Perdere una parte di sè

di Cdegel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** perdere una parte di sè ***
Capitolo 2: *** di nuovo insieme ***
Capitolo 3: *** un cuore sperduto ***
Capitolo 4: *** verità ***
Capitolo 5: *** il tormento del passato ***
Capitolo 6: *** la solitudine di un Saint ***
Capitolo 7: *** Isaac dell'Altare ***
Capitolo 8: *** 7 febbraio ***
Capitolo 9: *** occhi mare ***
Capitolo 10: *** il Saint di Aquarius ***
Capitolo 11: *** Il dubbio ***
Capitolo 12: *** resisti! ***



Capitolo 1
*** perdere una parte di sè ***


Perdere una parte di sé
I personaggi di Saint Seiya appartengono al loro autore, M. Kurumada, questa ff è scritta senza scopo di lucro. 
In questa ff, Agasha è reincarnazione dell'Agasha di LC, che all'epoca dei fatti di LC aveva 18 anni, coetanea di Shion. Adesso è all'incirca coetanea dei Gold Saint.
Questa one shot è parte della long  “Fino in fondo”, e si può inserire come prologo al capitolo 1.
In attesa del prossimo capitolo della long, che sto ultimando, ecco uno dei quadri mancanti. 
Tra la fine della lotta contro Saga, al tredicesimo tempio, ed il ritorno dei Saint risvegliati da Atena, ecco ciò che accadde all'undicesima casa. 
Quando Milo vi tornò al termine della lotta. 
Alla fine di tutto. Credeva. 
 
Buona lettura!
 
Quelle parole di Milo, pronunciate senza vita, senza emozione, le avevano spezzato il cuore. 
Camus non c'è più. 
Non le aveva detto altro, non che cosa fosse successo, non a causa di chi né perché. 
Milo era lì, all'altro capo del telefono, ormai muto. Perché l'aveva chiamata?
Era lì, lo sentiva. 
Dove siete? Milo? Nessuna risposta. Camus non c'è più. Ripeteva.
Un rumore sordo
E Camus, era certa, era tra le braccia di Milo, Camus o ciò che ne restava, almeno. 
E niente altro. Nessuna risposta. Endien era irreperibile, Umbriel introvabile. Certo avevano ricevuto anche loro quell'assurda notizia. Nessuno parlava.
 
Avrebbe voluto correre al tempio, dove sapeva che lo avrebbe trovato, nell'undicesima casa, in cui, così spesso, avevano parlato, di Siberia, di Isaac, del suo dolore insuperabile, di Hyoga, della sua incapacità di odiarlo e anche di perdonarlo, della sua incapacità di farne un Saint, del fallimento come Maestro, come uomo, come... Come padre, Camus? Io non sono loro padre. Sì, che lo sei. Lo eri, maledetto tu e lo spazio che ti sei preso nel mio cuore. Come farò? Senza te?
E se non fosse vero? Se Milo si fosse sbagliato? Lui tira sempre le conclusioni peggiori. Magari è ferito. Magari è grave. Ma respira, il suo cuore batte ancora. Ti prego. Fa che il suo cuore non si sia fermato.
Una speranza vana la sua, Agasha si sentiva spezzata, come quel giorno lontano: lo stesso senso di impotenza, di abbandono... Albafica.
 
Milo lo raccolse tra le braccia, come in Siberia, come quel giorno.
Aveva sperato che andasse davvero come quel giorno, quando lo aveva trovato mezzo assiderato tra i ghiacci: il corpo freddo, gli abiti gelati, ma il fuoco, il suo calore, avevano riportato Camus indietro. Lo aveva sentito respirare. Lo aveva sentito gemere e, infine, aveva riaperto gli occhi. 
Il blu profondo delle iridi lo aveva di nuovo accolto. Si era specchiato negli occhi stanchi, nello sguardo confuso. 
Ma era vivo, quel giorno.
Stavolta. 
Stavolta non sarebbe bastato il fuoco, non sarebbe bastato il suo calore, non sarebbe bastato tutto il calore del mondo. Milo si sentiva perso e il peso che aveva sul cuore era così grande: non riusciva a credere alla realtà dei fatti, aveva bisogno di ascoltare la sua voce pronunciare quelle parole. Aveva chiamato Agasha ma non aveva avuto il coraggio di parlare. Camus non c'è piu. Le aveva detto. Poi aveva posato quell'aggeggio che avrebbe voluto fare a pezzi. Lei gli chiedeva di aiutarlo, di non lasciarlo solo. Dove siete? Lui è dove il sole non lo potrà più scaldare, Agasha. Quell'immagine richiamò alla sua mente le parole di Camus. "Lei è come il sole" già.. Povero amico mio... Per te era Elessar il sole. Ma a lei non lo hai mai detto... Hai sacrificato tutto ad una Dea che non ti ha nemmeno cobsiderato... Ovunque fosse adesso, il sole di Camus, non avrebbe più potuto scaldarlo. Non lo avrebbe mai più raggiunto. Dove era andato. Il sole.
 
Milo era solo con quel fardello pesante e gelido tra le braccia.
E il volto di Hyoga negli occhi. Ancora e ancora.
"Io l'ho fatto passare... Ti ho ucciso... Camus... Perché..."
Una parte di sé era perduta, una parte così preziosa da essere insostituibile.
 
Quel corpo gelido lo aveva liberato dell'armatura. Aquarius era a pezzi, sparsa con rabbia nell'Undicesima Casa. Scagliata contro i muri ghiacciati, le colonne, il pavimento. Al diavolo. Maledizione.
Quel corpo gelido, pallido oltre l'inverosimile. 
Lo zero assoluto paralizza tutto, aveva detto un giorno.
Lo zero assoluto ti ha ammazzato. Coglione. Non ti ha paralizzato. Ti ha ucciso. Testardo. 
Milo sapeva che cosa aveva fatto o, almeno, credeva di avere capito che cosa era accaduto a Camus. Sapeva che cosa aveva nel cuore da quel giorno, sapeva che Hyoga era tutto ciò che gli rimaneva e riteneva di avere fallito con lui. Camus doveva aver spinto il cigno ben oltre il suo limite, oltre sé stesso, fino a restare schiacciato dal suo fallimento, dal senso di colpa.
Perché.
Cullava ciò che restava di CAMUS, stringendolo a sé. Aveva scagliato lontano anche la sua di armatura, insieme con quella di Aquarius. Scagliato contro i muri ghiacciati, le colonne, il pavimento: Scorpio e Aquarius erano confuse tra loro, i due diademi incastrati, per caso, come le loro vite, incastrate una nell'altra. Loro due, incastrati (malamente) l'uno nell'altro, che, a dividerli, si sarebbero spezzati. Il ghiaccio. Il calore. Camus così freddo, lui così vitale. Un equilibrio così perfetto.
Camus.
 
Il corpo gelido contro la sua pelle calda. Respira ti prego. Carezzava delicatamente il suo viso. Respira ancora, coraggio.
Non andartene. Se ne è già andato. Povero idiota. Non ascolterai più la sua voce. Le sue lezioni di vita. Che lezioni vuoi darmi, tu.
Il suo viso era gelido, aveva un'espressione così affaticata, le ciglia lunghe coperte di minuscoli cristalli di ghiaccio. Lacrime. Un Saint non può piangere. Un Saint che piange che razza di Saint è?
Lacrime cadevano sul viso pallido. Calore su quel volto, freddo di morte.
Un Saint non può piangere. Ti sbagli. Un Saint che perde ciò che ama piange. Come hai pianto tu, per Isaac, per Hyoga. Io piango. Piango per te, gran testa di cazzo.
 
Il corpo gelido contro il suo corpo che tremava, che il freddo, ancora, lo avvertiva. Ma non si voleva arrendere, Milo. Non voglio perderti. Lo hai già perduto. Tempo fa e non te ne sei reso conto. Idiota. Lo hai perso quando è tornato distrutto dalla Siberia e non hai fatto niente per sostenerlo
Restò a cullarlo, nel silenzio dello zero assoluto. Fermo, fermi, in una pace di cristallo. 
Un silenzio tetro, gelido, che metteva i brividi. Davvero, la sua potenza era terribile. Vista ora che, a causa di quella stessa potenza, aveva perso tutto, in un lampo di ghiaccio.
Lo sollevò da terra stringendolo tra le sue braccia. Stringendo contro il suo petto nudo il corpo di Camus, così gelido da fargli sentire l'anima congelarsi. 
Poi cadde in ginocchio, con lui, ancora stretto, e restò lì, immobile, per un tempo che sembrò abbandonare ogni vincolo terreno. 
Camus così gelido, il suo cuore fermo, il cuore di Scorpio, invece, cosi vuoto. 
Il silenzio li avvolgeva. Era tutto così irreale. 
Ma la realtà era lì, tra le sue braccia: un corpo gelido, immobile, il soffio della vita ormai inesistente. Pianse Milo. Senza più trattenersi, senza tentare di riordinare i suoi pensieri.
Camus non lo avrebbe mai rimproverato per quella debolezza. Non lo avrebbe rimproverato più per nulla. Né gli avrebbe più parlato di vini, di filosofia, di Ofiuco, di leggende e di eroi.
Avrebbe ricordato la voce di Camus tra un mese, tra due, tra cento?
Nessun altro era rientrato nell'undicesimo tempio dopo che Atena lo aveva lasciato senza degnare il suo custode caduto di uno sguardo. Ha salvato lui e non te. Non sei più utile allo scopo, povero amico mio. 
Avrebbe finito con l'odiare Atena? Hyoga? Sè stesso? Forse in ordine inverso, forse solo sé stesso, forse anche Camus, dopotutto. 
Il corpo gelido abbandonato, la mano senza vita di Camus abbandonata sul pavimento in un gesto, quasi di stizza. Era un caso?
Raccolse il suo braccio. Hai bisogno di calore. Lo avvolse nel suo cosmo. 
Non c'era sollievo a quel gelo assoluto, nemmeno il cosmo di fuoco di Scorpio poteva battere quel freddo senza limiti.
Il tempo trascorse. Minuti. Ore. 
Ore.
Sembrava di scivolare verso il fondo, lentamente, come una goccia che colava lenta lungo un vetro appannato. Freddo. Oscuro. Insieme. Da soli. Un corpo pesante. Freddo. L'altro pulsante. Infreddolito. 
Un colpo di tosse. 
Si era già raffreddato così tanto da non rendersi conto che stava tossendo? Stava morendo anche lui? Forse. Lo zero assoluto lo stava accogliendo con Camus, per non avere impedito a Camus di affrontare da solo Hyoga.
Stava sprofondando in un sonno profondo, pesante, pieno di angoscia.
Il corpo freddo che rabbrividiva.
Un colpo di tosse. 
Un respiro affannato. 
Il ricordo di avere già vissuto quella sensazione. 
Aprire di nuovo gli occhi sembrava ormai inutile, faticoso. Non li aprì.
Un colpo di tosse.
"...Bi...lo''
L'illusione era qualcosa di terribile, di intollerabile. L'illusione di sentire una voce così lontana così simile alla sua. Un colpo di tosse.
"Bi..lo"
Maledizione, maledizione taci!
Strinse ancora più forte il corpo freddo. Aveva iniziato a tremare violentemente. 
Freddo. Così freddo. Gli occhi serrati come le braccia intorno a Camus.
Strinse ancora di più. 
Uno starnuto. La pelle bagnata. La sua pelle bagnata. 
Fu richiamato indietro in un istante. Uno starnuto e la pelle del suo collo bagnata. Aprì gli occhi. Incredulo. Era l'alba.
"lo... Do... Dod..."
Inizio a tremare come lui che tremava.
Chi tremava di più tra di loro? 
"fr... do" farfugliò confuso. Milo lo fissava incredulo, le lacrime scorrevano sulle sue guance. Non riusciva a muovere un muscolo. Camus si nuove a in modo quasi impercettibile. Sembrava cercare aria. "Sei vivo..." Poi si scosse. Faticava a respirare. Lo scostò da sé, rovesciandogli indietro la testa
"Respira Camus... Respira.
Non lo credeva più possibile. Quanto tempo era passato? Era buio quando la disperazione lo aveva assalito, ora la luce dell'alba filtrava tra le colonne, portando con sé un alito di speranza. Quanto tempo era trascorso? Restava lì, incredulo e immobile con gli occhi fissi, bagnati di lacrime, in quegli occhi semiaperti, affaticati.
 Il viso di Camus era arrossato ora, lo ricordava bianco come un cencio, poco prima. Quanto tempo prima? Il tempo si era fermato, oppure era tornato indietro?
Confusione.
"Bi...lo"
Si scosse
"Camus" finalmente pronunciò il suo nome, ancora. Non riusciva a credere di poterlo chiamare ancora per nome, di ottenere una risposta a quel Nome.
"Fr... fre... do"
Lo strinse a sé. Lo avvolse nel suo cosmo. Camus. Sei vivo. Incredibile.
Poco dopo lo sentì scostarsi da lui.
"Bilo... Isaac...Mh...mmh ca.. sa" sussurrò spalancano improvvisamente gli occhi, cercando di muoversi, sebbene in modo del tutto scoordinato. Era quasi lucido, avrebbe giurato. Almeno, sembrava quasi lucido
"Cosa stai dicendo?" Chiese con circospezione. Che avesse avuto danni cerebrali?
"I... Isa.. C... K.. KO... KOBO.. tech"
,"Camus... Isaac è" come dirglielo?
scosse la testa, si aggrappò malamente a lui"Ca... sa"
Si arrese, sperò che non avesse accusato dei danni permanenti, probabilmente poteva essere solo sconvolto, sotto shock. Avrò cura di te, Camus. Magari era davvero, solo sconvolto, come se lui non lo fosse, ma andava bene così. Lo strinse di nuovo a sé. Scaldarlo lo avrebbe aiutato.
"Bilo... Isa... ac Dod... Do.. può... sta.. re là... Solo...". Uno starnuto. Camus aveva iniziato a tremare, batteva i denti come mai lo aveva sentito fare.
"Si verrà... Sta tranquillo, riposati" gli disse appoggiando la guancia alla sua fronte "Stai tranquillo... Lo andiamo a prendere apoena starai meglio" . Assecondarlo gli sembrava la cosa migliore da fare.
"Dod hai... Bi... lo... DOD... Dod.. Det.. To... diedte... Agasha... Mh... Ve.. ro?"
"Ehm .. no tranquillo. Sta tranquillo. Va tutto bene"
"Hyo... ga?"
Già. Hyoga. Lui sta meglio di te. Avrebbe voluto dirgli, ma non lo fece. Coglione. Sei un coglione. Avrebbe voluto dirgli. Ma non lo fece. No. Si limitò a stringerlo a sé. Il ghiaccio. Il fuoco. Lo strinse a sé e lui si lasciò stringere. Stavolta lo aveva perso davvero e solo un miracolo lo aveva riportato indietro. Anche se non sapeva quale miracolo o perché fosse avvenuto. Né quanto tempo fosse trascorso tra la disperazione e la speranza. Tra la morte e la vita. Quel prodigio.
E a quanto pareva non era il solo. 
Vide entrare nell'undicesima casa Shura. E Shion, il Gran sacerdote. Con Mu. Si avvicinarono a loro. Camus, a fatica riuscì a scostarsi da lui ed era seduto a terra, adesso, tremante e visibilmente provato. Sollevò improvvisamente il viso, con lo sguardo sconvolto. "A.. Te... Na" disse.

