Universi paralleli

di skorpion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


capitolo1

Prologo.

 

Si svegliò madida di sudore, la cappa di calore che da qualche giorno avvolgeva Marsiglia non lasciava tregua nemmeno durante la notte, ordinaria amministrazione nel mese di agosto.

Una fitta insistente al braccio sinistro le impediva ora di riprendere sonno e il suo sguardo vagò distrattamente alla minuscola cicatrice impressa sulla pelle dell’avambraccio, che la costringeva ogni giorno a convivere con ciò che la mente faticosamente tentava di cancellare.

“Una maledizione ben scelta mia cara, per impedirmi in eterno di trovare pace”, le disse prima che le loro strade si dividessero per sempre. A quanto pare anche lui le aveva lasciato impresso qualcosa che si sarebbe portata appresso per l’eternità, peccato che il dolore fosse molto tangibile, mentre le sue in fondo erano state solo parole gridate al vento. Per rabbia. Per delusione. Per paura. Per colpirlo. Non dubitava di averlo ferito con quelle accuse, ma certamente nel giro di pochi mesi la sua coscienza si sarebbe sbarazzata di quel peso superfluo e ora, dopo due anni, probabilmente nemmeno avrebbe ricordato più il suo nome.

Erano passati due anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Che li aveva visti. Un anno e dieci mesi dall’ultima volta che aveva sentito suo padre, due anni e quattro mesi dalla prima volta che aveva conosciuto suo fratello e due anni esatti dal giorno in cui non vedeva più lui.

Stava cercando di rammentare con quali parole avesse insultato suo padre, quando la sua coinquilina improvvisamente spalancò la porta della sua stanza.

“Sei sveglia?”praticamente urlò

“ Avrebbe fatto qualche differenza per te se non lo fossi stata?”

“No” sorrise. Poi ridivenne seria ” Hanno chiamato, dobbiamo andare, Walt ci aspetta all’aeroporto”

“Siamo già pronti?”non fece niente per nascondere lo scetticismo nella sua voce.

“Non possiamo aspettare oltre, non abbiamo scelta, tentiamo con quello che abbiamo”.

“Bene, è un suicidio. Andiamo”.

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


capitolo1

Capitolo 1

 

“Il conto, grazie” disse distrattamente alla cameriera che girava tra i tavolini all’aperto sotto il sole cocente di mezzogiorno. Nemmeno l’ora di pranzo e già il tasso alcolico del suo sangue aveva abbondantemente superato il limite consentito dal buonsenso, ancor prima che dalla legge. La legge, come se gli importasse qualcosa ormai. Non vi era stata una sola regola che non avesse infranto negli ultimi due anni, strano per uno che ogni singolo giorno della sua precedente vita aveva respirato, si era nutrito e si era dissetato di regole, obbedienza e disciplina.

Lasciò una lauta mancia accanto al bicchiere vuoto, con un movimento fluido si alzò e si incamminò verso il centro della città. Nonostante l’alcol, il passo era sempre fiero e l’andatura naturalmente nobile, elegante, come avrebbe dovuto essere il portamento di un cavaliere del suo rango.

Da un anno aveva affittato un appartamento in pieno centro, il che significava essere costretto a condividere i mesi estivi con una folla di turisti inferociti che assaltavano puntualmente tutti gli alberghi e le locande di Atene, ma significava anche mettere a distanza di sicurezza tutta la parte della sua vita precedente che si sarebbe volentieri lasciato alle spalle. Quella era la distanza massima che il suo ruolo gli consentiva: non poteva andare oltre, era pur sempre un cavaliere d’oro e il suo tempio non poteva restare completamente senza custode.  Un compromesso, questa era la sua vita ora: un patto, un continuo contrattare condizioni, obblighi e doveri.  

All’improvviso eccola la sua vita precedente, la vide materializzarsi in lontananza, appena girato l’angolo della piazza su cui si affacciava il suo appartamento, era ferma, immobile, seduta sui gradini dell’ingresso della sua casa e aspettava lui, sotto il sole di mezzogiorno, senza battere ciglio.

Non rallentò la sua andatura, proseguì come se niente fosse e, fingendo di non avere visto l’uomo  elegantemente appoggiato al cancello di ferro battuto della sua abitazione, senza indugi girò le chiavi nella toppa.

“Kanon” si sforzò nel pronunciare un saluto educato, ma non riuscì a mascherare l’irritazione per quella presenza invasiva.

“Ciao Milo” se non altro era una fortuna che tra tutti i cavalieri avessero mandato quello meno loquace.

“Nessuno mi ha chiesto di venire qui, se è questo che stai pensando”. 

Milo si irrigidì, non voleva essere scortese, ma non aveva intenzione di intavolare discussioni con nessuno. Nemmeno con lui, nonostante tutto.

“Non ora, per favore” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

Kanon sorrise. Non  un sorriso beffardo. Piuttosto l’ espressione benevola di chi la sa lunga, di chi ha capito.

“Tranquillo, non mi trattengo. Passavo di qui per caso e ho pensato potessimo mangiare insieme, ma se hai altri programmi possiamo rimandare” si alzò e fece per allontanarsi.

“Aspetta”

Kanon si voltò.

“Perdonami, sono stato scortese, se vuoi fermarti non mi da fastidio”

“Immagino che non mi da fastidio sia già qualcosa” sospirò Kanon.

Milo ignorò il commento, salì le scale, aprì la porta e invitò l’amico ad accomodarsi.

Kanon scrutò attentamente l’interno della casa, non vi regnava il caos assoluto come aveva immaginato in quei mesi, questo era un buon segno.

“La Fondazione manda una donna delle pulizie una volta a settimana” Milo lo stava osservando e aveva  indovinato i suoi pensieri.    

 “Certamente, la Fondazione.” Kanon era imbarazzato. “Non che volessi farmi i fatti tuoi”

“Certo, come no. Dimmi Kanon, esattamente cosa sei venuto a fare per caso da queste parti?”

“Touchè”

“Avanti, non ti formalizzerai di fronte a me vero?”

“No” era sincero, lo era sempre stato con lui. “Vengo a portarti buone nuove”

“Ti ascolto” rispose distrattamente Milo mentre armeggiava con piatti e bicchieri.

“Alexander. Ce l’ha fatta, è uscito dal coma”

 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


capitolo 2

Capitolo  2

 

Il braccio continuava a pulsare e per tutto il tragitto fino all’aeroporto lo tenne piegato e pressato contro lo stomaco, lo sguardo apparentemente perso a guardare il paesaggio fuori dal finestrino. Il giallo dei campi di grano si alternava al verde delle viti e degli ulivi, per fondersi nel blu del mediterraneo quando si avvicinavano alla costa. Il mare, quel blu. Era di una tonalità più scura di quello della Grecia, o almeno così sembrava da quella distanza. No, non voleva pensare. Non a quello. Una lobotomia, ecco cosa avrebbe desiderato in quell’istante. E invece eccoli i ricordi: dapprima subdoli, poi improvvisi, violenti, come un mare in tempesta, e non poteva fare niente per arginarli.

 
 “Buongiorno cara”  suo padre le si avvicinò con cautela e le diede un leggero bacio sulla fronte, come se niente fosse successo,  lasciandola di sasso.

Come se non fossero passati quattro mesi. Come se non si fosse preparata un elogio funebre e non l’avesse mentalmente ripassato ogni giorno negli ultimi due mesi, trascorsi ad immaginarlo immobile, freddo e senza vita. Da un momento all’altro si aspettava potesse arrivare il momento giusto per utilizzarlo, quell’elogio. Così, all’improvviso. E lei non voleva sentirsi impreparata. Non lo era mai stata. Niente in tutta la sua vita l’aveva mai colta di sorpresa. Era un’ esperta stratega, un’abile giocatrice. Ma non poteva immaginare che la giostra su cui sarebbe salita quel giorno l’avrebbe portata fino ad al punto del non ritorno, il punto oltre il quale niente sarebbe più stato lo stesso. Un’ imprevista, insospettabile, sconosciuta direzione di cui lei non poteva decidere il senso di marcia: stava per perdere il  timone della sua vita, per non riprenderlo più.

Avrebbe voluto abbracciarlo, ma rimase immobile, i denti serrati, gli occhi ridotti a due fessure.  

“Buongiorno??”

 Urlò.

“Claire io …”

 “No!! Fammi parlare” ansimava.

“ Sei sparito per quattro mesi senza che nessuno qui  avesse idea di dove fossi finito. Non un segnale, non un contatto, un messaggio, fosse anche stato con un fottuto piccione viaggiatore! Pensavamo che fossi morto,  che avessi fatto la fine di ….” era sconvolta, tremava, non riusciva a proseguire. Non era da lei.

“Perdonami. Perdonatemi tutti. Nessuno all’ interno dell’ Agenzia avrebbe dovuto sapere …” questa fu la scintilla che la fece esplodere.

“Agenzia?!?” le mani strette a pugno, lo sguardo furente

 “Non mi frega un cazzo dell’Agenzia! Mi frega di me, di come mi sono sentita al pensiero che ti avessero …” la voce si ruppe, ma fu solo un attimo “Sono tua figlia, pensi forse che non meriti più attenzione di un qualunque altro insignificante membro dell’Agenzia?”

Gli si scagliò contro, tempestandolo di pugni. Due mani la bloccarono da dietro e lei si dimenò con forza nel tentativo di divincolarsi.

“Lasciami andare Walt, immediatamente!”

Suo padre non si era mosso. Era come in trance, la guardava, sofferente, preoccupato, ma immobile.

“Signor Alexander, forse è meglio che si allontani per qualche ora, solo fino a che non si sarà calmata”

Walt si rivolse a lui mentre si sforzava di tenerla ferma.

“Grazie Walt. Ma non posso allontanarmi. Ho bisogno di parlare con lei e devo farlo ora. Ho atteso un’intera esistenza, è giunto il momento che sappia.”

“Non vi azzardate a parlare come se io non ci fossi, capito?” riuscì a liberarsi dalla stretta e si sedette nervosamente sul divano, a distanza di sicurezza dall’oggetto della sua furia. Non pensava di averne la forza, ma riuscì a sembrare calma. Quasi.

“Ti ascolto” disse tra i denti, senza guardarlo.

“Walt, puoi lasciarci soli per favore?”

“Ma signore …”

“Tranquillo, andrà tutto … come deve andare”      

“E’ proprio questo che mi preoccupa” borbottò Walt mentre si richiudeva la porta dello studio alle spalle, ma nessuno lo sentì.

 

La frenata improvvisa le fece sbattere la testa sul sedile anteriore e la fece ridestare dai suoi pensieri. Il braccio le si era addormentato, come sempre, quando lo teneva pressato così a lungo.

“Hei, Walt, sta attento” la ragazza al suo fianco si era appena rovesciata metà del contenuto della lattina sui jeans candidi. “Accidenti, ora mi devo pure cambiare”

La osservò con la coda dell’occhio e sorrise. Se non ci fosse stata lei, con la sua vitalità, a risollevarla dalla melma in cui aveva annaspato negli ultimi anni, a quest’ ora sarebbe stata completamente sommersa dal fango.

“Tranquilla Juliet, sei sempre bellissima, anche con i pantaloni macchiati” Sapeva di solleticare la sua vanità.

“Tu invece sembri appena uscita da una centrifuga” fu il commento laconico dell’amica.

“Già, in effetti è così che mi sento” rispose automaticamente mentre scendeva dall’auto e si dirigeva con ampie falcate verso il velivolo in attesa.

Non si accorse dello sguardo preoccupato che le rivolsero i suoi compagni di viaggio, e , con la grazia e l’ eleganza  che la contraddistinguevano, salì velocemente i gradini che la separavano dal  portellone dell’aereo.

Non poteva dire di essere stata molto attenta all’abbigliamento o all’acconciatura quella mattina, ma il portamento aggraziato frutto di anni di studio di danza classica le donava sempre un aspetto regale, anche quando aveva addosso due stracci. Gli occhi, di un azzurro intenso, erano intenzionalmente mascherati dai Ray Ban scuri. I capelli, biondi e lunghi fino a coprirle il collo, erano approssimativamente legati in un’improbabile coda, ai piedi vecchie scarpe da ginnastica che non esaltavano certo le sue lunghe e affusolate gambe, i pantaloni larghi e una maglietta del ‘15 -‘18 poi non rendevano per niente grazia alla sua figura, ma non riuscivano comunque a nascondere il suo innato fascino.

Juliet scosse la testa e si ripromise di prestare all’amica un po’ del suo abbigliamento di ricambio, quindi sospirò, raccolse i lunghi capelli castani in un elegante chignon  e le andò dietro, seguita dal resto del gruppo.

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


cap 3

Capitolo 3

 

Juliet era sparita. Appena dopo il decollo era corsa in bagno a cambiarsi e non era più rientrata al proprio posto. Sicuramente si era fermata a parlare con gli altri, e come darle torto, quella mattina anche una mummia sarebbe stata una compagnia più loquace di lei.  Non aveva nessuna intenzione di intavolare conversazioni di circostanza, né aveva voglia di intrattenere finte discussioni con nessuno. Quindi semplicemente era rimasta quasi un ora a fissare le nuvole oltre il finestrino, immobile come una statua.

All’improvviso si era ritrovata a pensare a lui, alla prima volta che si erano incontrati, a Londra, due anni e mezzo prima.

 

Erano tre giorni che tentava di contattare suo padre in albergo e dalla reception le rispondevano sempre che era uscito. Visto che chiamava almeno una volta ogni ora, praticamente era uscito ventiquattro volte  in ventiquattro ore. In teoria non c’erano missioni attive, ma allora perché non era raggiungibile nemmeno al cellulare? Un sospetto la colse improvviso e la fece arrossire: un’amante! Ma certo, che stupida, come aveva fatto a non pensarci prima? In fondo erano passati più di vent’anni da quando sua madre era morta e suo padre era decisamente un bell’ uomo: un cinquantenne molto attraente, intelligenza molto al di sopra della media, benestante e con un certo grado di potere, quale donna non ne sarebbe stata attratta? Questo pensiero le diede un certo fastidio, e sebbene fosse consapevole di quanto fosse infantile la sua  reazione, non riuscì a sentirsi in colpa.

 Benché lei non avesse grandi ricordi di sua madre - non aveva neanche due anni quando morì - aveva sempre visto suo padre come al di sopra di certe relazioni da comuni mortali, sapeva di averlo forse un po’ troppo idealizzato durante una vita passata a sentirsi l’unica persona al centro dei suoi pensieri, ma ora non riusciva proprio a mettere a tacere il diavoletto che le si stava insinuando nel cervello. In trenta minuti e venticinque secondi pianificò tutto, preparò le valige e si diresse all’aeroporto di Bruxelles, direzione voli internazionali. Mentre acquistava un biglietto di sola andata per Londra si sentì nuovamente in colpa, ma mise a tacere la sua coscienza non appena si immaginò la faccia di suo padre e della sua amante nel trovarsela improvvisamente di fronte “Chissà cosa dirà nel presentarci” pensò con un mezzo sorriso malefico sulle labbra.

Quando arrivò di fronte all’albergo in cui alloggiava suo padre perse improvvisamente tutto il suo coraggio.

Si sentì talmente stupida che quasi le venne da piangere. Che rabbia, a ventidue anni, brillante studentessa universitaria in relazioni internazionali, giovane promessa all’interno dell’Agenzia, “macchina da guerra con cervello” come la definivano i suoi colleghi, non era in grado di gestire una relazione sentimentale o pseudo tale di suo padre, vedovo da più di vent’anni.

Entrò e si sedette sconsolata nella hall dell’albergo. Si guardò attorno e ciò che vide la fece sentire solo più a disagio:  uomini in abito e donne in tailleur  con la ventiquattrore che parlavano di affari, finanza, appalti e colazioni di lavoro. Perché durante il volo si era immaginata di trovare  un ambiente stile motel a ore  con donne in microgonna, tacchi a spillo e trucco da quattro soldi? Sapeva che quello non era  il genere di albergo che frequentava suo padre, almeno quando non agiva sotto copertura per conto dell’Agenzia, ma questo non le aveva impedito di farsi il suo film in testa “Uno stupido cartone animato per poppanti”, pensò mentre si avvicinava all’angolo bar per ordinare un drink. Avrebbe affogato la sua stupidità nell’alcol.

Fu allora che lo vide per la prima volta. Per poco non inciampò sul suo stesso trolley tanto fu distratta dalla sua figura. Rapita. Persa.

Dalla porta a vetri della hall fece il suo ingresso un adone dal portamento nobile. Impossibile non notarlo. Una statua greca che si muoveva con eleganza tra i divani della sala d’attesa .Tutte le donne presenti nel raggio di un chilometro dovevano averlo notato.

Era vestito come gli altri: elegante, abito scuro con cravatta. Non aveva la ventiquattrore . In compenso aveva due splendidi occhi blu e i capelli scuri, lunghi, erano legati dietro la schiena. In mano un paio di occhiali da sole e un mazzo di chiavi. Si guardava intorno come se cercasse qualcuno e, quando sembrò certo di non avere individuato l’oggetto delle sue ricerche, si voltò verso il bar e si incamminò nella sua direzione.

“Non starà venendo qui?” pensò terrorizzata. Guardò nuovamente le altre donne nella sala e si sentì improvvisamente inadeguata al contesto. “Merda, che figura di merda. Ma non potevo andare a prendere un drink in uno dei pub frequentati dai miei simili?” . Pensò alla velocità con cui aveva preso la decisione di fiondarsi a Londra e si maledisse per non essersi almeno cambiata d’abito. I suoi jeans erano firmati, ma erano pur sempre jeans, le scarpe erano totalmente prive di dettagli femminili, il giubbotto era anche quello firmato ma il modello sportivo non esaltava sicuramente la sua fisicità. Si sentiva un salame imbottito. Cercò in tutti i modi di evitare di incrociarlo e si eclissò in bagno. Si stava nascondendo come una ladra, e questo non era onorevole, ma ancor meno lo era agire in quel modo per un tizio che nemmeno conosceva e che probabilmente non l’avrebbe nemmeno degnata  di uno sguardo. Si specchiò e si rilassò quando si rese conto che almeno i capelli erano a posto. Gli occhi non avevano bisogno di trucco, ma frugò velocemente in borsa alla ricerca del campioncino di mascara che le avevano regalato in profumeria. Era una questione psicologica: in mezzo a donne truccate di tutto punto lei si sentiva nuda e voleva rimediare. Questa fu la sua giustificazione. Mise anche un velo di lucidalabbra e si tolse il giubbotto, lasciando in evidenza una leggera camicia bianca stretch. Ora se non altro le forme erano umane. E decisamente sexy a ben guardare.

Ritrovato il coraggio, fece per uscire dal bagno quando qualcuno aprì violentemente la porta che quasi le arrivò in faccia. La prontezza di riflessi con cui si spostò la salvò da una sicura  frattura al setto nasale.   

Era già pronta ad insultare l’autore di tanta cafonaggine, quando si immobilizzò, la gola secca, le mani sudate. Quello che mai si sarebbe aspettata era di trovarsi materializzato il suo volto preoccupato a dieci centimetri dalla sua faccia, ecco ora si che sarebbe potuta svenire.

“Mi perdoni, la prego. Spero di non averle causato danni”

La sua voce. Profonda. Calda. Sensuale.

“Co - come? No, niente. Sto Bene” non riusciva nemmeno a parlare senza balbettare, che vergogna.

“Chiedo scusa per la mia distrazione, non mi ero accorto stesse uscendo qualcuno, tanto più che ho visto troppo tardi che questa era la toilette riservata alle signore” le sorrise. Bellissimo.

“Signora? A me?” pensò mentre continuava a fissarlo imbambolata

“Mi sembra sconvolta, mi spiace di averla spaventata, davvero. Mi permetta di offrirle qualcosa per farmi perdonare, per favore ”

“Wow, che modi da gentiluomo, ma da dove vieni … ” si ridestò subito dai suoi pensieri e con tutta la sfacciataggine di cui era capace riuscì a regalargli un sorriso e a rispondere

 “Perché no? Volentieri” era ufficiale. Stava impazzendo.

Qualcosa si accese nel suo sguardo magnetico  in risposta al suo sorriso. Cos’era , attrazione? Impossibile, uno come lui, abituato sicuramente a passare la vita nei salotti dell’alta borghesia,  ad avere a che fare con ben altro tipo di donne, non poteva trovare attraente una ragazza come lei, non in quel senso almeno e non vedendola conciata in quella maniera.

 Se non fosse stata così presa a sentirsi assolutamente e totalmente fuori luogo,  si sarebbe accorta  che lui la seguiva senza riuscire a toglierle lo sguardo di dosso.

 

  Nell’ istante in cui il pilota annunciò l’imminente atterraggio si accorse che i posti accanto a lei erano rimasti vuoti durante tutto il volo. Un senso di sconforto la colse, ma non dipendeva dal vuoto dei sedili. Si era appena allacciata la cintura di sicurezza quando una voce allegra al suo fianco la fece sobbalzare.

“Claire, pensavo ti fossi addormentata. Posso farti compagnia durante l’atterraggio? Così parliamo un po’ di come procedere una volta arrivati a Berlino” un bel ragazzo moro, sulla trentina, le si era seduto accanto e sembrava cercare una scusa per giustificare quel gesto.

“Buongiorno Lucas, in effetti ero persa nel mondo dei sogni, aspettavo giusto un principe che mi venisse a svegliare” non resistette alla tentazione di provocarlo. Sapeva che lui le avrebbe retto il gioco.

“Bene Biancaneve, allora ti annuncio che i sette nani qua dietro scalpitano per ottenere udienza” le sorrise. Un sorriso limpido, sereno. Lucas era uno dei pochi in grado di farla rilassare anche in mezzo a una missione come quella. Non aveva nemmeno bisogno di parole, la sua stessa presenza le infondeva serenità.

“Ti preoccupa la missione?” decise a malincuore di riportare il discorso ai problemi reali.

“Mi preoccupa la mancanza di strategie. E noi al momento stiamo praticamente brancolando nel buio.”

Era quello che aveva pensato anche lei dal momento in cui avevano ricevuto quella lettera dalla Germania.

Aveva riletto la comunicazione punto per punto, l’aveva rigirata tra le mani per quasi due mesi, l’aveva perfino sognata la notte, ma non era riuscita a venire a capo dell’enigma.  

Avrebbe dovuto essere una semplice convocazione: un meeting internazionale tra i Ministeri degli Affari Esteri come copertura e le Agenzie di tutt’ Europa si sarebbero incontrate in gran segreto. Ma c’era qualcosa di assolutamente non convenzionale nel modo in cui era stata articolata la richiesta, in primo luogo non era stato rispettato il protocollo, in secondo luogo nessuno dalla base tedesca era riuscito a fornire giustificazioni plausibili per questo incidente procedurale, la loro reazione fu di  reale e sincero imbarazzo, di questo era certa,  infine - ma questo era solo un suo personale pensiero - tutto in quella lettera sapeva di inganno. Tutto faceva pensare ad una trappola.

L’Agenzia aveva verificato tutte le fonti con ogni possibile mezzo a disposizione, ma non era emerso nessun elemento a conferma dei suoi sospetti.  Lei stessa aveva tentato un’indagine parallela, introducendosi illegalmente nei sistemi informatici dei servizi tedeschi, ma non aveva trovato niente: il nulla,  il vuoto più assoluto circondava i loro interlocutori. Nessun mistero apparente, nessuna macchia, nessuna traccia lasciata da chiunque stesse manovrando i giochi. Questo poteva significare solo una cosa: avevano a che fare con qualcuno molto astuto, ma anche molto potente.

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


capitolo 4

Capitolo 4

 

Mangiarono in assoluto e religioso silenzio, lo sguardo di Milo fisso sul piatto.

Poco prima di alzarsi per sgombrare la tavola finalmente Milo proferì parola

“ Grazie. Per essere venuto tu a dirmelo …”

“ Ora che farai?” Kanon voleva delle risposte, era prevedibile.

“ Non tornerò al Tempio, se è questo che ti aspettavi ”

“ Io non mi aspetto niente, Milo. Nessuno si aspetta niente, credimi. Ma Cristal …”

“ No. Tu non capisci ” Certo che capiva. Lui era un esperto di rancori, aveva una laurea in sensi di colpa, ci aveva convissuto una vita intera. Ma lo lasciò proseguire.

“Credi sul serio che il fatto che Alexander sia uscito dal coma mi sollevi improvvisamente dalle mie responsabilità?”

“Le responsabilità sono di tutti, mi spiace strapparti la causa di tanto abbattimento, ma non hai l’esclusiva delle colpe”

Milo ignorò la provocazione.

“Io avevo un legame con loro. Dal giorno in cui Camus mi …”

“Camus qui non c’entra niente, Cristal è stato un giovane Cavaliere di Bronzo che ha visto in lui, e indirettamente in te, una  figura di riferimento durante il suo percorso di crescita, ma ora presiede l’undicesimo tempio, è un Cavaliere nostro pari  e merita di essere trattato come tale”

Milo scosse la testa, ma non disse niente.

Kanon approfittò del silenzio per sondare il terreno

“Ma forse il tuo problema non è lui ”

Una movimento impercettibile della muscolatura, quasi inconscio, e il bicchiere che Milo teneva tra le mani si andò a infrangere sul pavimento. Eccolo il tasto dolente, Kanon conosceva da tempo le vere ragioni della sua fuga, del suo rifiuto, del suo rinnegare la sua stessa natura di cavaliere. Che l’anestesia stesse finalmente per terminare il suo effetto? Decise di non fermarsi, voleva forzare la mano, voleva farlo uscire allo scoperto. E ci sarebbe riuscito. Era un maestro nel provocare reazioni. Il più delle volte indesiderate, ma era disposto a correre il rischio, quindi affondò il colpo.

“Sai cosa credo invece? Che se la dolce Claire da un giorno all’altro … ” non fece a tempo a finire la frase che si ritrovò a terra, un rivolo di sangue che scorreva copioso dallo zigomo destro. Milo era ancora in piedi, i pugni serrati, un’espressione indecifrabile sul viso. Sembrava sul punto di colpirlo ancora, ma non lo fece, gli diede le spalle, si allontanò verso il terrazzo e si accese una sigaretta.

Kanon non si scompose, si rialzò, come se niente fosse si diresse in bagno e lentamente si sciacquò  il sangue con l’acqua fredda. Sollevò lo sguardo e fissò la propria immagine riflessa sullo specchio, un’espressione soddisfatta e compiaciuta  apparve sul suo volto.

 “Molto bene” pensò mentre si tamponava lo zigomo con una salvietta.

Milo intanto rientrò in soggiorno, ripulì i pezzi di vetro dal pavimento e poi crollò sul divano, le mani sugli occhi, mentre i ricordi affluivano copiosi provocandogli un prepotente senso di nausea.

 

Era la sua prima missione da quando Athena l’aveva salvato dall’ esplosione. Solo sette di loro erano sopravvissuti alla battaglia contro Hades e la sua Dea aveva riposto ancora una volta completa fiducia in lui, affidandogli quella missione. Uno dei compiti più delicati che avesse mai svolto nella sua lunga carriera di Cavaliere al servizio del Grande Tempio.

 Troppi segreti, tenuti nascosti troppo a lungo, coinvolgevano suo malgrado qualcuno che lui aveva promesso di proteggere. “Camus, amico mio, mai come ora avrei avuto bisogno della tua saggezza”.

Lady Isabel l’aveva convocato con la certezza che lui fosse l’unico in grado di portare avanti quel compito. E lui, seppure con riluttanza, alla fine aveva ceduto. Si era lasciato convincere, perché in nessun modo dubitava delle parole di Athena.

Ma ora che aveva visto lei,  non era più sicuro di riuscire a reggere il gioco fino in fondo. Pensò che avrebbe potuto farsi sostituire da Kanon, lui si che sarebbe stato  perfetto in quel ruolo.

La osservava mentre si accomodava al tavolino del bar e ordinava il suo drink. La somiglianza era incredibile, e questo lo fece stare male: lui si sentiva in colpa, anche nei suoi confronti, perché in quel momento lui era in Grecia, ignaro di tutto.

Nel corso della sua vita aveva affrontato nemici potenti, aveva avuto la meglio su forze sovrumane, era perfino sopravvissuto alla fine del mondo, come era possibile che ora si sentisse inerme di fronte a una comunissima ragazza?

Era quello il punto: non era una ragazza qualunque. Non era una incontrata per caso, una con cui scambiare due chiacchiere, una birra, o magari il numero di telefono e la stanza d’albergo.  Lui sapeva benissimo chi era e questo, ne era consapevole, gli avrebbe impedito di ragionare con lucidità. Stolto. Avrebbe commesso un passo falso, mettendola in pericolo.

Era intento a rimuginare quando all’ improvviso lei gli rivolse la parola

“ Lei è veramente molto gentile, ma ancora non conosco il suo nome”

“Milo. Mi chiamo Milo. E dammi del tu ti prego” non gli andava giù che continuasse a dargli del lei, lo faceva sentire vecchio, e troppo distante. In fondo avevano solo una decina d’anni di differenza. E lui non la sentiva affatto distante.

“ Piacere, io sono Claire ” gli tese la mano e lui gliela strinse.

Una stretta calda, accogliente. Avrebbe voluto prolungare quel contatto, ma lei ritirò la mano e subito gli chiese

“Allora Milo da dove vieni?”

“ Da Atene. Sono qui per lavoro.” Rispose automaticamente.

“ Grecia… Ora capisco” disse sorridendo

“ Cosa?” adesso era curioso

“ Niente, solo un’impressione, è una sciocchezza davvero”abbassò lo sguardo, come se si vergognasse. Era veramente molto bella.

“ Insisto, ora mi hai incuriosito”

“ Beh, prima, quando ti sei scusato,  per la porta. Figurati che ho pensato che venissi addirittura da un’altra epoca, un cavaliere d’altri tempi, che assurdità” il liquido quasi gli si bloccò in gola. Posò il bicchiere per evitare di rovesciarne il contenuto. Ma si riprese subito

“ E’ un complimento per me o  è una velata critica verso il mio Paese?”

“No, certo che no … io adoro la Grecia. Adoro tutto ciò che è caldo e che è a sud”

“Quindi grazie per il complimento” era imbarazzata

“Ecco si io volevo dire che hai veramente dei modi galanti. E anche fisicamente poi …” si bloccò, forse pentendosi di avere detto troppo. Era arrossita. Troppo. Bella.

Decise suo malgrado di non metterla ulteriormente in imbarazzo e si sforzò di cambiare discorso

“E dimmi, come mai una ragazza del nord come te adora tutto ciò che è a sud?”

Lei si irrigidì “Chi ha detto che sono del nord?”

Accidenti, si era  distratto e aveva commesso un errore. Lei era furba, il sospetto e la tattica erano il suo mestiere, non doveva sottovalutarla. Cercò di rimediare.

“Semplice deduzione, visti i colori non proprio mediterranei dei tuoi capelli, e dei tuoi occhi” usò di proposito un tono suadente per imbarazzarla, doveva distrarla da qualsiasi principio di sospetto. Nessuna ombra, era necessario che lei non dubitasse di lui .

E infatti gli sorrise, più rilassata “ Alcuni membri della mia famiglia hanno origini nordiche in effetti” era vaga, molto bene. Non rivelare niente di te. A nessuno. Vediamo quanto sei brava.

“Allora vivi a Londra?”

“No, vivo un po’ qua un po’ la, in giro per l’Europa.”

 Risposta perfetta.

“E come mai sei a Londra, ora?”

“Vacanza studio. Devo preparare una  tesi sul parlamento inglese, per l’Università”

Bravissima. Ora vediamo se riesco a metterti in difficoltà

“ Non pensavo che gli studenti  in vacanza studio alloggiassero in alberghi di lusso”

“Oh, ma io non alloggio qui, magari …” sorrise disinvolta “avevo solo appuntamento con il mio professore e con un membro del parlamento che ha accettato di rilasciare un’intervista per il mio lavoro di tesi” lo disse in maniera così spontanea che chiunque avrebbe potuto crederci. Chiunque non avesse saputo la verità ovviamente.

Brava piccola, prova superata.

Non  fidarti di nessuno, mai. Non se non posso essere presente per proteggerti.

 

Il rumore della porta di ingresso che si chiudeva con forza lo fece sobbalzare. Kanon era andato via. Aveva sganciato la bomba e si era allontanato. Come sempre. E lui era rimasto solo con i suoi fantasmi.

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Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


capitolo 5

Capitolo 5

 

Quel pomeriggio il grigio del cielo di Berlino aveva la stessa tonalità dei suoi occhi, mentre il nero dei suoi lunghi capelli era scuro come i meandri della sua anima. Era concentrata a suonare e quasi non si accorse dell’uomo che arrivò alle sue spalle, sempre abilissimo a muoversi nell’ombra.  Interruppe quello che stava facendo, erano ore che attendeva notizie  

“L’ aereo è atterrato. Stanno venendo qui” le comunicò

“Bene. Dai disposizioni affinché abbiano una degna accoglienza” rispose seria, mentre si alzava e deponeva la sua arpa in un angolo della stanza.

 

 

Lucas si muoveva nervoso accanto a Juliet, che continuava a camminare sul nastro trasportatore canticchiando un motivetto a mezza voce, ostentando  un’ andatura che un osservatore esterno avrebbe giudicato a dir poco spavalda, viste le circostanze. Ma Claire, che era perfettamente e lucidamente addentro alla situazione, sapeva che l’atteggiamento dell’amica era definibile, nel migliore dei casi, come incoscienza.

Juliet era una che non si preoccupava troppo di pensare e non perdeva certo il suo tempo a fare previsioni su come superare ostacoli imprevisti o problemi improbabili. I se e i ma non facevano parte del suo DNA

“non capisco perché ti sforzi tanto a pensare a qualcosa che con ogni probabilità non accadrà mai” le diceva sempre.

Quando capitavano complicazioni inaspettate semplicemente si lasciava trascinare dal fato. Dalla fortuna fino a quel momento, visto che le era sempre andata bene. E poi aveva una capacità di improvvisazione unica: all’interno dell’Agenzia era senz’altro quella in grado di prendere più velocemente la giusta decisione senza avere la più pallida idea del perché l’avesse presa. Puro istinto. Era quella la ragione per cui entrambe prediligevano lavorare in coppia: si compensavano. La razionalità e la capacità tattica dell’una si fondevano con l’impulsività e l’istinto reattivo dell’altra.

Suo padre, con lungimiranza, l’aveva capito subito, fin da quando erano bambine e aveva sempre assecondato le loro potenzialità. Appena entrate nell’Agenzia era stato il responsabile della loro formazione e le aveva seguite direttamente fino a che non avevano raggiunto il terzo livello. Gli agenti operativi del quarto e del quinto livello avevano maggiore autonomia di gestione delle missioni, ma fino al terzo livello le tattiche e i piani d’azione andavano concordati con l’intera squadra e sottoposti alla supervisione di un operativo di livello superiore. Fintanto che i loro supervisori  erano stati suo padre e Walt, loro non erano mai state divise, nessuna missione aveva visto partecipe l’una senza la presenza l’altra.

Walt le aveva raccontato che, in tutta la storia dell’Agenzia, una simile simbiosi operativa si era riscontrata solo in un’altra coppia, molti anni addietro, i cui protagonisti erano stati suo padre e un suo collega di quinto livello, nonché padre di Juliet, scomparso dodici anni prima nel corso di una missione ad alto potenziale di rischio. 

Era un po’ che non faceva una bella chiacchierata con Walt, sempre ben disposto a rivangare i vecchi tempi e a farsi vanto delle gesta di gioventù. Le mancavano quei momenti passati con lui, ma da circa due anni a questa parte lei non amava parlare del passato e non amava che qualcuno le parlasse di suo padre. La ferita era ancora troppo fresca. Walt era un uomo molto intelligente, ma soprattutto la conosceva da quando era in fasce e percepiva immediatamente quando c’erano nuvole nell’aria. In quei mesi la sua aria era stata perennemente e pesantemente cupa, nera in maniera stagnante, e lui ne era sempre rimasto saggiamente alla larga. 

“Claire, esattamente qual è il piano?”

Juliet, con un gelato enorme in una mano e un settimanale accartocciato nell’altra, le si era avvicinata per chiederle i dettagli operativi della missione.

“Quando hai preso il gelato? Non mi ero accorta che ti fossi allontanata dal gruppo”

“Infatti. Non mi sono allontanata. L’ho comprato al volo appena usciti dagli arrivi internazionali, alla gelateria italiana … di fianco alla toilette. Per questo non mi hai vista, non hai voluto guardare in quella direzione”

Lo disse senza sarcasmo, mentre con la lingua cercava di recuperare dal cono le gocce del gelato, che intanto aveva iniziato a sciogliersi.

Certo, aveva intuito bene. Ecco un altro dei suoi irrisolti grovigli interiori. Da un po’ di tempo si rifiutava di passare in prossimità delle toilette degli aeroporti. Non solo rinunciava ad entrarci, ma evitava perfino di voltarsi a guardare l’insegna quando ci camminava di fianco. Una fissazione. Erano tutte sempre uguali, in qualsiasi paese, in ogni aeroporto, tutte strutturate allo stesso modo, stessi materiali, stessi oggetti, stessi colori, stessi ambienti. Avevano la capacità di riportarle alla memoria ricordi che voleva cancellare e momenti che non voleva ripercorrere. La maggior parte degli operativi della sua squadra era convinta che lei avesse una qualche ossessione con l’igiene. Meglio così. Passare da maniaca era sempre meglio che farsi scoprire patetica.

“Allora mi dici come procediamo?” Juliet continuava a camminare e a leccare il suo gelato, come se stesse passeggiando spensierata nel parco. Una bambina. A questa ennesima domanda  si spazientì

“Se invece di leggere quel settimanale di gossip avessi dato un’occhiata ai dettagli di missione che ti ho consegnato prima, ora non avresti bisogno della guida”

Juliet finse un’espressione risentita

“Gossip? Ma stai scherzando? Stavo studiando le ultime tendenze in fatto di moda, direttamente dal giornale più autorevole in materia. Certo non posso pretendere che tu mi capisca, visto come ti sei conciata anche oggi …”

lo disse con un sorriso innocente. In realtà era diabolica.

“ Mi piace stare comoda quando viaggio, e comunque mi cambierò in albergo. Abbiamo tutto il tempo. Se solo tu avessi letto …”

“Ok, ok, ho capito, qui non è aria, vediamo se Lucas ha voglia di farmi un riassunto veloce”  mentre si allontanava gettò nel primo cestino la rivista accartocciata e il resto del gelato, ormai completamente sciolto.

 

La prima cosa che la colpì appena fuori dall’aeroporto fu il colore del cielo, ora che si era abituata al clima di Marsiglia si trovava a disagio quando capitava in un luogo da cui non riusciva ad intravedere il sole. Aveva sempre avuto un debole per le città del sud, ma da due anni a questa parte quella debolezza si era trasformata in dipendenza: sentiva la necessità vitale di essere accarezzata dai raggi solari, di percepirne la luce abbagliante, di sentirne il calore sulla pelle, quantomeno per illudersi che fosse possibile stemperare un pò il freddo che sentiva dentro.

Fortunatamente Berlino non era Londra, per cui almeno avrebbe avuto il  vantaggio di potersi muovere in un ambiente asettico, assolutamente neutro, in cui niente di quello che vedeva l’avrebbe improvvisamente scaraventata nel tunnel doloroso dei ricordi. Era già qualcosa.

Ma si sbagliava. Forse era stata l’ influenza di Juliet, ma nei suoi piani non aveva tenuto in debita considerazione i potenziali imprevisti, il primo dei quali prese immediatamente forma proprio di fronte al suo taxi. Uno stemma. Non uno stemma qualsiasi, ma lo stemma. Cosa ci faceva a Berlino, a meno di dieci metri dai loro taxi, un’auto con lo stemma della Fondazione? Impossibile che fosse una coincidenza, aveva imparato da tempo, e a caro prezzo, che niente di ciò che riguardava la Fondazione avveniva mai per caso.

Walt si era accorto che stava fissando con troppa insistenza in quella direzione e con ogni probabilità attendeva una sua reazione, pronto ad intervenire in caso di necessità. Ma certo, che sciocca. Era stato tutto pianificato nei minimi dettagli. Ancora una volta l’Agenzia e la Fondazione avevano stabilito un accordo, tenendo ovviamente all’oscuro del piano tutti gli operativi al di sotto del quinto livello. In modo particolare tenendo all’oscuro lei. Che ingenua era stata a pensare che Walt si stesse muovendo senza una rete di protezione. Peccato che quella rete protettiva avrebbe reso lei estremamente vulnerabile.


X 007jb1: ti ringrazio per la recensione, spero davvero di riuscire a tenere sempre alto il ritmo degli aggiornamenti, e anche di mantenere alto il livello di curiosità ovviamente...     

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Capitolo 7
*** capitolo 6 ***


cap 6

Capitolo 6

 

Erano passati dieci giorni da quando Kanon era passato a dargli la notizia.

I primi due giorni li aveva passati buttato sul divano, senza mangiare, senza cambiarsi, senza dormire. Tra alcol e sigarette, aveva invano cercato lo stordimento dei sensi, ma l’unica cosa che aveva conseguito era stato un persistente cerchio alla testa che non accennava a diminuire d’intensità nonostante la doppia dose di antidolorifici. Continuava a ricevere chiamate a cui non rispondeva e i messaggi in segreteria si susseguivano a ritmo sempre più incalzante, fino ad esaurimento della memoria disponibile. Non si degnò nemmeno di cancellarli, semplicemente li ignorava.

Fu quando pensava che non avrebbe più trovato il coraggio che si decise ad  andare a trovarlo.

Prese un’ intera giornata per studiare i movimenti attorno all’ospedale e attese con pazienza che la sfilata delle visite quotidiane si esaurisse, non voleva rischiare di incrociare nessuno.

Mentre varcava la soglia del reparto di terapia intensiva l’odore di disinfettante lo colpì con forza, portando a galla ricordi dolorosi, ma si impose di non aggiungere altri demoni a quelli che avrebbe già dovuto affrontare in giornata.

Si fermò di fronte alla stanza e rimase immobile a fissare la porta, incapace di proseguire. Passò una buona mezz’ora e lui non si scostò da quella posizione, inducendo l’infermiera di turno ad avvicinarsi preoccupata per assicurarsi che stesse bene. Era ancora indeciso se palesarsi quando qualcun’ altro prese la decisione per lui

“ Entra Milo”

La sua voce … erano quasi due anni che non la sentiva.  Durante tutto quel tempo aveva immaginato innumerevoli volte quello che gli avrebbe detto se si fosse ripreso, ma in nessuno dei suoi sogni aveva provato la sensazione di sollievo che sentiva ora. Era come se l’angoscia accumulata nel tempo si fosse sciolta al flebile suono di quelle due semplici parole. Afferrò la maniglia e aprì la porta.

Era sdraiato su un letto con lo schienale semi sollevato ed era avvolto da una nuvola di tubi che collegavano il suo corpo a flebo e macchinari di ultima generazione. Ma era sorprendentemente vitale, almeno rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, molto tempo addietro. Nonostante la lunga degenza emanava un’energia positiva che riempiva la stanza. Non aveva perso il suo aspetto distinto, nemmeno il viso scavato e il camice bianco intaccavano la sua aura di rispettabilità e il suo carisma. Le labbra leggermente increspate in un lieve sorriso

“Finalmente, Milo di Scorpio”

“Hei …” la voce gli tremava, non riuscì a dire altro.

“Ho saputo che non sei stato un assiduo frequentatore dei turni al mio capezzale, dovrei ritenermi offeso per questo”

Faceva anche dello spirito, si era decisamente ripreso.

“Così è questo che si dice in giro di me”

“Oh si, questo … e molto altro”

Continuava a mantenere una distanza di sicurezza

“Accidenti Milo, avvicinati a salutare come si deve questo povero vecchio appena tornato dall’aldilà!” tese un braccio.

Milo si avvicinò al letto e gli prese la mano, la strinse con forza e in quella stretta mise tutto: le parole non dette, ciò che non sarebbe mai riuscito a pronunciare, le emozioni che non avrebbe mai espresso, ma che l’amico, era sicuro, avrebbe percepito lo stesso. Perché Alexander era qualcosa di più di un amico, rappresentava il fratello maggiore che non aveva mai avuto, il padre che non aveva mai conosciuto, la famiglia che aveva sempre desiderato.

Il rammarico di averlo incontrato così tardi nella sua vita, e per così poco tempo, l’aveva perseguitato per tutti i mesi che era stato in coma. Ora forse avrebbero avuto l'occasione di rimediare. Ma al rimorso per non essere stato in grado di proteggerlo e di difendere ciò che aveva di più caro non c’era rimedio, non per Milo.

“Allora Milo, a cosa si deve il tuo ritiro spirituale? Sappi che non accetto autocommiserazioni” lo disse con tono amichevole, ma deciso

“Conosci già la risposta”

“Può darsi” stava valutando come aggirare il suo rifiuto a confidarsi “Però ipotizziamo che due anni di coma mi abbiano definitivamente rimbambito,  in questo caso avrei diritto ad una  spiegazione chiarificatrice, non credi?”

“Non mi sembri affatto rimbambito. Tutt’altro.”

“Sempre lo stesso carattere orgoglioso, dunque non tutto è perduto” lo osservava attentamente, quasi a volergli leggere dentro.

“Mpf … Qui ti sbagli. Io ho perso, su tutti i fronti”

“A quanto pare mio figlio non è dello stesso parere”

Milo distolse lo sguardo e si allontanò verso la finestra

“Ti ha parlato di me?”

“Tutto il tempo”

“E’ sempre stato troppo sentimentale”

“E tu l’hai sempre aiutato a superare i suoi limiti”

“Quello era Camus, io non sono mai stato un bravo maestro, nemmeno per me stesso”

Alexander rise

“Per te stesso decisamente no, Milo, in questo devo ammettere che hai assolutamente ragione” ridivenne serio “Ma ti posso assicurare che, quando si è trattato di mio figlio, hai sempre fatto per lui molto più di quanto non abbia fatto io in tutta la mia vita. Di questo io ti sarò in eterno riconoscente, per essere stato la sua guida, il suo punto di riferimento nei momenti di maggiore difficoltà e per averlo aiutato a diventare il cavaliere che è oggi.”

“Non lo accetto. Non accetto la tua riconoscenza, mi dispiace”

“Tu non accetti te stesso”

“E non ti chiedi il motivo Alexander?” aveva alzato la voce “ Non stai dimenticando un piccolo particolare nel tuo bel ragionamento? Un minimo, insignificante dettaglio all’interno del tuo bel quadretto familiare?”

“Credimi, non la sto dimenticando. Ma so che risolveremo anche con lei, devi solo avere fiducia … e molta pazienza”

“Impossibile. Quando si oltrepassa una certa soglia non si può tornare indietro e cancellare tutto”

“Ma cosa vai dicendo?”adesso era lui che alzava la voce “Non sei forse tu quello che è tornato indietro dopo avere varcato la soglia dell’ Inferno?”  

Si stava affaticando e non riusciva più a respirare regolarmente. Milo gli si accostò e gli prese la mano

“Va bene, per oggi ti sei agitato abbastanza. Ora riposa, torno a trovarti domani”

Alexander annuì, faceva fatica a parlare ora.

Si avviò verso la porta e, poco prima di uscire dalla stanza, si voltò di nuovo verso il suo letto

“Non sono ancora tornato. Dall’inferno, intendo. Ci ho vissuto negli ultimi due anni e ancora non so bene come uscirne” disse congedandosi con un cenno di saluto

“Ti aiuterò io figliolo. Rimedierò a tutto, è una promessa”

Ma Milo era già sulle scale, a combattere i suoi demoni .

 

 

Quando acconsentì alla proposta di rivederlo il suo cuore perse inconsapevolmente un battito

“Calma, Milo, cosa ti prende? Non sei nemmeno più in grado di gestire una normale frequentazione con una bella ragazza?” pensò

Era la definizione di normalità che andava rivista: a  primo impatto aveva intuito che il suo effetto su di lui avrebbe potuto essere devastante. Se dopo nemmeno mezz’ora che si conoscevano era stata in grado di provocare in lui certe reazioni, poteva immaginare con quanta facilità avrebbero potuto raggiungere livelli … pericolosamente incontrollabili. Doveva stare attento, non poteva perdere il controllo quando si trattava di lei. Non doveva dimenticare lo scopo della sua missione. 

Si erano dati appuntamento nei pressi del Tower Bridge e lui era talmente impaziente di rivederla che era arrivato sul luogo d’incontro con una buona mezz’ora di anticipo.

“Mi spiace, ti ho fatto aspettare?” eccola, si era cambiata, era truccata e indossava un paio di tacchi vertiginosi. Deglutì, la salivazione era improvvisamente aumentata

“No, sono appena arrivato” mentì

“Hai visto che bel panorama da qui? Adoro questo posto, non trovi che sia in assoluto la parte  più suggestiva di Londra?”

“In realtà non conosco bene la città, è la prima volta che vengo”

Lo disse senza pensarci, era troppo intento ad osservarla mentre ammirava estasiata la città.

”Davvero? Ma non mi hai detto che lavori nel campo della finanza?”

“Si, è vero, l’ho detto” dove voleva arrivare, accidenti

“Strano per uno che fa il tuo lavoro non avere mai avuto a che fare con un centro finanziario come Londra”

“Diciamo che non ero io l’addetto ai rapporti con l’estero” cercò di giustificarsi

“Comunque non hai l’aspetto di uno che ha a che fare con i numeri” sentenziò

Non mollava, era più forte di lei. Aveva percepito la contraddizione e fiutava  l’inganno. Doveva assolutamente portare la discussione su altri piani. Prese la palla al balzo con una certa soddisfazione

“E che aspetto avrei, secondo te?”  

Non rispose subito. Lo guardò con imbarazzo.

“Coraggio, prometto di non offendermi” la incitò

“Ma non c’è niente di offensivo in quello che penso. Solo che tutti quelli che conosco e che lavorano nel campo della finanza hanno un’aria nevrotica da cervellotici repressi. E tu non mi sembri un tipo nevrotico … e nemmeno represso.”

Lo fece ridere. Era tanto tempo che nessuno riusciva a suscitare in lui quel tipo di reazione. Spontanea, viscerale.  Incoraggiata dalla sua risata lei proseguì

“E poi non porti gli occhiali e  hai fin troppi capelli in testa. Ecco, se fossi calvo saresti più credibile”

Ora lo stava prendendo in giro, bene, si era rilassata.

“Quindi se fossi calvo e se portassi gli occhiali potrei essere diciamo .. il tuo tipo ?”

“No beh, per essere il mio tipo saresti a posto così ... diciamo” distolse lo sguardo.

“Interessante” avanti voltati, lasciami vedere l’espressione dei tuoi occhi “E tu non vuoi sapere come dovrebbe essere il mio tipo?”

“Oh, posso immaginarlo …”

Lo disse con una punta di fastidio o era una sua impressione?

“Sentiamo”

Finalmente si voltò a guardarlo.

“Dunque, alta società, sulla trentina, donna in carriera, appariscente, molto femminile, elegante e raffinata”

Alta società, appariscente, elegante e raffinata? Ma che impressione le aveva dato? Poi ripensò alle donne con cui era stato e dovette ammettere che forse quella ragazza non era andata così lontana dalla realtà. Ma non dalla verità. E non sempre le due cose necessariamente coincidevano, non sempre alle azioni corrispondono i sentimenti.

“Diciamo che hai indovinato una buona percentuale di requisiti, ma hai tralasciato i più importanti”

“E quali sarebbero?”

“Se vuoi scoprirlo sarai costretta a conoscermi più a fondo”

“Allora non mi interessa approfondire”

“Non dirmi che ti arrendi così in fretta” la provocò

“E’ una sfida? Guarda che se volessi scoprire qualcosa di te sarei in grado di farlo anche senza la tua collaborazione”

Un brivido gli percorse la schiena, ma lo ignorò.

“Non ne dubito, ma sono certo che non sarebbe la stessa cosa se io non collaborassi, e ti assicuro che so essere molto convincente ”


x 007jb1: Grazie! Milo più che altro si tratta male da solo, ma non per molto ancora …

non dico altro altrimenti addio curiosità. 

Grazie a tutti coloro che hanno messo Universi Paralleli tra le seguite/preferite

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Capitolo 8
*** capitolo 7 ***


capitolo 7

Capitolo 7

 

Un tizio dai capelli castani che si era presentato come Cavaliere dell’Unicorno stava parlando fitto fitto con Walt, mentre tutti restavano in attesa di un suo cenno per uscire dal parcheggio. Era più di quello che poteva sopportare: l’Agenzia che si rimetteva alle decisioni della Fondazione. Se questi erano i piani avrebbe presentato le sue dimissioni irrevocabili e poi tanti saluti, a Berlino avrebbe soggiornato in veste di turista.

Cercò di leggere il labiale di entrambi per captare i dettagli della conversazione, e le parve di intuire la parola Cavalieri d’Oro. Il braccio prese a pulsarle, quasi a volerle lanciare un segnale d’allarme. Se avesse sospettato quel genere di risvolto non sarebbe mai partita. Accidenti, era quella la trappola che aveva fiutato? Era stata una macchinazione di Walt? Certo era stato abile a non far trapelare le sue reali intenzioni, aggirando i suoi sospetti e congegnando diversivi per fuorviarla.

Finalmente Walt smise di confabulare con quel tizio e venne verso di lei. Quando le parlò lo fece guardandola negli occhi

“ Sono certo che capisci perché ho dovuto agire in questo modo”

“ Non capisco e non approvo” era decisa a non concedergli nulla

“ In questo caso mi dispiace per te. Ma decisioni di tale portata spettano agli operativi di quinto livello, e tu sarai abbastanza professionale da attenerti a ciò che ti viene ordinato”

“Non dirmi che hai basato i tuoi piani sulla convinzione che io avrei rispettato gli ordini?” lo guardò con aria di sfida

“Se vuoi metterla in questi termini, è proprio quello che farai”

“Ah ah ah ah” rise “Walt, o tu sottovaluti le mie reazioni, oppure sopravaluti la mia pazienza”

“Forse ha solo sopravalutato la tua intelligenza” si intromise una voce dietro di loro

Riconobbe subito quella voce e si voltò incredula in direzione del suo proprietario

“Kanon …”

Non si aspettava di vederlo, ma finse nonchalance quando gli rivolse la parola

“Hanno addirittura scomodato un cavaliere del tuo rango?”

 “Si, ma non temere, ci sono solo io. Per ora non rischi di trovarti davanti Milo”

Non seppe se fu il sentirlo nominare, o se fu il tono provocatorio con cui lui aveva pronunciato quelle parole, ma una rabbia cieca la invase e tentò di colpirlo con uno schiaffo. Tentò, ovviamente, perché lui fu più svelto, le bloccò il braccio e glielo torse dietro la schiena, strappandole un urlo di dolore

“E no, anche da te non lo posso accettare, mi dispiace.  E’ proprio vero che siete fatti l’uno per l’altra, quando vi toccano i tasti dolenti reagite esattamente allo stesso modo” proseguì ridendo sotto lo sguardo impassibile di Walt.

Successe tutto molto velocemente, un movimento imprevisto, il rumore del caricatore e lui si ritrovò una Colt semiautomatica puntata a meno di un millimetro dalla nuca

“Lasciala andare stronzo. Subito.”

Rimasero tutti basiti. Solo Walt ebbe la prontezza di intervenire prima che gli eventi precipitassero

“Juliet,  abbassa l’arma, non le farebbe mai del male. Credimi” 

Adesso era davvero agitato

“Kanon, per favore, non reagire, lascia andare il braccio di Claire, lentamente.”   

Kanon lasciò andare Claire che si massaggiò il braccio. Era proprio quel braccio, dannazione, come se non bastasse il dolore che già sentiva. Lui se ne accorse e, come se si fosse all’improvviso reso conto di qualcosa, le disse a mezza voce

“Non era mia intenzione farti del male”

Juliet abbassò l’arma e gli si parò di fronte.

“Hei tu, ma chi cazzo credi di essere?” gli disse furiosa

Kanon la osservò stupito: era una ragazza di una bellezza mozzafiato, si era aspettato un’agente corazzata in tenuta da combattimento e invece si trovava di fronte una modella in tenuta da sfilata con due magnifici occhi verdi, che lo insultava con epiteti da scaricatore di porto. Era una situazione decisamente insolita. Più la guardava, più qualcosa nel suo volto gli sembrava familiare, ma non riusciva a capire cosa. Fu Claire ad interrompere i suoi pensieri

“Mi dispiace per la tua missione, Walt. Ma io vi saluto qui ” prese il suo bagaglio e fece per allontanarsi

“Dove vai?”

Non se l’aspettava, l’aveva preso in contropiede. Lo capì dal suo sguardo costernato. 

“Visto che ormai sono qui, farò un bel giro turistico di Berlino”

“Non puoi farlo” aveva alzato il tono di voce, inusuale per Walt “Se non vieni con noi non puoi restare qui. Devi salire sul primo volo e tornare a Marsiglia. Questo è un ordine.”

