Teenage Mutant Ninja Turtles and The Holy Grail

di Lady I H V E Byron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Duello dei Duelli -Parte 1- ***
Capitolo 2: *** Il Duello dei Duelli -Parte 2- ***
Capitolo 3: *** Il Duello dei Duelli -Parte 3- ***
Capitolo 4: *** La templare ***
Capitolo 5: *** L'anello ***
Capitolo 6: *** Il Flagello ***
Capitolo 7: *** Walhalla ***
Capitolo 8: *** Il rapimento di Raffaello - Parte 1 ***
Capitolo 9: *** Il rapimento di Raffaello - Parte 2 ***
Capitolo 10: *** Viaggio nella Dimensione Mistica ***
Capitolo 11: *** Corsa contro il tempo ***
Capitolo 12: *** Omnes ***
Capitolo 13: *** La rabbia è cattiva consigliera ***
Capitolo 14: *** Siamo il peggior nemico di noi stessi ***
Capitolo 15: *** La lettera del ninja e il diario del templare ***
Capitolo 16: *** Il Rinnegato ***
Capitolo 17: *** L'amico del mio amico è mio amico? ***



Capitolo 1
*** Il Duello dei Duelli -Parte 1- ***


Note dell'autrice: salve, bella gente. Da questo capitolo e per tutta la storia vedrete l'incontro tra due discipline sportive diverse tra loro, ma quasi simili e il coinvolgimento delle nostre adorate Tartarughe Ninja con una cultura totalmente differente dalla loro. Buona lettura. XD
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Era calata la notte a New York.
Le persone non guardano mai il cielo: le luci della città impediscono di vedere le stelle.
Ma in questi ultimi anni le persone non guardano le stelle, ma i loro iPhone.
Se avessero avuto anche la minima curiosità di guardare in alto, si sarebbero resi conto che una grande città non è il posto ideale per ammirare le stelle.
Ma non parliamo di stelle, in questa storia. Ma di ombre.
Anche la persona più acuta, anche guardando attentamente, non sarebbe stata capace di notare quattro insolite ombre saltare da un tetto all’altro.
Ombre di esseri non umani. Quattro tartarughe giganti, alte quasi un metro e ottanta, se non di più.
-Chi arriva ultimo è un uovo marcio!- esclamò Michelangelo. Ovviamente, era in testa al gruppo.
Raffaello, Leonardo e Donatello lo seguivano.
-Mick, non hai più quattordici anni!- fece notare Leonardo, comunque continuando a seguirlo. Non era chiaro, però, se fosse un rimprovero o una presa in giro.
O una strategia per farlo rallentare e passare, così, in testa. Tanto finiva sempre così.
Sembrava essere passata un’eternità da quando potevano concedersi una serata di libertà, di divertimento.
Le loro avventure erano ormai un lontano ricordo.
Shredder, Stockman, Hun, i Dragoni Purpurei, gli Utrom, i Triceraton, Savanti Romero, Karai, Bishop, Sh'Okanabo, Viral, Khan… tutti nomi che ormai appartenevano al passato.
Erano passati quattro anni dalla battaglia finale contro Shredder. Era finita sul serio.
Finalmente le Tartarughe Ninja erano in pace.
Ma i tumulti a New York non erano ancora finiti: sgominati Shredder, Karai ed il clan del Piede, le bande criminali avevano preso possesso delle periferie della città, senza uno di loro in grado di ergersi come capo. Nessuno di loro era forte e carismatico come Shredder. E le bande erano in continua guerriglia, per il totale controllo della città.
Guerriglie spesso sedate dalle Tartarughe Ninja, non senza spiacevoli conseguenze: le quattro tartarughe, infatti, era l’unica cosa che univa le bande criminali newyorkesi, il tipico nemico comune.
Forse dire che fossero in pace era un’enfasi. Non vivevano più episodi paragonabili a quelli provati quattro anni prima, ma anche scontrarsi con le bande non era un’impresa facile.
Non erano organizzati come i Dragoni Purpurei o i Ninja del Clan del Piede, ma le Tartarughe provavano costantemente un senso di angoscia, ogni volta che li affrontavano. Come se affrontarli li stesse irritando, annoiando.
Ogni notte la stessa routine: non erano proprio dei “cacciatori” di teppisti. Ma ogni volta che li sorprendevano compiere un crimine, sentivano il dovere di intervenire.
New York era pur sempre la loro città, dovevano proteggerla.
Forse anche quella sera di libertà e divertimento si sarebbe trasformata nella stessa repressione di una guerriglia tra bande.
-Stai pur certo che stavolta ti batterò!- esclamò Raffaello, dopo aver saltato il tetto dell’ennesimo edificio ed eseguito una perfetta acrobazia.
Donatello fece semplicemente uso del suo bastone per saltare, come un saltatore d’asta.
-Scommettete, invece, che sarò io il primo, stavolta?-
-Andiamo, Don. Tu sei sempre l’ultimo!- provocò Raffaello –Passi più tempo con i tuoi computer che ad allenarti. Ovvio che sei il più lento!-
Donatello serrò le labbra, offeso.
Faceva il possibile per raggiungere almeno Leonardo.
Una semplice gara fino alla loro pizzeria preferita, “Da Gigi”. La loro nuova pizzeria preferita da quando si erano trasferiti per l’ennesima volta.
In gare simili, era ovvio che fosse Michelangelo ad essere in testa.
Il suo stomaco brontolava e si stava già leccando i baffi.
-Pizza mia, sto arrivando…- canticchiò, toccandosi la pancia.
Era lontano dai suoi fratelli. La vittoria sarebbe stata di nuovo sua. E di nuovo sarebbe toccato a Donatello pagare.
L’insegna era sempre più vicina.
Poi, un urlo.
Un urlo femminile.
Michelangelo si inquietò.
-Ma come? Un’altra guerriglia? Adesso?- mormorò, guardandosi intorno.
Ma non udì altre urla, né imprecazioni, né suoni di ferro o catene che si incrociavano.
Saltando un edificio, notò un gruppo di uomini intorno ad una ragazza. Uno di loro stava cercando di strapparle qualcosa dalle mani.
Non poteva non fare qualcosa. Era pur sempre un ninja. Per quanto irresponsabile, non era mai stato un egoista.
Raffaello, Leonardo e Donatello erano ancora lontani: forse poteva farcela.
-Molla l’osso!-
La ragazza non accennava a cedere. Stringeva un borsone a sé come fosse la cosa più cara che avesse.
Nonostante fosse circondata e i suoi aggressori fossero più larghi e muscolosi di lei, non sembrava terrorizzata.
-Giammai!- esclamò, infatti, senza cenno di timore. Li osservava, infatti, con determinazione e rabbia insieme.
Resisteva. Non cedeva.
-Ehi, voi!- udirono tutti; si guardarono intorno, allarmati, ma non notarono nessuno nei paraggi –La mammina non vi ha spiegato come trattare le ragazze?-
Gli uomini guardarono in alto: due di loro vennero colpiti da un nunchaku a testa. Michelangelo aveva attaccato dall’alto, cogliendo gli avversari di sorpresa.
Si mise in posizione di combattimento, facendo da scudo alla ragazza.
-Tutti questi uomini contro una fanciulla indifesa?- schernì, senza smettere di far roteare i suoi nunchaku –Non è carino.-
La ragazza osservò il suo “salvatore” sorpresa: reazione comune di qualunque persona che avesse visto per la prima volta le Tartarughe Ninja, comprese le urla. Ma lei non urlò.
Anche gli uomini non rimasero impassibili alla vista di Michelangelo, ma non si scomposero.
-E’ uno delle Tartarughe! Prendiamolo!- ordinò uno di loro, forse quello che si era momentaneamente erto a leader del gruppo.
Dalle tasche estrassero tutti tirapugni, catene e coltelli. Tipiche armi dei teppisti newyorkesi.
Sei contro uno.
Niente che Michelangelo non potesse gestire: in confronto ai ninja del Clan del Piede, quei teppisti erano dilettanti.
Infatti, con i nunchaku riuscì a disarmarli, colpendo sulle loro mani.
Ma gli uomini non demorsero: passarono subito alle mani. Senza indugio, Michelangelo eseguì un calcio tornado, mettendo tutti a tappeto, prima ancora che riuscissero a toccarlo.
Un combattimento troppo semplice per lui.
Tipici teppisti da strada più bravi a fare i prepotenti che dare un semplice pugno.
-Niente scippo per voi, belli miei.- schernì, facendo un lieve balletto di vittoria –Ve la siete presa con la tartaruga sbagliata.-
La ragazza osservò la scena paralizzata e meravigliata nello stesso tempo, tenendosi stretta la borsa al petto.
Osservava inquieta il suo salvatore: non era umano, ma si muoveva come tale. Una tartaruga che si muoveva come un umano…
E ora quella creatura si era voltata verso di lei, per poi avvicinarsi.
Lei cercò di indietreggiare. Non disse una parola, nemmeno una minaccia.
Ma Michelangelo si fermò: fece un inchino goffo.
-Bonsoir, ma cherie.- salutò, sorridendo –Quei cattivoni ti hanno fatto del male?-
La ragazza non disse nulla: teneva gli occhi fissi su quella strana creatura, che aveva peraltro parlato! Era sorpresa, ma non sembrava spaventata.
Michelangelo tornò eretto. La osservò: portava un gilet sopra una felpa larga e jeans strappati. Il berretto sulla testa le copriva i capelli, ma da esso spuntava una frangetta castano chiaro. E gli occhi erano molto scuri, quasi neri. Non esprimevano paura. Non era nemmeno scappata urlando, appena le aveva parlato.
Ma ancora non si era mossa. Anche la paralisi è una forma di manifestazione di paura.
-Beh, a quanto pare no.- disse, alzando una mano, come saluto –Beh, stai attenta, quando torni a casa. I banditi, in queste strade, si riproducono come conigli. Stammi bene!-
In quel momento, i teppisti si stavano rialzando.
In effetti, Michelangelo non aveva sferrato colpi eccessivamente potenti contro di loro. Non tali da farli giacere a terra incoscienti per molto tempo.
-Nah, questo non va.- commentò.
Tornò ad osservare la ragazza, che si guardava nervosamente intorno, in cerca di una via di fuga; doveva pianificare qualcosa in pochi secondi.
Solitamente era Donatello l’uomo, o meglio, la tartaruga dei piani.
Osservò di nuovo in alto; poi sorrise.
Prese la ragazza per un fianco e la caricò su una spalla.
-Tieniti forte, ma cherie.- avvertì –Perché ora si vola!-
Saltò in alto, senza dare il tempo alla ragazza di chiedere spiegazioni. Ma lei urlò ugualmente, al primo salto.
-Ah! Smettila!- lamentò lui, facendo un movimento scattoso della testa di lato –Così mi fai saltare il timpano!-
Raggiunsero il tetto, poi ne saltarono altri due e altri due ancora, per essere sicuri che i teppisti avessero perduto le loro tracce. E naturalmente un edificio che concedesse alla ragazza di tornare per strada.
Quasi tutti avevano sia le scale esterne ed interne, per fortuna.
La ragazza si teneva stretta al guscio di Michelangelo, per non guardare il paesaggio sottostante.
Questi cercò di non fare alcuna acrobazia, proprio perché aveva una persona a carico.
Quando si fermò, si guardò intorno.
-Ok, il Michelangelo Express si ferma qui.- avvertì, aiutando la ragazza a scendere; lei, intanto, aveva alzato la testa -Prego, uscita sul lato destro. Non dimenticate oggetti personali, grazie.-
La ragazza si guardò intorno: sembravano essere lontani dal luogo di poco prima.
-Tranquilla. Non ci sono più.- rassicurò Michelangelo, con tono gentile –Qui dovresti essere al sicuro.-
Lei, per la prima volta, gli rivolse un sorriso. Aprì la bocca.
-Grazie… per avermi aiutato…- disse, in un inglese molto incerto. Come se non fosse la sua lingua.
Quella frase sorprese ed incuriosì la tartaruga dalla benda arancione.
-Ehi, allora parli!- esclamò; poi la scrutò più da vicino –Hai anche uno strano accento. Tu non sei di queste parti, vero?-
La ragazza scosse la testa.
-No.-
-Beh, da qualunque parte tu venga, devi stare attenta a certi tizi! Chissà cosa poteva capitarti se non fossi intervenuto! E pensare che ho…- fece una pausa, ripensando a qualche istante prima; si batté la mano sulla fronte -Mondo Pizza! La gara! Quelli saranno già arrivati!- voltò le spalle alla ragazza, alzando la mano, per salutarla -Spiacente, cherie, devo salutarti qui. Altre donzelle da salvare richiedono il mio aiuto. Stai attenta, quando ritorni a casa, e non parlare con gli sconosciuti. Au revoir!-
Corse e saltò giù dall’edificio, eseguendo un’acrobazia.
La ragazza lo rincorse, fermandosi al bordo dell’edificio: affascinata, osservò ogni minimo movimento di quella strana tartaruga, come riusciva a risalire gli edifici e saltare da un tetto all’altro con agilità.
Tutti movimenti riconducibili al Ninjutsu, pensò.
Intanto, Michelangelo, saltando e correndo più veloce che poteva, sperò di poter rivendicare il primo posto per raggiungere la pizzeria “Da Gigi”.
-Forse sono ancora in tempo!- esclamava, affannato –Erano molto lontani da me! Ma sì, non possono essere già arrivati!-
Il tetto era ancora sgombro: tirò un sospiro di sollievo.
-E ancora una volta il vincitore è Michelangelo!- esultò; poi ballò di nuovo –Vai Mick! Vai Mick! Vai Mick!-
Poi, uno scapaccione sulla nuca: Raffaello.
E Leonardo e Donatello erano con lui. Con aria da scherno.
-A quanto pare, stavolta non sono arrivato ultimo…- ridacchiò Donatello.
Michelangelo, preso dallo sconforto, si sedette sulle sue ginocchia, mettendosi le mani sulla testa, in posa melodrammatica.
-NOOOOOOOO…!!!- lamentò; il salvataggio lo aveva privato del primo posto. Inutile illudersi.
-A quanto pare, stasera tocca a te pagare la pizza, bello…- derise Raffaello, strofinando la sua mano sulla testa del fratello.
-Già, eri in netto vantaggio rispetto a noi…- fece notare Leonardo, tenendo le braccia incrociate –E poi sei sparito.-
-Ti hanno rapito gli alieni, forse?-
-O volevi fare come la lepre e la tartaruga?- derisero Raffaello e Donatello.
Michelangelo li osservò offeso.
-Nah, niente di tutto questo.- spiegò –C’era una ragazza in difficoltà e l’ho salvata da un branco di brutti ceffi.-
Non sembravano credergli.
Raffaello, come al solito, lo mise in mostra senza girarci troppo intorno: lo prese per le spalle e lo fece voltare da una parte.
-Sì, certo. Tutte scuse per non farti ammettere la sconfitta. Scommetto che hai preso una strada alternativa sperando che fosse una scorciatoia. Ma guarda un po’, siamo qui. E tu sei arrivato ultimo. I patti sono patti. E tu sai cosa significa, vero?-
-Ma c’era davvero una ragazza in pericolo, lo giuro!-
-Mick, non dire le bugie ai tuoi fratelli…- cercò di persuaderlo Leonardo, ma non con tono da rimprovero.
Donatello ridacchiava.
Nessuno gli credeva. Michelangelo dovette rassegnarsi e poi pagare una pizza grande con formaggio, funghi e pepperoni.
Come al solito, il fattorino era in un angolo, non molto lontano dalla pizzeria, con il cartone bollente in mano.
Sentì qualcuno picchiettargli la spalla destra: si voltò, senza vedere nessuno. Poi tornò ad osservare in avanti: il cartone della pizza era sparito. Al suo posto, precisamente sulla mano sinistra, c’era una banconota da venti dollari e un bigliettino.
“Tieni il resto. Mancia per te.” c’era scritto. Come al solito.
Era la loro solita procedura, ogni volta che ordinavano una pizza: chiedevano di portarla ad un dato indirizzo, e poi la ritiravano senza farsi vedere.
Ormai il fattorino non badava più a questi particolari, neppure si chiedeva più il motivo per cui non volessero farsi vedere: finché pagavano, non c’era nessun problema.
Michelangelo non prese bene la sconfitta, tantomeno il dover pagare la pizza, ma almeno si sarebbe consolato con le sue fette. Sempre che Raffaello non facesse di nuovo il bullo e gli rubasse le fette a lui spettanti.
-E ricordate. A me una fetta in più, perché ho vinto la gara!- annunciò, infatti, Raffaello, mentre tornavano a casa.
Gli altri gli rivolsero uno sguardo da “Che strafottente…”.
Da quattro anni erano tornati a vivere nelle fognature. Era il luogo migliore per nascondersi dal mondo esterno. Avevano provato a vivere in una fabbrica abbandonata per un paio d’anni, tuttavia, venne demolita per ordine del sindaco, per costruirci un supermercato.
Per fortuna, le Tartarughe e Splinter erano fuggiti in tempo.
Esattamente come con la vecchia stazione di pompaggio, quel luogo era troppo esposto all’esterno.
La cosa migliore per loro era stare nelle fogne, l’unico luogo raramente calpestato dagli umani, quindi con meno possibilità di essere visti.
Era esattamente come la loro seconda casa, la vecchia stazione della metropolitana: ampia, a più piani, con una stanza a testa, un angolo TV per Michelangelo, un angolo per il laboratorio di Donatello, un angolo palestra per Raffaello, un angolo per meditare per Leonardo ed il Maestro Splinter e, ovviamente, un luogo per cucinare e mangiare.
L’unica differenza era che non avevano un ascensore che portava ad un garage dove tenevano il TartaCorazzato.
Per quello, dovevano percorrere un paio di metri, per poi raggiungere un tombino che li conduceva in una vecchia rimessa degli autobus dove tenevano il nuovo TartaCorazzato, ricavato da un camion della spazzatura, adeguatamente modificato da Donatello, e la moto di Raffaello.
Splinter, come al solito, stava meditando: quella sera stava a testa in giù, tenendo ben salda la presa sul bastone regalatogli dall’Antico, ancorato sul pavimento.
-Ancora dieci secondi e avrò raggiunto l’apice della meditazione… cinque… quattro… tre… due…- mormorò, concentrato.
-Non puoi pretendere una fetta in più perché hai vinto!-
-Tu mangi sempre l’ultima fetta, Mick! Stasera spetta a me!-
Michelangelo e Raffaello stavano litigando. Di nuovo.
Splinter sobbalzò a quelle urla, e tornò con i piedi per terra: dovette interrompere bruscamente il suo allenamento, per causa loro.
Erano sempre rumorosi.
E soprattutto, si stavano spintonando a vicenda. Leonardo e Donatello, come al solito, facevano il possibile per dividerli e allontanarli l’un dall’altro, per evitare che il tutto convergesse di nuovo ad una rissa tra fratelli.
In quel momento, comprese cosa intendeva Michelangelo con: -Lei e il Maestro Shifu siete simili.- mentre stavano guardando “Kung Fu Panda” per l’ennesima volta, e non si stava certo riferendo all’aspetto fisico:
entrambi dovevano armarsi di estrema pazienza con i propri allievi. Ma Splinter era ormai abituato ai litigi dei suoi figli.
Tuttavia, non era una buona scusa per lasciarli litigare e non fare loro la ramanzina. Per aver interrotto il suo addestramento, per l’ora tarda e altre cose.
-Figlioli! Un po’ di contegno!- esclamò, battendo il bastone per terra con sguardo severo; tutti e quattro si fermarono, mettendosi lievemente sull’attenti; quando usava quel tono, era meglio non contraddirlo o ci sarebbero state gravi conseguenze; Raffaello lo sapeva molto bene, avendolo sperimentato sulla sua pelle –Vi rendete conto che ore sono?!- rimproverò, poi, camminando avanti e indietro, seguendo la linea formata dalle quattro tartarughe –E dove siete stati per tutto questo tempo?!-
Michelangelo deglutì.
-Scusaci, Maestro Splinter…- balbettò con un filo di voce; mostrò il cartone ancora fumante con mano tremante –Eravamo andati a prendere la cena e ne abbiamo approfittato per fare una gara e…-
Il bastone picchiò la mano della tartaruga dalla benda arancione, costringendolo a far cadere il cartone.
-Il Battle Nexus è tra una settimana e voi osate prendervi il lusso di bighellonare?!- riprese il topo, sempre più severo –E osate bighellonare quando un’intera città è assediata dalle bande criminali?! Con Shredder eliminato e sgominato il Clan del Piede, queste bande hanno preso il comando della città, trasformandola in anarchia! La gente ha paura persino di uscire di casa! Dovreste difendere la città da questa gente, non fare stupide gare! Lo avete dimenticato?!-
Nessuno disse nulla: si limitarono a tenere gli sguardi bassi.
-Sì, lo sappiamo, maestro…- rispose Leonardo, con un filo di voce –Non facciamo altro da quattro anni, ormai. Una banda compie un crimine e noi interveniamo per fermarli. Ma nonostante il nostro impegno, tornano sempre e più di prima. Io… sono stanco, maestro. Volevamo solo concederci un momento di svago, anche piccolo. Perdonaci.-
Splinter lo aveva già intuito. Percepiva la stanchezza nei suoi figli.
I loro nemici erano stati sconfitti, ma New York era ancora in pericolo: le bande rappresentavano un pericolo minore, rispetto a coloro che avevano affrontato negli anni precedenti, ma erano comunque un fastidio.
Una piaga per la città. Uno sciame di insetti senza la sua regina.
Ma almeno lo sciame rimane in un punto stabile, fino all’arrivo di una regina che ordini loro dove dirigersi alla ricerca di cibo. Le bande esercitavano la propria giurisdizione in ogni angolo della città che toccavano.
Shredder era stata la regina di quello sciame. Aveva reso la vita delle Tartarughe un inferno, ma almeno la gente poteva uscire tranquillamente in strada senza il timore di essere aggredita o rapinata.
No, la vita non sarebbe stata migliore: se fosse stato ancora in vita, avrebbe distrutto l’intero pianeta, o addirittura conquistato.
Scosse la testa e sospirò. Mise una mano sulla spalla di Leonardo.
-Lo so, figlioli. Lo so.- disse, stavolta con tono premuroso -Ma la via del guerriero richiede anche pazienza e tenacia. Non è facile, figlioli miei, ma dovete stringere i denti e resistere, per il bene della città.-
Non era la prima volta che faceva quel discorso, ma le Tartarughe non sembravano più molto convinte. Per quanti sforzi facessero, ogni tentativo di portare la pace a New York si rivelava futile.
Non era da biasimarli, se volevano concedersi un momento di svago.
Splinter doveva scuoterli, per far loro sollevare il morale, e sapeva esattamente come.
-Allora? Tutta questa strada e non mangiate la vostra cena?-
Quella frase fece cadere dalle nuvole le quattro tartarughe.
-Mondo Pizza! Ha ragione!- esclamò Michelangelo –Mangiamola in fretta o rischia di diventare fredda e immangiabile!-
Il cartone venne aperto sul tavolino usato per i pasti. Per fortuna, la pizza non era diventata fredda. Ma dovevano affrettarsi a mangiarla.
-Pancia mia, fatti capanna!- disse Michelangelo, leccandosi i baffi.
Allungò una mano per prendere la prima fetta, ma Raffaello la prese, lesto.
-Scusa, Mick, ma la prima mi spetta.- schernì, prima di darvi il primo morso.
Michelangelo serrò le labbra e gonfiò le guance, oltre a chiudere gli occhi. Il suo volto divenne rosso di rabbia, mentre uno strano fumo sembrava uscirgli dalle orecchie.
-Eddai, Mick, non te la prendere.- cercò di sollevarlo Donatello, sarcastico –A tutti capita di perdere, ma non a tutti piace ammetterlo.-
-Ma ho salvato davvero una ragazza!-
-Oh, sì, certo, certo…-
Ancora non gli credevano: mangiavano le loro fette di pizza, arricchite dal sapore della sconfitta di Michelangelo.
-Maestro Splinter, non mi credono.-
Splinter si concedeva la sua solita tazza di tè.
-Ciononostante, non significa che la loro versione sia la verità oggettiva.- disse, vago come al solito.
Michelangelo sospirò di nuovo, poi prese finalmente una fetta di pizza e se la gustò.
Sentì lievemente l’amaro della sua sconfitta, tra il formaggio, i funghi e i pepperoni.
Isolati più lontani dalle fognature in cui vivevano le Tartarughe Ninja ed il Maestro Splinter, una ragazza si stava avvicinando ad una porta.
Era la stessa ragazza salvata da Michelangelo. Aveva ancora la borsa a tracolla di cuoio.
Appariva delusa ed amareggiata.
Bussò tre volte sulla porta. Poi di nuovo tre volte. E infine altre tre volte.
Una voce all’interno parlò: -Non Nobis, Domine, Non Nobis…-
-…Sed Nomini Tuo Da Gloriam.- rispose la ragazza.
La porta si aprì e lei entrò.
L’interno era buio. Fu quando la porta si aprì che si accesero le luci.
Una lunga scala di metallo di due metri, legata al muro, separava la porta dal pavimento.
Era un vecchio hangar.
Sul muro era stata dipinta un’enorme croce greca rossa su sfondo bianco sopra e nero sotto.
E su quella croce era stato infisso un Gesù crocifisso.
Sotto di esso c’era un enorme tavolo di forma circolare, dal diametro di circa tre metri, con un rilievo della croce del muro. E intorno alla croce, seguendo il perimetro del tavolo, vi era inciso “PAUPERES COMMILITONES CHRISTI TEMPLIQUE SALOMONIS”.
C’erano delle persone sedute intorno a quel tavolo, giovani ed anziani. Il più anziano aveva sessant’anni, mentre il più giovane diciassette anni. Erano vestiti con tuniche bianche con una croce rossa sul petto.
E le sedie erano semplici, come sedie da commensali, in legno. Tuttavia, su quella più grande era seduto un uomo che aveva superato i cinquant’anni, barba grigia come i capelli, volto pieno, fisico grossolano, e con la tunica bianca sembrava persino più grasso.
Freddi occhi grigi che sembravano avere il potere di leggerti nella mente e poi distruggerla con un solo sguardo.
Era seduto con i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani incrociate.
-Sei tornata, Elisabetta…- disse, con freddezza, notando la ragazza scendere le scale. Stava parlando in italiano.
La ragazza si tolse il berretto: i suoi capelli erano molto corti, quasi da maschio, a scodella. Sopra erano castano chiaro, quasi biondi, mentre la parte inferiore era castano scuro, probabilmente il vero colore dei suoi capelli.
Con sguardo serio e senza dire una parola, prese la borsa in cuoio e la gettò sul tavolo: era ancora pesante.
L’uomo osservò quella borsa con indifferenza, senza muoversi.
-E naturalmente hai fallito. Una missione così semplice.-
-Io ho fatto del mio meglio, Magister…- tagliò corto lei, incrociando le braccia, con tono disgustato –Ma quelle scimmie senza cervello insistevano nel voler prendere solo i soldi, rifiutando categoricamente la nostra offerta. A quel punto, ho dovuto usare le maniere forti, per convincerli che non ci facciamo mettere i piedi in testa da nessuno.-
Sguainò infatti un coltello, ancora gocciolante di sangue.
Si voltarono tutti verso il Magister, in attesa di una sua risposta; questi si mise comodo sulla sedia, incrociando una gamba e di nuovo le mani.
-Ciononostante, non riesco a spiegarmi il motivo per cui tu ci abbia messo così tanto tempo.- notò –Per un cavaliere del tuo rango, tenere testa a degli stupidi teppisti da strada dovrebbe essere semplice, diplomaticamente e anche nel corpo libero.-
-Mentre cercavo di farli ragionare, sono stata interrotta da uno strano essere, una tartaruga gigante praticante il ninjutsu e armata di nunchaku che li ha messi a tappeto in poco tempo.-
Lo aveva pronunciato tranquillamente, come fosse una cosa comune, senza curarsi delle reazioni o del giudizio dei confratelli.
Il Magister si fece più serio e sospettoso.
Ma uno di loro, quasi suo coetaneo, scoppiò a ridere a gran voce. Altri risero della sua rivelazione.
-Una tartaruga gigante con dei nunchaku!- ripeté; da come parlava, era del sud Italia –E’ la scusa più assurda che abbia mai sentito per giustificare la tua inadeguatezza per compiti simili!-
Elisabetta non si scompose da tale derisione.
-Mi ha portato qualche isolato più lontano dal rifugio dei Thurgh, ma poi sono tornata a riproporre l’affare.- riprese a raccontare, infatti -Al loro secondo rifiuto hanno minacciato di uccidermi e io mi sono difesa.-
-Sì, sì, sì. Ma ora spiegami come era fatta questa tartaruga!-
-Ora basta, Luigi.- ordinò il Magister, diretto; Luigi smise di ridere, tornando serio e composto. Anche quelli che ridevano con lui fecero lo stesso.
Poi sospirò.
La notizia di una creatura non umana non sembrava averlo sconvolto. Anzi, ne era indifferente.
La porta si aprì di nuovo.
-Ehi, buona sera a tutti!-
Era un giovane alto, di quasi trent’anni, con occhiali da sole, nonostante fosse sera. Vestito anche lui in borghese, come Elisabetta. E aveva salutato tutti agitando la mano, come tra amici.
-Oh, non esultate così tanto per il mio ritorno! Non sono stato via molto, in fondo.-
Lo stavano osservando tutti in silenzio e seri. Nessuno stava esultando o urlando “Bentornato”.
Il suo era chiaramente sarcasmo.
Si schiarì la voce, tornando quasi serio.
-Comunque, Magister, temo che i miei sforzi siano stati inutili.- poggiò anche lui una borsa di cuoio ancora pesante –Nessuno ha voluto il denaro. O meglio, non per stare ai nostri ordini. Dicevano di non voler tornare ad essere i galoppini di un prepotente la cui miglior qualità è un’occhiataccia da far paura.-
Il Magister sospirò di nuovo, strofinandosi le mani sul volto, tirandosi i capelli, ma senza cedere alla rabbia.
I confratelli erano inquieti.
Il più anziano gli rivolse la parola.
-David, cosa facciamo, adesso?- disse, con voce grave.
Il Magister, David, si alzò in piedi, tenendo gli occhi chiusi.
-Elisabetta, Andrea, prendete i vostri posti.-
I due annuirono, eseguendo il suo ordine. Elisabetta prese posto accanto ad un ragazzo, seduto a sua volta accanto al Magister. Era grasso come lui; gli occhi, che guardavano di sfuggita la consorella, avevano un colore misto tra verde e marrone, che quasi parevano gialli.
Anche David tornò a sedere. Mise di nuovo le mani sul volto, strofinandole una sola volta contro di esso.
-Siamo riusciti a mettere le mafie italiane sotto il nostro dominio, eliminandole definitivamente, e voi non siete stati capaci di corrompere degli stupidi vandali da strada?-
-David, se posso permettermi…- il più anziano si alzò in piedi, prendendo la parola –Dobbiamo considerare che fino a qualche anno fa, tutte le bande di New York erano comandate e regolate da Shredder, capo del Clan ninja del Piede, uno dei peggior criminali del mondo. Dopo la sua scomparsa, nessuno ha preso il suo posto. Da quanto sono riuscito a sentire in giro, nessun capo delle bande è paragonabile a lui, per forza, arguzia e abilità.-
-Un gregge senza pastore, insomma… Un pastore degno, s’intende.- aggiunse un altro uomo, più giovane del Magister e di Luigi, ma più anziano di Andrea –Inoltre, c’è da considerare che qui non siamo in Italia. Quindi dobbiamo usare un altro tipo di approccio, se vogliamo portare quella gente dalla nostra parte ed imporre l’ordine in questo tumulto…-
David mantenne gli occhi chiusi, tornando a sedere con la schiena dritta, appoggiandola alla sua sedia.
Espirò dal naso.
-Non importa.- disse; ma sembrava infastidito da qualcosa.
Si alzò, voltandosi verso la croce rossa e il crocifisso ivi infisso.
Poi riaprì gli occhi, voltandosi verso il tavolo.
-Giacomo ha ragione.- dichiarò, serio –Non possiamo più usare la corruzione per convincere queste persone ad abbracciare la nostra causa. Ne andrebbe della nostra reputazione e del nostro fine. Dovremo pianificare un’altra strategia. Se necessario, abbassarci al loro livello. Tutto se falliamo il piano principale.-
Divennero tutti più seri a quelle parole.
Quegli sguardi fecero sorridere lievemente il Magister.
-Dovete essere tutti all’altezza delle mie aspettative.- avvertì -Non possiamo permetterci distrazioni, dubbi o esitazioni. E stavolta non tollero sbagli o ammutinamenti. Sono stato chiaro?-
Annuirono tutti, seri e determinati.
Elisabetta si fece più cupa, guardando in basso. Poi osservò di lato, verso una rastrelliera con delle spade di varia misura: il suo sguardo era fisso su una spada lunga, dall’impugnatura nera. La sua vista la rendeva cupa e malinconica.
David si alzò, tornando serio e stoico.
-La riunione è terminata.-
Si alzarono tutti in piedi, seguendo il suo esempio.
Strinsero tutti le mani a pugno e le misero sui propri cuori.
-Deus vult.- disse il Magister.
-Deus vult.- fu la risposta dei confratelli.
Molte cose sarebbero cambiate, dal giorno seguente. In entrambi i mondi.
-Di nuovo!-
Leonardo e Donatello ripresero a combattere tra di loro; lo stesso fecero Michelangelo e Raffaello.
Poi, cambiarono avversario: Michelangelo contro Donatello e Raffaello contro Leonardo. E poi Leonardo contro Michelangelo e Donatello contro Raffaello.
Raffaello eseguì un affondo con un sai, ma Donatello riuscì a saltare, usando il suo braccio per darsi la spinta, per poi finire alle sue spalle. Contrattaccò, invano, con il bastone, dopo averlo fatto roteare, che fu schivato con una rapida mossa verso il basso. In quel momento, Michelangelo cercò di colpire Raffaello con un nunchaku, ma lo stiletto del sai riuscì ad infilarsi nella catena e con un rapido gioco di polso deviò il colpo. Leonardo cercò di attaccare Donatello dall’alto, caricando le spade sopra la testa, ma il fratello le evitò con una capriola laterale. Seguì uno scambio di colpi, dove Donatello colpiva e Leonardo parava, e viceversa.
Tutti e quattro alternavano colpi di armi con calci o gomitate. Ma ogni colpo era più potente e più veloce del precedente.
Scambiavano spesso avversario: secondo Splinter li avrebbe aiutati a prepararsi a qualunque imprevisto, nel Nexus Battle, oltre ad aumentare i riflessi. Le regole sarebbero state le medesime, e, probabilmente, avrebbero rivisto avversari-amici come Usagi, Gennosuke e Traximus: ma medesime erano le probabilità di incontrare nuovi nemici.
Per una settimana, le Tartarughe Ninja non avevano fatto altro che alternare allenamenti a meditazioni. Senza sosta. Con le eccezioni per i pasti e le ore di sonno.
Si allenavano insieme, combattendo l’un contro l’altro, altre volte contro manichini.
Il bastone di Splinter batté per terra.
-E ora, ripasso tecniche di base senza armi!- annunciò.
Gli allievi/figli rinfoderarono le armi, mettendosi uno accanto all’altro.
-Calcio frontale!-
Ed eseguirono un calcio frontale.
-Colpo ascendente!-
Eseguirono una gomitata verso l’alto.
Ogni colpo che Splinter ordinava, le tartarughe eseguivano.
-Doppio calcio rotante! Pugno diretto! Pugno laterale! Parata in alto!-
Batté di nuovo il bastone per terra.
-Riposo!-
Le tartarughe si fermarono di nuovo, eseguendo il consueto saluto.
La stanchezza si manifestò un secondo dopo.
Si sedettero per terra, quasi ansimando.
-Ah… mi fa male la schiena…- si lamentò Raffaello.
-Io non mi sento più le gambe…- aggiunse Donatello.
-Io non mi sento e basta.- disse Michelangelo, forse il più esausto di tutti. Come al solito.
Leonardo non disse niente. Anche lui era stanco, come i fratelli. Riprendeva fiato gradualmente, respirando adeguatamente. Non voleva sprecarlo con inutili lamentele.
-Ottimo lavoro, figlioli.- complimentò Splinter, con un lieve sorriso; durante la settimana, anche lui aveva preso parte agli allenamenti. Si era iscritto anche lui al Nexus insieme ai figli. Gli faceva piacere provare ancora un po’ di emozioni, alla sua età, e ritrovare vecchi amici –Siete finalmente pronti per il Nexus. Avete fortificato il vostro corpo, rafforzato la vostra mente, ed incrementato le vostre abilità. Non sappiamo chi sarà presente, ma non sarà nemico cui non sarete in grado di dare testa. Spero riusciate a vincere anche questo Nexus.-
Michelangelo, alle parole “vincere” e “Nexus”, riprese le forze: balzò in piedi e mostrò i bicipiti.
-Eh, sì! Chissà, magari potrei vincerlo di nuovo io!- pavoneggiò, mettendosi in varie pose, come se qualcuno lo stesse fotografando.
Raffaello lo colpì sulla nuca.
-Ehi, “campione”, ti ricordo che l’ultima volta lo ha vinto Leonardo.- gli fece notare.
Ciò fece subito incupire il fratello, che si piegò sulle ginocchia, con le mani verso l’alto.
-Noooo…!!!- lamentò, come se prima di allora avesse scacciato un brutto ricordo, poi, però, improvvisamente tornato.
Karai, anni prima, distruggendo la vecchia casa delle tartarughe, aveva distrutto anche il trofeo Nexus vinto da Michelangelo, quindi non aveva più un ricordo di quel giorno.
L’ultimo Nexus Battle, infatti, tre anni prima, era stato vinto da Leonardo, con un combattimento completo e leale. E senza interruzioni o tentativi di sabotaggio da parte di terzi.
Donatello e Leonardo risero allo spettacolo da attore drammatico di Michelangelo.
-E scommetto che tu verrai di nuovo eliminato al primo turno.- derise Leonardo, indicando proprio Donatello.
Anche Donatello cercò di rimuovere i brutti ricordi: la prima volta che aveva partecipato al Nexus ed era stato eliminato, i suoi fratelli lo avevano deriso per due settimane.
Anche tre anni prima era successa la medesima cosa: quella volta fu vittima di una sola settimana di burle da parte dei fratelli.
-Te lo dico sempre che perdi tempo con quelle diaboliche apparecchiature, mentre dovresti allenarti a dovere.-
Donatello sbuffò.
-Ehi, mi sono allenato tanto quanto voi.- protestò –E poi non è colpa mia se mi capitano sempre avversari forti…-
I fratelli risero. Un po’ anche Splinter. Poi si schiarì la voce.
-Ad ogni modo, restare qui non vi aiuterà certo a vincere il Nexus.- concluse –Ora godetevi una buona notte di riposo. E’ l’ideale per ripristinare le energie e svegliarvi più forti di prima.-
Si inchinarono di nuovo tutti e quattro, come saluto di congedo, prima di ritirarsi ognuno nelle proprie stanze.
Splinter, però, non rientrò subito nella sua stanza: poco prima di mettervi piede, infatti, avvertì una lieve fitta alla testa.
Una vibrazione.
Un avvertimento.
Si voltò in alto, sospettoso.
Aveva già avuto una sensazione simile, in passato. Con Shredder.
Ma non poteva essere lui. Ch’Rell era in esilio su un altro pianeta, forse persino ivi deceduto.
Bishop?
No, era diverso.
Forse era stanchezza, pensò. O forse un nuovo pericolo si stava avvicinando. Della stessa gravità di quattro anni prima.
Isolati più lontano dal rifugio, in un hangar illuminato solo dalla luce delle candele, persone vestite di bianco, alcune di nero, con i capi coperti dai cappucci, erano chini di fronte un crocifisso.
Il Gran Maestro Templare, David, affiancato dall’Andrea anziano e dal fiero Giacomo, aveva in mano una Bibbia aperta.
-… per omnia secula seculorum.- concluse, chiudendo la Bibbia.
-Amen.- disse il resto dei templari, con il capo chino.
Si rialzarono, alzando la testa. Ma non si mossero dai propri posti.
-Fratelli…- disse il Gran Maestro, allargando le braccia –Presto, il Graal sarà nelle nostre mani. Porteremo l’ordine in tutto il mondo. Nessuno mai conoscerà più la guerra. Vigeranno la carità, la pazienza, l’amore. Il cammino non è stato semplice per nessuno di voi, fratelli miei. E il prezzo che richiederà la nostra ricerca sarà alto. Ma non temete. Presto ogni vostro sforzo sarà ricompensato. E qualunque sarà il prezzo che saremo costretti a pagare per ottenere il Graal, saremo pronti a pagarlo, per il bene del nostro mondo. Ma ora vi chiedo di intonare un canto con me.-
Seguì un lieve momento di silenzio.
Insieme cantarono il Dies Irae. Solo un soprano in mezzo a tenori, baritoni e bassi. L’unica donna templare, ma con le vesti e fattezze di un uomo.
Il suo canto si armonizzava a perfezione con quello dei confratelli. Non era un fastidio.
-Pie Jesu Domine, dona eis requiem. Amen.-
Con queste parole, il canto finì.
-Ite, Missa est.-
Ognuno dei templari ivi presenti camminò verso direzioni differenti, molto probabilmente verso le proprie stanze.
Due di loro camminavano affiancati.
-Tu non stai andando in camera tua, vero, Eli?- disse uno di loro, il ragazzo grasso e dagli occhi che sembravano gialli. Si erano tirati giù il cappuccio, rivelando i loro volti e capelli.
-Come ogni sera, mi sembra ovvio.- rispose l’unica donna templare.
Il ragazzo ridacchiò dal naso.
Camminarono insieme verso delle candele: le candele accese per onorare i defunti.
Elisabetta usò una candela ormai alla fine per accenderne un’altra.
Lei e il ragazzo, Federico, fecero entrambi il segno della croce.
-Aeternam requiem dona ei, Domine, et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace. Amen.- recitarono in coro, con le mani in preghiera.
Non sembravano sereni. Quanto, piuttosto, tristi. Malinconici.
-Fede, sarà sufficiente?- fece la ragazza, forse la più triste.
Federico storse la bocca, mentre gli occhi guardavano verso il basso.
-C’è solo da sperare che non sia andato all’Inferno.-
-Chi non è andato all’Inferno?-
Quella voce fece sobbalzare entrambi: David. Alle loro spalle.
Prese entrambi delicatamente per le mandibole esterne. Elisabetta e Federico rimasero paralizzati, senza voltarsi o parlare.
-Ah, capisco… state pregando per lui…- sibilò il Gran Maestro Templare, accarezzando le guance di entrambi i ragazzi –I vostri sforzi sono inutili, ragazzi miei. Nessun’anima dell’Inferno è degna delle preghiere dei vivi. Nessun’anima dell’Inferno vivrà la pace eterna che i suoi cari desiderano. E voi, ragazzi miei… mi deludete… pregare… per un traditore…-
Nessuno osò negare o ribattere le sue parole. Era impossibile definire le sue intenzioni con le sue parole o il suo gesto: David sapeva essere tanto gentile come un padre, quanto severo come un educatore.
Elisabetta e Federico si limitarono a restare fermi, con lo sguardo basso. Il loro respiro si fece lievemente affannoso.
David non smetteva di carezzare loro le guance con il pollice delle sue mani. Ma il suo tono continuava ad essere tra il confortante ed il minatorio. Non era sicuro se volesse confortarli o avvertirli.
-Giusto, dimenticavo che voi tre eravate amici…- ricordò, ridendo lievemente -Ma voi sapete bene che, nel nostro ambiente, non possiamo permetterci di abbandonarci ai sentimenti. Siete templari. Il dovere verso Dio viene prima di ogni altra cosa, persino della famiglia. Quindi non voglio mai più vedervi qui a pregare per l’anima perduta di un traditore, sono stato chiaro?-
I due ragazzi annuirono con un movimento scattoso; ma i loro cuori diedero tutt’altro tipo di risposta.
David, infine, si abbassò: il suo volto era vicino a quello dei due ragazzi.
-Il Nexus è sempre più vicino. E anche il Graal. Mi aspetto molto da voi due.- sussurrò: era come avere un serpente alle spalle.
-Sì, Magister.- rispose Elisabetta, tornando a guardare in avanti, seria.
-Sì, padre.- rispose, invece, Federico.
David gli diede un colpo dietro la nuca.
-Sono Magister anche per te, Federico.-
Il ragazzo annuì.
-Sì, Magister…-
L’uomo sorrise, soddisfatto.
-Molto bene.- concluse –Sapete, mi siete piaciuti molto all’allenamento di oggi. Se combatterete al Nexus con la stessa energia, la vittoria sarà nostra.- assunse un’espressione seria e tornò in piedi -Ciononostante, non è abbastanza. Ora, da bravi ragazzi quali siete, recitate dieci Ave Maria e venti Pater Noster, come penitenza. E vi aspetta un’altra sessione di allenamento.-
Tolse le mani da entrambi i discepoli, che eseguirono l’ordine: congiunsero di nuovo le loro mani in preghiera, pregando come fossero un’unica voce:
 
Ave Maria, gratia plena,
Dominus tecum,
Benedicta tu mulieribus
Et benedictus fructus ventris tui, Iesus
Sancta Maria, Mater Dei,
Ora pro nobis peccatoribus
Nunc et hora mortis nostrae
Amen
 
Pater Noster, qui es in caelis,
sanctificetur Nome Tuum
adveniat Regnum Tuum
fiat voluntas tuam
sicut in caelo, et in terra
Panem Nostrum
Cotidianum da nobis hodie,
Et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos
dimittimus debitoribus nostris.
Et ne nos inducas in tentationem
Sed libera nos a Malo
Amen
 
Dieci Ave Maria e venti Pater Noster.
Elisabetta e Federico prepararono le proprie armi: una spada a una mano e scudo con l’insegna templare.
Niente armature, niente elmi. Solo con le loro vesti monacali.
Si misero entrambi in posizione: la spada di Elisabetta spuntava dallo scudo, pronta a colpire di punta; Federico, invece, mise la spada sulle spalle, poggiandola.
Si guardavano dritti negli occhi.
-A vobis!- annunciò David, lì presente per giudicare i loro movimenti, i loro colpi, la loro traiettoria e potenza.
Piccolo scambio di spade per saluto; poi, il combattimento.
La prima a colpire fu la ragazza, con un colpo caricato dall’alto. Federico lo parò con lo scudo. Poi passò ad un colpo orizzontale.
-Elisabetta, più fluida nei movimenti! Federico sii più veloce con quel colpo! Molto bene! Più in alto quegli scudi!- continuava a dire David, per correggerli o elogiarli per i loro colpi –Non siate gentili con i colpi! Dimenticate che siete amici! Immaginate di avere un nemico di fronte a voi! Il peggior nemico che abbiate mai affrontato! Dovete metterci tutta la vostra forza! Dovete ODIARE il vostro nemico! Dovete dimostrargli di cosa sono capaci i Templari!- urlava; tutto al fine di spronarli a vincere il prossimo Nexus e non esitare di fronte a qualsiasi nemico.
Elisabetta e Federico si fermarono per un attimo, per studiarsi; ripresero a combattere; i loro colpi erano più forti e più decisi. I loro sguardi si incrociavano, come due veri nemici.
David sorrise, soddisfatto.
-Molto bene…-
Un’altra persona entrò nel salone: Giacomo. Il templare pelato e dallo sguardo fiero.
-Allenamenti extra per i rampolli?- notò, ironico, prendendo posto accanto a David.
David ridacchiò.
-Mi aspetto molto da loro.- spiegò –Voglio solo accertarmi che non avranno esitazioni, durante il torneo.-
Anche Giacomo ridacchiò.
-Sembri tenerci in particolar modo a questo Nexus…- mormorò.
Entrambi avevano lo stesso colore degli occhi: si fissarono per qualche secondo, come se stessero comunicando qualcosa l’un l’altro, parole che non potevano essere pronunciate per via orale.
Il Gran Maestro si rivolse ai giovani allievi: -Molto bene, ragazzi. Potete smettere. Ora andate a riposare. Avete bisogno di tutte le energie necessarie per la giornata di domani.-
Elisabetta e Federico si inchinarono di fronte al Gran Maestro Templare, come ringraziamento e come forma di congedo. Depositarono le proprie armi. Ed uscirono insieme dal salone, per dirigersi nelle proprie stanze.
-Galvano ci ha salvato da una sessione infinita di allenamento, eh?- notò Federico, sarcastico.
Elisabetta storse la bocca.
-Non so se la sua presenza sia stata una benedizione o un presagio cattivo…- mormorò, cupa –Hai mai notato che quando appare Giacomo non accade niente di buono?-
Federico rise. Nonostante lo sguardo cupo, aveva notato che anche lei aveva fatto del sarcasmo.
Ma forse la ragazza non aveva torto.
David e Giacomo girarono insieme per il salone, verso il crocifisso.
-A cosa devo il piacere della tua presenza?- domandò il Gran Maestro, facendosi il segno della croce di fronte al crocifisso –Forse l’arruolamento delle bande non è andato a buon fine?-
-No, non esattamente.- rispose Giacomo, facendosi anche lui il segno della croce –Ne ho arruolata una proprio prima di tornare per la messa serale. Il capo, Anthony, è una vera testa calda, ma gli è bastata la promessa di denaro, armi e governo su tutta la città per farlo cadere ai miei piedi, accettando le condizioni. Dei tipi tutto muscoli e senza cervello, propensi alla violenza, odiano tutto quello che non conoscono e tutto quello che non sia loro, quindi facilmente manovrabili con le parole giuste. Proprio l’ideale per noi. Tutti ragazzi dai diciotto anni ai ventotto anni, tipici teppisti da strada con almeno un tatuaggio sul corpo e istinto di far parlare prima i pugni, poi le parole. Si fanno chiamare i “Thai Weasels”. E sono un bel gruppetto.-
David gli mise una mano sulla spalla, ridendo, come per complimentarsi con lui.
-Non mi deludi mai, Giacomo.- disse, infatti –Dovrebbero tutti prendere esempio da te, invece che fare di testa loro.-
-Hai di nuovo mandato Flagello ad arruolare nuove leve, eh?-
Giacomo aveva intuito il disagio del Gran Maestro: davano idea di conoscersi da tanto tempo. Era così.
David, infatti, annuì, tornando serio.
-Già. E ho provato anche con Salterio.- spiegò, infatti -Ma si sono rivelati entrambi degli incapaci: Salterio è troppo vivace e mette troppo entusiasmo nelle sue parole. Dato il suo passato da animatore, non mi sorprende. Flagello, invece, ha di nuovo perso la testa. Diventa incline all’ira, se le cose non vanno come vuole o quando si sente con le spalle al muro.-
-Più utile nei combattimenti che nelle relazioni, del tipo…- commentò, sarcastico, Giacomo.
-Esatto.-
Il più giovane fece spallucce.
-Beh, prendilo come monito.- suggerì, fermandosi –Mai più inviare Flagello per arruolare nuove leve. Oddio… è sempre meglio che inviare Cataclisma.-
David si rimise a ridere, rimettendo la mano sulla spalla di Giacomo.
Insieme, entrarono nei dormitori, per ritirarsi nelle proprie camere.
-Domani voglio anche te al massimo della forma, Galvano…- avvertì il Gran Maestro, prima di entrare nella sua stanza; era tornato freddo e severo; il lato che incuteva più timore –Nessuno di voi deve deludermi.-
Giacomo annuì silenziosamente, con aria seria anche lui.
Due zone diverse di New York. Templari e ninja. Stesso obiettivo. Stesse emozioni. Ma diversi fini.
I loro cammini si sarebbero incrociati.
Per tutta la notte, Splinter continuava a percepire quella sensazione sgradevole: di pericolo, di angoscia. Sembrava che qualcosa lo stesse comprimendo dall’interno, come un’implosione.
Perse il sonno, per questo.
Il suo primo pensiero, ovviamente, era per i suoi quattro figli, ecco perché non riusciva a dormire. Come ogni padre dignitoso, non voleva fossero esposti ad alcun pericolo.
Questa minaccia… sarebbe stata più o meno pericolosa dei loro nemici? E se fosse stato persino più forte di Bishop?
No, Splinter avrebbe dato la vita per i suoi figli, pur di salvare le loro vite.
Sperò fosse solo un’impressione, stanchezza dovuta agli eccessivi allenamenti e l’emozione di partecipare di nuovo al Nexus.
Una magra consolazione, ma almeno riuscì a dormire per un paio d’ore.
Dovevano partire presto, ancor prima dell’alba.
Si alzarono alle cinque del mattino, svegliati di soprassalto dal suono della Tarta-Sveglia costruita da Donatello.
-Ah! Don!- si lamentò Raffaello, coprendosi la testa con il cuscino –Ma non c’è modo di abbassare questo inferno?!-
Nonostante ci fosse il muro ed il suono della sveglia, riuscì ad udire la risposta del fratello.
-Avevate detto specificatamente “Qualcosa che ci faccia alzare”. Prendere o lasciare.-
In effetti, il volume era molto alto: per poco Michelangelo non uscì fuori dal guscio, come diceva sempre ogni volta che si spaventava.
Motivo per cui non veniva molto usata. Solo per momenti straordinari. Ma ogni volta le reazioni erano le medesime.
Persino Leonardo si spaventava: il suono era quello tipico delle radiosveglie, solo con il volume molto alto.
Si riunirono in cucina, per una colazione frugale. In vista del torneo, non potevano mangiare molto, ma nemmeno digiunare.
Semplici fette biscottate con del burro d’arachidi sopra e tè. Michelangelo bevve la sua tazza con la mano che ancora gli tremava.
-Quella tua maledetta sveglia mi fa sempre perdere due anni di vita…- borbottò, parlando a Donatello; era raro vederlo con lo sguardo omicida. Assomigliava a Raffaello.
Donatello sospirò, alzando gli occhi.
-Figlioli, vi prego…- interruppe Splinter, calmo, alzando la mano –Non sprecate energie preziose. Dovete essere pronti sia fisicamente che mentalmente per il Nexus.-
-Ero pronto anche mentalmente, prima della Tarta-Sveglia…- borbottò di nuovo Michelangelo.
Ricevette occhiate severe dai fratelli e dal padre. Non vi diede peso e continuò la sua colazione.
Per il Nexus non dovevano portare oggetti superflui, solo il necessario, ovvero le armi e il gessetto per accedere al mondo del daimyo.
Ma prima dovettero recarsi al negozio di April. O meglio, alla finestra del suo appartamento.
-Noi andiamo via per qualche giorno…- salutò Michelangelo, accarezzando Klang; aveva poche settimane, quando era stato adottato in quella fredda vigilia di Natale di cinque anni prima; era diventato grande, snello, dal pelo morbido e folto; e continuava ad essere affettuoso con i suoi padroni; infatti, fece le fusa, mentre veniva carezzato –Fai il bravo con April e Casey.-
Klang fece un miagolio come per dire “Va bene.”. Aveva un bigliettino sul collare:
 
“Il giorno del Battle Nexus è arrivato!
Teneteci Klang fino a quando non torniamo.
Fate il tifo per noi!
Le vostre Tartarughe preferite.”
 
Ovviamente era stato scritto da Michelangelo.
Entrarono in un vicolo. Nessuno li aveva visti. Era ancora buio. I newyorkesi ancora dormivano.
Ma non per molto.
Splinter prese un gessetto e fece uno strano disegno sul muro.
Poi, lui e Leonardo unirono le mani e cantarono una litania: il disegno si illuminò. La pozzanghera di fronte al quel muro si mosse, salendo sempre più in alto, formando un portale.
Oltrepassato, sarebbero entrati nel Nexus. E sarebbero rimasti fino alla fine, fino all’incoronazione del vincitore.
-Fratelli…- iniziò Leonardo, mettendo la mano di fronte a sé –Facciamoci valere.-
Uno ad uno, compreso Splinter, misero le loro mani sopra la sua.
-POTERE TARTARUGA!- esclamarono le quattro tartarughe. Il loro grido di battaglia e di fortuna.
Il portale li condusse in un’ampia distesa erbosa. Come ogni anno che partecipavano al Nexus.
In lontananza, si potevano udire i gridi di battaglia ed il rumore delle spade che si incrociavano.
Non potevano fallire. Niente li avrebbe fermati. La loro determinazione era irrefrenabile.
-State pronti, figlioli.- avvertì Splinter, allarmato –Non sappiamo chi potremo avere come avversari. Non facciamoci cogliere di sorpresa.-
Ognuno di loro, come risposta, sguainò le proprie armi.
Erano pronti.
Concentrati.
Non si sarebbero fatti cogliere di sorpresa.
Non più.
Un altro portale si aprì.
I loro avversari.
Cinque. Esattamente come loro.
Esseri simili a cavallette. Bipedi. Alti quasi due metri. Grandi occhi neri. Corazza naturale. Quattro zampe uncinate, come quelle di una mantide.
Il torneo era definitivamente iniziato.
Entrambi gli avversari si misero in posizione di combattimento, scambiandosi sguardi agguerriti.
Le Tartarughe e Splinter decisero di prendere la tattica difensiva: attesero un attacco da parte dei loro avversari.
Come intuito, i loro avversari saltarono, puntando i pugnali verso di loro.
Era il momento: i cinque ninja si dispersero, eseguendo delle acrobazie all’indietro, cercando di confondere gli avversari e per fare un combattimento uno contro uno.
Così avvenne.
Come le cavallette terrestri, anche quelle creature potevano saltare; i loro salti erano il doppio della loro altezza.
Splinter e le tartarughe si accorsero ben presto che la strategia “uno contro uno” non poteva funzionare: le cavallette giganti continuavano a saltare, scambiandosi i posti. Ad ogni salto eseguivano un colpo con un pugnale, comunque parato dagli avversari.
Si misero in cerchio, schiena contro schiena.
-Ehm… qualche idea?- fece Michelangelo, preoccupato, senza smettere di roteare i suoi nunchaku –Questi qua mi fanno girare la testa…-
-A me fanno solo arrabbiare…- aggiunse Raffaello, furioso, come al solito; odiava non essere in grado di colpire un avversario. Odiava qualsiasi creatura che osasse tenergli testa.
Leonardo osservò i suoi avversari, studiandoli uno ad uno: li avevano accerchiati, avanzando lentamente, pronti per un nuovo attacco.
I salti erano molto probabilmente il loro punto forte: i loro attacchi erano prevedibili, nonostante avessero quattro zampe armate. Ma la quantità non era a loro favore. Si affidavano alla strategia di disorientare gli avversari con i loro salti, confondendoli e farli abbassare la guardia, per sconfiggerli.
Leonardo aveva un piano.
-Sensei, ragazzi…- disse, avendo premura di non farsi sentire dalle creature -Quando saltano, saltiamo anche noi, e li atterriamo.-
-Mh! Semplice, ma a prima analisi efficace.- commentò Donatello, approvando il piano.
-Sì, tutto per sbarazzarci di queste odiose creature!- aggiunse Raffaello, digrignando i denti.
Splinter sorrise, annuendo.
Anche Michelangelo sorrise, pregustando la vittoria.
Infatti, le cavallette saltarono un’altra volta, simultaneamente, per dare il colpo definitivo ai loro avversari.
-Ora!- esclamò Leonardo.
-Cowabunga!-
I fratelli ed il padre saltarono al suo segnale, lui compreso. Colpirono i loro ventri con un semplice calcio; Leonardo e Raffaello eseguirono un secondo calcio, verso il basso, per atterrare le cavallette; Donatello, Michelangelo e Splinter fecero la medesima cosa, ma con le loro armi, essendo meno offensive delle katane e dei sai.
Esattamente come le cavallette terrestri, nemmeno quelle aliene non sapevano come rialzarsi.
Erano state sconfitte.
In quel momento, apparve l’arbitro del Nexus, da una bolla d’acqua.
-Vincitori, Splinter e le Tartarughe. I Mansoppers sono stati sconfitti.- decretò.
Le tartarughe si permisero di fare una lieve ovazione di vittoria.
Soprattutto Michelangelo: sembrava John Travolta nel film “Saturday Night Fever”.
-Oh, sì! Oh, yeah!- esultò –Potere Tartaruga regna!- incrociò le braccia, con aria fiera –Non potevamo deludervi. Siamo pur sempre i vostri terrestri preferiti, nonché gli unici. Il prestigio è importante.-
Splinter scosse la testa, sospirando; Leonardo abbassò lo sguardo, imbarazzato; Donatello si coprì il volto con una mano; Raffaello dovette combattere la tentazione di prendere a sberle il fratello.
Se l’arbitro fosse stato dotato di sentimenti, anche lui sarebbe stato imbarazzato.
-Veramente…- si limitò a dire –Un altro gruppo di terrestri si è iscritto a questo Nexus Battle.-
Quella rivelazione fece stupire i cinque ninja.
-Un altro gruppo di terrestri?- domandò Leonardo, incuriosito –Sei sicuro?-
-Assolutamente. Stanno combattendo ora contro i Glorgh.-
Indicò un punto non molto lontano dalla posizione tenuta: era un punto situato più in basso, ma bastava avvicinarsi un poco per osservare in modo chiaro i combattenti.
Non era possibile intervenire in un combattimento del Nexus, ma ciò non impedì a Splinter e le Tartarughe di assistere al combattimento: videro cinque esseri viola, alti quanto un umano di media altezza, con due tentacoli al posto delle braccia, e quattro tentacoli al posto delle gambe e una testa tonda grande il triplo di una testa umana, con tre occhi. Brandivano lance e asce.
Di fronte a quelle creature, i Glorgh, il gruppo terrestre, formato da cinque persone.
-Cavalieri! Scudi!- urlò uno di loro, il più grosso.
Si misero più vicini, alzando, poi, gli scudi all’altezza del petto; la punta delle spade spuntava sopra questi.
-Mondo Pizza!- si stupì Michelangelo –Guardate che costumi che hanno!-
Erano vestiti con una tunica bianca, le braccia erano rivestite di metallo, come le gambe. E gli elmi non avevano la visiera, erano tutt’un pezzo. Per rivelare i loro volti, avrebbero dovuto togliersi l’elmo.
Ma ciò che colpì di più i cinque ninja, soprattutto Splinter, fu il simbolo sugli scudi: una croce rossa a doppie punte su sfondo bianco sopra e nero sotto. La stessa croce che avevano sulle tuniche.
-Non sono costumi, Mick. Mica sono supereroi.- corresse Donatello –Sono tuniche.-
-E le loro armi sono interessanti…- aggiunse Leonardo –Mi domando cosa siano…-
-Si direbbero Cavalieri Templari.- rivelò Splinter, quasi perplesso.
Mai quanto lo furono i suoi figli.
-Tem… plari?- ripeté Michelangelo, confuso.
-Aspetta, sensei…- riprese Donatello, anche lui confuso –So poco della cultura europea, ma i Templari non erano scomparsi nel XIV secolo?-
-Finché la Storia li ricorderà, non svaniranno mai del tutto.- spiegò Splinter –Le loro idee resteranno sempre una solida base su cui ricostruire l’ordine.- osservò di nuovo in avanti, strizzando lievemente gli occhi, per studiare bene il combattimento imminente, alternando gli sguardi tra i contendenti.
I Glorgh scrutavano i loro avversari, mostrando le loro bocche zannute, dalle quali stava già scendendo un rivolo di bava.
-Cavalieri!- urlò di nuovo il cavaliere più grosso –Preparatevi!-
I Cavalieri batterono le spade sugli scudi, a tempo. Prima lentamente, poi sempre più veloce. Un ritmo di battaglia. Per darsi forza. Per incutere timore agli avversari. Ma questi non si lasciarono impressionare.
-Cavalieri!- il battito finì –Alla pugna!-
Si levò un urlo generale: i Cavalieri Templari levarono le loro spade al cielo, correndo verso i loro avversari.
Persino i Glorgh ruggirono, alzando le loro armi. Anche loro caricarono contro i cavalieri.
Scontro uno contro uno. Come le Tartarughe avevano escogitato contro i Manshopper.
I Glorgh sembravano essere quelli più avvantaggiati, rispetto ai terrestri: avevano quattro armi, una per tentacolo. Ma non avevano una corazza. I loro attacchi erano anche la loro difesa. Le asce e le lance venivano usate anche come scudi.
I terrestri erano solo armati di uno scudo, che usavano per proteggersi dagli attacchi degli avversari, e una spada particolare, che i cinque ninja non avevano mai visto. O forse solo quattro di loro. La forma assomigliava a quella della spada di Tengu, anche la lama, ma non avevano il medesimo potere. Anzi, quelle spade non avevano alcun potere.
Alternavano parate ad attacchi. Spesso paravano persino con le spade. A volte contrattaccavano con il pomo attaccato alla fine dell’impugnatura o agganciavano l’arma nemica con l’elsa. Si permisero persino di colpire i ventri degli avversari con un calcio. Niente acrobazie, niente salti. La loro armatura non lo permetteva. Solo passi laterali o circolari. E tenevano le ginocchia leggermente piegate.
Il loro stile di combattimento si basava sulla forza e sulla resistenza, non sull’agilità. Non erano come i ninja.
Il loro modo di combattere ricordava quello dei samurai.
Ai cavalieri, per deviare i loro avversari, bastò solo eseguire una rapida spinta con lo scudo, colpendoli nel punto dove gli esseri umani tengono il naso. Era pur sempre un colpo sul volto; e il volto era un punto delicato. E i Glorgh non erano diversi da qualunque altra creatura dell’universo, a meno che non vi fossero anche popolazioni acefali.
Infatti, arretrarono, chiudendo i loro tre occhi, anche per un solo attimo.
Quell’attimo fu definitivo: i cavalieri colpirono i loro avversari in punto preciso, per atterrarli. Chi diede un calcio sul ventre, chi un colpo di pomo sulla tempia, chi eseguì un colpo basso, proprio sui tentacoli ambulanti, chi un altro colpo di scudo, dopo aver eseguito una giravolta. Uno di loro, il più grosso, era riuscito, poco prima, a disarmare il suo avversario, bloccando una lancia ed un’ascia con la sua spada, poggiata sullo scudo, per maggiore resistenza, e poi, con un giro di polso, fece roteare la spada, come fosse Zorro, facendo mollare la presa sulle armi del suo avversario. Questi, stupito, non si mosse. Non reagì nemmeno quando il cavaliere gli spezzò una lancia con la spada e l’ascia con lo scudo.
L’arbitro apparve di nuovo.
-Vincitori, i Cavalieri Templari. I Glorgh, sconfitti.- decretò.
Nel punto in alto, Splinter e le tartarughe avevano assistito al combattimento, stupiti.
-Che stile di combattimento interessante…- commentò Leonardo, affascinato –Completamente diverso dal nostro. Non so voi, ragazzi, ma io vorrei tanto scendere e fare loro i complimenti. E vorrei tanto vedere le loro armi da vicino.-
I fratelli volevano dire la loro, ma Splinter li interruppe.
-Sono d’accordo con Leonardo.- disse; la sua frase li stupì tutti e quattro –Venite con me.-
Lui era sempre per la segretezza, per la prudenza. Era strano vederlo così spontaneo.
Scese dal pendio, con aria serena e sicura, seguito dai figli, ancora perplessi.
“Quelle mosse…” pensò, sereno “Le ho viste solo una volta… ma è davvero incredibile… se è davvero lui…”
I cavalieri fecero un inchino di congedo agli avversari, prima che questi venissero mandati nuovamente sul loro pianeta. Poi si scambiarono i relativi complimenti.
-Molto bene, ragazzi miei. Ottimo lavoro.- disse il più grosso; da come parlava, era lui il capogruppo; mise una mano dentro l’elmo, sganciando la cintura che lo teneva saldo alla testa; tirò persino la cotta di maglia indietro, sistemandosi i capelli grigi –Toglietevi gli elmi, meritate di respirare.-
La voce suonava familiare nelle orecchie di Splinter. Ma poi riuscì a vederlo in faccia, non appena si voltò.
Il topo si illuminò.
-Che mi venga un colpo…- mormorò, avvicinandosi sempre di più al templare –David…?!-
Le quattro tartarughe erano sempre più stupite: -EH?!-
Mai quanto David, appena notò chi lo aveva appena chiamato.
-Splinter?!- esclamò, infatti, in inglese; poi sorrise –Deus mi! Da quanto tempo!-
Si strinsero le mani e si toccarono le spalle con la mano libera.
-Saranno ormai tre lustri che non ti vedo o non ho più tue notizie. E’ bello rivederti.-
-E’ vero, scusami. Ma da dopo quel Nexus sono stato investito a Gran Maestro Templare. Non avevo più tempo di allenarmi come prima.-
-Gran Maestro? Allora hai realizzato il tuo sogno! Sono contento per te, David.-
Le tartarughe non sapevano cosa dire. Nemmeno il resto dei cavalieri sapeva cosa dire.
Raffaello ebbe il coraggio di farsi avanti, con una mano lievemente alzata.
-Ehm… deduco che voi vi conosciate da tempo…- disse, un po’ imbarazzato.
Splinter si voltò verso il figlio.
-Ah, sì, scusatemi.- indicò le quattro tartarughe, rivolto a David –David, loro sono i miei figli. Leonardo, Raffaello, Donatello e Michelangelo.-
-Come va?- fece l’ultimo, con un gesto della mano, come per saluto. Gli altri si erano limitati ad un inchino.
Il templare li osservò uno per uno tra lo stupito ed il perplesso.
-Quindi siete voi i famosi figli di Splinter dai nomi di noti pittori del Rinascimento. Negli ultimi Nexus ai quali ho partecipato, non faceva altro che parlarmi di voi.- commentò; si inchinò –Quod Deus voscum ambulat.-
Le quattro tartarughe inclinarono la testa, confusi.
-Ehm, maestro Splinter…- sussurrò Michelangelo –Tu hai capito cosa hanno detto…?-
Splinter ridacchiò.
-E’ latino.- spiegò –“Che Dio cammini con voi”. Giusto, David?-
-Esatto. E’ il nostro saluto che rivolgiamo a persone amiche, ma fuori dall’ordine. Da un certo punto di vista, le benediciamo.- indicò i cavalieri a lui retrostanti –E loro, Splinter, sono i miei allievi. O meglio, alcuni dei miei allievi. Siamo un bel gruppo, ma non potevo portarli tutti, qui al Nexus. Lui è mio figlio, Federico. Avvicinati, ragazzo.-
Il citato camminò in direzione del padre: si era tolto l’elmo, rimanendo solo con la cotta di maglia. Solo il volto era visibile.
-Onorato…- disse, con un filo di voce. Il padre gli aveva messo un braccio sulle spalle.
Splinter osservò entrambi.
-Ti somiglia tanto, David. E scommetto che è abile a combattere come te.-
-Oh, sì. Ma la strada da intraprendere è ancora lunga. Comunque, lui è Carmine, il figlio di Luigi. Ti ricordi di Luigi, vero?- indicò un ragazzo alto, occhi neri come quelli di un cervo, labbra carnose, volto pieno di acne –Lui è Giacomo, il terzo in comando. Si è unito all’ordine poco dopo l’ultimo Nexus al quale ho partecipato. E ultimo, ma non meno importante, Eliseo, uno dei migliori cavalieri dell’ordine.-
Occhi scuri come il cioccolato. Li aveva lievemente sgranati dalla sorpresa, appena vide il ninja dalla benda arancione.
Persino Michelangelo osservò l’ultimo cavaliere presentato con aria sospetta.
Nessuno sembrò accorgersi di entrambe le reazioni.
-Quindi, cosa ti porta qui dopo tanto tempo, David?- riprese Splinter.
-Beh, volevo mettere alla prova le capacità dei miei allievi contro guerrieri non terrestri. E sembra che il primo turno lo abbiamo superato. Come voi, del resto. A proposito, ho sentito che due dei tuoi figli hanno vinto gli ultimi due Nexus. Congratulazioni.-
Leonardo e Michelangelo si osservarono, sorridendo imbarazzati.
-Come ho anche sentito di quanto accaduto sei anni fa. Una vera tragedia. Dovevo esserci anch’io. Ti avrei aiutato, Splinter.-
-Già. Per fortuna, Lord Simultaneous ha risolto tutto. Per il resto, tentiamo di rimuovere i brutti ricordi.- concluse Splinter, muovendo la mano come se stesse scacciando una mosca -Ma ora sei tornato e spero di confrontarmi di nuovo con te. Come ai vecchi tempi.-
-Sentimento reciproco.- rispose David, ridacchiando.
Si strinsero di nuovo le mani.
-Ah, David, fattelo dire. Gli anni non sono stati clementi con te…-
-Con tutto il rispetto, nemmeno a te, Splinter…-
Ridacchiarono di nuovo.
In quel momento, apparve un altro portale. Molto più grande di quelli dei concorrenti del Nexus.
Il Daimyo si unì ai concorrenti, in tutta la sua grandezza, nelle sue vesti sontuose e la maschera dorata che copriva il volto.
Splinter e le tartarughe si inchinarono.
-Onorevole Daimyo, la vostra visita ci onora.- salutò il topo.
-Sono io ad essere onorato della vostra partecipazione al torneo.- ricambiò il Daimyo, con un lieve cenno della testa; notò il gruppo di cavalieri –E noto con piacere il ritorno di David, cavaliere templare, vincitore del Nexus di quindici anni fa. Tra i concorrenti ho notato due gruppi terrestri, e che uno di questi erano i Cavalieri Templari. Volevo verificare con i miei occhi.-
David sguainò la spada, per poi inchinarsi, con le ginocchia a terra, conficcando la lama nel terreno. Il resto dei cavalieri seguì il suo esempio.
-Salve, Daimyo. Quod Deus tecum ambulat.- salutò, con rispetto e cortesia.
Splinter si rialzò. Lo stesso fecero gli altri.
-Stavamo appunto discorrendo dei tempi passati, onorevole Daimyo…- spiegò –Il suo ritorno mi ha sorpreso tanto quanto a voi.-
-Ciò nonostante, ne sono lieto. Non abbiamo più avuto cavalieri da allora. E’ bello veder confrontare due stili di combattimento così diversi, ma anche così simili. Sarete una sfida per il resto dei concorrenti.- concluse il Daimyo, rivolto ai cavalieri.
-E noi saremo onorati di poter incrociare le lame con i nostri avversari e testare il nostro valore.- aggiunse David, inchinandosi di nuovo.
-Temo non troverai gli avversari di quindici anni fa, David. Ma sono sicuro che i tuoi allievi siano preparati per il torneo. Così come spero per gli allievi di Splinter.-
-Sono pronti a tutto, onorevole Daimyo.-
-Così i miei.-
-Sì, e pronto a vincere di nuovo questo torneo!- esultò Michelangelo, di nuovo con posa fiera.
Raffaello gli diede di nuovo uno scapaccione sulla nuca. E ne ottenne un altro da Donatello.
-Ahia!-
Carmine e Giacomo ridacchiarono a quella scena. Forse anche Eliseo e Federico, ma si coprirono la bocca.
Il Daimyo non diede peso alle parole della tartaruga: alzò il suo scettro.
-Venite, dovete unirvi al resto dei partecipanti.-
Una luce azzurra illuminò sia i ninja che i templari, oltre al Daimyo stesso.
Vennero trasportati al luogo dove si sarebbe tenuto il torneo.
I primi si ritrovarono nell’arena, in mezzo agli altri partecipanti. Il Daimyo, ovviamente, sul suo spalto, da cui avrebbe assistito al torneo. Suo figlio, ormai dodicenne, era seduto su un trono più piccolo, accanto a quello del padre.
La folla riempiva gli spalti. Esultavano: -Torneo! Torneo! Torneo!- in attesa delle parole del Daimyo.
Nel frattempo, nell’arena, non mancarono nuovi rincontri per le Tartarughe…
-Leonardo-san!-
Solo una persona chiamava Leonardo in quel modo. Infatti, un coniglio e un rinoceronte samurai antropomorfi si avvicinarono alle tartarughe ed a Splinter.
-Usagi! Gen!- salutò Leonardo, andando loro incontro, seguito dai fratelli –Che bello rivedervi!-
-Partecipate anche quest’anno, eh?- fece Gen, ridacchiando, come suo solito –Ah, vedrete che stavolta ve la faremo vedere! Ci siamo allenati sodo per questo giorno.-
-Gen, non dire così.- lo corresse Usagi –Non dobbiamo mai mancare di rispetto ai nostri avversari.-
-Vallo a dire a questo qua…- mormorò Raffaello, indicando Michelangelo.
-Ehi! Cosa vuoi insinuare?-
-Nemmeno tu sei tanto docile, Raffaello.-
Una voce grave, molto potente.
-Traximus!-
Anche il triceraton si unì al gruppo, salutando le tartarughe.
Splinter era rimasto con David e i templari.
-Ah, i nostri vecchi amici…- notò Splinter, osservando la direzione in cui avevano corso i figli –Vedi quel coniglio, David? Gli devo un favore. Nove anni fa mi ha salvato la vita contro Drako.-
-Chi, il drago?-
Anche David conosceva Drako. Aveva scontrato la sua spada anche con lui, quando era ancora giovane. Ed era anche venuto a conoscenza del suo destino.
-Sì, a quanto pare non aveva accettato che avessi vinto il Nexus e mandò degli assassini ad uccidermi. Non sarei riuscito a tenere loro testa, senza Usagi. E poi, lui e i miei figli sono diventati amici.-
David storse la bocca.
-E’ così forte?-
-Già da giovane era molto abile per la sua età. E col passare degli anni non fa che migliorare.-
-E che mi dici degli altri due?-
-Ah, anche Gen è un bravo samurai, ma è più interessato ai soldi che ad altro. E Traximus è stato un gladiatore.-
Ad interrompere la loro conversazione fu la voce del Daimyo.
-Guerrieri!- annunciò; gli spettatori esultarono di nuovo –Avete viaggiato attraverso gli universi, per prendere parte a questo torneo! Do il benvenuto a tutti voi, nel Nexus Battle! A tutti coloro che non hanno superato il primo turno, riconosco e onoro il loro valore e il loro coraggio. Ma a tutti coloro che, invece, hanno superato il primo turno, faccio le mie congratulazioni! Preparatevi per il prossimo combattimento, il torneo ha inizio!-
Alzò lo scettro in alto: dei fuochi d’artificio esplosero in cielo, per annunciare il vero inizio del Nexus Battle.
-Beh, a quanto pare ora diventeremo avversari, Splinter…- fece notare David, con lieve sarcasmo –E manca ancora un po’ prima dell’inizio. Io ed i miei allievi credo ci ritireremo per un attimo. Voi ninja avrete la meditazione, ma noi cavalieri monaci abbiamo la preghiera, per confortare e rafforzare lo spirito.-
-Sì, ma non metteteci troppo o rischiate di venire eliminati prima ancora di avere cominciato.- avvertì Splinter, ridacchiando di nuovo.
-Non ci vorrà molto. Giusto un Pater Noster e poi torniamo qui. Cavalieri.-
Anche le tartarughe si ricongiunsero a Splinter, non appena i Templari si allontanarono.
-Beh, siamo al conto alla rovescia.- disse Donatello, nervoso, ma anche eccitato.
-Cerca di non farti eliminare di nuovo, piuttosto.- fece ricordare Raffaello.
-Ma, io…!-
Stranamente, Michelangelo non aveva più detto una parola: osservava il gruppo di cavalieri templari allontanarsi ancora con aria sospetta.
Il suo volto… era vagamente familiare…
-Ehi, ragazzi…- mormorò, serio –A voi non sembra che quell’Eliseo avesse tratti un po’… come dire… femminili?-
Fecero tutti spallucce.
-Beh, i maschi che assomigliano a femmine sono rari, ma non unici.- rispose Donatello.
La risposta non convinse il fratello.
Intanto, nel gruppo templare.
-Ehi, Eli…- disse Federico, sottovoce, al cavaliere di nome Eliseo –Uno di quegli esseri che abbiamo incrociato, era una delle tartarughe che ti ha salvato la settimana scorsa?-
-E’ lui.- rispose; aveva una voce femminile –Mai avrei pensato di rivederlo. Non che ci tenessi. Piuttosto, non sapevo che tuo padre conoscesse esseri simili. Ecco perché non ha reagito quando gli ho riferito della tartaruga gigante.-
-Non lo sapevo nemmeno io.-
David e Spliter erano in compagnia dei propri allievi. Erano lontani, eppure sembrava che i loro volti fossero leggermente girati verso le loro spalle, come se si stessero osservando.
Non era un’impressione: David e Splinter si stavano davvero guardando negli occhi.
E non era uno sguardo tra amici, quanto, piuttosto, il contrario…
 
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Chi sono davvero questi cavalieri Templari? Non erano scomparsi con Filippo il Bello?
Quale sarà il loro fine? Il loro destino si incrocerà con le Tartarughe Ninja?
E se David e Splinter sono davvero amici di lunga data,
perché sono sospettosi l'un dell'altro?

 

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Capitolo 2
*** Il Duello dei Duelli -Parte 2- ***


Note dell'autrice: scusate se non mi sono dilungata sui singoli combattimenti; altrimenti sarebbe stato un capitolo LUNGHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIISSIMO.

 
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-Ehi, Maestro Splinter…- riprese Michelangelo –Com’è che conosci quel crociato? David, hai detto?-
-Templare, Michelangelo, non crociato.- corresse Splinter –E’ stato nel primo Nexus al quale ho partecipato, ventuno anni fa, quando eravate ancora piccoli. Passai il primo turno ed ero tra i partecipanti della seconda fase del torneo. Dopo due combattimenti, mi trovai faccia a faccia con un giovane dall’abbigliamento particolare, completamente corazzato, un elmo sulla testa, e combatteva in un modo che non avevo mai visto. Era un’arte marziale molto particolare, incentrata sulla forza e sulla resistenza, non come noi ninja o come i samurai. Ero stupito quanto voi, figlioli. Il mio stupore, però, si rivoltò contro. Mi fece abbassare la guardia, facendomi perdere l’incontro. Se fossi rimasto concentrato e avessi mantenuto il controllo, forse lo avrei battuto. Mi sentii umiliato, avevo permesso alle mie emozioni di prevalere. Quando lo vidi in infermeria, al turno successivo, pensavo mi avrebbe ignorato. Invece, si avvicinò a me, si tolse l’elmo e mi porse la mano, complimentandosi con me. “E’ stata una bella battaglia e tu sei stato un degno avversario.” mi disse, prima di presentarsi come David. Quella frase non la scorderò mai. A quei tempi, David era un neofita, entrato da poco nell’ordine templare, ma il suo sogno era divenire Gran Maestro. Eravamo stati entrambi eliminati, quindi uscimmo dal torneo per fare due passi al mercato. Io ero rimasto stupito dal suo modo di combattere, come lui lo era del mio. Chiacchierammo a lungo, spiegando l’un l’altro i nostri stili di combattimento, ci raccontammo delle nostre vite, gli parlai persino di voi e lui mi parlò di suo figlio Federico, nato non da molto tempo. Entrambi avevamo realizzato che non era facile essere padri, ma è, nello stesso momento, una grande gioia e un grande onore. Da quel torneo, David e io diventammo amici. E per qualche anno, mantenemmo la nostra amicizia scrivendoci lettere.-
-Mondo Pizza, che storia…- commentò Michelangelo, affascinato.
-Non ti nascondo che il loro modo di combattere ha affascinato molto anche me, Sensei…- aggiunse Leonardo –Ma, esattamente, che arte marziale è la loro?-
Splinter si mise in posa riflessiva, serio, cercando di ricordare.
-David ha tenuto a precisare che la sua non è proprio un’arte marziale.- spiegò –La loro è scherma medievale, come combattevano gli italiani e gli europei ai tempi del loro medioevo.-
-Forte.- commentò nuovamente Michelangelo, sempre più affascinato. Anche i fratelli sembravano interessati a questo particolare modo di combattere.
-Maestro Splinter, perché non ci hai mai parlato di David?- domandò Leonardo; si ricordò, infatti, che, quando erano piccoli, Splinter era solito scrivere molte lettere e riceverne altrettante; lui si era semplicemente limitato a rivelare che era un amico di penna del Giappone; ma mentiva –E da come vi siete parlati, sembra che non vi vediate o scriviate da un sacco di tempo. E’ successo qualcosa?-
-Eravate ancora troppo giovani ed indaffarati nei vostri primi passi nel mondo del ninjutsu per venire a conoscenza di un nuovo modo di combattere.- rispose il topo, secco –E per quanto riguarda il tempo trascorso dal nostro ultimo incontro… è meglio per voi se non dico nulla, figlioli. Dovete rimanere concentrati per il torneo.-
Leonardo accettò quella risposta. Ma la curiosità non lo abbandonò. Nemmeno per un istante.
-Pater Noster, qui es in caelis…- stavano recitando i cinque templari.
Si erano ritirati nella Sala degli Eroi, ove erano presenti le statue dei vincitori di tutti i Nexus Battle. Erano riuniti sotto la statua di David, vincitore del Nexus Battle di quindici anni fa.
Posa fiera, elmo sotto il braccio e spada al cielo.
Conclusa la preghiera, si alzarono in piedi.
Lo sguardo di David era serio.
-Questo torneo è molto importante per la nostra missione.- disse, osservando i cavalieri uno per uno -Mi aspetto il massimo, da tutti voi.-
-David- tagliò corto Giacomo –Cosa ci dici di quelle tartarughe e di quel topo? Se è vero quello che ci hai riferito, che hanno sconfitto Shredder, tra le altre cose, non sono da prendere sottogamba. Dobbiamo preoccuparci?-
-Io sarei più preoccupato del fatto che un cavaliere con le tue capacità sia intimorito di cinque miseri avversari.- fu la risposta, secca -Non sono diversi dai nostri nemici. E come tali, non è niente che non possiate gestire con le vostre abilità. Il nostro obiettivo è chiaro e conciso. Non dovete avere esitazioni o dubbi, in questo torneo, quale sia il vostro avversario, mi sono spiegato?-
Tutti annuirono. Non osarono contraddire.
Da quel torneo dipendeva la sorte dell’ordine templare.
-Uniamo le spade.- ordinò, infine, David; si disposero tutti a cerchio, sguainando le spade; le cinque lame si incrociarono.
-Quod Deus nostros gladios contra inimicos benedicat. Deus vult.-
-Deus vult.-
Alzarono le lame, come saluto e come buon auspicio. Poi, indossarono di nuovo gli elmi, stringendo bene le cinghie.
Tornarono nell’arena, in mezzo al resto dei concorrenti.
Il Daimyo si alzò in piedi, alzando lo scettro al cielo.
-Che il torneo inizi!- annunciò.
Come in tutti i Nexus Battle, delle mura si alzarono tra i concorrenti, lasciando ognuno di loro contro il proprio avversario.
Erano tutti pronti.
Pronti e con le armi sguainate. I templari girarono la cinghia che avevano al petto, nascondendo i propri petti dallo scudo nero e bianco con la grande croce rossa in mezzo.
Uno di loro ebbe come avversario Traximus, il triceraton.
A questi scappò una lieve risata, notando le dimensioni e l’altezza del suo avversario, con il pensiero prepotente di riuscire a sconfiggerlo in breve tempo, forse senza nemmeno fare uso della sua ascia. Il templare non reagì: si limitò a sguainare la sua spada e scontrarla più volte sul suo scudo, dopo aver eseguito un inchino di saluto.
Il torneo iniziò.
Tutti erano determinati. Tutti erano decisi a vincere.
Nessuno dei concorrenti sapeva cosa accadeva al resto delle piccole arene di combattimento. Non potevano lasciarsi distrarre. Non potevano avere timore su chi sarebbe stato il loro prossimo avversario, se avessero passato quel turno.
Michelangelo sperò con tutto il cuore di non incrociare di nuovo le armi con Kluh. Non l’aveva visto tra i partecipanti.
Primo turno, primi sconfitti.
I muri si abbassarono: per la prima volta, Donatello non era stato eliminato. Il suo avversario era Gen. Si permise un saluto di scherno ai fratelli ed al padre, come per dire “Stavolta ce l’ho fatta, pivelli!”. Anche i templari erano ancora nell’arena.
Secondo round, altri muri eretti. Altri sfidanti.
Un templare venne sconfitto e mandato in infermeria: Federico. Il suo avversario era stato Usagi. Più volte il coniglio samurai lo aveva messo in difficoltà: inizialmente, cercò di parare i suoi colpi, ma erano sempre più veloci e lui, a causa della sua stazza, non riusciva a parare in tempo. Raramente contrattaccava. Era bastato un colpo sulla pettiera per mandarlo in infermeria.
E Donatello fu di nuovo la prima tartaruga a raggiungere l’infermeria. Al terzo round.
“Beh, almeno, non sono stato eliminato al primo round.” pensò, ottimista: ma dentro di lui sapeva che gli sarebbe spettata un’altra settimana di burle o prese in giro da parte dei fratelli.
Sospirò, simulando un pianto.
Fu lì che notò uno dei templari, il giovane Federico, che guardava l’arena con aria seria, e l’ultima creatura che si aspettava di vedere in infermeria.
-Traximus?!-
Il triceraton era seduto da una parte. Guardava in basso, deluso. Alzò lievemente la testa, udendo la voce di Donatello.
-Ehi, amico…- mormorò, quasi senza muovere la bocca.
La tartaruga si avvicinò a lui, quasi ridendo.
-Tu che ci fai qui? Quando sei stato sconfitto?-
-Dal primo round.-
Quella rivelazione sconvolse Donatello.
-Dal primo?!- esclamò, sorpreso; i presenti si voltarono, per il tono di voce, non per la notizia; poi ripresero ciò che avevano appena interrotto –Chi è stato il tuo avversario?-
-Uno dei damerini in bianco con il simbolo rosso sul petto.- spiegò, deluso; Federico, interessato, girò lievemente la testa verso i due rettili –Non molto alto e nemmeno molto robusto. Ma con buoni riflessi. E’ riuscito a schivare e deviare ogni mio attacco con il suo scudo. E ogni volta contrattaccava. Mi ha disarmato colpendo la mia mano con il suo scudo. E poi mi sono ritrovato qui.-
Infatti, aveva la mano fasciata. Riusciva a malapena a muoverla.
Donatello era sempre più affascinato dai cavalieri templari: uno di loro era riuscito persino a sconfiggere un triceraton. Prima di allora, solo la Federazione e le Tartarughe stesse erano gli unici in grado di tenere loro testa. Mai credeva che ci sarebbero stati altri esseri che potessero competere contro i potenti triceraton. Specie un guerriero come Traximus.
Federico tornò a guardare in avanti, alla ricerca dei suoi confratelli.
“Giacomo… o Eli…” ipotizzò, basandosi sulla descrizione di Traximus.
Il torneo proseguì.
Successivamente, vi fu il quarto round. L’ultimo round ad eliminazione. I concorrenti erano sempre meno.
Caso del destino, Splinter si ritrovò faccia a faccia contro David.
-A quanto pare il tuo desiderio è stato esaudito, vecchio amico…- fece notare l’umano, sarcastico, facendo roteare la sua spada.
Splinter sorrise, accennando una risata.
-Erano anni che attendevo questo momento.- rivelò, mettendosi in posizione di combattimento –Spero non ti sia rammollito!-
-Stavo per chiederti la stessa cosa!-
Caricarono, entrambi pronti all’attacco…
Leonardo, nel frattempo, teneva testa ad ogni concorrente, ad ogni round: parava, schivava, contrattaccava. Lo stesso si poteva dire dei fratelli rimanenti.
Non demordevano: si battevano con tutte le loro forze e sfruttando ogni loro capacità.
Un altro templare, nel frattempo, raggiunse il confratello: Carmine. Era a gattoni.
Batté il pugno sinistro per terra, ringhiando, deluso. L’armatura era ammaccata e lo scudo distrutto.
-Carmine!-
Federico corse da lui, per soccorrerlo, ma i medici agirono prima di lui, aiutandolo a rialzarsi e togliersi l’elmo.
L’armatura era ammaccata in più punti. E la sua mano destra sanguinava.
Era sempre stato di struttura fragile. Non era la prima volta che capitava.
Il suo avversario era un mostro armato di un martello da guerra gigante. Per un po’ di tempo aveva cercato di schivare i colpi, ed attaccare di conseguenza. Ma, talvolta, i colpi dell’avversario erano così improvvisi che non riusciva a parare in tempo o, erroneamente, usava lo scudo. Ecco perché era distrutto. Ed ecco perché l’armatura era ammaccata, specialmente l’elmo. Ricevette persino un colpo sulla mano: non era riuscito a deviarlo con l’elsa della spada.
Anche Splinter venne teletrasportato in infermeria: cadde per terra, supino. E si toccava il petto.
-Che… potenza…- sussurrava, dolente; poi ridacchiò –Neanche stavolta sono riuscito a batterti…-
In quel momento, fu Donatello ad allarmarsi.
-Maestro Splinter!-
I medici lo sostennero per le braccia e per le gambe, portandolo su una brandina.
Quello contro David era stato un combattimento quasi all’ultimo sangue, se non fosse stato per il regolamento che prevedeva l’abbandono del combattente dell’arena, in caso di sconfitta.
Splinter, come al solito, era quello più agile e veloce, talvolta eseguiva attacchi dall’alto: ma David riusciva sempre a prevedere i suoi attacchi e bloccarlo di conseguenza. La sua resistenza non aveva limiti. Ed aveva degli ottimi riflessi. Notevole, per la sua stazza.
Splinter, allora, cercò di escogitare una nuova strategia: doveva trovare un modo per far leva sulla stazza di David, per farlo almeno sbilanciare, se non proprio farlo cadere.
Dovette ricorrere alla coda. Ma doveva distrarlo.
Corse di nuovo verso di lui, alzando il bastone, simulando un attacco. David mise lo scudo di fronte e la spada sopra lo scudo, pronto a respingere l’attacco.
Ma, invece di attaccare, Splinter scattò rapidamente di lato, schivando il mezzano di David.
Era il momento: la sua coda era vicina alla caviglia del suo avversario.
Non compì la sua strategia: lo scudo di David gli colpì il petto. Di nuovo, aveva anticipato il suo attacco.
L’impatto fu talmente violento che Splinter si sarebbe spezzato la schiena contro il muro, se non fosse stato teletrasportato in infermeria.
-Vi prego, fate piano!- si premurò Donatello, rivolto ai medici; era cosciente che sapessero la procedura, ma era pur sempre suo padre; la sua era semplice premura da figlio devoto, non diffidenza.
Si avvicinò al padre-maestro, prendendogli la mano.
-Maestro Splinter…- gli sussurrò, preoccupato –Stai bene? Puoi sentirmi?-
Il topo era semi-svenuto; forse aveva persino riportato una lieve frattura sullo sterno. O magari era solo dolore da impatto. Alla voce del figlio, mosse lievemente la bocca, stringendo a sua volta la mano.
-Donatello… sei tu?- disse, con tono fievole –Che bello sentire la tua voce…-
Donatello tirò un sospiro di sollievo. Ancora respirava, almeno.
-Sì, sono qui, maestro…- rispose. Non era il momento per una ramanzina sull’essere stato di nuovo la prima tartaruga ad essere sconfitta al Nexus. Forse al ritorno.
Federico si era voltato nuovamente verso la tartaruga, ma mantenendo lo sguardo verso Splinter.
Appariva serio, in volto.
Le mura si abbassarono di nuovo, nell’arena. Erano rimasti venti concorrenti.
Il Daimyo si alzò di nuovo.
-La seconda fase è conclusa!- annunciò -A breve si terranno le semifinali, e, di conseguenza, la finale. Il tempo ideale per i nostri guerrieri di riposare e riprendere le forze. A coloro che non hanno superato questa fase faccio comunque le mie congratulazioni per aver avuto modo di dimostrare il loro valore e la loro forza ed aver avuto l’onore di incrociare le armi contro avversari altrettanto onorevoli.-
Si inchinarono tutti a lui.
Michelangelo si guardò intorno, senza alzare la testa. E poi ridacchiò.
-Fratelli, Donatello è stato di nuovo eliminato…- fece notare –Dobbiamo architettare la settimana della burla.-
-A tempo debito, Mick.- disse Raffaello, non nascondendo la sua approvazione per l’idea del fratello.
Anche Leonardo si voltò da una parte, non appena tornarono in posizione eretta.
-Ehi, guardate.- avvertì, indicando un punto -Anche Usagi è entrato nelle semifinali.-
-Già, così come tre di quei damerini crociati in bianco.- notò Raffaello, guardando da un’altra parte.
Li vide, in disparte, separati dal resto dei guerrieri.
-Ehm, “templari”, Raph.- corresse Michelangelo, con posa da professore, come Splinter aveva fatto con lui.
Rimasero dispiaciuti di non vedere il loro sensei tra loro. Pregarono che non gli fosse capitato nulla di grave.
Dalle tribune, Carmine si era unito a Federico, assistendo al resto degli incontri. Si era tolto la cotta di maglia, liberando i lunghi capelli marroni raccolti in un codino basso.
-I soliti tre sono ancora in gara…- mormorò, per niente sorpreso. Dava quasi l’impressione che sarebbe stato più sorpreso se tra i semifinalisti ci fosse stato lui.
Federico non disse nulla: rimaneva in silenzio. A fissare i confratelli ed il padre ancora in gara.
I guerrieri rimanenti avevano solo un’ora di tempo per riposarsi, rifocillarsi, e riprendere le forze.
-Leonardo-san. Raffaello-san. Michelangelo-san…- fece Usagi, inchinandosi di fronte alle tre tartarughe –Spero di aver modo di incrociare di nuovo la mia spada contro uno di voi.-
-Il sentimento è reciproco, Usagi.- rispose Leonardo, cortese.
-Sì, sì, va bene.- interruppe Michelangelo, bruscamente -Ma ora usciamo di qui? Mi è venuta leggermente fame…-
I tre presenti sospirarono, mettendosi una mano sul volto.
-Non cambi mai, Michelangelo-san…-
I templari semifinalisti, intanto, rientrarono nella Sala degli Eroi, per poi uscire in direzione del mercato, ove si ricongiunsero con Federico e Carmine, scesi dall’infermeria.
I loro volti erano scoperti, così come i loro capelli.
David osservò subito il figlio, con aria severa.
-Sei stato eliminato…- commentò, disgustato –Chissà perché non mi sorprende…-
Il ragazzo abbassò lo sguardo, cupo.
-E tu, Carmine…- notò la mano fasciata –Come al solito non hai resistito…-
Sospirò.
-Abbiamo un’ora di tempo, prima della semifinale.- spiegò, serio –Conoscete il piano, ma attendete il mio segnale. Intanto, fate pure un giro al mercato. Nessuno deve sospettare qualcosa. Ma tenetevi pronti, quando verrete chiamati. Giacomo, con me.-
Il pelato annuì, seguendo il Gran Maestro senza obiettare.
I tre ragazzi entrarono nel mercato, separandosi, comportandosi come turisti silenziosi, ancora con l’armatura indosso e con gli elmi sottobraccio. Si voltavano tutti verso di loro, studiando il loro bizzarro abbigliamento, specie il simbolo sul loro petto. Era come se il medioevo nipponico ed il medioevo europeo si fossero incontrati in un unico punto. Due mondi diversi, eppure così simili.
David e Giacomo rientrarono nella Sala degli Eroi. Si misero dietro la statua di David, il punto più nascosto.
Si assicurarono di non avere nessuno nei dintorni.
Solo loro.
Si tolsero i guanti di ferro, liberando le mani. Sul loro anulare destro vi era un anello argentato con la croce templare sulla sola parte superiore.
Con l’indice ed il medio della mano sinistra sfregarono sopra la croce, con gli occhi chiusi.
Le loro iridi e le loro pupille scomparvero. Rimase solo il bianco. I loro corpi erano immobili.
Era uno stato catalettico.
L’anello aveva condotti le loro anime in un luogo etereo, grigio, senza materia, né cielo, né terra. Niente.
Erano entrati in una sorta di “dimensione mistica”.
Di fronte a loro erano presenti Andrea e Luigi.
Il tetravirato templare riunito nella “dimensione mistica”.
-Aggiornamenti del torneo.- riferì Giacomo, serio e sicuro –Solo tre di noi sono riusciti a raggiungere le semifinali. E’ più che sufficiente per ottenere il Graal.-
-Cosa è accaduto agli altri due?- domandò Luigi, sospettoso.
-I nostri due figli non ce l’hanno fatta.- rispose David, serio anche lui; no, deluso -Federico lo sapevo che non ce l’avrebbe fatta. Era meglio se portavo Spettro al suo posto. Non sarà bravo nei combattimenti, ma almeno, per altre cose, è più utile di lui. E tuo figlio è troppo fragile per questi combattimenti.-
Anche Luigi sospirò, storcendo la bocca.
-In compenso, non indovinerai mai chi ho avuto l’onore di incontrare dopo tanti anni…- aggiunse il Gran Maestro, sorridendo –Anche se “onore” è una parola grossa. Splinter.-
Luigi si stupì. Anche Andrea.
-Splinter?! Il ratto di fogna che crede di essere un ninja?!- esclamò Luigi.
-Sì, e come se non bastasse, con lui ci sono anche quegli abomini dei suoi “figli”.-
-Riteniamo che possano essere un ostacolo per la nostra missione.- tagliò corto Giacomo. Nella sua fierezza, era percepibile la preoccupazione.
David gli rivolse un’occhiata severa. Aveva ricevuto l’ordine di non fare più parola dei suoi timori. E non li stava eseguendo.
-Quello che Giacomo intende dire, è che tra noi e il Graal ci sono altri diciassette avversari. E tra loro ci sono tre di quelle tartarughe.- chiarì David –Io ho già provveduto a togliere Splinter di mezzo. E quella con la bandana viola è già stata eliminata.-
-Ciò nonostante, non ti conviene sottovalutare quelle tartarughe.- avvertì Andrea, serio ed allarmato -Due di loro hanno vinto il Nexus, sono affiliati con la Justice Force, hanno sgominato i maggiori criminali di New York, e hanno persino sconfitto Shredder. Sono il pericolo maggiore che ci impedirà di adempiere alla nostra missione e noi non possiamo permetterlo. Tu sai cosa significa, vero?-
-Lo so.- rispose David, sorridendo, sicuro di sé -E’ giunto il momento, per questi pagani, scoprire che la Punizione arriva con il Flagello!-
Nel frattempo, al trio delle tartarughe, oltre ad Usagi, si erano uniti Gen, Traximus, e, ovviamente, Donatello, un po’ imbarazzato.
-Ah! Sei stato di nuovo il primo a essere eliminato!- aveva canzonato Michelangelo –Dovrò ideare una nuova settimana di burle, per te! Ah! Ah! Ah!-
Donatello sospirò: non osò nemmeno immaginare cosa gli sarebbe spettato, una volta tornati a casa.
Ma niente prese in giro per Traximus: solo stupore e spiegazioni. Ripeté le medesime cose riportate a Donatello.
Un triceraton battuto da un essere umano… non era comune. Il suo sfidante doveva essere molto forte o sapeva destreggiarsi bene in battaglia.
Sarebbe stato un avversario interessante, pensarono le tre tartarughe, soprattutto Raffaello.
-E Splinter?- domandò Leonardo, appena accortosi dell’assenza del sensei.
-E’ dovuto rimanere in infermeria.- spiegò Donatello, inquieto -I medici hanno detto che era meglio per lui restare a letto fino alla fine del torneo. Ha ricevuto una brutta contusione sullo sterno, ma almeno non è una frattura. Tuttavia, meglio non rischiare. Si sarebbe rotto la schiena, se non fosse stato teletrasportato. E’ stato fortunato. Altro non so. Mi dispiace.-
Il maestro Splinter ferito. Non era la prima volta che capitava, ma Leonardo si preoccupava sempre, come i fratelli. Ma Splinter era coriaceo. Sarebbe sopravvissuto ad una semplice contusione.
I suoi pensieri furono interrotti da un rutto: Michelangelo.
-Mondo Pizza, lo street food giapponese è il migliore!- commentò, leccandosi le labbra sporche di salsa. Si era abbuffato di takoyaki. Senza dividere con nessuno.
-Ineccepibile…- borbottò Raffaello, sospirando e scuotendo la testa.
-Passano gli anni, ma lui non cambia mai…- commentò, acido, Gen. Non sembrava così turbato dall’essere stato sconfitto da Donatello. O forse sì.
Fatto stava che quella notizia fece stupire i fratelli.
-Don ha sconfitto Gen!- annunciò Michelangelo, mettendogli un braccio intorno alle spalle –Questa me la appunto sul calendario! L’ultima volta non eri arrivato nemmeno al secondo round! Potevi batterti con me!-
-Sì, ma fatto sta che tu sei stato sconfitto poco prima delle semifinali, ricordi?- ribatté il fratello, con aria da furbo –E hai visto Leonardo prendersi il trofeo del Nexus, lo stesso che avevi vinto tu sei anni fa, ma che, ops, Karai ha distrutto quando ha distrutto la nostra casa, insieme ai tuoi fumetti, televisione e videogiochi. E anche la tua scorta segreta di snack e bibite. Che poi tanto segreta non era, visto che io e Raph approfittavamo di ogni tuo momento di distrazione per rubartene qualcuno.-
Raffaello sgranò gli occhi, poi rivolse a Donatello uno sguardo da omicida, come per dire “Doveva essere il nostro segreto, maledizione!”
Michelangelo rimase in silenzio, paralizzato, con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Come se avesse guardato il basilisco negli occhi e fosse stato pietrificato.
I tre amici si preoccuparono, ma, nello stesso tempo, erano divertiti da quella “paralisi”.
-Scusate, ma è normale che rimanga fermo così?- domandò Traximus, indeciso se ridere o preoccuparsi.
-E’ un effetto ritardato.- spiegò Raffaello –Dategli qualche secondo e poi arriva tutto insieme.-
Si sedette di nuovo sulle sue ginocchia e mise le mani sulla sua testa.
-NOOOOOOOO…!!!- esclamò, da attore drammatico –Perché me lo hai ricordato?! Ci sono voluti tre mesi di terapia per farmi passare il trauma!-
-E, sia ben chiaro…- spiegò Donatello, sottovoce, ai tre amici -Per “terapia” intende barattoli di gelato a iosa, come una femminuccia.-
Essi non compresero il significato della parola “gelato”, ma, considerando la reazione della tartaruga, non era stata molto efficace, come cura.
Un altro urlo. Ma non da Michelangelo.
Proveniva da un altro punto del mercato, vicino alle porte del palazzo del Daimyo.
Erano tutti riuniti ad un ragazzo, uno dei templari, a giudicare dalla sua casacca, quello grasso e dagli occhi quasi gialli, chino su una figura femminile. Aveva il volto coperto da un velo, lo stesso i capelli, ma le sue vesti la identificarono come una delle concubine del Daimyo.
Stava piangendo e il templare la stava consolando.
Al gruppo di spettatori si unirono anche le quattro tartarughe, i due samurai ed il triceraton, allarmati da quei pianti. E con loro, anche i templari.
-Che è successo, Federico?!- domandò David, preoccupato.
-E’ una concubina del Daimyo!- rispose il ragazzo –Sembra sia stata aggredita.-
La notizia sconvolse i presenti. Le quattro tartarughe in particolare: non poteva essere stato di nuovo il figlio del Daimyo, era ancora un ragazzino e non aveva memoria di quando era un adulto ambizioso e scorretto. Forse erano stati di nuovo gli assassini che avevano cercato di eliminare Leonardo e Splinter prima di lui.
La concubina continuava a singhiozzare, tenendosi stretta al templare.
-Calmatevi.- rassicurò lui, con tono calmo e rassicurante –Ditemi cosa vi è accaduto.-
Tra i singhiozzi e asciugandosi le lacrime, senza togliersi il velo, la concubina diede una spiegazione. In fondo, voleva aiutarla.
-Mi stavo dirigendo dal Daimyo…- disse, con voce tremante; era una voce debole, acuta, stroncata dai singhiozzi –Ho visto… un’ombra… un’ombra che mi seguiva. Mi ha aggredita!-
Riprese a piangere, stringendo sempre di più il templare.
Le quattro tartarughe si incupirono sempre più.
-Non possono essere di nuovo gli assassini ombra!- ipotizzò Donatello –Loro si muovono solo se hanno un committente! Drako è stato eliminato e il figlio del Daimyo è tornato bambino…-
-Forse qualcuno sta cercando di nuovo di sabotare il torneo.- aggiunse Leonardo; si rivolse alla concubina –Dove lo hai visto?-
Lei si alzò, aiutata dal giovane templare.
-Non lo so.- rivelò, con tono ancora tremante; teneva lo sguardo basso –Forse mi starà ancora inseguendo. Potrebbe essere ancora nel palazzo! O peggio, potrebbe attaccare il Daimyo! Vi prego! Proteggete il Daimyo!-
Una tale richiesta non poteva essere ignorata.
Raffaello fu il primo a sguainare i sai, facendoli roteare.
-Io dico che qualche lestofante sta per ricevere una bella lezione!- disse, facendo intuire la sua intenzione -Chi è con me?-
I fratelli non ci pensarono due volte. Lo stesso fecero Usagi, Gen e Traximus. Con loro anche il resto dei combattenti del Nexus, anche loro riuniti intorno alla concubina ed al templare.
Dovevano proteggere il Daimyo e proseguire con il torneo. L’eliminazione di uno avrebbe determinato l’eliminazione dell’altro.
La concubina, sempre abbracciata a Federico, fece strada ai guerrieri, entrando nella hall; avevano tutti le armi sguainate, pronti per ogni evenienza.
Percorrevano le stanze principali. Poi entrarono, di nuovo, nella Sala degli Eroi.
-Per ora tutto tranquillo. Tutto troppo tranquillo…- mormorò Michelangelo, serio, guardandosi intorno; poi sorrise –Nei film dicono sempre così.-
Raffaello gli diede uno scappellotto, come rimprovero.
Improvvisamente, la porta posteriore si chiuse, da sola.
Si voltarono tutti, allarmati.
Poi, si chiuse anche quella che dava sull’arena.
-Che succede?!- esclamò David, allarmato. Aveva già l’elmo sulla testa.
La sala era nel buio totale. I guerrieri si disposero in cerchio, schiena contro schiena.
-Maledetti assassini!- ringhiò Raffaello.
Poi di nuovo un urlo.
-AHHHHH! AIUTO!- era la concubina.
-No!- esclamò Federico, sbilanciato in avanti, come se una forza misteriosa gliel’avesse strappata dalle mani. E così era stato.
-Restiamo uniti!- suggerì Usagi, con una delle sue katane in avanti.
Nessun rumore. Tutto era ancora silenzioso.
E buio. C’era solo una flebile luce che filtrava da delle finestre sopra la porta che dava sull’arena, finestre formate da spesse reti di legno che lasciavano solo piccoli fori.
Poi, un fruscio.
Proveniva dal muro. Ed era diretto verso i guerrieri, veloce come la luce.
Leonardo parò il colpo, deviandolo con le sue katana.
Era un pugnale.
E non fu l’unico. Qualcosa si stava muovendo, in quella stanza.
Oltre alle statue dei vincitori dei Nexus, la Sala degli Eroi era piena di armi.
Quelle armi avevano misteriosamente preso vita, guidate da una forza misteriosa. Ed erano tutte puntate contro i guerrieri.
Non si fecero prendere alla sprovvista.
Le armi, spade, bastoni, pugnali, lance, shuriken giganti, caricarono contro i guerrieri.
Usagi fu costretto a sguainare entrambe le katana, per avere maggior possibilità di salvezza.
Michelangelo deviava gli attacchi con i nunchaku: li roteava senza fermarsi.
Anche Leonardo eseguiva le medesime mosse con le katana. Come Donatello con il bastone.
Raffaello schivava e parava.
Si dovettero separare: più bersagli dispersi, solitamente, erano più difficili da attaccare.
Non cambiò nulla. Ma i guerrieri avevano più libertà di movimento, rispetto a quando erano uniti.
Inoltre, la visibilità era ridotta: per i quattro ninja non era complicato orientarsi nel buio, poiché faceva parte del loro addestramento.
Persino i templari paravano e deviavano senza problemi, sia con le spade che con gli scudi.
Alcuni, però, non erano abituati ad allenarsi al buio.
Infatti, non riuscivano a vedere da dove provenissero le armi, paravano goffamente e si guardavano inutilmente intorno. Alcune lame penetrarono la loro carne, soprattutto i tendini, impedendo loro di rialzarsi. Oppure si limitavano a ferite superficiali, ma di gran numero.
Traximus era tra questi: era già limitato dalla ferita alla mano destra. Non riusciva a maneggiare l’ascia come suo solito.
Persino chi riusciva a difendersi subiva qualche colpo e riportava lievi ferite.
-Non finiscono mai!- lamentò Raffaello, respingendo una katana con i sai. Lo infuriava combattere contro un nemico invisibile. Non era come i ninja invisibili di Stockman; almeno loro erano materiali. Ma la forza che guidava le armi di quella sala era eterea, trascendentale. Una mano senza un corpo.
Donatello ansimava.
-Non ce la faccio più!-
-Resisti, Donatello-san!- incitò Usagi, dopo aver parato una lancia. Era stato ferito ad una gamba, ma non cedeva.
Erano tutti stanchi. Le armi continuavano ad attaccare i guerrieri senza sosta.
Stavano combattendo da troppo tempo; quasi un’eternità. Contro un nemico invisibile. Non conoscevano la fonte.
E non l’avrebbero mai scoperta, restando in quella stanza. Non era possibile nemmeno raggiungere le porte: le armi non davano tregua.
Una lancia era puntata su Michelangelo. Sulla sua testa. Si diresse velocemente verso di essa.
-MICHELANGELO! ATTENTO!- esclamò Raffaello, notando il pericolo, nonostante fosse impegnato contro due asce.
Il fratello si voltò, impallidendo alla lama della lancia sempre più vicina a lui.
Era finita.
Chiuse gli occhi, attendendo la sua fine.
Non sentì nulla.
Nessun dolore.
Nessun freddo della lama trapassargli la testa.
Riaprì gli occhi, notando la lancia spezzata conficcata nel terreno, vicino a lui.
Leonardo, lesto, era saltato verso di essa, spezzando il legno con un calcio e deviando la traiettoria.
Aveva salvato il fratello. Di nuovo.
“E’ il tuo momento, vai.”
Nell’ombra, nel frattempo, una figura si mosse da dietro una statua.
Era illuminata da una strana aura. Un’aura intrisa di… rabbia. E gli occhi brillavano.
La flebile luce illuminò la lama del pugnale che brandiva.
Non era un ninja: i suoi passi erano percepibili. Ma era veloce.
-Ma, cosa…?- disse uno dei guerrieri, voltandosi da un lato.
Qualcosa di affilato gli squarciò la gola, un taglio netto orizzontale.
Un tonfo sospetto fece allarmare il resto dei guerrieri.
-Cosa c’è ancora?!- lamentò di nuovo Raffaello, roteando i suoi sai.
Altri due guerrieri caddero, a causa della figura misteriosa.
-Forse il tizio che ci ha attirati in questa trappola…- ipotizzò Leonardo, pronto per un nuovo attacco.
Non era definibile la sua sagoma, ma si poteva notare un mantello che ondeggiava alle sue spalle.
Saltava e sferrava attacchi potenti, guidati con… rabbia. Non emetteva suoni: era silenzioso. Era tutt’uno con il buio, con l’eccezione degli occhi luminosi. Ma il suo respiro era affannoso.
Attaccò persino le tartarughe. Quattro contro uno. Era difficile da prendere: era anche veloce.
Ma almeno Raffaello aveva finalmente un nemico materiale contro cui combattere.
Le armi non cessarono di attaccare. Era complicato affrontare due nemici, uno invisibile, l’altro inarrestabile.
Ma Raffaello riuscì comunque a prendere un polso, o quello che al tatto sembrava un polso. Poi abbassò la mano, raggiungendo il cavo popliteo, e scaraventò l’aggressore in un angolo.
Per la prima volta, udirono un suono. Che precedette una caduta.
-E’ tutto qui quello che sai fare?!- schernì la tartaruga dalla benda rossa, roteando di nuovo i suoi sai, vittorioso. Dovette voltarsi subito e schivare: altri pugnali sai lo avrebbero trafitto, se non si fosse mosso.
Improvvisamente, la porta che dava sul corridoio si aprì: il Daimyo era intervenuto appena in tempo, con lo scettro in aria. L’arbitro era con lui. Persino il figlio, attaccato alla veste del padre.
-Che sta succedendo qui?!- tuonò il Daimyo, osservando lo spettacolo che aveva di fronte –Che questa follia si concluda subito!-
Batté lo scettro per terra, scatenando un’onda d’urto verde.
Le armi caddero per terra.
Anche la porta che dava sull’arena si aprì di nuovo. La Sala degli Eroi era di nuovo luminosa.
I guerrieri si fermarono, finalmente, ansimando, esausti. Alcuni si sedettero, altri misero le mani sulle ginocchia. Michelangelo si permise di sdraiarsi sul pavimento.
-Grazie al cielo…- mormorò, mettendosi a croce –Per un po’ credevo di diventare spiedino di tartaruga…-
-Te lo farò io se osi pronunciare un’altra sillaba…- ringhiò Raffaello, riprendendo fiato.
Il Daimyo era sconvolto: armi sparse per terra, i guerrieri erano feriti, esausti. Tre deceduti.
-Per i miei antenati, cosa è successo qui?!-
Usagi trovò la forza di rialzarsi, sorreggendosi sulle katana: era stato ferito alle gambe.
-Daimyo-sama…- iniziò, con un inchino –Una delle vostre concubine è stata aggredita. Siamo accorsi per affrontare il suo aggressore, ma ci siamo imbattuti in un’imboscata. Saremmo morti se non foste intervenuto.-
Alcuni dei semifinalisti erano stati feriti gravemente, gli altri solo superficialmente, ma avevano ugualmente bisogno di cure mediche.
-E dov’è la concubina?- domandò, sospettoso, il Daimyo.
Non c’era alcuna traccia di lei.
Forse la forza misteriosa l’aveva rapita. O…
-Laggiù!-
Eliseo indicò un angolo, verso cui i templari, le tartarughe ed il Daimyo accorsero.
La concubina era distesa su un fianco, immobile.
Sotto di lei si estendeva una pozza rossa. Lo stesso colore cui era macchiato il vestito rosa.
Il Daimyo abbassò la testa. Suo figlio impallidì, alla vista del sangue.
-Povera creatura…- mormorò –Quale disgrazia. E con lei tre guerrieri… Come può essere accaduto…?-
Erano passati sei anni dall’evento che aveva quasi rischiato la distruzione del Nexus.
Sperava con tutto il cuore che non si ripetessero esperienze simili.
Dei medici entrarono nella Sala degli Eroi, con delle brandine. Per i morti e per i feriti gravi.
I morti vennero momentaneamente lasciati al centro della sala.
David, compatendo il Daimyo, gli toccò gentilmente un braccio.
-Onorevole Daimyo, tra i doveri di un buon cristiano è elencato “seppellire ed onorare i morti”. Permettete a me ed ai miei templari di onorare le anime dei caduti ed assistere alla loro sepoltura.-
Il Daimyo osservò il cadavere della concubina e de tre guerrieri caduti.
Fece un cenno della testa.
-Sarò onorato di assistere ad un rito cristiano.- decise.
-Cavalieri.- chiamò David; i cavalieri templari raggiunsero il Gran Maestro.
Si inchinarono, unendo le mani.
-Aeternam requiem dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pace. Amen.- recitarono, in coro.
Una preghiera in latino. Ma nessuno dei presenti comprese il significato.
Michelangelo, infatti, inclinò la testa da un lato, confuso.
-Ehm… che lingua era, quella?- domandò, sottovoce.
-E lo chiedi a me?- fece Donatello, sentendosi chiamato –E’ Leonardo l’esperto di queste cose.-
-Io? Pensavo fossi tu quello curioso.- si difese Leonardo –Ma secondo Splinter, questo dovrebbe essere latino.-
-Che lingua strana…- fu il solo commento della tartaruga dalla benda arancione.
Dopo la preghiera, il Daimyo si rivolse ai semifinalisti sopravvissuti all’attacco, quelli che avevano riportato solo ferite superficiali.
-Non potete tenere le semifinali in questo stato…- fece notare –Vi darò altro tempo a disposizione per farvi medicare e fasciare le ferite. E poi potrete di nuovo combattere.-
Si inchinarono tutti, come ringraziamento.
-Grazie, onorevole Daimyo.-
Egli svanì, tornando nella sua tribuna, annunciando agli spettatori dell’imprevisto che avrebbe fatto posticipare le semifinali.
I semifinalisti furono scortati in infermeria, dove avrebbero ricevuto le consuete cure.
-Ehi, Leo…- fece Michelangelo –Grazie, per avermi salvato da quella lancia. Sarei morto, senza di te.-
Leonardo sorrise.
-Dovere.-
I templari avevano mantenuto la promessa, aiutando a seppellire i corpi della concubina e dei guerrieri caduti, cantando per loro un canto funebre.
 
-Avremmo dovuto eliminarli tutti.-
-Almeno ne abbiamo messo fuori gioco la metà. Arrivare al Graal sarà più facile, ora.-
 
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Qual è il senso dell'imboscata? Perché questa imboscata?
Quale sarà il vero piano dei Templari?

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Capitolo 3
*** Il Duello dei Duelli -Parte 3- ***


Note dell'autrice: scusate la lunghezza, di nuovo. Ma c'è un motivo se mi sono soffermata sulla descrizione della finale. Una finale va fatta bene, giusto?

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Il Daimyo mantenne la promessa: i semifinalisti con lievi ferite vennero sottoposti alle cure dei medici, per poi tornare in arena. Quelli che avevano riportato ferite più gravi, purtroppo, dovettero rimanere in infermeria, a riposare.
Il pubblico mostrò frustrazione al ritardo di trenta minuti, ma urlarono tutti di gioia e si alzarono in un’ovazione, quando videro i semifinalisti entrare nell’arena.
Gli eliminati rimasero nel loro punto panoramico, ad assistere al torneo: tra loro Federico, Carmine, Splinter, Donatello, Gen e Traximus.
Splinter si era ripreso dal suo trauma.
Venne subito messo a conoscenza dell’imboscata e dei guerrieri feriti.
-Armi dotate di volontà propria?- domandò, quasi incredulo –E una persona uscita dalle tenebre che vi ha aggredito. Come è possibile…?-
-Non lo so, maestro Splinter…- rispose Donatello, anche lui della stessa opinione del maestro; con la sola differenza che lui aveva effettivamente visto delle armi muoversi da sole –Ma ho come l’impressione che non sia stato casuale. Qualcuno ci ha attirato in una trappola. E gli obiettivi erano i semifinalisti.-
In effetti, persino Splinter aveva ipotizzato questa supposizione.
-E quelli che sono stati uccisi e quelli eliminati…- fece notare, infatti -Erano dei concorrenti delle semifinali, giusto?-
-Esattamente. Alcuni forti, altri no. I miei fratelli sono riusciti ad uscirne illesi, solo con qualche taglio superficiale.-
-Anche Usagi.- aggiunse Gen.
-E’ stata una fortuna che il Daimyo sia intervenuto, prima che la situazione peggiorasse.- mormorò Splinter, preoccupato -Qualcuno sta cercando nuovamente di sabotare il Nexus…-
-Dici come il figlio del Daimyo e Drako?-
-No, qui non c’entra il loro movente. Credo che stavolta riguardi il Nexus stesso. Magari uno dei concorrenti. Qualcuno che pur di ottenere il trofeo arriva persino ad eliminare tutti i concorrenti, se avesse modo e tempo…-
Le sue parole erano confuse ed ermetiche. Nemmeno lui era sicuro della sua ipotesi. Sperò che non fosse così. Aveva i suoi sospetti, ma non volle rivelarli. Non voleva insinuare accuse frettolose. Doveva avere prove concrete.
Federico e Carmine udirono la conversazione, ma non ne presero parte. Anche loro erano seri e preoccupati. Pregarono per la salvezza dei confratelli nell’arena.
Erano ormai solo in dodici a combattere la semifinale. Questo significò che, sopra l’arena per le eliminazioni, venne eretto un nuovo ring, composto da sei aree.
L’arbitro si mise in mezzo ai semifinalisti.
-Come in tutte le semifinali di ogni Nexus, la scelta degli sfidanti avverrà in un sorteggio casuale.- spiegò, prima di far comparire una bolla d’acqua in mezzo ai guerrieri –I guerrieri che estrarranno lo stesso colore combatteranno l’uno contro l’altro.-
Come da prassi.
Ognuno mise la mano dentro la bolla, estraendo un kunai. Al kunai era legato un fazzoletto colorato. Il corrispettivo sarebbe stato il loro sfidante.
Vennero tutti teletrasportati in una delle aree. Ognuno con il suo avversario.
Usagi non trovò di fronte a sé una delle tartarughe, ma un templare. Il meno robusto, Eliseo.
Ma non sembrò scoraggiato, anzi; sorridendo, sguainò la sua katana.
-Oggi deve essere il mio giorno fortunato…- disse, inchinandosi –Anche nelle eliminatorie ho avuto modo di scontrarmi con uno di voi. Se avete tutti lo stesso livello e abilità di combattimento, potrei battere anche tu.-
Entrambi caricarono, puntando le spade in avanti.
Il cavaliere eseguiva attacchi molto veloci, e, altrettanto velocemente, Usagi parava. Provò a fare pressione sulla spada, spingendola verso il basso, ma ad Eliseo bastò girarsi ed eseguire un colpo con lo scudo.
Per fortuna, il samurai scatto velocemente indietro. Non era un avversario da sottovalutare.
Usagi era più veloce di Eliseo, non aveva una corazza che rallentava i suoi movimenti.
Ma era proprio per il vestiario che era in svantaggio, avendo solo degli abiti.
Per non parlare della spada: la spada di Eliseo aveva il filo su entrambi i lati, mentre la katana solo su uno.
Eliseo era più avvantaggiato di Usagi; forse il samurai sarebbe comunque riuscito ad invertire la sorte del combattimento, magari facendo proprio ricorso alla sua velocità ed alla propria libertà di movimento.
Lo stesso, tuttavia, non si poteva dire di altri concorrenti: in infermeria giunse un nuovo sconfitto.
Michelangelo apparve, urlando e rotolando su se stesso, per terra, per un metro, circa.
Donatello, Gen e Traximus furono stupiti; anzi, per poco non scoppiarono a ridere.
Splinter scosse la testa, sospirando.
Risero, ma con una mano di fronte alla bocca.
-Mondo Pizza, io…!- irritato, Michelangelo tornò in piedi, avvicinandosi, con passi pesanti, al punto panoramico -Comunque quel colpo non vale!- protestò, pur cosciente di non essere udito dal suo avversario.
Donatello assunse un’espressione maliziosa e furba.
-Che c’è?- canzonò, avvicinandosi al fratello minore, mettendogli un braccio intorno alle spalle –Qualche cattivone ti ha buttato via dal Nexus? Che peccato, nemmeno quest’anno diventerai il campione e tu hai perso la scommessa.-
Preoccupazione e disperazione insieme si palesarono nell’espressione di Michelangelo: si mise di nuovo in posizione drammatica, alzando le braccia al cielo.
-NOOOOOOO…!!!-
Ricevette uno scappellotto dal fratello.
-Strilla piano, ci sono dei feriti, qui! Un po’ di rispetto.- gli fece ricordare.
Michelangelo si limitò, allora, a far sporgere in avanti il labbro inferiore, guaendo come un cane.
Poco dopo, anche Usagi venne teletrasportato in infermeria. Era piegato in due, reggendosi nuovamente sulla spada.
La sua presenza fece stupire persino Splinter.
I medici lo aiutarono a camminare verso una delle brandine: il dolore alle gambe era tornato. Riusciva a malapena a camminare. Le cure di poco prima si erano rivelate inefficaci.
Concentrandosi sulla velocità e sui riflessi lo aveva indebolito e reso i suoi colpi più prevedibili. La sua strategia si era rivelata il suo punto debole.
Aveva sforzato troppo le gambe, ancora provate dalle ferite dell’aggressione, nel tentativo di schivare e sbilanciare il suo avversario templare.
Ma era lui ad esserne uscito sconfitto. Ed Eliseo era riuscito a passare alla seconda fase delle semifinali.
Un altro raggiunse l’infermeria: David. Era per terra, prono.
Esattamente come Carmine, anche lui ringhiò e batté un pugno per terra, deluso. Almeno, il suo scudo era integro.
-Maledizione!- imprecò, in italiano.
-Padre!-
Federico, allarmato, prestò soccorso al padre. Ma lui respinse la sua mano, in modo sgarbato, quasi offeso, di fronte a tutti.
-Lasciami stare. So rialzarmi da solo.- borbottò David, rialzandosi -Piuttosto, aiutami a togliere questo elmo. Renditi utile.-
Federico annuì, silenziosamente, ed eseguì l’ordine del padre, quasi ignorando l’umiliazione.
Splinter si insospettì ed osservò Federico con compassione, intuendo la situazione dal tono dell’uomo e dall’espressione del ragazzo: trattare così il frutto dei suoi lombi… Come uno schiavo.
Lui non si era mai spinto a tanto con i suoi figli, e non erano nemmeno i suoi naturali. A volte era severo, ma non li trattava mai come schiavi.
-David, non essere così duro con tuo figlio.- gli disse; erano parole uscite contro il volere della sua ragione; erano uscite inconsapevolmente; era emerso il lato paterno di lui.
Il Gran Maestro si voltò verso il topo, serio ed infuriato, per aver perso l’incontro.
-Solo perché hai cresciuto quattro figli da solo non hai alcun diritto di dirmi cosa fare con il mio!- ribatté, maleducatamente –Quindi chiudi quella bocca!-
Splinter non disse altro e abbassò lo sguardo: aveva ragione, non doveva impicciarsi in affari che non lo riguardavano. Ma il suo tono… non era da David. Magari stava parlando guidato dalla rabbia, dalla delusione di aver perso.
Michelangelo e Donatello furono sorpresi dalla sua reazione. Solitamente, non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno.
Erano rimasti due templari e due tartarughe, tra i semifinalisti.
Ma soltanto due, uno di entrambi i gruppi, ebbero modo di incontrarsi.
-Ah! Era ora!- esultò Raffaello, roteando i suoi sai e mettendosi in posizione di combattimento –Finalmente mi scontro con uno di voi damerini in bianco! E’ dal primo momento che vi ho visto che desidero combattere contro uno di voi! Sarà entusiasmante metterti al tappeto!-
Il templare di fronte a lui aggrottò le sopracciglia. Anche lui si mise in posizione: lo scudo di fronte e la spada puntata al suo avversario.
-Come osi parlarmi in questo modo, creatura inferiore?!- rispose Giacomo, da dietro l’elmo, offeso –Ti farò rimpiangere di questo comportamento! Non sai con chi hai a che fare!-
-Se così è, sarà ancora più entusiasmante! Questo torneo stava già per darmi sui nervi! In guardia!-
Caricarono in corsa, Raffaello roteando i sai, e Giacomo con lo scudo di fronte a sé e la spada in alto, con la punta rivolta verso il suo avversario.
Nonostante l’armatura, il passo di Giacomo era rapido. Non quanto quello di Raffaello, però.
Giacomo eseguì un colpo verticale discendente, come se volesse tagliare il suo avversario a metà. Ma Raffaello riuscì a scattare di lato, per poi colpire l’elmo con un calcio laterale, con il collo del piede. Il colpo fu parato dallo scudo.
L’impatto fu violento.
La tartaruga indietreggiò, quasi zoppicando: aveva rischiato di fratturarsi la tibia. Anche il metatarso.
Non poteva contrattaccare con i calci: l’armatura proteggeva il corpo del suo avversario e anche lo scudo. Non era come il resto dei concorrenti del Nexus. Loro non avevano un’armatura come i templari. Doveva solo affidarsi ai sai.
E Giacomo si affidava soprattutto alla strategia offensiva: infatti, caricò di nuovo, correndo verso il suo avversario, approfittando del suo attimo di debolezza.
Raffaello, però, non si lasciò colpire: con i suoi sai, infatti, riuscì a fermare l’attacco.
Erano entrambi bloccati, spingendo l’un contro l’arma dell’altro.
Altri erano, nel frattempo, riusciti a passare la prima fase delle semifinali.
Tra questi vi erano Leonardo ed Eliseo.
Uno scontro era ancora in corso. Alla fine, ci fu il sesto semifinalista.
E lo sconfitto venne teletrasportato in infermeria.
Giacomo si tolse l’elmo e lo scaraventò per terra.
-Ma che cavolo, però!- imprecò, in italiano, battendo anche un piede per terra. Seguirono altre imprecazioni ed insulti al suo avversario, tutto in italiano, alcune in latino.
La sua reazione fece attirare l’attenzione dei presenti, soprattutto quello dei confratelli, essendo gli unici in grado di comprenderlo dal punto di vista linguistico.
David lo osservò deluso.
Splinter, invece, era confuso e divertito nello stesso momento.
Si era messo accanto al Gran Maestro, dopo che questi gli aveva rivolto le sue scuse per il comportamento di poco prima.
-Fa sempre così?- domandò a David.
-E’ solo molto competitivo e gli piace vincere.- spiegò, freddo e secco -Gli passerà presto. Scusa per i suoi modi, Splinter.-
-Non fa niente. Sono abituato. Anche Michelangelo e Raffaello hanno reazioni simili quando perdono. Addirittura peggiori. Ma mai quando vincono…-
Se Giacomo aveva perso, allora Raffaello aveva vinto. Si permise di fare un balletto di vittoria.
-Bum-chà! Bum-bum-chà!- canticchiò, come un rapper –Ho sconfitto un templare! Raph è sempre il migliore! Raph inarrestabile!-
Non era per mostrare il suo orgoglio: lo aveva fatto per provocare Michelangelo, come vendetta personale per tutte le volte che lo aveva umiliato e deriso.
E riuscì nell’intento: infatti, Michelangelo serrò le labbra. E la testa divenne rossa dalla rabbia e dall’invidia, persino più rossa della benda di Raffaello.
-Ma guardatelo come si scatena!- esclamò –DOVEVO ESSERCI IO LAGGIU’!-
David finalmente comprese le parole del ratto, sia sulla vittoria che sconfitta di una delle tartarughe.
-Sì, questo è decisamente peggio…- commentò, divertito.
In quel momento, fu Splinter ad essere deluso.
-Ah, figli miei… che devo fare con voi…?-
La prima fase delle semifinali era conclusa. Dei portali apparvero di fronte ai sei semifinalisti.
Quei portali li condussero in un’arena sovrastante la loro. Un’arena divisa in tre sezioni.
Raffaello non si confrontò con Leonardo, come sperava. Nemmeno con Eliseo.
I ninja ed il templare non si incontrarono. Ebbero altri tre avversari.
La finale sarebbe stato un incontro a tre.
E tra i finalisti non vi fu Raffaello.
Atterrò seduto, massaggiandosi la testa. Poi batté il pugno per terra.
-C’ero quasi, stavolta!- lamentò.
Michelangelo sorrise in modo furbo. Poi alzò le mani al cielo.
-Ma allora Dio esiste!- esclamò, sollevato –Grazie, amici templari, per averlo portato qui con le vostre preghiere!-
I templari eliminati si voltarono, essendo stati chiamati, e si guardarono, confusi ed anche un po’ imbarazzati.
La sua reazione, come al solito, provocò il fratello, che, nonostante fosse ancora provato dal combattimento, scattò su di lui, facendolo cadere. Sembrava un incontro di wrestling; niente di nuovo.
-Ti insegno io a prendermi in giro!- minacciò Raffaello.
Gen ridacchiò: aveva di nuovo annusato aria di soldi e un’occasione per scommettere, in quel piccolo scontro.
-Io punto su Raffaello…- disse, facendo tintinnare, come suo solito, il suo sacchetto delle monete.
La lotta fece divertire alcuni, soprattutto alcuni templari.
Carmine rise.
-Ehi, Giacomo, guarda, sembrano Andrea e Mirko quando litigano.- fece notare al confratello pelato, picchiettandogli sulla spalla.
Ma lui si limitò solo a voltarsi per un secondo. Non rise. Guardò di nuovo in avanti, con le labbra serrate e lo sguardo furioso.
Era quasi lieto che la tartaruga che lo aveva eliminato nel Nexus non fosse andato in finale, ma il fatto stesso di essere stato eliminato non gli andava giù.
Odiava perdere.
E ciò che lo stava maggiormente irritando era essere stato eliminato da una “creatura inferiore”.
Un giorno avrebbe avuto la sua vendetta.
Ciò fu il suo voto.
“Ora è tutto nelle tue mani…” pensò David, alludendo all’ultimo templare rimasto in gara; era tornato serio e freddo “Vedi di non deludermi…”
Le arene di cemento sparirono: i tre finalisti attraversarono un portale. Furono condotti all’arena di base, lo stesso posto dove i partecipanti al Nexus si erano presentati.
Erano rimasti in tre: Leonardo, Eliseo e un guerriero di nome Yorl, di media altezza, pelle blu cobalto, testa a punta, quattro occhi gialli.
Il Daimyo si alzò in piedi, alzando lo scettro.
-Tre guerrieri sono rimasti, ma solo uno di loro vincerà questo Battle Nexus! Diamo inizio alla finale! Che il migliore tra voi possa vincere, onorevoli guerrieri!- annunciò.
La finale era ufficialmente iniziata. Il tifo era alle stelle. Urla, incitazioni, ovazioni. Anche dall’infermeria.
-Io punto dei soldi su Leonardo.- fece Gen. I ninja, Usagi e Traximus sospirarono: il suo vizio della scommessa non lo abbandonava mai.
Eliseo batté tre volte sullo scudo con la spada, per darsi la carica.
Leonardo e Yorl si misero in posizione di combattimento. Uno contro uno. Dovevano affrontarsi l’un l’altro.
Solo uno sarebbe emerso. Solo uno avrebbe vinto.
Yorl ed Eliseo, però, decisero momentaneamente di coalizzarsi, affrontando Leonardo, fra i tre quello di statura più massiccia. La prima regola dei combattimenti è eliminare sempre quello più grosso, per avere, poi, possibilità di vittoria.
Eliseo combatteva con spada e scudo, Yorl brandiva una lancia.
Leonardo, possedendo due spade, riusciva quasi a tenere testa ai due avversari.
Ma poi Yorl, con un movimento della sua coda, scaraventò via Eliseo. Nonostante fosse riuscito a parare con lo scudo, rotolò per qualche metro.
Non era sconfitto: aveva ancora la sua spada e non era esausto. Il combattimento non era ancora finito.
Ma rimase per un po’ in disparte, assistendo al combattimento tra Leonardo e Yorl.
Leonardo era l’avversario più grosso, ma forse Eliseo era quello più pericoloso.
Gli attacchi della lancia erano continui: Leonardo faceva il possibile per parare, ma senza avere possibilità di contrattaccare.
Fu lì che Eliseo intervenne. Correndo, sferrò un colpo di scudo alla mandibola di Yorl, come fosse un pugno. Nello stesso tempo, eseguì un fendente orizzontale diretto a Leonardo.
L’alieno subì il colpo, cadendo dopo un volo lungo due metri, il ninja parò con le katana, prima di saltare all’indietro.
Entrambi i terrestri caricarono contro l’alieno, da poco rialzatosi e ancora tramortito dal colpo.
Aveva solo una lancia e vedeva sfocato: si sentì in difficoltà contro due avversari.
La lama era presente solo da un lato della sua arma: ma era tutta in metallo. Anche l’altro lato poteva essere offensivo.
Deviò un attacco di Leonardo con la lama e colpì l’elmo di Eliseo con la coda della lancia.
Il templare barcollò, facendo qualche passo indietro, ma non cadde.
Leonardo incrociò di nuovo le katana contro la lancia; poi saltò in avanti, finendo in mezzo ai due avversari.
Di nuovo, era solo contro due. Ma attese che fossero vicini per eseguire il suo doppio calcio a spaccata.
Yorl fu preso in pieno petto. Eliseo era stato abbastanza rapido da parare con lo scudo; esattamente come era successo con Raffaello, anche Leonardo provò dolore alla gamba all’impatto contro lo scudo templare. Ma non poteva fermarsi.
Uno degli avversari stava cedendo: era la sua occasione. E anche quella di Eliseo.
Nemmeno Yorl era intenzionato a perdere: raccolse le sue ultime forze per parare i colpi dei due avversari.
Ma la lancia e la spada medievale si incrociarono: il templare cominciò a girare la sua arma e con un rapido giro di polso scaraventò la lancia lontano dal suo portatore.
E Leonardo lo atterrò con un calcio girato, dopo aver eseguito un salto.
Yorl venne illuminato da una luce strana, per poi svanire: era stato eliminato!
Rimasero solo in due nell’arena: Leonardo ed Eliseo. Ninja e templare.
Si misero nuovamente in posizione di combattimento, soprattutto per riprendere fiato.
All’interno dell’infermeria, la tensione era alta.
-FORZA, LEONARDO!- esclamarono i suoi fratelli. Un po’ invidiosi del fratello, ma lieti che almeno uno di loro fosse rimasto nell’arena. Ancora avevano dimostrato la potenza del “Potere Tartaruga”.
-FINISCILO, ELISEO!- esclamarono Carmine e Giacomo.
David e Splinter si limitarono ad osservare l’incontro seri e silenziosi, senza tifare. Ma dentro di loro pregavano per la vittoria dei propri allievi prediletti.
Federico non voleva tifare: si morse il labbro inferiore, preoccupato, ma speranzoso.
“Forza, Eli…" pensò, con le mani in preghiera.
Leonardo ed Eliseo erano ancora fermi: a riprendere fiato, a studiarsi.
Poi Eliseo si inchinò in un modo strano: aveva messo la spada con la punta verso l’alto, poggiando l’elsa sull’elmo, e poi la rivolse verso il basso, chinandosi in avanti; il saluto che si soleva vedere nella scherma moderna, alle Olimpiadi.
Come risposta, anche Leonardo si inchinò, tenendo le mani lunghe sui fianchi.
Poi si misero in posizione di combattimento: entrambe le katana di Leonardo erano puntate verso il suo avversario, mentre Eliseo posizionò lo scudo di fronte a sé, posizionando la spada sopra di esso, come se fosse pronta per infilzare qualcosa.
I loro sguardi si incrociarono: entrambi erano determinati.
Poi caricarono. Il primo ad attaccare fu Eliseo: roteò la spada, eseguendo un fendente verticale. Leonardo scattò di lato, contrattaccando con una katana.
Eliseo fu rapido da parare il colpo con la spada, deviandolo in basso con l’aiuto dell’elsa. Ma l’altra katana era libera, quindi sferrò un attacco anche con essa, ma venne parata dallo scudo. La lama centrò il centro della croce.
“Ha dei buoni riflessi… Questo glielo concedo…” pensò Leonardo, incuriosito, ma anche affascinato da quello stile di combattimento; dal primo momento in cui li aveva visti, desiderava confrontarsi con uno dei templari.
Aveva realizzato il suo desiderio. Il prossimo obiettivo sarebbe stato sconfiggerlo e vincere il Nexus.
Eliseo spinse in avanti lo scudo, facendo sbilanciare l’avversario: Leonardo simulò una caduta, invece fece una capriola all’indietro e si rialzò, ritornando in posizione.
Fu lui, in quel momento, ad attaccare per primo: saltò in alto, caricando le katana dietro la testa.
Eliseo non si mosse, nemmeno tentò di scansarsi: mise la spada in orizzontale, poggiando lo scudo sulla punta. Parò il colpo in quel modo: tra il ninja ed il templare vi fu una sfida di resistenza. Spingevano, facevano pressione sulle armi dell’altro, sperando che cedesse.
Leonardo era il più forte dei due: Eliseo piegò le ginocchia, quasi poggiandole per terra.
Ma resisteva: non voleva desistere. Rivolse uno sguardo minatorio alla tartaruga.
David, al punto panoramico, non si scompose, nemmeno si preoccupò, nonostante le urla ed il tifo dei confratelli.
“Non farlo…” pensò “Resisti.”
Eliseo digrignò i denti. Urlò. E spinse; trovò la forza per rialzarsi.
Leonardo iniziò ad indietreggiare. Ma le sue katana non si staccarono dalla spada: continuava a fare pressione.
Eliseo era improvvisamente diventato più forte. Aiutandosi anche con lo scudo, si liberò dalla pressione con un fendente orizzontale.
Leonardo saltò di nuovo all’indietro, con una capriola.
Il templare stava di nuovo correndo in sua direzione, più determinato, più furioso.
Lo scudo era sempre posizionato di fronte a lui, la spada era dietro la sua schiena.
Sferrò un fendente orizzontale, ma Leonardo lo evitò con una rapida spaccata frontale. Poi, facendo leva con le mani sul terreno, capriolò in avanti, e si dette la spinta per colpire l’avversario con un entrambi i piedi.
Il colpo fu parato nuovamente dallo scudo; Eliseo barcollò nuovamente all’indietro, facendo mezza dozzina di passi all’indietro. Ma non cadde.
Resisteva. Le braccia cominciavano a tremare, per il peso della corazza e della spada e scudo, ma non cedeva.
Leonardo si avvicinò a lui, eseguendo delle acrobazie da ginnasta artistico, e poi saltando sopra il suo avversario, atterrando alle sue spalle.
Eliseo continuava a tenere lo scudo di fronte e la spada in alto, per ogni evenienza. La visibilità era ridotta all’interno dell’elmo, ma ciò non gli impedì di essere in grado di parare ogni attacco del suo avversario.
Leonardo, infatti, aveva intenzione di attaccare mentre saltava, ma, di nuovo, la spada del templare vanificò l’attacco.
E quella stessa spada cercò di colpirlo con un attacco obliquo discendente, ma lui schivò di lato: un istante dopo, la spada medievale tornò indietro, ripetendo la stessa traiettoria, ma verso l’alto.
Leonardo parò di nuovo con entrambe le katana.
Si trovò svantaggiato: quella spada aveva il filo su entrambi i lati, poteva attaccare da ogni lato. Le katana avevano il filo solo da un lato: potevano attaccare solo da un verso.
Gli avevano sempre garantito la vittoria contro i suoi nemici: ma i templari non erano come i loro soliti nemici. Il loro stile di combattimento era totalmente diverso da quelli contro cui lui ed i suoi fratelli erano soliti confrontarsi.
Con l’aiuto dello scudo, Eliseo deviò di nuovo le spade avversarie da un lato; poi si girò, eseguendo un nuovo fendente orizzontale, sempre tenendo le katana a contatto con lo scudo.
Leonardo si abbassò di nuovo, evitando la possibile decapitazione. Poi, restando in basso, eseguì un calcio ascendente, mirato all’elmo dell’avversario, che schivò scattando all’indietro.
Decise anche il templare di sferrare un calcio, ma Leonardo tornò in piedi e lo evitò; usò, quindi, di nuovo lo scudo come tirapugni, ma anche quello fallì. Tentò con un colpo obliquo discendente, e Leonardo saltò, ma sullo scudo, sferrandovi due calci per far sbilanciare l’avversario.
Il contrattacco fu inutile. Eliseo non mollava, nemmeno era intenzionato a perdere. I suoi attacchi diventavano sempre più frequenti e potenti.
Il loro combattimento era uno spettacolo degno di ogni torneo Nexus disputato dall’inizio dei tempi: Eliseo attaccata e Leonardo schivava con delle acrobazie. Gli spettatori erano con il fiato sospeso, non sicuri per chi tifare, se per il campione Leonardo o per l’emergente Eliseo.
Persino nel punto panoramico nessuno sapeva cosa dire: restavano in silenzio. Michelangelo aveva persino le mani in bocca, tagliandosi le unghie con i denti da quanto era nervoso per la sorte del combattimento.
Leonardo decise di tornare all’attacco: sferrò un attacco obliquo con entrambe le katana, parato dallo scudo del templare.
-Sei molto forte, sai?- complimentò, mentre roteava le sue armi -Non sono molti gli avversari che mi mettono in difficoltà così!-
Ogni attacco veniva parato con lo scudo.
“Dovrebbe essere sfinito…” pensò Leonardo, notando i movimenti del suo avversario “Da dove prenderà la sua energia?!”
Eliseo, come risposta, allungò velocemente la spada in avanti: un affondo.
Leonardo fu abbastanza rapido da piegarsi ed eseguire un’acrobazia all’indietro, atterrando sulle ginocchia e puntando le katana in due punti paralleli.
“Non ha punti scoperti…” pensò, in seguito “Lo scudo non si distacca da sé, e lo protegge da qualunque parte. E ciò che non può proteggere con lo scudo lo protegge con la spada. Questi cavalieri sono formidabili.” Poi si ricordò di un particolare; stava per risvegliare lo stratega in lui “O forse no… In effetti, un punto scoperto ce l’ha.”
Roteò le sue armi, finendo per incrociarle. Eliseo mise la sua, di spada, proprio al punto dove le katana formavano la “X”, facendo forza anche con lo scudo.
Non potevano fare di nuovo pressione: il templare separò le katana con l’elsa, con una mossa secca verso l’alto. Poi diede un calcio in pieno ventre al suo avversario.
Leonardo cadde, ma si rialzò con un slancio in avanti, tornando in piedi.
Attese che Eliseo si facesse più vicino e facesse il suo attacco. Anziché parare, scattò in avanti, evitando l’attacco verticale; la sua direzione non era il suo lato destro, ma sinistro, dove teneva lo scudo.
“Cosa?!” pensò Eliseo, sorpreso.
La lama della katana era entrata nella cinghia che legava lo scudo al cavaliere; con una mossa decisa, lo recise.
-IMPOSSIBILE!- esclamò Eliseo, esterrefatto, sgranando gli occhi da dentro l’elmo.
Anche David si allarmò.
-Ha tagliato la cinghia…!- esclamò, sorpreso.
Lo scudo non era più legato al cavaliere: rimanevano solo le cinghie che lo legavano al braccio ed alla mano.
Aveva più libertà di movimento, ma una parata sbagliata lo avrebbe esposto ad ogni attacco.
Infatti, Leonardo tentò di colpirlo con un fendente verticale: Eliseo non lo parò, ma lo schivò.
Poteva contrattaccare con il filo debole, ma avrebbe impiegato troppo tempo: tentò di nuovo il colpo diretto con lo scudo.
Leonardo si abbassò: il braccio del suo avversario era proprio sopra di lui. Lo osservò, quasi sorridendo.
Dal punto panoramico, David intuì le intenzione del ninja; per la prima volta, si poté leggere l’inquietudine nel suo volto.
-SPOSTATI, ELISEO!- esclamò.
Splinter si stupì del suo atteggiamento: sembrava preoccupato. E dal suo tono non sembrava stesse dando un semplice avvertimento, ma una questione di vita o di morte.
Eliseo non riuscì ad udire il suo Magister; ma gli bastò guardare in basso per impallidire: Leonardo si era girato su se stesso, e con una katana recise anche le cinghie che legavano lo scudo al braccio del cavaliere.
-NO!- esclamò quest’ultimo.
Lo scudo templare si rivoltò e cadde, ma non per terra: Eliseo teneva ancora stretto in mano un lembo della cinghia.
Frustrato, diede una ginocchiata alla tartaruga, cui colpì sotto il mento. Si allontanò dal templare, eseguendo delle acrobazie, e poi tornò in posizione di combattimento.
-TI HO SEMPRE DETTO DI NON USARE LO SCUDO COME ARMA, MA COME DIFESA!- rimproverò David.
Era davvero arrabbiato e frustrato. Fino ad allora era calmo e sicuro: aveva preso a cuore quel torneo.
Splinter lo osservava sempre più sospetto.
“Mi ha tagliato lo scudo…” pensò Eliseo, frustrato, ed osservando il pezzo della cinghia che teneva stretto in mano “Ora sono senza difesa… o forse no… Ho ancora la mia spada e non ho intenzione di perdere!”
Osservò in avanti: Leonardo stava caricando, con le spade pronte all’attacco.
Eliseo strizzò gli occhi e strinse i denti, trattenendosi dall’urlare: mise la mano sinistra dietro la gamba, stringendo bene la cinghia, e poi lanciò lo scudo contro l’avversario.
Lo scudo si avvicinava sempre più a Leonardo, girando su se stesso, orizzontalmente, come un frisbee o uno shuriken.
I fratelli erano preoccupati.
-LEO, ATTENTO!- esclamò Donatello.
L’attacco aveva stupito persino Leonardo, ma non arretrò: anzi, corse sempre più veloce. Schivò lo scudo con una scivolata sulle ginocchia, toccando il suolo con il guscio, e sfiorandolo con il cranio.
Il tifo per lui si fece più rumoroso, soprattutto quello dei suoi fratelli, che urlarono di gioia alla sua mossa.
-GRANDE LEO!- esclamò Michelangelo, saltando con Donatello.
-ORA NON HA PIU’ LO SCUDO A DIFENDERLO! SEI IN VANTAGGIO! MOSTRAGLI COSA SIGNIFICA METTERSI CONTRO LE TARTARUGHE NINJA!- aggiunse Raffaello, competitivo.
Quelle incitazioni provocarono i templari: Carmine e Giacomo si fecero più seri e serrarono le labbra.
-CORAGGIO, ELISEO!- urlò il secondo -FAI VEDERE A QUELL’ESSERE LA VERA FORZA DEI TEMPLARI!-
Eliseo era rimasto senza scudo: dovette usare la sua spada come scudo, per contrastare il colpo del ninja.
Le due katana erano parallele, ed erano state bloccate dalla spada. Per fare più resistenza, al posto dello scudo, Eliseo usò il suo braccio sinistro, ugualmente corazzato. Prima era riuscito a parare e deviare entrambe le katana con la sua sola spada, seppur a fatica. Stava, infatti, per cedere.
Ma poi giunse l’ultima parata.
Lo svantaggiato era proprio Eliseo, in quel momento: una spada medievale ad una mano contro due katana.
Doveva trovare il modo di pareggiare la situazione.
Spinse di nuovo l’avversario, facendolo barcollare. Ma Leonardo non si arrese: incrociò una katana contro la spada.
Eliseo sorrise, dietro l’elmo: tenendo ben stretta la presa sull’impugnatura, girò la sua spada, facendo una spirale. La katana girò con essa.
E con un rapido giro di polso, fu separata dalla mano di uno stupito ed inerme Leonardo, cadendo ad alcuni metri di distanza.
In quel momento, fu il gruppo templare ad esultare.
-BEL DISARMO! GRANDE!- esclamò Carmine, stringendo i pugni, in segno di vittoria.
Le tre tartarughe e Splinter rimasero basiti da quella mossa; e Leonardo non era facile da far disarmare.
Era stato preso alla sprovvista, ma non si arrese: impugnò la seconda katana con entrambe le mani. Lo stesso fece Eliseo con la sua.
Solo una spada a testa: ora combattevano davvero ad armi pari.
Si osservarono di nuovo, determinati.
Era la resa dei conti.
Il combattimento decisivo.
Il ninja e la templare scontrarono le loro spade un’ultima volta: dopo una prima parata simultanea, Eliseo decise di adottare nuovamente la strategia offensiva. Tentò persino di colpire alle spalle il suo avversario, spingendo sul gomito del braccio con cui teneva la katana, facendolo voltare, ma lui fu abbastanza rapido e pronto per prendere la spada col braccio libero e proteggersi il guscio.
Poi parò di nuovo, ma deviò la spada avversaria verso il basso, e facendo abbassare il suo portatore.
Eliseo era bloccato. E stava perdendo le forze.
Cercò di spingere, liberandosi dalla presa, invano.
Poi, un lampo: cambiò modo di impugnatura. Impugnò la spada al rovescio.
Aveva una resistenza migliore, in quel modo: poteva liberarsi dalla sottomissione.
Spinse l’impugnatura anche con la mano sinistra e fece leva con il suo corpo, per allontanare la katana da lui e colpire Leonardo con un pugno sul petto, che lo fece scaraventare a pochi passi da lui.
Cadde per terra, supino.
Tra la folla cadde il silenzio. Anche tra i tifosi di Eliseo.
Splinter impallidì.
-FIGLIOLO!-
Anche i suoi fratelli.
-OH, NO! LEO!- esclamò Raffaello, preoccupato.
-LEONARDO!- fece Donatello, dello stesso umore.
-AH! AIUTO! LO FARA’ A PEZZI!- urlò Michelangelo; si coprì gli occhi con le mani -NON OSO GUARDARE!- ma lasciò una fessura aperta nella mano destra -OSO.-
Leonardo era immobile, nemmeno volle aprire gli occhi: il pugno era stato molto forte, quasi fatale.
Forse era finita: forse Eliseo aveva vinto.
Questo sollevò David e lo fece sorridere.
Anche Carmine e Giacomo avevano la vittoria in pugno.
Ma Federico non provò nulla, né gioia né tristezza: si limitava ad osservare il torneo, preoccupato, pregando per il confratello.
L’arbitro non era ancora apparso: il torneo era ancora in atto.
Doveva dare il colpo di grazia, pensò Eliseo, stringendo la spada ancora una volta.
La puntò in avanti, correndo verso l’avversario inerme.
No, non era inerme. Riaprì gli occhi. Ma avvertì un forte dolore alla testa e un senso di vertigine. Il pugno lo aveva tramortito. Ma non era sconfitto.
Osservò in avanti: notò Eliseo caricare contro di lui, con la spada in avanti.
“No, non deve finire così.” pensò, aggrottando le sopracciglia.
Eliseo era sempre più vicino, deciso a finirlo.
Leonardo alzò la katana nel momento giusto: la spada medievale venne sbilanciata in avanti. Così il cavaliere, sorpreso da quella risposta.
Inoltre, i piedi del ninja poggiarono sulla pettorina, spingendo dietro di lui con tutta la forza rimastagli.
Eliseo fece un volo lungo quattro metri, prima di atterrare sull’arena. Nell’impatto, rotolò per un metro.
Era sempre più furioso, ed era pronto a contrattaccare, ma si rese conto di non avere più alcuna arma in mano: la sua spada era lontana rispetto a dove era atterrato. Magari l’aveva persa nell’impatto.
Ma non si mosse: Leonardo era proprio di fronte a lui. Aveva recuperato la seconda katana e stava puntando l’altra verso il suo elmo.
Eliseo era in trappola.
Non poteva più muoversi. O reagire.
Aveva perso lo scudo.
Aveva perso la spada.
Aveva perso.
L’arbitro, finalmente, apparve, da una bolla d’acqua.
Alzò il ventaglio rosso e bianco.
-Il torneo è concluso!- annunciò –Il vincitore del Nexus Battle è Leonardo Hamato!-
La folla si alzò, tra urla ed ovazioni.
Anche Donatello, Michelangelo e Raffaello esultarono, saltando. Anche Usagi, Gen e Traximus si unirono a loro, contenti della vittoria di Leonardo.
Lo stesso non si poteva dire dei templari. David era tornato inquieto e deluso. Carmine e Giacomo sentirono come se il mondo si fosse sgretolato sotto i loro piedi.
Eliseo batté un pugno sul suolo, ringhiando.
-Maledizione!- esclamò, in italiano.
Non notò più la lama della katana di fronte al suo elmo, ma la mano del suo avversario.
Sorrideva. Ma non in modo derisorio.
Era un sorriso cortese. Ed un aiuto a rialzarsi.
-E’ stato un bel combattimento.- disse, con tono calmo e gentile.
Eliseo non ricambiò: abbassò lo sguardo e con esso l’elmo. Si rialzò da solo, senza prendere la mano del ninja.
-Grazie.- si limitò a dire, con un cenno della testa. Poi camminò, in direzione della porta che portava alla Sala degli Eroi, passando accanto a Leonardo, senza incrociare il suo sguardo.
Questi lo seguì con lo sguardo, voltandosi, cupo in volto.
La sconfitta non è mai facile da accettare. Che sia una disciplina sportiva o altro.
Leonardo era di nuovo campione del Nexus Battle.
Si riunirono tutti, nell’Arena, il Daimyo, suo figlio, l’arbitro, e tutti i guerrieri partecipanti, con l’eccezione dei feriti gravi.
Tutti riuniti per celebrare il vincitore.
Il Daimyo mise la corona di alloro sulla sua testa.
E l’arbitro gli passò il trofeo.
-Congratulazioni, campione!- annunciò il Daimyo, cedendo il trofeo a Leonardo.
Era sempre un trofeo di vetro, dalla forma particolare, con la base dorata. Come quello che aveva vinto tre anni prima, e come quello che Michelangelo aveva vinto sei anni prima.
Lo alzò in cielo, sorridendo, soddisfatto.
Il resto dei guerrieri applaudì, mentre la folla esultava.
Anche il gruppo templare applaudì, seppur di malavoglia. Ma non dovevano mancare di rispetto agli altri guerrieri.
La rabbia e la delusione erano ben percepibili negli occhi di David.
Ma nessuno vi diede peso.
Erano tutti intorno a Leonardo, per fargli i complimenti; Raffaello si permise persino di strofinargli la testa con un pugno, e Michelangelo simulò una scena drammatica per esprimere il suo rammarico di non aver vinto.
-Mi dispiace, Magister…- fece Eliseo, osservando quello “spettacolo” con aria disgustata e delusa –Mancava così poco…-
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
-Ne riparliamo quando torniamo a casa…- mormorò, quasi sibilando.
Splinter si stava avvicinando a lui. Sembrava sollevato. Dopotutto, a vincere il Nexus era stato uno dei suoi figli.
-Beh, vecchio amico, anche questo Nexus è passato…- disse, sorridendo –E’ stato bello combattere di nuovo con te, come ai vecchi tempi.-
Anche David sorrise, nascondendo, per un attimo, i suoi sentimenti negativi.
-Anche per me è stato un onore combattere di nuovo con te. Mi sono mancate queste emozioni.- rispose –E congratulazioni. I tuoi figli sono davvero formidabili. Li hai allenati bene.-
-Grazie. Ma anche i tuoi allievi non sono da meno. E tu, Eliseo, hai combattuto bene. Non sono in molti a tenere testa a Leonardo in quel modo.-
Eliseo non rispose: aveva ancora lo sguardo cupo e deluso. Fece solo un cenno della testa, come ringraziamento.
In quel momento, dei portali si aprirono alle spalle di ciascun combattente.
-Beh, è ora di tornare a casa.- annunciò David.
-Allora alla prossima, vecchio amico.- salutò Splinter, stringendo la mano al templare –E, ti prego, non essere così duro con tuo figlio. I figli sono un grande dono. Dovresti essere grato al tuo Dio per averne uno.-
Federico, in quel momento accanto al padre, fissò il topo con i suoi occhi quasi gialli, esprimenti indifferenza.
-Ah, Splinter, scusami ancora per quello che ti ho detto prima. Non avrei dovuto rivolgermi a te in quel modo.- ricordò David, scuotendo la testa, quasi imbarazzato.
Ma Splinter non sembrava turbato.
-Va tutto bene, David, non importa. Eri deluso dalla tua sconfitta. Anzi, sono io a chiederti scusa. Non dovevo intromettermi.-
Anche le quattro Tartarughe si unirono al maestro.
-Wow, è stata un’impresa uscire da quella folla…- ridacchiò Leonardo, con il trofeo ancora stretto in mano; notò i templari, e parlò con loro –E’ davvero un peccato che il Nexus sia finito. Non mi sarebbe dispiaciuto passare altro tempo con voi.-
David accennò di nuovo un sorriso.
-Ci saranno altre occasioni, caro Leonardo.- disse –Se hai la pazienza di aspettare altri tre anni.-
-Coraggio, figlioli.- invitò Splinter -Salutate i templari.-
Si salutarono l’un l’altro stringendosi le mani, come due squadre di basket alla fine della partita.
Michelangelo osservò attentamente Eliseo, mentre gli stringeva la mano: si era tolto la cotta di maglia dalla testa, e i suoi capelli erano scoperti. Erano a caschetto, sopra castano chiaro e sotto castano scuro.
Quella tonalità chiara… Michelangelo ebbe l’impressione di averla già vista, in passato…
Gli occhi scuri del templare lo osservavano freddi.
-Quella tra di noi è stata una bella battaglia!- esclamò Raffaello, stringendo la mano di Giacomo, sorridendo –Mi sono proprio divertito!-
-Anche io. Non mi capitano spesso avversari come te.-
Giacomo si stava sforzando di sorridere. Ovvio che lui non si era divertito. Aveva perso.
Leonardo salutò l’ultimo templare, stringendogli la mano.
Improvvisamente, vide tutto bianco. Per un secondo.
Poi osservò in avanti: aveva Federico, il figlio di David, di fronte a sé. Anche lui appariva sorpreso e confuso.
-Coraggio, dobbiamo tornare a casa.- annunciò David, invitando gli allievi a varcare il portale che li avrebbe condotti verso la loro dimora.
Uno per uno attraversarono il portale. L’ultimo fu David stesso. Aveva nuovamente lo sguardo freddo, deluso, furioso. E guardava indietro, verso Splinter.
Questi notò di essere osservato: ricambiò lo sguardo.
-Certo, che tipi…- commentò Donatello, incrociando le braccia.
-Già, mettono quasi i brividi.- aggiunse Raffaello.
Michelangelo non disse nulla, stranamente: rimase in silenzio, in posa riflessiva.
Non era da lui.
Qualcosa lo preoccupava.
Anche Leonardo era con lo sguardo fisso nel vuoto. Si osservò la mano, inquieto.
Sentì qualcosa toccargli la spalla: Usagi. Ancora zoppicava, ma le sue ferite non erano così gravi da non avere più la forza di camminare.
-Congratulazioni, Leonardo-san. Ero sicuro che avresti vinto di nuovo.- complimentò, stringendo anche lui la sua mano, sorridendo.
-Sì, e mi hai anche fatto vincere una bella somma! Guarda qui!- aggiunse Gen, mostrando il suo sacchetto, come sempre tintinnante di monete.
-E’ stato un bel combattimento, quello fra te e il templare.- anche Traximus si era avvicinato alle Tartarughe per rivolgere i complimenti al vincitore. Forse con una lieve nota di invidia, essendo stato lui eliminato proprio da un templare.
Leonardo sorrise a tutti loro, imbarazzato.
-Beh, grazie a tutti.-
-Ehi, che aspettiamo? Non torniamo a casa?- annunciò Donatello.
Stranamente, non era stato Michelangelo a dirlo: era ancora serio e pensieroso. Non era comune vederlo in quel modo. Non senza poi provare una specie di esplosione cerebrale, come diceva sempre Raffaello.
-Fate buon viaggio di ritorno.- salutò il Daimyo, rivolto a tutti i guerrieri, specialmente al campione. Il figlio salutò con la mano ognuno di loro.
Anche per le Tartarughe era giunto il momento di tornare a casa.
Leonardo fu di nuovo trattenuto da Usagi.
-Aspetta, Leonardo-san. Devo dirti una cosa.- sembrava preoccupato; e turbato.
Leonardo, di conseguenza, si allarmò.
-Qualcosa non va?-
-Stai molto attento, da ora in avanti, Leonardo-san. Un nuovo pericolo sembra minacciare il tuo pianeta. Tieni il tuo trofeo al sicuro.-
La Terra in pericolo? Di nuovo? E cosa c’entrava il trofeo del Nexus in tutto?
Volle chiedere spiegazioni, ma il suo braccio venne afferrato dalle mani di Raffaello, che lo tirò verso il portale.
-Andiamo, Leo! Non vorrai rimanere qui!-
-No, aspetta, Raph!-
Attraversò il portale: in un attimo, Splinter e le Tartarughe tornarono a casa, nelle loro fogne.
Erano passati tre giorni, nella Terra. Il tempo scorreva diversamente nel Nexus.
Donatello si stirò.
-Beh, anche questo Nexus è passato. E Leo ha vinto. Per la seconda volta. Festeggiamo?-
-Perché no? Ehi, campione, tu che dici?-
Leonardo non rispose: continuava ad osservarsi la mano, inquieto.
Il bagliore bianco. E poi una voce, nella sua mente, dirgli “Ti ho trovato!”.
La voce di un uomo adulto.
Inoltre, cosa intendeva Usagi con “La Terra è di nuovo in pericolo”? Come sapeva che qualcosa stava minacciando la Terra?
-Pronto?- continuò Raffaello, mettendo la mano a conchiglia fra la sua bocca e l’orecchio del fratello –Vuoto di memoria? Tu campione Nexus per seconda volta! Sorridi!-
Leonardo sobbalzò. Osservò il fratello con aria severa.
-Oh, piantala Raph!- gli mostrò il trofeo, frustrato –Guarda cosa hai combinato con la tua impazienza! Strattonandomi, hai rovinato il trofeo!-
In effetti, il vetro era incrinato.
Raffaello ridacchiò, imbarazzato, come per dire “Scusa…”.
Splinter alzò una mano, invitando alla calma.
-Calmatevi, figlioli.- disse –Sì, vostro fratello ha ragione. Il nostro Leonardo ha vinto di nuovo il Nexus. E un po’ di riposo non ci farà male, dopo tanti combattimenti.-
-Sì, e occorre uscire subito da qui, prima che Mick abbia un'esplosione cerebrale.-
Donatello non aveva torto: Michelangelo, infatti, non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro, con sguardo serio e riflessivo, dal loro ritorno sulla Terra.
-Dove l’ho già visto…? Dove l’ho già visto…?- continuava a domandarsi. Quel templare, Eliseo, era diventato la sua ossessione.
Eliseo… aveva un volto familiare… come il colore dei suoi capelli.
-Forse la botta che ha preso è stata davvero forte.- ipotizzò Raffaello, sarcastico.
Leonardo sorrise per la prima volta da quando era tornato sulla Terra. Per prima cosa, doveva posare il trofeo e la corona di alloro.
Osservò nuovamente il trofeo e si stupì.
-Ragazzi! Guardate!-
Si voltarono tutti e si avvicinarono al fratello, anche Michelangelo, distolto dai suoi pensieri. Anche loro notarono la stessa cosa: il vetro cui era composto il trofeo era incrinato, ma era diventato più trasparente. Notarono una piccola sagoma, alla base.
-C’è qualcosa dentro il trofeo…- notò Donatello, aguzzando la vista –Sembra una tazza.-
Con le incrinature, era complicato definire la forma esatta dell’oggetto all’interno del trofeo del Nexus.
C’era solo un oggetto di colore scuro. Impossibile definire il materiale. Ma sembrava davvero una tazza. O un bicchiere.
Michelangelo, come suo solito, sminuì.
-Sarà un trofeo dentro un trofeo!- ipotizzò; era tornato del suo solito umore -Un doppio premio per il nostro Leonardo che ha vinto per la seconda volta!-
I fratelli gli rivolsero sguardi buffi, come erano soliti fare quando apriva bocca e sparava le sue teorie più assurde.
-Nah, Don, è troppo tardi.- avvertì Raffaello, prima di afferrare la testa di Michelangelo e strofinarla con un pugno –Il cervello di questo qua è già esploso e ora dalla sua bocca escono solo deliri senza senso!-
-Ahi! Smettila! Mi fai male!-
Sì, sentiva dolore, ma rideva. Tutti e tre risero. Tranne Leonardo.
Non smetteva un attimo di pensare alle parole di Usagi, al bagliore ed alla voce. Ed il trofeo… prima opaco, e poi improvvisamente trasparente, con un oggetto al suo interno. Non era mai successo un evento simile.
Magari Donatello avrebbe saputo elaborare una teoria più concreta.
La mano di Splinter toccò amorevolmente la sua mano.
-Figliolo, qualcosa ti turba?- domandò, preoccupato.
La tartaruga non negò, nemmeno mentì.
Qualcosa lo inquietava. E nessuno era meglio di Splinter ed i suoi fratelli ai quali rivelarlo.
-Maestro Splinter, io… credo che la Terra sia di nuovo in pericolo…- disse, cupo.
Anche Splinter si incupì. La stessa espressione che aveva quando qualcosa lo preoccupava.
-No… quanto ho sperato che non fosse così…- mormorò, scuotendo la testa.
La sua reazione allarmò Leonardo.
-Perché, Splinter? Hai… percepito qualcosa?-
-Da tempo l’ho percepito. E speravo fosse solo un’impressione. Ma, sentendo le tue parole, ho paura che dovremo di nuovo affrontare un nemico…-
Nel frattempo, nella base momentanea templare, l’atmosfera era pesante tra i fedeli. Soprattutto tra il Gran Maestro ed i templari scelti per partecipare al Nexus.
-Stupidi! Stupidi! Stupidi!- esclamava David, furibondo.
Giacomo, Carmine, Federico ed Eliseo erano di fronte a lui, in ginocchio, con lo sguardo basso.
Anche il resto dei templari era lì presente, assistendo alla scena.
-E dire che vi avevo avvertito! Questo torneo era importante, per l’ordine! E voi fallite!- si fermò di fronte al figlio –Tu mi hai deluso, Federico. Perché continuo a sperare nelle tue ipotetiche capacità? Ti sei fatto battere… da un coniglio.-
-Un coniglio samurai.- chiarì il ragazzo, giustificandosi, senza guardare il padre negli occhi –Era molto veloce.-
David gli diede uno schiaffo molto forte, senza indugio, che lo fece cadere. Eliseo sobbalzò.
-Non ti azzardare a trovare scuse per la tua inettitudine!- ribatté David, sempre più furioso –Hai perso perché sei un incapace! Ancora mi domando perché abbia deciso di iscrivere anche te nel torneo…-
Federico tornò in ginocchio, in silenzio, mostrando cristiana rassegnazione. Non reagì. Non era la prima volta in cui veniva picchiato dal padre. Sulla sua guancia era già presente il segno rosso del colpo.
-E Carmine… il tuo compito era semplice! Dov’è che hai sbagliato?-
Il ragazzo bruno non disse nulla. Abbassò lo sguardo. Ma con la coda dell’occhio notò la delusione nel volto del padre Luigi.
-Almeno una parte del piano è andata a buon fine, non è così?- interruppe l’Andrea anziano, freddo –Eliminando una parte dei semifinalisti, almeno, vi ha fatti raggiungere la finale più velocemente.-
-Avrebbero dovuto eliminarli TUTTI i semifinalisti!- ribatté David –Il Graal sarebbe stato nostro! Non è così, Elisabetta?-
Eliseo, o meglio, Elisabetta alzò lo sguardo, verso il Gran Maestro.
-Te lo sei lasciato sfuggire… ed eri quella più vicina ad ottenerlo…- sibilò, guardandola in faccia –E ti sei fatta ingannare da un trucco così elementare… ora, dimmi, Elisabetta, dovrei essere fiero di te?-
Gli occhi scuri della ragazza osservavano il vuoto: non riuscivano a sostenere lo sguardo inquisitorio del Gran Maestro. Scosse la testa con un movimento scattoso.
Lui sorrise, dandole dei colpetti sulla guancia.
-Brava ragazza…- sibilò, compiaciuto.
Si rialzò, dando le spalle ai quattro cavalieri.
-Ma ho sconfitto un triceraton…- disse la ragazza, frustrata; lo stesso tono di una persona che, nonostante i suoi sforzi, sapeva che non avrebbe mai avuto gratitudine o lodi –Ho rischiato di spaccarmi le ossa, per raggiungere la finale. Ho eseguito i tuoi ordini, uccidendo e ferendo dei semifinalisti. Questo non è abbastanza?-
David si limitò solo a voltarsi, fulminando la templare con lo sguardo.
Fu Luigi a prendere la parola.
-Come osi parlare al Gran Maestro in questo modo?!- esclamò, offeso; in mano aveva una frusta a più corde, un gatto a nove code –Non sei che un’ingrata viziata! Tutti voi meritereste la fustigazione per il vostro fallimento! Tu più di tutti!-
-Aspetta!- la voce di David sembrò aver fermato non solo Luigi, ma anche il tempo stesso -La fustigazione non è necessaria.- si voltò di nuovo verso i quattro cavalieri; il suo sguardo era diretto verso l’unica femmina; sorrise in modo maligno, incrociando le braccia -Dopotutto, sei pur sempre uno dei miei migliori cavalieri, Elisabetta. Potrei ancora fare buon uso di te…-
La ragazza impallidì al suo sguardo.
 