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Capitolo 2
*** di nuovo insieme ***


Milo aveva ammesso di averla chiamata. Forse. L'altra notte. Magari era questa la ragione per cui non si faceva sentire. Aveva azzardato. 
"In che senso?"
"In che senso cosa?" Titubante
"Forse l'hai chiamata" aveva detto, aggrottando le sopracciglia
"Eh!"
"L'hai fatto o no" spazientito
" ... sì"
"E?" Lo incalzava
"E... credo ...di averle detto ...che eri morto" Aveva ammesso. 
"Ma tu sei un coglione!" Aveva sbottato
"Disse il coglione" Aveva ribattuto con tranquillità.
A quelle parole Camus lo aveva guardato sbigottito. "Non lo sei?!" Aveva chiesto Milo, fissandolo negli occhi. Le braccia incrociate sul petto. "Devo ricordarti che ti sei fatto ammazzare dal tuo stesso colpo segreto!?... Ti senti così intelligente?! Superiore... Da incazzarti con me per una telefonata!?"
Non aveva ribattuto. D'altronde era la verità. Aveva spinto Hyoga fino al limite per punire sé stesso. Uccidendosi con le sue mani. Di fatto. Forse un po'. Coglione
Ma chiamarla! Chiamarla per dirle che lui era morto! Milo come si poteva definire?!
 
Agasha e Camus di sentivano ogni giorno. Anche solo per una sciocchezza. Per un saluto. Solo per sentire uno la voce dell'altra.
"Voi siete innamorati" rideva Milo
"Molto di più. Siamo amici" rispondeva Camus. Era così preziosa. Agasha. Certo che l'amava. Ed era ricambiato. Ma non era quel sentimento comune che si poteva credere. Era un legame più forte. Che non si poteva incasellare nella parola amore, non nella forma consueta, che non si adattava a ciò che lui provava e a ciò di cui aveva timore. Ci aveva pensato a lungo. A questo legame. E non era mai riuscito a dargli un nome. Semplicemente non poteva fare a meno di lei. Ma non aveva provato gelosia quando Endien gli aveva detto di essersi invaghito di Agasha. Questo lo aveva tranquillizzato. Non di sarebbero mai perduti. Lui e lei.
 
Almeno finché Milo non l'aveva chiamata per dirle con tanto tatto che lui era morto
"Ma come cazzo ti è venuto in mente!? Chiamare Agasha!? Dopo una battaglia!?"
"Ero disperato"
"Non abbastanza! Chiamare Agasha! Al telefono le dici che sono morto!? Ma come cazzo si fa!?"
"Senti un po'! Non sono io che mi sono fatto ammazzare! Chiaro!? E dovevi provare a starci al mio posto! Per la seconda volta! A vederti li per terra. Che non respiravi!  a raccoglierti congelato! Tu non hai idea di come..."
Abbassò lo sguardo. Di come si era sentito. Non disse altro. Gli diede le spalle
"Sai dove abita no!? Va da lei! vedrà che sei vivo e penserà che il coglione sono io. E invece sei tu. Lo ribadisco. Un grandissimo. Coglione."
Lo lasciò solo. 
Era stato ingiusto con Milo. Sleale. Era stato l'unico dei Gold Saint a non arrendersi, a provare e riprovare a risvegliarlo. 
Lo aveva sentito, il suo cosmo, che cercava di scaldare il suo corpo. La sua voce. Le sue lacrime. 
E lui che diritto aveva di adirarsi? Era vero. Agasha doveva avere sofferto tanto a quella notizia. Ma avrebbe capito. Avrebbe capito le ragioni di Milo. Certamente, conoscendola, avrebbe capito meno le sue. Proprio come non le capiva, o non le accettava, Milo. Che lo aveva vegliato tutta la notte. Non lo aveva lasciato solo un momento, dopo la battglia. Doveva essere sfinito. 
E lui?
Lui non trovava niente di meglio da fare che rimproverargli la sua disperazione. Hai ragione. Sono un grandissimo coglione.
Scese al volo dal letto, si vesti' velocemente e rincorse l'amico. Lo raggiunse
"Milo"
Si volse e gli sorrise. Non riusciva a provare rabbia. Tanto era felice di riaverlo vicino. Anche se non glielo avrebbe mai detto. Che era morto di paura. Anche se, era certo, lui lo sapeva. Quale terrore aveva vissuto.
Non avevano bisogno di parole. Si capivano con uno sguardo, Aquarius e Scorpio. Perderlo lo aveva atterrito. 
"Vuoi andare da lei?"
Annuì.
"Mi accompagni?"
"Certo, se no potrebbe prenderle un colpo. Ha il terrore dei fantasmi... potrebbe pensare che tu sia il tuo fantasma"
"Già... " E chissà perché. In effetti vicino al cimitero non si avventura mai. 
Restò un attimo in silenzio.
"Grazie Milo. Per non esserti arreso. È così fredda. La morte. Il buio"
Milo restò senza fiato. Camus gli aveva confessato ciò che aveva provato. Solitamente nascondeva tutto dentro di sé
"Non pensarci più. Sei vivo. È quello che conta" gli circondò le spalle con un braccio "muoviamoci dai...che Agasha starà versando fiumi di lacrime"
 
Saltarono la recinzione. Il campanello non lo avevano mai suonato. D'altronde era rotto e nessuno di loro gli dava peso.
Milo si chinò a guardare all'interno della casa, attraverso il vetro. 
"C'È. Entro per primo. Poi la lascio a te"
Sussurrò
Scosse la testa. "Ma che c'è che non va?"
"Disperata. Ovvio. Ed è colpa tua. Te lo ripeto. Non mia"
Aprì la porta. Lei non vi bado'. Abbracciava Oro che scodinzolava. Ma non alzò la testa
"Agasha"
Si chinò
"Agasha"
Non si voltava
"È qui. Camus"
"Non c'è più. Qui o altrove" rispose "l'ho perso Milo. Anche lui. Non ho potuto fare nulla. Nemmeno per lui..." piangeva.
Camus non parlò. Non capiva a chi altri si riferiva. Ma vedere Agasha disperata gli spezzava il cuore. Si inginocchiò di fronte a lei. Prese il suo viso tra le mani
"Sono qui"
Sollevò il viso ascoltando quella voce, assaporando il suo tocco. Sorpresa. Restò senza fiato. Prima di perdersi nella felicità
"Camus" si abbracciarono "Camus... Sei vivo ... Sei vivo ..."
Il viso nel collo di lui. Stringendosi al Saint.
Milo di sentiva di troppo in quel momento. Si alzò. Anche i suoi occhi erano lucidi, ma un Saint non piange. Milo.
Fronte contro fronte. I due, ancora stretti l'uno all'altra, sussurravano parole che lui non riusciva a comprendere, tanto il loro tono era basso. 
Per Camus incontrare Agasha, qualche mese prima, aveva rappresentato una rinascita, dopo la perdita di Isaac. 
Isaac. Che era davvero nell'isba, non era un delirio dovuto allo shock. Camus, prima di spegnersi, lo aveva riportato davvero lì, nella loro casa, dove lui lo aveva trovato quando Mu lo aveva teletrasportato là, in seguito all'insistenza di lui.
I due si alzarono. Agasha sorrise. Lui le asciugo gli occhi. "Non voglio più vederti piangere" gli prese la mano "non darmene ragione. Camus"
Bastasse desiderare di vederti felice. Prometterti che non te ne darò più ragione. Bastasse questo, lo farei. Ma Atena non ha riportato indietro i suoi Saints per un caso. Ha richiamato i Gold Saints che Shion ha definito i Gold Saint più forti. Non può essere un caso. Non posso farti questa promessa. Le bacio la fronte "farò del mio meglio per restare vivo. Questo te lo prometto"
"Tanto gli allievi che possono attentare alla sua vita sono finiti" aggiunse Milo. E lui non trovò parole per ribattere. Avrebbe perso comunque, su quel fronte. Milo aveva ragione da vendere, stavolta e lo sapevano entrambi.
 

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Capitolo 3
*** un cuore sperduto ***


Quel giorno sarebbe stato soffocante. Era la prima volta. La prima di quante?
La notte trascorreva lenta, troppo lenta e troppo agitata. Non aveva trovato una sola posizione, nell’ampio letto, che gli consentisse di cercare di chiudere gli occhi, per più di qualche minuto.
I pensieri, si rincorrevano.
I ricordi sembravano essere stati sguinzagliati. Liberati dall’abisso più profondo della sua anima per riemergere in superficie. Tutti insieme. E dargli il colpo di grazia. Dopo te. Ho perso anche lui. Ho un vuoto tale, dentro. Vuoto. Mi mancate da morire..
Scacciò un viso sorridente e un abbraccio così caldo da fargli bruciare gli occhi. Si rivoltò nel letto, aggrappandosi al cuscino e tuffandovi il viso, serrando le palpebre. Tutto divenne nero. Poi fu un altro sguardo ad affacciarsi alla sua mente, a colpirlo come una stilettata ancora più dolorosa Issac. Lo rivide appena bambino. I grandi occhi verdi impauriti. Lo rivide nascondersi dietro le gambe del vecchio Jacob, che lo aveva condotto da lui. Quel bambino non sapeva quanto fosse grande il dono che portava dentro. O la condanna? Gli chiese una voce. Se tu non avessi accettato di addestrarlo, avrebbe condotto un’esistenza serena. Quel pensiero, prodotto dalla sua stessa mente era una stilettata pressochè quotidiana che gli feriva la ragione, il cuore, la carne.
Si alzò stanco di quella tortura.
Si diresse all’esterno del tempio, di quella che ormai era la sua sola casa. Quella che non aveva mai considerato tale, era diventata un rifugio, più che una casa. Un luogo in cui sfuggire da tutto e da tutti. Senza il suo permesso lì, nessuno poteva entrare. A dirigere altrove i suoi pensieri, che, col tempo si erano fatti sempre più a senso unico. Il fallimento. La perdita.
La notte dominava ancora il cielo su Atene e sul tempio, seppure fosse ancora inverno, non si vedeva che qualche traccia della recente nevicata. Il sole scaldava la Grecia senza pietà, anche durante l'inverno. Che posto da incubo.
Sembrava che non esistesse ragione, per cui lui dovesse essere Saint, d'altronde aveva rinunciato da tempo a uno dei precetti fondamentali. Aveva dubbi che gli tortura ani lamente da quella lontana notte, di alcuni anni prima. Essere un Saint. Che cosa comportava DAVVERO? La notte era tranquilla, silenziosa. Sembrava tutto così sereno. Il cielo. Il silenzio. Sembrava non ci fosse motivo per cui i suoi allievi, dovessero diventare Saints a loro volta. Eppure. Quella era una pace apparente. In attesa del grande balzo.
Diresse il suo sguardo al tredicesimo tempio. Era certo che il Gran Sacerdote non fosse chi diceva di essere. Fin da subito, al ritorno dal suo addestramento, non ne aveva riconosciuto il cosmo di Shion, sebbene avesse ben più di un semplice dubbio si chi si nasconde see dietro quella maschera. Perché ti nascondi? Aveva sempre valutato attentamente tutte le missioni che il Pope gli aveva affidato. Compiendole, certo, ma a modo suo. Secondo il senso di giustizia che aveva imparato. Da solo. Se avessi seguito alla lettera gli insegnamenti di quel pazzo sadico del mio sedicente Maestro, sarei diventato un serial killer, non un Saint. Ripensò per un istante alla sofferenza vissuta. Tutto il suo addestramento era sto un percorso, quantomeno, traumatico. Poi richiuse quel pensiero nei meandri della sua mente. Faceva troppo male, rivivere quello che aveva subito praticamente ogni giorno, finchè non era stato abbastanza forte da fare propria l'armatura di Aquarius. e si era liberato dal suo giogo. Ma quel pazzo era già lontano e non era mai riuscito a trovarlo. O forse non lo voleva cercare.
Si decise a rientrare, lì fuori la temperatura era a malapena accettabile. Troppo calda per essere inverno. Rientrò non per rimettersi a letto, sapeva che sarebbe stato inutile provare ancora a dormire. La mente si rfiutava di spegnersi. Di fermare il flusso di pensieri e ricordi. Aveva bisogno di dare voce a tutto questo.
C’erano solo due persone, con le quali si sarebbe sentito di parlare. Anzi. Tre. Ma la prima era lontana, si era allontanato così tanto da lei da pensare, voler credere, che cercarla ora, on in qualsiasi altro momento, avrebbe reso tutto ancora più difficile.Per me.Lele. Vi era un'altra persona, con la qua le avrebbe voluto poter parlare, anche se parlare, con lui, era difficile: nonostante tutto, temeva di essere giudicato da Milo. Di lui scorgeva la casa di cui era custode. Ma, adesso, sicuramente stava dormendo. La notte è fatta per staccare la spina. Per dormire o per scopare. Diceva. E lui, alla seconda opzione, si dedicava spesso. Dovresti farlo di nuovo anche tu Camus, ti scaricheresti la testa di tanti pensieri. E ti divertiresti un po'. Mica te la devi sposare, poi. Vi divertite e tanti saluti fino alla prossima volta. Camus ci aveva provato, la prima volta, a seguire quel consiglio. E aveva finito col soffrire, con il dover rinunciare a quella parte di lui che era rimasta legata a lei in un modo così dolorosamente indissolubile. Nonostante la distanza che aveva messo tra loro. l'hai messa tu. In realtà. L'hai accettata. Dove sei, adesso? Avevano sofferto entrambi, per quella separazione, anche se, A milo, aveva aveva parlato solo del senso di colpa nei confronti di lei.Certo a volte succede. Aveva concluso Milo, senza troppe storie. Se ne farà una ragione. Vorrai mica che si leghi ad un Saint? Lei non ha idea di che cosa la spetterebbe. Già. E allora fai una strage di cuori Milo. e sapeva che il Saint di Scorpio era famoso, per questo. Camus invece aveva concluso che la vita di un Saint è una condanna alla solitudine. Nessuno che ti capisca. Nessuno che possa starti vicino. Anche solo per darti un po' di calore. Senza aspettarsi nulla perché consapevole di non poterlo avere. Andare adesso da Milo sarebbe stato unitile. Se fosse stato in compagnia non si sarebbe schiodato dal suo letto. Giustamente
C’era però un’altra persona di cui lui sentiva il bisogno. E quella porta era sempre aperta. Qualsiasi giorno, a qualsiasi ora. Con il sole, con le stelle. Con la pioggia. Come quella sera. C’era lei e c’era Oro. E sapeva ascoltare. Sapeva riscaldargli il cuore, seppure senza dover scendere al compromesso di una relazione a due, di cui lui non sentiva la necessità. Il suo cuore aveva già provato la sofferenza per una lontananza forzata, non sarebbe più caduto in quel sentimento. Amare era questo. In realtà. Soffrire per qualcuno. Lui soffriva comunque, pur non avendo più un legame con una donna.
Lui amava. In modo del tutto incondizionato. Amava poche persone, lui. In realtà. Le poteva contare sulle dita di una mano. Era stata una sola, inizialmente. Era stato il suo più caro amico. Poi era arrivata lei. Poi erano venuti loro, a strapparsi un pezzo di cuore. E quel pezzo di cuore, consapevolmente o meno, lo aveva stracciato. Spezzato. Sperduto.
E poi era arrivata Agasha, la sua amicizia sincera, a ricostruirlo, pezzo per pezzo, quel cuore ferito. A prendersene cura. Con dolcezza, pazienza e senza pretese. a ricostruirlo ogni volta che si spezzava, che si perdeva.
E lui le voleva bene per questo. E come potrei non volerne a te, Milo? E. E loro? E quell’ultimo pensiero, mentre infilava la maglia gli spezzò il fiato. Lui. Che non avrebbe mai più potuto rivedere, gli aveva spezzato il fiato. Quegli occhi verdi che sembravano guardare a lui dagli abissi. Gli avevano spezzato il fiato. La volontà ferrea. Lui gli aveva spezzato il fiato.
Corse. Perché non riusciva ad attendere l’alba.  Seguendo il sentiero che pochi conoscevano. Che non attraversava le dodici case, ma correva lungo una parete rocciosa, fino alla Valle Lunga, e di lì scendeva. Saltò le pareti verticali delle rocce più velocemente possibile. Come se avesse avuto un nemico terribile a cui voleva sfuggire alle calcagna. Perché quell’avversario, era l’unico che non riusciva ad affrontare.
Arrivato alla staccionata la saltò per correre ancora fino alla porta, dove una luce era accesa. Oro abbaiava. Lo aveva sentito arrivare. Fu lei ad aprire, prima ancora che lui bussasse.
“entra” gli aveva sorriso. Gli occhi assonnati.
“mi spiace averti svegliata” ma non ce la facevo più, perdonami.
“stai tranquillo” sapevo che saresti arrivato
Camus prese la sua mano e sedette con lei vicino al fuoco. Solo lì, lui parlava. Parlava. Davanti alle fiamme, il suo cuore e la sua mente, si aprivano e il fiume in piena dei suoi pensieri trovava finalmente sfogo. E la mano di lei era l’àncora che gli assicurava che sarebbe stato ancora lì, quando la piena fosse passata. Sarebbe stato ancora Camus di Aquarius. Nonostante la sofferenza. I ricordi. I suoi sentimenti. Le sue paure. Tante, troppe. E senza voce.
“domani... Oggi... È il suo compleanno” disse soltanto. Poi la mano strinse quella di lei. Continuare a parlare significava mettere sul piatto la sua sofferenza. Significava guardarla in faccia. Toccarla. Affrontarla.
“continua Camus…”
Stringeva la sua mano in silenzio. Continua Camus. Ma la sua lingua si rifiutava di dare suono alla tempesta di parole che gli affollavano la mente, quei pensieri, tanti, troppi, che si affastellavano si confondevano, si ingarbugliavano. Urlavano.
“non avere paura… non sei solo…”
Non sei solo. Come luce. Nel buio. Come acqua limpida che lava il fango. Come la neve. Come il ghiaccio. Come il fuoco. Non sei solo. Si volse verso di lei. Gli occhi lucidi. Grazie di esserci.
“non avere paura di quello che hai dentro”
Era terrorizzato da ciò che aveva dentro. Terrorizzato di non riuscire più a trattenerlo, il dolore. Quel dolore. Provò a parlare.
“niente allenamenti… il giorno del compleanno… si alzavano tardi… si faceva colazione… e poi si andava a Kobotech… alla locanda… avevo… avevo già preso il regalo per lui… sai… perché… quell’aggeggio sembrava introvabile… e a Kobotech la posta arriva una volta al mese… e …” chiuse gli occhi “non lo aprirà… l’ho perso Agasha… ho perso Isaac. Io non lo riavrò mai più. Il mio Isaac. Era così piccolo, quando me lo hanno affidato. Un bambino. Eppure. Eppure è sempre stato forte. Non … non come me”
“e’ stato il suo maestro, a renderlo forte… come un padre… lo hai reso forte”
“che razza di padre perderebbe un figlio!?” c'era disperazione nella sua voce. era così evidente. lo amava come un foglio, sebbene rifiutasse di sentirsi il loro padre. lui non aveva mai avuto, d'altronde, un padre, non sapeva che cosa significasse esserlo.
“non sei stato tu a perderlo… Camus. Devi accettare che sono cresciuti entrambi, i tuoi ragazzi. E crescendo hanno avuto la possibilità di fare le loro scelte, indipendentemente da te”
“non ero con loro”
“non lo eri in quel momento. Ma non avresti comunque potuto essere con loro SEMPRE... Tu gli hai dato tutto te stesso. Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere per crescerli forti. E giusti. E perché seguissero la loro strada… Camus…”
Aveva abbassato la testa e serrato gli occhi
“piangi Camus… non c’è nessuno a giudicarti”
Scosse la testa. Il respiro affannato. Riaprì gli occhi. Tenendo stretta la sua mano. La sua àncora.
“non riesco a perdonarlo… per … per quel gesto… inutile… ha distrutto tutto… ha cancellato tutto…”
In effetti io non lo perdonerei. Ma il tuo cuore è grande, mio dolce Camus, e il tuo amore per Hyoga e Isaac è più forte di te e lo sai. Riuscirai a perdonarlo. Riuscirai. Gli sorrise, accarezzò i suoi capelli
“devi darti tempo Camus… non pretendere troppo da te”
“non … non sono più andato a Kobotech… all’isba… non riesco…”
“e nessuno pretende che tu lo faccia, Camus”
“ma lui è lì. E’ solo… e’ rimasto solo lui. E quell’armatura è ciò per cui abbiamo lottato. Abbiamo insieme. Noi tre. Perché ci arrivassero. … ha buttato tutto… e lo sapevo… lo sentivo… che avrebbe fatto… e non fatto niente… per impedirglielo… ho ucciso Isaac”
“Isaac non è morto, Camus, senti ancora il suo cosmo”
“ma non lo riavrò mai… è troppo lontano… troppo… per me… non posso raggiungerlo…” gli occhi di nuovo serrati. Tratteneva il fiato
“piangi maledizione Camus!” lasciò la sua mano. E lo abbracciò. Lo tenne stretto a lei. Perché era così fragile in quel momento. Così indifeso.
“l’ho perso… li ho persi… tutti e due…. Agasha… i miei ragazzi”
“vi ritroverete… vi ritroverete Camus… non li hai persi… sono solo lontani…” e tu sei forte e testardo. E li riavrai. Troverai il modo. Ne sono sicura. Di riavere il tuo Isaac. Perché lo voglio conoscere, questo capolavoro di Saint, come lo chiama Milo. Chissà se a te lo ha mai detto, che hai fatto un capolavoro con quel ragazzo…E troverai anche la forza per perdonare quell’idiota di Hyoga.
Sentì le sue lacrime scorrerle lungo il collo. Finalmente si era lasciato andare. Si lasciava stringere. Si addormentò così. Vicino al fuoco stretto nel suo abbraccio.