Claire lo guardò incuriosita. Perché tanta premura per farla andare via dalla città? Ma certo, c’era qualcos’altro sotto che lui non le aveva detto. Un motivo per cui lei non poteva stare a Berlino se non era sotto diretto controllo dell’Agenzia. O della Fondazione. Il gioco stava diventando davvero interessante. Forse valeva la pena di proseguire. Ingoiò la decisione di dare le dimissioni e sbattergliele in faccia per essere libera di andarsene per i fatti suoi: non avrebbe funzionato, le avrebbero certamente messo qualcuno alle calcagna, magari proprio Kanon.

Quindi finse di assecondarlo

“Bene, ti prendo subito in parola. Me ne torno volentieri al sole di Marsiglia, non sentirò certo la mancanza di questo grigiore,  per non parlare dello squallore della compagnia”

Walt sembrò tranquillizzarsi. E anche Kanon non mosse obiezioni.

“Vengo con te” Juliet raccolse decisa i suoi bagagli e andò a piazzarsi al suo fianco.

“Ma in questo modo perderemo due operativi” Lucas, decisamente contrariato, si era intromesso nel discorso.

“Da quello che ho visto fin’ora non credo sarà poi una gran perdita”

Kanon lo disse con un sorriso sarcastico, voltando loro le spalle e allontanandosi con un’aria di assoluta sufficienza e Claire dovette fare non poca fatica per contenere la reazione di Juliet, pronta come sempre a rispondere per le rime, e non solo.

 

 

Rimasero ad osservare il corteo di auto che si allontanava dall’aeroporto, dopodiché Juliet, senza nemmeno voltarsi a guardarla, le chiese

“ Qual è il piano? Perché hai un piano vero?”

“ Ci sto ancora pensando. Una cosa è certa: non torneremo a Marsiglia”

“ Sei stata brava. Hai fatto una scenata che ha convinto anche me.”

“Anche Walt ci è cascato. Ma Kanon non saprei, lui è molto furbo“

“Quel cafone con l’aria da tenebroso? Così lui sarebbe il famigerato Kanon? Non mi pare degno della fama  che lo precede”

“Non commettere l’errore di sottovalutarlo. Se avesse voluto ci avrebbe distrutte con un dito.  E’ uno dei cavalieri d’oro più temibili, almeno tra quelli che ho avuto modo di conoscere”

“Più potente o più pericoloso dello stronzo che frequentavi tu?”

“………….”

“Scusa”

“Figurati, è acqua passata”

“Si, certo” disse senza troppa convinzione “Però di una cosa devo dare atto al cafone tenebroso”

“Ah si? Di cosa?”

“Ma dico l’hai visto bene? Il suo aspetto intendo. Nemmeno nei miei pensieri più spinti mi sognerei di avere tra le mani un tale esemplare di uomo …”

“Juliet! Ma ti sembra il momento di pensare a certe cose?”

“E dai, non fare la finta santarellina, scommetto che anche il tuo amichetto non era niente male e che insieme avete fatto scintille, o sbaglio?”  

Claire era improvvisamente arrossita

“Ho rimosso quei momenti. Per me non sono mai esistiti.”

Juliet la fissò con perplessità, ma lei ignorò il suo sguardo e proseguì

“E comunque per tua informazione non ci siamo mai spinti così oltre”

“Oltre cosa scusa?”

“Sei impossibile”

“Avanti non mi lascerai a secco di dettagli proprio sul più bello …”

Claire si sedette sul proprio trolley.

“Non è questo, è solo che non mi va di ricordare certi momenti, tutto qua”

Juliet le posò una mano sulla spalla

“Questa è la conferma che non è affatto acqua passata, per quanto ti sforzi di non ammetterlo, tra voi c’è ancora un legame”

“Non dopo quello che è successo. Tra noi niente è mai stato reale e poco importa che io provi o meno dei sentimenti nei suoi confronti:  le nostre vite non si incroceranno  più, mai”

Universi paralleli, ecco cosa erano diventate ora le loro esistenze: due mondi incompatibili che non si sarebbero più incontrati.

“Attenta Claire, non lo sai che il fato sa essere dispettoso e quando meno te lo aspetti sconvolge la tua esistenza senza che tu possa controllarlo?” pensò Juliet, ma tenne per se la riflessione, invece disse

“Dobbiamo trovare un posto strategico in cui alloggiare.  Hai nome e coordinate del loro albergo? 

“Se non hanno modificato i piani, è il Park Inn, si affaccia direttamente su Alexander Platz”

“Ci pensi tu? Io vado ad acquistare due biglietti di sola andata per Marsiglia, nel caso in cui a qualcuno venisse in mente di controllare”

“Ok, ti aspetto qui” e mentre l’amica si allontanava lei si lasciò trasportare dai ricordi.

 

“Allora dormigliona sei pronta per il giro della morte?”

“ Buongiorno, vedo che oggi ti sei svegliato con pensieri positivi”

Lui rise. Era splendido. Si conoscevano da una settimana e ogni volta che lo vedeva non poteva fare a meno di sentire un vortice all’altezza dello stomaco. Quando le sorrideva in quel modo poi, con lo sguardo che sembrava volerla avvolgere, il vortice diventava voragine. Anche li, in mezzo a un luna park con decine di persone intorno.

“Mi spieghi come fai a dormire fino alle dieci di mattina?” le chiese.

Mentre parlava le scostò una ciocca di capelli dal viso. Fuoco. Di prima mattina.

“Capita quando la notte prima si fanno le ore piccole nei peggiori locali di Londra” 

“Sei stata tu a proporre il locale, io ti ho solo assecondata”

“Mpf, quindi immagino di dovermi assumere le responsabilità anche per i litri di birra che mi sono scolata”

“Esatto. Hai mal di testa?”

“Un po’”

E lui fece una cosa che non si sarebbe mai aspettata. Le tolse lentamente gli occhiali da sole e se li mise in tasca.

“Questi li riavrai dopo. Ora chiudi gli occhi”

“Perché? Cosa vuoi fare?” si stava agitando

“Vietato parlare. E’ un ordine.”

“Non accetto ordini dagli sconosciuti”

La guardò intensamente negli occhi e le sussurrò dolcemente  

“Fidati di me e lasciami fare”

Obbedì. Il cuore a mille, ma cosa aveva intenzione di fare? Non è che volesse baciarla? Non era assolutamente pronta a emozioni di quella portata, le gambe non le avrebbero retto, gli sarebbe svenuta davanti, che figura. Ma lui non fece niente di quello che lei aveva immaginato. Le posò delicatamente i pollici sulle tempie, le mani dietro le orecchie, a sorreggerle la nuca, e iniziò a massaggiarla, con movimenti lenti, circolari. Le sue mani erano calde, piacevoli e si muovevano in maniera decisa, ma con delicatezza. Le immaginò all’opera su altri punti del corpo e le vennero i brividi.

“Hai freddo?” le chiese lui

“No, è solo … un effetto collaterale del massaggio, credo” lo disse in un soffio

“Molto bene, è proprio quello che speravo”

Ma come faceva ad emanare tanta sensualità? Lei non era in grado di gestire questo risvolto, mentre lui sembrava avere sempre tutto sotto controllo. Non stavano facendo niente di compromettente, eppure la sensibilità della sua pelle al contatto con la sua mano era qualcosa che la disarmava. Milo era in grado di sconvolgere i suoi sensi con uno sguardo, con una parola, figuriamoci con il tocco delle dita .. o magari delle labbra.

Proprio mentre immaginava la forma delle sue labbra, Milo interruppe il massaggio

“Ecco fatto” e così dicendo le depose un bacio sulla fronte.

Fu un bacio castissimo, di quelli che ci si scambia tra fratelli e sorelle, tra genitori e figli, forse tra amici. Ma allora perché il cuore le saltò in gola? E soprattutto perché lui stava prolungando il contatto di quelle labbra peccaminose indugiando più del necessario nello spazio appena sopra i suoi occhi?

“Ora puoi riaprire gli occhi”

Quando lo fece si specchiò nei suoi, vicinissimi, che sembravano avere assunto una tonalità di blu più scura del solito, e la guardavano in un modo che lei non avrebbe saputo definire.

“Grazie”

“Stai meglio ora?”

Non se resti a dieci centimetri dal mio viso.

“Si, hai davvero un tocco magico”

“Mhmh, così dicono”

“Oh.. e chi lo dice, le tue donne?”

“Gelosa?” la canzonò

“Ma figurati. Lo dicevo per te, dovresti trovare il modo di utilizzare la tua dote”

“E tu come faresti a conoscere la mia dote? ” le sorrise maliziosamente

“Ma cosa hai capito?” esclamò arrossendo ”Parlavo delle  tue mani” così dicendo gli prese le dita di una mano e le sfiorò “Secondo me hanno dei poteri nascosti, potresti utilizzarli per fare del bene. Alleviare il mal di testa per esempio, ma potresti esercitarti anche su altri dolori..”

Ritirò di scatto la mano. Fissò l’unghia del suo dito indice e pensò all’utilizzo che ne aveva fatto fino a quel momento.

“Non sarebbe una buona idea, credimi”

Lo guardò confusa. Perché quel repentino cambiamento d’umore? Ma lui non le lasciò il tempo di pensarci, tirò fuori gli occhiali da sole dalla tasca e glieli rimise delicatamente sul volto, quindi le passò un braccio intorno alla vita e l’accompagnò all’ingresso delle montagne russe. Quel gesto così intimo le tolse il respiro e quando l’addetto alla biglietteria chiese “La sua fidanzata siede a fianco a lei?” e lui rispose “Certo” pensò di avere bisogno di una bombola d’ ossigeno.

 

 

 

“Pensi che sospettino qualcosa?”

“Non lo so, ma i nostri informatori hanno riferito di tensioni al momento dello sbarco. Il gruppo si è diviso e due dei loro operativi sono tornati indietro”

“Sappiamo qualcosa circa la loro identità?”

“Non ancora, ci stiamo lavorando”

“Bene, ma sarebbe un vero peccato se fossero andati via proprio i nostri due obiettivi”

“In ogni caso dovremo essere  prudenti ed evitare di esporci, almeno per il momento. La Fondazione ha mandato i suoi uomini, qualcuno di loro potrebbe riconoscerci.”

“Sta tranquillo, la copertura dell’hotel è sicura: ci permetterà di seguire da vicino tutti i loro movimenti senza che si accorgano di essere controllati” così dicendo si affacciò dalla terrazza dell’ultimo piano del Park Inn, godendo della vista della piazza sottostante. I capelli, lisci e nerissimi, furono sollevati dal vento e la avvolsero fino all’ altezza della vita, come un lungo mantello di tenebra.

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Capitolo 9
*** capitolo 8 ***


capitolo 8

Capitolo 8

 

La prima cosa di cui si rese conto al suo rientro dall’ospedale fu che qualcuno era entrato nel suo appartamento. Non c’erano più lattine vuote di birra sparse sul pavimento, i posacenere erano stati svuotati, le tende erano tirate e i vetri della porta finestra erano spalancati. Un profumo di fiori agrumati e di pulito si diffondeva in tutti gli ambienti e gli abiti sporchi accumulati sulle sedie erano stati lavati e stesi ad asciugare al sole del terrazzo.

Si erano addirittura preoccupati di liberare la memoria della segreteria telefonica cancellando i messaggi accumulati e avevano riempito il frigo di provviste di cibo fresco, portando via i residui di quello che ormai aveva raggiunto lo stadio di decomposizione.

Certo non poteva dire che la Fondazione non fosse efficiente nel suo lavoro.

Si era appena disteso sul divano del soggiorno con l’intenzione di farsi una sana dormita, viste le notti insonni dell’ultima settimana, che il suono del campanello lo fece sobbalzare. Non era abituato a ricevere visite che non fossero delegati del Grande Tempio o della Fondazione, quindi andò svogliatamente ad aprire la porta nella convinzione di trovarsi di fronte qualche soldato, qualche cavaliere o aspirante tale o al massimo un suo pari. Rimase di sasso quando invece trovò, ad attenderlo pazientemente sulla soglia della porta,  lei in persona.

“Buongiorno Cavaliere, spero di non averti disturbato”

Passarono alcuni istanti prima che Milo riuscisse a rispondere

“Certo che no, ecco, è solo che non aspettavo visite, tutto qua. O meglio, non aspettavo la sua visita, Lady Isabel.”

“Sai come si dice a proposito di Maometto e delle montagne, no?” gli sorrise.

I suoi modi gentili ed il suo tono così pacato riuscivano sempre a metterlo a suo agio, nonostante tutto.

“Già. Ma la prego, si accomodi, non resti qui sulla porta”

“Grazie, non mi tratterrò a lungo. Ho solo bisogno di parlarti”

“Sono qui”

“Davvero Milo? Perché vedi, questa non è la prima volta che tento di mettermi in contatto con te mentre sei in casa” era un velato rimprovero?

“No, lo immagino” abbassò lo sguardo

“Non hai mai risposto ai messaggi che ti ho lasciato”

“Erano suoi? Mi dispiace, non li ho mai sentiti ed ora purtroppo sono stati cancellati”

“Si, lo so. Ho chiesto io di eliminarli, volevo parlarti di persona” sembrò esitare un attimo, ma poi proseguì “Ho bisogno del tuo aiuto”

I sensi di Milo si allertarono

“E’ in pericolo? E’ successo qualcosa di grave al Santuario? Se così fosse io …”

“Non si tratta di me, e nemmeno del Santuario, per ora. Almeno non direttamente.”

“Cosa significa?”

“E’ una lunga storia. Una parte la conosci già, e anche molto bene.”

 “Non capisco”

Lady Isabel sospirò, sembrava quasi in imbarazzo ad andare avanti nel discorso

“Si tratta di Alexander”

“Gli è successo qualcosa? Sono appena stato a lui e …”

“No, tranquillo, lui sta bene. L’Agenzia però potrebbe essere in pericolo”

“L’Agenzia? Non sapevo che la Fondazione avesse mantenuto i contatti”

“Sono molte le cose che non sai, Cavaliere, e non per mia volontà. Ho solo deciso di rispettare la tua scelta di allontanarti dal Grande Tempio.”

“Certo, capisco. E di questo le sono grato, mi creda”

“Comunque sia, è giusto che tu sappia che lui pensa non sia il caso di coinvolgerti, pensa che tu non sia ancora in grado di affrontare certe questioni”

Milo la guardò con stupore

“Così Alexander pensa che un Cavaliere del mio rango non sia in grado di risolvere un banalissimo problema riguardante le attività dell’Agenzia? Una cosa per cui al massimo si richiederebbe l’intervento dei militari? Qual è il problema? Terrorismo internazionale? Guerre civili? Armi nucleari? Traffico di …”

“Claire. Si tratta di Claire”

Bum! No, non era una bomba, era il suo cuore. Si era fermato.

“E non si tratta di questioni militari. C’è in gioco molto più di questo”

“………………………….”

“Milo? Ti senti bene? Mi stai ancora ascoltando?”

Lo sguardo era fisso di fronte a se, i lineamenti tirati, le mani strette a pugno.

“Non posso intervenire, mi dispiace. Affidate l’incarico a qualcun altro. Kanon per esempio …”

“Kanon è già sul posto, non potevamo rischiare di arrivare troppo tardi”

Adesso era visibilmente sorpreso

“Troppo tardi per cosa? Qual è l’entità del pericolo? Se nel giro di pochi giorni avete scomodato senza pensarci due volte nientemeno che il custode della terza casa, uno dei Cavalieri d’Oro più potenti di tutto il Santuario,  e solo per intervenire a supporto di una missione dell’Agenzia, deve esserci una ragione molto seria”

“Non è stata una decisione presa in pochi giorni. Abbiamo monitorato la vicenda per mesi, ma da che Alexander si è ripreso, ci sono stati dei risvolti non previsti”

“Non capisco”

“Alexander al suo risveglio ci ha rivelato dei particolari del suo passato che purtroppo coinvolgono il destino di sua figlia”

“Il suo passato ha sempre influenzato il destino di Claire”

Era la prima volta. La prima volta dopo anni che riusciva a pronunciare il suo nome. L’aveva detto per intero senza tremare, senza che lo stomaco gli si contorcesse, senza che la testa gli esplodesse.

“Ho bisogno che tu vada a Berlino” Lady Isabel arrivò subito al dunque “I dettagli ti verranno forniti direttamente da Alexander, è necessario che tu vada da lui prima di partire”

Milo non rispose subito, si voltò verso la finestra e disse

“State dando per scontata la mia partenza”

“E mi sbaglio cavaliere?”

Milo sospirò, una mano appoggiata al vetro

“No”

 
 

“Così domani hai proprio intenzione di partire? Vuoi andartene lasciandomi qui ad annoiarmi?” erano distesi sull’erba dell’Hyde Park, le mani dietro la testa, lo sguardo a fissare il cielo.

“Non è che voglio, devo. Il mio lavoro di  tesi è finito, sto per laurearmi e non posso stare qui a trastullarmi”

Era brava a mentire, ma c’era una vena di malinconia nella sua voce, e non era la tristezza dell’ addio. Milo sapeva che c’era dell’altro e non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Se solo fosse riuscito a convincerla a prolungare il suo soggiorno a Londra forse avrebbe avuto tempo e modo di chiarire tutto. Sempre che il resto del piano stesse procedendo secondo le previsioni.

Si voltò a cercare il suo sguardo, ma lei continuava a fissare in alto.

“Claire?”

“Mhmh?”

“Perché non resti un’altra settimana?”

Si voltò.  Lui prese coraggio e proseguì

“Tra una settimana anche io tornerò in Grecia e …”

“No. Non posso, mi dispiace.”  Si era sollevata a sedere “ Ho delle cose da sistemare e finché non lo avrò fatto non sarò in pace con me stessa”

“Parli della tesi?”

“Certo, la tesi. Cos’altro se no?” si alzò in piedi “Andiamo? Non ho intenzione di passare il mio ultimo giorno a Londra a dormire sull’erba”

“Dormire? E chi vuole dormire? Veramente ci sono tante cose che si possono fare sdraiati sull’erba, oltre che dormire”

Così dicendo le afferrò la mano e l’attirò a se. Lei perse l’equilibrio e gli cadde addosso. I corpi aderivano l’uno all’altro, i volti vicinissimi. Era arrossita. 

“Ma dai, fammi alzare, così non riesco a muovermi”

Per tutta risposta lui le afferrò le mani e la fece stendere supina, bloccandola sotto di se.

“Mhmh. Forse conosco un modo per convincerti a restare. Ma non so se è il caso di esercitare il mio potere”

La sentì rabbrividire e non per il freddo

“Ma  per chi mi hai preso?” stava al gioco “Credi davvero che io sia così debole? Non riusciresti mai a convincermi, nemmeno sotto tortura.”

“E chi ha parlato di tortura? Io avevo in mente ben altro” e avvicinò le labbra al suo volto, fino a farle sentire il suo fiato caldo ai lati del collo, sulle orecchie, sulle tempie, per poi ridiscendere più giù. La sentì sospirare e in quel momento si sollevò di scatto e la lasciò andare, osservando divertito la sua reazione.

Lo guardava con un misto di rabbia e stupore,  desiderava con tutta se stessa che lui non si fermasse, ma non lo avrebbe mai ammesso. Il rossore del volto stava diminuendo e il respiro era di nuovo regolare, ma non riusciva più a guardarlo negli occhi.

Ma cosa le stava facendo? Non era li per sedurla, come poteva comportarsi in modo tanto vile? Quando erano a quella distanza perdeva completamente il controllo, era più forte di lui.

Si era rialzata e si stava scuotendo i jeans sporchi di terra.

“Allora andiamo? Devo ancora preparare la valigia e ho alcune cose da sbrigare prima della partenza” parlò come se niente fosse successo

“Quali cose? Pensavo avessi finito con il lavoro di tesi”

“Infatti. Ma devo ritirare dei documenti”

“Bene, ti accompagno”

La vide irrigidirsi

“Non c’è bisogno grazie. Vado da sola, magari ci vediamo per cena, ok?”

“Insisto, mi farebbe piacere accompagnarti, sarebbe un’occasione in più per passare del tempo insieme”

“Scusami Milo, ma è una cosa che preferisco fare da sola”

Certo, non ho dubbi. Per questo non posso permetterlo.

“Devo pensare che non ti faccia piacere la mia compagnia? Ti ha forse offeso il mio comportamento di poco fa? Se è per questo io …”

“No, non è questo. Davvero”  era di nuovo  imbarazzata

“Allora perché non vuoi che ti accompagni? Questo è l’ultimo giorno che passiamo insieme, davvero non ti capisco”

Claire non rispose subito. Forse la sua insistenza stava facendo effetto. Per lei sarebbe stato più difficile trovare una giustificazione plausibile al suo comportamento che cedere alla sua, apparentemente innocente, richiesta.

E infatti poco dopo gli disse

“Va bene. Ma devo chiederti di aspettarmi fuori dagli uffici. Sai, l’ingresso non è aperto a tutti ”

“L’università non è un luogo pubblico?” chiese con finta ingenuità

“I documenti sono al consolato francese”

“Consolato?” era più grave di quello che aveva sospettato

“Si, ti ho detto che mi laureo in relazioni diplomatiche, no?”

Come no. Bella scusa, certo che con le bugie e i doppi giochi ci sapeva fare. Quasi quanto lui. Solo che lei riusciva a mantenere un’aria così innocente, se le circostanze fossero state diverse lui ci sarebbe sicuramente cascato. Invece lui sapeva, era stato informato: lei aveva scoperto che suo padre non era a Londra, che non c’era mai stato, che non aveva soggiornato in quell’albergo, ma che era sparito da qualche mese senza lasciare traccia. Aveva contattato qualcuno alla sede di Marsiglia per ottenere  informazioni, e quel qualcuno la stava guidando a distanza. Sicuramente qualcuno all’interno dell’Agenzia, Walt aveva promesso di occuparsene personalmente. Doveva fidarsi, era a rischio l’esito di tutta l’operazione.

“Allora siamo intesi? Tu mi aspetterai fuori? Non ci vorrà tanto” lo guardava ansiosa

“Tutto il tempo che ti occorre. Mi troverai fuori ad aspettarti” le disse mentre le regalava il sorriso più falso che riuscì a fare.

Lei sembrò piacevolmente colpita e gli sussurrò un grazie, mentre lui iniziava a sentire una fastidiosa sensazione di rimorso.

Arrivati alla sede del consolato lui si sedette su un muretto all’esterno, di fronte a un giardino pubblico, e stiracchiò le gambe, ostentando tranquillità.

“Io ti aspetto qui, fai presto”

“Bene a dopo” gli disse mentre si allontanava velocemente “Milo?” si voltò e lo chiamò

“Si?”

“Potresti tenere acceso il telefono per favore? Sai, così se ci fosse qualche imprevisto e facessi tardi potrei avvisarti”

“Certo, sta tranquilla. Se ci sono problemi chiama pure” si fidava di lui a tal punto? Non gli aveva detto niente circa la reale motivazione della sua visita al consolato, ma gli stava affidando il ruolo di spalla nel caso in cui le cose fossero andate storte. Questo lo fece sentire ancora più in colpa.

 

Claire entrò dalla prima finestra che trovò socchiusa, dopo aver eluso la sorveglianza, perché ovviamente non aveva con se nessun pass d’ingresso. Doveva raggiungere l’archivio e cercare il dossier di cui le aveva parlato Juliet, dopo di che sarebbe uscita senza farsi vedere. Era un gioco da ragazzi, per una come lei, anche se quello che le aveva raccontato l’amica aveva dell’incredibile. Possibile che suo padre si fosse cacciato in una storia simile? Un rumore improvviso la obbligò a fermarsi di colpo e si nascose dietro una colonna di marmo. Le sembrò di vedere qualcosa di luccicante provenire dalla direzione opposta e decise di restare in attesa. Di fronte a se aveva la porta d’ingresso dell’archivio, avrebbe atteso il momento opportuno e poi si sarebbe introdotta nell’ufficio. Quando non sentì più alcun rumore si fiondò all’interno, richiudendosi la porta alle spalle. Quello che vide la lasciò senza fiato: un tizio vestito di un’armatura luccicante stava distruggendo tutti i dossier dell’archivio, li stava letteralmente riducendo in polvere con il solo tocco delle dita. Chi era? Un pazzo travestito? Cosa aveva in mano? Dell’acido? Si pentì amaramente di non avere portato con se la pistola, e afferrò la prima cosa simile ad un’arma che trovò nella stanza: un misero tagliacarte. Quindi si portò alle spalle dell’uomo, lo afferrò per il collo e gli puntò la lama alla gola.

“Fermo o te la taglio” disse con il tono più saldo che riuscì a mantenere.

Per tutta risposta udì solo una risata profonda. Come poteva costui ridere in quel modo con un’arma puntata alla gola? Sarebbe bastata una semplice pressione e gli avrebbe reciso la giugulare, ma lui sembrava non preoccuparsene. Forse era davvero un pazzo, che altro poteva essere con quel travestimento?

“Dammi retta ragazzina, allontanati o ti farai male, e non sono qui per questo”

“Chi diavolo sei? Perché stai distruggendo i dossier dell’archivio?”

“Questi non sono affari che ti riguardano” disse mentre con un dito concludeva la sua opera.

Non era rimasto un solo faldone integro e quando Claire se ne rese conto fu pervasa da una rabbia cieca. Le possibilità di capire cosa fosse successo a suo padre erano svanite assieme a quei documenti.

“Bastardo!” urlò, e gli strinse il braccio intorno alla gola

Come se niente fosse quel tizio le afferrò il braccio, si girò e tenendola ferma la mise con le spalle al muro, afferrandola per la gola

“Ti avevo avvertita”

Il suo sguardo le fece paura. Era un ragazzo bellissimo, sulla trentina, con i capelli lunghi, scuri, e gli occhi verde mare, ma qualcosa in lui metteva i brividi. La guardava con sufficienza, come se fosse stata un insetto da annientare e le sue dita continuavano a stringersi sulla sua gola.

“Dammi retta, torna a casa. Sei nel posto sbagliatissimo” la sua voce bassa era tagliente come una lama e lei cominciò a temere che l’avrebbe uccisa. Aveva il cellulare in tasca, non sarebbe mai riuscita a chiamare Milo finché lui la teneva stretta in quel modo. Iniziò a tossire e solo allora lui allentò la presa.

Appena si sentì più libera fece la cosa più stupida che avrebbe potuto fare in una circostanza simile, lo colpì con un calcio al volto e raccolse il tagliacarte che le era scivolato a terra. Quindi tentò nuovamente di colpirlo. Per tutta risposta lui la spinse violentemente facendole sbattere la schiena contro lo scafale metallico e strappandole un urlo di dolore. Qualcosa le si era conficcata sul fianco destro. L’urto fece barcollare l’intero scafale che si piegò pericolosamente verso la sua direzione. Fissò le stecche d’acciaio incapace di reagire e attese che le crollasse tutto addosso quando due braccia la sollevarono da terra e la deposero all’altro angolo della stanza. Il tonfo dello scafale che si schiantava a terra avrebbe attirato l’attenzione della sorveglianza.

“Ti avevo detto di andartene, accidenti!”

Sembrava dispiaciuto, ora la toccava  come se avesse paura di romperla.

“Lasciami, sto bene” cercò di sollevarsi incurante delle fitte al fianco.

“Sei ferita, mi dispiace” il suo sguardo ora non le faceva più paura, ma chi era quel tipo e perché ora si preoccupava della sua salute?

Il rumore dei passi delle guardie sul corridoio la distolse dai suoi pensieri e prima che potesse rendersi conto di qualcosa si sentì sollevare e si ritrovò all’esterno del consolato, dopo un  salto nel vuoto di circa 20 metri. Pensò di essersi rotta le gambe e invece si accorse di reggersi perfettamente in piedi. Stupita, cercò l’artefice di quel gesto folle e lo vide correre via e sparire nel nulla ad una  velocità impressionante. Le guardie stavano arrivando e non c’era il tempo di fermarsi a pensare troppo all’accaduto, per cui corse in direzione del giardino in cui aveva lasciato Milo.

 

Milo era  intento a rigirare un rametto tra le mani, pensieroso, in attesa che Claire uscisse dall’edificio. Quando finalmente la vide arrivare in lontananza si sollevò in piedi e sorrise, forse si era preoccupato troppo. Il sorriso gli morì in gola quando vide il sangue sul suo fianco e i lividi neri sul suo collo.

“Cosa è successo la dentro?” la sua voce, come il suo sguardo, erano seri come non mai.

“ Non ora, ti prego, dobbiamo allontanarci, è successo un casino”

“Prima mi dici chi ti ha ridotto così, poi ce ne andremo”

“Non c’è tempo, ti racconterò più tardi, ora scappiamo”

“Scappiamo? Come dei ladri?”

“Milo per favore, sono stanca … ahaaa!” si piegò in due e si portò la mano al fianco.

“Accidenti vieni qui” e così dicendo la prese in braccio “Ti porto in albergo e una volta arrivati mi spiegherai tutto intesi?”

“Certo, ma non c’è bisogno che mi porti in braccio, non sono un’invalida, posso camminare”

“Non mi pare affatto che tu stia bene.  E se dici un’altra parola ti porto direttamente all’ospedale. Cosa preferisci?”

“No, all’ospedale no. Non posso andarci. Farebbero troppe domande e dovrei sporgere denuncia”

“ Denuncia contro chi?”

“Se te lo dicessi non mi crederesti”

“Mettimi alla prova”   

“C’era un tizio travestito”

“Che genere di travestimento?”

“Un’armatura”

“Ebbene?”

“Vuoi dire che mi credi?”

“Non ho motivo per non crederti, va  avanti”

“L’ho minacciato con un tagliacarte e lui prima ha tentato di strangolarmi e poi mi ha sbattuto contro lo scafale, la ferita al fianco è stato un danno collaterale”

Milo si fermò improvvisamente

“ Vuoi dire che è stato questo tizio a ridurti così?”   

“Bhé, si diciamo che si è difeso”

“Difeso? Da te? E cosa avresti fatto per minacciarlo?”

“Te l’ho detto, avevo un tagliacarte”

“Non mi sembra un’arma molto pericolosa”

“Già. Però è strano sai? Alla fine mi ha persino aiutato”

“Oh, che gentile, un vero cavaliere direi”

Milo era furioso, si chiuse in un ostinato mutismo e non disse altro per tutto il tragitto, quando arrivò all’albergo insistette per portarla fino alla camera e per aspettare che si mettesse a letto.

“Ma devo lavarmi” protestò Claire

“Fa pure, io ti aspetto qui. Non me ne vado finché non mi avrai raccontato cosa diavolo è successo dentro quell’edificio” era irremovibile

In altre circostanze Claire avrebbe avuto da ribattere, ma ora era troppo stanca e decise di assecondarlo. Avrebbe avuto il tempo di una doccia per inventare una scusa plausibile. Quindi prese un asciugamano ed entrò in bagno, lasciando Milo seduto sul letto.

 

Milo aspettò di sentire lo scroscio dell’acqua prima di prendere in mano il telefono e cercare nervosamente il numero in rubrica. Voleva sentire dalla sua voce che quello che era appena successo non era colpa sua. Rispose dopo il primo squillo

“Come sta?”

“Dimmelo tu, come dovrebbe stare in base a quello che le hai fatto?”

“Mi dispiace, è stato un incidente, non ho dosato bene la forza e …”

“Non dovevi usarla la forza Kanon!!! Accidenti, i patti non erano questi! Sei forse impazzito?”

“Mi dispiace. Non mi aspettavo una sua reazione e non mi sono reso conto che … sono andato troppo oltre”

“Prega solo che la ferita non sia grave perché verrei personalmente a fartela pagare”

Così dicendo chiuse bruscamente la chiamata e buttò il telefono sul letto. Sentì la porta del bagno che si apriva e si ritrovò ad osservare Claire avvolta in un telo da bagno che lo fissava imbarazzata.

“Devi proprio rimanere qui mentre mi cambio?”

“No, certo, posso uscire. Rientro quando sarai vestita. Voglio dare un’occhiata a quella ferita” disse mentre si avviava verso la porta.

“Mhmh, sei anche un medico?” lo disse con una punta di scetticismo.

“No, ma posso chiamarne uno se necessario”  e si chiuse la porta alle spalle, senza lasciarle possibilità di replica.


sorry for lateness....

grazie per le recensioni  e grazie a tutti quelli che continuano a seguire la storia

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Capitolo 10
*** capitolo 9 ***


capitolo 9

Capitolo 9

 

“Odio questa città”

Juliet non rientrava mai in albergo senza lasciarsi andare ad un commento negativo su Berlino. Una volta il traffico, l’altra la pioggia, un giorno il modo di fare degli abitanti, l’altro quello dei turisti. 

“Siamo qui solo da cinque giorni”

“E’ questo grigio, non lo sopporto” sentenziò mentre si buttava sul letto.

“Novità dal Park Inn?” chiese Claire spostandole le scarpe dalle coperte candide.

“Niente, nessun movimento sospetto. Hanno preso possesso delle camere e non sono più usciti. Il perfetto piano topi in gabbia, non capisco cosa abbia in mente Walt, si sarà  lasciato influenzare da quel cafone di un cavaliere”

“Kanon non è certo il tipo che disdegna l’azione, anzi. No, credo che sia qualcun altro a tirare le fila del gioco, qualcuno che forse non è nemmeno a Berlino”

“Se così fosse noi che possibilità avremmo di intervenire?”

“Non è detto che lo faremo”

“Cosa??? Stai scherzando!” si era alzata in piedi “Non vorrai rinunciare proprio ora che siamo nel mezzo dell’operazione, vero?”

“Nel mezzo? A me sembra che siamo in periferia, ci hanno tagliate fuori Juliet” disse con calma.

“Io non ti riconosco più, di cosa hai paura? Di ritrovarti faccia a faccia con qualcuno che non avresti il coraggio di affrontare?”

“Non mi sono mai tirata indietro di fronte al pericolo, lo sai bene”

“Non mi riferivo al nemico, infatti. Stavo parlando degli alleati. Di uno in particolare a dire il vero, l’innominabile …”

Claire non rispose, si alzò bruscamente e uscì dalla stanza sbattendo la porta.

“Si scappa scappa, sai che risolvi in questo modo” bofonchiò Juliet prima di accendersi una sigaretta.

Claire scese nella hall come una furia, non perché fosse adirata con Juliet, ma perché sapeva che l’amica aveva ragione.

Si sedette al bancone del bar e ordinò una vodka liscia, aveva voglia di qualcosa di molto alcolico. 

 

 Il giorno della partenza si svegliò all’alba, di soprassalto. Aveva sognato suo padre che le chiedeva disperatamente aiuto mentre lei non riusciva a fare nemmeno un passo per raggiungerlo. L’angoscia provata durante il sonno non accennava a diminuire nonostante fosse sveglia da qualche minuto. Si rigirò sul letto con uno scatto rabbioso e il dolore ad un fianco le riportò alla mente gli avvenimenti della sera precedente, si portò le mani sulla fasciatura bianca e ripensò al momento in cui Milo le aveva medicato e bendato la ferita. Era stato bravissimo, era riuscito ad estrarre alcune schegge di vetro che le erano rimaste dentro, mentre lei stringeva i denti per non urlare dal dolore. Lui si era accorto della sua sofferenza e aveva cercato di muoversi con delicatezza, ma il dolore era comunque insopportabile. Non che Claire non fosse abituata a quel genere di incidenti, aveva vissuto esperienze peggiori e non avrebbe ceduto alle lamentele nemmeno se la ferita fosse stata più grave, per cui resistette stoicamente senza versare nemmeno una lacrima. L’unica debolezza che si concedette fu quella di aggrapparsi alle sue spalle nel momento in cui estrasse la scheggia più grossa, lui immediatamente si bloccò e, passandole un braccio dietro la schiena, la cullò per alcuni secondi. Fu meglio di un antidolorifico per Claire. A quel gesto così intimo un calore inaspettato la pervase tutta e, come in trance, si lasciò andare posandogli la testa alla base del collo. Sarebbe rimasta così tutta la notte, ma Milo la scostò delicatamente per praticarle un accurato bendaggio.

“Sei molto bravo come infermiere. Dove hai imparato?” gli chiese

Lui non rispose subito. Cercò delle fiale di antidolorifico all’interno della cassetta del pronto soccorso

“Se non sbaglio anche tu mi devi delle risposte. Facciamo che tu mi dici cosa è successo stasera e io ti dico dove ho imparato a fare i bendaggi”

Claire distolse lo sguardo

“Non importa, sono molto stanca. Ora non me la sento di ripercorrere quei momenti”

Milo la guardava come se volesse leggerle dentro, probabilmente non aveva creduto ad una sola parola di quello che gli aveva raccontato. Non avrebbe voluto mentirgli, ma raccontandogli la verità l’avrebbe solo messo in pericolo e non poteva fargli questo, non dopo quello che lui stava facendo per lei. Anche se qualcosa in quel momento le diceva che forse lui sarebbe stato in grado di sopportare molto di più di quello che apparentemente dimostrava.

Le aveva trasmesso una tale sicurezza che, da quando erano arrivati in albergo, non si era più preoccupata  di niente. Milo era un uomo con uno spiccato istinto di protezione, questo lo aveva capito dai suoi atteggiamenti possessivi, dal suo modo di fare, di parlare, di guardarla e perfino di toccarla. Ma quella sera aveva superato se stesso, aveva mantenuto il controllo della situazione ed aveva agito in maniera impeccabile, nemmeno se avesse avuto intorno un collega dell’Agenzia si sarebbe sentita così al sicuro. Ogni giorno che passava poi si sentiva sempre più attratta, soggiogata quasi, dal suo magnetismo.

“A che pensi?” la stava osservando con curiosità

“A quanto ti sono grata per quello che stai facendo” gli disse spontaneamente

Lui sembrò a disagio.

“Avrei voluto fare di più. Avrei voluto essere con te stasera, per impedire che ti facessero.. questo”

Lei gli strinse una mano

“Ti assicuro che non avresti in alcun modo potuto evitarlo. E io mi sarei sentita terribilmente in colpa se ti fosse successo qualcosa per colpa mia”

“Tu dovresti pensare più a te stessa. Io so badare a me”

E iniziò a cercare qualcos’altro nella cassetta medica.

“Cosa cerchi?”

“Una siringa. Ho trovato delle fiale di antidolorifico ma senza la siringa non posso praticarti l’iniezione. Ah, eccola”

“Scordatelo” si agitò Claire “Io odio gli aghi. Odio tutto quello che punge. Preferisco tenermi il dolore”

Lui la guardava allibito

“Sei stata infilzata da queste schegge e ora ti tiri indietro per uno stupidissimo ago?”

“Esattamente”

“In ogni caso devo farti l’antitetanica”

“Mi prendi in giro?”

“Non sono mai stato così serio. La ferita potrebbe infettarsi”

“Vorrà dire che domani morirò di tetano”

“Non finché ci sarò io a prendermi cura di te”

“Ti sollevo da ogni responsabilità. Ora puoi anche andare”

“Non contarci”

Qualcosa nel tono della sua voce le fece venire un brivido sulla schiena. Milo faceva sul serio e non sarebbe riuscita a farlo desistere tanto facilmente. Tentò lo stesso

“Il tetano è solo una remota possibilità …”

Milo continuava ad armeggiare con fiale e siringhe, non la stava nemmeno ad ascoltare

“Preferisci andare in ospedale?”

“No”

“Allora voltati” il tono non ammetteva rifiuti

“Cooosa???? Dove avresti intenzione di farmi l’iniezione scusami?”

“Esattamente nel muscolo dove va fatta”

Claire era furiosa

“NO!!!”

“Sai, volendo potrei costringerti”

“Provaci e qualcuno si farà male”

Milo si fermò ad osservarla

“Ma sei seria?”

“Certamente” Claire mise il broncio e incrociò le braccia al petto.

Un guizzo di ironia balzò nello sguardo di Milo

“Incredibile. Sei veramente una bambina. Ti scosterei un attimo l’elastico delle mutandine, non andrei oltre. Di cosa hai paura?”

Claire adesso era paonazza

“Di niente”cercò di sviare il discorso

“A me non sembra. Direi piuttosto che sei terrorizzata.”

Milo avvicinò il volto al suo orecchio e le sussurrò

“Fidati di me. Non ti accorgerai di niente. So essere molto delicato, se voglio …”

Non seppe se fu la sua voce roca o la sua vicinanza, ma Claire fu attraversata da un brivido tutt’altro che sgradevole.  Per tutta reazione si allontanò bruscamente ed esclamò

“Stammi lontano!”

Milo iniziò a ridere di gusto, in maniera spontanea, lasciandola esterrefatta. Poi con una mano le sfiorò velocemente una guancia

“Tranquilla. Ti stavo prendendo in giro. L’iniezione posso fartela anche sul braccio.”

“Tu, brutto schifoso! Mi hai fatto prendere un colpo!”

“Non sarebbe stato poi così terribile, te lo assicuro. Ora dammi il braccio”

“Come? Adesso? Di già, ma..”

Milo si spazientì e le afferrò saldamente il braccio destro

“Prima ti ho detto di fidarti di me. Dicevo sul serio”   

“Ok, aspetta solo che mi volti dall’altra parte. Ti ho detto che non sopporto gli aghi”

Così dicendo girò la testa e chiuse gli occhi, in attesa di sentire il dolore sul braccio. Sentì l’odore del disinfettante mentre Milo glielo passava con un batuffolo di cotone imbevuto e poi restò in attesa, sentendo solo le dita della sua mano che le tenevano fermo il braccio. Quando le sembrò essere passata un’eternità, lo sentì dire

“Fatto”

Aprì gli occhi con stupore e lo vide deporle un delicato bacio sul braccio. Quel gesto le aprì una nuova voragine sullo stomaco 

“E’ stato così terribile?” le chiese sorridendo

“Non ho sentito niente”

“Ti avevo detto che so essere molto delicato. Ora ti lascio riposare. L’antidolorifico farà presto effetto”

“Antidolorifico? Ma non mi hai fatto l’antitetanica?”

“Visto che c’ero, ti ho fatto entrambe le iniezioni”

Le strizzò l’occhio mentre lei lo guardava furiosa

“E poi mi dovrei fidare di te?  Mi hai imbrogliata!”

“Si, ma solo per il tuo bene. Ricordalo. Buonanotte.”

Così dicendo le diede un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza, lasciandola in fiamme. 

“E chi riesce a dormire ora?” sbuffò Claire prima di spegnere la luce.

 

Juliet fumò tre sigarette di fila prima di scendere a cercare Claire. Quando la vide al bancone del bar capì che l’amica aveva bisogno di stare un po’ da sola. Decise di approfittarne per andare a farsi l’ennesimo giro per il centro di Berlino. Invece di chiamare un taxi preferì camminare a piedi, almeno avrebbe scaricato un po’ di tensione. Le sarebbe piaciuto andare a nuotare, ma a Berlino non c’era il mare e non le sembrava il caso di andare a fare un tuffo in una piscina sovraffollata e piena di mocciosi urlanti.

Aveva appena accantonato l’idea di sguazzare nell’acqua quando un suono melodioso attirò la sua attenzione. Proveniva dall’interno di un locale in cui si suonava musica dal vivo. Vide attraverso il vetro l’artefice di tanta perfezione: un bel giovane con un flauto traverso che suonava in maniera divina. Un tizio alquanto raffinato gli sedeva di fianco e sorseggiava un drink, squadrando letteralmente la folla che li circondava. Decise di entrare e godersi la musica, da brava appassionata di pianoforte amava lasciarsi trasportare dalle note, soprattutto se erano suonate divinamente come in quel caso.

Si sedette ad uno dei tavoli e ordinò un aperitivo analcolico, era pur sempre in servizio ed era bene che almeno una delle due rimanesse sobria in caso di sopraggiunte complicazioni. Si sentì immediatamente a disagio ma non capì subito il perché. Si guardò attorno e notò che il locale era oltremodo accogliente: le luci soffuse, i colori caldi, la musica come sottofondo, ma allora perché non riusciva a rilassarsi? Ad un certo punto li vide: due occhi che non smettevano di fissarla. Appartenevano al tizio raffinato seduto di fianco al musicista, che continuava maleducatamente e sfrontatamente a guardarla.

Decise di ignoralo, non era la prima volta che le capitava di attirare lo sguardo degli uomini, ma mai si era sentita a disagio per questo, anzi, solitamente ne era lusingata. C’era qualcosa nell’insistenza di quello sguardo che andava oltre la semplice ammirazione, quell’uomo la fissava come se l’avesse riconosciuta. La musica finì e finalmente i due sparirono sul retro del locale, probabilmente se ne sarebbero andati uscendo da una porta secondaria. Si affrettò a consumare l’ordinazione e andò a pagare, ma si stupì quando sentì una voce alle sue spalle

“Per la signorina offro io”

Si voltò e si ritrovò di fronte gli occhi del musicista, che le tendeva una mano

“ Piacere io sono Syria”

Tese educatamente la mano, ma non si presentò, e con un pizzico di diffidenza rispose

“Non si offenda, la prego, ma non amo ricevere doni dagli sconosciuti, siano anche piccolezze come questa. Comunque apprezzo il gesto”

E pagò il suo conto.

Il giovane annuì in silenzio e attese qualche minuto prima di parlare

“Ho visto che è stata attratta dalla mia musica mentre passeggiava fuori dal locale, ne sono lusingato”

Juliet si allarmò

“Lei ha visto? Strano, mi era sembrato che tenesse gli occhi chiusi durante l’esecuzione”

“Mi ha scoperto. In realtà non sono stato io, ma il mio amico, ad accorgersi di lei”

Ecco il trucco, che viscidi

“Allora signor Syria, dica al suo amico che se vuole dirmi qualcosa deve farlo di persona, invece di restare a fissarmi per mezz’ora senza nessun pudore e poi mandare lei a sondare il terreno o ad adescarmi con la scusa della musica”

Il ragazzo di fronte a lei parve realmente stupito dalla sua reazione e subito disse

“Mi dispiace averle dato quest’impressione, ma Julian non agirebbe mai in maniera tanto meschina. Avevamo solo bisogno di capire se lei era la persona che aspettavamo”

“Dunque aspettavate qualcuno?” Juliet era sempre più confusa.

“Questi non sono problemi della signorina, evidentemente ci siamo sbagliati, desidero scusarmi personalmente per averla importunata con l'insistenza del mio sguardo”

Il tizio raffinato ora sembrava di nuovo tale. Era quasi certamente un nobile, aveva lo stemma di un casato stampato in rilievo sulla giacca. Ma Juliet non era tipo da lasciarsi incantare da tali dettagli, e senza scomporsi rispose

“Non si preoccupi, è chiaro che ci sia stato un malinteso, evidentemente non sono la persona che aspettavate” poi si rivolse direttamente a Syria “Ma volevo comunque complimentarmi per la melodia, non avevo mai sentito niente di tanto coinvolgente. In alcuni momenti mi sono venuti i brividi”

Dopodichè salutò cortesemente e uscì dal locale, sempre più convinta che i tedeschi fossero dei tipi strani.

Intanto Syria non si capacitava dell’effetto che aveva avuto la sua musica su quella ragazza

“ Non è possibile, non sono riuscito ad ammaliarla. Non mi era mai successo prima. Era come se la sua mente avesse uno scudo protettivo, per questo ho pensato che fosse la donna mandata da loro”

“ Sono convinto che quella non fosse una ragazza comune e qualcosa mi dice che la rivedremo. Ma non era certamente la nostra donna, non ho percepito niente di oscuro in lei. In ogni caso comunica a Kanon   che l’incontro è andato deserto, è chiaro che a questo punto si stanno prendendo gioco di noi. Io chiamerò personalmente Lady Isabel per aggiornarla”

“Subito signore”


per x5max:  grazie, spero di non averti fatto aspettare troppo...

per Anzy: che onore! Grazie per la recensione. Claire non è proprio timida, è solo un pò meno sfrontata di Juliet... ma forse è ancora presto per capire bene alcuni risvolti del loro carattere, spero solo di non essere troppo lenta nella narrazione: il tentativo è quello di creare impaziente attesa e non noia mortale. A proposito di attesaio sto friggendo per il destino di Eowyn e Milo in "In the Shadow" ...

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Capitolo 11
*** capitolo 10 ***


capitolo 10

Capitolo 10

 

Claire rimase ad attendere Juliet nella hall dell’hotel: l’aveva vista uscire con la coda dell’occhio più di due ore prima e stava iniziando a preoccuparsi per quell’assenza prolungata. Non poteva essere andata di nuovo al Park Inn, era troppo pericoloso farlo in pieno giorno, qualcuno avrebbe potuto riconoscerla. Ma con Juliet non si poteva mai stare tranquilli, sarebbe stata capace di andare a  cercare direttamente Walt o Kanon solo per il gusto di provocarli.

Intanto la vodka stava cominciando a fare il suo effetto e, rilassandosi sul piccolo divanetto della hall, in mezzo a decine di persone, non riuscendo più a tenere aperte le palpebre, si lasciò andare ad un dormiveglia agitato dai ricordi.

 

Aveva insistito per accompagnarla all’aeroporto e durante l’attesa al check-in non aveva fatto altro che tentare di convincerla a restare a Londra ancora per qualche giorno.  La tentazione di cedere alla sua richiesta fu fortissima e più volte fu sul punto di assecondarlo, ma quando l’immagine di suo padre in pericolo si delineò con forza nella sua mente, un campanello d’allarme si accese nel profondo del suo essere e la riportò bruscamente con i piedi per terra. Si sentì in colpa: mentre lei fantasticava di passare qualche giorno in più con uno splendido uomo che praticamente non conosceva, suo padre, la persona più importante nella sua vita, poteva essere in pericolo in mano a chissà quale nemico.

Sentì il bisogno di chiamare Juliet per verificare se c’erano novità sulla loro indagine segreta. Aveva un numero di telefono non intercettabile dall’Agenzia che utilizzava appositamente per quello scopo, ma non poteva chiamare li, mentre stava in fila, con Milo a meno di dieci centimetri dalla sua faccia. Allora, sorridendogli serafica, gli disse

“ Ti dispiace tenermi la fila mentre vado alla toilette?”

Lui la guardò perplesso e subito si protese a tastarle il fianco

“Problemi con la ferita? La fasciatura è troppo stretta? O forse..”

“Milo” lo interruppe posandogli un dito sulle labbra.

Lui sussultò a quel contatto, o era solo una sua impressione? Proseguì cercando di essere calma e convincente

“Devo semplicemente andare in bagno. Banalissima necessità fisiologica: penso di avere bevuto troppa acqua stamattina” lo disse strizzando un occhio e con un mezzo sorriso.

Lui  le restituì il sorriso e lei sentì improvvisamente molto caldo. Quando sorrideva era ancora più bello, di una bellezza quasi dolorosa.  Cercò di non pensare che di li a un’ora avrebbe dovuto dirgli addio e si incamminò verso la toilette.

Arrivata in bagno si accertò che non ci fosse nessuno e compose il numero di Juliet. Fece appena  in tempo a sentire la voce dell’amica dall’altra parte quando una mano le strappò il telefono e lo disintegrò con la semplice pressione delle dita e, prima ancora che lei avesse il tempo di voltarsi e reagire, le premette un braccio sul collo tenendole la schiena immobilizzata contro il suo corpo. Non riusciva quasi a respirare da quanto era forte quella stretta. Sentì il suo fiato sull’orecchio e quando parlò capì che si trattava di un uomo.

“Non muoverti. E se provi ad urlare ti spezzo l’osso del collo”

Quella voce le fece venire i brividi. Era cupa, cavernosa, sembrava arrivare dritta dall’oltretomba. E qualcosa le diceva che la sua minaccia era molto reale, così smise di dimenarsi e restò in attesa. Se non l’aveva ancora uccisa evidentemente voleva qualcosa da lei. Infatti le sussurrò

“Smetti di cercare il paparino se ci tieni alla sua vita. E alla tua.”

Appena sentì quelle parole non riuscì a trattenersi e con un gomito tentò di colpirlo per potersi girare e guardalo in faccia. Ma lui doveva avere intuito le sue mosse e le torse il braccio dietro la schiena strappandole un urlo di dolore.

“Ti avevo detto di non muoverti e di non urlare, ora pagherai per la tua insolenza”

La strinse talmente forte che lei temette di venire stritolata e di fare la stessa fine del cellulare, ma all’improvviso lui si bloccò e imprecò

“Arrivano i rinforzi, per questa volta sei stata fortunata, la prossima volta finirò quello che ho iniziato” e sparì nel nulla, lasciandola dolorante, accasciata sul pavimento.

Non fece in tempo a voltarsi per verificare che se ne fosse effettivamente andato che sobbalzò sentendo la porta del bagno aprirsi violentemente. Tremò al pensiero che avesse cambiato idea e avesse deciso di farla fuori, perché al momento non sarebbe stata in grado di reagire. Ma quando vide Milo andarle incontro con lo sguardo preoccupato si sentì improvvisamente sollevata, e il tremore che la colse quando lui la sollevò e la strinse a se era di tutt’altra natura.

“Shshh, tranquilla, ci sono io ora, nessuno ti farà del male” le sussurrò dolcemente mentre le baciava la testa.

“Sto… sto be..ne” si sforzò di rispondere lei, quel contatto ravvicinato con il suo petto le toglieva il respiro.

“Stai tremando” era una constatazione e lei non seppe cosa rispondere.

Lui allora la sollevò da terra come fosse una piuma e la fece sedere sul marmo di fianco al lavello, si allontanò per chiudere a chiave la porta del bagno e tornò a posizionarsi di fronte a lei, notando immediatamente i segni rossi nei punti in cui quell’uomo l’aveva  stretta, sulle braccia e sul collo. La mascella di Milo si contrasse e i suoi splendidi occhi blu assunsero un’espressione  minacciosa. Per un attimo Claire non riconobbe la persona che aveva di fronte e ne ebbe quasi paura. Ma fu solo un attimo, le ombre negli occhi di lui lasciarono presto spazio alla preoccupazione e all’attenzione nei suoi confronti.

“Cosa ti ha fatto?” le domandò gentile guardandola negli occhi

“Ha cercato di stritolarmi, credo” rispose, consapevole che questa faccenda avrebbe destato in Milo sospetti, dubbi e domande a cui lei non avrebbe potuto rispondere.

“Cosa voleva da te?”proseguì infatti lui

“Mi ha rubato il telefono”rispose sperando che ci cascasse

Milo diede velocemente un’occhiata a terra, vedendo un cumulo di cenere al posto di quello che avrebbe dovuto essere un cellulare, tornò a guardare lei, intensamente, e Claire non riuscì a sostenere lo sguardo. Lui le sollevò il mento con le dita

“Guardami, Claire”

Lei si sforzò di non distogliere lo sguardo e lui proseguì

“Non so cosa sia successo realmente  in questo bagno, ma se non vuoi dirmelo non ti costringerò a farlo, per ora. Così come non ho approfondito il motivo per cui ieri sei andata al Consolato Francese. Ma ti chiedo di fidarti di me  quando ti dico che sei in pericolo e che non dovresti andare in giro da sola per l’Europa. Resta qui con me ancora per un po’”

Milo era straordinario, le stava offrendo protezione non sapendo in che guaio si sarebbe cacciato stando con lei. E lei si sentì terribilmente in colpa per il rischio che gli stava facendo correre coinvolgendolo nei suoi problemi.

“Ti ho già spiegato cosa è successo Milo, non ho altro da aggiungere perché anche io non so più di quanto ti abbia già raccontato. Ma se fosse vero che io sono nei guai, non metterei mai in pericolo anche te solo per proteggermi . Quindi non se ne parla, non resterò a Londra, anche se questo significa rinunciare alla tua meravigliosa compagnia.”

Le ultime parole le uscirono in un soffio, senza riflettere, e quando si accorse di essersi sbilanciata arrossì e abbassò lo sguardo. 

Milo le sorrise e le accarezzò lievemente un braccio

“Fingerò di credere a quello che mi hai detto”

La sua mano salì lentamente dal braccio fino alla spalla e iniziò a massaggiarle il collo, fino a fermarsi dietro l’orecchio. L’altra mano s’intrufolò tra i suoi capelli, fino a cingerle la nuca, mentre il volto di Milo si faceva sempre più vicino. Quando fu a pochi centimetri dal suo volto le disse

“In ogni caso sento il bisogno di dimostrarti quanto meravigliosa per me sia la tua compagnia”

E senza lasciarle il tempo di replicare, la baciò.

Appena sentì il contatto delle sue labbra Claire pensò a quanto negli ultimi giorni avesse desiderato che arrivasse quel momento e si sentì pervade da un’agitazione crescente. Lui se ne accorse e, senza nessuna fretta, per lasciarle il tempo di tirarsi indietro nel caso in cui l’avesse voluto, iniziò a tempestarla di piccoli, lievissimi baci agli angoli della bocca, in un irresistibile invito ad approfondire il contatto. Nessuno era mai riuscito a provocarle quelle sensazioni solo con il semplice sfioramento delle labbra. Milo sapeva esattamente cosa fare e come farlo, era evidente che si stesse trattenendo, ma voleva che anche lei raggiungesse il suo livello di coinvolgimento, prima di lasciarsi andare alla passione.

