Cento Mo(n)di

di RLandH
(/viewuser.php?uid=330024)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** D’un uomo che si lanciò da un muro, per salvare una donzella ***
Capitolo 3: *** Galeotto fu l'orzo oppure la tesina - o forse la cronologia ***
Capitolo 4: *** Una notte semibrava al Lotus Hotel ***
Capitolo 5: *** Remus Wolf – è davvero /necessario/ dire altro? ***
Capitolo 6: *** L'altro uso delle scale antincendio(e delle pale) ***
Capitolo 7: *** Di serenate poco gradite e propositi omicida ***
Capitolo 8: *** Figurativamente: un'autostrada per l'inferno ***
Capitolo 9: *** DeReynabeth ***
Capitolo 10: *** “Ci faccio un'offerta che lui non può rifiutare”-cit. ***
Capitolo 11: *** NOTPS: NonOsareTifarePerSto(Schifo) ***
Capitolo 12: *** Di un ordinario gentiluomo ***
Capitolo 13: *** Un po' come la guerra dei bottoni. ***
Capitolo 14: *** Quello che le parole non dicono ***
Capitolo 15: *** Baciami la faretra o quello che ti pare. ***
Capitolo 16: *** Di ispirazioni mancati, sirenetti e cose fantastigliose ***
Capitolo 17: *** Si sta come pantaloni, durante i porno, alle caviglie ***
Capitolo 18: *** Niente è più seducente di ricontrare un’ex quando sei allettato all’ospedale ***
Capitolo 19: *** Ci sono pesci e pesci ... e non chiamarli gabbiani. ***
Capitolo 20: *** Silena e la giacca di odorava di olio, amore e Charlie ***
Capitolo 21: *** Quando il mondo cerca chiaramente di dirti qualcosa ***
Capitolo 22: *** Non è questione di destino, ma di scelte ***
Capitolo 23: *** Ho cercato il tuo fioraio ***
Capitolo 24: *** Decolté leopardate e WTF? ***
Capitolo 25: *** Galeotta fu la chiave – o la sbronza o forse il trauma cranico ***



Capitolo 1
*** Indice ***


Salve, se siete nuovi in questa raccolta, non è un problema, se siete invece “vecchi” questo capitolo qui presente è un’aggiunta ‘posteriore’. Ho realizzato che lo spazio datomi nell’introduzione presto verrà a mancare e probabilmente sarò costretta a rifarlo, perciò ho deciso di presentare una specie di indice con tutti i capitoli scritti (prompt/coppia/titolo) qui, così che si sappia immediatamente cosa cercare e che io possa aggiornare man mano.
Quindi, niente, fine breve annuncio.
Buona Lettura.

Ps – Per i prompt vedere qui!

 

INDICE

  1. #32 Sto citando ad alta voce l'ultimo libro di una serie e ti faccio spoiler!AU (Frank/Hazel)
    [D’un uomo che si lanciò da un muro, per salvare una donzella]
  2. #81 Ho urgente bisogno che tu mi aggiusti il computer ma per piacere non giudicarmi per la mia cronologia!AU (Leo/Calypso)
    [Galeotto fu l’orzo oppure la tesina – o forse la cronologia]
  3. #87 Ci siamo sposati a Las Vegas ma siamo dei perfetti estranei!AU  (Luke/Thalia)
    [Una notte semibrava al Lotus Hotel]
  4. #10 Non ci conosciamo ma fingiamo di stare insieme perché qualcuno mi sta importunando!AU (Jason/Piper)
    [Remus Wolf – è davvero necessario dire altro?]
  5. #100 Ho sbagliato numero di telefono e ti ho appena raccontato dei dettagli imbarazzanti spero di non conoscerti!AU (Nico/Will)
    [L’altro uso delle scale antincendio (e delle pale)]
  6. #18 Sono un artista di strada e tu ti lamenti perché suono sotto casa tua di notte!AU (Travis/Katie)
    [Di serenate poco gradite e propositi omicida]
  7. #11 Bloccato in autostrada a fare l’autostop!AU (Chris/Clarisse)
    [Figurativamente: un’autostrada per l’inferno]
  8. #42 Forse la vita dovrebbe essere qualcosa di più della semplice sopravvivenza!AU (The 100!AU) (Reyna/Annabeth)
    [DeReynabeth]
  9.  #5 Io so che ci odiano, ma un matrimonio sarebbe conveniente per entrambi!AU (Leo/Khione)
    [“Ci faccio un’offerta che lui non può rifiutare”-cit.]
  10. #23 Facciamo per caso cosplay di una ship popolare!AU (PLOTWIST: è la nostra NOTP) (Percy/Annabeth)
    [NOTPS: NonOsareTifarePerSto(Schifo)]
  11. #33 È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie!AU (Età Vittoriana!AU) (Luke!Centric – Annabeth/Luke; Thalia/Luke)
    [Di un ordinario gentiluomo]
  12. #34 Io sono un partigiano e tu un fascista!AU (Italia durante la Seconda Guerra Mondiale!AU) (Percy/Reyna)
    [Un po’ come la guerra dei bottoni]
  13. #28 Ho imparato la lingua dei segni per comunicare con te!AU (Leo/Echo)
    [Quello che le parole non dicono]
  14. #90 Sono andato a letto con te per una scommessa ma mi è piaciuto tanto e vorrei continuare a vederti!AU (Michael/Clarisse)
    [Baciami la faretra o quello che ti pare]
  15. #98 Sono un artista e mi serve un modello vuoi posare per me!AU (Percy/Rachel)
    [Di ispirazioni mancanti, sirenetti e cose fantastigliose]
  16. #19 Ti ho sgamato mentre guardavi i porno!AU (Jason&Leo)
    [Si sta come i pantaloni, durante i porno, alle caviglie]
  17. #65 Ci siamo lasciati ma non ho mai cambiato i contatti di emergenza e adesso sono in ospedale e hanno chiamato te!AU (Annabeth/Luke)
    [Niente è più seducente di rincontrare un’ex quando sei allettato all’ospedale]
  18. #77 Sono andato a pesca e ho accidentalmente pescato una mermaid!AU (Calypso/Lester)
    [Ci sono pesci e pesci … e non chiamarli gabbiani]
  19. #39 Sono un Magonò e la tua famiglia Purosangue non mi accetterebbe mai!AU (Harry Potter!AU) (Charlie/Silena)
    [Silena e la fiacca che odorava di olio, amore e Charlie]
  20. #15 Ho chiamato il numero sbagliato!AU (Nico/Will)
    [Quando il mondo cerca chiaramente di dirti qualcosa]
  21. #38 Sei il mio soulmate ma io sono innamorato di un altro!AU (Annabeth/PercyCalypso/Percy)
    [Non è questione di destino, ma di scelte]
  22. #17 Ho trovato un portafogli e la ma Impresa è trovarne il proprietario e restituirlo!AU (Percy/Calypso)
    [Ho cercato il tuo fioraio]
  23. #70 Quella spogliarellista ha un aspetto famigliare OMG sei tu!AU (Nico&Reyna)
    [Decolté leopardate e WTF?]
  24. #2 Mi sono infiltrato in casa tua alle due di notte perché ero ubriaco e pensavo fosse casa mia!AU (Leo/Calypso)
    [Galeotta fu la chiave – o la sbronza o forse il trauma cranico]

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** D’un uomo che si lanciò da un muro, per salvare una donzella ***


FF scritte per l’iniziativa One Hundred Au di CampMezzosangue
Per i Prompt vedere QUI.
 
           
 
Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  D’un uomo che si lanciò da un muro, per salvare una donzella
Prompt: #32 Sto citando ad alta voce l'ultimo libro di una serie e ti faccio spoiler!AU (Frank/Hazel)
Personaggi: Frank Zhang, Hazel Leveque, Percy Jackson (Citati: Annabeth Chase, Octavian, Grover Underwood, Nico DiAngelo)
Paring: Frazel (Percabeth minore)
Rating: Verde
Warning: School!AU/Modern!AU/NoCamp!AU(?)/Spoiler!AU
 Beta: Nessuna
Note: Spoiler pesanti sull’ultimo libro di ASoIaF(Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco) – Se seguite solamente Game of Thrones, forse non c’è nessuno spoiler, perché cambieranno comunque le cose. Ma … Uomo avvisato, spoiler evitato.
Oltre questo, questa storia non ha ne capo ne coda. E’ un esperimento, per vedermela come me la cavavo con i prompt, quindi be, vediamo. Nono sono certa di arrivare a cento, però.
 







 
 
 
 D’un uomo che si lanciò da un muro, per salvare una donzella
 




 
 
Nonostante Annabeth Chase continuasse ad impilare libri sul comodino del suo ragazzo nella speranza lui si dedicasse un minimo alla lettura. Percy Jackson non aveva mai finito un libro per intero, neanche quelli che la professor Chirone assegnava – per le verifiche. Frank continuava ancora ad interrogarsi su come fosse possibile per il ragazzo passarle.
Questo fino a Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.  E Frank non ricordava chi era stato il primo a comprarlo, se Annabeth – ma pensava di no, la ragazza si teneva distanti dai fantasy – o Grover, l’amico hippie di Percy, che anche quando era pulito sembrava sballato. Fatto sta, che quando quel libro s’era trovato ad un palmo di distanza dal naso di Percy. Era successo qualcosa. L’illuminazione sulla strada di Damasco – in questo caso per Long Island. Perché in un pomeriggio, mentre lasciava la casa materna per raggiungere la paterna, Percy s’era letto un libro in autobus. Il primo di una saga.
E
 tempo tre mesi dopo, ne aveva letti cinque. Gli unici cinque libri mai letti, da cima a fondo. Più di una volta.
E poi gli aveva passati a Frank, per caso.
La cosa comunque era sfuggita di mano, Percy tormentava anche Grover per commentare ed arzigogolare teorie, Secondo me: Ashara Dayne è Septa Lemore1, oppure ovviamente Jon Snow è figlio di Lyanna e Rhaegar1; perciò quando Frank aveva cominciato: era peggiorato.
 
Così era seduto sull’autobus, con Balla Con i Draghi3, incastrato tra le gambe, il pollice bloccato tra due pagine, avendo perso il suo segnalibro. Ancora. Ormai s’era abituato ad utilizzare qualsiasi cosa, dalla carta delle caramelle, lo scontrino della spesa o le cartine delle sigarette da confezionare di Percy.
Con il suo amico al telefono che premeva per sapere dove fosse arrivato, per mettersi a commentare. E Frank, che si era buono e caro, aveva davvero voglia di fare qualsiasi cosa, tranne che commentare con Percy l’ultimo capitolo letto.
Anche perché c’era una ragazza al suo fianco.
Una bella ragazza.
Frank era sempre nervoso quando era vicino ad una ragazza carina. Sudava come un maiale.
La ragazza frequentava la sua scuola, Frank era abbastanza certo d’averla vista in giro per i corridoi a scuola, o in mensa, le rare volte che ci andava. Ma non ci aveva mai parlato. Era piccolina di statura, era sicuramente più giovane di lui, aveva la carnagione caffellatte ed i capelli fulvi. E gli occhi, Frank non era mai stato un poeta, non era mai neanche stato troppo bravo a scrivere, non erano pochi quelli che si interrogavano sulla B, presa nel tema.
E Percy attaccato nel suo orecchio.
 
Allora dove sei arrivato?” aveva domandato ansiogeno il ragazzo, dall’altro lato della cornetta. Frank aveva abbassato lo sguardo sul libro, cercando di ignorare l’odore di fresie che aveva la ragazza al suo fianco. “Sono arrivato quando Theon afferra Jeyne, per lanciarsi giù dalle mura di Grande Inverno4” risponde a Percy. Momento da cardiopalma. Pessimo per interrompere la lettura, ma le porte dell’autobus s’erano aperte proprio in quel momento.
Oh dei, si! Non credo l’avrebbe fatto. Ma sapeva che se fosse rimasto, sarebbe morto” aveva ribattuto Percy, che nei personaggi tormentati dagli scrittori, sembrava ritrovarcisi sempre, forse perché nonostante il suo aspetto da ragazzo cool – o come si diceva – si riteneva una persona piuttosto sfortunata. “Credo che per l’ossessione che ha sviluppato per lui, Ramsay non lo ucciderebbe mai” aveva risposto Frank, smettendo di fissare per qualche istante i profili delle case dall’altro lato del finestrino, per dare una fugace occhiata alla ragazza al suo fianco. Sperando non lo scambiasse per un maniaco o qualcosa del genere.
Lei lo stava guardando.
Aveva occhi gialli, sembravano d’oro fuso. Erano davvero belli, oltre che incredibilmente particolari.
“Non si fa così” aveva detto la ragazza, cercando d’assumere una posa fastidiosa, con le guance gonfie, ma non aveva un aspetto molto minaccioso, non sembrava davvero molto arrabbiata. “Come?” aveva bisbigliato Frank, confuso. Restandosene sempre con il cellulare – con Percy – premuto sull’orecchio. “Oh, sei in dolce compagnia!” aveva esclamato il suo amico, con una certa euforia, dimenticandosi improvvisamente del triangolo – se così poteva essere chiamato – tra i personaggi de Le Cronache. “Perché non me l’hai detto?” aveva trillato ancora al telefono.
Frank sperava solo che la voce di Percy fosse confinata al suo campo uditivo e basta. Sarebbe stato imbarazzante.
“Dal punto di vista di Theon, sono arrivata alle nozze di Ramsay e la FalsaArya5” aveva detto la ragazza, indicando il libro che era stritolato tra le cosce di Frank. Lui abbassò lo sguardo, seguendo il dito affusolato della ragazzina, non carburando immediatamente.
“Io … io” balbetto Frank sentendosi in imbarazzo, mortale. Chiedendosi anche perché le parole si fossero inceppate nel fondo della sua gola. Gli sudavano perfino le mani. “Ti lascio in pace, Frank. Ti chiamo sta sera” lo aveva salutato Percy nel suo orecchio; Frank aveva balbettato ancora il suo pronome sostantivo di nuovo, non riuscendo neanche a salutare l’amico, ritrovandosi ad ascoltare nessuno dall’altro capo del telefono.
“Mi dispiace per lo spoiler” riuscì alla fine a dire, tutto impacciato, infilando il telefono nella sua cartella e guardando mortificato il libro, che teneva separato con il dito.
 
La ragazza perse tutta quell’espressione orgogliosa per prendere una più rilassata, con un bel sorriso pieno.  “Non fa nulla” aveva detto alla fine, “Ci sono almeno altre seimila storie ancora aperte” aveva confidato lei, posando le mani sulle ginocchia ossute, “Poi mio fratello si divertente troppo a dirmi le cose in anticipo” aveva detto quella,  ridacchiando appena.
Aveva una risata dolce e frizzante.
Frank deglutì; doveva trovare il coraggio di parlare, neanche chiederle di uscire, ma almeno il nome,
“Infondo non mi hai mica detto qualcosa di serio come, non so, Daenerys ha raggiunto i Sette Regini” aveva scherzato lei, sollevando appena le spalle, “Che cosa?” esclamò Frank, spalancando gli occhi. Percy era stato ore ad elogiare i colpi di scena di quel libro, ma pensava che i Griff e Theon6 fossero già abbastanza. “No!No! Non è successo, o Nico, mio fratello, me l’avrebbe sicuramente detto” aveva detto ridendo, non di lui, con lui. Il ragazzo si lasciò sfuggire un risolino, o che imbarazzo.  
Sorrideva, era carinissima, quando lo faceva.
“Però ora ti ho spoilerato che non succederà, sono mortificata” bisbigliò lei, poi con le mani a coprirle il viso, ma le dita ben spalancate per lasciare spazio alla vista, un groviglio di dita da cui sfuggivano occhi d’orati. “Tranquilla” disse Frank, con la gola secca, “Non pensavo seriamente arrivasse nei Sette Regni, prima dell’ultimo libro” le aveva proferito. La ragazza aveva tolto le mani dal viso, anche il suo arrossato dall’imbarazzo, tornando a metterle sul grembo.
 
Frank, prendi coraggio, si disse, dopo aver preso un’abbondante boccata d’aria, forse lei avrebbe pensato fosse stupido. Non chiederle di uscire, ma almeno il nome. Almeno quello. Per avere una scusa per andarci a parlare la volta successiva, magari a scuola.
Prima che potesse recuperare tutto il suo mancato coraggio, per parlare, s’era ritrovato una mano sottile tesa verso di lui, “Hazel” aveva detto la ragazza, con un certo impaccio, vergognosa, mordendo si un labbro sottile; Frank aveva guardato la mano della ragazzina spaesata. Si era presentata lei? Annabeth aveva proprio ragione a dire che se le ragazze facevano bene a fare la prima mossa, che di quei tempi i ragazzi erano tutti smidollati – e nel dirlo guardava Percy con la coda dell’occhio, era stata Annabeth ad infilargli la lingua in bocca quando era stato il momento. Se non fosse stato per lei, i due sarebbero stati a guardarsi negli occhi. “Hazel come Hazel Grace Lancaster7?” aveva balbettato Frank, dandosi l’attimo dopo dell’idiota, per non essersi presentato,  lei arrossì sulle gota, “Hazel Levesque, in verità” disse lei,  “Frank Zhang” riuscì a dire lui, con un’immensa dote di coraggio.
“Peccato non mi viene in mente nessun personaggio con il nome di Frank” disse la ragazza, dopo aver lasciato la sua mano, facendo schioccare le dita con un movimento veloce, “Frank il carlino8?” aveva proposto lui, pentendosi l’attimo dopo, “Quello di Men In Black?” aveva chiesto Hazel, Frank aveva annuì.
Octavian lo chiamava sempre così per penderlo in giro.
Si sposava bene, diceva, lui era cinese e si chiamava Frank.
“Credo sia il personaggio più divertente del franchisee” aveva detto Hazel prima di sollevarsi dal sedile, sorrise imbarazzata, suonando il pulsante per la chiamata, “Scendo alla prossima” aveva aggiunto, fissando la punta delle scarpe, “E’ stato un piacere” aveva detto Frank.
Che scemo che era!
Per qualche minuto era scivolato l’assoluto silenzio tra loro, in cui il ragazzo sarebbe stato sicuro di poter udire il rumore delle gocciole del suo sudore.
“Ci vediamo a scuola Frank Zhang” aveva esclamato alla fine Hazel, prima di scendere di scorsa giù dall’autobus, muovendo la mano.
Frank ricambiò il gesto, teso come una corda di violino.
Grazie Theon Greyjoy per essere stato l’eroe della tua storia, riuscì solo a pensare.
 


















 
X1 – X2 : Sono due Teorie che circolano su GoT (La seconda è decisamente più accreditata della prima)
X3: In Italiano i libri sono stati divisi e tradotti con diversi titoli, dunque per il volume originale non c’è una traduzione. Avendo tradotto tutto, non ho lasciato il titolo originale Dance With Dragon, ma l’ho tradotto  letteralmente (Altrimenti andava bene anche: La Danza dei draghi, traduzione italiana).
X4 – Lo Spoiler
X5- Personaggio (e Spoiler) di ASoIaF
X6 – Altro Spoiler per I Griff , mentre Theon, nella serie non scompare mai, ma nei libri scompare per due libri, venendo citato appena due volte (Una delle quali nelle Nozze Rosse, in cui a tutto puoi far caso, meno al simpatico regalo di nozze di Ramsay)
X7 – La protagonista di Colpa delle Stelle
X8 – Il Carlino Parlante di MIB

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Galeotto fu l'orzo oppure la tesina - o forse la cronologia ***


I PROMPT SEMPRE QUI
 
Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  Galeotto fu l’orzo oppure la tesina – o forse la cronologia
Prompt: #81 Ho urgente bisogno che tu mi aggiusti il computer ma per piacere non giudicarmi per la mia cronologia!AU (Leo/Calypso)
Personaggi: Leo Valdez, Calypso, Jason Grace, Cecil (Citati: Percy Jackson, Annabeth Chase, Frank Zhang, Hazel Leveque, Drew Tanaka, Piper McLean, Nico DiAngelo, Dionisio, Dakota Rosa Valdez + Atlante e Zoe)
Paring: Caleo (Percabeth, Frazel e Jasper minore + lievi accenni alla Perleo)
Rating: Verde
Warning:  Modern!AU/NoCamp!AU(?)/Neighbors!AU/College!AU(Più o meno)
 Beta: Nessuna
Note:  Si, ho scritto questa cosa post-esame, quindi si non sono decisamente sicura sia una cosa sana. Ma comunque è il massimo che sono riuscita a comporre. Quindi spero vada bene.
Non ero certa di quale coppia usare o quale Prompt. Quindi be si … non c’è altro da dire.
Con questa storia ho rischiato di unire due Prompt, ma ok!
A pie pagina le varie note da nerd.
Vorrei vivamente ringraziare Weasleiuccia e CharlieC per aver recensito.
E sempre CampMezzosangue per l’iniziativa.
 
 
 
Galeotto fu l’orzo oppure la tesina – o forse la cronologia.
 


Leo Valdez si stava risparmiando occhiate critiche al suo coinquilino, nonché migliore amico. Jason esausto dalla notte di bagordi, aveva trovato decisamente più interessante usare come cuscino una tazza di latte, anziché quelli nella sua stanza. Leo sedeva di fronte lui, mangiando i cereali con il latte parzialmente scremato. Perché il suo stomaco non dava mai tregua.
“Se non si regge l’alcool, non si dovrebbe bere” aveva commentato Leo, che aveva ben più tempra di Jason da quel punto di vista. Non che ci volesse molto ad averne di più. Il suo amico era grande e grosso, ma bastava un bicchiere di birra per farlo capitolare giù come un birillo. Il biondo non diede cenni di vita, rimanendo felicemente a dormire. Leo ebbe comunque pietà di lui, spostando la tazza da sotto il viso dell’amico, lasciandolo addormentato semplicemente sul tavolo di legno. Sul collo, sotto la linea della virile mascella, svettava un segno violaceo. Ubriaco o meno, Jason rimorchiava sempre più di lui, sul braccio del suo amico c’era scritto un numero di telefono con una grafia graziosa ed un vistoso: chiamami! La grafia precisa, ma carina, fece pensare a Leo fosse stata Piper a scrivere, la cugina di Drew con origini native americane, molto carine, che le passava sempre gli appunti ad Analisi quando non andava a lezione. Studiava anche lei, ingegneria, solo che Leo non era sicuro di averle mai chiesto quale. Non era un crittografo, quindi no, non aveva idea fosse davvero la ragazza in questione, sperava lo fosse e che Jason la chiamasse.
 
Il campanello aveva rotto i suoi pensieri da Cupido per il suo migliore amico e la ragazza carina di ingegneria che indossava una moltitudine di camice a quadri ed intrecciava piume e perline nei capelli. Si diresse alla porta, scavalcando Cecil che ronfava sul pavimento, aveva riversato il contenuto dello stomaco sul pregiato tappeto del proprietario. Il signor D. gli avrebbe uccisi tutti – sempre se non fosse riuscito a circuire Dakota, come tramite per suo padre.
Arrivò alla porta, aprendola senza curarsi di molto di chi potesse esserci dall’altra parte. Erano le undici del mattino, solo Nico dei loro amici poteva essere in piedi – e vestito – a quell’ora del mattino. Certo anche lui, ma aveva bevuto un decimo degli altri, si era drogato di caffè e non sarebbe comunque mai uscito di casa. Comunque sia, non si era ritrovato davanti quello spaventapasseri di Nico, ma una ragazza. Non molto alta, dai capelli caramello e gli occhi a mandorla, bella senza alcun artifizio, stretta in un grazioso vestitino a fiori. Calypso la ragazza dall’altro lato del pianerottolo. “Considerando quanta confusione abbiate fatto ieri, mi sorprende di aver trovato qualcuno in piedi” aveva commentato con una leggera punta di acidità, prima di lanciare uno sguardo alle spalle di Leo, dove i residui della festa erano ben evidenti. “Buongiorno anche a te, raggio di sole” esclamò lui, senza badare alle parole della ragazza, posando il gomito sullo stipite della porta, sorridendo smanioso. Da che si era trasferiti in quell’appartamento, Leo aveva cercato di fare buona impressione su Calypso.
Fallendo miseramente.
Non era sicuro che standosene in boxer e canottiera, con il suo fisico smilzo e poco attraente potesse migliorare la situazione. Poi con la scritta HOT STUFF con il pennarello che gli aveva lasciato Hazel, sul braccio.
“Giusto, si, sono stata maleducata: Buongiorno Leo” riuscì a dire lei, chiudendo appena gli occhi, recuperando un attimo l’espressione sconvolta che la ragazza aveva manifestato, “Anche se mi avete tenuta sveglia tutta la notte” aveva aggiunto piccata, senza particolare offesa, con le braccia incrociate sotto al petto, che mettevano il seno ben in mostra, anche se la ragazza non indossava scolli. “Mi dispiace?” provò Leo, forse era venuta per quello, per delle scuse, “Tanto sarei stata tutta la notte a scrivere” commentò poi, con il movimento della mano liquidando la questione. “Vuoi … del caffè?” aveva chiesto Leo, indicando con il pollice alle sue spalle l’interno. Dandosi poi dell’idiota qualche secondo dopo, Calypso sarebbe scappata a gambe levate appesa passata la soglia, la casa era un vero disastro.
L’inquilina del pianerottolo, aveva una di quelle case sempre perfette, con nulla fuori posto. Leo c’era entrato una sola volta. Percy doveva fare una sorpresa ad Annebeth, la sua storica fidanzata, ed era venuto a cucinare un dolce da loro – si Leo stava ancora cercando una relazione tra le due cose – ma non avevano lo zucchero, così il ragazzo era andato a suonare a Calypso. Leo gli era andato dietro, quando la ragazza lo aveva invitato ad entrare. Per tutto il tempo che aveva parlato con Percy, Calypso si era morsa il labbro, nervosa ed imbarazzata e una transizione di zucchero non doveva mai essere stata così lunga. Leo non s’era stupito affatto, Percy sembrava il Principe Azzurro delle favole, così almeno lo aveva definito Hazel, quando lo aveva visto per la prima volta.
Il problema di quella volta: Calypso non si era minimamente accorta di lui.
 
La ragazza era stata colta da un’improvvisa illuminazione. “Oh no!” aveva detto immediatamente, “Come se avessi accettato!” aveva commentato poi la ragazza, “Sicuramente voi prendete miscele chimiche per il caffè, io prendo solo cose biologiche” aveva risposto la ragazza, chiudendo le mani dietro la schiena, con gli occhi bassi. Leo aveva crucciato le sopraciglia. Probabilmente era una persona molto salutista, anche se lui era certo di non averla mai vista correre o fare qualsiasi sport. “Ma sono qui  per il caffè!” strillò Calypso ricordandosi immediatamente, “Ma per il computer” commentò lei, prima di mordersi un labbro. “Uno di voi non è un genio del computer o qualcosa di simile?” aveva indagato la ragazza, con un occhio chiuso e l’altro strizzato, come se si sforzasse di ricordare qualcosa, “Si è rotto il computer?” aveva contro risposto Leo, la ragazza aveva annuito. “Be, io in realtà sto studiando per diventare ingegnere meccanico, ma potrei farcela con un computer” aveva risposto, “Sono bravo con le macchine” aveva aggiunto, sorridendo smagliante, sforzandosi di apparire affascinante.
Con stranamente non deliranti risultati.
“Grazie! Potresti essere il mio salvatore” aveva commentato la ragazza, sollevata, “Grazie!Grazie!” aveva detto quella dandogli la schiena e dirigendosi verso la porta della sua casa. Leo le era andato dietro chiudendosi la porta le spalle, prima di rendersi conto di essere uscito di casa in boxer e canottiera, senza neanche le infradito come ciabatte – ed i suoi coinquilini non si sarebbero svegliati per molte ore ancora. “Non è molto rispettoso andare vestiti così in casa di qualcuno” aveva bisbigliato Calypso ma non sembrava davvero infastidita da questo.
 
La casa di Calypso era ordinata, monocolore, con alcuni vasetti di piante e foto incorniciate, abbastanza sterili. In una c’era Calypso assieme ad un uomo con un completo bianco ed una ragazza non meno bella di lei, che non sorrideva. “Chi sono?” domandò lui, prendendo la foto. La cornice era totalmente di vetro, dando l’idea di qualcosa di freddo, “Mio padre e mia sorella1” aveva risposto Calypso piccata, prima di togliere la foto dalla sua mano e sistemandola dove era. La famiglia era sempre un argomento piccato, come lo sapeva Leo non lo sapeva nessuno.
“Ecco, il computer” aveva commentato Calypso, ammiccando ad un mac ultimo modello, che dava lo schermo interamente blu, era sistemato sopra un tavolo alto di marmo nero. “C’è sopra la mia tesina. Quindi mi preme particolarmente riaverla” aveva commentato la ragazza, prima di sistemarsi su uno sgabello di fronte il tavolo. Leo aveva intrecciato le dita tra loro e poi le aveva stese, facendole scrocchiare, “Non preoccuparti, dolcezza, ci pensa Leo” aveva commentato sicuro di se. Prima di sfoggiare un sorriso da vero seduttore. Che forse avrebbe potuto davvero funzionare.
“Solo Leo” aveva detto con un certo timore la ragazza, “Non guardare la mia cronologia” aveva sussurrato.
 
 
 
“Credevo ti avessi detto di non guardare la mia cronologia” aveva commentato con una certa acidità Calypso, sistemandosi accanto a lui sul divano, posandogli davanti una tazzina fumante. “Quindi cos’è?” domandò Leo, scegliendo di ignorare la critica che la ragazza gli aveva fatto, “Caffè d’orzo con latte di mandorle” aveva risposto la ragazza, con un sorriso allegro. “Biscottini di segale con latte di riso” aveva aggiunto poi, additando i dolcetti, che aveva sistemato al centro del tavolo. “Tu andresti molto d’accordo con la Signora Iris” le aveva detto Leo, prima di allungare una mano verso la tazza, titubante. “Con chi?” aveva indagato la ragazza, prima di sgranocchiare un po’ di biscotti, “La titolare del negozio di alimentari dove lavora un amico” aveva snocciolato Leo in fretta. Sempre se Frank Zhang potesse essere considerato in quella maniera. Forse lo era. Prima di impegnarsi con Hazel.
“Comunque mi è parso di capire tu debba laurearti in genetica” aveva commentato Leo, prima di mandare giù un sorso del caffè più strano del mondo, era stranamente buono. “Da cosa lo deduci?” aveva risposto lei, alzando un sopracciglio, il ragazzo aveva ridacchiato appena, “La tua cronologia, togliendo le eccentricità erano quelle più frequenti” aveva detto con onestà.
Calypso gonfiò le guance, “Non dovevi spiare la mia cronologia” aveva detto offesa, arricciando le labbra, “Comunque no, non genetica, ma genomica2”  aveva commentato, con un bel sorriso, piuttosto allegra, ben soddisfatta della sua materia.
Bella ed intelligente. Si poteva avere di più dalla vita? Pensò Leo.
Magari che si accorgesse di lui.
 
Leo aveva provato anche uno dei biscotti, “Genomica, figo” aveva commentato, con la bocca piena ed il viso coperto di briciole.  La ragazza aveva annuito, se ne stava accanto a lui sul divano bianco, le gambe incrociate ed i biscotti tra le dita sottile, “Anche Ingegneria non sembra male” aveva risposto la ragazza, più posata. “Non lo è!” aveva esclamato il ragazzo, prima di bere l’ultimo sorso di caffè, “Considerando che zia Rosa pensava che sarei finito in galera” aveva commentato a mezza voce.  Poi si era dato dello stupido, perché mai aveva dovuto tirare fuori la sua famiglia, in quel momento. Se poi avesse parlato del riformatorio, Calypso l’avrebbe certamente sbattuto fuori dal suo appartamento.
“Invece sarai un ingegnere” aveva commentato lei, intrecciando le dita sopra le ginocchia ossute, in un momento di imbarazzo. 
Leo nel frattempo aveva cominciato ad offendersi in aramaico antico, se possibile. Perché mai aveva tirato in ballo zia Rosa e la galera?
“Già” le andò dietro, con un certo imbarazzo. “In realtà volevo studiare botanica” aveva rivelato lei con un certo imbarazzo, “Adoro le piante” aveva aggiunto, prima di mostrare quante ve ne fossero nell’appartamento. “Una genomica con il pollice verde, sei tu Pamela Isley3?” aveva chiesto retorico con un  ghigno sul viso, certo il personaggio citato non era proprio una genomica, ma … Calypso non raccolse, crucciando le sopracciglia scure, ma sottili, “Poison Ivy … l’eco-terrorista di Batman”  aveva risposto con un tono di voce insicuro il ragazzo, sentendosi in imbarazzo, perché mai aveva dovuto tirare fuori i fumetti?
“Io non sono pratica” aveva bisbigliato Calypso, con le caviglie intrecciate, le mani sulle ginocchia sottili, “Di fumetti americani” aveva bisbigliato, “La tua cronologia avrebbe dovuto farmelo capire” aveva sdrammatizzato il silenzio imbarazzante che s’era venuto a creare.
Calypso arrossì sulle guance e sulle orecchie, in una maniera decisamente carina.
“Non giudicarmi dalla mia cronologia, Leo” aveva bisbigliato lei,  prima di sventolarsi una mano davanti al viso. Il ragazzo ridacchiò divertito, ancora il viso sporco di briciole dei biscotti, prima di alzare un mignolo verso la fanciulla, “Dai su non è proprio così sconvolgente” le disse, ma la ragazza era ancora rossa in viso.
Calypso si mordicchiò un’unghia, “Ti avevo detto di non guardare la mia cronologia” aveva commentato nervosa.
Leo si mise a ridere, allungò una mano sfiorandole una spalla, con sommo coraggio, la ragazza non ne sembrò infastidita, “Dai, Calypso sarebbe stato molto peggio se avessi trovato pornografia romantica4”  aveva sdrammatizzato. Lui quelle commediole romantiche da lieto fine, tutte rosa, non le sopportava, i romanzetti di Harmony e Co, gli facevano venire l’eritema peggio di un’allergia. Calypso aveva sollevato gli occhi, castani e caldi, come il caffè d’orzo. Le labbra morse, ma il principio di un sorriso. “Seriamente, non parliamone mai più” aveva stabilito lei, recuperando credibilità. Leo aveva annuito, nascondendo sempre un certo divertimento; “Giurin giurello?” propose, con un sorriso sornione. Calypso fece schioccare le labbra, poi intrecciò il suo mignolo a quello del ragazzo, “Giurin giurello”  disse, cercando di mascherare la ridarella e mostrarsi seriosa.
“Non parlerò mai più della tua cronologia, giurin giurello” la rassicurò, continuando ad osservare i loro mignoli intrecciati.
“Però prima una cosa …” aveva detto Leo, guadagnando un’occhiata tutt’altro che amichevole da Calypso.
“Esattamente un hentai5 cos’è?”
 
 






x 1> Sono Zoe ed Atlante
x2>La genomica è una branca della biologia molecolare che si occupa dello studio del genoma degli organismi viventi. In particolare si occupa della struttura, contenuto, funzione ed evoluzione del genoma. (Cit.-Wikipedia)
x3> Personaggio di Batman, come dico poco dopo. Tecnicamente è una botanica, ma è un abile chimica, capace nel capo tossicologico e credo anche nella genetica.
x4> Una citazione di E. Flaiano, più o meno. Modo di riferirsi al lieto fine
x5>Una forma di porno, che non coinvolge le persone reali. Manga/anime porno.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una notte semibrava al Lotus Hotel ***


I PROMPT SEMPRE QUI
 
Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:   Una notte semibrava al Lotus Hotel
Prompt: #87 Ci siamo sposati a Las Vegas ma siamo dei perfetti estranei!AU  (Luke/Thalia)
Personaggi: Thalia Grace, Luke Castellan (Citati: Silena Beauregard, Jason Grace, Annabeth Chase + [implicitamente] Zeus, Beryl Grace e May Castellan)
Paring: Thalike (Perchabeth molto minore)
Rating: Giallo
Warning:  Modern!AU/NoCamp!AU(?)/LasVegas!AU
 Beta: Nessuna
Note: Attenzione: Ho alzato il Raiting, di poco. Non credo che questa cosa possa essere vicino all’arancione.
 Mi sono goduta bene il periodo post-esame. Non ho idea di quanto potrò di nuovo aggiornare, perché dovrò rimettermi a studiare per altri esami, di cui sono comunque abbastanza sicura di non poter passare. Ma come si dice: Lo scopriremo, solo vivendo.
Quindi si, vi lascio questa perla, così per divertimento. Il prompt è il meno originale tra i tanti, la coppia è la mia preferita in assoluto in tutta PJ, nonostante l’orribile finale che hanno avuto. Però ammetto di essermi divertita a scriverlo, spero di aver mantenuto qualcosa di vagamente simile all’IC; ho cercato di dare a Thalia un atteggiamento abbastanza giocoso (Per me resterà sempre la  quindicenne che ha definito HOT il dio del sole) e Luke, forse è un Luke pre-Crono, pre-cicatrice (nonostante la abbia).
Ultima nota, si, non scriverò mai Talia – così come non scriverò mai Ottaviano.
Nessuna nota Nerd a Piepagina, ma vorrei ringraziare vivamente: Aileen Panda e princess_of_the_flames per aver recensito.
Ovviamente chi legge, segue e preferisce.
E sempre CampMezzosangue per l’iniziativa.
 
 

 
Una notte semibrava al Lotus Hotel
 

I raggi del sole fastidiosi si fecero ben prepotenti sulle palpebre. Thalia si compri gli occhi strizzati con un braccio affatto intenzionata a svegliarsi. Anche in questo modo il sole era comunque un bastardo fastidioso. Thalia ruzzolò fino a ritrovarsi con il ventre schiacciato sul materasso ed affondò il viso sul cuscino. Ma il sole sembrava ancora decisamente fastidioso. Cosa diavolo stava succedendo? Sembrava trovarsi in una stanza con un intera parete vetrata. “Cristo, Annie! Tira le tende” strillò, meglio mugugnò, visto che la bocca era schiacciata sul cuscino. “Shh … voglio … dormire” bisbigliò ben rintronato qualcuno al suo fianco. Una voce ben più gutturale rispetto quella di Annabeth Chase-prossimamente-in-Jackson – e decisamente più maschile. Thalia voltò il viso nella direzione da cui era venuta la voce, la sua destra, tenendo gli occhi chiusi, poi ne schiuse uno, con tremore, convincendosi di star ancora in parte dormendo. Dall’altro lato di un letto matrimoniale, sotto lenzuola nere come l’onice se ne stava un uomo beatamente a dormire. Un viso bello, capelli biondi, scolpito dagli dei. L’unica imperfezione sembrava essere una cicatrice biancastra che deturpava una guancia, ma non era in realtà una rovina, quanto più una sorta di abbellimento, qualcosa da cattivo ragazzo attraente.
Va bene, si disse. Rotolò di nuovo, sollevò le lenzuola nere, solo per vedere che il suo corpo sotto era nudo come quello di un verme. Non era ancora il momento di farsi prendere dal panico, commentò, chiudendo i palmi sugli occhi, per ritrovarseli l’attimo dopo insozzati dal nero del trucco pesante. Si tirò su con il busto, con l’impellente desiderio di fumare o vomitare – doveva ancora decidere. La stanza era più grande di quelle che aveva preso con Annabeth e le altre. Ed aveva una fottutissima parete in vetro, che lasciava che il sole entrasse senza remore. Peccato avesse la vista più bella di Las Vegas. Il resto della stanza portava i segni di una lotta in pratica, tra abiti sparsi in giro, oggetti per terra, oggetti rotte, quello che sembrava uno spumante. Non era certo se il danno fosse stato fatto per raggiungere il letto o altrove. Voltò lo sguardo sul comodino, accanto ad un abat-jour bianca c’era i resti della cartuccia di un profilattico, le sue sigarette e la carta elettromagnetica di un hotel di lusso, che non era di certo il suo.
Non era decisamente il caso di farsi prendere dal panico. Non ricordava assolutamente nulla della serata, questo era vero. Però, ecco … Doveva essere uscita, doveva aver bevuto, doveva aver rimorchiato e fatto sesso protetto con un bel tipo. Selvaggio anche, dal dolore che aveva percepito nel basso ventre. Sbuffò tornando a starsene supina, con il crine corvino affondato nei cuscini di piume. Insoddisfatta poi, si sistemò su un fianco, andando a sfiorare la fronte dell’uomo. Con gli uomini non aveva mai avuto molta fortuna, quasi si pentiva di non ricordare nulla.
Smettila di fare la languida, si disse.
Se Zoe l’avesse vista in quel momento, l’avrebbe probabilmente presa in giro fino alla morte. Con una certa dose di cattiveria.
 
Si tolse le lenzuola di dosso, senza preoccuparsi di essere nuda davanti ad una parete a vetro, per recuperare le sue cose. Il vestito nero, fin troppo aderente che Silena Beauregard le aveva costretto ad infilarsi era appeso al lampadario. “Questo è un problema” aveva constatato, raccogliendo comunque le mutande, quelle almeno non erano finite poi così lontane. “Non dovrebbero essere gli uomini a sgusciare via dal letto?” aveva domandato una voce alle sue spalle. Thalia si era voltata, osservando il ragazzo sotto le coperte, un bel sorriso sornione sulle labbra, era decisamente bello. “Non sono mai stata una tradizionalista” aveva scherzato la ragazza, prima di camminare fino al tavolo,  il reggiseno con le borchie ed i teschi che sua cugina Bianca le aveva regalato per il compleanno era finito sotto al letto assieme ad una cravatta dalla fantasia improbabile, che Thalia lanciò al ragazzo.
“Già vai via, Talisa?” aveva domandato il ragazzo, tirandosi a sedere, la schiena posata alla testata del letto, prima di essersi tolto la cravatta dai capelli; “Talisa?” aveva domandato lei, alzando un sopracciglio, “Teresa?” provò il biondo ancora, strizzando gli occhi, “Thalia” disse la ragazza. Un’altra persona si sarebbe sentita in collera probabilmente, ma di certo non lei, sarebbe stato piuttosto ipocrita, almeno lui ricordava l’iniziale del suo nome, Thalia non si ricordava niente di lui. “Sono un disastro con i nomi” aveva confessato quello, mentre dava un’altra occhiata alla ragazza, “Anche io” confessò, “Infatti …” aveva aggiunto, “Non ricordi il mio nome?” aveva detto il ragazzo, con una faccia di bronzo, fintamente offesa, Thalia aveva messo le mani sui fianchi tondi, con un espressione provocatoria sul viso. “Luke” disse il biondo, sorridendo mesto.
“Bene Luke ho qualche domanda” aveva esordito la ragazza, “Dimmi” le aveva risposto il biondo, con un bel sorriso spiegato sulle labbra di chi la sapeva lunga, “Dove sono le mie scarpe e come finito il mio vestito lì?” chiese, indicando il vestito appeso al lampadario. Lo smalto nero delle unghia, era stato per metà grattato via. Luke sembrava così bello, anche con i postumi di una sbornia, lei doveva essere un disastro con i capelli da spaventapasseri, gli occhi da panda e la faccia verdognola. “Penso sia imputabile al fatto che ci siamo divertiti molto” aveva aggiunto, “Probabilmente” aveva detto, prima di sgusciare via anche lui dal letto.
Thalia non si perse di certo l’occasione per studiare Luke. Il ragazzo sembrò ben accorgersene, ma sorrise compiaciuto, se possibile cercando di esporre la sua virilità più narcisisticamente possibile. “Se hai finito di guardare, mi passi le mutande? Non sono lontane da te” aveva chiesto sarcastico il biondo, con le mani sui fianchi. Thalia ridacchiò appena, “Forse mi piace quello che vedo” aveva scherzato lei, prima di far scorrere gli occhi sul pavimento,  non lontano dalle sue caviglie c’era accartocciato degli slip neri. Thalia si chinò a raccoglierli. “Possiamo sempre fare il bis” bisbigliò Luke, prima di prendere al volo l’intimo che la ragazza le aveva lanciato, senza un minimo abbozzo di goffaggine, “Giochi a baseball per caso?” indagò con un sopracciglia pallido sollevato, un sorriso ben sornione cucito sul viso. “Softball” rispose Thalia facendo schioccare le labbra. Non era del tutto vero, aveva lasciato subito dopo il college.
 
“Mi aiuti con il vestito?” aveva domandato la ragazza, ammiccando al lampadario dove era appeso il bel vestitino nero di Silena, “Dobbiamo esserci divertiti proprio tanto” aveva commentato quello, con gli occhi azzurri al soffitto. Thalia lo guardò maliziosa, “Non ricordi nulla?” aveva chiesto poi, fintamente offesa, cercando di trattenere una risata,  Luke le sorrise, “Che ti piace stare sopra, non reggi l’alcool ed hai un fratello di nome Jasper” le aveva detto, “Jason” la corresse lei. Ridendo. “Tu?” aveva chiesto Luke di rimando, mentre valutava come raggiungere il vestito appeso al lampadario, “Non so neanche come ci siamo incontrati” aveva risposto alla fine con onestà Thalia. Probabilmente in un locale, ma dalla biancheria di classe del ragazzo e dalla camera dove stavano dormendo, non riusciva facilmente ad indovinare in che genere. Thalia era una cheeseburger, birra e pub di quart’ordine.  Luke mimò l’espressione pudica ed offesa, prima di ridere, “Facile, ti è bastato guardarmi per cadere ai miei piedi” l’aveva presa in giro. Quella fece roteare gli occhi, “Tira giù quel vestito, Luke”  impartì secca, “Sai usando il tuo cognome avrebbe fatto più effetto” lo prese in giro, mentre questi arrancava sul letto, per vedere di riuscire a prendere il vestito da lì, “Castellan” gli disse, senza prestarci particolare attenzione, “Grace” aggiunse la donna, con le braccia incrociate sotto il seno.
Luke aveva una mano alzata, ma chinò il capo verso di lei, “Ti chiami davvero Thalia Grace?” aveva indagato, “Come Talia delle tre Grazie?” aveva chiesto sconvolto ed incredibilmente divertito, “Ah-ah” rispose lei, sarcastica. “A mia madre piaceva bere, io e mio fratello stiamo ancora cercando di capire se fosse ubriaca quando ha partorito” commentò tra se e se. Prima di mordersi il labbro, non aveva decisamente voglia di mettersi a parlare della sua famiglia.
 
