Universi paralleli di skorpion (/viewuser.php?uid=98292)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
capitolo1
Prologo.
Si
svegliò madida di sudore, la cappa di calore che da qualche giorno avvolgeva
Marsiglia non lasciava tregua nemmeno durante la notte, ordinaria
amministrazione nel mese di agosto.
Una
fitta insistente al braccio sinistro le impediva ora di riprendere sonno e il
suo sguardo vagò distrattamente alla minuscola cicatrice impressa sulla pelle dell’avambraccio,
che la costringeva ogni giorno a convivere con ciò che la mente faticosamente
tentava di cancellare.
“Una
maledizione ben scelta mia cara, per impedirmi in eterno di trovare pace”, le disse
prima che le loro strade si dividessero per sempre. A quanto pare anche lui le
aveva lasciato impresso qualcosa che si sarebbe portata appresso per
l’eternità, peccato che il dolore fosse molto tangibile, mentre le sue in fondo
erano state solo parole gridate al vento. Per rabbia. Per delusione. Per paura.
Per colpirlo. Non dubitava di averlo ferito con quelle accuse, ma certamente
nel giro di pochi mesi la sua coscienza si sarebbe sbarazzata di quel peso superfluo
e ora, dopo due anni, probabilmente nemmeno avrebbe ricordato più il suo nome.
Erano
passati due anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Che li aveva visti. Un
anno e dieci mesi dall’ultima volta che aveva sentito suo padre, due anni e
quattro mesi dalla prima volta che aveva conosciuto suo fratello e due anni
esatti dal giorno in cui non vedeva più lui.
Stava
cercando di rammentare con quali parole avesse insultato suo padre, quando la
sua coinquilina improvvisamente spalancò la porta della sua stanza.
“Sei
sveglia?”praticamente urlò
“
Avrebbe fatto qualche differenza per te se non lo fossi stata?”
“No”
sorrise. Poi ridivenne seria ” Hanno chiamato, dobbiamo andare, Walt ci aspetta
all’aeroporto”
“Siamo
già pronti?”non fece niente per nascondere lo scetticismo nella sua voce.
“Non
possiamo aspettare oltre, non abbiamo scelta, tentiamo con quello che abbiamo”.
“Bene,
è un suicidio. Andiamo”.
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Capitolo 2 *** capitolo 1 ***
capitolo1
Capitolo
1
“Il
conto, grazie” disse distrattamente alla cameriera che girava tra i tavolini
all’aperto sotto il sole cocente di mezzogiorno. Nemmeno l’ora di pranzo e già
il tasso alcolico del suo sangue aveva abbondantemente superato il limite
consentito dal buonsenso, ancor prima che dalla legge. La legge, come se gli
importasse qualcosa ormai. Non vi era stata una sola regola che non avesse
infranto negli ultimi due anni, strano per uno che ogni singolo giorno della
sua precedente vita aveva respirato, si era nutrito e si era dissetato di
regole, obbedienza e disciplina.
Lasciò
una lauta mancia accanto al bicchiere vuoto, con un movimento fluido si alzò e
si incamminò verso il centro della città. Nonostante l’alcol, il passo era
sempre fiero e l’andatura naturalmente nobile, elegante, come avrebbe dovuto
essere il portamento di un cavaliere del suo rango.
Da
un anno aveva affittato un appartamento in pieno centro, il che significava essere
costretto a condividere i mesi estivi con una folla di turisti inferociti che
assaltavano puntualmente tutti gli alberghi e le locande di Atene, ma
significava anche mettere a distanza di sicurezza tutta la parte della sua vita
precedente che si sarebbe volentieri lasciato alle spalle. Quella era la
distanza massima che il suo ruolo gli consentiva: non poteva andare oltre, era
pur sempre un cavaliere d’oro e il suo tempio non poteva restare completamente
senza custode. Un compromesso, questa
era la sua vita ora: un patto, un continuo contrattare condizioni, obblighi e
doveri.
All’improvviso
eccola la sua vita precedente, la vide materializzarsi in lontananza, appena
girato l’angolo della piazza su cui si affacciava il suo appartamento, era
ferma, immobile, seduta sui gradini dell’ingresso della sua casa e aspettava
lui, sotto il sole di mezzogiorno, senza battere ciglio.
Non
rallentò la sua andatura, proseguì come se niente fosse e, fingendo di non
avere visto l’uomo elegantemente
appoggiato al cancello di ferro battuto della sua abitazione, senza indugi girò
le chiavi nella toppa.
“Kanon”
si sforzò nel pronunciare un saluto educato, ma non riuscì a mascherare
l’irritazione per quella presenza invasiva.
“Ciao
Milo” se non altro era una fortuna che tra tutti i cavalieri avessero mandato
quello meno loquace.
“Nessuno
mi ha chiesto di venire qui, se è questo che stai pensando”.
Milo
si irrigidì, non voleva essere scortese, ma non aveva intenzione di intavolare
discussioni con nessuno. Nemmeno con lui, nonostante tutto.
“Non
ora, per favore” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Kanon
sorrise. Non un sorriso beffardo.
Piuttosto l’ espressione benevola di chi la sa lunga, di chi ha capito.
“Tranquillo,
non mi trattengo. Passavo di qui per caso e ho pensato potessimo mangiare
insieme, ma se hai altri programmi possiamo rimandare” si alzò e fece per
allontanarsi.
“Aspetta”
Kanon
si voltò.
“Perdonami,
sono stato scortese, se vuoi fermarti non mi da fastidio”
“Immagino
che non mi da fastidio sia già
qualcosa” sospirò Kanon.
Milo
ignorò il commento, salì le scale, aprì la porta e invitò l’amico ad
accomodarsi.
Kanon
scrutò attentamente l’interno della casa, non vi regnava il caos assoluto come
aveva immaginato in quei mesi, questo era un buon segno.
“La
Fondazione manda una donna delle pulizie una volta a settimana” Milo lo stava
osservando e aveva indovinato i suoi
pensieri.
“Certamente, la Fondazione.” Kanon era
imbarazzato. “Non che volessi farmi i fatti tuoi”
“Certo,
come no. Dimmi Kanon, esattamente cosa sei venuto a fare per caso da queste parti?”
“Touchè”
“Avanti,
non ti formalizzerai di fronte a me vero?”
“No”
era sincero, lo era sempre stato con lui. “Vengo a portarti buone nuove”
“Ti
ascolto” rispose distrattamente Milo mentre armeggiava con piatti e bicchieri.
“Alexander.
Ce l’ha fatta, è uscito dal coma”
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Capitolo 3 *** capitolo 2 ***
capitolo 2
Capitolo
2
Il
braccio continuava a pulsare e per tutto il tragitto fino all’aeroporto lo
tenne piegato e pressato contro lo stomaco, lo sguardo apparentemente perso a
guardare il paesaggio fuori dal finestrino. Il giallo dei campi di grano si
alternava al verde delle viti e degli ulivi, per fondersi nel blu del
mediterraneo quando si avvicinavano alla costa. Il mare, quel blu. Era di una
tonalità più scura di quello della Grecia, o almeno così sembrava da quella
distanza. No, non voleva pensare. Non a quello. Una lobotomia, ecco cosa
avrebbe desiderato in quell’istante. E invece eccoli i ricordi: dapprima
subdoli, poi improvvisi, violenti, come un mare in tempesta, e non poteva fare
niente per arginarli.
“Buongiorno cara” suo padre le si avvicinò con
cautela e le diede un leggero bacio sulla fronte, come se niente fosse
successo, lasciandola di sasso.
Come se
non fossero passati quattro mesi. Come se non si fosse preparata un elogio
funebre e non l’avesse mentalmente ripassato ogni giorno negli ultimi due mesi,
trascorsi ad immaginarlo immobile, freddo e senza vita. Da un momento all’altro
si aspettava potesse arrivare il momento giusto per utilizzarlo, quell’elogio. Così,
all’improvviso. E lei non voleva sentirsi impreparata. Non lo era mai stata. Niente
in tutta la sua vita l’aveva mai colta di sorpresa. Era un’ esperta stratega,
un’abile giocatrice. Ma non poteva immaginare che la giostra su cui sarebbe
salita quel giorno l’avrebbe portata fino ad al punto del non ritorno, il punto
oltre il quale niente sarebbe più stato lo stesso. Un’ imprevista, insospettabile,
sconosciuta direzione di cui lei non poteva decidere il senso di marcia: stava
per perdere il timone della sua vita,
per non riprenderlo più.
Avrebbe
voluto abbracciarlo, ma rimase immobile, i denti serrati, gli occhi ridotti a
due fessure.
“Buongiorno??”
Urlò.
“Claire io …”
“No!! Fammi parlare” ansimava.
“ Sei
sparito per quattro mesi senza che nessuno qui avesse idea di dove fossi finito. Non un segnale,
non un contatto, un messaggio, fosse anche stato con un fottuto piccione
viaggiatore! Pensavamo che fossi morto, che avessi fatto la fine di ….” era sconvolta,
tremava, non riusciva a proseguire. Non era da lei.
“Perdonami.
Perdonatemi tutti. Nessuno all’ interno dell’ Agenzia avrebbe dovuto sapere …”
questa fu la scintilla che la fece esplodere.
“Agenzia?!?”
le mani strette a pugno, lo sguardo furente
“Non mi frega un cazzo dell’Agenzia! Mi frega
di me, di come mi sono sentita al pensiero che ti avessero …” la voce si ruppe,
ma fu solo un attimo “Sono tua figlia, pensi forse che non meriti più attenzione
di un qualunque altro insignificante membro dell’Agenzia?”
Gli si
scagliò contro, tempestandolo di pugni. Due mani la bloccarono da dietro e lei
si dimenò con forza nel tentativo di divincolarsi.
“Lasciami
andare Walt, immediatamente!”
Suo padre
non si era mosso. Era come in trance, la guardava, sofferente, preoccupato, ma immobile.
“Signor
Alexander, forse è meglio che si allontani per qualche ora, solo fino a che non
si sarà calmata”
Walt si
rivolse a lui mentre si sforzava di tenerla ferma.
“Grazie
Walt. Ma non posso allontanarmi. Ho bisogno di parlare con lei e devo farlo ora.
Ho atteso un’intera esistenza, è giunto il momento che sappia.”
“Non vi
azzardate a parlare come se io non ci fossi, capito?” riuscì a liberarsi dalla
stretta e si sedette nervosamente sul divano, a distanza di sicurezza dall’oggetto
della sua furia. Non pensava di averne la forza, ma riuscì a sembrare calma. Quasi.
“Ti ascolto”
disse tra i denti, senza guardarlo.
“Walt, puoi
lasciarci soli per favore?”
“Ma signore …”
“Tranquillo,
andrà tutto … come deve andare”
“E’ proprio
questo che mi preoccupa” borbottò Walt mentre si richiudeva la porta dello studio
alle spalle, ma nessuno lo sentì.
La
frenata improvvisa le fece sbattere la testa sul sedile anteriore e la fece
ridestare dai suoi pensieri. Il braccio le si era addormentato, come sempre,
quando lo teneva pressato così a lungo.
“Hei,
Walt, sta attento” la ragazza al suo fianco si era appena rovesciata metà del
contenuto della lattina sui jeans candidi. “Accidenti, ora mi devo pure cambiare”
La
osservò con la coda dell’occhio e sorrise. Se non ci fosse stata lei, con la
sua vitalità, a risollevarla dalla melma in cui aveva annaspato negli ultimi anni,
a quest’ ora sarebbe stata completamente sommersa dal fango.
“Tranquilla
Juliet, sei sempre bellissima, anche con i pantaloni macchiati” Sapeva di
solleticare la sua vanità.
“Tu
invece sembri appena uscita da una centrifuga” fu il commento laconico dell’amica.
“Già,
in effetti è così che mi sento” rispose automaticamente mentre scendeva dall’auto e si dirigeva
con ampie falcate verso il velivolo in attesa.
Non
si accorse dello sguardo preoccupato che le rivolsero i suoi compagni di
viaggio, e , con la grazia e l’ eleganza che la contraddistinguevano, salì velocemente
i gradini che la separavano dal portellone dell’aereo.
Non
poteva dire di essere stata molto attenta all’abbigliamento o all’acconciatura
quella mattina, ma il portamento aggraziato frutto di anni di studio di danza
classica le donava sempre un aspetto regale, anche quando aveva addosso due
stracci. Gli occhi, di un azzurro intenso, erano intenzionalmente mascherati
dai Ray Ban scuri. I capelli, biondi e lunghi fino a coprirle il collo, erano
approssimativamente legati in un’improbabile coda, ai piedi vecchie scarpe da
ginnastica che non esaltavano certo le sue lunghe e affusolate gambe, i
pantaloni larghi e una maglietta del ‘15 -‘18 poi non rendevano per niente grazia
alla sua figura, ma non riuscivano comunque a nascondere il suo innato fascino.
Juliet
scosse la testa e si ripromise di prestare all’amica un po’ del suo
abbigliamento di ricambio, quindi sospirò, raccolse i lunghi capelli castani in
un elegante chignon e le andò dietro,
seguita dal resto del gruppo.
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Capitolo 4 *** capitolo 3 ***
cap 3
Capitolo
3
Juliet era
sparita. Appena dopo il decollo era corsa in bagno a cambiarsi e non era più
rientrata al proprio posto. Sicuramente si era fermata a parlare con gli altri,
e come darle torto, quella mattina anche una mummia sarebbe stata una compagnia
più loquace di lei. Non aveva nessuna intenzione di intavolare
conversazioni di circostanza, né aveva voglia di intrattenere finte discussioni
con nessuno. Quindi semplicemente era rimasta quasi un ora a fissare le nuvole
oltre il finestrino, immobile come una statua.
All’improvviso
si era ritrovata a pensare a lui, alla prima volta che si erano incontrati, a
Londra, due anni e mezzo prima.
Erano tre
giorni che tentava di contattare suo padre in albergo e dalla reception le
rispondevano sempre che era uscito. Visto che chiamava almeno una volta ogni
ora, praticamente era uscito ventiquattro volte in ventiquattro
ore. In teoria non c’erano missioni attive, ma allora perché non era
raggiungibile nemmeno al cellulare? Un sospetto la colse improvviso e la fece
arrossire: un’amante! Ma certo, che stupida, come aveva fatto a non pensarci
prima? In fondo erano passati più di vent’anni da quando sua madre era morta e
suo padre era decisamente un bell’ uomo: un cinquantenne molto attraente,
intelligenza molto al di sopra della media, benestante e con un certo grado di
potere, quale donna non ne sarebbe stata attratta? Questo pensiero le diede un
certo fastidio, e sebbene fosse consapevole di quanto fosse infantile la sua
reazione, non riuscì a sentirsi in
colpa.
Benché
lei non avesse grandi ricordi di sua madre - non aveva neanche due anni quando
morì - aveva sempre visto suo padre come al di sopra di certe relazioni da
comuni mortali, sapeva di averlo forse un po’ troppo idealizzato durante una
vita passata a sentirsi l’unica persona al centro dei suoi pensieri, ma ora non
riusciva proprio a mettere a tacere il diavoletto che le si stava insinuando nel
cervello. In trenta minuti e venticinque secondi pianificò tutto, preparò le
valige e si diresse all’aeroporto di Bruxelles, direzione voli internazionali.
Mentre acquistava un biglietto di sola andata per Londra si sentì nuovamente in
colpa, ma mise a tacere la sua coscienza non appena si immaginò la faccia di suo
padre e della sua amante nel trovarsela improvvisamente di fronte “Chissà cosa
dirà nel presentarci” pensò con un mezzo sorriso malefico sulle
labbra.
Quando
arrivò di fronte all’albergo in cui alloggiava suo padre perse improvvisamente
tutto il suo coraggio.
Si sentì
talmente stupida che quasi le venne da piangere. Che rabbia, a ventidue anni,
brillante studentessa universitaria in relazioni internazionali, giovane
promessa all’interno dell’Agenzia, “macchina da guerra con cervello” come la
definivano i suoi colleghi, non era in grado di gestire una relazione
sentimentale o pseudo tale di suo padre, vedovo da più di
vent’anni.
Entrò e si
sedette sconsolata nella hall dell’albergo. Si guardò attorno e ciò che vide la
fece sentire solo più a disagio: uomini in abito e donne in
tailleur con la ventiquattrore che parlavano di affari, finanza,
appalti e colazioni di lavoro. Perché durante il volo si era immaginata di
trovare un ambiente stile motel a ore con donne in
microgonna, tacchi a spillo e trucco da quattro soldi? Sapeva che quello non era
il genere di albergo che frequentava suo padre, almeno quando non
agiva sotto copertura per conto dell’Agenzia, ma questo non le aveva impedito di
farsi il suo film in testa “Uno stupido cartone animato per poppanti”, pensò
mentre si avvicinava all’angolo bar per ordinare un drink. Avrebbe affogato la
sua stupidità nell’alcol.
Fu allora
che lo vide per la prima volta. Per poco non inciampò sul suo stesso trolley
tanto fu distratta dalla sua figura. Rapita. Persa.
Dalla porta
a vetri della hall fece il suo ingresso un adone dal portamento nobile.
Impossibile non notarlo. Una statua greca che si muoveva con eleganza tra i
divani della sala d’attesa .Tutte le donne presenti nel raggio di un chilometro
dovevano averlo notato.
Era vestito
come gli altri: elegante, abito scuro con cravatta. Non aveva la ventiquattrore
. In compenso aveva due splendidi occhi blu e i capelli scuri, lunghi, erano
legati dietro la schiena. In mano un paio di occhiali da sole e un mazzo di
chiavi. Si guardava intorno come se cercasse qualcuno e, quando sembrò certo di
non avere individuato l’oggetto delle sue ricerche, si voltò verso il bar e si
incamminò nella sua direzione.
“Non starà
venendo qui?” pensò terrorizzata. Guardò nuovamente le altre donne nella sala e
si sentì improvvisamente inadeguata al contesto. “Merda, che figura di merda. Ma
non potevo andare a prendere un drink in uno dei pub frequentati dai miei
simili?” . Pensò alla velocità con cui aveva preso la decisione di fiondarsi a
Londra e si maledisse per non essersi almeno cambiata d’abito. I suoi jeans
erano firmati, ma erano pur sempre jeans, le scarpe erano totalmente prive di
dettagli femminili, il giubbotto era anche quello firmato ma il modello sportivo
non esaltava sicuramente la sua fisicità. Si sentiva un salame imbottito. Cercò
in tutti i modi di evitare di incrociarlo e si eclissò in bagno. Si stava
nascondendo come una ladra, e questo non era onorevole, ma ancor meno lo era
agire in quel modo per un tizio che nemmeno conosceva e che probabilmente non
l’avrebbe nemmeno degnata di uno sguardo. Si specchiò e si rilassò
quando si rese conto che almeno i capelli erano a posto. Gli occhi non avevano
bisogno di trucco, ma frugò velocemente in borsa alla ricerca del campioncino di
mascara che le avevano regalato in profumeria. Era una questione psicologica: in
mezzo a donne truccate di tutto punto lei si sentiva nuda e voleva rimediare.
Questa fu la sua giustificazione. Mise anche un velo di lucidalabbra e si tolse
il giubbotto, lasciando in evidenza una leggera camicia bianca stretch. Ora se
non altro le forme erano umane. E decisamente sexy a ben
guardare.
Ritrovato il
coraggio, fece per uscire dal bagno quando qualcuno aprì violentemente la porta
che quasi le arrivò in faccia. La prontezza di riflessi con cui si spostò la
salvò da una sicura frattura al setto nasale.
Era già
pronta ad insultare l’autore di tanta cafonaggine, quando si immobilizzò, la
gola secca, le mani sudate. Quello che mai si sarebbe aspettata era di trovarsi
materializzato il suo volto preoccupato a dieci centimetri dalla sua faccia,
ecco ora si che sarebbe potuta svenire.
“Mi perdoni,
la prego. Spero di non averle causato danni”
La sua voce.
Profonda. Calda. Sensuale.
“Co - come?
No, niente. Sto Bene” non riusciva nemmeno a parlare senza balbettare, che
vergogna.
“Chiedo
scusa per la mia distrazione, non mi ero accorto stesse uscendo qualcuno, tanto
più che ho visto troppo tardi che questa era la toilette riservata alle signore”
le sorrise. Bellissimo.
“Signora? A
me?” pensò mentre continuava a fissarlo imbambolata
“Mi sembra
sconvolta, mi spiace di averla spaventata, davvero. Mi permetta di offrirle
qualcosa per farmi perdonare, per favore ”
“Wow, che
modi da gentiluomo, ma da dove vieni … ” si ridestò subito dai suoi pensieri e
con tutta la sfacciataggine di cui era capace riuscì a regalargli un sorriso e a
rispondere
“Perché
no? Volentieri” era ufficiale. Stava impazzendo.
Qualcosa si
accese nel suo sguardo magnetico in risposta al suo sorriso.
Cos’era , attrazione? Impossibile, uno come lui, abituato sicuramente a passare
la vita nei salotti dell’alta borghesia, ad avere a che fare con
ben altro tipo di donne, non poteva trovare attraente una ragazza come lei, non
in quel senso almeno e non vedendola conciata in quella maniera.
Se
non fosse stata così presa a sentirsi assolutamente e totalmente fuori luogo,
si sarebbe accorta che lui la seguiva senza riuscire
a toglierle lo sguardo di dosso.
Nell’
istante in cui il pilota annunciò l’imminente atterraggio si accorse che i posti
accanto a lei erano rimasti vuoti durante tutto il volo. Un senso di sconforto
la colse, ma non dipendeva dal vuoto dei sedili. Si era appena allacciata la
cintura di sicurezza quando una voce allegra al suo fianco la fece
sobbalzare.
“Claire,
pensavo ti fossi addormentata. Posso farti compagnia durante l’atterraggio? Così
parliamo un po’ di come procedere una volta arrivati a Berlino” un bel ragazzo
moro, sulla trentina, le si era seduto accanto e sembrava cercare una scusa per
giustificare quel gesto.
“Buongiorno
Lucas, in effetti ero persa nel mondo dei sogni, aspettavo giusto un principe
che mi venisse a svegliare” non resistette alla tentazione di provocarlo. Sapeva
che lui le avrebbe retto il gioco.
“Bene
Biancaneve, allora ti annuncio che i sette nani qua dietro scalpitano per
ottenere udienza” le sorrise. Un sorriso limpido, sereno. Lucas era uno dei
pochi in grado di farla rilassare anche in mezzo a una missione come quella. Non
aveva nemmeno bisogno di parole, la sua stessa presenza le infondeva serenità.
“Ti
preoccupa la missione?” decise a malincuore di riportare il discorso ai problemi
reali.
“Mi
preoccupa la mancanza di strategie. E noi al momento stiamo praticamente
brancolando nel buio.”
Era quello
che aveva pensato anche lei dal momento in cui avevano ricevuto quella lettera
dalla Germania.
Aveva
riletto la comunicazione punto per punto, l’aveva rigirata tra le mani per quasi
due mesi, l’aveva perfino sognata la notte, ma non era riuscita a venire a capo
dell’enigma.
Avrebbe
dovuto essere una semplice convocazione: un meeting internazionale tra i
Ministeri degli Affari Esteri come copertura e le Agenzie di tutt’ Europa si
sarebbero incontrate in gran segreto. Ma c’era qualcosa di assolutamente non
convenzionale nel modo in cui era stata articolata la richiesta, in primo luogo
non era stato rispettato il protocollo, in secondo luogo nessuno dalla base
tedesca era riuscito a fornire giustificazioni plausibili per questo incidente
procedurale, la loro reazione fu di reale e sincero imbarazzo, di
questo era certa, infine - ma questo era solo un suo personale
pensiero - tutto in quella lettera sapeva di inganno. Tutto faceva pensare ad
una trappola.
L’Agenzia
aveva verificato tutte le fonti con ogni possibile mezzo a disposizione, ma non
era emerso nessun elemento a conferma dei suoi sospetti. Lei
stessa aveva tentato un’indagine parallela, introducendosi illegalmente nei
sistemi informatici dei servizi tedeschi, ma non aveva trovato niente: il nulla,
il vuoto più assoluto circondava i loro interlocutori. Nessun
mistero apparente, nessuna macchia, nessuna traccia lasciata da chiunque stesse
manovrando i giochi. Questo poteva significare solo una cosa: avevano a che fare
con qualcuno molto astuto, ma anche molto potente.
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Capitolo 5 *** capitolo 4 ***
capitolo 4
Capitolo 4
Mangiarono
in assoluto e religioso silenzio, lo sguardo di Milo fisso sul piatto.
Poco
prima di alzarsi per sgombrare la tavola finalmente Milo proferì parola
“
Grazie. Per essere venuto tu a dirmelo …”
“
Ora che farai?” Kanon voleva delle risposte, era prevedibile.
“
Non tornerò al Tempio, se è questo che ti aspettavi ”
“
Io non mi aspetto niente, Milo. Nessuno si aspetta niente, credimi. Ma Cristal …”
“
No. Tu non capisci ” Certo che capiva. Lui era un esperto di rancori, aveva una
laurea in sensi di colpa, ci aveva convissuto una vita intera. Ma lo lasciò
proseguire.
“Credi
sul serio che il fatto che Alexander sia uscito dal coma mi sollevi
improvvisamente dalle mie responsabilità?”
“Le
responsabilità sono di tutti, mi spiace strapparti la causa di tanto
abbattimento, ma non hai l’esclusiva delle colpe”
Milo
ignorò la provocazione.
“Io
avevo un legame con loro. Dal giorno in cui Camus mi …”
“Camus
qui non c’entra niente, Cristal è stato un giovane Cavaliere di Bronzo che ha
visto in lui, e indirettamente in te, una figura di riferimento durante il suo percorso
di crescita, ma ora presiede l’undicesimo tempio, è un Cavaliere nostro pari e merita di essere trattato come tale”
Milo
scosse la testa, ma non disse niente.
Kanon
approfittò del silenzio per sondare il terreno
“Ma
forse il tuo problema non è lui ”
Una
movimento impercettibile della muscolatura, quasi inconscio, e il bicchiere che
Milo teneva tra le mani si andò a infrangere sul pavimento. Eccolo il tasto
dolente, Kanon conosceva da tempo le vere ragioni della sua fuga, del suo
rifiuto, del suo rinnegare la sua stessa natura di cavaliere. Che l’anestesia
stesse finalmente per terminare il suo effetto? Decise di non fermarsi, voleva
forzare la mano, voleva farlo uscire allo scoperto. E ci sarebbe riuscito. Era
un maestro nel provocare reazioni. Il più delle volte indesiderate, ma era
disposto a correre il rischio, quindi affondò il colpo.
“Sai
cosa credo invece? Che se la dolce Claire da un giorno all’altro … ” non fece a
tempo a finire la frase che si ritrovò a terra, un rivolo di sangue che
scorreva copioso dallo zigomo destro. Milo era ancora in piedi, i pugni
serrati, un’espressione indecifrabile sul viso. Sembrava sul punto di colpirlo
ancora, ma non lo fece, gli diede le spalle, si allontanò verso il terrazzo e
si accese una sigaretta.
Kanon
non si scompose, si rialzò, come se niente fosse si diresse in bagno e
lentamente si sciacquò il sangue con
l’acqua fredda. Sollevò lo sguardo e fissò la propria immagine riflessa sullo
specchio, un’espressione soddisfatta e compiaciuta apparve sul suo volto.
“Molto bene” pensò mentre si tamponava lo
zigomo con una salvietta.
Milo
intanto rientrò in soggiorno, ripulì i pezzi di vetro dal pavimento e poi crollò
sul divano, le mani sugli occhi, mentre i ricordi affluivano copiosi provocandogli
un prepotente senso di nausea.
Era la sua
prima missione da quando Athena l’aveva salvato dall’ esplosione. Solo sette di
loro erano sopravvissuti alla battaglia contro Hades e la sua Dea aveva riposto
ancora una volta completa fiducia in lui, affidandogli quella missione. Uno dei
compiti più delicati che avesse mai svolto nella sua lunga carriera di Cavaliere
al servizio del Grande Tempio.
Troppi segreti, tenuti nascosti troppo a lungo,
coinvolgevano suo malgrado qualcuno che lui aveva promesso di proteggere.
“Camus, amico mio, mai come ora avrei avuto bisogno della tua saggezza”.
Lady Isabel l’aveva
convocato con la certezza che lui fosse l’unico in grado di portare avanti quel
compito. E lui, seppure con riluttanza, alla fine aveva ceduto. Si era lasciato
convincere, perché in nessun modo dubitava delle parole di Athena.
Ma ora che aveva
visto lei, non era più sicuro di
riuscire a reggere il gioco fino in fondo. Pensò che avrebbe potuto farsi
sostituire da Kanon, lui si che sarebbe stato
perfetto in quel ruolo.
La osservava
mentre si accomodava al tavolino del bar e ordinava il suo drink. La
somiglianza era incredibile, e questo lo fece stare male: lui si sentiva in
colpa, anche nei suoi confronti, perché in quel momento lui era in Grecia,
ignaro di tutto.
Nel corso
della sua vita aveva affrontato nemici potenti, aveva avuto la meglio su forze sovrumane,
era perfino sopravvissuto alla fine del mondo, come era possibile che ora si
sentisse inerme di fronte a una comunissima ragazza?
Era quello
il punto: non era una ragazza qualunque. Non era una incontrata per caso, una
con cui scambiare due chiacchiere, una birra, o magari il numero di telefono e
la stanza d’albergo. Lui sapeva
benissimo chi era e questo, ne era consapevole, gli avrebbe impedito di
ragionare con lucidità. Stolto. Avrebbe commesso un passo falso, mettendola in pericolo.
Era intento
a rimuginare quando all’ improvviso lei gli rivolse la parola
“ Lei è
veramente molto gentile, ma ancora non conosco il suo nome”
“Milo. Mi
chiamo Milo. E dammi del tu ti prego” non gli andava giù che continuasse a
dargli del lei, lo faceva sentire vecchio, e troppo distante. In fondo avevano
solo una decina d’anni di differenza. E lui non la sentiva affatto distante.
“ Piacere,
io sono Claire ” gli tese la mano e lui gliela strinse.
Una stretta
calda, accogliente. Avrebbe voluto prolungare quel contatto, ma lei ritirò la
mano e subito gli chiese
“Allora Milo
da dove vieni?”
“ Da Atene.
Sono qui per lavoro.” Rispose automaticamente.
“ Grecia… Ora
capisco” disse sorridendo
“ Cosa?” adesso
era curioso
“ Niente,
solo un’impressione, è una sciocchezza davvero”abbassò lo sguardo, come se si
vergognasse. Era veramente molto bella.
“ Insisto,
ora mi hai incuriosito”
“ Beh,
prima, quando ti sei scusato, per la
porta. Figurati che ho pensato che venissi addirittura da un’altra epoca, un
cavaliere d’altri tempi, che assurdità” il liquido quasi gli si bloccò in gola.
Posò il bicchiere per evitare di rovesciarne il contenuto. Ma si riprese subito
“ E’ un
complimento per me o è una velata
critica verso il mio Paese?”
“No, certo
che no … io adoro la Grecia. Adoro tutto ciò che è caldo e che è a sud”
“Quindi
grazie per il complimento” era imbarazzata
“Ecco si io
volevo dire che hai veramente dei modi galanti. E anche fisicamente poi …” si
bloccò, forse pentendosi di avere detto troppo. Era arrossita. Troppo. Bella.
Decise suo
malgrado di non metterla ulteriormente in imbarazzo e si sforzò di cambiare
discorso
“E dimmi,
come mai una ragazza del nord come te adora tutto ciò che è a sud?”
Lei si
irrigidì “Chi ha detto che sono del nord?”
Accidenti,
si era distratto e aveva commesso un
errore. Lei era furba, il sospetto e la tattica erano il suo mestiere, non
doveva sottovalutarla. Cercò di rimediare.
“Semplice
deduzione, visti i colori non proprio mediterranei dei tuoi capelli, e dei tuoi
occhi” usò di proposito un tono suadente per imbarazzarla, doveva distrarla da
qualsiasi principio di sospetto. Nessuna ombra, era necessario che lei non
dubitasse di lui .
E infatti
gli sorrise, più rilassata “ Alcuni membri della mia famiglia hanno origini
nordiche in effetti” era vaga, molto bene. Non rivelare niente di te. A
nessuno. Vediamo quanto sei brava.
“Allora vivi
a Londra?”
“No, vivo un
po’ qua un po’ la, in giro per l’Europa.”
Risposta perfetta.
“E come mai
sei a Londra, ora?”
“Vacanza
studio. Devo preparare una tesi sul
parlamento inglese, per l’Università”
Bravissima.
Ora vediamo se riesco a metterti in difficoltà
“ Non
pensavo che gli studenti in vacanza
studio alloggiassero in alberghi di lusso”
“Oh, ma io
non alloggio qui, magari …” sorrise disinvolta “avevo solo appuntamento con il
mio professore e con un membro del parlamento che ha accettato di rilasciare
un’intervista per il mio lavoro di tesi” lo disse in maniera così spontanea che
chiunque avrebbe potuto crederci. Chiunque non avesse saputo la verità
ovviamente.
Brava
piccola, prova superata.
Non fidarti di nessuno, mai. Non se non posso
essere presente per proteggerti.
Il
rumore della porta di ingresso che si chiudeva con forza lo fece sobbalzare.
Kanon era andato via. Aveva sganciato la bomba e si era allontanato. Come
sempre. E lui era rimasto solo con i suoi fantasmi.
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Capitolo 6 *** capitolo 5 ***
capitolo 5
Capitolo 5
Quel
pomeriggio il grigio del cielo di Berlino aveva la stessa tonalità dei suoi
occhi, mentre il nero dei suoi lunghi capelli era scuro come i meandri della
sua anima. Era concentrata a suonare e quasi non si accorse dell’uomo che
arrivò alle sue spalle, sempre abilissimo a muoversi nell’ombra. Interruppe quello che stava facendo, erano ore
che attendeva notizie
“L’
aereo è atterrato. Stanno venendo qui” le comunicò
“Bene.
Dai disposizioni affinché abbiano una degna accoglienza” rispose seria, mentre
si alzava e deponeva la sua arpa in un angolo della stanza.
Lucas
si muoveva nervoso accanto a Juliet, che continuava a camminare sul nastro
trasportatore canticchiando un motivetto a mezza voce, ostentando un’ andatura che un osservatore esterno avrebbe
giudicato a dir poco spavalda, viste le circostanze. Ma Claire, che era
perfettamente e lucidamente addentro alla situazione, sapeva che
l’atteggiamento dell’amica era definibile, nel migliore dei casi, come
incoscienza.
Juliet
era una che non si preoccupava troppo di pensare e non perdeva certo il suo
tempo a fare previsioni su come superare ostacoli imprevisti o problemi improbabili.
I se e i ma non facevano parte del suo DNA
“non capisco perché ti sforzi tanto a
pensare a qualcosa che con ogni probabilità non accadrà mai” le diceva sempre.
Quando
capitavano complicazioni inaspettate semplicemente si lasciava trascinare dal
fato. Dalla fortuna fino a quel momento, visto che le era sempre andata bene. E
poi aveva una capacità di improvvisazione unica: all’interno dell’Agenzia era
senz’altro quella in grado di prendere più velocemente la giusta decisione
senza avere la più pallida idea del perché l’avesse presa. Puro istinto. Era
quella la ragione per cui entrambe prediligevano lavorare in coppia: si
compensavano. La razionalità e la capacità tattica dell’una si fondevano con
l’impulsività e l’istinto reattivo dell’altra.
Suo
padre, con lungimiranza, l’aveva capito subito, fin da quando erano bambine e
aveva sempre assecondato le loro potenzialità. Appena entrate nell’Agenzia era
stato il responsabile della loro formazione e le aveva seguite direttamente
fino a che non avevano raggiunto il terzo livello. Gli agenti operativi del
quarto e del quinto livello avevano maggiore autonomia di gestione delle
missioni, ma fino al terzo livello le tattiche e i piani d’azione andavano
concordati con l’intera squadra e sottoposti alla supervisione di un operativo
di livello superiore. Fintanto che i loro supervisori erano stati suo padre e Walt, loro non erano
mai state divise, nessuna missione aveva visto partecipe l’una senza la
presenza l’altra.
Walt
le aveva raccontato che, in tutta la storia dell’Agenzia, una simile simbiosi
operativa si era riscontrata solo in un’altra coppia, molti anni addietro, i
cui protagonisti erano stati suo padre e un suo collega di quinto livello, nonché
padre di Juliet, scomparso dodici anni prima nel corso di una missione ad alto
potenziale di rischio.
Era
un po’ che non faceva una bella chiacchierata con Walt, sempre ben disposto a
rivangare i vecchi tempi e a farsi vanto delle gesta di gioventù. Le mancavano
quei momenti passati con lui, ma da circa due anni a questa parte lei non amava
parlare del passato e non amava che qualcuno le parlasse di suo padre. La
ferita era ancora troppo fresca. Walt era un uomo molto intelligente, ma
soprattutto la conosceva da quando era in fasce e percepiva immediatamente
quando c’erano nuvole nell’aria. In quei mesi la sua aria era stata
perennemente e pesantemente cupa, nera in maniera stagnante, e lui ne era sempre
rimasto saggiamente alla larga.
“Claire,
esattamente qual è il piano?”
Juliet,
con un gelato enorme in una mano e un settimanale accartocciato nell’altra, le
si era avvicinata per chiederle i dettagli operativi della missione.
“Quando
hai preso il gelato? Non mi ero accorta che ti fossi allontanata dal gruppo”
“Infatti.
Non mi sono allontanata. L’ho comprato al volo appena usciti dagli arrivi
internazionali, alla gelateria italiana … di fianco alla toilette. Per questo
non mi hai vista, non hai voluto guardare in quella direzione”
Lo
disse senza sarcasmo, mentre con la lingua cercava di recuperare dal cono le
gocce del gelato, che intanto aveva iniziato a sciogliersi.
Certo,
aveva intuito bene. Ecco un altro dei suoi irrisolti grovigli interiori. Da un
po’ di tempo si rifiutava di passare in prossimità delle toilette degli aeroporti.
Non solo rinunciava ad entrarci, ma evitava perfino di voltarsi a guardare
l’insegna quando ci camminava di fianco. Una fissazione. Erano tutte sempre uguali,
in qualsiasi paese, in ogni aeroporto, tutte strutturate allo stesso modo,
stessi materiali, stessi oggetti, stessi colori, stessi ambienti. Avevano la
capacità di riportarle alla memoria ricordi che voleva cancellare e momenti che
non voleva ripercorrere. La maggior parte degli operativi della sua squadra era
convinta che lei avesse una qualche ossessione con l’igiene. Meglio così.
Passare da maniaca era sempre meglio che farsi scoprire patetica.
“Allora
mi dici come procediamo?” Juliet continuava a camminare e a leccare il suo gelato,
come se stesse passeggiando spensierata nel parco. Una bambina. A questa ennesima
domanda si spazientì
“Se
invece di leggere quel settimanale di gossip avessi dato un’occhiata ai
dettagli di missione che ti ho consegnato prima, ora non avresti bisogno della
guida”
Juliet
finse un’espressione risentita
“Gossip?
Ma stai scherzando? Stavo studiando le ultime tendenze in fatto di moda,
direttamente dal giornale più autorevole in materia. Certo non posso pretendere
che tu mi capisca, visto come ti sei conciata anche oggi …”
lo disse con un
sorriso innocente. In realtà era diabolica.
“
Mi piace stare comoda quando viaggio, e comunque mi cambierò in albergo.
Abbiamo tutto il tempo. Se solo tu avessi letto …”
“Ok,
ok, ho capito, qui non è aria, vediamo se Lucas ha voglia di farmi un riassunto
veloce” mentre si allontanava gettò nel
primo cestino la rivista accartocciata e il resto del gelato, ormai
completamente sciolto.
La
prima cosa che la colpì appena fuori dall’aeroporto fu il colore del cielo, ora
che si era abituata al clima di Marsiglia si trovava a disagio quando capitava
in un luogo da cui non riusciva ad intravedere il sole. Aveva sempre avuto un
debole per le città del sud, ma da due anni a questa parte quella debolezza si
era trasformata in dipendenza: sentiva la necessità vitale di essere
accarezzata dai raggi solari, di percepirne la luce abbagliante, di sentirne il
calore sulla pelle, quantomeno per illudersi che fosse possibile stemperare un pò
il freddo che sentiva dentro.
Fortunatamente
Berlino non era Londra, per cui almeno avrebbe avuto il vantaggio di
potersi muovere in un ambiente asettico, assolutamente neutro, in cui niente di
quello che vedeva l’avrebbe improvvisamente scaraventata nel tunnel doloroso dei
ricordi. Era già qualcosa.
Ma
si sbagliava. Forse era stata l’ influenza di Juliet, ma nei suoi piani non aveva
tenuto in debita considerazione i potenziali imprevisti, il primo dei quali prese
immediatamente forma proprio di fronte al suo taxi. Uno stemma. Non uno stemma
qualsiasi, ma lo stemma. Cosa ci faceva a Berlino, a meno di dieci metri dai
loro taxi, un’auto con lo stemma della Fondazione? Impossibile che fosse una
coincidenza, aveva imparato da tempo, e a caro prezzo, che niente di ciò che
riguardava la Fondazione avveniva mai per caso.
Walt
si era accorto che stava fissando con troppa insistenza in quella direzione e con
ogni probabilità attendeva una sua reazione, pronto ad intervenire in caso di
necessità. Ma certo, che sciocca. Era stato tutto pianificato nei minimi
dettagli. Ancora una volta l’Agenzia e la Fondazione avevano stabilito un
accordo, tenendo ovviamente all’oscuro del piano tutti gli operativi al di
sotto del quinto livello. In modo particolare tenendo all’oscuro lei. Che
ingenua era stata a pensare che Walt si stesse muovendo senza una rete di
protezione. Peccato che quella rete protettiva avrebbe reso lei estremamente
vulnerabile.
X 007jb1:
ti ringrazio per la recensione, spero davvero di riuscire a tenere
sempre alto il ritmo degli aggiornamenti, e anche di mantenere alto il
livello di curiosità ovviamente...
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Capitolo 7 *** capitolo 6 ***
cap 6
Capitolo
6
Erano
passati dieci giorni da quando Kanon era passato a dargli la notizia.
I primi due
giorni li aveva passati buttato sul divano, senza mangiare, senza cambiarsi,
senza dormire. Tra alcol e sigarette, aveva invano cercato lo stordimento dei
sensi, ma l’unica cosa che aveva conseguito era stato un persistente cerchio
alla testa che non accennava a diminuire d’intensità nonostante la doppia dose
di antidolorifici. Continuava a ricevere chiamate a cui non rispondeva e i
messaggi in segreteria si susseguivano a ritmo sempre più incalzante, fino ad
esaurimento della memoria disponibile. Non si degnò nemmeno di cancellarli,
semplicemente li ignorava.
Fu quando
pensava che non avrebbe più trovato il coraggio che si decise ad
andare a trovarlo.
Prese un’
intera giornata per studiare i movimenti attorno all’ospedale e attese con
pazienza che la sfilata delle visite quotidiane si esaurisse, non voleva
rischiare di incrociare nessuno.
Mentre
varcava la soglia del reparto di terapia intensiva l’odore di disinfettante lo
colpì con forza, portando a galla ricordi dolorosi, ma si impose di non
aggiungere altri demoni a quelli che avrebbe già dovuto affrontare in
giornata.
Si fermò di
fronte alla stanza e rimase immobile a fissare la porta, incapace di proseguire.
Passò una buona mezz’ora e lui non si scostò da quella posizione, inducendo
l’infermiera di turno ad avvicinarsi preoccupata per assicurarsi che stesse
bene. Era ancora indeciso se palesarsi quando qualcun’ altro prese la decisione
per lui
“ Entra
Milo”
La sua voce
… erano quasi due anni che non la sentiva. Durante tutto quel
tempo aveva immaginato innumerevoli volte quello che gli avrebbe detto se si
fosse ripreso, ma in nessuno dei suoi sogni aveva provato la sensazione di
sollievo che sentiva ora. Era come se l’angoscia accumulata nel tempo si fosse
sciolta al flebile suono di quelle due semplici parole. Afferrò la maniglia e
aprì la porta.
Era sdraiato
su un letto con lo schienale semi sollevato ed era avvolto da una nuvola di tubi
che collegavano il suo corpo a flebo e macchinari di ultima generazione. Ma era
sorprendentemente vitale, almeno rispetto all’ultima volta che l’aveva visto,
molto tempo addietro. Nonostante la lunga degenza emanava un’energia positiva
che riempiva la stanza. Non aveva perso il suo aspetto distinto, nemmeno il viso
scavato e il camice bianco intaccavano la sua aura di rispettabilità e il suo
carisma. Le labbra leggermente increspate in un lieve sorriso
“Finalmente,
Milo di Scorpio”
“Hei …” la
voce gli tremava, non riuscì a dire altro.
“Ho saputo
che non sei stato un assiduo frequentatore dei turni al mio capezzale, dovrei
ritenermi offeso per questo”
Faceva anche
dello spirito, si era decisamente ripreso.
“Così è
questo che si dice in giro di me”
“Oh si,
questo … e molto altro”
Continuava a
mantenere una distanza di sicurezza
“Accidenti
Milo, avvicinati a salutare come si deve questo povero vecchio appena tornato
dall’aldilà!” tese un braccio.
Milo si
avvicinò al letto e gli prese la mano, la strinse con forza e in quella stretta
mise tutto: le parole non dette, ciò che non sarebbe mai riuscito a pronunciare,
le emozioni che non avrebbe mai espresso, ma che l’amico, era sicuro, avrebbe
percepito lo stesso. Perché Alexander era qualcosa di più di un amico,
rappresentava il fratello maggiore che non aveva mai avuto, il padre che non
aveva mai conosciuto, la famiglia che aveva sempre desiderato.
Il
rammarico di averlo incontrato così tardi nella sua vita, e per
così poco tempo, l’aveva perseguitato per tutti i mesi che
era stato in coma. Ora forse avrebbero avuto l'occasione di
rimediare. Ma al rimorso per non essere stato in grado di proteggerlo e
di difendere ciò che aveva di più caro non c’era
rimedio, non per Milo.
“Allora
Milo, a cosa si deve il tuo ritiro spirituale? Sappi che non accetto
autocommiserazioni” lo disse con tono amichevole, ma
deciso
“Conosci già
la risposta”
“Può darsi”
stava valutando come aggirare il suo rifiuto a confidarsi “Però ipotizziamo che
due anni di coma mi abbiano definitivamente rimbambito, in questo
caso avrei diritto ad una spiegazione chiarificatrice, non
credi?”
“Non mi
sembri affatto rimbambito. Tutt’altro.”
“Sempre lo
stesso carattere orgoglioso, dunque non tutto è perduto” lo osservava
attentamente, quasi a volergli leggere dentro.
“Mpf … Qui
ti sbagli. Io ho perso, su tutti i fronti”
“A quanto
pare mio figlio non è dello stesso parere”
Milo
distolse lo sguardo e si allontanò verso la finestra
“Ti ha
parlato di me?”
“Tutto il
tempo”
“E’ sempre
stato troppo sentimentale”
“E tu l’hai
sempre aiutato a superare i suoi limiti”
“Quello era
Camus, io non sono mai stato un bravo maestro, nemmeno per me
stesso”
Alexander
rise
“Per te
stesso decisamente no, Milo, in questo devo ammettere che hai assolutamente
ragione” ridivenne serio “Ma ti posso assicurare che, quando si è trattato di
mio figlio, hai sempre fatto per lui molto più di quanto non abbia fatto io in
tutta la mia vita. Di questo io ti sarò in eterno riconoscente, per essere stato
la sua guida, il suo punto di riferimento nei momenti di maggiore difficoltà e
per averlo aiutato a diventare il cavaliere che è oggi.”
“Non lo
accetto. Non accetto la tua riconoscenza, mi dispiace”
“Tu non
accetti te stesso”
“E non ti
chiedi il motivo Alexander?” aveva alzato la voce “ Non stai dimenticando un
piccolo particolare nel tuo bel ragionamento? Un minimo, insignificante
dettaglio all’interno del tuo bel quadretto familiare?”
“Credimi,
non la sto dimenticando. Ma so che risolveremo anche con lei, devi solo avere
fiducia … e molta pazienza”
“Impossibile.
Quando si oltrepassa una certa soglia non si può tornare indietro e cancellare
tutto”
“Ma cosa vai
dicendo?”adesso era lui che alzava la voce “Non sei forse tu quello che è
tornato indietro dopo avere varcato la soglia dell’ Inferno?”
Si stava
affaticando e non riusciva più a respirare regolarmente. Milo gli si accostò e
gli prese la mano
“Va bene,
per oggi ti sei agitato abbastanza. Ora riposa, torno a trovarti
domani”
Alexander
annuì, faceva fatica a parlare ora.
Si avviò
verso la porta e, poco prima di uscire dalla stanza, si voltò di nuovo verso il
suo letto
“Non sono
ancora tornato. Dall’inferno, intendo. Ci ho vissuto negli ultimi due anni e
ancora non so bene come uscirne” disse congedandosi con un cenno di saluto
“Ti aiuterò
io figliolo. Rimedierò a tutto, è una promessa”
Ma Milo era
già sulle scale, a combattere i suoi demoni .
Quando
acconsentì alla proposta di rivederlo il suo cuore perse inconsapevolmente un
battito
“Calma,
Milo, cosa ti prende? Non sei nemmeno più in grado di gestire una normale
frequentazione con una bella ragazza?” pensò
Era la
definizione di normalità che andava rivista: a primo impatto aveva
intuito che il suo effetto su di lui avrebbe potuto essere devastante. Se dopo
nemmeno mezz’ora che si conoscevano era stata in grado di provocare in lui certe
reazioni, poteva immaginare con quanta facilità avrebbero potuto raggiungere
livelli … pericolosamente incontrollabili. Doveva stare attento, non poteva
perdere il controllo quando si trattava di lei. Non doveva dimenticare lo scopo
della sua missione.
Si erano
dati appuntamento nei pressi del Tower Bridge e lui era talmente impaziente di
rivederla che era arrivato sul luogo d’incontro con una buona mezz’ora di
anticipo.
“Mi spiace,
ti ho fatto aspettare?” eccola, si era cambiata, era truccata e indossava un
paio di tacchi vertiginosi. Deglutì, la salivazione era improvvisamente
aumentata
“No, sono
appena arrivato” mentì
“Hai visto
che bel panorama da qui? Adoro questo posto, non trovi che sia in assoluto la
parte più suggestiva di Londra?”
“In realtà
non conosco bene la città, è la prima volta che vengo”
Lo disse
senza pensarci, era troppo intento ad osservarla mentre ammirava estasiata la
città.
”Davvero? Ma
non mi hai detto che lavori nel campo della finanza?”
“Si, è vero,
l’ho detto” dove voleva arrivare, accidenti
“Strano per
uno che fa il tuo lavoro non avere mai avuto a che fare con un centro
finanziario come Londra”
“Diciamo che
non ero io l’addetto ai rapporti con l’estero” cercò di
giustificarsi
“Comunque
non hai l’aspetto di uno che ha a che fare con i numeri” sentenziò
Non mollava,
era più forte di lei. Aveva percepito la contraddizione e fiutava
l’inganno. Doveva assolutamente portare la discussione su altri
piani. Prese la palla al balzo con una certa
soddisfazione
“E che
aspetto avrei, secondo te?”
Non rispose
subito. Lo guardò con imbarazzo.
“Coraggio,
prometto di non offendermi” la incitò
“Ma non c’è
niente di offensivo in quello che penso. Solo che tutti quelli che conosco e che
lavorano nel campo della finanza hanno un’aria nevrotica da cervellotici
repressi. E tu non mi sembri un tipo nevrotico … e nemmeno
represso.”
Lo fece
ridere. Era tanto tempo che nessuno riusciva a suscitare in lui quel tipo di
reazione. Spontanea, viscerale. Incoraggiata dalla sua risata lei
proseguì
“E poi non
porti gli occhiali e hai fin troppi capelli in testa. Ecco, se
fossi calvo saresti più credibile”
Ora lo stava
prendendo in giro, bene, si era rilassata.
“Quindi se
fossi calvo e se portassi gli occhiali potrei essere diciamo .. il tuo tipo
?”
“No beh, per
essere il mio tipo saresti a posto così ... diciamo” distolse lo
sguardo.
“Interessante”
avanti voltati, lasciami vedere l’espressione dei tuoi occhi “E tu non vuoi
sapere come dovrebbe essere il mio tipo?”
“Oh, posso
immaginarlo …”
Lo disse con
una punta di fastidio o era una sua impressione?
“Sentiamo”
Finalmente
si voltò a guardarlo.
“Dunque,
alta società, sulla trentina, donna in carriera, appariscente, molto femminile,
elegante e raffinata”
Alta
società, appariscente, elegante e raffinata? Ma che impressione le aveva dato?
Poi ripensò alle donne con cui era stato e dovette ammettere che forse quella
ragazza non era andata così lontana dalla realtà. Ma non dalla verità. E non
sempre le due cose necessariamente coincidevano, non sempre alle azioni
corrispondono i sentimenti.
“Diciamo che
hai indovinato una buona percentuale di requisiti, ma hai tralasciato i più
importanti”
“E quali
sarebbero?”
“Se vuoi
scoprirlo sarai costretta a conoscermi più a fondo”
“Allora non
mi interessa approfondire”
“Non dirmi
che ti arrendi così in fretta” la provocò
“E’ una
sfida? Guarda che se volessi scoprire qualcosa di te sarei in grado di farlo
anche senza la tua collaborazione”
Un brivido
gli percorse la schiena, ma lo ignorò.
“Non ne
dubito, ma sono certo che non sarebbe la stessa cosa se io non collaborassi, e
ti assicuro che so essere molto convincente ”
x 007jb1: Grazie!
Milo più che altro si tratta male da
solo, ma non per molto ancora …
non dico
altro altrimenti addio curiosità.
Grazie a tutti
coloro che hanno messo Universi Paralleli tra le seguite/preferite
|
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Capitolo 8 *** capitolo 7 ***
capitolo 7
Capitolo 7
Un tizio dai capelli castani che si era presentato come
Cavaliere dell’Unicorno stava parlando fitto fitto con Walt, mentre tutti restavano
in attesa di un suo cenno per uscire dal parcheggio. Era più di quello che
poteva sopportare: l’Agenzia che si rimetteva alle decisioni della Fondazione.
Se questi erano i piani avrebbe presentato le sue dimissioni irrevocabili e poi
tanti saluti, a Berlino avrebbe soggiornato in veste di turista.
Cercò di leggere il labiale di entrambi per captare i
dettagli della conversazione, e le parve di intuire la parola Cavalieri d’Oro. Il braccio prese a
pulsarle, quasi a volerle lanciare un segnale d’allarme. Se avesse sospettato
quel genere di risvolto non sarebbe mai partita. Accidenti, era quella la
trappola che aveva fiutato? Era stata una macchinazione di Walt? Certo era
stato abile a non far trapelare le sue reali intenzioni, aggirando i suoi
sospetti e congegnando diversivi per fuorviarla.
Finalmente Walt smise di confabulare con quel tizio e venne
verso di lei. Quando le parlò lo fece guardandola negli occhi
“ Sono certo che capisci perché ho dovuto agire in questo
modo”
“ Non capisco e non approvo” era decisa a non concedergli
nulla
“ In questo caso mi dispiace per te. Ma decisioni di tale
portata spettano agli operativi di quinto livello, e tu sarai abbastanza
professionale da attenerti a ciò che ti viene ordinato”
“Non dirmi che hai basato i tuoi piani sulla convinzione che
io avrei rispettato gli ordini?” lo guardò con aria di sfida
“Se vuoi metterla in questi termini, è proprio quello che
farai”
“Ah ah ah ah” rise “Walt, o tu sottovaluti le mie reazioni,
oppure sopravaluti la mia pazienza”
“Forse ha solo sopravalutato la tua intelligenza” si
intromise una voce dietro di loro
Riconobbe subito quella voce e si voltò incredula in
direzione del suo proprietario
“Kanon …”
Non si aspettava di vederlo, ma finse nonchalance quando gli
rivolse la parola
“Hanno addirittura scomodato un cavaliere del tuo rango?”
“Si, ma non temere,
ci sono solo io. Per ora non rischi di trovarti davanti Milo”
Non seppe se fu il sentirlo nominare, o se fu il tono
provocatorio con cui lui aveva pronunciato quelle parole, ma una rabbia cieca
la invase e tentò di colpirlo con uno schiaffo. Tentò, ovviamente, perché lui fu
più svelto, le bloccò il braccio e glielo torse dietro la schiena, strappandole
un urlo di dolore
“E no, anche da te non lo posso accettare, mi dispiace. E’ proprio vero che siete fatti l’uno per
l’altra, quando vi toccano i tasti dolenti reagite esattamente allo stesso modo”
proseguì ridendo sotto lo sguardo impassibile di Walt.
Successe tutto molto velocemente, un movimento imprevisto, il
rumore del caricatore e lui si ritrovò una Colt semiautomatica puntata a meno
di un millimetro dalla nuca
“Lasciala andare stronzo. Subito.”
Rimasero tutti basiti. Solo Walt ebbe la prontezza di
intervenire prima che gli eventi precipitassero
“Juliet, abbassa
l’arma, non le farebbe mai del male. Credimi”
Adesso era davvero agitato
“Kanon, per favore, non reagire, lascia andare il braccio di Claire,
lentamente.”
Kanon lasciò andare Claire che si massaggiò il braccio. Era
proprio quel braccio, dannazione, come se non bastasse il dolore che già
sentiva. Lui se ne accorse e, come se si fosse all’improvviso reso conto di
qualcosa, le disse a mezza voce
“Non era mia intenzione farti del male”
Juliet abbassò l’arma e gli si parò di fronte.
“Hei tu, ma chi cazzo credi di essere?” gli disse furiosa
Kanon la osservò stupito: era una ragazza di una bellezza
mozzafiato, si era aspettato un’agente corazzata in tenuta da combattimento e
invece si trovava di fronte una modella in tenuta da sfilata con due magnifici
occhi verdi, che lo insultava con epiteti da scaricatore di porto. Era una
situazione decisamente insolita. Più la guardava, più qualcosa nel suo volto
gli sembrava familiare, ma non riusciva a capire cosa. Fu Claire ad
interrompere i suoi pensieri
“Mi dispiace per la tua missione, Walt. Ma io vi saluto qui
” prese il suo bagaglio e fece per allontanarsi
“Dove vai?”
