashida, e il primo posto dove trovarla era cercare dove Jasper l'aveva vista l'ultima volta, a Huston appunto. Ma si dà il caso che Huston non fosse una città poi così piccola, perciò Jasper avrebbe dovuto consultarsi con qualche sua vecchia conoscenza.
- Figurati - mi sorrise, prendendo posto su una poltroncina di legno imbottita.
Jasper, al contrario, restò in piedi con le braccia conserte dietro la schiena, con la sua solita espressione imperturbabile. Seria. Apatica. Dura. Controllata.
- Avete notizie degli altri? - domandò Alice, nonostante fosse già a conoscenza della risposta.
Nel frattempo, iniziai a consumare voracemente uno dei panini al prosciutto. Avevo davvero fame, e sinceramente non pensavo di averne finché non diedi il primo morso.
- Ha chiamato Rose prima - ci informò Jasper - Dice che è tutto tranquillo. Per ora -.
- E tu? - chiese Carlisle speranzoso - Hai avuto qualche visione? - .
Ero sicura che non sapere che cosa stesse succedendo ad Edward lo stesse logorando dentro, più di tutti noi messi insieme. E, ci avrei scommesso, che si sentiva anche un po' in colpa per non essere riuscito ad evitare che tutto ciò accadesse, per non essere riuscito a proteggere suo figlio e a salvarlo in tempo dalle grinfie di Cacciatori spietati e vogliosi di mettere le mani su un Nascosto a conoscenza di verità che non avrebbe mai dovuto sapere.
Ovviamente, la realtà era ben diversa: non era colpa di Carlisle se Edward era stato preso, ma mia. Il dottore se la stava prendendo ingiustamente con sé stesso.
- No, non sono riuscita a vedere nulla - rispose sconsolata, abbassando lo sguardo come se l'inutilità del suo potere in quel momento la rendesse meno utile in tutta quella situazione.
- Non dipende da te - la rassicurai, poggiandole la mano libera sulla spalla - Sono le Torri, nessun potere funziona quando sono in funzione -.
- Mi sento così inutile - ammise, ignorando quello che le avevo appena detto - Mi sono sempre affidata sul mio potere, in tutte le situazioni, e ora che ci servirebbe più di ogni altro momento, non mi è consentito usarlo -.
A quel punto non sapevo cosa dire per rincuorarla, perché a differenza sua, non avevo la minima idea di che cosa significasse avere un potere e affidarsi al cento per cento su quello. Non avevo poteri speciali. Quello che mi era sempre stato insegnato fin da piccola era di sviluppare tutte quelle qualità che mi avrebbero reso un'ottima Cacciatrice e che mi avrebbero permesso di tirarmi fuori dai guai qualora ce ne fosse stato bisogno.
Fu in quel momento che Jasper si mosse, avvicinandosi sempre di più verso la sua amata, con lo sguardo più dolce e tenero che gli abbia mai visto fare da quando lo conobbi. Si piegò sulle ginocchia, davanti a lei, e le prese le mani con una delicatezza pari ad un soffio di vento. I loro sguardi dorati si incatenarono, iniziando una conversazione tutta loro.
Questa scena mi incantò.
Ad un certo punto, Alice gli sorrise e disse - Grazie Jazz, ti amo -.
Il biondo ricambiò il sorriso e mormorò - Ti amo -.
A quel punto spostai gli occhi su Carlisle, che a differenza mia stava dando un po' di privacy ai due piccioncini digitando concentrato qualcosa sul cellulare.
Feci in tempo a terminare il mio panino prima che Jasper ed Alice finissero di fare le loro cose da fidanzati-sposati. Dopodiché ritrovammo la concentrazione per decidere la prossima mossa da compiere.
Decidemmo che, come prima cosa, Jasper avrebbe dovuto telefonare Peter, un suo vecchio amico, per ricevere qualche informazione in più su Rashida. Successivamente, dopo quello che ci avrebbe detto, avremmo iniziato a costruire un piano.
Quando Jasper uscì dalla piccola stanza per chiamare Peter, decisi che avrei cercato di non pensare finché non avesse terminato, in modo tale da alleggerire la mente e svuotarla dai problemi e dalle preoccupazioni. Mi distesi sul letto e chiusi gli occhi, concentrandomi per cercare di mantenere la testa vuota, mentre in sottofondo Carlisle e Alice parlavano di tutte le possibilità che...
Okay, forse mi era impossibile rilassarmi completamente, ma riuscii comunque a fare un sonnellino, perché quando Jasper finì la chiamata, Alice si preoccupò di scuotermi per farmi tornare al mondo reale.
- Che cosa ti ha detto? Sei riuscito a scoprire qualcosa? - chiesi al biondo, con la voce impastata per il sonno, appena incrociai il suo sguardo.
- Non molto - ammise sconsolato - Mi ha dato l'indirizzo di dove vive ora e mi ha detto che lavora come chiromante, per prendersi gioco di umani ingenui. Ha saputo dirmi solo questo -.
- Non capisco, ti ha dato l'informazione più importante di tutte, sappiamo dove vive! - mi ravvivai immediatamente - Non ci serviva sapere altro -.
- Ci serve sapere se potrebbe essere effettivamente un buon aiuto - disse Carlisle, lanciando un'occhiata al figlio adottivo, che ricambiò lo sguardo apprensivo del padre.
- In che senso? - chiesi, non riuscendo effettivamente a stare dietro ai loro ragionamenti.
- Dobbiamo essere molto prudenti - iniziò a metterci in guardia Jasper - Rashida, a causa dell'influenza di Maria, l'ho conosciuta come una donna calcolatrice, meschina, subdola e vendicativa. Ora, dopo tutto questo tempo, io non so se sia cambiata, e se lo è, se in meglio o in peggio. Non so se è ancora innamorata di Maria o se ha mantenuto un rapporto con lei, e se riserva ancora dell'astio nei miei confronti. Non voglio che si vendichi di me facendo del male alla mia famiglia -.
Sapevo dove voleva arrivare, e non glielo avrei permesso: non avrei mai permesso che rischiasse la vita per una situazione che avevo creato io, non avrei mai permesso che Alice provasse la paura di perdere il suo compagno per sempre e non avrei mai permesso che Carlisle si sentisse in colpa per un altro figlio scomparso. Forse ero drastica, ma bisognava effettivamente valutare tutte le probabilità, sia per non illudersi sia per prepararsi al peggio.
- Quindi, cosa si fa? - domandai, dopo qualche minuto di silenzio, dove ognuno era perso nei propri pensieri.
- Andrò a parlare con Rashida - e poi i suoi occhi si spostarono su Alice - Da solo -.
Alice si allarmò immediatamente, alzandosi in piedi per raggiungere dall'altra parte della stanza il marito.
- Non ti permetterò di farlo - mormorò in preda ad un'emozione che le faceva tremare le mani.
- A malincuore - si intromise Carlisle - devo dire che è la scelta migliore per il momento. Solo Jasper conosce Rashida e se ci presentassimo a casa sua, nel suo territorio, tutti e quattro, potrebbe sentirsi minacciata e reagire di conseguenza -.
Vedevo Alice essere sull'orlo di una crisi di panico, mentre Jazz cercava di confortarla e dirle che sarebbe andato tutto bene. Il dottore si prese la testa tra le mani, stressato e sconsolato.
Non riuscivo a guardarli.
La strategia di Carlisle da una parte aveva senso perché avrebbe diminuito le probabilità che Rashida si mettesse sulla difensiva e che non ci avrebbe aiutati, ma eravamo in quattro e avremmo affrontato quella stregona tutti e quattro insieme. Per nulla al mondo avrei permesso che ci separassimo, altrimenti perché far venire tutti qui in Texas?
Dovevamo salvare Edward e non potevamo farlo ognuno per conto proprio.
- Non sono d'accordo - ammisi in tono pacato, richiamando i loro sguardi su di me - Vengo anche io -.
- No, non se ne parla - rispose secco Carlisle.
- Se Jasper andasse da solo da Rashida, dovrebbe spiegare perché vuole che gli apra un portale per Idris.  È vero, potrebbe anche raccontargli tutta la storia, ma ci crederebbe? Per Rashida, Jasper è un traditore e di conseguenza non si fiderà mai di lui. Se invece si portasse dietro anche me, io sarei la testimonianza che ciò che ha detto è vero, e in più sarebbe a conoscenza di qualcosa che nessun altro della sua specie sa, cioè che noi Shadowhunters siamo ancora vivi. Per esperienza personale posso dire che mettere a conoscenza qualcuno di un segreto proibito, da una sensazione di potere e superiorità quasi irresistibile. A quel punto lei deciderà se aiutarci, e usare il mio segreto per ricattarci successivamente, o voltarci le spalle, e andare a spifferare tutto alla Corte degli Stregoni per ottenere un riconoscimento più grande di ciò che possiamo offrirle noi. In entrambi i casi, ve lo posso assicurare, finiremo ad Idris -.
I tre vampiri mi avevano osservata e ascoltata in silenzio per tutto il tempo, con un'attenzione che in tutta la mia vita non avevo mai ricevuto. Anche se non fossero stati d'accordo con me e la mia proposta fosse stata rifiutata, mi faceva piacere l'idea che mi avessero fatto concludere il discorso. Per la prima volta mi sentivo parte di una vera e propria squadra e, considerando quello che avevo combinato, avrebbero potuto benissimo non darmi nemmeno la possibilità di parlare. Se i ruoli fossero stati invertiti, io non l'avrei fatto.
Carlisle si voltò verso i suoi due figli, alla ricerca di un segno d'assenso o di disaccordo.
- Cosa ne pensate? - .
Jasper parlò per primo - Preferirei andare da solo -, e poi si rivolse a me - ma da quel poco che ti ho conosciuta ho capito che se ci provassi, troveresti un modo per seguirmi. Per questo, sono d'accordo -.
Gli sorrisi timidamente, riconoscente.
- Sarò molto più tranquilla se Jasper sarà con te - parlò Alice, guardandomi - Sei un'abile Cacciatrice e so che lo aiuteresti molto. In ogni caso, vorrei esserci anche io -.
Sentimmo Carlisle sospirare - Quindi è deciso: stanotte, noi tutti, incontreremo Rashida - successivamente mi lanciò un'occhiata veloce - Siamo una famiglia, ed è giusto che affrontiamo tutto questo insieme -.
 