Milo l’aveva sentita, la sua sofferenza muta, nella notte. Lo aveva seguito, di nascosto, per essere certo che non facesse sciocchezze. Lo aveva seguito fino lì, finchè non lo aveva visto entrare, il suo cuore si era angosciato.  Ora sedeva fuori dalla porta. Aveva avvertito il suo cedimento, nei giorni precedenti. Di nuovo. Sapeva che l’avvicinarsi di quella data, lo avrebbe piegato. Ma non voleva forzarlo a parlare. Aveva lasciato che andasse da lei, con cui si sentiva più libero. Di scoprire sé stesso, la sua debolezza, la sofferenza. Perché un Saint non piange. Non soffre. Certo sei di ghiaccio, vero?
L’alba stava sorgendo. Quel giorno sarebbe stato duro, per Camus, forse più di altri, ma lui sarebbe stato lì, a sorreggerlo. A fargli sentire che la loro amicizia era il loro scoglio, anche nella tempesta.
Sono con te, amico mio.
Si alzò da terra. Oro lo aveva sentito, tanto valeva entrare, prima che si mettesse ad abbaiare e svegliasse Camus, il cui cosmo, ora, sembrava più sereno.

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Capitolo 4
*** verità ***


Quella mattina, quel pensiero, sembrava volergli saltare fuori dalla testa. Sembrava voler prendere vita e correre. Correre dove? Lo sapeva. Dove.
Camus si alzò pigramente. Sul tavolo della camera, la tavola tradotta la sera precedente, era rimasta esattamente come lui l'aveva lasciata. Con la certezza di avere risolto l’enigma. Con la certezza di avere individuato il Saint di Ofiuco.
Il Saint di Ofiuco aveva finalmente trovato la sua collocazione nel tempo. E nello spazio. 
E le teorie proposte da Agasha, Endien e Umbriel erano diventate delle mere fantasie.
La realtà era lì. In quelle iscrizioni. Nella tavola recuperata nella cripta. Nell'enigma che lui aveva risolto. Il segreto che tutti cercavano era lì, in Francia. Nella patria alla quale era stato strappato. A pochi chilometri da dove lui aveva vissuto la sua breve infanzia. Prima che la sua vita cambiasse radicalmente. In peggio.
Aveva avvertito Sage, la sera stessa, che aveva imposto a Manigoldo e Albafica un rientro immediato. Erano ripartiti la mattina prestissimo.
I piedi nudi ora, camminavano nervosi calcando il pavimento riscaldato, un calore piuttosto fastidioso, per lui che amava il freddo e le lande spazzate dalle tempeste di neve della Siberia.
Il pensiero tornò a vagare lontano. Ad un tempo che ricordava appena. E ad un tempo che ricordava, invece, fin troppo bene.
Sentì qualcuno bussare alla porta
"Un attimo!"
Si rivestì velocemente. Chiunque fosse, non voleva certo che lo trovasse con indosso null'altro che le mutande. Anche se era l'unico modo per non morire di caldo. Dormire praticamente nudo, con le finestre aperte, nonostante fosse ormai autunno inoltrato.
Andò ad aprire
"Agasha" le sorrise. Era felice di vederla.
"Vieni a fare colazione?"
Le guardò teatralmente intorno "Niente Albafica per mano?" Chiese con una punta di sarcasmo, che lei colse, ma non vi bado'.
"Lui e Manigoldo sono rientrati prima del previsto al tempio. Non ne conosco la ragione, sono partiti prestissimo, stamattina"
La conosco io, la ragione e dopo te ne parlerò. Ma per il suo bene per ora è meglio che lui non sappia. E che ti stia lontano.
"E ti ha lasciata qui da sola?" Continuò con lo stesso tono di prima
"Falla finita... Camus... Sarai mica geloso?"
"Non dire sciocchezze" ma lo strozzerei comunque, per quello che sta facendo a te, questo sì.
"E allora... Che c'è che non va? "
"Ne parliamo davanti a un caffè. Se vuoi."
"Purché non sia francese...il caffè"
"In Francia il caffè si fa così come va fatto"
“tutto in Francia si fa come va fatto… a sentire te…”
"Vuoi dirmi che voi greci fate un caffè migliore?!"
"Esiste un solo modo per fare un buon caffè… e non è greco né francese"
"Ma qui non c'è"
"Hai chiesto?"
"Certo .." 
Sedettero ad un tavolino.
"Vuoi riprendere il discorso di prima?" Chiese lei a bruciapelo. Sapeva che incastrare Camus era il solo modo per farlo parlare. Costringerlo. Voleva sapere cosa avesse contro Albafica.
"Cosa vuoi sentirti dire?" la fissò negli occhi
"La verità" sputa il rospo
"Va bene. Ma non credo ti piacerà" te la vai cercando. Avrei preferito affrontare il discorso con il tuo amichetto, non con te.
"Non fartene un problema" rispose lei freddamente
"Come vuoi... Agasha..." Ti ho avvisata. "Albafica non può darti niente di ciò di cui ti sta illudendo. Può tenerti per mano. Forse. Per qualche minuto. Niente di più. E lui lo sa... Albafica lo sa benissimo. Ma a quanto pare non gli importa. Lui gioca con te... Se continui a stare al suo gioco ti farai del male"
"E... Cosa è che dovrebbe darmi e non può farlo?" Dillo dai. Voglio sentire come lo dici.
La tazza di caffè nero tra le mani. Lo sguardo verdissimo nel suo. Così ferma. Decisa. Poi aveva sorriso maliziosamente. 
"Ti serve uno schema per sapere cosa fanno insieme un uomo e una donna... Vuoi qualche indizio?" Stizzito
Lei arrossì. Così dolce. A volte.
Camus sapeva di avere colto nel segno. D'altronde Albafica era bellissimo. E non passava certo inosservato. Di questo Pishes si imbarazzava, solitamente. Ma non con Agasha. Anche lei era molto bella e forse lui se ne era invaghito. E ci avrebbe giocato per un po'. Per poi fermarsi. O essere fermato. Perché non le farai del male. Stronzo. Questo te lo assicuro.
Ma lei ne sarebbe uscita, comunque, con il cuore spezzato. Era chiaro che se ne stesse innamorando. Forse ne sei già innamorata. Agasha
Lo stava guardando. Adesso. Con la tazza tra le mani.
Camus. Vorrei dirti che ti sbagli. Anzi, non ti sbagli. Ma so già quanto sia pericoloso Albafica. Lo conosco da prima che tu nascessi. Mio dolce Camus. Lo amo da sempre. E non stiamo giocando. Albafica ha paura. Albafica è terrorizzato dall'idea di fare del male a me. Ma lo sarebbe anche di farne a te, se si battesse al tuo fianco. Lui sa di essere veleno. E ne soffre. Ne soffre terribilmente. Anche se non lo dà a vedere. Proprio come te. Che soffrivi terribilmente per Isaac e non traspariva nulla. Proprio come te, che soffri ancora per qualcosa che non dici. E non lo dai a vedere.
"Non mi farò del male. Stai tranquillo...fidati di me"
"È di Pishes che non mi fido"
"È un tuo compagno... Sbagli a non fidarti"
"In battaglia mi fiderei. Nella vita di ogni giorno… devo ancora capire che persona è"
"Non è cattivo. È tanto solo. E’ una persona difficile. Camus... Albafica è più simile a te di quanto tu creda"
"Balle"
Decise di cambiare discorso. Si stava innervosendo. Essere paragonato a Pishes non gli piaceva. Albafica è scostante. Non si capisce mai che cosa pensa. Parla praticamente solo con Shion. E solo se Shion riesce a strappargli le parole di bocca. È troppo schivo. Solitario. Silenzioso. Un orso.
Tu no? Avrebbe detto Milo. 
Ignorò quel pensiero. 
Lui e Albafica erano del tutto diversi. Concluse ingollando il caffè bollente. Tossendo subito dopo, rosso in viso.
Agasha gli porse un bicchiere di acqua gelata "non ucciderti così..." Gli disse mentre lui riprendeva fiato
"Ofiuco" disse con voce roca "parliamo di Ofiuco" cambiamo discorso
"Bene...anche perché ieri sera Manigoldo ci ha detto che avevi risolto l'enigma e poi non ci hai detto nulla di che... Peccato parlarne solo ora che loro sono andati via"
"Non sono andati via per caso... È stata una decisione di Sage. In seguito alla mia scoperta"
"Cosa vuoi dire?" si fece più attenta
"Ho risolto l'enigma. E sono sicuro che ciò che ho scoperto è corretto. So chi è il Saint di Ofiuco. Con certezza. Questa è la ragione per cui loro sono rientrati. In particolare, la ragione per cui Sage e Shion hanno fatto rientrare il tuo bello"
"Smettila!"
"Scusami" sorrise. Ti dà davvero fastidio l’ironia su di lui.
"Dimmi qualcosa di sensato Camus" posando la tazza. Questo caffè è disgustoso.
"Devo farti qualche domanda. Prima." Si spostò sulla sedia. Stava per farle domande scomode. Era evidente, aveva assunto una posizione altrettanto scomoda. Camus. Sei così trasparente e non lo sai.
"Di che tipo?" chiese lei
"Cosa sai di Albafica? Del suo passato, intendo, di prima che vi conosceste al rifugio?"
Strabuzzò gli occhi. Cosa non so, al massimo. E non ci siamo conosciuti, ma riconosciuti. È diverso, ragazzo.
Camus non poteva sapere e interpretò quel gesto nel modo sbagliato, pensò di essere stato poco chiaro
"Ok prendiamola da un altro verso. Ti ricordi... Ti ricordi della telefonata di Milo? Quella...notte?"
"Come potrei dimenticarla" ti avrei strozzato la mattina dopo. Non sai quanto mi hai fatto soffrire con quel gesto assurdo. Insensato. Coglione che non sei altro. Ha ragione Milo. Quando ci sono quei due di mezzo tu sragioni.
"Ecco... Però...poi ero...sono...vivo..."
"E invece avresti dovuto essere morto" e avrei voluto ammazzarti io stessa. Se non fossi stata così felice di vederti. Abbracciarti. Ancora. Camus.
"Mh" parlare di me stesso come di un morto, ancora non mi riesce. Alla faccia della freddezza. E il tuo abbraccio di quella mattina. Non lo scorderò mai.
Agasha aveva capito a cosa stava alludendo "E che c'entra con Albafica?" Voglio sentire il rumore delle tue unghie sullo specchio. Perché so cosa stai cercando di dire. E spero che tu trovi un modo per evitarlo. Perché spetterebbe a lui dirmi una cosa simile.
"Vedi. Lui ha subito un attacco. Un colpo parecchio duro. Tempo fa"
Parecchio tempo fa. Direi.Camus.
"Molto tempo fa" secoli addietro, dovrei dirti. Agasha. Ma spetta a lui, raccontarti tutto questo.
"E?"
"E quel colpo gli è stato inferto da un demone... Mi segui?"
"Si..." ti seguo sì… purtroppo. Se vuoi, posso descriverti in ogni assurdo particolare quel malededetto.
"Quel demone lui lo ha abbattuto..." a che prezzo… per fortuna non lo hai visto, il tuo Albafica, il giorno in cui si è risvegliato, e non oso immaginare in che condizioni doveva essere al termine di quella battaglia
"E?"
"Il resto te lo dirà lui... Se e quando riterrà di farlo"
"E tutto questo perché me lo hai detto?"
"Perché stando all'enigma che ho risolto.... Il Saint di Ofiuco è posseduto da quel demone”
“ripeti, per favore” sembrava stupita. Negativamente stupita. Molto, negativamente, avrebbe detto.
“Il Saint di Ofiuco è posseduto da quel demone” aveva ripetuto “In poche parole… Albafica si è scontrato con colui che dovrebbe essere il Saint di Ofiuco… Non Minos di Grifon, ma Minos di Ofiuco"
Si alzò di scatto. Le mani piantate sul tavolo. Una rabbia che non aveva mai visto in lei.
"Tu ti sei bevuto il cervello!... Ma come ti è venuto in mente!? Quel mostro... Uno dei Saint di Atena!? Ma ti senti mentre parli? Quel demonio sarebbe il Saint di Ofiuco!? … Tu non sai di cosa stai parlando Camus! ….Tu … Tu … Tu quel demonio non lo hai visto! …Tu non sai … come lo aveva ridotto quel mostro!... Tu ... Tu non eri lì... Quel giorno!" Si rese conto che Camus la guardava stupito. Ammutolito. Interdetto.
"Perché? Tu si!?" le rispose in un tono che non seppe definire
Tornò a sedersi. Tacque. Fissando il fondo del caffè. Sì ero lì. E non ho potuto fare nulla. Per lui. Per proteggerlo. L'ho visto morire Camus. E non ho potuto tenerlo stretto a me. Nemmeno un istante. Non ho potuto stargli vicino. E adesso che ho trovato il modo di proteggerlo. Di evitare che possa ancora fargli ancora del male.. tu vuoi farmi credere che quel demonio sia uno di voi? Che quel mostro sia il Saint più forte di Atena!?
N
on riusciva a parlare. Le sue labbra tremavano. Rabbia, tristezza, impotenza.
“Ma Camus... Come... Come...”
"Agasha... Stai bene?" si alzò e si avvicinò a lei
"Mh... Si" le accarezzò il viso
"Cosa succede?"
"Niente" si riprese
"Niente?!" Stupito, una volta di piu' “dimmi che cosa ti prende”
"Non posso credere alla tua teoria"
“non è solo questo”