“Questa è la tua stanza?” chiese poi, prima che Luke potesse mettersi a chiedere qualcosa sulla sua famiglia. Smise anche di guardarlo, per concentrarsi sull’immagine di LasVegas di giorno, quella vista di notte doveva essere fantastica. “Si, siamo al Lotus Hotel” rispose quello, “Sono venuto qui per un meeting. Visto che è andato piuttosto bene, ieri ero andato a festeggiare con alcuni colleghi” le raccontò, nonché Thalia avesse avuto interesse nella vita di quel ragazzo. “Tu?” indagò Luke, con un tono stranamente interessato, “La mia migliore amica si sposa, siamo venute al suo addio al nubilato” aveva spiegato Thalia, prima di ricordarsi che non era venuta a Las Vegas da sola e che – se almeno qualcuno fosse stato sobrio – sarebbero già andate in escandescenza.
“Il mio telefono” trillò, prima di mettersi a cercare per la stanza. Trovò la sua borsa sotto il letto, dove all’interno c’era il cellulare, nonostante fossero a metà mattina, non c’erano chiamate. Si sollevò dalla posizione cucciata, rimanendo però nella posizione genuflessa, ritrovandosi però con il naso davanti alla patta di Luke, il ragazzo si leccò le labbra.
Thalia non si preoccupò neanche di offenderlo, alzandosi. Luke era ai pendici del letto con il suo vestito in mano, “Quindi ti chiami Thalia Grace, hai un fratello di nome Jason, tua madre beveva, la tua migliore amica si sposa e si … giochi a softball, non reggi l’alcool e ti piace stare sopra” formulò il biondo. Lei, gli strappò letteralmente l’abito dalle mani, infilandolo di tutta furia, in parte scottata sul commentò su sua madre, nonostante il tono languido di Luke. L’uomo dovette recepire il messaggio, “La mia era schizofrenica e si rifiutava di prendere le medicine” le disse. Forse avendo capito che la questione del bere fosse decisamente più complicata. Thalia sorrise, in maniera abbozzata, “Quindi ti chiami Luke Castellan, questa è la tua stanza, indossi biancheria di marca, ieri hai avuto un meeting molto buono, conosci qualcosa di mitologia e sei molto vanesio” fece il verso, evitando di citare la madre. “E sei sposato” aggiunse Thalia schifata, come Luke aveva spostato i capelli biondi all’indietro, allora aveva visto sulla sua mano, un anello sull’anulare della mano sinistra.
“Che?” commentò quello, sgranando gli occhi, “Che schifo” lo offese Thalia nauseata, “Il sesso senza impegno va bene, ma il tradimento, dei no!” aggiunse irritata. “Non sono sposato!” aveva ringhiato Luke sconvolto. La donna aveva allungato la mano con un movimento rapido, afferrando quella del ragazzo, dove c’era bello in vista l’anello. Luke spalancò le labbra, “Quello ieri notte non c’era” aveva aggiunto. “Certo!” aveva detto Thalia, osservando le loro mani vicine – e anche lei indossava un anello. “Dai è una fede da quattro soldi, me ne sarei presa una migliore certamente” aveva detto Luke, prima di accorgersi Thalia avesse smesso di ascoltarlo, intenta ad osservare la sua mano sottile, dove c’era un anello uguale al suo. “Non mi dire” bisbigliò. “Credo di dover vomitare” bofonchiò Thalia. “Non possiamo esserci sposati” cercò di razionalizzare Luke, “Eravamo ubriachi e siamo a Las Vegas” aveva rotto la sua bolla Thalia.
“Cazzo” ringhiò Luke, e già – pensò Thalia.
E già.
Suo padre l’avrebbe uccisa.
Anche Jason.
E Annabeth … soprattutto lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Remus Wolf – è davvero /necessario/ dire altro? ***



Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:   Remus Wolf – è davvero necessario dire altro?
Prompt:#10 Non ci conosciamo ma fingiamo di stare insieme perché qualcuno mi sta importunando!AU(Jason/Piper)
Personaggi: Piper McLean, Jason Grace, Zete e Cal (Snow), Grover Underwood (citati: Percy Jackson, Will Solace, Nico di Angelo, Calypso, Juniper, Khione, Leo Valdez, Frank Zhang, Drew Tanaka, Silena Beaugard, Jake Mason + sorelle varie ed eventuali)
Paring: Jasper (Minore: Caleo, Gruniper, past!Khileo ed in un certo senso Solangelo)
Rating: Verde
Warning:  Modern!AU/NoCamp!AU(?)/ Teen!AU
Beta: Nessuna
Note: Nessuno spoiler credo, non so se esserne molto convinta o meno di questa ff, all’inizio doveva essere una Solangelo ma poi i Jasper hanno preso il sopravvento sebbene non siano una mia OTP. Comunque sia c’è un po’ di Solange ed è la prima tra quelle che ho scritto che non ha un accenno alla Percabeth D:
Detto questo, spero di non essere risultata troppo OOC, perché – lo ammetto – Jason e Piper sono due personaggi che non so maneggiare e questa è stata anche la prima volta che ho provato.
Ringrazio sempre Campmezzosangue per l’iniziativa ed i prompt sempre qui.
 

 
 
 
 
 
Remus Wolf – è davvero necessario dire altro?
 
 
 
 
 
 
“Ei ma quella Pips!” la voce era arrivata chiara e precisa come uno schiaffo in faccia, nonostante chi avesse parlato era piuttosto lontano da lei. Piper si voltò appena, giusto per esserne sicura, non che avesse qualche dubbio, ma due ragazzi stavano vedendo verso di lei, “No!No!” disse, con un pugno a mezz’aria, erano quei due idioti dei fratelli di Khione, la frigida ex-fidanzata di Leo.
Cal era un’ebete ma almeno teneva le mani a posto, ma Zete non ne voleva sapere di non appiccicarsi a lei come una cozza.
Piper aveva cantato l’Alleluia – per quanto fosse moralmente opinabile – quando Khione aveva piantato per l’ennesima e, grazie al cielo, ultima volta Leo. Si era sentita un’amica molto meschina, ma piuttosto contenta di non dover più aver a che fare con i fratelli Snow.
 
Fece, con molta maturità, finta di non vedergli e girare i tacchi, mettendosi a camminare molto velocemente, neanche dovesse allenarsi per la marcia. “Mia bella!” gridò Zete, che dopo il commento di Cal doveva averla riconosciuta – più il suo fondoschiena che lei, certamente.
L’idea venne all’improvviso, quasi si ritrovò a camminare velocemente – praticamente correre – accanto ad una fila di persone piuttosto lunga.
Le serviva un AntiZete, che cercava ancora di raggiungerla chiamandola a gran voce, in modo che tutte le persone si voltassero verso di lui.
E a cercare tra i ragazzi lo trovò, o meglio le sue spalle. Era alto, biondo, con delle belle spalle ed uno zaino nero sulle spalle, dove in bianco svettava la scritta: Io sto con la Lupa.
 
“Wolf!” strillò, quasi senza pensarci, avvicinandosi veloce, lanciando uno sguardo attento in torno, temendo di veder spuntare Zete e Cal all’improvviso. Guadagnò qualche occhiataccia da alcuni ragazzi, ma nessun interesse dal biondo.
Quando vide i fratelli Snow troppo vicini, con un salto di coraggio agguanto il braccio del biondo, facendo quasi cadere il telefono che questo teneva in mano, “Wolf, amore, scusami per il ritardo” disse a gran voce, osservando con un occhio Zete, fermarsi ed aggrottare la fronte, “Ti prego fa finta di essere il mio ragazzo” bisbigliò piano a quello, finendo per ritrovarsi a guardare due splendidi occhi blu, della tonalità dei lampi, coperti da sottili lenti di vetro, incastonate in una montatura d’orata. E wow erano proprio dei begli occhi. Anzi era tutto bello, viso corpo, anche la cicatrice sul labbro carnoso.
Ma era reale?
“Tranquilla amore” disse gentile, togliendo dalla posizione a braccetto per sistemarle il braccio sulle spalle, “Sono contento di vederti” aggiunse sorridendo, seguendo la linea degli occhi di Piper per osservare i due fratelli Snow, piuttosto confusi. Allora lei fece finta di notarli, “Zete! Cal!” esclamò fingendo allegria, “Ei Pips” disse gentile Cal mentre il fratello se ne stava in disparte a fissarla confuso, “Lui è il mio ragazzo” aveva aggiunto indicando lo sconosciuto con un certo nervosismo,  “Remus Wolf, piacere” disse quello tranquillo continuando a sorridere disinvolto.
 
 
“Comunque mi chiamo Jason Grace” aveva detto il ragazzo, dopo che Zete e Cal fossero spariti, mentre avanzavano lungo la fila – che Pip aveva scoperto essere una coda.
Lui allungò una mano verso di lei, “Piper McLean e grazie; sei stato il mio salvatore” rispose di rimando, ricambiando la stretta e sorridendo il più possibile. “Mi chiamano Superman per una ragione” disse Jason, con la labbra aperte in un bel sorriso, anche se aveva detto qualcosa privo di qualsiasi modestia, Piper aveva percepito solo il tono malizioso di una battuta e nessun egocentrismo. “Qualcuno ti chiama davvero Superman?” chiese giocosa lei, Jason alzò le spalle sorridendo con un certo orgoglio, “E già” aggiunse.
“Come mai scappavi da loro?” chiese Jason poi, mentre avanzano di pochi passi nella coda e Piper si stava chiedendo perché non avesse già raggiunto Silena e Drew al loro appuntamento, ma se ne stesse lì affianco a Jason. “Zete è fin troppo …  tutto!” aveva rivelato, “Ex fidanzato?” aveva indagato quello e Piper si era sentita lusingata, “Ammiratore, diciamo” aveva risposto lei. “Nessun vero Remus Wolf quindi?” chiese il ragazzo, un attimo imbarazzato, distogliendo gli occhi dai suoi e mettendosi ad aggiustare la montatura degli occhiali. Piper fece un deciso movimento di diniego.
 
Mentre i suoi panataloncini vibravano all’impazzata per le variopinte offese che Drew doveva starle regalando, Piper chiese a Jason cosa stesse effettivamente facendo. Il ragazzo le sorrise, “Sono in fila per prendere i biglietti del concerto di Thanatos and the Doors” aveva risposto lui, Piper aveva annuito, non aveva mai sentito davvero  una loro canzone, solo una volta da Leo, Will l’amico di Jake, il fratellastro del suo amico, gli aveva messi definendoli da panico, nonostante per Piper fosse sembrato solo rumore e molto surreale con un liutista quasi da scala amasse quel genere di musica.
“Ti piacciono?” chiese comunque, sentendosi stupida l’attimo dopo, stava facendo una fila chilometrica per comprarli, doveva essere così. “Cielo no!” aveva risposto Jason con brutale onestà, “Ma ho promesso al mio amico Nico che sarei andato con lui” aveva aggiunto poi, “Pensa che oggi doveva essere lui a venire a prendere il biglietto, ma ha avuto un problema con sua sorella” aveva raccontato Jason.
Santa subito, pensò Piper, che se non fosse stato per quella ragazza, non avrebbe incontrato Jason.
“Allora il tuo amico Nico dovrebbe conoscere il mio amico Will” aveva risposto lei, con un sorrisetto, pensando che probabilmente Will non si sarebbe perso quel concerto trascinandoci Jake o Cecil. “Dipende” cominciò Jason, “Sarebbe interessato ad un altro ragazzo?” aveva chiesto, mentre progredivano nella fila, “Sei gay?” chiese Piper, sentendosi le gambe tremare, “No” rispose confuso Jason, “Nico lo è – o forse è solo confuso è sta sperimentando” aveva risposto Jason, un po’ arrossato sulle gote, forse leggermente a disaggio sull’argomento. “Sai non so, Drew dice che Will si farebbe qualsiasi cosa bella ed io credo di averlo visto anche con qualche ragazzo” aveva  risposto Piper, anche lei ora un po’ rossa.
Tremendamente imbarazzante parlare dell’orientamento sessuale dei propri amici con uno sconosciuto, carino, ma pur sempre sconosciuto.
“Dovremmo farli conoscere” soffiò fuori, mentre poche persone rimanevano davanti alla biglietteria, ricavata da una porta sul retro aperta dove un tizio dietro un banco staccava biglietti.  “Si, magari un’uscita a quattro” aveva buttato lì Jason, Piper non aveva controllato il sorriso.
Poi si erano ritrovati proprio davanti il tizio seduto dietro il banco, un ragazzo dai capelli riccioluti, un po’ d’acne sulla faccia ed il pizzetto da capretta, senza contare un grosso capello giamaicano sui capelli. “Jason, ciao” aveva detto quello allungandogli il pugno, che Jason aveva battuto, “Ei Grover!” aveva risposto, “Sono qui per i biglietti che hai messo da parte per Nico” aveva spiegato quello. L’altro aveva annuito, “Lo so, lo so, mi ha riempito di messaggi” aveva risposto quello, infilando le mani in un cassetto e dando a Jason biglietti allegati a dei pass.  
Il biondo aveva posato lo zaino sul banchetto, aprendolo e ficcandoci dentro i biglietti, “Per il conto ha già fatto Nico” aveva detto Grover, aggrottando la fronte, notando che Jason cercava qualcosa nella borsa, “Lo so, lo so” aveva risposto quello. “Jason è un maleducato, io sono Grover Underwood” aveva detto il ragazzo seduto allungando una mano verso di lei, “Colpevole” aveva ammesso Jason, mentre Piper si presentava. “Di la verità, sei spaventato di cosa farà Percy appena lo saprà” aveva confessato Grover divertito, “Appenderà i manifesti in ogni luogo ed in ogni dove perché ho parlato con una ragazza che non sia la sua, o la tua, o mia sorella” aveva risposto abbattuto Jason, ma anche un po’ divertito, “O le sorelle di Nico” rimarcò la questione l’altro.
Piper si sforzò di non ridere, ma fu vano.
Jason posò una lattina di coca cola davanti a Grover, “Di quelle biologiche a rispetto dell’ambiente e cose così” aveva spiegato Jason, “Credo di amarti, forse dovrò lasciare Juniper” aveva risposto quello.
 
“Quindi al tuo amico Grover piacciono i prodotti biologici?” aveva indagato Piper, “Si, lui è un ambientalista ed animalista di tutto rispetto, un vero abbraccia alberi, la sua ragazza ha un orto a zero chilometri ed è una vegana tendente al nazismo, mi guarda male ogni volta che compro qualcosa che non è al cento per cento biologico o che altro” aveva risposto Jason, divertito, non affatto infastidito dalla cosa, nonostante le parole dette. “Andrebbe d’accordissimo con Calypso, la ragazza del mio amico Leo. Ho scoperto che è possibile fare una cheescake senza formaggio” aveva rivelato davvero sconvolta lei, ancora stupefatta da quel dolce che la ragazza aveva fatto una volta. Anche se Calypso era un’ambientalista e animalista sopra le righe, visto che non trovava affatto strano l’idea che si potesse giocare con il dna degli esseri viventi1, ma guai a grattugiare del formaggio sulla sua pasta.
Jason sorrise, “Sarebbe la gioia di Frank, lui è intollerante al lattosio” aveva aggiunto. “Sai credo dovremmo organizzare una festa, farei cucinare a Calypso e Leo, così lei farebbe tutto quello che possono mangiare Grover, la sua ragazza e Frank, mentre Leo farebbe ottima carne alla brace” aveva proposto ridendo Piper, mentre si incamminavano per il centro della città, con le imprecazioni di Drew che andavano a sommarsi sul suo telefono. “E Will e Nico si conoscerebbero” aveva aggiunto Jason andandole dietro, “Ma prima, non potresti lasciarmi il tuo numero?” aveva chiesto, “Volentieri”.
 

 



X1- io ormai ho la fissa che nel Modern!AU, Calypso sia una studentessa di genomica (e che Leo la penda in giro perché ha tutte le carte in regola per essere Poison Ivy) come accade nella seconda ff di questa raccolta.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L'altro uso delle scale antincendio(e delle pale) ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: L'altro uso delle scale antincendio(e delle pale)
Prompt: #100 Ho sbagliato numero di telefono e ti ho appena raccontato dei dettagli imbarazzanti spero di non conoscerti!AU (Nico/Will)
Personaggi: Nico DiAngelo, Will Solace, Jules-Albert (Citati: Percy Jackson, Annabeth Chase, Jason Grace, Jake Mason, Hazel Levesquez, Bianca DiAngelo e Leo Valdez)
Paring: Solangelo(Non propriamente) Pernico!OneSide (Percabeth!Minor)
Rating: Verde
Warning: Modern!AU/NoCamp!AU(?)
Beta: Nessuna
Note: La OneShot prima avevo provato a scrivere una Solangelo, ma era venuta fuori una Jasper, ho riprovato di nuovo a scrivere una Solangelo, ma è venuta fuori questa cosa qui. Credo che il problema sia imputabile al fatto che ho shippato Pernico da ben prima che si scoprisse che, almeno OneSide, era canonico, praticamente.
Sono una disperata lungimirante shippatrice.
Spero potrete gradire lo stesso.

FF scritte per l’iniziativa One Hundred Au di CampMezzosangue
Per i Prompt vedere QUI.

 

 

 

 

L'altro uso delle scale antincendio(e delle pale)

 

 

Nico DiAngelo aveva aperto di forza lo sportello posteriore dell'auto, da non aver dato a Jules-Albert neanche il tempo del suo solito cerimoniale di scendere dal posto del guidatore ed aprire l'imposta neanche fosse un valletto di chi sa quale lord. “Oh!” esclamò l'autista, “Bonjour, di nuovo, seigneur” aveva detto gentile l'uomo, guardandolo dallo specchietto.
Nico non aveva neanche dato segni di essersi accorto dell'uomo, tenendo con una mano tremolante il telefono, livido – più del solito – in viso.
Doveva chiamare qualcuno! S'era detto.

“Come è andata la mattinata, Seigneur?” aveva provato a domandargli l'autista, mentre si occupava di rimettersi in strada, “Bene bene” disse sbrigativo lui.
Poteva chiamare Bianca, pensò Nico, sua sorella maggiore aveva sempre buoni consigli – ed uno spiccato senso critico da mammina. Allora Hazel, che era sempre la più buona e cara – ma Nico non aveva mai parlato con sua sorella minore di quelle cose.
“Jason!” esclamò a mezza voce, colto da un'illuminazione. “Devo accompagnarla a casa Grace, seigneur?” aveva chiesto gentile l'autista, ritrovandosi a parlare però con il vento. Nico era troppo intento a fissare il suo telefono.
“Chi altro avrei dovuto chiamare?” aveva chiesto poi retorico con un tono basso, alla fine Jason era la cosa che si avvicinasse di più ad un migliore amico, per certi versi un fratello maggiore. Il ragazzo s'era sempre detto aperto ad ascoltare i suoi drammi, con un bel sorriso e gli occhiali squadrati.
Certo all'inizio era stato piuttosto imbarazzate, ma tra una corsa mattutina e giornate intere a studiare sui libri, Nico era riuscito a fidarsi di Jason.

 

Non aveva neanche provato a cercare il suo numero in rubrica, la sua matrigna gli aveva regalato un telefono nuovo per il compleanno, super-tecnologico; Nico sospettava fosse una sorta di punizione per qualcosa, visto la sua incapacità di relazionarsi con qualsiasi mezzo informatico, fosse stato per lui sarebbe dovuti ritornare a pergamena, calamaio e piccioni viaggiatori. Sarebbe impazzito probabilmente prima di riuscire a tirare fuori dalla rubrica il contatto di Jason – o Superman, aveva visto Leo giocarci qualche sera prima (per scaricargli qualche App ,così aveva detto) ed aveva il simpatico vizio di rinominare i telefoni.
Nico aveva una buona memoria e s'era ritrovato a digitare sullo schermo il numero di Jason, rimpiangendo i suoi amati tasti. Riuscito a comporre il numero se l'era portato all'orecchio, con trepida ansia, tutto tremolante.
Pron-
“Jason ho combinato un casino!” strillò, senza aspettare che l'altro potesse proferire anche mezza parola, “Questa mattina ero da Percy” aveva ricominciato, “Per aiutarlo a fare quella benedetta torta di Bentornato alla sua perfettissima fidanzata” aveva aggiunto, con le retine in fiamme, “Dio che sfigato che sono!” aveva bisbigliato, “Che perdo tempo dietro ad un idiota etero stra-innamorato della sua stupefacente fidanzata” mordendosi un labbro, battendo un pungo, leggero contro lo sportello della macchina, guadagnandoci un'occhiata stralunata del suo autista. “Non so neanche perché me la sto prendendo con Annabeth, ora” aveva soffiato fuori a fatica, con gli occhi schiusi. “Comunque non ti ho chiamato per lei” ammise poi, dopo un lungo momento di silenzio cercando di raccogliere la calma, del tutto persa, nel rimembrare la stupidità appena commessa.

“I-io” soffiò tutto insicuro, “Gli ho detto che lo amo!” ruggì, “E lo baciato” buttò fuori, come d'un soffio. Si sentì incredibilmente più leggero.
E poi?” aveva chiesto l'interlocutore.
“E poi? Che pensi abbia fatto? Sono scappato così velocemente da rischiare di rompersi l'osso del collo giù dalle scale antincendio” aveva soffiato fuori, sconvolto dalla domanda di Jason, non era qualcosa di suo. Lui era sempre così apprensivo e gentile – e mai pettegolo.
La voce! Un attimo …
Addirittura giù dalle scale antincendio?” aveva indagato quello. No! Non era Jason! Nella foga e nell'agitazione Nico non se n'era accorto subito.
O mio dio no!
“Ma tu chi diavolo sei?” aveva soffiato furente, con gli occhi sgranati verso lo schermo dove con orrore non figurava il nome di Jason – o qualsiasi altro appellativo di dubbio gusto.
Tecnicamente sei tu che hai chiamato me, quindi ...” aveva risposto l'altro, “Will Solance, comunque” aveva risposto.

“Juls-Albert ho bisogno di una pala” sentenziò, per se stesso e le sue magre figure.
Dai stai tranquillo, è una storia buffa e neanche così rara” aveva cercato di sdrammatizzare da altra parte lo sconosciuto interlocutore, “Io quando mi sono confessato a Jake Mason ci ho beccato un infelice due di picche, ci fossero state le scale antincendio in quel momento” aveva aggiunto. “Etero, gay o bisessuali tutti ci siamo beccati un rifiuto” aveva risposto con un accenno di risata il ragazzo dall'altro lato del telefono.
Aveva un tono scanzonato e senza che riuscisse a controllarsi, Nico aveva sorriso appena, grazie al ragazzo dall'altro lato del telefono. “Io sono qui se avessi voglia di consigli o di storie patetiche puoi chiamarmi quando vuoi” aveva aggiunto lo sconosciuto.

Will, s'era perso nei pensieri Nico, pensando fosse un bel nome, da associare anche ad una voce interessante. Chi sa come era, chi sa quanti anni aveva, se era moro o biondo, se somigliava a Percy o …?
Non si era neanche accorto del fatto che la macchina si fosse accostata, fino a che lo sportello si era aperto a sorpresa. Nico aveva avuto modo di vedere la figura di Jules-Albert che con una mano teneva aperta l'imposta e con l'altra sosteneva una pala, “Ma che …?” aveva bisbigliato lui confuso, “Ei, ci sei ancora?” lo aveva richiamato Will dall'altro capo del telefono, “La sua pala, seigneur” aveva soffiato quello stoico come Lurch*, “Si … ehm ...” aveva bisbigliato non sapendo cosa dovesse fare in quel momento, tra il suo autista che lo prendeva alla lettera e, cielo, da dove lo aveva tirato fuori una pala? E Will dall'altro capo del cellulare.

“Siamo a casa dai Grace” aveva precisato Jules-Albert indicando lo sguardo la palazzina a schiera, dove il suo amico abitava, Nico aveva annuito, scendo fuori dalla macchina, con sempre l'orecchio premuto sul telefono dove Will stava blaterando sulla pala, avendo dovuto sentire il suo autista, “Uhm … ti richiamo dopo” aveva bisbigliato Nico scendendo dalla macchina e prendendo con la mano libera la pala, “Ci conto sconosciuto delle scale antincendio” aveva aggiunto Will con una risata allegra. Lui era arrossito appena, non essendosi neanche reso conto di quello che aveva detto, “Nico, il mio nome è Nico” aveva confidato poi, con un po' di coraggio, “Nome importante” aveva risposto l'altro.
“Devo andare” aveva bisbigliato lui alla fine, continuando a guardare la pala, “Chiamami” aveva risposto Will, con una risata appena trattenuta, prima che Nico chiudesse il telefono.Stava sorridendo come uno scemo.

“E con la pala, Seigneur?” aveva chiesto l'autista, “Chiederò a Jason di seppellirmi” rispose secco lui, pensando quanto surreale era stata quella giornata.

 

 

 

*Maggiordomo degli Addams

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Di serenate poco gradite e propositi omicida ***


 

Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: Di serenate poco gradite e propositi omicida
Prompt: #18 Sono un artista di strada e tu ti lamenti perché suono sotto casa tua di notte!AU (Travis/Katie)
Personaggi: Travis Stoll, Katie Gardner (Citati: Clarisse La Rue, Silena Beaugard, Charles Beckendorf, Connor Stoll, Miranda Gardiner, Butch e Clovis)
Paring: Tratie (Charlena!Minor)
Rating: Verde
Warning: Modern!AU/NoCamp!AU(?) (College!AU)
Beta: Nessuna
Note: Ed era ora che tirassi fuori qualche Vecchio Personaggio e la Tratie è Amore. E mi chiedo spesso se RR quando ha descritto l'antagonismo dei due si aspettava che metà fandom ci ricamasse sopra storia d'amore?
La scena dei Coniglietti Pasquali al Cioccolato è un chiaro richiamo agli attriti tra Connor/Travis e Katie nel libro. Ed il soprannome KitKatie – che secondo me è geniale – non è una mia invenzione, ma viene da una fanfiction che ho letto una vita e mezza fa inglese di cui non ricordo neanche il nome, ma era troppo bello per non poterlo utilizzare.
Rigrazio kuma_cla per aver recensito (e detto che sono stata originale) e le chiedo perdono per non aver trovato una beta, visto che quella che “uso” abitualmente per le long è presa da 1478 pagine di un libro di Algebra.
Sempre grazie a CampMezzosangue e per i Prompt vedere QUI.



 

Di serenate poco gradite e propositi omicida

 

 

 

 

Katie Garden premette il cuscino sulle orecchie. Frustrata, stressata ed parecchio incazzata. Forse in parte anche ammirata, non credeva qualcuno sapesse intonare la Cavalcata delle Valchirie con un violino, era da lodare questo. Lo avrebbe fatto anche, se non fosse stato le due e quaranta di notte.
Era una settimana stressante quella, precedeva giusto la sessione estiva e Katie non poteva credere che un artista di strada si fosse piantato sotto il suo palazzo a suonare musica a tutte le ore del giorno e della notte – e che nessuno dei suoi vicini trovasse la cosa sconvolgente.

Si girò un'altra volta nel letto, con le mani piantate sui cuscini per tamponare le orecchie ed acuire il suono. Faceva un caldo infernale, doveva dare degli esami e quello suonava nel cuore della notte. L'avesse fatto per guadagnare dei soldi, anche se di notte sarebbe stato alquanto surreale, ma era lì solo per la gloria, Katie lo aveva scoperto uno dei primi giorni che il ragazzo s'era piantato lì.
Lei tornava a casa con le buste della spesa ed il ragazzo se ne stava ai piedi delle scale, con il violino incastrato tra la spalla ed il mento appuntito, un aspetto leggermente elfico, con una zazzera riccia e dei luminosi occhi azzurri. Occhi che Katie non aveva trovato assolutamente incantevoli.
Per dargli una banconota di un dollaro aveva anche dovuto posare la spesa, “Non ci serve signorina” aveva soffiato lui, senza smettere di intonare con l'archetto Yellow Submarine, “E' solo per la gloria” aveva soffiato divertito, con un sorriso da gatto del cheshire ad illumargli il volto.

 

Nelle settimane a seguire, Katie aveva avuto modo di conoscere il violinista, si chiamava Travis, aveva un fratello minore, una situazione famigliare incasinata e qualche problema di cleptomania. Un giorno le aveva regalato anche un coniglietto pasquale di cioccolato, anche se non era pasqua e qualche giorno prima Katie gli aveva detto di essere intollerante al lattosio.
Nonostante tutto, Travis non era stata una personalità spiacevole con cui avere a che fare, una volta si erano anche divisi un caffè, sulle scalette che conducevano alla porta del suo palazzo. Aveva offerto Travis con i soldi delle esibizioni, “Cappuccino di soia! Sono stato bravo” aveva scherzato con un sorriso malandrino sulle labbra e gli occhi azzurri giocondi, Katie aveva ribattuto che non pensava che quello si facesse pagare, ma Travis aveva ribattuto che non accettava soldi dalle belle donne.
Quando lo aveva raccontato: Miranda, la sua sorellastra, si era quasi strozzata con il caffè, Clarisse aveva continuato a mangiare i dolci che s'era comprata e Silena aveva sorriso come una bambina in un negozio di caramelle, “Ha una cotta per te” aveva trillato allegra, “Praticamente ti fa una serenata ogni notte” aveva aggiunto tutta eccitata, mentre i suoi occhietti chiari cominciavano a filmare nella sua mente già gli esiti di un futuro roseo con matrimonio annesso. Silena desiderava un'amica fidanzata solo per poter fare le uscite a quattro con il suo ragazzo Charles ed un'altra coppia.
Katie si era sentita lusingata, ma poi quello lì s'era messo a suonare anche di notte – e quando il fratello minore, terribilmente simili, si accodava con l'armonica – e Katie aveva cominciato a rimpiangere che l'Omicidio fosse illegale.
L'Inno alla Goia era salito su fino al suo piano, il vetro della finestra non era riuscito ad isolare la stanza, nonostante Katie avesse acconsentito a chiuderla, e morire di caldo, per avere una notte silenziosa. Lanciò il cuscino contro la finestra in un impeto di rabbia e frustrazione, “Dannazaione Stoll” strepito – o forse ringhio – Sentendo la rabbia salirle nel petto con una forza inaudita.

 

Si sollevò dal letto incazzata come una iena, dirigendosi a passo di carica verso la finestra, la tirò su con forza, affacciandosi, abitava al sesto piano di una palazzina non molto moderna, con un ascensore malandato forse dei primi del secolo, fatta di mattoncini rossi. La sua finestra dava proprio sulla strada, sull'ingresso e su Travis, fu il suono a condurla verso la zazzera bruna del giovane che la vista, rallentata dalla distanza e dalla luce soffusa dei lampioni. “Travis! Travis! Per l'amor di Dio piantala!” strillò. Ma il violino di Travis superava gli acuti di Katie.
“Santissimi numi” ringhiò arrabbiata, tirando giù la finestra e puntando fuori dalla sua stanza, aveva attraversato il corridoio senza essersi curato di Clovis che dormiva nella stanza accanto – nonché fosse un problema, l'unica sveglia che poteva avere effetto era quella biologica – dirigendosi in salotto, afferrando le chiavi dalla ciotola sulla pensola vicino alla televisione. Butch non c'era o avrebbe mandato lui, con i suoi addominali da otto giorni su sette in palestra, che avrebbero azzittito Travis. Aveva attraversato il soggiorno ed era uscita sul pianerottolo chiudendosi la porta alle spalle con un sonoro tonfo, non preoccupandosi se avesse svegliato qualcuno.
Dirigendosi verso l'ascensore.

 

Quando era uscita dalla porta d'ingresso una leggera brezza l'aveva colta di sorpresa appena, “Travis!” strillò come una cornacchia, attirando l'attenzione del ragazzo che s'era voltato immediatamente, “Se non la pianti con quel maledettissimo violino te lo ficco giù per la gola” aveva ringhiato come una belva, puntandoli il dito contro. Il ragazzo aveva smesso di suonare ed aveva abbassato il violino, gli occhi azzurri erano spalancati dallo stupore, ma lo erano rimasti per pochi momenti, prima di riprendere il solito aspetto da cheshire, “Oh KitKatie sapevo che questo sarebbe successo!” aveva esclamato sornione, leccandosi le labbra.
Katie aveva ancora il dito puntato contro di lui, un espressione infuriata ed aveva sceso i tre gradini del portico, quando aveva realizzato le parole del ragazzo, “Eh?” aveva chiesto confusa, Travis aveva sollevato le sopracciglia, l'espressione dipinta sul viso di uno che la sapeva lunga, mentre la radiografava, allora Katie aveva abbassato lo sguardo sul suo corpo, era a piedi nudi, indossava una striminzita vestaglia da notte.
“Oh!” aveva esclamato finendo per sedersi sulle scale esterne, “Giuro che ti odio” aveva strillato lei, con il viso nascosto tra le mani. “Posso sdebitarmi facendo Pancake, sono davvero bravo” aveva scherzato Travis.
“Smettila di suonare di notte” aveva ringhiato lei, aveva spostato appena le dita dal viso per osservare l'espressione divertita sulle labbra di Travis.
“Certo … infondo il mio scopo l'ho raggiunto”

Katie lo avrebbe ucciso un giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Figurativamente: un'autostrada per l'inferno ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: Figurativamente: un'autostrada per l’inferno
Prompt: #11 Bloccato in autostrada a fare l’autostop!AU (Chris/Clarisse)
Personaggi: Chris Rodriguez, Clarisse LaRue (Citati: Michael Yew, Will Solace, Silena Beauregard, I Fratelli Stoll, Charlie Beckendorf, Nico DiAngelo, Favonio, Piper McLean e Annabeth Chase)
Paring: Chrisse (Charlena!minor, solangelo!minor, Michael/Clarisse!minor)
Rating: Verde
Warning: Modern!AU/NoCamp!AU(?) Autostop!AU
Beta: Nessuna
Note: Allora, finalmente dovevo scrivere prima o poi della mia coppia preferita … però credo di non aver reso bene neanche un po’.
Però ho dato loro il prompt più bello e a cui sono più legate, perché … be … i miei genitori si sono conosciuti così, quindi alla fine i Chrisse si sono vinti l’Autostop, per ovvie preferenze.
E credo che questa ff non sia un granché perché tra tre giorni ho un esame e davvero non ho idea del perché io stia scrivendo una storia anziché studiare, considerato che non so nulla. Ma va bien …
Ringrazio di cuore tutti coloro che seguono/preferiscono/leggono.
Ringraziamo sempre CampMezzosangue per l’iniziativa e qui potete trovare i prompt.
Buona Lettura
 







Figurativamente: un'autostrada per l’inferno





Un giorno Clarisse La Rue avrebbe ucciso Silena, ma non era quello il giorno – perché nonostante tutta la sua tenacia Clarisse si era purtroppo abbattuto all’idea che difficilmente sarebbe riuscita ad arrivare a Palm Bitch* per un orario che non fossero le tre del mattino.
Aveva un idea ancora abbastanza positiva, contava di arrivare almeno, un altro paio d’ore e probabilmente si sarebbe arresa a farsela a piedi. Ma prima o poi sarebbe arrivata ed avrebbe ucciso quella che si spacciava per la sua migliore amica.
Dei Clarisse odiava la California e non riusciva a capire come potesse Silena amarla tanto da volerci vivere.
Per di più lei non doveva neanche esserci a Palm Springs quel giorno, ma non era riuscita a reggere gli occhi da cucciola bastonata di Silena in WebCam.

Sbuffò. Era ancora seduta sul cofano della sua vecchissima impala con i gomiti puntellati sulle ginocchia, dove i jeans erano strappati e la bandana stretta sulla testa impregnata di sudore, faceva un caldo boia. Aveva abbassato lo sguardo verso il suo telefono, la batteria era morta – quella era colpa sua, ma si sentiva in dovere di voler dare nuovamente la colpa a Silena.


Era rimasta bloccata su una strada dove le macchine passavano … be, non passavano; il motore della sua meravigliosa macchina aveva deciso di abbandonarla proprio in quel momento dopo anni di onorato servizio ed il suo telefono si era sentito stranamente empatico da volerla seguire. Silena d’altro canto Clarisse poteva immaginarla dare di matto perché non era lì – poteva anche dare di matto, tanto l’avrebbe uccisa.
Clarisse pensò macabra che aveva fatto bene, quando aveva cominciato quel viaggio a mettere come colonna sonora Highway to Hell, anche se era stato fatto più per la destinazione in se che per qualche presagio di quello sfortunato viaggio.
Ma non poteva lamentarsi, infondo, il fato aveva decisamente un senso dell’umorismo che lei sembrava condividere.
Clarisse era scesa dalla sua macchina, lanciandole uno sguardo truce, si sentiva tradita da quel meraviglioso gioiello, non dopo tutti i dannati lavoretti di casa che aveva dovuto fare per convincere suo padre a lasciarla a lei anziché ai quei due inetti dei suoi fratelli maggiori. “È tutta colpa di Silena” canticchiò, pensando che le avrebbe dovuto far pagare il conto del meccanico alla fine, o tanto ci penserà Charlie, aveva pensato.

Si era messa all'angolo della strada ed aveva allungato un braccio con il pugno chiuso ed il pollice alzato, per fare l’autostop. Sperava di avere la stessa fortuna che avevano avuto Nico Di Angelo e Will Solace che avevano incontrato un tale Favonio che gli aveva accompagnati per tutta la Rout 66.  Quando Will aveva annunciato di volersi fare l’America in sacco a pelo con il suo ragazzo, Clarisse ne era stata incredibilmente ammirata, mentre Michael l’orribile fratello di Will aveva espresso tutto il suo dissenso, stupida faccia da furetto. E pensare che Silena aveva cercato di combinargli un appuntamento per tutti gli anni del college.
C’erano volute un bel po’ di tempo prima che una macchina si decidesse a fermarsi – per un micro istante Clarisse si era spinta ad invidiare di non essere come Piper o Silena per cui una macchina si sarebbe fermata i primi cinque minuti, poi era ritornata in se e si era ricordata di quella volta che si era smarrita per i boschi durante un escursione del campeggio con Annabeth Chase da ragazzine. Non era la bellezza che faceva tirare avanti il mondo, ma solo una volontà di ferro e Clarisse sarebbe stata con il braccio alzato per ore – anche sotto un caldo soffocante – se questo fosse stato necessario.

Poi una macchina s’era decisa a fermarsi, il primo attento pensiero di Clarisse era che fosse  una mustang d’epoca e questa la rendeva vagamente più incline al pilota, sperava non fosse un serial killer o che altro, se così fosse stata Clarisse avrebbe dovuto dar sfoggio alle sue abilità che le avevano fatto guadagnare il titolo di campionessa di wrestling del liceo.

“Hai bisogno di un passaggio, chica?” aveva chiesto il guidatore, era giovane, forse aveva la sua età, era ispanico, aveva gli occhi castani luminosi ed era piuttosto attraente, tanto da lasciarla stupita per qualche istante. “Faccio l’autostop per hobby, guarda” aveva borbottato sarcastica lei, posando le mani in vita, un espressione abbastanza irritata sul viso.
Chi mai avrebbe fatto l’autostop se non avesse avuto bisogno di un passaggio?
(Forse i fratelli Stoll, ma solo per mettere in atto il tentativo di derubare il guidatore)
“E non chiamarmi Chica” aveva rimarcato Clarisse con una certa rabbia, il ragazzo aveva sorriso – anche il sorriso era bello – ed anche piuttosto calmo e rilassato, come se il tono aspro di Clarisse gli fosse scivolato addosso come acqua piovana. “Dovresti essere più gentile con chi potrebbe evitarti di stare sotto il sole cocente in una strada dove passa una macchina ogni morte di papa” aveva fatto notare lui, ma nonostante le parole non aveva usato un tono sarcastico, anzi sembrava un consiglio piuttosto spassionato.

Clarisse aveva sbuffato, “Certo” aveva detto seccata poi, “Dove è che vai?” aveva chiesto lui genuino, “Palm Springs, ma mi accontento della prossima stazione di servizio, dove possa raggiungere un telefono” aveva risposto lei, senza guardarlo, vagamente imbarazzata.
Il ragazzo aveva appreso la notizia, aveva annuito, valutando la questione, “Sei fortunata si trova a meno di tre chilometri da qui da qui” aveva considerato quello gentile, “Perfetto” aveva sussurrato lei, recuperando lo zaino dal cofano della sua fedifraga macchina.

“Mettiamo in chiaro, se sei un serial killer o stupratore seriale, potrei spezzarti il collo senza problemi” aveva immediatamente detto lei, sedendosi sul sedile accanto a quello del guidatore, senza perderlo di vista un solo istante e non provare neanche un minimo di vergogna, anche se quel ragazzo era bello, meglio non dirlo a Silena o l’avrebbe tormentata per il resto della vita. “Wow” aveva risposto quello, “Vorrà dire che ucciderò il prossimo autostoppista” aveva sdrammatizzato lui, con una risata allegra, “Chris Rodriguerz, comunque. Quando non assassino ragazze per strada mi faccio chiamare così” aveva detto, allungando una mano verso di lei, aveva mani grandi, nocciola ed al tatto calde, mani forti, rovinate da un certo lavoro manuale, mani che le piacevano, “Clarisse La Rue, anche quando spezzo colli” aveva risposto lei, ricambiando il gesto, sorridendo – forse troppo.
“Spero ti piacciano gli AC/DC” aveva detto Chris, girando la chiave del motore per riaccendere la macchina e lasciando diffondersi nell’abitacolo era partita Highway to Hell.
E, Dio, se Clarisse non aveva riso.














* Sarebbe Palm Beach, ma con una come Clarisse LaRue non potevo non sfoggiare il gioco di parole, specie nell'immaginarmela, ferma in su un autostrada con la macchina a terra

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** DeReynabeth ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo CapitoloDeReynabeth
Prompt: #42 Forse la vita dovrebbe essere qualcosa di più della semplice sopravvivenza!AU (The 100!AU) (Reyna/Annabeth)
Personaggi: Reyna Aville Ramirez-Arellano, Annabeth Chase, Octavian, Rachel Elizabeth Dare (Citati: Percy Jackson, Luke Castellan, Piper McLean, Jason Grace, Hylla Ramirez-Arellano, Circe, Calipso, Leo Valdez, Apollo + Atena)
Paring: Reynabeth, Percabeth (Jasper!minor, Caleo!minor, Rachollo!Minor, Lukabeth!Minor, Reyce!Minor)
Rating: Giallo
Warning: The100!AU, spoiler!Au
Beta: Nessuna
Note: (ATTENZIONE, CI SARANNO UN PO’ DI NOTE)
1. La piccola premessa necessaria da fare è che io sono Bellarke e questo si è visto; questa storia è per prima cosa una Reynabeth, ma è anche una Clexa ed io odio la Clexa, quindi non ho idea del perché mi sia venuta in mente di scrivere una Clexa ed alla fine è uscita una Bellarke/Percabeth perché si ….
2. Per chiunque giustamente non conoscesse The100 come telefilm, (breve sunto che potrebbe contenere spoiler): Dopo cento anni – o giù di lì – da una guerra nucleare, la razza umana vive, sotto legge marziale, su una stazione spaziale in orbita, che comincia a cedere, così un manipolo di carcerati (tutti minorenni, visto che chiunque commetta un crimine maggiorenne è condannato alla pena capitale) vengono spediti sulla terra per “vedere se è vivibile” (Leggersi: Abbiamo bisogno dell’ossigeno che ci state rubando respirando), in totale sono 101 (100 carcerati ed un clandestino) di cui due muoiono durante il turbolento atterraggio e poi raggiunti da un ingegnere in fuga dall’arca – raggiungendo così il numero di 100(Che da il titolo alla storia) da quel momento comincia una lunga Battel Royal contro i popoli che sono riusciti a sopravvivere negli ultimi cento anni sulla terra e nel tentativo di avvertire l’arca che la terra è abitabile – anzi lo è già.
La OS è ambientata durante la seconda stagione ad occhi è croce. Prima e dopo l’Attentato di Ton DC – quando Terresti e Uomini del Cielo (gli abitanti dell’arca; che ora comprendono anche quelli che erano rimasti in orbita e non solo i carcerati) si alleano contro gli uomini del cielo.
3. Antefatti che hanno avuto cambiamenti nella mia storia rispetto la trama originale: Reyna ed Hyllia ricoprono i ruoli di Lexa ed Anya, le due nella storia non sono sorelle, ma hanno avuto un rapporto allieva-mentore, mentre Percy e Piper sarebbero Bellamy ed Octavian, che sono fratello-sorella, mentre in questa storia sarebbero BEST FRIEND FOREVER per questioni di trama. E Finn è Luke – e giustamente ho deciso di cambiare il modificare (Spoiler) la morte di Finn affinchè ricordasse quella di Luke.
E Raven poteva essere o Rachel o Thalia e alla fine ha visto Rachel #sorrynotsorry
4. Qui ho una fila dei personaggi e luoghi che ho sostituito, non tutti i personaggi sono stati uguali, alcuni sono stati adattati e possa Indra perdonarmi! [Clarke!Annabeth][Lexa!Reyna][Bellmay!Percy][Finn!Luke][Indra!Octavian][Lincol!Jason][Octavia!Piper][Maya!Calypso][Anya!Hylla][Jason!Leo][Wick!Apollo][Raven!Rachel][Abby!Atena] [Costia!Circe]
[Uomini della Montagna!Titani e Giganti][Gente del cielo!Greci][Terrestri!Romani] [I Falciatori sono Falciatori perché LOL] [Ton DC/Nuova Roma] [CampJaha/Campo Mezzosangue] [Monte Weather/Sede dei Giganti(?!?)]
5. Il titolo DeReynabeth è un gioco di parole con la classica locuzione latina dell’ablativo(?) posto nei titoli dei commentari di Cesare (Es: De Bello Gallico) ed il gioco di parole con cui i fan italiani si riferiscono a The100 con DeCento (Da cui questa pagina di FB ha tirato fuori come titoli alternativi dei photorecap DeClexa e DeBellarke) così DeReynabeth.

6. Fisicamente parlando io immagino Annabeth e Reyna davvero come Clarke e Lexa – e vi beccate anche un immagine.
7. Vorrei ringraziare di cuore AileenGrace e Farkas e chiunque abbia recensito, letto, preferito questa raccolta.
Buona lettura, ricordate sempre QUI i prompt e ringraziate sempre Campmezzosangue.
 
 


                                                 



DeReynabeth
 
 


"Quindi?"
"Quindi Percy è dentro" Annabeth lo aveva detto tremolante, gli occhi grigi vuoti e i capelli biondi stropicciati, sporca lei di fango e sangue.
Reyna aveva sospettato dalla prima volta che gli aveva visti che fossero innamorati, anche se Annabeth aveva ostentatamente ribattuto fosse stato Luke Castellan l'uomo che amava.
Aveva pianto sul suo corpo.
Ma era stato nel lasciare andare Percy che Reyna aveva visto il suo doloro.
"Non voglio perdere nessun altro" aveva piagnucolato la ragazza, con le lacrime prigioniere tra le ciglia pallide, "Siamo in guerra" le aveva risposto Reyna, con le mani incrociate sul petto. Aveva perso anche lei soldati in quella sanguinosa guerra, contro la Gente del Cielo e contro gli Uomini della Montagna. Hylla era morta, sua sorella, la sua guida e tutta quella povera gente a Ton DC, quegli innocenti.
"Quindi Percy Jackson è dentro" aveva commentato Octavian, con le mani raccolte attorno al tavolo ed il ghigno malefico sul viso, frustrato comunque per la presenza della Gente del Cielo alla sua tavola. Reyna lo sapeva, che per anni ne avrebbe parlato malignamente, che avrebbe sussurrato ad ogni dove che Heda Reyna era debole ed innamorata dei loro nemici, che era una traditrice.
Annabeth non lo aveva guardato neanche, "Cosa dice?" aveva chiesto Reyna, senza sedersi ancora nervosa, camminando quasi freneticamente attorno al tavolo; "Dice che i nostri compagni sono confinati al tredicesimo piano" aveva detto Annabeth con un tono basso, "Che ad aiutarli c'è Calypso figlia di Titano" aveva aggiunto, con un sorriso timido. Reyna l'aveva sentita parlar bene già una volta della ragazza della Montagna, che era innamorato di uno dei loro compagni, un tale Leo. "E di quel traditore di Jason Grace si è saputo più nulla?" aveva domandato Octavian, con ghigno piuttosto crudele. Reyna lo aveva frustrato con gli occhi a quell'aggettivo. "Non è tornato e Percy non ha voluto farne parola quando Piper ascoltava la conversazione" aveva rivelato Annabeth un po' tremolante, Rachel alle sue spalle con il groviglio di capelli rossi aveva sbuffato, una ragazza piuttosto determinata aveva avuto modo di comprendere Reyna. "Magari si è riunito ai falciatori" aveva scherzato malignamente Octavian, dando fiato ai pensieri che avevano animato tutti in quella stanza.
"La riunione è tolta. Quando Percy Jackson ci avrà dato nuove informazioni, potremo preparare un piano d'attacco" aveva stabilito alla fine lei, appesantita da quel compito.
Le sue due ospiti erano sembrate estremamente soddisfatte di poter lasciare quella sala e Rachel aveva già cominciato a parlare del fatto che volesse tornare a CampJaha - e che sentiva la mancanza di Apollo e doveva inventare un modo per far decadere la Nebbia- mentre Annabeth l'aveva guardata un'ultima volta prima di varcare la porta.
 