 
 ...
 
Grazie per aver letto il capitolo :-)
Se vi fa piacere, lasciate una stellina e un commento.
Besos :-*
 
Zikiki98
 
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Capitolo 31
*** 30. The Gate ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


30. The Gate
 
La notte stessa, Alice chiamò un taxi che ci venne a prendere e ci lasciò davanti ad un palazzo che, all'apparenza, sembrava abbandonato a sé stesso o, forse, era l'oscurità del cielo dettata dal tardo orario e la poca illuminazione della strada a dipingerlo in quel modo. In ogni caso, non sembrava esattamente un bel posto da frequentare e la reazione del tassista, quando accostò sul ciglio della strada per farci scendere, confermò ancora di più la mia idea. Dopo che Carlisle gli diede una grossa mancia, l'uomo sulla cinquantina ci chiese se volessimo effettivamente che ci lasciasse qui, dicendo che per "gente come noi" non era una bella zona.
Ovviamente, il dottore sorrise e gli rispose di non preoccuparsi, anche se l'idea che, oltre a qualche delinquente agli angoli della strada, ci fossero nascosti anche dei demoni mi era passata per la mente.
Indossavo la mia tenuta da combattimento, nonostante non avessi armi con me. Non sentire alcun peso addosso mi faceva sentire terribilmente insicura. Avrei fatto qualsiasi cosa per avere le mie spade, i miei coltelli, i miei pugnali... il mio stilo!
Prima di giungere la destinazione, mentre guardavo fuori dal finestrino, avevo visto una moschea e, ovviamente, ogni Shadowhunter è conoscenza che dentro ogni luogo di culto, sotto ogni altare, c'è un forziere con all'interno abbastanza armi da rifornire fino al collo cinque Cacciatori almeno. L'unico problema era che, per forzare quel meccanismo, avrei avuto bisogno di uno stilo e io non lo avevo con me.
Una volta scesi dal taxi ed esserci assicurati che l’uomo si fosse allontanato abbastanza, tirai fuori da una tasca la mia pietra Stregaluce. Avrei tanto voluto avere con me la collana che mi aveva regalato Marie o anche soltanto aver potuto mettere in valigia un sensore, ma ciò non era stato possibile. Cercai di mantenere l’agitazione sotto controllo, concentrandomi su tutti i miei sensi per compensare gli ausili che in quel momento non avevo.
Senza perdere troppo tempo, Jasper ci indicò la strada da seguire, conducendoci sotto la tettoia del palazzo sgangherato. Sulla destra, fissati al muro, c'erano vari citofoni, di cui solo uno colpì la nostra attenzione: “Bones, Chiromanzia” con tanto di targa d’oro allegata.
- Scritto così sembra quasi lo studio privato di un dottore - disse Alice sorpresa, forse pensando a quanto le persone potessero davvero credere a questo genere di cose.
Jasper restò impassibile mentre avvicinò il dito al citofono per suonarlo. Ci vollero tre sbuffi del vampiro e quattro tentativi prima che qualcuno rispondesse.
- Chi è?! - domandò una voce, in tono abbastanza scortese - Se siete qui per una lettura di carte, ora sono alquanto impegnata. Levatevi dai piedi -.
- Buonasera. Abbiamo bisogno di parlare con lei. È abbastanza urgente - rispose, non perdendo la sua solita cordialità, Carlisle.
Io non sarei stata altrettanto gentile dopo essersi rivolta a noi in quel modo, devo ammetterlo. Era una fortuna che il dottore fosse con noi.
- Il mio orario di lavoro va dalle dieci alle sei di sera. Non mi interessa se qualche stupido idiota mortale ha un problema! - urlò, lasciandoci a bocca aperta - Come ho già detto, ho da fare perciò andatevene! - e sentimmo uno strano rumore di sottofondo, di qualcosa che sbatteva contro il muro ma senza rompersi.
I tre vampiri fecero un passo indietro, guardandosi come se non sapessero più come procedere. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene: quella maledetta Nascosta doveva farci entrare e aiutarci, era la nostra unica possibilità per salvare Edward e non mi sarei arresa.
Iniziai a suonare convulsamente il campanello, finché non rispose nuovamente.
- Non vi conviene mettervi contro di me -, iniziò a minacciare la strega, credendo ancora di star parlando con dei mondani - se non ubbidirete lancerò un sortilegio su di voi e le vostre famiglie e... - .
- Abbiamo detto che è urgente e non siamo mondani, perciò apri questo portone, per l'Angelo! - esclamai abbastanza stizzita, cercando di non alzare troppo la voce.
Ci fu qualche secondo di silenzio prima di sentire la porta di vetro ronzare, segno che ci aveva aperto.
- Quarto piano, appartamento 13B -.
Mi voltai, incrociando altre tre paia di occhi dorati piedi di sorpresa e ammirazione. Avevo fatto la parte della scorbutica davanti alla famiglia del mio ragaz... cioè, di Edward.
Tossicchiai un paio di volte prima di dire - Ehm, okay... Ora possiamo salire -.
Salimmo quattro rampe di scale pericolanti in fila indiana: in testa c'era Carlisle, poi Jasper, ed in fine io e Alice. Camminavamo molto lentamente, mentre sotto di me sentivo il cemento consumato sgretolarsi e appiccicarsi ai miei stivali. Perché non avessero ancora buttato giù quel posto era un mistero. Poi però in un angolo del lungo corridoio che puzzava di muffa, alla mia sinistra, sui primi gradini della terza scala, notai due figure confuse strusciarsi l'una contro l'altra: erano due fate che si stavano baciando, e con molta lussuria oserei dire. A quel punto capii che doveva essere un posto abitato interamente da Nascosti e per questo era così trasandato e pericolante, per far in modo che i mondani dotati di buonsenso ne stessero alla larga.
- Non fate rumore - sussurrai, per non farci notare dalle fate, mentre cautamente ci avvicinavamo sempre di più alla fine della quarta scalinata.
Poco più avanti, nel lungo corridoio poco illuminato, c'era una porta completamente spalancata. Ci bloccammo lì davanti e notai che quello era l'interno 13B.
- È questa - mormorai, facendo io il primo passo per entrare in quella casa, mentre i vampiri al mio fianco si guardavano intorno con un misto di curiosità e circospezione.
Una volta che tutti e quattro varcammo l'entrata dell'appartamento, la porta d'ingresso si chiuse di colpo, da sola, alle nostre spalle, facendomi prendere un colpo al cuore. Mi guardai indietro e vidi i visi dei miei accompagnatori: Carlisle sembrava teso, ma mai quanto Jasper, che stringeva forte i pugni lungo i suoi fianchi. Alice invece mi trasmetteva una tenerezza incredibile, con quegli occhi grandi e dorati che palesavano tutta la sua preoccupazione e il senso di colpa per non poterci aiutare con il suo potere. Quando la vampira spostò lo sguardo su di me, cercai di sorriderle in modo rassicurante, per infonderle un po' di sicurezza.
Non doveva essere facile per lei. In realtà non lo era per nessuno, ma almeno Jasper poteva ancora fare affidamento sul suo potere, Alice no. Sicuramente soffriva per questa mancanza, soprattutto in un momento del genere.
Iniziai a guardarmi intorno, facendo qualche passo avanti per perlustrare meglio l’ingresso.
Le pareti del salotto erano di un giallo tendente quasi al dorato, adornate da cornici e quadri che apparentemente sembravano avere un valore inestimabile. Alla mia sinistra c'era un divano marrone a tre posti antico con le rifiniture in oro e, davanti ad esso, un tavolino di non so quale legno con decorazioni di draghi intagliate sulle gambe. Il fuoco crepitava nel camino poco più avanti. Alla mia destra invece c'era un piccolo corridoio preceduto da un arco a muro, che probabilmente portava nell'altro lato della casa. Accostato contro la parete, c'era un armadio a vetri con all'interno boccette grandi e piccole di vari colori, probabilmente pozioni. Poco distante, l'armatura argento di un cavaliere con in mano una lancia luccicava sotto la luce fioca della stanza e, lì vicino, c’era quello che sembrava uno specchio, coperto da una lunga e pesante coperta. Vari tappeti che non sembravano essere abbinati l'uno con l'altro si stendevano sotto ai nostri piedi.
Di Rashida nessuna traccia.
- Che facciamo ora? - chiese Alice.
- Non lo so - ammise Jasper - Forse potremmo fare un giro della casa e... -
 Lo interruppi - Io non lo farei -.
- E cosa dovremmo fare? - iniziò ad innervosirsi - Stare qui ad aspettare? -.
- Sapeva che saremmo saliti, ci ha aperto - iniziai a ragionare tra me e me, ad alta voce - C'è qualcosa che non quadra -.
- Che cosa...? - iniziò a dire Carlisle, ma si bloccò improvvisamente.
Mi voltai verso di lui confusa, ma poi notai i suoi occhi sgranati fissi su un punto in particolare. Sembrava che avesse visto un fantasma. Così mi girai e, quando lo feci, compresi il perché della sua espressione.
A poco più di due metri da noi c'era un uomo pallido, sembrava quasi malaticcio, ma aveva un fisico talmente robusto e forte da smentire quell'ipotesi. Era molto alto e la sua pelle era ricoperta di rune. Il suo viso era scavato, i suoi occhi scuri, vacui e persi nell'oblio, non guardavano niente in particolare e dalla sua bocca era appena uscito un ringhio.
- Che cos'è?! - esclamò disgustata Alice.
- Un Dimenticato - risposi velocemente, nello stesso istante in cui quell'essere iniziò ad avvicinarsi a noi urlando.
Il mio istinto di Cacciatrice si accese e scattò prima ancora che iniziassi a pensare realmente a come agire. Jonathan una volta mi disse: "ricorda Isabella, tutto ciò che c'è intorno a te, può diventare una possibile arma". Tutto sommato, è stato un ottimo insegnante.
