Notte, unicorno e licantropo

di Maura85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte ***
Capitolo 2: *** Unicorno ***
Capitolo 3: *** Licantropo ***
Capitolo 4: *** Finale ***



Capitolo 1
*** Notte ***


1. Notte stellata, notte fortunata. Notte stellata, notte fortunata. Notte stellata…
Era questo vecchio proverbio, una ‘perla’ di saggezza donatole da sua nonna quando ancora era una marmocchia, a riecheggiarle nella mente, mentre strisciava silenziosa, con una scopa in mano, lungo la parete della sala comune di Serpeverde.
Notte stellata, notte fortunata. Ancora non aveva controllato se il cielo fosse o meno sgombro da nubi, e quindi ricco di corpi celesti, ma ci sperava; e non solo per superstizione: volare di notte era una faccenda non troppo simpatica già di per sé, figuriamoci con uno stramaledetto cielo coperto.
Zaria Gyutt era una giovane Serpeverde al suo secondo anno nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts; una frana in tutte le materie, sì, e piuttosto pericolosa ogniqualvolta brandiva la bacchetta… ma nessuno aveva mai troppa voglia isolarla o riprenderla, vista e considerata la sua straordinaria abilità al Quidditch. Sulla scopa era un asso, quasi meglio di quel guastafeste di Potter, e meno male che l’anno venturo quel Grifondoro della malora avrebbe finalmente preso il suo dannato diploma e se ne sarebbe andato!
Nell’attesa di quel glorioso momento, Zaria era un po’ la piccola mascotte dei Serpeverde, i quali si prodigavano nell’aiutarla con lo studio, in cambio delle sue stupende evoluzioni nel cielo.
Ma torniamo a quella notte, torniamo alla giovane Zaria che, raccolti i lunghi capelli biondi in uno chignon disordinato, era strisciata fuori dalla sua stanza (non senza inciampare in un paio di stivali, fortuna che le altre avevano il sonno pesante!), aveva preso la sua fedele scopa e si era avviata verso l’uscita della Sala Comune, sicura di non essere vista da nessun…
“E tu che accidenti stai combinando?”
In seguito, ripensando a quella strana serata, avrebbe realizzato di aver fatto un salto di almeno un paio di metri, mentre un urlo acuto le usciva dalle labbra; si era voltata, furente, una mano stretta sul cuore, sperando di non aver svegliato nessuno.
Nell’ombra, dalla poltrona più lontana dal caminetto, qualcuno la fissava. Era alto, magro, dai lunghi capelli spettinati; lo conosceva? Eccome. Giusto un paio di mesi prima, per Natale, lo aveva immobilizzato, credendolo un ladro.
Poi però avevano fatto amicizia; più o meno. Beh, era da un po’ che non la guardava più come se volesse ucciderla, e questo era già un risultato notevole.
In ogni caso, Lui era la peggiore disgrazia che le potesse capitare. Cioè, era un bravo ragazzo, un poco taciturno, magari, ma un po’ troppo ficcanaso per trovarselo davanti in quel tipo di situazione…
“Severus!” esclamò, sciogliendosi in un sorriso che voleva essere il più rilassato possibile, ma che somigliava tanto ad un ringhio. “Cosa… cosa fai ancora qui? E’ tardi…”
Lui scrutò la sua tenuta – mantello da viaggio e scarponi pesanti – e il suo bagaglio – la scopa, appunto – quindi alzò appena un sopracciglio, come a dire: ‘Tu chiedi a me cosa sto facendo?’. Era terribile come quel ragazzo riuscisse a tenere interi discorsi solo con lo sguardo; la metteva terribilmente a disagio. Per gli altri, invece, era una comodità in più, per ignorarlo con maggiore tranquillità.
“Zaria… tu non stai uscendo clandestinamente in piena notte, rischiando di causare una grave perdita di punti alla nostra Casa, vero?” la interrogò, freddo come il ghiaccio.