"C'era mia madre a Ton DC" aveva sussurrato Annabeth, seduta sulla sua branda, aveva i gomiti sulle cosce e le palpebre a mezza luna, un rivolto di sangue le correva lungo la tempia, era sporca non solo fuori anche dentro. "C'era Piper" aveva aggiunto, "Se le fosse successo qualcosa, Percy non me l'avrebbe mai perdonato" aveva sussurrato, coperta da un filo sottile di polvere. "Hai salvato Jason Grace" le aveva detto Reyna sedendosi al fianco, con un sorriso in parte gentile. Aveva salvato Jason Grace colpendo Michael Varus, mentre avevano dovuto spostare l'altro uomo della montagna a CampJaha dove avrebbero potuto tenerlo in vita, privando loro della Giustizia. Perché erano gente strana gli uomini del cielo, senza onore o gloria.
"Abbiamo fatto morire tanta gente" aveva soffiato Annabeth, tremava ed i suoi occhi grigi erano il riflesso di un plumbeo cielo invernale, "Se avessimo fatto evacuare Ton DC avrebbero scoperto di Percy" aveva sussurrato Reyna con un tono amichevole, gentile comprensiva. Non le importava molto di quel pazzo dagli occhi verdi, era più preoccupata all'idea che avrebbero potuto perdere la loro spia, il loro vantaggio, del singolo individuo non le importava, ma sapeva che Annabeth voleva sentirselo dire, perché amava Percy.
"Lo stiamo facendo per sopravvivere" aveva sussurrato Reyna di nuovo, posando la fronte sulla sua, sentendo il respiro sulla sua pelle e le sue labbra ad un soffio dalle sue. Le era venuta in mente Circe, la sua splendida Circe, che era stata uccisa perché Barbanera voleva farla soffrire, mandarle un messaggio, perché Circe era sua. Sua, come Luke era di Annabeth - e nonostante quello, lei era lì, con lei, sulla sua branda.
"A volte per il bene della maggioranza deve essere sacrificato il bene del piccolo" le aveva detto, perché così era stata educata lei, per essere Heda, non come Annabeth che si era ritrovata quel compito sulle spalle, maciullandole e schiacciandola con le ginocchia, con Percy come unico aiuto e Reyna capiva cosa provava all'idea di perderlo.
Lei non si sarebbe mai fatta coinvolgere di nuovo, come con Circe; "Sopravvivere è la nostra priorità" le aveva detto con la fierezza che solo una Terrestre poteva avere.
Ma Annabeth l'aveva baciata lo stesso, nella sua tenda, quella notte, coperte di sudore e cenere della morte che portavano sulla pelle.
Annabeth si era ritratta, con gli occhi grigi serrati, come se guardarla avesse fatto troppo male, troppo presto aveva pensato Reyna, Luke si era suicidato per portare pace fra loro, perché lei fosse appagata, poteva comprendere che la bionda vedendola non riuscisse a scorgere null'altro che il mostro che le avesse portato via il suo cuore.
"Forse la vita dovrebbe essere qualcosa di più della semplice sopravvivenza" le aveva bisbigliato Annabeth, alzando le palpebre. Per questo, Annabeth, baciami.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** “Ci faccio un'offerta che lui non può rifiutare”-cit. ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: “Ci faccio un'offerta che lui non può rifiutare”-cit.
Prompt: #5 lo so che ci odiamo, ma un matrimonio sarebbe conveniente per entrambi!AU(Leo/Khione)
Personaggi: Leo, Khione (Citati: Lou Ellen, Cecil, Jason Grace, Piper McLean, Thalia Grace, Hazel Levezque, Esperanza Valdez, Sammy Valdez, Calypso, Percy Jackson e Cymopoleia)
Paring: Khileo(minor!Jasper, minor!Lou/Cecil, minor/OneSide!Caleo)
Rating: Verde
Warning: Modern!AU/NoCamp!AU(?)/ COSEBRUTTE!AU
Beta: Nessuna
Note: Si. Ho esagerato, chiedo umilmente perdono. Questa coppia è indecente, ma si prestava piuttosto bene ed il finale è molto meh … ma Leo ha una certa intregrità e mi fido di lui, invece so che Khione non la ha, quindi si le ho fatto fare davvero la donna di facili costumi. E OK … E non è ok.
Spero rispetto alla OS precedenti di far sta volta ridere (alla precedente non potevo; The100 senza Angst è un po' come giocare a Tre Sette a Perdere con una Napoli a Bastoni ed un Ottimo Gioco di Tre, ovvero: Non c'è verso).
Cecil-Leo-Jason come coinquilini era qualcosa che era stata presentata già nella seconda os, così come Calypso loro vicina. Il veganismo di Calypso era anche stato accennato in quella stessa os, ma ripreso anche nella quarta. (Sebbene le storie siano slegate, volendo questa potrebbe essere antecedente di poco alla seconda, volendo).
Mi sono resa conto di non aver ancora scritto nulla sua Percabeth, miei dei xD.
Buona lettura, spero possiate – nonostante la coppia – apprezzare.
Ringraziamo sempre CampMezzosangue per i prompt, che potete trovare qui.

 

 

Ci faccio un'offerta che lui non può rifiutare”-cit.

 

 

 

 

Leo si stava dedicando a farsi una tisana di erbe, che con molta gentilezza Lou Ellen – la non-ragazza di Cecil – aveva lasciato l'ultima volta che era stata lì. Non apprezzava molto stare da sola, era un vero animale da compagnia, ma la verità era che quel giorno di starsene in pigiama nel salotto del suo appartamento gli dava una certa serenità. Jason era fuori con Piper, come era giusto che fosse, Leo si sentiva piuttosto soddisfatto, e forse anche in parte stordito, dalla sua abilità di combinare coppie e innata capacità di sistemarsi, visto i suoi non-progressi con la vicina di casa. Mancava anche Cecil, dove fosse però lo ignorava del tutto, tra lui ed il suo coinquilino funzionava così: non-chiedere, non-dire. Ed era meraviglioso.
Tè bollente, plaid e Come è fatto?(1) in tv, accompagnato da qualche messaggio stupidito di Percy sul gruppo di whatsApp: Gli eroi dell'Olimpo, Leo si sentiva particolarmente soddisfatto di quel nomignolo. Si mostrava come un'ottima mattinata da non spendere sui libri o altro, ma qualcuno aveva deciso di disturbare la sua meravigliosa pace. Si era alzato dal divano, posando la tazza di tè sul tavolinetto basso di vetro davanti la televisione, senza sotto bicchiere, Jason sarebbe andato fuori di testa – come si sentiva selvaggio.
Arrivò al citofono, non poteva essere Cecil che aveva perduto le chiavi, tralasciando che le aveva perse mesi fa, trovava molto più stimolante forzare la porta ogni volta. Jason? Leo si augurava per lui che non lo fosse.
“Chi è?” aveva chiesto comunque con allegria, sperava non fosse qualche splendida ragazza, tipo Hazel o Thalia, che lo spingesse ad indossare qualcosa di più decente da mettere e ridare una sistemata alla casa, magari era Calypso che aveva bisogno di qualcosa. Questo lo aveva fatto sorridere come uno sciocco.
Dal citofono era venuta una voce femminile e per quanto fosse irritata non era quella della sua vicina bella come il sole. “Valdez” glaciale.
“Ah! Khione” aveva sussurrato, abbattuto. “Mi fai salire?” aveva chiesto scontrosa la voce, Leo era davvero tentato di non farla entrare, ma sua madre gli aveva insegnato ad essere galante con le donne. “Sali” aveva sbuffato, premendo il pulsante con la chiave, decisamente tetro.
Aveva aperto la porta e se ne era tornato a sprofondare sul divano recuperando la sua tazza di tè, Khione non meritava neanche che fingesse di essere splendente. “Ora ci vorrebbe un churrus” commentò, con voce cupa mentre aspettava di vedere la figura della sua sgradita ospite apparire sulla soglia.
Leo aveva un sacco di aggettivi da affibbiare a Khione, alcuni suggeriti anche dalla sua amica Piper, ma si sentiva sempre mortalmente incolpa che ogni volta che lo vedesse il primo fosse sempre: stupefacente.
Era anche vero che la ragazza era un po' come un trip di acidi andato male.

 

Khione era emersa sulla soglia, aveva fiocchi di nevi e cristalli sulle spalle e nei capelli corvini, indossava una giacca pesante e foderata, probabilmente era l'unica persona nel creato a poter star bene con un abbigliamento da pinguino infagottato, ma sembrava essere a suo aggio. “Non mi offri un caffè, un tè?” aveva domandato lei, fissandolo severa con gli occhi scuri, “No” aveva risposto Leo avvolgendosi ancora di più nel plaid con i fulmini di Jason. La ragazza lo aveva offeso in francese, anche se era una lingua gentile, Leo era piuttosto certo che le parole pronunciate non fossero state molto carine. Khione si era sfilata guanti, sciarpa e giaccone per appenderlo sull'uomo morto senza aspettare il suo invito. Era una stronza, ma una bella stronza. Indossava una lunga maglia bianca di lana, abbastanza aderente, che lasciava intravedere il ventre piatto ed il vaccino spezzato. “Come hai scoperto dove abito?” aveva domandato Leo, bevendo un sorso del suo tè, ormai si era raffreddato e non gli ustionava più la lingua, peccato adorava le cose calde.
Khione aveva alzato le spalle, erano sottili, femminili – un po' come le su, insomma - “Sono brava a trovare le cose mi interessano” aveva risposto lei, ferace. Si era accomodata al suo fianco, con le gambe chilometri accavallate, gli occhi truccati perfettamente magnetici, puntanti suoi suoi. “Stai cercando di sedurmi?” aveva domandato confuso, mentre Khione allungava le mani per toglierli la tazza. “Potrei” aveva risposto lei tutta accattivante, come sapeva fare quando voleva qualcosa, Leo si stava ancora chiedendo come si fosse ritrovato ad intrecciare la sua vita con quella della giovane.
“Ma se una volta mi hai rovesciato una granita addosso perché ti ho detto che eri caliente” aveva detto d'un fiato Leo, mentre osservava Khione sistemare la tazza sul tavolino, con un sorriso piuttosto dolce e finto ghiacciato sulle labbra, “Cosa vuoi che ti dica: ho commesso molti errori” aveva ripreso tutta leziosa. “Vuoi un te?” si era lasciato sfuggire Leo – Piper lo avrebbe ucciso. “Meglio il caffè” aveva risposto lei.

 

Era voltato mentre avvitava ancora la macchinetta del caffè, lamentandosi nella sua testa di non avere i bicipiti di Jason e l'abilità della chiusura ermetica. “Tu sei nato in America o tua madre ti ha fatto passare il confine nascosto in una cesta di focacce?” aveva domandato Khione, seduta sullo sgabello che dava sulla penisola di marmo, “Adoro il tuo razzismo da americano medio” aveva risposto mentre accendeva il fornello a gas con un certo nervosissimo, “Sono nato qui, i Valez vivono in America da generazioni” aveva risposto poi con un certo orgoglio. Ricordava quando sua madre si fermava a raccontare di come il suo bisnonno Sammy con i suoi genitori era riuscito a passare il confine. Racconti da brivido.
“Sono contenta che tu non sia un clandestino” aveva commentato Khione, con quella sua secca autorevolezza. Davvero Leo si chiedeva come era finito ad avere a che fare con la versione cattiva di Elsa – le mancava giusto di poter lanciare ghiaccio dalle mani. “Ehm … grazie?” aveva risposto lui, voltandosi finalmente verso di lei e caffè sistemato sulla macchinetta.
Khione sorride in una maniera un po' perversa, “So che non andiamo esattamente d'accordo” aveva ripreso quella, leggermente diplomatica, “Tu mi odi” aveva risposto Leo in automatico, “Ed il sentimento è ampiamente ricambiato” aveva messo in chiaro lui. La ragazza non si era affatto fatta scoraggiare, neanche un po'. “Lo sai, no, che io sono nata in Quebec?” aveva domandato retorica Khione, Oh il Canada patria idealistica di persone sempre gentili a detta almeno di Robin Scherbatsky(2) – come diamine c'era uscita Khione? Si chiedeva allora.
“Allora mio non-clandestino Valdez ha già trovato una fidanzata?” aveva domandato Khione, mentre osservava il caffè cominciare ad uscire dalla macchinetta, se avesse bevuto qualcosa a Leo sarebbe andato di traverso. Aveva pensato a Calypso che gli offriva pasticcini vegan e biologici e … “No” aveva risposto con leggero imbarazzo, mentre toglieva la macchinetta dal fuoco e spegneva il gas, meditando di darsi fuoco nel mentre, glielo aveva detto Khione che non avrebbe mai trovato una donna.

“Ma è fantastico” aveva detto. Ecco appunto. Leo le aveva versato il caffè in una tazzina con sguardo feroce, “Dovremmo sposarci” aveva detto con un sorriso allegro, il liquido scuro era sbordato ma lui aveva continuato a versarlo con un espressione vacua, inondando il tavolo di caffè. “Eh?” era riuscito a bisbigliare.
Khione aveva sorriso, di zucchero proprio, “Sarebbe conveniente per entrambi sposarci” aveva risposto lei, continuando il suo discorso, “Perchè?” aveva ribattuto Leo, smettendo di versare il caffè ridestatosi dal tepore. L'altra aveva sbuffato, prima di tirare via una ciocca di capelli scuri dal viso ed afferrare la tazzina, “Su, avrai mai visto Ricatto d'Amore” aveva risposto lei sorridendo. Lea, la sorella di Percy, una volta aveva costretto lui, Jason ed il fratello a vedere quel film, ricordava, per lamentarsi di quanto erano stupidi i matrimoni forzati o combinati o in generale. “Quello della strega canadese che costringe l'impiegato a sposarla per evitare l'espatrio?” aveva domandato lui confuso, lei aveva annuito, “Sta per scadermi il visto” aveva risposto Khione con un sorriso falso sulle labbra, “Sposarci sarebbe vantaggioso per entrambi” aveva chiarito, mentre sistemava la tiazina svuotata sul tavolo doveva aveva anche steso un fazzoletto per coprire la sua macchia. Aveva le labbra sporche di caffè.

“Tu guadagni un visto, ma io?” aveva domandato Leo, confuso, forse intrigato, ma certamente scandalizzato da quell'assurdità. Khione aveva sorriso come se non aspettasse altro che quella domanda, “Oh! Non lo farei gratis” aveva detto mentre si alzava dallo sgabello, aveva afferrato gli orli della maglia lunga e l'aveva sfilata con un movimento fluido ed aggraziato, restando con la pelle nuda davanti a lui ed un reggiseno di pizzo nero (molto)vedo (e poco) non-vedo semi trasparente. I capelli scuri si erano scompigliati, ma Leo non ci aveva fatto proprio caso, la carne era debole.
“Sei una sgualdrina” aveva commentato lui, illuminato quasi, “E se accettasi lo sarei io?” aveva domandato, “O sarei un pappone?” aveva domandato avvilito. Khione si era sbottonata il pantalone dei jeans, “Mentre pensi alla tua coscienza” aveva cominciato, sfilandosi i pantaloni sulle gambe magre e toniche, “Io comincio senza di te” aveva aggiunto, lanciando i pantaloni da qualche parte assieme agli stivaletti e dirigersi in biancheria verso il divano.
No!No!No!” strillò Leo, prima di trovarsi lanciato addosso un perizoma bianco su cui i ricami ricalcavano la fantasia di fiocchi di neve.

NO. Era moralmente sbagliato.

 

 

 

 

(1) Programma di Real Time(?) che mostra l'intero processo di costruzione, dai singoli componimenti nelle fabbriche al prodotto finale di qualsiasi cosa. Lo trovavo adatto a Leo.

(2) Una dei protagonisti di How I Met Yout Mother, di origini Canadesi. Telefilm dove il Canada è sempre stata rappresentato come paradiso della gentilezza e gente fatta di zucchero filato (un po' come io descrivo l'Australia)

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** NOTPS: NonOsareTifarePerSto(Schifo) ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: NOTPS: NonOsareTifarePerSto(Schifo)
Prompt:#23 Facciamo per caso cosplay di una ship popolare!AU (PLOT TWIST: è la nostra NOTP) (Percy/Annabeth)
Personaggi: Percy Jackson, Annabeth Chase, Rachel E.Dare, Grover Underwood, Silena Beaugaurd, Thalia Grace, Luke Castellan, *ClarisseLaRue, *Juniper (Frank Zhang, Hazel Levesquez)
Paring: Percabeth (Minor!Perachel, minor!Gruniper, minor!Thalike; implicito!Frazel)
Rating: Verde
Warning: Modern!AU/NoCamp!AU(?)/Comicon!AU
Beta: Nessuna
Note: Dovrei aggiornare il Crepuscolo degli Idoli e … così ho pubblicato questo. FINALMENTE LA PERCABETH!
Doveva succedere ed è successo. Nuovamente è a tema GoT (C'è anche un prompt su GoT, ma è l'unica cosa su cui non scriverei mai, quindi), ma non temete non serva a nulla conoscerlo ed ho messo tutti i riferimenti che mi sono potuti venire in mente.
Oltre questo: Shippo Percabeth, abbastanza, ma detesto profondamente la Jon/Daenerys (Un po' come la Clexa hahah), quindi prendete tutto con le pinze.
Vorrei ringraziare chi legge, segue, preferisce e Farkas che commenta.
Pace e amore,
RlandH
Ringraziamo sempre CampMezzosangue per l'iniziativa e potete trovare i prompt qui.

 

 

 

NOTPS: NonOsareTifarePerSto(Schifo)
 

 

 

Tu non sai niente, Percy Jackson(1)” lo aveva preso in giro Rachel, mentre stringeva il colletto di finta pelliccia – era un'ambientalista/animalista lei – attorno al collo sottile. Gli occhi verdi erano vispi e leziosi. “E tu ti sei decisamente calata nella parte” aveva berciato lui, cercando di assumere una posa più dignitosa sotto i chili di stoffa a cui l'amica lo aveva costretto e la parrucca. Cielo! Quanto la stava detestando.
Grover rideva, senza neanche prendersi il gusto di fingere che non fosse così, era a petto nudo – perché in quel posto faceva caldissimo e lui si stava squagliando – sciarpa e calzoni pelosi, era vestito da fauno, anzi da Signor Tubnos(2) per la precisione. Percy non aveva idea di chi fosse, non era esperto di film, telefilm e libri; almeno sapeva da cosa era vestito lui e per lo meno non era un orso, come era capitato al Comicon di Pittsburg: Rachel si era vestita da Merida ed aveva preteso lui facesse l'Orso.
Aveva dovuto prendere il completo da Frank.
Per San Diego avevano dovuto splendere, letteralmente, ed erano finiti per essere Jon Snow e Ygritte. (3)
E almeno sapeva chi erano, questa volta.

“Grover c'è una bella Poison Ivy(4) che ti sta guardando” lo aveva pizzicato Rachel con una mano, mentre faceva con gli occhi quella cosa che sapevano fare le ragazze del NonTiStoGuardandoMaTiStoGuardando, che per Percy rimaneva una stregoneria. La ragazza citata era una bella fanciulla dai capelli biondi vestita di foglie e collant verde mela, che teneva tra le mani una parrucca rosso sangue, sorrideva verso di loro, con un leggero rossore sulle guance. “Le vado a parlare?” aveva domandato Grover tutto preso, con le spalle tremolanti e per il nervoso era un miracoloso che non si fosse messo a saltellare come una capretta.
Prima che Rachel potesse spingere Grover a parlare con la bionda, una persona gli aveva distratte, anzi due, ragazze. A differenza di lui non indossavano un cosqualunquecosafosse, come lui.
Non potevano essere più diverse: una era alta, impostata, con muscoli degni di ActionMen, braccia tatuate e crine scuro nascosto sotto una bandana rosso sangue. L'altra era sottile, dai capelli corvini, gli occhi azzurri e luminosi, evidenziati dal nero del trucco, teneva tra le mani una reflex. “Jon Snow, Ygritte, posso farvi una foto?” aveva domandato quella più delicata, mostrando la sua macchinetta, “Certo!” aveva detto Rachel entusiasta, “Metti il broncio, Percy(5)” aveva ammonito lui.
La ragazza dai capelli neri aveva scattato una o due foto, ma poi non si era allontanata, mentre l'amica, con una certa boria nella voce, gli ringraziava. “Posso farti un'altra foto?” aveva chiesto di nuovo quella, guardando solo lui quella volta, Percy aveva annuito imbarazzato, “Ma aspetta!” aveva aggiunto, prima di lasciare la reflex all'amica, “Dio! Silena dove vai?” aveva ruggito l'altra, mentre osservava l'amica sgusciare tra la gente per arpionare letteralmente una ragazza, senza curarsi fosse in compagnia di quelli che avevano tutta l'aria di essere un Darth Vader ed una donna con troppo fondotinta in faccia(6), “Thals!Luke! Torno subito!” aveva canticchiato la ragazza.

Quando Percy l'aveva vista era rimasta senza fiato, era bella. Aveva dei sorprendenti occhi grigi ed una corona di capelli d'argento, che forse non erano i suoi, nonostante le sopracciglia pallide, che le davano un aspetto aureo. “La regina dei draghi” aveva bisbigliato come un idiota, la ragazza aveva fatto una smorfia di imbarazzo, mentre continuava a tenere tra le mani un uovo di cartapesta colorato. “Una Daenerys per un Jon” aveva squittito Silena tutta euforica riprendendo la sua macchinetta, “Lui dovrebbe avere gli occhi grigi e lei viola” era stato l'amaro commento dell'altra ragazza, che aveva ottenuto un movimento lesto della mano, “Sono la mia OTP quindi: shh” aveva scherzato.
Percy non aveva idea cosa fosse un OTP.

E non era neanche sicura di volerlo sapere.
La bionda si era messo al suo fianco, “Io gli detesto” aveva confidato lui, senza smettere di sorridere per la posa, “Figurati a me neanche piace Daenerys” aveva risposto lei di rimando, con un sorriso genuino, “Ma …?” aveva cominciato lui, “La mia amica Hazel, che è scomparsa chi sa dove con un Generale Shang, fa Missandei(7), così” aveva detto quella chiara, sicura, rigida.
Frank era vestito da Shang, forse era lui.
“Percy Jackson, comunque” si era presentato, allungando una mano verso di lei, cercando di sfoderare il suo sorriso migliore, che la ragazza aveva rimandato, ricambiando la presa. Mentre si tenevano per mano, che Silena aveva scattato la foto, immortalando quel momento.

 

“A quanto pare Jon Snow e Daenerys Targaryen sono proprio una coppia popolare” aveva constato Percy prima di crollare sulla prima sedia libera che aveva potuto trovare, avevano incastrato lui ed Annabeth a fare foto per tutto il pomeriggio e non era riuscito a godersi neanche un po' del comicon. Continuavano a fermargli per fotografare lui e Rachel o lui ed Annabeth, soprattutto la seconda (O Darth Vadere e la Senatrice o Principessa Amidala?).
Percy doveva ammettere che non gli dispiaceva affatto stare così vicino alla ragazza, solo che era stancante. E la sua parrucca gli dava dando il puro sconforto.
Annabeth era si era seduta al suo fianco, l'uovo di carta pesta si era sformata e le aveva ceduto a togliersi la pensante parrucca argentea, mostrando una chioma bionda costretta sotto una retina, che poi aveva sfilato via con un movimento lesto: una chioma riccia, indisciplinata e bionda era scivolata sulle spalle nude: oh se era bella!
“E sono la mia NOTP assoluta” aveva chiarito Annabeth, “Non ho idea di cosa tu abbia detto” aveva risposto lui, con una risata da scemo, togliendosi l'improbabile parrucca riccioluta, per liberare i suoi corti capelli. La ragazza aveva sorriso, “Tranquillo: ti insegnerò io Testa d'Alghe” aveva risposto lei facendogli l'occhiolino.
“Testa d'alghe?” aveva domandato Percy perplesso ed Annabeth aveva allungato una mano tra i suoi capelli per tirare via una fogliolina che doveva essere rimasto imprigionata tra i capelli e la parrucca per tutto il giorno – infelice idea quella di essersi sistemato la parrucca sotto un albero. “Che vuoi che ti dica? È la prima cosa che mi è venuta in mente” aveva risposto lei, sorridendo.





 

1 – You know nothing(, Jon Snow) è una massima di Ygritte, il personaggio da cui è vestita Rachel.
2 – Il Satiro/Fauno delle Cronache di Narnia.
3 – Jon Snow ed Ygritte: due personaggi delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco/ Il trono di spade-Game of thrones. Una coppia di giovani amanti, ma neamici.
4 – Poison Ivy, una delle cattive di Batman (c'è una nota su di lei, nel secondo cap.)
5 – Jon Snow è un personaggio da lettarlmente: Ma 'na gioia. E non sorride mai, per questo Rachel dice a Percy di non sorridere.
6 – Darth Vader è un personaggio di Star Wars, che è più o meno noto a tutti, la ragazza con il troppo fard è invece Padme Amidala, nella versione Principessa. Un altro personaggio di Star Wars (L'amante e la moglie di Darth Vader)
7 – Missandei: la dama di compagnia di Daenerys.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Di un ordinario gentiluomo ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di

Titolo Capitolo: Di un ordinario gentiluomo

Prompt: #33 È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie!AU (Età Vittoriana!AU)

Personaggi: Luke Castellan, Annabeth Chase, Percy Jackson, Connor e Travis Stolls, Thalia Grace, Katie Gardner, Silena Beugaurd, Clarisse LaRue, Chris Rodriguez, Will Solace, Nico DiAngelo, Hazel Levesque, Ermes, Reyna Avilla Ramirez-Arellano(Citati: Dionisio, Crono, Artemide, Atena, May Castellan, Lacy, Mitchell, Nyssa, Aress; implicitamente: Poseidone, Charlie + un botto di gente, che non ho davvero tenuto il conto)

Paring: Lukabeth, Thalike, Percabeth, Tratie, Luna!oneside ( minori: pernico!oneside, solangelo!implicito, Thalyna!MoltoImplicito, Reyctavian!Forse, Charlena!implicito, Mitchell/nyssa(?) )

Rating: Giallo arancio, forse

Warning: NoCamp!AU(?) VictorianAge!AU, Luke!Centric

Beta: Nessuna

Note: Come sempre vorrei ringraziare Farkas (Lo so avrei dovuto fare la Charlena e prima o poi la pubblicherò)
Allora io dell'Età Vittoriana non ne so nulla se non Emma di Jane Austen e Grandi Speranze di Dickens (In quanto a letteratura). E basta, davvero l'ho scritta in base ad una serie di stereotipi ed ho “creato” un età vittoriana più libertinaTutta questa malizia era praticamente un tabù) specie per come venivano trattate le donne di colore (Perchè diciamolo credo che la visione “crude” della Ragazza del Dipinto, sia comunque troppo buonista, figurariamoci la mia).
Rispetto le altre, la storia non racconta di un sigolo momento, ma è in tutto è per tutto un racconto su uno scapolo che – non – cerca moglie (ho una versione favolistica di questo) in oltre a è molto meno incentrata sul paring poiché il Prompt era davvero libero, che alla fine è uscita un racconto breve su uno pseudo Luke Vittoriano e non lo so. All'inizio doveva solo essere Lukebeth, ma poi la Thalike che era in me ha preso in sopravvento e si è venuto a creare questo strambo triangolo, ma senza Percy mi sembrava incompleto, così c'è finita la Percabeth, che ha portato la Pernico e la Solangelo ed un certo punto mi sembrava di scar scrivendo una storia in Epoca Vittoriana vera e propria e allora mi sono fermata. Riguardo la sciarada finale (si ho provato a scrivere una sciarada, si ho fatto schifo: ho messo la soluzione nella stessa sciarada non mettendo in corsivo determinate cose – ho inserito la sciarada perché Emma fa sempre sciarade).
Annabeth ama la cultura italiana perché si ed è molto meno classicista che nei libri, perché l'epoca vittoriana era di estremo progresso ed Annabeth la vedevo molto buona come “illuminista” e poi non lo so è solo un insieme di cose a caso buttate lì per far scena e far andare avanti una pseudo trama.
Eh ciao.

 

Buona Lettura,

RlandH

 

ps- Sempre grazie a CampMezzosangue ed i loro prompt.




 

 

 

 

              Di un ordinario gentiluomo

 

 

La verità era che Luke odiava le campagne con ogni fibra del suo essere. Doveva ammettere di trovare un certo piacere nell'aprire la finestra la mattina ed osservare il verde e giallo dei campi e rimirare la tenuta dove si era ritrovato a vivere, ammetteva anche che era un piacere chiudere gli occhi la notte, senza udire il rumore macchinoso della città.

Londra era un mostro di ferro e fumo che non dormiva mai.

E a Luke mancava orribilmente, quasi quanto gli mancava la sua bella madre, dagli occhi folli, che non capiva, che non ricordava, che suo padre aveva fatto chiudere in un sanatorio, quando Luke aveva solo tredici anni.

Quello aveva spezzato tutti i rapporti con suo padre, per una decina d'anni, aggravata la cosa, dal matrimonio dell'uomo con la vedova Stoll.

Quando Ermes però si era ritrovato malato a letto, aveva mandato i suoi figliastri a prenderlo a Londra, perchè potessero ricongiungersi.

Luke non ne aveva voluto sapere da principio, ancorato alla sua piccola casa, al lavoro d'ufficio, confinato in una vita che sembrava all'apparenza senza grandi speranza.

Ma lui ed il Signor Crono ne avevano tante.

Ma alla fine aveva ceduto, ricordava il giorno della partenza come un lunedì uggioso, in cui la piogerelle colpiva ogni mattonella ed era stata ritmica sul soffitto della carrozza, per tutto il viaggio.

Ricordava di aver visto Thalia prima dell'alba sorridergli alla luce di una candela. "Guarda che ritorno" gli aveva detto, mentre la osservava nuda come la terra, "Me lo disse anche mio fratello Jason, prima di andare in America" aveva risposto pratica lei, fissandolo con quegli occhi azzurri, da ricordare fulmini in una notte tempestosa.

Jason non era mai tornato. E Luke aveva capito l'antifona: io non ti aspetterò.

Forse amava di Thalia che fosse una donna così intraprendente e solitaria.

 

 

Anche lui non era tornato, la malattia di suo padre s'era protratta a lungo ed i suoi fratellastri l'avevano supplicato - spinto all'esasperazione, sarebbe stato corretto dire - di occuparsi delle finanze della casa. I Castellan erano una famiglia piuttosto benestante nella campagna, mancavano però di un titolo nobiliare, qualcosa che sembrava in maniera ossessiva turbare suo padre, prigioniero sotto libbre di cotone e lana pregiata.

"Siamo stati invitati" aveva cominciato Connor con il sorriso malandrino, "Ad una festa" aveva terminato Trevis sorridente in maniera univoca. "Il baronetto Jackson che l'ha da, per celebrare il ritorno di suo figlio dalle Indie" aveva canticchiato Connor, il minore, zazzera di capelli castani e farsetto sempre spiegazzato, "Ci sarà anche Lady Katie Gardner" aveva aggiunto Travis, il maggiore, lisciandosi le mani sul panciotto a cui mancava un bottone. Luke aveva sentito nei mesi trascorsi parlare sommessamente nei corridoi di tale bella e nobilissima fanciulla, di natali invidiabile, unica erede di una fabbrica nella città londinese; aveva comunque conosciuto Travis tanto da sapere che il patrimonio della fanciulla fosse qualcosa di davvero poco interessante, era un ragazzo fin troppo sopra le righe per lasciarsi contagiare da qualcosa di così mero come il denaro.

"E quindi?" aveva chiesto lui annoiato, continuando a buttare gli occhi sulle ultime fatture, "Vorremo andare" aveva piagnucolato l'altro, entrambi lo guardavano con occhi azzurri - diversi da quelli di Thalia - "Andate" aveva risposto mogio Luke, chiedendosi perchè mai si fossero scomodati a chiedere il permesso, erano due scapestrati, che non rispondevano alle regole di nessuno. "Vorremo che venissi con noi, Luke" aveva risposto pronto Connor, con un sorriso lezioso sul viso, "No" aveva risposto secco lui. 

Quando aveva abitato a Londra Luke non aveva disdegnato le feste private, era una cultura diversa, c'erano delle pretese diverse. La campagne funzionava in maniera diversa, meno meccanica, più sentimentalismi e sviolinate, "No" aveva ripetuto nuovamente, con assoluta fermezza, con un tono di ferro e brivido.

 

 

"Vorrei che tu andassi alla festa" aveva sussurrato suo padre, era ancora avvolto sotto un bitorzolo di coperte, rosso in viso e sudato, scosso ancora dalle febbri. "No" aveva risposto Luke, sollevando gli occhi dal giornale che stava leggendo, mentre se ne stava sulla poltrona accanto al capezzale di suo padre, passava almeno un'ora al giorno con lui, anche se non parlavano mai. Luke odiava anche sentire il suono della sua voce, ma non riusciva ad essere così brutale e cattivo con un uomo malato. "Sei giovane e sei ricco" aveva cominciato suo padre a fatica, "E devo sposarmi, si lo so" aveva scialacquato lui. Le regole dell'etichetta che volevano che un uomo con un certo patrimonio si maritasse alla svelta con una buona donna di famiglia rispettabile, se poi avesse trovato anche una con un cognome nobiliare, tanto meglio. Connor e Travis erano liberi da quell'onore, nonostante fossero cresciuti nella tenuta dei Castellan, erano possessori del patrimonio del loro defunto padre e presto o tardi avrebbero lasciato tutto, casa, terre e soldi, sulle spalle di Luke, per essere liberi come volevano loro.

Avrebbero girovagato il mondo, forse sarebbero andati anche nelle Indie. Luke aveva sempre sentito parlare di quella terra nel sollevante, resoconti e racconti così carichi di magia da avergli dipinto una terra che non poteva essere vera, in confronto il griugiume della terra inglese.

Luke però di sposarsi non aveva mai avuto voglia, anche quando viveva nel suo appartamento londinese, con la carta da parati con i fiori che cedeva ed il letto cigolante, incerto sull'avvenire ma pieno di sogni. Thalia nuda tra le coperte che rideva, con i capelli sciolti sulle spalle, "Dovresti sistemarti Luke, lo sai" aveva aggiunto masticando tabacco, "Con qualche giovane donna, con una dota discreta" aveva berciato poi, Luke le aveva dato un bacio sulle labbra, con un certo vigore, "Io non mi sposerò mai" aveva stabilito.

Non avrebbe sposato neanche Thalia, di cui non sapeva neanche se aveva un patrimonio, non che a lei importasse di essere sposata o meno, viveva come governate da Lady Artemide, una ricca ereditiera con la passione della caccia, che aveva una casa di discrete dimensione nella parte sud di Londra. Si erano conosciuti ad una festa, dove il Signor Crono, l'uomo per cui lavorava all'ora lui, con cui avevano fatto grandi progetti.

Il Baronetto Jackson aveva quattro figli, tre maschi ed una femmina. La festa era di ben tornato per l'ufficiale dell'arma britannica, con indosso l'uniforme rossa, sulle spalle larghe ed i capelli scuri, occhi verdi scintillanti come smeraldi, Perseus Jackson, il terzogenito. La festa era una cacofonia di frasi fatte, musica d'archetti e perfette galanterie, un esibizionismo finto ed un desiderio morboso d'arcaismo, mentre il mondo - e l'Inghilterra che in quegli anni ne sembrava capitale, come una moderna Roma, ai tempi dell'impero - correvano con vigore verso il futuro. Luke aveva visto Travis scomparire sul balcone esterno con una giovinetta dai capelli scuri come il caffè, con un corsetto cipria con dorati ricami floreali, la famosa Lady Gardner, che quella sera si era presentata con sua cugina.

Connor era rimasto fastidiosamente appiccicato a lui, invece, per seguire le direttive di suo padre, ammalato ed ancora orribilmente fastidioso, perché gli propinasse una buona futura moglie.

Alla fine della serata, Luke aveva ballato con la cugina di  Lady Katie, con una splendida fanciulla dai capelli neri e gli occhi chiari, che era arrossita ad ogni suo complimento ed un'altra mezza dozzina di giovani promettenti.

"Silena è ricca, piuttosto bella e sua madre ha messo al mondo un bel po' di bambini" aveva scherzato Connor con un sorriso allegro, riferendosi ad una di quelle donzelle con cui aveva danzato, ma non ricordava chi fosse tra le tante. Poi l'aveva notata, al di là della sala, con una tartina tra le dita ed una corona di capelli biondi, sistemati in riccioli, vestita di un rosso profondo, che le fasciava con un abito, che non poteva appartenere alle campagne, aveva occhi grigi, seri ed intriganti.

Era stato guidato la lei come una falena alla luce, mentre osservava il profilo delicato di una madonna degna di un quadro, con le dita sottile ed una risata appena trattenuta, da un qualche commento che il giovane Perseus Jackson doveva averla fatta. Dietro il portamento di donna precisa e moderata, Luke spiava un'animosità e fanciullezza che rinfrescavano nella sua memoria qualcosa di sopito, di famigliare. Era come guardare un dipinto che s'era osservato a lungo, rendersi conto di non averlo mai guardato per davvero.

Era così incantevole, da attirare chiunque. Quando s'era accorto del suo viso, aveva abbozzato un sorriso e s'era congedata dall'ufficiale con maestra, dirigendosi appena verso di lui, con morigeratezza, come ad invitare lui a terminare gli ultimi piedi che gli tenevano distanti e lui s'era lasciato incantare.

"Luke Castellan" aveva detto con una certa sicurezza, la giovane aveva un viso tondo, la labbra carnose ed era alta, l'incarnato non era perlaceo o coperto di polvere, come era usanza per le nobil donne, ma sembrava baciata dal sole. "Me lo ricordo" aveva risposto lei, con onestà, sollevando le spalle, "Una volta vivevi qui" aveva aggiunto lei, con accondiscendenza, ricordando a Luke i brevi frammenti della sua infanzia, quando sua madre sembrava ancora così sana, in cui lui era un bambino dalle ginocchia sbucciate, amante delle cavalcate e Londra non era che una chimera in arrivabile. "Non mi riconosci?" aveva chiesto giustamente lei, davanti il viso esangue e confuso che Luke sapeva di star mostrando, "Sono Annabeth Chase" aveva risposto lei, "La figlia del pastore" si era lasciato sfuggire Luke, consapevole, ricordando la bambina che non ne voleva sapere di portare fiocchi tra i capelli e comporre delle sciarade. 

Bellina, con i capelli biondo lucenti, sette anni più giovane di lui.

"Annie Bell, come ti chiamava sempre il Signor D" aveva aggiunto poi, ricordando l'eccentrico ricco, che aveva visto tanti luoghi e mai si stufava di viaggiare, con una moglie fin troppo bella e giovane per lui, che veniva dall'oriente. "Il signor D sbagliava sempre i nomi" aveva sussurrato Annabeth con una mezza risata, mentre lo guardava con quegli occhi grigi, che da bambina non erano mai stati così interessanti.  

Luke le aveva dato ragione, alla fine.

"Il signorino Travis si è offerto di riaccompagnare le signorine Gardner" aveva detto Halcyon, il loro valletto mentre apriva l'imposta della carrozza, Connor aveva riso, con le gote arrossate dall'ebrezza dell'alcool, "Luke, la signorina Silena vi sta guardando" aveva strillato con troppo ardore suo fratello, indicando senza vergogna, una delle carrozze che lasciavano la tenuta, Luke imbarazzato aveva seguito la direzione per intrecciare il viso pallido di una delle sue dame da ballo, quella dagli occhi chiari che arrossiva spesso. Aveva rivolto verso di loro un sorriso enigmatico, mentre un giovane di colore l'aiutava a salire nella carrozza. Scomparsa alla sua vista, Luke aveva intravisto Annabeth, che indossava una mantella nera, sopra l'abito rosso, venire baciata sulle dita da Perceus Jackson, imbarazzato e sciocco. "Oh no! Luke, no! Annie è ..." aveva aggiunto, rosso sul viso, Connor, ma non aveva concluso il suo discorso, perchè era scivolato sulla carrozza preso dal sonno e dall'alcool. Luke aveva mosso il capo, di cosa fosse Annie non ne aveva saputo per quella sera.

 

“Silena vuole invitarci per un brunch” aveva interrotto il silenzio di una cena, accompagnato dal rumore delle posate e dei ghigni dei suoi fratelli, che si scambiavano occhiatacce smaliziate. Luke come sempre aveva preso l'abitudine di ignorarli, ancora pensiero per una lettera che aveva ricevuto quel giorno, nel primo pomeriggio, da parte di Londra, Thalia le aveva trovato una giovane donna interessata ad affittare l'appartamento in cui Luke aveva abitato. Non era un appartamento grande, ma era stato il suo piccolo punto di partenza … partenza tragicamente finita nell'essere ritorno nella sua casa paterna, che quando a tredici anni aveva lasciato per andare al collegio, si era ripromesso che non sarebbe mai più tornato. Era rimasto anche un po' scosso dalle parole fredde di Thalia, avrebbe voluto sentire più intimità in quella lettera, che lasciando intendere che non fossero stati loro solo due conoscenti. Si erano amati.
“Va bene” aveva risposto piatto lui; Connor e Travis erano ancora piuttosto presi dall'idea di combinargli un buon matrimonio, per assicurarsi non fosse il loro destino. “Oggi mi è arrivata una lettera di Christopher” aveva rallegrato la conversazione il loro padre, che quella serata era riuscito a sollevarsi dal letto, per aver potuto cenare in compagnia, aveva un sorriso rilassato sulle labbra. Chris era il figlio naturale del loro padre, un fratello che Luke aveva sempre molto apprezzato, nonostante i suoi naturali non certamente alti, l'aveva incrociato a Londra, che si era bellamente sistemato con una donna dal temperamento duro, che amava scommettere su qualsiasi cosa e fumava come una ciminiera. “Comunica che si sposerà la prossima primavera” aveva aggiunto il loro padre, toccandosi il volto accaldato, “Oh! Chris si sposa!” aveva squillato Travis, “Dovremmo andarlo a trovare!” aveva commentato tutto allegro, “O far venire loro” aveva ribattuto Connor.
Luke aveva immaginato Clarisse, con la camicia da uomo, che gestiva che lavorava nell'acciaieria del padre, in quell'ambiente che sembrava così favolistico, con le feste ed i pettegolezzi, un mondo che difficilmente avrebbe trovato conoscono, così come Chris d'altronde. “E presto anche Travis si sposerà” aveva sghignazzato Connor, guadagnato una gomitata dal fratello, con un espressione piuttosto risentita, “Oh” aveva mormorato il loro padre, di sicuro aveva già immaginato che sarebbe stato Luke quello che si sarebbe sistemato, anche perché era lui il figlio di sangue. “Lady Katie Gardner, immagino” aveva sussurrato Luke con un tono piuttosto vacuo, ricordando la ragazza con cui il suo fratellastro era fuggito la sera della festa, da allora Luke aveva notato che era capitato spesso che le passeggiate di Travis finissero per intrattenersi nella tenuta dei Gardner, con lunghi via vai tra i vigneti e gli orti.
“E tu, figliolo … la signorina Selina?” aveva chiesto suo padre, senza dire poi molto, “Silena” lo aveva corretto lui con un sorriso un po' tirato e le spalle rigide, per nulla a suo aggio di avere suo padre con il naso infilato nelle sue faccende amorose – o meglio matrimoniali. “E' una ragazza graziosa” aveva aggiunto poi, non era come che Silena avesse scritto lettere o qualsiasi altra cosa, si era solo limitata a sorridere imbarazzata quando si erano incrociati.
Di contatti c'erano stati invece con Annabeth, sporadici e divertenti, la ragazza si era seduta non lontana da lui durante la messa la scorsa domenica, ed avevano passeggiato assieme – con un corteo per assicurarsi non ci fossero azioni sconveniente – per le campagne. Annabeth amava la sciarada e lo aveva sfidato, così era cominciata una fitta corrispondenza di giochi linguistici che si erano scambiati, aveva sedici anni ed una mente incredibilmente alacre. Luke stava aspettando la sua corrispondenza giornaliera, quando aveva ricevuto la lettera di Thalia.
“Quando c'è questo brunch?” aveva chiesto poi ai suoi fratelli, che subito avevano sorriso malandrini.

 

La casa di Silena non era di modeste dimensione e lei indossava un abito pieno di fiocchi e merletti, che la faceva apparire più nobile della regina stessa, i capelli scuri raccolti sul retro del capo ed un sorriso luccicante, occhi così blu da sembrare violetti, si era fatta piuttosto audace nell'arpionarsi al suo braccio. “Dimmi, sir Castellan” aveva cominciato con un tono zuccheroso, “Avete un ritratto?” aveva chiesto poi, e Luke aveva trovato quella domanda estremamente scomoda,, “No” aveva ammesso lui con un certo imbarazzo, “Dovreste rimediare” lo aveva bonariamente canzonato Luke.
Erano stati guidati – lui ed i suoi fratelli – da Silena nella sala da pranzo principale, dove erano stati accolti dal suono di un violino, con una precisione fin troppo meccanica, ma ugualmente piacevole, allora Luke aveva scorto Annabeth Chase, muovere con una precisione maniacale l'arco, stridente sopra le corde, terminando la sinfonia proprio nel loro ingresso, “Oh! Lo risuoni!” aveva scherzato Connor, supplichevole, “Pagagnini non ripete*” aveva risposto impudente la bionda, con un sorriso radioso sulle labbra. Annabeth aveva abbandonato il violino e l'archetto ad un ragazzo dai capelli scuri, mentre si era diretta verso di loro, per salutarli, Luke le aveva baciato le dita, con estrema galanteria, i suoi fratelli s'erano fatti decisamente più sfacciati, nell'abbracciare la giovincella.
“Posso presentarti gli altri ospiti” cinguetta Silena, mentre gli direziona verso di loro i ragazzi sistemati sui divanetti nel salotto, mentre lo conduceva a sedersi vicino un ragazzo dall'espressione cupa, sistemato ad una bella ragazzina dai tratti del viso esotico, un incarnato molto più scuro di quanto fosse socialmente consentito, ma Luke a Londra ne aveva viste di donne di quel colore, qualcuna originaria delle indie, altre dall'Africa stessa. “Annabeth la conoscete già, questo giovincello qui è il signorino Nico DiAngelo, lui è antropologo” aveva aggiunto Silena, spettinando i capelli del ragazzo, che non ne era stato molto contento, “Archeologo” aveva commentato con una voce bassa, “Vive nelle Indie” aveva aggiunto la ragazza, Luke aveva osservato il ragazzo, era pallido come un morto, con il crine scuro a coprire gli occhi, disordinato, indossava un abito pregiato e pesante che sembrava andargli decisamente più grande, “E come sei finito qui?” aveva chiesto Luke, chiedendosi chi potesse passare dalla luminosa ed esotica india all'uggiosa campagna inglese. “Il Baronetto Jackson, ovviamente” aveva squillato Silena, ammiccando al ragazzo che occupava il posto vicino ad Annabeth, capelli neri e sorriso placido, “Ci siamo conosciuti nelle Indie ed ho invitato Nico a venire con me” aveva aggiunto quello. L'ultima invitata era Hazel, la figlia naturale del padre di Nico, capelli bronzee ed incarnato scuro, graziosa ed esotica. “Lui è il Signor Castellan” aveva aggiunto Silena, passandogli le mani sulle spalle, “I l fratellastro di Connor e Travis” aveva squillato, ammiccando ai due con il sorriso elfico, “Lady Katie?” aveva chiesto il maggiore a Silena, sotto voce, “Arriverà con William Solace da Glasgow” aveva soffiato la ragazza.
 