Immediatamente, raccolsi da terra un vaso di grandezza media che era vicino alla porta, mirai alla testa del dimenticato e glielo lanciai addosso con tutta la forza che possedevo in corpo. Il tiro centrò il bersaglio, il dimenticato iniziò a sanguinare dalla nuca e a urlare di dolore. Dopodiché, abbastanza infervorato, iniziò a camminare con passo veloce verso di noi. Feci uno scatto per raggiungere l'armatura e prendere la lancia, per poi tornare indietro e bloccare la strada a quel gigante per evitare che raggiungesse i Cullen.
Provò ad assestarmi due colpi diretti in faccia, ma che riuscii a schivare prontamente senza troppe difficoltà. Corsi verso il tavolino in legno, ci saltai sopra e mi voltai giusto in tempo per parare altri due colpi con la lancia di ferro, cercando di spingerlo indietro per fargli perdere l'equilibrio e cadere, ma era troppo pesante. Improvvisamente, Carlisle e Jasper gli saltarono sulle spalle facendolo indietreggiare mentre Alice iniziò a girargli intorno velocemente per confonderlo e farlo concentrare su di lei, mentre io tentavo di infilzargli il cuore. Ma il dimenticato se ne accorse e, prima che la lama potesse raggiungere il suo organo vitale, si scostò, facendo staccare i due vampiri dalle sue spalle e sbattendoli contro il muro, creando delle crepe nella parete.
Cercò nuovamente di attaccarmi, ma Carlisle e Jasper si ripresero subito. Ci scambiammo un’occhiata e, mentre il dimenticato puntava me, loro due insieme ad Alice si posizionarono dietro di lui. Dopodiché, con tutta la forza che avevano, presero la rincorsa e lo spinsero per farlo cadere verso di me. In quel momento era come se tutto si muovesse a rallentatore. Mentre il dimenticato cadeva verso di me, io preparai la lama in direzione del suo cuore e, quando fu abbastanza vicino, gliela piantai nel petto. Durante la caduta, la forza di gravità e il suo stesso peso, fecero in resto, piantando la lancia sempre più in profondità, finché non si accasciò a terra. Il dimenticato cominciò ad avere fame d’aria, finché ad un certo punto, il suo torace non si espandeva più. Un’enorme chiazza di sangue cominciò ad estendersi sotto di lui. Era morto.
Cercai di regolarizzare il respiro, mentre guardavo i volti sconcertati dei tre vampiri che avevo davanti. Continuavano a fissare il corpo del gigante come se potesse riprendere vita da un momento all’altro.
Fu Alice a parlare per prima – Che cosa hai detto che era? -.
Sospirai, guardando la carcassa a terra accanto a me – Un dimenticato -.
- Che cos’è un dimenticato? – chiese Carlisle.
- Quando si disegnano delle rune angeliche su dei mondani, questo è il risultato – spiegai – Ma può farlo solo un Cacciatore con uno stilo, dopodiché il dimenticato prenderà ordini solo da quella persona. Infatti, non riesco a capire cosa ci faccia a casa di una strega… -.
- Giusta osservazione – disse una voce sconosciuta, che veniva dal corridoio più buio della casa.
Ci voltammo tutti e quattro in quella direzione, finché dall’oscurità non uscì una donna. Non era molto alta. La sua pelle era ambrata, i suoi occhi erano grandi e di diverso colore, uno nero e uno viola per essere precisi, e aveva un piccolo e delicato naso a punta. Aveva le labbra rosse e carnose e i suoi zigomi erano ben definiti. I suoi lunghi capelli neri erano intrecciati in una lunga acconciatura che le penzolava dietro la schiena, mentre indossava una vestaglia da notte nera di seta. Nonostante all’apparenza sembrasse innocente e affascinante al tempo stesso, dallo sguardo tagliente potevo notare quanto in realtà fosse solo una copertura.
- Jasper – sospirò, con uno strano sorriso in volto – Sembra passata un’eternità dall’ultima volta che ci siamo visti -.
- Se non fosse una questione urgente, probabilmente sarei davvero riuscito a passare l’eternità senza incontrarti più -.
La strega non sembrò offesa dalla provocazione, anzi, scoppiò a ridere mentre faceva passare lo sguardo su Alice e Carlisle.
- Dal modo in cui tenti di fare da scudo alla vampira dietro di te, deduco che quella sia la tua donna – continuò a punzecchiare Jasper, che stava perdendo la pazienza velocemente.
Alzò il mento, con orgoglio, mentre Alice gli afferrò il braccio, come se avesse paura che lui scattasse e rovinasse i nostri piani – È mia moglie -.
Rashida sembrò sorpresa – Noto con piacere allora che Maria è un capitolo chiuso per te -.
- Quello che c’è tra me e Alice non è neanche lontanamente paragonabile -.
La donna continuava a studiarci imperterrita. Guardò qualche secondo in più sia Alice sia Carlisle, ma alla fine non aggiunse più nulla a riguardo. Infine, si voltò verso di me e, con estrema curiosità, cominciò ad avvicinarsi finché non mi fu proprio a due passi di distanza. Deglutii cercando di trattenermi dall’impulso di allontanarmi quando avvicinò la sua mano ai miei capelli per accarezzarmeli. Restai immobile, sostenendo senza esitazione il suo sguardo.
- Siete il gruppo più anomalo che io abbia mai incontrato e sarà almeno un millennio che ormai sono al mondo – disse, facendo una breve pausa – Tre vampiri e una Cacciatrice. Sono davvero curiosa di sapere che cosa vi porta qui -.
Il fatto che non fosse sorpresa di avere davanti agli occhi una Shadowhunters, mi scosse tanto da non riuscire a essere reattiva nel risponderle. C’era sicuramente qualcosa sotto.
Intervenne Carlisle al posto mio, nonostante la strega stesse ancora guardando me – Ci servirebbe un portale per raggiungere Idris -.
- Da dove venite? – domandò, ignorando il dottore.
- Da Forks, Washington – risposi.
- Sei la prima Shadowhunter che incontro dopo più di un decennio, sai? – mormorò, con una strana nostalgia nella voce che in un primo momento non riuscii a comprendere – Deduco che se sei in compagnia di tre vampiri e se sei venuta a chiedere una mano a me, una Nascosta, devi avere qualche problema serio con il Conclave -.
Cercai di mantenere la calma – Dicci solamente se ci puoi aiutare oppure no, altrimenti troveremo un’altra persona che può farlo -.
- Tu credi che troverai altri Nascosti disposti a mettersi a rischio con il Conclave per aiutarvi? – scoppiò a ridere, allontanandosi finalmente da me – Sei proprio un’illusa! -.
- Perché? Tu invece sei disposta a correre il rischio? – rimbeccai, facendola zittire all’istante.
Ci fu qualche minuto di silenzio, che in realtà sembrò durare un’eternità. Jasper era visibilmente nervoso e questo sembrava soddisfare l’ego smisurato della strega. Alice continuava a essere estremamente preoccupata per suo marito. Carlisle era l’unico a cercare di restare calmo per mantenere la conversazione su toni diplomatici. Io, invece, avevo solamente fretta di andare a Idris.
Ad un certo punto, Rashida cominciò a camminare – Seguimi, ragazzina -.
Immediatamente voltai lo sguardo verso i miei alleati. Sembravano allarmati, ma Jasper mi fece segno di procedere. In caso fosse successo qualcosa, sarebbero stati pronti.
La seguii, a passo lento, tenendo una distanza di almeno due metri da lei. Mi condusse davanti all’oggetto rettangolare e coperto, che io a primo acchito avevo immaginato fosse uno specchio. Ma, non appena tolse la coperta, notai subito una cornice pesante oro e, a differenza di quello che mi aspettavo, al suo interno, non vidi la mia immagine riflessa. Bensì, un bagliore di luce quasi accecante che andava a onde. Un portale.
Mi voltai speranzosa verso i Cullen e notai che anche loro avevano la mia stessa espressione, tutti, tranne Jasper. Non potevo di certo biasimarlo, sicuramente per lui non era facile dover accettare l’idea di doversi fidare di lei, ma era l’unica opzione che avevamo e sicuramente non avevamo l’agio di potercela far scappare.
Rashida inserì la mano nel portale, cominciando a rotearla, creando delle ulteriori onde di luce, finché non cominciarono a rivelarsi le prime immagini dei luoghi che la strega stava pensando. Ci fece vedere le strade buie fuori di qui, poi improvvisamente ci trovammo nel centro paese di Forks e, alla fine, non potei non riconoscere immediatamente le distese d’erba e fiori di Idris illuminati dalla luce del sole. Abbagliata da quell’immagine, sentendone la mancanza, mi avvicinai di più al portale, inserendo a mia volta la mano al suo interno. Nonostante ad Idris in quel momento facesse freddo, ormai era autunno inoltrato, riuscii lo stesso a sentire il delicato calore del sole. Sullo sfondo si potevano ammirare le montagne innevate e, proprio ai loro piedi, la città di Alicante. Con le lacrime agli occhi cercai di imprimere come meglio potevo quell’immagine nella mia testa. Anche se fossimo riusciti davvero a raggiungere la mia città natia, chissà quando avrei rivisto la luce del sole.
Improvvisamente, Rashida cominciò di nuovo a roteare la mano all’interno del portale, cambiando così nuovamente scenario. Il calore di quella bella giornata autunnale non mi riscaldava più la mano, le verdi colline, i fiori, le montagne innevate, le casette caratteristiche della mia città… non c’era più niente che appartenesse ad Idris. Eravamo in un mondo parallelo, estremamente buio, polveroso e desertico. Quella era sicuramente una dimensione demoniaca.
Confusa, non feci in tempo a voltarmi verso la strega per chiedere spiegazioni che, prendendomi alla sprovvista, mi spinse facendomi cadere dentro al portale. Quando sentii le urla di Carlisle, Alice e Jasper, ormai era troppo tardi, mi trovavo già dall’altra parte.