“Chi, io? Figurati, ero scesa solo… solo… per… Oh, alla malora! Sì, voglio uscire, è esattamente quello che intendo fare!” alzò il mento, con aria di sfida, esponendo i bei occhi blu al riflesso danzante del fuoco. “Cos’è, vuoi fermarmi?”
“Appuntamento notturno con un ragazzo? Alla tua età?” tono divertito. Fece qualche passo avanti, uscendo dal cono d’ombra in cui era rifugiato quando l’aveva scoperta. E osservando il rossore apparso sulle sue guance.
“A… appuntamento? No, cosa dici? Io… beh, io ho delle faccende da sbrigare!”
“E dove, se posso saperlo?” inclinò la testa di lato, studiandola.
“Non sono affari tuoi.” eccolo che rialzava il sopracciglio; accidenti, a quella faccia non poteva resistere! “Nella Foresta Proibita.” ammise infine, con rabbia.
“Una ragazzina del secondo anno… di notte… nella Foresta Proibita!” scosse il capo, con aria lugubre. “E che cosa ci andresti a fare?”
“Non te lo posso dire.” tirò di nuovo su il sopracciglio, ma questa informazione era davvero troppo riservata. Alla fine, notando che lei non aveva la minima intenzione di rivelare i propri scopi, chinò appena gli occhi, immerso in chissà quali pensieri. Zaria non poteva nemmeno immaginare quale lotta di coscienza si fosse scatenata dietro quella sua aria austera.
“Aspettami qui un paio di minuti, vuoi?” disse, un attimo prima di voltarsi e salire velocemente le scale che conducevano al dormitorio maschile.
“No che non ti aspetto, non ne ho la minima intenzione!” ribatté Zaria, senza che lui la considerasse minimamente.
E quando tornò, lei era ancora lì.
“Che cos’hai in mano?” sussurrò la giovane, aguzzando la vista nella penombra. “Una scopa? Ma cosa…?” un raro lampo di genio la colse. “Cosa? Non ci pensare nemmeno, tu non vieni con me, no, no…”
“Vuoi scommetterci su qualcosa?”
Fu così che strisciarono fuori dalla Sala Comune e si avviarono per i freddi corridoi di Hogwarts, aprirono il più silenziosamente possibile il grande portone e si avviarono per il parco del castello.
Zaria registrò appena che la notte era proprio stellata; e anche dotata di una grande luna piena. E in fondo si sentiva fortunata; forse Severus Piton non era la migliore delle compagnie, ma, ehi, era sempre meglio che addentrarsi nella Foresta Proibita da sola!
L’unico suo timore fu che lui non sarebbe stato in grado di mantenere l’imbarazzante segreto che si celava tra quegli alberi. Ma per quello esistevano altri rimedi…

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Capitolo 2
*** Unicorno ***


2.

“Ma cosa cavolo stai facendo?” Zaria si esibì in una profonda virata, aiutando Severus a riacquistare l’equilibrio. “Sei capace a stare su di una scopa?”
Lo sguardo che lui le rivolse fu a metà tra una risposta ed una promessa di omicidio. E allora lei capii perché il provino che Severus aveva sostenuto tre anni prima per essere ammesso alla squadra di Quidditch fosse ancora una leggenda che faceva sbellicare gli studenti più anziani.
Si sporse, afferrando con fermezza la punta della sua scopa ed orientandola nel modo giusto.
“Ecco, così dovresti evitare di precipitare, credo.” le sfuggì un sorriso. “ E non guardarmi così! Sei uno studente brillante in tutto, che importa se ti supero con le scope?”
“Già, ma in quel gran bell’ambiente che è la nostra scuola pare che il sapere conti ben poco… ma in fondo è meglio sapere cosa è un bezoar, che essere l’idolo di tutti!, non trovi?”
Zaria, che ignorava nel modo più totale cosa diamine fosse quel bezoqualcosa, preferì non ribattere, impegnandosi nella ricerca del punto più adatto dove atterrare; e cercando ciò che aveva lasciato nel bosco.
