Chance

di BlackHawk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



 
Caitlin sospirò.
Non era sicura di aver capito bene.
In fondo erano le undici e mezza di sera e lei aveva trascorso le ultime due ore della sua vita a correre da un tavolo all’altro del locale in cui lavorava per servire birra e patatine fritte a persone che non conosceva.
Aveva tutto il diritto di essere stanca. Di essere stanca e di non capire al volo quello che Thomas stava cercando di spiegarle ormai da dieci minuti.
Prese un respiro profondo e incrociò le braccia al petto, cercando di ricomporsi.
-Licenziata?- ripeté ancora una volta, sperando di aver capito male.
Thomas si passò una mano nei folti capelli biondi e poi scosse la testa. In quel momento mostrava molti più anni di quelli che aveva.
-Cat, mi dispiace.- disse con aria afflitta. –Non è un buon momento per noi.-
Sembrava dispiaciuto, e molto probabilmente lo era davvero, ma questo non cambiava la realtà dei fatti.
La stava licenziando. La stava licenziando senza pensarci due volte.
-Ma io ho bisogno di questo lavoro.- sussurrò Cat, disperata.
E non lo diceva tanto per dire. Lei ne aveva bisogno davvero.
Aveva un affitto da pagare, parecchie rate universitarie da coprire e un fratello minore a cui badare.
Non poteva essere licenziata. Non poteva e basta. Aveva bisogno di quei soldi. Come diavolo avrebbe fatto senza?
-Non posso tenerti, Cat.- disse Thomas. –Il locale non gira più come una volta. Abbiamo tanta concorrenza e i clienti non ci pensano due volte ad andare nel posto in cui si paga di meno. Abbiamo costi di gestione altissimi, ma ricavi molto, molto bassi. Io e Stella non ce la facciamo ad andare avanti così.-
Caitlin chiuse gli occhi, nient’affatto sorpresa dalle parole di Thomas.
Lui e sua moglie Stella erano brave persone, entrambi sulla quarantina e senza figli, però non avevano mai fatti grossi investimenti nella loro attività.
Il locale in sé per sé non era male, ma la qualità del cibo non era all’altezza dei primi tempi e molti clienti, delusi, avevano cominciato a guardarsi intorno, scegliendo di passare altrove le loro serate.
A poco a poco Thomas aveva perso parecchi clienti e i guadagni non erano stati più quelli di una volta.
Caitlin questo lo sapeva, ma sapeva anche che senza un lavoro mandare avanti una casa e una famiglia sarebbe stato davvero impossibile.
Sospirò un’altra volta.
-Come farò?- si chiese, rassegnandosi all’idea di non avere più un lavoro.
Thomas rimase in silenzio per qualche istante. Poi schioccò le dita.
-Mia sorella lavora in una libreria a pochi isolati da qui.- disse, in tono allegro. –In realtà è la proprietaria. E giusto qualche giorno fa mi stava dicendo che aveva bisogno di personale.-
Cat alzò la testa di scatto. –Dici davvero?-
Thomas sorrise. –Una telefonata e il posto è tuo.-
Caitlin tornò a respirare. Forse non era rimasta senza un lavoro. Ne avrebbe solamente dovuto cominciare un altro.
-Faresti questo per me?- gli chiese, commossa dalla sua generosità.
-Cat, se avessi potuto, non ti avrei mai mandato via.- rispose Thomas. – Sei una brava ragazza e lavori sodo, senza mai lamentarti. Mia sorella sarà entusiasta quando le parlerò di te.-
-Grazie, Thomas. – disse. –Non so davvero come ringraziarti.-
-Non devi infatti.- la rassicurò lui. –E adesso fila a casa che è tardi.-
Caitlin si alzò dalla sedia su cui era stata seduta a lungo ed annuì, sentendosi all’improvviso più tranquilla.
Si fidava di lui e almeno per quella sera non avrebbe pensato più a nulla.
Aveva solo bisogno di tornare a casa e riposare.
Raccolse le sue cose e poi salutò Thomas con un abbraccio.
Non era un addio, ma il suo modo di ringraziarlo.
 
Quando uscì dal locale ormai era notte fonda.
Caitlin si guardò intorno per vedere chi ci fosse ancora in giro a quell’ora e poi si avviò in fretta verso casa, sforzandosi di mantenere i nervi saldi.
Erano passati tre anni ormai da quando aveva iniziato a lavorare per Thomas, eppure quello strano senso di inquietudine che l’assaliva tutte le sere fino a quando non si richiudeva la porta di casa alle spalle non l’aveva mai abbandonata.
Le era capitato raramente di incontrare qualcuno per strada, eppure, nonostante fossero passati anni, il terrore di essere derubata o aggredita le faceva ancora accapponare la pelle.
E una sera ci era andata quasi vicino. Troppo vicino.
Un tipo che non aveva visto nemmeno in faccia l’aveva seguita per metri, fino a quando una volante della polizia che passava lì nei dintorni non le aveva consentito  di allungare il passo e seminarlo.
A quel punto si era messa a correre, dirigendosi verso il palazzo in cui abitava.
Si era sbrigata ad aprire il portone e poi si era lanciata letteralmente verso il suo appartamento, col cuore a mille e le gambe che tremavano.
Da quella sera non era mai più uscita di casa senza spray al peperoncino.
Non era sicura che servisse a qualcosa, ma averlo in borsa la faceva sentire più al sicuro e a lei questo bastava.
Si sforzò di scacciare via quei brutti pensieri dalla testa e poi allungò il passo, lieta di intravedere finalmente il suo palazzo.
Con un po’ di fortuna, quella sarebbe stata l’ultima volta che rientrava a casa da sola a quell’ora della notte.
Si sistemò meglio la borsa sulla spalla destra e poi cercò le chiavi di casa, chiedendosi dove diavolo fossero finite.
Non ebbe il tempo di capirlo.
Il rumore di uno sparo la fece trasalire, costringendola a fermarsi.
Caitlin si guardò intorno, spaventata. Non c’era nessuno in giro a parte lei.
Cercò di ragionare in fretta.
Poteva correre verso casa e fare finta di niente oppure chiamare la polizia e raccontare quello che aveva sentito.
In entrambi i casi sarebbe dovuta passare davanti al vicolo in cui molto probabilmente era stato appena compiuto un omicidio.
Prese un respiro profondo e poi scosse la testa, indecisa sul da farsi.
Non poteva fare finta di niente. Doveva tornare a casa e raccontare tutto alla polizia.
Cominciò a camminare lentamente verso casa, guardandosi intorno in continuazione.
Aveva paura, ma sapeva anche che quella era la cosa giusta da fare.
Si fermò a mezzo metro dal vicolo in cui era partito lo sparo.
Non poteva continuare a camminare come se nulla fosse. Doveva prima accertarsi che chiunque avesse fatto partire il colpo se ne fosse andato e poi, solo a quel punto, sarebbe potuta ritornare a casa.
Strinse con forza la borsa e poi sporse la testa in avanti, sempre più impaurita.
Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che qualcuno arrivò alle sue spalle, le tappò la bocca con una mano e la spinse contro il muro più vicino.
Caitlin provò a urlare, ma non ci riuscì.
Lo sconosciuto era decisamente più forte di lei e le stava facendo chiaramente segno di stare zitta.
-Non voglio farti del male, Caitlin. –le disse sottovoce l’uomo. –Ma devi stare zitta, altrimenti attirerai la loro attenzione.-
Caitlin sgranò gli occhi, sempre più impaurita. Quel tipo conosceva il suo nome.
-Promettimi che non ti metterai a urlare. – disse poi, allentando la presa su di lei.
Caitlin fece quello che avrebbero fatto tutti. Fissò lo sconosciuto negli occhi e annuì.
Lui la osservò per qualche secondo e poi la lasciò andare.
-Non ti muovere da lì.- l’ammonì.
Lo vide sporgersi verso il vicolo in cui qualcuno aveva chiaramente usato una pistola e poi ritornare in fretta nel punto in cui si trovava prima.
-Se ne sono andati. – osservò, passandosi una mano nei capelli.
Scosse la testa e poi posò di nuovo il suo sguardo su di lei, fissandola intensamente. -Si può sapere che diavolo ci fai in giro da sola a quest’ora?-
Caitlin non riuscì a dire una parola.
Era ancora troppo spaventata da quello che era appena successo e sapere che quel tipo conosceva il suo nome la faceva sentire ancora più inquieta.
Poi si ritrovò a pensare che se lui avesse voluto farle del male, molto probabilmente lo avrebbe già fatto e quel pensiero le diede una speranza.
Che diavolo stava succedendo allora?
Era stato ucciso qualcuno a pochi metri da lei?
Chi era quell’uomo? E come faceva a conoscere il suo nome?
Prese un respiro profondo e si concentrò su di lui, prendendosi qualche secondo per osservarlo meglio.
Era molto più alto di lei, indossava jeans scuri e un giubbotto di pelle nero.
Non avrebbe saputo di dire di che colore fossero i suoi occhi e i suoi capelli perché c’era davvero poca luce in quel momento, ma da quel poco che riusciva a vedere era un tipo atletico e muscoloso.
-Allora?- la incalzò lui, costringendola a guardarlo negli occhi.
Caitlin deglutì nervosamente. –Chi sei?-
Lo sconosciuto scosse la testa. –Che ci facevi in giro a quest’ora?-
-Come fai a conoscere il mio nome? – rispose invece lei, facendogli altre domande. -Cosa è successo in quel vicolo?-
Lo sconosciuto sospirò. –Ti riporto a casa.- mormorò, senza rispondere a nessuna delle sue domande. -È tardi.-
Caitlin scosse la testa. Non aveva nessuna intenzione di fargli vedere dove abitava.
E poi voleva sapere cosa era successo pochi minuti prima a pochi passi da lei.
-Tu sai chi è stato?- chiese, accennando al vicolo alla sua destra. – È morto qualcuno?-
L’uomo si lasciò sfuggire un’imprecazione. -Caitlin, devi stare fuori da questa storia.-
-Dobbiamo chiamare la polizia. –obiettò lei. –Dobbiamo raccontare....-
Lo sconosciuto si avvicinò pericolosamente a lei e la inchiodò con lo sguardo.
-Stanne fuori, Cat.-
 -Io non ti conosco. – disse Caitlin. –Non so chi sei e non so come fai a conoscere il mio nome, ma so che dobbiamo chiamare la polizia e raccontare tutto.-
-No.- insistette l’uomo. –Tu adesso te ne vai dritta a casa e ti dimentichi quello che è successo.-
-Ma forse è stato ucciso qualcuno!- protestò Caitlin, col cuore in gola. –Tu hai visto qualcosa?-
Sentì l’uomo sospirare. –È stata uccisa una persona, Caitlin. E l’assassino non ci penserebbe due volte a uccidere anche a te se sapesse che hai visto o sentito qualcosa. Quindi ora tu prendi le tue cose e te ne vai dritta a casa, facendo finta che tutto ciò non sia mai accaduto.-
Caitlin sentì le gambe cedere. Appoggiò la schiena al muro alle sue spalle e chiuse gli occhi.
Era stato ucciso qualcuno a pochi metri da casa sua.
Un uomo che lei non conosceva le aveva chiaramente impedito di capire e vedere cosa fosse successo e l’aveva allontanata bruscamente dalla scena del crimine.
Sembrava la conoscesse, ma era anche vero che lei non conosceva lui.
Era sulla trentina e aveva un accento strano, ma era abbastanza sicura di non averlo mai visto in vita sua.
Adesso voleva impedirle di chiamare la polizia e la stava caldamente invitando a tornare a casa e a dimenticare tutto.
Che diavolo avrebbe dovuto fare?
Pensò a suo fratello.
Un ragazzo di diciassette anni che aveva perso i genitori come lei solo due anni e mezzo prima.
Pensò al fatto che dovesse proteggerlo e che non potesse finire nel mirino di un pericolo assassino solo perché aveva sentito uno sparo mentre tornava a casa.
Litigò a lungo con la sua coscienza.
Sarebbe riuscita davvero a fare finta di niente pur sapendo che qualcuno era stato ucciso a pochi passai da lei?
Dannazione.
-Chi sei?- si ritrovò a chiedere infine allo sconosciuto, sforzandosi di non pensare a sé stessa e alla sua famiglia.
L’uomo si lasciò sfuggire un sorriso. –Non importa chi sono io.- disse. -L’unica cosa che importa è che tu e tuo fratello siate al sicuro.-
Caitlin sobbalzò. Quell’uomo conosceva il suo nome e sapeva anche che lei aveva un fratello?
In quel momento ebbe paura. Chi diavolo era quel tipo?
-Ti scorto fino al portone.- le disse, strappandola ai suoi pensieri.
-Non ce n’è bisogno. – si affrettò a dire Cat, sempre più spaventata.
-So dove abiti. –l’avvertì lui. –Ti accompagno.-
Caitlin imprecò nella sua testa. Non voleva che lui l’accompagnasse a casa.
Smise di agitarsi quando lo vide incamminarsi nella direzione in cui sarebbe dovuta andare.