 
 

 
 
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Besos :-*
 
Zikiki98
 
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Capitolo 32
*** 31. No Way Out ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI


31. No Way Out
 

Caddi a terra, inerme, mettendo le mani in avanti per attutire la caduta in modo tale da non sbattere la faccia a terra. Mi voltai di scatto per rientrare nel portale, ma mi si gelò il sangue nelle vene quando notai che ormai si era già chiuso. Una volta realizzato che ero bloccata lì, in quella dimensione, a guardarmi convulsamente intorno, alla disperata ricerca di un’ulteriore via d’uscita, anche se già sapevo che non c’era, cominciai ad andare in iperventilazione.
Era tutto sui toni del grigio, tranne il cielo che era rosso fuoco. Il terreno era sabbioso, disseminato da rocce di misure differenti e l’aria era bollente e terribilmente polverosa, sentivo che mi stava bruciando le vie aeree e ostruendo i polmoni. Sicuramente, se avessi creduto nell’esistenza di un inferno, me lo sarei immaginata così.
Al momento, non mi sembrava che ci fosse alcuna creatura nei dintorni, ma riuscii comunque a trovare un nascondiglio fra tre grossi massi che creavano una sottospecie di piccola caverna.
Dovevo solo aspettare, no? Qualcuno sarebbe venuto a riprendermi, giusto?
Sicuramente, mi meritavo di essere finita in quella situazione. Non lo sapevo con certezza, ma quella doveva essere la punizione cosmica per i miei peccati, nonostante stessi cercando di porvi rimedio. Era come se ogni volta che cercassi di risolvere un problema creato da me, in automatico, si trasformasse in un ulteriore errore da sistemare. Ero proprio un disastro.
Non avevo mai preso in considerazione la possibilità di morire in una dimensione demoniaca. Essendo una Cacciatrice, ero a conoscenza che avevo delle alte possibilità di perdere la vita, anche in giovane età, ma immaginavo in uno scontro con dei demoni, in battaglia, oppure per cause naturali. Sempre avendo accanto la mia gente e la mia famiglia. Onestamente, non mi era mai capitato di pensare ad un’eventualità del genere. Di morire, così lontano da casa, in un’altra dimensione, lontano dal mio popolo, per la quale ero una ricercata, e da ciò che avevo sempre creduto essere la mia famiglia, che invece non mi voleva più vedere.
Cercai di trattenermi dal cedere al panico più totale, anche se, con tutto quello che era successo, era difficile mantenere ancora il controllo delle mie emozioni.
Ad un certo punto della mia vita credevo ingenuamente che, nella maggior parte dei casi, le situazioni difficili capitassero perlopiù alle persone cattive, che se la andassero a cercare, come fosse una sorta di punizione karmica. Eppure io non riuscivo a ritenermi appartenente a quella categoria. Avevo sicuramente commesso una quantità innumerevole di errori in quegli ultimi mesi, ma non riuscivo a credere di essere una persona così terribile da meritarsi tutto quello che le stava succedendo. O probabilmente, quella era la realtà dei fatti e io mi stavo sopravvalutando.
Avrei voluto solamente saper gestire meglio la situazione e, magari, non mi sarei trovata bloccata in un altro mondo.
Per l’Angelo Raziel, che qualcuno mi aiuti.
 
 
POV Carlisle
 
- Che cosa hai fatto?! – urlai in preda al panico, dopo aver visto Isabella sparire in quel luogo sconosciuto e spaventoso.
Jasper non ci pensò due secondi e fece per aggredirla, ma la strega lo guardò intensamente e mio figlio, all’improvviso, si bloccò, non riuscendo più a muoversi. Tentai di raggiungerlo, ma ero paralizzato anche io e, cercando di guadare Alice con la coda dell’occhio, notai che anche lei aveva lo stesso problema. Rashida doveva aver usato la sua magia contro di noi.
- Lasciaci andare! – riuscì a parlare a fatica la mia piccola Alice.
La donna si aggirò fra di noi, guardandoci uno per uno, con gli occhi pieni di vendetta e un sorriso soddisfatto in volto.
- Quando risponderete sinceramente alle mie domande, vi libererò e, se non si fa uccidere prima, recupererò anche la vostra amica Cacciatrice – rispose accarezzando i capelli di Alice, che se solo avesse potuto, ero sicuro, l’avrebbe sbranata – Perciò andrà tutto bene, da ciò che risponderete dipenderà la vostra vita e quella della ragazza -.
Sospirai – Facci le domande che devi e noi ti risponderemo – conclusi, anche se parlare era davvero molto difficile in quello stato.
- NO! – gridò Jasper – È una trappola! Avrà sicuramente un secondo fine! -.
- Lo so figliolo, ma al momento non penso ci siano altre soluzioni -.
Jasper mugugnò qualcosa di incomprensibile, ma non aggiunse altro. L’unica possibilità che avevamo per salvarci, per Isabella e poi per Edward, era assecondarla. Non era il caso di prendere in mano il comando della situazione e sovrastarla, anche perché, in quel momento, eravamo nettamente in svantaggio e non potevamo assolutamente perdere, perché se così fosse stato, avremmo rischiato di perdere delle vite e non potevo permetterlo.
Mi rivolsi a Rashida – Che cosa vuoi sapere? -.
Lei si avvicinò a me e il suo malizioso sorriso si allargò.
 