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Un nuovo pericolo minaccia la Terra? Quindi il trofeo del Nexus è il Graal così cercato e agoniato dai templari?
Che ruolo avranno le Tartarughe in questa storia? Cosa riguarda la visione di Leonardo?
Quale destino attenderà Elisabetta? La sua strada si incrocerà di nuovo con quella delle Tartarughe?

 

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Capitolo 4
*** La templare ***


Note dell'autrice: scusate, forse questo capitolo mi è riuscito male... E... sono presenti spoiler sulle stagioni "Fast Foward" e "Back To The Sewer"; quindi leggete a vostro rischio e pericolo... XD


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Leonardo si risvegliò di soprassalto.
Non era più nella sua stanza.
Era in un bosco. Un bosco desolato. Divorato dal fuoco, a giudicare dai tronchi scuri, distrutti a metà.
Qualunque cosa fosse avvenuto lì, aveva lasciato solo miseria e desolazione.
E tutto era circondato da una nebbia, grigia a causa della cenere lasciata dal fuoco.
Quel luogo incuteva angoscia e malinconia.
Leonardo non sapeva dove osservare: quel luogo era vuoto.
E non brillava nemmeno il sole. Tuttavia, notò un’ombra nel terreno.
L’ombra non era la sua. Avanzava, allontanandosi sempre di più dal ninja.
Ma lui, come ipnotizzato, la seguiva. Non sapeva perché.
-Segui la mia ombra…- sentiva, nell’aria. O nella sua mente. –Solo seguendola potrai essere salvo.-
Non sapeva se credergli: quell’ombra poteva portarlo in un luogo sicuro. O verso morte certa.
Ma lui continuava a seguirla.
Svaniva e compariva. Non era un’ombra normale.
-Dove mi trovo…?- domandò Leonardo, con un filo di voce, ancora con lo sguardo basso, come fosse ipnotizzato.
Quella stessa forza lo obbligava ad alzare lo sguardo: qualche passo più avanti, una sagoma.
Una figura umana incappucciata.
Leonardo non ne vide accuratamente la fisionomia.
Ma notò che gli stava porgendo la mano.
-Non devi avere paura, Leonardo…- disse la figura misteriosa; era una voce giovane, di un ragazzo qualche anno più giovane di lui –Devi fidarti di te stesso.-
Leonardo si avvicinava sempre di più, allungando la sua mano.
Ancora non riusciva a vedere in faccia il suo interlocutore.
Ma gli toccò la mano.
In un bagliore, un’altra visione: un’altra figura, avvolta in un mantello, lontano da lui, che gli dava le spalle.
Un lampo.
Sussultò. Si svegliò, ansimando.
Era nella sua stanza. Nel suo letto.
Il cuore gli batteva molto velocemente.
Si mise seduto. Si osservò di nuovo la mano.
A causa della visione del giorno prima, aveva faticato a prendere sonno.
Osservò la Tarta-Sveglia: erano le 5:45 del mattino.
Aveva dormito solo due ore.
Tuttavia, era ancora troppo agitato per provare a dormire ancora per un’ora.
Si alzò, si lavò il volto e si posizionò al centro del ring, con le sue katana strette in mano.
Decise di concedersi la sua solita sessione di allenamento del mattino.
Per scacciare ogni timore, ogni dubbio.
Era da una settimana che faceva il solito sogno: il bosco desolato, l’ombra e quel ragazzo incappucciato che gli porgeva la mano, dicendogli di non avere paura…
Quella notte, però, qualcosa era cambiato: fino ad allora, si svegliava sempre prima di toccare la mano del ragazzo.
Non ne aveva mai parlato con i suoi fratelli, tantomeno con Splinter. Non voleva che si preoccupassero per un semplice sogno.
Fino ad allora, non vi aveva dato particolare peso: poteva capitare di fare lo stesso sogno più notti. Per tutta la settimana il suo pensiero era fisso sul Nexus Battle; questo lo aveva sottoposto ad una condizione di stress tale da portarlo a fare lo stesso sogno.
Forse, appena finito il Nexus, tutto sarebbe tornato alla normalità.
Ma non fu così: la visione, il bagliore… cosa potevano significare?
E poi quel seguito del suo sogno…
Non potevano essere un caso.
“Ti ho trovato!”
Più di ogni altra visione che aveva avuto in tutta la sua vita, quella voce lo stava tormentando, dall’interno.
Risuonava nella sua testa. Continuamente.
Era una voce familiare, confortante.
Non era una frase minacciosa, quanto di sollievo. Esattamente lo stesso tono di una persona che aveva ritrovato una persona a lui cara, dopo anni e anni che la cercava.
“Ti ho trovato!”
Sembrava non sentire altro; esasperato, si mise le mani sulle tempie.
-No, basta! Esci dalla mia testa!- esclamò.
Per un attimo, nella sua mente regnò il silenzio.
Si rese conto di essere a casa sua, nelle fogne di New York. Ed era ormai l’alba.
Infatti, cominciò a sentire i primi sbadigli provenire dalle stanze dei fratelli.
Michelangelo fu il primo ad uscire dalla sua, infatti.
-Yaaawn. Ehi, Leo, ma ti sembra il modo di urlare a quest’ora?- lamentò, ancora nei fumi del sonno –E io che volevo dormire un po’ di più, oggi…-
Leonardo si morse il labbro inferiore, imbarazzato: aveva urlato inconsciamente. Aveva permesso ai suoi timori di prevalere su di lui.
Scosse la testa.
-Forse è solo scarico di nervi…- disse a se stesso, per sollevarsi il morale e darsi coraggio. Non doveva avere esitazioni nel suo percorso di ninja. Meglio per lui mettere l’angoscia provata nel sonno da parte e concentrarsi sulla realtà.
-Scusatemi tutti.- disse, rinfoderando le katana –Ho dormito male e avevo bisogno di allenarmi per distrarmi un po’.-
-E non solo con le spade, a quanto pare…- aggiunse nuovamente Michelangelo, sarcastico; si stirò le braccia –Oh, beh, visto che siamo tutti svegli, vado a preparare la colazione. Uova strapazzate per tutti.-
Splinter bloccò la sua strada con il bastone.
-No, Michelangelo.- disse, secco, e serio in volto.
La tartaruga sbuffò, rassegnato, come se costretto a fare qualcosa controvoglia.
-Oh, andiamo, Maestro Splinter, dobbiamo proprio? Ci dobbiamo ancora riprendere da ieri…-
Nonostante il Nexus fosse finito e Leonardo ne fosse uscito vincitore, per Splinter non era una buona scusa, per i figli, sedersi sugli allori e oziare.
Il miglior riposo di un guerriero era l’allenamento, soleva dire.
Non ai livelli della preparazione al Nexus, si intende.
Si trattò di un semplice allenamento basato sull’equilibrio: erano stati sistemati dei paletti alti due metri e mezzo nella sala addestramento. Paletti su cui le tartarughe dovevano stare sopra con una gamba sola e saltare da uno all’altro, senza cadere.
Un allenamento semplice, giusto per tenere il corpo allenato, e non farlo cadere nel torpore dell’ozio. Niente armi.
Solo equilibrio.
Leonardo eseguì senza obiettare; a Raffaello scocciò non poter combattere; Donatello sbuffò per esprimere il suo disappunto, senza farsi vedere, avendo pianificato, quella mattina, di tornare ad operare nel suo laboratorio; e, ovviamente, Michelangelo si lamentò, dicendo che non si era ancora ripreso dal Nexus e gli serviva ancora riposo.
Ma tutti eseguirono ugualmente l’esercizio: nessuno osava obiettare Splinter. Sapeva essere alquanto severo con le punizioni. E nessuno di loro era in vena di punizioni o ramanzine.
Passarono due ore. Il sole era ormai sorto a New York.
Ma le tartarughe erano ancora sopra i pali, facendo il possibile per non cadere.
-Più fluidi quando saltate, figlioli!- diceva Splinter, per correggerli –In tutti questi anni non lo avete ancora imparato…-
-Ci siamo appena svegliati, Sensei!- chiarì Michelangelo.
-Non voglio sentire scuse!-
I tre fratelli sospirarono: per tutto il tempo non aveva fatto altro che sbuffare e lamentarsi.
E “mi sono appena svegliato”, e “il prossimo lo farò meglio”, e “mi fanno male le braccia da ieri”… per tutta la durata dell’esercizio.
Splinter si innervosiva ad ogni lamentela; si stava allenando anche lui a mantenere la pazienza e combattere l’istinto di prendere il figlio a bastonate.
Poi, drizzò un orecchio e annusò per aria: una presenza nelle fogne.
Dei passi. Di tre persone.
Qualcuno stava entrando nel loro rifugio.
-E’ permesso? C’è nessuno?-
Una voce maschile a loro ben nota. E ben gradita.
Dall’ombra apparvero un uomo alto e muscoloso in compagnia di una donna incinta con indosso un abito lungo di lana.
-Casey!- esclamarono le quattro tartarughe, in coro –April!-
Dove andava Casey, April lo seguiva. E viceversa. Un’altra persona era con loro.
Corse verso Splinter, sorridendo.
-Nonno Splinter!-
Un bambino era entrato nel rifugio insieme ai coniugi Jones, tenendo la donna per mano, per poi correre verso il ratto: un bambino di tre anni dai corti capelli corvini e occhi color giada che brillarono alla vista delle tartarughe e del ratto.
Splinter lo prese in braccio, sorridendo.
-Hop!- il bambino era a pochi centimetri dal suo volto: assomigliava in modo impressionante a Casey, se non fosse stato per il colore degli occhi –Ah, piccolo Arnie. Come stai diventando grande!- parlò ai figli –Bene, figlioli, per oggi basta così.-
Le quattro tartarughe saltarono giù dai paletti, eseguendo delle acrobazie.
Raffaello si avvicinò al padre-maestro, che ancora teneva il bambino in braccio: quasi lo strappò dalle sue braccia, facendolo roteare per un paio di volte.
-Ehi, giovanotto, e a me non si saluta?- disse, facendo finta di essere offeso.
Arnie non pianse per essere stato separato dal ratto: anzi, rise.
Anche il resto delle tartarughe salutò il piccolo.
Splinter sorrise a quello spettacolo.
Si rivolse ai coniugi: –A cosa dobbiamo la vostra visita?-
Casey stava trasportando su una spalla una grossa scatola da asporto e nell’altra mano un vassoio di carta con vari bicchieri per bevande calde d’asporto.
-Beh, ieri Don ha inviato un messaggio ad April dicendo che siete tornati dal Nexus e che Leo ha vinto per la seconda volta.- spiegò Casey -Quindi, per festeggiare, avevamo pensato di fare colazione tutti insieme. Abbiamo preso i vostri dolci preferiti nella pasticceria dell’altra volta.-
-E poi questo ragazzone non vedeva l’ora di tornare a casa.- aggiunse April; se con la mano destra teneva la manina di Arnie, sul braccio sinistro teneva Klunk –Non tralasciando che Arnie desiderava tanto rivedere nonno Splinter e i suoi zietti preferiti.-
Il gatto rosso scivolò dal suo braccio, procedendo, miagolando, verso Michelangelo.
-Klunk!- salutò questi, mettendosi in ginocchio; il gatto si mise supino, mostrando la pancia che fu grattata –Ma chi è questo bel micione? Hai visto? Papino, nonno e zietti sono tornati a casa. Hai fatto il bravo con April e Casey?-
-Se ha fatto il bravo?!- tagliò corto Casey, tra l’imbarazzato ed il furioso –Per tre giorni mi ha impedito di toccare mia moglie! Stava tutto il giorno sul suo pancione! Soffiava e drizzava il pelo non appena mi avvicinavo a lei.-
-Sì, non mi è dispiaciuto avere una guarda del corpo a proteggermi da un idiota…- ribatté April, quasi ridendo.
-Ehi, è questo il modo di rivolgerti a tuo marito?-
Anche da sposati, ogni momento era buono per discutere o litigare.
Per fortuna, Donatello si mise tra i coniugi.
-Ragazzi, calma.- disse, con tono da pacificatore –Tutto questo nervosismo non fa bene al nascituro.- osservò la pancia di April; era davvero grande; si permise di toccarla –A proposito, come andiamo, qui? Spero vada tutto bene.-
La donna rise.
-Sì, stai tranquillo.- rassicurò -Sono entrata adesso nel settimo mese. Il bambino è in salute e nella norma.- anche lei mise le mani sul pancione –Amore, lo hai riconosciuto? Questo è zio Don.-
-Davvero non volete conoscere il sesso di vostro figlio? O figlia?- aggiunse Leonardo.
-Sì, stavolta vogliamo tenerci la sorpresa. Le tutine di Arnie si possono sempre utilizzare sia che sia maschio o femmina.-
-Se sarà una femmina, potrebbe anche venir su come mia madre…- mormorò Casey, rabbrividendo al pensiero di avere una figlia uguale alla nonna, anche caratterialmente. Ottenne un calcio sugli stinchi dalla moglie, come risposta.
Arnie era ancora con Raffaello: era salito sulle sue spalle. Gli piaceva stare lì.
-Avete preso qualche cattivone a calci nel sedere?- domandò, con la sua vocina dolce ed entusiasta nello stesso tempo.
-Arnie!- rimproverò April –Chi ti ha insegnato questi termini? Certo non tua madre…-
Rivolse nuovamente uno sguardo severo al marito: lui alzò le braccia.
-Non guardare me. Sei tu che insisti nel portarlo da mia madre nei weekend!-
Quella risposta provocò una risata generale.
-Oh, insomma, che facciamo ancora qui?- disse Michelangelo, sfregandosi le mani –Sento una voce dentro quella scatola che ci sta dicendo “Mangiateci! Mangiateci!”.-
C’era un vasto assortimento di dolci, all’interno di quella scatola: cookies, cupcakes, bignè, eclairs, brownies, shortcakes, dounut, persino due code di aragosta giganti ripiene di crema.
Splinter sospirò, alla loro vista.
-Questo va contro ogni dieta ninja esistente…-
Una colazione insieme alla famiglia riuscì a far distogliere Leonardo dalla visione del giorno prima, dal sogno e dalla voce misteriosa, anche più dell’allenamento mattutino.
Osservò la famiglia Jones: era incredibile quanto April e Casey fossero cambiati in quattro anni.
Tre mesi dopo il matrimonio, April era rimasta incinta. Nessuno fu più felice delle tartarughe e di Splinter, quando ne vennero a conoscenza. Donatello si era persino permesso di sollevarla da terra, abbracciandola.
Avevano chiamato il loro primogenito Arnold Casey Jones III, come il padre e come il nonno. Ma per tutti era Arnie.
Assomigliava al padre, esteticamente, ma aveva anche ereditato la curiosità e l’intelligenza della madre, oltre agli occhi color giada. A nove mesi aveva già pronunciato la sua prima parola. E a un anno e tre mesi aveva percorso i suoi primi passi.
La prima volta in cui April e Casey lo avevano portato nelle fogne per fargli conoscere gli “zii” ed il “nonno”, Arnie era scoppiato a piangere, spaventato. O semplicemente perché “zio Mickey” si era avvicinato troppo velocemente a lui, urlando di gioia, felice di vedere il figlio dei suoi amici.
Ma era stata questione di un attimo.
I grandi occhi verdi fissavano curiosi quelle strane creature. Poi sorrise a tutti loro.
Splinter, mosso da tenerezza e da profonda nostalgia, gli aveva persino allungato un dito e Arnie lo aveva stretto nella sua manina: non aveva più paura. Li aveva accettati nella sua sfera.
Si divertiva con i suoi zii rettili, ma, nonostante l’età, aveva già instaurato un rapporto di affetto profondo nei confronti di “nonno Splinter”, ed era ricambiato: per il ratto era come rivivere l’infanzia dei suoi figli. Si rese conto di avere nostalgia di quel periodo, ed era impossibile, per lui, realizzare quanto fossero cresciute le sue tartarughe, fisicamente e mentalmente.
Casey, ormai divenuto padre, aveva deciso di diventare più responsabile e cercarsi un vero lavoro. Quando le Tartarughe lo avevano conosciuto, era un ragazzo impulsivo, talvolta immaturo ed irresponsabile. Un bambino cresciuto, insomma. Faceva uno strano effetto vederlo seduto composto e, soprattutto, pulire la bocca del figlio dalla glassa del donut, oltre a riprenderlo lievemente per aver lanciato delle briciole di cupcake a Klunk, per fargliele mangiare. Sei anni prima non lo avrebbero ritenuto capace di farlo.
Aveva superato il concorso per entrare nella SWAT, superando a pieni voti la prova fisica. April lo aveva aiutato nella preparazione della prova accademica, e anche lì riuscì ad ottenere l’idoneità. Avrebbe continuato a combattere contro il crimine, e, nello stesso tempo, poteva mantenere la sua famiglia. Inoltre, poteva seguire da vicino le mosse delle numerose bande criminali ed intervenire all’istante. Indossare la divisa d’assalto, diceva, lo faceva sentire potente ed importante, tanto quanto la sua maschera da hockey e le sue mazze. Lottare per anni contro i Dragoni Purpurei al fianco delle Tartarughe lo aveva rafforzato fisicamente e formato in quell’ambiente. Persino il suo capo era orgoglioso dell’entusiasmo e la determinazione che mostrava nel suo dovere.
Aveva persino rinunciato ai suoi capelli lunghi, per mostrare più “professionalità” in quell’ambiente: da un paio d’anni, infatti, li portava corti, tagliandoli mensilmente con il rasoio elettrico.
Sembrava un’altra persona con i capelli corti. Ma, sotto sotto, era lo stesso Casey. Non aveva, però, rinunciato alla passione per l’hockey. Passione che stava gradualmente trasmettendo al figlio.
April, invece, stava procedendo con l’attività in negozio, anche durante la gravidanza e con un figlio piccolo. Gli affari andavano discretamente, ma, dentro di sé, sentiva di dover dare al mondo molto di più che semplici oggetti di antiquariato. Aveva pur sempre una laurea in matematica; da qualche anno stava ideando di metter su un laboratorio tutto suo, mettendo le tecnologie Utron a disposizione per l’umanità, a scopi benevoli e pacifici. Tutto con l’aiuto di Donatello, s’intende.
Ovviamente, solo le Tartarughe e Splinter sapevano che quel progetto sarebbe andato a buon fine e avrebbe portato progresso e beneficio al pianeta Terra.
Nessuno aveva ancora detto nulla ai coniugi, per non turbare il continuum spazio-temporale, nemmeno il fido robot Serling: dopo mesi di esperimenti, riparazioni, tentativi, Donatello era riuscito a costruire un portale spaziotemporale per riportare il robot nel 2105, da Cody.
Sentivano la sua mancanza, ma almeno non dovevano più subire le sue continue lamentele sul comportamento delle tartarughe, sulla rozzezza di quel periodo, su quanto le fogne fossero in disordine e altre cose.
Era meglio per lui tornare nel suo periodo.
-Ragazzi, vi conviene essere svelti nel prendere i dolci.- aveva avvertito Casey –Con la scusa di essere incinta, April mangia tutto quello che tocca, nemmeno fosse un misto di Flash e Pac Man.-
Infatti, lei stava già mangiando, da sola, un’intera coda di aragosta gigante: l’area intorno alla bocca era già sporca di crema e zucchero a velo.
-Che guardate?- ribatté, quasi offesa –Ne avete un’altra, lì. E’ tutta vostra.-
L’appetito di una donna incinta non aveva eguali: era persino superiore a quello di Michelangelo e Raffaello messi insieme.
-Dunque…- Casey cambiò argomento –Ci stavate raccontando del Nexus… Diamine, ragazzi, la prossima volta vorrei partecipare anch’io!-
Le tartarughe ridacchiarono a quella frase.
-Meglio di no, Casey, ci faresti perdere il primo incontro.- fece notare Raffaello.
Casey serrò le labbra e strizzò gli occhi, offeso, mentre April ed Arnie ridevano insieme al resto dei presenti.
Vennero messi a conoscenza delle eliminatorie, dei singoli tornei, della scenata di Michelangelo alla sua eliminazione. E, ovviamente, dei cavalieri templari.
Non dissero nulla riguardo la sensazione di Leonardo sull’incolumità della Terra e le parole di Usagi.
Non volevano farli preoccupare.
-Templari?! Addirittura?!- si stupì April –La loro storia mi ha sempre affascinata. E’ davvero incredibile che le loro idee abbiano ispirato la nascita di un nuovo gruppo. Non sapevo ne conoscessi uno, Splinter.-
Il ratto stava bevendo il suo tè, mentre April parlava.
-Il suo ritorno è stato improvviso e inaspettato, ma non per niente spiacevole.- spiegò –Non lo vedevo da quindici anni. E’ stato interessante mettere di nuovo a confronto i nostri stili.-
-Ah, a chi importa?- tagliò corto Casey, alzando la sua tazza di caffè come per fare un brindisi –Barbaro, cavaliere o altro non so, ma fatto sta che il nostro Leo gli ha fatto i connotati! Giusto, Leo?-
-Sì, i connotati!- gli fece eco Arnie, entusiasta.
La tartaruga citata abbassò lo sguardo e si grattò dietro la nuca, sorridendo quasi imbarazzato.
-Beh, ammetto che non è stato facile.- ammise –Quel templare era davvero tosto… Mi ha messo in difficoltà più volte.-
-Ma tu hai vinto e lui no.-
L’uomo si alzò, avvicinandosi al trofeo di vetro: era stato messo in soggiorno, non in camera di Leonardo.
Effettivamente, abbelliva la stanza.
-E’ questo?- chiese, mentre beveva il suo caffè –Bello. Ehi, era già rotto o lo hai avuto così? E poi c’è qualcosa… non riesco a vedere bene.-
-CASEY, ATTENTO!-
L’urlo della moglie non evitò ciò che avvenne in seguito: nel tentativo di vedere ciò che si celava dentro il vetro del trofeo, Casey aveva goffamente preso la base, e, improvvisamente, il trofeo scivolò, cadendo per terra.
Leonardo temette per l’incolumità del trofeo e si coprì gli occhi, per non assistere allo spettacolo.
Cadde facendo un gran tonfo. Ma non si udì nulla che fosse anche minimamente vicino al rumore di un oggetto in frantumi.
Con stupore generale, scoprirono che non si era rotto. Era solo caduto, senza spiacevoli conseguenze.
Il trofeo era ancora intatto. Non vi furono ulteriori incrinature, oltre a quelle che già portava.
Il vetro, di natura, aveva la struttura fragile. Quello vinto da Michelangelo sei anni prima era stato distrutto da un proiettile.
Ma non quello vinto da Leonardo.
Donatello osservò quel trofeo con uno strano sguardo e una mano sotto il mento; lo stesso sguardo che assumeva quando qualcosa faceva scaturire la sua curiosità, e una voce dentro di lui dicesse “Analizzalo”.
La caduta provocò un silenzio imbarazzante tra i presenti.
Il più imbarazzato era Casey, essendo stato il reo della caduta.
-Casey, sei il solito imbranato!- rimproverò Raffaello, dopo aver sospirato.
-Scusate. Non l’ho fatto apposta.- disse, tentando di rimetterlo a posto, senza provocare altri danni –Sentite… stasera vi va di venire da noi, per cena? Stasera ho il turno libero e passa sempre un’eternità prima che ci vediamo di nuovo, tra il mio lavoro e il vostro dovere di “giustizieri ombra” di New York. Vorremmo goderci questa giornata, finché siamo in tempo. Possiamo ordinare cinese.-
-Sì, sì!- rispose Michelangelo, senza pensarci due volte –Ah, è da quando siamo tornati che non ambisco ad altro che al cibo cinese!-
-Quando si tratta di mangiare, non dici mai di no…- commentò, divertito, Raffaello.
-Sapete, ora la mia mogliettina, per cena, vuole sempre mangiare orientale, anche se non so perché.-
-Casey, non posso controllare le mie voglie e lo sai bene!-
-Ora sta anche mangiando un sacco di cibi piccanti e sembra non le facciano effetto.- aggiunse l’uomo, sottovoce, alle tartarughe –Le donne sono strane.-
Le quattro tartarughe ridacchiarono.
Anche Splinter si unì alle risate.
-Accettiamo volentieri il vostro invito.- decise, alzandosi in piedi.
Casey non aveva torto, in effetti: lui era costantemente impegnato con le operazioni della SWAT, con tutte le bande criminali che ormai avevano preso il controllo della città, e non raramente aveva sventato qualche tentativo di compiere azioni terroristiche. Le tartarughe agivano dove le forze dell’ordine non erano state in grado di agire. Limitarsi a sedare le guerriglie, tuttavia, non era sufficiente: dovevano trovare un modo per terminarle per sempre.
Ma loro non erano Shredder. Non erano un capo forte e carismatico in grado di ergersi tra di loro.
Senza trovare soluzioni, continuavano a fare ogni notte la stessa routine: stava tormentando le Tartarughe, ma anche Casey.
La cosa migliore da fare, in quel momento, era godersi il piccolo attimo di serenità tra amici e famiglia. E pensare al futuro delle nuove generazioni.
-Forse è meglio per noi andare. Devo presentarmi in centrare tra mezz’ora.-
L’uomo aveva osservato l’orologio che aveva al polso; poi osservò suo figlio, che stava giocando con Klunk. Il gatto era supino e si lasciava accarezzare dal bambino: erano diventati ottimi amici. Anche durante l’assenza delle tartarughe avevano giocato tanto assieme.
-Su, ometto, è ora di andare all’asilo.- disse, prendendo Arnie in braccio.
Il bambino protestò: -No! Voglio rimanere con nonno Splinter e gli zii!-
-Lo so, lo vorrei anch’io. Ma loro devono allenarsi. Sai, essere dei supereroi è faticoso e richiede tanto, tanto lavoro.- Casey aveva detto a suo figlio che i suoi “zii” erano supereroi; da un certo punto di vista, lo erano -Facciamo così, se torniamo nel weekend, potrai stare qui tutto il giorno, va bene?-
La risposta fu affermativa, con un grande sorriso.
Anche April si rialzò, a fatica: fu aiutata da Donatello.
-Sì, io devo anche andare dal dottore.- si ricordò –Ennesima ecografia. E poi ci saranno di nuovo l’elettrocardiogramma, l’ecocardio del bambino, l’emocromo…-
-Mondo Pizza, April, così tanti esami?- si stupì Michelangelo, dopo aver salutato Arnie –Ma perché?-
-E’ la procedura, Mick. Un modo per sapere che il bambino sta bene.-
-Vuoi che ti accompagniamo?- domandò Donatello, premuroso.
-No, non è necessario, grazie. Vado a piedi. Tanto è vicino.-
-Come vuoi.- la tartaruga dalla benda viola mise il volto vicino al pancione –Torna a trovarci anche tu, ok? Dai un calcetto alla mamma, se hai capito. Così la convinci a trovarci spesso.-
April rise.
-Non è così che funziona, Don.- fece notare; rimise le mani sul pancione –Non lo ascoltare, amore. Torneremo presto dagli zii. Ma basta con i calcetti. Ne abbiamo già discusso l’altro giorno.-
La visita dei Jones giovò al morale di Splinter e le Tartarughe.
Erano sempre felici di vederli: così sapevano che stavano bene ed erano ancora vivi.
Con le guerriglie che scoppiavano nelle strade, non passava momento senza che le Tartarughe fossero preoccupate per i loro amici. I coniugi Jones, i senzatetto, Angel…
Il pensiero che capitasse loro qualcosa… non se lo sarebbero perdonato.
Michelangelo si mise di nuovo seduto sulla poltrona, sbuffando.
-Mondo Pizza, sono pieno.- disse, mettendosi una mano sullo stomaco –Se ci rimettiamo ad allenarci, giuro che vomito.-
-Con tutti i dolci che ti sei divorato, mi sorprende che tu non sia ancora svenuto per iperglicemia…- commentò Donatello, ridacchiando.
Anche Leonardo si unì alla risata.
Poi, rivolse nuovamente lo sguardo al suo trofeo, avvicinandosi ad esso.
La caduta non lo aveva scalfito, o danneggiato ulteriormente.
C’erano solo le crepe che aveva riportato nel viaggio di ritorno dal Nexus, ma niente più.
Era ancora intatto.
Picchiettò sopra il vetro.
Per sopravvivere ad un impatto subito come quello di poco prima, doveva essere alquanto resistente, pensò, accennando una risata.
Si fece immediatamente serio: notò qualcosa sul vetro.
Era stato fulmineo. Non aveva fatto in tempo a squadrarlo completamente.
-Fratelli! Maestro Splinter! Guardate qui!- chiamò.
Si riunirono intorno a lui.
-Che c’è, Leo? Cosa hai visto?!- si allarmò Raffaello, pronto a sguainare i suoi sai.
-Nel trofeo! Ho visto un’ombra!-
Aguzzarono lo sguardo: non videro nulla, al di fuori delle crepe e della strana tazza all’interno del vetro.
Ma niente che assomigliasse ad un’ombra.
-Un’ombra?- disse Michelangelo, con tono cinico -Quei dolciumi ti hanno dato alla testa, fratello.-
-No, ve lo giuro. Ho visto un’ombra. E’ stata improvvisa, ma giuro di averla vista. Dovete credermi!-
-Sull’ombra non saprei, Leo…- aggiunse Donatello, assumendo nuovamente lo sguardo che aveva ogni volta che si trovava di fronte ad un oggetto a lui sconosciuto e di cui doveva assolutamente conoscerne la struttura cellulare –Ma questo trofeo ha qualcosa che non va. Se permetti, vorrei analizzarlo. Non è possibile che non si sia frantumato o almeno scalfito con quella caduta. Magari potrei scoprire qualcos’altro su quello che ha al suo interno-
Ebbe il permesso di analizzarlo.
Passò l’intera mattina e l’intero pomeriggio nel suo laboratorio a scannerizzare il trofeo, mentre i suoi fratelli si dedicavano o all’allenamento o ai loro passatempi preferiti.
Aveva persino tentato di prendere un campione, ma era impossibile. Provò con le pinze, il martello, la fiamma ossidrica, persino gli ultrasuoni.
Niente. Niente lo scalfiva. Le crepe rimanevano le stesse.
Inoltre, era impossibile definire cosa vi fosse all’interno del vetro: le immagini dello scanner erano confuse.
Sembrava che qualcosa stesse impedendo agli attrezzi di scoprire cosa nascondeva il trofeo.
Ma era impossibile che fosse così, era fuori dal reale.
Donatello ne studiò accuratamente la composizione cellulare, la struttura molecolare, sempre più confuso.
Anche facendo paragoni con altri risultati, non otteneva niente.
-Non ha senso, non ha senso…- mormorava, incrociando le dita e serrando le labbra.
Non aveva mai visto niente di simile.
-Cosa, Don?-
Era ormai sera quando i suoi fratelli si riunirono intorno a lui. Erano preoccupati per Donatello: aveva passato l’intera giornata di fronte al computer. Avevano intenzione di “rapirlo” e fare una piccola fuga notturna sui tetti di New York.
Lui sospirò, storcendo la bocca. Si mise con la schiena eretta, restando seduto.
-C’è qualcosa che non quadra con il vetro che compone il trofeo… Guardate qui.- spiegò; era cosciente che i suoi fratelli non avrebbero di nuovo compreso il suo linguaggio, ma tentò ugualmente di spiegare le sue perplessità; accese due monitor; furono trasmesse due sagome che ricordavano i trofei del Nexus –Questa che vedete è la composizione cellulare del trofeo vinto da Leo tre anni fa. E quest’altra è la composizione cellulare del trofeo che Leo ha vinto nell’ultimo Nexus. Sono completamente differenti l’una dall’altra. E prima che possiate dire qualcosa, ho paragonato i risultati con un frammento di vetro del trofeo di Mickey, e i risultati sono stati uguali a quelli del trofeo del Nexus di tre anni fa. Voglio dire, non ha senso. Le cellule che compongono il vetro sono completamente diverse da quello che si vede qui. Sono ferme, stabili, come un corpo, sia animato che inanimato, quando raggiunge gli zero gradi Kelvin, quindi dovrebbe essere di struttura fragile. Ma ciò non spiega perché non si sia frantumato quando Casey lo ha fatto cadere. Se fosse stato vetro normale si sarebbe frantumato. Invece, non ha nulla. Solo le crepe con cui è tornato dal Nexus. Queste cellule sono strane, mai viste prima d’ora. Guardate, non sono come le cellule che compongono composti inorganici, sono circondate da questa misteriosa aura bianca, che pare faccia loro da scudo. E’ come se… scusate, non mi capita spesso di dirlo, ma è come se fossero alimentate da un qualche tipo di magia.-
Vi fu il silenzio nella stanza. Nessuno sapeva cosa dire. Forse erano stupiti della scoperta di Donatello. O forse, di nuovo, non avevano compreso il suo linguaggio.
-Cioè…- commentò Michelangelo –Vuoi dire che per tutto questo tempo TU HAI CONSERVATO UN FRAMMENTO DEL MIO TROFEO DEL NEXUS?!-
Il suo commento scoraggiò i fratelli ed il maestro. Donatello, per poco, non affondò la testa sulla tastiera, dall’imbarazzo.
-Sul serio?- sospirò Raffaello, dando al fratello minore un colpetto sul cranio –Con tutta la spiegazione di Don, tu ti soffermi su un frammento del tuo vecchio trofeo?!-
-Ehi! E’ un ricordo di quando ho vinto il Nexus, bello! Per me è importante!-
Per fortuna intervenne Leonardo.
-Ok, adesso basta, voi due. Don, vuoi dire che c’è della magia nel vetro del mio trofeo?-
-Una teoria che va al di là di ogni legge scientifica. Ma non vedo altre spiegazioni. Ho consultato libri scientifici, fatto esperimenti, tentato lo stesso approccio con i cristalli degli Y'lintyas, niente. Quel vetro è indistruttibile.- spiegò, sempre più nervoso e confuso, lo stesso atteggiamento che aveva quando non trovava soluzione o spiegazione per certi fenomeni; stava persino intrecciando le dita; non si era sentito in quello stato dal loro viaggio nel mondo virtuale per ricostruire Splinter -Credo sia la stessa magia che impedisce allo scanner di analizzare la tazza che ha al suo interno. Guardate, le immagini sono confuse e completamente distorte. Normalmente, gli oggetti appaiono distorti nel vetro a causa della rifrazione, ma questo è diverso. E’ come se qualcosa lo stesse proteggendo e credo sia la stessa magia cui è impregnata questo strano vetro.-
Quella spiegazione fece insospettire persino Leonardo. Nemmeno Donatello sapeva dare una risposta concreta alla struttura di quel trofeo. Se era coinvolta la magia, non era molto quello che potevano fare. Ma la magia poteva, quindi, giustificare la sua piccola visione, l’ombra dentro il vetro. Un’ombra di una sagoma snella. Era stata fulminea, ma si era insidiata nella mente di Leonardo.
-E dell’ombra cosa mi dici?- domandò, sperando di ottenere delle risposte.
-Leo, non c’era nessuna ombra.- rispose, dopo un sospiro, Donatello –E anche analizzandola, non ho visto nessuna ombra. Te la sarai immaginata.-
-No, io l’ho vista! Lo giuro!-
-Visto, fratello? Noti qualcosa di insolito e nessuno ti crede.- aggiunse Michelangelo, alludendo al suo salvataggio di una settimana prima, offeso –Da sui nervi, vero?-
Raffaello, per riportare i fratelli all’ordine, come al solito, batté un pugno sulla mano.
-Comunque!- esclamò –Non è per questo che siamo venuti qui, Don! Tutto il giorno di fronte al tuo aggeggio malefico ti ha fatto fondere il cervello! Avevamo pensato di rapirti e fare una passeggiata al chiaro di luna, prima di andare da Casey e April!-
Michelangelo si leccò i baffi.
-Oh, sì. Il mio stomaco anela ad una bella cenetta cinese…-
-A cosa non anela il tuo stomaco, Mickey?- fece notare, ironico, Leonardo.
Si misero tutti a ridere.

Era appena tramontato il sole, quando le tartarughe uscirono. La loro solita gara tra tetto e tetto, alternando corsa ed acrobazie.
La luna era crescente, ma illuminava ugualmente la già illuminata New York.
Splinter aveva fatto chiarire che lui sarebbe andato direttamente dai Jones, quindi non si era unito ai figli.
E non mancava molto all’ora di cena, il tempo per Casey per prendere il cibo e portarlo a casa e fare il possibile per tenere a bada gli impulsi della moglie di mangiare tutti i contenitori prima dell’arrivo degli amici.
O così credevano.
Donatello ricevette una chiamata sul Tarta-Cellulare. Era Casey.
-Pronto, Casey? Noi siamo già fuori. Tempo dieci minuti e siamo da voi.- disse, mettendo in vivavoce.
-Ragazzi, mi dispiace, ma ho ricevuto una chiamata dal lavoro.- rivelò l’uomo; sembrava davvero triste -Purtroppo c’è una sommossa nella trentesima, organizzata da una banda di veri invasati, i Thai Weasels, ed è richiesto il mio aiuto. E quindi la cena è rimandata.-
-Oh.- fu la sola reazione delle tartarughe –Non importa.- rispose Leonardo, in nome dei fratelli –Sarà per un’altra volta.-
-Mi dispiace, ragazzi, davvero. Ma se vi va di aiutarci e tenere occupati quegli invasati finché non arriviamo, ve ne sarei davvero grato.-
Raffaello sorrise: lui non diceva mai di no ad una lotta. I suoi fratelli, invece, sospirarono: per un attimo si erano illusi di poter avere una sera libera da sommosse, liti, guerriglie…
La loro routine era tornata con il loro rientro a New York.
Non potevano dire di no a Casey.
-D’accordo, dacci le coordinate e noi faremo il possibile.- decise Donatello.
-Eccellente. Siete i migliori. Dovrebbero esservi arrivate in questo momento sui vostri Tarta-Cellulari.-
Leonardo osservò il suo Tarta-Cellulare: era arrivato un messaggio di Casey, con le coordinate del luogo dove si stava tenendo la sommossa.
-Andiamo.- ordinò, serio, prima di saltare sul tetto adiacente quello su cui avevano sostato.
-Mi dispiace, ragazzi, so che ci tenevate a venire a cena da noi, stasera.-
-Il più dispiaciuto è Mick.- rispose Raffaello, accennando una risata –Tornati a casa dovremo sorbirci le sue scenate da persona in crisi di astinenza.-
-Ah. Ah. Ah. Spiritoso…- commentò, sarcastico, Michelangelo –Comunque, sì. Il mio povero stomaco resterà senza cibo cinese chissà per quanto altro tempo…-
Anche Casey ridacchiò.
-Su, su, Mick! Se completiamo questa missione velocemente faremo un bel banchetto per festeggiare!-
-Dici davvero?! Allora perché ci muoviamo così lentamente! Forza, ragazzi! Chi arriva primo si mangia il primo raviolo!-
Michelangelo aveva improvvisamente aumentato il passo, con la promessa di cibo.

Ma i suoi fratelli riuscirono a tenere il passo con lui.
Le indicazioni fornite da Casey li condussero in un magazzino abbandonato.
C’erano delle luci, all’interno. E si sentivano delle urla.
Doveva essere il luogo della sommossa.
-Sapete tutti cosa fare.- mormorò Leonardo, ancora serio in volto. Anche i fratelli erano seri e concentrati.
Potevano scherzare su molte cose, ma non sulla sicurezza di New York.
Entrarono dall’alto, dal lucernario, senza fare rumore. Atterrarono sulla piccionaia. Da lì, ebbero una chiara visione della situazione: non era una sommossa. Era un torneo. Un torneo clandestino.
Ma dagli schiamazzi percepibili persino all’esterno, era normale che qualcuno l’avesse presa per sommossa.
La piccionaia non era molto distante dal pavimento: usando delle volgari transenne, era stato improvvisato un ring; chi era fuori dalle transenne urlava come se stesse assistendo ad un torneo di wrestling; all’interno, tre uomini muscolosi stavano girando intorno ad una persona, meno robusta e meno alta di loro, che stava immobile, in posizione di combattimento. Aveva una sbarra di ferro, tra le mani. I suoi avversari avevano dei tirapugni, invece. Ad animare il combattimento c’era della musica di assalto: c’era una consolle per DJ, in un punto all’angolo, lontano dal ring, infatti. Un giovane sulla trentina, con gli occhiali da sole, nonostante fosse sera, e le cuffie alle orecchie, incitava la folla a tifare, i combattenti a dare il loro massimo nel combattimento, con un entusiasmo degno di un DJ.
-Uno contro tre? Non è corretto.- commentò Raffaello.
Leonardo aguzzò la vista, come i fratelli, sul combattente al centro; indossava una felpa larga a quadri rossi e neri, jeans larghi con qualche strappo sulla parte delle ginocchia; i capelli erano a caschetto, castano chiaro sopra e castano scuro sotto; due colori a loro noti.
-Aspettate un attimo! Ma quello è Eliseo!- fece notare, stupito –Il Templare che ho affrontato in finale!-
Anche i fratelli riconobbero il templare, nel combattente solitario: aveva già deviato un attacco di uno dei suoi avversari con la sbarra di ferro, nello stesso modo in cui aveva deviato i colpi di Leonardo, al torneo, e poi aveva contrattaccato, colpendolo dietro alle ginocchia. Uno di loro cercò di bloccarlo da dietro, mentre il terzo avanzava per colpirlo. Ma Eliseo, tenendosi stretto all’avversario, riuscì a dare un calcio a chi aveva di fronte, poi si sbilanciò di lato, facendo inciampare chi lo bloccava.
Riusciva a tenere testa a tutti e tre, senza difficoltà.
-Perché sta affrontando quei tizi?- domandò Donatello, sospettoso –Perché i suoi confratelli non sono con lui?-
Michelangelo spalancò gli occhi, sgomento, incrociando di nuovo lo sguardo con Eliseo, a sua insaputa. Aveva avuto un’epifania. La soluzione ai suoi pensieri che lo stavano quasi divorando da una settimana, dal ritorno al Nexus.
-Aspettate! Ora ricordo!- esclamò –E’ lei! La ragazza che ho salvato una settimana fa!-
Di nuovo fu osservato in modo strano dai fratelli.
-Ma che stai dicendo…?- commentò Raffaello.
-Eliseo! E’ la ragazza che ho salvato la settimana scorsa, quando facevamo la gara per andare in pizzeria! Eliseo è una ragazza! Ecco perché al torneo mi sembrava di averlo già visto! No, di averla già vista! Insomma, avete capito?!-
Vi fu un silenzio imbarazzante, nonostante la musica a palla, la voce del DJ e le grida di tifo.
-Aspetta un attimo…- cercò di sintetizzare Raffaello, premendo la parte della testa che sta in mezzo agli occhi –Vorresti dire che Eliseo, in realtà, è una ragazza?-
-Sì, ne sono sicuro!-
-Ma se così fosse, perché fingere di essere un ragazzo?- domandò Donatello.
-Ha davvero importanza?- Leonardo cercò di riportare i fratelli sulla missione; aveva già sguainato le sue katana –Ragazzo o ragazza che sia, non possiamo permettere che affronti quella gente da solo! Siete d’accordo?-
I suoi fratelli, come risposta, sguainarono le proprie armi. Erano pronti.
-Allora andiamo!-
-POTERE TARTARUGA!-
Leonardo, Donatello e Raffaello caddero di fronte ai tre omoni, con le spade sguainate.
Michelangelo atterrò vicino Eliseo, o meglio, Elisabetta.
-Bon soir, ma chérie. Nous nous rêvons encore.- disse, con aria da gentiluomo.
Gli occhi scuri di Elisabetta lo osservarono quasi scioccata. Abbassò persino un sopracciglio.
-Qu’est que vous fait ici?!- rispose, come se non gradisse l’intervento delle tartarughe.
-Oh, non sapevo sapessi parlare francese, chérie.-
I più scioccati furono, ovviamente, il resto dei presenti. I Thai Weasels.
Il DJ aprì la bocca, sorpreso.
Uno si alzò da un trono improvvisato, una poltrona che avevano circondato di lucine natalizie, un giovane sulla trentina, pelato, fisico magro e muscoloso, completamente coperto di tatuaggi e un paio di orecchini sulle cartilagini delle orecchie.
Doveva essere il capo dei Thai Weasels, Anthony.
-Cosa sono queste creature…?- mormorò, allarmato, ma anche infastidito; come osavano interrompere il torneo? Non sopportava le interruzioni; poi serrò le labbra e soffiò dal naso –Amici! Liberatevi di quelle cose, qualunque cosa essi siano! E toglietegli quei ridicoli costumi!-
Eseguirono l’ordine: scavalcarono o spostarono le transenne e marciarono contro le tartarughe.
Il DJ sorrise.
-Qui ci vuole una bella musica di assalto!- annunciò. Cambiò musica. Effettivamente cambiò.
Molto più ritmata. Conforme al combattimento che stava per avvenire.
Leonardo, Donatello e Raffaello avevano già le armi sguainate. Ne stesero un paio a testa.
Erano troppi. Ma dovevano tenerli impegnati fino all’arrivo della SWAT. Leonardo pregò che arrivassero in tempo.
Poi guardò indietro: anche Michelangelo ed “Eliseo” stavano combattendo contro alcuni Weasels.
-Mick!- esclamò, dopo aver spintonato un altro Weasel –Porta via la ragazza! Noi terremo occupati questi tizi fino all’arrivo di Casey! Ci vediamo al rifugio!-
-D’accordo!- approvò Michelangelo, senza pensarci due volte; prese la ragazza per il punto vita –Il Michelangelo Express di nuovo disponibile per lei, chérie. Prego astenersi dagli urli.-
Elisabetta era confusa.
-Da cosa…?- domandò.
La tartaruga saltò in alto, facendo scontare due omoni l’uno contro l’altro, intenti in una carica contro la tartaruga e la templare. Lei, però, urlò, presa alla sprovvista.
Tornarono sulla piccionaia.
Michelangelo teneva la ragazza tra le sue braccia, come fossero una coppia sposata.
Lui le sorrise.
-Bon soir.-
Lei non sembrò apprezzare il gesto: cominciò a dimenarsi, ad agitarsi, per tornare con i piedi per terra.
-Laissez-moi! Mettimi giù!- esclamò.
Lui eseguì, adagiandola sulla ringhiera, sorpreso.
-Va bene, va bene. Che modi.- commentò, quasi offeso. Lei gli diede le spalle, incrociando le braccia.
 Nel piano terra, intanto, Leonardo, Raffaello e Donatello stavano combattendo senza sosta contro i Thai Weasels.
Anthony, però, non aveva perso d’occhio la templare e la tartaruga dalla benda arancione.
-Che aspettate?! Inseguiteli!- ordinò, a gran voce. Alcuni salirono le scale, per raggiungere i fuggitivi; li circondarono su entrambi i lati.
Non erano molti, ma erano comunque troppi per due persone.
E nel volo, Elisabetta aveva perso la sbarra di ferro.
Si aggrappò di nuovo a Michelangelo, saltandogli letteralmente addosso.
-No! Tirami su! Tirami su!- esclamò.
La tartaruga non si sbilanciò, nonostante la ragazza non fosse proprio un fuscello, ma la prese ugualmente tra le sue braccia.
-Va bene! Va bene!- esclamò, scappando da alcuni Weasels, talvolta saltando proprio sopra le loro teste per tornare al lucernario –Certo che sei volubile, chérie.-
Salirono sul tetto, chiudendo la finestra.
-Bene, chérie, ora reggiti forte, perché dovremo fare parecchi voli, prima di arrivare al rifugio.-
-Rifugio?-
-Certo. Non vorrai mica che ti abbandoni per strada?! Non sarebbe carino.-
Esattamente come era successo la sera del “salvataggio”, Elisabetta si tenne stretta a Michelangelo, per non rimanere impressionata dall’altezza. E Michelangelo sorrise alla sua stretta. Oltre ad April ed Angel, nessuna altra donna abbracciava o tentava un contatto fisico con le tartarughe.
Nel frattempo, Leonardo, Donatello e Raffaello stavano continuando a combattere contro i Thai Weasels. Il loro stile di combattimento si basava in gran parte sul muai thai, come indicava il loro nome. Tanto coordinato, quanto brutale. Ma non era nulla a cui non potessero tenere testa con le loro abilità.
C’erano uomini di stazza enorme, quanto di struttura esile. Uomini e donne. E ognuno di loro aveva almeno un tatuaggio.
Come i Dragoni Purpurei. Fu come un tuffo nel passato, per le tartarughe. Non piacevole.
Due Weasels tentarono di dare un pugno simultaneo a Raffaello, che bloccò con entrambe le mani, incrociando i polsi. Due contro uno. Fu una prova di forza. La tartaruga stava per cedere.
-Ma quando chiama, quell’imbranato…?!- mormorò, a denti stretti, cercando di resistere il possibile contro i due uomini.
Anche Anthony aveva preso parte alla sommossa: si mise di fronte a Leonardo, non appena questi respinse un uomo e una donna con un doppio calcio a spaccata frontale.
Il ninja venne quasi preso alla sprovvista: si spostò lateralmente appena in tempo, evitando il calcio frontale del capo.
Anthony non aveva armi, neppure un tirapugni: continuava ad attaccare, senza sosta. Leonardo schivava e indietreggiava. Non trovava una falla nella sua difesa, neppure un momento per contrattaccare. Poi, il guscio toccò qualcosa: una transenna.
Era con le spalle al muro. No, era una possibilità. Attese il nuovo colpo di Anthony per saltare indietro, facendo leva sulla transenna, per poi usarla come scudo.
Notò con stupore l’effetto della gomitata destinata a lui su di essa: aveva piegato il ferro!
Nonostante la corporatura, Anthony era molto forte.
Si osservarono negli occhi: c’era qualcosa nei suoi occhi che inquietò la tartaruga. Uno sguardo freddo, serio, concentrato.
Il Tarta-Cellulare di Raffaello suonò in quel momento. Era Casey.
Lui respinse il suo avversario con un calcio e rispose.
-Casey? Saremo leggermente occupati, qui.-
-La mia squadra è nei paraggi! Potete scappare, ragazzi!-
La squadra SWAT stava per fare irruzione. Non potevano farsi vedere.
-Ragazzi!- esclamò, appena riattaccò -Via libera!-
Donatello colpì con il bastone i suoi avversari. Poi prese qualcosa dalla sua cintura.
-Ok, copritevi gli occhi!-
Prese una piccola torcia; emise una luce così forte ed accecante che costrinse i Weasels a fermarsi e coprirsi gli occhi.
Il bagliore durò poco, per fortuna. Quando si dissolse, però, le tartarughe erano sparite.
Anthony batté un piede per terra: per poco l’edificio non tremò.
-Maledizione! Ci sono sfuggiti!- imprecò –Cercate quelle creature e riportate il templare qui!-
-No! Non è necessario!-
Il DJ si era allontanato dalla consolle, avvicinandosi al capo dei Thai Weasels. La musica si era fermata.
Aveva l’aria seria. Si tolse gli occhiali, mostrando i freddi occhi scuri.
Anthony cambiò atteggiamento, nei suoi confronti.
-Ma, signore…- mormorò, quasi balbettando; sembrava lo temesse.
-Giacomo è stato molto chiaro con voi.- tagliò corto il DJ, Andrea –Il piano era preciso e voi avete fatto la vostra parte. Quindi, non crucciatevi per questo inconveniente. Voi limitatevi a eseguire gli ordini, al resto pensiamo noi, avete capito? O potete scordarvi il nostro denaro.-
Nessuno osò obiettare, tantomeno il capo; si limitò ad un cenno della testa.
-Sì, signore…-
Un rombo improvviso allarmò tutti i presenti. E nell’edificio entrarono uomini vestiti con divise mimetiche con caschi protettivi e scudi antisommossa.
-Gli sbirri!- esclamò Anthony, sorpreso.
Andrea si rimise gli occhiali.
-Porta i tuoi fuori di qui! Ci penso io!- ordinò.
Nessuna obiezione.
Uno dei poliziotti si fece avanti. Casey-
-Squadra SWAT! Che nessuno si muova!-
Andrea rimase impassibile; e non dava cenni di timore o intenzione ad eseguire l’ordine.
Strinse i pugni, allargò le gambe e curvò leggermente la schiena in avanti. Poi, aprì la bocca, urlando.
Ma non era un urlo normale, quello che uscì dalla sua bocca. La squadra SWAT sentì un vento potente, una forza misteriosa sbilanciarli all’indietro, facendoli scaraventare contro il muro.
E Casey fu il primo. Niente di rotto, per fortuna. Ma, quando riaprì gli occhi, quell’uomo non c’era più.
Non era una forza misteriosa. Era la voce di Andrea. Erano onde sonore.
Ma come era possibile…?

Elisabetta non mollava la presa su Michelangelo, per tutto il tempo in cui saltava da un tetto all’altro, in direzione del cosiddetto “rifugio”. Nascondeva la testa sulla sua spalla, per non guardare il paesaggio che si muoveva intorno a lei.
-Ok, quasi arrivati, chérie.- annunciò la tartaruga, atterrando nei pressi di un tombino.
Avrebbe potuto concedere alla ragazza di scendere dal suo guscio, ma non lo fece. Era così raro, per lui, avere un contatto ravvicinato con una ragazza. Non poteva e non voleva perdere quella occasione.
Lei percepì un notevole cambio di temperatura, non appena si rese conto che stavano scendendo delle scale.
Alzò la testa solo quando udì Michelangelo dire: -Tadaaaa! Benvenuta nel rifugio, chérie! Mi casa es tu casa. Grazie per aver scelto il Michelangelo Express per la tratta magazzino dei brutti ceffi-Tartarifugio. Non dimenticate oggetti personali sul guscio.-
Lei lasciò la presa dal collo della tartaruga, atterrando delicatamente sul pavimento di pietra. Per poco non scivolò: era umida.
Si guardò intorno, indecisa se confusa, sgomenta o disgustata.
-Ok…- mormorò, in inglese –Dalla padella… alla ghiacciaia… e la ghiacciaia in questione è umida e puzza di muffa e fogna…-
-Forse volevi dire: “Grazie per avermi salvata e portata al sicuro, signor Michelangelo”.- fece notare la tartaruga, con un lieve inchino –Ma se dalle tue parti si usa dire così, per ringraziare, io rispondo “Non c’è di che”.-
La ragazza si voltò verso di lui, frustrata.
-Tanto per cominciare, nessuno ti ha chiesto di salvarmi. Nemmeno l’altra volta.- disse, acida.
E Michelangelo ne fu oltremodo offeso.
-Ehi! Bel modo che hai di ringraziare chi ti ha salvato la pelle! Che dovevo fare?! Lasciarti in balia di quei ceffi?-
-Me la stavo cavando benissimo, prima del vostro arrivo. E anche l’altra volta potevo tenere a bada quei tizi, non serviva il tuo aiuto.-
-Ma se ti ho sentito urlare!-
-Non ero io.-
Quella rivelazione sconvolse Michelangelo: se non era lei ad aver gridato, allora chi…?
-Aspetta… che?!-
-Prima che mi “salvassi”, ne avevo già stesi due. Uno l’avevo colpito in mezzo alle gambe e l’altro l’ho reso cieco. Non so chi dei due abbia urlato…-
Si rese conto che il salvataggio si era rivelato inutile e fuori luogo: se lo avesse saputo prima, avrebbe vinto la gara e non sarebbe stato vittima degli scherni di Raffaello per tutta la sera.
Ma il suo istinto da ninja e da supereroe aveva prevalso: di certo non poteva lasciarla da sola a combattere dei delinquenti.
-Cos’è questo casino?-
Splinter era uscito dalla sua stanza, dove stava meditando. Si stupì alla vista di Elisabetta. E lei cambiò espressione appena notò il topo gigante.
-Maestro Splinter…?- il suo tono si era fatto più gentile e più dolce; si inchinò –Quod Deus tecum ambulat.-
-Salute a te. Tu devi essere Eliseo, uno degli allievi di David.- salutò Splinter, invitandola ad alzarsi; si lisciò il pelo sotto il mento, come un vecchio maestro con la sua barba –Non mi aspettavo una tua visita. Michelangelo, dove sei stato? E dove sono i tuoi fratelli?-
La tartaruga dalla benda arancione si grattò una tempia, sorridendo imbarazzato.
-Ehm…-
Per fortuna, Leonardo, Donatello e Raffaello entrarono nel rifugio proprio in quel momento.
-Ragazzi, che serata!- commentò l’ultimo, stirandosi le braccia –Certo che quei tizi fanno concorrenza ai Dragoni Purpurei, in quanto a botte.-
-E il tuo ultimo giocattolo ha fatto il suo dovere, Don.-
-Per l’ultima volta, Leo, non è un giocattolo, è una torcia a fotoni. Ma sì, ne sono comunque fiero.-
-Ehi, vedo che Mick è tornato sano e salvo con il templare.- notò Leonardo, sorridendo alla vista di Elisabetta.
Lei non sapeva cosa fare: era confusa, disorientata, in un luogo che non conosceva e, soprattutto, che non le piaceva.
Ed era strano, per lei, rivedere il suo avversario del Nexus.
-Spero che Mick non ti abbia strapazzato troppo mentre ti ha riportato qui.- disse, premuroso.
-No… sto bene…-
Splinter stava alternando gli sguardi tra la templare ed i figli.
-Figlioli, potete ragguagliarmi su quello che è successo? April mi ha chiamato poco fa, dicendomi che la serata è annullata. E tu…- si rivolse ad Elisabetta, sorridendo gentilmente, per non metterla a disagio, tantomeno indesiderata –Non sei davvero un ragazzo, vero?-
Gli sguardi erano puntati su di lei, come tanti interrogatori di fronte ad un sospettato.
I grandi occhi scuri li scrutarono uno per uno. Non si sentiva con le spalle al muro; ma sospirò.
-D’accordo.- ammise -Credo proprio di dovervi delle spiegazioni. E’ il minimo, dopotutto, dopo quello che avete fatto per me. E’ vero, ho mentito sulla mia identità. In realtà, non mi chiamo Eliseo. Il mio vero nome è Elisabetta.-
La rivelazione non stupì i presenti: dopotutto, Michelangelo lo sapeva e lo aveva rivelato ai fratelli e Splinter lo aveva intuito.
-Beh, immagino che non ci siamo presentati come si deve. Io sono Leonardo.-
-Donatello.-
-Raffaello.-
-E io Michelangelo.-
La invitarono a sedere sul divano e Splinter le offrì una tazza di tè.
-Dicci, perché eri in quel ring?- domandò Leonardo.
Elisabetta bevve un piccolo sorso di tè. Appariva delusa, in volto. Ma non per il tè.
-Al nostro ritorno dal Nexus, il Magister mi ha detto che lo avevo deluso. Che tutti noi lo avevamo deluso, ma io più di tutti, perché ero arrivata in finale. Quel torneo significava molto per lui. Per questo mi ha scomunicata, esclusa dall’ordine.- la notizia sconvolse soprattutto Splinter, ma anche le Tartarughe ne furono sorprese -Di norma, dovevo essere condannata alla fustigazione e poi camminare, nuda, trasportando una croce di legno, in mezzo ai miei confratelli, mentre mi lanciavano pietre ed escrementi. Ma il Magister ha detto che, date le mie abilità di cavaliere, poteva ancora fare buon uso di me. Per questo mi ha inviata in quel magazzino, a combattere da sola contro quei tizi. Mi ha resa un oggetto di scommesse per lotte clandestine, come un animale. Diceva che era un modo più umiliante di far morire un cavaliere templare.-
Pronunciò le ultime parole quasi piangendo. Abbassò lo sguardo. Delle lacrime caddero persino sul suo tè.
-E’… è incredibile…- continuò, singhiozzando e ridendo nello stesso momento –Io mi fidavo del Magister. Lo rispettavo. A volte era severo, ma non mi ha mai mancato di rispetto, era comprensivo con me e mi ha sempre supportata. Uno passa una vita ad obbedire agli ordini del suo superiore, senza obiettare, e al primo sbaglio viene abbandonato per strada. Non pensavo fosse capace di farlo… Come ha potuto…?-
Anche Splinter si mostrò oltremodo deluso da quanto aveva appena udito. Deluso dal suo vecchio amico.
-Ah, David…- sospirò –Non mi aspettavo un comportamento del genere da parte sua…-
-I tuoi confratelli lo sanno che sei una ragazza?- domandò Donatello –Ho letto che non erano ammesse donne, nell’ordine templare…-
Elisabetta si asciugò le lacrime e tirò su con il naso.
-Sì, lo sanno. Ma è meglio se vi racconto tutto dal principio.- prese fiato, per riordinare i pensieri –Come hai detto tu, nell’ordine templare non sono ammesse donne, perché esse sono emissarie del demonio, in quanto Eva, la prima donna, fu tentata dal serpente a mangiare il frutto proibito e causato la cacciata dal Paradiso Terrestre di lei e Adamo, il primo uomo. Lo stesso motivo per cui i templari non possono avvicinarsi alle donne, tantomeno avere figli.-
-Che pensiero retrogrado!- commentò Donatello; e i fratelli erano d’accordo con lui.
-Non ero nessuno prima di unirmi ai templari. Volevo far parte di qualcosa di importante. Ma per farlo, dovevo rinunciare alla mia vecchia identità. Nascosi il mio aspetto, mi tagliai i capelli e mi presentai al loro cospetto con il nome di “Eliseo”, come un profeta della Bibbia, successore di Elia.-
-E nessuno ha sospettato qualcosa?- domandò Leonardo.
-No. O almeno così credevo. Superai tutte le prove. Io ed altri candidati fummo sottoposti ad un allenamento simile a quello militare, per rafforzare il nostro corpo. E a questo viene alternato l’apprendimento dell’arte della spada, seguendo le tecniche raffigurate nel libro “Flos Duellatorum”, “Il Fiore dei Duelli”, il nostro testo guida per le battaglie. Il nostro allenamento è concentrato soprattutto sulla forza e sulla resistenza.-
Infatti, sia Leonardo che Raffaello, che avevano affrontato due templari, al Nexus, lo avevano notato nel loro modo di combattere.
-E poi c’è la Veglia, un’intera notte dedita al digiuno e alle preghiere.-
-Digiuno?!- si stupì Michelangelo –Mondo Pizza! Non dire queste cose! Mi viene fame al solo pensiero! Io non resisterei un’intera notte al digiuno…-
-Tu non resisteresti un’ora senza mangiare, Mick…- borbottò Raffaello.
-E superata la Veglia, c’è l’investitura a cavaliere. Eravamo in cinque, ed eravamo sopravvissuti tutti alla Veglia. Con me c’era anche il figlio di David, Federico. Anche lui era al Nexus.-
Splinter ricordava ancora il volto di Federico: ricordava soprattutto come era stato trattato dal padre David.
-Aspetta un attimo…- fece notare Donatello -Non avevi detto che i templari non possono avvicinarsi alle donne e nemmeno avere figli?-
-Questo se sono già parte dell’ordine.- spiegò la ragazza –E’ concesso concepire dei figli prima di entrare nell’ordine. A patto che anche loro diventino templari, quando raggiungono l’età giusta.-
Questo spiegò la presenza del figlio di Luigi, Carmine, pensò Splinter. E ringraziò il cielo che non fosse prepotente e arrogante come suo padre.
-Tornando a me… i primi mesi da templare erano abbastanza tranquilli. Riuscivo a nascondere la mia vera identità senza problemi. Ma poi, Andrea, il secondo del Magister lo scoprì…-
Non seppe come ci riuscì: probabilmente aveva notato dei comportamenti strani da parte di “Eliseo”. O l’aveva scorta mentre rimuoveva la benda che copriva i suoi seni. Ma un giorno l’aveva presa per un braccio e trascinata nel salone principale.
-Abbiamo un impostore tra noi!- aveva annunciato, a gran voce; il resto dei Templari era già riunito –Un fraudolento! Un ingannatore! O meglio, un’ingannatrice!- senza scrupoli, prese un pugnale e stracciò la tunica monacale di “Eliseo”, e con essa le bende che nascondevano la verità, mostrando il suo corpo per intero –Fratello Eliseo è una donna!-
Alcuni si stupirono, ma nessuno sguardo di sgomento per la nudità della ragazza. Lei aveva fatto il possibile per coprirsi con le mani, ma l’Andrea anziano, nonostante l’età avanzata e la corporatura magra, riusciva a metterle dietro la schiena, mostrando i segni della vergogna al resto dei templari.
Luigi si era alzato in piedi, il più sconvolto di tutti.
-Una donna… all’interno dell’Ordine?!- esclamò –Quale affronto! Un’emissaria del demonio venuta a noi per corromperci tutti! Sarà venuta qui per prosciugare le nostre casse, adempiere alle sue voglie sfrenate e privare i nostri giovani del loro voto di castità! E magari lo avrà già fatto! Meretrice!- aveva preso un gatto a nove code, una frusta con nove cordicelle di pelle; l’Andrea anziano l’aveva messa in ginocchio, mentre lei strizzò gli occhi e iniziò a piangere –Per aver ingannato l’Ordine, ti condanno a cento frustate!-
-Ferma la tua mano, fratello Luigi!-
Luigi eseguì l’ordine.
David era entrato nella sala: l’accusa era iniziata senza di lui. L’Andrea anziano e Luigi avevano erroneamente fatto le sue veci.
-Io… Gran Maestro David…- cercò di giustificarsi Luigi, abbassando la frusta e inchinandosi –Stavo punendo questa ingannatrice. Ha mentito a tutti noi sulla sua identità. Merita di essere punita. -
-Ho sentito tutto.- rivelò David, mantenendo lo sguardo di ghiaccio –E’ vero, costei ci ha ingannati, mentendo sul suo nome, sulla sua identità, sul suo aspetto. Ma non ha mai fatto del male a nessuno, le nostre casse sono ancora integre e non mi risulta abbia mai tentato i nostri giovani.- si rivolse agli adepti –Qualcuno di voi ha mai ricevuto compromettenti visite notturne da questa fanciulla, ora umiliata di fronte a tutti voi?-
Scossero tutti la testa.
-No, Magister.- risposero.
Ed era vero: “Eliseo” non aveva mai fatto nulla di maligno o peccaminoso. Il suo unico peccato era stato solo mentire.
-Visto? Nulla di compromettente. Inoltre, ha superato tutte le prove, ed è portata per l’arte della spada. Non merita questa umiliazione.-
-Ma, Magister...!- protestò l’Andrea anziano.
-Cosa ne sarà di questa fanciulla, lo deciderò io.- tagliò corto il Gran Maestro, con aria severa, rivolto persino a Luigi –E con questo, il discorso è chiuso.-
Elisabetta era ancora in ginocchio, in lacrime, coprendosi le parti intime con le braccia e con le gambe.
David si era tolto il mantello, con cui coprì la ragazza.
-Vieni con me, figliola…- le disse, con la premura di un padre, mettendole una mano sulla spalla.
La condusse nel suo ufficio, facendola sedere su una sedia di fronte alla scrivania. Lei si teneva stretta il mantello, coprendosi il possibile. Aveva lo sguardo spento, privo di lume. E il lume era la speranza. Al suo posto era subentrato il timore, la sensazione di vuoto, come se il mondo le stesse crollando addosso.
-Mi manderete via, non è vero…?- mormorò, con un filo di voce, senza osservare in faccia il Magister.
Lui si voltò: era tranquillo, sereno. Non appariva minimamente turbato.
-Mandarti via?- disse, sorpreso –Non sia mai. Tutto dipende dalle risposte che darai alle mie domande.-
Un interrogatorio: Elisabetta stava di nuovo per scoppiare a piangere.
-Ti hanno fatto male?-
-Solo nell’animo e nell’orgoglio.-
-Lo vedo nel tuo volto che non sei una tentatrice. Luigi ragiona come se vivesse ancora nel secolo scorso, quindi ti chiedo scusa per il suo comportamento. Tuttavia, una domanda me la sono posta, su di te. Tu sapevi che le donne non sono ammesse fra i Templari: perché vi hai preso comunque parte?-
-Perché ho sempre ammirato le storie che si raccontano sui templari. Volevo sentirmi parte di qualcosa di importante. Non volevo più essere una nullità. Volevo mettermi alla prova e dimostrare al mondo il mio valore. Volevo scappare dal mio mondo, dalla mia vecchia vita. E quale modo migliore se non rinascere sotto la luce di Dio, come Abramo, come Paolo di Tarso?-
David sospirò, tornando in posizione eretta e osservando di nuovo fuori dalla sua finestra: c’era luna piena, quella sera, velata da qualche nuvola.
-Anche io ho qualcosa da confessarti, figliola. L’ho sempre saputo che eri una donna.-
Elisabetta riprese il lume nei suoi occhi, stupita da tale rivelazione.
-Cosa, voi…? E da quanto?-
-Da molto tempo. Un cavaliere che una volta al mese è febbricitante, non combatte come dovrebbe e deve andare spesso in bagno, non è cosa comune in un uomo. Non sono divenuto Gran Maestro solo per le mie doti in battaglia.-
Elisabetta ridacchiò, ma poi tornò seria e preoccupata.
-Allora perché non lo avete rivelato agli altri? Perché non mi avete mandato via?-
-E rinunciare così ad un dono di Dio?- con quella frase, David aveva eliminato il dubbio nel cuore di Elisabetta -Hai talento con le armi, ogni arma che impugni diventa letale e tieni testa persino a fratello Giacomo. Senza dimenticare la tua passione per l’arte, storia e letteratura medievale. Sarebbe un peccato mandarti via. Inoltre, i tuoi confratelli ti rispettano. Non è facile essere rispettati, senza essere costretti.-
-Ora che sanno che sono una donna, non mi tratteranno più come prima.-
-Non se io lo proibisco. Ma a questo proposito, mi permetto una nuova domanda: qual è il vero nome di fratello Eliseo?-
Era passata poco meno di mezz’ora da quando David aveva condotto Elisabetta nel suo ufficio: si ripresentarono, insieme, nel salone. Elisabetta aveva di nuovo la tunica monacale addosso.
-Fratelli templari…- annunciò il Gran Maestro –Ho avuto un colloquio con il qui presente fratello Eliseo, che ha rivelato di chiamarsi Elisabetta. Sono a conoscenza che il nostro ordine prevede di non ammettere donne, ma, come voi stessi potete testimoniare, Elisabetta ha dimostrato forza, resistenza e valore pari a quelli di un uomo. Per questo ho deciso di non scacciarla dall’ordine, ma, piuttosto, di tenerla.-
Il radicale e misogino Luigi si sconvolse e si alzò in piedi, come se avesse assistito ad uno spettacolo scandaloso. E, per lui, quell’annuncio era stato uno spettacolo scandaloso.
-Gran Maestro, non potete dire così! E’ contro il codice templare!-
-I tempi sono cambiati, fratello Luigi. E non è saggio contestare le decisioni di un Gran Maestro.-
Quelle parole misero l’uomo a tacere. L’Andrea anziano non osò controbattere. Come il resto dei confratelli.
-Tuttavia, ci saranno delle clausole da rispettare.- aggiunse David -Ella ha deciso di intraprendere il percorso da Templare, ben cosciente dei rischi cui andava incontro. Per questo ha accettato la condizione di continuare a vestirsi e atteggiarsi da uomo. E, d’ora in avanti, vi rivolgerete a lei con il suo vero nome, Elisabetta, poiché il nostro Signore Dio e suo Figlio Gesù accettano chiunque sotto la loro luce. Ma fuori da queste mura e in presenza degli altri ordini Templari la chiamerete di nuovo “Eliseo”. Sono stato chiaro?-
Tutti annuirono.
-Bene. Ora mi aspetto che vi comportiate come se tutto questo non fosse mai accaduto. Comportatevi con sorella Elisabetta come avete sempre fatto. Se qualcuno oserà mancarle di rispetto, ne risponderà a me.-
Osservava Luigi, mentre lo diceva.
Le tartarughe e Splinter ascoltarono la storia della templare con interesse e stupore.
-Mondo Pizza, che storia…- commentò Michelangelo, a bocca aperta.
-Spero almeno gli altri abbiano mantenuto la parola…- aggiunse Leonardo, preoccupato.
-Sì, lo facevano. Non era cambiato molto da quando mi fingevo Eliseo. C’era solo Luigi, che mi lanciava spesso occhiate di disprezzo, ma gli altri continuavano a trattarmi come prima, alcuni persino meglio di prima. Uno dei ragazzi che aveva fatto la Veglia con me, Francesco, un giorno mi disse: “Sai, sono contento che tu sia una ragazza.”. Ma anche io dovevo fare la mia parte. Infatti, continuavo sempre ad indossare abiti maschili e accettai la condizione di farmi chiamare Eliseo, fuori dal nostro ordine. Per gli altri non fu così complicato chiamarmi “Elisabetta”. Anzi, sia da Eliseo che da Elisabetta, alcuni di loro continuano a chiamarmi “Eli”.-
-Se vuoi, possiamo chiamarti anche noi così.- propose Leonardo, sorridendo.
Elisabetta non rispose: si limitò ad alzare le spalle. “Fate come volete” sembrava voler dire.
Anche Raffaello, a modo suo, si interessò alla storia della templare.
-Quindi sei fuori, adesso…- sintetizzò, con tono indifferente –Cosa hai intenzione di fare, adesso, ragazza?-
-Raph, non è il modo di rivolgersi ad una ragazza, anche se è un cavaliere. Specie per lei. Non vedi che è sconvolta?- fece notare Michelangelo, rimproverandolo.
-Non lo so…- rispose lei, divenendo apatica; il tè, ancora nelle sue mani, stava diventando freddo.
Leonardo storse la bocca: non potevano certo abbandonarla per strada a morire di fame. Non era nella loro morale, tantomeno nel codice del Bushido. E vederla in quello stato… confusa, dispersa, vuota… la costante sensazione che il mondo si fosse frantumato sotto i suoi piedi… anche lui aveva provato una sensazione simile, in passato, dopo la battaglia contro lo Shredder Utron, Ch’Rell, e quando avevano perso Splinter nel mondo virtuale, nel loro viaggio di ritorno dal futuro.
Se non avesse avuto il sostegno dei fratelli, sarebbe stato perso.
Elisabetta aveva perso il suo mondo, i suoi amici. Sentì il dovere di aiutarla.
Le mise una mano sulla spalla.
-Se vuoi, puoi stare da noi.- propose.
La proposta fu approvata dai presenti; Michelangelo addirittura sorrise. Raffaello era quello più scettico.
La ragazza inclinò la testa di lato, quasi confusa.
-Cosa…?-
-Sì, perché no? Inoltre, io sono rimasto oltremodo colpito dal tuo modo di combattere. Se me lo permetti, mi piacerebbe allenarmi con te e migliorare le mie abilità.-
-Sono d’accordo con Leonardo.- aggiunse Splinter –Confrontarsi con altri stili migliora le vostre abilità e capacità di adattamento. Io dico che potrebbe essere vantaggioso per entrambe le parti. Tu cosa ne pensi, Elisabetta?-
La ragazza rifletté. Poi fece un lieve sorriso. In fondo, non aveva altra scelta.
-Accetto la vostra ospitalità.-
Il sorriso di Michelangelo si allargò sempre di più.
-Davvero?! Grande! Cioè, ma certo. Ti permettiamo di stare da noi.-
-Tuttavia…- Elisabetta si era alzata in piedi, posando la tazza di tè ormai freddo per terra –Se volete che rimanga per allenarmi con voi, devo chiedervi di scortarmi alla base dei Templari, qui, a New York, per prendere i miei oggetti personali.-
Raffaello sospirò.
-Ecco, e ti pareva che non partisse il favore…-
-Dobbiamo proprio andare dai Templari? Puoi tranquillamente usare le nostre armi.- domandò Donatello, un po’ titubante –E, aspetta, perché voi Templari siete qui a New York?-
-Dettagli più tardi. E sì, dobbiamo. Non posso allenarmi senza le mie armi e le vostre non credo siano adatte per me, con tutto il rispetto. Inoltre, avrò bisogno di vestiti, se starò con voi.-
Aveva la sua logica. Non c’era da biasimarla. Come un trasferimento.
-D’accordo, si farà.- decise Leonardo –Quando suggerisci di partire.-
-Adesso. Tra mezz’ora partiranno i Vespri e poi si recheranno nella mensa per la cena. Per tutto quel tempo, i corridoi saranno sgombri e noi avremo via libera.-
-A-adesso…?- balbettò Michelangelo, toccandosi lo stomaco –Ma il mio pancino reclama la cena, adesso.-
Elisabetta rise.
-Tranquillo, se faremo abbastanza presto, vi offro la cena.-
-Sì, ce ne devi una, signora cavaliere…- borbottò Raffaello -Visto che la serata cinese è saltata per colpa dei tuoi amichetti muai thai…-
-Allora che stiamo aspettando?!- tuonò la tartaruga dalla benda arancione, salendo sul divano e ponendosi come un supereroe; la promessa di cibo lo faceva sempre distogliere dalla sua pigrizia –Andiamo!-
Di nuovo, dovettero saltare sui tetti di New York, per raggiungere l’hangar divenuta la base temporanea dei Templari.
Elisabetta continuava a tenersi stretta a Michelangelo.
-E’ questo?- domandò Leonardo.
-Esatto. E l’edificio accanto lo abbiamo reso nostro dormitorio.-
-Scusa se te lo chiedo, Eli…- fece notare Donatello –Ma tutto questo non è un tantino abusivo?-
-Devi chiedere ai quattro capi, io eseguo solo gli ordini.-
-Quattro capi?-
-Sebbene il vero capo sia David, l’organizzazione del nostro ordine è tetrarcale. David è il Gran Maestro, poi c’è Andrea, il suo secondo, Giacomo, lo stesso che hai affrontato tu, Raffaello, è il braccio destro di David, e per ultimo Luigi, il castigatore.-
Michelangelo quasi impallidì.
-Mondo Pizza. Certo che voi fate sul serio…-
-E’ così. Presto, se riusciamo a prendere la mia roba prima che finiscano i Vespri sarà già qualcosa.-
-Giusto. Qual è la tua camera?- fece Leonardo.
-Quella laggiù.-
Si diressero verso una finestra situata in un punto esterno dell’edificio. Era chiusa.
-Maledizione!- imprecò Elisabetta, nella sua lingua, l’italiano; poi tornò a parlare inglese –Certo, non potevano sapere che sarei tornata a prendere la mia roba. Sarebbe troppo strano…- borbottò, sarcastica –Ma se rompessi la finestra, desterei sospetti.-
-Spostati, cavaliere.- si fece avanti Raffaello.
Stando attento a non rovinare il legno, infilò il sai nella fessura che divideva le due ante della finestra. Poi si udì un clack! e la finestra si aprì.
-Voilà.- annunciò.
Entrarono tutti e cinque nella stanza, stando bene attenti a non fare rumore.
-Ok, e adesso?- sussurrò Donatello.
-Due di voi restino alla finestra, mentre altri due sorveglino la porta.- ordinò Elisabetta, aprendo l’armadio, dove teneva i suoi vestiti. Vi prese anche un borsone.
-Sorvegliare la finestra? Sorvegliare la porta? E perché? Non avevi detto che erano tutti riuniti per la messa serale?- domandò, sospettoso, Raffaello.
-La sicurezza non è mai troppa. A volte capita che mandino qualcuno ad ispezionare le camere.- spiegò lei, prendendo degli oggetti e mettendoli nel borsone; non aveva molti abiti; e le scarpe che indossava erano le uniche scarpe che possedeva, eccetto per un paio di anfibi neri che mise nel borsone -Allora, mi serve questo, questo… oh, questo soprattutto! E anche questo!-
Aveva preso un libro dalla copertina rigida e una specie di collana con dei grani e una croce in mezzo.
-E quello cos’è?- domandò Leonardo, curioso. Insieme a Raffaello, stava sorvegliando l’esterno della porta, ma ogni tanto rivolgeva lo sguardo alla ragazza.
-E’ la Bibbia, il nostro testo sacro. Non posso viaggiare senza.-
-E l’altro?-
-Il mio rosario. Mi serve per pregare.-
-Che cultura beota…- commentò Raffaello, sottovoce. Ricevette un calcio sugli stinchi dal fratello. Per poco non urlò –Ma sei scemo?!-
-Impara a rispettare le altre culture, Raph.-
Dall’armadio, Elisabetta corse verso il comodino situato accanto al letto.
-Oh, ti prego, fa’ che ci sia, fa’ che ci sia…- lo aprì e tirò un sospiro di sollievo; estrasse un anello con il simbolo templare inciso sopra, che mise al dito –Ah, ti adoro, Fede!- disse, in italiano.
Chiuse il borsone e lo mise sulle spalle.
-Allora, hai finito?-
-Con i miei vestiti sì, Raffaello. Ora dobbiamo andare in armeria per prendere le mie armi e la mia armatura.-
-Altra roba?!-
-Certo! Devo attrezzarmi per bene, per allenarmi con voi!-
-Dove si trova l’armeria?- domandò Leonardo, intromettendosi nel discorso.
-Nell’hangar. Ma è meglio passare dall’esterno. C’è una finestra che da sul cortile posteriore.-
Dovettero uscire dalla finestra del corridoio per recarsi all’esterno dell’edificio, per non farsi scoprire.
Da una finestra del piano terreno, furono in grado di entrare nell’hangar. Leonardo e Donatello rimasero nel cortile, per fare la guardia. Con Elisabetta erano entrati Raffaello e Michelangelo.
Entrarono in una stanza illuminata da una luce fioca. Intorno a loro, spade, scudi, pugnali, lance, azze, asce, archi e frecce…
L’armeria templare.
Raffaello restò a bocca spalancata dallo stupore. E da un’improvvisa crisi di Stendhal.
-Questa è… la vostra armeria?! Io… io credo… che sto per svenire…-
Barcollò davvero all’indietro: Michelangelo fu abbastanza rapido da spingere contro il guscio posteriore.
-No! Non svenire!- schioccò le dita –Resta con noi! Quante sono queste, Raph? Di che colore è la mia benda?-
-Shhh! Fate silenzio.- stava cercando qualcosa, tra le armi –Deus mi, dove me l’hanno messa…? Ah, eccola!-
Estrasse una spada con l’impugnatura nera e il pomo con il simbolo templare.
-Salutate Hesperia, la mia spada.-
Credendo si trattasse di uno scherzo, Michelangelo fece un lieve cenno della testa, a mo’ di inchino e sorrise: -Ciao, Hesperia.-
Ma Raffaello non fece la stessa cosa.
-Ora non mi dire che date dei nomi alle vostre spade…- commentò, quasi divertito –Cioè, sarebbe troppo ridicolo.-
-Perché no? Quando scegli una spada, diventa parte di te. E’ una parte della tua anima che si incarna nell’arma che impugni. E’ giusto che tu dichiari che una spada è tua dandole un nome.-
Anche Michelangelo si mise a ridere.
-Ah, e io credevo che fosse uno scherzo. Ah! Ah! Ah!- rise insieme a Raffaello.
Elisabetta storse la bocca e aggrottò le sopracciglia.
-Badate bene che Hesperia è la stessa spada che avrebbe messo a tappeto Leonardo.-
-Già, ma non l’ha fatto.- fece ricordare Raffaello.
-Ah, giusto…- tornò ad osservare tra le armi, specialmente tra gli scudi; ne estrasse uno, bianco sopra e nero sotto, con al centro la croce templare rossa –Ah, ed eccoti qui anche tu. E sei anche risistemato. E questo è il compagno di Hesperia, Hellas.-
-Ciao, Hellas.- salutarono, di scherno, le due tartarughe.
Elisabetta non rise alle loro reazioni, ma non reagì. Mise lo scudo alle spalle, con la cinghia legata al collo, e tornò a cercare altro, tra le armi.
-Bene, ora mi serve anche questo, questi e questo.- aveva preso un’azza, due coltelli, un mazzafrusto e un arco con delle frecce, che consegnò alle due tartarughe, per far loro smettere di ridere –E poi mi serve anche questo.- prese qualcos’altro dalle armi, che mise dentro il bordo dei pantaloni.
-E quello cos’è?- domandò Raffaello, incuriosito.
-Un gatto a nove code.-
-Un cosa a nove code?!- domandò Michelangelo.
-Non è importante per voi. Ah, ecco qui anche la mia armatura.- oltre alle armi, su appositi manichini, erano sistemate delle armature, con le relative cotte di maglia e gambeson. E sotto delle armature vi stavano delle valigie, dentro cui sistemarle.
-Ci vorrà un po’ per sistemare ogni pezzo.- avvertì la ragazza, mettendo i primi pezzi nella valigia –Voi due controllate che non entri nessuno.-
Le due tartarughe sbuffarono, soprattutto Raffaello.
-Di nuovo ordini…-
All’esterno, intanto, Leonardo e Donatello stavano attendendo quasi impazienti il ritorno di Elisabetta e dei due fratelli.
-Spero non sia capitato nulla di grave…- mormorò il secondo, quasi preoccupato –Ci stanno mettendo un po’.-
-Stai tranquillo, Don. Non sono dei principianti. Avranno i loro motivi per metterci tanto. Dobbiamo avere pazienza ed avere fiducia in loro.-
C’era un’altra finestra, accanto a quella dove erano entrati Elisabetta, Raffaello e Michelangelo, decisamente più piccola e da cui si udiva un continuo mormorio. Probabilmente era la predica della messa serale. In italiano e in latino.
Un breve silenzio.
Poi, una voce maschile.
-Salve…-
La mente di Leonardo subì una specie di scossa elettrica, a quel canto.
A quella voce, seguirono altre voci.
-Regina…-
Di nuovo un bagliore.
-Mater misericórdiae,
vita, dulcédo et spes nostra, salve.-
Una visione. Un’immagine sfocata, dell’interno di una chiesa, con delle persone che intonavano quel canto, quelle stesse identiche parole.
Una sensazione di deja-vu.
Come se avesse già sentito quella melodia, in passato.
Osservò la piccola finestra, in alto, da cui venivano quelle voci.
Spinto dalla curiosità, si avvicinò, e si arrampicò sul muro, con le ventose.
-Leo! Che stai facendo?!- esclamò Donatello, sottovoce –Così ti vedranno!-
-Rilassati, Don. Do solo un’occhiata. E poi così posso vedere se qualcuno sta uscendo dal salone e avvertire gli altri.-
Vide l’intero gruppo templare di David.
Indossavano le vesti monacali, tuniche bianche con una croce rossa sul petto.
Ascoltò tutta la canzone.
-Ad te clamámus,
éxsules filii Evae.
Ad te suspirámus geméntes et flentes
in hac lacrimárum valle.
Eia ergo, advocáta nostra,
illos tuos misericórdes óculos
ad nos convérte.
Et Iesum, benedíctum fructum
ventris tui,
nobis, post hoc exsílium, osténde.
O clemens, o pia, o dulcis Virgo María!-

La sensazione di déjà-vu non lo abbandonava: aveva già ascoltato quella canzone, in passato. Ma non sapeva quando.
Insieme ad essa, crebbe in lui un sentimento di angoscia, nostalgia, malinconia: sentì il suo cuore spezzarsi e sciogliersi in lacrime di commozione.
“Perché mi sento così?” pensò, cercando di reprimere quelle sensazioni. Non riusciva a controllarle. Era come se non fossero sue. Come se un’altra persona, attraverso lui, fosse entrata nel suo cuore e preso possesso dei suoi sentimenti.
-Psst! Leo! Sono tornati!-
La voce di Donatello lo distolse dai suoi pensieri. Rapido, scese dal muro.
Michelangelo faceva il possibile per non mollare la presa sulle armi scelte da Elisabetta.
Raffaello, invece, stava portando la valigia con l’armatura. Il borsone con gli oggetti personali della ragazza era rimasto all’esterno. Fu preso da Leonardo.
Elisabetta aveva solo la spada nel fodero e lo scudo alle spalle.
-Trasferimento completato.- annunciò Michelangelo, con tono da vincitore -Congratulazioni, Elisabetta, ora ti sei ufficialmente trasferita nel Tarta-Rifugio!-
-Ah, lasciamo perdere queste frivolezze!- tagliò corto Raffaello, infastidito –Piuttosto, tagliamo la corda, che questa roba pesa!- poi osservò Leonardo in faccia, insospettendosi –Ehi, Leo, tutto bene? Stai… piangendo?-
Leonardo non comprese cosa insinuasse il fratello.
Poi si passò una mano sulla guancia e la osservò: una lacrima.
Non si era accorto di star lacrimando.
Le lacrime stavano scendendo dai suoi occhi senza il suo volere.
La sua reazione fece incuriosire gli altri due fratelli e anche Elisabetta.
-Io… scusate.- disse, asciugandosi gli occhi, con il dorso della mano –Non so cosa mi sia preso…- tirò su con il naso –Ma non perdiamo tempo. Torniamo subito al rifugio.-
Aveva dato un ordine, con tono e sguardo sicuro, ma il suo cuore era pieno di domande e dubbi: quel canto… lo aveva commosso. Come era possibile? E cos’era quella visione?
Non doveva mostrare dubbi di fronte ai fratelli. Decise di passarci sopra, come faceva con il suo solito sogno.
Michelangelo passò le armi a Donatello, caricando la ragazza sul suo guscio.
Nessuno, all’interno dell’hangar, aveva sospettato qualcosa.
Il ritorno al rifugio si rivelò più difficoltoso dell’andata, a causa del carico che le tartarughe stavano trasportando.
-Capolinea! Siamo tornati a casa!- annunciò Michelangelo, facendo scendere Elisabetta dal guscio.
Donatello si sdraiò sul pavimento, lasciando cadere le armi.
-Oh, grazie al cielo!- sospirò, stremato –Ancora un passo e crollavo.-
-Beh, lo hai già fatto, fratello…- notò Raffaello, ridacchiando e Leonardo si unì a lui.
Elisabetta si avvicinò a lui, o meglio, alle armi.
-Mi dispiace tu abbia portato questo peso, Donatello.- si scusò, prendendole; notò l’armeria delle tartarughe, dove furono posizionate.
Splinter era sintonizzato sul telegiornale. Distaccò lo sguardo, appena udì la voce dei figli.
-Ah, bene, vedo che siete tornati.- notò le armi portate da Elisabetta –Mia cara, domani metterò alla prova le tue capacità di combattimento con le tue armi contro i miei figli.-
La notizia allietò la ragazza, che si inchinò.
-Ne sarò oltremodo onorata, Maestro Splinter. E grazie ancora per la vostra ospitalità.- osservò alla sua sinistra; notò il trofeo del Nexus, osservandolo con aria sospetta –E’ il trofeo del Nexus, questo? Cosa gli è successo?-
-Beh, diciamo che l’irruenza di Raph lo ha fatto incrinare.- rispose Leonardo, dando un lieve scapaccione al fratello.
-Ahi! E te lo ripeto, non l’ho fatto apposta!- si rivolse, poi, ad Elisabetta -Ehi, tu, avevi promesso che ci avresti offerto la cena! Cosa fai ancora qui?!-
Lei alzò le mani, in gesto di resa.
-Va bene, va bene, messere. Ai vostri ordini.- disse, sarcastica -Prima di dirmi dove prendete di solito il cibo cinese e darmi le vostre ordinazioni, sapreste dirmi se c’è un centro per il cambio delle monete, nelle vicinanze?-

Dieci minuti dopo, la ragazza era fuori, per strada. Osservò, seria, da entrambi i lati, per assicurarsi che non passasse nessuno.
Si nascose in un angolo buio. Poi strofinò l’indice ed il medio sinistro sulla croce dell’anello che teneva sull’anulare destro.
“David… David… David…” pensò, tenendo gli occhi chiusi.
I suoi occhi girarono; era visibile solo il bianco.
Era entrata nella dimensione mistica.
Di fronte a lei notò il Gran Maestro David.
-Elisabetta…-
Lei si mise composta, con le mani dietro la schiena e la testa alta.
-Prima fase del piano completata. Sono entrata nel rifugio delle Tartarughe e sono rientrata in possesso dei miei beni.-
-Bene.- annuì David –Ora non ti resta che passare alla prossima fase. Devi fare in modo di ottenere la fiducia di Splinter e le Tartarughe, con ogni mezzo. Noi ti daremo una mano, quando ne avremo occasione. Dobbiamo ottenere il Graal a tutti i costi.-
-Ho un aggiornamento che potrebbe interessarti, Magister.- aggiunse la templare –Il trofeo sembra aver subito danni. Era incrinato e trasparente. E ho notato un oggetto al suo interno.-
Quell’informazione fece riflettere David.
-Il Graal. O qualcosa collegato a esso. Qualunque cosa si tratti, non staccargli gli occhi di dosso, Elisabetta.-
-Ricevuto.-
-E c’è un’altra cosa che dovresti sapere…- si era fatto più cupo –Sembra che anche i nostri nemici siano interessati al Graal. E non mi sorprende se fossero già alle sue tracce, o, peggio, fossero già a New York per trovarlo. Noi procederemo con la nostra parte del piano, ma vedremo di investigare a proposito. Ma tu tieni gli occhi aperti e stai attenta a non compromettere la tua posizione.-
-Sarò prudente, Magister.-
-E, Elisabetta… vedi di non deludermi di nuovo.-
-No, non lo farò, Magister.-
Uscirono entrambi dalla dimensione mistica.
Elisabetta era tornata nel vicolo buio.
Rifletté sulle parole di David. Se il trofeo era davvero il Graal, doveva trovare un modo per toglierlo da quell’involucro di vetro.
“Non deludermi di nuovo”
No, non poteva deluderlo. Era la sua seconda occasione.
Non era stata scomunicata. Era ancora una templare.
-Potrei ancora fare buon uso di te…- aveva sibilato David, il giorno del ritorno dal Nexus –Una settimana fa, hai rivelato che una tartaruga gigante armata di nunchaku è corsa in tuo aiuto, mentre cercavi di reclutare i Thurgh, giusto?-
-Sì, Magister.-
-Se non erro, la tua descrizione corrisponde a uno dei “figli” di Splinter. Quello dalla benda arancione. Michelangelo, mi pare.-
-Credo di sì, Magister.-
-Ottimo. Sfrutteremo questa “conoscenza” a nostro vantaggio.-
Era tutto parte del piano di David.
-Devi entrare in contatto con le Tartarughe, rendertele amiche, e, nel frattempo, cercare di impossessarti del Graal e portarlo a noi.-
-Ma come facciamo a farla incontrare con quegli abomini, David?- aggiunse l’Andrea anziano, serio –Non possiamo lasciare al caso.-
David, a tal proposito, si voltò verso Giacomo.
-Giacomo, contatta i Thai Weasels. Devono organizzare una sommossa e combattere contro Elisabetta. E non dimenticare di chiamarla Eliseo.-
Lui annuì.
-Certamente. Chiamo subito Anthony e lo avverto.-
-E tu, Salterio…- stava parlando all’Andrea DJ –Farai da supervisore. Prepara la tua copertura. Per ogni imprevisto, pensaci tu. Avvisaci, quando una parte del piano è compiuta.-
-Obbedisco.-
-Andrea…- tornò a parlare al suo secondo –Consulta i tuoi contatti. Vedi cosa altro puoi scoprire sulle “Tartarughe Ninja”.-
-Mi metto subito all’opera.-
-E dobbiamo preparare una storia anche per te, Elisabetta. Una storia che li convinca a tenerti sotto la loro ala. Devi far loro credere di essere stata scomunicata e cacciata dall’ordine. Questo ti metterà in posizione di vantaggio. Se quelle Tartarughe sono come Splinter, non ci penseranno due volte ad aiutarti. E tu farai il possibile per graziarteli e far finta di fare amicizia con loro.-
-Sì, Magister.-
-E non dimenticarti di riprendere possesso dei tuoi oggetti personali, soprattutto dell’anello. Non lasciar loro credere che sia un’azione programmata. Fai in modo che sia un caso. Se vieni durante i Vespri, non dovreste avere problemi.-
-Sì, Magister.-
-Questa è la tua seconda occasione. Non sprecarla.-
La sua seconda occasione.
Non poteva deludere David.
Non importa quanto tempo avrebbe impiegato, il Graal sarebbe stato nelle mani dei Templari, a qualunque costo. Ma, al momento, la missione consisteva avvicinarsi alle Tartarughe, ottenendo la loro fiducia e amicizia. Doveva concentrarsi solo su quello.
Nell’hangar, anche David era uscito dalla dimensione mistica.
L’Andrea anziano, Giacomo e Luigi erano con lui, impazienti di venire a conoscenza degli aggiornamenti.
-Elisabetta è ormai dentro il rifugio di Splinter e delle Tartarughe.- annunciò, naturale –La prima parte del piano è andata a buon fine.-
La notizia sollevò i tre tetrarchi templari.
-Bene, allora non ci resta che aspettare.- commentò l’Andrea anziano –Sperando sia all’altezza della situazione.-
-E’ la sua seconda occasione.- fece notare David, sicuro di sé -Sa benissimo che non può sprecarla. Altrimenti è la scomunica. E lei tiene al suo posto.-
-Solo una domanda, David.- riprese l’Andrea anziano -Come sapevi che il Graal era nel Nexus?-
David sorrise.
-Semplice. Mi è apparso in sogno.- rivelò; si sentiva appagato, importante, come un profeta biblico -Un messaggio del Signore, mi piace pensare. Egli mi ha mostrato il Graal, emerso dalle acque. Il giorno seguente sono venuto a conoscenza del nuovo torneo del Nexus. Non poteva essere una coincidenza. E se quello che ha detto Elisabetta è vero, allora il Graal è il trofeo del Nexus. O meglio, è dentro il trofeo.-
-Affascinante…- commentò l’Andrea anziano –Una reliquia cristiana recuperata in un mondo pagano e protetta da un materiale di un altro mondo… Spero troverà un modo per recuperare il Graal.-
-L’hai avvertita dell’altra cosa?- aggiunse Luigi, serio e preoccupato, ma non per la ragazza.
-Sì, l’ho messa in guardia dai nostri nemici. Mi aspetto, comunque, che non restiate con le mani in mano, se Spettro o un altro dovesse avvistarli. Dovete fare anche voi la vostra parte, se il nostro piano dovesse essere compromesso.-
-Sì, David.- risposero tutti.
-Anche se dovesse tornare il Rinnegato?- domandò Giacomo.
-Soprattutto se dovesse tornare il Rinnegato.- anche David tornò cupo –Quando avverrà, mi aspetto che sarete tutti pronti per portarlo al mio cospetto e dargli la giusta condanna. Intanto, proseguiamo con il piano generale.-
La porta che portava ai dormitori era semi aperta: dallo spiraglio, Federico, il figlio di David, aveva ascoltato tutto, preoccupato e anche inquieto. Non era chiaro perché.
Sospirò dal naso, tornando nella sua stanza.
Fu quando chiuse la porta che notò la croce del suo anello illuminarsi. Qualcuno lo stava chiamando.
Poggiò le dita indice e medio della mano sinistra e, improvvisamente, entrò nella dimensione mistica.
-Ciao, Fede.-
Era Elisabetta. Aveva chiamato anche lui.
Lui sorrise, sollevato di vedere la consorella.
-Eli. Ero preoccupato. So che il piano ha avuto successo. Ora sei a casa delle Tartarughe.-
-Sì.- storse la bocca -Chiamarla “casa” è un eufemismo. Vivono nelle fogne. L’hanno arredata come una casa. E ognuno di loro ha allestito un angolo personale. Non è così male, ma ancora non hanno fatto niente per l’odore e l’umidità. Mi dovrò adattare. Domani mi allenerò con loro.-
-Beh, dai, devi stringere i denti. Si tratterà solo del tempo necessario per… prendere il Graal…-
Federico sembrava triste.
Elisabetta se ne accorse.
-Ehi, Fede, tutto bene?- chiese, preoccupata –Ti vedo pallido. Ancora non riesci a dormire?-
-Dormire è diventato difficile per me. E’ come se la mia mente fosse assediata da mille pensieri, inoltre, continuo a fare quel sogno…-
-Da quanto fai quel sogno?-
-Più di una settimana. E’ una tortura…-
Federico ed Elisabetta erano molto legati. Sia nell’identità di Eliseo che nell’identità di Elisabetta. Non era cambiato nulla. Non aveva reagito come Luigi, quando aveva scoperto la vera identità di “fratello Eliseo”. Non gli importava.
Cercavano costantemente di farsi forza l’un l’altra, nei momenti di dubbio e incertezza. Erano l’uno il pilastro dell’altra.
-Ehi, Fede…- riprese la ragazza, distogliendo l’amico dai suoi pensieri; mostrò la mano destra –Grazie per aver messo l’anello nel comodino.-
Federico sorrise di nuovo. Forse per non far allarmare ulteriormente l’amica.
-Figurati. Non potevo non farlo. Sapevo che saresti tornata.-
-E per un po’ di tempo non ci vedremo…- in quel momento fu lei ad essere triste; porse la mano destra, allungando il dito mignolo –Prometti che ci chiameremo ogni sera, prima di andare a letto? Mi sento già molto sola…-
Lui non ci pensò due volte a stringere il mignolo della ragazza con il suo.
-Certo che lo prometto.- dichiarò. Anche lui si sentiva solo; per fortuna, avevano modo di tenersi in contatto.
-Buonanotte, Fede.-
-Buonanotte, Eli.-
Uscirono entrambi dalla dimensione mistica.
Elisabetta era nel bagno. L’unico luogo in cui poteva comunicare nella dimensione mistica, senza allarmare nessuno.
Poi uscì, notando Michelangelo mettere una coperta piegata sul divano del salotto. Gli altri erano andati a dormire.
-Ehi, Eli, sei sicura che ti vada bene dormire sul divano?- domandò, premuroso –L’offerta di cederti la mia stanza è ancora valida…-
-Non temere, Michelangelo.- rispose lei, sorridendo –Starò bene, non preoccuparti.-
-Smetterò di preoccuparmi solo se mi chiamerai Mick.-
-Va bene, Mick. Così va meglio?-
-Decisamente.- le mise una mano dietro la schiena e la fece camminare -Senti, visto che starai qui per un po’ di tempo, ti faccio fare un giro turistico del rifugio. Questo è il salotto, dove ogni sera guardiamo un film, sei già entrata nel bagno…-
Anche Federico, nella base provvisoria Templare, era uscito dalla dimensione mistica.
Vedere e parlare con l’amica gli aveva sollevato l’animo. Almeno stava bene, questo era l’importante.
Poi, qualcuno bussò alla porta.
-Federico? Sei ancora in piedi?- era Carmine –Muoviti, gli altri ci stanno aspettando di sopra.-
-Arrivo, Carmine.-
Uscì dalla stanza. I figli di David e di Luigi camminarono fianco a fianco fino alle scale.
-Senti, Carmine, durante i Vespri, non hai avvertito una strana sensazione?- domandò il primo, sospettoso –Come se qualcuno ci stesse osservando?-
Carmine fece spallucce.
-Non che io sappia. Ma durante tutti i Vespri?-
-No, mentre cantavamo il Salve Regina. Ho visto qualcosa, alla finestra dell’hangar. Ed è stato come se avessi visto un’ombra.-
Carmine sospirò; picchiettò leggermente la schiena del ragazzo accanto a lui.
-Mio caro Federico, ma stai dormendo? La tua insonnia ti fa fare brutti scherzi. Vedi di rimanere lucido di mente per il gioco delle imitazioni.-
Nella mansarda, infatti, si erano riuniti tutti i confratelli. Tranne i tetrarchi. Erano un gruppo di età varia. Adulti e adolescenti insieme.
E l’Andrea DJ faceva da arbitro e organizzatore.
-Bene, le regole le conoscete. Iniziate!- fece suonare una campanella.
A iniziare fu un uomo di nome Marco, capelli rossi corti e barba folta dello stesso colore, fisico massiccio, polpacci grossi.
-Aspetta, è un albero.-
-No, una casa.-
-Una montagna.-
L’Andrea DJ suonò la campanella.
-Tempo scaduto!-
-Cos’era?-
-Il triangolo stradale.-
Tra i confratelli si alzò un urlo di disappunto.
-Il prossimo è il nostro Federico. Vai!-
Federico si alzò dal pavimento, pescando un biglietto da un cappello.
Lo aprì e si mise in posizione.
Cambiò espressione: appariva quasi pallido in volto, allarmato.
-Preoccupato?-
-Impaurito?-
-Timoroso?- dicevano i confratelli.
Lui non rispondeva: addirittura osservò fuori dal lucernario. Non stava giocando, era davvero preoccupato.
-Scu-scusatemi, io…- balbettò, muovendo la testa nevroticamente intorno -Io non me la sento di giocare, non posso. Devo… devo andare. Scusatemi!-
Scappò dalla stanza, quasi sbattendo la porta, lasciando i confratelli perplessi.
Carmine storse la bocca, scuotendo la testa.
-Avrà avuto un altro attacco di panico…- mormorò –Tipico, quando si sente inadeguato per qualcosa, ovvero sempre. Prendo io il suo posto.-
Non era chiaro il motivo della reazione di Federico. Era da più di una settimana che si comportava in quel modo. Ogni scusa era buona per ritirarsi in camera sua. I confratelli lo prendevano spesso in giro per questo. L’unica a preoccuparsi per lui era Elisabetta. Ma, in quel momento, lei non c’era.
E lui era solo contro i suoi stessi confratelli.
Ma presto si sarebbero riuniti contro i loro nemici.
Infatti, in tre zone differenti del mondo, tre spie avevano chiesto di vedere i propri capi.
Una donna bionda, un uomo mulatto e un caucasico.
Stesso messaggio, stessa reazione.
-Il Graal è a New York…?-
Culture diverse, stesso desiderio.

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Quindi Elisabetta ha mentito alle Tartarughe? Non è stata davvero scomunicata?
Il Trofeo del Nexus contiene davvero il Graal?
Perché il vetro del trofeo sembra così resistente?
E chi sono i nemici dei templari? Perché anche loro desiderano il Graal?
Come si spiega l'onda d'urto scatenata da Andrea?

Cosa significherà il sogno di Leonardo?
E perché si è commosso al "Salve Regina"?

 

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Note finali: Scusate se non ho proprio usato il linguaggio scientifico, con Donatello. Abbiate pazienza, la scienza ed io non andiamo molto d'accordo: studio Scienze Umanistiche... XD E per il potere di Andrea mi sono ispirata a Black Canary. E, in ultimis, "Hesperia" e "Hellas" non sono nomi messi a caso; sono i nomi antichi dell'Italia e della Grecia; in greco antico, appunto. Piccola nota storico-patriottica. C-:

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Capitolo 5
*** L'anello ***


Note dell'autrice: qui noterete uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere questa storia... XD

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-Si dia inizio all’allenamento speciale!- annunciò Splinter, battendo il bastone per terra –Inizierà Donatello!-
La tartaruga dalla benda viola si mise al centro del tatami, il luogo dove lui ed i fratelli si allenavano; dall’altro lato, vestita con pantaloni di tuta e una T-Shirt larga il doppio di lei, anche Elisabetta si stava avvicinando a quel medesimo punto. Esterne al suo lato erano presenti delle armi. Aveva preso l’azza, un martello da guerra, una lancia con la punta su entrambi i lati, con un martello incorporato, solo da una parte. La strinse nelle sue mani, verticalmente, scontrandola lievemente con il terreno, come per incutere timore all’avversario. Ma Donatello non reagì: roteò il bastone, come era solito fare, prima di attaccare. La ragazza seguì i suoi movimenti. Poi si fermarono: il martello stava puntando in avanti. E Donatello si mise in posizione di combattimento.
Iniziarono a squadrarsi, guardandosi negli occhi. Poi caricarono. Scontrarono i legni l’uno contro l’altro. Non era ancora il caso, per Elisabetta, usare il ferro del martello contro il legno del bastone di Donatello, in una sessione di allenamento. Ma lo usava comunque per agganciarlo e deviare la sua traiettoria. Ma Donatello si girava velocemente e colpiva orizzontalmente. Ogni colpo veniva parato rapidamente dalla ragazza. Lei ne approfittò per colpire con la punta posteriore del martello. Donatello si piegò all’indietro, eseguendo una verticale.
-Vai, Don! Mostrale un po’ di potere tartaruga!- incitava Michelangelo, da vero tifoso.
-Ma sei scemo?!- esclamò Donatello, schivando un colpo di martello, che quasi si conficcò nel tatami –Se non te ne fossi accorto, quell’arma ha le punte e un martello!-
Il bastone di Splinter batté per terra.
-Cambio! Raffaello!-
Donatello saltò dal tatami, dando il cambio al fratello dalla benda rossa. Roteò i suoi sai, sorridendo, sicuro di sé.
Elisabetta corse verso l’angolo, dove teneva il resto delle sue armi, prendendo due pugnali.
Anche lei li roteò, con lo sguardo fisso verso il suo avversario. Poi si mise in posizione: i pugnali erano entrambi impugnati al contrario, con le lame rivolte verso la loro portatrice.
Il primo ad attaccare fu Raffaello. Era stato di nuovo avventato. Il primo colpo venne schivato, ma fu abbastanza rapido da attaccare di lato. Uno dei suoi sai venne agganciato da un pugnale di Elisabetta, con l’intento di disarmarlo. Forse poteva farcela, ma Raffaello lasciò l’arma per un attimo: la forza impiegata dalla ragazza fu tale da alzare il pugnale con un movimento scattoso, che lanciò il sai per aria. Raffaello lo riprese senza problemi. Ad attaccare era soprattutto Raffaello: Elisabetta si limitava alla tattica difensiva, come si poteva intuire dal modo in cui teneva i pugnali. Poi, Raffaello eseguì un attacco in salto con entrambi i sai. A quel punto, Elisabetta girò i pugnali, con le lame rivolte verso l’avversario, parando l’attacco. Lama contro lama. Fra i due vi fu una sfida di resistenza e sguardi minatori. Gli occhi verdi della tartaruga che fissavano competitivi quelli marroni della ragazza. Ma a lei bastò solo spingere i pugnali in alto per esporre la difesa del suo avversario e colpire la corazza con i pomi.
-Cambio! Michelangelo!-
Raffaello si ritirò, lievemente sorpreso dall’ultima mossa della templare. Michelangelo saltò al centro del tatami come un acrobata.
-Ok! E’ l’ora di Mick!- esclamò, entusiasta, facendo roteare i suoi nunchaku.
Elisabetta posò i pugnali, prendendo il mazzafrusto, un bastone lungo mezzo metro collegato ad una palla con le punte tramite una lunga catena.
Lo fece roteare: la catena e la sfera erano molto vicine alla spalla della ragazza. Pericolosamente vicine. Ma lei era sicura di sé, come se avesse fatto pratica per tanto tempo con quell’arma.
-Catena contro catena, eh?- notò Michelangelo, con sguardo furbo –Allora danziamo!-
Stavolta fu Elisabetta ad attaccare per prima: non smetteva un attimo di roteare la catena. Eseguì un attacco verticale, poi orizzontale, formando un “8” orizzontale, entrambi evitati. All’ultimo attacco, Michelangelo saltò, finendo alle spalle dell’avversaria, sperando di sferrare un calcio. Esso venne parato dalla catena e il suo piede subito agganciato da essa.
La tartaruga rimase bloccata, con la gamba a mezz’aria e lo sguardo sorpreso.
Non poteva rimanere lì in eterno: caricando il peso sulla gamba per terra, mosse la gamba agganciata da un lato, con lo scopo di far sbilanciare la ragazza. E così avvenne. Elisabetta si piegò da una parte: era l’occasione giusta, per Michelangelo, ormai libero, di attaccare. La catena del nunchaku, però, si incrociò con quella del mazzafrusto. Elisabetta aveva parato in tempo. Prese il bastone del nunchaku libero e si piegò da un lato, facendo scaraventare la tartaruga da una parte, disarmandolo di uno dei suoi nunchaku. Lui rotolò, sorpreso, tra le risate dei fratelli.
-Cambio! Leonardo!-
L’arma prediletta della templare: la spada e lo scudo. Hesperia ed Hellas. Gli stessi che l’avevano accompagnata nel Nexus e con cui aveva affrontato Leonardo.
La tartaruga la stava già aspettando, con le katana sguainate e in posizione di combattimento.
Anche lei posizionò la punta della spada sopra lo scudo.
Si guardarono negli occhi.
Era solo un allenamento. Non sarebbe stato come nel Nexus. Niente colpi bassi.
Scontrarono solo le loro lame, senza puntare il bersaglio. Era uno scontro spada-spada.
Uno scontro troppo facile. E noioso.
Per Elisabetta.
-Coraggio, Leonardo!- incitò lei, con voce agguerrita –Perché non mi affronti come mi hai affrontato nel Nexus?!-
Lui parò e deviò con entrambe le spade il colpo sferrato da lei.
-E’ un allenamento. E non è educato forzare la mano contro le fanciulle.-
Lei aggrottò le sopracciglia e serrò la bocca. Diede un calcio contro il ventre del suo avversario, facendolo arretrare e barcollare.
I tre fratelli si allarmarono da quella reazione e dal danno di Leonardo.
-Ho vissuto quattro anni della mia vita come un uomo!- fece ricordare lei, offesa dalle sue parole –Affrontami come tale! Cosa? Ora che hai scoperto che sono una donna decidi di andarci piano con me?! Un guerriero deve essere in grado di affrontare qualsiasi avversario, maschio, femmina, bambino o anziano che sia! Il diavolo può assumere qualsiasi forma, ma è pur sempre un entità da eliminare! Quindi ti ordino di affrontarmi con la stessa forza con cui mi hai affrontato in finale!-
Non aveva tutti i torti. Inoltre, l’idea di allenarsi con lei era stata un’idea sua, per imparare e confrontarsi con un nuovo modo di combattere.
Tornò in posizione di combattimento. E strinse bene entrambe le impugnature.
Anche Elisabetta tornò in posizione. Espirò, per darsi forza.
Caricarono entrambi. Non combatterono come avevano fatto nel Nexus, ma nemmeno come prima.
Un degno allenamento con le armi.
Leonardo attaccava con entrambe le katana. Elisabetta parava con lo scudo e contrattaccava con la spada.
Giravano intorno, mentre eseguivano il loro scambio di colpi.
La ragazza deviò l’ultimo colpo di katana, e poi colpì con un taglio orizzontale, fermandosi poco prima che la lama sfiorasse la gola di Leonardo. Lui aveva eseguito la stessa mossa, un taglio orizzontale; anche il filo della sua katana era molto vicino alla carotide avversaria.
Rimasero fermi. A guardarsi negli occhi.
Le loro spade si incrociavano, sebbene fossero parallele.
Splinter alzò una mano.
-Bene, basta così.- decise; sorrideva –Elisabetta, David ti ha insegnato bene. Hai davvero dei buoni riflessi, altrettanta prontezza e gestisci bene le tue difese, come hai dimostrato nel Nexus. Inoltre, sei molto versatile con ogni tipo di arma. Ogni guerriero sa usare ogni arma, ma decide di specializzarsi nell’uso di una sola arma. Vedo che questo non vale per i cavalieri templari.-
Elisabetta si inchinò.
-Grazie, Maestro Splinter, per le tue lusinghe.- ringraziò; osservò Hesperia ed Hellas –Sì, il Magister ha insegnato a me e ai miei confratelli ad usare più armi, per prepararci a qualunque imprevisto, diceva sempre. Anche se le armi templari per eccellenza sono la spada e lo scudo.-
-Infatti, il Maestro Splinter ci rimprovera sempre di non usare spesso le armi degli altri.- disse Donatello, quasi ridendo, imbarazzato.
-E, credici, mia cara…- aggiunse Michelangelo, mettendo un braccio intorno alle spalle della ragazza e dandole un pugno sul braccio più vicino a lui –Una volta abbiamo avuto modo di affrontare dei veri cavalieri. Non chiederci come, la spiegazione sarebbe troppo lunga e complicata, ma lo abbiamo fatto. Ma tu li superi di diverse spanne.-
-Beh, grazie.- ringraziò di nuovo, arrossendo.
Raffaello sbuffò, incrociando le braccia.
-Figuriamoci. Uno l’ho sconfitto come se niente fosse…- borbottò, guardando da un lato.
Splinter fece un passo in avanti.
-Se permetti, cara, vorrei fare una sfida con te.- propose, sereno in volto.
La proposta stupì le quattro tartarughe.
Anche la templare.
-Io… con te?- mormorò, infatti.
Sembrava sicuro delle sue parole.
Infatti, anche lui si mise in posizione di combattimento.
-Voglio esaminarti da vicino. Misurare di persona la tua abilità. Vedere a che punto sei arrivata nell’allenamento con David.-
Elisabetta colse la sfida. Anche per semplice curiosità. Vedere lo stile di combattimento di Splinter. Scoprire come il suo Magister David era riuscito a sconfiggerlo.
Restò con Hesperia ed Hellas, le sue armi preferite.
Fu lei ad attaccare. Splinter parava ogni colpo con il suo bastone.
Presa dalla foga e anche dalla stanchezza dei precedenti combattimenti, Elisabetta colpiva quasi alla cieca, con colpi troppo caricati e prevedibili.
Splinter le fece uno sgambetto con il bastone, facendola cadere prona sul tatami. Per poco non cadde di faccia.
-Troppo irruenta.- le disse Splinter, serio, ma sereno, come se non volesse umiliarla –E colpisci senza pensare. E’ una falla che ho notato in voi templari. Il vostro stile si basa sulla mera forza, come foste furie. La furia senza ragione porta al fallimento e alla distruzione di noi stessi. Ma, nello stesso tempo, riconosco che si tratta di uno stile di combattimento totalmente diverso dal Bushido, e questo vanifica ogni mia parola.-
La ragazza a malapena ascoltò le parole del ratto. Alzò la testa, senza aprire gli occhi.
Digrignò i denti e batté i pugni per terra, per essere caduta. Per aver perso. Contro un “Sensei”.
Di norma, una persona con più esperienza di lei.
Ma per lei non era una scusa: un avversario era un avversario. Forte o no, lei sentiva costantemente il dovere di sconfiggere chiunque fosse contro di lei.
Era il dovere di un cavaliere. Eliminare ogni nemico che si ponesse nella loro strada.
Si rialzò da sola, con lo sguardo furioso e deluso nello stesso momento.
Rinfoderò la spada, sospirando. Non smetteva un attimo di osservare il Maestro Splinter, mentre si allontanava dal tatami, per entrare nella sua stanza.
-Non capisco come abbia fatto David a sconfiggere quel ratto gigante due volte…- mormorò, liberandosi della spada e dello scudo, ponendoli all’esterno del tatami; David aveva insegnato ad ogni suo accolito come combattere; tutti i templari combattevano come lui, illusi, dalla superbia e dall’orgoglio, di essere come lui; in quel momento, la ragazza realizzò che non era così.
-Non lo sappiamo nemmeno noi…- Elisabetta si voltò di scatto; Leonardo si era messo accanto a lei –E’ difficile da sconfiggere. Raramente si lascia colpire.- spiegò, sereno.
Raffaello si intromise nel discorso, mettendosi dall’altro lato della ragazza.
-Solo con i nostri peggiori nemici ha subito molti danni. Tra cui il tuo cosiddetto “Magister”. E se davvero combattete tutti come lui, non riesco a spiegarmi come tu non sia riuscita nemmeno a toccarlo.- notò, provocandola; Leonardo lo rimproverò con lo sguardo, per le sue parole poco educate nei confronti della loro ospite; ma Raffaello decise di ignorarlo; si mise in posa riflessiva -Tuttavia… in effetti, forse c’è un modo per atterrarlo.- si avvicinò all’orecchio della templare, sussurrandole -Avvicinati quatta quatta a lui, e quando sei abbastanza vicina, aggrediscilo con tutta la tua forza e urla più forte che puoi. Fagli una bella carica da cavaliere che sei.-
Tutto, pur di dimostrare che la scherma antica era la disciplina più forte. Anche accettare consigli dal suo peggiore nemico.
Elisabetta espirò silenziosamente, e seguì il suggerimento di Raffaello: era sempre più vicina a Splinter, camminando in punta di piedi e rimanendo in basso. Poi, effettivamente, urlò, caricando contro il ratto.
Questi, voltandosi di scatto, fece annodare la coda alla caviglia della ragazza e tirò, facendola cadere supina.
Poi, eseguì qualche acrobazia e si mise in posa da combattimento, per fare un po’ di spettacolo.
-Ratto gigante: 2. Templare: 0.- annunciò, soddisfatto.
Elisabetta, bloccata per terra, emise qualche lamento, simile ad un pianto. Era stata ingannata. E presa in giro. Da una tartaruga gigante.
Sentì le sue risa, in sottofondo.
-Perché proprio a me…?!- mormorò lei, imbarazzata da quel momento, senza muoversi.
Notò il volto di Raffaello sopra il suo. Si era chinato, per guardarla in faccia.
-Sei tu che hai insistito che ti trattassimo da uomo, “Eliseo”...- fece ricordare, senza smettere di ridacchiare, divertito dalla sua espressione –E questo è quello che avrei fatto se fossi stato un ragazzo. Ma, aspetta, l’ho già fatto. Non credevo ci saresti cascata.-
Era una provocazione con la P maiuscola. Elisabetta serrò le labbra ed aggrottò le sopracciglia.
Michelangelo, non sapeva come, ma intuì le intenzioni della templare. Doveva fermarla. Ma, dall’altro lato, non gli sarebbe dispiaciuta una rissa tra Raffaello ed Elisabetta, se avesse fallito.
-Beh, guarda il lato positivo. Con il nostro amico Casey faceva anche di peggio, non appena lo avevamo conosciuto…-
Fallì.
Non impedì ciò che succedette.
Rapida, la ragazza diede un pugno in mezzo agli occhi di chi aveva di fronte. Raffaello arretrò, lamentandosi, con una mano sul punto offeso. I fratelli si morsero il labbro inferiore, ma non per empatia. E Splinter scosse la testa, sospirando.
-Dì, questa reazione è abbastanza maschile, per te?- provocò Elisabetta.
-Il mio naso!- in quel momento, fu lui a provare frustrazione ed imbarazzo insieme; e quando provava quei sentimenti, non ci vedeva più dalla rabbia; decise di reagire anche lui –Tu, piccola…!-
Diede un pugno discendente, ma fu deviato da un movimento di polso da parte della templare.
Si rialzò. Anche lei diede dei pugni, tutti parati o deviati da Raffaello.
Stavano procedendo verso il tatami.
-Uhh!! Una rissa!- esultò Michelangelo, saltellando e battendo le mani, eccitato –Io scommetto il pranzo su Eli!-
-Mick…!- rimproverò Leonardo.
-Beh, statisticamente parlando…- aggiunse Donatello, prendendo la sua calcolatrice –Le probabilità che Eli vinca contro Raph sono del 15,3%. Questo basandomi semplicemente sui suoi probabili avversari al Nexus per arrivare in finale, le sue abilità marziali, il suo recente allenamento con noi, l’allenamento cui si è sottoposta per diventare templare…-
-Oh, no, Don, ti ci metti anche tu?!-
Mentre parlavano, Elisabetta e Raffaello continuavano a combattere, alternando pugni a calci e deviazioni.
Poi, vi fu una breve sfida di resistenza, tra i due: i loro palmi erano entrati a contatto, spingendo l’uno contro l’altra. Si guardavano agguerriti.
Raffaello si era dimenticato, in quegli istanti, che stava combattendo con una donna. Il suo aspetto ed il suo abbigliamento dicevano il contrario.
E la tartaruga era forte e decisamente con più muscoli della ragazza: ma questo non la scoraggiò. Anzi.
Espirò, strinse le mani più forti e avanzò, ringhiando.
E Raffaello, con suo grande stupore, e quello dei fratelli, indietreggiava; a piccoli passi, ma indietreggiava.
Lui faceva il possibile per resistere. Non poteva credere che esistessero umani più forti di lui. Soprattutto donne.
L’unica donna che era riuscita ad atterrarlo era Karai, ma il suo stile si basava sull’agilità e sulla velocità, non sulla forza come Elisabetta. Ma Karai era una ninja, Elisabetta un cavaliere. Erano due stili di combattimento completamente differenti.
Ma donna o meno, Raffaello non amava perdere.
Allontanò un braccio dalla mano della sua avversaria: lei, accecata dalla foga e dalla rabbia, non riuscì a fermarsi. Si sbilanciò in avanti.
Raffaello la girò, mise le sue braccia a croce e la bloccò da dietro.
Era come un abbraccio, ma loro due non erano una coppia. Era una vera e propria presa.
La sollevò persino da terra.
-Non potrai mai sconfiggermi.- le sussurrò, all’orecchio -Il nostro stile è nettamente superiore al vostro. Non sia mai che un ninja venga sconfitto da un cavaliere templare.-
Esattamente come Raffaello, nemmeno ad Elisabetta piaceva perdere: non poteva arrendersi.
Doveva trovare un modo per liberarsi dalla presa della tartaruga.
I suoi piedi distavano una ventina di centimetri dal suolo.
Con il tacco della scarpa da ginnastica diede un calcio deciso sullo stinco di Raffaello.
Lui arretrò di nuovo, mollando la presa sulla templare. Lei, appena atterrata, si mise di fianco alla tartaruga, agguantandolo per il guscio addominale e spingendo in avanti, dopo un rapido calcio al suo cavo popliteo.
Facendo leva sulla sua schiena, Elisabetta era riuscita a far cadere supino Raffaello.
Lui aveva lo sguardo sorpreso, mentre la ragazza si appoggiò su di lui, sorridendo soddisfatta e trionfante.
-Tuttavia, un cavaliere templare ti ha appena atterrato.- schernì, ridacchiando.
-Ehi, fammi alzare!- protestò Raffaello, spingendola in avanti.
Non amava le sconfitte: restò con lo sguardo deluso, mentre si alzava. Ma dentro, era stupito e affascinato dal modo di combattere della ragazza.
Michelangelo saltellò.
-Yuhuuu! Pranzo offerto dai fratellini!- esultò.
-Genio, non possiamo uscire di giorno.- fece notare Donatello.
-Umpf!- sbuffò Raffaello –E’ stata solo fortuna. E mi sono distratto.-
-Sì, certo.- provocò Elisabetta; gli faceva persino cenno di avvicinarsi –Posso darti la rivincita e atterrarti quanto vuoi.-
Come risposta, la tartaruga dalla benda rossa batté un pugno sulla sua mano, facendo, poi, crocchiare le nocche.
-Fatti sotto, cavaliere!-
Il bastone di Splinter si mise tra i due.
-Ehi, adesso basta! Tutti e due!- esclamò, come rimprovero; si rivolse alle tartarughe -Voi quattro, ritornate ai vostri posti per l’allenamento.-
-Sì, Sensei.- rispose Leonardo, in vece dei fratelli.
-Tu, Elisabetta, non so a cosa sei abituata. Ma se vuoi, puoi unirti all’allenamento. Anche se sicuramente non sarà come quello di David.- propose Splinter.
Lei scosse la testa, sorridendo. Aveva dimenticato lo scherzo di Raffaello e il senso di umiliazione.
-Ti ringrazio, Maestro Splinter, ma non posso.- si osservò l’orologio –Dopo l’allenamento ci concediamo alle letture o alle preghiere. Voi ninja avete la meditazione, noi templari abbiamo la preghiera, per confortare lo spirito.-
Raffaello trattenne a stento una risata.
-Cultura beota…- mormorò, senza farsi sentire.
Ma la templare e il topo lo sentirono ugualmente: Splinter gli diede uno scapaccione con la coda, come rimprovero.
-Sai se c’è una chiesa nelle vicinanze, maestro Splinter? Per la messa della sera, s’intende.- domandò lei, ridacchiando alla reazione della tartaruga dalla benda rossa.
-Sì, è a dieci minuti da qui. Appena sei fuori, vai sempre dritto finché non la vedi nel lato destro. Ti mostreremo dove puoi uscire da qui. Sarà prudente, per te, uscire? E se i templari ti dessero la caccia?-
-Non preoccuparti. So essere anch’io discreta, come una ninja. E poi non sanno nemmeno dove sono.- si congedò dal topo con un inchino –Con permesso…-
Rientrò in bagno, si tolse gli indumenti da allenamento, indossando una felpa senza zip e jeans larghi. Tutti abiti maschili, come era solita indossare da quattro anni.
La notte aveva dormito poco: il divano letto non era come il letto cui era solita dormire. Sapeva che ci avrebbe fatto l’abitudine. Ma non era per mancanza di sonno il motivo per cui aveva dormito poco, quella notte.
Aveva impiegato un’intera notte a creare il suo piccolo angolo cristiano, in quel mondo di ninjutsu.
Camminando per le gallerie, restando comunque vicina al rifugio, aveva trovato delle travi immerse nell’acqua. Prendendo in prestito un martello ed un paio di chiodi aveva costruito il suo crocifisso e lo aveva attaccato al muro, in un angolo in cui era abbastanza sicura non avrebbe dato fastidio alle tartarughe ed a Splinter, in un angolo libero.
A causa dei colpi di martello, le tartarughe e Splinter si erano di nuovo svegliati prima dell’alba.
Michelangelo, per poco, non la maledisse per averlo privato del suo sonno.
Ma Splinter la ringraziò per averli svegliati prima dell’alba: avrebbero iniziato subito l’allenamento e poi fatto colazione.
Anche Elisabetta iniziò il suo allenamento, quello spirituale.
Si diresse verso il punto in cui aveva posizionato il suo crocifisso e si inchinò di fronte ad esso.
Mentre le tartarughe iniziavano la loro meditazione, lei mise le mani sulla croce del rosario, recitando il Credo, a bassa voce.
 
Credo in Deum Patrem omnipoténtem,
Creatorem cæli et terræ,  
et in Iesum Christum,
Filium Eius unicum,
Dominum nostrum,
qui concéptus est de Spíritu Sancto,
natus ex Maria Virgine,
passus sub Póntio Piláto,
crucifixus, mórtuus, et sepúltus,
descéndit ad ínferos,
tértia die resurréxit a mórtuis,
ascéndit ad cælos,
sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis,
inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.

Et in Spíritum Sanctum,
sanctam Ecclésiam cathólicam,
sanctórum communiónem,
remissiónem peccatórum,
carnis resurrectiónem,
vitam ætérnam

 Amen.
 
 
Poi, un Pater Noster e tre Ave Maria. Poi un Pater Noster, con Gloria Patri e dieci Ave Maria, per cinque volte.
Tutto senza turbare la meditazione delle Tartarughe.
Dopo aver recitato il rosario, Elisabetta si sentiva sempre serena, in pace con se stessa. Sollevata.
Forse la stessa cosa che provavano le Tartarughe e Splinter dopo la meditazione. Ogni mondo ha il suo modo di confortare lo spirito.
Quando aveva finito di pregare, tornò al divano: anche la meditazione era terminata.
-Bene, è ora di colazione! Vado a preparare delle uova!- annunciò Michelangelo, saltellando verso la cucina.
-Con “preparare” intendi “strapazzare”, immagino!- chiarì Donatello.
-E come, sennò?- fu la risposta.
-Eli, spero ti piacciano le uova strapazzate. Mick non sa fare altro.-
-Guarda che ti sento, Don! E non è vero che so fare solo le uova strapazzate!-
-E’ vero. Sa anche collezionare disastri in cucina!- aggiunse Raffaello, ridendo con il fratello.
Anche Leonardo ridacchiò. E Elisabetta con loro.
La faccia di Michelangelo spuntò dalla cucina, offeso e deluso.
-Non siete molto produttivi, sapete? Mi fate fare una brutta impressione alla nostra ospite.-
L’ospite in questione si riprese dalla risata.
-Sì, mi piacciono le uova strapazzate, comunque.-
La risposta sollevò l’umore alla tartaruga dalla benda arancione.
-Ottimo. Saranno pronte in un attimo!-
Si riunirono tutti e sei nel luogo solitamente usato per i pasti, di fronte ad un piatto di pancetta croccante e uova strapazzate con pane tostato e succo d’arancia. Un tavolo basso e dei cuscini. Una sistemazione semplice con quello che avevano trovato in superficie. April aveva persino loro prestato dei vecchi mobili che lei non voleva buttare, quando lei e Casey avevano deciso di cambiare l’arredamento dell’appartamento.
Sapeva ne avrebbero fatto buon uso.
-Ti dovrai abituare al nostro stile di vita, Eli.- avvertì Michelangelo, con la bocca piena; a parte Raffaello, gli altri erano seduti composti e mangiavano in silenzio –Soprattutto per il cibo. Sicuramente sarai abituata a ben altro. Del resto, sei italiana. La vostra cucina è la migliore.-
-Grazie, Mick.- rispose la ragazza; ammise a se stessa che, nonostante la pesantezza di quella colazione nel suo stomaco, quelle uova erano davvero ottime –Sì, in effetti, noi templari abbiamo una dieta molto varia, ma equilibrata. Siamo pur sempre cavalieri monaci. La mattina mangiamo avena bollita nel latte, o del semplice pane, burro e marmellata, o biscotti fatti in casa con del latte caldo, per esempio. Poi mangiamo zuppe di legumi, o pasta, o pesce, o carne accompagnate con verdure per i pasti principali. E’ così che i templari scoprirono come vivere a lungo, nell’arduo Medioevo. Una via di mezzo tra la dieta del cavaliere e quella dei monaci.-
-Ah, tutto questo salutismo mi fa venire il voltastomaco.- commentò Michelangelo, quasi nauseato –Resta con noi e ti mostreremo come vivere, mangiando cibo spazzatura.-
-E noi vorremo mangiare, non ascoltare una lezione di storia…- borbottò Raffaello, anche lui a bocca piena e seduto curvo.
-Raph, imparare qualcosa in più non fa mai male.- rimproverò Leonardo, lui invece interessato alle parole della templare.
Anche Donatello era interessato.
-Cosa intendi per “dieta del cavaliere” e “dieta del monaco”?- domandò, infatti.
Raffaello sospirò: lui odiava essere coinvolto in una discussione intellettuale, da tartaruga d’azione quale era.
-I cavalieri mangiavano molta carne e bevevano molto vino.- spiegò Elisabetta –Contrariamente a quello che si è tramandato nei secoli, i cavalieri non erano come quelli di Re Artù. Erano dei razziatori e possedevano le fanciulle dei villaggi. La carne ed il vino aumentava la loro furia e la loro lussuria. Anche noi templari mangiamo carne e beviamo vino, prima di un incontro. Questo spiega la nostra irruenza, quando combattiamo. E i monaci non avevano certo bisogno di combattere, per questo mangiavano solo verdure, o, comunque, tutto quello che coltivavano. Tutto ciò che non poteva appesantirli o fuorviarli dal loro dovere verso Dio.-
-Sicuramente meglio delle Hyorogan.- aggiunse Donatello, storcendo la bocca.
-Hyorogan?-
-Pillole di riso che i ninja erano soliti mangiare nel Giappone feudale. Non potevano mangiare nulla che li appesantisse o che emanasse odore.-
-Sì, ha la sua logica.-
-Mick non resisterebbe un giorno se mangiasse anche solo una dozzina di quelle pillole.- commentò Raffaello, ridacchiando.
-E neanche tu, genio.- fu la risposta del fratello. Tale risposta scaturì una risata generale.
Elisabetta sembrò adattarsi a quell’ambiente familiare: dopo colazione, erano tutti liberi di dedicarsi alle proprie attività preferite. Queste attività erano alternate con l’allenamento e con i pasti.
Elisabetta era rimasta sul divano a leggere la Bibbia, il capitolo dedicato ai Salmi, ogni tanto osservando l’allenamento delle tartarughe. Anche lei, poco prima, si era dedicata al suo, di allenamento armato, con il martello da guerra.
In quel momento, si stava dedicando alla lettura delle Sacre Scritture. Anche esse parte dell’allenamento templare. E passione personale.
-Lettura interessante?-
Elisabetta sobbalzò. Era Leonardo. Era apparso da dietro il divano senza fare rumore, da bravo ninja quale era.
Lei chiuse la Bibbia.
-Stavo… leggendo qualche Salmo…- rispose lei, guardando la tartaruga negli occhi celesti.
-E’ il libro sacro di voi cristiani, giusto?-
-Sì, la Bibbia. Le vicende degli antichi profeti e la vita di Gesù e dei suoi apostoli.-
-Certo…- riprese fiato; si mise a sedere accanto a lei –Allora, come ti è sembrato l’allenamento con noi ninja?-
La ragazza increspò le labbra e fece spallucce.
-Beh, non così male. Almeno, lo scudo regge ancora, nonostante QUALCUNO mi abbia tagliato tutte le cinghie, al Nexus…- fece notare, con sguardo furbo, come se volesse far sentire il suo interlocutore in colpa.
Infatti, Leonardo si nascose il volto con le mani, dall’imbarazzo.
-Oh, cielo…- disse, con la voce ovattata dalle mani -Scusami, non sapevo cosa fare. E’ stata la prima cosa che mi è venuta in mente…-
-Ma sì! Ti stavo prendendo in giro!- rivelò Elisabetta, con una spallata al braccio della tartaruga –Al tuo posto avrei fatto la stessa cosa.-
Entrambi risero, della battuta, e dello scherzo.
Leonardo continuava a fissare il libro, comunque.
-Sai, la tua cultura mi ha sempre incuriosito. Quella europea, intendo.- rivelò –E la lingua che a volte usi per parlare…-
-Il latino?-
-Sì. E’ affascinante. Mi piacerebbe impararlo. E anche un po’ della vostra storia.-
-Sul serio? Lo vorresti davvero? E’ tanta roba da imparare, lo sai?-
-Ho superato sfide più ardue. Un po’ di cultura non mi farà certo del male…-
-Anche a me piacerebbe imparare di più sulla cultura europea.- aggiunse Donatello, apparendo da dietro il divano –Purtroppo, di europeo e di italiano sappiamo a malapena chi erano gli artisti di cui portiamo il nome…-
-E la pizza.- chiarì Michelangelo.
-E dei gladiatori dell’impero Romano.- aggiunse Raffaello -Vi ricordate quando eravamo nel pianeta dei Triceraton?-
Erano tutti intorno alla templare.
Ella sospirò.
-Va bene.- rispose -Voi sapete che l’Italia non è solo il paese della pizza, vero?-
-Beh, ci sono anche gli artisti cui portiamo il nome…- aggiunse Leonardo, lievemente imbarazzato. Era ovvio che per loro l’Italia era solo il luogo dove era nato il loro piatto preferito e dove erano nati i veri Donatello, Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
-C’è molto di più dietro. E senza i nostri antenati, New York non sarebbe mai esistita.-
-Ok, la lezione di storia un’altra volta.- la fermò Leonardo, alzandosi –Io sono rimasto affascinato dal latino. Come quella canzone che ho sentito ieri sera, quando eravamo nella base dei Templari e Don ed io stavamo aspettando che tornaste dall’armeria. Un qualcosa che iniziava con, credo… S-salveRegina…?-
-Ah, il Salve Regina.- spiegò Elisabetta, alzandosi anche lei e camminando da una parte; le tartarughe la seguirono –E’ l’inno alla Vergine Maria, la madre di Gesù, precursore del cristianesimo. Bello, vero? Anche se io preferisco il Dies Irae. Ma ogni canto è ancora più bello cantarlo insieme. Vuoi iniziare con quello, Leo?-
-Vorrei… che lo cantassi.-
Quella rivelazione stupì la ragazza.
-Vuoi… che canti il Salve Regina?-
-Sì, te ne prego.-
Voleva riprovare la sensazione provata la sera prima nell’ascoltarla. Quella sensazione di nostalgia e commozione. Una sensazione amara, ma piacevole nello stesso tempo.
-E se poi ti rimetti a piangere?- schernì Michelangelo solleticando il naso al fratello; non aveva dimenticato le lacrime scese dalle sue guance.
-Piantala, Mick.- rimproverò lui –Non badare a lui, Eli. Fa sempre così.-
La ragazza ridacchiò.
Poi inspirò.
E cantò.
Salve regina misericordie
Vita dulcedo et spes nostra salve.
Ad te clamamus exules filii Evae.
Ad te suspiramus gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eya ergo advocata nostra,
illos tuos misericordes oculos ad nos convente
Et ihesum benedictum fructus ventris tui
nobis post hoc exilium ostende.
 
