Everything I Hold Dear (Resides In Those Eyes)

di fantaysytrash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Different Similarities, Similar Differences [Thor/Steve] ***
Capitolo 2: *** An Act of Violence Against the Self [Tony/Bruce] ***
Capitolo 3: *** Unless You Play It Good and Right [Steve/Bucky] ***
Capitolo 4: *** The Worst Place You Can Be [Sam/Natasha] ***
Capitolo 5: *** If It’s Safe to Love, It’s Safe to Live [Thor/Steve/Bucky] ***
Capitolo 6: *** The Wider the Distance, the Warmer the Hug [Carol/Maria] ***
Capitolo 7: *** Love Is Its Own Protection [Steve/Bucky] ***
Capitolo 8: *** Storms Draw Something Out of Us [Thor/Bruce] ***
Capitolo 9: *** Together Is a Wonderful Place to Be [Thor/Steve] ***



Capitolo 1
*** Different Similarities, Similar Differences [Thor/Steve] ***


Note dell’Autrice

Durante questo periodo un po’ arduo, Ile_W ha avuto una bellissima idea e ha proposto un prompt al giorno fino alla fine della quarantena (sperando che non la prolunghino ulteriormente); ecco dunque una raccolta in cui ogni capitolo è a sé stante e tratterà di diversi personaggi e, nella maggior parte dei casi, diverse coppie.

Non vedrete esattamente una storia al giorno, in quanto ho deciso di esplorare (e intasare) anche altri fandom, ma potete comunque aspettarvi un aggiornamento costante. Cercherò di non scrivere solo Stucky… ci riuscirò? Fate le vostre scommesse, signore e signori.

(Ho deciso di non inserirvi i prompt usati, perché nella metà dei casi li ho riarrangiati a mio piacimento e non volevo proprio espormi di fronte a tutti quanti oof)

Buona lettura,

Federica ♛

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 


 

EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#1 – DIFFERENT SIMILARITIES, SIMILAR DIFFERENCES

 

Thor si guardò intorno, cercando di identificare le attività consone a una festa Midgardiana. Da quando era arrivato, tutto ciò che aveva potuto osservare erano state persone già ubriache che tentavano di flirtare con lui e uomini con un cipiglio che lo fissavano con aria disdegnosa, quasi a voler mettere in discussione la sua stessa presenza.

Thor non poteva dire di esserne sorpreso; ovunque andasse era accolto dagli stessi comportamenti quasi monotoni che iniziavano a metterlo a disagio. L’unica ragione per cui aveva deciso di presentarsi era…

“Thor!” La voce del Capitano Rogers irruppe sopra il frastuono della musica – senz’altro scelta da Stark, a giudicare dal genere – e, quando si voltò, lo vide farsi largo tra una folla di terresti che lo stavano guardando allontanarsi con un’espressione troppo vicina a un broncio per persone adulte.

Steven!” rispose, rallegrato nel vedere una faccia famigliare.

Negli ultimi tempi, i due avevano stretto un rapporto di reciproca fiducia e rispetto; certo, nel loro campo di lavoro, era impensabile non averne, ma il Capitano si era rivelato ben presto essere un amico fidato, sempre disposto ad aiutare.

“Come stai? Come vanno le cose su Asgard?”

Thor si incupì leggermente. Si schiarì la gola nel tentativo di dare una nota positiva a pensieri cupi, e disse: “Non bene, le cose con mio padre si sono fatte… tese.”

Steve sospirò rumorosamente, guardandosi intorno. L’assenza di metà team non sfuggì al Dio del Tuono.

“Credo lo stesso si possa dire qui. Questa storia di Ultron… be’, diciamo che non concordiamo sul da farsi.”

“Deve essere dura per te,” asserì immediatamente Thor, notando la postura rigida dell’altro e la presa un po’ troppo stretta che aveva intorno al suo bicchiere di plastica rosso.

Steve gli rivolse un sorriso sincero. “Tu capisci tutto subito, eh?”

“Semplicemente ho imparato a conoscerti, so che porti il peso del mondo sulle spalle. Credo che in questo possiamo definirci simili.”

“Già,” ammise il Capitano. “Entrambi liberi di prendere il comando, ma entrambi prigionieri dei nostri doveri e delle persone che dobbiamo comandare…” Poi scosse la testa, sorridendo debolmente. “Mi dispiace, non volevo rovinarti la festa.”