“In effetti”, proseguì lui, imperterrito, “Questo discorso può essere discriminatorio nei confronti di chi non capisce Pozioni nemmeno con tre ore di ripetizioni da parte degli amici…”
“Se non la pianti ti disarciono.” Lo interruppe Zaria, che forse un po’ tarda lo era, ma l’allusione l’aveva colta subito. “Ti disarciono e ti lascio dove caschi.”
“Coda di paglia, Signorina Guytt?”
“Cosa? No, la mia scopa è di saggina…”
“Grazie per aver confermato le mie tesi riguardo le capacità intellettive dei giocatori di Quidditch.”
“Non capisco…”
“Grazie per l’ulteriore conferma.”
Ancora un poco confusa ma chissà perché convinta d’aver fatto la figura della cretina, Zaria scelse finalmente una piccola radura quasi nascosta dagli alberi, ed insieme inziarono la discesa.
Eccoli lì, due studentelli di Hogwarts, lui fin troppo alto e scarno, lei così bassa ed esile, soli di notte nella Foresta Proibita…
“Aghiacciante.” commentò piatto Severus, poggiandosi la scopa sulla spalla. “Allora, dove siamo diretti? Cerchiamo di fare in fretta!”
“Beh, ecco…”
“Non dirmi che ti sei persa…”
“No, non è questo! E’ solo che… insomma, mi devi promettere che non dirai una sola parola di quello che vedrai stanotte! Me lo prometti?” lui le rivolse uno sguardo di sufficienza, ma dentro la sua testa molte rotelle avevano già preso a girare, formulando le ipotesi più disparate, da ha-ucciso-qualcuno-e-ne-ha-nascosto-il-corpo a magari-vuole-dirmi-che-le-piaccio. Scartò immediatamente quest’ultima.
Zaria si avviò verso la fine della radura, addentrandosi nel fitto della foresta, seguita da quell’ombra nera che era Severus, silenzioso e carico di adrenalina per la scoperta che di lì a poco avrebbe fatto.
Camminarono così, per circa dieci minuti, fino a quando non giunsero ad un maestoso albero, dal tronco bicentenario, sotto al quale… sotto al quale…
Sotto al quale era accucciato un cucciolo di unicorno, dallo splendido colore dorato e una profonda ferita lungo il fianco. Qualcuno lo doveva aver ferito e lasciato a morire lì.
Zaria si chinò su di lui e questi, appena l’avvertì, emise un dolce verso, a metà tra un nitrito e un belato. Era una nobile creatura; sapeva che erano lì per aiutarlo.
“E’ per lui che siamo qui?” sibilò Piton. “E’ per questo… coso che scappavi nel cuore della notte nella Foresta Proibita?”
“Sì, per lui” Zaria fece scorrere una mano sul suo morbido manto, attenta a non sfiorare la ferita. “L’ho notato oggi mentre sorvolavo questa zona con la scopa, durante l’allenamento.”
“Ci vedi bene.”
“Ho visto il suo riflesso dorato, m’è sembrato il boccino. Quando ho capito cos’era e che era ferito, mi sono ripromessa di venire qui, a curarlo.”
“Che schifo; non è che sei una Grifondoro infiltrata, eh?”
“Sapevo che mi avresti preso in giro; chiunque prenderebbe in giro una Serpeverde che cura un unicorno! E’ per questo che sono venuta di notte.”
“Ma… ehm… ma non ti è nemmeno passato per la mente di dirlo all’insegnante di Cura delle Creature Magiche?”
“Cura delle Creature Magiche? Cos’è?”
“Oh, è vero, sei solo al secondo anno… Non hai ancora materie facoltative…” Si accucciò con gentilezza accanto a lei. Ma guarda in che situazione stupida si era andato a cacciare, perché aveva voluto accompagnarla a tutti i costi?
Perché mandare una ragazzina sola nella Foresta Proibita significava averla sulla coscienza; e allora Piton una coscienza l’aveva ancora: non troppo immacolata, forse, ma c’era.
“E’ la cosa più bella che io abbia mai visto.” parlava in un sussurro, quasi avesse reverenza per quell’indifesa creatura.