“Quindi scavi buche nel deserto?” aveva chiesto Luke stranamente interessato, di una carriera così avventuriera, al ché il ragazzo aveva annuito, “Nico, scrive libri d'avventura” aveva mormorato Annabeth, mentre passeggiavano assieme. Silena teneva il braccio di Luke, posata, Annabeth si lasciava guidare da Nico, ma era ella ad avere il governo. Nico era al loro fianco, sostenendo sua sorella, che silenziosa guardava il sentiero. Connor e Will parlottavano davanti a loro, solo ogni tanto il giovane da Glascow volgeva lo sguardo verso di loro, aveva capelli biondi ed un aspetto fresco, Travis e Katie si erano defilati non appena si erano incontrati , Luke gli aveva visti bisticciare allontanandosi. “Oh!” aveva esclamato interessato, c'era stato un tempo che aveva divorato libri come pane, mentre viveva nel collegio, ma aveva lasciato i romanzi, le avventure in favore della vita e degli affari, da che era tornato in campagna l'unica lettura dilettevole erano stati la sciarada che si scambiava con Annabeth, “Vorrei leggerlo” aveva aggiunto lui, “Appena avrò modo di tradurlo” aveva scherzato la ragazza dai capelli biondi, strizzando gli occhi verso di lui.
Nico era italiano ed Annabeth aveva una passione per quella terra, per la loro musica, per la loro arte, la loro lingua e soprattutto la loro architettura, “Destino vuole che alle donne non sia dato di poter proseguire questi studi” aveva ammesso con un tono piatto lei, passandosi le mani tra i capelli. Silena aveva riso con una certa freddezza, per sopperire all'imbarazzo che Annabeth aveva creato in quella circostanza, ma Luke era stato catturato da quelle parole, “Vogliamo giocare a Croquet?” aveva proposto la padrona di casa, con un sorriso energico sul viso.
La partita a croquet si era rivelata fallimentare … per Percy Jackson, ma Annabeth Chase si era mostrata una giocatrice davvero brillante, “Sarei stata di sicuro più brava con un fenicottero” aveva bisbigliato lei, mentre muoveva la mazza come un ombrellino, posata sulla spalla e la tracotanza dipinta nel viso, nessuna delle fanciulle presenti poteva essere più bella.
“Non l'ho metto in dubbio, Alice” l'aveva canzonata lui, mentre osservava distrattamente Silena insegnare ad Hazel il movimento migliore da compiere, era lodevole non vedere imbarazzo e disgusto in quella ragazza verso la straniera, Percy invece intratteneva Connor e Will in un discorso piuttosto divertente, Nico era immobile al fianco con le spalle rigide, di tanto in tanto spiava il più chiacchierone dei tre, con un rossore sulle gote.
“Lo guarda come un innamorato” aveva sussurro Annabeth con un tono leggermente intristito, “Come?” aveva risposto Luke confuso, “Nulla” era stata la spenta risposta della ragazza, mentre spostava la mazza per utilizzarla simil ad un bastone da passeggio. “Voi siete interessata a lui?” aveva domandato lui forse un po' troppo a bruciapelo, “A Nico? Non credo di esser nei suoi interessi” aveva risposto pratica Annabeth, “A Percy?” aveva precisato lui, la ragazza aveva per un attimo abbassato lo sguardo, “A che pro?” era stata la sua risposta poi.
E Luke non l'aveva capita.

 

“La sera della festa dai baroni, hai detto che Annabeth non andava bene” aveva commentato Luke, afferrando suo fratello per un braccio e portandolo lontano da Nico e Will; il biondo stava sommergendo l'altro di domande a proposito del suo lavoro, Parti spesso? Quando al prossimo viaggio? La cosa più strana che hai trovato? Domande affamate e Nico palesava la sua verogna con rossori continui sul viso. “Oh per la sua misera dota, la sua matrigna si occupata che il patrimonio fosse spartito tra i suoi figli naturali ed alla figliastra non capitasse che poche proprietà” aveva risposto chiaramente Connor, pettegolo davvero qualificato, “Per sua fortuna ha un cugino nel Galles, Magnus Chase lo conosci?” aveva domandato il suo fratellastro. Luke l'aveva visto un paio di volte, gli stessi occhi grigi di Annabeth ed i suoi capelli biondo scintillante, era un figlio illegittimo, era stato piuttosto scandaloso quando si era saputo che la sorella del parroco aveva avuto un bambino fuori dal matrimonio, “Il fratello del padre ha lasciato l'eredità al cugino ed Annabeth tutta la sua libreria” aveva spiegato Connor, “Magnus si è offerto di pagare la dote per lei” aveva soffiato, “Lei ha accettato solo per metà, l'altra era un eredità avuta da sua madre” aveva concluso suo fratello. La defunta signora Chase veniva da una famiglia piuttosto benestante, ma aveva avuto molti famigliari con cui spartire il patrimonio, che non stupiva che alla fine ad Annabeth del patrimonio degli Ergane ** non fosse toccato che qualcosa di davvero esiguo.
“Inoltre circolano storie sulla sua virtù, non più così integra” aveva ghignato il suo fratellastro, con un espressione leziosa sul suo viso ed un vero sorriso da gatto del cheshire, “Ah davvero?” aveva chiesto Luke, “Solo pettegolezzi, certamente” aveva precisato Connor.
Lui aveva osservato Annabeth, teneva tra le dita la pallina da croquet ed aveva preso a lanciarla e riprenderla con le mani, con Percy che osservava il movimento quasi ipnotico. “Non vuoi sapere i dettagli più scabrosi” aveva chiesto il suo fratellastro, “No” aveva risposto pragmatico lui, era impudente e sgradevole parlare della grazie di una donna, “Il Chi credo tu possa individuarlo” aveva scherzato quello, gli occhi azzurri smaliziati di chi doveva saperla davvero lunga.
Silena era venuta verso di loro, i capelli avevano ceduto rispetto l'acconciatura che si era fatta per la mattina e la veste si era stropicciata un po', ma continuava a mantenere un aspetto attraente, “Signor Castellan, quanto mi ha fatto piacere averla qui oggi” aveva sussurrato con voce allegra lei, impadronendosi di nuovo del suo braccio. “Ne sono stato piuttosto lieto anche io” aveva mormorato lui di rimando, osservandola attentamente, aveva un naso sottile ed un viso grazioso, “Mi sarebbe piaciuta vederla più spesso ma immagino che con un padre malato lei fosse impegnato” aveva aggiunto lei. Luke aveva annuito dandole ragione, mostrandosi per quello mortificato; Silena era bella, aveva i capelli corvini come quelli di Thalia ed anche gli occhi di azzurro pericolosamente simile, ma in tutto aveva un armonia che non sembrava colpirlo fino in fondo. Era gradevole, era gentile, non aveva pregiudizi di sorta ed una malizia ne perfida ne volgare, ma una ragazza che tollerava e per cui provava a stento un placido piacere fisico poteva essere considerata adatta ed essere una moglie?
Aveva una certa eredità e fianchi da fattrice.
“Ci saranno altre occasioni” aveva fatto notare Luke, “Si, ma sfortunatamente per qualche settimana sarò a York da mio fratello Mitchell” aveva spiegato lei con un tono di voce basso, “York” aveva sussurrato Luke, “Un bel luogo, come mai?” aveva chiesto lui giustamente, “Un lieto evento, il battesimo di mio nipote, Nyssa, la moglie di mio fratello ha preteso che venisse l'intera famiglia” aveva risposto Silena con un sorriso radioso sul volto, davvero contenta di quello. Luke sapeva la giovane avesse un certo numero di fratelli, tra il padre e la madre, l'uomo era sempre stato noto per essere stato un uomo piuttosto anonimo, mentre la donna era piuttosto famosa, era stata un'attrice di teatro di tutto rispetto e sempre molto chiacchierata.

 

Silena era partita da un paio di giorni, quando Annabeth era venuta a trovarlo. Luke era chiuso nello studio di suo padre, perso negli ultimi conti della famiglia e nell'ultima vendita di prodotti agricoli nel mercato più vicino, quando il tutto fare della famiglia era arrivato per avvertirlo che una giovane donna era venuto per riceverlo. La verità era stata che Luke aveva sperato fosse stata Annabeth dal primo momento e mascherare la sua gioia era stato un vero tormento quando l'aveva trovata all'ingresso, con le mani congiunte all'altezza del linguine, conversare placidamente con Travis.
“Lady Katerina dice molte cattiverie su di voi” stava dicendo Annabeth con un sorriso dolce sul viso, “Ma il fatto che le dica così spesso, mi fa pensare abbiate fatto molto colpo su di lei” aveva aggiunto poi, mentre Travis rideva d'imbarazzo. Luke si era lisciato le mani sul panciotto, che aveva infilato di fretta e di furia, l'unico capo d'abbigliamento che avesse indossato, di un colore perlaceo con bottoni di legno lucido, per il resto aveva un aspetto trasandato e piuttosto domestico. “Annabeth!” aveva esclamato, mentre raccoglieva le mani della ragazza per baciarli le nocche coperte dai guanti, “Luke!” aveva risposto lei, accogliendolo con un sorriso luminoso.
La ragazza aveva preferito vagabondare per il giardino esterno, anziché visitare l'interno della casa, “Voglio vederla bene prima dall'esterno” aveva risposto pratica lei, con lo sguardo curioso, occhi vispi e piuttosto belli, “Poi vedrò tutto l'interno, ogni stanza, anche la più scabrosa!” aveva ridacchiato e Luke non era riuscito a scacciare dalla sua mente ciò che aveva detto Connor a proposito della non più integra virtù della giovane. “Posso essere sfacciata?” aveva chiesto lei, mentre studiava con novizia tutti i balconi e le imposte, particolarmente interessata agli architravi e gli archi, “Dovete anche chiedere il permesso?” aveva risposto di rimando lui, “La cicatrice” aveva replicato lei, ammiccando alla deturpazione sulla guancia di Luke. Le ferite spesso influivano malamente sull'aspetto di una persona, ma stranamente il suo sfregio non aveva rovinato l'armonia del suo viso, molte donne ne erano state parzialmente interessate.
Thalia no, l'aveva baciata, ma non aveva mai neanche per un istante direzionato i suoi occhi in quella direzione, era stato Luke a raccontarle la storia, dopo essere stato dentro di lei. “Non mi interessano le cicatrici” aveva soffiato con una voce piuttosto morbida, “Ne ho tante anche io” aveva soffiato, passandosi una mano sull'addome, “Solo che non si possono vedere” aveva ridacchiato e Luke l'aveva baciata lì dove si era toccata, sulla pelle piena di lentiggini ed in ogni altro lembo di pelle, per accertarsi di scoprire tutto di quel meraviglioso corpo. “Una brutta rissa in collegio, assolutamente banale” aveva risposto pratico, non era del tutto vero, Annabeth aveva annuito, “Farò finta di crederti” aveva replicato lei, “Come?” era perplesso lui, “Con te, nulla è banale, Luke, era così da quando eravamo bambini” aveva replicato lei con una risata.
Lui ed Annabeth non erano stati proprio bambini insieme, quando lui aveva dodici anni, lei ne aveva cinque, ma era certamente la ragazzina più vivace e capace che avesse mai conosciuto, “Lo stesso si può dire di te” aveva sentito il bisogno di mettere in chiaro lui, facendola ridere.

 

Aveva mostrato alla ragazza anche l'interno della tenuta, evitando le camere da letto, sarebbe stato tremendamente inadatto ed Annebeth era stata rapita da ogni angolo della casa e Luke si era stranamente sentito orgoglioso. “Mi chiedo però a cosa, sia dovuta questa tua visita” aveva sussurrato lui, mentre si accomodavano nel soggiorno, aveva vetrate ampie che davano sui campi, “Si, si” aveva risposto lei veloce, mentre una cameriera serviva del tè, “Volevo chiederti di accompagnarmi a Londra” aveva risposto Annabeth pratica, “So che ci avete vissuto e che probabilmente la conoscete meglio di chiunque altro in questa zona” aveva risposto lei poi, posando la tazza di tè su un tavolino basso. Luke aveva annuito, sorseggiando il suo, era bollente e gli aveva quasi cotto le labbra e la lingua, “Certo, certo” aveva risposto poi, sentendo il palato impiastricciano dall'aroma di rosa, “Ma perché mi chiedo” aveva aggiunto poi.
“Sarà riprodotta un'operetta che avrei tanto piacere di vedere” aveva spiegato lei con un sorriso raggiante sul viso, battendo le mani appena. Luke le aveva sorriso, annuendo, “Perchè no, infondo” aveva risposto poi, “Speriamo di poterci andare in treno!” aveva aggiunto lei, con un tono incredibilmente leggiadro, “Ho sempre voluto prenderne uno” aveva terminato poi, sorrideva radiosa, così bella da sembrare una di quelle gran dame dei quadri.
“Ora devo proprio andare, che ho promesso ad Hazel di farmi ritrarre” aveva detto, poi per combinazione, quella, mentre recuperava il suo cappello, fiorato, sistemandolo sul crine luminoso, con un espressione un po' esasperato, “La signorina DiAngelo, dipinge?” aveva chiesto lui, “Oh! Non chiamarla così, lei lo trova molto scomodo” l'aveva rimproverato Annabeth, con le mani sui fianchi, non erano molto grandi, rispetto ad altre donne, come lei era anche molto più alta in confronto a tante altre, “Si, comunque, ed è anche molto brava, coglie l'arte in tutto” aveva aggiunto poi.

 

Il mezzobusto di Annabeth svettava su un corridoio non lontano dal suo ingresso, il viso non era una riproduzione perfetta della ragazza, ma era un imitazione molto convincente e di certo la pittrice aveva riprodotto con una minuzia non indifferente il grigiore del cielo plumbeo che si rifletteva nelle iridi dell'Annabeth in carne d'ossa. “Davvero brava” aveva risposto Luke, mentre osservava la giovane, con un soprabito scuro, farsi avanti, ticchettante, mentre uno dei suoi fratelli spostava una valigia, “Oh si!” aveva risposto Annabeth, “Dovresti vedere come ha dipinto Nico” aveva aggiunto poi, “Una bellezza degna d'un serafino” aveva scherzato raggiante. “Dovresti farti ritrarre anche tu, Silena ne sarebbe contenta” aveva spiegato pratica Annabeth, mentre un servo prendeva il bagaglio di Annabeth dalle mani del fratello per caricarlo nella carrozza di Luke, che gli avrebbe portati alla stazione più vicina, Luke detestava viaggiare in treno, ma la ragazza ne aveva espresso un certo desiderio.
Hazel li aspettava vicino la carrozza del ragazzo, indossava un vestito scuro, molto semplice, con i capelli crespi acconciati in una treccia, da quello che aveva capito Luke, la giovane donna viveva con Annabeth, vivendo sul placido confine di ospite a dama, non sembrava che quel ruolo subalterno innervosisse Hazel, probabilmente il colore della sua pelle l'aveva preparata ad essere spesso oggetto di dissensi. “Verrà anche lei a londra?” aveva chiesto Luke, non che questo lo impensierisse, “Si, già che era in inghilterra, perché non vedere Londra?” aveva ribattuto la bionda, “Questo ha spinto Nico a voler venire anche lui” aveva aggiunto, “E Will lo accompagnerà” aveva squittito, prima di rivelargli che durante una cavalcata di Percy e Nico, quest'ultimo avesse avuto una brutta caduta da cavallo, rischiando una storta e che era stato William, aspirante dottore, a soccorrerlo e da quel momento era divenuto l'ombra del giovane scrittore. “E loro dove sono?” aveva chiesto perplesso Luke, “Sono partiti ore fa in carrozza” aveva spiegato pratica Annabeth.”
“E Percy?” aveva chiesto lui, “Percy è a Londra da giorni, ormai” aveva risposto evasiva Annabeth.
“Quante probabilità ci sono che l'Operetta non fosse il motivo principale della vostra partenza?”; Annabeth l'aveva saggiamente ignorato.

 

Londra era chiassosa e grigia, un essere meccanico e di mattoncini, che si erigeva in colonne di fumo e smog. Hazel ne era rimasta in qualche modo intimorita, ma anche stupita, ma Annabeth ne era stata rapita quasi fosse stata corteggiata dal principe in persona, “Che meraviglia!” aveva detto con voce squillante. “Ultimamente si è riscoperto un gusto neogotico” aveva commentato, prendendolo a bracciato, “Ammetto di aver sempre preferito lo stile classico e rinascimentale” aveva aggiunto, “Ma sarebbe quanto mai sciocco, pretendere che l'architettura rimanga ferma, mentre il mondo scorre” aveva una voce piuttosto leggera ed anche se aveva cominciato un intensa ic sul fatto che il neo gotico fosse comunque un richiamo al passato, mentre le correnti artistiche si facevano sempre più audaci ed innovative e di quanto egli sognasse qualcosa di nuovo anche dal punto di vista architetturale, poteva ammettere che il nuovo gotico si mostrava come qualcosa di interessante. “Annebeth hai il dono di far sentire stupide le persone” aveva detto Luke, mentre aiutava il suo servitore a prendere le loro valigie. Annabeth ed Hazel avrebbe alloggiato in una locanda, la stessa in cui erano sistemati Nico e Will, da che aveva capito Luke, lui sarebbe stato da suo fratello Christopher, che si era offerto senza problemi di ospitarlo, ricordandogli però che la sua dimora non era di certo come quella dove viveva lui e Luke gli aveva ricordato come quando avesse vissuto a Londra avesse abitato in un appartamento piuttosto modesto.
La ragazza dai capelli biondi aveva sospirato, “Caso mai ignoranti” aveva mormorato lei con un sorriso del cheshire sulle labbra, “Dubito tu possa mai essere stupido” aveva precisato poi. “Nico ed il signor William!” gli aveva interrotti Hazel, ammiccando proprio ai ragazzi che erano fuori la stazione, Nico indossava una bombetta nera, un cappotto scuro ed una pipa tra le labbra, aveva la schiena posata su una carrozza, Will era vestito come un signorino per bene, con tanto di fazzoletto nel taschino, aveva alzato una mano per salutarle.
“Allora Nico! Londra come ti sembra?” aveva chiesto Annabeth, mentre il servitore sistemava i bagagli delle due giovani e Luke il suo, “Uggiosa e grigia” era stata l'apatica risposta del ragazzo, “Perfetta dunque” l'aveva canzonato sua sorella, facendolo ridacchiare. Annabeth aveva osservato lo scambio di battute dei due con un certo divertimenti, “Però è stata incredibilmente creativa, no?” aveva chiesto William con un tono piuttosto divertito, umettandosi le labbra. La bionda aveva guardato Nico con un certo interesse, gli occhi grigi illuminati dalla curiosità, “Hai scritto?” aveva domandato tutta contenta, “Oh Londra deve fare proprio miracoli” aveva scherzato Hazel sbattendo le ciglia e ridacchiando, l'interpellato aveva guardato la strada sotto i suoi piedi con un certo senso di disagio, mentre il biondo gli aveva battuto un colpetto a palmo aperto sulle spalle.
Annabeth aveva riso ancora, “Non vedo l'ora di avere le tue nuove pagine” aveva bisbigliato lei con sfacciataggine, “Devi prima finire l'ultimo libro” aveva ribattuto Nico, rosso in viso, per l'imbarazzo, teneramente imbranato. La ragazza aveva mosso le spalle, “Se non sciorinassi così tante subordinate tradurrei con molta meno fatica” aveva soffiato lei, prima di allontanarsi per raggiungere Luke. Lui si era tenuto in disparte da tutto quelle risatine.
Will si era voltato verso Nico, con ancora una mano nel centro della sua schiena, “Io proprio non capisco perché non scrivi direttamente in inglese, lo sai parlare molto bene” aveva commentato con un certo divertimento, facendo ingobbire Nico per l'imbarazzo, “Che vuoi che ti dica è lingua troppo intensiva” aveva spiegato quello, “Poi a quanto pare sono piuttosto rudimentale nella scrittura, per questo ho convinto Annabeth a tradurre al mio posto” aveva ammesso al limite dell'imbarazzo, ma Luke aveva già perso interesse in loro, per la giovane che gli si era affiancata.
“Aveva avuto un blocco nella scrittura?” aveva inquisito lui, mentre osservava Annabeth, aggiustarsi i guanti di velluto sul polso, sotto la mantella nera come la fuliggine, si intravedeva una gonna di un uno scuro bordeaux, il cui orlo si era sottilmente rovinato, sfilacciandosi, “Londra è stata una buona musa” aveva replicato lei posata. “Forse non è stata Londra” aveva fatto notare lui, mentre osservava Will aver spostato la mano dal centro della schiena di Nico, per sistemarla sulla sua spalla, in un intimo gesto d'affetto; erano ambe due più piccoli di Luke di qualche anno, ma avevano avuto avventure di quanto lui avesse mai fatto – e mai avrebbe fatto. “Hai buon occhio” aveva risposto la bionda, vorrei lo avessi anche tu, era stato il fulmineo pensiero di Luke, così improvviso ed improprio d'aver stupito perfino lui, aveva seppellito il pensiero nella parte più profonda di lui, sentendosi poi in colpa per quello. “Ti andrebbe Luke, di passeggiare, anziché andare in carrozza?” aveva chiesto poi a sorpresa lei, recuperando dal suo bagaglio l'ombrello, non aveva ancora piovuto quel giorno ma nuvole scure imperavano sul cielo, nulla di nuovo in quella rocambolesca città. Luke aveva guardato il cielo, pensato per un momento che quel colore ricordasse terribilmente le iridi della ragazza che era al suo fianco. Annabeth stava sistemando un ciuffo fastidioso di capelli biondi che scivolava sul viso, era ben lontano il meriggio da finire e loro avevano pranzato in treno, era una giornata uggiosa si, ma non sembrava male l'idea di passeggiare, “Ma non sei stanca?” aveva chiesto però legittimo. Lei aveva mosso il capo, scuotendo i capelli biondi mossi, che quel giorno d'esser costretti in una capigliatura non ne avevano interesse, “La notte è fatta per dormire, su, su” aveva esclamato, prendendogli un braccio.

 

“Quindi il nostro Chris si sposa” aveva fatto un resoconto Annabeth, quando Luke gli aveva detto del suo fratello naturale e Clarisse, prendendo atto con un sorriso piuttosto pallido. La verità sembrava un po' umiliante da ammettere, ma lui aveva rimosso che in effetti, così come Annabeth aveva conosciuto lui nella sua fanciullezza, così aveva conosciuto Christopher che s'avvicinava di più alla sua età. Chris che si occupava dei cavalli nella stalla della loro famiglia e che odiava starsene nei vestiti per bene in cui lo costringevano. “Di recente sembrano farlo tutti” aveva commentato con un tono piuttosto spento lei, “Si, dovrei farlo anche io” aveva soffiato lui, la verità era che Luke era certamente più interessato a sapere chi avesse fatto sospirare spenta Annabeth che parlare delle nozze di cui era tampinato da suo padre. “È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie?” aveva chiesto retorica Annabeth facendogli l'occhiolino, al ché Luke aveva sentito il bisogno di ridere, mentre con la mano che non era cinta dal braccio di Annabeth si aggiustava il capello sul capo, “Temo di si” aveva ammesso poi con un tono un po' lugubre.
“Silena” era stato il non molto cauto commento della giovane, Luke aveva potuto ricordare che giusto quella mattina, mentre s'apprestava ad uscire era giunta alla tenuta una lettera che portava il timbro di York, ma lui non aveva avuto per nulla voglia di aprirla. “Lei, no? Quella che vuoi sposare?” aveva chiesto poi Annabeth, con gli occhi grigi rovinosi di curiosità, sembrava brutalmente maschilista pensare che la curiosità era tipica delle donne, anche di quelle brillanti come Annabeth.
“Volere è un concetto estraneo per un gentiluomo di questi tempi” aveva risposto lui con un tono piuttosto basso; Silena era una donna davvero splendida, non solo estremamente attraente, ma anche molto dolce e con un temperamento bruciante, ma … mancava di qualcosa, non che effettivamente difettasse in qualsiasi maniera, era nel modo in cui Luke la vedeva che c'era qualcosa che non andava.
Annabeth aveva annuito, con le mani sul suo braccio, che gli sfiorava appena il gomito con i polpastrelli, avrebbe voluto non essere infagottato nella stoffa con suo cappotto, così come il desiderio che lei non indossasse i guanti. Pelli contro pelli.
La giovane aveva abbassato lo sguardo, per un secondo, soppesando bene le parole che erano venute fuori dalle labbra di lui, “Capisco” aveva ammesso, “Pensi mai al fatto di poterti davvero sposare un giorno per volere?” aveva chiesto lei, cogliendolo di sorpresa, abbozzando un sorriso appena. Luke aveva pensato per un momento ai suoi genitori e poi a tutte le coppie che aveva avuto modo di incontrare nella vita, soppesando quelli che si erano uniti per un volere superiore, per quel sentimento decantato dai poeti e gli scrittori. “Spesso, di recente” aveva ammesso poi, la verità era che Luke non aveva mai pensato di doversi sposare, figurarsi di volerlo, ma da quando suo padre aveva cominciato a far aleggiare l'argomento spesso ed i suoi fratellastri si erano incaponiti con la signorina Silena, la questione aveva preso quasi ad angosciarlo.
Aveva immaginato di farlo con Thalia, un pensiero venuto recentissimamente, mentre se la ricordava la prima volta che l'aveva vista, con la cuffietta sul capo e l'abito scuro, gli occhi azzurri che brillavano come fulmini nella notte, una fiera in gabbia. E aveva pensato di sposarsi con Annabeth, sebbene fosse stato un pensiero fugace o almeno quello si era detto.
“Abitavo qui vicino sai?” aveva domandato retorico Luke, per allontanare di fretta l'argomento delle nozze, non così imminenti che aleggiavano sul suo capo come una spada di Damocle. Annabeth aveva spalancato gli occhi, “Mi ci porti?” aveva chiesto con entusiasmo, che lui aveva accolto piuttosto bene, mentre la guidava in quella direzione, che aveva fatto un numero di volte imbarazzante, che ora sembrava stranamente sconosciuta. “Non ti manca vivere qui?” aveva domandato Annabeth mentre Luke poteva sentire il ticchettare dei suoi tacchi sulle pietre scure, “Si, la campagna mi deprime non poco” aveva ammesso poi lui, mentre si fermava davanti una palazzina di mattoni rossi, scuriti dalla fuligine e dal fumo delle ciminiere, un edificio vecchio, non molto bello e non degno di un architettura che Annabeth avrebbe apprezzato. “Ed ora chi ci vive?” aveva domandato lei, “Onestamente non lo so, l'importante che mi arrivi l'affitto” aveva risposto Luke con le spalle tese. Era stata Thalia a trovare l'inquilina, definita da lei come una rispettabile donna che forse era in cerco di matrimonio, Luke era abbastanza certo fosse una delle ragazze che aveva incontrato a Villa Diana, dove viveva Lady Artemide, l'eccentrica signora che ospitava le giovani fanciulle che arrivavano a Londra, anime perse in cerca di speranza, di nobili o umili origini, riscattava prostitute ed altre cose simili. Alcune la donna riusciva a sistemarle, con matrimoni o buoni lavori, altre rimanevano con lei come dame da compagnia o cameriere, come Thalia – lei non avrebbe mai lasciato la Signora, come la chiamava sempre.

“Speravo in qualcosa di più scenico” aveva ammesso Annabeth, risvegliandolo dai suoi pensieri, “Ma la sobrietà ti si adatta” aveva commentato lei, con le braccia sciolte lungo i fianchi, Luke aveva sorriso appena, sembrava più una specie di ghigno, “Ammetto di non esser mai stato un esteta, ho sempre virato alla praticità” aveva confessato con sicurezza, “O avrei studiato per fare l'umanista e non il notaio” l'aveva presa un po' in giro, facendola ridacchiare.
 

Chris viveva in un posto discreto, non lontano dalla zona industriale, Luke c'era stato altre volte, ma erano più state quelle in cui il fratello naturale si era fermato a dormire da lui che il contrario. “Sono contento di vederti” aveva esclamato Chris, con la camicia color pergamena, arrotolata sui gomiti e le mani coperte dai calli, per il lavoro in fabbrica. “Pensavi di esserti liberato di me, vero?” aveva chiesto retorico Luke abbracciandolo in maniera affettuosa, quando suo padre si era ammalato in maniera grave, lui era dovuto tornare a casa, lasciando tutto il lavoro che aveva cominciato a fare con il Signor Crono, un lavoro non di certo nobile e non di certo giusto, ed aveva chiesto a Chris di seguirlo, ricevendo un secco no come risposta senza alcuna esitazione. Neanche il suo mezzo fratello era stato una persona da aver svolto lavori puliti, ma da quando si era messo a lavorare per il signor Ares aveva cominciato a rigare dritto, dicendo un numero di volte che non poteva andarsene proprio in quel momento e di sicuro non avrebbe lasciato Clarisse, l'unica persona a non avergli mai fatto pesare, neanche per un momento, la sua nascita bastarda.
La verità era che anche il loro padre non aveva mai nascosto la difficoltà di dover render noto che il figlio della nutrice dei suoi figli aveva avuto un bambino che somigliava così tanto a lui, nonostante l'incarnato olivastro ed il crine scuro, chiunque guardando Chris e Luke non avrebbe potuto dire altro che fossero parenti, nonostante il secondo fosse di un pallido cereo con i capelli sabbiosi, somigliavano nei tratti elfici ed affilati.
E come per Luke era stato difficile avere a che fare con suo padre, neanche per Chris era stato semplice, come lui era finito in un collegio ed era quasi un lustro che non tornava a casa, sembrava al limite dell'assurdo che gli unici che amassero Ermes Castellan fossero i due fratelli Stoll.
Il signor Ares però non aveva mai badato al valore di nascita di una persona, era un uomo che si era fatto ricco e riconosceva il valore di una schiena sudata, della forza e del duro lavoro ed anche se si era imputato inizialmente nel non voler vedere quelle doti nel misero impiegato che faceva una corte patetica alla sua unica figlia femmina, alla fine s'era dovuto arrendere – o era stato Clarisse a farlo fare.
Quei due si erano dimostrati una famiglia all'altezza per Chris molto più di loro.

“Temo dovrai anche venire a trovarci” aveva soffiato Luke, staccandosi dall'abbraccio, mentre osservava il sorriso mesto sulle labbra di suo fratello dissolversi come la rada nebbia nei primi giorni primaverili, “Oh! Clarisse in campagna, posso già vederla con i calzoni cavalcare sfrenata tra le campagne” aveva scherzato quello, sul viso era nato un ghigno maledettamente famigliare che gli aveva illuminato il viso. Oh Luke quanto invidiava quella sensazione, quel sentimento: avere qualcuno che faceva sembrare bello un posto che si era detestato profondamente per tanto tempo.
Anche la campagna si era fatta stranamente più sopportabile, da quando aveva rincontrato Annabeth nella villa dei Jackson.
“Quindi opera questa sera?” aveva chiesto retorico Chris, mentre lo aiutava a sistemarsi sul divano dove poter passare la notte, quando sarebbe tornato dallo spettacolo dove la giovane figlia del parroco aveva voluto l'accompagnasse, prima però avrebbe cenato in compagnia di suo fratello e della sua fidanzata in un ristorante alla buona. Per Luke sembrava un po' ambiguo doversi riabituare alla mancanza del lusso, aveva sempre desiderato il lusso ed il denaro, solo non quello di suo padre ed ai suoi primi tempi a Luke aveva vissuto in una stanza minuscola con l'unica compagnia delle candele, poi aveva conosciuto il signor Crono ed era risultato secondo l'uomo abbastanza in gamba – e disperato – per essere il suo sottoposto; sebbene la strada fosse rimasta in salita, era sembrata incredibilmente farsi meno ripida.
Chris aveva strapazzato il cuscino, era imbottito di lana e dall'aspetto bitorzoluto, “Con la giovane Annabeth” aveva commentato suo cugino, allontanandosi dal divano per raggiungere un mobile in cui aveva riposto certi alcolici, “Me la ricordo quando si era messa in testa che sarebbe divenuta un cavaliere della tavola rotonda” aveva scherzato lui, “Mi ricordo che furia era sua madre” aveva risposto Luke, che della signora Athena Ergane Chase ricordava il temperamento infuocato da vera Regina di Cuori. “La vuoi sposare?” la domanda di Christopher era arrivata come una secchiata d'acqua gelata, sebbene la cosa, sembrava ormai palese nell'aria; “Si, mi piacerebbe” aveva ammesso con leggera rigidità. Ma non succederà mai.

 

Aveva cominciato a piovigginare e Luke si era riparato sotto un porticato, cercando di non sporcare o bagnare l'abito che aveva messo, piuttosto pregiato di un blu profondo, non era stato suo padre e farglielo fare, ma lo aveva pagato con il suo primo salario, indirizzato dal signor Crono, perché potesse darsi un certo contegno. La carrozza che aveva guidato Annabeth lì davanti era di un verde scuro, coperta da una tenda spessa di un nero profondo, il cocchiere era zuppo, ma stoico nel suo lavoro. Quando il valletto del teatro aveva aperto l'imposta, era prima sbucato l'ombrello di Annabeth e poi lei, con un vestito tortora, che teneva aggrovigliato da un lato per sollevare l'orso, mostrando gli stivali alti lucidi morbidi e della carne nuda, senza vergogna. “Mi dispiace di averti fatto aspettare” aveva sussurrato lei, posando le piante dei piedi sulle pietre cercando di affondare in una pozza, “Tranquilla!” Luke era corso verso di lei, nascondendosi con le braccia, accettando che solo la mantellina avrebbe salvato il vestito, “Gli altri?” aveva domandato lui, mentre si nascondeva sotto l'ombrello della bionda. “Hazel si sente sempre a disagio fra la gente e Nico è voluto rimanere con lei, temo però che Will non gli permetterà di evitarsi una notte di bagordi” aveva scherzato lei, mentre si infiltravano all'interno del teatro nel marasma di gente.
Luke aveva perso per un momento il filo dell'attenzione sul tipo di archittettura su cui era basata la struttura del teatro, così come la storia del luogo, per osservare una figura che gli era scivolta accanto come un'ombra, una giovane fanciulla vestita d'argento, con i capelli raccolti e gli occhi azzurri come fulmini. “Siamo in platea vero?” aveva chiesto frettolosamente ad Annabeth interrompendo il suo discorso, “Si” aveva risposto confusa lei, “Devo andare un momento” aveva detto imbarazzato, scivolando fra la folla, la ragazza aveva mosso il capo, senza però neanche un po' di biasimo sul volto. Aveva cercato tra la folla il crine scuro come la notte ed il collo sottile coperto di efelidi di una giovane donna.

 

Thalia odorava di qualcosa di forte e fresco, aspro anche, un odore così peculiare cozzava con un aspetto così raffinato, con le maniche a sbuffo ed il corsetto con fiori damascati, argento e bianco. “Oh” il commento di Thalia era stato confuso, inaspettato e manchevole di quella sua frizzante vena ironia, “Thalia” la lingua di Luke era lievemente impastata, incerta, aveva perso tutta quella sua sicurezza, trovandosi come a camminare su un sottile strato di ghiaccio, Thalia che lo aveva compreso e si era incastrata con lui alla perfezione, nel corpo e nello spirito, sembrava improvvisamente una figura ostica con cui non sapeva come rapportarsi. “Non pensavo saresti tornato” la voce quella era rimasta uguale a quella dei suoi ricordi, così come le sue labbra sottili e sempre screpolate, aveva voglia di baciarla. “Non lo pensavo neanche io” aveva ammesso Luke, pensando per un lungo momento a come giustificare la sua presenza lì, “E non pensavo ti avrei mai incontrato all'Opera” aveva aggiunto poi, con una leggera rigidità. Sperava che quello sarebbe bastato ad evitare che si iniziasse a parlare del suo ritorno a Londra, di ciò che si erano detti prima di andare via. E poi Thalia all'opera vestita da gran dama era qualcosa che poteva creare incognite. “Reyna aveva ricevuto l'invito da Octavian” aveva iniziato lei, prima di spiegargli che la prima era una giovane donna con cui aveva stretto un sodalizio, essendo la sorella di una delle dame di Lady Artemide, mentre il secondo non fosse altro che un orribile giovanotto che aveva preso a fare la corte a quest'ultima. “Non gli interessa lei, realmente, vuole solo dimostrare che può averla” aveva commentato con una certa acidità, muovendo le mani. “Ma infondo è l'opera, io non c'ero mai stata e Reyna era curiosa di vedere come fosse quella londinese” aveva commentato lei, mettendo le mani in viso, nonostante l'aspetto incredibilmente serioso e nobiliare, sembrava aver ripreso l'aspetto fresco che Luke aveva preso l'abitudine di associarle.
Luke avrebbe voluto sentirla parlare ancora di quel frenetico mondo di cui un tempo era parte, raccontarle forse un po' della placida campagna, delle feste degli archetti, m poi sarebbero finiti a parlare degli amanti, perché Luke non aveva dubbi che Thalia avesse mantenuto la parola e non perché non lo amasse, in cuor suo lo sapeva che era così. Non potevano essere stati tanto perfetti per non essersi amati davvero, era solo che quel giorno che era andato via, aveva avuto la spaventosa sensazione di aver messo fine a qualcosa di così idilliaco che forse non avrebbe mai recuperato. Thalia era la sua epoca dell'oro.
“Thalia ti ho cercato ovunque!” una voce lo aveva richiamato dal suo estraniarsi ed allora l'aveva vista, una donna bella, dai tratti mediterranei e riccioli scuri che non trovavano pace nella crocchia, monili discreti ed un abito viola scuro, che fasciava un corpo fin troppo magro e alto di suo gusto, poi si era accorta di lui ed aveva abbozzato appena un sorriso di circostanza. “Reyna, lui è il Signor Castellan” aveva presentato Thalia lui alla giovane, “Luke, lei è la mia buon amica, la signorina Ramirez-Arellano da Lyone” aveva commentato poi, allacciando un braccio alla giovane, sorridendoli in maniera piuttosto spensierata, senza prendersi la briga di presentarli meglio. “Incantata” era stata la cruda risposta di Reyna, facendo appena un inchino, che Luke aveva ricambiato rigido, prima di voltarsi ancora verso l'altra ragazza.
Il sorriso di Reyna sembrava stranamente luminoso, come gli occhi di Thalia, erano scivolati così velocemente dalla vista di Luke, che quasi non si era accorta fossero andate via, senza neanche preoccuparsi di salutarle.
Lui aveva riso.

 

“Allora chi era la bella ragazza dai capelli neri?” Annabeth era accomodata su una poltrona di stoffa rossa, con la schiena dritta e le dita strette sulle cosce, un espressione rapita dalla magnificenza della platea, non avevano un posto molto vicino, ma la bionda sembrava contenta lo stesso. “Un giorno te lo racconterò” aveva soffiato, “Come mi racconterai la vera storia della cicatrice?” aveva chiesto lei di rimando, con un sorriso dolce, di chi non provava nessuna rabbia o altro, mentre Luke si accomodava al suo fianco, privatosi del cappello e del cappotto. “Tu mi racconterai perché sono venuto io qui con te?” aveva replicato di rimando lui, perché ci sono io al posto del baronetto Jackson? “Potrebbe darsi è perché gradisco la tua compagnia più di chiunque altro?” aveva chiesto retorica lei, con un sorriso sul viso, che non sapeva di sincerità. Lui aveva emesso un suono, una specie di mezza risata, con gli occhi aveva guardato il tendaggio rosso del palco, “Cosa mi hai portato a vedere?” aveva chiesto lui, “L'edipo Re” era stata la chiara risposta della ragazza, che aveva puntato gli occhi grigi nella sua stessa direzione.
“Classico e allo stesso tempo scabroso” aveva commentato lui, “Cosa ti aspettavi da me?” era stata la civettuola risposta di Annabeth.

Luke aveva avuto voglia di pizzicargli le guance, ma si era trattenuto da un gesto così impudente, “Io mi aspetto sempre di tutto da te” aveva risposto placido poi, con un sorriso ad aleggiava sul suo viso, stranamente sincero e genuino per quello pensiero, davvero riteneva Annabeth una fanciulla che potesse lasciarlo sempre senza fiato. “Lo so, la mia matrigna mi ha sempre rimproverato i essere fin troppo leziosa e scandalosa” aveva spiegato la ragazza continuando a guardare il tendaggio che copriva il palco; “Credo tu sia semplicemente più svelta del tempo in cui sei nata” il commento di Luke era stato basso e non era stato certo che Annabeth l'avesse udito, almeno fino a che non aveva irrigidito la schiena.
Si era ritrovato a pensare che qualcosa del genere lo aveva detto anche a Thalia, una giornata di primavera, mentre osservano il palazzo reale, con uno sguardo trasandato, lontani dall'Olimpo degli dei. I fiori erano sbocciati nel giardino ed il polline volava come la neve nell'aria, non pioveva, ma le ciminiere delle fornaci delle fabbriche ed il fumo della ferrovia annerivano ugualmente il cielo. Non riusciva a ricordare di cosa stessero parlando, non ricordava neanche cosa avesse fatto quel giorno o con che scusa si fossero allontanati dai loro mestieri, ma ricordava di aver guardato Thalia, con il viso tondo coperto di cipria bianca, “Tu, fanciulla cara, sei più svelta del tempo in cui sei nato” le aveva detto, mentre finiva di fumare la pipa, sgradevole abitudine di cui si era dovuto sbarazzare nella campagna, per non appesantire l'aria fresca che sembrava giovare un minimo a suo padre. “Tu, Luke, sei impossibile da cogliere: sembri guardare al futuro e non riuscire a liberarti però del passato completamente” aveva risposto lei, con le labbra sottili curvate in un qualcosa che non sembrava ne un sorriso ne una smorfia.

 

 

Lo spettacolo era sublime, Luke si era trovato ad ammetterlo con estrema convinzione, così preso da quello da essersi poi dimenticato di cercare, anche solo con lo sguardo Thalia, si era convinto però di averla intravista con la coda dell'occhio, tenersi su la sua lunga gonna argentea ed essere fuggita con la ragazza dai riccioli scuri. Aveva sorriso in maniera mesta e rincuorata a quel pensiero, pensando che fosse la fanciulla senza di lui ugualmente felice, sapeva di certo che fosse pensiero orribilmente eliocentrico pensare che la gioia nella vita di Thalia sarebbe potuta dipendere dalla sua presenza o meno, particolarmente per una fanciulla dal quel temperamento. “La hai rivista?” aveva chiesto Annabeth, mentre s'apprestavano a recuperare lì dove erano lasciati i vestimenti esterni, “No” aveva risposto Luke, la ragazza aveva aggrottato le sopracciglia appena, “Stai sorridendo?” aveva chiesto lei perplessa, lui non se ne era accorto.
Sorrideva.
“Lo spettacolo mi è piaciuto molto” aveva risposto pratico lui, mentre indossava nuovamente i guanti neri e recuperava il suo cappello, la ragazza aveva annuito, leggermente pensierosa, era brava forse Annabeth nel celare i suoi pensieri dietro granitiche espressione, ma ogni tanto Luke aveva l'impressione di poter scorgere una vera tempesta dietro le sue iridi chiare. “Chi era la giovane dai capelli corvini?” aveva chiesto nuovamente lei, allacciando la mantella sul vestito, un bottone d'ottone grezzo, dipinto di giallo dorato, dalla forma di rosa, “Si chiama Thalia Grace” aveva risposto lui con un tono blando, mentre aggiustava il cappello sul crine biondo, non sapendo perché avesse sentito l'impulso di risponderle.
Annabeth si era fatta più interessata a quel discorso, con una certa sorpresa di lui, forse era davvero nell'animo delle donne lasciarsi divorare dal demone della curiosità, “Credo che il modo più semplice per descriverla fosse la mia fidanza, ma in un certo senso anche il più inappropriato” aveva spiegato lui. “Era la tua amante” lo aveva corretto alla fine la giovane, mentre si approssimavano verso l'uscita, “Così lo fai sembrare molto più sconveniente di quanto non fosse” aveva sentito il bisogno di lui, consapevole si che per la maggior parte delle persone l'affetto che era intercorso tra lui e Thalia sarebbe visto con lo sguardo di una vipera, trovava riduttivo confinarlo solo a questo. “Diciamo che era la mia amata, più che altro” aveva ammesso lui, rosso di leggero imbarazzo sulle gote.
La bionda aveva annuito, mentre entrambi raggiungevano la carrozza sulla quale era venuta la giovane, Annabeth era salita per prima accomodandosi sul cuscino morbido e Luke l'aveva seguita, dando un ultimo fugace sguardo alla folla che si andava disperdendo dal teatro, dove per un momento aveva sperato poter cogliere il fresco blu degli occhi di Thalia. Ma come un fantasma la giovane era scomparsa inghiottita dalla folla, in compagnia della sua amica e di quella vita di cui lui era rimasto ostracizzato.
 