Per tutta  risposta lei prese le sue labbra fra le sue, lentamente,  gesto quello che portò Milo a rispondere con più intensità, invitandola a  dischiudere le labbra.

E quando Claire cedette entrambi persero il controllo.

Fu un bacio intensissimo, profondo, che le fece desiderare di non essere in un bagno pubblico, in mezzo ad un aeroporto affollato di gente, ma di essere in un luogo idoneo a portare quel contatto …  su altri livelli. Milo le sorreggeva la testa e con l’altra mano le cingeva la vita, facendola aderire al suo corpo. Lei era ancora seduta sul marmo del lavello, e aveva le gambe quasi intrecciate ai suoi fianchi, in una posizione molto, troppo intima. Fu percorsa da brividi di eccitazione e quando, dopo parecchi minuti, le loro labbra si allontanarono, ad entrambi sfuggì un gemito. Si videro riflessi sullo specchio, in quella posizione, con lo sguardo liquido, ansimanti e con i volti arrossati e Claire, presa da un motto di vergogna, tentò di allontanarsi da lui, che invece sorrideva sornione, tenendola stretta e impedendole di muoversi.

“Qualcosa non va? Non sei comoda così tra le mie braccia?” le sussurrò all’orecchio con voce arrochita.

Si era accorto del suo imbarazzo e la stava prendendo in giro. Come al solito era lui che, con sensualità, disinibizione e consapevolezza, guidava il gioco, senza paura di dimostrarle la sua passione. Lei non aveva nessuna esperienza di uomini come Milo, aveva sempre frequentato dei ragazzi suoi coetanei, colleghi di studio per lo più, molto spesso timidi e impacciati, e niente in vita sua l’aveva preparata a far fronte ad un tale sconvolgimento emotivo. Mai un semplice bacio le aveva fatto provare quelle sensazioni alla bocca dello stomaco e mai l’aveva fatta rabbrividire tutta facendole desiderare ardentemente un contatto più intimo.      

Fu Milo a staccarsi da lei, dopo averla cullata sul suo petto per diversi minuti, per guardarla negli occhi

“Adesso potresti ripensare al fatto di restare qualche giorno in più con me a Londra?”

Lei lo guardò e pensò che non c’era niente che avrebbe desiderato di più in quel momento. Niente tranne la certezza di sapere suo padre in salvo. Questo pensiero le fece salire le lacrime agli occhi, ma si sforzò di dimostrarsi forte e risoluta, e seppure con voce tremante, riuscì a rispondere

“Prometto che verrò a trovarti in Grecia, non appena avrò risolto delle questioni personali.”

Lo sentì irrigidirsi alla parola Grecia, e non riuscì a capirne il motivo: non era forse contento di poterla rivedere? O forse in Grecia nascondeva qualcosa, o qualcuno, che non voleva che lei conoscesse? Fu così che gli chiese a bruciapelo

“Hai una fidanzata o una moglie che ti aspetta in Grecia?”

Milo dapprima la guardò sorpreso, poi letteralmente le scoppiò a ridere in faccia.

Lei lo fissò risentita e gli puntò un dito sul petto

“Tu ti prendi gioco di me Milo e questo non mi piace affatto”

Lui le prese scherzosamente il dito e se lo portò alle labbra, dove gli depositò un bacio.

“Non farei mai niente del genere. Ti prendo più sul serio di quanto tu possa immaginare. Solo che ti trovo irresistibile nella parte della gelosa” disse con un mezzo sorriso.

“Gelosa io? Ma figurati! Ho solo notato che la tua reazione quando ho detto che sarei venuta in Grecia a trovarti non è stata il massimo della gioia”

Di nuovo un’ombra nel suo sguardo. Era sicura di averla notata. Ma lui rispose sereno

“La mia reazione è dovuta alla tristezza di dovere attendere tanto prima di rivederti. E dopo quanto è appena successo tra di noi, credimi, vorrei tenerti a non più di due centimetri dal mio corpo, nelle prossime ore, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, e non a migliaia di chilometri di distanza.”

Le sue parole la lasciarono senza fiato e non riuscì  resistere alla tentazione di cercare nuovamente le sue labbra, stavolta con meno timidezza. Si scambiarono un altro bacio passionale e si interruppero solo quando dall’altoparlante sentirono la chiamata all’imbarco per il suo volo.

 

 

Quando riaprì gli occhi erano quasi le due del pomeriggio. Si guardò attorno e di Juliet neanche l’ombra. La hall adesso era vuota, evidentemente erano tutti a pranzo e anche lei iniziava a sentire appetito. Cercò di rintracciare l’amica al cellulare ma risultava sempre spento. Possibile che fosse veramente andata al Park Inn ad affrontare Walt? Decise di mangiare velocemente qualcosa e poi di andare a controllare di persona, doveva solo stare attenta a non farsi notare, il che in pieno giorno le avrebbe creato non poche difficoltà.

 

Juliet aveva camminato per ore nel centro di Berlino, guardando distrattamente le vetrine dei negozi che vendevano abiti troppo scialbi per i suoi gusti raffinati e stava meditando di recarsi in pieno giorno al Park Inn per spiare i movimenti dell’Agenzia, visto che di notte nessuno sembrava muoversi, quando una voce conosciuta attirò la sua attenzione. All’ingresso di un vecchio teatro in disuso si materializzò nientemeno che uno degli oggetti dei suoi pensieri: quel cafone di Kanon che parlava con i due tizi strani incontrati al locale.

“ Che culo” pensò “Forse ho trovato un passatempo per movimentare la giornata”

Il musicista restava ad una certa distanza mentre il tipo nobile conversava in maniera piuttosto confidenziale con Kanon, peccato che la distanza le impedisse di captarne le parole.

Si fermò ad osservarli da un punto sicuro, ben nascosta dalla loro visuale, e notò che si guardavano attorno come se aspettassero l’arrivo di qualcuno. 

Quando un’auto nera, un modello tedesco di grossa cilindrata con i vetri oscurati, si fermò dinnanzi a loro, Kanon e il musicista si pararono di fronte al tizio nobile, come a volergli fare da scudo. La portiera della macchina si aprì e con molta eleganza scese un tizio molto alto, biondo, vestito anche lui di nero e Juliet lo vide distintamente prima ghignare sinistramente e poi ridere sfrontatamente in faccia ai tre che lo attendevano sul marciapiede e che lo fissavano con stupore, come se avessero appena visto un fantasma.

Una cosa era certa: quei tre conoscevano quel tizio e, a giudicare dall’atteggiamento freddo, prudente e circospetto con cui l’avevano accolto, i loro trascorsi non dovevano essere stati molto cordiali.  

Il nuovo arrivato fece un cenno all’autista che portò via l’auto e con assoluta disinvoltura si avviò verso l’ingresso del teatro, tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca, aprì la porta ed entrò, seguito dagli altri tre, che continuavano a muoversi con molta circospezione, come se non si fidassero di lui.

Non appena tutti entrarono dentro e si chiusero la porta alle spalle, Juliet attraversò di corsa la strada e cercò un’entrata secondaria attorno all’edificio. Non pensò minimamente al rischio che avrebbe corso, non aveva idea di chi fosse questo tizio con il ghigno da protagonista di film dell’orrore, ma qualcosa le diceva che quell’incontro avrebbe sciolto molti dubbi sul perché l’Agenzia fosse stata convocata a Berlino. Per niente al mondo quindi avrebbe perso l’ occasione di spiarli, che gli si era prospettata in maniera totalmente fortuita mentre passeggiava annoiata per le vie della città.  

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Capitolo 12
*** capitolo 11 ***


capitolo 11


Capitolo 11

  

Alexander si slacciò lentamente la cintura di sicurezza e, con movimenti molto lenti, commisurati alla sua situazione di convalescenza, andò a posizionarsi nel sedile accanto a quello di Milo, che lo guardò con apprensione. 

“Non capisco la necessità di venire personalmente a Berlino, viste le tue condizioni, sinceramente credo sia un rischio inutile e disapprovo totalmente questa scelta” 

“Potrei dire la stessa cosa di te Milo. E comunque sto bene, ho solo qualche difficoltà di movimento, ma il mio ruolo sarà esclusivamente di intelligence, quindi non sarò di peso a nessuno”

“Non è questo che intendevo, lo sai benissimo. Il tuo supporto sarà prezioso. Solo che sono preoccupato per la tua salute, ti sei appena risvegliato da un coma di due anni e mi sembra un po’ azzardato buttarti così in una missione”

“Mal comune mezzo gaudio”

“Come scusa?”

“Io sono stato in coma per lo stesso identico tempo che tu sei stato in … ritiro dalla vita, diciamo così”

Non c’era un tono di rimprovero nelle sue parole, Milo ci scorse piuttosto un’ironia di fondo, ma  preferì comunque non rispondere per non andare a scavare in terreni franosi e in ricordi che non voleva rimestare. Il terreno della sua vita era costellato di curve tortuose e di linee interrotte. Non voleva pensare a quelle interruzioni, perché appresso ci vedeva ancora il baratro e non voleva rischiare di sprofondarci dentro.

Quante volte era rinato durante la sua esistenza? Tutte le volte che una battaglia lo aveva ridotto in fin di vita? No. Tutte le volte che il suo cosmo gli aveva permesso di raggiungere l’ottavo senso? No. Dopo la definitiva sconfitta di Hades e il ritorno sulla terra dei Cavalieri d’Oro? No. Poiché non da quando Athena lo aveva riportato indietro dal Regno degli Inferi, ma dal momento in cui era atterrato sulla terra di Claire, aveva ricominciato a vivere.

Alexander non era tipo da arrendersi di fronte al suo silenzio, tanto più che conosceva ogni singolo dettaglio della sua storia, per cui proseguì pacato, come se stesse leggendo la pagina di un quotidiano e non come se stesse affondando una lama affilata nella piaga:

“Hai usato su di lei la Cuspide Scarlatta perché quella era l’unica via per impedire  che la uccidessero. Le hai salvato la vita” 

Milo era a corto di ossigeno. Immagini disperate di quei momenti gli affollavano il cervello e gli parve di sentire i rumori, le urla disperate, poi i silenzi tombali e infine l’odore del disinfettante, gli aghi e i camici bianchi dell’ospedale. Gli parve di vederla ancora dietro il vetro della sala di rianimazione, mentre lottava tra la vita e la morte. E poi il momento del risveglio, dopo settimane di agonia. E ancora il momento in cui lui prese il coraggio di avvicinarsi e in cui lei gli riversò contro il suo odio e le sue maledizioni.

“Era venuta da me per chiedere aiuto ed io l’ho tradita, l’ho ingannata e l’ho colpita nemmeno fosse stata il mio peggiore nemico. Che razza di cavaliere è colui che rivolge il suo colpo più temibile contro colei che dovrebbe proteggere e    am…” si interruppe, la mano a stringere convulsamente il bracciolo del sedile.

 “Un cavaliere che compie il suo dovere. L’hai salvata passando sopra i tuoi stessi sentimenti. Se ti fossi lasciato trasportare da quei sentimenti, lei sarebbe morta, perché non lo capisci? Lei è viva grazie al fatto che hai agito come cavaliere e non come uomo innamorato”

Milo non rispose, così Alexander proseguì:

“Non pensi che il mio inganno sia stato molto più grave del tuo? Farle credere la mia morte! Pensi che un padre possa mai essere perdonato per questo? Io so che forse non otterrò mai il suo perdono, ma sono disposto a correre il rischio, perché è grazie a questo che lei ora è salva. Non è forse questo il nostro primario obiettivo? Proteggere la sua vita? Per questo io sono disposto a rinunciare al mio amore di padre e tu sei stato disposto a rinunciare al tuo”

“Vuoi che non lo sappia questo? Vuoi che non ci abbia pensato ogni singolo giorno in questi maledetti anni? So di averla persa, per sempre, ma sono felice di saperla viva. Solo che …”

“Solo che la ami, Milo. E ti chiedi se ora  potresti rinunciare al tuo ruolo di cavaliere pur di poterle stare accanto” 

“Io non posso e non voglio rinunciare al mio ruolo di Cavaliere, il mio dovere verso Athena viene prima dei miei desideri personali” lo disse con impeto e passione, ma al tempo stesso in tono fermo e determinato. Il tono di chi sa il fatto suo e di chi non ha affatto perso la bussola. Milo forse era rimasto in equilibrio precario per due anni, ma ora sembrava tenere saldamente in mano il timone e la rotta della sua vita.

Alexander sorrise “Avevo bisogno di sentirtelo dire, Milo. Ora sono certo che sei lo stesso che ho lasciato due anni fa. E’ necessario che tu torni ad essere lo spietato Cavaliere di Scorpio al servizio della giustizia e che in battaglia non ti lasci sopraffare dalle debolezze umane. Per quanto ora ti possa sembrare assurdo, ti assicuro che questo è l’unico modo per non perdere Claire.”

“Non solo l’ho persa, ma non l’ho mai avuta, e mai l’avrò. Ma niente mi impedirà di andare in suo soccorso in caso di bisogno o di salvarla in caso di pericolo, anche contro la sua stessa volontà. Questo te lo prometto”  Milo si voltò a guardarlo negli occhi e Alexander scorse finalmente lo sguardo determinato del Cavaliere di un tempo.

“E io ti prometto che, fosse l’ultima cosa che faccio, riuscirò ad impedire che tu la perda di nuovo” ma questo pensiero Alexander preferì non esprimerlo ad alta  voce. 

 

 
Juliet riuscì a sistemarsi in un punto strategico nella piccionaia di quel vecchio teatro fatiscente, rischiando più volte di essere travolta dalle travi marce che crollavano dal soffitto. Dalla posizione in cui si trovava aveva la visuale completa della platea, luogo prescelto dai soggetti che stava spiando per parlare dei loro affari.

“Accidenti, sono troppo lontana per distinguere le loro parole” cercò inutilmente di sistemarsi meglio, rischiando di far crollare altre travi che avrebbero creato un trambusto tale da farla scoprire. “Mi dovrò accontentare di vedere chi partecipa all’incontro, non male come risultato per essere un pedinaggio non pianificato”.

Quello che vide fu una sfilata di Big Jim in armatura che si guardavano in cagnesco, fino a che non si presentò al centro del palco, con un ingresso a dir poco teatrale, quella che gli parve essere la famiglia Addams, o almeno parte di essa. Morticia e Lurch, sicuramente. Kanon sembrò sobbalzare alla loro vista e disse qualcosa che lei non riuscì a percepire da quella distanza. Le parve di captare la parola “spettri”, ma per quanto si sforzasse di tendere l’orecchio nella sua direzione, non capì nient’altro. Invece udì distintamente la voce e le parole di Morticia, che rispose 

“Avrete le vostre risposte fra meno di un’ora. L’aereo sta per atterrare e i miei hanno il compito di scortare l’auto direttamente qui. Finalmente giocheremo a carte scoperte, tutti. Intanto Radamantis farà gli onori di casa, mentre io mi ritirerò qualche minuto in privato con Mr Solo. Abbiamo una questione urgente da definire”

Il tipo nobile che accompagnava il musicista sembrò parecchio infastidito da quelle parole, si accostò a Kanon e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, dopodiché seguì Morticia dietro i pesanti tendoni del palcoscenico.

Di quello che successe nei minuti successivi Juliet non percepì alcun suono, riuscì solo a vedere i movimenti di Kanon e del musicista che se ne stavano in disparte scambiandosi ogni tanto qualche frase. Sembravano due attori nati per stare sul palcoscenico. Erano entrambi molto eleganti, il portamento fiero di chi ha piena consapevolezza di se e di ciò che lo circonda, dai semplici movimenti della testa o delle mani sprigionavano una sicurezza e una disinvoltura sorprendenti, viste le circostanze. O avevano l’assoluta certezza di quello che stava per accadere in quella sala, o sapevano fingere molto bene. Juliet optò per la seconda.  

Il loro atteggiamento strideva con quello degli altri Big Jim in armatura, che invece sembravano le comparse di un qualche spettacolo di terza categoria: rigidi e impacciati. I loro movimenti tesi trasudavano agitazione e apprensione,  sembravano belve pronte ad attaccare. L’unico che sembrava una statua di marmo, fredda, gelida e disumana, era Lurch o Radamantis o come diavolo l’aveva chiamato Morticia. Quel tizio non le piaceva per niente. Non ci voleva un genio per capire che tra i due gruppi non scorreva buon sangue e che quella non doveva essere la prima volta che si incontravano.

Juliet non seppe per quanto tempo restò ad osservarli: minuti, forse ore. Il tempo sembrò volare talmente era assorta a studiare i loro atteggiamenti, quando improvvisamente rientrarono sul palco Morticia e il tipo nobile che prima aveva sentito chiamare Mr Solo. Le parve di ricordare che al locale il musicista lo avesse chiamato Julian e si appuntò mentalmente il nome, appena possibile avrebbe verificato la sua identità.

Morticia annunciò l’ingresso di qualcuno e dai pesanti tendoni comparvero due nuovi personaggi. Anzi tre, il terzo camminava più lentamente degli altri e  restava indietro di qualche passo. Uno era sicuramente Walt, lo riconobbe subito. Al suo fianco quello che sembrava il  più giovane dei tre: aveva i capelli lunghi come quelli di Kanon, di un colore forse leggermente meno scuro, anche lui era di una bellezza sconvolgente, e anche da lontano si poteva scorgere il suo sguardo magnetico.

“Se fossi andata ad un vero spettacolo teatrale non avrei potuto sperare in attori più fighi, tra questo e Kanon non saprei chi è più attraente. E anche il signor Solo e il musicista non sono niente male. Quando mi ricapitano tanti esemplari in un colpo solo?” pensò Juliet mentre approfittava dell’occasione per rifarsi gli occhi.  Il terzo rimaneva nascosto alle spalle di Walt, l’unica cosa che riusciva a vedere erano i capelli leggermente brizzolati. Quando sentì la sua voce fu percorsa da un brivido: non poteva essere, sicuramente da quella distanza il suo udito la stava ingannando.  Fu quando Morticia lo chiamò per nome che il suo cuore iniziò a battere più velocemente, non era possibile che l’avesse chiamato proprio Alexander. Attese immobile di vederne il volto e quando questi fece un passo in avanti e lei poté scorgere l’intera figura, un verso soffocato le sfuggì dalla bocca, la gambe le cedettero e cadde rovinosamente su un cumulo di tavole accatastate, producendo un frastuono che rimbombò per tutta la sala e che probabilmente avrebbero sentito anche i sordi. “Cazzo” imprecò prima di cercare disperatamente una via di fuga. Ormai l’avevano scoperta e Morticia aveva sguinzagliato i suoi Big Jim con il perentorio ordine di trovare l’intruso e portarlo al suo cospetto.   

 
Claire mandò giù un hamburger alla velocità della luce. Non sentì il sapore e non ne percepì la consistenza, visto che praticamente non stava masticando. Prese tra le mani qualche patatina fritta, ma il suo stomaco si rifiutava di accettare altro cibo. Così prese il piatto e rovesciò il contenuto nel cestino della spazzatura. Provò nuovamente invano a rintracciare Juliet al cellulare, trovandolo sempre spento.

Stava iniziando a preoccuparsi sul serio, possibile che l’amica non le avesse mandato nemmeno un sms per comunicarle la sua posizione? Ormai era quasi certa che fosse andata al Park Inn, quindi prese la sua Colt, si infilò il giubbotto e uscì  intenzionata a raggiungerla.  L’avrebbe presa e trascinata via con la forza, se necessario. Come poteva essere così avventata da appostarsi in pieno giorno a spiare dei professionisti dello spionaggio? Il loro piano si reggeva unicamente sulla convinzione dell’Agenzia che loro fossero rientrate a Marsiglia: questo era il solo vantaggio che avevano nei confronti dell’ampia disponibilità di uomini, mezzi e strumenti dell’Agenzia e della Fondazione messe insieme. Se si fossero rivelate sarebbero finiti i giochi e avrebbero compromesso ogni possibilità di venire a capo dell’enigma in cui loro malgrado si trovavano coinvolte.

 


Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento, ho avuto una mezza idea di interrompere la fanfic: la storia era partita da  un' idea un pò datata e la trama non mi soddisfava più (mi capita sempre quando rileggo le cose a distanza di tempo). Ho anche pensato di revisionarla apportando alcune modifiche ai primi capitoli, ma infine ho deciso di lasciarla così com'è per non rischiare di snaturarne l'impianto originario. Userò i capitoli successivi per introdurre alcuni elementi che ora mi sembrano indispensabili. Tutte le idee che mi sono venute in mente in merito alle possibili modifiche le metto in un cassetto e le conservo per la prossima fanfic. Buona lettura. 

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Capitolo 13
*** capitolo 12 ***


capitolo 12

Capitolo 12

  

“Avevate garantito massima segretezza per quest’ incontro” esclamò spazientito Alexander.

“Infatti” borbottò inquieto Kanon scambiando uno sguardo preoccupato con Milo.

“Rilassatevi. Lady Pandora ha appena firmato la condanna a morte di chiunque abbia osato invadere il perimetro di sicurezza” Radamantis parlò in maniera sprezzante, terminando con una risata totalmente fuori luogo.

“Chi ha parlato di morte? Ho semplicemente ordinato di portare qui l’intruso. Non usare parole a sproposito Radamantis, i signori potrebbero prenderti troppo alla lettera”.

“Non siamo facilmente impressionabili, come ben sapete. E la sorte che attende il vostro topo in trappola non è affare che ci riguardi” sbottò Kanon.

“Ne sei certo cavaliere?” il tono sarcastico della domanda di Pandora aleggiò nell’aria senza ottenere risposta.

Julian Solo, immobile e con le braccia conserte, le lanciò uno sguardo indagatore che Pandora finse di non incrociare, voltando di proposito la testa da un’altra parte. 

Walt si mosse nervosamente sul palco, non proferì parola ma non riuscì a scacciare la crescente agitazione: aveva un pessimo presentimento.

 

Juliet si era fiondata verso il soffitto, tutte le uscite erano state bloccate e l’unica via rimasta per tornare all’esterno era il tetto: doveva raggiungerlo e fare un salto nel vuoto. Comunque fosse andata non ne sarebbe uscita incolume, minimo avrebbe riportato qualche frattura.

Un velocissimo spostamento d’aria la vece voltare, ma nella penombra non vide nessuno e proseguì nella sua arrampicata. Non riusciva nemmeno a vedere dove metteva i piedi, ad ogni passo rischiava di precipitare e cadere rovinosamente a terra, ma la paura non la fece certo rallentare. Appena vide uno spiraglio di luce che filtrava da una fessura capì di essere arrivata abbastanza in alto e provò, con la sola forza delle braccia, a spostare le travi.

“Merda, sono fissate troppo bene, devo trovarne una marcia” pensò. Si spostò lateralmente di pochi centimetri con il busto e allungò il braccio per tastare le tavole vicine, ma stranamente le parve di toccare una superficie molto liscia, troppo per essere di legno grezzo e decisamente molto fredda. Non fece in tempo a realizzare se si trattasse di metallo che una voce cavernosa, vicinissima al suo volto, le gelò il sangue nelle vene.

“Dove vai così di fretta bella bambina?”   

Sentiva il fiato sul collo e percepiva la sua presenza intorno a se, ma al buio non vedeva  l’esatta disposizione del nemico, per cui non poteva reagire e colpirlo con precisione.

“Ma che begli occhioni che hai. È un peccato usarli per spiare.” continuò in tono mellifluo.

Come diavolo riusciva a vedere i suoi occhi in mezzo all’ oscurità che li circondava? Ripensò ai Big Jim presenti nella sala, doveva certamente essere uno di loro, ma non avrebbe saputo individuare quale. Non aveva speranza di metterlo fuori gioco e fuggire in quelle condizioni, per cui decise di agire d’astuzia. Per una volta ragionò sulla tattica migliore da utilizzare e si sforzò di pensare a quello che avrebbe fatto Claire se si fosse trovata in quella situazione. Il tempo di ragionamento a dire il vero fu brevissimo perché il suo inseguitore fu lesto nell’afferrarle entrambe le braccia, immobilizzarla contro il suo corpo e trascinarla via dal soffitto ad una velocità impressionante. Quando i piedi toccarono il terreno un giramento di testa la fece barcollare e fu attanagliata da un crescente senso di nausea. Quando parlò lo fece più per disperazione che con astuzia.

“Tranquillizzati, non sono qui per spiare i vostri insulsi incontri” forse la voce le era uscita troppo dura. Così rischiava di irritarlo.

“Bene bene, quindi la tua bella boccuccia sa anche emettere dei suoni” così dicendo le passò una mano sulla bocca e scese a circondargli il collo “E dimmi allora bella bambina, come mai ti nascondevi e scappavi come una ladra?”           

Il senso di nausea era ancora più forte ora. Quella mano le toccava il collo con finta  gentilezza, in realtà era una viscida e nemmeno troppo velata minaccia di morte.

“Ho seguito mio padre fin qui” lo disse tutto d’un fiato, convinta che quella fosse l’unica frase che poteva impedire alle mani che la stringevano di strangolarla. E così fu, non si era sbagliata. Ma non aveva previsto che la reazione di un troglodita ad una frase come quella potesse essere ancora più pericolosa. Si sentì sollevare e sbattere con forza contro il muro, per un attimo smise di respirare e sentì la spiacevole sensazione della sua schiena che andava in pezzi. Ma, per quanto dolorosa, fu solo una sensazione. Chiuse gli occhi in attesa del colpo di grazia o della fine della sfuriata, e li riaprì quando sentì di nuovo il suo viso ad un centimetro dalla sua faccia, ora riusciva a scorgere i suoi occhi, che sembravano iniettati di sangue, la bocca era quella di una belva rabbiosa e la sua voce era un ringhio mentre le diceva

“Chi è tuo padre? Perché lo cerchi qui?”

“Alexander” mentì in maniera spudorata, fissandolo negli occhi con il mento sollevato, quasi a volerlo sfidare.

La parola magica era stata pronunciata, nemmeno avesse detto vade retro Satana, il Big Jim dagli occhi rossi si allontanò da lei. Continuava a fissarla con attenzione e certamente con sospetto, ma i suoi atteggiamenti erano ora molto meno aggressivi. Per un attimo Juliet pensò di avere finalmente un’ occasione per scappare, ma non fece in tempo a costruire il ragionamento che si sentì afferrare per un polso e trascinare via con forza.

“Hei, che modi!” si lamentò, ma in realtà si sentiva sollevata, meglio trascinata per un polso che per il collo. Forse non tutto era perduto.

Prima di entrare nella sala e salire sul palco che fino a pochi minuti prima stava spiando, sentì il suo aguzzino dire ad un altro Big Jim di annunciarli, specificando l’identità dell’intrusa. Bene, questo se non altro le garantiva un ingresso con un minimo di protezione, almeno da parte di Walt e, forse, di Alexander.

 

Kanon e Milo parlavano tra di loro, mentre Alexander tentava invano di impedire che Walt consumasse il pavimento del palco a furia di camminare avanti e indietro. Julian Solo teneva sempre le braccia conserte, non un solo muscolo del suo corpo si era mosso in quei minuti, sembrava una statua, non fosse per gli sguardi che si scambiava con Syria  e per le occhiate sprezzanti che ogni tanto lanciava in direzione di Pandora e Radamantis.

Il clima era quello tipico dell’attesa: carico di tensione ma non eccessivamente nervoso, salvo la reazione poco composta di Walt.

Finalmente dal pesante tendone in fondo alla sala fece il suo ingresso uno degli uomini incaricati di trovare l’intruso. Si avvicinò velocemente al palco e si inginocchiò di fronte a Pandora, attendendo il permesso di parlare, che non tardò ad arrivare

“Ebbene, che notizie ci porti?”

“Mia Signora, abbiamo catturato l’intruso”

“Vi dissi di portarlo al mio cospetto se non erro, quale parte del mio ordine non avete assimilato?” rispose con durezza

“Mia Signora, abbiamo ottenuto dall’intruso informazioni circa la sua identità e abbiamo pensato di comunicarvele prima di portarlo al vostro cospetto, in modo da potergli riservare l’accoglienza più adeguata”

La curiosità di Pandora si accese e, con un ghigno sulle labbra, incalzò il suo sottoposto

“Riferisci pure ad alta voce ciò che avete scoperto, in modo che anche i nostri ospiti possano sentire”

“L’intruso, o meglio… l’intrusa, afferma di essere la figlia del signor Alexander”

La risata di Pandora coprì l’imprecazione di Walt, mentre Alexander rimase apparentemente impassibile. Kanon cercò di intuire i pensieri di Milo attraverso il suo sguardo, ma vi scorse solo un’inaspettata freddezza. Possibile che in poche settimane il suo amico forse tornato ad essere lo spietato Cavaliere di un tempo?

Pandora si riprese presto dalla sua ilarità e, senza richiedere l’approvazione di nessuno, ordinò

“Portatela qui, con buone maniere, i figli dei nostri ospiti meritano rispetto”

 

Juliet non riusciva a sentire quanto accadeva all’interno della sala, capì che era arrivato il momento del suo ingresso sul palco quando due Big Jim assatanati la presero per i polsi e la accompagnarono forzatamente oltre i pesanti tendaggi rossi. Aveva velocemente elaborato un piano ed era certa che avrebbe trovato l’appoggio incondizionato di Walt anche senza un previo accordo, mentre nutriva forti dubbi su Alexander: non conosceva le vicende in cui era stato coinvolto negli ultimi due anni e non riusciva a capire le ragioni per le quali avesse finto la sua morte e per così lungo tempo avesse taciuto la verità persino a sua figlia. In realtà trovava questo particolare imperdonabile. Ma, vista la criticità della situazione, al momento si sarebbe trattenuta dall’esternare la sua rabbia nei suoi confronti.

Purtroppo appena salì sul palco e si trovò davanti la faccia tranquilla, fredda e impassibile di Alexander tutti i suoi buoni propositi andarono in fumo e la sua testa calda ebbe il sopravvento su tutto.

Non degnò di uno sguardo Walt che, in evidente stato di agitazione, le lanciava segnali calmanti, ignorò il musico e il  nobile incontrati al bar che la fissavano con evidente stupore,  finse di non vedere lo sguardo di muta disapprovazione di  Kanon, che lei reputava saccente e arrogante, si accorse solo di sfuggita che il tizio bellissimo che era arrivato in compagnia di Alexander e Walt la fissava con sollievo, o forse delusione, non riusciva ad interpretare la sua espressione;  l’unica cosa che aveva in testa era la gran faccia di bronzo di Alexander e fu questa l’unica ragione che le fece perdere il controllo:

 “Sei un gran bastardo! Come hai potuto fare una cosa del genere a Claire? Ma che razza di uomo sei? Che razza di  padre può arrivare ad agire in maniera tanto meschina nei confronti di sua figlia?”

Cercava disperatamente di liberarsi i polsi dai due che ancora la tenevano stretta, ma intanto urlava il suo disprezzo con tutto il fiato che aveva in gola.

Alexander non ebbe nessuna apparente reazione.

“Rispondimi!!! Non hai niente da dire?”

“Quello che ha da dire non lo deve dire a te, visto che a quanto pare tu non sei sua figlia, o mi sbaglio?” Pandora si intromise nella sua sfuriata.

“Fatti i cazzi tuoi, Morticia” fu la risposta secca e immediata di Juliet, innalzando la tensione della sala ai massimi livelli.

La reazione di Pandora fu inaspettata rispetto all’affronto subito: scoppiò in una lunga e profonda risata. Nessuno riusciva a comprendere la ragione di tale ilarità. Alle parole di insulto di Juliet, Kanon aveva fatto un passo avanti, pronto ad intervenire in caso di necessità, ma quando vide la reazione di Pandora si bloccò.

Appena smise di ridere, Pandora ordinò ai suoi uomini di liberarle i polsi e questi, seppure con riluttanza, si allontanarono. Quindi Pandora si avvicinò a Juliet e iniziò ad osservare in silenzio i suoi lineamenti. Juliet la fissava con astio, ma decise di non fare altre mosse azzardate prima di capire chi aveva esattamente di fronte. Si era accorta della reazione e del movimento di Kanon dopo il suo precedente sfogo e l’ultima cosa che voleva era dare inizio ad una battaglia su un campo sconosciuto e probabilmente minato. Ma il silenzio e la freddezza di Alexander continuavano a darle sui nervi, ancor più del comportamento della sosia di Morticia. Lo sguardo ironico che quest’ultima le stava lanciando non prometteva niente di buono e infatti quando si espresse lo fece rivolgendosi ad Alexander, come se Juliet non fosse nemmeno presente

“Sai Alexander, non credo che sarebbe comunque riuscita ad ingannarmi circa la sua identità. E non tanto perché non ti somigli, ma perché assomiglia troppo a suo padre e ai suoi …”

Non riuscì a terminare la frase perché Juliet in un attimo le fu addosso, senza nessun preavviso. Le si scagliò contro e finirono entrambe a terra.

“Cosa ne sai tu di mio padre!” avrebbe voluto dire dell’altro e avrebbe voluto delle risposte, ma non ottenne niente di tutto ciò perché due mani enormi la afferrarono per i fianchi e la scaraventarono lontana, facendola sbattere violentemente contro un’impalcatura di ferro. Ora aveva la schiena definitivamente a pezzi. Si rialzò a fatica e vide Kanon frapporsi tra lei e l’autore di tale violenza, che aveva tutta l’intenzione di non fermarsi.

Fu Morticia a fermarlo

“Basta così Radamantis”

“Mia Signora …”

“È un ordine”

Ma Juliet non approfittò della sua buona stella e azzardò un’altra mossa poco avveduta

“Bravo Lurch, ubbidisci a quella troia della tua padrona”

Walt ebbe un mancamento e fu sorretto dal musico, Kanon si voltò e la fulminò con lo sguardo ma Juliet non aveva nessuna intenzione di fermarsi

“Se scopro che in qualche modo hai avuto a che fare con la morte di mio padre…”

Radamantis fu velocissimo, in un attimo aveva le mani sul suo collo e l’istante successivo Juliet sentì un colpo sordo sulla sua guancia destra, talmente forte che la stordì e la buttò nuovamente a terra

“Non osare minacciare la mia signora"

Kanon fremeva di rabbia per quanto accaduto, sarebbe voluto intervenire ma Alexander, per qualche ragione che lui non riusciva a comprendere, l’aveva trattenuto. Nuove urla attirarono improvvisamente la sua attenzione

“Puttana, la mia mano!” Radamantis si teneva la mano destra, dalla quale scorreva copiosa una grossa quantità di sangue, un paletto metallico trapassava le carni da parte a parte, probabilmente perforando l’osso. La cosa più preoccupante era l’aura che si espandeva proporzionalmente all’ira nei confronti di Juliet, vittima designata della sua vendetta.

Pandora si intromise di nuovo

“Radamantis allontanati immediatamente da lei” il tono non ammetteva repliche.

A quel punto Alexander decise finalmente di intervenire e lo fece rivolgendosi a Kanon

“Devi portare Juliet fuori di qui. Tornate al Park Inn. Noi vi raggiungeremo appena possibile”

Kanon si fidava ciecamente di Alexander e, seppure non fosse a conoscenza delle motivazioni, era certo che la sua fosse la decisione più saggia. Il problema era che Juliet non sembrava dello stesso avviso  

“Credi di potermi trattare come un pacco postale? Io uscirò di qui quando deciderò di farlo, non prima”

Alexander ora la guardava con apprensione, si era rialzata a fatica, i segni dello schiaffo erano ben visibili sul suo volto, un rivolo di sangue le scendeva dalle labbra, nonostante continuasse ad asciugarlo con il dorso della mano. Era riuscita a colpire Radamantis nel momento stesso in cui lui l’aveva colpita: aveva fatto ciò che molti cavalieri nel corso della storia non erano riusciti a fare, e ne era uscita indenne, per ora. La sua scorta giornaliera di fortuna poteva essere esaurita. Fu Kanon a parlare per lui, anche se in maniera molto dura

“Stolta, potresti non avere una seconda occasione”

E in maniera altrettanto dura la prese e la trascinò fuori dal teatro.


x Marty 89: grazie per i complimenti, in effetti il rapporto Juliet-Kanon avrà presto interessanti sviluppi...  Per l'incontro tra Claire e Milo c'è da pazientare ancora un pochino.

Chiedo scusa per il ritardo con cui sto aggiornando la storia, spero di rimediare con i prossimi capitoli.

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Capitolo 14
*** capitolo 13 ***


capitolo 13

Capitolo 13

Fu scaraventata con malagrazia nei sedili posteriori di un’auto scura di cui non riuscì a registrare il modello, ferma ad attenderli fuori dal teatro. Nonostante le sue colorite proteste, Kanon continuava a tenerla saldamente per i polsi, torcendoglieli dietro le schiena, che manteneva incollata al suo petto, mentre lei era seduta in maniera scomposta sulle sue gambe, senza possibilità di movimento, salvo quella di calciare in direzione dell’autista, rischiando in quel caso di far finire l’auto fuori dalla carreggiata.

“Ora taci e stai ferma, ragazzina” le intimò sprezzante

Il tono di scherno con il quale le si era rivolto andò dritto ad intaccare le sue terminazioni nervose. Si dimenò e tentò di fare presa sul sedile anteriore allungando le gambe, ma la sua mossa venne prontamente bloccata da Kanon, che, mentre con una mano continuava a tenerle fermi i polsi dietro la schiena, con l’altra l’afferrò sotto il collo e la mise a faccia in giù lungo il sedile posteriore, le gambe immobilizzate, bloccate tra le sue.

“A quanto pare l’obbedienza non è il tuo forte, agente. Quando do un ordine pretendo che venga rispettato, se non lo fai è ora che impari a subirne le conseguenze. Con me i tuoi  giochetti pseudo anarchici non funzionano”.

Juliet aveva una gran voglia di insultarlo, ma la faccia premuta sul sedile le impediva persino di respirare. Tentò di ruotare la testa da un lato, ignorando il dolore pulsante sulle labbra e sulla guancia, vivido ricordo dello schiaffo ricevuto da Radamantis, ma il gemito di dolore che le sfuggì fece allentare la presa sul suo collo da parte di Kanon. Il tanto necessario da permetterle di parlare

“Tu non sei nessuno per darmi ordini, stronzo”

“Ma che linguaggio raffinato” la derise Kanon “Comunque in questo momento non mi sembri nella posizione di controbattermi, per cui, te lo ripeto, taci”

Stava forse cercando di umiliarla? La teneva in quella posizione e le intimava con arroganza di tacere, quasi fosse un insetto fastidioso da schiacciare, ma non aveva fatto i conti con il suo temperamento, tutt’altro che docile e arrendevole.

“Cavaliere dei miei stivali, ti sembra questo il modo di trattare le signore?”

Signore dici? Io qui non ne vedo. Vedo solo una ragazzina insolente che gioca pericolosamente con la mia pazienza”

Una frenata interruppe la loro diatriba e l’autista annunciò l’arrivo a destinazione.

Kanon la trascinò bruscamente fuori dall’auto, tenendola sempre stretta contro il suo corpo e non permettendole il minimo movimento.

“Non pensare nemmeno per un attimo di allontanarti perché ti assicuro che te ne farei pentire” le sussurrò all’orecchio mentre percorrevano la hall del Park Inn.

Un brivido corse lungo la schiena di Juliet quando sentì il suo fiato caldo sul collo, ma non seppe definire con certezza se si trattasse di paura.

 

 

Nessuno dei due si accorse che la scena del loro arrivo era stata seguita a distanza.

“Accidenti, è peggio di quanto pensassi” imprecò Claire, arrivata sul luogo d’appostamento circa venti minuti prima.

Juliet era nelle loro mani. Non in un paio di mani qualsiasi, ma in quelle di Kanon! Riuscire a tirarla fuori di li senza il supporto di nessuno era altamente improbabile, per non dire impossibile, ma doveva almeno trovare il modo per mettersi in contatto con lei. 
Il fatto che Juliet si trovasse all’interno delle mura “nemiche” non era del tutto negativo, poteva diventare una fonte di informazioni privilegiata, doveva solo capire attraverso quali canali farle circolare. 
Avevano dei codici prestabiliti per comunicare tra di loro nelle missioni a rischio, ma con Kanon alle costole sarebbe stato difficile per Juliet metterli in pratica. Poi Walt conosceva tutte le loro tecniche, e ne avrebbe certamente anticipato le mosse. Doveva inventare qualcosa al più presto, altrimenti il loro piano poteva dichiararsi già fallito. 
Dal canto suo era certa di conoscere la prossima mossa di Walt: avrebbe in ogni modo tentato di strappare a Juliet informazioni utili alla sua localizzazione. Doveva lasciare immediatamente l’hotel in cui alloggiavano, non che non si fidasse di Juliet, era certa che l’amica non l’avrebbe mai tradita, ma non era sicura dei mezzi che avrebbero utilizzato per renderla maggiormente collaborativa: potevano essere abbastanza stolti da “danneggiare” un operativo come Juliet per estorcerle informazioni. La presenza di cavalieri come Kanon poi non era affatto rassicurante. Sapeva, per esperienza personale, che in determinate circostanze i cavalieri del suo rango non guardavano in faccia nessuno, erano spietati e letali, fedeli solo ai propri ideali ed alla loro dea.

                                                                    

Non vedeva e non sentiva Milo dal giorno della sua partenza da Londra. Era passato quasi un mese e i ricordi degli attimi passati insieme erano vividissimi nella sua mente. Ripensava al momento dei saluti nel bagno dell’aeroporto, ai baci e alle carezze che si erano scambiati, alle promesse di rivedersi …  Ma niente di ciò che era stato avrebbe potuto ripetersi. Aveva cancellato il suo numero appena arrivata a Bruxelles e, una volta rientrata a Marsiglia,  aveva distrutto la sim card che utilizzava a Londra. Aveva bisogno di concentrarsi sulla ricerca di suo padre e non poteva permettersi nessuna distrazione. Si era sentita in colpa per giorni al suo rientro: mentre lei passava dei momenti indimenticabili in compagnia di un uomo meraviglioso, suo padre era, per essere ottimisti, come cercava di convincerla la sua amica Juliet, quantomeno in difficoltà da qualche parte del mondo.

E ora la sorte si prendeva nuovamente gioco di lei: Juliet aveva trovato tracce di suo padre, o di qualcuno che si era spacciato per lui, proprio nel paese in cui aveva promesso di recarsi quel giorno in aeroporto, la Grecia. Precisamente ad Atene. 

I piani erano molto semplici: lei si sarebbe recata ad Atene e avrebbe svolto il lavoro operativo mentre Juliet l’avrebbe supportata attraverso un ruolo di intelligence dall’interno dell’Agenzia, a Marsiglia. Per una volta si sarebbero invertiti i loro ruoli, ma non poteva demandare a Juliet l’operatività della missione che riguardava la scomparsa di suo padre.

L’unico dubbio riguardava il coinvolgimento di Walt, troppo rischioso nel caso in cui avessero dovuto agire al di fuori delle regole, quindi decisero di tenerlo all’oscuro di tutto, almeno nelle fasi iniziali. Nessun altro all’interno dell’Agenzia doveva essere messo al corrente del piano, d’altronde se fino a quel momento le informazioni su Alexander erano rimaste blindate ai livelli superiori, ciò significava la non disponibilità a condividere, a cooperare o a cercare una soluzione da parte dei vertici. Un muro di gomma, dietro al quale si celavano i dettagli di una missione top secret.

Ufficialmente Claire sarebbe andata a Malta per un corso di aggiornamento, ma la copertura di Juliet le avrebbe garantito la possibilità di spostarsi lungo tutto il mediterraneo senza che l’Agenzia si accorgesse dei suoi movimenti.

Partì da Marsiglia i primi di marzo e, dopo una sosta obbligata a Malta, arrivò ad Atene pochi giorni prima dell’inizio della primavera.

Le sarebbe piaciuto alloggiare fuori dalla città, in una di quelle case bianche  sulle colline circondate dalla macchia mediterranea, dagli agrumeti e dagli ulivi. Da quelle case si poteva sentire il rumore delle onde infrangersi sugli scogli e i profumi della salsedine si mischiavano a quelli dei fiori d’arancio e del cisto. Il clima era leggermente più mite di quello di Marsiglia e sulle spiagge iniziavano a vedersi i primi bagnanti, patiti dell’abbronzatura e temerari dei tuffi nelle acque non proprio tiepide. Ma la sua missione non le permetteva tali distrazioni, Juliet le aveva prenotato un albergo in pieno centro, vicino alla sede legale di una fondazione che doveva tenere sotto controllo. A quanto pare l’ultima traccia lasciata da suo padre prima di sparire nel nulla fu un bonifico bancario a beneficio di una fondazione, quindi era da li che sarebbero iniziate le sue indagini.  

Arrivata al suo albergo, si accorse che il quartiere era denso di uffici di rappresentanza di società finanziarie e non poté fare a meno di pensare a Milo. Guardò in direzione dei palazzi e si aspettò di vedere da un momento all’altro il suo volto affacciato da una di quelle finestre. Ma i suoi sarebbero rimasti soltanto sogni, perché le ragioni del suo viaggio in Grecia erano incompatibili con le sue fantasticherie, e si sforzò di tornare alla realtà.

 

Prima di essere totalmente soprafatta dai ricordi, si allontanò dal luogo d’appostamento per andare a recuperare i bagagli, cancellare le tracce e cambiare alloggio. Se fosse rimasta ancora qualche minuto avrebbe scorto una grossa auto blu accostare al Park Inn e ne avrebbe visto scendere i protagonisti dei suoi pensieri.


Juliet si osservava attraverso lo specchio dell’ascensore e non poteva credere  che la persona  riflessa fosse proprio lei. Aveva la sciarpa sporca di sangue e sul suo volto erano evidenti i segni, ormai violacei, del colpo subito.  Il suo costosissimo giubbotto era strappato in più punti e i suoi capelli, sciolti dall’elastico che li teneva raccolti, erano totalmente scompigliati, tanto che in alcuni punti sembravano arruffati.

All’ingresso aveva notato su di se gli sguardi del personale dell’albergo e aveva letto nei loro occhi il disgusto mentre la squadravano con sufficienza, ora capiva il perché, certamente l’avevano scambiata per una tossica raccolta dalla strada,  se non peggio.

Kanon la teneva saldamente inchiodata al suo corpo, quasi avesse paura che lei sgusciasse fuori da un momento all’altro, ma per andare dove poi? Si era accorto che erano chiusi in una scatola di pochi metri quadri?

L’ascensore si fermò al decimo piano e immediatamente si sentì spingere fuori

“Cammina e non fare scenate, almeno fino a che non saremo arrivati in stanza” le intimò duramente.

Juliet si sforzò di non rispondere, ma nella sua testa immaginava e pregustava i modi in cui gli avrebbe fatto pagare tutte quelle umiliazioni.

Appena arrivarono in stanza Kanon la sospinse malamente sul letto e chiuse immediatamente la porta a chiave dietro di se. La camera era in realtà una suite di lusso, certo che l’Agenzia ne aveva di soldi da buttare, o forse era la Fondazione a pagare il conto? Ad ogni modo tutto quel lusso riservato ad uno come Kanon lei non riusciva proprio a capirlo

“Come dare le perle ai porci” si lasciò sfuggire

Kanon la guardò di sbieco mentre si toglieva la giacca e la appoggiava sullo schienale di una poltrona.  

Indossava un dolcevita blu scuro che aderiva perfettamente ai muscoli del suo corpo, mettendoli in evidenza. Juliet deglutì, doveva ammettere che Kanon era bello quasi quanto era stronzo.

Il telefono in camera iniziò a squillare e Kanon alzò la cornetta, rispondendo a monosillabi a qualcuno che, dall’altro capo del filo, stava evidentemente tempestandolo di domande. Walt o Alexander, ci avrebbe giurato. Mentre Kanon ascoltava in silenzio le indicazioni del suo interlocutore, lei si ricordò di avere con se il cellulare, spento. Avrebbe potuto usarlo per comunicare con Claire, ma a questo punto era troppo rischioso. Se lo avessero trovato i suoi colleghi, l’avrebbero usato per rintracciare la sua amica, doveva sbarazzarsene al più presto. Appena Kanon posò il ricevitore, gli si rivolse con finta innocenza

“Avrei urgenza di usare la toilette, posso?”

Kanon la osservò per un attimo con sospetto, sembrava valutare se acconsentire o meno, allora per convincerlo decise di mostrarsi un po’ più sofferente, ottenendo una risposta molto secca

“Non c’è bisogno che fingi di stare male, al bagno puoi andarci lo stesso, siamo al decimo piano e non credo tu sia così pazza da saltare dalla finestra”

Non era cascato nella sua sceneggiata, oltre che bello e stronzo era anche molto astuto, ma lei non aveva tempo per stare a dibattere con lui, quindi in silenzio si alzò e si diresse in bagno.  

Appena dentro, chiuse la porta e aprì un rubinetto a caso. Sfilò il telefono dalla tasca e lo smontò, buttando nel wc la sim card e altre piccole parti elettroniche. Aprì la finestra e scaraventò fuori le parti più esterne. Non dovevano sospettare che avesse addosso un cellulare al momento della cattura, per cui doveva farne sparire  tutti i pezzi, o quantomeno doveva allontanarli da se.   

Aveva ancora la finestra aperta quando un rumore sordo dietro di lei la fece voltare bruscamente: Kanon aveva divelto la porta e si avvicinava a lei con aria minacciosa. Quando lo vide alzare un braccio nella sua direzione istintivamente chiuse gli occhi e si coprì il volto con la mano. Ma non successe niente di quello che temeva, Kanon oltrepassò la sua testa e chiuse di scatto la finestra. Quando riaprì gli occhi si trovò di fronte il suo volto stupito, occhei forse aveva avuto una  reazione difensiva un tantino esagerata, ma dopo quanto successo nelle ore precedenti non aveva nessuna voglia di incassare altri colpi.

Poi Kanon fece una cosa che non si sarebbe mai aspettata, le prese il braccio che lei continuava a tenere alzato e lo allontanò dal volto, mentre con  l’altra mano le tastò delicatamente i segni viola lasciati da Radamantis

“Ci è andato giù pesante, quel bastardo”

Le sembrò di sentire un tremore nella sua voce, ma forse fu solo un impressione. 
Lo vide aprire l’armadietto dei medicinali e tirar fuori un sacchetto di ghiaccio sintetico

“Sta ferma. Ti metto un po’ di ghiaccio”

Juliet non era ferma, era immobile. Non riusciva a credere che l’uomo che le stava posando il ghiaccio sulla guancia fosse lo stesso che pochi minuti prima la trattava con fredda arroganza. Quando le premette il ghiaccio vicino al labbro, sopra la parte ferita, Juliet sussultò. Lui se ne accorse e allentò la pressione. Il silenzio stava diventando imbarazzante, fino a che si trattava di far fronte alla sua prepotenza, Juliet era in grado di cavarsela egregiamente, ma di fronte a questo inaspettato lato del suo carattere lei non aveva capacità di reazione, era come soggiogata, dai movimenti della sua mano, dal suo sguardo. Cos’era quella attenzione che gli leggeva negli occhi? Possibile che si stesse preoccupando per lei?

Fu lui ad interrompere il silenzio

“Credevo ti volessi buttare dalla finestra. Per questo sono entrato nel bagno in quel modo”

Si stava giustificando per la sua irruenza? Pensava di avere già capito tutto di Kanon, ma ogni gesto che faceva metteva in discussione le sue teorie. Tuttavia doveva mantenere alta la guardia

“Avevo solo bisogno di un po’ d’aria. Sai com’è, non sono abituata a sentirmi dire cosa devo o non devo fare”

“Sarà ora che ti ci abitui Juliet”

La voce provenne dalla stanza accanto e li fece voltare entrambi. 
Walt e Alexander erano rientrati e i loro sguardi non promettevano niente di buono.


x Scarlet: spero che Sherlock Holmes abbia trovato interessanti indizi....

x Marty89: il capitolo è arrivato presto, ma ancora non c'è l'incontro tra Milo e Claire, per ora continuano a viaggiare su binari paralleli. In compenso spero di aver reso bene l'incontro-scontro  tra Juliet e Kanon. 

x Titania76: ti ringrazio per la recensione, devo dire che la questione del titolo mi ha lasciato dei dubbi fin dall'inizio: ho avuto difficoltà perchè quando ho scelto il titolo la storia era completamente in fieri e non volevo dare indicazioni precise che poi mi avrebbero legata in seguito, ma forse quello che ho scelto si è rivelato fuorviante :(  
Soprattutto grazie per l'appunto sull'età, in effetti  Claire dovrebbe avere 22 anni all'epoca del suo incontro con Milo,  altrimenti non reggerebbe nemmeno la scusa della tesi di laurea... Correggo subito il terzo capitolo! Grazie

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Capitolo 15
*** capitolo 14 ***


cap14

Capitolo 14


Era ad Atene da soli tre giorni ed aveva già trovato un modo per stabilire un primo contatto con la Fondazione a cui riconducevano le tracce di suo padre.

Juliet non era ancora riuscita a capire di cosa si occupasse esattamente la Fondazione in questione. Dalle prime ricerche effettuate aveva avuto il sospetto che gli scopi reali fossero ben diversi da quelli dichiarati, e che accanto alla facciata filantropica se ne affiancasse una più occulta, che niente aveva a che vedere con la beneficenza.

Claire decise di sfruttare questa doppiezza a proprio vantaggio.

A quanto pare, tra le attività istituzionali di facciata, la Fondazione promuoveva attività di studio e ricerca culturale, finanziando progetti sulla storia e l’archeologia dell’antica Grecia. Un progetto in particolare era in procinto di partire in quei mesi: un campo intensivo di archeologia subacquea nelle coste di Atene, per il rilevamento ed  il recupero di alcuni importanti reperti sommersi.

Le sue conoscenze in campo archeologico erano piuttosto scarse, ma come subacquea non avrebbe avuto rivali: all’interno dell’agenzia aveva fatto parte del nucleo sommozzatori, quindi aveva conseguito i brevetti avanzati ed era abilitata ad effettuare immersioni fonde e immersioni tecniche.

Juliet le aveva costruito una copertura perfetta: avrebbe finto di essere un’ archeologa subacquea appartenente al gruppo di ricerca dell’Università di Malta.

Fu così che si presentò agli uffici della Fondazione e si introdusse all’interno dell’organizzazione senza destare sospetti.

Durante la prima settimana faticò non poco a celare ai suoi colleghi di ricerca la sua quasi totale ignoranza in campo archeologico. Le poche nozioni di storia antica che aveva acquisito risalivano ai tempi del liceo, quindi per evitare di essere smascherata mantenne un profilo defilato, pochi contatti umani - giusto lo stretto necessario per non sembrare maleducata - e zero interventi non richiesti.

Riuscita a passare inosservata durante la fase di preparazione teorica, recuperò terreno nel corso della seconda settimana, quando il progetto entrò nel vivo della ricerca, e prese il via  la parte pratica del rilevamento.

Le sue capacità subacquee furono immediatamente notate e venne nominata assistente guida già alla terza immersione. Per i suoi scopi questa era una posizione di privilegio, perché le avrebbe permesso la consultazione indisturbata del database e garantito l’accesso al sistema informativo interno, il tutto totalmente autorizzato dai docenti e dai responsabili del progetto di ricerca.

Era la chiave d’accesso di cui aveva bisogno Juliet per potersi infiltrare a distanza nel sistema.

Nel giro di tre settimane Claire recuperò decine di informazioni che in qualche modo riportavano a suo padre, tutte di origine finanziaria. Suo padre, periodicamente e a cadenze regolari, versava sul conto della Fondazione migliaia di euro, con la causale “contributo per attività di ricerca”.    

Riteneva di conoscere abbastanza suo padre per valutare non credibile un tale dispendio di risorse per una presunta passione per la Grecia antica. Quindi la prima cosa su cui indagare era il reale oggetto di destinazione di tanto denaro.

Ma il dettaglio che la sconvolse più di tutte fu la data di transazione di quei bonifici: il primo risaliva a qualche anno prima e l’ultimo …  portava la data del giorno prima!

Se in poche settimane erano riuscite agevolmente ad impossessarsi di così tanti dati, il tutto faceva presagire che entro la fine della primavera avrebbero ottenuto abbastanza informazioni per venire a capo dell’enigma, soprattutto ora che avevano la certezza di essere sulla pista giusta. Finalmente Claire sentì di potersi concedere uno spiraglio di ottimismo e questo la fece stare bene, nonostante tutto.

Da quando era ad Atene non si era mai concessa un momento di relax ed ora, per festeggiare i risultati raggiunti, decise di ritagliarsene uno. Prese un intero pomeriggio libero, e decise di passarlo al mare. Aveva adocchiato una scogliera con dei fondali mozzafiato e voleva immergersi per verificare quanto fossero profondi. Sapeva bene che le regole di sicurezza imponevano l’obbligo di immersione in coppia, ma aveva voglia di stare da sola e, francamente, la scarsa abilità dei suoi colleghi non le sarebbe stata di nessun aiuto in caso di pericolo.