“che altro vuoi che sia? Camus? Hai sbagliato Camus. Non è possibile” disse. La voce ferma, senza alcun tremore. Senza più rabbia. Senza Tristezza.
"È realtà. E non puoi farne parola con nessuno. Sia chiaro. Men che meno con Albafica. Per ovvie ragioni. Dobbiamo verificare. Ma seguiremo questa strada"
"Non può essere. Ti sbagli"
"Nessuno sbaglio. Sono le vostre teorie ad essere errate. È evidente"
"No. Non lo è"
"Mettitelo in testa. È lì ed è evidente, accetta di avere sbagliato"
"Tu guardi a occhi chiusi Camus. Vedi solo quello che vuoi vedere"
"Sei tu ad avere gli occhi chiusi Agasha. E non ne comprendo la ragione.... Lui ti ha detto qualcosa? Su quello scontro?" adesso era lui ad essersi alterato
No. Non ne ha mai parlato. Di ciò che avvenne prima che giungesse a Rodorio. In condizioni terribili. Si reggeva a stento in piedi. Soffriva. Ad ogni passo, ad ogni gesto. Respirava a fatica. Ma non ha ceduto. E quel demonio. Lo ha attaccato, nonostante fosse chiaro che era al limite. Gli staccherei la testa dal collo con le mie mani. Se solo lo trovassi. Perché il modo di farlo, quello ce l’ho già.
"Agasha!?"
"No... Non mi fa detto niente" non ce la fa. A parlarne.
"E tu non dirai niente a lui...chiaro!?" le prese le mani. Era fondamentale, che lui non sapesse. Perché Shion non sapeva come avrebbe reagito. Albafica è imprevedibile a volte. Meglio non rischiare, aveva detto Shion. E lui era d’accordo. Albafica era instabile, in quel momento. Anche se lui non ne conosceva bene la ragione. Ma Shion, lui forse sì, la conosceva.
E come potrei dirglielo? Con quali parole?
Annuì.
“Andiamo” disse lui. Non pensavo di sconvolgerti così tanto. “E non puoi incazzarti con me se le tue teorie sono errate"
"Non tirare troppo la corda… non è il momento Camus"
Si avviarono nelle loro stanze a preparare i bagagli senza più dire una sola parola. Di lì a poco sarebbero tornati alla cripta per poi dirigersi in aeroporto e, di lì, in Grecia e al Tempio.
Camus, richiusa la porta dietro di sé, rimuginava su quanto appena accaduto. Non comprendeva la reazione di Agasha. Eccessiva per una situazione simile. Lei conosceva Albafica da poco poche settimane. Da quanto? Un mese? Due? Neanche tre.
Eppure era saltata come una molla. Aveva detto che Albafica non le aveva riferito nulla di quanto gli era accaduto. Certo. Capisco anche lui. Per Albafica non può essere facile dire ad una persona hai presente quel giorno al rifugio? Bene. Fino a qualche settimana prima, io me ne stavo bello tranquillo in una cripta. Al fresco, come addormentato, da un paio di secoli. Un non morto? Così lo si poteva definire? Già. Potrei definire così anche me stesso.
Richiuse nervosamente il suo modesto bagaglio. Un non morto. Che vita di merda. Quella di un Saint. Che destino beffardo. Il tuo. Albafica. E il mio. E quello di tutti noi.
Poi ripensò ad Agasha, che aveva dei comportamenti che gli sfuggivano. Sebbene lui le avesse detto quasi tutto di sé. Dell'addestramento no. di quell'orrore non saprai mai nulla.Non lo saprà mai nessuno. Ma sai di Isaac. Di Hyoga. E io cosa so di te? Al di là del tuo incarico? Della tua dolcezza? C'è qualcosa mi nascondi? Non ti fidi di me? Non abbastanza.E' evidente.
Aprì la porta e si diresse a quella della camera di lei. Ad attendere che uscisse.
"La sua fidanzata si fa aspettare eh?" Gli disse un cameriere.
Sorrise ma non rispose nulla.
Non è la mia fidanzata. È molto di più. È una parte di me. Una parte di me che mi sfugge tra le dita. Non voglio perderti.
La porta si aprì.
E lei gli cadde quasi addosso. Era inciampata. La afferrò con delicatezza. Fissandola negli occhi.
Restarono così. In silenzio. Stretti. Ben conoscendo i pensieri l'una dell'altro. Sentiva la stretta di lui. Forte. Sicura. Aveva tra le braccia lei. Delicata. Dolce. Le posò un solo timido bacio, delicato, su una guancia
"Fidati di me... Puoi dirmi tutto. Lo sai"
"... Lo so..." Ma come dirtelo?
La lasciò senza guardarla in viso, lei ancora immobile, stupita dal suo gesto, e riprese le loro valigie dirigendosi verso l'ascensore. Subito dopo lei lo rincorse, prese il bagaglio di lui, più piccolo, leggero, e infilò la sua mano sotto il suo gomito. Scesero dirigendosi alla volta della cripta. Camminando per strada. Come due persone normali. Più o meno.



eccomi! Questo capitolo si inserisce nella long "Fino in fondo" tra il terzo ed il quarto capitolo, e segue la one shot "Un compromesso", ambientata la sera prima nella stessa cittadina, nello stesso albergo. La vicenda qui narrata è riferita alla ricerca di Ofiuco, che ha portato Camus, Manigoldo, Albafica e Agasha in Francia, per effettiuare un sopralluogo in una cripta e decifrare un enigma lì contenuto. 
A presto!

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Capitolo 5
*** il tormento del passato ***


La sera precedente, si erano trovati alla casa di Ofiuco. E Camus gli aveva detto qualcosa che Milo non si aspettava. E sapeva che Milo aveva diritto ad una spiegazione. Sei stato tu a risvegliarmi, non Atena. 
Quella mattina, avevano avuto l'ordine di andare in ricognizione oltre la terra sacra. Ne avevano approfittato per incontrare Agasha.
Ora era seduto davanti a quel caffè. La guancia appoggiata pesantemente sul pugno, chiuso, col gomito piantato sul tavolo. E gli occhi fissi sulla tazzina. Lo mescolava da almeno una decina di minuti, quel caffè, in quella posizione, come se, contro quella zolletta di zucchero, avesse qualcosa di personale.
Sì scambiarono un'occhiata. Che ha? Sembrava chiedergli lei. Chiediglielo tu, sembrava risponderle lui.
E tutti e tre tacevano. Tacevano da quando la cameriera aveva portato il caffè. Ma lui, lo faceva già da quando erano arrivati. Dopo averla salutata ed essersi seduto.
"Secondo me si è sciolto, lo zucchero, puoi fermarti" azzardò lui. 
Bloccò la mano. Qualche goccia di caffè saltò fuori dalla tazzina, andando a cadere in piccole sfere congelate e brillanti sulla tovaglia.
Hai sempre tutto sotto controllo, tu. Anche troppo. Osservò l'amico.
La mano si era fermata. Ma gli occhi ancora fissavano la tazzina ed il suo contenuto
"Hai voglia di parlarne, Camus?" Provò lei, con dolcezza. Essere pungente, in questo frangente lo avrebbe portato a chiudersi ancora di più.
Sospirò. Senza alzare lo sguardo
"Non so da dove cominciare"
"Lo vedo" commentò Milo
"Da dove ti è meno difficile... Camus..." provò a suggerire lei
"E' un gran pasticcio" ammise lui
"Sei nei guai?" Chiese Milo. Iniziava ad essere nervoso, non tanto per il suo modo di fare, anche se era irritante che lui dicesse che aveva bisogno di parlare e poi non spiccicasse una parola che non gli fosse cavata con la forza, lo conosceva, sapeva che era fatto così.
No. Si stava innervosendo perché quello era l'atteggiamento che aveva ogni volta che stava per andare a sbattere di testa contro un muro. Quello che aveva quando stava per gettarsi senza sostegno nel baratro. E questo atteggiamento di Camus, lo spaventava. Lo aveva già visto. Non aveva intenzione di passarci ancora. Almeno non così presto.
"Camus, che cosa sta succedendo?” si spazientì “È di quello che hai detto ieri sera, del fatto del tuo risveglio... È di quello che vuoi parlare?" Aveva alzato un poco il tono della voce.
"Stai tranquillo, siamo qui noi" aveva cercato di tranquillizzarlo, lei, anche se non aveva idea di cosa stesse parlando Milo. E’ qualcosa che ti turba. E tanto. E da parecchio anche. Credo. 
"È una storia lunga" provò ad iniziare
"Vuoi un altro caffè?" provocò Milo. Eddai su. Parla!
Il primo si era raffreddato, lo aveva spostato in centro al tavolo. Ora le sue mani erano incrociate. Strette. 
Aveva scosso la testa
"Hai presente la reincarnazione?"
A chi dei due lo aveva chiesto? Si guardarono. Per non sbagliare, annuirono entrambi.
"Tu lo hai scelto" ok. Si rivolgeva a lei. Milo tirò quasi un sospiro di sollievo. 
"E?" Chiese comunque lui
"Io no" sgranarono gli occhi entrambi
"Tu no, cosa?" Gli aveva chiesto, ancora
"Non l'ho scelto" si era rivolto a lui, ora, stizzito
"E?" Azzardò ancora Milo. Arriva il pacco, lo sento. Il battito di Scorpio aumentò.
"E sono di nuovo qui. E non ricordo niente. Del passato. Non so chi ero. E tantomeno, che cosa ho fatto"
"Ci può stare" provò a buttare lì un paio di parole, l’amico, tanto per tastare il terreno
"No che non ci può stare!? Come cazzo fai a non sapere chi eri e che cosa hai fatto di male!?"
"Chi ti ha detto che hai fatto qualcosa di male?" Chiese Agasha. Tu sei nei guai Camus. In grossi guai. Temo.
"Lei"
Si guardarono. Lei chi? Sembrava chiedergli lei. Chiediglielo tu. Sembrava risponderle lui.
"Lei...chi?" Milo azzardò a chiedere, anche se aveva una paura nera della risposta
"Atena" rispose Camus.pacco giunto a destinazione. Pensò Milo. Una mano fu portata alla fronte. Un gran pacco. Di merda.
"Io l'ho tradita" milo restò a bocca aperta, Agasha per poco non si soffocò con il suo caffè
"Che cosa hai fatto!?"chiesero in coro. Erano increduli
"..." non rispose alla loro domanda
"Camus... Che cosa ti ha detto?" provò a ricomporsi lei. Vederli così lo avrebbe fatto ritrarre, ed era chiaro che avesse urgente bisogno di aiuto. Molto aiuto. Ma che ti succede?! E perché lo dici solo ora? "Ti prego Camus... Parla"
"Non ricordo niente" strinse i pugni. Teso come una corda.
"Se Umbriel è reincarnazione di un Saint di Gemini, ed Endien di Sagicter... Tu sarai già stato un Saint di Aquarius... No?" provò a suggerire Milo. Da qualche parte bisognava capire che cosa stava cercando di dire.
Scosse la testa "che ne so… tutto può essere… non è riportata una sola CAZZO di parola sui passati Saints di Atena… In TUTTA quella CAZZO di biblioteca!!" aveva parlato con gli occhi serrati. Brutta cosa. Imprecazioni e occhi serrati. Pericolo!
"Che altro ti ha detto?" Chiese lei. Mantenendo la calma.  Provò a tranquillizzarlo, posando una mano sulle sue, che erano strette, fino a far sbiancare le dita. Tacque ancora per un istante. Poi parlò. Con un filo di voce. Una confessione, sarebbe stata la corretta definizione del tono.
"Atena avrebbe voluto che fosse Hyoga il Saint di Aquarius. Non io. Per questo è passata oltre. Quel giorno. Dopo il nostro scontro"
Milo era impallidito. 
"Cos'hai detto!?" forse non ho capito bene
"Avrebbe voluto che fosse Hyoga il Saint di Aquarius. Non io. Per questo è passata oltre. Quel giorno" aveva ripetuto. Senza alcuna emozione. 
"Che cazzo aspettavi a dirlo!? Eh!?" Esplose Milo. In quel preciso istante. Come si era aspettato. Per questo non volevo dirtelo. Si disse Camus. Chiudendo gli occhi.
"E poi che cazzo di senso ha!? Quello il Saint di Aquarius?! Quello!? Ah! Hyoga di Aquarius… Ah" 
"Perché scusa? Cos'avrebbe Hyoga che non va!?" Si era sentito punto sul vivo, ed era saltato come una molla, alla provocazione di Milo. Almeno hai reagito. Sorrise tra sé, lei, non devi toccare i suoi allievi Milo. 
"Che cos'ha che non va?! Cos’ha che non va?!?... Niente. Per essere il Saint del cigno… Ma per diventare Saint di Aquarius... beh deve ancora crescere, il ragazzo, e anche un bel po'! Tanto per cominciare!"
"Ma non farmi ridere, hai avuto la Cloth di Scorpio ben più giovane di lui"
“e decisamente più forte, fermo, eccetera”
“cazzate”
"E allora sentiamo. Se era così pronto, perché sei ancora tu il Saint di Aquarius e non Hyoga?"
"..."
"Allora?"
"Aquarius" disse lui
"Continua su, da bravo, dillo" sputalo cazzo!
"Lo hai capito"
"Certo. Ma adesso lo sputi. Dillo" insistette
"Non ha scelto"
"Ha scelto. Invece. Eccome se ha scelto"
Annuì
"Dillo cazzo. Dillo Camus!" Milo non mollava
Coraggio. Non hai mica rubato niente. Coraggio Camus. Vedendo la sua difficoltà, lei gli strinse il polso. Gli sorrise. "Coraggio"
"Aquarius. Ha scelto me. Come custode"
"Oooh. Benedetta sia Aquarius" commento Milo trionfante
"Non serve ironia" ribattè lui
"Avresti preferito che fosse stato scelto lui? Perché tu non ti sei mai sentito all'altezza!?" rispose Milo, con stizza, stavolta
"Forse perché ha ragione Atena. Io l'ho tradita. Per questo. Non mi sento… Degno" ammise, abbassando la testa
"Quando te lo ha detto?" Gli chiese lei, a bruciapelo, stringendogli la mano, costringendolo ad alzare la testa. Lo guardò negli occhi. A lei non sarebbe riuscito a mentire
"Un paio di mesi prima... Dello scontro con Hyoga" ammise. Sospirò.
E quindi lo hai spinto a raggiungere il settimo senso, per questo. Lo hai spinto oltre ogni limite. Seppure spessi benissimo che era ancora immaturo. Seppure tu sapessi che non sarebbe stato in grado di superarti, se ti fossi impegnato davvero in quella battaglia. Hyoga era tutto ciò che ti restava da dare alla Dea. E non ti importava più della tua vita. Amico mio. Perché la reputavi indegna di servire la Dea. E ti sei fatto sbalzare fuori dal tuo corpo fisico. E il tuo corpo cosmico è stato tutto concentrato per riportare indietro Isaac dal regno di Poseidone. Ti ho costretto a risvegliarti. Quando tu, probabilmente, avresti preferito di no. Perché. Perché ti fai questo? Io non ti cambierei con nessuno. Camus. Sei il miglior Saint che conosco.
Milo si era calmato, fissava Camus. Camus aveva decisamente bisogno di un sostegno.
"Ok. Hyoga e Isaac lo sanno?" Chiese riprendendo il controllo
Scosse la testa.
"Glielo dirai?"
"Quando saprò cosa dire loro"
"Atena però ti considera il Saint di Aquarius, comunque" azzardò Agasha
"Non ha molte alternative. Le Gold cloth scelgono il loro custode. Non Atena"
Per fortuna. Si disse Milo. Altrimenti avremmo un ronzino al posto di Endien e un papero al posto tuo. La fattoria, altro che la cerchia dei Gold Saints che deve rispecchiare l’eclittica! Ridacchiò
"Che cosa c'è da ridere?"
"Meglio che tu non sappia" gli diede una pacca sulla spalla, che lo rincuorò
"Adesso ti rimane il dubbio sul tuo passato..."disse lei
Tornò ad essere silenzioso
"Potresti chiedere ai Gold Saints più anziani, qualcosa sui passati Saints di Aquarius...qualcosa su di te" provò ancora a suggerirgli
"A chi? A Minos?” intervenne Milo “Quello ci guarda tutti dall'alto in basso, lui è il Primo. L'unico. Fossi stato in Albafica, ieri sera gli avrei sfondato il naso. Saccente e presuntuoso"
Rise lei. Albafica gliene aveva parlato. Certo per Minos la strada era tutta in salita per farsi accettare da loro, e il suo carattere non lo aiutava. C'era del buono, in lui, era generoso, indubbiamente, ma nascondeva bene queste doti. Neanche ad Agasha piaceva Minos, ma aveva provato a comprenderlo. Cosa che, Albafica per primo, quasi nessuno faceva. Eppure siete una squadra, dovete imparare a capirvi. A tollerarvi. A lottare insieme. Siete un tutt'uno. Saints.
"Prova a parlare con Lugonis" gli suggerì ancora
"Lui ha conosciuto i passati Saints del tempio, saprà aiutarti, in qualche modo"
"Non mi è facile parlarne con qualcuno...che non siate voi due"
"Lui ha a che fare con Albafica. È un osso duro anche lui, riuscirai a parlargli, fidati"
"Io non sono come Albafica" le rispose piccato
"No. In alcune cose differite, per fortuna, ma nella difficoltà a parlare… Siete pressoché uguali. E non perdere tempo a negarlo"
"Lui è un solitario"
"Tu invece...com'è che ti definisci? Uno che sta bene solo con sé stesso...no?" Intervenne Milo canzonandolo "Aspetta ti cerco la definizione di solitario" prese il telefono, Milo, ridendo
"Ma piantala!"
Camus bevve il caffè freddo. 
Rise Agasha. Camus era permaloso. E sia lui che Albafica provavano un certo fastidio, l'uno per l'altro. E trovavano nell'altro "difetti" propri di loro stessi. Uomini. Ridicoli. Vi voglio così tanto bene. Albafica. Camus. Darei qualsiasi cosa per sapervi al sicuro.
Rientrarono.
Camus avrebbe parlato con Lugonis. Era la sola possibilità che aveva, in effetti, di ricostruire i tasselli mancanti. Intanto avrebbero portato avanti il loro piano per riportare al tempio Kanon di Gemini.
Se proprio mi devi considerare un traditore, almeno avrò un buon motivo per essere considerato tale. Abbiamo bisogno degli Arcani per vincere questa guerra. Per tutto ciò che c'è di buono in questo mondo. 
E il suo pensiero corse a lei. Non la vedeva da così tanto tempo. Da quel periodo in cui aveva seguito il consiglio di Milo. Divertiti. Ma i cuori spezzati, erano stati due. E anche questo. Non lo avrebbe mai saputo nessuno. A Milo aveva solo detto che aveva smesso di vederla, perché Elessar aveva finito con l'innamorarsi di lui. 
E io di lei. Maledetto tu e i tuoi cazzo di consigli! Ma quest’ultima parte, aveva omesso di confessarla all’amico, e chiunque altro
Corsero lungo le scale e verso il destino che li attendeva.
 