Non se l’aspettava, l’aveva preso in contropiede. Lo capì
dal suo sguardo costernato.
“Visto che ormai sono qui, farò un bel giro turistico di
Berlino”
“Non puoi farlo” aveva alzato il tono di voce,
inusuale per Walt “Se non vieni con noi non puoi restare qui. Devi salire sul
primo volo e tornare a Marsiglia. Questo è un ordine.”
Claire lo guardò incuriosita. Perché tanta premura per farla
andare via dalla città? Ma certo, c’era qualcos’altro sotto che lui non le
aveva detto. Un motivo per cui lei non poteva stare a Berlino se non era sotto
diretto controllo dell’Agenzia. O della Fondazione. Il gioco stava diventando davvero
interessante. Forse valeva la pena di proseguire. Ingoiò la decisione di dare
le dimissioni e sbattergliele in faccia per essere libera di andarsene per i
fatti suoi: non avrebbe funzionato, le avrebbero certamente messo qualcuno alle
calcagna, magari proprio Kanon.
Quindi finse di assecondarlo
“Bene,
ti prendo subito in parola. Me ne torno volentieri al
sole di Marsiglia, non sentirò certo la mancanza di questo
grigiore, per non parlare dello squallore della compagnia”
Walt sembrò tranquillizzarsi. E anche Kanon non mosse
obiezioni.
“Vengo con te” Juliet raccolse decisa i suoi bagagli e andò
a piazzarsi al suo fianco.
“Ma in questo modo perderemo due operativi” Lucas,
decisamente contrariato, si era intromesso nel discorso.
“Da quello che ho visto fin’ora non credo sarà poi una gran
perdita”
Kanon lo disse con un sorriso sarcastico, voltando loro le
spalle e allontanandosi con un’aria di assoluta sufficienza e Claire dovette
fare non poca fatica per contenere la reazione di Juliet, pronta come sempre a
rispondere per le rime, e non solo.
Rimasero ad osservare il corteo di auto che si allontanava
dall’aeroporto, dopodiché Juliet, senza nemmeno voltarsi a guardarla, le chiese
“ Qual è il piano? Perché hai un piano vero?”
“ Ci sto ancora pensando. Una cosa è certa: non torneremo a
Marsiglia”
“ Sei stata brava. Hai fatto una scenata che ha convinto
anche me.”
“Anche Walt ci è cascato. Ma Kanon non saprei, lui è molto
furbo“
“Quel cafone con l’aria da tenebroso? Così lui sarebbe il
famigerato Kanon? Non mi pare degno della fama che lo precede”
“Non commettere l’errore di sottovalutarlo. Se avesse voluto
ci avrebbe distrutte con un dito. E’ uno
dei cavalieri d’oro più temibili, almeno tra quelli che ho avuto modo di
conoscere”
“Più potente o più pericoloso dello stronzo che frequentavi
tu?”
“………….”
“Scusa”
“Figurati, è acqua passata”
“Si, certo” disse senza troppa convinzione “Però di una cosa
devo dare atto al cafone tenebroso”
“Ah si? Di cosa?”
“Ma dico l’hai visto bene? Il suo aspetto intendo. Nemmeno
nei miei pensieri più spinti mi sognerei di avere tra le mani un tale esemplare
di uomo …”
“Juliet! Ma ti sembra il momento di pensare a certe cose?”
“E dai, non fare la finta santarellina, scommetto
che anche il tuo amichetto non era niente male e che insieme avete fatto
scintille, o sbaglio?”
Claire era improvvisamente arrossita
“Ho rimosso quei momenti. Per me non sono mai esistiti.”
Juliet la fissò con perplessità, ma lei ignorò il suo
sguardo e proseguì
“E comunque per tua informazione non ci siamo mai spinti
così oltre”
“Oltre cosa scusa?”
“Sei impossibile”
“Avanti non mi lascerai a secco di dettagli proprio sul più
bello …”
Claire si sedette sul proprio trolley.
“Non è questo, è solo che non mi va di ricordare certi
momenti, tutto qua”
Juliet le posò una mano sulla spalla
“Questa è la conferma che non è affatto acqua passata, per
quanto ti sforzi di non ammetterlo, tra voi c’è ancora un legame”
“Non
dopo quello che è successo. Tra noi niente è mai stato
reale e poco importa che io provi o meno dei sentimenti
nei suoi confronti: le nostre vite non si incroceranno più, mai”
Universi paralleli, ecco cosa erano diventate ora le loro
esistenze: due mondi incompatibili che non si sarebbero più incontrati.
“Attenta Claire, non lo sai che il fato sa essere dispettoso
e quando meno te lo aspetti sconvolge la tua esistenza senza che tu possa
controllarlo?” pensò Juliet, ma tenne per se la riflessione, invece disse
“Dobbiamo trovare un posto strategico in cui
alloggiare. Hai nome e coordinate del
loro albergo? ”
“Se non hanno modificato i piani, è il Park Inn, si affaccia
direttamente su Alexander Platz”
“Ci pensi tu? Io vado ad acquistare due biglietti di sola
andata per Marsiglia, nel caso in cui a qualcuno venisse in mente di
controllare”
“Ok, ti aspetto qui” e mentre l’amica si allontanava lei si
lasciò trasportare dai ricordi.
“Allora dormigliona
sei pronta per il giro della morte?”
“ Buongiorno, vedo che
oggi ti sei svegliato con pensieri positivi”
Lui rise. Era
splendido. Si conoscevano da una settimana e ogni volta che lo vedeva non
poteva fare a meno di sentire un vortice all’altezza dello stomaco. Quando le
sorrideva in quel modo poi, con lo sguardo che sembrava volerla avvolgere, il
vortice diventava voragine. Anche li, in mezzo a un luna park con decine di
persone intorno.
“Mi spieghi come fai a
dormire fino alle dieci di mattina?” le chiese.
Mentre parlava le
scostò una ciocca di capelli dal viso. Fuoco. Di prima mattina.
“Capita quando la
notte prima si fanno le ore piccole nei peggiori locali di Londra”
“Sei stata tu a
proporre il locale, io ti ho solo assecondata”
“Mpf, quindi immagino
di dovermi assumere le responsabilità anche per i litri di birra che mi sono
scolata”
“Esatto. Hai mal di
testa?”
“Un po’”
E lui fece una cosa
che non si sarebbe mai aspettata. Le tolse lentamente gli occhiali da sole e se
li mise in tasca.
“Questi li riavrai
dopo. Ora chiudi gli occhi”
“Perché? Cosa vuoi
fare?” si stava agitando
“Vietato parlare. E’
un ordine.”
“Non accetto ordini
dagli sconosciuti”
La guardò intensamente
negli occhi e le sussurrò dolcemente
“Fidati di me e
lasciami fare”
Obbedì. Il cuore a
mille, ma cosa aveva intenzione di fare? Non è che volesse baciarla? Non era
assolutamente pronta a emozioni di quella portata, le gambe non le avrebbero
retto, gli sarebbe svenuta davanti, che figura. Ma lui non fece niente di
quello che lei aveva immaginato. Le posò delicatamente i pollici sulle tempie,
le mani dietro le orecchie, a sorreggerle la nuca, e iniziò a massaggiarla, con
movimenti lenti, circolari. Le sue mani erano calde, piacevoli e si muovevano
in maniera decisa, ma con delicatezza. Le immaginò all’opera su altri punti del
corpo e le vennero i brividi.
“Hai freddo?” le
chiese lui
“No, è solo … un
effetto collaterale del massaggio, credo” lo disse in un soffio
“Molto bene, è proprio
quello che speravo”
Ma come faceva ad
emanare tanta sensualità? Lei non era in grado di gestire questo risvolto,
mentre lui sembrava avere sempre tutto sotto controllo. Non stavano facendo niente
di compromettente, eppure la sensibilità della sua pelle al contatto con la sua
mano era qualcosa che la disarmava. Milo era in grado di sconvolgere i suoi
sensi con uno sguardo, con una parola, figuriamoci con il tocco delle dita .. o
magari delle labbra.
Proprio mentre
immaginava la forma delle sue labbra, Milo interruppe il massaggio
“Ecco fatto” e così
dicendo le depose un bacio sulla fronte.
Fu un bacio
castissimo, di quelli che ci si scambia tra fratelli e sorelle, tra genitori e
figli, forse tra amici. Ma allora perché il cuore le saltò in gola? E
soprattutto perché lui stava prolungando il contatto di quelle labbra peccaminose
indugiando più del necessario nello spazio appena sopra i suoi occhi?
“Ora puoi riaprire gli
occhi”
Quando lo fece si
specchiò nei suoi, vicinissimi, che sembravano avere assunto una tonalità di
blu più scura del solito, e la guardavano in un modo che lei non avrebbe saputo
definire.
“Grazie”
“Stai meglio ora?”
Non se resti a dieci
centimetri dal mio viso.
“Si, hai davvero un
tocco magico”
“Mhmh, così dicono”
“Oh.. e chi lo dice,
le tue donne?”
“Gelosa?” la canzonò
“Ma figurati. Lo
dicevo per te, dovresti trovare il modo di utilizzare la tua dote”
“E tu come faresti a
conoscere la mia dote? ” le sorrise maliziosamente
“Ma cosa hai capito?”
esclamò arrossendo ”Parlavo delle tue
mani” così dicendo gli prese le dita di una mano e le sfiorò “Secondo me hanno
dei poteri nascosti, potresti utilizzarli per fare del bene. Alleviare il mal
di testa per esempio, ma potresti esercitarti anche su altri dolori..”
Ritirò di scatto la
mano. Fissò l’unghia del suo dito indice e pensò all’utilizzo che ne aveva
fatto fino a quel momento.
“Non sarebbe una buona
idea, credimi”
Lo guardò confusa. Perché
quel repentino cambiamento d’umore? Ma lui non le lasciò il tempo di pensarci,
tirò fuori gli occhiali da sole dalla tasca e glieli rimise delicatamente sul
volto, quindi le passò un braccio intorno alla vita e l’accompagnò all’ingresso
delle montagne russe. Quel gesto così intimo le tolse il respiro e quando
l’addetto alla biglietteria chiese “La sua fidanzata siede a fianco a lei?” e
lui rispose “Certo” pensò di avere bisogno di una bombola d’ ossigeno.
“Pensi che sospettino qualcosa?”
“Non lo so, ma i nostri informatori hanno riferito di
tensioni al momento dello sbarco. Il gruppo si è diviso e due dei loro operativi
sono tornati indietro”
“Sappiamo qualcosa circa la loro identità?”
“Non ancora, ci stiamo lavorando”
“Bene, ma sarebbe un vero peccato se fossero andati via
proprio i nostri due obiettivi”
“In ogni caso dovremo essere
prudenti ed evitare di esporci, almeno per il momento. La Fondazione ha
mandato i suoi uomini, qualcuno di loro potrebbe riconoscerci.”
“Sta tranquillo, la copertura dell’hotel è sicura: ci
permetterà di seguire da vicino tutti i loro movimenti senza che si accorgano
di essere controllati” così dicendo si affacciò dalla terrazza dell’ultimo
piano del Park Inn, godendo della vista della piazza sottostante. I capelli, lisci
e nerissimi, furono sollevati dal vento e la avvolsero fino all’ altezza della
vita, come un lungo mantello di tenebra.
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Capitolo 9 *** capitolo 8 ***
capitolo 8
Capitolo 8
La prima cosa di cui si rese conto al suo rientro
dall’ospedale fu che qualcuno era entrato nel suo appartamento. Non c’erano più
lattine vuote di birra sparse sul pavimento, i posacenere erano stati svuotati,
le tende erano tirate e i vetri della porta finestra erano spalancati. Un profumo
di fiori agrumati e di pulito si diffondeva in tutti gli ambienti e gli abiti
sporchi accumulati sulle sedie erano stati lavati e stesi ad asciugare al sole
del terrazzo.
Si erano addirittura preoccupati di liberare la memoria
della segreteria telefonica cancellando i messaggi accumulati e avevano
riempito il frigo di provviste di cibo fresco, portando via i residui di quello
che ormai aveva raggiunto lo stadio di decomposizione.
Certo non poteva dire che la Fondazione non fosse efficiente
nel suo lavoro.
Si era appena disteso sul divano del soggiorno con
l’intenzione di farsi una sana dormita, viste le notti insonni dell’ultima
settimana, che il suono del campanello lo fece sobbalzare. Non era abituato a
ricevere visite che non fossero delegati del Grande Tempio o della Fondazione,
quindi andò svogliatamente ad aprire la porta nella convinzione di trovarsi di
fronte qualche soldato, qualche cavaliere o aspirante tale o al massimo un suo
pari. Rimase di sasso quando invece trovò, ad attenderlo pazientemente sulla
soglia della porta, lei in persona.
“Buongiorno Cavaliere, spero di non averti disturbato”
Passarono alcuni istanti prima che Milo riuscisse a
rispondere
“Certo che no, ecco, è solo che non aspettavo visite, tutto
qua. O meglio, non aspettavo la sua visita, Lady Isabel.”
“Sai come si dice a proposito di Maometto e delle montagne,
no?” gli sorrise.
I suoi modi gentili ed il suo tono così pacato riuscivano
sempre a metterlo a suo agio, nonostante tutto.
“Già. Ma la prego, si accomodi, non resti qui sulla porta”
“Grazie, non mi tratterrò a lungo. Ho solo bisogno di
parlarti”
“Sono qui”
“Davvero Milo? Perché vedi, questa non è la prima volta che
tento di mettermi in contatto con te mentre sei in casa” era un velato
rimprovero?
“No, lo immagino” abbassò lo sguardo
“Non hai mai risposto ai messaggi che ti ho lasciato”
“Erano suoi? Mi dispiace, non li ho mai sentiti ed ora purtroppo
sono stati cancellati”
“Si, lo so. Ho chiesto io di eliminarli, volevo parlarti di
persona” sembrò esitare un attimo, ma poi proseguì “Ho bisogno del tuo aiuto”
I sensi di Milo si allertarono
“E’ in pericolo? E’ successo qualcosa di grave al Santuario?
Se così fosse io …”
“Non si tratta di me, e nemmeno del Santuario, per ora.
Almeno non direttamente.”
“Cosa significa?”
“E’ una lunga storia. Una parte la conosci già, e anche
molto bene.”
“Non capisco”
Lady Isabel sospirò, sembrava quasi in imbarazzo ad andare
avanti nel discorso
“Si tratta di Alexander”
“Gli è successo qualcosa? Sono appena stato a lui e …”
“No, tranquillo, lui sta bene. L’Agenzia però potrebbe
essere in pericolo”
“L’Agenzia? Non sapevo che la Fondazione avesse mantenuto i
contatti”
“Sono molte le cose che non sai, Cavaliere, e non per mia
volontà. Ho solo deciso di rispettare la tua scelta di allontanarti dal Grande
Tempio.”
“Certo, capisco. E di questo le sono grato, mi creda”
“Comunque sia, è giusto che tu sappia che lui pensa non sia
il caso di coinvolgerti, pensa che tu non sia ancora in grado di affrontare
certe questioni”
Milo la guardò con stupore
“Così Alexander pensa che un Cavaliere del mio rango non sia
in grado di risolvere un banalissimo problema riguardante le attività dell’Agenzia?
Una cosa per cui al massimo si richiederebbe l’intervento dei militari? Qual è
il problema? Terrorismo internazionale? Guerre civili? Armi nucleari? Traffico
di …”
“Claire. Si tratta di Claire”
Bum! No, non era una bomba, era il suo cuore. Si era
fermato.
“E non si tratta di questioni militari. C’è in gioco molto più
di questo”
“………………………….”
“Milo? Ti senti bene? Mi stai ancora ascoltando?”
Lo sguardo era fisso di fronte a se, i lineamenti tirati, le
mani strette a pugno.
“Non posso intervenire, mi dispiace. Affidate l’incarico a
qualcun altro. Kanon per esempio …”
“Kanon è già sul posto, non potevamo rischiare di arrivare
troppo tardi”
Adesso era visibilmente sorpreso
“Troppo tardi per cosa? Qual è l’entità del pericolo? Se nel
giro di pochi giorni avete scomodato senza pensarci due volte nientemeno che il
custode della terza casa, uno dei Cavalieri d’Oro più potenti di tutto il
Santuario, e solo per intervenire a
supporto di una missione dell’Agenzia, deve esserci una ragione molto seria”
“Non è stata una decisione presa in pochi giorni. Abbiamo
monitorato la vicenda per mesi, ma da che Alexander si è ripreso, ci sono stati
dei risvolti non previsti”
“Non capisco”
“Alexander al suo risveglio ci ha rivelato dei particolari
del suo passato che purtroppo coinvolgono il destino di sua figlia”
“Il suo passato ha sempre influenzato il destino di Claire”
Era la prima volta. La prima volta dopo anni che riusciva a
pronunciare il suo nome. L’aveva detto per intero senza tremare, senza che lo
stomaco gli si contorcesse, senza che la testa gli esplodesse.
“Ho bisogno che tu vada a Berlino” Lady Isabel arrivò subito
al dunque “I dettagli ti verranno forniti direttamente da Alexander, è
necessario che tu vada da lui prima di partire”
Milo non rispose subito, si voltò verso la finestra e disse
“State dando per scontata la mia partenza”
“E mi sbaglio cavaliere?”
Milo sospirò, una mano appoggiata al vetro
“No”
“Così domani hai
proprio intenzione di partire? Vuoi andartene lasciandomi qui ad annoiarmi?”
erano distesi sull’erba dell’Hyde Park, le mani dietro la testa, lo sguardo a
fissare il cielo.
“Non è che voglio,
devo. Il mio lavoro di tesi è finito,
sto per laurearmi e non posso stare qui a trastullarmi”
Era brava a mentire,
ma c’era una vena di malinconia nella sua voce, e non era la tristezza dell’
addio. Milo sapeva che c’era dell’altro e non poteva fare a meno di sentirsi in
colpa. Se solo fosse riuscito a convincerla a prolungare il suo soggiorno a
Londra forse avrebbe avuto tempo e modo di chiarire tutto. Sempre che il resto
del piano stesse procedendo secondo le previsioni.
Si voltò a cercare il
suo sguardo, ma lei continuava a fissare in alto.
“Claire?”
“Mhmh?”
“Perché non resti
un’altra settimana?”
Si voltò. Lui prese coraggio e proseguì
“Tra una settimana
anche io tornerò in Grecia e …”
“No. Non posso, mi
dispiace.” Si era sollevata a sedere “
Ho delle cose da sistemare e finché non lo avrò fatto non sarò in pace con me
stessa”
“Parli della tesi?”
“Certo, la tesi.
Cos’altro se no?” si alzò in piedi “Andiamo? Non ho intenzione di passare il
mio ultimo giorno a Londra a dormire sull’erba”
“Dormire? E chi vuole
dormire? Veramente ci sono tante cose che si possono fare sdraiati sull’erba,
oltre che dormire”
Così dicendo le
afferrò la mano e l’attirò a se. Lei perse l’equilibrio e gli cadde addosso. I
corpi aderivano l’uno all’altro, i volti vicinissimi. Era arrossita.
“Ma dai, fammi alzare,
così non riesco a muovermi”
Per tutta risposta lui
le afferrò le mani e la fece stendere supina, bloccandola sotto di se.
“Mhmh. Forse conosco
un modo per convincerti a restare. Ma non so se è il caso di esercitare il mio
potere”
La sentì rabbrividire
e non per il freddo
“Ma per chi mi hai preso?” stava al gioco “Credi
davvero che io sia così debole? Non riusciresti mai a convincermi, nemmeno
sotto tortura.”
“E chi ha parlato di
tortura? Io avevo in mente ben altro” e avvicinò le labbra al suo volto, fino a
farle sentire il suo fiato caldo ai lati del collo, sulle orecchie, sulle
tempie, per poi ridiscendere più giù. La sentì sospirare e in quel momento si
sollevò di scatto e la lasciò andare, osservando divertito la sua reazione.
Lo guardava con un
misto di rabbia e stupore, desiderava
con tutta se stessa che lui non si fermasse, ma non lo avrebbe mai ammesso. Il
rossore del volto stava diminuendo e il respiro era di nuovo regolare, ma non
riusciva più a guardarlo negli occhi.
Ma cosa le stava
facendo? Non era li per sedurla, come poteva comportarsi in modo tanto vile?
Quando erano a quella distanza perdeva completamente il controllo, era più
forte di lui.
Si era rialzata e si
stava scuotendo i jeans sporchi di terra.
“Allora andiamo? Devo
ancora preparare la valigia e ho alcune cose da sbrigare prima della partenza”
parlò come se niente fosse successo
“Quali cose? Pensavo avessi
finito con il lavoro di tesi”
“Infatti. Ma devo ritirare
dei documenti”
“Bene, ti accompagno”
La vide irrigidirsi
“Non c’è bisogno
grazie. Vado da sola, magari ci vediamo per cena, ok?”
“Insisto, mi farebbe
piacere accompagnarti, sarebbe un’occasione in più per passare del tempo
insieme”
“Scusami Milo, ma è
una cosa che preferisco fare da sola”
Certo, non ho dubbi.
Per questo non posso permetterlo.
“Devo pensare che non
ti faccia piacere la mia compagnia? Ti ha forse offeso il mio comportamento di
poco fa? Se è per questo io …”
“No, non è questo.
Davvero” era di nuovo imbarazzata
“Allora perché non
vuoi che ti accompagni? Questo è l’ultimo giorno che passiamo insieme, davvero
non ti capisco”
Claire non rispose
subito. Forse la sua insistenza stava facendo effetto. Per lei sarebbe stato
più difficile trovare una giustificazione plausibile al suo comportamento che cedere
alla sua, apparentemente innocente, richiesta.
E infatti poco dopo
gli disse
“Va bene. Ma devo
chiederti di aspettarmi fuori dagli uffici. Sai, l’ingresso non è aperto a
tutti ”
“L’università non è un
luogo pubblico?” chiese con finta ingenuità
“I documenti sono al
consolato francese”
“Consolato?” era più
grave di quello che aveva sospettato
“Si, ti ho detto che mi
laureo in relazioni diplomatiche, no?”
Come no. Bella scusa,
certo che con le bugie e i doppi giochi ci sapeva fare. Quasi quanto lui. Solo
che lei riusciva a mantenere un’aria così innocente, se le circostanze fossero
state diverse lui ci sarebbe sicuramente cascato. Invece lui sapeva, era stato
informato: lei aveva scoperto che suo padre non era a Londra, che non c’era mai
stato, che non aveva soggiornato in quell’albergo, ma che era sparito da
qualche mese senza lasciare traccia. Aveva contattato qualcuno alla sede di
Marsiglia per ottenere informazioni, e
quel qualcuno la stava guidando a distanza. Sicuramente qualcuno all’interno
dell’Agenzia, Walt aveva promesso di occuparsene personalmente. Doveva fidarsi,
era a rischio l’esito di tutta l’operazione.
“Allora siamo intesi? Tu
mi aspetterai fuori? Non ci vorrà tanto” lo guardava ansiosa
“Tutto il tempo che ti
occorre. Mi troverai fuori ad aspettarti” le disse mentre le regalava il
sorriso più falso che riuscì a fare.
Lei sembrò
piacevolmente colpita e gli sussurrò un grazie, mentre lui iniziava a sentire
una fastidiosa sensazione di rimorso.
Arrivati alla sede del
consolato lui si sedette su un muretto all’esterno, di fronte a un giardino
pubblico, e stiracchiò le gambe, ostentando tranquillità.
“Io ti aspetto qui,
fai presto”
“Bene a dopo” gli
disse mentre si allontanava velocemente “Milo?” si voltò e lo chiamò
“Si?”
“Potresti tenere
acceso il telefono per favore? Sai, così se ci fosse qualche imprevisto e
facessi tardi potrei avvisarti”
“Certo, sta
tranquilla. Se ci sono problemi chiama pure” si fidava di lui a tal punto? Non gli
aveva detto niente circa la reale motivazione della sua visita al consolato, ma
gli stava affidando il ruolo di spalla nel caso in cui le cose fossero andate
storte. Questo lo fece sentire ancora più in colpa.
Claire entrò dalla
prima finestra che trovò socchiusa, dopo aver eluso la sorveglianza, perché ovviamente
non aveva con se nessun pass d’ingresso. Doveva raggiungere l’archivio e
cercare il dossier di cui le aveva parlato Juliet, dopo di che sarebbe uscita
senza farsi vedere. Era un gioco da ragazzi, per una come lei, anche se quello
che le aveva raccontato l’amica aveva dell’incredibile. Possibile che suo padre
si fosse cacciato in una storia simile? Un rumore improvviso la obbligò a
fermarsi di colpo e si nascose dietro una colonna di marmo. Le sembrò di vedere
qualcosa di luccicante provenire dalla direzione opposta e decise di restare in
attesa. Di fronte a se aveva la porta d’ingresso dell’archivio, avrebbe atteso il
momento opportuno e poi si sarebbe introdotta nell’ufficio. Quando non sentì
più alcun rumore si fiondò all’interno, richiudendosi la porta alle spalle.
Quello che vide la lasciò senza fiato: un tizio vestito di un’armatura
luccicante stava distruggendo tutti i dossier dell’archivio, li stava
letteralmente riducendo in polvere con il solo tocco delle dita. Chi era? Un
pazzo travestito? Cosa aveva in mano? Dell’acido? Si pentì amaramente di non avere
portato con se la pistola, e afferrò la prima cosa simile ad un’arma che trovò
nella stanza: un misero tagliacarte. Quindi si portò alle spalle dell’uomo, lo
afferrò per il collo e gli puntò la lama alla gola.
“Fermo o te la taglio”
disse con il tono più saldo che riuscì a mantenere.
Per tutta risposta udì
solo una risata profonda. Come poteva costui ridere in quel modo con un’arma
puntata alla gola? Sarebbe bastata una semplice pressione e gli avrebbe reciso
la giugulare, ma lui sembrava non preoccuparsene. Forse era davvero un pazzo,
che altro poteva essere con quel travestimento?
“Dammi retta
ragazzina, allontanati o ti farai male, e non sono qui per questo”
“Chi diavolo sei? Perché
stai distruggendo i dossier dell’archivio?”
“Questi non sono
affari che ti riguardano” disse mentre con un dito concludeva la sua opera.
Non era rimasto un
solo faldone integro e quando Claire se ne rese conto fu pervasa da una rabbia
cieca. Le possibilità di capire cosa fosse successo a suo padre erano svanite
assieme a quei documenti.
“Bastardo!” urlò, e
gli strinse il braccio intorno alla gola
Come se niente fosse
quel tizio le afferrò il braccio, si girò e tenendola ferma la mise con le
spalle al muro, afferrandola per la gola
“Ti avevo avvertita”
Il suo sguardo le fece
paura. Era un ragazzo bellissimo, sulla trentina, con i capelli lunghi, scuri,
e gli occhi verde mare, ma qualcosa in lui metteva i brividi. La guardava con
sufficienza, come se fosse stata un insetto da annientare e le sue dita
continuavano a stringersi sulla sua gola.
“Dammi retta, torna a
casa. Sei nel posto sbagliatissimo” la sua voce bassa era tagliente come una
lama e lei cominciò a temere che l’avrebbe uccisa. Aveva il cellulare in tasca,
non sarebbe mai riuscita a chiamare Milo finché lui la teneva stretta in quel
modo. Iniziò a tossire e solo allora lui allentò la presa.
Appena si sentì più
libera fece la cosa più stupida che avrebbe potuto fare in una circostanza
simile, lo colpì con un calcio al volto e raccolse il tagliacarte che le era
scivolato a terra. Quindi tentò nuovamente di colpirlo. Per tutta risposta lui
la spinse violentemente facendole sbattere la schiena contro lo scafale
metallico e strappandole un urlo di dolore. Qualcosa le si era conficcata sul
fianco destro. L’urto fece barcollare l’intero scafale che si piegò
pericolosamente verso la sua direzione. Fissò le stecche d’acciaio incapace di
reagire e attese che le crollasse tutto addosso quando due braccia la sollevarono
da terra e la deposero all’altro angolo della stanza. Il tonfo dello scafale
che si schiantava a terra avrebbe attirato l’attenzione della sorveglianza.
“Ti avevo detto di
andartene, accidenti!”
Sembrava dispiaciuto,
ora la toccava come se avesse paura di
romperla.
“Lasciami, sto bene”
cercò di sollevarsi incurante delle fitte al fianco.
“Sei ferita, mi
dispiace” il suo sguardo ora non le faceva più paura, ma chi era quel tipo e perché
ora si preoccupava della sua salute?
Il rumore dei passi
delle guardie sul corridoio la distolse dai suoi pensieri e prima che potesse
rendersi conto di qualcosa si sentì sollevare e si ritrovò all’esterno del
consolato, dopo un salto nel vuoto di
circa 20 metri. Pensò di essersi rotta le gambe e invece si accorse di reggersi
perfettamente in piedi. Stupita, cercò l’artefice di quel gesto folle e lo vide
correre via e sparire nel nulla ad una
velocità impressionante. Le guardie stavano arrivando e non c’era il
tempo di fermarsi a pensare troppo all’accaduto, per cui corse in direzione del
giardino in cui aveva lasciato Milo.
Milo era intento a rigirare un rametto tra le mani, pensieroso,
in attesa che Claire uscisse dall’edificio. Quando finalmente la vide arrivare in
lontananza si sollevò in piedi e sorrise, forse si era preoccupato troppo. Il
sorriso gli morì in gola quando vide il sangue sul suo fianco e i lividi neri
sul suo collo.
“Cosa è successo la
dentro?” la sua voce, come il suo sguardo, erano seri come non mai.
“ Non ora, ti prego,
dobbiamo allontanarci, è successo un casino”
“Prima mi dici chi ti
ha ridotto così, poi ce ne andremo”
“Non c’è tempo, ti
racconterò più tardi, ora scappiamo”
“Scappiamo? Come dei
ladri?”
“Milo per favore, sono
stanca … ahaaa!” si piegò in due e si portò la mano al fianco.
“Accidenti vieni qui”
e così dicendo la prese in braccio “Ti porto in albergo e una volta arrivati mi
spiegherai tutto intesi?”
“Certo, ma non c’è
bisogno che mi porti in braccio, non sono un’invalida, posso camminare”
“Non mi pare affatto
che tu stia bene. E se dici un’altra
parola ti porto direttamente all’ospedale. Cosa preferisci?”
“No, all’ospedale no.
Non posso andarci. Farebbero troppe domande e dovrei sporgere denuncia”
“ Denuncia contro chi?”
“Se te lo dicessi non
mi crederesti”
“Mettimi alla prova”
“C’era un tizio
travestito”
“Che genere di
travestimento?”
“Un’armatura”
“Ebbene?”
“Vuoi dire che mi
credi?”
“Non ho motivo per non
crederti, va avanti”
“L’ho minacciato con
un tagliacarte e lui prima ha tentato di strangolarmi e poi mi ha sbattuto contro
lo scafale, la ferita al fianco è stato un danno collaterale”
Milo si fermò
improvvisamente
“ Vuoi dire che è
stato questo tizio a ridurti così?”
“Bhé, si diciamo che si
è difeso”
“Difeso? Da te? E cosa
avresti fatto per minacciarlo?”
“Te l’ho detto, avevo
un tagliacarte”
“Non mi sembra un’arma
molto pericolosa”
“Già. Però è strano
sai? Alla fine mi ha persino aiutato”
“Oh, che gentile, un
vero cavaliere direi”
Milo era furioso, si
chiuse in un ostinato mutismo e non disse altro per tutto il tragitto, quando
arrivò all’albergo insistette per portarla fino alla camera e per aspettare che
si mettesse a letto.
“Ma devo lavarmi”
protestò Claire
“Fa pure, io ti
aspetto qui. Non me ne vado finché non mi avrai raccontato cosa diavolo è
successo dentro quell’edificio” era irremovibile
In altre circostanze
Claire avrebbe avuto da ribattere, ma ora era troppo stanca e decise di
assecondarlo. Avrebbe avuto il tempo di una doccia per inventare una scusa
plausibile. Quindi prese un asciugamano ed entrò in bagno, lasciando Milo
seduto sul letto.
Milo aspettò di
sentire lo scroscio dell’acqua prima di prendere in mano il telefono e cercare
nervosamente il numero in rubrica. Voleva sentire dalla sua voce che quello che
era appena successo non era colpa sua. Rispose dopo il primo squillo
“Come sta?”
“Dimmelo tu, come
dovrebbe stare in base a quello che le hai fatto?”
“Mi dispiace, è stato
un incidente, non ho dosato bene la forza e …”
“Non dovevi usarla la
forza Kanon!!! Accidenti, i patti non erano questi! Sei forse impazzito?”
“Mi dispiace. Non mi
aspettavo una sua reazione e non mi sono reso conto che … sono andato troppo
oltre”
“Prega solo che la
ferita non sia grave perché verrei personalmente a fartela pagare”
Così dicendo chiuse
bruscamente la chiamata e buttò il telefono sul letto. Sentì la porta del bagno
che si apriva e si ritrovò ad osservare Claire avvolta in un telo da bagno che
lo fissava imbarazzata.
“Devi proprio rimanere
qui mentre mi cambio?”
“No, certo, posso
uscire. Rientro quando sarai vestita. Voglio dare un’occhiata a quella ferita” disse
mentre si avviava verso la porta.
“Mhmh, sei anche un
medico?” lo disse con una punta di scetticismo.
“No, ma posso
chiamarne uno se necessario” e si chiuse
la porta alle spalle, senza lasciarle possibilità di replica.
sorry for lateness....
grazie per le recensioni e grazie a tutti quelli che continuano a seguire la storia
|
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Capitolo 10 *** capitolo 9 ***
capitolo 9
Capitolo 9
“Odio questa città”
Juliet non rientrava mai in albergo senza lasciarsi andare
ad un commento negativo su Berlino. Una volta il traffico, l’altra la pioggia,
un giorno il modo di fare degli abitanti, l’altro quello dei turisti.
“Siamo qui solo da cinque giorni”
“E’ questo grigio, non lo sopporto” sentenziò mentre si
buttava sul letto.
“Novità dal Park Inn?” chiese Claire spostandole le scarpe
dalle coperte candide.
“Niente, nessun movimento sospetto. Hanno preso possesso
delle camere e non sono più usciti. Il perfetto piano topi in gabbia, non capisco cosa abbia in mente Walt, si sarà
lasciato influenzare da quel cafone di un cavaliere”
“Kanon non è certo il tipo che disdegna l’azione, anzi. No,
credo che sia qualcun altro a tirare le fila del gioco, qualcuno che forse non
è nemmeno a Berlino”
“Se così fosse noi che possibilità avremmo di intervenire?”
“Non è detto che lo faremo”
“Cosa??? Stai scherzando!” si era alzata in piedi “Non
vorrai rinunciare proprio ora che siamo nel mezzo dell’operazione, vero?”
“Nel mezzo? A me sembra che siamo in periferia, ci hanno
tagliate fuori Juliet” disse con calma.
“Io non ti riconosco più, di cosa hai paura? Di ritrovarti
faccia a faccia con qualcuno che non avresti il coraggio di affrontare?”
“Non mi sono mai tirata indietro di fronte al pericolo, lo
sai bene”
“Non mi riferivo al nemico, infatti. Stavo parlando degli
alleati. Di uno in particolare a dire il vero, l’innominabile …”
Claire non rispose, si alzò bruscamente e uscì dalla stanza
sbattendo la porta.
“Si scappa scappa, sai che risolvi in questo modo” bofonchiò
Juliet prima di accendersi una sigaretta.
Claire scese nella hall come una furia, non perché fosse
adirata con Juliet, ma perché sapeva che l’amica aveva ragione.
Si sedette al bancone del bar e ordinò una vodka liscia,
aveva voglia di qualcosa di molto alcolico.
Il giorno della partenza si svegliò all’alba,
di soprassalto. Aveva sognato suo padre che le chiedeva disperatamente aiuto
mentre lei non riusciva a fare nemmeno un passo per raggiungerlo. L’angoscia
provata durante il sonno non accennava a diminuire nonostante fosse sveglia da
qualche minuto. Si rigirò sul letto con uno scatto rabbioso e il dolore ad un
fianco le riportò alla mente gli avvenimenti della sera precedente, si portò le
mani sulla fasciatura bianca e ripensò al momento in cui Milo le aveva medicato
e bendato la ferita. Era stato bravissimo, era riuscito ad estrarre alcune
schegge di vetro che le erano rimaste dentro, mentre lei stringeva i denti per
non urlare dal dolore. Lui si era accorto della sua sofferenza e aveva cercato
di muoversi con delicatezza, ma il dolore era comunque insopportabile. Non che Claire
non fosse abituata a quel genere di incidenti, aveva vissuto esperienze
peggiori e non avrebbe ceduto alle lamentele nemmeno se la ferita fosse stata
più grave, per cui resistette stoicamente senza versare nemmeno una lacrima.
L’unica debolezza che si concedette fu quella di aggrapparsi alle sue spalle
nel momento in cui estrasse la scheggia più grossa, lui immediatamente si
bloccò e, passandole un braccio dietro
la schiena, la cullò per alcuni secondi. Fu meglio di un antidolorifico per
Claire. A quel gesto così intimo un calore inaspettato la pervase tutta e, come
in trance, si lasciò andare posandogli la testa alla base del collo. Sarebbe
rimasta così tutta la notte, ma Milo la scostò delicatamente per praticarle un
accurato bendaggio.
“Sei molto bravo come
infermiere. Dove hai imparato?” gli chiese
Lui non rispose
subito. Cercò delle fiale di antidolorifico all’interno della cassetta del
pronto soccorso
“Se non sbaglio anche
tu mi devi delle risposte. Facciamo che tu mi dici cosa è successo stasera e io
ti dico dove ho imparato a fare i bendaggi”
Claire distolse lo
sguardo
“Non importa, sono
molto stanca. Ora non me la sento di ripercorrere quei momenti”
Milo la guardava come
se volesse leggerle dentro, probabilmente non aveva creduto ad una sola parola
di quello che gli aveva raccontato. Non avrebbe voluto mentirgli, ma
raccontandogli la verità l’avrebbe solo messo in pericolo e non poteva fargli
questo, non dopo quello che lui stava facendo per lei. Anche se qualcosa in
quel momento le diceva che forse lui sarebbe stato in grado di sopportare molto
di più di quello che apparentemente dimostrava.
Le aveva trasmesso una
tale sicurezza che, da quando erano arrivati in albergo, non si era più
preoccupata di niente. Milo era un uomo
con uno spiccato istinto di protezione, questo lo aveva capito dai suoi
atteggiamenti possessivi, dal suo modo di fare, di parlare, di guardarla e perfino
di toccarla. Ma quella sera aveva superato se stesso, aveva mantenuto il
controllo della situazione ed aveva agito in maniera impeccabile, nemmeno se
avesse avuto intorno un collega dell’Agenzia si sarebbe sentita così al sicuro.
Ogni giorno che passava poi si sentiva sempre più attratta, soggiogata quasi,
dal suo magnetismo.
“A che pensi?” la
stava osservando con curiosità
“A quanto ti sono
grata per quello che stai facendo” gli disse spontaneamente
Lui sembrò a disagio.
“Avrei voluto fare di
più. Avrei voluto essere con te stasera, per impedire che ti facessero..
questo”
Lei gli strinse una
mano
“Ti assicuro che non
avresti in alcun modo potuto evitarlo. E io mi sarei sentita terribilmente in
colpa se ti fosse successo qualcosa per colpa mia”
“Tu dovresti pensare
più a te stessa. Io so badare a me”
E iniziò a cercare
qualcos’altro nella cassetta medica.
“Cosa cerchi?”
“Una siringa. Ho
trovato delle fiale di antidolorifico ma senza la siringa non posso praticarti
l’iniezione. Ah, eccola”
“Scordatelo” si agitò
Claire “Io odio gli aghi. Odio tutto quello che punge. Preferisco tenermi il
dolore”
Lui la guardava
allibito
“Sei stata infilzata
da queste schegge e ora ti tiri indietro per uno stupidissimo ago?”
“Esattamente”
“In ogni caso devo
farti l’antitetanica”
“Mi prendi in giro?”
“Non sono mai stato
così serio. La ferita potrebbe infettarsi”
“Vorrà dire che domani
morirò di tetano”
“Non finché ci sarò io
a prendermi cura di te”
“Ti sollevo da ogni
responsabilità. Ora puoi anche andare”
“Non contarci”
Qualcosa nel tono
della sua voce le fece venire un brivido sulla schiena. Milo faceva sul serio e
non sarebbe riuscita a farlo desistere tanto facilmente. Tentò lo stesso
“Il tetano è solo una
remota possibilità …”
Milo continuava ad
armeggiare con fiale e siringhe, non la stava nemmeno ad ascoltare
“Preferisci andare in
ospedale?”
“No”
“Allora voltati” il
tono non ammetteva rifiuti
“Cooosa???? Dove
avresti intenzione di farmi l’iniezione scusami?”
“Esattamente nel
muscolo dove va fatta”
Claire era furiosa
“NO!!!”
“Sai, volendo potrei
costringerti”
“Provaci e qualcuno si
farà male”
Milo si fermò ad
osservarla
“Ma sei seria?”
“Certamente” Claire
mise il broncio e incrociò le braccia al petto.
Un guizzo di ironia
balzò nello sguardo di Milo
“Incredibile. Sei
veramente una bambina. Ti scosterei un attimo l’elastico delle mutandine, non
andrei oltre. Di cosa hai paura?”
Claire adesso era paonazza
“Di niente”cercò di
sviare il discorso
“A me non sembra. Direi
piuttosto che sei terrorizzata.”
Milo avvicinò il volto
al suo orecchio e le sussurrò
“Fidati di me. Non ti
accorgerai di niente. So essere molto delicato, se voglio …”
Non seppe se fu la sua
voce roca o la sua vicinanza, ma Claire fu attraversata da un brivido
tutt’altro che sgradevole. Per tutta
reazione si allontanò bruscamente ed esclamò
“Stammi lontano!”
Milo iniziò a ridere
di gusto, in maniera spontanea, lasciandola esterrefatta. Poi con una mano le
sfiorò velocemente una guancia
“Tranquilla. Ti stavo
prendendo in giro. L’iniezione posso fartela anche sul braccio.”
“Tu, brutto schifoso!
Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Non sarebbe stato poi
così terribile, te lo assicuro. Ora dammi il braccio”
“Come? Adesso? Di già,
ma..”
Milo si spazientì e le
afferrò saldamente il braccio destro
“Prima ti ho detto di
fidarti di me. Dicevo sul serio”
“Ok, aspetta solo che
mi volti dall’altra parte. Ti ho detto che non sopporto gli aghi”
Così dicendo girò la
testa e chiuse gli occhi, in attesa di sentire il dolore sul braccio. Sentì
l’odore del disinfettante mentre Milo glielo passava con un batuffolo di cotone
imbevuto e poi restò in attesa, sentendo solo le dita della sua mano che le
tenevano fermo il braccio. Quando le sembrò essere passata un’eternità, lo
sentì dire
“Fatto”
Aprì gli occhi con
stupore e lo vide deporle un delicato bacio sul braccio. Quel gesto le aprì una
nuova voragine sullo stomaco
“E’ stato così
terribile?” le chiese sorridendo
“Non ho sentito
niente”
“Ti avevo detto che so
essere molto delicato. Ora ti lascio riposare. L’antidolorifico farà presto
effetto”
“Antidolorifico? Ma
non mi hai fatto l’antitetanica?”
“Visto che c’ero, ti
ho fatto entrambe le iniezioni”
Le strizzò l’occhio
mentre lei lo guardava furiosa
“E poi mi dovrei
fidare di te? Mi hai imbrogliata!”
“Si, ma solo per il
tuo bene. Ricordalo. Buonanotte.”
Così dicendo le diede
un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza, lasciandola in fiamme.
“E chi riesce a
dormire ora?” sbuffò Claire prima di spegnere la luce.
Juliet fumò tre sigarette di fila prima di scendere a
cercare Claire. Quando la vide al bancone del bar capì che l’amica aveva
bisogno di stare un po’ da sola. Decise di approfittarne per andare a farsi
l’ennesimo giro per il centro di Berlino. Invece di chiamare un taxi preferì
camminare a piedi, almeno avrebbe scaricato un po’ di tensione. Le sarebbe
piaciuto andare a nuotare, ma a Berlino non c’era il mare e non le sembrava il
caso di andare a fare un tuffo in una piscina sovraffollata e piena di mocciosi
urlanti.
Aveva appena accantonato l’idea di sguazzare nell’acqua
quando un suono melodioso attirò la sua attenzione. Proveniva dall’interno di
un locale in cui si suonava musica dal vivo. Vide attraverso il vetro
l’artefice di tanta perfezione: un bel giovane con un flauto traverso che
suonava in maniera divina. Un tizio alquanto raffinato gli sedeva di fianco e
sorseggiava un drink, squadrando letteralmente la folla che li circondava.
Decise di entrare e godersi la musica, da brava appassionata di pianoforte
amava lasciarsi trasportare dalle note, soprattutto se erano suonate
divinamente come in quel caso.
Si sedette ad uno dei tavoli e ordinò un aperitivo
analcolico, era pur sempre in servizio ed era bene che almeno una delle due
rimanesse sobria in caso di sopraggiunte complicazioni. Si sentì immediatamente
a disagio ma non capì subito il perché. Si guardò attorno e notò che il locale
era oltremodo accogliente: le luci soffuse, i colori caldi, la musica come sottofondo,
ma allora perché non riusciva a rilassarsi? Ad un certo punto li vide: due
occhi che non smettevano di fissarla. Appartenevano al tizio raffinato seduto
di fianco al musicista, che continuava maleducatamente e sfrontatamente a
guardarla.
Decise di ignoralo, non era la prima volta che le capitava
di attirare lo sguardo degli uomini, ma mai si era sentita a disagio per
questo, anzi, solitamente ne era lusingata. C’era qualcosa nell’insistenza
di quello sguardo che andava oltre la semplice ammirazione, quell’uomo la
fissava come se l’avesse riconosciuta. La musica finì e finalmente i due
sparirono sul retro del locale, probabilmente se ne sarebbero andati uscendo da
una porta secondaria. Si affrettò a consumare l’ordinazione e andò a pagare, ma
si stupì quando sentì una voce alle sue spalle
“Per la signorina offro io”
Si voltò e si ritrovò di fronte gli occhi del musicista, che
le tendeva una mano
“ Piacere io sono Syria”
Tese educatamente la mano, ma non si presentò, e con un
pizzico di diffidenza rispose
“Non si offenda, la prego, ma non amo ricevere doni dagli
sconosciuti, siano anche piccolezze come questa. Comunque apprezzo il gesto”
E pagò il suo conto.
Il giovane annuì in silenzio e attese qualche minuto prima
di parlare
“Ho visto che è stata attratta dalla mia musica mentre
passeggiava fuori dal locale, ne sono lusingato”
Juliet si allarmò
“Lei ha visto? Strano, mi era sembrato che tenesse gli occhi
chiusi durante l’esecuzione”
“Mi ha scoperto. In realtà non sono stato io, ma il mio
amico, ad accorgersi di lei”
Ecco il trucco, che viscidi
“Allora signor Syria, dica al suo amico che se vuole dirmi
qualcosa deve farlo di persona, invece di restare a fissarmi per mezz’ora senza
nessun pudore e poi mandare lei a sondare il terreno o ad adescarmi con la
scusa della musica”
Il ragazzo di fronte a lei parve realmente stupito dalla sua
reazione e subito disse
“Mi
dispiace averle dato quest’impressione, ma Julian non agirebbe
mai in maniera tanto meschina. Avevamo solo bisogno di capire se lei
era
la persona che aspettavamo”
“Dunque aspettavate qualcuno?” Juliet era sempre più
confusa.
“Questi non sono problemi della signorina, evidentemente ci
siamo sbagliati, desidero scusarmi personalmente per averla importunata con l'insistenza del mio
sguardo”
Il tizio raffinato ora sembrava di nuovo tale. Era quasi
certamente un nobile, aveva lo stemma di un casato stampato in rilievo sulla
giacca. Ma Juliet non era tipo da lasciarsi incantare da tali dettagli, e senza
scomporsi rispose
“Non si preoccupi, è chiaro che ci sia stato un malinteso,
evidentemente non sono la persona che aspettavate” poi si rivolse direttamente
a Syria “Ma volevo comunque complimentarmi per la melodia, non avevo mai
sentito niente di tanto coinvolgente. In alcuni momenti mi sono venuti i
brividi”
Dopodichè salutò cortesemente e uscì dal locale, sempre più
convinta che i tedeschi fossero dei tipi strani.
Intanto Syria non si capacitava dell’effetto che aveva avuto
la sua musica su quella ragazza
“ Non è possibile, non sono riuscito ad ammaliarla. Non mi
era mai successo prima. Era come se la sua mente avesse uno scudo protettivo,
per questo ho pensato che fosse la donna mandata da loro”
“ Sono convinto che quella non fosse una ragazza comune e
qualcosa mi dice che la rivedremo. Ma non era certamente la nostra donna, non ho
percepito niente di oscuro in lei. In ogni caso comunica a Kanon che
l’incontro è andato deserto, è chiaro che a questo punto si stanno prendendo
gioco di noi. Io chiamerò personalmente Lady Isabel per aggiornarla”
“Subito signore”
per x5max: grazie, spero di non averti fatto aspettare troppo...
per
Anzy: che onore! Grazie per la recensione. Claire non è proprio
timida, è solo un pò meno sfrontata di Juliet... ma forse
è ancora presto per capire bene alcuni risvolti del loro
carattere, spero solo di non essere troppo lenta nella narrazione: il
tentativo è quello di creare impaziente attesa e non noia
mortale. A proposito di attesaio sto friggendo per il destino di Eowyn e Milo in "In the Shadow" ...
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Capitolo 11 *** capitolo 10 ***
capitolo 10
Capitolo 10
Claire rimase ad attendere Juliet nella hall dell’hotel:
l’aveva vista uscire con la coda dell’occhio più di due ore prima e stava
iniziando a preoccuparsi per quell’assenza prolungata. Non poteva essere andata
di nuovo al Park Inn, era troppo pericoloso farlo in pieno giorno, qualcuno
avrebbe potuto riconoscerla. Ma con Juliet non si poteva mai stare tranquilli,
sarebbe stata capace di andare a cercare
direttamente Walt o Kanon solo per il gusto di provocarli.
Intanto la vodka stava cominciando a fare il suo effetto e,
rilassandosi sul piccolo divanetto della hall, in mezzo a decine di persone,
non riuscendo più a tenere aperte le palpebre, si lasciò andare ad un
dormiveglia agitato dai ricordi.
Aveva insistito per
accompagnarla all’aeroporto e durante l’attesa al check-in non aveva fatto
altro che tentare di convincerla a restare a Londra ancora per qualche
giorno. La tentazione di cedere alla sua
richiesta fu fortissima e più volte fu sul punto di assecondarlo, ma quando
l’immagine di suo padre in pericolo si delineò con forza nella sua mente, un
campanello d’allarme si accese nel profondo del suo essere e la riportò
bruscamente con i piedi per terra. Si sentì in colpa: mentre lei fantasticava
di passare qualche giorno in più con uno splendido uomo che praticamente non
conosceva, suo padre, la persona più importante nella sua vita, poteva essere
in pericolo in mano a chissà quale nemico.
Sentì il bisogno di
chiamare Juliet per verificare se c’erano novità sulla loro indagine segreta.
Aveva un numero di telefono non
intercettabile dall’Agenzia che utilizzava appositamente per quello scopo, ma
non poteva chiamare li, mentre stava in fila, con Milo a meno di dieci
centimetri dalla sua faccia. Allora, sorridendogli serafica, gli disse
“ Ti dispiace tenermi
la fila mentre vado alla toilette?”
Lui la guardò perplesso
e subito si protese a tastarle il fianco
“Problemi con la
ferita? La fasciatura è troppo stretta? O forse..”
“Milo” lo interruppe
posandogli un dito sulle labbra.
Lui sussultò a quel
contatto, o era solo una sua impressione? Proseguì cercando di essere calma e
convincente
“Devo semplicemente
andare in bagno. Banalissima necessità fisiologica: penso di avere bevuto
troppa acqua stamattina” lo disse strizzando un occhio e con un mezzo sorriso.
Lui le restituì il sorriso e lei sentì
improvvisamente molto caldo. Quando sorrideva era ancora più bello, di una
bellezza quasi dolorosa. Cercò di non pensare che di li a un’ora
avrebbe dovuto dirgli addio e si incamminò verso la toilette.
Arrivata in bagno si
accertò che non ci fosse nessuno e compose il numero di Juliet. Fece appena in tempo a sentire la voce dell’amica
dall’altra parte quando una mano le strappò il telefono e lo disintegrò con la
semplice pressione delle dita e, prima ancora che lei avesse il tempo di
voltarsi e reagire, le premette un braccio sul collo tenendole la schiena
immobilizzata contro il suo corpo. Non riusciva quasi a respirare da quanto era
forte quella stretta. Sentì il suo fiato sull’orecchio e quando parlò capì che
si trattava di un uomo.
“Non muoverti. E se
provi ad urlare ti spezzo l’osso del collo”
Quella voce le fece
venire i brividi. Era cupa, cavernosa, sembrava arrivare dritta
dall’oltretomba. E qualcosa le diceva che la sua minaccia era molto reale, così
smise di dimenarsi e restò in attesa. Se
non l’aveva ancora uccisa evidentemente voleva qualcosa da lei. Infatti le
sussurrò
“Smetti di cercare il
paparino se ci tieni alla sua vita. E alla tua.”
Appena sentì quelle
parole non riuscì a trattenersi e con un gomito tentò di colpirlo per potersi
girare e guardalo in faccia. Ma lui doveva avere intuito le sue mosse e le
torse il braccio dietro la schiena strappandole un urlo di dolore.
“Ti avevo detto di non
muoverti e di non urlare, ora pagherai per la tua insolenza”
La strinse talmente
forte che lei temette di venire stritolata e di fare la stessa fine del
cellulare, ma all’improvviso lui si bloccò e imprecò
“Arrivano i rinforzi,
per questa volta sei stata fortunata, la prossima volta finirò quello che ho
iniziato” e sparì nel nulla, lasciandola dolorante, accasciata sul pavimento.
Non fece in tempo a
voltarsi per verificare che se ne fosse effettivamente andato che sobbalzò
sentendo la porta del bagno aprirsi violentemente. Tremò al pensiero che avesse
cambiato idea e avesse deciso di farla fuori, perché al momento non sarebbe
stata in grado di reagire. Ma quando vide Milo andarle incontro con lo sguardo
preoccupato si sentì improvvisamente sollevata, e il tremore che la colse
quando lui la sollevò e la strinse a se era di tutt’altra natura.
“Shshh, tranquilla, ci
sono io ora, nessuno ti farà del male” le sussurrò dolcemente mentre le baciava
la testa.
“Sto… sto be..ne” si
sforzò di rispondere lei, quel contatto ravvicinato con il suo petto le
toglieva il respiro.
“Stai tremando” era
una constatazione e lei non seppe cosa rispondere.
Lui allora la sollevò
da terra come fosse una piuma e la fece sedere sul marmo di fianco al lavello,
si allontanò per chiudere a chiave la porta del bagno e tornò a posizionarsi di
fronte a lei, notando immediatamente i segni rossi nei punti in cui quell’uomo
l’aveva stretta, sulle braccia e sul
collo. La mascella di Milo si contrasse e i suoi splendidi occhi blu assunsero
un’espressione minacciosa. Per un attimo
Claire non riconobbe la persona che aveva di fronte e ne ebbe quasi paura. Ma fu solo
un attimo, le ombre negli occhi di lui lasciarono presto spazio alla
preoccupazione e all’attenzione nei suoi confronti.
“Cosa ti ha fatto?” le
domandò gentile guardandola negli occhi
“Ha cercato di
stritolarmi, credo” rispose, consapevole che questa faccenda avrebbe destato in
Milo sospetti, dubbi e domande a cui lei non avrebbe potuto rispondere.
“Cosa voleva da
te?”proseguì infatti lui
“Mi ha rubato il
telefono”rispose sperando che ci cascasse
Milo diede velocemente
un’occhiata a terra, vedendo un cumulo di cenere al posto di quello che avrebbe
dovuto essere un cellulare, tornò a guardare lei, intensamente, e Claire non
riuscì a sostenere lo sguardo. Lui le sollevò il mento con le dita
“Guardami, Claire”
Lei si sforzò di non
distogliere lo sguardo e lui proseguì
“Non so cosa sia
successo realmente in questo bagno, ma
se non vuoi dirmelo non ti costringerò a farlo, per ora. Così come non ho
approfondito il motivo per cui ieri sei andata al Consolato Francese. Ma ti
chiedo di fidarti di me quando ti dico
che sei in pericolo e che non dovresti andare in giro da sola per l’Europa.
Resta qui con me ancora per un po’”
Milo era straordinario,
le stava offrendo protezione non sapendo in che guaio si sarebbe cacciato
stando con lei. E lei si sentì terribilmente in colpa per il rischio che gli
stava facendo correre coinvolgendolo nei suoi problemi.
“Ti ho già spiegato
cosa è successo Milo, non ho altro da aggiungere perché anche io non so più di
quanto ti abbia già raccontato. Ma se fosse vero che io sono nei guai, non
metterei mai in pericolo anche te solo per proteggermi . Quindi non se ne
parla, non resterò a Londra, anche se questo significa rinunciare alla tua
meravigliosa compagnia.”
Le ultime parole le
uscirono in un soffio, senza riflettere, e quando si accorse di essersi
sbilanciata arrossì e abbassò lo sguardo.
Milo le sorrise e le
accarezzò lievemente un braccio
“Fingerò di credere a
quello che mi hai detto”
La sua mano salì
lentamente dal braccio fino alla spalla e iniziò a massaggiarle il collo, fino
a fermarsi dietro l’orecchio. L’altra mano s’intrufolò tra i suoi capelli, fino
a cingerle la nuca, mentre il volto di Milo si faceva sempre più vicino. Quando
fu a pochi centimetri dal suo volto le disse
“In ogni caso sento il
bisogno di dimostrarti quanto meravigliosa per me sia la tua compagnia”
E senza lasciarle il
tempo di replicare, la baciò.