O clemens, o pia, o dulcis Maria.
Alpha et omega misit de superis
gloriosum solamen miseris,
cum Gabriel a summa gerarchia
paranimphus dicit in armonia:
Ave Virgo Maria.
O clemens, o pia, o dulcis Maria.
 
O pastores pro Deu surgite,
quid vidistis de Christo dicite.
Reges Tharsis de stella visione
sint testes in apparitione:
Ave Virgo Maria.
O clemens, o pia, o dulcis Maria.
 
Fons humilis, aquarum puteus,
rosa mundi, splendor sydereus,
amigdalus Aaron fructuosa,
precantibus esto lux gloriosa:
Ave virgo Maria.
 
 
 
La sua voce era dolce e soave. Le Tartarughe rimasero persino in silenzio e con gli occhi chiusi, per ascoltare meglio. Un perfetto soprano. Le sue note erano in perfetta armonia. Era come aveva udito Leonardo la sera prima. Per quanto sublime fosse il canto della templare, non provò la sensazione di commozione e nostalgia. E non ebbe nemmeno una visione.
Provava solo ammirazione e soavità. Non era la stessa cosa. Cosa era cambiato? Forse perché la sera prima era la prima volta in cui l’aveva ascoltata, pensò.
-E’… una delle cose più belle che abbia mai ascoltato…- ammise Michelangelo, fra tutti quello più sublimato dal canto –La tua voce è meravigliosa. I templari hanno subito una grande perdita, cacciandoti via.-
-Oh, adulatore…- ringraziò Elisabetta, facendo un passo indietro –Ehi, Leo, se vuoi possiamo cominciare con la traduzione di questo canto, per la prima lezione di latino…-
Improvvisamente, la sua schiena fu a contatto con qualcosa. Il muro, pensò. Ma respirava. Alzò le mani, mettendo i palmi indietro: toccò qualcosa di squamoso.
E poi, un vocione che la paralizzò e le fece battere forte il cuore, oltre ad impallidire.
-Oh, scusate per l’intrusione, ragazzi.- era una voce forte e grave, ma gentile -Stavo lavorando nel mio laboratorio, quando ho sentito un canto meraviglioso e l’ho seguito fin qui. Non sapevo provenisse dal vostro rifugio.-
Leonardo si mise a ridere.
-Beh, il motivo si trova sotto di te, Leatherhead.-
Elisabetta, ancora pallida in volto, guardò in alto: nello stesso istante, un coccodrillo alto più di due metri osservò in basso.
E le sorrise, oltretutto.
-Oh, salve.-
Come risposta, Elisabetta staccò le mani da quell’essere ed urlò, dallo spavento. La sua voce era come ultrasuoni per le tartarughe ed il coccodrillo, che furono costretti a coprirsi le orecchie. Mancava poco che frantumasse gli oggetti più fragili.
-AHHH!!! MI STA SPAPPOLANDO IL CERVELLO!- esclamò Michelangelo, ancora con le mani alle orecchie.
-QUANDO MAI NE HAI AVUTO UNO, MICK?!- commentò Raffaello, infastidito dall’urlo.
Era impossibile stabilire per quanto tempo Elisabetta urlò. Ma, essendo un essere umano, non aveva aria infinita. Infatti, dopo aver urlato, corse verso la rastrelliera delle armi, riprendendo Hesperia.
-Stai indietro!- minacciò, puntandola in avanti, verso il coccodrillo –Non avvicinarti!-
-Ah! E’ proprio una scimmia urlatrice!- si lamentò Raffaello, togliendosi le mani dalle orecchie.
Leatherhead si avvicinò ugualmente, con una mano sul cuore e una in segno di resa.
-Scusami. Non volevo spaventarti…- disse, con tono gentile.
-E continua a parlare!- si sconvolse lei, in italiano, senza abbassare la sua spada –Ma in che razza di mondo sono finita?!-
Per fortuna, Leonardo si era messo di fronte a lei, invitandola alla calma.
-Calmati. Buona. Stai buona. Non avere paura. Abbassa questa spada...- le disse, con tono calmo e rassicurante e spostando la punta della spada di lato –E’ nostro amico.-
Elisabetta non sembrava ancora convinta.
-Vostro… amico…?- mormorò, ancora scossa e spaventata.
-Io sono Leatherhead. Molto piacere.- si presentò il coccodrillo, allungando una mano in avanti; aveva tre dita, come le Tartarughe –Devo dire che hai una voce stupenda.-
Elisabetta era ancora sorpresa e paralizzata alla sua vista.
Ma almeno la punta della spada era rivolta verso il basso.
Leonardo, per confortarla, le mise una mano dietro la schiena, invitandola ad avvicinarsi a lui.
-Non avere paura. Non ti farà del male…-
Elisabetta e Leatherhead erano sempre più vicini. Lui sorrideva cortesemente. Nonostante l’aspetto terrificante, sembrava gentile.
-Fantastico… prima quattro tartarughe giganti e un ratto gigante e ora un coccodrillo alto due metri…- mormorò lei, sempre in italiano, a bassa voce -Ora cosa dovrei aspettarmi? Una pietra salterina…? Ok, resta al gioco e salutalo.-
Strinse, ancora poco convinta, la mano del coccodrillo.
-Ciao…- salutò, in inglese, ancora titubante. Non aveva ancora lasciato la spada. Stava per presentarsi come Eliseo, come faceva ormai da quattro anni. La sua falsa identità aveva quasi preso il posto di quella vera. Ormai le veniva spontaneo dire “Io sono Eliseo”, quando doveva presentarsi.
-Puoi presentarti con il tuo vero nome.- le disse Leonardo, quasi come fosse stato in grado di intuire i suoi pensieri –Puoi fidarti di lui.-
Eliseo non c’era più. Non nel rifugio delle Tartarughe.
Elisabetta era e Elisabetta sarebbe stata.
-Io sono Elisabetta…-
-Oh, un nome meraviglioso e molto particolare.- le fece persino il baciamano. Quel gesto stupì la ragazza. E la imbarazzò: quattro anni come uomo, non era più abituata ad essere trattata come una donna. E gli abiti che indossava non erano certo da donna. Fu… strano.
-Viene dall’Italia.- aggiunse Michelangelo, prendendo la ragazza per le spalle, come se stesse presentando un campione di boxe –La patria della pizza. E, senti senti, è una templare.-
-Vuoi aggiungere altro?- commentò, acida, Elisabetta, con lo sguardo rivolto indietro.
-Addirittura una templare?- si stupì il coccodrillo –Allora sei una guerriera come le tartarughe. Gli Utrom mi hanno raccontato storie sui templari, tutte molto avvincenti.-
-E mi ha tenuto persino testa al Nexus. Ha dei buoni riflessi e sa come contrattaccare.- aggiunse Leonardo.
-Già, e stamani ha fatto un corpo a corpo con Raph e sai cosa? Lo ha fatto indietreggiare!- ricordò Michelangelo, con un cenno di soddisfazione; forse perché aveva vinto la scommessa.
Raffaello sbuffò dal naso.
-Allora devi essere anche molto forte.- complimentò il coccodrillo.
Quei complimenti stavano imbarazzando la ragazza; voleva scappare e nascondersi nella prima nicchia che avrebbe trovato. Non era abituata a tante attenzioni, all’infuori dell’ordine. Era ben riverita dai confratelli, ma nessuno di loro si era spinto a quel livello di confidenza.
Per fortuna, Splinter si unì al discorso, interrompendo quel circolo. Era uscito dalla sua stanza, ove stava meditando, non appena udì Elisabetta urlare. Fu lieto di vedere il coccodrillo.
-Siamo sempre lieti di ricevere una tua visita, Leatherhead.- salutò, avvicinandosi al gruppo –A cosa dobbiamo il piacere?-
-Oh, giusto, stavo dimenticando. Sai, Donatello, stavo lavorando su quei progetti cui mi avevi chiesto di darti una mano…-
-Progetti?- domandò Elisabetta.
-Sì. Leatherhead è la versione coccodrillesca di Don.- spiegò Michelangelo, sottovoce –Non ci arriveresti mai, ma è uno scienziato.-
-Uno scienziato?!-
-Sì, è stato cresciuto dagli Utrom. Hai presente gli Utrom? Te ne ho parlato ieri sera, mentre ti facevo fare il giro turistico qui. E se tu sei stupita, allora figurati quando lo abbiamo incontrato noi la prima volta…-
-… poi ho sentito un rumore e delle urla. E un forte odore di vernice. Credo che quella banda stia tornando da queste parti. Stavo proprio venendo da voi per dirvelo, quando ho sentito il canto.-
La notizia rese serie ed allarmate le tartarughe e Splinter.
-Gli Underground Cleaners sono tornati?!- si stupì Michelangelo; no, non era stupore, quanto, piuttosto, fastidio –Ma non hanno imparato la lezione?! Quei nazi-ecologisti…-
-Nazi-ecologisti?- domandò Elisabetta, anche lei interessata, ma per un altro motivo.
-Sono una banda di criminali che credono che le fogne siano di loro proprietà.- spiegò Leonardo –Dicono di volerle purificare dalle scorie della città, ma imbrattano le pareti con la vernice spray. E quando dicono “purificare” intendono anche eliminare tutti gli animali che le abitano, noi compresi. Ci siamo scontrati più volte con loro. L’ultima volta li abbiamo mandati via con uno dei nostri Tarta-Mezzi e abbiamo sperato che non tornassero più.-
-Stavano venendo proprio da queste parti.- aggiornò Leatherhead, non chiaro se preoccupato o anche lui infastidito –Grazie al cielo sono arrivato in tempo. Se siamo abbastanza veloci, possiamo impedire loro di scoprire il vostro rifugio!-
-Sì, ci muoviamo subito.- decise Leonardo; e i fratelli erano d’accordo. Corsero tutti alla rastrelliera a prendere le proprie armi.
-Vengo anche io con voi!- propose Elisabetta.
-No, non vogliamo esporti ad alcun pericolo.-
-No, Leo. Ormai sono coinvolta quanto voi nelle vostre faccende, dal primo momento in cui mi avete portata qui.- decise lei, prendendo i due pugnali -E non sperate che intenda rimanere con le mani in mano mentre voi ve la spassate. E poi, il signor Leatherhead può vedere di persona le abilità di un templare.-
-Un altro sbruffone. Ecco cosa ci mancava…- borbottò Raffaello, storcendo la bocca.
-Ne sarò oltremodo onorato.- approvò il coccodrillo –Ora corriamo, veloci!-
-State attenti, figlioli.- raccomandò Splinter, preoccupato anche per la templare.
Si fidava dei figli e delle loro capacità, ma la sua premura da padre si sovrapponeva sempre alla ragione.
Non presero mezzi. Se le informazioni di Leatherhead erano giuste, allora i Cleaners erano nelle vicinanze.
-Ora silenzio.- raccomandò Leatherhead, mettendo un dito di fronte –Se dobbiamo prenderli alla sprovvista, sapete meglio di me che non dobbiamo farci scoprire.-
-Sentito, scimmia urlatrice? Vedi di non assordarci con un altro dei tuoi urli.- avvertì Raffaello ad Elisabetta, che assunse immediatamente uno sguardo minatorio a tale provocazione.
-Ma tu che problema hai?-
-Dì, ma tu urli così sempre?-
-Così, come?
-Come quando ci hai quasi spaccato i timpani. Tipico delle donne.-
-Allora non hai mai sentito Carmine o Andrea urlare. Soprattutto Andrea… Lui sì che fa degli urli spaccatimpani, peggio del mio.-
-Smettetela, voi due.- li zittì Leonardo, a bassa voce –Sento qualcuno arrivare.-
Delle voci. Delle urla. Delle luci. Un forte odore di vernice spray.
Un gruppo di una dozzina di ragazzi tra i sedici e i vent’anni. Tutti con una mascherina di fronte alla bocca.
Calciavano qualunque cosa si parasse di fronte, buttandola nell’acqua. O, in caso di topi, prima li calpestavano, uccidendoli, poi davano loro fuoco. O davano fuoco all’intera tana.
-Eccoli.- avvertì Leonardo –Gli U.C.-
-Gli diamo una bella sculacciata?- propose Raffaello, battendo un pugno sulla mano, pregustando la rissa.
-Calmo, Raph. Ci vuole un piano preciso.-
-Sono qui per me.- spiegò Leatherhead –Hanno scoperto dove mi nascondo e avevano già allestito il loro accampamento. Io ho solo difeso il mio territorio. Da allora non fanno altro che cercare di eliminarmi.-
-Lo stesso con noi.- aggiunse Donatello –Non siamo “normali”, per loro. Siamo solo parassiti abominevoli che vivono le fogne di New York, il loro santuario. Ma questi non hanno ancora imparato che le fogne non appartengono a loro.-
-Giusto! Quindi che aspettiamo a dargli una ripetizione della lezione scorsa?!- esultò Michelangelo, prendendo i suoi nunchaku e alzandoli al cielo.
-Per una volta sono d’accordo con Michelangelo.- approvò Raffaello.
Leonardo cercò di fermarli.
-Ragazzi, fermi! Non è la via del ninja…!-
Non fece in tempo.
I due fratelli impulsivi saltarono dal loro temporaneo nascondiglio, con le armi sguainate  e in posizione di combattimento.
-Ehi, cervelli atrofizzati!- provocò Michelangelo, roteando i suoi nunchaku –Ci si rivede! Quando si dice che il mondo è piccolo!-
Uno dei Cleaners si voltò verso di loro. Da dietro gli occhiali protettivi aggrottò le sopracciglia.
-Ancora quegli individui vestiti da tartarughe!- imprecò; si voltarono tutti verso di loro, del medesimo umore.
-Esatto! E stavolta non avremo pietà!- aggiunse Raffaello, puntando i sai verso di loro –Questa sarà l’ultima volta che metterete piede nelle fogne, ipocriti!-
Leonardo e Donatello poggiarono le loro fronti sulle proprie mani, dall’imbarazzo. Leatherhead sospirò e fece spallucce. Elisabetta osservava quegli umani con aria sospetta.
Il Cleaner che aveva parlato sorrise, da dietro la mascherina.
-Non direi proprio…- sibilò –Ragazzi, mostriamo a questi abomini chi è che comanda, qui!-
Avevano delle cinghie, dietro le spalle: cinghie collegate a mitragliatrici, puntate verso le due tartarughe.
Dalla sorpresa, Michelangelo saltò tra le braccia di Raffaello, anche lui sorpreso.
-AHHH!- urlò, indicando in avanti –HANNO L’ARTIGLIERIA PESANTE!-
Innumerevoli proiettili vennero scagliati contro di loro. Essendo ninja, Raffaello e Michelangelo riuscirono a schivarli tutti.
Ma, da dietro il nascondiglio, Leonardo, Donatello e Leatherhead erano sorpresi quanto loro.
-L’altra volta non avevano armi pesanti.- ricordò il secondo –Ci hanno sempre affrontati con spranghe di ferro e coltelli. Dove avranno preso quei mitra?-
“Forse lo so io…” pensò Elisabetta, seria; i suoi sospetti si concretizzavano sempre di più. Ma non poteva rivelarlo. Non ancora, almeno.
-Dobbiamo aiutarli o si faranno ammazzare.- disse Leonardo, sguainando le katana.
Anche Donatello impugnò il suo bastone.
-Io li distraggo. Voi portate in salvo i vostri fratelli.- decise Leatherhead, preoccupato per i suoi amici, ma furioso contro i Cleaners.
-E io cosa faccio?- domandò Elisabetta, turbata dal fatto di essere stata lasciata fuori.
-Non hai l’armatura e quelli sono proiettili veri!- le fece notare Leonardo, severo –E’ troppo pericoloso per te!-
-Voglio aiutarvi! E tu non puoi fermarmi!-
-Ragazzi, prendete una decisione alla svelta!- si intromise Donatello –Mick e Raph non hanno tutta la giornata e Leatherhead è già all’attacco.-
Infatti, il coccodrillo gigante si era tuffato in acqua, per poi riemergere ringhiando contro i Cleaners, facendo scudo alle due tartarughe.
Gli umani arretrarono, spaventati.
-Il coccodrillo! Coraggio, ragazzi, eliminatelo! Ora abbiamo le armi adatte!-
Spararono contro di lui.
Nel frattempo, Leonardo, Donatello ed Elisabetta erano riusciti a trarre in salvo Michelangelo e Raffaello.
-Forza, scappiamo da qui!- ordinò la tartaruga dalla benda blu.
-Aspettate! E Leatherhead?- domandò, preoccupato, Michelangelo.
-Lo sai che la sua pelle è coriacea. Ci darà il tempo per coprire la nostra fuga!-
-Non dovevamo affrontarli?- fece ricordare la templare.
-Era questo il piano, in effetti.- rispose Donatello –Prima dei mitra, s’intende.-
Non potevano tornare al rifugio. O i Cleaners li avrebbero scoperti.
Dovevano fuorviarli.
Leatherhead fece il possibile per coprire la fuga degli amici; tuttavia, oltre ai mitra, i Cleaners erano disposti anche di bastoni elettrici.
Bastò che due di loro li poggiarono sulla schiena del coccodrillo gigante che esso cadde, tra spasmi e lamenti di dolore.
Quattro Cleaners lo tennero bloccato per i polsi e le caviglie. Era ormai bloccato ed inibito, non poteva fare niente. Ma almeno le Tartarughe e la ragazza erano scappate ed erano salve.
Sei dei Cleaners, però, erano partiti al loro inseguimento.
Michelangelo apriva il gruppo. Ad ogni bivio muoveva la testa nevroticamente per tutte le uscite. Alla fine ne sceglieva una a caso.
Erano tutti troppo presi dalla fuga, per avere una chiara concezione dello spazio.
O meglio, Michelangelo lo era.
Infatti, all’ultimo bivio…
-MONDO PIZZA!- esclamò, impallidendo –E’ UN VICOLO CIECO!-
Infatti, di fronte a loro, altro non vi era se non un muro.
Raffaello strinse il pugno e picchiò il cranio del fratello.
-Cervello di gallina!- rimproverò –Questa è l’ultima volta che seguo le tue proposte!-
-Io conoscevo una strada alternativa, lo giuro!- si giustificò Michelangelo, toccandosi la parte offesa –Ma quei mitra mi hanno spaventato…-
-Ragazzi!- li fermò Leonardo –Non è il momento per litigare! Ora torniamo indietro e vediamo di prendere la strada giusta.-
-Ehm… temo che sia troppo tardi…-
Donatello stava indicando in avanti: i loro inseguitori. Sei dei Cleaners li avevano raggiunti.
E bloccato l’uscita.
-Bene, bene, bene…- mormorò uno di loro; la voce era lievemente ovattata dalla mascherina –Qualcuno si sente come un topo in gabbia, eh?-
-Ehi, guarda.- aggiunse un altro, indicando Elisabetta –Hanno un ostaggio con loro.-
-Non credo sia un ostaggio. Non cerca di scappare e loro non lo tengono prigioniero. Deve stare con loro. Bene, un parassita in meno.- puntarono tutti i propri mitra contro di loro –Preparatevi a salutare il Creatore, se esiste.-
Le Tartarughe non sapevano cosa fare. Erano paralizzate, immobili.
Non potevano combattere.
Il tempo che avrebbero impiegato a sguainare le spade sarebbe stato sufficiente per i Cleaners a premere il grilletto.
Ma Elisabetta non era della loro stessa opinione: strinse il pugno e si fece determinata.
-State dietro di me!- urlò.
Le Tartarughe si voltarono verso di lei, risvegliandosi dalla catalessi in cui il timore li aveva fatti cadere.
Eseguirono l’ordine, confusi dalle sue parole. Si misero dietro di lei.
-Puntate!- esclamò un Cleaner, caricando il mitra che aveva in mano.
Qualcosa si stava illuminando, nel pugno della templare: il suo anello. La croce del suo anello.
Ella caricò il pugno indietro e poi lo scagliò in avanti, come se fosse un diretto. Ma non era un vero diretto: tra i due gruppi vi era una distanza pari a circa un metro. Non era il volto di un solo Cleaner l’obiettivo.
Dall’anello templare uscì una croce greca eterea grande quanto l’intera galleria che colpì il gruppo avversario, facendoli scaraventare verso il muro, dopo un volo di due metri.
Essi perderono i sensi nell’impatto e abbandonarono le armi.
Le Tartarughe rimasero a bocca aperta dallo stupore. Non avevano mai visto niente di simile nelle loro precedenti avventure.
-MONDO PIZZA! TU…! TU…! L’ANELLO…! COME?!- balbettò Michelangelo, estasiato ed eccitato da quanto aveva appena assistito; tale da non avere più il controllo del suo linguaggio.
-Questo anello non è solo mero accessorio.- spiegò Elisabetta, in sintesi –E’ una specie di arma secondaria e molte altre cose. Ma ora non è il momento per spiegarvelo. Dobbiamo recuperare il vostro amico.-
-Giusto! Leatherhead!- si ricordò Donatello, battendo la mano contro la fronte; se quei Cleaners erano riusciti a raggiungerli, questo significava solo che il coccodrillo era stato catturato –Forse siamo ancora in tempo!-
-Andate! Io vi raggiungo subito! Mi assicuro che nessuno di loro faccia il furbo.-
-Va bene, ma stai attenta.- raccomandò Leonardo.
Ognuna delle Tartarughe aveva preso un mitra dei Cleaners, per precauzione.
Elisabetta non rimase come vigilante: lesta, frugò nelle tasche di ognuno dei Cleaners, dei pantaloni, delle giacche, delle felpe.
In ognuna di loro trovò una piccola scarsella che tintinnava.
Ne aprì una: al suo interno trovò tante monete d’oro. Da un lato c’era un rilievo della croce templare, dall’altro un cavaliere templare a cavallo. E la scritta “Deus Vult”.
“Come sospettavo…” pensò, seria; i suoi sospetti sulle armi erano fondati “Certo che i confratelli si stanno dando da fare…”
Un’altra banda al soldo dei Templari. Con la promessa di oro e una parte della citta, ovviamente. Nel loro caso, le fogne.
Elisabetta era indecisa se rivelarlo o meno alle Tartarughe. Doveva prendere la decisione giusta per mantenere la sua copertura, ma senza compromettere l’ordine.
Cosa fare?
Udì un rumore, un gorgoglio. Uno dei Cleaners si stava rialzando. E anche gli altri.
Elisabetta aveva poche scelte…
Nel frattempo, esse erano tornate nel punto dove avevano lasciato Leatherhead.
Lo trovarono mezzo svenuto per terra, con due Cleaners che gli puntavano un bastone elettrico a testa sulla schiena e quattro che lo bloccavano per i polsi e le caviglie.
Leonardo si schiarì la voce.
-Ehm, scusate…-
Attirò l’attenzione degli umani. Questi notarono quattro Tartarughe giganti che impugnavano gli stessi mitra che avevano loro.
Ma caricati e puntati verso di loro.
-Vi consigliamo di lasciarlo andare. E anche di non tornare più in questa zona delle fogne.-
-Se non volete che vi riempiamo di piombo.- aggiunse Raffaello.
La minaccia sembrò efficace.
Era già stato arduo, per i Cleaners, affrontarle con le sole armi da incontri ravvicinati. Non osarono pensare cosa sarebbe accaduto, con i loro stessi mitra.
Liberarono Leatherhead e scapparono dal lato opposto.
-Per me hanno afferrato il messaggio.- notò Michelangelo, sarcastico, abbassando il mitra -Speriamo che stavolta abbiano davvero imparato la lezione.-
Nonostante fossero ninja, odiavano ogni strumento per la violenza; infatti, gettarono i mitra in acqua e lasciarono che la corrente facesse il resto.
Poi corsero dall’amico coccodrillo, che stava tossendo e tentando di rialzarsi.
Lo aiutarono.
-Leatherhead! Amico, stai bene?- domandò, premuroso, Donatello.
-Sì, ora sto bene.- fu la risposta, serena; barcollò, appena alzato –Mi hanno solo stordito. Per fortuna, i loro bastoni non erano così carichi.-
-Ragazzi! Ragazzi!-
Elisabetta.
Stava correndo in loro direzione.
Si fermò, riprendendo fiato.
Leonardo si avvicinò a lei.
-Ehi, calma. Sembra tu abbia appena percorso una maratona. Qualcosa non va? Ti hanno aggredita?-
-No, sto bene. E di quei Cleaners non dovete più preoccuparvene.- rivelò lei, appena riprese il controllo del suo respiro –Mi sono permessa di perquisirli. Avevo già dei miei sospetti non appena ho visto i loro mitra, ma poi ho scrutato nelle loro tasche e avevano delle scarselle. Ecco, ogni scarsella aveva questo. A decine.-
Mostrò una moneta, che mise in mano a Leonardo.
Lui la girò più volte, studiandone la composizione. Anche i fratelli e Leatherhead diedero un’occhiata.
-Che bella moneta…- commentò lui.
-Non è solo una bella moneta. E’ una valuta templare. Vale 100 dollari. Questa banda era al soldo dei Templari.-
-Dei tuoi confratelli?!- si stupì Donatello –Ma… ma come è possibile?-
Elisabetta si morse il labbro inferiore.
-E’ il loro modus operandi, quando si insediano in un nuovo posto.- spiegò, abbassando lo sguardo –Danno la caccia ai criminali, alle bande più pericolose, tutti coloro che minacciano e ricattano i civili, li accolgono sotto la loro ala con la promessa di soldi e possedimenti, a patto che non delinquono più. E se vogliono, possono diventare anch’essi Templari. Oppure diventano loro semplici mercenari. E’ così che abbiamo eliminato le varie mafie, in Italia.-
-E funziona?-
-A volte sì. A volte siamo costretti a sopprimerli.-
-Perché corromperli?- domandò Raffaello –Non sarebbe più semplice eliminarli?-
-La nostra religione impone di dare una seconda possibilità a chiunque. Se la rifiutano, vengono eliminati.-
-E se dovessero tradirvi?-
-Vengono eliminati.-
Leatherhead alternava le occhiate ad Elisabetta con quelle alle Tartarughe, confuso.
-Scusate, qualcosa mi sfugge... Vediamo se ho capito bene…- cercò di sintetizzare il tutto –Vuoi dire che il tuo ordine assolda dei criminali affinché non pratichino più i loro crimini?-
-Già. Più o meno come faceva Shredder, ma in un altro modo.- ricordò Michelangelo.
-Sì, ma non tutti sono obbedienti e disponibili per l’ordine.- aggiunse Elisabetta –Non deve essere da molto che i Cleaners sono stati assoldati dai Templari, a giudicare dal loro atteggiamento. Ma questo giustifica il loro possedimento dei mitra.-
-Molto insolito per un gruppo come i Templari...- notò Leonardo, serio e sospettoso –Esattamente, quale è il fine dei Templari? A cosa ambiscono?-
La risposta si rivelò vaga, ma chiara nello stesso tempo.
-L’ordine.-
Era verità e menzogna. Aveva rivelato il fine, ma non il mezzo con cui pervenire a tale fine. Dopotutto, doveva far credere di essere una scomunicata, ma non a tal punto da compromettere l’ordine.
Ma non mentiva sul coinvolgimento degli Underground Cleaners negli affari dei Templari.
Dopotutto, le valute templari nelle loro tasche ne erano la prova. Ed era impossibile scippare un templare.
Non ci volle molto affinché avvertissero i loro nuovi capi del loro fallimento.
A ricevere la notizia fu l’uomo che li aveva assoldati, Giacomo, da un loro corriere.
E Giacomo doveva riferirlo a David.
In quel momento, era nella sala addestramento, a presiedere un combattimento senza armature tra il figlio Federico e il membro più giovane dell’ordine, Edoardo, un ragazzo di diciassette anni dalla folta capigliatura riccia.
Entrambi combattevano con le spade e lo scudo con la croce.
Gli attacchi di Edoardo erano molto forti. Federico faticava a pararli.
-Più in alto quella spada!- gli urlava spesso il padre David -E tieni bene stretta l’impugnatura!-
Gli attacchi ed i contrattacchi di Federico, infatti, erano goffi e distratti, come se la sua mente fosse altrove. L’ultimo attacco di Edoardo gli fece persino perdere la spada, che cadde per terra.
Ciò aumentò il disappunto di David.
-Ah! Se fossi in una battaglia vera, saresti già morto!-
Federico si ritrovò solo con lo scudo. E la punta della spada avversaria era dritta verso di lui. Non sapeva cosa fare.
-Ti senti con le spalle al muro, Ponte?- canzonò Edoardo, sorridendo malizioso -Oh, giusto. Adesso non hai i tuoi amici che ti difendono. Oh, ora scappa a piangere, come i bambini.-
Federico non stava piangendo: stava solo tenendo la testa bassa, per non incrociare lo sguardo del padre.
Ma scappò ugualmente dalla sala addestramento, per tornare nella sua stanza e chiudersi dentro fino al giorno seguente.
Ad assistere al combattimento-addestramento vi era anche Carmine. Anche lui aveva scosso la testa per comportamento di Federico. Edoardo si sedette accanto a lui.
-Prima Francesco, poi Elisabetta.- commentò questi, quasi ridendo -Certo che senza i suoi amici, il figlio del Magister non vale niente.-
-Sì, e ultimamente non fa altro che scappare, in ogni occasione.- aggiunse Carmine.
David scosse la testa.
-E’ un’autentica delusione, quel ragazzo…- mormorò, dopo un sospiro.
Giacomo entrò nella sala, con lo sguardo cupo.
Si avvicinò a David, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
-Sul serio? Un coccodrillo gigante?- commentò questi, sempre più deluso –Che banda di incompetenti…-
Con un cenno della mano, invitò i due ragazzi ad uscire dalla sala.
Anche lui e Giacomo uscirono. Andrea e Luigi li raggiunsero nel salone principale, riunendosi alla tavola rotonda.
-A quanto pare, la nostra infiltrata si sta lentamente integrando nel mondo di quei pagani…- annunciò David –Oggi ha aiutato le tartarughe contro l’ultima banda da noi assoldata, arrivando a ucciderne alcuni. Giacomo, mi aspetto tu faccia il possibile con quegli omuncoli.-
L’uomo fece un cenno della testa.
-Me ne occuperò quanto prima, David.-
-Sappiamo tutti che sarà questione di tempo, prima che quelle creature si fidino di lei. E anche noi dobbiamo fare la nostra parte, per il bene del nostro piano. Andrea, cos’altro hai saputo di queste tartarughe? Il tuo contatto ti ha saputo fornire ulteriori informazioni?-
-Niente che non mi avesse già rivelato.- rispose l’Andrea anziano, serio -E’ difficile estrapolargli informazioni, ma sai che posso essere convincente. Sono degli ossi duri, e sono poche le persone o creature in grado di tenere loro testa. Tuttavia, mi ha dato una dritta su un loro vecchio nemico. Hai presente i Dragoni Purpurei? Sono capeggiati da un tale di nome Hun. Il mio contatto sostiene che possa essere un valido alleato. Purtroppo, da quattro anni, operano in un’altra zona di New York. Ho già incaricato Spettro di trovarlo. Ma la parte più complicata si rivelerà arruolarlo. Dice che servono le maniere forti, non solo i soldi. Era il braccio destro di Shredder, quando ancora operava da queste parti.-
Finalmente una buona notizia, pensò David, sorridendo.
-Non sarà un problema. E a noi serve tutto l’aiuto possibile.- si voltò verso Luigi -Luigi, immagino tu sappia cosa fare, in questi casi.-
Luigi non rispose a parole: senza sbattere le palpebre, si limitò ad un silenzioso cenno della testa.
 
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Quali altri poteri avrà l'anello di Elisabetta? Comprometteranno la sua copertura?
Chi è il contatto di Andrea? Quale sarà l'intenzione di Luigi con Hun?

 
 
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Note finali: per la croce eterea mi sono ispirata a "Dante's Inferno"

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Capitolo 6
*** Il Flagello ***


Note dell'autrice: in questo capitolo scoprite, più o meno, uno dei motivi per cui questa storia ha il Rating arancione.


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Fin dall’antichità, le condanne a morte pubbliche attiravano l’interesse pubblico.
Ma gli unici ad essersi riuniti sotto un patibolo erano solo templari.
David vi stava sopra, insieme ai suoi seguiti Andrea e Giacomo.
Al centro, un ragazzo alto, capelli neri, occhi lievemente a mandorla, labbra carnose e casacca con la croce rossa sul petto. Aveva le mani legate dietro la schiena. Appariva sicuro di sé, si ergeva a testa alta, senza alcuna ombra di paura o timore.
Accanto a lui, Luigi leggeva un foglio.
-Il qui presente confratello Francesco è accusato di complotto e di alto tradimento verso il Gran Maestro David e contro l’ordine. La condanna prevede l’impiccagione. Il condannato ha delle ultime parole da pronunciare, con l’intento di salvare la sua anima?-
-Non mi pento di nulla.- la voce del ragazzo era molto grave –Tutto quello che ho fatto e detto è stato solo per il bene dell’ordine templare. Solo Dio mi è testimone e complice.-
Non esitava. Era sicuro delle sue parole.
-Il condannato non ha pronunciato parole di pentimento.- annunciò Luigi, chiudendo il foglio -E ha osato nominare il nostro Signore con la voce dell’arroganza! Verrà condannato a morte!-
Altri due templari misero una corda al collo del ragazzo e un sacco sulla sua testa.
-Che Dio vi condanni, per la vostra superbia…- sibilò lui, prima che il suo volto venisse definitivamente coperto.
Osservava un punto. Una persona. E la stessa persona ricambiava il suo sguardo.
La botola sotto i piedi del condannato si aprì. Morì sul colpo.
Elisabetta si svegliò di soprassalto, scattando in alto.
Non era al patibolo della sede templare in Italia. Era ancora nelle fogne di New York, nel rifugio delle Tartarughe Ninja, ormai seduta sul divano-letto.
Era ancora buio. Mancava solo un’ora all’alba.
Si sdraiò supina, osservando il soffitto: non riuscì a riprendere sonno.
Quel sogno la angosciava sempre. Non era un semplice sogno. Era un ricordo. Un ricordo doloroso.
Di quando un suo confratello, un suo amico, Francesco, venne condannato a morte per tradimento verso l’ordine templare. Dicevano avesse intenzione di spodestare David, se non proprio ucciderlo. Nessuno le aveva mai spiegato la vera accusa.
Quell’esperienza segnò lei e Federico. Ad entrambi capitava di sognarlo la notte e risvegliarsi con un insopportabile senso di angoscia che toglieva il sonno.
Da allora, venne proibito ad ogni templare di pronunciare il nome “Francesco”.
L’unica cosa che rimaneva di lui era la sua spada, Fidelitas, una zweihänder con l’impugnatura nera, sulla rastrelliera del salone principale, come monito per tutti i templari di non tradire mai l’ordine.
Francesco era il pilastro sia di Federico che di Elisabetta: insieme ad Elisabetta difendeva Federico dalle prese in giro dei confratelli, e anche dopo la rivelazione della vera identità di Elisabetta, lui aveva continuato ugualmente a nutrire ammirazione e rispetto per lei. Era stato lui, quello stesso giorno, ad averle rivelato: “Sono contento che tu sia una ragazza.”.
Entrambi Federico ed Elisabetta si erano riuniti alla sua veglia, prendendolo per mano un’ultima volta, prima di essere sepolto. Elisabetta non aveva mai pianto in vita sua come pianse per Francesco. Nemmeno Federico.
Da allora non aveva più versato una lacrima. Era come se la morte di Francesco le avesse svuotato i sentimenti ed i dotti lacrimali.
E forse non era da escludere un’infatuazione per lui.
Un amore impossibile.
Nessuno doveva innamorarsi all’interno dell’ordine.
Elisabetta dovette rassegnarsi.
Tali pensieri la privarono definitivamente del sonno.
Si alzò, andando in bagno.
Si sciacquò il volto con acqua fredda. E poi si osservò allo specchio.
Le era difficile osservarsi allo specchio. Aveva paura del proprio riflesso.
Non si riconosceva più. Non sapeva più, ormai, se era Eliseo o Elisabetta.
La pettinatura che portava le aveva donato l’identità di Eliseo.
Ma dentro era sempre la solita Elisabetta.
Si allontanò un attimo dallo specchio, prendendo un panno appeso ad un filo.
Una fascia lunga un metro.
Si sollevò la maglia, ad altezza delle clavicole, scoprendo i seni.
Erano troppo grandi, per una donna che doveva fingere di essere un uomo.
Vi mise la fascia sopra, girandola più volte sul suo torace e stringendo bene. Era l’unico modo per celare la sua vera identità.
Doveva continuare a farlo, anche quando i suoi confratelli avevano scoperto la sua vera identità.
Anche da Elisabetta, doveva presentarsi ed atteggiarsi come un uomo.
E indossando abiti larghi, nessuno aveva mai notato le sue curve. Non doveva indurre in tentazione il sesso opposto.
Si osservò di nuovo allo specchio. Poi si voltò di scatto.
-Chi c’è?!- fece, sorpresa.
Ebbe l’impressione di essere osservata.
Non riuscì a vedere il volto di chi la stesse osservando. Si era dileguato.
Sperò fosse una sua impressione. O un malinteso.
Ma forse qualcuno la stava osservando davvero, dal primo momento in cui era entrata in bagno. Ma si era nascosto appena in tempo.
Nessuno che volesse fare del male a lei o alle Tartarughe o a Splinter.
Forse uno capitato lì per caso.
-Ehi, ragazzi, perché c’è del vino in frigo?-
Dopo l’allenamento mattutino, era sempre ora di colazione.
E Michelangelo, per prendere le uova, dovette aprire il frigorifero.
Fu lì che notò qualche cambiamento. Tra cui tre bottiglie di vino rosso.
-Oh, l’ho preso io.- ammise Elisabetta; anche lei stava consumando la sua colazione, del semplice, ma sano porridge con del miele –Serve a me. Bevo sempre vino, prima di combattere, come vi ho già detto. Mi sono permessa di farvi la spesa, stamattina. Spero di aver preso le cose giuste. Mi sono solo basata su quello che era rimasto nel frigo e nella dispensa. La prossima volta, se volete, potete farmi l’elenco.-
Le era bastata solo una moneta templare per riempire nuovamente la dispensa ed il frigo delle Tartarughe.
Ed era persino tornata con il resto.
Leonardo, anche lui entrato in cucina, sorrise.
-A nome di tutti noi, ti ringrazio. Ma non dovevi.-
-Sciocchezze. Mi avete offerto ospitalità e permesso di allenarvi con voi. E, essendo umana, posso girare tranquillamente per le strade di New York in mezzo alla gente, quindi posso farvi la spesa.-
-Sei stata prudente? Non è che uno dei tuoi confratelli o qualche banda criminale al loro soldo ti ha vista?-
-Tranquillo, avevo questa roba addosso e un cappellino con la visiera.- indossava un felpone nero con un ampio cappuccio -E io sono sempre prudente.-
Anche Michelangelo era lieto di tale disponibilità: per poco, infatti, i lati della sua bocca con si incontrarono dietro la nuca, da quanto era largo il suo sorriso. E le sue dita stavano tamburellando l’una contro l’altra.
-Ah, io già adoro questa ragazza!- rivelò, senza pudore; poi cambiò subito espressione, appena vide la colazione della templare –Ma dobbiamo assolutamente farti togliere dalla testa la tua dieta salutare templacosa.-
-Mick, non essere scortese. E’ un’ospite.- fece ricordare Leonardo.
-Sì, ma gli ospiti devono sempre adeguarsi ai padroni di casa. Quindi, molla quel pappone salutare e vieni a farti una bella scorpacciata di uova e bacon!-
La scodella della ragazza era ormai vuota. E il suo stomaco pieno. Ma anche se fosse stata a stomaco vuoto, non avrebbe retto ad un’altra colazione americana. Lo ammise senza curarsi di ferire i sentimenti della tartaruga.
Per tutto il giorno, infatti, camminò sulle sue ginocchia, con i lacrimoni agli occhi, seguendo la templare in ogni sua attività, sia che si allenasse con una delle sue armi, sia che pregasse o sia che leggesse la Bibbia.
-Perché sei così cattiva con me? Io sono sempre stato gentile con te. Ti prego, abbandona la tua dieta. Fallo per me.- diceva, tra le altre cose.
E la risposta era sempre la medesima: -No.-
Con tono secco e senza troppi giri di parole. Ma non bastava per far smettere le suppliche. Ma lei lo ignorava e faceva finta che non esistesse.
Ciò non si poteva dire per i fratelli.
E il primo a sbuffare e mostrare segni di nervosismo fu Raffaello.
-Ehi, signora cavaliere.- disse, infatti, interrompendo il suo allenamento con il sacco –Vedi di accontentarlo e dirgli di sì, altrimenti non ne usciamo più.-
Ma lei si limitò ad alzare le spalle: la Bibbia era di nuovo aperta ai Salmi.
-Sei molto carino a preoccuparti per me, Raffaello Sanzio. Ma non mi da fastidio.-
Già il fatto di essere stato chiamato “Raffaello Sanzio” innervosì la tartaruga dalla benda rossa; la strafottenza della ragazza incrementò tale nervosismo.
Stava già avanzando verso di lei con passo pesante, le labbra serrate e l’intenzione di picchiare qualcuno.
-Senti, tu…!- ringhiò.
Ricevette un’occhiata fulminante che sbucò da dietro il libro.
Michelangelo tacque e indietreggiò, ancora in ginocchio.
Donatello, nonostante fosse impegnato a saldare, era ben cosciente della situazione.
-Ragazzi, per favore, non iniziate risse. Raph, la cara Eli potrebbe usare il suo anello. Potrebbe distruggere il nostro rifugio o metterlo in disordine. E io ho impiegato settimane per sistemare il mio laboratorio, quindi non ho intenzione di ricominciare da capo.-
Il fratello aveva esposto delle valide e convincenti ragioni: Raffaello tornò a fissare la templare, che strizzò un occhio, gli fece il gesto di una pistola e schioccò la lingua, come per dire “Punto per me”.
Ma gli occhi verdi di lui le stavano comunicando “Non finisce qui…”.
Se Donatello non avesse parlato, sarebbe intervenuto Leonardo. Continuò con i suoi kata.
Il Tarta-cellulare di Raffaello suonò.
-Yo?- rispose –Ehi, Casey. Quale buona nuova?-
-Nessuna, purtroppo, Raph. Mettimi in vivavoce, devo parlare con tutti voi.-
Raffaello mise in vivavoce, come richiesto. I fratelli, Splinter e la templare si radunarono intorno a lui.
-Avete sentito al telegiornale? Di quella banda di terroristi?-
-No.- rivelò Raffaello, confuso.
Rapido, Michelangelo accese il televisore, sul telegiornale. Si misero tutti di fronte allo schermo.
Effettivamente, le notizie dell’ultima ora erano incentrate su una banda di terroristi che si era impossessata di un edificio, prendendo le persone al loro interno come ostaggi. Era quasi impossibile vedere il volto di ognuno di loro: avevano passamontagna e occhiali. E portavano delle mimetiche.
Elisabetta non pensò ad un coinvolgimento templare. Non era il loro modus operandi.
Tuttavia, assunse nuovamente lo sguardo sospettoso, come se non fosse la prima volta in cui avesse visto quei terroristi.
-Dovete aiutare quelle persone, ragazzi. Se ci sono persone in grado di gestire una situazione simile, quelli siete voi.-
-Non fraintendermi, Casey.- commentò Leonardo –Siamo sempre felici di aiutarti, ma non dovrebbe essere compito della SWAT?-
-Purtroppo siamo impegnati in un’altra operazione, altrimenti saremmo già lì. Non possiamo operare su più fronti contemporaneamente. Abbiamo già impiegato l’intera squadra. Ma quelle persone non possono aspettare. Vi prego, dovete aiutarli. Il loro capo ha minacciato di far saltare in aria l’edificio, se non viene portato il riscatto entro un’ora.-
La risposta delle Tartarughe era ormai scontata, specie quando si trattava di salvare vite umane.
-Puoi contare su di noi, Casey.- decise Leonardo; decisione approvata da tutti, anche dalla templare.
La telefonata finì con quella frase.
I quattro fratelli avevano l’aria determinata.
-Avevo giusto voglia di prendere a calci qualcuno.- commentò Raffaello, facendo crocchiare le dita delle mani.
-Non dimentichiamo di salvare quelle persone.- fece ricordare Leonardo.
-State attenti, figlioli.- raccomandò Splinter, premuroso –I terroristi non sono avversari da sottovalutare.-
-Tranquillo, sensei. Staremo attenti.-
-Vengo anche io con voi.- si fece avanti Elisabetta, determinata e seria; aveva uno sguardo freddo, lo stesso che aveva al Nexus.
-No, devi rimanere qui.- la fermò Leonardo –Abbiamo apprezzato il tuo aiuto contro i Cleaners, ma non possiamo esporti a tutti i pericoli.-
-Ma quei terroristi hanno delle armi pesanti.- fece notare lei -Quante volte avete combattuto contro nemici armati di mitra? Il mio anello può servirvi, fidatevi.-
-Dai ascolto a Elisabetta, Leonardo.- si intromise Splinter, appoggiando l’idea della templare –Hai forse dimenticato che è un cavaliere templare? Con le sue abilità non potrà certo essere un ostacolo per voi. Una spada in più non fanno mai male. E il potere del suo anello non può che esservi utile, contro quel tipo di nemici.-
L’unico a non essere convinto era Raffaello. Gli altri erano d’accordo con il loro maestro.
La ragazza si inchinò al topo.
-Grazie, maestro Splinter.- ringraziò –Ora, scusatemi, vado a mettermi la mia corazza personale. Non siamo tutti tartarughe.-
Non ci volle molto, per la ragazza, tornare dal bagno con una nuova tenuta: anfibi neri, mimetica nera ed un giubbotto bianco antiproiettile con una croce rossa in mezzo.
Michelangelo fischiò, ammirato.
-Wow. Che stile.- complimentò.
Leonardo e Donatello annuirono.
-Vi piace? E’ la tenuta templare d’assalto.-
-E la casacca che portavi al torneo?-
-Quella la indossiamo solo per i tornei, Leonardo. Dobbiamo pur tenerci al passo con i tempi, no?-
Raffaello sbuffò dal naso.
-Certo che siete fissati con queste croci.- commentò, acido -Stiamo per sgominare una banda e salvare delle persone, non dare la caccia a Dracula!-
-Ehi, è il simbolo della nostra religione e abbiamo il dovere di indossarlo! Un po’ come il vostro yin e yang!-
-Mi vedi il simbolo dello yin e dello yang, addosso, forse?!-
-Ehi, adesso basta, voi due!- esclamò Leonardo; poi si rivolse ad Elisabetta –Non prendi la tua spada e il tuo scudo?-
-No, ho solo i miei due pugnali. Fidatevi, saranno sufficienti.-
-Bene, ora al Tarta-Corazzato.- annunciò Donatello.
-Aspettate. Devo fare un’ultima cosa.-
Elisabetta entrò in cucina, aprì il frigo e stappò una delle tre bottiglie di vino. Ne bevve un sorso direttamente dalla bottiglia. Un sorso abbondante.
-Ok, sono pronta. Andiamo a calciare qualche didietro.-
Le quattro Tartarughe erano basite.
-Questo conferma gli stereotipi sugli italiani e il vino…- mormorò Michelangelo.
Non c’era bisogno dell’aiuto di Casey per scoprire l’indirizzo dell’edificio occupato dai terroristi: lo avevano letto nel telegiornale.
Non era un’abitazione, ma degli uffici. Uffici di una multinazionale. Mancava il movente che aveva spinto i terroristi ad occuparlo e prendere i dipendenti come ostaggi. Né il telegiornale né Casey avevano saputo fornire informazioni sufficienti. Forse lo avrebbero scoperto sul luogo.
Leonardo era alla guida del Tarta-Corazzato. Donatello era accanto a lui, che scrutava uno schermo di quello che aveva l’idea di un tablet. Era sì un tablet, ma modificato dalla tartaruga dalla benda viola.
-Ecco, ho la planimetria e la scansione completa dell’edificio in cui ci stiamo dirigendo.- informò, serio e preoccupato –Secondo le scansioni satellitari, ci sono almeno un mezzo centinaio di persone all’interno dell’edificio, escludendo gli ostaggi. Una buona parte è sparsa nell’edificio. Solo una decina circa è a guardia degli ostaggi.-
-Don, ti ho mai detto che adoro quel tuo giocattolino?- commentò Michelangelo, comodamente seduto al suo posto.
Il Tarta-Corazzato era stato ricavato da un camion della spazzatura, adeguatamente modificato all’esterno ed all’interno da Donatello, con l’aiuto di April e Leatherhead. Per i dettagli era stato richiesto l’aiuto di Michelangelo. C’era, ovviamente, il posto guida, con due sedili, mentre lo spazio un tempo dedicato alla spazzatura era divenuto un vano per passeggeri, con sedili, computer, pulsanti e un piccolo angolo palestra per Raffaello, ovvero un piccolo sacco da boxe. Ed i pulsanti avevano varie funzioni: lanciare tombini agli inseguitori, versare olio per il medesimo motivo, lame rotanti, tutte misure per prevenire inseguimenti ed imboscate; sul tetto c’era persino una postazione con un mitra incorporato, mai, tuttavia, usato dalle Tartarughe.
-Non è un giocattolo, è un rilevatore spaziale.- spiegò Donatello, con un sospiro –Collegato con il satellite, è in grado di fornirci lo scan interno di ogni edificio e mostrarci ogni piano e quante persone troviamo all’interno.-
-Sì, va bene.- tagliò corto Raffaello, interrompendo la sua sessione alla pera da boxe –Quand’è che iniziamo a tirare pugni?-
-Sì!- il tono di Elisabetta era strano, come quello di una persona ubriaca –Stranamente concordo con l’amico Raffaello. Io qui dietro mi sto annoiando! Voglio le botte!-
La sua reazione lasciò nuovamente basite le Tartarughe.
-E ha bevuto solo un sorso…- mormorò Michelangelo, a denti stretti.
Erano ormai vicini. Ma ancora non avevano un piano.
-Ok, ragazzi, ecco cosa faremo.- iniziò Leonardo; come leader, doveva decidere lui la strategia –Non è la prima volta che affrontiamo un esercito formato da persone che ci superano nettamente di numero. Ma qui si tratta di dividerci i compiti, per avere più possibilità di salvare delle persone. Don, dove sono gli ostaggi?-
-Sono tutti al piano terra. Dieci uomini li stanno sorvegliando.-
-Molto bene. Il piano consiste nel salvare quelle persone, possibilmente senza farci vedere, come sempre. Don, Mick, vedete se riuscite a causare un corto circuito a lunga distanza. Il buio dovrebbe disorientare quei terroristi. Eli, mentre noi ci occupiamo dei terroristi, tu salverai gli ostaggi. Saranno sollevati nel vedere una figura umana.-
Elisabetta non tardò a mostrare il suo disappunto.
-No, io propongo un piano migliore.- ribadì, alzandosi dal suo sedile; era seria, molto seria; di nuovo lo sguardo freddo ed inquietante che aveva al Nexus -Voi salvate gli ostaggi. Ci penso io a fare piazza pulita.- si diresse all’ingresso posteriore del Tarta-Corazzato, aprendo il portellone -Mi posiziono sul tetto. Fino al mio segnale, Leonardo, vai a tutta birra contro l’edificio. Poi fermati. Aspettatemi al piano terra, quando avrete liberato gli ostaggi.-
Un piano rischioso, quello proposto dalla templare.
-Cosa?- si basì Michelangelo -No, aspetta, ragiona. Loro sono troppi per affrontarli da sola. Abbiamo più probabilità noi che siamo in quattro…-
La ragazza si voltò fulminea verso di lui.
-OBBEDITE!-
La tartaruga scattò all’indietro, con un lieve urlo. Sembrava furiosa. E, per un attimo, ebbe come l’impressione di aver percepito un bagliore nei suoi occhi.
-Sì, signora…- disse, con voce bassa ed intimorita; quella reazione allarmò anche il resto delle Tartarughe -Ok… cosa c’era in quel vino?- commentò, rivolto ai fratelli.
Il piano di base, però, non cambiò: come ordinato da Leonardo, Donatello e Michelangelo lavorarono nei computer per scatenare un black-out all’edificio verso cui stavano irrompendo.
L’unica cosa ad essere mutata era la spartizione dei compiti: alle Tartarughe spettava il compito di salvare gli ostaggi. Ad Elisabetta mettere fuori gioco il resto dei terroristi.
Erano sempre più vicini. L’edificio, come pianificato, divenne tutto scuro.
-Siamo vicini. Mancano meno di 500 metri.- annunciò Donatello –Eli, sei pronta?-
Dal tetto, in ginocchio, la templare teneva chiusi gli occhi, come per concentrarsi.
Raccolse sentimenti negativi: rabbia, odio, vendetta…
Un’aura strana si stava gradualmente formando intorno a lei: l’anello si era illuminato.
Poi aprì gli occhi: le iridi e le pupille erano sparite. Al loro posto, erano comparse due croci rosse templari, una per occhio, grandi quanto le iridi.
Ad un certo punto, urlò.
-LEO! FERMATI! ADESSO!-
Leonardo eseguì l’ordine: frenò.
Usando il moto esercitato dal mezzo, e dandosi la giusta spinta, la templare saltò in alto, arrivando al primo piano: erano appostati due uomini armati di mitra, ma dal volto coperto da passamontagna e occhiali scuri.
Si paralizzarono alla vista della donna templare (che loro credettero essere un uomo), sempre più vicina a loro.
-Salvète…!-
I due uomini non reagirono: la persona diretta verso di loro era circondata da un’aura bianca e rossa, dalla forma di una fiamma enorme.
Sorrideva. Ma non era un sorriso cortese. Era come il sorriso di un demonio.
Infatti, dalle due fondine legate alla tuta mimetica, sfoderò i due pugnali.
-…MORITURI!-
Li lanciò nello stesso momento, colpendo i due terroristi in piena fronte. Poi, entrò dalla finestra, recuperando le armi dai due defunti. Non erano soli: erano una decina. Ma lei non si scoraggiò, tantomeno si tirò indietro: prese i due mitra caduti. E iniziò a sparare.
Ogni terrorista cadde ad ogni colpo, senza avere modo di contrattaccare o attaccare preventivamente.
In tutto l’edificio si udì una risata da oltretomba: era la risata di Elisabetta.
Teneva un mitra nella mano sinistra, senza smettere di sparare, e con la destra teneva uno dei suoi pugnali. Saliva ogni piano, uccidendo ogni terrorista che trovava, eseguendo una specie di danza della morte. Coloro che non venivano colpiti da un proiettile, subirono la lama del coltello sulle loro gole, che squarciava persino il passamontagna.
Le Tartarughe non notarono l’aura, nemmeno i lampi causati dai mitra: il loro obiettivo era salvare gli ostaggi.
Sperarono solo che la templare riuscisse a sopravvivere contro il resto dei terroristi.
-Bene, ragazzi…- iniziò Leonardo, sguainando le katana –Ci siamo. Siete con me?-
Annuirono tutti.
Unirono le mani.
-POTERE TARTARUGA!-
Entrarono nell’edificio, senza farsi vedere dai terroristi.
Gli ostaggi erano intorno alla reception, inginocchiati per terra, con le mani sulla testa. Alcuni tenevano gli occhi chiusi, altri pregavano Dio e ogni santo esistente, altri singhiozzavano.
I terroristi, prima del black out, probabilmente avevano i loro sguardi diretti su di loro; ma con il black out si stavano guardando intorno, allarmati, con le armi puntate in avanti, in alto, ovunque.
Uno ad uno, tuttavia, perdettero i sensi, a causa di rapidi colpi dietro la nuca. Il necessario per stordirli, senza eliminarli. Non fu necessario usare le armi, se non per distruggere o far cadere i mitra.
Restando nell’ombra, Leonardo parlò agli ostaggi.
-Siete al sicuro, ora.- disse, con tono rassicurante –Scappate, presto!-
Essi eseguirono: poco importava chi li avesse salvati. La paura provata non li aveva incuriositi sul o sui loro salvatori. L’importante era essere usciti dall’edificio, vivi.
Le Tartarughe si riunirono all’ingresso.
-Don, il tuo scanner può rilevare anche la bomba che hanno messo i terroristi?- domandò Leonardo, serio, ma sollevato per aver salvato quelle persone.
Donatello analizzò di nuovo il suo scanner. Sgranò gli occhi.
-Questa poi! Si trova nel giubbotto antiproiettile di uno di loro. E’ nei piani superiori.-
-Nei piani superiori…?- Michelangelo ebbe un’illuminazione –MONDO PIZZA! ELI!-
-Forse siamo ancora in tempo per salvarla. Andiamo!-
Su ordine di Leonardo, le Tartarughe salirono due piani, correndo.
Udirono anche loro la strana risata e gli spari. Non sospettarono un istante che fosse proprio la ragazza che credevano dover salvare.
Tuttavia, notarono un pungente e curioso odore di sangue, appena salirono il primo piano.
Lo stesso che sentirono al secondo piano. Arrivati al terzo scoprirono il motivo.
Impallidirono tutti e quattro: un’intera orda di cadaveri circondati dal loro stesso sangue giaceva per terra, di fronte ai loro occhi. Alcuni decapitati, altri solo con la gola squarciata, altri con un foro di proiettile sulla fronte.
Uno spettacolo cui non erano abituati. E mai si sarebbero abituati. La via del Bushido non prevedeva l’assassinio. E nemmeno la morale di Splinter.
-MONDO PIZZA! QUI E’ SUCCESSO UN MASSACRO!- commentò Michelangelo, sgomento; nemmeno i film di azione lo avevano preparato per quella scena.
Donatello avvertì un fastidioso conato che per poco lo spinse al rigetto.
Leonardo ebbe il coraggio di mettere un piede all’interno del piano, anche a costo di sporcarselo. Doveva trovare il terrorista che aveva la bomba addosso. E, soprattutto, salvare Elisabetta.
Donatello dovette seguirlo: era l’unico a sapere quale fosse. Dovette combattere contro la sua nausea.
Persino Raffaello era rimasto basito da quello spettacolo: amava essere coinvolto nelle risse, ma non in un massacro.
-Chi può essere stato…?- mormorò, sottovoce. Anche lui e Michelangelo seguirono i fratelli.
Dentro di loro, sapevano la risposta. “Ma come?” pensarono.
Udirono un urlo. Dei lamenti. Dei respiri affannosi. Come quello di una persona mentre fugge da un predatore affamato.
La porta di fronte a loro era aperta: uno dei terroristi stava indietreggiando sui suoi gomiti. Stava guardando in alto.
-R-razza di animale!- imprecò, con voce tremante; aveva un curioso accento del Medio Oriente –Non voglio morire!-
Ma uno sparo lo colpì dritto in fronte, macchiando il muro. Le Tartarughe sobbalzarono. Michelangelo urlò.
Dalla penombra uscì l’unica fonte di luce in tutto l’edificio: Elisabetta.
Nella mano destra portava un mitra, mentre con la sinistra stringeva un uomo, morto, per i capelli. Il suo volto era scoperto.
L’aura rossa e bianca era ancora vivida intorno a lei. I corti capelli castani ondeggiavano verso l’alto, come fosse immersa in acqua. E gli occhi con la croce templare al posto delle iridi brillavano più che mai.
Le quattro Tartarughe rimasero immobili dalla sorpresa.
-Ti prego, dimmi che è uno degli effetti del vino.- sdrammatizzò Michelangelo, invano.
-Tu…- mormorò Leonardo, sgomento –Li hai uccisi…-
-Ho dovuto farlo…- confessò lei, per nulla pentita –Avrebbero fatto del male ad altre persone, se li avessi lasciati in vita. Hanno preso degli innocenti. Erano degli empi. E gli empi meritano solo la morte.- sollevò l’uomo che stava trascinando, mostrando il suo volto ai quattro rettili -Ecco la bomba.- disse, lanciando l’uomo in mezzo a loro; doveva essere vicino ai quaranta; ma il sangue gli aveva quasi del tutto coperto il volto; la gola era squarciata –Donatello, sei bravo in queste cose. Quindi puoi disinnescarla.-
In effetti, persino lo scan indicò quell’uomo come il possessore della bomba. E il suo giubbotto era la bomba. Doveva solo stare attento dove mettere le mani, o sarebbero saltati in aria insieme all’edificio.
-Ok…- mormorò la tartaruga dalla benda viola, sforzandosi di non osservare il taglio sulla gola; scrutò nel suo borsone, per cercare le tronchesi –Ora ho bisogno della massima concentrazione per disinnescare la bomba. Voi guardatemi le spalle.-
Aprì una tasca, in realtà il posto dove si trovavano i fili.
Le restanti tre tartarughe rimasero ferme a fissare la templare, sospetti e allarmati. Non era la prima volta che avevano notato un’aura simile.
In particolare, lo sguardo di Leonardo era diretto a quello di Elisabetta.
-Chi sei tu…?- mormorò.
Lei alzò lievemente lo sguardo, strizzando lievemente gli occhi.
Puntò il mitra in avanti.
-ATTENTI ALLE SPALLE!-
I terroristi poco prima resi incoscienti dalle Tartarughe avevano ripreso conoscenza e si erano lanciati all’inseguimento di chi aveva liberato i loro ostaggi.
Leonardo, Raffaello e Michelangelo sguainarono di nuovo le loro armi, pronti per affrontarli di nuovo.
Ma un proiettile perforò la fronte di uno dei terroristi. Il sangue macchiò lievemente le corazze.
Elisabetta corse oltre le Tartarughe, affrontando da sola gli ultimi terroristi.
Il mitra che brandiva aveva esaurito i colpi: dovette ricorrere ai suoi pugnali. Uno lo lanciò in avanti, colpendo il destinatario in mezzo agli occhi. Poi prese il suo mitra per eliminare il resto.
Un’azione orribile, secondo la morale delle Tartarughe. Erano ancora scioccati.
L’aura intorno alla templare si stava gradualmente dissolvendo.
-Sorella Elisabetta, cavaliere di rango esperto dell’Ordine Templare.- si presentò, rispondendo alla domanda di Leonardo; tornò normale, ma lo sguardo freddo e serio rimase -Detta Flagello.- aveva pronunciato “Flagello” in italiano -Perché come il flagello, io lascio dietro di me una scia di morte e desolazione.-
Udì dei lamenti: uno dei terroristi era stato ferito solo alla spalla. Stava cercando di strisciare verso le scale.
Ma un proiettile gli trapassò il cervello.
-Miserabile…- sibilò lei.
Poi snap! Le tronchesi avevano spezzato un filo.
Niente.
L’edificio era salvo. La bomba era stata disinnescata.
C’erano tre fili: Donatello aveva spezzato quello blu.
-Ragazzi. Il pericolo è passato.- annunciò. Ma non era sollevato.
-Bene. Allora possiamo tornare a casa.- disse la templare, facendo un passo in avanti, verso l’uscita.
Le Tartarughe non erano della stessa opinione: dovevano risolvere un altro problema, forse peggiore della bomba.
Infatti, Elisabetta notò il suo riflesso nella lama della katana di Leonardo, spuntata improvvisamente sopra la sua spalla destra.
-Io non credo proprio.- fece notare Leonardo; si era fatto serio; molto serio; lo stesso sguardo che avevano anche i suoi fratelli –Credo che dovremo fare un bel discorsetto, noi cinque…-
Elisabetta fu messa al muro, sollevata a mezzo metro da terra da Raffaello. Gli sguardi delle Tartarughe esprimevano furia e delusione.
Ma la templare non si lasciò intimorire: rimase con il suo sguardo di ghiaccio.
-Immaginavo che quella tua aura avesse qualcosa di familiare…- iniziò Leonardo, con le braccia incrociate –Quella sensazione di rabbia e odio non si dimentica facilmente. La stessa che ho percepito nel Nexus, nella Sala degli Eroi.- fece una piccola pausa ed un rapido scambio di sguardi con la ragazza –La figura che ci ha aggrediti… eri tu, non è così?-
La risposta non si fece attendere. Schietta, senza giri di parole.
-Sì, ero io. Soddisfatti?- disse, acida.
-Non ti vergogni? Hai ucciso dei concorrenti!-
-Stavo solo seguendo gli ordini del mio Magister!-
-Gli ordini?-
-Sì! I Templari dovevano essere ammessi in finale, a qualunque costo!-
-E hai anche fatto prendere vita a quelle armi?- aggiunse Raffaello, il più furioso di tutti.
-No, quello è stato Carmine! E’ il suo potere! Dovevamo eliminare o invalidare quanti più concorrenti possibili!-
-Anche una concubina?- riprese Donatello –Uccidete anche degli innocenti?-
-Non è morta nessuna concubina!- rivelò Elisabetta.
-Cosa?!- si stupì Leonardo -Allora chi…?-
-Ero io!- tagliò corto la templare –Faceva tutto parte del piano del Magister! Carmine ed io avevamo l’ordine di eliminare i concorrenti! Ma serviva una scusa per riunire tutti i semifinalisti in una stessa stanza, e abbiamo messo in scena una farsa per attirarvi nella Sala degli Eroi, l’unica sala con delle armi, con me vestita da concubina! Il cadavere che avete trovato era un manichino! Mi sono liberata in tempo di quegli sciocchi abiti, per passare alla mia parte del piano! Noi templari non ci sporchiamo le mani di sangue innocente, solo quello dei nostri nemici! Non siamo dei mostri!-
La presa sugli abiti si fece più stretta.
-Me lo sentivo che non potevamo fidarci di te!- tuonò Raffaello, sempre più furioso –Quindi, deduco tu sia venuta da noi per darci il colpo di grazia, eh?!-
-Ho sbagliato a fidarmi di David!- ribatté lei, determinata e rispondendo a tono -Quella volta che la mia vera identità era stata scoperta, si è messo dalla mia parte! Pensavo di valere qualcosa, ma ora ho scoperto che mi ha solo usata, per il mio potere! Ora che so quale è la sua vera natura, sono pronta a redimermi! Farò qualunque cosa! Non ho alcun motivo di uccidervi o voltarvi le spalle, adesso!-
-Ma perché lo avete fatto?- aggiunse Donatello –Quale era il fine delle vostre azioni?-
-Il Graal!-
Quella rivelazione causò un lungo momento di silenzio. Raffaello pose la ragazza per terra.
-Il Magister era convinto che il trofeo di questo Nexus fosse il Graal, la coppa in cui si narra avesse bevuto Gesù nell’Ultima Cena, la stessa coppa tanto cercata da re Artù ed i suoi cavalieri.- stava parlando con tono normale, dalla tonalità lievemente bassa a causa delle grida di poco prima –Vincendolo, avremmo potuto finalmente impossessarcene. Ma il piano è fallito con la mia sconfitta.-
-Già…- disse Raffaello, anche lui incrociando le braccia, storcendo la bocca –E dimmi, signora cavaliere, adesso cosa ti impedisce di ucciderci nel sonno per prenderti quel trofeo?-
-Quel trofeo non assomiglia per niente al Graal!- tagliò corto Elisabetta –Non avrei alcun motivo di uccidervi, adesso. E poi sarebbe da idioti! Mi hanno scomunicata e non so dove andare! Sentite, la mia ammirazione per il mio Magister David è pari a quella che voi provate per il Maestro Splinter, andrei in capo al mondo per lui, ucciderei per lui. I suoi ordini, per me, erano legge. Ma non mi ero mai resa conto di quello che era, fino a quando non mi ha scomunicata dall’ordine. Che motivo avrei, ora, di tradirvi?-
Le Tartarughe rimasero in silenzio.
-Quindi… quella volta con i Cleaners…- cercò di ricordare Leonardo –Anche loro li hai…?-
Elisabetta annuì.
-Sì. Ho dovuto.-
Potevano ancora fidarsi della templare? Anche dopo aver scoperto la verità su di lei? Anche dopo aver scoperto il suo potere? La sua indole violenta? La sua tendenza ad uccidere le persone?
Poteva essere una valida alleata, quanto una temibile nemica.
Le Tartarughe erano in dilemma.
-Se avesse voluto ucciderci, lo avrebbe già fatto…- constatò Leonardo, serio.
Raffaello tagliò corto.
-Leo, sei serio?! Hai visto cosa può fare?! E’ pericolosa!-
-Sì, l’ho visto, Raph. E siamo stati fortunati a non essere state sue vittime. I suoi metodi sono molto discutibili, ma ci ha salvato la vita.-
-E ci ha anche rifornito frigo e dispensa.- aggiunse Michelangelo, di nuovo fuori luogo. Raffaello dovette scacciarlo spingendolo sul suo volto.
-Riflettete. E se dovessimo subire un attacco dei templari?- fece notare Donatello –Lei conosce il loro modus operandi, come i loro punti deboli. Può esserci d’aiuto, come lo è stata con i Cleaners. E ha dichiarato di volersi redimere dai suoi peccati. Io direi di tenerla con noi e darle un’altra possibilità.-
Leonardo era ancora indeciso. Ma Donatello gli aveva esposto dei pro più convincenti dei contro di Raffaello.
E aveva visto con i suoi occhi il trattamento riservato agli scomunicati: non se la sentiva di mandare nuovamente la ragazza in mezzo a quella banda praticante il muai thai.
In fondo, come aveva detto lui stesso, aveva salvato loro la vita. Anche se non condivideva i suoi metodi e la sua morale. Erano, in fondo, due mondi differenti. Ma aveva giurato di non aver mai versato sangue di persone innocenti.
-Va bene.- decise –Puoi restare con noi.-
Elisabetta e Michelangelo tirarono un sospiro di sollievo. Più il secondo che la prima.
Donatello sorrise, annuendo.
Raffaello emise un lieve lamento di disappunto.
-Se poi ci strappa i cuori o osa fare la stessa cosa al Maestro Splinter, non dite che non vi avevo avvertito…-
-Ma come, Raph? Ma se è la tua ragazza ideale. Vi infiammate nello stesso modo, quando venite provocati.- schernì Michelangelo.
-Ora non cominciate, voi due.- li fermò Leonardo –Dobbiamo, piuttosto, contattare Casey e dirgli che la missione è completata e l’edificio è sicuro.-
Tornarono nel Tarta-Corazzato, alla via del rifugio.
Fu Donatello ad avvertire Casey. Evitò la parte del massacro. Non volevano allarmarlo, informandolo che fosse stata una loro alleata a provocarlo.
-Grandi, ragazzi!- esultò lui –Più tardi, April ed io passiamo a trovarvi, per quella famosa cena che ci siamo promessi tempo fa, e per scusarmi del disturbo. Ovviamente porteremo anche Arnie. Non fa altro che dirmi che vuole andare a trovare i suoi zii e nonno Splinter.-
-Ma figurati. Lo sai che non disturbi mai per queste cose. Ci vediamo dopo. Ordinate pure l’intero menù. Tanto sappiamo che sarà April a divorare tutto.-
Riattaccò ridacchiando, per poi riprendere a fissare e digitare qualcosa al computer, mentre Raffaello continuava ad allenarsi alla pera da boxe.
-Ehi, ragazzi, guardate cosa ho trovato!- annunciò, preoccupato; il computer mostrò varie immagini e file riguardanti l’edificio che avevano appena salvato dai terroristi –A quanto pare, è una multinazionale un tempo affiliata, sentite un po’, al Clan del Piede, ovvero a Shredder.-
Leonardo si sgomentò: per poco non lasciò il volante del Tarta-Corazzato.
-Cosa?! Stai scherzando, spero!-
-Oh, lo vorrei tanto, Leo.- Raffaello e Michelangelo si erano avvicinati al fratello dalla benda viola –Ma secondo la rete, questa multinazionale lavorava proprio per lui. A quanto pare, stava progettando di fondare un esercito mondiale per lanciare il suo attacco massivo contro gli Utrom. Questa multinazionale gli stava offrendo risorse per il suo progetto, senza, ovviamente, sapere di cosa si trattasse effettivamente. Deve averli ingannati, come ha fatto con il resto della città.-
-Cosa voleva da quella multinazionale?- domandò Raffaello.
-Sto cercando di entrare nei loro file, ma sembra che con la “scomparsa” di Oroku Saki, questi file siano stati cancellati, forse per ordine di Karai, non ne sono sicuro.-
-Dici, quindi, che, da un certo punto di vista, ci sia Shredder dietro a questo attacco? O qualcuno legato a lui? Amico o nemico?- ipotizzò Leonardo.
-Non ne ho idea, Leo. Farò del mio meglio per indagare più a fondo. Forse il computer di casa ci saprà fornire più informazioni, ma non prometto nulla.-
Elisabetta non aveva detto una parola. Rimaneva, in silenzio, ad osservare fuori i finestrini, ascoltando con attenzione la conversazione, seduta accanto a Leonardo, che guidava il Tarta-Corazzato.
Nemmeno lui sapeva cosa dire. Non voleva metterla in imbarazzo.
Per fortuna, ci pensò Michelangelo a rompere il ghiaccio.
-Ehi, Eli, spero non ti dispiaccia mangiare di nuovo cinese, stasera.- disse, spuntando da dietro i sedili –Anche l’altra sera non hai preso molto, mi chiedo come tu faccia a mangiare così poco. Ah, come non capisco voi salutisti.-
-Beh, se con poco intendi la sola forchettata che ho preso di spaghetti con il ketchup, ti avviso che mi sono rimasti nello stomaco per tutto il giorno.- fece notare lei, con la solita smorfia offesa da brava italiana per gli americani che osano usare il ketchup come condimento per la pasta.
-Ma non giustifica che volessi buttarli nella spazzatura, con tutta l’anima e il cuore che ci ho messo per prepararteli come si deve.-
Partì il sospiro generale dei fratelli.
-In arrivo altre suppliche…- mormorò Donatello.
No, non erano suppliche quelle di Michelangelo. Ma veri e propri lamenti.
Si sentiva ferito dalla critica della ragazza alla sua cucina.
-Mick, sono italiana.- si giustificò la ragazza, uscendo dal mezzo; erano tornati al rifugio –Per diritto non mi piacciono gli spaghetti con il ketchup. Ascolta, facciamo una scommessa. Domani cucino io. E farò la vera pasta al pomodoro. Se ti piacerà meno della pasta con il ketchup, allora la mangerò anch’io senza lamentarmi e senza lasciarne nemmeno una goccia. Ma se ti piacerà di più, non voglio più sentire suppliche o lamenti da vittima, chiaro?-
A Michelangelo piacevano le scommesse: soprattutto quelle in cui era sicuro di vincere.
Strinse la mano con l’umana.
-Affare fatto, sorella.-
-Eli, lo sai che Mick farà il possibile per vincere la scommessa, vero?- avvertì Donatello.
Ma Elisabetta non si lasciò intimidire: sorrise in modo furbo.
-Lo vedremo.-
Rientrarono nel rifugio. Splinter tirò un sospiro di sollievo, appena udì i passi dei suoi figli e dell’ospite.
Era ancora sintonizzato sul telegiornale. Stavano trasmettendo le notizie dell’ultima ora.
-Oh, figlioli. Siete tornati, grazie al cielo.- li salutò, avvicinandosi con un sorriso rincuorante –Cosa è successo all’edificio? Gli ostaggi sono salvi, ma sembra sia successo un massacro. I terroristi sono morti.-
-Chiedi a lei.- precisò Raffaello: le Tartarughe si misero in una posizione tale che la ragazza spuntasse da dietro di loro.
Splinter la osservò negli occhi. Intuì l’accaduto.
-Che cosa hai fatto…?- mormorò, preoccupato.
Lei abbassò lo sguardo.
-Lo so che per voi è strano e immorale. Ma non avevo altra scelta.- ammise, con un filo di voce.
Michelangelo, per fortuna, si mise in mezzo, prima che Splinter le riservasse una ramanzina su cosa fare o non fare con i nemici.
-A proposito, dolcezza…- disse, con tono da diplomatico –Quel tuo potere… quello che ti ha fatto apparire tutta bella scintillante… Di cosa si tratta?-
Lei mostrò nuovamente il suo anello.
-Deriva direttamente da questo.- spiegò –Dopo l’allenamento militare e la Veglia notturna veniamo investiti cavalieri templari e il Gran Maestro ci mette questo anello al dito. E’ metallo magico. Nessuno sa da dove venga.- si morse il labbro inferiore -Oltre ad evocare croci eteree ha un altro potere. Nel primo momento che lo indossi, il metallo sembra scrutarti dentro e cerca l’emozione più forte in te, che sia positiva che negativa. A me è capitato questo potere, una scarica di adrenalina potenziata, come un Berserk. Suppongo che dentro di me ci fosse troppa rabbia. Mi basta arrabbiarmi, per attivare il mio potere. Confesso di averne usato un po’ durante il Nexus, ma non ai livelli estremi. Divento una forza inarrestabile, accecata dalla rabbia e dalla voglia di distruggere. Per questo, mi è stato donato il nome di Flagello. Sia da Eliseo che da Elisabetta, i miei confratelli hanno rispettato il mio potere. Per questo sono diventata, dall’identità di Eliseo, una dei favoriti del Magister. Pensavo che Federico mi avrebbe odiato per questo, perché credevo che quel potere lo volesse lui, per farsi rispettare dal padre e dai confratelli. Invece, quel giorno è venuto da me, sereno, e mi ha detto che era contento che avessi questo potere e che suo padre fosse fiero di me. “Preferirei ricevere da mio padre una sincera delusione che un falso amore dovuto ad un potere distruttivo.” mi disse. A lui, invece, è capitato il curioso potere di far provare alle persone gli stessi sentimenti che provano altre persone. Basta che due persone lo tocchino.-
-Quindi tutti i templari hanno un titolo legato al loro potere?- domandò Donatello, affascinato.
-Esatto. E Carmine, giusto per farvi un esempio, è chiamato Punizione, perché la punizione non ha un volto. Infatti, lui può controllare gli oggetti con la forza del pensiero. Come vi ho spiegato prima, era lui a muovere le armi nella Sala degli Eroi, nel Nexus.-
-Aspettate, di cosa state parlando?-
Anche Splinter venne messo al corrente della storia dietro l’imboscata al Nexus. Riconobbe e accettò il pentimento della ragazza, ma scosse la testa, quando venne a sapere che il mandante era stato il suo vecchio amico David.
-Ah, David, David…- mormorò, dispiaciuto –Ma cosa ti è successo…?-
Erano davvero passati anni dal loro ultimo incontro. Non sapevano più niente l’uno dell’altro. Splinter si era illuso che il giovane templare che aveva conosciuto fosse rimasto lo stesso dopo tutti quegli anni.
Anni fa non lo avrebbe creduto capace di barare, per vincere il Nexus.
-Ah, Sensei!- si ricordò Michelangelo –Ha richiamato Casey. Lui ed April torneranno a momenti a farci visita. Per la cena tutti insieme.-
Splinter ottenne nuovamente il buonumore.
-Casey ed April? Sarà una gioia rivederli. Porteranno anche Arnie?-
-Certo che sì.-
Elisabetta era confusa.
-Aspettate, cosa?-
-Sono nostri amici.- spiegò Leonardo -Precisamente, i nostri primi amici umani. La prima volta non avevamo nemmeno sedici anni, vi ricordate, ragazzi?-
-Assolutamente.- Michelangelo tirò su con il naso, simulando un pianto –E’ stato poco dopo che gli Acchiappatopi avevano distrutto la nostra prima casa.-
-Cosa…?-
-Tranquilla. Mettiti comoda e ti racconteremo tutto.-
Il tempo impiegato per raccontare alla templare i primi giorni a contatto con il mondo umano, avvenuta quasi dieci anni prima, fu sufficiente prima dell’arrivo dei coniugi Jones.
Casey entrò portando dei sacchetti in entrambe le mani. April riprese fiato, toccandosi la pancia. Arnie non mostrava segni di stanchezza, nonostante l’ora tarda. Rivedere gli “zii” e nonno Splinter gli dava sempre la carica.
-Spero che con i ragazzi tu abbia usato una scusa più credibile della storia del tizio che ha lanciato te e la tua squadra con un urlo al tuo capo.-
Casey sospirò.
-April, per l’ennesima volta. Eravamo la mia intera squadra contro uno. Non poteva farcela. Ma poi si è messo a urlare e io sono volato via. Mancava poco mi rompessi le costole.-
-Sì, certo, tesoro…-
-Andiamo, April! Abbiamo assistito a invasioni aliene, a uno Shredder mistico che voleva renderci demoni, un robot del futuro, ad uno sciame di insetti robot il giorno del nostro matrimonio, e non credi a questo?!-
-Dico solo che dovresti smetterla di enfatizzare le tue missioni. Tu hai insistito per entrare nella SWAT. E ora non lamentarti se le cose non vanno sempre come vuoi tu.-
-Aspetta, vedo la luce. Ehi, ragazzi!-
La famiglia Jones entrò nella sala principale, con un grande sorriso.
Arnie corse subito da “nonno” Splinter, come al solito.
-Spero sia andato tutto bene, ragazzi.- salutò Casey, dando il cinque a Raffaello –Avrei tanto voluto occuparmi io stesso di quei terroristi, ma i capi hanno dato la priorità ad una sommossa da stadio.-
-Tranquillo, noi siamo ancora vivi. E’ già qualcosa.- rassicurò la tartaruga dalla benda rossa.
April, invece, si era avvicinata a Donatello.
-Perché non mi hai chiamata, geniale idiota?- rimproverò –Potevo aiutarti a distanza, come ai vecchi tempi.-
-Scusa. Ci avevo pensato, ma, sai, non volevo ti affaticassi, nelle tue condizioni…-
-Ehi, la forza di mettermi al computer ce l’ho! Non sono così debole!-
Leonardo volle attirare l’attenzione.
-Scusate, vorremmo presentarvi una persona…-
Elisabetta era rimasta in disparte, osservando i nuovi arrivati: April e Casey. I primi amici umani delle Tartarughe.
Come doveva presentarsi a loro? Come Elisabetta o come Eliseo?
Leonardo le mise una mano dietro la schiena, invitandola ad avvicinarsi.
-Tranquilla, presentati come te stessa. Puoi fidarti di loro.- la rassicurò, a bassa voce –Chiunque entra qui dentro è una persona fidata.-
Lei si convinse delle sue parole.
Sorrise ai coniugi, questi sorpresi di vedere un altro essere umano in compagnia delle Tartarughe.
-Piacere, il mio nome è Elisabetta. Quod Deus voscum ambulat.-
-La templare che ho affrontato nella finale del Nexus.-
Entrambi i coniugi furono ancora più sorpresi.
-Questa poi!- commentò Casey –A prima vista, avrei giurato fossi un maschio!-
Ma April sorrise.
-Finalmente un’altra donna. Ciao, davvero molto piacere. Allora sei tu la famosa templare che ha messo più volte in difficoltà il nostro Leo. Ma è strano, pensavo che i templari non ammettessero donne, nell’ordine.-
-E’ così, in effetti, ma è una lunga storia. A proposito, congratulazioni.- indicò il pancione.
-Oh, grazie.-
-Quanto manca?-
-Oh, ancora un paio di mesi. Mio marito pensa che possa nascere da un momento all’altro. Sai, il nostro primogenito, è nato due settimane in anticipo.-
-Ecco perché adesso mangia il triplo di prima.- ironizzò Casey, posando i sacchetti sul tavolino. Sembrava un buffet con sola roba cinese, da quanto cibo avevano portato.
Mentre la tavola veniva preparata, Arnie si era avvicinato ad Elisabetta, fissandola con i suoi occhi verdi.
-Tu non sei una tartaruga…- disse, con la sua vocina –Che cosa sei?-
La ragazza ricambiò lo sguardo. Poi sorrise e si mise in ginocchio.
-Io? Sono una ragazza. Una donna. Come la tua mamma.-
-Ma hai i capelli corti, come il mio papà. Le donne hanno i capelli lunghi, come la mamma.-
-Arnie, non dare fastidio alla signorina.- chiamò April, mentre Donatello la aiutava a sedersi sul divano.
-Spero non vi offendiate se la nostra nuova ospite non mangia molto.- avvertì Michelangelo, già avventato sui ravioli al vapore –Purtroppo, il suo ordine templacoso la spinge ad una regola rigida alimentare che le impedisce di mangiare qualsiasi cibo poco salutare.-
-Ehi, solo perché ho fatto un commento negativo sulla tua cucina, non significa che non debba mangiare niente.- precisò la templare –E poi, la cucina cinese include anche verdure, quindi è ben bilanciata, quindi posso mangiarla.-
I coniugi erano sempre più confusi.
-Vi racconterò più tardi io.- li rassicurò Donatello.
La cena proseguì senza altre interruzioni, a parte le chiacchiere tra amici.
A Casey non parve vero godersi finalmente una serata con i suoi amici senza essere interrotto dalle chiamate dalla centrale.
Volle raccontare ai suoi amici quanto avvenuto dopo il salvataggio di Elisabetta, e dell’uomo che aveva scaraventato lui e la sua squadra con un urlo.
Elisabetta diede una spiegazione.
-E’ il potere di Salterio.- rivelò.
-“Salterio”?- domandò l’uomo, sorpreso; non si aspettava che almeno una persona credesse alla sua storia.
-Sì. Il DJ che voi quattro avete visto la sera che mi avete portato qui è un templare. Si chiama Andrea, ma è chiamato Salterio, perché la musica può essere intensa. Infatti, il suo potere sono gli urli.-
Se non avesse spiegato, prima, alle Tartarughe che ogni templare aveva un potere, derivato dall’anello che indossavano, l’avrebbero presa per pazza. Ma, almeno, April finalmente credette alla storia del marito.
Questi ne fu sollevato.
-Lo sapevo di non essermelo immaginato!- esclamò, affondando la schiena sul divano con un sospiro di sollievo –Non sono pazzo, allora!- poi tornò a fissare la donna templare –Leonardo ci ha raccontato lo scontro con te in modo preciso. Vorrei affrontarti anch’io.-
Elisabetta alzò le sopracciglia.
April cercò subito di dissuaderlo.
-Casey, no! Sei appena tornato dal tuo turno…!-
-Quelli non erano niente. Non mi sono nemmeno riscaldato. Io voglio la vera azione. Se ha messo Leo in difficoltà, vuol dire che è un degno avversario. Allora che ne dici, adesso?-
Elisabetta posò la vaschetta di spaghetti di soia con carne e verdure, osservando Casey con aria furba.
-Va bene, accetto.-
Michelangelo sorrise.
-Vai! Cena e spettacolo! La serata non potrebbe andare meglio di così!- esultò, mettendosi a gambe incrociate sopra il divano.
Casey si era portato dietro la sua inseparabile sacca, estraendo la mazza da golf. Anche da agente della SWAT, non rinunciava alle sue vecchie armi.
Elisabetta, per adeguarsi, prese l’azza.
-Woah! Che arma, ragazza! E quella cosa sarebbe?!- si stupì l’uomo.
-Un’azza.- spiegò lei, roteandola –Vediamo quanto resiste la tua mazza da golf.-
-Ehm, non stai dimenticando qualcosa?-
Leonardo aveva il palmo aperto, come se si aspettasse di ricevere qualcosa. E prima si era schiarito la voce.
Elisabetta intese il messaggio: si sfilò l’anello dal dito e lo lanciò.
-Non possiamo rischiare.- disse, rivolto ai fratelli.
Finalmente poté vederlo da vicino: sembrava un semplice anello con una croce templare rossa al centro. Era davvero molto bello. E magnetico.
-Un avvertimento, Eli.- aggiunse Donatello, prima che i due umani incrociassero le armi –Casey si è allenato con noi.-
-Nessun problema. Ho messo a tappeto un triceraton, al Nexus.-
Tale rivelazione lasciò sconvolte le Tartarughe e Splinter: un triceraton era difficile da sconfiggere persino per loro.
-TU hai sconfitto Traximus?!- esclamò Donatello, con gli occhi completamente spalancati.
-Non è stato facile, ma almeno non ho dovuto provvedere all’anello.-
-Ma io non sono come i triceraton!- chiarì Casey, facendo roteare la mazza -Sono un concentrato di muscoli e ninjitsu! In guardia!-
Caricò contro la ragazza. Anche lei caricò, urlando.
A quell’urlo, Casey si fermò. Inquieto.
-Ti sei distratto!- schernì lei, colpendo gli stinchi del suo avversario con la parte legnosa dell’azza, con dal metallo. Casey si sbilanciò in avanti, ma non cadde: posò una mano per terra ed eseguì una verticale, per poi poggiare i piedi per terra.
-Mi hai preso alla sprovvista, sorella. Ma ora facciamo sul serio!-
Il combattimento iniziò sul serio.
La mazza da golf si scontrava con l’azza, senza mai colpire chi la brandiva e viceversa.
Casey era più muscoloso di Elisabetta, ma anche più agile, essendosi allenato con le Tartarughe. Tuttavia, Elisabetta riusciva a tenergli testa e parare e deviare i suoi colpi. Si destreggiava bene.
-Vai, papà!- tifava Arnie. Anche April tifava per il marito.
Le Tartarughe non sapevano per chi tifare. Decisero di godersi la lotta e basta.
Ma Casey era sempre troppo irruento nei suoi movimenti. E facilmente prevedibile.
Elisabetta schivò l’ultimo colpo e lo fece cadere con un semplice calcio sui talloni.
Stavolta cadde, di schiena.
Si ritrovò la punta dell’azza vicino alla sua gola. E un sorriso soddisfatto della templare.
-Sei un concentrato di muscoli e ninjitsu, eppure battuto anche tu da una rozza templare.- schernì, facendo l’occhiolino.
Le Tartarughe risero. April nascose il proprio volto dietro la mano, dall’imbarazzo. E Splinter applaudì.
-Brava, Elisabetta.- complimentò –Ottime reazioni. Non sono sorpreso che tu abbia sconfitto Traximus, con le tue abilità. David avrà una natura maligna, ma ha saputo allenarti come un degno guerriero.-
-Sono assolutamente d’accordo.- aggiunse April –Se non fossi incinta, anche a me sarebbe piaciuto combattere con te.-
Elisabetta sorrise: i coniugi Jones le piacquero subito.
Sperò di rivederli presto. Casey esigette una rivincita. E con April si erano promesse di affrontarsi dopo il parto.
Nella sede dei templari, intanto, il tetravirato era riunito nel salone della tavola rotonda. Erano riuniti dietro a Edoardo. Lui dava loro le spalle e restava immobile, guardando in alto.
Nei suoi occhi erano presenti le croci templari, grandi quanto le sue iridi.
-Il piano non è fallito.- annunciò –Le Tartarughe non hanno mandato via Elisabetta.-
Il suo corpo era nel salone: ma il suo spirito era nel rifugio delle Tartarughe Ninja.
Era questo il suo potere: separare la sua identità astrale dal suo corpo e viaggiare in ogni luogo, senza essere visto o sentito. Come un fantasma. Ma poteva parlare nel suo corpo reale.
David sorrise.
-Eccellente, Spettro.- disse; gli occhi di Edoardo tornarono normali; si congedò dal tetravirato con un inchino, entrando nei dormitori –Quindi, siamo ad un buon punto con il piano principale.-
-E riguardo il nostro futuro alleato?- fece ricordare Luigi, rivolto ad Andrea.
-Sono riuscito a trovarlo anche grazie all’aiuto di Spettro. Ora sta a te convincerlo a passare dalla nostra parte.-
Giacomo rise al pensiero di Luigi arruolare un uomo pericoloso.
In quel momento, la croce sull’anello di David brillò.
-Una chiamata. Scusatemi.- disse, per poi dare le spalle ai confratelli.
Mise l’indice ed il medio dell’altra mano sulla croce. I suoi occhi divennero bianchi: si trovò faccia a faccia con Flagello, nella dimensione mistica.
-Elisabetta, mia cara…- salutò, allargando le braccia –Quasi non speravo più in una tua chiamata. Ho sentito alla televisione quanto successo in quell’edificio. Sei stata tu?-
-Sì, con le Tartarughe. Avevo sospettato qualcosa, ma poi ho notato questo su uno di loro. Gliel’ho strappato, prima di sparargli.-
Dalla tasca aveva estratto un oggetto che non aveva mostrato alle Tartarughe: un pendente dalla forma di sole.
David si fece serio ed allarmato.
-Saraceni…- mormorò –I nostri nemici più antichi. Sono già qui?!-
-Forse una parte di loro situata da tempo negli Stati Uniti.- ipotizzò la ragazza –Come noi, anche loro hanno più basi, in tutto il mondo. E non solo: Donatello ha scoperto che la multinazionale che hanno occupato era affiliata con il Clan del Piede. Ma i documenti digitali che lo testimoniano sembra siano stati cancellati successivamente lo sgomino del Clan e la scomparsa di Oroku Saki. E per quanto riguarda quelli cartacei, non mi stupirebbe se fossero stati bruciati dalla figlia Karai. Ipotizzo che ci fosse un collegamento anche tra i saraceni ed il Clan del Piede, magari un rapporto di convenienza o per affari, e che la loro occupazione fosse stata messa in atto per impossessarsi delle risorse cui la multinazionale godeva per i loro piani contro di noi. Ma quali è ormai ignoto.-
-Sì, avrebbe senso…- rifletté David, sempre più serio –Qualunque cosa fosse, non sarebbe un vantaggio per noi. Ma è anche certo che non sarà questo loro fallimento a fermarli. Se anche il loro capo è qui, vorranno impossessarsi anche loro del Graal. Non devi permetterlo. Tieni gli occhi aperti. Noi faremo lo stesso. Intanto, continua con la tua parte del piano.-
-Eli!-
La voce di Michelangelo era percepibile fuori dalla dimensione mistica. Per fortuna, Elisabetta vi uscì appena in tempo.
Era nel bagno, di fronte allo specchio.
-Posso entrare? Mica stai facendo qualcosa tipo spogliarti o farti la doccia?-
-No, stavo… per lavarmi i denti. Vieni pure, Mick.-
-Ah, bene, così li laviamo insieme.-
Dovettero dividersi il lavandino e lo specchio, mentre si lavavano i denti.
-Sei stata formidabile con Casey!- complimentò Michelangelo, con lo spazzolino in bocca –Anche senza il tuo anello!-
Elisabetta sputò nel lavandino.
-Grazie. E’ stato facile. Sono abituata ad avversari robusti.-
Uscirono insieme dal bagno.
-Senti, quindi quel tuo potere…- riprese la tartaruga -Puoi controllarlo, vero?-
La ragazza storse la bocca.
-Teoricamente sì.- spiegò, poco convinta -Ma il mio stato di furia è difficile da frenare. Può capitare che un templare abbia difficoltà a controllare i propri poteri, anche con anni di esperienza. Una volta avevamo un templare in grado di eludere i nostri poteri. Si chiamava Francesco, soprannominato Benedizione, perché ogni peccatore merita almeno una benedizione. Ogni volta che entravo nel mio stato di furia e non riuscivo a tornare normale per mia volontà, lui puntava il suo anello contro di me e di colpo la mia rabbia svaniva.-
-Benedizione? Non sembra un titolo minaccioso. Non come “Flagello”.-
-L’ho detto. L’anello ci dona i poteri, basandosi sui nostri sentimenti dominanti, sia negativi che positivi. Lui voleva aiutare le persone, ecco perché ha ottenuto il suo potere. Una benedizione di titolo e di fatto…-
Aveva un’espressione triste, mentre parlava; un’espressione nostalgica; e Michelangelo lo notò.
Ma non volle domandare nulla. E poi, Elisabetta aveva cambiato subito discorso.
-Beh, è stata una giornata intensa. Meglio dormire un po’.-
-Dormire?! Ma sei impazzita?!- si sconvolse Michelangelo; erano entrati in camera sua –Come potrei dormire, con quello che è successo stasera?! Ora che ho scoperto che il tuo anello ti ha donato dei poteri magici?! Mondo Pizza, dovrei presentarti alla Justice Force! Tanto sei scomunicata e fuori dall’ordine, giusto? Ai miei amici piacerà avere una templare tra i loro ranghi! Potrai sempre mantenere il tuo titolo. Sì, “Scourge”! Ti starebbe a pennello! Parola mia, penso non dormirei per un anno intero, al solo pensarci!-
Lei rise, divertita.
-Con tutto il rispetto, ma non voglio far parte di un altro gruppo.- confessò, cosciente di aver di nuovo spezzato il cuore della Tartaruga –Ma per il problema del dormire, se vuoi, posso cantarti una ninnananna che ti farà crollare come un masso.-
Michelangelo si mostrò entusiasta all’idea.
-Sì, accetto volentieri!-
Le Tartarughe non avevano più i letti sopra impalcature, come nel loro secondo rifugio. April aveva loro donato dei vecchi letti, ma ancora in buon uso.
Ma, per il resto, la stanza di Michelangelo era sempre piena di fumetti.
Si era tolto la maschera arancione e le protezioni ai gomiti ed alle ginocchia, prima di mettersi sotto le coperte.
Senza la sua tenuta da ninja, sembrava una semplice tartaruga gigante in grado di parlare e camminare.
-Sono pronto.- disse.
La templare si mise a sedere sul letto. Con il dito mignolo tracciò delicatamente più linee verticali dalla fronte al naso della tartaruga.
Cantò, con voce soave.
 

Quand lo vent freg ven e bala
lo riu canta per non dobliar.
Aplanta lo uèlh se tu vòus veire
lo teu reflèxe dedins lo gran miraor.

En l’aire de la seir, tendre e doç,
l’aiga clara marmusa un camin per nosautres.
Se te diriges en lo passat, estas atent a non estofar.

Ela canta per qui sap ausir
aquesta cançon.
La magia deis èrsas
fa a nos mestrejar nostras pauras
per trobar le secret de l’aiga.

Quand lo reflèxe ven e bala
una mamà somia mentre esta adreita.
Drom, meu enfant, non temer
Lo passat repausa en fons al còr.

 
Michelangelo si addormentò subito, cullato dalla voce e dal dito mignolo sul suo volto.
Leonardo era passato proprio di fronte alla stanza, quando udì la canzone. Si fermò ad ascoltarla, provando di nuovo una strana sensazione di nostalgia.
Vide di nuovo uno strano bagliore. Una nuova visione.
Di un uomo, cui non riuscì a vederne il volto, che cantava quella stessa canzone per lui. Sentiva persino il suo mignolo sulla sua fronte.
Un attimo.
La visione era durata un attimo.
I suoi occhi tornarono a vedere la sua casa, le fogne.
Le sue visioni erano sempre più frequenti. Ogni volta che ascoltava un canto templare. Non poteva essere una coincidenza.
Elisabetta, per poco, non si scontrò con lui, quando uscì dalla stanza di Michelangelo.
-Oh, Leo, scusami.- si scusò, imbarazzata –Non ti avevo visto.-
-Non preoccuparti.- minimizzò lui –Quel canto è stato sublime. Che razza di lingua era, quella? Non è italiano e nemmeno latino…-
-No, infatti è provenzale. Una lingua parlata nel sud della Francia durante il Medioevo.-
-Quindi, oltre a parlare latino, parlate anche questa lingua, il… come hai detto? Provenzale?-
-Oh, no. Questa ninnananna me la cantava sempre il mio amico Federico, ogni volta che non riuscivo a dormire, ovvero spesso. Quindi l’ho imparata a memoria. Pensa che non ricorda nemmeno dove l’abbia imparata. E il Magister non è tipo da ninnananne. E’ davvero rilassante, non trovi?-
Leonardo annuì, nonostante la sua testa fosse altrove: anche lui sentiva di conoscere quella ninnananna. Ma come? Avrebbe giurato che fosse la prima volta in cui l’avesse sentita. Ma non era così.
Provò la stessa sensazione provata la sera in cui aveva assistito ad una parte del Salve Regina.
Cosa gli stava accadendo?
Da un altro lato della città, si manifestò la conseguenza del massacro dei terroristi compiuto dalla templare Elisabetta.
Un edificio con un sole inciso sulla porta d’ingresso. A prima vista, simile ad una moschea.
Un uomo stava osservando la luna da una grande finestra. La stanza era buia, illuminata solo dalla luce lunare. La sua pelle era bruna. La barba nera e corta. Aveva una tunica ed un turbante sulla testa. E al collo, il pendente con il sole.
La porta si aprì: entrò un altro uomo, vestito come lui, ma con la barba leggermente più lunga.
-Signore, notizie cattive nella nostra base qui, a New York.- annunciò il secondo uomo -La squadra che ha occupato l’edificio un tempo appartenuto a Saki sono stati tutti sterminati da Flagello. Nessun sopravvissuto.-
L’uomo alla finestra strinse un pugno, mentre, tenendo la bocca chiusa, strinse i denti. Era deluso. E furioso.
-Maledetti templari… Sempre pronti a rovinarci la vita.- sibilò; entrambi stavano parlando arabo; poi sospirò –Bene, che godano pure del loro piccolo momento di vittoria. Un giorno, il Graal sarà nostro. E finalmente cancelleremo l’ordine templare anche dai libri di storia!-

 
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Quale altra minaccia si presenterà alle Tartarughe Ninja?
Perché Leonardo continua ad avere le visioni?
Chi è l'uomo che ha visto?
Come è possibile un collegamento tra Shredder e il gruppo dei saraceni?
Quale sarà il loro obiettivo?

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Note finali: non cercate "ninnananna in provenzale", è semplicemente la traduzione in italiano e poi in provenzale della versione francese di "Il fiume del passato" di Frozen 2.
E la parte del massacro è una specie di "Copia&Incolla" di una scena di Tokyo Ghoul (una delle mie preferite), quando Juuzou Suzuya spara ai membri di Aogiri. XD

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Capitolo 7
*** Walhalla ***


Note dell'autrice: ok, lo ammetto, con una parte di questo capitolo voglio esporre la mia opinione su certi argomenti. E un piccolo omaggio a una storia (non fanfiction) di una persona per me importante. Ma qui si noteranno comunque elementi cruenti. Io vi ho avvertiti. 
Un altro capitolo che desideravo scrivere è fatto! XD
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Arnie non riusciva mai a dormire senza che sua madre o suo padre gli raccontasse la favola della buonanotte. E non le fiabe dei Grimm o di Andersen.
-…e così, con un colpo di spada, Leo eliminò per sempre il suo acerrimo nemico. Fine.-
Le storie preferite di Arnie, infatti, erano le avventure dei suoi zii rettili. Amava quelle storie. Sperava sempre di poterne farne parte, un giorno. Il suo desiderio, aveva rivelato, era essere come loro, da grande. O almeno essere forte come suo padre e coraggioso come sua madre.
-Mamma…- disse, con la sua vocina dolce –Quando torniamo dagli zii?-
April, nel frattempo, gli stava rimboccando le coperte. Era in camicia da notte e i brillanti capelli rossi erano raccolti dietro.
 -Presto, tesoro.- disse, con voce rassicurante –Sai, io non posso muovermi molto, papà deve lavorare, e di certo loro non possono venire da noi molto spesso.-
Arnie fece un’espressione triste. Osservava la madre con tenerezza, con gli occhi di un cucciolo.
-Quando sarò grande voglio sposarmi con Eli.-
Erano passati due giorni dall’incontro tra la famiglia Jones e la templare. Arnie si era innamorato di Elisabetta a prima vista. Non aveva fatto altro che osservarla con i suoi occhi color giada.
April rimase sorpresa.
-Cielo, tesoro.- commentò, ridendo e tornando a sedere –E’ un po’ troppo presto per dirlo. Sei ancora troppo piccolo e lei è grande.-
-Lo so, ma è bella come te. E io da grande voglio sposarmi con una bambina bella come te.-
Lei arrossì.
-Ah, tesoro…- gli diede un bacio sulla fronte –C’è ancora tempo per quello. Ora pensa a dormire. Magari la sognerai, la ragazza dei tuoi sogni.-
-E diventerò abbastanza forte per proteggerla da tutti i cattivoni, come papà.-
-Magari anche più di papà. Non vuoi dare la buonanotte anche al tuo fratellino o sorellina?-
Arnie si mise in ginocchio sul letto, rovinando il lavoro di April nel rimboccargli le coperte, e poggiò le manine sul pancione. E gli diede anche un bacino.
-Buonanotte, piccolino. O piccolina.- salutò.
Dal primo momento in cui i suoi genitori gli avevano rivelato che sarebbe diventato fratello maggiore, aggiungendo che avrebbe avuto qualcuno con cui giocare, Arnie non vedeva l’ora che nascesse.
-Mamma, secondo te sarà un bambino o una bambina?-
-Non lo so, tesoro. Tu cosa vorresti?-
-Tutti e due mi vanno bene. Se sarà una bambina, la proteggerò da tutti. Se sarà un bambino, mi allenerò con lui per diventare un supereroe, come gli zii.-
-Ehi, perché, non puoi allenarti con una sorellina?- fece chiarire April, offesa e divertita nello stesso momento -Guarda che sono sempre stata io a tirare tuo padre fuori dai guai!-
Risero entrambi, perché era vero.
-Ora vedi di dormire. Domani devi andare all’asilo.-
-Buonanotte, mamma.-
-Buonanotte, tesoro.-
Gli diede un altro bacio sulla fronte, spense la luce e uscì dalla cameretta.
Il cielo, fuori dalla finestra, era coperto dalle nuvole, ma non aveva minacciato pioggia.
April procedeva lentamente verso la sua camera da letto. Nonostante le ciabatte, sentiva dolore ai piedi, a causa del gonfiore dovuto alla gravidanza.
Mise le mani sul pancione.
-Ok, tesoro…- disse, rivolta al nascituro –Stanotte fammi dormire, ti prego. Non ricominciare con i calci.-
Spense la luce del salotto, per entrare nella sua stanza.
Poi, un rumore. Proveniente dal negozio.
April sobbalzò.
-Chi c’è?!- esclamò.
Magari era un oggetto caduto, pensò. Se così fosse stato, era meglio recuperarlo e rimetterlo a posto.
Ma per tornare in negozio, doveva scendere le scale a chiocciola. Da quando era incinta, quelle scale erano una tortura, per lei. Ma il condominio non disponeva di un ascensore.
Dovette scendere da sola, lentamente, reggendosi alla ringhiera.
Il negozio era poco illuminato, se non dai deboli raggi lunari che filtravano dalle nuvole.
Dovette accendere la luce, per vedere il probabile oggetto caduto.
Era tutto a posto. Ogni pezzo stava dove doveva stare, al muro, dentro la teca…
Tutto normale.
April sospirò.
-Ah… devo essermelo immaginato.- disse, per consolarsi –La gravidanza mi fa brutti effetti. Ora ho anche le allucinazioni.-
Spense la luce e si diresse nuovamente verso la scala a chiocciola.
Ma nel buio si mosse una figura alta e robusta, che immobilizzò la donna al muro.
Lei urlò, ma la figura le coprì la bocca con una mano, facendole il verso del silenzio.
-Tranquilla, dolcezza.- era una voce femminile -Se farai la brava, non ti verrà torto un capello.-
April era immobile, paralizzata, terrorizzata. Se non fosse stata incinta, si sarebbe liberata all’istante da quella presa e avrebbe atterrato la sua assalitrice.
-Mamma!-
Arnie era sceso giù dalle scale, ancora nel suo pigiamino, allarmato dall’urlo della madre. Riconobbe la sua sagoma, nel buio, insieme ad un’altra che, fisicamente, era simile a quella del padre. Ma non era il padre. Che motivo avrebbe avuto suo padre per aggredire sua madre?
Osservava terrorizzato la seconda figura. Poi scattò sulle scale, per tornare nell’appartamento.
-Prendi il moccioso.- disse la donna misteriosa, ad un’altra figura che riuscì a prendere il bambino per la collottola e sollevarlo da terra; nonostante le proteste ed i tentativi di liberazione, Arnie non riuscì a liberarsi -Ora noi quattro andiamo a fare un giretto.-

Nelle fogne, intanto, Raffaello, come al solito, si dedicava al suo allenamento con il sacco da boxe, mentre Michelangelo si guardava un film, ruminando pop corn. Di norma, Donatello sarebbe dovuto rimanere in laboratorio, ad analizzare ancora il trofeo del Nexus, e Leonardo dedicarsi alla sua meditazione. Ma si erano presi un altro impegno.
-No, ragazzi! No!-
Erano seduti l’uno accanto all’altro sul tavolo della sala, con un libro aperto di fronte.
Elisabetta stava dall’altra parte, stringendosi i capelli castano chiaro.
Sospirò, intrecciando le dita.
-Ok, riprovate di nuovo.-
Entrambe le tartarughe osservarono il libro con aria confusa.
-Ehm, rosa, rosae, rosae…- recitò Leonardo, incerto –Ros… ehm… quale era…? Rosa?-
-No! Rosam!- corresse la ragazza –L’accusativo singolare finisce sempre con “m”!-
-Certo. Me lo dimentico sempre.-
Elisabetta sospirò di nuovo.
-Don, dimmi il plurale.-
Donatello girò più volte gli occhi, come se stesse cercando qualcosa.
-Ok. Ehm… Rosae…? Ros… Rosis?-
-Rosarum!-
-Sì! Rosarum! Ehm… rosis? Rosae?-
-Ok, ok, ragazzi. Per oggi basta così.-
Il libro venne chiuso. Elisabetta stava per gettare la spugna.
-Scusaci, Eli.- si scusò Leonardo, imbarazzato –Non è colpa tua. Tu sei una brava insegnante. E’ solo che… ecco… il latino è così complicato...-
-Ragazzi, molte parole inglesi derivano o sono state riprese dal latino.- chiarì lei, strofinandosi la faccia con le mani –Questa non è una scusa plausibile. E poi come farete, quando vi insegnerò il resto delle declinazioni o i verbi?-
-Noi ci stiamo impegnando, davvero.- aggiunse Donatello –Ma è complicato da imparare a memoria.-
Raffaello interruppe il suo allenamento con i pesi.
-Sul serio, ragazzi?- commentò, con tono derisorio –Volete davvero impegnarvi per imparare una lingua morta?-
-Non solo. Anche l’italiano.- puntualizzò Dontatello. Quel giorno era stato dedicato allo studio delle lingue, per le due tartarughe. Almeno con l’italiano avevano ottenuto buoni risultati, anche con frasi basilari.
-Raph, non si muore per un po’ di cultura in più.- fece notare Leonardo, alzandosi.
-E non farebbe male nemmeno a te, figliolo.- aggiunse Splinter; anche lui aveva preso parte alla lezione di latino –O a te, Michelangelo.-
-Come?- domandò questi, mettendo la sua testa su una spalla. Era così preso dal film da non aver ascoltato una parola del dialogo appena tenuto.
Splinter sospirò.
-Ah, lasciamo perdere.-
-Io… beh, se nessuno ha nulla in contrario, torno nel mio laboratorio.-
-E io a meditare.-
Erano rimasti solo Splinter ed Elisabetta, al tavolo.
Lei appariva delusa e mortificata.
-Devo trovare un modo per far loro imparare a memoria la prima declinazione…- mormorò, guardando il vuoto –E’ impensabile che ancora non riescano a distinguere il genitivo dall’accusativo o dal dativo… Cosa ho sbagliato?-
Splinter le mise una mano dietro la schiena.
-Non abbatterti, figliola.- la rincuorò, con tono gentile –Insegnare è un’arte difficile, che richiede tempo, pratica e pazienza. Quindi non essere triste se non hanno ancora ottenuto i risultati che speravi. Pensa che io ancora sto cercando un modo per insegnare la disciplina e le buone maniere a Michelangelo e Raffaello…-
Entrambi ridacchiarono; Elisabetta era lì da pochi giorni, ma era già perfettamente a conoscenza su cosa intendesse Splinter.
Il Tarta-Cellulare di Donatello suonò: sul display c’era scritto “April”.
-Pronto, April?-
Ma non era la voce di April che sentì.
-Passami il templare.- udì. Era una voce femminile. Fredda. Minacciosa. Un inglese con un accento particolare. Europeo. Ma non musicale ed incerto come l’italiano di Elisabetta. Era duro. Era probabile che fosse dei paesi nordici.
Non sapeva perché, ma provò un senso di inquietudine, e la pelle cominciò a mostrare gli stessi segni di quando era a contatto con l’aria fredda.
-Eli…- chiamò, pallido in volto; le porse il telefono –E’ per te.-
Elisabetta era confusa: chi mai la voleva, a quell’ora? Specie dal telefono di un altro.
Lo portò all’orecchio, sospetta.
-Pronto?- rispose; quattro anni come uomo le avevano fatto abbassare la voce di circa un’ottava, abbastanza da essere leggermente maschile.
-Salute, fratello Eliseo…-
Negli occhi della ragazza si lessero rabbia ed allarme insieme. Conosceva quella voce. Le stava parlando in italiano, con accento nordico.
-Walhalla…!- imprecò.
Stava cominciando a stringere il Tarta-Cellulare.
Allarmati dal suo tono e dalla sua espressione, le Tartarughe e Splinter si avvicinarono alla templare, quasi stringendosi a cerchio.
Non sapevano perché, ma ebbero l’impressione ed il timore che April fosse in pericolo. Lei non perdeva mai il Tarta-Cellulare. E non lasciava mai che altre persone lo utilizzassero.
Quei timori si rivelarono fondati.
-L’amichetta dei tuoi nuovi amici e il mocciosetto sono nelle nostre mani.- spiegò la donna, dall’altra parte del telefono, schietta, fredda, sadica; la ragazza era sempre più furiosa; l’anello era al suo dito e la croce si stava illuminando –Tranquillo, puoi dire ai rettili che stanno bene e che non abbiamo torto loro nemmeno un capello. Per ora. Tutto dipende da te.-
-Che cosa vuoi?-
-Non ho dimenticato il giorno in cui mi hai umiliata, templare. Voglio la rivincita. Stasera stessa. Armi e armatura. Uno scontro all’ultimo sangue. Se osi mancare all’appuntamento, loro due moriranno. Se chiami i tuoi amici, loro due moriranno. Se avverti il marito sbirro di lei, loro due moriranno. E non ti conviene usare i tuoi trucchetti da templare con me o per loro sarà la fine.-
La rabbia cresceva sempre più nel cuore della templare.
-Come potresti?! Sono una donna incinta e un bambino piccolo!-
-Appunto. Una ragione in più per non mancare all’appuntamento. E voi templari siete così caritatevoli con i più deboli. Senza ignorare che i tuoi amici rettili tengono molto a loro. Non vorrai deluderli, spero. Quindi non ti conviene fare scherzi. A mezzanotte, nel luogo che invierò a questo telefono. Non mancare. Tschau!-
La conversazione terminò. Ma non la rabbia di Elisabetta. La presa sul Tarta-Cellulare era sempre più forte. Mancava poco che lo rompesse.
-FIGLIA DEL DEMONIO!- esclamò; avrebbe lanciato il Tarta-Cellulare per terra, ma, per fortuna, Donatello lo recuperò in tempo, prima di vederlo in mille pezzi.
Ma non era per il Tarta-Cellulare che le Tartarughe e Splinter erano preoccupati. Elisabetta stava girando per il rifugio, sbattendo pugni e testa contro i muri.
-Pagana! Pagana! Pagana!- imprecava, ad ogni colpo.
Solo Leonardo ebbe il coraggio di avvicinarsi a lei, mettendole una mano sulla schiena.
-Eli, calmati!- la invitò, con voce ferma -Che succede? Chi era al telefono?-
Lei si fermò, chiudendo gli occhi, come per riprendere la calma. Poi, gli occhi scuri fissarono dritti quelli azzurri del rettile. Ma la rabbia non era svanita.
-April e Arnie sono stati rapiti!- annunciò, dirigendosi verso la valigia dove teneva la sua armatura.
Furono tutti scioccati.
-Cosa?!- imprecò Donatello.
-E da chi?- domandò Leonardo.
-Dalle Valchirie.-

Dopo quattro ore, il Tarta-Corazzato girava per le strade di New York. Al suo interno regnava il silenzio. Nessuno sapeva cosa dire. Erano tutti seduti. Donatello era alla guida. L’unico rumore era il dito di metallo di Elisabetta, che continuava a tamburellare sul ginocchio.
La sua cena era stata a base di carne e vino, come un cavaliere medievale. E, senza farsi aiutare, si era messa l’armatura templare, con la casacca crociata. L’elmo poggiava accanto ai suoi piedi: si era messa solo l’infula e la cotta di maglia, sulla testa. Hesperia era nel fodero ed Hellas legato alla schiena.
Prima di bardarsi, però, aveva avvertito David. Si era messa sotto la sua croce e aveva strofinato il dito sulla croce dell’anello.
-David, cattive notizie!- aveva detto, appena entrata nella dimensione mistica, dimenticando persino di salutare –Le Valchirie sono a New York!-
La notizia stupì il Gran Maestro.
-Prima i saraceni… ora anche quelle pagane…- sibilò, in posa riflessiva.
-Hanno rapito due amici delle Tartarughe e Walhalla mi ha lanciato una sfida per la loro vita.-
-Dove vi incontrerete?-
-In un vecchio stadio, vicino alla zona industriale.-
-Ottimo. Raduno gli altri e veniamo il prima possibile. Quelle isteriche verranno finalmente eliminate.-
-No! Ha minacciato di ucciderli, se venite anche voi. Lo stesso se avverto il marito di lei. E’ me che vuole. Vuole la rivincita per l’ultima volta che ci siamo affrontate.-
-Va bene, Elisabetta. Mi fido delle tue capacità. Puoi tenerle testa, ma è ovvio che non puoi andare là da sola.-
-Le Tartarughe Ninja verranno con me. Dopotutto, sono loro amici.-
-Ottimo. Forse questa situazione ti porterà in una posizione di vantaggio. Se salvi la loro amica, loro si fideranno ancor più di te. Attendo il tuo rapporto a seguito dell’incontro.-
-Non ti deluderò.-
Non poteva deluderlo. Non poteva deludere se stessa. Era nervosa, ma non per l’agitazione. Il vino e la carne aiutavano a dimenticare l’ansia e i dubbi: durante una battaglia non doveva avere ripensamenti o dubbi. Solo pura adrenalina e voglia di massacrare i nemici.
E si era ugualmente messa l’anello. Questo inquietò le Tartarughe: non volevano dire niente che la facesse infuriare ancora di più ed attivare il suo potere.
Persino a cena, lei stava praticamente divorando la sua bistecca nello stesso modo in cui un predatore divorava la preda appena uccisa. Era davvero spaventosa. Non avevano detto una parola, sulla telefonata, su chi fossero le Valchirie, niente.
Ma non potevano rimanere in silenzio a lungo. Avevano bisogno di qualche informazione in più su chi Elisabetta stava per affrontare, almeno una base su cui stillare un piano.
Erano a malapena riusciti a convincere la ragazza a portarli con lei nel luogo dell’incontro: dopotutto, April era loro amica, la loro sorella maggiore. E, inoltre, Elisabetta non poteva andare allo stadio a piedi.
-Dunque, ci stavi parlando delle Valchirie.- iniziò Donatello, con tono quasi tremante ed incerto, timoroso della reazione della templare -Non sono quelle citate nel Nibelungo, quelle che accompagnavano gli spiriti dei morti nel Walhalla?-
La risposta non si fece attendere: il tono era nervoso, ma non furioso.
-Queste non hanno nulla a che vedere con quelle Valchirie.- spiegò, senza distogliere lo sguardo dal finestrino; sembrava scocciata; non amava parlare delle Valchirie; in più parlava con uno strano tono, da ubriaca, per effetto del vino –Usano questo titolo solo per convenienza, una scusa per la loro cosiddetta “forza femminile”. Queste sono l’ultima frontiera del femminismo, che, per quanto a idiozia, superano tutte le altre. Delle isteriche che da semplici manifestazioni a favore dei diritti delle donne sono passate a imporre con la forza l’egemonia femminista, con quei ridicoli costumi da Valchirie. E’ una vera offesa alle vere Valchirie, e ve lo dice una che è contraria ad ogni forma di culto politeista. Immagino che “Amazzoni” non suonasse molto minaccioso, per loro. Ma come per le Amazzoni, gli uomini sono a malapena oggetti di piacere o semplici parassiti per procreare. Ma, considerando le loro tendenze, non ci credono nemmeno tanto.-
-Cosa intendi dire?- domandò Leonardo.
-Che il loro disprezzo verso il genere maschile è tale da preferire la compagnia di altre donne. In poche parole, sono tutte gay.-
Tale rivelazione stupì, senza sconvolgere, le Tartarughe.
-Ok… questo è un po’ inquietante…- commentò Michelangelo, diventando tutto rosso.
-E la tipa al telefono…- riprese Donatello –Chi era? E cosa voleva? Credi che faranno del male ad April?-
-April è una donna.- rispose Elisabetta, all’ultima domanda –Non mi preoccuperei per il suo stato. Mi preoccuperei, piuttosto, se non la indottrinassero.-
-Indottrinare?-
-Sì, quando vanno in giro adescano donne di ogni età e le costringono ad entrare nel loro gruppo di isteriche contro la loro volontà, per manifestare liberamente il loro pensiero. Anche se per loro, il concetto di “libertà” ha un altro significato di quello che vediamo nel dizionario…-
-Quindi è per questo che la donna che ha chiamato ti vuole sfidare? Perché non ti sei unita a loro?- domandò Leonardo.
-No, perché l’ho sconfitta e umiliata  in un torneo di un anno fa, un torneo che noi Templari organizziamo contro il resto delle discipline. La mia avversaria si era presentata con il nome di Walhalla, con il potere simile al mio, per questo la più forte delle Valchirie. O forse no. Le ho lasciato una bella cicatrice sulla pancia e da allora ha giurato di vendicarsi di quella umiliazione. Ah, e mi ha chiamato “templare maschilista”, “mostro”, “violento” e poi cos’altro…? Ah, sì! “Il vostro ordine non ammette donne perché avete paura di essere scavalcati e non volete ammettere che siamo superiori a voi!”.-
Un piccolo particolare fece riflettere i quattro rettili.
-Ma tu sei una donna.- fece notare Leonardo.
-Sì, ma questo non lo sanno.-
Lo sguardo da furba di Elisabetta fece quasi ridacchiare il resto dei presenti.
-Ottimo, siamo arrivati.- annunciò Donatello, frenando il Tarta-Corazzato.
Erano di fronte ad un vecchio stadio. La zona era dimessa, quasi in rovina. Era la zona industriale. Ricordava il luogo dove le Tartarughe avevano visto e affrontato il “mostro” con i topi, anni fa.
-Ragazzi, forse è meglio se non vi fate vedere.- avvertì la templare, avvicinandosi al posto guida, accanto a Donatello –Brigitte ha minacciato di uccidere April se mi vede con altre persone. O se uso i miei poteri.-
-Ma noi non siamo persone.- precisò Michelangelo, con aria furba, ricevendo, in seguito, scapaccioni da parte di Raffaello e Donatello.
-Non preoccuparti.- assicurò Leonardo –Siamo ninja, dopotutto. Tu pensa ad affrontare quella pazza, noi salveremo April.-
-Vedi di non farti sconfiggere.- aggiunse Raffaello, con tono strafottente, come al solito –O ti darò il tormento per una settimana.-
-Tu provaci e basta…- minacciò la templare, osservandolo minatoria. Mancava poco che il suo anello si illuminasse.
Leonardo si mise in mezzo.
-Ragazzi, non sprechiamo le energie. Quindi, ecco cosa faremo. Mentre Elisabetta affronta Walhalla, noi ci introduciamo furtivamente nello stadio e salviamo April. Ora statemi a sentire…-
-Io sono pronta.- disse Elisabetta, indossando l’elmo da templare.
Avevano tutti tenuto in conto che ci sarebbero state delle Valchirie appostate in alto all’edificio, per assicurarsi che la templare non imbrogliasse, ovvero portasse degli alleati di nascosto.
Ma la videro uscire da sola dallo strano veicolo che si era fermato di fronte allo stadio, e dal lato del guidatore.
-Il templare è arrivato.- avvertì una donna, in un walkie-talkie.
All’interno, precisamente in uno degli spogliatoi, una donna rispose all’avvertenza.
-Ottimo. Mi preparo subito.-
Erano in cinque. La donna che aveva parlato era alta circa due metri, fisico muscoloso e robusto, ventre piatto, corti capelli biondi, volto quadrato con mascelle sporgenti che incuteva timore. Indossava un completo di metallo consistente solo in un reggiseno, paraavambracci, parastinchi e cintura con una pezzuola di cuoio per coprire le parti intime. Altre due donne erano vestite come lei, una dalla vaporosa chioma bruna, come la carnagione e l’altra bionda con i capelli lunghi. Le due donne brandivano delle lance, puntate verso una donna incinta dai capelli rossi ed un bambino di tre anni.
-Tranquilla, dolcezza.- rassicurò il donnone –Se farai la brava, ti tratteremo bene. E se il templare  vincerà, sarai libera. Ma se perderà, sarai nostra per sempre. Sei sicura di non voler accettare la nostra offerta?-
-Assolutamente!- ribatté April, con le labbra serrate; Arnie era stretto a lei, che piangeva sulla sua spalla –Non siete delle guerriere! Siete solo delle isteriche presuntuose che credono di essere delle dee!-
L’altra soffiò dal naso, offesa.
-Peccato. Sei anche carina. Se avessi accettato, ti avremmo riservato un bel trattamento. Ti abbiamo solo chiesto di liberarti del moccioso e dell’immonda creatura che porti al grembo, creazioni da parte di un uomo. Quindi decidi ugualmente di restare al fianco di un uomo che ti sottometterà e rendere il tuo corpo una mera macchina di procreazione…?-
-Sì, perché sono orgogliosa di dare nuova vita, al nostro mondo! E io amo mio marito! E voi dovreste solo vergognarvi!-
Le tre donne si misero a ridere.
-Voi come credete di essere venute al mondo? Le vostre madri hanno avuto bisogno di uomini, per mettervi al mondo!-
-Sì, in un modo umiliante e disgustoso.- tagliò corto il donnone, dandole le spalle –Ma non temere. Avrai tutto il tempo del mondo per apprezzare il nostro modo di vivere, quando sconfiggerò ed evirerò fratello Eliseo…-
April sapeva che “Eliseo” era il nome maschile fasullo di Elisabetta, quando era entrata nei templari. E Arnie sentiva solo i suoi pianti; non ascoltò l’intera conversazione.
Entrambi rimasero soli con le due “guardiane”.
“Forza, Elisabetta!” pensò April, chiudendo gli occhi.
C’era un solo corridoio che conduceva allo stadio. Elisabetta si trovò in un campo lungo circa 100 metri. Il manto erboso era stato tolto successivamente la chiusura. Al suo posto era stata messa la sabbia. Sembrava essere dentro la versione americana del Colosseo.
-WALHALLA!- chiamò, con la sua voce maschile –LO SO CHE SEI QUI! FATTI VEDERE, PAGANA VIGLIACCA!-
-Sono qui, templare maschilista.-
Dall’altra parte dello stadio, comparve la donna alta due metri e vestita in modo provocante. I capelli corti erano nascosti da un elmo da Valchiria, con le ali sulle tempie.
Brandiva una lancia e uno scudo.
-Salve, Flagello…- salutò, in italiano, avvicinandosi.
-Brigitte…-
-Non chiamarmi in quel modo!-
-E perché? Questo è il tuo nome.-
-Io sono Walhalla! Porto i miei avversari nel regno dei morti.-
-Non direi. Mi hai affrontato, eppure sono ancora qui.-
-Adesso basta!- batté un piede sul terreno; per poco la terra non tremò.
Elisabetta rimase immobile. Senza alcun timore.
-Dove sono le persone che hai rapito.-
-Tranquillo, stanno bene e non li ho toccati nemmeno con un dito, per ora. Tutto dipende da te.- era tornata a testa alta e lo sguardo fiero; poi aggrottò le sopracciglia bionde –Tu mi hai umiliata, maledetto! La vedi questa?!- indicò una cicatrice che partiva dal basso ventre fino a sotto lo sterno –Mi hai marchiata! Un segno che mi ha spinto ad allenarmi sempre più duramente per sconfiggerti ed umiliare te e il tuo ordine di maschi deboli e arroganti! Oggi avrò la mia vendetta! E dopo di te sarà il turno dei tuoi amici templari! E il Graal sarà mio! Tutti riconosceranno la superiorità del genere femminile!-
Elisabetta non sembrava intimidita da quel discorso, tantomeno dalla struttura massiccia della sua avversaria o dal suo accento tedesco. Da dietro l’elmo fece un’espressione disgustata.
-Sei solo un’ipocrita, Brigitte.- disse, senza timore delle conseguenze -A te non importa dei diritti delle donne, non ambisci alla loro supremazia, tu vuoi solo elevare te stessa e la tua prepotenza, per non mostrare a nessuno, tantomeno a te stessa, la tua insicurezza e le tue paure. Tutti coloro che non pensano come te e osano tenerti testa sono il male, non è così? Se davvero vuoi batterti per i diritti delle donne, non andresti in giro vestita così, a mostrare il tuo corpo così spudoratamente, e urlare ai quattro venti che la donna è superiore all’uomo. Così confermi il luogo comune sulle donne e sul loro corpo, e offendi le vere donne che difendono i diritti femminili.-
Il tono arrogante, il rivolo di verità e gli argomenti esposti fecero ribollire il sangue di Walhalla. Strinse sempre più la presa sulla lancia. La puntò in avanti, con occhi ricolmi di rabbia.
-BASTARDO TEMPLARE!- esclamò.
Elisabetta sguainò Hesperia ed Hellas, attendendo l’attacco.
Nel frattempo, sopra l’arena, le Tartarughe stavano camminando, in equilibrio, sulle grondaie.
-Bene, il combattimento è iniziato.- annunciò Leonardo, a bassa voce –Speriamo che Elisabetta resista contro quella fino a quando non riprendiamo April.-
-A occhio e croce, sembra se la stia cavando bene.- notò Donatello, guardando in basso.
Elisabetta parava e contrattaccava ogni attacco della Valchiria: Walhalla non era una guerriera addestrata come Elisabetta. Era una manifestante, con la sola passione del bodybuilding. Ma non era brava a combattere. Aveva una buona resistenza, ma non altrettanta destrezza.
Anche Raffaello diede un’occhiata al combattimento, fermandosi. Lui chiudeva il gruppo. Era rimasto come ipnotizzato. Dovette contenersi dall’urlare. Provava la stessa sensazione di quando assisteva ad un combattimento di wrestling. O forse quello che stava guardando in quel momento era meglio del wrestling.
-Falle vedere cosa sai fare…!- esultò, a bassa voce, tifando per la templare.
-Raph!- chiamò Leonardo. Erano già dall’altra parte: Raffaello era ancora a metà.
Si svegliò dalla sua ipnosi.
-Sì, arrivo!- disse, raggiungendo i fratelli.
Donatello teneva il suo cellulare acceso: avrebbero trovato April e Arnie più velocemente, in quel modo. E anche il cellulare di April era ancora acceso. Il segnale era nitido.
-E’ negli spogliatoi.- annunciò, appena entrarono dentro i corridoi.
Oltre al segnale, il Tarta-Cellulare era disposto di un sistema di orientamento. In tal modo, le Tartarughe imboccavano le strade giuste, per raggiungere l’amica.
Notarono subito le due Valchirie a guardia di April e Arnie.
Per fortuna, davano le spalle all’ingresso.
-Accidenti, ma si vestono tutte così?- commentò Michelangelo; non sembrava sconvolto -Non che mi dispiaccia, s’intende…-
Di nuovo scapaccioni da parte del fratello dalla benda rossa.
-Non ora, Mick!- rimproverò Donatello –Portiamo April e Arnie fuori di qui e preleviamo Eli!-
Avevano già stordito il resto delle Valchirie che avevano incontrato nei corridoi, senza farsi vedere.
April aveva già notato i quattro amici, alla porta dello spogliatoio.
La bruna si insospettì.
-Ehi, dolcezza, che cosa guardi?- domandò, voltandosi. Anche la bionda si voltò.
Non c’era niente. Non compresero cosa avesse attirato l’attenzione del loro ostaggio.
Che stesse cercando di scappare?
Quando tornarono a guardarla, la donna non c’era più, in effetti. E nemmeno il bambino.
-Cosa?! Dove è andata?!- esclamò la bionda.
Sentirono entrambe un colpo ben piazzato tra capo e collo che le fece svenire.
Michelangelo e Raffaello si diedero il cinque, mentre Leonardo e Donatello, scesero dal soffitto con in braccio uno Arnie l’altro April.
-Voglio essere sincero, non mi piace picchiare una donna.- si scusò Michelangelo, alle donne svenute -Però, se alla nostra Eli non piacete, non piacete neppure a noi.-
Ad April e Arnie erano state tappate le bocche, per non urlare mentre Leonardo e Donatello li prelevavano dall’alto.
Erano entrambi felici di vedere gli amici rettili.
-Oh, ragazzi! Siete qui!- esclamò lei, abbracciando Donatello. Lui ricambiò l’abbraccio, arrossendo.
Anche Arnie seguì l’esempio della madre, smettendo di piangere.
-Ciao, zii!-
Raffaello lo prese in braccio e lo fece saltare.
-Ehi, ometto! Sei stato coraggioso?-
-Non ho avuto paura!-
-Davvero? Ma se hai pianto tutto il tempo!- notò April.
-Mamma!- lei ed i rettili stavano ridendo; Arnie si guardò intorno, preoccupato –Dov’è Eli?-
La gioia di aver ritrovato gli amici sani e salvi stava quasi per far loro dimenticare la templare.
-ELI!- esclamarono tutti e quattro, insieme, preoccupati; Leonardo parlò –Dobbiamo portarvi fuori di qui, così le daremo il segnale!-
-Che segnale?- domandò April, salendo sul guscio di Donatello.
-Per usare i suoi poteri.-
Stava ancora combattendo con Walhalla. Faceva il possibile per prendere tempo, rallentando i suoi colpi di proposito, renderli deboli, schivando i colpi, talvolta subirne alcuni. Tutti di proposito. Walhalla era forte, ma non come gli avversari cui Elisabetta era solita affrontare.
Un colpo al ventre le fece simulare una caduta in avanti. Fece finta di gemere dal dolore. Sentiva solo un forte dolore al petto, dovuto alla caduta. Sebbene i suoi seni fossero compressi da una fascia e protetti dal gambeson e dalla pettiera, erano comunque troppo grandi da essere contenuti.
Sentì il donnone ridere.
-Oh, il grande Flagello si è rammollito! Sarà colpa dell’indebolimento del cromosoma Y? O della sua arroganza maschile? O forse perché IO sono la più forte! IO! COLEI CHE TIENE TESTA AGLI UOMINI!- rise ancora, dando dei calci al suo avversario; Elisabetta rimase immobile, subendo i colpi senza sentire alcun dolore; -Ehi, ma dove si trova quel tuo amico? Quello alto, con una spada enorme, che era sempre con te? Ah, già, dimenticavo. E’ MORTO! Con il piccolo Benedizione a guardarti le spalle ti sentivi tanto forte, non è vero, Flagello? Ora, senza di lui, sei un debole!- Elisabetta sentì la rabbia crescerle dentro: sempre, ogni volta che un suo nemico parlava di Francesco -Voi maschi siete tutti uguali: in gruppo siete dei leoni, ma da soli siete deboli, non valete niente! Tu da solo non vali niente, come lui, come l’altro incapace, Ponte! Non siete nessuno!-
Doveva contenere la sua rabbia: se lei attivava il suo potere, April sarebbe morta.
Era ancora per terra. Cercò di rialzarsi, chinata. Fu lì che, dall’elmo, scorse un riflesso su Hesperia: le Tartarughe Ninja sopra di lei. Con April e Arnie con loro, sani e salvi.
Alzò lo sguardo, attenta a non sollevare l’elmo e non destare sospetti all’avversaria: Leonardo le fece un gesto con la mano, per dire: “Tutto ok”.
Il segnale.
Gli occhi scuri, da dietro l’elmo, fissarono Walhalla, furiosi. L’anello iniziò ad illuminarsi.
-Non osare offendere un soldato di Dio, pagana.- sibilò, alzandosi.
La mano con l’anello fu distesa in avanti: Walhalla fu colpita da una croce eterea.
Lei, sorpresa, cadde all’indietro. Sotto la pezzola di cuoio portava un perizoma.
Si rialzò, togliendosi la sabbia dalla pelle come se nulla fosse avvenuto.
Rise, sotto i baffi. Un sorriso malefico.
-A quanto pare mi sbagliavo.- disse -Voi templari siete noti per mettere il bene delle persone prima di ogni altra cosa, ma pare che a te non importi niente delle vite della donna e del moccioso. Beh, i patti erano patti. Spero tu sia soddisfatto.- attaccato alla cintura c’era un walkie-talkie; vi parlò dentro -Uccideteli!- esclamò; non udì risposta, nemmeno un respiro; la donna impallidì -Cosa…?- ripeté, più forte -UCCIDETELI! Perché nessuno mi risponde?!- ebbe un’epifania e osservò la templare -Che cosa hai fatto…?!-
Elisabetta fece spallucce, sorridendo dietro l’elmo.
-Beh, chissà, magari sono solo scappati da sotto il vostro naso.- ipotizzò, indifferente -Voi Valchirie siete così ottuse che non vi accorgereste nemmeno se vi passasse un elefante di fronte ai vostri occhi.-
No, non era un’ipotesi plausibile.
-No… tu hai promesso… che non avresti portato nessuno…-
-Alt. Tu hai detto di non portare i miei amichetti. Ma le Tartarughe Ninja non sono proprio miei amici.-
Accecata dalla rabbia e dall’umiliazione di essere stata ingannata, Walhalla ringhiò e le diede un calcio dritto nel ventre.
-Razza di crociato imbroglione!- tuonò.
Elisabetta rotolò per un paio di metri nella rena, prima di fermarsi.
Stavolta il colpo lo sentì.
Come sentì la rabbia crescerle dentro sempre più forte. Bruciava. Il suo potere stava tornando.
Ma anche Walhalla cambiò: i suoi occhi divennero tutti dorati, bianco compreso. Il suo bastone stava mostrando delle crepe dorate. Come oro era l’aura che si stava formando intorno a lei.
-Te la farò pagare per questo… IMBROGLIONE!!!- urlò di nuovo la donna, con voce demoniaca, alzando la lancia e correndo verso la templare.
Gli occhi di quest’ultima divennero nuovamente croci templari. E l’aura stava apparendo intorno a lei.
Urlando di rabbia, roteò il braccio sinistro, e colpì sotto il mento della Valchiria con lo scudo. Nel dare il colpo, si alzò.
L’impatto fu così violento che Walhalla fece un volo fino agli spalti, distruggendo le scalinate.
Raffaello, dalla grondaia esultò, come se, effettivamente, stesse assistendo ad un incontro di wrestling.
-Whoa! Questo sì che è un bel colpo!-
Ma Leonardo gli tappò la bocca: non potevano farsi scoprire.
Qualunque persona sarebbe morta ad un impatto simile: ma la donna riemerse, facendo un salto e tornando dalla templare, più furiosa che mai.
Anche Walhalla era entrata in uno stato Berserk: anzi, era proprio lo stato Berserk. Non provava dolore. Solo una rabbia incontrollata. Come Elisabetta.
Si scontrarono di nuovo, con più foga di prima: i loro colpi facevano tremare l’intero stadio e con i loro salti arrivavano agli spalti, distruggendoli ogni volta che vi atterravano.
Le Tartarughe non potevano rimanere lì. Non con April e Arnie.
-Voi due!- ordinò Leonardo a Michelangelo e Donatello, che trasportavano i due umani –Tornate al Tarta-Corazzato! Noi recuperiamo Eli!-
-No, Leo, vai anche tu! Ci penso io a Eli!- propose Raffaello.
-Ma, Raph…!- protestò il fratello.
-Fidati, so quello che faccio!-
Leonardo si fidava di Raffaello: annuì alla sua idea.
-Forza, muoviamoci!- incitò ai fratelli minori, correndo sulla grondaia.
Raffaello lottò contro l’equilibrio precario dovuto alle scosse di terremoto dovute allo scontro fra le due donne.
Elisabetta era in netto vantaggio rispetto a Walhalla: era addestrata all’arte della spada, sapeva dove e come colpire. La Valchiria si lasciava guidare solo dalla rabbia.
Entrambe non si rendevano conto delle conseguenze delle loro azioni. Lo stadio stava crollando. Era pieno di crepe. Ancora un colpo e sarebbe crollato intorno a loro.
Walhalla ansimava, ma non era stanca.
-TU… NON PUOI… SCONFIGGERMI…!- esclamò, schiumando di rabbia.
Anche Elisabetta era ancora nella sua fase ira. Ma guardò in alto: il tetto dello stadio era pieno di crepe. Bastava poco…
Poi osservò l’avversaria.
-Forse io no.- rispose, stringendo la mano con l’anello a pugno –Solo Dio decide quando una persona ha finito il suo tempo. Vediamo se il tuo è finito.-
Puntò l’anello in alto, verso il tetto.
Le crepe si unirono tutte.
Walhalla rise.
-AH! FAI TANTO L’ARROGANTE POI NON RIESCI NEMMENO A COLPIRMI?!-
Ma Elisabetta non mirava alla donna.
Con voce sibilante e sguardo vuoto, pronunciò.
-Fiat voluntas Dei…-
Di nuovo una scossa. E piccoli pezzi di calcinaccio che cadevano.
Walhalla guardò in alto: il tetto stava crollando! I piccoli calcinacci stavano liberando la via ai pezzi grandi.
Alcuni di quelli grossi stavano cadendo proprio in direzione di Walhalla.
Lei urlò, facendosi scudo con le braccia e non osò muoversi. Il tetto le crollò addosso, di fronte alla templare, che assistette allo spettacolo con aria indifferente, tornando normale. No, con aria delusa.
-Non è abbastanza…- sibilò, scuotendo la testa.
Raffaello, invece, ne fu oltremodo sconvolto.
Sentì anche lui dei pezzi di calcinaccio cadergli addosso. Non voleva fare la stessa fine. E non voleva lasciare Elisabetta lì in mezzo.
Saltò giù dalla grondaia, atterrando vicino a lei.
-Salta su, Eli!-
-Cosa?-
-Questo posto sta crollando! Muoviti! O vuoi rimanere schiacciata?-
Dopo il suo stato di ira, Elisabetta aveva un piccolo momento di amnesia e confusione. Non si era resa conto del mondo circostante.
Poi comprese e abbracciò Raffaello. Il calcinaccio stava continuando a cadere, non era saggio farla salire sul guscio.
-E mi raccomando, non urlare!- fece chiarire lui, prima di saltare.
Uscirono appena in tempo, appena prima che l’intero edificio crollasse.
Assistettero al crollo, proteggendosi dalla polvere che esso provocò.
Gli altri erano ancora nel Tarta-Corazzato, al sicuro.
-Diamine. Penso che stavolta ho esagerato…- commentò la ragazza, appena tolta l’elmo.
-Giusto un po’.- approvò Raffaello –Tanto era inagibile, non ci giocava più nessuno. Nessuno ne sentirà la mancanza. Stai bene?-
-Un po’ stanca.-
-Andiamo. Gli altri ci stanno aspettando.-
“Non è abbastanza…”
Tornarono a casa di April nello stesso modo in cui si erano diretti allo stadio: in silenzio.
Arnie si era addormentato in braccio alla madre, che continuava ad accarezzargli la testa. Elisabetta era seduta di fronte a loro, che li fissava con sguardo vuoto e la testa appoggiata ad una mano.
-Sei stata davvero forte, Eli…- complimentò April –Il tuo potere è formidabile.-
-Grazie.- rispose la templare, apatica -Tu stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?-
-Sto bene, grazie. Solo un po’ spaventata.-
Le toccò il pancione.
-E lui?-
-Spero non risenta del mio spavento. Non lo sento muoversi.- poi sobbalzò -Ehi, era un calcetto, amore?-
Persino Arnie lo sentì, ma tornò a dormire.
Elisabetta sospirò.
“Non è abbastanza.”
-Mi dispiace avervi coinvolti.- si scusò –Era una questione tra me e Brigitte, dopotutto.-
Leonardo si alzò dal proprio posto, avvicinandosi a lei.
-Stai scherzando?- si sconvolse –Ormai, sei parte della famiglia, Eli! Ci aiutiamo l’un l’altro. Ciò che riguarda uno coinvolge tutti noi! Noi ci saremo sempre per guardarti le spalle!-
La templare osservò tutti i presenti: sorridevano e annuivano alle parole del fratello, persino Raffaello.
Anche lei sorrise, sollevata. O facendo finta di essere sollevata.
“Devo contattare David e dirgli che forse ci siamo finalmente sbarazzati delle Valchirie.” pensò.

Appena tornati al rifugio, infatti, Elisabetta, come prima cosa, tornò in contatto con David, con il rapporto completo sullo scontro contro le Valchirie.
Tuttavia, per il Gran Maestro si prospettavano cattive notizie. Ma non dai suoi discepoli.
-E’ fuori discussione!-
Era nella dimensione mistica, con altri quattro uomini, circa suoi coetanei. Indossavano anche loro la casacca templare.
-Mi dispiace, David, ma è così.- ribadì un uomo alto come David, ma largo il doppio, e dall’accento veneziano –Non hai prove che ti sostengano.-
-Non tornerò in Italia a mani vuote! I miei allievi sono ormai alla sua ricerca!-
-Come fai a dire che il Graal si trova a New York?- domandò un uomo dai capelli radi grigi e dalla barba brizzolata, dall’accento piemontese.
-Io l’ho sognato! Dio mi ha mostrato la via! Il Graal era nel Nexus! Era il trofeo del Nexus! E quel trofeo lo ha vinto uno di quegli abomini figli di Splinter! E loro sono qui a New York! Ho fatto infiltrare uno dei miei allievi! E’ arrivato ad uccidere le Valchirie, per questo! Non posso rinunciare proprio ora che sono così vicino!-
-David…- aggiunse un uomo dalla barba bionda –Non siamo più nel Medioevo. Siamo in un’epoca in cui i sogni non sono più considerati delle visioni. Abbiamo chiuso un occhio più volte per il tuo complesso di superiorità, persino per la tua idea di partecipare nuovamente al Nexus…-
-Il Graal era il trofeo, Stefano! Ve lo giuro!-
-Hai prove concrete a proposito?- fece notare l’uomo dai capelli radi, il cui nome era Walter.
David serrò le labbra a tale domanda.
-Trovo il vostro scetticismo alquanto irritante, confratelli. Come Gran Maestro Templare, io…!-
-Siamo tutti Grandi Maestri Templari, qui, David…- tagliò corto l’uomo dall’accento veneziano, Mauro –E come te, sosteniamo il fine di stabilire l’ordine nel mondo. Ma cercare leggende non ti rende un degno templare.-
-Il Graal può aiutarci per il nostro fine! Lo stanno cercando anche i nostri nemici, le Valchirie, i Saraceni… e forse anche il Rinnegato!-
-Le Valchirie ed i Saraceni non predicano la nostra fede e pregano divinità create dall’uomo.- corresse Walter –Cercare leggende è nei loro modi, David, non più i nostri. E per quanto riguarda il Rinnegato, ancora nessuna traccia nei nostri continenti. In ogni modo, è impensabile che lui sappia del Graal.-
Nella dimensione mistica regnò il silenzio, per qualche minuto.
-La seduta è finita.- dichiarò Stefano, prima di svanire. Anche Walter e Mauro fecero lo stesso.
Rimasero David e un uomo dai corti capelli ricci e neri, di poco più giovane di David.
-Che faccia tosta quei tre, eh?- fece.
David scosse la testa, sospirando.
-Ehi… se ti serve una mano, lo sai che le mie risorse sono disponibili, vero?-
David annuì.
-Lieto di avere ancora un alleato in questo gruppo, Francesco…-
Era un altro Francesco. Non il templare condannato all’impiccagione.
Sorrise.
-So che ti trovi in un luogo apparentemente lascivo, ma, mi raccomando, non cadere nei vizi.-
-Lo sai che non è nel mio stile, David. Io guardo e basta.-
Tornarono entrambi nel mondo reale.
David odiava le riunioni dei Grandi Maestri: lo innervosivano. Odiava essere contraddetto.
Secondo i colleghi, doveva tornare in Italia e riprendere il suo posto di Gran Maestro Templare dell’Europa. Ma era impossibile dissuaderlo dal suo fine: sarebbe rimasto a New York fino alla morte, pur di trovare il Graal.
E poi mancava uno a stabilire una base templare nell’America del Nord. Walter aveva eretto la base in Asia, Mauro in Africa, Stefano in Europa e Francesco in America del Sud. Era impossibile stabilire una base in America del Nord, quando Shredder era al potere.
Ma ora c’erano loro, a ripristinare l’ordine.
Qualcuno bussò ed entrò nella stanza del Magister: era l’Andrea anziano.
-L’incontro con i Grandi Maestri non è andata bene, vero?-
Lo sguardo serio di David fu la risposta.
-Sono così ciechi di fronte all’evidenza…- mormorò, alzandosi –Proprio non vogliono capire quanto questa missione sia importante per l’ordine…-
Andrea rimase in silenzio.
-Buone notizie, comunque, Luigi è arrivato alla base dei Dragoni Purpurei. E Carmine è con lui.-
-Ottimo. Sono più che adatti per dimostrare il nostro potere a quel tale, Hun… Sarà una risorsa preziosa, se ha lavorato come braccio destro di Shredder ed è sopravvissuto ai suoi cosiddetti capricci.- fece una pausa per riprendere fiato -Dov’è quella nullità di mio figlio?-
-In salone.-
Federico, infatti, era nel salone, a pregare. Di nuovo di fronte ad una spada dall’impugnatura nera e la lama lunga. Fidelitas, la spada appartenuta a Francesco, detto Benedizione.
Aprì gli occhi, vedendo il suo riflesso nella lama. E lì davvero si rese conto di essere solo. Anche Elisabetta era lontana da lui. Si contattavano solo con l’anello, ma non era la stessa cosa.
Francesco ed Elisabetta…
I suoi pilastri. I suoi unici amici.
Lasciò cadere una lacrima sulla guancia. Allungò una mano, per toccare la lama.
-Federico!- la voce possente del padre gli fece ritrarre la mano e scattare in alto; gli occhi freddi del padre lo misero in soggezione, tale da fargli abbassare lo sguardo -Non toccare la spada del traditore! E’ proibito toccare oggetti appartenuti ai traditori dell’ordine. La teniamo qui come monito, non per essere usata. O sarai maledetto per tutta la vita. E questo lo sai!-
-Perdonami, padre.-
Rimasero in silenzio: David fissava il figlio in modo serio e freddo.
-Ad ogni modo… sembra che Elisabetta abbia finalmente eliminato le Valchirie. Il suo potere è davvero notevole. Magari potrà mettere in soggezione quegli abomini di rettili e costringerli a cederle il Graal.-
A David piaceva umiliare il figlio, paragonandolo al resto dei confratelli, quelli che avevano un potere distruttivo, come Elisabetta, come Carmine, come altri. Elisabetta, e prima come Eliseo, era il suo orgoglio. Flagello era il suo orgoglio.
-Ad ogni modo, vai subito a letto. I Vespri sono ormai passati, come la preghiera serale.-
Federico si morse il labbro e annuì, obbedendo. Ma, appena voltatosi, si fermò.
-Padre…- mormorò, incerto -Perché stiamo cercando il Graal?-
David tornò ad osservarlo in modo freddo.
-Per portare l’ordine nel mondo, l’obiettivo che persegue ogni templare, mi sembra ovvio.- rispose.
-Ma perché il Graal? Risulta scomparso da secoli. Era impossibile ritrovarlo. Come sapevi dove e quando trovarlo?-
-La cosa non deve interessarti minimamente, Federico.- tagliò corto il padre -Tu esegui gli ordini e basta. Forse se riuscirai a impugnare una spada come si deve, potrai avere le risposte che cerchi. Chiaro?-
Federico abbassò di nuovo lo sguardo.
-Sì, padre…-

Dopo lo sgomino del Clan del Piede e la caduta di Khan, i Dragoni Purpurei, in quanto principali alleati del Clan e di Shredder, si trovarono costretti ad operare in una nuova zona, lontani da New York, dove si sarebbero rifondati. Avendo passato anni come braccio destro di Shredder, Hun era divenuto un uomo di affari, riuscendo, in poco tempo, ad ottenere un imponente edificio come base per i Dragoni Purpurei. Era diventato il nuovo capo della malavita. Una giusta lampada per falene. E le falene erano due templari, padre e figlio, vestiti con mimetica e giubbotto anti proiettile bianco con una croce rossa in mezzo, che, procedendo con passo sicuro, si stavano introducendo.
-E voi chi siete?- disse un Dragone, a guardia dell’edificio, impugnando il mitra che aveva al collo.
-Identificatevi o sarà peggio per voi!-
Le iridi di Carmine si tramutarono in croci: i mitra si sfilarono da soli dalle mani dei loro possessori. Le canne erano puntate alle loro teste.
Persino dentro l’ufficio si udirono gli spari. Come al solito, Hun era intento a farsi massaggiare le spalle da una donna vestita da geisha.
Gli spari non lo preoccuparono. Nemmeno delle due persone che entrarono. Un uomo e un ragazzo. L’uomo portava una borsa a tracolla.
Le due guardie alla porta puntarono subito i loro fucili ai due visitatori. Ma i mitra levitarono e spararono alle teste dei loro possessori, come se fossero state impugnate da due fantasmi.
La geisha arretrò, emettendo lievi lamenti di terrore.
Hun si alzò, annusando aria di sfida.
-Ossequi, Hun, capo dei Dragoni Purpurei…- salutò Luigi con un lieve inchino –Chiediamo venia se ci introduciamo senza appuntamento, ma avrei una proposta da fare a te e i tuoi uomini.-
L’omone quasi rise allo strano accento del suo interlocutore: intuì che non fosse di quelle parti. Si sedette, tranquillo, senza timore.
-Voi osate entrare nel mio territorio senza invito, uccidete i miei uomini e osate farmi una proposta?!- schernì, tamburellando le dita sul tavolo. Lo sguardo era minaccioso e incuteva timore. Ma non nei due templari che aveva di fronte.
-Sì. Ti offriamo l’opportunità di tornare a New York.-
Hun scoppiò in una fragorosa risata.
-Certo! In quella bettola! Ah! Ah! Ah!- derise, poi si mise comodo nella sua poltrona –Scordatevelo, io sto tanto bene qui. Ho tutto quello che mi serve e tutto quello che voglio. Questo è il mio regno!-
-Un regno dove tutti ti stanno dando una parte dei loro beni di loro spontanea volontà senza opporsi.- tagliò corto Luigi, altrettanto minaccioso –E’ fin troppo facile persino per uno come te, Hun, e tu adori le sfide. E New York ti offriva varie sfide, per questo tu e i tuoi Dragoni Purpurei dominavate sulla città, con e senza Shredder.-
Hun si inquietò.
-E tu come fai a…?-
-Se accetti la nostra proposta, i Dragoni Purpurei potranno riprendersi New York e dominare sul resto delle bande. Disponiamo diverse armi e possiamo pagarti bene…-
Poggiò la borsa sulla scrivania, aprendola.
Hun si illuminò nel vedere il contenuto: tante monete d’oro. E lui era attratto da qualunque cosa brillasse, specialmente soldi.
-Oh, che meraviglia! Che cosa sono?-
-Valute templari. Una sola moneta vale 100 dollari. E lì dentro ce ne sono centinaia. Potrai avere il doppio, se accetti la nostra offerta e la nostra protezione. Noi siamo cavalieri Templari.-
Immergere la mano nell’oro era uno dei pochi piaceri della vita di Hun. E c’erano davvero centinaia di monete, in quella borsa. Se avesse accettato l’offerta e la protezione dei Templari.
-Fortunatamente per voi, io sono attratto da qualunque cosa brilli e abbia la forma di una moneta.- rivelò, con gli occhi che brillavano da quello spettacolo –Ma non ho più intenzione di dipendere da un prepotente. Quindi ho una controfferta per voi damerini.-
Mentre parlava, schiacciò un pulsante: vari Dragoni Purpurei si presentarono all’ufficio del capo, con armi da fuoco puntate verso i due visitatori.
-Io mi tengo i soldi e in cambio voi uscite di qui, vivi.-
Né Carmine né Luigi si lasciarono intimorire dalle parole o dalle armi. Mantennero il loro controllo delle emozioni.
-Sapevamo che non bastavano i soldi, per convincerti. Carmine…- mormorò Luigi al figlio, che annuì; la porta, prima aperta, si chiuse, bloccandosi.
Dopodiché, si rivolse di nuovo ad Hun.
-Un uccellino ci ha detto che per ottenere i tuoi servigi dobbiamo dimostrare di essere più forti di te. E Shredder era l’unico in grado di superarti, da quel punto di vista.- il suo tono era diventato più freddo, minaccioso, sibilante; persino Hun percepì uno strano brivido lungo la schiena, una sensazione che non provava da anni –Ebbene, in questo momento avrai modo di scoprire…- chiuse un attimo gli occhi, per poi riaprirli con due croci templari al posto delle iridi -…come abbiamo eliminato le varie mafie dalla nostra Italia.-
Non era un’impressione: Hun stava davvero provando terrore. A vedere quelle iridi, aumentò.
Luigi allargò le braccia: da entrambe le maniche uscì del fumo grigio-marrone, che si sparse per tutta la stanza. Quel fumo, gradualmente, prese forma, accanto ai membri dei Dragoni Purpurei, assumendo delle forme mostruose, dalla pelle grigio-verdognola: uno aveva delle ali da drago, uno una pancia enorme, uno era piccolo, uno aveva quattro braccia e uno aveva delle braccia a forma di radici. Accanto ad Hun, inoltre, ne comparve uno grande e muscoloso, più di lui, che ringhiava. Hun a stento si tratteneva dall’urlare di terrore.
Persino i Dragoni Purpurei non sapevano cosa fare, bloccati dal terrore: quei mostri erano orrendi. Erano demoni. Invocati da un templare.
Uno non resistette alla paura e cominciò a sparare in avanti, urlando e chiudendo gli occhi.
Sparò al demone dalla pancia grossa: non subì danni. In compenso, si avvicinò, ondeggiando, a causa della pancia, a chi gli aveva sparato.
Ci fu uno scambio di sguardi.
Poi, il demone aprì la bocca: anche la pancia faceva parte della bocca. Divorò il Dragone, provocando un urlo generale. Tra questi anche Hun.
La geisha, nel frattempo rimasta nell’angolo, tremante di paura, a vedere quello spettacolo, decise di scappare. Ma la porta era bloccata. E un nuovo demone si mise tra lei ed essa: un demone ermafrodita, con seni come una donna, ed entrambi gli organi riproduttori maschile e femminile nell’inguine. E una lingua lunga che scese per tutto il corpo, innalzando solo la punta verso la geisha spaventata.
L’ufficio si riempì di sangue e urla, e risate di Luigi: alcuni Dragoni vennero decapitati o mutilati, alcuni divorati completamente, altri gettati dalla finestra. Carmine assistette apparentemente indifferente: ma le mutilazioni gli provocavano sempre qualche conato.
L’unico Dragone Purpureo ad essere rimasto nella stanza fu Hun, paralizzato dalla paura: si guardava intorno, terrorizzato e sconvolto. Non aveva mai assistito ad un massacro simile. I demoni erano ancora presenti, intorno a lui, chiusi a semicerchio.
-Aiuto! Aiutatemi!- implorò l’omone, continuando a schiacciare il bottone delle emergenze, invano.
In mezzo a quei demoni avanzò Luigi, che si sedette sulla scrivania, sorridendo soddisfatto.
-Contempla i Sette Vizi Capitali!- annunciò –Io sono il loro custode, Luigi, detto Faust, perché il male abita dentro di me. E lui è mio figlio Carmine, detto Punizione, perché la punizione non ha un volto. A volte è necessario affrontare il male con il male. E io vengo chiamato solo per situazioni di emergenza. Ora hai intenzione di accettare la mia offerta… Hun?-
Hun emetteva dei versi simili a dei pianti. Tale reazione era rara, in lui. Raramente si spaventava. Solo Shredder era l’unico a spaventarlo. Prima dei demoni di Luigi.
-Sì, accetto!- decise –Cedo i miei beni a voi! I soldi! Questo edificio! Tutto! Ma non fatemi del male, vi prego!-
Luigi sorrise di nuovo.
-Visto? Non era così difficile.- commentò, tornando in piedi –E’ bello vedere gente cogliere al volo un affare così spontaneamente.- tornò cupo -Ma ti avverto. Tu osa solo tradire il nostro ordine e il tuo peccato ti farà a pezzi.-
Il demone a quattro braccia, Avarizia, si fece avanti, ringhiando minaccioso.
Hun, sempre più terrorizzato, annuì.
-Sì, lo giuro! Non tradirò mai l’ordine! Da questo momento, i Dragoni Purpurei sono sotto il comando dei Templari!-
-Molto bene.- allargò di nuovo le mani; i demoni tornarono fumo e rientrarono nel suo corpo -A breve otterrai un biglietto per New York e il tuo vecchio stabilimento sarà di nuovo agibile. Andiamo, Carmine.-
Padre e figlio uscirono dall’ufficio, facendosi strada tra sangue, frattaglie e cadaveri.
Luigi sfregò sul suo anello, appena entrarono entrambi nell’ascensore.
-David, i Dragoni Purpurei sono nostri.-
-Eccellente.-

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Chi avrà parlato ai Templari di Hun? Si rivelerà una buona risorsa o verrà punito da Avarizia?
Chi è il contatto di Andrea?
Il resto dei Grandi Maestri si fiderà di David?
O cercheranno di impedirgli di proseguire il suo cammino verso il Graal?
Chi è il Rinnegato?
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Note finali: sì, lo ammetto, per la scena dei Sette Peccati mi sono ispirata al Dottor Sinawa di "SHAZAM!"; e sì, nella settima stagione si vede davvero Hun massaggiato da una geisha.