 
POV Isabella
 
Ero ancora nascosta tra quei massi polverosi e bui, mentre ogni tanto sentivo qualche demone aggirarsi in zona. Più che altro riuscivo a percepirne la puzza e, quando si avvicinavano, trattenevo il respiro sia per non vomitare sia per farmi notare il meno possibile.
I libri di demonologia che avevo studiato in passato rispecchiavano molto la realtà nelle descrizioni delle dimensioni demoniache, ma diciamo che viverlo faceva molto più effetto. E sicuramente, anche più paura.
Quando ero piccola mi ricordo perfettamente che mi divertivo tantissimo a giocare di fantasia con i miei fratelli. Ci alternavamo: c’era chi interpretava degli eroici Cacciatori e chi faceva prendere vita a degli orrendi mostri famelici. Ingenuamente, a me piaceva interpretare entrambe le parti, ma di più quella de mostri. Già da piccola Shadowhunters sentivo il peso della responsabilità di dover proteggere gli innocenti. Mentre, quando interpretavo la parte del demone… non avevo obblighi, non avevo vincoli, non avevo regole, non avevo responsabilità. Ero libera.
Era totalmente un’altra sensazione. Con il senno di poi, forse, la me bambina non aveva tutti i torti. Non sul fatto che fosse bello essere un demone, ma il principio di base che ci stava dietro. Andava bene qualsiasi cosa, bastava non essere uno Shadowhunters. Da piccolo non ci dai peso, ci scherzi anche, ma da adulto, non puoi fare altro che renderti conto della realtà dei fatti, a meno che una persona non voglia vedere. Fin da poco più che neonati, ci spacciavano la vita da Cacciatori come se fosse la più avvincente, realizzante ed eroica fra tutte. La vita giusta, per poche persone giuste. Ma quanta repressione, solitudine e falsità si celavano in realtà dietro a tutta questa gloria urlata a gran voce?
Improvvisamente, un boato, tanto forte da coprirsi le orecchie, accompagnato da una luce accecante, mi risvegliarono dai miei pensieri. Mi girai, cercando di fare meno rumore possibile e mi sporsi dal masso che mi nascondeva per vedere che cosa stesse succedendo. In realtà, non riuscivo a capire molto bene. Qualsiasi cosa stesse accadendo, il vento improvviso che si era creato aveva alzato tutta la polvere e rendeva ancora più difficile sia la visibilità sia respirare, in quelle condizioni.
Quando il polverone finalmente si abbassò, riuscii a notare perfettamente un portale. Rashida doveva averlo riaperto e, pochi secondi dopo, notai che era proprio lei che si stava affacciando in quello spiraglio di luce, probabilmente per cercare me.
C’erano due demoni poco distanti da lì, ma probabilmente, se avessi corso abbastanza velocemente, ce l’avrei potuta fare.
- Isabella! – urlò, attirando così l’attenzione anche delle altre creature, non che le importasse, naturalmente – Se sei ancora viva, ti conviene muoverti, altrimenti ti lascerò qui per l’eternità -.
Non me lo feci ripetere due volte. Non mi guardai intorno, non prestai attenzione, non persi ulteriormente tempo. Mi lanciai fuori dal mio nascondiglio e cominciai a correre come mai prima di quel momento. Sentii quasi immediatamente dei passi pensanti inseguirmi, ma non mi voltai, neanche una volta. Mi concentrai solamente sul correre sempre più velocemente.
Era un tragitto di pochi secondi, eppure mi sembrava di percorrerlo da ore. Vedevo il portale sempre più vicino, distinguendo meglio la figura di Rashida mentre continuavo a essere inseguita, senza che quei mostri mi mollassero un secondo. Non dovevo cedere.
Quando arrivai abbastanza vicino saltai all’interno del portale, sfiorando la strega con una spallata per poi cadere a terra, mentre lei si adoperava per richiuderlo. Riuscii a stento vedere i Cullen accovacciati a terra, seduti in fila l’uno vicino all’altro, accanto ad un muro, perché quando mi girai verso Rashida per chiedere spiegazioni, lei mi stava già guardando intensamente e, ad un tratto, non vidi più nulla.
_
 
Mi risvegliai dal mio sonno senza sogni con serie difficoltà. Faticavo a ricordare che cosa fosse successo una volta dopo aver attraversato il portale. Mi sentivo fiacca e nonostante cercassi di tenere gli occhi aperti, non ci riuscivo. Era come se la forza di gravità mi costringesse a tenerli chiusi. Avevo le orecchie tappate, sentivo dei rumori, qualcuno che parlava ma non riuscivo a distinguere niente di concreto. Inoltre, ero bloccata. Avevo le braccia dietro la schiena e sentivo di non poterle muovere, lo stesso discorso valeva per le gambe, distese lungo il pavimento. Avevo la schiena appoggiata a qualcosa, forse un muro, e riuscivo a percepire di avere ancora addosso tutta la polvere che mi ero portata dietro da quel mondo demoniaco e, soprattutto, anche l’odore.
- Isa… -.
Tutta quella confusione generale mi aveva fatto venire il mal di testa. Volevo solo dormire. Tenere gli occhi chiusi e tornare a non pensare più a niente.
- Isabel… -.
Il brusio di sottofondo era parecchio fastidioso, ma aprii gli occhi di scatto quando qualcosa mi colpì la gamba.
- Isabella – sussurrò ancora una volta la voce, che alla fine Alice.
Era stata lei a darmi il calcio e, quando mi voltai a guardarla, ricordai tutto l’accaduto con la stessa violenza di uno schiaffo in faccia.
Diedi un’occhiata a ciò che mi circondava. Alla mia destra, seduti a terra come me, c’erano Alice, Jasper e Carlisle ma, guardandoli meglio, non potei non notare che erano bloccati da delle trappole che di solito usavamo noi Cacciatori contro i vampiri. Come faceva quella strega a possederle e a sapere come usarle?
Io, a differenza loro, avevo delle semplici manette sia ai polsi sia alle caviglie. Di Rashida, in quel momento, nessuna traccia.
- Finalmente! Stavo cominciando a preoccuparmi! – sospirò Alice, con vero sollievo.
La guardai confusa e, con qualche difficoltà, riuscii a biascicare qualcosa di sensato – Per quanto sono rimasta incosciente? -.
- Poco più di cinque ore – mi informò Carlisle – È quasi l’alba ormai -.
- Cos’è successo mentre non c’ero? -.
- Ci ha riempito di domande – disse mesto Jasper, guardando dritto davanti a sé – E non è una cosa buona -.
Li guardai allarmata – Cosa vi ha chiesto? -.
- Tutto – ammise Carlisle – Quanti sono i membri del nostro clan in totale, dove si trovano gli altri, come si chiamano, qual è il cognome della tua famiglia di Cacciatori, perché dobbiamo andare a Idris… Per far sì che lei ti riportasse qui, ho dovuto rispondere a tutto -.
- Perché tutte queste domande? – chiesi retoricamente, non riuscendo a trovare alcun collegamento.
- È chiaro che ha un secondo fine – si limitò a dire Jasper – Per questo motivo non volevo venire da lei -.
Sospirai, terribilmente in colpa – Mi dispiace, davvero. Sembra che ogni volta che voglio rimediare ai miei errori, io faccia di peggio -.