Thor posò una mano sul braccio muscoloso di Steve, aumentando lievemente la morsa in quello che sperava essere un gesto rassicurante.

“Rovinare qualcosa è l’ultima cosa che potresti mai fare, Steven,” lo rassicurò.

“C’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”

Thor lo guardò, pensieroso, mentre valutava in silenzio il risvolto della sua decisione a venire.

“Ti va di farmi fare un giro per New York? Chissà, potrei anche farti provare a sollevare Mjölnir,” propose con un ghigno scaltro.

Steve scoppiò in una risata genuina, prima di annuire. “Non posso certo tirarmi indietro di fronte a una sfida,” ammise. “Andiamo.”

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Capitolo 2
*** An Act of Violence Against the Self [Tony/Bruce] ***


Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 


 

EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#2 – AN ACT OF VIOLENCE AGAINST THE SELF

 

“Tony, non se ne parla!”

Bruce era francamente esasperato; aveva sospettato che l’amico non avrebbe acconsentito senza lamentele, ma non avrebbe mai pensato di doverlo letteralmente trattenere dall’irrompere dalla sua stessa abitazione per lanciarsi nel mezzo di una battaglia in centro a New York.

“Hai la febbre altissima; non puoi uscire in queste condizioni, dannazione!”

Tony non sembrava prestargli alcuna attenzione. Stava cercando di vestirsi velocemente, inframmezzando i suoi movimenti con vari comandi a Jarvis, tenendo l’attenzione al televisore nella sua stanza.

“Hai sentito quello che stanno dicendo; la gente ha bisogno di me,” ribatté deciso, incurante delle preoccupazioni dell’altro.

Bruce inspirò profondamente, lanciando un’occhiata fugace al telegiornale che commentava il nuovo scontro scoppiato in città, prima di riportare lo sguardo sul suo più caro amico: i capelli disordinati schizzavano da tutte le parti, i movimenti erano lenti e il suo intero corpo tremava a causa dei brividi e del freddo.

“Se ne stanno occupando gli altri, è così difficile restare in disparte per una volta?”

Tony sbuffò; sapeva bene che “gli altri” erano Rhodey, Pepper e Happy.

“Più di metà del nostro team è in fuga, Natasha è sparita, e non posso mettere a repentaglio la vita di Peter per una cosa tanto pericolosa. Devo andare io,” insistette con un’aria decisa.

“Tony…”

“È quello che farebbe Rogers,” ammise a bassa voce, lo sguardo abbassato e le mani che sfregavano l’una contro l’altra in modo quasi spastico. “Lui saprebbe cosa fare, mentre io… io sono un disastro.”

Bruce si accigliò. Avevano fatto tutti del proprio meglio per non nominare Steve nei mesi precedenti, e Tony stesso si era comportato come se tutto quello che aveva passato in Siberia non fosse mai successo.

“Non è vero,” rispose infine, calmo seppur confuso. “Dovresti sapere che compararsi con gli altri è un atto di violenza contro se stessi. Avanti, dimmi qual è il vero problema.”

Tony esitò, poi fece cenno al calendario appeso sopra la sua scrivania; la pagina di dicembre era abbellita con piccole luci e fiocchi di neve.

“Non…” iniziò, ma venne subito interrotto.

“È l’anniversario della morte dei miei genitori,” spiegò.

“Mi dispiace, con quello che è successo―”

“Non te ne sto facendo una colpa,” lo interruppe nuovamente Tony. “È solo che ogni anno, invece di ricordare i momenti belli trascorsi insieme, tutto ciò a cui penso è la voce di mio padre che ha da rimproverarmi qualcosa. Oggi è stata la mia inadeguatezza a fare la cosa giusta, poi la battaglia è scoppiata, e…”

Bruce lo trasse a sé d’istinto e gli circondò le spalle con le sue possenti braccia, stringendolo forte e lasciando trasparire tutto l’amore e l’ammirazione che nutriva nei suo confronti.

“Non hai niente da dimostrare; non a me, non alla squadra, e sicuramente non a tuo padre,” disse deciso. “Tu sei il nostro genio, miliardario, playboy, filantropo, ricordi?”

Conosco persone che non sono niente di tutto ciò e che valgono dieci volte più di te.

Tony scosse la testa, tentando di simulare un sorriso sincero e concentrandosi sul corpo caldo dell’altro. “Grazie, Bruce.”