Allora era vero che sapeva dove abitava.
Quel pensiero la spaventò.
Quel tipo sapeva troppe cose su di lei, ma lei non sapeva nulla di lui.
Allungò il passo e lo raggiunse.
Camminarono in silenzio, ognuno perso dietro ai suoi pensieri.
Caitlin non riusciva ancora a crederci. Stava permettendo a un tizio di cui non conosceva nemmeno il nome di scortarla fino a casa.
Eppure c’era qualcosa in lui che la faceva sentire al sicuro. Si chiese cosa fosse.
-Non metterti nei guai.- mormorò a un certo punto lo sconosciuto, fermandosi a pochi centimetri dal portone di casa sua.
Caitlin lo osservò meglio sotto la luce del lampione.
I suoi capelli erano scuri, non molto lunghi, e i suoi occhi castano scuro la stavano scrutando attentamente.
Non poté fare a meno di notare che era davvero un bell’uomo.
Quel pensiero la fece arrossire.
Lo vide alzare una mano nella sua direzione e poi scuotere la testa, lasciandola ricadere lungo il fianco.
Sembrava quasi che volesse accarezzarla.
-Non devi girare da sola a quest’ora, Cat.- disse a bassa voce. –È pericoloso.-
Caitlin non ebbe il tempo di dire nulla.
Lo sconosciuto tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni e aprì il portone di fronte a loro in pochi secondi.
-Va’ a casa e non pensare mai più a questa storia.-
Caitlin si chiese se quell’uomo abitasse nel suo stesso palazzo e poi lanciò un’occhiata all’orologio, preoccupandosi per il fratello.
Erano quasi le due.
Quando rialzò lo sguardo, l’uomo si era già allontanato da lei.
Soffocò l’impulso di chiamarlo ed entrò nel palazzo.
 
Quando si richiuse la porta di casa alle spalle, il cuore smise di battere all’impazzata.
Non riusciva a capire.
Cosa era successo quella sera?
Chi era quell’uomo? Come faceva a conoscerla?
Aveva così tante domande e così poche risposte che la sua testa sembrava per scoppiare.
Abbandonò la borsa sul divano e poi si lasciò sfuggire un sospiro.
-Cat?- la chiamò suo fratello, riportandola al presente.
Matt entrò in salone con il telefono in mano.
-Sono due ore che provo a chiamarti. – sbottò, decisamente arrabbiato. –Che diavolo è successo?-
Matt era solo un adolescente, ma a volte si preoccupava per lei come avrebbe fatto qualsiasi fratello maggiore.
Da quando lui e Caitlin avevano perso entrambi i genitori in un incidente stradale due anni e mezza prima, lui aveva sviluppato un forte senso di protezione nei suoi confronti che a volte era difficile da spiegare.
Più che altro perché era lei la sorella maggiore. Spettava a lei prendersi cura di lui e non il contrario.
-È stata una lunga serata. – mormorò, omettendo il fatto che Thomas l’avesse licenziata.
Matt la guardò con i suoi grandi occhi azzurri. Gli stessi che aveva anche lei e un tempo la loro madre.
-Cosa è successo?- le chiese, sinceramente preoccupato.
-Ho dovuto combattere con un’orda di ragazzini viziati per due ore. –mentì Caitlin, sforzandosi di sorridere. –Non ne potevo più. –
Matt sorrise. –Tutto bene?- le chiese poi, posando il telefono sul tavolo alla sua destra.
Caitlin si schiarì la voce.
In realtà Matt le stava chiedendo come fosse andato il viaggio di ritorno.
Lo faceva sempre, come se chiederglielo lo facesse sentire più tranquillo.
Non gli andava per niente a genio che lei dovesse rincasare tutti i giorni a quell’ora della notte e sapere che il suo capo non le avesse mai fatto fare il turno del pranzo lo faceva infuriare ancora di più.
-Sì, sì. – mentì di nuovo. –Tutto liscio.-
Matt scosse la testa e poi sbuffò. –Ha intenzione di parlarci prima o poi con Thomas o lo devo fare io?-
-In che senso?-
-Non ci provare, Cat.- l’avvisò  suo fratello. –Perché devi starci sempre tu la sera al locale? Thomas non può invertire i turni e farti andare di giorno?-
Caitlin alzò le spalle, sinceramente perplessa. In effetti il locale era aperto anche a pranzo e lei non aveva mai capito come mai le toccassero sempre i turni di sera.
-Non lo so. – ammise alla fine.
Vide suo fratello passarsi una mano nei suoi capelli biondi e poi alzare gli occhi al cielo.
-Devi trovarti un altro lavoro, Cat. –mormorò. -Non possiamo andare avanti così.-
Caitlin sospirò.
Non poteva parlare con Matt di quello che era successo quella sera.
E non poteva dirgli nemmeno che Thomas l’aveva licenziata e le aveva promesso di farla assumere da sua sorella.
Prima di tutto perché non voleva farlo agitare e poi perché in fondo lei un lavoro in mano ancora non ce l’aveva.
Doveva aspettare. Doveva aspettare e pregare che la sorella di Thomas la chiamasse il giorno dopo per offrirle un lavoro.
-Domani c’è scuola. – disse dopo un po’, lanciando un’occhiata all’orologio. -È ora di andare a dormire.-
Matt annuì. Era l’unico adolescente ad aspettare sveglio che la sorella rientrasse dal lavoro e anche l’unico a non fare storie quando gli si diceva che era ora di andare a dormire.
Gli sorrise dolcemente e poi si avvicinò a lui per abbracciarlo.
-Basta così. – disse Matt, sciogliendosi dall’abbraccio.
Caitlin scoppiò a ridere. –Buonanotte fratellino.-
-Notte, Cat.-
Lo vide dirigersi in camera sua e poi spegnere la luce, dimostrandole che si stava chiaramente mettendo a letto.
Caitlin ne approfittò per andare in bagno e struccarsi.
Quando osservò la sua immagine riflessa nello specchio non poté fare a meno di sospirare.
I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti in una coda di cavallo disordinata, i suoi occhi azzurri erano meno vivaci del solito e in quel momento il suo colorito non era roseo come sempre.
Aveva davvero una pessima cera, dannazione.
Si struccò in quattro e quattr’otto e poi si diresse in camera.
Mentre si cambiava per mettersi a letto si ritrovò a pensare a tutto quello che le era successo quella sera.
Aveva perso il lavoro, assistito in parte ad un omicidio e incontrato un uomo che non solo la conosceva, ma sembrava anche volerla proteggere.
Se lo avesse raccontato a qualcuno, l’avrebbero sicuramente presa per pazza.
Si infilò sotto le coperte e spense la luce.
Il giorno dopo avrebbe chiamato il detective Allen e gli avrebbe raccontato tutto.
Era l’unico di cui poteva fidarsi.
 
Il giorno dopo si svegliò di soprassalto.
Si affrettò ad accendere la luce in camera e poi si guardò intorno, spaventata.
Aveva sognato che qualcuno si intrufolava nella sua stanza per rubarle un libro che suo padre le aveva regalato poco prima di morire per poi scappare di corsa prima che lei potesse chiamare nessuno.
Non aveva idea del motivo per cui avesse fatto un sogno del genere, ma l’idea che qualcuno potesse portarle via uno dei ricordi più cari del padre la mandava davvero fuori di testa.
Prese un respiro profondo e poi lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro di fronte al suo letto.
Erano quasi le otto.
Si infilò una vestaglia e andò in cucina, accertandosi che Matt fosse già andato via.
Si era svegliata talmente tardi che non aveva fatto nemmeno in tempo a salutarlo.
Si ripromise di chiamarlo non appena lui l’avesse avvertita che era arrivato a scuola.
Decise quindi di prepararsi un caffè e poi di chiamare il detective Allen.
Era stato lui due anni prima a dirle che i suoi genitori erano morti in un incidente stradale ed era stato sempre lui a dirle che per quanto possibile si sarebbe sempre preso cura di lei e di suo fratello.
All’epoca Caitlin aveva solo ventidue anni e una gran paura della vita.
Poi il detective Allen le aveva dato una mano a trovare un lavoro e riorganizzare la sua vita e a quel punto Caitlin aveva smesso di avere paura e si era rimboccata le maniche.
Era difficile stare dietro a tutto, ma con l’aiuto del detective le cose si erano incanalate piano piano nel verso giusto.
Si chiese se Kane Allen li avrebbe aiutati allo stesso modo se sua moglie non fosse stata una cara amica della madre.
Scacciò via quel pensiero dalla testa e poi prese il telefono dalla borsa.
Il detective Allen rispose al secondo squillo.
-Caitlin.- la salutò con voce allegra. –Come stai?-
Caitlin si schiarì la voce. –Non tanto bene.-
-Che succede?-
Caitlin prese un respiro profondo e poi raccontò gli raccontò tutto, tralasciando solo la parte in cui uno sconosciuto che lei non aveva mai visto in vita in sua l’aveva avvicinata per cercare in tutti i modi di proteggerla.
Non si domandò come mai la sua testa si fosse rifiutata di raccontare quel particolare al detective Allen.
Qualcosa le diceva che fino a quando lei prima non avesse capito cosa era successo, la cosa migliore da fare era tenerselo per sé.
-Abbiamo già avuto una segnalazione, Cat.- disse Kane quando lei smise di parlare.- Ce ne stiamo occupando.-
Cat si insospettì. Chi aveva segnalato l’omicidio? Lo sconosciuto misterioso? E chi era la vittima?
Decise di chiedere solamente quest’ultima cosa. –Si sa chi è la vittima?-
Sentì il detective sospirare. –Sono in corso delle indagini, Cat. Non posso dirti nulla.-
Cat si sforzò di non sospirare un’altra volta.
Prima che potesse dire qualcosa, Kane l’anticipò. –Stai bene?-
-Più o meno. –rispose Cat.
-Hai rischiato grosso, Caitlin. –continuò il detective. –Avrebbero potuto uccidere anche te.-
-Per fortuna non è successo.- si limitò a dire Caitlin. –Devono raccogliere la mia deposizione?-
Kane Allen si schiarì la voce. –Per il momento non ce n’è bisogno.- rispose, evasivo.
-Perché?-
-Perché non hai visto niente, Cat.- disse il detective. –Giusto?-
-Giusto.-
-Hai solo sentito il rumore di uno sparo.-
-Esatto.-
-E allora per il momento non è il caso che ti esponi. – disse il detective. –Se avremo bisogno della tua dichiarazione, ci penserò io stesso a raccoglierla.-
Caitlin si chiese come mai il detective fosse così preoccupato per lei da non voler raccogliere affatto la sua deposizione.
-Adesso devo andare, Cat. Non ti cacciare nei guai.- l’ammonì.
-Va bene.- lo rassicurò Caitlin.
Sentì il detective riagganciare.
Posò il telefono sul ripiano della cucina e si sedette su una sedia per bersi il suo caffè.
Aveva parecchie cose a cui pensare.
Doveva studiare per un esame difficile, preparare il pranzo, pagare le bollette e infine aveva bisogno di tempo per riflettere su quanto era accaduto la sera prima.
Non fece in tempo però a fare nessuna di queste cose che il suo telefono iniziò a squillare.
Rispose chiedendosi chi fosse.
-Signorina Foster?- chiese una voce femminile che lei non conosceva.
-Sì?-
-Salve, sono Abigail Fisher, la sorella di Thomas.- si presentò la donna.
Caitlin tirò un sospiro di sollievo. Era la sorella di Thomas che la chiamava per offrirle un lavoro.
-Buongiorno Abigail.- la salutò Cat,  sentendosi all’improvviso più tranquilla.
-Signorina Foster io l’ho chiamata per due motivi.- iniziò a dire la sorella di Thomas, con voce rotta.
Caitlin sentì il cuore battere più velocemente.
-Innanzitutto la chiamo perché Thomas...mio fratello...vede, lui è...mi scusi...– disse soffiandosi il naso all’altro capo del telefono. –Non so come...-
-Signora Fisher?- la chiamò Cat, preoccupata. –Sta bene?-
-No, Caitlin.- disse Abigail Fisher, singhiozzando. –Mio fratello è morto.-
Caitlin rischiò di far cadere il telefono a terra, sconvolta.
-Morto?- ripeté, appoggiando una mano sul tavolo della cucina.
Abigail si soffiò il naso un’altra volta e poi confermò quello che le aveva detto due secondi prima.
-Come...come è successo?- farfugliò Caitlin, confusa. –Io ci ho parlato ieri sera. Lui era...era...-
-È stato ucciso.- le spiegò la sorella Thomas, cercando di ricomporsi. - Ieri sera. Non sappiamo ancora chi sia stato.-
-Ucciso?-
-Sì.-
-Ma come è possibile?- chiese Cat ad alta voce. –Non capisco...-
-La polizia sta indagando.-
Caitlin scosse la testa.
Come era possibile? Thomas era stato ucciso? La stessa sera in cui lei aveva sentito il rumore di uno sparo?
Troppe coincidenze.