Ecco. Doveva esserci una ragione valida, per la quale la Dea non lo aveva risvegliato, quel giorno. D’altronde Camus doveva avere una buona ragione per avere affrontato il Cigno in uno scontro che non aveva molto senso di essere, dal punto di vista di questa ff, se non come sacrificio ultimo. E anche un po' folle.
Lui non sapeva perché era stato definito traditore da Atena, ma non si sentiva più degno di indossare le sacre vestigia. Che, in ogni caso, hanno scelto lui, il Saint di Aquarius più forte. Ed è abbastanza chiaro chi fosse in passato. Farne la sua reincarnazione era il solo modo per avere il pg di Camus che tanto mi piace, e non quell’altro, molto forte, saggio, ma niente di più. Aquarius deve essere tormentato, deve essere Camus. O non è più lui.
Alla fine è arrivata una seconda sorpresa. Anche il nostro Camus ha qualcuno a cui tiene molto. Avrà un seguito? Non lo so.
Forse Albuccio ne sarebbe contento, smetterebbe di essere infastidito dall'amicizia che lega lui e la sua Agasha. Sicuramente lo sarebbe anche Agasha stessa e lo spingerebbe a riaprire il capitolo, vuole vederlo felice. Gli vuole bene. Milo inizierebbe a tormentarlo. Così come Shura.
Forse non avrà un seguito ;).

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Capitolo 6
*** la solitudine di un Saint ***


Un blu che ricorda il mare. Profondo. Dove sembra quasi quieto. Ed è, invece, pericoloso. I tuoi occhi. 
Non parli mai, troppo a lungo. Anzi. È una fatica strapparti ogni parola, spesso, anche quando è chiaro che ti trattieni a stento. Anche quando sento che vorresti poter dare sfogo a ciò che hai dentro, ma non puoi farlo. Non vuoi. Farlo. Sei un Gold Saint. 
“Un condannato?”
Non e aveva risposto
Temi così tanto ciò che senti, ciò che provi, da nasconderlo in un abisso. Insondabile. Forse.
Ma ti rende fragile, troppo fragile.
Credi di cancellare le tue emozioni, i tuoi sentimenti, ma non ti rendi conto che finirai con il soccombere a tutto ciò che hai dentro. Quando avrai bisogno di sentirti più forte. Cadrai.
Il suo viso era disteso. I capelli scuri sparsi sul cuscino. Il suo respiro delicato, regolare. Lo sentiva  appena, adesso.
Così freddo. Calmo. In apparenza. Così distante dalle emozioni. Niente sembrava toccarlo. Quando era in mezzo agli altri. Quando era costretto a nascondersi dietro una barriera resistente e gelida, immobile, come ghiaccio.
Quando le difese cedevano, quando si scopriva, era così differente. Così. Caldo. Dolce. Eppure insisteva. È solo sesso. Quello di stanotte. Quello di ieri. Aveva detto. La sua voce. Quasi con sconforto
Ma, forse, domani, chissà. Pensava lei, guardando nei suoi occhi, nel silenzio che aveva seguito quel momento, frenetico, di desiderio, di piacere, di fretta, quasi. Eppure. Eppure quando sento la tua pelle addosso, quando mi stringi, quando invece delle voci lasciamo che siano i nostri desideri a parlare, quando le nostre mani ci sfiorano, ci toccano, ci stringono, quando sei dentro me, ti sento mio. Saint. Lontano dalla tua Dea. Sei solo un uomo. 
Sembrava essersi addormentato. Sazio di piacere. Dopo un ultimo bacio. I suoi occhi si erano chiusi. Guardandoci. 
"Elessar" aveva sussurrato
La sua mano sulla guancia di lei, era scesa lungo il collo, e poi era andata a posarsi stanca, senza forza, sul cuscino
"Sei proprio sfinito" lo aveva guardato
"È stata una giornata dura...Oggi" aveva detto. Con gli occhi chiusi, godendosi le sue carezze leggere
"Dovresti avere più cura di te" disse lei, sfiorandogli il petto
"Sono un Saint"
"Sei un uomo e dovresti avere cura di te" insistette lei
"Sono un Saint di Atena" aveva insistito lui
"..." Atena. Vi vuole tutti morti?
Sembrò essersi addormentato, poco dopo. Riusciresti a dormire nudo e scoperto anche se fa freddo. Saint. Ma non stanotte. Osservava il suo corpo e tutte le sue cicatrici, mentre lo copriva. La tua pelle porta i segni delle lotte. Tanti. Sono certa che hai cicatrici di cui non ricordi nemmeno la ragione. Sospirò. Chissà che cosa succederà domani. E poi. E poi.
Si voltò su un fianco, dandole le spalle. Gli occhi di nuovo aperti e troppi pensieri.
"Io ti amo. Camus di Aquarius" sussurrò credendolo addormentato
Anche io. Elessar. E non posso permettermelo. Restò immobile. Trattenne il respiro per il tempo di decidere che quella sarebbe stata la loro ultima notte, e lui non l’avrebbe assaporata fino alla fine. Già sentiva l’amarezza della solitudine invadergli l’anima. Questo, questo è essere un Saint.

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Capitolo 7
*** Isaac dell'Altare ***