- Non è colpa tua – mi guardò teneramente Alice – Vedrai che ce la faremo! -.
Annuii cercando di sorriderle, ma la verità era che non la pensavo proprio come lei. Eravamo in trappola, nelle mani di una strega estremamente pericolosa, senza scrupoli. Non avevamo più il controllo della situazione. In quel momento, tutto era in balia degli eventi e delle decisioni altrui. La nostra vita era in mano a chissà chi. Per non parlare del fatto che, più il tempo passava, più rischiavamo che Edward fosse già morto. Se solo mi fossi costituita al Conclave dal primo giorno, invece di eseguire le preghiere dei miei fratelli, tutto questo non sarebbe successo. Era chiaro che avessero preso Edward per usarlo come esca. Ero scappata per non mettere in pericolo nessuno, perché sapevo che se mi avessero presa mi avrebbero torturata e interrogata finché non avrei parlato, ma degli innocenti stavano comunque soffrendo. E allora, che senso aveva avuto tutto?
Proprio in quel momento, Rashida rientrò in salotto, dove ci aveva abbandonati. Si era cambiata, non indossava più la vestaglia da notte, ma bensì un maglione nero a collo alto, dei jeans aderenti blu scuro e dei tacchi a spillo neri lucidi.
Deglutii a fatica dato che avevo la gola secca, un po’ per la stanchezza un po’ per la sete, ma persi un battito quando notai che in mano aveva un pezzo di carta arrotolato e chiuso con la cera. Si avvicinò al camino, dove al suo interno il fuoco crepitava ancora caldo, e ci lanciò la lettera che costudiva poco segretamente fra le sue dita. Aveva scritto un messaggio di fuoco.
Sentii il sangue ribollirmi nelle vene.
- A chi lo hai mandato? – digrignai i denti.
Lei si voltò, guardandomi con un sorriso, quasi radioso – Non so a cosa ti riferisci -.
I Cullen sembravano abbastanza confusi, ma mi lasciarono fare.
- Non fare finta di non capire – la sbeffeggiai – A chi hai mandato quel messaggio di fuoco? -.
Si avvicinò lentamente a me, in modo seducente, facendo rimbombare il suono dei suoi tacchi in tutta la stanza, finché non su vicina abbastanza per abbassarsi sulle ginocchia e arrivare alla mia stessa altezza.
- Al Conclave, Tesoro -.
- Perché?! – urlai, non riuscendo a controllare il tono di voce.
Rise, passandosi una mano fra i lunghi capelli neri – Cara, tu ti devi calmare. Siete stati voi a dirmi che volevate andare a Idris. Io vi ho solamente procurato un passaggio! -.
- E dopo che ci avrai costituiti al Conclave, cosa credi che faranno con te? – domandai, totalmente fuori di me – Pensi che ti daranno un premio? -.
Si sporse per accarezzarmi la guancia, nonostante tentai di spostarmi per evitare quel contatto – Non è un premio ciò che mi interessa – rivelò, con uno sguardo strano negli occhi – Io ho proposto uno scambio. Il Conclave tiene in prigionia qualcuno che mi interessa. Perciò ho pensato a cosa potessi offrirgli per riavere ciò che volevo. Una Cacciatrice ricercata e sei vampiri “imparentati” con il prigioniero che hanno già… Mi sembra un buon compromesso -.
Guardai immediatamente i nascosti accanto a me, che cominciarono a dimenarsi dalle loro trappole per cercare di liberarsi ma, naturalmente, senza successo. Ecco perché Rashida gli aveva fatto tutte quelle domande, in modo da poter arrivare a Esme, Emmett e Rosalie e riuscire ad aumentare il suo bottino di scambio. Così avrebbe avuto più possibilità di ottenere ciò che voleva.
- Sappi solo che se succederà qualcosa alla mia famiglia, appena potrò, ti troverò e ti ucciderò – minacciò Jasper, con uno sguardo assassino negli occhi.
Dal canto mio, cercai di evitare le minacce, perché sapevo che sarebbero servite a poco in quella situazione. Cercai di puntare piuttosto sul renderla più ragionevole e consapevole.
- Tu sei sicura che questa persona, che è finita nelle mani del Conclave, sia ancora viva? – le chiesi, facendole escludere tutte le diverse possibilità.
Magari si era adoperata per avere uno scambio che ormai non esisteva più. In questo caso, se la persona che cercava era già morta, non solo avrebbe perso tempo ma anche messo a rischio la sua stessa vita.
La vidi arrossire per la rabbia – Come sei presuntuosa! Il mio Amore, la mia Emily, era un’abile Cacciatrice! Una delle migliori che il Conclave avesse mai avuto nel suo esercito! Sai, lei mi ha raccontato tutto! – esclamò, alzandosi in piedi e cominciando a marciare su e giù per la stanza nervosamente – Quando c’è stata l’Invasione di demoni a Alicante, lei era tra i soldati che difendevano le barriere e i confini di Idris! È stata ferita brutalmente e, invece di curarla, l’hanno abbandonata nei boschi fuori dallo stato. Io l’ho trovata, l’ho curata e l’ho amata. Ci siamo innamorate – ammise con gli occhi lucidi e, per la prima volta, vidi quella donna in modo diverso – Siamo sempre state insieme, alla fine, il Conclave la credeva morta. Convivevamo qui, ci nascondevamo da tutti. Nessuno sapeva chi era davvero, la credevano una semplice mondana. Aveva recuperato alcune delle sue armi preferite e aveva trasformato alcuni umani in Dimenticati, sempre per precauzione, per proteggerci – questo spiegava come Rashida possedesse quelle trappole - Ma tre anni fa il Conclave la ritrovò e me la portarono via, probabilmente qualche mio nemico aveva fatto la spia – sospirò sconsolata – Farò tutto ciò che è in mio potere per riportarla a casa, tutto -.
Rimasi talmente colpita da quella storia, così simile e così lontana dalla mia, che non potei fare a meno di metterla in guardia – Tu non hai idea di quanto possa essere severo il Conclave. Potrebbero ucciderti e prendere noi comunque! -.
- Fidati, lo so – mormorò – Ma preferisco morire per aver tentato, che non tentare affatto e continuare a vivere la mia vita senza di lei -.
Per quanto si fosse comportata male nei nostri confronti, la riuscivo a capire. Era disposta a tutto per riavere con sé le persone che amava. Di conseguenza, non era poi così diversa da noi. C’è un detto che dice: “in amore e in guerra, tutto è lecito”. Anche io sarei stata disposta a tutto per proteggere i miei fratelli, la mia famiglia. Rashida era sicuramente una strega pericolosa, ma era stata costretta ad esserlo… chissà che esistenza dolorosa aveva passato per arrivare fino a quel punto.
Il fatto che avesse atteso tre anni, che in realtà per la sua lunga vita potrebbero anche non essere niente, aspettando sue notizie, mi stringeva il cuore.
Ormai, quello che era fatto era fatto. Eravamo tutti in pericolo. Perlomeno, a quel punto, speravo che tutti i suoi sforzi venissero ripagati e che almeno qualcuno riuscisse a cavarne qualcosa di buono da quella storia.
_
 