“Inutile negarlo: sei proprio una Grifondoro infiltrata!” Le sue parole erano state dure, ma dentro di sé non poté evitare di pensare che, sì, era davvero bellissimo. Zuccheroso da far venire il diabete, ma bellissimo. “Cosa avresti intenzione di fare, adesso?”
“Incantesimo Guaritore!” esclamò, felice di avere, per una volta, la risposta giusta.
“Se mi permetti un’osservazione, è un incantesimo che in mano tua potrebbe rivelarsi… ah… distruttivo?… Posso?” senza aspettare una sua reazione, allungò la mano verso la ferita del cucciolo, mormorando parole in antico idioco, la lingua dei druidi del nord Africa. A poco a poco, la pelle dell’animale si animò, cominciando a riparare quelle grande e feroce spaccatura.
Piton poggiò l’altra mano a terra, mentre l’incantesimo di guarigione risucchiava inesorabile gran parte delle sue energie; energie che stava impegnando per curare un unicorno. Ridicolo; stupido e ridicolo. Però Zaria aveva un’espressione di pura gioia stampata in volto, e per un attimo lui si domandò se mai la ragazza avrebbe guardato così lui e non un animale.
Erano molte le sbruffoncelle cui, negli anni precedenti, aveva chiesto di uscire, beccandosi ogni volta una sonora risata in faccia; ah, ah, ah, stare con te? Non essere ridicolo…
E Zaria non sarebbe certo stata diversa, così giovane, ma così carina da attirare come avvoltoi ragazzi anche molto più grandi… come lui…
Il piccolo unicorno tentò a fatica di sollevarsi sulle quattro zampe, operazione che portò ad un risultato piuttosto traballante, ma che in ogni caso li riempì di letizia.
“Sta meglio! Hai visto, sta meglio! Bravo!” Gli prese la mano e gliela strinse energicamente, sballottandolo su e giù, senza capire che guarire quella bestiaccia lo aveva quasi del tutto prosciugato.
“Grazie, sì…” balbettò mentre il mondo aveva preso a girare come una trottola “Ora che ne diresti di… ehm…” E tutto divenne buio.

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Capitolo 3
*** Licantropo ***


3. Che strano sogno. Aveva sognato di aver seguito a scopo protettivo una ragazzina del secondo anno matta come un cavallo che lo aveva trascinato nella Foresta Proibita per curare uno stupido unicorno… Proprio un sogno originale.
Peccato che non l’avesse baciata; tanto era un sogno…
“Svegliati! In nome del Cielo, svegliati! Svegliati!” queste parole, cariche di apprensione, erano accompagnati da energici schiaffoni che poco si addicevano ad un’esile e bella fanciulla; ignara di questo aspetto estetico, Zaria, aumentò l’energia dei suoi colpi, sul disperato andante.
Severus grugnì, si portò le mani al volto, borbottando chissà quale maledizione, mentre, a fatica, distingueva delle strane ombre attorno a lui.
“Dove sono?” grugnì, massaggiandosi piano la tempia sinistra; si sentiva così dannatamente debole!
“Meno male che quella che usa il cervello per tenere gonfia la testa sono io!” sbuffò lei di rimando, anche se piuttosto sollevata dal fatto che avesse ripreso conoscenza. “Non ti ricordi? Foresta Proibita, unicorno, svenimento? C’è qualcuno in casa?” gli sventolò una mano davanti agli occhi dallo sguardo decisamente troppo vacuo.
“Oh, no! Non era un sogno. Siamo davvero nella foresta?”
“Ma certo che ci siamo, e ora tirati su: abbiamo un problema!”
Notò con imbarazzo – e chissà perché, poi – che lei lo aveva fatto sdraiare completamente sul manto di foglie secche, forse per favorire un suo più precoce risveglio; si sedette di scatto, ma questo gli provocò nuove fitte ed uno spaventoso giramento di testa.
“Che genere di problemi avremmo?” domandò, ostentando indifferenza al fatto che Zaria lo sostenesse con premura. Fingendo di non aver notato la vicinanza dei loro respiri. “Ci hanno beccati? Siamo espulsi?”
“No, peggio.”