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Capitolo 8
*** Il rapimento di Raffaello - Parte 1 ***


Note dell'autrice: vi avverto, qui ci sono scene più da rating rosso che arancione. D'altronde, avevo già segnalato "Violenza". E scusate per la lunghezza XD

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-Di nuovo, Leonardo.-
Leonardo faceva il possibile per mantenere l’equilibrio. I kata dovevano essere lenti e precisi.
Era il suo metodo per ripristinare l’ordine nella sua mente, quando era turbato. E Splinter lo aiutava come poteva.
Il suo sogno gli turbava il sonno e anche il risveglio. Non era più concentrato come prima.
Per questo, il suo equilibrio stava stranamente vacillando, quella mattina. Non per le urla di Raffaello per i colpi che stava sferrando al suo manichino da allenamento.
Ma non era il solo, nel rifugio, a provare turbamento.
Non passava mattina senza che Donatello analizzasse il Trofeo del Nexus, appena sveglio. C’era qualcosa al suo interno. Lo intravedeva, lo percepiva. Ma gli scanner si ostinavano a dare un’immagine distorta e presentare interferenze. Elisabetta era con lui, quella mattina.
-Ancora niente dagli scan?- domandò lei, seria e con le braccia incrociate. Sembrava interessata alla ricerca della tartaruga.
Donatello sospirò.
-Niente da fare. Ci provo e ci riprovo, ma i risultati sono sempre gli stessi. Non riesco a vedere cosa c’è dentro. E’ come se qualcosa mi stesse impedendo di scavare più a fondo. E quel vetro è di un materiale che non ho mai visto. Sembra indistruttibile, ma a quanto pare non lo è, visto che ha quelle crepe che mi stanno facendo letteralmente impazzire!- si mise la testa sul cranio -L’unica soluzione sarebbe tentare nuovamente un viaggio interdimensionale e vedere come cambia la sua struttura, ma non possiamo, perché non abbiamo il permesso! E ora io sono di nuovo al punto di partenza!-
Forse la scienza di Donatello non aveva soluzioni. Ma nemmeno l’educazione teologica templare di Elisabetta sarebbe servita. Lei ne sapeva meno di lui, su come scalfire quel vetro. Ma sul contenuto aveva solo la teoria del suo Magister. Teoria che aveva già rivelato alle Tartarughe dalla sera del massacro. Ma solo pura teoria, non fatti, come voleva Donatello.
Dopotutto, non c’erano prove sufficienti per dimostrare che dentro al Trofeo del Nexus ci fosse il Graal.
Ma per scoprirlo, doveva mantenere la sua copertura: doveva instaurare un legame con le Tartarughe e Splinter, senza compromettere l’ordine.
Mentire. Fingere.
Per l’ordine templare.
-Io te lo dico sempre, Don.- commentò Michelangelo, con indosso il suo grembiule e il cappello da chef; stava girando un impasto dentro una ciotola –A furia di lavorare con i tuoi laser, ti lesserai il cervello. E a noi ci servi con il cervellino intatto, fratellino. Comunque, tra dieci minuti è pronto. Ah, Eli, stamani ti leccherai i baffi.-
Ovviamente, come succedeva ogni mattina da quando Elisabetta si era stabilita nel rifugio delle Tartarughe, Michelangelo litigò con lei per la sua colazione troppo salutare, reputando la sua fetta di pane al burro e marmellata un insulto ai pancakes che lui aveva cucinato con tanto amore per lei.
Erano comunque litigi che facevano sorridere, se non proprio ridere i fratelli e un po’ anche Splinter.
Alla fine, i due facevano sempre pace.
-Almeno oggi fai di nuovo la tua deliziosa pasta al sugo?- chiese Michelangelo.
Lei sorrise e annuì. Aveva vinto la scommessa: il giorno precedente aveva preparato il ragù bolognese, bollendo e pelando i pomodori lei stessa e facendo rosolare il macinato comprato fresco dal macellaio.
Alla prima forchettata di quel ragù fatto in casa e gli spaghetti lievemente al dente, Michelangelo per poco non superò il record di salto in alto da quanto li trovò “deliziosi”. Leccò persino il fondo del piatto, assaporando quella “delizia italiana” fino all’ultima goccia.
Michelangelo non amava perdere alle scommesse, ma in quel momento non fu più felice di aver perso: aveva scoperto un vero sapore italiano, rigettando tutte le imitazioni americane dei piatti italiani. Decise, da quel giorno, di affidare la cucina alla ragazza, per “deliziarli tutti i giorni con le pietanze italiane”. Ma sulla colazione non voleva sentire ragioni. Lì era inflessibile.
Quella mattina, avevano persino giocato ai videogiochi, passione che scoprirono avere in comune, oltre ai fumetti ed ai film.
-Nell’ordine non ci è consentito avere intrattenimento elettronico.- spiegò Elisabetta, mentre continuava a pigiare il tasto del joystick per sparare –Sono quattro anni che non tocco una consolle. Kyrie Eleison, quanto mi è mancato!-
Michelangelo osservò la ragazza, sgomento: -MONDO PIZZA! Quattro anni senza videogiochi?! Io non avrei resistito un giorno!-
Il giorno, Elisabetta tentò un allenamento particolare, con Donatello, tra le altre cose, per distrarlo e distoglierlo dal suo scan: combattimento con i bastoni in equilibrio su un’asse di legno a quasi due metri di distanza dal pavimento.
Tra i due, ovviamente Donatello era il più avvantaggiato, abituato ad allenamenti simili; la ragazza, invece, ebbe difficoltà nel trovare equilibrio. L’azza la stava sbilanciando, non sapeva come mettere i piedi e più volte vicina a cadere. Non scontrarono molto i bastoni. Ogni colpo faceva oscillare Elisabetta. Alla fine, Donatello, per sbaglio, diede un colpo troppo forte all’azza e lei si piegò troppo di lato. Infatti cadde, facendo spaventare la tartaruga e Splinter, sottostante. Per fortuna, Michelangelo era passato appena in tempo, prendendo Elisabetta tra le braccia.
-Mademoiselle…- disse, con accento francese –Ancora una volta siete caduta tra le mie braccia…-
Lei si dimenò, come la sera in cui l’avevano “salvata” dai Thai Weasels. La scena si era ripetuta.
-Mettimi giù!-
-Ok, ok… che modi…-
Persino Raffaello si innervosì all’accento francese di Michelangelo, da lui considerato “fastidioso”.
La sera, invece, Elisabetta e Leonardo si allenarono insieme: la ragazza gli aveva promesso che gli avrebbe mostrato ed insegnato le posizioni di combattimento contemplate nel “Flos Duellatorum”, il libro-guida dei templari, dopo la Bibbia. Non si sarebbe sottoposta a strani allenamenti ninja, almeno.
-Allora, porta di ferro… Posta reale… Posta longa… posta di donna… posta breve… posta di coda longa… posta di donna soprana… mezzana pian terreno… posta di corona… dente ‘e zenghial… posta breve… e bicornio.-
Ad ogni nome, la templare posizionava Hesperia in punti diversi. E Leonardo la seguiva. Sembrava entusiasta. Tutto ciò che lei raccontava sulla sua cultura lo affascinava. Talvolta viceversa.
-Notevole.- commentò, rinfoderando la katana -Non è così diverso dalle posizioni samurai. O dal mio stile con le katana.-
Anche Elisabetta ripose Hesperia nel fodero.
-Sì, l’ho notato anche io. Sono curiose, queste coincidenze. Dimmi, Leo, quali sono le qualità di un ninja?-
Elisabetta e Leonardo, ogni giorno, si concedevano un’ora di quello che chiamavano “Scambio culturale”: lui le parlava del Bushido e lei delle usanze templari. Oltre a proseguire le lezioni di latino e italiano. E se non parlava con lui, nei momenti di pausa giocava a scacchi con Donatello o ai videogiochi con Michelangelo. Tutti passatempi piacevoli e rilassanti, e un ottimo modo per legare con le Tartarughe. Raffaello ancora si ostinava a tenerla a distanza. Ma non per antipatia.
-Beh, velocità, invisibilità e onore.- spiegò Leonardo, assumendo varie pose con le katana. Un po’ per mettersi in mostra.
-Ma pensa, anche noi cavalieri abbiamo la velocità, tra le qualità.-
-Davvero? E poi?-
-Beh… coraggio, forza e prudenza. I nostri quattro pilastri.-
La mano della tartaruga diede una lieve pacca sulla schiena della templare.
-Allora forse non siamo così diversi.- disse, sorridendo.
Anche Elisabetta sorrise.
-E avete un giuramento o qualcosa di simile?- domandò, infine, lei.
Anche Raffaello si stava allenando: stava dando calci e pugni al sacco da boxe. Non era distante dai due, ma ignorava i loro discorsi, per non perdere la concentrazione.
Tuttavia, un piccolo impeto di rabbia guidò il suo pugno, l’ultimo contro il sacco da boxe.
-BASTA!- tuonò; Leonardo ed Elisabetta si voltarono verso di lui, sorpresi; Michelangelo smise di grattare la pancia a Klunk e Donatello interruppe l’ennesima scannerizzazione del trofeo del Nexus incrinato -Sono stufo di tutte queste chiacchiere! Non fate altro che parlare, parlare, parlare, come due casalinghe a un mercatino dell’usato! Siamo guerrieri, non filoso-qualunque-cosa-siano! E tu, Eli, ti ho sentita, stamani, mentre ti allenavi con il mio sacco da boxe! Non facevi altro che dire “Non è abbastanza, non è abbastanza!”!- c’era uno strano tono di insolenza, nella sua voce; questo irritò la ragazza, oltre alle parole velenose che le stava rivolgendo -Se continui a chiocciare, invece di allenarti, per forza non sarai mai forte!-
Le Tartarughe erano impegnate con i loro, di allenamenti. Per l’equilibrio, la concentrazione.
Per fortuna, Raffaello aveva due sacchi da boxe, uno nella sala di allenamento, l’altra in camera sua; Elisabetta dovette usare quello in camera sua, per non disturbare.
O forse sarebbe meglio specificare che era lei quella che non doveva essere disturbata: stava ancora pensando allo scontro tenuto la sera prima con Walhalla.
I colpi sferrati al sacco erano uno più forte e veloce dell’altro.
-Non è abbastanza…- mormorava; non pensava o mormorava altro, dal combattimento contro Walhalla; c’era una luce strana nei suoi occhi; aveva gli occhi spalancati e digrignava i denti -Non è abbastanza… non è abbastanza… non è abbastanza… non è abbastanza…- sferrò tutta una serie di pugni rapidi sul sacco, mentre la rabbia le cresceva dentro; e delusione; poi, diede il pugno più forte, per concludere la serie -NON E’ ABBASTANZA!- tuonò, quasi come un singhiozzo; fece una breve pausa, ma non si sentiva stanca, o soddisfatta, o calma; tutto il contrario; batté la fronte più volte sul sacco –Non è abbastanza… non è abbastanza… non è abbastanza…-
Non era soddisfatta del combattimento. Lei sentiva che avrebbe potuto fare di meglio. Doveva essere in grado di sconfiggere Walhalla in poco tempo. Ma ci aveva messo troppo, addirittura facendo crollare un intero edificio, invece di finirla con le sue mani.
Si sentiva inadeguata e debole. E Raffaello glielo stava facendo pesare. Strinse la presa sull’impugnatura di Hesperia. La rabbia le stava salendo in gola.
-Interessante…- mormorò, cercando di contenerla; ma i suoi occhi erano un libro aperto -A quanto pare qualcuno sente il bisogno di esaltare se stesso tale da provare un piacere sadico sminuire una persona per lui inferiore solo perché ha commesso un piccolo errore di valutazione. Tipico degli individui che vogliono nascondere l’insicurezza per paura di essere giudicati da chi li circonda.-
Raffaello sentì un sopracciglio ballare. Era una provocazione. Una risposta alla sua provocazione. E ciò che la rendeva affilata, era la punta di verità ivi presente.
I fratelli alternavano gli sguardi tra Elisabetta e Raffaello, con il medesimo pensiero: che sarebbe tutto convertito in una rissa, se non proprio in uno scontro.
-Oh, sentitela, lei!- schernì lui, infatti, accompagnandolo con un gesto delle mani; si era avvicinato a lei, girandole intorno; Leonardo si era allontanato, per sicurezza -È così arrabbiata, delusa, inadeguata e sente un bisogno così di sfogare la sua rabbia perché contro la Valchiria non ha dato il massimo! Vuoi essere forte e imbattibile? Allora allenati e parla poco, sorella! Poi non lamentarti che non è abbastanza! Ti serve un avversario? Eccomi qui! Armi in pugno! E non con i pugnali! Ma con la tua spada e lo scudo! Mostrami la tua vera forza!-
Una vera e propria sfida. Raffaello era già in posizione, sul tatami.
Leonardo non poté fare più nulla per impedirlo. E Splinter non era lì con loro.
Hesperia rischiò di non essere più dotata di un’impugnatura, da quanto, ormai, la sua portatrice stava stringendo.
Sì, dentro di lei c’era ancora molta rabbia. E delusione. Per se stessa. Non ce l’aveva con Raffaello. Ma la sua rabbia le stava accecando persino il giudizio. Nella sua mente, ormai, Raffaello era diventato un mero oggetto su cui sfogare i suoi sentimenti negativi.
-Va bene…- ringhiò; con passi pesanti tornò in cucina, aprì il frigo e bevve metà bottiglia di vino in un sorso solo; le gocce scendevano sui lati della bocca; da lontano sembrava sangue; poi prese Hellas ed appese la cinghia al collo –E combattimento sia.- la sua voce era simile ad un ruggito –Niente trucchi. Niente regole.- si sfilò l’anello dal dito, lanciandola a Leonardo; si mise sul tatami, in posizione di combattimento –Un combattimento all’ultimo sangue. Chi cade, perde.-
Anche Raffaello si mise in posizione.
Soffiò dal naso, sicuro di sé.
-Ho già sconfitto un templare al Nexus.- ricordò, sorridendo soddisfatto –Posso sconfiggere anche te.-
Anche Donatello si unì ai tre fratelli, come spettatore.
-Cielo, non andrà molto bene…- mormorò, preoccupato. I fratelli erano dello stesso pensiero.
Hesperia era puntata verso l’avversario: stavano girando in tondo, studiandosi.
-Fatti avanti, se ne sei capace…- sibilò lei, con sguardo freddo.
-Non credere che mi tirerò indietro solo perché sei una ragazza!-
Quella parola le fece perdere il lume della ragione: ragazza.
Odiava essere una donna. Non riusciva ad accettare la sua identità. Ogni volta che si spogliava per lavarsi, le era difficile guardare il suo corpo, da lei giudicato ripugnante. Vedere i segni. I segni che le dimostravano che non sarebbe mai stata completamente Eliseo.
-NON CHIAMARMI IN QUEL MODO!- tuonò, scattando in avanti, urlando.
Era davvero spaventosa e minacciosa, anche senza anello. Persino Raffaello, il più impavido delle Tartarughe Ninja, provò timore, sorpresa ed inquietudine.
Per fortuna, fu abbastanza rapido da parare il colpo verticale. Sentì le sue braccia piegarsi. C’era tanta forza in quel colpo. Se avesse avuto l’anello e avesse attivato il suo potere, sarebbe stato già morto.
Riuscì a guardarle gli occhi: rabbia. Molta rabbia. La stessa rabbia che conosceva bene anche lui, specie ogni volta che doveva affrontare Michelangelo.
Anche lui doveva ricorrere a quella rabbia, per affrontare la templare. Poco importava, a lui, affrontare una donna. Bastava che fosse alla sua altezza.
Hesperia era quasi incastrata nei ganci del sai. A Raffaello bastò piegare i pugnali obliquamente in basso, per deviare il colpo e rotolare di lato. Elisabetta venne spinta quasi con forza verso il basso, ma non cadde.
Era tenace. Raramente cadeva, nei combattimenti.
Raffaello aveva già affrontato un templare, nel Nexus, Giacomo: i colpi che sferrava Elisabetta erano simili, ma più forti e impulsivi. All’inizio, pensava che sarebbe riuscita a batterla come il confratello templare.
Ma per quanto gli attacchi fossero gli stessi, non era la stessa mano a guidarli.
Entrambi il ninja e la templare optarono per una strategia di attacco. I colpi sferrati dai sai di Raffaello venivano parati da Hellas, ma Hesperia passava subito al contrattacco. Quei contrattacchi venivano schivati, poi seguiti da un calcio della tartaruga, ascendente o laterali.
Elisabetta subiva quei calci, ma non cadeva, anzi. La sua rabbia continuava a salire ad ogni colpo che subiva.
Era come se stesse entrando nel suo stato di Furia anche senza l’anello.
Anche Raffaello si impegnava nel combattimento. Non si stava tirando indietro, tantomeno controllando i suoi colpi, solo perché la sua avversaria era una donna. La stava affrontando da suo pari, come promesso.
Ogni colpo che si scambiavano sembrava provocare un terremoto nelle fogne. Erano entrambi molto forti.
Leonardo, Donatello e Michelangelo erano preoccupati. Per entrambi. Persino Splinter si unì ad assistere il combattimento, inquieto.
-Che sta succedendo qui? Cos’è questo rumore?- domandò.
Leonardo gli raccontò quanto avvenuto e l’inquietudine nel maestro si accentuò.
Raffaello sentiva le forze venirgli sempre di meno, ad ogni colpo che parava. La rabbia di Elisabetta superava di netto la sua. Le sue gambe stavano cedendo, come le sue braccia.
Decise, quindi, di concentrare tutte le sue forze in un colpo simultaneo con i sai, come se volesse pugnalarla. Hesperia si posizionò su Hellas, parando il colpo. Di nuovo, la lama si incastrò nei ganci.
Raffaello esercitò pressione sui sai con tutta la forza che gli era rimasta. Anche Elisabetta stava facendo la stessa cosa con la spada e lo scudo. Si guardarono di nuovo negli occhi. Si stavano osservando, ma non vedendo. Era come se fossero divenuti ciechi. Come se la loro rabbia avesse coperto i loro occhi con un velo.
Nella mente di Elisabetta si balenarono delle immagini e dei suoni: persone che inveivano contro di lei, umiliandola; la condanna a morte del suo amico Francesco all’impiccagione, e poi il suo corpo che oscillava con una corda intorno al collo; e poi il suo combattimento contro Walhalla, e la delusione che aveva provato. Fu come un carburante per la sua rabbia.
Tirò Hesperia ed Hellas, facendo sbilanciare Raffaello in avanti. Poi gli diede un calcio sul ventre, mentre deviò i due sai da un lato, spingendo con l’elsa.
La tartaruga si trovò disarmata e il calcio fece scontrare la sua testa e il suo guscio contro una colonna.
I fratelli e Splinter erano sempre più preoccupati per lui.
Non provò dolore per l’impatto, quanto, piuttosto, per la scarpa che sentì premere con forza contro la sua gola, facendolo urlare.
Guardò in avanti: Elisabetta stava caricando Hesperia contro di lui! E aveva ancora quello sguardo carico di rabbia e delusione.
La spada era messa in modo da attaccare di punta.
-NON CHIAMARMI MAI PIÙ “RAGAZZA”!- tuonò lei, con tono di minaccia.
La spada era sferrata in direzione della sua testa.
Raffaello chiuse gli occhi.
Un’altra spada, una katana, però, deviò il colpo, ad appena pochi centimetri.
-FERMA!- esclamò Leonardo, dando un calcio al ventre della ragazza; lei indietreggiò di molti passi, facendo cadere Hesperia; Michelangelo riuscì a bloccarla, prendendola sotto le ascelle -Sei impazzita?! Così lo uccidi!-
Donatello e Splinter, nel frattempo, erano andati a soccorrere Raffaello, che tossì.
La mente di Elisabetta era ormai annebbiata dalla rabbia; vedeva solo Leonardo. Tutto il resto era sfocato.
-Mi ha chiamato “ragazza”!- protestò lei, dimenandosi; ma Michelangelo non mollava –Devo ucciderlo!-
Aveva un tono strano, quasi demoniaco. La sua voce era leggermente roca, per la rabbia.
-E vale davvero la pena uccidere un amico per questo?-
Un amico?
Cosa intendeva?
La rabbia stava svanendo. E non tentò più di dimenarsi tra le braccia della tartaruga dalla benda arancione, che lasciò la presa. Riuscì a vedere nitidamente il mondo intorno a lei: Raffaello era piegato di lato, che continuava a tossire, con una mano sulla gola. E Leonardo, Donatello, persino Michelangelo, la stavano osservando terrorizzati, come se avessero di fronte un mostro.
Non più rabbia, ma senso di colpa riempì il cuore di Elisabetta. Impallidì, nel realizzare la conseguenza delle sue azioni: stava per uccidere Raffaello. Guidata dalla rabbia.
-Io… Raph… mi dispiace…-
Qualcosa stava per uscire dai suoi occhi.
-Povera figliola…- mormorò Splinter, mettendole una mano dietro la schiena, più dispiaciuto che deluso -Vedo molta, troppa rabbia in te. David non ha saputo liberarti da essa. Anzi, ha fatto in modo che crescesse e diventasse dominante su tutto il resto. La via del Bushido ci insegna a liberarci dei sentimenti negativi e deleteri. Ma questo, tuttavia, non è la via del cavaliere, che comporta omicidi, massacri e razzie. Ma insegna anche a rivolgere la spada su un’anima amica?-
Senso di colpa. Rimorso. Tristezza. Pentimento.
Sentimenti negativi che avevano scacciato la rabbia. O ciò che la rabbia aveva provocato.
Un fastidioso nodo allo stomaco stava tormentando Elisabetta. Le sue mani tremavano. E, per una volta, non stava mentendo. Stava davvero provando quelle sensazioni.
-Che cosa ho fatto…?- mormorò, in italiano; si coprì il volto con le mani, tremando e correndo al centro del tatami, dando le spalle alle Tartarughe –CHE COSA HO FATTO?!-
Gli unici rumori nel rifugio erano i suoi respiri pesanti e la tosse di Raffaello.
Leonardo fu l’unico ad avere il coraggio di avvicinarsi e metterle una mano sulla spalla.
-Ehi, non è successo niente.- disse, cercando di consolarla –Adesso calmati.-
-STAI LONTANO DA ME!-
Lei scacciò quella mano, rifiutando la compassione; si liberò di Hellas, gettandolo sul tatami con forza; poi prese il suo rosario e si diresse all’uscita.
In quel momento, fu Michelangelo a seguirla.
-Eli, aspetta! Dove vai?-
-LASCIAMI SOLA!- esclamò lei, salendo le scale verso la rimessa.
-Lasciala andare.- ripeté Splinter, ormai vicino a Raffaello –È sconvolta. Lasciala un po’ da sola. Tornerà quando si sarà calmata, vedrai.-
Michelangelo storse la bocca, sospirando. Vederla così arrabbiata, anche senza anello, l’aveva terrorizzato, ma aveva provato una morsa sul cuore a sentire i suoi singhiozzi. Non voleva lasciarla andare. Nessuno in quella stanza lo voleva. Ma Splinter, un’altra volta, aveva suggerito l’idea migliore, non necessariamente quella più piacevole.
-Raph! Stai bene?- si premurò Leonardo, avvicinandosi al fratello.
-Figliolo, riesci a parlare?-
Raffaello finì di tossire. Riprese fiato.
-Ha… cercato di uccidermi…- disse, con voce soffocata e la mano sulla gola. Era come se la scarpa di Elisabetta stesse ancora premendo su di essa.
-Già…- commentò Michelangelo, con le braccia incrociate –Bella idea quella di farla arrabbiare. Sei sempre il solito genio, Raph.-
Il suo era chiaramente un rimprovero velato di sarcasmo. Scomodo, come al solito. E come al solito portò ad uno scapaccione sulla nuca da parte di Donatello.
-Michelangelo, non parlare così a tuo fratello!- rimproverò Splinter.
-No, ha ragione.- tagliò corto Raffaello; si rialzò, con gambe tremanti –È colpa mia. Devo cercarla e scusarmi.-
I suoi fratelli erano già sorpresi del fatto che avesse dato ragione a Michelangelo. Ma non si sarebbero mai aspettati che l’iniziativa delle scuse sarebbe partita da lui.
-Deve aver battuto la testa più forte di quanto pensassi...- mormorò Michelangelo, il più basito di tutti.
Solitamente, il suo orgoglio prendeva il sopravvento sul suo buonsenso. Ma Raffaello sapeva essere altrettanto giudizioso, quando voleva.
-Raph, aspetta!- lo esortò Donatello, sorreggendolo per le braccia; il suo equilibrio ancora vacillava, a causa del combattimento –Tu non ti reggi in piedi e lei è ancora sconvolta. Lascia che si calmi e torni da sola. Avrete modo di rivolgervi tutte le scuse del mondo.-
-No, non capite. Quella scema è lassù, da sola, senza armi e senza il suo stupido anello.- fece notare, riprendendo i suoi sai; timore condiviso da tutti.
Non temevano che Elisabetta li avrebbe abbandonati, con la sua fuga improvvisa; erano preoccupati per il suo stato: da sola, a New York, di notte, senza armi e senza anello. Dubitavano che sarebbe sopravvissuta.
-Devo riportarla qui, prima che qualcuno le faccia del male o che uno del suo ordine la rapisca per torturarla.- annunciò, salendo anche lui le scale per la rimessa.
-Raph, aspetta!- cercò di fermarlo Donatello, ma era troppo tardi; il fratello era già entrato nella rimessa e chiuso la botola; soffiò dal naso e si mise le mani sui fianchi –È davvero cocciuto, quello!-
Era così.
Raffaello era cocciuto. Ma era altrettanto preoccupato.
Mise il casco sulla testa, accese la moto ed uscì dalla rimessa. Avrebbe setacciato ogni angolo, per trovare la ragazza.
Mentre viaggiava, pensò al combattimento. E lo sguardo furioso di Elisabetta. Provò un profondo senso di amarezza. E di rabbia verso se stesso.
-Davvero un ottimo lavoro, genio.- borbottò, per poco battendo un pugno contro il quadro –Rischiare di farti uccidere per una sciocchezza che hai fatto. Però anche lei dovrebbe controllarsi...- sospirò, scuotendo la testa -Shell, chi sono io per giudicarla…? E chissà dove sarà ora, quella scema… Quando è sconvolta dice che va sempre in chiesa. Ma ci sono tipo tre chiese qui nei dintorni e io di certo non posso setacciarle tutte.-
Un rombo sospetto lo distolse dai suoi pensieri. Delle Harley Davidson. Di fronte a lui. Montate da uomini con caschi neri e disegni infuocati e giacche di pelle nera con un teschio infuocato sulla schiena.
Anche sulle moto vi era il medesimo motivo. E brandivano catene e spranghe di ferro.
-I Ghost Riders!- si insospettì Raffaello. Era una banda di motociclisti nota per i loro vandalismi, consistenti soprattutto nel danneggiare auto, vetri e talvolta scippare persone.
Le Tartarughe si erano scontrati anche con loro, più volte.
Non uscivano molte persone, a quell’ora. Ma venivano sempre trovate dai Ghost Riders. Ed Elisabetta poteva essere a rischio. Era una preda facile. Senza armi e senza anello. L’avrebbe protetta lui, se fosse riuscito a trovarla.
Con questo pensiero, li seguì, mantenendo una debita distanza, deciso a dare loro una sonora lezione, più dell’ultima volta.
Non erano molti, una decina. Avrebbe tenuto loro testa senza problemi.
Sperò solo che Elisabetta non finisse nella loro traiettoria.
Li trovò in un vicolo, contro dei poveri mendicanti, che non avevano fatto nulla di male, solo riunirsi intorno al loro falò.
Ma stavano loro intralciando la strada e questo per i Riders era un reato. E li picchiavano con le spranghe e le catene, consci del fatto che fossero incapaci di difendersi.
Raffaello non poteva restare fermo a guardare. Se Elisabetta era in una chiesa, era al sicuro. Ma quei mendicanti no.
-Ehi, cervelli di gallina!-
I Riders notarono una figura mastodontica in controluce della luna. Stava roteando dei Sai, avanzando verso di loro. I mendicanti fecero in tempo a scappare e rifugiarsi da un’altra parte.
-È uno di quei tizi vestiti da tartaruga gigante!- esclamò uno di loro, probabilmente il capo –Ed è da solo! Sarà un giochetto sbarazzarcene!-
Raffaello si mise in posizione, sorridendo.
-Fatevi avanti!-
Si mossero in massa contro di lui. Erano privi di allenamento e di tecnica. Le risse da strada non erano una vera arte marziale. Per questo Raffaello sapeva di partire più avvantaggiato di loro.
Deviò una spranga con un sai ed infilò l’altro in un anello di una catena, facendo leva verso di sé e prendendone possesso. La catena divenne la sua nuova arma.
La roteava, facendo indietreggiare gli avversari. E rideva.
-Allora? Come la mettiamo?- diceva.
Con essa colpì tutti coloro che osavano avvicinarsi a lui. Uno dei Riders era persino riuscito a prendere l’altro capo e fare una prova di forza e resistenza con la tartaruga.
Ma Raffaello sfruttò la trazione dell’altro per saltare verso di lui, travolgendolo con il suo peso e farlo cadere. Tornò a combattere con i sai, usando soprattutto l’impugnatura per colpire i suoi avversari.
Concluse con un calcio rotante, che li mise a tappeto.
Sì, era riuscito a tenere testa a dieci Riders. Da solo.
-Oh, sì! Oh, yeah! Beccatevi questa!- esultò, con posa da vincitore; le sue urla lo resero sordo dal rumore di passi che si facevano sempre più forti; dall’angolo spuntarono due anfibi neri, e si avvicinavano sempre più a Raffaello –Allora? Qualcun altro vuole farsi avanti? Nessuno?- ripose i sai e si mise in posa fiera -Magari ora ci penserete due volte, prima di mettervi contro nemici più forti di voi!-
Poi sentì una forte fitta alla testa. Un dolore lancinante. Una scossa elettrica percorrergli il cervello, che lo fece urlare e scuotere.
Poi cadde, privo di sensi.
Dietro di lui, un uomo con le mani alzate ed i palmi aperti uno verso l’altro, che abbassò. Portava la mimetica nera e un gilet antiproiettile bianco con una croce rossa in mezzo. Uno sguardo fiero illuminato dalla luce della luna. E le iridi crociate che tornarono verdi.
-Oh, messer Galvano. Mio signore…- disse il capo dei Ghost Riders, rialzandosi e mettendosi in ginocchio –Non ti aspettavamo. Grazie per il tuo intervento.-
Ma Giacomo aveva attenzione solo per la tartaruga gigante che giaceva priva di sensi ai suoi piedi. Allo sguardo fiero si aggiunse un sorriso soddisfatto.
-Legate questa feccia alle vostre moto.- ordinò –Lo portiamo al vostro rifugio.-
Elisabetta era in una chiesa, non molto distante dal rifugio. Al sicuro. Almeno la preghiera di Raffaello si era esaudita.
Era di fronte ad un dipinto dell’arcangelo Michele e stava accendendo una candela per i defunti.
La luce della candela illuminò il suo volto, ancora pallido e sconvolto da quello che aveva fatto.
Prese il suo rosario e pregò. Recitò un Pater Noster e una Aeterna Requiem.
Non riusciva a smettere di pensare allo sguardo terrorizzato delle Tartarughe, specialmente quello di Raffaello. Lo stava per uccidere. Ma non voleva farlo. Aveva di nuovo permesso alla sua rabbia di prevalere.
Stava per uccidere un amico. Sì, amico. La sua copertura implicava che divenisse amica delle Tartarughe.
Ma la sensazione che stava provando era vera. Stava dunque recitando o si stava facendo coinvolgere emotivamente?
Pensò e sperò di trovare conforto nella preghiera, quale dovere di cristiana e di templare.
-Cosa avresti fatto, Fran?- domandò, a bassa voce, rivolta all’unica candela accesa di fronte a lei; era per Francesco, il templare accusato di tradimento dall’ordine, grande amico suo e di Federico; almeno lì, in quella chiesa, nessuno l’avrebbe rimproverata di pregare per un traditore –Tu sapevi sempre cosa fare. Eri il mio pilastro e quello di Fede. Siamo perduti senza di te. Se mi senti, mandami un segno, ovunque tu sia. In Paradiso, all’Inferno, non mi importa.- stava ancora lacrimando, di pentimento –Non volevo uccidere Raph. Non volevo fargli del male. Ma come farò a chiedergli scusa? Lui mi perdonerà? E ora anche gli altri avranno paura di me? Tu non ne avevi, Fran. Riuscivi sempre a consolarmi ed eri l’unico in grado di calmarmi e annullare il mio stato di furia soltanto puntandomi l’anello contro. Eri la mia Benedizione. Ora ho paura di me stessa, Fran. Sto peggiorando, da quando sei morto. E anche Fede. Sento di averlo abbandonato. Lo sento, nel suo volto, nella sua voce, ogni volta che ci parliamo, e mi sento una stupida. Perché sei morto, Fran? Abbiamo così tanto bisogno di te. Io ho bisogno di te. Se ci fossi stato tu, al posto mio, avresti risolto le cose in modo diverso…-
Se avesse proferito queste parole alla Base templare, David l’avrebbe obbligata a fustigarsi. Ma David non c’era. Nemmeno Andrea. O Giacomo. O Luigi. Nessuno a dirle che non doveva pregare al traditore.
Restò qualche altro minuto, inginocchiata di fronte alla candela, con il rosario in mano, con le lacrime agli occhi.
La sensazione non se ne andò dal suo cuore. Era ancora lì. A tormentarla.
Ogni volta che si sentiva triste, oltre a pregare, chiamava Federico e parlava con lui.
Si sentì stupida ed opportunista a pensarlo, ma in quel momento era l’unico con cui poteva confidarsi e sfogarsi.
Era in procinto di strofinare il dito sull’anello, quando udì il rombo di motori, che la fece sobbalzare.
Corse per tutta la navata fino al portone. Di norma, non si sarebbe allarmata. Ma sentiva ancora quella sensazione strana. Pericolo.
Aprì poco il portone, guardando da una fessura. Notò dei motociclisti su delle Harley Davidson muoversi in gruppo. Gli ultimi stavano trainando qualcosa.
Elisabetta impallidì.
-Oh, no, Raph!-
Lo avevano legato per le caviglie e lo stavano trascinando con il guscio posteriore a contatto con l’asfalto, come Achille con Ettore. Non tentava la fuga: era privo di sensi.
Doveva liberarlo. Incanalò tutta la rabbia, ma non accadde nulla.
Aveva forse liberato tutta la rabbia durante lo scontro con Raffaello?
Poi si guardò le mani: vuote. Si guardò le tasche: niente.
Sgranò gli occhi.
-Kyrie Eleison!- esclamò, battendo la mano contro la fronte –Ho lasciato l’anello a Leo!-
E non aveva armi. Non avrebbe potuto comunque salvare Raffaello.
Per la prima volta, non sapeva cosa fare. A parte una cosa.
-Devo chiamare gli altri! Devi avvertirli! Oh, Raph, mi dispiace tanto!-
Uscì per strada. Vuoto. I motociclisti erano già lontani. Ma avevano lasciato qualcosa.
Nel rifugio delle tartarughe, attendevano tutti il ritorno del fratello e della ragazza.
Leonardo stava lucidando le sue katana con mano tremante e sguardo inquieto, Donatello aveva ripreso ad analizzare il trofeo del Nexus e Michelangelo stava guardando distrattamente un film, con Klunk addormentato sulle sue gambe. Splinter si era dato alla meditazione, scacciando ogni preoccupazione.
Ma non ci riusciva: maestro severo quanto padre premuroso. Era impossibile, per lui, non preoccuparsi per uno dei suoi figli.
Il sollievo arrivò al suono della botola che si chiudeva.
-Ragazzi! Ragazzi!- era Elisabetta.
Interruppero tutti le proprie attività per accoglierla.
Il primo a salutarla fu Michelangelo.
-Eli! Grazie al cielo sei qui! Temevamo che qualche cattivone ti avesse rapita e portata via da noi- disse, abbracciandola e simulando un pianto.
Lei fu grata di quelle attenzioni e accarezzò la testa della tartaruga, ma non ricambiò il sollievo.
E Leonardo si guardò intorno.
-Dov’è Raph?- domandò, quasi allarmato -Non è con te?-
-È per questo che sono tornata!- avvertì lei, porgendogli i sai –Raffaello è stato rapito!-
I fratelli e Splinter sentirono i loro cuori sussultare.
-Cosa?!- esclamarono, all’unisono.
-E da chi?- aggiunse Leonardo.
-Non lo so. Erano dei motociclisti su delle Harley Davidson. I loro caschi avevano un motivo di fuoco, come la carrozzeria di lato.-
-I Ghost Riders…- mormorò Donatello, serrando le labbra.
-Quei bambocci in motocicletta!- tuonò Michelangelo, alzando i pugni –Come si permettono di rapire il nostro fratellino?!-
-Non so dove l’abbiano portato, mi dispiace tantissimo. Non sapevo cosa fare, senza il mio anello e senza armi. Pensavo che chiedere aiuto fosse la cosa giusta da fare.-
-E hai fatto bene, figliola.- la rincuorò Splinter, toccandole una spalla, calmo, nonostante la preoccupazione per il figlio.
-Trovarlo non sarà complicato.- avvertì Donatello, correndo verso il computer e cominciando a digitare –Basterà rintracciare il segnale del suo Tarta-Cellulare.- lo schermo era acceso; era trasmessa la piantina dell’intera città; in un determinato punto c’erano quattro puntini, uno blu, uno viola, uno arancione e uno giallo –Poi devo ricordarmi di fare un segnale anche per te, Eli, quando avrai il tuo Tarta-Cellulare. Allora, vediamo dove sta Raph… ah, laggiù!-
Un puntino rosso, infatti, stava lampeggiando in una zona della cartina.
Elisabetta tirò un sospiro di sollievo: almeno sapevano dov’era.
-Ehi, il segnale è sparito!- notò Michelangelo, allarmato.
Infatti, il puntino rosso era svanito all’improvviso.
-Devono aver scoperto il Tarta-Cellulare e distrutto…- ipotizzò Donatello –Non importa. So dove lo hanno portato. Presto, al Tarta-Corazzato, prima che mi dimentichi le coordinate!-
-Sperando non sia troppo tardi per Raph…- mormorò Leonardo, preoccupato.
Essendo praticamente nati lo stesso giorno, erano come i gemelli, mentalmente collegati. Percepivano quando uno di loro era in pericolo. E quella percezione era aumentata con l’allenamento presso il Tribunale Ninja.
Una violenta secchiata di acqua gelida destò Raffaello.
Tossì e rabbrividì.
Non era solo l’acqua, ma anche l’ambiente circostante era freddo.
Dove si trovava? Ricordava poco. Stava combattendo contro i Ghost Riders. Poi, il buio.
E aveva un dolore atroce alla testa e al guscio. E vedeva tutto sfocato. Non riusciva ad inquadrare bene il posto circostante. Notò delle sagome sfocate. Dovevano essere delle persone. Brandivano qualcosa.
-Dove sono…?-
La stanza era fredda, umida, piena di muffa. Sembravano servizi igienici dismessi. Come fossero all’interno di una stanza del film “Saw”.
Cercò di alzarsi, ma qualcosa lo tratteneva per terra. Guardò in basso: catene. Sui polsi. E anche sulle caviglie.
Stringevano.
Non aveva nulla addosso: le sue protezioni, i suoi sai, la sua benda, spariti. Senza la tenuta ninja era solo una tartaruga mutante gigante.
-Ben svegliato, Raffaello…-
Alzò solo la testa.
Vedeva ancora sfocato, ma scorse dei pantaloni mimetici. E delle mani robuste. Su una di esse notò un anello crociato. Come quello di Elisabetta.
-Quell’anello…!- esclamò, sforzandosi di guardare ancora più in alto –Tu sei un templare!-
La persona di fronte a lui afferrò con forza il cranio della tartaruga, costringendolo a guardarlo negli occhi.
Iridi con la croce rossa.
Il corpo di Raffaello venne di nuovo percorso da una forte scarica elettrica, che lo fece urlare.
-No. Sono IL templare!- puntualizzò Giacomo, con sguardo freddo, gettando la testa sul pavimento –Il templare che tu hai eliminato dal Nexus!-
Raffaello rimase sul pavimento, quasi immobile, tremante. Sul cranio erano presenti bruciature da scosse elettriche. E il danno si era rivelato maggiore con la presenza di acqua nel corpo del rettile gigante.
-E io non amo perdere! Proprio per niente!-
Il dolore da shock fu più forte dell’impatto che subì al volto. Dalla sua bocca stava già uscendo del sangue, anche dal suo naso.
Voleva parlare, ma non ci riusciva. Emetteva solo grugniti.
Giacomo stava camminando intorno a lui. Il rumore degli anfibi riecheggiava per tutta la stanza.
-Mi hai umiliato, essere inferiore…- proseguì, sibilando; aveva una mano sul guscio, pronto a scagliare una nuova scarica elettrica –E questo è persino peggio di perdere. Sono uno dei templari più forti dell’ordine. Non posso permettermi di perdere contro… un abominio!- si abbassò, e costrinse nuovamente il prigioniero a guardarlo negli occhi –È da quel giorno che pianifico di fartela pagare per avermi sconfitto. Mi godrò tanto questi momenti insieme. Oh, quanto me la godrò.-
Raffaello continuava a tremare, per gli spasmi. I suoi movimenti erano inibiti dalle scosse elettriche.
Ma riuscì comunque a sorridere.
-Tu sarai pure il più forte…- disse, ridacchiando –Eppure ti sei lasciato sconfiggere da una creatura inferiore. Se non ti sei allenato abbastanza, non è colpa mia.-
Una provocazione. Che lo portò ad essere di nuovo folgorato. Poi subì un pugno sulla mandibola. Cadde, quasi privo di sensi, sul pavimento.
-Non osare parlarmi in questo modo! Ma devo ammettere che il vostro ninjutsu non è male. Quel ratto… come si chiama? Splinter? Vi ha davvero insegnato bene. Il Magister ci aveva avvertito di voi. Il mio è stato solo un errore di valutazione, te ne do atto. Ma ora sono pronto a rimediare.-
-Puoi… puoi torturarmi quanto vuoi, templare…- mormorò Raffaello, cercando di rialzarsi, invano; le sue mani tremavano –I miei fratelli verranno a salvarmi.-
Giacomo inclinò la testa, con sguardo da innocente.
-Oh… ti riferisci a questo?- aveva il suo Tarta-Cellulare, in mano; delle scintille lo percorsero, provocandogli lo spegnimento da corto circuito; poi fu fatto cadere e Giacomo lo calpestò con il suo anfibio –Che peccato. A quanto pare i tuoi fratellini non verranno più a salvarti. Pare resteremo soli io e te, Raffaello…-
Un impeto di rabbia si impossessò della tartaruga. Se non avesse avuto le catene e non fosse ancora sotto l’effetto dello shock, gli avrebbe dato un pugno. A malapena aveva la forza per parlare.
-Non-non è così!- esclamò -Loro troveranno comunque un modo per trovarmi! Siamo inseparabili! Non come voi, che avete scomunicato Elisabetta e abbandonata in mezzo alla gente di strada al primo sbaglio commesso!-
-Oh… allora deduco vi stiate prendendo cura del nostro Flagello?- si finse sorpreso Giacomo; in realtà, sapeva che la consorella era infiltrata nel rifugio delle Tartarughe –E, dimmi, mangia bene? La trattate bene? Spero proprio di sì, sai, quando si arrabbia è davvero incontenibile. Bisogna essere minimo in quattro per tenerla ferma, specie quando entra nel suo stato di Furia.-
Raffaello lo sapeva benissimo. Lo aveva provato sulla sua pelle. Era per quel motivo se si trovava lì.
-Ci ha detto tutto di voi.- proseguì –Ci ha detto il vostro modus operandi, abbiamo visto con i nostri occhi cosa fate con le bande criminali. Dite che volete stabilire l’ordine, ma quello che state facendo non è meglio di quello che faceva Shredder! Usare i criminali per il proprio tornaconto e fare i prepotenti con chi credete inferiore a voi!-
Anche Giacomo venne colto da un impeto di rabbia: era tanto fiero quanto permaloso. E odiava chi osava tenergli testa, sia che fosse un confratello sia un avversario.
Allungò una mano verso Raffaello, senza toccarlo. Il corpo della tartaruga venne di nuovo scosso da una scarica elettrica. Stavolta, persino il suo corpo si illuminò, dalla potenza della scarica. Urlò di nuovo. Durò di più delle precedenti. Era come essere colpito da un fulmine vero e proprio.
Giacomo lo osservava impassibile.
-Sì… urla come l’animale che sei…- sibilò, provando un certo piacere nell’udire le urla del torturato.
Gli scappò persino un sorriso.
I Riders intorno a lui, inizialmente ridevano alle prime torture contro la tartaruga. Ma arretrarono, di fronte al vero potere del loro nuovo capo. Avevano paura di lui. Si resero conto che non dovevano mai contraddirlo, per nessun motivo. Non volevano fare la fine del prigioniero.
Giacomo prese una pausa, per riprendere fiato. Poi riprese a folgorare Raffaello. Questi non aveva più forze nemmeno per reggersi in ginocchio, e la sua pelle ormai era bruciacchiata.
Continuava a pensare ai fratelli, a Splinter. Erano la sua forza. Cercò di invocare il loro aiuto, ma non ci riuscì. La meditazione zen e l’addestramento nel Bushido non sarebbero risultati efficaci contro il potere di un templare.
Giacomo prese un’altra pausa. Il corpo di Raffaello, ormai, giaceva privo di sensi. Il respiro era sempre più debole, come il battito cardiaco.
L’anello del templare si illuminò, mentre stava per sferrare un altro fulmine.
Toccò la croce e le sue iridi e pupille svanirono, lasciando solo il cristallino.
Passò poco meno di un minuto, prima che i suoi occhi tornassero normali.
-Signori, qui ho finito.- annunciò ai Riders intorno a lui -Altri impegni richiedono la mia attenzione.- diede le spalle alla tartaruga, uscendo dalla stanza; sorrise in modo maligno -Ora è tutto vostro, se volete.-
L’ordine fu eseguito all’istante: spranghe di metallo e catene furono sferrate contro il corpo esanime di Raffaello.
Aveva gli occhi aperti, ma non poteva muoversi o reagire. Come se fosse morto. Subiva i colpi senza lamentarsi. Il dolore che stava provando non era nulla in confronto alle torture.
Pensava ai suoi fratelli. La sua forza.

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Le Tartarughe ed Elisabetta arriveranno in tempo?
E Raffaello troverà la forza di perdonare Elisabetta?
Elisabetta starà fingendo o sarà davvero preoccupata per Raffaello?

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Capitolo 9
*** Il rapimento di Raffaello - Parte 2 ***


Note dell'autrice: qui le scene saranno più cruente. Vi avverto.


Leonardo provò una strana stretta al cuore.
-Leo, tutto bene?- domandò Donatello, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla strada. Erano nel Tarta-Corazzato. Per fortuna, Donatello ricordava perfettamente il punto dove era stato trasmesso il segnale di Raffaello e aveva impostato le coordinate nel navigatore. Erano sempre più vicini all’obiettivo.
-Non lo so.- fu la risposta; aveva la mano sul cuore –Ma temo che Raph sia in pericolo. Ho sentito… una strana sensazione. Di dolore.-
Elisabetta, nei posti retrostanti, non faceva altro che mordicchiarsi l’indice. E in una mano stava stringendo i sai di Raffaello.
-È tutta colpa mia, è tutta colpa mia, è tutta colpa mia…- mormorava, in italiano.
Michelangelo, seduto accanto a lei, le mise una mano sulla spalla.
-Rilassati, Eli. Vedrai che ce la caveremo, come sempre.-
-No, si tratta di Raph!- chiarì lei –E se Leo avesse ragione? Se gli fosse successo qualcosa? Non me lo perdonerei mai!- si fece il segno della croce -Gesù Cristo, fa’ che non succeda!-
-Ti ho detto di stare tranquilla. Raph è tosto, vedrai che se la caverà.-
-Ci siamo.- annunciò Donatello –Il posto è questo.-
Un edificio quasi dimesso. Una banda di criminali non poteva certo permettersi di più.
A guardia della porta c’erano due uomini. Probabilmente due Riders.
Michelangelo assunse un’espressione disgustata.
-Bleah! Ma è possibile che tutti i criminali della zona vivano in delle bettole?-
Ignorarono il commento della tartaruga dalla benda arancione: dovevano elaborare un piano. Raffaello non poteva aspettare. Poteva persino essere troppo tardi per salvarlo.
-Come facciamo ad entrare?- domandò Leonardo, esaminando la zona ed i dintorni –Ci saranno uomini ovunque. Non possiamo farci vedere senza allarmare qualcuno.-
-A questo penserò io.- si offrì Elisabetta, stringendo i sai di Raffaello ed incanalando rabbia; l’anello stava già iniziando a brillare –Lasciatemi fare piazza pulita di quei…-
-No, tu hai già tentato un omicidio, oggi.- tagliò corto Leonardo, serio in volto e severo nel tono -Cerca di evitare spargimenti di sangue, per una volta.-
-Ma…!-
-Abbiamo sempre fatto a modo tuo. Per una volta, adeguati tu a noi.-
La via del cavaliere templare e del ninja Bushido erano differenti, da quel punto di vista. Avevano tante affinità, quante differenze. La vita del nemico era una differenza.
-Leo ha ragione, Eli.- lo appoggiò Donatello –Se uccidi quelle persone, rischieremo di non trovare Raph. Ancora non riesco a trovare il segnale del suo Tarta-Cellulare.-
-Don, potrebbe essere andato distrutto.-
-E’ vero, ma in ognuno di loro ho messo una specie di chip di emergenza, in grado di trasmettere il segnale anche in caso di corto circuito. È a batteria autonoma. Da qui il
segnale è debole. Devo entrare lì dentro per avere un segnale più chiaro. È l’unico modo per trovare Raffaello.-
-Ma non possiamo entrare tutti di soppiatto.- notò Leonardo, ancora riflessivo –Uno di noi deve distrarre i Riders, mentre gli altri cercano Raph, basandoci sul tablet di Don.-
Elisabetta riprese la parola.
-Posso aiutarvi io.- disse –C’è una possibilità che anche questi Ghost Riders siano stati assoldati dai templari. Ad ogni gruppo che assoldiamo forniamo una parola d’ordine per farci riconoscere ed entrare nei loro covi indisturbati. Io sarò il vostro diversivo, mentre voi cercate Raph.-
Leonardo annuì.
-Sì, è una magnifica idea.- approvò –Quando entri, nello stesso tempo, noi entriamo dalla finestra lì sopra. Spero solo non sia troppo tardi.-
-Ci proverò.-
-Ah, tieni, Eli.- aggiunse Donatello, battendosi la mano sulla fronte per poi porgerle un auricolare –Il canale sarà costantemente aperto sui nostri cellulari. Qualsiasi cosa ti diranno, potrebbe essere importante per trovare Raph.-
-Stai attenta, Eli. Non troveremo nessuno in grado di cucinare delizie italiane come te.- salutò Michelangelo, abbracciando la ragazza.
Il Tarta-Corazzato fu messo in una posizione strategica, lontano da occhi indiscreti.
Elisabetta fu la prima ad uscire. Non aveva niente, nel suo abbigliamento, che la facesse assomigliare ad un templare, con l’eccezione dell’anello.
Si era messa un cappello con la tesa e il cappuccio della felpa calato in avanti.
Era sempre più vicina al rifugio dei Riders. Era nervosa.
-Deus mi, fa’ che funzioni…- mormorò, a pochi passi dalla porta.
A guardia della porta vi erano due Riders, dalla barba lunga ed il volto minaccioso.
-Altolà!- disse uno di loro, alto e largo il doppio di lei –Qui entrano solo i membri della gang. Gira al largo, ragazzino.-
Elisabetta mantenne lo sguardo fiero e sicuro ed il sangue freddo.
-Non nobis, Domine. Non nobis.- recitò, mostrando l’anello templare.
I due uomini furono basiti.
-Questo qua porta lo stesso anello del capo…- notò l’altro uomo, parlando sottovoce con il compare –E lui ha detto di far passare chiunque reciti quei versi.-
Come Elisabetta aveva dedotto: anche i Ghost Riders erano al soldo dei Templari. E dedusse anche l’identità della persona che li aveva assoldati.
-Ti chiediamo scusa, mio signore…- si scusò il primo uomo; non si erano resi conto che Elisabetta fosse una donna; gli abiti maschili avevano di nuovo oscurato quell’aspetto –Prego, entra pure.-
Elisabetta ringraziò con un cenno della testa.
Fece un passo in avanti, passando in mezzo ai due gorilla. La tentazione di infilzarli tutti e due era forte. E le sue mani stringevano forte sui sai. Ma aveva dato la sua parola a Leonardo. E poi le armi non erano sue. Passò oltre, senza uccidere nessuno.
Da sopra il tetto, Leonardo, Donatello e Michelangelo assistettero alla scena.
-Bene, è dentro!- annunciò l’ultimo; poi attivò il comunicatore della ragazza –Ora speriamo che le dicano dove si trova Raph.-
-Entriamo anche noi.- ordinò il primo. Uno per uno entrarono dalla finestra, aperta da Donatello con un grimaldello.
L’atmosfera, all’interno del rifugio, era esattamente come quella del rifugio dei Thai Weasels: piena di uomini con il quoziente intellettivo di un orango e con il cervello nei bicipiti, quindi facilmente manovrabili con la promessa di denaro e dominio su una zona di New York. Idonei per essere assoldati dai templari.
Elisabetta entrò in un salone pieno di nebbia e dall’odore nauseante di sigari, cannabis e birra. Lì in mezzo, masse di centauri erano radunati in gruppo, a giocare a poker, a misurare la propria forza con il gioco “braccio di ferro”, a bere birra. Un’atmosfera ripugnante, per Elisabetta. E per ogni templare.
Per quanto non fosse la prima volta che entrasse in un ambiente simile, non ci avrebbe mai fatto l’abitudine.
-Eli, il segnale sul tablet si sta fortificando.- annunciò Donatello, dal comunicatore –Significa che Raph non deve essere distante. Fatti dire dove si trova. E Leo ti raccomanda di non uccidere o minacciare nessuno per farlo.-
“Non c’è bisogno di dirmelo.” avrebbe detto la ragazza, se non fosse stata in mezzo alla gente. Si limitò a pensarlo.
Aveva visitato molti rifugi di quel tipo. Trovare il capo non sarebbe risultato complicato: il più temuto e ammirato dall’intera banda.
Ne trovò uno con tali caratteristiche seduto su uno dei tavoli, con la sua sigaretta in bocca, e dava le carte a chi era intorno a lui. Folti e lunghi capelli neri, con qualche ciuffo grigio, che quasi coprivano il volto, occhi glaciali in orbite quasi cave, barba con le medesime qualità dei capelli, giacchetto di pelle che metteva in risalto i muscoli. Due donne in abiti succinti, probabilmente due escort, stavano in piedi su entrambi i suoi lati, toccandogli le spalle e le braccia.
-Ehi, sei tu il capo, qui?- disse la ragazza con tono fermo, abbassando di proposito la sua voce di qualche ottava, per risultare maschile.
L’uomo alzò lo sguardo.
-Chi è che lo chiede?- domandò, sgarbato e scocciato, come se fosse infastidito dalla sua presenza –E perché ti hanno fatto entrare, ragazzo? Non vogliamo drogati, qui.-
Elisabetta non si era levata né il cappello né il cappuccio della felpa: doveva apparire più minacciosa di lui.
Mostrò l’anello.
-Sono fratello Eliseo.- si presentò –Vengo qui per conto del confratello che vi ha assoldati.-
Il capo dei Ghost Riders si bloccò, tornando a fissare la persona di fronte a lui. Si notò inquietudine, nel suo sguardo gelido e minaccioso.
-Ho saputo che avete catturato un essere non umano.- proseguì la templare, mantenendo il tono della voce fermo e maschile –Ciò che gli è stato fatto non mi concerne, ma devo chiedervi di consegnarmelo.-
-Io ho ricevuto un ordine chiaro, ragazzo. Non far uscire quell’essere per nessun motivo.-
-I capi hanno cambiato idea.- ribatté Elisabetta, facendosi più severa nel suo tono –Il Gran Maestro ha ritenuto che il vostro prigioniero sia in possesso di informazioni a noi utili. E puoi capire che un ordine del Gran Maestro subentra qualsiasi ordine di qualsiasi confratello dell’ordine. Quindi ti chiedo di portarmi dal vostro prigioniero e consegnarmelo.-
Il tono era fermo e sicuro. La menzogna stava reggendo. Le tre tartarughe, nascoste al piano di sopra, stavano ascoltando la conversazione, in trepida attesa della risposta o indizio che li avrebbe condotti da Raffaello. Il segnale, nel tablet di Donatello, non era ancora abbastanza forte.
Ma l’uomo rimaneva in silenzio, continuando a fissare Elisabetta con aria impassibile. Si sfilò la sigaretta dalla bocca e la spense sul tavolino, senza posacenere.
-Ascolta, ragazzo…- sibilò –Il tizio mi ha pagato una grossa cifra per tenere quell’essere qui da noi, a patto che non lo lasci uscire per nessun motivo. E quel tizio sa essere davvero convincente, specie dopo aver visto cosa è capace di fare. Potrei dirti che si trova nello scantinato, ma posso fidarmi?- si alzò; era molto alto; girò intorno al tavolo, avvicinandosi gradualmente alla templare –Ricordo che il suo ultimo ordine è stato “Qui ho finito. È tutto vostro, se volete.”.-
Quella frase fece impallidire le tre Tartarughe: non osarono immaginare cosa avessero fatto i Riders ed il templare a Raffaello. Erano arrivati tardi, come sospettava Leonardo.
Anche Elisabetta si inquietò, ma non dovette mostrarlo.
-E adesso tu spunti dal nulla, con uno strano ordine di portarlo via.- proseguì il capo dei Riders, ormai dietro di lei; sembrava sospettare qualcosa; questo basì la templare –Ma è davvero così? Lui non invierebbe un messaggero. Tutte le volte che aveva bisogno di noi, anche se non sono state molte, mi chiamava o veniva qui personalmente. E poi mi domando del perché di questo interessamento di quel… coso. Un essere inferiore. Una bestia. L’unica spiegazione è una combutta con quell’essere.-
Lui sapeva!
Il resto dei Riders si stava chiudendo intorno ad Elisabetta, con spranghe di metallo e catene nelle mani. Lei non si mosse: era stata smascherata, ma non provava alcun timore. Rimaneva ferma, con il suo sguardo freddo e sicuro.
-Dici di aver paura del potere del confratello?- sibilò lei; il suo anello brillò e nei suoi occhi spuntarono le croci –Il suo potere non è nulla in confronto al mio.-
L’aura bianca e rossa apparve e la sua rabbia le aveva annebbiato il cervello.
Iniziò con il capo, facendo leva sul suo braccio e scaraventandolo verso il tavolo, spezzandolo.
A quella mossa, il resto dei Riders, compresi i due gorilla alla porta del rifugio, si avventarono sulla templare.
Non fu complicato, per lei, tenere loro testa. Alternava calci, pugni e prese.
Non sfoderò mai i sai.
Le tre tartarughe si allarmarono, ai primi suoni dei pugni.
-Oh, Mondo Pizza!- esclamò Michelangelo -Lo ha fatto un’altra volta!-
Leonardo sospirò.
-Le avevo chiesto di fare solo una cosa… Solo una!-
Scesero le scale, al piano terra: tutti i Ghost Riders erano sdraiati per terra, privi di sensi. L’unica persona ad essere ancora in piedi era Elisabetta. All’arrivo delle Tartarughe, la sua aura si spense.
-Non potevi proprio farne a meno, eh?- rimproverò Leonardo, incrociando le braccia.
La ragazza fece spallucce.
-Tranquillo, li ho solo storditi.- si giustificò -E poi hanno iniziato loro. Ora capite perché arruolare nuovi mercenari non è esattamente il mio forte.-
-È più fumina di Raph.- commentò Michelangelo, inarcando un sopracciglio.
Donatello aveva ancora lo sguardo fisso sul tablet, ma riuscì comunque ad interrompere la discussione, non appena notò un particolare.
-Abbiamo controllato i piani di sopra e Raph non c’è.- rivelò –Ma il segnale qui è più forte.-
-Mi ha detto che probabilmente si trova nello scantinato.- spiegò la ragazza, indicando il capo dei Ghost Riders.
-È come cercare un ago in un pagliaio. Guardate qua.- il tablet era collegato al satellite: lo schermo mostrava la planimetria dello scantinato; era un autentico labirinto –Ho trovato qualche informazione interessate su questo posto. Pare che risalga ai tempi della Guerra Fredda e questo, in origine, esternamente era una casa di tolleranza, se capite cosa intendo. Ma in quello che viene chiamato “scantinato” era dove i prigionieri di guerra venivano segretamente torturati, da gruppi di fanatici del calibro dei Ghost Riders. Questa struttura era idonea per prevenire evasioni e roba simile. E tutto sotto agli occhi del governo.-
Elisabetta si mise a riflettere su quanto appreso: uno specchio per le allodole e dei capri espiatori. Ritrovava uno dei modus operandi dei templari.
-Ma, Donnie, scusa se te lo chiedo…- fece Michelangelo, sospettoso; stavano già scendendo le scale per lo scantinato, mentre parlava; entrarono in una grande stanza completamente bianca e piena di muri; esprimeva terrore e freddezza; sembrava una sala torture dei film dell’orrore –Ma non avevi detto che sapevi per certo dove si trovava Raph?-
-Ho detto di aver memorizzato il punto in cui il segnale del Tarta-Cellulare veniva trasmesso e che avevo captato quello del chip di emergenza, non che sapessi il punto preciso.- chiarì Donatello –Il chip di emergenza è ancora un prototipo su cui sto ancora lavorando. Il fatto è che non compare sulla mappa come i Tarta-Cellulari. Diciamo che, ora come ora…- si morse il labbro inferiore e parlò con voce più bassa -Viene captato come con un metal detector.-
Gli occhi di Michelangelo uscirono letteralmente fuori dalle orbite.
-COSA?! E LO DICI SOLO ADESSO?!- tuonò, scuotendo il fratello.
La forza con cui veniva scosso era tale che il tablet poteva scivolare via dalle sue mani in qualsiasi momento.
Leonardo riuscì a dividerli.
-Calma. Con questo atteggiamento non troveremo mai Raffaello.- fece notare –Suggerisco di separarci, così avremo più possibilità di trovarlo.-
La decisione fu approvata.
Presero una strada ciascuno.
Donatello teneva lo sguardo fisso sul tablet, orientandosi con il suono del segnale.
Elisabetta sapeva come agivano i templari: avrebbero cercato un punto nascosto per torturare Raffaello. Lei si addentrava nel labirinto con questo pensiero.
Michelangelo si affidò alla fortuna. E alla sua voce.
-Raph! Raffaello!- chiamava, in ogni angolo.
Leonardo, invece, adottò lo stesso sistema che aveva usato per trovare i suoi fratelli successivamente l’attacco di Karai al loro vecchio rifugio.
Chiuse gli occhi, concentrando la sua forza mistica. Vide nel passato di quel luogo: vide dei Riders trascinare il corpo esanime di Raffaello in quei corridoi, capeggiati da un templare che rivolgeva spesso occhiate soddisfatte al prigioniero. Ricordava quel templare: era uno dei partecipanti al Nexus. Non ricordava il suo nome, però.
Aprì gli occhi: era come se tra lui e Raffaello ci fosse una specie di filo di Arianna invisibile. Percepiva le aure dei suoi fratelli e di Elisabetta. E una più debole. Sempre più debole.
Seguì quel filo e ne trovò l’altro capo.
Teseo aveva trovato l’uscita dal labirinto, grazie al filo di Arianna. Ma aveva condotto Leonardo verso un incubo peggiore del Minotauro: vide Raffaello sdraiato sul pavimento, il volto rivolto verso il basso, le braccia tese in avanti, la corazza ammaccata e quasi incrinata, la pelle bruciata e piena di lividi e graffi. Non si muoveva. Era intorno ad una piccola pozza di sangue.
Leonardo restò sgomento, da quello spettacolo.
-Oh… no!- esclamò, correndo dal fratello e prendendolo tra le sue braccia -Raph!- lo fece girare in alto; due rivoli di sangue scendevano dagli angoli della bocca -Ragazzi! L’ho trovato!-
Donatello ritrovò il fratello grazie al segnale sul tablet. Per Elisabetta e Michelangelo fu più complicato.
Leonardo aveva, nel frattempo, liberato Raffaello dalle catene, tagliandole con le katana.
Gli aveva preso il volto, fatto pressione sulla gola, per sentire il battito: era debole, ma c’era.
Era ancora vivo.
-Oddio! Oddio, Raph! Mi senti?-
Raffaello tossì lievemente, emettendo un lamento. Sputò una piccola parte di sangue.
Aprì gli occhi, lasciando solo intravedere le iridi verdi, e li richiuse un attimo dopo.
-Leo… sei tu…?- disse, con un lieve sussurro; la voce era roca, strozzata, forse dal sangue; con una mano cercava qualcosa, in alto; toccò il braccio di Leonardo, sorridendo –È così bello sentire la tua voce…-
-Chi è stato a ridurti così?-
-Un… templare… pelato…-
Donatello raggiunse i fratelli. Michelangelo arrivò un attimo dopo di lui.
-Ah! Raph!- urlò quest’ultimo, accorrendo verso Raffaello –Mi riconosci? Di che colore è la mia benda? Quale è l’ultimo film che abbiamo visto?-
Donatello, per calmarlo, gli diede un colpo sulla fronte.
-Ma vuoi stare calmo?!- rimproverò –E fagli delle domande più semplici! Lo vedi che è svenuto?!-
Anche Elisabetta trovò la stanza. Non varcò la soglia.
-Virgo sanctissima!- esclamò, prima di fare il segno della croce.
Non si avvicinò. Lo stato in cui si trovava Raffaello l’aveva paralizzata: avvertì il senso di colpa. Lo provava davvero. Non stava fingendo.
Era stato torturato. Ne portava tutti i segni.
-Acqua…- mormorò Raffaello.
Michelangelo si guardò intorno.
-Sì, te la porto subito! Allora… allora… dove l’ho messa…? Ah, sì. Qui!-
Donatello aveva percepito qualcosa di strano in Raffaello: dal suo borsone aveva estratto uno strano telecomando. Sbiancò in volto, appena lesse lo schermo.
-No, Mick! Non farlo!- esclamò, a gran voce, spaventato; Michelangelo si bloccò all’istante, con la bottiglietta dell’acqua ormai vicina alla bocca del fratello –È carico come una pila. Se gli dai l’acqua potresti ucciderlo.-
Le bruciature. E in punti ben precisi. Elisabetta sapeva chi era il templare che aveva torturato Raffaello.
Era ancora bloccata alla soglia della stanza. Non aveva il coraggio di entrare. Si sentiva responsabile per quanto avvenuto.
Ma quella posizione risultò vantaggiosa.
-Ragazzi…- mormorò, seria –Abbiamo visite.-
I Ghost Riders. Erano scesi nello scantinato. I loro passi riecheggiavano per tutta la stanza.
-Dobbiamo andarcene da qui!- esclamò Leonardo.
Uscirono tutti e tre: Leonardo aveva caricato Raffaello sulle spalle.
Da un lato trovarono, tuttavia, dei Riders armati di spranghe e catene.
Elisabetta chiudeva il gruppo: le sue iridi tornarono ad essere croci rosse. Il suo stato di furia stava tornando. E le mani stringevano forte sui sai. La sua rabbia era vera. Voleva davvero vendicare Raffaello.
-Andate! Qui ci penso io!-
-No, Eli! Non ucciderli!- le ordinò Leonardo.
-Ma loro…!-
-Sono comunque esseri viventi! E non devi essere tu a decidere se devono morire o meno!-
La ragazza osservò Leonardo, e Raffaello ancora incosciente sulle sue spalle; poi osservò i Riders.
Serrò le labbra.
-Ma non posso permettere che ci seguano!- constatò.
Il suo anello si illuminò e lei puntò un pugno in avanti: la croce eterea scaraventò gli avversari al muro.
Una tattica approvata da Leonardo.
Donatello era l’unico a sapere le direzioni da prendere per uscire, infatti fu capogruppo.
Ma anche i Riders conoscevano la strada.
Più di un gruppo, infatti, bloccò loro la strada.
-Questo è per il mio fratellino Raph!- esclamò Michelangelo, scattando verso gli avversari e colpendo due di loro con una spaccata orizzontale in salto.
Lui e Donatello erano le avanguardie. Con le loro armi prive di lame erano idonei ad affrontare i Riders senza rischiare di ucciderli.
Elisabetta, che chiudeva il gruppo, sferrava le sue croci eteree a chiunque osasse attaccare alle spalle.
Proteggevano Leonardo, che portava Raffaello sulle spalle.
Osservava spesso in alto, controllando la condizione del fratello: era ancora privo di sensi. Dovevano portarlo subito al rifugio o per lui sarebbe stata la fine.
Erano ormai vicini alla porta. E le scale erano vicine alla porta d’ingresso.
Tuttavia, di fronte a Donatello comparve il capo dei Riders. Del sangue stava scendendo dalla sua fronte e il suo braccio dava l’idea di essere rotto. Probabilmente causato dallo scontro con Elisabetta.
Aveva uno sguardo quasi furioso sul volto.
-Non stavolta!- esclamò; diede un calcio sul petto di Donatello; la spinta lo fece barcollare e cadere all’indietro, travolgendo Michelangelo e poi anche Leonardo e Raffaello. Elisabetta era ancora nello scantinato, assicurandosi di non avere altri inseguitori.
Si allarmò senza intimorirsi, quando vide le tartarughe rotolare giù per le scale e un uomo scendere minacciosamente verso di loro.
-Questa è l’ultima volta che mi mettete i bastoni tra le ruote, orribili abomini…- sibilò il capo dei Ghost Riders, entrando anche lui nello scantinato –E guarda chi abbiamo qui… il falso templare. Certo devi essere caduto davvero in basso per metterti dalla parte di questa feccia. E guarda questo…- aveva preso il cranio di Raffaello, stringendo con forza e sollevando la sua testa –Questo è già mezzo morto. Vale davvero la pena farsi ammazzare per uno già morto?-
Raffaello non disse nulla. Non aprì gli occhi. Non reagì. Era ancora svenuto.
Ma il tono dell’uomo, la sua prepotenza, fece scattare qualcosa nella ragazza. Più di ogni altra cosa fu la condizione di Raffaello. Per colpa sua.
La rabbia tornò. Con essa l’aura. Non strinse le mani sui sai. Le strinse a pugno.
-TOGLIGLI… LE MANI… DI DOSSO!!!-
Leonardo, tramortito dalla caduta, intuì la sua intenzione.
-NO, ELI! NON FARLO!-
Non riuscì a fermarla: aveva sferrato un pugno sul petto dell’uomo.
Non fu un semplice pugno.
Il suo volto si macchiò di sangue. Come il giacchetto del capo dei Ghost Riders.
La mano era entrata dentro il petto ed era uscita sulla schiena.
L’uomo sputò sangue, macchiando ulteriormente i vestiti di Elisabetta.
Ritrasse la mano e lui cadde. Raffaello cadde di nuovo per terra.
La ragazza osservò la sua mano, impassibile e sgomenta nello stesso momento, mentre tornava nel suo stato normale: aveva estratto qualcosa dal petto dell’uomo, qualcosa che continuava a muoversi. Il suo cuore
Le tre tartarughe erano come paralizzate, scioccate.
Uno spettacolo da cinema horror. A Michelangelo piacevano gli horror. Ma quella era la vita reale. Quella era la conseguenza del potere di Elisabetta. E non gli piaceva.
-Che cosa hai fatto…?- fece Leonardo, alzandosi, pallido in volto.
Elisabetta tremò, soprattutto la sua mano. Non era la prima volta che uccideva una persona. Ma non in quel modo.
-Io…- balbettò –Ho dovuto farlo… Avevo paura che Raph…-
-Lo hai ucciso!- tagliò corto Michelangelo, scattando in piedi, per non sporcarsi del sangue che stava circondando l’uomo.
-Perché lo hai fatto?- riprese Leonardo –Ti avevo pregato di non uccidere nessuno, oggi!-
-Che avrei dovuto fare?! Avrebbe ucciso Raph! E voi!-
-Ci sono altri modi per salvare e proteggere coloro che amiamo, non necessariamente uccidere chi li minaccia!- tagliò corto Leonardo, severo e fermo nel tono e nello sguardo –Hai dimenticato cosa hai fatto stasera? Avrebbe potuto essere il cuore di Raph, quello che ora hai in mano, se non ti avessimo fermato!- sollevò lievemente Raffaello da terra, per caricarlo di nuovo sulle spalle –La strada del Bushido non conduce all’omicidio. Hai detto che voi templari siete cavalieri monaci. E da quello che so, il cristianesimo dovrebbe praticare la bontà e la solidarietà. Ma le tue recenti azioni e quello che è stato fatto a Raph non ha nulla a che vedere con questo. Siete solo degli ipocriti cavalieri razziatori che citano le Sacre Scritture solo per comodità.-
In situazioni normali, Elisabetta gli avrebbe risposto a tono, per l’insolenza di aver insultato la sua fede.
Ma dalla sua bocca non uscì nulla. Restava ferma, a fissare quel cuore che aveva ormai smesso di battere.
Vide di nuovo quelle espressioni, nelle tartarughe, le stesse espressioni di qualche ora prima, quando stava per trafiggere la gola di Raffaello con la sua spada. Paura.
Il suo potere era spaventoso. Anche lei ne aveva terrore, appena notate le conseguenze.
Se non fosse stata fermata, avrebbe ucciso Raffaello? Probabilmente sì.
Non riusciva più a fermarlo. Non di sua spontanea volontà. Solo Benedizione aveva il potere idoneo per fermarla. Dalla sua morte, la sua ira era peggiorata.
Splinter non errava: David non le aveva insegnato a controllare il suo potere. L’aveva solo esortata a sfogare il suo potere, come una mina vagante da sferrare contro i loro nemici. Un’arma inarrestabile.
Era rimasta sola nel seminterrato. Le tartarughe erano ormai uscite, per dirigersi al Tarta-Corazzato.
-La rabbia è il mio potere…- mormorò lei, apparentemente senza esprimere alcuna colpa; inclinò la mano e fece cadere il cuore sul pavimento.
Non venne abbandonata.
Era salita anche lei sul Tarta-Corazzato, per tornare al rifugio.
Restarono tutti in silenzio.
Donatello stava praticando le procedure di primo soccorso su Raffaello grazie al kit di pronto soccorso che aveva nel mezzo, Leonardo stava guidando e Michelangelo era seduto accanto a lui, giocherellando con le sue dita.
Non avevano il coraggio di parlare con la ragazza, per non farla sentire umiliata dal suo gesto.
Leonardo si stava già pentendo delle sue parole contro di lei, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta. Spesso dire le cose giuste non è la stessa cosa che dire ciò che vorremmo effettivamente dire. E questo aveva ferito Elisabetta nel profondo.
Stava recitando il rosario, a bassa voce, senza distogliere lo sguardo da Raffaello: ogni grano veniva macchiato di sangue. La preghiera, solitamente, le risollevava l’animo e lo spirito.
Splinter fu spaventato e preoccupato alla vista di Raffaello, ma si fece ancora più inquieto quando notò la templare sporca di sangue.
Le spiegazioni furono fatte nell’angolo dedito all’infermeria.
-Per fortuna, il mutageno presente nel nostro DNA ha permesso a Raph di sopravvivere alle percosse e alle torture ricevute.- spiegò Donatello, ancora preoccupato –Ma non sarà sufficiente per rimetterlo in sesto in poco tempo. Fino ad allora, farò il possibile per tenerlo in vita.-
-E non dobbiamo dimenticare di restare vicini a lui.- aggiunse Splinter, preoccupato, ma anche speranzoso –Parlargli, dimostrargli che ci siamo per lui. Condurlo verso la strada di casa.-
Erano tutti riuniti a Raffaello, ancora privo di sensi, pieno di percosse e bruciature da folgorazioni.
Elisabetta era rimasta in disparte.
Da un certo punto di vista, sentiva che le stavano attribuendo la colpa di quanto avvenuto a Raffaello. E lei era la prima.
Non era contemplato nel piano dei templari. Ma in quel momento, non stava pensando ai templari, alla sua missione o alla sua copertura. Stava pensando a Raffaello.
Vederlo in quello stato le straziava l’anima. Nemmeno le preghiere sarebbero servite. Non si sentiva in quello stato dal giorno in cui lei e Federico si erano avvicinati al corpo defunto di Francesco. Un corpo esanime e sdraiato.
Splinter si avvicinò a lei: non sembrava arrabbiato, quanto, piuttosto, preoccupato. Per lei.
-Figliola, non ti abbattere.- le disse amorevolmente, toccandole un punto della schiena non macchiato di sangue –Nessuno ti sta attribuendo la colpa. Purtroppo, Raffaello è fatto così. Quando ha un’idea in testa, non c’è niente che…-
-Se non avessi reagito in quel modo, lui sarebbe ancora tutto intero.- tagliò corto lei, guardando in basso –E non avrei ucciso quel cane di fronte agli altri!-
-Uno spettacolo orrendo, sensei!- si intromise Michelangelo, uscendo dall’infermeria –Gli ha strappato letteralmente il cuore dal petto, neanche fosse Freddy Krueger! E stava ancora battendo nella sua mano!-
Come risposta, Splinter frustò il suo volto con un colpo di coda.
-Ahi!-
-Noi percorriamo la nostra via in modo diverso dal tuo.- riprese il topo -Tu elimini l’ostacolo che si para di fronte a te, noi lo aggiriamo. Leonardo ha sbagliato a rivolgerti quelle parole. Non possiamo obbligare una rosa a diventare una viola.-
-Ero fuori di me e… se non fossi così incline alla rabbia sì, avrei trovato un’altra soluzione!- si liberò dalla mano di Splinter, quasi singhiozzando; stava di nuovo per piangere, dopo tanto tempo –Scusatemi, devo togliermi questo sangue di dosso.-
Corse in bagno, con l’intenzione di farsi una doccia e lavare via il sangue nemico.
Era una scusa, tra le altre cose, per rimanere da sola senza essere compatita. E riflettere.
Lei aveva solo la colpa di aver fatto uscire Raffaello dalle fogne e spingerlo nelle fauci dei Ghost Riders.
Strinse la mano a pugno: aveva deciso di affrontare il vero autore delle torture.
Strofinò le dita sull’anello.
“Giacomo… Giacomo… Giacomo…”
Entrò nella dimensione mistica. Giacomo era di fronte a lei.
Sorrise e le allargò le braccia.
-Elisabetta! Che piacere! Tutto bene?- salutò.
Invece di un abbraccio e di un sorriso, ciò che ottenne fu un forte schiaffo sulla guancia.
-Sei impazzito o cosa?- rimproverò la ragazza, furibonda –Non era questo il piano!-
L’uomo si massaggiò il punto offeso.
-Il piano, il piano… il tuo piano si tratta di prendere il Graal da quegli abomini.- chiarì, serio –Il nostro è aiutarti con qualsiasi mezzo. Quindi, quello che facciamo non ti riguarda.-
-Non l’hai fatto per l’ordine, Giacomo. Hai catturato e torturato Raffaello perché ti ha sconfitto al Nexus!-
-E anche se fosse?- inarcò un sopracciglio, sorpreso -Cosa? “Raffaello”? Ora li chiami anche per nome? Che c’è? Non dirmi che ti stai affezionando a quelle creature abominevoli…-
-Il Magister ti condannerà a cento autofustigazioni per aver anteposto un tuo desiderio personale al tuo dovere verso l’ordine!-
-Beh, sopravvivrò.- rispose, dandole le spalle e mettendo le mani dietro la nuca –Tu preoccupati solo del tuo dovere e nient’altro. Intesi?-
Giacomo era pur sempre un superiore di Elisabetta. Non poteva permettersi di contraddirlo.
-Mi hai costretto ad uccidere un uomo!- rivelò lei, allungando la mano insanguinata.
-E qual è la novità?- commentò lui, voltandosi con aria indifferente –È la tua specialità, Flagello. E poi non è questa gran perdita. Quei scimmioni dei Ghost Riders troveranno presto un altro capo. D’altronde, sono tutti muscoli e niente cervello. Basterà elevare quello più forte e sono tutti a posto.-
Non si curava dei mercenari assoldati. Erano strumenti sacrificabili, per lui. E anche per l’ordine.
-Uccidere le persone non è mai stato un tuo problema. Perché questo dovrebbe essere un’eccezione? Perché ora sei in copertura? Sei una templare, Elisabetta. Il tuo dovere verso l’ordine e i tuoi ordini vengono prima di tutto. Quindi resta concentrata sulla tua missione e vedi di non fallire. Il Magister conta su di te. Vedi di non deluderci. Hai capito?-
Annuì.
Era una templare. E aveva degli ordini. Non poteva negarlo. Come non poteva negare di star instaurando un legame con le Tartarughe.
Uscì dalla dimensione mistica e finalmente si fece una doccia.
L’acqua lavò via tutto il sangue dal suo volto e dai suoi capelli.
Ma non il senso di colpa. Quello rimase.
-Ehi, Eli. Non mangi?- le domandò Michelangelo, un po’ intimorito.
Appena uscita dalla doccia, Elisabetta si era buttata nella lettura della Bibbia; le tartarughe si concessero un piccolo spuntino di mezzanotte per alleggerire le emozioni di quella sera.
A parte Splinter, avevano tutti paura di rivolgerle la parola o uno sguardo. Specialmente Leonardo. Poco prima, aveva ricevuto un rimprovero da Splinter, per le parole pronunciate contro la templare.
-Non puoi obbligare una rosa ad essere una viola!- gli aveva detto.
-No.- fu la risposta della ragazza, priva di tonalità.
Attese che si ritirassero nelle proprie stanze, prima di prendere il gatto a nove code.
Fingeva di essere impassibile, ma il dolore che stava provando la stava divorando dentro.
Frustò la sua schiena per tutta la notte, inginocchiata di fronte al crocifisso, a petto scoperto.
Tutti si recavano da Raffaello, per tenergli compagnia: Leonardo e Splinter gli parlavano, Donatello lo curava, Michelangelo talvolta portava Klunk e gli permetteva di leccare il suo volto.
Elisabetta, invece, non aveva il coraggio di avvicinarsi a lui. Si sentiva responsabile della sua condizione.
Sostituiva i pasti con la preghiera. Il sonno con l’autofustigazione.
Ciò aveva provocato la preoccupazione delle Tartarughe e di Splinter.
Raffaello era in coma da tre giorni. E da tre giorni Elisabetta non mangiava o dormiva.
Avevano provato a dissuaderla dalle autofustigazioni, ma ogni tentativo era inutile.
-Sono giorni che non mangi e non dormi.- le fece notare Leonardo; lei stava recitando il rosario –Ti stai rovinando.-
-Ho fatto un voto.- tagliò corto, interrompendo la preghiera –Il digiuno e la flagellazione per la salvezza di Raffaello.-
-Non puoi continuare così. Ti stai distruggendo.-
-Se servirà a far guarire Raph dal coma, così sia. Fiat voluntas Dei. È colpa mia se lui è in queste condizioni. È giusto che ne paghi lo scotto.-
Leonardo sospirò, mordendosi un labbro. Ricordò il rimprovero di Splinter. Anche lui aveva ammesso, in quel momento, di aver esagerato con lei.
-Senti… io quelle parole non le pensavo davvero…- si scusò, alludendo a tre sere prima –Ero spaventato da tutto quel sangue e non sapevo cosa fare. Ho sbagliato a dire che i templari sono dei barbari e mi dispiace aver offeso il tuo ordine. Non approvo i tuoi modi, ma Splinter ha ragione. Non posso obbligare una rosa a diventare una viola.-
-Non ha importanza. Rimuginare sul passato non servirà a riportare Raph sano e salvo.-
Raffaello stava lottando contro se stesso, per tornare dai suoi fratelli e da suo padre. Si era ripetuta la stessa esperienza di Leonardo contro gli uomini di Shredder, anni prima.
Ma loro non erano dotati di poteri come i templari.
Solo di armi.
Nell’oscurità in cui stava precipitando, sentiva le voci di Splinter, di Leonardo, di Michelangelo, di Donatello, che lo incitavano a tornare.
Il più preoccupato di tutti era ovviamente Leonardo.
Raffaello, il suo miglior confidente, il suo fratello preferito. Sapeva essere tanto impulsivo, quanto premuroso. Anni prima, era stato lui a risvegliarlo dal suo coma. Ora toccava a lui salvarlo.
Gli spezzava il cuore vederlo ancora privo di conoscenza: Donatello aveva curato la maggior parte delle ferite e le bruciature erano quasi scomparse.
-Ciao, Raph…- iniziò, con un filo di voce; gli aveva preso persino una mano –Siamo tutti in pensiero per te, sai? Donnie ha fatto un buon lavoro medicandoti quelle ferite orrende. È davvero incredibile. Quello che è successo a me tanti anni fa, adesso sta accadendo a te. Non avrei mai voluto che accadesse. Ma quella volta, mi sei rimasto accanto. E da un certo punto di vista, sei stato tu ad avermi svegliato. Tu mi hai sempre guardato le spalle. Sei sempre stato vicino a me quando ero insicuro, dubbioso o deluso di me stesso. Ho sempre scambiato i miei dubbi e le mie incertezze con te e tu mi hai sempre sostenuto. Mi hai sempre salvato da ogni situazione. È vero, noi due non la vediamo nello stesso modo, per questo litighiamo spesso, ma penso che sia proprio questo ad unirci. Senza di te sono perduto, Raph. Tu eri e sei la mia forza.- stava piangendo; trasse la mano vicino al suo volto -Non lasciarci, ti prego. Abbiamo bisogno di te. Io ho bisogno di te.-
Elisabetta era rimasta nascosta dietro l’angolo. Si era quasi commossa alle parole di Leonardo. Questo accrebbe il suo senso di colpa.
Non osò immaginare cosa avrebbe fatto se quanto accaduto a Raffaello fosse accaduto a Federico. Avrebbe probabilmente fatto la stessa cosa che stava facendo in quel momento, digiunare e fustigarsi per la sua salvezza. Ma non si sarebbe mai separata da lui.
Attese che Leonardo uscisse dall’infermeria.
Poi entrò lei; era pallida, davvero preoccupata.
In quei giorni in cui Raffaello era in coma, aveva sentito e percepito tutto l'affetto che i suoi fratelli provavano per lui. Non doveva finire così.
Se fosse deceduto, le Tartarughe sarebbero cadute nello sconforto ed ottenere la loro fiducia per avvicinarsi al Graal sarebbe stato ancora più arduo.
Doveva fare qualcosa: per loro e per l'ordine templare.
Raccolse il suo coraggio e decise di parlargli.
-Raffaello…- iniziò, con tono tremante –Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo. Io non volevo questo. Non sapevo mi avresti seguito. Non volevo che mi seguissi. È tutta colpa mia. Se solo non fossi stata accecata dalla rabbia e non avessi tentato di ucciderti, non ti sarebbe accaduto niente. I tuoi fratelli adesso mi odiano. Pensano che sia stata io a farti questo. Ed è così. Sono disposta a pagare qualsiasi prezzo per la tua salvezza. Ho fatto il voto di digiuno e prego Dio ogni giorno, affinché tu ti risvegli. È il minimo che posso fare, per farmi perdonare. Se riesci a sentirmi, spero tu possa perdonarmi. Non ero arrabbiata con te e non volevo ucciderti, davvero. Ero solo molto delusa da me stessa e mi sono sfogata con la persona sbagliata, ma non volevo che tu pagassi il prezzo della mia delusione e della mia inadeguatezza. Non è giusto.- gli toccò una mano, probabilmente la stessa che Leonardo aveva stretto tra le sue -Raph, devi tornare. La tua famiglia ha bisogno di te.-
La tua famiglia ha bisogno di te.”
Abbiamo bisogno di te. Io ho bisogno di te.”
Non volevo ucciderti.”
Mi hai sempre guardato le spalle.”
Ero solo delusa da me stessa.”
Mi hai sempre salvato da ogni situazione.”
Spero tu possa perdonarmi.”
Tu eri e sei la mia forza.”
Devi tornare.”
Non lasciarci.”
Erano le parole di Elisabetta e Leonardo. Le parole che colpirono l’anima di Raffaello. Sentiva i pianti del fratello e le suppliche della ragazza. Non voleva vagare a lungo nell’oscurità. Doveva tornare dalla sua famiglia. Avevano bisogno di lui.
Quelle parole gli diedero la forza di cui aveva bisogno. La strada di casa.
Aprì gli occhi. Era buio. Quindi doveva essere notte fonda. L’unica fonte di luce erano lo schermo che trasmetteva il suo battito cardiaco.
Non riusciva a muoversi. Tre giorni di inattività avevano inibito i suoi movimenti.
Ma il dolore era passato. La sua corazza si stava ripristinando. E le ferite erano ormai sparite. Era solo rimasta una cicatrice sul labbro superiore.
Il suo respiro era regolare. Come il suo battito.
Se Donatello fosse stato lì, gli avrebbe detto di restare sdraiato un altro giorno, per riposarsi e riprendersi del tutto.
Ma udì un rumore sospetto. Ripetitivo. A intervalli regolari di due secondi. Era simile al rumore di uno schiaffo. O diversi schiaffi.
Era troppo curioso per restare a letto.
Fu un grande sforzo, per lui, alzarsi e scendere dal letto. Aveva ancora delle bende e cerotti e il suo corpo doveva essere esposto gradualmente alla riabilitazione.
Ma lui era testardo e cocciuto.
Tuttavia, cadde ugualmente, atterrando sul guscio posteriore. Non si era ancora ripreso del tutto dalle crepe e dalle ammaccature. Raffaello cercò di stringere i denti dal dolore.
Si rialzò su un lato, reggendosi al letto. Piano piano, sentiva le sue gambe rispondere agli stimoli del suo cervello. Riuscì ad alzarsi. Camminava lentamente e quasi zoppicando, ma almeno era in piedi.
Con le mani, cercava costantemente dei sostegni, nel caso le sue gambe non fossero più riuscite a sostenere il suo peso.
Ma dopo pochi passi, fu perfettamente in grado di camminare.
I rumori che sentiva non erano distanti.
Si affacciò dall’infermeria, osservando a destra.
C’era il crocifisso costruito da Elisabetta. E sotto di esso c’era lei. Con il torace scoperto. La sua schiena era dilaniata da ferite. Il sangue scendeva copioso da esse. Ciononostante, lei continuava a ferirsi con una frusta a più corde, senza emettere lamenti.
-Me paenitet et me doleo… Me paenitet et me doleo…- mormorava, dopo ogni frustata.
Il rumore era quella frusta, dunque.
Raffaello era sgomento da quello spettacolo.
-E…li…?- mormorò, reggendosi ancora allo stipite dell’infermeria.
Elisabetta si fermò, voltandosi di scatto. Si illuminò a vedere la tartaruga.
-Raph?!- esclamò, alzandosi. Con entrambe le braccia si coprì i seni. Ma nella mano destra ancora stringeva il gatto a nove code. –Sei… sei sveglio!-
Non era chiaro se lo sguardo sgomento della tartaruga fosse dovuta alla fustigazione o alla mezza nudità della ragazza.
Avanzò di qualche passo, con gambe tese, quasi robotico.
-Che stai… facendo…?-
Lei guardò in basso, assicurandosi che i suoi seni fossero ben coperti.
-Sei rimasto in coma per tre giorni.- spiegò -Eravamo disperati. I tuoi fratelli erano disperati. Anche Splinter. E io… Ho rinunciato al cibo e al sonno per il tuo risveglio.-
-Cosa?! Non hai… mangiato per tre giorni?!-
-Come potevo pensare al cibo, mentre tu eri in bilico tra la vita e la morte?!-
-E ti sei rovinata così per tutto questo tempo?! Cosa hai fatto alla tua schiena?!-
-Cerco di purificarmi dal male che ho commesso! Se sei andato in coma, è solo colpa mia! Devo punirmi!-
Aveva di nuovo dato le spalle alla tartaruga e si diede una nuova frustata.
Raffaello serrò le labbra. Avanzò con passi furiosi e pesanti verso di lei. Le agguantò il polso destro, impedendole di fustigarsi.
-La vuoi smettere?!- la rimproverò; a modo suo, era preoccupato per lei; la sua schiena era completamente piena di graffi –Non è così che si risolvono le cose! Non hai niente da rimproverarti! Cielo, voi altri siete davvero strani…!-
La presa era davvero salda e forte. Elisabetta dovette tirare per liberarsi.
-Tanto per cominciare, nessuno ti ha chiesto di seguirmi!- protestò, liberando la mano armata; con l’altra cercava di coprirsi.
Lui la rincorreva, nel tentativo di toglierle quella frusta dalla mano.
-Volevo chiederti scusa, razza di scema!-
-Beh, non avresti dovuto!-
-E perché no? Si chiama educazione!-
-Non quando qualcuno cerca di ucciderti!-
-Ma non l’hai fatto!-
Le aveva di nuovo afferrato la mano e lei lottò di nuovo per liberarsi.
Tra i due, era Raffaello il più forte.
E anche quello più pesante. Purtroppo, il suo equilibrio era ancora precario.
La sua gamba cedette e lui era sbilanciato in avanti. Cadde, con Elisabetta sotto di lui.
Per fortuna, riuscì ad attutire la caduta, atterrando sulle braccia, in modo da non schiacciarla con il suo peso.
Ma, cadendo, il braccio sinistro della ragazza scivolò in basso, scoprendo ciò che copriva.
Raffaello vi posò lo sguardo e li vide.
Il suo respiro si mozzò. E un improvviso calore divampò su tutto il suo volto.
Accortasi della causa di tale stupore, anche Elisabetta abbassò lo sguardo, con una lieve sincope. Il braccio tornò a coprire i seni.
Ma ormai lui aveva visto. Lei distolse il suo sguardo dal suo.
-Ecco, ora mi hai visto.- disse, imbarazzata, e quasi sul punto di piangere dalla vergogna -Ora cosa vuoi fare? Ridere di nuovo di me?-
Lui sbatté le palpebre, per svegliarsi dalla strana ipnosi che lo aveva colpito pochi istanti prima.
-Ridere di te? E perché?-
-Perché sono una donna. Sono vergognosamente una donna. E da donna non posso fare cose che un maschio fa comunemente! Da donna, tutti giudicano solo il tuo aspetto, a nessuno importa che tu abbia talento per qualcosa, basta che mostri la tua femminilità! Maledico ogni giorno di non essere nata maschio! Sarei più libera nelle mie scelte, senza essere sottoposta a continui giudizi o critiche! Sarei esattamente forte come vorrei! Mi affronterebbero tutti da pari! Anche tu!-
“Non credere che mi tirerò indietro solo perché sei una ragazza!”
Raffaello ricordava con vergogna la frase che le aveva rivolto sere prima. La causa del suo rapimento.
Avrebbe dovuto capirlo prima di rischiare di avere la gola trafitta da una spada, che Elisabetta odiava essere una donna.
Non dava l’idea di essere costretta ad indossare abiti maschili e portare un taglio da uomo, anzi. Sembrava sentirsi a suo agio in quella “armatura”. In fondo, era stata una sua scelta entrare nei templari, presentandosi come “Eliseo”. Un nome che sfoggiava con più orgoglio del femminile “Elisabetta”.
E questa identità sembrava darle molta forza e coraggio.
Era davvero un’armatura che la proteggeva da se stessa. Dai suoi dubbi e le sue paure.
Come lui con la sua arroganza, che usava spesso per nascondere i suoi, di dubbi, paure ed incertezze.
Lasciò il polso della ragazza. Ella usò anche l’altro braccio per coprirsi.
-Questo non è vero, Eli.- rivelò Raffaello, mettendosi seduto; anche Elisabetta si mise seduta -Sai, nelle nostre numerose avventure abbiamo incontrato molte donne, guerriere e non, ma tutte coraggiose, valorose e con le qualità pari a quelle di un uomo. Forse persino più di un uomo. E non si vergognavano affatto di essere donne. E tu, fattelo dire, le superi tutte di diverse spanne. Hai tenuto testa e sconfitto un triceraton al Nexus, e neanche di seconda classe, e riesci persino a farmi indietreggiare, anche senza i tuoi poteri. Perché, quindi, sei così infelice di te stessa?-
Non erano lusinghe. Erano fatti reali, quelli di Raffaello. E non gli piaceva mentire. I complimenti che rivolgeva ad altre persone erano rari, ma erano sinceri e sentiti.
Elisabetta sorrise: aveva superato la sua crisi e sfogarsi con Raffaello le aveva tolto un peso dallo stomaco e dal cuore. Aveva recuperato la sua forza e la sua voglia di vivere.
-Forse hai ragione. Grazie, Raph.- ringraziò; si morse il labbro inferiore e guardò in basso -Ehi, Raph… ehm… per l’altra sera… io… scusami, ho sbagliato a reagire in quel modo…-
Lui scosse la testa.
-No, sono io che mi scuso con te. Non avrei dovuto provocarti. Sono stato davvero immaturo. E guarda in che guaio sono finito…-
-No, avevi ragione. Mi sentivo e mi sento tutt’ora inadeguata, delusa e frustrata. Ero solo molto arrabbiata con me stessa per la mia inadeguatezza contro Walhalla e mi sono sfogata con la persona sbagliata. Potrai mai perdonarmi?-
Sentì la mano del rettile toccarle una spalla.
-Ehi, anche io perdo spesso la testa.- rivelò, quasi ridacchiando -Quindi non scusarti o giustificarti con me per queste cose, perché so come ci si sente. Chiedi a Mick, lui ne sa anche troppo.- risero entrambi; anche lei aveva assistito a diversi litigi tra Raffaello e Michelangelo (soprattutto per il fatto che nemmeno tra gli originali scorreva buon sangue; coincidenza?).
-Sì, lo immagino. E ora capisco perché hai fatto quella scenata, quella sera. Sei geloso dei tuoi fratelli e ti da fastidio che parli con loro, non è così? Lo capisco, davvero.-
Raffaello distolse per un attimo il suo sguardo da quello della ragazza.
-Sì, io…- disse, con un filo di voce; stava anche leggermente arrossendo –Sono molto… geloso… dei miei fratelli…-
Mentiva. O forse no. Quella sera non era riuscito a nascondere la sua sensazione di fastidio verso il progressivo affiatamento della templare verso i suoi fratelli. Era stata la voce della gelosia a guidarlo verso quelle parole al veleno. Gelosia per entrambe le parti.
Nel periodo di silenzio che seguì, si rialzarono entrambi.
-Allora, io… meglio se mi lavo queste ferite, mi rimetto la mia maglia e vada a letto. E anche tu devi riposare. Vedrai la faccia degli altri, quando sapranno che sei sveglio.- disse lei, camminando verso il divano letto.
-Eli…- riprese la tartaruga.
-Sì?-
-Sei… davvero forte. Anche senza anello.-
Aveva usato il termine “strong”, per dire “forte”, non “great”. Ma, da un certo punto di vista, per lui significavano la medesima cosa.
Lei si illuminò a quel complimento.
-Dici sul serio?-
-Sì. Non hai bisogno dell’anello, per essere forte. E no, non sei per nulla inadeguata, debole o tantomeno incapace. Tu sei già forte e valorosa. Sei una delle persone più forti che abbia mai conosciuto e meriti tutto il mio rispetto.- tali parole fecero sorridere la ragazza, per davvero; era un sorriso vero, quello sul suo volto, non falso; Raffaello si schiarì di nuovo la voce -Mi piacerebbe sfidarti di nuovo. In qualunque cosa, non necessariamente nel corpo a corpo. O, se vuoi, possiamo andare a vedere il wrestling insieme.-
-Sì, mi piacerebbe molto.-
-E per quello che vale, sono contento che tu sia una donna.-
Le stesse parole pronunciate da Francesco quattro anni prima.
Fu strano sentirle da un’altra persona. Ma l’effetto era il medesimo.
Che Raffaello avesse ragione? Che fosse possibile essere forte, anche essendo una donna?
April le aveva dato l’idea di essere una donna non solo sveglia ed intelligente, ma altrettanto valorosa.
Accettare se stessi non è mai una sfida facile. A volte abbiamo bisogno di persone fidate.
Federico non le aveva mai rimproverato di essere una donna, o disprezzata per il medesimo motivo. E nemmeno al resto dei confratelli dava fastidio la sua vera identità.
E le quattro Tartarughe e Splinter apprezzavano la sua compagnia.
Ma lei ancora non riusciva ad accettare la sua realtà. A sentirsi a suo agio con il suo essere donna.
Forse restare con le Tartarughe le avrebbe portato un doppio beneficio, la sua missione e l’accettazione.
La notizia della ripresa di Raffaello sollevò i fratelli e Splinter.
Donatello lo aiutò con la riabilitazione. Durò solo due giorni, prima che tornasse pienamente operativo.
Già dal secondo giorno, infatti, aveva ripreso i suoi esercizi con i pesi.
Era affiancato da Donatello e Leonardo, che aggiungevano gradualmente altri pesi sul suo bilanciere.
Michelangelo rimaneva nella zona intrattenimento. Da poco era uscito un gioco e non vedeva l’ora di giocarci con Elisabetta. Era, infatti, in sua compagnia.
-Non ci crederai mai, cara Eli, ma pare che in questo gioco i cattivi siano i templari, non i tuoi, ma quelli originali, quelli senza poteri.- spiegò, entusiasta; aveva una custodia in mano –E tu controlli questo personaggio qui sulla copertina, che si muove come un ninja, e li devi ammazzare tutti. E possiedi un bell’arsenale di armi per affrontarli…-
Ma Elisabetta non gli stava prestando orecchio: il suo sguardo era ipnoticamente rivolto verso Raffaello. Era sdraiato su una panca, e continuava a sollevare un bilanciere pieno di pesi. Era incredibile in quanto poco tempo si fosse ripreso. Era quasi un miracolo. Persino Donatello era rimasto sorpreso dai suoi risultati.
E anche lei ne era sollevata.
Raffaello non le aveva attribuito la colpa della sua disavventura. Il giorno del suo risveglio, infatti, l’aveva difesa di fronte alla sua famiglia, prendendosi la colpa degli eventi di sere prima.
La questione era stata risolta.
Anche l’uccisione del capo dei Ghost Riders. Elisabetta promise di controllarsi, da quel momento in avanti. Splinter e Leonardo le promisero aiuto, contro i suoi eccessi d’ira.
Non sarebbe stato facile.
La sua copertura, tuttavia, era ancora integra.
Per un attimo, gli occhi verdi e quelli marroni si incrociarono di nuovo.
Raffaello si distrasse un attimo, rischiando di far cadere il bilanciere, ma fu abbastanza rapido da riprenderlo e continuare i sollevamenti.
-Ehi, Mick…- disse lei, ad un certo punto della spiegazione dell’arancione -Ma Raph si allena spesso?-
Michelangelo si fece serio: notò la direzione in cui puntava lo sguardo della ragazza e si offese.
-Praticamente per lui non esiste altro, oltre al wrestling e prendere le persone a calci.- spiegò, borbottando; odiava essere ignorato e gli piaceva farlo notare -Ma mi stavi ascoltando?-
No, non lo aveva ascoltato.
Pensava a Raffaello. E alla sua missione.
Puntò lo sguardo in un altro punto, infatti, mentre Michelangelo continuava a parlare.
Verso il trofeo Nexus di Leonardo. Verso il probabile involucro del Graal, secondo la teoria del suo Magister.
La sua missione.
Giacomo gliel’aveva ricordata.
“Il tuo piano si tratta di prendere il Graal” “Resta concentrata sulla missione e vedi di non deluderci.”
Stava recitando una parte, stava mentendo, ma non poteva negare a se stessa di non gradire la compagnia delle Tartarughe. Da sere, infatti, Federico, durante le loro conversazioni nella dimensione mistica, stava notando uno strano sorriso sull’amica. Un sorriso sincero, non forzato.
Effettivamente, si stava trovando a suo agio, con loro.
Ma non doveva lasciarsi coinvolgere. Per il bene dell’ordine.
Doveva continuare a mentire.
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Per quanto tempo Elisabetta mentirà alle Tartarughe?
Dirà mai loro la verità?
Riuscirà a controllare il suo stato d'ira?
Quali altri ostacoli dovrà distruggere ancora, per ottenere il Graal?
E se quel giorno arriverà, anteporrà l'ordine o i suoi nuovi amici?
E Raffaello è davvero geloso dei suoi fratelli?

 
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Note finali: avete riconosciuto il videogioco presentato da Mickey? =-3

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Capitolo 10
*** Viaggio nella Dimensione Mistica ***


Note dell'autrice: scusate se i capitoli mi vengono lunghissimi, ma che ci volete fare? XD Preparatevi ai colpi di scena, gente!


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-Branco di beoti!-
David lanciò con forza un bicchiere di vetro vuoto contro il muro.
Gli unici presenti nella stanza con lui erano Giacomo, Andrea e Luigi. La sua reazione li allarmò.
Pochi istanti prima era entrato nella dimensione mistica, a contatto con il resto dei Grandi Maestri.
Non gli avevano riportato buone notizie. E questa era stata la sua reazione, nonostante le sue continue proteste.
-La loro cecità mi ripugna!- imprecò, battendo il pugno sul tavolo; dagli angoli della bocca stava scendendo un lieve rivolo di bava –Come osano avermi rivolto parole simili?!-
Andrea si alzò, mantenendo la calma.
-Cosa ti hanno detto?-
David inspirò. Una parte della sua rabbia era svanita. Il giusto per riprendere il controllo. Si asciugò la bava dalla bocca.
-Si ostinano a dire che la nostra è solo un’inutile caccia alle streghe…- riportò, camminando verso il salone; il resto dei tetrarchi lo seguì –Mi hanno suggerito di rinunciare e tornare in Italia, e riprendere il mio posto di Gran Maestro dell’Europa, e mandare qui Stefano al posto mio.- soffiò dal naso, irritato –Cum diabolo! Sono solo degli ingrati! Io ho fatto più per l’ordine di tutti loro quattro messi insieme!- entrarono in un’altra stanza, oltre la sala di allenamento; c’erano una spada incastonata nella roccia sotto vetro, due piedistalli, uno vuoto e l’altro con sopra dei rovi intrecciati insieme, e una lettiga tra le cui tende si poteva scorgere un baule con due decorazioni di angeli sopra -Io ho raccolto le sante reliquie cristiane! La corona di Cristo, la Spada nella Roccia di San Galgano, l’Arca dell’Alleanza…- rivolse lo sguardo verso il piedistallo vuoto –Me ne manca solo una per completare il nostro obiettivo! E quelli mi ordinano di tornare in Italia!-
Andrea fece un passo in avanti: fra i tetrarchi era l’unico che riusciva a mantenere il controllo anche in situazioni simili.
-David, forse non hai considerato un particolare…- fece notare, avanzando verso il Gran Maestro –Siamo qui da quasi un mese, e, nonostante quasi tutte le bande criminali di New York siano sotto la nostra ala, ancora non abbiamo ottenuto risultati sul Graal. Forse inviare Flagello non è stata una buona idea. Lo sai che non è adatta per queste missioni. Era meglio mandare Spettro. I Grandi Maestri non hanno del tutto torto a volerci rinviare in Italia, a meno che non portiamo una prova concreta che il Graal sarà presto nelle nostre mani.-
Anche David, normalmente, riusciva a mantenere il controllo delle proprie emozioni: ma la missione della ricerca del Graal, come i Cavalieri della Tavola Rotonda e i Templari prima di loro, lo stava mettendo alla prova. Anche la propria salute mentale. Era diventata la sua ossessione da anni. E finalmente era vicino.
-No… non posso…- balbettò, camminando avanti e indietro, con le mani che stringevano i capelli sale e pepe -Devo… devo accelerare i tempi… devo aiutare Flagello contro gli abomini… ma come?-
Elisabetta non era come Giacomo, non era brava con l’oratoria. La sua specialità erano le uccisioni.
Doveva ricevere un aiuto.
Le uniche persone di cui si fidava, all’interno dell’ordine, erano gli stessi ragazzi con cui aveva svolto la Veglia. Le uniche con cui poteva confidarsi. Specialmente con una.
David si illuminò, alzando la testa sorridendo. Brillava una strana luce nei suoi occhi.
-Ah, giusto! Federico!-
Non si sarebbe fermato di fronte a nulla, per il suo obiettivo. Nemmeno se avesse comportato il sacrificio di sangue del suo unico figlio.
Federico, come ogni sera, era a contatto con Elisabetta nella dimensione mistica.
Entrambi stavano ridendo.
-No! Non ci credo!- esclamò lui, riprendendosi a malapena dalla risata -Dài! È impossibile!-
-No! Te lo giuro, Fede! E Donnie ha dovuto usare il laser per liberarlo!-
Con David riportava i fatti oggettivi della sua missione di copertura. Con Federico le avventure divertenti, con lo scopo di farlo sorridere. E non erano poche, nel rifugio delle Tartarughe Ninja.
E Federico era felice di vedere l’amica sorridere dopo tanto tempo.
-Insomma, Eli, sembra che questa missione di copertura con le Tartarughe ti stia facendo bene…- notò, non senza nascondere una nota di gelosia nei suoi confronti –Era da tempo che non ti vedevo sorridere, da quando…-
Era quasi passato un anno dalla morte del loro confratello Francesco. Da allora, Elisabetta e anche Federico avevano smesso di sorridere. Ma questo li aveva uniti ancora di più, e si erano promessi di sostenersi a vicenda, in qualunque momento. E continuavano a farlo, anche se lontani. Era anche per questo che serviva la dimensione mistica, secondo loro.
Ed era da tempo che Federico vedeva il volto dell’amica risplendere di luce propria: non era più spenta, ma raggiante.
Lei si strinse nelle sue spalle, quasi imbarazzata, quasi intuendo lo stato d’animo dell’amico.
-Sì, mi fanno tanto ridere.- ammise –E ogni avventura con loro è a dir poco memorabile. Vorrei che ci fossi anche tu, qui. Questo mi renderebbe la persona più felice del mondo. E poi sono sicura che piaceresti anche a loro. Anche perché se osano guardarti storto, non rivolgerò mai più loro la parola.-
Aveva instaurato un legame con le Tartarughe, ma Federico sarebbe stato per sempre il suo migliore amico. Non lo avrebbe mai sostituito con nessuno. Come lui non avrebbe mai sostituito Elisabetta.
-Lo apprezzo davvero, Eli.- ringraziò lui, sorridendo lievemente –Ma non saprei…-
-Oh, andiamo! Le adorerai! Mick mi ha riportato al mondo dei videogiochi. Deus mi, quanto mi è mancato! Donnie parla in modo un po’ strano, ma mi piace giocare a scacchi con lui. Leo ha una mente sveglia e curiosa. Pensa che gli sto insegnando la nostra cultura e anche il latino. E Raph…-
Qualcosa mutò, nell’aria. E i due templari si inquietarono.
-Eli, lo senti anche tu?-
-Sì.-
La dimensione mistica non era il mondo reale: non esisteva il tempo, lo spazio, il caldo o il freddo. Ma, all’improvviso, entrambi stavano percependo qualcosa che ricordava il freddo e l’aria pungente dell’inverno. C’era qualcosa. Ed era intorno a loro.
Il corpo di Federico venne circondato da una strana nube, che ricordavano delle radici. Lo stavano legando e bloccando.
Lui si paralizzò, guardandosi con terrore.
-Eli!- chiamò. Due occhi rossi apparvero alle sue spalle. E una sagoma gigante. Le radici provenivano da lui. Sembrava lo stesse abbracciando. E poi trascinarlo via con forza.
La ragazza non sapeva cosa fare. Ma non poteva abbandonare l’amico.
-Fede!- esclamò, lanciandosi all’inseguimento.
Ma una forza invisibile la spinse all’indietro, facendola cadere.
Tornò nel mondo reale, di soprassalto.
Era buio, nel rifugio, con l’eccezione delle luci di emergenza.
Non era da molto che le Tartarughe e Splinter erano andati a letto.
Elisabetta e Federico si erano sempre promessi di parlarsi prima di andare a dormire. Sarebbe stato quello che avrebbero fatto, se non fosse accaduto quell’evento.
Osservò il suo anello, spaventata e preoccupata.
-No… nonononono!- vi strofinò sopra –Federico… Federico… Federico…-
Niente. Non riusciva ad entrare nella dimensione mistica. Non facendo il nome di Federico.
Provò di nuovo, pensando intensamente all’amico.
“Federico… Federico… Federico…”
Provò e riprovò, fino a farsi venire due lievi calli sulle dita. I polpastrelli erano ormai arrossati dall’eccessivo sfregamento.
Se un templare non rispondeva al richiamo dell’anello, voleva dire solo due cose: o non portava l’anello, o peggio, era intrappolato nella dimensione mistica. Solitamente, accadeva solo per il primo motivo.
Ma quella presenza che aveva intrappolato e portato via Federico, non poteva certo essere dovuto alla perdita improvvisa dell’anello. Ma per un motivo ben peggiore.
Federico era in pericolo.
E lei non sapeva cosa fare.
“Cosa faccio? Cosa faccio? Chiamo il Magister? No, non ama essere disturbato per queste cose. E poi a lui poco importa di Fede…”
Aveva un’altra idea, in realtà. Non sapeva come o perché, ma era sicura che l’avrebbero aiutata. Inoltre, non aveva scelta.
-Oh, Kyrie Eleison…- lamentò, sempre più preoccupata per Federico; ogni minuto che passava, poteva essere in pericolo -Ragazzi, aiuto!- urlò, a gran voce.
Non era da molto che le Tartarughe si erano addormentate. Essere svegliate all’improvviso, in quel modo, per poco non risvegliò in loro un represso istinto omicida contro la ragazza.
-Yaaawn. Eli, ma ti sembra questo il modo di urlare?- si lamentò Michelangelo, uscendo dalla sua stanza -Mi ero appena addormentato…-
Anche Splinter era uscito dalla sua stanza. Non sembrava turbato o arrabbiato contro la templare.
Anzi, si allarmò a vederla pallida e preoccupata.
-Scusatemi se vi ho svegliati, ma, vi prego, è un’emergenza. Ho bisogno del vostro aiuto.-

Raccontò per filo e per segno quanto accaduto.
-Quindi il tuo anello non solo dona poteri magici e scaglia croci.- riassunse Donatello, affascinato, quanto inquieto –Ma vi permette di comunicare l’un l’altro?-
-Esatto.-
-E tu ora stavi parlando con un tuo amico in questa… come l’hai chiamata? Dimensione mistica?-
-Sì, il luogo in cui ci conduce il nostro anello, quando dobbiamo comunicare.-
Raffaello incrociò le braccia.
-Furba a rivelarcelo ora.- commentò, acido –Chi ci dice che per tutto questo tempo non ti sei tenuta in contatto con i tuoi confratelli?-
Raffaello aveva intuito la verità. E con lui anche i fratelli. Ma Elisabetta non doveva ammetterlo. Doveva continuare a mentire.
-No, i confratelli non lo sanno che ho ripreso l’anello.- mentì, cercando di essere convincente –Solo io e il ragazzo che mi ha messo l’anello nel comodino della mia stanza lo sappiamo. Ho comunicato sempre e solo con Federico, lo giuro.-
-E magari gli riferivi di noi. E lui lo riferiva al resto de templari. Lo sapevo che non dovevamo fidarci di te!-
-D’accordo, siete liberi di non credermi su questa parte, ma Federico è davvero in pericolo! Vi prego, dovete aiutarmi! È il mio unico amico all’interno dell’ordine e io sono la sua unica amica! Non voglio perderlo!-
-E, esattamente, tesoro…- aggiunse Michelangelo –Cosa ti aspetti che facciamo?-
-Non lo so! Ma siete la mia unica speranza. Vi prego, aiutatemi…-
Splinter si mise a riflettere: il sospetto di essere sorvegliati da un templare non gli andava giù. Ma non era quella la parte più importante. Una persona era in pericolo, il figlio di David.
Ancora ricordava il suo volto, la sua espressione triste, come era stato trattato dal padre.
Renditi utile, per una volta.
Nemmeno lui avrebbe osato pronunciare una tale frase ai suoi quattro figli.
Ed era amico di Elisabetta. Non era giusto lasciarlo intrappolato in un luogo simile.
E Leonardo stava pensando la medesima cosa.
-Eli…- disse, prima di prendere la sua decisione –Quanto tieni a Federico?-
Notava davvero preoccupazione nei suoi occhi. Lo sguardo freddo e disinteressato era svanito. Da un certo punto di vista, aveva già intuito la sua risposta.
-Provo per lui gli stessi sentimenti che tu provi per i tuoi fratelli.-
Proprio come aveva intuito. Sorrise.
-Allora ti aiuteremo a salvarlo.-
Anche la ragazza sorrise, tirando un sospiro di sollievo e riempiendo il suo cuore di speranza.
I fratelli non condividevano la decisione del fratello, specialmente Raffaello.
-Leo, sei sicuro?- domandò, infatti, avvicinandosi a lui. Non perché non si fidasse di Elisabetta, nonostante la rivelazione dell’anello, ma perché, per la prima volta, avrebbero agito in un ambiente a loro poco familiare.
-È stato anche grazie al suo aiuto se adesso sei a casa. Ora tocca a noi salvare uno della sua famiglia.-
Glielo dovevano. Li aveva aiutati a salvare Raffaello e riportarlo a casa. E da come ne aveva parlato, Federico era come un fratello minore, per lei. Nessuno, più delle Tartarughe Ninja, sapeva cosa voleva dire avere il timore di perdere un fratello.
-Ok, adesso siamo tutti d’accordo sul salvare il figlio del tuo cosiddetto Ma.. Magi-qualcosa…- aggiunse Michelangelo, accompagnando le sue parole con le mani –Ma qualcuno ha un piano su come entrare in questa… dimensione mistica?-
Elisabetta tornò ad osservare il suo anello.
-Il collegamento tra me e lui si è interrotto all’improvviso e non so come. Non riesco più a contattarmi con lui.- spiegò –Ho i calli alle dita a forza di strofinare.-
-Non puoi entrare direttamente nella dimensione mistica così lo cerchiamo?-
-No, Leo. È impossibile. La dimensione mistica è grande quanto l’intero universo. Dobbiamo per forza avere un punto di contatto per incontrare una persona. Nel nostro caso sono i nostri anelli. Entrare nella dimensione mistica senza una posizione precisa mi condannerebbe a vagare lì dentro in eterno. E per Federico potrebbe essere troppo tardi.-
Michelangelo rabbrividì al pensiero di vagare per l’eternità in un luogo sperduto e mistico.
-Allora occorre rafforzare il tuo legame mistico con Federico.- aggiunse Splinter; dall’inizio era d’accordo sul salvare Federico. Ma se avesse espresso la sua decisione, i figli lo avrebbero seguito spinti dal dovere nei suoi confronti di padre e maestro, non dalla loro volontà.
-E come?-
Splinter si rivolse ai figli.
-Figlioli, ricordate il vostro addestramento al Tribunale Ninja?- fece ricordare -Kon-shisho vi ha insegnato come raggiungere l’apice della meditazione. Dovete raggiungere di nuovo quel livello e incanalarlo verso l’anello di Elisabetta. Avrà abbastanza energia mistica per ristabilire il contatto con Federico e cercarlo. Ma per farlo, dovrete meditare. Figliola, ti prometto che faremo il prima possibile, per salvare il tuo amico.-
Il primo a protestare fu Michelangelo, che piegò la testa all’indietro e si lasciò cadere le braccia.
-Ma, sensei, dobbiamo proprio?!- si lamentò, prima di sbadigliare -Mi sono appena svegliato. La mia mente è già sgombra.-
Ricevette uno scapaccione da Splinter.
-Dovete, Michelangelo.- ribatté, severo –E non è questo il momento per fare spirito!-
-Eli, ti aiuteremo a trovare Federico.- rassicurò Leonardo, mettendole una mano sulla spalla –Faremo del nostro meglio per portarti nella dimensione mistica.-
Raffaello era ancora poco convinto, ma anche Donatello diede la sua disponibilità.
Questo bastò per far sorridere la templare.
-Grazie, ragazzi, significa tanto per me.- ringraziò –Pregherò incessantemente affinché Dio vi dia la forza necessaria per raggiungere il vostro apice di meditazione.-

Splinter e le tartarughe si riunirono nella loro postazione dedita alla meditazione. Elisabetta si era ritirata sotto il crocifisso, recitando il rosario, pensando a Federico, pregando per la sua salvezza. Ma ancora era inquieta sulla presenza che lo aveva trascinato via. Non riusciva a capire cosa fosse. Doveva solo attendere, prima di affrontarlo e salvare l’amico.
Raggiungere l’apice della meditazione non era facile: le Tartarughe e Splinter dovevano scacciare ogni pensiero, ogni dubbio, ogni timore. E mantenere quel livello di concentrazione fino a far fortificare il loro “chi”.
Ma dovevano fare in fretta: c’era in gioco la vita di una persona.
Non è facile concentrarsi, quando siamo preoccupati.
-Non ci siamo, figlioli.- notò Splinter; percepiva i “chi” dei figli: erano ancora flebili; anche loro erano preoccupati per Federico; erano arrabbiati con Elisabetta per aver loro mentito sull’anello, ma c’era una persona in pericolo e loro non erano degli egoisti –Vedo delle scintille dentro di voi, ma per il nostro scopo abbiamo bisogno di un fuoco. E il vostro legno è umido.-
Elisabetta interruppe le sue preghiere, appena udite le parole di Splinter.
Doveva pregare con speranza. Ma anche in lei erano insite preoccupazione ed inquietudine.
Ecco cos’era “l’umido” che impediva alle fiamme del “chi” di accendersi: la preoccupazione.
La preoccupazione per un amico, quella di Elisabetta. La preoccupazione per una persona in pericolo, quella delle Tartarughe.
-Siete tutti preoccupati per il giovane Federico, lo so, e lo sono anch’io.- riprese Splinter –Ma non dobbiamo lasciare che la preoccupazione offuschi le nostre menti. Dobbiamo aiutarlo e di certo non possiamo farlo se ci lasciamo guidare dal timore. Così perdiamo la battaglia, se ci lasciamo spaventare dal pensiero della sconfitta. Siete tutti dei guerrieri formidabili, figlioli. Avete sempre superato ogni ostacolo, per salvare persone a voi care, gli abitanti di New York, di tutto il mondo. Anche allora avete avuto paura, ma siete riusciti a metterla da parte, perché sapevate che c’era in gioco qualcosa di più importante, che lasciarvi guidare dalla paura e dall’insicurezza. Adesso non sarà diverso da ciò che avete affrontato fino ad ora. E comprendo anche il vostro rancore verso Elisabetta, ma dovete superarlo, per salvare il giovane Federico.-
-Lo sappiamo, sensei…- rispose Leonardo, sospirando –Ma il fatto è che stavolta agiremo in un luogo che non abbiamo mai visitato prima. Sono preoccupato da quello che potrebbe aspettarci. E senza i nostri medaglioni, non siamo capaci di raccogliere il nostro “chi”.-
-Davvero un peccato che siano andati distrutti dopo lo scontro con lo Shredder Tengu…- aggiunse Donatello, anche lui scoraggiato.
Splinter scosse la testa.
-No, figlioli. I medaglioni non c’entrano.- rivelò -Il “chi” scorre nelle vostre vene. I medaglioni servivano solo a stabilizzarlo e concentrarlo, per evitare che ne foste sopraffatti. Voi eravate già capaci di manovrare la vostra energia interiore, vi serviva solo una persona che vi insegnasse a controllarlo, come il Tribunale Ninja.-
Riconobbe il merito del Tribunale Ninja per la maturità dei suoi figli, nonostante il rancore che ancora provava per loro, per aver non aver soccorso il suo maestro Yoshi il giorno in cui era stato ucciso da Shredder.
-Io… ci provo…- si sforzò Michelangelo, stringendosi nelle spalle e chiudendo le mani a pugno –Ma… non ci riesco…!- si abbandonò per terra, sdraiandosi –Ah! Non ce la faccio! Ho fame! E ho sonno!-
Anche Raffaello sospirò.
-Sarà la giusta punizione per Elisabetta per averci mentito…- mormorò, a bassa voce.
-Raph! Non dire così!- rimproverò Leonardo.
Raffaello odiava essere preso in giro, odiava le bugie, odiava essere trattato come un idiota. Ma, di norma, nemmeno lui si tirava indietro, quando si trattava di salvare una persona. La rabbia lo stava di nuovo accecando. Ma anche lui, a modo suo, era preoccupato per il figlio del Gran Maestro Templare. Infatti, si pentì subito di aver detto quelle parole.
Elisabetta si morse il labbro inferiore: Federico era in pericolo, lei non era in grado di salvarlo, da sola. Aveva richiesto l’aiuto delle Tartarughe, rivelando uno dei suoi segreti e questo aveva compromesso la fiducia nei suoi confronti. Non poteva permetterlo; non c’era solo in gioco la vita di Federico, ma anche la sua copertura.
Doveva rimediare.
Si alzò e camminò verso i ninja.
-Maestro Splinter…- iniziò, prima di mettersi a sedere di fronte al ratto –Se siete così è colpa mia. Lo so, avrei dovuto dirvi dal principio dell’anello, ma avevo paura che non mi avreste creduto e che mi avreste cacciato via. Permettetemi di aiutarvi a raggiungere l’apice della meditazione.-
-Ehm, tesoro…- commentò Michelangelo, alzando solo un braccio –Poco fa, non avevi chiesto TU aiuto a NOI?-
-È ancora così, infatti. Ma so anche di essere la causa per cui non riuscite ad aiutarmi e voglio rimediare.-
-E come, sentiamo…?- aggiunse Raffaello, di tutti i presenti, ancora quello più arrabbiato con lei.
Lei mise le mani in preghiera. Il rosario era ancora tra le sue mani.
-Quando le risorse umane si rivelano inaffidabili, non ci resta che ricorrere a quelle divine.- spiegò -Affidiamoci a Dio, alla sua forza, alla sua pietà, alla sua bontà. Darà la forza a tutti noi di salvare Federico.-
Michelangelo e Raffaello scoppiarono a ridere a quell’affermazione.
-Vuoi risolvere tutti i problemi del mondo con una preghiera?!- derise il primo –Certo che voi templari siete proprio strani!-
-Vi prego, permettetemi di sollevare i vostri animi, mentre invoco l’aiuto di Dio.-
-Cosa vuoi che facciamo, figliola?- domandò Splinter, interessato all’idea della ragazza.
-Tornate come prima. Seduti a gambe incrociate.-
Splinter fece un cenno ai figli, invitandoli a sedere.
Anche Elisabetta si mise in ginocchio.
-Ora voglio proprio vedere cosa farà…- ridacchiò Michelangelo.
Si aspettavano il rosario.
Ma così non fu.
Un canto.
 
Da pacem Domine
in diebus nostris
Quia non est alius
Qui pugnet pro nobis
Nisi tu Deus noster
Fiat pax in virtute tua
et abundantia in turribus tuis
Da pacem Domine
in diebus nostris
Quia non est alius
Qui pugnet pro nobis
Nisi tu Deus noster
 
 
Un canto sublime. Come quando aveva cantato il “Salve Regina”.
Un canto che implorava Dio a donare pace in tutti coloro che credevano in lui. Poiché era della pace che avevano bisogno la templare ed i ninja. La pace interiore.
Ascoltandolo, infatti, le menti dei ninja si erano come sgombrate: dai pensieri, dai dubbi, dalla preoccupazione. C’erano solo loro ed il “Da Pacem Domine”.
Sentirono qualcosa accendersi dentro di loro: il “chi”.
Il legno era asciutto: la fiamma ardeva.
Avevano raggiunto l’apice della meditazione.
-Sì! Lo sento!- esultò Michelangelo.
-Mantienilo, Michelangelo!- avvertì Splinter, senza aprire gli occhi –Se lo lasci scappare è impossibile recuperarlo!-
Elisabetta sorrise: la fede aveva di nuovo funzionato. Li aveva salvati dal dubbio e dalla preoccupazione.
La fede aveva riacceso il “chi” nei ninja. Una benedizione di Dio, per ritrovare uno dei suoi servi.
Dovevano mantenere quel livello del “chi” fino a raggiungerne il pieno controllo.
Elisabetta continuò a cantare, proseguendo il  “Da Pacem Domine”.
Era sicura li avrebbe aiutati a controllare il “chi”.
 
Propter fratres meos
et proximos meos
loquebar pacem de te
Da pacem Domine
in diebus nostris
Quia non est alius
Qui pugnet pro nobis
Nisi tu Deus noster
Propter domum Domini Dei nostri
quaesivi bona tibi
Da pacem Domine
in diebus nostris
Quia non est alius
Qui pro nobis
Nisi tu Deus noster
Rogate quae ad pacem sunt Jerusalem
et abundantia diligentibus te
Da pacem Domine
in diebus nostris
Quia non est alius
Qui pugnet pro nobis
Nisi tu Deus noster
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto
sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum
Amen
 
 
-Figlioli, abbiamo raggiunto il nostro apice.- annunciò Splinter, mantenendo gli occhi chiusi; dopo il canto, erano rimasti fermi per circa due ore o più; Elisabetta pregò che non fosse troppo tardi per Federico –Percepisco i chi dentro di voi. Siamo pronti per accedere nella dimensione mistica, figliola.-
La templare tirò un sospiro di sollievo, speranzosa.
Dovettero cambiare posizione, per trasferire il “chi” nell’anello di Elisabetta: si erano posizionati, seduti, in modo da formare una “Y”, in cui Elisabetta era la base; Splinter era dietro di lei, con entrambe le mani sulle sue spalle; Leonardo gli stava toccando la spalla destra e Raffaello stava toccando le sue; mentre Donatello e Michelangelo stavano facendo la stessa cosa, ma sulla spalla sinistra.
Ma ancora non era abbastanza.
Elisabetta iniziò troppo presto a strofinare sull’anello.
-Federico… Federico… Federico…- mormorava.
Ancora niente.
I ninja sobbalzarono: era il loro “chi” che reagiva.
-Troppo presto, figliola.- disse Splinter, ancora con gli occhi chiusi e senza lasciare le spalle della ragazza; lui era il tramite del “chi” dei figli con l’anello templare –Non possiamo sprecare così il nostro chi.-
-D’accordo. Scusatemi.-
Anche lei attese, con gli occhi chiusi. Ma non riusciva a mantenere la calma. Era così vicina a salvare Federico. La speranza aveva suscitato in lei un sentimento di fretta. Finalmente aveva trovato il modo per entrare nella dimensione mistica, e salvare Federico dall’entità che lo aveva rapito. Aveva fretta di entrare. La preoccupazione era tornata.
Tentò un’altra volta.
-Federico… Federico… Federico…-
Niente.
Un altro sobbalzo dei ninja. Era come se qualcuno li avesse colpiti sullo stomaco, dall’interno.
-Mondo Pizza! Fai piano!- brontolò Michelangelo –Mi stai spezzando in due!-
Un altro buco nell’acqua. Non stava ottenendo progressi: stava solo facendo del male alle Tartarughe.
-No! È inutile!- imprecò, alzandosi in piedi, camminando verso il crocifisso.
Questo spezzò l’equilibrio creato dai “chi” dei ninja. Riaprirono gli occhi di scatto; e la fiamma del “chi” si spense.
E Splinter, per poco, non cadde per terra.
Sentirono dei singhiozzi da parte della ragazza. Dei singhiozzi.
-È inutile…- riprese lei, singhiozzando, senza voltarsi; stava piangendo -Ho sbagliato a chiedere aiuto a voi… Perdonatemi… Non volevo coinvolgervi, ma non sapevo cosa fare per salvare Fede… Scusatemi, scusatemi tanto… Perdonami, Fede… Sono incapace persino di salvarti…-
Aveva perso la speranza. All’improvviso.
Si era lasciata guidare dalla speranza, e questo l’aveva portata alla fretta.
E la fretta aveva spezzato il legame che stavano creando tra il “chi” e l’anello templare.
E questo aveva portato alla delusione ed alla rassegnazione.
Stava piangendo, provando rabbia e delusione per se stessa. E per timore di aver perduto il suo amico.
Voleva salvare Federico, non voleva nient’altro. Ma non sapeva come fare.
Era questo a farla piangere.
-Non disperare, figliola.- le disse, premuroso, Splinter –Riproviamoci. Magari questa volta è quella buona.-
Lei scosse la testa.
-No… è inutile… è impossibile… siamo troppo incompatibili…-
Si ostinava a dare le spalle ai ninja. Non voleva la loro compassione. Non voleva mostrarsi debole.
Le Tartarughe Ninja avevano affrontato molti ostacoli, nella loro vita: ma non avevano rinunciato ad abbattere quegli ostacoli. Non si erano mai tirati indietro, finché stavano insieme.
Elisabetta era sola. Si sentiva sola.
Forse era anche questo ad impedirle di accedere nella dimensione mistica, nonostante il potere del “chi”.
O il senso di colpa per aver mentito loro.
Dovevano farle capire di non essere sola, che loro erano lì per lei, anche se aveva loro mentito.
Bugia a fin di bene o non, non potevano permettere che cadesse nello sconforto: dovevano salvare Federico. E magari non restava nemmeno molto tempo.
Raffaello sospirò e fece un passo in avanti. Poi un altro. Ed un altro ancora.
Si stava avvicinando alla templare: voleva essere lui quello che l’avrebbe riportata alla ragione. Come faceva con Leonardo.
Sentì qualcosa pungergli il piede. Lo sollevò: notò il rosario e l’anello. Entrambi beni di Elisabetta.
Prima di camminare verso il crocifisso, infatti, li aveva gettati entrambi per terra.
Aveva permesso alla delusione, alla rabbia, alla disperazione di prevalere sulla speranza. Questo l’aveva spinta a liberarsi di due oggetti che venerava e che portava con orgoglio.
Li prese: nella sua mano erano davvero piccoli. Dovette stare attento a non romperli nella sua stretta.
Poi tornò ad osservare la templare con aria seria. Forse ancora rancore per la bugia. Forse per altro.
-Ehi, permetti due parole?- le disse, nel medesimo tono.
-Lasciami sola!- ottenne, come risposta.
Non eseguì l’ordine: piuttosto, serrò le labbra e le strinse forte un lobo dell’orecchio, severo.
-Invece tu vieni con me, senza fare storie!- ribatté, allontanandola dal crocifisso.
Non amava l’insolenza: neppure eseguire gli ordini.
-Ahi! Smettila! Mi fai male! Lasciami!- protestò lei, tentando, inutilmente, di liberarsi. Ma non voleva strapparsi il lobo dell’orecchio.
Non era raro che Raffaello agisse in quel modo, ogni volta che doveva discutere con qualcuno, ma quella reazione stupiva sempre i fratelli e Splinter: solitamente, era lui ad ascoltare e sopportare i rimproveri dovuti al suo comportamento.
Ma capitava che trovasse qualcuno più testardo di lui a cui rimproverare le stesse cose cui veniva rimproverato lui.
Elisabetta fu tra questi.
Erano usciti dal rifugio, entrando in una galleria.
-Raffaello! Fermati! Mi stai facendo male! Dove mi stai portando?!- continuava a lamentarsi lei, seguendo, costretta, la tartaruga.
Si fermarono. E l’orecchio della ragazza fu finalmente libero. Il lobo pulsava.
-Ascolta, Cosa, non ti fare strane illusioni.- iniziò, serio -Io sono ancora arrabbiato con te, ma confesso di non gioire nel vederti piangere. Quindi, lascia che ti dica due paroline. Io so quello che provi, lo provo di continuo. A volte sono impulsivo, do l’impressione di voler fare tutto da solo. È vero, sono così. Ma è perché mi sento inadeguato rispetto ai miei fratelli. A volte mi domando se quello che faccio sia abbastanza per proteggerli. Io non amo apparire sentimentale, tantomeno debole, e uso l’arroganza e l’orgoglio per nasconderli. Ma spesso è questo a mettermi nei guai. Ma quando sono nei guai, i miei fratelli mi salvano sempre. E torno a casa pieno di delusione per me stesso. E sai cosa faccio? Mi alleno il doppio, per non cadere più in trappole simili. Mi alleno e voglio diventare più forte per proteggere la mia famiglia.-
Il suo tono lasciava intuire la delusione che provava ancora nei confronti della templare.
-Raph, cosa vuoi dire con questo?- domandò lei, quasi confusa, con la mente ancora annebbiata dalla disperazione.
-Io non conosco Federico. Ma se è come penso, non gli piacerebbe affatto vederti così. Non puoi arrenderti ai primi tentativi falliti. Devi comunque riprovarci. Non pensi alla vita di Federico? O improvvisamente non ti importa più niente di lui? Hai detto di provare per lui lo stesso sentimento che noi proviamo l’un per l’altro. Se abbandoni lui è come se abbandonassi la tua famiglia. Prima eri determinata a salvarlo e… questo te l’ho ammirato molto. Non so come sia la vera Elisabetta, ma quella che conosco non si arrende così. Ora riprendi questi affari, torni di là e ti decidi ad entrare nella dimensione mistica, perché non ho speso due ore della mia vita nella meditazione per vederti arrendere quando siamo vicini al traguardo, sono stato chiaro?!-
La sua mano era aperta con il palmo verso l’alto: c’era il rosario e l’anello templare.
Gettati per terra come spazzatura in un momento di disperazione, rabbia ed autocommiserazione.
Gli stessi strumenti che lei usava in momenti simili, per riacquisire il controllo.
Stavolta erano bastate le parole di un essere simile a lei.
-Non esiste che mi dimentichi di Federico…- mormorò, asciugandosi le lacrime –Non l’ho abbandonato. E mai lo farò. Mi sono lasciata trasportare dai sentimenti. Non accadrà più.- riprese il rosario e indossò l’anello –Torniamo dagli altri.-
Raffaello fece un cenno della testa, facendo il primo passo verso il rifugio.
-Raph…-
-Sì?-
-Grazie.-
Raffaello accennò un sorriso, senza farsi vedere.
Tornarono insieme al rifugio.
Splinter, Leonardo, Donatello e Michelangelo si rialzarono per accoglierli.
-Ragazzi, mi dispiace tanto per prima, davvero. Non volevo coinvolgervi in questo, ma non sapevo proprio cosa fare…- si scusò Elisabetta, incrociando le dita.
Leonardo fece un passo in avanti, mettendole una mano sulla spalla.
-Ehi, tranquilla. Non è successo niente.- la rassicurò, sorridendo –Salveremo il tuo amico.-
Anche gli altri sorridevano, per rassicurarla. Nonostante l’inganno, le avevano promesso che l’avrebbero aiutata e niente avrebbe fatto loro cambiare idea.
-Magari, la prossima volta, avvertici, prima di rompere il legame con il nostro chi.- aggiunse Michelangelo –È scappato via non appena ti sei alzata, tesoro.-
Il senso di colpa tornò in Elisabetta.
-Oh, Deus mii, perdonatemi. Ci avevate messo così tanto a raggiungere l’apice…-
-Stai tranquilla. Il grosso del lavoro lo abbiamo già fatto prima.- chiarì Leonardo, mentre Dontatello diede un colpo sulla testa di Michelangelo con il bastone –Non dovremo metterci molto tempo prima di recuperare il nostro “chi”. Ma forse quel tuo canto potrebbe aiutare.-
-Forza, figlioli, riprendiamo dove abbiamo interrotto.- annunciò Splinter, battendo il bastone per terra.
Ripeterono la procedura di prima: i ninja raggiunsero di nuovo l’apice della meditazione.
Tornarono in posizione, a Y, come prima.
Elisabetta promise di non essere troppo avventata nello strofinare sull’anello.
Doveva essere paziente. Chiuse gli occhi.
In effetti, percepì un’ondata di energia entrarle nelle vene. Era il “chi” delle Tartarughe.
E diveniva sempre più forte.
-Ci siamo… ci siamo…- mormorava Splinter.
Percepiva il suo “chi” e quello dei suoi figli diventare sempre più forte. Lui era il tramite. Elisabetta lo sentiva fluire sempre di più verso il suo anello.
-ADESSO! VAI!- era il segnale.
Elisabetta tornò a strofinare le dita sull’anello.
-Federico! Federico! Federico!- disse, pensando “Ti prego, fa’ che funzioni!”
Sentì qualcosa risucchiarla dall’interno. E guardare in alto.
Rimase immobile. Così Splinter e le Tartarughe. Come se fossero stati tramutati in pietra.
Nei loro occhi era rimasto solo il bianco.
Tuttavia, avevano ugualmente l’impressione di avere gli occhi chiusi.
Elisabetta fu la prima ad aprirli: percepì una sensazione familiare.
Si guardò intorno: un paesaggio grigio, immateriale, vuoto, e l’aria lì presente sembrava distorcere l’atmosfera.
Stupore e felicità si manifestarono nel suo volto.
-Ragazzi! Ce l’avete fatta!- esultò, saltando una sola volta e abbracciando Leonardo –Sono tornata nella dimensione mistica!-
Non era sola: Splinter e le Tartarughe erano con lei. Già armati. Lei compresa: aveva la sua tenuta mimetica, Hesperia, Hellas e anche l’azza.
Elisabetta era ormai abituata alla cupezza ed alla sensazione di vuoto della dimensione mistica. Non provava più inquietudine. Ma in nuovi visitatori, come Splinter e le Tartarughe, tali sentimenti erano forti. Avevano viaggiato nello spazio, in nuovi pianeti, nel passato, nel futuro, in Giappone, e persino nel mondo virtuale. Ma non avevano mai viaggiato in un mondo mistico. Era esattamente come lo aveva descritto la templare: un luogo trascendente, senza forma o materia, dove non esistevano tempo e spazio, né caldo né freddo. Un luogo desolato.
I colori cui era composta ricordava vagamente le interferenze della televisione. O un’immagine illusoria delle sfide per il cervello.
Era davvero inquietante. E sebbene non circolasse aria fredda, le Tartarughe sentirono il loro sangue raggelare nelle loro vene. Come se un nemico fosse costantemente in agguato, pronto ad aggredirli.
-Già, Eli, mi sono scordato di chiedertelo…- ricordò Michelangelo, appena ripresosi dallo sgomento del luogo cui era circondato –Perché ti sei portata anche l’azza?-
-Nella dimensione mistica non si può mai sapere. Ora cerchiamo Federico!-
Non sapevano in che parte proseguire; ad aprire il gruppo era Elisabetta, in quanto conosceva la dimensione mistica.
Avanzava, sempre più preoccupata.
-Fede!- chiamava spesso –Fede, sono io, Eli!-
Anche le Tartarughe si unirono a lei.
-Federico! Sono Mick, un amico di Eli, ma posso essere anche tuo amico!- esclamò Michelangelo, subendo un altro scapaccione da Raffaello.
Splinter non amava urlare: come sempre, si affidava al suo olfatto. C’era un odore pungente, nell’aria. Uno doveva essere l’odore di Federico. Ma era subentrato da qualcos’altro. Qualcosa di maligno. Non riusciva a capire bene da quale parte provenisse. Era come se fosse intorno a loro.
-Non avevi detto che così ci saremo recati direttamente da Federico?- fece notare Leonardo; era da troppo tempo che lo stavano cercando. Stava cominciando a perdere le speranze.
-Sì, doveva essere così!- Elisabetta era sorpresa e stranita quanto lui –Ma l’ultima volta che ci siamo parlati, una presenza lo ha portato via. Deve averci percepiti e portato Federico da un’altra parte.-
Anche Raffaello era presente. Infatti, sbuffò.
-Fantastico…-
Donatello stava procedendo con lo sguardo fisso sul suo tablet.
-Ragazzi, ho perso il segnale.- annunciò.
-Ti sembra il momento di giocare con i tuoi aggeggi, Don?-
-Non sto giocando, Raph! Volevo solo monitorare i nostri movimenti, per orientarci in questo posto. Ma qui non c’è segnale.-
-L’ho detto.- riprese Elisabetta, sempre più seria e sospettosa –Questo posto è fuori dal tempo e dallo spazio. È impossibile orientarsi. L’unica cosa che possiamo fare è entrare e uscire. Nessuno, che io sappia, si era mai addentrato.-
Splinter stava continuando ad annusare, a guardarsi intorno. Non riusciva a capire dove si trovasse Federico, o chi fosse la seconda presenza che percepiva.
-Allora è per questo che sento il suo odore ovunque…- evinse, da quella spiegazione –E una presenza maligna. Dobbiamo preoccuparci, figliola?-
Sfortunatamente, tra le abilità dell’anello templare non c’era la possibilità di rintracciare un confratello. E lei non aveva certo la stessa abilità che Leonardo aveva usato per ritrovare Raffaello, nonostante il legame tra lei e Federico.
-La dimensione mistica dovrebbe essere sicura…- spiegò lei, sospettosa e guardandosi intorno –E solo i templari possono accedervi. Non riesco a capire. Magari qualcuno ha attaccato Federico dall’esterno e gli sta impedendo di risvegliarsi, non lo so. Fede! Fede!-
Era sempre più preoccupata. Era entrata piena di speranza, nella dimensione mistica. Ma quella speranza la stava lentamente abbandonando, ad ogni passo che compiva per la ricerca di Federico.
Poteva sempre uscire dalla dimensione mistica, ma non poteva e non voleva abbandonarlo.
Avrebbe perlustrato ogni centimetro della dimensione mistica, prima di trovarlo. E le Tartarughe non volevano abbandonarla, nonostante Michelangelo stesse cominciando a mostrare segni di noia, stanchezza, fame e paura. Paura che qualcosa potesse spuntare dal nulla e fare la stessa fine di Federico.
Leonardo acuì la vista. Aveva visto qualcosa. Sul punto in cui stavano camminando.
L’ombra. Era tornata. Sembrava lo stesse guardando.
-Non può essere…- mormorò, avvicinandosi. Non era lontana da lui.
-Eli! Sensei! Ragazzi!- esclamò, sorpreso –L’ombra! È qui! L’ho vista!-
-Oh, Leo… ancora con questa ombra?- sbuffò Donatello –Te l’ho detto. Non esiste!-
-È impossibile.- aggiunse Elisabetta, sospettosa e anche curiosa –Non c’è luce, qui. Quindi non può esserci alcuna ombra.-
-Ma io l’ho vista! Lo giuro!- ripeté Leonardo, guardando verso il punto dove l’ombra era apparsa –Magari ci condurrà da Federico! Lo sento!-
I fratelli erano ancora scettici sulle sue “visioni” sull’ombra di cui non faceva altro che parlare da giorni. Negli occhi di Splinter non si leggeva scetticismo, quanto curiosità e prudenza.
Leonardo camminò verso l’ombra: sembrava attenderlo. Era ferma, ma si muoveva, come fosse una persona vera in attesa, non una statua. Si inchinò sul punto dove era proiettata la testa.
-Portaci da Federico.- sussurrò.
L’ombra svanì. Riapparve poco lontano da lui.
Leonardo sorrise, speranzoso; camminò in quella direzione, guardando in basso, ma nessuno lo seguì. Il fratello poteva essere impazzito.
Era ossessionato dall’ombra. La vedeva ovunque. Al di fuori dei suoi sogni.
Ma lui non conosceva la dimensione mistica come Elisabetta.
-Eli, che facciamo?- domandò Donatello, fra tutti il più scettico.
-Non sappiamo dove andare.- rifletté Elisabetta; nemmeno lei poteva credere in una proiezione astratta in un luogo trascendentale quale era la dimensione mistica –Magari questa ombra potrebbe essere un segno. Potrebbe tanto portarci da Federico quanto in una trappola. Ma non potremo mai saperlo, se non lo seguiamo.-
-Ehi, Don…- si intromise Michelangelo, mettendosi alle spalle del fratello –Questa situazione non ti ricorda quella teoria che mi hai spiegato tempo fa, quella volta in cui avevamo scoperto che il nostro ristorante cinese take-away preferito era chiuso e io non ero sicuro di provarne un altro? Quello del gatto… non ricordo nemmeno il nome…-
-Il gatto di Schroedinger?-
-Quello.-
Donatello rimase in silenzio per pochi secondi. Non era ancora convinto e aveva storto la bocca.
Poi decise.
-Sì, forse hai ragione. Non scopriremo mai se il gatto è vivo o morto, se non apriamo la scatola.-
Raffaello ringhiò scuotendo la testa.
-Non è il momento per i tuoi ragionamenti scientifici inopportuni! Seguiamo Leo!-
Seguirono Leonardo, che continuava a seguire l’ombra.
Da come appariva e spariva, poteva essere lui un fantasma. O un ninja. E se fosse stato lui la presenza che stava intrappolando Federico? Splinter lo avrebbe percepito. Ma non lo aveva percepito nemmeno nel mondo reale. Era come se solo Leonardo potesse vedere l’ombra.
Poi si fermò, per svanire di nuovo, in una dissolvenza. In modo definitivo.
-È sparita.- mormorò; notò qualcosa, in basso, un grumo di fumo, molto denso. Sembrava una specie di radice.
Alzò lo sguardo, lentamente.
Al suo stupore, si aggiunse un verso di spavento di Elisabetta. Un urlo silenzioso, un respiro mozzato.
Avevano trovato Federico: era sollevato a due metri di altezza, circondato da quel fumo. Sembravano tante radici racchiuse intorno a lui, quasi a formare un albero. Lui era lì in mezzo, con gli occhi chiusi e la bocca coperta da quel fumo. Solo il suo volto era visibile.
-Mondo Pizza!- esclamò Michelangelo –E questo cos’è?-
-Non ne sono sicura…- mormorò Elisabetta, seria ed allarmata –Ma questo non dovrebbe accadere, nella dimensione mistica…-
Non era chiaro se Federico fosse vivo o morto. Non si muoveva.
-FEDE!- esclamò Elisabetta, preoccupata.
Il ragazzo, aprì gli occhi di scatto, facendo un lieve sobbalzo.
Era vivo. Questo fece sollevare la ragazza e anche le Tartarughe e Splinter.
Riconobbero tutti lo sguardo malinconico del ragazzo del Nexus, succube del padre.
Leonardo non lo avrebbe mai dimenticato. E vederlo in quelle condizioni gli provocò un misto di rabbia e preoccupazione.
Fece un passo in avanti, involontariamente.
-Stai tranquillo, ti tireremo fuori!- rassicurò.
Toccò quel fumo con una mano. Sentì come una forte scossa elettrica e di nuovo un bagliore bianco.
Arretrò, con uno scatto ed un lieve urlo di dolore. Si osservò la mano: era ustionata. E stava fumando.
Come se avesse toccato del ferro rovente.
Elisabetta lo superò.
-Perdonami, Leo.- si scusò –Ma se le mie supposizioni sono esatte, questo è opera di un demonio. Le loro creazioni sono come lava colata, per i normali esseri viventi. Considerati fortunato ad avere ancora il tuo braccio. Noi templari siamo immuni dai loro effetti, quindi gli unici ad affrontarli. Lasciate fare a me.-
Strinse la mano a pugno, chiudendo gli occhi. La croce si illuminò di azzurro.
-Ti libererò, amico mio.-
Sferrò una croce eterea contro quell’albero di radici.
Il fumo si dissolse, svanendo nell’aria e Federico cadde da un’altezza pari a due metri.
Michelangelo, ricordando l’allenamento con Hisomi-shisho, fu abbastanza rapido da prenderlo al volo: voleva pensarci Elisabetta, ma non era abbastanza forte da sostenere il suo peso.
-Salve.- salutò la tartaruga, prima di posarlo a terra.
Il ragazzo, poco prima della caduta, aveva ripreso conoscenza. Fu sorpreso di vedere la tartaruga.
-S-salve…- disse, in un inglese un po’ perplesso.
Ma provò sollievo e conforto a vedere il volto dell’amica, anche lei sollevata e confortata.
Elisabetta corse ad abbracciarlo, quasi travolgendolo.
Anche lui ricambiò l’abbraccio. Era davvero felice di vedere Elisabetta. E toccarla, sentire che era reale e non un’illusione, lo sollevò e gli diede speranza.
-Eli…- disse, in italiano -Sapevo saresti venuta a salvarmi…-
-Oh, Fede! Ero così preoccupata! Non sapevo cosa fosse successo! Eri sparito in quel modo e io…! Dio… non sapevo cosa fare!-
Si separarono, guardandosi in faccia: negli occhi di entrambi erano comparse delle lievi lacrime. Ma sorridevano.
-Come hai fatto a tornare?- domandò lui, curioso, oltre che contento.
-Loro mi hanno dato una mano.-
Il dito della templare indicò le Tartarughe e Splinter.
Federico non aveva dimenticato il secondo gruppo terrestre del Nexus. Creature simili non erano facili da dimenticare. Ricordava i loro combattimenti, di ognuno di loro, i loro nomi.
-Ciao, Federico.- salutò Splinter, avvicinandosi a lui –È un piacere rivederti. Vorrei tanto che il nostro incontro avvenisse in un’altra circostanza…-
Federico fece un lieve inchino.
-Maestro Splinter, l’onore è mio.- salutò; diede uno sguardo fugace all’amica –E… grazie per aver aiutato Eli e averle dato ospitalità. Quando mio padre ha dichiarato la sua scomunica, non sapevo cosa fare.-
-A me sembra che voi due abbiate avuto da sempre le idee ben chiare!- tuonò Raffaello facendo dei passi in avanti e con un dito puntato verso i due templari –Immaginavo che la signora templare qui presente stesse architettando qualcosa alle nostre spalle e stasera ce ne ha dato la prova.-
-Raph, non essere precipitoso!-
-No, Leo. Qui c’è una questione da chiarire e subito! Non ho intenzione di dare asilo ad una persona che potrebbe tradirci e pugnalarci alle spalle alla prima occasione che abbassiamo la guardia! Ci ha detto tutto, della faccenda dell’anello! Davvero credevate di tenercelo nascosto a lungo?! Come ti aspetti che adesso crediamo ad ogni parola che uscirà dalla vostra bocca!?-
-Raffaello! Adesso basta!- esclamò Splinter, sbattendo il bastone sul suolo invisibile.
Il suo tono, come sempre, silenziò la voce del figlio impulsivo, che si limitò ad osservare in basso ed incrociare le braccia. Erano palesi la sua rabbia e delusione. Forse le stesse sensazioni che stavano provando i suoi fratelli, ma lo nascondevano dietro a sguardi preoccupati.
I due templari non poterono certo biasimarli.
Elisabetta osservò Federico; lui si morse il labbro inferiore.
-È vero, non posso negarlo.- rivelò –Ma lasciate che vi spieghi. Quando mio padre, dopo il Nexus, ha dichiarato la scomunica di Eli, avevo paura di rimanere da solo. Quando un templare viene scomunicato, la prima cosa che deve fare è restituire il suo anello. Il nostro anello non è solo la fonte dei nostri poteri. Come Eli vi avrà forse spiegato, è il nostro mezzo per comunicare senza essere sentiti. Sono riuscito a convincere Luigi a darmi l’anello, con la promessa di portarlo alla fonderia. Ma in realtà l’ho messo nel suo comodino. Ci eravamo accordati in questo modo. Era l’unico modo per restare in contatto. Non posso vivere senza Eli. Lei… è la mia unica amica.-
Raccontò tutto con tono triste, da pentimento. Da un certo punto di vista, si sentiva responsabile per le parole di Raffaello contro l’amica. Notò, con la coda dell’occhio, che Elisabetta aveva abbassato lo sguardo, anche lei pentita per le menzogne. Per darle forza, le strinse una mano.
-Vi prego, dovete crederle, non mandatela via.- supplicò, infine -La faccenda dell’anello è… un segreto tra noi due. Nessuno, all’interno dell’ordine, sa che l’ho fatto. E tutto ciò che ci diciamo qui, nella dimensione mistica… non lo sa nessuno, all’infuori di noi due.-
Lo sguardo del ragazzo sembrava supplicare le Tartarughe e Splinter di non scacciare la ragazza dalle loro vite. Suo padre l’avrebbe scomunicata per davvero, se fosse tornata nella base senza il Graal. Un destino persino peggiore della morte.
Splinter osservò entrambi i templari: aveva visto con i suoi occhi l’atteggiamento che David teneva con il figlio. Non osò immaginare come trattasse il resto degli accoliti. Non si stupì delle parole del ragazzo: credette alla storia dell’anello.
-Tranquillo, ragazzo.- rassicurò il topo, facendo un passo avanti, prendendo la mano di Federico –Ora che sappiamo il perché, non manderemo via Elisabetta. Resterà con noi.- prese anche quella della ragazza, sorridendole -E poi… ho sempre desiderato una figlia.-
I due templari tirarono un sospiro di sollievo. La copertura era intatta. Un’altra menzogna a sostegno del loro castello di sabbia.
Leonardo, Michelangelo e Donatello sorrisero alla decisione del maestro: anche loro avevano perdonato Elisabetta, una volta ascoltata la storia di Federico. Raffaello era ancora scettico: era una menzogna a fin di bene, quella della ragazza, ma era sempre una menzogna, e lui odiava essere ingannato.
-Stai tranquillo.- aggiunse Leonardo –Eli è al sicuro con noi.-
-Ma non qui di certo.- tagliò corto Michelangelo, guardandosi intorno, inquieto –Questo posto mi mette i brividi. Possiamo tornare a casa?-
Federico si mise a ridere. Si osservò l’anello, in procinto di mettervi l’indice ed il medio.
-Tranquilli, sarete fuori in un batti…- non concluse la frase; si fece improvvisamente serio -Non siamo soli…-
Anche Elisabetta si guardò intorno.
-Oh, no…- mormorò, sospetta.
Persino Splinter lo aveva percepito; l’odore maligno che aveva annusato dal suo ingresso nella dimensione mistica. Era lì. Era più forte.
Delle nuvole di fumo comparvero dal nulla: da essi si materializzarono dei demoni alti un metro e settanta, con il corpo composto da radici e due minacciosi occhi rossi.
I templari ed i ninja si misero in cerchio, voltati verso gli avversari, con le armi sguainate.
-Chi sono questi simpaticoni?- domandò Michelangelo, facendo roteare i nunchaku.
-Esattamente quello che temevo.- rispose Federico, sempre più serio e sospettoso –Servi del demone dell’accidia.-
Elisabetta sgranò gli occhi.
-Demone dell’accidia? Vuoi dire che…?-
-È come immaginavo. Qui c’è lo zampino di Luigi.-
Raffaello soffiò con il naso.
-Tsk! Che mi importa di chi li ha mandati!- imprecò, roteando i sai e mettendosi in posizione di combattimento -Questi cosi ci stanno ostacolando! Io direi di stenderli per bene così possiamo tornare a casa!-
Urlò, scattando verso il demone di fronte a lui. Non lo colpì con un sai, ma con un calcio.
La sua gamba, però, passò attraverso il corpo del demone. Questo stupì la tartaruga.
-Ma cosa…?!-
Il demone, però, agguantò lui, per la caviglia, stringendo forte; roteò Raffaello per farlo scaraventare verso i fratelli.
-Raffaello!- esclamò Splinter, premuroso.
Anche il resto delle Tartarughe tentò uno scontro contro quei demoni: le loro armi passavano loro attraverso.
-Non riesco a colpirli!- lamentò Michelangelo, continuando a colpire il demone di fronte a sé con i nunchaku, ben consapevole di colpire solo aria -Questi sono fumi viventi!-
Esattamente come con Raffaello, anche il resto delle Tartarughe venne scaraventata verso Splinter. Anche lui voleva combattere contro quei demoni, ma non dopo aver visto cosa avevano fatto ai suoi figli.
Uno di essi divise la sua mano in tre radici affilate come artigli, saltando verso i mutanti, per aggredirli.
Ma una spada lo colpì, fendendolo in due. Il demone svanì come apparve.
Elisabetta aveva sguainato Hesperia ed Hellas, e si era messa come scudo ai mutanti.
-Fede, tieni!- aveva esclamato poco prima, lanciando l’azza a Federico; aveva iniziato a roteare l’arma, colpendo due demoni in un sol colpo.
I loro anelli erano illuminati.
-È come vi ho detto: nella dimensione mistica può accadere di tutto.- ripeté Elisabetta –Le armi umane non possono nulla contro i demoni. Solo noi templari possiamo affrontarli.- Federico si era messo accanto a lei –Fede, sei pronto?-
Lui annuì, sorridendo.
Entrambi si misero in ginocchio, impugnando le proprie armi come fossero in preghiera.
 