Scelse il luogo in cui il fondale sembrava più profondo, indossò la muta ed iniziò a montare l’attrezzatura. La bombola non era completamente carica, ma per il tipo di immersione che si accingeva ad effettuare, sarebbe stata sufficiente. Controllò un’ ultima volta il corretto funzionamento dell’erogatore e si tuffò. Scese fino alla profondità di ventitré metri e iniziò l’esplorazione del fondale. Passò qualche minuto a giocare con i pesci, variopinti e numerosissimi,  fino a che non scorse una grotta in lontananza.

Pinneggiò velocemente in quella direzione e, quando giunse a ridosso dell’imboccatura, si accorse che l’accesso alla grotta era ostacolato dalla presenza di una spessa grata di ferro. Trasalì al pensiero che quella potesse essere stata una prigione, ma tentò comunque di trovare una via di ingresso secondaria. Dopo diversi minuti si arrese alla conclusione che non esistevano altre vie d’accesso subacqueo a quella grotta e, data un’occhiata al manometro e vista la poca quantità d’aria residua, decise di risalire in superficie.

Appena riemerse si accorse che le condizioni del mare erano peggiorate a causa di un forte vento e a fatica cercò di tornare verso la scogliera. L’acqua rendeva scivolose le rocce e nonostante gli sforzi non riusciva a trovare un appiglio. La spiaggia più vicina si trovava a qualche miglia di distanza e proprio mentre pensava di nuotare in quella direzione si sentì afferrare saldamente per le spalle e tirare su. In un attimo si ritrovò fuori dall’acqua, al sicuro tra le rocce asciutte. Si voltò per ringraziare la persona che l’aveva gentilmente aiutata, ma le parole le morirono in gola. In piedi davanti a lei c’era il tizio con cui si era scontrata all’interno dell’ambasciata francese a Londra, stavolta vestito in maniera “normale”. La guardava con aria severa e infatti le parole che le rivolse non furono troppo affettuose

“Solo un pazzo può pensare di immergersi da solo in un posto come questo. Si voleva per caso suicidare?”

Claire non rispose. Le balenò alla mente che aveva ancora la muta indosso, con il cappuccio completamente chiuso, la maschera poi le copriva il resto del volto, quindi in teoria lui non poteva averla riconosciuta. E il suo istinto di conservazione le suggerì che sarebbe stato pericoloso per lei se lui l’avesse riconosciuta. Quindi iniziò a gesticolare, facendogli credere di essere una turista ignara della lingua. Lui prontamente le tradusse in inglese quanto detto prima, aggiungendo qualche altro epiteto poco carino. Claire finse di non capire nemmeno l’inglese e lui desistette, esclamando

 “Idioti turisti”  prima di allontanarsi scuotendo la testa.

Un altro tassello del puzzle che l’aveva portata in Grecia si era ricomposto proprio davanti ai suoi occhi: l’uomo che a Londra aveva disintegrato i documenti sui quali sperava di trovare informazioni sulla scomparsa di suo padre si trovava, guarda caso, ad Atene.

Attese pazientemente che lui si allontanasse abbastanza, dopo di che si sfilò l’attrezzatura e la muta. Scrollò la testa nel vano tentativo di  ridare forma umana ai capelli arruffati e non si accorse che la sua chioma bionda veniva osservata da poco lontano con evidente stupore.  

 

 
Walt sollevò il coperchio del wc, aprì tutti gli armadietti e iniziò a svuotare il cestino della spazzatura, frugando bene con le mani alla ricerca di qualcosa

“Dove l’hai nascosto?” si rivolse direttamente a Juliet, che intanto si era spostata dalla zona della finestra, avvicinandosi ad Alexander con aria di sfida, mentre Kanon riponeva il ghiaccio sintetico all’interno della cassetta del pronto soccorso.

“Cosa cerchi esattamente Walt?”

“Lo sai perfettamente”

“Mmhhh … forse un preservativo usato?”

Il disinfettante sfuggì dalle mani di Kanon e scivolò a terra, facendo sorridere Juliet. Era sempre molto divertente mettere in imbarazzo Walt, ma questa volta aveva colto doppiamente nel segno. Solo Alexander sembrava aver ignorato la sua uscita e infatti fu lui a risponderle

“Sta cercando il tuo telefono, quello che avevi in tasca prima di arrivare qui”

“Errato. Quello che avevo in tasca prima che qualcuno mi trascinasse qui con la forza”

“La tua precisione mi colpisce. Dunque che fine ha fatto esattamente il cellulare?” Alexander aveva certamente intuito qualcosa, ma voleva accertarsi di quanto il telefono fosse compromesso.

“Oh, il telefono, che sbadata! Si è rotto …” disse con finto dispiacere

“Sappiamo che l’hai fatto a pezzi, quello che ci devi dire è dove li hai gettati” Walt  stava mettendo il bagno sottosopra alla ricerca disperata di un qualsiasi componente elettronico da cui provare a rintracciare la posizione di Claire.

Kanon la guardò con aria truce, come se si fosse appena reso conto di qualcosa

“L’ha gettato dalla finestra” disse a denti stretti

“Ma non prima di essersi sbarazzata della sim attraverso lo scarico del wc, giusto Juliet?” la incalzò Alexander

 “Almeno siete sicuri di ritrovarla nelle fogne di Berlino, no?”

Alexander sospirò.

“In questo modo non otterremo niente. Kanon, Walt, ho bisogno di parlarvi in privato, seguitemi”

“Dio salvi la privacy sulla terra” commentò sarcasticamente Juliet, ottenendo in cambio un grugnito di Walt e un’altra occhiataccia di Kanon.

Walt e Alexander uscirono dalla stanza d’albergo seguiti da Kanon, lasciandola sola a meditare indisturbata sulle possibilità di scappare da quel posto. Doveva uscire di li prima che a quei tre venisse in mente un metodo, più o meno indolore, per cercare di strapparle informazioni.

Dopo pochi minuti, proprio mentre iniziava a pensare ad un piano di fuga, la porta della stanza si riaprì per lasciarvi entrare il ragazzo bellissimo che aveva visto al teatro al fianco di Alexander. A giudicare dal portamento doveva essere un pari grado di Kanon. Avevano la stessa aria da cavaliere senza macchia e senza paura, dietro la quale nascondevano la presunzione e l’ arroganza di chi è convinto di essere tra i pochi eletti dell’universo.

Passò alcuni istanti ad osservarlo in silenzio, mentre lui, fingendo palesemente di ignorarla, ostentava totale disinteresse nei suoi confronti. Si era avvicinato alla vetrata da cui si accedeva al balcone della camera e, senza dire una parola,  in piedi e dandole le spalle, se ne stava immobile ad osservare fuori.

”Hanno mandato il cane da guardia?” lo stuzzicò

Aspettava la sua risposta pungente per controbattere, ma rimase sorpresa quando in cambio ricevette solo uno sguardo divertito.

“Trovi divertente il fatto che io sia qui contro la mia volontà?”

Lo sguardo si fece serio quando rispose

“No”

Sembrava sincero.

“Allora cosa dici di darmi una mano ad uscire da questa spiacevole situazione?”

“Non posso, mi dispiace”

Il tono era irremovibile, non era tipo da lasciarsi convincere da quattro moine, accidenti.

La porta si riaprì e rientrò Kanon. La ignorò completamente e si rivolse all’altro

“Qui ci penso io Milo, va pure se vuoi”

Una molla scattò nella testa di Juliet

“MILO??? Quel MILO? Milo il bastardo?”

 Milo trasalì a quelle parole, immaginando chi lo avesse connotato in quel modo.

“Taci!” le intimò Kanon.

“Fottiti” rispose Juliet lasciandoli entrambi di stucco.

Milo non aveva mai sentito qualcuno rivolgersi in quel modo a Kanon. Almeno qualcuno che l’avesse fatta franca, poi. Ma la dose nei suoi confronti non era ancora esaurita

“Così tu saresti il cavaliere senza macchia e senza paura che ha rivolto contro Claire il suo colpo più potente …”

Lo stomaco di Milo subì un movimento impercettibile, eppure nessuno l’aveva colpito. Non ancora almeno.

“Sai cosa mi disse Claire su di te? Mi disse che avevi un cuore d’oro e che l’avresti aiutata, che si fidava di te, che se fosse stata nei guai tu l’avresti protetta!”

Ecco, ora aveva sentito il colpo. Forte e doloroso. Dritto sulla ferita aperta.

“Per oggi hai sputato abbastanza sentenze. Tra l’altro senza conoscere i fatti, quindi chiudila qui, immediatamente” fu Kanon ad intervenire di nuovo.

“Non sei tu a stabilire quello che posso o non posso fare, mettitelo in testa”

I toni si erano alzati e stavano praticamente urlando.

Alexander entrò nella stanza e interruppe la diatriba. La tensione nell’aria era palpabile e dalla faccia di Milo non era difficile intuire quello che stava succedendo.

“Dobbiamo presenziare ad un ricevimento che si terrà nella sala congressi dell’hotel” annunciò.

Fece una pausa, incerto se proseguire, quindi si rivolse a Juliet

“Ci saranno le rappresentanze diplomatiche di mezzo mondo, quindi ti chiedo di lasciare i rancori personali da parte e concentrarti per qualche ora sul tuo lavoro”

“Lavoro? Ma di cosa stai parlando?”

“Abbiamo bisogno di un operativo con le tue caratteristiche durante il ricevimento”

“Abbiamo chi? L’Agenzia? O chi altro?”

“L’Agenzia coordina le operazioni”

“Dunque avete emesso il giudizio … Condanna ai lavori forzati”

“Qui nessuno ti sta giudicando. Non ti abbiamo portata qui per punirti, ma per proteggerti, e avremmo voluto fare lo stesso con Claire. Tacendo sulla sua posizione la stai mettendo inutilmente in pericolo”

“Ma che padre premuroso che sei Alexander. Quanti anni hai dovuto studiare per interpretare questo ruolo? Aspetta … fammi indovinare: due?”

Alexander ignorò la provocazione

“L’astio nei miei confronti non deve impedirti di ragionare lucidamente o di agire per il bene di Claire”  

“A differenza di tutti i presenti in questa stanza” lo sguardo di Juliet andò a posarsi intenzionalmente su Milo, che lo sostenne senza batter ciglio “io sono l’unica che ha sempre agito per il bene di Claire, sono l’unica che non le ha mai mentito, che non le ha voltato le spalle, e che soprattutto non l’ha colpita a tradimento. E non inizierò a farlo ora”

“E io non ti chiederò di farlo”

Le ultime parole di Alexander stupirono Juliet. Si aspettava di essere messa sotto torchio finché non avesse rivelato la posizione dell’amica e invece niente. Quali erano gli scopi dell’Agenzia in questa missione? Forse se avesse acconsentito di prenderne parte avrebbe capito di più. Poteva fingere di cedere e accettare l’incarico operativo in modo da avere accesso a maggiori informazioni.

“Ok. Accetto di partecipare al ricevimento. Ma ho bisogno delle coordinate operative. Non rischio per qualcosa che non conosco”

“Non fidarti Alexander, vuole solo ottenere informazioni fingendo di aiutarci”

“Non abbiamo scelta Kanon, la sua presenza stasera è indispensabile”

“E’una scheggia impazzita, sono del parere che farebbe meno danni se la tenessimo qui, sotto stretta sorveglianza”

“Ti piacerebbe vero? Peccato che a quanto pare non sia tu a decidere. E del tuo parere come vedi non frega niente a nessuno” sogghignò soddisfatta.

 “Santa pazienza” sospirò Alexander mascherando un sorriso.

Kanon si rivolse direttamente a lui, facendo in modo che gli altri non lo sentissero

“Con tutto il rispetto, credo che tu sia troppo accondiscendente con lei”

“Hai ragione e ne sono consapevole. Ma fidati se ti dico che questo è l’unico modo efficace di trattare con Juliet”

“Io invece conosco quattro o cinque metodi molto più efficaci e se solo me li lasciassi provare …”

“Amico mio, queste scintille sono presagio di incendio, fai attenzione …” rise Alexander dando una pacca sulla spalla ad un Kanon completamente basito.

Poi si rivolse a Juliet

“Se vuoi i dettagli operativi seguimi, Lucas e Walt ci aspettano nell’altra stanza”

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Capitolo 16
*** capitolo 15 ***


16.capitolo15

Capitolo 15

 

Mancavano pochi minuti all’inizio del ricevimento e ancora doveva scegliere l’abito -  scelta ardua -  tra i quindici che le erano stati portati in stanza. Erano tutti abiti firmati, molto eleganti e anche molto sexy, di gran classe, doveva averli selezionati Lucas, che non era certo il guru della moda all’interno dell’agenzia – quella era lei – ma era il meno peggio in fatto di buongusto, e quella sera si era decisamente superato.

Non avendo il tempo per provarli tutti chiuse gli occhi e ne pescò uno a caso, lo indossò molto velocemente e si specchiò. Era perfetto, certo che Lucas aveva occhio in fatto di taglie femminili. L’abito era un tubino nero aderente con le maniche a tre quarti che le arrivava appena sopra il ginocchio, con una discreta scollatura sulla parte anteriore e uno scollo morbido e profondissimo sulla schiena.

Era un abito perfetto per un ricevimento ma assolutamente inadatto a nascondere un’arma. E infatti il piano non prevedeva che lei portasse addosso la sua Colt, cosa che la rendeva alquanto nervosa. Alexander aveva giustificato la scelta con la scusa di una massiccia copertura da parte di quattro operativi dell’Agenzia e di due Cavalieri. Niente da ridire sull’Agenzia, si era sempre fidata dei suoi colleghi, quelli di cui non riusciva assolutamente a fidarsi erano i due paladini della giustizia.

Questa mancanza di fiducia la portò ad elaborare un piano B, che consisteva nel tenere comunque un’arma non dichiarata dentro la sua pochette da sera. L’arma era una semiautomatica trafugata in fretta e furia dalla “valigia degli attrezzi” di Walt, che era troppo impegnato a sorvegliare la sala del ricevimento per accorgersi dell’assenza di uno dei  suoi giocattoli.

Finì di truccarsi, mettendo in risalto i suoi splendidi occhi verdi con un generoso tratto di kajal nero,  e diede un’ultima sistemata ai capelli, che le ricadevano in morbide ciocche ondulate sulla schiena. Il castano aveva ancora i riflessi miele e dorati dovuti alla prolungata esposizione alla salsedine e al sole di Marsiglia, davvero niente male come effetto. Guardandosi allo specchio capì il motivo per il quale Alexander aveva insistito tanto per averla al ricevimento: nessun’ altro tra loro sarebbe stato in grado di avvicinare e sedurre il capo della delegazione Russa e convincerlo a seguirla nella sua stanza prima della fine della serata.

Senza falsa modestia, lei stessa - se fosse stata un uomo - sarebbe caduta ai propri piedi vedendola così agghindata. L’unico neo restava il labbro leggermente gonfio a causa dello schiaffo ricevuto poche ore prima, ma con un po’ di gloss perlato era riuscita a camuffarlo abbastanza bene.

 Riuscì ad arrivare nella sala del ricevimento con quattro minuti di anticipo rispetto al previsto. Attese di vedere qualcuno dei suoi e, quando scorse Walt in lontananza,  gli fece il cenno concordato. Dunque tutto era pronto per l’ingresso degli invitati, lei doveva solo aspettare la delegazione giusta sorseggiando distrattamente qualcosa di fianco all’angolo del piano bar, dove qualcuno suonava  della musica dal vivo. Guarda caso l’angolo musicale era gestito dal musico che aveva conosciuto nel locale del centro, Syria: se non altro era certa che avrebbe apprezzato la musica e non si sarebbe annoiata.

 Ripassava mentalmente i dettagli operativi quando, dall’altra parte della sala, vide arrivare Kanon, anche lui elegantissimo. Per un attimo i loro sguardi si incrociarono e a Juliet parve di scorgere uno strano bagliore negli occhi di lui, che rimasero a fissarla per qualche secondo. Era stupore, o forse palese attrazione quella che leggeva nel suo sguardo? Mah, probabilmente era semplice apprezzamento maschile alla vista di una donna in tiro, d’altronde anche Kanon era un uomo  e per quanto potesse credersi superiore al resto dell’umanità non poteva essere totalmente immune al fascino femminile. Una punta di soddisfazione si insinuò nella sua mente e la fece sorridere all’idea di avere sempre un’arma potenzialmente pericolosa da utilizzare a suo vantaggio: la seduzione. In fondo gli uomini erano tutti uguali, bastavano due belle gambe, un tacco dodici, una scollatura e non capivano più niente.

 Ancora fantasticava sulle sue qualità da seduttrice quando un sussurro appena dietro la sua testa la fece sobbalzare

 “Ottima scelta. Era il mio preferito”

Ma come diavolo era riuscito ad arrivarle dietro senza che lei si accorgesse dei suoi movimenti? E perché parlava del suo abito come se…

“Co - come facevi a…? Aspetta, non sarai mica stato tu a scegliere i miei abiti?”

Forse aveva usato un tono un po’ troppo aggressivo. 

“Peccato. Se a tanta eleganza corrispondesse altrettanta femminilità e dolcezza potresti essere una vera femme fatale”

“Posto che il tuo parere non mi interessa, chiariamo che la mia femminilità non è affar tuo e la dolcezza la riservo alle persone a me care. E adesso scusami ma devo lavorare” e si allontanò bruscamente da lui.

Aveva risposto in maniera così scortese solo per mascherare la sua delusione di fronte al commento di lui. Ma ancor di più le faceva rabbia che quel commento l’avesse in qualche modo irritata. Avrebbe dovuto lasciarla indifferente e invece aveva permesso a una stupida osservazione fatta da uno quasi sconosciuto di infastidirla. Non perché fosse vanitosa o le interessasse apparire sexy, dolce o femminile agli occhi di tutti gli uomini presenti sulla terra, ma perché Kanon, che la conosceva solo da poche ore e di lei non sapeva niente, aveva colto con quella frase l’essenza del suo carattere e in essa il suo più grande difetto: la scorza di durezza che si era costruita negli anni, nonostante la giovane età, dentro la quale racchiudeva le emozioni senza lasciarle trapelare, rendendola quasi impermeabile ai sentimentalismi e a tutte quelle che lei considerava le debolezze della vita.

Juliet odiava sentirsi o mostrarsi debole, e affrontava il mondo in un continuo stato di tensione, sempre pronta all’attacco, attenta a non far avvicinare troppo il nemico alla propria intimità. Non c’era spazio per la dolcezza o per la femminilità nel suo cuore di soldato.

Il contrasto tra l’apparenza della sua esteriorità e il suo stato d’animo quella sera aveva raggiunto l’apice. E Kanon l’aveva colto in pieno.

 
Ma lei non era sempre stata così, la corazza l’aveva costruita con fatica in dodici lunghi anni per ragioni di sopravvivenza, dopo aver perso suo padre.  Gli anni dell’adolescenza passati a trasformare la rabbia in una perfetta macchina da guerra a servizio della stessa Agenzia in cui suo padre aveva lavorato fino alla sua ultima missione. Cresciuta nel mito dell’agente perfetto che era suo padre, si sentiva sempre in dovere di dimostrare di essere all’altezza del nome che portava, per non deludere le aspettative degli altri, ma soprattutto per onorarne la memoria.  

 
“Accidenti, di bene in meglio” pensò entrando nella sala e notando la presenza di Morticia nell’angolo musicisti. Armeggiava con uno strumento a corde, forse un’arpa, ma la cosa che la sorprese più di tutte fu vederla conversare, come se niente fosse successo, con Syria e Julian il nobile da una parte e Walt e Alexander dall’altra.

Cosa ci faceva la strega del teatro in mezzo a loro?

Ma la serata riservava ancora spiacevoli sorprese e la successiva le si materializzò davanti in tutta la sua imponente arroganza, sbarrandole la strada e impedendole di proseguire. La mano che lei aveva trafitto era fasciata, ma la teneva stretta a pugno, sembrava trattenere a stento la rabbia e questo la  fece irrigidire. Strinse con più forza la pochette che conteneva la pistola, pronta ad estrarla in caso di necessità, ma un intervento esterno impedì il precipitare degli eventi.

“Juliet, permettimi di accompagnarti alla tua postazione” un braccio le si posò leggero sulla schiena nuda, invitandola gentilmente a seguirlo, e lei fu attraversata da un brivido. Kanon le si era nuovamente avvicinato da dietro e con una gentilezza che non credeva possibile potesse appartenergli, l’aveva accompagnata nell’angolo bar, frapponendosi tra lei e il gruppo di persone che parlavano amabilmente nell’angolo musicisti.

Juliet cercò di ignorare la piacevole sensazione che aveva provato al suo tocco e lo fissò con aria interrogativa

“Ti vedo perplessa, qualcosa non va?”

“Mi chiedi se qualcosa non va? Ho appena incrociato Lurch, con cui, come tu ben sai, mi sono scontrata meno di tre ore fa, e proprio dietro di te vedo Morticia, la sua padrona, che conversa come se niente fosse con Walt, Alexander e gli altri amici vostri? Direi che ci sono parecchie cose che non vanno, e che niente mi quadra in questa situazione. Non mi piace lavorare in un ambiente ostile quando non so da quale direzione può arrivare il pericolo”

“Per questo ci sono io a coprirti le spalle, tu devi pensare solo alla tua missione”

A sentirlo parlare, con quel tono e quello sguardo decisi, fermi e sicuri, sembrava non ci fosse niente da temere. Ma Juliet non era abituata al ruolo della donzella in cerca di protezione ed era sempre stata in grado di affrontare da sola i rischi che correva durante il suo lavoro.

Kanon sembrò leggerle nel pensiero

“Fidati di me, ora non c’è il tempo per le spiegazioni, le delegazioni stanno facendo il loro ingresso in sala. Devo allontanarmi, ma sarò abbastanza vicino da intervenire in caso di necessità. Buona fortuna e ...” sembrò esitare “… fa attenzione e non prendere iniziative avventate”

Avrebbe voluto replicare all’ultima frase, ma lui si era già dileguato tra la folla che ormai riempiva la sala.

 

 
 
Claire si sistemò meglio la parrucca nera sulla testa e si preparò a recitare la sua sceneggiata. Era riuscita ad ottenere un colloquio con il responsabile della selezione delle risorse umane del Park Inn e si apprestava a convincerlo che sarebbe stata un’ottima addetta alla pulizia delle camere.

Aveva intravisto un po’ di movimento in direzione delle sale adibite ai ricevimenti e a giudicare dal numero di auto diplomatiche allineate all’ingresso, qualcuno doveva avere organizzato un evento in grande stile.  Stile Fondazione probabilmente.

Ripensò all’ultima volta che si era imbucata in un ricevimento del genere, ad Atene. Stesse dinamiche, stessi protagonisti: lei sotto copertura e la Fondazione organizzatrice dell’evento. Una miscela esplosiva.

 

L’incontro sulla spiaggia con il tizio che aveva incrociato all’ambasciata francese di Londra le aveva dato ancora maggiore carica: ormai era certa che le risposte sulla scomparsa di suo padre si concentravano in Grecia.

Aveva scoperto che la Fondazione stava organizzando una festa di beneficienza a cui avrebbero partecipato le diplomazie di mezza Europa e decise che, con o senza invito, non avrebbe perso l’occasione di osservare da vicino alcune delle pedine che avrebbero potuto fornirle informazioni preziose.

La filantropia, la politica e la finanza tutti in un colpo solo, era un’occasione imperdibile e infatti fece di tutto per ottenere uno straccio di invito, compreso offrirsi come accompagnatrice di uno dei suoi docenti, un quarantenne appena divorziato dalla moglie che si era invaghito di lei. Si sentiva un verme ad usarlo in quel modo, poiché sapeva bene che il loro era un rapporto che non avrebbe mai avuto altri risvolti se non di tipo professionale, tra l’altro finti pure quelli, ma la posta in gioco era troppo alta per lasciarsi prendere dagli scrupoli ora.

Juliet  continuava ad offrirle preziosi consigli a distanza e Claire li accettava molto volentieri, consapevole di riceverli dalla massima esperta in materia di finta seduzione.

Comunque non fu troppo difficile convincere il suo accompagnatore a portarla al ricevimento e, quando si presentò con il suo abito elegante, rigorosamente aderente e scollato, le parve di avere tutti gli sguardi degli uomini della sala puntati su di se. Questa cosa la metteva alquanto in imbarazzo ed era controproducente per una che, una volta imbucata alla festa, avrebbe dovuto passare inosservata.

 Ad un certo punto l’attenzione di tutti gli invitati si spostò in direzione di un una giovane donna, molto bella ed elegantissima, che fece il suo ingresso nella sala e che fu annunciata da un tizio pelato come Lady Isabel, nipote del fondatore nonché attuale presidente della Fondazione. Era il momento perfetto per dileguarsi nelle sale del palazzo senza essere notata e Claire ne approfittò. La parte più interna conteneva uffici di rappresentanza e sale riunioni, sperava di trovare un archivio documentale cartaceo in cui rovistare e si addentrò per i corridoi.

C’erano telecamere di sorveglianza dovunque e dovette fare molta attenzione per eluderle. Era talmente concentrata ad evitare di essere inquadrata che non si accorse che qualcuno la osservava con curiosità, almeno fino a che non se lo trovò di fronte.

Colta sul fatto, lei si spaventò tantissimo, ma lui non sembrava adirato o troppo  preoccupato dalla sua presenza

“Si è forse persa signorina?” le chiese con gentilezza.

Era un ragazzo giovane, avrà avuto qualche anno in più di lei, con i capelli della sua stessa tonalità di biondo e gli occhi della sua stessa tonalità di azzurro. Accidenti, quel ragazzo le somigliava!

“No, cercavo la toilette, ma credo di avere preso il corridoio sbagliato” rispose prontamente.

“In effetti questo posto è un labirinto, per chi non lo conosce. Se vuole l’accompagno io per un tratto così le mostro la direzione corretta” le disse con un sorriso.

“Lei è un vero gentiluomo, signore, la ringrazio” si sforzò di rispondere con cortesia, anche se questo significava rimandare i suoi piani di ricerca ad un altro momento.

Quando tornò nella sala il suo accompagnatore la accolse circondandole la vita con un braccio e trascinandola con se.

“Vieni ti porto a conoscere la nostra presidente”

Lei lo seguì con riluttanza, non poteva sottrarsi alle presentazioni di facciata e in fondo, conoscere la presidente poteva significare accesso a informazioni di livello superiore.

Mentre si avvicinavano in direzione della ragazza che era stata presentata come Lady Isabel, Claire fu percorsa da un brivido: di fianco a lei, oltre al tizio pelato che l’aveva presentata, c’era, inconfondibile nel suo fascino mozzafiato, Milo, che le stava sussurrando qualcosa nell’orecchio e sembrava avere con lei un certo grado di confidenza.

Non sentiva Milo dal suo viaggio a Londra, ed erano passati mesi, e non era preparata a rivederlo, anche se in fondo ci sperava. Ma ancor meno era preparata a rivederlo con un’altra!

Doveva ammettere che le probabilità di incontrarsi erano alte, visto che si trovavano ad Atene e al ricevimento partecipava il mondo dell’alta finanza, ma lei era stata talmente concentrata nella ricerca dei documenti su suo padre che non ci aveva pensato fino in fondo, a quell’eventualità. E ora che le si presentava davanti, in atteggiamenti intimi con una donna bella, elegante, di classe e di potere (non erano forse gli aggettivi che aveva usato a Londra quando aveva provato ad indovinare il suo tipo di donna ideale? A quanto pare ci aveva azzeccato! ) , non sapeva cosa fare.

Cosa doveva dire? Non erano nemmeno mai stati insieme, mica poteva fare la parte della gelosa!  Eppure era quello il sentimento che provava: gelosia pura, all’idea che lui potesse stare con un’altra. Lei aveva gettato la sim con il numero di telefono a cui lui avrebbe potuto rintracciarla, non l’aveva mai contattato nemmeno una volta arrivata in Grecia ed ora pretendeva che lui fosse rimasto tutti quei mesi pensando a lei? Era pazza, se ne rendeva conto, ma rivederlo le aveva provocato le stesse sconvolgenti sensazioni che aveva provato a Londra durante i momenti intensi passati insieme.

Mentre pensava cosa dire, il suo accompagnatore strinse ancora di più il braccio intorno alla sua vita e, arrivati alla meta attirò l’attenzione per presentarla a Lady Isabel, facendo voltare anche Milo che rimase un attimo senza respirare, o almeno questa fu la sensazione di Claire.  

Lo sguardo bruciante di Milo passò immediatamente in rassegna l’intera figura di Claire, soffermandosi apparentemente infastidito sul braccio che le cingeva la vita e che non accennava ad allentare la presa.

Lady Isabel fu gentilissima. Quella donna le piaceva. Sembrava sinceramente felice di conoscerla, non l’aveva trattata come una semplice ricercatrice di passaggio che lavorava ad un progetto finanziato da lei, da liquidare con poche frasi di circostanza, ma sembrava quasi che non aspettasse altro che conoscere lei durante quella serata. Che sensazione bizzarra, l’aveva fatta sentire come l’ospite d’onore, prendendola sotto braccio e accompagnandola lei stessa a conoscere molti dei suoi collaboratori. Questo l’aveva salvata sia dal suo invadente accompagnatore che dall’incontro ravvicinato con  Milo, almeno per il momento, ma era certa che lui l’aspettasse al varco.

 E infatti non appena Lady Isabel fu chiamata dal tizio pelato, che aveva scoperto chiamarsi Mylock, Milo le fu subito addosso. Continuava a fissarla con uno sguardo indagatore e sembrava leggermente irrigidito rispetto a prima. Fu comunque lui, come sempre, a fare il primo passo

“La tua dolce metà è andata a salutare i suoi colleghi”

 Aveva dimenticato quanto fosse bella la sua voce.

“Oh, ma non è la mia dolce metà, è solo un accompagnatore … di circostanza”

Lui sembrò rilassarsi e abbozzò un sorriso

“Bene”

“Invece la tua dolce metà mi è molto simpatica, sai” non so come trovò il coraggio di dirlo.

“La mia co…? Ma intendi Lady….?   Oh, mio dio, no ..” Milo scoppiò quasi a riderle in faccia.

Aveva dimenticato quanto fosse bello quando rideva.

“Non avrai pensato che io e … “ non riusciva a proseguire per il troppo ridere.

“Oh, andiamo Milo, finiscila di prendermi in giro, ci stanno guardando tutti” arrossì imbarazzata

Milo si fece subito serio e la guardò intensamente

“Guardano te, nei hai sconvolto più di uno con la tua bellezza, stasera”

“Lo prenderò come un complimento” arrossì di nuovo

“Puoi contarci” posò il bicchiere che teneva tra le mani e le si accostò “Benvenuta in Grecia, straniera” le disse mentre le stampava un bacio sulla guancia, facendola letteralmente andare a fuoco.

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Capitolo 17
*** capitolo 16 ***


17.Capitolo16

Capitolo 16

 

Noia. Era questo che provava mentre fingeva di prestare interesse alle parole del suo interlocutore. Emanava un fastidiosissimo olezzo di fumo misto ad alcol che le stava dando il voltastomaco.

Tutto nella sua persona la irritava: dai suoi modi troppo scomposti e sguaiati al suo spiccato accento russo. Eppure le era sembrato un gran bell’uomo, a inizio serata.

Quando ancora non aveva iniziato a prosciugare le scorte alcoliche del bar della sala.

Continuava ad insistere affinché anche lei trangugiasse qualcuno dei drink a base di vodka che lui proponeva al malcapitato barman, e alla fine, pur di farlo tacere, ne scolò un paio anche lei. Non fece in tempo a sentire il liquido scorrerle in gola che si trovò due occhi severi puntati addosso, che le mandavano chiari messaggi di disapprovazione. 
La comunicazione non verbale di Kanon era estremamente efficace. 
Che andasse al diavolo anche lui. Se ne stava in disparte, nascosto come un ladro fuori dalla sala, ad osservare la scena dall’esterno e ad emettere silenziosi giudizi sul suo operato. Era lei quella che doveva convincere il russo a seguirla in camera e, per come si stavano mettendo le cose, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a farlo. 
Dal primo momento che si era presentata, lui le stava sbavando dietro. Continuava a fissarle le gambe e la scollatura in maniera indecente, e non perdeva occasione per posarle le mani addosso, una volta sulla spalla, l’altra sul ginocchio, poi sul fianco. In altre circostanze gli avrebbe già stritolato i gioielli di famiglia, ma si trattava di lavoro, e lei era sempre molto professionale in situazioni come quella. Così quando con una mano le sfiorò una coscia, lei gliela prese e iniziò ad accarezzarla, mostrandosi interessata ad un contatto più intimo. Fu in quel momento che incrociò nuovamente lo sguardo contrariato di Kanon. Ma cosa pretendeva? Che lo convincesse a salire in camera con la proposta di giocare a Monopoli?

Fu direttamente lui a proporle di salire in camera, chiedendole solo il tempo di passare alla toilette per darsi una rinfrescata, o magari per rigettare tutto, visto il tasso alcolico che aveva in circolo nel sangue.

Kanon approfittò del momento per trascinare Juliet in un angolo dell’atrio, tirandola poco delicatamente per un braccio.

“Mi lascerai il livido, toglimi le mani di dosso!” sbottò spazientita

“Non mi sembravi così preoccupata quando era qualcun altro a toccarti, ma forse perché in fondo ti piaceva?”

Gli gettò in faccia tutto il contenuto del bicchiere che aveva ancora in mano e gli rispose pungente

“Le scenate di gelosia non mi sono mai piaciute”

Fu soddisfatta nel vedere la sua reazione: era evidente, anche se tentava di mascherarlo, che le sue parole l’avevano turbato e il suo gesto sprezzante l’aveva probabilmente irritato a dismisura, non essendo abituato a non reagire a simili provocazioni. Ma fu bravissimo a trattenersi, perché prese un fazzoletto dalla tasca e si asciugò la faccia, tamponando anche la parte della camicia su cui era andato a finire il cocktail.

Ma poco prima di lasciarla le lanciò, gelido, un ultimo anatema

“Uno di questi giorni ti troverai intrappolata in un angolo nel quale ti sarai cacciata e non saprai come uscirne. Allora sarò curioso di vedere cosa farai, mia cara. E a chi ti rivolgerai quando ti servirà aiuto per venirne fuori”

“Amen” gli rispose sarcastica Juliet quando lui già le dava le spalle.

 

 Quando il suo accompagnatore russo la raggiunse, quello che si accingeva a fare le sembrò una passeggiata, in confronto alla tensione che le faceva salire la presenza di Kanon e il suo modo di fare.

“Allora Dimitri, sei pronto a salire?” gli sorrise mentre chiamava l’ascensore

“Spero la tua stanza sia nei piani alti, bellezza”

“Al decimo piano tesoro. Ma se per te non è abbastanza, posso sempre farti toccare il cielo con un dito” gli sorrise languida.

 

Le fu addosso appena si chiusero le porte dell’ascensore

“Ehi, calma, calma, non vorrai mica consumare qui?”

“Perché no? Possiamo consumare prima qui e poi li” le disse mentre avvicinava la bocca alla sua.

Il suo alito avrebbe steso chiunque. Stava per inventare l’ennesima scusa quando l’ascensore si bloccò.

Il segnalatore interno indicava che erano al quinto piano. Evidentemente qualcun altro l’aveva chiamato. Se non altro non avrebbe passato il resto della salita a cercare di scrollarselo di dosso, pensò Juliet.

Le porte dell’ascensore si aprirono e Juliet si ritrovò faccia a faccia con Claire, con in testa una parrucca nerissima e vestita come un’ addetta alle pulizie.

Rimase per un attimo interdetta, ma Claire fu molto abile nel dissimulare

“Chiedo scusa signori, a causa di un guasto all’ascensore di servizio, sono costretta a chiedere un passaggio su questo”

Dimitri, da perfetto villano, iniziò a denigrare la gestione l’hotel, irritato dal fatto di dover condividere l’ascensore con il personale di  servizio.

Ma Juliet fu più svelta di lui nel rispondere

“Si accomodi pure signorina, noi stiamo salendo al decimo, lei dove va?”

“Che coincidenza, proprio dove sono diretta io” 

Claire si sistemò strategicamente di fianco a Juliet, mentre Dimitri sbuffava sonoramente esprimendo con grugniti la sua contrarietà.

Juliet sentì scivolarle in borsa qualcosa e, controllando, vide che si trattava di un cellulare, perfetto!

Con nonchalance tirò fuori il telefono dalla borsa e iniziò a comporre un sms. Appena le porte si aprirono e Claire si allontanò, Juliet premette il tasto di invio.

Quando Claire aprì il messaggio, Juliet era già in prossimità della sua stanza, con Dimitri che le baciava il collo e tentava di infilarle le mani sotto il vestito.

Il testo del messaggio era conciso, ma molto dettagliato

“Ispeziona Camera 221. Delegazione Russa. Scopri perché Dimitri Khazanov interessa tanto alla Fondazione  e all’Agenzia. P.S. Il nero ti dona”

La parte finale strappò un sorriso a Claire, che si mise subito alla ricerca della camera 221.  

 

  Kanon stava scavando un solco nel pavimento a furia di camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza. Il suo umore negli ultimi  venti minuti aveva attraversato tutte le gradazioni del grigio, per attestarsi su quella meno chiara.

Aveva il compito di sorvegliare le mosse di Juliet a distanza ravvicinata e la sua camera era proprio di fianco a quella in cui lei avrebbe dovuto attirare Dimitri. L’aveva appena vista passare in compagnia di quel viscido che le sbavava dietro, più simile ad una belva affamata che a un essere umano. Quella situazione gli andava sempre meno a genio, ma cercò comunque di fare al meglio la sua parte, prestando attenzione ad ogni minimo rumore proveniente dall’altra stanza.

Quello che sentiva non era certo musica per le sue orecchie e dovette fare uno sforzo notevole per trattenersi dall’abbattere il muro che li divideva e scaraventare quell’animale fuori dalla finestra.

 

Juliet preparò accuratamente due calici di champagne, accertandosi di sciogliere in uno dei due un quantitativo sufficiente di sonnifero.

Erano cinque minuti che si scambiavano baci e carezze e aveva capito che lui non avrebbe atteso oltre, voleva urgentemente andare al sodo.

Gli si avvicinò, invitandolo a fare l’ultimo brindisi della serata

“A noi” disse

Ma prima che lui portasse il suo calice in prossimità delle labbra, qualcuno entrò dalla finestra, interrompendone il gesto e impedendogli di bere.

Perché diavolo nessuno dei suoi si era accorto che c’era qualcuno appostato fuori dalla finestra? Questo poteva essere un errore molto pericoloso, tanto più che aveva stupidamente posato sul letto la pochette da sera che conteneva la pistola  e ora era troppo lontana per raggiungerla con un balzo.

L’uomo che era entrato dalla finestra portava un passamontagna sul volto e, con sua grande sorpresa, prendeva ordini direttamente da … Dimitri.

“Mi facevi così stolto, puttanella?”

Juliet era sconvolta, quello che per tutta la sera le era parso un viscido cafone di bassa lega e con limitate capacità cerebrali ora le appariva … come un viscido cafone che però sa il fatto suo.

“Ti ho studiata attentamente tutta la sera, sai? Volevo avere la certezza che fossi proprio tu e che non mi stessi sbagliando”

“Non so di cosa tu stia parlando” rispose lei in tono neutro, cercando di mantenere una calma apparente.

“Non sei molto brava come attrice, sai? Invece sono stati molto bravi quelli che ti hanno tenuta nascosta in tutti questi anni, dovrò ricordarmi di complimentarmi con loro”

“Penso sinceramente che tu stia sbagliando persona”

Juliet non aveva nessuno strumento per capire le sue allusioni.

“E io penso sinceramente che tra un attimo ti darò la certezza che non mi sbaglio”

Dopodiché si rivolse all’uomo che aveva fatto irruzione dalla finestra

“Togliti il passamontagna”

 
 
L’uomo, a meno di tre metri da Juliet, eseguì immediatamente l’ordine e non appena si voltò nella sua direzione, lei ebbe un mancamento.

L’unico dettaglio di cui non ricordava la presenza era la barba, ma per il resto era identico: un po’ meno abbronzato e con gli occhi più stanchi, quasi spenti.

Erano passati dodici anni, ma Juliet non ebbe nessun dubbio che la persona che si trovava di fronte a lei fosse suo padre.

 
La consapevolezza di essere nella stessa stanza con suo padre, che lei credeva morto dodici anni prima, la colpì profondamente e le impedì di ragionare con lucidità. Fece la prima cosa che il suo cuore le dettò di fare, si rivolse a lui e gli disse

“Papà?”

Lui non mosse un muscolo, nemmeno un battito di ciglia, continuava a guardare davanti a se come se vedesse una parete vuota, con uno sguardo assente.  

“Non vorrei rovinare il bel quadretto familiare ritrovato, ma mi duole dirti che lui non può riconoscerti. Ora è nostro e non tornerà mai più ad essere quello di prima” si intromise Dimitri, accompagnando la sua dichiarazione con una risata sguaiata.

Juliet rabbrividì rendendosi conto del fondo di verità delle sue parole: lui sembrava non riconoscerla, aveva lo sguardo assente e seguiva come un automa gli ordini ricevuti da Dimitri.

 “Voglio darti una dimostrazione di quanto ho appena detto, perché non ti resti alcun dubbio in merito” proseguì Dimitri con un sorriso sinistro.

“Sparale” ordinò improvvisamente a suo padre, che non se lo fece ripetere due volte e, senza nessuna esitazione, le puntò addosso l’arma e fece fuoco.

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Capitolo 18
*** capitolo 17 ***


18.Capitolo17

Capitolo 17

 

Mentre camminava nervosamente intorno alla stanza, ripensò al suo comportamento durante il ricevimento e si rese conto suo malgrado che nel corso della serata la sua lucidità era andata gradatamente scemando.

Il processo - ormai irreversibile - che stava deteriorando la sua capacità di ragionamento era stato innescato poche ora prima da Alexander, il quale, spinto da motivazioni ancora da decifrare, aveva sentito l’esigenza di condividere con lui una verità che coinvolgeva intimamente la vita di Juliet, rivelandogli alcuni sconvolgenti particolari che lo avrebbero costretto, da quel momento in poi, a guardarla con occhi diversi.

 E infatti, da quando era venuto a conosceva della verità sul suo conto, faticava a controllare le sue reazioni. Non ci era riuscito durante il ricevimento e tantomeno ci riusciva ora, sapendo che nella stanza di fianco, probabilmente sottovalutando con troppa leggerezza i potenziali rischi della missione, c’era lei che tentava di rendere innocuo quell’animale.

C’era qualcosa negli atteggiamenti teatrali del russo che rendevano Kanon inquieto. Osservandolo attentamente dall’esterno aveva percepito delle forzature nei suoi gesti che stridevano apertamente con il ghigno del suo volto. Fosse stato a causa del livello alcolico o di altre ragioni, non aveva importanza, ma il suo intuito gli suggeriva che  niente in quel verme era come appariva.

Juliet sembrava fastidiosamente inconsapevole dei rischi che correva, ma d’altronde come poteva biasimarla, quando la verità che persino all’ultimo dei conoscenti era stata rivelata, a lei, che ne era coinvolta in prima persona, era sempre stata negata e continuava ad esserlo, nonostante le incognite di quella missione?

 Se inizialmente aveva avuto dei dubbi sull’effettiva necessità della presenza di ben due cavalieri d’oro in una missione come quella, ora poteva affermare con certezza di non voler essere in nessun altro posto: Juliet doveva uscire indenne da quella situazione, in nome dell’amicizia che lo legava a loro, lontani e ignari di tutto, al pari di lei.

Finché l’enigma della missione non si fosse risolto, era necessario fornire a Juliet un’adeguata copertura, e nessuno meglio di un cavaliere del suo rango avrebbe potuto garantirla.

Per questo motivo si impose di accantonare tutti i pensieri che potessero annebbiare la sua lucidità, ora più che mai era necessario che  mantenesse la sua fredda e spietata capacità d’azione, nel caso in cui si fosse presentato un potenziale imprevisto. Non aveva però preventivato che l’imprevisto si sarebbe materializzato così presto nella camera di fianco.

 Sentì distintamente partire un colpo d’arma da fuoco e altrettanto distintamente percepì un rumore di vetri infranti. In una frazione di secondo fu di fronte alla porta della stanza affianco, che scaraventò a terra senza pensarci troppo.

 La scena che gli si presentò agli occhi fu quella più scongiurata: Juliet era a terra, sofferente, una mano a reggersi la spalla sinistra, da cui scorrevano copiosi rivoli di sangue. Tentava invano di fare leva sulle gambe per risollevarsi, ma puntualmente scivolava verso il basso, con la schiena appoggiata al lato del letto.

I vetri della finestra erano completamente infranti, segno che il bastardo era fuggito da quella parte. Pensò per un attimo di inseguirlo, ma non poteva rischiare di lasciarla sola senza prima accertarsi delle sue condizioni, a breve sarebbero giunti anche gli altri, attirati dal rumore dello sparo, fino ad allora non si sarebbe mosso da li.

 Le si avvicinò e, senza dire una parola,  tentò con cautela di allontanarle il braccio dalla spalla, per controllare l’entità della ferita, e lei per reazione si scostò da lui, soffocando un lamento di dolore, causato dal movimento brusco.

“Non è niente, lasciami stare” 

A quell’affermazione la già limitata pazienza di Kanon si esaurì e la tensione accumulata nel corso di quelle ore esplose

“Sarò io a dire quanto è seria la ferita, che tu lo voglia o meno. Visto che la tua intraprendente iniziativa ha portato a questi brillanti risultati, ora mi farai la cortesia di fare quello che ti dico, senza discutere” disse mentre constatava che la ferita era solo superficiale. Si aspettava una nuova reazione da parte sua, ma lei rimase immobile, come in trance.

“Quell’idiota è riuscito a sbagliare mira da pochi metri di distanza, ritieniti fortunata”

Stava per aggiungere un altro rimprovero sulle sue mosse avventate, quando si accorse delle lacrime che scorrevano sul suo volto.  La conosceva da poche ore ma era certo che Juliet non era una dalla lacrima facile e il dolore di una ferita come quella, per quanto fastidioso, non era tale da far piangere una della sua tempra. No, ci doveva essere dell’altro. Un’improvvisa consapevolezza lo colpì e lo fece fremere di rabbia

“Cosa ti ha fatto quel verme?  Se solo ha osato …”

Si bloccò, ricacciando indietro quel pensiero: non c’erano strappi sul suo abito o lividi sul suo corpo né segni che facessero pensare a una colluttazione.

No, il motivo delle lacrime non era fisico, doveva essere per qualcosa che le aveva detto e che lei non aveva evidentemente intenzione di rivelargli.

 

Alexander entrò di corsa nella stanza seguito da Walt e Milo e si tranquillizzò solo dopo che Kanon gli fece un cenno con il capo. Aveva percorso il lungo corridoio di corsa e ora gli mancava il fiato. Non era ancora in grado di compiere sforzi, e questa era una di quelle situazioni che lo costringevano a ricordare di essere ancora convalescente.

 Juliet, ignorando tutti gli altri, puntò il suo sguardo vacuo direttamente su  Alexander  

“Lui è vivo.”

La voce era talmente trasfigurata da non sembrare nemmeno sua, quella di un fantasma avrebbe avuto più consistenza. 

 “Lui chi?” si affrettò a chiedere Walt

Nessuna risposta da parte di Juliet.

“Credo si stia riferendo al russo che le ha sparato ed è fuggito dalla finestra” Kanon si sentì autorizzato ad intervenire.

“No, io credo di no” si intromise inaspettatamente Alexander, rivolgendosi subito dopo direttamente a Juliet “Ti ha detto qualcosa? Qualcosa che possa …”  

“Mi ha sparato” disse in un soffio, soffocando un lamento.

Alexander sospirò. La situazione era più grave di quanto avesse immaginato.

Walt, che per quanto si sforzasse non riusciva a ricostruire il quadro della situazione, decise di esternare le sue perplessità

“Ma se non è stato il russo, allora chi ti ha sparato?”

Kanon, che non si capacitava di come fosse stato possibile per lui non accorgersi della presenza di una terza persona nella stanza, si voltò verso Alexander in attesa di una risposta che, era certo, solo lui avrebbe potuto fornirgli in maniera esauriente.

 “Pensi ci sia qualcosa che ancora non sappiamo e che invece dovremmo sapere?” si decise a chiedere Milo posandogli una mano sulla spalla.

Alexander annuì con il capo, senza emettere altro suono. E decise che il momento della verità, o perlomeno di parte di essa, era giunto per tutti, Juliet compresa. La guardò con preoccupazione, incerto se lei l’avrebbe retta fino in fondo.

 “Quattro anni fa, nel corso di una missione a San Pietroburgo, scoprì che Edmond era vivo. Dodici anni fa non fu accoltellato e gettato nel Tamigi. Fu rapito. Avrebbero dovuto prendere entrambi, ma si accontentarono di lui che, ferito, rimase indietro.”

Fu così che iniziò il racconto. Il racconto di una storia che lui conosceva da quattro anni e che non aveva mai condiviso con nessuno: il secondo più importante segreto della sua vita, con la differenza che il primo non era più un segreto per molti, visto che l’aveva condiviso con le persone più fidate. Quindi poteva affermare che fosse l’unico segreto rimastogli. E ora finalmente sentiva di poterlo rivelare, di poter scaricare il suo peso e distribuirlo su altre spalle.

Walt sussultò, incredulo “Quattro anni … ma perché …?”

“Non l’ho rivelato prima? Perché nella ragione del suo rapimento risiede la principale fonte di pericolo per le persone a noi più care” disse evitando di guardare nella direzione di Juliet: non riusciva nemmeno a sostenere lo sguardo di Walt, figuriamoci affrontare quello di lei, che era ancora seduta sul pavimento, immobile come una pietra. Persino le lacrime che fino a poco prima le rigavano le guance sembravano essersi cristallizzate.

Kanon era basito, si sarebbe aspettato la rivelazione del segreto che Alexander aveva condiviso con lui poche ore prima, e ora scopriva  che ne esisteva un altro, altrettanto sconvolgente, che riguardava sempre la famiglia di Juliet e che, come di consueto, la vedeva totalmente ignara. Certo era che se Alexander l’aveva tenuta intenzionalmente all’oscuro di vicende di tale importanza, doveva avere ragioni molto valide.

“Quando ci siamo conosciuti, circa due anni e mezzo fa, tu già sapevi?” si aspettava questa domanda da parte di Milo.

“Esatto”

“Quindi tutta la missione era un tentativo di recuperare il tuo amico?”

“Non tutta la missione. L’obiettivo prioritario, allora come ora, era proteggere Claire e Juliet, che sono i reali bersagli dei loro attacchi”

 “Uscite fuori da questa stanza” la voce era tornata quella di prima

“Juliet…”

“Taci Alexander, non voglio sentire nemmeno un'altra parola ingannevole uscire dalla tua bocca bugiarda. Non voglio più vedere il tuo sguardo falso che finge di provare compassione per me o per tua figlia. Non voglio più ascoltarti mentre dici di agire per il nostro bene, mentre in realtà lavori per proteggere gli interessi di qualcun altro.”

“Forse è meglio che qualcuno di noi vada a perquisire la camera 221, a quest’ora avranno sicuramente lasciato l’albergo, ma potremmo ancora ricavarne qualche indizio” Walt cercava di negoziare un’uscita di scena ragionevole e senza strascichi.

“Andatevene tutti”

“Non…” Alexander non era per niente convinto

“Adesso!!!” gridò esasperata Juliet, girando con tanta forza la testa da provocarsi una scarica di dolore dalla ferita.

Alexander fece per avvicinarsi a lei, quando una mano lo trattenne saldamente per un braccio, mentre un’altra gli si posava sulla spalla. Milo e Kanon, evidentemente in sintonia con quanto proposto da Walt, gli fecero cenno di allontanarsi dalla stanza. Sapeva che avevano ragione, ma non l’ avrebbe lasciata nuovamente da sola, quindi prima di uscire seguito dagli altri, chiese a Kanon di restare.

 
Quando gli altri tre furono sufficientemente lontani, Kanon si voltò verso di lei, certo di ricevere una nuova sequela di insulti. E pronto a farvi fronte.

Ma Juliet non fece niente di ciò che si sarebbe aspettato. Lo ignorò totalmente, mentre con decisione si sollevava da terra, aiutandosi con il materasso del letto. Quando si rimise in piedi e fu certa di aver riacquistato il suo equilibrio, si diresse immediatamente in bagno, sollevò il coperchio del wc e rigettò anche l’anima.

Passarono diversi minuti prima di lasciarsi scivolare a terra e restare li, di fianco al wc, sfinita.

Kanon, che aveva vigilato discretamente da fuori, si affacciò alla porta del bagno e la trovo così: sconvolta, tremante e ferita ad una spalla. Questa era un’immagine di lei che lo avrebbe perseguitato in futuro, ne era certo.

Senza dire una parola recuperò la cassetta del pronto soccorso e lei, per la seconda volta in poche ore durante quella giornata, si lasciò medicare da lui senza protestare.

 
Nemmeno un’ora più tardi, mentre lei, sdraiata sul divano, fissava un punto non precisato del soffitto, l’attenzione di Kanon fu richiamata da Alexander, Milo e Walt, di rientro dalla camera 221. Dai loro volti si intuiva che chi aveva abbandonato in tutta fretta l’ hotel aveva lasciato poche tracce di se.

Osservando meglio notò che Milo stringeva in mano un oggetto scuro, forse l’unico indizio trovato.  

“Di che si tratta?” domandò indicandoglielo

“Questo? In effetti è un oggetto un po’ strano, visto che la delegazione era composta da soli uomini” disse mentre lo sollevava e lo rendeva visibile a tutti.

Juliet si voltò di scatto nella sua direzione, individuando fra le sue mani la parrucca nera indossata da Claire quando si erano incrociate nell’ascensore. Qualcosa si attivò nel suo cervello e scagliò contro di lui parole pesantissime

“Se hai fatto nuovamente del male a Claire, stavolta ti uccido con le mie mani”

Il nome di Claire, pronunciato da Juliet, echeggiò nella stanza rimbombando nelle orecchie di tutti i presenti, le cui sinapsi cominciavano a stabilire connessioni e consequenzialità tra gli eventi.

Milo strinse più forte la parrucca che teneva in mano, quasi a temere che da un momento all’altro qualcuno avesse potuto strappargliela. Alexander, la cui energia sembrava totalmente prosciugata, si lasciò cadere sulla prima sedia che incontrò

“Dobbiamo andare a  San Pietroburgo”annunciò laconico.

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Capitolo 19
*** capitolo 18 ***


19.Capitolo18

Capitolo 18

 

Le giornate trascorrevano più veloci, i colori erano più accesi, i profumi  più intensi e persino il sole sembrava splendere con maggior vigore in Grecia dal momento in cui aveva rincontrato Milo.

Durante il ricevimento nella sede della Fondazione, esaurita la scarica di ormoni e adrenalina che l’aveva travolta quando l’aveva rivisto, si era irrigidita sentendosi come sotto esame e avvertendo chiaramente il peso di un giudizio silenzioso che lui da un momento all’altro sembrava voler emettere.

C’erano stati degli attimi, durante la loro conversazione, in cui avvertì distintamente una sensazione di paura, e il meccanismo di allarme si attivò automaticamente, portandola sulla difensiva, come se di fronte non avesse più lo splendido ragazzo con cui aveva trascorso a Londra delle giornate indimenticabili, ma uno sconosciuto di cui diffidare.

Sguardi sospettosi e domande incalzanti sulla sua carriera di archeologa subacquea e sulle incongruenze con quanto gli aveva raccontato a Londra circa i suoi studi non le davano tregua e stavano mettendo in serio pericolo la sua attuale copertura.

Era stata salvata da Lady Isabel, che, proprio nel momento di maggiore difficoltà, quando anche arrampicarsi sugli specchi stava diventando impossibile, l’aveva  sottratta al suo interrogatorio. Un salvataggio inatteso e insperato, e proprio per questo ancora più gradito: quella donna le appariva sempre più simpatica.

Milo rientrò nel suo campo visivo solo a fine ricevimento, e nel suo atteggiamento non vi erano più ombre, come se avesse fatto tabula rasa della loro precedente conversazione in sospeso.

“Allora non penserai di poterti sottrarre alle tappe obbligate che ogni visitatore deve percorrere una volta messo piede in terra di Grecia? Ovviamente la guida assegnata non si discute, è compresa nel pacchetto” disse con finta solennità.

Si, era decisamente ritornato il Milo che aveva conosciuto a Londra, quello a cui lei non sapeva resistere.