-Caitlin?- la chiamò Abigail, abbandonando ogni formalità. –È ancora lì?-
-Sì, mi scusi. È che...-
-Lo so.- disse la sorella di Thomas in tono comprensivo. -Siamo tutti sconvolti. Ma non l’ho chiamata solo per questo.-
Caitlin rimase in silenzio.
-Ieri sera Thomas, prima di morire credo, mi ha...mi ha chiamato per parlarmi di lei. So che il locale non sta andando molto bene in questo periodo e che purtroppo ha dovuta licenziarla.-
Caitlin annuì.
-Se non ha già trovato un altro lavoro, mi farebbe davvero piacere se lei venisse a lavorare nella mia libreria.-
-Io...- Caitlin si fermò.
Non sapeva cosa dire.
Espresse il suo stato d’animo ad alta voce.
-Basta un sì.- la incoraggiò Abigail.
Caitlin non esitò. -Grazie, signora Foster.- disse, commossa. -Grazie.-
-Chiamami Abigail.- la esortò la sorella di Thomas in tono gentile. -E non ringraziarmi. Mi fido di mio fratello.-
La sentì tirare sul con il naso e schiarirsi la voce, ripensando probabilmente alla morte di suo fratello.
-Ci vediamo tra un’ora in libreria.- disse alla fine. -Ti mando un messaggio con l’indirizzo.-
Caitlin la ringraziò di nuovo e poi attaccò.
Strinse il telefono con forza, ancora sconvolta da quello che aveva appreso.
La sera prima, a pochi metri da lei, era morto un uomo. La sera stessa in cui il suo capo era stato assassinato.
Non poteva essere una coincidenza.
Finì di bere il suo caffè e poi si andò a preparare, ricorrendo a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non piangere.
In quel momento decise di dare retta solamente a se stessa e a nessun’altro.
Doveva assolutamente cercare di capire cosa diavolo stesse succedendo.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Caitlin si fermò a pochi metri dall’ingresso della libreria.
Si accertò che in quel momento non passasse nessuna macchina e poi attraversò la strada a passo veloce.
Quella mattina ci aveva impiegato pochissimo tempo a prepararsi.
Aveva indossato il primo paio di jeans scuri che aveva trovato nell’armadio e poi una maglia rossa più pesante per evitare di rimanere solo con una maglietta a maniche corte addosso nelle ore più fredde della giornata.
Non era ancora arrivata l’estate, eppure la temperatura si alzava ogni giorno di più, soprattutto all’ora di pranzo, per poi riabbassarsi drasticamente quando il sole era ormai calato.
Entrò nella libreria senza esitare, stupendosi un attimo dopo nel vedere che non c’era nessuno.
C’erano migliaia di volumi in quella libreria, ma di Abigail neanche l’ombra.
Si guardò intorno, confusa.
Dov’era finita la sorella di Thomas?
Provò a chiamarla sul cellulare due volte, ma non ebbe risposta.
Stava per perdere le speranze quando notò una porta in fondo alla libreria aprirsi all’improvviso.
Probabilmente una porta di servizio che conduceva al magazzino del negozio.
Rimase ferma dov’era, certa che da un momento all’altro sarebbe comparsa Abigail.
Cominciò a insospettirsi quando, dopo pochi minuti, non vide uscire nessuno.
Sbuffò. Ma dove diavolo si era cacciata la sorella di Thomas?
Poi fece una smorfia, rimproverandosi mentalmente.
In fondo era una donna che aveva appena perso il fratello.
Magari si era chiusa in bagno a piangere e lei non aveva nessun diritto di giudicarla. Anzi.
Scosse la testa e si incamminò in direzione del magazzino.
Se Abigail si sentiva poco bene, lei aveva il dovere di aiutarla.
Si fermò a un metro dalla porta.
Un uomo e una donna stavano discutendo animatamente.
Riconobbe la voce di Abigail.
-Sei impazzito per caso?- stava dicendo ad alta voce, come se le avessero appena detto una cosa assurda.
-Non ho scelta.-  rispose una voce maschile a lei familiare.
Cat sussultò. Aveva già sentito quella voce.
Impossibile, pensò.
Si sporse quel tanto che le bastava per vedere al di là della porta senza rivelare però la sua presenza.
Abigail scosse la testa con decisione.
Assomigliava tantissimo a suo fratello Thomas.
Aveva gli stessi occhi verdi del fratello e la stessa espressione buona e gentile stampata sul viso.
Teneva i capelli neri raccolti in uno chignon spettinato e addosso non aveva nemmeno un filo di trucco.
Caitlin notò subito che indossava un abitino verde che richiamava il colore dei suoi occhi e un paio di ballerine nere senza tacco.
Per essere una donna sulla cinquantina, doveva ammettere che si teneva davvero in gran forma.
Ma ad attirare la sua attenzione non fu la sorella di Thomas, bensì l’uomo con cui lei stava parlando.
Era più alto di lei, ma aveva lo stesso sguardo deciso della donna di fronte a lui.
Lo riconobbe all’istante. Era lui. Era lo sconosciuto che aveva cercato di proteggerla la sera prima.
Che ci faceva lì?
Poi si concentrò su un altro particolare.
Che c’entrava quell’uomo con Abigail e Thomas?
E cosa ci faceva la sera prima a pochi passi dal luogo in cui era stata appena uccisa una persona?
-Non ho scelta.- ripeté l’uomo, passandosi una mano nei capelli.
Abigail sospirò. –Jake, è troppo pericoloso. – gli disse, preoccupata. –Sei troppo coinvolto adesso. Tuo zio non avrebbe mai voluto questo.-
Caitlin registrò immediatamente l’informazione.
Quell’uomo si chiamava Jake e in un qualche modo era coinvolto nell’omicidio di Thomas.
Poi scosse la testa.
Non poteva aver ucciso lui Thomas. Non avrebbe avuto senso.
Poi si soffermò sulle parole di Abigail e a quel punto capì.
Jake era il figlio di Abigail. E Thomas era suo zio. Come aveva fatto a non capirlo prima?
Si assomigliavano tutti in una maniera davvero impressionante.
-Non sono arrivato in tempo, mamma. –disse Jake con voce incrinata. –Credevo di avere tutto sotto controllo e invece sono arrivato troppo tardi.-
Abigail abbracciò con forza suo figlio.
-Non è colpa tua, Jake.-
-E invece sì. – osservò amaramente Jake. -Non sono arrivato in tempo.-
-Non dirlo nemmeno per scherzo, tesoro.-
Jake si passò una mano nei capelli. –Non dovrei nemmeno essere qui.- disse alla fine, cambiando totalmente argomento.
Caitlin cercò di mettere insieme tutti i pezzi, ma il quadro che ne uscì era ancora più confuso di quello che aveva prima.
L’uomo che la sera prima l’aveva in un qualche modo protetta era il nipote di Thomas.
Ma questo non bastava a spiegare tante altre cose.
-Devo andare.- disse all’improvviso Jake, costringendola a fare un passo indietro.
Non poteva farsi vedere da lui.
Andò nell’angolo più lontano della libreria e si voltò di schiena, mettendosi a sfogliare il primo libro che trovò.
Sentì madre e figlio salutarsi e poi Jake uscire dalla libreria.
Rimase immobile per diversi secondi, sperando che lui non l’avesse notata.
-Caitlin?- la chiamò Abigail, incerta.
Cat si voltò e sorrise. –Abigail?-
La donna ricambiò il sorriso. –Sei qui da molto?- chiese poi, avvicinandosi a lei.
Cat capì al volo. –Sono arrivata ora.- mentì.
Non le avrebbe mai e poi mai detto che aveva assistito a un parte della strana conversazione tra lei e suo figlio Jake.
-Perché non sei venuta a chiamarmi? Ero con mio figlio, sai...- spiegò Abigail, in tono malinconico.- Abbiamo molte cose a cui pensare in questo momento.-
Cat capì subito che si riferiva al funerale di Thomas, però non riuscì a fare a meno di pensare che ci fosse dell’altro dietro all’uccisione di suo fratello.
Thomas era una brava persona. Chi poteva avercela con lui?
E che c’entrava suo nipote Jake?
-Chi può averlo ucciso?- si ritrovò a chiedere senza nemmeno rendersene conto.
Vide Abigail sussultare. –Come?-
Cat scosse la testa. Che diavolo stava combinando?
-Io...-
Abigail la osservò in silenzio. Probabilmente si stava chiedendo come mai Cat le avesse fatto quella domanda.
-Mi dispiace. – si scusò Caitlin, sentendosi una stupida in quel momento. –Non volevo essere indelicata. È solo che volevo bene a Thomas. È sempre stato buono con me e anche quando mi ha licenziato si è preoccupato di trovarmi un altro lavoro. Non riesco a capire cosa sia successo.-
Abigail sospirò. –Era molto altruista.-
Cat annuì.
-Lo hanno trovato vicino a un cassonetto dell’immondizia, in un vicolo non molto lontano da qui. –mormorò Abigail. –Gli hanno sparato in fronte. Un colpo solo. È morto quasi subito.-
Cat chiuse gli occhi. Non osava immaginare quali potessero essere gli ultimi pensieri di una persona che stava per morire.
Poi si soffermò su un dettaglio.
-Dove è stato ritrovato il corpo?-
-In Ocean Street.-
Cat si sforzò di non mostrarsi sorpresa.
Era la stessa via da cui era partito lo sparo che aveva sentito la notte prima.
Quindi Thomas era stato ucciso vicino casa sua. E suo nipote Jake le aveva impedito di chiamare la polizia, intimandole di tornare a casa e di dimenticarsi tutto quanto.
Ma che diavolo stava succedendo?
Combatté contro il senso di nausea che cominciò ad assalirla all’improvviso.
-Tutto bene?- le chiese Abigail, preoccupata.
Si sforzò di annuire.
-Andiamo di là, così ti spiego tutto.- le disse poi, alludendo al suo nuovo lavoro.
La seguì nel suo ufficio e ascoltò in silenzio quello che lei aveva da dire.
 
All’ora di pranzo Cat era stremata.
Aveva riordinato quasi tutti gli scaffali della libreria senza fermarsi un attimo e la stanchezza cominciava ormai a farsi sentire.
-Vado a prendere qualcosa per pranzo. – la informò Abigail, costringendola a fermarsi. –Vuoi qualcosa?-
-Magari quando torni tu vado a prendere qualcosa anche io.- ripose Cat, non vedendo l’ora di prendere una boccata d’aria.
Abigail annuì e poi le disse che avrebbe fatto in fretta.
La vide prendere la sua borsa e poi uscire dal negozio.
Non appena rimase da sola diversi pensieri tornarono ad affollare la sua mente.
Quella mattina, dopo che Abigail le aveva spiegato il suo lavoro, Cat non aveva fatto altro che spostare libri da una parte all’altra della libreria, senza avere un attimo di tempo per riflettere su quello che aveva scoperto.
Ma ora che era di nuovo sola, non poteva fare a meno di riportare la mente all’uccisione di Thomas.
Sapeva poche cose su di lui.
Sapeva che era sposato con Stella da dieci anni e che purtroppo, per motivi che a lei non erano noti, nessuno dei due poteva avere figli.
Si erano promessi di amarsi fino a che morte non li avessi separati e così era stato per dieci lunghi anni.
Non aveva mai visto una coppia più affiata di loro.
Eppure ci doveva essere dell’altro. Doveva esserci.
Il proprietario di un locale che stava on grosse difficoltà doveva aver sicuramente problemi di soldi.
Un pensiero le attraversò la mente.
Possibile che si fosse messo in mano agli strozzini e che non fosse riuscito a restituire tutti i soldi?
Ma a quel punto che c’entrava Jake? Perché aveva detto alla madre che era tutta colpa sua se lo zio era morto? E perché ripeteva di non essere arrivato in tempo?
Il rumore della porta dell’ingresso che si apriva le fece sollevare la testa di scatto.
Fece un passo indietro quando si ritrovò faccia a faccia con Jake.
-Non dovresti essere qui.- le disse subito, saltando i convenevoli.
Cat lo fissò. –Tu sei il figlio di Abigail.- disse, guardandolo negli occhi e chiedendosi come facesse a sapere che lei era lì.
Poi scosse impercettibilmente la testa. Probabilmente lui l’aveva vista prima nonostante i suoi disperati tentativi di non farsi notare.
I suoi occhi scuri la fissarono a lungo.
-Perché sei qui?- le chiese Jake, ribaltando l’insegna della chiusura sulla porta della libreria.
-Che stai facendo?-
-Dobbiamo parlare.- disse Jake in tono duro.
-Che c’entri tu con l’omicidio di Thomas?- le chiese invece Caitlin.
Jake incrociò le braccia e poi scosse la testa.
-Era lui vero?- mormorò, riferendosi allo sparo che aveva sentito. - Era tuo zio.-
-Sì.-
-Perché?- si limitò a chiedere Caitlin.
-Non devi entrare in questa storia.- ripeté ancora una volta Jake. –Non saresti dovuta nemmeno passare di lì ieri sera.-
-Io abito lì.- precisò Cat.