Aveva resistito. Aveva provato a non ascoltare. A non ascoltarsi. Eppure quella sensazione di apprensione non lo aveva più lasciato. Il suo cosmo era sempre stato forte, impetuoso. Lo aveva sempre avvertito. Dentro di sé. Come un legame profondo. Quello con Camus. Poi all’improvviso, era scomparso. Come imploso. Per ore non lo aveva più sentito ed era stato come impazzire, ma nessuno al tempio fiatava. Nemmeno Milo.
Poi lo aveva di nuovo avvertito, all’improvviso, così come era scomparso, però ora era debole, distante, confuso, sembrava di percepirlo nella nebbia e non era in grado di individuare dove fosse. In Grecia? In Siberia? Sembrava un modo a parte.
Infine, non aveva più resistito. Era corso a perdifiato all’undicesima casa. Vuota. Aquarius era lì. Muta. Perfetta. Composta. Mentre del suo custode non c’era traccia.
Aveva attraversato le altre case con il cuore in gola, i loro custodi sapevano bene dove fosse diretto e non avevano fatto domande. D’altronde nemmeno lui aveva fatto domande a loro, che, comunque non avrebbero avuto risposte chiare da dargli.
Uno soltanto dei Gold Saints che aveva incontrato scendendo verso l’ottava casa, avrebbe potuto dargli qualche risposta, ma Ofiuco sapeva che non era a lui che spettava farlo.
Isaac piombò come tempesta nella casa di Scorpio "dov'è Camus? Perché il suo cosmo è così debole? Non. Non riesco a capire dove sia" aveva detto Isaac camminando di gran carriera verso il custode
Milo era lì. Seduto con un vecchio telefono in mano, che armeggiava rabbioso con le mani tremanti.
"Ehi! L'ho chiesto a te scorpione!" urlò
"Taci zucca vuota!" Aveva alzato solo allora, i suoi occhi. Lucidi. 
"Che cosa succede?!" aveva chiesto, bloccandosi
"..." Aveva abbassato di nuovo lo sguardo, senza rispondergli
"Milo!"
"Maledizione. Maledizione non lo trovo!" Milo sbatté il telefono sul tavolo. Alzandosi dalla sedia rabbioso. Frustrato. Le braccia tese, i pugni appoggiati alla superficie, la testa incassata tra le spalle 
Gli piombò il pugno di Isaac accanto, il ragazzo era sempre stato poco paziente e ora lo era meno di quanto ricordasse
"Mi dici che cazzo sta succedendo?! Dov'è Camus!? Che cosa gli è successo!?" 
I loro occhi si incrociarono. Finalmente.
Quel ragazzo era ormai un vero Saint. Davvero. Hai fatto un gran lavoro Camus. Il cosmo di Isaac è qualcosa di straordinario per un ragazzo della sua età. Per un Saint che non è riuscito a completare l'addestramento sotto la guida attenta del suo maestro. Eppure ha fatto tesoro di tutto ciò che gli hai insegnato. Ed è legato a doppio nodo a te. Come glielo dico maledizione!? Solo tu sei in grado di dominare le sue sfuriate. Che cosa farà, se glielo dico? Piomberà al tredicesimo tempio pretendendo spiegazioni? Pretendendo di mettere le mani sul tuo carnefice? E. E se fosse come dice Minos? 
Isaac. Rischieresti di farti ammazzare come Camus.
Ma non posso nasconderglielo. Ti avverte. Come ti sento io. Così debole. Fragile. Camus. 
"Dobbiamo parlare. E tu mi ascolterai. E farai esattamente ciò che ti dico" disse perentorio
"Tu inizia a svuotare il sacco. Poi quello che farò, lo deciderò da solo" ribatté il Saint dell'Altare
"Neanche per sogno ragazzo. Tu farai esattamente ciò che ti dico. O te la vedrai con me"
"Non sono più un ragazzino" lo guardò con asprezza
"No. Hai ragione. Non lo sei" gli mise le mani sulle spalle "sei un Saint come ne conosco pochi. E il tuo maestro ha di che essere orgoglioso. E lo è. Ma adesso Camus ha bisogno che gli dimostri che sai mantenere il sangue freddo. Come ti ha insegnato lui"
"Lui che si è fatto ammazzare da quella testa di cazzo? Lui parla di sangue freddo?!"
Milo scosse la testa "Io e te faremo un lungo discorso su questo, quando tutto sarà finito, e definiremo chi dei due sia più testa di cazzo, se allievo o maestro, o chi non li ha fermati. Ma adesso. Adesso è successo qualcosa. Di grave" lo fissò negli occhi "Camus" non sapeva come continuare. Isaac lo sentì stringergli le spalle "Camus? Che cosa mi devi dire!? Milo!?''
"Camus" Milo prese un profondo respiro "Camus. Camus"
"Ehi! So come si chiama il mio maestro, puoi andare avanti!" Lo richiamò Isaac
"È stato torturato. A morte si potrebbe dire. Frustrato con un'arma avvelenata. Non so che altro gli abbiano fatto" aveva detto, tutto d’un fiato, senza guardarlo
Isaac si scostò da Milo di scatto. Le spalle erano state strette in una morsa dal Saint di Scorpio mentre questi parlava, a fatica, pronunciando parole che mai, mai Isaac avrebbe voluto sentire. Camus torturato a morte. Che cosa significa!?
"Io. Io sento il suo cosmo. Lo sento Milo. È vivo. È. Vivo" aveva scosso il Saint si Scorpio
Il volto di Isaac era sbiancato. Le labbra tremavano mentre pronunciava queste parole
Milo lo prese di nuovo per le spalle, costringendolo a guardarlo "È fuori pericolo adesso. Puoi stare tranquillo. Isaac." Gli sorrise debolmente "ma abbiamo rischiato di perderlo. Di nuovo" ammise con gli occhi lucidi
"Dov'è?" Chiese
Milo scosse la testa
"Per ora non possiamo andare da lui. Isaac. Sono stato chiaro? Non provare cercarlo o uscire dalla terra sacra senza permesso di Atena, chiaro?”
Isaac scosse la testa
“Ragazzo, sono stato chiaro? Farai ciò che dico”
Annuì.
“non possiamo andare da lui, per ora. Possiamo solo fidarci di quanto mi è stato detto e ti ho riferito ora. L'ha scampata. Ma non si è ancora ripreso. Era sotto shock quando questa persona lo ha lasciato. Ha bisogno di tempo per riprendersi. Per questo avverti appena il suo cosmo"
"È da solo?" chiese Isaac allarmato
Scosse la testa
"No. È in buone mani. E al sicuro. Nessuno può trovare quel rifugio. Mi ha detto questa persona"
"E come fa ad esserne così certa, questa persona?"
"Perché al contrario di me e di te ha conoscenze più antiche, più vaste. E sa riconoscere un incantesimo di occultamento. E quel luogo è occultato alla vista di chiunque non sia considerato un amico. Questa persona ha detto che in quello stesso luogo era appena passato e la casa non l'aveva vista. Ne era certo. Stava tornando indietro quando si è imbattuto in.."
"Considerato un amico da chi?" Interruppe Isaac
Un cane abbaiò. L'attenzione di Isaac fu attirata da lui, un grosso cane bianco e nero che scodinzolava baldanzoso. 
"E questo?"
"Questa è Oro"
"Hai preso un cane? Il caprone della decima casa non è più di compagnia?" Chiese Isaac ironico
"Sei sempre il solito. No. Non è mia. Ma lei è il nostro canale per aiutare Camus"
"Non capisco"
"mentre lo curavano, gli guarivano le ferite e lo liberavano dal veleno che lo avrebbe ucciso, Camus delirava. Chiamava una persona. Oltre a te"
"Il cigno?" Fece una smorfia
"Delirava ma non è del tutto impazzito. No” scosse la testa Milo “Quei due si parleranno, prima o poi e si chiariranno molte cose. Per forza. Ma. No. Non è il suo nome. Era il nome di Elessar, che chiamava" Milo pensava che Isaac si sorprendesse dal sentire quel nome invece
"Elessar. Gran bella ragazza. E in gamba. Mi piace" disse Isaac
"E. Tu che ne sai? Di Elessar?" L'ha detto a te e non a me!? Fammi un po' capire. Lo squadrò.
"Venne a cercarlo. A Kobotech. Poco prima" sospirò Isaac "poco prima che Hyoga. Beh lo sai. Ma Camus era in missione. Non lo trovò. Ma trovò me al limite del campo di costruzione della piramide di ghiaccio. Ne era incuriosita. Stranamente incuriosita. Ci allontanammo dal campo e tornammo a Kobotech. Quel giorno parlammo a lungo. Di Camus. Non lo disse, ma era chiaro che gli voleva un gran bene. Glielo avrei detto. Quando fosse rientrato. Che era venuta a cercarlo. Anche se lei non voleva che lo sapesse. Sono strani. Quei due" 
"Sono d'accordo. Almeno per lui. Ma. Adesso. Sarebbe bene trovarla e chiederle di tornare. Per Camus. Lei potrebbe stargli vicino, cosa che noi al momento, non possiamo fare" anche se ti assicuro che appena cala la notte io lo vado a cercare e spero anche io di imbattermi in un amico che mi porti dal mio più caro amico, ma tu te ne starai qui al sicuro, caro Isaac "Ma io non ho il numero. E. Non potremmo chiamarla comunque da qui. Ho paura che le nostre chiamate siano intercettate"
"In che senso?" Si fece più attento, Isaac
"Più tardi ti spiegherò. Prima devo recuperare il numero di lei da questo vecchio arnese" indicò il telefono ormai spaccato in due sul tavolo
"Di lì puoi ricavare al massimo un po' di oro, Milo" disse sarcastico
Isaac armeggiò un attimo sul suo telefono
"Questo è il numero di Elessar" glielo diede.
Tu sei pieno di risorse Isaac dell'Altare.
Milo lo prese e lo annoto su un foglietto sgualcito. Isaac lo prese dalle sue mani, poi, senza leggerlo. Ma era chiaro che dovesse contenere qualcosa di prezioso. per cui Milo aveva speso delle lacrime. Era chiaro che Milo fosse in apprensione per Camus, almeno quanto lui.
Isaac creò un collare con il fazzoletto che aveva legato ad un polso. Camus lo avrebbe riconosciuto. E’ ora di restituirtelo, maestro. Anche se ormai sgualcito. Logoro. Era un vecchio fazzoletto dei Van Halen, che avevano comprato loro due a Kobotech. A Kobotech si trovano cose introvabili e non databili. Aveva detto Camus, quel giorno, acquistandone due. Hyoga non lo aveva voluto. Tempo dopo Isaac lo aveva perduto e Camus gli aveva dato il suo. E, per Isaac, quel fazzoletto slegato dal polso del suo maestro e legato al suo, era un vero tesoro. L'unico ricordo tangibile che gli era rimasto sotto i mari.
Vi nascose il biglietto. Lo legò al collo del cane
"Va da lui cagnolona. Ma poi torna. E porta anche me da Camus" gli disse sottovoce. Appoggiando la testa al grosso muso. "Mi manca da morire" sussurrò Isaac. Nascondendo il viso nel suo pelo.
Lo sento.
Oro corse verso la sua meta. Verso quel Saint sperduto, una volta ancora. Per portare il messaggio di chi gli voleva bene. 

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Capitolo 8
*** 7 febbraio ***


Questo capitolo è scritto per il compleanno di Camus, e si inserisce subito dopo i fatti narrati nel precedente. La notte è passata, Elessar stringe a sè Camus, fino al suo risveglio. 
Buona lettura!

L'anno scorso ti ho quasi costretto, a festeggiarlo, il tuo compleanno. Perché tu neanche ti ricordavi di quanto è bello questo giorno. E quanto è stato fortunato quel 7 febbraio in cui tu hai aperto gli occhi su questa vita.
Eravamo in Francia, la tua Francia, nel tuo paese natio. Adesso ci abito in quel bilocale, in quel piccolo nido. Come lo avevi definito tu. Tu. E il tuo francese contaminato da greco e russo, che anche i francesi storcevano il naso alla tua pronuncia.
".. tu non sai una parola Elessar! Non riusciresti nemmeno a chiedere un bicchiere d'acqua" 
"Vero. Ma ci sei tu"
Ed era stato così caldo e forte il tuo abbraccio. Lontano dal tempio, da quelle regole assurde, eri un uomo. Un uomo e basta. E la giornata passata in riva al mare, tra gli scogli, il vento negli occhi, il sale sulla pelle.
"Profumi di mare" mi avevi sussurrato così dolcemente. Sei così sicuro che tra noi non ci sia nulla? Avrei voluto chiederti. Non c'è nulla, mi avresti risposto e con quelle parole, la tua voce, mi avrebbe detto ciò che tutto il resto di te negava con tutto sé stesso. Camus. 
 
Anche oggi è il tuo compleanno. E sono successe così tante cose in questo anno e ti hanno segnato così tanto.
 
Finalmente ti stringo di nuovo a me. Con il cuore in gola, ancora, per come ti ho ritrovato la notte scorsa.
 
Sfinito. Ansimante. Sofferente. Chissà che altro. 
 
Hai aperto gli occhi, quando ti ho accarezzato, mi hai chiamata per nome. E dopo ti sei abbandonato, tra le mie braccia, ad un sonno pesante e agitato.
 
Stai ancora dormendo, adesso, ti tengo stretto a me, la tua mano stringe il fazzoletto logoro di Isaac.
È mattina. Camus. L'alba è passata da un pezzo, quando finalmente i tuoi occhi si aprono. 
"..." 
"Meglio?" Ti chiedo. Continuando a tenerti stretto 
Annuisci. Poi chiudo di nuovo gli occhi "dormo.ancora. Un po'"
 
Ed io continuerò a tenerti stretto. Perché sei ciò che c'è di più prezioso al mondo.
Il prossimo anno, sarà migliore, ne sono certa.
 
Ma comincia oggi, un domani migliore. Sarò con te. Buon compleanno. Amore mio.

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Capitolo 9
*** occhi mare ***


Questo è il racconto di come è iniziata la storia tra Camus ed Elessar. Era estate. L'anno presente agli eventi narrati in "Fino in Fondo".
I Gold Saint, Agasha e tutto ciò che si riferisce a Saint Seiya, appartengono al loro autore, Kurumada.
I personaggi qui inventati sono Elessar, Umbriel e Endien, presenti anche nella long e nelle altre storie collegate.
Qui Umbriel e Endien sono ancora due semplici studiosi. Agasha e Camus, ancora non si conoscono.
Buona lettura!
 
Erano stati i suoi occhi, quel blu del mare lontano dagli scogli, così intenso ad incantarla? O quell'atteggiamento così particolare, quel suo essere freddo, ma evidentemente diverso dentro? Si conoscevano da qualche tempo, ormai, ma avevano sempre scambiato solo qualche parola, nulla di più. Eppure.
Era stato il contatto con lui, quella sera, ad attrarla in un modo così inevitabile? Doveva essere solo una partita. E non avrebbe nemmeno dovuto giocare in coppia con lui, inizialmente.
Ma era stato proprio lui a far notare agli altri che erano due ragazze contro loro quattro.
"Ci piace vincere facile. Noi quattro contro loro due?" Aveva detto mentre Milo sedeva accanto a Umbriel. Il gatto e la volpe son sempre in coppia.
"Questo è un gioco di conquista Camus, mica devi fare loro un favore!" Era intervenuto Umbriel ridendo. Lui e Milo erano imbattibili quando facevano squadra.
Endien aveva notato un sottile gioco di sguardi, appena accennato, tra lui ed Elessar.
Probabilmente non ci sarebbero state altre occasioni per farli avvicinare. Era chiaro che Camus ne fosse attratto, almeno quanto lei. Ed era la prima volta in cui il Saint si lasciava andare a mostrare interesse quasi apertamente. Sorrise tra sé. 
Per lui, invece, sarebbe stata una buona occasione per avvicinare Ariel e magari avere qualche informazione in più su Agasha, sulla quale Endien aveva messo gli occhi. Era legata a qualcuno? 
Colse l'occasione al volo.
"Camus ha ragione, cosa ne dici di giocare con me Ariel?"
"A te piace perdere facile invece, Endien!" Lo canzonò Umbriel. Ariel era una frana in qualunque gioco di strategia, era chiaro, la conosceva da parecchio tempo. 
Ariel accettò immediatamente, lasciando il posto vicino ad Elessar a Camus, che sedette, un po' impacciato, vicino a colei alla quale aveva detto meno di dieci parole in tutta la sera, come sempre, ma alla quale avrebbe parlato, e non solo parlato, per ore. Se solo avesse osato. Se solo avesse potuto. Se solo non fossi ciò che sono.
Era stato il suo sorriso ad attrarlo? O quel modo di piegare la testa da un lato? O la sua spontaneità? O il suo profumo? O era stato tutto questo e lo sguardo che aveva incrociato più di una volta quella sera a farlo sentire così irrimediabilmente attratto da lei? Tanto da sentire di doversi alzare e andare via, appena le si era seduto accanto? Perché, sapeva, era stranamente conscio che, restando, avrebbe finito col perdere il controllo. E non posso. Non devo.
Eppure.
Eppure era stato impossibile seguire quell'ordine secco che dava a sé stesso. Sei un Saint. Non puoi. Alzati e torna al tempio. Si diceva. Hai dei doveri, si diceva. E lo avrebbe fatto. Sì sarebbe alzato e sarebbe andato via. Se non fosse stato. Se non fosse stato perché lei era lì. Ed era così vicina da sentire il suo profumo inebriargli i sensi  Se non fosse stato perché la mano di lei aveva sfiorato, volutamente? La sua.
Se non fosse stato perché la partita era già iniziata, ormai, e lui avrebbe fatto la figura del solito bacchettone. Come diceva Milo.
E poi era evidente. Era evidente a Scorpio, quanto Aquarius fosse attratto da lei e, ci avrebbe giurato, lui ed Endien si erano scambiati uno sguardo di intesa, prima che Endien proponesse quello scambio.
E poi.
E poi.
E poi doveva ammettere con sé stesso che in fondo, Milo aveva ragione. Era un uomo anche un Saint. E aveva le pulsioni di un uomo anche un Saint. Ma noi siamo Saint e non dovremmo. Tu ti fai troppe seghe mentali. Lo rimproverava sempre Milo. Forse. Forse.
 
La partita era iniziata, era entrata nel vivo. Ed era finita. E, come prevedibile, Milo e Umbriel avevano fatto razzia nei villaggi, conquistato terre e cancellato pedine e pedine di eserciti. Fosse sempre così facile, vincere una battaglia, invece portiamo i segni sulla pelle, di quanto vincerla sia difficile
 
E la vodka che Camus aveva portato era finita in breve, come le birre rare di Endien.
 
Milo sembrava parecchio allegro, e la sua lingua lunga lo aveva portato a flirtare con Ariel, che non sembrava per nulla infastidita.
 
E Camus di Aquarius, che cosa fa? Si chiedeva. Certo aveva fatto onore tanto alla vodka che alla birra, pur non essendo assolutamente alticcio o ubriaco. 
 
Ed era venuto il momento di salutare Endien e la sua ospitalità, ritirare il tabellone e le carte, ormai sparse un po' ovunque e riprendere la strada del ritorno. Al tempio? Il suo senso del dovere glielo imponeva. Lo gridava a gran voce.
Eppure.
Eppure.
Eppure lei era lì, vicina, così vicina da sentirne il profumo. Da desiderare di leccarle la pelle per provarne il sapore.
Quel pensiero attizzò un desiderio che aveva iniziato a bruciare dal momento in cui l'aveva vista. E non gli era mai successo. Di seguire, di sentire, così forte il suo istinto 
"L'accompagni vero? Non può andarsene in giro da sola" aveva detto Umbriel sornione
E non aveva certo dovuto insistere affinché lo facesse. Umbriel aveva trattenuto Milo e Ariel, con una scusa, lasciando Camus allontanarsi con Elessar.
 