Appena sentì il
contatto delle sue labbra Claire pensò a quanto negli ultimi giorni avesse
desiderato che arrivasse quel momento e si sentì pervade da un’agitazione
crescente. Lui se ne accorse e, senza nessuna fretta, per lasciarle il tempo di
tirarsi indietro nel caso in cui l’avesse voluto, iniziò a tempestarla di
piccoli, lievissimi baci agli angoli della bocca, in un irresistibile invito ad
approfondire il contatto. Nessuno era mai riuscito a provocarle quelle
sensazioni solo con il semplice sfioramento delle labbra. Milo sapeva
esattamente cosa fare e come farlo, era evidente che si stesse trattenendo, ma
voleva che anche lei raggiungesse il suo livello di coinvolgimento, prima di
lasciarsi andare alla passione.
Per tutta risposta lei prese le sue labbra fra le sue,
lentamente, gesto quello che portò Milo
a rispondere con più intensità, invitandola a
dischiudere le labbra.
E quando Claire
cedette entrambi persero il controllo.
Fu un bacio intensissimo,
profondo, che le fece desiderare di non essere in un bagno pubblico, in mezzo
ad un aeroporto affollato di gente, ma di essere in un luogo idoneo a portare
quel contatto … su altri livelli. Milo
le sorreggeva la testa e con l’altra mano le cingeva la vita, facendola aderire
al suo corpo. Lei era ancora seduta sul marmo del lavello, e aveva le gambe
quasi intrecciate ai suoi fianchi, in una posizione molto, troppo intima. Fu
percorsa da brividi di eccitazione e quando, dopo parecchi minuti, le loro
labbra si allontanarono, ad entrambi sfuggì un gemito. Si videro riflessi sullo
specchio, in quella posizione, con lo sguardo liquido, ansimanti e con i volti
arrossati e Claire, presa da un motto di vergogna, tentò di allontanarsi da
lui, che invece sorrideva sornione, tenendola stretta e impedendole di
muoversi.
“Qualcosa non va? Non
sei comoda così tra le mie braccia?” le sussurrò all’orecchio con voce
arrochita.
Si era accorto del suo
imbarazzo e la stava prendendo in giro. Come al solito era lui che, con
sensualità, disinibizione e consapevolezza, guidava il gioco, senza paura di
dimostrarle la sua passione. Lei non aveva nessuna esperienza di uomini come
Milo, aveva sempre frequentato dei ragazzi suoi coetanei, colleghi di studio
per lo più, molto spesso timidi e impacciati, e niente in vita sua l’aveva
preparata a far fronte ad un tale sconvolgimento emotivo. Mai un semplice bacio
le aveva fatto provare quelle sensazioni alla bocca dello stomaco e mai l’aveva
fatta rabbrividire tutta facendole desiderare ardentemente un contatto più
intimo.
Fu Milo a staccarsi da
lei, dopo averla cullata sul suo petto per diversi minuti, per guardarla negli
occhi
“Adesso potresti
ripensare al fatto di restare qualche giorno in più con me a Londra?”
Lei lo guardò e pensò
che non c’era niente che avrebbe desiderato di più in quel momento. Niente
tranne la certezza di sapere suo padre in salvo. Questo pensiero le fece salire
le lacrime agli occhi, ma si sforzò di dimostrarsi forte e risoluta, e seppure
con voce tremante, riuscì a rispondere
“Prometto che verrò a
trovarti in Grecia, non appena avrò risolto delle questioni personali.”
Lo sentì irrigidirsi
alla parola Grecia, e non riuscì a capirne il motivo: non era forse contento di
poterla rivedere? O forse in Grecia nascondeva qualcosa, o qualcuno, che non
voleva che lei conoscesse? Fu così che gli chiese a bruciapelo
“Hai una fidanzata o
una moglie che ti aspetta in Grecia?”
Milo dapprima la
guardò sorpreso, poi letteralmente le scoppiò a ridere in faccia.
Lei lo fissò risentita
e gli puntò un dito sul petto
“Tu ti prendi gioco di
me Milo e questo non mi piace affatto”
Lui le prese
scherzosamente il dito e se lo portò alle labbra, dove gli depositò un bacio.
“Non farei mai niente
del genere. Ti prendo più sul serio di quanto tu possa immaginare. Solo che ti
trovo irresistibile nella parte della gelosa” disse con un mezzo sorriso.
“Gelosa io? Ma
figurati! Ho solo notato che la tua reazione quando ho detto che sarei venuta
in Grecia a trovarti non è stata il massimo della gioia”
Di nuovo un’ombra nel
suo sguardo. Era sicura di averla notata. Ma lui rispose sereno
“La mia reazione è
dovuta alla tristezza di dovere attendere tanto prima di rivederti. E dopo quanto
è appena successo tra di noi, credimi, vorrei tenerti a non più di due
centimetri dal mio corpo, nelle prossime ore, nei prossimi giorni e nei
prossimi mesi, e non a migliaia di chilometri di distanza.”
Le sue parole la
lasciarono senza fiato e non riuscì
resistere alla tentazione di cercare nuovamente le sue labbra, stavolta
con meno timidezza. Si scambiarono un altro bacio passionale e si interruppero
solo quando dall’altoparlante sentirono la chiamata all’imbarco per il suo
volo.
Quando riaprì gli occhi erano quasi le due del pomeriggio.
Si guardò attorno e di Juliet neanche l’ombra. La hall adesso era vuota,
evidentemente erano tutti a pranzo e anche lei iniziava a sentire appetito.
Cercò di rintracciare l’amica al cellulare ma risultava sempre spento. Possibile
che fosse veramente andata al Park Inn ad affrontare Walt? Decise di mangiare
velocemente qualcosa e poi di andare a controllare di persona, doveva solo
stare attenta a non farsi notare, il che in pieno giorno le avrebbe creato non
poche difficoltà.
Juliet aveva camminato per ore nel centro di Berlino,
guardando distrattamente le vetrine dei negozi che vendevano abiti troppo
scialbi per i suoi gusti raffinati e stava meditando di recarsi in pieno giorno
al Park Inn per spiare i movimenti dell’Agenzia, visto che di notte nessuno
sembrava muoversi, quando una voce conosciuta attirò la sua attenzione.
All’ingresso di un vecchio teatro in disuso si materializzò nientemeno che uno
degli oggetti dei suoi pensieri: quel cafone di Kanon che parlava con i due
tizi strani incontrati al locale.
“ Che culo” pensò “Forse ho trovato un passatempo per movimentare
la giornata”
Il musicista restava ad una certa distanza mentre il tipo
nobile conversava in maniera piuttosto confidenziale con Kanon, peccato che la
distanza le impedisse di captarne le parole.
Si fermò ad osservarli da un punto sicuro, ben nascosta
dalla loro visuale, e notò che si guardavano attorno come se aspettassero
l’arrivo di qualcuno.
Quando un’auto nera, un modello tedesco di grossa cilindrata
con i vetri oscurati, si fermò dinnanzi a loro, Kanon e il musicista si
pararono di fronte al tizio nobile, come a volergli fare da scudo. La portiera
della macchina si aprì e con molta eleganza scese un tizio molto alto, biondo,
vestito anche lui di nero e Juliet lo vide distintamente prima ghignare
sinistramente e poi ridere sfrontatamente in faccia ai tre che lo attendevano
sul marciapiede e che lo fissavano con stupore, come se avessero appena visto
un fantasma.
Una cosa era certa: quei tre conoscevano quel tizio e, a
giudicare dall’atteggiamento freddo, prudente e circospetto con cui l’avevano
accolto, i loro trascorsi non dovevano essere stati molto cordiali.
Il nuovo arrivato fece un cenno all’autista che portò via l’auto
e con assoluta disinvoltura si avviò verso l’ingresso del teatro, tirò fuori un
mazzo di chiavi dalla tasca, aprì la porta ed entrò, seguito dagli altri tre,
che continuavano a muoversi con molta circospezione, come se non si fidassero
di lui.
Non appena tutti entrarono dentro e si chiusero la porta
alle spalle, Juliet attraversò di corsa la strada e cercò un’entrata secondaria
attorno all’edificio. Non pensò minimamente al rischio che avrebbe corso, non
aveva idea di chi fosse questo tizio con il ghigno da protagonista di film
dell’orrore, ma qualcosa le diceva che quell’incontro avrebbe sciolto molti
dubbi sul perché l’Agenzia fosse stata convocata a Berlino. Per niente al mondo
quindi avrebbe perso l’ occasione di spiarli, che gli si era prospettata in
maniera totalmente fortuita mentre passeggiava annoiata per le vie della città.
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Capitolo 12 *** capitolo 11 ***
capitolo 11
Capitolo 11
Alexander si slacciò lentamente la cintura di sicurezza e, con
movimenti molto lenti, commisurati alla sua situazione di convalescenza, andò a
posizionarsi nel sedile accanto a quello di Milo, che lo guardò con apprensione.
“Non capisco la necessità di venire personalmente a Berlino,
viste le tue condizioni, sinceramente credo sia un rischio inutile e disapprovo
totalmente questa scelta”
“Potrei dire la stessa cosa di te Milo. E comunque sto bene,
ho solo qualche difficoltà di movimento, ma il mio ruolo sarà esclusivamente di
intelligence, quindi non sarò di peso a nessuno”
“Non è questo che intendevo, lo sai benissimo. Il tuo
supporto sarà prezioso. Solo che sono preoccupato per la tua salute, ti sei
appena risvegliato da un coma di due anni e mi sembra un po’ azzardato buttarti
così in una missione”
“Mal comune mezzo gaudio”
“Come scusa?”
“Io sono stato in coma per lo stesso identico tempo che tu
sei stato in … ritiro dalla vita, diciamo così”
Non c’era un tono di rimprovero nelle sue parole, Milo ci
scorse piuttosto un’ironia di fondo, ma
preferì comunque non rispondere per non andare a scavare in terreni franosi
e in ricordi che non voleva rimestare. Il terreno della sua vita era costellato
di curve tortuose e di linee interrotte. Non voleva pensare a quelle
interruzioni, perché appresso ci vedeva ancora il baratro e non voleva
rischiare di sprofondarci dentro.
Quante volte era rinato durante la sua esistenza? Tutte le
volte che una battaglia lo aveva ridotto in fin di vita? No. Tutte le volte che
il suo cosmo gli aveva permesso di raggiungere l’ottavo senso? No. Dopo la
definitiva sconfitta di Hades e il ritorno sulla terra dei Cavalieri d’Oro? No.
Poiché non da quando Athena lo aveva riportato indietro dal Regno degli Inferi,
ma dal momento in cui era atterrato sulla terra di Claire, aveva ricominciato a
vivere.
Alexander non era tipo da arrendersi di fronte al suo
silenzio, tanto più che conosceva ogni singolo dettaglio della sua storia, per
cui proseguì pacato, come se stesse leggendo la pagina di un quotidiano e non
come se stesse affondando una lama affilata nella piaga:
“Hai usato su di lei la Cuspide Scarlatta perché quella era
l’unica via per impedire che la
uccidessero. Le hai salvato la vita”
Milo era a corto di ossigeno. Immagini disperate di quei
momenti gli affollavano il cervello e gli parve di sentire i rumori, le urla
disperate, poi i silenzi tombali e infine l’odore del disinfettante, gli aghi e
i camici bianchi dell’ospedale. Gli parve di vederla ancora dietro il vetro
della sala di rianimazione, mentre lottava tra la vita e la morte. E poi il
momento del risveglio, dopo settimane di agonia. E ancora il momento in cui lui
prese il coraggio di avvicinarsi e in cui lei gli riversò contro il suo odio e
le sue maledizioni.
“Era venuta da me per chiedere aiuto ed io l’ho tradita,
l’ho ingannata e l’ho colpita nemmeno fosse stata il mio peggiore nemico. Che
razza di cavaliere è colui che rivolge il suo colpo più temibile contro colei
che dovrebbe proteggere e am…” si
interruppe, la mano a stringere convulsamente il bracciolo del sedile.
“Un cavaliere che
compie il suo dovere. L’hai salvata passando sopra i tuoi stessi sentimenti. Se
ti fossi lasciato trasportare da quei sentimenti, lei sarebbe morta, perché non
lo capisci? Lei è viva grazie al fatto che hai agito come cavaliere e non come
uomo innamorato”
Milo non rispose, così Alexander proseguì:
“Non pensi che il mio inganno sia stato molto più grave del
tuo? Farle credere la mia morte! Pensi che un padre possa mai essere perdonato
per questo? Io so che forse non otterrò mai il suo perdono, ma sono disposto a
correre il rischio, perché è grazie a questo che lei ora è salva. Non è forse
questo il nostro primario obiettivo? Proteggere la sua vita? Per questo io sono
disposto a rinunciare al mio amore di padre e tu sei stato disposto a
rinunciare al tuo”
“Vuoi che non lo sappia questo? Vuoi che non ci abbia
pensato ogni singolo giorno in questi maledetti anni? So di averla persa, per
sempre, ma sono felice di saperla viva. Solo che …”
“Solo che la ami, Milo. E ti chiedi se ora potresti rinunciare al tuo ruolo di cavaliere
pur di poterle stare accanto”
“Io non posso e non voglio rinunciare al mio ruolo di
Cavaliere, il mio dovere verso Athena viene prima dei miei desideri personali”
lo disse con impeto e passione, ma al tempo stesso in tono fermo e determinato.
Il tono di chi sa il fatto suo e di chi non ha affatto perso la bussola. Milo forse
era rimasto in equilibrio precario per due anni, ma ora sembrava tenere
saldamente in mano il timone e la rotta della sua vita.
Alexander sorrise “Avevo bisogno di sentirtelo dire, Milo.
Ora sono certo che sei lo stesso che ho lasciato due anni fa. E’ necessario che
tu torni ad essere lo spietato Cavaliere di Scorpio al servizio della giustizia
e che in battaglia non ti lasci sopraffare dalle debolezze umane. Per quanto
ora ti possa sembrare assurdo, ti assicuro che questo è l’unico modo per non
perdere Claire.”
“Non solo l’ho persa, ma non l’ho mai avuta, e mai l’avrò.
Ma niente mi impedirà di andare in suo soccorso in caso di bisogno o di
salvarla in caso di pericolo, anche contro la sua stessa volontà. Questo te lo
prometto” Milo si voltò a guardarlo
negli occhi e Alexander scorse finalmente lo sguardo determinato del Cavaliere
di un tempo.
“E io ti prometto che, fosse l’ultima cosa che faccio,
riuscirò ad impedire che tu la perda di nuovo” ma questo pensiero Alexander preferì
non esprimerlo ad alta voce.
Juliet riuscì a sistemarsi in un punto strategico nella
piccionaia di quel vecchio teatro fatiscente, rischiando più volte di essere
travolta dalle travi marce che crollavano dal soffitto. Dalla posizione in cui
si trovava aveva la visuale completa della platea, luogo prescelto dai soggetti
che stava spiando per parlare dei loro affari.
“Accidenti, sono troppo lontana per distinguere le loro
parole” cercò inutilmente di sistemarsi meglio, rischiando di far crollare
altre travi che avrebbero creato un trambusto tale da farla scoprire. “Mi dovrò
accontentare di vedere chi partecipa all’incontro, non male come risultato per
essere un pedinaggio non pianificato”.
Quello che vide fu una sfilata di Big Jim in armatura che si
guardavano in cagnesco, fino a che non si presentò al centro del palco, con un
ingresso a dir poco teatrale, quella che gli parve essere la famiglia Addams, o
almeno parte di essa. Morticia e Lurch, sicuramente. Kanon sembrò sobbalzare
alla loro vista e disse qualcosa che lei non riuscì a percepire da quella
distanza. Le parve di captare la parola “spettri”, ma per quanto si sforzasse di
tendere l’orecchio nella sua direzione, non capì nient’altro. Invece udì distintamente
la voce e le parole di Morticia, che rispose
“Avrete le vostre risposte fra
meno di un’ora. L’aereo sta per atterrare e i miei hanno il compito di scortare
l’auto direttamente qui. Finalmente giocheremo a carte scoperte, tutti. Intanto
Radamantis farà gli onori di casa, mentre io mi ritirerò qualche minuto in
privato con Mr Solo. Abbiamo una questione urgente da definire”
Il tipo nobile che accompagnava il musicista sembrò
parecchio infastidito da quelle parole, si accostò a Kanon e gli sussurrò
qualcosa all’orecchio, dopodiché seguì Morticia dietro i pesanti tendoni del
palcoscenico.
Di quello che successe nei minuti successivi Juliet non
percepì alcun suono, riuscì solo a vedere i movimenti di Kanon e del musicista
che se ne stavano in disparte scambiandosi ogni tanto qualche frase. Sembravano
due attori nati per stare sul palcoscenico. Erano entrambi molto eleganti, il
portamento fiero di chi ha piena consapevolezza di se e di ciò che lo circonda,
dai semplici movimenti della testa o delle mani sprigionavano una sicurezza e
una disinvoltura sorprendenti, viste le circostanze. O avevano l’assoluta
certezza di quello che stava per accadere in quella sala, o sapevano fingere
molto bene. Juliet optò per la seconda.
Il loro atteggiamento strideva con quello degli altri Big
Jim in armatura, che invece sembravano le comparse di un qualche spettacolo di
terza categoria: rigidi e impacciati. I loro movimenti tesi trasudavano
agitazione e apprensione, sembravano
belve pronte ad attaccare. L’unico che sembrava una statua di marmo, fredda,
gelida e disumana, era Lurch o Radamantis o come diavolo l’aveva chiamato Morticia.
Quel tizio non le piaceva per niente. Non ci voleva un genio per capire che tra
i due gruppi non scorreva buon sangue e che quella non doveva essere la prima
volta che si incontravano.
Juliet non seppe per quanto tempo restò ad osservarli:
minuti, forse ore. Il tempo sembrò volare talmente era assorta a studiare i
loro atteggiamenti, quando improvvisamente rientrarono sul palco Morticia e il
tipo nobile che prima aveva sentito chiamare Mr Solo. Le parve di ricordare che
al locale il musicista lo avesse chiamato Julian e si appuntò mentalmente il
nome, appena possibile avrebbe verificato la sua identità.
Morticia annunciò l’ingresso di qualcuno e dai pesanti
tendoni comparvero due nuovi personaggi. Anzi tre, il terzo camminava più
lentamente degli altri e restava indietro di qualche
passo. Uno era sicuramente Walt, lo riconobbe subito. Al suo fianco
quello che sembrava il più giovane dei
tre: aveva i capelli lunghi come quelli di Kanon, di un colore forse
leggermente meno scuro, anche lui era di una bellezza sconvolgente, e anche da
lontano si poteva scorgere il suo sguardo magnetico.
“Se fossi andata ad un vero spettacolo teatrale non avrei
potuto sperare in attori più fighi, tra questo e Kanon non saprei chi è più
attraente. E anche il signor Solo e il musicista non sono niente male. Quando
mi ricapitano tanti esemplari in un colpo solo?” pensò Juliet mentre
approfittava dell’occasione per rifarsi gli occhi. Il terzo rimaneva nascosto alle spalle di
Walt, l’unica cosa che riusciva a vedere erano i capelli leggermente
brizzolati. Quando sentì la sua voce fu percorsa da un brivido: non poteva
essere, sicuramente da quella distanza il suo udito la stava ingannando. Fu quando Morticia lo chiamò per nome che il
suo cuore iniziò a battere più velocemente, non era possibile che l’avesse
chiamato proprio Alexander. Attese immobile di vederne il volto e quando questi
fece un passo in avanti e lei poté scorgere l’intera figura, un verso soffocato
le sfuggì dalla bocca, la gambe le cedettero e cadde rovinosamente su un cumulo
di tavole accatastate, producendo un frastuono che rimbombò per tutta la sala e
che probabilmente avrebbero sentito anche i sordi. “Cazzo” imprecò prima di
cercare disperatamente una via di fuga. Ormai l’avevano scoperta e Morticia
aveva sguinzagliato i suoi Big Jim con il perentorio ordine di trovare l’intruso
e portarlo al suo cospetto.
Claire mandò giù un hamburger alla velocità della luce. Non
sentì il sapore e non ne percepì la consistenza, visto che praticamente non
stava masticando. Prese tra le mani qualche patatina fritta, ma il suo stomaco
si rifiutava di accettare altro cibo. Così prese il piatto e rovesciò il
contenuto nel cestino della spazzatura. Provò nuovamente invano a rintracciare Juliet al cellulare,
trovandolo sempre spento.
Stava iniziando a preoccuparsi sul serio, possibile che
l’amica non le avesse mandato nemmeno un sms per comunicarle la sua posizione? Ormai
era quasi certa che fosse andata al Park Inn, quindi prese la sua Colt, si
infilò il giubbotto e uscì intenzionata
a raggiungerla. L’avrebbe presa e
trascinata via con la forza, se necessario. Come poteva essere così avventata
da appostarsi in pieno giorno a spiare dei professionisti dello spionaggio? Il loro
piano si reggeva unicamente sulla convinzione dell’Agenzia che loro fossero
rientrate a Marsiglia: questo era il solo vantaggio che avevano nei confronti
dell’ampia disponibilità di uomini, mezzi e strumenti dell’Agenzia e della Fondazione
messe insieme. Se si fossero rivelate sarebbero finiti i giochi e avrebbero compromesso
ogni possibilità di venire a capo dell’enigma in cui loro malgrado si trovavano
coinvolte.
Chiedo
scusa per il ritardo nell'aggiornamento, ho avuto una mezza idea di
interrompere la fanfic: la storia era partita da un' idea un
pò datata e la trama non mi soddisfava più (mi capita
sempre quando rileggo le cose a distanza di tempo). Ho
anche pensato di revisionarla apportando alcune modifiche ai primi
capitoli, ma infine ho deciso di lasciarla così com'è per
non rischiare di snaturarne l'impianto originario. Userò i
capitoli successivi per introdurre alcuni elementi che ora mi sembrano
indispensabili. Tutte le idee che mi sono venute in mente in merito
alle possibili modifiche le metto in un cassetto e le conservo per la
prossima fanfic. Buona lettura.
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Capitolo 13 *** capitolo 12 ***
capitolo 12
“Avevate garantito massima segretezza per quest’ incontro”
esclamò spazientito Alexander.
“Infatti” borbottò inquieto Kanon scambiando uno sguardo
preoccupato con Milo.
“Rilassatevi. Lady Pandora ha appena firmato la condanna a
morte di chiunque abbia osato invadere il perimetro di sicurezza” Radamantis
parlò in maniera sprezzante, terminando con una risata totalmente fuori luogo.
“Chi ha parlato di morte? Ho semplicemente ordinato di
portare qui l’intruso. Non usare parole a sproposito Radamantis, i signori
potrebbero prenderti troppo alla lettera”.
“Non siamo facilmente impressionabili, come ben sapete. E la
sorte che attende il vostro topo in trappola non è affare che ci riguardi”
sbottò Kanon.
“Ne sei certo cavaliere?” il tono sarcastico della domanda
di Pandora aleggiò nell’aria senza ottenere risposta.
Julian Solo, immobile e con le braccia conserte, le lanciò
uno sguardo indagatore che Pandora finse di non incrociare, voltando di
proposito la testa da un’altra parte.
Walt si mosse nervosamente sul palco, non proferì parola ma
non riuscì a scacciare la crescente agitazione: aveva un pessimo presentimento.
Juliet si era fiondata verso il soffitto, tutte le uscite
erano state bloccate e l’unica via rimasta per tornare all’esterno era il tetto:
doveva raggiungerlo e fare un salto nel vuoto. Comunque fosse andata non ne
sarebbe uscita incolume, minimo avrebbe riportato qualche frattura.
Un velocissimo spostamento d’aria la vece voltare, ma nella
penombra non vide nessuno e proseguì nella sua arrampicata. Non riusciva
nemmeno a vedere dove metteva i piedi, ad ogni passo rischiava di precipitare e
cadere rovinosamente a terra, ma la paura non la fece certo rallentare. Appena
vide uno spiraglio di luce che filtrava da una fessura capì di essere arrivata
abbastanza in alto e provò, con la sola forza delle braccia, a spostare le
travi.
“Merda, sono fissate troppo bene, devo trovarne una marcia”
pensò. Si spostò lateralmente di pochi centimetri con il busto e allungò il
braccio per tastare le tavole vicine, ma stranamente le parve di toccare una
superficie molto liscia, troppo per essere di legno grezzo e decisamente molto
fredda. Non fece in tempo a realizzare se si trattasse di metallo che una voce
cavernosa, vicinissima al suo volto, le gelò il sangue nelle vene.
“Dove vai così di fretta bella bambina?”
Sentiva il fiato sul collo e percepiva la sua presenza
intorno a se, ma al buio non vedeva
l’esatta disposizione del nemico, per cui non poteva reagire e colpirlo
con precisione.
“Ma che begli occhioni che hai. È un peccato usarli per
spiare.” continuò in tono mellifluo.
Come diavolo riusciva a vedere i suoi occhi in mezzo all’
oscurità che li circondava? Ripensò ai Big Jim presenti nella sala, doveva
certamente essere uno di loro, ma non avrebbe saputo individuare quale. Non
aveva speranza di metterlo fuori gioco e fuggire in quelle condizioni, per cui
decise di agire d’astuzia. Per una volta ragionò sulla tattica migliore da
utilizzare e si sforzò di pensare a quello che avrebbe fatto Claire se si fosse
trovata in quella situazione. Il tempo di ragionamento a dire il vero fu
brevissimo perché il suo inseguitore fu lesto nell’afferrarle entrambe le
braccia, immobilizzarla contro il suo corpo e trascinarla via dal soffitto ad
una velocità impressionante. Quando i piedi toccarono il terreno un giramento
di testa la fece barcollare e fu attanagliata da un crescente senso di nausea.
Quando parlò lo fece più per disperazione che con astuzia.
“Tranquillizzati, non sono qui per spiare i vostri insulsi
incontri” forse la voce le era uscita troppo dura. Così rischiava di irritarlo.
“Bene bene, quindi la tua bella boccuccia sa anche emettere
dei suoni” così dicendo le passò una mano sulla bocca e scese a circondargli il
collo “E dimmi allora bella bambina, come mai ti nascondevi e scappavi come una
ladra?”
Il senso di nausea era ancora più forte ora. Quella mano le
toccava il collo con finta gentilezza,
in realtà era una viscida e nemmeno troppo velata minaccia di morte.
“Ho seguito mio padre fin qui” lo disse tutto d’un fiato,
convinta che quella fosse l’unica frase che poteva impedire alle mani che la
stringevano di strangolarla. E così fu, non si era sbagliata. Ma non aveva
previsto che la reazione di un troglodita ad una frase come quella potesse
essere ancora più pericolosa. Si sentì sollevare e sbattere con forza contro il
muro, per un attimo smise di respirare e sentì la spiacevole sensazione della
sua schiena che andava in pezzi. Ma, per quanto dolorosa, fu solo una
sensazione. Chiuse gli occhi in attesa del colpo di grazia o della fine della
sfuriata, e li riaprì quando sentì di nuovo il suo viso ad un centimetro dalla
sua faccia, ora riusciva a scorgere i suoi occhi, che sembravano iniettati di
sangue, la bocca era quella di una belva rabbiosa e la sua voce era un ringhio
mentre le diceva
“Chi è tuo padre? Perché lo cerchi qui?”
“Alexander” mentì in maniera spudorata, fissandolo negli
occhi con il mento sollevato, quasi a volerlo sfidare.
La parola magica era stata pronunciata, nemmeno avesse detto
vade retro Satana, il Big Jim dagli
occhi rossi si allontanò da lei. Continuava a fissarla con attenzione e
certamente con sospetto, ma i suoi atteggiamenti erano ora molto meno
aggressivi. Per un attimo Juliet pensò di avere finalmente un’ occasione per
scappare, ma non fece in tempo a costruire il ragionamento che si sentì
afferrare per un polso e trascinare via con forza.
“Hei, che modi!” si lamentò, ma in realtà si sentiva
sollevata, meglio trascinata per un polso che per il collo. Forse non tutto era
perduto.
Prima di entrare nella sala e salire sul palco che fino a
pochi minuti prima stava spiando, sentì il suo aguzzino dire ad un altro Big
Jim di annunciarli, specificando l’identità dell’intrusa. Bene, questo se non
altro le garantiva un ingresso con un minimo di protezione, almeno da parte di
Walt e, forse, di Alexander.
Kanon e Milo parlavano tra di loro, mentre Alexander tentava
invano di impedire che Walt consumasse il pavimento del palco a furia di
camminare avanti e indietro. Julian Solo teneva sempre le braccia conserte, non
un solo muscolo del suo corpo si era mosso in quei minuti, sembrava una statua,
non fosse per gli sguardi che si scambiava con Syria e per le occhiate sprezzanti che ogni tanto
lanciava in direzione di Pandora e Radamantis.
Il clima era quello tipico dell’attesa: carico di tensione
ma non eccessivamente nervoso, salvo la reazione poco composta di Walt.
Finalmente dal pesante tendone in fondo alla sala fece il
suo ingresso uno degli uomini incaricati di trovare l’intruso. Si avvicinò
velocemente al palco e si inginocchiò di fronte a Pandora, attendendo il
permesso di parlare, che non tardò ad arrivare
“Ebbene, che notizie ci porti?”
“Mia Signora, abbiamo catturato l’intruso”
“Vi dissi di portarlo al mio cospetto se non erro, quale
parte del mio ordine non avete assimilato?” rispose con durezza
“Mia Signora, abbiamo ottenuto dall’intruso informazioni
circa la sua identità e abbiamo pensato di comunicarvele prima di portarlo al
vostro cospetto, in modo da potergli riservare l’accoglienza più adeguata”
La curiosità di Pandora si accese e, con un ghigno sulle
labbra, incalzò il suo sottoposto
“Riferisci pure ad alta voce ciò che avete scoperto, in modo
che anche i nostri ospiti possano sentire”
“L’intruso, o meglio… l’intrusa, afferma di essere la figlia
del signor Alexander”
La risata di Pandora coprì l’imprecazione di Walt, mentre
Alexander rimase apparentemente impassibile. Kanon cercò di intuire i pensieri
di Milo attraverso il suo sguardo, ma vi scorse solo un’inaspettata freddezza.
Possibile che in poche settimane il suo amico forse tornato ad essere lo
spietato Cavaliere di un tempo?
Pandora si riprese presto dalla sua ilarità e, senza
richiedere l’approvazione di nessuno, ordinò
“Portatela qui, con buone maniere, i figli dei nostri ospiti
meritano rispetto”
Juliet non riusciva a sentire quanto accadeva all’interno
della sala, capì che era arrivato il momento del suo ingresso sul palco quando
due Big Jim assatanati la presero per i polsi e la accompagnarono forzatamente
oltre i pesanti tendaggi rossi. Aveva velocemente elaborato un piano ed era
certa che avrebbe trovato l’appoggio incondizionato di Walt anche senza un
previo accordo, mentre nutriva forti dubbi su Alexander: non conosceva le
vicende in cui era stato coinvolto negli ultimi due anni e non riusciva a
capire le ragioni per le quali avesse finto la sua morte e per così lungo tempo
avesse taciuto la verità persino a sua figlia. In realtà trovava questo
particolare imperdonabile. Ma, vista la criticità della situazione, al momento
si sarebbe trattenuta dall’esternare la sua rabbia nei suoi confronti.
Purtroppo appena salì sul palco e si trovò davanti la faccia
tranquilla, fredda e impassibile di Alexander tutti i suoi buoni propositi
andarono in fumo e la sua testa calda ebbe il sopravvento su tutto.
Non degnò di uno sguardo Walt che, in evidente stato di
agitazione, le lanciava segnali calmanti, ignorò il musico e il nobile
incontrati al bar che la fissavano con evidente stupore, finse di non vedere lo sguardo di muta
disapprovazione di Kanon, che lei
reputava saccente e arrogante, si accorse solo di sfuggita che il tizio bellissimo
che era arrivato in compagnia di Alexander e Walt la fissava con sollievo, o
forse delusione, non riusciva ad interpretare la sua espressione; l’unica cosa che aveva in testa era la gran
faccia di bronzo di Alexander e fu questa l’unica ragione che le fece perdere
il controllo:
“Sei un gran bastardo! Come hai potuto fare una cosa del
genere a Claire? Ma che razza di uomo sei? Che razza di padre può arrivare ad agire in maniera tanto
meschina nei confronti di sua figlia?”
Cercava disperatamente di liberarsi i polsi dai due che
ancora la tenevano stretta, ma intanto urlava il suo disprezzo con tutto il
fiato che aveva in gola.
Alexander non ebbe nessuna apparente reazione.
“Rispondimi!!! Non hai niente da dire?”
“Quello che ha da dire non lo deve dire a te, visto che a
quanto pare tu non sei sua figlia, o mi sbaglio?” Pandora si intromise nella
sua sfuriata.
“Fatti i cazzi tuoi, Morticia” fu la risposta secca e immediata
di Juliet, innalzando la tensione della sala ai massimi livelli.
La reazione di Pandora fu inaspettata rispetto all’affronto
subito: scoppiò in una lunga e profonda risata. Nessuno riusciva a comprendere
la ragione di tale ilarità. Alle parole di insulto di Juliet, Kanon aveva fatto
un passo avanti, pronto ad intervenire in caso di necessità, ma quando vide la
reazione di Pandora si bloccò.
Appena smise di ridere, Pandora ordinò ai suoi uomini di
liberarle i polsi e questi, seppure con riluttanza, si allontanarono. Quindi
Pandora si avvicinò a Juliet e iniziò ad osservare in silenzio i suoi
lineamenti. Juliet la fissava con astio, ma decise di non fare altre mosse
azzardate prima di capire chi aveva esattamente di fronte. Si era accorta della
reazione e del movimento di Kanon dopo il suo precedente sfogo e l’ultima cosa
che voleva era dare inizio ad una battaglia su un campo sconosciuto e
probabilmente minato. Ma il silenzio e la freddezza di Alexander continuavano a
darle sui nervi, ancor più del comportamento della sosia di Morticia. Lo
sguardo ironico che quest’ultima le stava lanciando non prometteva niente di
buono e infatti quando si espresse lo fece rivolgendosi ad Alexander, come se
Juliet non fosse nemmeno presente
“Sai Alexander, non credo che sarebbe comunque riuscita ad
ingannarmi circa la sua identità. E non tanto perché non ti somigli, ma perché
assomiglia troppo a suo padre e ai suoi …”
Non riuscì a terminare la frase perché Juliet in un attimo
le fu addosso, senza nessun preavviso. Le si scagliò contro e finirono entrambe
a terra.
“Cosa ne sai tu di mio padre!” avrebbe voluto dire
dell’altro e avrebbe voluto delle risposte, ma non ottenne niente di tutto ciò
perché due mani enormi la afferrarono per i fianchi e la scaraventarono lontana,
facendola sbattere violentemente contro un’impalcatura di ferro. Ora aveva la
schiena definitivamente a pezzi. Si rialzò a fatica e vide Kanon frapporsi tra
lei e l’autore di tale violenza, che aveva tutta l’intenzione di non fermarsi.
Fu Morticia a fermarlo
“Basta così Radamantis”
“Mia Signora …”
“È un ordine”
Ma Juliet non approfittò della sua buona stella e azzardò
un’altra mossa poco avveduta
“Bravo Lurch, ubbidisci a quella troia della tua padrona”
Walt ebbe un mancamento e fu sorretto dal musico, Kanon si
voltò e la fulminò con lo sguardo ma Juliet non aveva nessuna intenzione di
fermarsi
“Se scopro che in qualche modo hai avuto a che fare con la
morte di mio padre…”
Radamantis fu velocissimo, in un attimo aveva le mani sul
suo collo e l’istante successivo Juliet sentì un colpo sordo sulla sua guancia destra,
talmente forte che la stordì e la buttò nuovamente a terra
“Non osare minacciare la mia signora"
Kanon fremeva di rabbia per quanto accaduto, sarebbe voluto
intervenire ma Alexander, per qualche ragione che lui non riusciva a
comprendere, l’aveva trattenuto. Nuove urla attirarono improvvisamente la sua
attenzione
“Puttana, la mia mano!” Radamantis si teneva la mano destra,
dalla quale scorreva copiosa una grossa quantità di sangue, un paletto
metallico trapassava le carni da parte a parte, probabilmente perforando
l’osso. La cosa più preoccupante era l’aura che si espandeva proporzionalmente
all’ira nei confronti di Juliet, vittima designata della sua vendetta.
Pandora si intromise di nuovo
“Radamantis allontanati immediatamente da lei” il tono non
ammetteva repliche.
A quel punto Alexander decise finalmente di intervenire e lo
fece rivolgendosi a Kanon
“Devi portare Juliet fuori di qui. Tornate al Park Inn. Noi
vi raggiungeremo appena possibile”
Kanon si fidava ciecamente di Alexander e, seppure non fosse
a conoscenza delle motivazioni, era certo che la sua fosse la decisione più
saggia. Il problema era che Juliet non sembrava dello stesso avviso
“Credi di potermi trattare come un pacco postale? Io uscirò di qui quando
deciderò di farlo, non prima”
Alexander ora la guardava con apprensione, si era rialzata a
fatica, i segni dello schiaffo erano ben visibili sul suo volto, un rivolo di
sangue le scendeva dalle labbra, nonostante continuasse ad asciugarlo con il
dorso della mano. Era riuscita a colpire Radamantis nel momento stesso in cui
lui l’aveva colpita: aveva fatto ciò che molti cavalieri nel corso della storia
non erano riusciti a fare, e ne era uscita indenne, per ora. La sua scorta giornaliera
di fortuna poteva essere esaurita. Fu Kanon a parlare per lui, anche se in
maniera molto dura
“Stolta, potresti non avere una seconda occasione”
E in maniera altrettanto dura la prese e la trascinò fuori
dal teatro.
x Marty 89: grazie per i complimenti, in effetti il rapporto Juliet-Kanon avrà presto interessanti sviluppi... Per l'incontro tra Claire e Milo c'è da pazientare ancora un pochino.
Chiedo scusa per il ritardo con cui sto aggiornando la storia, spero di rimediare con i prossimi capitoli.
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Capitolo 14 *** capitolo 13 ***
capitolo 13
Fu scaraventata con malagrazia nei sedili posteriori di
un’auto scura di cui non riuscì a registrare il modello, ferma ad attenderli
fuori dal teatro. Nonostante le sue colorite proteste, Kanon continuava a
tenerla saldamente per i polsi, torcendoglieli dietro le schiena, che manteneva
incollata al suo petto, mentre lei era seduta in maniera scomposta sulle sue
gambe, senza possibilità di movimento, salvo quella di calciare in direzione
dell’autista, rischiando in quel caso di far finire l’auto fuori dalla
carreggiata.
“Ora taci e stai ferma, ragazzina”
le intimò sprezzante
Il tono di scherno con il quale le
si era rivolto andò dritto ad intaccare le sue terminazioni nervose. Si dimenò
e tentò di fare presa sul sedile anteriore allungando le gambe, ma la sua mossa
venne prontamente bloccata da Kanon, che, mentre con una mano continuava a
tenerle fermi i polsi dietro la schiena, con l’altra l’afferrò sotto il collo e
la mise a faccia in giù lungo il sedile posteriore, le gambe immobilizzate, bloccate
tra le sue.
“A quanto pare l’obbedienza non è
il tuo forte, agente. Quando do un ordine pretendo che venga rispettato, se non
lo fai è ora che impari a subirne le conseguenze. Con me i tuoi giochetti pseudo anarchici non funzionano”.
Juliet aveva una gran voglia di
insultarlo, ma la faccia premuta sul sedile le impediva persino di respirare.
Tentò di ruotare la testa da un lato, ignorando il dolore pulsante sulle labbra
e sulla guancia, vivido ricordo dello schiaffo ricevuto da Radamantis, ma il gemito
di dolore che le sfuggì fece allentare la presa sul suo collo da parte di Kanon.
Il tanto necessario da permetterle di parlare
“Tu non sei nessuno per darmi
ordini, stronzo”
“Ma che linguaggio raffinato” la
derise Kanon “Comunque in questo momento non mi sembri nella posizione di
controbattermi, per cui, te lo ripeto, taci”
Stava forse cercando di umiliarla?
La teneva in quella posizione e le intimava con arroganza di tacere, quasi
fosse un insetto fastidioso da schiacciare, ma non aveva fatto i conti con il
suo temperamento, tutt’altro che docile e arrendevole.
“Cavaliere dei miei stivali, ti
sembra questo il modo di trattare le signore?”
“Signore dici? Io qui non ne vedo. Vedo solo una ragazzina insolente
che gioca pericolosamente con la mia pazienza”
Una frenata interruppe la loro
diatriba e l’autista annunciò l’arrivo a destinazione.
Kanon la trascinò bruscamente
fuori dall’auto, tenendola sempre stretta contro il suo corpo e non
permettendole il minimo movimento.
“Non pensare nemmeno per un attimo
di allontanarti perché ti assicuro che te ne farei pentire” le sussurrò
all’orecchio mentre percorrevano la hall del Park Inn.
Un brivido corse lungo la schiena
di Juliet quando sentì il suo fiato caldo sul collo, ma non seppe definire con
certezza se si trattasse di paura.
Nessuno dei due si accorse che la
scena del loro arrivo era stata seguita a distanza.
“Accidenti, è peggio di quanto
pensassi” imprecò Claire, arrivata sul luogo d’appostamento circa venti minuti
prima.
Juliet era nelle loro mani. Non in
un paio di mani qualsiasi, ma in quelle di Kanon! Riuscire a tirarla fuori di
li senza il supporto di nessuno era altamente improbabile, per non dire
impossibile, ma doveva almeno trovare il modo per mettersi in contatto con
lei.
Il fatto che Juliet si trovasse
all’interno delle mura “nemiche” non era del tutto negativo, poteva diventare
una fonte di informazioni privilegiata, doveva solo capire attraverso quali
canali farle circolare.
Avevano dei codici prestabiliti
per comunicare tra di loro nelle missioni a rischio, ma con Kanon alle costole
sarebbe stato difficile per Juliet metterli in pratica. Poi Walt conosceva
tutte le loro tecniche, e ne avrebbe certamente anticipato le mosse. Doveva
inventare qualcosa al più presto, altrimenti il loro piano poteva dichiararsi
già fallito.
Dal canto suo era certa di
conoscere la prossima mossa di Walt: avrebbe in ogni modo tentato di strappare
a Juliet informazioni utili alla sua localizzazione. Doveva lasciare
immediatamente l’hotel in cui alloggiavano, non che non si fidasse di Juliet,
era certa che l’amica non l’avrebbe mai tradita, ma non era sicura dei mezzi
che avrebbero utilizzato per renderla maggiormente collaborativa: potevano
essere abbastanza stolti da “danneggiare” un operativo come Juliet per
estorcerle informazioni. La presenza di cavalieri come Kanon poi non era
affatto rassicurante. Sapeva, per esperienza personale, che in determinate circostanze
i cavalieri del suo rango non guardavano in faccia nessuno, erano spietati e
letali, fedeli solo ai propri ideali ed alla loro dea.
Non vedeva e non
sentiva Milo dal giorno della sua partenza da Londra. Era passato quasi un mese
e i ricordi degli attimi passati insieme erano vividissimi nella sua mente.
Ripensava al momento dei saluti nel bagno dell’aeroporto, ai baci e alle
carezze che si erano scambiati, alle promesse di rivedersi … Ma niente di ciò che era stato avrebbe potuto
ripetersi. Aveva cancellato il suo numero appena arrivata a Bruxelles e, una
volta rientrata a Marsiglia, aveva
distrutto la sim card che utilizzava a Londra. Aveva bisogno di concentrarsi
sulla ricerca di suo padre e non poteva permettersi nessuna distrazione. Si era
sentita in colpa per giorni al suo rientro: mentre lei passava dei momenti
indimenticabili in compagnia di un uomo meraviglioso, suo padre era, per essere
ottimisti, come cercava di convincerla la sua amica Juliet, quantomeno in
difficoltà da qualche parte del mondo.
E ora la sorte si
prendeva nuovamente gioco di lei: Juliet aveva trovato tracce di suo padre, o
di qualcuno che si era spacciato per lui, proprio nel paese in cui aveva
promesso di recarsi quel giorno in aeroporto, la Grecia. Precisamente ad
Atene.
I piani erano molto
semplici: lei si sarebbe recata ad Atene e avrebbe svolto il lavoro operativo
mentre Juliet l’avrebbe supportata attraverso un ruolo di intelligence
dall’interno dell’Agenzia, a Marsiglia. Per una volta si sarebbero invertiti i
loro ruoli, ma non poteva demandare a Juliet l’operatività della missione che
riguardava la scomparsa di suo padre.
L’unico dubbio
riguardava il coinvolgimento di Walt, troppo rischioso nel caso in cui avessero
dovuto agire al di fuori delle regole, quindi decisero di tenerlo all’oscuro di
tutto, almeno nelle fasi iniziali. Nessun altro all’interno dell’Agenzia doveva
essere messo al corrente del piano, d’altronde se fino a quel momento le
informazioni su Alexander erano rimaste blindate ai livelli superiori, ciò
significava la non disponibilità a condividere, a cooperare o a cercare una
soluzione da parte dei vertici. Un muro di gomma, dietro al quale si celavano i
dettagli di una missione top secret.
Ufficialmente Claire sarebbe
andata a Malta per un corso di aggiornamento, ma la copertura di Juliet le
avrebbe garantito la possibilità di spostarsi lungo tutto il mediterraneo senza
che l’Agenzia si accorgesse dei suoi movimenti.
Partì da Marsiglia i
primi di marzo e, dopo una sosta obbligata a Malta, arrivò ad Atene pochi
giorni prima dell’inizio della primavera.
Le sarebbe piaciuto
alloggiare fuori dalla città, in una di quelle case bianche sulle colline circondate dalla macchia
mediterranea, dagli agrumeti e dagli ulivi. Da quelle case si poteva sentire il
rumore delle onde infrangersi sugli scogli e i profumi della salsedine si
mischiavano a quelli dei fiori d’arancio e del cisto. Il clima era leggermente
più mite di quello di Marsiglia e sulle spiagge iniziavano a vedersi i primi
bagnanti, patiti dell’abbronzatura e temerari dei tuffi nelle acque non proprio
tiepide. Ma la sua missione non le permetteva tali distrazioni, Juliet le aveva
prenotato un albergo in pieno centro, vicino alla sede legale di una fondazione
che doveva tenere sotto controllo. A quanto pare l’ultima traccia lasciata da
suo padre prima di sparire nel nulla fu un bonifico bancario a beneficio di una
fondazione, quindi era da li che sarebbero iniziate le sue indagini.
Arrivata al suo
albergo, si accorse che il quartiere era denso di uffici di rappresentanza di
società finanziarie e non poté fare a meno di pensare a Milo. Guardò in
direzione dei palazzi e si aspettò di vedere da un momento all’altro il suo
volto affacciato da una di quelle finestre. Ma i suoi sarebbero rimasti
soltanto sogni, perché le ragioni del suo viaggio in Grecia erano incompatibili
con le sue fantasticherie, e si sforzò di tornare alla realtà.
Prima di essere totalmente soprafatta dai ricordi, si
allontanò dal luogo d’appostamento per andare a recuperare i bagagli, cancellare
le tracce e cambiare alloggio. Se fosse rimasta ancora qualche minuto avrebbe
scorto una grossa auto blu accostare al Park Inn e ne avrebbe visto scendere i
protagonisti dei suoi pensieri.
Juliet si osservava attraverso lo specchio dell’ascensore e
non poteva credere che la persona riflessa fosse proprio lei. Aveva la sciarpa
sporca di sangue e sul suo volto erano evidenti i segni, ormai violacei, del
colpo subito. Il suo costosissimo
giubbotto era strappato in più punti e i suoi capelli, sciolti dall’elastico
che li teneva raccolti, erano totalmente scompigliati, tanto che in alcuni
punti sembravano arruffati.
All’ingresso aveva notato su di se gli sguardi del personale
dell’albergo e aveva letto nei loro occhi il disgusto mentre la squadravano con
sufficienza, ora capiva il perché, certamente l’avevano scambiata per una tossica
raccolta dalla strada, se non peggio.
Kanon la teneva saldamente inchiodata al suo corpo, quasi
avesse paura che lei sgusciasse fuori da un momento all’altro, ma per andare
dove poi? Si era accorto che erano chiusi in una scatola di pochi metri quadri?
L’ascensore si fermò al decimo piano e immediatamente si
sentì spingere fuori
“Cammina e non fare scenate, almeno fino a che non saremo
arrivati in stanza” le intimò duramente.
Juliet si sforzò di non rispondere, ma nella sua testa
immaginava e pregustava i modi in cui gli avrebbe fatto pagare tutte quelle
umiliazioni.
Appena arrivarono in stanza Kanon la sospinse malamente sul
letto e chiuse immediatamente la porta a chiave dietro di se. La camera era in
realtà una suite di lusso, certo che l’Agenzia ne aveva di soldi da buttare, o
forse era la Fondazione a pagare il conto? Ad ogni modo tutto quel lusso
riservato ad uno come Kanon lei non riusciva proprio a capirlo
“Come dare le perle ai porci” si lasciò sfuggire
Kanon la guardò di sbieco mentre si toglieva la giacca e la
appoggiava sullo schienale di una poltrona.
Indossava un dolcevita blu scuro che aderiva perfettamente
ai muscoli del suo corpo, mettendoli in evidenza. Juliet deglutì, doveva
ammettere che Kanon era bello quasi quanto era stronzo.
Il telefono in camera iniziò a squillare e Kanon alzò la
cornetta, rispondendo a monosillabi a qualcuno che, dall’altro capo del filo,
stava evidentemente tempestandolo di domande. Walt o Alexander, ci avrebbe
giurato. Mentre Kanon ascoltava in silenzio le indicazioni del suo
interlocutore, lei si ricordò di avere con se il cellulare, spento. Avrebbe
potuto usarlo per comunicare con Claire, ma a questo punto era troppo
rischioso. Se lo avessero trovato i suoi colleghi, l’avrebbero usato per
rintracciare la sua amica, doveva sbarazzarsene al più presto. Appena Kanon
posò il ricevitore, gli si rivolse con finta innocenza
“Avrei urgenza di usare la toilette, posso?”
Kanon la osservò per un attimo con sospetto, sembrava
valutare se acconsentire o meno, allora per convincerlo decise di mostrarsi un po’
più sofferente, ottenendo una risposta molto secca
“Non c’è bisogno che fingi di stare male, al bagno puoi
andarci lo stesso, siamo al decimo piano e non credo tu sia così pazza da saltare
dalla finestra”
Non era cascato nella sua sceneggiata, oltre che bello e
stronzo era anche molto astuto, ma lei non aveva tempo per stare a dibattere
con lui, quindi in silenzio si alzò e si diresse in bagno.
Appena dentro, chiuse la porta e aprì un rubinetto a caso. Sfilò
il telefono dalla tasca e lo smontò, buttando nel wc la sim card e altre
piccole parti elettroniche. Aprì la finestra e scaraventò fuori le parti più
esterne. Non dovevano sospettare che avesse addosso un cellulare al momento
della cattura, per cui doveva farne sparire tutti i pezzi, o quantomeno doveva
allontanarli da se.
Aveva ancora la finestra aperta quando un rumore sordo
dietro di lei la fece voltare bruscamente: Kanon aveva divelto la porta e si
avvicinava a lei con aria minacciosa. Quando lo vide alzare un braccio nella
sua direzione istintivamente chiuse gli occhi e si coprì il volto con la mano. Ma
non successe niente di quello che temeva, Kanon oltrepassò la sua testa e
chiuse di scatto la finestra. Quando riaprì gli occhi si trovò di fronte il suo
volto stupito, occhei forse aveva avuto una reazione difensiva un tantino esagerata, ma
dopo quanto successo nelle ore precedenti non aveva nessuna voglia di incassare
altri colpi.
Poi Kanon fece una cosa che non si sarebbe mai aspettata, le
prese il braccio che lei continuava a tenere alzato e lo allontanò dal volto,
mentre con l’altra mano le tastò delicatamente
i segni viola lasciati da Radamantis
“Ci è andato giù pesante, quel bastardo”
Le sembrò di sentire un tremore nella sua voce, ma forse fu
solo un impressione.
Lo vide aprire l’armadietto dei medicinali e tirar fuori un sacchetto
di ghiaccio sintetico
“Sta ferma. Ti metto un po’ di ghiaccio”
Juliet non era ferma, era immobile. Non riusciva a credere
che l’uomo che le stava posando il ghiaccio sulla guancia fosse lo stesso che
pochi minuti prima la trattava con fredda arroganza. Quando le premette il
ghiaccio vicino al labbro, sopra la parte ferita, Juliet sussultò. Lui se ne accorse
e allentò la pressione. Il silenzio stava diventando imbarazzante, fino a che si
trattava di far fronte alla sua prepotenza, Juliet era in grado di cavarsela
egregiamente, ma di fronte a questo inaspettato lato del suo carattere lei non
aveva capacità di reazione, era come soggiogata, dai movimenti della sua mano,
dal suo sguardo. Cos’era quella attenzione che gli leggeva negli occhi?
Possibile che si stesse preoccupando per lei?
Fu lui ad interrompere il silenzio
“Credevo ti volessi buttare dalla finestra. Per questo sono
entrato nel bagno in quel modo”
Si stava giustificando per la sua irruenza? Pensava di avere
già capito tutto di Kanon, ma ogni gesto che faceva metteva in discussione le
sue teorie. Tuttavia doveva mantenere alta la guardia
“Avevo solo bisogno di un po’ d’aria. Sai com’è, non sono
abituata a sentirmi dire cosa devo o non devo fare”
“Sarà ora che ti ci abitui Juliet”
La voce provenne dalla stanza accanto e li fece voltare
entrambi.
Walt e Alexander erano rientrati e i loro sguardi non
promettevano niente di buono.
x Scarlet: spero che Sherlock Holmes abbia trovato interessanti indizi....
x
Marty89: il capitolo è arrivato presto, ma ancora non c'è
l'incontro tra Milo e Claire, per ora continuano a viaggiare su binari
paralleli. In compenso spero di aver reso bene l'incontro-scontro
tra Juliet e Kanon.
x Titania76: ti ringrazio per la recensione, devo
dire che la questione del titolo mi ha lasciato dei dubbi fin
dall'inizio: ho avuto difficoltà perchè quando ho scelto
il titolo la storia era completamente in fieri e non volevo dare
indicazioni precise che poi mi avrebbero legata in seguito, ma forse
quello che ho scelto si è rivelato fuorviante :(
Soprattutto grazie per l'appunto
sull'età, in effetti Claire dovrebbe avere 22 anni
all'epoca del suo incontro con Milo, altrimenti non reggerebbe
nemmeno la scusa della tesi di laurea... Correggo subito il terzo
capitolo! Grazie
|
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Capitolo 15 *** capitolo 14 ***
cap14
Era ad Atene da soli
tre giorni ed aveva già trovato un modo per stabilire un primo contatto con la Fondazione
a cui riconducevano le tracce di suo padre.
Juliet non era ancora
riuscita a capire di cosa si occupasse esattamente la Fondazione in questione.
Dalle prime ricerche effettuate aveva avuto il sospetto che gli scopi reali
fossero ben diversi da quelli dichiarati, e che accanto alla facciata
filantropica se ne affiancasse una più occulta, che niente aveva a che vedere
con la beneficenza.
Claire decise di
sfruttare questa doppiezza a proprio vantaggio.
A quanto pare, tra le
attività istituzionali di facciata, la Fondazione promuoveva attività di studio
e ricerca culturale, finanziando progetti sulla storia e l’archeologia
dell’antica Grecia. Un progetto in particolare era in procinto di partire in
quei mesi: un campo intensivo di archeologia subacquea nelle coste di Atene,
per il rilevamento ed il recupero di
alcuni importanti reperti sommersi.
Le sue conoscenze in
campo archeologico erano piuttosto scarse, ma come subacquea non avrebbe avuto
rivali: all’interno dell’agenzia aveva fatto parte del nucleo sommozzatori,
quindi aveva conseguito i brevetti avanzati ed era abilitata ad effettuare
immersioni fonde e immersioni tecniche.
Juliet le aveva
costruito una copertura perfetta: avrebbe finto di essere un’ archeologa
subacquea appartenente al gruppo di ricerca dell’Università di Malta.
Fu così che si presentò
agli uffici della Fondazione e si introdusse all’interno dell’organizzazione
senza destare sospetti.
Durante la prima
settimana faticò non poco a celare ai suoi colleghi di ricerca la sua quasi
totale ignoranza in campo archeologico. Le poche nozioni di storia antica che
aveva acquisito risalivano ai tempi del liceo, quindi per evitare di essere
smascherata mantenne un profilo defilato, pochi contatti umani - giusto lo
stretto necessario per non sembrare maleducata - e zero interventi non
richiesti.
Riuscita a passare
inosservata durante la fase di preparazione teorica, recuperò terreno nel corso
della seconda settimana, quando il progetto entrò nel vivo della ricerca, e
prese il via la parte pratica del rilevamento.
Le sue capacità
subacquee furono immediatamente notate e venne nominata assistente guida già
alla terza immersione. Per i suoi scopi questa era una posizione di privilegio,
perché le avrebbe permesso la consultazione indisturbata del database e
garantito l’accesso al sistema informativo interno, il tutto totalmente
autorizzato dai docenti e dai responsabili del progetto di ricerca.
Era la chiave
d’accesso di cui aveva bisogno Juliet per potersi infiltrare a distanza nel
sistema.
Nel giro di tre
settimane Claire recuperò decine di informazioni che in qualche modo
riportavano a suo padre, tutte di origine finanziaria. Suo padre,
periodicamente e a cadenze regolari, versava sul conto della Fondazione
migliaia di euro, con la causale “contributo per attività di ricerca”.
Riteneva di conoscere
abbastanza suo padre per valutare non credibile un tale dispendio di risorse per
una presunta passione per la Grecia antica. Quindi la prima cosa su cui
indagare era il reale oggetto di destinazione di tanto denaro.
Ma il dettaglio che la
sconvolse più di tutte fu la data di transazione di quei bonifici: il primo
risaliva a qualche anno prima e l’ultimo …
portava la data del giorno prima!
Se in poche settimane
erano riuscite agevolmente ad impossessarsi di così tanti dati, il tutto faceva
presagire che entro la fine della primavera avrebbero ottenuto abbastanza
informazioni per venire a capo dell’enigma, soprattutto ora che avevano la
certezza di essere sulla pista giusta. Finalmente Claire sentì di potersi
concedere uno spiraglio di ottimismo e questo la fece stare bene, nonostante
tutto.