“Cosa c’è di peggio?”
A-WOOOOOOOOOO! A-WOOOOOOOOOOOO! L’ululato, così non umano eppure così non animale, percorse di nuovo l’area della Foresta Proibita, provocandole altri brividi lungo la spina dorsale. Li aveva fiutati, ormai, e li stava cercando…
“Questa può essere considerata una cosa peggiore dell’espulsione, no?” lei azzardò un mezzo sorriso d’incoraggiamento, mentre lo aiutava a ristendersi sulla terra; oh Cielo era ancora troppo debole anche per stare seduto! Erano fritti.
“Dimmi che non c’è la luna piena…” mormorò, maledicendo lei e quell’unicorno che ora tanto volentieri si sarebbe cotto al forno.
“Se vuoi te lo dico, ma…” altro sorriso stentato. “Sai, credo che tu ti debba riprendere in fretta. Molto in fretta. Perché se tu non stai in piedi non puoi volare, e se non puoi volare, noi verremo divorati da quello che, almeno dai versi, sembra un licantropo! Chiaro?”
“Chiarissimo. Prendi la scopa e vai; appena sto meglio ti raggiungo.”
Per la prima volta da quando si conoscevano, fu lei ad esibirsi nella tipica espressione sopraccigliosu+sguardodisufficenza.
“Pensi forse che ti abbandonerei qui?”
“Un Serpeverde come si deve lo farebbe.”
“Chiamami Grifondoro infiltrata, allora. Io non mi muovo; per cui, SPICCIATI a riprenderti!” lo aiutò di nuovo a sedersi, puntellando il proprio torace contro la sua schiena.
A-WOOOOOOOOOOO! L’ululato, ovviamente sempre più vicino, li sorprese di nuovo.
“Sono quei quattro idioti che portano a spasso il Lupo…” borbottò Severus, sempre massaggiandosi la testa. Non sapeva se essere più spaventato per quel Lupo o confuso per la vicinanza del corpo di lei.
“Cosa? C’è qualcuno che si diverte a portare a spasso dei lupi mannari?” lo fissò con aria sconvolta, mentre un nuovo verso lupesco echeggiava nella notte. “Oh mio Dio, non voglio morire così giovane!”
Il mondo cominciò di nuovo a girare, a sfumare… le parole di Zaria persero qualsiasi significato… NO! Non doveva svenire di nuovo! Si morse selvaggiamente la lingua, procurandosi una copiosa fuoriuscita di sangue, mentre una mano stringeva spasmodicamente prima l’aria, e poi una mano della giovane.
“Severus ti prego, non svenire…” supplicò, ma tutto ciò che seppe fare fu tenere la sua mano più stretta che poteva e sperare nella sua forza. Speranza vana, come ebbe poi a constatare.
Un ringhio sommesso proveniva dal bosco di fronte a lei; qualcosa di grosso, di enormemente, orribilmente e drasticamente grosso si avvicinava, forse fiutando il sangue di quello stesso unicorno che avevano curato e a causa del quale, molto probabilmente, sarebbero morti divorati.
“Severus…?” azzardò con voce isterica. Con enorme sollievo si accorse che lui era cosciente; più o meno. “Non vorrei allarmarti, ma, vedi, credo che ci abbia trovati! Cosa devo fare?”
“Quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due…” uhm… no, forse non era poi così cosciente. “Sfilavano compatti, in fila per sei col resto di due…”
“Cos’è, un incantesimo antilicantropo?” ipotizzò speranzosa. “O sei completamente uscito di testa?”
“Le code allineate, in fila per sei…”
“Sei completamente uscito di testa.” concluse “Perfetto. Ora Ezechiele il Lupo ti tira fuori le budella e siamo tutti a posto!” si rese vagamente conto che stava parlando con una persona non in possesso delle proprie facoltà mentali, ma decise di soprassedere.
Il ringhio si avvicinò. Effettivamente, si disse, se fossi stata zitta non ci avrebbe individuato così facilmente…
Era la fine…? Sarebbe stata uccisa nel fiore dei sui anni?
E fu allora che l’enorme creatura balzò!