Ed era accaduto. In un modo naturale. Semplice.
Guardando le stelle del cielo scuro di Rodorio. Ed era successo perché era ovvio, sapeva che restando con lei, sarebbe andata così . 
Le loro mani si erano ritrovate strette. Le dita incrociate. All'improvviso, senza una ragione apparente.E si erano guardati ed era certo che provassero le stesse sensazioni.
Ed era accaduto. 
Le lebbra si erano sfiorate, in mezzo alla strada mentre le indicava Cassiopea.
E si erano ritrovati all'improvviso contro un muro. Prima uno sguardo. Poi quel bisogno urgente di assaggiarsi. 
E poi.
E poi era successo tutto di fretta.
Le labbra si erano di nuovo trovate. E il desiderio aveva preso il sopravvento.
Le loro lingue si cercavano. Le mani. Gli abiti sembravano, all'improvviso, di troppo
"Un isolato ancora" aveva sussurrato lei, trattenendolo.
Avevano quasi corso. Per arrivare.
E su per la scala.
E la chiave. Che non era mai quella giusta. E se era quella giusta, beh, non girava nella toppa. 
"Mi arrendo, aprì" aveva detto lei, porgendogli il mazzo di chiavi e tuffando le mani nei suoi capelli. Baciandolo ancora e ancora.
"Quante chiavi hai?" Aveva bofonchiato sorridendo sulle sue labbra
E finalmente la porta si era aperta.
E allora.
E allora.
E allora gli abiti si erano sparsi gli uni sugli altri, all'ingresso.
E niente aveva più importanza. Aquarius. Atena. I doveri di Saint.
Quel corpo nudo lo aveva desiderato, si rese conto, dal momento in cui i suoi occhi si erano posati su lei, ed era stato preso da quella voglia irrefrenabile di stringerla, di toccarla, di farla sua.
"Sei bellissima Elessar" le aveva sussurrato artigliandole i capelli
"Anche tu mi piaci. Camus" gli aveva detto, sfiorandogli l'orecchio con le labbra.
E niente aveva avuto più importanza di lei e del piacere. Ed erano i loro corpi ora a parlare. Il desiderio.
 
Quando infine raggiunsero l'apice del piacere, Camus si arrese a sé stesso. Si rese conto che non sarebbe rientrato al tempio, quella notte. Perché si trovava esattamente doveva voleva essere.
Avvolto in un abbraccio morbido e profumato. 
"Resta con me, stanotte" gli aveva sussurrato
Resterei per sempre con te, aveva pensato. Ma non aveva risposto. Ben sapendo che non sarebbe stato possibile.
Ma per quella notte, quella notte soltanto. Non sarebbe stato un Saint. Sarebbe stato Camus. Camus e basta. Camus nudo, tra le braccia dell'estasi, della bellezza. Camus e basta. Camus che accarezzava una pelle morbida che non avrebbe mai smesso di adorare. Camus che godeva di carezze a cui non sarebbe più stato capace di rinunciare, se non azzerando una parte di sé stesso.
 
E non esistevano più il tempio e le lotte. Solo lei. Solo lui. E il canto delle cicale.
 
Era tutto perfetto. Anche se forse, sarebbe stato per una notte soltanto.
 
"Fa bei sogni Camus" gli sussurrò con un tenero bacio sulla guancia mentre lui si stava addormentando
"Sognerò di te" le disse. Mentre si stringeva a lei. Si addormentò stretto tra le braccia di Elessar. Il luogo più sicuro che avesse mai conosciuto.
 
 

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Capitolo 10
*** il Saint di Aquarius ***


“Devo parlare con te” andò dritto al punto. Non era da lui girare intorno alle cose. Nemmeno buongiorno. Non era un buon giorno, quello e non avrebbe potuto esserlo. I giorni non erano buoni da tempo, ormai.
“Non ho niente da dirti” cercò di tagliare il discorso, sviando, lui era appoggiato alla colonna, l’ingresso era abbastanza ampio da poterlo evitare, passando oltre. Una scocciatura. O forse un confronto troppe volte rimandato? C’era qualcosa da chiarire tra loro, lo sapeva, sapeva che avrebbe dovuto scusarsi, per quel gesto folle, di tanto tempo prima. Lo aveva salvato. E portava sul viso il segno di un gesto che, nonostante l’idea gli facesse storcere il naso, era stato eroico. Io non te l’ho chiesto. Vero. Ma sapeva bene che non avrebbe avuto bisogno di chiederlo. E da quel momento. Tutto era crollato.
“Sono io, che ho qualcosa da dirti. E tu mi ascolterai” si scostò dalla colonna e fu rapido, molto rapido. Gli strinse una spalla costringendolo a bloccarsi, ad alzare su di lui lo sguardo. Conosceva quell’espressione di rabbia. E sapeva che non l’avrebbe scampata. Già una volta, lo aveva cercato, con quell’espressione, ma lui li aveva interrotti. Per fortuna? Forse, ma di chi di noi due?
Stavolta lui non c’era. Non sarebbe intervenuto. Stavolta i nodi sarebbero venuti al pettine. E non si trattava di quel giorno. No. La rabbia che vedeva nell’iride verde era un’altra, per qualcosa di molto più vicino e per cui Isaac era molto più turbato. Più che per il suo occhio. Più che per quella lunga cicatrice. Era un’altra la ferita che bruciava, e Hyoga lo sapeva.
“Eh no! Damerino! Non puoi sfuggirmi una seconda volta, stavolta non c’è lui a difenderti!”
“Non ho bisogno di essere difeso da lui!” gli staccò con rabbia la mano dalla spalla. Iniziamo male una conversazione. Ma non aveva dubbi che non potesse esistere un buon modo per iniziare una conversazione del genere. Specialmente adesso.
“Già. Tu hai provato ad ammazzarlo. E non contento per non essere riuscito a prendere il suo posto in quell’occasione propizia, perché si è risvegliato e Aquarius HA SCELTO LUI, NON TE, lo fai ora… ora che non…” non terminò la frase. Non poteva rivelare nulla delle sue condizioni. Fortunatamente l’altro non si rese conto della sua esitazione.
“Che ne sai tu?! Che ne sai di quello che è successo in quella battaglia! Te lo ha raccontato?!” gli urlò contro.
Non non ne ha mai parlato apertamente. Ma l’ho sentito, idiota. L’ho sentito non sai quante volte, nel sonno. Mentre delirava, nelle notti dopo il suo risveglio. L’ho sentito anche la notte scorsa. Se tu sapessi che cosa è successo. Chi lo ha attaccato, quel giorno e ora. Ma non posso dirti niente. Lui non me lo perdonerebbe. Lui non sa, non sa che quando perde il controllo il suo dolore emerge. Non lo sa. Si sentì fremere di rabbia, rivedendo nella sua mente il viso stanco e sfatto del suo Maestro
“C’è bisogno di parole? C’è bisogno di parlarne?! Hai attaccato chi ti ha fatto da Maestro, da padre, da guida! Sei stato vile! Contro di lui non eri solo!”
“Hai dimenticato di dire che la sua guida ci avrebbe portati a tradire Atena, se avessimo continuato a seguirlo!”
“Stronzate!” la sua rabbia stava crescendo, era più che visibile.
“Ho provato a spiegargli di Saga, quel giorno ma non ha voluto sentire ragioni!” provò a giustificarsi. D’altronde erano le stesse parole che ripeteva a sé stesso, ogni volta che ci pensava, sempre più di rado. Ammise.
“Stava cercando” ma perché non ti ammazzo di botte invece di perdere tempo a spiegarti ciò che non vuopi capire! “Stava cercando di proteggerti, idiota! Di renderti abbastanza forte da sopravvivere ad uno scontro con i Gold Saints! Ma sei cieco! Ti avrebbe ammazzato! Se non avesse cercato di aiutarti, di fare di te un Saint in grado di combattere contro i Gold SaintS! Di sopravvivere allo scontro!”
“Sei tu che non vuoi vedere la realtà! Camus ha tradito Atena! Ha tradito la fiducia che la Dea aveva in lui! Non può più essere un suo Gold Saint! Ma non capisci!? E’ NECESSARIO un nuovo Saint di Aquarius!”
“Necessario?! Necessario un ALTRO Saint di Aquarius?! Ma ti senti?! Senti quello che stai dicendo?”
“L’Undicesima Casa ha bisogno di un custode, Isaac!”
“E perché devi essere proprio tu?! Perché vuoi essere tu a prendere il suo posto!?”
“Avresti preferito che Atena avesse scelto TE?!”
“Lo ha proposto a me, ieri mattina! Non ho accettato! Non prenderei mai il SUO posto, nessuno può farlo! Aquarius ha scelto LUI! Ha scelto Camus! E’ lui il Saint di Aquarius! Non fare anche questo errore, Hyoga!”
“E’ lui ad essere in errore! E’ lui ad avere tradito Atena! E questo ha un prezzo!”
E quale prezzo! Tu non hai visto come lo hanno ridotto! Ma che ti importa ormai!? Si scagliò su di lui senza più trattenersi.
“questo è per Camus!... questo per Aquarius! E questo… è per me!”
Hyoga aveva cercato di scansare i suoi colpi e di rispondere alla furia di Isaac, ma quello che aveva di fronte era il Kraken e non c’era modo di fermarlo o di opporsi, solo Camus di Aquarius, poteva dominare la sua furia.
Si ritrovò scagliato all’interno dell’Undicesima casa, piombando alla base del piedistallo che fino al giorno precedente aveva sostenuto le vestigia di Aquarius. Alzò gli occhi, credendo che avrebbe visto e riconosciuto l’armatura di Aquarius, che avrebbe potuto indossarla per affrontare il Kraken. Ma il piedistallo era vuoto. Dell’armatura non c’era traccia.
Sorpreso si voltò verso Isaac, ma lesse lo stupore anche sul suo viso. Sicuramente anche lui era sorpreso che l’armatura fosse scomparsa. Ma fu più lesto di lui, a riprendersi
“Pare che qualcuno sia stato più lesto di te, Hyoga, forse c’è qualcuno più ansioso di te di dare ad Aquarius il custode” Umbriel o Milo.
Hyoga non avrebbe potuto essere investito a Gold Saint dell’Undicesima casa, chi voleva farne il Saint di Aquarius al posto di Camus, era sconfitto. Niente Aquarius, niente nuovo Saint. Perché infierire ancora? Aveva altro a cui pensare. Organizzare la missione per recuperare Kanon di Gemini. Quello era certo più importante
“Buona giornata, Saint del Cigno, vai a cercare la tua Gold Cloth” si limitò a dire. Lasciandolo stupito, incredulo, a terra. Non si chiese la ragione della sua espressione. Non gli importava. Il solo fatto che avesse accettato di prendere il posto del suo Maestro, senza nemmeno domandarsi in che cosa e come avesse tradito, e dove fosse finito, faceva di Hyoga, ai suoi occhi un indegno.
Uscì dall’Undicesima Casa.
“Che fai tu qui?” gli chiese Aiolia di Leo, con fare minaccioso
“Lo chiedo a te, Saint di Leo, questa non è la Quinta Casa” rispose
“Sono a guardia dell’Undicesima Casa, e dell’armatura di Aquarius”
“Allora sei nei guai!” gli disse “Ho scoperto ora che di Aquarius non vi è traccia. Stavo andando a riferirlo al Saint di Capricorn, Gold Saint più prossimo” Aiolia lo scansò in malo modo “Levati di mezzo!” e corse verso l’ingresso, al termine delle scale.
Vai pure. Ti aspetta una bella lavata di capo. Coglione.
Giunse alla Decima Casa, il suo custode si avvicinò a lui
“Non l’hai pestato, vero? Dimmi che non l’hai fatto”
“l’ho solo spolverato”
“Ti abbiamo detto di stargli lontano. e di stare lontano anche da Leo”
“Ero lì per caso. E volevo parlare. Mi ha provocato”
“Ma non prendermi in giro! Non vedevi l’ora di mettergli le mani addosso!”
“Tu al mio posti che cosa avresti fatto?! Shura?!”
“La stessa cosa. Ma non all’Undicesima Casa. Dove non avresti dovuto essere TU”
“Perché lui sì?!” Lui invece sarebbe al posto giusto?!”
“Isaac. In questo momento noi non possiamo opporci al volere di Atena. Qualunque cosa pensiamo di Lei. Qualunque sia la nostra idea. Qualunque siano i nostri piani. Lei deve credere che tutto fili secondo i suoi ordini, solo in questo modo possiamo capire quale è il suo fine. Quindi sì, Hyoga è al posto giusto. E per ora è il futuro Saint di Aquarius” gli mise le mani sulle spalle, vedendolo abbattuto “Questo non piace a nessuno di noi e nessuno di noi lo accetterebbe mai. Ma noi sappiamo che Camus di Aquarius è al sicuro, è lontano da qui e ha bisogno di tempo per riprendersi dalle torture che ha subito. E la sua armatura è con lui. E lo proteggerà. Questo ci deve bastare per andare avanti dritto per la nostra strada. Fino in fondo. Portando a termine ciò per cui lui si ritrova in quelle condizioni. Tu devi imparare a fare buon viso a cattivo gioco, Isaac. Camus sa mantenere il sangue freddo ben più di te. Devi ancora imparare molto da lui. Muoviti. Dobbiamo vedere Umbriel” gli mise un braccio intorno alle spalle. Non credere che non approvi che tu gli abbia dato una lezione. Ma per il tuo bene, devi imparare a tenere a bada il tuo istinto, a volte.
 

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Capitolo 11
*** Il dubbio ***


Sedeva in un angolo. Sarebbe stato un angolo buio, se il sole del primo pomeriggio non fosse stato impietoso, già a fine inverno.
I capelli cadevano sul viso, cosicchè non riusciva a distinguere se fosse addormentato, sì, era da lui addormentarsi ai piedi di un albero anche in inverno. Ma era più probabile che si trovasse lì perché voleva restare solo. D'altronde, ne aveva ragione, stando a ciò che aveva sentito. E soprattutto, stando a ciò che era accaduto.
L'amico era lì a metà. Tra l'affetto e il dovere. E anche lui, era a metà strada, in quel momento, tra il dovere e un affetto. L'affetto per il Saint di cui era amico e che avrebbe dovuto riportare sulla strada del dovere. Sarebbe riuscito? Oppure anche lui...
Si abbassò. Il volto era ancora livido, difendersi da certe furie, era quasi impossibile se non si indossava l'armatura. Nessuno dei due l'aveva. Ma non tutti, abbiamo la stessa forza. Ammise con sé stesso.
Stava per sfiorargli una spalla
"Che cosa è il tradimento?"chiese. A sé stesso?
Era una domanda vaga, questa, posta così. Avrebbe potuto dargli qualsiasi risposta. Ma lui, davvero, si aspettava una risposta?
Sedette sul tronco al quale lui era appoggiato. Attese. Sarebbe rimasto lì, ad aspettare, ad attendere che, finalmente desse voce ai suoi pensieri.
"Se non avessi ... Se avessi fatto come mi aveva ordinato. Me lo ricordo. Sai. Quello che mi aveva xetto quel giorno. Prima di partire. Tu resti in superficie. Non devi neanche pensare di raggiungere quel vascello. GUARDAMI. Mi aveva detto. E Io lo avevo guardato. E poi..."
"Non puoi cambiare il passato" provò a dirgli. Sapeva che cosa stava pensando. Conosceva il suo senso di colpa per quel fatto. E anche per ciò che era accaduto mesi prima. Ma restò ad ascoltare, in silenzio
Scosse la testa. "Ha ragione Isaac. L'ho attaccato. Quel giorno"
"Non potevo fare altrimenti. Non ti avrebbe lasciato passare"
"Ha cercato di aiutarmi. E ci ha rimesso la vita. E... E io ho accettato di essere Saint di Aquarius. Di prendere il suo posto..."
"È vivo e questo dovrebbe aiutarti a superare quel momento. Ma ha tradito Atena. E non può più essere un suo Gold Saint. Non dipende dalla tua volontà. Ma dalla sua... Coraggio... Andiamo, Atena ci attende"
"..."
"Hyoga" gli allungò la mano
"Atena, lei non sbaglia. Vero?" Gli chiese, quasi un bambino sperduto
"Nessuno meglio di noi cinque sa che lei è la Dea della Giustizia" gli disse con sicurezza
"..." Si voltò a fissare il prato ingiallito
"Shiryu"
"Dimmi"
"Saori. È Atena?"
"Che cosa ti prende?" Gli chiese abbassandosi "Certo che lo è"
"E Atena... È Saori?" 
"Che cosa vuoi dire?"
"Rispondimi"
"Sono. Sono una cosa sola. Credo"
"..." Sospirò
"Che ti prende? Hyoga?"
"Niente" si alzò e si allontanò, sotto il sole. Alzando il viso verso il disco giallo. Ricordò quel momento. Quei brevi istanti. Quegli istanti che, adesso che li metteva in relazione con quanto accaduto, trovavano un'altra collocazione. Un dubbio si affacciava alla mente.