Da quando era ad Atene
non si era mai concessa un momento di relax ed ora, per festeggiare i risultati
raggiunti, decise di ritagliarsene uno. Prese un intero pomeriggio libero, e
decise di passarlo al mare. Aveva adocchiato una scogliera con dei fondali
mozzafiato e voleva immergersi per verificare quanto fossero profondi. Sapeva
bene che le regole di sicurezza imponevano l’obbligo di immersione in coppia,
ma aveva voglia di stare da sola e, francamente, la scarsa abilità dei suoi
colleghi non le sarebbe stata di nessun aiuto in caso di pericolo.
Scelse il luogo in cui
il fondale sembrava più profondo, indossò la muta ed iniziò a montare
l’attrezzatura. La bombola non era completamente carica, ma per il tipo di
immersione che si accingeva ad effettuare, sarebbe stata sufficiente. Controllò
un’ ultima volta il corretto funzionamento dell’erogatore e si tuffò. Scese
fino alla profondità di ventitré metri e iniziò l’esplorazione del fondale.
Passò qualche minuto a giocare con i pesci, variopinti e numerosissimi, fino a che non scorse una grotta in
lontananza.
Pinneggiò velocemente
in quella direzione e, quando giunse a ridosso dell’imboccatura, si accorse che
l’accesso alla grotta era ostacolato dalla presenza di una spessa grata di
ferro. Trasalì al pensiero che quella potesse essere stata una prigione, ma
tentò comunque di trovare una via di ingresso secondaria. Dopo diversi minuti
si arrese alla conclusione che non esistevano altre vie d’accesso subacqueo a
quella grotta e, data un’occhiata al manometro e vista la poca quantità d’aria
residua, decise di risalire in superficie.
Appena riemerse si
accorse che le condizioni del mare erano peggiorate a causa di un forte vento e
a fatica cercò di tornare verso la scogliera. L’acqua rendeva scivolose le
rocce e nonostante gli sforzi non riusciva a trovare un appiglio. La spiaggia
più vicina si trovava a qualche miglia di distanza e proprio mentre pensava di
nuotare in quella direzione si sentì afferrare saldamente per le spalle e tirare
su. In un attimo si ritrovò fuori dall’acqua, al sicuro tra le rocce asciutte.
Si voltò per ringraziare la persona che l’aveva gentilmente aiutata, ma le
parole le morirono in gola. In piedi davanti a lei c’era il tizio con cui si
era scontrata all’interno dell’ambasciata francese a Londra, stavolta vestito
in maniera “normale”. La guardava con aria severa e infatti le parole che le
rivolse non furono troppo affettuose
“Solo un pazzo può
pensare di immergersi da solo in un posto come questo. Si voleva per caso
suicidare?”
Claire non rispose. Le
balenò alla mente che aveva ancora la muta indosso, con il cappuccio
completamente chiuso, la maschera poi le copriva il resto del volto, quindi in
teoria lui non poteva averla riconosciuta. E il suo istinto di conservazione le
suggerì che sarebbe stato pericoloso per lei se lui l’avesse riconosciuta.
Quindi iniziò a gesticolare, facendogli credere di essere una turista ignara
della lingua. Lui prontamente le tradusse in inglese quanto detto prima,
aggiungendo qualche altro epiteto poco carino. Claire finse di non capire
nemmeno l’inglese e lui desistette, esclamando
“Idioti turisti” prima di allontanarsi scuotendo la testa.
Un altro tassello del
puzzle che l’aveva portata in Grecia si era ricomposto proprio davanti ai suoi
occhi: l’uomo che a Londra aveva disintegrato i documenti sui quali sperava di
trovare informazioni sulla scomparsa di suo padre si trovava, guarda caso, ad
Atene.
Attese pazientemente
che lui si allontanasse abbastanza, dopo di che si sfilò l’attrezzatura e la
muta. Scrollò la testa nel vano tentativo di
ridare forma umana ai capelli arruffati e non si accorse che la sua
chioma bionda veniva osservata da poco lontano con evidente stupore.
Walt sollevò il coperchio del wc, aprì tutti gli armadietti
e iniziò a svuotare il cestino della spazzatura, frugando bene con le mani alla
ricerca di qualcosa
“Dove l’hai nascosto?” si rivolse direttamente a Juliet, che
intanto si era spostata dalla zona della finestra, avvicinandosi ad Alexander
con aria di sfida, mentre Kanon riponeva il ghiaccio sintetico all’interno
della cassetta del pronto soccorso.
“Cosa cerchi esattamente Walt?”
“Lo sai perfettamente”
“Mmhhh … forse un preservativo usato?”
Il disinfettante sfuggì dalle mani di Kanon e scivolò a
terra, facendo sorridere Juliet. Era sempre molto divertente mettere in
imbarazzo Walt, ma questa volta aveva colto doppiamente nel segno. Solo
Alexander sembrava aver ignorato la sua uscita e infatti fu lui a risponderle
“Sta cercando il tuo telefono, quello che avevi in tasca
prima di arrivare qui”
“Errato. Quello che avevo in tasca prima che qualcuno mi
trascinasse qui con la forza”
“La tua precisione mi colpisce. Dunque che fine ha fatto
esattamente il cellulare?” Alexander aveva certamente intuito qualcosa, ma
voleva accertarsi di quanto il telefono fosse compromesso.
“Oh, il telefono, che sbadata! Si è rotto …” disse con finto
dispiacere
“Sappiamo che l’hai fatto a pezzi, quello che ci devi dire è
dove li hai gettati” Walt stava mettendo
il bagno sottosopra alla ricerca disperata di un qualsiasi componente
elettronico da cui provare a rintracciare la posizione di Claire.
Kanon la guardò con aria truce, come se si fosse appena reso
conto di qualcosa
“L’ha gettato dalla finestra” disse a denti stretti
“Ma non prima di essersi sbarazzata della sim attraverso lo
scarico del wc, giusto Juliet?” la incalzò Alexander
“Almeno siete sicuri
di ritrovarla nelle fogne di Berlino, no?”
Alexander sospirò.
“In questo modo non otterremo niente. Kanon, Walt, ho bisogno
di parlarvi in privato, seguitemi”
“Dio salvi la privacy sulla terra” commentò sarcasticamente
Juliet, ottenendo in cambio un grugnito di Walt e un’altra occhiataccia di
Kanon.
Walt e Alexander uscirono dalla stanza d’albergo seguiti da
Kanon, lasciandola sola a meditare indisturbata sulle possibilità di scappare
da quel posto. Doveva uscire di li prima che a quei tre venisse in mente un
metodo, più o meno indolore, per cercare di strapparle informazioni.
Dopo pochi minuti, proprio mentre iniziava a pensare ad un
piano di fuga, la porta della stanza si riaprì per lasciarvi entrare il ragazzo
bellissimo che aveva visto al teatro al fianco di Alexander. A giudicare dal
portamento doveva essere un pari grado di Kanon. Avevano la stessa aria da
cavaliere senza macchia e senza paura, dietro la quale nascondevano la
presunzione e l’ arroganza di chi è convinto di essere tra i pochi eletti
dell’universo.
Passò alcuni istanti ad osservarlo in silenzio, mentre lui,
fingendo palesemente di ignorarla, ostentava totale disinteresse nei suoi
confronti. Si era avvicinato alla vetrata da cui si accedeva al balcone della
camera e, senza dire una parola, in
piedi e dandole le spalle, se ne stava immobile ad osservare fuori.
”Hanno mandato il cane da guardia?” lo stuzzicò
Aspettava la sua risposta pungente per controbattere, ma
rimase sorpresa quando in cambio ricevette solo uno sguardo divertito.
“Trovi divertente il fatto che io sia qui contro la mia
volontà?”
Lo sguardo si fece serio quando rispose
“No”
Sembrava sincero.
“Allora cosa dici di darmi una mano ad uscire da questa
spiacevole situazione?”
“Non posso, mi dispiace”
Il tono era irremovibile, non era tipo da lasciarsi
convincere da quattro moine, accidenti.
La porta si riaprì e rientrò Kanon. La ignorò completamente
e si rivolse all’altro
“Qui ci penso io Milo, va pure se vuoi”
Una molla scattò nella testa di Juliet
“MILO??? Quel MILO? Milo il bastardo?”
Milo trasalì a quelle
parole, immaginando chi lo avesse connotato in quel modo.
“Taci!” le intimò Kanon.
“Fottiti” rispose Juliet lasciandoli entrambi di stucco.
Milo non aveva mai sentito qualcuno rivolgersi in quel modo
a Kanon. Almeno qualcuno che l’avesse fatta franca, poi. Ma la dose nei suoi
confronti non era ancora esaurita
“Così tu saresti il cavaliere senza macchia e senza paura
che ha rivolto contro Claire il suo colpo più potente …”
Lo stomaco di Milo subì un movimento impercettibile, eppure
nessuno l’aveva colpito. Non ancora almeno.
“Sai cosa mi disse Claire su di te? Mi disse che avevi un
cuore d’oro e che l’avresti aiutata, che si fidava di te, che se fosse stata
nei guai tu l’avresti protetta!”
Ecco, ora aveva sentito il colpo. Forte e doloroso. Dritto
sulla ferita aperta.
“Per oggi hai sputato abbastanza sentenze. Tra l’altro senza
conoscere i fatti, quindi chiudila qui, immediatamente” fu Kanon ad intervenire
di nuovo.
“Non sei tu a stabilire quello che posso o non posso fare,
mettitelo in testa”
I toni si erano alzati e stavano praticamente urlando.
Alexander entrò nella stanza e interruppe la diatriba. La
tensione nell’aria era palpabile e dalla faccia di Milo non era difficile
intuire quello che stava succedendo.
“Dobbiamo presenziare ad un ricevimento che si terrà nella
sala congressi dell’hotel” annunciò.
Fece una pausa, incerto se proseguire, quindi si rivolse a
Juliet
“Ci saranno le rappresentanze diplomatiche di mezzo mondo,
quindi ti chiedo di lasciare i rancori personali da parte e concentrarti per
qualche ora sul tuo lavoro”
“Lavoro? Ma di cosa stai parlando?”
“Abbiamo bisogno di un operativo con le tue caratteristiche
durante il ricevimento”
“Abbiamo chi? L’Agenzia? O chi altro?”
“L’Agenzia coordina le operazioni”
“Dunque avete emesso il giudizio … Condanna ai lavori
forzati”
“Qui nessuno ti sta giudicando. Non ti abbiamo portata qui
per punirti, ma per proteggerti, e avremmo voluto fare lo stesso con Claire. Tacendo
sulla sua posizione la stai mettendo inutilmente in pericolo”
“Ma che padre premuroso che sei Alexander. Quanti anni hai
dovuto studiare per interpretare questo ruolo? Aspetta … fammi indovinare: due?”
Alexander ignorò la provocazione
“L’astio nei miei confronti non deve impedirti di ragionare
lucidamente o di agire per il bene di Claire”
“A differenza di tutti i presenti in questa stanza” lo
sguardo di Juliet andò a posarsi intenzionalmente su Milo, che lo sostenne
senza batter ciglio “io sono l’unica che ha sempre agito per il bene di Claire,
sono l’unica che non le ha mai mentito, che non le ha voltato le spalle, e che soprattutto
non l’ha colpita a tradimento. E non inizierò a farlo ora”
“E io non ti chiederò di farlo”
Le ultime parole di Alexander stupirono Juliet. Si aspettava
di essere messa sotto torchio finché non avesse rivelato la posizione
dell’amica e invece niente. Quali erano gli scopi dell’Agenzia in questa
missione? Forse se avesse acconsentito di prenderne parte avrebbe capito di
più. Poteva fingere di cedere e accettare l’incarico operativo in modo da avere
accesso a maggiori informazioni.
“Ok. Accetto di partecipare al ricevimento. Ma ho bisogno delle
coordinate operative. Non rischio per qualcosa che non conosco”
“Non fidarti Alexander, vuole solo ottenere informazioni
fingendo di aiutarci”
“Non abbiamo scelta Kanon, la sua presenza stasera è
indispensabile”
“E’una scheggia impazzita, sono del parere che farebbe meno
danni se la tenessimo qui, sotto stretta sorveglianza”
“Ti piacerebbe vero? Peccato che a quanto pare non sia tu a
decidere. E del tuo parere come vedi non frega niente a nessuno” sogghignò
soddisfatta.
“Santa pazienza” sospirò
Alexander mascherando un sorriso.
Kanon si rivolse direttamente a lui, facendo in modo che gli
altri non lo sentissero
“Con tutto il rispetto, credo che tu sia troppo
accondiscendente con lei”
“Hai ragione e ne sono consapevole. Ma fidati se ti dico che
questo è l’unico modo efficace di trattare con Juliet”
“Io invece conosco quattro o cinque metodi molto più
efficaci e se solo me li lasciassi provare …”
“Amico mio, queste scintille sono presagio di incendio, fai
attenzione …” rise Alexander dando una pacca sulla spalla ad un Kanon
completamente basito.
Poi si rivolse a Juliet
“Se vuoi i dettagli operativi seguimi, Lucas e Walt ci aspettano
nell’altra stanza”
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Capitolo 16 *** capitolo 15 ***
16.capitolo15
Mancavano pochi minuti all’inizio del ricevimento e ancora
doveva scegliere l’abito - scelta ardua
- tra i quindici che le erano stati
portati in stanza. Erano tutti abiti firmati, molto eleganti e anche molto
sexy, di gran classe, doveva averli selezionati Lucas, che non era certo il
guru della moda all’interno dell’agenzia – quella era lei – ma era il meno
peggio in fatto di buongusto, e quella sera si era decisamente superato.
Non avendo il tempo per provarli tutti chiuse gli occhi e ne
pescò uno a caso, lo indossò molto velocemente e si specchiò. Era perfetto,
certo che Lucas aveva occhio in fatto di taglie femminili. L’abito era un
tubino nero aderente con le maniche a tre quarti che le arrivava appena sopra
il ginocchio, con una discreta scollatura sulla parte anteriore e uno scollo
morbido e profondissimo sulla schiena.
Era un abito perfetto per un ricevimento ma assolutamente
inadatto a nascondere un’arma. E infatti il piano non prevedeva che lei
portasse addosso la sua Colt, cosa che la rendeva alquanto nervosa. Alexander
aveva giustificato la scelta con la scusa di una massiccia copertura da parte
di quattro operativi dell’Agenzia e di due Cavalieri. Niente da ridire
sull’Agenzia, si era sempre fidata dei suoi colleghi, quelli di cui non
riusciva assolutamente a fidarsi erano i due paladini della giustizia.
Questa mancanza di fiducia la portò ad elaborare un piano B,
che consisteva nel tenere comunque un’arma non dichiarata dentro la sua
pochette da sera. L’arma era una semiautomatica trafugata in fretta e furia
dalla “valigia degli attrezzi” di Walt, che era troppo impegnato a sorvegliare
la sala del ricevimento per accorgersi dell’assenza di uno dei suoi giocattoli.
Finì di truccarsi, mettendo in risalto i suoi splendidi occhi
verdi con un generoso tratto di kajal nero,
e diede un’ultima sistemata ai capelli, che le ricadevano in morbide
ciocche ondulate sulla schiena. Il castano aveva ancora i riflessi miele e
dorati dovuti alla prolungata esposizione alla salsedine e al sole di Marsiglia,
davvero niente male come effetto. Guardandosi allo specchio capì il motivo per
il quale Alexander aveva insistito tanto per averla al ricevimento: nessun’
altro tra loro sarebbe stato in grado di avvicinare e sedurre il capo della
delegazione Russa e convincerlo a seguirla nella sua stanza prima della fine
della serata.
Senza falsa modestia, lei stessa - se fosse stata un uomo -
sarebbe caduta ai propri piedi vedendola così agghindata. L’unico neo restava
il labbro leggermente gonfio a causa dello schiaffo ricevuto poche ore prima,
ma con un po’ di gloss perlato era riuscita a camuffarlo abbastanza bene.
Riuscì ad arrivare nella sala del ricevimento con quattro
minuti di anticipo rispetto al previsto. Attese di vedere qualcuno dei suoi e,
quando scorse Walt in lontananza, gli
fece il cenno concordato. Dunque tutto era pronto per l’ingresso degli
invitati, lei doveva solo aspettare la delegazione giusta sorseggiando
distrattamente qualcosa di fianco all’angolo del piano bar, dove qualcuno
suonava della musica dal vivo. Guarda
caso l’angolo musicale era gestito dal musico che aveva conosciuto nel locale
del centro, Syria: se non altro era certa che avrebbe apprezzato la musica e
non si sarebbe annoiata.
Ripassava mentalmente i dettagli operativi quando,
dall’altra parte della sala, vide arrivare Kanon, anche lui elegantissimo. Per
un attimo i loro sguardi si incrociarono e a Juliet parve di scorgere uno
strano bagliore negli occhi di lui, che rimasero a fissarla per qualche
secondo. Era stupore, o forse palese attrazione quella che leggeva nel suo
sguardo? Mah, probabilmente era semplice apprezzamento maschile alla vista di
una donna in tiro, d’altronde anche Kanon era un uomo e per quanto potesse credersi superiore al
resto dell’umanità non poteva essere totalmente immune al fascino femminile.
Una punta di soddisfazione si insinuò nella sua mente e la fece sorridere
all’idea di avere sempre un’arma potenzialmente pericolosa da utilizzare a suo
vantaggio: la seduzione. In fondo gli uomini erano tutti uguali, bastavano due
belle gambe, un tacco dodici, una scollatura e non capivano più niente.
Ancora fantasticava sulle sue qualità da seduttrice quando
un sussurro appena dietro la sua testa la fece sobbalzare
“Ottima scelta. Era
il mio preferito”
Ma come diavolo era riuscito ad arrivarle dietro senza che
lei si accorgesse dei suoi movimenti? E perché parlava del suo abito come se…
“Co - come facevi a…? Aspetta, non sarai mica stato tu a
scegliere i miei abiti?”
Forse aveva usato un tono un po’ troppo aggressivo.
“Peccato. Se a tanta eleganza corrispondesse altrettanta
femminilità e dolcezza potresti essere una vera femme fatale”
“Posto che il tuo parere non mi interessa, chiariamo che la
mia femminilità non è affar tuo e la dolcezza la riservo alle persone a me care.
E adesso scusami ma devo lavorare” e si allontanò bruscamente da lui.
Aveva risposto in maniera così scortese solo per mascherare
la sua delusione di fronte al commento di lui. Ma ancor di più le faceva rabbia
che quel commento l’avesse in qualche modo irritata. Avrebbe dovuto lasciarla
indifferente e invece aveva permesso a una stupida osservazione fatta da uno
quasi sconosciuto di infastidirla. Non perché fosse vanitosa o le interessasse
apparire sexy, dolce o femminile agli occhi di tutti gli uomini presenti sulla
terra, ma perché Kanon, che la conosceva solo da poche ore e di lei non sapeva
niente, aveva colto con quella frase l’essenza del suo carattere e in essa il
suo più grande difetto: la scorza di durezza che si era costruita negli anni,
nonostante la giovane età, dentro la quale racchiudeva le emozioni senza
lasciarle trapelare, rendendola quasi impermeabile ai sentimentalismi e a tutte
quelle che lei considerava le debolezze della vita.
Juliet odiava sentirsi o mostrarsi debole, e affrontava il
mondo in un continuo stato di tensione, sempre pronta all’attacco, attenta a
non far avvicinare troppo il nemico alla propria intimità. Non c’era spazio per
la dolcezza o per la femminilità nel suo cuore di soldato.
Il contrasto tra l’apparenza della sua esteriorità e il suo
stato d’animo quella sera aveva raggiunto l’apice. E Kanon l’aveva colto in
pieno.
Ma lei non era sempre stata così, la corazza l’aveva
costruita con fatica in dodici lunghi anni per ragioni di sopravvivenza, dopo
aver perso suo padre. Gli anni
dell’adolescenza passati a trasformare la rabbia in una perfetta macchina da
guerra a servizio della stessa Agenzia in cui suo padre aveva lavorato fino
alla sua ultima missione. Cresciuta nel mito dell’agente perfetto che era suo
padre, si sentiva sempre in dovere di dimostrare di essere all’altezza del nome
che portava, per non deludere le aspettative degli altri, ma soprattutto per
onorarne la memoria.
“Accidenti, di bene in meglio” pensò entrando nella sala e
notando la presenza di Morticia nell’angolo musicisti. Armeggiava con uno
strumento a corde, forse un’arpa, ma la cosa che la sorprese più di tutte fu
vederla conversare, come se niente fosse successo, con Syria e Julian il nobile
da una parte e Walt e Alexander dall’altra.
Cosa ci faceva la strega del teatro in mezzo a loro?
Ma la serata riservava ancora spiacevoli sorprese e la
successiva le si materializzò davanti in tutta la sua imponente arroganza, sbarrandole
la strada e impedendole di proseguire. La mano che lei aveva trafitto era
fasciata, ma la teneva stretta a pugno, sembrava trattenere a stento la rabbia
e questo la fece irrigidire. Strinse con
più forza la pochette che conteneva la pistola, pronta ad estrarla in caso di
necessità, ma un intervento esterno impedì il precipitare degli eventi.
“Juliet, permettimi di accompagnarti alla tua postazione” un
braccio le si posò leggero sulla schiena nuda, invitandola gentilmente a
seguirlo, e lei fu attraversata da un brivido. Kanon le si era nuovamente
avvicinato da dietro e con una gentilezza che non credeva possibile potesse
appartenergli, l’aveva accompagnata nell’angolo bar, frapponendosi tra lei e il
gruppo di persone che parlavano amabilmente nell’angolo musicisti.
Juliet cercò di ignorare la piacevole sensazione che aveva
provato al suo tocco e lo fissò con aria interrogativa
“Ti vedo perplessa, qualcosa non va?”
“Mi chiedi se qualcosa non va? Ho appena incrociato Lurch,
con cui, come tu ben sai, mi sono scontrata meno di tre ore fa, e proprio
dietro di te vedo Morticia, la sua padrona, che conversa come se niente fosse
con Walt, Alexander e gli altri amici vostri? Direi che ci sono parecchie cose
che non vanno, e che niente mi quadra in questa situazione. Non mi piace
lavorare in un ambiente ostile quando non so da quale direzione può arrivare il
pericolo”
“Per questo ci sono io a coprirti le spalle, tu devi pensare
solo alla tua missione”
A sentirlo parlare, con quel tono e quello sguardo decisi,
fermi e sicuri, sembrava non ci fosse niente da temere. Ma Juliet non era
abituata al ruolo della donzella in cerca di protezione ed era sempre stata in
grado di affrontare da sola i rischi che correva durante il suo lavoro.
Kanon sembrò leggerle nel pensiero
“Fidati di me, ora non c’è il tempo per le spiegazioni, le
delegazioni stanno facendo il loro ingresso in sala. Devo allontanarmi, ma sarò
abbastanza vicino da intervenire in caso di necessità. Buona fortuna e ...”
sembrò esitare “… fa attenzione e non prendere iniziative avventate”
Avrebbe voluto replicare all’ultima frase, ma lui si era già
dileguato tra la folla che ormai riempiva la sala.
Claire si sistemò meglio la parrucca nera sulla testa e si
preparò a recitare la sua sceneggiata. Era riuscita ad ottenere un colloquio
con il responsabile della selezione delle risorse umane del Park Inn e si
apprestava a convincerlo che sarebbe stata un’ottima addetta alla pulizia delle
camere.
Aveva intravisto un po’ di movimento in direzione delle sale
adibite ai ricevimenti e a giudicare dal numero di auto diplomatiche allineate
all’ingresso, qualcuno doveva avere organizzato un evento in grande stile. Stile Fondazione probabilmente.
Ripensò all’ultima volta che si era imbucata in un
ricevimento del genere, ad Atene. Stesse dinamiche, stessi protagonisti: lei
sotto copertura e la Fondazione organizzatrice dell’evento. Una miscela esplosiva.
L’incontro sulla
spiaggia con il tizio che aveva incrociato all’ambasciata francese di Londra le
aveva dato ancora maggiore carica: ormai era certa che le risposte sulla
scomparsa di suo padre si concentravano in Grecia.
Aveva scoperto che la
Fondazione stava organizzando una festa di beneficienza a cui avrebbero
partecipato le diplomazie di mezza Europa e decise che, con o senza invito, non
avrebbe perso l’occasione di osservare da vicino alcune delle pedine che avrebbero
potuto fornirle informazioni preziose.
La filantropia, la
politica e la finanza tutti in un colpo solo, era un’occasione imperdibile e
infatti fece di tutto per ottenere uno straccio di invito, compreso offrirsi
come accompagnatrice di uno dei suoi docenti, un quarantenne appena divorziato
dalla moglie che si era invaghito di lei. Si sentiva un verme ad usarlo in quel
modo, poiché sapeva bene che il loro era un rapporto che non avrebbe mai avuto
altri risvolti se non di tipo professionale, tra l’altro finti pure quelli, ma
la posta in gioco era troppo alta per lasciarsi prendere dagli scrupoli ora.
Juliet continuava ad offrirle preziosi consigli a distanza
e Claire li accettava molto volentieri, consapevole di riceverli dalla massima
esperta in materia di finta seduzione.
Comunque non fu troppo
difficile convincere il suo accompagnatore a portarla al ricevimento e, quando si
presentò con il suo abito elegante, rigorosamente aderente e scollato, le parve
di avere tutti gli sguardi degli uomini della sala puntati su di se. Questa
cosa la metteva alquanto in imbarazzo ed era controproducente per una che, una
volta imbucata alla festa, avrebbe dovuto passare inosservata.
Ad un certo punto l’attenzione
di tutti gli invitati si spostò in direzione di un una giovane donna, molto
bella ed elegantissima, che fece il suo ingresso nella sala e che fu annunciata
da un tizio pelato come Lady Isabel, nipote del fondatore nonché attuale presidente
della Fondazione. Era il momento perfetto per dileguarsi nelle sale del palazzo
senza essere notata e Claire ne approfittò. La parte più interna conteneva
uffici di rappresentanza e sale riunioni, sperava di trovare un archivio
documentale cartaceo in cui rovistare e si addentrò per i corridoi.
C’erano telecamere di
sorveglianza dovunque e dovette fare molta attenzione per eluderle. Era talmente
concentrata ad evitare di essere inquadrata che non si accorse che qualcuno la
osservava con curiosità, almeno fino a che non se lo trovò di fronte.
Colta sul fatto, lei
si spaventò tantissimo, ma lui non sembrava adirato o troppo preoccupato dalla sua presenza
“Si è forse persa
signorina?” le chiese con gentilezza.
Era un ragazzo
giovane, avrà avuto qualche anno in più di lei, con i capelli della sua stessa
tonalità di biondo e gli occhi della sua stessa tonalità di azzurro. Accidenti,
quel ragazzo le somigliava!
“No, cercavo la
toilette, ma credo di avere preso il corridoio sbagliato” rispose prontamente.
“In effetti questo
posto è un labirinto, per chi non lo conosce. Se vuole l’accompagno io per un
tratto così le mostro la direzione corretta” le disse con un sorriso.
“Lei è un vero
gentiluomo, signore, la ringrazio” si sforzò di rispondere con cortesia, anche
se questo significava rimandare i suoi piani di ricerca ad un altro momento.
Quando tornò nella
sala il suo accompagnatore la accolse circondandole la vita con un braccio e
trascinandola con se.
“Vieni ti porto a
conoscere la nostra presidente”
Lei lo seguì con
riluttanza, non poteva sottrarsi alle presentazioni di facciata e in fondo,
conoscere la presidente poteva significare accesso a informazioni di livello
superiore.
Mentre si avvicinavano
in direzione della ragazza che era stata presentata come Lady Isabel, Claire fu
percorsa da un brivido: di fianco a lei, oltre al tizio pelato che l’aveva
presentata, c’era, inconfondibile nel suo fascino mozzafiato, Milo, che le
stava sussurrando qualcosa nell’orecchio e sembrava avere con lei un certo
grado di confidenza.
Non sentiva Milo dal
suo viaggio a Londra, ed erano passati mesi, e non era preparata a rivederlo,
anche se in fondo ci sperava. Ma ancor meno era preparata a rivederlo con un’altra!
Doveva ammettere che
le probabilità di incontrarsi erano alte, visto che si trovavano ad Atene e al
ricevimento partecipava il mondo dell’alta finanza, ma lei era stata talmente
concentrata nella ricerca dei documenti su suo padre che non ci aveva pensato
fino in fondo, a quell’eventualità. E ora che le si presentava davanti, in
atteggiamenti intimi con una donna bella, elegante, di classe e di potere (non
erano forse gli aggettivi che aveva usato a Londra quando aveva provato ad
indovinare il suo tipo di donna ideale? A quanto pare ci aveva azzeccato! ) ,
non sapeva cosa fare.
Cosa doveva dire? Non
erano nemmeno mai stati insieme, mica poteva fare la parte della gelosa! Eppure era quello il sentimento che provava:
gelosia pura, all’idea che lui potesse stare con un’altra. Lei aveva gettato la
sim con il numero di telefono a cui lui avrebbe potuto rintracciarla, non l’aveva
mai contattato nemmeno una volta arrivata in Grecia ed ora pretendeva che lui
fosse rimasto tutti quei mesi pensando a lei? Era pazza, se ne rendeva conto,
ma rivederlo le aveva provocato le stesse sconvolgenti sensazioni che aveva
provato a Londra durante i momenti intensi passati insieme.
Mentre pensava cosa
dire, il suo accompagnatore strinse ancora di più il braccio intorno alla sua
vita e, arrivati alla meta attirò l’attenzione per presentarla a Lady Isabel,
facendo voltare anche Milo che rimase un attimo senza respirare, o almeno
questa fu la sensazione di Claire.
Lo sguardo bruciante di
Milo passò immediatamente in rassegna l’intera figura di Claire, soffermandosi
apparentemente infastidito sul braccio che le cingeva la vita e che non
accennava ad allentare la presa.
Lady Isabel fu gentilissima.
Quella donna le piaceva. Sembrava sinceramente felice di conoscerla, non l’aveva
trattata come una semplice ricercatrice di passaggio che lavorava ad un
progetto finanziato da lei, da liquidare con poche frasi di circostanza, ma
sembrava quasi che non aspettasse altro che conoscere lei durante quella
serata. Che sensazione bizzarra, l’aveva fatta sentire come l’ospite d’onore,
prendendola sotto braccio e accompagnandola lei stessa a conoscere molti dei
suoi collaboratori. Questo l’aveva salvata sia dal suo invadente accompagnatore
che dall’incontro ravvicinato con Milo,
almeno per il momento, ma era certa che lui l’aspettasse al varco.
E infatti non appena Lady
Isabel fu chiamata dal tizio pelato, che aveva scoperto chiamarsi Mylock, Milo
le fu subito addosso. Continuava a fissarla con uno sguardo indagatore e
sembrava leggermente irrigidito rispetto a prima. Fu comunque lui, come sempre,
a fare il primo passo
“La tua dolce metà è
andata a salutare i suoi colleghi”
Aveva dimenticato quanto fosse bella la sua
voce.
“Oh, ma non è la mia
dolce metà, è solo un accompagnatore … di circostanza”
Lui sembrò rilassarsi
e abbozzò un sorriso
“Bene”
“Invece la tua dolce
metà mi è molto simpatica, sai” non so come trovò il coraggio di dirlo.
“La mia co…? Ma intendi
Lady….? Oh, mio dio, no ..” Milo scoppiò quasi a
riderle in faccia.
Aveva dimenticato
quanto fosse bello quando rideva.
“Non avrai pensato che
io e … “ non riusciva a proseguire per il troppo ridere.
“Oh, andiamo Milo,
finiscila di prendermi in giro, ci stanno guardando tutti” arrossì imbarazzata
Milo si fece subito
serio e la guardò intensamente
“Guardano te, nei hai
sconvolto più di uno con la tua bellezza, stasera”
“Lo prenderò come un
complimento” arrossì di nuovo
“Puoi contarci” posò
il bicchiere che teneva tra le mani e le si accostò “Benvenuta in Grecia,
straniera” le disse mentre le stampava un bacio sulla guancia, facendola
letteralmente andare a fuoco.
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Capitolo 17 *** capitolo 16 ***
17.Capitolo16
Noia. Era questo che provava mentre fingeva di prestare
interesse alle parole del suo interlocutore. Emanava un fastidiosissimo olezzo
di fumo misto ad alcol che le stava dando il voltastomaco.
Tutto nella sua persona la irritava: dai suoi modi troppo
scomposti e sguaiati al suo spiccato accento russo. Eppure le era sembrato un
gran bell’uomo, a inizio serata.
Quando ancora non aveva iniziato a prosciugare le scorte alcoliche
del bar della sala.
Continuava ad insistere affinché anche lei trangugiasse
qualcuno dei drink a base di vodka che lui proponeva al malcapitato barman, e
alla fine, pur di farlo tacere, ne scolò un paio anche lei. Non fece in tempo a
sentire il liquido scorrerle in gola che si trovò due occhi severi puntati
addosso, che le mandavano chiari messaggi di disapprovazione.
La comunicazione
non verbale di Kanon era estremamente efficace.
Che andasse al diavolo anche lui. Se ne stava in disparte, nascosto come
un ladro fuori dalla sala, ad osservare la scena dall’esterno e ad emettere
silenziosi giudizi sul suo operato. Era lei quella che doveva convincere il
russo a seguirla in camera e, per come si stavano mettendo le cose, non avrebbe
avuto alcuna difficoltà a farlo.
Dal primo momento che si era presentata, lui
le stava sbavando dietro. Continuava a fissarle le gambe e la scollatura in
maniera indecente, e non perdeva occasione per posarle le mani addosso, una
volta sulla spalla, l’altra sul ginocchio, poi sul fianco. In altre circostanze
gli avrebbe già stritolato i gioielli di famiglia, ma si trattava di lavoro, e
lei era sempre molto professionale in situazioni come quella. Così quando con una
mano le sfiorò una coscia, lei gliela prese e iniziò ad accarezzarla,
mostrandosi interessata ad un contatto più intimo. Fu in quel momento che
incrociò nuovamente lo sguardo contrariato di Kanon. Ma cosa pretendeva? Che lo
convincesse a salire in camera con la proposta di giocare a Monopoli?
Fu direttamente lui a proporle di salire in camera,
chiedendole solo il tempo di passare alla toilette per darsi una rinfrescata, o
magari per rigettare tutto, visto il tasso alcolico che aveva in circolo nel
sangue.
Kanon approfittò del momento per trascinare Juliet in un
angolo dell’atrio, tirandola poco delicatamente per un braccio.
“Mi lascerai il livido, toglimi le mani di dosso!” sbottò
spazientita
“Non mi sembravi così preoccupata quando era qualcun altro a
toccarti, ma forse perché in fondo ti piaceva?”
Gli gettò in faccia tutto il contenuto del bicchiere che
aveva ancora in mano e gli rispose pungente
“Le scenate di gelosia non mi sono mai piaciute”
Fu soddisfatta nel vedere la sua reazione: era evidente, anche
se tentava di mascherarlo, che le sue parole l’avevano turbato e il suo gesto
sprezzante l’aveva probabilmente irritato a dismisura, non essendo abituato a
non reagire a simili provocazioni. Ma fu bravissimo a trattenersi, perché prese
un fazzoletto dalla tasca e si asciugò la faccia, tamponando anche la parte
della camicia su cui era andato a finire il cocktail.
Ma poco prima di lasciarla le lanciò, gelido, un ultimo
anatema
“Uno di questi giorni ti troverai intrappolata in un angolo nel
quale ti sarai cacciata e non saprai come uscirne. Allora sarò curioso di
vedere cosa farai, mia cara. E a chi ti rivolgerai quando ti servirà aiuto per
venirne fuori”
“Amen” gli rispose sarcastica Juliet quando lui già le dava
le spalle.
Quando il suo
accompagnatore russo la raggiunse, quello che si accingeva a fare le sembrò una
passeggiata, in confronto alla tensione che le faceva salire la presenza di
Kanon e il suo modo di fare.
“Allora Dimitri, sei pronto a salire?” gli sorrise mentre
chiamava l’ascensore
“Spero la tua stanza sia nei piani alti, bellezza”
“Al decimo piano tesoro. Ma se per te non è abbastanza,
posso sempre farti toccare il cielo con un dito” gli sorrise languida.
Le fu addosso appena si chiusero le porte dell’ascensore
“Ehi, calma, calma, non vorrai mica consumare qui?”
“Perché no? Possiamo consumare prima qui e poi li” le disse
mentre avvicinava la bocca alla sua.
Il suo alito avrebbe steso chiunque. Stava per inventare
l’ennesima scusa quando l’ascensore si bloccò.
Il segnalatore interno indicava che erano al quinto piano.
Evidentemente qualcun altro l’aveva chiamato. Se non altro non avrebbe passato
il resto della salita a cercare di scrollarselo di dosso, pensò Juliet.
Le porte dell’ascensore si aprirono e Juliet si ritrovò
faccia a faccia con Claire, con in testa una parrucca nerissima e vestita come
un’ addetta alle pulizie.
Rimase per un attimo interdetta, ma Claire fu molto abile
nel dissimulare
“Chiedo scusa signori, a causa di un guasto all’ascensore di
servizio, sono costretta a chiedere un passaggio su questo”
Dimitri, da perfetto villano, iniziò a denigrare la gestione
l’hotel, irritato dal fatto di dover condividere l’ascensore con il personale
di servizio.
Ma Juliet fu più svelta di lui nel rispondere
“Si accomodi pure signorina, noi stiamo salendo al decimo,
lei dove va?”
“Che coincidenza, proprio dove sono diretta io”
Claire si sistemò strategicamente di fianco a Juliet, mentre
Dimitri sbuffava sonoramente esprimendo con grugniti la sua contrarietà.
Juliet sentì scivolarle in borsa qualcosa e, controllando,
vide che si trattava di un cellulare, perfetto!
Con nonchalance tirò fuori il telefono dalla borsa e iniziò
a comporre un sms. Appena le porte si aprirono e Claire si allontanò, Juliet
premette il tasto di invio.
Quando Claire aprì il messaggio, Juliet era già in
prossimità della sua stanza, con Dimitri che le baciava il collo e tentava di
infilarle le mani sotto il vestito.
Il testo del messaggio era conciso, ma molto dettagliato
“Ispeziona Camera 221. Delegazione Russa. Scopri perché
Dimitri Khazanov interessa tanto alla Fondazione e all’Agenzia. P.S. Il nero ti dona”
La parte finale strappò un sorriso a Claire, che si mise
subito alla ricerca della camera 221.
Kanon stava scavando un solco nel pavimento a furia di
camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza. Il suo umore negli
ultimi venti minuti aveva attraversato tutte
le gradazioni del grigio, per attestarsi su quella meno chiara.
Aveva il compito di sorvegliare le mosse di Juliet a
distanza ravvicinata e la sua camera era proprio di fianco a quella in cui lei
avrebbe dovuto attirare Dimitri. L’aveva appena vista passare in compagnia di
quel viscido che le sbavava dietro, più simile ad una belva affamata che a un
essere umano. Quella situazione gli andava sempre meno a genio, ma cercò
comunque di fare al meglio la sua parte, prestando attenzione ad ogni minimo
rumore proveniente dall’altra stanza.
Quello che sentiva non era certo musica per le sue orecchie
e dovette fare uno sforzo notevole per trattenersi dall’abbattere il muro che
li divideva e scaraventare quell’animale fuori dalla finestra.
Juliet preparò accuratamente due calici di champagne, accertandosi
di sciogliere in uno dei due un quantitativo sufficiente di sonnifero.
Erano cinque minuti che si scambiavano baci e carezze e
aveva capito che lui non avrebbe atteso oltre, voleva urgentemente andare al
sodo.
Gli si avvicinò, invitandolo a fare l’ultimo brindisi della
serata
“A noi” disse
Ma prima che lui portasse il suo calice in prossimità delle
labbra, qualcuno entrò dalla finestra, interrompendone il gesto e impedendogli
di bere.
Perché diavolo nessuno dei suoi si era accorto che c’era
qualcuno appostato fuori dalla finestra? Questo poteva essere un errore molto
pericoloso, tanto più che aveva stupidamente posato sul letto la pochette da
sera che conteneva la pistola e ora era
troppo lontana per raggiungerla con un balzo.
L’uomo che era entrato dalla finestra portava un
passamontagna sul volto e, con sua grande sorpresa, prendeva ordini
direttamente da … Dimitri.
“Mi facevi così stolto, puttanella?”
Juliet era sconvolta, quello che per tutta la sera le era
parso un viscido cafone di bassa lega e con limitate capacità cerebrali ora le
appariva … come un viscido cafone che però sa il fatto suo.
“Ti ho studiata attentamente tutta la sera, sai? Volevo
avere la certezza che fossi proprio tu e che non mi stessi sbagliando”
“Non so di cosa tu stia parlando” rispose lei in tono neutro,
cercando di mantenere una calma apparente.
“Non sei molto brava come attrice, sai? Invece sono stati
molto bravi quelli che ti hanno tenuta nascosta in tutti questi anni, dovrò
ricordarmi di complimentarmi con loro”
“Penso sinceramente che tu stia sbagliando persona”
Juliet non aveva nessuno strumento per capire le sue
allusioni.
“E io penso sinceramente che tra un attimo ti darò la
certezza che non mi sbaglio”
Dopodiché si rivolse all’uomo che aveva fatto irruzione
dalla finestra
“Togliti il passamontagna”
L’uomo, a meno di tre metri da Juliet, eseguì immediatamente
l’ordine e non appena si voltò nella sua direzione, lei ebbe un mancamento.
L’unico dettaglio di cui non ricordava la presenza era la
barba, ma per il resto era identico: un po’ meno abbronzato e con gli occhi più
stanchi, quasi spenti.
Erano passati dodici anni, ma Juliet non ebbe nessun dubbio
che la persona che si trovava di fronte a lei fosse suo padre.
La consapevolezza di essere nella stessa stanza con suo
padre, che lei credeva morto dodici anni prima, la colpì profondamente e le
impedì di ragionare con lucidità. Fece la prima cosa che il suo cuore le dettò
di fare, si rivolse a lui e gli disse
“Papà?”
Lui non mosse un muscolo, nemmeno un battito di ciglia,
continuava a guardare davanti a se come se vedesse una parete vuota, con uno
sguardo assente.
“Non vorrei rovinare il bel quadretto familiare ritrovato,
ma mi duole dirti che lui non può riconoscerti. Ora è nostro e non tornerà mai
più ad essere quello di prima” si intromise Dimitri, accompagnando la sua dichiarazione
con una risata sguaiata.
Juliet rabbrividì rendendosi conto del fondo di verità delle
sue parole: lui sembrava non riconoscerla, aveva lo sguardo assente e seguiva
come un automa gli ordini ricevuti da Dimitri.
“Voglio darti una
dimostrazione di quanto ho appena detto, perché non ti resti alcun dubbio in
merito” proseguì Dimitri con un sorriso sinistro.
“Sparale” ordinò improvvisamente a suo padre, che non se lo
fece ripetere due volte e, senza nessuna esitazione, le puntò addosso l’arma e
fece fuoco.
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Capitolo 18 *** capitolo 17 ***
18.Capitolo17
Mentre camminava nervosamente intorno alla stanza, ripensò
al suo comportamento durante il ricevimento e si rese conto suo malgrado che
nel corso della serata la sua lucidità era andata gradatamente scemando.
Il processo - ormai irreversibile - che stava deteriorando
la sua capacità di ragionamento era stato innescato poche ora prima da
Alexander, il quale, spinto da motivazioni ancora da decifrare, aveva sentito
l’esigenza di condividere con lui una verità che coinvolgeva intimamente la
vita di Juliet, rivelandogli alcuni sconvolgenti particolari che lo avrebbero costretto,
da quel momento in poi, a guardarla con occhi diversi.
E infatti, da quando era venuto a conosceva della verità sul
suo conto, faticava a controllare le sue reazioni. Non ci era riuscito durante
il ricevimento e tantomeno ci riusciva ora, sapendo che nella stanza di fianco,
probabilmente sottovalutando con troppa leggerezza i potenziali rischi della
missione, c’era lei che tentava di rendere innocuo quell’animale.
C’era qualcosa negli atteggiamenti teatrali del russo che
rendevano Kanon inquieto. Osservandolo attentamente dall’esterno aveva
percepito delle forzature nei suoi gesti che stridevano apertamente con il
ghigno del suo volto. Fosse stato a causa del livello alcolico o di altre
ragioni, non aveva importanza, ma il suo intuito gli suggeriva che niente in quel verme era come appariva.
Juliet sembrava fastidiosamente inconsapevole dei rischi che
correva, ma d’altronde come poteva biasimarla, quando la verità che persino all’ultimo
dei conoscenti era stata rivelata, a lei, che ne era coinvolta in prima persona,
era sempre stata negata e continuava ad esserlo, nonostante le incognite di
quella missione?
Se inizialmente aveva avuto dei dubbi sull’effettiva necessità
della presenza di ben due cavalieri d’oro in una missione come quella, ora
poteva affermare con certezza di non voler essere in nessun altro posto: Juliet
doveva uscire indenne da quella situazione, in nome dell’amicizia che lo legava
a loro, lontani e ignari di tutto, al pari di lei.
Finché l’enigma della missione non si fosse risolto, era
necessario fornire a Juliet un’adeguata copertura, e nessuno meglio di un
cavaliere del suo rango avrebbe potuto garantirla.
Per questo motivo si impose di accantonare tutti i pensieri che
potessero annebbiare la sua lucidità, ora più che mai era necessario che mantenesse la sua fredda e spietata capacità
d’azione, nel caso in cui si fosse presentato un potenziale imprevisto. Non aveva
però preventivato che l’imprevisto si sarebbe materializzato così presto nella
camera di fianco.
Sentì distintamente partire un colpo d’arma da fuoco e
altrettanto distintamente percepì un rumore di vetri infranti. In una frazione
di secondo fu di fronte alla porta della stanza affianco, che scaraventò a
terra senza pensarci troppo.
La scena che gli si presentò agli occhi fu quella più
scongiurata: Juliet era a terra, sofferente, una mano a reggersi la spalla
sinistra, da cui scorrevano copiosi rivoli di sangue. Tentava invano di fare
leva sulle gambe per risollevarsi, ma puntualmente scivolava verso il basso,
con la schiena appoggiata al lato del letto.
I vetri della finestra erano completamente infranti, segno
che il bastardo era fuggito da quella parte. Pensò per un attimo di inseguirlo,
ma non poteva rischiare di lasciarla sola senza prima accertarsi delle sue
condizioni, a breve sarebbero giunti anche gli altri, attirati dal rumore dello
sparo, fino ad allora non si sarebbe mosso da li.
Le si avvicinò e, senza dire una parola, tentò con cautela di allontanarle il braccio
dalla spalla, per controllare l’entità della ferita, e lei per reazione si
scostò da lui, soffocando un lamento di dolore, causato dal movimento brusco.
“Non è niente, lasciami stare”
A quell’affermazione la già limitata pazienza di Kanon si
esaurì e la tensione accumulata nel corso di quelle ore esplose
“Sarò io a dire quanto è seria la ferita, che tu lo voglia o
meno. Visto che la tua intraprendente iniziativa ha portato a questi brillanti
risultati, ora mi farai la cortesia di fare quello che ti dico, senza
discutere” disse mentre constatava che la ferita era solo superficiale. Si
aspettava una nuova reazione da parte sua, ma lei rimase immobile, come in trance.
“Quell’idiota è riuscito a sbagliare mira da pochi metri di
distanza, ritieniti fortunata”
Stava per aggiungere un altro rimprovero sulle sue mosse
avventate, quando si accorse delle lacrime che scorrevano sul suo volto. La conosceva da poche ore ma era certo che
Juliet non era una dalla lacrima facile e il dolore di una ferita come quella, per
quanto fastidioso, non era tale da far piangere una della sua tempra. No, ci
doveva essere dell’altro. Un’improvvisa consapevolezza lo colpì e lo fece fremere
di rabbia
“Cosa ti ha fatto quel verme? Se solo ha osato …”
Si bloccò, ricacciando indietro quel pensiero: non c’erano
strappi sul suo abito o lividi sul suo corpo né segni che facessero pensare a una
colluttazione.
No, il motivo delle lacrime non era fisico, doveva essere
per qualcosa che le aveva detto e che lei non aveva evidentemente intenzione di
rivelargli.
Alexander entrò di corsa nella stanza seguito da Walt e Milo
e si tranquillizzò solo dopo che Kanon gli fece un cenno con il capo. Aveva percorso
il lungo corridoio di corsa e ora gli mancava il fiato. Non era ancora in grado
di compiere sforzi, e questa era una di quelle situazioni che lo costringevano a
ricordare di essere ancora convalescente.
Juliet, ignorando tutti gli altri, puntò il suo sguardo
vacuo direttamente su Alexander
“Lui è vivo.”
La voce era talmente trasfigurata da non sembrare nemmeno
sua, quella di un fantasma avrebbe avuto più consistenza.
“Lui chi?” si affrettò a chiedere Walt
Nessuna risposta da parte di Juliet.
“Credo si stia riferendo al russo che le ha sparato ed è
fuggito dalla finestra” Kanon si sentì autorizzato ad intervenire.
“No, io credo di no” si intromise inaspettatamente
Alexander, rivolgendosi subito dopo direttamente a Juliet “Ti ha detto
qualcosa? Qualcosa che possa …”
“Mi ha sparato” disse in un soffio, soffocando un lamento.
Alexander sospirò. La situazione era più grave di quanto
avesse immaginato.
Walt, che per quanto si sforzasse non riusciva a ricostruire
il quadro della situazione, decise di esternare le sue perplessità
“Ma se non è stato il russo, allora chi ti ha sparato?”
Kanon, che non si capacitava di come fosse stato possibile
per lui non accorgersi della presenza di una terza persona nella stanza, si
voltò verso Alexander in attesa di una risposta che, era certo, solo lui
avrebbe potuto fornirgli in maniera esauriente.
“Pensi ci sia
qualcosa che ancora non sappiamo e che invece dovremmo sapere?” si decise a
chiedere Milo posandogli una mano sulla spalla.
Alexander annuì con il capo, senza emettere altro suono. E
decise che il momento della verità, o perlomeno di parte di essa, era giunto
per tutti, Juliet compresa. La guardò con preoccupazione, incerto se lei
l’avrebbe retta fino in fondo.
“Quattro anni fa, nel
corso di una missione a San Pietroburgo, scoprì che Edmond era vivo. Dodici
anni fa non fu accoltellato e gettato nel Tamigi. Fu rapito. Avrebbero dovuto
prendere entrambi, ma si accontentarono di lui che, ferito, rimase indietro.”
Fu così che iniziò il racconto. Il racconto di una storia
che lui conosceva da quattro anni e che non aveva mai condiviso con nessuno: il
secondo più importante segreto della sua vita, con la differenza che il primo
non era più un segreto per molti, visto che l’aveva condiviso con le persone più
fidate. Quindi poteva affermare che fosse l’unico segreto rimastogli. E ora finalmente
sentiva di poterlo rivelare, di poter scaricare il suo peso e distribuirlo su
altre spalle.
Walt sussultò, incredulo “Quattro anni … ma perché …?”
“Non l’ho rivelato prima? Perché nella ragione del suo
rapimento risiede la principale fonte di pericolo per le persone a noi più care”
disse evitando di guardare nella direzione di Juliet: non riusciva nemmeno a
sostenere lo sguardo di Walt, figuriamoci affrontare quello di lei, che era
ancora seduta sul pavimento, immobile come una pietra. Persino le lacrime che
fino a poco prima le rigavano le guance sembravano essersi cristallizzate.
Kanon era basito, si sarebbe aspettato la rivelazione del
segreto che Alexander aveva condiviso con lui poche ore prima, e ora
scopriva che ne esisteva un altro,
altrettanto sconvolgente, che riguardava sempre la famiglia di Juliet e che,
come di consueto, la vedeva totalmente ignara. Certo era che se Alexander
l’aveva tenuta intenzionalmente all’oscuro di vicende di tale importanza,
doveva avere ragioni molto valide.
“Quando ci siamo conosciuti, circa due anni e mezzo fa, tu già
sapevi?” si aspettava questa domanda da parte di Milo.
“Esatto”
“Quindi tutta la missione era un tentativo di recuperare il
tuo amico?”
“Non tutta la missione. L’obiettivo prioritario, allora come
ora, era proteggere Claire e Juliet, che sono i reali bersagli dei loro
attacchi”
“Uscite fuori da questa stanza” la voce era tornata quella
di prima
“Juliet…”
“Taci Alexander, non voglio sentire nemmeno un'altra parola ingannevole
uscire dalla tua bocca bugiarda. Non voglio più vedere il tuo sguardo falso che
finge di provare compassione per me o per tua figlia. Non voglio più ascoltarti
mentre dici di agire per il nostro bene, mentre in realtà lavori per proteggere
gli interessi di qualcun altro.”
“Forse è meglio che qualcuno di noi vada a perquisire la
camera 221, a quest’ora avranno sicuramente lasciato l’albergo, ma potremmo
ancora ricavarne qualche indizio” Walt cercava di negoziare un’uscita di scena
ragionevole e senza strascichi.
“Andatevene tutti”
“Non…” Alexander non era per niente convinto
“Adesso!!!” gridò esasperata Juliet, girando con tanta forza
la testa da provocarsi una scarica di dolore dalla ferita.
Alexander fece per avvicinarsi a lei, quando una mano lo
trattenne saldamente per un braccio, mentre un’altra gli si posava sulla spalla.
Milo e Kanon, evidentemente in sintonia con quanto proposto da Walt, gli fecero
cenno di allontanarsi dalla stanza. Sapeva che avevano ragione, ma non l’ avrebbe
lasciata nuovamente da sola, quindi prima di uscire seguito dagli altri, chiese
a Kanon di restare.
Quando gli altri tre furono sufficientemente lontani, Kanon
si voltò verso di lei, certo di ricevere una nuova sequela di insulti. E pronto
a farvi fronte.
Ma Juliet non fece niente di ciò che si sarebbe aspettato. Lo
ignorò totalmente, mentre con decisione si sollevava da terra, aiutandosi con
il materasso del letto. Quando si rimise in piedi e fu certa di aver riacquistato
il suo equilibrio, si diresse immediatamente in bagno, sollevò il coperchio del
wc e rigettò anche l’anima.
Passarono diversi minuti prima di lasciarsi scivolare a
terra e restare li, di fianco al wc, sfinita.
Kanon, che aveva vigilato discretamente da fuori, si affacciò
alla porta del bagno e la trovo così: sconvolta, tremante e ferita ad una
spalla. Questa era un’immagine di lei che lo avrebbe perseguitato in futuro, ne
era certo.
Senza dire una parola recuperò la cassetta del pronto
soccorso e lei, per la seconda volta in poche ore durante quella giornata, si
lasciò medicare da lui senza protestare.
Nemmeno un’ora più tardi, mentre lei, sdraiata sul divano,
fissava un punto non precisato del soffitto, l’attenzione di Kanon fu richiamata
da Alexander, Milo e Walt, di rientro dalla camera 221. Dai loro volti si
intuiva che chi aveva abbandonato in tutta fretta l’ hotel aveva lasciato poche
tracce di se.
Osservando meglio notò che Milo stringeva in mano un oggetto
scuro, forse l’unico indizio trovato.
“Di che si tratta?” domandò indicandoglielo
“Questo? In effetti è un oggetto un po’ strano, visto che la
delegazione era composta da soli uomini” disse mentre lo sollevava e lo rendeva
visibile a tutti.
Juliet si voltò di scatto nella sua direzione, individuando
fra le sue mani la parrucca nera indossata da Claire quando si erano incrociate
nell’ascensore. Qualcosa si attivò nel suo cervello e scagliò contro di lui parole
pesantissime
“Se hai fatto nuovamente del male a Claire, stavolta ti
uccido con le mie mani”
Il nome di Claire, pronunciato da Juliet, echeggiò nella
stanza rimbombando nelle orecchie di tutti i presenti, le cui sinapsi
cominciavano a stabilire connessioni e consequenzialità tra gli eventi.
Milo strinse più forte la parrucca che teneva in mano, quasi
a temere che da un momento all’altro qualcuno avesse potuto strappargliela. Alexander,
la cui energia sembrava totalmente prosciugata, si lasciò cadere sulla prima
sedia che incontrò
“Dobbiamo andare a San
Pietroburgo”annunciò laconico.
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Capitolo 19 *** capitolo 18 ***
19.Capitolo18
Le giornate
trascorrevano più veloci, i colori erano più accesi, i profumi più intensi e persino il sole sembrava
splendere con maggior vigore in Grecia dal momento in cui aveva rincontrato
Milo.
Durante il ricevimento
nella sede della Fondazione, esaurita la scarica di ormoni e adrenalina che l’aveva
travolta quando l’aveva rivisto, si era irrigidita sentendosi come sotto esame
e avvertendo chiaramente il peso di un giudizio silenzioso che lui da un
momento all’altro sembrava voler emettere.
C’erano stati degli
attimi, durante la loro conversazione, in cui avvertì distintamente una
sensazione di paura, e il meccanismo di allarme si attivò automaticamente,
portandola sulla difensiva, come se di fronte non avesse più lo splendido
ragazzo con cui aveva trascorso a Londra delle giornate indimenticabili, ma uno
sconosciuto di cui diffidare.
Sguardi sospettosi e domande
incalzanti sulla sua carriera di archeologa subacquea e sulle incongruenze con
quanto gli aveva raccontato a Londra circa i suoi studi non le davano tregua e stavano
mettendo in serio pericolo la sua attuale copertura.
Era stata salvata da
Lady Isabel, che, proprio nel momento di maggiore difficoltà, quando anche
arrampicarsi sugli specchi stava diventando impossibile, l’aveva sottratta al suo interrogatorio. Un
salvataggio inatteso e insperato, e proprio per questo ancora più gradito:
quella donna le appariva sempre più simpatica.
Milo rientrò nel suo
campo visivo solo a fine ricevimento, e nel suo atteggiamento non vi erano più
ombre, come se avesse fatto tabula rasa della loro precedente conversazione in
sospeso.
“Allora non penserai
di poterti sottrarre alle tappe obbligate che ogni visitatore deve percorrere
una volta messo piede in terra di Grecia? Ovviamente la guida assegnata non si
discute, è compresa nel pacchetto” disse con finta solennità.
Si, era decisamente
ritornato il Milo che aveva conosciuto a Londra, quello a cui lei non sapeva
resistere.