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Capitolo 3
*** Unless You Play It Good and Right [Steve/Bucky] ***


Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 


 

EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#3 – UNLESS YOU PLAY IT GOOD AND RIGHT

 

L’arrivo degli alieni non era stato un avvenimento così improvviso; il siero con cui avevano inondato l’intera città costituiva invece una novità. E sebbene gli Avengers avessero cacciato i mostri piuttosto velocemente, gli effetti ancora sconosciuti di ciò che li aveva colpiti avevano messo tutti in una quarantena provvisoria.

Bucky non la considerava una tragedia; dopo tutto quello che era successo, apprezzava le giornate tranquille trascorse con il suo compagno nel loro piccolo appartamento a Brooklyn.

“Bruce consiglia di rimanere in casa finché non si sarà accertato delle proprietà del gas; potrebbe volerci qualche giorno,” sospirò Steve, fissando il telefono con fare accigliato, come se l’intensità del suo sguardo potesse accelerare l’arrivo di notizie.

“Tanto vale rilassarsi,” affermò il moro. “E vorrei ricordarti che siamo super-guerrieri immuni quasi a tutto, non c’è bisogno di una tale preoccupazione.”

Steve valutò se imbattersi in quella discussione, prima di scuotere la testa e guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa da fare.

“Potremmo scegliere un gioco di società, a quanto pare vanno di moda nel mondo moderno,” suggerì Steve.

Bucky aveva altre idee. Sorrise sornione e, mettendosi sulle ginocchia, gattonò verso l’altro, prima di balzargli addosso con una grazia innaturale.

“Sì, ottima idea,” vicino all’orecchio del biondo. “Inizio io a proporne uno.”

Fece scorrere le mani sul petto di Steve, prestando particolare cura e delinearne gli addominali scolpiti.

“Me l’ha insegnato Natasha, si chiama gay chicken e, quando inevitabilmente perderai, potrei essere così gentile da permetterti la possibilità di una rivincita.”

“Non credo che sia un gioco di società,” rise Steve, cercando di sottrarsi con tentativi alquanto deboli.

“Cosa ne possiamo sapere noi?” ribatté prontamente Bucky, fingendosi confuso. “Infondo siamo troppo antichi per questi termini moderni. No, io dico che dovremmo attenerci a ciò che sappiamo fare.”

Trattenne Steve a terra, bloccando ogni via di fuga con il suo peso imponente, prima di leccargli lentamente il collo.

Steve si sporse come per baciarlo ma, appena l’altro si rilassò per assecondarlo, fece scorrere la gamba destra tra i loro corpi, risultando in un ribaltamento delle posizioni.

“Non giochi lealmente,” si lamentò Bucky, fingendo un broncio.

“L’amore è un gioco spietato,” ribatté con aria saccente. “A meno che tu non giochi in modo corretto.”

“Questa l’hai letta su internet,” accusò il moro con una smorfia per le parole smielate del compagno.

“E come potrei? Sono solo un vecchietto che non ha idea di come si utilizzi Google.”

“Usi le mie parole contro di me, Rogers? E sia.”

Usando il braccio di metallo per allontanare la massa di Steve, Bucky si issò in piedi, trascinando l’altro sulle sue spalle.

Mentre lo portava in camera da letto, il biondo si lasciò andare nell’ennesima risata; forse quell’esilio temporaneo sarebbe stato un ottimo pretesto per provare cose nuove nella riservatezza del loro appartamento.

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Capitolo 4
*** The Worst Place You Can Be [Sam/Natasha] ***


Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 


 

EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#4 – THE WORST PLACE YOU CAN BE

 

Natasha camminava irrequieta avanti e indietro per la stanza, lo sguardo fisso sulla finestra semi-oscurata che lasciava intravedere solo un minuscolo pezzetto del paesaggio all’esterno.

“Nat, va tutto bene?”

La rossa ignorò la voce di Sam, il quale la stava guardando con aria preoccupata a qualche passo di distanza. Dopo aver avuto a che fare con Bucky – per non parlare di tutti i veterani con cui trattava ogni giorno –, sapeva di non dover star troppo addosso a qualcuno così prono a un attacco di panico.

Semplicemente non si sarebbe mai aspettato che quel qualcuno fosse Natasha.

In tutte le situazioni ardue in cui si erano ritrovati, l’aveva sempre vista mantenere la calma e capace di escogitare un piano per qualunque problema si fossero trovati davanti.