Fu allora che decise di concederselo. Decise di ritagliarsi, in mezzo alla incasinatissima missione di ricerca di suo padre, uno spazio per se. In fondo conoscere qualcuno del luogo che, essendo un esperto di finanza, aveva contatti con la Fondazione, non poteva che rappresentare una potenzialità, quindi perché sprecare l’occasione immaginando minacce inesistenti? Il suo inconscio le suggeriva che quelle erano solo giustificazioni al suo desiderio di trascorrere ancora del tempo con lui, ma decise di ignorarlo e per una volta volle agire d’istinto, senza riflettere troppo sulle conseguenze, proprio come avrebbe agito Juliet in una situazione simile.  

 

 

Si sarebbero dovuti rivedere la sera successiva, e lei decise nel corso della mattinata di abbandonare i suoi colleghi di ricerca per andare a comprarsi un abito da indossare per l’occasione. In valigia aveva solo abbigliamento da lavoro: o troppo elegante o troppo stile “tuta mimetica”, una desolazione. Voleva qualcosa di fresco e di sbarazzino, femminile ma non troppo elegante e sufficientemente comodo e pratico da poter essere utilizzato in ogni momento della giornata.  Si era innamorata degli abitini di cotone bianchi e azzurri che aveva visto spesso indosso alle ragazze greche e che, tra l’altro, si sarebbero intonati al colore dei suoi occhi.  Ne aveva adocchiato uno in un pittoresco mercatino di un borgo appena fuori Atene, durante uno dei suoi giri senza meta in autobus, al solo scopo di perlustrazione del territorio. Ricordava bene il nome del borgo: Rodorio, uno dei più caratteristici che aveva incontrato, con le casette tutte bianche e le imposte di legno turchese, le stradine strette e tortuose costeggiate da filari di balconi in fiore e il mercato, sempre gremito di gente, che rappresentava una irrinunciabile attrazione per i turisti.

Quando scese dall’autobus e si ritrovò a camminare per le strade del villaggio, erano già le undici passate e dalle finestre aperte delle abitazioni si diffondevano nell’aria invitanti odori di pesce cucinato in tutte le salse. I ristorantini iniziavano ad allestire i tavolini all’aperto, esponendo all’esterno i cartelli con i menù del giorno. A primavera inoltrata il clima era perfetto: né troppo caldo, né troppo freddo, una piacevole brezza accompagnava le passeggiate e le soste dei turisti, che si fermavano estasiati a fotografare ogni angolo di quel paradiso.

“Quasi quasi mi trasferisco” pensò a voce alta Claire.

“Era proprio quello che aspettavo di sentirti dire”

Una voce maschile appena dietro alle sue spalle, seguita da un’inconfondibile risata, la fece voltare di scatto

“Milo! Che paura!” esclamò portando una mano al cuore ”Ma ti pare, arrivare in questo modo alle spalle della gente?”

“Mi spiace, non era mia intenzione spaventarti” disse serio portando la sua mano a coprire quella di lei, ancora posata all’altezza del cuore.

“Ecco un altro modo per farmi morire d’infarto” pensò lei ritraendo la mano imbarazzata.

“Non dirmi che mi stavi seguendo?” cercò di scherzare  lei  per camuffare il rossore che sicuramente le imporporava le guancie.

“Potrei dire la stessa cosa di te, visto che io qui ci lavoro.”

“Tu lavori qui??? Ma come è possibile? Cioè, non fraintendermi, è solo che io avevo immaginato una location diversa per uno che fa il tuo mestiere … ”

“Interessante, ricordo le tue idee sullo stereotipo dell’uomo che lavora nel campo della finanza, cosa dicesti a Londra? Ah si, calvo, occhiali, cervellotico represso e …”

“Mi stai prendendo in giro?”

“Non mi permetterei mai, solo cercavo di indovinare il genere di location a cui pensavi in riferimento al mio mestiere”

“Il genere palazzi di vetro con poltrone di pelle nera, più o meno nel cuore del quartiere finanziario di Atene …”

“No, troppo banale … e deprimente. Quei palazzi li frequento il minimo indispensabile, il resto del lavoro lo svolgo da qui, quando non sono obbligato da doveri di rappresentanza.”

“Come quelli che ti spingono a partecipare ai ricevimenti della Fondazione?”  

Tentò di sondare, ma lo sentì irrigidirsi.

“Certo, anche quelli. Ma basta con questi argomenti noiosi, parliamo di te, invece, non mi hai ancora detto perché sei qui.”

“Shopping”

“Qui? Scusa, ma ora sono io che ti chiedo perché qui e non nelle vie della moda al centro di Atene?”

“Perché quel genere di moda non ha la stessa anima del mercatino di Rodorio: qui la frenesia e il traffico della città lasciano spazio a un genere di vita diverso,  sembra quasi un’altra dimensione”

“Già” rispose lui mentre la osservava intensamente gesticolare e indicare estasiata tutti i particolari che l’avevano colpita.

“E poi c’è un altro motivo per cui sono arrivata fin qui. Mi sono innamorata di un abito che ho adocchiato giorni fa al mercatino”

“Oh, no. Non dirmi che sono arrivato troppo tardi.”

“Troppo tardi per cosa?”   

“Per prendere il suo posto nel tuo cuore, ovviamente. Non mi era mai capitato di competere con un abito, spero almeno che ne valga la pena!”

“Milo! Ma proprio non riesci a essere serio”gli rispose ridendo

“Non sono mai stato tanto serio in vita mia, te lo assicuro” e, senza lasciarle il tempo di rispondere la prese per mano incamminandosi verso il mercato “Andiamo a conoscere questo mio rivale”.

 La sensazione della mano intrecciata alla sua mentre camminavano in mezzo alla folla era indescrivibile, e se il calore,  che dal braccio si propagava in tutto il corpo, era un indicatore affidabile, di li a breve sarebbe andata a fuoco.


Il container in cui era stata rinchiusa si trovava con tutta probabilità nella stiva di un aereo, sentiva il rumore assordante dei motori appena accesi, segno che si preparavano al decollo. L’ultima cosa che ricordava era qualcuno che la colpiva alle spalle mentre lei frugava nei cassetti della stanza 221 del Park Inn. Poi  il buio. Al risveglio si rese conto di avere le mani e i piedi legati con del nastro adesivo. Non si erano nemmeno disturbati a recuperare delle corde, evidentemente erano fuggiti in tutta fretta. Sentiva in bocca il sapore metallico del sangue, che probabilmente le era colato dalla testa. La tempia pulsava come se l’avessero appena colpita, oppure era tutto quel rumore a stordirla. Tutto ciò che desiderava in quel momento era potersi addormentare, nel tentativo di attutire almeno in parte la sensazione martellante del cervello che le stava esplodendo nella testa. 

  

Da quando aveva saputo che la parrucca apparteneva a Claire, Milo si era chiuso in un ostinato mutismo. Continuava a portarsi l’oggetto sul volto e ad aspirarne il profumo, stringendo tra le dita le ciocche di capelli

“Non è facendo il cane da tartufo che la ritroveremo Milo, e lo sai anche tu”

Kanon era, per quanto possibile, più insofferente di lui. Non aveva accolto di buon grado l’intromissione di Pandora e di Julian nelle decisioni di Alexander, il quale sembrava invece dare troppo peso alle parole dei due.

“La decisione di partire era stata già presa. Alla velocità della luce saremmo arrivati a San Pietroburgo già da un pezzo. E invece siamo qui, ad aspettare – fuori dalla stanza – che la dentro Alexander contratti i dettagli della missione con chi? Con una che è stata al fianco di Hades per tutta la sua precedente vita! E con uno che ha attentato alla vita di Athena!”

“Pandora ha espiato le sue colpe quando ha aiutato Phoenix nel regno degli inferi e Julian, non vorrei urtare la tua sensibilità, ma era tuo degno compare nel momento in cui ha attaccato Athena, e anche lui, correggimi se sbaglio, ha espiato le sue colpe andando in soccorso dei cavalieri durante lo scontro con Hades.”

“Conosco la storia, non ho bisogno di sentirmela ripetere”

“Perdonami Kanon, le mie parole non avevano lo scopo di riaprire vecchie ferite, ma di rammentarti quanto sia importante accettare il pentimento altrui, poiché ci sono individui che, come te, sono in grado di rinascere e di convertirsi al bene, per quanto nel passato le loro azioni  potessero essere state rivolte al male”

“Già. Ed è necessario che ci sia qualcuno che riconosca il pentimento e permetta la conversione. Come tu hai fatto con me …”

“Non io Kanon, ma Athena in persona l’ha riconosciuto in te, come ora lo riconosce in loro. E noi dobbiamo fidarci delle sue decisioni.” 

“Infatti mi fido di Athena, è di loro che non mi fido.”

 Milo alzò gli occhi al cielo

“Sempre guardingo e diffidente … Vorrei poter scagliare le mie cuspidi scarlatte contro di loro per rendere più autentica la conversione, ma non sono certo sia una buona idea, visto che al momento abbiamo bisogno di forze fresche per affrontare un nuovo nemico”

“Fare dello spirito in un momento simile è proprio da te. Posso dichiarare, avendone ora la certezza assoluta, che tu sia tornato ad essere il cavaliere di un tempo”

“Ne dubitavi, forse?” rispose Milo con un sorriso beffardo. Ma dietro quel sorriso, il suo animo era in tormento e fremeva impaziente di trovare una soluzione al rapimento di Claire. Non si era mai sentito così impotente.

 

 

 

“Entra pure Cavaliere, e accomodati”

“Lady Isabel” Milo fece un breve inchino e si diresse verso la poltrona da lei indicata.

“Perdonami per averti convocato qui a palazzo con così poco preavviso, distogliendoti dalla custodia del tuo Tempio, per una ragione così poco istituzionale … ma è giunto il momento che tu conosca una persona e questo incontro necessita di molta riservatezza”

Un rumore di passi proveniente dalle stanza private li fece voltare entrambi

“Mi scuso per il ritardo, ho dovuto fare un giro più lungo del previsto, ma la prudenza non è mai troppa di questi tempi”

Si avvicinò a Lady Isabel e, con un livello di confidenza sorprendente, la salutò con un abbraccio quasi paterno, sfiorandole il capo con una lieve carezza

“A volte dimentico che ora sei una Dea alla guida di un popolo, e che la bambina indifesa di un tempo non esiste più”

“Io invece ricordo benissimo ciascuno dei momenti trascorsi con voi. I compleanni, le feste e le ricorrenze della mia infanzia sono state scandite dalla vostra costante e rassicurante presenza: tu, il nonno ed Edmond eravate i pilastri della mia vita. Avrei solo preferito conoscere prima i dettagli sulla vostra identità, poiché alcune delle persone a me più care, che avrebbero avuto più diritto di me a godere della vostra presenza, ne avrebbero tratto conforto nei momenti di difficoltà”

“Sai che fu scelta sofferta la nostra, e sono pronto a pagarne le conseguenze, oggi come allora. Sono qui anche per questo. Ma ora desidero fare la conoscenza del custode dell’Ottava Casa”

Milo dal canto suo non avrebbe avuto bisogno di presentazioni, appena lo vide seppe che si trattava di lui

“Milo, ti presento Alexander. Ti ho già ampiamente parlato di lui prima della tua partenza per Londra”

Milo aveva immaginato Alexander molte volte in quei mesi, ma mai avrebbe pensato che la somiglianza potesse essere così evidente. Ne fu talmente colpito che esitò prima di porgergli la mano.

Ma Alexander fu più svelto, e aveva ben altre intenzioni che stringere semplicemente la sua mano: gli posò le mani sulle spalle e lo abbracciò calorosamente. Un abbraccio sincero, forte e spontaneo.

“Onore al Cavaliere che ha salvato la vita di mio figlio … e che sta proteggendo la vita di mia figlia”

“Vi lascio soli, di qualsiasi cosa abbiate bisogno, sarò nelle mie stanze” Lady Isabel, con generosa discrezione, si allontanò.

 

Erano insieme da appena un’ora e tra loro si era instaurata una sorta di affinità elettiva.

“Quando pensi di rivelare a Cristal della tua esistenza?”

“Ti preoccupa il peso di condividere e mantenere un segreto così grande, Cavaliere? Pensi di non riuscire d’ora in poi a reggere il suo sguardo e mentirgli?”

“Non è questo è solo che … “

“No, non devi giustificarti, tutto ciò ti fa onore. Sei suo amico, sei quanto di più vicino ad un maestro gli sia rimasto e, anche se forse non te ne rendi conto, sei quanto di più vicino ad un padre lui abbia mai avuto.”

No, quello era Camus, io non … al massimo posso essere un fratello maggiore.”

“Mi sta bene, fratello sia. E non temere, presto la verità gli sarà rivelata, saprà di me e … saprà di Claire

Al sentirlo pronunciare quel nome il cuore di Milo ebbe un sussulto. Kanon gli aveva riferito di averla prima tirata fuori dall’acqua e poi lasciata sulla spiaggia e di averla riconosciuta solo dopo averla vista senza l’attrezzatura da sub. Lui era assolutamente sicuro si trattasse di lei. E infatti la Fondazione aveva ricevuto e accolto la sua domanda di iscrizione ad un progetto di ricerca, dove lei partecipava chiaramente sotto copertura, ma sempre con lo stesso obiettivo in mente: rintracciare suo padre, scomparso da mesi.

“Lei cerca di rintracciarti da quando era a Londra”

“Lo so, e so che sta seguendo le mie tracce in Grecia, ora. La conosco abbastanza bene da sapere che non si fermerà. Ma non deve trovarmi, non ancora. Deve stare il più possibile lontano da me fino a quando non avrò trovato la soluzione per arginare il pericolo, se la individuassero mentre mi cerca, se la collegassero a me, diverrebbe lei il bersaglio prioritario”

“Non sarà facile distoglierla dall’intento”

“Confido nelle tue capacità. Così ti chiedo nuovamente di mentire per me, ne sono consapevole. Ma è una situazione temporanea e al momento è l’unica via per salvarle la vita.”  

 

 

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Capitolo 20
*** capitolo 19 ***


20.Capitolo19

Capitolo 19

 

L’unica luce all’interno della stanza proveniva dalla piccola abat-jour sulla scrivania. Dall’altro lato del tavolo lo screensaver del computer diffondeva un tenue bagliore violaceo, che rendeva l’atmosfera quasi innaturale, ma nessuno dei presenti sembrava accorgersi della scarsità di illuminazione. Nonostante fosse ormai notte inoltrata, la riunione era ancora in pieno svolgimento

“Come è possibile che in più di vent’anni non abbiate mai testato le loro capacità? Ma non vi rendete conto dei rischi che corrono ora, a causa della vostra mancanza?” la voce era salita di una tonalità.

“Lady Pandora, sono certo che se non lo hanno fatto avranno avuto le loro ragioni” intervenne pacatamente Julian Solo.

“Pandora ha ragione, abbiamo fatto le cose a metà e ora rischiamo di pagarne le conseguenze” per quanto si sforzasse di concentrarsi sul presente, Alexander non riusciva a darsi pace per non aver agito come avrebbe dovuto in passato, o almeno per non averlo fatto fino in fondo, seguendo gli avvertimenti di  Alman di Thule.

“Non ci saranno conseguenze, se ragioniamo sulle soluzioni. E forse, il test di cui parlate, è stato fatto.”

“Purtroppo no. Non solo non sono state messe alla prova, ma sono entrambe ignare di tutto”

“Penso di avere avuto un assaggio delle capacità di Juliet proprio questa mattina, poco prima che ci ritrovassimo al vecchio teatro” lo interruppe Julian

“Questa mattina, ma come …”

“Al locale in cui avevamo appuntamento con Radamantis. C’era Sirya con me, ed entrambi abbiamo pensato che lei fosse l’emissario inviato per contattarci.”

“Ebbene?” lo incalzò Pandora

“Sirya ammaliava tutti i presenti con la sua musica. Tutti tranne una, che ci osservava completamente immune alla melodia del suo flauto, e che, con nonchalance, prima di andare via ha espresso gradimento per lo spettacolo!”

“Questa è la prima notizia confortante che ricevo dopo ore …”

“E questa a vostro giudizio sarebbe una prova determinante? Voi sottovalutate il pericolo, signori, perché per quanto possa essere potente quel generale degli abissi, non potete pensare di paragonare la melodia di un piffero - poiché di questo si tratta - al potere di una dea.”

“Se solo avessimo la certezza che vi sia Persefone dietro tutta questa storia …” Alexander espresse un pensiero a mezza voce.

“Stolti!” esclamò Pandora “Se abbassate la guardia ora vanificherete gli sforzi che avete fatto più di vent’anni fa per sottrarle al suo controllo. Dimenticate quello che è successo a me? O ad Andromeda? Il modo in cui Hades, servendosi di Hypnos e Thanatos, ha infettato le nostre menti, si è insinuato nei nostri corpi, e si è appropriato, tentando di distruggerle, delle nostre anime? Nessuna barriera sarà abbastanza efficace quando Persefone verrà messa in condizioni di agire.”

Pandora si avvicinò ad Alexander e proseguì rivolgendosi direttamente a lui

“Avevate solo un vantaggio nei suoi confronti, una possibilità che a me non fu concessa: sapevate che prima o poi sarebbe successo e avevate il dovere di impedirlo con ogni mezzo”

“Pensi forse che non lo abbiamo fatto?” Alexander si alzò e si avvicinò nervosamente alla finestra “Per quale causa pensi sia morta la donna che amavo? E quella che amava Edmond? Entrambe si sono sacrificate per garantire l’immunità alle loro figlie. Credi forse che non fossero consapevoli che la mutazione genetica dei feti avrebbe accelerato il meccanismo autoimmune che le avrebbe uccise? Sono morte entrambe appena due anni dopo aver dato alla luce le loro bambine”

Né Pandora né Julian interferirono in quello sfogo.

“Anni e anni di ricerca scientifica, i laboratori dell’Agenzia più potente della terra sono stati a lungo dedicati solo a questo. Avete idea di cosa significhi? Abbiamo creato due esseri potenzialmente immuni da qualsiasi condizionamento, in grado di far fronte a poteri che metterebbero in difficoltà un cavaliere del più alto rango, e senza bisogno di addestramento, armatura, cosmo, settimo od ottavo senso che sia! Vi sembra niente questo? Nessuno dei vostri eserciti possedeva al suo interno tali potenzialità. Come nessuno dei cavalieri di Athena. L’invulnerabilità della psiche ai condizionamenti oscuri, questo era l’obiettivo, ed è stato raggiunto. Che sia una bambina ingenua o un cavaliere esperto, nessun essere umano dovrà più diventare il burattino di un dio megalomane con mire di distruzione dell’umanità!”

Alexander tornò a sedersi, affaticato dalla foga messa nel parlare

“Abbiamo perso tutto per salvarle dalla contaminazione del potere oscuro e con la sconfitta di Hades ci siamo erroneamente illusi di avere schivato il pericolo.”    

 

 
Un atterraggio non propriamente morbido fece rotolare il suo corpo da una parte all’altra del container, provocandole un brusco risveglio. Qualunque fosse la destinazione, era chiaro che quello era l’arrivo. Avrebbe desiderato perdere nuovamente i sensi, e non per paura o per lenire il dolore della ferita, ma per rivivere anche solo per pochi istanti il sogno che stava facendo e che il risveglio aveva interrotto. Nei due anni precedenti non l’aveva mai sognato. O meglio, non aveva mai fatto un sogno che lo riguardasse e che potesse non definirsi incubo. Per la prima volta il suo volto non aveva perseguitato il suo sonno, non c’era traccia di severità o freddezza nel suo sguardo e la sua mano non era sul punto di scagliarle una cuspide. La sua presenza stavolta sembrava volerla rassicurare, era li per garantirle protezione, per sussurrarle che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Fu un sogno che le riportò alla mente i periodi felici e spensierati trascorsi insieme, quando lei, ignara di tutto, si era legata indissolubilmente a lui.

 

 
“Grazie, ma non avresti dovuto” gli disse mentre osservava estasiata l’abito appena indossato ”E io forse non avrei dovuto indossarlo subito, come fanno le bambine che non sanno aspettare di arrivare a casa per scartare i pacchi”

“Sciocchezze, dovevamo entrambi” le sorrise lui “Io non avrei potuto non regalartelo una volta visto come ti stava e tu hai dovuto tenerlo indosso per contraccambiare il regalo”

“Ma così il mio non è un vero regalo!”

“Certo che lo è, e lasciati dire che è proprio un bel vedere” le disse mentre con due dita le sistemava una spallina che le era scivolata.

 Il punto della scapola che entrò in contatto con le sue dita le trasmise brividi fino alla punta dei piedi.

Lui, perfettamente consapevole delle sensazioni che le provocava il suo tocco ed evidentemente non pago del risultato, le passò un braccio intorno ai fianchi e l’attirò a se, continuando a camminare tra le bancarelle del mercatino.

Claire sembrava non accorgersi della folla che li circondava, era conscia solo della sua presenza al suo fianco e non riusciva a pensare ad altro che non fossero le sue braccia che la stringevano e le sue gambe muscolose che sfioravano le sue ad ogni passo. Lui indossava un paio di semplicissimi jeans e una maglia di lino bianca, con il collo a V, ma sembrava un modello appena uscito da un servizio per una rivista. Era intenta ad immaginare quello che c’era sotto la maglia, quando una voce di donna attirò la sua attenzione

“Milo, anche tu qui?”

Una bellissima ragazza dai capelli ramati, con due dolcissimi occhi castani, si era fermata proprio di fronte a loro e li osservava con sincera curiosità.

“Castalia? Quasi non ti avevo riconosciuta senza …”

“Si, oggi è una giornata dedicata … allo svago. Mi sembra che anche tu abbia avuto la stessa idea, o sbaglio?” chiese indicando Claire con lo sguardo.

Dopo un primo momento di allarme, Claire ebbe la sensazione che non ci fosse nessun doppio fine in quella domanda, nessuna ironia celata, non c’era concupiscenza, desiderio o brama di conquista nel suo atteggiamento, semplicemente un sincero interesse verso un amico. Amico che però continuava a rimanere impalato e non si decideva a presentarle

“Molto piacere, io sono Claire” si affrettò a porgerle la mano, visto che lui non si era mosso.

“Piacere di conoscerti” la stretta della sua mano era sincera come il suo sguardo.

“Sei qui da sola o c’è anche Ioria?” finalmente Milo sembrò risvegliarsi

“No, Ioria è ancora fuori Atene, rientrerà tra pochi giorni. In proposito …” sembrò esitare un attimo ” … avrei bisogno di scambiare due parole con te ”

Claire si affrettò a divincolarsi dal braccio di Milo, ancora ancorato al suo fianco, e a trovare una scusa per allontanarsi un po’ e lasciarli soli

“Credo che andrò a comprarmi qualcosa da mangiare, mi è proprio venuta fame. Ci rivediamo qui tra cinque minuti.”  

Appena si fu allontanata, Castalia sorrise a Milo

“Una ragazza molto bella. Non sapevo ti vedessi con qualcuna. Lei sa …?”

“No. Lei non sa. Pensa che io sia … quello che non sono. E’ una lunga storia e non mi è concesso parlarne.”

“Vuoi dire che la vostra frequentazione è legata a questioni di … lavoro?”

“In un certo senso, si. Ho il compito di proteggerla.”

“Oh. E’ che mi siete sembrati così … intimi … Scusa, non sono affari miei. L’importante è che tu non abbia il compito di farle qualcosa di … si insomma,  è solo una ragazza, non è un cavaliere …”

“Sta tranquilla Castalia, non ho il compito e tantomeno l’ intenzione di farle del male. Ma dimmi, di cosa volevi parlarmi?”    

“Ecco, vedi, avrei confidato i miei dubbi a Ioria, ma lui è ancora fuori e io …”

“Castalia, puoi parlare tranquillamente con me, ti ascolto”

“Torno ora dal centro di riabilitazione”

“E’ successo qualcosa a Pegasus?” Milo si mise in allarme

“No,non si tratta di lui, ma di Patricia. Siamo andate a trovare Pegasus al centro di riabilitazione. Sai, in  poche settimane ha fatto passi da gigante, adesso può nuovamente saltare e correre, non ti dico la fatica per contenere la sua energia ritrovata! I medici stanno impazzendo, e Tisifone anche …”

“Già immagino” sorrise Milo

Pegasus era l’unico cavaliere che si era portato appresso seri strascichi dal regno degli inferi, e dopo mesi di cure e riabilitazione nel centro medico più all’avanguardia della Fondazione, ora sembrava essersi completamente ripreso.

“Mentre tornavamo a Rodorio, Patricia mi ha fatto delle confidenze. Credo che abbia in parte riacquistato la memoria, ma quello che ha ricordato è qualcosa che l’ha terrorizzata”

“Ti ha detto di che si tratta?”

“No, non vuole parlare dei dettagli, continua a dire che la perseguiteranno per sempre, ma non capisco a chi si riferisca. Si è convinta che qualcuno la stia seguendo per farle del male e non si sente al sicuro nemmeno al Grande Tempio”

“Hai già parlato di questo con Lady Isabel?”

“Non ancora, pensi che sia il caso di allarmarla? Proprio ora che, dopo tante battaglie, potrebbe finalmente godersi un periodo di pace?”

“Non farti ingannare dalle apparenze Castalia, forse il periodo che stiamo vivendo non è pacifico come sembra”

 

La bancarella dei dolci era la sua preferita. Optò per un dolce con yogurt, miele e pinoli, una specialità del luogo. Con la coda dell’occhio osservava la conversazione di Milo e della sua amica e, scorgendoli ancora intenti a parlare, decise di fare un giro tra le bancarelle dell’ artigianato etnico. Osservava distrattamente i gioielli d’argento e pietre locali, quando fu attirata dai discorsi concitati di due uomini, vestiti come se arrivassero da un altro periodo storico.

“Dobbiamo avvertire immediatamente qualcuno”

“Forse siamo fortunati” rispose l’altro indicando un punto della piazza “Laggiù ci sono la sacerdotessa e il venerabile Milo, possiamo chiedere aiuto a loro”

Si diressero di corsa nel punto in cui Milo e Castalia stavano parlando, lasciando Claire piuttosto perplessa. Non era certa di avere capito bene il senso compiuto del loro discorso, ma certamente avevano pronunciato la parola “venerabile” associata al nome di Milo e avevano definito l’amica “sacerdotessa”. Tutto poteva pensare di quella ragazza, ma non che potesse essere una suora e Milo, beh, non aveva per niente le sembianze di un prete o un religioso. Ma allora perché “venerabile”? E perché mai quei due erano agghindati come le comparse di un film in costume?

 

 

“Non permetterò che venga messa alla prova da suo fratello” la risposta di Alexander fu secca e perentoria.

“Suo fratello non sa di esserlo, sarebbe sufficiente non informarlo. Non lo avete fatto in vent’anni e non vedo perché tante difficoltà a tenerlo nascosto ora.” Pandora era visibilmente spazientita.

“Prima o poi conosceranno la verità e non voglio che il loro rapporto venga compromesso da un episodio tanto grave. Quindi la risposta è no.”

“Il fantasma diabolico di Phoenix è l’unico colpo che possa mettere alla prova la reale efficacia della mutazione genetica. Testando Juliet avremo la certezza che anche tua figlia è immune e che in questo momento, dovunque l’abbiano portata, non può essere condizionata.”

“La certezza dici? No, non esiste la certezza. Io ed Edmond ci siamo sottoposti a un trattamento simile, eppure hai visto cosa è successo stasera? Ha sparato a sua figlia. La sua mente è sotto il loro controllo e lo è stata per tutto questo tempo. Le speranze che ho nutrito in questi quattro anni si sono sgretolate stasera, non potrò mai riavere indietro lo stesso amico che conoscevo”

“Un motivo in più per evitare che il disastro si ripeta” fu Julian a intervenire “Inoltre, se posso aggiungere qualcosa a quanto già detto da Lady Pandora, Phoenix non è l’unico cavaliere che possa scagliare un colpo in grado di manipolare la mente. L’illusione diabolica e il demone dell’oscurità sono tecniche altrettanto efficaci e dei due cavalieri che ho conosciuto in grado di utilizzarle, uno è proprio qui, fuori da questa porta”.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Capitolo 20

 
“Mi state chiedendo di lanciare il mio colpo più insidioso contro una ragazza inerme? Parlate dello stesso colpo con cui ho sconfitto cavalieri dotati di cosmo e poteri pari ai miei?”

Kanon, che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, interruppe Alexander, commentando con incredulità il responso decisionale della riunione. Responso che gli era appena stato comunicato, almeno per le parti che lo riguardavano direttamente, in maniera piuttosto sbrigativa, senza perdere tempo a fornirgli quelle che evidentemente erano state considerate inutili giustificazioni.

Ma fino a che punto lo credevano privo di scrupoli? Possibile che ancora pensassero che lui fosse capace di agire come un Radamantis qualunque?

Milo, presente anche lui, sentì subito il dovere di intervenire “Alexander, proprio tu dovresti sapere che, qualunque ne sia l’esito, gli effetti collaterali di un’azione come questa implicano conseguenze imprevedibili.”

Ma nessuno dei presenti avrebbe saputo dire se si stesse riferendo alle future azioni di Kanon o alle proprie passate gesta.

“Non è stata di Alexander l’idea” puntualizzò Julian Solo.

“Ah ecco. Ora capisco. Mi conforta sapere che sia stata accolta la saggia proposta di colui che potrebbe covare più di un motivo di risentimento nei miei confronti” Kanon non riuscì a trattenere il sarcasmo.

“Ti sbagli Cavaliere. Se mi sono permesso di fare il tuo nome in una situazione tanto delicata è perché ho piena fiducia in te. E non ci sono secondi fini nelle mie intenzioni.” Non c’era nessun sarcasmo nelle parole di Julian Solo.

“In prima battuta avevamo pensato a suo fratello, Phoenix. Ma Alexander si è opposto a quest’ipotesi. E non abbiamo molto tempo per trovare soluzioni alternative. Quindi è bene che tu esegua l’ordine che ti è stato impartito, Cavaliere, perché si da il caso che sia l’unica via per scongiurare le gravi conseguenze di un improvviso risveglio di Persefone.” aggiunse Pandora.

La tolleranza di Kanon era ridotta ai minimi termini. Il fatto di dover sottostare a ordini imposti da altri che non fossero Athena iniziava a rivelarsi troppo pesante da sopportare perfino per le sue spalle larghe e possenti.

Quella stanza d’albergo poi, per quanto lussuosa, non era certo l’ambiente decisionale più appropriato. Tutto sapeva di improvvisazione. Lui era abituato a ben altri protocolli: per le decisioni importanti occorreva indire un Chrysos Synagein. E in quel caso si, che lui avrebbe almeno avuto voce in capitolo. Qui no. Tutti i presenti si aspettavano che lui eseguisse disposizioni assunte da altri, fingendo che la vile azione che gli veniva richiesta fosse annoverabile tra i sacri doveri di un cavaliere del suo rango. E non gli era nemmeno concesso avere rimorsi di coscienza.

A questo punto si sarebbe aspettato un intervento più infervorato in suo supporto da parte di Milo, che invece non sembrava più in grado di entrare nella conversazione, nemmeno per esprimere un timido parere. Si girò per tentare di intercettarne lo sguardo, sperando di non leggervi solo muta e accondiscendente approvazione. Ma con estremo disappunto constatò che Milo si era addirittura allontanato e se ne stava in disparte, quasi a volersi tirar fuori da quella discussione.

Vedere Milo impalato in un angolo della stanza con il volto abbassato a fissare quell’ammasso di capelli finti che continuava a rigirare tra le mani, non fece che innalzare a livelli esorbitanti il suo nervosismo, tanto da fargli venire voglia di incenerire all’istante quella maledetta parrucca nera.

La Grecia aveva assunto altre forme, altre fragranze e altri colori da quando era arrivata Claire. Forme, fragranze e colori finora sconosciuti, nonostante lui, in Grecia, ci fosse nato e cresciuto e fosse per questo convinto di essere in grado di riconoscerne ogni sfumatura, ogni aspetto, ogni caratteristica, nonché di percepirne la sua essenza più profonda, quella che si può ritrovare solo nei luoghi prediletti dell’anima.

Ma l’anima era divenuta mutevole e, come sospinta dal vento, vagava fremente alla ricerca di colei che pareva in grado, con la sua sola presenza, di modificare le fattezze di una terra antichissima.

Trascorse buona parte del mese di agosto in un’irreale e sublime condizione di totale dipendenza. Le sue giornate dipendevano da lei. Dall’ora in cui l’avrebbe incontrata al mattino, al momento in cui l’avrebbe salutata alla sera.

Il senso di colpa tenuto a bada, in modo da non rovinare la perfezione di quei momenti trascorsi insieme. Solo quando non aveva il suo volto davanti agli occhi, la verità tornava prepotentemente a galla, con tutte le sue spiacevoli implicazioni. “….  so che sta seguendo le mie tracce in Grecia, ora. La conosco abbastanza bene da sapere che non si fermerà. Ma non deve trovarmi, non ancora. Deve stare il più possibile lontano da me fino a quando non avrò trovato la soluzione per arginare il pericolo, se la individuassero mentre mi cerca, se la collegassero a me, diverrebbe lei il bersaglio prioritario.” Alexander era stato molto chiaro: la menzogna come unico strumento di salvezza. Mentire, ingannare, soggiogare, fuorviare e, se necessario, sedurre, illudere, incantare. Fingere di essere qualcuno che non si è al solo scopo di manovrare le reazioni e le decisioni dell’altro.

Ma Milo non riusciva a trovare verbi idonei a descrivere ciò che stava facendo. Perché di una cosa era certo. Era consapevole, e poteva affermarlo senza ragionevole ombra di dubbio, che la menzogna aveva da tempo ceduto il passo a qualcos’altro. Qualcosa che ogni giorno entrava in circolo e si amalgamava e si rimescolava annaspando tra le tortuose e impervie vie aggrappate tra realtà e finzione. Non riuscendo più a capire dove finisse l’una e quando iniziasse l’altra.

Quella mattina, dopo aver fatto colazione a base di yogurt, frutta fresca e caffè in un bar del centro di Atene, decise di accompagnarla alla penisola di Lemòs, nella speranza che il forte vento che sferzava le coste da due giorni non avesse reso impraticabile il mare in quel lembo di terra a sud della città. Speranza che ovviamente si rivelò vana. La schiuma delle onde era visibile in lontananza e i fondali irregolari formavano pericolosi vortici d’acqua in più punti. I pochi stabilimenti balneari presenti avevano issato le bandiere rosse, ad indicare il divieto di balneazione. In acqua non si vedevano nemmeno i surfisti, poiché quello era un tratto di costa ricco di rocce a pelo d’acqua, nascoste alla vista dalle onde e per questo ancora più insidiose.

“Mi sa che oggi ci dovremo accontentare di una passeggiata e di un bagno di sole” le disse indicando le bandiere rosse sferzate dal vento.

“Mhhh …” rispose pensierosa lei “E tu segui sempre diligentemente tutte le regole, giusto Milo?” più che una domanda sembrava un’affermazione. Che gli provocò comunque una sensazione di disagio. Disagio che si trasformò in qualcos’altro quando lei si sfilò improvvisamente l’abito prendisole e rimase in costume, lì ferma in piedi di fronte a lui.

“Non mi dirai che è vietato anche togliersi i vestiti” lo provocò lei, con una naturalezza che lui le invidiava e con la quale riusciva sempre a smuovergli qualcosa dentro lo stomaco.

“E dici che sarà concesso bagnarsi i piedi, o occorre chiedere prima il permesso a qualcuno?” continuava a scherzare in maniera provocatoria. Era mooolto seducente. Il bikini che indossava era dello stesso colore azzurro cielo dei suoi occhi. La pelle leggermente ambrata, merito delle giornate di sole passate in sua compagnia, i capelli biondi scompigliati dal vento e un sorriso che non lasciava scampo. Aveva iniziato a correre in direzione del mare e si muoveva con tale grazia che Milo si chiese se in realtà non stesse danzando.

Si liberò in fretta dei vestiti, rimanendo in costume, e la raggiunse, cingendole la vita da dietro, quasi a volerla trattenere per evitare che lei si spingesse troppo oltre tra le onde.

“Hai paura che prenda il largo? Guarda che, male che vada, vista la direzione del vento, le onde mi riporterebbero a riva” oggi era decisamente di buonumore.

“Preferisco avere tutto sotto controllo, nel caso in cui il vento decidesse improvvisamente di cambiare direzione” le rispose lui, avvicinando le labbra al suo orecchio.

La sentì rabbrividire e questo gli provocò un notevole compiacimento. Poi successe tutto molto velocemente, lei si voltò e all'improvviso al posto del suo orecchio c’erano le sue labbra, semidischiuse. Milo, dapprima stupito, colse immediatamente l’attimo. Fu un bacio lungo, profondo, carico di passione, che li lasciò entrambi ansimanti e senza fiato. Fu allora, nel momento di massima vulnerabilità, in cui il suo corpo era impegnato a governare le miriadi di piacevoli sensazioni scatenate da quel bacio, che lei decise, con un movimento secco, di sgusciare via dalle sue braccia per tuffarsi nelle onde.

“Claire” tuonò lui, colto alla sprovvista. La vide nuotare verso il largo e giocare a schivare e saltare le onde, ridendo come una bambina, fingendo di non sentire i suoi richiami.

Ah, gli era già successo una volta, che uno dei suoi allievi non rientrasse ai suoi richiami, durante una seduta post allenamento in acqua. Anche allora il mare era in burrasca e quel ragazzino testardo rischiò di annegare. Solo l’intervento provvidenziale di Kanon aveva evitato il peggio, quella volta. E, per fare in modo che l’episodio non si ripetesse più, Milo si era assicurato di amministrargli una giusta, severa e dolorosa punizione. Perché impartire la disciplina era un suo preciso dovere, e in questo Milo era senz’altro un maestro.

Ma qui non si trattava di uno dei suoi scalmanati allievi, qui si trattava di lei, e risolvere la questione facendo si che non avesse potuto sedersi per una settimana intera era decisamente inopportuno, per quanto la tentazione di farlo in quel momento fosse davvero molto alta.

Tra l’altro non sembrava particolarmente in difficoltà tra le onde. Anzi, si destreggiava più che bene. Quindi le sue preoccupazioni erano infondate. Milo sapeva in cuor suo che non era la consapevolezza del pericolo che lei stava correndo in quel momento a far montare la sua rabbia, ma il modo in cui l’aveva gabbato. Aveva dapprima abbassato le sue barriere e aveva poi approfittato dell’attimo in cui l’aveva reso più vulnerabile per agire in maniera sconsiderata.

Tutto l’opposto di quello che sarebbe dovuto accadere durante la sua missione.

Accidenti, il gioco della seduzione gli era sfuggito di mano. Perché se a quel punto lui si sentiva il sedotto, e non propriamente il seduttore, si chiese come avrebbe fatto a portare avanti la sua missione senza rischiare di perdere se stesso.

 La porta della stanza si spalancò improvvisamente, lasciando i presenti basiti. Nessuno aveva bussato, nessuno aveva chiesto permesso, nessuno aveva atteso l’autorizzazione a parlare. Juliet trovava superflue tutte e tre le cose.

“Ho chiesto a Lucas di organizzare il mio trasferimento a San Pietroburgo. Vado a recuperare Claire” sentenziò glaciale.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

Capitolo 21

 

La ferita sulla tempia, appena sopra l’occhio sinistro, pulsava dolorosamente. Sentiva il sangue che colava caldo sul volto e le rigava lo zigomo, dandole una piccola sensazione di calore sulla pelle gelata. A giudicare dalla temperatura, dovevano essere diretti a nord.

Era completamente al buio, ancora legata e  intrappolata dentro un container, che al momento veniva trasportato su un mezzo gommato. Lo avevano scaricato dall’aereo in maniera brusca, ma in totale silenzio. Si era sforzata di tenere in allerta tutti i sensi per poter percepire anche il minimo indizio utile a capire dove la stessero trasportando, ma l’unica cosa che riuscì a intuire fu che la strada era piena di buche. Sul chi e sul perché non si fece domande. Non ancora.

Quello che sapeva era che doveva mantenere la lucidità per uscire viva da quella situazione, ma al momento il suo corpo e la sua mente non rispondevano così prontamente come avrebbe voluto.
Aveva perso i sensi e si era risvegliata così tante volte che aveva dubbi sulle residue capacità del suo cervello di discernere ciò che aveva sognato da ciò che aveva realmente vissuto.

Per la prima volta dopo 2 anni ripensò a suo padre e le venne da piangere. La verità è che non aveva ancora elaborato il distacco. Da quando Walt le aveva comunicato la notizia del coma irreversibile, aveva chiuso e congelato nel più profondo del suo animo il cassetto con i sentimenti che un tempo l’avevano legata a lui. E aveva buttato la chiave. E non poteva certo permettersi di riaprire quel cassetto ora, in un luogo e in un momento in cui non le era concessa alcuna fragilità.

 
Né le temperature miti dell’autunno greco, né la fresca brezza marina, né il profumo dei limoni che si sprigionava dagli alberi ombrosi dei giardini quel giorno riuscivano a mitigare il suo stato d’animo e a dissolvere la collera che le ribolliva dentro.

Aveva passato 4 mesi a cercarlo in ogni angolo d’Europa, solo per fare l’amara scoperta di essere figlia di un bugiardo patologico. Che era riuscito a mentire a sua figlia con la stessa facilità con cui fingeva, sotto copertura, nel suo lavoro.

Si era presentato, vestito dei suoi abiti migliori, per mettere in scena l’ultimo atto di un piano concepito addirittura prima della sua nascita.

E lo aveva fatto recitando fino in fondo il ruolo di padre, nonché l’unico, a suo dire, che aveva interpretato fino ad ora.

Alexander che, in qualità di padre, affermava di avere sempre agito solo per garantire la sua protezione, e Claire che, in qualità di figlia, doveva semplicemente accettare di essere protetta, e perché no, magari ringraziare.

Ringraziare per tutto ciò che le era stato deliberatamente nascosto in 22 anni e che lei avrebbe avuto il diritto di conoscere fin dalla nascita.

Un f-r-a-t-e-l-l-o. Lei aveva un fratello di cui fino a quel momento ignorava l’esistenza. Nato da una relazione precedente, con una donna che non era sua madre. Un fratello che, coincidenza delle coincidenze, al momento lavorava nella sede di Atene della Fondazione, la stessa che lei aveva trovato seguendo le tracce lasciate da suo padre.  

Non era sicura di avere ascoltato attentamente tutti i passaggi del racconto di suo padre. Nel tempo che era riuscita a sopportare di stare nella stessa stanza con lui, si era limitata a registrare i dettagli che le si erano incollati nella mente, lasciando poco spazio a tutto il resto.

Ma la sua pazienza, già al limite dell’umana sopportazione, traboccò definitivamente quando suo padre, sorvolando con irritante leggerezza sulle rivelazioni personali e familiari appena fatte, che avrebbero modificato per sempre la sua esistenza in quanto figlia, la riportò ai suoi doveri di operativa. Dismettendo improvvisamente il ruolo di padre e vestendo con abile convenienza quello di suo superiore.

Superiore a cui, si premurò di ricordarle, lei doveva cieca obbedienza.

Il comunicato del giorno, riportato con grande solerzia da suo padre, era infatti che l’Agenzia aveva attivato il Protocollo A, previsto per situazioni di crisi ed emergenza eccezionali, giustificato da gravissime minacce contingenti - ovviamente non rivelabili ad un’operativa del suo livello - che minavano la sicurezza di tutti i suoi membri.

Ciò significava tolleranza zero per episodi di defezione, disubbidienza o discordanza tra ordini impartiti ed ordini eseguiti.

Sapeva che l’Agenzia non faceva sconti sulle punizioni in queste circostanze ed era certa che per lei non avrebbero fatto eccezione. L’attivazione del Protocollo A decretava la fine del suo piano e di quello di Juliet, proprio ora che iniziavano a comprendere qualcosa di interessante sui legami tra Agenzia e Fondazione.

La delusione, la frustrazione e la rabbia si mescolarono nelle sue vene ed entrarono in circolo come un veleno infuocato, che fremeva per  fuoriuscire dal suo corpo per incendiare e radere al suolo il palazzo della Fondazione e l’intera città di Atene. Doveva uscire da quell’edificio prima che succedesse l’irreparabile. Suo padre non sembrava della stessa opinione, evidentemente non aveva ancora terminato di impartire gli ordini del giorno

“Non abbiamo ancora finito qui” disse anticipando le sue mosse “Prima che tu vada via ho bisogno di parlarti di tua madre, e del suo coinvolgimento in questa storia”.

“Non osare farlo” sibilò lei, gli occhi ridotti a due fessure “Non osare scaricare le tue responsabilità sui morti, non osare attribuire le tue luride menzogne a chi non può essere qui per smentirti. Non osare intaccare la sua immagine ai miei occhi, sporcandola con la tua falsità”.  Percepì dalla sua reazione di avere colto nel segno. Bene, se non altro si prese una piccola soddisfazione prima della sua uscita di scena.

“La verità” volle affondare il colpo prima di uscire “E’che il ruolo di padre è diventato troppo scomodo per reggere il confronto con una figlia a cui hai mentito per 22 anni. Più comodo vestire i panni di quello di operativo e nascondersi dietro l’Agenzia, è sempre stata la cosa che ti è riuscita meglio”.  Sputò giusto pochi attimi prima di voltargli le spalle e sbattere le ante di tutte le porte che incontrò nel tragitto fino al cancello principale. Senza curarsi di mascherare le sue reazioni o sembrare pazza, isterica o furiosa agli occhi degli sconosciuti che aveva incrociato nei corridoi.

Quella fu l’ultima volta in cui vide suo padre. Da quel giorno, niente fu più come prima.

 Aveva nuovamente perso i sensi. Non poteva essere la ferita alla tempia l’unica causa. Sospettava che qualcuno, dopo averla tramortita con un colpo alla testa, l’avesse drogata. Un dolore alla base del collo le suggeriva che qualcuno ci avesse conficcato un ago.
Per un attimo, al primo risveglio, aveva pensato di essere stata colpita da lui. Ma non appena riacquistata la capacità di connettere i pensieri, capì che no, non poteva essere stato lui. Per due motivi: il primo è che lui non l’avrebbe mai attaccata alle spalle; il secondo era che quello al collo era un dolore sopportabile.

 Sapeva bene di non avere né tempo, né scelta, né libertà. Il Protocollo A la vincolava indissolubilmente alle direttive dell’Agenzia. Ma confidava di avere qualche ora a disposizione, concessa in maniera non esplicita, per consentirle di elaborare e metabolizzare quanto appena accaduto. Come se bastasse qualche ora per accettare una verità nascosta per 22 anni, pensò.

Sapeva che la priorità sarebbe stata quella di contattare Juliet in un canale sicuro per annullare in sicurezza la loro missione secondaria.

Ma, da quando suo padre le aveva raccontato dell’indissolubile legame tra Agenzia e Fondazione, nella sua mente si era insinuato un tarlo. E più cercava di cacciarlo e di concentrarsi sulle altre verità apprese, più questo tarlo si intrufolava nei suoi pensieri. Chi era in realtà Milo e quanto era coinvolto in questo gioco di inganni? Che legame aveva con la Fondazione? Conosceva suo padre? Sapeva di suo fratello? Domande che non aveva intenzione di porre ad Alexander, poiché oramai non si fidava più della sincerità delle sue risposte.
Pensò al “metodo Juliet” che si basava sull’assunto che il miglior modo di ottenere informazioni fosse quello di andare a cercarle nei luoghi del pettegolezzo e della frivolezza. In realtà aveva sempre sospettato che Juliet utilizzasse questo metodo esclusivamente per giustificare le sue uscite per scopi personali durante le missioni, ma in questo caso era senz’altro il modo più semplice e meno rischioso di ottenere informazioni. Era certa che suo padre l’avrebbe fatta seguire. E lei avrebbe condotto il suo inseguitore a fare shopping tra le bancarelle del mercato. Lo stesso mercato in cui durante l’estate udì due uomini definire Milo “venerabile”.

 In meno di 30 minuti giunse a destinazione, trovando il mercato di Rodorio brulicante di vita. Meglio, pensò, sarebbe stato più semplice dissolversi tra la folla, in caso di necessità. Durante il tragitto contattò Juliet da una linea sicura, annullando la missione, con grande rammarico dell’amica che aveva tutta l’intenzione di infrangere le regole dell’Agenzia e proseguire con il loro piano. La convinse a desistere, ben consapevole che la resa di Juliet fosse solo temporanea. Era difficile toglierle dalla testa obiettivi che riteneva prioritari, ed aveva il giusto grado di sfrontatezza e irriverenza per non curarsi delle inutili formalità, come amava definire i protocolli dell’Agenzia.

D’altro canto, come aveva previsto, Juliet approvò appieno la mossa del mercato, dispensando consigli su modalità di abbordaggio della gente molto poco ortodosse.

Si ritrovò così a girare tra le stesse bancarelle che aveva visitato insieme a Milo, e una piccola morsa allo stomaco le segnalò che qualsiasi cosa avesse scoperto sul suo conto, non sarebbe stata indolore per lei.

Passò un’abbondante ora prima che si decidesse ad entrare in contatto con dei potenziali interlocutori alle ricerca di informazioni. Aveva avuto la sensazione di essere seguita, ma non riusciva ad individuare con esattezza l’inseguitore, o gli inseguitori. Conoscendo suo padre, era certa che avesse dato l’incarico a più di un operativo. 

Solitamente era molto abile a scorgere i movimenti sospetti di chi la sorvegliava a breve distanza, ma stavolta aveva una sensazione di disagio inspiegabile. Ragionando con lucidità, pensò che con tutta probabilità chi la seguiva non era dell’Agenzia, ma qualcuno interno alla Fondazione, di cui lei non conosceva le mosse e le modalità operative.

Provò a liberarsene entrando in uno dei piccoli bar caratteristici che si affacciavano sulla piazza del mercato. Si accostò al bancone e una signora di mezza età, dalle movenze lente, robusta e con folti capelli grigi, la salutò e le chiese gentilmente cosa prendesse. Ordinò una limonata.

Restava sempre piacevolmente sorpresa dall’ospitalità della gente del luogo.

Mentre attendeva la sua bibita, si guardò intorno per vedere se ci fosse traccia di chi la stava seguendo e si rese conto che, a parte qualche solitario avventore che sorseggiava ouzo e leggeva il giornale ai tavolini, vi era solo un piccolo cortile interno con un patio ombreggiato sotto il quale un gruppo di anziani chiassosi giocava a carte. 

Se si fosse spostata anche lei sotto al patio avrebbe avuto sotto controllo l’ingresso del bar.

Pensò a cosa avrebbe fatto Juliet in quella circostanza e le parve di vederla, dirigersi verso quel gruppo di anziani e sfidare tutti a carte, superando in pochi minuti le barriere dello stupore e della diffidenza. Certo, se al posto di  anziani signori ci fossero state anziane signore, tutto sarebbe stato più semplice. Le donne, in qualsiasi parte del mondo, hanno sempre una maggiore propensione al pettegolezzo.

Così, quando la signora le portò la sua limonata, provò a recitare la parte della turista curiosa, iniziando a parlare di storia, mitologia e luoghi di culto, nella speranza di sentirsi raccontare di venerabili sacerdoti o sacerdotesse.  

Consapevole che il tempo era quasi scaduto e che di li a breve non avrebbe avuto più la possibilità di muoversi con libertà, decise di sfruttare al massimo quella che probabilmente sarebbe stata la sua unica occasione di scoprire qualcosa, andando direttamente a toccare il centro del suo interesse “Ho sentito molto parlare del venerabile Milo, appena arrivata ad Atene”.

Silenzio. Sguardi sfuggenti. Mani tremanti. Il rumore di un bicchiere infranto nel pavimento accanto al bancone. La signora dai capelli grigi si muoveva ora nervosamente per raccogliere i cristalli. Le sue movenze lente e pacate avevano lasciato spazio a movimenti bruschi e veloci. Al tavolo delle carte, ignari di tutto,  gli anziani giocatori proseguivano la loro partita sorseggiando boccali di birra.

Era stupita che il solo pronunciare il suo nome avesse provocato quelle reazioni nella proprietaria. Si accostò al bancone e l’aiutò a raccogliere gli ultimi pezzi di vetro dal pavimento, mentre l’altra restava in silenzio. Poi all’improvviso la signora le afferrò il polso e la tirò bruscamente con se, dentro un piccolo magazzino senza finestre nel retro del bar. 

“Cosa ti viene in mente ragazzina, di fare domande tanto sconvenienti nel mio locale?

“Chiedo scusa” finse “Non so a cosa si stia riferendo”.

“Lo sai benissimo, invece. Nessuno viene a chiedere per caso notizie su quello che è stato l’assassino del Grande Tempio”.

“No no, guardi c’è sicuramente stato un fraintendimento” La sua mente si rifiutava di registrare ciò che le sue orecchie avevano appena sentito.

“Nessun fraintendimento straniera” la stretta sul suo polso si era accentuata “Quell’uomo ha sulla coscienza più morti di quanti non ne abbia la peste”.

“Mah mah lei … lo conosce direttamente?” quella donna era davvero convinta delle parole che pronunciava, su questo non c’era dubbio.  

“Certo che no! Come potrei conoscere un assassino di quel rango… Stiamo parlando di un Cavaliere d’Oro, mica di un soldato qualsiasi. Ma sai quante ne sono passate qui dal mio bar, di persone che hanno avuto la sventura di conoscerlo? Troppe.” Fece una pausa, come per decidere se proseguire o meno nel racconto. E proseguì con un tono di voce più basso “Sai cosa si dice ora? Che si sia redento, che si sia riscattato e abbia riacquistato rispettabilità. Ma la verità è che un assassino resta  sempre un assassino. Anche quando indossa un’armatura dorata e si proclama paladino della giustizia”.

Il respiro si fermò. Forse anche il cuore perse qualche battito. La parola armatura dorata continuava a rimbalzare nei suoi pensieri come in un cortocircuito, riportandola a quanto accadde al consolato francese di Londra. E un brivido le corse lungo la schiena. 

Uscì dal bar utilizzando un’uscita secondaria sul retro. Nonostante la precauzione, restò nella convinzione che qualcuno la stesse seguendo.

Per questo motivo sobbalzò quando le si parò di fronte alla faccia una ragazzina dagli occhi color miele, che si dondolava con le braccia appese ad un ramo di un immancabile albero di limoni nel giardino interno del bar .

“Non deve dare retta a mia nonna” disse con una voce squillante e allegra “A lei piace spaventare i turisti” disse ridendo.

Quella frase bastò ad attirare la sua attenzione. La verità sta nei bambini e nei pazzi, diceva Sant’Agostino. E decise di soffermarsi ad intervistare quella bambina loquace “Tu conosci il venerabile Milo?”

“Tutti a Rodorio conoscono Milo di Scorpio. Lui è nato proprio qui, anche se una volta diventato Cavaliere d’Oro di Athena è andato a stare al Grande Tempio con tutti gli altri Cavalieri. Ma ogni tanto passa da queste parti, quando è libero. Poi ha anche una casa qui, lo sai?”

“Davvero? Una casa? E mi sapresti dire dove si trova?”

“Certo che si! Proprio di fronte al mare! Ti ci posso accompagnare, se vuoi. Anche se probabilmente sarà chiusa ora”

“Grazie, ti sarei molto grata se mi accompagnassi” quella bambina, con la sua spontaneità, sarebbe stata una preziosa fonte di informazioni. Un po’ si sentì in colpa ad approfittare della sua ingenuità, ma il tempo stringeva e quella era la sua unica occasione di avvicinarsi alla verità.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Capitolo 22

 
Mentre Alexander era impegnato ad elencare ad una più che contrariata Juliet tutti i motivi per i quali non le avrebbe mai dato il permesso di partire per San Pietroburgo, Kanon si ritrovò costretto a subire una predica da parte di Julian Solo, che si prodigava a sciorinare un elenco infinito di motivazioni atte a giustificare l’utilizzo del suo colpo più potente contro la ragazza che stava dall’altra parte della stanza.

Milo, che aveva fatto sparire o nascosto da qualche parte la parrucca nera indossata da Claire, si avvicinò ad Alexander e gli pose una mano sulla spalla, come a volerlo tranquillizzare

“Partirò io per San Pietroburgo” disse con voce bassa, ma decisa.

Tutti gli occhi dei presenti si spostarono immediatamente su Juliet, in attesa di una sua reazione scomposta, visti i precedenti.

Ma lei stranamente taceva e guardava Milo con occhi diversi da come lo aveva guardato in precedenza. Alexander, che la conosceva bene, immaginava quali fossero i suoi pensieri in quel momento: in quella stanza Milo era il suo più prezioso alleato nella ricerca di Claire, l’unico che si sarebbe precipitato a cercarla senza pensare a strategie, rischi o conseguenze. E lei lo aveva intuito benissimo.