Fu allora che decise
di concederselo. Decise di ritagliarsi, in mezzo alla incasinatissima missione
di ricerca di suo padre, uno spazio per se. In fondo conoscere qualcuno del
luogo che, essendo un esperto di finanza, aveva contatti con la Fondazione, non
poteva che rappresentare una potenzialità, quindi perché sprecare l’occasione
immaginando minacce inesistenti? Il suo inconscio le suggeriva che quelle erano
solo giustificazioni al suo desiderio di trascorrere ancora del tempo con lui,
ma decise di ignorarlo e per una volta volle agire d’istinto, senza riflettere
troppo sulle conseguenze, proprio come avrebbe agito Juliet in una situazione simile.
Si sarebbero dovuti
rivedere la sera successiva, e lei decise nel corso della mattinata di
abbandonare i suoi colleghi di ricerca per andare a comprarsi un abito da
indossare per l’occasione. In valigia aveva solo abbigliamento da lavoro: o
troppo elegante o troppo stile “tuta mimetica”, una desolazione. Voleva
qualcosa di fresco e di sbarazzino, femminile ma non troppo elegante e
sufficientemente comodo e pratico da poter essere utilizzato in ogni momento
della giornata. Si era innamorata degli
abitini di cotone bianchi e azzurri che aveva visto spesso indosso alle ragazze
greche e che, tra l’altro, si sarebbero intonati al colore dei suoi occhi. Ne aveva adocchiato uno in un pittoresco mercatino
di un borgo appena fuori Atene, durante uno dei suoi giri senza meta in
autobus, al solo scopo di perlustrazione del territorio. Ricordava bene il nome
del borgo: Rodorio, uno dei più caratteristici che aveva incontrato, con le
casette tutte bianche e le imposte di legno turchese, le stradine strette e
tortuose costeggiate da filari di balconi in fiore e il mercato, sempre gremito
di gente, che rappresentava una irrinunciabile attrazione per i turisti.
Quando scese
dall’autobus e si ritrovò a camminare per le strade del villaggio, erano già le
undici passate e dalle finestre aperte delle abitazioni si diffondevano
nell’aria invitanti odori di pesce cucinato in tutte le salse. I ristorantini
iniziavano ad allestire i tavolini all’aperto, esponendo all’esterno i cartelli
con i menù del giorno. A primavera inoltrata il clima era perfetto: né troppo
caldo, né troppo freddo, una piacevole brezza accompagnava le passeggiate e le
soste dei turisti, che si fermavano estasiati a fotografare ogni angolo di quel
paradiso.
“Quasi quasi mi
trasferisco” pensò a voce alta Claire.
“Era proprio quello
che aspettavo di sentirti dire”
Una voce maschile appena
dietro alle sue spalle, seguita da un’inconfondibile risata, la fece voltare di
scatto
“Milo! Che paura!”
esclamò portando una mano al cuore ”Ma ti pare, arrivare in questo modo alle
spalle della gente?”
“Mi spiace, non era
mia intenzione spaventarti” disse serio portando la sua mano a coprire quella
di lei, ancora posata all’altezza del cuore.
“Ecco un altro modo
per farmi morire d’infarto” pensò lei ritraendo la mano imbarazzata.
“Non dirmi che mi
stavi seguendo?” cercò di scherzare
lei per camuffare il rossore che
sicuramente le imporporava le guancie.
“Potrei dire la stessa
cosa di te, visto che io qui ci lavoro.”
“Tu lavori qui??? Ma
come è possibile? Cioè, non fraintendermi, è solo che io avevo immaginato una
location diversa per uno che fa il tuo mestiere … ”
“Interessante, ricordo
le tue idee sullo stereotipo dell’uomo che lavora nel campo della finanza, cosa
dicesti a Londra? Ah si, calvo, occhiali, cervellotico represso e …”
“Mi stai prendendo in
giro?”
“Non mi permetterei
mai, solo cercavo di indovinare il genere di location a cui pensavi in
riferimento al mio mestiere”
“Il genere palazzi di
vetro con poltrone di pelle nera, più o meno nel cuore del quartiere
finanziario di Atene …”
“No, troppo banale … e
deprimente. Quei palazzi li frequento il minimo indispensabile, il resto del
lavoro lo svolgo da qui, quando non sono obbligato da doveri di
rappresentanza.”
“Come quelli che ti
spingono a partecipare ai ricevimenti della Fondazione?”
Tentò di sondare, ma
lo sentì irrigidirsi.
“Certo, anche quelli.
Ma basta con questi argomenti noiosi, parliamo di te, invece, non mi hai ancora
detto perché sei qui.”
“Shopping”
“Qui? Scusa, ma ora
sono io che ti chiedo perché qui e non nelle vie della moda al centro di
Atene?”
“Perché quel genere di
moda non ha la stessa anima del mercatino di Rodorio: qui la frenesia e il
traffico della città lasciano spazio a un genere di vita diverso, sembra quasi un’altra dimensione”
“Già” rispose lui
mentre la osservava intensamente gesticolare e indicare estasiata tutti i
particolari che l’avevano colpita.
“E poi c’è un altro
motivo per cui sono arrivata fin qui. Mi sono innamorata di un abito che ho
adocchiato giorni fa al mercatino”
“Oh, no. Non dirmi che
sono arrivato troppo tardi.”
“Troppo tardi per
cosa?”
“Per prendere il suo
posto nel tuo cuore, ovviamente. Non mi era mai capitato di competere con un
abito, spero almeno che ne valga la pena!”
“Milo! Ma proprio non
riesci a essere serio”gli rispose ridendo
“Non sono mai stato
tanto serio in vita mia, te lo assicuro” e, senza lasciarle il tempo di
rispondere la prese per mano incamminandosi verso il mercato “Andiamo a
conoscere questo mio rivale”.
La sensazione della mano
intrecciata alla sua mentre camminavano in mezzo alla folla era indescrivibile,
e se il calore, che dal braccio si
propagava in tutto il corpo, era un indicatore affidabile, di li a breve
sarebbe andata a fuoco.
Il container in cui era stata rinchiusa si trovava con tutta
probabilità nella stiva di un aereo, sentiva il rumore assordante dei motori
appena accesi, segno che si preparavano al decollo. L’ultima cosa che ricordava
era qualcuno che la colpiva alle spalle mentre lei frugava nei cassetti della
stanza 221 del Park Inn. Poi il buio. Al
risveglio si rese conto di avere le mani e i piedi legati con del nastro
adesivo. Non si erano nemmeno disturbati a recuperare delle corde,
evidentemente erano fuggiti in tutta fretta. Sentiva in bocca il sapore
metallico del sangue, che probabilmente le era colato dalla testa. La tempia pulsava
come se l’avessero appena colpita, oppure era tutto quel rumore a stordirla.
Tutto ciò che desiderava in quel momento era potersi addormentare, nel
tentativo di attutire almeno in parte la sensazione martellante del cervello
che le stava esplodendo nella testa.
Da quando aveva saputo che la parrucca apparteneva a Claire,
Milo si era chiuso in un ostinato mutismo. Continuava a portarsi l’oggetto sul
volto e ad aspirarne il profumo, stringendo tra le dita le ciocche di capelli
“Non è facendo il cane da tartufo che la ritroveremo Milo, e
lo sai anche tu”
Kanon era, per quanto possibile, più insofferente di lui.
Non aveva accolto di buon grado l’intromissione di Pandora e di Julian nelle
decisioni di Alexander, il quale sembrava invece dare troppo peso alle parole
dei due.
“La decisione di partire era stata già presa. Alla velocità
della luce saremmo arrivati a San Pietroburgo già da un pezzo. E invece siamo
qui, ad aspettare – fuori dalla stanza – che la dentro Alexander contratti i
dettagli della missione con chi? Con una che è stata al fianco di Hades per
tutta la sua precedente vita! E con uno che ha attentato alla vita di Athena!”
“Pandora ha espiato le sue colpe quando ha aiutato Phoenix
nel regno degli inferi e Julian, non vorrei urtare la tua sensibilità, ma era
tuo degno compare nel momento in cui ha attaccato Athena, e anche lui,
correggimi se sbaglio, ha espiato le sue colpe andando in soccorso dei
cavalieri durante lo scontro con Hades.”
“Conosco la storia, non ho bisogno di sentirmela ripetere”
“Perdonami Kanon, le mie parole non avevano lo scopo di riaprire
vecchie ferite, ma di rammentarti quanto sia importante accettare il pentimento
altrui, poiché ci sono individui che, come te, sono in grado di rinascere e di
convertirsi al bene, per quanto nel passato le loro azioni potessero essere state rivolte al male”
“Già. Ed è necessario che ci sia qualcuno che riconosca il
pentimento e permetta la conversione. Come tu hai fatto con me …”
“Non io Kanon, ma Athena in persona l’ha riconosciuto in te,
come ora lo riconosce in loro. E noi dobbiamo fidarci delle sue
decisioni.”
“Infatti mi fido di Athena, è di loro che non mi fido.”
Milo alzò gli occhi
al cielo
“Sempre guardingo e diffidente … Vorrei poter scagliare le
mie cuspidi scarlatte contro di loro per rendere più autentica la conversione,
ma non sono certo sia una buona idea, visto che al momento abbiamo bisogno di forze
fresche per affrontare un nuovo nemico”
“Fare dello spirito in un momento simile è proprio da te. Posso
dichiarare, avendone ora la certezza assoluta, che tu sia tornato ad essere il
cavaliere di un tempo”
“Ne dubitavi, forse?” rispose Milo con un sorriso beffardo.
Ma dietro quel sorriso, il suo animo era in tormento e fremeva impaziente di
trovare una soluzione al rapimento di Claire. Non si era mai sentito così
impotente.
“Entra pure Cavaliere,
e accomodati”
“Lady Isabel” Milo
fece un breve inchino e si diresse verso la poltrona da lei indicata.
“Perdonami per averti
convocato qui a palazzo con così poco preavviso, distogliendoti dalla custodia
del tuo Tempio, per una ragione così poco istituzionale … ma è giunto il
momento che tu conosca una persona e questo incontro necessita di molta riservatezza”
Un rumore di passi
proveniente dalle stanza private li fece voltare entrambi
“Mi scuso per il
ritardo, ho dovuto fare un giro più lungo del previsto, ma la prudenza non è
mai troppa di questi tempi”
Si avvicinò a Lady Isabel
e, con un livello di confidenza sorprendente, la salutò con un abbraccio quasi
paterno, sfiorandole il capo con una lieve carezza
“A volte dimentico che
ora sei una Dea alla guida di un popolo, e che la bambina indifesa di un tempo
non esiste più”
“Io invece ricordo benissimo
ciascuno dei momenti trascorsi con voi. I compleanni, le feste e le ricorrenze della
mia infanzia sono state scandite dalla vostra costante e rassicurante presenza:
tu, il nonno ed Edmond eravate i pilastri della mia vita. Avrei solo preferito conoscere
prima i dettagli sulla vostra identità, poiché alcune delle persone a me più care,
che avrebbero avuto più diritto di me a godere della vostra presenza, ne
avrebbero tratto conforto nei momenti di difficoltà”
“Sai che fu scelta
sofferta la nostra, e sono pronto a pagarne le conseguenze, oggi come allora. Sono
qui anche per questo. Ma ora desidero fare la conoscenza del custode dell’Ottava
Casa”
Milo dal canto suo non
avrebbe avuto bisogno di presentazioni, appena lo vide seppe che si trattava di
lui
“Milo, ti presento
Alexander. Ti ho già ampiamente parlato di lui prima della tua partenza per
Londra”
Milo aveva immaginato
Alexander molte volte in quei mesi, ma mai avrebbe pensato che la somiglianza
potesse essere così evidente. Ne fu talmente colpito che esitò prima di porgergli
la mano.
Ma Alexander fu più
svelto, e aveva ben altre intenzioni che stringere semplicemente la sua mano:
gli posò le mani sulle spalle e lo abbracciò calorosamente. Un abbraccio
sincero, forte e spontaneo.
“Onore al Cavaliere
che ha salvato la vita di mio figlio … e che sta proteggendo la vita di mia
figlia”
“Vi lascio soli, di
qualsiasi cosa abbiate bisogno, sarò nelle mie stanze” Lady Isabel, con
generosa discrezione, si allontanò.
Erano insieme da
appena un’ora e tra loro si era instaurata una sorta di affinità elettiva.
“Quando pensi di
rivelare a Cristal della tua esistenza?”
“Ti preoccupa il peso
di condividere e mantenere un segreto così grande, Cavaliere? Pensi di non riuscire
d’ora in poi a reggere il suo sguardo e mentirgli?”
“Non è questo è solo
che … “
“No, non devi
giustificarti, tutto ciò ti fa onore. Sei suo amico, sei quanto di più vicino
ad un maestro gli sia rimasto e, anche se forse non te ne rendi conto, sei
quanto di più vicino ad un padre lui abbia mai avuto.”
“No, quello era Camus,
io non … al massimo posso essere un fratello maggiore.”
“Mi sta bene, fratello
sia. E non temere, presto la verità gli sarà rivelata, saprà di me e … saprà di
Claire”
Al sentirlo
pronunciare quel nome il cuore di Milo ebbe un sussulto. Kanon gli aveva
riferito di averla prima tirata fuori dall’acqua e poi lasciata sulla spiaggia
e di averla riconosciuta solo dopo averla vista senza l’attrezzatura da sub. Lui
era assolutamente sicuro si trattasse di lei. E infatti la Fondazione aveva
ricevuto e accolto la sua domanda di iscrizione ad un progetto di ricerca, dove
lei partecipava chiaramente sotto copertura, ma sempre con lo stesso obiettivo
in mente: rintracciare suo padre, scomparso da mesi.
“Lei cerca di
rintracciarti da quando era a Londra”
“Lo so, e so che sta
seguendo le mie tracce in Grecia, ora. La conosco abbastanza bene da sapere che
non si fermerà. Ma non deve trovarmi, non ancora. Deve stare il più possibile
lontano da me fino a quando non avrò trovato la soluzione per arginare il
pericolo, se la individuassero mentre mi cerca, se la collegassero a me,
diverrebbe lei il bersaglio prioritario”
“Non sarà facile
distoglierla dall’intento”
“Confido nelle tue capacità.
Così ti chiedo nuovamente di mentire per me, ne sono consapevole. Ma è una
situazione temporanea e al momento è l’unica via per salvarle la vita.”
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Capitolo 20 *** capitolo 19 ***
20.Capitolo19
L’unica luce all’interno della stanza proveniva dalla
piccola abat-jour sulla scrivania. Dall’altro lato del tavolo lo screensaver
del computer diffondeva un tenue bagliore violaceo, che rendeva l’atmosfera quasi
innaturale, ma nessuno dei presenti sembrava accorgersi della scarsità di
illuminazione. Nonostante fosse ormai notte inoltrata, la riunione era ancora in
pieno svolgimento
“Come è possibile che in più di vent’anni non abbiate mai
testato le loro capacità? Ma non vi rendete conto dei rischi che corrono ora, a
causa della vostra mancanza?” la voce era salita di una tonalità.
“Lady Pandora, sono certo che se non lo hanno fatto avranno
avuto le loro ragioni” intervenne pacatamente Julian Solo.
“Pandora ha ragione, abbiamo fatto le cose a metà e ora rischiamo
di pagarne le conseguenze” per quanto si sforzasse di concentrarsi sul
presente, Alexander non riusciva a darsi pace per non aver agito come avrebbe
dovuto in passato, o almeno per non averlo fatto fino in fondo, seguendo gli
avvertimenti di Alman di Thule.
“Non ci saranno conseguenze, se ragioniamo sulle soluzioni.
E forse, il test di cui parlate, è stato fatto.”
“Purtroppo no. Non solo non sono state messe alla prova, ma
sono entrambe ignare di tutto”
“Penso di avere avuto un assaggio delle capacità di Juliet
proprio questa mattina, poco prima che ci ritrovassimo al vecchio teatro” lo
interruppe Julian
“Questa mattina, ma come …”
“Al locale in cui avevamo appuntamento con Radamantis. C’era
Sirya con me, ed entrambi abbiamo pensato che lei fosse l’emissario inviato per
contattarci.”
“Ebbene?” lo incalzò Pandora
“Sirya ammaliava tutti i presenti con la sua musica. Tutti
tranne una, che ci osservava completamente immune alla melodia del suo flauto,
e che, con nonchalance, prima di andare via ha espresso gradimento per lo
spettacolo!”
“Questa è la prima notizia confortante che ricevo dopo ore
…”
“E questa a vostro giudizio sarebbe una prova determinante?
Voi sottovalutate il pericolo, signori, perché per quanto possa essere potente quel
generale degli abissi, non potete pensare di paragonare la melodia di un
piffero - poiché di questo si tratta - al potere di una dea.”
“Se solo avessimo la certezza che vi sia Persefone dietro
tutta questa storia …” Alexander espresse un pensiero a mezza voce.
“Stolti!” esclamò Pandora “Se abbassate la guardia ora
vanificherete gli sforzi che avete fatto più di vent’anni fa per sottrarle al
suo controllo. Dimenticate quello che è successo a me? O ad Andromeda? Il modo
in cui Hades, servendosi di Hypnos e Thanatos, ha infettato le nostre menti, si
è insinuato nei nostri corpi, e si è appropriato, tentando di distruggerle, delle
nostre anime? Nessuna barriera sarà abbastanza efficace quando Persefone verrà
messa in condizioni di agire.”
Pandora si avvicinò ad Alexander e proseguì rivolgendosi
direttamente a lui
“Avevate solo un vantaggio nei suoi confronti, una
possibilità che a me non fu concessa: sapevate che prima o poi sarebbe successo
e avevate il dovere di impedirlo con ogni mezzo”
“Pensi forse che non lo abbiamo fatto?” Alexander si alzò e
si avvicinò nervosamente alla finestra “Per quale causa pensi sia morta la
donna che amavo? E quella che amava Edmond? Entrambe si sono sacrificate per
garantire l’immunità alle loro figlie. Credi forse che non fossero consapevoli
che la mutazione genetica dei feti avrebbe accelerato il meccanismo autoimmune
che le avrebbe uccise? Sono morte entrambe appena due anni dopo aver dato alla
luce le loro bambine”
Né Pandora né Julian interferirono in quello sfogo.
“Anni e anni di ricerca scientifica, i laboratori
dell’Agenzia più potente della terra sono stati a lungo dedicati solo a questo.
Avete idea di cosa significhi? Abbiamo creato due esseri potenzialmente immuni
da qualsiasi condizionamento, in grado di far fronte a poteri che metterebbero
in difficoltà un cavaliere del più alto rango, e senza bisogno di
addestramento, armatura, cosmo, settimo od ottavo senso che sia! Vi sembra
niente questo? Nessuno dei vostri eserciti possedeva al suo interno tali
potenzialità. Come nessuno dei cavalieri di Athena. L’invulnerabilità della
psiche ai condizionamenti oscuri, questo era l’obiettivo, ed è stato raggiunto.
Che sia una bambina ingenua o un cavaliere esperto, nessun essere umano dovrà più
diventare il burattino di un dio megalomane con mire di distruzione
dell’umanità!”
Alexander tornò a sedersi, affaticato dalla foga messa nel
parlare
“Abbiamo perso tutto per salvarle dalla contaminazione del
potere oscuro e con la sconfitta di Hades ci siamo erroneamente illusi di avere
schivato il pericolo.”
Un atterraggio non propriamente morbido fece rotolare il suo
corpo da una parte all’altra del container, provocandole un brusco risveglio.
Qualunque fosse la destinazione, era chiaro che quello era l’arrivo. Avrebbe
desiderato perdere nuovamente i sensi, e non per paura o per lenire il dolore
della ferita, ma per rivivere anche solo per pochi istanti il sogno che stava
facendo e che il risveglio aveva interrotto. Nei due anni precedenti non
l’aveva mai sognato. O meglio, non aveva mai fatto un sogno che lo riguardasse
e che potesse non definirsi incubo. Per la prima volta il suo volto non aveva perseguitato
il suo sonno, non c’era traccia di severità o freddezza nel suo sguardo e la
sua mano non era sul punto di scagliarle una cuspide. La sua presenza stavolta
sembrava volerla rassicurare, era li per garantirle protezione, per sussurrarle
che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Fu un sogno che le riportò alla
mente i periodi felici e spensierati trascorsi insieme, quando lei, ignara di
tutto, si era legata indissolubilmente a lui.
“Grazie, ma non
avresti dovuto” gli disse mentre osservava estasiata l’abito appena indossato
”E io forse non avrei dovuto indossarlo subito, come fanno le bambine che non
sanno aspettare di arrivare a casa per scartare i pacchi”
“Sciocchezze, dovevamo
entrambi” le sorrise lui “Io non avrei potuto non regalartelo una volta visto
come ti stava e tu hai dovuto tenerlo indosso per contraccambiare il regalo”
“Ma così il mio non è
un vero regalo!”
“Certo che lo è, e
lasciati dire che è proprio un bel vedere” le disse mentre con due dita le
sistemava una spallina che le era scivolata.
Il punto della scapola che entrò in contatto
con le sue dita le trasmise brividi fino alla punta dei piedi.
Lui, perfettamente
consapevole delle sensazioni che le provocava il suo tocco ed evidentemente non
pago del risultato, le passò un braccio intorno ai fianchi e l’attirò a se,
continuando a camminare tra le bancarelle del mercatino.
Claire sembrava non
accorgersi della folla che li circondava, era conscia solo della sua presenza
al suo fianco e non riusciva a pensare ad altro che non fossero le sue braccia
che la stringevano e le sue gambe muscolose che sfioravano le sue ad ogni
passo. Lui indossava un paio di semplicissimi jeans e una maglia di lino
bianca, con il collo a V, ma sembrava un modello appena uscito da un servizio
per una rivista. Era intenta ad immaginare quello che c’era sotto la maglia,
quando una voce di donna attirò la sua attenzione
“Milo, anche tu qui?”
Una bellissima ragazza
dai capelli ramati, con due dolcissimi occhi castani, si era fermata proprio di
fronte a loro e li osservava con sincera curiosità.
“Castalia? Quasi non
ti avevo riconosciuta senza …”
“Si, oggi è una
giornata dedicata … allo svago. Mi sembra che anche tu abbia avuto la stessa
idea, o sbaglio?” chiese indicando Claire con lo sguardo.
Dopo un primo momento
di allarme, Claire ebbe la sensazione che non ci fosse nessun doppio fine in
quella domanda, nessuna ironia celata, non c’era concupiscenza, desiderio o
brama di conquista nel suo atteggiamento, semplicemente un sincero interesse
verso un amico. Amico che però continuava a rimanere impalato e non si decideva
a presentarle
“Molto piacere, io
sono Claire” si affrettò a porgerle la mano, visto che lui non si era mosso.
“Piacere di
conoscerti” la stretta della sua mano era sincera come il suo sguardo.
“Sei qui da sola o c’è
anche Ioria?” finalmente Milo sembrò risvegliarsi
“No, Ioria è ancora
fuori Atene, rientrerà tra pochi giorni. In proposito …” sembrò esitare un
attimo ” … avrei bisogno di scambiare due parole con te ”
Claire si affrettò a
divincolarsi dal braccio di Milo, ancora ancorato al suo fianco, e a trovare
una scusa per allontanarsi un po’ e lasciarli soli
“Credo che andrò a
comprarmi qualcosa da mangiare, mi è proprio venuta fame. Ci rivediamo qui tra
cinque minuti.”
Appena si fu
allontanata, Castalia sorrise a Milo
“Una ragazza molto
bella. Non sapevo ti vedessi con qualcuna. Lei sa …?”
“No. Lei non sa. Pensa
che io sia … quello che non sono. E’ una lunga storia e non mi è concesso
parlarne.”
“Vuoi dire che la
vostra frequentazione è legata a questioni di … lavoro?”
“In un certo senso,
si. Ho il compito di proteggerla.”
“Oh. E’ che mi siete
sembrati così … intimi … Scusa, non sono affari miei. L’importante è che tu non
abbia il compito di farle qualcosa di … si insomma, è solo una ragazza, non è un cavaliere …”
“Sta tranquilla
Castalia, non ho il compito e tantomeno l’ intenzione di farle del male. Ma
dimmi, di cosa volevi parlarmi?”
“Ecco, vedi, avrei
confidato i miei dubbi a Ioria, ma lui è ancora fuori e io …”
“Castalia, puoi
parlare tranquillamente con me, ti ascolto”
“Torno ora dal centro
di riabilitazione”
“E’ successo qualcosa
a Pegasus?” Milo si mise in allarme
“No,non si tratta di
lui, ma di Patricia. Siamo andate a trovare Pegasus al centro di riabilitazione.
Sai, in poche settimane ha fatto passi
da gigante, adesso può nuovamente saltare e correre, non ti dico la fatica per
contenere la sua energia ritrovata! I medici stanno impazzendo, e Tisifone
anche …”
“Già immagino” sorrise
Milo
Pegasus era l’unico
cavaliere che si era portato appresso seri strascichi dal regno degli inferi, e
dopo mesi di cure e riabilitazione nel centro medico più all’avanguardia della Fondazione,
ora sembrava essersi completamente ripreso.
“Mentre tornavamo a
Rodorio, Patricia mi ha fatto delle confidenze. Credo che abbia in parte
riacquistato la memoria, ma quello che ha ricordato è qualcosa che l’ha
terrorizzata”
“Ti ha detto di che si
tratta?”
“No, non vuole parlare
dei dettagli, continua a dire che la perseguiteranno per sempre, ma non capisco
a chi si riferisca. Si è convinta che qualcuno la stia seguendo per farle del
male e non si sente al sicuro nemmeno al Grande Tempio”
“Hai già parlato di
questo con Lady Isabel?”
“Non ancora, pensi che
sia il caso di allarmarla? Proprio ora che, dopo tante battaglie, potrebbe
finalmente godersi un periodo di pace?”
“Non farti ingannare
dalle apparenze Castalia, forse il periodo che stiamo vivendo non è pacifico
come sembra”
La bancarella dei
dolci era la sua preferita. Optò per un dolce con yogurt, miele e pinoli, una
specialità del luogo. Con la coda dell’occhio osservava la conversazione di
Milo e della sua amica e, scorgendoli ancora intenti a parlare, decise di fare
un giro tra le bancarelle dell’ artigianato etnico. Osservava distrattamente i
gioielli d’argento e pietre locali, quando fu attirata dai discorsi concitati
di due uomini, vestiti come se arrivassero da un altro periodo storico.
“Dobbiamo avvertire
immediatamente qualcuno”
“Forse siamo
fortunati” rispose l’altro indicando un punto della piazza “Laggiù ci sono la
sacerdotessa e il venerabile Milo, possiamo chiedere aiuto a loro”
Si diressero di corsa
nel punto in cui Milo e Castalia stavano parlando, lasciando Claire piuttosto
perplessa. Non era certa di avere capito bene il senso compiuto del loro
discorso, ma certamente avevano pronunciato la parola “venerabile” associata al
nome di Milo e avevano definito l’amica “sacerdotessa”. Tutto poteva pensare di
quella ragazza, ma non che potesse essere una suora e Milo, beh, non aveva per niente
le sembianze di un prete o un religioso. Ma allora perché “venerabile”? E perché
mai quei due erano agghindati come le comparse di un film in costume?
“Non permetterò che venga messa alla prova da suo fratello” la
risposta di Alexander fu secca e perentoria.
“Suo fratello non sa di esserlo, sarebbe sufficiente non
informarlo. Non lo avete fatto in vent’anni e non vedo perché tante difficoltà a
tenerlo nascosto ora.” Pandora era visibilmente spazientita.
“Prima o poi conosceranno la verità e non voglio che il loro
rapporto venga compromesso da un episodio tanto grave. Quindi la risposta è no.”
“Il fantasma diabolico di Phoenix è l’unico colpo che possa
mettere alla prova la reale efficacia della mutazione genetica. Testando Juliet
avremo la certezza che anche tua figlia è immune e che in questo momento,
dovunque l’abbiano portata, non può essere condizionata.”
“La certezza dici? No, non esiste la certezza. Io ed Edmond ci
siamo sottoposti a un trattamento simile, eppure hai visto cosa è successo
stasera? Ha sparato a sua figlia. La sua mente è sotto il loro controllo e lo è
stata per tutto questo tempo. Le speranze che ho nutrito in questi quattro anni
si sono sgretolate stasera, non potrò mai riavere indietro lo stesso amico che
conoscevo”
“Un motivo in più per evitare che il disastro si ripeta” fu Julian
a intervenire “Inoltre, se posso aggiungere qualcosa a quanto già detto da
Lady Pandora, Phoenix non è l’unico cavaliere che possa scagliare un colpo in grado
di manipolare la mente. L’illusione diabolica e il demone dell’oscurità sono
tecniche altrettanto efficaci e dei due cavalieri che ho conosciuto in grado di
utilizzarle, uno è proprio qui, fuori da questa porta”.
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Capitolo 21 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
Capitolo 20
“Mi state chiedendo di lanciare il mio colpo più insidioso
contro una ragazza inerme? Parlate dello stesso colpo con cui ho sconfitto
cavalieri dotati di cosmo e poteri pari ai miei?”
Kanon, che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, interruppe
Alexander, commentando con incredulità il responso decisionale della riunione. Responso
che gli era appena stato comunicato, almeno per le parti che lo riguardavano
direttamente, in maniera piuttosto sbrigativa, senza perdere tempo a fornirgli
quelle che evidentemente erano state considerate inutili giustificazioni.
Ma fino a che punto lo credevano privo di scrupoli? Possibile
che ancora pensassero che lui fosse capace di agire come un Radamantis qualunque?
Milo, presente anche lui, sentì subito il dovere di
intervenire “Alexander, proprio tu dovresti sapere che, qualunque ne sia
l’esito, gli effetti collaterali di un’azione come questa implicano conseguenze
imprevedibili.”
Ma nessuno dei presenti avrebbe saputo dire se si stesse
riferendo alle future azioni di Kanon o alle proprie passate gesta.
“Non è stata di Alexander l’idea” puntualizzò Julian Solo.
“Ah ecco. Ora capisco. Mi conforta sapere che sia stata
accolta la saggia proposta di colui che potrebbe covare più di un motivo di
risentimento nei miei confronti” Kanon non riuscì a trattenere il sarcasmo.
“Ti sbagli Cavaliere. Se mi sono permesso di fare il tuo
nome in una situazione tanto delicata è perché ho piena fiducia in te. E non ci
sono secondi fini nelle mie intenzioni.” Non c’era nessun sarcasmo nelle parole
di Julian Solo.
“In prima battuta avevamo pensato a suo fratello, Phoenix.
Ma Alexander si è opposto a quest’ipotesi. E non abbiamo molto tempo per
trovare soluzioni alternative. Quindi è bene che tu esegua l’ordine che ti è
stato impartito, Cavaliere, perché si da il caso che sia l’unica via per scongiurare
le gravi conseguenze di un improvviso risveglio di Persefone.” aggiunse
Pandora.
La tolleranza di Kanon era ridotta ai minimi termini. Il
fatto di dover sottostare a ordini imposti da altri che non fossero Athena
iniziava a rivelarsi troppo pesante da sopportare perfino per le sue spalle larghe
e possenti.
Quella stanza d’albergo poi, per quanto lussuosa, non era
certo l’ambiente decisionale più appropriato. Tutto sapeva di improvvisazione. Lui
era abituato a ben altri protocolli: per le decisioni importanti occorreva
indire un Chrysos Synagein. E in quel caso si, che lui avrebbe almeno avuto
voce in capitolo. Qui no. Tutti i presenti si aspettavano che lui eseguisse disposizioni
assunte da altri, fingendo che la vile azione che gli veniva richiesta fosse
annoverabile tra i sacri doveri di un cavaliere del suo rango. E non gli era
nemmeno concesso avere rimorsi di coscienza.
A questo punto si sarebbe aspettato un intervento più
infervorato in suo supporto da parte di Milo, che invece non sembrava più in
grado di entrare nella conversazione, nemmeno per esprimere un timido parere. Si
girò per tentare di intercettarne lo sguardo, sperando di non leggervi solo muta
e accondiscendente approvazione. Ma con estremo disappunto constatò che Milo si
era addirittura allontanato e se ne stava in disparte, quasi a volersi tirar
fuori da quella discussione.
Vedere Milo impalato in un angolo della stanza con il volto
abbassato a fissare quell’ammasso di capelli finti che continuava a rigirare
tra le mani, non fece che innalzare a livelli esorbitanti il suo nervosismo,
tanto da fargli venire voglia di incenerire all’istante quella maledetta
parrucca nera.
La Grecia aveva
assunto altre forme, altre fragranze e altri colori da quando era arrivata
Claire. Forme, fragranze e colori finora sconosciuti, nonostante lui, in
Grecia, ci fosse nato e cresciuto e fosse per questo convinto di essere in
grado di riconoscerne ogni sfumatura, ogni aspetto, ogni caratteristica, nonché
di percepirne la sua essenza più profonda, quella che si può ritrovare solo nei
luoghi prediletti dell’anima.
Ma l’anima era divenuta
mutevole e, come sospinta dal vento, vagava fremente alla ricerca di colei che
pareva in grado, con la sua sola presenza, di modificare le fattezze di una
terra antichissima.
Trascorse buona parte
del mese di agosto in un’irreale e sublime condizione di totale dipendenza. Le
sue giornate dipendevano da lei. Dall’ora in cui l’avrebbe incontrata al
mattino, al momento in cui l’avrebbe salutata alla sera.
Il senso di colpa
tenuto a bada, in modo da non rovinare la perfezione di quei momenti trascorsi
insieme. Solo quando non aveva il suo volto davanti agli occhi, la verità
tornava prepotentemente a galla, con tutte le sue spiacevoli implicazioni. “…. so che sta seguendo le mie tracce in Grecia,
ora. La conosco abbastanza bene da sapere che non si fermerà. Ma non deve
trovarmi, non ancora. Deve stare il più possibile lontano da me fino a quando
non avrò trovato la soluzione per arginare il pericolo, se la individuassero
mentre mi cerca, se la collegassero a me, diverrebbe lei il bersaglio
prioritario.” Alexander era stato molto chiaro: la menzogna come unico
strumento di salvezza. Mentire, ingannare, soggiogare, fuorviare e, se
necessario, sedurre, illudere, incantare. Fingere di essere qualcuno che non si
è al solo scopo di manovrare le reazioni e le decisioni dell’altro.
Ma Milo non riusciva a
trovare verbi idonei a descrivere ciò che stava facendo. Perché di una cosa era
certo. Era consapevole, e poteva affermarlo senza ragionevole ombra di dubbio,
che la menzogna aveva da tempo ceduto il passo a qualcos’altro. Qualcosa che
ogni giorno entrava in circolo e si amalgamava e si rimescolava annaspando tra
le tortuose e impervie vie aggrappate tra realtà e finzione. Non riuscendo più
a capire dove finisse l’una e quando iniziasse l’altra.
Quella mattina, dopo
aver fatto colazione a base di yogurt, frutta fresca e caffè in un bar del
centro di Atene, decise di accompagnarla alla penisola di Lemòs, nella speranza
che il forte vento che sferzava le coste da due giorni non avesse reso
impraticabile il mare in quel lembo di terra a sud della città. Speranza che ovviamente
si rivelò vana. La schiuma delle onde era visibile in lontananza e i fondali
irregolari formavano pericolosi vortici d’acqua in più punti. I pochi
stabilimenti balneari presenti avevano issato le bandiere rosse, ad indicare il
divieto di balneazione. In acqua non si vedevano nemmeno i surfisti, poiché quello
era un tratto di costa ricco di rocce a pelo d’acqua, nascoste alla vista dalle
onde e per questo ancora più insidiose.
“Mi sa che oggi ci
dovremo accontentare di una passeggiata e di un bagno di sole” le disse indicando
le bandiere rosse sferzate dal vento.
“Mhhh …” rispose
pensierosa lei “E tu segui sempre diligentemente tutte le regole, giusto Milo?”
più che una domanda sembrava un’affermazione. Che gli provocò comunque una
sensazione di disagio. Disagio che si trasformò in qualcos’altro quando lei si sfilò
improvvisamente l’abito prendisole e rimase in costume, lì ferma in piedi di
fronte a lui.
“Non mi dirai che è vietato
anche togliersi i vestiti” lo provocò lei, con una naturalezza che lui le
invidiava e con la quale riusciva sempre a smuovergli qualcosa dentro lo
stomaco.
“E dici che sarà
concesso bagnarsi i piedi, o occorre chiedere prima il permesso a qualcuno?” continuava
a scherzare in maniera provocatoria. Era mooolto seducente. Il bikini che
indossava era dello stesso colore azzurro cielo dei suoi occhi. La pelle
leggermente ambrata, merito delle giornate di sole passate in sua compagnia, i
capelli biondi scompigliati dal vento e un sorriso che non lasciava scampo. Aveva
iniziato a correre in direzione del mare e si muoveva con tale grazia che Milo
si chiese se in realtà non stesse danzando.
Si liberò in fretta
dei vestiti, rimanendo in costume, e la raggiunse, cingendole la vita da dietro,
quasi a volerla trattenere per evitare che lei si spingesse troppo oltre tra le
onde.
“Hai paura che prenda
il largo? Guarda che, male che vada, vista la direzione del vento, le onde mi
riporterebbero a riva” oggi era decisamente di buonumore.
“Preferisco avere
tutto sotto controllo, nel caso in cui il vento decidesse improvvisamente di
cambiare direzione” le rispose lui, avvicinando le labbra al suo orecchio.
La sentì rabbrividire
e questo gli provocò un notevole compiacimento. Poi successe tutto molto
velocemente, lei si voltò e all'improvviso al posto del suo orecchio c’erano le
sue labbra, semidischiuse. Milo, dapprima stupito, colse immediatamente l’attimo.
Fu un bacio lungo, profondo, carico di passione, che li lasciò entrambi
ansimanti e senza fiato. Fu allora, nel momento di massima vulnerabilità, in
cui il suo corpo era impegnato a governare le miriadi di piacevoli sensazioni
scatenate da quel bacio, che lei decise, con un movimento secco, di sgusciare
via dalle sue braccia per tuffarsi nelle onde.
“Claire” tuonò lui,
colto alla sprovvista. La vide nuotare verso il largo e giocare a schivare e
saltare le onde, ridendo come una bambina, fingendo di non sentire i suoi
richiami.
Ah, gli era già
successo una volta, che uno dei suoi allievi non rientrasse ai suoi richiami,
durante una seduta post allenamento in acqua. Anche allora il mare era in
burrasca e quel ragazzino testardo rischiò di annegare. Solo l’intervento
provvidenziale di Kanon aveva evitato il peggio, quella volta. E, per fare in
modo che l’episodio non si ripetesse più, Milo si era assicurato di amministrargli
una giusta, severa e dolorosa punizione. Perché impartire la disciplina era un
suo preciso dovere, e in questo Milo era senz’altro un maestro.
Ma qui non si trattava
di uno dei suoi scalmanati allievi, qui si trattava di lei, e risolvere la
questione facendo si che non avesse potuto sedersi per una settimana intera era
decisamente inopportuno, per quanto la tentazione di farlo in quel momento
fosse davvero molto alta.
Tra l’altro non
sembrava particolarmente in difficoltà tra le onde. Anzi, si destreggiava più
che bene. Quindi le sue preoccupazioni erano infondate. Milo sapeva in cuor suo
che non era la consapevolezza del pericolo che lei stava correndo in quel
momento a far montare la sua rabbia, ma il modo in cui l’aveva gabbato. Aveva dapprima
abbassato le sue barriere e aveva poi approfittato dell’attimo in cui l’aveva
reso più vulnerabile per agire in maniera sconsiderata.
Tutto l’opposto di
quello che sarebbe dovuto accadere durante la sua missione.
Accidenti, il gioco
della seduzione gli era sfuggito di mano. Perché se a quel punto lui si sentiva
il sedotto, e non propriamente il seduttore, si chiese come avrebbe fatto a
portare avanti la sua missione senza rischiare di perdere se stesso.
La porta della stanza si spalancò improvvisamente, lasciando
i presenti basiti. Nessuno aveva bussato, nessuno aveva chiesto permesso, nessuno
aveva atteso l’autorizzazione a parlare. Juliet trovava superflue tutte e tre
le cose.
“Ho chiesto a Lucas di organizzare il mio trasferimento a
San Pietroburgo. Vado a recuperare Claire” sentenziò glaciale.
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Capitolo 22 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
Capitolo 21
La ferita sulla tempia, appena sopra l’occhio sinistro,
pulsava dolorosamente. Sentiva il sangue che colava caldo sul volto e le rigava
lo zigomo, dandole una piccola sensazione di calore sulla pelle gelata. A
giudicare dalla temperatura, dovevano essere diretti a nord.
Era completamente al buio, ancora legata e intrappolata dentro un container,
che al momento veniva trasportato su un mezzo gommato. Lo avevano scaricato dall’aereo
in maniera brusca, ma in totale silenzio. Si era sforzata di tenere in allerta
tutti i sensi per poter percepire anche il minimo indizio utile a capire dove
la stessero trasportando, ma l’unica cosa che riuscì a intuire fu che la strada
era piena di buche. Sul chi e sul perché non si fece domande. Non ancora.
Quello che sapeva era che doveva mantenere la lucidità per
uscire viva da quella situazione, ma al momento il suo corpo e la sua mente non
rispondevano così prontamente come avrebbe voluto.
Aveva perso i sensi e si era risvegliata così tante volte
che aveva dubbi sulle residue capacità del suo cervello di discernere ciò che
aveva sognato da ciò che aveva realmente vissuto.
Per la prima volta dopo 2 anni ripensò a suo padre e le
venne da piangere. La verità è che non aveva ancora elaborato il distacco. Da
quando Walt le aveva comunicato la notizia del coma irreversibile, aveva chiuso
e congelato nel più profondo del suo animo il cassetto con i sentimenti che un
tempo l’avevano legata a lui. E aveva buttato la chiave. E non poteva certo
permettersi di riaprire quel cassetto ora, in un luogo e in un momento in cui
non le era concessa alcuna fragilità.
Né le temperature miti
dell’autunno greco, né la fresca brezza marina, né il profumo dei limoni che si
sprigionava dagli alberi ombrosi dei giardini quel giorno riuscivano a mitigare
il suo stato d’animo e a dissolvere la collera che le ribolliva dentro.
Aveva passato 4 mesi a
cercarlo in ogni angolo d’Europa, solo per fare l’amara scoperta di essere
figlia di un bugiardo patologico. Che era riuscito a mentire a sua figlia con
la stessa facilità con cui fingeva, sotto copertura, nel suo lavoro.
Si era presentato,
vestito dei suoi abiti migliori, per mettere in scena l’ultimo atto di un piano
concepito addirittura prima della sua nascita.
E lo aveva fatto
recitando fino in fondo il ruolo di padre, nonché l’unico, a suo dire, che
aveva interpretato fino ad ora.
Alexander che, in
qualità di padre, affermava di avere sempre agito solo per garantire la sua
protezione, e Claire che, in qualità di figlia, doveva semplicemente accettare
di essere protetta, e perché no, magari ringraziare.
Ringraziare per tutto ciò
che le era stato deliberatamente nascosto in 22 anni e che lei avrebbe avuto il
diritto di conoscere fin dalla nascita.
Un f-r-a-t-e-l-l-o.
Lei aveva un fratello di cui fino a quel momento ignorava l’esistenza. Nato da
una relazione precedente, con una donna che non era sua madre. Un fratello che,
coincidenza delle coincidenze, al momento lavorava nella sede di Atene della
Fondazione, la stessa che lei aveva trovato seguendo le tracce lasciate da suo
padre.
Non era sicura di avere ascoltato attentamente tutti i passaggi del
racconto di suo padre. Nel tempo che era riuscita a sopportare di stare nella
stessa stanza con lui, si era limitata a registrare i dettagli che le si erano
incollati nella mente, lasciando poco spazio a tutto il resto.
Ma la sua pazienza, già al limite dell’umana sopportazione, traboccò
definitivamente quando suo padre, sorvolando con irritante leggerezza sulle
rivelazioni personali e familiari appena fatte, che avrebbero modificato per
sempre la sua esistenza in quanto figlia, la riportò ai suoi doveri di
operativa. Dismettendo improvvisamente il ruolo di padre e vestendo con abile
convenienza quello di suo superiore.
Superiore a cui, si premurò di ricordarle, lei doveva cieca obbedienza.
Il comunicato del giorno, riportato con grande solerzia da suo padre,
era infatti che l’Agenzia aveva attivato il Protocollo A, previsto per
situazioni di crisi ed emergenza eccezionali, giustificato da gravissime
minacce contingenti - ovviamente non rivelabili ad un’operativa del suo livello
- che minavano la sicurezza di tutti i suoi membri.
Ciò significava tolleranza zero per episodi di defezione, disubbidienza
o discordanza tra ordini impartiti ed ordini eseguiti.
Sapeva che l’Agenzia non faceva sconti sulle punizioni in queste
circostanze ed era certa che per lei non avrebbero fatto eccezione.
L’attivazione del Protocollo A decretava la fine del suo piano e di quello di
Juliet, proprio ora che iniziavano a comprendere qualcosa di interessante sui
legami tra Agenzia e Fondazione.
La delusione, la frustrazione e la rabbia si mescolarono nelle sue vene
ed entrarono in circolo come un veleno infuocato, che fremeva per fuoriuscire dal suo corpo per incendiare e
radere al suolo il palazzo della Fondazione e l’intera città di Atene. Doveva
uscire da quell’edificio prima che succedesse l’irreparabile. Suo padre non sembrava
della stessa opinione, evidentemente non aveva ancora terminato di impartire gli
ordini del giorno
“Non abbiamo ancora finito qui” disse anticipando le sue mosse “Prima
che tu vada via ho bisogno di parlarti di tua madre, e del suo coinvolgimento
in questa storia”.
“Non osare farlo” sibilò lei, gli occhi ridotti a due fessure “Non
osare scaricare le tue responsabilità sui morti, non osare attribuire le tue
luride menzogne a chi non può essere qui per smentirti. Non osare intaccare la
sua immagine ai miei occhi, sporcandola con la tua falsità”. Percepì dalla sua reazione di avere colto nel
segno. Bene, se non altro si prese una piccola soddisfazione prima della sua
uscita di scena.
“La verità” volle affondare il colpo prima di uscire “E’che il ruolo di
padre è diventato troppo scomodo per reggere il confronto con una figlia a cui
hai mentito per 22 anni. Più comodo vestire i panni di quello di operativo e
nascondersi dietro l’Agenzia, è sempre stata la cosa che ti è riuscita
meglio”. Sputò giusto pochi attimi prima
di voltargli le spalle e sbattere le ante di tutte le porte che incontrò nel
tragitto fino al cancello principale. Senza curarsi di mascherare le sue
reazioni o sembrare pazza, isterica o furiosa agli occhi degli sconosciuti che
aveva incrociato nei corridoi.
Quella fu l’ultima volta in cui vide suo padre. Da quel giorno, niente
fu più come prima.
Aveva nuovamente perso i sensi. Non poteva essere la ferita
alla tempia l’unica causa. Sospettava che qualcuno, dopo averla tramortita con
un colpo alla testa, l’avesse drogata. Un dolore alla base del collo le
suggeriva che qualcuno ci avesse conficcato un ago.
Per un attimo, al primo risveglio, aveva pensato di essere
stata colpita da lui. Ma non appena riacquistata la capacità di connettere i
pensieri, capì che no, non poteva essere stato lui. Per due motivi: il primo è
che lui non l’avrebbe mai attaccata alle spalle; il secondo era che quello al
collo era un dolore sopportabile.
Sapeva bene di non avere né tempo, né scelta, né libertà. Il Protocollo
A la vincolava indissolubilmente alle direttive dell’Agenzia. Ma confidava di
avere qualche ora a disposizione, concessa in maniera non esplicita, per
consentirle di elaborare e metabolizzare quanto appena accaduto. Come se
bastasse qualche ora per accettare una verità nascosta per 22 anni, pensò.
Sapeva che la priorità
sarebbe stata quella di contattare Juliet in un canale sicuro per annullare in
sicurezza la loro missione secondaria.
Ma, da quando suo
padre le aveva raccontato dell’indissolubile legame tra Agenzia e Fondazione,
nella sua mente si era insinuato un tarlo. E più cercava di cacciarlo e di
concentrarsi sulle altre verità apprese, più questo tarlo si intrufolava nei
suoi pensieri. Chi era in realtà Milo e quanto era coinvolto in questo gioco di
inganni? Che legame aveva con la Fondazione? Conosceva suo padre? Sapeva di suo
fratello? Domande che non aveva intenzione di porre ad Alexander, poiché oramai
non si fidava più della sincerità delle sue risposte.
Pensò al “metodo
Juliet” che si basava sull’assunto che il miglior modo di ottenere informazioni
fosse quello di andare a cercarle nei luoghi del pettegolezzo e della
frivolezza. In realtà aveva sempre sospettato che Juliet utilizzasse questo
metodo esclusivamente per giustificare le sue uscite per scopi personali
durante le missioni, ma in questo caso era senz’altro il modo più semplice e
meno rischioso di ottenere informazioni. Era certa che suo padre l’avrebbe
fatta seguire. E lei avrebbe condotto il suo inseguitore a fare shopping tra le
bancarelle del mercato. Lo stesso mercato in cui durante l’estate udì due
uomini definire Milo “venerabile”.
In meno di 30 minuti
giunse a destinazione, trovando il mercato di Rodorio brulicante di vita. Meglio,
pensò, sarebbe stato più semplice dissolversi tra la folla, in caso di
necessità. Durante il tragitto contattò Juliet da una linea sicura, annullando
la missione, con grande rammarico dell’amica che aveva tutta l’intenzione di
infrangere le regole dell’Agenzia e proseguire con il loro piano. La convinse a
desistere, ben consapevole che la resa di Juliet fosse solo temporanea. Era
difficile toglierle dalla testa obiettivi che riteneva prioritari, ed aveva il
giusto grado di sfrontatezza e irriverenza per non curarsi delle inutili
formalità, come amava definire i protocolli dell’Agenzia.
D’altro canto, come
aveva previsto, Juliet approvò appieno la mossa del mercato, dispensando
consigli su modalità di abbordaggio della gente molto poco ortodosse.
Si ritrovò così a
girare tra le stesse bancarelle che aveva visitato insieme a Milo, e una
piccola morsa allo stomaco le segnalò che qualsiasi cosa avesse scoperto sul
suo conto, non sarebbe stata indolore per lei.
Passò un’abbondante
ora prima che si decidesse ad entrare in contatto con dei potenziali interlocutori
alle ricerca di informazioni. Aveva avuto la sensazione di essere seguita, ma
non riusciva ad individuare con esattezza l’inseguitore, o gli inseguitori.
Conoscendo suo padre, era certa che avesse dato l’incarico a più di un
operativo.
Solitamente era molto
abile a scorgere i movimenti sospetti di chi la sorvegliava a breve distanza,
ma stavolta aveva una sensazione di disagio inspiegabile. Ragionando con
lucidità, pensò che con tutta probabilità chi la seguiva non era dell’Agenzia,
ma qualcuno interno alla Fondazione, di cui lei non conosceva le mosse e le
modalità operative.
Provò a liberarsene
entrando in uno dei piccoli bar caratteristici che si affacciavano sulla piazza
del mercato. Si accostò al bancone e una signora di mezza età, dalle movenze
lente, robusta e con folti capelli grigi, la salutò e le chiese gentilmente
cosa prendesse. Ordinò una limonata.
Restava sempre
piacevolmente sorpresa dall’ospitalità della gente del luogo.
Mentre attendeva la
sua bibita, si guardò intorno per vedere se ci fosse traccia di chi la stava
seguendo e si rese conto che, a parte qualche solitario avventore che
sorseggiava ouzo e leggeva il giornale ai tavolini, vi era solo un piccolo
cortile interno con un patio ombreggiato sotto il quale un gruppo di anziani
chiassosi giocava a carte.
Se si fosse spostata
anche lei sotto al patio avrebbe avuto sotto controllo l’ingresso del bar.
Pensò a cosa avrebbe
fatto Juliet in quella circostanza e le parve di vederla, dirigersi verso quel
gruppo di anziani e sfidare tutti a carte, superando in pochi minuti le
barriere dello stupore e della diffidenza. Certo, se al posto di anziani signori ci fossero state anziane
signore, tutto sarebbe stato più semplice. Le donne, in qualsiasi parte del
mondo, hanno sempre una maggiore propensione al pettegolezzo.
Così, quando la
signora le portò la sua limonata, provò a recitare la parte della turista
curiosa, iniziando a parlare di storia, mitologia e luoghi di culto, nella
speranza di sentirsi raccontare di venerabili sacerdoti o sacerdotesse.
Consapevole che il
tempo era quasi scaduto e che di li a breve non avrebbe avuto più la
possibilità di muoversi con libertà, decise di sfruttare al massimo quella che
probabilmente sarebbe stata la sua unica occasione di scoprire qualcosa, andando
direttamente a toccare il centro del suo interesse “Ho sentito molto parlare
del venerabile Milo, appena arrivata ad Atene”.
Silenzio. Sguardi
sfuggenti. Mani tremanti. Il rumore di un bicchiere infranto nel pavimento
accanto al bancone. La signora dai capelli grigi si muoveva ora nervosamente
per raccogliere i cristalli. Le sue movenze lente e pacate avevano lasciato
spazio a movimenti bruschi e veloci. Al tavolo delle carte, ignari di tutto, gli anziani giocatori proseguivano la loro
partita sorseggiando boccali di birra.
Era stupita che il
solo pronunciare il suo nome avesse provocato quelle reazioni nella
proprietaria. Si accostò al bancone e l’aiutò a raccogliere gli ultimi pezzi di
vetro dal pavimento, mentre l’altra restava in silenzio. Poi all’improvviso la
signora le afferrò il polso e la tirò bruscamente con se, dentro un piccolo
magazzino senza finestre nel retro del bar.
“Cosa ti viene in
mente ragazzina, di fare domande tanto sconvenienti nel mio locale?
“Chiedo scusa” finse
“Non so a cosa si stia riferendo”.
“Lo sai benissimo,
invece. Nessuno viene a chiedere per caso notizie su quello che è stato
l’assassino del Grande Tempio”.
“No no, guardi c’è
sicuramente stato un fraintendimento” La sua mente si rifiutava di registrare
ciò che le sue orecchie avevano appena sentito.
“Nessun
fraintendimento straniera” la stretta sul suo polso si era accentuata
“Quell’uomo ha sulla coscienza più morti di quanti non ne abbia la peste”.
“Mah mah lei … lo
conosce direttamente?” quella donna era davvero convinta delle parole che
pronunciava, su questo non c’era dubbio.
“Certo che no! Come
potrei conoscere un assassino di quel rango… Stiamo parlando di un Cavaliere
d’Oro, mica di un soldato qualsiasi. Ma sai quante ne sono passate qui dal mio
bar, di persone che hanno avuto la sventura di conoscerlo? Troppe.” Fece una
pausa, come per decidere se proseguire o meno nel racconto. E proseguì con un
tono di voce più basso “Sai cosa si dice ora? Che si sia redento, che si sia
riscattato e abbia riacquistato rispettabilità. Ma la verità è che un assassino
resta sempre un assassino. Anche quando
indossa un’armatura dorata e si proclama paladino della giustizia”.
Il respiro si fermò.
Forse anche il cuore perse qualche battito. La parola armatura dorata
continuava a rimbalzare nei suoi pensieri come in un cortocircuito, riportandola
a quanto accadde al consolato francese di Londra. E un brivido le corse lungo
la schiena.
Uscì dal bar
utilizzando un’uscita secondaria sul retro. Nonostante la precauzione, restò
nella convinzione che qualcuno la stesse seguendo.
Per questo motivo sobbalzò
quando le si parò di fronte alla faccia una ragazzina dagli occhi color miele, che
si dondolava con le braccia appese ad un ramo di un immancabile albero di
limoni nel giardino interno del bar .
“Non deve dare retta a
mia nonna” disse con una voce squillante e allegra “A lei piace spaventare i
turisti” disse ridendo.
Quella frase bastò ad
attirare la sua attenzione. La verità sta nei bambini e nei pazzi, diceva Sant’Agostino.
E decise di soffermarsi ad intervistare quella bambina loquace “Tu conosci il
venerabile Milo?”
“Tutti a Rodorio
conoscono Milo di Scorpio. Lui è nato proprio qui, anche se una volta diventato
Cavaliere d’Oro di Athena è andato a stare al Grande Tempio con tutti gli altri
Cavalieri. Ma ogni tanto passa da queste parti, quando è libero. Poi ha anche
una casa qui, lo sai?”
“Davvero? Una casa? E
mi sapresti dire dove si trova?”
“Certo che si! Proprio
di fronte al mare! Ti ci posso accompagnare, se vuoi. Anche se probabilmente
sarà chiusa ora”
“Grazie, ti sarei
molto grata se mi accompagnassi” quella bambina, con la sua spontaneità, sarebbe
stata una preziosa fonte di informazioni. Un po’ si sentì in colpa ad approfittare
della sua ingenuità, ma il tempo stringeva e quella era la sua unica occasione
di avvicinarsi alla verità.
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Capitolo 23 *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22
Capitolo 22
Mentre Alexander era impegnato ad elencare ad una più che
contrariata Juliet tutti i motivi per i quali non le avrebbe mai dato il
permesso di partire per San Pietroburgo, Kanon si ritrovò costretto a subire
una predica da parte di Julian Solo, che si prodigava a sciorinare un elenco infinito
di motivazioni atte a giustificare l’utilizzo del suo colpo più potente contro
la ragazza che stava dall’altra parte della stanza.
Milo, che aveva fatto sparire o nascosto da qualche parte la
parrucca nera indossata da Claire, si avvicinò ad Alexander e gli pose una mano
sulla spalla, come a volerlo tranquillizzare
“Partirò io per San Pietroburgo” disse con voce bassa, ma
decisa.
Tutti gli occhi dei presenti si spostarono immediatamente su
Juliet, in attesa di una sua reazione scomposta, visti i precedenti.
Ma lei stranamente taceva e guardava Milo con occhi diversi
da come lo aveva guardato in precedenza. Alexander, che la conosceva bene,
immaginava quali fossero i suoi pensieri in quel momento: in quella stanza Milo
era il suo più prezioso alleato nella ricerca di Claire, l’unico che si sarebbe
precipitato a cercarla senza pensare a strategie, rischi o conseguenze. E lei
lo aveva intuito benissimo.
Probabilmente stava mettendo da parte diffidenza e rancore
che provava nei suoi confronti, perché in quel momento era un elemento troppo
utile alla sua causa.
“Il fine giustifica i mezzi” disse infatti lei ad alta voce,
confermando il pensiero di Alexander.