“Un cavaliere è votato solo al coraggio
Il suo cuore conosce solo la virtù
La sua spada difende gli inermi
Il suo potere sostiene i deboli
Le sue parole dicono solo la verità
La sua ira abbatte i malvagi!”
 
Alzarono lo sguardo: le croci templari erano apparse nei loro occhi. Ma non rosse, ma azzurre. Lo stesso colore di cui si illuminò la croce sul loro anello.
Anche le loro armi si illuminarono di quella luce, ma per un attimo.
-DEUS VULT!- esclamarono, infine.
Spalla a spalla, i due templari combatterono contro i seguaci del demone della pigrizia.
Come era solita, la ragazza usava Hesperia appena parati i colpi nemici con Hellas. Federico si destreggiava molto bene con l’azza, specialmente con la parte con il martello.
Talvolta usava la parte posteriore quando, con la coda dell’occhio, notava un nemico avvicinarsi alla consorella; allora gli bastava spingere il bastone indietro, come per rinfoderare una spada.
Ma ciò che affascinò Splinter e le Tartarughe furono i loro movimenti: erano sincronizzati; ciò fece loro pensare che erano soliti combattere insieme. Specie quando notarono Elisabetta correre verso l’amico e poi eseguire una scivolata in ginocchio, rivolgendo lo scudo verso l’alto, e Federico, anche lui in corsa, saltarci sopra per poi sferrare dei colpi di martello, uno verticale ed in salto e due, in terra, orizzontali, contro i demoni. O come lei aveva rotolato sopra la schiena di Federico per sferrare un fendente verso il suo aggressore.
Addirittura, lei era riuscita, solo ponendo la spada sopra lo scudo, a parare gli attacchi verticali di tre demoni: Federico, roteando l’azza, diede un colpo sulla tempia di uno, forte tale da farli scaraventare tutti e tre.
-Mondo Pizza, che sincro! Guarda là che roba! E dagli di qui! E dai di là!- commentò Michelangelo, affascinato, ma anche invidioso; non gli faceva piacere non partecipare ad una battaglia; tuttavia simulò ugualmente delle mosse, immaginando di combattere al fianco dei due templari.
-Sono perfettamente in grado di tenere loro testa.- aggiunse Splinter, preoccupato –Ma sono comunque troppi per loro. Come vorrei dare loro una mano…-
Desiderio condiviso con i figli.
Delle nuove nuvole di fumo comparvero intorno ai mutanti: altri seguaci del demone dell’accidia.
Pur coscienti che le loro armi non erano efficaci su di loro, le Tartarughe si misero comunque in posizione di combattimento. Non potevano certo stare con le mani in mano.
Federico fece in tempo a voltarsi, anche Elisabetta, dopo aver respinto e contrattaccato degli attacchi dei demoni.
-NO! ATTENTI!- urlò lui, preoccupato.
Un demone era già saltato verso Michelangelo. In situazioni normali, avrebbe risposto all’attacco: ma gli occhi del demone, rossi come il sangue, i suoi denti aguzzi, le sue tre dita artigliate, gli inibirono il movimento, dalla paura che gli procurarono. Usò i nunchaku come scudo ed urlò “come una femminuccia”, come era solito ammettere, non senza una nota di imbarazzo.
Ma gli artigli non lo sfiorarono: un raggio arancione era partito dai nunchaku ed aveva colpito il demone.
I fratelli si stupirono.
Anche Michelangelo stesso era stupito.
-Mondo Pizza!- esclamò, osservando i suoi nunchaku; notò degli strani disegni sulle sue mani, che lo fecero quasi sobbalzare –Ma che mi succede?! Don, attento!-
Un altro demone stava saltando su Donatello: dal suo bastone era partito il medesimo raggio di Michelangelo, ma viola. E non solo.
-Don, che ti succede?- fece Michelangelo –Sei… viola. E non solo lui!-
Nei corpi di tutte e quattro le Tartarughe erano comparsi degli strani simboli, dello stesso colore delle loro bende.
-Ragazzi! È il nostro “chi”!- ricordò Leonardo –Ricordate il nostro addestramento al Tribunale Ninja?-
-Ma come può essere?- ribatté Donatello, sospetto –Non abbiamo nemmeno i nostri medaglioni!-
Un altro demone tentò di aggredire Raffaello; e lui lo respinse con lo stesso calcio che, pochi istanti prima, era stato eluso. Stavolta, il demone subì il colpo, come fosse un essere materiale.
-Chi se ne importa?- fece notare, finalmente sorridendo -L’importante è che adesso possiamo prendere questi cosi a calci nel sedere!-
Erano tutti dello stesso parere. Splinter, purtroppo, non possedeva quel potere. Altro non poteva fare che osservare, suo malgrado.
-Pronti, fratelli?- iniziò Leonardo, con le katana sguainate.
Saltarono tutti, in soccorso dei due templari.
-POTERE TARTARUGA!-
I seguaci del demone dell’accidia non facevano altro che comparire: Federico ed Elisabetta non potevano affrontarli da soli. Le Tartarughe Ninja ed il loro chi risvegliato furono il loro aiuto provvidenziale.
Alternavano colpi di armi con colpi eterei, croci e raggi.
-E… questo demonietto va a casa!- diceva Michelangelo, ad ogni demone che sconfiggeva –Questo demonietto se la prende con le persone sbagliate! E quest’altro demonietto corre a casa piangendo “Uè! Uè! Uè!”!-
Ogni tanto capitava un lieve momento di collaborazione tra ninja e templari: Federico si era abbassato per schivare un colpo nemico, ma con l’azza pronta a colpirgli le gambe. Donatello, nel frattempo, aveva usato il suo bastone come leva per lanciarsi in avanti e colpire con un calcio due demoni pronti ad attaccare il templare alle spalle.
Raffaello, invece, stava affrontando, da solo, tre demoni.
-RAPH! GIÙ!- udì. Lui eseguì: Elisabetta usò il suo guscio come trampolino e saltò, eseguendo un attacco verticale verso il demone centrale. Gli altri due vennero eliminati da un doppio calcio a spaccata da Raffaello, saltando oltre la templare.
I due si rivolsero una rapida occhiata; era palese l’orgoglio nei loro occhi. L’orgoglio di Raffaello nel chiedere scusa ad Elisabetta per i sospetti su di lei. E l’orgoglio di Elisabetta nel chiedere scusa a Raffaello per aver mentito a lui ed ai suoi fratelli. Ma le menzogne non erano finite.
Tuttavia, la battaglia contro i seguaci del demone dell’accidia lo era.
I templari ed i ninja ansimarono, riprendendo fiato. Tornarono normali: i segni e le croci svanirono.
-Ehi, Federico, sei davvero bravo.- complimentò Donatello –Con l’azza sei persino più bravo di Eli.-
La citata si sentì lievemente offesa, ma, nello stesso tempo, lieta per l’amico, che si strinse nelle spalle, imbarazzato.
-Oh, andiamo. Non è niente di che.-
-Fede è il migliore con l’azza.- tagliò corto la ragazza, poggiando la mano sulla sua spalla, sorridendo –Ecco perché l’ho portata qui.-
-Confermo.- aggiunse Splinter, anche lui sorridendo –La tua abilità è davvero formidabile, figliolo. Non nego che Usagi sia un bravo samurai, ma tu saresti stato perfettamente capace di tenergli testa.-
Federico accennò un sorriso: poi riprese la mano di Elisabetta.
-Beh, forse perché Eli non era con me. Non so perché, ma lei mi da forza.- ammise –Con lei al mio fianco, sento persino di poter andare in capo al mondo e tornare indietro.-
La ragazza guardò in basso, imbarazzata e quasi arrossendo.
Leonardo comprese le parole del ragazzo: lui provava la stessa cosa per i suoi fratelli.
-Tuo padre è comunque ingiusto nei tuoi confronti.- riprese Splinter, compiaciuto per Federico –Sei un bravo guerriero e un degno cavaliere. Non devi permettere a nessuno di sminuirti.-
-Sono lusingato delle tue parole, Maestro Splinter, ma non me le merito.-
In quel momento, fu Elisabetta a stringere la mano a Federico: lui si era incupito di nuovo, scettico nei confronti di se stesso.
Non aveva fiducia nelle sue capacità: da questo punto di vista, era un po’ affine con Leonardo. Nonostante fosse il leader, non erano rari i suoi momenti di dubbio. Per questo Raffaello era il suo pilastro, l’unico con cui era libero di confidarsi, l’unico che gli facesse risollevare il morale, l’unico in grado riportarlo sulla retta via.
E il pilastro di Federico doveva essere Elisabetta. Per questo si erano tenuti in contatto. Per questo Elisabetta aveva il suo anello.
Leonardo non biasimò i due templari per la loro scelta: avrebbe fatto anche lui la stessa cosa, se fosse stato separato da uno dei suoi fratelli. E anche Raffaello era del suo stesso pensiero, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Soprattutto a se stesso.
O meglio, questo era quello a cui avevano creduto. Solo i due templari sapevano la verità.
-Ehm, signori… non vorrei interrompere questo momento toccante…- Michelangelo stava guardando da un’altra parte; la sua pelle aveva cambiato colore, diventando chiara di due toni, e stava indicando da una parte, tremando –Ma c’è qualcosa di grande che sta venendo verso di noi…-
Si voltarono tutti: ogni demone aveva rilasciato del fumo, alla sua eliminazione. Tante nuvole di fumo si stavano unendo, in un unico, grande agglomerato.
Da quel fumo brillarono due occhi rossi. E comparve una bocca piena di denti aguzzi.
La forma si materializzò: un essere con radici come braccia alto più di due metri apparve loro innanzi.
Tornarono tutti in posizione di combattimento: le croci brillanti apparvero agli occhi dei templari ed i segni riapparvero sui ninja.
-Ed eccolo qui...- mormorò Federico –Il demone dell’accidia…-
Anche Elisabetta si fece seria.
-Quindi questo spiega il tuo rapimento…- poi realizzò -Certo, come ho fatto a non capirlo? Chi altri potrebbe essere capace di segregare qualcuno nel sonno, da perfetto vigliacco…?-
Il demone ringhiò, un po’ pigro, non furioso.
Michelangelo deglutì, quasi tremando alla vista del demone. Anche i suoi fratelli erano tentati di arretrare: era persino più spaventoso dello Shredder Tengu e di quello digitale.
-Tranquilli.- cercò di rassicurarli il ragazzo –Non ama i confronti diretti. È il più debole dei Sette Peccati Capitali. In sei possiamo farcela. Ma dovete fare attenzione.-
Elisabetta era determinata più che mai ad annientare quella creatura.
Lo erano anche i ninja, dopo il discorso del templare.
Come previsto, il demone avanzò con passo pesante e lento; ma distese le braccia in avanti: le radici si allungarono, dirette verso i suoi avversari.
Non prese nessuno dei templari o dei ninja: il suo obiettivo era Splinter. Era l’unico che non poteva affrontarlo. Quindi, era quello più facile da affrontare.
-Sensei!- esclamò Leonardo, preoccupato.
Splinter era circondato da radici, che si erano richiuse intorno a lui, quasi formando una gabbia.
Cercava di liberarsi con il bastone dell’Antico, invano: era come colpire l’aria.
-Figlioli!- chiamò, per soccorso.
Leonardo non ci pensò due volte: saltò, e tagliò le radici con un attacco verticale rotante. La “gabbia” svanì, e Splinter tornò libero. Atterrò dopo due capriole per aria.
-Grazie, figliolo.-
-Stai bene, Maestro?-
-Non pensare a me, ora. Aiuta i templari contro quell’essere!-
Non aveva torto: tutte le energie dovevano essere concentrate contro il demone dell’accidia.
Elisabetta aveva persino riattivato il suo potere: l’aura rossa e bianca aleggiava brillante intorno a lei.
Il demone non si muoveva: solo le radici che aveva come braccia si muovevano. Ma i ninja le schivavano senza problemi. E anche i templari.
Lo avevano circondato, attaccandolo da vari lati. Contavano sulla sua lentezza e sui suoi tempi di reazione.
Il demone si voltava pigramente ovunque, osservando i suoi avversari, con l’intenzione di catturarli nelle sue radici.
Ma persino i templari erano più veloci di lui. Federico usava l’azza come scudo, mentre Elisabetta distruggeva le radici con Hesperia, spinta dalla sua rabbia.
Anche le Tartarughe erano in grado di distruggere le radici, grazie al potere del “chi”.
Ma non finivano mai: ogni volta che venivano distrutte, esse riuscivano a rigenerarsi e persino moltiplicarsi, come la testa dell’Idra.
Templari e ninja si riunirono un’ultima volta.
-Qui ci stiamo tutta la vita, se non troviamo il modo di eliminarlo in un colpo solo!- fece notare Raffaello.
Il demone tornò a ringhiare pigramente.
-Ci deve pur essere il modo di eliminarlo…- cercò di riflettere Donatello.
-RAGAZZI! ATTENTI!-
L’urlo della ragazza fece attirare l’attenzione generale su delle radici in loro direzione.
Per fortuna, fu abbastanza rapida da scagliare esse contro una croce eterea.
Il demone emise qualcosa simile ad un lamento: le radici furono illuminate da una specie di fuoco bianco che gli aveva recato danno. Un danno da scottatura.
-Giusto!- realizzò Federico –Le nostre croci! È l’unico modo per scacciare un demone!-
-Hai ragione, Fede! Ma in due non abbiamo abbastanza forza da scacciare un Vizio Capitale, anche se colpissimo in simultanea.-
-Possiamo aiutarvi noi.- propose Leonardo –Se incanaliamo il nostro “chi” nei vostri anelli, potreste avere il potere necessario per scacciare questo essere.-
-Giusto! Come abbiamo fatto per entrare in questo luogo!- ricordò Donatello, schioccando le dita.
Elisabetta osservò Federico.
-Fede, io penso che dovremo comunque provarci.- lo incitò, fiduciosa –È così che siamo riusciti a trovarti.-
Anche Federico si convinse: se Elisabetta si fidava di loro, allora anche lui si fidava.
-Allora facciamolo.- decise.
-Anche io mi unirò a voi.- aggiunse Splinter, determinato anche lui ad eliminare il demone.
Leonardo mise una mano sulla spalla di Federico, e Donatello sulla spalla di Leonardo. Raffaello e Michelangelo fecero la stessa cosa con Elisabetta. Splinter chiudeva i gruppi, mettendo le mani sui gusci di Donatello e Michelangelo.
Avevano formato una forma a “V”, con Splinter come vertice.
Varie auree si levarono intorno al gruppo: era il “chi” dei ninja.
I due templari sentivano una nuova forza crescere dentro di loro, fino a sentirla nei loro anelli.
Aprirono gli occhi: le croci nei loro occhi si fecero ancora più brillanti.
-IN NOMINE PATRIS, FILI ET SPIRITUS SANCTI, REVERSA IN UMBRAS, DIABOLE!-
Con quel grido, scagliarono simultaneamente due croci eteree dai loro anelli: quelle croci si unirono, fino a formarne una sola, enorme, circondata da auree blu, viola, rossa, arancione e gialla.
Travolse il demone, che svanì in un fuoco bianco, tra urli di dolore, come un eretico condannato al rogo. L’impatto fu tale da farlo scaraventare, prima di svanire.
Quell’impatto travolse persino Luigi, nel mondo reale, che cadde per terra, come se qualcuno lo avesse spinto.
Se un demone riceveva un danno ingente tale da costringerlo a tornare nel suo recipiente, anche il suo custode riceveva quello stesso danno.
Le croci rosse scomparvero dai suoi occhi. Rivide ciò che il demone dell’accidia aveva visto.
Urlò di delusione.
Nella dimensione mistica, intanto, era tornata la tranquillità e la quiete.
I templari ed i ninja urlarono di gioia e di vittoria.
Le Tartarughe scontrarono i loro gusci e si batterono i tre.
Elisabetta abbracciò Federico, che ricambiò, sorridendo.
-Ce l’abbiamo fatta!- esultò lei, ridendo.
Al loro abbraccio si era unito anche Michelangelo: prese entrambi i templari e li sollevò per aria.
-Sì! Ce l’abbiamo fatta! Siete stati formidabili! E vi adoro entrambi!- esclamò.
Federico non era mai stato abbracciato in quel modo: l’unica persona che lo aveva sempre abbracciato era solo Elisabetta; con Francesco non si erano mai dedicati agli abbracci di gruppo.
Fu strano. Ma non affatto spiacevole. Anzi, gli piacque quell’abbraccio.
-È fatta, figlioli.- annunciò Splinter, sollevato –Federico è salvo. E possiamo tornare a casa.-
Federico si fece di nuovo triste e malinconico. Doveva di nuovo essere separato da Elisabetta.
Sarebbe tornato nel mondo reale, nella base templare. Da solo.
Ed Elisabetta sarebbe tornata alla sua copertura.
-Vi prego, prendetevi cura di lei.- raccomandò il ragazzo ai mutanti –E… non so se avete avuto modo di scoprire il suo potere…-
-Sì!- fu la risposta delle tartarughe, all’unisono; il solo pensare al potere di Elisabetta faceva venir loro i brividi.
Lei abbracciò l’amico per un’ultima volta.
-E tu sii prudente, Fede…- mormorò, preoccupata. Anche a lei dispiaceva la separazione con l’amico.
-Federico, se vuoi, puoi venire anche tu a stare da noi.- propose Leonardo, provando anche lui preoccupazione per il ragazzo –Possiamo irrompere nella base templare e rapirti…-
-No, ti ringrazio.- tagliò corto Federico –Anche se volessi, non posso. Il mio posto è con i templari. Mio padre mi tratterà male, ma è pur sempre mio padre. Non posso abbandonarlo.-
Un figlio devoto, pensò Splinter. E come tale, degno di rispetto.
Fece un passo in avanti.
-Non dimenticare le mie parole, giovane Federico.- raccomandò, con tono dolce e rassicurante –Non devi permettere a nessuno di sminuirti o umiliarti, nemmeno da tuo padre.-
Federico sorrise e fece un inchino, per poi stringergli la mano.
-Grazie, Maestro Splinter.- poi, si rivolse alle Tartarughe –E voi, vi conviene trattare bene Eli. Era da tempo che non la vedevo sorridere così. Se la vedo che piange nella dimensione mistica, vengo lì da voi e vi spezzo le gambe.-
Michelangelo piegò le ginocchia, immaginando la scena.
-Oh, no no no! Le mie belle gambe no! Hai idea di quanto mi sia allenato per avere delle gambe perfette?!- implorò.
Risero tutti, immaginando la scena.
-Allora alla prossima, Fede. E stai attento.- salutò Elisabetta, prendendo entrambe le mani di Federico.
-Tranquilla.  Me la caverò. Come sempre.-
Il suo sorriso convinse la ragazza.
I ninja si strinsero intorno a lei, mettendole le mani sulle spalle.
Ai due templari bastò toccare i loro anelli, per tornare nel mondo reale.
Elisabetta barcollò. I ninja, invece, caddero, come se avessero corso una maratona.
-Ragazzi! State bene?!- domandò, allarmata, la ragazza.
-Ah… mi sento come se un supercattivo abbia appena prosciugato le mie energie vitali…- lamentò Michelangelo, con la forza sufficiente per mettersi supino.
-Dobbiamo aver consumato il nostro “chi”, nella dimensione mistica, figlioli.- informò Splinter, anche lui muovendosi a malapena; Elisabetta gli diede una mano per rialzarsi –Non solo per entrare, ma anche contro quei demoni.-
-Già… ancora non mi spiego come i nostri poteri siano tornati, nonostante non avessimo i nostri medaglioni del Tribunale Ninja…- si chiese, sospetto, Donatello, rialzandosi con l’aiuto del bastone.
-Forse avrà avuto a che fare con il “chi” che abbiamo trasferito nell’anello di Eli.- ipotizzò Leonardo –È stato quello a farci entrare nella dimensione mistica, in fondo. E nel processo, questa energia deve essere rimasta dentro di noi, fino ad attivarsi quando sono arrivati i demoni. Lo so, è un’ipotesi azzardata, ma non so a cosa altro pensare.-
Regnò il silenzio, nel rifugio, per riflettere sulle parole di Leonardo.
Neppure Elisabetta sapeva fornire una risposta.
-Io ve lo avevo detto: non si può mai sapere, nella dimensione mistica.- disse, infine.
-Eli, pensi che Federico starà bene?- riprese Leonardo.
-Io lo spero proprio. Dio… mi sento in colpa per averlo lasciato solo.-
Di nuovo quello sguardo: era palese dei sentimenti che la ragazza provava per Federico. Lo stesso che le Tartarughe Ninja provavano l’un per l’altro.
Solo quei sentimenti erano l’unica cosa vera di Elisabetta.
-Ragazzi…- si intromise Michelangelo –Io ho fame.-
Tutti sospirarono.

Anche Federico si destò, dalla dimensione mistica. Si svegliò di soprassalto, come se qualcuno lo avesse spaventato.
Era nella sua stanza. Ma non da solo.
-Mh. Solo sei ore.- suo padre aveva controllato l’orologio da polso, con aria impassibile –Pensavo saresti rimasto molto di più, nella dimensione mistica.-
E non c’era solo suo padre. Luigi. E l’Andrea anziano.
Federico era confuso.
-Cosa…?- domandò, scuotendo la testa –Padre, cosa fai qui…? E… loro…?-
-Non prendertela, figliolo. Era solo una prova per il nostro Flagello.- spiegò David, senza indugi –Una prova di fiducia per la sua missione. Come sai, deve prendere il Graal da quegli abomini, e noi dobbiamo aiutarla con ogni mezzo affinché quei cosi si fidino ciecamente di lei, da permetterle di prenderlo senza destare sospetti. E quale mezzo migliore, se non farle salvare una delle persone a cui lei tiene molto? Quelli non si tirano indietro, quando si tratta di salvare qualcuno. Naturalmente, non potevo farlo da solo. E tu eri nella dimensione mistica. Per questo ho chiesto a Faust un piccolo favore…-
Luigi sembrava ancora turbato: il demone doveva avergli trasmesso la delusione di aver perso contro i ninja ed i templari. E lui provava le stesse sensazioni.
Anche Federico provava delusione. Per suo padre.
-Tu gli hai permesso di…?- immaginava la mano di Luigi nella sua segregazione nella dimensione mistica. Ma mai avrebbe pensato che l’idea sarebbe partita da suo padre. Non lo immaginava capace di tanto. -Come hai potuto farlo, padre?! A me?! TUO FIGLIO?!-
-Ringrazia Dio di essere ancora vivo.- tagliò corto David, provando alcun senso di colpa -Ora lavati quella faccia e mettiti la veste monacale, stanno per arrivare i nostri nuovi sottoposti e devi esserci anche tu.-
Federico venne lasciato solo.
Si sedette sul letto, con una sensazione amara in bocca: sapeva che suo padre non aveva stima nei suoi confronti; ma addirittura ordinare un confinamento nella dimensione mistica… non lo avrebbe creduto capace di farlo.
Era suo padre. E un padre dovrebbe guidare ed insegnare ai propri figli come essere delle degne persone.
Come Splinter con i suoi figli.
Lo aveva percepito, quando gli aveva toccato la mano: aveva attivato il suo potere, e scavato dentro il suo cuore. Sentiva il sentimento di amore per i figli e quello per il suo defunto maestro, Yoshi Hamato.
Sentimenti che suo padre non aveva mai provato per lui.
Non nascose la sua invidia per le Tartarughe, per avere un padre premuroso; severo, ma gentile.
Se solo lo avesse visto combattere contro il demone dell’accidia: avrebbe cambiato opinione su di lui?
Avrebbe finalmente provato ammirazione per il figlio.
Probabilmente no. Dopotutto, era il demone dell’accidia, non il demone dell’ira.
Si alzò: non doveva far aspettare il padre ed il resto dei confratelli. Si lavò il volto, per togliere ogni segno della notte e della sua disavventura nella dimensione mistica. Nella realtà, era apparentemente sopito, ma, nonostante gli occhi chiusi, per lui era stata una notte senza sonno.
Dall’armadio, prese la veste monacale, per poi mettersela: la tunica bianca crociata rossa che era solito indossare durante le messe.

Erano tutti riuniti nel salone centrale, ognuno con la veste monacale.
Anche David, l’Andrea anziano, Giacomo e Luigi avevano la loro.
Attesero con pazienza l’arrivo degli ospiti: i Dragoni Purpurei.
Hun entrò nell’hangar, con soli due Dragoni, come spalle: successivamente quanto avvenuto la sera del reclutamento, alcuni Dragoni avevano paura del templare di nome Luigi, detto Faust.
Ma il loro capo aveva accettato l’offerta di divenire subordinato templare e dovevano rispettare la sua decisione.
-Questo posto è una bettola.- mormorò questi, guardandosi intorno, mentre scendeva le scale –Da come quei due damerini si sono presentati, pensavo fosse in un posto tipo un castello, o, almeno, un palazzo reale.-
David gli andò incontro, in compagnia del figlio Federico e dei suoi tre fidati.
-Signor Hun!- salutò a braccia aperte –Niente riscalda più il cuore di una nuova anima caritatevole che impegna le sue risorse per servire un bene superiore.-
L’omone storse la bocca e rivolse un’occhiata quasi minatoria al Gran Maestro.
-Umpf. Sono venuto qui perché mi è stata promessa una grande quantità di denaro e una fetta della città. Oltre alla riabilitazione del vecchio edificio dei Dragoni Purpurei.-
-Ogni cosa a suo tempo, signor Hun.- il tono di David era più flautato e gentile, con i nuovi subordinati, specialmente i capi; una tattica efficace per attirarli nella sua rete, lo stesso di una pianta carnivora con un insetto –Intanto, voglio presentarvi alcuni dei miei adepti. Lui è Federico, il mio unico figlio. Lui è Andrea, il mio fidato consigliere, lui è Giacomo, il mio braccio, e ha già conosciuto Luigi.-
La vista del templare che lo aveva assoldato fece rabbrividire Hun. Luigi gli stava già rivolgendo uno sguardo freddo e minatorio. Dava l’idea di poter invocare i demoni in un momento all’altro: tutto dipendeva da Hun.
-Sono stato ragguagliato delle promesse di fratello Luigi, e noi siamo più che disposti ad esaudirle.- riprese David, invitando Hun ed i due Dragoni a seguirlo per il salone –E siamo persino pronti a darle il doppio, se farà ciò che le richiediamo.-
-Bene. Io ho già accettato l’offerta ed esigo la mia parte della città! Quando mi spetta?!-
David gli fece gesto con la mano di tacere.
-Come le ho già detto, esaudiremo le sue richieste DOPO che avrà fatto quello che noi le avremo richiesto.-
Hun ringhiò sbuffando, senza farsi sentire da Luigi.
-Come vedrà, un gruppo del nostro calibro non può permettersi un posto come questo, come base.- mostrò David, passando accanto al grande crocifisso –Miriamo a qualcosa più in alto di un semplice hangar poco fuori New York. Abbiamo la cifra adatta per comprare un edificio, ma non abbastanza manodopera per ristrutturarlo. Un edificio che lei conosce molto bene, signor Hun. La vecchia base del Clan del Piede.-
Sentire quel nome fece rabbrividire e, nello stesso tempo, innervosire l’omone. Erano legati ricordi lontani a quel nome e anche quella base. Ricordi legati a Shredder, il suo vecchio capo. Un uomo che ammirava e rispettava. L’uomo che, anni prima, gli aveva proposto la medesima offerta dei templari.
I Dragoni Purpurei erano il braccio del Piede. E regnavano su New York.
-E questo cosa ha che fare con me?- riprese Hun, serio.
Anche David si fece serio. Si fermò, voltandosi verso l’ospite.
-Ha decisamente a che fare con lei.- rivelò –Lei conosceva bene quella Base. Ci servono informazioni su passaggi segreti, congegni, tutto quello che ricorda. E non solo della Base del Clan del Piede, ma di tutta New York. Vede, signor Hun, l’ordine templare è stato dato per scomparso secoli fa, a causa del timore dei potenti. Sa cosa temevano? Che l’ordine potesse sovvertire la corona ed il papato, regnando su tutta Europa. Noi siamo rinati dalle loro ceneri, per continuare il retaggio e perseguire ciò che è stato interrotto a causa dei potenti corrotti. Seguiamo ancora le loro tradizioni, siamo iniziati da un piccolo gruppo e ci siamo espansi, fino a creare un nostro impero dentro gli Stati, addirittura rifondando la nostra Banca, perduta da anni. Siamo gente comune unita da un solo fine: ordine. L’ordine nel mondo. Alcuni ci definiscono radicali, rigidi, freddi, ligi al dovere. In questa epoca corrotta, corrosa dal caos e dai vizi degli uomini. Da quando il Clan del Piede è stato sgominato dalle quattro tartarughe mutanti che anche lei conosce bene, New York è sprofondata nel caos. Tutte le bande rivali si stanno fronteggiando per avere l’egemonia. Noi siamo riusciti ad assoldarne alcuni, accogliendoli sotto la nostra ala. Tuttavia, è impossibile tenere a bada delle bestie, senza sapere come domarle. Ed è per questo che ci rivolgiamo ad un esperto. Stando alle nostre informazioni, i Dragoni Purpurei tenevano in mano tutte queste bande, anzi, proprio erano a capo di queste bande, quando ancora lei lavorava per Shredder. Noi, abbiamo bisogno del suo aiuto, per avere in pugno tutte queste bande e ripristinare l’ordine. Lei ed i suoi Dragoni potrete riottenere quel privilegio, se vi unirete a noi, non come sottoposti, ma come soci. Potrete avere tutto quello che desiderate, e tanto altro. Oro, gioielli, possedimenti… ogni vostro desiderio verrà realizzato, se accettate di aiutarci.-
Governare su New York. E nemmeno come sottoposto dei templari, ma come alleato. Era una richiesta più unica che rara.
L’offerta tentò non poco il capo dei Dragoni Purpurei: ottenere il privilegio che aveva perduto con la caduta del Clan del Piede gli faceva gola. Ergersi al di sopra del resto delle bande criminali, avere tutti i teppisti di New York in pugno. Gli mancava, quella sensazione di potere.
Era come Luigi aveva dedotto: Hun sentiva la mancanza delle sfide di New York. La città in cui i Dragoni si erano stabiliti era troppo incline a piegare la testa al potente, senza tentare la resistenza.
Era troppo facile. Si perdeva interesse e, alle lunghe, diveniva noioso. Non era degno della fama dei Dragoni Purpurei.
Infatti, sorrise.
-Accetto la tua offerta, Gran Maestro David.-
Si strinsero le mani, stipulando l’accordo. Era fatta: i Dragoni Purpurei erano alleati dei templari. Sarebbero stati trattati da pari. In cambio del loro aiuto con le bande criminali e la ristrutturazione della vecchia Base del Clan del Piede.
-Sapete molte cose su di me, damerini…- commentò, poco dopo –E sapete persino chi fosse Shredder, nonostante i telegiornali non ne hanno mai parlato. Per loro, Shredder non è mai esistito, solo Oroku Saki. Ma voi sì. Perché?-
David si fece serio. E con lui anche l’Andrea anziano, Giacomo e Luigi.
-Signor Hun, come crede che conosciamo bene New York?-
Fece proseguire il giro ai tre ospiti, entrando, poi, in una stanza.
-Prima di giungere in questo Stato, era opportuno raccogliere le dovute informazioni.- proseguì –E tutto partiva dal suo vecchio capo, Oroku Saki, detto Shredder. Lui praticamente teneva la città in pugno. E solo due persone erano abbastanza vicine a lui da fornirci le informazioni cui necessitavamo per come tenere questa città sotto controllo. Uno era lei, ma era ormai fuori New York. L’altro… beh, è stato complicato trovarlo, ma è per questo che si sono rivelati utili le abilità del nostro Spettro e anche di Lazzaro. Ed è stato lui stesso che ci ha portato a lei. È una persona che conosceva molto bene. Secondo quanto riportato dal qui presente Andrea, detto Lazzaro, il nostro primo informatore è sempre stato molto riluttante a parlare con noi, ma, per fortuna, siamo riusciti persino ad arrivare a lei. Ci è stato utile con le Tartarughe Ninja. E speriamo che anche lei collabori con noi.-
Hun si fece sospetto.
-Le Tartarughe?! Sono ancora vive?!- si stupì, battendo un piede a terra –Accidenti a Khan! Lo sapevo che era un incapace! Quindi anche voi dovete sorbirvi quelle quattro seccature.-
-Le nostre strade si sono incrociate e temo si ripeterà spesso.- informò David –È anche per questo motivo che ho bisogno di lei ed i suoi Dragoni.-
-Pur di sbarazzarmi di quelle creature sono disposto a fare un patto con il demonio.-
-Da un certo punto di vista lo ha già fatto.- fece ricordare Luigi, alludendo a quanto avvenuto sere prima, la sua visita alla nuova struttura dei Dragoni Purpurei.
Hun rabbrividì, nel vedere l’uomo ed i suoi occhi glaciali.
Entrarono in un’altra stanza, più piccola e più buia: l’unica fonte di luce era un contenitore alto due metri, pieno d’acqua, in cui vi era immerso un cervello. Sotto di esso, una lapide, con un nome e le date di nascita e morte della persona che possedeva quel cervello.
Hun impallidì a leggere il nome.
-Questo è il nostro primo informatore.- spiegò David; la luce del contenitore aveva reso il suo aspetto ancora più terrificante –Fino ad ora, si è rivelato incredibilmente utile per conoscere la città, per conoscere il modus operandi di Shredder, in modo da sfruttarlo per arruolare le bande criminali, per avere più informazioni sulle Tartarughe, e per trovare lei. Non ho mai avuto l’onore di contattarlo dal vivo, ma ho pensato sarebbe stato più educato attendere la sua presenza, signor Hun, in modo da riallacciare un rapporto tra vecchi compari.-
Hun non sembrava d’accordo. Ma non trovò il coraggio di obiettare.
David si rivolse all’Andrea anziano.
-Fratello Andrea, puoi procedere.- ordinò, in italiano.
Il citato annuì. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente.
Sembrava sopito. In piedi.
Poi riaprì gli occhi: le croci templari avevano preso il posto delle iridi.
Cambiò espressione: da neutrale, divenne allarmata. Addirittura, quando aveva aperto gli occhi, sobbalzò, come se avesse avuto un incubo.
Si guardò intorno, spaventato.
-Cosa succede…?- aveva cambiato voce; accento americano, leggermente roca e molto più profonda di prima; guardò in basso, precisamente le mani, che girò e rigirò più volte; impallidì –Ma cosa…? Queste mani…- poi si voltò; vide il suo riflesso sul contenitore con il cervello all’interno; era come se avesse visto un fantasma –No…! No! Perché anche questo?! Cosa non si capisce del concetto “riposa in pace”?! -
Hun era sempre più pallido. Anche i due Dragoni si stupirono.
Ma David ed il resto dei templari rimase neutrale. Anzi, egli addirittura sorrise.
-I nostri ossequi… dottor Baxter Stockman.-
Sulla lapide, infatti, era scritto, in grandi lettere dorate:
 
BAXTER STOCKMAN
Uno scienziato, un genio, una rarità di questo periodo

Una grave perdita per il patrimonio dell’umanità
R.I.P.
 

Era stato dichiarato morto da anni, dalla distruzione delle Stockman Industries, se non proprio da quando Leonardo aveva “decapitato” Shredder. Per i media era morto, ma di fatto aveva continuato a sopravvivere negli anni. Era stato sufficiente il suo cervello, anche quando era “collaboratore” di Bishop.
Fino al suo “incontro” con i templari. O meglio, il rapimento da parte dei templari.
Andrea-Stockman si voltò, ancora pallido e spaventato.
-Cosa…?- notò i templari; notò Hun –TU?!-
Questi arretrò, sgomento da quanto aveva assistito.
-Che scherzo è questo?!- protestò, rivolto ai templari –Come è successo…?!-
-Questo è il potere di fratello Andrea.- spiegò David –Il suo nome da templare è Lazzaro, perché il suo corpo è il recipiente dei defunti. Può comunicare con le anime dei defunti e, talvolta, farli incarnare nel suo corpo. Da qui il suo nome da templare. Purtroppo, con l’età che avanza, il tempo in cui può ospitare una nuova anima è diminuito. Adesso abbiamo a malapena un quarto d’ora. Ovviamente, la fama di Stockman è nota persino da noi, in Italia. Era stato reso manifesto il suo coinvolgimento negli affari di Shredder. Quindi era lui la chiave per, almeno, la prima parte del nostro piano. Trovarlo non è stato difficile. Come le ho detto prima, la parte più complicata è stato convincerlo a rivelarci quello che sapeva. Ma il nostro Andrea è riuscito a convincerlo a collaborare con noi. Come lei, anche lui è vincolato da un contratto con noi. E adesso, sono in compagnia delle persone più vicine a Shredder, e come lui riuscirò a mettere la città sotto il mio giogo, il giogo dei templari.-
Andrea-Stockman prese la parola.
-Aspettate! Ho fatto il vostro gioco, rivelandovi tutto quello che sapevo su New York! Non era previsto che dovessi collaborare con questo scimmione!-
-In questo stato non è utile, dottor Stockman.- tagliò corto, freddo, David –Ci serve lei, fisicamente, per attuare la sua parte del nostro accordo. Per i progetti che stava attuando con l’agente Bishop. Come stabilito nell’accordo, voglio che costruisca quelle macchine, per l’ordine.-
-No! Non tornerò in vita! Lasciatemi morire! Ve ne prego!-
-Sono sicuro che troverà uno scopo per riottenere il suo corpo, dottore. Quando, non mi interessa, ma spero sia il prima possibile. E lei, Hun, come le ho già detto, mi aiuterà a riunire tutte le bande criminali per subordinarle all’ordine templare. E permettetevi di offrirvi il mio aiuto, per attuare i vostri scopi.-
Schioccò le dita: nella stanza entrarono due ragazzi, alti uguali. Apparentemente, sembravano persino coetanei, ma tra loro correva una differenza di età di quasi tre anni.
Entrambi avevano la barba, ma uno l'aveva folta e scura, l’altro più corta, castana, ma tendente al ramato.
E due paia di occhi scuri che scrutavano gli ospiti da sotto il cappuccio della tunica.
-Vi presento Geena e Noctis, due tra i miei migliori templari.- presentò il Gran Maestro, orgoglioso –Geena, prima di unirsi a noi, era un informatico. Potrebbe essere utile con lei, dottore. Altrettanto non posso dire del suo potere, a meno che non voglia esporre un oggetto a temperature elevate.-
Geena fece un cenno della testa, come saluto.
-Ma io ho detto che non…!- protestò Andrea-Stockman.
-Su, su, non faccia i capricci, dottore.- tagliò corto David, incurante delle sue proteste –Sono sicuro che profitterà dalla nostra collaborazione.- indicò l’altro ragazzo –Lui, invece, è Noctis. Avrà il compito di sorvegliare lei ed i Dragoni Purpurei, signor Hun.-
Hun squadrò il secondo ragazzo dall’alto al basso. Uno dei Dragoni si avvicinò a lui, con aria strafottente e sul punto di ridere.
-Davvero? Tutti questi discorsi e poi ci fanno sorvegliare da questo nanerottolo? Capo, questi hanno voglia di prendersi gioco di noi.-
Il templare osservò il Dragone con aria fredda. Poi posò una mano sul suo braccio.
Niente di strano. All’inizio.
Il Dragone sentì le proprie energie mancare. Il respiro si interruppe all’improvviso. Ed il suo battito cardiaco cessò.
Cadde per terra, privo di sensi. Morto.
Hun ed il secondo Dragone rimasero sgomenti.
-Cosa, in nome di…?!- esclamò il primo.
-Ah, non ve l’ho detto, ma ogni persona perisce al suo tocco.- informò il Gran Maestro, fingendo un’amnesia -Il nome “Noctis” è dovuto alla curiosa vicinanza della notte con la morte, in quanto entrambe buie. Ho deciso di metterlo a vostra disposizione per il solo fine di prevenire un possibile tradimento contro l’ordine. Per il suo scopo, è più che idoneo. Ah, e non fungerà solo da sorvegliante, ma anche da sovrintendente. Per tutto il periodo in cui lavorerete per me, Noctis sarà la manifestazione dei miei ordini per voi, sono stato chiaro?-
Il potere di Luigi era spaventoso.
Ma anche quello del ragazzo chiamato Noctis era spaventoso.
Hun non ebbe dubbi: i templari erano temuti tanto quanto il Clan del Piede. O anche di più, a causa dei loro poteri.
Fu costretto a chinare il capo. Dopo tanti anni senza padrone.
David sorrise e tese le mani in avanti, verso i nuovi alleati, Hun e Stockman. Altre pedine per il piano dei templari.
-Benvenuti nell’ordine.- sibilò, con un sorriso malefico.

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Capitolo 11
*** Corsa contro il tempo ***


Note dell'autrice:  heeeeeeey! Eccomi qua! Scusate l'assenza, ma sono stata impegnata con un altro contest ed un progetto privato. Ma ora sono prontissima a continuare questa storia! Vi avverto, stavolta non saranno le Tartarughe o Elisabetta i protagonisti. Il protagonista di questo capitolo sarà Casey Jones con un altro personaggio minore, ma ci sarà comunque un punto importante nella trama...
ENJOY!
P.S.: da ora in avanti, i capitoli si faranno lunghi. Scusatemi. E pensate che per questo non avevo molte idee... XD

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  A Raffaello bastò solo spostarsi di lato, per schivare il pugno di Elisabetta.
Seguì un calcio, parato da un ginocchio.
Poi un altro, che lo colpì sul ventre.
Anche lui provò a contrattaccare con un pugno, ma lei lo evitò, scostando la testa.
Tornarono entrambi in posizioni che facessero loro riprendere l'equilibrio.
Elisabetta tentò di pestargli un piede, ma lui aveva previsto una mossa simile, quindi saltò sul lato opposto.
Cercò di agguantare il suo polso, ma bastò un movimento circolatorio da parte della sua avversaria per lasciare la presa e dargli una botta sul ventre, che fu comunque bloccata.
Raffaello ed Elisabetta stavano lottando da quasi un mezz'ora. Un allenamento, non una sfida.
O forse, effettivamente, era una sfida di resistenza.
Leonardo stava lucidando le sue katana, Splinter si stava preparando un tè, e Donatello aveva ripreso le sue analisi sul trofeo del Nexus. Non aveva ancora trovato risultati, ma non aveva intenzione di arrendersi.
Escludendo le urla dei due lottatori, nelle fogne regnava il silenzio, quel giorno.
Klunk si era appallottolato sul divano, incurante delle urla.
Raffaello pose fine al combattimento, bloccando con le sue mani i due pugni della templare, diretti uno sul suo volto, l'altro sul suo torace. Entrambi si guardarono in faccia, non con sguardo da sfida, ma ridendo.
Dopotutto, era un allenamento, non un vero combattimento. Elisabetta non aveva nemmeno l'anello.
E non nascosero di divertirsi.
-Stai migliorando.- complimentò la tartaruga, ansimando dalla fatica -Stavolta me la stavi facendo.-
Seppure bloccati, continuavano comunque a pressare l'uno sull'altra.
-Perché? Il combattimento è già finito?- schernì lei.
Delle gocce di sudore le stavano cadendo dalla fronte, bagnando la sua frangetta. I capelli chiari si erano divisi a ciocche, appiccicate alla fronte.
Anche il mento stava quasi gocciolando.
Qualcosa, nei loro sguardi, faceva intuire che la sfida non era ancora finita: lei continuava a spingere, con i suoi pugni, nei palmi di Raffaello, mentre lui faceva la medesima cosa, ma sui suoi palmi.
Lo sorprendeva sempre trovare qualcuno in grado di tenergli testa, specie se una donna. Adorava le sfide.
-Eeeeeehiii! Gente! È arrivata la pizza!-
Michelangelo era stato fuori, in quel lasso di tempo. Ecco perché le fogne erano stranamente silenziose.
Era entrato nel rifugio, con sei cartoni di pizza in braccio.
Annusò l'aroma all'interno di essi, come un intenditore di vino.
Il suo urlo sbilanciò la concentrazione del fratello e della templare. Lei aveva smesso di esercitare pressione, ma lui no.
Barcollò in avanti, finendo a contatto con lei.
Non caddero per terra: Elisabetta aveva abbastanza forza per sostenere il peso della tartaruga gigante, spingendo sul suo petto.
Raffaello rise, imbarazzato.
Guardò che le sue mani non toccassero zone compromettenti della ragazza. Per fortuna, erano esterne al suo corpo.
Tutti interruppero le proprie attività al ritorno di Michelangelo; era ora di cena.
Si sedettero tutti e sei sul tavolo.
-Ah! Che fame!- annunciò Michelangelo, leccandosi le labbra -Pancia mia, fatti capanna!-
Aveva preso cinque pizze ai pepperoni e una solo al formaggio.
Leonardo sfoderò le sue capacità con le katana per tagliare le fette.
Tutti e quattro i fratelli condividevano la fame. Era intuibile dalla voracità con cui mangiarono la prima fetta.
Elisabetta, invece, sembrava un po' incerta. E disgustata.
Splinter, inghiottendo il boccone, si voltò verso di lei.
-Non hai fame, figliola?- domandò, premuroso.
-N-no... è che... niente.-
Qualunque italiano avrebbe intuito il disagio di Elisabetta: la pizza che aveva di fronte, secondo i suoi standard, non aveva un aspetto invitante.
E nemmeno l'odore.
A malapena aveva l'aspetto di una normale pizza margherita. Il formaggio non sembrava vera mozzarella.
Le tartarughe erano già a metà delle loro e non erano nemmeno passati cinque minuti.
Splinter li guardava sospirando, vergognandosi delle loro maniere a tavola.
Anche Elisabetta sospirò: per non fare un torto a Michelangelo, al rischio che aveva corso, andando in superficie, decise di dare una possibilità alla pizza americana.
Prese una fetta, lentamente portandola alla bocca. Ne addentò la punta.
Ma fu abbastanza da sputarla un attimo dopo, con sguardo disgustato. Le sue deduzioni erano giuste: quel formaggio non era mozzarella, non quella cui era abituata lei. Sembrava gomma da masticare dal sapore che non ricordava alcun formaggio. Quella pizza aveva uno strato enorme di formaggio su una striscia di impasto, divisi da una salsa al pomodoro probabilmente di tanica che non aveva sapore.
Un italiano può sopportare molte cose, ma non come il mondo rovini i suoi piatti.
-Basta! Ho sopportato anche troppo!- esclamò, scattando in piedi.
Bevve dell'acqua, per togliere quel sapore rancido dalla bocca.
Le tartarughe e Splinter si allarmarono, alla sua reazione.
-Posso sopportare a malapena gli spaghetti con il ketchup! Gli hamburger! Gli hot dog! Ma questo no! Non è una pizza! È un abominio!-
Avrebbe preferito digiunare che mangiare quella copia di una pizza.
Prese il suo cappotto, un cappello (principalmente per proteggere i capelli sudati dal freddo) e si diresse verso gli scalini.
-Ehi, dove vai?- domandò Michelangelo, curioso. La sua bocca era sporca di pomodoro.
-A prendere una VERA pizza! E smaltire quel poco di unto che ho ingerito.-
-Ne prendi una anche a me?-
Ma lei era già uscita.
-Ed è scappata...- Michelangelo sospirò, osservando l'ultima fetta di pizza rimastogli -Non pensavo avrebbe reagito così. Ma poi cosa avrà che non va? Per me è ottima.-
-Eli è italiana, Michelangelo.- fece ricordare Splinter -E non puoi togliere l'Italia dal cuore di un italiano.- ridacchiò -Specie dal punto di vista culinario.-
Raffaello rivolse il suo sguardo verso l'uscita. Iniziò a respirare pesantemente dal naso. Si morse entrambe le labbra. Qualcosa lo preoccupava.
-Ma non possiamo lasciarla là fuori da sola.- commentò; si alzò dal tavolo -Vado con lei.-
La mano di Leonardo strinse il suo polso.
-Raph, non hai imparato la lezione della volta scorsa?- gli fece ricordare.
Raffaello non avrebbe dimenticato facilmente quella notte. Ma la sua premura era più forte del suo trauma.
-Vuoi dire che dovrei lasciarla sola ogni volta che esce di sera?!- protestò, infatti -E se dovessero...?-
-Rilassati. L'ho vista prendere il suo anello e mettersi un coltello in tasca. Saprà badare a se stessa.-
Anche i suoi fratelli erano preoccupati per la templare. Ma rispetto a loro, lei era più al sicuro, nel mondo esterno. Lei era un'umana, dopotutto.
L'unica sua preoccupazione, per loro, era essere avvistata da quelli che credevano i suoi ex-confratelli.
Michelangelo continuava a fissare, dispiaciuto, la pizza avanzata.
-Però che peccato sprecare questo ben di Dio...- mormorò; alzò le spalle ed avvicinò il cartone a sé -Vorrà dire che la mangerò io.-
La mano di Donatello picchiò la sua.
-Non fare l'ingordo, Mick!-
-Ma sento che mi sta dicendo “Mangiami! Mangiami!”!-
-Beh, Casey ha detto che passava di qui, in serata.- ricordò Raffaello -La conserveremo per lui.-
Michelangelo sbuffò, incrociando le braccia.
-Va bene, sarà come dite voi.- borbottò -Ma se tra mezz'ora non si fa vivo, la mangio io. Niente scuse.-
Le tartarughe e Splinter sospirarono: il suo appetito non aveva eguali, nel mondo.

Casey scontrò la schiena contro il muro.
Era in un vicolo cieco.
Cinque ombre si stavano avvicinando minacciose verso di lui.
-Il giustiziere si arrende?- sibilò uno di loro -Sbaglio o hai un po' perso la mano?-
Sebbene membro della SWAT, Casey non aveva abbandonato i suoi ideali di giustiziere.
Gli piaceva ancora indossare la maschera da hockey e picchiare le bande con le sue mazze da hockey, basket e cricket. Lo facevano sentire potente quanto la tuta d'assalto.
Ora più che mai, visto che era divenuto marito e padre di famiglia.
E proprio per proteggerli, aveva mentito ad April, sul motivo della sua uscita notturna: aveva detto sarebbe passato dalle Tartarughe per salutarle. Un fondo di verità lo aveva, in effetti.
Era previsto nei suoi piani, andare dai suoi amici rettili.
Ma era una bugia a fin di bene: April avrebbe protestato, sulla sua intenzione di continuare a fare il giustiziere di New York. Ma, come si dice, il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Ma i banditi di quella sera erano riusciti a metterlo con le spalle al muro.
Letteralmente.
-Una volta eri davvero temuto. Cos'è? Senza i tuoi amici strambi sei impotente? Forza, ragazzi, diamogli la lezione che si merita.-
-Cinque contro uno? Non è corretto.-
I banditi si voltarono: all'inizio del vicolo, c'era un uomo.
Portava un cappello ed un impermeabile.
A causa del buio, non riuscirono a vederne il volto.
Ma dal suo accento, dedussero che non fosse americano.
Anche Casey cercò di mettere a fuoco il nuovo arrivato.
-Vattene...- mormorò, purtroppo non udibile da nessun orecchio umano.
-E tu chi sei?- disse il capo della banda, avvicinandosi all'uomo misterioso -Fuori dai piedi, o facciamo fuori anche te!-
Avevano preso delle pistole, dalle loro cinture, puntandole verso di lui.
L'uomo con l'impermeabile alzò le mani, in segno di resa.
-No, aspettate, aspettate.- disse; il suo era un tono calmo -Volete vedere un trucco?-
I banditi si guardarono l'un l'altro, confusi. Ma poi si misero a ridere.
E dalle risate tornarono ad essere confusi.
Il capo banda aveva la mano destra libera. La pistola era misteriosamente scomparsa.
Non poteva averla fatta cadere: non aveva sentito il rumore, inoltre non era per terra.
L'intruso era ancora all'inizio del vicolo, con le mani alzate.
-Dov'è la mia pistola?! Cosa ne hai fatto?-
-Vedi, io sono un...come si dice...? Ah, prestigiatore! Un mago! Posso far sparire le cose.-
Quell'accento un po' incerto... Casey lo aveva già sentito da un'altra persona.
-Che aspettate, voi altri?!- esclamò il capo banda ai suoi tirapiedi -Sparate a questo buffone!-
Gli altri banditi riuscirono solo a sparare un colpo a testa, verso quell'intruso. Ma anche le loro pistole sparirono dalle loro mani.
Anzi, ebbero l'impressione di aver sentito una folata di vento sulla loro pelle e qualcosa che, in effetti, aveva strappato le pistole loro di mano.
L'uomo era sparito: era comparso alle loro spalle, facendo quasi da scudo a Casey.
Alzò lo sguardo, mostrando il volto alla banda.
Aveva il volto scavato, magro. E le fosse intorno agli occhi erano accentuate dall'ombra del suo cappello.
Era inquietante. Come il suo sorriso.
-E ora il mio trucco preferito- annunciò -L'incredibile sparizione del capo.-
Un istante dopo, l'uomo ed il capo banda erano spariti.
Casey era rimasto solo con gli altri quattro banditi.
Non avevano intenzione di attaccarlo. Si guardavano intorno, cercando il capo.
Anche Casey fu stupito di quell'improvvisa scomparsa.
Due persone scomparse nello stesso momento non dava l'idea di un trucco di magia.
L'uomo con l'impermeabile tornò dopo qualche secondo. Da solo.
Ma con qualcosa in mano.
Qualcosa che fece urlare i banditi, terrorizzati.
In effetti, aveva riportato un braccio. A giudicare dai tatuaggi, era quello del capo banda.
Il sangue stava cadendo dalla parte strappata.
Casey non fu terrorizzato, ma non nascose la sua sorpresa. E un po' di disgusto.
-Oh, scusate.- disse, fingendosi dispiaciuto -Purtroppo, questo trucco non è molto efficace con gli umani.- lasciò cadere il braccio, per riavvicinarsi ai banditi, calmo e sereno -Ma posso sempre riprovare. Qualcuno si offre volontario? Magari stavolta andrà meglio.-
Nessuno era intenzionato a subire la stessa sorte del capo. I quattro banditi corsero via, urlando, passandogli accanto senza guardare il suo probabile assassino.
-Sì, bravi! Scappate come le pecore che siete!- esclamò -Tanto forti quando c'è il capo, ma senza di lui siete niente...-
Rivolse la sua attenzione verso un semi-cosciente Casey Jones. Stava cercando di rialzarsi.
-Ehi, tutto bene?-
La sua voce si era fatta più gentile. Non inquietante come prima.
Gli aveva persino offerto un braccio, per aiutarlo.
Ci fu un lieve momento di barcollo, in quanto il fisico di Casey era nettamente più massiccio del suo esile salvatore.
-Sto bene. Quelli lì mi hanno solo preso alla sprovvista.- si mise una mano dietro la nuca, facendo poi girare la testa e scrocchiando le vertebre -Ah... penso lo sentirò per un po' di tempo.-
-Davvero li avresti affrontati tutti e cinque da solo? Con quella mazza da hockey?-
-Ehi, un tempo era la mia routine. Potevo sistemare un'intera banda, da solo. Ma forse hanno ragione. Devo aver perso un po' di colpi. Ho avuto una giornataccia, oggi...-
Si tolse la maschera, rivelando il suo volto.
-Ad ogni modo, ti devo la vita, amico.- ringraziò, sorridendo -Io mi chiamo Casey, molto piacere. E tu?-
L'uomo strinse la sua mano, sorridendo senza denti.
-Andrea.-


-Allah...!-
L'urlo venne interrotto, cogliendolo di sorpresa.
Un raggio congelante lo aveva trasformato in una statua di ghiaccio.
E un urlo potente da parte dell'Andrea DJ, Salterio, lo aveva frantumato completamente.
Successivamente gli eventi dell'edificio un tempo affiliato con Oroku Saki, i saraceni ed i templari avevano deciso di affrontarsi a campo aperto.
In una zona periferica di New York, dove dei saraceni stavano pianificando un attacco terrorista, i templari erano accorsi per impedirlo.
I demoni di Faust li avevano avvistati, accompagnati da Spettro. Erano stati loro ad avvertire i confratelli.
Il saraceno che stava per urlare, stava per detonare una bomba che aveva addosso.
Salterio era riuscito ad impedirglielo, grazie anche all'aiuto di Helmut, detto Tundra, poiché il suo respiro congela anche il tempo.
Altri quattro erano con loro, contro due dozzine di saraceni, tra cui Carmine e Giacomo, a capo del gruppo di templari.
C'erano un uomo dai capelli rossi e fisico massiccio armato di ascia, Marco, detto Golem, perché la terra trema al suo passaggio, e Niccolò, un ragazzo estremamente grasso, ma altrettanto abile e veloce con la spada, detto Sol, poiché la sua luce acceca come il sole.
I saraceni erano solo armati di sciabole e bombe. I templari avevano i poteri dalla loro parte.
E avevano già eliminato sei saraceni.
-Diversivi...- commentò, deluso, Salterio -Tutto, pur di non farci raggiungere il loro centro.-
-Ti aspettavi altro, dagli infedeli?- rispose Helmut; le sue mani erano circondate da cristalli di ghiaccio e nelle sue iridi si potevano scorgere le croci templari -È il loro modo di esprimere la loro debolezza e la loro paura verso di noi.-
Lanciò un altro raggio congelante, stavolta verso il terreno.
Un saraceno che stava combattendo contro Carmine vi mise il piede sopra, scivolando all'indietro.
Carmine gli diede il colpo di grazia.
Due stavano combattendo contro Marco. La sua corporatura massiccia lo rendeva resistente alla fatica.
La sua ascia teneva testa alle due sciabole.
Nessun colpo lo scalfiva: il suo corpo era coperto da pietre. Era quello il suo potere. Poteva controllare le pietre, anche renderle una sua armatura.
Grazie a quelle pietre, i suoi colpi nel corpo a corpo erano più potenti. Il modo in cui aveva schiacciato la testa ad un saraceno ne era la prova.
L'unico che ancora non usava il suo potere era Niccolò. Lui si affidava alla sua spada ed al suo scudo.
Il suo era un potere usato in particolare per coprire le fughe o disorientare gli avversari.
Con i saraceni non fu necessario.
Galvano , invece, alternava la spada con il suo potere.
Adorava osservare i suoi avversari negli occhi, mentre li folgorava con una mano stretta sulla loro testa, o disinnescare le loro bombe, puntando ai comandi con una scossa elettrica, provocando una perdita di energia, e quindi rendendo le bombe innocue.
-Cadete in inferis, infidelis!- esclamava, quando morivano sotto la sua mano.
Dei detriti erano sparsi per la strada, formati dai loro attacchi.
Punizione, con il suo potere, li sollevò da terra, posizionandoli proprio sopra i loro avversari. Poi li lasciò cadere.
Pioggia di pietre, vetri e pezzi di metallo infilzarono i saraceni rimanenti.
I templari erano di nuovo usciti vittoriosi.
-Deus vult.- disse Giacomo, osservando i saraceni deceduti con aria indifferente.
-Deus vult.- ripeterono i confratelli, in coro.
Quel lato della periferia newyorkese era stato liberato dai saraceni.
Ma non era abbastanza: dovevano eliminare il centro, per liberarsi per sempre dei loro nemici più antichi.
E, soprattutto, non dovevano abbassare la guardia, nemmeno quando erano sicuri di averli sconfitti: ogni volta, dovevano aspettarsi un attacco a sorpresa.
Quelli contro cui solitamente combattevano erano delle esche, mentre il vero attentatore cominciava ad agire.
Infatti, dovevano subito partire alla sua ricerca, prima che fosse tardi.
Coloro che cercavano, per fortuna, era apparso alle loro spalle: aveva un giubbotto con delle cariche esplosive addosso. E in mano, un telecomando con un unico pulsante.
Stava sorridendo, vittorioso.
Era troppo lontano dai templari: non avrebbero avuto il tempo di fermarlo.
Aprì la bocca, probabilmente per pronunciare il grido di battaglia, prima di premere il pulsante.
Ma la sua mano lasciò il telecomando. Il suo sguardo divenne improvvisamente vuoto. Ma la bocca restò lievemente aperta.
-Woah!- esclamò Carmine, attivando il suo potere.
I suoi occhi fissarono il telecomando: stava per cadere, appunto, sul lato del pulsante. Era riuscito a fermarlo in mezzo all'aria. E poi lo aveva fatto atterrare dolcemente di lato.
Il saraceno cadde prono sul terreno. Aveva un coltello conficcato sul cranio.
Alle sue spalle si manifestò il colpevole.
-Pensavo vi servisse una mano.-
Voce femminile, nonostante l'aspetto ed i vestiti maschili.
-Flagello!- esclamarono i confratelli, sollevati.
Elisabetta, sorridendo, si avvicinò a loro. Fu accolta con giubilo. Di certo non era un saluto da rivolgere a uno scomunicato. Ma lei non era stata scomunicata dall'ordine.
Solo Galvano non si era unito al gruppo: il rimprovero che lei gli aveva rivolto era ancora fresco nella mente di entrambi.
Si erano solo scambiati degli sguardi freddi.
-Che piacere rivederti!- salutò Helmut; il suo accento dell'Europa dell'est si manifestava sempre quando pronunciava parole con la “r”; ma grammaticalmente il suo italiano era perfetto.
-Ti trovo bene.- aggiunse Marco, sorridendo cordiale.
Solo Luigi la trattava e le parlava diversamente, con sufficienza e misoginia, da quando aveva rivelato la sua vera identità. Ma il resto dell'ordine aveva continuato a rispettarla ad ammirarla per le sue capacità nella scherma, nello stesso modo in cui la trattavano quando si faceva chiamare Eliseo.
-Cosa giri da queste parti?- domandò l'Andrea DJ.
-Quei rettili volevano farmi mangiare una delle loro pizze schifose.- spiegò lei, mostrando un pezzo di lingua -Ho scoperto che c'è una pizzeria italiana da queste parti e stavo andando proprio là. Poi ho sentito dei rumori e sono venuta qui.-
Guardò ciò che era rimasto degli avversari.
-Cosa facevano qui?- domandò, sospetta -Non mi sembra un luogo adatto per un attentato.-
-Faust e Spettro ci avevano segnalato dei movimenti, in queste zone.- informò Galvano, avanzando verso il gruppo -Siamo intervenuti prima che agissero sul loro vero obiettivo. Tu hai novità sulla tua missione, Flagello?-
Elisabetta scosse la testa.
-Ancora niente. E non so proprio dove cercare. Mi sembra di stare in un vicolo cieco.-
Scrutò i confratelli uno per uno. Solitamente, venivano inviati più templari, in missioni di assalto.
I soliti, inclusa lei.
-Ci siete solo voi?- domandò -Dove sono Geena e Noctis?-
-Il Magister ha affidato loro una missione. Li tiene occupati tutto il tempo.- rispose Galvano.
Non specificò neppure di cosa si trattasse. Doveva essere confidenziale; o era lui che non aveva intenzione di rivelarlo alla templare.
-Non c'è nemmeno Celeritas?-
Lì parlò Salterio. Sbatté le braccia sui fianchi e si guardò intorno.
-Già, dov'è Celeritas?!- ripeté, seccato, ad alta voce. Pensava che, forse, chiamandolo, li avrebbe raggiunti.
Ma nessuno arrivò, al suo richiamo.
-L'ultima volta che lo abbiamo visto, era partito per una missione.- spiegò Niccolò, serio -Non lo vediamo da stamattina.-
Spero solo che non ci siamo giocati anche lui...- mormorò Galvano, storcendo la bocca.

Andrea masticò velocemente il bagel che aveva addentato.
Fissò il panino con aria scettica, ma continuò comunque a mangiare.
Il suo lato del tavolo era pieno di panini e fette di cheesecake. Insieme ad un'aranciata ed un caffè.
Casey, dall'altra parte, si era limitato ad un donut ed un caffè.
Osservava perplesso il suo salvatore.
Si era tolto il cappello: i capelli erano neri e mossi, quasi ricci, legati con un codino dietro la nuca.
Il volto era davvero magro, con gli occhi scavati. La parte inferiore del volto era coperta da una barba molto corta.
Non sembrava una cattiva persona. In fondo, lo aveva salvato da una banda criminale.
Come appetito, in compenso, faceva quasi concorrenza a Michelangelo. E questo lo fece divertire.
-Beh, qualcosa mi dice che ho fatto la scelta giusta ad offrirti qualcosa.- commentò -Sembra che tu non mangi da secoli.-
Andrea si mise una mano di fronte alla bocca, inghiottendo l'ultimo pezzo di bagel con il salmone, prima di parlare.
-Perdonami.- si lasciò scappare un lieve rutto, contenuto -A prescindere dalla mia situazione, io ho sempre fame. Mangerei sempre.
-E hai quel fisico così esile? Beh, buon per te.-
Andrea rise, prima di bere un sorso di caffè.
Lo mise lesto sul tavolo.
-Bleah. Con tutto il rispetto, ma il vostro caffè sembra acqua sporca.- commentò, disgustato -Nulla a che vedere con quello italiano.-
Era italiano. Era come Elisabetta.
Finalmente Casey realizzò dove aveva già sentito quell'accento strano.
-Sei italiano? Non lo avrei mai detto.- confessò, interessato -Mi piacerebbe andarci, un giorno.-
-Te lo consiglio. Terra meravigliosa, piena di storia e cultura. E buon cibo, ovviamente.-
“Conosco qualcuno che ci farebbe diversi pensieri su quest'ultima parte...” pensò Casey, alludendo a Michelangelo. Ma anche gli altri tre non si sarebbero esonerati.
Disgustato dal caffè, Andrea bevve un sorso di aranciata, per mandare giù il club sandwich.
-Non per essere indiscreto...- disse, con gli occhi fissi su Casey -Perché quei tizi ce l'avevano con te?-
Una domanda ovvia, visto che era proprio da loro che Andrea lo aveva salvato.
Come minimo, gli doveva una spiegazione.
-Beh, so che a guardarmi non si direbbe...- spiegò, osservando le proprie dita tamburellare sul tavolo -... ma sono un membro della SWAT.-
Andrea si stupì in effetti: Casey era in canottiera, pantaloni da ginnastica e portava una maschera da hockey, con la relativa mazza appresso. Non dava l'idea di essere uno della SWAT.
-E... beh, da un po' di tempo, il dipartimento di polizia sta seguendo un caso di traffici illeciti di antiquariato. Della gente va in tutto il mondo a rubare cimeli di grande valore, con cui viene pagata. E le tracce portano ad un noto imprenditore qui, a New York, Paul Longino.-
Andrea si pietrificò, nel sentire quel nome.
-Paul Longino?!- esclamò, sorpreso.
Casey si fece confuso.
-Sì, perché? Lo conosci?-
L'italiano si morse il labbro inferiore, guardando in basso.
-Ehm... forse...- mormorò -Beh, diciamo che... sono stato “invitato” a casa sua per intrattenere i suoi ospiti con la mia magia. Mi aveva promesso una bella somma di denaro. Ma mi ha cacciato via, senza pagarmi.-
-Un trucco di magia finito male?-
-Lo hai detto. Mi ha fatto buttare fuori dalle sue guardie! Certo che questa gente è davvero maleducata!-
-E hai notato niente di sospetto, in quella casa?-
-Aveva dei pezzi da collezione davvero molto suggestivi. Continuava a raccontare che appartenessero al Tempio di Salomone, prima di essere razziato dall'imperatore Tito.-
-Quei pezzi sono stati rubati, da quanto riferito dai nostri infiltrati che si sono finti suoi ospiti di una delle sue cene.- rivelò Casey -Purtroppo, però, non ci sono prove concrete che lo testimonino. A quanto pare, i capi vogliono prove più concrete, per confermare i sospetti. O è Longino stesso ad aver corrotto i piani superiori per non avere più gli sbirri alle calcagna. Persino la mia squadra è esonerata da questo caso. Mi sono reso conto che da agente non posso fare nulla. Ma da giustiziere invece sì.- aveva la sua maschera da hockey tra le mani, fissandola ridendo -Un tempo ero così, in effetti. Esercitavo la mia giustizia dove la polizia non poteva agire. In parte era per vendetta contro delle persone che hanno rovinato la mia famiglia, ma questa è un'altra storia. Ma quel mestiere non paga. E ora che sono marito e padre devo mettere la testa a posto. Ma in fondo, è proprio per loro che stasera ho intenzione di trasgredire le regole.-
-Sei sposato?-
-Sì, e ho anche un figlio, Arnie. E presto nascerà anche il mio secondogenito.-
-Beh, congratulazioni, Casey. È bello conoscere una persona così dedita alla propria famiglia.-
-Anche tu hai una famiglia?-
Andrea assunse uno sguardo cupo.
-Sono divorziato.- ammise; stava parlando lentamente; diede l'impressione che non fosse un argomento piacevole di cui parlare; ma si illuminò un istante dopo -E ho due figlie.-
Mostrò una foto: vi erano raffigurate due bambine di dieci anni, una mora, l'altra bionda. Ma la foto era quasi accartocciata. Sembrava vecchia di qualche anno.
-Quest'anno la più grande compie quindici anni.- spiegò, riponendo la foto nel portafoglio -Ma mia moglie non mi permette di vederle. Pensa che non ha voluto nemmeno gli alimenti, durante il divorzio.-
-Mio Dio, mi dispiace davvero, Andrea.-
-Non importa. Ormai ci convivo. Diciamo che la magia colma quel vuoto. Non posso dire altrettanto del mio stomaco...-
Casey fissò i piatti vuoti di fronte a sé, quasi ridendo. Non fu sorpreso dal fatto che Andrea avesse sempre fame.
-Ho degli amici ingordi, ma tu li batteresti ad una gara di abbuffate, mangiando anche le portate che avanzano loro.-
Ed i cosiddetti “amici” di cui parlava Casey erano larghi il doppio o il triplo di Andrea.
Di natura, una sfida simile sarebbe stata impossibile.
-Beh, Andrea è stato davvero un piacere, ma ora devo tornare alle mie indagini.- disse, in procinto di alzarsi -Stammi bene.-
Andrea alzò lievemente la voce.
-No, Casey, aspetta! Non puoi farlo da solo. Ascolta, perché non mi porti con te? Tu vuoi smascherare i suoi traffici illegali, io vendicarmi di avermi buttato fuori senza pagarmi.-
-Apprezzo il tuo aiuto, Andrea, ma questa è gente pericolosa. Non posso permettermi di rischiare la vita di un cittadino.-
-Ma posso esserti di aiuto!-
-Con tutto il rispetto, ma credo che servirà ben più di un trucco di magia di sparizione contro un imprenditore che ha la casa piena di bodyguard.-
La loro discussione fu interrotta da due uomini, introdotti con prepotenza nel diner. I loro volti erano coperti da passamontagna ed erano armati di pistole, che puntarono alla cassiera.
-Forza, bellezza, metti tutto nel sacco!- minacciò uno di loro, mostrando un sacco nero della spazzatura.
L'altro si mise dietro il compare, puntando la pistola ai clienti spaventati.
-E voi non azzardatevi a muovervi o vi sparo!-
Casey sospirò.
-Questa gente spunta proprio da tutte le parti come funghi...- borbottò, per nulla intimorito dalle minacce; in confronto ai Dragoni Purpurei ed al Clan del Piede, quelli erano bulletti; furtivamente, si accinse a mettersi la maschera da hockey sulla faccia e prendere la mazza da baseball -Nessuno minaccia la mia città in mia presenza!-
Un'improvvisa folata di vento colpì il suo braccio sinistro.
Ma lui non si fece domande. Il suo obiettivo erano i due rapinatori.
Questi, da minacciosi, si erano fatti confusi. Si guardarono le mani: le loro pistole erano sparite.
-Ehi, qui la gente desidera mangiare in pace!-
Colpì entrambi i rapinatori, aspettandosi di essere minacciato con le pistole. Anche se le avessero avute, lui non avrebbe esitato.
Ma loro avevano altri assi da sfoderare: semplici armi da mischia, soprattutto tirapugni.
Furono inutili contro la mazza da baseball e la rabbia dell'uomo.
Per fortuna, la cassiera stava già chiamando la polizia, prima che la situazione degenerasse.
I poliziotti arrivarono in poco tempo.
I due rapinatori furono messi in manette e trascinati nella macchina.
Nelle testimonianze, i clienti parlarono di un uomo con la maschera da hockey, in compagnia di un senzatetto.
Ma erano entrambi spariti, all'arrivo della polizia.
Casey ed Andrea si erano nascosti nel vicolo più vicino.
Casey non poteva farsi riconoscere: avrebbero riconosciuto un membro della squadra SWAT, per poi fare rapporto ai superiori e probabilmente licenziarlo.
-Beh, stavolta è stato facile.- esultò, soddisfatto -Come vedi, non ho bisogno di aiuto. E si sta facendo tardi. Prima vado da Longino, prima è. Tu faresti meglio a tornare a casa. New York è pericolosa, di notte.-
Stava per andarsene, ma Andrea gli fischiettò, attirando la sua attenzione. Aveva due pistole in mano.
-Ma che...?! Cosa?!-
Casey le riconobbe: erano le pistole dei due rapinatori.
Ecco perché sembravano spaesati, ad un certo punto, pensò.
-Ma quando...?!-
-L'ho detto. Sono un prestigiatore.- rivelò, di nuovo -Li ho disarmati un attimo prima che li picchiassi con la mazza.-
Gettò a terra le pistole, con aria soddisfatta.
-Andiamo, Casey, ti serve il mio aiuto!- implorò -Se non li avessi disarmati, saresti morto! Non puoi affrontare Longino da solo!-
Casey sospirò, grattandosi dietro la nuca.
Doveva prendere una decisione. Ma poi, realizzò di non avere molta scelta.
-In realtà, non stavo pianificando di andarci da solo.- rivelò -Gli amici di cui ti parlavo... beh, mi hanno sempre guardato le spalle in molte occasioni. Stavo pensando di chiedere a loro. Ma poi ci sono stati quei tizi.- guardò l'orologio -Ora si è fatto tardi e loro abitano lontano da qui. Non farei in tempo per tornare a casa, senza che mia moglie mi telefoni all'improvviso, chiedendomi dove mi sia cacciato.-
Fece una piccola pausa, osservando il volto implorante dell'italiano.
Lo aveva salvato dalla banda di criminali che lo aveva aggredito. E lo aveva aiutato contro quei due rapinatori.
Cedette alla richiesta, alzando gli occhi come per dire: “Se proprio devo...”
-Va bene, puoi venire.- fu la sua risposta.
Andrea tirò un sospiro di sollievo e fece un piccolo gesto di vittoria.
Uscirono dal vicolo, camminando per la strada.
-Allora, come facciamo ad andare da Longino? A piedi?-
-No, mio caro Andrea. Io viaggio in grande stile.-
Erano tornati nel vicolo dove si erano incontrati. Lì vicino, c'era parcheggiata una moto, una Harley Davidson.
Casey porse ad Andrea un casco nero con le decorazioni dorate.
-Indossa questo.- suggerì -Spero ti stia. È quello di mia moglie.-
La sua testa entrò perfettamente nel casco.
Ora salta su.- Casey aveva già indossato il suo ed acceso il motore della moto -Andiamo a smascherare Longino.-

La villa dell'imprenditore Paul Longino si trovava a mezz'ora di moto dalla loro posizione, fuori città.
L'antiquariato gli aveva dato molti profitti. Persino la sua stessa casa era un museo.
Un lungo cortile divideva i due ospiti dalla villa. E persino un cancello nero. E almeno una ventina di bodyguard da Longino.
Non sarebbe stato semplice, per due persone. Casey si pentì di non essersi recato ugualmente dalle Tartarughe Ninja. Loro avrebbero distratto i bodyguard, mentre lui si occupava di Longino.
Un prestigiatore non sarebbe stato sufficiente ad intrattenerli.
O forse sì.
Ma non aveva tempo di stillare un piano: non era mai stato quel tipo. Lasciava sempre che fossero Leonardo o April a fare da strateghi. Lui e Raffaello erano più tipi da azione.
Ma, in quel momento, doveva farsi venire in mente qualcosa.
-Casey? Tutto bene?-
La voce di Andrea lo distolse dai suoi pensieri.
-Stavo riflettendo su come agire...- ammise; si morse un labbro inferiore -Anche se riuscissimo ad entrare, Longino avrà piazzato uomini ovunque. Arrivare a lui sarà impossibile...-
In realtà, non sapeva neppure da dove iniziare.
Dovette ricorrere al trucco che sfruttava spesso contro i Dragoni Purpurei, prima di incontrare le Tartarughe Ninja: l'assalto alla cieca.
Non era il piano migliore, ma non aveva altra scelta.
-Andrea, reggiti forte!- avvertì, mettendo gas al motore senza muoversi -Sfondiamo il cancello!-
Andrea fece come ordinato.
La moto sfrecciò a tutta velocità contro il cancello nero.
Una moto normale non sarebbe riuscita a sfondarlo. Per fortuna, Donatello vi aveva apportato delle modifiche, su sua richiesta rendendola una vera moto d'assalto.
Riuscì persino a farla impennare, per una buona entrata ad effetto.
Andrea dovette tenersi alla moto con tutte le sue forze, per evitare di cadere.
Il cancello nero si aprì senza opporre resistenza. Ma un cardine superiore si sganciò dal muro.
Erano vicini all'entrata principale. Due guardie vi erano appostate.
All'introduzione della moto, avevano puntato le proprie pistole verso i due uomini.
Casey, per una frenata efficiente, dovette cambiare posizione con la moto: spostò lo sterzo verso destra, volgendo il fianco all'entrata.
Le due guardie vennero travolte dalla moto, cadendo per terra senza aver avuto l'occasione di sparare.
Casey ed Andrea risero, pieni di adrenalina.
-Che sballo!- esultò il primo.
Si erano introdotti nella villa.
Dovevano solo sbarazzarsi dei bodyguard di Longino, per arrivare a lui.
Casey per farsi coraggio, pensò alle due bande criminali più pericolose di New York che aveva affrontato in passato: il Clan del Piede ed i Dragoni Purpurei.
Niente poteva essere peggio di essi.
Sì, poteva affrontare i bodyguard da solo.
-Andrea, ascolta.- iniziò, rivolto al suo compare; si sistemò la maschera da hockey sul volto, una volta toltosi il casco; anche Andrea si era tolto il suo -Io entro, faccio secchi i tipi che incontro e inchiodo Longino al muro. Tu mi farai da palo.-
Non voleva esporre il prestigiatore ad un rischio così alto.
Andrea impallidì. Ma non a causa delle parole di Casey.
-Attento, alle spalle!-
Altri due uomini erano usciti dalla villa, con le pistole in mano.
Casey, lesto, prese la sua mazza da hockey.
-Oh, sì! Adesso ci divertiamo! Andrea, mettiti al sicuro!-
In quell'istante, Andrea non si mosse.
-Casey, perdonami.- mormorò.
Fissò i due bodyguard, serio. Anzi, stava fissando l'entrata.
Le sue iridi non erano più color mare: c'erano due croci rosse, al loro posto.
Andrea non era un prestigiatore: era un templare.
Il mondo si fermò, non appena fece il primo passo.
Ad ogni suo passo di corsa, il tempo, intorno a lui, rallentava.
Prima di entrare, si era persino tolto l'impermeabile, lasciandolo cadere per terra.
Sotto aveva la divisa di assalto templare: giubbotto antiproiettile bianco con croce rossa in mezzo, su tuta mimetica nera. Due cinture erano legate alle sue gambe, su cui erano fissati due foderi, contenenti due coltelli, che impugnò all'istante.
Schivò entrambi i bodyguard e Casey, entrando nella villa.
Era durato un battito di ciglia. Casey non si era accorto di nulla. E non si sarebbe accorto di altro, fino alla fine del suo combattimento con i due omoni.
Appena entrato nella villa, Andrea si trovò all'interno di un ampio salotto, dai muri bianchi, arredato esclusivamente di bacheche contenenti vasi, cimeli, argenteria, pezzi di intonaco, parti di mosaici, tutti tesori antichi risalenti all'Impero Romano. Trovò persino i tesori del Tempio di Salomone requisiti da Tito, durante il suo saccheggio.
A difenderli, c'erano altri bodyguard.
Nessuno di loro si accorse del templare. Lui si muoveva velocemente, intorno a loro.
Infatti, ogni uomo crollò per terra, un istante dopo che del sangue schizzò fuori dalla loro gola.
Era tutta opera di Andrea. La velocità era il suo potere. La sua specialità era la spada, ma i coltelli erano più versatili per uccidere molte persone in poco tempo.
Stava creando una scia di morte. Al suo passaggio, una persona moriva. Gli bastava passare il coltello sulla sua gola. E nessuno poteva vederlo.
Le bacheche si macchiarono di sangue.
Persino per le telecamere sarebbe stato solo un caso, se i bodyguard cadevano per terra con le gole squarciate.
Un bodyguard, momentaneamente salvo dall'attacco di Andrea, non appena aveva notato la moto sfondare il cancello, era corso dal suo capo.
L'ufficio di Longino si trovava al piano superiore.
Paul Longino, un uomo di origine italiana di quasi sessant'anni, ancora giovanile di aspetto, volto squadrato, ma privo di emozioni, fisico ancora atletico sotto il suo completo bianco con camicia viola, stava sistemando dei fogli in un dossier, incurante dell'assalto.
-Signore!- aveva esclamato l'uomo, spalancando improvvisamente la porta; il suo sguardo era preoccupato -Dei trasgressori sono entrati nella villa! I nostri uomini...! Ugh!-
Un dolore improvviso alla schiena lo paralizzò. Cadde per terra.
Un coltello era conficcato in mezzo alle scapole.
Una persona apparve alla porta: un uomo decisamente più magro del bodyguard.
Longino lo guardò con aria incuriosita, ma altrettanto allarmata e furiosa.
-Ancora tu?!-
Le due luci rosse sugli occhi si spensero.
L'intruso si rivelò.
-Buonasera, signor Longino...- sibilò Andrea, con sguardo serio e risoluto -Noi due abbiamo un affare in sospeso.-

 

Un bodyguard aveva bloccato Casey alle spalle, abbracciandolo da dietro ed intrecciando le dita sul suo petto. L'altro aveva già stretto un pugno per colpirlo al ventre, ma Casey contrasse gli addominali e si diede lo slancio, colpendo lui al ventre. Poi si era spostato di lato, facendo forza sulle sue spalle per far inciampare il suo aggressore sulla sua gamba.
Finalmente era libero.
Gli insegnamenti di Splinter e delle Tartarughe erano stati utili, per liberarsi da prese simili.
Con la mazza da baseball diede dei colpi precisi sui due omoni: su quello ancora in piedi puntò alla tempia con un colpo orizzontale, mentre a quello che aveva fatto inciampare prima lo colpì sullo stomaco e poi in piena faccia.
Entrambi i bodyguard persero i sensi.
Casey rise, soddisfatto.
Si permise di togliersi la maschera, mettendosela semplicemente sopra la testa.
-Visto, Andrea? Te lo avevo detto che me la sarei cavata.- si era chinato per terra, riprendendo la mazza da hockey -Ora aspetta che entri lì dentro e...-
Notò qualcosa per terra: l'impermeabile di Andrea, il suo cappello. Persino i guanti bianchi, ancora sporchi di formaggio spalmabile e mostarda dei panini che aveva mangiato.
-Andrea?- chiamò, preoccupato.
Guardò dietro le colonne che sorreggevano un terrazzo sopra l'entrata.
-Andrea? Dove sei? Non devi avere paura, li ho stesi, quei due.-
Sentì un suono alle sue spalle.
Un urlo soffocato.
Proveniva dall'entrata principale.
La porta era mezza aperta. Spuntò una mano, piena di sangue.
Gradualmente, comparve anche il resto del corpo.
Un bodyguard stava cercando di uscire, strisciando sul pavimento, ma usando solo una mano, piegando le dita, come se di fronte a sé ci fosse una parete da scalare.
Casey si allarmò: del sangue stava uscendo, fresco, dalla gola. C'era uno squarcio proprio sulla zona della carotide.
Era un miracolo se quell'uomo avesse ancora avuto la forza di muoversi.
Ebbe solo la forza di alzare lo sguardo verso Casey e pronunciare, con voce molto flebile, strozzata: -De... mo... nio...-
Poi si sdraiò completamente sulla soglia, esalando l'ultimo respiro, con gli occhi aperti dietro gli occhiali.
Casey lo guardò terrorizzato.
Andrea era scomparso. E un uomo era uscito dalla villa, coperto di sangue.
Non poteva essere una coincidenza.
Cominciò a nutrire dei sospetti, sull'uomo che lo aveva salvato.
“No, no, no...”
Mordendosi entrambe le labbra, decise di entrare nella villa: era ancora determinato ad affrontare Longino faccia a faccia.
Un odore acre gli fece arricciare il naso, non appena fu più vicino alla porta, costringendolo a stringerlo.
Lo spettacolo che si trovò di fronte lo lasciò sconvolto: file di bodyguard morti, sdraiati per terra in posizione scomode, con le gole squarciate. Esattamente come l'uomo che aveva tentato di uscire.
Il salotto era coperto di sangue. I muri, le bacheche, persino i mobili.
Casey dovette trattenere un conato, dall'odore, e dalla vista macabra.
-Ma cosa...?-
Era come se fosse all'interno di un film dell'orrore. Ma quella era la realtà.
Decise comunque di entrare.
Il suo piede scivolò, ma lui riuscì a recuperare subito l'equilibrio.
C'era sangue anche sul pavimento. Era come camminare sulla cera, ma più appiccicoso.
Le sue suole erano già sporche.
-Che schifo...-
Non era rosso, come nei film, ma marrone.
-Andrea!- chiamò, di nuovo.
Non lo aveva visto, all'esterno. Forse si era nascosto. O forse, davvero, si trovava di fronte a Longino.
Ma quei cadaveri... Casey si chiese come fosse riuscito ad ucciderli tutti.
A giudicare dalle loro mani, non avevano ancora preso le pistole.
Era una magia?
Presto avrebbe scoperto la realtà sul suo alleato.
Era preoccupato per lui, ovviamente. Ma aveva un obiettivo da seguire.
Le scie di cadaveri proseguivano sulle scale. Se anche Andrea aveva Longino, come obiettivo, era ovvio si sarebbe diretto nel suo studio.
Seppur disgustato, Casey seguì quella scia, reggendosi sul corrimano, per non scivolare sul sangue.
Tutte persone che Andrea aveva eliminato, mentre lui era impegnato con soli due bodyguard.
Era un'impresa impossibile per un essere umano comune.
Ed in quel lasso di tempo, aveva persino sostenuto la seguente conversazione con Paul Longino.
-Noi due abbiamo un affare in sospeso.- aveva detto, una volta entrato nel suo studio.
Longino si alzò dalla sua scrivania, a testa alta, con gli occhi cerulei che fissavano freddi il templare, con aria da sfida.
-Per quanto mi riguarda, noi abbiamo finito stamattina.-
Parlava italiano molto fluentemente, nonostante il forte accento americano.
Andrea non si fece intimorire da quello sguardo. Si fidava del suo potere. Era pronto a sfoderarlo in qualunque momento.
-I soldi che mi ha preso...- disse, con tono serio e freddo, quasi minaccioso -Li rivoglio.-
Neppure Longino era intimorito dal templare.
Si permise una piccola risata a bocca chiusa, per esprimere il suo disaccordo.
-Perché mai dovrei restituirteli?- provocò, da perfetto uomo di affari strafottente.
-Il nostro affare non è concluso.-
Nel momento della proposta, infatti, Andrea aveva porto a Longino una borsa grande quanto un borsone da palestra. All'interno c'erano delle monete d'oro, ovvero valute templari.
-Sono sue, se le vuole.- aveva spiegato il templare -In cambio, deve solo giurare fedeltà all'ordine templare e consegnarmi la lancia di Longino. Se i soldi non le bastano, possiamo aggiungerne altri.-
Ma non era stato furbo. Un uomo come Paul Longino non avrebbe mai ceduto un cimelio come la lancia di Longino per una semplice somma di denaro.
Era il suo orgoglio. Il suo tesoro. Un tesoro che portava il suo nome, quindi il prezzo era persino doppio.
E gente meno furba di lui era disposta a pagare, per poterla osservare.
Avrebbe perduto il suo più caro tesoro e la sua principale fonte di profitto, se l'avesse ceduta.
Da come aveva chiamato i bodyguard, un attimo dopo, Andrea aveva intuito la risposta.
Dovette usare il suo potere, per scappare.
Neppure l'allarme antintrusi bastò per fermarlo.
In un battito di ciglia, Andrea era scappato da villa Longino. Ma aveva lasciato lì i soldi.
E non poteva tornare alla Base a mani vuote.
Per tutto il giorno, infatti, aveva pensato a come tornare lì dentro.
Casey era apparso miracolosamente. E anche lui stava cercando Longino.
Era la sua occasione; poteva essere una distrazione, ma non avrebbe fatto da esca.
L'ordine templare, in fondo, imponeva di non uccidere o mettere in pericolo anime innocenti.
Per questo lo aveva lasciato fuori contro i due bodyguard, mentre lui irrompeva nella villa: era certo che se la sarebbe cavata.
Non era contento di aver mentito a Casey, ma non poteva rivelargli di essere un templare.
Per fortuna, aveva retto alla storia del prestigiatore.
Non avrebbe mai acconsentito ad accompagnarlo, se gli avesse rivelato la verità.
I bodyguard lo avrebbero ucciso e Andrea non avrebbe mai ottenuto la lancia di Longino.
Era giusto che le cose fossero andate in quel modo.
-E il mio Magister non accetta che torni a mani vuote.- fece notare, alzando il volume alla parola “Magister”.
Longino rise di nuovo.
Non era intenzionato a cedere.
-Temo dovrai deludere di nuovo il tuo cosiddetto Magister.-
Si aspettava che il templare scappasse di nuovo; ma Andrea non si mosse. Si era messo di fronte alla scrivania, risoluto, determinato a concludere la missione, in un modo o nell'altro.
-Non ho detto che ho intenzione di finire l'affare nel modo diplomatico.- chiarì; la sua mano era già vicina ad uno dei coltelli -Tutto dipende dalla sua decisione. Lei ci tiene a questi cimeli che ha rubato, non è così? Non getti via la sua vita per un unico pezzo. Concludiamo l'affare. In fondo, le stiamo solo chiedendo di accettare la nostra protezione ed i nostri soldi solo in cambio della lancia di Longino, non del suo intero impero.-
Qualsiasi uomo del livello di Longino non avrebbe esitato ad accettare. Persone con la paura di perdere tutto ciò che avevano costruito con mezzi legali o meno.
Uomini che avevano investito tempo, denaro, persino vite umane, per costruire un impero.
Andrea sperava finalmente di far breccia nell'orgoglio di Longino: non voleva spargere altro sangue.
Aveva ucciso quei bodyguard per proteggere Casey e tenerlo lontano da altri guai.
Sebbene si conoscessero da poco tempo, non voleva metterlo in pericolo.
Lo sguardo di sufficienza di Longino fece crollare le sue certezze.
-Protezione? Non ho bisogno di essere protetto.- qualcosa iniziò ad insospettire il templare -E non ho intenzione di cedere il mio pezzo più pregiato a dei fanatici. Pensate davvero che in mano vostra sarà più al sicuro?-
Si era allontanato dalla sua scrivania, avvicinandosi alla bacheca al centro della stanza, ove era conservata la leggendaria lancia di Longino.
Aveva una mano in tasca; stava nascondendo qualcosa.
-Come intendete usare la leggendaria Lancia di Longino?- riprese, indicandola -Ripeterete ciò che i nostri antenati, nelle Crociate, hanno fatto a innumerevoli innocenti, solo perché praticavano una religione differente? Quante crudeltà sono state commesse, in nome di un concetto astratto come la fede? Quante volte l'umanità si è giustificata dicendo: “Stiamo agendo nel nome di Dio. Tutto ci è perdonato.”.-
Stava praticamente insultando l'ordine templare. Quale membro, Andrea non poteva rimanere impassibile.
Strinse un pugno, cercando di trattenere la rabbia. Per fortuna, non era Flagello. Lei lo avrebbe ucciso all'istante.
Longino fece il segno “no” con il dito.
-Scuse ridicole per giustificare il nostro bisogno di dominare.- aggiunse, tornando dietro la sua scrivania, mettendosi a sedere sulla sedia.
Non mentiva. La storia testimoniava le sue parole.
Ma non poteva essere il fine di David, nella sua ricerca del Graal. Andrea continuava a pensarlo, per convincersi che stava facendo la cosa giusta per il mondo.
Non si era posto domande, nelle sue missioni. Neppure per quale motivo il Magister fosse interessato a collezionare le sacre reliquie. Diceva sempre che era per raggiungere l'obiettivo dell'ordine templare.
Ma se fosse stato così, perché Benedizione era stato condannato? Era sempre stato fedele all'ordine, era un ragazzo sincero e dedito ai propri doveri, non era un ribelle.
Il suo tradimento e la conseguente condanna a morte aveva sorpreso e sconvolto il resto dei confratelli.
Cosa lo aveva spinto a tradire i templari?
In effetti, da quel giorno, non era raro che Andrea o qualche altro suo confratello nutrisse dei dubbi verso l'ordine.
Ma per non fare la stessa fine del confratello, continuavano a ripetersi: “È per il bene del mondo.”
Così riacquistavano la fede e la loro devozione all'ordine. Talvolta si autofustigavano per quei pensieri, purificando le loro anime.
Ma ciò che fece contrariare il templare fu che quelle stesse parole le stesse pronunciando un uomo che, per costruire il suo impero, avesse ricorso a scavi abusivi ed agevolato il contrabbando di reliquie per il proprio profitto.
-È vero, io non sono tanto diverso.-
Longino aveva letto la sua mente.
-Ma almeno la mia filosofia si basa su una cosa reale, il denaro.-
Era una giustificazione che non aveva una base solida. Era come un castello costruito su un terreno sabbioso.
In realtà, ad Andrea non importava dei traffici illeciti dell'uomo. Aveva offeso il suo ordine, e la reliquia era ancora nelle sue mani.
-Non si permetta di insultare il mio ordine.- minacciò, serrando le labbra -Io ho solo degli ordini da seguire. E compirò la missione a qualunque costo.-
Neppure quelle parole fecero arretrare Longino.
Continuava ad osservare il templare con aria sufficiente.
-E cosa vuoi fare? Uccidermi?-
“Se necessario.” avrebbe risposto Andrea.
La sua mano era già pronta ad impugnare il coltello.
Qualcosa, o meglio, qualcuno, interruppe la loro conversazione.
Casey era entrato nell'ufficio con passi di corsa, e la maschera da hockey abbassata.
-Paul Longino!- esclamò -Finalmente dovrai confessare...!-
Notò che non era da solo.
Andrea era di fronte a lui. Da Longino, il suo sguardo si era spostato su Casey. Preoccupato.
Aveva lasciato l'impermeabile ed il cappello all'entrata.
Ora aveva visto cosa celavano.
Sentì il suo cuore fermarsi.
Non aveva previsto quell'imprevisto, nel piano.
Casey, infatti, era rimasto sgomento.
Si era persino tolto la maschera, per assicurarsi di non aver avuto un'allucinazione. Ma ciò che stava vedendo era reale: la tuta mimetica nera ed il giubbotto antiproiettile bianco. E l'anello crociato alla mano destra.
-Sei un templare...?!-
Non era chiaro se quello che stava provando Casey fosse sorpresa o sgomento.
Ma Andrea gli aveva mentito sulla sua vera natura.
Longino prese in mano la situazione.
Infatti, sorrise, appena notò lo sguardo di Casey.
-Ah! E così ti sei alleato con lo sbirro che ho sempre alle calcagna!-
Aveva riconosciuto Casey, non appena si era tolto la maschera da hockey.
Il suo sguardo indicava ben oltre quello che voleva esprimere. Come se avesse in serbo un piano per mettere alla prova il templare.
Tirò la mano fuori dalla tasca: stava stringendo una pistola, che puntò proprio a Casey.
-Vediamo un po' a cosa tieni di più, se alla tua missione o a questa testa calda!-
Risposte per una vita innocente.
Longino aveva puntato davvero in basso, pensò Andrea.
Non poteva permettere che Casey morisse. Non era un nemico dell'ordine.
-No!- esclamò.
Le sue iridi cambiarono di nuovo colore e forma. Il mondo si fermò di nuovo, intorno a lui.
Fece il suo primo passo verso Longino. Poi un altro. E un altro ancora.
Corse, mettendosi tra Longino e Casey.
Il dito era già sul grilletto, e stava per premerlo.
Non poteva spingere Casey: avrebbe ricevuto lui la pallottola. Il giubbotto antiproiettile lo avrebbe salvato, ma Longino sarebbe scappato.
Non aveva altra scelta.
Al rumore di uno sparo era seguito il rumore di un'esplosione. Del sangue era apparso sul muro e sulla scrivania.
Quando Casey era entrato nella stanza, Andrea era di fronte alla scrivania di Longino.
In un battito di ciglia, era di fronte all'uomo.
Aveva preso in mano la pistola e la stava puntando a Longino stesso.
Il grilletto era già stato premuto: Andrea era riuscito a disarmarlo, usando il suo potere, per poi girare l'arma verso di lui.
Aveva salvato una vita, ma non aveva ottenuto quello che voleva. Non ancora.
Longino inclinò la testa verso il basso, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. C'era un foro sulla sua fronte.
-Andrea...-
La voce di Casey si era fatta tremante, inquieta.
Notò il sangue sul suo volto, sul suo giubbotto bianco. La pistola ancora in mano.
Andrea si morse entrambe le labbra. C'era pentimento nei suoi occhi. E non per la missione.
La priorità era la lancia di Longino, non tenere in vita l'imprenditore.
Casey aveva scoperto la verità.
-Tu sei un templare.- ripeté. Stavolta più sicuro.
Non c'era più motivo di nasconderlo; doveva ammetterlo.
-Sì, lo sono.- rivelò; pose la pistola sulla scrivania, sospirando -Io sono Andrea, detto Celeritas, perché la vita può cambiare in un secondo. Infatti, il mio potere è la velocità.-
Le folate di vento non erano un caso, realizzò Casey. Precedevano sempre l'istante in cui una persona veniva disarmata. O quando stava affrontando i bodyguard.
Andrea non era un prestigiatore. Non faceva sparire gli oggetti. Li prendeva e li nascondeva. Usando la sua velocità.
La sua mano tremò, dalla rabbia. Per essere stato ingannato.
-Mi hai mentito...- ringhiò, tra i denti.
Andrea alzò le mani, in segno di resa.
-Casey, lascia che ti spieghi...-
Gli aveva mentito di proposito, pentendosene di conseguenza.
Ma per proteggerlo.
Dopo l'esperienza vissuta da Raffaello, Casey aveva iniziato a vedere i templari come era solito vedere i Dragoni Purpurei.
Prese la mazza da baseball, roteandola una volta.
-No, non mi devi spiegare proprio niente!-
Quando si arrabbiava, non esistevano ragioni.
Urlò, caricando la mazza.
Andrea schivò il colpo, senza usare il suo potere: la mazza colpì la scrivania, invece. Nonostante fosse fatta di metallo, si era formato un incavo profondo. E la mazza non si era spezzata.
Andrea non si impressionò. Era, invece, preoccupato per l'uomo.
-Come hai potuto?!- esclamò questi, accecato dalla rabbia; si era persino rimesso la maschera da hockey -Io mi sono anche fidato di te!-
-Credimi, dispiace anche a me!-
Casey colpiva in ogni parte. Erano colpi che Andrea riusciva facilmente a schivare.
Non si stava rendendo conto di star infrangendo le bacheche. L'allarme non scattò: non era stato ancora installato. Longino era solito mettere l'allarme solo quando si coricava per la notte.
-Ma ho dovuto mentirti!-
-E abbandonarmi alla prima occasione?!-
-No, questo mai!-
-Su cosa altro mi hai mentito, eh?! E quel discorso sulla tua famiglia?! Hai mentito anche su di loro?!-
-No, quello è vero! Ho davvero due figlie!-
La foto era vecchia, ma era vera.
-Altro che prestigiatore! Sei un bugiardo!-
-L'ho fatto per proteggerti!-
-Non ti credo!-
Andrea non poteva continuare a parlare con Casey in quel modo.
Doveva trovare un modo per bloccarlo. O, almeno, disarmarlo.
Casey caricava sempre dall'alto, lasciando il petto scoperto. Sarebbe bastato un colpo sullo stomaco, per stordirlo.
Così, infatti, fece Andrea.
Era più gracile di Casey, ma il suo potere rese il colpo più potente.
Casey, infatti, si piegò in avanti. Un dolore alla bocca dello stomaco lo aveva bloccato.
Non si era accorto che era stata opera di Andrea. Come non si accorse del suo movimento verso la sua borsa, dove teneva le mazze.
Andrea prese quella da hockey, per poi tornare di fronte a Casey.
Non voleva colpirlo.
Prendendo bene la rincorsa, era riuscito ad atterrarlo, prendendolo alla sprovvista.
L'asta della mazza da hockey premeva sulla sua gola, ma non tanto da soffocarlo.
-Ti prego, Casey, devi ascoltarmi!- implorò Andrea; c'era pentimento nei suoi occhi e nella sua voce -È vero, non sono un prestigiatore e Longino non mi ha ingaggiato per intrattenerlo. Ero in missione ed ho fallito! Dovevo trovare un modo per tornare qui, o una scusa. Poi, quando ho scoperto che anche tu eri sulle sue tracce, ho deciso di cogliere l'occasione, ecco perché ho insistito affinché tu mi portassi con te! Non avevo intenzione di farti fare da esca con questi scimmioni, per questo li ho uccisi! Ti ho lasciato con quei due perché sapevo te la saresti cavata e per tenerti occupato mentre concludevo l'affare con Longino senza coinvolgerti! Devi credermi! Perché ti avrei salvato la vita, altrimenti?-
Casey non ne aveva la più pallida idea.
Non riusciva a ragionare, quando era arrabbiato.
Ma un fondo di verità riuscì a scovarla, nelle parole del templare.
Poteva benissimo dirigersi verso Longino, evitando le guardie. Ma li aveva uccisi. E forse non perché gli piacesse uccidere le persone.
L'ordine templare, in fondo, non prevedeva l'omicidio di innocenti.
E non voleva coinvolgere Casey nel suo affare con Paul Longino.
Notò che aveva smesso di dimenarsi. Si era calmato e fermato. Forse aveva capito.
E forse credette alle sue parole.
Andrea cominciò a lasciare la presa sulla mazza da hockey, cauto. Casey poteva sempre aggredirlo quando meno se lo sarebbe aspettato.
Non lo fece.
Entrambi si misero a sedere sul pavimento, riprendendo fiato dall'emozione.
Casey aveva scelto di credere alle parole del templare.
-Se non era per usarmi, perché mi hai salvato da quei banditi?- domandò, ancora sospettoso nei suoi confronti.
Ricevette un'occhiata sdegnosa ed incredula.
-Mi stai dicendo che dovevo lasciarti da solo contro quei pazzi?!-
Carità. Solidarietà. Pregi ormai rari, in tempi simili. O maschere che coprivano intenti egoistici.
Quello che aveva fatto Andrea forse era proprio per quel motivo.
Ma non aveva usato Casey come vittima sacrificale. Solo un mezzo per arrivare a Longino.
-Cosa consisteva la tua missione?-
Lo sguardo di Andrea era fisso su un punto, da quando aveva lasciato Casey.
Si alzò.
-Prendere quella.-
Camminò verso la bacheca in cui era conservata la punta della lancia di Longino.
La mazza di Casey aveva solo infranto il vetro, ma il cimelio era rimasto illeso.
Non la prese subito.
Casey, improvvisamente, sentì varie folate di vento sulle braccia: Andrea stava di nuovo usando il suo potere. Stava curiosando in vari punti della casa, alla ricerca di qualcosa.
-Che stai facendo?- gli chiese.
Andrea si fermò di fronte a lui. Teneva una borsa nera in mano.
-Cercavo questa.- rispose -Quello non ha accettato la mia offerta, ma si era tenuto i soldi. Come puoi notare, non siamo tutti bravi a trattare.-
Tornò di nuovo alla bacheca. Aveva persino ripreso i guanti che aveva lasciato all'ingresso, con cui prese la lancia per poi metterla nella borsa.
Casey, nel frattempo, ne approfittò per esaminare la scrivania di Longino.
Evitò il cadavere, facendolo girare dall'altra parte, ed esaminò tutti i suoi dossier. Si trattava di scavi abusivi in tutto il mondo, alla ricerca dei cimeli che esponeva con orgoglio nei suoi musei e nella sua stessa casa.
-Longino avrà fatto una fortuna con quella lancia...- notò, osservando le varie foto -Cosa avrà poi di speciale, questa lancia?-
-Questa lancia è nota per aver perforato Dominus Nostrum nella sua crocifissione.- spiegò Andrea, sistemando la lancia nella borsa -È stata impregnata del suo sangue. Pare abbia il potere di donare una forza sovrumana a chiunque la brandisca.-
-Un oggetto simile può essere pericoloso nelle mani sbagliate.-
-Il peggio è profanarlo con il profitto. Lo trovo vergognoso. L'ordine odia questo tipo di profanazione.-
-E pensi che nelle vostre mani sarà al sicuro?-
-Di certo non lo sfrutteremo per fare soldi.-
A Casey, in realtà, non importava molto di quel mondo: lui era lì per smascherare la figura di Paul Longino e mettere alla luce i suoi contrabbandi ed i suoi scavi abusivi. Se non per metterlo in carcere, per evitare che la sua figura venisse santificata e lui reso un povero martire.
I suoi dossier testimoniavano i suoi sospetti.
Diede un'occhiata all'ultimo, il suo scavo più recente.
Una grotta poco fuori New York. C'era Longino, con una figura di spalle. Una figura massiccia e con la testa coperta da un cappello.
Una foto lo fece allarmare.
-Andrea! Guarda qui!-
Corse verso il templare, con il dossier in mano. Teneva il dito poggiato su una foto.
Una parete rocciosa, probabilmente l'interno della grotta. C'era un'incisione.
Sembrava vecchia di anni, forse di secoli, ma era ancora leggibile.
-Che lingua è? Non è inglese, è forse italiano?-
-No, Casey, è provenzale.- spiegò il templare, serio -La lingua che si parlava a sud della Francia nel Medioevo, precisamente nel XII secolo.-
Assunse uno sguardo serio, mentre leggeva la frase.
-Riesci a tradurla?-
-Non sono sicuro, ma sembra qualcosa del tipo: “Il mio segreto si manifesterà, se l'ombra del ninja al canto del templare apparirà”...-
Quella frase lasciò entrambi gli uomini allibiti. Persino Andrea era confuso.
-Cosa significa?-
-Non ne ho la più pallida idea...- diede un'altra occhiata alla foto di Longino e l'uomo di spalle -Ma la vera domanda è: chi è il tipo di spalle?-
-In effetti, di recente, avevo sentito che Longino aveva un nuovo partner in affari.- ricordò Casey -Il che è molto strano, visto che tipi come Longino amano agire da soli...-
Qualcosa interruppe il suo discorso.
Un fruscio. Un sibilo.
Entrambi gli uomini si allarmarono.
-Casey...- mormorò Andrea, più pallido di Casey -Dimmi che era il tuo stomaco...-
-Strano, pensavo fosse il tuo.-
Non era un rumore interno.
I due uomini alzarono le teste, proprio verso il soffitto: era da lì che proveniva il rumore.
C'era qualcosa, infatti: una figura umana, che camminava come un geco.
Girò la testa verso il basso, senza girare il corpo.
Longino.
Il foro era ancora presente sulla sua fronte. Ma la sua pelle era divenuta violacea. E i suoi occhi bianchi, senza iride e pupilla.
-Ma cosa...?- fece Casey, sbigottito.
Andrea era il più pallido dei due.
-No! Non può essere!-
Longino, nel frattempo, era sceso per terra, atterrando nella stessa posizione in cui era sul soffitto. Mosse le spalle in modo strano: erano udibili dei suoni strani, come di ossa che si stavano ricomponendo.
Rivolse il volto verso i due uomini. Una smorfia demoniaca. Aprì la bocca, emettendo un suono, tipo un sibilo. La sua mandibola si era aperta a dismisura, toccando quasi il pavimento.
Andrea e Casey stavano già indietreggiando.
-Scappa...- mormorò il templare. Sembrava preoccupato. C'era qualcosa dietro il suo terrore verso la creatura che aveva di fronte.
-Cosa?-
-SCAPPA!-
Per non lasciare Casey indietro, Andrea non usò il suo potere, nella fuga.
La creatura, però, non rimase ferma, dopo aver emesso il sibilo: continuando a camminare come un geco, si stava dirigendo verso di loro.
Ed era anche veloce.
Scappare non era sufficiente. Li avrebbe raggiunti e sarebbe scappato dalla dimora.
Casey si fermò.
Dalla borsa estrasse la mazza da cricket.
La creatura aveva compiuto un salto, per aggredire i due uomini.
La mazza lo colpì sotto il mento. Il colpo gli fece compiere un salto di tre metri all'indietro, scontrandosi con il muro.
Cadde per terra, apparentemente privo di sensi.
Ora avevano la fuga assicurata.
-Bel colpo.- complimentò Andrea, guardando indietro ed assistendo all'azione.
-Ora siamo pari.-
Andrea aveva salvato Casey. Ora era stato Casey ad aiutare Andrea.
Stando attenti a non scivolare sul sangue, scesero le scale, tornando nel salotto.
Non potevano ancora scappare. Longino avrebbe ripreso presto i sensi.
-Cosa facciamo, adesso?- domandò Casey, nervoso.
Solitamente, erano le Tartarughe a stillare i piani. Lui era più tipo da fatti. Non aveva idea di come agire. Doveva contare su Andrea, sperando che avesse un piano.
La vera domanda che avrebbe voluto fargli, in realtà, era: “Cos'era quella creatura?!”
Ma non era il momento per le domande.
-Ascolta, Casey...- iniziò Andrea; era stranamente sicuro di sé; come se avesse un piano -L'unico modo per eliminarlo del tutto è il fuoco. Non abbiamo tempo per incendiare ogni stanza della villa, quindi l'unica soluzione è un'esplosione. Ci devono essere dei tubi del gas, qui da qualche parte. Basterà romperli e esporre una fiamma. La legge della termodinamica farà il resto.- e, tra i denti, in italiano, aggiunse -E dov'è Geena, quando c'è bisogno di lui...?-
-E se poi quello scappa?-
-Nell'ufficio c'è un sistema antintrusi. Ha tentato di usarlo con me, stamattina, ma sono riuscito a sfuggirci grazie al mio potere. Praticamente, tutte le entrate della casa, finestre comprese, vengono chiuse con serrande antincendio. È sufficiente per tenere chiusa quella creatura. Ti conviene scappare, Casey. Io verrò in un istante. Ti ho messo anche troppo in pericolo.-
-Pensi di fare tutto da solo, solo perché hai il potere della velocità? No, bello mio. Vuoi o non vuoi, anche io sono dentro questa situazione e non ti lascio solo contro quella... cosa.- protestò Casey -Non sarò veloce come te, ma sono abbastanza forte da rompere almeno i tubi del gas. Cosa puoi fare tu con quel fisico che hai?-
Andrea avrebbe dovuto essere offeso. Ma trovò l'osservazione divertente, a suo modo.
E, effettivamente, non poté obiettare. Non avrebbe avuto abbastanza forza per rompere gli spessi tubi del gas.
-Come scateniamo l'incendio?- fece notare Casey, grattandosi dietro la testa -Con il gas in circolo basterebbe anche la fiamma di un accendino.-
Andrea fece spallucce.
-Per quello non c'è problema. Ora stai fermo.-
Casey sentì di nuovo le folate di vento.
Andrea tornò con un accendino in mano.
-Dove lo hai preso?-
-Dalla tasca di uno di questi scimmioni. E per fortuna è di quelli che si attivano appena li apri. Quindi mi basterà lanciarlo, correre verso l'allarme antintrusi e poi scappare prima di finire arrosto. Chiaro?-
-Sì, tutto chiaro. Rompo i tubi e tu fai tutto il resto.-
Il piano era deciso. Ora era questione di tempo.
-Dove sono i tubi del gas?-
-Li ho visti in cantina, la porta laggiù.-
-Chiaro. Ah, tu prendi questa.-
Andrea prese la mazza da cricket.
-Se Longino torna, tu colpiscilo con questa.-
Udirono di nuovo un sibilo: Longino aveva ripreso i sensi.
-Tu vai, io lo distraggo!- ordinò Andrea -Mi raccomando, però. Quando rompi i tubi, corri subito fuori, capito?-
Non voleva che un innocente morisse in una sua missione.
Specie dopo quello che aveva fatto per lui e la sua determinazione a smascherare Longino.
Casey si rimise la maschera da hockey, alzando il pollice come risposta. Corse subito dove lo aveva indicato Andrea.
Longino comparve sulle scale, salendo sulla ringhiera.
Andrea agitò la mazza da cricket, per attirare la sua attenzione.
E funzionò.
La creatura saltò, per aggredirlo. Ma di nuovo venne colpito dalla mazza.
L'effetto non fu come con Casey.
Andrea aveva molta meno forza di lui.
Infatti, stavolta, Longino non perse i sensi: si era ripreso in un attimo.
Improvvisamente, però, sentì una forza intorno a lui. Un vento che girava intorno a lui. Di tanto in tanto, qualcosa lo colpiva.
Andrea gli stava girando velocemente intorno, per disorientarlo, e per prendere tempo.
Casey, intanto, era entrato in cantina.
Non fu complicato trovare i tubi del gas. In effetti, Andrea non avrebbe avuto la forza di romperli.
Con un colpo deciso della sua mazza da hockey staccò una giuntura.
Come suggerito da Andrea, corse verso l'esterno il più velocemente che poteva.
-Andrea, ora!- aveva urlato.
Il templare si distolse dalla creatura, per completare il piano.
Doveva riuscire a farlo in pochi secondi.
Attese di essere vicino alla cantina, per aprire l'accendino. Nella corsa, si sarebbe spento.
Si era fermato un attimo, infatti, prima di lanciarlo verso la cantina.
Lesto, usando il suo potere, tornò nell'ufficio, per schiacciare il bottone che avrebbe attivato le saracinesche. Era sotto la scrivania: lo ricordava bene da quella mattina.
Udì dei rumori pesanti: sarebbe rimasto chiuso all'interno, se si fosse fermato per un istante.
Uscì dalla villa scivolando sotto la saracinesca.
Casey lo stava aspettando.
-Corri, corri!- intimò il templare, trascinandolo lontano dalla villa.
Sentirono entrambi dei colpi provenire dall'interno: Longino era rimasto dentro.
Come pianificato, si verificò un'esplosione.
I due uomini vennero travolti dall'onda d'urto, cadendo per terra, ma non subirono danni.
Non erano abbastanza lontani, ma nemmeno troppo vicini.
Andrea udì un rantolo demoniaco. La creatura era perita. Ciononostante, non era tranquillo.
Casey osservò la casa con aria sgomenta: il soffitto era crollato e, nonostante le saracinesche, erano visibili le fiamme.
Avrebbe dovuto fornire tante spiegazioni ai suoi superiori, una volta che la notizia si sarebbe sparsa.
-Andrea...- disse, alzandosi -È normale che una persona ritorna in vita così, dopo che uno gli ha sparato?-
Nemmeno il tempo gli sarebbe servito per riprendersi da una visione simile: una persona tornata in vita, come un demonio, dopo essere stato ucciso da una pallottola. Dalla sua conoscenza con le Tartarughe, quella era stata la cosa più strana e sconvolgente a cui aveva assistito, persino più della trasformazione di April in demone.
Andrea scosse la testa, sospettoso.
-No, Casey, non è affatto normale.-
Poi pensò: “E temo di sapere chi sia il suo fantomatico partner... vuol dire che le cose sono peggio di quel che pensassimo...”
Casey non volle domandare altro: ciò a cui aveva assistito lo aveva sconvolto troppo. Tutto ciò che voleva, in quel momento, era dimenticare tutto.
Tranne ciò per cui si era introdotto nella villa.
Divenne persino più pallido di quando aveva visto zombi-Longino.
-Aspetta... i dossier!- ricordò, stringendo le dita delle mani nei capelli corvini -Sono rimasti là dentro! Ah! Accidenti! Tutto questo lavoro per niente!-
Notò qualcosa di fronte a sé.
-Stavi cercando questi?-
I dossier sugli scavi di Longino. Proprio tutti. Intatti, per giunta.
Il cuore di Casey smise di battere, per un attimo.
Li prese, aprendo solo i primi. Non li esaminò tutti.
-Ma cosa?- balbettò, incredulo -Come li hai...?-
Lo sguardo perplesso di Andrea gli diede la risposta.
-Oh, giusto.-
Doveva averli presi nei momenti in cui sentiva le folate.
Li aveva tenuti nella sacca dove era contenuta la lancia di Longino ed i soldi templari.
Si erano salvati dall'esplosione.
-Longino è morto, ma almeno non sarà santificato dai media.- osservò Andrea -Entrambi abbiamo completato le nostre missioni.-
Casey aveva recuperato i dossier che avrebbero incriminato l'imprenditore. E Andrea aveva ottenuto il cimelio e ripreso le valute templari.
Casey storse la bocca: Andrea era un templare. Ma non assomigliava affatto a quello che aveva torturato Raffaello.
Era anche simpatico.
Non avrebbe mai creduto di dovere la vita proprio ad uno di loro.
E quello valeva più della menzogna sulla sua vera natura.
Dopotutto, lui era ancora vivo.
-Andrea, mi spiace aver reagito in quel modo.- si scusò, mordendosi le labbra e grattandosi di nuovo dietro la nuca -È solo che... sai...-
Andrea tagliò corto: -No, Casey, avevi ragione. Ma devi capirmi. Ero sotto copertura. Se ti avessi rivelato che ero un templare, avresti accettato il mio aiuto con Longino?-
“Ti avrei pestato per bene con le mie mazze, tanto per cominciare. Per quello che uno dei vostri ha fatto a un mio amico.” pensò Casey, senza dirlo ad alta voce.
Non rispose, infatti.
Sebbene in debito con Andrea, non si fidava abbastanza da rivelargli di avere dei rettili giganti come amici.
Suoni di sirena si stavano avvicinando.
-I pompieri.- dedusse il templare -Casey, è meglio se non ci facciamo vedere. Tu potresti giocarti il posto nella SWAT e io non posso permettermi di mettermi in mostra.-
Casey annuì, senza obiettare.
Gli porse una mano.
-Allora addio, Andrea.- salutò, sorridendo lievemente -E grazie per il tuo aiuto, davvero. Se non fosse stato per te, sarei ancora due passi indietro.-
Andrea ricambiò il saluto.
-Prenditi cura di te, Casey. E promettimi una cosa.-
-Tutto quello che vuoi.-
-Non commettere il mio stesso errore. Prenditi cura della tua famiglia. Perché non c'è niente di più importante, nella vita.-
Un attimo dopo, Casey era rimasto solo.
In un battito di ciglia, Andrea era sparito.
Non aveva avuto il tempo di chiedergli cosa fosse effettivamente successo, con la sua famiglia.
-E quello mi sparisce...-
Si voltò verso l'edificio ancora in fiamme. La moto era “parcheggiata” vicino all'entrata.
Con l'esplosione, era quasi stata scagliata contro il cancello.
Non sembrava aver subito danni ingenti.
Non esteriormente.
Rialzandola, Casey non notò ammaccature pesanti.
-Beh, spero che Donnie abbia previsto che avrebbe subito un'esplosione.-
Mise la chiave e girò: il motore rombò.

-Eddai, Eli! Fammene assaggiare una fetta!-
-No, Mick, tu hai già mangiato le tue, questa è mia!-
Michelangelo aveva iniziato ad avere l'acquolina in bocca, non appena Elisabetta era tornata nel rifugio con un cartone di pizza. Quando poi l'aveva aperto, si erano persino formate le cascate del Niagara.
Era una vera pizza italiana, con il cornicione croccante fuori e morbido dentro, con vera mozzarella e pomodori organici, in più delle foglie di basilico come decorazione e nota di freschezza.
Addentando una sola fetta, la templare sentì i sapori della sua terra.
-Non è giusto... la prossima volta prendila anche per me!-
-Solo se la smetti di propinarmi le vostre porcherie da americani.-
-Non sono porcherie! Sei tu che sei schizzinosa!-
Splinter si era messo a leggere, mentre il resto delle Tartarughe si erano messi a guardare la televisione.
Anche a loro la pizza di Elisabetta aveva iniziato a fare gola.
-Ma quando arriva Casey...?- sospirò Raffaello, una mano sotto la sua mandibola -Sto cascando dal sonno...-
-Già. E questa è la quarta volta che April mi chiama in preda all'ansia...- fece notare Donatello, con tono seccato.
-Shh!- intimò Leonardo -Questa è una notizia importante.-
Il televisore era sintonizzato sul telegiornale. Stavano trasmettendo una notizia dell'ultima ora: a quanto pare, un uomo, leader di una delle bande criminali di New York, era stato trovato morto.
Sulla strada, non molto lontano dal rifugio, è stata notata una lunga striscia di sangue, insieme ai resti del suo corpo.
Secondo la scientifica, era stato come se qualcosa lo avesse agganciato e trascinato per terra ad una velocità paragonabile a quella di un jet. Ma non c'erano più parti del corpo per eseguire un'autopsia.
In compenso, un suo braccio era stato ritrovato in un vicolo, intatto.
Questo aveva portato all'ipotesi della scientifica.
-Bleah!- commentò Michelangelo, tirando fuori un pezzo di lingua -Che modo orrendo di morire!-
-La pulizia strade avrà un bel po' da fare, domani...- aggiunse Donatello, sarcastico.
-Chi potrebbe mai fare una cosa simile?! Cioè, non è umano!-
“Io avrei un'impressione su chi possa essere stato...” pensò Elisabetta.
Un'altra persona entrò nel rifugio.
-Ehi! Ragazzi! Mi sono perso qualcosa?-
Il tono squillante ed entusiasta di Casey destò le Tartarughe dal loro torpore.
Si alzarono tutti e quattro, per accoglierlo.
Raffaello batté il cinque con lui.
-Casey! Chi non muore si rivede!- iniziò Donatello, forse più offeso che contento di vederlo.
-Ti stiamo aspettando da tutta la sera!- gli fece eco Raffaello; prese i sai e li fece roteare -Allora, andiamo a prendere a calci il tizio che stai cercando?-
-Non serve. Ho già risolto tutto. Guardate qui.-
Mostrò agli amici i dossier di Longino.
-Ehhhhh?! Ma come, Casey?! Ci avevi promesso che ci saremo andati tutti insieme!-
-Scusa, Mick, ma è stato tutto così improvviso...-
-Hai affrontato quel tizio da solo?-
-No, Leo. Qualcuno mi ha aiutato.-
Elisabetta non si era unita al gruppo: stava continuando a mangiare.
Era ormai all'ultima fetta.
-Ehi, Eli...- fece Casey, attirando la sua attenzione -Per caso, conosci un templare di nome Andrea?-
Nel sentire il nome “templare, le Tartarughe, persino Splinter, rabbrividirono.
La templare inghiottì il boccone, tranquilla.
-Abbiamo tre Andrea, nel nostro gruppo. Puoi descrivere questo?-
-Molto magro. E aveva i capelli neri raccolti in un codino.-
La fetta di pizza per poco non cadde per terra, dalla sorpresa.
-Hai conosciuto Celeritas?!- esclamò lei.
Casey ricordava il nome con cui si era presentato Andrea, quando gli aveva rivelato di essere un templare.
-A quanto pare...-
-Lo conosci, mia cara?- domandò Splinter, curioso.
-È uno dei migliori assassini dell'ordine, insieme a me. Dato il suo potere, la velocità, è facile, per lui. Hai anche assistito al suo incredibile appetito, Casey?-
-Non puoi avere idea...-
Raffaello non aveva dimenticato la sua esperienza con Giacomo, detto Galvano.
Si avvicinò all'amico, osservandolo in faccia, persino sulle braccia.
-Ti ha fatto qualcosa? Ti ha torturato? Se ti ha fatto qualcosa, giuro che...!-
-Calma, Raph, sto bene. Gli devo la vita, in realtà. Mi ha salvato da dei teppisti che mi avevano aggredito, proprio qui vicino.-
La notizia del corpo fatto a pezzi per strada. Elisabetta aveva intuito ci fosse lo zampino del confratello: era uno dei suoi modus operandi.
-E mi ha anche aiutato per quanto riguarda Longino. Guardate qui, c'è tutto. Ora posso smascherarlo per quello che è.-
Raccontò come erano andate le cose. Evitò, però, la parte dello zombie. Non voleva allarmare gli amici.
E l'incendio di cui stavano parlando al telegiornale in quel momento lo descrisse come un'incidente di percorso.
Michelangelo incrociò le braccia.
-Uffa! Ti sei preso tutto il divertimento e a noi niente! Questa me la lego al dito!-
-Mick, ti ho già detto che mi dispiace! Mi farò perdonare.-
-Non avrei mai pensato che proprio un templare sarebbe divenuto tuo alleato.- commentò Leonardo, sorpreso, ma anche incredulo dalla sua storia.
-Non tutti i templari sono come Galvano o il Magister.- fece notare Elisabetta; erano tutti seduti intorno al tavolo -Alcuni sono gentili e simpatici, come Celeritas e Fede, altri no. Ma sono tutti uniti da un unico fine, l'ordine. Questo, per ora, sta impedendo loro di scoppiare in una guerra intestina.-
E le Tartarughe avevano assistito quasi in prima persona ai gesti dei templari, cosa fossero disposti a fare o sacrificare, per tale fine.
Durante la conversazione, Casey stava sfogliando i dossier, uno per uno.
Il suo sguardo si era fatto perplesso e preoccupato.
-Non c'è...- mormorò.
Gli amici si allarmarono.
-Cosa?- domandò Donatello.
-Il dossier più recente. Non c'è!-
L'ultimo scavo di Longino. La grotta con l'incisione in lingua provenzale. E la foto del partner di Longino.
Non era tra i dossier.
Dalla disperazione, Casey affondò la testa nelle mani, appoggiando i gomiti sul tavolo.
-Ahhh! Sparito! Sparito!- esclamò -Perduto tra le fiamme! Uaaahhh!!!-
Vani si rivelarono i tentativi delle Tartarughe di consolarlo.
Elisabetta si fece sospettosa.
“Andrea non è il tipo da dimenticarsi certe cose...” ricordò “E non credo proprio che avrebbe lasciato delle informazioni importanti in mezzo alle fiamme...”

Lontano dal rifugio, Andrea, con sguardo serio e la borsa stretta in mano, si avvicinò all'entrata dell'hangar.
Bussò tre volte, per tre volte di seguito, con una pausa di un secondo tra una serie e l'altra.
-Non Nobis, Domine, Non Nobis...-
-...Sed Nomini Tuo Da Gloriam.- concluse Andrea.
La porta si aprì quasi cigolando.
I confratelli ed il tetravirato erano riuniti intorno al tavolo. I confratelli erano ancora in tenuta di assalto.
Quindi anche loro dovevano essere tornati da poco tempo.
Dalle scale, Andrea udì qualche parola.
-Che ne avete fatto di quegli infedeli? Li avete uccisi?- volle assicurarsi David.
Volle subito avere degli aggiornamenti sulla missione del gruppo.
-Uno per uno.- rispose Giacomo.
-Avete scoperto il loro nascondiglio?-
-Purtroppo no.-
David era soddisfatto a metà: un'altra parte dei loro nemici era stata eliminata, ma la radice era ancora presente.
-Tu hai qualche novità, Spettro?-
Edoardo scosse la testa, muovendo la folta capigliatura riccia.
-Ancora niente, ma continuerò a cercare.-
-Notizie da Geena e Noctis?-
Stavolta fu Luigi a parlare.
-I lavori alla vecchia sede del Clan del Piede stanno procedendo.- informò -Secondo Hun, l'edificio sarà pronto in una settimana.-
-Ah, molto bene. Presto potremo andarcene da questo posto orrendo.-
-Per quanto riguarda Stockman...- aggiunse l'Andrea anziano -Né io né Geena siamo ancora riusciti a convincerlo a continuare il suo progetto o costruire un corpo.-
-Insistete, scovate i suoi punti deboli, minacciatelo, se necessario. Io voglio quei progetti!-
Andrea Celeritas aveva toccato l'ultimo scalino, unendosi ai confratelli.
David gli rivolse subito lo sguardo.
-Celeritas, finalmente ti sei deciso a tornare.-
Tutti gli sguardi erano puntati su di lui.
Non vi prestò eccessiva attenzione. Posò sul tavolo la borsa nera.
-Spero tu abbia una valida scusa per giustificare il tuo rientro tardivo.- mormorò, con sguardo inquisitorio -E ho sentito dell'incendio a villa Longino. È stata opera tua?-
-Vi chiedo scusa, Magister, purtroppo ho incontrato degli impedimenti e ho dovuto prendere i dovuti provvedimenti.- si scusò Celeritas, con un inchino -Ma sono riuscito comunque a completare la missione. La Lancia di Longino è nelle nostre mani.-
Aprì la borsa: avvolta nel suo impermeabile, porse la punta della lancia a David.
Scostando un lembo, notò l'acciaio e sorrise, soddisfatto.
-La Lancia di Longino... finalmente nelle nostre mani...- sospirò, realizzato, come se fosse stato lui a prenderla dal proprietario -Ora manca solo il Graal.-
-Magister, non è tutto.- aggiunse Celeritas, mettendo di nuovo la mano dentro la borsa -Dovreste dare un'occhiata a questo.-
Estrasse un dossier. L'ultimo scavo di Longino. Lo stesso che Casey credeva perduto.
David lo aprì, notando subito la foto della grotta e dell'incisione. L'Andrea anziano, Giacomo e Luigi si unirono a lui.
-Che cos'è?- domandò David, serio.
-Il suo ultimo scavo, a quanto pare.- spiegò Celeritas -Longino era impegnato in scavi abusivi, per ottenere i cimeli che colleziona e che dona ai musei di tutto il mondo.-
-E perché dovrebbe interessarci? Hai forse scoperto qualcosa su Graal?-
-No, Magister. Ma è successo qualcosa, durante la missione. Ho dovuto uccidere Longino.-
-E quindi?-
-È tornato in vita, dopo che gli ho sparato sulla fronte.-
Persino il tetravirato si allarmò.
-Cosa stai cercando di dirci, Celeritas?- domandò l'Andrea anziano.
Andrea Celeritas pose l'attenzione sulla foto di Longino con l'uomo di spalle.
-Ho il sospetto che Longino fosse implicato in un affare con il Rinnegato. L'uomo in questa foto potrebbe essere lui.-
David restò a fissare quella figura a lungo, in silenzio.
-Quindi anche il Rinnegato è qui a New York...- sibilò, sospetto -Bene, sistemeremo le cose una volta per tutte!-

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Perché Longino è tornato in vita?
Casey e Andrea si incontreranno di nuovo?
Cosa accadrà una volta che i templari otterranno il Graal?
Cosa significherà la frase "Il mio segreto si manifesterà, se l'ombra del ninja al canto del templare apparirà"?
E chi è l'individuo che David chiama "il Rinnegato"?

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Capitolo 12
*** Omnes ***


Note dell'autrice: questo è uno dei capitoli più importanti di tutta la storia. Non dimenticatevi di chi presento!

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  Il cielo di New York era stranamente sereno, quella notte.
Gli edifici erano tutti illuminati.
Su uno dei grattacieli, lontano da quelle luci, c'era una figura alta, molto alta.
Un lungo mantello ondeggiava alle sue spalle, rivelando le gambe e poco del suo torace.
Un ampio cappuccio gettava ombra sul volto, nascosto da una maschera di ferro, raffigurante un volto umano.
C'erano solo dei fori per gli occhi, il naso e una fessura minuscola tra le due labbra carnose.
Dietro i fori per gli occhi, due croci templari brillavano di rosso.
-Loro sono qui...-
La sua voce era molto profonda, pur essendo quella di un ragazzo.
-E anche lui...-
Stava guardando in basso, verso le strade di New York.
-Non ho molto tempo. Devo trovarlo.-
Aprì le braccia a croce e cadde nel vuoto.
La sua figura era come un razzo.
Il mantello si muoveva velocemente alle sue spalle.
La maschera di ferro proteggeva il suo volto dall'aria.
Di fronte a sé era apparsa una croce templare azzurra, eterea..
La attraversò, senza proseguire la caduta.
Era sparito.
La croce comparve di nuovo, in un punto leggermente lontano dalla sua posizione precedente; anche la figura ricomparve. Anziché andare in basso, si levò in alto, nella stessa velocità con cui stava precipitando.
Attraversò un'altra croce, per ricomparire da un'altra, che lo portò in avanti, verso un altro edificio.

 

L'ultima cosa che Leonardo ricordava, era essere nel suo rifugio.
Tuttavia, l'ambientazione intorno a lui non assomigliava affatto a New York.
Stava seguendo un uomo vestito di bianco, con una croce rossa al petto. Non riuscì a vederne il volto.
Stavano entrambi guardando in basso, da un promontorio. Era come se avessero gettato qualcosa, insieme.
-Etienne-sama…- disse Leonardo, inconsapevolmente; non era lui ad aver parlato; le parole stavano uscendo dalla sua bocca contro la sua volontà; e non era neppure la sua voce –Abbiamo fatto la scelta giusta, vero?-
Non aveva mai conosciuto nessuno con il nome di Etienne. Allora perché avvertiva la sensazione di conoscerlo?
-Lo hai detto tu, Yuko.- rispose l’uomo –È l’unico modo. Solo così il Graal sarà salvo, lontano da mani malvagie!-
“Yuko?” pensò Leonardo “Non mi chiamo così! Dove sono? Come ho fatto a trovarmi qui?!”
Non poteva nemmeno muoversi di sua volontà, per vedersi almeno le mani, sapere se era umano o tartaruga.
Un altro elemento, però, lo sconvolse di più: l'uomo aveva citato il Graal.
Perché stavano parlando del Graal?
Cosa aveva a che vedere con quelle due persone?
L’uomo, ad un certo punto, indicò dietro “Leonardo”.
-ARRIVANO!-
Leonardo si svegliò di soprassalto. Non aveva mai avuto un sogno simile.
Sentiva di conoscere quell’uomo, il luogo in cui era, ma non sapeva come. Come se quelle immagini fossero parte di un ricordo, non di un semplice sogno.
Un ricordo che non gli apparteneva, però.
-Etienne…? Yuko…?- mormorò, confuso. Quei nomi… erano così familiari…
Ma perché stavano parlando del Graal? Era solo un sogno o un ricordo? Non poteva essere un ricordo. Non suo, almeno. E l’uomo a cui stava parlando… era lo stesso uomo che aveva visto nel suo sogno di notti prima. Il mantello era uguale, bianco con una croce templare sopra. Come la casacca di Elisabetta.
Dunque, quell’uomo era un templare. Parlava con uno strano accento, sembrava francese, ma non era proprio francese.
E lui… non era proprio lui. La sua voce era quella di un ragazzo molto giovane, dall’accento giapponese.
Riconobbe, in essa, la voce che sentiva nei suoi sogni, l’ombra che Leonardo seguiva, che gli diceva di non aver paura.
Cosa significava quel sogno?
I passi di Michelangelo erano molto pesanti, per fortuna.
Leonardo non fu colto di sorpresa, quando lo vide irrompere di corsa nella sua camera.
Ma lo avevano comunque distolto bruscamente dai suoi pensieri.
-Ehi, Leo!- urlò, euforico -Vieni a vedere chi non è andato a dormire, stanotte!-
Ancora un po' stordito dal sonno, Leonardo ci mise più tempo del solito a mettersi la benda ed i rinforzi sulle braccia e sulle gambe.
Seguì il fratello fino alla sala.
Anche Donatello era sveglio e lì presente.
-Ehi, che succede? Cos'è questo baccano?-
Anche Splinter era sveglio, e si era unito ai figli.
-Pare che QUALCUNO abbia deciso di fare l'ennesima gara per vedere chi è il migliore...-
Sul tatami, infatti, Raffaello ed Elisabetta erano seduti uno di fronte all'altra, con le gambe accavallate.
Avevano le braccia protese in avanti, reggendo, sui entrambi i propri palmi, Raffaello uno dei suoi sai, Elisabetta uno dei suoi coltelli.
Le gare tra Raffaello ed Elisabetta erano quasi tutte basate sulla resistenza, su chi riuscisse, per esempio, a fare più pull-ups o aumentare i pesi sul bilanciere di Raffaello; a volte, quando guardavano il wrestling insieme, si lasciavano trasportare dall'entusiasmo e provavano a replicare quelle mosse tra di loro.
Raffaello non avrebbe mai pensato di condividere degli interessi con una donna.
-Da quanto sono lì?- domandò Splinter.
-Beh...- Michelangelo si mise in posa riflessiva -Considerando che io sono stato l'ultimo ad andare a nanna e l'ora che è adesso... direi quasi cinque ore.-
Per Raffaello, cinque ore in quella posizione non erano nulla in confronto a quello che Splinter faceva fare a tutti loro all'Hashi, quando erano in punizione.
Infatti, guardava la sua avversaria con aria quasi derisoria.
-Il suo braccio sta cedendo.- notò, infatti.
Gli avambracci di Elisabetta, infatti, stavano iniziando a tremare; nulla di simile era previsto nell'addestramento templare.
Le sue labbra, però, si stavano muovendo, pronunciando parole mute, e il suo sguardo osservava il vuoto. Recitare il rosario la distraeva dallo sforzo.
Leonardo incrociò le braccia, serio.
-Adesso basta, ragazzi, state esagerando.- rimproverò -Posate quelle armi e fatela finita.-
Ma Raffaello ed Elisabetta non sembrarono prestare ascolto alle sue parole. Erano determinati a restare in quella posizione per tutto il giorno.
-Cos'è, Eli? Ti arrendi?-
Raffaello aveva deciso di fare pressione psicologica, sulla sua avversaria, per costringerla a cedere.
Lei, distolta dalla sua “trance”, riprese ad osservarlo negli occhi verdi, sorridendo in modo strano.
Conosceva bene quel metodo: vi era stata sottoposta più volte, da Lazzaro o da Faust.
Le provocazioni di Raffaello erano parole di incoraggiamento, al loro confronto.
-Io no.- rispose -Ti arrendi tu.-
Michelangelo alternava gli sguardi tra il fratello e la templare, sorridendo, mentre si le mani.
Poi prese uno dei suoi nunchaku.
-E... prova microfono! Prova microfono!- vi parlò, proprio come se fosse un microfono -Signore e signori! Ecco a voi una genuina sfida di resistenza! Vi presento la sfidante! Occhio a non farla arrabbiare o distrugge la città con una mano! La valorosa Elisabetta, anche detta Flagello! E il nostro campione, 120 chili di purissima materia verde! Raffaello! Il record di questa sfida sono 11 ore! Chi dei due contendenti riuscirà a battere il record? Piazzate le scommesse, cari spettatori! Si accettano scommesse!-
Elisabetta, per poco, non scoppiò a ridere dalla presentazione di Michelangelo, rischiando di far cadere uno dei suoi coltelli.
Leonardo e Donatello, invece, una risata se la fecero sfuggire. Splinter sospirò, mettendosi una zampa sul volto.
La sfida, però, non ebbe la fine sperata: Michelangelo sentì la suoneria del suo Tarta-cellulare. Dovette prenderlo e rispondere.
-Sì?- il suo volto si illuminò -Ehi! Da quanto tempo! Come va?-
Improvvisamente, la sua espressione, da entusiasta divenne preoccupata.
-Cosa?! Sul serio?! E quando?! Oh, sì, arriviamo subito!-
Attaccò.
La sua espressione fece allarmare i fratelli ed anche Splinter.
-Qualcosa non va, figliolo?-
Chi era al telefono?- domandò Donatello.
-Era Silver Sentry!- rispose Michelangelo.
Non sembrava preoccupato; pareva, piuttosto, incredulo.
-Qualcuno ha steso la Justice Force!-
Quella notizia fece sorprendere persino Raffaello. Perdette la concentrazione e lasciò cadere il pugnale sai.
Elisabetta, però, aveva ceduto prima di lui, precisamente dalla telefonata.
Entrambi, in realtà, avevano perduto l'interesse per la competizione non appena notarono il cambiamento di espressione di Michelangelo.
-Non è possibile!- esclamò Leonardo, incredulo quanto il fratello -Nessuno può tenere testa alla Justice Force! Tranne, forse, i Triceraton, ma loro erano un intero esercito!-
-Chi sono la Justice Force?- domandò Elisabetta, alzandosi.
-Dei nostri amici. Sono... come dire? Supereroi.-
-Forte! Uno dei miei ex-confratelli è appassionato di supereroi. Forse li avrà già conosciuti.-
-Se vuoi, puoi venire con noi e conoscerli di persona.-
-Già, io gli ho già parlato di te. E loro sono curiosi di conoscerti.- aggiunse Michelangelo; aveva ripreso il suo tono allegro, ma era ancora visibile la sua preoccupazione.
-Vorrei tanto, ragazzi, ma ho promesso ad April che le avrei fatto la spesa, oggi. E non voglio che mi aspettiate, mentre i vostri amici hanno bisogno di loro.-
Si grattò la testa, scuotendo la zona chiara dei suoi capelli.
-State attenti, figlioli.- raccomandò Splinter -Se qualcuno è stato in grado di tenere testa alla Justice Force, allora è un avversario da non sottovalutare.-
-Staremo attenti, sensei.- assicurò Leonardo, salutandolo con un inchino.
-E tu non ti adagiare sugli allori, signora cavaliere.- Raffaello puntò il dito contro Elisabetta, a mo' di sfida -La nostra gara è solo rimandata.-
-Tanto so di batterti, Raffaello Sanzio.-

 

Il Tarta-Corazzato non ci mise molto a raggiungere la sede della Justice Force.
Il piazzale era vuoto.
Tuttavia, sul pavimento, c'erano dei segni strani. Dei solchi profondi. O delle impronte di stivali che avevano fatto incrinare il cemento.
Persino sull'edificio erano presenti delle crepe, specie nella zona del piano terra, quasi vicina al primo.
Ed un altro solco: aveva esattamente la forma di Silver Sentry.
Le Tartarughe si allarmarono: Silver Sentry era il supereroe più forte di tutta la Justice Force
Nessuno poteva tenere testa alla sua forza ed alle altre abilità che possedeva.
Erano sempre più curiosi su questo misterioso assalitore.
Michelangelo era sceso dal Tarta-Corazzato con indosso la sua tenuta da Turtle Titan.
E vedere quello spettacolo lo fece più infuriare che preoccupare.
-Allora?! Chi ha preso a calci i miei amici?!- urlò, pronto all'azione.
Raffaello gli diede uno scappellotto dietro la nuca.
-Idiota. Lo vedi che non c'è nessuno?- gli fece notare.
-E tu vorresti davvero farti trovare, dopo aver assalito, quasi sconfitto i supereroi più forti del mondo?- aggiunse Donatello, con aria di sufficienza.
Leonardo non disse nulla: stava continuando a fissare i segni sul pavimento.
Poi, la porta sì aprì.
-Ragazzi...!-
-Sentry!-
Stava quasi zoppicando: il torace era bendato, e la sua mano continuava a premere sulle costole.
Era impossibile vedere Sentry ferito: era invulnerabile.
Questo aumentò ulteriormente la curiosità delle Tartarughe. Ma anche la preoccupazione: se aveva ferito Silver Sentry, questo assalitore doveva essere davvero potente.
Michelangelo fu il primo a correre verso il supereroe.
-Mondo Pizza!- esclamò, dopo un urlo terrorizzato -Ti hanno ridotto davvero male! Chi è stato?! CHI È STATO?!-
-Calmati, Mick!- lo invitò Donatello, avvicinandosi a lui insieme ai fratelli.
Silver Sentry sospirò.
-Sono davvero contento di vedervi.- disse -Venite, è meglio spiegarvi tutto con gli altri.-
Stanno bene?-
Raggiunsero l'ascensore. Ma non andarono all'ultimo piano.
Sentry, a causa dei suoi poteri, aveva riportato meno danni: gli altri, invece, non erano stati altrettanto fortunati. Erano tutti in infermeria.
Metalhead, Ananda, Chrysalis, Tsunami, Raptarr, Nessuno, persino Nanotech.
Lui, essendo fatto di materia nano, era persino più invulnerabile di Sentry. Ma era anche lui in infermeria.
Sembrava terrorizzato, da come si abbracciava le gambe.
-Alcuni hanno solo riportato ferite marginali, altri hanno riportato frattura delle ossa o delle gambe o delle braccia, ma comunque ferite da cui tutti possiamo guarire..- spiegò, appena entrato in infermeria -A quanto pare, non ci voleva morti.-
Faceva uno strano effetto, vedere la Justice Force in quello stato. Michelangelo sperò di non sentire i notiziari parlare del fallimento dei supereroi contro una persona sola.
Era impossibile perdere contro una persona. Per supereroi come la Justice Force.
Una notizia simile avrebbe fatto precipitare la loro reputazione.
-Non ci voleva morti?! NON CI VOLEVA MORTI?!- protestò Ananda.
La sua testa era fasciata.
QUEL... DEMONIO! HA DISTRUTTO I MIEI ADORATI CUPOLOIDI, DANNEGGIATO LA MIA CUPOLA! E HA SPAVENTATO PERSINO IL POVERO NANO!-
Nanotech, infatti, non aveva bende. Ma qualcosa doveva pur subito, per essere così spaventato.
-Nano... ha... paura... di... uomo... mascherato...-
-Un uomo mascherato?- domandò Donatello, cupo in volto.
-Adesso vi racconto dal principio...- disse Sentry.

 

Doveva essere una missione di ricognizione come altre.
La Justice Force aveva notato dei movimenti anomali, nel mondo del crimine, dall'apparizione dei Templari.
Non c'erano più aggressioni o furti, non come prima.
Ma questo era ancora più sospetto. Era come se New York fosse tornata sotto il comando di Shredder.
Tuttavia, finché i Templari non avessero iniziato a muovere contro la città, la Justice Force aveva le mani legate. Dall'esterno, non sembravano una minaccia. E anche se ci fosse stato il sospetto di un complotto a livello mondiale, senza prove non potevano comunque agire.
Ma avevano notato, comunque, qualcuno che seguiva i movimenti delle bande criminali.
Portava un cappuccio ed un mantello lungo, che nascondeva il volto e persino il suo fisico.
Attaccava soprattutto i convogli, raramente le bande intente in una rapina o in uno scasso.
Li aggrediva, sia con le sue mani, sia con strani poteri, come se volesse far loro dire qualcosa, come un interrogatorio.
Questo suo comportamento aveva spinto la Justice Force ad intervenire.
Non potevano più guardare e basta.
E quella sera era stata la sera in cui si erano finalmente confrontati.
Sentry si era insospettito, quando notò che l'incappucciato si stava dirigendo proprio verso la sede della Justice Force. Non sapeva perché, ma ebbe l'impressione che non fosse stata una coincidenza.
In un istante, i supereroi lo avevano accerchiato.
Lui non si mosse.
Finalmente, ebbero modo di vedere il suo volto. Era dietro una maschera di ferro, con fattezze umane. E dei fori per gli occhi e tre piccoli per naso e bocca.
-Le tue intenzioni potrebbero essere buone, ma il tuo metodo non lo è.- disse Sentry, serio -L'altra notte ti ho visto sterminare un'intera banda. Non hai il diritto di decidere le sorti di persone, che siano buone o malvagie.-
-Erano al soldo dei Templari. Non dovete fidarvi di loro.-
La voce proveniente dalla maschera era grave, profonda. Quasi un sibilo.
Nulla che facesse intimorire la Justice Force. Anzi, erano già pronti a sfoderare le proprie armi.
-Fidarsi o meno, non hai il diritto di dettare legge.- riprese Sentry -Ora tu verrai con noi.-
Metal Head iniziò ad allungare i propri capelli, mentre Ananda stava ordinando ai suoi cupoloidi di avanzare verso l'individuo misterioso. Anche gli altri si tennero in guardia.
-Siete solo delle pedine...- sibilò questi, di nuovo.
Otto contro uno.
L'incappucciato non sembrava curarsi dei numeri.