Quel giorno, Atena si era avvicinata a lui, si era avvicinata al suo maestro più di quanto lui stesso si aspettasse. Voleva parlare con Camus, da sola, gli aveva detto, Hyoga se ne era andato.
Ma era rimasto lì. Non avrebbe saputo spiegarsene la ragione, ma era rimasto lì. Dietro una delle colonne dell'ingresso della villa, azzerando il suo cosmo. Come per istinto.
"Che cosa vedi, in me, Camus di Aquarius" Gli aveva chiesto lei, avvicinandosi ancora di più
"Siete Atena" le aveva risposto il maestro
"E tu chi sei, Camus?" facendo ancora un passo
"Un vostro Gold Saint" le aveva risposto
La mano di lei si era posata all'improvviso sul suo viso. Scorrendo poi sul collo di lui, che si era allontanato irrigidendosi
"E cosa faresti, per me?"
"Il mio dovere" rispose ritirandosi ancora
Lei si era avvicinata ancora, aveva posato le dita sul suo mento e poi la mano era scesa sul petto. L'altra si era mossa, stringendogli un fianco
"No" aveva detto lui, mentre il viso di Saori si avvicinava al suo, era chiaro ciò che voleva da lui. Camus l'aveva scansata, con decisione, pur senza farle del male
"Tu mi appartieni" gli aveva detto seccamente. Era chiaro che fosse contrariata e non poco.
"Sono un vostro Gold Saint. Farò il mio dovere proteggerò la vostra vita anche a costo della mia, se servirà, Atena. Ma. Nulla di piu" le aveva risposto con fermezza
"Dunque. Mi stai respingendo, Camus di Aquarius!?" lo fronteggiava di nuovo
"Non è mio dovere assecondare il vostro desiderio" continuò lui
"Ti stai negando a me?... Tu non vorresti..." provò di nuovo lei, facendo di nuovo un lasso verso di lui. Che non si mosse.
Scosse la testa "Siete Atena. Ed è mio dovere proteggervi. Nient'altro"
"Non accetto un rifiuto" gli aveva piantato gli occhi sul viso
"Dovrete farvene una ragione. Mia signora. La vita dei vostri Saints, non è qualcosa di cui potete disporre a vostro piacimento." Hyoga ricordo che Camus l'aveva fissata negli occhi, in quel momento 
"Continui ad avere dubbi. Continui a tradirmi" gli aveva risposto lei.
"Non vi ho mai tradito" aveva detto lui
"Mi appartieni. Non dimenticarlo" gli aveva urlato contro. Poi lo aveva attirato a sé e gli aveva sussurrato qualcosa. Poi Camus si era allontanato. All'apparenza tranquillo. Ma era evidente che fosse scosso. 
 
Non si erano più parlati. dopo quell'episodio. KCamus, probabilmente nemmeno sapeva che lui aveva visto l'accaduto.
Non si erano più visti, fino a quel giorno. In cui era molto di più a dividerli. 
si erano perduti. Lo credeva morto.
Poi lui si era risvegliato. Sì. Ma...
Non si erano più parlati. Non riusciva a percorrere le scale che lo diidevano dall'undicesima casa,. E quando doveva attraversarla il suo custode lo lasciava passare senza dire una sola parola.
Poi, all'improvviso, Camus era scomparso. E pochi giorni Isaac lo aveva accusato di voler prendere il suo posto. Proprio quando Atena gli aveva detto che Camus di Aquarius l'aveva tradita. La stessa accusa di quel giorno? Si chiese. Ormai è tardi. Per sapere. Per chiedere. Ma Atena non mentirebbe. E se Camus ha tradito, è mio dovere restituire ad Aquarius un degno Saint della Dea. Eppure.
Eppure il suo cuore gli diceva che c'era qualcosa di sbagliato. Ma lei è Atena. Mentre Camus è solo un uomo. E anche io. Noi Saints siamo solo uomini. Si disse. Possiamo sbagliare. Lei. Atena non può sbagliarsi. Oppure. Forse. E' il suo volere..
Mentre il dubbio si affacciava di nuovo alla mente sentì la mano dell'amico sulla spalla, che lo distolse dal pensiero che stava nascendo .
"Andiamo, torniamo da Atena". Hyoga annuì, seguendolo. Shiryu ne fu sollevato, era riuscito a riportarlo da lei, da loro, prima che cadesse nello stesso errore del suo maestro. Lo aveva riportato alla ragione, come gli aveva chiesto di fare Atena. Fortunatamente
Hyoga lo seguì, ritornando sui suoi passi. Voltandosi indietro una sola volta. Verso la valle nascosta.
Anche questo capitolo si collega alla FF "Fino in Fondo". L'età dei protagonisti che, errore mio, non ho specificato nella long, non è quella canonica Per i bronzini e Atena hanno quasi vent'anni. I Gold sono decisamente più adulti.

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Capitolo 12
*** resisti! ***


I tre erano cascati a terra, contemporaneamente e senza rendersi conto di nulla. Non avrebbe saputo giustificare in altro modo ciò che stava per fare e non ebbe, né si diede, il tempo di controllare che, cadendo, non avessero sbattuto malamente a terra.
Senza troppi complimenti spinse Minos sotto il tavolo perdonami Saint, scansò Milo e si concentrò su Camus.
Alcuni brandelli di ciò che restava dei suoi abiti erano ancora sul suo corpo, il tessuto era un tutt'uno con la carne ed il sangue raggrumato. Un odore acre, pungente e quello del sangue e dell'infezione le avevano invaso le narici.
Raccolse il flacone del disinfettante rovesciato sul tavolo e lo versò su una delle lacerazioni sul ventre. Era conscia che avrebbe provocato certamente, quantomeno, un forte bruciore, ma Camus non reagì. Non reagiva più. Aveva senso tergiversare? Staccò con decisione il tessuto. La ferita riprese a sanguinare. La disinfetto' senza troppa delicatezza. Perdonami. Non c'è tempo per la delicatezza. Perdonami. Per averti lasciato solo in tutto questo orrore.
Cacciò indietro le lacrime e riprese.
Altro tessuto, sotto un grumo di sangue e materia purulenta. Un altro strappo? Il suo sguardo scorse tutto il suo corpo, dai piedi fino al viso. Poche parti erano state risparmiate da quelle terribili lacerazioni. Le gambe, almeno fino oltre le ginocchia. Le braccia, fin quasi alle spalle. Il viso. Il collo. Ma il resto di lui era devastato. Davvero vuoi procedere così? Si chiese dubbiosa. Dove il tessuto non è ancora stato staccato vuoi davvero strapparglielo di dosso senza pietà? Sei senza cervello. O senza cuore. Elessar.
Le mani tremarono. Ma poi lo ha tutto questo tempo per prenderla con la dovuta delicatezza? Si chiese di nuovo mentre le sue mani si appoggiavano sul suo ventre, sulla pelle ferita, appena ripulita. Quando le sollevò, quel piccolo lembo di pelle era ricostruito e aveva assunto un colore tendente al rosa scuro. Troppo lenta. Non c'è la farà. Non ha tutto questo tempo. Non può sopravvivere. Non così. Non in queste condizioni. Lo guardò in viso. Non indugiò oltre. A che serve provare ancora a curarti così? Ti perderei per sempre e basta. Non posso. Perderti.
"Perdonami. Farà male e farà male per giorni. Ma non conosco altro modo per permetterti di sopravvivere. Ti prego... Ti prego. Resisti. Qualunque cosa succeda. Non avere paura. Sono con te.."
Gli scostò delicatamente le braccia dal busto. Saltò sul tavolo, inginocchiandosi su di lui, stando attenta a non toccarlo, le ginocchia accanto ai suoi fianchi. Ce l'hai davvero il coraggio di fargli anche questo? Si chiese. Per un istante.
Respirava a fatica. Si abbassò su di lui, scostandogli i capelli dal viso.
Farò in fretta. Resisti. Resisti ti prego.
Si chinò sul suo busto, portando entrambe le mani, sovrapposte sul suo cuore. Il contatto con le ferite aperte gli provocò un sussulto. Poi urlò con tutto il fiato che aveva ancora in corpo. Gli occhi di lui erano spalancati ma non vedevano nulla. Nessuno. Che c'era da vedere d'altronde? Solo Luce . Luce Assoluta.
Null'altro e quell'energia così magnifica e terribile lo percorreva dall'interno, ogni cellula del suo corpo sembrava dover esplodere o annichilirsi.
Lo avvertì dimenarsi violentemente, in modo del tutto involontario, sperò, sotto di lei. Non fu in grado di trattenerlo. D'altronde non avrebbe potuto essere altrimenti. Resisti. Resisti Camus. Continuò nel suo intento per un tempo che sembrò lungo una vita intera.
Infine lui abbandonò esausto. Le gambe cedettero penzoloni dal tavolo, le braccia caddero senza forza scomposte. Sbatté la testa pesantemente crollando indietro senza peso, dopo essersi sollevato malamente mentre lei premeva le sue mani sul suo petto.
Credo che domani avrai un nuovo livido e anche più di uno.
Non poteva credere a ciò che vedevano i suoi occhi. Le ferite erano sanate. Scomposto, sfinito ma non più sanguinante. Le ferite era chiuse, sebbene sapesse che la sofferenza, quella, gliela provocavano ancora, sarebbe scemata poco a poco nei giorni successivi.
Le dita di lei premettero insicure contro il suo collo. Batteva. Il cuore batteva, anche se il battito era irregolare, accelerato. Il respiro affannato, la temperatura molto elevata.
Gli accarezzò il viso sudato e sfatto. La sua mano tremava. Quella che aveva usato era una potenza difficile da domare, anche se legata in modo indissolubile alla sua Anima. "Sei vivo" mormorò con voce tremante.
Scese dal tavolo con un balzo attenta a non colpire Milo.
Non muoverti. Ma dove potrebbe andare? Gli sollevò le gambe abbandonate ai lati del tavolo, gli posò le braccia lungo i fianchi.
Tornò pochi minuti dopo.
Lo sollevò.
Pensavo pesassi di meno. Sei piombo. Camus. Si disse. Osservandolo.
Appena la sua pelle fu in contatto con l'acqua sobbalzò "Non è calda, stai tranquillo" gli sussurrò immergendolo lentamente, dandogli il tempo di abituarsi al calore, reggendogli poi la nuca. Sei sfinito.
Con la mano libera pulì le tracce di sangue dalla sua pelle. L'acqua, prima limpida, aveva assunto un colore scuro, giallastro, rossastro.
Gli spostò un braccio, era così abbandonato che, se avesse tolto la mano che gli reggeva la nuca, per riuscire a lavarlo meglio, non sarebbe stato in grado di reggersi da solo.
Quale violenza aveva squassato quel corpo così perfetto, tornito e forte da renderlo così fragile tra le sue braccia?
Al pensiero di ciò che aveva subito, scoppiò in lacrime, così all'improvviso, smettendo di lavarlo e limitandosi a stringerlo a sé, rendendosi conto solo dopo che, non poteva farlo. Non avrebbe dovuto stringerlo così tanto. "Ho paura di perderti. Ti prego perdonami. Non ero con te. Nemmeno stavolta. Non sono mai con te. Quando ne hai bisogno. Non riesco a capirti. Non riesco a proteggerti. Perdonami" il viso contro il suo.
"N- n pia... ge..re lel-e"
Appena udì la sua voce rauca, strozzata, alzò subito il viso. Sperando di vedere i suoi occhi aperti. Ma non fu così. Aveva trovato la forza per pronunciare quelle poche parole, ma nulla di più. Il capo era pesante nella sua mano, il suo corpo completamente abbandonato nell'acqua, del tutto privo della benché minima forza. Il viso pallido, così pallido, la bocca socchiusa, gli occhi serrati.
"Oh... Camus..." Gli bacio le labbra secche "avrò cura di te"
Lo sollevò dall'acqua che restò lì, nella vasca, la limpidezza originaria macchiata del sangue e di ciò di cui lo aveva pulito, al meglio, non potendo muoversi liberamente.
Ci sarà una stanza in cui puoi riposare? Oppure quell’arpia vi vuole sempre sull’attenti? Aprì una delle due porte con il gomito
"Ti pareva se non andavo ad aprire quella sbagliata, spero nell’altra" Si diresse all'altra porta. Fuori dall'acqua la sua pelle era calda. Ancora troppo calda.
Lo adagiò sul suo grande letto, cercando di metterlo in una posizione comoda. Come quando dormiva rilassato la notte. E occupava quasi tutto il letto, lasciando a lei giusto un angolino.
Spero che tu abbia del ghiaccio nel congelatore. Non sono in grado di crearlo, e il tuo allievo ancora non si è risvegliato.
Lo lasciò lì, addormentato pesantemente.
Tornò in fretta. Sei così ordinato che mi vengono i brividi. Sono riuscita a trovare le cose al primo colpo. Neanche a casa mia ci riuscirei.
Ghiaccio in cubetti nel congelatore. Borsa per il ghiaccio nell'armadietto in bagno. Non pensavo nemmeno l'avessi. Tu che sai creare il ghiaccio.
Gliela appoggiò sulla testa, rinfrescando con una pezza il suo viso. Poi il collo, poi scese.
Ti aiuta sentirti rinfrescare. Sembrava stare meglio. Quanta sofferenza doveva avere patito in pochi giorni, in pochissime ore.
Ed era scritta stria su stria sulla pelle del suo corpo.
Lo percorse, dall'incavo del collo scendendo sul suo petto, oltre lo sterno, fino all'ombelico e il ventre. Poi si fermò. Si era resa conto che il suo respiro era accelerato improvvisamente. Come si fosse agitato per quel movimento.
Gli sollevò la testa e le spalle, cercò di fargli sentire la sua presenza "Stai tranquillo, sono qui con te, va tutto bene, riposati".
Provò a farlo bere ma non rispondeva ai richiami, né provava ad ingoiare. L'acqua che provò a fargli sorseggiare colò in un rivolo dalla bocca al collo
"Prova a bere Camus" gli disse, ma ottenne lo stesso risultato. Non beveva nulla.
"V-v"
Aveva provato a parlare o era un lamento?
Ritentò ancora a farlo bere, ma nulla, rifiutava l'acqua.
Non puoi non bere nulla, hai perso troppo liquidi, coraggio, un piccolo sforzo ancorai. Si disse. Poche gocce a volta riuscì a fargli ingoiare qualche sorso.
Ne fu quasi contenta. Gli posò delle pezze fresche sul corpo, sistemò il ghiaccio sulla sua testa e si distese accanto a lui.
Era davvero sfinito Camus. Era stanca Elessar.
Poco dopo lo sentì muoversi, gemere e dalla posizione comoda in cui lo aveva adagiato, venne a rannicchiarsi vicino a lei. Gli passò un braccio sotto il collo, facendogli appoggiare il capo al suo braccio, circondandogli la testa, arrivando ad accarezzarlo con la mano.
"Dormi tranquillo Camus"
"C.. n..te" farfugliò
Gli cinse la vita. Chiuse gli occhi. Stringendo quanto aveva mai avuto di più prezioso a sé, con tutta la delicatezza di cui era capace. Aveva rischiato di perderlo per sempre.


Questo capitolo si inserisce all'interno del capitolo 21 di Fino in Fondo, tra l'entrata di Elessar nella stanza e il risveglio di Minos che si ritrova sotto il tavolo chiedendosi come ci sia arrivato.
Questo capitolo è dedicato a MaikoxMilo ringraziandoti ancora per i tuoi consigli! :)

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