-Lo so.-
-Abiti anche tu lì?- gli chiese, ricordandosi che lui aveva tirato fuori un mazzo di chiavi per aprirle il portone.
-No.- disse Jake secco.
Caitlin scosse la testa.
Se non abitava lì come faceva ad avere un mazzo di chiavi per entrare?
Quel pensiero la destabilizzò.
-Come fai a sapere come mi chiamo? E che ho un fratello?- chiese poi, cercando di cambiare tattica.
Forse chiedergli a bruciapelo che c’entrasse con la morte dello zio non era stata una buona mossa.
Se invece avesse iniziato col chiedergli come facesse a sapere così tante cose di lei, magari lui avrebbe abbassato la guardia e le avrebbe dato piano piano le risposte che cercava.
Lo vide dirigersi verso la stanza in cui lo aveva sentito parlare con la madre.
-Seguimi.- si limitò a dire, senza nemmeno guardarla in faccia.
Fece come le aveva detto.
Jake la portò in quello che doveva essere l’ufficio di Abigail e poi si chiuse la porta alle spalle.
Le indicò una sedia, facendo cenno si sedersi, e poi lui si andò a sedere dietro alla scrivania alla quale probabilmente Abigail lavorava tutte le sere.
Cat lo fissò. Che voleva da lei?
Jake stava aspettando che lei si sedesse.
A quel punto si sforzò di non obiettare e fece ancora una volta come le aveva detto lui.
-Devi cercarti un altro lavoro.- le disse, cogliendola alla sprovvista.
-Come?- chiese Cat, confusa.
Probabilmente aveva capito male.
-Non puoi lavorare per mia madre.- si limitò a dire Jake, incrociando le braccia al petto.
Caitlin rimase senza parole.
Lei aveva bisogno di quel lavoro. E poi per quale motivo non poteva lavorare per Abigail?
Formulò quella domanda ad alta voce.
Vide Jake vacillare.
Probabilmente si stava chiedendo se potesse dirle o meno il motivo per cui doveva cercarsi un altro lavoro.
Caitlin si concesse qualche secondo per osservarlo.
Era vestito di scuro, esattamente come la sera prima, ma alla luce del sole forse era ancora più attraente di quanto immaginasse.
Portava i capelli un po’ più lunghi del normale, i suoi occhi castano scuro avevano dei lievi riflessi ramati e il suo sguardo determinato continuava a darle quella sensazione di sicurezza che aveva provato anche la sera prima.
Si sforzò di non pensare al motivo per cui lui la facesse sentire così e si concentrò invece sulla loro conversazione.
-È pericoloso.- mormorò alla fine, senza dire altro.
-Ma che vuol dire, scusa?- sbottò a quel punto Cat, esasperata. –Io non capisco che diavolo stia succedendo. Ieri sera stavo tornando a casa quando ho sentito quello sparo. Mi sono spaventata morte. E poi sbuchi tu dal nulla, impedendomi di chiamare la polizia e chiedendomi di dimenticare tutto. Sai parecchie cose su di me, ma io non so niente di te. Vorrei sapere come fai sapere il mio nome e che ho un fratello, ma soprattutto perché ti importa che io e lui siamo al sicuro.-
Non gli diede il tempo di rispondere però. –E poi vorrei sapere anche come mai ieri sera Thomas, l’uomo più buono sulla faccia della terra, sia stato ucciso.-
Jake sospirò. –Non posso rispondere a tutte queste domande.-
-Perché?-
-Per il tuo bene.-
-Continui a ripeterlo, ma ti rendi conto che questa cosa non ha nessun senso per me?-
Jake fece un sorriso amaro. –Lo so.- sussurrò.
-E allora comincia a rispondere a qualche domanda.- lo supplicò Caitlin, non sapendo più cosa dire.
Lo vide scuotere la testa e poi posare nuovamente il suo sguardo su di lei.
-Mio zio era una brava persona. – cominciò a dire, in tono afflitto. –Ma ha avuto la sfortuna di incontrare un uomo che non lo era affatto. Diciamo che si è messo nei guai per proteggere la sua famiglia.-
Caitlin non rimase affatto sorpresa. –Si è messo in mano agli strozzini?- chiese, cercando una conferma delle sue supposizioni.
Jake abbassò lo sguardo. –Peggio.-
-Quindi tu sai chi lo ha ucciso?- chiese Caitlin, sempre più disorientata.
Se Jake sapeva cosa era successo a suo zio e chi fosse il responsabile del suo omicidio, per quale motivo non andava dritto alla polizia a raccontare tutto?
In quel momento si chiese se non dovesse farlo lei al posto suo.
Ma cosa avrebbe potuto raccontare lei alla polizia? Non sapeva praticamente nulla di quella storia.
Jake non rispose nulla. –Devi starni fuori, capito?- disse invece, in tono duro.
-Devi dirlo alla polizia.-
-Forse non mi stai ascoltando, Caitlin.- disse Jake, alzandosi dalla sedia e raggiungendola.
Cat si alzò a sua volta, ritrovandosi faccia a faccia con lui. Li separavano davvero pochi centimetri in quel momento.
-Quella gente non si fa problemi ad ammazzare persone innocenti.- affermò, guardandola dritto negli occhi. –Non ti devi esporre.-
Caitlin lo fissò per qualche secondo. Il detective Allen le aveva detto la stessa cosa. Com’era possibile?
Poi gli fece per la terza volta la stessa domanda. –Come fai a sapere il mio nome?-
-Mi ha parlato di te Thomas.- rispose Jake con un tono che non la convinse affatto.
Stava mentendo. Altrimenti perché non dirlo subito?
-Che ci facevi vicino al luogo in cui è stato ucciso tuo zio?- chiese invece, cercando di ottenere più risposte possibili.
Lo vide irrigidirsi. –Non ti riguarda.-
I suoi occhi si erano fatti all’improvviso più cupi.
-Io non...-
Non fece in tempo a dire nulla.
Jake le prese il viso fra le mani e la costrinse a guardalo dritto negli occhi.
-Non metterti nei guai, Caitlin.- disse, ripetendole quello che le aveva detto la sera prima. –Non ci sarò sempre io a proteggerti.-
-Che cosa... –
-Jake?-
La voce di Abigail interruppe bruscamente la loro conversazione.
Jake si allontanò di scatto da lei e si girò verso sua madre, che non era affatto contenta di vederli insieme.
Caitlin imprecò nella sua testa.
E se Abigail avesse pensato che stavano insieme o qualcosa del genere?
Non poteva permettersi di perdere il posto di lavoro.
-Ero venuto a prendere una cosa.- si giustificò Jake in tono sbrigativo.
Sua madre lo guardò di traverso.
-Caitlin puoi andare a prendere qualcosa da mangiare, se vuoi.- le disse la sorella di Thomas, invitandola chiaramente a lasciarli soli.
Caitlin lanciò un ultimo sguardo a Jake prima di uscire dalla stanza.
Fece di finta di uscire, ma non se ne andò.
Aprì e chiuse la porta per dare l’idea che fossi uscita, ma poi si mise nella stessa posizione in cui si era messa qualche ora prima per ascoltare quello che Jake e la madre si stavano dicendo.
-La devi lasciare perdere, Jake.- lo rimproverò Abigail, in tono duro. –Ha già sofferto abbastanza nella vita.-
Cosa?
Caitlin sussultò. Si riferiva a lei? Cosa ne sapevano di quanto lei avesse sofferto nella vita?
-Sto cercando di proteggerla.- si difese Jake.
-Sei troppo coinvolto in questa storia. –insistette sua madre. –Devi lasciare che se ne occupi qualcun altro.-
Jake scosse la testa con decisione.
-Non posso.- mormorò. –Devo cercare di proteggere almeno lei.-
Sentì Abigail sospirare. –Ci sta già pensando qualcuno, Jake. E lo sai bene.-
-Ma...-
-Niente ma, tesoro. Rischieresti solo di farla soffrire.-
-Io voglio solo proteggerla.-
-Sei sicuro?- gli chiese la sorella di Thomas. –Che stavi facendo prima allora?-
-Devo andare.-
Caitlin imprecò. Si fiondò verso l’uscita della libreria e svoltò nella prima via che incrociò, sperando che nessuno dei due l’avesse vista.
Ma di che diavolo stavano parlando Abigail e Jake?
Stavano parlando di lei?
E perché Jake continuava a ripeterle che doveva proteggerla? Da chi?
Dall’assassino di Thomas?
Con quelle e tante altre domande in testa entrò nella tavola calda più vicina per prendersi un panino.
Aveva bisogno di tempo per riflettere e forse quella pausa dal lavoro l’avrebbe aiutata.
 
Rientrò in libreria un’ora dopo, sempre più confusa e disorientata.
Dopo aver riflettuto a lungo sulle informazioni che aveva ottenuto quel giorno era giunta a due conclusioni: la prima era che Jake nascondeva qualcosa, qualcosa che in qualche modo la riguardava, e la seconda che Thomas, il caro e dolce Thomas, era morto per salvare il suo locale dal fallimento.
Questo però non spiegava che cosa c’entrasse Jake con l’omicidio dello zio e soprattutto cosa c’entrasse lei con Jake.
Sempre che si stessero riferendo a lei prima lui e sua madre. Ma a chi altri sennò?
Sbuffò. Continuava a sfuggirle qualcosa.
-Tutto bene, Caitlin?- le chiese la voce gentile di Abigail, interrompendo il flusso ininterrotto dei suoi pensieri.
Annuì. Non aveva nessuna intenzione di fare conversazione con lei, dopo aver sentito che Jake la doveva lasciar perdere.
Ma poi che cosa significava che doveva lasciarla perdere? Non si conoscevano nemmeno praticamente.
-Io chiudo alle sette di solito.- la informò poi la sorella di Thomas, cercando il suo sguardo.
Cat si sforzò di essere gentile. –Bene.- disse, accennando un sorriso. –Sono pronta a ricominciare.-
-Per oggi può bastare.-
Cat la fissò. Erano solo due e mezza.
-Ma...-
Abigail sorrise. –Non ti preoccupare. Ci penso io adesso. – la rassicurò. -Hai faticato parecchio stamattina.-
Caitlin si ritrovò suo malgrado ad annuire. In effetti era davvero stanca.
Ringraziò Abigail per la sua gentilezza e dopo aver raccolto in fretta le sue cose si incamminò verso casa.
Mentre rifletteva ancora una volta sulla conversazione tra Abigail e Jake, il suo telefono iniziò a squillare.
Controllò chi fosse e rispose subito.
-Ciao Matt.- lo salutò allegra.
Si erano sentiti solo una volta durante il giorno e aveva avuto a malapena il tempo per raccontargli tutto quello che era successo, a parte ovviamente l’incontro con Jake e la strana conversazione tra lui e sua madre.
-Ma dove sei?- le chiese subito suo fratello, preoccupato.
-Sto tornando.- rispose Cat, stupendosi di quanto suo fratello fosse premuroso nei suo confronti.
-Senti Cat, io...-
Caitlin smise di ascoltare suo fratello nell’istante esatto in cui capì che le sue gambe l’avevano portata davanti al locale di Thomas.
Non riuscì a mascherare un’espressione di stupore quando si accorse che era aperto.
-Allora, posso?- le chiese Matt, in tono supplichevole.
Cat scosse la testa, rendendosi conto di non avere ascoltato nulla di quello che lui le aveva appena detto.
-Come?-
-Ma mi stavi ascoltando, Cat?- sbottò suo fratello, seccato.
-Ehm...io... scusami tanto Matt. Che dicevi?-
Sentì suo fratello sbuffare e in quel momento se lo immaginò mentre alzava gli occhi al cielo e si spazientiva con lei perché doveva ripeterle le cose sempre due volte.
-Vorrei passare un po’ di tempo con la zia Tracie.-
Cat si sforzò di non dare in escandescenza.
-Perché?- si limitò a chiedere nel tono più calmo possibile che le usciva quando sentiva nominare la sorella di suo padre.
Tracie, che lei non aveva mai chiamato zia in vita sua, era davvero una grandissima stronza.
Aveva solo dieci anni in più di lei, ma in tutto quel tempo loro due non avevano mai legato.
E non era solo per il fatto che lei avesse un debole per suo fratello Matt. Su quello ci sarebbe potuta passare anche sopra.
Il problema era che quando erano morti i suoi genitori e lei le aveva chiesto una mano per riorganizzare la sua vita, Tracie non aveva mosso un dito, probabilmente troppo impegnata a flirtare col suo insegnante di yoga per prendersi cura di loro.
Si costrinse a non pensare a quanto l’aveva odiata in quel momento e si concentrò invece su suo fratello.
-Mi piace dove sta lei.- rispose suo fratello in tono sognante.
-Anche qui c’è il mare, Matt.- osservò Caitlin stizzita.