Aveva incrociato il viso di Annabeth illuminato dai filamenti della luna, tramite l'imposta della carrozza, “Non l'ho vista bene, ma Thalia sembrava molto bella” aveva soffiato lei mentre scostava filamenti biondi che erano scivolati ad ornarle il viso, lungo il collo di cigno, “Lo è” era stata la pigra risposta di Luke. “Non vuoi raccontarmi di te ed il baronetto?” aveva chiesto Luke, poi, desideroso che Thalia scivolasse fuori dai discorsi che animavano quel momento, non certo però di averlo sostituito con giustizia. Annabeth era avvampata sulle gote pallide, sotto la luce biancastra della luna, il contrasto sembrava essersi fatto più fiammante, “Io lo amo” aveva ammesso Annabeth poi, con un tono di voce basso, “E lui ama me” era stata la risposta, “Ma non siamo destinati ad un unione” aveva risposto con onestà lei. “Perchè lo dite?” aveva chiesto lui, cercando di non mostrare la goia che gli aveva gonfiato il petto, “Percy” aveva ripreso Annabeth, Luke trovava quanto mai sanguinate quel nomignolo affettuoso, “Lui è un ribelle per natura, non sposerà mai una donna che egli non voglia” aveva risposto poi con cruda onestà, “Ma non sposerà neanche una donna che suo padre non voglia, perché è un figlio devoto” aveva terminato.
Annabeth era la figlia di un pastore anglicano, calvinista, e di madame Ergane che a tutti era nota per i trascorsi burrascosi con il Barone Jackson per la detenzione di alcun terre. Percy era un protestante, di nascita nobiliare e per di più terzo figlio, se non si fosse mai sposato, il Barone non si sarebbe mai dovuto occupare di dover dividere il patrimonio, e tutto sarebbe stato ereditato dai figli – che un giorno avrebbe avuto – del primogenito. “Non si sposerà mai dunque” aveva commentato Luke, passandosi le dita intorno al mento, rada barba aveva cominciato a pizzicare sulle sue guance, “No” aveva risposto lei con un tono morbido, “O magari lo farà se troverà una moglie che soddisfi le loro esigenze” aveva aggiunto lei, “Si è arruolato però, per non doverla cercare” la voce di Annabeth si era affievolita.

 

 

La lettera di Silena erano state un infinito numero di scuse, ripetute in diverse formule, fino a risultare un imbarazzante pastrocchio di frasi ingarbugliate e Luke aveva dovuto rileggerla un paio di volte prima di essere arrivato a comprendere dove il finale ultimo della lettera fosse direzionato. Per tutte le volte che aveva riletto quelle righe, perfettamente curate si, con una grafia impeccabile, ma confuse, Luke aveva potuto immaginare una Silena con le mani ai capelli selvaggi consumare boccette su boccette d'inchiostro per trovare la miglior combinazione di parole.
“Allora, che dice?” la domanda di Connor era poco carina, con la lingua infilata tra le labbra, ansioso decisamente più di lui, aveva continuato a girovagare attorno alla lettere della Signorina Silena, da che Luke l'aveva deposta in previsione della permanenza londinese. “Che non torna, per ora” aveva ammesso lui, lasciando cadere il foglio di carta sul tavolo, “Sua sorella Lacy ha la tubercolosi ed è lei ritiene sia suo dovere restare” aveva soffiato Luke, cominciando a ripiegare in un rettangolo perfetto la lettere della ragazza.
Silena aveva anche scritto di aver avuto dei dubbi in generale sull'idea di tornare nella campagna fuori Londra, l'aver respirato l'aria della sua casa paterna, l'aveva in parte fatta sentire nostalgica per quel luogo che si era lasciata alle spalle nella ricerca, fin'ora infruttuosa, di un marito. Lo invitava anche ad andarla a trovare il prima possibile, che la sua compagnia avrebbe certamente allietato il suo cuore pesante per la condizione della sua sorellina.
Luke aveva vergato con la carta parole d'incoraggiamento, utili per le situazioni difficili, che sapevano essere di buon gusto inviarle, senza però sentire davvero ciò che scriveva, certo era rattristato all'idea che la sorella di Silena stesse male, ma non provava per lei quella pena che avrebbe dovuto. Aveva anche promesso che sarebbe andata a trovarla.
L'aveva fatto.

Era partito assieme a Lady Katie Gardner e suo fratellastro Travis, Connor era dovuto restare in quanto il loro padre aveva sempre perenne bisogno almeno un affetto a fargli compagnia. Il Signor Castellan, aveva ribattuto a suo figlio quanto cara e amichevole fosse la Signorina Silena, cosa che Luke aveva ascoltato mandando giù della bile. “Povera cara Silena, non saprei cosa fare se questo capitasse a Miranda” aveva commentato Katie, con un'empatia che Luke in quel momento le invidiava molto, gli occhi verdi arrossati dal pianto; Travis aveva allungato una mano sulla sua schiena per carezzarla dolcemente, nessuna malizia, nessuna cattiva intenzione. “Lo so che Miranda non è mia sorella, ma siamo cresciute come tali” aveva soffiato lei, prima di posare la testa sulla spalla del giovine. Luke si chiedeva sempre quando Travis si sarebbe proposto.

 

Era riuscito ad incontrare Silena solo nel pomeriggio, con i capelli scuri aggrovigliati in una treccia alla buona, vestita di un grigio spento, l'incarnato cereo di chi aveva mangiato poco e male, occhiaie violacee sotto occhi rossastri, uno spillo umano e l'ombra della fanciulla piena e allegrezza che Luke aveva imparato a conoscere. “Mi riempie di gioia vederla” era stato il commento di Silena, appena lo aveva scorto varcare i cancelli della casa paterna nello York, prima di accoglierlo nelle sue sottili braccia e tentare di stringerlo, un gesto d'affetto che Luke aveva ricambiato con un primo momento di rigidità, prima di abbracciarla di rimando, ispirando profondamente l'odore dei capelli di Silena, che emanavano di solito l'odore di limone, sapevano di null'altro che di lei. “Sono contento di vederla anche io” aveva sussurrato lui, sfiorandole appena la schiena con i polpastrelli; lei si era allontanata da lui, posandosi il polso sugli occhi per raccogliere le lacrime che le adornavano le guance. Sempre bellissima, anche nello sconforto. “Mi dispiace non essere arrivato prima” aveva ammesso lui, con un leggero disagio.
 

Quando era andato da Annabeth per dirle che sarebbe andato via, l'aveva trovata seduta di fronte il cammino a leggere un libro, senza compagnia di Hazel, divenuta ufficialmente dopo quella notte al teatro la sua ombra – la cui principale occupazione sembrava essere quella di impedire che lui ed Annabeth restassero soli per più di qualche momento. “Devi sentire questa” gli aveva detto lei, appena il suo servitore l'aveva annunciato e a lui era stato concesso entrare nel salottino, una casa modesta, per un persona che era oltre modo strabiliante, lui l'aveva guardata perplesso e lei non aveva sollevato gli occhi grigi neanche per un momento dalle pagine. “Bianca era rimasta sconcertata dall'impudenza del giovane, ma anche meravigliata come se quello davanti a lei fosse in verità la più rara tra le fiere, che un uomo. L'irruento ragazzo si era voltato verso di lei, accorgendosi forse solo in quel momento della sua presenza, Bianca aveva sentito le gambe d'argilla per la consapevolezza che quegli occhi così verdi fossero fissi su di lei, “Madamoiseulle Levesuque immagino non abbiate ancora avuto l'onore di conoscere il commodoro Logan” aveva pensato bene di presentarlo il signor Hodge.”

“Leggi un libro d'amore?” aveva chiesto confuso Luke, mentre scivolava accanto a lei sulla poltrona, “No” aveva risposto lei, piegando l'angolo di una pagina, “È il libro che sto traducendo, quello che ha scritto Nico” aveva spiegato Annabeth, “La sua protagonista, la fiera Bianca Maria Levesque, agguerrita filologa italo-francese decisa a ritrovare il proto-linguaggio originale, del tutto incurante del trattamento riservato al suo sesso, ha appena incontrato il giovane ed aitante commodoro Logan, dagli occhi verdi ed i capelli neri” aveva esclamato tutta entusiasta lei.
Luke era rimasto in silenzio, “Il commodoroLogan è chiaramente Percy” aveva chiarito lei, con uno sbuffo. Questo aveva senso aveva pensato lui, sia che Annabeth vedesse il giovane di cui era innamorato in ogni eroe letterario, sia che qualcuno avesse usato il baronetto come stereotipo dell'eroe, particolarmente Nico. “Come mai sei qui?” aveva chiesto lei alla fine, avvicinandosi, “Andrò per un paio di giorni nello York da Silena” aveva spiegato lui, con nodo alla gola fastidioso, Annabeth aveva annuito, con un movimento lento, come se avesse dovuto prendere atto di ogni singola parola da lui pronunciata, “Le chiederai di sposarti?” aveva chiesto poi a bruciapelo lei, cogliendolo in contropiede.
“No” anche volendolo Luke non sarebbe riuscito a trattenersi o a mentire, dando una risposta diversa, non a quegli occhi così espressivi rivolti nei suoi. Oh si! Si sentiva proprio come Bianca, con gli occhi del commodoro Logan addosso.
“Dovresti, lei è pazza di te” era stata la chiara risposta di Annabeth, libro sopra le ginocchia, schiena dritta e posizione fiera, “No è dell'idea che ha di me che è sedotta, dal mio bell'aspetto e dall'ottimo matrimonio che potremmo avere” aveva risposto lui, stanco in qualche modo, affaticato, “Non mi conosce e non ha idea di che persona io sia” aveva enunciato, e delle cose orribili che ho fatto, aveva aggiunto nella sua mente, quelle non le sapeva neanche Annabeth, ma aveva l'impressione che lei potesse guardarlo al di là del semplice aspetto di Luke Castellan il proprietario terriero. Lei si era fatta più vicina e le aveva accarezzato il viso, “Certi saldi matrimoni si sono retti su molto meno” aveva detto pragmatica.
Qualche giorno dopo, Luke aveva scoperto che tra la loro avventura Londinese e la sua visita nella dimora dei Chase, il Baronetto Jackson era passato per informare la giovane fanciulla di casa che aveva avuto l'ordine di ripartire nuovamente per missione.

“Prima o dopo, l'importante è che sia arrivato” aveva soffiato Silena, risvegliandolo da quello strano ricordo, gli occhi appena un po' lucidi e le labbra secche martoriate dai morsi che si continuava a dare per il nervosismo. Luke le aveva accarezzato il capo in maniera affettuosa, poi si era lasciato prendere sotto braccio e guidare per la tenuta, sentendo i racconti dei giorni felici e dei giorni tristi che si erano susseguiti dall'arrivo della giovane in quella casa. Della cerimonia del battesimo e della scoperta della malattia.

E Luke aveva ascoltato tutto in un religioso silenzio, intervendo solo lì dove sapeva di non essere indelicato. Ricordava come era avere un famigliare malato e non sapere cosa fare, continure a guardare impotente il sopraggiungere della fine, aspettando un miracolo, fino a convincersi che mai sarebbe arrivato. “Vi capisco” aveva ammesso alla fine, con una sincerità che forse non aveva mai utilizzato con la giovane in tutto il tempo che si erano conosciuti, “Certo con vostro padre immagino” era stata la miagolante risposta di Silena. Luke era rimasto per un momento senza aria nella gola, pensando che in ogni momento di quella conversazione aveva pensato solamente a sua madre, l'ombra di una donna che Luke aveva visto affievolirsi ogni giorno fino a scomparire.
Lo sapeva che suo padre l'aveva chiusa in un sanatorio per il suo bene, per il loro bene – e forse era arrivato a comprendere che delle chiacchiere altrui non gli importava – ma non era mai riuscito ad accettarlo a pieno, aveva continuato a pensare a lui come l'uomo che gli aveva tolto la sua mamma. “Si” aveva mentito, riprendendo il suo viso serafico, che Silena s'era convinta fosse il suo volto.

 

Luke non lo sapeva cosa lo avesse spinto a quell'azione, quella sera, forse era stato davvero il soggiorno a villa York, dove aveva assistito al decorso di una malattia che aveva sfiancato una ragazzetta e tutti i suoi parenti, forse era stato anche per l'espressione triste di Silena che aveva avuto in ogni giorno, tranne quando Luke preso da i pensieri notturni non l'aveva vista scambiarsi un bacio ardente di tutto il bisogno del mondo, con l'uomo che sempre le aveva fatto da valletto.
Era tornato nella sua campagna da poco meno di due settimane, aveva sentito che il Baronetto Jackson era ripartito, mentre Nico e sua sorella erano rimasti nelle terre inglesi, la prima sempre ospite di Annabeth, mentre il secondo nella casa dove alloggiava William, che non sembrava così intenzionato ad andare a Glasgow.
Christopher e Clarisse erano venuti a trovarli, giusto perché la sposa conoscesse la famiglia dello sposo prima del grande giorno, entrambi sconcertati da tutta l'opulenza che vibrava in quella dimora.
Quella sera poi attorno alla tavolata sedevano anche Lady Katie Gardener, che aveva di grazia preso ad essere compagna di Travis molto spesso, suo padre Luke, lo sapeva, si auspicava le nozze il prima possibile. “Ho deciso!” disse la sera, capo tavola, con gli occhi pressati su quelli del padre, gemello opposto a lui nel tavolo, alla destra i fratelli Stolls e Katie, alla sinistra Chris e Clarisse, ogni occhi era catturato su di lui, “Di volermi sposare” aveva aggiunto poi, mentre osservava l'espressione dei suoi famigliari trasformarsi.
“Oh ma che bella notizia” aveva esclamato Katie, Clarisse aveva fatto una smorfia, ma il puro stupore era balenato sul volto di Chris, Travis sorrideva malefico come uno spiritello, ma Connor mostrava segni di un qualche malessere, suo padre aveva cercato di mantenere un espressione seriosa e certa, ma non era riuscito a nascondere il sorriso, “Oh che bella notizia” aveva detto poi. “Hai pensato a qualcuno in particolare o …?” aveva cercato di dire qualcosa Chirs, a fatica, mentre Clarisse nel dubbio aveva preferito farsi una coppa di vino in un sorso, “Qualcuno” aveva risposto Luke. Katie era quasi svenuta per il brodo di giuggiole in cui era andata, “È la fortunata chi è?” aveva chiesto Travis, “Devo accora proporglielo” aveva ribadito lui. “Tanto Silena dirà di si” era stato il commento un po' spento di Connor, come se avesse sottolineato l'ovvio.
Dopo il suo silenzio era caduto il silenzio, perché tutti avevano capito.
“Annabeth?”
“Si.”

“Be, se è intelligente la metà di sua madre e risoluta la metà di suo padre, manderà avanti questo posto come un treno” aveva commentato suo padre.
“Non ti importa che non sia ricca, con un titolo e non casta?” aveva chiesto Luke confuso, già sicuro di doversi battere con suo padre fino allo stremo per quella cosa, “Ne tua madre, ne la madre dei ragazzi erano donne con un titolo, questo mi ha fermato? No” aveva risposto chiaro l'uomo.
“Ed anche se mi opponessi tu lo faresti lo stesso, Luke, perché sei un caparbio senza speranza” aveva gracchiato poi suo padre, sorridendogli, “Come me” aveva aggiunto.
Luke aveva ricambiato il sorriso per la prima volta a suo padre.

Ad Annabeth Chase era arrivata una missiva di Luke Castellan, che l'aveva lasciata per un lungo momento basita. Una sciarada, come quelle che avevano preso a scambiarsi dopo la festa dai Jackson.
L'inizio di un momento,
che va prima de
gli uomini,

ciò che congiunge gli uni e altri altri.
E questo che vorrei tu fossi per me ...***

 

“Avete letto il Post Scriptum?” aveva chiesto Hazel piuttosto sconvolta, Annebth aveva potuto vedere le labbra della sua amica aperte in una cironferenza perfetta, così aveva allungato le mani per raccogliere la lettera che aveva passato all'amica, troppo presa dalla sciarada – una sfida era una sfida. “Certi saldi matrimoni si sono retti su molto meno di un amore, noi potremmo essere eterni” aveva letto la bionda, pallida in viso e sconvolta.
 

 

 

 


 

 

(*) Paganini era un violinista italiano, famoso in tutta europa – e quella era una massima che si diceva su di lui, poiché metà dei suoi brani erano improvvisati :D

(*) uno degli epiteti di Atena: Industriosa; ho scelto quello perché poteva passare di più come una pronuncia inglese, quindi al posto di leggere Ergane, sarebbe opportuno leggere Ergain.
(***) L'inizio di un momento … MO (Prima sillaba)
che va prima degli uomini … Gli (Articolo determinativo maschile plurale)

ciò che congiunge gli uni e altri altri … E (Congiunzione)
E questo che vorrei tu fossi per me … Mo.Gli.E
Si è la prima e unica – probabilmente ultima – sciarada della mia vita.Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Un po' come la guerra dei bottoni. ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: Un po' come la guerra dei bottoni.
Prompt: #34 Io sono un Partigiano e tu un fascista!AU (Italia durante la Seconda Guerra Mondiale!AU)
Personaggi: Percy Jackson, Reyna Avilla Ramirez-Arellano, Octavian (Citati: Thalia Grace, Luke Castellan, Annabeth Chase, Silena Beugaurd, Clarisse LaRue, Jason Grace, Lupa)
Paring: Peryna(?) (Percabeth!accennato, Thalike!minor)
Rating: Verde
Warning: NoCamp!AU(?)/fascismo!AU/Resistenza!AU
Beta: Nessuna
Note: Allora per prima cosa dedico questo capitolo a Farkas – a cui chiedo scusa per la gaffe dell'altra volta – che mi aveva proposto due coppie. Percyna e Charlena (Le ho scritte ambedue, in realtà la Charlena prima, ma alla fine ho deciso di pubblicare prima questa).
Ci tengo a precisare che nonostante sia reduce da un'abbondante lettura di storie (Romanzi e diario) a tema partigiano, mi sono tenuta lontano da questioni precise ed ho fatto un po' tutto all'acqua di rose, diciamo che è un periodo storico in cui non sono molto ferrata (Dovevo fare l'impero Romano) ed alla fine non sono contenta del risultato.
Non sono contenta perché non ho idea di cosa passasse nella mente di un fascista, che magari è diventato fascista solo perché quella era l'educazione e se fosse stato per lui, probabilmente avrebbe preferito coltivare patate. Cioè … quindi non lo so …
Poi tutta la questione dell'ideale e dell'amore di Patria, che per la nostra generazione sono più chimere che altro.
Comunque ho dovuto adattare i nomi in modo che funzionassero, perché insomma un fascista di nome Percy Jackson sarebbe stato decisamente strano, quindi ho italianizzato meglio che ho potuto.
Spero di tornare a scrivere cose comiche, prossimamente.
Comunque l'unico appunto che sento di farvi è che La Guerra dei Bottoni è stato pubblicato nel 1912 ed è ambientato nella campagna francese dell'Ottocento, ho fatto questo appunto, perché in quasi tutte le trasfigurazioni cinematografiche del libro, l'ho sempre visto ambientato durante la seconda guerra mondiale (Se vi interessa qui c'è la trama)
E con questo: passo e chiudo,
Buona Lettura,
RlandH

ps- Sempre grazie a CampMezzosangue ed i loro prompt.

 

 

Un po' come la guerra dei bottoni

 

 

“Chi l'ha denunciata?” aveva chiesto Percy con la voce sottile, forse in parte anche spaventata, guardando di sottecchi la ragazza che era seduta su una delle panche all'interno della cella. Era una ragazza dall'aspetto mediterraneo, l'incarnato olivastro, il crine fatto di riccioli corvini e l'espressione inflessibile, le mani sulle ginocchia e la gonna grigia fino alle ginocchia.
“Non l'hanno denunciata, l'hanno beccata per le langhe con un mucchio di lettere ed una doppietta” aveva risposto Ottaviano con smodata sicurezza, guardandola di sottecchi, con un sorriso soddisfatto sulle labbra, “Vuoi interrogarla tu?” aveva chiesto poi e Percy aveva annuito senza neanche rendersene conto.
Avevano trascinato fuori dalla cella la ragazza per portarla nella stanza degli interrogatori e lei non aveva abbassato lo sguardo neanche un attimo, aveva il viso duro come il ferro battuto e con gli occhi scuri come il caffè nero aveva guardato lui con durezza ed era stato Percy a non sostenere quello sguardo; “Tu mi disgusti” aveva ringhiato verso di lui, che aveva incassato l'offesa come giusta che fosse , mentre Ottaviano l'aveva colpita a mano aperta sul viso, non per difendere il suo onore, quanto per sfogare la sua rabbia.
Percy non aveva detto niente, perché forse si disgustava un po' da solo.

 

La guerra fuori dai confini dell'Italia era diversa da quella all'interno, aveva compreso lui, lo aveva capito dalle lettere di Giasone, con gli stivali rattoppati, nelle terre d'Africa, nel caldo e nell'incertezza. Non ho mai sentito più distante l'amore di patria, gli aveva scritto una volta. Oh perché loro combattevano per quell'eroico ideale, per quella bella donna vestita di rosso, bianco e verde – e Percy si sentiva così orribilmente distante.
Era figlio di un maggiore dell'esercito e nonostante la richiesta di sua madre era stato impossibile per lui astenersi, era Perseo DiGiacomo e doveva portare onore al nome della sua famiglia, combattere per la sua patria.
Solo che lui era rimasta in Italia.
A fare una guerra di bottoni, come quella del libro che Annabeth leggeva a lui quando erano bambini. Era sempre stata lei quella sveglia. Percy se la ricordava con i capelli biondi, gli occhi grigi, veniva dal nord ed era dovuta andare via, la sua famiglia aveva scelto solo il luogo sbagliato. Ricordava ancora il giorno in cui l'aveva trovato davanti alla libreria dove lui aveva preso l'abitudine di vederla, “Cosa c'è che non va?” aveva chiesto invece, affiancandola, con un sorriso smaliziato sulle labbra, “Non posso entrare” aveva risposto lei, cupa.
La verità era che che a Perseo non importava niente della guerra, delle leggi razziali e dell'Homo Italicus o quel che era, voleva bene ad Annabeth, nonostante dovesse girare con una stella d'orata sul suo petto.
E ricordava quando Luke – il tedesco – l'aveva accompagnata fuori di casa, assieme alla famiglia di lei, gentilmente, perché nonostante tutto lui le voleva bene e Percy gli aveva visti baciarsi spesso, di nascosto. Cosa ne era stato di lei non l'aveva mai saputo. Ottaviano aveva detto che gli avrebbero portati a Bologna e poi dove era confacente per quelli come lei, da qualche parte in germania.
Percy si era chiesto chi fossero quelli come lei?
Cosa avessero di diverso da lui.

Era andato a chiederlo a Luke, il tedesco, ma aveva scoperto fosse scappato, lasciando sola la sua madre pazza, assieme alla sorella di Giasone, Talia che era sempre stata una ragazza ribelle che indossava i pantaloni e lavorava nelle campagne perché quello stupido di suo fratello voleva proprio morire da eroe.
Dove erano finiti non l'aveva saputo più nessuno, qualcuno diceva si fossero unite alle brigate partiggiane, chi diceva sotto l'estremismo del Pino, chi del Biondo. Prima che fosse stata arrestata per tradimento Silena gli aveva detto che secondo lei, si erano trovati un bel posto bucolico dove vivere la propria vita e al diavolo l'Asse e gli Alleati, fumava sigarette americane. Ricordava che per poco non avevano dovuto arrestare anche Clarisse quando avevano portato via Silena in manetta ai carabinieri. “Chi è l'infame che le ha fatto questo! Dimmelo Di Giacome e lo uccido io!” strillava con fuoco, le mani rovinate dai calli ed il fuoco negli occhi.
Silena era stata arrestata, perché faceva la staffetta per aiutare i partigiani, così si diceva, nessuno aveva mai trovato le prove ma Silena aveva confessato lo stesso. Clarissa non si era più ripresa. E la madre di Luke era stata chiusa in un sanatorio, di lui e Talia nessuna notizia.

Giasone forse lo sapeva, ma al di là del mediterraneo le sue lettere si erano fatte confuse e saltuarie.
 

Quella era la loro guerra, composta da uomini con cui prendevi il caffè al mattino e potevi sparatici la sera stessa contro. Il nemico non aveva fatto ed era composto di voci e passaparola, non sempre vere non sempre giuste.
Percy era fascista, perché lo era suo padre, ma a lui non era mai interessato nulla di quello, avrebbe voluto studiare gli animali, fare l'archeologo non lo sapeva neanche, vivere in pace, ma al diavolo era nato quando c'era la guerra, gli era stata data un'arma in mano e gli era stato detto spara contro i tuoi compaesani, contro quelli che sono stati amici tuoi.

Come Reyna, che era spagnola, ripudiava Franco ed il Duce, ed aveva frequentato la scuola una classe affianco alla sua.
Reyna che l'aspettava nella stanza a canto, per rispondere ad un interrogatorio.
Una volta Percy l'aveva anche baciata, Annabeth aveva già smesso di venire a scuola, perché non poteva e non perché non potesse e lui le portava gli argomenti trattati, non che a lui importasse qualcosa. E lungo la strada di ritorno, aveva visto Reyna seduta sul muretto, con le calze bianche, con il merletto sull'orlo, ricamare d'uncinetto con gli occhi sottili, di chi faceva più fatica di quanto non potesse ammettere, Percy se l'era ricordata nell'ora di educazione fisica alle elementari quanto fosse vivace, ma anche disciplinata. Se fosse stata un maschio, Giasone l'avrebbe scelta sempre come cannoniera della loro squadra di classe, ma era nata femmina e non poteva mettere neanche i calzoncini.
“DiGiacomo, andavi da Annabeth?” aveva chiesto gentile, con il sorriso sulle labbra, “Si” aveva ammesso con una certa vergogna, gli avevano detto spesso tutti di non andare nel ghetto ebraico, che non era una cosa intelligente, ma Reyna non sembrava una donna capace di giudicare da quel punto di vista, “Sei una bella persona e coraggiosa, ti ammiro” aveva confidato lei, scendendo con un movimento fluido dal muretto, sorrideva, con i denti bianchi ed era bella.
E Percy non ricordava come fossero finiti a baciarsi di notte, contro un muro, alla facciaccia del coprifuoco e dei poliziotti che gli avevano riportati a casa dopo una bella strigliata e tirata d'orecchi.
Reyna che non smetteva di ridere e sua madre arrabbiata minacciarlo con il mestolo della zuppa.
Poi era arrivata la guerra e la fame, quella vera, non la miseria a cui si erano tutti abituati, era arrivata la politica, la lotta e l'idealismo.
Era orribile pensare che l'idealismo aveva rovinato il mondo?
E poi erano cominciate le deportazioni, le partenze e le guerre fatte di nascosto, come quelle dei bottoni.
Si collezionavano bozzoli però, quelli presi dai corpi dei suoi nemici.

 

Reyna lo aveva lasciato quando l'aveva visto con l'uniforme per la prima volta, non avevano mai parlato di politica o di giustizia, ma lei era infiammata, l'aveva colpito con una mano sul viso, rancorosa. Avrebbe potuto arrestarla, ma aveva lasciato sciorinasse contro di lui tutto il suo disprezzo ed aveva capito quel giorno che forse prima o poi l'avrebbe rivista in manette.
Ed era venuto, ed era orribile.
“Mi disgusti” aveva detto Reyna, con rabbia, quando lui era entrato nella sua stanza, doveva aspettare il dattilografo che riportasse nei dettagli le precise parole dell'interrogatorio, “Mi disgusto anche io” aveva confidato con sicurezza, girando la chiave alle sua spalle. L'aveva raggiunta a passi veloci e se non ra stato scacciato con un movimento brusco era stato forse perché il suo viso era più bravo di lui, con le parole, ad esprimere il suo cordolio. “Ti tirerò fuori di qui e scapperemo” aveva detto, reprimendo la voglia di baciarla in quel momento.
Reyna aveva riso, “Io non posso andare via, Perseo, io devo continuare ad aiutare” aveva confidato con gli occhi appena lucidi, incapace di abbandonare quel mondo.
E Percy lo sapeva perché, ne aveva sentiti a dozzine di quelli come lei, qualcuno diceva per avere l'Italia Libera, qualcuno riconosceva solo nella Monarchia il governo e se ne sentiva in quel momento tradito. La maggior parte ripeteva che non poteva più vivere in un mondo come quello.
E lui ricordava quando il suo caporale gli aveva costretti a lasciare degli uomini marcire impiccati per giorni, perché fossero d'esempio.

Esempio … Esempio del disgusto che provava per se.
“E combatteremo” aveva detto a lei.

Reyna sorrideva come quella volta che Suor Lupa gli aveva costretti a starsene assieme ad Annabeth in ginocchio sui ceci, perché non ne volevano sapere di voler star zitti ed ascoltare, ma nessuna punizione sembrava mai scalfire Reyna.
A Percy della donna vestita di verde, rosso e bianco non importava.
Se doveva combattere per l'amore di qualcuno, probabilmente quello di Reyna doveva essere il più indicato.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Quello che le parole non dicono ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: Quello che le parole non dicono
Prompt: #28 Ho imparato la lingua dei segni per comunicare con te!AU
Personaggi: Leo Valdez, Echo, Hazel Levesque, Piper McLean (FlashBack: Khione, Jason Grace, Citazione: Narciso)
Paring: Lecho (Jasper!Minor, Khileo!OneSide, Echiso!OneSide)
Rating: Verde
Warning: NoCamp!AU(?) HighSchool!AU
Beta: Nessuna
Note: Come sempre vorrei ringraziare Farkas, che commenta sempre, tutti quelli che seguono/preferiscono/ricordano/leggono e CampMezzosangue per la loro iniziativa e i loro meravigliosi prompt.
Ed avevo scritto una Michael/Clarisse e prima o poi avrò il coraggio di pubblicarla, la Charlena è al momento stata terminata ma è sfortunatamente su un tablet in un'altra città.
Comunque se qualcuno avesse voglia di consigliare paring, sono sempre ben accetti.
Riguardo alla Lecho(?) be a me Echo piace tanto ed ha sempre fatto una gran pena la sua storia, in tutte le salse e compagnia.
Quindi, grazie a tutti,
Buona lettura.

 

 

 

Quello che le parole non dicono

 

 

 

“Andrà tutto bene Leo” lo rassicurò Hazel, mentre gli passava le mani sulle spalle per lisciargli la camicia, era davvero sconcertante che la ragazza era riuscita a convincerlo di mettersi quell'indumento. “Quindi vado lì e ...” aveva cominciato Leo, con la gola secca, la bile gli era risalita ancora, dandogli una sensazione di nausea bella forte, “E mostri la tua magia, Valdez” aveva scherzato Piper al suo fianco, dandogli una gomitata appena, per dar segno della sua approvazione. “La mia magia?” aveva chiesto confuso e retorico Leo, “Non vorrai dire di non essere magico, vero?” l'aveva stuzzicato Hazel.
Leo lo sapeva che le due volevano solamente essere utile, ma rischiavano di essere davvero imbarazzanti.
“Vai!” impartì Piper, dandogli un bacio sulla tempia, mentre Hazel sorrideva in maniera amichevole e rassicurante, mentre lui annuiva mancante di sicurezza, prima di varcare la porta della mensa scolastica, per trovare la persona che stava cercando.
Echo aveva l'inaspettato dono di essere trasparente tra le gente e se alla giovane la cosa non sembrava piacere affatto, Leo l'avrebbe davvero voluto avere, visto la sua innata capacità di fare pessime figure, che l'idea di divenire del tutto anonimo non sembrava terrorizzarlo.
Poi l'aveva trovata, seduta su un tavolo, che leggeva un libro con uno sguardo preso, i capelli castano chiaro raccolti in una treccia e gli occhi del colore del mare salato. “Echo!” aveva esclamato Leo, forse con troppa enfasi, attirando l'intero sguardo della mensa su di lei, compreso quella della fanciulla, che era arrossita improvvisamente.
Tutti avevano guardato Leo senza curarsi di lei, mentre il ragazzo camminava con la stessa scioltezza di un pezzo di latta verso quella, per accomodarsi davanti a lei.
“Ciao!” aveva detto tutto impacciato, alzando una mano, sentendosi l'attimo dopo un completo idiota, la ragazza aveva abbozzato un sorriso, prima di sollevare la mano e replicare il gesto, “Come stai?” aveva domandato lui, cercando di non torturarsi le cuciture dei pantaloni con le mani, Echo aveva continuato a sorridere prima di fare un cenno del capo piuttosto pacata, inclinando la testa a sinistra.
Stava bene.
Poi aveva voltato il palmo verso di lui come ad invitarlo.
Echo capiva bene gli altri, peccato che non riuscisse a farsi capire.
“Sto benissimo” aveva risposto immediatamente lui, continuando a far strusciare le unghia sulle cuciture dei jeans, il suo tono era sembrato forse troppo in falsetto e non aveva del tutto convinto la ragazza, che aveva aggrottato le sopracciglia.
Leo prese un bel respiro, si era preparato, si era impegnato … aveva letto libri, seguito corsi e sfinito tutti i suoi amici.
Aveva sollevato le mani per compiere quei determinati gesti che sapevano dire alla ragazza che stesse bene.

Echo aveva aperto la bocca in una circonferenza perfetta davvero stupita di questo, “Va bene, va bene” aveva detto lui, alzando le mani, con un sospiro appena, “Non sono praticissimo, forse a fare i segni faccio anche piuttosto schifo” aveva ammesso, al che Eco aveva replicato capovolgendo il palmo della mano verso il basso, oscillandola poi.
Così così.
Che aveva fatto ridere Leo abbastanza di gusto. “Però sto diventando bravo a capirli” aveva detto immediatamente, “Così quando uscirai con me non sarà necessario ti porterai sempre dietro un quaderno” aveva spiegato poi il ragazzo. Aveva cercato di mimare che era diventato piuttosto bravo a seguire i “discorsi” che la gente aveva caricato su youtube per insegnare alla gente la lingua.
Echo era arrossita come una ragazzina, aveva sorriso e poi si era coperta le labbra con una mano, in un gesto di adorabile pudicizia. Poi Echo aveva mosso le mani troppo velocemente per cui Leo riuscisse a starle dietro ed il ragazzo di rimando aveva mosso le mani per chiederle di fare più lentamente.
L'altra si era impegnata per farlo con movimenti lenti e molto armonici.
“Hai ...” aveva detto con un tono basso Leo mentre leggeva i movimenti della ragazza, “Davvero ...” aveva aggiunto, “il linguaggio dei segni” il suo tono si era fatto sempre più basso, “Per me?” aveva inavvertitamente detto.
Echo gli stava sorridendo, allora lui aveva annuito con il capo, gli occhi della ragazza si erano fatti quasi umidi ed aveva velocemente gesticolato un grazie.

La verità era che Leo non sapeva perché aveva deciso di farlo, era un ragazzo che si innamorava troppo in fretta per lasciarsi così ossessionare ed impegnare per una persona. Però quando aveva incontrato Echo aveva deciso che forse per lei ne valeva in parte un po' la pena, certo aveva dovuto ammettere che all'inizio la ragazza non era stata poi così appariscente nella sua vita. Stava cercando di fare colpo su Khione, la bella ragazza che a letteratura sedeva in ultima fila, che monopolizzava l'attenzione di tutti con gli occhi scuri come il caffè ed il sorriso freddo. E mentre cercava di attirare in tutti i modi l'attenzione di quella ragazza aveva finito per investire una sfortunata che andava nella direzione opposta alla sua, l'aveva travolta, avendo fatto finire lui per terra, sopra di lei, la poverina a gambe all'aria ed i suoi libri per il corridoio. “Valdez sei un pericolo ambulante” aveva scherzato con una certa crudeltà Khione, cosa che aveva terribilmente ricordato al ragazzo le cose che sua zia usava dirgli.
“Mi dispiace! Mi dispiace tantissimo!” aveva detto immediatamente tirandosi via, mentre la giovane aveva tirato giù la gonna che le era saluta alla vita rossa in viso ed aveva alzato le mani i palmi verso di lui. “Ti sei fatta male?” aveva chiesto lui sollevandosi ed allungando una mano verso di lei, che l'aveva presa, per aiutarsi a tirarsi su ed aveva annuito, poi si era toccata lo sterno e poi aveva alzato un pollice verso di lui.
Leo aveva pensato fosse estremamente carina, ma un'ora dopo non l'avrebbe mai saputa ritrovare nel marasma di studenti che frequentavano la loro scuola.
C'erano voluti un'altra serie di incontri occasionali e la memoria ferrea di Hazel, perché scoprisse di Echo la ragazza muta che frequentava il terzo anno ed era totalmente devota a Narciso, il ragazzo più attraente del creato probabilmente, che si specchiava anche nelle pozzanghere.
E non c'era stata storia per Leo di poterci competere.
O almeno aveva pensato.
Piper ed Hazel lo avevano letteralmente obbligato a provarci – perché “Echo ti sorride sempre”, “Lei ti piace, tu le piaci, perfetto” ed altre frasi così.
Così era finito a passare davvero molto tempo con lei, all'inizio fingendo fosse per puro caso, come incontri in biblioteca, poi era cominciato a divenire naturale.
No, non aveva idea se ad Echo piacesse davvero lui in quel senso, se non fosse ancora ossessionata da Narciso, ma aveva cominciato a trovare in qualche modo fastidioso vederla intristita perché non riusciva a farsi comprendere con i gesti semplici e doveva quindi ricorrere ad un taccuino pieno di farsi a metà e cancellature.
“Voglio imparare la lingua dei segni” aveva detto un giorno, interrompendo la sessione di sguardi intensi che Piper e Jason si stavano lanciando; “Che cosa bella!” aveva esclamato Piper con un sorriso radioso sul viso, mentre Jason annuiva, “Così cadrà immediatamente ai tuoi piedi” aveva detto il suo amico, aggiustandosi gli occhiali con la montatura dorata sul naso.
La sua ragazza gli aveva tirato una gomitata appena sul petto.
“No, non è per quello” aveva chiarito immediatamente lui, “Nessun secondo fine subdolo” aveva aggiunto lui con chiarezza, “Io voglio fare qualcosa di bello per lei” aveva aggiunto poi.
Perchè Echo era calma, carina, sempre gentile ed aveva quel dono meraviglioso di vedere il meglio nelle persone, quando queste non riuscivano proprio a vedere lei.


Echo era seduta sul muretto, con le gambe accavallate ed un cono gelato in una mano. Bella, con un sorriso radioso, Leo era solamente appoggiato che mangiava il suo, con un sorriso imbarazzato, chiedendosi cosa avesse dovuto dire o fare in quel momento, cosa avesse dovuto aspettarsi da lei e cosa in realtà non voleva.
Echo d'altro canto cercava di dirgli qualcosa utilizzando una mano sola, con l'altra reggeva il cono che non sembrava però immune ai bruschi movimenti che faceva, finendo per oscillare paurosamente.
Lo sai che nessuno ha mai fatto qualcosa di così bello per me?
Leo lo aveva capito solo dopo un numero imbarazzante di tentativi.
“Peccato, te lo meriti” aveva risposto lui con onestà.
Impazziva dalla voglia di tenerle la mano, di baciarla, di dirle che ci sarebbe stato per sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Baciami la faretra o quello che ti pare. ***


 

 

Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: Baciami la faretra o quello che ti pare.
Prompt: #90 Sono andato a letto con te per una scommessa ma mi è piaciuto tanto e vorrei continuare a vederti!AU
Personaggi: Clarisse LaRue, Michael Yew (citati: Lee Fletcher, Will Solace, Katie Gardner, Chris Rodriguez, Travis e Connor Stoll, Ethan Nakamura, Luke Castellan e Phoebe)
Paring: Michael/Clarisse (Chrisse!Minor, Tratie e Connor/Phoebe)
Rating: Giallo fanta(?) - Arancione sbiadito?
Warning: NoCamp!AU(?) Modern!AU(?) Crack-ship
Beta: Nessuna
Note: Come sempre vorrei ringraziare Farkas – meno male che ci sei tu (e prima o poi recupererò la Charlena, se hai altre coppie che ti piacerebbe, dimmele)
Lo so cosa state pensando: RlandH eri sotto effetto di droga quando hai scritto questa cosa qui? Lo giuro, come Michael, non avevo ne bevuto ne ero drogata e quindi in realtà non ho giustificazione.
Imbarazzante confessione Michael/Clarisse sono sempre stati uno dei miei Gulty Pleassure, se non avessi avuto la Chrisse prima, forse gli avrei shippati – un po' come Phoebe e Connor, aspettatevi loro due.
E perdonatemi! La Chrisse che è in me non lo vuole fare e ...
Ormai è andata, speriamo bene!

Buona Lettura,
RLandH

ps- Sempre grazie a CampMezzosangue ed i loro prompt.

 

 

 

Baciami la faretra o quello che ti pare.



 

“Omi … od...io” era riuscito a farfugliare Michael, con gli occhi spalancati verso il soffitto, mentre Clarisse gli tirava una manata senza particolare grazia in faccia, “Zitto” aveva ringhiato, “Voglio dormire” e nell'averlo fatto si era rigirata, tirando via tutte le coperte che erano finite ad appallottolarsi sul suo corpo, in un bozzo confortevole.

Michael era rimasto nudo, fermo, raffreddato e gli occhi spalancati al soffitto, che riprendeva ancora fiato.

Era andato a letto con Clarisse.

Più che altro Clarisse era venuta a letto con lui.
Insomma onestamente credeva che quella avrebbe di gran lungo preferito la fustigazione che a compiere un tale atto … ma era successo.

Respira, Michael, Respira, aveva pensato.

Mentre faceva corti respiri degni di una donna con le doglie.

Al ché Clarisse si era voltata nuovamente verso di lui, rubandogli ancora qualche porzione di coperte, lasciandolo ufficialmente nudo di ogni cosa, nonché effettivamente lui avesse ancora qualcosa da nascondere.
“Non puoi evitare di fare la ragazzina? Anche solo per cinque minuti, Yew” aveva ringhiato lei, quasi scoprendo anche i denti, gli occhi castani puntati sui suoi ed i capelli sfatti. “Cielo! Mi ero dimenticato davvero quanto potessi essere antipatica” aveva soffiato lui, mentre afferrava un po' delle coperte per potersi coprire le sue nudità.

Clarisse gli aveva tirato un manata in faccia, prima di sistemare meglio la testa sul cuscino e dandogli una panoramica delle sue tette strizzate … ed aveva perso il filo del discorso.

“Fa silenzio o ti rompo il brutto muso che ti ritrovi” aveva gracchiato Clarisse, nascondendo anche il viso nel cuscino, Michael si era girato su un fianco per poterla guardare, “Non mi sembrava non ti piacesse la mia faccia ieri” aveva sentito il bisogno di dire, con un sorriso piuttosto sfrontato sulla faccia.

Clarisse aveva sollevato gli occhi dal cuscino, erano porcini e cattivi, ciocche di capelli bruni continuavano a cadergli sulla faccia, “Ora ti prendo a calci in culo” aveva ringhiato lei, standosene girata su un fianco, tenendo la testa sollevata con un palmo sulla guancia e svolazzando un pugno, così stretto da sbiancare le nocche, sotto il suo naso. “Dopo ieri sera sarebbe la cosa meno violenta fatta in questo letto” aveva risposto lui con un tono sornione ed un sorriso da cheshire.
Be, Michael non poteva dire di non esserselo cercato il pugno sul naso.

Clarisse aveva un bel paio di tette, costellate da macchie violacee sulla pelle dal collo fino al basso ventre, “Sei un animale” aveva constato quella, mentre si infilava le mutande con le fiamme ed i teschi, “Almeno io non mordo” aveva constato Michael, posato sullo stipite della porta, coperto da segni di denti e del suo sangue, mentre teneva della carta igienica sul naso per fermare l'emorragia.

Michael era anche abbastanza confuso dalla dinamica dei fatti della sera precedente, cioè non era ubriaco e quindi non ricordava niente – o peggio ricordava, ma non aveva l'alcool a cui affidare la colpa – in verità lui era anche piuttosto consapevole di come fosse finito lì.

La dinamica che restava ambigua era come si era passato dal “Puoi baciarmi la ... faretra” che Michael aveva detto a Clarisse a “Puoi baciarmi dove ti pare” ansimato dentro l'ascensore sempre da lui, mentre le loro mani si infilavano in ogni spiraglio dei vestiti.
E Clarisse gli aveva detto che un giorno gli avrebbe strizzato le palle, solo che Michael non credeva gli sarebbe davvero piaciuto così tanto quando poi era avvenuto.
Già che lo avesse colpito in faccia, rendeva Michael improvvisamente più tranquillo, come se le cose si fossero ristabilite nel giusto ordine, come sempre avrebbero dovuto rimanere e che la notte prima doveva essere una sorta di parentesi nosense mai avvenuta. “Perchè hai il muso di un cinghiale tatuato su una scapola?” aveva chiesto lui, buttando il fazzoletto nel cestino, “Tu perché hai una faccia da donnola?” aveva replicato lei, che si era infilata i jeans ed ora stava a carponi sul pavimento della sua stanza alla ricerca del suo reggiseno.
Michael l'aveva trovato così impellente fare il commentaccio che aveva pensato, farsi quasi bollente sulla gola, ma l'aveva lanciato giù insieme ad un groppo di saliva e bile, mentre Clarisse si metteva in una posizione genuflessa, le mani sui fianchi ampi e neanche una sola goccia di pudore sulla faccia, se ne stava lì scoperta con un espressione infastidita sul viso.

Non aveva mai pensato che Clarisse fosse una bella ragazza, oggettivamente non lo era, probabilmente aveva più muscoli sulle braccia di lui ed era orribilmente fastidiosa, oltre da avere un carattere così zelante da far risultare un leone sotto steroide una creatura calma. “Che c'è?” aveva chiesto perplesso lui, sforzandosi di guardarle gli occhi anziché altro, “Dove è il mio reggiseno?” aveva chiesto poi alzandosi in piedi, sempre con le mani sulle guance e l'espressione furente, “Ed io che ne so, non è che ho fatto molto caso a dove finissero i vestiti” aveva commentato, mentre infilava un paio delle sue mutande, almeno lui aveva la fortuna di giocare in casa.
Clarisse l'aveva offeso senza mezzi termini mentre raccattava la sua maglietta di una qualche band indi rock che avrebbe fatto sanguinare i timpani di chiunque, i suoi particolarmente; lei lo aveva anche mandato anche malamente al diavolo con il dito medio. Era sempre un capolavoro di finezza.

“La Bandana?” lo aveva interrogato di nuovo, mentre lanciava in aria cuscini e lenzuola, finendosi per ritrovare in mano il preservativo della notte scorsa che aveva lanciato via schifata – o si ma tanto non era stato dentro di lei, certo - “Te ne puoi andare senza reggiseno ma non senza bandana?” aveva inquisito lui perplesso, “Sta zitto” era stata la risposta piccata della ragazza. “Mi faccio del caffè ne vuoi?” si era arreso lui, lasciando la stanza per dirigersi nella cucina.
La cosa buona era che Will e Lee almeno non c'erano.
Solo che Michael poteva perfettamente vedere nella sua mente la faccia incazzata ed indignata di Will, che lo guardava a braccia conserte e deluso, “Non posso credere che tu sia andato a letto con una ragazza solo per una scommessa” gli avrebbe detto.
Lee sarebbe stato incazzato perché voleva davvero bene a Clarisse – per un qualche assurdo motivo che Michael non riusciva a concepire.
Il buono era che almeno ora i fratelli Stolls avrebbero dovuto essere letteralmente i suoi “schiavi”, visto che lui Clarisse se l'era fatta, mentre Travis aveva ricevuto un bel calcio nei gioielli da Katie e, be, Connor neanche era riuscito ad avvicinarsi a Phoebe.
E poi Michael aveva guadagnato anche una nottata degna di essere ricordata.
Solo che ora si faceva schifo.

“Fanne una tazza anche per me” la voce di Clarisse era venuta a risvegliarlo dal suo degrado morale.