Probabilmente stava mettendo da parte diffidenza e rancore che provava nei suoi confronti, perché in quel momento era un elemento troppo utile alla sua causa.

“Il fine giustifica i mezzi” disse infatti lei ad alta voce, confermando il pensiero di Alexander.

“Sono d’accordo con lei” fu direttamente Pandora ad intromettersi nella discussione.

Juliet si irrigidì e la guardò sospettosa, portando istintivamente una mano nella tasca dove aveva riposto la pistola.

Kanon, accortosi del movimento, si spostò al suo fianco, senza fretta, ma con l’evidente intento di frapporsi tra le due.

“Rilassati cavaliere” Pandora si rivolse a lui senza ironia “Sono certa che Juliet  saprà cogliere ciò che io e Alexander abbiamo da dirle e saprà trarre le giuste conclusioni sul da farsi. Conclusioni a cui tu dovrai attenerti, Kanon”.

“Deciderò io a cosa attenermi e a cosa non attenermi, Pandora” la tensione nella stanza si tagliava a fette.

“Juliet, ho bisogno che tu ascolti attentamente ciò che ho da dirti. Riguarda te, ma riguarda anche Claire e … tuo padre” Alexander cercò di smorzare la tensione creata, ma non fece altro che aumentarla, innescando la violenta reazione di Juliet, che si scagliò contro di lui e lo prese per il bavero della camicia, facendolo barcollare. Sarebbe caduto rovinosamente per terra, se Walt non si fosse precipitato a sorreggerlo.

“Io non voglio sentire altre menzogne uscire dalla tua bocca sul conto di mio padre, quindi se mi …”

Due braccia la sollevarono delicatamente ma con fermezza, allontanandola da lui e depositandola a distanza di sicurezza

“Alexander non si è ancora  ripreso totalmente dalla lunga degenza, sarebbe opportuno interagire con lui con più cautela” Milo aveva parlato con molta calma, sebbene il suo sguardo fosse di severo monito.

Julian Solo, che fino a quel momento era rimasto in disparte ad osservare la scena, decise che era giunto il momento di intervenire

“Juliet, con il tuo consenso e con il permesso di Alexander, vorrei dirti io ciò che dovresti sapere.”

“La diplomazia è proprio un marchio di fabbrica degli aristocratici” ironizzò a mezza voce Kanon.

Julian ignorò il commento e attese un cenno di consenso da parte di Alexander, che annuì silenzioso.

Juliet, che ancora non riusciva del tutto a mettere da parte il rancore nei confronti di Alexander, decise di acconsentire affinché uno sconosciuto la mettesse al corrente di chissà quale altro scheletro proveniente dal suo passato.  Se non altro era uno sconosciuto dai modi gentili, pensò.

“Bene” le sorrise Julian, prima di congedare tutti gli altri “La diplomazia richiede privacy e riservatezza. Se volete scusarci tutti e lasciarci soli per un po’, vi richiameremo quando avremo concluso”.

Kanon sentì una punta di fastidio osservando il modo in cui Juliet seguiva mansueta e arrendevole Julian Solo, come se le sue parole avessero avuto più valore di quelle di chiunque altro in quella stanza. Ma evitò accuratamente di darlo a vedere, strinse impercettibilmente la mascella e uscì per primo dalla stanza, seguito a ruota da tutti gli altri.

 

Erano passati appena venti minuti, ma a Kanon erano sembrate venti ore, mentre cercava di allontanare il macigno che presto avrebbe appesantito la sua coscienza di cavaliere e si domandava se davvero Athena gli stesse chiedendo di agire in maniera così vile o se fosse un’ennesima prova della sua lealtà, quando la porta della stanza si aprì e l’oggetto dei suoi tormenti gli si materializzò di fronte, piazzando i suoi bellissimi occhi verdi a pochi centimetri dalla sua faccia, quasi a volergli leggere l’anima.

Kanon ebbe non poche difficoltà a sostenere quello sguardo.

“Io non so chi tu sia. Non so chi sia la tua dea e il fatto che tu le sia devoto non è ragione sufficiente per far si che io mi fidi di te. Non ho trovato una sola ragione per cui dovrei fidarmi di te” gli disse.

Kanon si sentì sollevato nell’udire quelle parole. Lei lo stava liberando dal macigno, stava prendendo la decisione che lui, in cuor suo, sperava che lei avrebbe preso: rifiutare categoricamente di essere messa alla prova, accettare di abbandonare il campo di battaglia e restare sotto la protezione di Athena al Grande Tempio fino al resto dei suoi giorni. Fine della storia.

Ma non aveva fatto i conti con il legame che la univa all’amica scomparsa.

“Ma il problema non sei tu. Il problema è che io qui non mi fido di nessuno” guardò deliberatamente in direzione di Alexander mentre pronunciava quelle parole “Per questa ragione intendo partecipare in prima persona al recupero di Claire, ma non voglio in alcun modo che una mia debolezza possa mettere in pericolo la sua vita” Fece una pausa, forse per trovare fino in fondo il coraggio di dire quello che stava per dire “Al momento non vedo altra soluzione che accettare questo esperimento psichiatrico per testare questa mia … come cazzo dovrei chiamarla, Alexander, immunità? Mutazione genetica??”

Alexander fece per rispondere ma Kanon lo anticipò

“Demone dell’oscurità” sibilò

“Come scusa?” chiese lei

“Non è un esperimento psichiatrico. Il mio colpo si chiama demone dell’oscurità e non è un gioco da laboratorio” le disse tenendo gli occhi fissi nei suoi. Voleva intimidirla, voleva indurla a rinunciare.

“Stai cercando di spaventarmi mettendo in mezzo il demonio? E chi sarebbe l’esorcista tra voi, se qualcosa andasse storto?” cercava di mascherare con il sarcasmo una vena di preoccupazione. Lui se ne accorse e calcò la mano, nell’ultimo tentativo di farla desistere.

“Se qualcosa andasse storto, l’esorcista sarebbe inutile. Questo colpo non è fatto per essere diretto a qualcuno che non sia dotato di un cosmo in grado di farlo quantomeno reagire. E io francamente potrei non riuscire a riportarti indietro se tu non fossi in grado di farlo da sola”

“Ma indietro da cosa, esattamente?”

“Adesso basta Kanon” intervenne bruscamente Pandora “La stai inutilmente spaventando. Sai benissimo che qui c’è più di una persona che sarebbe in grado di intervenire e che altrettante in grado di aiutarla si trovano a disposizione al Grande Tempio. Sarebbe sufficiente allertarle”.

“Sono certo che non ce ne sarà bisogno” intervenne Julian. Ho abbastanza elementi per credere che Juliet non subirà alcun condizionamento mentale.”

“Ah beh, questo lo dovete chiedere ad Alexander. E’ lui che anni fa si è divertito a giocare al piccolo chimico sulla pelle degli altri” Juliet era decisa a non risparmiargli un colpo. “Comunque ci sono delle condizioni” proseguì.

Kanon sperò ardentemente che fossero condizioni inaccettabili e non se ne facesse niente.

“Accetterò di vedere il demonio solo se lasciate partire immediatamente Milo, Lucas e Walt per San Pietroburgo. Io li seguirò appena potrò” quando vide gli occhi di Milo esprimere gratitudine e approvazione, Kanon capì che non avrebbe avuto scelta e infatti fu direttamente Alexander a pronunciarsi

“Ci avevo già pensato, e penso sia la mossa più giusta da fare”.

Milo non attese ulteriori indicazioni e si congedò insieme a Walt, non prima di fare a Kanon un cenno col capo che voleva essere un gesto di incoraggiamento, ma che si rivelò un amaro saluto.

Kanon si allontanò da Juliet di qualche passo, quasi a voler mettere una distanza di sicurezza tra loro. Quegli occhi lo stavano uccidendo. Sapeva bene che il suo dubbio nasceva anche dalla consapevolezza che lei fosse la sorella dell’altro unico cavaliere in vita in grado di gestire le conseguenze di un colpo come quello e mai avrebbe voluto dover chiedere proprio il suo intervento per porre rimedio ai nefasti esiti del vile atto che stava per compiere.

 Juliet percepì i suoi dubbi leggendo la titubanza nel suo sguardo e nel suo arretramento improvviso.

Ora non riconosceva più il cavaliere tracotante e pieno d’arroganza che aveva conosciuto poche ore prima.  A dire il vero Kanon le aveva già dato prova, in più di una circostanza, di essere capace di gesti gentili e lei aveva apprezzato questo lato inaspettato di lui. Ma le aveva dato altrettante prove della sua presunzione e prepotenza e se quello che finora aveva visto di lui corrispondeva alla realtà, nella migliore delle ipotesi stava mettendo la sua vita nelle mani o di uno psicopatico o di uno stronzo. Insomma niente di nuovo per lei, roba già vissuta, solo in altri luoghi e con altri nomi. Ed era sempre sopravvissuta alla grande, quindi avrebbe rischiato anche stavolta.

In maniera decisa gli si accostò e, temendo che lui potesse essere restio a proseguire in questa prova, provò a rassicurarlo, afferrando saldamente il suo braccio con una mano

“Sappi che ho in dote una certa dose di fortuna. La fortuna sfacciata mi perseguita ovunque io vada, qualsiasi cosa io faccia e qualsiasi decisione, anche la più stupida, io prenda. Sono certa che non mi abbandonerà oggi, quindi non temere di potermi fare del male, perché non ci riusciresti nemmeno volendo”.

Kanon non riusciva a parlare, sentiva i muscoli del braccio pulsare sotto il tocco della sua mano e si rese conto per la prima volta da quando la conosceva che il solo pensiero di poterle fare del male gli evocava spiacevolissime sensazioni.

Julian Solo, forse temendo che potesse cambiare idea, sollecitò Kanon a non indugiare oltre.

Fu così che si ritrovarono faccia a faccia, a meno di un metro di distanza, con lui in procinto di scagliare su di lei il demone dell’oscurità, mentre lei lo guardava con quegli occhi così verdi, così vivi, così … No, così non ci sarebbe mai riuscito

“Devo chiederti di chiudere gli occhi” le disse in un soffio, quasi a non volere che gli altri lo sentissero.

“Me lo chiedi come un boia lo chiederebbe al condannato?” sussurrò lei di rimando

“Te lo chiedo perché se mi guardi così non riesco a colpirti” lui stesso fu stupito della facilità con cui aveva espresso ad alta voce il suo pensiero.

Lei lo guardò con maggiore intensità, stabilendo quello che le sembrò una connessione fin troppo intima e profonda per essere in una circostanza come quella, di fronte a uno stronzo semisconosciuto.

“Bene. Allora terrò gli occhi chiusi” disse continuando a guardarlo dritto negli occhi  “Ma dimmi almeno se sentirò dolore”.

Un’ombra gli offuscò lo sguardo, mentre i muscoli della mascella gli si serravano.

“Ok Ok. In fondo è meglio non sapere.  Fai quello che devi fare mentre io richiamo a me la mia fortuna sfacciata” e detto questo chiuse gli occhi, interrompendo un contatto visivo che era diventato fin troppo piacevole.

Le parve di sentire Kanon sospirare, prima di sentire un calore crescente al centro della fronte, che si irradiava dolorosamente in tutta la testa, quasi a volerle trapassare il cranio. Ebbe la sensazione di essere all’interno di un vortice martellante che la faceva rotare all’infinito su se stessa, distaccandola dalla realtà. Dopo di che fu il buio assoluto.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Capitolo 23

Il jet privato della Fondazione era un mezzo di trasporto troppo lento e inadeguato a contenere l’impazienza di Milo. Ogni minuto che passava sembrava un lasso di tempo infinito che avrebbe potuto incidere sull’esito di quella missione di recupero. Sessanta secondi in una battaglia tra cavalieri rappresentavano un’eternità. Il confine tra una sconfitta e una vittoria, tra la vita e la morte, veniva determinato in una frazione di secondo, ad una velocità superiore a quella della luce. Il pensiero di cosa stesse succedendo a Claire, in quell’infinità di secondi che trascorrevano inesorabili, era un tormento da cui non riusciva a liberarsi.

Sentire Lucas e Walt fabbricare le peggiori supposizioni su cosa attendersi, raffigurando ad alta voce le più atroci torture fisiche e mentali alle quali Claire poteva in quel momento essere sottoposta, non lo aiutava a mantenere il giusto distacco dalla situazione. Avrebbe preferito essere partito da solo, ma era consapevole che la presenza degli altri avrebbe potuto tornargli utile qualora lei, nel trovarselo di fronte, l’avesse considerato alla stregua di un nemico. Cosa molto probabile, visto il doloroso epilogo dell’ultima volta che le loro vite si erano incrociate.

 Alexander gli aveva appena riferito di avere rivelato una parte di verità a Claire, curandosi bene di non menzionarlo nel racconto. Era necessario infatti che Claire proseguisse a fidarsi di lui, tanto più ora che la sua vulnerabilità era massima, che nessun luogo era più sicuro.

Lo mise al corrente dei misteriosi e sempre più frequenti attacchi subiti dagli operativi dell’agenzia, i cui corpi si erano dissolti nell’etere, volatilizzati senza lasciare traccia alcuna. Lady Isabel aveva già convocato lui e Kanon, la settimana precedente, mettendoli in guardia su un pericolo proveniente da forze oscure, guidate da una regia non necessariamente umana.

Il particolare che lasciò basiti i due cavalieri d’oro fu che il bersaglio dell’attacco non fosse Athena, né il Grande Tempio, almeno in apparenza. L’attacco era diretto a raggiungere direttamente Alexander e sua figlia, per ragioni che al momento non era dato sapere.

Il cavaliere del cigno, che attualmente presiedeva l’undicesimo tempio, era stato tenuto all’oscuro di tutto, e così avrebbe dovuto essere fino a che Alexander non avesse stabilito diversamente. Questa era una delle principali ragioni per le quali Milo da mesi eludeva accuratamente ogni possibile occasione di incontro con lui. Sebbene quell’inganno non derivasse dalla sua diretta volontà, Milo si addossava la corresponsabilità di quella messinscena alle spalle dell’amico. E, soprattutto,  della sorella dell’amico.

Il senso di colpa per tutta la situazione che si era venuta a creare stava diventando intollerabile.

Kanon, che aveva intuito benissimo quello che si stava scatenando tra Milo e il suo io interiore, gli aveva detto in maniera schietta, senza girarci troppo attorno, che se voleva mantenere la giusta lucidità avrebbe fatto meglio a non farsi venire inutili e dannosi sensi di colpa. E lui sapeva bene quanto l’amico glielo dicesse a ragion veduta.

 Ma a Milo pesava fingere. In generale. Non era mai stato bravo a farlo, con il suo carattere fin troppo schietto e irruento. Ora però sentiva di non essere proprio più in grado di sostenere la menzogna. Almeno non con lei. Esplicitò le sue perplessità ad Alexander, sentiva il bisogno di confidargli i suoi dubbi, anche se si guardò bene dal raccontargli i particolari della loro relazione.

“Comprendo l’origine dei tuoi dubbi, cavaliere. Ma questa è una debolezza che al momento non puoi concederti” gli rispose lui con pacata fermezza, posandogli una mano sulla spalla.

E Milo realizzò che non ci sarebbe stato bisogno dei particolari. Alexander sapeva. Aveva capito perfettamente la natura e la vastità del suo debole per lei.

Ma erano in guerra e in guerra non erano ammesse debolezze. La verità sarebbe arrivata dopo e avrebbe risolto tutto, come un’onda purificatrice che con il suo passaggio lava via tutte le colpe, ripulisce le coscienze e riconcilia gli animi.

E fu con l’illusione di poter rimettere a posto i cocci, che decise di proseguire nell’interpretazione del suo ruolo.

 Quando Alexander gli disse che Claire era stata avvistata a Rodorio e che, accortasi di essere stata seguita, si era dileguata tra le bancarelle del mercato, Milo non esitò ad andare a cercarla. Non sapeva, una volta che l’avesse trovata, come avrebbe fatto a convincerla a fidarsi ancora di lui. Di una cosa era infatti certo, conoscendola. Lei avrebbe sospettato del suo ruolo in tutta quella faccenda e, se solo avesse chiesto un po’ in giro nel suo paese natale, non ci avrebbe messo molto a smascherare il castello di bugie che lui aveva costruito in quei mesi.

Stava ancora immaginando quali improbabili giustificazioni avrebbe potuto addurre ad ogni pretesa di chiarimento da parte di Claire, quando la vide sbucare dall’angolo della strada, diretta a passo svelto verso di lui. Possibile che lo stesse aspettando? Difficile pensare ad una coincidenza. E sarebbe stato stolto, per una che cercava di nascondersi, camminare così disinvoltamente in una strada così centrale del paese.

Indossava dei jeans e delle scarpe basse, che non toglievano alla sua camminata nemmeno un briciolo di sensualità, e portava sul viso un paio di occhiali da sole che nascondevano il suo sguardo, cosa che rendeva difficile comprendere il suo stato d’animo e anticiparne le reazioni.

Nella manciata di secondi che lo separavano da lei, immaginò tutte le possibili scene di quell’inesorabile confronto, aspettandosi il peggio ed essendo pronto a farvi fronte.

Ma niente di ciò che si era prefigurato si verificò.

“Hei, ma che bellissima sorpresa” lei lo salutò calorosamente, abbracciandolo con trasporto e baciandolo sulla guancia, in un punto pericolosamente vicino alle sue labbra “Se avessi saputo di trovarti qui mi sarei messa qualcosa di più decente addosso”disse indicando i jeans e le scarpe sportive.

“Hei” rispose lui, incerto sul da farsi. Possibile che lei riuscisse ad essere così serena, dopo aver appreso da Alexander una verità che probabilmente l’aveva sconvolta? O era davvero così brava a fingere? C’era solo un modo per scoprirlo, e Milo decise di giocare le sue carte migliori 

“Non riesco ad immaginare niente di più decente che vederti senza questi inutili abiti addosso” le disse mentre le sfilava gli occhiali da sole per poter scrutare profondamente in fondo ai suoi occhi. Il suo sguardo era limpido, non c’erano tracce di pianto. Non scorse neanche la più piccola traccia di dubbio. Sembrava totalmente in pace con il mondo. Ma la finzione faceva parte del suo mestiere, non doveva dimenticarlo.

“Forse gli abitanti del paese avrebbero un diverso concetto di decenza, Milo” gli sorrise sorniona. Riusciva anche a fare dell’ironia, con apparente leggerezza.

“Mmh, io li metterei subito alla prova, con un piccolo assaggio” le sussurrò con il volto vicinissimo al suo prima di premere sensualmente le labbra sulle sue, solleticandone  i lati con la lingua, in una muta richiesta di dischiuderle per consentirgli di approfondire il bacio. Richiesta che fu accolta dopo un’impercettibile resistenza iniziale.  

Un bacio non mente, pensò Milo mentre la danza delle loro lingue proseguiva in maniera sempre più passionale, come se non fossero ai margini di una piazza gremita di gente. Lui pose entrambe le mani ai lati dei loro volti, quasi a creare uno schermo tra loro e i curiosi che si giravano a guardarli. Fece aderire tutto il suo corpo al suo e la spinse delicatamente con le spalle verso il muro che delimitava la piazza, in modo da garantirle un minimo di privacy. 

Quindi mosse sensualmente il suo bacino contro il suo, in modo che ogni centimetro dei loro corpi aderisse alla perfezione.

Si fermò solo quando la sentì sospirare con maggiore intensità e frequenza, consapevole delle reazioni che stava scatenando in lei quel bacio e quel contatto così passionale.

Si fermò, ma continuò a tenerla saldamente tra le braccia, scostandole un ciuffo di capelli dalla fronte e puntando i suoi occhi sui  suoi, nel tentativo di scrutare la sua anima. Ciò che vide era la solita Claire, con lo sguardo che diventava di una tonalità di azzurro più intensa nei momenti di passione, e che lui aveva imparato a conoscere bene. Un’ improvvisa consapevolezza lo fece tornare bruscamente alla realtà e al motivo per il quale la stava cercando, e, seppure a malincuore, si staccò da lei.

“Come mai sei tornata qui a Rodorio?” le domandò con finta nonchalance, mentre con le dita le accarezzava dolcemente le braccia scoperte.

“Probabilmente il motivo non ti piacerà” rispose mentre Milo si irrigidiva “Ma è giusto che io ti confessi che ho un debole per il mercato. Lo trovo irresistibile quasi quanto te” mentre lo disse gli sfiorò le labbra con le dita.

Milo sapeva che si era spinto troppo oltre. Oltre il suo ruolo, oltre la sua missione, oltre ciò che la sua stessa coscienza gli avrebbe dovuto consentire. Ma l’attrazione e il trasporto che sentiva per lei non gli avevano dato altra scelta. Se anche avesse voluto scorgere in lei dei segnali controversi o ambigui, non ci sarebbe riuscito, perché i suoi sentimenti erano talmente forti da offuscare i suoi sensi.

Forse fu per questo che non ebbe alcun dubbio sul da farsi. Fu per questo che la prese per mano per condurla nel luogo dove mai aveva pensato di portare nessuna delle innumerevoli donne con cui era stato. Fu per questo che prese la decisione di condividere con lei l’intimità della sua casa di Rodorio, il suo rifugio sacro, il luogo del ristoro del suo cuore e della cura della sua anima.

 
Il pilota avvisò che in dieci minuti sarebbero atterrati e Milo scrutò fuori dal finestrino, riconoscendo qualche dettaglio del paesaggio. Non era mai stato a San Pietroburgo, ma era come se conoscesse ogni angolo della città, che Camus non perdeva occasione di definire “la più incantevole della Russia”.

Milo sapeva che dietro i racconti dell’amico che magnificavano le perle della cultura, della storia, dell’architettura e dell’arte della città, si celava in realtà l’immagine di una bellezza in carne ed ossa, che lo attendeva a braccia – e certamente gambe - aperte ogniqualvolta lui metteva piede in terra russa.

Milo si divertiva a stuzzicarlo, al suo rientro, ridendo delle sue reazioni imbarazzate e scandalizzate alle domande più piccanti, che urtavano la sua proverbiale austerità e riservatezza.

Il pensiero delle reazioni di Camus in quelle circostanze lo fece sorridere, e se ne stupì. Il suo ricordo, che inizialmente provocava in lui solo amarezza, nostalgia e rammarico, si stava trasformando in qualcosa che riusciva addirittura ad infondergli buonumore.

Si chiese se questa regola fosse valida per tutti i ricordi dolorosi e quanto tempo ci mettessero a trasformarsi quantomeno in pensiero neutro, quando sentì una mano sulla spalla. Walt lo avvisò che erano atterrati, mentre lui non si era ancora slacciato la cintura.

Appena scesi dall’aereo trovarono ad attenderli un’auto dell’Agenzia, con all’interno qualcuno che aveva il compito di fornire supporto logistico.

L’aria fuori era gelida, nei pochi passi che lo separavano dall’automobile sentì il vento del nord sferzargli la pelle abituata al sole della Grecia e pensò istintivamente a lei, alla volta che gli disse che le piaceva tutto ciò che era caldo e che era a sud.

Pensò all’ultima volta che la vide sorridere, ricordandosi l’esatto momento in cui l’unica cosa che avrebbe desiderato era condurla per mano a casa sua, a Rodorio, stringerla tra le braccia e tenerla con se, al sicuro, proteggendola fino a che fuori Alexander non fosse riuscito a sistemare le cose.  E una volta a casa avrebbe fatto l’amore con lei, non una, ma infinite volte, fino alla perdizione dei sensi, fino a che non fossero stati sazi l’uno dell’altra. L’avrebbe toccata, baciata con trasporto, le avrebbe sussurrato qualcosa di passionale all’orecchio e si sarebbe compiaciuto nel guardarla arrossire, e poi l’avrebbe fatta sua, completamente, fino in fondo.

Pensò che avrebbe voluto viverla, amarla, proteggerla.  

Il petto gli doleva e faticava a respirare, non certo per il freddo. Gli succedeva ogni volta che la diga dei suoi ricordi aveva un cedimento. Doveva richiuderla immediatamente, se voleva restare freddo, lucido e nel pieno delle sue facoltà. Ne andava della buona riuscita di quella missione, in cui non erano ammessi fallimenti e non erano concessi errori.

Riuscì a tornare in sé senza che gli altri intuissero i suoi tormenti interiori, e li seguì all’interno dell’auto, mentre Walt bofonchiava qualcosa a proposito dell’operativo che avrebbe dovuto fornire loro il supporto logistico.

“Che cazzo ci fa lui qui ?!?” l’esclusiva del benvenuto era tutta per lui, che ancora non si era nemmeno accomodato bene nel sedile.

Voltò lo sguardo ad incrociare quello del temerario che aveva appena osato rivolgersi a lui con quel tono di disprezzo, pronto a rimetterlo immediatamente al suo posto, ma quando lo vide la bocca gli si impastò, la saliva azzerata.

La diga che aveva richiuso poco prima cedette nuovamente e un fiume di spiacevoli ricordi tornò prepotente e inarrestabile a riversarsi nella sua mente, rompendo tutti gli argini di sicurezza che in quegli anni aveva faticato ad erigere.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

Capitolo 24

  

Claire se ne stava rannicchiata, con le ginocchia portate all’altezza del petto, per quanto la sua condizione le permettesse di muoversi. Aveva mani e piedi legati, e sentiva freddo. L’unica cosa di cui si rese conto aprendo gli occhi era di non essere più all’interno di un container. La luce accecante la colpì direttamente in volto, costringendola a richiudere gli occhi che, dopo il tempo passato nel buio più totale, faticavano ad abituarsi.

Per quanto completamente stordita e intorpidita, si sforzò di utilizzare tutti i sensi per capire dove si trovasse.

Era certamente sdraiata sul pavimento: lo sentiva, duro e freddo, a contatto con la guancia. Il dolore pulsante alla tempia e quello alla base del collo erano sempre presenti. Cercò di concentrarsi su ogni rumore, anche il più impercettibile, ma era come se la tua testa fosse immersa in una bolla d’acqua, dove i suoni giungono attutiti e divengono indefinibili. Si concentrò sugli odori: muffa, disinfettante industriale, nient’altro. Aprì molto lentamente gli occhi, scorgendo intorno a se solo il bianco delle pareti e sopra di se una fila di luci al neon. Il bianco del muro era intervallato solo dal alcune tubature in ferro, che sembravano corrose dalla ruggine e dal tempo.

L’odore del disinfettante sembrava sovrastare tutto il resto. Era un odore conosciuto, lo aveva respirato per settimane, circa due anni prima.  Tant’è che si chiese se non fosse tornata indietro nel tempo, a quando i medici del reparto di terapia intensiva cercavano disperatamente di tenerla in vita, dopo che lui, senza esitazione alcuna, le aveva lanciato addosso quel maledetto colpo.

 

Il suo lavoro era fatto di finzione. E lei era molto brava a fingere. Lo ripeteva, più che altro per autoconvicersi, mentre Milo, mano nella mano, la conduceva verso il viale d’ingresso di quella che lei poche ore prima aveva appreso essere la sua casa di Rodorio.

Quello in cui non riusciva a convincersi riguardava la sua capacità di fingere fino in fondo. Perché lì si, ne era certa, non sarebbe stata altrettanto brava. Si chiese fino a che punto sarebbe riuscita spingersi, senza lasciar trapelare il suo sconvolgimento interiore. Senza che lui intuisse anche la minima titubanza, esitazione o dubbio.

Solo pochi minuti prima, mentre lui la baciava con passionalità, il trasporto era stato tale che era riuscita ad annullare la ragione per qualche minuto. E questo l’aveva resa perfettamente credibile ai suoi occhi. Ma ora, dove l’unico contatto era quello tra le loro mani e dove lui le dava le spalle, precedendola di qualche decina di centimetri, tutto ciò che avrebbe voluto fare era puntargli una pistola sulla nuca e costringerlo a confessare tutta la verità che finora le aveva deliberatamente nascosto.

Ciò che la fece desistere dal suo intento fu la prudenza, data dalla consapevolezza di avere a che fare con un pericoloso assassino. Ancora non riusciva a credere che il Milo che aveva conosciuto fino ad allora in realtà non era mai esistito.

L’aveva sedotta per ingannarla più subdolamente e continuava imperterrito in quel gioco al massacro, certo di avere in pugno la situazione. Doveva stare molto attenta alle sue prossime mosse, in fondo lei non sapeva in che relazione Milo fosse con suo padre. Accidenti a suo padre e ai suoi dannati segreti.

Quando le strinse più forte la mano e si fermò all’improvviso, lei temette che lui avesse intuito i suoi pensieri. Si accorse solo dopo qualche frazione di secondo che il motivo che aveva spinto Milo ad interrompere la loro camminata non era lei.

Di fronte al viale d’ingresso della sua casa era ferma una lussuosa automobile nera, con i vetri oscurati. Poco distante dall’auto, due uomini in giacca e cravatta, fermi in piedi, fumavano una sigaretta. Non le ci volle molto a capire chi li avesse inviati lì. Suo padre amava esercitare il controllo in maniera plateale. Erano passate poco più di quattro ore dalla loro discussione e quello era un chiaro messaggio che il tempo della libertà era scaduto.

Non comprendeva se Milo stesse fingendo stupore o fosse in qualche modo preoccupato da quella presenza. Lei era decisa ad ignorarla ed era molto curiosa di vedere quale sarebbe stata invece la sua prossima mossa, che non tardò ad arrivare.

Senza girarsi verso di lei, le lasciò la mano

“Ti dispiace attendermi un attimo? Ho un’urgenza di lavoro da affrontare” le disse

“Un’urgenza di lavoro che viene a cercarti direttamente a casa? Devi essere davvero un pilastro per la tua società finanziaria” rispose lei.

“Come hai detto scusa?” ora si era girato e la guardava con fare interrogativo.

“Niente, facevo solo del sarcasmo sulla finanza” cercò di utilizzare il tono più ironico che le riusciva, mentre la sua testa si materializzava la consapevolezza di avere detto qualcosa di troppo. Che a lui ovviamente non era sfuggita.

“Come sapevi che era casa mia?” le disse a voce più bassa.

“Non lo sapevo” finse una certa dose di stupore mentre mentiva “Intendevo casa in senso figurato. Vengono a cercarti a casa significa che vengono a romperti le scatole ovunque tu sia. E qualunque cosa tu stia facendo …” cercò di rievocare l’atmosfera che si era creata poco prima tra di loro, ma percepì chiaramente dal suo sguardo che qualcosa si era rotto.

Lei aveva indugiato un attimo di troppo nella risposta, roteando gli occhi in maniera innaturale, e lui aveva colto. La sua maschera era rovinosamente caduta e niente di quello che avrebbe fatto o detto in seguito poteva rimediare all’errore commesso. Quanto era stata stupida! Il suo tentativo di doppio gioco era appena andato in fumo e ora si ritrovava di fronte ad un potenziale assassino senza avere gli strumenti per prevederne le intenzioni.

Mai avrebbe creduto che la sua unica via d’uscita in quella situazione le sarebbe stata fornita proprio da quell’auto inviata da suo padre. E improvvisamente il fastidio per quell’invadenza si trasformò in sollievo per quella presenza.

Ma Milo era bravo a fingere almeno quanto lei e non perse occasione di dimostrarlo

“Allora lascia che mi sbarazzi di questi scocciatori, in modo che noi possiamo ritornare a quello che stavamo facendo” le disse con un sorriso che a lei parve un ghigno sinistro e le procurò una strana e spiacevole sensazione di gelo nella schiena.

Milo si avvicinò all’auto piazzata di fronte al viale d’ingresso della sua casa, come se fosse pienamente consapevole del motivo per cui si trovava lì ad attenderli,.

Qualcuno all’interno dell’auto abbassò leggermente il vetro oscurato del posto dietro il guidatore. Non percepì chi fosse e la distanza non le permetteva di sentire cosa si stessero dicendo lui e Milo. L’unica cosa certa a questo punto era che Milo avesse un diretta conoscenza dell’Agenzia.

Avrebbe potuto fuggire. Approfittare della distrazione di entrambe le parti per dileguarsi, ma non lo fece. Qualcosa le diceva che tutto il territorio circostante fosse compromesso, in parte controllato dall’Agenzia e in parte da forze di cui lei a malapena conosceva il nome. E, senza il supporto operativo di Juliet, lei non aveva alcuna speranza di muoversi liberamente.

Passarono pochi minuti e Milo ritornò da lei con quello che, oramai ne aveva la certezza, era lo sguardo più falso che avrebbe potuto rivolgerle.

“Mi spiace, dobbiamo rimandare il nostro incontro” le disse con finta contrizione. “Sono stato richiamato per un’urgenza e devo partire immediatamente. Ma ho chiesto loro di accompagnarti in un luogo dove potrai attendere il mio rientro” mentre parlava le accarezzava un braccio.

“Perché non posso aspettarti qui?” chiese, infastidita dal fatto che quella carezza riuscisse ancora a provocarle delle reazioni di piacere.

 “Perché questo non è più un posto … sicuro” se le avesse fatto lo stesso discorso solo un giorno prima, lei avrebbe colto unicamente il suo istinto di protezione, l’attenzione che le riservava, il calore della sua mano che l’accarezzava e il magnetismo del suo sguardo blu che l’avvolgeva, in un misto di passione e tenerezza.

Ma ora non vedeva più niente di tutto ciò. Ora riusciva solo a leggere calcolo, falsità e spietatezza. Ora vedeva chiaramente la scacchiera, cosciente di essere una pedina e di esserlo sempre stata.

Fu con questa consapevolezza che gli rispose serafica

“Va bene, usufruirò del giro gratis nella tua auto di lusso, in fondo sono questi i privilegi di frequentare un pezzo grosso della finanza, no?” il tono di voce dell’ultima parte della frase le uscì un tantino troppo acido.

Lo sguardo che le diede di rimando le fece intendere chiaramente che non aveva creduto nemmeno per un attimo alla sua arrendevolezza. Nonostante ciò, fingendo fino all’ultimo, le diede un bacio sulla guancia, prolungando quel contatto il tanto necessario a sussurrarle un “Fidati di me”, che la lasciò basita.

Falso. Pensò con rabbia.

Le prese la mano, come se avesse paura di vederla fuggire da un momento all’altro, e la consegnò ai due uomini in abito scuro, che avevano oramai finito la loro sigaretta e li attendevano in piedi accanto alla portiera dell’auto. Uno di loro si posizionò nel posto di guida, mentre l’altro le apriva una delle due portiere di dietro.

Prima di salire in macchina diede un’ultima occhiata a Milo, che le sorrideva sereno, senza apparenti ombre negli occhi. Non avrebbe mai più avuto occasione di vederlo in quel modo, ma questo ancora lei non lo sapeva.

Appena si accomodò nel sedile le sue narici le restituirono un profumo che la sua memoria aveva già registrato. Quando udì  “Ciao Claire” anche le sue orecchie le confermarono quella familiarità. Si voltò e si trovò piantati addosso un paio di occhi nerissimi incastonati in un bel volto abbronzato, a cui faceva da cornice una folta chioma di capelli altrettanto scuri, tenuti corti e un po’ spettinati.

“ Victor!” esclamò senza riuscire a nascondere la sorpresa.

“Al tuo servizio mia cara, con gli omaggi di Juliet” finse un mezzo inchino e le fece un occhiolino.

Juliet, ma certo!! E chi altri avrebbe potuto mandare lui in quelle circostanze? Non certo suo padre, che considerava Victor una specie di reietto inaffidabile e imprevedibile, uno a cui al massimo andava affidata una missione in fondo all’oceano, in cui avrebbe potuto creare dei danni collaterali solo a dei microrganismi di plancton marino. O, ancora meglio, in cui sarebbe potuto diventare un pasto per gli squali.

Ma Juliet, che con Victor aveva molte più cose in comune di quanto Alexander stesso osasse ammettere, si fidava ciecamente di lui. E soprattutto sapeva che lui aveva un debole per Claire. Che si sarebbe buttato sul fuoco per lei. E sapeva anche che loro due avevano avuto una breve storia, qualche anno prima, finita sul nascere a causa dell’intromissione dell’Agenzia. Le relazioni tra operativi - sentimentali o sessuali che fossero - erano strettamente proibite dalle regole di ingaggio e quella era stata una delle tante occasioni in cui Walt non era riuscito a farsi i cazzi suoi.

Ma Victor aveva sempre trovato il modo di non interrompere del tutto i rapporti con lei. Claire ricordava esattamente tutte le innumerevoli volte in cui lui aveva abilmente anticipato la morte che tentava di farle visita. Lui aveva la straordinaria capacità di apparire nella sua vita nei momenti in cui lei ne aveva più bisogno. Aveva sempre voluto far parte delle squadre che prevedevano il suo recupero, in situazioni drammatiche e da codice rosso, in missioni ad alto rischio o andate storte. Questo almeno fino a che Alexander e Walt non lo spedirono in Cile, declassandolo da operatore di terzo livello  a semplice  informatore.

Mentre la sua mente scorreva velocemente tutte le loro passate vicende e l’auto sfrecciava a velocità sostenuta, Victor, senza perdere tempo in convenevoli, tirava fuori tutto l’arsenale di guerra che aveva a disposizione e la invitava a scegliere le armi che preferiva.

 “Non ho bisogno di armi, per ora. Ho bisogno di informazioni” gli rispose.

“Le uniche informazioni in mio possesso sono quelle che mi ha comunicato Juliet. Quindi, conoscendo la tua amica, credo che tu ne sappia molto più di me, in questa faccenda. Mi spiace non poterti aiutare di più” era veramente dispiaciuto, lo intuiva dalle vibrazioni nel suo tono di voce.   

“Grazie Victor. Stai già facendo abbastanza” gli posò una mano sulla sua e lui la aprì delicatamente, ci depositò dentro una semiautomatica e la avvolse con le sue dita, stringendole delicatamente su quelle di lei.

“Tuttavia sarei molto più sereno a saperti in giro con questa, nel caso in cui le cose si mettessero male” sollevò ironicamente un sopracciglio mentre glielo diceva.

Stava per rispondere con una battuta quando la radiofrequenza dell’auto si sintonizzò automaticamente su un messaggio di mayday, che arrivò simultaneamente a tutti i telefonini in uso all’Agenzia presenti all’interno dell’auto.

“Deve essere successo qualcosa di grave, il mayday protocol non si attiva per una comune emergenza” ogni traccia di ironia era scomparsa dal volto di Victor.

“Riusciamo a capire la natura e la localizzazione del problema ?” Claire aveva un brutto presentimento.

Presentimento che si materializzò di fronte ai suoi occhi quando, guardando attraverso il finestrino in direzione della città, vide sollevarsi un’imponente colonna di fumo.

“Atene brucia” riuscì a dire incredula

“Pensi che sia in alcun modo connesso con il mayday?” le chiese lui.

Lei non rispose, così lui proseguì

“Senti Claire, abbiamo due scelte. Ignorare il segnale e allontanarci il più possibile da Atene, per metterci in sicurezza in attesa di avere un quadro più completo del problema oppure …”

“Oppure seguire l’odore di bruciato, con il rischio di ustionarci” terminò lei la frase al suo posto.

Victor non aveva bisogno di chiederle altro.

“Prendi la prossima uscita per Atene” ordinò all’autista. Mentre l’auto cambiava bruscamente direzione, lui ne approfittò per farle la domanda che lei si era aspettata le facesse da appena erano partiti

“Chi era esattamente il tizio di prima?”

 Claire si prese qualche secondo prima di rispondere.

 “Uno di cui non possiamo fidarci” disse laconica.

Lui non commentò, ma, ne era certa, non si sarebbe accontentato di quella risposta.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

Capitolo 25

 

 Il corpo di Juliet giaceva esanime sul pavimento, mentre i presenti assistevano impotenti e attoniti alla scena.

Kanon faticava a decifrare la relazione causa – effetto di quanto era appena accaduto. In realtà faticava a comprendere l’intero accaduto.

Aveva scagliato un colpo che aveva il preciso effetto di condizionare le menti, ma che aveva prodotto tutt’altre imprevedibili e infauste conseguenze.

Tutti nella stanza tacevano. Nessuno sembrava avere il coraggio di commentare l’accaduto. Come biasimarli? D’altronde, come avrebbero potuto spiegare l’incomprensibile? Lui stesso non ne era capace.

L’unica che sembrava esserne in grado era Pandora. Lo guardava incredula e atterrita, cercando le parole giuste per definire la situazione.

“La sua anima non è più in questo mondo” disse senza mezzi termini.

A Kanon sembrò di sentire la sua testa esplodere e frantumarsi in mille frammenti che, come schegge impazzite, si conficcavano dolorosamente in ogni muscolo del suo corpo, teso fino allo spasmo, mentre la mano con cui aveva lanciato il suo colpo fu scossa da un tremito incontrollabile.

Pandora si accorse del suo tormento e si affrettò ad aggiungere

“Ho rilevato un’interferenza”

“Che genere di interferenza?”chiese allarmato Julian Solo.

Alexander era sbiancato. Sembrava più pallido ora di quando giaceva in coma su un letto d’ospedale. Che avesse finalmente compreso la drammaticità della situazione? Kanon iniziò a provare fastidio per la presenza di tutte quelle persone attorno, tanto più che erano stati loro ad indurlo a commettere quella dannata azione.

“Qualcuno ha approfittato del colpo di Kanon” Pandora sembrava avere le idee molto chiare. “Qualcuno in grado di maneggiare un attacco simile a quello della Dimensione Oscura”

“ Impossibile” la interruppe bruscamente Kanon “Avrei certamente riconosciuto quell’attacco, essendo ovviamente in grado di utilizzare la sua variante”.

“Non ho detto che qualcuno ha usato quell’attacco. Ho detto che qualcuno con l’abilità di utilizzarlo ha interferito con il tuo colpo, allo scopo di spedire l’anima di Juliet in un’altra dimensione”.

Kanon fissava il corpo di Juliet, riverso a terra e inerme, consapevole che lei non fosse più li con loro in quella stanza, e fu pervaso da un misto di rabbia, rammarico e impotenza.

Sentì distrattamente Alexander parlare al telefono e chiedere di Lady Isabel. Ma se veramente era accaduto quello che Pandora pensava fosse accaduto, nemmeno Athena in persona sarebbe stata in grado di stabilire in quale dimensione oscura fosse finita l’anima di Juliet.

 _________

 
 
Juliet si accorse di avere la faccia piena di terra quando, dopo essersi girata di lato, iniziò a tossire e sputare i granelli che le erano finiti in bocca. Un attimo prima era in piedi in una stanza d’albergo e un attimo dopo era sdraiata a faccia in giù con la testa sprofondata nel terreno. Testa che sembrava voler esplodere da quanto pulsava. Ma certo, questi dovevano essere tutti gli effetti del colpo di Kanon.

Julian Solo le aveva spiegato che avrebbe potuto produrre delle illusioni in grado di ingannare la sua mente. Dunque questa era la prova che lei non era immune ai condizionamenti psichici. E quindi il geniale piano di Edmond e Alexander si era rivelato un fallimento.

Sollevò lo sguardo per comprendere meglio in quale luogo la sua mente voleva convincerla di essere finita. Sulla luna, pensò ad una prima occhiata. Il buio che la circondava era mitigato da una luce tenue, che permetteva ai suoi occhi di scorgere solo delle lievi ombre in lontananza, mentre accanto a se riusciva a malapena a distinguere i colori. Tutto sembrava tendente al grigio, come il colore della terra che aveva appena sputato.

I solchi e i crateri sulla superficie scarsamente illuminata le ricordarono le immagini dello sbarco sulla luna, evento che, tra l’altro, era avvenuto qualche decennio dopo la sua nascita, ragione per cui si chiedeva cosa diamine la sua mente stesse cercando di comunicarle.

Si mise in piedi con fatica, la testa le doleva ancora maledettamente.

“Accidenti a te Kanon” esclamò spazientita. Per quanto ne sapesse, erano passati solo pochi minuti da che Kanon l’aveva colpita, eppure lei si era già ampiamente stufata di quella situazione. Non aveva la più pallida idea di come convincere la sua mente a riportarla alla realtà e questo contribuiva a far crescere in lei una strana e spiacevole sensazione di inquietudine e incertezza.

Le venne in mente l’ammonimento di Kanon “potrei non riuscire a riportarti indietro se tu non fossi in grado di farlo da sola” e forse solo ora iniziava a comprenderne fino in fondo il senso.

Ma non era da lei arrendersi alle prime incertezze, ragione per cui decise di dare un’occhiata in giro e seguire ciò che la sua mente stava cercando in tutti i modi di mostrarle.

Fece solo pochi passi quando si accorse che alcune delle ombre che aveva visto in lontananza si stavano in realtà muovendo, anche piuttosto velocemente. E, a ben vedere, si accorse che erano dirette proprio verso di lei. Più si avvicinavano, più sembravano avere sembianze umane.

“Bene” pensò con un sospiro di sollievo “Almeno la mente non mi sta gettando in pasto ai marziani”.

Quando la prima ombra fu abbastanza vicina, fu finalmente in grado di distinguere le sue fattezze e i suoi lineamenti, che si rivelarono totalmente, assolutamente e inequivocabilmente umani.

“O mio dio” esclamò quando, a circa due metri da lei, la figura arrestò la sua corsa.

Non credeva ai propri occhi, ma a quella distanza non vi era possibilità di errore: davanti a lei, in tutta la sua magnificenza, e per giunta mezzo nudo, non fosse per il drappo bianco attorno alla vita, si ergeva nientepopodimeno che quel marcantonio di Henry Cavill, nonché protagonista di molti dei suoi sogni proibiti di ragazza series addicted.

“Hai visto che la mia mente in fondo in fondo mica è stupida” pensò compiaciuta del risvolto inaspettato e mooolto interessante che stava prendendo quella situazione. Sfruttare il colpo di Kanon per poter vivere, anche solo per pochi attimi, uno dei suoi sogni di ragazzina? Decisamente allettante come prospettiva.

Era talmente assorta ad ammirare le fattezze del suo attore preferito, che non si era accorta di un’altra figura che era intanto sopraggiunta, sempre di corsa, e che si era fermata esattamente dietro l’altra.

Quando ne vide il volto e ne riconobbe i lineamenti, la delusione fu tale che un’ esclamazione di viva protesta le salì immediatamente alle labbra

“Kanon! Che diavolo ci fai anche tu qui? Non sarai venuto a riprendermi proprio sul più bello?!? Eh no caro mio, non è che prima mi sventoli di fronte il mio idolo di sempre e poi ti presenti tu a fare il guastafeste! Sappi che non verrò da nessuna parte con te, se prima non mi lasci il tempo di …” si interruppe bruscamente non appena si accorse che Kanon era quasi completamente svestito, esattamente come l’altro.

Non che Juliet fosse una dall’imbarazzo facile, ma trovarsi di fronte tutti quei muscoli perfettamente scolpiti la stava destabilizzando. Più che altro si stava chiedendo quale subdolo e perverso meccanismo avesse messo in atto la sua mente per proiettarle l’immagine di Kanon di fianco a quella del suo sogno erotico per eccellenza. Che razza di messaggio inconscio cercava di trasmetterle?

Il primo a rivolgerle la parola, mentre lei era intenta nei suoi ragionamenti, fu proprio Henry Cavill

“Ti stavamo aspettando” le disse con uno sguardo, un sorriso e un tono che esprimeva sollievo e riconoscenza.

“Stavate aspettando me? Cioè tu, Henry Cavill, aspettavi me?” disse ignorando volutamente la fastidiosa e invadente presenza di Kanon.

“Micene è il mio nome, Cavaliere d’Oro di Sagitter” l’incredulità di Juliet di fronte a quella rivelazione fu totale. Evidentemente si trattava di un set di un film, in cui lui interpretava il ruolo di un cavaliere. Un cavaliere d’oro, tanto per cambiare.

“Il piacere è mio, io sono Juliet” rispose con il tono più dolce di cui era capace. Poi si rivolse all’altro, con tutt’altra intonazione di voce “ Kanon, dato che siamo in un film, il tuo personaggio è una comparsa del tutto superflua. Soprattutto considerando che io non sono una donzella che in questo momento vuole essere salvata”.

Non capiva perché Kanon continuasse a guardarla come se non l’avesse mai vista prima e si chiedeva perché non le avesse ancora rivolto la parola. Notò però uno sguardo perplesso tra i due, come se cercassero un tentativo di intesa prima di dire qualcosa. Fu sempre Henry Cavill - Micene a parlare

“Posso chiederti in quali circostanze hai conosciuto Kanon?” chiese gentilmente.

Juliet guardò torvo l’altro che continuava nel suo mutismo selettivo, come se non si stesse parlando di lui.

“Ho conosciuto Kanon nel giorno più sfigato della mia intera esistenza, l’unico in cui la mia fortuna sfacciata ha deciso di abbandonarmi e farmi finire qua, senza avere la più pallida idea di come fare per tornare indietro. Ecco, diciamo che se sono qua il merito è tutto di Kanon, che mi ha procurato un biglietto di sola andata e si è dimenticato di dirmi come fare a trovare quello del ritorno”.

“Tipico di mio fratello. Agire senza pensare fino in fondo alle conseguenze” finalmente proferì parola, ma con un’inflessione nel tono di voce che non era propria di Kanon. E anche il suo sguardo era diverso. Meno canzonatorio, meno strafottente, più austero.

“Chi diavolo sei tu?” gli andò talmente vicino che quasi andò a sbatterci addosso, costringendolo a fare un passo indietro per lo stupore.

“Domando scusa per i miei modi, e per non essermi presentato prima. Il mio nome è Saga, Cavaliere d’Oro di Gemini. Nonché fratello gemello di Kanon, che a quanto pare tu hai avuto già modo di conoscere”. 

Juliet rimase senza parole: mai si sarebbe aspettata un tale scherzo da parte della sua mente, ed esplicitò a voce alta i suoi pensieri

“Certo non immaginavo che il condizionamento della mente mi spedisse in mezzo ai vostri legami familiari”

“Non è stato il condizionamento della mente a condurti qui da noi” Saga la interruppe “Il demone dell’oscurità non ha il potere di spedirti in un’altra dimensione. Il colpo che ti ha portato qui è la Dimensione Oscura, ma non è stato Kanon a lanciarlo”.

“Altra dimensione in che senso? Vuoi dire che sono stata drogata e vedo cose che non esistono?” chiese Juliet.

“Al contrario. Niente di ciò che vedi è frutto della tua mente, della tua fantasia, o dell’effetto di droghe. Quella che vedi è la realtà, una realtà che appartiene a una dimensione parallela, un limbo in cui noi siamo stati confinati e in cui siamo destinati a restare per l’eternità, o almeno fino a che qualcuno con le tue caratteristiche non sia dotato di un’anima capace di raggiungerci”.

“Io non sono capace di un bel niente. Non so nemmeno di che parli. So solo che Kanon mi ha colpito, qualsiasi sia il nome della maledizione che mi ha lanciato addosso, e che mi sono ritrovata qui”.

“Quando Kanon ti ha colpito, molto probabilmente non era a conoscenza di molte cose sul tuo conto. E a quanto vedo, nemmeno tu”. Non vi era traccia di rimprovero nella voce di Saga, ma Juliet si pose immediatamente sulla difensiva

“E tu, di grazia, di cosa saresti a conoscenza che a noi umani non è dato sapere?”

“Quello che Saga intende dire” si intromise Micene “E’ che se la tua anima è arrivata fino a qui, in un luogo che nemmeno la nostra Dea ha potuto trovare, nonostante abbia in tutti i modi cercato di riportarci indietro dopo la guerra contro Hades, devi per forza possedere delle qualità di cui probabilmente ancora non sei consapevole”.

Non seppe dire se fu la somiglianza con Henry Cavill, ma Juliet ascoltava quel giovane uomo come fosse stato un dio greco da venerare. E diede immediatamente credito  alle sue parole

“Dunque, non fosse per un piccolo esperimento genetico fatto a mia insaputa mentre ero sulla culla, esperimento che in teoria avrebbe dovuto garantirmi l’immunità ai condizionamenti della mente, posso affermare con certezza che le mie migliori qualità niente hanno a che vedere con i passaggi trans dimensionali”.

“Chi ha operato questo esperimento genetico?” Saga sembrava interessato ad approfondire il discorso.

“Mio padre e il suo migliore amico. E non solo su di me, ma anche sulla mia migliore amica. Che attualmente risulta dispersa in Russia, mentre io, che dovrei andare a recuperarla, sto qui a parlare del niente assoluto con voi, come una qualsiasi strafatta di LSD” Juliet iniziava a manifestare segnali di insofferenza rispetto alla permanenza forzata in quel luogo. 

“Tuo padre e il suo migliore amico probabilmente avevano intuito qualcosa. Ma niente che fosse anche solo lontanamente paragonabile alla reale portata dei tuoi poteri” proseguì Saga.

“Tu continui a sottolineare i miei poteri, ma ti faccio notare che io non ho idea di come sia arrivata fin qui e non ho idea di come fare per andarmene da qui. E qualsiasi cosa voi cerchiate di farmi credere, io riterrò per sempre Kanon responsabile del casino in cui mi trovo ora” .

“Non è stato Kanon a condurti fino a qui. Sei stata tu, con il mio aiuto. Ho stabilito una connessione sfruttando la risonanza del colpo di mio fratello, e tu hai semplicemente seguito un canale dimensionale aperto da me, che nessun altro è stato mai in grado di percepire prima.”

“Non capisco. Se io non mi sono resa conto di niente, perché l’avrei fatto? Non sapevo niente di te, della vostra guerra, della vostra scomparsa, conosco a malapena tuo fratello e nemmeno posso dire di fidarmi di lui. Che motivo avrei avuto di seguire questo varco dimensionale per arrivare fino a qui?” Juliet non si capacitava di non poter più attribuire la colpa di tutta quella situazione a Kanon.

“Probabilmente” le rispose Saga “La volontà di qualcuno più in alto di tutti noi ha fatto si che questa circostanza si verificasse. Forse vi è una necessità, che ad oggi ancora non conosciamo, per la quale è giunto il momento che noi cavalieri di Athena torniamo nel mondo dei vivi.”

“Mi stai dicendo che la mia anima è finita nel regno dei morti? Siamo all’inferno?”

“No, se questo fosse stato il regno degli inferi, Athena avrebbe saputo tirarci fuori”

Fu Micene a rispondere al suo posto “Siamo intrappolati in questa dimensione senza nome, invisibile perfino agli dei. Tra di noi c’è più di un cavaliere in grado di oltrepassare l’ingresso dell’Ade, ma nessuno tra noi è stato in grado di stabilire un contatto con l’esterno, fino ad ora”  

“Parli come se ci fossero altri cavalieri qui, oltre a voi”Juliet si guardò intorno, ma non vide nessun’altro.

“E’ così infatti” rispose Saga “Ma tra tutti, sono io l’unico in grado di aprire un varco dimensionale".

“Vuoi dire che se sono qui è colpa tua? Allora deve essere un vizio di famiglia” disse sarcastica “Spero sarai almeno in grado di spiegarmi come fare a tornare indietro”.

“Si. Ti aiuterò io” disse Saga ignorando la prima parte del suo commento “Farò in modo che tu possa tornare indietro sana e salva. Ho solo bisogno di un po’ di tempo e sarà necessario, ad un certo punto, che tu riesca ad affidarti completamente a me".

“Mi chiedi  di portare pazienza e di accordarti la mia fiducia, come fosse semplice” borbottò a mezza voce Juliet.  

“Non ho detto che sarà semplice, ma tu sembri avere abbastanza carattere da affrontare problemi ben più complicati di questo” rispose Saga guardandola dritto negli occhi.

Era un complimento questo? Quell’uomo la metteva in soggezione. Era così uguale, e al tempo stesso così diverso da Kanon. Avrebbe voluto sapere di più su di loro, avrebbe voluto conoscere i dettagli di quella storia, della loro guerra. Invece doveva fidarsi così, sulla parola, di due sconosciuti per giunta. In fondo non aveva altra scelta, se voleva uscire da quel luogo.  

Micene, che sembrò leggere la sua titubanza, cercò di infonderle coraggio

“Non devi preoccuparti, Saga ti darà anche le indicazioni per chiedere aiuto a chi saprà guidarti nel trovare il modo di gestire questa tua capacità. Così che magari un giorno tu possa utilizzarla per riportare indietro tutti noi”.

Juliet lo guardò e sentì crescere dentro di se un profondo sconforto. E allora ebbe il sospetto che la sua mente iniziasse davvero a farle brutti scherzi. Perché non era possibile che, in mezzo a tutto ciò che le stava succedendo, lei non riuscisse a focalizzarsi su altro che non fosse la delusione di scoprire che no, Henry Cavill non era mai stato lì con lei.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

Capitolo 26

 
Lo scatto metallico annunciava lo sblocco della serratura: qualcuno aveva appena aperto un varco nella sua unica potenziale via d’uscita. Per questa ragione i suoi sensi avrebbero dovuto prestare la massima attenzione ai movimenti e ai suoni provenienti da quella direzione, ma quando la porta si aprì, Claire non ebbe nemmeno le forze per sollevare lo sguardo e vedere chi fosse.