-Eh dai, Cat.- sbuffò suo fratello. –Non puoi avercela con lei a vita.-
-Dici?-
-Io voglio andare.-
-Facciamo che ne riparliamo stasera.-
-No, perché con te significa non riparlarne mai più.-
Cat fece appello a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non mettersi ad urlare. –Quanto?-
-Due settimane?-
-Cosa?! Non se ne parla proprio. Scordatelo.-
-Una?-
Cat scosse la testa, rassegnata. Non poteva impedire a Matt di vedere sua zia.
Era già capitato in passato che lei lo avesse invitato qualche giorno a casa sua per passare del tempo insieme, invito che ovviamente non rivolto anche lei, ma di sicuro non era mai stato per più di qualche giorno.
-E va bene.- cedette alla fine.
Matt era un bravo ragazzo, ma difficilmente si concedeva momenti di svago.
Era sempre molto serio e concentrato sulla scuola, per cui quando le chiedeva di fare qualcosa, lei difficilmente glielo negava.
-Ma se Tracie fa qualcosa di sbagliato, tu alzi il tuo bel sederino e torni qua, intesi?-
-Intesi.- rispose suo fratello, trattenendo a stento l’entusiasmo.
-Ci vediamo dopo.-
-A dopo Cat.-
Erano passati anni, eppure lei doveva ancora capire come mai a suo fratello piacesse trascorrere così tanto tempo con la zia meno zia sulla faccia della terra.
Mise da parte quei pensieri e tornò invece a osservare il locale in cui aveva lavorato per tre anni.
Notò che era aperto e quindi fece quello che probabilmente non avrebbe dovuto fare. Entrò.
Stella, la moglie Thomas, stava parlando con un uomo di mezza età.
-Perché, papà?- stava dicendo. –Perché?-
Caitlin non riuscì a decifrare il suo tono.
L’uomo si accorso di lei e non disse nulla.
A quel punto anche Stella si accorse di lei.
-Caitlin.- disse, sorpresa.
Probabilmente si stava chiedendo se avesse sentito qualcosa della loro conversazione.
-Ciao, Stella.- la salutò.
I quel momento le sembrò molto più vecchia dei suoi quarant’anni.
I suoi lunghi capelli neri era spenti e opachi e i suoi grandi occhi blu erano gonfi e rossi.
Si vedeva che aveva pianto. E a giudicare dal suo aspetto aveva pianto anche parecchio. Comprensibile visto che aveva appena perso il marito.
L’uomo con cui stava parlando la guardò per un istante e poi si concentrò su di lei.
In quel momento Caitlin capì che doveva essere il padre di Stella.
Aveva lo stesso taglio degli occhi e la stessa espressione della bocca. 
Il suo sguardo la mise a disagio. Perché la fissava in quel modo?
Sembrava come se stesse cercando di capire dove si fossero già visti, ma anche in quel caso Caitlin non aveva dubbi.
Non aveva mai visto quell’uomo in vita sua.
-Ne parliamo dopo, papà.- disse Stella, confermando i suoi sospetti.
L’uomo fece un cenno con la testa e poi venne verso di lei, diretto verso l’uscita del locale.
Caitlin fece istintivamente un passo indietro quando capì di essere sulla sua traiettoria.
C’era qualcosa in lui che non la convinceva.
Sembrava un uomo qualsiasi sulla settantina, capelli bianchi e barba curata, eppure il suo sguardo non era come limpido come quello della figlia.
L’uomo la fissò ancora una volta e poi uscì.
Caitlin rabbrividì.
-Come stai, Cat?- le chiese Stella, spezzando quella strana atmosfera.
-Come stai tu, Stella.- la corresse Caitlin, avvicinandosi a lei.
Stella la guardò e poi si strinse nelle spalle. –Non...non  sto bene, Cat.- mormorò con voce rotta.
Caitlin l’abbracciò, non sapendo bene cosa dire.
Era ovvio che non stava bene. Chi mai lo sarebbe stato dopo aver perso il proprio marito in quel modo?
-Ci vogliamo sedere un po’?- le chiese Cat, sperando che magari farla parlare la potesse aiutare in un qualche modo.
La vide annuire.
Si sedettero ad uno dei numerosi tavoli vuoti in quel momento e poi rimasero a lungo in silenzio.
Cat non voleva fare domande. Non era lì per questo.
Voleva solo aiutarla.
-Quando ci sarà il funerale?- chiese dopo un po’, sinceramente interessata.
-Domani.-
Stella si soffiò il naso, sforzandosi di non singhiozzare.
-Posso venire?-
La moglie di Thomas spalancò gli occhi dalla sorpresa. –Certo. A lui avrebbe fatto piacere, lo sai.-
In quel momento Caitlin si sforzò di non piangere.
In fondo quello che aveva detto ad Abigail era vero. Lei gli aveva voluto bene per davvero a Thomas.
E non solo perché era stato il primo a darle un po’ di fiducia ed assumerla e nemmeno perché subito dopo averla licenziata si era attivato immediatamente per trovarle un altro lavoro.
Lei gli aveva voluto bene perché lui l’aveva sempre trattata come una figlia e questo non l’avrebbe mai e poi mai dimenticato.
-Io non capisco.- mormorò, confusa. -Che cosa gli è successo?-
Stella tirò su con il naso. –Non lo so.-
-Chi poteva avercela con lui?- insistette Cat, cercando di capire qualcosa in più.- Avevate problemi di soldi?-
Poi si pentì. Come diavolo gli era venuto in mente di fare una domanda del genere?
Stella si mosse a disagio sulla sedia. –Sì, ma non c’entra nulla con la sua morte.-
-Avete chiesto aiuto a...-
-No.- la interruppe subito Stella, scuotendo la testa con decisione.
Cat le credette. Sembrava sincera.
Eppure Jake le aveva detto che Thomas si era affidato a qualcuno. A qualcuno che lui riteneva ben peggiore di qualsiasi strozzino.
Ma a chi allora?
-Mi dispiace per il lavoro.- disse a un certo punto Stella, cambiando completamente argomento.
Cat scosse impercettibilmente la testa. –Non c’è problema. Thomas...beh lui...lui ha fatto in modo che non rimanessi scoperta.- disse, sforzandosi di accennare un sorriso.
-Era da lui fare queste cose, non è vero?- disse Stella in tono triste.
Caitlin annuì.
Poi successe qualcosa. 
Il telefono di Stella squillò, ma lei non rispose.
La vide irrigidirsi e poi disattivare frettolosamente la suoneria.
-Adesso devo tornare di là.- le disse, alzandosi bruscamente dalla sedia.
Caitlin guardò di sfuggita il telefono, ma non fece in tempo a vedere il nome della persona che la stava chiamando.
Riuscì però a vedere le prime due lettere.
Una J ed una A.
Chiunque avesse chiamato Stella aveva un nome che iniziava così e lei avrebbe scommesso tutti i soldi del mondo che aveva che quella persona era Jake.
-Ci vediamo domani allora.- disse a Stella, salutandola con un abbraccio.
-A domani, Cat.- la salutò la moglie di Thomas.
Mentre usciva dal locale Caitlin si disse che Stella nascondeva qualcosa.
Cosa, non lo aveva ancora capito, ma doveva essere per forza così.
E poi perché non aveva risposto a suo nipote? Di che cosa stava parlando con il padre quando era arrivata lei?
Con mille dubbi in testa si avviò verso casa a passo svelto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
Il giorno dopo Caitlin osservò a lungo la facciata principale della chiesa in cui di lì a poco sarebbe stato celebrato il funerale di Thomas.
L’ultima volta che ci aveva messo piede, la sua vita era andata in frantumi, strappandole via le uniche persone che non avrebbe mai e poi mai voluto perdere.
Quel giorno di due anni e mezzo prima, infatti, aveva indossato il primo abito nero che aveva trovato, aveva sfoderato un sorriso che non sentiva e infine aveva stretto la mano a una serie infinita di persone che non conosceva, fingendo che andasse tutto bene e che la sua vita non stesse andando veramente a rotoli, pezzo dopo pezzo.
Ma non aveva finto di stare bene per gli altri, per dare l’impressione di essere una persona forte e in grado di gestire una simile tragedia. E non aveva finto nemmeno per stessa, che all’epoca aveva paura di tutto e di tutti.
Aveva finto per Matt, che all’epoca aveva appena quindici anni e che con la sua fragilità avrebbe avuto molto più bisogno di lei di quanto lei avesse bisogno degli altri.        
Solo alla fine di quella giornata, molto ore dopo che il funerale dei suoi genitori era finito, quando ormai intorno a lei non c’era più nessuno, si era permessa finalmente di abbassare le difese e di piangere, distrutta dalla morte improvvisa dei genitori.
In quel momento non poté fare a meno di ripensare a tutti quei momenti, provando la stessa sensazione di dolore che le aveva tolto il respiro appena un attimo prima di entrare in chiesa per dire addio una volta per tutte ai suoi genitori.
Questa volta, però, non avrebbe trovato loro due di fronte all’altare.
Avrebbe trovato Thomas, che con il suo sguardo gentile e il suo animo altruista l’aveva aiutata in più di un’occasione dopo che i genitori se ne erano andati via per sempre, alzandole lo stipendio e concedendole più di turni di quanto in realtà fosse necessario.
Lo aveva fatto per lei, per aiutarla a rimanere a galla dopo che ai genitori era stata negata la possibilità di prendersi cura di lei e di suo fratello.
Caitlin chiuse gli occhi per un istante e poi prese un respiro profondo, sforzandosi di non ripensare a quei ricordi.
Si fece coraggio ed entrò.
Non si stupì di trovare la chiesa piena di persone che erano venute a salutare per l’ultima volta l’uomo che per tre anni era stato il suo datore di lavoro.
In fondo tutti volevano bene a Thomas. Lei compresa.
Riconobbe Stella e la sua famiglia, i genitori di Thomas, Abigail  e diversi clienti del locale in cui lei aveva lavorato, probabilmente addolorati per la perdita del proprietario con cui avevano fatto piano piano amicizia.
Caitlin si mise sulla destra e poi si appoggiò ad una colonna in fondo alla chiesa, decisa a rimanere in disparte per tutta la funzione.
Continuò a guardarsi intorno fino a quando la celebrazione non ebbe inizio.
A quel punto ascoltò in silenzio quello che il prete aveva da dire e si concesse di piangere solo alla fine, quando andò a salutare per l’ultima volta Thomas.
Quando la funzione finì, lei si avviò a passi decisi verso l’uscita della chiesa.
-Caitlin?- la chiamò all’improvviso una voce femminile alle sue spalle, costringendola  a fermarsi.
Caitlin si voltò. -Ciao, Stella.- disse, accennando un sorriso triste.
Notò che la moglie di Thomas aveva gli stessi occhi gonfi e rossi del giorno prima e che a differenza della maggior parte dei presenti non indossava nulla di nero. Accanto a lei c’erano sia la madre che il padre.
-Sei venuta.- le disse Stella, accennando un sorriso che non le arrivava fino agli occhi.
-Non potevo mancare.-
La vide annuire e poi girarsi verso i genitori.
-Conosci i miei genitori?- le chiese poi, presentandole entrambi. –Forse ieri hai incrociato mio padre.-
Caitlin strinse la mano a entrambi, cercando di non guardare nessuno dei due in particolare.
-Sì, ci siamo visti ieri.-
Lanciò un’occhiata al padre di Stella e notò che lui la stava ancora guardando, esattamente come aveva fatto il giorno prima.
Ignorò le sue occhiate e poi si rivolse a Stella. –Mi mancherà.- mormorò, riferendosi a Thomas.
Stella aveva gli occhi lucidi. –Anche a me.-
-Oh, tesoro.- disse la madre, stringendole un braccio intorno alle spalle.
Caitlin le strinse la mano, cercando di trasmetterle una forza che in quel momento non aveva nemmeno lei.
-Sei la figlia di John Foster?- le chiese a un certo punto il padre di Stella, facendola trasalire.
Si girò verso di lui, sorpresa.
Il padre di Stella conosceva suo padre? Era quello il motivo per cui continuava a guardarla come se la conoscesse?
-Conosceva mio padre?- gli chiese, mossa da una sincera curiosità.
Il padre di Stella la fissò per qualche secondo, come se stesse ricordando qualche episodio in particolare.
-Conoscevo molto bene tuo padre.- rispose poi, guardandola negli occhi.
Caitlin incrociò le braccia al petto.
Strano, pensò.
Lei non aveva mai visto né sentito parlare di lui in tutti quegli anni.
Eppure conosceva tutti gli amici di suo padre. Possibile che non lo avesse mai incrociato?
Poi le venne un dubbio.
-Lavoravate insieme?- chiese, cominciando finalmente a capire.
-Si può dire così.- le rispose il padre di Stella, senza aggiungere altro.
A Caitlin questo bastò.
Suo padre era un medico e aveva collaborato con tantissime persone nell’arco della sua breve carriera.
Non si stupiva che il padre di Stella fosse una delle tante.
-Adesso devo proprio andare.- disse alla fine, cominciando a sentire una certa urgenza.