Non sapevo dire quanto tempo era passato, ma sicuramente parecchio. Stavo morendo sia di sete sia di fame. La mia gola era secchissima, tanto che ero praticamente rimasta quasi senza salivazione, e il mio stomaco, brontolava talmente tanto che non era necessario avere l’udito di un vampiro per sentirlo. All’inizio ero imbarazzata, ma alla fine mi abituai.
Carlisle non riusciva più a nascondere la sua preoccupazione. Adesso che il Conclave sapeva dove recuperare Emmett, Rosalie e Esme sicuramente stava continuando a pensare se li avessero già trovati o no, se fossero riusciti a scappare… Accompagnato naturalmente al pensiero su che cosa sarebbe successo a noi e ad Edward.
Jasper era impassibile, si guardava le punte delle scarpe ciondolandole un po’ a destra e un po’ a sinistra. Probabilmente, era l’unica parte del corpo che ancora riusciva a muovere.
Alice, invece, aveva gli occhi chiusi. Forse, si stava concentrando per utilizzare il suo potere, controllando come se la stessero cavando gli altri membri del clan.
Rashida, invece, era seduta sul divano, con le gambe incrociate e un calice di vino fra le mani, mentre con lo sguardo contemplava il nulla. Non sapevo quanti bicchieri avesse bevuto fino a quel momento, ma sicuramente quello non rientrava fra i primi tre. A farla sobbalzare furono dei colpi alla porta.
Appoggiò il calice sul tavolino che si trovava davanti a sé e si alzò dal divano. Andò alla porta e quando la aprì c’erano tre figure, apparentemente maschili, in tenuta da combattimento e incappucciati. Erano altissimi e con le spalle molto larghe. Per intenderci, avevano una costituzione fisica simile a quella di Emmett, anzi, forse loro erano addirittura più grossi. Erano tre Cacciatori e, sicuramente, erano gli stessi che avevano catturato Edward nella sua radura.
Quando tirarono giù il cappuccio, capii decisamente chi erano. Era impossibile non riconoscerli. I tre sicari preferiti dal Conclave, quelli che eseguivano il lavoro sporco che nessuno voleva fare. D’altro canto, qualcuno se ne doveva pur occupare. E loro, i fratelli Graymark, rispettivamente in ordine di nascita, Joy, Ector e Matthew, erano i più temuti da tutti gli Shadowhunters. Se si imbattevano sul tuo cammino, significava che eri in guai seri, potevi starne certo. Io ne ero l’esempio.
Non riuscivo a fare e meno di fissarli, con un mix di curiosità e terrore, ma quando si accorsero di me e ricambiarono lo sguardo, distaccato e spietato, sentii dei brividi gelidi percorrermi tutta la schiena. Il più grande era quello che faceva più paura anche se, bene o male, si assomigliavano tantissimo fra di loro. Tutti e tre avevano i capelli scuri, lunghi fino alle spalle, la barba e gli occhi verdi, ma il primo, a differenza degli altri, aveva delle terribili cicatrici in viso che facevano accapponare la pelle.
Ero contenta che Alice non potesse vederlo.
Joy Graymark si rivolse a Rashida, incombendo su di lei – Credevo che avessi mentito -.
La strega, che aveva perso la sicurezza con cui l’avevo conosciuta, rispose – E invece no, questi sono i vostri prigionieri – fece una pausa, per poi aggiungere a voce tremante – Ma solo se voi accettate il mio scambio -.
In tutta risposta, Joy le voltò le spalle e si incamminò verso di me. Sentivo già il cuore che mi scoppiava nel petto ed ero sicura che i Cullen potessero sentirlo a tutto volume. Si fermò, guardandomi dall’alto per qualche secondo, con ribrezzo. Con la coda dell’occhio vidi il suo stivale muoversi, arrivandomi direttamente nello stomaco, causandomi un dolore atroce. Gemetti, cercando di mantenere la mia reazione il più moderata possibile, nonostante il dolore. Non ebbi tempo di difendermi e, anche se ce l’avessi avuto, avevo polsi e caviglie legate, quindi non avrei comunque potuto fare nulla.
Cominciai a mugolare per il dolore, respirando in modo irregolare, mentre cercavo di controllare i conati di vomito. Ero quasi sicura che mi avesse incrinato un paio di costole, se non addirittura rotte.
Senza guardarli, perché non avevo le forze in quel momento per alzare la testa, potei percepire Jasper e Carlisle che si muovevano, nel tentativo di liberarsi e intervenire, ma era tutto inutile e, nonostante continuassero a provarci, lo sapevano anche loro.
Perciò, il capo clan dei Cullen decise di intervenire a voce – Non è necessario utilizzare la violenza! -.
Il più grande e il più temuto dei fratelli Graymark ignorò le parole di Carlisle, anzi, non lo guardò nemmeno, fu come se non avesse mai parlato, e si rivolse nuovamente a Rashida, rispondendole – Il Conclave non scende a compromessi – e aggiunse, cambiando totalmente argomento – Che cosa sai di quello che è successo a Seattle, qualche settimana fa? -.
La strega, palesemente confusa e contrita, si adattò alla nuova conversazione, spostando il peso da un piede all’altro – Non so di cosa parli -.
- Demoni che una volta uccisi non svaniscono nel nulla – rispose spazientito, alzando gli occhi al cielo - Non mentirmi, non mi piace chi mente -.
- Ti sto dicendo la verità – confermò Rashida, sinceramente – Non vedo come questo argomento possa centrare con la mia richiesta nel messaggio che ho inviato al Conclave -.
Il Cacciatore si avvicinò in modo lento e minaccioso a lei, facendole un’altra osservazione – Inoltre, noto che possiedi un portale non segnalato al Conclave -.
Avevo una brutta sensazione. Potevo percepire il panico di Rashida senza problemi. La situazione non si stava mettendo bene nemmeno per lei. L’idea che aveva pianificato non stava andando come aveva sperato. Mi sforzai di alzare la testa, per vedere meglio cosa stava succedendo e sì, la strega era decisamente nei guai. Era praticamente circondata dai tre Cacciatori, armati fino ai denti, senza alcuna via di fuga. Non sarebbe finita bene, me lo sentivo.
La strega deglutì a fatica – Ce l’ho da diversi secoli -.
- Resta comunque un portale non segnalato – ribadì il concetto Joy – A cosa ti serve, da strega, se non per servirti del potere dei demoni? – per poi aggiungere – Perciò, dimmi cos’è successo a Seattle -.
Vidi per la prima volta Rashida vacillare e mi lanciò uno sguardo veloce, che chiedeva aiuto. Ma ero bloccata. Sia per il dolore fisico che provavo, sia perché ormai mi ero arresa. Ci avevano trovati e, arrivati a quel punto, ero sfinita, soprattutto mentalmente. Non avevo più la forza di lottare per la mia vita. Ero assetata, affamata, assonata ed esaurita totalmente da ogni energia e motivazione. Volevo solamente lasciarmi andare. Non avevamo scampo, non c’era più niente da fare.
E lei, purtroppo, fece l’errore di rispondergli con un’altra domanda.
- Dov’è la mia Emily? – chiese stremata, con le lacrime agli occhi.
Gli stessi occhi che in quel momento supplicavano pietà, qualche ora prima ci guardavano spietati e pieni di potere.
- Mi ricordo di lei. Ero stato io a catturarla. Vuoi ricongiungerti alla tua amante? – chiese il Cacciatore, con un tono che non seppi decifrare – Io posso farlo -.
- Non è la mia amante, è la mia fidanzata – lo corresse bruscamente, ma con gli occhi pieni di speranza – Dov’è adesso? -.
Rashida era talmente aggrappata a quella piccola possibilità che l’amore della sua vita fosse ancora in vita, da non accorgersi che Ector e Matthew si erano posizionati dietro di lei e che, quest’ultimo, aveva la mano appoggiata sull’elsa della sua spada.
Joy le sorrise compiaciuto – È morta. Adesso puoi raggiungerla all’inferno -.
Rashida non ebbe neanche il tempo di elaborare le sue parole che Matthew, alle sue spalle, sguainò
la sua spada angelica e, con una forza e una velocità inaudita, la roteò in aria per decapitarla. In pochi secondi, il suo corpo fu a terra, mentre il pavimento si riempì di sangue. La testa di Rashida mi rotolò vicino, con le palpebre spalancate e i suoi occhi scuri rivolti verso di me. Nonostante avessi uno stomaco abbastanza forte, dopo aver visto una scena del genere, con tutto lo stress di quegli ultimi giorni, non riuscii più a controllare gli istinti, perciò vomitai, più succhi gastrici che altro.
Alice era ancora persa nel suo mondo e non dava alcun cenno di risvegliarsi da lì a breve. Jasper, essendo più sensibile al sangue rispetto agli altri vampiri, entrò in uno stato di trance. Carlisle, come me, era rimasto l’unico a mantenere un barlume di lucidità. Ci voltammo entrambi dall’altra parte quando i tre Cacciatori cominciarono a fare a pezzi la strega, per poi bruciarla nel fuoco del camino. La puzza era insostenibile.
Faticavo talmente tanto a tenere gli occhi aperti, che avevo cominciato a vedere sfocato, tanto da non notare che Joy stava venendo da me finché non fu abbastanza vicino. Senza che dovetti attendere troppo, sentii la sua mano stringermi forte il collo, sollevandomi da terra e togliendomi così il respiro. Eravamo occhi negli occhi.
- A casa ti aspetta una bella festa di “bentornato”. Sei pronta a rimettere piede a Idris, troietta? -.
Avevo fame d’aria. Il mio cuore batteva all’impazzata. Non percepivo più le estremità del mio corpo da quanto formicolavano. Non riuscivo a pensare anche se, effettivamente, avevo un’immagine nella mia testa che non riuscivo a togliermi: la sua mano che, con tutta la forza che possedeva, mi spaccava l’osso del collo.
Dopo qualche altro secondo, non vedendomi reagire, si stancò e mi lasciò cadere a terra, facendomi sbattere la testa contro il parquet.
Carlisle, che era l’unico fra noi, oltre a me, a essere ancora presente mentalmente, domandò preoccupato a bassa voce – Come stai, Isabella? Senti dolore da qualche parte? -.
A quel punto non riuscii più a controllarmi e, nella più totale disperazione e autocommiserazione, singhiozzai – Non ce la faccio più… Sono distrutta… -.
Proprio in quell’istante, Alice riaprì gli occhi e, con il fiato corto, disse una sola parola, afflitta – Catturati -.
I miei occhi si riempirono di lacrime. Era finita.
 