Ora invece sembrava spaesata, e proprio non riusciva a comprenderne il motivo. Non stavano affrontando alieni o semidei o agenti dell’HYDRA; erano semplicemente stati avvisati di non lasciare l’abitazione per qualche ora, lo stretto necessario finché l’ambiente circostante venisse determinato sicuro.

“Natasha,” chiamò sottovoce per non spaventarla. “C’è qualcosa che ti preoccupa?”

Questa volta, Natasha si voltò, lo sguardo allerta per un pericolo che Sam non era in grado di vedere.

“Scusa,” disse infine. “Nonostante sia passato molto tempo, ogni volta che mi trovo in un luogo chiuso senza possibilità di uscire mi sento in gabbia. Mi tornano in mente tutte le volte che sarei voluta evadere dalla Stanza Rossa.”

Scosse la testa, imbarazzata per essersi mostrata debole, seppur di fronte a uno dei suoi più cari amici.

“Devo restare vigile e―”

Venne interrotta dalle braccia di Sam che, titubanti e decise al tempo stesso, le circondarono le spalle, spingendo lievemente il viso nell’incavo del suo collo.

“Nat, il posto peggiore in cui puoi stare in questo momento è la tua stessa testa,” disse. “Credimi, è lo stesso procedimento che utilizzo con i veterani; quando senti che stai per venire sopraffatta dal passato, pensa a qualcos’altro, sfogati, non restare immobilizzata nei ricordi.”

Era una posizione insolita, ma non scomoda o tesa; Sam profumava di pulito e lavanda, e le sue braccia forti la stavano sostenendo in più di una maniera.

Si lasciò quindi andare a quel calore che non sentiva da troppo tempo, perdendosi in ricordi del moro piuttosto che in quelli della sua infanzia.

E solo quando gli fu dato il via libera per uscire, la minaccia ormai sventata del tutto, Natasha realizzò che quello era stato il loro primo abbraccio. Sorrise tra sé, sperando che il futuro gliene riservasse molti altri.

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Capitolo 5
*** If It’s Safe to Love, It’s Safe to Live [Thor/Steve/Bucky] ***


Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 


 

EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#5 – IF IT’S SAFE TO LOVE, IT’S SAFE TO LIVE

 

Steve si svegliò con due corpi che gli premevano contro da entrambi i lati, caldi e possenti, imbottigliandolo in un abbraccio ferreo da cui era impossibile districarsi.

Il biondo sorrise ancor prima di aprire gli occhi, certo dell’identità dei suoi compagni. Erano passati due mesi da quando avevano intrapreso una relazione, ma soltanto pochi giorni da quando avevano preso la decisione di rivelarsi al mondo intero.

Commenti di odio e sdegno non erano tardati ad arrivare, ma tutti e tre si erano rivelati piacevolmente sorpresi dalla quantità di supporto che avevano ricevuto, non solo dagli altri Avengers ma dai cittadini di New York.

Per Thor non costituiva un grande cambiamento, abituato alle tradizioni più libere di Asgard, ma per Steve e Bucky, cresciuti in un clima di relativa intolleranza, era stato il regalo più bello che avessero potuto ricevere.

E ora, dopo aver fatto dormire i suoi amanti nel suo letto senza doverli cacciare al mattino per evitare di essere scoperti, Steve poteva dire che svegliarsi accanto a loro era la sua nuova attività preferita.

Quando si decise ad aprire gli occhi e si mosse con l’intento di recuperare il telefono per avvisare Sam che non sarebbe andato alla loro corsa mattutina, le braccia intorno al suo corpo aumentarono la presa, e la voce assonnata di Bucky biascicò: “Che ore sono?”

Thor grugnì qualcosa che Steve non comprese, prima di girarsi lievemente e premere un bacio sulla sua spalla. “Dove stai andando, mio guerriero?”

Steve si sporse per dargli un bacio che presto si trasformò in una lotta per stabilire la propria dominanza, l’intenzione di chiamare Sam presto dimenticata.

Prima che se ne rendessero conto, Bucky si buttò su entrambi, interrompendo il loro bacio e gettandogli le braccia al collo.

“Se avete finito di mostrare la vostra virilità, ci sarei anch’io,” sussurrò soavemente, sbattendo le ciglia in modo seducente.

Il risultato non tardò ad arrivare; Steve e Thor si mossero nello stesso momento, ribaltando le loro posizioni e bloccando Bucky in un abbraccio confusionario, mentre le loro bocche cominciarono a lasciare baci umidi su ogni spazio di pelle che riuscirono a trovare.