 

-E vi ha stesi uno per uno?- domandò Raffaello, sorpreso dal racconto di Sentry.
-LO AVESSE FATTO, ALMENO, IN MODO NORMALE!- esclamò Ananda, sempre più furiosa.
Michelangelo impallidì, un po' dal tono, un po' dalla frase.
-Che... che... che vuoi dire “normale”?-
-Una cosa mai vista prima...- aggiunse Nessuno, sedendosi sul bordo del proprio letto.
Lui era tra quelli che aveva riportato più ferite, tra cui il gesso ad una gamba; si era persino tolto la maschera, per farsi mettere le bende.
-Chiunque, o qualunque cosa fosse, non era un normale essere umano. Dalle sue maniche lanciava delle armi, soprattutto quelle per incontri ravvicinati, come spade o pugnali, ma anche catene. Abbiamo provato ad attaccarlo insieme, e lui spariva nel nulla, per poi apparire alle nostre spalle. O si proteggeva dalle onde di Chrysalis con una barriera a forma di croce. Oppure ci attaccava con una specie di croce eterea, che partiva dall'anello che indossava.-
Una croce eterea che partiva da un anello. Proprio come, a volte, combatteva Elisabetta. O come lei e l'altro Templare, Federico, avevano sconfitto il demone dell'accidia.
L'incappucciato, allora, doveva essere un Templare. Anche se non membro dell'ordine, basandosi su quello che aveva raccontato Sentry.
-Ha messo persino fuori uso tutti i cupoloidi di Ananda con una scossa elettrica. Nanotech ha cercato di immobilizzarlo, ma ha folgorato persino lui. E quello è il risultato.-
Ecco perché Nanotech era terrorizzato.
-E questo non è niente, rispetto al resto che ha fatto.-
Se il risultato era l'intera Justice Force in infermeria, non era un avversario da prendere sottogamba. Nemmeno Shredder avrebbe potuto tenere loro testa.
Principalmente perché non aveva poteri.
-Scusate, allora, per la domanda...- commentò Donatello, avanzando di un passo -Ma se nemmeno voi siete riuscito a sconfiggerlo, come pensate che possiamo farlo noi?-
-Ehi! Guarda che quel bellimbusto si è dimenticato del pezzo forte della Justice Force, ovvero me, Turtle Titan!-
-È stato lui a dirmelo.- tagliò corto Sentry, sedendosi a fatica sul letto vuoto dell'infermeria.
Michelangelo abbassò le braccia, scomponendo la sua posizione di supereroe.
Quella rivelazione insospettì tutte e quattro le Tartarughe.
-Gli altri erano ormai atterrati. Io sono stato quello più resistente ai suoi attacchi. Ma non voleva finirmi. Mi ha preso per il costume e mi ha sussurrato all'orecchio: “Fai in modo che i tuoi amici Tartarughe lo sappiano. Portali da me.”. E poi è svanito. Mi dispiace, ragazzi.-
Le quattro Tartarughe si guardarono tra loro, sospetti ed anche allarmati.
Non era la prima volta che affrontavano un nemico fuori dagli schemi, ma ogni volta ne rimanevano basiti.
-Beh, ragazzi miei, non so voi, ma ho l'impressione che non sarà una passeggiata...-
-Quando mai lo è stata, Don?- fece notare Raffaello.
-Se questo qua ce l'ha con i Templari, forse dovremo avvertire Eli.- propose Michelangelo.
-Non hai sentito Sentry?- puntualizzò Donatello -È noi che vuole.-
-Chissà perché proprio noi...-
Raffaello era sempre entusiasta all'idea di misurarsi con un avversario forte. Ma anche lui sembrava come preoccupato. Le folgorazioni subite dai cupoloidi di Ananda e da Nanotech gli ricordavano troppo le torture che aveva subito da Galvano.
Ma da come aveva raccontato Elisabetta, i templari potevano avere solo un potere. Se il tipo che aveva aggredito la Justice Force era un templare, come poteva avere tutti quei poteri?
-Ehi, Leo, tu che ne pensi?-
Nessuna risposta.
-Leo?-
Donatello si guardò intorno, notando l'assenza del fratello.
-Leo?- aggiunse Michelangelo, anche lui voltandosi.
Persino Raffaello fece la stessa cosa.
Leonardo non era più con loro. In effetti, non avevano più sentito nemmeno il suo respiro.
-Dov'è finito?- domandò Raffaello, allarmato.
Michelangelo impallidì.
-Il tipo è tornato e lo ha rapito!-
Nano ha visto Tartaruga Leonardo andare all'ascensore e andare giù.- informò Nanotech, indicando l'ascensore. Sembrava essere più calmo, rispetto a poco prima.
-Sul serio?! E perché non lo hai detto subito?!- rimproverò Raffaello.
-Stavate parlando e...-
-Ah, lascia perdere! Vado da lui!-
-Chissà perché è tornato giù...-
-Chissà, Don, magari sentir parlare del tizio mascherato gli ha fatto venir fifa.-
-Stiamo parlando di Leo, Mick, non di te.-
Di norma, Leonardo non avrebbe lasciato una stanza senza prima avvertire; ma c'era qualcosa, nel racconto di Sentry, che lo aveva insospettito.
Per questo era tornato al piano terra ed era uscito.
Stava osservando con aria seria le crepe e gli incavi sul terreno.
Secondo Sentry, l'aggressore mascherato aveva fatto un largo uso della magia. Ma c'erano anche segni di armi.
Questa persona non era intenzionata ad uccidere la Justice Force. Non ce l'aveva con loro: erano le quattro Tartarughe il suo vero obiettivo.
La sua mano era su una crepa. Poi chiuse gli occhi: voleva vedere con i propri occhi il combattimento tra la Justice Force e la persona che li aveva ridotti in infermeria.
Gli insegnamenti dell'Antico si erano rivelati utili, per situazioni simili.
Era impossibile che una persona sola avesse affrontato e sconfitto un gruppo di otto persone, di cui sette con poteri.
Finalmente, vide qualcosa: un individuo con un lungo mantello ed una maschera stava schivando gli attacchi di Raptarr. Aveva atteso di essere alle sue spalle, per lanciare delle catene verso le sue ali.
Le catene erano apparse dalle sue maniche, per magia.
Raptarr fu costretto ad atterrare.
Magicamente, le catene si erano attaccate al suolo, stringendo sempre più il corpo del supereroe.
Chrysalis aveva cercato di disorientarlo con le sue onde, ma un urlo potente le fece perdere l'equilibrio e cadere per terra. Era un urlo talmente potente da scatenare delle vibrazioni in grado di scuotere l'aria.
Approfittando della sua distrazione, Nessuno e Sentry avevano tentato un attacco combinato.
Un simbolo strano era apparso ai piedi dell'aggressore: una croce templare. Esattamente come quella che Elisabetta evocava ogni volta che usava l'anello, per combattere.
Ma invece che attaccare gli avversari, quella croce inghiottì colui che l'aveva invocata.
Nessuno e Sentry colpirono il vuoto, per poco l'un l'altro. Le loro espressioni erano di sorpresa.
Ancor più quando l'aggressore era riapparso alle loro spalle nello stesso modo in cui era scomparso.
Entrambi subirono dei colpi: Sentry venne scaraventato al muro dell'edificio da una croce templare eterea, mentre Nessuno venne ferito ad un braccio da una lama apparsa dalla sua manica, come le catene che avevano immobilizzato Raptarr.
Un piccolo taglio. Questo non fermò il supereroe dal prendere le proprie armi ed iniziare uno scontro corpo a corpo con il suo avversario.
I suoi gadget non erano nulla in confronto alla sua magia.
Metalhead aveva persino tentato di accorrere in suo soccorso, allungando i suoi capelli, per catturare il tizio mascherato.
Ma questi lo aveva intrappolato in un campo di forza. Metalhead non sapeva come uscire. Cercò di rendere i suoi capelli delle punte, tentando di sfondare quel muro.
Anche i cupoloidi e Ananda avanzarono. Una scossa elettrica li aveva messi fuori uso e fatto stordire Ananda stessa. E, a quanto pare, anche Nanotech fu colpito nello stesso modo.
Era tutto esattamente come aveva raccontato Sentry: quell'avversario era davvero più pericoloso di Shredder.
-Portali da me...- lo sentì sibilare a Sentry.
-Leo!-
Le voci dei fratelli lo distolsero dalla sua visione.
-Ma che ti salta in mente di sgattaiolare così senza dirci nulla?!- brontolò Raffaello.
-Ci hai fatto prendere un colpo!- aggiunse Michelangelo, riprendendosi dalla corsa -Pensavamo che ti avessero rapito!-
-Scusatemi, ragazzi.- si giustificò Leonardo, ancora serio -È solo... che volevo vederci più chiaro nell'aggressione. E Sentry ha ragione. Loro saranno pure in infermeria, ma il tizio non sembrava intenzionato ad ucciderli. E da come ha detto “Portali da me.”... non sembrava una minaccia. Solo... una richiesta.-
Quella rivelazione insospettì i fratelli.
-Mah, io non so voi, ma qui qualcosa mi puzza...- commentò Michelangelo, incrociando le braccia.
Cosa vorrà questo individuo, da noi?- rifletté Donatello, serio anche lui -E, soprattutto, come facciamo a trovarlo? Aspettiamo che venga lui da noi?-
-Lasciate che vi aiuti.-
Sentry uscì dall'edificio: zoppicava ancora e si teneva una mano sulle costole, ma camminava meglio di pochi istanti prima.
-Con la mia vista, sarò in grado di scovarlo.-
Michelangelo si mise tra lui ed i fratelli, con aria premurosa.
-Sentry, apprezziamo davvero tanto il tuo aiuto...- disse, preoccupato -Ma ancora non ti sei ripreso del tutto. Meglio che ti riposi. Lo troveremo da noi.-
-E io apprezzo la premura nei miei confronti, Michel... volevo dire, Turtle Titan. Ma non dovete temere per me. Mi sto già rigenerando. E intendo andare a fondo, in questa indagine. Voglio scoprire il vero fine del nostro aggressore.-
I fratelli non dissuasero il supereroe.
-Beh, una mano in più non guasta.- fece notare Donatello, dopo un'accurata riflessione -E poi, Sentry ha già affrontato quel tizio. Così non ci facciamo cogliere impreparati.-
Non aveva tutti i torti: sapeva già come combatteva, a giudicare dalla descrizione dettagliata fornita poco prima, e, inoltre, grazie al volo ed alla sua supervista, avrebbe avuto una buona visuale dall'alto e lo avrebbe intercettato in poco tempo.
Ormai era deciso.
Michelangelo strinse un pugno, determinato.
-Bene, allora...-
Aprì la mano, allungandola di fronte a sé. I fratelli e Sentry seguirono il suo esempio, mettendo le proprie sopra la sua.
Un urlo unito diede loro la forza.
-POTERE TARTARUGA!-

 

April aveva la casa libera, quel giorno. Casey aveva il turno notturno e Arnie era dai nonni materni, in California. Ed era persino giorno di chiusura del negozio.
Per tutto il giorno, aveva cercato di rilassarsi, invano. La pancia cresceva sempre più, quasi impedendole di svolgere le normali mansioni da casalinga. Persino passare l'aspirapolvere era diventato faticoso, per lei.
Per fortuna, negli ultimi tempi, Angel le dava volentieri una mano, sia in negozio che nelle faccende domestiche. Ma quel giorno doveva badare a sua nonna, quindi qualcun altro le stava dando una mano, quel giorno.
Era in cucina a sistemare dei pezzi di torta su un piatto, quando sentì bussare alla porta.
-Vieni, è aperto.-
Era Elisabetta.
In mano, stava tenendo delle buste della spesa: nonostante lo sforzo che aveva compiuto nella sfida con Raffaello, non fu un problema trasportare le buste. L'allenamento templare l'aveva resa resistente, dopotutto.
-Ah, ciao, Eli.- salutò April, sorridendo -Ho fatto dei brownies e stavo per prepararmi del tè. Ne vuoi un po’?-
Elisabetta ricambiò il sorriso.
-Sì, grazie, accetto volentieri.-
Iniziò a sistemare i primi prodotti in frigo e negli scaffali, mentre April metteva l'acqua nel bollitore.
-Ho preso tutto quello che hai chiesto. Per fortuna non c'era molta gente.-
Si frugò nelle tasche dei pantaloni.
-Ah, questi sono tuoi.-
Mise delle banconote da venti dollari sul tavolo.
-Cosa?!- si stupì April -Ma no! Te li avevo dati per la spesa! Perché hai usato i tuoi soldi?-
-Non preoccuparti, ho ancora soldi, con me. E poi dovevo rifornire anche gli scaffali per il rifugio e i tuoi soldi non sarebbero certo bastati.-
In effetti, aveva portato più buste di quanto April aveva richiesto. Non erano tutte per la sua spesa.
Dopotutto, Elisabetta ancora viveva nel rifugio delle Tartarughe. E lei era un'umana, quindi poteva entrare nei supermercati senza che le persone la guardassero con terrore o sospetto.
-Spero non ti dispiaccia se conservo i surgelati da te, per ora.- richiese, cominciando a sistemare i primi surgelati nel freezer -Li prenderò quando me ne andrò, promesso.-
-Tranquilla, non è la prima volta che capita. Ti prego, prendi un brownie.-
Elisabetta era ancora scettica sulla cucina americana. Ma i dolci li tollerava di più del salato.
Quei brownies, inoltre, avevano dei fiocchi di sale sulla superficie. Esaltava di più la loro dolcezza.
-Ultimamente, questi brownies stanno diventando la mia ossessione.- spiegò April, con la bocca piena; anche lei stava mangiando un brownie -Brownies con il sale sopra.- ridacchiò un po' -Meglio dei panini con uova strapazzate, maionese, prosciutto e cetriolini che mi facevo quando ero incinta di Arnie. Casey mi osservava con aria disgustata.-
Anche Elisabetta la guardò nello stesso modo, immaginandosi l'aspetto ed il sapore di quel panino. Non biasimò Casey.
-Ora, però, non so perché, sono ossessionata con i cibi piccanti. Casey, per tenermi compagnia, li mangia con me, ma al primo boccone giura di non avere più sensibilità alla bocca. E i ragazzi lo stesso. Forse a parte Mick, ma lo sai che lui mangia di tutto.-
Elisabetta lo sapeva benissimo.
-Pensa che un giorno gli ho fatto assaggiare tutte le voglie che ho avuto nei miei primi sei mesi di gravidanza. E io, oltre al piccante, ho voglia di cibi davvero insoliti. Mac&Cheese con i cetriolini, Bagel e crema al formaggio con i salatini dentro... E lui ha mangiato tutto con gusto.-
-Considerando i piatti che mi propina, non mi stupisce affatto.-
Non era chiaro se Michelangelo fosse una buona forchetta o un bidone della spazzatura.
Ancora non apprezzava completamente la cucina della templare. Non perché non fosse buona, ma perché, per lui, era troppo salutare.
Ma nel rifugio, tutti preferivano i piatti salutari e digeribili di Elisabetta ai piatti pesanti di Michelangelo.
Democraticamente, lui aveva perso.
E questo era il motivo delle loro continue discussioni.
-Spero che non ti stiano facendo esaurire.- riprese April, osservando la ragazza con uno sguardo vicino alla compassione -Ricordo ancora i miei primi tempi con loro. Sono stati quasi un inferno! Oh, non fraintendermi, io adoro i ragazzi, ma a volte ti fanno andare fuori di testa…!-
-Sì, l’ho scoperto anch’io.-
In effetti, non era facile vivere con quattro rettili, di cui due troppo irruenti per essere dei ninja.
Elisabetta ne avrebbe fatto volentieri a meno; ma era in missione.
Tuttavia, del Graal ancora nessuna traccia. Il trofeo del Nexus non si scalfiva. Donatello stesso sembrava voler gettare la spugna, dopo giorni di esperimenti ed analisi senza risultati.
Il vetro sembrava resistente a qualunque cosa.
Non poteva tornare alla Base a mani vuote, o David l'avrebbe completamente scomunicata.
E lei non voleva abbandonare l'ordine templare: era la sua vita.
L'unica nota positiva della missione, era che le quattro Tartarughe la facevano ridere, con le loro liti, specialmente quelle tra Michelangelo e Raffaello.
E anche Federico aveva notato un cambio di atteggiamento nell'amica: era meno ombrosa, meno seria, quando parlava, e il suo volto era più sereno e rilassato.
Ma niente avrebbe sostituito l'ordine templare, in cui lei, davvero, si sentiva se stessa, realizzata.
Il fischio del bollitore la fece sobbalzare dalla sorpresa, distogliendola dai suoi pensieri.
L'acqua era pronta.
April la versò subito in due tazze, infondendovi, poi, due bustine di tè.
-Spero non ti dispiaccia, il tè. Ora che sono incinta, non posso bere caffè.-
-Il tè va benissimo. Non vado matta per il caffè.-
-Ah, tanto meglio. Mi fai compagnia, stasera?- domandò la donna -C'è un bel programma in TV, adesso. E più tardi pensavo di ordinare cinese. Che ne pensi?-
April era contenta di passare dei momenti da sola, senza marito ed il figlio. Ma non le dispiaceva la compagnia della templare. Sarebbe stato un buon momento per conoscerla meglio.
Elisabetta non era così male. Se piaceva alle Tartarughe, piaceva anche a lei.
L'invito fu accettato.
-Va bene.- disse l'interessata -Tanto i ragazzi sono fuori e Splinter è impegnato nella sua meditazione.-
Aiutò April a sedersi sul divano, senza farle fare movimenti bruschi. E poi sistemò il piattino dei brownies e le due tazze di tè sul tavolino di fronte al divano.
Il televisore venne acceso su un programma di quiz.

 

Quattro ombre giganti stavano saltando da un tetto all'altro.
Sentry, nel frattempo, volava sopra la città, scrutando ogni strada, sia principale che secondaria.
Il suo compito, come stabilito dal piano, sarebbe stato solo trovare il suo aggressore.
-Il maggior obiettivo di quel tipo...- aveva spiegato -Sono i convogli. In effetti, non sono rari i ritrovamenti di droghe nei camion per i supermercati.-
-E la polizia non agisce contro questi convogli?- aveva domandato, sospetto, Donatello.
-Sembra che alcuni poliziotti siano stati corrotti da queste bande, per farli girare tranquillamente per la città senza farsi controllare.-
-E poi la gente si chiede perché i giustizieri appaiano dal nulla...- aveva commentato Raffaello.
Trovarlo non sarebbe stato facile: molti camion giravano sulle strade di New York.
Ma il piano era chiaro: trovarlo ed interrogarlo. Eventualmente, portarlo alle autorità.
Quel compito sarebbe spettato alle Tartarughe. Non esclusero la possibilità di uno scontro, contro quell'aggressore.
Silver Sentry non doveva intervenire: le sue ferite non erano ancora completamente guarite, ed un altro combattimento lo avrebbe stremato.
Doveva solo supervisionare la città. Le Tartarughe avrebbero svolto il compito di braccio.
Attesero la sera, per agire.
Nonostante fosse buio, New York era illuminata.
Le quattro Tartarughe dovevano prestare attenzione a non farsi scoprire. Non fu difficile, dato il loro addestramento ninja.
Loro non avevano nessuna traccia che li facesse ricondurre al misterioso aggressore della Justice Force.
Nemmeno Leonardo era riuscito a vedere molto, dalla sua visione.
Dovevano affidarsi a Sentry.
-Quel tizio la pagherà cara per aver strapazzato i nostri amici!- esclamò Michelangelo, già scagliando dei pugni contro l'aria -Come ha osato fare questo? Nessuno strapazza la Justice Force e la fa franca!-
Donatello gli diede uno scapaccione.
-Zitto! Vuoi che ci scoprano?-
-Ahi! Intanto non capisco perché non mi avete permesso di tenere il costume di Turtle Titan...-
Infatti, era tornato con la sua solita tenuta da Tartaruga Ninja.
-Perché con quei vestiti sei più irritante del solito!- rispose Raffaello, dandogli anche lui uno scapaccione.
Donatello sistemò il suo binocolo: finalmente aveva una visuale completa sulla città.
-Sentry ha detto che questo tizio opera soprattutto nei vettori coperti dai camion. Quindi sarà su una principale.- ipotizzò -Ma percorrono centinaia di camion, in media. E altrettante sono le principali. Ci vorrà una vita per trovare quello giusto.-
Per fortuna, non avrebbero dovuto cercare a vuoto.
-Ragazzi, ho trovato un camion che trasporta droga!- annunciò Sentry, nel comunicatore.
Donatello si fece serio.
-Dove si trova?-
-Sta passando nella parallela di dove vi trovate voi!- fornì la descrizione del container -Seguitelo! Se le mie deduzioni sono esatte, il tipo con la maschera non ci metterà molto a mostrarsi!-
Le Tartarughe annuirono all'unisono.
Saltarono sui tetti degli edifici, raggiungendo la posizione indicata da Sentry.
Un camion corrispondente alla sua descrizione, in effetti, stava passando tranquillamente sulla principale.
Nessuna vettura della polizia che interveniva per controllarli o perquisire il container. Dopotutto, lo aveva rivelato Sentry stesso, che alcuni membri della polizia erano stati corrotti proprio per far circolare liberamente i traffici di droga.
Per qualche minuto, le quattro Tartarughe lo seguirono.
A prima vista, sembrava un normale camion che riforniva i supermercati.
Ma Sentry, con la sua vista a raggi-X, aveva visto il contenuto.
Stava per raggiungere un semaforo.
Le quattro Tartarughe si misero in posizione. Avevano un'ampia panoramica sull'incrocio.
-Perché aspettare?- iniziò Raffaello, scrocchiandosi le dita -Perché non assaltiamo noi quel camion? Avete idea di quante persone muoiano, per quella roba?-
-Perché non è il nostro obiettivo.- ricordò Leonardo.
Ma, dentro, condivideva il pensiero del fratello: loro stessi si erano scontrati con degli spacciatori, in passato.
-Quel camion è solo un'esca.-
Quella sera, in realtà, aveva altro, in mente: non riusciva a smettere di pensare al suo sogno. Ed alla visione dell'aggressione alla Justice Force.
“Portali da me...”
Quella voce sibilata l'aveva stampata nella mente. Non riusciva a non rabbrividire, a quella voce.
Se davvero si fossero scontrati con lui, avrebbe avuto modo di esaminarlo da vicino, scoprire di più sui suoi poteri.
-Ehi! Ma cosa fa quello?!-
Donatello aveva preso il suo binocolo, puntandolo verso l'incrocio sottostante la loro posizione: una persona stava attraversando la strada, nonostante il semaforo pedonale fosse rosso.
Ma ciò che aveva attirato la sua attenzione era il suo abbigliamento: un ampio mantello che gli copriva interamente la parte posteriore del corpo.
Leonardo prese il binocolo del fratello, osservando lo stesso punto.
Si illuminò, sentendo il proprio cuore battere forte e veloce.
-Ragazzi, è lui!- esclamò, attirando l'attenzione dei fratelli -Il ragazzo che stiamo cercando! È lui!-
Lo aveva riconosciuto dalla visione: il mantello aveva lo stesso colore.
Restava fermo, in mezzo alla strada. Il camion era sempre più vicino.
Leonardo si alzò, restituendo il binocolo a Donatello.
-Dobbiamo fare qualcosa!- esclamò.
-No, Leo!-
Nonostante il grido di avvertimento di Donatello, Leonardo non si mosse comunque.
C'erano due persone, nel camion: l'autista ed il suo complice.
Non avevano bruciato il semaforo rosso: avevano atteso il verde, prima di partire.
Ma qualcuno stava comunque attraversando la strada.
La fisionomia non era ben definita, poiché il corpo ed il volto interamente coperti da un mantello con cappuccio.
Ma all'autista non importava dell'identità del pedone. Ma nemmeno voleva investirlo.
Provò a suonare il clacson, comunicandogli di spostarsi o tornare sul marciapiede.
Ma il pedone sembrò non ascoltarlo.
Anzi, si fermò a metà corsia. Il volto ed il busto rivolto proprio verso il camion.
Nella speranza che si spostasse, l'autista continuò comunque a suonare.
Il pedone non si spostò.
Allungò un pugno in avanti, il destro: emerse qualcosa di luminoso, divenendo sempre più grande, man mano che si allontanava da chi l'aveva invocato.
Una croce azzurra templare si scagliò contro il camion.
Il camion si ritrovò praticamente tagliato in quella stessa identica forma: fu come una lama ed un muro insieme.
La parte tagliata a forma di croce rimase ferma a mezzo metro di distanza dal ragazzo.
Ciò che rimase, volò oltre lui.
In quei frammenti volanti c'erano ancora l'autista ed il complice, spaventati, ma anche confusi.
Atterrarono in due lati opposti della strada.
Le macchine circostanti inchiodarono. Per fortuna, si salvarono dal camion.
Ma alcuni autisti, spaventati, avevano abbandonato le vetture. Altri iniziarono a chiamare la polizia.
Le quattro Tartarughe furono sbigottite dallo spettacolo.
-Avete visto cosa ha fatto?!- si sconvolse Michelangelo -Ha... ha tagliato un camion a croce!-
-Già, è davvero incredibile...- aggiunse Donatello, anche lui dello stesso umore del fratello.
Leonardo si insospettì.
Lo aveva visto anche nella sua visione, che quel ragazzo era in grado di scagliare croci eteree, come Elisabetta e Federico. Questo e la testimonianza fornita da tutta la Justice Force, davano la conferma che fosse un templare.
Ma Elisabetta aveva chiarito che i templari ricevevano solo un potere, appena ottenuto l'anello.
Allora perché, nella visione, lo aveva visto utilizzare più di un potere?
-Cosa facciamo ancora qui?!- tuonò Raffaello, alzandosi in piedi -Quel pazzo potrebbe distruggere New York, se continua così! Andiamo!-
Non passò molto tempo, prima che si sentisse il suono delle sirene.
Delle macchine della polizia circondarono la principale, ed i poliziotti, con le pistole in mano, minacciarono il ragazzo incappucciato.
-Fermo o spariamo!-
Ma lui ignorò le loro parole: puntò il pugno contro di loro, travolgendoli con la croce templare.
Non staccava gli occhi di dosso ai due pezzi del camion che contenevano uno l'autista, l'altro il complice.
Solo delle macchine della polizia erano un ostacolo. E una parte della merce trasportata all'interno del camion.
Al suo passaggio, si spostarono, come per magia. O telecinesi.
L'autista del camion non era sopravvissuto all'impatto: il volante gli aveva sfondato il torace.
Il suo sguardo vagava nel vuoto, mentre del sangue scendeva copioso dalla sua fronte.
Ma il suo complice no. Aveva solo una ferita alla testa ed un braccio rotto. Cercò comunque di uscire dal camion.
Qualcosa lo prese violentemente per la collottola, aiutandolo ad uscire. Ma quella stessa presa lo attaccò al muro.
L'individuo incappucciato che aveva intravisto prima per strada era di fronte a lui. Il volto era coperto da una maschera di ferro. Riusciva a vedere la propria immagine riflessa, colma di paura per il suo aggressore.
Ma delle luci rosse a forma di croce brillavano dietro ai due fori per gli occhi.
Dei frammenti di vetro, molto probabilmente del camion, levitavano per aria intorno a lui, come per telecinesi.
Quei frammenti si conficcarono presto sugli abiti dell'uomo, che venne attaccato al muro.
-Cosa ti hanno chiesto?!- domandò il ragazzo, minaccioso, dietro la maschera.
-N-non so di cosa lei stia parlando!- l'accento dell'uomo non era americano; sembrava messicano.
Altri frammenti di vetro si conficcarono sui suoi palmi e sulle sue caviglie, facendolo urlare di dolore.
Nello stesso momento, qualcosa uscì da una delle sue tasche: una moneta d'oro, con un cavaliere a cavallo in una faccia ed una croce dall'altra. Una valuta templare.
Il ragazzo la prese, stringendola tra l'indice ed il pollice.
-Le persone che ti hanno dato questi...!- sibilò di nuovo, mostrandolo all'uomo -Che cosa ti hanno chiesto di fare, in cambio di questi soldi?!-
-Non a me, señor! Hanno dato i soldi al mio capo, in cambio di servigi e libera circolazione delle nostre merci!-
-E di quali servigi stai parlando?!-
-Solo portare dei mobili nel vecchio edificio del Clan del Piede! E delle casse con scritto sopra “Fragile”!-
La risposta non convinse il ragazzo incappucciato: infatti, altri frammenti di vetro levitarono intorno a lui.
-Non so altro, lo giuro, señor! Mi risparmi! Ho una famiglia da mantenere!-
-Mi dispiace, ma non posso lasciarti vivere. Nessuno deve sapere che mi hai incontrato.-
Gli mise una mano sul volto, costringendolo a guardarlo un'ultima volta.
-Niente di personale.-
Improvvisamente, però, alzò una mano, fermando un oggetto appuntito tra l'indice ed il medio.
Uno shuriken.
-Lo hai sentito? Lascialo andare.-
Il ragazzo si voltò solo con la testa, senza girare il resto del corpo.
Con la coda dell'occhio, vide quattro tartarughe giganti che lo stavano guardando quasi minacciosi.
Non sembrò reagire alla loro presenza. Si comportava come se alle sue spalle ci fosse il nulla.
-Confessiamo che nemmeno a noi piacciono quelli come lui...- continuò Leonardo, tra i fratelli quello più serio -Ma non è una scusa per distruggergli il camion e mezza città.-
Notò una luce rossa, sotto il cappuccio. Riconobbe la croce templare. Esattamente come accadeva ad Elisabetta, ogni volta che attivava il suo potere.
Si domandò quale potere avesse attivo, in quel momento.
Anche Michelangelo fece un passo avanti, gonfiando il petto.
-E ricorda, non ti conviene farci arrabbiare!- minacciò -E noi siamo già arrabbiati per quello che hai fatto ai nostri amici della Justice Force!-
-Mi servivano, per arrivare a voi...-
La sua voce era ormai un sibilo, dietro la maschera.
Il suo sguardo era puntato principalmente a Leonardo.
Raffaello si scrocchiò di nuovo le nocche.
-Ah, sì? Bene, allora, eccoci qui! Fatti sotto!-
Una croce era apparsa ai piedi del ragazzo. Vi sparì dentro, come se la terra lo avesse inghiottito.
Le quattro Tartarughe arretrarono, sorpresi: non avevano mai assistito ad una magia simile. Non a New York.
-EH?! Come ha fatto?!-
Michelangelo si buttò sul punto in cui era sparito, tastando il pavimento.
-Dove è andato?-
-Intanto tiriamo giù questo poveretto...- propose Donatello, avvicinandosi all'uomo, ancora attaccato al muro.
La sua testa era piegata verso il basso.
A prima vista, sembrava aver perso conoscenza.
Donatello rimosse con cura i frammenti di vetro conficcatisi nei suoi abiti e nei suoi palmi e caviglie.
La testa ciondolava troppo liberamente, mentre lo adagiava sul pavimento.
In effetti, si insospettì.
Mise due dita sulla giugulare. Impallidì.
-Ehi, ma è morto!-
Anche i fratelli si sorpresero.
-Cosa?!-
Le sue ferite non sembravano mortali. E i vetri non avevano colpito nessun organo vitale.
Forse era morto per lo spavento. O per dissanguamento.
Udirono una sirena, in lontananza. Un'ambulanza.
-Meglio, così se ne occupano loro...- commentò Raffaello.
Non aveva torto: la loro priorità era il ragazzo incappucciato.
Era sparito praticamente tramite teletrasporto. Poteva essere ovunque.
-Puoi rintracciarlo, Leo?- domandò Michelangelo.
I poteri che aveva ottenuto grazie all'addestramento dell'Antico lo avevano aiutato a ritrovare i fratelli, in passato.
Mise la mano nello stesso punto in cui era sparito il ragazzo.
Avvertì qualcosa, senza avere visioni: un'aura.
Non era lontano.
Infatti si voltò di scatto, oltre i fratelli.
-Eccolo! È lassù!-
Stava indicando un palazzo dall'altra parte della strada.
Qualcosa vi stava correndo sopra, in effetti: un mantello scuro ondeggiava alle sue spalle.
-Ma come ci riesce?!- si stupì Donatello -Secondo la legge della gravità, è impossibile!-
Leonardo acuì la vista: sotto i piedi del ragazzo, infatti, comparivano delle croci templari, ogni volta che toccava il muro.
Correva su quel muro come se stesse correndo per terra. Era come se fosse riuscito a trasferire la gravità su quel palazzo.
-Dobbiamo seguirlo!- tagliò corto, lanciandosi subito all'inseguimento.
I fratelli fecero lo stesso, senza indugi e con tanta determinazione.
Volevano studiare da vicino l'aggressore dei loro amici della Justice Force.
Non fu un problema, per loro, raggiungerlo.
Saltarono con agilità sulle scale esterne del palazzo accanto.
Il ragazzo, per fortuna, non era scappato. Nemmeno sembrava aver intenzione di scappare.
Era rimasto fermo, sul tetto dell'edificio che aveva scalato, attendendo di proposito i quattro rettili giganti, che si presentarono alle sue spalle, pronti a combattere.
Si voltò lentamente verso di loro: anche dietro la maschera non mostrava segni di timore. Era perfettamente calmo.
-Non sappiamo chi tu sia...- iniziò Michelangelo, roteando i suoi nunchaku -Ma chi si mette contro la Justice Force si mette contro di noi!-
-Non ho niente contro di voi...- disse il ragazzo, con tono piatto, senza sentimenti.
I fratelli seguirono il suo esempio. Leonardo fu l'ultimo a prendere le proprie armi.
C'era qualcosa, in quella persona, che lo stava insospettendo.
Aveva attaccato la Justice Force, stremandoli, non uccidendoli come aveva fatto con l'uomo; ma erano le quattro tartarughe i suoi veri obiettivi.
Ma se non aveva nulla contro di loro, perché aveva detto a Sentry di portarli da lui?
Ancora una volta, sentì lo sguardo del ragazzo su di sé. Era una sensazione fastidiosa.
Quale era il suo vero obiettivo?
-Ah, no?- riprese Raffaello, roteando i sai e mettendosi in posizione di combattimento -Noi invece sì!-
Anche Michelangelo sfoderò un sorriso determinato.
-Andiamo, lui è da solo e noi siamo quattro.- disse, sicuro di sé, mentre roteava i nunchaku -Inoltre, è disarmato. Sarà un gioco da ragazzi!-
Le sue certezze svanirono non appena l'incappucciato allungò una mano da un lato: un'ascia apparve dalla manica.
-AHHH!- urlò, quasi abbracciando Donatello, ugualmente sconvolto -E quella da dove gli è uscita?!-
Non avevano mai assistito ad una scena simile. Per un attimo, avevano dimenticato che Sentry aveva loro raccontato che il suo aggressore faceva comparire armi dalle proprie maniche.
-La prossima volta vedi di chiudere la bocca, Mick.- rispose il fratello, tra i denti.
Il primo ad attaccare fu Raffaello, ovviamente. Se il loro avversario era forte persino da stendere, da solo, l'intera Justice Force, era un degno avversario. Specie considerando della sua affinità con i poteri dei templari.
Questo incentivò Raffaello a dare del suo meglio: saltò in alto, caricando i suoi sai, pronti a pugnalare quel ragazzo.
Lui non si mosse: continuava a guardare in alto, a fissare il suo avversario.
Raffaello cadde in un urlo di guerra, diretto verso di lui.
Distese un calcio, in quella direzione.
Ma non lo colpì.
Con grande stupore sia di lui che dei fratelli, era passato attraverso quel ragazzo.
Preso alla sprovvista, Raffaello atterrò con la gamba distesa in avanti.
La sua caviglia fece un movimento strano, quando toccò il pavimento.
Si piegò per terra, toccandosi la gamba offesa, quasi urlando dal dolore.
-RAPH!- esclamò Donatello, accorrendo in suo soccorso.
-AVETE VISTO COSA HA FATTO?!- indicò Michelangelo -GLI È PASSATO ATTRAVERSO!-
Anche Leonardo era sbigottito: era come aveva visto nella visione, come aveva fatto contro Nanotech, prima di folgorarlo.
Il ragazzo rivolse lo sguardo in un'altra direzione: proprio verso Leonardo e Michelangelo.
Donatello stava controllando lo stato della caviglia di Raffaello: niente di grave, per fortuna.
-Questa non dovevi farla al mio fratellino Raph! Ora ti faccio vedere io! POTERE TARTARUGA!-
Emise l'urlo di battaglia senza i fratelli, scagliandosi sul loro avversario, roteando i nunchaku.
-Mick, no!- lo esortò Leonardo, invano.
I nunchaku volavano ovunque, ma non colpivano mai il loro obiettivo: schivava ogni mossa, indietreggiando.
Ma Michelangelo non si fermava, anzi, continuava con più foga.
-Anf! Bello...! Ma...! Anf! Ti fai...! Colpire...! Almeno...! Anf! Una volta?!-
Il nunchaku colpì in avanti, verso la maschera dell'avversario. Un piccolo portale a forma di croce templare era apparso di fronte. Mezzo braccio di Michelangelo lo attraversò.
-EH?!-
Un altro portale era apparso accanto a lui: il nunchaku diretto al ragazzo colpì il suo portatore sul cranio.
-AHI!-
La tartaruga barcollò da una parte, tenendosi la testa.
Si riprese subito.
-Ah, è così?!-
Sferrò altri colpi, ma altrettanti portali apparivano, portando quei colpi al mittente. Era come se Michelangelo si stesse picchiando da solo.
Stava ormai barcollando.
Non aveva quasi più la forza di sferrare un altro attacco.
Un altro urlo fece voltare il ragazzo: anche Donatello stava per eseguire un attacco in salto, roteando il bastone. In aria faceva quasi l'effetto di un elicottero.
L'ascia lo deviò da un lato, facendolo toccare il pavimento.
Anche Leonardo tentò un attacco di lato.
Ciò non sembrò turbare il loro avversario: diede un calcio orizzontale a Donatello, colpendolo sul cranio, ed un altro sulle gambe di Leonardo, facendolo cadere.
Ma lui si rialzò subito con un balzo, tornando in posizione di combattimento.
Anche Raffaello tornò all'attacco: zoppicava un po', ma non lo avrebbe fermato.
Il ragazzo allungò una mano verso di lui. Raffaello sentì una forza misteriosa respingere il suo colpo.
Notò, infatti, qualcosa tra lui ed il ragazzo: una barriera, anch'essa a forma di croce templare.
Simile a quella che aveva distrutto quel camion.
-BANZAI!- urlò Michelangelo.
Sbucando improvvisamente alle sue spalle, la tartaruga abbracciò il loro avversario, certo di aver bloccato anche le braccia. Infatti, strinse con forza e lo sollevò da terra.
-CE L'HO, FRATELLI!- urlò, quasi sfondando il timpano di chi aveva catturato -CARICATELO DI BOTTE!-
I tre fratelli colsero l'occasione: rotearono le proprie armi e caricarono contro di lui, urlando.
-E ora che dici, bello? Non fai più lo sbruffone, eh?-
Il ragazzo non reagì.
I tre fratelli erano sempre più vicini.
Il mantello non sembrava essere fatto con un materiale grezzo, ciononostante, era ruvido, alle braccia della tartaruga. Tuttavia, si era fatto improvvisamente liscio, ma viscido.
Il ragazzo scivolò via dalle braccia della tartarughe, assumendo una forma strana, come se, per un attimo, non avesse avuto alcun osso. O avesse reso il suo corpo interamente di gomma.
E Leonardo, Raffaello e Donatello erano troppo vicini al fratello per fermarsi.
Invece del loro avversario, caricarono contro di lui. Questo portò ad una colluttazione che li fece cadere l'uno sopra l'altro.
Il ragazzo, nel frattempo, si era ricomposto, tornando normale. Scrutava indifferente i suoi quattro avversari.
Michelangelo emerse dal mucchio, furioso ed offeso.
-EHI, NON VALE! COMBATTI COME LE PERSONE NORMALI!- protestò, cercando di uscire.
Fortunatamente, anche i tre fratelli riuscirono a rialzarsi.
Ancora una volta, si misero in posizione di combattimento.
Un'altra spada, una zweihänder, era apparsa nelle mani del ragazzo.
E anche lui si era messo in posizione di combattimento.
Uno contro quattro.
Le quattro Tartarughe scattarono insieme, un'altra volta.
-POTERE TARTARUGA!-
L'urlo non intimidì chi avevano di fronte.
Il primo ad incrociare le lame fu Raffaello.
Confrontarsi con una spada di quelle dimensioni non lo scoraggiò, anzi.
Schivò un primo colpo discendente.
Poi tentò di colpirlo almeno con il manico del sai.
Il ragazzo alzò il braccio, per proteggersi. Venne udito un suono metallico, provenire da esso.
Non era il suono di un braccio.
Sotto la casacca che gli copriva la pelle, infatti, quella parte del corpo era divenuta di metallo.
Donatello si stava avvicinando, roteando il bastone.
Qualcosa, in quell'istante, stava spuntando sulla gamba più vicina alla tartaruga dalla benda viola: delle rocce.
Caricò un calcio, che lo colpì al ventre, facendolo barcollare e cadere all'indietro.
Anche Leonardo stava puntando le sue spade contro di lui, saltando.
Raffaello ancora pressava, sul braccio del ragazzo.
Le luci rosse che aveva al posto degli occhi lo fissarono minacciosi.
Ciò non intimidì la tartaruga. Tuttavia, sentì qualcosa bruciare sui suoi palmi.
Due piccole fiamme erano apparse tra le sue mani e l'impugnatura dei sai, costringendolo a lasciare le due armi.
Mantenendo il braccio metallico, il ragazzo lo colpì, allontanandolo da sé.
Fu abbastanza rapido da parare le due katana in orizzontale.
Il loro scontro durò pochi istanti.
Delle radici erano apparse dal pavimento, raggiungendo le caviglie della tartaruga, stringendole.
Lo strattone all'indietro lo costrinsero a cadere in avanti.
E per poco non presero anche Michelangelo. Per fortuna, lui scappò, eseguendo delle acrobazie.
-Ma quanti poteri ha, questo?!-
Dalla manica sinistra dell'avversario spuntò un'altra arma: una catena.
Si avvolse intorno al braccio destro della tartaruga dalla benda arancione.
-Cosa...?!- si stupì questi, prima di essere tirato in avanti, per poi cadere battendo il volto sul pavimento.
-Michelangelo!- esclamò, preoccupato, Donatello, soccorrendo il fratello.
Erano rimasti Leonardo e Raffaello contro il ragazzo mascherato. Leonardo era riuscito a liberarsi dalle radici, tagliandole con le katana e Raffaello si era ripreso subito dal colpo subito.
Il ragazzo cambiò armi: due spade, al posto della zweihänder e della catena.
Affrontò le due tartarughe in contemporanea. Non erano rari i litigi tra i due fratelli, ma erano in altrettanta sintonia, quando combattevano insieme.
Entrambi, infatti, distraevano l'avversario, cambiando spesso posizione, ed attaccando in ogni angolo.
Con quel ragazzo non sarebbe andato nel medesimo modo.
Sembrava prevedere le loro mosse. E si metteva spesso in punti a lui favorevoli, per non perdere di vista i suoi avversari.
E parò, incrociando le braccia, l'attacco simultaneo dei due fratelli.
Per un po' resistette alla loro pressione: era alto quanto loro, ma la sua statura era inferiore.
Non avrebbe retto a lungo.
Infatti, attese il momento giusto. Un portale si aprì di nuovo sotto ai suoi piedi, e lui vi cadde, insieme alle sue armi.
Le katana ed i sai si incrociarono, con stupore di Leonardo e Raffaello.
Si scambiarono sguardi sorpresi.
Un portale riapparve vicino a Donatello e Michelangelo.
-Don! Alle tue spalle!- esclamò il secondo, indicando dietro.
La tartaruga dalla benda viola si voltò di scatto, rimanendo quasi paralizzato alla vista della maschera di ferro.
Le spade erano puntate verso di lui.
Ma qualcuno aveva scostato la tartaruga da un lato.
Michelangelo, con un mezzo ruggito, diede un montante ascendente all'avversario, usando un nunchaku al posto del pugno.
Il ragazzo evitò il colpo, spostando la testa da un lato. Poi prese il braccio della tartaruga, con una presa molto forte. E lo fece roteare più di una volta, facendolo scontrare contro Donatello, cadendo insieme, uno sopra l'altro.
-Ah! Mick! Togliti!- si lamentò Donatello, dimenandosi per scostare il fratello -Hai il peso specifico di un ippopotamo!-
-Scusa! Ah, lo sapevo che non dovevo mangiare quattro pizze, oggi!-
Il ragazzo atterrò, ma dei rumori sospetti lo fecero voltare a destra: Leonardo e Raffaello erano saltati nella sua direzione, scagliando un calcio simultaneo.
Non gli diedero il tempo di difendersi o scappare. Il colpo andò a buon segno.
Il ragazzo si scontrò contro il muro, quasi battendo la testa. Venne udito un lieve lamento, da dietro la maschera.
Un colpo semplice, ma efficace.
Le quattro Tartarughe Ninja tornarono insieme, mettendosi in posizione di combattimento, circondandolo.
Non aveva vie di fuga.
-Allora, bello? Ti è piaciuta la lezione?! Mai mettersi contro le tartarughe giganti!- schernì Michelangelo, tornando a roteare i nunchaku.
Il ragazzo mascherato non disse niente.
Roteò la testa, per sentire il rumore delle ossa del collo.
Si mise persino una mano dietro la nuca. L'impatto contro il muro era stato doloroso, ma non aveva subito danni.
Strinse le palpebre, da dietro la maschera.
Michelangelo impallidì, quasi tremando.
-Oh-Oh. Mi sa che lo abbiamo fatto arrabbiare...- balbettò.
Non era la prima volta che affrontavano un nemico potente, ma quel ragazzo era unico, nel suo genere. Era persino più potente di Bishop e Shredder messi insieme.
Allungò entrambe le mani all'esterno. Comparvero due portali, uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra.
Le quattro Tartarughe si misero di nuovo in posizione di combattimento: innumerevoli portali li circondarono.
Da ognuno di questi portali, apparvero delle armi, soprattutto spade, che vennero scagliate contro di loro.
Colti di sorpresa, ma con ottimi riflessi ninja, deviarono e schivarono quella raffica di armi, senza lasciarsi nemmeno sfiorare.
Sembravano non finire mai.
Ma loro non demordevano.
Avevano affrontato sfide peggiori, ed erano stati persino addestrati dal Tribunale Ninja.
Erano pronti a qualsiasi pericolo.
Michelangelo approfittò di un attimo di tregua, per roteare i nunchaku ed assumere lo sguardo furbetto.
-Tutto qui quello che sai fare, bello?!-
Si aspettava un grugnito o un qualsiasi segno di disapprovazione da parte del loro avversario.
Ma non c'era più nessuno.
-E ora dove è andato?!- esclamò Donatello, in allarme.
Un fruscio sospetto allarmò Leonardo, spingendolo a voltarsi.
Impallidì.
-Don! Attento!-
Il fratello si voltò appena in tempo: il ragazzo era riapparso alle sue spalle. Era uscito dal portale come se stesse compiendo un salto.
Teneva due spade nelle mani, incrociate.
Donatello mise il bastone di fronte a sé, a mo' di scudo.
Ma, con un calcio deciso, il ragazzo glielo spezzò.
Donatello dovette chiudere gli occhi, per non ricevere schegge di legno negli occhi.
-NO!- esclamò, sconvolto.
Aveva perso la sua arma. In mano aveva due mezzi bastoni. Non sarebbe stata la stessa cosa.
Approfittando di quel momento di disorientamento, il ragazzo scagliò un altro calcio, verso la tartaruga: di tacco, con un movimento orizzontale.
Quel colpo lo fece cadere per terra, di fianco. Mancava poco che vi impattasse una tempia.
-Don!-
A poco servì la voce squillante di Michelangelo: Donatello aveva perso i sensi. Soprattutto perché stremato dal combattimento.
-Grrrr!!! Prima i miei amici della Justice Force, ora uno dei miei fratellini!- ringhiò la tartaruga dalla benda arancione, stringendo la presa sui suoi nunchaku -Ti diverti proprio a far del male a chi voglio bene? Beh, mi hai fatto davvero arrabbiare, amico! COWABUNGA!-
Roteò le sue armi un'altra volta, scagliandosi con foga contro il suo avversario.
Attaccava senza sosta.
Ma nessuno dei suoi colpi andò a segno: il ragazzo li schivò semplicemente piegando la schiena in più punti, indietreggiando.
Nonostante la furia, i suoi colpi erano più lenti. E man mano che attaccava, si facevano sempre più lenti.
Ansimava, dallo sforzo. Le spade di prima lo avevano completamente privato delle sue energie.
Sentiva le braccia pesanti.
Non riusciva più nemmeno a roteare i nunchaku.
Ciononostante, rise, mantenendo la posa fiera.
-Cosa? Ti arrendi?- provocò.
Il suo avversario non rispose. Tantomeno reagì.
Michelangelo volle avanzare di un passo, ma non si mosse.
Non riusciva a muoversi.
O meglio, sì, riusciva a muoversi, ma i suoi piedi non si staccavano dal pavimento.
Guardò in basso, inorridito: il pavimento si era fatto fangoso ed appiccicoso. Come fosse fatto interamente di colla.
-Vigliacco!- esclamò, tra il sorpreso e l'infuriato. Le tentò tutte per liberarsi, invano.
Raffaello non poteva restare fermo, dopo quello che aveva visto.
Prima Donatello, poi Michelangelo.
Non poteva perdonarglielo: nessuno doveva osare far del male ai suoi fratelli.
Anche lui ricorse alle sue ultime forze per attaccare il ragazzo.
Scattò contro di lui, urlando, i sai pronti per l'attacco.
Ma il ragazzo puntò un dito per terra: un raggio congelante ricoprì una parte del pavimento di ghiaccio, su cui Raffaello scivolò.
Si scontrò contro il muro, battendo la parte posteriore del guscio. Nessun danno grave, per fortuna.
Tuttavia, un altro raggio congelante lo colpì, bloccando il guscio al muro, non la figura intera.
-Ah! Shell!-
Persino i polsi erano bloccati.
Era rimasto solo Leonardo. Contro il ragazzo incappucciato senza nome.
Anche lui era stremato: a stento si reggeva sulle gambe.
Era in ginocchio, infatti, una mano sull'impugnatura della katana piantata nel pavimento.
Aveva approfittato degli attacchi dei fratelli per riprendere fiato ed un poco di energia.
Ma non era abbastanza per continuare a combattere.
Era l'occasione perfetta, per il ragazzo, di attaccarlo.
Ma non lo fece.
Camminava di fronte a lui, avanti e indietro. Senza staccargli gli occhi di dosso.
Le croci templari erano ancora visibili, dietro la maschera: i suoi poteri erano ancora attivi.
Leonardo ricambiò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.
Reggendosi bene alla katana, tornò in piedi.
Le impugnò entrambe come era solito fare: non intendeva arrendersi.
Principalmente per i fratelli.
Le due spade erano sparite, dalle mani del ragazzo: al loro posto, era comparsa di nuovo una zweihänder.
Leonardo caricò, attaccando con entrambe le katana, contemporaneamente.
La spada enorme le deviò da un lato, spostando anche Leonardo.
Lui simulò una caduta, tornando in piedi con una capriola. La katana sulla mano destra tentò un attacco orizzontale, con la lama diretta proprio verso la maschera, ma venne parata dal filo della spada e poi portata in basso.
Leonardo tentò un pugno con la mano sinistra, ma il ragazzo spostò il volto da un lato. Poi eseguì una giravolta, mirando al cranio del suo avversario con l'elsa.
La tartaruga si abbassò appena in tempo, tentando, nel frattempo, di far inciampare il ragazzo con un calcio basso.
Il ragazzo saltò indietro, evitando il calcio.
A quel punto, le katana attaccarono di nuovo contemporaneamente.
La zweihänder le parò entrambe, in posizione orizzontale.
Vi fu una sfida di resistenza, tra i due avversari.
-Chi sei tu?!- domandò la tartaruga, quasi sotto sforzo.
Le sue braccia stavano cedendo, ma non doveva arrendersi.
La risposta giunse in un sussurro.
-Qualcuno che non sarebbe mai dovuto esistere…-
Era un tono piatto, ma, nello stesso tempo, pieno di... rimpianto.
Leonardo lo trovò sospetto, ma anche inusuale.
Anche il suo modo di combattere: ricordava molto lo stile di Elisabetta. Se davvero era un templare, aveva seguito lo stesso allenamento, ed appreso le stesse tecniche di scherma.
Nello stesso istante, si allontanarono l'un dall'altro.
E nello stesso modo tornarono a combattere.
L'acciaio delle loro lame sembrava risuonare per tutta New York.
Gli attacchi di Leonardo erano ormai lenti e prevedibili, ma il suo avversario non ne stava approfittando per finirlo.
Non voleva ucciderli.
Come non voleva uccidere la Justice Force.
“Quale è il suo vero obiettivo?” si chiese Leonardo, mentre sferrava l'ultimo colpo.
Il ragazzo lo schivò, semplicemente abbassandosi.
Ma Leonardo aveva in mente un colpo inaspettato: attese che si rialzasse, per sferrargli un pugno.
Il ragazzo, però, lo aveva previsto, in un modo o nell'altro: scattò indietro e rispose nello stesso modo.
I loro pugni si incontrarono, nocche contro nocche.
Si bloccarono, tutti e due, sorpresi. Ma non per l'attacco.
Leonardo perdette l'uso della vista per un attimo: era in un luogo lucente. Non vedeva nulla.
Tuttavia, sentì qualcosa: un canto.
Di un uomo.
Era un suono lontano.
Un senso di nostalgia e di melanconia lo prese. Ma non gli appartenevano.
Era come se qualcun altro li stesse provando, attraverso di lui.
Aveva già provato una sensazione simile, ma quando?
-Fallo… smettere…!-
Non avevano ancora separato i pugni.
Il ragazzo sembrava barcollare: la sua testa era piegata verso il basso e il suo braccio stava tremando.
Leonardo era confuso.
-Cosa?-
Vide di nuovo il suo avversario negli occhi: i suoi occhi non esprimevano più freddo stoicismo, nelle croci templari.
Turbamento. Caos. Melanconia.
Realizzò che il tremore non era affatto dovuto allo sforzo: qualcosa lo aveva scosso.
Che anche lui avesse visto o sentito qualcosa?
-Lo hai sentito, vero? Il canto?!- anche il suo tono era cambiato. Più disperato.
Il canto... Fino ad allora, Leonardo aveva solo visto un'ombra.
Perché ora aveva sentito un canto?
-Sì…- si limitò a rispondere, ancora confuso.
Cosa gli stava succedendo?
-Quel canto mi sta torturando ogni giorno!- il suo tono era sempre più disperato, come fosse sotto tortura -Fallo smettere, ti prego! Fai smettere il canto del templare!-
“Il canto del templare?” pensò Leonardo, ancora più confuso.
Fino ad allora, aveva visto solo un'ombra, nei suoi sogni. Anche nella Dimensione Mistica. E ogni volta che osservava il trofeo del Nexus.
-Io vengo perseguitato da un'ombra, nei miei sogni!- rivelò -E non so nemmeno come liberarmene! Come posso aiutarti a liberarti da una voce?-
Il ragazzo continuò a tremare. Anche la sua voce iniziò a tremare.
-IL NINJA! DEVI PARLARE CON IL NINJA!- esclamò, sull'orlo della disperazione -SEGUI L’OMBRA DEL NINJA!-
-Il ninja…? Ma cosa...?-
Quel ragazzo sapeva qualcosa.
L'aria intorno a loro, però, improvvisamente, cambiò.
Qualcosa si stava avvicinando.
-Lasciali andare!-
Silver Sentry stava sfrecciando contro il suo aggressore, con i pugni rivolti in avanti.
Percependo la sua presenza, il ragazzo lasciò la presa su Leonardo, rivolgendo la sua attenzione al supereroe.
A pochi metri di distanza, sparì in un altro portale.
Sentry colpì il vuoto, ma continuò a volare.
Il ragazzo incappucciato riapparve di fronte al supereroe.
Due croci templari erano sotto gli stivali, permettendogli di camminare anche per aria.
-Sentry! No!- esclamò Michelangelo, ancora intento a liberarsi dal pavimento fangoso -Non ti sei ancora ripreso!-
Le ferite non si erano ancora rimarginate del tutto, in effetti.
Ma non poteva lasciare i suoi amici tartarughe contro quella persona pericolosa.
Doveva intervenire.
Ma il ragazzo non voleva più combattere: era possibile notarlo da come evitava i pugni del supereroe, senza contrattaccare.
Michelangelo, Raffaello e Leonardo rimasero fermi a fissare.
Fino a quando Setry non sferrò un pugno con rincorsa.
Il ragazzo si era spostato di lato, prendendo tutto il braccio.
Poi girò su se stesso, senza mollare la presa.
Era impossibile: nessuno poteva tenere testa a Silver Sentry, in quanto a forza.
Quel ragazzo era davvero pericoloso.
Un altro portale a forma di croce templare era apparso accanto a lui.
Vi lanciò dentro il supereroe, chiudendosi un attimo dopo.
-SENTRY!- esclamò Michelangelo, preoccupato per l'amico.
Ancora non riusciva a liberarsi.
Il ragazzo rimase lì, per aria, a fissare i quattro rettili.
Non era più disperato come prima. Tornò di nuovo a fissarli uno per uno, freddo.
-Sembra che il nostro incontro sia finito qui, per oggi.- disse, freddo e secco -Ricordate le mie parole: diffidate dei templari. Non sono chi credete che siano. E dite la stessa cosa anche a Flagello.-
Le tre tartarughe si allarmarono: conosceva Elisabetta?
Si voltò un subito dopo, continuando a correre per aria, senza aggiungere altro: altre croci templari apparivano sotto le sue scarpe, ad ogni passo che compiva.
Poi, sparì dentro un altro portale.
Non riapparve più.
Nel medesimo istante, il pavimento sotto Michelangelo tornò normale.
E il ghiaccio che bloccava Raffaello si sgretolò da solo.
-Alla buon'ora!- lamentò -Stavo per avere un principio di congelamento!-
Con la coda dell'occhio, notò Donatello, seduto sulle proprie ginocchia.
-Don!- esclamò, correndo da lui.
Anche Michelangelo lo seguì.
-Don! Allora stai bene!-
Aveva ripreso i sensi, ma non era accorso a soccorrere i due fratelli.
Tra le mani, teneva il suo bastone spezzato.
La sua arma. L'unica arma con cui si era allenato da quando era bambino.
Senza, non sapeva come difendersi.
E quel ragazzo gliel'aveva spezzata.
Sospirò, con aria malinconica.
-Don, mi dispiace molto...- iniziò Raffaello.
-Non importa.- tagliò corto il fratello, facendo spallucce, rassegnato -Sarà la scusa per incentivarmi a fabbricare un bastone di metallo che emette impulsi elettrici.-
Nonostante tutto, non si rattristò così tanto per la perdita della sua arma.
Michelangelo stirò le braccia, tirandole verso l'alto ed incrociando le braccia.
-Mondo Pizza...- commentò -Sentry non si sbagliava, allora... quel tipo è davvero uno tosto. Mi domando solo cosa volesse da noi. E, soprattutto, come fa a conoscere la nostra Eli? Leo, tu che dici?-
Nessuna risposta.
-Leo? Leo!-
Leonardo non si mosse: il suo sguardo era assente, le sue orecchie non sentivano più i suoni.
Troppe rivelazioni in un'unica sera.
Il canto del templare... l'ombra del ninja... cosa significavano?
Erano settimane che faceva sogni strani: prima l'ombra che gli indicava di seguirlo. E poi il suo ultimo sogno, in cui lui non era lui, ma un'altra persona.
Non era riuscito a vedere bene il volto della persona con cui stava parlando.
Dalla voce, era un uomo adulto; e, a giudicare dalla casacca, era un templare.
Leonardo, prima di Elisabetta, Federico e degli altri templari che aveva visto al Nexus, non aveva mai incontrato un templare.
Tuttavia, ogni volta che la sua mente richiamava l'immagine di quel templare, un grande senso di melanconia e nostalgia lo invadeva, spingendolo di conseguenza al pianto.
Come se lo avesse effettivamente conosciuto.
Ma non c'era nessuno, nel suo passato, il cui nome fosse Etienne.
E il nome con cui lo aveva chiamato, Yuko, per un attimo aveva avuto l'impressione che gli appartenesse.
Non era un sogno come altri. Leonardo se lo sentiva dentro.
E dopo le rivelazioni di quel ragazzo, ne era più che certo.
Non sapeva perché, ma sentiva che le sue parole ed il sogno di quella notte erano collegati.
-LEO!-
La voce di Raffaello si era fatta più forte.
Leonardo tornò nella realtà.
I suoi fratelli erano intorno a lui. Stremati, ma salvi e senza un graffio.
-Ho appena chiamato Sentry.- informò Michelangelo -Per fortuna sta bene. Il tizio lo ha rimandato alla torre della Justice Force.-
-Ci ha risparmiato la vita...- notò Donatello, riflessivo -Non so perché, ma ho l'impressione che non volesse ucciderci. Né noi, né la Justice Force. Avete visto, no, cosa ha fatto con quel poveretto, prima? Non è uno che arretra, per uccidere qualcuno. Se fosse stata quella, la sua intenzione, lo avrebbe fatto.-
-E allora cosa voleva farci?- domandò Raffaello, seccato.
Donatello fece una piccola pausa. Poi parlò di nuovo.
-Avete visto, no, come combatteva? Sembrava quasi volesse affaticarci. Specialmente noi tre.- indicò se stesso, Michelangelo e Raffaello -Così da dedicarsi ad un unico soggetto. Avete notato la sua attenzione verso Leo?-
Si voltarono tutti verso Leonardo, incuriositi.
Lui arretrò di un passo, quasi impallidendo.
-Perché mi guardate così?-
Donatello fece un passo in avanti, serio.
-Forse ero ancora tramortito dal colpo alla testa...- iniziò -Ma ho l'impressione di aver sentito una piccola conversazione, tra di voi. Qualcosa su un ninja ed un templare...-
-Ha ragione!- approvò Michelangelo, illuminandosi -Sì, l'ho sentito anch'io! Parlavate di un qualcosa relativo a sogni, canti di templare, ombre di ninja...- anche lui si fece serio -Leo... cosa ci stai nascondendo, di nuovo?-

Non lo aveva detto a nessuno.
Nemmeno a Splinter.
Ancora una volta aveva mentito ai suoi fratelli. Ma per proteggerli.
Non voleva allarmarli per dei sogni.
Ormai, però, era stato scoperto.
Continuare a nascondere sarebbe stato inutile.
Sospirò.
-Va bene. Vi racconterò tutto...-

 

Un pedone nero avanzò di un passo.
L'alfiere bianco lo mangiò, prendendo il suo posto.
-Ah! Un altro pedone è mio!- esultò April -Prendi le tue decisioni troppo in fretta. Devi riflettere di più, Eli. È così che funzionano gli scacchi.-
Elisabetta aveva giocato spesso a scacchi, con Donatello. E lui, ogni volta, le dava consigli su come migliorare. Ma lei continuava a prendere decisioni affrettate, senza riflettere.
Nello stesso modo, infatti, aveva deciso di muovere la torre, mangiando un pedone avversario.
Il re nero, però, era scoperto.
Questo diede libera strada alla regina bianca.
-Scacco matto.- annunciò la donna, prendendo lo scacco nero.
La templare emise un sospiro di delusione.
Odiava riflettere a lungo. Per questo era negata, negli scacchi.
Nei suoi atteggiamenti, nelle sue reazioni, infatti, assomigliava più a Raffaello. E nemmeno lui era tipo da riflettere, prima di agire.
-Ogni sconfitta è un insegnamento.- suggerì April, mettendosi di nuovo comoda sul divano.
Sobbalzò un attimo dopo.
-Ehi, era un calcetto, amore?- disse, accarezzandosi il pancione -Eli, vuoi sentire?-
Guidò la mano della templare sul pancione: in effetti, qualcosa si stava muovendo, al suo interno.
-Questa è Eli, amore. Una nuova amica della mamma e del papà. E la mamma spera di combattere contro di lei, un giorno, quando tu nascerai.-
Le quattro Tartarughe raccontavano spesso ad April delle capacità marziali della templare. E lei era sempre più curiosa di misurarsi con lei. Specie dal giorno in cui aveva messo a tappeto Casey.
E ad Elisabetta era stato raccontato che anche April non era una cattiva combattente. Sarebbe stato interessante combattere contro un'altra donna che non fosse una Valchiria.
-Si muove sempre ogni volta che voglio sedermi. Penso me lo faccia apposta. Ah, la gravidanza… tanto bella quanto stressante.- sospirò -Spero proprio che non avrai i miei problemi, quando capiterà anche a te.-
La risposta venne preceduta da una risata accennata.
-Non c’è problema, tanto non capiterà mai.-
April alzò le sopracciglia, sorpresa.
-Che vuoi dire?-
Elisabetta si morse entrambe le labbra. Non era un argomento leggero di cui parlare. Non con una donna incinta.
-Quando entri nell’ordine…- rivelò, con un filo di voce -Beh, come prima cosa vieni sterilizzato.-
-Cosa?!-
Rifletté per un attimo. Qualcosa la insospettì.
-Ma se davvero venite sterilizzati, allora come non si sono accorti che eri una donna?-
-Questo processo è diverso da quello medico-chirurgico.- spiegò la templare -Il Gran Maestro punta il suo anello contro di noi e veniamo esposti alla sua luce. Le nostre funzioni riproduttive si spengono, senza più riaccendersi. Dobbiamo dedicarci completamente a Dio, senza distrazioni di alcun genere. Dobbiamo essere mentalmente perfetti e dediti alla causa. E non farci tentare.-
Erano pur sempre cavalieri-monaci. E i monaci avevano l'obbligo del celibato.
Ma in passato, senza quel potere, non erano state rare le deviazioni da quel voto.
Per questo era stata presa quella precauzione.
April provò compassione, per la ragazza.
-Mi spiace, cara...-
-Non importa. Anche se non fossi entrata nell'ordine, non ci sarebbe stata comunque occasione.-
April ritenne saggio non fare altre domande al riguardo.
Ma su una cosa era comunque curiosa e sospettosa.
-Ma non avevi detto che due ragazzi dell'Ordine sono figli di due membri?-
Alludeva a Carmine e Federico. Elisabetta aveva parlato della sua vita da templare anche ad April: per ingraziarsi le Tartarughe, doveva ingraziarsi anche la loro prima amica umana, nonché la più fidata.
-È permesso avere figli prima di entrare nell'ordine, ma quando hanno raggiunto l'età adulta devono per forza entrare nell'Ordine. A meno che tu non sia divorziato. A quel punto, i figli sono esonerati dal divenire templari. Per il resto, dobbiamo attenerci al giuramento di castità.-
-E se uno infrange quel voto?-
-Viene scomunicato, come è successo con me.-
Per il non adempimento dei propri doveri e per l'infrazione del voto di castità era prevista la scomunica: privazione dell'anello, e la conseguente camminata in mezzo ai confratelli, privi di ogni indumento, trasportando una croce alle spalle, mentre subiva lanci di pietre ed escrementi.
Per il tradimento, la pena di morte per impiccagione.
-Sei stata la prima ad essere scomunicata?- domandò April, interessata, ma anche allarmata.
-Da quanto so, un uomo, un Gran Maestro a quanto pare, è stato scomunicato per aver infranto il voto di castità. Era il Gran Maestro dell'America Latina. E lì... beh, vieni sottoposto non poco a certe... tentazioni. E lui cedette. Più volte. Il Magister ed il resto dei Grandi Maestri lo hanno scoperto e lo hanno scomunicato. Adesso viene chiamato il Rinnegato.-
Prima che potesse spiegare di più, il campanello suonò.
-Ah, questa deve essere la nostra cena.- interruppe la donna -Non ti azzardare a prendere i tuoi soldi. Offro io.-
A causa della pancia, si rialzò a fatica.
-Arrivo.-
La cena che aveva ordinato sembrava per più persone.
Si avventò subito sui ravioli alla piastra.
-Beh, a Michelangelo dispiacerà che ci mangeremo questo ben di Dio da sole.- rise Elisabetta, prendendo un involtino primavera.
-Sì, se non lo condividerete.-
La voce proveniva dalla finestra: le quattro tartarughe erano di nuovo entrate da lì, per non attirare l'attenzione delle persone per strada.
-Ragazzi!- salutò April, facendo di nuovo fatica ad alzarsi.
Ma Donatello, con un gesto della mano, le intimò di restare ferma.
-Volevamo farti visita anche noi, April.- disse, sorridendo con occhi tristi.
Michelangelo annusò l'aria.
-Mmm... pappa buona... Muoio di fame.-
Scrutò tra i sacchetti, ammirando con gli occhi che brillavano ogni vaschetta di alluminio al loro interno.
Ne aprì uno.
-Mmm! Riso alla cantonese!-
Lo mangiò direttamente dalla vaschetta, senza bacchette.
-Come è andata, con la Justice Force?- domandò Elisabetta, curiosa.
-Prima che Mick scroccasse la cena ad April, era proprio questo di cui volevamo parlarti.- iniziò Donatello.
Si misero a sedere: le due umane sul divano ed i rettili per terra. Ognuno aveva preso una vaschetta di cibo.
-Eli, i templari ricevono solo un potere, quando ottengono l'anello, giusto?-
La templare annuì.
-Sì, perché questa domanda?-
Le quattro Tartarughe si osservarono l'un l'altro. Preoccupati.
-L'aggressore della Justice Force...- si intromise Leonardo, con un filo di voce -Ecco... ne ha usato più di uno.-
Elisabetta smise di mangiare all'istante; il suo cuore iniziò a battere forte.
-Come era?- domandò; il suo respiro si era fatto più pesante -Il suo aspetto, intendo... Come era?-
I presenti si allarmarono, alla sua reazione.
E si insospettirono.
-Aveva un grande mantello, con cappuccio. E una maschera di ferro sul volto, che aveva le fattezze di un volto umano.- descrisse Leonardo -E ho notato due luci rosse, agli occhi. Avevano la forma delle croci templari, come quelle che appaiono ai tuoi occhi quando usi il tuo potere.-
Elisabetta si fece pallida in volto.
Le sue mani iniziarono a tremare. Per poco non fece cadere la sua cena.
-Cara, stai bene?- si allarmò April, prendendole amorevolmente un braccio.
Era come se avesse visto un fantasma.
Si alzò, avvicinandosi alla finestra. Era ancora lievemente aperta. Lì poté riprendere un po' d'aria.
Le Tartarughe si alzarono, avvicinandosi di un passo, preoccupati per lei.
-Eli... che succede...?- domandò Donatello, serio -Tu... non è la prima volta che lo senti nominare, vero...?-
Lei si morse entrambe le labbra. Si voltò verso gli amici.
Il suo tono, come il suo sguardo, si era fatto cupo.
-Lo chiamiamo “Omnes”.- spiegò -Significa “tutto”, in latino, perché detiene ogni potere dei templari.-
-Omnes...- ripeté Leonardo, a bassa voce, sospettoso -Quindi è così che si chiama...-
-Nessuno gli ha mai visto il volto. Appare ovunque i templari agiscano. Praticamente ci mette i bastoni tra le ruote in ogni nostra operazione.- parlava di un periodo in cui faceva ancora parte dell'ordine, per questo aveva usato il pronome “noi” -Gli diamo la caccia da una vita, ma come appare così sparisce.-
E le quattro Tartarughe lo avevano scoperto, da come scompariva nei portali.
-Sembra una persona, ma è praticamente un fantasma. Cambia aspetto ogni volta che viene avvistato. A volte è basso, altre è alto, alcune grasso, altre magro, qualsiasi corporatura. È in grado di cambiare persino la voce. L’unica informazione che abbiamo su di lui è la maschera che indossa e i suoi abiti. I Grandi Maestri credono che sia il fantasma del templare che abbiamo condannato a morte un anno fa, tornato nel mondo dei vivi per vendicarsi del torto subito. Non pensavo si sarebbe spinto fino a New York.-
Una storia da brividi.
Michelangelo impallidì.
-Abbiamo... abbiamo affrontato... un fantasma?!-
-Sembrava piuttosto corporeo, quando lo abbiamo affrontato. In certi momenti...- notò Raffaello.
-Quindi appare dove agiscono i templari, hai detto...- riprese Leonardo, interessato.
Doveva sapere quante più cose possibili su Omnes.
Non sapeva perché, ma ebbe l'impressione che quella non sarebbe stata l'unica volta in cui si sarebbero incontrati.
-La prima volta in cui è stato avvistato, è stato tre giorni dopo la morte di Frances... ehm! Di Benedizione. Un gruppo di templari appartenenti all'Ordine Europeo avevano dichiarato di essere stati aggrediti da un individuo che controllava tutti i loro poteri. Da allora non sono state rare le aggressioni su templari e sicari assoldati. Si era aperta una caccia all'uomo. Ma come appariva, così spariva. Fino a quando alcuni degli informatori lo avevano avvistato a Roma, nella Città del Vaticano. David aveva inviato me, per affrontarlo e catturarlo...-

 

Il portone della basilica di San Pietro si aprì quasi cigolando.
Non c'era nessuno, a quell'ora.
Delle candele illuminavano le navate oscure.
L'unico rumore era dovuto ai movimenti dell'armatura di Flagello.
Sulla testa aveva solo l'infula e la cotta di ferro. L'elmo era sottobraccio.
Le fu più facile scorgere la figura in preghiera di fronte all'altare.
Un grande mantello gli copriva le spalle.
Flagello si fermò, a tre metri di distanza da quell'individuo.
Era meglio tenersi ad una giusta distanza, da una persona che le avevano descritto come pericolosa.
Ma era pronta a sfoderare il suo potere in qualunque momento.
Le croci templari potevano già essere intraviste nei suoi occhi.
-Dunque sei tu l'impostore che i Grandi Maestri chiamano Omnes.- iniziò, con voce maschile; fuori dalle mura dell'Ordine, dopotutto, lei era Eliseo, non Elisabetta.
L'individuo di fronte all'altare alzò la testa. Fu l'unico movimento che fece.
-Omnes...?- sibilò; la sua voce era ovattata -È così, dunque, che mi chiamano...-
Mosse di nuovo la testa, voltandosi indietro.
Flagello scorse qualcosa, sotto quel cappuccio: una maschera di ferro. Ed una luce rossa.
Il profilo di quella maschera era spaventosamente familiare.
-Ah... il famoso Flagello, presumo.-
Si alzò, voltandosi completamente verso la templare.
Sotto il mantello aveva una tenuta mimetica nera, senza, però, giubbotto antiproiettile.
-La tua fama ti precede.-
In effetti, sotto il cappuccio, era possibile scorgere un volto umano. Le luci ne evidenziavano i lineamenti.
Vedere quel volto fece arretrare Flagello.
Ma non poteva mostrare alcun segno di esitazione o debolezza. Aveva una missione da compiere.
-Così come la tua.- disse, fredda -Hai sterminato da solo un intero plotone di cavalieri templari.-
-Che avevano l'ordine di cacciare degli innocenti dalle proprie case.-
-Li hanno liberati da uno schiavista massone che li sfruttava come manodopera, dei poveri schiavi nella loro stessa terra, costretti a vivere nel fango e nel freddo!-
-E tu credi che la loro condizione sia migliorata, con l'arrivo dei templari? Credi davvero alle loro parole?-
-Non sei tu a decidere cosa è giusto o sbagliato.-
-E voi sì, invece? Solo perché liberate le persone e nazioni dalle mani dei criminali e degli schiavisti?-
“Sì!”, avrebbe risposto Flagello.
Era così che avevano liberato l'Italia dalle varie mafie, come in altre zone del mondo. Così avevano liberato delle persone che vivevano come schiavi, con false promesse di una nuova vita.
L'ordine era il fine dei templari, ma anche la fine delle ingiustizie.
Tuttavia... dei dubbi erano sorti, dalla condanna a morte di fratello Francesco, detto Benedizione.
Era devoto all'ordine, uno dei più fedeli. L'accusa di tradimento non gli si confaceva.
Ciononostante, era stato comunque condannato.
-Cosa succede alle persone che liberate? Vivono le loro vite? No, finiscono quasi sempre per lavorare per voi. In condizioni decisamente migliori di prima, ma comunque schiavi di qualcuno. E il fatto che ormai l'Ordine abbia quasi raggiunto la potenza mondiale? Gesti di persone deboli e disperate che non sono in grado di risolvere da soli i propri problemi. I templari stanno conquistando il mondo, per soggiogarlo sotto il loro cosiddetto “ordine”. Vi fanno credere di essere dei buoni samaritani, ma, in realtà, i templari non sono così diversi da quelli che affrontate. Alla fine, cedono tutti all'avarizia.-
L'Ordine, infatti, aveva sedi in tutti i continenti. L'intento principale era liberare ogni singolo Stato dalla malavita, dalle mafie, dalle massonerie che manovravano la politica mondiale.
Erano dei giustizieri che esorcizzavano il male.
Come potevano essere peggio dei criminali, si chiese Flagello .Principalmente per non dimostrare a quell'individuo i suoi dubbi ed incertezze sull'Ordine.
Sorrise in modo strano, infatti. Le croci templari apparvero di nuovo, svanendo un attimo dopo.
-Parole grosse, dietro quella maschera.- provocò -Una volta tolta sarà lo stesso? O sei solo un vigliacco che si nasconde dietro una maschera?-
Omnes, inizialmente, non si mosse.
Restava fermo, a fissare la templare.
-Credi che abbia paura...?- mormorò di nuovo, impassibile.
-Solo i vigliacchi nascondono il loro volto.-
Alzò Hesperia contro di lui.
-Mostrami il tuo volto o ti toglierò quella maschera con la forza!-
Omnes rimase di nuovo fermò. I suoi occhi erano fissi su di lei.
Alzò una mano, avvicinandola al volto.
Poi la rimosse con un movimento lento, mentre del fumo grigio, proveniente proprio dal volto, si dissolveva nell'aria.
Anche il cappuccio venne rimosso, mostrando dei corti capelli corvini.
Omnes era finalmente rivelato.
-Così va meglio... Eli?-
Elisabetta sentì il proprio respiro bloccarsi in gola. Hesperia tremò, nella sua mano.
Arretrò di un passo.
Aveva avuto qualche deduzione solo notando i lineamenti della maschera, ma corrispondevano perfettamente a chi la indossava: occhi dalla forma quasi orientale, labbra piene e carnose.
Solo una persona che conosceva aveva quelle caratteristiche.
-Fran...?!- balbettò, quasi priva d'aria, dalla sorpresa.
Francesco. Detto Benedizione, perché ogni peccatore merita almeno una benedizione.
Morto per impiccagione reo di tradimento contro l'ordine.
Elisabetta stessa aveva assistito alla condanna. Lo aveva visto morire, di fronte ai suoi occhi. La corda tesa, non appena il suo corpo era caduto nella botola. E il cappio che gli aveva spezzato il collo.
Era impossibile che fosse tornato in vita.
Ma ora lo vedeva, di fronte a lei, esattamente come lo ricordava.
Tranne per gli occhi: non erano scuri, ma con le croci templari rosse, come se avesse un potere attivato.
-Ma come...?! Come può essere?! Tu... tu sei morto! Fede e io abbiamo vegliato su di te per tutta la notte! Non abbiamo distolto gli occhi da te fino a quando non ti hanno sotterrato!-
-È così, infatti.- spiegò Francesco.
C'era qualcosa di strano anche nel suo tono. Piatto, privo di emozioni, cinico. Non era il Francesco che ricordava.
-Non so come sia successo...- avanzò di un passo, più vicino alla templare, con sguardo freddo, come se avesse di fronte un'estranea, non una fidata sorella d'arme -La corda mi ha davvero spezzato il collo. E ho visto solo il buio. Poi, ho ripreso improvvisamente a respirare, a muovermi. Mentre venivo torturato, devo essere stato maledetto da uno dei demoni di Faust.- sorrise in modo strano, guardando da un'altra parte che non fossero gli occhi ancora sgomenti della templare -Evidentemente, sopravvivere alla morte e vivere in eterno con la vergogna di aver tradito l'ordine templare è la vera punizione capitale. È proprio vero che ci sono destini peggiori della morte. E non so come, ma ho ottenuto tutti questi poteri. Mi sono risvegliato con un unico proposito: vendetta contro coloro che mi hanno ucciso.-
-Quindi è per questo che hai iniziato a dare la caccia ai templari...-
Nessuno sopravvive ad un'impiccagione. Ma era anche vero che Faust poteva includere qualunque condizione, nelle maledizioni che faceva scagliare dai suoi demoni.
Compresa la vita eterna, senza la possibilità di farsi uccidere.
La tortura per mano del Gran Maestro era compresa nella punizione per tradimento. Tutto il tetravirato aveva partecipato alle torture di Francesco, da come era stato riferito da Lazzaro stesso.
Al patibolo, infatti, il suo volto era pieno di ferite. Il corpo era coperto da una tunica di lino, ma era intuibile che lì avesse ferite più gravi.
Sul volto che Elisabetta stava volgendo lo sguardo, però, non c'era alcun segno, di quelle torture.
-Perché credi che abbia tradito l'ordine, Eli? Tu, più di tutti, dovresti sapere che non lo avrei fatto, senza un motivo.-
Benedizione e Flagello facevano coppia fissa, nelle missioni. Lei lo conosceva meglio di chiunque altro.
E sapeva che c'era della verità, in quelle parole.
Francesco era un ragazzo leale.
-I templari non sono chi dicono di essere! Non devi fidarti di loro!-
Era ormai a pochi centimetri da lei.
-Ti prego. Non voglio che anche tu cada nella loro rete. Non voglio che tu scopra quello che ho scoperto io su di loro.-
Le porse una mano.
-Io non sono un tuo nemico, Eli.-
No. Era troppo. Erano troppe rivelazioni.
La presenza di Francesco l'aveva sconvolta non poco. Il suo potere si stava attivando a intervalli. Non riusciva a controllarlo. E ora quelle parole contro l'Ordine templare.
No, non poteva credere alle sue parole.
Anziché accettare quella mano che un tempo aveva stretto più volte, dunque, Elisabetta arretrò di un passo, allontanandosi da quell'estraneo.
La sua reazione lasciò Francesco indifferente.
-Tu ancora scegli loro...- commentò, nello stesso modo -Nonostante quello che mi hanno fatto... tu ancora scegli di stare dalla loro parte.-
Elisabetta era confusa, in realtà. Quell'individuo che aveva lo stesso volto di Francesco le stava dicendo la verità? O voleva solo metterla contro l'Ordine, approfittando del suo potere?
A cosa doveva credere?
-Sei come un animale da pascolo, condannato al mattatoio, rinchiuso in un recinto, ma comunque nutrito e al sicuro, per questo ha paura della libertà, perché non avrebbe nulla, ma almeno non ci saranno più gabbie a trattenerti.-
La sua rabbia, mista a confusione, stava per farla raggiungere l'apice della pazzia.
Batté un piede per terra. Riecheggiò per tutta la basilica, come l'urlo che emise.
-Senza i templari io non sono niente!-
Le croci templari erano apparse per un attimo, per poi svanire.
Non era chiaro se il suo sguardo stesse esprimendo rabbia o caos.
Forse entrambe.
Francesco abbassò la mano.
-Non sei niente senza di loro?- ripeté, freddo -È questo che continui a ripeterti? O è quello che ti fanno credere?-
I suoi confratelli ed il Magister non le avevano mai detto di essere una nullità, anzi. Veniva elogiata, per le sue capacità.
Che fosse questo a cui stava alludendo Francesco? A causa delle lodi che stava ricevendo, si era illusa che fuori da quel mondo, non fosse nessuno? Che sarebbe tornata ad essere la nessuno che era, prima di entrare nell'ordine?
Con i templari aveva uno scopo, persone che la supportavano, un luogo in cui poteva essere se stessa.
Ma dalla morte di Francesco... qualche domanda aveva cominciato a porsela.
Scosse la testa, rimuovendo ogni dubbio.
Strinse la presa su Hesperia, tornando a puntarla sul suo avversario.
-Perché continui a portare il suo volto?- esclamò, furiosa; il suo potere si stava per attivare definitivamente -Tu non sei Francesco! Lui non parlerebbe così!-
Era la cosa più facile, per lei, ammettere che la persona di fronte a lui non fosse il vero Francesco, ma un impostore che stava creando caos tra i templari.
Un impostore che deteneva ogni potere dei templari.
-Hai ragione.- ammise, con un sospiro di rassegnazione -Io non sono Francesco. Io sono Omnes.-
Passò di nuovo una mano di fronte al proprio volto. Una nebbia lo avvolse completamente.
La sua altezza diminuì, anche il colore dei propri capelli. E il suo volto era completamente cambiato.
Volto effeminato con le lentiggini, capelli castano chiaro sopra il cranio e castano scuro sulla zona della nuca.
Elisabetta arretrò di nuovo, sorpresa: aveva assunto il suo aspetto!
Era come guardarsi allo specchio.
Non riuscì a non provare ribrezzo.
-Io posso essere chiunque io voglia.- disse; persino la voce era quella della templare -Io non ho una forma.-
Per questo era difficile catturarlo. Senza la maschera, poteva avere qualunque identità.
Non aveva un volto, ma tutti i poteri dei templari.
Ma di fronte a lei si era presentato come un confratello a cui teneva molto. Pensava di poterla manovrare, convincerla a combattere contro l'Ordine, infrangendo il suo giuramento, facendo leva sui sentimenti.
Ma il dovere aveva prevalso di nuovo.
Non senza provare una punta di amarezza.
-Ho una missione.- disse, facendo calare l'elmo sulla sua testa -Eliminarti! E lo farò!-
Omnes la fissava con occhi freddi.
-E non osare mai più presentarti a me con il suo volto, impostore!-
Hellas scivolò sul suo braccio sinistro.
L'aura bianca e rossa la circondò, mentre una rabbia quasi incontrollabile prese il sopravvento, su di lei.
Era entrata nel suo stato di furia: il suo potere.
Senza dire una parola, la maschera apparve in un fumo grigio, coprendo di nuovo il volto di Omnes; e i capelli vennero nascosti dal cappuccio.
Due spade erano apparse nelle sue mani, dalle maniche. E anche lui venne circondato dalla stessa aura della templare.
Entrambi erano entrati in stato Berserk.
Scattarono l'uno contro l'altra, lasciando dei solchi, ad ogni passo.
Tutta San Pietro tremò, nel primo istante in cui incrociarono le proprie spade.

 

-Alla fine cosa è successo?- domandò Leonardo.
-Lui mi sconfisse.- concluse la templare -Devo aver perduto i sensi. Al mio risveglio, era sparito.-
La storia aveva coinvolto i presenti. A tal punto da provare le stesse emozioni provate dalla ragazza stessa.
-Che storia da brividi...- commentò April.
-Addirittura in grado di assumere altri volti...- rifletté Donatello -Anche quelli di persone morte.-
Anche Raffaello, stranamente, compatì la templare. Non doveva essere stato facile, per lei, affrontare qualcuno con il volto di una persona a cui teneva. Non osò immaginare come avrebbe reagito lui, se Omnes avesse assunto l'aspetto di uno dei suoi fratelli.
Elisabetta accennò una risata.
-Che sciocco... Pensava di manovrarmi usando il volto di Benedizione...-
Era un sorriso amaro, che nascondeva sentimenti negativi; la tristezza, prevalentemente.
-Fallii comunque la mia missione.- riprese -David mi costrinse all'autofustigazione fino al mattino seguente.-
I presenti conoscevano le punizioni riservate ai templari, ma l'autofustigazione li faceva sempre rabbrividire. Era la punizione più frequente, ma aveva anche uno scopo purificatore. Elisabetta lo chiamava “catarsi”.
Anche Splinter ed il Tribunale Ninja, però, non ci andavano leggeri, con le punizioni, con il fine di disciplinare gli accoliti.
-Ecco perché ha fatto il tuo nome...- ricordò Michelangelo, schioccando le dita.
Aveva distolto il pensiero della punizione mettendo al centro un particolare secondo lui importante.
-E ci ha anche detto che non devi fidarti dei templari! Ah! È assurdo! Ormai non hai più nulla a che vedere con loro! Ti hanno scomunicata, dopotutto...-
No, lei non era stata scomunicata.
E Omnes forse lo sapeva.
-La stessa cosa che mi ha detto quella volta...- mormorò, ancora con aria triste.
Ma lo aveva detto anche alla Justice Force.
La medesima raccomandazione: non fidarsi dei templari.
Le Tartarughe approvavano le sue parole: dopotutto, avevano scomunicato Elisabetta, torturato Raffaello e rinchiuso Federico, il figlio del Gran Maestro David, nella Dimensione Mistica.
Ma Leonardo era più interessato ad Omnes stesso, soprattutto perché aveva sentito una voce, non appena i loro pugni si erano scontrati.
Quando lo aveva raccontato ai fratelli, Donatello aveva elaborato un'ipotesi: l'effetto osmosi.
Leonardo aveva udito la voce che tormentava Omnes e Omnes aveva visto l'ombra che Leonardo scorgeva da settimane.
Si era verificato uno scambio temporaneo.
Ma ancora era ignoto il motivo.
O forse no.
Quel sogno sul templare doveva essere la chiave.
E lui doveva sapere qualcosa al riguardo, se lo sentiva.
Doveva ritrovarlo e chiarire sulle visioni.
Ma non era il solo ad essere interessato ad Omnes.
Quella sera, infatti, Elisabetta contattò di nuovo il Gran Maestro David.
Lui rispose subito.
Entrambi si reincontrarono nella Dimensione Mistica.
-Flagello...- salutò lui, freddo, ma cortese; dopotutto, Elisabetta era ancora uno dei suoi migliori cavalieri -Mi auguro tu stia facendo progressi, nella tua missione.-
-A dire il vero, Magister, ho una brutta notizia da darvi.- replicò lei, seria -Omnes è a New York. Ci sta cercando. E ha già aggredito le quattro Tartarughe.-
-Omnes...?! Ci ha seguiti?!-
Il suo sguardo si deformò in un'espressione strana. Forse paura. Forse rabbia. O un misto di entrambe.
Ma non aveva comunque gradito la notizia di un altro inconveniente.
-Vorrà anche lui il Graal!- esclamò, stringendo il pugno -Avvertirò Spettro e Faust di setacciare la città per trovarlo. Ora ci mancava anche lui...-
Erano tutti a dormire, nel rifugio.
Tranne Leonardo.
Il combattimento e la conversazione con Omnes lo avevano sconvolto, a tal punto da privarlo quasi del sonno.
Il suo sguardo si posò sul suo trofeo del Nexus.
Era ancora incrinato, trasparente. Ma ancora non era chiaro cosa vi fosse all'interno.
Donatello non aveva ottenuto risultati, dalle sue analisi. Tutte portavano allo stesso risultato: nulla.
Si accovacciò su di esso, serio e con sospetto.
Attese qualche secondo.
Un'ombra. Di nuovo.
Aveva di nuovo scorto un'ombra.
Stavolta non era stata fulminea: si era fermata, scrutando la tartaruga a lungo.
Leonardo, per un attimo, fu di nuovo accecato da un bagliore.
Rivisse il sogno di quella notte: vide di nuovo l'uomo con la casacca templare.
Le stesse parole, gli stessi movimenti.
Ma, stavolta, il volto dell'uomo non era sfocato. Era nitido.
Era un uomo di mezza età, a giudicare dal colore dei capelli, sulla via del grigio. Ma il particolare che lo colpì di più furono gli occhi, di un azzurro brillante.
Da quegli occhi era persino riuscito a notare il suo, di aspetto: era un ragazzo giapponese. Un ninja.
La visione finì svanì. E l'ombra era sparita dal trofeo.
Una domanda tormentava la sua mente: cosa significavano quelle visioni?
Fissò di nuovo il trofeo, quasi sperando di rivedere l'ombra.
Così non era avvenuto.
-Cosa sei, veramente?-

 

-Ehi! La mia gamba...! È... è guarita!-
Nessuno non sentiva più dolore alla gamba.
Le ali di Raptarr ripresero a muoversi come prima.
E la cupola di Ananda si era completamente ripristinata.
-Ma come è possibile...?- si sorprese -Si è rimarginata da sola? È davvero incredibile!-
Persino Silver Sentry sentì i propri muscoli ripresi.
-È un vero miracolo...- mormorò, guardandosi.
Tutta la Justice Force non portava più i segni del combattimento contro Omnes.
Sospeso per aria, tuttavia, c'era proprio lui. I suoi piedi poggiavano su due croci templari.
Aveva puntato un pugno verso l'infermeria. Un raggio azzurro era partito dal suo anulare, entrando nella stanza e così ripristinando le ferite dei supereroi.
-Perdonatemi...- mormorò -Questa sarà l'ultima volta in cui ci scontreremo.-
Dopotutto, come aveva rivelato alle quattro Tartarughe, non erano i supereroi il suo obiettivo.
Non aveva motivo di ucciderli o mantenerli infermi. Non avevano alcun legame con i templari, dopotutto.
Dovevano essere solo i suoi messaggeri per le Tartarughe.
Qualcosa lo scosse: una voce, un canto.
Lo stesso canto di cui si era lamentato con Leonardo.
Era il canto di un uomo. Sembrava il richiamo di una sirena, ma in formato maschile, ed ugualmente angelico.
Dava l'impressione di volerlo chiamare a sé. O attirare verso un luogo.
Omnes non sapeva come liberarsi di quella voce.
Come Leonardo non sapeva come liberarsi dell'ombra.
Si guardava sempre intorno, illudendosi di trovare qualcosa, anche una forma incorporea di chi lo stava “chiamando”.
Non sapeva come o perché, ma quella sera, lui rispose, contro il suo volere.

 

Sì, ti sento, ma no
Perché non sei la soluzione.
Avrei mille ragioni
per vivere come vorrei.
Ignoro i tuoi sussurri
E faccio finta che non ci sia niente.

 

Si teletrasportò di nuovo, lontano dalla torre della Justice Force: non doveva far scoprire la sua posizione.
Era in un molo. Per fortuna, deserto. Lì poteva finalmente confrontarsi con quella voce.

 

Non sei una persona
Non sei che un suono, una melodia
Se ti ascoltassi, e non lo farò,
Dimenticherò la mia vita.
Qui ci sono tutti coloro che amo,
quelli che contano davvero,
Tu puoi urlare nella notte,
ma non ti risponderò mai.

 

Guardò in alto, continuando a camminare.

 

Ho tentato un’avventura
E mi sono perduto.
Non voglio più partire
E non mi voglio più lanciare nell’ignoto
Dentro un altro mondo, dentro un altro mondo.
Dentro un altro mondo!

 

Nonostante le sue suppliche, la voce continuava a cantare.
Dal suo incontro con Leonardo, era più frequente del solito.
Quando si erano incrociati i pugni, lui aveva visto qualcosa: un'ombra, che raffigurava la sagoma di una figura familiare.
Non aveva mai conosciuto un ninja, prima di allora; ciononostante, una grande sensazione di nostalgia e melanconia si era impossessata di lui.
Le stesse che scuotevano Leonardo.
Per questo Omnes era confuso e disorientato.
Quella figura aveva evocato ricordi che non gli appartenevano.
Di un ragazzo in tenuta da ninja, ma di cui non era riuscito a vederne il volto.
Scoraggiato, guardò in basso. Vide la sua immagine riflessa nell'acqua. Aveva ancora la maschera, in volto.

 

Cosa vuole questa voce,
che mi tiene sveglio?
È forse un vento di libertà?
Un cammino abbandonato?
Viene da qualcuno che è lontano
Che mi assomiglia molto?

 

Il suo piede oltrepassò la banchina: era davvero intenzionato a buttarsi in mare.
Ma non lo fece: una croce templare era apparsa sotto il suo stivale, non appena toccò l'acqua.
All'inizio, camminò sull'acqua, per un paio di miglia.

 

Chi meglio di me sa da dove vengo?
Ogni giorno un nuovo potere,
un miscuglio di gioia e dolore
Una parte di me se ne va inconsapevolmente
Dentro un altro mondo, dentro un altro mondo
Dentro un altro mondo!

 

Da camminare, cominciò a correre, ogni tanto agitando le braccia. Degli schizzi d'acqua emergevano, a quei movimenti.

 

Se tu sei là, provamelo!
Rassicurami, prendimi!

 

Omnes cantò con la voce, sperando di poterla sconfiggere, in quel modo.
Gli schizzi d'acqua, senza il suo volere, iniziarono a formare delle immagini.
Sembravano raffigurare dei frammenti di due vite congiunte.
E le figure dominanti erano un ninja ed un templare. Un ragazzo giapponese ed un uomo caucasico.
Momenti che provocavano un senso di nostalgia in Omnes stesso. Come se li avesse vissuti lui, quei ricordi.
L'ultima immagine, però, vide le due sagome allontanarsi, verso l'orizzonte.
Omnes li seguì, con la mano distesa in avanti.

 

Non voglio perdere un altro secondo.
Andrò dove tu andrai, dentro un altro mondo!

 

Le due immagini svanirono nelle stelle.
Omnes si fermò, guardando in alto, con aria malinconica.

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Chi è davvero Omnes? Amico o nemico?
Lui e Leonardo si incontreranno di nuovo?
Chi sono Etienne e Yuko?
Che legame avranno con il Graal?
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Note finali: ho ripreso un'altra canzone di Frozen 2 e l'ho tradotta dal francese. XD

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Capitolo 13
*** La rabbia è cattiva consigliera ***


Note dell'autrice:  qui noterete molti elementi dell'episodio "L'Antico"; le cose si faranno calde per un personaggio...

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-Bene, figlioli, ora rilassatevi...-

Michelangelo sospirò.

-Ah...! Maestro Splinter, dobbiamo proprio?! Io ho faaaaame...!-

Un colpo di bastone lo colpì sul dorso della mano.

-Ah!- esclamò, massaggiandosi la mano.

-Priorità, Michelangelo!-

-Ma non riesco a concentrarmi se ho fame!-

I fratelli erano già in posizione, seduti sul tatami con le gambe incrociate.

Quel giorno era prevista un'altra seduta di meditazione, prima di colazione.

Questo spiegava l'ennesima lamentela di Michelangelo. Ed i continui rumori provenire dal suo stomaco.

Anche Splinter si mise seduto, di fronte ai figli.

Rivolse un'ultima occhiata alla templare: era inginocchiata sotto la croce, con le mani unite in preghiera, con il rosario in mezzo ad esse, muovendo le labbra, emettendo solo dei piccoli sussurri, per non disturbare i ninja. Le sue mani stavano tremando, come le sue labbra.

Dallo scontro delle Tartarughe con Omnes, Elisabetta pregava più del solito, non era mai concentrata durante gli allenamenti e ogni mattina dava l'impressione di non aver dormito affatto. Di tanto in tanto, continuava persino a frustarsi, nonostante le proteste dei ninja.

E, spesso, rompeva tutto ciò che teneva in mano, come bicchieri, penne, per poco persino il suo Tarta-Cellulare: il suo potere si stava ormai attivando a scatti, contro la sua volontà. Anche toglierselo dal dito non migliorava la sua condizione, ma almeno non entrava nel suo stato di Furia.

Inutili erano i tentativi di tirarle su il morale. Michelangelo aveva persino tentato più volte di abbracciarla, ma lei continuava a respingerlo, o voltargli le spalle.

Splinter era preoccupato. E anche le Tartarughe.

-Mia cara...- disse, parlando un po' più forte.

Elisabetta interruppe la preghiera, ma rimase comunque con le mani unite, mentre si voltava vero il topo.

-Stiamo per iniziare una seduta di meditazione. Vuoi unirti a noi?-

La templare, senza pensarci, scosse la testa.

-No, grazie. Sto bene così.- mormorò, prima di guardare di nuovo la croce.

Era impressionante quanto il colore della sua pelle fosse divenuto più chiaro in quei pochi giorni e come accentuasse le occhiaie sotto i suoi occhi.

-È ovvio che non avrebbe risposto altrimenti.- commentò Raffaello, acido -La meditazione non fa per i cosiddetti “Cavalieri di Dio”. Troppo pagana, per loro.-

Leonardo lo colpì con il gomito.

-Raph, che stai dicendo?!- gli sussurrò, come rimprovero -Non ti sembra stia già abbastanza male?!-

-E per questo dobbiamo assecondare ogni suo capriccio?!- ribatté il fratello, ad alta voce -Se rifiuta ogni aiuto che le stiamo offrendo per farla stare meglio, non è colpa nostra, ma sua, che si ostina a restare nella sua prigione di non so che cosa, senza speranza di uscire!-

Non era chiaro se Raffaello la stesse provocando di nuovo per prenderla in giro o farla reagire. Leonardo, però, aveva notato qualcosa, nei suoi occhi verdi. Lui, anche se non lo mostrava, era il più preoccupato per la templare. Ma, come al solito, era troppo orgoglioso per ammetterlo.

No, non era solo preoccupazione quella che stava leggendo nei suoi occhi.

Ma il tono con cui aveva pronunciato quelle parole velenose fecero comunque irritare la templare: strinse con forza le mani, quasi bucandole con i grani del rosario.

“Lui non sa niente...!” pensò, iniziando a digrignare i denti; se avesse avuto il suo anello, i suoi occhi avrebbero avuto subito le iridi a forma di croce templare.

-E se non fa niente, vuol dire che è una vera vigliacca!-

-Raffaello! Modera i termini!- rimproverò Splinter.

Elisabetta non poteva sopportare altre provocazioni. Si alzò improvvisamente in piedi, con il rosario ancora in mano, e camminò verso le Tartarughe.

Si mise di fronte a Raffaello, con uno sguardo tra il minatorio ed il disperato, e le braccia incrociate.

-Se mi unisco a voi, la pianti di dire queste sciocchezze?- sibilò, con una voce che nessuno le aveva mai sentito prima. Faceva venire i brividi.

Raffaello impiegò ogni granello della sua forza per sostenere quello sguardo. Così carico di rabbia. Ed altrettanto di... confusione. E disperazione.

Anche Raffaello riuscì a notarlo: Elisabetta era vicina al pianto. Quegli occhi così carichi di rabbia sembravano quasi dire: “Non ce la faccio più! Aiutami!”. Ma era troppo orgogliosa per cadere nel sentimentalismo.

Si illuse che anche nella mente della ragazza ci fosse il suo stesso pensiero: lei, che finalmente esplodeva in un pianto liberatorio, e lui che la stringeva tra le sue braccia, permettendole di piangere sul suo guscio.

Ma non era accaduto nulla, nella realtà.

Erano entrambi troppo orgogliosi.

Gli occhi marroni e gli occhi verdi sembravano aver eretto una barriera per proteggersi a vicenda, per impedire che l'uno leggesse dentro l'altro.

Raffaello serrò le labbra, per nascondere il suo vero sentimento.

-Sì.- disse, secco.

Anche Elisabetta rispose nello stesso modo.

-Bene.-

Prese posto sul tatami, proprio accanto alla Tartaruga che l'aveva provocata, con le gambe incrociate, di fronte agli sguardi sorpresi ed imbarazzanti di Donatello, Michelangelo e Splinter.

Raffaello faceva del suo meglio per apparire impassibile, ma solo Leonardo stava percependo il suo disagio. Non perché Elisabetta si fosse seduta accanto a lui, ma per come le aveva parlato. Non lo avrebbe stupito se, in quel momento, si stesse dando da solo dell'idiota.

Splinter si schiarì la voce, riportando l'attenzione sull'esercizio.

-Bene, visto che siamo tutti qui, iniziamo.-

Era una posizione cui Elisabetta non era abituata: fece del suo meglio per imitare la posizione delle Tartarughe.

-Respirate profondamente, figlioli. Dovete immaginare il nulla, nella vostra testa. La vostra mente deve essere completamente libera.-

Per Michelangelo sarebbe stata dura: era il suo stomaco ad essere vuoto. Non riusciva a pensare ad altro.

Ma anche gli altri avevano dei pensieri che quasi impedivano loro di concentrarsi, e che continuavano ad apparire a loro insaputa: Donatello ancora non era riuscito a scalfire o prelevare un campione del vetro incrinato, ma infrangibile del Trofeo del Nexus; Leonardo aveva ancora avuto un sogno sull'ombra e sul templare; la mente di Raffaello era fissa su una sola cosa, dalla sera in cui si era risvegliato dal coma, che era quasi diventata la sua ossessione.

Nessuno sembrava essere pronto per una seduta di meditazione.

Specie la templare.

Aveva provato a seguire le istruzioni di Splinter, respirare, rendere la propria mente completamente vuota.

Ma quelle sensazioni, angoscia, ansia, frustrazione, non la abbandonavano.

“Tu non vali niente!” sentì, nella sua mente. Era la voce di un uomo.

Non fu la sola. Iniziò a tremare ed ansimare.

“Perché dovrei mettermi con un maschiaccio come te?”

“Con questi risultati non vai da nessuna parte!”

“Non combinerai nulla nella vita!”

“Tu non sei più mia figlia!”

“Una donna all'interno dell'ordine?! Oltraggio!”

“Non vorrai deludermi, vero?”

“Se continui a parlare, non diventerai mai forte!”

Immagini, voci. Sagome che la additavano. Continuavano ad apparire, accumulandosi di fronte alla templare.

Poi, un patibolo, una corda che diventava tesa, un corpo che ondeggiava nel vuoto.

Infine, una maschera, ed il volto di una persona dichiarata defunta.

-NO!-

Quell'urlo fece sobbalzare Splinter e le Tartarughe, che si alzarono. Elisabetta era più pallida di prima, quasi sdraiata sul tatami, ansimando, terrorizzata. Sembrava avesse visto un fantasma.

-Eli, che succede? Stai bene?- si allarmò Michelangelo, tentando di soccorrerla.

Lei indietreggiò, restando per terra.

-No... non posso continuare... scusatemi...! Scusatemi!-

-Figliola...- aggiunse Splinter, allungando una mano verso di lei.

-STATEMI LONTANO!-

Corse via dal rifugio, stringendo le mani tra i capelli, emettendo persino dei lamenti.

Michelangelo voleva rincorrerla. Ognuno di loro voleva rincorrerla. Ma non fecero altri passi fuori dal tatami.

-Da quando le abbiamo detto di Omnes è fuori di testa...- notò la tartaruga dalla benda arancione.

-E non fa che peggiorare...- si preoccupò Splinter, riflessivo -E sembra che nemmeno le preghiere sembrino sollevarla.-

-Che facciamo, Maestro Splinter?- domandò Leonardo -Dobbiamo fare qualcosa per aiutarla, o potrebbe essere troppo tardi.-

-Sì, è anche il mio timore, figliolo. Oltre a quello che mi hai rivelato l'altro giorno...-

Dopo quanto accaduto con Omnes Leonardo si era trovato costretto a rivelare a Splinter ed ai suoi fratelli dei suoi incubi, dell'ombra che continuava a vedere ogni volta che vedeva il trofeo del Nexus e che era apparsa anche nella Dimensione Mistica, per cercare Federico.

Anche Splinter era come distratto, da qualche giorno, perso in altri pensieri, come se si fosse ricordato qualcosa. Omnes aveva scosso l'equilibrio all'interno delle Tartarughe Ninja, non solo quello dell'ordine templare.

E con le Tartarughe era bastata solo una notte.

-Qui non troverai risposte, figliolo.- spiegò il topo, serio -E nemmeno Elisabetta troverà pace. Solo una persona può essere in grado di aiutare entrambi.-

Leonardo si illuminò.

-Vuoi dire l'Antico?-

-Ti è stato di aiuto quando eri in una situazione simile a quella di Elisabetta. E sei tornato come una persona nuova, figliolo. Sono fiducioso che saprà aiutare anche Elisabetta.-

-Lo spero proprio...- mormorò Michelangelo, guardando, con aria triste, la galleria verso cui si era diretta la templare -Mi si spezza il cuore vederla così triste...-

E non solo a lui.

Raffaello chiuse una mano a pugno.

“Complimenti, sei un vero idiota.”

 

Elisabetta continuava a camminare, senza avere idea dove andare o che direzione prendere. La sua mente era ottenebrata dalle visioni che aveva avuto durante la meditazione. E la sua vista era coperta dalle mani, che ancora stringevano i suoi capelli.

L'anello stringeva forte intorno al suo dito. Le croci templari apparivano e sparivano dai suoi occhi a brevi intervalli. La sua rabbia cresceva e decresceva senza che potesse controllarla. Stava perdendo il controllo sul suo potere.

La rabbia, il suo unico pilastro da anni, la sua sola fonte di potere, stava per essere sostituita dal caos.

E tutto a causa di Omnes. E del ricordo legato a Francesco, detto Benedizione.

Stava perdendo fiato.

In effetti, stava camminando a passo spedito.

Si fermò, con il volto rivolto al muro. Al tatto era ruvido e poroso. Poteva quasi sgretolarlo, nel suo stato di Furia.

-Francesco non è Omnes...!- mormorò, a denti stretti.

Da quella sera, il ricordo del suo scontro a San Pietro le stava praticamente togliendo il sonno. Tornato all'improvviso, dopo tanto tempo passato a reprimerlo, nasconderlo, per non distrarsi dal suo dovere, come acqua che riesce, alla fine, a distruggere la diga che la trattiene.

Senza i templari non sono niente!”

È questo che continui a ripeterti? O è quello che ti fanno credere?”

Omnes metteva il dubbio nei cuori delle persone. E anche lei, così ferma, decisa e fedele agli ordini dei Templari, era caduta in quel tranello.

Doveva rimuovere quei pensieri, quei ricordi.

Sentì nuovamente la Furia impossessarsi di lei. Doveva sfogarla, in un modo o nell'altro.

Diede una testata sul muro.

Poi un'altra. Un'altra. E un'altra ancora.

-Francesco non è Omnes! Francesco non è Omnes! Francesco non è Omnes!- ripeteva, ad ogni testata che dava sul muro, con voce sempre più alta e rabbiosa.

Anche in momenti simili, i suoi occhi si rifiutavano di far fuoriuscire le lacrime.

Non ne aveva la forza. Voleva solo distruggere tutto ciò che toccava.

-Elisabetta...?-

Nonostante il tono gentile, la voce era abbastanza alta da sovrastare i colpi che stava dando al muro.

Le croci templari sparirono dai suoi occhi, mentre si voltava verso la persona che le aveva rivolto la parola.

-Leatherhead...?-

Il coccodrillo era apparso da un vicolo buio. Ormai Elisabetta non si spaventava più a vederlo.

Dopo il loro primo incontro, solo altre due volte era tornato a far visita alle Tartarughe ed assistere agli allenamenti con la templare.

-Tutto bene, cara?- domandò, premuroso; si allarmò subito, appena vide qualcosa scendere dalla fronte della ragazza.

-Ma sei ferita!-

Con altrettanto orrore, notò l'incavo sul muro, e le crepe circostanti.

Non era la prima volta che assisteva alla sua incredibile forza. Non aveva mai avuto l'occasione di misurarsi con lei. Anzi, era lui che non voleva farle del male, diceva. Non voleva rischiare di perdere il controllo dei suoi impulsi violenti.

-Non è niente...- mormorò lei, ormai apatica. Quando aveva quelle sfuriate, seguiva sempre un piccolo momento di apatia. Tutto dipendeva se aveva o meno l'anello.

Non si era nemmeno accorta del rivolo di sangue che le stava scendendo dalla fronte.

Ciononostante, Leatherhead si avvicinò a lei, premuroso, mettendole una mano dietro la schiena.

-Almeno lascia che ti disinfetti quella ferita.- invitò -Il mio rifugio è proprio qui.-

Le era già stato riferito della vecchia stazione dove Leatherhead viveva. Era ancora più grande di quanto avesse immaginato. E anche uno della corporatura di Leatherhead lo considerava gigantesco.

Sembrava quasi la versione estesa del laboratorio di Donatello.

Elisabetta fu sistemata sopra la scrivania.

Per fortuna, la ferita sulla fronte non aveva bisogno di punti di sutura.

Il coccodrillo fu estremamente cauto e delicato mentre vi metteva l'alcool. Altrettanto con la garza.

-Grazie.- ringraziò lei, con tono quasi atono.

Non sorrise. Era ancora scossa dalla seduta di meditazione. Guardava in basso, fissando il vuoto, con aria triste.

Leatherhead si mise accanto a lei.

-Ti ho sentita urlare.- spiegò, preoccupato -E non solo quando eri qui al muro. È successo qualcosa?-

-Ho visto qualcosa... durante la seduta di meditazione...- rivelò lei, automaticamente.

Nella situazione in cui si trovava, sentiva di non volersi tenere certe cose per sé. E poi lo avrebbe scoperto comunque, se avesse rivisto le Tartarughe.

-I ragazzi mi hanno detto di quel tale, Omnes.-

Omnes. Quel maledetto nome che associava al volto di Francesco.

La persona che voleva metterla contro l'ordine templare.

-Ti va di parlarne?-

La mano che toccò la sua schiena circondava interamente le sue spalle. Stranamente calda, nonostante fosse di un animale a sangue freddo.

-La prima volta che l'ho visto, si è presentato a me con il volto di una persona a cui tenevo molto, quando era in vita...-

Sapeva di potersi confidare con Leatherhead. Era gentile, nonostante l'aspetto terrificante.

-Francesco, detto Benedizione, perché ogni peccatore merita almeno una benedizione. Un ragazzo buono, leale, gentile. L'anello aveva subito letto la bontà in lui, per questo aveva ottenuto quel potere, a differenza di me. Ha fatto la Veglia con me e con il figlio del Magister, Federico, quindi ci conoscevamo dall'inizio del nostro cammino da templari. Era un'ottima spada, un valido fratello d'arme. Quando perdevo il controllo del mio potere, gli bastava puntare il suo anello contro di me, per calmarmi. Il suo potere, infatti, era annullare ed interrompere il potere di un confratello. Io perdo spesso il controllo, quindi avere lui era quasi un obbligo, per tutte le volte che andavo in missione. E anche dopo aver scoperto che ero una donna ha continuato a rispettarmi, anzi persino più di prima. Quando è morto... è stato il giorno in cui ho smesso di piangere. Il Magister ha detto che aveva tradito l'ordine, cospirando contro di lui...-

-E tu non gli credi?-

Più volte si era posta questa domanda. Preceduta da “Perché Francesco ha tradito l'ordine?” e “Per quale motivo il Magister mentirebbe sul motivo che ha spinto Francesco al patibolo?”

E, come sempre, non era mai sicura della risposta. O non voleva avere una risposta, per evitare che la sua fede vacillasse.

-Non lo so, Leatherhead.- ammise, scuotendo la testa -È come se fossi divisa in due. Fran era un caro amico e come me fedele all'ordine. Ma non possiamo discutere gli ordini del Magister. E se lui diceva che Fran aveva tradito l'ordine, così era.-

-Che cosa aveva fatto?-

-Non si è mai saputo. Per il tetravirato era sufficiente sapere che stava cospirando contro il Magister. Anche se, se devo essere sincera, nessuno dei miei confratelli ci ha mai creduto veramente, credo.-

Strinse le mani sopra i jeans. La rabbia stava tornando.

-Quando ho incontrato Omnes la prima volta, e ho visto il volto di Francesco, io... io...- si nascose il volto dietro le mani -Oh, Leatherhead, sono così confusa!-

Si alzò in piedi, cominciando a camminare avanti ed indietro, stringendosi di nuovo i capelli.

-E ora che è qui a New York, ha affrontato i ragazzi...! Avevo fatto il possibile per dimenticarmi di lui! Mi dicevo sempre “Francesco è morto! Non può essere Omnes!”. Oh...! Sto impazzendo! Sono sempre arrabbiata! Non riesco più a controllarmi! E devo togliermi spesso l'anello, altrimenti sarei persino capace di distruggere tutte le fognature!-

Le croci erano tornate, per un breve attimo.

Leatherhead si era lievemente allarmato alla loro vista. Per fortuna, erano svanite quasi subito.

-Mi spiace per quello che stai passando, cara...- commentò, provando dispiacere per lei -Questa situazione deve essere parecchio caotica per te, vero?-

Lei annuì.

-Quanto vorrei... ho un bisogno così di spaccare qualcosa...!- digrignò lei, stringendo i pugni; oltre alle croci era apparsa anche l'aura rossa e bianca, intorno al suo corpo.

Ciò fece attirare l'attenzione del coccodrillo gigante.

Infatti, anche lui scese dalla scrivania.

-Se quello che ti serve è sfogarti...- disse, facendo scrocchiare le ossa delle spalle -Beh, io sono disponibile. Affrontiamoci.-

-Tu?- si stupì la ragazza, tornando normale -Sei sicuro? Potrei farti davvero male...-

-Non temere, ragazza mia. I ragazzi non ti hanno detto che anche io sono stato mutato con lo stesso mutageno che ha cambiato anche loro?- si batté sul petto, sicuro di sé -Io sono resistente a tutto.-

Per giorni aveva tentato di trattenere un senso di frustrazione che le faceva perdere il controllo sul proprio potere. Non poteva sfogarlo tutto con le Tartarughe. Ancora non era stato scoperto nulla sul Graal e non poteva permettere che i suoi sentimenti compromettessero la missione.

Anche in quel momento, la rabbia stava di nuovo emergendo, contro il suo volere. Leatherhead si era offerto di affrontarla. Sarebbe stato interessante misurarsi con un'altra creatura gigante, oltre la sua portata.

-COSÌ SIA!- esclamò lei, lasciandosi avvolgere dal suo stato di Furia, permettendo alle sue iridi di mantenere a lungo la forma di croci templari.

Vederla in quello stato fece quasi indietreggiare il coccodrillo gigante.

Ma appena lei gli scagliò il primo colpo, un pugno sul muso, tanto potente da farlo voltare, anche le sue pupille si restrinsero.

-È COSÌ, RAGAZZINA?!- anche lui era entrato nel suo stato di Furia, quando lasciava emergere il suo lato selvaggio, ogni volta che veniva provocato -ORA TI SISTEMO IO!-

Sebbene ancora travolta dalla rabbia, il modo in cui Leatherhead caricò contro di lei la lasciò sconvolta per un breve momento.

Entrambi non erano agili come le Tartarughe. Il loro punto forte era la forza.

Ogni loro colpo lasciava solchi su tutta la vecchia stazione. Le loro grida di battaglia e di furia riecheggiavano per tutte le fognature.

Nonostante i colpi che subivano, nonostante tutte le volte in cui venivano scagliati contro il muro, non sentivano dolore. La loro furia occultava tutto il resto.

Quando incrociarono le mani, tentando di fare pressione l'una contro l'altro, il pavimento sembrava incrinarsi, da quanto vi premevano con i piedi.

Nessuno dei due intendeva cedere. Si guardavano con occhi carichi di rabbia cieca, non di odio.

Le iridi a forma di croce templare e le pupille strette.

E, intanto, continuavano a pressare l'uno contro l'altra.

Nella mente della templare ritornarono le immagini che l'avevano sconvolta poco prima. Compreso il suo combattimento contro Omnes a San Pietro. Il volto di Francesco, ed i suoi dubbi verso l'ordine.

Urlò, per esprimere tutta la sua rabbia e confusione insieme. Storse le mani di Leatherhead, trovando un punto d'uscita dalla mossa di sottomissione reciproca, allargò le braccia e lo sbilanciò con un deciso colpo di testa sul torace.

Accecato dalla sua, di ira, Leatherhead non aveva previsto una reazione simile. E la potenza di quel semplice colpo di testa lo fece sbilanciare all'indietro, facendolo cadere per terra.

La templare puntò le ginocchia contro il suo torace, per evitare che si rialzasse. E, senza dargli tempo di reagire, scagliò una serie di pugni contro la sua testa, come se stesse picchiando un tavolo.

Leatherhead aveva alzato le braccia per difendersi. Ma i pugni erano così potenti da creare un grande solco sul pavimento sotto di lui.

Nella sua mente, stava picchiando Omnes, non il coccodrillo gigante.

Questo la stava portando a colpire più forte e più velocemente.

-Eli! Fermati! Sei impazzita?!-

Quattro braccia separarono la templare dal coccodrillo.

E una mano rimosse, rapido, l'anello dal suo dito. Gli occhi tornarono normali e l'aura svanì.

Ma non la rabbia dentro di lei.

-Sei fuori di testa?!- rimproverò Leonardo; erano stati lui e Raffaello a fermarla.

Michelangelo e Donatello stavano aiutando Leatherhead a rialzarsi.

-Potevi ucciderlo!-

-Va tutto bene, ragazzi!- rassicurò il coccodrillo, anche lui tornando normale -Le ho chiesto io di affrontarmi.-

Quella richiesta non stupì le quattro Tartarughe: dopotutto, sapevano bene anche loro quanto fosse violento Leatherhead quando si arrabbiava. La templare poteva aver trovato un valido sfogo.

-Ma non è...! Non è abbastanza!- lamentò lei, tornando a stringersi le mani tra i capelli -Voglio... devo distruggere ancora qualcosa!-

Splinter si fece largo tra i figli, per raggiungere la templare.

-Era proprio di questo di cui volevo parlare...-

Le prese le mani, nell'esatto momento in cui era riuscita a calmarsi.

-Mia cara figliola, c'è tanta rabbia in te...- le disse, preoccupato -David ti ha insegnato a sfogarla, non a controllarla, e questo ti sta distruggendo dentro. E in questi ultimi giorni stai peggiorando.-

Elisabetta sospirò. Il suo corpo ancora ambiva a distruggere qualcosa. E la testa le pulsava da quanta rabbia ci fosse ancora dentro.

-Lo so, ma... ma... non so cosa fare...-

-Noi abbiamo una soluzione, mia cara.- tagliò corto Splinter, sorridendole, per darle supporto -C'è una persona che può aiutarti.-

-Nemmeno le preghiere sono servite per sollevarmi.- disse lei, scettica -Cosa può fare questa persona?-

-Fidati, se non può lui, nessuno può.- aggiunse Leonardo, mettendole una mano sulla spalla -Ha aiutato me quando ero in una situazione simile alla tua.-

E lui, infatti, appariva calmo in qualsiasi situazione, sia leggera, che critica. Anche il suo ruolo di leader contribuiva nel suo costante auto-controllo.

Era difficile pensare che avesse provato rabbia o delusione, specie verso se stesso.

-Tu stai bene, bello?- domandò Michelangelo a Leatherhead.

Avevano visto i colpi che gli stava scagliando la templare. Ma non ne videro i segni sulla pelle.

-Certo. Ricordate, il mutageno.- assicurò lui, osservandosi le braccia, completamente illese -La ragazza è davvero forte. Non avevo provato un'adrenalina così da tanto tempo.-

Sembrava più ammirato che spaventato.

-Allora è deciso.- aggiunse Raffaello -Che ne dite di uno scontro a tre, come nel wrestling? Per sfogare il nostro nervosismo a vicenda!-

-Non incoraggiatela.- avvertì la tartaruga dalla benda arancione -A giudicare da come ti ha rovinato la tana, Leatherhead, poteva davvero distruggertela con una mano sola.-

C'erano crepe e solchi quasi ovunque.

Elisabetta si guardò le mani: stavano iniziando a sanguinare, ai lati. E anche le sue nocche erano rosse; cominciavano a farle male.

Erano i segni della sua rabbia. Come il cerotto sulla fronte.

Era sempre stata orgogliosa del suo potere; la forza derivata dalla sua ira la faceva sentire potente, libera, inarrestabile, invincibile.

Ma, in quegli ultimi tempi, stava diventando incontrollabile. Dalla morte di Francesco e più che mai dalla recente notizia della presenza di Omnes a New York, che le aveva risvegliato il ricordo da lei represso del suo incontro a San Pietro, dove lui si era presentato con il volto di una persona defunta.

Omnes non è Francesco! Francesco è morto!” continuava a ripetersi, da allora.

Nemmeno i suoi confratelli erano riusciti ad aiutarla: era troppo potente persino per Golem. Persino il Magister ignorava il suo scarso controllo: l'importante era che sfogasse quella rabbia contro i loro nemici, poco importava se non riusciva a fermarsi.

Ma senza Benedizione era come una mina vagante.

-Non posso più vivere così...- mormorò, vicina al pianto; ma non voleva piangere in fronte a delle persone, per non apparire debole ed emotiva.

-Dove si trova questa persona?-

Leonardo sorrise, continuando a tenere la mano sulla sua schiena.

-In Giappone.-

-È stato il maestro del mio maestro.- spiegò Splinter -Viene chiamato l'Antico.-

-Ti avverto, è un po' strano. Ma ti assicuro che è degno del suo ruolo di Maestro. Vedrai, saprà aiutarti a gestire la tua rabbia.-

Meglio che mettere due rifugi in pericolo, pensò la templare, ancora incerta sulla decisione da prendere.

-Non temere, ti accompagnerò io.- la rassicurò Leonardo, come se avesse letto nella sua mente.

La sua mano esprimeva un calore quasi familiare. Come se, in quel momento, ci fosse Federico, al suo posto.

Alla fine, prese la sua decisione.

-Allora... vado a preparare i bagagli.-

Aveva accettato. Questo sollevò i ninja.

 

Tornati al rifugio, anche Leonardo preparò il suo zaino con dei viveri, insieme ad un cappello ed un impermeabile.

Elisabetta, invece, mise nuovamente la mimetica nera con il giubbotto antiproiettile bianco con la croce rossa in mezzo. E, sopra, il suo mantello da templare con i doppi lacci, uno per chiudere il cappuccio, l'altro per evitare che il mantello volasse oltre le sue spalle. Sapeva di dover fingere di essere scomunicata, ma, anche se lo fosse stata, provava un senso di agiatezza, in quel mantello. Una protezione migliore della sua armatura.

Michelangelo fu il primo a salutarla, prima che lei e Leonardo uscissero dal rifugio.

-Uaaaaaaaah! Mi mancherai!- lamentò, stringendosi alla ragazza, temendo che non sarebbe più tornata.

-Tranquillo, Mick.- lo rassicurò lei, accarezzandogli la sua testa -Vedrai che tornerò prima che tu dica “pizza”.-

-Pizza!-

Donatello scosse la testa e prese il fratello per il guscio.

-Su, Mick, ora lasciala andare, altrimenti la prossima volta che si arrabbia ci distrugge davvero il rifugio.- suggerì, portandolo via dalla templare.

Ma Michelangelo ancora teneva le braccia protese verso la ragazza.

-No! No! Non separarmi da lei!-

Uno spettacolo più divertente che drammatico.

-Bada a Elisabetta, figliolo.- invitò Splinter a Leonardo.

-Lo farò, Maestro Splinter.-

-E, mia cara, stai attenta e stai sempre vicina a Leonardo.-

-Sì, Maestro Splinter.-

Anche Donatello rivolse il suo saluto alla templare, iniziando con un abbraccio.

-Ti ho risistemato il Tarta-Cellulare.- spiegò, porgendole un cellulare a forma di guscio di tartaruga -Stavolta stai attenta a non romperlo.-

-Va bene, starò più attenta.-

Raffaello, dal rifugio di Leatherhead, era rimasto in silenzio: stava guardando in basso, verso il pavimento, grattandosi nervosamente un braccio.

Si morse entrambe le labbra, quando notò la sagoma della templare avvicinarsi a lui.

Elisabetta si soffermò di più su di lui. Non ricambiava il suo sguardo. Forse si sentiva in colpa per averla provocata, prima.

-Eli...- mormorò, con un filo di voce.

-Sì, Raph?-

Lui rimase in silenzio per qualche altro istante. Un silenzio che lo imbarazzava a tal punto da divenire più rosso della sua maschera.

E la sua mano non finiva di grattarsi il braccio.

-Stai...- la guardò per un attimo, negli occhi marroni.

Non notò rancore, per averla provocata; ma qualcos'altro, che non sapeva spiegarsi. Forse ingenua curiosità su quello che voleva dirle.

Ma negli occhi di Raffaello si poteva leggere una richiesta, un'implorazione.

Per questo aveva subito distolto lo sguardo da lei, per evitare che leggesse nei suoi pensieri.

-Stai... stai sempre vicina a Leo.- richiese, praticamente ripetendo quello che aveva già detto Splinter.

Lei era ancora confusa. Il suo sguardo indicava tutta un'altra richiesta. Ma il tempo stringeva.

Accettò quel suggerimento.

-Va bene.- rispose, fredda, forse un po' delusa.

-Eli, dobbiamo andare.- invitò Leonardo; aveva già indosso un impermeabile, un cappello con la tesa abbastanza larga da coprire il suo volto, ed uno zaino sulle spalle, con le katana legate in mezzo.

Hellas era nascosto sotto il mantello, mentre Hesperia era legata alla cintura.

-Ciao...- salutò la templare, prima di allontanarsi da Raffaello.

Salutò il resto con la mano, sorridendo lievemente.

-Torna presto!- ricambiò Michelangelo, salutandola con il fazzoletto con cui si era asciugato le poche lacrime che aveva versato.

E così continuò fino a quando Leonardo ed Elisabetta non salirono sulla scaletta che li portava all'esterno.

Lei, però, si era voltata per un attimo, prima di salire. Ma il destinatario di quell'ultimo sguardo si era voltato nell'esatto momento in cui non c'era più nessuno sulla soglia del rifugio.

-Ah... me misero!- lamentò nuovamente Michelangelo, con posa da attore drammatico -E ora come passerò le mie giornate senza la mia sirena?-

-Esattamente come le passavi anche prima che arrivasse: mangiando, guardando film, giocando ai videogiochi, leggendo fumetti, e, ovviamente, allenandoti.- gli fece notare Donatello, mettendogli una mano sulle spalle, per dirigerlo verso l'area intrattenimento.

-E, Raph, fratellino, sei stato davvero freddo con la nostra Eli. Scommetto che non vedevi l'ora che se ne andasse. Beh, non mi sorprende. Dopotutto sei l'unico a cui non è piaciuta dall'inizio. E perché è da un po' che ti sta battendo nei vostri corpo a corpo.-

-Michelangelo, un po' di tatto.- rimproverò Splinter.

Raffaello non dava l'impressione di aver ascoltato le sue parole.

Aveva ancora lo sguardo cupo. E le sue mani che stringevano le braccia opposte.

Non era più nervoso, o imbarazzato. Ma triste.

“Voleva dire che non volevo che partisse, razza di idiota.”

 

Per il viaggio da New York al Giappone, Leonardo ed Elisabetta dovettero nascondersi in una nave mercantile, stando bene attenti a non farsi scoprire dalla sicurezza.

Per questo, Leonardo aveva caricato la templare tra le sue braccia, prima di introdursi tra un container e l'altro.

Si nascosero dietro uno di essi, in un punto ben nascosto. Non c'erano molte guardie, ma era saggio non farsi notare. Li avrebbero presi per clandestini e li avrebbero buttati in mare.

Nonostante le immagini che ancora erano fresche nella sua mente, Elisabetta trascorse il periodo del tragitto dormendo. Leonardo le aveva permesso di dormire con la testa poggiata sulle sue gambe, mentre lui avrebbe fatto da sentinella e in modo da essere pronto a prenderla in braccio, nel caso in cui una guardia si fosse avvicinato nel loro nascondiglio.

Vederla così calma era una situazione inusuale. Dopotutto, nessuno l'aveva mai vista dormire. Da sveglia, aveva sempre un'aria cupa, occhi tristi. E tanta rabbia.

-Fran...- mormorava lei, agitandosi nel sonno.

Leonardo, per calmarla, le toccava i capelli, quelli chiari.

Lui, invece, non era riuscito a prendere sonno. Era ancora inquieto dai suoi sogni.

Sperava solo che il Tribunale Ninja o l'Antico potessero dargli qualche risposta. Ne dubitava, ma sarebbe stato meglio che continuare a farsi domande senza risposta e senza avere un indizio su cosa stesse effettivamente sognando.

-Eli, siamo arrivati.- disse, ad un certo punto, agitando lievemente la spalla della ragazza, per svegliarla.

Lei sbadigliò. Sebbene avesse tenuto gli occhi chiusi per tutto quel tempo, non era sicura di aver dormito.

-Questo è il Giappone?- domandò lei, mettendo la vista a fuoco. Vedeva tutto ancora sfocato.

-Sì, e ora dobbiamo farcela tutta a piedi.-

Per fortuna, gli anfibi che la templare indossava erano adatti anche per le lunghe scarpinate, non solo per proteggere i piedi da impatti violenti.

Camminarono a lungo, prima di raggiungere un paesaggio innevato.

Quel giorno tirava persino una bufera. Leonardo camminava con la testa bassa, per evitare che il cappello volasse via.

Il cappuccio del mantello, per fortuna, era stato legato bene. Ma Elisabetta lo teneva comunque stretto con le mani. Il mantello ondeggiava alle sue spalle. Il secondo laccio, per fortuna, impedì che gliele scoprisse

-Non temere.- assicurò Leonardo, che camminava di fronte -Una volta superato quel crepaccio sarà finita.-

-Oh, fantastico! Potevi dirlo DOPO essere morta assiderata qui, visto che c'eri!- commentò lei, sarcastica.

La tuta mimetica non la stava coprendo completamente dal freddo.

-Considerati fortunata ad essere in compagnia.- rivelò lui -Quando ho viaggiato qui per la prima volta, ero solo.-

Smarrito. Pieno di delusione verso se stesso. Proprio come Elisabetta era in quel momento.

Per questo si era offerto di accompagnarla ed aiutarla.

Il crepaccio era vicino.

C'erano due enormi massi che lo coprivano, alti circa dieci metri, ma lasciavano abbastanza spazio per passare.

La templare ed il ninja si fermarono all'improvviso, quando quei massi si mossero.

Non erano massi, ma mostri. Mostri con fattezze quasi umane, escludendo la pelle coperta da una pelliccia color del ghiaccio, e le zampe da leone. Portavano una corazza simile a quella indossata dai samurai, ma le loro spade somigliavano più a scimitarre che a katana.

-Nessuno può passare.- mormorò quello di destra -Oh, chi si rivede. Il pupattolino verde.-

Leonardo non si mosse, nemmeno disse nulla. Fissava quei mostri con aria seria, senza cadere nelle loro provocazioni.

-Ed ha portato un amichetto, stavolta.-

-Un amichetto ancora più piccolo.- aggiunse quello di sinistra, accennando una risata.

Elisabetta digrignò i denti a quella provocazione. La sua mano si chiuse a pugno.

-Perché non chiudete quelle bocche zannute e ci lasciate passare?- domandò, quasi minacciosa; parlava con voce quasi maschile -Dobbiamo vedere l'Antico!-

I due mostri risero. Questo accentuò il nervosismo della templare.

-Cosa c'è da ridere? Come osate ridere?!-

-Oh, il pupattolino ancora più piccolo è ancora più suscettibile dell'altro.- derise quello di sinistra -Un altro bambino che fa i capricci se i suoi desideri non vengono esauditi.-

La già alta rabbia della templare crebbe, con quelle parole. Se non avesse avuto indosso i guanti, le sue unghie sarebbero affondate nei suoi palmi, facendo fuoriuscire il sangue.

-Se non vi fate da parte, ve ne pentirete amaramente!-

La sua mano era già vicina all'impugnatura di Hesperia. E l'altra pronta a portare Hellas al suo braccio sinistro.

Leonardo cercò di calmarla, mettendole una mano sulla spalla.

-No, Eli, non ne vale la pena.- cercò di dissuaderla.

-Ascolta il tuo amichetto, pupattolino.- aggiunse il mostro di destra -Non avresti speranza contro di noi.-

Era troppo. E le croci templari nelle sue iridi ne erano la prova.

-ADESSO BASTA!- tuonò, spingendo la tartaruga verso la neve. Leonardo non aveva avuto il tempo di stabilizzarsi.

-Eli, no! Non farlo!-

In preda all'ira, era divenuta sorda. Si era sciolta persino il laccio che teneva saldo il cappuccio, per avere una miglior visuale.

-Uuuhh! Il pupattolino più piccolo è arrabbiato!- provocò di nuovo quello di sinistra, fingendosi spaventato dall'aura rossa e bianca.

Un urlo precedette un attacco caricato da parte della templare. Non le importava se quei mostri fossero alti dieci metri, chiunque la provocasse doveva perire sotto la sua lama.

Le zampe erano il suo obiettivo: se fosse riuscita a tagliare i tendini, li avrebbe fatti inginocchiare, poi avrebbe tagliato le mani e poi mirato agli occhi.

Ma quei mostri erano grandi e sembravano prevedere i suoi attacchi. Più volte, la ragazza aveva rischiato di cadere sulla neve, accecata dalla rabbia.

Proteggersi con Hellas non fu sufficiente per parare il calcio che ricevette.

-Tornatene a casa, pupattolino bianco.- suggerì il mostro di destra, ridendo insieme all'altro.

Leonardo la soccorse. Ma non voleva aiutarla a combattere contro i due mostri.

-Ti prego, rinuncia.- la esortò, parlandole con calma -Non puoi vincere contro di loro.-

-GIAMMAI!- si ostinò lei, tornando in piedi, più furiosa di prima -SONO UN OSTACOLO! DEVO ELIMINARLI!-

Pensiero occidentale: se trovi un ostacolo nel tuo cammino, distruggilo. Un pensiero simile a quello di Shredder, dei Triceraton e della Federazione. Uno più guerrafondaio dell'altro.

Per quanto fossero potenti i suoi attacchi, Elisabetta non riusciva nemmeno a sfiorare i due mostri.

Una mano enorme, alla fine, la prese e la sollevò da terra. Persino le sue braccia erano bloccate.

-E adesso come la metti, pupattolino bianco?- provocò nuovamente quello di sinistra -Senza le tue braccia non puoi fare nulla, a quanto pare.-

Entrambi risero.

-LASCIAMI ANDARE SUBITO!- ordinò lei, dimenandosi.

Ma il mostro stringeva ancora più forte, lasciandola quasi senza fiato.

-Il tuo cosiddetto potere non è molto utile, adesso.-

Leonardo era sempre più preoccupato. Si mise sotto i due mostri.

-Vi prego, lasciatela...!- si corresse subito -Ehm! Lasciatelo andare!-

Prima di scendere dalla nave, Elisabetta gli aveva fatto una richiesta: di chiamarla Eliseo e rivolgersi a lei come uomo, in cospetto di altre persone.

Ma ormai aveva rivelato la sua vera natura. Senza volerlo.

-Oh... il nostro pupattolino allora è una donna.- realizzò il mostro di destra.

La rabbia della templare si trasformò immediatamente in qualcos'altro. Imbarazzo, vergogna.

-Oh, e ora sta cominciando a piangere.-

Si era voltata verso Leonardo, con aria di rimprovero. Lui guardò in basso, anche lui imbarazzato, ma senza provare alcuna colpa.

-Uomo o donna...- riprese il mostro di sinistra, aprendo la mano con cui aveva intrappolato la templare -Un guerriero che attacca per rabbia è destinato a non vincere mai.-

Elisabetta cadde nel vuoto, verso la neve, ma Leonardo fu abbastanza rapido da prenderla tra le sue braccia.

Lei si dimenò per toccare terra da sola, come se non avesse gradito quell'aiuto, dopo quel piccolo tradimento.

Il suo potere era svanito e lei era tornata normale. Ma con una morsa amara nel cuore.

Leonardo le mise una mano dietro la schiena, esortandola a camminare.

-Su, andiamo...-

-Camminate verso quella roccia fino a quando non vedrete le vostre ombre.- spiegò il mostro di destra -Poi chiudete gli occhi e contate sette passi. A quel punto, potrete aprire gli occhi.-

-E ricorda la lezione, pupattolina.-

Templare e ninja erano già lontani, quando li udirono nuovamente ridere.

Elisabetta si stringeva nel suo mantello, con il cappuccio nuovamente alzato e non solo per ripararsi dal freddo. Ma anche per nascondersi per la vergogna.

Seguirono entrambi le istruzioni dei due mostri.

Dal paesaggio innevato, infatti, si trovarono di fronte ad una terra arida, illuminata dalla luce del crepuscolo.

-Siamo vicini, ma ci conviene accamparci, per la notte.- suggerì Leonardo, continuando a tenere un braccio sulle spalle della templare.

Lei continuava a guardare in basso, triste, delusa.

-Ti avevo chiesto una sola cosa, Leo...- mormorò, con la mano che le tremava ancora dalla rabbia -Una cosa sola. E tu hai subito infranto la tua promessa.-

Aveva infranto una promessa. Ma non lo aveva fatto apposta. Era ormai abituato a chiamarla con il suo nome da donna e rivolgersi a lei con i pronomi femminili. Elementi che la facevano vergognare.

-Lo so, e mi dispiace.- si scusò lui, sospirando -Ma tu non dovresti vergognarti del nome che porti o per quello che sei.-

Non sarebbe stato facile; per tutta una vita, Elisabetta si era vergognata del suo essere donna. Sfoggiava il nome Eliseo ed il suo aspetto da uomo con più orgoglio. Erano divenute le sue vere armature contro il mondo esterno.

 

La notte scese presto.

La templare ed il ninja avevano trovato un posto per accamparsi. Erano riusciti a raccogliere della legna ed accendere un falò. Per dormire e proteggersi dal freddo, dovettero accontentarsi uno del proprio impermeabile, l'altra del proprio mantello.

Sedevano in due parti opposte del falò. Elisabetta era ancora arrabbiata con Leonardo per il suo tradimento, per questo voleva dormire lontana da lui.

-Eli, ti ho già detto che mi dispiace, non volevo.- si scusò di nuovo; ma lei continuava a tenergli le spalle -Mi terrai il muso tutto il tempo?-

Non ottenne risposte.

Lui, però, sospirò.

Lo zaino non era un buon cuscino, ma era sempre meglio di niente, pensò la templare.

Non riusciva comunque a dormire, nemmeno se lo avesse voluto.

La sconfitta le rodeva ancora il cuore. E per dei sibili che la allarmarono.

Scattò a sedere, quando si fecero più vicini.

-Cos'è stato?!- esclamò, allarmata.

Leonardo si voltò, stranamente calmo.

-Spettri demoniaci.- spiegò -Tranquilla, non ti attaccano se non diamo loro fastidio.-

Stavano passando delle sagome eteree, vicino al loro bivacco. Le loro forme erano demoniache. E fluttuavano per aria. Ricordavano quasi i demoni di Faust.

La templare provò un forte senso di disagio, insieme a quello di pericolo.

Erano molto, troppo vicini. E li stavano guardando con dei ghigni rabbiosi sul volto.

L'anello sembrava reagire alla loro presenza. O forse reagiva alla rabbia della sua portatrice, ancora più incontrollabile a causa della confusione nella sua testa.

La luce delle croci templari negli occhi, sebbene per pochi istanti, attirò l'attenzione dei demoni.

Da che li osservavano come formiche, in quel momento sembravano cercare uno scontro.

Le loro fauci si erano aperte, mostrando le zanne.

-Deus mi!- imprecò lei, sguainando Hesperia ed Hellas -Arrivano da questa parte! Leo, sguaina le tue katana!-

Lui scosse la testa.

-No, Eli, è inutile.-

-Inutile?! Quei cosi ci stanno per attaccare!-

Uno aveva già la mano aperta verso la templare, per attaccarla con gli artigli.

Lei deviò da una parte, usando la spada.

Tentò di contrattaccare, ma, con sua grande sorpresa, la spada gli passò attraverso.

-Cosa?!-

Un manrovescio la fece cadere sul terreno. Ciò accrebbe la sua ira, insieme al pensiero di non poter ferire i suoi avversari.

Una mezza dozzina di demoni la stava circondando. Con le dita delle mani arcuate e le zanne in mostra.

Ma la templare non aveva paura. Ne avrebbe stesi anche il doppio, con la rabbia che la stava consumando.

Urlando di nuovo si avventò su quelli di fronte a lei, ma, per quanto ci provasse, non riusciva a colpirli.

In compenso, loro potevano colpire lei.

-Eli, non puoi affrontarli!- cercò di dissuaderla Leonardo, preoccupato non tanto per l'integrità fisica della ragazza, ma quella mentale -L'unico modo per salvarti è dire che ti arrendi!-

-GIAMMAI! IO NON RINUNCIO AD UNA BATTAGLIA!-

Faceva il possibile per proteggersi con Hellas. Ma i colpi che stava subendo stavano cominciando a farsi più forti e più veloci.

“Se la spada non li trafigge, allora ci penserà la forza del mio Signore!”

Si alzò, allontanando i demoni che la stavano attaccando. La croce sull'anello si illuminò di azzurro. Venne puntato in avanti, con la mano chiusa a pugno.

-Reversate in umbras!- esclamò lei, dopo aver scagliato la croce eterea in avanti.

I demoni erano rimasti esattamente dove erano.

Elisabetta era più sgomenta che sorpresa.

La croce eterea aveva sempre funzionato sui demoni e sugli spiriti malefici che controllavano.

Cosa avevano di diverso quei demoni che stava affrontando?

Distratta dal suo stupore, non ebbe il tempo di difendersi dai demoni che la aggredirono alle spalle, facendola cadere per terra.

-Lasciatemi stare, demoni!- ordinò lei, dimenandosi tra i loro artigli che la tenevano ben stretta ai polsi.

-Devi arrenderti, Eli! Non hai scelta!-

Non poteva toccarli. Non poteva ferirli. Nemmeno fare danni con la croce eterea.

E un demone aveva già alzato una mano per aria, diretta alla sua testa.

La templare non ebbe altra scelta.

-VA BENE! MI ARRENDO! MI ARRENDO!-

Non era stata una decisione facile. Tantomeno da accettare. Ma almeno era libera.

I demoni si allontanarono, come se nulla fosse avvenuto.

Templare e ninja erano rimasti nuovamente da soli.

Elisabetta si mise a sedere sull'erba, guardando in basso, verso le sue armi. Le sue valide e fidate compagne, che da quattro anni a quella parte l'avevano aiutata contro qualunque tipo di nemico. Eppure, con quegli spettri, erano state completamente inutili. Per la prima volta, si era sentita debole.

-Eli...- mormorò Leonardo, avvicinandosi cautamente a lei -Stai bene...?-

Le stava per mettere una mano sulla spalla, quando fu improvvisamente aggredito da lei, a tal punto da farlo sdraiare per terra, con la lama di Hesperia premuta contro la sua gola.

-PERCHÉ?! PERCHÉ MI HAI DETTO DI ARRENDERMI?!- esclamò, con le croci templari ancora nei suoi occhi -NESSUN GUERRIERO SI ARRENDE! ARRENDERSI È QUELLO CHE FANNO I VIGLIACCHI!-

Lui non aveva avuto il tempo di sguainare le sue katana. Visti da vicino, quegli occhi erano davvero spaventosi.

Ciononostante, non si lasciò intimidire.

-E combattere senza una testa ti sembra una scelta migliore?!-

Esattamente le stesse parole che, anni fa, gli aveva rivolto l'Antico, quando anche lui era nella stessa situazione di Elisabetta. Ed aveva avuto la stessa esperienza con quei demoni.

La templare sembrò calmarsi, a giudicare da come i suoi occhi fossero tornati normali.

Rinfoderò Hesperia con mano tremante.

Rinunciare ad una battaglia non era da lei. Non lo sarebbe mai stato.

Scappare o arrendersi era da lei considerato come gesto degno di un vigliacco.

E lei non lo era. Non voleva esserlo. Avrebbe preferito morire in battaglia, che scappare.

La sua missione, Federico, erano stati i due motivi per cui aveva pronunciato quelle due parole vergognose: “Mi arrendo.”

Non poteva morire. Non ancora.

La vergogna, però, continuava a persistere. La vergogna di essere uscita sconfitta da dei nemici che non poteva nemmeno toccare, nemmeno con la croce eterea.

Corse lontano da Leonardo, prima di mettersi in ginocchio sul terreno, ma non per pregare.

I suoi pugni si scagliarono per terra, veloci, come aveva fatto con Leatherhead.

-SONO UN'INCAPACE! NON VALGO NIENTE!- urlava, ad ogni pugno.

Si stava creando una voragine, intorno a lei.

-SONO DEBOLE! PATETICA! NON SONO NESSUNO!-

Erano urli di rabbia, ma misti anche ad un qualcosa simile al pianto.

Leonardo tentò nuovamente di calmarla.

-Eli, ti prego, non fare così! So come ti senti...-

Aveva atteso che i suoi pugni rallentassero, prima di avvicinarsi a lei.

Voleva nuovamente abbracciarla, ma ancora una volta quell'intenzione venne rifiutata con uno schiaffo sulle mani.

-Lasciami stare!-

Il suo cuore era spezzato, ma le lacrime erano ancora bloccate. L'orgoglio, spezzato come il suo cuore, le impediva nuovamente di piangere.

-Non valgo niente.- mormorava, tornando al bivacco, stringendosi nel suo mantello -Senza i templari non valgo niente. Non sono nessuno...-

Leonardo era rimasto fermo, a fissarla, fino a quando non era tornata al falò.

Era esattamente così che si era sentito anche lui, nel suo primo viaggio in quelle terre: debole, inadeguato. Ma per un motivo del tutto differente rispetto al suo.

Scosse la testa, quasi sospirando.

“È davvero più fumantina di Raph...” pensò.

 

Uno stemma tornò a brillare, sulla torre un tempo a forma di tempio giapponese.

Ma non era il simbolo del Clan del Piede ad essere acceso: era una croce rossa, con lo sfondo sopra bianco e sotto nero.

Ogni elemento di Shredder e del Clan del Piede era stato cancellato da quella torre.

La facciata, come l'interno, era stata decorata in stile gotico.

La sala un tempo appartenuta a Shredder era ornata con statue di santi e dipinti raffiguranti episodi della Bibbia, di artisti delle varie epoche, dal Medioevo al Seicento. E le vetrate raffiguravano i precedenti Grandi Maestri Templari, da Huges de Payns a Jaques de Molay.

E il grande tavolo con l'incisione “PAUPERES COMMILITONES CHRISTI TEMPLIQUE SALOMONIS” intorno al rilievo della croce templare era al centro.

E, dove un tempo sedeva Shredder, sotto un grande crocifisso, c'erano quattro troni: lo spazio dedicato al tetravirato, David, detto Magister, Andrea, detto Lazzaro, Giacomo, detto Galvano, e Luigi, detto Faust.

Era una Base Templare in tutto e per tutto. La dimostrazione che finalmente i Templari erano riusciti ad insediarsi in America del Nord, per raccogliere nuovi adepti e proseguire con il loro proposito.

I Dragon Purpurei si erano rivelati degli ottimi operai, con la giusta paga e la promessa di tornare a regnare sulle bande criminali di New York. Sarebbe stato come se fossero tutti agli ordini dei Templari, esattamente come ai tempi di Shredder. Il padrone era cambiato, ma il modus operandi non era così differente.

David era sollevato nel non dover mai più alloggiare in quel vecchio hangar.

Lo dimostrava il modo in cui era seduto sul suo trono.

Anche Andrea, Giacomo e Luigi erano del suo stesso umore.

Il resto dei Cavalieri Templari erano seduti intorno al grande tavolo, inchinati di fronte ai loro superiori.

Mancava uno solo, Federico, il figlio di David.

Entrò nella sala principale proprio in quel momento, avvicinandosi al tetravirato e salutandoli con un inchino profondo.

-Miei signori...- salutò, senza guardarli negli occhi -I Thai Weasels sono arrivati.-

-Falli entrare.- ordinò, lesto, il Gran Maestro David.

Successivamente la sommossa organizzata per far attirare le Tartarughe alla falsa scomunicata Flagello, non erano stati richiesti altri servizi, da parte dei Thai Weasels, non del medesimo calibro.

Anthony, infatti, sembrava nervoso. E da come la sua fronte luccicava, stava per sudare.

-Benvenuti nella nuova sede Templare, Thai Weasels.- salutò il Gran Maestro, senza alzarsi dal suo trono.

Anthony e la sua banda avanzavano lentamente verso il tetravirato. Fino ad allora, avevano solo visto Galvano e Salterio. Non avevano mai incontrato David. La sua vista incuteva timore. C'era una luce diversa, nei suoi occhi grigi e non era solo per il completamento della Base Templare.

-Quando siete stati assoldati da ser Galvano qui presente...-

Il pelato sorrise in modo strano, nel sentirsi nominare.

-... vi è stato affidato subito un compito. E lo avete svolto egregiamente.-

Anthony ancora non si degnava di guardare il Gran Maestro: qualcosa lo inquietava.

-Grazie, mio signore...- mormorò, muovendo a malapena le labbra -Quindi... non ci avete convocato per un qualcosa che abbiamo fatto male...?-

-Ma cosa dite? Certo che no. Volevamo solo attendere di avere una degna Base, prima di darvi quanto vi spetta, come ricompensa per i servigi svolti per l'Ordine.-

I Thai Weasels, come il loro capo, emanarono un sospiro di sollievo. Temevano una punizione per i loro fallimenti, o per timore di aver fallito la loro prima missione. Non pensavano sarebbero stati ulteriormente ricompensati, oltre alla paga in valute templari.

Salterio, però, non sembrava sollevato. E Galvano continuava a sorridere in modo strano.

David si voltò verso uno del tetravirato.

-Fratello Faust, vorresti, di grazia, condurre i nostri graditi ospiti nella sala del tesoro?-

L'interessato fece un silenzioso cenno della testa.

-Seguitemi.- disse, alzandosi dal suo trono.

Da preoccupati, i Thai Weasels divennero entusiasti al pensiero di un premio che non fosse solo denaro.

La porta in cui entrarono non era molto distante dai troni.

-Prendete pure ciò che volete.- indicò il templare, una volta aperta la porta e facendo loro cenno di entrare -Come vedete, siamo generosi con chi ci serve bene.-

Non c'erano solo valute templari, all'interno della sala del tesoro: gioielli, lingotti d'oro, pietre preziose...

Nessuno poteva vantare ricchezze simili, nel mondo.

Gli occhi di Anthony e dei Thai Weasels si illuminarono, di fronte a quel tesoro. E Faust aveva detto che potevano prendere tutto quello che volevano.

-Siamo in paradiso...?- mormorò il giovane, dandosi spesso dei pizzicotti, per assicurarsi che non stesse sognando.

Ma era vero. Quell'oro era vero.

-Che aspettate?!- annunciò, a gran voce -Prendiamo tutto!-

Naturalmente, i suoi uomini e donne si gettarono a capofitto nelle ricchezze di quella meravigliosa sala del tesoro.

Alcuni prendevano delle valute templari, per farle scorrere sulle loro dita, altri nascondevano i lingotti nei loro giacchetti di jeans; le donne, invece, provavano i gioielli e si impersonavano come regine.

Anche Anthony si inginocchiò di fronte ad un bel mucchio di valute templari. Ne prese una manciata in mano.

-Siamo ricchi!- annunciò, colmo di cupidigia -Pensate cosa potremo fare con un tesoro così! Altro che volgare banda di strada! Quando usciremo da qui, daremo inizio alla nostra conquista di New York!-

I suoi uomini urlarono con approvazione, pregustando la loro ascesa nel mondo del crimine, aspirando di superare persino i Dragoni Purpurei, come prestigio.

Una luce accecante li illuminò all'improvviso.

Proveniva dal fondo della stanza. Era un grande faro: una luce violacea che sembrava girare come una spirale.

Alcuni dei Thai Weasels si sentirono come attratti da quella luce, ma non per propria volontà.

E non stavano nemmeno camminando: una curiosa forza magnetica li stava proprio trascinando verso quella luce.

E sparirono in essa, senza nemmeno urlare.

Altri fecero la loro stessa fine. Uno ad uno, venivano inghiottiti da quella luce.

Quando lo compresero, era troppo tardi: quella luce era un portale. Erano stati attratti in una trappola.

-No...! No!- esclamò Anthony, il prossimo ad essere attratto da quella luce.

Cercò di tenersi a dei lingotti, con la speranza che fossero più pesanti di quanto sembrassero.

-Non mi porterete via dall'oro!- esclamò, cercando di non mostrare alcuna paura di fronte a quella luce che lo stava privando dei suoi uomini. Erano rimasti in pochi.

Diede un fugace sguardo ai lingotti a cui si stava tenendo. Tuttavia, si accorse di non star toccando dei lingotti: una testa mostruosa gli ruggì contro, fissandolo rabbioso. Pelle verde, occhi rossi, quattro braccia.

Anthony urlò alla vista di quel mostro, con una paura tale da fargli mollare la presa. Urlò persino quando era vicino al portale: aveva intravisto qualcosa, dall'altra parte, un mondo in fiamme, con persone che si dimenavano in un lago di pece, tentando di liberarsi.

-No! No! Non voglio morire!-

Le urla non allarmarono il tetravirato. Anzi, sorridevano.

-E un'altra banda è sistemata...- sospirò, sollevato, David, come se si fosse liberato di un peso.

Andrea, Giacomo e Luigi avevano le mani aperte rivolte una verso l'altra: un globo viola si era formato in mezzo ad esse, una sorta di unione dei loro poteri, il legame con il mondo dei morti di Lazzaro, il potere demoniaco di Faust, catalizzati entrambi dai fulmini di Galvano avevano creato quel portale.

-E hanno davvero ottenuto quello che meritavano.- aggiunse Giacomo, tornando seduto comodo sul suo trono. Lo sforzo non era stato eccessivo, ma sentiva comunque il bisogno di rilassarsi.

Il tesoro non era reale. La stanza, non appena la luce si era spenta, era tornata vuota.

Tutto ciò che i Thai Weasels avevano visto e toccato altro non era che una visione di Avarizia.

Luigi lo aveva evocato nell'esatto momento in cui aveva aperto loro la porta.

E non era stata la prima banda a sparire in quel modo. Altre bande finite al soldo dei templari, dopo settimane o mesi di servigi, erano spariti in circostanze misteriose.