 

“Con Chris, che farai?” aveva chiesto titubante, mentre allungava il caffè alla ragazza. Oggettivamente si era rifiutato un primo momento di provarci con Clarisse, non solo perché era una persona orribile sotto molti punti di vista – una il cui passatempo era ficcare la testa delle persone nei gabinetti non poteva essere definita proprio buona – ma anche perché era fidanzatissima con un ragazzo con cui Michael faticava a credere qualcuno avesse mai potuto litigare. Santo Chris Rodriguez, patrono di tutti gli Innamorati Sfigati e protettore dei Fidanzati di Ragazze Violente. “Be sarebbe stato un suo problema se non fosse andato in Mozambico con Castellane e Nakamura, come gli avevo chiesto” aveva risposto lei infastidita, mandando giù del caffè bollente in un sorso.
Almeno non era andato a letto con una ragazza fidanzata, già si faceva un po' meno schifo.
“Mi hai usato come ripicca?” aveva chiesto poi, “No” era stata la risposta spietata della ragazza, “Avevo bisogno di fare sesso e tu eri lì stranamente disponibile” aveva aggiunto.

Oh be almeno si era accorta che c'era qualcosa sotto … ma questo non lo giustificava.

“Stranamente è stato anche molto bello” quello si era reso conto poi Michael non avrebbe mai voluto dirlo ad alta voce, Clarisse l'aveva guardato con un sopracciglio alzato, “Stranamente?” aveva chiesto retorica. “Si, cioè, onestamente non credevo che tra me e te potesse esserci chimica” aveva detto frettolosamente lui, temendo di ritrovarsi il labbro spaccato o che altro.

“Be io sono brava, probabilmente avrei chimica anche con un manichino” era stata la superba risposta di Clarisse, era vero, ma neanche sotto tortura Michael l'avrebbe ammesso, “Giusto per ricordarti: ho partecipato anche io” aveva detto.

“Ed è stata anche una partecipazione notevole” aveva aggiunto poi.

“Non così notevole” replicato lei.

Michael aveva sbuffato offeso, “Dio, non mi sembrava che ieri ti stessi proprio lamentando, continuavi a mugugnare più forte, più forte” e nel dire quelle cose, Michael si era anche improvvisato attore nell'imitare la ragazza, facendola probabilmente incazzare come una iena. “Questo, Yew, perché non andavi forte” era stata l'arcigna risposta di Clarisse, che ora era in piedi, incazzata, con lo sguardo furente da toro alla corrida che aveva visto un lenzuolo rosso.
Michael non sapeva se era il torero o il lenzuolo, ma era certo che alla fine di quella mattinata sarebbe stato incornato.

 

“Will si incazzerà” era stato il sospiro di Michael, mentre guardava i resti della tazza che giacevano non lontano da lui assieme al caffè che si era riversato sul pavimento bianco – ma chi metteva un pavimento bianco in cucina?

“Tu dici?” aveva chiesto Clarisse stranamente calma, con una mano che penzolava dal tavolo della cucina e le gambe ancora schiuse, mentre Michael aveva posato la testa sul piede della tavola, dopo essere scivolato a terra. “Credevo che ci saremmo presi a pugni” aveva ammesso lui, “Non lo stavamo facendo?” aveva chiesto lei sollevandosi sul gomiti, osservando con un certo schifo quello che aveva combinato lui sulla sua maglietta, “Be almeno sono certo di aver colpito forte” aveva detto lui, mentre lei gli tirava una pedata sul capo, prima di mettersi seduta per un momento e poi scendere dal tavolo, nuovamente alla ricerca di biancheria e pantaloni.
Will sarebbe andato fuori di testa all'idea che qualcuno avesse fatto sesso sul tavolo dove mangiavano. E Michael era anche abbastanza certo che non avrebbe più potuto mangiare su quel tavolo allo stesso modo. “Quindi era una scommessa?” aveva chiesto Clarisse, mentre recuperava i suoi vestiti sparsi per la cucina, una calzetta era finita sopra la macchina del caffè.
Dopo che Clarisse aveva insinuato la sua mancanza di vigore, Michael gli aveva sbattuto in faccia che era andato con lei solo per una scommessa – e l'aveva detto nei peggiori termini che gli erano venuti in mente.

E se si era aspettato l'attimo dopo di essere brutalmente colpito e poi smembrato a mani nude, si era sbagliato, perché Clarisse l'aveva guardato con un espressione del tutto umiliata. Michael aveva cominciato a realizzare quanto meschino fosse stato e poi lei gli aveva tirato un pugno in piena pancia ed una testata, era andata fuori di testa e lui aveva cominciato a scusarsi, giustificarsi e a rispondere ai colpi, perché si sentiva in colpa ma Clarisse era la campionessa di jujitso o qualcosa di simile e come fossero finiti a fare il bis della notte prima sulla tavola della cucina era un'altra dinamica su cui Michael si sarebbe interrogato ancora, non appena avesse riacceso il cervello. “Be, 'fanculo faccia di tasso, non avvicinarti mai più a me o ti strappo le palle” aveva ringhiato lei, stringendosi la bandana sui capelli scuri – evidentemente la notte prima l'avevano buttata lì presi dalla foga.

“Si lo so, sono stato un vero verme, fai bene a volermi morto” aveva detto lui consapevole. “Morto?” aveva chiesto retorica Clarisse, “Io voglio ammazzarti” aveva aggiunto, se gli occhi avessero avuto potere l'avrebbero incenerito lì seduta istante.

“Io ...” aveva cominciato lui, non sapendo come continuare.

Non gli piaceva Clarisse, non nel senso che voleva uscire con lei, baciarla, passarci del tempo insieme, fare i fidanzatini.
Ma gli piaceva Clarisse in quell'altro senso: gli piaceva stare dentro di lei. E anche tanto.

“Tu cosa?” aveva ringhiato lei, “Vuoi morire ora? In maniera dolorosa?” aveva ringhiato lei, d'altro canto. Michael si era sempre vantato della sua lingua tagliente, ma adesso non era decisamente certo di avere una combinazione di parole adatte per spiegare a Clarisse che gli piaceva fare sesso con lei, ed anche tanto, senza però scatenare una qualche furia omicida su di lui.

“Il sesso mi piace ...”

“Eh?”

“Tra noi il sesso mi piace!”

“Ma io ti ammazzo, ti resuscito e ti ammazzo di nuovo!”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Di ispirazioni mancati, sirenetti e cose fantastigliose ***


Titolo(Storia): I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo: Di ispirazioni mancati, sirenetti e cose fantastigliose
Prompt: #98 Sono un artista e mi serve un modello vuoi posare per me!AU
Personaggi: Rachel D.Elizabeth, Percy Jackson, Lester Papadopulus, Paolo Montes, Hazel Levesquez, Silena Beauguard, Will Solace, Octavian, Nico di Angelo (Citata: Meg McCaffrey)
Paring: Perachel, Solangelo!Minor, Ractavian!Past, Apaolo!Oneside
Rating: Giallo patatina fritta (ed ovaie esplose)
Warning: NoCamp!AU(?) Modern!AU(?) HighSchool!AU
Beta: Nessuna
Note: Ei, ma allora sei ancora viva? Ebbene si, non credo che a qualcuno ne abbia sentito la mia mancanza, comunque sia ringrazio sempre Farkas per aver recensito il capitolo precedente.
Nono ho idea di quanto potrò aggiornare di nuovo: sono un po' a corto di idea e senza internet a casa (di fatti lo sto rubando dalle mie amiche ahah).
Tecnicamente per come la ho sviluppata probabilmente Hazel avrebbe avuto più senso di Rachel, ma fa nulla. Comunque era tanto che volevo scrivere di Percy e Rachel e alla fine questo prompt mi ha preso anche grazie ad una fanart che avevo visto che aveva questo tema, ma sfortunatamente non sono riuscita a ritrovarla.

Lester, Paolo e Meg sono tre personaggi di Trials of Apollo (Che fidatevi: è tanta roba)

 

Buona Lettura,

RLandH

 

ps- Sempre grazie a CampMezzosangue ed i loro prompt.

 

 

 

 

Di ispirazioni mancati, sirenetti e cose fantastigliose

 

 

 

 

 

Rachel Elizabeth Dare aveva colpito con la propria fronte il suo armadietto. Lester l'aveva guardata con uno sguardo piuttosto pessimo, “Che succede?” aveva chiesto lui, prima di mettersi a studiare le sopracciglia nello specchietto che aveva attaccato nell'anta interna del suo armadietto. “Il compito di Arte” aveva replicato con un tono un po' vacuo Rachel.
Lester stava studiando un brufolo che si era palesato a metà dell'attaccatura degli occhi, c'era orrore dipinto sul suo viso. “Ma se sei la migliore, sei persino più brava di me” aveva risposto Lester, mentre continuava a piantonare gli occhi scuri sul puntino rosso che svettava sulla sua faccia. Si impiastricciava sempre di creme per colpa della sua acne, ma la sua pelle non sembrava volersi dar per vinta e continuava a creargli quei fastidi.
“È che non ho idee” aveva soffiato lei, voltandosi e posando le spalle contro l'armadietto, “Rachel è solo un compito” aveva ripiegato Lester, “Lo dici solo perché vuoi essere il migliore della classe” aveva risposto lei, fintamente piccata.
L'altro aveva spalancato la bocca, “Tu quoque Rachel fili mihi” aveva replicato Lester, con la sua peggior faccia melodrammatica, “Credo che fili sia maschile” aveva risposto lei, con una mezza risata, tirandogli un buffetto sulla spalla.
Lester le aveva messo una mano tra i capelli e glieli aveva scossi, dimenticando quando riccioluti fossero, ritrovandosi così le dita prigioniere tra i ricci.
“Sei un'idiota” aveva replicato Rachel, cercando di trattenere una risata, mentre cercava di divincolarsi dalla stretta, “E tutti mi amano” era stata la sua risposta.

 

Lei e Lester si erano piaciuti, chiaramente si piacevano ancora, ma non più in quel modo, cosa fosse andato storto Rachel non lo sapeva, ma ne era veramente grata. “E che non è solo il compito d'arte e tutto, sono completamente svuotata” aveva ammesso lei, mentre metteva a posto i libri di chimica nell'armadietto, Lester aveva piazzato un cerotto sul suo foruncolo: che esagerata prima donna. “Praticamente da quando tu ed Octavian vi siete lasciati la tua verve artistica è morta” aveva constato il suo amico.
“Praticamente; di solito dopo una rottura gli artisti non dovrebbero essere nel pieno delle loro emozioni e fare capolavori?” aveva chiesto retorica lei, che il giorno prima aveva guardato un foglio per mezz'ora ed alla fine era riuscita a fare solo infiniti cerchi.
“Si, ma parliamo di Octavian, il tuo periodo buio è stato lui” aveva replicato Lester, “Hai una grande opinione di tuo cugino” aveva risposto pratica lei.

Qualsiasi cosa il suo amico avesse voluto risponderle era stato interrotto dal bip di un messaggio, “Meg ha bisogno di me” aveva constato con un tono di voce lugubre, mordendosi un labbro. Meg era una ragazzina di dodici anni con una situazione famigliare assurda che aveva eletto Lester suo fratello maggiore praticamente. E per quanto il suo amico se ne fosse lamentato, alla fine, era sempre disposto a dare una mano; “Ha bisogno del suo supereroe” aveva risposto Rachel divertita, “Quando avrà finito con lei, SuperApollo salverà anche te” l'aveva presa in giro Lester, alzando anche un braccio in obliquo mentre l'altro l'aveva piegato verso il pettorale, in una posa parodistica da super eroe.

Rachel aveva ridacchiato e Lester aveva aggrottato le sopracciglia, “Che c'è?” aveva chiesto, “Non credi nei miei fantastigliosi* superpoteri?” aveva detto tutto melodrammatico, “No, no ci credo, fantastiglioso SuperApollo … Ridevo per la faccia che ha fatto Paolo” aveva risposto lei, ammiccando al ragazzo che era a pochi metri da loro, al suo armadietto, che gli guardava con occhi spalancati. “Odio la mia vita” era stata la pigra risposta di Lester.

 

Rachel si era seduta sui gradoni della piscina interna, era aperta e nessuno stava facendo gli allenamenti. Era un posto suggestivo, con il rumore dell'acqua e tutto in tonalità di azzurro, anche le luci erano blu anziché bianche; la piscina non era proprio olimpionica però era davvero grande, sapeva che era lì che praticamente facevano le competizioni studentesche interscolastiche o tra le altre scuole. Sapeva anche che la Olympian High School era una delle migliori nelle competizioni agonistiche nelle discipline acquatiche – si diceva così?
Non che a lei interessasse, era andata a vedere una o due gare qualche volta, per il resto aveva sempre evitato la piscina quando era pingue, preferendola frequentare in quelle occasioni. Lei aveva un piano ed era ottenere una borsa di studio per una delle accademie d'arte più prestigiose del nord America.

Aveva il blocco da disegno sulle gambe ed era armata di una matita HB, una gomma ed un temperino, meglio ricominciare dal principio, non doveva neanche fare un opera d'arte – come quelle che le riuscivano sempre, con la pittura, i diversi materiali sul cavalletto – doveva fare solo un semplice disegno. E poi lo aveva visto, mentre si ritrovava a disegnare la stessa imprecisa spirale che faceva quando la sua vena romantica moriva; l'aveva scorto con la coda dell'occhio.
Aveva sollevato lo sguardo un po' incuriosita, era un ragazzo – che non sembrava essersi affatto accorto di lei – con i capelli scuri, al bordo della piscina, aveva cominciato a togliersi le scarpe, calzini e poi si era sbottonato la cintura ed i jeans, gli aveva calati senza alcuna vergogna. E Rachel era rimasta in silenzio guardando gli adduttori ed i vasti, aveva delle cosce sode e delineate, che il costume nero aderente, che finiva appena prima delle rotule, sottolineava molto ... e gli obliqui definiti, come aveva fatto Rachel a non notarli.
Ok, stava delirando e quando il ragazzo si era tolto anche la maglietta non aveva aiutato, aveva un po' rovinato l'immagine di dio greco nascondendo parzialmente il viso dietro degli occhialini ed ficcando i capelli in una cuffia blu.
Era salito su una delle postazione della piscina e si era tuffato – neanche fosse un delfino – in acqua cominciando a nuotare.
E wow …
Se fino a quel momento Rachel lo aveva guardato come una ragazzina in piena crisi ormonale adesso lo stava guardando da una prospettiva diversa.
Non era bello in quel momento, cioè chiaramente lo era, ma era anche molto ispirante. Il ragazzo si muoveva nell'acqua come se fosse il suo elemento naturale, come se al posto di gambe avesse le pinne.

La mano di Rachel aveva guidato la matita senza che lei se ne rendesse conto, aveva cominciato a tracciare linee frenetiche sul foglio bianco, mentre faceva saettare lo sguardo dal foglio bianco al ragazzo che fendeva l'acqua come una lama. Rachel aveva cominciato a rimarcare le linee che ora non erano neanche più semplici abbozzi, usando anche i polpastrelli per sfumare la grafite.
L'immagine che si era andata a palesare era quella del ragazzo, con intesta una corona di corallo, alcune zone erano coperte di squame ed a cavallo di uno squalo.

 

Rachel si era alzato dai gradoni per scendere fino alla vasca ed aveva aspettato nella corsia dove nuotava in ragazzo, sedendosi a gambe incrociate e mettendo le mani sulle ginocchia. Lui era arrivato di fretta – Rachel non aveva contato quante vasche avesse fatto fino a quel momento; quando l'aveva vista non era ripartito per girare nuovamente preferendo fermarsi davanti a lei ed abbassare gli occhiali, indossava anche una collanina con delle perline colorate ed una con un corallo. Aveva degli strabilianti occhi verdi.

“Si?” aveva domandato confuso, notando lo sguardo fisso di Rachel sul suo viso, “Vuoi essere il mio modello?” aveva chiesto lei d'un fiato. “Che?” era riuscita a dire il ragazzo, spalancando le labbra, aveva anche una dentatura invidiabile, era arrossito sulle guance in maniera imbarazzata. “Ti prego! Ti prego!” l'aveva supplicato lei, mentre recuperava il suo blocco per mostrare il disegno che aveva fatto di fretta, “Sono disperata!” aveva esclamato lei, posando le mani sul pavimento e praticamente stendendosi per terra.

Il ragazzo si era issato fuori, facendo lavorare tutti i singoli muscoli delle braccia e Rachel si era sforzata di guardare da qualsiasi altra parte. Quello aveva sfilato la cuffietta, facendo ricadere i capelli bagnati sul viso; “Sei veramente brava, complimenti” aveva commentato con un tono un po' da tonno, “Posso vedere gli altri?” aveva chiesto alzando le mani, come a simboleggiare però che aveva i palmi bagnati, così Rachel si era apprestata e prendere il suo blocco per fargli vedere il resto – saltando gli infiniti schizzi di cerchi.
“Ti piacciono le cose astratte?” aveva commentato lui, “Perchè ti servo come modello?” aveva chiesto confuso poi, “Diciamo che non ho limiti” aveva risposto sicura lei, prima di rendersi conto che forse la cosa aveva un senso più imbarazzante di quanto volesse intendere, “Cioè, io, no ...” aveva ripreso lei. Il ragazzo aveva ridacchiato, “Ho capito” le era venuto in contro.
“Ti prego sono disperata!” aveva esclamato Rachel chiudendo il suo blocco di botto, “Piacere Disperata, io sono Percy” l'aveva fatta ridere lui.
Si era sentita in un profondo imbarazzo, si era grattata i capelli, “Scusami, si, Rachel Elizabeth Dare” aveva risposto lei, stringendo la mano che a tutti gli effetti Percy le aveva allungato.
“Ma sei l'ex-ragazza di Octavian” aveva commentato il ragazzo, “Non esageriamo, uscivamo appena” aveva detto chiaramente lei. “Lo conosci?” aveva chiesto poi lei, Percy aveva annuito, “Ha detto al preside che avevo della marijuana nella mia borsa” aveva risposto lui, “Ho quasi rischiato una sospensione e di non poter partecipare alle selezioni” aveva aggiunto Percy.
Rachel si era sentita in un imbarazzo incredibile, “È una persona orribile” aveva constato, “Si lo è” aveva risposto lui, “Che poi neanche fumo sigarette” aveva esclamato lui.
La ragazza ne aveva preso atto, mentre cercava di non farsi distrarre dai muscoli – bagnati, molto importante – del giovane, “Ti prego si il mio modello” aveva supplicato Rachel di nuovo, “Ne ho bisogno sia per avere un compito d'arte, sia per il mio futuro” aveva ripreso lei, “Non vuoi essere causa della rovina della mia vita, vero?” aveva chiesto, cercando di farle pena.
Percy era di un rosso infuocato in viso, “Mi vergogno” era riuscito a miagolare.
“Seriamente?” aveva chiesto lei, stupita: con quel fisico?
Non poteva neanche pensare che fosse qualcosa che era circoscritta alla sua mascolinità, perché il costume che indossava era davvero aderente e non lasciava nessuna immaginazione.

“Te lo giurò, sarà qualcosa di figurativo” aveva detto lei, “Allora a cosa ti servo?” aveva chiesto allora Percy perplesso, “Mi hai ridato ispirazione” aveva ammesso lei, candidamente.
“Non dovrò posare nudo, vero?” aveva chiesto Percy, “Tranquillo, più di così non credo sarà necessario” l'aveva rassicurato lei, muovendo il palmo in maniera circolare per ammiccare al corpo di Percy.
“E' che quando sto in acqua dimentico tutto” aveva commentato Percy, grattandosi i capelli scuri, “D'accordo Haru” aveva risposto lei, con un sorriso ammiccante, “Come?” aveva chiesto lui confuso, aggrottando le sopracciglia. Oh, Rachel di tanto in tanto dimenticava che non tutti i ragazzi fossero come il suo amico Lester. “Abbiamo un affare, allora, Percy?” aveva chiesto lei, allungando una mano verso di lui, “Si” aveva concordato lui, ricambiando la stretta; “Il tuo sorriso mi spaventa” aveva sussurrato Percy, “Fai bene” aveva commentato lei.

 

“Complimenti Rachel è molto bello” aveva commentato Will Solace della classe di arte, osservando il dipinto che lei aveva portato lei per il compito d'arte.
Lei aveva annuito soddisfatta, anche Lester aveva fatto i complimenti, ricordando però che probabilmente avrebbe avuto lui il voto più alto; Rachel doveva dare atto che il quadro cubista – che non era assolutamente Paolo – era davvero ben fatto, aveva fatto un saggio uso di colori ed era un maestro delle cere.
Ma lei aveva dato il meglio di se, utilizzando qualsiasi materiale su cui avesse potuto mettere le mani, fil di ferro, residui di raso di bomboniere, colla, carta da regalo, tempere. Qualsiasi cosa.

“Complimenti per il modello” era stato il commento di Hazel che aveva allungato l'occhio prima di tornare a guardare il suo quadro, un bellissimo paesaggio fatto di pennellate veloci. Poi quando s'era ritrovata lo sguardo di tutti addosso era avvampata appena, “Su è bello” aveva ammesso Hazel in imbarazzo.
I temi liberi avevano dato davvero ottimi frutti, Rachel era davvero contenta che non fosse una competizione, ma solo una valutazione. Nico, che aveva scelto quel corso praticamente per stare con il suo fidanzato, si era affacciato – in realtà era soprintendente capace in arte anche Nico, pur non avendo alcun interesse – per vedere il suo quadro: “Ma è un sirenetto?” aveva chiesto.
“Tecnicamente si chiamano tritoni” aveva detto Silena passandosi le dita tra i capelli, “Si” aveva risposto Rachel.
“Ma non è Percy Jackson della squadra di nuoto?” aveva invece chiesto Octavian, aggrottando le sopracciglia, “Be, si mi ha fatto da modello” aveva risposto con estrema ilarità.
“E ti ha fatto solo da modello?” aveva chiesto Lester, guadagnando una pizzicata da lei, “Può darsi di si, può darsi di no” aveva risposto lei, allusiva.

 

 

Fantastiglioso: neologismo tra Fantastico e Meraviglioso.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Si sta come pantaloni, durante i porno, alle caviglie ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  Si sta come pantaloni, durante i porno, alle caviglie
 Prompt: #19 Ti ho sgamato mentre guardavi porno!AU [Jason&Leo]
 Personaggi:  Leo Valdez, Jason Grace, Piper al Telefono(Citati: Nico di Angelo, Cecil, Will Solace, Drew, Thalia Grace, Luke Castellan, Calypso, Signor D., Lou Ellen, Beryl Grace)
Paring: Jasper, Caleo!One-Side, Thalike!Past, Thaleo!Minor, Lou/Cecil, Will/Nico
Rating: Giallo/Arancio Shirley Temple
Warning:  Modern!AU/NoCamp!AU(?)/Roomates!AU
 Beta: Nessuna
Note: Per la prima volta i protagonisti non sono una ship, ma solo, be, bromance. Forse non è un granché, ma avevo voglia di riprendere questa raccolta ma non sapevo che prompt scegliere così ne ho tirato fuori uno a caso e, bo, è uscita questa cosa.
Ogni shot dovrebbe essere singola e relativa a se stessa, comunque sia questa potrebbe essere considerata il seguito della Seconda (La Caleo) [Che in parte parlava già del tema del porno, quindi mi sono sentita di riprenderlo] ed ambientata nello stesso universo della Khileo. Ma tutte sono leggibili da sole.
Quindi si, bo, scusate il profondo disagio ... ma questa cosa è tipo un must del "coinquilinaggio".
Ringrazio vivamente Farkas, meno male che ci sei tu.
Rigraziamo CampMezzosangue per i prompt.
Un bacio
RLandH


Si sta come pantaloni, durante i porno, alle caviglie
 

“Sei sicura che tu non voglia che venga?” aveva chiesto Jason mentre infilava le chiavi nella toppa del portone, aveva il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio; dall’altra parte del apparecchio poteva sentire la voce della sua fidanzata, Piper.
Fidati, ti amo troppo per costringerti a vedere questo pietoso spettacolo” aveva commentato lei, prima di fare un qualche urletto. 
“Senti, mi hai accompagnato a sentire la band HeavyMetal di mia sorella ...” aveva riprovato Jason, mentre con una spalla spintonava la porta. Aveva le mani occupate dai sacchetti della spesa, “Guarda che Thalia spacca, Jason” aveva ridacchiato Piper, Jason poteva figurarsela nella sua mente con il suo bel sorriso che si delineava sul viso. “Mia sorella no; ecco, appunto, mi sta chiamando a quanto pare le tovagliette pervinca non sono abbinate alle tovaglie rosa” aveva soffiato con un po’ di boria, “Facciamo così, se entro la fine della serata non le uccidi: domani andiamo a mangiare vegetariano” aveva detto a lei.
A lui la cucina vegetariana non piaceva quasi per nulla, ma per amore questo ed altro.
Va bene, super fusto” aveva risposto l’altra.
“Con queste citazioni mi uccidi” aveva ridacchiato lui.
Appurato che chiusa la chiamata era rimasto con la cornetta tra la clavicola e l’orecchio, aveva preso l’ascensore ritrovandosi a pigiare il tasto della chiamata con il naso.

Spesa fatta – e una era andata. Adesso doveva preoccuparsi di farsi preparare dal Signor D. un nuovo contratto per l’appartamento; fino a quel momento erano stati lui, Leo e Cecil, ma l’ultimo aveva dato la disdetta perchè aveva deciso di andare a convivere con la sua fidanzata Lou.
Comunque Will e Nico gli avevano trovato un potenziale nuovo inquilino: un tale Lester.
Non era per nulla preoccupato, alla fine dopo oltre un anno di coinquilinaggio – e cameraggio – nella stessa stanza di Leo Valdez era pronto a tutto.

Aveva posato i sacchetti della spesa per terra sull'uscio della porta, cercando di non far cadere le chiavi che teneva per il mignolo da portachiavi, ed infilato il telefono nella tasca dei pantaloni,  poi aveva aperto la porta.
“Leo! Sono tornato prima!” aveva esclamato, ma la sua voce era stata persa nel vuoto, eppure avrebbe dovuto essere in casa, glielo aveva chiesto quel giorno. Magari aveva avuto uno dei suoi impegni improvvisi, come quando era sparito tutta il giorno perchè il cofano di una Bentley non si sarebbe smontato da solo. Adorava Leo, sul serio, ma davvero era imprevedibile.
Aveva sistemato la spesa un po’ nella credenza ed un po’ nel frigorifero, piegato la busta e messa in conservazione, lasciando fuori soltanto la confezione di popcorn alle fragole che aveva aperto immediatamente, mettendosene una manciata in bocca.
Poi aveva imboccato la strada per la sua camera e quando aveva aperto la porta aveva scoperto che, si, il suo coinquilino era in casa.
Che aveva i pantaloni alle caviglie.
Le cuffie.
E ... un porno?
Non ne poteva essere sicuro: ma ...
“Oh no” aveva esclamato, con il viso esangue, mentre Leo aveva ancora lo sguardo basso e si stava mordendo un labbro. E la sua mano ... 
Jason era letteralmente fuggito, finendo per inciampare sul tappetto che stava fuori dal bagno, proprio davanti la loro camera – perchè, cielo? – finendo per sbattere contro la scarpiera con la fronte.
Aveva fatto abbastanza confusione da aver attirato almeno l’attenzione del suo coinquilino.
Almeno non aveva rotto gli occhiali.
 
“Jason, sul serio ...” aveva cominciato Leo con lo sguardo basso.
“Siamo ragazzi, lo abbiamo fatto tutti” aveva detto Jason, pensando che almeno il fatto che Leo avesse tenuto il computer in maniera che lui non avesse dovuto affogare nell’alcool i ricordi del pene del suo coinquilino. Almeno.
Era ancora traumatizzato da quando sua sorella aveva scoperto come giocare al dottore con il vicino di casa. Oh Luke Castellan aveva popolato i suoi incubi.
Leo si era morso un labbro – no, quel gesto da ora era proibito, doveva dirglielo.
“Non è così semplice” aveva cominciato quello.
“Si lo è” aveva risposto pratico Jason, proprio non capiva perchè il suo coinquilino ne volesse parlare.
Era successo, non poteva essere cancellato – acido negli occhi,a parte – ma poteva essere superato.
Tipo non parlandone mai più, con nessuno.
Ignorando che poi Leo avrebbe dovuto essere mille mila volte più imbarazzato di lui.
“Calypso” aveva soffiato quello fuori, “Che cosa centrano i porno con la nostra vicina di casa?” aveva chiesto Jason.
Perchè lo aveva chiesto – il suo istinto da amicone ficcanaso, come diceva sempre Nico. Calypso abitava sul loro stesso pianerottolo, un bel sorriso ed il cuore di Leo in una mano.
Lui che era sempre stato un ape che andava di fiore in fiore (tra cui quello di sua sorella, ma Jason aveva rimosso anche quello) dopo aver conosciuto la vicina si era fissato solo su di lei.
“Non era proprio un porno, era un hentai. Lei li guarda cos...”
Jason non aveva ascoltato il resto della conversazione, aveva deciso che un pacchetto di popcorn ed una maratona di Grey’s Anatomy.
“Non vuoi davvero parlare?” aveva chiesto Leo, con un tono melodrammatico ed un espressione fintamente sconvolta. “Metodo Beryl Grace, ignorare completamente le cose ed affogare il disagio nelle schifezze. Prendi e porta a casa.”
“Sono a casa Jason.”

“Ma, quindi ... questi Hentai?”
“Preparati ad entrare in un mondo oscuro, golden boy.”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Niente è più seducente di ricontrare un’ex quando sei allettato all’ospedale ***



Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  Niente è più seducente di ricontrare un’ex quando sei allettato all’ospedale
Prompt: #65 Ci siamo lasciati ma non ho mai cambiato i contatti di emergenza e adesso sono in ospedale e hanno chiamato te!AU (Annbeth/Luke)
Personaggi: Luke Castellan, Annabeth Chase (citati: Will Solace, Ethan Nakamura, Silena Beauguard, Chris Rodriguez, Alabaster C.Torrington)
Paring: Lukabeth!Past, Luna!Past!Minor, Annabeth/fidanzato!Minor
Rating: Verde
Warning: Modern!AU/NoCamp!AU(?)
 Beta: Nessuna
Note: Ah be, credo di aver perso la mia “verve” per questa storia, però mi dispiaceva abbandonarla, così ho scelto un prompt ed una ship che ci potesse stare bene. Come sempre non me sono molto soddisfatta e ritengo il capitolo un po’ “stanco”, forse perché lo ho scritto dopo un lungo – lunghissimo – viaggio in treno.
Spero che a qualcuno possa piacere comunque.
Riguardo alla ship: La Lukabeth (che era partita come una delle mie notp) è diventata una mia Sin Ship.
Vorrei ringraziare  Farkas e Fenris per aver recensito!
Buona Lettura
Ps –
Rigraziamo CampMezzosangue per i prompt!
(Se volete una colonna sonora)
 

Niente è più seducente di ricontrare un’ex quando sei allettato all’ospedale

Luke stava bene.
Lo aveva ripetuto al dottor Solace almeno dieci volte. Ma era stato ignorato a pie pari.
Aveva perso conoscenza per strada e quando si era risvegliato si era ritrovato steso su un letto d’ospedale con una flebo ficcata in vena e delle analisi che aspettavano di essere ultimamente.
Luke lo sapeva che stava bene. Lo sapeva perché doveva stare bene.
Perché aveva un lavoro che gli dava un assicurazione che non copriva ‘occupare inutilmente un letto d’ospedale e costose analisi’.
Ed avrebbe preferito la morte che chiamare i suoi genitori.
Ma il dottore gli aveva detto che doveva restare lì ed aveva pure detto all’infermiere di turno di non farlo alzare.
Allora Luke ne era certo che quello fosse rapimento ed aveva già cominciato ad armeggiare per staccarsi la flebo a farfallina, quando un tossicchiare aveva attirato la sua attenzione.
Ci aveva quasi sperato di vedere un infermiere con lo sguardo in cagnesco pronto a rimproverarlo, ma era Annabeth.
Oh cieli celesti” aveva detto solamente.
“Oh cieli celesti a te, Luke” aveva risposto Annabeth, il suo tono era meccanico e lei stessa era rigida.
“Come mai da queste parti?” aveva domandato lui mentre si forzava a sorridere cercando di apparire normale, magari anche un po’ affascinante.
Anche se ormai sapeva di aver ben poco di seducente da offrire ad Annabeth.
Lei era rimasta in silenzio un momento, con gli occhi grigi da civetta – meglio dire uccello rapace – ad osservarlo, aveva usato le mani per aggiustare il bordo della giacca di jeans che indossava.
Luke era rimasto in silenzio a chiedersi quando era l’ultima volta che aveva visto Annabeth.
“Sono il tuo C.D.E a quanto pare” aveva commentato la ragazza decidendo che fosse infantile rimanere piantonati sulla porta e si era decisa ad entrare per bene nella stanza e a studiarla.
Luke ci scommetteva che dentro la sua testolina stava commentato tuti gli infissi, i muri e quant’altro, e probabilmente pensando a come poterli migliorare.
“O almeno l’unico che abitava in questa città” aveva risposto lei.
Sacramento era una città bella grande. La California anche. Diciamo che l’America in generale lo era. Ma tutto il continente per essere preciso. Quell’emisfero. Quel mondo.
Come era possibile che lui ed Annabeth si fossero ritrovati?
Senza considerare che l’ultima volta che si erano sentiti – esclusi auguri di natale e altre festività – Luke si trovava lungo la Route 66 ed Annabeth dall’altra parte della cornetta, in piena notte parigina.
In Oversize alla Sorbone.
Mentre Luke aveva appena mandato al diavolo il suo corso di studi in economia in una prestigiosità dell’Ivy League.
Almeno tre anni e mezzo prima.
“Si, io … non ci ho mai pensato” aveva buttato fuori Luke.
Menzogna. Ci aveva pensato un mucchio di volte di togliere Annabeth, ex-fidanzata dei primi anni del college e degli ultimi del liceo, non che amica da tutta la vita, dal contatto di emergenza. Ci aveva pensato.
Aveva pensato di sostituirla con Silena con cui era uscito l’estate successiva all’incresciosa rottura con Annabeth, ma lei era stata una fugace meteora in una vita fatta di disfatte amorose.
Allora Ethan: amico ed impareggiabile compagno di disavventure.
Non che una delle poche persone della sua vita che erano venute dopo.
Che non aveva mai avuto a che fare con il perfetto Luke, eccelso tiratore di scherma, brillante studente universitario e con una meravigliosa carriera già spianata davanti al viso.
Il Luke di Annabeth.
Ethan aveva incontrato l’incasinato ragazzo che si era deciso a visitare ogni posto più sperduto del mondo, sopravvivendo con lavori saltuari, indecenti ed indegni, intrappolato sempre in una relazione mai troppo certa. Ed Ethan gli era finito letteralmente dietro a seguirlo in giro, anche lui perso ed in cerca di una strada.
Si erano conosciuti nella Polinesia Francese.
Si, Ethan era sembrato adatto a prendere nella sua vita quel ruolo che l’assenza di Annabeth aveva portato. Poi si era detto che se gli fosse successo qualcosa probabilmente Ethan era l’ultima persona che avrebbe potuto aiutarlo. Era la persona con cui aveva fatto paracadutismo. Non era un crimine fare quello.
Luke lo faceva, tuttavia se avesse avuto bisogno di qualcuno: voleva che fosse affidabile, per questo aveva escluso anche Thalia Grace con i suoi capelli a spazzola ed il pollice sempre alzato per fare l’autostop o in qualche missione di pace in qualche parte del mondo dove la gente moriva di fame. Non che Thalia sarebbe mai venuta ad aiutarlo dopo che Luke si era lasciato con Annabeth, poi in quella maniera.
Così alla fine aveva lasciato perdere, dicendosi che Annabeth era una persona affidabile ed anche se lui era un demente lei, se avesse potuto, sarebbe venuta. Si era anche detto che probabilmente non si sarebbe mai realizzata la possibilità che Annabeth fosse così vicina a lui da poter essere reperibile. Beata ignoranza.
“Che saremmo finiti a vivere nella stessa città?” aveva proposto lei, sedendosi sulla sedia vicino al letto, indossava pantaloni neri ed una maglietta bianca dalle maniche corte, che aveva mostrato quando si era sfilata il giacchetto. Era un po’ diversa dall’aspetto che aveva immaginato a quel punto Annabeth avrebbe avuto, rispettabile donnina in carriera con il tailleur giacca-pantaloni.
“No, cioè si. Nel senso non ho mai pensato al fatto che fossi ancora il mio C.D.E.” aveva detto alla fine.
Nonostante tutte le chiacchiere che Luke poteva ripetersi, aveva suo fratello Chris come persona affidabile o anche Alabaster.
Non mancavano le persone affidabili.
Semplicemente non voleva recidere quel flebile legame che aveva con Annabeth.
“Pensa me, allora” aveva detto subito Annabeth, “Questa mattina mi hanno chiamato dall’ospedale per dirmi che Luke Castellan era ricoverato” aveva risposto lei.
Cercò di contenere la gioia a quel briciolo di apprensione che la voce di Annabeth aveva avuto. Si disse che era una bella persona e per questo mostrasse preoccupazione per un povero demente come lui.
“Spero non ti abbiano disturbato a lavoro” aveva cominciato lui, “So quanto non vuoi essere disturbato” si rese conto della frase che aveva detto solo dopo averla pronunciata.
Sperò che nella sua voce la ragazza non leggesse un’accusa.
Uno dei grandi contrasti tra lui e la ragazza era nato anche forse dal troppo zelo che Annabeth metteva nello studio, da farle dimenticare il resto del mondo. A volte anche di mangiare. Spesso anche di Luke.
Spesso di un Luke in assoluta crisi mistica e bisognoso di attenzioni.
“No, ero a casa del mio ragazzo” aveva risposto Annabeth con un tono neutro.
Luke sapeva, razionalmente, di non avere diritti di sentirsi male. Lui aveva lasciato Annabeth. Lui aveva dormito con un certo numero di ragazze dopo quel momento.
Non aveva diritto di sentirsi male.
Ma sentì il cuore spezzarsi un pochetto.
Annabeth … Annabeth aveva un ragazzo.
La sua Annabeth.
“Stai bene, Luke?” aveva domandato lei, con una certa preoccupazione.
Non sapeva se la ragazza si stesse rivolgendo a lui in merito al malore che lo aveva fatto finire all’ospedale – allora sicuramente non stava bene – o alla faccia che doveva aver in quel momento – per cui sicuramente stava male.
Era rimasto in silenzio a guardarla.
Gli occhi grigi e curiosi sembravano gli stessi, prigionieri in lunghe ciglia bionde ed i capelli ondulati erano stretti in una coda bassa, come li teneva durante le ore di ginnastica al liceo.
Pensava che dopo quegli anni ci sarebbero stati cambiamenti più evidenti.
Pensava che dopo averla vista ragazzina, l’avrebbe rivista giovane donna.
Pensava che non si sarebbe sentito così patetico.
Continuava a pensare al bacio che si erano dati all’aeroporto, freddo ed impacciato. In cui Annabeth lo aveva rassicurato che sarebbero sopravvissuti ad un anno separati mentre Luke era solo arrabbiato che lei volesse mettere l’oceano atlantico in mezzo a loro.
E pensava alla loro ultima conversazione, con la batteria del telefono di Luke che moriva, lui sostava in una piazzola, mentre lei era ancora risentita dal sonno in cui lui l’aveva strappata.
Ho lasciato l’università e sto lasciando anche te.
Non era così che Luke l’aveva detto, ma era il sunto del suo discorso.
Voleva cambiare, voleva rivoluzionare. Voleva una vita diversa da quella che avevano tutti dato per scontato per lui e che Annabeth certamente condivideva.
Luke non le aveva mai dato la possibilità di scegliere.
“Grazie per essere venuta” aveva risposto solamente, “Grazie per essere venuta per un cretino come me” aveva ammesso.
Annabeth gli aveva sorriso.
“Non farla divenire un’abitudine, Luke” non c’era reale cattiveria nella sua voce.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Ci sono pesci e pesci ... e non chiamarli gabbiani. ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  Ci sono pesci e pesci … e non chiamarli gabbiani
Prompt: #77 Sono andato a pesca e ho accidentalmente pescato una marmaid!AU (Calypso/Lester)
Personaggi: Lester Papadopulos, Calypso, Giappetto (citati: Zoe Nightshade, Meg, Briareo, Crono, Atlante)
Paring: Calypso/Lester (Paring è quasi un esagerazione)
Rating: Verde
Warning: Pirati!AU(?)
 Beta: Nessuna
Note: “Oh c’è una Mermaid!AU. La userò assolutamente per scrivere di Percy e … perché, no? Calypso! SONO UNA MIA SHIP!” dissi. E perciò ero partita da quell’idea, ma alla fine sono finita per scrivere di Calypso e Lester (N.B. Lester in tutto il suo umano disagio e non Apollo). Principalmente perché ho trovato davvero esilaranti le loro interazioni!
Presto scriverò una Perlipso giuro ed anche la famosa Charlena!
L'ultima volta che sono andata a Pesca è stato qualcosa come tredici anni fa, quindi non ricordo per nulla come si faceva ... quindi eWWW.
Vorrei ringraziare sempre chi segue, legge, ricorda, preferisce e recensisce!
Buona Lettura
Ps – Rigraziamo CampMezzosangue per i prompt!

 
 
Ci sono pesci e pesci … e non chiamarli gabbiani


“Guarda che se resti qui hai solo da biasimare te stessa” la voce di Zoe le risuonava in testa come una nenia fastidiosa.
Come se avesse scelto lei quella vita.
Qualcuno a casa doveva restare.
Perché quella era casa sua, Ogygia era casa sua, anche se ogni giorno sembrava somigliare sempre di più nella sua prigione.
Una prigione che Calypso si era costruita da sola.
Suo nonno Giappetto le aveva sorriso accomodante davanti la  taverna, mentre beveva con il suo degno compare.
Lei aveva ricambiato il saluto alla stessa maniera, anche se avesse voluto salutarlo per bene non avrebbe avuto mani libere per farlo.
Era una mattinata tranquilla, gli avventori della notte erano rintanati nei loro bugigattoli o ancora addormentati con pinte di birre mezze vuote.
Alcuni si avventavano ebri della notte per le vie, ciondolanti.
Ogygia era un’isola che viveva di notte, il porto maledetto di pirati e contrabbandieri.
Un posto strano dove crescere si rendeva conto Calypso, ma era dove Atlante aveva deciso di abbandonare le sue bastarde mentre se ne andava in mare.
O almeno lei e Zoe.
Calypso era piuttosto convinta che suo padre avesse sparso figli in ogni porto, da tutte le amanti che un nostromo di una fregata come la Titans poteva vantare.
Aveva sospirato mentre raggiungeva la sua piccola imbarcazione, nulla più che una barchetta a remi, arenata sulla spiaggia bianca.
Zoe se n’era andata un paio di estati prima, aveva lavorato alla taverna del nonno per guadagnare abbastanza soldi per potersi pagare il pedaggio.
“Guarda che se resti qui hai solo da biasimare te stessa” le aveva detto, con voce un po’ imparziale, i capelli scuri nascosti sotto la bandana argentata, prima di dargli le spalle e salire sulla banchina della Lady of Nature.
Anche suo padre aveva preso il mare. Atlante era ben lontano dal volersi ritirare ad una vita tranquilla, terribilmente lontano, aveva ancora tanti navi e porti da razziare e Calypso pensava con timore ogni notte che sarebbe potuto morire. Lì.
Aveva arroccato con le mani la corda e si era impegnata a tirare con forza la barca sulla sabbia resistente prima di metterla la barca alla fonda.
Aveva tirato su la gonna liscia per non far bagnare l’orlo, non ricambiando la stessa cortesia ai calzoni che aveva indossato sotto ed anche se gli stivali di cuoio erano alti era sicura che l’acqua sarebbe entrata lo stesso. Nonostante tutto Calypso non si sarebbe mai abituata a quella vita; in passato lo aveva fatto sempre Zoe, ma adesso spettava a lei.
Ogygia era letale e spietata: si sopravviveva da soli. Si, lei aveva il nonno, ma non era … abbastanza.
Aveva sistemato le sue cose sul fono della barca e poi si era issata sopra, sedendosi su una delle due panche, aveva raccolto i remi ed aveva cominciato a pogare.
 