Mmh,” sospirò il moro. “Sì, questo è proprio quello che intendevo.”

Steve non poté fare a meno di sorridere, e si prese un momento per osservare le due persone più importanti della sua vita; il suo amico più caro per cui aveva una cotta da sempre e un letterale Dio con cui aveva stretto una forte relazione sin dalla loro prima missione insieme.

“Tutto bene, Stevie?”

Sia Bucky che Thor lo stavano guardando con aria incuriosita.

“Sì,” rispose, riavvicinandosi a loro. “Non potrebbe andare meglio.”

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Capitolo 6
*** The Wider the Distance, the Warmer the Hug [Carol/Maria] ***


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EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#6 – THE WIDER THE DISTANCE, THE WARMER THE HUG

 

Carol ne aveva già avuto abbastanza di quella stupida quarantena. Essere costretta a rimanere in casa mentre la sua fidanzata era bloccata nella propria abitazione dall’altra parte della strada non era come aveva pensato di trascorrere il giorno di San Valentino.

“Questa situazione è ridicola!” urlò a Maria, mentre entrambe si sporgevano dai rispettivi balconi per tentare di comunicare. Tutte le vie di comunicazione, infatti, erano state interrotte ore prima e, sebbene Tony Stark in persona stesse cercando di risolvere la questione, pareva che le linee telefoniche non fossero la priorità quando dei robot spaziali stavano vagando per la città.

Carol aveva raggiunto il limite della sua inesistente pazienza, ed era pronta a introdursi illegalmente nella villetta dell’altra.

Stava adocchiando l’altezza del terrazzo e stimando quanto si sarebbe fatta male se fosse saltata, quando il rimprovero secco di Maria le giunse alle orecchie.

“Non ci provare!”

La bionda riportò la sua attenzione verso la sua compagna, lanciandole un sorrisino colpevole e gesticolando freneticamente come se fosse colpa della situazione.

Maria, invece, non sembrava troppo scossa dall’imprevisto della giornata, ma ora fissava Carol con un’aria decisa che non ammetta repliche.

“Al telegiornale hanno detto che sarà solo per un paio di giorni,” spiegò. “Guarda il lato positivo, viviamo praticamente accanto, e possiamo continuare a vederci per tutto il tempo, se è questo quello che vuoi.”

Carol sapeva che la ragazza aveva delle buone motivazioni, ma non sopportava quando le cose non seguivano i piani da lei stabiliti

“Ti avevo preparato una sorpresa,” ammise, arricciando le labbra in quel broncio tenerissimo che riusciva sempre a sciogliere Maria.

“Me la mostrerai prima di quanto credi. Sai come dicono, no? La lontananza spegne i fuochi piccoli e accende quelli grandi,” affermò sicura.

“Suppongo di sì…”

Si guardò intorno, trovò un cuscino e lo posizionò per terra per poi sedervisi sopra; fortunatamente il parapetto di vetro le consentiva ancora di vedere Maria alla perfezione.

“Cosa facciamo nel mentre?” chiese, abbassandosi il capello verde militare sulla fronte per proteggersi dai raggi solari.

“Raccontami della tua giornata,” propose la mora, posizionandosi a sua volta su una sedia, e incrociando le gambe per una maggiore comodità.

E mentre le due trascorsero il resto della giornata in quel modo, gridandosi aneddoti che probabilmente riuscirono a udire anche tutti gli altri vicini, con il sole che pian piano tinse il cielo di un color rosso infuocato, Carol pensò che in fondo la giornata dell’amore non era andata così male.

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Capitolo 7
*** Love Is Its Own Protection [Steve/Bucky] ***


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EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#7 – LOVE IS ITS OWN PROTECTION

 

“Sei sicuro che possa tenerla in braccio?”

Bucky si avvicinò con cautela al compagno, che stava ondeggiando su se stesso per cullare la loro bambina appena nata. Steve sorrise dolcemente nel notare il nervosismo dell’altro, e gli rivolse un cenno di incoraggiamento, trasferendo il bebè tra le sue braccia tremanti.

“Sì, Buck, non le fai alcun male, vedi? Basta che le sorreggi la testa… esatto, così.”