Qualcuno entrò nella stanza, sentì rimbombare sul pavimento i suoi passi pesanti, che si facevano sempre più vicini, fino a che non ebbe l’impressione che quel qualcuno volesse calpestarla e camminare sopra il suo corpo sfinito e inerme. Se anche avesse avuto le energie per spostarsi, era pur sempre legata mani e piedi, quindi le sarebbe stato impossibile evitarlo. 

Invece quei passi si bloccarono a pochi millimetri dal suo volto. Vedeva le sue scarpe attraverso l’occhio semichiuso, con una  guancia e l’altro occhio poggiati sul pavimento.

Ancor prima di riuscire ad aprire completamente l’occhio, un’altra persona entrò nella stanza. Non sentì il suono dei suoi passi, ma udì con chiarezza la sua voce sprezzante

“Sai cosa fare. Appena hai finito con lei, portala su.” 

Il suo tono era perentorio, certamente era qualcuno di grado superiore all’altro. Quest’ultimo non perse tempo e si diede da fare per eseguire l’ordine ricevuto.

Claire si rese conto solo di un dolore lancinante al fianco, ma non seppe dire se l’avesse colpita con un calcio o con un oggetto. Aprì completamente gli occhi e vide con chiarezza una delle sue scarpe, che sembravano ricoperte di metallo. 

Il colpo la fece tossire e si chiese se non le avesse causato la frattura di qualche costola.

“Buongiorno bella addormentata, dormito bene?” la sua voce aveva un timbro  metallico che la rendeva irreale, esattamente come le sue scarpe.

Lei si sforzava in ogni modo di reagire ma le fibre del suo corpo non rispondevano.

Lui doveva averlo capito perché la afferrò con forza per le spalle e, con una forza che a lei parve sovrumana, la sollevò da terra e la scaraventò dall’altra parte della stanza, facendole sbattere violentemente la schiena contro la parete. Un urlo di dolore le salì alla gola, quando cadendo a terra in maniera scomposta, con i piedi ancora legati, si procurò una distorsione, o forse una frattura, a una delle caviglie.

Il dolore stava risvegliando i sensi intorpiditi dalla droga che le avevano iniettato, se non altro ora riusciva a tenere entrambi gli occhi aperti e a focalizzare l’attenzione su quanto le stava accadendo.

Non era ancora nel pieno delle sue facoltà, ma se voleva sopravvivere doveva assolutamente ragionare lucidamente. Le erano bastati quei pochi istanti per comprendere che sul piano fisico non c’era possibilità alcuna di lottare. Quel genere di forza non sarebbe stata alla sua portata nemmeno se lei fosse stata armata fino ai denti e in possesso di tutte le sue capacità fisiche e mentali.

Ora che vedeva la sua figura per intero si accorse che indossava un’armatura, e lei purtroppo aveva appreso, per esperienza diretta, che la forza sprigionata da quel genere di cavalieri poteva definirsi più divina che umana. 

Così fece l’unica cosa che poteva fare in quella situazione: parlò.

“Visto che hai deciso di uccidermi, posso almeno chiederti di liberarmi da queste corde? Vorrei congiungere le mani in preghiera, prima di morire”.

“Se fosse per me ti avrei già uccisa, ma purtroppo mi è stato impedito. Posso solo giocare un po’ con te e poi devo riportarti su dagli altri, stando attento a non fare troppi danni” disse evidentemente contrariato.

Se non altro aveva di fronte uno stolto, pensò Claire. In una sola frase aveva dato informazioni sul suo ruolo, i suoi limiti e anche sul numero di persone che erano con lui. Almeno altri due.

Lo osservò con maggiore attenzione e si accorse che sia il suo aspetto che la sua armatura non avevano niente a che fare con quelle che lei aveva conosciuto anni addietro. Le armature dorate, che illuminavano chi le indossava di un’aura di lucentezza assoluta, non avevano niente in comune con questa che si trovava di fronte, che era di un colore nero ossidiana e che sotto le luci al neon emetteva dei riflessi verdastri. L’elmo copriva quasi totalmente il volto, lasciando scoperta solo la porzione del mento, appena fin sopra le labbra. Labbra che lasciavano intravedere un sorriso sadico, mentre continuava a colpirla al solo scopo di divertirsi. Ciascun colpo che riceveva, e che non riusciva in alcun modo ad evitare, le provocava una frattura, una contusione, un’emorragia. Le stava rompendo le ossa, letteralmente. Doveva assolutamente tenere duro e non cedere, rimanere lucida nonostante il dolore indicibile. La mente era la sua unica via di salvezza, doveva arrivare cosciente al cospetto dei suoi superiori, capire le loro intenzioni, tentare una trattativa, trovare una via d’uscita, o per lei sarebbe stata la fine.

Cercò di concentrarsi su altro, di estraniarsi e di portare la sua mente al di fuori del suo corpo. Era la prima regola per non cedere alle torture: scindere la mente dal resto del corpo. Non fu difficile trovare il pensiero giusto. Quello che era ancora in grado di catalizzare la sua attenzione in maniera assoluta e totalizzante, nonostante fossero passati anni.

 

L’auto si fermò a circa cinquecento metri dal palazzo della Fondazione. Si erano sbagliati: non era l'intera città di Atene ad essere avvolta dalle fiamme, ma il palazzo in cui, sole poche ore prima, aveva discusso animatamente con suo padre.

Il palazzo era situato su uno dei colli di Atene, circondato da un parco urbano, anch’esso avvolto dalle fiamme. Colonne di fumo nero si sollevavano dal suolo e creavano una coltre irrespirabile nel raggio di chilometri. A quella distanza il fumo impediva loro di scorgere qualsiasi cosa. Dovevano avvicinarsi di più. Claire era in pensiero per suo padre e per Walt. Victor, che probabilmente aveva intuito le sue preoccupazioni, tentò di rassicurarla

“Alexander e gli altri si saranno certamente messi al sicuro.”

Lei annuì con un cenno del capo, e con assoluta determinazione rispose

“Devo andare a cercarli.”

“Ragiona Claire, non puoi buttarti tra fumo e fiamme senza avere la contezza di cosa stia succedendo.”

“E cosa dovremo far secondo te? Stare chiusi dentro questa maledetta auto a goderci lo spettacolo, fino a che le fiamme non saranno spente? E se qualcuno avesse bisogno di aiuto? Se mio padre, Walt o qualcun altro fossero bloccati in mezzo a quell’inferno?“ la sua voce rivelava tutta la sua angoscia “Non me lo perdonerei mai, Victor. So che non è la mossa più astuta, ma so che se restassi qui e succedesse qualcosa ad uno di loro, non riuscirei a perdonarmelo.”

“D’accordo” Victor la assecondò. Lo faceva sempre, durante l’azione “Però vengo con te, almeno c’è qualcuno che ti guarda le spalle, in caso di necessità”.

Quello che successe immediatamente dopo rimase impresso nella memoria di Claire come un susseguirsi di eventi traumatici, privi di  razionale consequenzialità. Eventi che si fissarono nella sua mente come fotogrammi surreali che apparivano e scomparivano in mezzo ad una coltre di fumo nero, illuminati da bagliori di luce che, come dei flash istantanei, scattavano nel preciso momento in cui le immagini si rivelavano ai suoi occhi in tutta la loro crudezza.   

Il primo fotogramma ad essere illuminato fu quello di Milo, affiancato al tizio che riconobbe essere lo stesso con cui aveva avuto un incontro- scontro al consolato francese di Londra, entrambi ricoperti da un’armatura che emanava bagliori dorati.

Il secondo fotogramma fu quello di suo padre, riverso a terra in un lago di sangue. Ciò che non sarebbe mai riuscita a togliersi dalla mente, fu la visione immediatamente successiva: Milo che si gettava contro suo padre per colpirlo, conficcandogli le dita di una mano al centro del petto, quasi all’altezza del cuore.

Il gelo la pervase le membra, nonostante il calore soffocante del fuoco. Avrebbe voluto urlare, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono. Restò paralizzata, vedendo la furia e la potenza con cui Milo si era scagliato contro il corpo inerme e insanguinato di suo padre.

Victor, che aveva assistito alla stessa scena, fu più pronto di lei ad intervenire. Si avvicinò velocemente a Milo, puntandogli addosso il suo mitra

“Lascialo immediatamente” lo minacciò

Claire si diede conto solo di Milo che lasciò suo padre nelle mani dell’altro e immediatamente dopo, coprendo una distanza di qualche centinaio di metri in un batter di ciglia, la sua faccia era a due centimetri da quella di Victor, una mano a stringere il suo collo e l’altra impegnata a polverizzare il mitra. Con la sola stretta di una mano aveva ridotto in frantumi l’arma più letale che avevano in dotazione.

“Pensavo di essere stato chiaro. Dov’è lei? Dimmi che l’hai portata lontano da qui, esattamente come ti avevo detto di fare. Dimmi che lei è al sicuro” la mano sul collo si faceva sempre più stretta, e Victor iniziò a tossire.

Fu allora che Claire prese coscienza della potenza sovrumana di Milo. E fu consapevole di non potere niente contro di lui. Fortunatamente fu qualcun altro a venire in soccorso di Victor.

“Milo, fermatevi, vi prego. Qui ci penso io ora”

La voce di una donna. Una voce conosciuta, e un volto altrettanto conosciuto, comparve nel campo visivo di Claire. Lady Isabel, la stessa donna che aveva incontrato mesi prima, al ricevimento della Fondazione.

“Milady, andate via , è pericoloso. Non sappiamo chi sia il nemico” Milo non accennava a mollare la presa dal collo di Victor, che oramai era paonazzo.

Fu allora che Claire decise di agire. Non agì lucidamente, ma lo fece istintivamente, in maniera spietata, così come era stato spietato Milo nei confronti di suo padre e di Victor. Sapendo di non avere speranze contro di lui, decise di prendere un ostaggio.

Forte del fatto che il fumo avesse nascosto a tutti la sua presenza, si avvicinò senza essere notata e con un movimento veloce, da dietro, afferrò il collo di Lady Isabel e le puntò la semiautomatica alla tempia. 

“Togli le tue luride mani da Victor e restituiscimi il corpo di mio padre, o le faccio esplodere il cervello

Claire non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di stupore di Milo. Fu talmente sbalordito che per alcuni secondi non riuscì ad articolare nemmeno una parola.

“Milo fa qualcosa o mi vedrò costretto ad intervenire a modo mio” urlò l’altro in armatura.

“No! Kanon, Milo, fermi. Vi proibisco di intraprendere azioni di cui potreste pentirvi. Fate quello che vi chiede, e abbiate fiducia in me, per favore” fu Lady Isabel a parlare, mentre Claire la teneva stretta a se, con l’arma puntata alla tempia.

Milo lasciò immediatamente andare Victor, che ruzzolò per terra, tossendo convulsamente e portando le mani a massaggiarsi il collo.

Dopodiché si rivolse a lei, con tono neutro e sguardo fermo

“Claire, nessuno vuole fare del male a te né tantomeno a tuo padre. Qui siamo tutti dalla stessa parte”

“Taci! Bugiardo, come osi continuare a vomitarmi addosso le tue menzogne. Ti ho appena visto infierire su mio padre, l’hai ucciso tu!” la rabbia di Claire era incontenibile, il braccio con cui impugnava l’arma tremava.

Lo sguardo di Milo cambiò, come se si fosse improvvisamente reso conto di qualcosa, e si fece più duro, più freddo.

Kanon, così l’aveva chiamato Lady Isabel, iniziò ad avanzare verso di lei, lentamente, nonostante avesse ricevuto poco prima l’ordine di non intervenire. Evidentemente le parole di quella donna non avevano grande influenza su di lui.

Claire iniziò ad indietreggiare, trascinando con se il suo ostaggio. Fino a che non arrivò al punto in cui sentì dietro di se solo il vuoto di un precipizio. Si voltò giusto il necessario per rendersi conto di essere a due passi da un dislivello di circa venti metri, al di sotto del quale il parco veniva avvolto dalle fiamme. Se cadevano sotto e non si sfracellavano prima sulle pietre, sarebbero morte bruciate vive. Sarebbero, perché lei non aveva alcuna intenzione di lasciar andare il suo ostaggio.

Milo e Kanon, che si diedero conto di quanto stava succedendo, le lanciarono un avvertimento

“Fermati o precipiterete entrambe” la voce di Milo era durissima. Lo sguardo cupo, il suo volto una maschera di rabbia, irriconoscibile.

Claire sapeva di non avere scelta. Victor era fuori uso, giaceva svenuto a terra. Suo padre, se ancora non era morto, era sicuramente sul punto di lasciare questo mondo. Di Walt nessuna traccia. Nessuno dell’Agenzia che potesse venire in suo soccorso. Era lei, inerme contro quello che veniva definito l’assassino del Grande Tempio. Che era anche supportato dal suo collega, ancor meno rassicurante di lui. No, non aveva alcuna speranza si sopravvivere. Se non fosse morta cadendo tra le fiamme, sarebbe morta per mano di quei due, ne era certa. 

Fu allora che successe una cosa che al momento le sembrò impossibile da credere. Dal suo ostaggio iniziò a propagarsi una luce, un calore confortante, che avvolse entrambe, mentre Lady Isabel pronunciava parole rassicuranti

“Non ti succederà niente Claire. I cavalieri di Athena hanno il compito di proteggerti, non di ucciderti. Devi fidarti di loro, devi fidarti di me. Abbassa l’arma e lasciati condurre al sicuro, te ne prego”

“Non pensare che io sia stupida. Tu mi stai pregando di salvare te stessa, di me non ti importa “

“Ti sbagli. Mi importa di te come mi importa di tuo padre, credimi”

C’era qualcosa in quella donna che le ispirava fiducia. Il suo calore le infondeva una sensazione di pace. Non seppe dire se furono quelle parole, ma decise di lasciarla andare, in fondo non voleva averla sulla coscienza. Se doveva morire, sarebbe morta da sola. E con una spinta la allontanò da se, gettandola praticamente addosso a Kanon.

“Tutto bene, milady?” si affrettò ad accertarsi quello.

“Sto bene Kanon, non pensare a me, lei ora è in pericolo, sento il nemico vicino”.

Poi accadde qualcosa di inspiegabile. Improvvisamente tutto il fuoco che li circondava fu sostituito dal ghiaccio. Le colonne di fumo scomparvero e la temperatura si abbassò notevolmente.

Un ragazzo biondo, che lei era sicura di avere già visto da qualche parte, comparve al lato di Milo

“Qualcuno ha dato vita a dei fenomeni di autocombustione che hanno la capacità di autoalimentarsi. Posso tenerli a bada fino a che non scopriamo chi li sta generando. Al Grande Tempio stanno cercando di scovare la provenienza del nemico”.

All’improvviso il ragazzo smise di parlare e fissò i corpi riversi a terra.

“No! Alexander!”urlò. Dunque anche quel ragazzo conosceva suo padre.

Milo gli mise una mano sulla spalla, era evidente che quei due fossero in confidenza

“Sta tranquillo, andrà tutto bene”

Questa fu l’ultima frase che Claire sentì distintamente, prima che una risata coprisse tutte le voci dei presenti, e la richiamasse a se.

Dietro di lei si aprì come un varco, illuminato, dal quale fuoriuscì una figura, che le si rivolse con voce suadente

“Claire, tesoro, mi riconosci? Sono tua madre”

Claire non ricordava sua madre. Aveva solo due anni quando lei morì. Ma la casa di suo padre era tappezzata delle sue foto, e la figura che comparve dal nulla era esattamente la copia della donna raffigurata in quelle foto. Corrispondeva in tutto e per tutto all’immagine che lei aveva di sua madre.

“No Claire, attenta, non dare retta alle sue parole, ti prego” Lady Isabel cercò di metterla in guardia.

“Claire, non vedi come temono le mie parole? Non lasciare che costoro ti ingannino con i loro giochi perversi. Hanno ucciso tuo padre, il loro obiettivo ora è uccidere te.”

Claire sentiva che avrebbe ceduto. Quella donna le stava dando una via d’uscita e sebbene il suo inconscio e la sua razionalità le suggerissero di non fidarsi di quell’apparizione irreale, lei sentiva di non avere scelta, poiché dall’altra parte vedeva solo pericoli molto reali e non voleva certo cadere nelle mani del nemico.

Fu così che quando quella donna allungò una mano e la incoraggiò ad afferrarla, lei non esitò nemmeno un istante. Gettò a terra la sua arma e si protese verso di lei.

“Claire No!!” Lady Isabel aveva ora una voce allarmata. Quindi si rivolse ai cavalieri presenti “Non deve assolutamente entrare in contatto con lei o la perderemo per sempre”.

Milo agì quasi d’istinto, senza pensare fino in fondo a tutte le conseguenze del suo gesto. Sapendo di non poter colpire l’immagine riflessa, in quanto mera manifestazione di un nemico che in realtà non era lì, mirò con precisione al braccio che Claire protendeva verso di lei, per spezzare sul nascere un legame che altrimenti sarebbe potuto diventare indissolubile

“Cuspide Scarlatta!”

Claire si accasciò immediatamente a terra e nel momento in cui ritirò il braccio, l’immagine della donna sopra di lei svanì e il varco nel cielo si richiuse.

Avrebbe ricordato tutta la vita il dolore acuto sul suo braccio, che si irradiava velocemente in tutto il corpo, come se il suo sangue fosse in fiamme. Il calore che si propagava attraverso il suo sangue fece salire velocemente la sua temperatura corporea portandola alle convulsioni. Pensò che sarebbe impazzita dal dolore, ma non aveva sufficiente energia in corpo per esprimerlo, avrebbe voluto urlare, ma iniziò a mancarle il fiato. I polmoni sembravano non essere più in grado di procurarle l’aria necessaria a respirare. Si guardò il braccio dolorante e vide un rivolo di sangue che scorreva copioso da un piccolo foro sul suo avambraccio. Possibile che una ferita apparentemente così insignificante potesse provocare un dolore così immenso? La reazione del suo corpo non era commisurata all’entità della ferita.

Mentre si contorceva a terra, tenendosi saldamente il braccio ferito, l’autore di tutto ciò osò avvicinarsi a lei nel tentativo di sollevarla. Ebbe un moto di rabbia e con le ultime energie rimaste afferrò l’arma che aveva gettato per terra solo pochi minuti prima, con l’intenzione di piantargli una pallottola in mezzo alla fronte.

I suoi movimenti, troppo lenti viste le sue condizioni, vennero ampiamente anticipati da Milo, che le sfilò delicatamente l’arma dalla mano e la gettò via. Era la fine per lei, sapeva di non avere scampo oramai. Chiuse gli occhi pregando che la sua morte arrivasse velocemente e portasse via tutto il dolore che stava provando in quel momento. Ma la morte non era così magnanima a quanto pare, e non si decideva ad arrivare, mentre il dolore aumentava in un crescendo che la stava portando molto oltre la soglia della tollerabilità.

“Sta soffrendo troppo, c’è qualcosa che non va” disse Milo

“E cosa ti aspettavi dopo averle scagliato addosso la tua cuspide scarlatta?” Claire percepì una nota di rimprovero nella voce del ragazzo biondo.

Milo, almeno in apparenza, ignorò il suo commento, e, con grande orrore di Claire, posò la sua mano prima sopra la sua fronte, e poi sopra la sua guancia

“La temperatura è troppo alta. Non sta respirando bene, dannazione” no , non poteva essere preoccupazione quella che a Claire parve di sentire nella sua voce.

“Potrebbe essere uno shock anafilattico. Una reazione dell’organismo al veleno” si intromise Kanon.

“Presto, non c’è tempo da perdere, dobbiamo portare tutti i feriti all’ospedale della Fondazione, il pronto soccorso è già allertato per via dell’incendio” annunciò Lady Isabel, per poi avvicinarsi a rincuorare un costernato e affranto Milo “Le hai salvato la vita Cavaliere, come l’hai salvata ad Alexander prima di lei. Nessuno dei due morirà”

“Lo spero, milady, con tutto il cuore. Perché non credo che mi perdonerei, in caso non dovesse farcela”.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

Capitolo 27

 

La presenza di Victor era per Milo qualcosa di estremamente molesto. 

Nonostante i vani tentativi di Walt di mettere pace, l’abitacolo dell’automobile non era abbastanza capiente per contenere l’aura di ostilità che entrambi emanavano.

Lucas, in totale imbarazzo, abbozzava timidi tentativi di intromettersi nella discussione, che veniva puntualmente accesa da ogni parola, detta o anche non detta.

Il viaggio sarebbe durato al massimo trenta minuti. Trenta minuti in cui sarebbe potuto accadere di tutto: una piccola reazione di Milo fuori controllo e potevano morire tutti all’istante. Inceneriti, fulminati, disintegrati o trapassati dalle sue cuspidi.

L’unico argomento che sembrava far leva sulla sua capacità di autocontrollo era lo stesso che la alimentava: Claire.

L’obiettivo su cui ciascun membro del team doveva focalizzarsi era il suo recupero, almeno su questo erano tutti d’accordo.

Milo dal canto suo si sentiva terribilmente a disagio, non tanto per la sgradita presenza di Victor, ma per la consapevolezza di non riuscire a mantenere un atteggiamento freddo e distaccato, quando c’era in ballo lei.  Questo, ne era certo, l’avrebbe portato a commettere qualche errore. Avrebbe dovuto farsi da parte e chiedere a Kanon di prendere il suo posto, invece si era lasciato trascinare dal terrore di perderla. Ma di perdere cosa poi? In fondo, non l’aveva mai avuta.

 

Le luci al neon del pronto soccorso dell’ospedale disegnavano sotto i suoi occhi ombre ancora più scure di quanto in realtà lo fossero. Cristal era stato chiamato  d’urgenza nel reparto di rianimazione, a quanto pare serviva una trasfusione.

Nessuno si era preoccupato di specificare per chi. Nel peggiore dei casi serviva ad entrambi.

Il corridoio era deserto, non c’era nessuno oltre a loro. Kanon era seduto di fianco a lui. Non parlava, ma la sua presenza in quel momento era sufficiente ad impedire a Milo di andare fuori di testa e sfondare le porte che lo separavano da quel maledetto reparto.

Dopo l’attacco alla villa e l’incendio dell’intero palazzo della Fondazione, Lady Isabel chiese al Cavaliere del Leone e a quello dell’Ariete di organizzare il trasferimento di tutto lo staff dell’Agenzia. Sarebbero stati accolti al Santuario. Ma Walt ovviamente non ne volle sapere di abbandonare l’ospedale. Al momento si trovava ricoverato per un principio di intossicazione, insieme a quell’altro idiota che aveva riportato Claire sulla scena del pericolo, proprio dopo che lui aveva fatto di tutto per allontanarla e metterla al sicuro.

Quel pensiero gli fece involontariamente stringere le mani sul bracciolo della poltrona, gesto che non sfuggì a Kanon.

“Intendi disintegrarla o semplicemente plasmarla a tuo piacimento sotto le tue dita?”

“Mhh? A chi ti riferisci?” Milo si mise sulla difensiva

“Alla poltrona ovviamente. E a cosa altrimenti?” rispose Kanon indicando il bracciolo serrato sotto le sue dita.

“Ah, ….” Milo non era in vena di parlare.

Kanon lo osservò con un misto di perplessità e preoccupazione.

“Hai l’aspetto di uno che ha bisogno di dormire”

“Non riuscirei a dormire nemmeno se fosse un’esigenza vitale. E lo sai benissimo”

“Ma dormire è un’esigenza vitale. E lo sai benissimo” gli fece il verso Kanon.

Mentre Milo si sforzava di trovare le parole giuste per far capire a Kanon, senza offenderlo, che, nonostante apprezzasse la sua presenza, lo preferiva in modalità silenziosa, arrivò un’infermiera

“Chi di voi è Milo?”

Milo la guardò per alcuni istanti senza rispondere, come se avesse problemi ad articolare il linguaggio.

“E’ lui” rispose Kanon al suo posto.

“Il suo amico chiede di lei, se vuole seguirmi”

Milo continuava a stare seduto e a fissare l’infermiera che si allontanava.

“Che fai, non la segui?” lo incitò Kanon.

“Perché non mi ha detto come stanno? Mi ha detto di seguirla, perché sarà qualcun altro a darmi la notizia?”

Kanon sospirò, paziente. Mai come in quel momento aveva percepito così chiaramente la fragilità dell’amico. Ragionò qualche secondo su quali potessero essere le parole più giuste da utilizzare

“Non ho abbastanza elementi per rassicurarti, Milo. Ma non ne ho nemmeno a sufficienza per dirti che stai per ricevere notizie spiacevoli. Preferisci che vada io e poi ti riporti quanto sta accadendo?”

Milo si alzò in piedi di scatto “No! Non c’è bisogno, vado io” disse. “Ma … grazie” aggiunse in un sussurro mentre già si incamminava verso il corridoio, in direzione dell’infermiera, che si era fermata ad attenderlo all’ingresso del reparto.

Kanon pregò che ad attenderlo ci fossero anche buone notizie.

L’infermiera condusse Milo nella camera in cui, disteso in un letto, trovò Cristal, più pallido del solito. Milo ruotò la testa cercando di capire se nella stanza ci fosse qualcun altro

“Ci sono solo io, loro sono in terapia intensiva. Avevano entrambi bisogno di una trasfusione e ho contribuito con un po’ del mio sangue, solo che ora quell’infermiera mi ha detto che devo stare qui a riprendermi. Tze, come se non fossi abituato a sopportare ben di peggio” disse visibilmente contrariato.

“Dal colorito della tua faccia, pare che ti abbiano dissanguato” rispose Milo osservandolo da vicino.

“Se dovessi commentare il tuo, di colorito, Milo di Scorpio, distruggerei in due parole la tua proverbiale autostima” osservò semplicemente Cristal.

Kanon gli aveva già fatto capire che il suo aspetto non era esattamente fresco e riposato, ma a Milo non interessava. L’unica cosa che gli importava era che non fosse successo niente di irreparabile.

“Come stanno ora?” Milo fece immediatamente la domanda.

“Stanno cercando di stabilizzarli. Lei aveva la febbre altissima. Sono riuscito ad abbassare la sua temperatura corporea utilizzando il mio cosmo. Non so quanto durerà, i medici mi hanno detto che potrebbe essere necessario ripetere il tutto”.

“Mi dispiace. Non doveva andare a finire così” Milo non riusciva a guardalo in faccia.

“Da quanto lo sapevi?”

Ecco la domanda a cui non avrebbe voluto rispondere.

“Da un po’” disse vago.

“Mhh. Da un po’ tanto immagino.” Il tono di Cristal non era freddo, né tagliente come si sarebbe aspettato. Forse il discepolo non era poi così simile al maestro, pensò ricordando le gelide risposte di Camus.  

“E lei, sapeva? proseguì Cristal.

“L’ha saputo oggi, da Alexander” Milo ricordò il momento esatto in cui aveva percepito il cambiamento di Claire nei suoi confronti, solo poche ore prima.

“Dunque Alexander ha deciso che oggi era il grande giorno delle rivelazioni, per tutti” Cristal lo disse con una punta di amarezza.

“Mi dispiace, davvero. Avrei voluto dirtelo, ma…”

“Non spettava a te farlo Milo. Non farti carico anche di questa responsabilità”

Cristal non gli portava rancore. Ma questo non fu sufficiente a dargli sollievo.

“Camus te l’avrebbe detto, se ci fosse stato lui al mio posto. Ne sono certo”

“E infatti Camus amava farsi carico di responsabilità non dovute” affermò Cristal, con il pensiero che andava automaticamente al loro scontro alle 12 case.

Milo, che di suo padre conservava solo dei ricordi sfuocati, non riusciva ad immaginare cosa si potesse provare in una situazione come quella che stava vivendo Cristal.

“Non ce l’ho con lui, sai” Cristal sembrava avere intuito i suoi pensieri “Non riesco ad avercela con lui, anche se sento che la rabbia sarebbe un sentimento legittimo da provare. La verità è che sarei felice di avere una seconda occasione.

Tu sai bene, come lo sapeva Camus, quanto io fossi legato al ricordo di mia madre. Per anni ho vissuto con il rimpianto per una famiglia che mi era stata tolta, fino a comprendere, crescendo, che quella famiglia l’avrei ritrovata in altri volti, in altre mani, sotto altre forme. Ed ora il pensiero di poter conoscere lui, di avere una sorella, il poter contare su qualcuno che non siano solo i miei amici e compagni di battaglia, mi riempie il cuore di gioia.”

“Spero davvero che ne avrai l’occasione” rispose Milo con gli occhi lucidi.

“Che ne avremo l’occasione, Milo. O pensi che non abbia capito proprio niente?”

Milo lo guardò a disagio, incerto sulla risposta da dare.

“Avanti Milo, anche un cieco avrebbe notato che c’è un legame tra voi. O almeno quanto tu tenga a lei ” non era un tono di rimprovero, quello utilizzato da Cristal, ma Milo si sentì ugualmente colpevole.

“Questo non mi ha agevolato durante l’azione, purtroppo”.

“ Si riprenderà, abbi fede. Anche tu meriti la tua seconda occasione”

“Non credo di essere meritevole di niente, in questa storia, ma sul fatto che si riprenda, si, ecco su questo voglio avere fede”.

L’intimità di quella discussione fu bruscamente interrotta da quello che sembrava il suono di un allarme. Che fu immediatamente seguito da un’incursione di un giovane medico e un’infermiera che chiedevano nuovamente l’aiuto di Cristal per abbassare la temperatura corporea di Claire.

Cristal balzò giù dal letto con un movimento troppo brusco e un capogiro lo costrinse ad appoggiarsi a Milo per non cadere.

L’infermiera lo invitò quindi ad attendere che la collega gli portasse una sedia a rotelle e Cristal iniziò a spazientirsi di essere trattato come un malato.

Milo si offrì quindi di accompagnarlo sostenendolo per un braccio e in un attimo riuscì a convincere l’infermiera dell’inutilità della sedia a rotelle. Uno sguardo, poche parole e lei pendeva dalle sue labbra: sarebbe riuscito a farle credere qualsiasi cosa, se solo avesse voluto.

“Incredibile” sussurrò Cristal mentre camminavano fianco a fianco per il lungo corridoio “La tua è proprio una dote naturale”.

“Non so di cosa tu stia parlando” gli rispose a bassa voce Milo, mentre fingeva di sostenerlo e lanciava sorrisi rassicuranti all’infermiera che ogni tanto si girava a guardarli.

Furono condotti entrambi direttamente nella stanza in cui era distesa Claire e per Milo fu uno shock vederla in quelle condizioni. Era intubata, con un macchinario che monitorava le sue funzioni vitali e le braccia piene di lividi. Non seppe dire quale di quei lividi fosse quello procurato da lui e quali invece fossero quelli dovuti alle flebo e alle trasfusioni. Non riuscì ad avvicinarsi abbastanza per scoprirlo. Cristal invece, senza alcuna difficoltà o titubanza, si era accostato di fianco al letto e aveva preso entrambe le mani della sorella tra le sue, iniziando ad espandere il suo cosmo per abbassare la temperatura.

Dopo qualche minuto il macchinario a cui era attaccata decretò che il battito era risalito e si era stabilizzato.

Il giovane medico sembrò molto soddisfatto e si affrettò a sostituire la sacca di una flebo. Prima di uscire dalla stanza  disse, rivolto ad entrambi

“Potete restare, se volete. Ora è stabile, la presenza di persone care potrebbe aiutarla a risvegliarsi”.

I due annuirono in silenzio. Milo pensò a quanto poco gli si addicesse in quel momento la definizione di persona cara.

Cristal invece si sedette subito sul letto, e, inaspettatamente, cominciò a parlare alla sorella, tenendo una delle mani tra le sue

“Claire, mi senti? Ho appena scoperto che sei mia sorella, di avere ancora un padre, non posso perderti ora. So che sei forte, lo sento, so che puoi farcela” Poi si girò rivolto a Milo

“Non vuoi provare a dirle qualcosa anche tu? Credo che la aiuterebbe a riprendersi”

“Io non credo proprio. Anzi, potrebbe essere controproducente” rispose Milo laconico “Ma resterò seduto qui a vegliare, fino a che non riaprirà gli occhi”.

“Come preferisci. Visto che resterai qui, intanto vado a sincerarmi delle condizioni di Alexander,  Lady Isabel dovrebbe essere con lui”.

“Ho cercato di bloccare l’emorragia, spero di essere arrivato in tempo. Non ho idea di chi l’avesse ridotto in quello stato, quando siamo arrivati noi era già ferito ed era già scoppiato l’incendio” disse con un misto di rabbia e frustrazione.

“Si lo so, ho parlato con Walt poco fa. A quanto pare Alexander è stato previdente: prima di perdere i sensi gli ha fatto promettere che qualsiasi cosa gli fosse accaduto, ufficialmente avremmo dovuto dichiararlo morto” la voce di Cristal tremò impercettibilmente mentre pronunciava le ultime parole. 

“Sa che questo è l’unico modo di proteggere sua figlia, anche se dovesse entrare  in coma” Milo approvava la strategia. 

“Non lo so Milo. Io la vedo solo un’altra menzogna nei confronti di Claire. A proteggere lei avremmo provveduto noi!”

“Ne sei convinto? Dopo quanto è successo oggi, sei davvero convinto di questo?  Noi siamo Cavalieri, addestrati per lottare contro nemici ben definiti. Al momento non siamo preparati ad affrontare tutti gli aspetti di questa storia, alcuni dei quali sfuggono alla nostra comprensione. No, finchè Alexander è impossibilitato ad agire, è molto meglio che Claire stia lontana da lui, e da noi. E lo farà solo se avrà la certezza della sua morte. L’Agenzia stessa proteggerà Claire fino a che lui non sarà di nuovo in grado di farlo”.

“ Spero con tutto il cuore che quel giorno arrivi presto. Per lui, per lei e … per noi” rispose Cristal uscendo dalla stanza.

Rimasto solo nella stanza di Claire, Milo ebbe la sensazione di essere di troppo. Si sentiva come un intruso che spiava nella camera di una sconosciuta. Sentiva di non avere nessun diritto di stare li, ma allo stesso tempo non c’era nessun altro posto al mondo in cui sarebbe potuto stare, in quel momento.

Passarono i minuti, o forse erano ore, in cui non riuscì a non pensare alla loro storia, all’intensità di quello che avevano vissuto e a come ora gli sembrasse tutto lontano anni luce dalla realtà.

Fu allora che successe. Lei mosse impercettibilmente una mano, poi aprì gli occhi, e molto lentamente ruotò il capo di lato. Lui rimase per un attimo pietrificato, come incapace di agire. La prima cosa che gli venne in mente di fare fu quella di chiamare il medico, che arrivò immediatamente seguito da un’infermiera e si mise a trafficare con i tubi del respiratore. Lo fecero uscire dalla stanza, chiedendogli di attendere fuori. Per la prima volta nella sua vita, Milo ebbe l’istinto di fuggire. Ma non lo fece. Attese pazientemente che l’equipe medica facesse il suo lavoro e quando gli dissero che poteva rientrare nella stanza e che lei era definitivamente fuori pericolo, si sentì talmente sollevato da dimenticarsi di tutto il resto.

Rientrò nella stanza con il cuore che gli scoppiava nel petto. Notò subito che non aveva più il respiratore. Il battito invece era sempre monitorato.

La prima cosa che fece Claire appena sentì la porta che si apriva fu pronunciare il nome di Victor. Dell’idiota che era stato la causa di tutto.

“Victor, sei tu?” continuava ad agitarsi voltando il capo da una parte all’altra.

Milo non riusciva a tollerare che il primo pensiero una volta risvegliata fosse rivolto a quello. Tuttavia cercò di mantenere la necessaria freddezza

“ Stai calma, ti sei appena ripresa” le disse.

A quelle parole lei si fermò, rimase immobile per qualche secondo, mentre metteva a fuoco i suoi lineamenti. E lui percepì l’esatto momento in cui i suoi occhi lo riconobbero. Il ghiaccio della Siberia era sicuramente più caldo dello sguardo gelido che gli dedicò Claire.

“Stai lontano da me” il macchinario indicò immediatamente una variazione nella sua frequenza cardiaca. Milo non seppe dire se fosse una reazione di rabbia o di paura.

“ Non sono qui per farti del male, Claire” le rispose pacato, ma senza avvicinarsi al letto.

“ E io ti sto chiedendo di andartene, non sopporto la tua presenza”  rispose lei con il fiato che iniziava a mancarle. Era decisamente più rabbia che paura, pensò lui.

“ Non mi avvicinerò più di così. Volevo solo assicurarmi che stessi bene”.

Lei lo guardò con un’espressione di incredulità

“Oddio, devo proprio averti dato la certezza che sia fottutamente semplice prendermi per il culo”

“Io non ti ho mai … “ Milo si interruppe, non riuscì a proseguire.

“ Non hai mai cosa, Milo? Pronuncia pure le tue ultime menzogne e poi vattene”

Lui continuava a guardarla in silenzio. Non una parola riusciva ad uscire dalle sue labbra. Ma mantenne gli occhi puntati sui suoi, senza distogliere lo sguardo

“ Non vuoi parlare? E allora cosa vuoi? Hai bisogno che io ti aiuti a trovare le parole giuste? Cosa volevi dirmi, che tu non mi hai mai mentito? Che non mi hai ingannata, soggiogata e sedotta? O che poi  non hai tradito i miei sentimenti? O forse sei venuto qui a dirmi che non hai fatto del male a mio padre e a Victor sotto i miei occhi, per poi tentare di uccidere me?”

Questo era decisamente troppo.

“Non sai di cosa stai parlando” rispose Milo tra i denti, cercando di mantenere la calma. Calma che veniva minata ogni qualvolta lei pronunciava il nome di Victor.

“Invece io penso di sapere molto più di quello che credi. Sai, gli abitanti di Rodorio sono molto bene informati sul tuo conto. Mi avevano giustamente messo in guardia su di te, assassino del Grande Tempio”.

Milo impallidì, ne era certo, perché per un attimo ebbe l’impressione che il suo sangue non defluisse più in tutte le parti del corpo.

Agli occhi di Claire questa reazione fu come un’ammissione di colpevolezza, e proseguì imperterrita

“ Sai cosa c’è Milo di Scorpio? Voglio dirti addio augurandoti esattamente quello che meriti: che tutte le povere vittime che hai ucciso senza pietà ti perseguitino ogni giorno nei tuoi sogni e nei tuoi pensieri, mentre dormi e mentre sei desto, affinché tu non possa trovare più pace finché campi, così che tu possa finalmente espiare i tuoi peccati”.

“Ma che maledizione ben scelta, mia cara, per impedirmi in eterno di trovare pace” l’espressione di Milo era mutata. I suoi occhi orano erano freddi e la sua voce tagliente, esattamente come quando in battaglia si preparava a sferrare il suo colpo contro il nemico.

“Allora lascia che anche io ti dica una cosa, in modo da chiarire le posizioni: tu non sei certo priva di colpe, in questo gioco di inganni. Abbiamo entrambi mentito, ciascuno per un bene superiore. Come ti avranno bene informato i discreti  abitanti di Rodorio, il mio bene superiore è la mia dea, Athena, a cui devo il rispetto e la vita. Dea che ha tutta la mia devozione e alla quale ho giurato fedeltà eterna e che proteggerò ad ogni costo e da qualsiasi minaccia. E il fatto che tu sia ancora viva dopo esserti azzardata ad attentare alla sua vita sotto i miei occhi, fa di te una ragazza molto fortunata. Fossi in te ragionerei su questo, prima di sentenziare sulle azioni degli altri.”

Tutto ciò che accadde da quel momento in avanti, Milo lo ricordava solo a frammenti. Pezzi confusi dove parole cariche di odio si mischiavano a parole piene di rabbia. Parole che avrebbero perseguitato entrambi per anni.

Parole che davano forma ad una nuova realtà, dove non c’era spazio per il perdono, né per il chiarimento. Dove non c’era più spazio per loro due insieme.

 

La fastidiosa voce di Victor distolse Milo dai suoi pensieri. Stava dando indicazioni a Walt sul modo in cui entrare ed uscire dall’edificio in cui sospettavano fosse rinchiusa Claire. I satelliti dell’agenzia avevano registrato movimenti sospetti nell’area, monitorata da giorni.

Lucas sosteneva che la presenza di un forte campo magnetico avrebbe potuto alterare le condizioni fisiche dell’ambiente, ragione per cui anche il cosmo di un cavaliere avrebbe potuto non essere in grado di svilupparsi a dovere.

Victor approfittò di questa analisi per perorare le sue teorie

“ Mi occuperò io di liberare Claire, conosco benissimo l’edificio e sono in grado di piazzare strategicamente cariche esplosive che ci potranno garantire un’adeguata via di fuga, in caso qualcosa andasse storto”.

Che un Cavaliere d’Oro dovesse seguire le indicazioni dell’ultimo scarto dell’Agenzia sul modo in cui recuperare un ostaggio, questo era fuori da ogni grazia divina.

“ Penserò io a Claire. Basterebbe anche un decimo del mio cosmo, per risolvere la situazione” Milo non voleva sentire ragioni su questo punto.

“ Ho salvato la vita a Claire talmente tante volte che non mi serve certo l’ aiuto di uno che ha bisogno di un’armatura per farlo” Victor aveva deciso di farlo incazzare.

“Veniamo se mi serve un’armatura per farti tacere per sempre” il cosmo di Milo stava iniziando ad incresparsi paurosamente.

“Basta così!” sentenziò Walt “Milo, ti prego di tenere a bada il tuo cosmo, non possiamo rischiare che ci scoprano ora per una simile leggerezza”.

Milo accettò il velato rimprovero in silenzio. Si fidava di Walt, se non altro perché era il braccio destro di Alexander.

“Dunque, sarà Milo ad entrare per primo, io e Victor lo seguiremo, mentre Lucas ci darà supporto logistico da qui” fu Walt a dare le indicazioni operative.

Milo annuì senza proferire parola. Richiamò la sua armatura  e si preparò all’azione.

 

Claire sentiva come se tutte le ossa del suo corpo si stessero spezzando. Il sangue che fuoriusciva dalle ferite si mischiava a quello che stava sputando dalla bocca. Non era un buon segno, poteva essere sintomo di un’emorragia interna. Non si era mai ritrovata in una simile condizione di emergenza e non era preparata a far fronte a tutto quel dolore.

Il suo torturatore aveva una forza sovrumana, contro la quale lei non aveva alcuna possibilità. Quando pensò di essere arrivata al limite della sopportazione e fu sul punto di perdere nuovamente i sensi, si sentì sollevare in malo modo per le gambe, per essere trascinata sul pavimento. La trasportò in quel modo fino alle scale, lasciando dietro il suo passaggio una copiosa scia di sangue, mentre lei a stento tratteneva i gemiti di dolore causati dall’attrito tra il suo corpo martoriato e il pavimento.

“Ehi zuccherino, adesso dobbiamo fare qualche gradino, sei pronta a salire sulla giostra?” le disse con sadismo, ridendo sguaiatamente.

Claire non fece in tempo a realizzare cosa stesse accadendo che si sentì trascinare per le scale ed ebbe la sensazione che la sua schiena già a pezzi stesse andando definitivamente in frantumi.

Quando pensò di non avere più un’articolazione al suo posto, fu scaraventata al centro di una stanza e lasciata agonizzante per un tempo che le sembrò infinito.

Non mangiava e non beveva da parecchie ore, ma non sentiva né fame né sete, percepiva solo sofferenza, e molto freddo. Il freddo le era entrato dentro e la faceva tremare. Il sangue che aveva perso le stava provocando l’ipotermia.  In quelle condizioni non aveva più nemmeno la forza mentale di reagire, avrebbe voluto addormentarsi e non svegliarsi più, almeno avrebbe smesso di provare tutto quel dolore che la stava facendo impazzire.

Quando si accorse di non essere più sola nella stanza, era già circondata da tre nuovi energumeni. Alzò lo sguardo e riconobbe le armature nero ossidiana, identiche a quella che indossava colui che l’aveva ridotta in quello stato. Un elmo copriva i loro volti, rendendoli irriconoscibili.

“Cosa diavolo volete da me?” riuscì a pronunciare con quel poco di fiato che le era rimasto. Perfino respirare era diventato doloroso.

“Quell’incapace le ha lasciato ancora la forza di parlare?” disse uno con voce sprezzante “Cosa ci voleva a capire che doveva ridurla ad uno stato vegetativo?”

“Povera cara, sta tremando” intervenne una voce femminile, per nulla intenerita “Credo che abbia freddo, perché non la scaldi un pochino Flame?” proseguì mentre rideva.

“ Provvedo subito” rispose il terzo, prima di lanciare una fiammata sulle braccia scoperte e ferite di Claire, provocandole una dolorosa ustione. L’urlo le morì in gola. Non aveva più la forza nemmeno di gridare.

Possibile che fosse quella la sua fine? Destinata a morire tra quelle atroci sofferenze? Fu allora che ebbe la consapevolezza che no, non voleva morire. Sarebbe stata disposta a sopportare di tutto, pur di avere un solo briciolo di speranza di uscirne viva. Malconcia, ma viva. Doveva resistere e avere fede. Fede che Juliet la stesse cercando e che la trovasse. Che le mandasse Victor in suo soccorso, lui che riusciva sempre a tirarla fuori dai casini. All’ultimo minuto, prima che gli eventi precipitassero. Stavolta sarebbe stata dura anche per lui. Il nemico aveva un potere che un uomo solo non poteva contrastare, se non munito di un intero arsenale. Mentre pensava che avrebbe voluto avere in quel momento almeno metà dell’arsenale portatile di Victor, il suono sordo di un’esplosione la fece sobbalzare, mettendo in allerta i suoi tre carcerieri.

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

Capitolo 28

 
Kanon fissava da ore un punto indefinito dell’orizzonte, nel quale il confine del mare si perdeva con l’azzurro del cielo, rendendo impossibile comprendere dove finisse l’uno e dove iniziasse l’altro. Era sempre stato così, da che ne aveva memoria: la vista da Capo Sounion, nelle giornate sgombre da nubi, dava l’illusione di un mare che si riversava direttamente in cielo, o forse era il contrario, non l’aveva mai capito davvero.

Seduto sulla roccia intiepidita dal calore del sole greco, la sua mente non riusciva a focalizzarsi su niente che non fosse il susseguirsi degli eventi che lo avevano suo malgrado coinvolto negli ultimi giorni, le cui conseguenze erano oramai totalmente fuori dal suo controllo.

Si era sforzato, da quando Athena gli aveva concesso una possibilità di redenzione, di cancellare quella dannazione che si era sempre sentito addosso come un’ombra nella sua precedente vita, fino ad illudersi di esserci riuscito.

Che stolto! Distolse per un attimo lo sguardo dall’orizzonte per rivolgerlo con disprezzo alle sue mani. Aveva abbassato la guardia e si era esposto al fato, consentendo ad altri di decidere per lui, andando contro il suo proprio sentire, che gli urlava di non lanciare il suo colpo contro una ragazza inerme, per quanto gli venisse richiesto di farlo da chi, in quel momento, pareva avere in mano solo certezze e verità assolute. Ma la rabbia che provava non era rivolta agli altri, per quanto li ritenesse corresponsabili dell’accaduto. Tutti, Alexander compreso. Ma, se l’anima di Juliet si fosse davvero persa per sempre, avrebbe potuto biasimare solo se stesso, l’unico a non meritare perdono alcuno.

Si chiedeva come avesse potuto trascinare le cose fino al punto del non ritorno, senza essersi reso conto di quello che stava accadendo. Julian Solo e Pandora sostenevano ci fosse stata un’interferenza. E lui non si dava pace per non essere stato in grado di percepirla, di contrastarla e di tirarla fuori in tempo da quella dannata spirale dimensionale.

Lady Isabel aveva disposto l’immediato e urgente trasferimento del corpo di Juliet al tredicesimo tempio, effettuato con l’aiuto del cavaliere della prima casa, e aveva immediatamente convocato il cavaliere di Virgo, nella speranza che il suo consulto potesse essere in qualche modo d’aiuto.

Kanon, che era rimasto in disparte per la maggior parte del tempo, ad un certo punto non aveva retto la tensione e si era allontanato senza nemmeno congedarsi. Non era in vena di formalità. Ma soprattutto voleva evitare ad ogni costo di incrociare qualcuno dei suoi due fratelli, che sapeva essere entrambi al Santuario.    

Kanon non era un vigliacco, il suo passato dava più di una dimostrazione della sua capacità di assumersi le proprie responsabilità, ma al solo pensiero di un confronto con loro, sentiva venir meno tutto il suo coraggio.

Non sapeva se qualcuno si fosse degnato di informare dell’accaduto i diretti interessati, premurandosi di specificare la sussistenza di un legame di sangue che li portava ad essere i parenti a lei più prossimi attualmente in vita. Certo, senza contare il padre, che però solo pochi giorni prima le aveva sparato addosso dopo 12 anni che non si vedevano, per poi scomparire di nuovo nel nulla.

Una risata amara gli sfuggì dalle labbra, quando gli venne in mente che forse il suo disastroso rapporto con Saga non era più da considerare il peggior esempio di legame familiare distorto di cui era a conoscenza.

“Sapevo di trovarti qui, Kanon, ma non avrei immaginato di trovarti a ridere da solo di fronte al niente. Devo preoccuparmi?”

La voce arrivò chiara alle sue orecchie, superando il rumore della brezza marina e delle onde che si infrangevano sugli scogli e, immediatamente, tutti i muscoli di Kanon si tesero fino allo spasmo, bloccandogli la respirazione.

Il nuovo arrivato, avvicinandosi da dietro, posò una mano sopra la sua spalla

“Rilassati cavaliere. E respira. Qualcuno si è già preso la briga di raccontarmi l’accaduto, con tutti i dettagli annessi e connessi”.

“…” Kanon cercava invano di articolare qualche parola che gli consentisse di esprimere, se non altro, la sua costernazione.

“E soprattutto, smettila di sentirti in colpa, di cercare il castigo divino o la dannazione eterna. La tua aura è insopportabilmente deprimente, ancor più di quanto lo sia questo luogo” gli disse mentre scivolava nella roccia per sedersi al suo fianco.

Kanon ebbe finalmente il coraggio di voltarsi e guardarlo in faccia. Ciò che lesse nello sguardo del cavaliere della Fenice era tutto fuorché quello che si sarebbe aspettato.

Una risata profonda, sincera e priva di qualsiasi ostilità o recriminazione, scaturì dalla bocca di Phoenix, che prontamente commentò lo sguardo di stupore che gli veniva rivolto da Kanon.

“Che c’è? Sembri quasi sorpreso di vedermi. Eppure avrei giurato che la tua fuga dal Santuario avesse in qualche modo a che vedere con me. O mi sbaglio, Kanon?”

“Mhmpf” Kanon si riprese in fretta dallo stupore e, in perfetta sintonia con il tono canzonatorio dell’altro, si apprestò a rispondere “Può essere che non ti sbagli, cavaliere. Come non credo di sbagliarmi nemmeno io se presumo che tu sia qui per sfuggire ad una situazione che al momento ti risulta, passami il termine, emotivamente destabilizzante”.

“Vedo che il tuo acume è rimasto intatto, e me ne compiaccio” rispose ironicamente Phoenix, per poi farsi più serio “L’emotività di Andromeda al momento basta e avanza. Come sai non sono fatto per questo tipo di sentimentalismi, io”.

Kanon non potè fare altro che annuire, rivolgendo nuovamente lo sguardo di fronte a se.

“Come procede?” riuscì a chiedere dopo qualche minuto. In realtà avrebbe voluto dire “Come sta lei?” ma qualcosa dentro di lui impediva alle parole di defluire. 

“Virgo e Athena sono con lei. Non credo sinceramente che né io, né tu, né nessun altro presente al Santuario potrebbe in questo momento essere più d’aiuto di loro.

E sebbene mi costi ammetterlo, anche il contributo di Pandora potrebbe rivelarsi significativo”.

“Beh, lei farebbe bene a rendersi utile, vista la sua insistenza nel farmi lanciare quel maledetto colpo. Per non parlare di Julian Solo, che ben sapendo che io …” 

“Kanon” lo interruppe l’altro “Le recriminazioni non porteranno a niente. Tutti hanno agito in buona fede, di questo sono certo. Lady Isabel me lo ha assicurato, è stata lei a dare il benestare”.

“Già, lo so bene. Solo che io dovrò sopportare il peso di essere stato l’esecutore materiale. Lei si è fidata di me e io l’ho colpita, dopo averle detto di chiudere gli occhi. Non sono nemmeno riuscito a sostenere il suo sguardo mentre…”

“Come sono?”

“Cosa?”

“I suoi occhi. Ho visto per un attimo il suo corpo disteso, ma non sono riuscito ad immaginare il suo sguardo”.

Kanon esitò un attimo, riflettendo e cercando i dettagli nella sua memoria. Si stupì di quanto questi fossero rimasti vividi e impressi nella sua mente.

“…. Sono verdi. Dello stesso colore di quelli di tuo fratello. Ma lo sguardo è esattamente come il tuo: caparbio, sfrontato, impertinente e …”

La risata spontanea di Phoenix lo interruppe “Noto che hai sempre un’alta considerazione della mia persona”.

“Sai perfettamente che la mia considerazione nei tuoi riguardi non si fa influenzare dal fatto che tu abbia oggettivamente un pessimo carattere, Phoenix”.

“Oh, lo so bene, ma è grazie al mio pessimo carattere che noi due ci intendiamo al volo, Kanon. Com’è che si dice, chi si somiglia si piglia, no?”.

Kanon stava per rispondere piccato alla battuta, quando l’espandersi di un cosmo conosciuto catturò tutta la sua attenzione e mise in allerta i suoi sensi. Non poteva essere, non aveva alcun senso, ma per un attimo fu convinto di avere percepito il cosmo di suo fratello Saga. Fu per un istante, solo per un impercettibile istante, ma era sicuro di averlo sentito.

“L’hai sentito anche tu?” gli chiese Phoenix, il corpo teso in posizione di allerta.

E questa fu per Kanon la conferma che non era stato solo uno scherzo della sua immaginazione.  

 

Quando Juliet aprì gli occhi, la prima cosa di cui si rese conto era che stava sudando. Sentiva caldo. Troppo caldo per essere a Berlino.

La seconda era che non aveva contezza del tempo che era trascorso dall’ultima volta in cui ricordava di avere avuto gli occhi aperti.

La terza era che non ricordava esattamente tutti i dettagli di quanto era successo durante quel tempo indefinito. La sua memoria le rimandava in maniera sovrapposta due volti uguali: entrambi, in circostanze diverse, le avevano chiesto di chiudere gli occhi. Ricordava le loro diverse sfumature di voce e soprattutto ricordava perfettamente i nomi di entrambi: Kanon e Saga.

Qualcuno intorno a lei si mosse, rendendola improvvisamente consapevole di non essere sola nella stanza. La prima persona che vide fu una ragazza, con lunghi capelli portati sciolti sulle spalle. Pensò che non potevano essere naturali. I riflessi viola erano troppo intensi.

Quando si accorse che appena dietro la ragazza c’era un tizio biondissimo, che sembrava dormire in piedi, si chiese se non fosse morta e quelli non fossero traghettatori venuti a prendere la sua anima.

Non percepiva nessuna minaccia evidente da parte loro, ma non sapendo esattamente come interagire con degli sconosciuti e sentendosi piuttosto a disagio, oltre che spossata e priva di energie, si limitò ad osservarli, restando silenziosamente in attesa che uno dei due facesse una qualche mossa. 

“Bentornata Juliet” la ragazza dai capelli viola parlò per prima, con un tono di voce piuttosto rassicurante.

“Grazie”si sentì in dovere di rispondere qualcosa, se non altro per ricambiare il tono cortese con cui le si era rivolta.

“Posso comprendere la tua confusione nel ritrovarti improvvisamente in un ambiente nuovo, circondata da persone sconosciute. Ma non temere, Alexander è qui fuori e se ti fa stare più tranquilla, posso mandarlo a chiamare”.

Al solo sentir nominare Alexander, il volto di Juliet si contrasse in una smorfia involontaria. E si affrettò a rispondere

“Non c’è bisogno grazie. Piuttosto Claire è con lui? L’hanno recuperata?”

La ragazza dai capelli viola scosse leggermente la testa, e rispose con un tono che sembrava sinceramente affranto.

“Non ancora, mi dispiace. Ma non devi stare in pensiero, l’Agenzia sta portando avanti la missione di recupero a San Pietroburgo, con l’aiuto del Cavaliere dello Scorpione”.

Juliet ricordava di avere espressamente richiesto ad Alexander che Milo, Walt e Lucas lasciassero Berlino per andare in Russia a cercare Claire.  
Si guardò attorno con più attenzione e si rese conto che la stanza in cui si trovava era infinitamente più ampia di quella del Park Inn. E la vista che si intravedeva dall’ampia finestra non era neanche lontanamente simile a quella che ricordava. A meno che a Berlino non avessero portato il mare.