“Sono d’accordo con lei” fu direttamente Pandora ad
intromettersi nella discussione.
Juliet si irrigidì e la guardò sospettosa, portando
istintivamente una mano nella tasca dove aveva riposto la pistola.
Kanon, accortosi del movimento, si spostò al suo fianco,
senza fretta, ma con l’evidente intento di frapporsi tra le due.
“Rilassati cavaliere” Pandora si rivolse a lui senza ironia
“Sono certa che Juliet saprà cogliere
ciò che io e Alexander abbiamo da dirle e saprà trarre le giuste conclusioni
sul da farsi. Conclusioni a cui tu dovrai attenerti, Kanon”.
“Deciderò io a cosa attenermi e a cosa non attenermi,
Pandora” la tensione nella stanza si tagliava a fette.
“Juliet, ho bisogno che tu ascolti attentamente ciò che ho
da dirti. Riguarda te, ma riguarda anche Claire e … tuo padre” Alexander cercò
di smorzare la tensione creata, ma non fece altro che aumentarla, innescando la
violenta reazione di Juliet, che si scagliò contro di lui e lo prese per il
bavero della camicia, facendolo barcollare. Sarebbe caduto rovinosamente per
terra, se Walt non si fosse precipitato a sorreggerlo.
“Io non voglio sentire altre menzogne uscire dalla tua bocca
sul conto di mio padre, quindi se mi …”
Due braccia la sollevarono delicatamente ma con fermezza,
allontanandola da lui e depositandola a distanza di sicurezza
“Alexander non si è ancora
ripreso totalmente dalla lunga degenza, sarebbe opportuno interagire con
lui con più cautela” Milo aveva parlato con molta calma, sebbene il suo sguardo
fosse di severo monito.
Julian Solo, che fino a quel momento era rimasto in disparte
ad osservare la scena, decise che era giunto il momento di intervenire
“Juliet, con il tuo consenso e con il permesso di Alexander,
vorrei dirti io ciò che dovresti sapere.”
“La diplomazia è proprio un marchio di fabbrica degli aristocratici”
ironizzò a mezza voce Kanon.
Julian ignorò il commento e attese un cenno di consenso da
parte di Alexander, che annuì silenzioso.
Juliet, che ancora non riusciva del tutto a mettere da parte
il rancore nei confronti di Alexander, decise di acconsentire affinché uno
sconosciuto la mettesse al corrente di chissà quale altro scheletro proveniente
dal suo passato. Se non altro era uno
sconosciuto dai modi gentili, pensò.
“Bene” le sorrise Julian, prima di congedare tutti gli altri
“La diplomazia richiede privacy e riservatezza. Se volete scusarci tutti e
lasciarci soli per un po’, vi richiameremo quando avremo concluso”.
Kanon sentì una punta di fastidio osservando il modo in cui
Juliet seguiva mansueta e arrendevole Julian Solo, come se le sue parole
avessero avuto più valore di quelle di chiunque altro in quella stanza. Ma
evitò accuratamente di darlo a vedere, strinse impercettibilmente la mascella e
uscì per primo dalla stanza, seguito a ruota da tutti gli altri.
Erano passati appena venti minuti, ma a Kanon erano sembrate
venti ore, mentre cercava di allontanare il macigno che presto avrebbe
appesantito la sua coscienza di cavaliere e si domandava se davvero Athena gli
stesse chiedendo di agire in maniera così vile o se fosse un’ennesima prova
della sua lealtà, quando la porta della stanza si aprì e l’oggetto dei suoi tormenti
gli si materializzò di fronte, piazzando i suoi bellissimi occhi verdi a pochi
centimetri dalla sua faccia, quasi a volergli leggere l’anima.
Kanon ebbe non poche difficoltà a sostenere quello sguardo.
“Io non so chi tu sia. Non so chi sia la tua dea e il fatto
che tu le sia devoto non è ragione sufficiente per far si che io mi fidi di te.
Non ho trovato una sola ragione per cui dovrei fidarmi di te” gli disse.
Kanon si sentì sollevato nell’udire quelle parole. Lei lo
stava liberando dal macigno, stava prendendo la decisione che lui, in cuor suo,
sperava che lei avrebbe preso: rifiutare categoricamente di essere messa alla
prova, accettare di abbandonare il campo di battaglia e restare sotto la
protezione di Athena al Grande Tempio fino al resto dei suoi giorni. Fine della
storia.
Ma non aveva fatto i conti con il legame che la univa
all’amica scomparsa.
“Ma il problema non sei tu. Il problema è che io qui non mi
fido di nessuno” guardò deliberatamente in direzione di Alexander mentre
pronunciava quelle parole “Per questa ragione intendo partecipare in prima
persona al recupero di Claire, ma non voglio in alcun modo che una mia
debolezza possa mettere in pericolo la sua vita” Fece una pausa, forse per
trovare fino in fondo il coraggio di dire quello che stava per dire “Al momento
non vedo altra soluzione che accettare questo esperimento psichiatrico per
testare questa mia … come cazzo dovrei chiamarla, Alexander, immunità?
Mutazione genetica??”
Alexander fece per rispondere ma Kanon lo anticipò
“Demone dell’oscurità” sibilò
“Come scusa?” chiese lei
“Non è un esperimento psichiatrico. Il mio colpo si chiama
demone dell’oscurità e non è un gioco da laboratorio” le disse tenendo gli
occhi fissi nei suoi. Voleva intimidirla, voleva indurla a rinunciare.
“Stai cercando di spaventarmi mettendo in mezzo il demonio?
E chi sarebbe l’esorcista tra voi, se qualcosa andasse storto?” cercava di
mascherare con il sarcasmo una vena di preoccupazione. Lui se ne accorse e
calcò la mano, nell’ultimo tentativo di farla desistere.
“Se qualcosa andasse storto, l’esorcista sarebbe inutile.
Questo colpo non è fatto per essere diretto a qualcuno che non sia dotato di un
cosmo in grado di farlo quantomeno reagire. E io francamente potrei non
riuscire a riportarti indietro se tu non fossi in grado di farlo da sola”
“Ma indietro da cosa, esattamente?”
“Adesso basta Kanon” intervenne bruscamente Pandora “La stai
inutilmente spaventando. Sai benissimo che qui c’è più di una persona che
sarebbe in grado di intervenire e che altrettante in grado di aiutarla si
trovano a disposizione al Grande Tempio. Sarebbe sufficiente allertarle”.
“Sono certo che non ce ne sarà bisogno” intervenne Julian. Ho
abbastanza elementi per credere che Juliet non subirà alcun condizionamento
mentale.”
“Ah beh, questo lo dovete chiedere ad Alexander. E’ lui che anni
fa si è divertito a giocare al piccolo chimico sulla pelle degli altri” Juliet
era decisa a non risparmiargli un colpo. “Comunque ci sono delle condizioni”
proseguì.
Kanon sperò ardentemente che fossero condizioni
inaccettabili e non se ne facesse niente.
“Accetterò di vedere il demonio solo se lasciate partire
immediatamente Milo, Lucas e Walt per San Pietroburgo. Io li seguirò appena
potrò” quando vide gli occhi di Milo esprimere gratitudine e approvazione, Kanon
capì che non avrebbe avuto scelta e infatti fu direttamente Alexander a pronunciarsi
“Ci avevo già pensato, e penso sia la mossa più giusta da
fare”.
Milo non attese ulteriori indicazioni e si congedò insieme a
Walt, non prima di fare a Kanon un cenno col capo che voleva essere un gesto di
incoraggiamento, ma che si rivelò un amaro saluto.
Kanon si allontanò da Juliet di qualche passo, quasi a voler
mettere una distanza di sicurezza tra loro. Quegli occhi lo stavano uccidendo.
Sapeva bene che il suo dubbio nasceva anche dalla consapevolezza che lei fosse
la sorella dell’altro unico cavaliere in vita in grado di gestire le conseguenze
di un colpo come quello e mai avrebbe voluto dover chiedere proprio il suo
intervento per porre rimedio ai nefasti esiti del vile atto che stava per compiere.
Juliet percepì i suoi dubbi leggendo la titubanza nel suo
sguardo e nel suo arretramento improvviso.
Ora non riconosceva più il cavaliere tracotante e
pieno d’arroganza che aveva conosciuto poche ore prima. A dire il vero Kanon le aveva già dato prova,
in più di una circostanza, di essere capace di gesti gentili e lei aveva apprezzato
questo lato inaspettato di lui. Ma le aveva dato altrettante prove della sua presunzione
e prepotenza e se quello che finora aveva visto di lui corrispondeva alla
realtà, nella migliore delle ipotesi stava mettendo la sua vita nelle mani o
di uno psicopatico o di uno stronzo. Insomma niente di nuovo per lei, roba già
vissuta, solo in altri luoghi e con altri nomi. Ed era sempre sopravvissuta alla
grande, quindi avrebbe rischiato anche stavolta.
In maniera decisa gli si accostò e, temendo che lui potesse essere
restio a proseguire in questa prova, provò a rassicurarlo, afferrando
saldamente il suo braccio con una mano
“Sappi che ho in dote una certa dose di fortuna. La fortuna sfacciata mi
perseguita ovunque io vada, qualsiasi cosa io faccia e qualsiasi decisione,
anche la più stupida, io prenda. Sono certa che non mi abbandonerà oggi, quindi
non temere di potermi fare del male, perché non ci riusciresti nemmeno volendo”.
Kanon non riusciva a parlare, sentiva i muscoli del braccio pulsare
sotto il tocco della sua mano e si rese conto per la prima volta da quando la
conosceva che il solo pensiero di poterle fare del male gli evocava spiacevolissime
sensazioni.
Julian Solo, forse temendo che potesse cambiare idea, sollecitò
Kanon a non indugiare oltre.
Fu così che si ritrovarono faccia a faccia, a meno di un
metro di distanza, con lui in procinto di scagliare su di lei il demone dell’oscurità,
mentre lei lo guardava con quegli occhi così verdi, così vivi, così … No, così
non ci sarebbe mai riuscito
“Devo chiederti di chiudere gli occhi” le disse in un
soffio, quasi a non volere che gli altri lo sentissero.
“Me lo chiedi come un boia lo chiederebbe al condannato?”
sussurrò lei di rimando
“Te lo chiedo perché se mi guardi così non riesco a colpirti”
lui stesso fu stupito della facilità con cui aveva espresso ad alta voce il suo
pensiero.
Lei lo guardò con maggiore intensità, stabilendo quello che
le sembrò una connessione fin troppo intima e profonda per essere in una
circostanza come quella, di fronte a uno stronzo semisconosciuto.
“Bene. Allora terrò gli occhi chiusi” disse continuando a
guardarlo dritto negli occhi “Ma dimmi almeno
se sentirò dolore”.
Un’ombra gli offuscò lo sguardo, mentre i muscoli della
mascella gli si serravano.
“Ok Ok. In fondo è meglio non sapere. Fai quello che devi fare mentre io richiamo a
me la mia fortuna sfacciata” e detto questo chiuse gli occhi, interrompendo un
contatto visivo che era diventato fin troppo piacevole.
Le parve di sentire Kanon sospirare, prima di sentire un
calore crescente al centro della fronte, che si irradiava dolorosamente in tutta
la testa, quasi a volerle trapassare il cranio. Ebbe la sensazione di essere
all’interno di un vortice martellante che la faceva rotare all’infinito su se stessa, distaccandola
dalla realtà. Dopo di che fu il buio assoluto.
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Capitolo 24 *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23
Il jet privato della Fondazione era un mezzo di trasporto
troppo lento e inadeguato a contenere l’impazienza di Milo. Ogni minuto che
passava sembrava un lasso di tempo infinito che avrebbe potuto incidere sull’esito
di quella missione di recupero. Sessanta secondi in una battaglia tra cavalieri
rappresentavano un’eternità. Il confine tra una sconfitta e una vittoria, tra
la vita e la morte, veniva determinato in una frazione di secondo, ad una
velocità superiore a quella della luce. Il pensiero di cosa stesse succedendo a
Claire, in quell’infinità di secondi che trascorrevano inesorabili, era un
tormento da cui non riusciva a liberarsi.
Sentire Lucas e Walt fabbricare le peggiori supposizioni su
cosa attendersi, raffigurando ad alta voce le più atroci torture fisiche e
mentali alle quali Claire poteva in quel momento essere sottoposta, non lo
aiutava a mantenere il giusto distacco dalla situazione. Avrebbe preferito essere
partito da solo, ma era consapevole che la presenza degli altri avrebbe potuto
tornargli utile qualora lei, nel trovarselo di fronte, l’avesse considerato
alla stregua di un nemico. Cosa molto probabile, visto il doloroso epilogo
dell’ultima volta che le loro vite si erano incrociate.
Alexander gli aveva
appena riferito di avere rivelato una parte di verità a Claire, curandosi bene
di non menzionarlo nel racconto. Era necessario infatti che Claire proseguisse
a fidarsi di lui, tanto più ora che la sua vulnerabilità era massima, che
nessun luogo era più sicuro.
Lo mise al corrente
dei misteriosi e sempre più frequenti attacchi subiti dagli operativi dell’agenzia,
i cui corpi si erano dissolti nell’etere, volatilizzati senza lasciare traccia
alcuna. Lady Isabel aveva già convocato lui e Kanon, la settimana precedente, mettendoli
in guardia su un pericolo proveniente da forze oscure, guidate da una regia non
necessariamente umana.
Il particolare che
lasciò basiti i due cavalieri d’oro fu che il bersaglio dell’attacco non fosse
Athena, né il Grande Tempio, almeno in apparenza. L’attacco era diretto a
raggiungere direttamente Alexander e sua figlia, per ragioni che al momento non
era dato sapere.
Il cavaliere del
cigno, che attualmente presiedeva l’undicesimo tempio, era stato tenuto all’oscuro
di tutto, e così avrebbe dovuto essere fino a che Alexander non avesse
stabilito diversamente. Questa era una delle principali ragioni per le quali
Milo da mesi eludeva accuratamente ogni possibile occasione di incontro con
lui. Sebbene quell’inganno non derivasse dalla sua diretta volontà, Milo si
addossava la corresponsabilità di quella messinscena alle spalle dell’amico. E,
soprattutto, della sorella dell’amico.
Il senso di colpa per
tutta la situazione che si era venuta a creare stava diventando intollerabile.
Kanon, che aveva
intuito benissimo quello che si stava scatenando tra Milo e il suo io interiore,
gli aveva detto in maniera schietta, senza girarci troppo attorno, che se
voleva mantenere la giusta lucidità avrebbe fatto meglio a non farsi venire
inutili e dannosi sensi di colpa. E lui sapeva bene quanto l’amico glielo
dicesse a ragion veduta.
Ma a Milo pesava fingere.
In generale. Non era mai stato bravo a farlo, con il suo carattere fin troppo
schietto e irruento. Ora però sentiva di non essere proprio più in grado di
sostenere la menzogna. Almeno non con lei. Esplicitò le sue perplessità ad
Alexander, sentiva il bisogno di confidargli i suoi dubbi, anche se si guardò
bene dal raccontargli i particolari della loro relazione.
“Comprendo l’origine
dei tuoi dubbi, cavaliere. Ma questa è una debolezza che al momento non puoi concederti”
gli rispose lui con pacata fermezza, posandogli una mano sulla spalla.
E Milo realizzò che non
ci sarebbe stato bisogno dei particolari. Alexander sapeva. Aveva capito perfettamente
la natura e la vastità del suo debole per lei.
Ma erano in guerra e
in guerra non erano ammesse debolezze. La verità sarebbe arrivata dopo e
avrebbe risolto tutto, come un’onda purificatrice che con il suo passaggio lava
via tutte le colpe, ripulisce le coscienze e riconcilia gli animi.
E fu con l’illusione di
poter rimettere a posto i cocci, che decise di proseguire nell’interpretazione
del suo ruolo.
Quando Alexander gli
disse che Claire era stata avvistata a Rodorio e che, accortasi di essere stata
seguita, si era dileguata tra le bancarelle del mercato, Milo non esitò ad
andare a cercarla. Non sapeva, una volta che l’avesse trovata, come avrebbe
fatto a convincerla a fidarsi ancora di lui. Di una cosa era infatti certo,
conoscendola. Lei avrebbe sospettato del suo ruolo in tutta quella faccenda e,
se solo avesse chiesto un po’ in giro nel suo paese natale, non ci avrebbe
messo molto a smascherare il castello di bugie che lui aveva costruito in quei
mesi.
Stava ancora
immaginando quali improbabili giustificazioni avrebbe potuto addurre ad ogni
pretesa di chiarimento da parte di Claire, quando la vide sbucare dall’angolo
della strada, diretta a passo svelto verso di lui. Possibile che lo stesse
aspettando? Difficile pensare ad una coincidenza. E sarebbe stato stolto, per
una che cercava di nascondersi, camminare così disinvoltamente in una strada
così centrale del paese.
Indossava
dei jeans e delle scarpe basse, che non toglievano alla sua camminata
nemmeno un briciolo di sensualità, e portava sul viso un paio di
occhiali da sole che nascondevano il suo sguardo, cosa che rendeva
difficile
comprendere il suo stato d’animo e anticiparne le reazioni.
Nella manciata di
secondi che lo separavano da lei, immaginò tutte le possibili scene di quell’inesorabile
confronto, aspettandosi il peggio ed essendo pronto a farvi fronte.
Ma niente di ciò che si
era prefigurato si verificò.
“Hei, ma che
bellissima sorpresa” lei lo salutò calorosamente, abbracciandolo con trasporto
e baciandolo sulla guancia, in un punto pericolosamente vicino alle sue labbra
“Se avessi saputo di trovarti qui mi sarei messa qualcosa di più decente
addosso”disse indicando i jeans e le scarpe sportive.
“Hei” rispose lui,
incerto sul da farsi. Possibile che lei riuscisse ad essere così serena, dopo
aver appreso da Alexander una verità che probabilmente l’aveva sconvolta? O era
davvero così brava a fingere? C’era solo un modo per scoprirlo, e Milo decise
di giocare le sue carte migliori
“Non riesco ad
immaginare niente di più decente che vederti senza questi inutili abiti
addosso” le disse mentre le sfilava gli occhiali da sole per poter scrutare
profondamente in fondo ai suoi occhi. Il suo sguardo era limpido, non c’erano
tracce di pianto. Non scorse neanche la più piccola traccia di dubbio. Sembrava
totalmente in pace con il mondo. Ma la finzione faceva parte del suo mestiere,
non doveva dimenticarlo.
“Forse gli abitanti
del paese avrebbero un diverso concetto di decenza, Milo” gli sorrise sorniona.
Riusciva anche a fare dell’ironia, con apparente leggerezza.
“Mmh, io li metterei
subito alla prova, con un piccolo assaggio” le sussurrò con il volto vicinissimo
al suo prima di premere sensualmente le labbra sulle sue, solleticandone i lati con la lingua, in una muta richiesta
di dischiuderle per consentirgli di approfondire il bacio. Richiesta che fu
accolta dopo un’impercettibile resistenza iniziale.
Un bacio non mente,
pensò Milo mentre la danza delle loro lingue proseguiva in maniera sempre più
passionale, come se non fossero ai margini di una piazza gremita di gente. Lui
pose entrambe le mani ai lati dei loro volti, quasi a creare uno schermo tra
loro e i curiosi che si giravano a guardarli. Fece aderire tutto il suo corpo
al suo e la spinse delicatamente con le spalle verso il muro che delimitava la
piazza, in modo da garantirle un minimo di privacy.
Quindi mosse
sensualmente il suo bacino contro il suo, in modo che ogni centimetro dei loro
corpi aderisse alla perfezione.
Si fermò solo quando
la sentì sospirare con maggiore intensità e frequenza, consapevole delle
reazioni che stava scatenando in lei quel bacio e quel contatto così
passionale.
Si fermò, ma continuò
a tenerla saldamente tra le braccia, scostandole un ciuffo di capelli dalla
fronte e puntando i suoi occhi sui suoi,
nel tentativo di scrutare la sua anima. Ciò che vide era la solita Claire, con
lo sguardo che diventava di una tonalità di azzurro più intensa nei momenti di
passione, e che lui aveva imparato a conoscere bene. Un’ improvvisa
consapevolezza lo fece tornare bruscamente alla realtà e al motivo per il quale
la stava cercando, e, seppure a malincuore, si staccò da lei.
“Come mai sei tornata
qui a Rodorio?” le domandò con finta nonchalance, mentre con le dita le
accarezzava dolcemente le braccia scoperte.
“Probabilmente il
motivo non ti piacerà” rispose mentre Milo si irrigidiva “Ma è giusto che io ti
confessi che ho un debole per il mercato. Lo trovo irresistibile quasi quanto
te” mentre lo disse gli sfiorò le labbra con le dita.
Milo sapeva che si era
spinto troppo oltre. Oltre il suo ruolo, oltre la sua missione, oltre ciò che
la sua stessa coscienza gli avrebbe dovuto consentire. Ma l’attrazione e il
trasporto che sentiva per lei non gli avevano dato altra scelta. Se anche
avesse voluto scorgere in lei dei segnali controversi o ambigui, non ci sarebbe
riuscito, perché i suoi sentimenti erano talmente forti da offuscare i suoi sensi.
Forse fu per questo
che non ebbe alcun dubbio sul da farsi. Fu per questo che la prese per mano per
condurla nel luogo dove mai aveva pensato di portare nessuna delle innumerevoli
donne con cui era stato. Fu per questo che prese la decisione di condividere
con lei l’intimità della sua casa di Rodorio, il suo rifugio sacro, il luogo
del ristoro del suo cuore e della cura della sua anima.
Il pilota avvisò che in dieci minuti sarebbero atterrati e
Milo scrutò fuori dal finestrino, riconoscendo qualche dettaglio del paesaggio.
Non era mai stato a San Pietroburgo, ma era come se conoscesse ogni angolo
della città, che Camus non perdeva occasione di definire “la più incantevole della
Russia”.
Milo sapeva che dietro i racconti dell’amico che magnificavano
le perle della cultura, della storia, dell’architettura e dell’arte della
città, si celava in realtà l’immagine di una bellezza in carne ed ossa, che lo
attendeva a braccia – e certamente gambe - aperte ogniqualvolta lui metteva
piede in terra russa.
Milo si divertiva a stuzzicarlo, al suo rientro, ridendo
delle sue reazioni imbarazzate e scandalizzate alle domande più piccanti, che
urtavano la sua proverbiale austerità e riservatezza.
Il pensiero delle reazioni di Camus in quelle circostanze lo
fece sorridere, e se ne stupì. Il suo ricordo, che inizialmente provocava in
lui solo amarezza, nostalgia e rammarico, si stava trasformando in qualcosa che
riusciva addirittura ad infondergli buonumore.
Si chiese se questa regola fosse valida per tutti i ricordi
dolorosi e quanto tempo ci mettessero a trasformarsi quantomeno in pensiero
neutro, quando sentì una mano sulla spalla. Walt lo avvisò che erano atterrati,
mentre lui non si era ancora slacciato la cintura.
Appena scesi dall’aereo trovarono ad attenderli un’auto
dell’Agenzia, con all’interno qualcuno che aveva il compito di fornire supporto
logistico.
L’aria fuori era gelida, nei pochi passi che lo separavano
dall’automobile sentì il vento del nord sferzargli la pelle abituata al sole
della Grecia e pensò istintivamente a lei, alla volta che gli disse che le
piaceva tutto ciò che era caldo e che era a sud.
Pensò all’ultima volta che la vide sorridere, ricordandosi
l’esatto momento in cui l’unica cosa che avrebbe desiderato era condurla per
mano a casa sua, a Rodorio, stringerla tra le braccia e tenerla con se, al
sicuro, proteggendola fino a che fuori Alexander non fosse riuscito a sistemare
le cose. E una volta a casa avrebbe fatto
l’amore con lei, non una, ma infinite volte, fino alla perdizione dei sensi,
fino a che non fossero stati sazi l’uno dell’altra. L’avrebbe toccata, baciata
con trasporto, le avrebbe sussurrato qualcosa di passionale all’orecchio e si
sarebbe compiaciuto nel guardarla arrossire, e poi l’avrebbe fatta sua,
completamente, fino in fondo.
Pensò che avrebbe voluto viverla, amarla, proteggerla.
Il petto gli doleva e faticava a respirare, non certo per il
freddo. Gli succedeva ogni volta che la diga dei suoi ricordi aveva un
cedimento. Doveva richiuderla immediatamente, se voleva restare freddo, lucido
e nel pieno delle sue facoltà. Ne andava della buona riuscita di quella
missione, in cui non erano ammessi fallimenti e non erano concessi errori.
Riuscì a tornare in sé senza che gli altri intuissero i suoi
tormenti interiori, e li seguì all’interno dell’auto, mentre Walt bofonchiava
qualcosa a proposito dell’operativo che avrebbe dovuto fornire loro il supporto
logistico.
“Che cazzo ci fa lui qui ?!?” l’esclusiva del benvenuto era
tutta per lui, che ancora non si era nemmeno accomodato bene nel sedile.
Voltò lo sguardo ad incrociare quello del temerario che
aveva appena osato rivolgersi a lui con quel tono di disprezzo, pronto a
rimetterlo immediatamente al suo posto, ma quando lo vide la bocca gli si
impastò, la saliva azzerata.
La diga che aveva richiuso poco prima cedette nuovamente e
un fiume di spiacevoli ricordi tornò prepotente e inarrestabile a riversarsi
nella sua mente, rompendo tutti gli argini di sicurezza che in quegli anni
aveva faticato ad erigere.
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Capitolo 25 *** Capitolo 24 ***
Capitolo 24
Capitolo 24
Claire se ne stava rannicchiata, con le ginocchia portate
all’altezza del petto, per quanto la sua condizione le permettesse di muoversi.
Aveva mani e piedi legati, e sentiva freddo. L’unica cosa di cui si rese conto
aprendo gli occhi era di non essere più all’interno di un container. La luce
accecante la colpì direttamente in volto, costringendola a richiudere gli occhi
che, dopo il tempo passato nel buio più totale, faticavano ad abituarsi.
Per quanto completamente stordita e intorpidita, si sforzò
di utilizzare tutti i sensi per capire dove si trovasse.
Era certamente sdraiata sul pavimento: lo sentiva, duro e
freddo, a contatto con la guancia. Il dolore pulsante alla tempia e quello alla
base del collo erano sempre presenti. Cercò di concentrarsi su ogni rumore,
anche il più impercettibile, ma era come se la tua testa fosse immersa in una
bolla d’acqua, dove i suoni giungono attutiti e divengono indefinibili. Si
concentrò sugli odori: muffa, disinfettante industriale, nient’altro. Aprì
molto lentamente gli occhi, scorgendo intorno a se solo il bianco delle pareti
e sopra di se una fila di luci al neon. Il bianco del muro era intervallato
solo dal alcune tubature in ferro, che sembravano corrose dalla ruggine e dal
tempo.
L’odore del disinfettante sembrava sovrastare tutto il resto.
Era un odore conosciuto, lo aveva respirato per settimane, circa due anni
prima. Tant’è che si chiese se non fosse
tornata indietro nel tempo, a quando i medici del reparto di terapia intensiva
cercavano disperatamente di tenerla in vita, dopo che lui, senza esitazione
alcuna, le aveva lanciato addosso quel maledetto colpo.
Il suo lavoro era fatto
di finzione. E lei era molto brava a fingere. Lo ripeteva, più che altro per
autoconvicersi, mentre Milo, mano nella mano, la conduceva verso il viale
d’ingresso di quella che lei poche ore prima aveva appreso essere la sua casa
di Rodorio.
Quello in cui non riusciva
a convincersi riguardava la sua capacità di fingere fino in fondo. Perché lì si,
ne era certa, non sarebbe stata altrettanto brava. Si chiese fino a che punto
sarebbe riuscita spingersi, senza lasciar trapelare il suo sconvolgimento
interiore. Senza che lui intuisse anche la minima titubanza, esitazione o
dubbio.
Solo pochi minuti
prima, mentre lui la baciava con passionalità, il trasporto era stato tale che
era riuscita ad annullare la ragione per qualche minuto. E questo l’aveva resa
perfettamente credibile ai suoi occhi. Ma ora, dove l’unico contatto era quello
tra le loro mani e dove lui le dava le spalle, precedendola di qualche decina
di centimetri, tutto ciò che avrebbe voluto fare era puntargli una pistola
sulla nuca e costringerlo a confessare tutta la verità che finora le aveva
deliberatamente nascosto.
Ciò che la fece
desistere dal suo intento fu la prudenza, data dalla consapevolezza di avere a
che fare con un pericoloso assassino. Ancora non riusciva a credere che il Milo
che aveva conosciuto fino ad allora in realtà non era mai esistito.
L’aveva sedotta per
ingannarla più subdolamente e continuava imperterrito in quel gioco al
massacro, certo di avere in pugno la situazione. Doveva stare molto attenta
alle sue prossime mosse, in fondo lei non sapeva in che relazione Milo fosse
con suo padre. Accidenti a suo padre e ai suoi dannati segreti.
Quando le strinse più
forte la mano e si fermò all’improvviso, lei temette che lui avesse intuito i
suoi pensieri. Si accorse solo dopo qualche frazione di secondo che il motivo
che aveva spinto Milo ad interrompere la loro camminata non era lei.
Di fronte al viale
d’ingresso della sua casa era ferma una lussuosa automobile nera, con i vetri
oscurati. Poco distante dall’auto, due uomini in giacca e cravatta, fermi in
piedi, fumavano una sigaretta. Non le ci volle molto a capire chi li avesse
inviati lì. Suo padre amava esercitare il controllo in maniera plateale. Erano
passate poco più di quattro ore dalla loro discussione e quello era un chiaro
messaggio che il tempo della libertà era scaduto.
Non comprendeva se
Milo stesse fingendo stupore o fosse in qualche modo preoccupato da quella
presenza. Lei era decisa ad ignorarla ed era molto curiosa di vedere quale
sarebbe stata invece la sua prossima mossa, che non tardò ad arrivare.
Senza girarsi verso di
lei, le lasciò la mano
“Ti dispiace
attendermi un attimo? Ho un’urgenza di lavoro da affrontare” le disse
“Un’urgenza di lavoro
che viene a cercarti direttamente a casa? Devi essere davvero un pilastro per
la tua società finanziaria” rispose lei.
“Come hai detto
scusa?” ora si era girato e la guardava con fare interrogativo.
“Niente, facevo solo
del sarcasmo sulla finanza” cercò di utilizzare il tono più ironico che le
riusciva, mentre la sua testa si materializzava la consapevolezza di avere
detto qualcosa di troppo. Che a lui ovviamente non era sfuggita.
“Come sapevi che era
casa mia?” le disse a voce più bassa.
“Non lo sapevo” finse
una certa dose di stupore mentre mentiva “Intendevo casa in senso figurato.
Vengono a cercarti a casa significa che vengono a romperti le scatole ovunque
tu sia. E qualunque cosa tu stia facendo …” cercò di rievocare l’atmosfera che
si era creata poco prima tra di loro, ma percepì chiaramente dal suo sguardo
che qualcosa si era rotto.
Lei aveva indugiato un
attimo di troppo nella risposta, roteando gli occhi in maniera innaturale, e
lui aveva colto. La sua maschera era rovinosamente caduta e niente di quello
che avrebbe fatto o detto in seguito poteva rimediare all’errore commesso. Quanto
era stata stupida! Il suo tentativo di doppio gioco era appena andato in fumo e
ora si ritrovava di fronte ad un potenziale assassino senza avere gli strumenti
per prevederne le intenzioni.
Mai avrebbe creduto
che la sua unica via d’uscita in quella situazione le sarebbe stata fornita
proprio da quell’auto inviata da suo padre. E improvvisamente il fastidio per
quell’invadenza si trasformò in sollievo per quella presenza.
Ma Milo era bravo a
fingere almeno quanto lei e non perse occasione di dimostrarlo
“Allora lascia che mi
sbarazzi di questi scocciatori, in modo che noi possiamo ritornare a quello che
stavamo facendo” le disse con un sorriso che a lei parve un ghigno sinistro e
le procurò una strana e spiacevole sensazione di gelo nella schiena.
Milo si avvicinò
all’auto piazzata di fronte al viale d’ingresso della sua casa, come se fosse
pienamente consapevole del motivo per cui si trovava lì ad attenderli,.
Qualcuno all’interno
dell’auto abbassò leggermente il vetro oscurato del posto dietro il guidatore.
Non percepì chi fosse e la distanza non le permetteva di sentire cosa si
stessero dicendo lui e Milo. L’unica cosa certa a questo punto era che Milo
avesse un diretta conoscenza dell’Agenzia.
Avrebbe potuto
fuggire. Approfittare della distrazione di entrambe le parti per dileguarsi, ma
non lo fece. Qualcosa le diceva che tutto il territorio circostante fosse
compromesso, in parte controllato dall’Agenzia e in parte da forze di cui lei a
malapena conosceva il nome. E, senza il supporto operativo di Juliet, lei non
aveva alcuna speranza di muoversi liberamente.
Passarono pochi minuti
e Milo ritornò da lei con quello che, oramai ne aveva la certezza, era lo sguardo
più falso che avrebbe potuto rivolgerle.
“Mi spiace, dobbiamo
rimandare il nostro incontro” le disse con finta contrizione. “Sono stato
richiamato per un’urgenza e devo partire immediatamente. Ma ho chiesto loro di accompagnarti
in un luogo dove potrai attendere il mio rientro” mentre parlava le accarezzava
un braccio.
“Perché non posso
aspettarti qui?” chiese, infastidita dal fatto che quella carezza riuscisse
ancora a provocarle delle reazioni di piacere.
“Perché questo non è più un posto … sicuro” se
le avesse fatto lo stesso discorso solo un giorno prima, lei avrebbe colto
unicamente il suo istinto di protezione, l’attenzione che le riservava, il
calore della sua mano che l’accarezzava e il magnetismo del suo sguardo blu che
l’avvolgeva, in un misto di passione e tenerezza.
Ma ora non vedeva più niente
di tutto ciò. Ora riusciva solo a leggere calcolo, falsità e spietatezza. Ora
vedeva chiaramente la scacchiera, cosciente di essere una pedina e di esserlo
sempre stata.
Fu con questa consapevolezza
che gli rispose serafica
“Va bene, usufruirò
del giro gratis nella tua auto di lusso, in fondo sono questi i privilegi di
frequentare un pezzo grosso della finanza, no?” il tono di voce dell’ultima
parte della frase le uscì un tantino troppo acido.
Lo sguardo che le
diede di rimando le fece intendere chiaramente che non aveva creduto nemmeno
per un attimo alla sua arrendevolezza. Nonostante ciò, fingendo fino
all’ultimo, le diede un bacio sulla guancia, prolungando quel contatto il tanto
necessario a sussurrarle un “Fidati di me”, che la lasciò basita.
Falso. Pensò con
rabbia.
Le prese la mano, come
se avesse paura di vederla fuggire da un momento all’altro, e la consegnò ai
due uomini in abito scuro, che avevano oramai finito la loro sigaretta e li
attendevano in piedi accanto alla portiera dell’auto. Uno di loro si posizionò
nel posto di guida, mentre l’altro le apriva una delle due portiere di dietro.
Prima di salire in
macchina diede un’ultima occhiata a Milo, che le sorrideva sereno, senza apparenti
ombre negli occhi. Non avrebbe mai più avuto occasione di vederlo in quel modo,
ma questo ancora lei non lo sapeva.
Appena si accomodò nel
sedile le sue narici le restituirono un profumo che la sua memoria aveva già
registrato. Quando udì “Ciao Claire”
anche le sue orecchie le confermarono quella familiarità. Si voltò e si trovò
piantati addosso un paio di occhi nerissimi incastonati in un bel volto
abbronzato, a cui faceva da cornice una folta chioma di capelli altrettanto scuri,
tenuti corti e un po’ spettinati.
“ Victor!” esclamò
senza riuscire a nascondere la sorpresa.
“Al tuo servizio mia
cara, con gli omaggi di Juliet” finse un mezzo inchino e le fece un occhiolino.
Juliet, ma certo!! E chi
altri avrebbe potuto mandare lui in quelle circostanze? Non certo suo padre,
che considerava Victor una specie di reietto inaffidabile e imprevedibile, uno
a cui al massimo andava affidata una missione in fondo all’oceano, in cui
avrebbe potuto creare dei danni collaterali solo a dei microrganismi di
plancton marino. O, ancora meglio, in cui sarebbe potuto diventare un pasto per
gli squali.
Ma Juliet, che con
Victor aveva molte più cose in comune di quanto Alexander stesso osasse
ammettere, si fidava ciecamente di lui. E soprattutto sapeva che lui aveva un
debole per Claire. Che si sarebbe buttato sul fuoco per lei. E sapeva anche che
loro due avevano avuto una breve storia, qualche anno prima, finita sul nascere
a causa dell’intromissione dell’Agenzia. Le relazioni tra operativi - sentimentali
o sessuali che fossero - erano strettamente proibite dalle regole di ingaggio e
quella era stata una delle tante occasioni in cui Walt non era riuscito a farsi
i cazzi suoi.
Ma Victor aveva sempre
trovato il modo di non interrompere del tutto i rapporti con lei. Claire
ricordava esattamente tutte le innumerevoli volte in cui lui aveva abilmente
anticipato la morte che tentava di farle visita. Lui aveva la straordinaria
capacità di apparire nella sua vita nei momenti in cui lei ne aveva più bisogno.
Aveva sempre voluto far parte delle squadre che prevedevano il suo recupero, in
situazioni drammatiche e da codice rosso, in missioni ad alto rischio o andate
storte. Questo almeno fino a che Alexander e Walt non lo spedirono in Cile,
declassandolo da operatore di terzo livello
a semplice informatore.
Mentre la sua mente
scorreva velocemente tutte le loro passate vicende e l’auto sfrecciava a
velocità sostenuta, Victor, senza perdere tempo in convenevoli, tirava fuori
tutto l’arsenale di guerra che aveva a disposizione e la invitava a scegliere
le armi che preferiva.
“Non ho bisogno di armi, per ora. Ho bisogno
di informazioni” gli rispose.
“Le uniche
informazioni in mio possesso sono quelle che mi ha comunicato Juliet. Quindi,
conoscendo la tua amica, credo che tu ne sappia molto più di me, in questa
faccenda. Mi spiace non poterti aiutare di più” era veramente dispiaciuto, lo
intuiva dalle vibrazioni nel suo tono di voce.
“Grazie Victor. Stai
già facendo abbastanza” gli posò una mano sulla sua e lui la aprì
delicatamente, ci depositò dentro una semiautomatica e la avvolse con le sue
dita, stringendole delicatamente su quelle di lei.
“Tuttavia sarei molto
più sereno a saperti in giro con questa, nel caso in cui le cose si mettessero
male” sollevò ironicamente un sopracciglio mentre glielo diceva.
Stava per rispondere
con una battuta quando la radiofrequenza dell’auto si sintonizzò
automaticamente su un messaggio di mayday, che arrivò simultaneamente a tutti i
telefonini in uso all’Agenzia presenti all’interno dell’auto.
“Deve essere successo
qualcosa di grave, il mayday protocol non si attiva per una comune emergenza”
ogni traccia di ironia era scomparsa dal volto di Victor.
“Riusciamo a capire la
natura e la localizzazione del problema ?” Claire aveva un brutto
presentimento.
Presentimento che si
materializzò di fronte ai suoi occhi quando, guardando attraverso il finestrino
in direzione della città, vide sollevarsi un’imponente colonna di fumo.
“Atene brucia” riuscì
a dire incredula
“Pensi che sia in
alcun modo connesso con il mayday?” le chiese lui.
Lei non rispose, così
lui proseguì
“Senti Claire, abbiamo
due scelte. Ignorare il segnale e allontanarci il più possibile da Atene, per
metterci in sicurezza in attesa di avere un quadro più completo del problema
oppure …”
“Oppure seguire
l’odore di bruciato, con il rischio di ustionarci” terminò lei la frase al suo
posto.
Victor non aveva
bisogno di chiederle altro.
“Prendi la prossima
uscita per Atene” ordinò all’autista. Mentre l’auto cambiava bruscamente
direzione, lui ne approfittò per farle la domanda che lei si era aspettata le
facesse da appena erano partiti
“Chi era esattamente
il tizio di prima?”
Claire si prese qualche secondo prima di
rispondere.
“Uno di cui non possiamo fidarci” disse
laconica.
Lui non commentò, ma,
ne era certa, non si sarebbe accontentato di quella risposta.
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Capitolo 26 *** Capitolo 25 ***
Capitolo 25
Il corpo di Juliet giaceva esanime sul pavimento, mentre i
presenti assistevano impotenti e attoniti alla scena.
Kanon faticava a decifrare la relazione causa – effetto di
quanto era appena accaduto. In realtà faticava a comprendere l’intero accaduto.
Aveva scagliato un colpo che aveva il preciso effetto di
condizionare le menti, ma che aveva prodotto tutt’altre imprevedibili e
infauste conseguenze.
Tutti nella stanza tacevano. Nessuno sembrava avere il
coraggio di commentare l’accaduto. Come biasimarli? D’altronde, come avrebbero
potuto spiegare l’incomprensibile? Lui stesso non ne era capace.
L’unica che sembrava esserne in grado era Pandora. Lo
guardava incredula e atterrita, cercando le parole giuste per definire la
situazione.
“La sua anima non è più in questo mondo” disse senza mezzi
termini.
A Kanon sembrò di sentire la sua testa esplodere e
frantumarsi in mille frammenti che, come schegge impazzite, si conficcavano
dolorosamente in ogni muscolo del suo corpo, teso fino allo spasmo, mentre la
mano con cui aveva lanciato il suo colpo fu scossa da un tremito
incontrollabile.
Pandora si accorse del suo tormento e si affrettò ad
aggiungere
“Ho rilevato un’interferenza”
“Che genere di interferenza?”chiese allarmato Julian Solo.
Alexander era sbiancato. Sembrava più pallido ora di quando
giaceva in coma su un letto d’ospedale. Che avesse finalmente compreso la
drammaticità della situazione? Kanon iniziò a provare fastidio per la presenza
di tutte quelle persone attorno, tanto più che erano stati loro ad indurlo a
commettere quella dannata azione.
“Qualcuno ha approfittato del colpo di Kanon” Pandora
sembrava avere le idee molto chiare. “Qualcuno in grado di maneggiare un
attacco simile a quello della Dimensione Oscura”
“ Impossibile” la interruppe bruscamente Kanon “Avrei
certamente riconosciuto quell’attacco, essendo ovviamente in grado di
utilizzare la sua variante”.
“Non ho detto che qualcuno ha usato quell’attacco. Ho detto
che qualcuno con l’abilità di utilizzarlo ha interferito con il tuo colpo, allo
scopo di spedire l’anima di Juliet in un’altra dimensione”.
Kanon fissava il corpo di Juliet, riverso a terra e inerme,
consapevole che lei non fosse più li con loro in quella stanza, e fu pervaso da
un misto di rabbia, rammarico e impotenza.
Sentì distrattamente Alexander parlare al telefono e
chiedere di Lady Isabel. Ma se veramente era accaduto quello che Pandora
pensava fosse accaduto, nemmeno Athena in persona sarebbe stata in grado di
stabilire in quale dimensione oscura fosse finita l’anima di Juliet.
_________
Juliet si accorse di avere la faccia piena di terra quando,
dopo essersi girata di lato, iniziò a tossire e sputare i granelli che le erano
finiti in bocca. Un attimo prima era in piedi in una stanza d’albergo e un
attimo dopo era sdraiata a faccia in giù con la testa sprofondata nel terreno.
Testa che sembrava voler esplodere da quanto pulsava. Ma certo, questi dovevano
essere tutti gli effetti del colpo di Kanon.
Julian Solo le aveva spiegato che avrebbe potuto produrre
delle illusioni in grado di ingannare la sua mente. Dunque questa era la prova
che lei non era immune ai condizionamenti psichici. E quindi il geniale piano
di Edmond e Alexander si era rivelato un fallimento.
Sollevò lo sguardo per comprendere meglio in quale luogo la
sua mente voleva convincerla di essere finita. Sulla luna, pensò ad una prima
occhiata. Il buio che la circondava era mitigato da una luce tenue, che
permetteva ai suoi occhi di scorgere solo delle lievi ombre in lontananza,
mentre accanto a se riusciva a malapena a distinguere i colori. Tutto sembrava tendente
al grigio, come il colore della terra che aveva appena sputato.
I solchi e i crateri sulla superficie scarsamente illuminata
le ricordarono le immagini dello sbarco sulla luna, evento che, tra l’altro, era
avvenuto qualche decennio dopo la sua nascita, ragione per cui si chiedeva cosa
diamine la sua mente stesse cercando di comunicarle.
Si mise in piedi con fatica, la testa le doleva ancora
maledettamente.
“Accidenti a te Kanon” esclamò spazientita. Per quanto ne
sapesse, erano passati solo pochi minuti da che Kanon l’aveva colpita, eppure
lei si era già ampiamente stufata di quella situazione. Non aveva la più
pallida idea di come convincere la sua mente a riportarla alla realtà e questo
contribuiva a far crescere in lei una strana e spiacevole sensazione di
inquietudine e incertezza.
Le venne in mente l’ammonimento di Kanon “potrei non riuscire a riportarti indietro se
tu non fossi in grado di farlo da sola” e forse solo ora iniziava a
comprenderne fino in fondo il senso.
Ma non era da lei arrendersi alle prime incertezze, ragione
per cui decise di dare un’occhiata in giro e seguire ciò che la sua mente stava
cercando in tutti i modi di mostrarle.
Fece solo pochi passi quando si accorse che alcune delle
ombre che aveva visto in lontananza si stavano in realtà muovendo, anche
piuttosto velocemente. E, a ben vedere, si accorse che erano dirette proprio
verso di lei. Più si avvicinavano, più sembravano avere sembianze umane.
“Bene” pensò con un sospiro di sollievo “Almeno la mente non
mi sta gettando in pasto ai marziani”.
Quando la prima ombra fu abbastanza vicina, fu finalmente in
grado di distinguere le sue fattezze e i suoi lineamenti, che si rivelarono
totalmente, assolutamente e inequivocabilmente umani.
“O mio dio” esclamò quando, a circa due metri da lei, la
figura arrestò la sua corsa.
Non credeva ai propri occhi, ma a quella distanza non vi era
possibilità di errore: davanti a lei, in tutta la sua magnificenza, e per
giunta mezzo nudo, non fosse per il drappo bianco attorno alla vita, si ergeva
nientepopodimeno che quel marcantonio di Henry Cavill, nonché protagonista di
molti dei suoi sogni proibiti di ragazza series
addicted.
“Hai visto che la mia mente in fondo in fondo mica è
stupida” pensò compiaciuta del risvolto inaspettato e mooolto interessante che
stava prendendo quella situazione. Sfruttare il colpo di Kanon per poter vivere,
anche solo per pochi attimi, uno dei suoi sogni di ragazzina? Decisamente
allettante come prospettiva.
Era talmente assorta ad ammirare le fattezze del suo attore
preferito, che non si era accorta di un’altra figura che era intanto
sopraggiunta, sempre di corsa, e che si era fermata esattamente dietro l’altra.
Quando ne vide il volto e ne riconobbe i lineamenti, la
delusione fu tale che un’ esclamazione di viva protesta le salì immediatamente alle
labbra
“Kanon! Che diavolo ci fai anche tu qui? Non sarai venuto a
riprendermi proprio sul più bello?!? Eh no caro mio, non è che prima mi
sventoli di fronte il mio idolo di sempre e poi ti presenti tu a fare il
guastafeste! Sappi che non verrò da nessuna parte con te, se prima non mi lasci
il tempo di …” si interruppe bruscamente non appena si accorse che Kanon era
quasi completamente svestito, esattamente come l’altro.
Non che Juliet fosse una dall’imbarazzo facile, ma trovarsi
di fronte tutti quei muscoli perfettamente scolpiti la stava destabilizzando.
Più che altro si stava chiedendo quale subdolo e perverso meccanismo avesse
messo in atto la sua mente per proiettarle l’immagine di Kanon di fianco a
quella del suo sogno erotico per eccellenza. Che razza di messaggio inconscio
cercava di trasmetterle?
Il primo a rivolgerle la parola, mentre lei era intenta nei
suoi ragionamenti, fu proprio Henry Cavill
“Ti stavamo aspettando” le disse con uno sguardo, un sorriso
e un tono che esprimeva sollievo e riconoscenza.
“Stavate aspettando me? Cioè tu, Henry Cavill, aspettavi
me?” disse ignorando volutamente la fastidiosa e invadente presenza di Kanon.
“Micene è il mio nome, Cavaliere d’Oro di Sagitter”
l’incredulità di Juliet di fronte a quella rivelazione fu totale. Evidentemente
si trattava di un set di un film, in cui lui interpretava il ruolo di un
cavaliere. Un cavaliere d’oro, tanto per cambiare.
“Il piacere è mio, io sono Juliet” rispose con il tono più
dolce di cui era capace. Poi si rivolse all’altro, con tutt’altra intonazione
di voce “ Kanon, dato che siamo in un film, il tuo personaggio è una comparsa
del tutto superflua. Soprattutto considerando che io non sono una donzella che
in questo momento vuole essere salvata”.
Non capiva perché Kanon continuasse a guardarla come se non
l’avesse mai vista prima e si chiedeva perché non le avesse ancora rivolto la
parola. Notò però uno sguardo perplesso tra i due, come se cercassero un
tentativo di intesa prima di dire qualcosa. Fu sempre Henry Cavill - Micene a
parlare
“Posso chiederti in quali circostanze hai conosciuto Kanon?”
chiese gentilmente.
Juliet guardò torvo l’altro che continuava nel suo mutismo
selettivo, come se non si stesse parlando di lui.
“Ho conosciuto Kanon nel giorno più sfigato della mia intera
esistenza, l’unico in cui la mia fortuna sfacciata ha deciso di abbandonarmi e
farmi finire qua, senza avere la più pallida idea di come fare per tornare
indietro. Ecco, diciamo che se sono qua il merito è tutto di Kanon, che mi ha
procurato un biglietto di sola andata e si è dimenticato di dirmi come fare a
trovare quello del ritorno”.
“Tipico di mio fratello. Agire senza pensare fino in fondo
alle conseguenze” finalmente proferì parola, ma con un’inflessione nel tono di
voce che non era propria di Kanon. E anche il suo sguardo era diverso. Meno
canzonatorio, meno strafottente, più austero.
“Chi diavolo sei tu?” gli andò talmente vicino che quasi
andò a sbatterci addosso, costringendolo a fare un passo indietro per lo
stupore.
“Domando scusa per i miei modi, e per non essermi presentato
prima. Il mio nome è Saga, Cavaliere d’Oro di Gemini. Nonché fratello gemello
di Kanon, che a quanto pare tu hai avuto già modo di conoscere”.
Juliet rimase senza parole: mai si sarebbe aspettata un tale
scherzo da parte della sua mente, ed esplicitò a voce alta i suoi pensieri
“Certo non immaginavo che il condizionamento della mente mi spedisse
in mezzo ai vostri legami familiari”
“Non è stato il condizionamento della mente a condurti qui
da noi” Saga la interruppe “Il demone dell’oscurità non ha il potere di
spedirti in un’altra dimensione. Il colpo che ti ha portato qui è la Dimensione
Oscura, ma non è stato Kanon a lanciarlo”.
“Altra dimensione in che senso? Vuoi dire che sono stata
drogata e vedo cose che non esistono?” chiese Juliet.
“Al contrario. Niente di ciò che vedi è frutto della tua
mente, della tua fantasia, o dell’effetto di droghe. Quella che vedi è la
realtà, una realtà che appartiene a una dimensione parallela, un limbo in cui
noi siamo stati confinati e in cui siamo destinati a restare per l’eternità, o
almeno fino a che qualcuno con le tue caratteristiche non sia dotato di un’anima
capace di raggiungerci”.
“Io non sono capace di un bel niente. Non so nemmeno di che
parli. So solo che Kanon mi ha colpito, qualsiasi sia il nome della maledizione
che mi ha lanciato addosso, e che mi sono ritrovata qui”.
“Quando Kanon ti ha colpito, molto
probabilmente non era a conoscenza di molte cose sul tuo conto. E a quanto
vedo, nemmeno tu”. Non vi era traccia di rimprovero nella voce di Saga, ma
Juliet si pose immediatamente sulla difensiva
“E tu, di grazia, di cosa saresti a
conoscenza che a noi umani non è dato sapere?”
“Quello che Saga intende dire” si
intromise Micene “E’ che se la tua anima è arrivata fino a qui, in un luogo che
nemmeno la nostra Dea ha potuto trovare, nonostante abbia in tutti i modi
cercato di riportarci indietro dopo la guerra contro Hades, devi per forza
possedere delle qualità di cui probabilmente ancora non sei consapevole”.
Non seppe dire se fu la somiglianza
con Henry Cavill, ma Juliet ascoltava quel giovane uomo come fosse stato un dio
greco da venerare. E diede immediatamente credito alle sue parole
“Dunque, non fosse per un piccolo
esperimento genetico fatto a mia insaputa mentre ero sulla culla, esperimento che
in teoria avrebbe dovuto garantirmi l’immunità ai condizionamenti della mente,
posso affermare con certezza che le mie migliori qualità niente hanno a che
vedere con i passaggi trans dimensionali”.
“Chi ha operato questo esperimento
genetico?” Saga sembrava interessato ad approfondire il discorso.
“Mio padre e il suo migliore amico. E
non solo su di me, ma anche sulla mia migliore amica. Che attualmente risulta
dispersa in Russia, mentre io, che dovrei andare a recuperarla, sto qui a
parlare del niente assoluto con voi, come una qualsiasi strafatta di LSD”
Juliet iniziava a manifestare segnali di insofferenza rispetto alla permanenza
forzata in quel luogo.
“Tuo padre e il suo migliore amico probabilmente avevano
intuito qualcosa. Ma niente che fosse anche solo lontanamente paragonabile alla
reale portata dei tuoi poteri” proseguì Saga.
“Tu continui a sottolineare i miei poteri, ma ti faccio
notare che io non ho idea di come sia arrivata fin qui e non ho idea di come
fare per andarmene da qui. E qualsiasi cosa voi cerchiate di farmi credere, io
riterrò per sempre Kanon responsabile del casino in cui mi trovo ora” .
“Non è stato Kanon a condurti fino a qui. Sei stata tu, con
il mio aiuto. Ho stabilito una connessione sfruttando la risonanza del colpo di
mio fratello, e tu hai semplicemente seguito un canale dimensionale aperto da
me, che nessun altro è stato mai in grado di percepire prima.”
“Non capisco. Se io non mi sono resa conto di niente, perché
l’avrei fatto? Non sapevo niente di te, della vostra guerra, della vostra
scomparsa, conosco a malapena tuo fratello e nemmeno posso dire di fidarmi di
lui. Che motivo avrei avuto di seguire questo varco dimensionale per arrivare
fino a qui?” Juliet non si capacitava di non poter più attribuire la colpa di
tutta quella situazione a Kanon.
“Probabilmente” le rispose Saga “La volontà di qualcuno più
in alto di tutti noi ha fatto si che questa circostanza si verificasse. Forse vi
è una necessità, che ad oggi ancora non conosciamo, per la quale è giunto il
momento che noi cavalieri di Athena torniamo nel mondo dei vivi.”
“Mi stai dicendo che la mia anima è finita nel regno dei
morti? Siamo all’inferno?”
“No, se questo fosse stato il regno degli inferi, Athena
avrebbe saputo tirarci fuori”
Fu Micene a rispondere al suo posto “Siamo intrappolati in
questa dimensione senza nome, invisibile perfino agli dei. Tra di noi c’è più
di un cavaliere in grado di oltrepassare l’ingresso dell’Ade, ma nessuno tra
noi è stato in grado di stabilire un contatto con l’esterno, fino ad ora”
“Parli come se ci fossero altri cavalieri qui, oltre a voi”Juliet
si guardò intorno, ma non vide nessun’altro.
“E’ così infatti” rispose Saga “Ma tra tutti, sono io l’unico
in grado di aprire un varco dimensionale".
“Vuoi dire che se sono qui è colpa tua? Allora deve essere
un vizio di famiglia” disse sarcastica “Spero sarai almeno in grado di spiegarmi
come fare a tornare indietro”.
“Si. Ti aiuterò io” disse Saga ignorando la prima parte del
suo commento “Farò in modo che tu possa tornare indietro sana e salva. Ho solo
bisogno di un po’ di tempo e sarà necessario, ad un certo punto, che tu riesca
ad affidarti completamente a me".
“Mi chiedi di portare
pazienza e di accordarti la mia fiducia, come fosse semplice” borbottò a mezza
voce Juliet.
“Non ho detto che sarà semplice, ma tu sembri avere abbastanza
carattere da affrontare problemi ben più complicati di questo” rispose Saga
guardandola dritto negli occhi.
Era un complimento questo? Quell’uomo la metteva in soggezione.
Era così uguale, e al tempo stesso così diverso da Kanon. Avrebbe voluto sapere
di più su di loro, avrebbe voluto conoscere i dettagli di quella storia, della
loro guerra. Invece doveva fidarsi così, sulla parola, di due sconosciuti per
giunta. In fondo non aveva altra scelta, se voleva uscire da quel luogo.
Micene, che sembrò leggere la sua titubanza, cercò di
infonderle coraggio
“Non devi preoccuparti, Saga ti darà anche le indicazioni per
chiedere aiuto a chi saprà guidarti nel trovare il modo di gestire questa tua
capacità. Così che magari un giorno tu possa utilizzarla per riportare indietro
tutti noi”.
Juliet lo guardò e sentì crescere dentro di se un profondo sconforto.
E allora ebbe il sospetto che la sua mente iniziasse davvero a farle brutti
scherzi. Perché non era possibile che, in mezzo a tutto ciò che le stava
succedendo, lei non riuscisse a focalizzarsi su altro che non fosse la
delusione di scoprire che no, Henry Cavill non era mai stato lì con lei.
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Capitolo 27 *** Capitolo 26 ***
Capitolo 26
Lo scatto metallico annunciava lo sblocco della serratura:
qualcuno aveva appena aperto un varco nella sua unica potenziale via d’uscita.
Per questa ragione i suoi sensi avrebbero dovuto prestare la massima attenzione
ai movimenti e ai suoni provenienti da quella direzione, ma quando la porta si
aprì, Claire non ebbe nemmeno le forze per sollevare lo sguardo e vedere chi
fosse.