-In fondo non è stata una gran perdita.- notò David -Non valevano granché. Oh, beh, gli agnelli sono destinati al sacrificio di un desiderio superiore. E ogni agnello che noi sacrifichiamo ci porta sempre più vicini al nostro obiettivo.-

Il resto dei templari restò serio, senza dire una parola: nessuno aveva il coraggio di obiettare le decisioni del tetravirato, per timore di fare la stessa fine dei Thai Weasels.

Non avevano mai visto, però, la strana luce negli occhi del Magister. Non era la prima volta che una banda criminale veniva uccisa dai poteri congiunti di Lazzaro, Faust e Galvano, ma David era sempre rimasto impassibile. Quella volta, però, stava sorridendo.

Federico teneva lo sguardo basso. Ogni volta che sentiva le urla, chiudeva gli occhi. Odiava quel lato del padre, la crudeltà che mostrava con le bande criminali. Disonorava il codice templare, secondo lui.

Ma, come i confratelli, il suo timore lo spingeva al silenzio.

Si limitò solo a giocare con l'anello, girandolo più volte.

Erano ormai due sere che non comunicava più con Elisabetta. Lei non rispondeva alla chiamata.

Era preoccupato. Non aveva più notizie. Temeva le fosse accaduto qualcosa. O che si fosse dimenticata di lui.

Mai Elisabetta si sarebbe dimenticata di Federico: non voleva farlo preoccupare, parlandogli di quanto la comparsa di Omnes l'avesse sconvolta a tal punto da non riuscire più a controllare il suo potere. E non voleva allarmarlo, riferendogli del viaggio che avrebbe compiuto in Oriente. Non lo aveva riferito neppure a David.

“Eli, le cose stanno peggiorando.” pensò Federico, immaginando di parlare con lei nella Dimensione Mistica “Mio padre sta impazzendo per questa ricerca del Graal. Ti auguro davvero di non tornare...”

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"Elisabetta riuscirà a controllare la sua ira?
Cosa la attenderà, una volta al cospetto del Tribunale Ninja e dell'Antico?
Leonardo otterrà mai risposte alle sue domande?

Cosa significheranno, davvero, i suoi sogni sul ninja e sul templare?"

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Capitolo 14
*** Siamo il peggior nemico di noi stessi ***


Note dell'autrice: I'M BAAAAAAAAACK! Capitolo lungo, ma spero vi piaccia. Ci sono elementi della stagione delle TMNT 2003 che non è mai stata trasmessa in Italia (MALEDETTI!), gli episodi che seguono l'episodio: "Il Tribunale Ninja".
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Leonardo procedeva in silenzio. Elisabetta lo seguiva nel medesimo modo, con il cappuccio calato sulla testa e guardando in basso.

Dalla sera precedente, non si erano più rivolti la parola.

Leonardo, di tanto in tanto, si voltava, assicurandosi che lo seguisse. Non sapeva cosa dirle, e lei era troppo orgogliosa per chiedergli scusa per quanto avvenuto la sera prima.

Stavano ormai camminando da ore, dall'alba. Il sole era alto, quando un edificio con decorazioni da Giappone Feudale si palesò di fronte alla tartaruga ed alla templare.

-Siamo arrivati.- annunciò lui.

Dopo ore a fissare le caviglie di chi aveva di fronte, Elisabetta alzò lo sguardo.

Ciò che vide di fronte la sorprese: quando le avevano parlato di Tribunale Ninja, si aspettava di recarsi verso un solo edificio immenso, come un vero e proprio tribunale. Ma quello che aveva di fronte erano tanti edifici, di varie dimensioni, che sorgevano intorno ad un grande tempio. Era praticamente una città giapponese.

Leonardo ricordava perfettamente la strada verso l'edificio che accoglieva il Tribunale Ninja. Un portone, con il simbolo a rovescio del Clan del Piede, si aprì al loro cospetto.

Il salone in cui entrarono era immenso, sorretto da colonne alte circa dieci metri.

Di fronte a loro, su un soppalco, quattro figure erano sedute su quattro dei cinque troni lì presenti: tre uomini ed una donna. Un uomo aveva i capelli color del metallo, uno aveva il volto dipinto ed una tunica con le maniche lunghe, l'uomo più alto portava dei geta, e la donna aveva i quattro arti avvolti con bende.

Kon-shisho, il maestro dell'Anima. Juto-shisho, il maestro delle Armi. Hisomi-shisho, il maestro della Furtività. E Chikara-shisho, la maestra della Forza.

Leonardo ed Elisabetta si fermarono di fronte alla fonte che li divideva dal Tribunale Ninja. Lui si inchinò, abbassando la testa.

-Maestri, è un onore tornare al vostro cospetto.-

-Come per noi è un onore ricevere una tua visita, Leonardo-san.- disse l'uomo dai capelli color del metallo -Cosa sei venuto a chiederci?-

Leonardo alzò la testa e si spostò da un lato, mostrando l'amica.

-Sono qui per delle risposte, Kon-shisho. Su sogni che mi tormentano le notti.- spiegò -E gradirei anche consultarmi con l'Antico, per la mia amica.-

Finalmente, Elisabetta liberò la sua testa dal cappuccio, mostrando i capelli bicolori.

Anche lei si inchinò, ma nella maniera occidentale, toccando il terreno con il ginocchio e una mano sul cuore.

-Salvéte. Quod Deus voscum ambulet.- salutò, anche lei abbassando lo sguardo.

I quattro Maestri si allarmarono, appena videro la croce templare sul mantello e sul giubbotto antiproiettile bianco.

-Una templare?!- esclamò la donna, Chikara-shisho, sconvolta.

-Sì, è così. Ho bisogno dell'aiuto dell'Antico per...-

Si interruppe all'istante, notando le espressioni di ognuno di loro. Erano allarmati, sgomenti. E loro non si impressionavano facilmente. E, per di più, sapevano cosa fosse Elisabetta. Leonardo si insospettì.

-Aspettate... come sapete che lei è...?-

-Noi non accettiamo al nostro cospetto coloro che praticano la barbara arte della spada orientale e seguono una divinità inesistente! Il passato ce lo ha insegnato!- tuonò Kon-shisho.

Elisabetta osservò Leonardo, confusa e anche oltraggiata. Lui era sempre più sospetto. Ma gli bastò un istante, per realizzarlo.

-Volete dire… che in passato un templare è stato qui?!-

Un templare in Giappone. Impensabile, pensò Leonardo. Ma poi si ricordò dei suoi sogni, e le sue visioni. Il protagonista di entrambi era un ninja. E il templare apparso nei suoi ultimi sogni stava parlando con quello stesso ninja.

Non poteva essere una coincidenza. Ma come poteva essere?

-Questo non è posto per quelli come lei!- decise Kon-shisho, alzandosi dal suo trono -Siamo più che disposti a rispondere a ogni tua domanda, Leonardo-san, ma non con lei presente! Il nostro suolo non dovrà più essere profanato dai barbari occidentali che credono nel nulla!-

Leonardo stava per parlare di nuovo, quando Elisabetta si fece avanti.

-Avete osato offendere la mia fede?-

La rabbia stava tornando.

-Io non tollero simili offese contro la mia fede!-

-Uguale a tutti i barbari occidentali...- sibilò Chikara-shisho, acida -Vi piegate e pregate per una divinità che non è visibile e vi aspettate che sia lui a risolvere i vostri problemi.-

-Dio esiste! Ha benedetto me e i miei confratelli templari con questi poteri per esorcizzare il male!- mostrò con fierezza il suo anello con la croce templare.

Nessuno del Tribunale Ninja batté ciglio. Per loro era come fissare un anello come altri.

-Un potere che non meritate!- ribatté Juto-shisho, anche lui alzandosi dal trono -Un potere che voi avete ottenuto per sbaglio, non per perché siete degni!-

Quelle parole colpirono il cuore della templare peggio di un colpo di cannone.

Come potevano essere così sicuri delle loro parole? Come sapevano, soprattutto?

Loro non potevano sapere, pensò la ragazza. Forse erano come Omnes, e le loro parole volessero solo fuorviarla dalla sua fede. Magari era un'altra prova, pensò.

Come con Omnes, la sua certezza era incrollabile.

-No! Non vi credo!-

Era stato Dio a benedire i templari con i loro poteri. Questo pensava, questo le era stato detto, questa era la sua convinzione.

-Tipico di quelli come te.- riprese la Maestra -Siete così legati alle vostre convinzioni che credete che tutto il resto sia una menzogna!-

Le sue parole incrementarono la già alta rabbia.

-Come osate rivolgervi così a un cavaliere di Dio?! Questo è un affronto! Non lo tollero!-

Aveva già sciolto il laccio del suo mantello, facendolo cadere sul pavimento di pietra.

Ancora una volta, Leonardo cercò di dissuaderla dalle sue intenzioni.

-Eli, non è un buona idea affrontare il Tribunale Ninja...-

-Da come me ne hai parlato, li credevo più saggi e diplomatici.- tagliò corto lei -Io vedo solo un branco di arroganti che meritano una lezione.-

Hesperia era già nella sua mano destra e Hellas era scivolato sul suo braccio sinistro.

Chikara-shisho si alzò dal trono, prima di scattare in alto, compiendo un salto alto quasi quanto il salone stesso. Atterrò a mezzo metro di distanza dalla templare, quasi creando una voragine intorno a lei.

-Allora affrontami, templare!- sfidò, facendo roteare la sua clava -Dimostrami la grandezza della tua fede!-

L'aura bianca e rossa circondò il corpo di Flagello, mentre le sue iridi divennero nuovamente croci templari.

-Posso affrontarvi tutti e quattro, infedeli!- ringhiò, pronta al combattimento.

Chikara soffiò di nuovo dal naso, irritata.

-Credi di essere inarrestabile per il tuo potere?- provocò, mantenendo la presa sull'impugnatura della clava come un bastone da passeggio -La tua sfrontatezza sarà la tua fine, templare!-

Per due volte, in quel viaggio in Giappone, aveva dovuto rinunciare ad una battaglia. Per due volte aveva dovuto ammettere la sua sconfitta. Non poteva permettersi un terzo fallimento.

-DEUS VULT!-

Leonardo si fece da parte: era ormai tardi per evitare lo scontro.

Elisabetta fu la prima a scattare, Hellas puntato in avanti ed Hesperia pronta ad attaccare dall'alto.

Un attacco prevedibile. Infatti, Chikara lo parò con la clava senza problemi, prima di deviare la lama da un lato e sferrare un calcio diretto al suo stomaco.

Il giubbotto antiproiettile bianco dimezzò i danni, ma Elisabetta arretrò comunque, con una mano sul punto colpito. Ma la sua rabbia non svanì, anzi.

Stavolta, anche Chikara scattò in avanti. Entrambe crearono delle piccole voragini sul terreno, con il loro ultimo passo, il passo che avrebbe dato più forza e stabilità nel colpo simultaneo che sferrarono l'una contro l'altra: un pugno rischiò di slogare la mandibola della templare, mentre un colpo di scudo, sferrato come un pugno, colpì la guancia della Maestra, la stessa strategia che aveva usato nel Duello dei Duelli, contro Leonardo.

Entrambe, dall'impatto dei loro colpi, vennero scagliate in due zone del salone. Chikara riuscì ad atterrare in piedi, compiendo una capriola per aria. La schiena di Elisabetta, invece, colpì il muro. L'adrenalina e la rabbia evitarono il dolore. Era più carica che mai, determinata a proseguire l'incontro.

Al di fuori di Valhalla, non aveva affrontato altre donne. Fu un'esperienza interessante, misurarsi con una donna come lei.

Notò del movimento, con la coda dell'occhio: Juto-shisho, l'uomo con il volto dipinto, aveva le mani protese in avanti, facendo oscillare le lunghe maniche della tunica. Da esse uscirono tanti piccoli oggetti metallici, diretti verso la templare.

Lei fece in tempo ad alzare lo scudo: aghi, shuriken, persino kunai si conficcarono dentro Hellas. Alcune punte spuntarono dall'altra parte, per fortuna senza prendere il braccio che lo sorreggeva.

Elisabetta impallidì, senza disattivare il suo potere: Hellas non era solo fatto di legno. Il suo “scheletro” ed il rivestimento esterno, sotto lo strato di pelle e cuoio, erano di metallo. Com'era possibile che quelle armi fossero state in grado di trapassarlo?

Non ebbe tempo o modo di pensarci, che dovette proteggersi un'altra volta: Kon-shisho, l'uomo dai capelli color metallo, aveva in mano due spade e si era sollevato da terra. Roteò vorticosamente su se stesso, fino a divenire una specie di cerchio diretto proprio verso la templare. Le lame si scontrarono presto con lo scudo, senza fermarsi, come una sega circolare.

Hellas da solo non poteva sostenere quel colpo: Hesperia fu poggiata sul legno, per maggior resistenza.

Elisabetta fece il possibile per resistere, alimentata dal suo potere. Lei non avrebbe ceduto.

Un rumore sospetto, però, la allarmò: il rumore era del legno che si stava spezzando.

Non era un'impressione: delle crepe iniziarono a formarsi dal retro di Hellas. Un istante dopo, una strana forza la fece cadere indietro.

Schegge di legno si alzarono per aria. Uno scudo spezzato cadde sul pavimento di pietra.

Sul braccio sinistro erano rimaste solo le cinghie che lo legavano ad esso.

Elisabetta arretrò: Hellas era stato distrutto. Davanti ai suoi occhi.

-NO!-

Sferrò un pugno in avanti, verso il colpevole. L'anello con la croce templare si illuminò di azzurro, scagliando la croce eterea.

-Cosa...?-

Kon-shisho, sebbene preso di sprovvista, riuscì a schivarla, librandosi per aria.

Chikara la deviò con un colpo di clava. Fu lei a caricare nuovamente contro la templare.

Altre croci eteree vennero scagliate, ma nessuna colpì l'obiettivo: o venivano schivate o eluse con la clava rinforzata.

Era ormai a pochi metri dalla templare. Saltò nuovamente in alto, caricando la clava da dietro le spalle.

Elisabetta non fece in tempo a schivarsi: mise Hesperia a mo' di scudo con il filo rivolto verso l'alto e la punta verso il portone.

La clava impattò contro la lama.

E, purtroppo, Hesperia non aveva la medesima resistenza di Hellas.

Bastò un attimo.

Elisabetta osservò la sua spada con orrore: la lama si era spezzata. La punta e la base erano le uniche due zone integre. La parte in mezzo era completamente distrutta. Le schegge erano cadute tutte sul pavimento.

Le iridi divennero improvvisamente piccole, negli occhi della templare.

-HESPERIA, HELLAS, NO!-

Si era piegata per terra, su quello che rimaneva delle sue adorate armi, toccando le schegge con le dita, anche a costo di ferirsele. Aveva perduto le sue armi. Era come se qualcuno l'avesse completamente spogliata, messa a nudo agli occhi di tutti.

-Dare un nome alle armi?- canzonò Chikara, prima di ridere -Voi occidentali siete proprio ridicoli.-

Persino Leonardo non poté credere a quanto aveva appena visto. Perdere un'arma era una delle più grandi vergogne di un guerriero.

Nessuno del Tribunale Ninja si mosse, o approfittò del fatto che la templare avesse abbassato la guardia.

Chikara stessa, dopo aver sferrato il colpo, si era limitata solo ad eseguire un salto carpiato all'indietro, distanziandosi dalla sempre più furiosa templare.

Dopo aver stretto e poi rilasciato una manciata di schegge di legno ed acciaio, si rialzò.

-La pagherete cara...- sibilò -Per aver distrutto le mie armi!-

Allungò nuovamente il pugno destro in avanti, per continuare a combattere con l'unica arma rimastole: l'anello.

Ma non accadde nulla.

Tutto si era fermato, nel salone.

Allarmata, Elisabetta si guardò la mano, sgomentandosi un attimo dopo.

-IL MIO ANELLO!-

L'anulare era spoglio, come tutte le altre dita. Era rimasto solo il segno, dell'anello.

L'aura bianca e rossa, infatti, era sparita. Ma non la sua rabbia.

Il Maestro più alto e robusto, Hisomi-shisho, che non aveva abbandonato il soppalco, teneva qualcosa in mano; un oggetto piccolo. Nelle sue mani sembrava una formica.

-RIDAMMELO SUBITO!-

Stava già correndo verso di lui, quando delle catene le bloccarono l'intero tronco, costringendola a cadere sulle sue ginocchia.

Juto aveva nuovamente rivolto le maniche in avanti: era da lì che erano partite le catene.

Senza più il suo potere non poté liberarsi. Ma si dimenò comunque, tentando di rialzarsi.

I suoi sforzi erano inutili.

Chikara rise, a quello spettacolo.

-E come hai intenzione di farlo, templare?- provocò, avvicinandosi a lei.

Strinse la sua mandibola nella mano, costringendola a guardarla negli occhi.

-Guardati, non riesci neanche a liberarti. Non puoi fare nulla senza il tuo “potere”! Che cosa sei, senza il tuo “potere”, eh? Niente, ecco cosa sei!-

Elisabetta aveva della saliva, in bocca. Avrebbe tanto voluto sputare in faccia a chi aveva di fronte.

Ma qualcosa la trattenne. Infatti, la inghiottì.

Gettò lo sguardo verso il pavimento, per non far vedere le lacrime ancora trattenute.

Chikara non aveva detto nulla di diverso da quello che lei stessa si stava dicendo da giorni, la causa delle sue continue autoflagellazioni negli ultimi tempi.

Ma, legata, senza più armi, poteri, umiliata di fronte a Leonardo, era stato più doloroso.

In poche parole, il colpo finale.

Senza i templari si sentiva nessuno; senza le sue armi si sentiva nuda; senza i suoi poteri si sentiva debole e inutile.

Era tornata esattamente come era prima di divenire templare. E la sensazione era tutt'altro che piacevole.

Aveva perso tutto. E senza aver completato la sua missione.

Un vuoto improvviso la colpì dall'interno.

Quel senso di delusione e frustrazione era tale da non rendersi nemmeno conto delle catene che la stavano liberando.

Leonardo era sconvolto da quanto appena accaduto e non poté fare a meno di dispiacersi per l'amica. Avrebbe voluto protestare contro il Tribunale Ninja. Tuttavia, in cuor suo, sentiva, e, soprattutto, sapeva che Elisabetta meritava quello che aveva subito. Sarebbe stata una lezione. Lei doveva imparare. Se l'avesse consolata, non avrebbe imparato.

-Cos'è questo casino?-

Dei rumori legnosi riecheggiarono per tutto il salone. Il portone si era aperto un'altra volta.

Una figura piccola con il cappello più largo della sua pancia stava camminando verso il centro.

-Ah, giovanotto.- notò Chikara, lasciando la presa sulla ragazza -Finalmente sei arrivato.-

Nessuno del Tribunale Ninja si mosse, alla sua presenza. Solo Leonardo si degnò di un inchino.

-Sommo Antico...-

-Ah, guarda chi c'è, il mio amico scimmione verde! E stavolta non da solo, eh?-

Il suo sguardo si posò subito verso la templare umiliata, che ancora continuava a guardare il pavimento.

-Vediamo un po' chi abbiamo qui...-

Elisabetta notò un'ombra larga avvicinarsi a lei. Poi due piccoli piedi nudi in due geta.

Due mani grassocce la presero delicatamente per le guance.

-Coraggio. Non aver paura di guardarmi.-

La templare alzò lo sguardo, squadrando chi aveva di fronte: un uomo anziano dalla faccia tonda, con la lunga barba bianca che cresceva dal mento fino a metà petto. Dall'abbigliamento, sembrava un lottatore di sumo nano.

L'espressione non era dura e arrogante come quella dei quattro ninja che aveva appena affrontato: lui aveva la faccia simpatica.

-A prima vista, avrei giurato che fossi un maschietto.- disse, con voce che sembrava uno squittio -Bisogna proprio guardarti bene, per vedere che sei una femmina. Come ti chiami?-

Elisabetta, con un brusco movimento, liberò il suo volto dalle mani dell'antico, guardando di nuovo verso il basso, frustrata e umiliata.

-Non sono nessuno...- mormorò, a denti stretti.

-Nessuno? Nessuno si chiama “Nessuno”.- guardò un'altra volta il Tribunale Ninja -Maestri, che cosa avete fatto?-

-Aveva bisogno di una lezione, giovanotto.- chiarì Chikara -Si credeva tanto forte da affrontarci tutti insieme.-

Leonardo si avvicinò all'Antico, inchinandosi di nuovo.

-Sommo Antico, è per lei, infatti, che sono tornato qui. Speravo che almeno tu potessi aiutarla.-

-Non aggiungere altro, Leonardo.-

Toccò una mano della templare: il palmo era ferito e con delle schegge conficcate.

-Uuh... Ma prima curiamo queste mani. Su, alzati, mia cara.-

Anche Leonardo le mise una mano sulla schiena, dopo averle avvolte con il mantello crociato.

-Andiamo, Eli.- le disse, con tono calmo.

Rabbia, tristezza, vuoto e delusione si erano uniti in un solo sentimento, in lei: apatia.

Stava continuando a guardare il vuoto, mentre si alzava. Non sentiva nemmeno le ferite alle mani, o nei punti in cui era stata colpita da Chikara-shisho.

Continuava a guardare il vuoto, con aria spenta, e si strinse nel suo mantello, come se stesse cercando un rifugio.

-Leonardo-san.-

La voce di Kon-shisho fermò la tartaruga, in procinto di seguire l'amica e l'Antico.

-Quando avrai finito con lui, torna da noi, solo. Risponderemo a ogni tua domanda.-

Ringraziò con un inchino.

-Grazie, Kon-shisho...-

Forse, finalmente avrebbe fatto luce sui suoi sogni. Ma prima, doveva aiutare Elisabetta con la sua rabbia.

Il Tribunale Ninja tornarono da soli.

-Troppa rabbia.- commentò Kon-shisho -E non verso di noi. Ma comunque capace di distruggerla dall'interno.-

Si voltò da un lato, strizzando gli occhi luminescenti.

-Chikara, la tua guancia.-

Incuriosita dalle parole di Kon, Chikara-shisho si toccò la guancia: la punta delle sue dita erano macchiate di sangue. Era il punto in cui era stata colpita con Hellas.

-È riuscita comunque a ferirmi...- notò, sorpresa e un poco ammirata -Forse non è del tutto una causa persa.-

-Una forza strabiliante, invero.- rifletté nuovamente Kon -Ma non è lei.-

Tutti e quattro fissarono la fonte sotto i cinque troni. Le increspature mostrarono un'immagine: un templare, in compagnia di un ninja.

 

Un liquido verde venne versato in tre tazze.

Tra i presenti, solo Leonardo parlò. L'Antico ascoltava serio, mentre versava il tè. Elisabetta ancora rimaneva in silenzio, stringendosi nel suo mantello. Le sue mani erano bendate.

Togliere ogni scheggia era stato un lavoro rapido, ma molto accurato.

-Capisco... quindi è così che stanno le cose...- concluse l'anziano, porgendo il tè ai due ospiti -Devo ammettere che nemmeno tu hai perso il controllo in questo modo, Leonardo.-

Leonardo diede una rapida occhiata a Elisabetta: non stava reagendo al paragone. Era ancora nel suo stato apatico, mentre beveva il tè. Era come se il mondo, intorno a lei, si fosse chiuso.

Senza armi, senza poteri.

Leonardo sapeva perfettamente cosa provava: anche lui si era sentito nel medesimo modo, quando Shredder aveva distrutto le sue katana. Il vuoto era insopportabile.

-Nulla che non si possa curare, ovvio. Con te è bastato farti affrontare te stesso, Leonardo. Diciamo che con la fanciulla qui presente... sì, qualcosa possiamo fare.-

-E cosa?- domandò lei.

Il tono era aggressivo, ma lo sguardo ancora vuoto.

-Le mie armi sono distrutte. E il mio anello è perduto. Come posso affrontare qualcuno, senza armi?-

-Eli...-

Leonardo le toccò una spalla, per consolarla.

-Mia cara ragazza...- spiegò l'Antico -Ci sono battaglie che non possono essere combattute con le armi. Come le battaglie che uno ha contro se stesso. Come tu adesso.-

Si era avvicinato a lei, sedendosi. Le prese le mani che un istante prima aveva liberato dalle schegge con grande cura e fasciate nel medesimo modo.

-Ah, mia cara. C'è tanta rabbia in te. Ti sta distruggendo dentro.-

Nulla di diverso da quello che le aveva detto Splinter.

-E questo ti sta impedendo di controllarla.-

Per quello era lì. Per quello Leonardo l'aveva portata da lui.

-Puoi aiutarla, Sommo Antico?-

-Certamente. Come ho aiutato te, Leonardo, posso aiutare lei. Ma non nello stesso modo. Questa è una battaglia che va combattuta... proprio qui.-

Con le dita indice e medio, l'Antico toccò la fronte della ragazza.

Un senso di vuoto la invase all'improvviso, facendola urlare.

No, non era un semplice senso: stava proprio cadendo nel vuoto.

La stanza si era come inclinata: ciò che era il pavimento era diventato muro e le finestre erano sparite.

Ma non c'era più il Giappone, all'esterno della casa: niente cielo, prati, colline, monti, nemmeno il mare o il villaggio in cui risiedeva il Tribunale Ninja.

Niente di tutto questo la circondava.

Atterrò, prona, su un pavimento invisibile.

Il suo cuore batteva forte e molto veloce. Le sue mani tremavano. Pensava sarebbe caduta per sempre.

-Deus mii...- mormorò, mentre cercava di rialzarsi -Cosa ci avrà messo in quel tè...?-

Una volta in piedi, fu in grado di guardarsi intorno.

-Dove mi trovo...?-

Un ambiente senza forma, senza temperatura, senza tempo e spazio, circondavano quella che era la casa dell'Antico. Assomigliava alla Dimensione Mistica. O forse si trovava proprio lì.

-Ma io non ho più il mio anello.- ricordò, osservando l'anulare ormai spoglio. Non era la prima volta che restava senza anello per molto tempo, ma le altre volte non era nelle mani di un estraneo. Anzi, pensò addirittura che lo avessero distrutto.

E l'ambiente non assomigliava proprio alla Dimensione Mistica: la Dimensione Mistica era grigia. Lì aveva l'impressione di trovarsi all'interno di un caleidoscopio.

Le immagini continuavano a cambiare. Era troppo ipnotico. Elisabetta dovette fare un grande sforzo, per non guardare.

Procedeva a testa bassa, con gli occhi quasi chiusi, stringendosi sulle sue spalle. Non aveva più nemmeno il suo mantello.

Era rimasta solo con la mimetica nera ed il giubbotto antiproiettile bianco con la croce templare sopra.

Non aveva più le sue armi. Nemmeno il suo anello. Tutto quello che poteva fare, ormai, era camminare e sperare di uscire al più presto da quella copia psichedelica della Dimensione Mistica.

Tutt'a un tratto, però, scorse qualcosa di insolito: stivali anfibi. Come quelli che stava indossando.

Si stavano muovendo nello stesso istante in cui li stava muovendo lei.

Lei strisciò il piede destro in un movimento circolatorio. Anche lo stivale di fronte a lei fece lo stesso.

Alzò lo sguardo lentamente: due pantaloni mimetici neri, un giubbotto antiproiettile bianco con la croce templare in mezzo, sopra una giacca mimetica nera. E, a indossarli, una ragazza che si stava stringendo sulle spalle. Capelli corti, castano chiaro sopra e castano scuro sotto. Occhi scuri e lentiggini sul volto. Era uguale a lei.

No, era lei.

Stava osservando il suo riflesso.

Lei impallidì. Odiava osservarsi allo specchio. Vedere, nonostante i suoi sforzi per mascherarlo, che era una donna. Si era tagliata i capelli, aveva avvolto i seni con bende a fasciatura stretta, ma non era abbastanza. La sensazione di vergogna non la abbandonava.

Talvolta, la soluzione migliore si rivelava essere guardare da un'altra parte. Se avesse avuto l'anello, o, almeno, Hesperia, avrebbe distrutto quello specchio.

Stava, appunto, per farlo, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla: c'era un'ombra, alle sue spalle. Un'ombra che non aveva intenzioni malevole.

-Non vergognarti di ciò che sei...-

La voce era familiare alle orecchie della ragazza. L'ombra era enorme. Non aveva forma umana. Piuttosto, quella di un rettile gigante. La mano che si era posata sulla spalla, infatti, aveva tre dita.

Ma non riuscì a vederne il volto. Era un'unica figura nera.

Elisabetta non fece in tempo a notarla. Non seppe perché, ma tornò di nuovo ad osservare il suo riflesso.

Impallidì più di prima e a stento trattenne un urlo.

Non c'era più riflessa la sua immagine, in quello specchio. Il volto della ragazza che aveva di fronte era uguale al suo, ma i capelli erano più lunghi, mossi, e completamente scuri, tenuti in ordine con un cerchietto nero. E non solo: i contorni degli occhi erano neri, truccati con matita sfumata, che accentuavano lo sguardo. E l'abbigliamento era decisamente più femminile: gonna di jeans corta, con sotto dei leggins a tre quarti, maglia bianca a maniche lunghe che lasciava le spalle scoperte e gilet di jeans. E dei guanti di rete alle mani.

-No... no...- balbettò, indietreggiando -Non tu!-

Il riflesso, però, non seguì i suoi movimenti: fissò quella vera con aria seria, fredda, senza emozioni.

Scavalcò la cornice dello specchio: i tronchetti neri furono i primi ad uscire e toccare il pavimento invisibile.

La ragazza che stava nello specchio era di fronte alla templare.

-Prima di iniziare il tuo viaggio, dimmi...- persino la sua voce era piatta -Perché ti odi così tanto?-

Per la prima volta, Elisabetta si sentì completamente indifesa. Senza le sue armi, il suo anello, non sapeva cosa fare. Era come se, in quel momento, si sentisse completamente nuda.

Si strinse le spalle, abbracciandosi, un surrogato tentativo di proteggersi.

-Nessuno mi ha mai amato per quello che ero, né in famiglia, né altri.- mormorò, distogliendo lo sguardo dall'altra se stessa -Tutto quello che facevo non andava bene a nessuno. O si voltavano dall'altra parte o mi ignoravano. Mi hanno fatto sentire così inadeguata...-

Tremò, involontariamente. O forse no. Il tremore era vero.

Il tremore di una ragazza dispersa ed impaurita.

L'altra ragazza continuava a fissarla impassibile.

-Guarda nello specchio.- invitò -Guarda il tuo passato. Scopri l'origine della tua rabbia.-

Elisabetta non voleva guardare nel suo passato. Aveva già rimosso del tutto quei ricordi, da quando era diventata templare. Non voleva più averci a che fare.

-Rispondi a queste domande con la prima cosa che ti viene in mente.- spiegò il riflesso, fissando quella vera negli occhi.

-Mondo?-

-Crudele.-

-Vita?-

-Ingiusta.-

-Rabbia?-

-La mia forza.-

-Fede?-

-Dovere.-

-Sofferenza?-

-I miei genitori.-

-Morte?-

-Perdita.-

-Donna?-

-Abominio.-

-Uomo?-

-Libertà.-

-Amore?-

-Amore...?-

Conosceva quella parola. Ma non l'aveva mai provata.

Aveva conosciuto solo denigrazione, umiliazione, aspettative, rimproveri, indifferenza, discriminazione. Sia dai genitori che dalle persone che aveva conosciuto nella sua vita.

“Cos'è l'amore...?”

Guardando in quello specchio, rivide se stessa, piccola. Capelli raccolti in due codini corti, vestitino a fiori completamente sporco di fango, ginocchia sbucciate.

Quell'immagine svanì, lasciando il posto al volto di un uomo dall'espressione furiosa. Poi un lampo bianco. La visuale si era fatta mossa, distorta. Dei versi prolungati diedero la risposta: le lacrime stavano distorcendo le immagini.

-Ti sei rovinata il vestito giocando a calcio!- udì urlare dall'uomo -Quante volte ti devo dire che il calcio non è uno sport per femmine?! Sei una bambina, non un bambino!-

E la madre rimaneva in silenzio, come sempre. E, come sempre, era indaffarata a controllare i moduli di lavoro.

Avrebbe voluto indossare i pantaloncini maschili per giocare. Ma, siccome era una bambina, doveva indossare i vestitini e giocare con le bambole. Era un obbligo, non una scelta. Questo fu il primo passo del suo disprezzo di essere una femmina. E anche della sua rabbia.

La situazione non migliorò con il passare degli anni.

Lo specchio rifletté un altro ricordo della templare: le sue mani, piccole, tenevano in mano un modellino di carta raffigurante un cavallo.

-Papà! Guarda cosa ho fatto a scuola, oggi!-

Il padre diede un'occhiata rapida alla figlia, prima di riprendere a leggere il giornale.

-Quello sgorbio è il meglio che hai saputo fare?-

Un'altra delusione per il padre. Una delle tante.

-E questa insufficienza? Quindi quando ti aiutavo facevi finta di ascoltare, eh? Ma io cosa devo fare con te? Dimmelo! Cosa devo fare con te?!-

-Forza, ripetimi il capitolo. Parla, altrimenti mi addormento, forza.-

E nelle mura scolastiche, quella situazione non migliorava.

-Ahahah! Guardate tutti che risultati! Secondo voi è da sufficienza questo compito?-

Non era stato un compagno di classe a dirlo: era stata una maestra. E aveva alzato il quaderno su cui la piccola Elisabetta stava scrivendo affinché tutti lo vedessero. Le risa erano persino più agghiaccianti di quanto ricordasse.

-Basta... basta...-

Lo specchio non smetteva di trasmettere ricordi, i peggiori del passato di Elisabetta.

-No, sei una femmina, non ti vogliamo tra di noi!-

-No, ti vesti come un maschio, non ti vogliamo tra di noi!-

Respinta dai maschi perché femmina. Disprezzata dalle femmine per il suo modo di vestire e comportarsi da maschio. Questo le era successo, dopo le elementari.

Con i maschi aveva molti più interessi in comune che con le femmine, ma non riusciva più ad interagire con loro: preferivano la compagnia dei loro simili. E di certo non poteva fare amicizia con le femmine, che si chiudevano a cerchio, spettegolando e parlando delle boyband del momento.

Quello fu l'inizio della sua solitudine.

L'apice dei suoi problemi era arrivato, però, nell'adolescenza, quando i maschi frequentavano le femmine per gli appuntamenti e non più per giocare.

L'età delle prime cotte.

-Ah, tu e lei non siete amiche? Peccato, speravo potessi mettere una buona parola per farmi uscire con lei. Sai, sono l'unico tra i miei amici a non essermela fatta.-

Era sola. Ancora torturata psicologicamente dalla rigidità del padre e dall'indifferenza della madre. Questo aveva compromesso persino i suoi voti scolastici.

-Con questi risultati non vai da nessuna parte!-

La sua era stata una vita segnata dalla solitudine, dalla frustrazione. La colpa non era di chi non l'accettava per quello che era; era sua, continuava a dirsi. Era inadeguata, incapace, una delusione.

E il suo essere solitaria ebbe conseguenze anche in famiglia, tra le costanti umiliazioni e lamentele del severo e rigido padre, generale dell'aeronautica che trattava i subordinati nel medesimo modo, e dalla fastidiosa indifferenza della madre, più concentrata nel suo lavoro di assistente sociale per anziani e disabili che per la figlia.

Niente amore per lei. Solo denigrazione ed umiliazione, che avevano portato a paura del mondo esterno e tanta, tanta rabbia crescente.

-Solo perché sono una donna, non posso fare certe cose.- mormorò, guardando in basso -È questo che la società impone. Non ero libera di essere me stessa. Ho sempre odiato tutto ciò che era femminile, fin da bambina, proprio perché ero obbligata.-

Guardò di nuovo lo specchio: rivide se stessa, con l'altra se stessa accanto. La stessa persona, ma completamente diverse.

-Gli abiti femminili mi facevano sentire così... debole. Con gli abiti maschili, invece, mi sentivo più libera, protetta. La mia famiglia è stata la prima a giudicarmi, a denigrarmi per le mie scelte. Dicevano che non era così che doveva comportarsi una bambina. E con i miei coetanei la situazione non era affatto diversa. I maschi mi tenevano alla larga perché ero una femmina. E le femmine non mi volevano per via delle mie passioni maschili. È dura la vita di una metà e metà. Vieni escluso, nemmeno fossi un alieno o un mostro.-

Seguì un'altra visione: se stessa allo specchio, intenta a mettersi la matita intorno agli occhi. I lunghi capelli erano sciolti e mossi.

-Ho provato a integrarmi con il mondo femminile, truccarmi, mettermi le gonne, sistemandomi i capelli. Essere come le altre ragazze.-

Esattamente la ragazza che era accanto alla templare. Un'altra Elisabetta. La Elisabetta che la società avrebbe voluto. Una maschera che era stata costretta ad indossare per le esigenze di chi le stava accanto.

Ma, camminando per i corridoi della scuola, magari salutando i compagni di classe, veniva comunque ignorata. Addirittura, notò qualche ragazza ridere, lanciandole qualche occhiata poco cortese.

-Ma era tutto inutile.- rivelò la templare -Non cambiava niente. Quando ti presenti vestito da coniglio, le persone ti vedranno per sempre come un coniglio.-

Aveva smesso di stringersi le spalle. In quel momento, stava stringendo i pugni. Le unghie stavano affondando nei palmi, macchiandosi di sangue, dalla rabbia e dalla frustrazione di rivedere quei ricordi.

-Mio padre mi faceva costantemente pesare le mie scelte, la mia solitudine. Non ne potevo più di quelle torture psicologiche. Ero pronta a farla finita con la mia vita. Ma poi, ho visto una cosa che mi ha cambiato la vita: una processione templare. Mi emozionai, nel sentirli cantare. Lì ebbi un'illuminazione. Avevo letto di loro nei libri di storia, e il fatto che esistessero ancora mi diede speranza. Era la mia occasione di scappare dalla mia vita.-

Un altro ricordo apparve nello specchio.

-Tu vuoi fare COSA?!-

Suo padre, come sempre, era infuriato. Sua madre, forse per la prima volta, stava provando un'emozione verso la figlia.

-Entro nell'ordine templare!-

Invece che discutere, suo padre si voltò da un lato.

-Tsè! Fai pure!- tuonò -Tanto hai bruciato le tue occasioni, raccolto una delusione dietro l'altra, facendomi sprecare un sacco di soldi. Perché io sono il cattivo e quello che dico è sempre il male, vero? Ma sì! Vattene! Ma bada bene, se esci da qui, non ti azzardare più a tornare o parlarci!-

Quei discorsi, solitamente, facevano sentire Elisabetta in colpa. Ma non quella volta. Era decisa a divenire una templare. E non aveva intenzione di chiedere scusa.

-Nessuno mi conosceva, tra i templari. Potevo finalmente essere chi volevo essere, non cosa gli altri volevano che fossi. Entrando nei templari, abbandonai la inutile e patetica Elisabetta, e divenni Eliseo, un'identità che sfoggio con orgoglio, perché è così che mi sento davvero.-

La ragazza che era apparsa nel riflesso, vestita e truccata come la ragazza accanto alla templare, era svanita, dissolvendosi nel vero riflesso di Elisabetta.

-Il giorno in cui è stata scoperta la mia vera identità, il Magister mi ha chiesto perché fossi entrata nell'ordine templare, nonostante fossi una donna. Gli risposi della mia ammirazione per l'ordine templare, e che, delusa dalla mia vita, volevo rinascere in un'altra identità. Non gli ho mentito, in effetti, ma non era tutta la verità. Il vero motivo per cui sono entrata nei templari, era perché volevo essere temuta. Per tutta una vita, ho vissuto nella paura, nell'inadeguatezza, nell'insicurezza, solo perché non ero come le altre. Ho tramutato tutto questo in rabbia, e quella rabbia divenne il mio potere. Avrei finalmente ripagato quelle persone per come mi hanno trattato. Come punizione per non avermi amato o accettato per quella che sono.-

Rise in modo strano, stringendo di nuovo i pugni.

-Sei davvero sicura di non essere mai stata amata o accettata per quello che eri?-

Quella domanda sorprese la vera. Rilassò i pugni: i palmi di entrambe le mani erano ancora segnate dalle unghie.

Mai, fino ad allora, aveva pensato al suo passato. Non i pensieri piacevoli, almeno. Aveva conservato solo quelli negativi, per alimentare il suo potere.

-Guarda di nuovo nello specchio.-

Ancora visioni.

Di nuovo i bambini del campo di calcio in cui si era sporcata il vestito a fiori.

-Non giochi con noi?-

-No, non posso sporcarmi il vestito o papà mi picchia di nuovo.-

Ma i bambini avevano tirato fuori qualcosa dai loro zaini.

-Puoi indossare questi.-

Ognuno di loro aveva portato un cambio per lei: chi una maglietta, chi dei pantaloncini, chi persino le scarpe.

La piccola Elisabetta era esplosa di gioia.

Un ricordo che la templare aveva rimosso, ma sapeva, sentiva che le apparteneva.

La prima volta in cui aveva indossato abiti maschili. La prima volta in cui aveva provato libertà, appagamento e pace con se stessa. La prima volta che aveva fatto qualcosa che le piaceva, non che era stato imposto da altri.

-Presa! Acchiappami!-

Un bambino con il grembiule azzurro stava correndo lontano da lei, ridendo. C'era anche un'altra risata: la sua, mentre si dava all'inseguimento.

Quello era un ricordo dell'asilo, quando giocava ad “acchiapparella” con i bambini della sua classe.

Un attimo dopo, era ritornata alle elementari.

-Ehi, Eli, vuoi giocare con noi con le trottole? Ci manca uno per essere in sei.-

Naturalmente, Elisabetta non esitò ad accettare. Si erano divertiti così per tutta la ricreazione. E nessuno che l'aveva presa in giro per il suo essere una femmina. Anzi, aveva addirittura vinto un paio di scontri.

Durante le medie, nessun maschio voleva giocare con lei. O così si ostinava a ricordare.

-Ho visto che anche tu giochi a Pokemon. Vuoi fare una sfida?-

Un piccolo gruppo di maschi si era riunito in un lato della classe, il tipico gruppo nerd allontanato persino dagli altri maschi. Elisabetta aveva rimosso completamente i ricordi di quegli amici, con cui aveva trascorso ricreazioni con dibattiti sui Pokémon e sabati pieni di tornei di videogiochi per tutta la durata delle medie.

Il liceo aveva portato solo ricordi di amori non corrisposti. Tutti i maschi la evitavano, anche dopo la sua “trasformazione”.

Poi, arrivò un'altra immagine: occhi allungati, come quelli orientali, labbra carnose, un sorriso sincero.

-Fran...-

Francesco, detto Benedizione. Il suo compagno di missione, un portento con la zweihänder.

La rabbia di Flagello era sempre stata un po' instabile, difficile da eliminare manualmente. Per questo Benedizione era sempre in coppia con lei: bastava che puntasse il suo anello su di lei, e la rabbia svaniva in un istante.

Lei lo ammirava, per la sua sincerità, la sua gentilezza, le stesse qualità che avevano reso quell'ammirazione in un sentimento proibito per un templare.

Lui, anche con Eliseo, era gentile e supportivo.

Persino il resto dei templari aveva quello stesso atteggiamento con Flagello. Era tra i più ammirati e rispettati dell'ordine, quasi al pari di Giacomo, detto Galvano.

Elisabetta aveva temuto che, nonostante la minaccia di David, nessuno l'avrebbe rispettata, quando venne scoperto che era una donna.

Ma i suoi confratelli la rispettarono ed ammirarono più di prima: uomo o donna, il suo potere e le sue abilità in combattimento erano notevoli. Oltretutto, aveva una volontà e determinazione senza pari, per sottoporsi ad allenamenti simili.

-I miei confratelli... quando venne scoperto che ero una donna, temevo mi avrebbero preso in giro. Invece, erano entusiasti di avere una donna, in mezzo a loro.- ricordò, sorridendo -Erano fieri di chiamarmi “sorella”. Volevo quasi piangere, quel giorno. Per la prima volta, in tutta la mia vita, mi sentivo a casa. In una vera famiglia.-

Per questo era ancora fedele all'ordine. Per non essere stata denigrata o allontanata perché donna.

Gli unici che la trattavano quasi da inferiore erano Luigi, detto Faust, e Andrea, detto Lazzaro.

I primi ad averla accettata furono ovviamente i suoi compagni di Veglia, tra cui Federico, detto Ponte, per nulla invidioso che lei fosse più riverita dal padre invece che lui, che era suo il figlio naturale, e Francesco.

Anzi, era stato proprio lui il primo ad accettarla per quello che era.

-Per quello che vale, sono contento che tu sia una ragazza.-

Non l'aveva detto con tono da seduttore, tantomeno da prenderla in giro. Sembrava sincero.

Un ultimo ricordo apparve nello specchio. Un ricordo recente. Con una persona con cui si sentiva libera di essere se stessa e parlare liberamente, nonostante non fosse da così tanto tempo che si conoscevano.

Una persona che c'era stata per aiutarla nelle sue crisi di inadeguatezza.

-Nelle nostre numerose avventure abbiamo incontrato molte donne, guerriere e non, ma tutte coraggiose, valorose e con le qualità pari a quelle di un uomo. Forse persino più di un uomo. E non si vergognavano affatto di essere donne. E tu, fattelo dire, le superi tutte di diverse spanne.-

Complimenti sinceri, da parte di una persona che ammirava qualità come quelle di Elisabetta.

Lo specchio tornò a riflettere l'immagine della templare e della falsa Elisabetta.

Quella vera era paralizzata, sconvolta.

Tutti quei ricordi avevano una cosa in comune: nessuno l'aveva denigrata o presa in giro per il fatto di essere una femmina. Era stata accettata nelle sfere di ognuno di loro per quello che era davvero, proprio perché non era come la maggioranza.

-Tu sei stata amata, Elisabetta, e sei tutt'ora amata.- disse il riflesso, svanendo gradualmente -Non pensare di essere stata sola o inadeguata, perché non lo sei mai stata. Tutti coloro che ti amano, ti amano proprio per quello che sei, quindi perché tu continui a odiarti?-

Elisabetta tornò da sola. Sola con tanti pensieri nella testa.

Era amata. Era stata amata.

Per tutta una vita aveva creduto di essere da sola, disprezzata. Tra i ricordi del suo passato aveva rimosso anche quelli piacevoli.

Per tutta una vita si era allacciata ai ricordi negativi, per alimentare la sua rabbia, fino ad allora ritenuto il suo unico pilastro di vita.

Sentì nuovamente una mano enorme sulla sua schiena. Si voltò da un lato: la sagoma enorme era tornata, stavolta con fattezze ben definite.

Elisabetta si allarmò, ma senza spaventarsi, quanto, piuttosto, stupirsi.

Esclamò un nome.

-...Eli! ...Eli!- sentì, in lontananza.

 

Leonardo, allarmato dalla condizione dell'amica, aveva iniziato a scuoterla per le spalle.

L'istante in cui l'Antico aveva poggiato il dito sulla fronte, aveva iniziato a muoversi convulsamente.

-Maestro! Che le sta succedendo?!- aveva esclamato, preoccupato.

-Rilassati, Leonardo. Sta solo entrando nella sua psiche.-

-Ma non è normale che reagisca così! Risvegliala! Potrebbe morire!-

Poi, Elisabetta si era fermata, giacendo come sopita. I suoi respiri erano tornati regolari.

-Mh... a me sembra stia bene.-

Erano rimasti seduti, in attesa del suo risveglio.

Leonardo era sempre più preoccupato.

Con la coda dell'occhio, notò dei lievi movimenti. E sentì anche piccoli mugugni a bocca chiusa.

-Eli! Eli!-

Le palpebre della ragazza si riaprirono quasi tremando.

L'immagine che lei vedeva di Leonardo era ancora sfocata.

-Leo...?-

Si era chinato, per assicurarsi che l'amica fosse salva. Il pallore della sua pelle era sparito, in effetti. Ma qualcosa era cambiato, in lei.

Il suo volto si contorse in modo strano. E le palpebre sbatterono frequentemente. I suoi occhi divennero lucidi. Qualcosa stava scendendo da essi, rigando le sue guance.

Scattò in avanti, stringendosi a Leonardo.

Liberò un urlo potente, senza curarsi di chi aveva intorno. Ma non un urlo di rabbia.

Era un'altra sensazione, che nemmeno lei sapeva spiegare. Liberazione, forse.

Dal suo petto, un macigno enorme era stato rimosso, lasciando al suo posto un incredibile vuoto.

Dopo tanto tempo, le lacrime erano tornate.

 

-La templare ha trovato quello che cercava?-

Leonardo era tornato al cospetto del Tribunale Ninja. I segni del combattimento di poco prima erano spariti, come se non fosse mai avvenuto.

-Sì, Kon-shisho...- rispose, con un inchino -Sta riposando nella dimora dell'Antico.-

-Ottimo. Come promesso, risponderemo ad ogni tua domanda.-

Era anche per quello che Leonardo era tornato in Giappone. Sperava con tutto il cuore che il Tribunale Ninja gli desse le risposte che cercava.

-Sono mesi che faccio lo stesso sogno.- iniziò, inquieto -All'inizio, mi trovo in un bosco completamente bruciato, mentre inseguivo una sagoma che appariva e scompariva, come un'ombra. L'ombra è quella di un ninja, che mi porge una mano, dicendomi di non avere paura. Prima riuscivo a svegliarmi prima di toccargli la mano. Dopo il Nexus, però, tocco la sua mano. Prima di svegliarmi vedo un uomo con un mantello bianco e il cappuccio alzato.-

I quattro ninja si misero in posa riflessiva, incuriositi, ma anche inquieti dal racconto di Leonardo.

-C'è altro?- domandò Kon-shisho.

-Sì, in effetti, l'altra sera ho sognato un'altra cosa. Io non ero proprio io. Era come se fossi in un altro corpo. Sono insieme a un templare.-

-Un templare?!- si allarmò il maestro ninja.

-Sì, esatto. Sembriamo scappare da qualcosa. Ma il templare sembra guardare in basso. Ha parlato del Graal. E anche io.-

-Ricordi che aspetto aveva il templare? O se hai visto che aspetto avevi tu?-

Leonardo cercò di ricordare. La prima volta, i volti erano sfocati. Dopo lo scontro con Omnes e quando aveva sentito il canto, i volti erano divenuti nitidi.

-Il templare aveva gli occhi chiari, mezza età. E io ero un ragazzo giapponese.-

I quattro maestri impallidirono in volto, guardandosi di nuovo.

-Per caso hanno detto anche i loro nomi?- aggiunse Juto-shisho.

Leonardo si insospettì, notando le reazioni del Tribunale Ninja. Non li aveva visti così allarmati o preoccupati dal ritorno dello Shredder Tengu.

-Il templare si chiamava Etienne.- rispose, cercando di ricordare -E il ninja Yuko.-

Lo sgomento che provarono era impensabile, secondo Leonardo.

-Non è possibile...- sibilò Chikara -Impossibile!-

Loro sapevano qualcosa. Questo gli diede speranza.

-Non è la prima volta che sentite questi nomi, vero, maestri?-

Ripreso il controllo delle emozioni, Kon-shisho mosse una mano.

Le acque della fonte si incresparono: l'immagine del ninja e del templare apparvero di nuovo.

La tartaruga sobbalzò dalla sorpresa. Riconobbe i loro volti dal sogno.

-Sì! Sono loro!- esclamò -Come fate a sapere...?-

-Yuko è stato un nostro discepolo.- rivelò -Un ottimo guerriero. Era destinato a divenire parte del Tribunale Ninja. Ma lui aveva altre ambizioni, tra le quali abbandonarci per visitare il mondo, ritenendo più onorevole usare i talenti che aveva acquisito da noi per aiutare le persone. Il suo nome è stato cancellato dai nostri registri.-

-Per avervi abbandonato?-

-Aveva mancato al suo dovere. Per noi è paragonabile al tradimento.- fece notare il maestro.

Una sorte simile, in effetti, era capitata anche al maestro Yoshi. Motivo per cui Splinter odiava il Tribunale Ninja: poiché li aveva abbandonati, non erano intervenuti per salvarlo dallo Shredder Utrom.

-E non è più tornato da voi?-

-No. Anni dopo, si è presentato a noi il templare di nome Etienne, implorandoci di ricordare Yuko come un guerriero onorevole, sacrificatosi per aver difeso il monile che gli occidentali chiamano “Santo Graal”.-

Proprio come aveva visto nel sogno: non aveva, però, visto il Graal. Ma dalla conversazione tra “lui” ed Etienne, avevano fatto qualcosa per nasconderlo.

-Noi, ovviamente, rifiutammo.- continuò Chikara -Il templare, però, non accettò la nostra risposta, minacciando di mantenere vivo il suo ricordo attraverso il diario che aveva scritto. Fermi sui nostri pensieri riguardanti i traditori, abbiamo cercato di distruggere quel diario. Nello scontro, una metà venne strappata. Nel tentativo di proteggere l'altra metà, cadde per sbaglio in questa fonte, assorbendo ogni potere che possedeva. Siamo riusciti a esiliarlo prima che potesse fare altri danni.-

-Tempo fa, però, ho percepito nuovamente lo spirito di Yuko e anche del templare.- rivelò Kon-shisho -E lo spirito di Yuko è particolarmente forte, adesso. E, basandomi sui sogni che ci hai raccontato, sembra che si sia reincarnato in te.-

Leonardo sentì il cuore battere forte nel suo petto. Lui, la reincarnazione di un guerriero addestrato dal Tribunale Ninja?

Se così fosse stato, si spiegavano le visioni ed i sogni che aveva la notte.

“Fidati di te stesso.”

Finalmente comprese il significato di quelle parole: se davvero lo spirito di Yuko era in lui come rivelato da Kon-shisho, allora era come se stesse parlando a se stesso.

Per questo sapeva che l'ombra che seguiva nei suoi sogni e che aveva seguito anche nella Dimensione Mistica non lo avrebbe portato in pericolo. Quella stessa ombra stava apparendo anche sul trofeo incrinato.

Non erano allucinazioni.

Forse Yuko gli stava comunicando qualcosa.

E se i suoi pensieri erano corretti, allora Omnes doveva essere la reincarnazione di Etienne.

E il canto che aveva sentito nel momento in cui i loro pugni si erano scontrati, dovevano essere il suo.

“Fallo smettere! Il canto del templare! Segui l'ombra del ninja!”

Il canto del templare e l'ombra del ninja.

Uno sentiva il canto, l'altro vedeva l'ombra.

Ciò che Leonardo si stava chiedendo era: “Come?”. Oltre a: “Che significato avranno l'ombra del ninja ed il canto del templare?”

Avrebbe voluto domandare molte altre cose: la sua mente era ancora tempestata di domande e dubbi.

-Cosa ne avete fatto di quella metà del diario?- domandò, invece.

Sperava di trovare qualche risposta, in quel diario, su Etienne, su Yuko, sui poteri che Etienne aveva preso dal Tribunale Ninja, sul Graal.

-Temendo che vi fossero informazioni su di noi, è stato distrutto.- rivelò Chikara-shisho.

Leonardo sospirò, quasi ringhiando: per una volta che era così vicino a scoprire la verità, era tornato esattamente nel punto di partenza.

Le informazioni che aveva ottenuto sui suoi sogni non erano quante se ne aspettava. Ma era meglio di niente.

-Comprendiamo la tua frustrazione, Leonardo-san.- cercò di rassicurare Kon-shisho -Ma questo è quanto otterrai da noi su Yuko ed il templare di nome Etienne.-

-E...- aggiunse Juto-shisho -Riporta questi alla templare.-

Di fronte alla tartaruga, avvolte in un'aura bianca, erano apparse Hesperia ed Hellas, completamente restaurate.

Leonardo le prese, sorridendo, immaginando la gioia dell'amica nel rivedere le proprie armi come nuove.

Il Tribunale Ninja era severo, ma non crudele, dopotutto.

Hisomi si avvicinò in quell'istante, porgendogli l'anello che le aveva sfilato dal dito durante lo scontro.

L'anello... pensò di nuovo alle parole di Kon-shisho sui poteri dei templari, mentre osservava la fonte sotto i troni: Kon-shisho aveva rivelato che il templare di nome Etienne, nel tentativo di salvare la metà del diario rimastogli, era caduto nella fonte, assorbendo ogni potere che custodiva.

In quel medesimo istante, ricordò le parole rivolte ad Elisabetta: “Un potere che avete ricevuto per sbaglio!”

Non sapeva come o perché, ma sentiva che entrambi gli elementi erano collegati.

-Stai attento, d'ora in poi, Leonardo-san.- raccomandò Chikara-shisho -Qualcosa sta nuovamente minacciando il mondo.-

Come aveva rivelato Usagi dopo il torneo Nexus. Ma lui come faceva a saperlo?

-Ma prima dovrai trovare la reincarnazione del templare.- aggiunse Kon-shisho -Solo con chi ha ereditato i poteri che il templare ha rubato, potrai affrontare quel male.-

I poteri che il templare aveva rubato... i pensieri di Leonardo erano corretti, allora.

Omnes, o meglio, chiunque si nascondesse dietro l'identità di Omnes era la reincarnazione di Etienne.

E spettava a lui trovarlo.

 

Un canto senza parole rompeva il silenzio delle campagne giapponesi.

Le lacrime ancora non smettevano di scendere dagli occhi di Elisabetta.

Le sue dita scorrevano tremanti sulle perle del rosario.

Il vuoto creato nel suo petto era più insopportabile del macigno che aveva trasportato per anni.

Quello che stava provando era la medesima sensazione che una persona provava appena resasi conto di essersi persa. Confusione, disorientamento.

Aveva vissuto tutta una vita nella rabbia; la rabbia era stata la sua ragione di vita, il suo potere.

Quel viaggio spirituale l'aveva completamente svuotata di quel sentimento.

-Sì, il silenzio può essere insopportabile, a volte.-

La voce squillante dell'Antico interruppe il canto.

-Scusami, io...-

-Oh, non fa niente, cara. Sono interessanti questi canti di voi occidentali. Sembra quasi che preghiate.-

In effetti, stava intonando un canto templare. Erano come preghiere.

-La preghiera riusciva sempre a sollevarmi.- spiegò la templare -Da quando i ragazzi hanno affrontato Omnes, però, non bastava mai. Non riuscivo più a controllare il mio potere. Si attivava contro la mia volontà. All'inizio, ho pensato a causa delle parole che Omnes mi aveva rivolto tempo fa. Ho cominciato ad avere dei dubbi, su me stessa, se la strada che stavo percorrendo fosse quella giusta. Ma non è stato da quel momento che ho perduto il controllo del mio potere. È stato da quando è morto il mio confratello Benedizione. Senza di lui... mi sono sentita così sola, disorientata, e questo ha compromesso il mio controllo sul mio potere. Rivedere il suo volto in Omnes... era troppo, non sono riuscita a sopportarlo. Ho cercato di dimenticarlo, di non pensare più all'impostore che si spacciava per Benedizione. Anche solo pensare a quel volto mi ricorda che lui non è più qui con me e questo è ancora più straziante di essere scomunicata.-

Non era scomunicata, ma, in effetti, si sentiva come se lo fosse.

-Francesco... era speciale per me. Non mi faceva sentire... inadeguata. Con lui, potevo superare qualunque sfida. Se ci fosse stato anche lui al Nexus, avrei sicuramente vinto contro Leonardo.-

Lo disse quasi ridendo.

-Nel tentativo di togliermi quella sensazione di dosso, incanalavo tutte le sensazioni negative nella mia rabbia. Alla fine, non mi sono resa conto di essere divenuta schiava del mio stesso potere. Avevo una paura di restare senza poteri, definitivamente indifesa, di tornare ad essere la patetica me che ero un tempo, che, alla fine, è stata quella paura incanalata nella rabbia a farmi perdere le mie armi ed i miei poteri.-

Le sembrava strano confidarsi con un estraneo.

Forse era effetto del suo “risveglio”. Aveva un'improvvisa voglia di sfogare tutto il dolore accumulato in quel periodo, dalla morte di Benedizione.

L'Antico era rimasto ad ascoltarla in silenzio, guardandola con tenerezza. Si mise accanto a lei.

-La tua rabbia ti stava consumando da prima che entrassi nei templari.- rivelò, sereno -Le prime persone ad averti denigrato, fatto sentire inadeguata, erano quelle più vicine a te. Se deludi quelle persone, come puoi farti accettare da chi è fuori dalla tua famiglia? È questo il primo errore che commettiamo, nella battaglia per la nostra accettazione. Non è una battaglia semplice: ogni cosa che fai, hai paura di deludere le aspettative di chi hai intorno, soprattutto le tue. E la tua cosiddetta arroganza è dovuta, appunto, al tuo timore di essere inadeguata.-

Esattamente come si era sentita per tanti anni. Esattamente come aveva rivisto nei suoi ricordi.

Abbassando la testa, notò la piccola sagoma dell'Antico di fronte a lei.

Stava continuando a sorridere, cortese.

-Lascia che ti dia un consiglio, piccola mia.- disse, prendendole entrambe le mani -Non gira tutto intorno a te.-

Seguì un piccolo momento di silenzio, segnato dalla confusione della templare.

-Cosa vuoi dire?-

Un sorrisetto furbo apparve sul volto dell'anziano.

-Sii meno severa con te stessa. Non hai nulla che non va. Non ho mai visto una persona più perfetta di te.-

Elisabetta non riuscì a non arrossire. Per un attimo, aveva pensato che la stesse prendendo in giro, che doveva davvero essere miope, per definire “perfetta” una come lei. Era tentata di dirlo, in realtà.

-E impara a chiedere aiuto, quando sei sull'orlo dell'abisso.- tagliò corto lui, prima che lei contraddisse il suo complimento sincero -Vedrai che qualcuno accorrerà, al tuo richiamo. Più l'armatura è spessa, più fragile è l'anima che la ospita. Questo detto mi ricorda te, cara. Hai dedicato gli ultimi anni a crearti un'armatura per proteggere le tue insicurezze, tramutando in rabbia qualunque sentimento negativo provassi. Ma l'armatura si consuma, se colpita troppe volte. Prima o poi, l'anima fragile emerge e non c'è niente da fare, quando sarà costretta ad affrontare la realtà che prima stava affrontando con l'armatura.-

Esattamente quello che le era capitato con il Tribunale Ninja: perdere le sue armi ed il suo anello era stato peggio del giorno in cui Luigi l'aveva costretta a spogliarsi di fronte ai confratelli, rivelando la sua vera identità. Mai si era sentita così esposta, indifesa.

-Ascolta il consiglio di un vecchio: se non vuoi più perdere il controllo del tuo potere, concentrati su quello che hai qui, non sulla tua rabbia.-

Le toccò il punto dove era situato il cuore. O magari era una scusa per toccarle un seno.

Ma Elisabetta non arretrò o si oltraggiò. Anzi, toccò quel punto.

Rise, confusa.

-Oh, sommo Antico… non puoi essere più in errore. Ho eliminato ogni forma di amore dalla mia vita.-

L'Antico scosse la testa, facendo cliccare la lingua sul palato.

-L'amore non si può eliminare, mia cara. E... io sento dei sentimenti crescere verso una persona vicina a te...-

L'Antico aveva forse lo stesso potere di Federico, pensò Elisabetta, sorpresa.

Le stava ancora tenendo le mani e la guardava dritto negli occhi. Forse era capace di leggere dentro le persone.

Questo la mise leggermente a disagio.

-Oh, Leonardo?- disse, liberandosi dalle sue mani e guardando da un'altra parte, rossa in volto -No, no… è un buon amico e apprezzo i suoi consigli, ma non provo assolutamente nulla per lui.-

-E non c’è proprio nessuno nessuno che ti sta aspettando a New York?-

L'Antico si stava facendo sempre più malizioso.

Forse non intendeva vicina nel senso geografico.

Pensò, allora, alla persona cara che le era rimasta nell'ordine templare, il suo consulente, l'unico vero amico che le era rimasto. E lui provava lo stesso per lei.

-Ah, Federico?- dedusse; ma scosse comunque la testa -Lui è sempre stato un fratello minore per me e proverò sempre affetto per lui, ma non sono mai riuscita a vederlo con altri occhi.-

Parlandone, si rese conto di quanto gli mancasse. Non gli aveva detto nemmeno del viaggio in Giappone. Era da tempo che non si tenevano in contatto.

-Chi ti dice che stessi parlando di Federico?-

Il cuore di Elisabetta batté forte. Si voltò nuovamente verso l'Antico, sorpresa, ma anche confusa.

 

La mente di Raffaello era altrove, quel giorno.

Era sulla panca, esercitandosi, come al solito, con il bilanciere. Fissava il soffitto, senza sbattere le palpebre.

Il suo pensiero fisso gli aveva persino fatto perdere il conto dei sollevamenti.

Non badò nemmeno ai borbottii provenienti dal laboratorio di Donatello.

-Ahh...! Sono disperato! Chissà se torneranno!-

Donatello era chino sul suo tavolo di lavoro, lavorando su un blocco di metallo con la fiamma ossidrica.

Michelangelo era alle sue spalle, che camminava nervoso avanti e indietro, con Klunk mezzo addormentato sulle sue braccia, intanto facendo le fusa.

-Oppure...- spalancò gli occhi e si mise le mani sulla testa, facendo volare via il gattone rosso, che miagolò forte dallo spavento -AH! E se a Eli fosse capitato qualcosa?!-

L'urlo aveva fatto quasi sobbalzare persino il fratello, che per poco non deviò la fiamma ossidrica.

Cambiò posto, tornando allo scanner per l'ennesima volta. Era più che deciso di scoprire cosa nascondesse il Trofeo del Nexus, a costo di fondere la macchina. I risultati, però, erano sempre gli stessi, anche potenziando i parametri.

Persino quel giorno aveva tentato con la fiamma ossidrica, dopo averlo fatto immergere nell'azoto. Ancora fallimenti.

-No, no... C'è Leo con lei. So che starà bene.- si rassicurò Michelangelo, inspirando profondamente, riprendendo il controllo delle sue emozioni.

Donatello stava nuovamente prendendo appunti, a prima vista cercando di ignorare gli sproloqui del fratellino, mentre si dirigeva verso un altro banco di lavoro, su cui erano sistemati dei circuiti per collegamenti elettrici.

-Ma voglio farle una bella sorpresa, quando tornerà. Voglio sorprenderla con un regalo. Ehi, Donnie, che regalo potrei farle?-

Il limite della pazienza stava per essere superato.

-Oh, ti prego. Fa' che mi sia addormentato durante le analisi del Trofeo e adesso sto sognando il mio incubo peggiore. Svegliami da quest'incubo, svegliami da quest'incubo...- mormorò, senza essere udito da Michelangelo.

-Dei fiori! Cosa pensi a dei fiori?- propose questi, urlando di nuovo come se avesse fatto la scoperta del secolo; poi divenne di nuovo pensieroso -No, non è abbastanza.-

-Regalale degli alberi, allora.- commentò, sarcastico, Donatello.

-No, Eli non è tipo da fiori. Ho l'impressione che li getterà nelle fogne. Forse un qualcosa di piccolo e personale. Don, che potrei farle di piccolo e personale?-

Donatello interruppe il lavoro che stava svolgendo con il mini saldatore ed il filo di stagno. Il suo volto si fece vicino, troppo vicino a quello di Michelangelo.

-Che ne diresti di lavarle i denti uno a uno?-

Sembrava più una battuta che un suggerimento. Come se, in realtà, gli stesse dicendo “Regalale quello che vuoi, ma lasciami in pace!”.

Il bilanciere venne posato al suo posto.

Ignorare la voce di Michelangelo era quasi impossibile, specie quando urlava. E Raffaello aveva la soglia della pazienza decisamente più bassa di Donatello.

-Vuoi piantarla di parlare?!- esclamò, sporgendosi dal suo spazio palestra -C'è gente in Alaska che starebbe cercando di allenarsi!-

Non era un tono da persona stufa di chiacchiere prolungate. C'era qualcosa di strano. Un fastidio più forte.

E gli occhi verdi non erano nemmeno del tutto puntati verso Michelangelo.

-Va bene, signor “Silenzio quando mi alleno!”.- canzonò il fratellino, alzando le mani -Da questo momento la mia bocca è chiusa, mmh!-

Anche Splinter era nelle vicinanze, sorseggiano una tazza di tè bollente.

-È comprensibile la tua preoccupazione per la giovane Elisabetta, figliolo.- notò -Il suo addestramento è del tutto differente dal nostro. Spero riesca a superare qualunque sfida le abbia proposto l'Antico.-

Michelangelo e Donatello si allarmarono.

Raffaello saltò giù al piano terra, anche lui preoccupato. Forse un poco di più.

-Ch-che vuoi dire...?- balbettò, quasi pallido -Che... che potrebbe non farcela...? O peggio...?-

-La sua mente è confusa. E lei non è abituata agli allenamenti della mente. Non come noi.-

Anche Splinter era preoccupato per la templare. Ma aveva fiducia in lei, nonostante tutto.

Raffaello impallidì sempre di più. Si strinse nelle spalle, mentre mordicchiava un dito.

-Oh, Shell! Lo sapevo che era una cattiva idea mandarla in Giappone!- borbottò, camminando nervoso per la stanza -E noi siamo troppo lontani. E anche se partissimo adesso, potrebbe essere troppo tardi per lei.-

La sua reazione stranì i fratelli: nemmeno per Leonardo si preoccupava in quel modo, o qualunque loro amico.

Michelangelo sorrise in modo furbo, come al solito per sdrammatizzare la situazione e cambiare il soggetto dei loro discorsi.

-Uhhh... Qualcuno si sta preoccupando...- sibilò, quasi danzando intorno al fratello con movimenti ondulatori; poi si mise di fronte a lui, puntandogli il dito contro -Ammettilo, hai una cotta per Eli!-

Dritto e diretto. Raffaello divenne più rosso della sua maschera.

-Cosa?!- esclamò, imbarazzato -N-no!-

Balbettava. Forse stava mentendo.

-Ah! Stai diventando rosso!-

-È la mia maschera ad essere rossa.-

Gli occhi azzurri del fratellino continuavano a fissare i verdi con aria furba.

Improvvisamente, indicò da una parte.

-Ehi, guarda! Eli è tornata!-

Anche Raffaello si voltò da una parte.

-Cosa?! Dove?!-

-Ah! Beccato!-

Se fosse stato più attento, si sarebbe accorto che Michelangelo aveva omesso Leonardo. I suoi sentimenti lo avevano tradito.

-Sei cotto! Sei cotto! Sei cotto!-

Il suo pensiero fisso da tempo. Da quando si era risvegliato dal suo piccolo coma dopo il suo scontro con Galvano ed i Ghost Riders. O forse da prima.

Il motivo per la sua scena di gelosia. Non per i fratelli.

Era troppo orgoglioso per ammetterlo, ma Michelangelo non aveva torto con le sue prese in giro.

Ma non voleva dare dare quella soddisfazione al fratellino.

-Umpf! Che strano, pensavo lo fossi tu.- ribatté, incrociando le braccia e guardandolo dall'alto verso il basso.

Michelangelo piegò le braccia poggiando le mani sui fianchi, con aria da sfida.

-Sì, è così.- ammise -Ed è per questo che ti renderò la vita difficile per dimostrarti che lei sarà solo mia.-

Raffaello dimenticò ogni imbarazzo, cedendo alla provocazione.

-Ah, è così?!- ringhiò, con aria di sfida -Ti credi al suo livello, cervello di gallina?!-

Chiuse la mano a pugno, sferrandolo in avanti, colpendo il fratellino alla guancia. Donatello non aveva fatto in tempo a fermarlo. La rissa tra i due non tardò ad arrivare.

-Basta, figlioli!- tuonò Splinter, alzandosi in piedi e sbattendo il bastone per terra -Smettetela immediatamente!-

Le due tartarughe erano già per terra, cercando di fare pressione l'uno sull'altro.

Splinter e Donatello dovettero dividerli, prima che la situazione degenerasse.

-Ma insomma! Non vi vergognate?!- rimproverò il topo, colpendo entrambi i figli sulla testa -Combattervi a vicenda! Non vi ho insegnato niente sul controllo delle emozioni?!-

Entrambi si erano lasciati andare, guidati dallo stesso sentimento per una persona. Ma solo in uno era più forte dell'altro.

-Siamo tornati!-

Non avevano sentito il rumore del tombino o quello dei passi.

Michelangelo aveva solo fatto una battuta, non si aspettava tornassero proprio in quell'istante. Il suo volto si illuminò alla vista della templare.

-ELI!!!-

Raffaello stava per fare un passo in avanti, quando venne superato dal fratellino, che si scagliò subito su Elisabetta, abbracciandola come se fosse mancata per anni e non per qualche giorno.

-Pensavo di non vederti più!!! Buuuhhh!- esclamò, simulando un pianto.

Lei, ridendo, diede delle piccole pacche sulla testa.

Alzò lo sguardo, incrociando quello di Raffaello. Lui, arrossendo di nuovo, si voltò da una parte.

“Razza di idiota! Che fai lì impalato?! Vai da lei e salutala!”

Vedere, però, Michelangelo ancora attaccato a lei come un koala su un eucalipto gli fece perdere ogni motivazione e speranza.

-Che bello vedere che siete entrambi sani e salvi, figlioli.- salutò Splinter, anche lui felice di rivedere il figlio e la templare -Mi auguro abbiate trovato ciò che cercavate.-

Elisabetta aveva l'aria più serena in volto. Questo fu abbastanza come buona notizia.

Leonardo, però, era ancora inquieto.

-Il Tribunale Ninja non mi ha dato tutte le risposte che cercavo...- raccontò -Ma, almeno, ora so più o meno qualcosa sul ninja che appare nei miei sogni...-




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Elisabetta avrà davvero di nuovo il controllo sul suo potere?
Leonardo scoprirà di più su Yuko ed Etienne?
Quale sarà il loro legame con il Graal?
Chi si nasconderà dietro la maschera di Omnes?

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Capitolo 15
*** La lettera del ninja e il diario del templare ***


Note: attendevo da tempo di scrivere questo capitolo.

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Splinter teneva un pezzo di carta arrotolato in mano. Lo fissava quasi ipnotizzato, mentre lo faceva scontrare con l'altro palmo.
Leonardo aveva citato due nomi, mentre raccontava il poco che aveva scoperto dal Tribunale Ninja: Etienne e Yuko. I nomi del templare e del ninja del suo ultimo sogno, quello legato al Graal.
Un ninja ed un templare con il Graal. Non era la prima volta che Splinter li aveva sentiti nominare.
Era stato proprio all'ultimo Torneo Nexus a cui aveva partecipato David, quindici anni prima, quando ancora non era un Gran Maestro. Era una persona completamente diversa da quella che aveva incontrato di recente.
Era in corso la pausa tra i quarti di finale e la semifinale. In quel lasso di tempo, veniva permesso ai concorrenti di riposare o andare dove volevano.
Splinter stava camminando per i corridoi del palazzo, passando anche nella Sala dei Vincitori, per ammirare la statua in onore del suo amato Maestro Yoshi e rendergli omaggio, salutandolo con un inchino.
Dopo, era entrato anche nel corridoio più vicino alla sala del daimyo. Era pieno di bassorilievi, tutti raffiguranti eventi importanti avvenuti nel Nexus.
Lì trovò David, mentre ammirava uno dei bassorilievi.
-Ah, David. Non mi aspettavo di trovarti qui.-
Il templare si voltò, sorridendo.
-Splinter.- salutò.
Questi lo raggiunse immediatamente, prima di stringergli la mano.
-Che gioia vedere che siamo entrambi in semifinale.-
-Volevo farti i complimenti per la tua vittoria contro fratello Luigi. Lui non è facile da battere.-
-Ho fatto del mio meglio per non colpirlo troppo forte.-
-Solo nel suo orgoglio. E, per quello che vale, spero di confrontarmi di nuovo con te.-
-Questo è anche il mio desiderio, amico mio.-
Rivolse lo sguardo nella stessa direzione in cui stava osservando il templare.
-Un'immagine piuttosto affascinante, non trovi, Splinter?-
-Sì, molto, David.-
C'erano due uomini, in primo piano, che tenevano in mano una piccola coppa, di fattura semplice. Una delle figure era un ninja, a giudicare dagli abiti. L'altro portava una casacca simile a quella di David.
Alle spalle torreggiava la figura immensa del daimyo.
-Spero di sbagliarmi, ma uno dei due uomini è vestito più o meno come te.-
-Già, sembra un templare. Curioso, vero? E io che pensavo che io e i miei confratelli fossimo gli unici templari ad aver messo piede da queste parti.-
-Purtroppo non è così, David...-
Una terza figura era entrata nel corridoio.
Splinter si inchinò subito. E anche David.
-Sommo Daimyo.- salutarono.
Il daimyo, già anziano, ma ancora dalla figura imponente e dominante, si avvicinò al ninja ed al templare.
-Ah, state ammirando i bassorilievi... sì, non vi biasimo, anche io passo ore ad ammirarli, vedere la nostra storia. Questa parla della prima volta che due terrestri si sono introdotti in questo mondo. Un ninja ed un templare, come voi due. Ma non è una buona storia...-
Splinter divenne improvvisamente serio, dalla curiosità.
-Perché? Cosa è accaduto?-
-Ah, si parla di circa mille anni fa. Il daimyo qui raffigurato, il mio illustre antenato, un giorno, ricevette la visita di un ninja e di un templare. Il templare aveva un oggetto in mano, una coppa di legno, credo. Era stata chiamata... Santo Graal, sì.-
Anche David si interessò, appena udì “Santo Graal”.
-Si narra che il templare avesse corrotto il daimyo con quella semplice coppa, come piano subdolo per spingerlo ad abdicare ed impossessarsi del palazzo e di tutte le sue ricchezze. Per questo affronto, il templare ed il ninja vennero inseguiti dalle guardie, per metterli in prigione.-
-Che storia da brividi, sommo daimyo...- commentò Splinter, impallidendo.
-Cosa ne è stato del Graal e dei due uomini?- domandò il templare, sempre più incuriosito ed affascinato.
Splinter iniziò ad insospettirsi: non si era offeso alle insinuazioni riguardante un templare che corrompesse un capo. Come minimo, avrebbe difeso l'onore del suo ordine, difendendone i valori e sfatando l'accusa di corruzione che aveva portato alla loro fine.
Ma David sembrava essere più interessato al Graal.
-Purtroppo, l'unico ad essere stato arrestato fu il ninja.- riprese il daimyo -Morì in carcere, dopo giorni di tortura, senza dire nulla sulla coppa o sul templare. Una morte terribile. Sarebbe stato più onorevole liberarlo da quelle sofferenze.-
Il templare storse la bocca, leggermente deluso.
-Quindi non è sicuro che il Graal sia andato distrutto?-
Nessuna domanda sul ninja. Nemmeno sul templare. Solo sul Graal.
-Altro la nostra storia non descrive, David. È possibile che il templare l'avesse portata con sé. Ma di lui e di quella coppa nessuna traccia, come se non fossero mai esistiti. Questo bassorilievo vuole ricordare i due uomini che hanno tentato di portare la corruzione in questo mondo. Una cosa che non possiamo accettare. Io non posso accettare.-
Gli occhi di David avevano iniziato a brillare di una strana luce, da quel giorno. Quello avrebbe dovuto essere il primo campanello di allarme, per Splinter.
Il David che aveva rivisto al recente Torneo Nexus non era il David che aveva conosciuto quindici anni prima. Il David che conosceva era una persona dalla mente illuminata, una persona gentile, combatteva pulito ed era un ottimo compagno di conversazioni. La storia del Graal aveva cambiato qualcosa, in lui.
Chiunque fosse il templare con cui si era scontrato nel Nexus, non era più David.
Ambizione. Ecco cosa gli aveva letto, nel suo cuore.
Una cieca ambizione, in grado di condurre alla distruzione. Ciononostante, continuava a sperare che la sua sensazione fosse errata, che non fosse David il pericolo che aveva percepito prima del Nexus o di cui Usagi aveva avvertito Leonardo.
“Se solo avessi fatto qualcosa quando ero ancora in tempo...” pensò.
Soffermarsi sul passato non era una scelta saggia. Ciò che contava era salvare il futuro.
Continuava a tenere lo sguardo fisso sul rotolo di carta. Forse la chiave che avrebbe cambiato la vicenda.
Si alzò, uscendo dalla sua stanza.
Michelangelo, come al solito, stava rimproverando Elisabetta di non voler assaggiare quello che lui aveva preparato per colazione, preferendo ancora il porridge alle sue uova strapazzate.
Nonostante abitasse da loro da mesi, ancora non aveva imparato che per un italiano mangiare uova strapazzate per colazione era impensabile.
-Maestro Splinter! Ti supplico! Convincila tu a non mangiare più quella roba salutare!- implorò la tartaruga dalla benda arancione, inginocchiandosi al suo sensei.
Con il grembiule ed il cappello da chef che stava indossando, era impossibile prenderlo sul serio.
-Invece dovresti prenderla d'esempio, Michelangelo.- disse, infatti -Una buona alimentazione è fondamentale anche per un ninja. E il porrige è decisamente più salutare delle tue uova, oltre ad essere un alimento nutriente.-
-NOOOOOOO...!!!- esclamò Michelangelo, alzando le braccia al cielo.
Ancora una volta era solo contro tutta la famiglia, nonostante i fratelli stessero mangiando le uova strapazzate e la pancetta che aveva preparato.
Splinter, come al solito, si era limitato ad una tazza di tè e dei biscotti.
Per tutto il tempo, lanciava rapide occhiate al figlio più grande: a differenza di Elisabetta, che era tornata serena dal viaggio in Giappone, lui era ancora dubbioso e confuso.
Le risposte che aveva avuto dal Tribunale Ninja non avevano soddisfatto la sua curiosità, anzi. Aveva ancora più domande.
-Leonardo...- disse, con un filo di voce.
Mise la mano in tasca, estraendo il piccolo rotolo di carta.
-Avrei dovuto mostrartelo da quando ci hai raccontato dei tuoi sogni, ma forse è ora il momento giusto.-
Leonardo, serio ed inquieto, prese ciò che il suo maestro gli stava porgendo. Nella sua mano era incredibilmente piccolo. E aveva l'aria fragile. Sembrava più vecchio di Splinter stesso. O anche del daimyo.
-Che cos'è?- domandò, iniziando a srotolarlo con delicatezza.
Anche Elisabetta allungò il collo, incuriosita.
Il foglio era lungo almeno trenta centimetri. C'era scritto qualcosa.
-Ehi, questo è giapponese!- notò Donatello.
-L'inchiostro sembra molto secco. Guardate, alcuni caratteri stanno sparendo.- aggiunse Elisabetta, indicando, senza toccare, i punti sbiaditi.
-Maestro Splinter, perché non lo hai mostrato prima?- domandò Leonardo.
-Non lo ritenevo necessario. Fino a quando non hai nominato Etienne e Yuko. Anni fa, il daimyo mi ha raccontato di un ninja e di un templare giunti nel Nexus con una coppa di legno, molto probabilmente il Graal.-
Elisabetta aguzzò l'udito, alla ricerca di elementi fondamentali. Qualunque particolare, qualunque indizio era necessario, per avere notizie del Graal. Doveva portare elementi concreti a David, o la sua scomunica sarebbe stata inevitabile.
-Allora, non vi diedi molta importanza, credendola una leggenda. Ma quando sono stato arrestato, sei anni fa, avevo notato qualcosa spuntare tra due mattonelle della mia cella. Era quel foglio di carta che ora state osservando. Decisi di tenerlo, per evitare che si consumasse del tutto. La storia che aveva raccontato il daimyo era vera. E ora anche tu stai facendo sogni su di loro, Leonardo, quindi è giusto che tu sappia.-
Gli occhi di Leonardo stavano ancora scorrendo seri su quei caratteri, come se stesse cercando qualcosa.
-Ehm, maestro Splinter...- si intromise Michelangelo -Non voglio deluderti, ma... nessuno di noi sa leggere giapponese.-
-Parla per te.-
Prima, solo Donatello era in grado di leggere giapponese. Anche Leonardo, poi, aveva deciso di studiarlo più approfonditamente.
Infatti, fu proprio Leonardo stesso a leggere quanto scritto.

-“Sarà che questi saranno gli ultimi momenti della mia vita ma ho comunque voglia di scrivere la mia vita in questo pezzo di carta che avevo da tempo. Mi chiamo Yuko.”-

Yuko. Il ninja dei suoi sogni. Il ninja che gli appariva sempre in forma di ombra.
Quelle erano le sue ultime memorie. L'unico documento scritto che dimostrasse la sua esistenza.

-“Sono un ninja. O lo ero. Ho perso praticamente il conto dei giorni da quando sono prigioniero. Da dove posso cominciare a raccontare di me? Fin da bambino sono stato addestrato nel Tribunale Ninja. Non so neppure chi siano i miei genitori.”-

“Quindi è vero. Yuko era un allievo del Tribunale Ninja.” pensò.
Il Tribunale Ninja taceva su molte cose, ma non erano bugiardi.

-“I miei shisho continuavano a dire che ero destinato a divenire come loro. Ma io non volevo. Non volevo restare lì per tutta la vita. Non ricordo molto dei miei primi anni. Ma ricordo il sole. Ogni giorno lo guardavo tramontare. Mi sono sempre domandato dove tramontasse il sole. Per questo abbandonai il Tribunale Ninja. I miei shisho mi hanno minacciato di cancellare il mio nome dagli archivi storici se li avessi abbandonati. Ma non mi importava. Tutto ciò che avevo imparato con loro potevo usarlo per affrontare qualsiasi pericolo fuori dal Giappone e per aiutare le persone. Quei talenti erano sprecati all'interno di quelle quattro mura. L'unico mio rimorso è stato abbandonare la donna che amavo Saeko la mia compagna di allenamenti la migliore dopo di me dicevano i shisho. Viaggiai e viaggiai incontrando persone che non parlavano la mia lingua. Ma nessuno di quei incontri era paragonabile a quello che cambiò la mia vita. Vidi due uomini dalla carnagione scura combattere contro un solo uomo. Con una mano stava tenendo una scatola di legno e con l'altra stava combattendo a fatica con la spada. Non esitai ad aiutarlo. Quei due uomini non erano così abili come sembravano. Ciò che mi colpì veramente fu chi avevo salvato. Parlava una lingua che non comprendevo ma non mi importava. Ricordo ancora che non facevo altro che osservargli il volto. Non avevo mai visto un volto come il suo o occhi così simili al colore del cielo. Era molto bello. Non so cosa mi spinse a seguirlo. E lui continuava a guardarmi divertito notando che lo stavo seguendo. Ancora mi domando cosa sarebbe successo se non lo avessi seguito. Forse non sarei in questa cella ma non mi importa. Vale la pena morire per la vita che vissi da quel momento. Quell'uomo si chiamava Etienne. Era un guerriero come me. Un cavaliere templare.”-

“Etienne...”
Finalmente si spiegò come fosse stato possibile l'incontro tra un ninja ed un templare in tempi come il Medioevo europeo.

-“Ma viveva come un contadino. Fui affascinato da come viveva. Era completamente diverso da me. Mangiava lavorava la terra e pregava sotto una croce di legno. Un'usanza strana pensai. I mesi che passai con lui furono i più belli della mia vita. Mi insegnò la sua lingua il provenzale il latino la storia della sua terra. E anche io gli insegnai quello che sapevo. Lavoravamo la terra e a volte ci allenavamo. Le prime notti non dormivo. Non sono mai stato abituato a dormire a lungo e non di notte. Infatti salivo sopra il tetto e mi assicuravo che nessuno assalisse Etienne. Quando imparai la sua lingua e cominciammo a parlarci mi domandò perché non dormissi la notte e gli spiegai che nel mio allenamento dovevo sempre essere all'erta, in caso di assalti. Lui mi assicurò che quella zona non era calpestata dai suoi nemici e che potevo dormire tranquillo. Ma io non ero abituato a dormire a lungo. Per questo Etienne mi cantò per la prima volta una ninnananna la stessa che sua madre cantava a lui per addormentarsi. La sua voce era l'incarnazione di una culla. Così soave. So solo che quando aprii gli occhi era già giorno.”-

Forse era la stessa ninnananna provenzale che Elisabetta aveva cantato a Michelangelo, tempo prima. No, era troppo assurdo, pensò Leonardo. Era solo una coincidenza.

-Io ed Etienne potevamo vivere così per sempre. Avevo ritrovato una famiglia con lui. Ma poi un uomo a cavallo disse che Etienne doveva tornare tra i templari e portare con sé un tesoro. Nei mesi di studio Etienne mi aveva mostrato la scatola che stava cercando di proteggere il giorno che lo salvai. Dentro c'era una coppa di legno. Lo aveva chiamato Santo Graal.”-

“Un testimone del Graal...” pensò Elisabetta, seria. Non era ancora sicura se riferirlo a David; attese di ascoltare il resto della lettera, prima di prendere una decisione.

-“Mi raccontò la sua storia. La coppa in cui aveva bevuto il suo dio a quanto pare. E sembrava fosse in grado di curare ogni malanno se non proprio dare la vita eterna quindi non poteva cadere nelle mani sbagliate. E lui era stato incaricato di proteggerla per questo abitava lontano dalla città. Io non volevo abbandonare Etienne. Lo avrei seguito in capo al mondo. Con lui andai in una città chiamata Acri. Era in corso una guerra. Scoprii che gli uomini che lo avevano aggredito erano saraceni i nemici dei templari. Io volevo aiutare Etienne a vincere quella guerra così da tornare nella nostra vita in campagna. Ma non potevo farmi vedere dai suoi confratelli. Lavorai in segreto per i templari. Con il favore della notte riuscivo a introdurmi nei campi saraceni e poi riferivo tutto a Etienne che lo riferiva ai suoi confratelli. Quella vita mi stava uccidendo quasi quanto quella che vivevo in Giappone. Però Etienne mi portò in una chiesa. Un luogo in cui tante persone si riuniscono e pregano sotto una croce di legno come nella casa di campagna in cui Etienne ed io abitavamo. Etienne era con i suoi confratelli. Tutti insieme cantarono qualcosa ma fu lui ad iniziare. Non era come quando mi cantava la ninnananna. Era più sublime. Divina. Per la prima volta in tutta la mia vita mi emozionai. Faticai non poco a trattenere le lacrime che stavano per uscire dai miei occhi. Non pensavo di avere delle emozioni. La sua era una voce bellissima. Quanto avrei voluto che cantasse solo per me. Per questo ebbi un'idea. Gli dissi che se era in pericolo doveva cantare e io sarei accorso subito. Il suo canto sarebbe stato un richiamo per me.”-

“Commosso dopo averlo sentito cantare?” pensò Leonardo, serio.
Ricordò la prima volta in cui aveva sentito il canto “Salve Regina”: la breve visione della chiesa. E poi, si era commosso.
“E se fosse Yuko ad aver reagito?”
Tutto iniziava a quadrare.

-“I saraceni però invasero Acri. La priorità di Etienne era salvare il Graal. La città era circondata. Non era possibile scappare da lì. Se avessi saputo come sarebbero andate le cose non avrei mai proposto di portare il Graal nel Nexus. Ma fu la prima cosa che mi venne in mente. Era l'unico modo di tenere il Graal al sicuro senza il rischio di scontrarci con i saraceni. Conoscevo il daimyo. Era una persona buona. Ero sicuro che ci avrebbe aiutato a trovare un posto sicuro. All'inizio era scettico sul Graal perché sembrava una coppa come altre. Sono stato troppo ingenuo a rivelargli che aveva il potere di guarire ogni malattia e rendere immortale? Il giorno dopo Etienne ed io siamo stati aggrediti dalle guardie. Il daimyo voleva il Graal per sé anche a costo di usare la forza. Dovemmo scappare e trovare un altro luogo in cui nascondere il Graal. Lo lanciammo in mare prima che le guardie del daimyo ci trovassero. Riaprii il portale che ci aveva condotti lì ma solo Etienne lo attraversò. Se lo avessimo attraversato insieme le guardie ci avrebbero raggiunti. Uno di noi doveva restare lì. E io scelsi me. Impiegai gli ultimi istanti per dirgli addio e lui mi implorava di raggiungerlo. Volevo che almeno lui si salvasse. E prego che sia ancora così. Sono giorni che le guardie mi stanno torturando per risposte sul Graal. Ma io non dirò nulla. Il Graal è perduto. Etienne è salvo. Questo è ciò che importa per me. Non mi importa se morirò in questa cella. Ho solo un vero rimpianto: non aver detto a Saeko che l'amavo. Non passa giorno senza che pensi a lei e Etienne. Etienne... non so cosa darei per ascoltare di nuovo la sua ninnananna. Tu che stai leggendo le mie memorie ti prego conservale. Non voglio che i miei ricordi con Etienne vadano distrutti. Le macchie che forse vedi sono le mie lacrime. Mi manca tantissimo. Ma non devo piangere devo essere felice. Non lo rivedrò qui ma spero di rivederlo nel regno dei cieli o in un'altra vita. E se non ci rivedremo sappi che ti voglio bene Etienne. Sei stato la persona più importante della mia vita. Mio amico. Mio fratello. Mio maestro. Mio padre. Yuko.”

La mano di Leonardo tremò. Una lacrima scese dal suo occhio. Erano i sentimenti di Yuko o i suoi? Non lo sapeva nemmeno lui.
-È... è... una lettera bellissima... mi viene da piangere...- singhiozzò Michelangelo, anche lui commosso -BUAAAAAAAAAHHHHH!!!-
Si soffiò il naso nel suo grembiule, disgustando Raffaello.
-Il daimyo mi aveva raccontato che era stato il templare a corrompere il suo antenato, ma si sbagliava.- commentò Splinter, scuotendo la testa -Dopo aver letto queste memorie, ho realizzato che non era stato il templare a corromperlo, ma era stato lui ad essere stato accecato dal potere del Graal.-
-E questo ha costato la vita a Yuko...- mormorò Leonardo -Per questo Etienne ha implorato il Tribunale Ninja di ricordarlo nei loro annali... chissà cosa gli sarà successo...-
-Vorrei poterti aiutare, figliolo...-
Rimasero tutti in silenzio, prima che Donatello alzasse la voce, in un lampo di epifania.
-Ehi, Eli, il nome “Etienne” ti dice qualcosa, visto che sei stata templare?-
La ragazza sembrava saperne quanto loro sul templare di nome Etienne.
-Mai sentito prima.-
Stava dicendo la verità. Nemmeno David aveva mai raccontato al resto dei confratelli di un templare di nome Etienne. E la lettera di Leonardo conteneva informazioni interessanti, ma non era sicura sarebbero stati inerenti per la sua ricerca del Graal.
Etienne era un custode del Graal, anzi, l'ultimo.
Tuttavia, secondo la lettera, era stato gettato in mare. Poteva essere stato distrutto dalle rocce o corroso dall'acqua.
Quindi, il Graal era praticamente distrutto.
David non avrebbe reagito bene a quella notizia, ma sempre meglio che vivere in un'illusione, pensò.
Anche Leonardo rifletté sulla lettera appena letta: aveva scoperto qualcosa in più su Etienne e Yuko, ma ancora non spiegava il motivo per cui lo spirito di Yuko si fosse reincarnato in lui e quello di Etienne in Omnes.
E il Graal era stato distrutto?
Ricordò un particolare del suo sogno di Etienne e se stesso come Yuko.
“È l'unico modo per tenere il Graal lontano da mani malvagie!”
Non avevano detto che era stato distrutto.
“Se solo quel diario non fosse stato distrutto. O se almeno avessi un indizio sull'altra metà...”
Donatello tornò nella sua posizione riflessiva. Continuava a picchiettarsi il mento con un dito.
-Etienne e Yuko... Etienne e Yuko...- mormorava, pensieroso -Perché questi nomi continuano a suonarmi familiari...?-
Poi si voltò indietro.
-E se...?-
Si allontanò dai fratelli, avvicinandosi alla libreria. Scrutò i volumi uno per uno.
-Ehm... Donnie...- disse Michelangelo, osservandolo con un sopracciglio abbassato -Ti sembra il momento di consultare i tuoi libri?-
-Ah, ecco!-
Tirò fuori un libro più piccolo e decisamente più consumato di tutti gli altri. Ed era strappato.
Lo mise sul tavolo, di fronte al fratello maggiore.
-Sapevo di aver sentito quei due nomi, prima. Cioè, non proprio “sentito”, ma letto.- spiegò.
Leonardo osservò quella copertina di cuoio rovinata con aria sorpresa. Cominciò a sfogliarlo, con delicatezza. Le pagine erano gialle, e anche l'inchiostro usato per scrivere quella miriade di parole si era seccato, quindi facile da rimuovere.
-Don, dove lo hai trovato?!-
-Ricordate la nostra sessione in biblioteca, quando eravamo allenati dal Tribunale Ninja? Ecco, stavo cercando altri libri e questo mi è caduto sulla testa. Ho provato a leggerlo, pensando contenesse altro sapere, ma non ci ho capito niente. Non è nemmeno scritto in giapponese. La calligrafia è tipo il nostro corsivo, ma proprio non sono riuscito a capire la lingua. Però sono riuscito a distinguere due nomi, ovvero Etienne e Yuko. Volevo tenerlo con me, nella speranza di cavarci qualcosa e poi restituirlo, ma...- fece scontrare le punte di due dita, imbarazzato -Tra lo Shredder Tengu e tutto il resto, me ne sono dimenticato...-
Leonardo non smetteva di fissare quelle pagine, a bocca spalancata.
Non era stato distrutto. Era lì di fronte a sé.
Il diario del templare. La metà rimasta al Tribunale Ninja.
-Lo avevo di fronte a me tutto questo tempo...- mormorò, alzandosi ed avvicinandosi al fratello, sconvolto -E tu non mi hai detto niente...?!-
Per un attimo, sembrava stesse evocando il potere di Elisabetta, mentre si alzava minaccioso su Donatello.
O era lui che stava diventando piccolo, dall'imbarazzo.
-Non me lo hai mai chiesto...- si giustificò, con vocina stridula e ritraendo la testa nel guscio.
-Aspetta, ma se lo hai tenuto con te per tutto questo tempo, dove lo hai nascosto?- si intromise Michelangelo, confuso.
-All'inizio, lo tenevo nel guscio. Ma quando siamo tornati nel vecchio rifugio prima della battaglia finale, l'ho messo nella vecchia libreria, e poi l'ho messo lì, prima di dimenticarmene completamente.-
-Ah, Shell, questa situazione mi sta facendo venire il capogiro!- si lamentò Raffaello, strofinandosi la testa -Mi volete dire cosa sta succedendo?! Prima Leo ha degli strani sogni, poi le visioni sull'ombra, ora salta fuori che un ninja di mille anni fa si è reincarnato in lui ed è coinvolto nella sparizione del Graal! Che razza di storia sta venendo fuori?!-
-Non è mai stato facile per noi, Raph.- fece notare Donatello, sospirando -Spero solo, però, che i maestri non si siano accorti che manca un libro nella biblioteca.-
-Non sanno neppure della sua esistenza.- rivelò Leonardo -Secondo loro, questo libro non è mai esistito. A quanto pare hanno mentito. O chi doveva distruggerlo non voleva farlo...-
Finalmente, rivolsero tutti l'attenzione sulla prima pagina.
-Ehhh?! Ma che lingua è questa?!- si sconvolse Michelangelo, appena allungato il collo dalla curiosità.
Non era inglese. Né giapponese. Nemmeno latino.
-Per forza non ci hai cavato niente, Don! Mai letta una lingua più strana di questa!-
-Non per me.-
Tutti gli sguardi si posarono su Elisabetta.
-Questo è provenzale.- spiegò -Forse sono in grado di tradurlo.-
-Puoi davvero?-
-Sì, Leo. Nel mio addestramento ho dovuto imparare anche questa lingua.-
Si mise a sedere accanto alla tartaruga dalla benda blu.
-Vediamo un po'...- restò in silenzio per qualche minuto.

-Il Gran Maestro mi ha affidato questo libercolo, per scrivere le mie memorie, ha detto. E anche per migliorare la mia scrittura. Posso iniziare con lo scrivere il mio nome. Mi chiamo Etienne, sono nato nell'Annus Domini 1245, in Provenza. Sono nato contadino e adesso sono un templare.”-

Nelle prime pagine veniva narrato delle prime esperienze di Etienne come templare, qualche accenno alla sua vita in Provenza e del suo viaggio in Medio Oriente, alla volta dell'ultima crociata.
La calligrafia e la grammatica miglioravano ad ogni pagina.
Poi, Elisabetta lesse, anche lei facendosi seria:

-“Caro libercolo, il Gran Maestro ha voluto affidarmi una missione di estrema importanza. Portare il Santo Graal in un posto sicuro e custodirlo fino a nuovo ordine.”.-

L'attenzione generale si acuì.

-“Non sono sicuro di essere la persona giusta per una missione simile. Io preferisco combattere contro gli infedeli. Non so perché il Gran Maestro mi abbia scelto come custode. Sono così pessimo a combattere? O sono prezioso per l'ordine? Ora devo scappare. A quanto pare, abiterò lontano dalla città, in mezzo a un campo. È già stato provveduto per una piccola abitazione, con i mobili necessari per dormire e cucinare, grano da semina e animali da pascolo. Per il resto, mi ha detto il Gran Maestro, devo provvedere da solo. Sono un contadino, dopotutto. Sono abituato a provvedere da solo. L'importante è tenere il Graal al sicuro.”-

Il rigo sottostante fu scritto lo stesso giorno.

-“Caro libercolo, oggi mi è capitata una cosa strana. Ero appena uscito da Acri, con la scatola con il Graal sotto il braccio, e sono stato aggredito da due soldati saraceni. Speravo di evitarli o travolgerli con il mio cavallo. Quei maledetti infedeli hanno colpito il mio cavallo, facendomi cadere. Ho cercato di combattere contro di loro, usando solo il braccio con cui tenevo la spada. Non potevo abbandonare il Graal. Potevano rubarmelo. Quando sono caduto per terra, la scatola mi è scivolata di mano. E quei due saraceni erano sempre più vicini. Poi, all'improvviso, un angelo. Non poteva essere altrimenti. Un angelo è caduto dal cielo per salvarmi. Un angelo vestito di nero e con due strane spade, affilate solo da un verso. Era incredibile come si muovesse, tenendo perfettamente testa a quei due infedeli. È incredibile, però, che li abbia lasciati scappare, invece che ucciderli. Il mio primo pensiero fu il Graal, ovviamente. Non era caduto lontano da dove ero io. Vidi, intanto, l'angelo avvicinarsi a me. Non ho mai visto un volto come il suo. O occhi di quella forma, allungata. Non era un saraceno. Sembrava una persona del popolo che ho letto in un libro, ma non ricordo quale, forse quello del mercante veneziano. Mi guardava con curiosità, studiando anche lui il mio volto. L'ho ringraziato, ma lui non ha detto nulla. Continuava a sorridermi e guardarmi. Pensai che, forse, ignorandolo, se ne sarebbe andato. Ho di nuovo raccolto la scatola e, ormai senza cavallo, procedetti a piedi. Guardai indietro. Il mio angelo mi stava seguendo, continuando a sorridermi e guardarmi. E mi ha seguito fino alla casa. Non so, spero di aver fatto la cosa giusta, permettergli di stare per la notte. Non riesco a fare a meno di osservarlo. È davanti alla finestra, a guardare le stelle. Le sue spade sono accanto alla mia, come la cintura con le strane stelle appuntite. Non sembra avere cattive intenzioni. Per cena gli ho preparato una semplice zuppa di farro, e lui ha mangiato con gusto. Chissà da dove viene e che strane armi siano quelle che ha. L'unica cosa che so è che si chiama Yuko. Che strano nome, più strano di Baybars.”-

Dalle pagine piene di parole, Yuko non lo aveva di certo ucciso. Era curioso leggere di uno stesso giorno da due punti di vista differenti. Il ninja aveva descritto cosa aveva provato nel vedere Etienne la prima volta e Etienne aveva fatto la medesima cosa con Yuko.
Niente sul Graal nelle pagine successive. Solo le esperienze condivise con Yuko.

-“Caro libercolo, sono contento che Yuko sia entrato nella mia vita. Il pensiero di vivere da solo in questa landa desolata mi rende malinconico. Mi aiuta a coltivare il grano e badare al pascolo. In poco tempo ha imparato la mia lingua e io sto imparando la sua. Ogni giorno alterniamo le lingue da parlare, un giorno provenzale, un giorno giapponese, così ci correggiamo a vicenda. Mi guarda affascinato, ogni volta che gli insegno la nostra storia e gli leggo le Sacre Scritture. Non ho mai conosciuto un ragazzo più curioso di lui in tutta la mia vita. Gli ho persino insegnato a giocare a scacchi, ma lui è riuscito subito a battermi. Pensavo che dopo la morte della mia adorata Hannah non mi sarei mai affezionato ad un'altra persona. Forse non ho esagerato dicendo che Yuko è il mio angelo. Per me lo è. Non riesco a fare a meno di osservarlo: perché penso ad Hannah, quando lo guardo? Quanti progetti avevamo in mente: un bel matrimonio, tanti figli. Mi piace pensare che Yuko è il figlio che avrei tanto voluto avere. Lui mi chiama “Etienne-sama”. Nella sua lingua, indica una persona per cui prova rispetto. Sarà che sono il primo templare che ha conosciuto, ma io non mi sento tanto speciale. Non riesco nemmeno a fare la metà di quello che riesce a fare lui. Cosa posso fare io? Prego, lavoro, combatto. Per il resto, sono una persona normale.”-

-Sono pensieri molto teneri.- commentò Michelangelo -Quei due hanno trovato subito un'intesa.-
-Ma ancora non dice nulla sul Graal.- notò Leonardo.
-Forse è stato ben protetto, in quel periodo.- ipotizzò Splinter.
-Aspettate, qui c'è qualcosa.- indicò la templare, dopo aver sfogliato altre pagine. Non li aveva letti tutti: solo quelli da lei ritenuti importanti.
La data segnava quattro mesi dopo il pensiero appena letto.

-“Caro libercolo, sono stato costretto a lasciare il mio “rifugio di campagna”. Proprio oggi è arrivato un messaggero da Acri, chiedendomi di tornare immediatamente in città. Abbiamo subito perdite nelle battaglie contro gli infedeli e ogni uomo è necessario. E sembra che quelli stiano allestendo accampamenti non molto lontani da dove mi trovavo. E dovevo portare anche il Graal. La questione più importante era Yuko. Non volevo trascinarlo in questa crociata, ma lui non vuole lasciarmi. Per tutto il tragitto fino ad Acri ho pensato a come farlo entrare in città e nella nostra roccaforte senza destare sospetti. Non è stato un problema, per un ninja come lui, entrare in città senza farsi vedere. Ed ha persino scoperto subito dove si trova la mia stanza. Ragazzo formidabile. Secondo quanto mi hanno riferito i confratelli, sembra ci siano spie dei saraceni in città e dobbiamo scovarli. Yuko si è subito offerto di aiutarmi, in ogni modo possibile. I miei confratelli non accetterebbero il suo aiuto. Somiglia più ai saraceni che a noi. Come posso nascondergli gli occhi?
Caro libercolo, Yuko ed io abbiamo trovato la soluzione insieme. Ci abbiamo lavorato tutta la notte. Lui sarà vestito da mendicante. Per gli occhi useremo una striscia lino a maglie non troppo strette così che possa vedere. E se si fingerà sordo e muto, nessuno sospetterà che, in realtà, è una spia.-”

-Mancava solo avesse la peste ed eravamo a posto!-
Splinter gli diede un colpo di bastone sul cranio.
-Zitto, Michelangelo!-

-“Spero che il nostro piano abbia successo. È in gioco la cristianità.”-

-Siamo quasi alla fine e ancora niente di importante!-
-Pazienza, Raffaello.-

-“Caro libercolo, il Graal è ancora al sicuro, ma è di Yuko che mi sto preoccupando. Oggi mi ha accompagnato nella pattuglia nella città. Come stabilito, lui avrebbe aperto le orecchie per ogni sospetto e usato quello che lui chiama “l'energia chi” per percepire nemici nelle vicinanze. Ha camminato attaccato al mio braccio come ancora di salvezza, come farebbe un cieco normale. Per comunicare qualcosa, usava l'alfabeto templare sulla mia mano e io eseguivo. Ora è notte fonda e io non riesco a dormire. Yuko è via da tanto tempo. Dice che con il favore della notte, per lui è più facile girare per la città e scoprire se ci sono saraceni in città. Apprezzo l'aiuto che mi sta dando, ma non voglio metterlo in pericolo. Sono molto preoccupato.
Caro libercolo, Yuko è tornato. Lo scarabocchio che ho lasciato nel pensiero precedente è colpa sua. Ho visto la sua ombra sul mio tavolo e mi sono spaventato. Il letto che ho chiesto di sistemare per lui non è come quello cui è abituato. Per allietare il suo sonno, gli canto sempre la ninnananna che cantava mia madre quando ero piccolo e avevo paura del buio. Dalla prima sera in cui gliel'ho cantata non fa altro che chiedermi di cantare. Dice che non riesce a dormire senza. Ora dorme profondamente. E presto andrò a dormire anche io. Ma la disavventura di questa notte mi ha fatto venire un'idea. Potrei mettere la candela in un punto vicino alla finestra. Così, se Yuko dovesse tornare quando sono a letto, mi basta vedere la sua ombra per assicurarmi che sia tornato sano e salvo da me."-

“L'ombra del ninja...” rifletté Leonardo.

-“Caro libercolo, non passa giorno senza che odi questa maledetta guerra. Il morale è a terra, le provviste scarseggiano, e, come se non bastasse, tra i nostri soldati è scoppiata un'epidemia di dissenteria. Non sono molto ottimista sulle sorti di questa guerra. Ma se non fosse scoppiata, non avrei conosciuto Yuko. Prima che mi mettessi a scrivere, gli ho cantato di nuovo qualcosa. E lui teneva la testa sulle mie gambe. Ogni volta che mi guarda non fa che sorridere. Dice sempre che gli piace sentirmi cantare. Mi ha anche detto che, qualora fossi in pericolo, ovunque fossi, mi bastava cantare e lui sarebbe accorso. Oggi, infatti, è capitato un secondo miracolo: io ed alcuni confratelli siamo stati catturati dai saraceni, durante la nostra pattuglia all'esterno di Acri. L'unico giorno in cui Yuko non era con me. Hanno decapitato i miei confratelli e presto sarebbe arrivato il mio turno. Allora, mi misi a cantare, con tutto il fiato che avevo in gola. In un attimo, il mio angelo è tornato, eliminando gli infedeli e liberandomi, esattamente come nel nostro primo incontro. Da quando ho perso Hannah, la mia vita era diventata fredda, vuota. Con Yuko ho trovato uno scopo. Un vero scopo. Il figlio che non ho mai avuto. Se non fossi diventato templare, cosa gli sarebbe successo? Avrebbe preso comunque parte a questa crociata? A volte vorrei non mi avesse seguito. Ma altre, ringrazio Dio per avermi inviato questo angelo. Ora non riesco ad immaginare la mia vita senza Yuko.”-

In entrambe la lettera e in quei pensieri era intuibile l'affetto tra Etienne e Yuko. Non come amici, ma come una famiglia.
Leonardo sentiva una strana stretta al cuore e un bisogno di piangere, commosso.
Forse era Yuko a reagire ai pensieri che il suo più caro amico aveva scritto su di lui. O erano i sentimenti di Leonardo.
Magari entrambi.
Era impossibile non commuoversi di fronte a tali parole.
-Siamo all'ultimo pensiero.- informò la templare.

-“Caro libercolo, secondo i nostri ricognitori e anche secondo Yuko, i saraceni si stanno preparando ad attaccare Acri dal mare. Non so quanto potremo resistere. Le truppe sono debilitate dalle epidemie e il morale è a terra. Nonostante continuiamo a sostenere il contrario, la Terra Santa è perduta. Quei maledetti bastardi infedeli hanno vinto. E se non mi faccio venire in mente un'idea, anche il Graal cadrà nelle loro mani e questo non posso permetterlo. La soluzione migliore è distruggerlo. Sono disperato, non so proprio cosa fare...”-

Il pensiero era interrotto bruscamente, a causa della pagina strappata.
-Mi spiace, ma finisce qui.-
Raffaello sospirò.
-Fantastico, un altro buco nell'acqua. Tante smancerie, ma ancora niente che ci faccia capire perché Leo sogni di questo ninja Yuko.-
-Tutto quello che sappiamo è che Yuko è stato un allievo del Tribunale Ninja, e che è stato lui a portare il Graal nel Nexus. Etienne era un templare con l'incarico di proteggere il Graal.- sintetizzò Donatello.
Leonardo aveva tralasciato la storia della fonte e dei poteri acquisiti. Non gli sembrava importante.
Ma per la templare, quelle erano informazioni importanti.
-E ora che facciamo?- domandò Raffaello, sospirando e agitando le braccia una volta -Attendiamo che un altro chissaccosa del passato ci cada sulla testa?-
Michelangelo ci fece un pensiero e si coprì il cranio con entrambe le braccia.
-Forse potrei... usare i miei poteri per scavare nel passato.- propose Leonardo.
Elisabetta si fece di nuovo seria, ma non disse una parola. Se Leonardo avesse scoperto altro sul Graal, David avrebbe avuto l'indizio che cercava dal primo momento in cui aveva messo piede a New York. O direttamente la coppa.
Ma prima, doveva riferire: non doveva prendere iniziative.
-Io ho notato che mancano degli ingredienti per la colazione.- disse, alzandosi e tornando serena -Vado a fare un po' di spesa.-
-Ehi, poi preparati a pagare la scommessa per stasera, bambola!- ricordò Michelangelo.
-No, TU preparati a pagarla, Micky.-
Raffaello guardò il fratello minore quasi in cagnesco, reprimendo quasi a fatica la tentazione di usarlo come sacco da boxe. Odiava quando la chiamava con appellativi come “bambola” o “tesoro”. Un po' per gelosia, un po' perché non rendeva onore alla sua persona, forte ed aggressiva. Meritava di più di quei semplici appellativi.
Ma si accontentò di sperare in un'ennesima perdita di scommessa di Michelangelo.

Elisabetta si mise subito in contatto con il Gran Maestro appena uscita dal rifugio. Trovò un angolo adatto per usare il suo anello, indisturbata.
“David... David... David...” pensò, strofinando sulla croce.
In un istante, entrambi si erano incontrati nella Dimensione Mistica.
-Flagello. Erano giorni che non avevo tue notizie.-
Non aveva messo nessuno a conoscenza dei suoi giorni in Giappone. Nemmeno Federico. Non voleva far innervosire uno e far preoccupare l'altro.
Era un suo segreto.
-Mi auguro tu abbia buone notizie sul Graal.-
-Non proprio sul Graal, Magister.- non esitò a rivelare la ragazza, seria -Ma informazioni sull'ultimo custode del Graal.-
Quell'informazione attirò subito l'attenzione del Gran Maestro.
-L'ultimo custode?-
-Vi dice niente un templare di nome Etienne, vissuto all'incirca durante l'ultima crociata?-
David si mise a riflettere. Ma la sua risposta arrivò quasi subito.
-È la prima volta che sento il suo nome.- disse.
Sapeva di un templare che si era recato nel Nexus con il Graal, ma non aveva mai saputo il suo nome.
-Cosa hai scoperto?-
-Solo che il Graal doveva essere protetto dagli infedeli. Il templare di cui vi ho parlato ha trascritto un diario, e tra varie informazioni private, parlava anche del Graal.-
Lo sapeva. Il Graal era reale. Non era una leggenda. E presto avrebbe avuto la prova.
Nonostante la notizia lo avesse riempito di gioia, una smorfia seccata deformò il suo volto pieno.
-Quindi anche gli abomini, adesso, sapranno dove si trova...-
-Tranquillo. Il diario è scritto in provenzale, e io sono l'unica a conoscerlo, tra loro.- rassicurò lei, sorridendo in modo strano -Mi sono permessa di... tralasciare a loro qualche dettaglio per non intralciarvi nella vostra missione.-
In quanto unica a saper leggere il provenzale, Elisabetta, durante la traduzione del diario per Splinter e le tartarughe, aveva saltato di proposito dei paragrafi che lei aveva ritenuto per loro non importanti, ovvero quelli che parlavano del Graal. Inoltre, Leonardo era più interessato al legame tra il templare di nome Etienne ed il ninja di nome Yuko. Loro non avevano a cuore il Graal quanto lei ed il resto dei templari, ma era meglio essere comunque prudenti a non rivelare troppe informazioni o si sarebbero destati sospetti.
-Tuttavia, la fine si interrompe bruscamente. E purtroppo non dice la sua esatta ubicazione. Mi dispiace.-
Si aspettava una ramanzina, una sfuriata da parte di David.
-Però...-
-Devo avere quel diario, Flagello!-
Quella decisione era stata presa a bruciapelo, quasi senza pensare. Era completamente accecato dal desiderio di possedere il Graal.
Quella reazione sorprese la templare, colta alla sprovvista.
-Aspettate, forse c'è un modo per scoprire dove si trova il Graal. Leonardo ha la capacità di leggere nel passato, toccando semplicemente degli oggetti. E ha detto che...-
-No! Non posso permettere che quelle creature arrivino al Graal prima di me!-
Le Tartarughe non sapevano quasi nulla del Graal. Non quanto i templari, almeno. Ma Elisabetta era sicura che non ne erano così interessati quanto lo erano del templare di nome Etienne e del ninja di nome Yuko.
Ma non poteva contraddire il Gran Maestro.
-Aspettate, c'è un'altra cosa che devo dirvi.-
Ogni informazione poteva essere importante.
-Insieme a quel diario, abbiamo trovato un'altra memoria, di un'altra persona legata al Graal. Un ninja, a quanto pare. E secondo le sue memorie, il Graal è andato distrutto.-
Non lo diceva esplicitamente. Ma un oggetto caduto in mare, solitamente, veniva distrutto.
-Il Graal non può essere distrutto!- tuonò il Gran Maestro -Io l'ho sognato! Era integro! E nelle mie mani! Non può essere un caso! E non mi fermerò di fronte a nulla, fino a quando non sarà MIO!-
Fece un sospiro profondo, riprendendo la calma.
Era terrificante quando si arrabbiava. Nessuno osava contraddirlo, nemmeno il fiero Galvano o il subdolo Faust, sebbene fossero al suo livello ed avessero i poteri più pericolosi.
-Grazie per questa informazione, Flagello.- disse, una volta tornato calmo -Dovrò trovare un modo per impossessarmi di quel diario. Ne parlerò con il resto dei confratelli seduta stante. Tu aspetta le mie istruzioni su come e quando agire, chiaro?-
-Sì, Magister.-
Entrambi uscirono dalla Dimensione Mistica. Elisabetta si diresse, poi, verso il supermercato più vicino, senza provare alcuna colpa per agire contro chi le aveva dato un rifugio dalla sua “scomunica”. Prima l'Ordine, poi tutto il resto.
David era da solo nella Sala Grande, seduto sul suo trono, quando aveva ricevuto la chiamata della templare.
-Degli sviluppi, finalmente.-
In quel momento, il resto del gruppo templare era nella Sala Addestramenti. Un tempo era quella del Clan del Piede. Ma i Dragoni Purpurei erano riusciti a cambiarlo in base alle esigenze ed agli allenamenti dei templari.
-Su! Muovetevi!-
Era stato costruito un campo militare interno. Un percorso che comprendeva un allenamento basato su velocità, forza e resistenza. L'Andrea anziano era ai lati, in vece di istruttore.
Il resto dei templari stava procedendo strisciando sotto una rete elettrificata da Giacomo, che li stava supervisionando insieme a Luigi.
-Forza! Forza! Più veloci!-
Naturalmente, si stavano allenando senza anelli al dito. Ma, anche senza i poteri, Andrea Celeritas era in testa. E le sue gambe scattarono veloci anche sul sentiero creato con pneumatici usati.
Dopo l'allenamento delle gambe, passarono a quelli per le braccia: una volta percorsa una rampa in lieve salita, dovevano dondolarsi su delle scale orizzontali, poi superare un altro ostacolo, sorreggendosi su delle corte, infine scalare una rete alta più di tre metri, prima di scivolare su una corda che li avrebbe riportati al punto di partenza. Tutto era iniziato con una corsa di dieci kilometri, di cui cinque a corsa libera e gli altri cinque con un peso legato alla schiena, prima di raggiungere il primo ostacolo.
-Federico! Vedi di muoverti! Sei il più lento di tutti, come al solito!-
Federico era stremato: stava per svanire sul terreno, una volta atterrato dalla scala. Era dietro a Niccolò, detto Sol, e Marco, detto Golem, decisamente più corpulenti di lui, ma più veloci.
Era sempre ultimo, in quegli esercizi. Anche quando Benedizione era vivo e Flagello era ancora lì con loro.
Raggiunse i confratelli dopo dieci secondi, che ansimavano, stremati.
-Federico, anche stavolta sei arrivato ultimo.- fece notare, severo, l'Andrea anziano -Dieci giri di corsa con il copertone!-
Federico, nonostante stesse continuando ad ansimare e sudare, eseguì l'ordine. Legò il copertone alle sue spalle ed iniziò a correre, sebbene piano.
-E voi altri non state fermi! Subito a camminare con i tronchi sulle spalle!-
David entrò nella sala addestramento, facendo fermare definitivamente i presenti.
-Scusate se vi ho interrotti. Ma ho appena ricevuto aggiornamenti da Flagello riguardanti la sua missione.- informò -Vi voglio tutti, adesso, nella Sala Grande.-
Nessuno si cambiò. David aveva detto “subito”. Non c'era tempo di cambiarsi con le vesti templari. Erano rimasti in tuta. Persino Federico fu obbligato a presiedere. La sua “punizione” era stata solo rimandata.
-Signori, è stato scoperta l'esistenza di un custode del Graal, prima della sua definitiva scomparsa.- rivelò il Gran Maestro.
Erano tutti riuniti intorno al tavolo circolare con le incisioni “PAUPERES COMMILITONES CHRISTI TEMPLIQUE SALOMONIS.
-E, a quanto pare, ha lasciato un diario con delle informazioni al riguardo. Non vi nascondo il mio desiderio di impossessarmi di quel diario.-
-Queste informazioni sono reali, David?- domandò l'Andrea anziano. Doveva assicurarsi che David non stesse nuovamente agendo senza pensare.
-Flagello lo ha analizzato personalmente. E io mi fido di lei.-
Nessuno, a quel tono, volle controbattere. Nemmeno il resto del tetravirato. Ma non significava che questi ultimi fossero d'accordo con il Gran Maestro. Più passava il tempo, più erano convinti delle parole di scetticismo dei Grandi Maestri nei confronti della missione che David si era auto-imposta.
-Come ci impossesseremo di questo diario, Magister?- domandò Galvano, serio -Di certo, non possiamo introdurci nel rifugio di quegli abomini senza destare sospetti.-
-Potrei farlo io. Non si accorgeranno di niente.-
-No, non sarà necessario, Celeritas.- dissuase David.
Si voltò verso una persona specifica.
-Spettro, puoi ripetere al resto dei confratelli quello che hai rivelato a me prima che iniziaste il vostro allenamento?-
Spettro, il cui vero nome era Edoardo, il più giovane dei presenti, nei suoi diciassette anni, fece un cenno con la testa e si alzò.
-Ho scoperto dove si rifugiano i Saraceni.- rivelò -La loro Base qui in America del Nord è...-
Disse un nome ed una posizione.
-Bene. Se tutto andrà come previsto, riusciremo a liberarci dei nostri nemici più antichi e otterremo quel diario. Ma è ovvio che per attirare dei predatori c'è bisogno di un'esca...-
Federico rabbrividì, pensando che sarebbe stato lui l'esca. Dopo la vicenda della Dimensione Mistica, si aspettava di tutto, dal padre. La ricerca del Graal lo aveva reso pazzo, a tal punto da mettere in mezzo il suo stesso figlio.

-Squadra SWAT! Siete circondati! Rilasciate gli ostaggi e non vi sarà fatto alcun danno!-
Un altro tentativo di attentato in un edificio da parte di terroristi del Medio Oriente.
Una folla si era radunata in quella zona di New York. C'erano persino le televisioni locali, che stavano trasmettendo in diretta.
Stavolta era intervenuta la squadra SWAT di Casey, pronta ad attaccare direttamente i terroristi. Ma, nonostante fossero nella loro tenuta di assalto ed avessero già preparato gli scudi, restavano fermi, in attesa di un ordine.
Qualcuno stava uscendo dall'edificio. Teneva una donna stretta a sé, puntandole, nello stesso tempo, una pistola alla tempia.
-Vi abbiamo già detto le nostre condizioni!- urlò il terrorista -Dateci quello che abbiamo chiesto e libereremo questo edificio! Una mossa falsa e spareremo agli ostaggi!-
Il poliziotto che aveva parlato al megafono prese subito il suo trasmettitore, parlandoci dentro.
-Sì? Bene. Fatelo passare.-
Una macchina nera si fece strada tra la folla curiosa, parcheggiando vicino alle vetture della SWAT.
Un uomo pelato uscì dallo sportello del passeggero. Occhiali a montatura ovale, e vestito con giacca e cravatta.
-Lei è il negoziatore?- domandò il capo di quella squadra SWAT, stringendo la mano alla persona di fronte a lui.
-John Anderson.- si presentò l'altro, serio.
-Ha ricevuto le istruzioni dai miei uomini?-
-Sì, ho portato quanto è stato richiesto.-
Mostrò una valigetta, molto probabilmente i soldi del riscatto.
Casey notò qualcosa di strano in quel negoziatore: il suo modo di parlare americano era strano. Si sforzava di mantenere l'accento, ma era palese che non vi fosse così familiare.
Lo aveva già sentito in passato. E non così lontano.
-Allora, ricordate i vostri ordini?- disse il capo, parlando ai suoi uomini -Restate in posizione fino al termine del negoziato. Se il signor Anderson dovesse perdere la vita, irrompete e ammazzate quei bastardi.-
Casey fu l'unico a voltarsi.
-Ma, signore, e gli ostaggi?- domandò -Potremo ferirli accidentalmente. O peggio, quelle bestie avranno messo delle bombe in tutto l'edificio...!-
-Jones, non mi contraddica! E ringrazi che è un buon agente, altrimenti l'avrei mandata via da un pezzo. Veda di non discutere più i miei ordini.-
Era in momenti simili che Casey ricordava perché un tempo odiasse le forze dell'ordine. Ma con una famiglia a carico, fu costretto a tacere, sebbene a malincuore.
Se fosse stato ancora solo il Giustiziere Mascherato, avrebbe sistemato la situazione a modo suo.
La notizia dei terroristi aveva colto di sorpresa persino la SWAT. Casey non aveva nemmeno fatto in tempo a contattare i suoi amici. Loro avrebbero risolto tutto.
Ma quel negoziatore sembrava calmo. Troppo calmo. Troppo persino per un negoziatore. Come se fosse sicuro dell'esito positivo della negoziazione.
Camminava con passo confidente, verso l'interno dell'edificio.
Lì lo attendeva il terrorista che prima aveva minacciato di uccidere gli ostaggi, insieme ad altri che tenevano a portata di fucile altri dipendenti.
-Ha portato ciò che abbiamo chiesto?-
-I milioni. Tutti qui dentro e in contanti.- assicurò il negoziatore, battendo sulla valigetta che aveva portato.
Il terrorista fece cenno al negoziatore di lanciarlo ad uno dei suoi uomini. Così, infatti, fece.
-Controlla.-
Poteva esserci un'altra bomba, ma non avrebbe avuto senso, visto che Anderson era stato mandato per salvare gli ostaggi in modo diplomatico.
La valigetta non era a combinazione: fu facilmente aperta.
Un cenno della testa confermò l'autenticità della merce di scambio.
-Bene. Ora noi ce ne andiamo.- annunciò il terrorista -Dica ai poliziotti di non seguirci se non vogliono che facciamo saltare in aria questo posto. In cambio, liberiamo gli ostaggi.-
Per dimostrare che non imbrogliava, lasciò andare la donna, che corse, in lacrime, verso i colleghi.
Anderson continuava a mantenere lo sguardo impassibile.
-Vado a riferire dello scambio scambio.- disse, prima di indietreggiare verso l'uscita.
I terroristi uscirono uno per uno verso l'uscita di emergenza, dal lato opposto dell'entrata principale.
Anderson era uscito illeso, seguito dagli ostaggi. Questo sollevò i presenti.
-E i terroristi?- esclamò il capo della SWAT, non appena il negoziatore passò accanto a lui.
-Non vi daranno più fastidio.-
Quelle poche parole fecero intuire la loro fuga.
-Li ha lasciati scappare! Io...!-
-La priorità era mettere le persone in salvo.- tagliò corto Anderson, con aria seria, quasi minacciosa -Se vuole combattere contro i mulini a vento, faccia pure. Un solo passo, e potrebbe incontrare il Creatore dal vivo, capitano. Fossi in lei, invierei una squadra di artificieri per disinnescare le bombe che hanno messo.-
Seguito dallo sguardo sgomento dell'uomo, Anderson tornò nella macchina.
-Possiamo andare.- disse all'autista.
Seppur ancora spaventati, alcuni degli ostaggi rivelarono dove avevano visto sistemare le bombe.
Il pericolo era scampato, persone innocenti erano salve, i terroristi in fuga.
Ma Casey era ancora focalizzato sull'aspetto e sul modo di parlare del negoziatore.
Un uomo pelato, dall'aria fiera, dietro gli occhiali. Il modo di parlare quasi arrogante. E con un accento decisamente non americano.
Casey non ne era sicuro, ma quella descrizione corrispondeva all'uomo che aveva torturato Raffaello, da come gli avevano raccontato le Tartarughe. Ma non poteva essere lui. Pensò si trattasse solo di una coincidenza.

Una fila di SUV neri con lo stemma di un sole dorato sulle portiere proseguiva in fila indiana su una strada che portava nei quartieri di periferia.
Una villa decorata in stile arabo sembrava fuori luogo in un posto simile. Le mura erano arancioni e le colonne azzurre, entrambe con particolari bianchi. E la cupola era tipica delle moschee.
Due guardie con il fucile aprirono i cancelli, una volta riconosciuto lo stemma dei saraceni.
Anche il giardino era pieno di piante esotiche, in particolare palme, e fontane.
Si erano tutti tolti il passamontagna. Erano tutti mori, con barba dello stesso colore, né lunga né corta, ma ben curata.
-La valigia.- ordinò il capo al sottoposto che aveva tenuto la valigia del riscatto.
Fu lanciata in sua direzione, prima di essere presa per il manico.
-Portate il prigioniero nel mio ufficio.-
Si divisero in due gruppi: sei seguirono il capo sulla scalinata principale, mentre gli altri sei proseguirono verso una porta situata alla sinistra di quella scalinata.
Nascosto dietro un paravento, il capo dei saraceni del Nord America, Ahmed, si era finalmente cambiato d'abito, indossando vesti del suo paese d'origine ed un turbante che coprì i folti capelli neri.
Aprì la valigetta, sorridendo al contenuto. Non erano soldi. Era un libro, strappato a metà.
-Mio signore, il prigioniero.-
Un caucasico con una giacca di pelle, cappellino con la tesa e jeans strappati fu portato al suo cospetto, in catene. Fu subito messo in ginocchio.
-Sembra che le tue informazioni fossero giuste...- iniziò Ahmed, alzandosi dalla sua sedia, tenendo quel libro stretto in mano -In effetti, è andata come avevi dedotto tu. Abbiamo occupato l'edificio, abbiamo atteso l'arrivo del negoziatore, lui ci da questo libro.-
Il prigioniero fissava il saraceno nei suoi piccoli occhi neri.
Ahmed agguantò il suo volto con forza, stringendo sulle guance.
-Troppo semplice. Troppe coincidenze. Potrei anche pensare che tu sia uno sbirro.-
L'uomo non mostrò alcun segno di spavento o timore. Si permise di sorridere.
-Ho promesso vantaggiose informazioni sul Graal, no?- giustificò -Non è questo che volevi? O preferisci perdere tempo con me?-
Il come, in effetti, non era così rilevante. Ma il cosa lo era. Come i templari, anche i saraceni erano alla ricerca del Graal.
L'uomo lì al loro cospetto forse sapeva troppo. Ma non importava. Avevano informazioni sul Graal. Se si fossero rivelate utili, potevano liberarsi di quel prigioniero.
Risultati, dopo mesi di ricerche, di attentati.
Ma le speranze di Ahmed si spensero, non appena aprì la prima pagina. E non cambiò nemmeno nelle pagine successive.
-Ah! Niente! Niente! Non ci capisco niente! Questo non è latino! È provenzale!-
In un impeto di rabbia, scagliò quel libro sul prigioniero, colpendolo sul volto.
-Che razza di inganno è mai questo?! Avevi detto sarebbe stato vantaggioso, se ti avessimo risparmiato!-
Un'altra risata si levò da sotto il cappello.
-Io ho detto che sarebbe stato vantaggioso, ma non ho specificato per chi…-
Si era preso gioco di loro. Li aveva presi in giro. E, peggio, stava ridendo di loro.
Questo i saraceni non potevano tollerarlo.
-Decapitatelo!- ordinò Ahmed.
Due sciabole furono poggiate sulla gola del prigioniero.
-Le tue ultime parole?-
Nessuno si era accorto che, in quegli istanti, approfittando che le sue mani fossero legate dietro, l'uomo stava cercando qualcosa dentro i suoi pantaloni.
Il suo sorriso non svanì. Era quasi malefico.
-Voi… dovreste… perquisire bene… chi rinchiudete!-
Alzò lo sguardo e Ahmed impallidì: nelle sue iridi era presente la croce rossa!
-TEMPLARE!-
Quando lo urlò, era troppo tardi: una carica di fuoco si estese intorno al prigioniero, emergendo in una vera esplosione.
Ahmed aveva richiamato tutti i saraceni dell'America del Nord, per quell'occasione. In pochi secondi, quella divisione aveva cessato di esistere.
E la meravigliosa villa araba di quella periferia era divenuta cenere.
L'unico elemento intero era proprio quel prigioniero. Era riuscito a liberarsi dalle catene. E tra le mani stringeva il libro.
Si guardava intorno, disgustato.
-Non guardatemi così. Di solito, a quelli come voi piace saltare in aria. Almeno vi ritroverete tutti insieme all'Inferno, razza di infedeli.-
Camminò in mezzo a quello che una volta era il giardino con piante esotiche, prima di raggiungere il posto dove poco prima c'era un cancello.
Una macchina nera era arrivata proprio in quel momento.
Il finestrino del passeggero si abbassò.
-Galvano.- salutò l'uomo all'esterno, con un cenno della testa.
Il negoziatore scrutò l'esterno con aria soddisfatta. Persino il libro, ancora intatto.
-Ottimo lavoro, Cataclisma.-
Era tutto un piano ben elaborato dei templari. Di conseguenza, erano riusciti a catturare due piccioni con una fava: recuperare il libercolo ed eliminare i Saraceni.
L'elemento fondamentale era l'esca.
Il templare di nome Mirko si era vestito da senzatetto, unendosi a suoi simili in un bivacco. I Saraceni calpestavano spesso quelle zone, pestando e picchiando i “corrotti infedeli”, specialmente quelli che non potevano difendersi. Talvolta, venivano persino uccisi. Ai loro occhi, erano come formiche. E sapevano che nessuno avrebbe dato peso a dei miserabili senzatetto.
-NO! FERMI!- aveva urlato Mirko, appena vide la canna del mitra puntato contro il suo volto -POSSO AIUTARVI!-
Il terrorista scoppiò a ridere.
-E come può un senzatetto aiutare noi servi di Allah?-
-So... cosa... cercate!- doveva sembrare un drogato, per non far crollare la sua copertura -La gente... parla! Noi... ascoltiamo! C'è un libro... che parla di una coppa miracolosa! Se lo volete... fate quello che vi dico!-
Nessuno avrebbe creduto alle parole di un senzatetto drogato. Poteva essere ucciso in quello stesso istante. Ma i terroristi avevano fatto finta di credergli: in fondo, pensarono, era da tempo che non si divertivano un po'. Quel senzatetto era divertente. Potevano far finta di stare al suo gioco, dargli l'illusione di aver risparmiato la sua vita, e poi ucciderlo a sangue freddo.
Ma ciò che aveva detto si era rivelato vero.
L'idea dell'edificio occupato era partita da Mirko, a sua volta partita da David.
Delle semplici parole d'ordine, ovvero la cifra del riscatto, sarebbero servite a far avvicinare il falso negoziatore, che avrebbe dato ai Saraceni l'offerta vantaggiosa, ovvero il libercolo del templare.
Come previsto, tutti i Saraceni del Nord America erano stati richiamati alla Base.
Tutto era andato come pianificato dal Magister.
I Saraceni erano stati eliminati ed il libercolo del templare era nelle mani giuste.
-Riferisco subito al Magister. Tu sali.-
Il templare chiamato Cataclisma prese posto accanto al confratello. Quest'ultimo era entrato nella Dimensione Mistica, entrando in contatto con David.
-Missione compiuta.- riferì -Cataclisma ha distrutto la sede saracena e ha recuperato il diario dell'ultimo custode del Graal.-
-Ottimo. Tornate in sede.-
Non appena Giacomo era tornato nel mondo reale, diede cenno all'autista, un Dragone Purpureo, di partire.
-Alla sede templare.-
Non era un viaggio breve. Questo lasciò il tempo ai due templari di analizzare quel libercolo.
-Flagello non mentiva, allora.- mormorò Giacomo -Questo diario parla anche del Graal.-
Avevano saltato ed ignorato tutti i pensieri sulla sua vita prima di unirsi all'ordine e su Yuko.
-Peccato che sia stato strappato.-
-Già, potevamo avere un indizio in più.-
La macchina si fermò sotto la Sede templare, un tempo Sede del Clan del Piede.
-Vai pure, Cataclisma.- ordinò Galvano -Io devo fare un'altra commissione. Mostra pure quel libercolo al Magister.-
Mirko ripose con un cenno della testa, prima di uscire dalla macchina.
All'entrata, due Dragoni Purpurei si misero sull'attenti, appena riconobbero il templare.
Sapeva che il Magister ed i confratelli lo stavano attendendo nella Sala Grande, per il rapporto della missione.
Quando uscì dall'ascensore, trovò solo alcuni dei confratelli: Celeritas, Punizione, Spettro, Sol, Tundra, Golem, Salterio e Ponte.
Salterio si accorse subito della presenza di Cataclisma.
Sorrise, sorpreso, ma anche con malizia. E poi fece un piccolo balletto.
-Arriva la bomba, che scoppia e rimbomba! Ah! Ah! Si tratta di un Cataclisma!-
Mirko sbuffò, seccato.
-Andrea, quando la pianterai di cantare questa canzone ogni volta che torno da una missione?- borbottò, posando il libercolo sul tavolo. Si era tolto il cappello, sistemandosi gli unti capelli neri.
Era ormai una consuetudine, per Salterio, cantare quella canzone ogni volta che Mirko tornava da una missione. Una vaga presa in giro del suo potere.
Il suo nome da templare, infatti, era Cataclisma, perché quando arrivava, non rimaneva più nulla. Era praticamente una bomba umana. Ma le esplosioni non lo danneggiavano: quando concentrava l'esplosione, il suo corpo era protetto da uno scudo etereo, in modo da non bruciare nemmeno i vestiti. Se esplodeva e teneva per mano qualcosa o qualcuno, anche quello veniva protetto dallo “scudo”. Un potere più distruttivo della rabbia di Flagello.
-Ma dài, è per sdrammatizzare.- si giustificò il confratello, dandogli una lieve pacca sulla schiena -Fattela una risata!-
-Ha detto così anche il tipo con che ti ha licenziato?-
Il gioviale Andrea si fece subito serio. Anzi, offeso. Mirko aveva messo un dito nella piaga.
Era una delle poche cose che gli facevano perdere la calma.
Infatti, le sue iridi erano già divenute croci rosse ed aveva stretto i pugni.
-Ma io ti…!-
Avrebbe urlato fino a fargli scoppiare i timpani, se Helmut, detto Tundra, non si fosse messo in mezzo, dividendoli.
-Ragazzi, non ricominciate, eh!- avvertì. Anche le sue iridi erano cambiate.
Era pronto a trasformarli in statue di ghiaccio.
Ma ormai i due spiriti stavano ribollendo.
-Io lo porto in un bunker e lo faccio esplodere, questo qui!-
-E io gli porto via la testa con un urlo!-
Il resto dei confratelli restò fermo a guardare lo spettacolo, quasi divertiti. Solo Federico non rideva.
A volte, i loro litigi sembravano spettacoli comici, fino a quando non usavano i poteri. Anche in occasioni simili veniva chiamato Benedizione. Ma, dalla sua morte, era Tundra a porre fine ai litigi.
Infatti, un vento gelido si levò in mezzo alla stanza.
-SE NON LA PIANTATE IMMEDIATAMENTE, VI CONGELO I GIOIELLI E QUANDO ANDRETE IN BAGNO FARETE GRANITA DI PIPÌ!-
I due litiganti si rivolsero al loro paciere, straniti.
-EH?!-
Il vento, oltre ad essere freddo, era alquanto rumoroso.
-GRANITA DI PIPÌ!- ripeté Helmut, più forte.
-EH?!-
-QUALCUNO PUÒ SPEGNERE QUELLA MALEDETTA VENTOLA?!-
Il vento non era stato causato dal potere di Tundra. Era una grande ventola sistemata sul muro della sala.
Un altro vento si levò, più leggero e più immediato della ventola.
In pochi istanti, tornò la quiete e il vento era sparito.
-Noctis dovrebbe dare una sculacciata fatale a chi era responsabile per l'impianto elettrico.- informò Andrea Celeritas -Era impostata su “Automatico”.-
Con il suo potere, ci aveva messo un attimo a scendere nella sala dei quadri e ripristinare i comandi della ventola.
-Che succede, qui?-
David, seguito da Lazzaro, Faust e Geena, entrò nella sala. Lazzaro sembrava stanco, da come camminava sorretto da Geena. Doveva aver di nuovo usato il suo potere per ospitare per poco tempo lo spirito di Stockman, ancora una volta, senza successo, per convincerlo a dare ai templari gli ultimi progetti a cui stava lavorando sotto Shredder.
Si misero tutti sull'attenti, alla vista del Magister.
-Ah... Cataclisma...- notò questi, accennando un sorriso compiaciuto -Galvano non è con te?-
-No, signore. Lui aveva una commissione da fare, prima di tornare. Mi ha dato comunque il permesso di procedere con il rapporto senza di lui.-
Prense il libercolo che aveva adagiato sul tavolo, per poi avvicinarsi a lui, porgendoglielo.
-Missione compiuta, Magister.- iniziò -I saraceni sono stati distrutti e con essi la loro Base.-
David sorrise, soddisfatto. Aveva preso l'oggetto dalle sue mani, iniziando a sfogliarlo con delicatezza. Persino Lazzaro e Faust allungarono i colli, per dare un'occhiata.
-Mentre... tornavamo, Galvano ed io ci siamo permessi di analizzare questo libercolo.- proseguì Mirko -Le deduzioni di Flagello si sono rivelate esatte. Contiene informazioni sul Graal.-
E David lo scoprì con i propri occhi.

Quello che sapevo sul Graal era sempre scritto sul Vangelo. Non credevo fosse vero. L'ho visto proprio oggi. Nostri confratelli sono morti per portarlo qui ad Acri, nelle precedenti crociate. Per tanto tempo, è rimasto a Gerusalemme, proprio sotto il naso degli infedeli. A prima vista, sembra una coppa come tante altre. Ma oggi ho vissuto un vero miracolo. Durante le mie visite dai confratelli Ospitalieri, vedevo persone che non potevano più camminare. Uno di loro ha bevuto dal Graal e si è alzato! Un vero miracolo. Il Graal non è una leggenda. È vero quanto l'aria che sto respirando.”

L'indizio che stava cercando. Il Graal era reale. E quello che stava leggendo era il diario dell'ultimo custode. Dell'ultima persona ad averlo visto.
E forse era proprio il templare di cui il daimyo aveva raccontato quindici anni prima. La scintilla che aveva dato vita alla sua causa era stata quella leggenda.
Lo sapeva che non stava affrontando mulini a vento. Lo sapeva che quello in Nord America non sarebbe stato un viaggio a vuoto.
Si fidava dei suoi sogni: lì aveva visto il Graal. La sua ricerca non era tempo perso.
-Finalmente il resto dei Grandi Maestri si ricrederanno, non appena lo mostrerò a loro!- esultò, euforico, ma anche speranzoso. Se solo non avesse avuto quello sguardo malefico sul volto...
Federico era il primo ad avere paura del padre, quando sorrideva in quel modo.
-Fratelli miei, sento che siamo sempre più vicini al nostro obiettivo!- disse, salendo sul soppalco che conduceva al suo trono, affinché tutti lo vedessero -Abbiamo distrutto i nostri nemici più antichi, un ostacolo in meno che ci farà raggiungere il Graal! Non ci resta che sperare in sviluppi nella missione di Flagello!-

-Pizza, pizza, pizza! Vieni da papino!-
Elisabetta e le Tartarughe Ninja avevano pianificato una serata pizza con i Jones.
Ma su supplica della templare, avevano deciso di dare una possibilità alla pizzeria italiana che lei aveva scoperto sere prima.
Questo aveva portato all'ennesima scommessa tra lei e Michelangelo. Lui non le avrebbe definitivamente più propinato le sue “specialità” americane, se la pizza italiana era più di suo gusto di quella cui era sempre stato abituato.
Michelangelo non volle attendere nessuno, prima di mangiare la prima fetta, intera.
Spalancò gli occhi.
“Ma questo... è il Paradiso...?!”
La salsa al pomodoro era fatta con pomodori freschi ed organici. E la mozzarella era vera mozzarella, non cheddar bianco.
Sapori quasi divini per un palato abituato al cibo spazzatura americano come quello di Michelangelo. In realtà, era già stato rapito dall'odore e dall'aspetto. Ma era il sapore che avrebbe dato il giudizio definitivo.
Era come entrato in uno stato di trance. Gli occhi azzurri erano fissi nel vuoto.
La sua mente stava viaggiando con i nuovi sapori che aveva assimilato, ma nella realtà era praticamente divenuto una statua.
-Mick? Mick?- fece April, agitando la mano di fronte ai suoi occhi. Lui non batté nemmeno le palpebre.
Nessuno dei fratelli fece qualcosa. E Splinter sospirò, scuotendo la testa.
Elisabetta accennò una risata divertita.
-Ehi, Mick, ti sei scottato? È del tutto normale, con i pomodori veri...-
Le labbra della tartaruga dalla benda arancione convertirono verso l'alto, talmente in alto che potevano quasi toccare gli occhi.
E gli occhi divennero lucidi dalle lacrime di gioia che stava per versare.
-È LA FINE DEL MOOOOOONDOOOOOO!!!- esultò, saltando di gioia -NON VEDO L'ORA DI PROVARE LE ALTRE!!!-
Infatti, non c'erano cartoni a testa: Elisabetta aveva ordinato più pizze, per far assaggiare agli “amici” americani il meglio della pizzeria italiana. E poi lo aveva fatto anche per April, che, con la scusa di essere incinta, mangiava più del dovuto. O almeno così diceva il marito Casey.
Michelangelo aveva iniziato con la classica Margherita; principalmente perché era la prima capitatagli in mano.
Per fortuna, Elisabetta le aveva chieste leggermente più grandi del solito, conoscendo l'appetito degli amici.
-Non dovremo aspettare Casey?- fece notare Leonardo, anche lui curioso di conoscere le vere pizze italiane, ma abbastanza razionale da far prevalere le buone maniere all'appetito, al contrario di Michelangelo e Raffaello.
-E far freddare queste meraviglie?- si sconvolse il fratello più piccolo -Piuttosto me le mangio tutte, così impara ad arrivare in ritardo!-
Ricevette una frustata di coda da parte di Splinter, mentre allungava la mano verso il cartone accanto alla Margherita.
-Ahia!-
-Michelangelo, un po' di educazione!- rimproverò.
-Mamma, mettiamo i cartoni animati?-
La vocina di Arnie avrebbe fatto intenerire anche i sassi. Per lui era stata ordinata una Margherita baby. Era troppo piccolo per mangiare pizze per adulti.
Stava giocando con Klunk.
-Shh!- fece la donna, alzando di poco il volume della televisione, sintonizzata al telegiornale.
-Nel corso di questa serata, un altro edificio è stato attaccato dai terroristi. È stato necessario l'intervento della SWAT e di un negoziatore, per garantire l'incolumità degli ostaggi.-
Le riprese si alternavano tra quelle dagli elicotteri a quelle del giornalista.
-Per fortuna, tutti gli ostaggi sono usciti illesi da quelle ore di inferno. Secondo quanto riportato dal capo della squadra SWAT lì presente, non c'è stato nemmeno bisogno del loro intervento, per fronteggiare i terroristi che avevano occupato l'edificio. E ora, la sua dichiarazione.-
Il telegiornale stava trasmettendo proprio l'esterno dell'edificio occupato, quando era ancora circondato dalla SWAT, in caso di improvviso attacco dei terroristi.
-C'è anche il mio papà!- esultò Arnie, notando gli uomini con la stessa divisa del padre.
Nessuno ascoltò le parole del capo della SWAT: Casey era rientrato proprio in quell'istante.
-Ehi, spero non abbiate iniziato a mangiare senza di me.-
Gli unici ad alzarsi per salutarlo furono proprio la moglie, ma soprattutto il figlio, che era corso dal padre, saltandogli addosso.
-Papà!- esclamò, mentre Casey lo prendeva al volo -Ti ho visto in televisione!-
-Davvero? Allora sono diventato famoso!-
April, invece, gli diede un bacio.
-Oh, caro, pensavo ti fosse capitato qualcosa...-
-Tranquilla, non siamo neppure intervenuti. Ci ha pensato il negoziatore a fare tutto il lavoro.-
-Ah, Shell!- imprecò Raffaello -Sempre quelli noiosi si prendono tutto il divertimento!-
-Così è la vita, Raph. In compenso, sto morendo di fame. Ehi, quanto ben di Dio! Non è che abbiamo una pizza a testa tranne April che ne mangerà come minimo quattro?-
-No, Eli vuole farci assaggiare il meglio della pizzeria italiana.- spiegò Donatello -E, ovviamente, Mick, si è già servito.-
-Fidati, Casey, ne è valsa la pena!-
Se la Margherita italiana era già deliziosa, pregustò il resto.
-Sì, ma ora voi due a lavarvi le mani!- ordinò April ai due uomini della sua vita -Tu perché hai toccato Klunk e tu perché sei tornato dal lavoro!-
-Uffa...!- borbottarono entrambi.
-Bleah! Queste cosa sono?! Acciughe?!- notò, disgustato, Michelangelo, una volta aperto un altro cartone della pizza -Io non le mangio!-
-Allora non mangiarle.- ribatté Donatello.
-Ehi, Klunk, la vuoi un'acciuga?-
Il gattone rosso si avvicinò al suo padrone, miagolando.
-Sì che la vuoi! Ma chi è questo bel micione? Vuoi la pappa?-
Raffaello ed Elisabetta assunsero uno sguardo disgustato, tra l'indifferenza dei presenti. Sentire Michelangelo parlare in quel modo a Klunk non era solo inquietante, ma anche rivoltante.
Per fortuna, un'altra notizia sovrastò le parole al miele.
-E ora notizia dell'ultima ora. È stata segnalata un'esplosione nel Bronx. Non è la prima volta che eventi simili accadono, ma sembra che l'esplosione abbia causato una disintegrazione definitiva dell'edificio. Ancora ignoto il numero delle vittime.-
Elisabetta si fece subito seria, più delle Tartarughe, che si allarmarono appena notarono il cumulo di macerie sul luogo in cui era avvenuta l'esplosione.
Cataclisma...” pensò.
-Si intuisce una perdita di gas, ma è la prima volta che causa una distruzione così definitiva. La polizia sta ancora cercando dati ed informazioni sull'edificio distrutto.-
Non era stata una perdita di gas. E gli unici a saperlo erano i templari, Elisabetta compresa.
La notizia dell'esplosione aveva dichiarato il successo nella missione. Una chiamata nella Dimensione Mistica sarebbe stato troppo sospetto.
Casey ed Arnie erano tornati appena in tempo. Il telegiornale venne subito cambiato in un canale in cui veniva trasmesso un cartone animato.
I cartoni delle pizze vennero tutti aperti. Michelangelo ebbe l'acquolina in bocca, alla vista di quelle che lui chiamava “meraviglie italiane”. Non erano semplici cibi; ai suoi occhi erano opere d'arte.
Elisabetta le elencò una per una: Margherita, Marinara, Cosacca, Capricciosa, Quattro Stagioni, Carrettiera, Quattro Formaggi, Diavola, Romana, Boscaiola, e due calzoni, di cui uno fritto
-E questa?- domandò Casey, indicandone una bianca, quella con salsiccia ed uno strano tipo di verdura.
-La Carrettiera, con salsiccia e friarielli.-
-Fria... rielli?-
-I friarielli sono... come dire...? Delle specie di broccoli. A Napoli ci fanno il panino con salsiccia e friarielli.-
-Io la prendo volentieri.- disse Splinter, finendo la sua fetta di Quattro Formaggi.
Tutti assaggiarono un po' di tutto. E nessuna delle pizze deluse gli americani, anzi.
Michelangelo era al settimo cielo.
Spostò la sedia su cui era seduto, per inginocchiarsi di fronte all'italiana.
-Chiedo perdono per averti quasi costretto a mangiare la nostra pizza e tutti miei piatti.- recitò, alzando ed abbassando la schiena con le braccia alzate -Non lo farò mai più! D'ora in avanti, prenderemo le pizze dove vuoi tu e non farò più storie sulla tua cucina salutosa! Promesso!-
Per essere più convincente nel suo perdono, si permise persino di prendere le mani della ragazza e baciarle più volte.
-Va bene! Va bene! Sei perdonato! Adesso lascia! Lascia!- si dimenò lei, imbarazzata, cercando in tutti i modi di allontanare Michelangelo.
Raffaello, seduto dall'altro lato del tavolo proprio di fronte a lei, per poco non ruppe la bottiglia di birra di radice che teneva in mano.
“Toglile le mani di dosso, cervello di gallina...!”
Non sopportava che Michelangelo fosse troppo vicino ad Elisabetta. Lì, nel rifugio, ovunque.
Forse lo faceva apposta a fare l'appiccicoso: in fondo, aveva “giurato” al fratello che le avrebbe tentate di tutte per fare in modo di far innamorare Elisabetta di lui. O era l'ennesima scusa per infastidirlo.
Arnie non ci mise molto a stancarsi, dopo aver cenato. E anche April era stanca. Mancava sempre meno al parto. Entrambi i coniugi non vedevano l'ora di incontrare il loro secondogenito. Anche i loro “parenti” rettili stavano contando alla rovescia, quasi impazienti.
-Yaaaaawn! Quelle pizze erano la fine del mondo!- esclamò Michelangelo, appena rientrarono nel rifugio.
Lo sbadiglio rimbombò per tutte le pareti. Forse persino Leatherhead lo aveva udito.
-Voi italiani siete davvero un passo avanti a tutti, nella cucina!-
Lo sguardo della templare era converso alla libreria dove Donatello aveva preso il libercolo del templare.
Con suo grande stupore, quella parte della libreria non era vuota: il mezzo libro era ancora lì.
“Non capisco...” pensò, sospetta “Eppure l'ho preso io stessa e David non mi ha contattato per mancata consegna...”
Aveva approfittato della distrazione di Donatello per prendere il libercolo. Prima di uscire per ordinare le pizze, aveva ricevuto delle istruzioni da David. All'uscita del rifugio la attendeva Galvano, già vestito da negoziatore, a cui aveva porto il libercolo. Il resto era andato liscio come l'olio e i saraceni erano stati eliminati da Cataclisma.
“Che abbiano realizzato una copia per non destare sospetti?” pensò. Le era parsa l'unica spiegazione plausibile.
Forse non volevano far compromettere la sua posizione nella missione.
Nonostante tutto, lei era importante per l'Ordine. E anche la sua copertura lo era.
Ma non era l'Ordine a volerla salva ed integra. Era Omnes.
Usando i poteri di Spettro, si assicurava sempre che fosse sana e salva. E, soprattutto, serena.
Ma vegliava anche su Leonardo. Lo vedeva ancora scosso.
Un sentimento condiviso anche da lui.
-Domine... proteggili entrambi...- mormorò, prima di far sparire il suo spirito dal rifugio templare.
Omnes si trovava su un edificio lontano dal rifugio delle Tartarughe e dalla Sede Templare.
-Presto ci rincontreremo...- mormorò.
Teneva qualcosa in mano. Un libro spezzato a metà.
Lo aprì, scrutando tra le parole in provenzale.
Il diario del templare. Quello vero.
Grazie ai poteri che deteneva, non fu difficile, per lui, venire a conoscenza del piano dei templari e, soprattutto, del diario della persona di cui non faceva altro che sognare da tempo.
Anche lui era lì, ma nessuno si era accorto di lui.
Cambiando identità, si era introdotto tra i saraceni, prendendo parte all'assalto dell'edificio occupato, prendendo il libercolo che Ahmed gli aveva porto, durante lo scambio con il “negoziatore”.
Non ci mise molto a crearne due copie, una poi destinata ai templari, e l'altra come protezione per Elisabetta, per evitare che le Tartarughe sospettassero di lei, non appena scoperto che il diario era scomparso.
Inoltre, aveva creato una copia di se stesso, o meglio, del saraceno a cui aveva rubato l'identità, affidandogli la copia del diario, eludendo l'esplosione di Cataclisma.
Udì di nuovo il canto del templare. Era più forte delle altre volte. Quasi quanto la sera in cui si era scontrato con Leonardo.
Ma non era più una tortura. Perché presto avrebbe scoperto la verità.
-Scoprirò cosa ti è accaduto... Etienne. Ultimo custode del Graal.-
Chiuse gli occhi.