Ritornare nella chiesa in cui era stato celebrato il funerale dei suoi genitori era stata davvero una dura prova per lei e incontrare una persona che aveva lavorato con suo padre non aveva fatto altro che ricordarle quanto le mancassero sia lui che la madre.
Salutò in fretta Stella e i suoi genitori e poi uscì dalla chiesa passo veloce.
Scese gli scalini che precedevano l’ingresso e poi si diresse verso il parco in cui si era rifugiata anche il giorno in cui erano morti i suoi genitori.
Si sedette sulla panchina più lontana e poi chiuse gli occhi, trattenendo a stento le lacrime.
Perché quel tizio si era messo alla guida di quel tir ubriaco? Perché aveva travolto l’auto dei suoi genitori senza dar loro la possibilità di sterzare e salvarsi? Perché aveva strappato via in quel modo a lei e suo fratello i loro unici punti di riferimento?
Con quelle strazianti domande in testa si mise a piangere, incapace di tenere a freno le emozioni.
Pianse a lungo, senza badare alle innumerevoli occhiate che le persone le stavano lanciando.
Pianse per i suoi genitori, Margaret e John Foster, pianse per Thomas e infine pianse per se stessa, chiedendosi come mai il destino fosse stato tanto crudele nei suoi confronti.
Quando il dolore sembrò attenuarsi, le lacrime diminuirono e i suoi polmoni tornarono a funzionare regolarmente.
Alzò lentamente la testa e prese lunghi respiri profondi, cercando in tutti i modi di ricomporsi.
Non le succedeva quasi mai di pensare alla notte in cui erano morti i suoi genitori, ma quando le capita le emozioni che provava erano sempre le stesse, rabbia e dolore insieme.
Rabbia nei confronti dell’uomo che li aveva travolti e uccisi e dolore per la perdita improvvisa delle uniche persone che non avrebbero mai e poi mai smesso di prendersi cura di lei e del fratello se solo avessero potuto.
Ma quella possibilità gli era stata negata e sapere che il responsabile della loro morte era rinchiuso in una prigione a poche miglia dal luogo in cui era avvenuto l’incidente non era abbastanza per lei.
Avrebbe voluto fargli provare lo stesso dolore che aveva provato lei quando il detective Allen era venuto a comunicarle la morte dei suoi genitori.
Solo a quel punto forse sarebbe riuscita vivere in pace con se stessa e con glia altri.
Ma questo non era possibile e continuare a pensarlo le avrebbe fatto solo del male.
Scacciò via quel pensiero dalla testa e poi sguardò intorno, rendendosi conto che nel parco era rimasta solo lei.
Stava per alzarsi dalla panchina in cui era stata seduta a lungo quando un paio di occhi scuri incrociarono i suoi.
Sussultò, riconoscendo immediatamente la persona a cui appartenevano.
Il figlio di Abigail Fisher stava camminando a passi decisi verso di lei.
Cercò di ragionare in fretta.
Poteva alzarsi subito e allontanarsi prima che lui la raggiungesse oppure poteva rimanere lì e scoprire cosa avesse da dirle, nella speranza di capire cosa c’entrasse lui con la sua vita.
Fu Jake a decidere per entrambi.
La raggiunse in pochi secondi e si sedette accanto lei, guardando dritto davanti a sé.  
Caitlin si voltò verso di lui.
Indossava un paio di pantaloni scuri e una maglia grigia. Sopra il suo immancabile giubbotto nero.
-Non ti ho visto al funerale di Thomas.- osservò lei, perplessa.
Jake si voltò lentamente verso di lei. –Perché stavi piangendo?- le chiese, ignorando del tutto la sua domanda.
Caitlin rimase senza parole. L’aveva vista piangere? Da quanto tempo la stava osservando?
-Mi stavi spiando?- chiese, sempre più sconvolta dal suo atteggiamento.
Come mai le ronzava intorno? Che cosa voleva da lei?
Jake scosse lievemente la testa, incapace di mascherare un sorriso triste.
-Non mi hai risposto.-
Questa volta fu Caitlin a scuotere la testa. –Tu non rispondi mai a nessuna delle mie domande.- lo rimbeccò. -Non ti dovrebbe sorprendere più di tanto la cosa visto che sei il primo a farlo.-
Caitlin non ebbe il tempo di capire cosa stava succedendo.
Jake le accarezzò il viso dolcemente e poi la baciò, cogliendola alla sprovvista.
Un bacio lieve, quasi impercettibile, che però le fece battere il cuore più velocemente.
Caitlin si scostò bruscamente da lui. –Chi sei?-gli chiese, arrabbiata. –Che diavolo vuoi da me?-
Non aveva nessun diritto di baciarla. Nessuno. Lei non sapeva niente di lui e per qualche strano motivo lei voleva che le cose rimanessero così.
In fondo non era stata proprio Abigail a dirlo? Che lui l’avrebbe fatta solo soffrire?
In quel momento pensò che fosse giunta l’ora di conoscere la verità.
Lo fissò intensamente negli occhi e poi disse, sempre più arrabbiata:-Vi ho sentito.-
Jake allontanò la mano dal suo viso e poi sospirò. –Scusami. – mormorò. -Non dovevo.-
-Su questo non ci sono dubbi.- confermò Cat, seccata. –Io e te non ci conosciamo e vorrei che le cose rimanessero così.-
Jake sussultò.
-Vi ho sentito, comunque. – ripeté Caitlin, cercando il suo sguardo. –Tua madre ha detto che mi faresti solo soffrire. E io ho già sofferto abbastanza. Non è così?-
Jake sembrò vacillare. Poi scosse la testa. –Non parlava di te.-
-Davvero?- chiese Caitlin, ridendo amaramente. –E di chi? Sentiamo.-
-Di Stella.-
Caitlin fece per aprire bocca, ma poi non seppe cosa dire.
Stavano parlando di Stella lui e sua madre? Ma cosa c’entrava Stella con Jake?
Possibile che avessero una relazione? Ma se era così perché lui l’aveva baciata?
-Non capisco.- si limitò a dire. –Stella è tua zia.-
Jake annuì. –Sì. –annuì. -E ha appena perso suo marito.-
Caitlin continuava a non capire. –E quindi?-
-Ha già sofferto abbastanza.- rispose Jake, evitando di guardarla negli occhi.
Eppure qualcosa non la convinceva.
Caitlin cercò di ignorare il senso di nausea che aveva cominciato ad assalirla. –Avevate una relazione tu e lei?- chiese, rabbrividendo al solo pensiero.
-Cosa?! No! - esclamò Jake, sconvolto. -È questo che pensi?-
Caitlin alzò le spalle. –Io non so più cosa pensare.- ammise, limitandosi a dire la verità.
Lo sentì sospirare un’altra volta.
-La polizia sta facendo delle indagini.- cominciò a dire. –Ma non porteranno a nulla di buono.-
Caitlin si sforzò di capire, ma non ci riuscì. –Stella ha il diritto di sapere.-
Jake non rispose nulla.
-E poi, se vi riferivate a lei, perché tua madre ti ha chiesto cosa stavi facendo con me?-
Jake fece un sorriso triste. –Non parlava di te. – disse, guardando da un’altra parte.
Caitlin non gli credeva. Non avrebbe saputo spiegare per quale motivo, ma non gli credeva affatto.
-Perché mi hai baciato?- gli chiese invece, riportando il suo sguardo su di lei.
-Un errore.- rispose Jake, ferendola. –Non avrei dovuto.-
Caitlin chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì Jake la stava fissando.
-Io non ti conosco.- sussurrò, abbassando per un attimo le difese che si era costruita con tanta fatica.
-È vero.- confermò Jake, in tono amaro.
-Ma tu sai alcune cose di me.-
Lo vide scuotere la testa. –Lo zio Thomas parlava spesso di te. Diceva che eri la sua dipendente preferita.-
-Ma io non ti ho mai visto.- replicò Caitlin, chiedendosi se lui stesse dicendo la verità.
Jake  annuì ancora una volta.- Hai ragione, ma io ti ho vista più di qualche volta al locale. Mi è capitato spesso di passare lì nei paraggi e di dare un’occhiata dentro. Non ci ho messo molto a capire chi fossi.-
Caitlin si fermò. Quello che le stava dicendo Jake aveva un senso. Possibile che si fosse immaginata tutto?
Ma perché lui l’aveva baciata allora? Era interessato a  lei?
E cosa ci faceva a pochi metri dal vicolo in cui era morto suo zio?
-Ammesso e non concesso che quello che mi hai appena detto sia vero...- cominciò a dire Cat, incerta. –Che cosa ci facevi vicino al luogo in cui è morto tuo zio? E perché non volevi parlare con la polizia?-
Jake scoppiò a ridere, una risata amara, che lei non riuscì affatto ad interpretare.
-Non pensare a questa storia, Caitlin.- le disse, come se volesse darle un consiglio. –Lascia stare.-
-Ma se tu sai qualcosa, devi parlare.- protestò Caitlin, sconvolta dal suo atteggiamento di chiusura. –Io conosco una persona che potrebbe aiutarci. È un detective davvero in gamba e una persona di cui mi fido ciecamente. Posso provare a...-
Jake le strinse una mano con la sua, interrompendo bruscamente quello che lei stava dicendo. –Stanne fuori, Cat.-
-Ma...-
-Niente “ma”, Caitlin. La polizia sta già indagando. –la interruppe di nuovo Jake, allentando la presa. –È solo questione di tempo.-
Caitlin non ebbe il tempo di fare ulteriori domande.
Jake ritrasse la mano e si alzò dalla panchina. –Andiamo a mangiare qualcosa.-
Cosa? Jake la stava invitando a pranzo?
A quel punto si alzò anche a lei.
Prima la baciava, poi le diceva che era stato un errore e adesso la invitava fuori?
Che diavolo voleva da lei?
-Che intenzioni hai?- gli chiese, andando dritta al punto.
Jake capì immediatamente a che cosa si stesse riferendo.
-Hai ragione tu.- rispose, senza mai abbassare lo sguardo. –Io so alcune cose di te, ma tu non sai niente di me.-
Caitlin annuì, facendogli segno di andare avanti.
-Mangiare un boccone insieme può essere un modo per conoscersi meglio.-
-A quale scopo?- gli chiese, perplessa.
-Non  quello che pensi tu.- rispose Jake, sincero.
-E che cosa penso io?-
-Non ho nessun secondo fine e non ho nessuna intenzione di iniziare una relazione con te.- rispose, parlandole schiettamente.
Caitlin sussultò, sorpresa dal tono duro con cui lui aveva chiarito le sue intenzioni.
-E quel bacio?-
Jake si passò una mano nei capelli.- Come ti ho già detto, è stato solo un errore.-
-Quindi tu baci tutte le ragazze che incontri?-
Jake la fissò a lungo. –No.- rispose. –Solo quelle che cercano in tutti i modi nascondere le loro emozioni, ma alla fine si ritrovano a piangere da sole disperatamente in mezzo a un parco pieno di persone-
Caitlin scosse la testa. –Perché lo hai fatto?-
-Non lo so.-
-Non è una risposta.-
-Ti ho visto piangere, ok?- sbottò Jake, alzando le spalle. –Mi sembravi disperata e non ho potuto fare a meno di pensare che non ti meriti di versare nemmeno mezza lacrima, né ora né mai..-
Caitlin si voltò da un’altra parte, incapace di guardarlo negli occhi in quel momento.
-Mi sei sembrata sola e persa e mi è venuto istintivo accarezzarti il viso e darti un bacio.- continuò Jake, scuotendo la testa. -Ma ho sbagliato e non vorrei che le mie intenzioni fossero fraintese.-
-E quali sarebbero le tue intenzioni?-
-Conoscerti meglio-  rispose Jake, senza esitare. –Nulla di più.-
-Come...come amici, intendi?-
Lo vide annuire.
Caitlin iniziò piano piano a rilassarsi.
Jake le aveva dato delle risposte convincenti a tante domande e il fatto che non volesse stare con lei in un modo che probabilmente l’avrebbe fatta scappare a gambe levate la faceva sentire decisamente più tranquilla.
Non c’era nulla di male a mangiare un boccone con lui e se approfondire la loro conoscenza significava avere una possibilità in più di scoprire chi aveva ucciso Thomas e per quale motivo lo avesse fatto lei non si sarebbe certamente tirata indietro.
Avrebbe passato del tempo con lui e nel mentre avrebbe sfruttato qualsiasi occasione per portare avanti le sue indagini personali.
-E va bene.- acconsentì alla fine, sperando che stesse facendo la cosa giusta. –Dove vuoi andare?-
-Qui vicino c’è una tavola calda che fa dei panini da urlo.- rispose Jake, sorridendo.
Caitlin non lo aveva mai visto sorridere in quel modo e in quel momento non poté fare a meno di pensare che quello era davvero un bel sorriso.
-Andata.- disse, scacciando quel pensiero dalla testa.
Jake fece un cenno col capo. –Andiamo.-
 
Mezz’ora dopo erano seduti l’uno di fronte all’altra a un tavolo da due vicino ad un’ampia vetrata che affacciava sulla strada.