Qualcuno entrò nella stanza, sentì rimbombare sul pavimento i
suoi passi pesanti, che si facevano sempre più vicini, fino a che non ebbe
l’impressione che quel qualcuno volesse calpestarla e camminare sopra il suo
corpo sfinito e inerme. Se anche avesse avuto le energie per spostarsi, era pur
sempre legata mani e piedi, quindi le sarebbe stato impossibile evitarlo.
Invece quei passi si bloccarono a pochi millimetri dal suo
volto. Vedeva le sue scarpe attraverso l’occhio semichiuso, con una guancia e l’altro occhio poggiati sul
pavimento.
Ancor prima di riuscire ad aprire completamente l’occhio,
un’altra persona entrò nella stanza. Non sentì il suono dei suoi passi, ma udì
con chiarezza la sua voce sprezzante
“Sai cosa fare. Appena hai finito con lei, portala su.”
Il suo tono era perentorio, certamente era qualcuno di grado
superiore all’altro. Quest’ultimo non perse tempo e si diede da fare per
eseguire l’ordine ricevuto.
Claire si rese conto solo di un dolore lancinante al fianco,
ma non seppe dire se l’avesse colpita con un calcio o con un oggetto. Aprì
completamente gli occhi e vide con chiarezza una delle sue scarpe, che
sembravano ricoperte di metallo.
Il colpo la fece tossire e si chiese se non le avesse
causato la frattura di qualche costola.
“Buongiorno bella addormentata, dormito bene?” la sua voce
aveva un timbro metallico che la rendeva
irreale, esattamente come le sue scarpe.
Lei si sforzava in ogni modo di reagire ma le fibre del suo
corpo non rispondevano.
Lui doveva averlo capito perché la afferrò con forza per le
spalle e, con una forza che a lei parve sovrumana, la sollevò da terra e la
scaraventò dall’altra parte della stanza, facendole sbattere violentemente la
schiena contro la parete. Un urlo di dolore le salì alla gola, quando cadendo a
terra in maniera scomposta, con i piedi ancora legati, si procurò una
distorsione, o forse una frattura, a una delle caviglie.
Il dolore stava risvegliando i sensi intorpiditi dalla droga
che le avevano iniettato, se non altro ora riusciva a tenere entrambi gli occhi
aperti e a focalizzare l’attenzione su quanto le stava accadendo.
Non era ancora nel pieno delle sue facoltà, ma se voleva
sopravvivere doveva assolutamente ragionare lucidamente. Le erano bastati quei
pochi istanti per comprendere che sul piano fisico non c’era possibilità alcuna
di lottare. Quel genere di forza non sarebbe stata alla sua portata nemmeno se
lei fosse stata armata fino ai denti e in possesso di tutte le sue capacità
fisiche e mentali.
Ora che vedeva la sua figura per intero si accorse che
indossava un’armatura, e lei purtroppo aveva appreso, per esperienza diretta,
che la forza sprigionata da quel genere di cavalieri poteva definirsi più
divina che umana.
Così fece l’unica cosa che poteva fare in quella situazione:
parlò.
“Visto che hai deciso di uccidermi, posso almeno chiederti
di liberarmi da queste corde? Vorrei congiungere le mani in preghiera, prima di
morire”.
“Se fosse per me ti avrei già uccisa, ma purtroppo mi è
stato impedito. Posso solo giocare un po’ con te e poi devo riportarti su dagli
altri, stando attento a non fare troppi danni” disse evidentemente contrariato.
Se non altro aveva di fronte uno stolto, pensò Claire. In
una sola frase aveva dato informazioni sul suo ruolo, i suoi limiti e anche sul
numero di persone che erano con lui. Almeno altri due.
Lo osservò con maggiore attenzione e si accorse che sia il
suo aspetto che la sua armatura non avevano niente a che fare con quelle che
lei aveva conosciuto anni addietro. Le armature dorate, che illuminavano chi le
indossava di un’aura di lucentezza assoluta, non avevano niente in comune con
questa che si trovava di fronte, che era di un colore nero ossidiana e che
sotto le luci al neon emetteva dei riflessi verdastri. L’elmo copriva quasi
totalmente il volto, lasciando scoperta solo la porzione del mento, appena fin
sopra le labbra. Labbra che lasciavano intravedere un sorriso sadico, mentre
continuava a colpirla al solo scopo di divertirsi. Ciascun colpo che riceveva,
e che non riusciva in alcun modo ad evitare, le provocava una frattura, una
contusione, un’emorragia. Le stava rompendo le ossa, letteralmente. Doveva
assolutamente tenere duro e non cedere, rimanere lucida nonostante il dolore
indicibile. La mente era la sua unica via di salvezza, doveva arrivare
cosciente al cospetto dei suoi superiori, capire le loro intenzioni, tentare
una trattativa, trovare una via d’uscita, o per lei sarebbe stata la fine.
Cercò di concentrarsi su altro, di estraniarsi e di portare
la sua mente al di fuori del suo corpo. Era la prima regola per non cedere alle
torture: scindere la mente dal resto del corpo. Non fu difficile trovare il
pensiero giusto. Quello che era ancora in grado di catalizzare la sua
attenzione in maniera assoluta e totalizzante, nonostante fossero passati anni.
L’auto si fermò a
circa cinquecento metri dal palazzo della Fondazione. Si erano sbagliati: non
era l'intera città di Atene ad essere avvolta dalle fiamme, ma il palazzo in cui, sole poche ore
prima, aveva discusso animatamente con suo padre.
Il palazzo era situato
su uno dei colli di Atene, circondato da un parco urbano, anch’esso avvolto
dalle fiamme. Colonne di fumo nero si sollevavano dal suolo e creavano una
coltre irrespirabile nel raggio di chilometri. A quella distanza il fumo
impediva loro di scorgere qualsiasi cosa. Dovevano avvicinarsi di più. Claire
era in pensiero per suo padre e per Walt. Victor, che probabilmente aveva
intuito le sue preoccupazioni, tentò di rassicurarla
“Alexander e gli altri
si saranno certamente messi al sicuro.”
Lei annuì con un cenno
del capo, e con assoluta determinazione rispose
“Devo andare a cercarli.”
“Ragiona Claire, non
puoi buttarti tra fumo e fiamme senza avere la contezza di cosa stia succedendo.”
“E cosa dovremo far
secondo te? Stare chiusi dentro questa maledetta auto a goderci lo spettacolo,
fino a che le fiamme non saranno spente? E se qualcuno avesse bisogno di aiuto?
Se mio padre, Walt o qualcun altro fossero bloccati in mezzo a quell’inferno?“
la sua voce rivelava tutta la sua angoscia “Non me lo perdonerei mai, Victor.
So che non è la mossa più astuta, ma so che se restassi qui e succedesse
qualcosa ad uno di loro, non riuscirei a perdonarmelo.”
“D’accordo” Victor la
assecondò. Lo faceva sempre, durante l’azione “Però vengo con te, almeno c’è
qualcuno che ti guarda le spalle, in caso di necessità”.
Quello che successe
immediatamente dopo rimase impresso nella memoria di Claire come un susseguirsi
di eventi traumatici, privi di razionale
consequenzialità. Eventi che si fissarono nella sua mente come fotogrammi
surreali che apparivano e scomparivano in mezzo ad una coltre di fumo nero,
illuminati da bagliori di luce che, come dei flash istantanei, scattavano nel
preciso momento in cui le immagini si rivelavano ai suoi occhi in tutta la loro
crudezza.
Il primo fotogramma ad
essere illuminato fu quello di Milo, affiancato al tizio che riconobbe essere
lo stesso con cui aveva avuto un incontro- scontro al consolato francese di
Londra, entrambi ricoperti da un’armatura che emanava bagliori dorati.
Il secondo fotogramma
fu quello di suo padre, riverso a terra in un lago di sangue. Ciò che non
sarebbe mai riuscita a togliersi dalla mente, fu la visione immediatamente
successiva: Milo che si gettava contro suo padre per colpirlo, conficcandogli
le dita di una mano al centro del petto, quasi all’altezza del cuore.
Il gelo la pervase le
membra, nonostante il calore soffocante del fuoco. Avrebbe voluto urlare, ma
dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono. Restò paralizzata, vedendo la furia
e la potenza con cui Milo si era scagliato contro il corpo inerme e
insanguinato di suo padre.
Victor, che aveva
assistito alla stessa scena, fu più pronto di lei ad intervenire. Si avvicinò
velocemente a Milo, puntandogli addosso il suo mitra
“Lascialo
immediatamente” lo minacciò
Claire si diede conto
solo di Milo che lasciò suo padre nelle mani dell’altro e immediatamente dopo,
coprendo una distanza di qualche centinaio di metri in un batter di ciglia, la
sua faccia era a due centimetri da quella di Victor, una mano a stringere il
suo collo e l’altra impegnata a polverizzare il mitra. Con la sola stretta di
una mano aveva ridotto in frantumi l’arma più letale che avevano in dotazione.
“Pensavo di essere
stato chiaro. Dov’è lei? Dimmi che l’hai portata lontano da qui, esattamente
come ti avevo detto di fare. Dimmi che lei è al sicuro” la mano sul collo si
faceva sempre più stretta, e Victor iniziò a tossire.
Fu allora che Claire
prese coscienza della potenza sovrumana di Milo. E fu consapevole di non potere
niente contro di lui. Fortunatamente fu qualcun altro a venire in soccorso di
Victor.
“Milo, fermatevi, vi
prego. Qui ci penso io ora”
La voce di una donna.
Una voce conosciuta, e un volto altrettanto conosciuto, comparve nel campo visivo
di Claire. Lady Isabel, la stessa donna che aveva incontrato mesi prima, al
ricevimento della Fondazione.
“Milady, andate via ,
è pericoloso. Non sappiamo chi sia il nemico” Milo non accennava a mollare la
presa dal collo di Victor, che oramai era paonazzo.
Fu allora che Claire
decise di agire. Non agì lucidamente, ma lo fece istintivamente, in maniera
spietata, così come era stato spietato Milo nei confronti di suo padre e di
Victor. Sapendo di non avere speranze contro di lui, decise di prendere un ostaggio.
Forte del fatto che il
fumo avesse nascosto a tutti la sua presenza, si avvicinò senza essere notata e
con un movimento veloce, da dietro, afferrò il collo di Lady Isabel e le puntò
la semiautomatica alla tempia.
“Togli le tue luride
mani da Victor e restituiscimi il corpo di mio padre, o le faccio esplodere il
cervello”
Claire non avrebbe mai
dimenticato lo sguardo di stupore di Milo. Fu talmente sbalordito che per alcuni secondi non riuscì ad articolare
nemmeno una parola.
“Milo fa qualcosa o mi
vedrò costretto ad intervenire a modo mio” urlò l’altro in armatura.
“No! Kanon, Milo,
fermi. Vi proibisco di intraprendere azioni di cui potreste pentirvi. Fate
quello che vi chiede, e abbiate fiducia in me, per favore” fu Lady Isabel a
parlare, mentre Claire la teneva stretta a se, con l’arma puntata alla tempia.
Milo lasciò
immediatamente andare Victor, che ruzzolò per terra, tossendo convulsamente e
portando le mani a massaggiarsi il collo.
Dopodiché si rivolse a
lei, con tono neutro e sguardo fermo
“Claire, nessuno vuole
fare del male a te né tantomeno a tuo padre. Qui siamo tutti dalla stessa
parte”
“Taci! Bugiardo, come
osi continuare a vomitarmi addosso le tue menzogne. Ti ho appena visto
infierire su mio padre, l’hai ucciso tu!” la rabbia di Claire era incontenibile,
il braccio con cui impugnava l’arma tremava.
Lo sguardo di Milo
cambiò, come se si fosse improvvisamente reso conto di qualcosa, e si fece più
duro, più freddo.
Kanon, così l’aveva
chiamato Lady Isabel, iniziò ad avanzare verso di lei, lentamente, nonostante avesse
ricevuto poco prima l’ordine di non intervenire. Evidentemente le parole di
quella donna non avevano grande influenza su di lui.
Claire iniziò ad
indietreggiare, trascinando con se il suo ostaggio. Fino a che non arrivò al
punto in cui sentì dietro di se solo il vuoto di un precipizio. Si voltò giusto
il necessario per rendersi conto di essere a due passi da un dislivello di
circa venti metri, al di sotto del quale il parco veniva avvolto dalle fiamme.
Se cadevano sotto e non si sfracellavano prima sulle pietre, sarebbero morte
bruciate vive. Sarebbero, perché lei non aveva alcuna intenzione di lasciar
andare il suo ostaggio.
Milo e Kanon, che si
diedero conto di quanto stava succedendo, le lanciarono un avvertimento
“Fermati o
precipiterete entrambe” la voce di Milo era durissima. Lo sguardo cupo, il suo
volto una maschera di rabbia, irriconoscibile.
Claire sapeva di non
avere scelta. Victor era fuori uso, giaceva svenuto a terra. Suo padre, se
ancora non era morto, era sicuramente sul punto di lasciare questo mondo. Di
Walt nessuna traccia. Nessuno dell’Agenzia che potesse venire in suo soccorso.
Era lei, inerme contro quello che veniva definito l’assassino del Grande
Tempio. Che era anche supportato dal suo collega, ancor meno rassicurante di
lui. No, non aveva alcuna speranza si sopravvivere. Se non fosse morta cadendo
tra le fiamme, sarebbe morta per mano di quei due, ne era certa.
Fu allora che successe
una cosa che al momento le sembrò impossibile da credere. Dal suo ostaggio
iniziò a propagarsi una luce, un calore confortante, che avvolse entrambe,
mentre Lady Isabel pronunciava parole rassicuranti
“Non ti succederà
niente Claire. I cavalieri di Athena hanno il compito di proteggerti, non di
ucciderti. Devi fidarti di loro, devi fidarti di me. Abbassa l’arma e lasciati
condurre al sicuro, te ne prego”
“Non pensare che io
sia stupida. Tu mi stai pregando di salvare te stessa, di me non ti importa “
“Ti sbagli. Mi importa
di te come mi importa di tuo padre, credimi”
C’era qualcosa in
quella donna che le ispirava fiducia. Il suo calore le infondeva una sensazione
di pace. Non seppe dire se furono quelle parole, ma decise di lasciarla andare,
in fondo non voleva averla sulla coscienza. Se doveva morire, sarebbe morta da
sola. E con una spinta la allontanò da se, gettandola praticamente addosso a
Kanon.
“Tutto bene, milady?”
si affrettò ad accertarsi quello.
“Sto bene Kanon, non
pensare a me, lei ora è in pericolo, sento il nemico vicino”.
Poi accadde qualcosa
di inspiegabile. Improvvisamente tutto il fuoco che li circondava fu sostituito
dal ghiaccio. Le colonne di fumo scomparvero e la temperatura si abbassò
notevolmente.
Un ragazzo biondo, che
lei era sicura di avere già visto da qualche parte, comparve al lato di Milo
“Qualcuno ha dato vita
a dei fenomeni di autocombustione che hanno la capacità di autoalimentarsi.
Posso tenerli a bada fino a che non scopriamo chi li sta generando. Al Grande
Tempio stanno cercando di scovare la provenienza del nemico”.
All’improvviso il
ragazzo smise di parlare e fissò i corpi riversi a terra.
“No! Alexander!”urlò.
Dunque anche quel ragazzo conosceva suo padre.
Milo gli mise una mano
sulla spalla, era evidente che quei due fossero in confidenza
“Sta tranquillo, andrà
tutto bene”
Questa fu l’ultima
frase che Claire sentì distintamente, prima che una risata coprisse tutte le
voci dei presenti, e la richiamasse a se.
Dietro di lei si aprì
come un varco, illuminato, dal quale fuoriuscì una figura, che le si rivolse con
voce suadente
“Claire, tesoro, mi
riconosci? Sono tua madre”
Claire non ricordava
sua madre. Aveva solo due anni quando lei morì. Ma la casa di suo padre era
tappezzata delle sue foto, e la figura che comparve dal nulla era esattamente
la copia della donna raffigurata in quelle foto. Corrispondeva in tutto e per
tutto all’immagine che lei aveva di sua madre.
“No Claire, attenta,
non dare retta alle sue parole, ti prego” Lady Isabel cercò di metterla in
guardia.
“Claire, non vedi come
temono le mie parole? Non lasciare che costoro ti ingannino con i loro giochi
perversi. Hanno ucciso tuo padre, il loro obiettivo ora è uccidere te.”
Claire sentiva che
avrebbe ceduto. Quella donna le stava dando una via d’uscita e sebbene il suo
inconscio e la sua razionalità le suggerissero di non fidarsi di quell’apparizione
irreale, lei sentiva di non avere scelta, poiché dall’altra parte vedeva solo
pericoli molto reali e non voleva certo cadere nelle mani del nemico.
Fu così che quando
quella donna allungò una mano e la incoraggiò ad afferrarla, lei non esitò
nemmeno un istante. Gettò a terra la sua arma e si protese verso di lei.
“Claire No!!” Lady
Isabel aveva ora una voce allarmata. Quindi si rivolse ai cavalieri presenti
“Non deve assolutamente entrare in
contatto con lei o la perderemo per sempre”.
Milo agì quasi
d’istinto, senza pensare fino in fondo a tutte le conseguenze del suo gesto.
Sapendo di non poter colpire l’immagine riflessa, in quanto mera manifestazione
di un nemico che in realtà non era lì, mirò con precisione al braccio che
Claire protendeva verso di lei, per spezzare sul nascere un legame che
altrimenti sarebbe potuto diventare indissolubile
“Cuspide Scarlatta!”
Claire si accasciò immediatamente
a terra e nel momento in cui ritirò il braccio, l’immagine della donna sopra di
lei svanì e il varco nel cielo si richiuse.
Avrebbe ricordato
tutta la vita il dolore acuto sul suo braccio, che si irradiava velocemente in
tutto il corpo, come se il suo sangue fosse in fiamme. Il calore che si
propagava attraverso il suo sangue fece salire velocemente la sua temperatura
corporea portandola alle convulsioni. Pensò che sarebbe impazzita dal dolore,
ma non aveva sufficiente energia in corpo per esprimerlo, avrebbe voluto
urlare, ma iniziò a mancarle il fiato. I polmoni sembravano non essere più in
grado di procurarle l’aria necessaria a respirare. Si guardò il braccio
dolorante e vide un rivolo di sangue che scorreva copioso da un piccolo foro
sul suo avambraccio. Possibile che una ferita apparentemente così
insignificante potesse provocare un dolore così immenso? La reazione del suo corpo
non era commisurata all’entità della ferita.
Mentre si contorceva a
terra, tenendosi saldamente il braccio ferito, l’autore di tutto ciò osò
avvicinarsi a lei nel tentativo di sollevarla. Ebbe un moto di rabbia e con le
ultime energie rimaste afferrò l’arma che aveva gettato per terra solo pochi
minuti prima, con l’intenzione di piantargli una pallottola in mezzo alla
fronte.
I suoi movimenti,
troppo lenti viste le sue condizioni, vennero ampiamente anticipati da Milo,
che le sfilò delicatamente l’arma dalla mano e la gettò via. Era la fine per
lei, sapeva di non avere scampo oramai. Chiuse gli occhi pregando che la sua
morte arrivasse velocemente e portasse via tutto il dolore che stava provando
in quel momento. Ma la morte non era così magnanima a quanto pare, e non si
decideva ad arrivare, mentre il dolore aumentava in un crescendo che la stava
portando molto oltre la soglia della tollerabilità.
“Sta soffrendo troppo,
c’è qualcosa che non va” disse Milo
“E cosa ti aspettavi
dopo averle scagliato addosso la tua cuspide scarlatta?” Claire percepì una
nota di rimprovero nella voce del ragazzo biondo.
Milo, almeno in
apparenza, ignorò il suo commento, e, con grande orrore di Claire, posò la sua
mano prima sopra la sua fronte, e poi sopra la sua guancia
“La temperatura è
troppo alta. Non sta respirando bene, dannazione” no , non poteva essere preoccupazione
quella che a Claire parve di sentire nella sua voce.
“Potrebbe essere uno
shock anafilattico. Una reazione dell’organismo al veleno” si intromise Kanon.
“Presto, non c’è tempo
da perdere, dobbiamo portare tutti i feriti all’ospedale della Fondazione, il
pronto soccorso è già allertato per via dell’incendio” annunciò Lady Isabel,
per poi avvicinarsi a rincuorare un costernato e affranto Milo “Le hai salvato
la vita Cavaliere, come l’hai salvata ad Alexander prima di lei. Nessuno dei
due morirà”
“Lo spero, milady, con
tutto il cuore. Perché non credo che mi perdonerei, in caso non dovesse farcela”.
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Capitolo 28 *** Capitolo 27 ***
Capitolo 27
La presenza di Victor era per Milo qualcosa di estremamente
molesto.
Nonostante i vani tentativi di Walt di mettere pace,
l’abitacolo dell’automobile non era abbastanza capiente per contenere l’aura di
ostilità che entrambi emanavano.
Lucas, in totale imbarazzo, abbozzava timidi tentativi di
intromettersi nella discussione, che veniva puntualmente accesa da ogni parola,
detta o anche non detta.
Il viaggio sarebbe durato al massimo trenta minuti. Trenta
minuti in cui sarebbe potuto accadere di tutto: una piccola reazione di Milo
fuori controllo e potevano morire tutti all’istante. Inceneriti, fulminati, disintegrati
o trapassati dalle sue cuspidi.
L’unico argomento che sembrava far leva sulla sua capacità
di autocontrollo era lo stesso che la alimentava: Claire.
L’obiettivo su cui ciascun membro del team doveva
focalizzarsi era il suo recupero, almeno su questo erano tutti d’accordo.
Milo dal canto suo si sentiva terribilmente a disagio, non
tanto per la sgradita presenza di Victor, ma per la consapevolezza di non
riuscire a mantenere un atteggiamento freddo e distaccato, quando c’era in
ballo lei. Questo, ne era certo,
l’avrebbe portato a commettere qualche errore. Avrebbe dovuto farsi da parte e
chiedere a Kanon di prendere il suo posto, invece si era lasciato trascinare
dal terrore di perderla. Ma di perdere cosa poi? In fondo, non l’aveva mai
avuta.
Le luci al neon del
pronto soccorso dell’ospedale disegnavano sotto i suoi occhi ombre ancora più
scure di quanto in realtà lo fossero. Cristal era stato chiamato d’urgenza nel reparto di rianimazione, a
quanto pare serviva una trasfusione.
Nessuno si era
preoccupato di specificare per chi. Nel peggiore dei casi serviva ad entrambi.
Il corridoio era
deserto, non c’era nessuno oltre a loro. Kanon era seduto di fianco a lui. Non
parlava, ma la sua presenza in quel momento era sufficiente ad impedire a Milo di
andare fuori di testa e sfondare le porte che lo separavano da quel maledetto
reparto.
Dopo l’attacco alla
villa e l’incendio dell’intero palazzo della Fondazione, Lady Isabel chiese al
Cavaliere del Leone e a quello dell’Ariete di organizzare il trasferimento di
tutto lo staff dell’Agenzia. Sarebbero stati accolti al Santuario. Ma Walt
ovviamente non ne volle sapere di abbandonare l’ospedale. Al momento si trovava
ricoverato per un principio di intossicazione, insieme a quell’altro idiota che
aveva riportato Claire sulla scena del pericolo, proprio dopo che lui aveva
fatto di tutto per allontanarla e metterla al sicuro.
Quel pensiero gli fece
involontariamente stringere le mani sul bracciolo della poltrona, gesto che non
sfuggì a Kanon.
“Intendi disintegrarla
o semplicemente plasmarla a tuo piacimento sotto le tue dita?”
“Mhh? A chi ti
riferisci?” Milo si mise sulla difensiva
“Alla poltrona
ovviamente. E a cosa altrimenti?” rispose Kanon indicando il bracciolo serrato
sotto le sue dita.
“Ah, ….” Milo non era
in vena di parlare.
Kanon lo osservò con
un misto di perplessità e preoccupazione.
“Hai l’aspetto di uno
che ha bisogno di dormire”
“Non riuscirei a
dormire nemmeno se fosse un’esigenza vitale. E lo sai benissimo”
“Ma dormire è
un’esigenza vitale. E lo sai benissimo” gli fece il verso Kanon.
Mentre Milo si
sforzava di trovare le parole giuste per far capire a Kanon, senza offenderlo,
che, nonostante apprezzasse la sua presenza, lo preferiva in modalità
silenziosa, arrivò un’infermiera
“Chi di voi è Milo?”
Milo la guardò per
alcuni istanti senza rispondere, come se avesse problemi ad articolare il
linguaggio.
“E’ lui” rispose Kanon
al suo posto.
“Il suo amico chiede
di lei, se vuole seguirmi”
Milo continuava a
stare seduto e a fissare l’infermiera che si allontanava.
“Che fai, non la
segui?” lo incitò Kanon.
“Perché non mi ha
detto come stanno? Mi ha detto di seguirla, perché sarà qualcun altro a darmi
la notizia?”
Kanon sospirò,
paziente. Mai come in quel momento aveva percepito così chiaramente la
fragilità dell’amico. Ragionò qualche secondo su quali potessero essere le
parole più giuste da utilizzare
“Non ho abbastanza
elementi per rassicurarti, Milo. Ma non ne ho nemmeno a sufficienza per dirti
che stai per ricevere notizie spiacevoli. Preferisci che vada io e poi ti
riporti quanto sta accadendo?”
Milo si alzò in piedi
di scatto “No! Non c’è bisogno, vado io” disse. “Ma … grazie” aggiunse in un
sussurro mentre già si incamminava verso il corridoio, in direzione
dell’infermiera, che si era fermata ad attenderlo all’ingresso del reparto.
Kanon pregò che ad
attenderlo ci fossero anche buone notizie.
L’infermiera condusse
Milo nella camera in cui, disteso in un letto, trovò Cristal, più pallido del
solito. Milo ruotò la testa cercando di capire se nella stanza ci fosse qualcun
altro
“Ci sono solo io, loro
sono in terapia intensiva. Avevano entrambi bisogno di una trasfusione e ho
contribuito con un po’ del mio sangue, solo che ora quell’infermiera mi ha
detto che devo stare qui a riprendermi. Tze, come se non fossi abituato a
sopportare ben di peggio” disse visibilmente contrariato.
“Dal colorito della
tua faccia, pare che ti abbiano dissanguato” rispose Milo osservandolo da
vicino.
“Se dovessi commentare
il tuo, di colorito, Milo di Scorpio, distruggerei in due parole la tua
proverbiale autostima” osservò semplicemente Cristal.
Kanon gli aveva già
fatto capire che il suo aspetto non era esattamente fresco e riposato, ma a
Milo non interessava. L’unica cosa che gli importava era che non fosse successo
niente di irreparabile.
“Come stanno ora?” Milo
fece immediatamente la domanda.
“Stanno cercando di
stabilizzarli. Lei aveva la febbre altissima. Sono riuscito ad abbassare la sua
temperatura corporea utilizzando il mio cosmo. Non so quanto durerà, i medici
mi hanno detto che potrebbe essere necessario ripetere il tutto”.
“Mi dispiace. Non
doveva andare a finire così” Milo non riusciva a guardalo in faccia.
“Da quanto lo sapevi?”
Ecco la domanda a cui
non avrebbe voluto rispondere.
“Da un po’” disse
vago.
“Mhh. Da un po’ tanto
immagino.” Il tono di Cristal non era freddo, né tagliente come si sarebbe
aspettato. Forse il discepolo non era poi così simile al maestro, pensò
ricordando le gelide risposte di Camus.
“E lei, sapeva?
proseguì Cristal.
“L’ha saputo oggi, da
Alexander” Milo ricordò il momento esatto in cui aveva percepito il cambiamento
di Claire nei suoi confronti, solo poche ore prima.
“Dunque Alexander ha
deciso che oggi era il grande giorno delle rivelazioni, per tutti” Cristal lo
disse con una punta di amarezza.
“Mi dispiace, davvero.
Avrei voluto dirtelo, ma…”
“Non spettava a te
farlo Milo. Non farti carico anche di questa responsabilità”
Cristal non gli
portava rancore. Ma questo non fu sufficiente a dargli sollievo.
“Camus te l’avrebbe
detto, se ci fosse stato lui al mio posto. Ne sono certo”
“E infatti Camus amava
farsi carico di responsabilità non dovute” affermò Cristal, con il pensiero che
andava automaticamente al loro scontro alle 12 case.
Milo, che di suo padre
conservava solo dei ricordi sfuocati, non riusciva ad immaginare cosa si
potesse provare in una situazione come quella che stava vivendo Cristal.
“Non ce l’ho con lui,
sai” Cristal sembrava avere intuito i suoi pensieri “Non riesco ad avercela con
lui, anche se sento che la rabbia sarebbe un sentimento legittimo da provare.
La verità è che sarei felice di avere una seconda occasione.
Tu sai bene, come lo
sapeva Camus, quanto io fossi legato al ricordo di mia madre. Per anni ho
vissuto con il rimpianto per una famiglia che mi era stata tolta, fino a
comprendere, crescendo, che quella famiglia l’avrei ritrovata in altri volti,
in altre mani, sotto altre forme. Ed ora il pensiero di poter conoscere lui, di
avere una sorella, il poter contare su qualcuno che non siano solo i miei amici
e compagni di battaglia, mi riempie il cuore di gioia.”
“Spero davvero che ne
avrai l’occasione” rispose Milo con gli occhi lucidi.
“Che ne avremo
l’occasione, Milo. O pensi che non abbia capito proprio niente?”
Milo lo guardò a
disagio, incerto sulla risposta da dare.
“Avanti Milo, anche un
cieco avrebbe notato che c’è un legame tra voi. O almeno quanto tu tenga a lei
” non era un tono di rimprovero, quello utilizzato da Cristal, ma Milo si sentì
ugualmente colpevole.
“Questo non mi ha
agevolato durante l’azione, purtroppo”.
“ Si riprenderà, abbi
fede. Anche tu meriti la tua seconda occasione”
“Non credo di essere
meritevole di niente, in questa storia, ma sul fatto che si riprenda, si, ecco
su questo voglio avere fede”.
L’intimità di quella
discussione fu bruscamente interrotta da quello che sembrava il suono di un
allarme. Che fu immediatamente seguito da un’incursione di un giovane medico e
un’infermiera che chiedevano nuovamente l’aiuto di Cristal per abbassare la
temperatura corporea di Claire.
Cristal balzò giù dal
letto con un movimento troppo brusco e un capogiro lo costrinse ad appoggiarsi
a Milo per non cadere.
L’infermiera lo invitò
quindi ad attendere che la collega gli portasse una sedia a rotelle e Cristal
iniziò a spazientirsi di essere trattato come un malato.
Milo si offrì quindi
di accompagnarlo sostenendolo per un braccio e in un attimo riuscì a convincere
l’infermiera dell’inutilità della sedia a rotelle. Uno sguardo, poche parole e
lei pendeva dalle sue labbra: sarebbe riuscito a farle credere qualsiasi cosa,
se solo avesse voluto.
“Incredibile” sussurrò
Cristal mentre camminavano fianco a fianco per il lungo corridoio “La tua è
proprio una dote naturale”.
“Non so di cosa tu
stia parlando” gli rispose a bassa voce Milo, mentre fingeva di sostenerlo e
lanciava sorrisi rassicuranti all’infermiera che ogni tanto si girava a
guardarli.
Furono condotti
entrambi direttamente nella stanza in cui era distesa Claire e per Milo fu uno
shock vederla in quelle condizioni. Era intubata, con un macchinario che
monitorava le sue funzioni vitali e le braccia piene di lividi. Non seppe dire
quale di quei lividi fosse quello procurato da lui e quali invece fossero
quelli dovuti alle flebo e alle trasfusioni. Non riuscì ad avvicinarsi
abbastanza per scoprirlo. Cristal invece, senza alcuna difficoltà o titubanza,
si era accostato di fianco al letto e aveva preso entrambe le mani della
sorella tra le sue, iniziando ad espandere il suo cosmo per abbassare la
temperatura.
Dopo qualche minuto il
macchinario a cui era attaccata decretò che il battito era risalito e si era
stabilizzato.
Il giovane medico
sembrò molto soddisfatto e si affrettò a sostituire la sacca di una flebo.
Prima di uscire dalla stanza disse,
rivolto ad entrambi
“Potete restare, se
volete. Ora è stabile, la presenza di persone care potrebbe aiutarla a
risvegliarsi”.
I due annuirono in
silenzio. Milo pensò a quanto poco gli si addicesse in quel momento la
definizione di persona cara.
Cristal invece si
sedette subito sul letto, e, inaspettatamente, cominciò a parlare alla sorella,
tenendo una delle mani tra le sue
“Claire, mi senti? Ho
appena scoperto che sei mia sorella, di avere ancora un padre, non posso
perderti ora. So che sei forte, lo sento, so che puoi farcela” Poi si girò
rivolto a Milo
“Non vuoi provare a
dirle qualcosa anche tu? Credo che la aiuterebbe a riprendersi”
“Io non credo proprio.
Anzi, potrebbe essere controproducente” rispose Milo laconico “Ma resterò
seduto qui a vegliare, fino a che non riaprirà gli occhi”.
“Come preferisci.
Visto che resterai qui, intanto vado a sincerarmi delle condizioni di Alexander,
Lady Isabel dovrebbe essere con lui”.
“Ho cercato di
bloccare l’emorragia, spero di essere arrivato in tempo. Non ho idea di chi
l’avesse ridotto in quello stato, quando siamo arrivati noi era già ferito ed
era già scoppiato l’incendio” disse con un misto di rabbia e frustrazione.
“Si lo so, ho parlato
con Walt poco fa. A quanto pare Alexander è stato previdente: prima di perdere
i sensi gli ha fatto promettere che qualsiasi cosa gli fosse accaduto,
ufficialmente avremmo dovuto dichiararlo morto” la voce di Cristal tremò
impercettibilmente mentre pronunciava le ultime parole.
“Sa che questo è
l’unico modo di proteggere sua figlia, anche se dovesse entrare in coma” Milo approvava la strategia.
“Non lo so Milo. Io la
vedo solo un’altra menzogna nei confronti di Claire. A proteggere lei avremmo
provveduto noi!”
“Ne sei convinto? Dopo
quanto è successo oggi, sei davvero convinto di questo? Noi siamo Cavalieri, addestrati per lottare
contro nemici ben definiti. Al momento non siamo preparati ad affrontare tutti
gli aspetti di questa storia, alcuni dei quali sfuggono alla nostra
comprensione. No, finchè Alexander è impossibilitato ad agire, è molto meglio
che Claire stia lontana da lui, e da noi. E lo farà solo se avrà la certezza
della sua morte. L’Agenzia stessa proteggerà Claire fino a che lui non sarà di
nuovo in grado di farlo”.
“ Spero con tutto il
cuore che quel giorno arrivi presto. Per lui, per lei e … per noi” rispose
Cristal uscendo dalla stanza.
Rimasto solo nella
stanza di Claire, Milo ebbe la sensazione di essere di troppo. Si sentiva come
un intruso che spiava nella camera di una sconosciuta. Sentiva di non avere
nessun diritto di stare li, ma allo stesso tempo non c’era nessun altro posto
al mondo in cui sarebbe potuto stare, in quel momento.
Passarono i minuti, o
forse erano ore, in cui non riuscì a non pensare alla loro storia,
all’intensità di quello che avevano vissuto e a come ora gli sembrasse tutto
lontano anni luce dalla realtà.
Fu allora che successe.
Lei mosse impercettibilmente una mano, poi aprì gli occhi, e molto lentamente
ruotò il capo di lato. Lui rimase per un attimo pietrificato, come incapace di
agire. La prima cosa che gli venne in mente di fare fu quella di chiamare il
medico, che arrivò immediatamente seguito da un’infermiera e si mise a
trafficare con i tubi del respiratore. Lo fecero uscire dalla stanza,
chiedendogli di attendere fuori. Per la prima volta nella sua vita, Milo ebbe
l’istinto di fuggire. Ma non lo fece. Attese pazientemente che l’equipe medica
facesse il suo lavoro e quando gli dissero che poteva rientrare nella stanza e
che lei era definitivamente fuori pericolo, si sentì talmente sollevato da
dimenticarsi di tutto il resto.
Rientrò nella stanza
con il cuore che gli scoppiava nel petto. Notò subito che non aveva più il
respiratore. Il battito invece era sempre monitorato.
La prima cosa che fece
Claire appena sentì la porta che si apriva fu pronunciare il nome di Victor.
Dell’idiota che era stato la causa di tutto.
“Victor, sei tu?”
continuava ad agitarsi voltando il capo da una parte all’altra.
Milo non riusciva a
tollerare che il primo pensiero una volta risvegliata fosse rivolto a quello.
Tuttavia cercò di mantenere la necessaria freddezza
“ Stai calma, ti sei
appena ripresa” le disse.
A quelle parole lei si
fermò, rimase immobile per qualche secondo, mentre metteva a fuoco i suoi
lineamenti. E lui percepì l’esatto momento in cui i suoi occhi lo riconobbero. Il
ghiaccio della Siberia era sicuramente più caldo dello sguardo gelido che gli
dedicò Claire.
“Stai lontano da me” il
macchinario indicò immediatamente una variazione nella sua frequenza cardiaca.
Milo non seppe dire se fosse una reazione di rabbia o di paura.
“ Non sono qui per
farti del male, Claire” le rispose pacato, ma senza avvicinarsi al letto.
“ E io ti sto
chiedendo di andartene, non sopporto la tua presenza” rispose lei con il fiato che iniziava a
mancarle. Era decisamente più rabbia che paura, pensò lui.
“ Non mi avvicinerò
più di così. Volevo solo assicurarmi che stessi bene”.
Lei lo guardò con
un’espressione di incredulità
“Oddio, devo proprio
averti dato la certezza che sia fottutamente semplice prendermi per il culo”
“Io non ti ho mai … “
Milo si interruppe, non riuscì a proseguire.
“ Non hai mai cosa,
Milo? Pronuncia pure le tue ultime menzogne e poi vattene”
Lui continuava a
guardarla in silenzio. Non una parola riusciva ad uscire dalle sue labbra. Ma
mantenne gli occhi puntati sui suoi, senza distogliere lo sguardo
“ Non vuoi parlare? E
allora cosa vuoi? Hai bisogno che io ti aiuti a trovare le parole giuste? Cosa
volevi dirmi, che tu non mi hai mai mentito? Che non mi hai ingannata,
soggiogata e sedotta? O che poi non hai
tradito i miei sentimenti? O forse sei venuto qui a dirmi che non hai fatto del
male a mio padre e a Victor sotto i miei occhi, per poi tentare di uccidere
me?”
Questo era decisamente
troppo.
“Non sai di cosa stai
parlando” rispose Milo tra i denti, cercando di mantenere la calma. Calma che
veniva minata ogni qualvolta lei pronunciava il nome di Victor.
“Invece io penso di
sapere molto più di quello che credi. Sai, gli abitanti di Rodorio sono molto
bene informati sul tuo conto. Mi avevano giustamente messo in guardia su di te,
assassino del Grande Tempio”.
Milo impallidì, ne era
certo, perché per un attimo ebbe l’impressione che il suo sangue non defluisse
più in tutte le parti del corpo.
Agli occhi di Claire
questa reazione fu come un’ammissione di colpevolezza, e proseguì imperterrita
“ Sai cosa c’è Milo di
Scorpio? Voglio dirti addio augurandoti esattamente quello che meriti: che
tutte le povere vittime che hai ucciso senza pietà ti perseguitino ogni giorno
nei tuoi sogni e nei tuoi pensieri, mentre dormi e mentre sei desto, affinché
tu non possa trovare più pace finché campi, così che tu possa finalmente
espiare i tuoi peccati”.
“Ma che maledizione
ben scelta, mia cara, per impedirmi in eterno di trovare pace” l’espressione di
Milo era mutata. I suoi occhi orano erano freddi e la sua voce tagliente,
esattamente come quando in battaglia si preparava a sferrare il suo colpo
contro il nemico.
“Allora lascia che
anche io ti dica una cosa, in modo da chiarire le posizioni: tu non sei certo
priva di colpe, in questo gioco di inganni. Abbiamo entrambi mentito, ciascuno
per un bene superiore. Come ti avranno bene informato i discreti abitanti di Rodorio, il mio bene superiore è
la mia dea, Athena, a cui devo il rispetto e la vita. Dea che ha tutta la mia
devozione e alla quale ho giurato fedeltà eterna e che proteggerò ad ogni costo
e da qualsiasi minaccia. E il fatto che tu sia ancora viva dopo esserti
azzardata ad attentare alla sua vita sotto i miei occhi, fa di te una ragazza
molto fortunata. Fossi in te ragionerei su questo, prima di sentenziare sulle
azioni degli altri.”
Tutto ciò che accadde
da quel momento in avanti, Milo lo ricordava solo a frammenti. Pezzi confusi
dove parole cariche di odio si mischiavano a parole piene di rabbia. Parole che
avrebbero perseguitato entrambi per anni.
Parole che davano
forma ad una nuova realtà, dove non c’era spazio per il perdono, né per il
chiarimento. Dove non c’era più spazio per loro due insieme.
La fastidiosa voce di Victor distolse Milo dai suoi
pensieri. Stava dando indicazioni a Walt sul modo in cui entrare ed uscire
dall’edificio in cui sospettavano fosse rinchiusa Claire. I satelliti dell’agenzia
avevano registrato movimenti sospetti nell’area, monitorata da giorni.
Lucas sosteneva che la presenza di un forte campo magnetico
avrebbe potuto alterare le condizioni fisiche dell’ambiente, ragione per cui
anche il cosmo di un cavaliere avrebbe potuto non essere in grado di svilupparsi
a dovere.
Victor approfittò di questa analisi per perorare le sue
teorie
“ Mi occuperò io di liberare Claire, conosco benissimo
l’edificio e sono in grado di piazzare strategicamente cariche esplosive che ci
potranno garantire un’adeguata via di fuga, in caso qualcosa andasse storto”.
Che un Cavaliere d’Oro dovesse seguire le indicazioni
dell’ultimo scarto dell’Agenzia sul modo in cui recuperare un ostaggio, questo
era fuori da ogni grazia divina.
“ Penserò io a Claire. Basterebbe anche un decimo del mio
cosmo, per risolvere la situazione” Milo non voleva sentire ragioni su questo
punto.
“ Ho salvato la vita a Claire talmente tante volte che non
mi serve certo l’ aiuto di uno che ha bisogno di un’armatura per farlo” Victor
aveva deciso di farlo incazzare.
“Veniamo se mi serve un’armatura per farti tacere per
sempre” il cosmo di Milo stava iniziando ad incresparsi paurosamente.
“Basta così!” sentenziò Walt “Milo, ti prego di tenere a
bada il tuo cosmo, non possiamo rischiare che ci scoprano ora per una simile
leggerezza”.
Milo accettò il velato rimprovero in silenzio. Si fidava di
Walt, se non altro perché era il braccio destro di Alexander.
“Dunque, sarà Milo ad entrare per primo, io e Victor lo
seguiremo, mentre Lucas ci darà supporto logistico da qui” fu Walt a dare le
indicazioni operative.
Milo annuì senza proferire parola. Richiamò la sua
armatura e si preparò all’azione.
Claire sentiva come se tutte le ossa del suo corpo si
stessero spezzando. Il sangue che fuoriusciva dalle ferite si mischiava a
quello che stava sputando dalla bocca. Non era un buon segno, poteva essere
sintomo di un’emorragia interna. Non si era mai ritrovata in una simile
condizione di emergenza e non era preparata a far fronte a tutto quel dolore.
Il suo torturatore aveva una forza sovrumana, contro la
quale lei non aveva alcuna possibilità. Quando pensò di essere arrivata al
limite della sopportazione e fu sul punto di perdere nuovamente i sensi, si sentì
sollevare in malo modo per le gambe, per essere trascinata sul pavimento. La
trasportò in quel modo fino alle scale, lasciando dietro il suo passaggio una
copiosa scia di sangue, mentre lei a stento tratteneva i gemiti di dolore
causati dall’attrito tra il suo corpo martoriato e il pavimento.
“Ehi zuccherino, adesso dobbiamo fare qualche gradino, sei
pronta a salire sulla giostra?” le disse con sadismo, ridendo sguaiatamente.
Claire non fece in tempo a realizzare cosa stesse accadendo
che si sentì trascinare per le scale ed ebbe la sensazione che la sua schiena
già a pezzi stesse andando definitivamente in frantumi.
Quando pensò di non avere più un’articolazione al suo posto,
fu scaraventata al centro di una stanza e lasciata agonizzante per un tempo che
le sembrò infinito.
Non mangiava e non beveva da parecchie ore, ma non sentiva né
fame né sete, percepiva solo sofferenza, e molto freddo. Il freddo le era
entrato dentro e la faceva tremare. Il sangue che aveva perso le stava
provocando l’ipotermia. In quelle
condizioni non aveva più nemmeno la forza mentale di reagire, avrebbe voluto
addormentarsi e non svegliarsi più, almeno avrebbe smesso di provare tutto quel
dolore che la stava facendo impazzire.
Quando si accorse di non essere più sola nella stanza, era già
circondata da tre nuovi energumeni. Alzò lo sguardo e riconobbe le armature nero
ossidiana, identiche a quella che indossava colui che l’aveva ridotta in quello
stato. Un elmo copriva i loro volti, rendendoli irriconoscibili.
“Cosa diavolo volete da me?” riuscì a pronunciare con quel
poco di fiato che le era rimasto. Perfino respirare era diventato doloroso.
“Quell’incapace le ha lasciato ancora la forza di parlare?” disse
uno con voce sprezzante “Cosa ci voleva a capire che doveva ridurla ad uno
stato vegetativo?”
“Povera cara, sta tremando” intervenne una voce femminile,
per nulla intenerita “Credo che abbia freddo, perché non la scaldi un pochino Flame?”
proseguì mentre rideva.
“ Provvedo subito” rispose il terzo, prima di lanciare una
fiammata sulle braccia scoperte e ferite di Claire, provocandole una dolorosa
ustione. L’urlo le morì in gola. Non aveva più la forza nemmeno di gridare.
Possibile che fosse quella la sua fine? Destinata a morire
tra quelle atroci sofferenze? Fu allora che ebbe la consapevolezza che no, non
voleva morire. Sarebbe stata disposta a sopportare di tutto, pur di avere un
solo briciolo di speranza di uscirne viva. Malconcia, ma viva. Doveva resistere
e avere fede. Fede che Juliet la stesse cercando e che la trovasse. Che le
mandasse Victor in suo soccorso, lui che riusciva sempre a tirarla fuori dai
casini. All’ultimo minuto, prima che gli eventi precipitassero. Stavolta
sarebbe stata dura anche per lui. Il nemico aveva un potere che un uomo solo
non poteva contrastare, se non munito di un intero arsenale. Mentre pensava che
avrebbe voluto avere in quel momento almeno metà dell’arsenale portatile di
Victor, il suono sordo di un’esplosione la fece sobbalzare, mettendo in allerta
i suoi tre carcerieri.
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Capitolo 29 *** Capitolo 28 ***
Capitolo 28
Kanon fissava da ore un punto indefinito dell’orizzonte, nel
quale il confine del mare si perdeva con l’azzurro del cielo, rendendo
impossibile comprendere dove finisse l’uno e dove iniziasse l’altro. Era sempre
stato così, da che ne aveva memoria: la vista da Capo Sounion, nelle giornate
sgombre da nubi, dava l’illusione di un mare che si riversava direttamente in
cielo, o forse era il contrario, non l’aveva mai capito davvero.
Seduto sulla roccia intiepidita dal calore del sole greco,
la sua mente non riusciva a focalizzarsi su niente che non fosse il susseguirsi
degli eventi che lo avevano suo malgrado coinvolto negli ultimi giorni, le cui
conseguenze erano oramai totalmente fuori dal suo controllo.
Si era sforzato, da quando Athena gli aveva concesso una
possibilità di redenzione, di cancellare quella dannazione che si era sempre
sentito addosso come un’ombra nella sua precedente vita, fino ad illudersi di
esserci riuscito.
Che stolto! Distolse per un attimo lo sguardo dall’orizzonte
per rivolgerlo con disprezzo alle sue mani. Aveva abbassato la guardia e si era
esposto al fato, consentendo ad altri di decidere per lui, andando contro il
suo proprio sentire, che gli urlava di non lanciare il suo colpo contro una
ragazza inerme, per quanto gli venisse richiesto di farlo da chi, in quel
momento, pareva avere in mano solo certezze e verità assolute. Ma la rabbia che
provava non era rivolta agli altri, per quanto li ritenesse corresponsabili
dell’accaduto. Tutti, Alexander compreso. Ma, se l’anima di Juliet si fosse
davvero persa per sempre, avrebbe potuto biasimare solo se stesso, l’unico a
non meritare perdono alcuno.
Si chiedeva come avesse potuto trascinare le cose fino al
punto del non ritorno, senza essersi reso conto di quello che stava accadendo. Julian
Solo e Pandora sostenevano ci fosse stata un’interferenza. E lui non si dava
pace per non essere stato in grado di percepirla, di contrastarla e di tirarla
fuori in tempo da quella dannata spirale dimensionale.
Lady Isabel aveva disposto l’immediato e urgente
trasferimento del corpo di Juliet al tredicesimo tempio, effettuato con l’aiuto
del cavaliere della prima casa, e aveva immediatamente convocato il cavaliere
di Virgo, nella speranza che il suo consulto potesse essere in qualche modo
d’aiuto.
Kanon, che era rimasto in disparte per la maggior parte del
tempo, ad un certo punto non aveva retto la tensione e si era allontanato senza
nemmeno congedarsi. Non era in vena di formalità. Ma soprattutto voleva evitare
ad ogni costo di incrociare qualcuno dei suoi due fratelli, che sapeva essere
entrambi al Santuario.
Kanon non era un vigliacco, il suo passato dava più di una
dimostrazione della sua capacità di assumersi le proprie responsabilità, ma al
solo pensiero di un confronto con loro, sentiva venir meno tutto il suo
coraggio.
Non sapeva se qualcuno si fosse degnato di informare
dell’accaduto i diretti interessati, premurandosi di specificare la sussistenza
di un legame di sangue che li portava ad essere i parenti a lei più prossimi attualmente
in vita. Certo, senza contare il padre, che però solo pochi giorni prima le
aveva sparato addosso dopo 12 anni che non si vedevano, per poi scomparire di
nuovo nel nulla.
Una risata amara gli sfuggì dalle labbra, quando gli venne
in mente che forse il suo disastroso rapporto con Saga non era più da
considerare il peggior esempio di legame familiare distorto di cui era a
conoscenza.
“Sapevo di trovarti qui, Kanon, ma non avrei immaginato di
trovarti a ridere da solo di fronte al niente. Devo preoccuparmi?”
La voce arrivò chiara alle sue orecchie, superando il rumore
della brezza marina e delle onde che si infrangevano sugli scogli e, immediatamente,
tutti i muscoli di Kanon si tesero fino allo spasmo, bloccandogli la
respirazione.
Il nuovo arrivato, avvicinandosi da dietro, posò una mano
sopra la sua spalla
“Rilassati cavaliere. E respira. Qualcuno si è già preso la
briga di raccontarmi l’accaduto, con tutti i dettagli annessi e connessi”.
“…” Kanon cercava invano di articolare qualche parola che
gli consentisse di esprimere, se non altro, la sua costernazione.
“E soprattutto, smettila di sentirti in colpa, di cercare il
castigo divino o la dannazione eterna. La tua aura è insopportabilmente
deprimente, ancor più di quanto lo sia questo luogo” gli disse mentre scivolava
nella roccia per sedersi al suo fianco.
Kanon ebbe finalmente il coraggio di voltarsi e guardarlo in
faccia. Ciò che lesse nello sguardo del cavaliere della Fenice era tutto fuorché
quello che si sarebbe aspettato.
Una risata profonda, sincera e priva di qualsiasi ostilità o
recriminazione, scaturì dalla bocca di Phoenix, che prontamente commentò lo
sguardo di stupore che gli veniva rivolto da Kanon.
“Che c’è? Sembri quasi sorpreso di vedermi. Eppure avrei
giurato che la tua fuga dal Santuario avesse in qualche modo a che vedere con
me. O mi sbaglio, Kanon?”
“Mhmpf” Kanon si riprese in fretta dallo stupore e, in
perfetta sintonia con il tono canzonatorio dell’altro, si apprestò a rispondere
“Può essere che non ti sbagli, cavaliere. Come non credo di sbagliarmi nemmeno
io se presumo che tu sia qui per sfuggire ad una situazione che al momento ti
risulta, passami il termine, emotivamente destabilizzante”.
“Vedo che il tuo acume è rimasto intatto, e me ne
compiaccio” rispose ironicamente Phoenix, per poi farsi più serio “L’emotività
di Andromeda al momento basta e avanza. Come sai non sono fatto per questo tipo
di sentimentalismi, io”.
Kanon non potè fare altro che annuire, rivolgendo nuovamente
lo sguardo di fronte a se.
“Come procede?” riuscì a chiedere dopo qualche minuto. In
realtà avrebbe voluto dire “Come sta
lei?” ma qualcosa dentro di lui impediva alle parole di defluire.
“Virgo e Athena sono con lei. Non credo sinceramente che né
io, né tu, né nessun altro presente al Santuario potrebbe in questo momento
essere più d’aiuto di loro.
E sebbene mi costi ammetterlo, anche il contributo di
Pandora potrebbe rivelarsi significativo”.
“Beh, lei farebbe bene a rendersi utile, vista la sua
insistenza nel farmi lanciare quel maledetto colpo. Per non parlare di Julian
Solo, che ben sapendo che io …”
“Kanon” lo interruppe l’altro “Le recriminazioni non
porteranno a niente. Tutti hanno agito in buona fede, di questo sono certo.
Lady Isabel me lo ha assicurato, è stata lei a dare il benestare”.
“Già, lo so bene. Solo che io dovrò sopportare il peso di
essere stato l’esecutore materiale. Lei si è fidata di me e io l’ho colpita,
dopo averle detto di chiudere gli occhi. Non sono nemmeno riuscito a sostenere
il suo sguardo mentre…”
“Come sono?”
“Cosa?”
“I suoi occhi. Ho visto per un attimo il suo corpo disteso,
ma non sono riuscito ad immaginare il suo sguardo”.
Kanon esitò un attimo, riflettendo e cercando i dettagli
nella sua memoria. Si stupì di quanto questi fossero rimasti vividi e impressi
nella sua mente.
“…. Sono verdi. Dello stesso colore di quelli di tuo
fratello. Ma lo sguardo è esattamente come il tuo: caparbio, sfrontato, impertinente
e …”
La risata spontanea di Phoenix lo interruppe “Noto che hai
sempre un’alta considerazione della mia persona”.
“Sai perfettamente che la mia considerazione nei tuoi
riguardi non si fa influenzare dal fatto che tu abbia oggettivamente un pessimo
carattere, Phoenix”.
“Oh, lo so bene, ma è grazie al mio pessimo carattere che
noi due ci intendiamo al volo, Kanon. Com’è che si dice, chi si somiglia si
piglia, no?”.
Kanon stava per rispondere piccato alla battuta, quando
l’espandersi di un cosmo conosciuto catturò tutta la sua attenzione e mise in
allerta i suoi sensi. Non poteva essere, non aveva alcun senso, ma per un
attimo fu convinto di avere percepito il cosmo di suo fratello Saga. Fu per un
istante, solo per un impercettibile istante, ma era sicuro di averlo sentito.
“L’hai sentito anche tu?” gli chiese Phoenix, il corpo teso
in posizione di allerta.
E questa fu per Kanon la conferma che non era stato solo uno
scherzo della sua immaginazione.
Quando Juliet aprì gli occhi, la prima cosa di cui si rese
conto era che stava sudando. Sentiva caldo. Troppo caldo per essere a Berlino.
La seconda era che non aveva contezza del tempo che era
trascorso dall’ultima volta in cui ricordava di avere avuto gli occhi aperti.
La terza era che non ricordava esattamente tutti i dettagli
di quanto era successo durante quel tempo indefinito. La sua memoria le
rimandava in maniera sovrapposta due volti uguali: entrambi, in circostanze
diverse, le avevano chiesto di chiudere gli occhi. Ricordava le loro diverse
sfumature di voce e soprattutto ricordava perfettamente i nomi di entrambi:
Kanon e Saga.
Qualcuno intorno a lei si mosse, rendendola improvvisamente
consapevole di non essere sola nella stanza. La prima persona che vide fu una
ragazza, con lunghi capelli portati sciolti sulle spalle. Pensò che non
potevano essere naturali. I riflessi viola erano troppo intensi.
Quando si accorse che appena dietro la ragazza c’era un
tizio biondissimo, che sembrava dormire in piedi, si chiese se non fosse morta
e quelli non fossero traghettatori venuti a prendere la sua anima.
Non percepiva nessuna minaccia evidente da parte loro, ma non
sapendo esattamente come interagire con degli sconosciuti e sentendosi
piuttosto a disagio, oltre che spossata e priva di energie, si limitò ad
osservarli, restando silenziosamente in attesa che uno dei due facesse una
qualche mossa.
“Bentornata Juliet” la ragazza dai capelli viola parlò per
prima, con un tono di voce piuttosto rassicurante.
“Grazie”si sentì in dovere di rispondere qualcosa, se non
altro per ricambiare il tono cortese con cui le si era rivolta.
“Posso comprendere la tua confusione nel ritrovarti
improvvisamente in un ambiente nuovo, circondata da persone sconosciute. Ma non
temere, Alexander è qui fuori e se ti fa stare più tranquilla, posso mandarlo a
chiamare”.
Al solo sentir nominare Alexander, il volto di Juliet si
contrasse in una smorfia involontaria. E si affrettò a rispondere
“Non c’è bisogno grazie. Piuttosto Claire è con lui? L’hanno
recuperata?”
La ragazza dai capelli viola scosse leggermente la testa, e
rispose con un tono che sembrava sinceramente affranto.
“Non ancora, mi dispiace. Ma non devi stare in pensiero,
l’Agenzia sta portando avanti la missione di recupero a San Pietroburgo, con
l’aiuto del Cavaliere dello Scorpione”.
Juliet ricordava di avere espressamente richiesto ad
Alexander che Milo, Walt e Lucas lasciassero Berlino per andare in Russia a
cercare Claire.
Si guardò attorno con più attenzione e si rese conto che la
stanza in cui si trovava era infinitamente più ampia di quella del Park Inn. E
la vista che si intravedeva dall’ampia finestra non era neanche lontanamente
simile a quella che ricordava. A meno che a Berlino non avessero portato il mare.