-Quand lo vent freg ven e bala

lo riu canta per non dobliar.
Aplanta lo uèlh se tu vòus veire
lo teu reflèxe dedins lo gran miraor.

En l’aire de la seir, tendre e doç,
l’aiga clara marmusa un camin per nosautres.
Se te diriges en lo passat, estas atent a non estofar.

Ela canta per qui sap ausir
aquesta cançon.
La magia deis èrsas
fa a nos mestrejar nostras pauras
per trobar le secret de l’aiga.

Quand lo reflèxe ven e bala
una mamà somia mentre esta adreita.
Drom, meu enfant, non temer
Lo passat repausa en fons al còr.-

Ebbe come l'impressione di non essere solo, a cantarla.
In armonia con la sua, sentì la voce di un uomo adulto.
E, riaprendo gli occhi, gli era parso di vedere proprio lui: Etienne.



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Leonardo e Omnes si rivedranno?
Cosa altro verrà scoperto su questo ultimo Custode del Graal?
I templari saranno davvero dalla parte di David?

 


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Note finali:
-I personaggi di Yuko ed Etienne sono ispirati a Jun Matsumoto e John Hannah
-Il canto di Salterio è stato ispirato dallo sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo "Gli artificieri", a sua volta ipirato dalla canzone "Arriva la bomba" di Johnny Dorelli
-Il siparietto tra Salterio, Cataclisma e Tundra è stato ispirato dalla "Premiata Ditta" nel film "I Supereroi"
-Per la lettera di Yuko mi sono ispirata alla lettera di Valerie di "V per Vendetta", con la speranza che proviate le stesse emozioni

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Capitolo 16
*** Il Rinnegato ***


Note: sono tornata!

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-Forza, mettete tutto nel furgone!-

Quel gruppo di Dragoni Purpurei, capeggiati da Dragonface, stavano sistemando le merci appena rubate sul loro furgone, riconoscibile grazie al loro stemma dipinto sul retro.

C'erano delle persone all'interno del negozio, ancora con le mani alzate e con l'aria terrorizzata. Dei fucili erano puntati contro di loro. Borse e tasche erano state svuotate dai Dragoni Purpurei irrotti nel negozio di Crazy Manny.

-Capo, qui Dragonface.-

Aveva preso il suo cellulare e composto il numero del quartier generale. Aveva ovviamente risposto Hun.

-Entrare nel negozio è stato più facile del previsto e lo abbiamo svaligiato completamente. Altri due colpi così e torneremo quelli di prima!-

Dall'altro capo del telefono, Hun sogghignò.

-Eccellente.- sussurrò; la sua voce somigliava a lievi ruggiti di leone -Ora che la concorrenza sta diminuendo, la città è di nuovo in mano nostra.-

Come promesso dai templari, i Dragoni Purpurei avevano infatti riottenuto il loro predominio sulle bande criminali di New York. Ma dovevano giurare fedeltà ai templari.

Hun sperò solo di non dover trovare degli alleati anche nei Mobsters.

Era venuto a conoscenza che, durante l'assenza dei Dragoni Purpurei, avevano cercato di elevarsi al resto delle bande, convinti di poterle regnare, proprio come avevano fatto i Dragoni Purpurei. Nonostante l'assenza di un “mecenate” come Shredder, la loro avanzata era stata graduale.

Ma forse, un giorno, anche loro avrebbero incrociato le strade con i templari. Dopotutto, le bande criminali erano il loro obiettivo.

Il telefono suonò di nuovo.

-Cosa c'è adesso?!-

Si aspettava la voce di Dragonface, che gli comunicava che il colpo era fallito per colpa dell'intervento delle Tartarughe Ninja o dell'ex-giustiziere mascherato.

-È impazzito?-

Era la voce di un ragazzo.

Alessio, detto Noctis, perché la notte è buia come la morte. Il templare che aveva avuto il compito di sorvegliare i Dragoni Purpurei per tutto il periodo in cui avevano ristrutturato il vecchio palazzo di Shredder, su cui ormai sorgeva la sede templare del Nord America.

-Mio signore.- salutò l'omone, con falso rispetto; sembrava parlare con un vecchio amico, anziché con uno dei suoi nuovi padroni -A cosa devo questa telefonata?-

-Lo sa benissimo.-

Alessio sembrava infuriato.

-Cosa vi è saltato in mente, svaligiando un negozio?! Non era questo con cui si è accordato con i miei superiori!-

Insospettito, infatti, si era messo all'inseguimento dei Dragoni Purpurei, assistendo, con aria disgustata, al loro operato.

Hun arricciò il naso, infastidito.

-Gli accordi riguardavano il nostro aiuto con la vostra ristrutturazione in cambio della nostra posizione nelle bande criminali, mio signore.- ricordò -Non avevate dato istruzioni su cosa farne della città. Ora abbiamo finito con i lavori e quindi adesso gestiamo la città come vogliamo!-

-Lei ed i suoi Dragoni siete vincolati a noi. I nostri accordi sono vitalizi.- fece, invece, notare, Alessio -Shredder vi avrà lasciato carta bianca sulla città, ma noi non siamo così. Noi non pestiamo gli innocenti o dominiamo con l'arroganza. E finché sarete sotto la nostra ala, dovrete obbedire a noi, sono stato chiaro? Lei ha visto di cosa sono capace di fare, vero? O ha visto cosa è in grado di fare fratello Faust?-

Non avrebbe dimenticato il primo incontro con fratello Luigi, detto Faust, perché il male abita dentro di lui. Rabbrividì al ricordo dei demoni usciti dalle sue maniche, e di come avessero sterminato i suoi uomini.

Ma anche di Noctis avrebbe per sempre ricordato come gli fosse bastato semplicemente toccare uno dei suoi per ucciderlo. E lui non voleva essere il prossimo.

-S... sì, mio signore...-

-Allora capirà che non siamo tolleranti contro chi ci tradisce. Ora ordini ai suoi uomini di restituire quello che hanno rubato, se ci tiene alla sua vita e a quella dei suoi uomini.-

La stretta che Hun aveva sul telefono si stava facendo sempre più forte, dalla rabbia. Ancora un po' e lo avrebbe distrutto.

-Come vuole lei, signore...- obbedì, con un filo di voce.

Dragonface fu sgomento dall'ordine impostogli dal suo capo.

-Ma, signore, avranno già chiamato gli sbirri...-

-NON MI INTERESSA! RESTITUITE IL MALTOLTO E BASTA!-

Hun riattaccò quasi grugnendo, senza sentire la risposta di Dragonface.

-Dannati pazzi...- borbottò, incrociando le braccia, pensando ai templari.

Shredder dominava New York attraverso i Dragoni Purpurei, ma questi erano liberi di governare e vandalizzare le strade di New York, bastava solo che non gli voltassero le spalle o lo deludessero. I templari no, invece.

Regalavano soldi e privilegi, in cambio della cieca obbedienza. Forse sotto i templari nessuno poteva sedersi senza il loro permesso.

Hun, però, non aveva la forza, ma soprattutto il coraggio di controbattere loro: aveva assistito alla morte di uno dei suoi ad un tocco di Noctis, ed i demoni di Faust avevano ucciso un quarto dei suoi uomini.

Con i loro poteri, i templari erano persino peggio di Shredder.

Ma aveva bisogno del loro aiuto, per tornare come un tempo, e loro avevano bisogno dei Dragoni Purpurei.

Doveva obbedire, seppur di controvoglia.

 

-Sai, non sei tenuta a tenere i capelli corti. Ora che non sei più una templare, non devi più conciarti da maschio. Perché non te li fai crescere?-

Elisabetta era di nuovo tornata a far visita ad April. Le aveva chiesto di tagliarle i capelli.

Il pavimento del bagno era pieno di capelli castano scuro e chiaro.

-I capelli lunghi sarebbero solo un impiccio. E non mi piace tenerli legati.-

Nonostante avesse messo una pietra sopra a tutto quello che aveva passato prima di divenire templare, Elisabetta non cambiava idea sul mantenere il suo aspetto maschile, anche sul vestiario. L'aspetto femminile era una pelle che non era più disposta ad indossare, nemmeno sotto tortura. Si sentiva più libera negli abiti maschili. Gli abiti femminili erano ancora come catene, per lei. Una pelle un tempo costretta ad indossare per compiacere chi aveva intorno, persone che mai le avrebbero permesso di essere se stessa.

Con l'aspetto maschile si sentiva più realizzata.

-Ora ti pulisco un po' il collo.-

Aveva preso il rasoio che Casey usava per tenere i capelli corti, per rimuovere i capelli sulla nuca.

Elisabetta dovette resistere, per non sobbalzare dal solletico.

-Fatto!-

April aveva fatto un ottimo lavoro: proprio come li voleva lei, parte superiore a caschetto e lato inferiore corti scalati.

Ma con la ricrescita stavano divenendo tutti castani. Il minore dei problemi.

-Io comunque continuo a dire che fai male a non farteli crescere.- ripeté la donna, riponendo le forbici ed il pettine nell'apposito cassetto -Scommetto che saresti più carina con i capelli lunghi. E attireresti l'attenzione di un futuro marito.-

All'ultima affermazione, Elisabetta arrossì.

Aveva rinunciato da tempo a quella ricerca, ancora prima di divenire templare. Di chiunque lei si fosse infatuata, in passato, era sempre attratto da una più carina di lei.

-Ah, quindi tu e lei non siete amiche? Peccato, pensavo avresti messo su una buona parola per farla uscire con me. Sai, sono l'unico, tra i miei amici, a non essermela fatta.-

E questa era solo una delle frasi. Da templare, doveva rinunciare a quei pensieri.

Questo prima di conoscere a fondo Francesco.

Sperava che quello che provava fosse ammirazione o affetto fraterno; ma il suo cuore non faceva altro che accelerare, ogni volta che parlava con lui o, semplicemente, lo guardasse.

Ma erano due templari. Una relazione di quel tipo sarebbe stata impossibile.

Pensava che con la sua morte, non si sarebbe più innamorata di nessuno.

Il suo viaggio in Giappone aveva rivelato un segreto che voleva tenere nascosto anche a se stessa. Un segreto che lei per prima voleva negare. Ma il suo cuore non mentiva: non aveva ancora del tutto rinunciato all'amore, illusione o no.

Ma ancora una volta la ragione prevalse sui sentimenti.

-Con tutto il rispetto, April, non voglio essere carina.- ribatté, togliendosi l'asciugamano che aveva intorno alle spalle e passandosi una mano tra i capelli appena tagliati -Voglio che la gente mi giudichi per quello che faccio, non per quello che sono.-

Un tempo aveva finto di essere quello che la società voleva che fosse. Ma era un periodo in cui non si sentiva a suo agio con se stessa, prigioniera di un mondo al quale sentiva di non appartenere. Un'estranea tra gli umani, nonostante fosse una di loro. Forse non era così diversa dalle Tartarughe Ninja.

-E anche se volessi, sarebbe tempo perso. Non posso stare con nessuno, ricordi?-

Alludeva al fatto di non poter avere figli, a causa del processo di sterilizzazione a cui i nuovi adepti dell'Ordine dovevano sottoporsi. Ed al fatto di essere ancora una templare. Ma questo lo sapevano solo lei, i suoi confratelli ed i suoi superiori.

April sospirò. Discutere era inutile. Elisabetta sapeva essere più cocciuta di Casey e Raffaello messi insieme.

-Io dico che è un grande spreco...- mormorò.

Il televisore in salotto era acceso, sintonizzato sul telegiornale.

-Nel corso di queste ultime settimane, si è registrato un calo sempre più crescente della criminalità.-

April aveva preparato del tè per sé e per la sua ospite, prima di sedersi sul divano.

-Pare, infatti, che le bande che minacciavano le strade neworkesi stiano gradualmente scomparendo. I cittadini, dopo mesi di guerriglie tra le bande, finalmente possono tornare a camminare per le strade e dormire nelle loro case senza il timore di essere aggrediti o rapinati.-

-Credi che ci sia lo zampino dei templari, dietro questo calo della criminalità, Eli?-

April era a conoscenza del modus operandi dei templari, in quanto era stata proprio Elisabetta stessa ad averlo spiegato.

-C'è sicuramente. Dopotutto è così che lavorano.-

Offrire loro un ruolo come mercenari per poi ucciderli o permettere loro di unirsi all'Ordine. Così eliminavano la criminalità.

-Beh, scusami se lo dico, ma sono sollevata che siano qui.-

A fatica, April si era alzata per portare le tazze al lavabo, nonostante Elisabetta si fosse offerta di farlo al posto suo.

Inoltre, quell'affermazione la incuriosì. O forse non del tutto.

Suo marito era stato salvato da un templare, dopotutto. Da lì era nato il pensiero che non tutti i templari fossero come Galvano, il templare che aveva torturato Raffaello.

-Sai, ogni giorno avevo persino paura di scendere in negozio. Non per me, ma per Arnie. Come minimo, venivo rapinata una volta alla settimana.-

-È terribile, April.-

Il suo dispiacere era vero, non recitato. Doveva essere stata dura, per una donna come April, dover vivere ogni giorno nella paura. Una madre che aveva a cuore il bene del suo bambino.

-Tranquilla, sapevo respingere gli assalti.-

Era stata ragguagliata anche degli allenamenti a cui si era sottoposta con Splinter, in modo da difendersi da sola, quando non c'era Casey. Nei tempi di Shredder, era stato indispensabile.

-Ma non ti dico dei ragazzi. Quante notti insonni per sedare le guerriglie tra le bande...-

Leonardo glielo aveva accennato, tempo prima. Nonostante fossero riusciti a sedarle, le raccontava come se, in realtà, avessero fallito ogni volta.

I templari avevano ristabilito l'ordine, come avevano fatto in Italia ed in ogni parte del mondo colpita dalla peste della corruzione e del caos. Ma David aveva solo il Graal come priorità.

E ogni sera non faceva altro che ripeterlo alla sua allieva, notando che non aveva ancora fatto progressi. Quanto tempo le avrebbe ancora concesso?

Osservò l'orologio.

-Meglio che vada, April. È quasi ora di pranzo e lo sai come è fatto Mick, quando ha fame...-

-Beh, specie da quando cucini tu.-

Da quando Elisabetta aveva fatto assaggiare alle Tartarughe Ninja e Splinter i piatti della cucina italiana, era divenuta lei la cuoca.

-Persino lui o lei ha apprezzato quello che hai fatto per me e Casey l'altra sera.-

Stava tenendo le mani sul pancione. Era entrata nell'ottavo mese. Ormai mancava sempre meno alla nascita del secondogenito dei Jones.

-Come hai detto che si chiama? Amat... Amati...?-

-Pasta all'amatriciana.- fece ricordare l'italiana -E mi fa piacere che vi sia piaciuta. Spero solo che Casey non l'abbia mangiata fredda. Ah, mandagli un messaggio da parte mia. Raph, Leatherhead ed io stiamo ancora attendendo la nostra lotta a quattro, nel caso volesse sfogarsi un po'.-

-Non credo sia una buona idea, considerando il tipo che è. Ma riferirò.-

Erano settimane che continuavano a rimandare la lotta stile wrestling. Ma non erano ancora sicuri se fare uno scontro a quattro o a squadre. Ed erano ancora indecisi per le squadre, se umani contro mutanti o misti.

-Oh, mi scusi, signore.- fece un passante, urtando contro la templare, appena uscita dal negozio di antiquariato, momentaneamente chiuso per pranzo.

-Non fa niente.-

New York era caduta nel gelo pre-invernale. E durante la notte precedente era caduta la neve.

Le fognature, di conseguenza, erano diventate molto fredde. Per fortuna, April aveva dato una coperta in più per Elisabetta da mettere sul divano letto su cui ancora si ostinava a dormire, anziché accettare l'ospitalità dei Jones. A causa della sua missione, doveva restare più vicina possibile alle Tartarughe Ninja.

Doveva far finta di essere loro amica. Doveva fingere ogni sentimento che fosse vicino all'amicizia. All'inizio, era così, in effetti. Ma stava iniziando davvero a provare qualcosa per le creature che l'avevano accolta dopo la sua “scomunica”. Forse gratitudine. Dopotutto, non l'avevano giudicata per il suo fatto di essere donna e l'avevano perdonata per i suoi modi troppo bruschi di approcciarsi ai loro avversari.

“Lo sapevo che non dovevo farmi coinvolgere...”

Pensò al giorno in cui li avrebbe abbandonati, una volta ottenuto il Graal dalle loro mani. Sapeva già che avrebbe fatto più male a lei che a loro. Alla fine, si era affezionata a tutti loro. Leonardo era un buon compagno di allenamento con cui poteva migliorare le proprie tecniche, le partite a scacchi erano avvincenti con Donatello, Michelangelo aveva risvegliato la nerd in lei, e Raffaello, nonostante i loro attriti iniziali e il suo scetticismo nei suoi confronti, stava iniziando a trattarla come sua pari.

Le parole dell'Antico erano ancora nella sua testa, sulla persona che la stava attendendo proprio lì a New York. La persona che l'avrebbe davvero aiutata a mantenere il controllo sul suo potere instabile.

Ci pensò, mentre metteva le mani in tasca, nel tentativo di scaldarle un po'.

La mano destra toccò qualcosa. Un foglio di carta. Prima era sicura non ci fosse. E April era rimasta con lei tutto il tempo.

Lo prese, dopo aver guardato attentamente nei dintorni.

Si incupì.

“Alfabeto templare!”

Non c'erano lettere, ma strani simboli. E lei vi lesse questo:

 

So della tua scomunica, fratello Eliseo. Ho un'offerta per te, che spero prenderai in considerazione. Presentati di fronte al negozio di antiquariato “2nd Time Around” alle ore 15:00.

 

Gran Maestro Roberto

P.S.: appena letto questo foglio, distruggilo immediatamente”

 

Non lo aveva mai conosciuto dal vivo. Ma sapeva che c'era solo un Gran Maestro che portava il nome “Roberto”. Anzi, un ex-Gran Maestro.

“Il Rinnegato!” pensò.

Era riuscito a trovarla. E sapeva della sua “scomunica”. Ma non sembrava sapere che fosse falsa.

Attese di tornare nell'angolo che portava al rifugio, prima di comunicarlo a David.

Strofinò, infatti, sull'anello.

“David... David... David...”

In un attimo, Gran Maestro e cavaliere templare si presentarono nella Dimensione Mistica.

-Flagello.- salutò lui, serio -Spero mi porti delle buone notizie.-

-No, Magister. Leggi qui.-

Passò il foglietto al Gran Maestro, che si incupì più di prima, appena letto.

-Il Rinnegato è proprio qui a New York, dunque...- mormorò.

-Mi ha chiesto di incontrarlo. Cosa faccio?-

David si mise a riflettere, senza guardare la ragazza.

-Lui è convinto che tu sia stata scomunicata.- notò -Molto probabilmente ti offrirà di unirti a lui. Dovrai far finta di accettare.-

Quella richiesta stupì la templare.

-Cosa?!- esclamò -Ma, Magister, la mia priorità è il Graal.-

Ed era stato proprio lui a scegliere lei. Doveva essere la sua missione di riscatto per aver fallito nel Torneo Nexus. Perché affidarle un'altra missione?

-No, la tua priorità è seguire i miei ordini. Incontrati con il Rinnegato, fingi di accettare qualunque cosa ti offrirà. Stare vicina a lui ti faciliterà nell'ucciderlo.-

-Magister, è stato riportato che chiunque intraprenda un qualsiasi tipo di legame con il Rinnegato, è condannato ad essere maledetto.-

-Non mi dirai che hai paura, Flagello?-

Il templare chiamato “il Rinnegato” era un esempio per coloro che trasgredivano le regole dell'Ordine. Nessuno voleva seguire le sue tracce, Elisabetta compresa.

Ma era un ordine del Magister e lei doveva eseguire.

-No, signore...-

David sorrise, soddisfatto.

-Brava. Non disubbidirmi. E non fallire.-

Elisabetta sentì il suo cuore battere forte, appena uscita dalla Dimensione Mistica.

Il giorno che temeva era arrivato. Non come pensava sarebbe arrivato, ma persino peggio. Da promettenti alleati ad uno dei peggiori nemici dell'Ordine.

 

-Sì?-

-Magister, il mio compito è stato compiuto.-

-Hai messo il mio messaggio in tasca al ragazzo che ti ho indicato?-

-Affermativo.-

-Molto bene. Ora non ci resta che passare alla seconda fase del piano. Per David non c'è scampo.-

 

Niente.

Non importava quanto Leonardo si concentrasse, non vedeva niente.

Il suo palmo continuava a premere sulle pagine del diario di Etienne, insieme alla lettera di Yuko, con la speranza di poter vedere i dettagli delle loro vite, scoprire il perché delle sue visioni e perché lo spirito del ninja si fosse reincarnato proprio in lui.

Aveva già tentato il giorno precedente, al termine delle letture di entrambi. Lì aveva, in effetti, notato qualcosa. Immagini. Ma tutte confuse, come se qualcuno le avesse riprodotte a velocità massima.

Ma quel giorno vedeva solo il buio.

-È incredibile!- esclamò, scattando in piedi dalla sedia e passandosi le mani sul volto -Non vedo niente! NIENTE!-

Non sapeva che, in realtà, quello che aveva sottomano era una copia. L'originale era nelle mani di Omnes. Per questo non vedeva niente.

Il suo turbamento era opposto all'entusiasmo di Donatello.

-Voilà! Ce l'ho fatta! È completo!-

Era il secondo progetto a cui stava lavorando, in attesa di una soluzione per il trofeo vinto da Leonardo. Quel giorno, Leatherhead era passato a far visita alle Tartarughe. Anche lui mostrò interesse per il vetro incrinato, ma infrangibile.

-Di cosa si tratta, Donatello?- domandò, voltandosi verso la tartaruga dalla benda viola.

-Il mio nuovo bastone. Con un buon upgrade.- mostrò un bottone al centro -Impulsi elettrici.-

Anche Michelangelo, fino ad allora intento alla visione di un film, si avvicinò al fratello, con aria scettica.

-E funzionano?- disse, scrutando la nuova arma del fratello, un bastone di acciaio, con il centro avvolto da un nastro viola. Se non altro, sarebbe stato più resistente del bastone di legno.

Nel loro ultimo combattimento, era stato distrutto da Omnes, con un semplice calcio.

Donatello pensò sarebbe stata la scusa perfetta per creare un nuovo bastone, con un tocco di tecnologia, più alla sua portata.

-Verifichiamo subito.-

Avvicinò un'estremità al fratello e pigiò il bottone. Michelangelo venne percorso da una lieve scossa elettrica che lo paralizzò, prima di farlo svenire.

-Prova impulsi elettrici: completata.- annunciò Donatello, sorridendo.

La reazione di Michelangelo, in effetti, aveva divertito sia il coccodrillo che i fratelli.

Anche a Splinter, in effetti, scappò un lieve sorriso.

-Figliola, dove stai andando?-

Elisabetta era uscita proprio in quel momento dal bagno. Aveva di nuovo indosso il giaccone invernale. Forse April aveva bisogno di altro aiuto, pensarono. Ma aveva Hesperia legata in vita, ed Hellas alle spalle.

-Oh, io...-

Sul suo volto non era possibile cogliere alcuna emozione. Sembrava come ipnotizzata.

Si era nascosta nel bagno per una buona mezz'ora. Se ci fosse stata una porta sarebbe stato ancora meglio.

Tutto quel tempo a pensare e pensare, china sul lavandino, alla nuova missione affidatale dal Magister. Dalla ricerca del Graal ad uccidere un nemico dell'Ordine. Un nemico temibile tanto quanto Omnes.

Doveva portare con sé quello che aveva portato via dalla sede? La tuta mimetica, l'armatura, le armi...

Per non destare sospetti, sarebbe stato meglio se non si fosse portata alcuna arma.

Ma avrebbe trovato qualcosa di adatto dal Rinnegato?

Forse, per sicurezza, pensò che sarebbe stato conveniente portare almeno Hesperia ed Hellas. Niente tuta mimetica, niente giubbotto antiproiettile, solo la sua spada ed il suo scudo.

Sarebbe stata pronta in caso di attacco.

“Oh, Fran, se solo ci fossi tu... cosa mi diresti?”

Benedizione sapeva sempre cosa dirle. Anche in quel momento di sconforto, le avrebbe detto le parole giuste che l'avrebbero rinvigorita e ripreso la determinazione.

Anche solo dirle “Ci sono io al tuo fianco, non temere.” le bastava. Non sarebbe stata sola. Non lo era mai, con il confratello. Con lui poteva raggiungere persino la vetta dell'Everest.

Aveva immaginato averlo accanto a sé, mentre le diceva quelle parole. Non era lo stesso.

Ma adesso era sola. E aveva paura. Nemmeno versare qualche lacrima servì a farla stare meglio.

Francesco non era con lei. Avrebbe dovuto affrontare quel nemico da sola.

Non doveva deludere David. Doveva eseguire ogni suo ordine o sarebbe stata scomunicata veramente. E lei non voleva. I templari erano la sua famiglia. Oltre, non aveva niente. Senza di loro, senza i suoi poteri, non sapeva come fare.

Pensò anche a Federico. Se lei fosse stata davvero scomunicata, lui sarebbe rimasto solo. Solo contro il padre, solo contro tutti. O forse Federico, proprio per evitare questa evenienza, avrebbe chiesto di essere scomunicato insieme a lei. In entrambi i casi, il futuro non gli sarebbe stato roseo. E lei non voleva questo per Federico.

Doveva eseguire gli ordini anche per lui.

-Leatherhead mi ha promesso che mi avrebbe aiutato a migliorare le mie mosse con la spada.- si guardò l'orologio -Scusatemi, devo scappare.-

Con passo svelto, uscì dal rifugio. Di fronte agli sguardi sgomenti dei presenti.

C'era qualcosa di strano, nel suo comportamento: parlava con tono apatico, guardava Splinter come fosse cieca, alienata dalla realtà, e si era allontanata senza salutare. E, soprattutto, sembrava avere fretta.

Ma non era solo quello ad aver insospettito le Tartarughe e Splinter.

-Allenarsi con me?- disse Leatherhead, confuso -Ma io sono già qui e non avevamo mai programmato una sessione di allenamento.-

La zona da cui era emerso era leggermente all'angolo, ma non così tanto da nascondere la sua mole.

-È questo che è strano.- fece notare Leonardo -E da come era vestita, sembrava dovesse tornare fuori. E avete notato come fosse di fretta?-

-Io dico che c'è qualcosa sotto.- ipotizzò Raffaello, lasciando i suoi pesi con cui si era allenato fino ad allora -Vado a cercarla.-

-Calma, fratellone.- lo fermò Michelangelo, mettendogli una mano sulla spalla -Non ricordi cosa è successo l'ultima volta che sei partito al suo inseguimento?-

Era stato rapito dai Ghost Riders e torturato da Giacomo, detto Galvano, perché resti folgorato al suo tocco. Non avrebbe dimenticato quel giorno: Elisabetta era vicina ad ucciderlo, per colpa di una provocazione. Ed era da quel giorno che un pensiero fisso dominava la sua mente.

-Quella volta sono stato colto di sorpresa.- cercò di giustificarsi, allontanando la mano del fratellino -Non accadrà di nuovo!-

-Volevo dire che non ricordi cosa è successo l'ultima volta in cui l'hai inseguita... senza di noi.-

Quella sera non doveva uscire da solo, ma sentiva di doverlo fare. In fondo, era stata colpa sua se Elisabetta aveva avuto quella reazione ed aveva perduto il controllo dei suoi sentimenti. Doveva andare da solo da lei e chiederle scusa.

-E io dico... che se non ci muoviamo, quella ci sfugge!- fece ricordare. C'era ansia, nel suo tono. Ma anche preoccupazione. E un pizzico di sospetto.

-Tranquillo, sto seguendo i suoi movimenti tramite il Tarta-Cellulare che ha con sé.- rassicurò Donatello, avvicinandosi ai due fratelli.

Doveva averlo nella giacca. Con il messaggio e la nuova missione, si era persino scordata di toglierlo.

-Sembra si stia dirigendo al negozio di April. Forse April le avrà chiesto di badare al negozio, e si sarà portata le armi per affrontare eventuali criminali.-

Un'ipotesi assurda, ma ottimista, rispetto a quello che stavano pensando i due fratelli maggiori.

-Sarà, fratelli, ma qualcosa non va.- aggiunse Leonardo, serio -Ogni volta che Eli ci ha mentito non era un buon segno.-

-State attenti, figlioli.- raccomandò Splinter -Spero che non le accada nulla.-

-Sì, e tornate tutti sani e salvi.- disse Leatherhead.

 

Nonostante il cappotto a proteggerla, Elisabetta rabbrividì. Cercò di scaldarsi il meglio che poté, strofinandosi le braccia.

Guardò di nuovo l'orologio: erano le 15 precise. E lei era già di fronte al negozio di antiquariato di April. Conoscendo gli orari del negozio, April magari stava scendendo le scale proprio in quel momento, per accendere l'insegna “Aperto”.

Ma ancora nessun segno dei seguaci del Rinnegato.

Non poteva essere uno scherzo: nessuno conosceva l'alfabeto al di fuori di templari ed ex-templari.

Il Rinnegato, in un modo o nell'altro, sapeva della sua scomunica, ma non sapeva che fosse una farsa. Se le supposizioni del Magister fossero state esatte, le avrebbe chiesto di unirsi a lui.

David le aveva suggerito di accettare l'offerta, fino a trovare un ottimo momento in cui ucciderlo.

Non voleva stare sotto la sua ala a lungo. Doveva ucciderlo il prima possibile, per poi tornare alla sua missione principale.

“Che cosa faccio? Che cosa faccio?” pensò, respirando con il naso e guardandosi intorno come se temesse di essere aggredita alle spalle. Non aveva ricevuto istruzioni: David le aveva solo detto di divenire parte dell'entourage del Rinnegato.

Guardò in alto, verso il cielo.

“Fran, che cosa faccio? Tu sapevi sempre cosa dire per calmarmi...”

Accennò una risata: in effetti, l'ultima missione in cui era in coppia con Benedizione riguardava proprio il Rinnegato. Non era passato molto tempo, prima del processo per tradimento e la condanna per impiccagione.

Quei pensieri la incupirono.

In quell'istante, qualcuno si era avvicinato alla templare.

-Fratello Eliseo?-

Quella voce proveniva dalle sue spalle. Lei non si mosse, mantenendo la calma. La paura l'aveva portata all'apatia.

-In persona.- rispose, con la sua voce maschile.

-Devi venire con me.-

La sua visuale si fece improvvisamente scura. La sua testa era stata coperta con un sacco di iuta. Ma lei non si oppose.

Una mano si strinse intorno al suo braccio tirandola da una parte. Ma lei non si oppose.

Un'altra mano premette contro la sua testa, invitandola ad abbassarsi: stava entrando in una macchina nera. Ma lei non si oppose.

Sentì del movimento intorno, appena seduta. Ma non si oppose.

Dopotutto, aveva una nuova missione da compiere. Non poteva opporsi.

 

A prima vista, non c'erano testimoni di quel rapimento. In realtà, c'erano. Tra questi, un'entità incorporea, quasi un fantasma.

Edoardo, detto Spettro, perché gli spettri hanno occhi ovunque, fece tornare i suoi occhi del suo colore.

-Questo non va bene...- mormorò, quasi impallidendo.

Uscì dalla sua stanza, correndo verso una direzione precisa.

I confratelli ed il Gran Maestro erano riuniti nella sala degli allenamenti. Quel giorno stavano lavorando a coppie sulle poste, compresi Galvano, Lazzaro e Faust. Uno eseguiva le prime sei delle dodici poste e l'altro le ultime sei, come l'una fosse la risposta dell'altra.

Il Magister, David, li osservava tutti con aria soddisfatta.

-Signore! Magister!-

Edoardo si era recato al suo cospetto quasi con il fiatone.

-Cosa succede, Spettro?- domandò David, quasi con indifferenza.

-Degli uomini... degli uomini hanno rapito Flagello!- rivelò il ragazzo.

Quella notizia sconvolse il resto dei confratelli, con l'esclusione dei quattro tetrarchi, ovvero David, Giacomo, l'Andrea anziano e Luigi.

-Interessante...- mormorò il primo -E lei non ha opposto resistenza?-

-No, Magister.-

Quella risposta fece sorridere il Magister.

-Bene, allora sta per compiere la sua nuova missione.-

Federico si fece serio e sospettoso. E non solo lui.

-Hai visto dove la stavano conducendo, Spettro?-

-Sì, mi sembrava stessero rallentando verso una vecchia fabbrica.-

-Padre, cosa sta succedendo?-

Forse era stato troppo istintivo da parte di Federico. Ma non poteva non preoccuparsi per Elisabetta. Non ci riusciva.

E, come se non bastasse, il sorriso sulle labbra del padre non presagiva buone notizie. Forse non per Elisabetta.

Si riunirono tutti nella Sala Grande, intorno al tavolo circolare.

-Confratelli, secondo quanto precedentemente riportato dai fratelli Spettro, Celeritas e ora anche da Flagello, il Rinnegato si trova qui a New York, molto probabilmente anche lui alla ricerca del Graal.- spiegò il Gran Maestro -A quanto pare, deve aver scoperto che Flagello è stata scomunicata, per questo si è messo in contatto con lei. Sicuramente tenterà di portarla dalla sua parte. Per questo, l'ho incaricata di occuparsi del Rinnegato e ucciderlo alla prima occasione.-

-Magister, con tutto il dovuto rispetto...- commentò Jacopo, detto Geena, perché i malvagi bruciano nelle sue fiamme, alzando la mano -La missione principale di Flagello non sarebbe rintracciare il Graal dagli abomini? Perché non lasciare il Rinnegato ad uno di noi, magari richiamare Noctis...-

-Non mi sembra aver chiesto la tua opinione, Geena...- interruppe bruscamente David, osservando il templare con aria da rimprovero; era rimasto infastidito dal suo commento -Io sono Gran Maestro e i miei ordini non si discutono. Se dico che è Flagello ad occuparsene, allora sarà Flagello ad occuparsene. Tu hai già una missione, così come Noctis, e mi aspetto risultati da entrambi.-

Jacopo abbassò la mano, demoralizzato da quella risposta. Federico non poté fare a meno di provare empatia.

-Ma, per rispondere alla tua domanda, Flagello è la persona adatta. Dopotutto, il Rinnegato crede sia stata scomunicata. Sarà più facile, per lei, colpire quando meno se lo aspetta.-

-Ma dopo?- fece comunque notare Federico, alzandosi in piedi -Appena i seguaci del Rinnegato scopriranno che è morto si vendicheranno su di lei. Sarà sola contro tutti loro!-

-Non sarebbe la prima volta che affronta nemici numerosi. Io non mi preoccuperei.-

-E se non riuscisse ad uccidere il Rinnegato? Sapete tutti che...!-

David si alzò dal suo posto e, con passo veloce, raggiunse il figlio. Senza indugi, gli diede uno schiaffo con il dorso della mano, facendolo cadere per terra.

Quel gesto fece sconvolgere il resto dei templari.

-Ora basta, Federico! Mi stai irritando!- tuonò, rivolgendogli un'occhiata minatoria -Tu, piuttosto, vedi di renderti utile, per una volta, invece che contraddirmi! Continuo sempre a domandarmi perché Dio mi abbia dato una nullità, per figlio. Non riesci a completare una missione da solo e hai il coraggio di contestarmi!-

Federico si toccò la parte lesa, osservando il padre con terrore. Non era la prima volta che perdeva le staffe con lui, ma non lo aveva mai colpito così forte.

-E questo vale anche per tutti voi!-

Stava indicando tutti i singoli templari.

-I miei ordini non si discutono, chiaro?! Eseguite e BASTA!-

Ogni giorno che passava, mostrava sempre più segni di follia. Era preoccupante. E questo alimentava i dubbi su di lui. E nessuno che aveva il coraggio di ammetterlo.

Non ci mise molto, prima di riprendere il controllo delle sue emozioni.

-Ora, fratelli Lazzaro, Galvano, Faust e Geena, ho bisogno della vostra presenza per cercare nuovamente di convincere Stockman a lavorare per noi.-

-Prendetevi pure una pausa.- ordinò Galvano, serio -Io torno quanto prima per riprendere gli allenamenti.-

Il tetravirato e Geena sparirono dietro una delle porte, lasciando il resto del gruppo da soli.

Federico era sempre più preoccupato.

-Mio padre è un folle!- esclamò, mettendosi le mani tra i capelli -Eli non può farcela contro il Rinnegato!-

-Hai sentito, però.- fece notare Carmine, rassegnato -Non possiamo fare niente.-

-Avete dimenticato come è andata a finire l'ultima volta? L'ultima missione che Eli e Fran hanno fatto insieme riguardava proprio il Rinnegato. Avete dimenticato che l'hanno scampata per un soffio? E ora è da sola!-

Scattò in piedi, dirigendosi all'armeria.

-Io non so voi, ma io vado ad aiutarla!-

-Ehi, frena!- lo fermò Marco, detto Golem, perché la terra trema al suo passaggio, prendendolo per una spalla -Tu come puoi aiutarla? Non hai un potere offensivo. E se tuo padre lo viene a sapere, ti condannerà all'autofustigazione.-

-Se salverà Eli, sono pronto a subire anche le fiamme dell'Inferno.-

-Ponte disobbedisce ad un ordine del suo stesso padre, nonché Gran Maestro?- notò Mirko, detto Cataclisma, perché quando arriva, non rimane niente, poggiando i piedi sul tavolo, quasi divertito -Questa sì che è bella...-

-Fede, è una pessima idea!- aggiunse Carmine, preoccupato. Ma non per il fatto che il confratello si volesse recare dal Rinnegato, ma preoccupato per le conseguenze che avrebbero succeduto.

Se avesse disobbedito al suo stesso padre, David non lo avrebbe condannato all'autofustigazione. Lo avrebbe torturato lui stesso; molto probabilmente gli avrebbe riservato lo stesso trattamento di Francesco, detto Benedizione, perché ogni peccatore merita almeno una benedizione, prima dell'impiccagione. E anche ad ognuno di loro, perché non lo avevano fermato.

Federico stava per rispondere, quando una strana luce era apparsa al centro del tavolo: era a forma di croce templare azzurra con un cerchio intorno.

Un istante dopo, una figura incappucciata e con indosso una maschera con fattezze umane atterrò in ginocchio, proprio nello stesso punto.

-Se fossi in voi, darei ascolto al vostro amico.-

Tutti i presenti nella Sala, superato il breve momento di sorpresa, sguainarono le loro armi, sebbene non fossero le loro, ma quelle di allenamento, puntandole verso il centro del tavolo: Omnes, perché deteneva tutti i poteri dei templari, era apparso in mezzo a loro. Il fantasma cacciatore dei templari e cacciato dai templari stessi.

Alcuni stavano persino attivando i loro poteri, a giudicare da come erano cambiati i loro occhi: Tundra evocò una tempesta di ghiaccio, Golem gli lanciò contro delle pietre e Punizione fece muovere tutte le armi infisse ai muri, puntandole verso il centro del tavolo.

Ma nessuno di loro toccò l'impostore: uno scudo a bolla con la croce templare lo protesse da tutti gli attacchi.

E uno schiocco di dita causò un'onda d'urto che li scaraventò tutti lontano.

A quel punto, fu Salterio ad intervenire: urlò con tutta la voce che aveva. Omnes evocò due portali, uno di fronte a lui, proteggendolo dall'urlo, ed il secondo accanto al templare, che subì il suo stesso attacco, per poi essere scaraventato insieme ai confratelli.

Anche Mirko si era messo in posizione, forse inconsciamente, visto che il suo potere avrebbe distrutto tutto l'edificio ed ucciso i confratelli.

Ma non accadde nulla.

Persino il resto dei confratelli non sentivano più i loro poteri.

Omnes li aveva interrotti, proprio come faceva Benedizione.

-Rilassatevi, non sono qui per combattere.- disse, con voce calma, e senza muoversi dalla sua posizione.

-Allora ti conviene sputare il rospo e dirci cosa fai qui!- minacciò Mirko, talmente turbato che, se avesse ancora avuto il suo potere, sarebbe esploso in quell'istante.

Omnes sospirò: ai loro occhi, era ancora un traditore dell'Ordine. Ma ormai era lì e non poteva tornare indietro. Non gli rimase che sperare di essere ascoltato senza altri agguati.

-D'accordo, verrò al dunque.-

Si alzò in piedi. Ancora una volta doveva aver preso l'aspetto di Francesco: sul tavolo sembrava alto il doppio.

-Si tratta di Flagello.- rivelò -Stavolta potrebbe non farcela contro il Rinnegato.-

I templari si guardarono l'un l'altro, confusi e Federico impallidì.

-No...- mormorò. Le sue paure erano dunque fondate. Anche se ad averlo rivelato era un nemico dell'Ordine.

-Ma ho visto al suo seguito le quattro Tartarughe ed un umano con la maschera da hockey.- ricordò Spettro. Aveva notato il blindato delle Tartarughe e l'ex-giustiziere mascherato in motocicletta percorrere la stessa strada della macchina in cui Elisabetta era entrata.

“Casey?” pensò Andrea detto Celeritas, perché la vita può cambiare in un secondo.

Sperò che non riguardasse Longino, il coinvolgimento dell'ex-giustiziere mascherato. Come poteva, infatti, sapere dell'esistenza del Rinnegato? Non glielo aveva detto, quella sera in cui si erano conosciuti.

-È proprio per causa loro che troverà la morte.- riprese Omnes -Loro irromperanno e lei ne approfitterà per uccidere il Rinnegato, ma fallirà. O la ucciderà il Rinnegato stesso o uno del suo entourage e anche le Tartarughe troveranno la morte per mano loro. E io da solo non posso farlo. Dovete intervenire anche voi, prima che sia troppo tardi.-

-Cosa ti aspetti che facciamo, allora?- riprese Helmut, detto Tundra, perché il suo respiro congela anche il tempo -Non abbiamo il permesso di intervenire.-

-Inoltre, un nostro intervento alla base del Rinnegato non sarebbe, come dire, sospetto?- fece notare fratello Niccolò, detto Sol, perché la sua luce acceca come il sole.

-E a voi non sembra sospetto che il vostro caro Magister abbia inviato Flagello in una missione in cui non può uccidere nessuno?-

Lo era. Dall'istante in cui lo aveva rivelato.

Non c'era templare che non sapesse cosa accadeva a tutti coloro che si avvicinavano al Rinnegato. Il Magister compreso. Era stato questo a confonderli, infatti.

Non era la prima volta che dubitavano delle decisioni del Magister, ma quella di inviare Flagello, in effetti, sembrava una scelta del tutto irrazionale ed irruenta. Forse la più irrazionale ed irruenta delle sue scelte.

Era dal torneo Nexus che si comportava più stranamente del solito: era come preda di un'ossessione, quella del Graal. Per questo non era più disposto a chiudere un occhio sui fallimenti del suo gruppo, per questo stava vertendo verso un comportamento violento. E tutti lo avevano notato, ma nessuno aveva il coraggio di ammetterlo, per non subire la stessa sorte di Benedizione. Ormai, sembrava che una parola indesiderata fosse il primo passo per la scomunica, o, peggio, per la condanna a morte.

Omnes aveva appena dato voce ai loro timori e dubbi. Nessuno aveva reagito alle sue insinuazioni, perché era anche il loro pensiero.

-Omnes ha ragione.- disse Federico -Eli è nostra consorella, non dobbiamo abbandonarla. Io ci sto.-

-Ehm... pronto?- aggiunse Carmine, agitando un poco le mani -Qualcuno ha problemi di memoria? Per tutto il mondo amico e nemico dei templari lei è SCOMUNICATA!-

Scandì bene le singole lettere che componevano “scomunicata”.

-Io non la abbandono di certo! Se volete rimanere qui in attesa della notizia della sua morte fate pure!-

Anche Salterio decise di alzarsi, alzando le mani in gesto di resa.

-Ok, mettiamo che ti crediamo e accettiamo...- ipotizzò, senza guardare Omnes negli occhi -Punto primo: dove sarà il rifugio del Rinnegato? Punto secondo: anche sapendo dove si trova, non arriveremo mai in tempo. O Flagello si metterà, anche se per finta, dalla sua parte, o viene scoperta ed uccisa.-

-Io ho visto dove la portavano.- rivelò Spettro -Una vecchia fabbrica, superata la...-

-Ok, il punto primo è risolto.- tagliò corto Salterio, tornando a sedere -Ma rimane ancora il punto secondo.-

Aveva messo il mento sopra le mani intrecciate, attendendo una risposta.

Ma ottenne un rapido schiocco delle dita. Proprio alle sue spalle, coprendo la visuale verso i quattro troni, era apparso un portale: oltre, si poteva scorgere un'entrata. Doveva essere l'entrata della fabbrica.

Salterio restò inorridito. E anche i confratelli.

-Ok, penso che così possa funzionare...- mormorò.

Mirko, detto Cataclisma, però, alzò un dito, per attirare l'attenzione a sé.

-Ma il Magister, Lazzaro, Galvano e Faust potrebbero accorgersi della nostra assenza.- fece notare, tornato seduto come era prima -Come minimo, ci faranno autofustigare tutta la notte.-

Un altro schiocco delle dita. Dal nulla erano apparse delle sagome.

-DEUS MI!- esclamò il templare, quasi cadendo dalla sedia dalla sorpresa.

Un suo clone lo stava fissando. Era in piedi accanto a lui. Così come accanto al resto dei templari.

-Delle copie perfette di voi, nella voce, nell'atteggiamento, come nei poteri.- spiegò Omnes.

-Perfette non direi.- fece notare Salterio, squadrando il suo clone -Io non ho quel naso a patata.-

-Ma se è quello che hai.- derise Mirko.

Stava per ricevere un urlo, quando vennero interrotti da Omnes.

-Nessuno si accorgerà della vostra assenza. E spariranno quando tornerete.-

Nessuno dei tetrarchi avrebbe notato la differenza. Sarebbe stato come se loro fossero rimasti lì, mentre quelli veri sarebbero stati altrove.

Nessuno avrebbe saputo. Sarebbe stato un segreto tra loro.

-Ma dobbiamo prepararci!- aggiunse nuovamente Salterio -E le nostre armi sono...!-

Un ultimo schiocco di dita mutò le tenute dei templari. Era bastato un istante e le loro tenute da allenamento erano state sostituite dalle loro divise da assalto, tuta mimetica nera e giubbotto antiproiettile bianco con la croce rossa al centro. E, nelle rispettive fodere legate alle loro vite, le loro armi.

-... qui nelle nostre mani.- concluse il templare, stupito, nonostante il tono completamente calmo e misurato, come se la “magia” di Omnes fosse stata una quotidianità.

-Allora, affare fatto?-

I templari si scambiarono degli ultimi sguardi, alla ricerca di segni di approvazione, negazione o astensione l'uno nell'altro.

 

Sentiva movimento intorno a sé, ma i suoi occhi continuavano a vedere il buio. Non era stata nemmeno legata.

Era la sua nuova missione e doveva fingere ancora.

Elisabetta non sapeva per quanto avrebbe retto con le recite. Quanto tempo sarebbe passato, prima di vedere la menzogna come verità e la verità come menzogna? Temette di vedere ormai la sua quotidianità con le Tartarughe Ninja come la realtà e la sua vita da templare come una copertura.

Ma ora aveva altro a cui pensare.

Un tremore alle mani tradiva la sua calma apparente. Aveva paura.

“Che cosa faccio? Che cosa faccio?”

Presto si sarebbe trovata di fronte al Rinnegato. Prima di allora lo conosceva solo di nome.

E le ultime missioni che aveva affrontato con Benedizione avevano proprio lui come obiettivo.

“Semplice. Attendo l'occasione e poi lo ammazzo. Semplice.”

Respirava pesante.

A volte aveva persino l'impressione che il suo potere si stesse attivando. La paura si stava volgendo in rabbia.

“Calma. Calma, Eli. Non ti agitare.” pensò “Se il Magister ti ha affidato questa missione temporanea, vuol dire che ha fiducia in te e che ti crede l'unica in grado di uccidere il Rinnegato. Prima lo ammazzi e prima torni alla tua vera missione. Semplice.”

Semplice.

Era una sua tipica missione. Dopotutto, era una degli assassini dell'Ordine.

Ma stavolta la sua “vittima” sarebbe stato uno dei nemici più temuti dell'Ordine, il Rinnegato.

Da quanto aveva sentito, un tempo era il Gran Maestro dell'America Latina. Tuttavia, aveva dato la priorità ai piaceri mondani che al suo dovere principale. La sua negligenza fu punita con la scomunica e la revoca del suo titolo. Per questo era stato chiamato “il Rinnegato”.

Tuttavia, non era rimasto con le mani in mano. Con l'eccezione del potere da templare, il Rinnegato aveva un'incredibile abilità di persuasione. Molte persone, infatti, si erano uniti all'ordine, quando era Gran Maestro.

E quella sua abilità era il motivo per cui aveva molti seguaci al suo seguito, ovunque andasse. E questo aveva rallentato i tentativi di cattura.

Il giorno della sua scomunica, infatti, il Rinnegato era stato condannato al carcere, a vita. Ma lui era riuscito a scappare e, soprattutto, tenersi l'anello da templare prima che venisse gettato nella fonderia per crearne uno nuovo.

Improvvisamente, tutto si fermò. Fu seguito dal rumore di uno sportello che si apriva. E una mano che le afferrava il braccio.

Lei si lasciò trascinare senza ribellarsi.

Pregò che nessuno udisse i battiti del suo cuore. L'avrebbero davvero condotta dal Rinnegato o l'avevano rapita per ucciderla?

In quel momento, non le parve possibile sperare in un salvataggio da parte delle Tartarughe Ninja. La storia che aveva creato per giustificare la sua uscita dalle fogne con la tuta mimetica e le armi non aveva convinto nemmeno lei stessa. Quindi sperò che l'avessero seguita e che la salvassero.

Diabole, mi sto davvero affezionando a loro...” pensò, seguendo la mano che la stava tirando.

Da come non sentiva più il freddo sulla pelle, dedusse fossero entrati in un luogo chiuso. Ma vuoto. E su una grata di ferro. Il pavimento non sembrava solido e faceva uno strano rumore.

Forse stava camminando su un'impalcatura, pensò.

Era sempre più vicina al Rinnegato.

Cosa avrebbe fatto, una volta al suo cospetto? Lui avrebbe di certo cercato di renderla parte del suo entourage. Ma questo avrebbe significato stringere un accordo con lui e questo avrebbe portato alla “maledizione” per cui il Rinnegato era ormai noto. E quanto sarebbe passato, prima che scoprisse il suo segreto? Cosa le avrebbe fatto, se avesse scoperto che era una donna?

Sperò di ucciderlo il prima possibile.

“Il Magister crede in te. Il Magister crede in te.” continuava a pensare, per darsi forza.

Muovendo solo le labbra stava persino recitando il Pater Noster, per il medesimo motivo.

E nella sua mente si palesò il pensiero delle Tartarughe Ninja spuntare dal nulla ed aiutarla contro il Rinnegato, prima che l'accordo fosse stretto.

In effetti, era una sua speranza. Si ostinava a pensare solo per diversivo, anziché per aiuto vero e proprio. Ma il suo cuore non concordava con il suo cervello.

“Aiuto...”

Finalmente, il sacco le venne rimosso dalla testa.

Ci volle un po' affinché i suoi occhi si abituassero alla luce, anche se fioca, dell'ambiente.

La stanza era molto grande, tutta in ferro. Ricordava l'hangar in cui i templari risiedevano prima di trasferirsi nella vecchia sede del Clan del Piede. Ma non c'era un tavolo circolare, al centro. Solo il vuoto, riempito con una dozzina di persone vestite come senzatetto.

In compenso, due drappeggi malandati e tarlati adornavano la parete opposta a quella in cui si trovava la templare. La croce ivi dipinta era rossa sbiadita con uno squarcio in mezzo.

Sotto quei drappeggi, circondato da donne in abiti provocanti (prostitute, a prima vista), vi stava un uomo. Era seduto su una sedia che ricordava i troni dei Grandi Maestri.

-Salute, fratello Eliseo, detto Flagello.-

Finalmente era a faccia a faccia con il Rinnegato: un uomo che assomigliava vagamente a David, ma senza capelli, questo giustificava la bandana sulla testa. L'unica cosa in comune con David era la barba incolta grigia. Lo sguardo esprimeva pensieri del tutto opposti a quelli esatti da un Gran Maestro. Ma era proprio per quei pensieri che era stato scomunicato.

Elisabetta fece un cenno con la testa.

-Salute a voi, Gran Maestro Roberto.-

Non doveva tradirsi. Il suo tono tremava, ma non doveva chiamarlo “Rinnegato”.

Tutti i templari, in realtà, conoscevano il vero nome del Rinnegato, per non dimenticare la persona che aveva recato onta e vergogna all'interno dell'ordine, un monito per non ripetere il suo stesso errore.

Si alzò in piedi, sfuggendo alle carezze di due donne.

-Sono davvero spiacente per il modo in cui sei stato portato qui.- disse, avvicinandosi alla templare -Ma era necessario. La mia postazione deve rimanere segreta a chi non è parte del mio entourage, capisci, vero?-

Elisabetta non aveva mai visto una persona più viscida di lui. E il suo sorriso non migliorò il suo aspetto: il suo volto era sempre paragonabile a quello di un rospo. Il suo volto era lucido come tale, infatti. E un odore stantio stava raggiungendo gradualmente le sue narici. Dovette combattere la sensazione di vomitare.

-Perché sono stato portato qui?-

Due occhi acquosi con la sclera quasi giallastra stavano fissando dritti verso di lei, studiandola.

Fu uno sforzo immane, per la ragazza, sostenere quello sguardo. Sperò solo che non avesse il potere di vedere attraverso gli abiti.

Se avesse scoperto che era una donna... Le era bastato vedere le donne intorno a lui per immaginare cosa le avrebbe fatto.

Rispose a quella domanda con una lieve risata.

-Andiamo, non è ovvio, fratello Eliseo?-

-Volete uccidermi per aver ostacolato i vostri piani, Gran Maestro?-

Lo disse con calma, nonostante il cuore che le batteva a mille.

L'ex-Gran Maestro iniziò a girare intorno a lei, senza staccarle gli occhi di dosso.

-Ucciderti? No, io non cado così in basso, fratello Eliseo.- rivelò -Anche se, lo ammetto, avrei un motivo, visto che tu e quel tuo confratello, quello alto, come si chiamava...? Benedizione?-

Elisabetta rabbrividì a quel nome.

-Sì, voi due mi avete messo i bastoni tra le ruote più volte. Ma non serbo rancore nei vostri confronti, ma in David, che non ha il coraggio di affrontarmi e preferisce mandare gli altri a fare il lavoro sporco al posto suo.-

Sperando che non la vedesse, Elisabetta strinse il pugno. Era ancora una templare, con una devozione verso il suo Magister. Nella sua mente, la testa del Rinnegato già volava via dal suo corpo.

-Ma ho notato entrambi, e siete davvero molto dotati. Beh, perlomeno tu, fratello Eliseo.-

A quanto pare, sapeva della morte di Francesco.

-Ed è terribile che un cavaliere con il tuo talento abbia fatto questa fine ignobile.-

Fece una pausa, facendo un giro su se stesso, di nuovo indicando il suo rifugio con la mano.

-Ti hanno allontanato dall'Ordine. Non hai più niente. Non hai una casa. Sei stato visto entrare nelle fogne. Diabole, quale essere umano vivrebbe nelle fogne?-

Quando l'aveva vista? Aveva forse messo delle spie di fronte alle fogne? Era così che aveva scoperto che era stata “scomunicata”?

-E ogni tanto entri in quel negozietto di antiquariato dove sei stato prelevato. Andiamo. Tu meriti di più, fratello Eliseo.-

Doveva esserci un motivo reale per il suo interesse a lei.

Si mise di nuovo di fronte a lei, allargando le braccia, come gesto di invito.

-Facciamo rimpiangere a David di averti scomunicato. Unisciti a me, e ci vendicheremo su di lui e

sui tuoi confratelli.-

Parole viscide, perfettamente conformi alla persona che le aveva pronunciate.

Le allungò una mano lorda.

Era per quello che il Rinnegato voleva portare il temuto Flagello dalla sua parte: per usare i suoi poteri contro David. Un templare, un vero templare, non poteva che essere un'aggiunta di qualità al gruppo che aveva creato.

Voleva sfruttare quello che credeva il rancore della templare per scagliarsi contro David.

Ma non era così. Lei stava fingendo. Era già coinvolta in una missione.

In quel momento, rimpianse le fogne: erano messe decisamente meglio di quello che il Rinnegato chiamava “rifugio”.

L'ex-Gran Maestro era noto anche per il suo complesso di superiorità ed un pizzico di schizofrenia. Per questo, ai suoi occhi, l'edificio arrugginito ed in rovina sembrava una reggia.

Non c'era assolutamente nulla di templare in quello che osservava intorno. Un Gran Maestro, innanzitutto, non aveva concubine. Nessuno dei presenti portava una tenuta con la croce, nessuno aveva poteri, i drappeggi sembravano essere disegnati da un bambino. E quello che un tempo era Gran Maestro dell'America Latina altro non era che un impostore che ancora possedeva un anello che non meritava.

Magari, uccidendolo, Elisabetta ne avrebbe preso possesso e consegnato a David come trofeo. Non sarebbe stato il Graal, ma almeno l'Ordine avrebbe avuto un nemico in meno.

Ma ora stava fissando quella mano tesa a lei.

Sudò freddo, sperando che nessuno lo notasse.

Una sola stretta, un solo contatto, e lei sarebbe stata maledetta.

L'ansia le stava impedendo di trovare un modo di prendere tempo e trovare il momento adatto per ucciderlo. Ma era circondata. Una volta ucciso il Rinnegato, però, non sarebbe stato difficile disfarsi degli altri.

“Aiuto...” pensò, alzando, quasi involontariamente, la mano per stringere quella dell'ex-Gran Maestro.

Non sapeva cosa altro fare.

Divenne pallida, di fronte allo sguardo dei presenti.

Ma la porta dalla quale era entrata si aprì di scatto.

-Mio signore, maestro! Delle creature strane sono entrate nell'edificio!-

Roberto ritrasse la mano, con aria allarmata, e si avvicinò al suo seguace, un uomo simile ad un sottotetto, dagli unti capelli marroni che spuntavano sotto un cappello giallo di lana e corpo esile coperto da abiti larghi il triplo di lui. Quando apriva la bocca si potevano notare i denti storti.

-Creature strane?!-

-Esseri che sembrano tartarughe giganti! E un tipo strano con la maschera da hockey ha sfondato il portone con una motocicletta!-

Le preghiere di Elisabetta sembravano essersi esaudite: le Tartarughe Ninja erano venute sin lì per salvarla. E Casey era con loro. Le sembrava quasi impossibile.

Ma era quello che attendeva: un diversivo.

-Cosa fate qui impalati, allora?! Uccideteli!-

-Avete sentito il maestro? Muoviamoci!-

Tutti i presenti nella stanza sguainarono i loro coltelli ed uscirono. Persino le “concubine”, appena udito delle “creature strane” erano corse da una parte, strillando impaurite.

Erano, dunque, rimasti solo Roberto ed Elisabetta. E lui le stava dando le spalle.

La mano era sempre più vicina all'elsa.

Non avrebbe stretto contatti con il Rinnegato. Il diversivo era quello che le serviva per completare la missione.

-Bene, fratello Eliseo, cosa dici della mia offerta?-

Si voltò lentamente, con un sorriso melenso.

Guardò in tempo la templare sferrare un affondo diretto al suo ventre.

-YAAAAAAAHHHH!- urlò lei, nella corsa.

Ma lui era sparito proprio sotto il suo naso, scomparendo nel pavimento. La spada non lo aveva nemmeno scalfito.

“No! Maledizione!” pensò, impallidendo.

Aveva persino impugnato lo scudo e si guardò intorno, allarmata.

Un portale a forma di croce templare era apparso non molto lontano da lei. Il corpo enorme del Rinnegato uscì con un salto, per poi entrare in un altro. Ne apparvero altri, in vari angoli della sala.

Per questo era impossibile catturare il Rinnegato. Da templare, il suo nome era Ubiquitas, perché ovunque nel mondo c'era bisogno di aiuto. Il suo potere erano i portali.

Nemmeno Benedizione lo aveva mai visto, nelle loro missioni. Gli sarebbe bastato puntare il suo anello contro, per impedirgli la fuga. Ma il Rinnegato riusciva sempre a scappare prima che arrivassero i due templari.

-Credevi davvero di cogliermi di sorpresa, ragazzo?!- lo sentì esclamare, mentre usciva da un portale per entrare in un altro -Io non sono nato ieri! Lo avevo già capito che volevi uccidermi alla prima occasione!-

Lo aveva capito, lo aveva intuito. Forse dal primo istante in cui l'aveva vista.

Valeva il rischio di ucciderlo di fronte ai suoi seguaci. Non doveva attendere.

Diabole, diabole, diabole!” pensò Elisabetta, continuando a guardarsi intorno, tentando di trovare il momento giusto per aggredire Roberto tra un portale e l'altro. Ma era impossibile: era veloce.

Era come se stesse precipitando a testa in giù; questo spiegava la velocità con cui spariva.

Poi, il movimento finì. Ma del Rinnegato nessuna traccia.

Elisabetta non abbassò la guardia, né smise di guardarsi intorno.

“Dov'è finito...?”

Era forse nuovamente scappato?

Sentì una fitta improvvisa al petto. Vicino al cuore.

Guardò in basso: era comparso un buco nel punto in cui sentiva dolore. Intravide del rosso nel giaccone, che quasi sovrastava il suo colore scuro.

Quel colpo l'aveva colta di sorpresa. Lasciò cadere Hesperia. Con la mano libera si tenne la ferita con la mano libera, cercando di reprimere un lamento di dolore.

Non era stata una pistola. Nemmeno un dardo. Non c'erano segni sul muro.

Ma prima del dolore, Elisabetta aveva intravisto un bagliore, poi svanito nel nulla.

“Ma come...?”

Si voltò, pallida in volto. C'era un essere demoniaco, dalla pelle viola e squamosa , volto privo di ogni particolare umano, simile ad uno scheletro, arti artigliati, corna scure ed ali da pipistrello. Una lunga coda ondeggiava alle sue spalle. E non indossava più gli abiti.

Un artiglio era puntato in avanti proprio verso la templare. Era da lì che doveva essere partito il bagliore.

Il dolore stava rendendo impossibile per Elisabetta restare in piedi. Involontariamente, si era ritrovata per terra. Il suo respiro divenne affannoso e la sua vista opaca.

“Che mi sta succedendo...?!” pensò, in preda ad una paura che non aveva mai provato. Quella di morire.

Con la mano libera si teneva la ferita, da cui usciva ancora il sangue.

Dei passi si fecero più vicini. Un volto scrutò la persona sdraiata per terra.

-Dovevo aspettarmelo, da un vigliacco come David. Far fare agli altri il lavoro sporco.- sibilò.

Persino la sua voce era priva di ogni tono umano.

-Avrei dovuto capirlo dalle tue armi e dal tuo anello. Agli scomunicati non rimane niente. Come a me. Beh, con l'eccezione dell'anello, naturalmente.-

Lo osservò, nella sua mano destra, l'anello dalla croce tagliata a metà.

-Se ti chiedi perché lo abbia ancora, beh, devi chiedere al tuo Magister. Dopotutto, è stato lui a fare questa tacca. Giammai avrei rinunciato ai miei poteri, e lui aveva deciso di recidermi una mano, fallendo, naturalmente. Ma nella fuga è riuscito solo a scalfirmi l'anello. Ma non è stato questo a rendermi maledetto.-

Mise un piede artigliato sulla ferita della templare. Lei iniziò a gemere più forte.

-Lo ammetto, quando sono stato nominato Gran Maestro dell'America Latina, ho ceduto alle tentazioni offerte da quei luoghi. Sì, sono riuscito a rimpinguare le fila templari, ma ho passato la maggior parte del tempo a riempirmi la pancia, soddisfare la mia verga e, soprattutto, accettare soldi dalle persone che dovevo eliminare. Il resto dei Grandi Maestri lo ha scoperto, compreso il tuo Magister, e mi hanno scomunicato e condannato. Il tuo confratello Luigi, detto Faust, è stato l'artefice della mia condanna. Ha ordinato ai suoi demoni dell'Avarizia, della Gola e della Lussuria a maledirmi. In certi momenti, assumo questo aspetto, ma non era abbastanza per soddisfare la sete di giustizia dei miei vecchi amici: chiunque stringa un accordo con me viene maledetto a soffrire una sorte peggiore della morte, come avete scoperto tu e fratello Benedizione, nelle vostre incursioni nei miei nascondigli.-

Avvicinò il suo volto a quello della templare.

-Avresti dovuto accettare la mia offerta. Saresti divenuto più forte sotto la mia ala.-

Come risposta, ricevette uno sputo, che quasi lo prese in un occhio.

-Come ti pare.- disse, irritato e disgustato.

Levò il piede dalla ferita e si alzò in piedi.

“Mi ucciderà! Mi ucciderà!” pensò Elisabetta, sempre più pallida e respirando sempre più affannosamente.

Aveva fallito. Due missioni: la ricerca del Graal ed uccidere il Rinnegato. E ne stava pagando le conseguenze.

Il dito indice artigliato fu di nuovo puntato verso di lei.

-Addio, fratello Eliseo.-

La conseguenza peggiore: Federico sarebbe rimasto solo.

“Mi dispiace, Fede. Mi dispiace!”

Chiuse gli occhi, a stento trattenendo le lacrime.

Si udì un altro rumore, in lontananza. Qualcosa simile ad un'esplosione.

-Mh, sembra che altri si siano uniti alla festa...- realizzò il demone, alzando la testa -Magari i tuoi confratelli.-

Era impossibile, pensò Elisabetta. O no? Che David avesse deciso di mandare rinforzi per aiutarla? Che lei, alla fine, fosse stata solo un diversivo?

Qualunque fosse il motivo, il pensiero di non essere stata abbandonata dai confratelli la confortò, rendendo il dolore più lieve. Era ancora una templare, dopotutto.

Non vide più il dito artigliato puntato verso di lei.

-Bah, avrei preferito darti una morte più onorevole, uccidendoti all'istante.-

Lentamente, la forma demoniaca svanì. Roberto tornò nella sua forma umana.

-Ma temo dovrai accontentarti di una morte lenta per dissanguamento. Non è finita qui, tra me e i templari. Addio.-

E il demone sparì, come era sparito non molto tempo prima. Con la differenza, però, che non ricomparve all'istante da un altro portale.

Elisabetta venne lasciata sola. Del sangue stava macchiando il pavimento sottostante.

Lei cercò di farsi forza, almeno per mettersi a sedere.

Erano lì per lei. I templari e le Tartarughe. Due metà della sua famiglia. Una vera e una fittizia.

E, forse, tra loro, c'era la persona a cui teneva di più, dalla morte di Francesco.

“Non posso... non posso... cedere...!”

Il dolore era insopportabile. E lei si sentiva sempre più debole.
 

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Le Tartarughe ed i templari saranno arrivati in tempo per salvare Elisabetta?
Le strade tra i templari ed il Rinnegato si incroceranno di nuovo?
David sta davvero impazzendo?
Quale sarà il ruolo di Omnes?
Cosa faranno le Tartarughe ed i templari, una volta l'uno di fronte all'altro?

 

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Capitolo 17
*** L'amico del mio amico è mio amico? ***


Note dell'autrice: Yooooo! Scusate l'attesa, ma tra una cosa e l'altra l'ispirazione e la scrittura decente vanno e vengono. Finalmente ci sono sviluppi sulla nuova missione della templare? O mio Dio! Riuscirà a salvarsi o morirà di una morte terribile! Leggete e lo scoprirete!
BYE!!!!


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April, come ogni pomeriggio alle 15:00, era entrata nel negozio, per ruotare il cartello di fronte alla porta da “Chiuso” ad “Aperto”. Era lì che aveva scovato Elisabetta all'esterno, con il mantello addosso e la spada visibile dal fianco.

Voleva uscire, invitarla ad entrare, magari offrirle di nuovo un tè, per scaldarla dal gelo invernale di New York. Ma la vera domanda sarebbe stata: “Cosa ci fai in giro armata di tutto punto?”

Ma aveva appena messo piede dentro il negozio, che notò un uomo che le aveva messo un sacco sulla testa.

-Ma cos...?!- si sconvolse la donna -Ehi! Fermo! NO!-

Purtroppo, la sua condizione le impediva di correre. Non aveva nemmeno raggiunto la porta che la templare era stata sistemata in macchina, senza avere la possibilità di reagire.

-ELI!- urlò, inutilmente. Era ancora dentro il negozio, osservando con terrore la macchina nera che si allontanava dal negozio.

Se avesse potuto, si sarebbe lanciata all'inseguimento.

E non solo lei.

Nello stesso tempo, sopra il tetto del suo appartamento, le Tartarughe Ninja stavano fissando in basso con i loro binocoli.

-È da troppo tempo che sta lì ferma.- borbottò Raffaello -Cosa vuole fare? Prendersi una polmonite?-

-Lei no. Ma io presto sì.- disse Michelangelo, rabbrividendo -ETCIÙ!-

Dalla fretta, non si erano nemmeno messi qualcosa di pesante. Erano solo nelle loro semplici tenute ninja.

-Zitto, idiota!- rimproverò il fratello dalla benda rossa, tappandogli la bocca -Vuoi che scopra che la stiamo spiando?!-

Forse, nel profondo, sperava che Elisabetta avesse sentito lo starnuto del fratello. Così, almeno, avrebbe rivelato la verità dietro la sua fuga improvvisa.

Cosa altro stava nascondendo Elisabetta alle Tartarughe? Prima l'anello, poi i suoi poteri, poi la verità dietro i massacri nel Nexus, il suo contatto con Federico... perché si ostinava a tenere tutti questi segreti?

E il fatto che stesse lì, al freddo, di fronte al negozio di April senza entrare era alquanto sospetto.

-Ragazzi! Quale buon vento vi porta qui?-

Casey aveva scelto il momento sbagliato per rimuovere un po' di neve dal terrazzo. Vedere i suoi amici gli aveva fatto togliere il senso di torpore. Quella notte aveva avuto un turno; di conseguenza, aveva dormito tutta la mattina.

Rapidi, Michelangelo, Leonardo e Raffaello scattarono verso di lui. Raffaello gli coprì la bocca, mentre Leonardo gli stava intimando di restare in silenzio.

-Siamo in missione extra-segreta!- sussurrò Michelangelo, muovendo le mani come se stesse descrivendo la trama di un film horror.

-Mmmmf!- bofonchiò Casey, da dietro la mano di Raffaello, confuso.

-E... possibilmente...- aggiunse Leonardo, prima che Michelangelo aprisse bocca per profetizzare chissà quali altre profezie da film dell'orrore -Ci terremo che tu non faccia rumore o urli al vento la nostra presenza, ok?-

L'uomo annuì.

-Ehm... ragazzi...- mormorò Donatello, che per tutto quel tempo era rimasto con gli occhi nel binocolo -Abbiamo un problema.-

I tre fratelli e l'amico si allarmarono.

-Che succede?- domandò Leonardo, tornando accanto a lui.

-Eli... qualcuno l'ha messa dentro in quella macchina.-

Percependo il pericolo, Michelangelo urlò, terrorizzato.

-AHHHH! LA MIA SIRENA! OH, ME MISERO! COSA MAI LE FARANNO? OH, COME VIVRÒ ADESSO, SAPENDOLA TRA LE BRACCIA DELLA MORTE?!-

-Calmati, Shakespeare!- esclamò Donatello -Ho preso il numero di targa della macchina. E poi, come ho già detto, posso rintracciarla ovunque finché avrà il Tarta-Cellulare con sé.-

Questo confortò non solo Michelangelo, ma anche Raffaello. Anche lui stava per impazzire dalla preoccupazione, ma fece il possibile per controllarsi. Per fortuna, il fratello minore stava facendo il tragico per due.

Dovette persino trattenersi dal non prendere il suo cranio e sbatterlo più volte sul pavimento di cemento.

Sentì una mano battere sul suo braccio.

-Raf! Non riefco a refpirare!- udì da Casey, da dietro la sua mano.

Ormai non c'era più motivo di restare in silenzio, quindi lo lasciò andare.

Casey riprese fiato, come fosse stato in apnea tutto quel tempo.

-C'era bisogno di tapparmi la bocca così?!- tuonò, quasi furioso.

-Sei tu che stavi urlando come al solito...-

La porta del tetto si aprì di nuovo: April, muovendosi con difficoltà a causa della pancia, avanzò.

-Casey! Ti ho cercato ovunque!- esclamò.

Era pallida e spaventata. E anche stremata, come se avesse appena corso una maratona, anziché salito delle scale. Nella sua condizione, l'effetto era il medesimo.

Vedendola, il marito si allarmò e corse da lei, lasciando che si abbandonasse alle sue braccia.

-April! Tutto bene?-

-No! Non va tutto bene! Si tratta di Eli! Qualcuno l'ha portata via!-

-Lo sappiamo di già!- avvertì Leonardo, serio.

Solo in quel momento la donna si accorse delle Tartarughe Ninja.

-Oh, ragazzi, che bello che siete qui! Mi dispiace, non ho potuto fare niente per fermarli! Non ho neppure visto i loro volti! Le hanno messo un sacco in testa e poi l'hanno portata via. Non so altro! Vi prego! Dovete aiutarla!-

-Tranquilla, era già nella nostra agenda.- rassicurò Donatello, tracciando qualcosa sul suo tablet. C'erano dei simboli sopra, ma solo uno si stava muovendo.

-Se prendiamo il Tarta-Corazzato, possiamo ancora raggiungerla.-

-Vengo anche io con voi!- si offrì Casey -Stanotte è stata fiacca e io ho bisogno di un po' di azione!-

-Io... non so se potrò gestire il negozio, in queste condizioni. Chiamerò Angel, sperando sia libera.-

-Vai a riposarti, April.- suggerì Leonardo -E non preoccuparti per Eli. È una guerriera formidabile, saprà resistere a qualunque cosa.-

Ma il suo cuore non concordava sulle sue parole. E anche i suoi fratelli lo sapevano.

Non impiegarono troppo tempo a tornare nel loro rifugio con il Tarta-Corazzato. Casey li seguiva con la moto. Aveva la maschera da hockey sul volto e la sacca con le mazze alle spalle.

Il navigatore stava indicando un rettilineo, lo stesso che il tablet di Donatello aveva tracciato collegandosi con il Tarta-Cellulare di Elisabetta.

Raffaello e Michelangelo erano seduti nella parte posteriore del veicolo. Raffaello stava sfregando i sai l'uno contro l'altro, mentre Michelangelo non faceva che camminare avanti ed indietro.

-Cosa le accadrà? Oh, cosa le accadrà?! AH! E se fosse già sotto tortura e noi non arrivassimo in tempo?!-

-Vuoi stare zitto, Mick?!- rimproverò Leonardo -Eli starà bene e noi arriveremo in tempo per salvarla!-

-Non siamo nemmeno troppo lontani dalla destinazione. La vecchia fabbrica metalmeccanica.- notò Donatello, insospettito -Non è nemmeno da tanto tempo che è chiusa. E già è arrivato qualcuno ad occuparla?-

Raffaello era stranamente silenzioso.

Era strano che non fosse esploso per il continuo mormorio di Michelangelo. Ma, invece, restava seduto, a fissare i suoi sai, mentre li sfregava l'uno contro l'altro.

Solo un occhio attento poteva scorgere uno strano tremolio sulle sue mani.

Le sue labbra tremavano, ma nella sua testa regnava il caos.

Elisabetta era stata rapita. E lui non aveva fatto nulla per prevenirlo. Come quella volta in cui non era con Leonardo, quando aveva subito l'assalto di Shredder.

Lì aveva provato solo tanta rabbia e una voglia smisurata di sterminare ogni ninja del clan del Piede.

Ora... non sapeva cosa provare. Preoccupazione, frustrazione, rabbia, terrore... questo caos lo aveva portato all'apatia. Anche al mutismo.

-Se... se posso dire la mia, ragazzi...-

Casey era al telefono con le Tartarughe Ninja in tempo reale.

-Non da molto tempo, è stata segnalata un'occupazione abusiva dell'edificio dove stiamo andando. Ma nessuno del dipartimento ci ha dato peso, visto che erano tutti senzatetto e l'edificio era ormai inagibile dalla sua chiusura. Credo per un incidente. Un'impalcatura non era stata saldata bene e quindi non aveva retto il peso di alcuni operai ed è precipitato, causando una decina di morti. Ecco perché è stato chiuso e considerato inagibile.-

-Un luogo perfetto per nascondersi, insomma.- realizzò Leonardo -Mi domando solo chi possa aver rapito Eli...-

Già il fatto che Elisabetta fosse stata rapita faceva ribollire il sangue di Raffaello. Ricordarlo, rafforzò la presa sui sai.

“Lo sapevo che dovevo andare con lei! Perché gli ho dato ascolto, maledizione?!”

Finalmente, raggiunsero un edificio ricoperto di neve. Sotto, si potevano vedere le pareti di cemento e lamiera ancora intatti. Dopotutto, non era nemmeno da sei mesi che quella struttura era stata chiusa.

-Il segnale si ferma qui.- annunciò Donatello, serio.

-Quindi è là che tengono Eli...- mormorò Leonardo, fissando l'edificio.

Non era molto grande, ma nemmeno molto piccolo. Una fabbrica come altre.

Raffaello scattò in piedi, facendo roteare i sai con aria furente.

-Allora cosa attendiamo?! Sfondiamo quel portone!- esclamò, pronto per l'attacco.

Chissà se Elisabetta era in pericolo. Voleva salvarla prima che fosse troppo tardi.

-Calmo, Raph.- invitò Leonardo -L'ingresso principale è sorvegliato. E poi, alla luce del sole non possiamo farci vedere.-

C'erano due uomini, infatti, all'entrata. Ma non era chiaro cosa avessero in mano, come arma. Potevano essere fucili come sbarre di metallo.

-COME FACCIAMO, ALLORA?!-

Michelangelo era tornato nella sua versione melodramma.

-OHHH, LA MIA PICCOLA SIRENA LÀ DENTRO TUTTA SOLA SOLETTA! OHHH, ME MISERO, ME MISERO!-

Leonardo cercò di ignorarlo, anche Donatello. Raffaello ci riuscì solo per miracolo, ma solo perché voleva sfogare la sua furia contro i rapitori di Elisabetta.

C'era una seconda entrata, sopra quella sorvegliata, vicino al tetto. Non aveva finestre e, a giudicare dalla sbarra di ferro che collegava l'esterno all'interno, doveva essere usato per il trasporto o scarico del materiale.

-Lassù potrebbe andare.- dedusse il leader.

-Però, potrebbero ancora vederci.- fece notare Donatello.

-Ragazzi, se vi serve un diversivo, ci sono qui io.-

Casey aveva sistemato la moto proprio accanto al Tarta-Corazzato. Da dietro la maschera stava sorridendo e le mani prudevano dalla voglia di impugnare nuovamente le sue mazze.

-Io distraggo quei tipi e voi entrate indisturbati.-

-Casey, è una pessima idea, non sappiamo...-

Ma la moto aveva iniziato a lasciare gas. Quando Casey si metteva in testa qualcosa, era impossibile dissuaderlo. Una parte di lui a cui non aveva rinunciato.

La moto impennò.

-GUNGALAAAAAAA!!!-

Le due guardie all'ingresso non poterono fare nulla. E le “armi” che avevano in mano erano sbarre di metallo, non fucili. Ma erano inutili contro la moto. Infatti, si gettarono di lato, urlando.

E il portone era mezzo aperto, quindi fu facile, per Casey, entrare nella fabbrica.

Donatello sospirò.

-Non cambierà mai...-

-Ma almeno ora possiamo entrare.- disse Leonardo, preparando le katana -Muoviamoci, non credo che Casey li distrarrà a lungo.-

Il Tarta-Corazzato era stato messo in un luogo sicuro. E le quattro Tartarughe erano riusciti ad entrare nello stesso momento in cui Casey aveva fatto irruzione nella fabbrica.

L'interno tutto in lamiera. Diverse impalcature in giro, tra cui una spezzata, molto probabilmente quella dove si era verificato l'incidente di cui Casey aveva parlato poco prima.

Le pareti stesse erano in lamiera, per questo le urla di Casey rimbombavano dappertutto.

-Sapevo che qui c'era solo feccia, ma qui sembra di essere in una discarica!-

Lo aveva notato anche lui che i senzatetto erano i più malridotti che avesse mai visto, con abiti larghi il triplo di loro. Facevano quasi tenerezza, che quasi dispiaceva urlare loro contro con la mazza da hockey in mano. Ma, come al solito, doveva fingersi pazzo furioso per dare il via libera alle tartarughe.

Loro, infatti, stavano camminando sulle impalcature superiori, sottostanti la sbarra di ferro. Non era stato tolto nulla. E da lassù si poteva notare persino un piano sottostante dove si trovava Casey, con attrezzature simili a fornaci sulla parete.

-Ora non resta da scoprire dove si trova Eli.- mormorò Leonardo, cercando di parlare tra le urla di Casey.

Donatello stava aprendo il gruppo, con il tablet in mano. Il simbolo del Tarta-Cellulare di Elisabetta era ancora sulla mappa.

-C'è una stanza, superato qui. Se Casey farà il suo dovere e tiene tutti a bada, ritorneremo a casa senza che nessuno si accorga della nostra presenza.-

Purtroppo, non stava alzando gli occhi, mentre parlava. Il suo tablet si scontrò contro qualcosa.

Si accorse essere una schiena avvolta in un giaccone verde militare sporco.

E quella schiena apparteneva ad un energumeno alto quasi due metri e con il giaccone sembrava molto più largo di quanto non fosse in realtà. La barba ispida e gli occhi giallognoli incutevano timore quanto preoccupazione.

-Per tutte le bottiglie di wisky! Quattro alieni!- esclamò l'omone.

Gli altri quattro insieme a lui urlarono e scapparono via.

-E... addio al restare nascosti...- borbottò Leonardo.

 

Un portale a forma di croce si era aperto in un altro punto della fabbrica.

-IO SONO PRONTO A PRENDERE A CALCI...!-

Ma Mirko aveva urlato troppo presto: non si trovavano all'interno della fabbrica. Erano all'esterno, di fronte all'ingresso inferiore, in mezzo alla neve.

-DEUS MI! QUI SI CONGELA!- esclamò, strofinandosi le mani sulle braccia -Omnes, sei sicuro che...?-

I suoi confratelli erano apparsi un istante dopo di lui. Ma non vide Omnes. Non ricordava nemmeno se fosse entrato o meno con loro.

-MALEDETTO OMNES! LO SAPEVO CHE ERA UNA TRAPPOLA!- tuonò, furioso; le iridi avevano già cambiato forma e una strana aura stava iniziando ad espandersi intorno a lui -UNA STUPIDA TRAPPOLA PER FARCI CONGELARE!-

-Calma, Furia.- cercò di calmarlo Edoardo -Il posto è questo.-

Con la sua abilità come Spettro, infatti, era riuscito a seguire i rapitori di Flagello fino alla vecchia fabbrica. Per questo era sicuro che il posto fosse quello.

-Ok, il posto sarà pure questo, ma cosa facciamo, adesso?- fece notare Marco -Non possiamo fare un'irruzione alla cieca.-

-Beh, perché no?- rispose Mirko -Mentre voi altri fate casino e combattete, io posso far saltare in aria questo posto, così tutto è risolto.-

-Ma così uccideresti anche Eli!- fece notare Federico, preoccupato per la consorella.

-Perfetto, siamo venuti qui senza un piano e con un pazzoide che vuole esplodere a tutti i costi...- borbottò Salterio, facendo spallucce.

-Se vuoi posso farti esplodere adesso!- ribatté Mirko, offeso e di nuovo con le iridi crociate.

Ma Tundra si mise di nuovo in mezzo a voi.

-Ok, adesso calmatevi. Ci serve un piano per irrompere qua dentro e cercare di portare via Elisabetta prima di distruggere questo posto.-

-Per non parlare degli sgherri del Rinnegato...- borbottò Andrea Celeritas.

Appariva quasi pallido in volto, immerso nei pensieri. O nei ricordi. Quelli di una villa in fiamme.

-Forse qualcosa possiamo fare...-

Tutti si voltarono verso Carmine, detto Punizione.

-Fabbriche simili dovrebbero avere una fonderia, giusto?- rifletté -E le fonderie hanno delle fornaci.-

-Dove vuoi arrivare?- domandò Niccolò, detto Sol.

Carmine sospirò.

-È un peccato che non ci sia Geena...-

 

Casey era quasi stupito dall'abbigliamento delle persone che stava affrontando. Ancora più sorprendente era scoprire che corrispondevano alle descrizioni dei senzatetto scomparsi. Chissà cosa li avrà convinti a vivere tutti insieme in una vecchia fabbrica che cadeva a pezzi. Forse erano stufi di vivere all'aperto, almeno d'inverno.

Avevano tutti delle sbarre di ferro come armi.

In confronto ai ninja del clan del Piede e dei Dragoni Purpurei erano manichini di allenamento. Facevano persino un po' di pietà nell'ex-giustiziere. Ma doveva solo distrarli per gli amici. Giammai avrebbe fatto loro del male, in situazioni normali.

Per fortuna, non li colpiva: sembravano già terrorizzati dalla maschera da hockey e da come roteava le mazze da baseball per attaccarlo.

-Dobbiamo proteggere il maestro!- aveva urlato uno di loro. Era da lì che avevano raccolto il loro coraggio e caricato contro Casey.

Alcuni erano già con le sbarre alzate per aria, pronti a combattere contro il misterioso assalitore.

Nulla a cui Casey non fosse già abituato: con le mazze da baseball parò due colpi, mentre con un calcio allontanò un terzo che voleva approfittare della sua guardia scoperta.

Poi si abbassò, facendo scontrare i primi due. Notò presto un quarto che voleva colpirlo alla testa con un colpo orizzontale, ma lo schivò con una capriola.

Solò lì notò l'instabilità dell'impalcatura su cui stavano. Al tempo dell'incidente era stato un presunto errore di saldatura. Ma, dopo la chiusura, era sorto il problema della ruggine.

Questo spiegava la poca stabilità.

Anche quella superiore sembrava avere il medesimo problema.

Quando avevano avvistati i nuovi intrusi, i senzatetto erano due. Presto, ne erano arrivati altri, tutti armati.

Le Tartarughe Ninja avevano iniziato una battaglia contro persone con cui non volevano combattere, ma dovevano.

Nessuno usò colpi letali, soprattutto Leonardo, in quanto unico a possedere due armi affilate. Si limitava ad usarle per difendersi e per attaccare usava i calci.

-Ehi, belli, li vedete questi?- giocò Michelangelo, esibendo i nunchaku come un vero esperto -Bene, ora non li vedete più!-

Li lanciò in aria, attaccando i quattro aggressori con pugni e calci in salto. E poi riprese le sue armi.

-Ragazzi, se sono forte...- si vantò, mettendosi persino in posa.

Il più aggressivo di tutti era Raffaello. Ad ogni senzatetto che affrontava esclamava: -LEI DOV'È?!-

Ma metteva tutti K.O. senza ottenere alcuna risposta.

Nemmeno Donatello ebbe grandi difficoltà contro i due avversari. Nessuno di loro, in realtà, dava impressione di essere un esperto in arti marziali.

Ma uno riuscì comunque a poggiare la sua sbarra di metallo sulla gola della tartaruga dalla benda viola.

La pressione non era forte. Bastò che fece una spaccata orizzontale, per liberarsi.

Questo confermò i sospetti di Donatello: non erano come il clan del Piede o i Dragoni Purpurei. Erano più deboli persino delle bande criminali che avevano affrontato nei quattro anni dalla sconfitta definitiva di Shredder, prima dell'arrivo dei templari.

Erano solo dei senzatetto disperati in cerca di un rifugio dal freddo. E loro li stavano attaccando.

Ma allora perché rapire Elisabetta? Quale era il collegamento?

 

Fu in quegli istanti che un altro gruppo di senzatetto, sistemati nel piano inferiore, quello delle fornaci, pronti a soccorrere i compagni aggrediti, notò qualcosa di strano, nel portone: si stava coprendo di ghiaccio. Fuori era freddo, ma non così da congelare un portone di metallo.

Si aprì così all'improvviso e con un rumore così forte che, rimbombando nelle pareti quasi vuote, pareva quasi un'esplosione.

Un gruppo di uomini con tuta mimetica nera e giubbotto antiproiettile bianco con una croce rossa in mezzo avanzò nello stabile. Uno di loro, tra i primi tre che aprivano il gruppo, aveva un braccio coperto di pietre.

-Quel simbolo!- disse uno dei senzatetto, notando le croci rosse -Sono i nemici del maestro! Addosso!-

Quel gruppo ridotto scattò verso di loro, ciascuno con le sue “armi”.

-Vai, Salterio!- urlò Marco.

Il templare solitamente di umore giocoso si fece avanti con la furia in volto.

Urlò con tutto il fiato che aveva. Le iridi avevano le croci templari. E il suo urlo scatenò un'onda d'urto che scaraventò via gli assalitori.

Anche Tundra si fece avanti. Allungò le mani in avanti, da cui uscirono due raggi gelanti che congelarono il pavimento di fronte.

Chiunque si fosse rialzato e ripartito all'attacco, sarebbe scivolato su quel pavimento congelato.

Nel frattempo, Golem e Punizione si erano avvicinati alle ex-fornaci. Golem aveva di nuovo evocato delle pietre intorno al suo braccio e Carmine vi stava sfregando la sua spada.

Edoardo era rimasto indietro, con il suo potere attivo, sia per cercare la consorella, sia per prevenire attacchi a sorpresa dai loro nemici. Niccolò era con lui, per proteggerlo da eventuali attacchi.

-Io vado in avanscoperta.- annunciò Andrea Celeritas -Cercherò di mettere fuori gioco quanti più sgherri. Magari troverò anche Flagello.-

-Va bene.- disse Carmine -Ma non uccidere nessuno.-

Celeritas attivò il suo potere e partì di corsa. I suoi coltelli erano sguainati, con le lame rivolte in avanti.

Si avvicinò alla prima coppia di senzatetto, in procinto di caricare di nuovo contro gli invasori. Ma non furono le lame a scalfirli. Furono le impugnature a colpirli dietro il collo. Un colpo non letale, ma che li fece comunque svenire.

Così fece con il resto che trovò. Doveva spianare la strada per i confratelli, in modo che non avessero complicazioni nel compimento del loro piano.

Una scala di metallo collegava il piano inferiore al piano centrale. E lì c'era la maggior concentrazione dei seguaci del Rinnegato.

Nessuno si accorse cosa li stava colpendo alle spalle, dietro al collo. E Andrea Celeritas sembrava danzare in mezzo a loro; era una farfalla in mezzo ad una discarica.

Stava per atterrarne un altro, quando notò che aveva il volto coperto da una maschera da hockey. Fermò il pugnale a mezz'aria, come l'altro fermò la mazza da hockey.

-Casey?!-

Sentire il suo nome, nonostante portasse la maschera, spinse Casey a rimuoverla, per vedere meglio il volto dell'uomo di fronte a lui: volto magro, capelli corvini legati in un cordino basso.

-Andrea?!-

Il templare che lo aveva aiutato e poi salvato da Longino tempo prima.

-Che ci fai qui?!- dissero, all'unisono, entrambi stupiti.

Nessuno dei due avrebbe immaginato che le loro strade si sarebbero nuovamente incrociate. E, anche se fosse avvenuto, speravano in una circostanza migliore. Magari di fronte ad un caffè ed una ciambella.

Ombre sospette circondarono i due uomini, facendosi sempre più grandi. Quattro figure massicce che stavano cadendo dall'alto.

-POTERE TARTARUGA!-

Leonardo, Raffaello, Donatello e Michelangelo si misero di fronte all'amico umano, facendogli da scudo, con le armi bene in vista. Andrea, per fortuna, si era spostato in tempo.

In quell'istante, anche il resto dei templari si unì al confratello, senza abbassare la guardia.

-E voi cosa fate qui?!- domandò Helmut, detto Tundra.

-Voi chi siete?- domandò Leonardo, sulla difensiva.

Entrambi stavano per attaccare le persone sbagliate. Ma Casey ed Andrea Celeritas si misero di fronte ai propri alleati, con aria rassicurante.

-Ragazzi, calma...- iniziò l'ex-giustiziere.

-Non dovete temere niente...- proseguì il templare.

-È il templare che mi ha aiutato con Longino.-

-È il poliziotto che mi ha aiutato con Longino.-

Entrambi gli uomini si stupirono, notando di aver parlato nello stesso momento. Uno, però, aveva parlato in americano, mentre l'altro in italiano, ma riconobbero la parola “Longino”, nelle loro frasi e ciò fece intuire ad entrambi di aver detto praticamente la stessa cosa. Si voltarono, notando, inoltre, che si stavano indicando a vicenda.

Situazione in cui, in effetti, poteva scappare una lieve risata.

E fu quello che fecero i due uomini.

-Sì, davvero affascinante, ma... abbiamo un problemino...-

Il dito di Donatello stava indicando dietro i templari, che si voltarono indietro.

I colpi inferti da Celeritas non erano stati così dolorosi da farli svenire a lungo. Si erano risvegliati tutti e tutti erano sull'impalcatura, contro i nemici in comune.

-Dov'è Elisabetta?- domandò Leonardo, voltandosi verso il primo templare che trovò.

Carmine, accanto a lui, lo osservò quasi confuso.

-Credevamo fosse con voi.-

Raffaello sperò di nascondere la sua sempre più crescente preoccupazione.

Anche se l'avesse vista con i confratelli che l'avevano rinnegata sarebbe bastato, per lui, tirare un sospiro di sollievo. Almeno avrebbe saputo che era ancora viva. Ma era ancora dispersa, a quanto pare.

-Bene, siamo punto e a capo e come se non bastasse c'è una puzza da star male!- lamentò Mirko.

-Stavolta non sono stato io!- protestò Michelangelo.

Ma non era odore stantio. Era di bruciato. Carmine e Marco avevano riacceso le fornaci, con i loro poteri e con il poco che avevano trovato per far ravvivare i fuochi.

Ma c'era fumo ovunque. E le fiamme erano vive.

-Un piano per far scappare tutti e poi far saltare in aria questo posto.- rivelò Carmine.

-Ma Elisabetta è ancora qui, teste vuote!- tuonò Raffaello, furioso -Prima la scomunicate e poi volete ucciderla?!-

Elisabetta, però, non era stata scomunicata. Ma tutti dovevano far finta che lo fosse.

-Noi non facciamo così.- rivelò Edoardo -La morte è una condanna troppo clemente per gli scomunicati. Fatemi dare un'occhiata in giro.-

Le sue iridi divennero di nuovo a forma di croce.

Non era un fenomeno nuovo per Casey e le Tartarughe.

-Il suo nome da templare è Spettro.- sussurrò Andrea Celeritas a Casey -Può separare il suo spirito dal suo corpo, per poter viaggiare senza essere visto.-

-Oh...-

-Lei è ancora viva.- annunciò il ragazzo, dopo poco tempo e tanto girare tra le impalcature -Ed è qui. Ma è stata ferita.-

Non aveva detto dove, però.

Tuttavia, Raffaello non poté più nascondersi dietro la falsa indifferenza. Meno che mai Michelangelo.

-La mia sirena!-

-Eli...- mormorò Federico, pallido e preoccupato, ma impotente.

-Vado a cercarla io!- esclamò la tartaruga dalla benda rossa, già saltando sull'impalcatura superiore, sperando di trovarla guardando da un punto più in alto.

Inutile il tentativo di Leonardo di fermarlo.

-RAPH!-

Ma gli avversari erano ormai intorno a loro.

Templari e tartarughe erano nello stesso lato. I loro avversari dall'altro.

Tutti pronti a combattere.

Ma c'erano ancora scetticismi in entrambi i lati. Nessuno aveva ancora dimenticato la scomunica di Elisabetta e le torture a Raffaello da parte del templare di nome Galvano. Nemmeno il gesto di Celeritas per salvare Casey era bastato per perdonarli.

-Ascoltate.- disse Carmine, serio -Lo so che non ci sopportate e ci odiate. Ma se vogliamo sopravvivere e salvare Flagello, dobbiamo collaborare.-

Era una situazione d'emergenza. Non c'era spazio per l'orgoglio ed i rancori. O un'alleanza o sconfitta certa.

Non c'era altra scelta. Era una questione di istanti, dopotutto.

-Va bene. Accettiamo la tregua.- decise Leonardo, in vece dei fratelli e dell'ex-giustiziere.

Nessuno era d'accordo, ma era l'unico modo per sopravvivere. Almeno in quel luogo e in quella circostanza.

Le loro armi erano pronte. Spade, bastoni, asce, coltelli, contro sbarre di ferro e qualche catena arrugginita.

Ma questo non voleva fermare i senzatetto che avevano deciso di seguire una persona come il Rinnegato.

Avanzarono, quasi urlando e con le loro “armi” alzate in cielo.

Le Tartarughe ed i templari erano nettamente più abili dei loro avversari.

Leonardo stava combattendo contro due, parando le loro sbarre di ferro, Donatello, usando il bastone come leva, si spinse in avanti, per calciare via il terzo che voleva colpirlo alle spalle.

Altri due stavano avanzando verso Carmine. A lui bastò attivare il suo potere che le sbarre di ferro rimasero sospesi per aria, lasciando i loro portatori letteralmente a mani vuote. Se ne accorsero quando, nel tentativo di sferrare un colpo dall'alto sul templare, nulla aveva toccato la sua testa.

-Buh!- fece il ragazzo, senza disattivare il suo potere. Magari erano proprio le iridi a croce ad aver spaventato i senzatetto, più che il fatto di essere rimasti disarmati.

-Allora, belli, volete giocare?-

Michelangelo non perdeva mai occasione di mettersi in mostra. Roteava i suoi nunchaku, restando in mezzo ai quattro senzatetto che lo avevano accerchiato.

Alzò una gamba in alto, trasferendo lì il nunchaku rotante. La catena che univa i due pezzi di legno stava girando intorno al suo piede.

I suoi avversari erano paralizzati, forse per l'esibizione, forse perché temevano un attacco a sorpresa.

-Vi piace? Ora sempre più difficile!-

La mano libera toccò per terra. E con l'altra fece al piede libero quello che aveva fatto poco prima al precedente.

Aveva cambiato posizione: le mani erano a terra, mentre i nunchaku roteavano intorno ai suoi piedi.

-E ora... GIRAGIRA!-

Come un praticante di Capoeira, mosse le mani in più punti del pavimento, mentre con le gambe eseguiva movimenti circolari, colpendo i suoi quattro avversari con i nunchaku.

-Ehi, niente male, bello!- complimentò Andrea Salterio, affascinato dai movimenti della tartaruga.

Michelangelo si alzò in piedi, in posa trionfante.

-Hai visto che stile, eh?!-

Mai quanto vedere i poteri dei templari, ammise, nei suoi pensieri, ma mai a voce alta.

Casey e l'altro Andrea finirono casualmente schiena contro schiena, uno con la sua mazza da hockey e l'altro ancora con i coltelli.

-Mi raccomando, Casey, non devi uccidere nessuno.- raccomandò il templare.

-Tranquillo, sono passati i tempi in cui uccidevo.- si riferiva ai tempi in cui era solo il giustiziere mascherato, prima di incontrare le Tartarughe Ninja -E poi senti da che pulpito.-

-Ehi, punto primo, ti ho salvato la vita!-

E lo avrebbe fatto per altre mille volte.

-Punto secondo, mi hai visto forse uccidere qualcuno, adesso?-

I manici erano ancora in bella mostra, rispetto alle lame.

Casey non avrebbe dimenticato il massacro in casa di Longino: non aveva mai visto tanti cadaveri in vita sua, nemmeno da poliziotto.

Insieme, le Tartarughe ed i templari erano una forza incontenibile per un “esercito” come quello che avevano di fronte. I templari non avevano nemmeno fatto così tanto ricorso ai loro poteri. Riconoscevano lo stile “pigro” e basilare del Rinnegato. Magari, ai suoi occhi, erano i guerrieri più potenti del mondo, visto che erano stati addestrati da, come gli piaceva definirsi, “il migliore”. Era risaputo, tra i templari, del suo complesso di superiorità.

-Non possiamo farcela contro di loro. Sono nettamente più forti di noi...!- mormorò un senzatetto ad un altro, mentre indietreggiavano tutti.

Templari e ninja erano quasi in posizione di testuggine, armi puntate in avanti.

Dalla loro avevano ninjutsu e arte della scherma medievale. I senzatetto realizzarono di non aver imparato nulla dal loro “Maestro”.

Ma non erano ancora sconfitti.

Uno di loro, infatti, estrasse un oggetto affilato dalla tasca del giaccone, fissandolo con paura e determinazione insieme. Quello accanto a lui quasi impallidì.

-Non vorrai...?-

La risposta non esitò ad arrivare.

-Non abbiamo altra scelta.-

Bastò un cenno a quelli dietro, affinché seguissero il suo esempio. Uomini e donne che avevano perduto tutto, presero qualcosa dalle loro tasche.

Ma non lo puntarono contro i loro avversari, confusi da quanto stava accadendo.

Bensì, contro loro stessi.

-Per il Gran Maestro!- urlarono all'unisono.

Carmine si allarmò subito.

-NO!-

Aveva attivato il suo potere, ma era troppo tardi.

-AHHHHH!!!- urlò Michelangelo, arretrando, pallido.

Tante lame, in realtà schegge di vetro o lamiera, lacerarono le carni di chi li brandiva.

Un suicidio di massa.

-Incredibile... hanno preferito togliersi la vita, piuttosto che disonorare il loro Maestro...- notò Leonardo, curioso.

-No! Non è così!- chiarì Carmine, indicando in avanti -GUARDA!-

Le lame avevano puntato zone vitali del corpo, ma nessuno era caduto per terra.

Dei tremiti strani scossero i corpi dei senza tetto. La pelle stava diventando violacea.

I loro volti scattarono in avanti, rivelando gli occhi bianchi senza iride e pupilla.

Michelangelo urlò di nuovo, stavolta saltando su Donatello, come un koala su un eucalipto.

-AHHHH!- indicò in avanti -De-de-de-de-degli ZOMBIE!-

Anche Casey era pallido. Non era la prima volta che aveva visto esseri simili.

-Esattamente come...-

-...con Longino...- concluse Celeritas.

E questo confermò i dubbi che aveva condiviso sere prima con il Magister ed i confratelli: il Rinnegato aveva un affare con Longino.

Come i senzatetto di fronte a loro.

Uno zombie balzò in alto, con la bocca spalancata.

Leonardo cercò di parare con le katana. Le lame furono a contatto con il corpo.

Con sua sorpresa, sentì un suono metallico.

La pelle era rimasta intatta.

Altri seguirono l'esempio di quello che poco prima era un senzatetto.

Ninja e templari dovettero di nuovo collaborare contro un nemico in comune.

-Che è accaduto a questa gente?!- domandò Donatello, respingendone uno con il bastone.

-È quello che accade, se qualcuno si avvicina al Rinnegato!- esclamò Carmine, evitando un altro zombie.

Questa era la condanna per chiunque osasse instaurare un qualsiasi tipo di legame con lui. Una semplice stretta di mano, per stillare un accordo, un bacio, per stemperare bollori insopportabili, erano sufficienti, per essere maledetti.

Chiunque osasse avvicinarsi a lui, stipulare un accordo, divenire suo alleato, era condannato a non morire mai. Una morte violenta, avrebbe reso quella persona uno zombie, un mostro, un essere immortale, ma completamente privo di ogni razionalità. La mente era occlusa da semplice istinto distruttivo. Più bestie, che uomini. Praticamente, erano già morti.

David ed il resto dei Grandi Maestri speravano che quella maledizione sarebbe stata un incentivo, per l'ex Gran Maestro dell'America Latina, di non circondarsi più di persone. Una condanna all'eterna solitudine era una condanna peggiore della morte.

Tuttavia, Roberto aveva trovato, come sempre, un vantaggio, un profitto, nella sua condizione. Una scusa per circondarsi nuovamente di persone: l'immortalità, in cambio della fedeltà a lui.

Così, ovunque andasse, riusciva a raccogliere seguaci che lo proteggessero dai templari che volevano comunque imprigionarlo.

Ma gli zombie del Rinnegato non erano perfettamente immortali. La loro pelle diveniva coriacea, ma l'unico modo di ucciderli definitivamente era il fuoco.

Era stata, infatti, l'esplosione ad aver ucciso definitivamente l'imprenditore Paul Longino.

Combattere e basta non serviva contro quegli zombie.

Il fumo stava già iniziando a propagarsi per tutta la fabbrica. Marco aveva fatto in modo di tappare le uscite delle fornaci, in modo che il fumo del fuoco si estendesse dentro la fabbrica, piuttosto che fuori.

Ma era una strategia per i senzatetto umani, non zombie. E gli unici umani rimasti iniziarono a tossire.

 

Ed Elisabetta non ne era immune.

Quando era riuscita ad uscire dalla sala, il fumo aveva iniziato ad espandersi.

Era stata un'impresa, rimettersi in piedi. Aveva strisciato fino al “trono”, per trovare un appiglio con il quale aiutarsi a tornare in piedi.

La ferita era vicina al cuore. Il Rinnegato aveva deciso di lasciarla morire lentamente, piuttosto che darle il colpo di grazia.

Lentamente, infatti, la templare stava perdendo le sue forze.

Doveva trovare le Tartarughe. Sapeva che erano lì per lei. Nel suo cuore, sperava sarebbero accorsi per salvarla.

Aveva fallito la missione secondaria. Il Rinnegato era sparito. Ma presto, avrebbe fallito anche la missione principale.

Le sue forze iniziarono a mancare.

Appena uscita, iniziò a tossire. Il fumo era entrato nelle sue narici.

Sarebbe morta nel modo più disonorevole. La ferita ancora sanguinava. Non importava se con la mano la copriva: il dardo scagliato dal Rinnegato le aveva trapassato anche la schiena.

Doveva, però, farsi forza e continuare a camminare.

“Devo farcela... Non voglio morire, non così!”

Ma non ce la faceva, con il fumo che continuava ad intossicarla.

Non poteva andare dritto: il fumo era più denso.

Forse aveva qualche speranza, se fosse salita sulle impalcature superiori. Almeno lì era vicina alle finestre. Erano rotte, quindi poteva passare almeno un minimo d'aria. Il problema, però, era che le scale erano a pioli.

Di norma, avrebbe dovuto usare entrambe le mani.

Fu una tortura, infatti, salire le scale, con il braccio sinistro che risvegliava il dolore.

Era impossibile non urlare, o lamentarsi.

Saliva lentamente, proprio per la poca resistenza alle braccia. E anche il peso delle armi influiva.

Non voleva lasciare Hesperia ed Hellas in quell'antro orribile. Erano parte di sé.

La scala cigolava. Anche al tatto si poteva notare una notevole dose di ruggine. E non era fissata bene all'impalcatura superiore.

Già la prima scala distanziava mezzo metro dal piano inferiore.

Non era stato facile salire usando solo un braccio.

Già lì aveva notato la poca stabilità della scala. Ma non aveva scelta.

Le mancavano solo due scalini, quando l'unica vite che teneva la scala saldata al piano superiore cedette, facendola cadere.

Elisabetta urlò, mentre con il braccio sano si aggrappò all'impalcatura.

Non poteva cedere. Se avesse mollato la presa, sarebbe caduta.

E non avrebbe resistito a lungo, con un solo braccio.

Doveva usare anche il sinistro. Il dolore era insopportabile. Fu una fatica immane raggiungere l'impalcatura.

Poi tirò. Non riuscì a sopprimere un altro urlo.

Le dita della mano destra stavano già mollando la presa.

“No! NO! NON POSSO!”

La ferita non le dava tregua, soprattutto il dolore.

Per fortuna, il pavimento dell'impalcatura superiore era una graticola. Più saliva, più trovava appigli.

Le mancavano poche spinte, e finalmente avrebbe raggiunto il suo obiettivo.

Si sdraiò supina, dolente, ma quasi sollevata.

Un po' d'aria, finalmente, pensò.

Ma la situazione non era diversa dal piano inferiore.

E quella salita le aveva davvero diminuito le forze.

Il fumo le aveva otturato le narici, costringendola a tossire quasi senza sosta.

Le immagini erano sfocate, e non per via del fumo.

Ma doveva andare avanti.

Cercò di strisciare, spingendosi sul graticolo. Poteva farcela solo col destro. Usare il sinistro era una tortura: più lo usava, più sentiva il dolore spezzarla in due.

Non vedeva più nulla, ormai.

Qualunque cosa ci fosse, era coperta dal fumo. Chi diceva, inoltre, che non si stesse dirigendo verso un vicolo cieco?

Non aveva più forze per andare avanti.

Si fermò, tossendo di nuovo.

Con l'ultimo fiato rimastole in gola, soffocò un nome.

Il nome della persona che sapeva si trovava lì. Che fosse proprio lì per salvarla, non importava che ci fosse un incendio o un terremoto.

Alla fine, svenne. Il fumo intorno a lei diventava sempre più fitto. Forse nessuno l'avrebbe trovata e lei sarebbe morta soffocata.

Una morte non onorevole, per un guerriero.

Per tutta la fabbrica risuonavano gli echi degli zombie, delle Tartarughe Ninja e dei templari.

Solo una figura non si era unita a quella battaglia.

Qualcosa stava avanzando dal fumo. Ed era sempre più vicino ad Elisabetta.

-Oh... no!-

Omnes si allarmò da dietro la maschera. Corse immediatamente verso di lei, inginocchiandosi.

La girò, per prima cosa.

Notò subito la ferita.

-Oddio, oddio! Ti prego, resisti!-

Premette due dita sulla gola, poi cercò di aprirle un occhio.

Era ancora viva. Ma per poco.

Le tolse immediatamente il cappotto pesante.

Ma qualcosa distolse la sua attenzione da lei.

Un oggetto volante stava sfrecciando verso la sua direzione. Gli bastò alzare la mano per fermarlo a mezz'aria e farlo cadere per terra.

Raffaello avanzò in passi pesanti, e con i sai sguainati.

-Stai… lontano… da lei!- ringhiò, minaccioso.

Omnes alzò le mani, come gesto di resa.

-No, fermo! Sono qui per aiutarla!- cercò di spiegare.

Ma la ragione di Raffaello, alla vista della templare ferita e senza sensi, e del ragazzo che si era preso gioco di lui e dei fratelli dopo aver quasi sterminato la Justice Force, si era occlusa, lasciando spazio alla rabbia.

-No, non ti credo!-

Alzò un sai in alto, con la punta rivolta verso Omnes, e poi lo abbassò velocemente.

Il ragazzo mascherato prese in tempo il suo polso, stringendo forte.

Raffaello sentì qualcosa fluire nel suo polso, percorrendo il braccio fino ad arrivare alla sua testa, come una strana forza comprimergli il cervello. No, che stava entrando nel suo cervello.

E non era una sensazione piacevole. Dei pensieri dominarono la sua mente, per pochi istanti. Tutti con lo stesso soggetto.

-Lasciami! Lasciami!- esclamò, divincolandosi da quella presa.

Si sentiva a disagio.

Finalmente, gli occhi crociati di Omnes, da dietro la maschera, fissarono la tartaruga gigante, quasi con sorpresa.

-Tu… tu la ami…!-

Lo aveva detto con sorpresa.

Raffaello non replicò.

Pallido in volto, vide Omnes voltarsi verso Elisabetta, ancora ferita e svenuta.

-Questa è davvero bella…- mormorò il ragazzo.

Si liberò della presa del ragazzo, facendo qualche passo indietro, pallido in volto.

Cosa gli aveva fatto?

Aveva forse letto la sua mente? Si era impossessato di lui? No, impossibile, i pensieri erano ancora suoi. Lo aveva maledetto?

No, aveva semplicemente dato voce ai suoi sentimenti. Aveva rivelato ciò che lui stava nascondendo da tempo. Compreso a se stesso.

Ma il suo sguardo, i suoi occhi verdi stavano fissando proprio lei.

Il suo pensiero fisso.

Nemmeno lui era sicuro cosa avesse scatenato quel sentimento, o quando fosse fiorito. Fatto stava, che, quando si allenava, rivolgeva piccoli e brevi sguardi verso di lei, e si voltava imbarazzato, se ricambiava. Era lui ad osservarla di nascosto ogni mattina, quando si sistemava la fascia intorno al petto. Persino la notte, quando non riusciva a dormire, la guardava, con tenerezza, combattendo contro la tentazione di prenderla tra le sue braccia e portarla nella sua stanza.

E le sue provocazioni contro di lei, i momenti in cui la prendeva in giro? Semplice mascheratura dei veri sentimenti che provava per lei. In realtà, voleva abbracciarla, stringerla a sé, farle capire che non era sola, non era una persona debole e che lui la ammirava tantissimo, più di ogni altra donna che aveva incontrato.

E dal giorno in cui avevano avuto quello scontro un istante dopo il suo risveglio dal coma, non aveva smesso di pensare a lei.

Erano due anime simili, due anime orgogliose che mascheravano le loro paure e la loro insicurezza dietro all'aggressività.

In momenti simili, il suo desiderio era quello di essere un umano.

E Omnes lo aveva capito semplicemente toccandolo.

Nello stesso modo, aveva scoperto che anche lei ricambiava i sentimenti della tartaruga.

Aveva dovuto amplificare i suoi sensi, soprattutto la vista e l'udito, per trovarla. Aveva udito la sua voce, tra le grida di battaglia, soprattutto quelle di Salterio.

L'aveva udita urlare un nome, poco prima di trovarla.

-Ra...ph...-

La persona, o meglio, la creatura a cui teneva di più. La creatura apparsa nel viaggio mistico in cui l'aveva condotta l'Antico. La sagoma che aveva visto prima di svegliarsi era proprio quella di Raffaello. Il nome che le era uscito dalle labbra, era proprio il suo. Lui, la chiave per stabilizzare il suo potere.

Lei sapeva, sentiva, che lui sarebbe corso da lei. Nel profondo, lo sapeva, lo sperava, lo sentiva.

E quella speranza era divenuta realtà.

Raffaello, però, non ne era ancora a conoscenza, di quei sentimenti per lui. Omnes non aveva fatto da tramite. Si era limitato a “leggere” entrambi.

Distolse l'attenzione per la tartaruga, per tornare alla ragazza. Gli bastò solo scostare il giaccone, mettendo entrambe le mani sopra il punto della ferita.

Raffaello notò un'aura verde circondare quel punto. La stava davvero guarendo, allora.

Forse non era così cattivo. Dopotutto, non aveva nemmeno ucciso la Justice Force, e non aveva nemmeno finito loro.

Appena le mani furono tolte, la felpa era tornata come prima. E non c'era più sangue.

Inoltre, l'incarnato della ragazza era meno pallido di prima.

Il cuore di Raffaello stava per esplodere di gioia e di sollievo che, se non fosse stato ancora sotto shock per la “lettura” di Omnes avrebbe gridato così forte da far crollare la fabbrica.

Era in una specie di stato di apatia temporaneo, esteriormente.

-Portala fuori di qui, e alla svelta.- raccomandò Omnes, alzandosi.

Non c'era nemmeno bisogno che lo dicesse, pensò la tartaruga.

Rapido, si chinò per terra, prendendo la ragazza tra le sue braccia. Era da tempo che voleva prenderla come una principessa. Con suo sollievo, stava cominciando a muovere i muscoli del volto. Era viva. Respirava.

-Un'altra cosa, Raffaello...-

Omnes lo toccò di nuovo, sul braccio. Stavolta non accadde nulla.

-Promettimi che la terrai al sicuro.- la sua voce stava tremando -Proteggila con la tua stessa vita. Lei... è tutto ciò che mi rimane.-

Raffaello aveva tentato di fare un passo indietro, appena aveva notato la mano farsi sempre più vicina.

Però, aveva visto dietro la maschera, negli occhi crociati. Non sapeva come, o perché, ma notò un'espressione di supplica.

Non stava mentendo. O era quello che sperava.

Rispose con un cenno della testa.

-Lo farò.- disse, con un filo di voce -Puoi contare su di me.-

Omnes si sentì consolato. Sapeva di potersi fidare.

Diede le spalle alla tartaruga. Dopo tre passi, sparì dentro un portale a forma di croce che lo “inghiottì”.

Forse non era necessaria la promessa a Omnes, per tenere Elisabetta al sicuro: Raffaello lo avrebbe comunque fatto. Per sempre, se necessario. Che lei fosse volente o nolente.

La sentì muoversi tra le sue braccia.

-Ra... ph...- mormorò. Stava ancora tenendo gli occhi chiusi. Aveva una voce flautata, più femminile del solito. Quello stato stava quasi risvegliando un lato che lei si ostinava a tenere nascosto, soprattutto a se stessa.

-Sono qui.- rispose lui, tenendosela più stretta.

Si guardò in giro, alla ricerca di una via d'uscita. Il fumo era ormai ovunque. Raffaello tentò di sopprimere un colpo di tosse.

-Ti porterò via da qui, non devi temere.-

Lo aveva promesso a Omnes. E lo aveva promesso a se stesso.

 

Nei piani inferiori sembrava che l'inferno fosse asceso alla terra dei vivi.

L'atmosfera era sempre più infuocata, a causa delle fornaci. Golem aveva evocato delle pietre per bloccare gli impianti di areazione, per questo il fumo si stava espandendo. Ma così anche le fiamme.

Il piano era far scappare i senzatetto, per poi uccidere il Rinnegato.

Ma i piani erano cambiati, con gli zombie. Il fumo non faceva loro effetto, ma ai vivi sì.

La scarsa visibilità non era un problema per i ninja, visto che combattere senza l'uso della vista era parte del loro addestramento, ma il fumo li stava soffocando.

Quelli più in difficoltà erano Casey ed i templari.

-Coff! Coff!- la maschera non lo stava proteggendo dal fumo -Questi cosi sono più resistenti di quanto pensassi!-

Stava agitando alla cieca le sue mazze da baseball, sperando di colpire qualcosa, ma anche sperando di non colpire un alleato.

Michelangelo, con una furia mai vista prima, colpì con potenza il suo aggressore, con un fendente deciso di nunchaku.

Lo zombie si ritrovò con la testa penzolante all'indietro, come se quel colpo gli avesse rotto il collo.

Lì per lì, Michelangelo impallidì, quasi pentito. Ma rabbrividì ancora di più quando sentì un sospetto rumore di ossa: la testa dello zombie tornò come prima, ma si poteva intuire che fosse furibondo, nonostante lo sguardo vitreo.

-Ops, scusa...- mormorò la tartaruga, con un filo di voce.

Non sapeva nemmeno perché si fosse scusato. Gli fu istintivo.

Stava per ricevere un pugno (che temeva lo avrebbe trasformato di conseguenza in zombie), ma qualcosa lo spinse lontano, un'onda d'urto che aveva seguito un urlo.

L'altro templare di nome Andrea, più robusto di Celeritas, ma con meno capelli, sorrideva soddisfatto del suo potere.

-Come può una persona accettare una simile condizione?!-

Donatello se lo stava chiedendo dal primo istante in cui aveva visto i sottotetto.

Erano così disperati da vivere ancor più nella miseria? In una fabbrica dismessa? Avevano sì un tetto sulla testa, ma nient'altro. Chissà come si procuravano il cibo, quei poveretti.

Ma ciò che lo aveva sconvolto era proprio come erano divenuti zombie.

E il loro urlo.

-Per il Maestro!-

Un sacrificio.

Solo i samurai erano capaci di un atto simile, o persone veramente disperate.

Ma nessuno si trasformava in mostri simili.

Nemmeno le scariche elettriche del suo bastone li scalfivano. La loro pelle era coriacea.

-È il Rinnegato.-

Uno dei templari si era avvicinato a lui, quello che sapeva evocare le rocce, Marco, detto Golem.

Un omone che aveva l'aspetto di un vichingo, a causa dei capelli e la barba rossa, ma dal volto tutt'altro che minaccioso, escludendo le iridi crociate.

-Va in giro fingendosi Gesù, raccogliendo intorno a sé persone dalla mente semplice e stupida, con la promessa di una vita migliore e, soprattutto, l'immortalità. Ma lui non rivela mai cosa consiste quella che lui chiama “immortalità”. Ecco perché ovunque vada è sempre circondato di seguaci, ladri, prostitute, senzatetto... la peggior feccia, ma facilmente manovrabile. Sono anni che gli diamo la caccia, ma lui riesce sempre a scappare.-

Da come lo diceva, ne era disgustato. E i suoi confratelli dovevano essere d'accordo.

D'altronde, come biasimarlo? Essere tramutati in quegli esseri era una condizione peggiore della morte. E, a quanto pare, era irreversibile.

Una crudeltà simile lui ed i suoi fratelli l'avevano vista solo su Shredder e su Bishop, soprattutto nei confronti di Stockman.

Se i templari non erano favorevoli, forse non erano così cattivi come pensavano.

Federico si stava guardando intorno terrorizzato. Di tanto in tanto, riusciva a colpire i suoi aggressori con l'azza, ma non era affatto come quando aveva combattuto nella Dimensione Mistica.

Perché non c'era Elisabetta.

-Con lei mi sento più forte.- aveva detto.

Sapendola in pericolo, si stava distraendo. Ma non si lasciava comunque colpire.

Tuttavia, uno zombie lo stava per attaccare alle spalle, se non fosse intervenuto Leonardo, che lo allontanò con un calcio roteante.

-Stai bene?- gli domandò, premuroso.

Federico gli rispose con un cenno. Era terrorizzato e pallido.

Usando solo il dorso della mano, visto che nel palmo stringeva la katana, Leonardo cercò di tranquillizzarlo, toccando la sua, di mano.

-Stai tranquillo, andrà tutto bene.-

Avvertì qualcosa di strano. Ogni persona possedeva un “chi”, chi più forte, chi più debole. Ma in Federico... non stava avvertendo niente.

Era impossibile che Federico non avesse un “chi”. Allora pensò che forse i suoi poteri si stavano indebolendo o, peggio, svanendo del tutto.

-ATTENTI!-

Leonardo non si era accorto dell'impalcatura che stava cadendo sopra di lui e Federico, probabilmente a causa del calore che si stava propagando intorno.

Se Carmine non avesse urlato, non avrebbe guardato sopra.

Era pronto a fare da scudo a Federico, ma l'impalcatura si fermò.

Carmine la stava osservando, con i suoi occhi crociati. Elisabetta aveva loro rivelato che Carmine, detto Punizione, aveva il potere di spostare gli oggetti.

Ma lui era più abituato a muovere le armi. Forse era la prima volta che agiva su un oggetto più pesante.

Si vedeva, infatti, dal suo sguardo, che stava facendo uno sforzo immane.

Dovette muovere persino la testa, per far cadere l'impalcatura sugli zombie, scaraventandoli via, lontani.

Un'ottima mossa per allontanarli, ma estremamente faticoso.

Carmine, infatti, cadde, tenendosi gli occhi. Si stava lamentando a voce alta.

-AHHHH!-

Leonardo e Federico corsero immediatamente da lui, soccorrendolo.

-Carmine!- esclamò il templare.

-Che succede?- disse Leonardo, aiutando il ragazzo dal volto pieno di acne ad alzarsi, o, perlomeno, non farlo cadere per terra.

-I miei... I miei occhi!-

Si tolse, infatti, le mani dagli occhi. Le croci erano sparite, e le iridi erano tornate marroni. Ma il bianco era quasi rosso, e stava lacrimando sangue.

Una vista che fece preoccupare la tartaruga.

-Oddio...-

-È sempre stato molto fragile.- spiegò Federico, anche lui preoccupato -Quando è in questo stato non può usare il suo potere fino ad un massimo di due giorni.-

Infatti, al Duello dei Duelli, Carmine era stato ferito, nonostante l'armatura.

Il suo potere era utile per tenere lontani gli zombie. Ma si era sforzato troppo per impedire che l'impalcatura schiacciasse il confratello e la tartaruga, quindi non poteva più usufruirne.

Gli zombie, nel frattempo, avevano scavalcato la loro “trappola” temporanea, pronti ad attaccare di nuovo.

Una parete di ghiaccio venne eretta da Helmut, detto Tundra, nella speranza di una piccola tregua dall'attacco zombie. Tuttavia, a causa del calore delle fornaci, non durò a molto.

Dovette, dunque, continuare ad usare il suo potere, per mantenere alta la parete.

-È inutile.- disse, con disgusto -Se non troviamo un modo di distruggerli tutti insieme, qui ci stiamo tutta la vita e la prossima.-

-Oh, no. Non possiamo stare qui tutta la vita!- drammatizzò Michelangelo -Ho ancora tanti videogiochi da giocare e tanti film da vedere!-

Quella reazione fece ridacchiare Golem e anche Salterio.

-Allora voi scappate.- si fece avanti Mirko, detto Cataclisma -Io posso far esplodere questo posto, e quei mostri annessi.-

La soluzione migliore. Dopotutto, aveva già funzionato con Longino, ricordarono Celeritas e Casey.

-Ma sei impazzito?!- esclamò Donatello -Nostro fratello è ancora qui nei paraggi, così anche Eli!-

-Con questo fumo non riesco a vedere niente!-

Spettro aveva approfittato della soluzione di Helmut per usare di nuovo il suo potere per cercare la tartaruga e la consorella. Ma anche da spettro, il fumo gli impediva la visuale. E anche l'odore lo stava distraendo.

Tossendo, infatti, i suoi occhi tornarono come prima.

-Allora ci serve un diversivo.- realizzò Leonardo, serio.

-Fate in fretta, allora!- esclamò Tundra, ancora intento ad erigere la sua parete di ghiaccio -Io non resisterò a lungo!-

-Tu hai detto che puoi far esplodere questo posto, giusto?- domandò la tartaruga dalla benda blu, rivolto a Mirko.

-Affermativo.-

-E confermate che è l'unico modo per eliminare quei mostri?-

-Le esplosioni o il fuoco.- rispose Niccolò, detto Sol, un ragazzo alto e più grasso di Golem -Ma il confratello che detiene il potere del fuoco non è qui.-

-Quanto è il raggio delle tue esplosioni, all'incirca?- si intromise Donatello.

-Non so. Dipende dalle dimensioni di cosa voglio distruggere.-

-Dobbiamo tener conto anche dell'onda d'urto. E, a giudicare da questo edificio e dalla potenza dell'eventuale esplosione, dovremo essere tutti lontani almeno di un paio di miglia, per non essere travolti dall'onda d'urto.-

-E come facciamo ad allontanarci in tempo?- domandò Andrea Celeritas -Io posso allontanarmi in fretta, ma voi no.-

-Potete farli salire sul Tarta-Corazzato.- ideò Casey, facendo spallucce -Ci state tutti, no? In quell'affare tra un po' ci starà tutta New York.-

Il mezzo, infatti, sarebbe stato abbastanza veloce per allontanarsi in tempo dall'edificio. Quindi, una parte del piano era risolta.

-Aspettate, ma come la mettiamo con gli zombie?- ricordò Golem -Cataclisma può prendere tutto il tempo che vuole per esplodere, ma quei mostri potrebbero comunque seguirci.-

-E non pensate a Eli e Raffaello?!- ricordò Federico -Non si sono ancora visti!-

Non avevano pensato a quel particolare. Non sapevano nemmeno in quanti il confratello sarebbe riuscito a tenere a bada quei mostri. Ma erano più di una trentina e lui era armato solo di spada e scudo.

E della templare e della tartaruga dalla benda rossa ancora nessuna notizia.

-Quindi, ricapitolando... servirebbe qualcosa che tenga a bada quelle creature fino a quando voi e Flagello e la quarta tartaruga non siete in salvo?- riassunse Andrea Salterio.

-In parole povere... sì.- annuì Leonardo.

Erano tutti abbattuti e preoccupati. Ma non il templare.

Infatti, sorrise.

-Posso fare qualcosa io.-

I templari erano più preoccupati di prima, ma le Tartarughe e Casey erano incuriositi.

-Oh, no, non di nuovo...- borbottò Mirko, scuotendo la testa e tenendola in mano.

Ma il confratello stava già cercando qualcosa in tasca.

-Ah, sì! Si è ricordato del mio piccolo assistente!-

Aveva tirato fuori il suo telefono. Era sempre nella sua tenuta mimetica. E Omnes sembrava saperlo.

-Non dirmi che hai intenzione di...?-

-Sì...- disse Andrea Salterio, sorridendo sempre in modo più strano -It's Salterio Time!-

Dei lamenti di diniego si scatenarono tra i templari.

-Salterio Time?- domandò Michelangelo, grattandosi la testa, confuso -E cosa sarebbe?-

-Perché glielo hai chiesto...?- ringhiò Mirko, a denti stretti.

Il templare di nome Salterio stava continuando a sorridere. Premette qualcosa sul telefono, e iniziò a fare un po' di stretching alle braccia.

Dal telefono uscì una melodia. Una melodia ritmata, una specie di misto tra techno e classica.

Helmut si voltò indietro quanto poteva, mentre ancora stava tenendo in piedi il suo muro di ghiaccio.

Intuì che doveva lasciare il posto al confratello, sempre più vicino.

-I miei volevano che studiassi per divenire cantante lirico.- raccontò Salterio, mentre nei suoi occhi stavano per comparire le croci rosse -Non posso negare che non mi piacesse o non mi piaccia tutt'ora, è molto bella ed emozionante, ma alla lunga diventa noiosa. Per questo sono diventato DJ e ho deciso di creare mie canzoni o remix di quelle già esistenti. E poi ho scoperto qualcosa di divertente: chi ha detto che la lirica non possa essere usata anche in altri generi?-

Doveva essere tutto calcolato nei secondi.

Nell'istante in cui Tundra avrebbe smesso di usare i poteri, Salterio doveva tenersi pronto ad usare i suoi.

Il muro avrebbe retto abbastanza da permettere la fuga del confratello, prima di sciogliersi completamente.

Gli zombie avevano via libera, pronti per accanirsi contro il primo che incontravano. Ma lui, in quel preciso istante, aprì la bocca: non uscì un urlo, ma una nota, che ebbe, però, il medesimo effetto degli urli.

Ne seguì, un'altra, e poi un'altra ed un'altra ancora. Tante note una dietro l'altra, ciascuna con lunghezza e tonalità differente.

Salterio stava cantando.

La sua lirica si sposava alla perfezione con i ritmi techno, con contaminazione orchestrale.

Gli zombie erano lontani. E lo sarebbero stati fino alla fine della canzone.

L'anello aveva letto dentro il cantante lirico che voleva rendere i suoi “urli” una vera arma, o aveva deciso di fare buon uso dei suoi “urli”, tornando alla lirica? Qualunque fosse stato il motivo per cui aveva ottenuto quel potere, Salterio lo usava solo a fin di bene, per proteggere gli innocenti e distruggere gli empi, non per esibizionismo. Un comportamento degno di un templare, dopotutto.

Michelangelo sorrise.

-Ehi! Ma è fortissimo!- complimentò, muovendo la testa a tempo -Forse non siete così male!-

Donatello lo agguantò per un braccio.

-E muoviti!-

Erano tutti diretti verso l'uscita, tranne Mirko.

-E tu...?- domandò Leonardo, l'ultimo ad uscire.

-Andate, correte! Io resto qui fino al termine della canzone e poi faccio saltare tutto in aria! Muoviti!-

Il pensiero di Leonardo fu, in realtà, non solo per il fratello e l'amica, ma anche per Salterio.

-Ma, lui...-

-Non temere.-

Edoardo, detto Spettro, era tornato indietro.

-Se uno resta a contatto con Cataclisma, l'esplosione non ha alcun effetto. A meno che non decida di uccidere anche lui, visto che non fanno altro che litigare.-

Quella frase fece ridere Leonardo. Ma era sollevato, nel sapere che nessuno, a parte gli zombie, sarebbe rimasto morto.

Uscire dalla fabbrica era come se da un forno fossero stati messi direttamente in un freezer.

-YAARGH! SI GELA!- esclamò Michelangelo, strofinandosi le braccia.

Anche con le loro tute mimetiche, anche i templari sentivano la stessa sensazione. Compreso Casey, che indossava un cappotto.

Aveva anche ripreso a nevicare.

-Ehi! Ora ricordo!- esclamò, voltandosi un'altra volta verso la fabbrica -Il tipo che mi ha urlato contro e mi ha scaraventato via, quando vi ho chiamato per quella rissa clandestina mesi fa, era LUI!-

Parlava della sera in cui avevano condotto Elisabetta nelle fogne. In cui l'avevano vista combattere da sola contro tre uomini.

D'altronde, anche la templare aveva confermato che si trattava di un confratello di nome Salterio.

E finalmente le Tartarughe lo avevano scoperto con i loro occhi.

-Ok, adesso ti crediamo.- disse Donatello -Ma ora è meglio scappare via da qui, prima che salti tutto per aria! Meno male non abbiamo parcheggiato lontano.-

Dovevano solo attraversare il ponte e raggiungere un punto nascosto, coperto dalla neve. Il Tarta Corazzato era quasi sotterrato da mezzo metro di neve.

-Se solo sapessimo dove si trova Eli...- mormorò Federico.

-O Raph...- aggiunse Leonardo.

Sperarono solo che fossero riusciti a scappare in tempo ora che gli zombie erano concentrati su Salterio.

Proprio in quel momento, una figura gigante apparve dall'alto, con in braccio qualcosa.

-RAPH!- esclamarono i fratelli e Casey.

A giudicare dal punto in cui era atterrato, aveva usato il vecchio passaggio dei trasportatori, per non avvicinarsi né al fumo, né ai senzatetto, ignaro della loro trasformazione in zombie.

Lui fece subito un passo indietro, alla vista dei templari.

-Loro che ci fanno ancora qui?!- ringhiò, sguainando un sai -Non la porterete via!-

-Fermo, Raph!- avvertì Leonardo -Ci hanno aiutati!-

-E uno di loro ci sta coprendo la fuga!- aggiunse Donatello.

Lo sguardo di Federico fu subito sulla consorella.

-Oddio! Lei sta bene?!- disse, facendo un passo avanti.

-Sì, è ancora viva.-

-Ah, quindi lo sapete...- mormorò Golem.

Alludeva alla vera identità di Flagello. Lo avevano notato alle prime domande su di lei, ma erano impegnati con altro, per discuterne.

-Sì, sappiamo che è una ragazza.- rivelò Leonardo.

-Una BELLA ragazza...- mormorò Michelangelo, prima di notarla ancora priva di sensi tra le braccia del fratello -AHHH! CHE LE È SUCCESSO?! STA BENE?! HA FATTO IL MIO NOME?!-

Un colpo di bastone da parte di Donatello lo fece tacere.

-Vi ringraziamo per il vostro aiuto.- iniziò Leonardo, con un inchino -A nome dei miei fratelli, abbiamo apprezzato che abbiate combattuto contro di noi per salvare una persona che un tempo era dei vostri.-

-No.- si fece avanti Carmine, ancora sorretto da Niccolò, con gli occhi ancora sanguinanti -Siamo noi che dobbiamo ringraziare voi per prendervi cura di nostra sorella. Lei era uno dei membri più forti e più rispettati dell'Ordine.-

E non stava mentendo. Tutti ammiravano Elisabetta, per la sua forza. Ammirazione che avevano anche le Tartarughe.

-Però l'avete comunque scomunicata.- fece ricordare la tartaruga, accusando i templari di ipocrisia, con il tono severo.

-Non sempre siamo d'accordo con le decisioni del Magister.- chiarì Marco, detto Golem -Nessuno di noi era favorevole alla sua scomunica. Come non eravamo favorevoli alla condanna di fratello Francesco.-

Federico abbassò lo sguardo, triste. Quel giorno aveva colpito Elisabetta tanto quanto aveva colpito lui. No, tutti loro erano rimasti scioccati, alla notizia della condanna a morte del confratello, a seguito dell'accusa di tradimento contro l'Ordine.

Era tra i più fedeli dell'Ordine. Era stato persino impensabile che avesse avuto contatti con il Rinnegato, visto che non era “risorto” come uno dei suoi seguaci. E Omnes non era certo uno zombie.

Proprio lui, apparve dal nulla, da un portale apparso sulla neve.

-Lieto che lo pensiate.-

La sua improvvisa comparsa fece sussultare tutti.

-Ah, finalmente ti degni di mostrarti!- sbottò Helmut, furibondo -Ci hai mandato qui SENZA UN PIANO! E ci hai lasciato in pasto a quegli zombie! Hai tutti i poteri dei templari! Potevi pensarci da solo a questo casino!-

-Hai ragione, avrei potuto...-

Il suo tono era calmo, rispetto agli animi che aveva intorno.

Squadrò uno per uno, ninja e templari, nei suoi occhi crociati. Nessuno aveva portato ferite, nessuno era saltato alla gola dell'altro.

Tutto bene.

-È meglio se ve ne andate da qui. Salterio sta per finire la sua canzone.-

E Cataclisma avrebbe scatenato il suo potere distruttivo, per uccidere gli zombie.

Alzò una mano, evocando un altro portale a forma di croce grande quanto un portone.

-Come promesso, dopotutto.- disse, ai templari.

Una volta conclusa la loro missione alla fabbrica, li avrebbe condotti di nuovo alla Sede Templare, come se nulla fosse accaduto. Erano questi gli accordi.

-Arrivederci, allora.- salutò Carmine -Quod Deus semper vos benedicat.-

Anche il resto dei templari si inchinò alle quattro Tartarughe, come segno di rispetto e ringraziamento per aver combattuto al loro fianco.

Uno per uno, attraversarono il portale.

-Spero di rivederti presto, in circostanze migliori.- salutò Andrea Celeritas, stringendo la mano a Casey.

-Anche io.-

Fu strano, agli occhi delle Tartarughe. O forse no, considerando che quel templare aveva salvato il loro amico per ben due volte.

Poi toccò a Federico entrare nel portale. Salutò gli alleati con un saluto timido con la mano.

-E, vi prego, prendetevi cura di Eli.- supplicò Federico -Lei...-

Ma poi tacque, mordendosi le labbra ed abbassando lo sguardo.

Leonardo continuava a fissarlo, con un sorriso lieve. Decise di non dare troppo peso alla sensazione di poco prima. Era troppo impegnato a combattere, per rendersi conto del “chi”.

Sperò solo di non incrociare nuovamente le strade con i templari. Quel giorno erano stati alleati. Cosa sarebbero divenuti, successivamente? Nuovamente alleati o nemici? Non erano da sottovalutare, sia per le loro abilità con le armi che per i loro poteri.

-Ehi, aspetta.-

Carmine era il prossimo. Omnes aveva subito notato i suoi occhi. Bastò solo che li toccasse e il bruciore passò.

-Grazie.- disse il ragazzo, sorpreso.

Forse non doveva ringraziarlo. Era pur sempre un nemico dell'Ordine. E non poteva averlo fatto per altruismo, ma per non destare sospetti al Gran Maestro.

-Ehi, ma Salterio e Cataclisma?- ricordò Spettro, l'ultimo ad attraversare il portale -Sono ancora...-

-Ci penso io. Tu vai.-

Il Tara-Corazzato era già lontano, quando i templari stavano tornando alla Base. Casey e la sua moto erano all'interno, per maggior sicurezza.

-Spero solo che ce l'abbiano fatta.- mormorò Leonardo, guardando indietro.

-T'importa davvero, Leo?- domandò Donatello.

-Perché no? Sembravano sinceri, quando hanno parlato di Eli e della sua scomunica. Forse non sono quello che pensiamo.-

Pensò a Carmine. La corazza di Leonardo poteva resistere abbastanza all'impatto con l'impalcatura. Lui e Federico sarebbero sopravvissuti, ma Carmine aveva comunque deciso di ricorrere al suo potere, danneggiandosi gli occhi, pur di salvare entrambi. E il templare chiamato Salterio si era fatto avanti per coprire la fuga dei confratelli e degli alleati.

-Sono d'accordo con Leo.- si intromise Casey -Andrea poteva lasciarmi morire nella villa di Longino, come anche nel vicolo dove ci siamo conosciuti, tra le batoste di quei teppisti, ma non lo ha fatto. Mi ha salvato, più di una volta. Anche da Longino stesso. Ha preferito sacrificare la sua missione che me. Io... gli sono debitore.-

-Mi stai dicendo che dovevo lasciarti nelle mani di quei teppisti?- ricordò, quando aveva scoperto che era un templare.

Lì si era reso conto che Andrea non era come il templare che aveva torturato Raffaello, Giacomo, detto Galvano.

-E poi avete visto che roba, quel, come si chiamava...? Ah, ecco, Salterio? Un'autentica bomba!- ricordò Michelangelo -Se tutti i templari hanno poteri così fighi, allora voglio esserlo anche io! Ehi, Raph, sei tornato muto?-

Si era voltato indietro, anche per assicurarsi delle condizioni della templare.

Era strano, infatti, che proprio lui non avesse detto nulla, per controbattere la tesi dei fratelli e dell'amico.

All'andata, era per preoccupazione. Ora, al ritorno, era per uno shock.

Elisabetta era ancora svenuta, tra le sue braccia, avvolta in una coperta.

Non smetteva di pensare a quello che aveva detto Omnes.

Lui sapeva. Lo aveva scoperto.

Aveva dato voce ai suoi sentimenti.

Non smetteva di fissare la ragazza.

Il cuore gli batteva forte e le labbra rimanevano chiuse, per paura di ammettere la verità.

Lui la amava. La amava.

Ma lei ricambiava il suo sentimento? C'erano due forze contrastanti, in Raffaello. Una parte lo sperava, l'altra sperava invece il contrario.

Alle loro spalle, un'esplosione. Non erano abbastanza lontani da evitare l'onda d'urto.

Il Tarta-Corazzato, infatti, sussultò.

Donatello decise di frenare, con aria stupita. Così lo erano anche Casey ed i fratelli.

Scesero dal mezzo, tornando in mezzo al gelo. Anche Raffaello aveva lasciato la ragazza sui sedili, svegliato dall'improvvisa frenata.

Un'esplosione simile ad un fungo si ergeva dove prima si poteva scorgere una vecchia fabbrica.

-Spero ce l'abbiano fatta...- mormorò Leonardo, preoccupato.

Edoardo gli aveva assicurato che le esplosioni di Cataclisma non erano distruttive, se si rimaneva vicini a lui. Ma non riuscì a non preoccuparsi.

Forse più per il futuro. La prossima volta in cui avrebbero incrociato di nuovo la strada con i templari, sarebbe stato come alleati o come nemici? Era questo che lo preoccupava.

Ma ciò che lo rincuorava era il fatto che non fossero un'unica mente con il Gran Maestro David. Da come parlavano di Elisabetta, avevano ancora rispetto ed ammirazione nei suoi confronti, non con disprezzo, a differenza di come avevano parlato del Rinnegato.

E non erano solo Federico o Elisabetta ad essere rimasti scioccati dalla morte di fratello Benedizione...

La portiera del Tarta-Corazzato si aprì di nuovo.

-Ragazzi, cosa...?-

Elisabetta inciampò sulla neve. Rapido, Raffaello cercò di sorreggerla.

-ELI! LA MIA SIRENA!- esultò Michelangelo, correndo subito da lei, abbracciandola -TI CREDEVO PERDUTA PER SEMPRE! BUHUUUUU!!!-

L'aveva quasi strappata dalle braccia del fratello, che sentì subito una morsa al cuore.

“Se non le togli le tue manacce, io...!”

-Cosa è successo? Dove siamo?-

Poi notò l'esplosione, separandosi da Michelangelo e camminando pochi passi sulla neve.

-Cosa...?-

La mano di Leonardo la tranquillizzò.

-Tranquilla, è tutto a posto. È opera dei tuoi ex-confratelli.-

Elisabetta era sempre più confusa.

-Torniamo dentro, ti spieghiamo mentre torniamo a casa...-

 

La canzone di Salterio stava per concludersi. Le orecchie di Cataclisma stavano implorando pietà.

Magari era quello che gli serviva per alimentare il suo potere.

Più frustrazione provava, più devastante era l'esplosione.

Ma, dal nulla, era apparso Omnes, che subito annullò il potere del templare più fumantino.

-Ci penso io, qui. Voi tornate indietro.-

-Ma...!- protestò Mirko.

Proprio nella nota finale, più lunga e più alta, i due templari vennero inghiottiti da un portale.

Lo stabile era sgombro. Erano rimasti solo gli zombie ed il ragazzo mascherato.

La maschera svanì, mostrando il volto che nascondeva.

Un'aura infuocata cominciò ad espandersi intorno a lui, composto, nonostante gli zombie stessero caricando contro di lui.

-Questo è per lei, maledetti!-

Esattamente come sarebbe successo con Cataclisma, l'esplosione distrusse tutto lo stabile, zombie compresi.

Ora erano definitivamente morti.

Ma l'obiettivo principale no.

L'ex Gran Maestro Roberto, detto Ubiquitas, ma adesso conosciuto come “Il Rinnegato”, aveva fissato l'esplosione da lontano, grugnendo sotto la barba: -Maledetti templari! Ora devo ricominciare tutto daccapo! Ma non finisce qui...-

E scomparve nello stesso modo in cui era scomparso tutte le volte che un templare lo aveva avvistato.

 

April, come prima cosa, si era gettata tra le braccia di Elisabetta, vedendola sana e salva.

-Oh, tesoro, ero così preoccupata! Non sapevo cosa fare, quando ti ho visto che ti hanno rapita...! Ero disperata!-

La templare sorrise, consolandola.

-Tranquilla, sto bene. Come vedi, sono tornata tutta intera.-

-Già... a questo proposito...-

Splinter era apparso dalla penombra del negozio. Era rimasto con April tutto il tempo.

In realtà, era stata lei ad averlo chiamato, un istante dopo che Casey e le Tartarughe erano partiti all'inseguimento dei rapitori di Elisabetta.

Splinter aveva ritenuto più saggio salire in superficie per tenerle compagnia.

Insieme, per calmarsi, avevano praticato un po' di meditazione. Dopotutto, April non poteva permettersi di agitarsi, con un bambino in grembo, sempre più vicino alla nascita.

Quei minuti di meditazione furono un vero toccasana per la donna. Per fortuna, quando avevano finito, Angel era tornata dall'asilo nido, da dove aveva prelevato il piccolo Arnie.

Non aveva avuto più tempo di preoccuparsi per l'amica.

Si era distratta osservando il figlio giocare con nonno Splinter e svolgendo la sua quotidiana mansione di madre, ben più appagante di quella di commessa.

-... credo tu ci debba delle spiegazioni, figliola.-

Lo sguardo era severo. La templare rabbrividì, inquieta.

April aveva preparato tè per tutti, principalmente per scaldarsi dall'inverno gelido. Arnie stava già dormendo nella sua cameretta.

Ancora una volta, le Tartarughe, Splinter ed Elisabetta erano ospiti a cena dai Jones.

Tutti gli sguardi erano sulla templare, che guardava la sua tazza ancora piena di tè.

-Hai idea di quanto ci hai fatto preoccupare?- iniziò Donatello -Per poco a Mick non è venuto un esaurimento nervoso.-

-Non basterebbero quattro pizze per la fame nervosa!- chiarì, alzando la voce.

-Shhh!- fece April, facendogli notare che Arnie stava dormendo.

-Mi dispiace, ragazzi...- fece Elisabetta, con un filo di voce, senza alzare lo sguardo.

-Non ti stiamo giudicando, figliola.- rassicurò Splinter, con voce ferma -Ma non puoi negare di esserti messa in pericolo.-

E nessuno di loro aveva idea di quanto. Tranne, forse, Raffaello, che era tornato nel mutismo. E anche Leonardo.

-Figliola, cosa è successo? Perché sei scappata così di corsa, oggi? E con una bugia?-

Lo sapeva che la scusa di Leatherhead non avrebbe retto. Era stata la prima cosa che le era venuta in mente.

Cosa doveva dire, altrimenti? Che un gruppo di disperati capeggiati da un ex-Gran Maestro, scomunicato, maledetto e con complesso di superiorità l'aveva rapita con lo scopo di portarla dalla loro parte contro i suoi confratelli?

No, non doveva farli preoccupare.

-Quegli uomini... Volevano fare del male ad April e rapinare il negozio.- uscì dalla sua bocca -Li ho sentiti dire che volevano farla pagare a Casey per un motivo che non ho capito e che si sarebbero vendicati su April e Arnie. Io li ho scovati e per questo devono avermi narcotizzata e rapita. Volevo solo proteggere April e Arnie. E speravo di farcela da sola. Mi dispiace, ragazzi.-

La prima a stupirsi di quella spiegazione fu Elisabetta stessa. Aveva rivelato una storia plausibile, con poco preavviso.

“Aspetta, perché l'ho detto?!” pensò “Una storia simile non è da me!”

Infatti, non era “sua”. Mentre veniva curata, Omnes si era chinato su di lei, sussurrandole qualcosa.

Le stesse parole che lei aveva appena pronunciato. Come fossero istruzioni.

Nessuno avrebbe scoperto il vero motivo.

Quella storia aveva convinto i presenti, tranquillizzandoli di conseguenza. Si era sì cacciata nei guai, ma per una buona causa.

Rincuorato, Splinter si era alzato per prenderle affettuosamente una mano.

-Un sentimento nobile da parte tua, figliola. Ma non andare mai più in missioni suicide da sola.-

Casey si sentiva confuso: la maggior parte delle persone presenti nella fabbrica erano senzatetto. Cosa mai aveva fatto a dei senzatetto? Poi, però, ricordò che, nei suoi assalti con la tenuta della SWAT, aveva sgominato diverse bande criminali minori. Magari, tra quei senzatetto c'era qualche “vendicatore”. Allora era stato un bene che avesse avuto indosso la maschera da hockey, o, magari, si sarebbero trasformati subito in zombie.

Facendo spallucce, pensò che questo fosse il movente.

-Già, e qui abbiamo un evidente esempio di tipico frequentatore di missione suicide, vero, Leo? Leo!-

Leonardo non rispose. Dalla sua partenza, aveva un pensiero fisso.

Aveva ripreso a pensare a Federico. Al momento in cui l'aveva sfiorato per consolarlo. E non aveva sentito niente.

Realizzò che era esattamente la stessa sensazione che aveva avuto dopo che aveva toccato il diario di Etienne dalla seconda volta. Ma ancora non capiva cosa potesse significare.

I suoi poteri stavano forse svanendo?

 

-Quindi questo è tutto quello che hai da dire?-

-Sì, Magister.-

Elisabetta aveva approfittato della prima occasione per tornare nella Dimensione Mistica a fare rapporto a David.

Aveva raccontato del “rapimento”, del suo incontro con il Rinnegato, persino della mancata occasione di eliminarlo. Ma non disse nulla sulle Tartarughe. O della sua ferita.

Disse solo che si era data al suo inseguimento e che lo aveva perduto dopo che era scomparso dopo essere apparso in due portali.

Lui appariva serio, come al solito. Lei temeva fosse deluso dal fallimento.

-Hai avuto fretta...- disse, scuotendo la testa -E questa fretta poteva costarti la vita.-

Da un certo punto era accaduto così. Ma non lo rivelò. Principalmente perché nemmeno lei sapeva come fosse successo. Un istante prima era vicina alla morte, e poi si era ritrovata nel Tarta-Corazzato, viva.

David sospirò.

-Beh, almeno sei ancora viva.- concluse -Puoi tornare alla missione principale. Ma questo fallimento ti costerà caro, Flagello, quando ti degnerai di tornare con il Graal.-

-Sì, Magister. Ne sono cosciente.-

Entrambi uscirono dalla Dimensione Mistica, senza saluti.

David era da solo, di fronte al crocifisso della Sala Grande.

Stava per ritirarsi nelle sue preghiere, quando aveva ricevuto la chiamata dell'adepta.

Il suo sguardo era cupo e la mente occlusa.

Come previsto da Omnes, nessuno, nemmeno l'acuto Lazzaro avevano notato qualcosa di strano nelle copie degli adepti, mentre quelli veri stavano combattendo contro gli uomini del Rinnegato.

La notizia dell'esplosione di una vecchia fabbrica non tangé nessuno di loro. Elisabetta non aveva rivelato il luogo dove era stata condotta, principalmente perché non lo sapeva nemmeno lei. E nessuno degli adepti doveva lasciare il minimo sospetto.

Ma tutti loro stavano ancora domandandosi la stessa cosa: perché mandare Flagello contro il Rinnegato? Lei aveva già una missione, e la più importante di tutte.

E quel dubbio non era stato instillato da Omnes: era il loro. Uno dei tanti, dalla morte di fratello Benedizione.

Ma non potevano ancora agire senza prove o senza un motivo valido. Intanto, avrebbero continuato a seguire gli ordini, fintanto che non andassero contro il dogma dell'Ordine.

Il portone della Sala Grande si aprì.

-Gran Maestro David...-

Era un Dragone Purpureo. Era in compagnia di un ragazzo con il volto coperto da una sciarpa e i capelli da un cappello di lana.

-Il confratello Noctis è tornato.-

Il ragazzo si era tolto sciarpa e cappello, mostrando i capelli e la barba dello stesso colore, marroni con sfumature ramate.

-Bene, lasciaci soli.-

Non si era degnato di imparare tutti i nomi dei Dragoni Purpurei. Giusto quello di Hun, solo perché ne era il capo.

Il Dragone lasciò la stanza, come richiesto, e salutò il templare di nome Noctis con un cenno della testa.

David si era voltato con un lieve sorriso di pregustata vittoria.

-Fratello Noctis, è bello rivederti.- disse, scendendo le scale che portavano ai quattro troni -I tuoi rapporti sui Dragoni Purpurei sono stati soddisfacenti. Senza non notare l'ottimo lavoro che hanno fatto qui, ovviamente. È facile convincere le persone, trovando i giusti mezzi. Ma non credo tu sia tornato per vantarti del tuo successo, vero, fratello Noctis?-

-Mi duole ammetterlo, ma è così, Magister.- disse il ragazzo, senza guardare in faccia l'uomo.

Aveva un modo di parlare strano; ricordava quasi l'accento di Luigi. Anche lui era dell'Italia del Sud.

-La situazione sta diventando quasi critica.- iniziò, serio, e, finalmente, degnandosi di guardare il Magister negli occhi -I Dragoni Purpurei stanno sfuggendo al nostro controllo. A quanto pare hanno frainteso le nostre condizioni. Credono di aver ripreso il potere che avevano perduto con la caduta di Shredder, visto che noi li abbiamo accolti nella nostra ala, e hanno ripreso a trattare New York come fosse casa loro. Non so per quanto li terrò a bada. Per questo ho chiesto di tornare e parlarvene di persona.-

Il sorriso era svanito dalle labbra di David. Non si aspettava cieca fedeltà da criminali come i Dragoni Purpurei, nonostante le minacce di fratello Faust contro il loro capo. La brama di potere aveva accecato tutto il resto.

Si erano illusi di poter tornare come prima, che i templari fossero come Shredder: in cambio della loro fedeltà, potevano avere la città e riunire le bande criminali sotto il loro giogo.

Ma i templari non condividevano la filosofia di Shredder. Loro non calpestavano gli innocenti o prendevano mezzi e luoghi con la forza.

E il gesto dei Dragoni Purpurei era imperdonabile, per loro.

-La Base è ormai completa da tempo e le bande criminali sono praticamente nostre.- rifletté il Gran Maestro, tornando a fissare il crocifisso sopra i quattro troni -In pratica, i Dragoni non ci servono più. E poi, abbiamo bisogno di un esempio per far capire a quella feccia chi è che comanda.-

David sorrise in modo strano, quasi malefico: sapeva già in cosa sarebbe consistito il prezzo esatto dal capo dei Dragoni Purpurei, per il suo “tradimento”.

-Quindi posso finirla con questa messinscena?-

David tornò nuovamente a voltarsi verso l'adepto, come se stesse vedendo il vuoto.

-Ma certamente...- sibilò, annuendo con la testa.

Anche Noctis sorrise malignamente. Ma non per lo stesso motivo del Gran Maestro. I suoi unici pensieri sui Dragoni Purpurei erano prevalentemente di disprezzo per quello che erano, non come utensili da gettare via una volta terminata la loro utilità.

-Era ora che lo diceste...-

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Cosa attenderà Hun?
I templari e le Tartarughe diventeranno alleati o rimarranno rivali?
I templari sono davvero malvagi come pensano le Tartarughe?
Raffaello ed Elisabetta riusciranno a superare il loro orgoglio e rivelare quello che provano l'un per l'altra?
E perché Omnes ha così a cuore la templare?

 

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