Avevano camminato per diversi minuti senza dirsi una parola fino a quando Jake non le aveva indicato il posto in cui avrebbero mangiato di lì a breve.
A quel punto avevano allungato il passo ed erano entrati, seguendo infine la cameriera che li aveva accolti all’ingresso fino al tavolo al quale aveva detto loro di accomodarsi.
Anche una volta seduti non si erano detti una parola.
Avevano consultato entrambi il menù e poi avevano ordinato senza confrontarsi su nulla.
Caitlin cominciava a sentirsi in imbarazzo, ma ormai era troppo tardi per alzarsi e andarsene via.
Si sforzò di non far trapelare il suo stato d’animo all’esterno e poi alzò lo sguardo verso Jake, che la stava fissando intensamente.
Per qualche strano motivo arrossì.
L’ultima volta che era uscita con un ragazzo era stata una settimana prima che i suoi genitori morissero.
Era andata a mangiare una pizza con un collega dell’università con cui si era già vista un paio di volte, ma prima che potessero uscire un’altra volta, il detective Allen si era presentato a casa sua per annunciarle la tragica notizia della morte dei suoi genitori e a quel punto lei aveva dovuto abbandonare tutto e tutti per dedicarsi esclusivamente al fratello e cercare di rimettere insieme i mille pezzi in cui si la sua vita aveva deciso di frantumarsi all’improvviso.
Non aveva mai più rivisto quel ragazzo e tutte le volte che lui l’aveva cercata a telefono, lei si era inventata qualche stupida scusa per tagliare corto e non vederlo.
Doveva ammettere che non si era comportata molto bene con lui, ma in quel periodo era troppo distrutta dal dolore per la perdita dei suoi genitori per poter pensare ai sentimenti degli altri.
Quel pensiero la fece incupire.
Quel giorno lei non era uscita con un ragazzo. Non era un appuntamento il suo.
Era solo un’uscita tra persone adulte che volevano conoscersi meglio e mangiare un boccone insieme.
E poi Jake era stato chiaro. Non aveva nessuna intenzione di andarle appresso.
In fondo era quello che voleva anche lei, no?
Voleva solo scoprire cosa fosse successo a Thomas, nient’altro.
Eppure in quel momento le sembrò di aver fatto una cosa sbagliata.
Si lasciò sfuggire un sospiro. Ma che diavolo stava combinando?
Era stata una pessima idea accettare la proposta di Jake. Peccato che se ne fosse resa contro troppo tardi.
-Cosa stai pensando?- le chiese Jake, strappandola ai suoi pensieri.
Caitlin si sforzò di tirare fuori un sorriso. –Ho un po’ di fame.-
Jake la fissò. –Stai mentendo.-
-Cosa?- domandò Cat, chiedendosi come avesse fatto a capirlo.
-Non stavi pensando a quello.-
-E a cosa allora?-
Jake sospirò e poi incrociò le braccia sopra al tavolo. –Avevi lo stesso sguardo malinconico che ho visto quando mi sono seduto accanto a te su quella panchina al parco.-
-Non...non è così. –farfugliò Caitlin, mentendo spudoratamente. –Ti sbagli. Stavo solo...-
-Cosa?- le chiese Jake, trafiggendola con il suo sguardo.
Caitlin si mosse a disagio sulla sedia. –Ma perché pensi sempre di sapere come mi sento? Ci siamo visti sì e no tre volte da quando ci conosciamo, eppure è come se...-
-Cosa, Cat?- chiese Jake senza abbassare nemmeno per un attimo lo sguardo.
-Volessi leggermi dentro.- rispose Caitlin, turbata. –Perché?-
Stavolta fu Jake a negare. –Non è così. Ma se tu vedessi una ragazza bellissima come te piangere a dirotto su una panchina mezza rotta in un parco pieno di persone, probabilmente ti chiederesti anche a tu che cosa le sia successo. E ti chiederesti anche come mai quella ragazza ha uno sguardo sempre triste e tiene tutti a debita  distanza.-
-Io non tengo nessuno a distanza.- ribatté Cat, sorpresa dalle sue parole.
Jake la fissò. Uno sguardo eloquente, di quelli che non necessitavano di ulteriori spiegazioni per essere interpretati.
Cat rimase in silenzio. Come aveva fatto a capire così tante cose su lei dopo averla vista solo tre volte?
-Ho perso i miei genitori due anni e mezzo fa.- si ritrovò a dire, non sapendo nemmeno lei perché stesse dicendo quelle cose a un perfetto estraneo.
Jake si irrigidì, ma non disse nulla.
A quel punto lei prese un respiro profondo e poi lo guardò negli occhi.
-Erano in macchina. –disse, con voce incrinata.  -Stavano tornando da una cena con una coppia di amici. Un camion li ha travolti. Morti sul colpo. Solo dopo si è scoperto che il guidatore era ubriaco.-
Jake allungò una mano verso di lei. Le strinse il braccio, ma non disse nulla.
La stava guardando in un modo che lei non riusciva a decifrare. Come se fosse arrabbiato, ma non era la classica espressione che tiravano fuori tutti quando lei raccontava il modo in cui erano morti i suoi genitori.
C’era dell’altro. Dell’altro che lei lì per lì non capì e che allo stesso tempo decise di ignorare.
-Ho smesso di vivere da quella sera.- disse alla fine, abbassando lo sguardo.
Non aveva idea del motivo per cui gli stese dicendo quelle cose. E forse non lo avrebbe mai capito.
Sapeva solo che per qualche strano motivo in quel momento le sembrava la cosa giusta da fare.
-Non è quello che avrebbero voluto i tuoi genitori.- mormorò Jake, allontanando di colpo la mano dal suo braccio.
Caitlin osservò il punto in cui lui l’aveva stretta e poi spostò lo sguardo sulla cameriera che si stava avvicinando al loro tavolo.
La osservò mentre posava le pietanze davanti a loro e poi la ringraziò quando, mentre se ne andava, augurò a entrambi buon appetito.
-Non devi rinunciare alla vita, Caitlin.- disse all’improvviso Jake, attirando di nuovo la sua attenzione.
Caitlin non rispose nulla.
Abbassò lo sguardo sul suo piatto e poi iniziò a mangiare, chiudendo definitivamente l’argomento.
-Come fai ad avere un mazzo di chiavi dello stabile in cui abito?- gli chiese invece, ricordandosi di quando lui le aveva aperto il portone per farla entrare nel palazzo.
-Ho abitato lì per un periodo.- rispose Jake, evitando il suo sguardo.
Caitlin gli credette, ma per qualche motivo pensò che le stesse nascondendo qualcosa.
-Non ci abiti più?-
-Ho un appartamento di proprietà, ma poi mi sono trasferito.- le spiegò senza aggiungere altro.
Cat annuì. Quella risposta aveva senso.
-Che ci facevi lì quella sera?- gli chiese dopo un po’, sperando di  ottenere qualche altra risposta.
-È un interrogatorio, Caitlin?-
Cat abbassò lo sguardo.
Si era spinta oltre e lui si era chiuso un’altra volta.
Scosse la testa e poi si sforzò di sorridere. –Com’è il tuo panino?-
Jake la fissò per un istante.
Chissà se aveva capito il suo tentativo di cambiare argomento.
Poi lo vide rilassarsi e a quel punto si rasserenò anche lei.
-Una bomba.- rispose Jake, strappandole un vero sorriso. –Il tuo?-
-Non è affatto male. –disse Caitlin, sincera.
Per un attimo fu indecisa.
Poteva continuare a rimuginare sugli stessi argomento fino allo sfinimento oppure poteva godersi il pranzo e capire qualcosa in più sull’uomo che aveva di fronte.
Per la prima volta in vita sua optò per le seconda scelta.
Quel giorno ne aveva davvero abbastanza di essere triste e di pensare a una vita che non poteva riavere.
Voleva solo distrarsi un po’ e passare del tempo in compagnia di un uomo che l’aveva fatta sentire al sicuro e che le aveva strappato uno dei pochi sorrisi veri e sinceri che Caitlin aveva fatto da quando erano morti i genitori.
-Dimmi qualcosa di te.- gli disse, arrossendo un attimo dopo essersi resa conto di quello che gli aveva appena detto.
Jake esitò e lei non poté fare a meno di pensare che la sua richiesta forse era stata inopportuna.
-Scusami, io...-
-Non ti devi scusare.- la interruppe Jake, schiarendosi la voce. –È solo che non c’è molto da dire.-
Caitlin evitò a lungo il suo sguardo. Che senso aveva invitarla a pranzo per conoscersi se poi lui non le raccontava niente di sé?
-Che lavoro fai?-
Lo vide irrigidirsi un’altra volta, come se lei gli avesse fatto una domanda scomoda.
-Aiuto mamma in libreria.-
Caitlin lo guardò storto. –Non ti credo.-
-Perché?-
-Perché se fosse vero, tua madre non avrebbe assunto me.- rispose Cat, perplessa. –O almeno credo.-
-La aiuto più che altro a tenere i conti, ma non mi troverai mai lì, se è questo quello che intendi.-
-Ah.- disse Caitlin, dandosi della stupida.
-Comunque c’è poco da dire.- disse Jake, riferendosi alla sua domanda. –Sono nato e cresciuto in questo posto. Mio padre se ne è andato via quando ero molto piccolo, quindi mia madre si è dovuta prendere cura di me da sola. Ha aperto una libreria tanti anni fa, poco dopo che lui se n’è andato.-
-Mi dispiace. –mormorò Caitlin, sincera.
Jake rise. Una risata amara, che difficilmente riusciva a nascondere il suo stato d’animo.
-A me no.- disse. –Era uno stronzo. Sono contento che se ne sia andato via.-
Caitlin non gli credette, ma non disse nulla.
Finì di mangiare il suo panino in silenzio e poi controllò che ore fossero.
Erano quasi le due.
Cavolo, pensò.
Doveva aiutare Matt a fare le valigie.
Alle quattro avrebbe preso una corriera che l’avrebbe portato dritto da Tracie e lei voleva esserci quando lui se ne sarebbe andato.
-Io devo proprio andare.- disse, cominciando ad alzarsi.
Jake la fissò. –Tutto bene?-
-Sì, sì.- si affretto a dire Cat. –Però devo tornare a casa. Devo aiutare Matt.-
Jake annuì. Chiamò la cameriera per farsi portare il conto e poi chiese a lei di aspettarlo fuori.
Si stava comportando come avrebbe fatto qualsiasi bravo ragazzo a un primo appuntamento.
Scacciò via quel pensiero e poi fece come lui le aveva chiesto.
Jake la raggiunse pochi minuti dopo.
-Ti accompagno a casa.- di si offrì, proprio come aveva fatto la sera in cui era stato ucciso Thomas.
Quelle parole le fecero tornare in mente il funerale di quella mattina e il fatto che Jake non si era presentato al funerale dello zio.
-Va bene.- disse, cedendo alla sua gentilezza. –Ma ad una condizione.-
Jake la guardò con aria incuriosita. –Sentiamo.-
-Che rispondi ad una domanda.-
-E tu adori fare domande, non è vero Caitlin?- le disse Jake, divertito.
-Forse.-
-Sentiamo allora.-
Caitlin esitò. Era il caso di fargli nuovamente quella domanda?
Alla fine non si fece scrupoli. In fondo non gli stava chiedendo nulla di male.
Voleva solo capire come mai lui non fosse andato al funerale dello zio, considerando che aveva detto a sua madre di non essere arrivato in tempo la sera in cui era stato ucciso.
Gli fece quella domanda ad alta voce.
Jake prese un respiro profondo e poi cominciò a camminare.
Caitlin allungò il passo fino a quando non lo raggiunge, affiancandolo.
-Perché non ce la facevo.- disse a un certo punto Jake, guardando dritto davanti a sé.
-Eri molto affezionato a lui?-
-Non è solo quello.-
-E allora?- lo incalzò Cat, chiedendosi come fai si fosse irrigidito un’altra volta. –Perché ti dai una colpa che non hai?-
Jake si fermò all’improvviso e poi si girò verso di lei.
-Cosa hai detto?-
Caitlin si morse la lingua. Ma che diavolo stava facendo? Non poteva dirgli che aveva sentito quello che lui aveva detto alla madre.
-È solo che..- iniziò a dire. –Quella sera era lì, quindi posso solo immaginare che..-
-Che cosa, Caitlin?- le chiese Jake, in tono duro.
-Che tu ti senta in colpa.- osò dire, sperando che lui le dicesse per quale motivo.
Era vero che lui si sentiva in colpa, ma Caitlin non aveva idea del perché.
-Stavo tornando a casa per controllare che fosse tutto apposto.- le disse.- Poi ho sentito quello sparo e ti ho vista. Volevo solo proteggerti.-
-Sapevi che si trattava di tuo zio?-
Jake scosse la testa, ma per qualche motivo lei non gli credette.
Non era stato lui a dirle che quella era gente pericolosa che non si faceva problemi a togliere di mazzo persone innocenti?