Bucky posò lo sguardo sul fagotto che ora sorreggeva, le piccole dita rosee ancora strette intorno al dito di Steve. Il viso angelico, di cui si era già innamorato, era incorniciato da un ciuffo di capelli biondi e, sebbene non avesse avuto ancora l’occasione di scorgerle gli occhi, sperò con tutto se stesso che avesse ereditato quelle pozze blu per cui andava matto.

Sebbene la bambina non fosse sua figlia naturale, ovviamente, dopo mesi di ricerca avevano finalmente trovato una donna disposta a fargli da surrogata, e una delle poche cose su cui Bucky aveva insistito era la volontà che metà dei suoi geni fosse di Steve.

Voleva sentire quella neonata come propria e non si fidava a donare il proprio seme in caso l’HYDRA avesse fatto ulteriori esperimenti di cui non erano ancora a conoscenza. Ma non era stato un problema; una piccola versione di Steve che correva per casa era sempre stato tra i suoi sogni più reconditi.

Non credeva avrebbe mai visto il girono in cui una tale fantasia potesse venire realizzata, ma suppose che Steve aveva già compiuto abbastanza miracoli per lui, uno in più rientrava ormai nel suo modus operandi.

Spostando lo sguardo dal marito alla figlia, Bucky venne sopraffatto da un’ondata di amore e felicità. Dopo tutto quello che aveva passato, c’erano ancora giorni in cui credeva di non meritare la nuova possibilità che gli era stata concessa, ma con l’aiuto Steve e degli altri Avengers aveva imparato a godersi le cose positive della vita senza aspettarsi sempre il peggio.

Improvvisamente, come se sentisse i pensieri contrastanti del genitore, una delle piccole manine della bimba si mosse e si posizionò sul petto di Bucky, stringendo lievemente la stoffa della sua maglietta.

“Steve, mi sta…?”

Steve irruppe in un grande sorriso. “Sì, Buck, ti sta abbracciando.”

“Dobbiamo proteggerla,” disse il moro improvvisamente. “Dall’HYDRA, dallo SHIELD, da chiunque cerchi di farle del male.”

“Certo, la proteggeremo insieme,” rispose Steve, circondando il compagno con le sue braccia possenti, in modo da farlo sentire più al sicuro.

“Ti amo,” confessò poi.

Bucky ghignò. “Lo spero bene, visto che sei il padre di mia figlia.”

Guardando la sua nuova famiglia, Steve non poté che sciogliersi in un sorriso che era certo i suoi amici avrebbero definito diabetico.

“Sarah Brooklyn Rogers-Barnes, benvenuta in famiglia.”

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Capitolo 8
*** Storms Draw Something Out of Us [Thor/Bruce] ***


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EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#8 – STORMS DRAW SOMETHING OUT OF US

 

Il temporale imperversava come non accadeva da mesi, causando i rami degli alberi più vicini a sbattere contro le finestre della villa. Bruce, concentrato su un nuovissimo esperimento, non pareva prestarvi alcuna attenzione e, se non fosse stato per la mancanza di elettricità, probabilmente non se ne sarebbe nemmeno reso conto. Tony gli aveva commissionato un lavoro particolarmente ostico, ed era deciso a portarlo a termine entro il fine settimana.

Un tuono particolarmente forte, seguito da un lampo troppo abbagliante per essere naturale, portò finalmente l’attenzione dello scienziato sull’ambiente a lui circonstante. E notò che Thor si trovava nel mezzo del suo laboratorio, gli abiti fradici e i capelli biondi una massa indistinta sulla sua testa.

“Salve, dottor Banner,” esclamò con il suo solito entusiasmo, come se introdursi in abitazioni estranee nel mezzo di una tempesta non costituisse nessuna variazione da una giornata qualunque.

Bruce rimase interdetto per pochi secondi, prima di avvicinarsi all’amico e salutarlo con una pacca sulla spalla che, a causa della pioggia, gli infradiciò la mano.

“Thor,” disse sorpreso. “Ti stai divertendo là fuori, eh?”

Il semidio gli rivolse un sorriso imbarazzato, colto nell’atto di essersi lasciato andare un po troppo. “Midgard ne aveva bisogno, e mi sono lasciato prendere la mano. Ti dispiace se resto qui fino a quando non smette?”

“Andiamo,” acconsentì Bruce, abbandonando il suo lavoro e conducendo Thor al piano superiore. “Hai bisogno di un bel bagno caldo.”