Fu questione di un attimo; per puro istinto, Zaria estrasse la bacchetta, puntandola verso il grande lupo dagli occhi insanguinati e le mascelle socchiuse, da cui spuntavano dei poco rassicuranti canini.
“EXPECTO PATRONUM!” Urlò con tutto il fiato che aveva in gola una formula a caso che aveva sentito da qualche studente più anziano, tanto con lei l’una o l’altra facevano ben poca differenza, in quanto ad efficacia…
Eppure…
Eppure questa volta funzionò!
Il licantropo stava per sferrare il suo attacco, l’attacco finale, quando un grande e maestoso essere saltò agilmente dalla foresta dietro lei e Severus, ponendosi tra il Lupo Mannaro e le sue potenziali vittime.
Zaria guardò incantata l’animale, un bellissimo cervo, pronto a fronteggiare il mostro pur di difenderli; ma che razza d’incantesimo aveva usato…? Expecto Patronum? Non era quello che faceva comparire dei Patroni, degli animali che proteggevano i maghi in grado di evocarli…?
Ma certo, era andata proprio così; senza alcun dubbio. Era un genio!
Il cervo strisciò più volte a terra lo zoccolo anteriore destro, inequivocabile segno di sfida; il Lupo non si attardò ad accoglierla, esibendo i lunghi denti affilati.
Nel frattempo, un enorme cane peloso, nero come la notte, saltò al fianco di Zaria, reggendo tra le fauci qualcosa… le loro due scope.
Uau. Uau e doppio uau, ad essere precisi! Non solo era riuscita ad evocare un Patronus, impresa già difficile per uno studente più grande di lei, ma era riuscita a chiamarne addirittura due, il cervo e il cane! E meno male che non si accorse del piccolo topo che osservava il duello e squittiva concitato, altrimenti avrebbe preteso l’Ordine di Merlino, Prima Classe.
L’unica cosa che la lasciò un po’ perplessa fu il fatto che il grosso cane nero alzò agilmente una zampona ed orinò con gusto addosso a Severus; bah, roba da Patroni…
La lotta cervo/licantropo continuava, e Zaria comprese che era un momento assai propizio per tagliare la corda… se solo Severus fosse stato cosciente! Beh, ma era o non era una giocatrice di Quidditch provetta?
Lo strinse più forte che poté, mentre con l’altro braccio afferrava la sua scopa e vi montava su; lentamente, disperatamente, con uno sforzo che aveva dell’incredibile, iniziò a prendere quota, con il terrore che lui le scivolasse direttamente in bocca al lupo, il quale doveva essersi accorto dell’inganno, perché ululò con rabbia selvaggia nella loro direzione.
Ma ormai erano salvi.

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Capitolo 4
*** Finale ***


4.
“Te lo giuro Severus, te lo giuro! Due Patroni, che…”
Il giorno dopo (un giorno in cui Piton si era risvegliato su di una poltrona della Sala Comune puzzolente di pipì di cane), durante la pausa pranzo, si erano appartati in un angolo del grande e freddo giardino, dato che lui non l’aveva più rivista dalla sera prima.
E, ammettiamolo, si era preoccupato.
Lei sedeva a gambe incrociate su di un vecchio muretto, i biondi capelli sciolti nel gelido vento, l’esile corpo avvolto in un pesante mantello e gli occhi che luccicavano di follia. Pura follia.
Lui, dal canto suo, la guardava piuttosto serio, le braccia conserte e un espressione di compatimento per cotanta ignoranza.
“Zaria” spiegò, per quella che doveva essere la decima volta. “Punto a) i Patronus servono contro i Dissennatori, non in licantropi! punto b) sono creature praticamente incorporee, non cervi o cani dotati di pelo e… orina! e punto c) non se ne può far apparire più di UNO! Capisci cosa vuol dire?” domandò infine con un’incrinatura di disperazione; ma quanto era dura la testa di quella ragazzina?