 
Ragazz*, vi annuncio che questo è l’ultimo capitolo.
Il prossimo che leggerete, sarà l’epilogo, ma non disperate, perché ci sarà una seconda parte!
Possiamo definirlo, un “secondo libro”.
Preferisco separare la storia perché è come se si dividesse in diverse “ere”.
Ho calcolato che in totale, per le idee che mi disturbano il cervello, dovrebbero uscirmi tre parti, quindi “tre libri”.
 
Grazie per aver letto il capitolo :-)
Se vi fa piacere, lasciate una stellina e un commento.
Besos :-*
 
Zikiki98

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Capitolo 33
*** Epilogo ***


THE WORLD OF DEMONS
IL PORTALE DEI DEMONI

Epilogo

 
POV Sebastian
 
Mi stiracchiai in un letto sconosciuto, mezzo nudo, tra le coperte pulite e fresche che profumavano di fiori. Accanto a me, non c’era più nessuna compagnia. Prima di stropicciarmi gli occhi con le mani, il mio sguardo era fisso sul soffitto bianco sopra di me, mentre contavo le imperfezioni dell’intonaco, una per una. Quando presi coraggio, con una lentezza disarmante, mi misi seduto in un groviglio di lenzuola, sbadigliando senza alcun controllo.  
La mia testa strabordava di pensieri. Per quello la scorsa notte ero corso da Lei, avevo bisogno di una mano, di essere ascoltato e, come se fosse una conseguenza della tensione che provavo e che era presente fra di noi, finimmo a letto insieme.
Sbuffai e, senza ulteriori indugi, decisi di alzarmi dal letto. Davanti a me, uno specchio appeso al muro, mostrò la mia immagine riflessa per intero. Il mio fisico, snello e muscoloso, oltre a essere adornato da decine di cicatrici dovute dalle rune, poteva dimostrare quanto fossi visibilmente agitato dalla tensione dei muscoli al di sotto della pelle. Per non parlare del viso, caratterizzato da due grosse occhiaie, che ormai mi facevano compagnia da qualche giorno, e da un paio di rughe d’espressione in più dovute dalla preoccupazione.
Ero distrutto. La mia intera vita era stata costruita su una bufala. L’unica persona che credevo mi fosse rimasta, l’unico essere umano ad essere ancora in vita che mi ricordava le mie origini, la mia famiglia, tutto d’un tratto, in realtà non lo era mai stato o, almeno, non totalmente. Non riuscivo ad accettare che il legame con mia sorella non fosse puro, che lei fosse una figlia illegittima. Come aveva potuto mia madre tradire mio padre? Non solo, come aveva potuto restare incinta di un altro uomo e spacciare il frutto di questo tradimento per la figlia del proprio marito?
Per me, il sangue aveva sempre avuto un certo valore, una certa importanza. Così mi era stato insegnato, Sanguis Sanguinis Mei. Nonostante io e Isabella avessimo avuto più volte discussioni a riguardo, io non ero mai riuscito a comprendere il suo punto di vista. Eppure, adesso mi sentivo quasi costretto a farlo, per non perderla. Il nostro legame non era puro, ma io l’amavo immensamente comunque, anche se mi faceva male. Se volevo continuare a starle vicino e amarla, ciò avrebbe anche significato riuscire ad accettare questa situazione. Ma sarei mai riuscito a superare una notizia del genere? Sarei riuscito ad ignorare le colpe dei nostri genitori che le gravavano, ingiustamente, addosso? Adesso che parte della verità era saltata fuori e, fra non molto questa notizia sicuramente giungerà anche nelle mani del Conclave, lei sarebbe stata il promemoria vivente, in carne ed ossa, del fallimento della nostra famiglia. E, a quel pensiero, istintivamente, non volevo fare altro che cercarla per scappare via insieme e proteggerla. Andare lontano, senza guardarsi indietro, solo io e lei, come se niente fosse accaduto e come se niente fosse cambiato.
L’idea di non sapere dove fosse mi faceva impazzire. Se il Conclave l’avesse catturata, l’avremmo saputo, perciò doveva essere ancora a piede libero. Voleva dire che fino a quel momento, era riuscita a tenersi in salvo. E questo mi consolava un po’, ma allo stesso tempo, non avevo sue notizie ormai da quattro giorni e, il non sapere, era una vera e propria agonia.
Inoltre, dopo quello che era successo, colsi l’occasione e andai via da quella casa, da quella famiglia che ci aveva solo preso in giro. Guardare in faccia Jonathan mi faceva venire un’incontrollata voglia di mettergli le mani addosso, perciò, dato che c’erano stati già abbastanza drammi, per tentare di evitare la cosa, presi la decisione migliore che potessi prendere: andarmene. Mary ovviamente scoppiò in lacrime, ma la ignorai. Non mi faceva effetto prima, figurarsi dopo quello che era successo. Non dico che non mi fosse mai importato niente di loro, perché mentirei. Trascorsi più della metà della mia vita con quelle persone e, non potevo negare che, ogni tanto cedetti pure io alle loro coccole e attenzioni, perché in fondo ci speravo nell’idea di essere tutti insieme una famiglia ma, alla fine, non mi ero mai lasciato abbindolare. Il mio unico pensiero, la mia unica priorità, era sempre stata la mia sorellina che, a differenza mia, era stata ingannata da quella sorta di amore che non esisteva. Avevo letteralmente perso il conto di quante volte le avevo detto che noi non saremmo mai stati loro figli al cento per cento. Lei aveva voluto credere a quella bella favola a tutti i costi, pur di sentirsi parte di qualcosa, di ricreare la famiglia che ci era stata ingiustamente portata via con la violenza. Ed ecco qui le conseguenze.
Ad un certo punto, nonostante avessi sempre i riflessi pronti, mi sorpresi di sentire due braccia calde e sottili stringermi da dietro. Non mi succedeva mai di essere colto di sorpresa, ma probabilmente ero talmente perso nei miei pensieri, nei ricordi, da non accorgermene.
Mi voltai, ricambiando la stretta. La ragazza era poco più bassa di me, bella e formosa, e i suoi lunghi capelli biondo platino le ricadevano lisci lungo tutta la schiena. La sua carnagione era talmente chiara che mi faceva pensare alla neve fresca, ricoperta da qualche cicatrice ancora più bianca della sua stessa pelle, che ricordavano il suo passato da Cacciatrice, da parecchi anni ormai in esilio. Aveva gli zigomi ben pronunciati e le guance rosee, il naso sottile e all’insù, delle belle labbra carnose, ma la cosa che mi restò impressa fin dal primo momento in cui la vidi, era proprio il colore degli occhi. Neri, oscuri e penetranti. Un colore talmente tenebroso e ipnotizzante, da non esistere in natura, ma più che altro, mi avevano colpito perché erano terribilmente identici a quelli di Isabella. Era impossibile da non notare una somiglianza del genere, proprio per la particolarità di quel dettaglio e, questo dimostrava solamente che, la ragazza davanti a me, aveva raccontato la verità.
- Fortuna che abbiamo fatto sesso stanotte! – scherzò Elaine, cercando di attirare la mia attenzione – Invece di essere rilassato, hai la faccia di uno che ha dovuto combattere dei demoni per ore. Ti sei pentito? -.
Le baciai la fronte, scostandomi da lei per risedermi sul letto, esausto e in pensiero.
- Non è per te, anzi, quello che c’è stato fra di noi mi ha aiutato – dissi, sospirando – È solo che sono tormentato dalla paura che le possa succedere qualcosa -.
Lei mi guardò, quasi intenerita, avvicinandosi a me per accarezzarmi i capelli – È giusto che tu sia in apprensione per lei, vuol dire che sei un bravo fratello, ma ti ho già detto che non ti devi preoccupare – mi rassicurò per l’ennesima volta, in quelle ultime ore trascorse insieme – Ci penso io, ti devi fidare di me -.
- Hai ragione – ammisi, cercando di mantenere la calma – Io mi fido di te, ma vorrei essere reso partecipe del piano che hai in mente -.
Sorrise compiaciuta – E questo è comprensibile – dopodiché aggiunse, roteando gli occhi all’indietro – Un mio vecchio amico, nonché il Signor Sommo Stregone di Brooklyn, Magnus Bane, mi deve un favore, da qualche decennio ormai. Quando il Conclave la troverà, la notizia si verrà a sapere nel giro di poche ore. Mentre la imprigioneranno e le faranno il processo, cosa che richiederà qualche giorno, chiederò  a questo mio caro amico di trovarmi tutte le famiglie di Cacciatori che il Conclave, dopo la Battaglia di cento anni fa, ha chiuso fuori dai confini di Idris – mi spiegò – Proprio quelle famiglie che nell’ultimo secolo si sono dovute adattare all’ambiente in cui si trovavano, celandosi fra Mondani e Nascosti, creando così queste situazioni che il Conclave punisce, ma che lui stesso ha permesso, più di un secolo fa – disse e si sedette a cavalcioni su di me, in modo che i nostri visi fossero alla stessa altezza, mentre la sua mano destra circondò il mio collo – I Cacciatori di Idris si saranno anche nascosti per più di cento anni, ma quelli che il Conclave ha escluso, credendo di averli lasciati all’esterno a morire, in realtà sono sopravvissuti e andati avanti con le loro vite. Si sono innamorati, sposati e hanno fatto figli, anche con Nascosti e Mondani. In questo modo, se volessero punire e giustiziare Isabella, secondo le loro regole, dura lex sed lex, dovrebbero riservare la stessa sorte a tutte quelle decine di migliaia di Cacciatori che hanno continuato a vivere in questo mondo, al di fuori di Idris. Tu Sebastian sarai la chiave, la parte esecutiva di questo piano. Sarai tu a salvarla – mi morse il labbro inferiore, facendomi tremare di eccitazione – E, comunque, non so quanto convenga al Conclave prendere la decisione di sterminare tutti quei Cacciatori, considerando la guerra spietata che sto organizzando di fargli -.
Non avevo nulla da dire, pendevo totalmente dalle sue labbra e ritenevo che quel piano fosse geniale. Sicuramente, nessuno si sarebbe aspettato che portassi dei testimoni ad Idris, in molti resteranno a increduli. La riuscita del piano sarebbe dipesa interamente da me, dovevo prestare la massima attenzione.
La baciai appassionatamente, facendola sdraiare sotto di me – Sono contento di averti incontrata in quel vicolo di Seattle -.
Gemette rumorosamente, chiudendo gli occhi con un sorriso inebriante in volto – Io sono contenta di averti risparmiato quella notte… e di averti scelto – dopodiché, cominciò a sfiorarmi il collo con le labbra e, tra un bacio e l’altro, mi sussurrò – E ricordati bene, che l’incolumità e la vita di tua sorella sono nei tuoi interessi, quanto nei miei. Non permetterò a nessuno di ucciderla. Ho bisogno di lei -.
 
 
CONTINUA
 

 
Spero che abbiate passato un Buon Natale!
Quando il primo capitolo della seconda parte sarà pronto e pubblicato, vi informerò qui, perciò tenete d’occhio le notifiche.
Intanto, vi ringrazio per essere arrivati fino alla fine di questa prima parte e di avermi aspettata.
So di non essere stata molto costante, per questo per me significate tanto.
Grazie per chi c’è stato dall’inizio alla fine, ci rivediamo nella seconda parte, in una nuova avventura.
Se vi fa piacere, lasciate una stellina e un commento.
Besos :-*
 
Zikiki98
 
Instagram: _.sunnyellow._

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Capitolo 34
*** SECONDA PARTE ***


SECONDA PARTE: "THE WORLD OF DEMONS II - L'EREDE DELLE TENEBRE"
 

Buongiorno, vi volevo comunicare che è uscita l'introduzione della seconda parte di questa storia. La potete trovare sul mio profilo a questo titolo: "The World Of Demons II - L'Erede Delle Tenebre".
Altrimenti, questo è il link così, se volete, potete salvarla per sapere quando pubblicherò i capitoli: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4044922&i=1
Grazie per l'attenzione, vi auguro una buona giornata e, per chi vorrà, ci vediamo dall'altra parte!



 
Besos :-*
Zikiki98
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