“Mi avete trasferita in un altro albergo?” articolò la domanda in maniera razionale, sebbene si aspettasse una risposta totalmente irrazionale.

“Siamo in Grecia” le rispose infatti “E ti chiedo scusa se ancora non ci siamo presentati. Io sono Isabel e lui è Shaka, cavaliere d’oro della sesta casa di Virgo”.

Juliet associò immediatamente il nome di Isabel alla Fondazione, ricordava benissimo il suo ruolo dal periodo in cui Claire era stata in Grecia, anni prima. 
Poi fissò il tizio che, nonostante avesse impercettibilmente mosso il capo, quasi a voler mimare un gesto di saluto, continuava imperterrito a tenere gli occhi chiusi. 

“Siamo a casa sua dunque?” chiese indicandolo.

“Siamo al Tredicesimo Tempio del Santuario di Athena” rispose direttamente lui, sempre senza aprire gli occhi. Poi le si avvicinò e improvvisamente aprì gli occhi. Aveva gli occhi più azzurri che Juliet avesse mai visto. E il suo sguardo la metteva decisamente in soggezione.

“Non temere, qui sei al sicuro” Isabel intuì forse il suo disagio e cercò di rassicurarla. Poi si rivolse all’altro, con tono che a Juliet sembrò amichevole e confidenziale, ma allo stesso tempo fermo e risoluto “Shaka, devo allontanarmi per qualche istante. Preferisco che Juliet non resti sola, e sarei più tranquilla a saperti qui con lei, in mia assenza”.

L’altro assentì, chinando il capo in maniera reverenziale “Certamente Milady, al suo rientro mi troverà qui”. 

Quindi Isabel si voltò verso Juliet e con un sorriso le disse “Mi assenterò solo per breve tempo, certa di lasciarti al sicuro e in ottime mani. Più tardi spero di farmi perdonare per questa scortesia”.

Juliet era interdetta dai modi in cui si rivolgeva a lei. Avrebbe voluto sottolineare che non era una poppante che non sapeva stare sola qualche minuto e aveva bisogno della baby sitter, ma qualcosa nell’estrema gentilezza di quella ragazza le impediva di risponderle in maniera rude. Per cui si limitò ad assentire.

Non appena Isabel lasciò la stanza, Shaka si diresse verso la finestra, accanto alla quale c’era una bella panca di legno decorato, ricoperta di cuscini di velluto, e si sedette sopra uno di quei cuscini.

“Dunque hai conosciuto il Cavaliere di Gemini” fu il primo a spezzare il silenzio imbarazzante che si era venuto a creare nella stanza.

“Chi?”Juliet ebbe l’impressione che la sua domanda nascondesse delle insidie.

“Kanon, ovviamente. Chi altri, se no?” si sentì gli occhi azzurri di Shaka puntati addosso.

La sua risposta le diede la conferma. E decise di fare la finta ingenua, per vedere cosa in realtà quel cavaliere volesse sapere. 

“In realtà la parola Kanon e la parola cavaliere nella stessa frase suonano come un ossimoro”.

Lui la scrutò con un’intensità tale che Juliet fece fatica a non distogliere lo sguardo. Quando pensò che le avrebbe letto anche l’anima, lui proseguì “Provi rancore nei suoi confronti, dopo quello che è successo?”

Juliet pensò attentamente alla risposta. La domanda la portò a riflettere sull’accaduto e in tutta sincerità doveva ammettere che Kanon si era dimostrato fin da subito assolutamente contrario all’esperimento. L’avevano praticamente trascinato in una situazione che lui aveva chiaramente dichiarato essere troppo rischiosa. In qualche modo si era preoccupato per lei. Non poteva prendersela con lui.

“No. Non ce l’ho con lui per avermi lanciato quella specie di macumba. E’ tutto quello che ha detto e fatto prima, che ha fatto si che io mi costruissi un’opinione abbastanza precisa di lui”.

Shaka non si scompose per niente, e pacatamente proseguì

“A volte i nostri comportamenti o le nostre parole non rispecchiano ciò che in realtà siamo. Conoscere l’animo di una persona nel profondo non è impresa semplice, soprattutto quando si hanno solo poche ore a disposizione”.

Juliet rimase colpita dalle sue parole, consapevole che in esse ci fosse una grande verità. Ma soprattutto perché le riportarono alla memoria le parole di Saga, che durante il suo “soggiorno” nell’altra dimensione le aveva fatto delle sconcertanti rivelazioni. Rivelazioni che coinvolgevano anche Kanon e che forse lei avrebbe preferito non conoscere.

Improvvisamente le venne in mente che Saga le aveva esplicitamente chiesto di non far parola con nessuno del loro incontro e del suo viaggio nell’altra dimensione, almeno fino a quando il nemico che incombeva su di loro non si fosse rivelato. A quel punto, e solo in caso di estremo pericolo e necessità, lei avrebbe dovuto richiedere a Kanon di lanciare nuovamente il suo colpo contro di lei, e Saga sarebbe stato pronto a fare il resto.

Ciò faceva scaturire in lei un forte senso di colpa nei confronti di Kanon, che sarebbe dovuto rimanere ignaro di tutto, mentre lei ora era a conoscenza di dettagli della sua vita che probabilmente lui non avrebbe mai condiviso con lei, nemmeno sotto tortura. Lo avrebbe dovuto semplicemente usare, in caso di estrema necessità, per consentirle di tornare in un’altra dimensione, senza poter condividere con lui niente di ciò che era accaduto e stava accadendo.   

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

 Capitolo 29

 

 Il boato si era sentito distintamente, segno che la fonte dell’esplosione non doveva essere troppo lontana. Un barlume di speranza si fece strada cautamente nell’animo provato di Claire, che tuttavia si sforzava di non illudersi troppo. Niente le garantiva che fosse legato all’incursione di una squadra di recupero.

Da qualsiasi parte provenisse quel rumore, un effetto positivo lo aveva comunque generato: i suoi tre aguzzini smisero di torturala e si dedicarono completamente alla ricerca dell’origine di ciò che avevano appena sentito.

Prima di uscire dalla stanza per andare a perlustrare l’edificio, si assicurarono che lei non avesse vie di fuga, limitandosi a chiudere a chiave l’unica uscita, lasciandola quindi completamente sola.

“Che mossa stupida” si ritrovò a pensare Claire. Mai lasciare il prigioniero incustodito, nemmeno quando è moribondo. Regola che l’Agenzia insegnava a tutte le reclute entro il primo mese di addestramento.

Cercò di ruotare lentamente il capo in direzione di un vecchio tavolo di metallo, il tutto senza muovere la schiena, per evitare di aggravare le lesioni. Se fosse riuscita a raggiungerlo, e magari a smontarlo, avrebbe potuto utilizzare una delle aste metalliche per tentare di scardinare la porta. O almeno come arma di difesa, nel caso quei tre fossero tornati. Eccetto il tavolo, la stanza era totalmente vuota. Purtroppo non aveva molte opzioni a disposizione.

Strisciò lentamente l’avambraccio sul pavimento, cercando di fare leva su una gamba per dare impulso al movimento, ma il dolore fu talmente intenso da impedirle di proseguire. Mentre tentava di fare lo stesso con l’altra gamba, un’altra esplosione, molto più forte della prima, fece tremare paurosamente il pavimento.   

Claire iniziò a sperare che le due esplosioni fossero collegate e che qualcuno dall’esterno stesse facendosi strada per venire a recuperala. Victor. Qualcosa le diceva che ci fosse lui, a guidare la squadra di recupero. Più di una volta aveva avuto modo di assistere alle sue abilità di artificiere, tant’è che scherzosamente lo aveva soprannominato “il bombarolo”. Nomignolo di cui lo stesso Victor si faceva vanto in giro per il mondo.

Un sorriso lieve le increspò le labbra ripensando alle loro passate missioni. E fu con questo sorriso, che si ritrovò improvvisamente a fissare inebetita l’oggetto dei suoi pensieri, improvvisamente materializzatosi di fronte ai suoi occhi, dopo aver scardinato la porta con una mini carica esplosiva.

“Claire!” fu l’unica cosa che lui pronunciò prima di precipitarsi su di lei, studiando velocemente le sue ferite e toccandola con cautela per evitare di fare più danni.

Lo sguardo si fece durissimo quando si accorse della pelle lacerata in più punti, dei lividi, delle fratture scomposte, della bruciatura sul braccio. “Maledetti bastardi” lo sentì imprecare.

“Non credo di essere mai stata così felice di vederti, Victor” riuscì ad articolare le parole con molta fatica, in un soffio di fiato.

“In realtà lo dici tutte le volte, tesoro” le strizzò l’occhio in segno di intesa, per sdrammatizzare la situazione. Victor sarebbe riuscito a fare dell’ironia anche in punto di morte.

Tuttavia il suo sguardo si fece presto nuovamente serio

“Riesci a sollevarti?” le chiese gentile

“No” gemette Claire “Credo di avere le gambe fuori uso”.

“Dannazione, mi tocca chiedere aiuto agli altri” imprecò lui.

“Vuoi dire che non sei solo?” quando Victor solitamente arrivava a tirarla fuori dai guai, la squadra più vicina si trovava a chilometri di distanza.

“Già, purtroppo stavolta non sono io che guido la squadra” le disse intuendo il suo pensiero “Anche se in realtà ho già fatto di testa mia, fosse stato per Walt avrei dovuto attendere la prima incursione e poi seguire lui, con Lucas in appoggio logistico fuori. Che cazzo di piano è, quello di non sfruttare la presenza dell’unico in grado di minare l’intero edificio e farlo saltare in aria dalle fondamenta? Ho già piazzato le cariche nei punti strategici, in modo da assicurarci la via di fuga e distruggere questo posto e tutti quelli che ci lavorano”.

“Ma hai la posizione di Walt?” chiese lei preoccupata.

“Certo, ho la posizione di tutti e due. Al momento stanno salendo le scale e tra breve saranno qui, sempre se non incontrano ostacoli”.

“Tutti e due? Ma non hai detto che Lucas era in appoggio fuori?”

L’ombra che scorse nello sguardo di Victor le fece intendere che le stava nascondendo qualcosa, ma era troppo a pezzi per cercare di capire cosa.

“Appena arrivano ti portiamo via. Anche se vorrei, non posso rischiare di caricarti sulle spalle, devo avere le mani libere per gestire la sequenza di esplosioni che ci consentirà di uscire in sicurezza da qui”.

Claire si accorse che Victor aveva uno zaino tecnico dal quale era in grado di gestire a distanza tutte le cariche che aveva piazzato.

Era talmente intenta ad osservare il groviglio di fili che fuoriusciva dal suo equipaggiamento, che non si accorse della presenza di due nuovi arrivati, fino a che non ne sentì la voce. Era girata di spalle, ma sobbalzò non appena la sua mente associò la voce al suo proprietario.  

“Cosa esattamente non ti era chiaro delle parole di Walt? O sei talmente presuntuoso da crederti al di sopra degli ordini di un tuo superiore?” Milo tratteneva a stento la rabbia. Non tanto perché Victor avesse trasgredito agli ordini. La catena gerarchica dell’Agenzia non era affar suo e non gli interessava nemmeno intervenire in favore di Walt, che, ne era certo, era in grado di farsi valere da solo. No, la cosa che lo mandava in bestia non era quella. Era accecato dalla rabbia perché quel coglione era arrivato da lei prima di lui.

Il fatto di averla trovata per primo, gli aveva fornito l’opportunità di godere di qualche istante di intimità con lei, anche solo per assicurarsi delle sue condizioni.  
Opportunità che avrebbe voluto lui, in esclusiva.

Victor si alzò in piedi per andargli incontro, muso contro muso, pronto a ribattere alle accuse

“E a te cosa esattamente infastidisce? Forse ..”

Le parole di Victor furono improvvisamente interrotte da fulminei fasci di luce che avvolsero la stanza, inondandola di un calore asfissiante. A Claire sembrò di sentire la voce di Walt che gridava il suo nome, ma i suoni giungevano alle sue orecchie in maniera attutita, come un continuo e martellante rimbombo, senza che lei riuscisse a decifrarne l’esatta provenienza.

Quello che riuscì distintamente a percepire, furono le voci in lontananza dei suoi aguzzini che si facevano sempre più nitide, fino a sovrapporsi a quelle di Victor e di Walt.

Il calore nella stanza stava diventando insopportabile e l’aria si faceva sempre più irrespirabile. Claire istintivamente cercò di portarsi il più vicino possibile al pavimento, nel tentativo di dare sollievo alle vie respiratorie. Ma qualcuno alle sue spalle le impedì di compiere il movimento, sorreggedola delicatamente e impedendole di scivolare verso il basso.

Le parve di sentire Walt urlare “Milo! Devi portarla fuori di qui!”

E udì distintamente l’imprecazione di quest’ultimo, il cui volto si trovava ormai a meno di dieci centimetri dalla sua faccia

“Maledizione, qualcosa mi impedisce di bruciare il mio cosmo”

“Il campo elettromagnetico … Dobbiamo allontanarci prima di rimanere intrappolati qui” Walt cercò di contattare Lucas per sondare le vie di fuga.

Fu Victor a prendere in mano la situazione nel momento di massima disperazione.

“Portatela fuori, adesso!” urlò rivolgendosi a Walt “Lui può farle da scudo almeno con l’armatura, tu li seguirai a ruota. Io vi copro le spalle e vi garantisco che nessuno sarà in grado di corrervi dietro. Faccio saltare in aria tutto l’edificio, pezzo dopo pezzo”.

“No” Claire riuscì in un soffio ad esprimere tutta la sua contrarietà a quel piano di fuga. Non potevano lasciare Victor indietro, da solo. Era troppo pericoloso. Poteva restare vittima delle cariche esplosive che lui stesso aveva piazzato. 
“E’ troppo rischioso. Non uscirò di qui senza di te” disse in un sussurro.

“Shhh. Risparmia il fiato. E le energie. Non sei nelle condizioni di prendere iniziative” il tono autoritario con cui Milo le si rivolse era in netto contrasto con la delicatezza con cui la stava sorreggendo, quasi avesse timore di spezzarla. Ma lei, per quanto stesse male e per quanto in cuor suo sapesse bene che lui aveva ragione, non poteva accettare di essere trattata alla stregua di una bambina capricciosa, non da lui almeno.

Quindi, con le ultime energie rimaste, si preparò a ribattere. Ma non fece in tempo a pronunciare nemmeno una parola, che si sentì sentire sollevare da due forti braccia si ritrovò stretta al suo petto, completamente ricoperto dalla sua armatura dorata.

In un ultimo istante, prima di perdere conoscenza, si trovò a fissare due profondi occhi blu, ancora più belli di come li ricordava, che la scrutavano con quella che sembrava essere sincera preoccupazione.     

 

Non seppe quantificare il tempo che rimase incosciente, come non seppe dire come riuscirono ad uscire dall’edificio. Ciò di cui si rese immediatamente conto, una volta riaperti gli occhi, era che si trovava con metà del corpo immerso nelle gelide acque di un fiume e che Walt e Milo erano accanto a lei. Entrambi, fradici, sembravano in difficoltà, sebbene lei non riuscisse a scorgere apparenti ferite nei loro corpi.

Guardavano entrambi al di la del fiume, in direzione di un blocco di edifici, dai quali si ergevano altissime fiamme, mentre una fitta coltre di fumo nerissimo arrivava ad oscurare una buona porzione di cielo.

Ad un certo punto si accorse di una sagoma conosciuta che correva nella loro direzione. Lucas.

“Walt! Tutto bene? Il localizzatore di Victor è irraggiungibile. Sparito. Non risponde più” mentre Lucas con le sue parole dava forma a ciò che Claire più temeva potesse accadere, il fortissimo boato di un’esplosione squassò l’aria, mandando definitivamente in frantumi anche l’ultima parte di edifici finora rimasti intatti.

“Temo che questo fosse il suo ultimo atto. Si è sacrificato per consentirci una via di fuga” disse mestamente Walt, con un sospiro che esprimeva tutto il suo rammarico.

Le lacrime rigarono il viso di Claire senza che lei nemmeno se ne rendesse conto e senza che potesse fare niente per fermarle. L’incubo si era materializzato ed era diventato realtà. Victor, il suo eroico amico Victor, era morto per salvarli. Per salvare lei. Per tirarla fuori, per l’ennesima volta, da una delle missioni senza via d’uscita in cui lei era solita cacciarsi.

Presa dal suo dolore e scossa dai singhiozzi non si rese conto che, subito dopo la distruzione dell’ultimo edificio, il corpo esausto di Milo riprendeva velocemente vigore. Ora emanava una luce dorata che si espandeva attorno alla sua figura. In altre occasioni Claire avrebbe trovato quell’immagine terrificante. Ma  ora quel calore avvolgente che scaturiva dalla sua energia cosmica e si sviluppava attorno a lui era qualcosa di estremamente rassicurante.

“Il campo elettromagnetico è stato annullato” affermò Walt osservando l’energia dorata che aumentava d’intensità.

“Era generato all’interno dell’ultimo edificio” Lucas confermò i sospetti di Walt “Comunque dobbiamo allontanarci da qui, non siamo al sicuro” i due si diedero un cenno di intesa.

“Milo, prima di muoverci dobbiamo capire se attraverso il tuo cosmo puoi fare qualcosa per le sue ferite, sta continuando a perdere sangue e credo abbia numerose fratture ed emorragie interne” disse Walt indicando Claire.

Milo annuì in silenzio, mentre si chinava e, per l’ennesima volta, raccoglieva da terra il corpo di Claire, tirandola fuori dall’acqua gelida.

Una volta fuori dall’acqua, la cui bassa temperatura aveva finora agito da anestetico, a Claire sembrò di sentire nuovamente tutte le sue ossa spezzarsi e, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, non riuscì a trattenere dei sommessi lamenti.

A ciò si aggiungeva il fatto che, tra tutte le persone sulla faccia della terra, Milo era sicuramente l’unico che lei non avrebbe voluto incontrare, tanto meno mentre era in quelle condizioni di vulnerabilità. Tutta la sua muscolatura si irrigidì non appena lui, chinato su di lei, iniziò ad accostare le mani a tutte le parti del corpo in cui vi erano ferite apparenti.   

“Rilassati. Il mio cosmo non sarà in grado di fare miracoli, ma sicuramente può favorire il processo di guarigione delle ferite”.

La sua voce era neutra, priva di qualsiasi vibrazione che le potesse far intuire i suoi pensieri o il suo stato d’animo, lo sguardo completamente concentrato su quello che stava facendo. 

“Ho bisogno che tu mi dica esattamente in quali altri punti senti dolore. Le emorragie interne non sono visibili e devo capire dove agire” proseguì lui mantenendo gli occhi fissi su quello che stava facendo.

“Dappertutto” Claire rispose d’istinto, senza pensarci, mordendosi il labbro e pentendosi immediatamente di quella risposta.

Lui sollevò lo sguardo e lo puntò dritto negli occhi di lei, scrutandola intensamente. Claire non seppe dire se l’intento fosse quello di sondare fin nel profondo della sua anima per scoprire anche i suoi più reconditi segreti, ma fu quella la sensazione che le arrivò. Si sentì nuda, indifesa, priva di qualsiasi barriera protettiva. No, non era possibile, si rifiutava di credere che tutti i muri che aveva eretto faticosamente in anni di distanza da lui si stavano sgretolando sotto il peso di un semplice sguardo.

Quando pensò di non riuscire più a reggerlo senza scoppiare in un pianto disperato e senza senso, lui distolse lo sguardo e tornò a concentrarsi sul calore che emanavano le sue mani.

Claire non seppe dire quale fosse la ragione del sollievo che iniziava a provare: forse era la sua vicinanza e il contatto con le sue mani, che sebbene sfiorassero appena il suo corpo, le provocavano brividi tutt’altro che spiacevoli, o forse era veramente il suo potere curativo che iniziava a fare effetto su tutti i suoi organi.

In ogni caso stava provando emozioni che non si sarebbe mai aspettata di provare rincontrandolo. Aveva previsto di provare astio, rabbia, odio, risentimento, perfino indifferenza. Ma mai si sarebbe attesa questa sensazione di calma rassicurante, mista a un piacevole formicolio che le solleticava lo stomaco e teneva i suoi sensi in allerta, a voler catturare un profumo, un dettaglio, un suono che provenisse da lui, per custodirlo gelosamente come fosse una fonte da cui attingere per dissetarsi durante la traversata di un deserto.

Fu allora che Claire ebbe paura. Paura di se stessa, delle proprie emozioni. Paura di perdere il controllo, di non avere la capacità di mantenere la freddezza di fronte a lui. Paura di soffrire di nuovo, dopo due anni, per lui. Che apparteneva a un altro mondo. Che le aveva chiaramente sbattuto in faccia il suo disprezzo, rimarcando la sua devozione totale e assoluta per la sua dea, al di sopra della quale per lui non esisteva nessuno. Una vita votata ad un ideale, che non lasciava spazio a nient’altro che non fosse la protezione e la salvaguardia di Athena. Lei era stata solo una pedina, nella scacchiera della sua esistenza di cavaliere, che lui aveva mosso a suo piacimento mentre eseguiva gli ordini ricevuti.

I ricordi dolorosi che affiorarono impetuosamente le consentirono di concentrare la sua attenzione sulle ragioni per le quali doveva mantenere un assoluto distacco da lui.  La sua mente doveva semplicemente imporlo al resto del suo corpo.

Quando Milo terminò di utilizzare su di lei il potere curativo del suo cosmo, si alzò in piedi e le chiese di provare a fare lo stesso, senza toccarla. Vedendo che lei non accennava ad alzarsi, fece un passo indietro, per concederle più spazio, intuendo forse la ragione di quella titubanza. E infatti non appena lui indietreggiò il tanto che bastava a consentirle di muoversi senza andargli addosso, lei prese coraggio e, facendo leva sulle braccia, iniziò a sollevarsi. La cosa che da subito le sembrò incredibile fu che le gambe non solo rispondevano alla sua volontà, ma erano ora in grado di reggere tutto il suo peso. Solo un fastidioso indolenzimento persisteva in tutte le parti del corpo che avevano subito dei danni, ma il suo fisico aveva recuperato sufficiente funzionalità di movimento. In altre circostanze, se Milo non fosse stato chi in realtà era, lei gli sarebbe saltata con le braccia al collo per ringraziarlo. Ma il solo pensiero di sfiorarlo le fece contorcere lo stomaco. Si limitò a bofonchiare un grazie. Non seppe dire se lui rispose qualcosa, perché le urla di Walt e Lucas coprirono ogni altro suono.

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

Capitolo 30

 

A giudicare dal volume delle voci provenienti dalla stanza adiacente, il tenore della conversazione era velocemente mutato e stava rischiosamente sfociando in un’accesa discussione, con tanto di urla che nemmeno le spesse mura del tredicesimo tempio riuscivano ad attutire.

Non erano passati nemmeno venti minuti da quando Alexander, giunto per sincerarsi delle condizioni di Juliet, aveva gentilmente chiesto al cavaliere di Virgo di lasciarli soli.

Shaka, che fino a quel momento era rimasto nella stanza con lei per esplicita richiesta di Lady Isabel, non avrebbe mai contravvenuto all’ordine ricevuto, se non avesse saputo con certezza che Alexander era stato spronato da Athena in persona a cercare quanto prima un confronto con Juliet.

Fu per questo che assentì alla richiesta, si congedò educatamente e uscì con discrezione. Rimase comunque nei pressi della porta, all’interno della sala d’attesa, diventando così involontario spettatore di tutte le colorite sfumature che caratterizzarono quel confronto.

Ad assistere con lui all’inusuale spettacolo, seduto a pochi metri di distanza, c’era il cavaliere di Andromeda, che era stato pregato da Alexander di attendere il momento giusto, prima di raggiungerli. Come facesse a capire quale fosse il momento giusto per varcare quella porta, questo non era chiaro, per cui aveva deciso di rimanere fuori in attesa di ricevere un qualsiasi segnale di distensione, che al momento pareva ben lungi dall’arrivare.

Shaka non aveva bisogno di aprire gli occhi per percepire lo stato d’animo del cavaliere seduto accanto a lui. Come non aveva bisogno di chiedersi il perché dell’assenza dell’altro fratello, in un così delicato momento di verità e confronto. Fu per questo che decise di restare, ma senza imporre troppo la sua presenza, per rispetto dell’impatto emotivo che quei legami familiari avrebbero avuto nelle vite di due cavalieri a cui era sinceramente affezionato.

Il silenzio che permeava la sala d’attesa contrastava nettamente con le grida provenenti dalla stanza accanto, lasciando intendere che gli animi si erano irrimediabilmente surriscaldati. L’animo, a dire il vero, visto che la voce femminile sovrastava di almeno due toni quella di Alexander, che si limitava a cercare di rispondere senza essere interrotto o insultato.

Shaka non sapeva molto delle relazioni pregresse tra i due protagonisti di quel diverbio. Ma se, come aveva capito, tra loro esisteva una sorta di rapporto gerarchico, dove lei era quella che avrebbe dovuto render conto e obbedire, non capiva davvero come le fosse permesso un simile atteggiamento. Evidentemente nell’Agenzia, a cui entrambi appartenevano, non vigevano gli stessi obblighi di rispetto della gerarchia che esistevano nell’ordine dei cavalieri. O magari i due avevano un rapporto personale talmente forte, che prevaleva su tutto il resto.

Nell’apice della discussione, si sentì distintamente il suono di un oggetto metallico scaraventato sulla parete, accompagnato da dissacranti epiteti, buona parte dei quali erano a Shaka totalmente sconosciuti, ma, per quanto faticasse a coglierne il significato, non aveva dubbi che mal si addicessero alla sacralità del luogo.

Fu nel pieno di questa tempesta di parole che, dalla porta che collegava la sala d’attesa con il patio esterno del tempio, fecero il loro ingresso Kanon e Phoenix.  

“Che diavolo sta succedendo qui? Si sentono le urla fino alla prima casa!” come sempre il cavaliere della Fenice andava dritto al punto, e non senza una buona dose di impetuosità.

Shaka mantenne gli occhi chiusi e lasciò che fosse il cavaliere di Andromeda a fornire una spiegazione di quanto stava avvenendo nella stanza accanto.

“Juliet si è ripresa e sta discutendo con Alexander” riassunse brevemente quest’ultimo, senza dilungarsi su dettagli relativi a quanto animatamente stessero discutendo. 

Kanon non seppe dire se quello che provò nel sentire quelle parole fosse semplice sollievo. Il suo senso di colpa non lo aveva del tutto abbandonato, ma almeno ora poteva confidare che non tutto fosse perduto.

Il suono della voce di lei, così alta, intensa e vibrante, così viva, riportò tutto al suo posto: i rimorsi, la coscienza, i ricordi spiacevoli. Tutto magicamente svanito, per lasciare nuovamente spazio alla vita. Quella stessa vita che Athena gli aveva concesso e che si era ripromesso di onorare.

Sentiva crescere dentro di se anche l’irragionevole desiderio di vederla, di constatare con i suoi occhi che fosse sana e salva. Era chiaro che lo fosse, a giudicare dal tono e dal modo in cui si rivolgeva ad Alexander.

La gioia iniziale che aveva provato nel sentire il suono della sua voce, lasciò presto il posto al pensiero che, se fosse stato al posto di Alexander, le avrebbe volentieri impartito una buona lezione di rispetto e disciplina. Cose che evidentemente a lei erano ancora sconosciute.

Phoenix, che aveva sempre la straordinaria capacità di essere in sintonia con i suoi pensieri, parlò al suo posto “Ci sarà un po’ da lavorare sull’educazione di base, a quanto pare. Non so dove Alexander trovi tanta pazienza, io l’avrei già rimessa al suo posto”.

Shaka, che conosceva bene l’intemperanza del cavaliere che aveva di fronte, si stupì di quell’affermazione.

Ma prima che potesse intervenire, l’altro fratello decise di dire la sua in merito “Devi capire che per lei è stato uno shock. L’incontro con suo padre, dopo 12 anni in cui lo aveva creduto morto …” fece una pausa prima di proseguire “Lui che ricompare e cerca di ucciderla… insomma non deve essere stato facile. Sapere poi che quello stesso padre aveva generato altri due fratelli di cui non era a conoscenza e sapere che l’unico che avrebbe potuto dirle la verità non l’ha fatto per ben 23 anni, pur essendo costantemente al suo fianco … beh, io posso comprendere la sua reazione. E capisco anche dove Alexander trovi quella che tu definisci pazienza”.

“Tze, sinceramente alla sua età mi sarei atteso una reazione meno infantile. E, chissà perché, non mi stupisce che tu la giustifichi” Phoenix  non sembrava voler concedere attenuanti.

Kanon ricordò improvvisamente la reazione di Juliet in albergo, subito dopo che suo padre le aveva sparato addosso, e sentì una morsa allo bocca dello stomaco.

Ma prima che i due fratelli intavolassero una discussione sulla presunta immaturità di una sorella che non avevano nemmeno mai visto in faccia, Kanon si premurò di introdurre l’argomento che al momento gli forniva più preoccupazione, dopo la salute di Juliet.

“Ho sentito chiaramente, solo per pochi, infinitesimi attimi, il cosmo di un cavaliere che non dovrebbe essere più tra noi”.

Le parole di Kanon ottennero l’immediato effetto di far aprire gli occhi di Shaka.

“Dunque non sono stato il solo a percepirlo” rispose pacatamente quest’ultimo “Ho motivo di credere che in qualche modo quel cosmo sia legato al rientro dell’anima di Juliet, da qualsiasi dimensione in cui tu l’avessi mandata”.

“Io non ho mandato nessuno in nessuna dannatissima dimensione!” Kanon rispose in modo esasperato, con un impeto che stupì tutti i presenti.

Alexander e Juliet uscirono dalla stanza quasi contemporaneamente. Lei che cercava di divincolarsi dalla stretta di lui, che con una mano afferrava saldamente il sul braccio, nel tentativo di trattenerla.

“Non puoi andare a San Pietroburgo, Juliet. Walt e Lucas sono già lì, insieme a un cavaliere d’oro. E anche Victor fa parte della squadra”.

“Mi hai appena detto che sono passati giorni e non hanno ancora fatto rapporto!!” urlò esasperata lei.

Poi si voltò e si rese conto delle numerose altre presenze nella sala. Uno era il biondo di poco prima, due non li aveva mai visti prima e uno era … Kanon.

E fu proprio quest’ultimo ad intervenire, rivolgendosi direttamente a lei “Se fossi in te, Juliet, io darei retta ad Alexander. Le sorti della tua amica non potrebbero essere in mani migliori. D’altronde lui è suo padre, non credo che voglia rischiare di perdere sua figlia affidando il suo recupero a persone in cui non ripone alcuna fiducia” il tono di severità con cui pronunciò quelle poche frasi, diede a Juliet l’impressione che quello fosse un rimprovero.

“Se fossi in te, Kanon, io non fingerei di essere uno che crede ciecamente nel valore dei legami familiari” rispose prontamente Juliet. E non seppe dire il perché le uscì così spontanea una risposta tanto velenosa, né il motivo che la spinse a pronunciarla con tanto astio. Forse il fatto che, dopo quanto era successo, si sarebbe aspettata da parte sua almeno un “Come stai” o un “Mi dispiace” e non certo un saccente ammonimento.

Ad ogni modo, se Kanon accusò il colpo, non lo diede a vedere esplicitamente.

Chi invece manifestò apertamente le proprie impressioni fu il più grosso dei due sconosciuti presenti nella sala “Se fossi in te, io non parlerei di ciò che non conosci. Mi sembra che tu abbia già dato abbastanza fiato ai denti, per oggi” le disse sprezzante.

“Ma qui siete tutti sputasentenze, o questa è la parte sfortunata del tempio?” Juliet non amava certo farsi zittire, men che meno da un troglodita sconosciuto.

Shaka continuava a stare in disparte, tenendo gli occhi chiusi, ma ad un attento osservatore non sarebbe sfuggito che, alla risposta di Juliet, il suo sopracciglio destro si mosse impercettibilmente.

“Lui è tuo fratello Phoenix” si intromise Alexander, prima che la situazione diventasse ingestibile.

Un incrocio di sguardi, tutt’altro che amichevoli, fu l’unico elemento di contatto che ciascuno concesse all’altro. Non una parola, non una stretta di mano, nemmeno un formale cenno di saluto con il capo.

 “E io sono tuo fratello Andromeda. Piacere di conoscerti” il tizio più esile le si era avvicinato per tenderle la mano, mentre le sorrideva con una dolcezza rassicurante.  Sembrava un gesto sincero e spontaneo.

Juliet tese la mano e gliela strinse, più per un atto di cortesia che per un reale slancio d’affetto. Per lei restava pur sempre un altro sconosciuto.

Quando Claire le aveva raccontato dell'incontro con suo fratello Cristal, le disse che si erano scambiati solo poche parole all’interno della terapia intensiva dell’ospedale e che, seppure per brevi istanti, lei aveva sentito un legame con lui. Forse perché il sangue che lui le aveva appena donato era stato determinante per salvarle la vita. O forse perché le avevano appena detto che suo padre stava morendo, e lei aveva visto in suo fratello l’unico legame con una famiglia che ormai non esisteva più.

Juliet non trovò la risposta a questi perché, quello di cui era certa era che lei non sentiva alcun legame con quello che, di fronte a lei, affermava di essere suo fratello. Per non parlare dell’altro, che sembrava non solo disinteressato, ma addirittura infastidito da tutta la faccenda.

Pensò a suo padre Edmond, e ai segreti che, insieme ad Alexander, era riuscito a nascondere per tutta la vita. E inevitabilmente il suo pensiero la riportò con la mente al momento in cui l’aveva visto, per l’ultima volta, mentre le puntava l’arma addosso e le sparava. Ricordò esattamente il momento in cui la gioia immensa di saperlo vivo si era tramutata in disperazione e angoscia per ciò che era diventato. Alexander era convinto che l’apparenza non corrispondesse alla realtà e che il suo amico Edmond non potesse essere sotto totale condizionamento. Ma Juliet, che aveva visto i suoi occhi diventare di ghiaccio mentre premeva il grilletto, non  riusciva a togliersi dalla mente quell’immagine di uomo spietato che suo padre sembrava essere diventato.

Kanon rimase per tutto il tempo spettatore impassibile della scena. Dal suo volto non trapelava alcuna emozione. Ma Juliet sapeva bene di aver fatto un mossa sbagliata, con quella risposta sui legami familiari, minando alla prima occasione la riuscita del piano che aveva accordato con Saga. Se Kanon avesse sospettato qualcosa, lei si sarebbe trovata nella condizione di dover svelare tutto prima del tempo.

Sentiva il crescente bisogno di allontanarsi da quel luogo e da quelle persone, per ritrovare se stessa e recuperare un minimo di lucidità. Ora che la sua anima si era ricongiunta con il suo corpo e si sentiva nuovamente in possesso di tutte le sue capacità, tutto ciò che aveva vissuto nell’altra dimensione le sembrava quasi irreale e lontano anni luce. In più, il confronto con Alexander l’aveva destabilizzata e soprattutto, non aveva ancora metabolizzato quanto era successo a Berlino.

“Ho bisogno d’aria. Qui dentro non si respira” disse a voce alta, senza curarsi di sembrare scortese.

“Puoi uscire fuori quando vuoi” rispose Alexander “L’importante è che tu non ti allontani da sola dal Santuario”

“Cosa? E da quando ho bisogno di una balia?”

“Da quando siamo in pericolo. E fino a quando non scopriremo chi e perché ci sta minacciando” rispose pacatamente Alexander.

“Quindi dovrai farci l’abitudine, perché questa sarà la tua condizione da ora in poi, che tu sia d’accordo o meno” Phoenix stava decisamente giocando male le carte della fratellanza, e Juliet non perse tempo a farglielo capire.

“Non sforzarti caro. Per me non sei, e continuerai a non essere, nessuno. Il fatto che tu sia figlio di Edmond, non significa un cazzo per me. Quindi pensa a risolvere i tuoi fottuti problemi esistenziali, e lascia in pace i miei. Ma soprattutto, non osare dirmi come devo o non devo comportarmi”.

 “Tu meriteresti di essere ….” Phoenix stava minacciosamente avanzando verso di lei, quando una mano lo bloccò.

Shaka di Virgo si era spostato, andando a frapporsi tra i due, senza che nessuno si fosse accorto del suo movimento.

“Cavaliere, ora non sei nello stato d’animo giusto per proseguire questa conversazione. Piuttosto, accompagnami al mio tempio, ho bisogno di confrontarmi con te su alcune questioni”.  

Andromeda rivolse a Shaka uno sguardo di pura riconoscenza per il gesto appena compiuto.

Phoenix fece non poca fatica a calmare i suoi nervi. Ma sapeva bene che, in fondo, Shaka aveva ragione e chissà, forse un giorno sarebbe addirittura stato in grado di ringraziarlo per quest’intervento. Al momento, si limitò ad assentire e a seguirlo fuori dal tredicesimo tempio, lasciando la sala senza salutare e senza voltarsi indietro.  

Juliet invece si era accorta, non appena aveva pronunciato l’ultima parola rivolta al fratello, della presenza di Kanon al suo fianco. Si era avvicinato all’improvviso, senza dire niente, ed ora stava lì, in piedi, a meno di trenta centimetri da lei, che la guardava come se volesse catturarle l’anima. Iniziò a sentirsi a disagio. La sua presenza, la sua vicinanza, il suo sguardo, perfino il tono della sua voce quando le parlava. Ogni cosa di lui la metteva in difficoltà. E non era per quanto successo a Berlino. Lei sapeva bene che la ragione di quelle sensazioni nei suoi confronti derivavano da quanto aveva appreso da Saga sul suo conto. Ma come sarebbe riuscita, in quelle condizioni, a portare avanti il suo piano? Come poteva quel compito, che inizialmente le era sembrato così semplice, per lei che era un operativo con notevole esperienza da infiltrato, sembrarle ora tanto complicato, da farle temere di non riuscire a sostenerlo? No, non aveva scelta, non poteva fallire, o quei cavalieri sarebbero stati perduti per sempre.

Fu mentre la sua testa processava velocemente tutti quei pensieri, che Kanon le toccò un braccio, provocandole un sussulto. Sollevando lo sguardo, i suoi occhi incrociarono quelli di lui, leggendovi una nota di incertezza, che li rendeva meno freddi di prima.  

“Ho bisogno di parlarti, in privato” quasi sussurrò quelle parole, tanto che Juliet si chiese se non le avesse immaginate. Lui, che fino a quel momento si era limitato ad interagire con lei in maniera fredda, severa e distaccata, le aveva appena rivolto una richiesta con un tono totalmente differente.

Consapevole che stare sola con lui in una stanza era l’ultima cosa che lei avrebbe potuto reggere al momento, decise di prendere l’iniziativa “Ok. Accompagnami fuori dal Santuario”.

Kanon si irrigidì a quella proposta. “Sai che non è possibile” le rispose.

“Ma non sarei sola, ci saresti tu con me, no? Dunque non correrei alcun pericolo, giusto Alexander?” sperava di trovare un appoggio esterno.

“In teoria non sarebbe prudente. Ma viste le circostanze e il tuo comprensibile turbamento per gli ultimi eventi, possiamo fare un’eccezione. Che non diventi un’abitudine però” Alexander diede così la sua benedizione, con buona pace di Andromeda che la guardava sorridendo. Quel fratello, forse, le sarebbe stato simpatico, un giorno.

L’unico che rimase rigidamente composto fu Kanon, che comunque dopo qualche istante esalò un sospiro di rassegnazione “D’accordo. Ma usciremo alle mie condizioni e andremo solo dove io vorrò condurti” sentenziò in maniera inflessibile.

Juliet si morse la lingua giusto un attimo prima di rispondergli a tono, consapevole che avrebbe probabilmente bruciato l’unica possibilità di uscire da quel posto.

“Come vuoi” disse con finta accondiscendenza.

Finzione che non sfuggì a Kanon, il quale le rivolse uno sguardo carico di ironia “Bene, vedo che stai iniziando a lavorare sull’obbedienza, me ne compiaccio”.

“Elemento fondamentale per la sopravvivenza” rispose tra i denti, con malcelata insofferenza, procurando una sincera risata in lui, che la lasciò senza fiato.

Era la prima volta che lo vedeva ridere. La prima volta che la sua espressione seria, altera e severa si scioglieva per dare spazio a una più serena, distesa e ... irresistibile. Rimase incantata dal luccichio nei suoi occhi, dal suono vibrante della risata, dal modo in cui le sue labbra si incurvavano per poi aprirsi e mostrare un sorriso che, Juliet ne era convinta, avrebbe fatto stendere ai suoi piedi qualsiasi nemico.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

Capitolo 31

 

Claire e Milo si voltarono appena in tempo per vedere Lucas e Walt che venivano scaraventati con forza nel fiume da decine di guerrieri. Milo non ebbe alcuna difficoltà, sollevando appena un braccio, ad eliminarli tutti, in un colpo solo e con il minimo sforzo. 
Claire richiamò la sua attenzione quando vide sopraggiungere verso di loro due uomini che portavano armature del tutto simili a quelle indossate dai suoi aguzzini. 
Milo, frapponendosi tra lei e i due nuovi arrivati, accese improvvisamente il suo cosmo e sprigionò un’energia talmente intensa che Claire si chiese se il sole non fosse caduto sulla terra.
Uno dei due scagliava colpi che sembravano lingue infuocate, che Milo riusciva comunque a neutralizzare con il solo movimento di una mano, mentre l’altro agitava delle fruste chiodate che producevano un sinistro suono metallico.

“Non penserete di intimorire un cavaliere d’oro con quella ferraglia e così mascherati?” disse sprezzante rivolto ai due, i cui volti erano totalmente ricoperti da un elmo.

“Fossi in te non sottovaluterei ciò che non conosci” rispose uno dei due, con una voce che pareva tutto fuorché umana.

Claire, accortasi che Walt e Lucas non riemergevano dal fiume, fece per tuffarsi nella direzione in cui erano stati scaraventati, ma fu bruscamente bloccata dal braccio di Milo, che la afferrò con vigore, addossandola al suo petto e impedendole quasi di respirare.

“Non fare mosse stupide. Stai dietro di me e non muoverti per nessuna ragione. Non costringermi a immobilizzarti” le ordinò bruscamente. Poi, sentendola irrigidirsi, aggiunse “Penso io a loro, stai tranquilla”. L’ultima frase gliela sussurrò all’orecchio, ed ebbe per Claire un sorprendente effetto calmante.

Decise di sorvolare sul tono utilizzato per imporle di stare ferma, visto che al momento le priorità erano altre, e si piazzò alle sue spalle, in obbediente attesa. Vide quindi Milo avanzare minaccioso ed estinguere con un semplice movimento delle mani le fiamme che venivano lanciate, per poi ingaggiare una lotta corpo a corpo con l’uomo in armatura scura con la frusta chiodata.

Sembrava che i colpi di Milo andassero tutti a segno. Il problema era che l’altro si rialzava ogni volta, come se niente fosse successo. E il secondo adesso scagliava la sua frusta contro Milo, che puntualmente la rimandava al mittente con la sola forza di una mano. Nonostante tutto, a Claire non sembrava che Milo stesse avendo la meglio. Anzi. Al momento era circondato da fiamme altissime, mentre miriadi di fruste chiodate gli si avviluppavano nelle braccia e nelle gambe, apparentemente impedendogli ogni movimento.
Fino a quando, all’improvviso, i suoi nemici parvero immobilizzarsi, incapaci di fare anche il minimo movimento, mentre il suo cosmo si espandeva ulteriormente. Quando la luce del suo cosmo si affievolì, Claire vide che, con la sola forza del dito indice, Milo lanciò decine di colpi contro i nemici, che ora parevano contorcersi dal dolore, in preda agli spasmi. Le loro armature erano state perforate da decine di cuspidi appuntite. Claire riconobbe immediatamente quel gesto e le si gelò il sangue. Di riflesso si toccò l’avambraccio, nel punto in cui lui l’aveva colpita quel giorno. Il pensiero che lui avesse usato su di lei lo stesso terribile colpo che ora stava adoperando per sconfiggere quei nemici, le provocò un senso di nausea e di repulsione. Bene, ora sapeva a cosa doveva pensare per mantenere le distanze da lui e non correre il rischio di ricadere nella trappola dell’attrazione.  

Quando lanciò l’ultimo colpo, i due caddero a terra quasi all’unisono.
Una volta assicuratosi che fossero definitivamente sconfitti, Milo tornò da Claire e, leggendo nel suo sguardo qualcosa che sembrava paura, tese un braccio verso la sua spalla “Tutto bene?”

“Non toccarmi!” la reazione di Claire fu talmente violenta che stupì anche lei.

Milo, dopo un primo momento di sconcerto, abbassò il braccio e chiuse gli occhi, voltandosi quindi in direzione del fiume.

Claire si riprese subito, seguendo lo sguardo di Milo, e rendendosi conto con orrore che Lucas e Walt non erano ancora riemersi dal punto in cui erano stati scaraventati.

“Dobbiamo recuperarli!” disse mentre iniziava a togliersi una scarpa per tuffarsi.

“No” rispose semplicemente lui.

“Sei impazzito? Vuoi che affoghino? Guarda che sono in grado di nuotare da sola, andrò anche senza il tuo aiuto!” Claire si stava decisamente innervosendo.

“Ferma. E calmati.” le disse in maniera piuttosto decisa.

Lui sembrava non avere alcuna urgenza di muoversi, parlava come se desse per scontato che i suoi amici fossero già morti, cosa che lei non poteva tollerare.

“Non mi dirai certo TU cosa devo fare per i MIEI amici” disse mentre si toglieva anche l’altra scarpa.

“E invece si” lui perse definitivamente la pazienza “E tu mi ascolterai e farai esattamente quello che ti dirò di fare, se vuoi rivederli vivi”. 

Le si era avvicinato talmente tanto che quasi i loro corpi si sfioravano. Ma non la toccò. La testa di lei all’altezza delle spalle di lui, gli sguardi fermi, in atteggiamento quasi di sfida. La tensione era talmente palpabile che a Claire sembrò di sentire l’elettricità nell’aria che respirava.  

“Non sono in fondo al fiume. Sono stati portati via” disse lui con voce più bassa, interrompendo quel gioco di sguardi e tornando a volgere il suo oltre il fiume.

“Cosa? Quando? Ti sei accorto e non hai fatto niente per impedirlo?” gli disse in tono accusatorio lei.

“Se mi fossi concentrato su di loro, avrei perso di vista te e i nemici che ci stavano attaccando. Non ho potuto fare niente, mi dispiace.” le disse guardandola negli occhi.

Claire finse di non sentire una punta di rammarico per avergli lanciato quell’ingiusta accusa e tornò a concentrarsi sul problema principale, distogliendo lo sguardo dal suo.

“Allora dobbiamo andare a recuperali” disse, stavolta con più calma.

“Tu non andrai da nessuna parte. Prima ti porterò in un posto sicuro, e solo dopo essermi assicurato che le tue ferite siano a posto e che tu non corra alcun rischio,  io tornerò indietro a recuperarli” l’affermazione non ammetteva repliche.

“Ma perderemo solo del tempo prezioso e poi potrebbe essere troppo tardi!” disse esasperata lei.

Milo, già pronto a ribattere, fu distratto da un oggetto volante, apparso improvvisamente all’orizzonte.

“Cos’è quello?” lo indicò con un cenno del capo.

Claire, voltandosi nella direzione indicata, vide quello che sembrava essere un drone, che sorvolava nello spazio aereo lungo il fiume. Non sembrava niente di allarmante, poteva essere un drone manovrato da qualche privato che scattava foto artistiche, o dalla polizia locale per controllare l’area, visto che sicuramente qualcuno aveva segnalato la loro presenza, che, tra fiamme ed energia cosmica, non era stata propriamente discreta.

Ma Milo non sembrava pensarla come lei.

“Ci sta attaccando” disse con una nota di apprensione.

“Cooosa?” gli rispose incredula “Milo, rilassati, è solo un drone”.

Non fece in tempo a dirlo che sentì una forza sconosciuta bloccarle le braccia e le gambe, impedendole qualsiasi movimento.

“Ma che diavolo succede, non riesco a muovermi” lo guardò preoccupata, accorgendosi che anche lui tentava invano di divincolarsi da quelle onde invisibili.

“Dannazione, stanno usando il mio colpo contro di noi” disse con rabbia.

“Il tuo colpo? Di cosa stai parlando?”

“Le onde di scorpio. Ho lanciato questo colpo due volte poco fa. E questo è senza dubbio la sua replica perfetta.”

“Vuoi dire che sospetti che quel coso volante riesca a replicare i tuoi colpi? Ma è impossibile, ci sarà un’altra spiegazione”.

“Purtroppo è come ti dico. So riconoscere le mie tecniche”.

Il drone, oramai posizionato sopra le loro teste, sembrava osservarli dall’alto.

“E’ inquietante. Ma che vuole da noi?” disse Claire osservandolo con sospetto.

 Milo non parlava, ma il suo volto era oltremodo teso e la sua mimica facciale rivelava che si aspettasse il peggio. Peggio che non tardò ad arrivare. E che colpì proprio lui per primo, causando una minuscola crepa nella sua armatura, all’altezza della coscia destra.

“Dannazione” imprecò lui, cercando in ogni modo di spostarsi per farle da scudo con il suo corpo.

E mentre si sforzava invano di sbloccare braccia e gambe, immobilizzate dal potere delle sue stesse onde, un altro minuscolo foro nell’armatura, all’altezza dello stomaco, lo fece gridare di dolore.

Claire vide la sua espressione sofferente e iniziò a comprendere.

“Questo colpo …” sussurrò con preoccupazione.

“La cuspide scarlatta” decretò lui “Fino a che colpisce me non ci sono problemi. Posso sopportare ben oltre la dose di veleno contenuta nelle 15 cuspidi, Antares compresa”.

Dunque il colpo su di lui non era mortale e presumibilmente non gli avrebbe causato un dolore insopportabile. Claire ricordò la reazione avversa del suo organismo al veleno dopo aver ricevuto uno solo di quei colpi, e impallidì. Lei, a differenza di Milo, non avrebbe avuto scampo: era spacciata.

E dall’espressione funesta che aveva Milo, non era l’unica a pensarlo.

“Incredibile come il destino faccia tanti giri per poi tornare indietro e … banalmente finire l’opera” disse quasi senza pensarci, mentre osservava il drone cambiare posizione e puntare dritto verso di lei.

Vide nitidamente partire il colpo e d’istinto chiuse gli occhi. In attesa. Non voleva guardare in faccia Milo mentre veniva colpita, ancora una volta, dal suo colpo. L’ultima cosa che sentì fu proprio la sua voce che urlava disperatamente il suo nome.

“Noooooo! Claire!!!”

E poi niente. Non sentì il dolore atroce che aveva sentito la prima volta, non sentì quel calore bruciante entrarle nelle vene e attraversare tutto il corpo, non fu scossa dagli spasmi dei suoi muscoli. Sentì solo molto freddo. Aveva così tanto freddo che iniziò a tremare. E pensò che forse era già morta, senza nemmeno soffrire. Avrebbe presto rivisto Victor, se non altro. E suo padre.

Fu solo quando sentì nuovamente pronunciare il suo nome, che capì di non essere nel regno dei morti ed ebbe il coraggio di riaprire gli occhi. Quello che vide aveva dell’incredibile. Una spessa coltre di ghiaccio ricopriva lei e Milo, mentre al di la del ghiaccio si intravedeva quello che a lei sembrò essere suo fratello Cristal, anche lui con indosso un’armatura.

“Diamond Dust!” lo sentì gridare prima di vedere il drone diventare di ghiaccio e disintegrarsi in mille pezzi.

Le onde che tenevano immobilizzati lei e Milo scomparvero istantaneamente.

La parete di ghiaccio che li aveva protetti fece la stessa fine, proprio mentre Cristal correva verso di loro.

“Milo! Claire! State bene?” disse mentre si inginocchiava vicino a lei e le posava delicatamente un braccio sulla spalla.

“Non so cosa diavolo tu ci faccia qui amico mio, ma sappi non sono mai stato tanto felice di vederti” Milo lo salutò con un cenno del capo e con uno sguardo carico di gratitudine.

Cristal si grattò la testa, come in imbarazzo “Ah ecco, in realtà non ero esattamente qui, ma ad Asgard … si insomma, per motivi personali … e dunque ero il più vicino… così quando Alexander mi ha chiamato, preoccupato che Walt non avesse ancora fatto rapporto …”

“Cosa hai detto?” Claire lo interruppe bruscamente.

“Che ero ad Asgard e …”

“No, no. Cosa hai detto dopo. Hai fatto il nome di Alexander.” Claire guardava prima l’uno, poi l’altro, intercettando i loro sguardi complici e … colpevoli.

“Dio mio. Mi ha fatto credere di essere morto per due anni.” Claire iniziò a pensare ad alta voce, senza curarsi della presenza degli altri due.

“E’ stato in coma per quasi due anni. Si è svegliato solo qualche mese fa” cercò di spiegare Cristal.

“In coma? Sia tu che Walt mi avete fatto credere che fosse morto!!” Claire aveva alzato il tono della voce.

“Lo so, mi dispiace Claire. Non sai quanto sia stato doloroso portare il peso di questa menzogna. Ma lui ce l’aveva espressamente chiesto prima di perdere i sensi” Cristal lo disse con voce rotta dall’emozione.

“Non ci posso credere, che sia arrivato a tanto” Claire continuava a scuotere la testa, ancora sotto shock per la notizia ricevuta.

“Mi spiace interrompervi, ma sono certo che riprenderemo questo discorso quando saremo tutti al sicuro“ intervenne Milo “Cristal, ora devi portarla in un posto sicuro, mentre io torno indietro a recuperare Walt e Lucas”.

Claire scosse la testa “Non puoi tornare da solo. Andate insieme. Io vi aspetterò dentro l’auto dell’Agenzia. Se Lucas l’ha usata per fornire l’appoggio alla missione, Victor si sarà premurato di disporci un arsenale.”

“No. Non resterai sola in un auto facilmente individuabile e attaccabile da guerrieri che evidentemente non temono arsenali” Milo rifiutò quel piano con decisione.

“Ti ricordo che grazie a parte di quell’arsenale, Victor ha salvato il culo a tutti noi” gli rispose con fervore lei.

“E io ti ricordo che il tuo amico Victor è morto proprio per avere fatto ciò di cui parli” Milo si pentì di aver pronunciato quelle parole non appena si rese conto dell’effetto che ebbero su di lei. Lo sguardo di Claire si incupì, gli occhi divennero lucidi. Le mani si serrarono a pugno e il suo corpo si irrigidì. Le spalle tremarono.

“Tu non puoi permetterti di parlare del mio amico Victor, visti i precedenti. Lascialo in pace, almeno ora che è morto” la voce, che voleva risuonasse fredda e tagliente, le uscì spezzata, esattamente come si sentiva lei in quel momento.

Milo non disse niente. Non si sarebbe scusato. Semplicemente decise di ignorare l’ultimo commento e di rispettare il dolore che lei stava certamente provando per quanto successo solo poche ore prima.

Fortunatamente Cristal intervenne a supportare il suo piano “Claire, Milo ha ragione. Un cavaliere d’oro sarà più che sufficiente per recuperare Walt e Lucas, fidati. E noi in ogni caso noi ci allontaneremo il tanto sufficiente per metterti al sicuro e al contempo poter intervenire in suo supporto, nel caso in cui le cose si mettessero male. Ok?” le disse guardandola negli occhi.

Lei non rispose subito. Questo fu già un buon segno per Milo, perché significava che stesse valutando seriamente la proposta. E infatti poco dopo annuì.

“Ma ci allontaneremo usando l’auto dell’Agenzia” aggiunse.

“Benissimo” assentì Cristal, per poi rivolgersi a Milo “Per qualsiasi cosa, io sarò abbastanza vicino per intervenire”.

“Grazie, ma conto di farcela anche senza il tuo aiuto, stavolta. Quindi allontanatevi il più possibile” gli disse mettendogli una mano sulla spalla, a voler enfatizzare l’ultima frase.

Cristal non rispose, ma annuì in silenzio, ben consapevole del potere di Milo e sicuro che non avrebbe avuto bisogno d’aiuto.

Quindi, con un cenno di saluto, si voltò per dirigersi con Claire verso l’auto, ma prima di allontanarsi, si sentì richiamare.

“Ah, Cristal … quando avremo più tempo a disposizione, confido che mi racconterai nel dettaglio che cosa esattamente ci facessi ad Asgard” gli disse Milo con una nota di ironia nella voce, per poi sorridere nel notare il rossore imbarazzato comparire improvvisamente sul volto dell’amico, che rimase impalato senza sapere esattamente cosa rispondere.

“Esattamente uguale a Camus” bofonchiò Milo, soddisfatto per la reazione provocata.

Claire assistette alla scena con una certa curiosità. Era evidente che quei due avessero molta più confidenza di quanto lei immaginasse. E in qualche modo questo la infastidì, anche se non seppe bene per quale motivo.

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