La pesca era un attivata logorante. Aveva lanciato l’esca in mare ed era rimasta immobile, ogni tanto suo nonno l’aveva portata a pescare con la rete, probabilmente era stato anche peggio.
Aveva incastrato la canna tra le sue gambe ed aveva steso parzialmente il busto per riposarsi. Era stanca, aveva passato la notte senza dormire per nulla.
Voleva solamente dormire: “Dio del mare, dammi qualcosa” aveva biascicato solamente.
Sentiva le palpebre tremare, voleva solamente dormire e poi la canna di legno aveva cominciato a premere sulla sua coscia.
La sua richiesta era stata esaudita.
Aveva serrato le dita sulla canna ed aveva cominciato a ruotare il mulinello, sentendolo brutale e resistente. “Almeno è una buona pesca” aveva ammesso. Ma il pesce era più tenace e più abile di lei.
Il filo era tirato in una maniera così brutale che aveva cominciato a vibrare come la corda di un’arpa, Calypso aveva lasciato al mulinello permettendo al pesce di prendere spago, non molto, abbastanza perché il filo non si stuccasse e poi aveva ripreso la sua lotta.
Ma lui era tenace.
Il più tenace avversario che avesse affrontato. E sembrava ridicolo solo pensarlo. “Oh, no! Non ti lascerò!” aveva esclamato con orgoglio issandosi in piedi sulla sua barchetta e tenendo salda la canna con una mano ed il mulinello teso con l’altro.
L’asta aveva cominciato a piegarsi profondamente sotto la foga del pesce, tanto da spingere Calypso ad arcuare un po’ la schiena all’ingresso per fare leva.
La corda aveva subito un profondo strattone e poi si era improvvisamente ammorbidita.
“Oh no!” aveva piagnucolato. Il pesce doveva essersi liberato.
Aveva ripreso a girare il mulinello con meno foga, senza nascondere il fastidio, mentre cercava di recuperare spago.
Il filo rientrava in carreggiata con una lentezza disarmante, come se invece che nell’acqua passasse nella melassa. “Che giornata orribile” aveva sentenziato, pensando che avrebbe dovuto fare almeno altri due o tre lanci, che non poteva ripresentarsi a casa con la secchia vuota.
Poi improvvisamente qualcosa aveva spinto l’esca nelle profondità a velocità inaudita, cogliendo del tutto impreparata Calypso che ancora aggrappata alla sua canna aveva perso l’equilibrio facendo sbilanciare la barchetta.
L’attimo dopo aveva perso la presa alla canna ed era affondata nelle acque gelide.
Era riemersa sputacchiando acqua salata, aveva potuto osservare come la sua barca fosse rovesciata sulla pancia e le sue cose più leggere galleggiassero sulla superficie. “Odio! Odio! Odio!” aveva esclamato con rabbia vibrante, cercando di nuotare più vicina possibile alla barca, non riusciva a vedere i remi ma sperava non fossero capitati lontano.
“Onestamente te lo meriti” aveva soffiato una voce alle sue spalle; Calypso aveva sentito un brivido risalirle lungo la spina dorsale.
Si era voltata di scatto, non trovando altro che un vorticello d’acqua smossa, come se qualcuno si fosse tuffato vicino a lei. “Ma cos-” aveva interrotto la sua domanda, con un urlo, quando qualcosa le aveva toccato la gamba.
Aveva avuto paura ed aveva cominciato a nuotare con più velocità verso la sua barca, ma le sembrava che questa si fosse spostata di un po’ ed allora aveva visto una macchia scura sotto le acqua.
Abbastanza grande da essere una foca, un leone marino … o uno squaletto.
“No, no, no” aveva cominciato a piagnucolare, sentendo improvvisamente gli arti congelati dal terrore.
Aveva cominciato a tremare.
L’acqua si era smossa proprio vicino a lei, lo aveva sentito il corpo al suo fianco, aveva urlato terrorizzata, in barba a tutti gli insegnamenti di Zoe.
“Mi dispiace! Mi dispiace! Volevo spaventarti un po’, non così tanto” aveva languito una voce al suo fianco e Calypso si era resa conto di aver serrato gli occhi.
Aveva schiuso un occhio molto lentamente, quando aveva visto il viso giovane di un ragazzo si era decisa ad aprire anche l’altro.
“Come? Cos-? Perché?” aveva cominciato a farfugliare, mentre allungava una mano per sfiorarli il viso. La pelle era freddissima, nonostante l’incarnato bello bronzeo che dava l’idea di qualcuno che avesse speso il time, fino a cinque minuti prima, sotto il sole.
I capelli erano di un castano scuro pieno di riccioli, però erano asciutti. Gli occhi! O come non gli aveva notati? Erano di un intenso colore acqua marina, non sembravano nemmeno umani.
“Sanguini, credo” era stato il primo pensiero coerente che aveva messo insieme Calypso, osservando come sopra il labbro la carne fosse lacerata, come se qualcuno avesse strappato via un cerchietto da labbro, dalla ferita colava una sostanza che sembrava sangue ma era di un verde cupo.
“Si, direi che è colpa del tuo ago. O mia che ci sono cascato, mia sorella lo dice sempre che sono quello scemo, ma fin’ora non gli avevo mai fornito prove” aveva detto il ragazzo con onestà.
Calypso non riusciva ancora a metabolizzare cosa fosse successo, con un dito aveva toccato il sangue verdastro, confusa dalle parole del giovane.
Lo aveva guardato ancora, la parte che emergeva dagli abissi era certamente quella di un ragazzi con le spalle non esattamente ampie ed un fisico piuttosto morbido. E nudo.
Ma Calypso poteva sentirla, vicino alle sue gambe qualcosa di decisamente non umano.
Aveva abbassato lo sguardo con coraggio, osservando come attraverso le acque, il busto maschile si interrompesse in favore di qualcosa di più squamoso – e mortalmente bello – una coda a scaglie giallo-arance ed ambra che sembravano gioielli luminescenti.
Calypso aveva sentito parlare di quelli come lui.
Sia suo padre, sia suo cugino Crono millantavano di averne visti qualcuno nelle loro razzie per i mari.
Ed erano passati da Ogygia uomini che si erano detti intenzionati a ritrovare il palazzo subacqueo del signore dei mari.
Calypso aveva parlato anche con Briareo che gli aveva raccontato di aver sposato una principessa degli abissi quando era giovane, era successo quando la sua fregata era affondata e lui era annegato.
Lo avevano ritrovato dei pescatori su isolotto ben lontano dal luogo qualche anno dopo e nessuno aveva mai saputo cosa fosse successo negli anni in cui era scomparso.
Calypso aveva sempre pensato quella di Briareo fosse una storia.
“Tu sei …” aveva cominciato a dire lei, ma l’altro l’aveva interrotta: “Lester! E mi dispiace tanto, volevo vendicarmi per l’esca, ma non volevo spaventarti o fare tutti questi danni” aveva sputato fuori come un fiume in piena, mentre con una mano si grattava il retro della nuca.
C’era qualcosa di tenero in lui.
“Però certo anche tu potresti non gettare cose affilate in acqua, un cucciolo avrebbe potuto farsi male” aveva ripreso con più ardore “Se fosse successo qualcosa a Meg” aveva ripreso.
Qualcosa di tenero e terribilmente spaventoso, insieme.
Nelle leggende dicevano sempre che gli abitanti degli abissi fossero abbili tentatori, da rubarti la vita con la promessa di un solo bacio.
Calypso poteva riconoscere un certo spettrale fascino in Lester, quanto più per quello che era in se e per se, rispetto il suo aspetto. Era sicura che accanto alle gocce d’acqua lucenti ci fossero dei brufoli sul suo viso.
“No, nel senso … tu sei …” aveva ripreso lei.
“Si” aveva detto immediatamente lui senza farla finire.
“Una sirena!”
“Ma ti pare che io sembri un grasso gabbiano?”


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Silena e la giacca di odorava di olio, amore e Charlie ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  Silena e la giacca di odorava di olio, amore e Charlie
Prompt: #39 Sono un Magonò e la tua famiglia Purosangue non mi accetterebbe mai!AU (Harry Potter!AU) (Charlie/Silena)
Personaggi: Silena Beugaurd, Charlie Bekendorf, Piper McLean, Afrodite (citati: Leo Valdez, Luke Castellan, Drew Tanaka, Jason Grace).
Paring: Charlena, Jasiper, past!Luna, one-side!Jason/Drew 
Rating: (Serpe)Verde
Warning: NoCamp!AU(?)/HarryPotter!AU
 Beta: Nessuna
Note: E finalmente è arrivata la Charlena. Devo fare una triste considerazione, in realtà non la ho scritta ora, ma qualcosa come eoni fa, ma sono riuscita a rimettere le mani sul vecchio pc, per cui la ho recuperata ed ho cercato di sistemarla alla meno peggio. E confesso che non mi piace, ma in questo momento sono molto sul mondo di Harry Potter, quindi, si eccola …
Qualcuno ha suggerimenti per la prossima ship?
Vorrei inoltre ringraziare fenris, little_psycho e Farkas per le recensioni. Grazie di cuore.
Ps – I prompt potete trovarli qui.

 
 
 
Silena e la giacca di odorava di olio, amore e Charlie
 

Afrodite rimaneva sempre una bella donna, con lo sguardo che poteva uccidere, e l'abitudine al mostrarsi sempre piuttosto distratta dalle frivolezze.
Ed era principalmente vero, per le gioie e i dolori delle sue figlie.
Splendide, perfette e serpeverdi, come la loro madre.
O almeno nell'apparenza.
Drew sembrava incarnarsi in quello perfettamente, con i movimenti fluidi ed altolocati, lo sguardo tagliente quanto la boria sempre cucita sul viso.
Piper era la ribelle di casa, che aveva però scongiurato il capello per essere smistata nella stessa casa delle sorelle. Era ambiziosa, era dotata di un’intelligenza sottile e brillante, sarebbe stata un corvonero migliore lei ne era certa, o un grifondoro, perché no? Piper aveva un cuor di leone, ma aveva sempre voluto disperatamente il consenso, che l'idea di deludere la loro madre l'aveva spinta a confinarsi in una casa che non le calzava poi così bene.
Silena era la maggiore, quella che doveva dare il buon esempio.
Quella sempre precisa, secondo Piper, con un sorriso buono sulle labbra.
Quella stupida, secondo Drew, con una smorfia sul volto.
Silena le amava le sue sorelle, più di quanto amasse se stessa a volte.
Più delle gonne plissettate e dei baci che si era scambiata con Luke Castellan, il prefetto di serpeverde, di nascosto.
Però le avrebbe lasciate lo stesso alla fine.
Poteva vedere chiaro davanti a se il viso contrito di Afrodite, per l'affronto che Silena le avrebbe arrecato, il disgusto tatuato sull'espressione di Drew assieme alla vivace consapevole di essere poi lei il fiore all'occhiello.
E Piper la sua piccola sorella, come l'avrebbe guardata?
Con biasimo? Con orgoglio? O con senso di colpa?
Silena ricordava quando da bambina le intrecciava le perline nei capelli e si divertivano a far muovere le bambole con incantesimi rurali e casalinghi.
"Stai bene?" aveva chiesto Charles, posandole sulle spalle la sua giacca, era calda e confortante, odorava di olio per motori e fuliggine, dell'officina meccanica dove lavorava il ragazzo, di lui in un certo senso. O Silena lo amava quell'odore, come amava qualsiasi cosa di Charles.
Come non aveva amato mai nessuno al mondo.
Né Luke Castellan che la baciava, né Clarisse, la tosta battitrice di tassorosso che era diventata sua amica negli anni, né le sue meravigliose sorelle.
"Si, sono solo stanca" aveva confidato, posando la testa tra l'incavo della spalla ed il viso del ragazzo, per nasconderci il viso e cercare calore. Charles le aveva baciato la tempia, accarezzandole i capelli con un movimento gentile, aveva mani grandi, che avrebbero potuto schiacciare una testa, ma erano invece sempre così delicate.
Charles le aveva posato un delicato bacio sulla guancia, leggero e prudente, "Non devi per forza dirglielo" le aveva sussurrato in un orecchio. Silena aveva mosso le braccia ed aveva circondato il busto del ragazzo, sforzandosi di non piangere.
Si sentiva così patetica, Silena aveva avuto molto dubbi quando il cappello l'aveva smistata nella nobile casa di Salazar, ma si sentiva orribilmente consapevole che probabilmente non avrebbe potuto essere in nessun'altra, non aveva il coraggio dei grifondoro, l'intelligenza dei corvonero o la lealtà dei Tassorosso, altrimenti sarebbe stata più cauta nell’innamorarsi.
Forse avrebbe dovuto sposare Luke Castellan, anche se non si amavano, anche se lui si era unito ai mangiamorte, dopo la fine della scuola.
Silena però ammetteva che non avrebbe mai potuto, non dopo aver visto Piper, la sua bella sorellina, felice ed allegra, mano per la mano con quel grifondoro, con il sorriso splendente e gli occhiali di corno: Jason Grace, se non sbagliava, sua madre Afrodite le aveva fatto le congratulazioni, "Ottimo partito, ricco e purosangue".
Drew aveva sbuffato a quel commento - ed aveva poi cercato di sedurre il fidanzato della sua sorella.
Ma Silena aveva capito che Piper non aveva scelto quel ragazzo sulla base di chi sa quale canone impostole da Afrodite, ma con il cuore, avrebbe amato Jason anche se fosse stato l'ultimo mendicante sanguemarcio del mondo.


"Sai ti ritengo molto coraggiosa" aveva confidato una volta a Piper; era l'estate prima del ultimo anno di Silena ad Hogwarts, viveva quel momento come la fine di un’era e sua madre le aveva costrette, tutte e tre, ad andare in Cornovaglia.
Di quella notte, ricordava bene che la luna era tonda ed alta nel cielo, ricordava la brezza pungente nonostante la stagione e Silena non ricordava molte altre cose, neanche cosa indossasse o che profumo emanasse Piper, ricordi frivoli, di cui Silena si era sempre fatta attenta osservatrice, come sua madre.
Ricordava la risposta di Piper però, confusa, "Perchè?" chiedeva, "Perchè ti sai innamorare liberamente, in tempi difficili" aveva risposto Silena, baciandole la fronte. Si era innamorata follemente di un ragazzo, senza se e senza ma, l'amore richiedeva tanto sacrificio e tanto coraggio, che sembrava una cosa da duri ... come Piper e Clarisse.
"Non è un'arte, 'Lena, succede è basta" aveva detto sua sorella rossa, con il viso rivolto al pavimento.
Non ricordava altro, solo che il giorno dopo il suo mondo era cambiato.
L'avrebbe Piper giustificata ancora? Succede è basta, infondo, aveva detto.
Ed era merito - o disgrazia? - suo se Silena si era innamorata per davvero, intensamente e senza remore. Ignorando il buon senso, la lealtà alla sua famiglia, l'educazione.


Piper le aveva presentato lo strambo Leo Valdez quell'estate in Cornovaglia, era uno a cui piaceva giocare con le pozioni, costruire le cose e sembrava decisamente poco un corvonero, ma Piper sembrava adorarlo. Era stato il suo primo amico ed era merito suo, se Piper aveva incontrato Jason Grace.
E Leo Valdez aveva un fratello, o meglio un fratellastro, un magonò ... Charles Beckendorf, Silena si era morsa le labbra quando lo aveva conosciuto, sforzandosi di non sembrare scortese, indecisa su come avesse dovuto comportarsi, mentre Drew non si era risparmiata commenti crudeli e smorfie.
Avevano insegnato a Silena che nulla potesse essere più degradante per una famiglia di avere un magonò, una creatura priva di magia perfino sposare un sanguesporco sarebbe equivalso a qualcosa di meno ignobile eppure a Leo non sembrava importare.
E a Charles non sembrava mancare nulla, anzi forse aveva anche di più di tutti quei ragazzetti pomposi purosangue con cui sua madre aveva cercato di accoppiarla. Inizialmente non lo aveva trovato così bello, così carismatico come Luke Castellan, ma a Silena era bastato davvero poco per innamorarsene, un'estate.
"Quindi non si muovono i fuochi d'artificio dei babbani?" aveva domandato Silena, confusa, interessata, trepidante, mentre Charles la imboccava sulle nozioni di quel mondo che sua madre s'era ben guardata da farle odiare e disprezzare. "Si, ma sono bellissimi lo stesso" le aveva risposto lui.
E lo aveva detto guardandola negli occhi, “Non sono l’unica cosa” aveva mormorato Silena.
Era stata un'estate vera quella, vissuta, la più grande rivelazione erano state le auto, certamente più comode di un vecchio manico di scopa e Charles sembrava amarle. Le aveva spiegato come funzionavano, dentro fuori, a guidarle, non a ripararle – non che non ci avesse provato. "I babbani sono meravigliosi!" aveva esclamato Silena stupita, con il vento che le sfrecciava tra i capelli ed il finestrino abbassato. Che affascinanti erano i babbani, ed anche i magonò in quel caso, dove non potevano con la magia, arrivavano con la tecnologia. O nulla poteva fermargli.
Charles l'aveva baciata sul cofano della sua auto, mentre guardavano le stelle, in disparte dal mondo, dai loro mondi, felici e contenti.
Poi era arrivato settembre, era tornata a scuola.
Ma Charlie non era mai andato via.
Avevano passato mesi a scriversi lettere, raccontandosi le giornate, le novità. A scriversi d'amore. Quanto avrebbe voluto Silena avere uno di quegli aggeggi babbani per parlare, per sentire la voce di Charles.
Avrebbero potuto parlare tra camino, Charles era un magonò, aveva famigliare che avrebbero potuto mettere la comunicazione per lui, ma Silena ... merlino, quanto si vergognava, temeva che qualcuno avrebbe potuto scoprirla.

Poi era venuto il natale e Charles l'aveva baciata a Diagon Alley, di nascosto, di sottecchi, sotto il vischio, "Ti amo" le aveva detto, o come lo ricordava, il cuore aveva avuto un mancamento, "Ma la tua famiglia è una delle sacre ventotto e non accetterebbero mai una relazione con me" aveva sussurrato lui, "Sposa un mago, io non ne valgo la pena".
Silena aveva spesso nascosto nei suoi pensieri più reconditi il suo futuro, chiedendosi come avrebbe fatto un giorno ad avere la forza di lasciare Charles, perché lo amava, ma non avrebbe mai potuto condividere con lui il futuro, non erano destinati, le sue sorelle e sua madre non l'avrebbero mai perdonata.
"Non mi importa" era stata la sua risposta veloce repentina, senza riflettere, davanti l'idea di poterlo perdere, "Di mia madre! Della mia famiglia! Del mio stato di sangue" aveva aggiunto con foga, mettendogli le mani sulle guance e baciandolo con passione, con l'intensità di mille fuochi. "Se al mondo ne vale la pena per qualcuno quello sei tu, Charles Beckendorf!" aveva aggiunto, con un sorriso dolceamaro.
Di Luke Castellan era pieno il mondo.
Di Charles ne esisteva uno solo.
Poi era stato solo questione di quando doverlo dire ...
La scuola era finita, Silena aveva finito.
E s'era ritrovata una sera estiva, con una giacca che odorava di motore, di Charles e d'amore, per risparsi dal freddo della sera.
"No, no, lo farò sta sera" aveva detto, ancora premuta su di lui, con le lacrime agli occhi.
Non è un'arte, succede è basta.
Si ripeté.
Ed io scelgo di viverlo ...

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Quando il mondo cerca chiaramente di dirti qualcosa ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:  Quando il mondo cerca chiaramente di dirti qualcosa
 Prompt: #15 Ho chiamato il numero sbagliato!AU [Nico/Will]
 Personaggi:  Nico di Angelo, Will Solace (citati: Percy Jackson, Annabeth Chase, Austin, Kyla, Michael Yew, Billie NG, Hazel Levesque e Leo Valdez)
Paring: Saolangelo (pernico!minor, Austin/Billie NG)
Rating: Verde come l’erba
Warning:  Modern!AU/NoCamp!AU(?)/Roomates!AU
 Beta: Nessuna
Note: Eccomi tornata! Con un paring già affrontato, lo so che ne esistono ancora di sconosciuti da scrivere (tipo sto lavorando ad un Thalia/Leo?!?; anche se vorrei scrivere una Grover/Juniper, ma aspetto di trovare il prompt calzante), però questo prompt si prestava bene a questa ship, visto i precedenti, di fatto questo capitolo è un diretto sequel del capitolo 5 [L’altro uso delle scale antincendio (e delle pale)], così effettivamente questo capitolo non può essere letto senza il precedente, cioè in realtà può essere letto, ma chiaramente non risulterebbe chiaro, perciò breve riassunto: Nico bacia Percy in un atto di follia ed ha la brillante idea di scappare dalle scale antincendio, in preda al panico sceglie di chiamare Jason, ma accidentalmente chiama uno sconosciuto Will a cui racconta tutto.
Inoltre vorrei ringraziare Farkas, little_psycho e fenris per aver recensito!
Come sempre sentitevi liberi di proporre ship!
Potete trovare i prompt nei capitoli precedenti


Buona lettura!
 
 
Quando il mondo cerca chiaramente di dirti qualcosa
 

“Senti un po’ Austin, se non torni qui entro un’ora e pulisci il macello che hai lasciato, io cambio la serratura” Will era stato perentorio, “E per caso sai anche perché Kayla sta dormendo in una tenda in balcone?” aveva aggiunto.
Era anche piuttosto esausto, erano le cinque del mattino, aveva avuto un turno infinito all’ospedale, era uno specializzando al primo anno ed era dovuto stare in pronto-soccorso … e voleva solo dormire …
Mentre quel genio del suo coinquilino Austin aveva organizzato una festino a casa loro, era ritornato che non aveva più un soggiorno, quando un quadro di Picasso, con chiazze di alcool, vomito e dio-non-voleva-sapere-altro, con il divano completamente sbucciato, il frigo pieno di gelatine alla fragole – e null’altro, neanche i suoi yogurt –  e dei reggiseni in congelatore, Michael Yew che dormiva in vasca da bagno, stringendo un paio di mutande come un trofeo, e Kayla in balcone dentro una tenda, con indosso i vestiti di Will.
E Austin scomparso.
Ma Will riconosceva in lui l’artefice di quella disfatta.
Io … io … non capisco” la riposta che aveva ottenuto dall’altra parte del telefono era stata confusa, forse anche un po’ nasale.
“Come non capisci Austin? C’è una pista da biglie nel mio salotto, costruita con scotch, carta igienica e cartoni della pizza, ecco” aveva aggiunto spazientito.
Quando aveva chiamato il suo coinquilino ci aveva messo un po’ a rispondere, probabilmente si era addormentato da qualche parte, probabilmente su una panchina, e non stava ancora cominciando a riconnettersi al mondo.
No, io non sono Austin. Non conosco nessun Austin!” aveva detto la voce, con un po’ più di verve, non più sbattuta dal sonno e dalla stanchezza, chiaramente non pareva la voce del suo amico, “E sono le cinque e trentasette del mattino” aveva aggiunto la voce con una certa isteria, “E … dei, Will” aveva aggiunto, con una leggera confusione.
Chi cazzo sei?” aveva aggiunto la voce, “Mi hai chiamato con il mio nome, vorrei farti notare” aveva risposto Will leggermente risentito.
Certo, era stato lui a chiamarlo nel cuore della notte, “Sei sicuro di non aver preso il telefono di Austin?” aveva provato, allontanando poi la cornetta dal suo orecchio per assicurarsi di aver effettivamente chiamato chi doveva.
Ah, no, si era sbagliato: Nico.
Giusto, uhm, chi era Nico?
E come aveva fatto a chiamare lui al posto di Austin?
Be si grazie, il mio amico Leo si diverte a rinominare i contatti del telefono, quindi tu sei Will Voce Sexy e …” aveva argomentato il ragazzo dall’altro lato, bloccandosi poi immediatamente.
“Be, grazie” aveva ammesso Will sentendo le voce acutizzarsi per l’imbarazzo e le gote arrossarsi, in realtà era una persona che si imbarazzava per nulla.
Però quel nome Nico, non era molto comune, un po’ suonava un campanello famigliare …
Sei quello dell’altra volta” aveva aggiunto tetro Nico, “Quello che ho chiamato per sbaglio” aveva aggiunto funereo.
“Certo il Nico delle scale antincendio, quello che aveva baciato Percy, fidanzato con Annabeth, me lo ricordo” aveva esclamato Will, con una certa risata.
“Oh hai conservato il mio numero” aveva esclamato Will divertito, “Ed ho una voce Sexy” aveva rincarato; erano passati almeno due mesi ed era sembrava ovvio che il ragazzo avesse registrato il suo contatto.
Aveva sentito Nico farfugliare al telefono un attimo, probabilmente bruciante di imbarazzo e disagio, “È colpa di Leo … poi anche tu hai conservato il mio numero” aveva stabilito Nico, con più vigore, “Mi hai chiamato” aveva rimarcato.
Will aveva riso, non nascondendo l’affaticamento, “Si, mi spiace, è stata una giornata infinita e torno a casa per scoprire che il mio coinquilino ha organizzato la pausa di primavera a novembre nel mio salotto” aveva detto placido, passandosi una mano sugli occhi.
Di lì a poco si sarebbe addormentato in piedi nel mezzo del soggiorno.
Tranquillo, vivo con due sorelle, sono abituato a ragazze che strillano alle sei del mattino nel mezzo di un pigiama party in salotto” aveva ammesso Nico, calmo, “Poi stavo giocando a Skyrm … La verità è che la notte dormo poco” aveva ammesso placido.
E per la cronaca non ho visto il tuo coinquilino” aveva aggiunto.
“Immaginavo, probabilmente lo hanno arrestato per disturbo della quiete pubblica” aveva ammesso Will, spostandosi dal posizione in cui era, provando ad approcciarsi al suo divano, la pelle era stata in parte raschiata via, l’altra meta era sommersa da altre cose non identificate.
“Ma poi come è andata a finire la questione di Percy?” aveva domandato Will, passandosi la mano sulla fronte, volendo non addormentarsi.
Non sarebbero esattamente affari tuoi” aveva soffiato di rimando Nico, “Dai, lavoro diciotto ore al giorno tra l’ospedale e la caffetteria, sono un pettegolo di natura, poi …” si era limitato a lamentarsi Will.
Sai com’è? Il primo cuore spezzato non si scorda mai. Percy da perfetto essere umano eterosessuale è rimasto mio amico” aveva detto.
“Ti avevo detto che tutti avevano avuto i loro rifiuti, sembravano sempre drammatici, ma poi si superano” aveva ammesso placido, Nico aveva emesso un mugolio, “Si mi avevi detto di un certo Mason” aveva riportato subito l’altro; “Oh te lo ricordi!” aveva aggiunto Will con un sorriso allegro: “Ti avevo anche detto di chiamarmi, ora che ci penso” aveva precisato poi.
Mi sembrava così surreale” aveva ammesso Nico, prima di ridacchiare.
Will stava per rispondere, quando lo stesso ragazzo lo aveva zittito, parlando con qualcun altro.
Non ci crederai mai” aveva detto subito Nico, “Stupiscimi con effetti speciali” aveva risposto Will, con uno sbadiglio, “Mia sorella Hazel è appena tornata da una festa a casa di, sue testuali parole, 'Austin quello che suona il mercoledì al NY Jazz'” aveva esclamato con voce divertita.
“O MIO DIO DIMMI CHE SANNO DOVE SI E’ CACCIATO!” aveva esclamato subito Will.
Haz, sai che fine ha fatto il proprietario?” aveva chiesto immediatamente Nico a quella che immaginava fosse sua sorella.
Ah,ah” aveva detto, poi si era rivolto verso Will, “Sul tetto! Hazel dice di averlo visto salire con una certa Billie NG” aveva detto.
“Allora metterò il chiavistello alla porta e rimarrà fuori fino a che qualcuno non si sveglierà ed avrà la decenza di farlo rientrare” aveva stabilito calmo Will.
Nico aveva riso, “Comunque incredibile come piccolo è il mondo” aveva soffiato il ragazzo.
“Il destino sta cercando di dirci qualcosa Nico” aveva risposto lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Non è questione di destino, ma di scelte ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:   Non è questione di destino, ma di scelte
Prompt:  #38 Sei il mio soulmate ma io sono innamorato di un altro!AU (Annabeth/Percy – Percy/Calypso)
 Personaggi:  Annabeth Chase, Percy Jackson, Calypso, Nico di Angelo (nominati: Sally Jackson, Paul Blofis)
Paring: Percabeth, Perlypso, Caleo!minor
Rating: Giallo sbiadito
Warning:  Soulmate!AU
 Beta: Nessuna
Note:  Era una vita che non scrivevo questa raccolta e posso confessare di trovare questa os davvero pessima rispetto le altre, ma la verità è che sono terribilmente arrugginita. Finalmente sono riuscita a scrivere della Perlypso, anche se non come mi sarebbe piaciuto, quindi probabilmente riscriverò su questo paring. Stavo anche cominciando a scrivere una Reyna&Nico, ma mi piace ancora meno di questa. Quindi non so.
Vorrei ringraziare: Farkas, cabin13 e fenris per la recensione <3. Grazie.
Come sempre la lista dei prompt la potete trovare nei capitoli precedenti.

 

Non è questione di destino, ma di scelte

 

Quello che gli aveva insegnano per tutta la vita era che quando incontravi quella persona non potevi non sentirlo; era come diventare un magnete. Attratto, inesorabilmente.  
L’anima gemella, la persona con cui passerai tutta la vita, secondo il destino.
La persona che sul petto aveva lo stesso decoro, linee rosse incise sulla pelle, lì dove il cuore.
Nel caso di Percy era un fiore, con cinque petali e due foglie, il rosso era vivo, spiccava sulla carne pallida come se lo avessero maschiato a fuoco. Ricordava una margherita, disegnata da un bambino delle elementari, o almeno così che Percy aveva sempre figurato il Dio-di-ogni-cosa nella sua mente. Un bambino con un sorriso troppo lezioso.
Non si era mai vergognato del suo marchio, lo aveva sempre esposto, da che aveva avuto undici anni, forse perché, in cuor suo, aveva sempre desiderato che chi possedeva il suo gemello, un giorno, lo avesse notato.
Nonostante al mondo ogni creatura nasca con una anima gemella, non è detto che si è destinati a trovarla.
Sua madre prima di incontrare Paul Blofis, l’uomo con la rosa spinata, come la sua, era passata attraverso due matrimoni sbagliati.
Un po’ per tutta la vita, Percy aveva sentito addosso l’essere un bambino sbagliato, come la gente si era sempre rivolto a loro, bambini che non sarebbero mai dovuto nascere, che non sarebbero mai dovuti esistere.
Erano sempre stati tantissimi, forse più dei bambini giusti, ma erano nati con quello stigma addosso, con il peso di aver rubato la vita di qualcuno che il destino aveva progettato nascesse.
Sally Blofis, si era sempre prodigata perché lui ignorasse quei pensieri, che Percy era perfetto, voluto e mai sarebbe stato sbagliato.
Banalmente aveva sempre pensato che il suo fiore dovesse essere così brutto per questo, nonostante le parole di sua madre, perché doveva trattarsi di un aggiunta veloce, schizzata appena da parte del Dio-di-ogni-cosa quando si era accorto che il bambino giusto non era nato ma un altro sbagliato era sorto.

E poi aveva conosciuto Annabeth.
In un giorno di neve, coperti dalla testa ai piedi, di lei aveva veduto solo gli occhi grigi e fili di capelli chiari che sfuggivano alla visiera del capello di lana grigio. Non riusciva a ricordarsi quale fossero le prime parole che le avesse detto, ne perché fossero in fila, al freddo, sotto la neve, per entrare in un locale, ma qualche ora dopo era in una locale, al caldo, davanti una pinta di birra e delle nocciolini … ed irrimediabilmente innamorato.
A scuola gli aveva insegnato che l’amore tra anime gemelle scoccava con uno scambio di sguardi e sua madre lo aveva confermato, quando aveva incontrato Paul, mentre Percy aveva imparato, dal resto del mondo, che l’amore sbagliato cominciava lentamente come immergersi nell’acqua, un passo alla volta, per abiturarsi al freddo delle onde, agli schizzi, a muoversi in un mondo diverso, dove non sempre vedevi dove andavi con i piedi e che ogni cosa che ti sfiorava diventava scomoda e necessità di fiducia.
E poi era un tuffo, in cui immergersi completamente, superato l’atavica paura per l’ignoto.
Ed era primordiale.
E Percy non era in grado di capirlo, perché era sicuro di essersi innamorato di Annabeth quel giorno stesso ed altre volte non poteva paragonarla a null’altra cosa se non all’immersione negli abissi,

E non aveva mai avuto paura così tanto di fare l’amore con lei, in tutta la sua vita.
Quando si era sfilato la maglietta ed avrebbe sciolto quel dubbio che Percy non avrebbe mai, mai, voluto chiedere, lo aveva coperto.
Annabeth non aveva sul seno nessun fiore, aveva una macchia informe, di carnagione più chiara.
“La mia famiglia è contraria alle anime gemelle” aveva detto lei con gli occhi bassi, “Non so che simbolo ho, non lo ho mai saputo” aveva rivelato, coprendosi con una mano la sua mutilazione.
Annabeth era sempre stata sicura, ma in quel caso, Percy l’aveva potuta sentire tutta la sua preoccupazione, che tormentava la sua vita.
“Non me ne importa” aveva detto Percy, perché lo aveva capito quale era stata la preoccupazione di Annabeth, che non potendo sapere fosse la sua anima gemello, lui l’avrebbe lasciata. Forse gli era già successo.
“Non me ne importa, non so se tu sei la mia anima gemella, ma sei sicuramente l’amore della mia vita” aveva detto. Anche se il loro amore non era giusto, Percy realizzò che non lo interessava, quando baciava Annabeth il mondo aveva per la prima volta senso.

Lei aveva passato le dita sul suo brutto fiore, “Una parte di me è sempre stata arrabbiata con loro” aveva detto, riferendosi forse ai suoi genitori, mentre con le dita seguiva le linee rosse, “Perché mi hanno tolto la possibilità di scegliere, scegliere di perseguire una via scritta” aveva aggiunto, “Una parte di me, realizza invece che volevano darmi la possibilità di scegliere” aveva detto.
“Scegliere la vita che voglio io, l’amore che voglio io, il destino che voglio io” aveva aggiunto, “Senza dover sentire sul mio petto la consapevolezza” aveva detto.
“Ora, così, ne io ne tu possiamo sapere se sono la tua anima gemella, ma tu puoi avere ancora il timore che un giorno per strada vedrai una ragazza con il tuo segno, io no” aveva aggiunto, sporgendosi per baciarlo ancora, “Per me tu lo sei. Senza dubbio” aveva stabilito.
Percy l’aveva baciata con ancora più fame, “Io ti amo” aveva detto, “Fiori, marchi e destino che si fottano. Io, Annabeth Chase ti amo. E tu sei la mia anima gemella perché mai vorrei qualcun altro al mio fianco” le aveva confessato.

E poi un giorno era successo.
Al mare, stupido, un gioco.
Percy si era messo a giocare a Volley Ball, con i suoi amici. Jason aveva schiacciato con più forza, lui aveva provato la ripresa, ma era venuta male e la palla era andata fuori.
“Vado, io dai” aveva detto, sporco di sabbia dalla zazzera scura dei capelli fino a tutta la pelle ambrata, fermamdo il povero Nico di Angelo, nervoso ed a disagio, che anche sulla spiaggia al mare, indossava la maglia ed i pantaloncini alla rotula.
“Dovresti piegare di più le ginocchia” lo aveva canzonato una ragazza, mentre Percy si chinava per raccogliere la palla che era arrivata fino ai lettini.
Percy aveva sollevato uno sguardo, una ragazza con i capelli cannella, stretti in una crocchia ed un asciugamano avvolto attorno al corpo.
Sembrava gentile e bella, in una maniera naturale e genuina come mai aveva pensato a qualcuno, anche ad Annabeth.
Era stata attraente, affascinante, intrigante, ma mai bella in una maniera così secca e inoppugnabile.

“Preferisco il nuoto, confesso” aveva risposto Percy senza disagio, tirandosi su e come l’aveva fatto aveva visto il viso della ragazza farsi d’un rosso furioso, ma non per il suo fisico, per il suo tatuaggio.
“Wow” aveva detto poi.
facendo scivolare l’asciugamano che aveva attorcigliato al corpo, forse per asciugarsi dell’acqua salmastra, per mostrare un corpo snello, stretto in un bikini a fascia.
Lì sul seno il brutto disegno di un fiore a cinque petali e due foglie.
“Wow” aveva risposto Percy, trovandosi in difficoltà con la lingua, senza sapere cosa avrebbe dovuto dire.
La sua anima gemella si chiamava Calypso Atlas e per Percy fu impossibile non trovarsi morbosamente attratto da lei.
Così come il destino stesso, da che li aveva fatti incontrare, quel giorno al mare, non aveva potuto fare altro che guidarli l’uno contro l’altro. Da quel giorno, non aveva potuto fare altro che incontrarla, continuamente.
Venticinque anni senza mai incontrarla e poi era impossibile sfuggire.

“Non dobbiamo sposarci” aveva detto Calypso un giorno, nevicava anche in quel caso, “Possiamo anche solo parlare” aveva detto la ragazza.
Percy si era sentito a disagio, tirando la sciarpa per coprire sul naso e le guance rosse di imbarazzo, “Ho una ragazza” aveva confessato poi, “La voglio sposare” aveva detto.
“Non abbiamo i fiori gemelli sul petto”, per la prima volta, ad alta voce, lo aveva detto. Annabeth non era la sua anima gemella scelta dal destino, però rimaneva la donna che amava.
Tutta l’attrattiva, tutto il magnetismo, che provava per Calypso non erano che polvere in confronto.
“Per lo amo” aveva sottolineato.
Calypso aveva sorriso, abbassando la sciarpa, mostrando un viso sorridente, “Ne sono contenta” aveva detto onesta, “Perché ho qualcuno anche io” aveva ammesso.
“Ho passato tutta la vita ad inseguire il destino e poi mi sono innamorata di un impiastro ambulante che rende la mia vita piena di colori” aveva rivelato.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Ho cercato il tuo fioraio ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:   Ho cercato il tuo fioraio
Prompt:  #17 Ho trovato un portafogli e la mia Impresa è trovarne il proprietario e restituirlo!AU (Percy/Calypso)
 Personaggi:  Calypso, Zoe Nightshade, Thalia Grace, Katie Gardner, Grover Underwood, Juniper, Sally Blofis (Annabeth Chase, Luke Castellan, Bob/Giappetto, Atlante, Phoebe, Jason Grace, Luke Castellan, Clarisse LaRue, Travis e Connor Stoll, Ulisse, Francis Drake, Paul Blofis, Estelle Blofis, tecnicamente Leo Valdez)
Paring: Perlypso (ma neanche troppo) (minor: Percabeth, Juniper/Grover, Sally/Paul, past!Ulisse/Calypso, past!Francis Drake/Calypso).
Rating: Verde frutta acerba
Warning:  Modern!AU, Highschool!AU, Age-gap (strizzando gli occhi underage e, forse, stalking? Non sono convinta)
 Beta: Nessuna
Note: Volevo finirla ieri per pubblicarla oggi. Ma, ahimè, non ho fatto in tempo. Buona Pasqua a chiunque legga e sappia che non è da solo; per me è stato difficile vivere lontana da casa la giornata di oggi, per ciò alla fine ho pensato di sfogare questo magone nella scrittura.
Volevo scrivere ancora di Percy e Calypso perché per me come ship sono validissimi, ma continuo a non trovare prompt che mi convincano. Comunque, se avete consigli per future ship o (b)romance, confessatevi.
Oltre questo, questa os è completamente isolata dalle altre, ma riprende elementi già inseriti (tipo Leo vicino di casa di Calypso) e Calypso studentessa di Genomica.
Il tag underage è perché tecnicamente Calypso e Percy si portano qualcosa come sei-cinque anni di distanza e lui è ancora minorenne, in italia non è un problema, ma l’America ha un diverso approccio alla cosa
Si il titolo è una parodia al titolo di un libro di Nicholas Sparks (?), che piaceva moltissimo ad una mia amica al liceo.
Niente, non so, spero vi piaccia.
 Vorrei ringraziare: Farkas, little_spycho e fenris per la recensione <3. Grazie.
Come sempre la lista dei prompt la potete trovare nei capitoli precedenti.

Ps- Io ho proprio l’headcanon di Percy Bello-ma-inconsapevole.

 

Ho cercato il tuo fioraio

 

Quella mattina Calypso aveva scoperto di Perseus Jackson più cose di quanto non avrebbe mai voluto.
Prima di tutto era un disordinato.
Era un accumulatore impenitente – di scontrini.
Aveva una famiglia molto carina.
Aveva una ragazza, almeno indovina, dall’aspetto molto sicuro.
Gli piaceva il colore blu.
Un insana passione per i quarti di dollaro.
Aveva una carta di debito dell’OlympusExpress.
Giovedì, alle sedici e trenta, doveva essere da un fioraio.
Mentre doveva ritirare, a data da destinarsi, dei medicinali da una farmacia, vista la ricetta.
E, sopra tutte le altre, Calypso aveva scoperto che era un ragazzo maledettamente bello.
Non quelle bellezze da bello-e-dannato, tipo Ulisses, o una bellezza raffinata come quella di Francis, spontanea semplice, di chi non deve sforzarsi di essere bello ne forse ne è consapevole, con un sorriso pieno verso la telecamera. Anche se era troppo giovane.
Calypso aveva scoperto tutte queste cose grazie ad un semplice portafoglio.
Era di una stoppa lucida, forse troppo plasticosa per i suoi gusti, di un blu intenso, sul cui fronte era presente in un azzurro più chiaro l’immagine di un tridente.
Il portafoglio era piegato in due, si apriva rivelando  poi per esteso tutta la sua lunghezza e Calypso lo aveva trovato strabordante di roba al suo interno.
Di solidi: solo un mucchio di monete da un quarto di dollaro e la carta di debito. La foto ripiegata di una famiglia sorridente composta da una donna riccioluta dal sorriso luminoso, un uomo dall’aspetto un po’ goffo, un ragazzo attraente dai capelli scuri ed una bambina dalle fossette, issata sulle spalle di quello che doveva essere suo fratello.
Un'altra foto, piegata, arrotolata era quella del medesimo ragazzo, solo in primo piano apparivano gli occhioni verdemare, che schiacciava la sua faccia su quella di una biondissima ragazza dalla pelle d’ambra.
E la patente : Perseus Jackson, dicesette anni, New York City.
Ciò che mancava era la carta di identità.
E poi un infinita di scontrini, infilati un po’ ovunque, senza ordine, in ogni scompartimento.
“Hai finito di guardare quello stupido portamonete?” aveva chiesto sua sorella leggermente spazientita mentre sorseggiava il suo caffè.
Zoe era una persona spigolosa da ogni angolazione Calypso l’avesse mai guardata, era una cosa che l’aveva sempre ferita essere incapace di relazionarsi con sua sorella per bene, a lei che la compagnia era sempre piaciuta e si era spesso ritrovato a vivere un esistenza solitaria nella villa dei Nightshade, lì sul colle, in una casa troppo grande per un bambina come lo era stata lei. Per sua sorella era stato diverso, Zoe aveva quasi dieci anni – nove anni e sette mesi – in più di sua sorella Calypso, aveva vissuto i suoi anni in casa in stoica solitudine senza elemosinare un briciolo dell’affetto di suo padre, e poi un giorno a diciannove anni era andata via dopo aver conosciuto un uomo.
C’erano voluti dieci anni da quel momento perché Calypso la ricontrasse.
Quell’uomo le aveva spezzato il cuore, ma Zoe Nightshade aveva trovato comunque il suo posto nel mondo e era diventata un avvocato, e lavorava come associato presso uno studio di grido di New York City: Artemide, Abnoba[1] & Rādhā[2].
Si erano riviste solo in occasione del funerale di Atlante Nightshade, un uomo potente, al cui capezzale si erano riuniti meno d’una decina di persone e nessuna delle sue figlie avevano versato lacrime.
Dopo quell’incontro le due sorelle si erano tenute più in contatto, tre anni dal funerale di suo padre, terminato il corso preparatorio e si appropinquava, all’età di ventidue anni di cominciare l’università di genomica[3], si era trasferita a New York da sua sorella, tecnicamente vive abusivamente sul divano di quest’ultima con le sue altre due coinquiline: Phoebe e Thalia.
“Che mi dispiace per lui” aveva risposto Calypso a Zoe, mentre posava il portafoglio blu, di fianco il suo cornetto integrale minimante toccato.
Con gli occhi aveva guardato le acque argentate che si increspavano appena del lago dove alcune giovani coppiette amoreggiavano sulle barche.
Quel sabato mattina aveva trovato il portamonete di Persesu Jackson lungo uno dei sentieri di Central Park durante l’ormai abitudinario jogging mattutino di Zoe.
In vero sua sorella andava a correre, scattante, mentre Calypso con l’abito a fiori e le scarpe da ginnastica bianche si limitava a seguirla, con il borsello a tracolla per godersi quel piccolo momento di pace e tranquillità nel cuore verde di New York.
Era cresciuta in campagna e i palazzoni di cemento che scomparivano tra le nuvole e le infinite Aveneu di asfalto le davano spesso un senso di inadeguatezza.
“Vedi se ha una qualche tessera della Biblioteca o scolastica” aveva detto solamente Zoe, con ancora i pantaloni da jogging ed una felpa grigia a coprire il reggiseno sportivo, completamente slacciata.
Di norma sarebbe già tornata all’appartamento per farsi la doccia, ma aveva deciso di rimanere in giro con lei a prendere il caffè, questo perché Phoebe era andata a Boston dai suoi genitori e Thalia … be, era agitata per qualcosa.
“Scusa sulla carta di identità non c’è scritto dove vive?” aveva chiesto sua sorella, “Non era nel portafoglio, solo la patente” aveva detto, mostrandola alla sorella.
“Bel faccino. Probabilmente uno stronzo” aveva stabilito asciutta come solo Zoe poteva essere, “Tu lo dici di tutti gli uomini” aveva replicato Calypso, “Ho mai avuto torto?” aveva risposto l’altra ruvida.
Atlante.
Ulisse.
Francis[4].
Il suo uomo.
Calypso aveva taciuto.
“Sono un avvocato” aveva detto Zoe, come quello dovesse chiarire ogni cosa.
Calypso aveva sbuffato, “Poi mi chiedo come lo abbia perso” aveva valutato lei, “Il venerdì sera gli adolescenti, che non guardano la cronaca nera si imboscano sempre nelle angustie viette del parco” aveva detto sua sorella. “O Law & Order[5]” aveva commentato Calypso.