 

Quando Thor si fu sistemato e Bruce aveva ormai abbandonato ogni tentativo di lavorare, si posizionarono entrambi sul divano, il salotto ancora oscurato se non per i lampi che provenivano da fuori.

“Ecco qui,” disse Bruce, porgendogli una coperta.

Thor la guardò confuso. “Non ho freddo,” constatò.

“Oh,” rispose l’altro imbarazzato. “Certo, scusa.”

Ma prima che poté riporla, il biondo la riafferrò al volo e la posizionò su entrambi i loro corpi, avvicinandosi leggermente in modo che il tessuto coprisse l’intera superficie.

“Non intendevo offenderti,” disse. “Non sapevo fosse una tradizione degli umani.”

Bruce era troppo distratto dall’improvvisa presenza di un corpo caldo contro il suo per ribattere e, quando Thor appoggiò la testa sulla sua spalla, si irrigidì leggermente ma non osò muoversi.

“Va bene?” chiese il semidio, girandosi leggermente per guardarlo in faccia.

“Certo,” fu la risposta a mezza voce dell’altro, mentre Thor premette il naso nell’incavo del suo collo e lo annusò senza ritegno.

Bruce sorrise sbigottito, pensando che quell’esperimento a sorpresa si era rivelato molto più interessante di qualsiasi cosa Tony avesse mai proposto.

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Capitolo 9
*** Together Is a Wonderful Place to Be [Thor/Steve] ***


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EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)

#9 – TOGETHER IS A WONDERFUL PLACE TO BE

 

“Sveglia, gente!” esclamò una voce all’improvviso, interrompendo la quiete della notte.

Steve si mise in allerta immediatamente, balzando in piedi e scandagliando l’ambiente circostante alla ricerca di minacce. Non che sarebbe rimasto dispiaciuto se ve ne fosse stata effettivamente una. Erano settimane che gli Avengers erano stati confinati all’interno della Torre, senza possibilità di uscire, per via di un virus scoppiato in città.

Steve aveva insistito più volte per avventurarsi fuori, certo che il siero lo avesse reso immune a qualunque malattia, ma gli ordini del governo erano stati chiari.

Se qualcuno avesse attaccato New York – per l’ennesima volta – se ne sarebbero occupati le autorità locali.

Ma i giorni passati rinchiusi in casa avevano creato un generale sconforto tra tutti loro. Dopotutto, erano eroi, abituati a stare sul campo di battaglia in prima linea, e fremevano per ritornare in azione.

“Sveglia, sveglia,” ripeté la voce che ora Steve riuscì a identificare come quella di Tony. “Il governo ha dato il via libera, potete uscire. Sono solo le tre del mattino, ma potete andare a fare baldoria o quello che vi pare. Io vado da Starbucks. Sayonara.”

Gli altri non persero tempo; nonostante la spossatezza, furono tutti fuori in meno di dieci minuti, lasciando Steve solo con il vero protagonista dei suoi pensieri.

“E così anche questa è passata,” gli sorrise Thor, avvicinandosi a lui e stropicciandosi gli occhi ancora stanchi.

“Già, cosa farai ora?”

“Devo tornare su Asgard, sono stato lontano anche troppo tempo.”

Oh.” Steve non fu capace di nascondere il suo disappunto.

Durante il mese di quarantena forzata, lui e Thor si erano riavvicinati, arrivando a passare quasi tutto il tempo insieme, raccontandosi aneddoti del proprio passato o inventandosi nuove storie su quello che avrebbero fatto una volta rimessi in libertà.

Steve sentiva che tra un film visto insieme rannicchiati sul divano e una cena fatta in casa finita in modo disastroso, i due avessero oltrepassato la linea invisibile dell’amicizia. Non aveva grandi esperienze in quel campo, ma era piuttosto sicuro che dormire nello stesso letto abbracciati e seminudi non fosse il passatempo tipio di due amici.

“Mi mancherai,” disse quindi onestamente, cercando di sorridere al semidio.

L’altro lo guardò per un momento, prima di chiedere: “Vuoi venire con me?”

Steve lo guardò sbigottito. “Sul serio?”

“Certo, ti posso presentare mia madre.”

Un lieve rossore – che Steve registrò come quanto più lontano da tutto ciò che caratterizzava Thor potesse esserci – si impossessò delle sue guance, mentre le mani si contorcevano nervose.

“Mi piacerebbe,” mormorò il minore, ponendo fine a quella tensione così fuori-luogo. “Mi piacerebbe davvero molto.”

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