“Mi avete trasferita in un altro albergo?” articolò la
domanda in maniera razionale, sebbene si aspettasse una risposta totalmente
irrazionale.
“Siamo in Grecia” le rispose infatti “E ti chiedo scusa se
ancora non ci siamo presentati. Io sono Isabel e lui è Shaka, cavaliere d’oro
della sesta casa di Virgo”.
Juliet associò immediatamente il nome di Isabel alla
Fondazione, ricordava benissimo il suo ruolo dal periodo in cui Claire era
stata in Grecia, anni prima.
Poi fissò il tizio che, nonostante avesse impercettibilmente
mosso il capo, quasi a voler mimare un gesto di saluto, continuava imperterrito
a tenere gli occhi chiusi.
“Siamo a casa sua dunque?” chiese indicandolo.
“Siamo al Tredicesimo Tempio del Santuario di Athena”
rispose direttamente lui, sempre senza aprire gli occhi. Poi le si avvicinò e
improvvisamente aprì gli occhi. Aveva gli occhi più azzurri che Juliet avesse
mai visto. E il suo sguardo la metteva decisamente in soggezione.
“Non temere, qui sei al sicuro” Isabel intuì forse il suo
disagio e cercò di rassicurarla. Poi si rivolse all’altro, con tono che a
Juliet sembrò amichevole e confidenziale, ma allo stesso tempo fermo e risoluto
“Shaka, devo allontanarmi per qualche istante. Preferisco che Juliet non resti
sola, e sarei più tranquilla a saperti qui con lei, in mia assenza”.
L’altro assentì, chinando il capo in maniera reverenziale
“Certamente Milady, al suo rientro mi troverà qui”.
Quindi Isabel si voltò verso Juliet e con un sorriso le
disse “Mi assenterò solo per breve tempo, certa di lasciarti al sicuro e in
ottime mani. Più tardi spero di farmi perdonare per questa scortesia”.
Juliet era interdetta dai modi in cui si rivolgeva a lei.
Avrebbe voluto sottolineare che non era una poppante che non sapeva stare sola
qualche minuto e aveva bisogno della baby sitter, ma qualcosa nell’estrema
gentilezza di quella ragazza le impediva di risponderle in maniera rude. Per cui
si limitò ad assentire.
Non appena Isabel lasciò la stanza, Shaka si diresse verso
la finestra, accanto alla quale c’era una bella panca di legno decorato,
ricoperta di cuscini di velluto, e si sedette sopra uno di quei cuscini.
“Dunque hai conosciuto il Cavaliere di Gemini” fu il primo a
spezzare il silenzio imbarazzante che si era venuto a creare nella stanza.
“Chi?”Juliet ebbe l’impressione che la sua domanda
nascondesse delle insidie.
“Kanon, ovviamente. Chi altri, se no?” si sentì gli occhi
azzurri di Shaka puntati addosso.
La sua risposta le diede la conferma. E decise di fare la
finta ingenua, per vedere cosa in realtà quel cavaliere volesse sapere.
“In realtà la parola Kanon e la parola cavaliere nella
stessa frase suonano come un ossimoro”.
Lui la scrutò con un’intensità tale che Juliet fece fatica a
non distogliere lo sguardo. Quando pensò che le avrebbe letto anche l’anima,
lui proseguì “Provi rancore nei suoi confronti, dopo quello che è successo?”
Juliet pensò attentamente alla risposta. La domanda la portò
a riflettere sull’accaduto e in tutta sincerità doveva ammettere che Kanon si
era dimostrato fin da subito assolutamente contrario all’esperimento. L’avevano
praticamente trascinato in una situazione che lui aveva chiaramente dichiarato
essere troppo rischiosa. In qualche modo si era preoccupato per lei. Non poteva
prendersela con lui.
“No. Non ce l’ho con lui per avermi lanciato quella specie
di macumba. E’ tutto quello che ha detto e fatto prima, che ha fatto si che io
mi costruissi un’opinione abbastanza precisa di lui”.
Shaka non si scompose per niente, e pacatamente proseguì
“A volte i nostri comportamenti o le nostre parole non
rispecchiano ciò che in realtà siamo. Conoscere l’animo di una persona nel
profondo non è impresa semplice, soprattutto quando si hanno solo poche ore a
disposizione”.
Juliet rimase colpita dalle sue parole, consapevole che in
esse ci fosse una grande verità. Ma soprattutto perché le riportarono alla
memoria le parole di Saga, che durante il suo “soggiorno” nell’altra dimensione
le aveva fatto delle sconcertanti rivelazioni. Rivelazioni che coinvolgevano
anche Kanon e che forse lei avrebbe preferito non conoscere.
Improvvisamente le venne in mente che Saga le aveva
esplicitamente chiesto di non far parola con nessuno del loro incontro e del
suo viaggio nell’altra dimensione, almeno fino a quando il nemico che incombeva
su di loro non si fosse rivelato. A quel punto, e solo in caso di estremo
pericolo e necessità, lei avrebbe dovuto richiedere a Kanon di lanciare
nuovamente il suo colpo contro di lei, e Saga sarebbe stato pronto a fare il
resto.
Ciò faceva scaturire in lei un forte senso di colpa nei
confronti di Kanon, che sarebbe dovuto rimanere ignaro di tutto, mentre lei ora
era a conoscenza di dettagli della sua vita che probabilmente lui non avrebbe
mai condiviso con lei, nemmeno sotto tortura. Lo avrebbe dovuto semplicemente usare,
in caso di estrema necessità, per consentirle di tornare in un’altra dimensione,
senza poter condividere con lui niente di ciò che era accaduto e stava accadendo.
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Capitolo 30 *** Capitolo 29 ***
Capitolo 29
Il boato si era sentito distintamente, segno che la fonte
dell’esplosione non doveva essere troppo lontana. Un barlume di speranza si
fece strada cautamente nell’animo provato di Claire, che tuttavia si sforzava
di non illudersi troppo. Niente le garantiva che fosse legato all’incursione di
una squadra di recupero.
Da qualsiasi parte provenisse quel rumore, un effetto
positivo lo aveva comunque generato: i suoi tre aguzzini smisero di torturala e
si dedicarono completamente alla ricerca dell’origine di ciò che avevano appena
sentito.
Prima di uscire dalla stanza per andare a perlustrare
l’edificio, si assicurarono che lei non avesse vie di fuga, limitandosi a
chiudere a chiave l’unica uscita, lasciandola quindi completamente sola.
“Che mossa stupida” si ritrovò a pensare Claire. Mai
lasciare il prigioniero incustodito, nemmeno quando è moribondo. Regola che
l’Agenzia insegnava a tutte le reclute entro il primo mese di addestramento.
Cercò di ruotare lentamente il capo in direzione di un
vecchio tavolo di metallo, il tutto senza muovere la schiena, per evitare di
aggravare le lesioni. Se fosse riuscita a raggiungerlo, e magari a smontarlo,
avrebbe potuto utilizzare una delle aste metalliche per tentare di scardinare
la porta. O almeno come arma di difesa, nel caso quei tre fossero tornati.
Eccetto il tavolo, la stanza era totalmente vuota. Purtroppo non aveva molte
opzioni a disposizione.
Strisciò lentamente l’avambraccio sul pavimento, cercando di
fare leva su una gamba per dare impulso al movimento, ma il dolore fu talmente
intenso da impedirle di proseguire. Mentre tentava di fare lo stesso con
l’altra gamba, un’altra esplosione, molto più forte della prima, fece tremare paurosamente
il pavimento.
Claire iniziò a sperare che le due esplosioni fossero
collegate e che qualcuno dall’esterno stesse facendosi strada per venire a
recuperala. Victor. Qualcosa le diceva che ci fosse lui, a guidare la squadra
di recupero. Più di una volta aveva avuto modo di assistere alle sue abilità di
artificiere, tant’è che scherzosamente lo aveva soprannominato “il bombarolo”. Nomignolo
di cui lo stesso Victor si faceva vanto in giro per il mondo.
Un sorriso lieve le increspò le labbra ripensando alle loro
passate missioni. E fu con questo sorriso, che si ritrovò improvvisamente a
fissare inebetita l’oggetto dei suoi pensieri, improvvisamente materializzatosi
di fronte ai suoi occhi, dopo aver scardinato la porta con una mini carica
esplosiva.
“Claire!” fu l’unica cosa che lui pronunciò prima di
precipitarsi su di lei, studiando velocemente le sue ferite e toccandola con cautela
per evitare di fare più danni.
Lo sguardo si fece durissimo quando si accorse della pelle
lacerata in più punti, dei lividi, delle fratture scomposte, della bruciatura
sul braccio. “Maledetti bastardi” lo sentì imprecare.
“Non credo di essere mai stata così felice di vederti,
Victor” riuscì ad articolare le parole con molta fatica, in un soffio di fiato.
“In realtà lo dici tutte le volte, tesoro” le strizzò
l’occhio in segno di intesa, per sdrammatizzare la situazione. Victor sarebbe
riuscito a fare dell’ironia anche in punto di morte.
Tuttavia il suo sguardo si fece presto nuovamente serio
“Riesci a sollevarti?” le chiese gentile
“No” gemette Claire “Credo di avere le gambe fuori uso”.
“Dannazione, mi tocca chiedere aiuto agli altri” imprecò
lui.
“Vuoi dire che non sei solo?” quando Victor solitamente
arrivava a tirarla fuori dai guai, la squadra più vicina si trovava a
chilometri di distanza.
“Già, purtroppo stavolta non sono io che guido la squadra”
le disse intuendo il suo pensiero “Anche se in realtà ho già fatto di testa
mia, fosse stato per Walt avrei dovuto attendere la prima incursione e poi
seguire lui, con Lucas in appoggio logistico fuori. Che cazzo di piano è,
quello di non sfruttare la presenza dell’unico in grado di minare l’intero
edificio e farlo saltare in aria dalle fondamenta? Ho già piazzato le cariche
nei punti strategici, in modo da assicurarci la via di fuga e distruggere
questo posto e tutti quelli che ci lavorano”.
“Ma hai la posizione di Walt?” chiese lei preoccupata.
“Certo, ho la posizione di tutti e due. Al momento stanno
salendo le scale e tra breve saranno qui, sempre se non incontrano ostacoli”.
“Tutti e due? Ma non hai detto che Lucas era in appoggio
fuori?”
L’ombra che scorse nello sguardo di Victor le fece intendere
che le stava nascondendo qualcosa, ma era troppo a pezzi per cercare di capire
cosa.
“Appena arrivano ti portiamo via. Anche se vorrei, non posso
rischiare di caricarti sulle spalle, devo avere le mani libere per gestire la
sequenza di esplosioni che ci consentirà di uscire in sicurezza da qui”.
Claire si accorse che Victor aveva uno zaino tecnico dal
quale era in grado di gestire a distanza tutte le cariche che aveva piazzato.
Era talmente intenta ad osservare il groviglio di fili che
fuoriusciva dal suo equipaggiamento, che non si accorse della presenza di due
nuovi arrivati, fino a che non ne sentì la voce. Era girata di spalle, ma
sobbalzò non appena la sua mente associò la voce al suo proprietario.
“Cosa esattamente non ti era chiaro delle parole di Walt? O
sei talmente presuntuoso da crederti al di sopra degli ordini di un tuo
superiore?” Milo tratteneva a stento la rabbia. Non tanto perché Victor avesse
trasgredito agli ordini. La catena gerarchica dell’Agenzia non era affar suo e
non gli interessava nemmeno intervenire in favore di Walt, che, ne era certo,
era in grado di farsi valere da solo. No, la cosa che lo mandava in bestia non
era quella. Era accecato dalla rabbia perché quel coglione era arrivato da lei
prima di lui.
Il fatto di averla trovata per primo, gli aveva fornito
l’opportunità di godere di qualche istante di intimità con lei, anche solo per
assicurarsi delle sue condizioni.
Opportunità che avrebbe voluto lui, in esclusiva.
Victor si alzò in piedi per andargli incontro, muso contro
muso, pronto a ribattere alle accuse
“E a te cosa esattamente infastidisce? Forse ..”
Le parole di Victor furono improvvisamente interrotte da fulminei
fasci di luce che avvolsero la stanza, inondandola di un calore asfissiante. A
Claire sembrò di sentire la voce di Walt che gridava il suo nome, ma i suoni
giungevano alle sue orecchie in maniera attutita, come un continuo e
martellante rimbombo, senza che lei riuscisse a decifrarne l’esatta provenienza.
Quello che riuscì distintamente a percepire, furono le voci in
lontananza dei suoi aguzzini che si facevano sempre più nitide, fino a sovrapporsi
a quelle di Victor e di Walt.
Il calore nella stanza stava diventando insopportabile e
l’aria si faceva sempre più irrespirabile. Claire istintivamente cercò di portarsi
il più vicino possibile al pavimento, nel tentativo di dare sollievo alle vie
respiratorie. Ma qualcuno alle sue spalle le impedì di compiere il movimento, sorreggedola
delicatamente e impedendole di scivolare verso il basso.
Le parve di sentire Walt urlare “Milo! Devi portarla fuori
di qui!”
E udì distintamente l’imprecazione di quest’ultimo, il cui
volto si trovava ormai a meno di dieci centimetri dalla sua faccia
“Maledizione, qualcosa mi impedisce di bruciare il mio cosmo”
“Il campo elettromagnetico … Dobbiamo allontanarci prima di
rimanere intrappolati qui” Walt cercò di contattare Lucas per sondare le vie di
fuga.
Fu Victor a prendere in mano la situazione nel momento di
massima disperazione.
“Portatela fuori, adesso!” urlò rivolgendosi a Walt “Lui può
farle da scudo almeno con l’armatura, tu li seguirai a ruota. Io vi copro le
spalle e vi garantisco che nessuno sarà in grado di corrervi dietro. Faccio
saltare in aria tutto l’edificio, pezzo dopo pezzo”.
“No” Claire riuscì in un soffio ad esprimere tutta la sua
contrarietà a quel piano di fuga. Non potevano lasciare Victor indietro, da
solo. Era troppo pericoloso. Poteva restare vittima delle cariche esplosive che
lui stesso aveva piazzato.
“E’ troppo rischioso. Non uscirò di qui senza di te” disse
in un sussurro.
“Shhh. Risparmia il fiato. E le energie. Non sei nelle
condizioni di prendere iniziative” il tono autoritario con cui Milo le si
rivolse era in netto contrasto con la delicatezza con cui la stava sorreggendo,
quasi avesse timore di spezzarla. Ma lei, per quanto stesse male e per quanto
in cuor suo sapesse bene che lui aveva ragione, non poteva accettare di essere
trattata alla stregua di una bambina capricciosa, non da lui almeno.
Quindi, con le ultime energie rimaste, si preparò a ribattere.
Ma non fece in tempo a pronunciare nemmeno una parola, che si sentì sentire
sollevare da due forti braccia si ritrovò stretta al suo petto, completamente
ricoperto dalla sua armatura dorata.
In un ultimo istante, prima di perdere conoscenza, si trovò
a fissare due profondi occhi blu, ancora più belli di come li ricordava, che la
scrutavano con quella che sembrava essere sincera preoccupazione.
Non seppe quantificare il tempo che rimase incosciente, come
non seppe dire come riuscirono ad uscire dall’edificio. Ciò di cui si rese
immediatamente conto, una volta riaperti gli occhi, era che si trovava con metà
del corpo immerso nelle gelide acque di un fiume e che Walt e Milo erano
accanto a lei. Entrambi, fradici, sembravano in difficoltà, sebbene lei non
riuscisse a scorgere apparenti ferite nei loro corpi.
Guardavano entrambi al di la del fiume, in direzione di un
blocco di edifici, dai quali si ergevano altissime fiamme, mentre una fitta
coltre di fumo nerissimo arrivava ad oscurare una buona porzione di cielo.
Ad un certo punto si accorse di una sagoma conosciuta che
correva nella loro direzione. Lucas.
“Walt! Tutto bene? Il localizzatore di Victor è irraggiungibile.
Sparito. Non risponde più” mentre Lucas con le sue parole dava forma a ciò che
Claire più temeva potesse accadere, il fortissimo boato di un’esplosione
squassò l’aria, mandando definitivamente in frantumi anche l’ultima parte di
edifici finora rimasti intatti.
“Temo che questo fosse il suo ultimo atto. Si è sacrificato
per consentirci una via di fuga” disse mestamente Walt, con un sospiro che
esprimeva tutto il suo rammarico.
Le lacrime rigarono il viso di Claire senza che lei nemmeno se
ne rendesse conto e senza che potesse fare niente per fermarle. L’incubo si era
materializzato ed era diventato realtà. Victor, il suo eroico amico Victor, era
morto per salvarli. Per salvare lei. Per tirarla fuori, per l’ennesima volta,
da una delle missioni senza via d’uscita in cui lei era solita cacciarsi.
Presa dal suo dolore e scossa dai singhiozzi non si rese
conto che, subito dopo la distruzione dell’ultimo edificio, il corpo esausto di
Milo riprendeva velocemente vigore. Ora emanava una luce dorata che si
espandeva attorno alla sua figura. In altre occasioni Claire avrebbe trovato
quell’immagine terrificante. Ma ora quel
calore avvolgente che scaturiva dalla sua energia cosmica e si sviluppava
attorno a lui era qualcosa di estremamente rassicurante.
“Il campo elettromagnetico è stato annullato” affermò Walt
osservando l’energia dorata che aumentava d’intensità.
“Era generato all’interno dell’ultimo edificio” Lucas
confermò i sospetti di Walt “Comunque dobbiamo allontanarci da qui, non siamo
al sicuro” i due si diedero un cenno di intesa.
“Milo, prima di muoverci dobbiamo capire se attraverso il tuo
cosmo puoi fare qualcosa per le sue ferite, sta continuando a perdere sangue e
credo abbia numerose fratture ed emorragie interne” disse Walt indicando
Claire.
Milo annuì in silenzio, mentre si chinava e, per l’ennesima
volta, raccoglieva da terra il corpo di Claire, tirandola fuori dall’acqua
gelida.
Una volta fuori dall’acqua, la cui bassa temperatura aveva
finora agito da anestetico, a Claire sembrò di sentire nuovamente tutte le sue
ossa spezzarsi e, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, non riuscì a
trattenere dei sommessi lamenti.
A ciò si aggiungeva il fatto che, tra tutte le persone sulla
faccia della terra, Milo era sicuramente l’unico che lei non avrebbe voluto
incontrare, tanto meno mentre era in quelle condizioni di vulnerabilità. Tutta
la sua muscolatura si irrigidì non appena lui, chinato su di lei, iniziò ad
accostare le mani a tutte le parti del corpo in cui vi erano ferite apparenti.
“Rilassati. Il mio cosmo non sarà in grado di fare miracoli,
ma sicuramente può favorire il processo di guarigione delle ferite”.
La sua voce era neutra, priva di qualsiasi vibrazione che le
potesse far intuire i suoi pensieri o il suo stato d’animo, lo sguardo
completamente concentrato su quello che stava facendo.
“Ho bisogno che tu mi dica esattamente in quali altri punti
senti dolore. Le emorragie interne non sono visibili e devo capire dove agire”
proseguì lui mantenendo gli occhi fissi su quello che stava facendo.
“Dappertutto” Claire rispose d’istinto, senza pensarci,
mordendosi il labbro e pentendosi immediatamente di quella risposta.
Lui sollevò lo sguardo e lo puntò dritto negli occhi di lei,
scrutandola intensamente. Claire non seppe dire se l’intento fosse quello di
sondare fin nel profondo della sua anima per scoprire anche i suoi più reconditi
segreti, ma fu quella la sensazione che le arrivò. Si sentì nuda, indifesa,
priva di qualsiasi barriera protettiva. No, non era possibile, si rifiutava di
credere che tutti i muri che aveva eretto faticosamente in anni di distanza da
lui si stavano sgretolando sotto il peso di un semplice sguardo.
Quando pensò di non riuscire più a reggerlo senza scoppiare
in un pianto disperato e senza senso, lui distolse lo sguardo e tornò a
concentrarsi sul calore che emanavano le sue mani.
Claire non seppe dire quale fosse la ragione del sollievo
che iniziava a provare: forse era la sua vicinanza e il contatto con le sue
mani, che sebbene sfiorassero appena il suo corpo, le provocavano brividi
tutt’altro che spiacevoli, o forse era veramente il suo potere curativo che
iniziava a fare effetto su tutti i suoi organi.
In ogni caso stava provando emozioni che non si sarebbe mai
aspettata di provare rincontrandolo. Aveva previsto di provare astio, rabbia,
odio, risentimento, perfino indifferenza. Ma mai si sarebbe attesa questa
sensazione di calma rassicurante, mista a un piacevole formicolio che le solleticava
lo stomaco e teneva i suoi sensi in allerta, a voler catturare un profumo, un
dettaglio, un suono che provenisse da lui, per custodirlo gelosamente come fosse
una fonte da cui attingere per dissetarsi durante la traversata di un deserto.
Fu allora che Claire ebbe paura. Paura di se stessa, delle
proprie emozioni. Paura di perdere il controllo, di non avere la capacità di
mantenere la freddezza di fronte a lui. Paura di soffrire di nuovo, dopo due
anni, per lui. Che apparteneva a un altro mondo. Che le aveva chiaramente
sbattuto in faccia il suo disprezzo, rimarcando la sua devozione totale e
assoluta per la sua dea, al di sopra della quale per lui non esisteva nessuno.
Una vita votata ad un ideale, che non lasciava spazio a nient’altro che non
fosse la protezione e la salvaguardia di Athena. Lei era stata solo una pedina,
nella scacchiera della sua esistenza di cavaliere, che lui aveva mosso a suo
piacimento mentre eseguiva gli ordini ricevuti.
I ricordi dolorosi che affiorarono impetuosamente le
consentirono di concentrare la sua attenzione sulle ragioni per le quali doveva
mantenere un assoluto distacco da lui.
La sua mente doveva semplicemente imporlo al resto del suo corpo.
Quando Milo terminò di utilizzare su di lei il potere
curativo del suo cosmo, si alzò in piedi e le chiese di provare a fare lo
stesso, senza toccarla. Vedendo che lei non accennava ad alzarsi, fece un passo
indietro, per concederle più spazio, intuendo forse la ragione di quella
titubanza. E infatti non appena lui indietreggiò il tanto che bastava a
consentirle di muoversi senza andargli addosso, lei prese coraggio e, facendo
leva sulle braccia, iniziò a sollevarsi. La cosa che da subito le sembrò
incredibile fu che le gambe non solo rispondevano alla sua volontà, ma erano
ora in grado di reggere tutto il suo peso. Solo un fastidioso indolenzimento
persisteva in tutte le parti del corpo che avevano subito dei danni, ma il suo
fisico aveva recuperato sufficiente funzionalità di movimento. In altre
circostanze, se Milo non fosse stato chi in realtà era, lei gli sarebbe saltata
con le braccia al collo per ringraziarlo. Ma il solo pensiero di sfiorarlo le
fece contorcere lo stomaco. Si limitò a bofonchiare un grazie. Non seppe dire
se lui rispose qualcosa, perché le urla di Walt e Lucas coprirono ogni altro
suono.
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Capitolo 31 *** Capitolo 30 ***
Capitolo 30
A giudicare dal volume delle voci provenienti dalla stanza
adiacente, il tenore della conversazione era velocemente mutato e stava rischiosamente
sfociando in un’accesa discussione, con tanto di urla che nemmeno le spesse
mura del tredicesimo tempio riuscivano ad attutire.
Non erano passati nemmeno venti minuti da quando Alexander, giunto
per sincerarsi delle condizioni di Juliet, aveva gentilmente chiesto al
cavaliere di Virgo di lasciarli soli.
Shaka, che fino a quel momento era rimasto nella stanza con
lei per esplicita richiesta di Lady Isabel, non avrebbe mai contravvenuto all’ordine
ricevuto, se non avesse saputo con certezza che Alexander era stato spronato da
Athena in persona a cercare quanto prima un confronto con Juliet.
Fu per questo che assentì alla richiesta, si congedò educatamente
e uscì con discrezione. Rimase comunque nei pressi della porta, all’interno
della sala d’attesa, diventando così involontario spettatore di tutte le colorite
sfumature che caratterizzarono quel confronto.
Ad assistere con lui all’inusuale spettacolo, seduto a pochi
metri di distanza, c’era il cavaliere di Andromeda, che era stato pregato da
Alexander di attendere il momento giusto, prima di raggiungerli. Come facesse a
capire quale fosse il momento giusto per varcare quella porta, questo non era
chiaro, per cui aveva deciso di rimanere fuori in attesa di ricevere un qualsiasi
segnale di distensione, che al momento pareva ben lungi dall’arrivare.
Shaka non aveva bisogno di aprire gli occhi per percepire lo
stato d’animo del cavaliere seduto accanto a lui. Come non aveva bisogno di
chiedersi il perché dell’assenza dell’altro fratello, in un così delicato
momento di verità e confronto. Fu per questo che decise di restare, ma senza
imporre troppo la sua presenza, per rispetto dell’impatto emotivo che quei
legami familiari avrebbero avuto nelle vite di due cavalieri a cui era
sinceramente affezionato.
Il silenzio che permeava la sala d’attesa contrastava nettamente
con le grida provenenti dalla stanza accanto, lasciando intendere che gli animi
si erano irrimediabilmente surriscaldati. L’animo, a dire il vero, visto che la
voce femminile sovrastava di almeno due toni quella di Alexander, che si
limitava a cercare di rispondere senza essere interrotto o insultato.
Shaka non sapeva molto delle relazioni pregresse tra i due
protagonisti di quel diverbio. Ma se, come aveva capito, tra loro esisteva una
sorta di rapporto gerarchico, dove lei era quella che avrebbe dovuto render
conto e obbedire, non capiva davvero come le fosse permesso un simile
atteggiamento. Evidentemente nell’Agenzia, a cui entrambi appartenevano, non vigevano
gli stessi obblighi di rispetto della gerarchia che esistevano nell’ordine dei cavalieri.
O magari i due avevano un rapporto personale talmente forte, che prevaleva su
tutto il resto.
Nell’apice della discussione, si sentì distintamente il
suono di un oggetto metallico scaraventato sulla parete, accompagnato da
dissacranti epiteti, buona parte dei quali erano a Shaka totalmente sconosciuti,
ma, per quanto faticasse a coglierne il significato, non aveva dubbi che mal si
addicessero alla sacralità del luogo.
Fu nel pieno di questa tempesta di parole che, dalla porta
che collegava la sala d’attesa con il patio esterno del tempio, fecero il loro
ingresso Kanon e Phoenix.
“Che diavolo sta succedendo qui? Si sentono le urla fino
alla prima casa!” come sempre il cavaliere della Fenice andava dritto al punto,
e non senza una buona dose di impetuosità.
Shaka mantenne gli occhi chiusi e lasciò che fosse il
cavaliere di Andromeda a fornire una spiegazione di quanto stava avvenendo
nella stanza accanto.
“Juliet si è ripresa e sta discutendo con Alexander”
riassunse brevemente quest’ultimo, senza dilungarsi su dettagli relativi a
quanto animatamente stessero discutendo.
Kanon non seppe dire se quello che provò nel sentire quelle
parole fosse semplice sollievo. Il suo senso di colpa non lo aveva del tutto
abbandonato, ma almeno ora poteva confidare che non tutto fosse perduto.
Il suono della voce di lei, così alta, intensa e vibrante, così
viva, riportò tutto al suo posto: i rimorsi, la coscienza, i ricordi
spiacevoli. Tutto magicamente svanito, per lasciare nuovamente spazio alla
vita. Quella stessa vita che Athena gli aveva concesso e che si era ripromesso
di onorare.
Sentiva crescere dentro di se anche l’irragionevole
desiderio di vederla, di constatare con i suoi occhi che fosse sana e salva.
Era chiaro che lo fosse, a giudicare dal tono e dal modo in cui si rivolgeva ad
Alexander.
La gioia iniziale che aveva provato nel sentire il suono
della sua voce, lasciò presto il posto al pensiero che, se fosse stato al posto
di Alexander, le avrebbe volentieri impartito una buona lezione di rispetto e
disciplina. Cose che evidentemente a lei erano ancora sconosciute.
Phoenix, che aveva sempre la straordinaria capacità di
essere in sintonia con i suoi pensieri, parlò al suo posto “Ci sarà un po’ da
lavorare sull’educazione di base, a quanto pare. Non so dove Alexander trovi
tanta pazienza, io l’avrei già rimessa al suo posto”.
Shaka, che conosceva bene l’intemperanza del cavaliere che
aveva di fronte, si stupì di quell’affermazione.
Ma prima che potesse intervenire, l’altro fratello decise di
dire la sua in merito “Devi capire che per lei è stato uno shock. L’incontro con suo
padre, dopo 12 anni in cui lo aveva creduto morto …” fece una pausa prima di
proseguire “Lui che ricompare e cerca di ucciderla… insomma non deve essere stato
facile. Sapere poi che quello stesso padre aveva generato altri due fratelli di
cui non era a conoscenza e sapere che l’unico che avrebbe potuto dirle la
verità non l’ha fatto per ben 23 anni, pur essendo costantemente al suo fianco
… beh, io posso comprendere la sua reazione. E capisco anche dove Alexander trovi
quella che tu definisci pazienza”.
“Tze, sinceramente alla sua età mi sarei atteso una reazione
meno infantile. E, chissà perché, non mi stupisce che tu la giustifichi”
Phoenix non sembrava voler concedere
attenuanti.
Kanon ricordò improvvisamente la reazione di Juliet in
albergo, subito dopo che suo padre le aveva sparato addosso, e sentì una morsa
allo bocca dello stomaco.
Ma prima che i due fratelli intavolassero una discussione
sulla presunta immaturità di una sorella che non avevano nemmeno mai visto in
faccia, Kanon si premurò di introdurre l’argomento che al momento gli forniva
più preoccupazione, dopo la salute di Juliet.
“Ho sentito chiaramente, solo per pochi, infinitesimi
attimi, il cosmo di un cavaliere che non dovrebbe essere più tra noi”.
Le parole di Kanon ottennero l’immediato effetto di far
aprire gli occhi di Shaka.
“Dunque non sono stato il solo a percepirlo” rispose
pacatamente quest’ultimo “Ho motivo di credere che in qualche modo quel cosmo
sia legato al rientro dell’anima di Juliet, da qualsiasi dimensione in cui tu
l’avessi mandata”.
“Io non ho mandato nessuno in nessuna dannatissima dimensione!”
Kanon rispose in modo esasperato, con un impeto che stupì tutti i presenti.
Alexander e Juliet uscirono dalla stanza quasi
contemporaneamente. Lei che cercava di divincolarsi dalla stretta di lui, che con
una mano afferrava saldamente il sul braccio, nel tentativo di trattenerla.
“Non puoi andare a San Pietroburgo, Juliet. Walt e Lucas
sono già lì, insieme a un cavaliere d’oro. E anche Victor fa parte della
squadra”.
“Mi hai appena detto che sono passati giorni e non hanno
ancora fatto rapporto!!” urlò esasperata lei.
Poi si voltò e si rese conto delle numerose altre presenze
nella sala. Uno era il biondo di poco prima, due non li aveva mai visti prima e
uno era … Kanon.
E fu proprio quest’ultimo ad intervenire, rivolgendosi
direttamente a lei “Se fossi in te, Juliet, io darei retta ad Alexander. Le
sorti della tua amica non potrebbero essere in mani migliori. D’altronde lui è
suo padre, non credo che voglia rischiare di perdere sua figlia affidando il
suo recupero a persone in cui non ripone alcuna fiducia” il tono di severità
con cui pronunciò quelle poche frasi, diede a Juliet l’impressione che quello
fosse un rimprovero.
“Se fossi in te, Kanon, io non fingerei di essere uno che crede
ciecamente nel valore dei legami familiari” rispose prontamente Juliet. E non
seppe dire il perché le uscì così spontanea una risposta tanto velenosa, né il
motivo che la spinse a pronunciarla con tanto astio. Forse il fatto che, dopo
quanto era successo, si sarebbe aspettata da parte sua almeno un “Come stai” o un “Mi dispiace” e non certo un saccente ammonimento.
Ad ogni modo, se Kanon accusò il colpo, non lo diede a
vedere esplicitamente.
Chi invece manifestò apertamente le proprie impressioni fu il
più grosso dei due sconosciuti presenti nella sala “Se fossi in te, io non
parlerei di ciò che non conosci. Mi sembra che tu abbia già dato abbastanza
fiato ai denti, per oggi” le disse sprezzante.
“Ma qui siete tutti sputasentenze, o questa è la parte
sfortunata del tempio?” Juliet non amava certo farsi zittire, men che meno da
un troglodita sconosciuto.
Shaka continuava a stare in disparte, tenendo gli occhi
chiusi, ma ad un attento osservatore non sarebbe sfuggito che, alla risposta di
Juliet, il suo sopracciglio destro si mosse impercettibilmente.
“Lui è tuo fratello Phoenix” si intromise Alexander, prima
che la situazione diventasse ingestibile.
Un incrocio di sguardi, tutt’altro che amichevoli, fu
l’unico elemento di contatto che ciascuno concesse all’altro. Non una parola,
non una stretta di mano, nemmeno un formale cenno di saluto con il capo.
“E io sono tuo
fratello Andromeda. Piacere di conoscerti” il tizio più esile le si era
avvicinato per tenderle la mano, mentre le sorrideva con una dolcezza rassicurante. Sembrava un gesto sincero e spontaneo.
Juliet tese la mano e gliela strinse, più per un atto di
cortesia che per un reale slancio d’affetto. Per lei restava pur sempre un
altro sconosciuto.
Quando Claire le aveva raccontato dell'incontro con suo fratello Cristal,
le disse che si erano scambiati solo poche parole all’interno della terapia
intensiva dell’ospedale e che, seppure per brevi istanti, lei aveva sentito un
legame con lui. Forse perché il sangue che lui le aveva appena donato era stato
determinante per salvarle la vita. O forse perché le avevano appena detto che
suo padre stava morendo, e lei aveva visto in suo fratello l’unico legame con
una famiglia che ormai non esisteva più.
Juliet non trovò la risposta a questi perché, quello di cui
era certa era che lei non sentiva alcun legame con quello che, di fronte a lei,
affermava di essere suo fratello. Per non parlare dell’altro, che sembrava non
solo disinteressato, ma addirittura infastidito da tutta la faccenda.
Pensò a suo padre Edmond, e ai segreti che, insieme ad
Alexander, era riuscito a nascondere per tutta la vita. E inevitabilmente il
suo pensiero la riportò con la mente al momento in cui l’aveva visto, per
l’ultima volta, mentre le puntava l’arma addosso e le sparava. Ricordò
esattamente il momento in cui la gioia immensa di saperlo vivo si era tramutata
in disperazione e angoscia per ciò che era diventato. Alexander era convinto
che l’apparenza non corrispondesse alla realtà e che il suo amico Edmond non
potesse essere sotto totale condizionamento. Ma Juliet, che aveva visto i suoi
occhi diventare di ghiaccio mentre premeva il grilletto, non riusciva a togliersi dalla mente
quell’immagine di uomo spietato che suo padre sembrava essere diventato.
Kanon rimase per tutto il tempo spettatore impassibile della
scena. Dal suo volto non trapelava alcuna emozione. Ma Juliet sapeva bene di
aver fatto un mossa sbagliata, con quella risposta sui legami familiari,
minando alla prima occasione la riuscita del piano che aveva accordato con
Saga. Se Kanon avesse sospettato qualcosa, lei si sarebbe trovata nella
condizione di dover svelare tutto prima del tempo.
Sentiva il crescente bisogno di allontanarsi da quel luogo e
da quelle persone, per ritrovare se stessa e recuperare un minimo di lucidità. Ora
che la sua anima si era ricongiunta con il suo corpo e si sentiva nuovamente in
possesso di tutte le sue capacità, tutto ciò che aveva vissuto nell’altra
dimensione le sembrava quasi irreale e lontano anni luce. In più, il confronto
con Alexander l’aveva destabilizzata e soprattutto, non aveva ancora
metabolizzato quanto era successo a Berlino.
“Ho bisogno d’aria. Qui dentro non si respira” disse a voce
alta, senza curarsi di sembrare scortese.
“Puoi uscire fuori quando vuoi” rispose Alexander “L’importante
è che tu non ti allontani da sola dal Santuario”
“Cosa? E da quando ho bisogno di una balia?”
“Da quando siamo in pericolo. E fino a quando non scopriremo
chi e perché ci sta minacciando” rispose pacatamente Alexander.
“Quindi dovrai farci l’abitudine, perché questa sarà la tua
condizione da ora in poi, che tu sia d’accordo o meno” Phoenix stava
decisamente giocando male le carte della fratellanza, e Juliet non perse tempo a farglielo
capire.
“Non sforzarti caro. Per me non sei, e continuerai a non
essere, nessuno. Il fatto che tu sia figlio di Edmond, non significa un cazzo
per me. Quindi pensa a risolvere i tuoi fottuti problemi esistenziali, e lascia
in pace i miei. Ma soprattutto, non osare dirmi come devo o non devo
comportarmi”.
“Tu meriteresti di
essere ….” Phoenix stava minacciosamente avanzando verso di lei, quando una
mano lo bloccò.
Shaka di Virgo si era spostato, andando a frapporsi tra i
due, senza che nessuno si fosse accorto del suo movimento.
“Cavaliere, ora non sei nello stato d’animo giusto per proseguire
questa conversazione. Piuttosto, accompagnami al mio tempio, ho bisogno di confrontarmi
con te su alcune questioni”.
Andromeda rivolse a Shaka uno sguardo di pura riconoscenza
per il gesto appena compiuto.
Phoenix fece non poca fatica a calmare i suoi nervi. Ma
sapeva bene che, in fondo, Shaka aveva ragione e chissà, forse un giorno sarebbe
addirittura stato in grado di ringraziarlo per quest’intervento. Al momento, si
limitò ad assentire e a seguirlo fuori
dal tredicesimo tempio, lasciando la sala senza salutare e senza voltarsi
indietro.
Juliet invece si era accorta, non appena aveva pronunciato l’ultima
parola rivolta al fratello, della presenza di Kanon al suo fianco. Si era
avvicinato all’improvviso, senza dire niente, ed ora stava lì, in piedi, a meno
di trenta centimetri da lei, che la guardava come se volesse catturarle l’anima.
Iniziò a sentirsi a disagio. La sua presenza, la sua vicinanza, il suo sguardo,
perfino il tono della sua voce quando le parlava. Ogni cosa di lui la metteva
in difficoltà. E non era per quanto successo a Berlino. Lei sapeva bene che la
ragione di quelle sensazioni nei suoi confronti derivavano da quanto aveva
appreso da Saga sul suo conto. Ma come sarebbe riuscita, in quelle condizioni,
a portare avanti il suo piano? Come poteva quel compito, che inizialmente le
era sembrato così semplice, per lei che era un operativo con notevole esperienza
da infiltrato, sembrarle ora tanto complicato, da farle temere di non riuscire
a sostenerlo? No, non aveva scelta, non poteva fallire, o quei cavalieri
sarebbero stati perduti per sempre.
Fu mentre la sua testa processava velocemente tutti quei
pensieri, che Kanon le toccò un braccio, provocandole un sussulto. Sollevando
lo sguardo, i suoi occhi incrociarono quelli di lui, leggendovi una nota di
incertezza, che li rendeva meno freddi di prima.
“Ho bisogno di parlarti, in privato” quasi sussurrò quelle
parole, tanto che Juliet si chiese se non le avesse immaginate. Lui, che fino a
quel momento si era limitato ad interagire con lei in maniera fredda, severa e
distaccata, le aveva appena rivolto una richiesta con un tono totalmente differente.
Consapevole che stare sola con lui in una stanza era l’ultima
cosa che lei avrebbe potuto reggere al momento, decise di prendere l’iniziativa
“Ok. Accompagnami fuori dal Santuario”.
Kanon si irrigidì a quella proposta. “Sai che non è
possibile” le rispose.
“Ma non sarei sola, ci saresti tu con me, no? Dunque non
correrei alcun pericolo, giusto Alexander?” sperava di trovare un appoggio
esterno.
“In teoria non sarebbe prudente. Ma viste le circostanze e il
tuo comprensibile turbamento per gli ultimi eventi, possiamo fare un’eccezione.
Che non diventi un’abitudine però” Alexander diede così la sua benedizione, con
buona pace di Andromeda che la guardava sorridendo. Quel fratello, forse, le sarebbe
stato simpatico, un giorno.
L’unico che rimase rigidamente composto fu Kanon, che comunque
dopo qualche istante esalò un sospiro di rassegnazione “D’accordo. Ma usciremo
alle mie condizioni e andremo solo dove io vorrò condurti” sentenziò in maniera
inflessibile.
Juliet si morse la lingua giusto un attimo prima di
rispondergli a tono, consapevole che avrebbe probabilmente bruciato l’unica
possibilità di uscire da quel posto.
“Come vuoi” disse con finta accondiscendenza.
Finzione che non sfuggì a Kanon, il quale le rivolse uno
sguardo carico di ironia “Bene, vedo che stai iniziando a lavorare sull’obbedienza,
me ne compiaccio”.
“Elemento fondamentale per la sopravvivenza” rispose tra i
denti, con malcelata insofferenza, procurando una sincera risata in lui, che la
lasciò senza fiato.
Era la prima volta che lo vedeva ridere. La prima volta che
la sua espressione seria, altera e severa si scioglieva per dare spazio a una
più serena, distesa e ... irresistibile. Rimase incantata dal luccichio nei
suoi occhi, dal suono vibrante della risata, dal modo in cui le sue labbra si
incurvavano per poi aprirsi e mostrare un sorriso che, Juliet ne era convinta,
avrebbe fatto stendere ai suoi piedi qualsiasi nemico.
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Capitolo 32 *** Capitolo 31 ***
Capitolo 31
Claire e Milo si voltarono appena in tempo per vedere Lucas
e Walt che venivano scaraventati con forza nel fiume da decine di guerrieri.
Milo non ebbe alcuna difficoltà, sollevando appena un braccio, ad eliminarli
tutti, in un colpo solo e con il minimo sforzo.
Claire richiamò la sua attenzione quando vide sopraggiungere
verso di loro due uomini che portavano armature del tutto simili a quelle
indossate dai suoi aguzzini.
Milo, frapponendosi tra lei e i due nuovi arrivati, accese
improvvisamente il suo cosmo e sprigionò un’energia talmente intensa che Claire
si chiese se il sole non fosse caduto sulla terra.
Uno dei due scagliava colpi che sembravano lingue infuocate,
che Milo riusciva comunque a neutralizzare con il solo movimento di una mano,
mentre l’altro agitava delle fruste chiodate che producevano un sinistro suono
metallico.
“Non penserete di intimorire un cavaliere d’oro con quella
ferraglia e così mascherati?” disse sprezzante rivolto ai due, i cui volti
erano totalmente ricoperti da un elmo.
“Fossi in te non sottovaluterei ciò che non conosci” rispose
uno dei due, con una voce che pareva tutto fuorché umana.
Claire, accortasi che Walt e Lucas non riemergevano dal
fiume, fece per tuffarsi nella direzione in cui erano stati scaraventati, ma fu
bruscamente bloccata dal braccio di Milo, che la afferrò con vigore,
addossandola al suo petto e impedendole quasi di respirare.
“Non fare mosse stupide. Stai dietro di me e non muoverti
per nessuna ragione. Non costringermi a immobilizzarti” le ordinò bruscamente.
Poi, sentendola irrigidirsi, aggiunse “Penso io a loro, stai tranquilla”.
L’ultima frase gliela sussurrò all’orecchio, ed ebbe per Claire un sorprendente
effetto calmante.
Decise di sorvolare sul tono utilizzato per imporle di stare
ferma, visto che al momento le priorità erano altre, e si piazzò alle sue
spalle, in obbediente attesa. Vide quindi Milo
avanzare minaccioso ed estinguere con un semplice movimento delle mani le
fiamme che venivano lanciate, per poi ingaggiare una lotta corpo a corpo con
l’uomo in armatura scura con la frusta chiodata.
Sembrava che i colpi di Milo andassero tutti a segno. Il
problema era che l’altro si rialzava ogni volta, come se niente fosse successo.
E il secondo adesso scagliava la sua frusta contro Milo, che puntualmente la
rimandava al mittente con la sola forza di una mano. Nonostante tutto, a Claire non sembrava che Milo stesse
avendo la meglio. Anzi. Al momento era circondato da fiamme altissime, mentre
miriadi di fruste chiodate gli si avviluppavano nelle braccia e nelle gambe,
apparentemente impedendogli ogni movimento.
Fino a quando, all’improvviso, i suoi nemici parvero
immobilizzarsi, incapaci di fare anche il minimo movimento, mentre il suo cosmo
si espandeva ulteriormente. Quando la luce del suo cosmo si affievolì, Claire
vide che, con la sola forza del dito indice, Milo lanciò decine di colpi contro
i nemici, che ora parevano contorcersi dal dolore, in preda agli spasmi. Le
loro armature erano state perforate da decine di cuspidi appuntite. Claire riconobbe
immediatamente quel gesto e le si gelò il sangue. Di riflesso si toccò
l’avambraccio, nel punto in cui lui l’aveva colpita quel giorno. Il pensiero
che lui avesse usato su di lei lo stesso terribile colpo che ora stava
adoperando per sconfiggere quei nemici, le provocò un senso di nausea e di repulsione.
Bene, ora sapeva a cosa doveva pensare per mantenere le distanze da lui e non
correre il rischio di ricadere nella trappola dell’attrazione.
Quando lanciò l’ultimo colpo, i due caddero a terra quasi
all’unisono.
Una volta assicuratosi che fossero definitivamente
sconfitti, Milo tornò da Claire e, leggendo nel suo sguardo qualcosa che
sembrava paura, tese un braccio verso la sua spalla “Tutto bene?”
“Non toccarmi!” la reazione di Claire fu talmente violenta
che stupì anche lei.
Milo, dopo un primo momento di sconcerto, abbassò il braccio
e chiuse gli occhi, voltandosi quindi in direzione del fiume.
Claire si riprese subito, seguendo lo sguardo di Milo, e
rendendosi conto con orrore che Lucas e Walt non erano ancora riemersi dal
punto in cui erano stati scaraventati.
“Dobbiamo recuperarli!” disse mentre iniziava a togliersi una
scarpa per tuffarsi.
“No” rispose semplicemente lui.
“Sei impazzito? Vuoi che affoghino? Guarda che sono in grado
di nuotare da sola, andrò anche senza il tuo aiuto!” Claire si stava
decisamente innervosendo.
“Ferma. E calmati.” le disse in maniera piuttosto decisa.
Lui sembrava non avere alcuna urgenza di muoversi, parlava
come se desse per scontato che i suoi amici fossero già morti, cosa che lei non
poteva tollerare.
“Non mi dirai certo TU cosa devo fare per i MIEI amici”
disse mentre si toglieva anche l’altra scarpa.
“E invece si” lui perse definitivamente la pazienza “E tu mi
ascolterai e farai esattamente quello che ti dirò di fare, se vuoi rivederli
vivi”.
Le si era avvicinato talmente tanto che quasi i loro corpi
si sfioravano. Ma non la toccò. La testa di lei all’altezza delle spalle di
lui, gli sguardi fermi, in atteggiamento quasi di sfida. La tensione era
talmente palpabile che a Claire sembrò di sentire l’elettricità nell’aria che
respirava.
“Non sono in fondo al fiume. Sono stati portati via” disse
lui con voce più bassa, interrompendo quel gioco di sguardi e tornando a
volgere il suo oltre il fiume.
“Cosa? Quando? Ti sei accorto e non hai fatto niente per
impedirlo?” gli disse in tono accusatorio lei.
“Se mi fossi concentrato su di loro, avrei perso di vista te
e i nemici che ci stavano attaccando. Non ho potuto fare niente, mi dispiace.”
le disse guardandola negli occhi.
Claire finse di non sentire una punta di rammarico per
avergli lanciato quell’ingiusta accusa e tornò a concentrarsi sul problema
principale, distogliendo lo sguardo dal suo.
“Allora dobbiamo andare a recuperali” disse, stavolta con
più calma.
“Tu non andrai da nessuna parte. Prima ti porterò in un
posto sicuro, e solo dopo essermi assicurato che le tue ferite siano a posto e
che tu non corra alcun rischio, io
tornerò indietro a recuperarli” l’affermazione non ammetteva repliche.
“Ma perderemo solo del tempo prezioso e poi potrebbe essere
troppo tardi!” disse esasperata lei.
Milo, già pronto a ribattere, fu distratto da un oggetto volante,
apparso improvvisamente all’orizzonte.
“Cos’è quello?” lo indicò con un cenno del capo.
Claire, voltandosi nella direzione indicata, vide quello che
sembrava essere un drone, che sorvolava nello spazio aereo lungo il fiume. Non
sembrava niente di allarmante, poteva essere un drone manovrato da qualche
privato che scattava foto artistiche, o dalla polizia locale per controllare
l’area, visto che sicuramente qualcuno aveva segnalato la loro presenza, che,
tra fiamme ed energia cosmica, non era stata propriamente discreta.
Ma Milo non sembrava pensarla come lei.
“Ci sta attaccando” disse con una nota di apprensione.
“Cooosa?” gli rispose incredula “Milo, rilassati, è solo un
drone”.
Non fece in tempo a dirlo che sentì una forza sconosciuta
bloccarle le braccia e le gambe, impedendole qualsiasi movimento.
“Ma che diavolo succede, non riesco a muovermi” lo guardò
preoccupata, accorgendosi che anche lui tentava invano di divincolarsi da
quelle onde invisibili.
“Dannazione, stanno usando il mio colpo contro di noi” disse
con rabbia.
“Il tuo colpo? Di cosa stai parlando?”
“Le onde di scorpio. Ho lanciato questo colpo due volte poco
fa. E questo è senza dubbio la sua replica perfetta.”
“Vuoi dire che sospetti che quel coso volante riesca a
replicare i tuoi colpi? Ma è impossibile, ci sarà un’altra spiegazione”.
“Purtroppo è come ti dico. So riconoscere le mie tecniche”.
Il drone, oramai posizionato sopra le loro teste, sembrava
osservarli dall’alto.
“E’ inquietante. Ma che vuole da noi?” disse Claire
osservandolo con sospetto.
Milo non parlava, ma
il suo volto era oltremodo teso e la sua mimica facciale rivelava che si
aspettasse il peggio. Peggio che non tardò ad arrivare. E che colpì proprio lui
per primo, causando una minuscola crepa nella sua armatura, all’altezza della
coscia destra.
“Dannazione” imprecò lui, cercando in ogni modo di spostarsi
per farle da scudo con il suo corpo.
E mentre si sforzava invano di sbloccare braccia e gambe,
immobilizzate dal potere delle sue stesse onde, un altro minuscolo foro
nell’armatura, all’altezza dello stomaco, lo fece gridare di dolore.
Claire vide la sua espressione sofferente e iniziò a
comprendere.
“Questo colpo …” sussurrò con preoccupazione.
“La cuspide scarlatta” decretò lui “Fino a che colpisce me
non ci sono problemi. Posso sopportare ben oltre la dose di veleno contenuta
nelle 15 cuspidi, Antares compresa”.
Dunque il colpo su di lui non era mortale e presumibilmente
non gli avrebbe causato un dolore insopportabile. Claire ricordò la reazione
avversa del suo organismo al veleno dopo aver ricevuto uno solo di quei colpi,
e impallidì. Lei, a differenza di Milo, non avrebbe avuto scampo: era
spacciata.
E dall’espressione funesta che aveva Milo, non era l’unica a
pensarlo.
“Incredibile come il destino faccia tanti giri per poi
tornare indietro e … banalmente finire l’opera” disse quasi senza pensarci,
mentre osservava il drone cambiare posizione e puntare dritto verso di lei.
Vide nitidamente partire il colpo e d’istinto chiuse gli
occhi. In attesa. Non voleva guardare in faccia Milo mentre veniva colpita,
ancora una volta, dal suo colpo. L’ultima cosa che sentì fu proprio la sua voce
che urlava disperatamente il suo nome.
“Noooooo! Claire!!!”
E poi niente. Non sentì il dolore atroce che aveva sentito
la prima volta, non sentì quel calore bruciante entrarle nelle vene e
attraversare tutto il corpo, non fu scossa dagli spasmi dei suoi muscoli. Sentì
solo molto freddo. Aveva così tanto freddo che iniziò a tremare. E pensò che
forse era già morta, senza nemmeno soffrire. Avrebbe presto rivisto Victor, se
non altro. E suo padre.
Fu solo quando sentì nuovamente pronunciare il suo nome, che
capì di non essere nel regno dei morti ed ebbe il coraggio di riaprire gli
occhi. Quello che vide aveva dell’incredibile. Una spessa coltre di ghiaccio
ricopriva lei e Milo, mentre al di la del ghiaccio si intravedeva quello che a
lei sembrò essere suo fratello Cristal, anche lui con indosso un’armatura.
“Diamond Dust!” lo sentì gridare prima di vedere il drone
diventare di ghiaccio e disintegrarsi in mille pezzi.
Le onde che tenevano immobilizzati lei e Milo scomparvero
istantaneamente.
La parete di ghiaccio che li aveva protetti fece la stessa
fine, proprio mentre Cristal correva verso di loro.
“Milo! Claire! State bene?” disse mentre si inginocchiava
vicino a lei e le posava delicatamente un braccio sulla spalla.
“Non so cosa diavolo tu ci faccia qui amico mio, ma sappi
non sono mai stato tanto felice di vederti” Milo lo salutò con un cenno del
capo e con uno sguardo carico di gratitudine.
Cristal si grattò la testa, come in imbarazzo “Ah ecco, in
realtà non ero esattamente qui, ma ad Asgard … si insomma, per motivi personali
… e dunque ero il più vicino… così quando Alexander mi ha chiamato, preoccupato
che Walt non avesse ancora fatto rapporto …”
“Cosa hai detto?” Claire lo interruppe bruscamente.
“Che ero ad Asgard e …”
“No, no. Cosa hai detto dopo. Hai fatto il nome di Alexander.”
Claire guardava prima l’uno, poi l’altro, intercettando i loro sguardi complici
e … colpevoli.
“Dio mio. Mi ha fatto credere di essere morto per due anni.”
Claire iniziò a pensare ad alta voce, senza curarsi della presenza degli altri
due.
“E’ stato in coma per quasi due anni. Si è svegliato solo
qualche mese fa” cercò di spiegare Cristal.
“In coma? Sia tu che Walt mi avete fatto credere che fosse
morto!!” Claire aveva alzato il tono della voce.
“Lo so, mi dispiace Claire. Non sai quanto sia stato
doloroso portare il peso di questa menzogna. Ma lui ce l’aveva espressamente
chiesto prima di perdere i sensi” Cristal lo disse con voce rotta
dall’emozione.
“Non ci posso credere, che sia arrivato a tanto” Claire
continuava a scuotere la testa, ancora sotto shock per la notizia ricevuta.
“Mi spiace interrompervi, ma sono certo che riprenderemo
questo discorso quando saremo tutti al sicuro“ intervenne Milo “Cristal, ora devi
portarla in un posto sicuro, mentre io torno indietro a recuperare Walt e
Lucas”.
Claire scosse la testa “Non puoi tornare da solo. Andate
insieme. Io vi aspetterò dentro l’auto dell’Agenzia. Se Lucas l’ha usata per fornire
l’appoggio alla missione, Victor si sarà premurato di disporci un arsenale.”
“No. Non resterai sola in un auto facilmente individuabile e
attaccabile da guerrieri che evidentemente non temono arsenali” Milo rifiutò
quel piano con decisione.
“Ti ricordo che grazie a parte di quell’arsenale, Victor ha
salvato il culo a tutti noi” gli rispose con fervore lei.
“E io ti ricordo che il tuo amico Victor è morto proprio per
avere fatto ciò di cui parli” Milo si pentì di aver pronunciato quelle parole
non appena si rese conto dell’effetto che ebbero su di lei. Lo sguardo di
Claire si incupì, gli occhi divennero lucidi. Le mani si serrarono a pugno e il
suo corpo si irrigidì. Le spalle tremarono.
“Tu non puoi permetterti di parlare del mio amico Victor,
visti i precedenti. Lascialo in pace, almeno ora che è morto” la voce, che
voleva risuonasse fredda e tagliente, le uscì spezzata, esattamente come si
sentiva lei in quel momento.
Milo non disse niente. Non si sarebbe scusato. Semplicemente
decise di ignorare l’ultimo commento e di rispettare il dolore che lei stava certamente
provando per quanto successo solo poche ore prima.
Fortunatamente Cristal intervenne a supportare il suo piano “Claire,
Milo ha ragione. Un cavaliere d’oro sarà più che sufficiente per recuperare
Walt e Lucas, fidati. E noi in ogni caso noi ci allontaneremo il tanto
sufficiente per metterti al sicuro e al contempo poter intervenire in suo supporto,
nel caso in cui le cose si mettessero male. Ok?” le disse guardandola negli
occhi.
Lei non rispose subito. Questo fu già un buon segno per
Milo, perché significava che stesse valutando seriamente la proposta. E infatti
poco dopo annuì.
“Ma ci allontaneremo usando l’auto dell’Agenzia” aggiunse.
“Benissimo” assentì Cristal, per poi rivolgersi a Milo “Per
qualsiasi cosa, io sarò abbastanza vicino per intervenire”.
“Grazie, ma conto di farcela anche senza il tuo aiuto, stavolta.
Quindi allontanatevi il più possibile” gli disse mettendogli una mano sulla
spalla, a voler enfatizzare l’ultima frase.
Cristal non rispose, ma annuì in silenzio, ben consapevole del
potere di Milo e sicuro che non avrebbe avuto bisogno d’aiuto.
Quindi, con un cenno di saluto, si voltò per dirigersi con
Claire verso l’auto, ma prima di allontanarsi, si sentì richiamare.
“Ah, Cristal … quando avremo più tempo a disposizione, confido
che mi racconterai nel dettaglio che cosa esattamente ci facessi ad Asgard” gli
disse Milo con una nota di ironia nella voce, per poi sorridere nel notare il
rossore imbarazzato comparire improvvisamente sul volto dell’amico, che rimase
impalato senza sapere esattamente cosa rispondere.
“Esattamente uguale a Camus” bofonchiò Milo, soddisfatto per
la reazione provocata.
Claire assistette alla scena con una certa curiosità. Era
evidente che quei due avessero molta più confidenza di quanto lei immaginasse. E
in qualche modo questo la infastidì, anche se non seppe bene per quale motivo.
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