“Vorrà dire che io sono un caso speciale!” levò al cielo uno sguardo pieno di fantasticherie. “Forse ho dei poteri che nessun mago o strega ha mai posseduto! Forse sono riuscita a creare un nuovo tipo di Patronus! Forse un giorno comparirò sui libri di Storia della Magia…”
“Sì, nella sezione ‘Idioti Che Hanno Fatto Ugualmente Strada’! Dammi retta, io so chi e che cosa erano quelle creature nella foresta…” e farò loro un bel discorsetto, appena becco uno del gruppo da solo… magari quel cretino di Minus… Portare un Lupo Mannaro in giro per i boschi, roba da matti!
“Il tuo tasso di acidità è incredibile! Non mi hai nemmeno ringraziato per averti salvato la vita! Sai che fatica, portarti con una sola scopa…”
“A proposito di scope, potrei sapere che fine ha fatto la mia?” ribatté con una rabbia mal dissimulata.
“La tua? Beh, la tua è… è…” i suoi occhi si dilatarono, mentre lentamente, mooolto lentamente, si voltava verso la Foresta Proibita. “Accidenti, sapevo che avevo dimenticato qualcosa!” esclamò, cominciando a correre in direzione del bosco prima che lui l’acchiappasse.
* * *
Ma ebbe comunque modo di raggiungerla, proprio sotto quel grosso albero alla cui base avevano curato un povero unicorno ferito ed affrontato un temibile licantropo; la raggiunse perché lei si era bloccata, traumatizzata da ciò che aveva visto: schegge di legno e pezzi di saggina, chiari indizi della mala partita che aveva subito la scopa di Severus.
Lui guardò prima a terra, poi lei, poi ancora terra, poi ancora lei. Si fece scrocchiare le nocche, non lasciandosi certo incantare dal suo sorrisino incerto.
“Uh, non sarai arrabbiato, vero…? E’ una scopa, la si ricompra… e poi, scusa, che te ne facevi, sei una frana-AAAH!” a questo punto, vedendo che lui aveva già estratto la bacchetta, pensò bene che una nuova corsetta era l’ideale per mantenere una salute più duratura; e un invariato numero di arti. “Aspetta, calmati! Ecco, ti regalo la mia!”
“Non la voglio, la tua scopa… Voglio il tuo sangue! Grifondoro infiltrata!” cominciò ad inseguirla con rabbia.
“Ti offendi con poco, avresti bisogno di uno di quei corsi per controllare i nervi, sai…”
“Ma non stai MAI zitta?” ringhiò, utilizzando però la sua voce per tentare di localizzarla.
“Dovrei?” il suo tono era adesso un trillo divertito, come quello di certe fate. Disgustoso.
“Faresti solo che un favore all’umanità!” la scovò dietro un tronco, e si lanciò all’inseguimento.
Lei si bloccò, cosi che lui, impegnato in una goffa corsa, le piombò addosso, scontandosi immediatamente, con pudore. Le sensazioni della sera prima, vicinanza e calore e respiri, lo investirono, mentre lei lo guardava con un’espressione molto strana, le labbra socchiuse in un sorriso malizioso.
“E ora, quella faccia cosa vorrebbe dire?” borbottò Severus, non ancora abituato al suo strano ed altalenante carattere.
“Esci con me? Il prossimo fine settimana a Hogsmead?” domandò con aria spavalda.
“C… cosa? Ti sei bevuta il cervello?” quasi la bacchetta gli cadde di mano.
“Perché, non ti piaccio?” lo guardava con divertita curiosità.
“No, non è questo, ma…”… ma perché io? Con tutti quei ragazzi che le chiedevano di uscire… con tutti quei ragazzi a cui aveva dato il due di picche… perché proprio IO?
“Allora è deciso, esci con me!” si alzò appena sulle punte, schioccandogli un gentile bacio sulla guancia dove facevano capolino i primi, timidi, tratti di barba. “Se mi tiri il pacco, te la rompo in testa, la mia scopa!” detto questo, rise e si voltò per tornare al castello, lasciandolo solo in una vecchia e pericolosa foresta con qualche scheggia di leggio e tracce di saggina.
Puzzava ancora di pipì di cane.

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