 

Sapeva che l’unico modo per risolvere la questione era portato il portafoglio alla più vicina stazione di polizia e liberarsi dell’inghippo, immediatamente.
Ma in un certo senso, non voleva.
Aveva passato eoni ed eoni nella solitaria villa sulla collina dei Nighshade, fantasticando delle vite delle persone che non aveva mai incontrato e che mai avrebbe.
Il postino.
Il fattorino.
Le fototessere che rovinate che aveva trovato una volta camminando per il bosco dietro la proprietà, rovinate abbastanza perché del viso dello sconosciuto si riconoscesse una bocca stretta e dritta, in un viso sbiadito.
I compagni di penna di Nonno Bob, le cui lettere, alcune scritte in una lingua che non conoscevano, erano accatastate in soffitta, la cui carta era mangiata, lasciando a Calypso nulla che pagine frammentari di racconti che stava a lei completare.
Il ragazzo nella stanza accanto che parlava spagnolo, odorava di fumo e di cui aveva intravisto una zazzera riccia che abitava dirimpetto l’appartamento di Zoe[6].
Così Perseus Jackson ed il suo portafoglio blu erano diventate un'altra di quelle cose,  qualcosa di nuovo su cui fantasticare.
Forse aveva ragione Francis nel dirle che invece di occuparsi delle piante, avrebbe dovuto scrivere.
Aveva una bella fantasia.
Cosa immaginava di Perseus Jackson?
Sicuramente che era un bravo fratello maggiore ed era un bravo figlio. Sua sorella si sbagliava, era un bravo ragazzo, pieno di vita, bello si, ma non affascinante o seduttivo, forse completamente ignorante del suo aspetto. Non sapeva perché, ma dalla foto che aveva accartocciato con la sua ragazza, mentre gli occhi di lei, grigi come argento, erano sicuri e puntati con fierezza verso l’obbiettivo, lui pareva più umile ed indeciso.
Poi aveva deciso facesse sport, era alto non contava, ma aveva spalle larghe e petto piatto, non pallacanestro e neanche football, il baseball forse.  La sua fidanzata aveva i capelli biondi parzialmente coperti da un cappellino dei New York Yankees.
Frequentava una scuola pubblica decise, le foto di famiglia erano abbastanza modeste, nulla fuori dall’ordinario ed il mare che si vedeva alle loro spalle era quello di Long Island. Niente di esotico. Una famiglia normale.
Padre, madre, due bambini.
Si, normale. Accettabile.
Poi come il suo portafoglio era un caos di scontrini e post-it, Calypso immaginava dovesse anche essere la sua camera, un letto da una piazza sola, poster della squadra preferita, magari una band poco famosa e foto. Perseus Jackson sembrava un tipo da avere la camera tappezzata di foto di persone che gli erano care e ne aveva tante, perché Calypso lo immaginava buono e alla mano.
Si era rigirata tra le mani la patente del ragazzo per vederla bene, era plastificata, l’immagine sul quadrato era appena un po’ sfocata, non sorrideva in quella foto, per dovere civico, ma Calypso riconosceva un fremito leggero, immortalato nella camera, per l’eternità, l’intenzione di piegarsi ad un sorriso, vibrante della gioia di quel traguardo.
Calypso non aveva mai preso la patente.
Le medicine che doveva prendere in farmacia erano anti infiammatorie, forse si era ferito durante un qualche allenamento.
Aveva cercato altri indizi per costruire la sua storia.
C’era un post-it verde pisello, ‘Manchi ad Arcobaleno. T.’, portava i segni di molte piegature e l’inchiostro si era tinto di una sfumatura aranciata, segno del tempo.
Forse una vecchia fidanzata. O Forse era la ragazza dai capelli biondi e gli occhi grigi che lo aveva scritto, forse era un ricordo della loro storia.
Aveva frugato ancora, trovando solo un biglietto mensile della metropolitana.
Null’altro di intimo.
Fino a che aveva realizzato quanto in realtà di intimo ci fosse lì dentro.
Gli scontrini.
Erano tutti di minimarket per lo più, Calypso non gli conosceva, come ancora non conosceva New York, ma immaginava non fossero della sua zona.
C’era lo scontrino di una catena di librerie piuttosto famosa, Perseus Jackson aveva acquistato ‘Il Dottor Zivago’. Era un libro russo, anche se non ricordava l’autore.
Non sapeva perché ma questa informazione un po’ si discostava dall’immagine che aveva avuto. Non aveva pensato a lui in materia di cultura ed interesse, come studioso, forse un po’ subornata dal suo bell’aspetto. Avrebbe dovuto riorganizzare le sue idee.
Thalia aveva stappato una lattina, differentemente da sua sorella – o Phoebe – non aveva mai mostrato fastidio per l’assediante presenza di Calypso nella loro già piccola casa.
“Che fai?” aveva chiesto subito.
Thalia odorava sempre di qualcosa, un po’ di nicotina, sudore e menta, i capelli erano una massa informe nera, su cui spiccava azzurrissima una ciocca di capelli, indossava sempre abiti strappati e pantacalze nere di pelle lucida, aveva sempre l’aria di una qualche cantante di una band punk – non che Calypso fosse esperta – invece che un ex-studentessa di economia aziendale. Sapeva che aveva abbandonato gli studi ed aveva preferito darsi a carriere più disparate ed era finita per essere assunta dallo stesso studio di Zoe, in veste di investigatrice privata.
“Mi faccio un’idea su questo ragazzo” aveva ammesso candida, mentre allungava la patente nelle mani di Thalia.
Lei aveva staccato dalle labbra la bottiglia, “Vuoi una mano? Sono brava” aveva scherzato.
Calypso avrebbe voluto ritrarsi, voleva che quella cosa restasse tutto sommato solo sua, come era sempre stato, ma aveva fantasticato dalla mattina prima su Perseus Jackson, che le sarebbe piaciuto scoprire quanto lontana o vicina fosse arrivata.
Così aveva passato il portamonete a Thalia e le aveva raccontato le sue impressioni.
La ragazza aveva puntato gli occhi azzurri, intensi come fulmini, su tutte le varie carte, con un moto di interesse per nulla discreto.
“Si. Non è ricco” aveva detto, “Ma ha la faccia da ragazzo ricco – lì conosco” aveva aggiunto soddisfatta la donna. Thalia Grace era figlia di Zeus Grace un CEO di un importante compagnia di Import-Export, da quello che Zoe si era lasciata sfuggire. “Per la carta di debito, è probabile che sia una di quelle con un iban, fanno il conto dai sedici anni in su, probabilmente aveva bisogno di un posto dove mettere i soldi di un lavoretto” aveva ipotizzato, “Ma è pure speculazione, magari lo ha fatto perché doveva andare in gita da qualche parte e non voleva portarsi i soldi” aveva aggiunto.
Magari in trasferta con la squadra di baseball, aveva pensato Calypso.
“Comunque non è neanche povero, vesiti puliti, espressione, pulita. Famiglia pulita. Classe media” aveva detto, passando a setaccio gli scontrini.
“Però è un ragazzo che ha avuto la sua dose di traumi” aveva valutato, “Come lo fai a dire?” aveva chiesto poi Calypso, “Senti io non ho una laurea in psicologia o altre cose, è solo un impressione” aveva detto, “Ma questo ragazzo ha post-it vecchi di anni e foto accartocciate nella suo portafoglio” aveva spiegato, “Mi sembra il comportamento di qualcuno che ha bisogno di sapere che le persone che ama siano sempre vicine e con lui” aveva detto Thalia.
“Forse perché è in sicuro o forse perche ha paura di perderle, comunque quello nella foto di famiglia non è il padre” aveva detto, “La madre cento-cento, la sorella, be, sicuramente è figlia dei due aldulti. Ma il ragazzo ed il padre – un patrigno” aveva aggiunto.
“Forse il timore dell’abbandono viene da un padre naturale assente, forse, non so” aveva aggiunto Thalia, prima di allungare uno scontrino verso di lei.
Dolci d’America, era il negozio.
“Io partirei da qui” aveva detto.
“Perché?” aveva chiesto lei.
“Tutti i negozi sono nella stessa area, in cui fa la spesa, incluso il fiorario – si lo ho googlato mentre ti crogiolavi” aveva detto Thalia schietta, “Questo è lo scontrino più recente ed ha battuto la spesa di uno zero-zero che implica o che qualcuno aveva un buono gratis, sai di quelli Bevi-Dodici-Milkshake ed il tredicesimo è gratis o qualcuno aveva un codice sconto, di solito i dipendenti” aveva detto.
“Ma non ha altri scontrini” aveva sottolineato, Thalia. Forse era un po’ strano, “Magari era un unicum” aveva proposto, “Non so, io faccio sempre colazione allo stesso bar da tipo dieci anni a questa parte” aveva aggiunto, “E’ più probabile che butti gli scontrini di quel posto perché si sente sicuro lì, sai, saprà sempre dove trovarlo. Ma ipotizzo è basta” aveva aggiunto.

 

Dolci d’America, era una piccola caffetteria incredibilmente patriottica.
Tutto in quel posto era orientato con i colori della bandiera.
Quando era entrata lunedì, tesa come una corda di violino, aspettandosi di veder spuntare la zazzera di capelli scuri e gli occhi verde acqua del suo sconosciuto, si era dovuta trovare leggermente delusa.
Il locale era lungo la settima avenue, in altezza della cento-ventiquattresima strada, davanti a gli hotel di medio reddito.
Gli avventori erano quasi tutti turisti ciancianti con qualche sensibile eccezione.
Come il ragazzo alla cassa che parlava con una delle cameriere dietro il bancone. Indossava un ingombrante cappello da rastafariano e teneva a fatica due stampelle.
“Ascoltami Jun, io gli dico questo e lui è così incazzato …” stava dicendo, americanissimo, con un accento New Yorkese.
Jun, con la maglietta a maniche corte rossa, con sopra il grembiule blu ed una banda bianca alla vita, lo guardava divertita, “Se non ti sposti Grover non posso lavorare” lo aveva ammonito, invitando Calypso ad avvicinarsi.
Aveva preso un caffè lungo ed un muffin ai mirtilli, il colorante aveva reso la pasta blu con chiazze violacee per via dei frutti.
Si era seduta al bar ed aveva aspettato lì per qualche oretta, dirando fuori il blocco degli appunti sconnessi della lezione  di quella mattina per sistemarli meglio su un altro quaderno ad anelli.
Grover era stato lì quasi tutto il pomeriggio a raccontarsi storie fittamente con la cameriera, che sembrava conoscerlo bene, visto come di tanto in tanto, quando non era guardata allungava una mano per tirarle un buffetto.
Poi la porta si era aperta, Calypso inizialmente non aveva alzato gli occhi, all’ennesimo cliente che non era lui, aveva rinunciato, fino a che non aveva sentito una voce.
“Scusa! Scusa!” aveva detto subito una donna. Calypso aveva sollevato lo sguardo, una furia con i capelli ricci ed il viso sorridente, “Estelle ha vomitato e Paul aveva un consiglio di classe” aveva detto la mamma di Perseus, “E Percy quando è all’allenamento non sente mai il telefono” aveva aggiunto.
Faceva sport.
“Tranquilla Sally” aveva detto Jun, “Non mi è pesato. Come sta Estelle?” aveva chiesto, “Bene, adesso. Non aveva neanche la febbre, aveva solo mangiato qualcosa che non doveva mangiare, ora è a casa con Percy” aveva spiegato subito, mentre sbottonava la giacca, per rivelare una maglietta rossa. “Signora B.!” aveva esclamato Grover, a tutto denti.
“Ha ritrovato il portafoglio?” aveva chiesto subito Jun, prima che Sally potesse andare dietro il bancone per mettersi il grembiule blu, aveva risposto Grover, “No” aveva aggiunto, “Ma alla fine ieri siamo andati a fare la denuncia. Non poteva restare senza patente e carta” aveva detto subito quello.
“O la ricetta per la lussazione di Paul” lo aveva imbeccato Estelle, “Comunque che questo vi sia di lezione a non andare a giocare ad Alce Rossa a Central Park di notte” lo aveva rimproverato la madre di Percy.
“Si, signora B.” aveva detto subito Grover, “Nessun Signora B. Grover! È mortalmente pericoloso! Cosa farei poi senza i miei ragazzi?” aveva detto lei, allacciandosi il grembiule.
Grover aveva riso con sincero imbarazzo per quella spontanea confessione d’affetto.
“Ma Alce Rosso non è un gioco diurno?” aveva chiesto Jun con onestà, “Si ma secondo Luke Castellan sarebbe stato più divertente di notte” aveva risposto poi Grover.
Anche Calypso aveva sorriso in qualche maniera. Percy – perché doveva evidentemente preferirlo a Perseus – aveva una mamma gentile, piena d’amore, era amico di Grover, e probabilmente di Jun della caffetteria, non aveva perso il suo portafoglio imboscandosi negli anfratti per amoreggiare o un rave-party ma per giocare ad Alce Rossa. Calypso non sapeva neanche cosa fosse Alce Rossa[7].
“E come è finita invece?” lo aveva stuzzicato con un rimprovero Sally, Grover si era voltato verso Jun, con il viso pregno di mortificazione, “Clarisse si è lussata una caviglia, Jason[8] si sono rotto gli occhiali, Percy ha perso il portafoglio e Connor Stoll è stato arrestato per schiamazzi e disturbo della quiete pubblica” aveva detto, “Però era notte e sicuramente non c’era nulla di pubblico” aveva sottolineato.

Era martedì, quando Calypso aveva saltato la lezione di Chimica Inorganica, alla Pace,  per dirigersi al negozio di fiori, era all’incrocio della settima avenue, solo all’incrocio con la centoventisettesima. Due vie da Dolci d’America.
Il negozio riportava sull’insegna con un elegante rosa pastello in corsivo la scritta: Gardner & Sisters, su un fondo ocra spento.
Calypso era entrata dentro il negozio odorando a pieni polmoni l’odore di fiori, diversi, prorompenti e la saporita acquosa dell’aria.
“Salve, come posso aiutarla?” aveva domandato subito una uomo da dietro il bancone, al suo fianco c’era una ragazza adolescente, con i capelli scuri che stava sfogliando una rivista, sembrava disinteressata ma osservava tutto di sottecchi.
“Volevo comprare un vaso con cui decorare il mio balcone” aveva mentito, non aveva una casa ne un balcone da decorare, ma Zoe aveva un appartamento nel Greenwich Village e le scale antincendio che fuggivano bene da ritrovo dove fumare, per Thalia, e prendere aria per le altre inquiline.
Il proprietario aveva cominciato a spiegare tutti i fiori che aveva nel negozio, i loro significati e come fosse d’uopo trattarli.
Calypso nella vecchia mansione dei Nightshade aveva avuto una serra di cui si era occupata personalmente e le piante in un modo o nell’altro erano sempre stati la sua ragione.
La porta del negozio si era aperta.
Un ragazzo si era palesato sull’uscio, indossava un blazer nero sopra una camicia bianca e dei pantaloni cachi. Calypso gli aveva visti alcune volte che avendo lezione solo la mattina era andata a Central Park, era l’uniforme di una scuola privata.
Il ragazzo però aveva anche capelli scuri ed occhi verde intenso ed un sorriso carico di aspettative.
Percy Jackson!
“Katie!” aveva detto subito lui, trafelato leggermente.
Katie la ragazza dietro il bancone aveva sollevato lo sguardo da lui con un sorriso accondiscendente, “Buon pomeriggio anche a te, Percy” aveva scandito, “Come sta quel demente di Travis, finirà in prigione?” aveva chiesto.
“Era Connor” aveva detto Percy, sbrigandosi poi a salutare anche il signor Gardner, l’uomo con cui Calypso era stata a parlare.
“Va bene lo stesso” aveva detto la ragazza.
“Perché sei qui?” aveva domandato poi Katie, “Oh, per ritirare i fiori di Annabeth” aveva detto subito lui. “Che carino le hai preso dei fiori” aveva detto lei addolcita.
“No, i fiori li ha ordinati la signorina Chase” si era intromesso nel discorso il signor Gardiner, prima di scusarsi con Calypso.
Annabeth Chase.
Calypso indovinò dovesse essere la bella ragazza dall’aspetto californiano, con i riccioli biondi ed il capello degli yankee.
La fidanzata di Percy aveva ordinato un bouquet bello pieno di tulipani gialli ed aranci, che Katie aveva sistemato in una carta crema, con un nastro rosso corallo. Katie aveva allungato una mano verso di lui, “Dammi la tesserina che ho dato ad Annabeth” aveva detto subito, davanti lo sguardo confuso dell’amico.
“Come?” aveva chiesto Percy.
“Quello dice che Annabeth ha già pagato” aveva detto Katie.
“Ma Annabeth ha già pagato” aveva sottolineato Percy.
“Lo so ma senza quello potresti essere qualcuno che viene a ritirare i fiori al posto suo” aveva specificato la ragazza, “Come i biglietti per i cappotti in discoteca” aveva aggiunto.
Percy aveva sbuffato, “Mi conosci da quando ho dodici anni” aveva detto, “Sono il fidanzato di Annabeth, quasi dallo stesso tempo” aveva sottolineato come ovvietà.
Katie non aveva ritratto la mano.
“Ora la chiamo” aveva proposto Percy, “Potrebbe essere qualcun altro” aveva  scherzato Katie, “Allora chiamala tu” aveva insistito il ragazzo, “Magari mentirebbe sotto coercizione” aveva risposto la fioraia.
“KitKatie” le aveva detto l’uomo, come ammonizioni bonarie.
“Hai sentito la mamma, ‘pa” era stata la pigra risposta di Katie, “Nessuna eccezione, Percy” aveva detto, rivelando un certo dispiacere, “Dai ho perso il portafoglio con dentro il biglietto” aveva detto lui, “Posso farti credito se non hai i soldi, però” aveva proposto la ragazza.
Percy si era morso le labbra per il disaggio e probabilmente anche la rabbia.
Calypso aveva scosso il capo, “Un secondo” aveva detto al signor Gardner, raggiungendo i due ragazzi.
Era andata lì a posta alla fine.
Si era tirata i capelli cannella dietro l’orecchio ed aveva sorriso.
“Salve” si era intromessa.
Entrambi l’avevano guardata.
Sapeva di non sembrare una ventiduenne, con i pantaloni di jeans, sapeva di non dimostrare mai l’età giusta, ancora nei locali le chiedevano ancora i documenti.
“Sono Calypso Nightshade” aveva detto, allungando una mano verso di lui.
Percy l’aveva stretta, nonostante i suoi diciassette anni, aveva mani grandi e calde. Da uomo.
Lui si era presentato, un filo di imbarazzo dipingeva le guance in prugne rosse.
“Lo so” aveva detto, “Sono venuta qui per te” aveva detto, aprendo la borsa ed estraendo il portafoglio blu.
“Èqualche giorno che ti cerco” aveva rivelato
E tutta la vita che cerco il protagonista di una mia storia, aveva pensato.
La realtà era sorprendemente diversa. Non più brutta. Solo diversa.
Dal vivo Percy Jackson restava ancora bello, ma restava ancora un ragazzino con un principio di acne sulle guance, il sorriso un po’ tremolante, le spalle non così larghe e l’andatura un po’ ingobbita. La pelle segnata un po’ dal sudore e l’affanno di una corsa.
Gli occhi, be, Calypso doveva ammettere che le foto non rendevano giustizia.


 



[1] Una divinità celtica adorata nella Foresta Nera.

[2] È una bellissima pastorella, compagna eterna del dio Krsna, nella mitologia indù – o vetica, non ne sono troppo sicura.

[3] Niente alla povera Calypso si è beccata questo corso di studi e continua; comunque non ho ben capito come funziona l’università americana, ma prima ci sono due anni preparatori e poi quattro effettivi, mi pare. Tecnicamente l’università cominciando a 18 anni, un anno prima che da noi, prevede che a 22, Calypso dovrebbe già star frequentando per il bacellorato, ma lei ha iniziato in tirando (colpa di Atlante).

[4] Francis Drake, un pirata, che secondo il canone riordiano è finito sull’isola di ogigia.

[5] Sul serio, metà degli episodi di Law and Order e Law and Order: SVU sono ambientati a Central Park ed effettivamente è un posto che di notte deve fare spavento.

[6] Questa storia non si svolge dello stesso universo della Caleo, della Khileo e della Jason&Leo(che scoprono gli hentai) ma anche in questo caso sono vicini di casa.

[7] Neanche io ho mai giocato ad Alce Rossa, ma una mia amica mi ha assicurato che è molto divertente, qui ci sono regole (https://it.scoutwiki.org/Alce_rossa). Alce Rossa è un gioco diurno, ma lei mi ha detto che è molto più divertente di notte – ma anche più pericoloso.

[8] Spoiler: Thalia è una brava investigatrice, ma non così brava!

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Decolté leopardate e WTF? ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:   Decolté leopardate e WTF?
Prompt:  #70 Quella spogliarellista ha un aspetto familiare OMG sei tu!AU
 Personaggi:  Nico di Angelo, Grover Underwood, Frank Zhang, Reyna Arellano, Leo Valdez (citati: Will Solace, Annabeth Chase, Piper McLean, Thalia Grace, Hazel Levesquez, Bianca di Angelo)
Paring:  Pernico!one-side, Solangelo (minor: percabeth, jun/grover, Frazel, Jasiper!na-specie,Thalia/Reyna!Hint).
Rating: Giallo limonata
Warning:  Modern!AU, Stripper!au
 Beta: Nessuna
Note: Ho trovato questa shot nel mio pc, penso di averla scritta durante la quarantena e non ne ero convinta allora come ora, però visto che era sul pc, ho pensato: dai la posto! Il punto è che il prompt non mi piaceva, perciò dubito potrò mai tirare fuori qualcosa di bello. La storia tecnicamente è una Nico&Reyna (come avevo fatto per Leo e Jason) invece che una Nico/Reyna (Magari un giorno).
Vorrei ringraziare Fenris e Farkas per essere presenze così costanti in questa raccolta e amiracieri che ha la buona creanza di star recensendo questo delirio.  
Buona lettura!
Ps - Ho tecnicamente aggiunto un indice.

 

Decolté leopardate e WTF?

“Che hai da fare?” aveva domandato Nico confuso.
Ho-da-fare” era stata la risposta di Reyna, una tiritera che andava avanti da un po’ di tempo e cominciava a frustrare non poco Nico.
Reyna era la sua migliore amica, almeno così credeva Nico, dopo una serie di relazione interpersonali che aveva affrontato nel corso della sua vita, tra mezze-cotte non ricambiate, gesti d’amicizia caduti nel vuoto e Jason, che per Nico rappresentava una questione a parte; aveva conosciuto Reyna.
Ed era stato, almeno dal lato di Nico, amore – platonico – a prima chiacchiera; si erano conosciuti al compleanno di Hazel, la sua sorellastra, dove la ragazza era stata l’unica altra anima avvolta nel disagio nel mezzo di una festa. Dal canto suo Nico aveva l’incredibile abilità di saper sparire tranquillamente nella carta da parati, una volta sfuggito allo sguardo attendo di Jason Grace, Reyna era la designata vittima delle attenzioni di tanta gente. Forse perché appariva sempre così sicura, brillante e sagace, che la sua apparente freddezza e rigidezza, finiva per sciogliersi soffocata dalla passione e la dedizione che la caratterizzavano.
Nico aveva capito che nonostante Reyna, si impegnasse per non apparire socievole – o solare –  era una persona dallo spirito forse e tenace, qualcuno su cui sembrava naturale fare affidamento.

A presentare i due era stato Jason, che con una mano sulla sua spalla e con una stretta di ferro lo aveva trascinato in giro per la sala della festa, onde evitare Nico sparisse nelle ombre – come adoravano tutti dire – per conoscere quante più persone possibile.  Di rimando lui si era guardato bene dal voler incontrare suddette persone; un susseguirsi di strette di mano e facce assolutamente anonime che aveva dimenticato il momento dopo. “E lei è Reyna, ricordatelo perché un giorno sarà presidente degli Stati Uniti” aveva esordito Jason e di rimando la ragazza, colta a tradimento mentre beveva si era ritrovata a sputacchiare la sua bevanda con un certo disagio, perdendo quella sua aria di ferrea sicurezza.
Nico poteva candidamente ammettere un anno e mezzo dopo che concordava con quella presentazione, probabilmente un giorno Reyna avrebbe avuto per ufficio lo Studio Ovale.
“Certo, ultimamente sei sempre così impegnata” aveva notato Nico.
Non sapevo di avere un fidanzato geloso a cui dover dare spiegazioni” aveva risposto con una certa acidità la ragazza.
“No, Reyna, tu puoi fare tutto quello che vuoi, mi piacerebbe solo prendermi una birra con te, non ti agitare” aveva risposto Nico.
Dalla festa di Hazel, che i due avevano finito per incontrarsi almeno una volta a settimana a bere e mangiucchiare qualcosa di sera, da quando sua sorella Bianca ingenuamente vedendoli parlare fittamente alla festa aveva organizzato loro un appuntamento – tre mesi dopo, grazie al sostegno di Reyna, Nico aveva confessato ad ambedue le sue sorelle la sua netta preferenza per gli uomini.
Solo che erano almeno sei settimane che la sua compagna di bevute e sgranocchiolamento di noccioline era scomparsa.
La paranoia lo aveva spinto a pensare che Reyna avesse cominciato ad evitarlo; Nico viveva in maniera angosciante ogni relazione, se ne rendeva conto, percepiva sempre, costantemente, un’ineguatezza inspiegabile quando era con le altre persone. L’assoluta percezione di essere un disturbo e che improvvisamente Reyna se ne fosse accorto, sapeva non fosse un pensiero razionale, perché continuavano a scriversi con la stessa regolarità.  
Avevano pranzato anche insieme diverse volte, c’erano state anche delle colazioni invero, ad orari improbabili, prima che Reyna andasse al praticantato e Nico tornasse a casa a dormire, reduce da una notte insonne.
Tre giorni prima avevano studiato assieme in biblioteca.
E che era scomparsa completamente la sera.
Nico le aveva anche chiesto se si fosse trovata un lavoro, ma la ragazza aveva eclissato ogni domanda, in ogni modo.

E che sto diventando matta con l’esame di Diritto Privato Comparato” aveva confessato la ragazza, “Praticamente passo la mia vita a morire tra queste pagine” aveva aggiunto, “Però ti giuro che pianterei tutto” aveva rivelato la ragazza con un tono più dolce.
Nico aveva sorriso, “E che sto cercando di non impazzire per la storia del matrimonio” aveva confidato lui, passandosi la mano libera sulla fronte, mentre scendeva dall’autobus raggiunta la sua fermata, “Lo so quanto è importante per te l’università” si era affrettato subito a riferire. Forse il motivo principale per cui di quei tempi si sentiva così insofferente alla vita, prima anche della latitanza della sua migliore amica, era quello: il matrimonio. Inevitabile. Imminente.
Impazziresti di meno se chiedessi a William di venirci con te” aveva sottolineato Reyna, “Mi piace come tu faccia tutta la misteriosa ma che insista a dirmi cosa fare” aveva soffiato lui, leggermente risentito.
Nico, i miei sono consigli” aveva risposto lei, “Adesso devo assolutamente andare” aveva tagliato corto la sua amica, “Si, vai a fare le tue cose misteriose” aveva sentenziato lui.

 

“Perché siamo in uno strip club?” Nico lo aveva chiesto con le labbra serrate in un’espressione neutra, che mal celava la sua insofferenza.
A Nico non piacevano le donne, ma era piuttosto convinto che anche se lo strip-club avesse riguardato uomini si sarebbe sentito a disagiato in tutta quella nudità, anche le cameriere erano strizzate in vestiti microscopici che lasciavano in mostra troppa carne.
“Perché il buffet è gratis” aveva risposto genuino Leo riempiendo il suo piatto di ali di pollo speziate e crocchette di patate.
Nico lo aveva guardato con vago astio, “Calypso la pensa uguale?” aveva chiesto retorico, “Me lo ha fatto scoprire lei” aveva risposto con onestà disarmante lui, “Come credi si siano pagata la facoltà di genomica[1]? Il Signor Atlante non ha mai dato un centesimo alle sue figlie” aveva domandato retorico, prendendo la strada per il tavolo.
Percy, il festeggiato, stava bevendo da un bicchiere con un drink rosa con un ombrellino, con gli occhi spallati, non sapeva se fosse confuso da quell’ambiente ma solo parecchio stordito dall’alchool.
Jason al suo fianco aveva preso a pulire le lenti degli occhiali, cotto di imbarazzo; il suo amico era sicuramente un bel ragazzo, ma era anche uno di quelle persone assolutamente inconsapevoli di esserlo.
Frank al loro fianco era rosso come un pomodoro maturo ed approfittava per ogni occasione per coprirsi gli occhi con le mani.
L’unico che sembrava a proprio agio in quella situazione era Grover con i suoi vestiti larghi ed il capello da rastafariano, che copriva i riccioli serpentini.
“Lo so che avevi detto niente cose esagerate” aveva valutato Leo, sedendosi al posto di fronte Percy, “Ma è solo un innocente strip-club” aveva detto, posando il piatto pieno di cibo sul tavolino, prima di schioccare le labbra e fare il segno di una pistola a Jason.
Il biondo aveva inforcato gli occhiali quadrati prima di recuperare un portafoglio bello pieno e tirare fuori da esso una mazzetta di banconote.
“Hai rapinato una banca?” aveva domandato confuso Percy, sputacchiando un po’ della sua birra, “Sono banconote da un dollaro” aveva detto chiaro Jason, “Ah, quindi una chiesa” aveva ridacchiato Percy. “Abbiamo fatto una colletta” aveva chiarito Grover con una risata, “Per le ballerine?” aveva domandato il festeggiato, Percy, arrossendo furiosamente sul viso.  Era intervenuto Leo allora, stuzzicando l’altro ragazzo, senza pietà: “Dai, Percy, è solo un rito di passaggio” . Frank che era sempre timidissimo aveva preso il coraggio di parlare: “E fidati, Hazel mi ha detto il programma delle ragazze!” aveva aggiunto lui, allusivo, “Vanno a Las Vegas.”
Nico aveva tirato su un po’ del suo rum-cola con la cannuccia, prima di ficcarsi in bocca una manciata di patate fritte.
Sarebbe stata una serata, orribile.
Doveva darsi malato, lo sapeva.
“Comunque non posso crederci” aveva ripreso a parlare Grover, “Ti stai veramente per sposare” aveva aggiunto guardando Percy, sconsolato; l’altro aveva ridacchiato, “Ma io lo avrei fatto anche tre-quattro anni fa, ma Annabeth voleva finire il dottorato, prima” aveva risposto con esimia onestà l’altro ragazzo, “Sei tu che hai una fidanzata da quando hai tredici anni e non l’hai ancora sposata” aveva sottolineato.
“Io e Jun siamo contrari all’istituzione del matrimonio!” aveva chiarito lui, con sicurezza.

Il momento dopo erano tutti a discutere delle loro fidanzate e quando sarebbe stato il caso di fare cosa. Frank era il più spedito da questo punto di vista, il problema fondamentale era il rito da scegliere, perché Hazel era cattolica e lui shintoista, per Leo e Calypso era ancora troppo presto.
Gli unici che erano rimasti esclusi dal discorso erano Nico e Jason.
“Hai deciso se inviterai il dottore carino o no?” aveva chiesto poi, con un tono di voce più piatto Jason.
Lui ci sarebbe andato da solo, tecnicamente con Piper, nel loro maldestro tentativo di rimanere amici, nonostante la rottura della loro relazione.
Egoisticamente Nico aveva sperato che Jason invitasse  Reyna al matrimonio, voleva che la sua amica si trovasse una brava persona e Jason lo era per antonomasia.
Nico aveva fatto schioccare le labbra. “Tecnicamente non è un dottore” aveva ammesso lui in imbarazzo; Will non era ancora un dottore, studiava medicina all’università; e si pagava gli studi lavorando nel bar, dove Nico andava a passare la notte quando non riusciva a dormire. Cosa che succedeva abbastanza spesso, almeno agli inizi; nell’ultimo tempo a guidarlo a quel bar era stato più l’interesse per vedere Will.

Nico non aveva ancora fatto propriamente coming-out con i suoi amici; aveva solo lasciato vaghi segnali sul fatto che non fosse interessato ad avere relazioni con donne, ma metà dei suoi amici aveva interpretato il suo comportamento come se Nico non avesse passione nell’intessere rapporti in generale.
Ma non Jason, ovviamente, perché forse il suo amico era un po’ inconsapevole per le vicende che riguardavano se stesso, ma non per quelle che riguardavano Nico, stranamente, per quello era attentissimo.
“Potrei averlo accennato” aveva concesso alla fine Nico.
Jason aveva sorriso soddisfatto, aggiustandosi meglio gli squadrati occhiali rossi.
Era la dannata versione bionda di Clarke Kent.

Non era del tutto vero, aveva raccontato a Will che c’era il matrimonio del ragazzo schifosamente eterosessuale di cui era innamorato da quando aveva, qualcosa come, tredici anni?
E Will, bello come il sole, aveva sorriso accomodante, e poi gli aveva detto che infondo ci erano passati tutti e che se voleva un più uno per l’evento: lui era un vero animale da festa.
Nico aveva avuto un mancamento, quasi. Will gli faceva svolazzare le farfalle nello stomaco, in una maniera diversa da qualsiasi sensazione Percy gli avesse mai dato; in realtà non voleva neanche paragonarle. Will era come una doccia fredda in una giornata caldissima d’estate, faceva bene, mentre quando pensava alle sensazioni che provava con Percy, quelle erano completamente diverse: era come essere investito più volte da un autobus. Stava sempre male.
“Okay siamo diventati troppo noiosi” aveva attirato nuovamente l’attenzione Leo, rubando la mazzetta di banco notte dal tavolo, dove Jason l’aveva lasciata per darlo al festeggiato, “È il tuo addio al celibato e devi farlo, non importando quanto è imbarazzante” aveva detto, con un sorriso bello lezioso sulla faccia.

 

‘Reyna rispondimi’
‘Reyna, sul serio ho bisogno di parlare con te’
continuava a digitare sul telefono, per nulla interessato a guardare le ballerine che roteavano attorno ad un palo, mezze-nude in tacchi vertiginosi.
“Ti prego non dirlo a tua sorella!” lo supplicò Frank, mentre un Grover parecchio divertito continuava ad ordinare alchool per tutti. Percy con coraggio, arrossato in faccia continuava a passare biglietti da un dollaro alle ballerine.
Se non lo avevano ancora preso a calci in faccia era solo per il suo bel faccino, probabilmente, visto quanti pochi soldi stava dando.

Nico, adesso non posso. Ti chiamo io dopo’ Reyna si era degnata di rispondere.
Al quarto bicchiere di Rum-e-cola, Nico non era così ben disposto con le sparizioni di Reyna, sapeva che studiava coma matta per passare gli esami e che il suo ruolo di rappresentate degli studenti l’assorbiva completamente, specie perché Octavian le lasciava fare tutto il lavoro per prendersi la metà dei nervi. Ma Nico non poteva andare avanti.
Era disgustato da tutto.
Voleva che Percy, bruciante di imbarazzo, smettesse di cercare di allungare dei soldi a donne mezze-nude.
Voleva anche Percy non sposasse Annabeth.
Ma sapeva che il suo secondo desiderio non fosse molto pratico.
Grover gli aveva messo una mano attorno alle spalle, amichevolissimo, più di quanto piacesse a Nico, ma cercò di non scacciarlo, perché riconosceva i buoni sentimenti dell’altro ragazzo.
“Io devo andare in bagno” aveva detto poi Nico, vuotando direttamente dal bicchiere il quinto bicchiere di rum-e-cola, inghiottendo anche il ghiaccio triturato. “Fai attenzione” aveva aggiunto Frank, audace, con le gote arrossate e le dita davanti agli occhi, quasi squagliato dall’imbarazzo.

Non era andato in bagno, non ci era neanche passato, si era chiuso altrove per prendere il telefono.
Era uscito a prendere una boccata d’aria, ne aveva bisogno.
Si grattò gli occhi con la manica della felpa, chiedendosi perché avesse accettato di andare, perché non riuscisse a dire di no a Percy mai, perché fosse così patetico.
Ignorami pure, ma io al matrimonio non ci vado’ aveva digitato velocemente.
Mentre fissava con sguardo perso una foto sua e di Bianca, con alle spalle Piazza San Marco.
Reyna non aveva ancora visualizzato il messaggio.
Lui aveva scosso il capo, aveva bisogno di bere un altro po’.
La notifica di un messaggio!
Si aspettava Reyna, ma invece aveva realizzato che il messaggio fosse di Will.
‘Ei, Nick! Come va?’ semplice. Netto.
Non vorrei essere qui. Vorrei tu fossi qui. Vorrei non essere qui, ma altrove con te.
Un sacco di risposte, erano venute in mente a Nico, ma era troppo codardo per scriverlo davvero.
Aveva rimesso il telefono in tasca ed era rientrato all’interno del locale.

Aveva fermato una ragazza con le orecchie da coniglietta per chiederle un altro bicchiere ed aveva cercato nuovamente i suoi amici sotto il palco, ma erano stati capaci di sparire nei dieci minuti in cui era uscito.
Incredibili.
Prima che si potesse concentrare nel cercare gli altri per il locale, per un breve momento, i suoi occhi indugiarono sulla donna che aveva avvolto la sua gamba, terminante in una decolté leopardata di tredici centimetri, attorno ad un palo d’acciaio.
“Ma … che cazzo …” si era lasciato sfuggire Nico.
La scarpa leopardata apparteneva ad un paio di gambe olivastre, chilometriche, proprietà di ad una ragazza latina, con una chioma di ricci scuri, strizzata in un vestitino di lustrini grande quanto un fazzoletto.
Reyna! Reyna Avila Ramirez Arellano.
Si era avvicinato al palco, mentre Reyna con un notevole forza delle gambe si era sollevata da terra, leggendosi al pallo solo con le braccia, rovesciando la testa all’indietro.
Nico aveva posato i gomiti sconvolto sul palco.
Qualsiasi danza Reyna stava facendo, suadente, mentre cominciava a far scivolare le spalline del vestito di lustrini dorati, quando aveva visto, tra tutti gli uomini che allungavano banconote un pallido Nico, con i gomiti piantati e lo sconcerto dipinto in viso.

“Meno male che non mi hanno visto” aveva detto Reyna, mentre indossava un maglione di lana sopra un reggiseno sportivo, “Sarebbe stato imbarazzantissimo” aveva detto con voce più controllata, “Certo Percy mi ha visto nuda già una volta” aveva raccontato con leggero nervosismo.
Nico aveva ancora gli occhi fissi sui copri capezzoli dalla forma di stella posati sul banchetto, davanti ad uno specchio, dove Reyna aveva la sua postazione. Aspetta cosa? Era stato il secondo pensiero di Nico, Reyna e Percy?
La faccia di Nico aveva dovuto essere esplicativa, perché Reyna aveva aggiunto, “Quando eravamo da Thalia, una volta è entrato in bagno, mentre io uscivo dalla doccia. Super imbarazzante” aveva raccontato, “Tranquillo, rispetto troppo Annabeth … e te” aveva detto quella. Nico avrebbe voluto dire che non aveva diritti o pretese sul ragazzo, nonostante il suo cuore andasse in fiamme in ogni occasione, ma alla fine aveva lasciato perdere.
“Vuoi spiegarmi?” era riuscito a dire Nico, decidendo che Percy Jackson era un argomento da lasciare stare.
“Prima di tutto. Se lo dici a qualcuno, in particolare Thalia Grace, sei morto” aveva detto subito Reyna, “Sei il mio migliore amico, ma sei morto” aveva aggiunto.
“Secondo: tra lo stage in procura e l’università non ho trovato molte offerte di lavoro che si sposavano bene con i miei orari.”



[1] Il solito headcanon di Calypso che è una studentessa/dottoranda di genomica

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Galeotta fu la chiave – o la sbronza o forse il trauma cranico ***


Titolo(Storia):   I Cento Mo(n)di
Titolo Capitolo:   Galeotta fu la chiave – o la sbronza o forse il trauma cranico
Prompt: #2 Mi sono infiltrato in casa tua alle due di notte perché ero ubriaco e pensavo fossa casa mia!AU
Personaggi:  Leo Valdez, Calypso, Will Solace, Magnus Chase (da MC&TGOA), TJ (da MC&TGOA) (Citati: Jason Grace, Lester Papadopulos, Frank Zhang, Hazel Levesquez, Thalia Grace, Reyna Arellano, Annabeth Chase, Percy Jackson).
Paring:  Caleo, perlypso!minor!past (minor: Percabeth, Frazel)
Rating:  Giallo intenso
Warning:  Modern!AU,
 Beta: Nessuna
Note:  Ma che è sta cosa? Ah, bo, ma finalmente è una cosa shipposa come si deve. Allora questa one-shot rientra nello stesso universo in cui Jason e Leo sono coinquilini e Calypso è la loro vicina (Leo spia la cronologia di Calypso, Khione chiede a Leo di sposarlo & Jason becca Leo a guardare i porno) questa è la più ‘posteriore’ temporalmente delle ff.
Per il titolo mi sono rifatta letteralmente al titolo della prima ff Calypso-Leo.
Visto che questo universo, in questa raccolta, sta prendendo sempre più piede sto pensando di creare una raccolta a parte su Leo e Calypso, dove (ri)pubblicare queste one-shot e magari altre con altri prompt, fatemi sapere se questa idea potrebbe intrigarvi.
Un bacio
RLandH
PS- Vorrei ringraziare fenris e cabin13 per le recensioni <3

 

Galeotta fu la chiave – o la sbronza o forse il trauma cranico

Mi raccomando, Leonidas, non farmene pentire.”
Aveva detto così, Calypso? Si, aveva detto così.
E Leo era stato prontissimo a risponderle che non sarebbe mai successo. Mai.
Avevano decisamente sopravvalutato la questione. Entrambi.
“Bene, Leo, ora sei come nuovo” aveva detto Will Solance dandoli una sonora pacca sulla spalla, aveva un sorriso tranquillo, che però era sciamato appena era tornato a fare l’apina laboriosa per il pronto-soccorso. Avevano ricucito e bendato la sua testa.
“Mi dispiace” aveva serpeggiato Calypso, seduta sulla sedia accanto a lui.
“Perché? Sono sotto antidolorifici, sto passando probabilmente il momento più bello della mia vita” aveva detto. Ed era anche onesto.
L’ubriachezza era completamente passata, ma almeno da un paio d’ore, aveva vomitato via tutto l’alchool, grazie al trauma cranico più che la sbronza.
“Ed avrò una nuova cicatrice figa” aveva provato a sdrammatizzare. Calypso però non sembrava per nulla rincuorata, mentre torturava l’orlo del suo cappotto, che non si era ancora tolta, per non rivelare la vestaglia, giro-chiappa, crema a fiori, che indossava sotto – e che Leo avrebbe conservato nelle profondità del suo cuore.
“Ho parlato con la polizia” aveva detto Calypso, “Ma credo vorranno parlare anche con te” aveva aggiunto.
“Chi sa che cosa pensano” aveva valutato Leo, mentre scivolava via dal lettino dove Will lo aveva fatto sistemare, una volta, usciti dalla sala d’aspetto.
“Ah boh, lite domestica credo” aveva borbottato Calypso, “Nah” aveva risposto Leo, “Più che io sia uno stalker pazzo assalitore” aveva aggiunto.
Calypso aveva sollevato un sopracciglio, “Nessuno sano di mente crederebbe che uno come me, esca con una come te” aveva spiegato Leo.
“Scusami?” aveva domandato Calypso, sembrava leggermente offesa ed indignata, onestamente Leo non capiva perché, pensava si sarebbe indignata più per l’ipotesi contraria. “Guardati Raggio di Sole: sei intelligente, bella e risoluta; io sono un caso umano” aveva risposto Leo.
Calypso aveva gonfiato le guance, “Ma cosa vai farneticando” aveva detto Calypso, ancora più offesa, “Non sei un caso umano: sei spigliato, divertente e certamente geniale, Leonidas” aveva stabilito Calypso.
Leo era quasi ammirato.
“Qualsiasi ragazza sarebbe fortunata ad uscire con te” aveva aggiunto con più vigore.
Leo aveva riso con un po’ di amarezza, “Qualsiasi tranne te” aveva detto Leo.

 

“No sul serio, puoi ripetere?” aveva domandato l’agente Chase, era il cugino di Annabeth, le somigliava abbastanza, stessi occhi grigi, solo che era una versione più appuntita e smunta.
“Ieri sera sono andato alla festa d’Addio di Reyna e Thalia” aveva ricominciato Leo, “Hai presente no? Potrebbero piegarti ambedue come un fuscello” aveva continuato, ma l’agente Chase aveva annuito.
“Si, Annabeth e Thalia sono amiche tipo da tutta la vita” aveva risposto l’agente Chase, mentre al suo fianco, il suo collega ridacchiava, chi sa cosa c’era di così divertente in quella scena.
“Bene, abbiamo bevuto tanto” aveva spiegato Leo, “Dovevo tornare con i miei coinquilini, ma Lester lo abbiamo perso di vista a metà serata, è la persona più sfigata che conosco, quindi giuro, non so dove sia finito” aveva spiegato Leo, cercando di ricordare il filo del discorso.
“E Jason neanche …” aveva aggiunto, aveva fatto una pausa.
Cosa era successo, poi?
Il collega dell’agente Magnus Chase, TJ, aveva voltato il capo verso Calypso e le aveva chiesto della festa, “No, io … non sono stata invitata” aveva risposto poi, tetra.
Leo le aveva lanciato uno sguardo confuso, era dalla conversazione in pronto-soccorso che Calypso si era fatta lugubre, “Non è che esci proprio con noi” aveva detto evasivo Leo.
Nel senso, lui adorava Calypso, anzi lui l’amava proprio.
Però oltre lui, Jason ed il loro occasionale terzo coinquilino, non è che lei fosse divenuta parte integrante del loro ‘gruppo’ – se poi potevano esser definiti tali – era venuta a qualche festa quando era stato Leo ad organizzarlo ed era andata a letto con Percy in una di queste (durante una pausa con Annabeth).
Leo cercava di ignorare quell’evento.
Calypso gli aveva tirato una gomitata.
“Può andare avanti?” aveva ripreso l’agente Chase, “Si, be, mi ha riportato a casa Frank Zang, Koda fratello orso, in macchina. Lui ed Hazel, la sua morosa, mi hanno lasciato sotto al portone. Non nel pieno delle mie facoltà sono riuscito a tornare al mio piano, solo che ho sbagliato porta, invece dell’interno ventisette sono andato nell’interno ventisei” aveva ripreso Leo.
“Come è entrato?” aveva chiesto TJ, “Aveva le chiavi” aveva risposto Calypso.  “Si, ho provato un po’ tutte quelle del mazzo, casa mia, l’officina, casa di mio padre, casa di Percy, casa di Calypso” aveva aggiunto Leo, gratuitamente.
“Una volta mi sono chiusa fuori di casa, così ho fatto una copia extra per lui, per evitare di dover chiamare i vigili del fuoco di nuovo” aveva spiegato Calypso, frettolosamente, per dover giustificare come una ragazza come lei avesse dato le chiavi ad uno come lui, caso mai qualcuno, erroneamente, pensasse che avessero una relazione e per questo Leo posedesse le chiavi.
“Quindi è entrato nell’appartamento sbagliato” aveva valutato TJ, “Si, ho fatto un casino pazzesco e Calypso si è preoccupata fosse un balordo” aveva risposto Leo, “E gli ho spaccato la lampada in testa” aveva rivelato la ragazza, cotta di imbarazzo.
“Vuole sporgere denuncia?” aveva chiesto ancora Magnus Chase, a disagio, “No!” aveva risposto schietta Calypso, “Come ho detto prima anche al suo capo” aveva aggiunto.
“Si, Leif è un po’ duro d’orecchi” aveva scherzato TJ, “Ci obbliga a chiederlo di nuovo” si era giustificato l’agente Chase, “Lei?” aveva chiesto poi a Leo, “No?” aveva replicato lui.
“Perfetto firmate e passa la paura” aveva aggiunto Magnus Chase, rianimato, “Così possiamo andare a mangiare dei falafel” aveva sogghignato, allungando verso di loro il verbale che TJ aveva scritto[1].
“Sono le sette del mattino” aveva valutato Calypso, “Non esiste un orario in cui non vadano bene” aveva replicato Magnus. Inoppugnabile.

 

“Erano stati i falafel migliori del mondo” aveva esclamato Leo, “Anche se preferisco del kebab” aveva ammesso onesto.
Erano ormai le dieci del mattino, l’antidolorifico aveva cominciato a scemare e Leo voleva solo andare a dormire, invece era con Calypso, quel sabato mattina, sulle scale antincendio del suo appartamento – si raggiungevano dalla porta del bagno dell’interno ventisette.
Quando erano rientrati quatti, Leo aveva sentito il ronfare mai troppo caotico di Jason nel suo letto, di rimando di Lester nessuna notizia.
“Non mangio mai roba di cui non sono sicura al duecento per cento da dove provengano, però devo ammettere che si, l’agente Chase, sa il fatto suo” aveva ridacchiato. Indossava ancora la camicetta da notte a fiori, con sopra il cappottino.
“Devo proprio andare a dormire” aveva valutato Leo, rovesciando la testa all’indietro, per toccare con il capo il muro alle sue spalle.
Aveva superato le ventiquattro ore sveglio. Ore adrenaliniche, ma sempre più di ventiquattro.
“Scusa per il vaso” aveva detto Calypso, alzandosi in piedi, indossava un paio di ballerine nere lucide, le stavano bene anche se Drew Tanaka diceva che quelle scarpe non stavano bene a nessuno.
“Mi dispiace di essere entrato per sbaglio in casa tua, raggio di sole” aveva scherzato Leo, “Alla fine sono riuscito a fartene pentire” aveva borbottato lui, “Deve essere una specie di talento il mio” aveva aggiunto.
Calypso lo aveva guardato, si era genuflessa di nuovo, per essere alla stessa altezza, aveva posato una mano sulla sua guancia, “Potrei non essere sempre stata gentile, all’inizio della nostra conoscenza, Leo” aveva cominciato a parlare.
Non lo chiamava mai in quella maniera, sempre Leonidas o Valdez.
“Ma sei un ragazzo brillante, vivace e pieno d’amore” aveva ripreso la ragazza, “E non capisco cosa uno come te, possa trovare in una persona così … così me, in una come me” aveva aggiunto.
“Non ha molto senso” aveva provato Leo, “Forse sono ancora ottobrata dall’antidolorifico” aveva provato, ma ogni cosa si era acquietata quando Calypso lo aveva baciato.



[1] Non ho idea di come funzionino le cose, ho solo immaginato visto la bizzare dinamica che la polizia sia stata chiamata, comunque anche il verbale è stata una formalità e scritto a mano, perché: TRAMA.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3088262