-L’ho saputo solo il giorno dopo.-
-Però sai chi è stato ad ucciderlo.-
-Non ne voglio parlare, Caitlin. –l’ammonì. –E voglio che tu resti fuori fa questa storia.-
Caitlin si lasciò sfuggire un sospiro. Non sarebbe mai venuta a capo di quella storia.
Jake riprese a camminare e lei lo seguì a ruota.
Poi le venne in mente una cosa.
-Il padre di Stella conosceva mio padre.- disse, ripensando a quello che lui le aveva detto quella mattina.
Vide Jake sussultare. –Cosa?-
-Sì, lavoravano insieme a quanto pare.- rispose Cat. –In effetti questo spiega il motivo per cui continuava a fissarmi.-
Jake si fermò un’altra volta. –In che senso?-
-Ieri sono andata al locale.- iniziò a dire Caitlin. –Stella stava parlando con suo padre, ma la conversazione si è interrotta nell’istante esatto in cui si sono accorti della mia presenza.-
Jake non disse nulla.
-Comunque Stella ha detto al padre che avrebbero parlato dopo e quindi lui se n’è andato. Mentre se ne andava però continuava a fissarmi, come se mi conoscesse.-
-Come fai a sapere che lavorava con tuo padre?- gli chiese Jake, come se fosse una questione di vita o di morte.
-Me lo ha detto lui stamattina. Dopo che è finito il funerale, ho incontrato Stella e i suoi genitori. Suo padre mi ha chiesto se fossi la figlia di John Foster e io gliel’ho confermato.-
Vide Jake irrigidirsi ancora una volta. –Perché?-
-Ho detto la verità.- disse Caitlin, alzando le spalle.
Cosa avrebbe mai dovuto dire?
-Dobbiamo accelerare il passo. – disse a un certo punto, rendendosi conto che si stava facendo tardi.
Jake non la stava minimamente ascoltando.
-Jake?-
Lui si voltò verso di lei. –Devo andare.- disse. –Scusami, ma mi sono ricordato di una cosa che dovevo fare.-
-Cosa?-
-Ti dispiace tornare a casa da sola?-
-Io...no, certo, non c’è problema.- lo rassicurò Caitlin.
Jake non la salutò nemmeno.
Lo vide incamminarsi nella direzione opposta a quella in cui sarebbe dovuta andare lei e poi tirare fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni con una certa urgenza.
Qualunque cosa si fosse ricordato, doveva essere parecchio importante e visto che non si era degnato nemmeno di salutarla.
Caitlin scosse la testa e poi si avviò verso casa.
Era stata una stupida a pensare di poter trascorre un po’ di tempo senza dover pensare ai suoi problemi.
 
Quando tornò a casa Matt aveva già fatto tutto.
Si era preparato un borsone che di solito usava per la palestra della scuola e un trolley piccolo che gli avevano regalato la madre e il padre per un viaggio scolastico alle medie.
Lo trovò seduto sul divano, alle prese col telefono.
-Matt?- le chiamò, richiudendosi la porta di casa alle spalle.
-Ciao, Cat.- la salutò, alzandosi.
-Sei già pronto?-
Suo fratello annuì. –Vedevo che non arrivavi.-
-Sì, scusami. Il funerale è durato più del previsto.-
-Hai mangiato qualcosa?- le chiese Matt, preoccupato.
-Sì, tranquillo.- rispose Caitlin, omettendo il fatto che avesse pranzato con Jake.
-È ora.- le disse poi suo fratello.
A Caitlin venne da piangere. Le succedeva tutte le volte.
-Ma perché piangi?- le chiese subito suo fratello, spazientito. –Ci vediamo tra una settimana, non tra un mese.-
-Lo so.- rispose Caitlin, sforzandosi di controllarsi. –È solo che mi dispiace quando non ti vedo per un po’.-
Matt alzò gli occhi al cielo. –È meglio se vado, altrimenti faccio tardi.-
Caitlin annuì e poi lo abbracciò forte .-Sta’ attento, ok? E se vedi qualcosa di strano, prendi e torni subito qui, intesi?-
-Non ti preoccupare, Cat.-
Lo vide prendere i bagagli e poi uscire.
Caitlin aspettò che scomparisse per le scale prima di richiudere la porta.
Come avrebbe fatto una settimana senza suo fratello?
Si sforzò di non pensarci.
Non poteva impedirgli di vivere la sua vita solo perché non lo aveva più fatto da quando erano morti i suoi.
Decise di prepararsi una tisana e di leggere un libro.
Aveva decisamente bisogno di rilassarsi.
 
Quella sera decise di ordinare una pizza e di mangiarsela a casa.
Non aveva nessuna intenzione di cucinare né tanto meno di lavare i piatti dopo.
Mangiò con la tv accesa e poi si sbrigò a prepararsi per andare a dormire.
Non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti per quanto era stanca.
Si addormentò infatti nell’istante esatto in cui la sua testa toccò il cuscino.
Dormì a lungo, fino a quando un rumore improvvisò non la fece svegliare di soprassalto.  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Caitlin si tirò su di scatto, spaventata.
Che diavolo stava succedendo in casa sua?
Non aveva la più pallida idea di che ore fossero, ma a giudicare dalla luce che filtrava dalle finestre era ancora notte fonda.
Qualcosa aveva interrotto bruscamente il suo sonno, ma lei non aveva ancora capito che cosa.
Rimase in quella posizione a lungo, senza muovere un muscolo, con il cuore che le martellava furiosamente nel petto.
Poi capì. Qualcuno si era introdotto in casa sua e stava rovistando tra le sue cose.
Cercò di ragionare in fretta, come faceva sempre in tutte le situazioni di emergenza.
Poteva accendere la luce e sperare che chiunque stesse rovistando nel suo soggiorno se ne andasse oppure poteva rimanere in camera sua e avvisare la polizia, sperando che arrivasse ben prima che l’intruso la raggiungesse nella sua stanza.
Alla fine optò per una terza scelta.
Recuperò il telefono dal comodino senza fare rumore e scrisse un messaggio al detective Allen, sperando che lui non lo ignorasse.
Chiuse gli occhi, rendendosi conto che alle tre di notte nessuno si sarebbe messo a leggere i messaggi sul telefono.
Ma chiamare la polizia non era un’opzione valida. Avrebbe rivelato la sua presenza e messo in pericolo la sua sicurezza.
Disattivò totalmente la suoneria nell’eventualità che lui le rispondesse e poi per la prima volta in vita sua si mise a pregare.
Intanto, chiunque si fosse introdotto in casa sua, a giudicare dai rumori che provenivano dall’altra stanza, stava continuando a rovistare meticolosamente tra le sue cose.
Che diavolo stava cercando?
Caitlin non poté fare a meno di chiedersi che cosa potesse rubare un ladro in una casa del genere.
Non c’era niente di valore e quei pochi soldi che riusciva a risparmiare non li teneva di certo sotto il materasso, ma al sicuro in un conto corrente acceso presso la banca più vicina a casa sua.
Prese un respiro profondo, sforzandosi di tenere a bada le emozioni.
Si accese un barlume di speranza quando il telefono si illuminò all’improvviso. Era un messaggio del detective Allen.
Non ti muovere. Stiamo arrivando.
Caitlin chiuse gli occhi. Il detective Allen stava arrivando con i rinforzi.
Grazie al cielo.
Poi fece una cosa che non avrebbe mai e poi mai dovuto fare.
Si alzò lentamente da letto e si avvicinò alla porta della sua stanza, attenta a non fare rumore.
Da quella posizione non riusciva a vedere il soggiorno, né tantomeno chiunque si fosse introdotto a casa sua, ma non erano quelle le sue intenzioni.
Voleva solo chiudere la porta a chiave e attendere i soccorsi.
Accostò la porta lentamente e poi fece girare la chiave nel modo meno rumoroso possibile, credendo quel gesto potesse tenere lontano il ladro da lei.
Poi rimase in ascolto diversi secondi.
Iniziò a dubitare che l’intruso fosse ancora a casa sua quando iniziò a non sentire più nessun rumore.
Possibile che se ne fosse andato?
Il rumore di una spinta la fece sobbalzare.
Chiunque si fosse introdotto in casa sua stava cercando in tutti i modi di aprire la porta della sua stanza.
Il suo cuore accelerò repentinamente e il respiro si fece più corto.
Non avrebbe mai e poi dovuto chiudere la porta a chiave.
Quell’imprudenza l’aveva messa in pericolo e ora non aveva la più pallida idea di che cosa potesse fare per impedire al ladro di entrare nella sua stanza.
Lanciò un’occhiata alla sedia dietro alla sua scrivania.
Poteva spostarla e metterla davanti alla porta, nella speranza che il peso impedisse alla porta di aprirsi.
Non ebbe il tempo di farlo però.
I lampeggianti di una volante sotto casa sua illuminarono la stanza.
Chiunque stesse provando a forzare la sua porta smise immediatamente di farlo e scappò via, lasciandola di nuovo sola in casa sua.
A quel punto Caitlin si sedette per terra e scoppiò a piangere, spaventata.
 
Mezz’ora dopo Caitlin sentì il detective Allen ordinare agli agenti che avevano appena perquisito casa sua di tornare in centrale e cominciare a fare dei riscontri su quanto avevano scoperto quella sera.
Chiunque avesse deciso di introdursi a casa sua non aveva minimamente trovato quello che cercava.
Non era stato rubato niente, nemmeno quei pochi soldi che aveva nel portafogli, ma la casa era completamente a soqquadro, e questo era un indice del fatto che l’obiettivo del ladro non fossero i soldi o i beni preziosi, ma qualcos’altro.
Che cosa però?, si chiese Caitlin, sempre più turbata.
Che cosa potevano volere da lei? E soprattutto chi  poteva volere qualcosa da lei?
Osservò il detective Allen accompagnare gli agenti alla porta e poi tornare da lei.
Kane Allen aveva all’incirca l’età che avrebbero avuto i suoi genitori se fossero stati vivi.
In quel momento indossava un paio di jeans e una felpa blu.
Non era molto alto, ma a differenza di quasi tutti i suoi coetanei sessantenni era ancora un tipo atletico e allenato.
Sua moglie Meredith era stata una cara amica della madre di Caitlin e la sera in cui erano stati uccisi i suoi genitori, lei li aveva invitati a cena per trascorrere del tempo tutti insieme.
Peccato che al ritorno da quella cena un tir avesse travolto i suoi genitori senza dargli nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Se lo ricordava ancora bene il momento in cui il detective aveva bussato alla sua porta e le aveva comunicato la notizia della loro morte.
Caitlin aveva sentito le gambe cedere e aveva dovuto appoggiare una mano al muro per non cadere.
A quel punto il detective era entrato dentro casa e le aveva dato una mano ad affrontare tutto quello che venuto dopo.
-Stai bene?- le chiese a un certo punto lui, guardandola con suoi grandi occhi blu.
Caitlin alzò le spalle. Non lo sapeva nemmeno lei come si sentiva.
-Che cosa volevano secondo te?- gli chiese però, non riuscendo proprio a capirlo.
Kane Allen si passò una mano nei suoi capelli biondi ormai tendenti al bianco.
-Difficile a dirsi.- rispose, sedendosi accanto a lei sul divano. –Non hanno preso niente?-
Caitlin scosse la testa.
Poi le venne un dubbio.
-Credi che c’entri con l’omicidio di Thomas?-
-Potrebbe.- rispose il detective, evitando il suo sguardo. –Ma non credo. Magari era solo un ladro che non ha trovato quello che cercava.-
In quel momento Caitlin pensò che lui le stesse nascondendo qualcosa.
-Avete trovato il suo assassino?- chiese, riferendosi a Thomas.
-Ancora no.- ammise, scuotendo impercettibilmente la testa. –Ci stiamo lavorando.-
-Credi che qualcuno mi abbia visto quella sera?- gli chiese, preoccupata.
Eppure Jake l’aveva tenuta lontana dalla scena del crimine. Chi poteva averla vista a parte lui?
Poi uno strano pensiero cominciò a prendere forma nella sua testa.
E se fosse stato Jake ad uccidere suo zio? In fondo era l’unica persona che lei aveva visto quella sera a pochi metri dal vicolo in cui era stato ucciso Thomas ed era stato anche l’unico a tenerla lontana dal punto in cui si trovava il suo cadavere.
Lei non aveva visto niente e il nipote di Thomas le aveva potuto raccontare qualsiasi cosa avesse voluto farle credere.
Ma perché allora ripetere alla madre che non era arrivato in tempo?
-Non credo.- disse a un certo punto il detective, strappandola ai suoi pensieri. –Tu hai visto qualcuno quella sera?-
Caitlin esitò. Forse era giunto il momento di dirgli di Jake.
-Io..- cominciò a dire, non sapendo bene da che parte cominciare. –Io non ti ho detto una cosa a proposito di quella sera, Kane.-
Gli occhi del detective incrociarono i suoi. –Che cosa, Caitlin?-
-Quella sera non ero sola.-
Vide il detective irrigidirsi. –Che intendi?-
Caitlin scosse la testa. Per quale diavolo di motivo non glielo aveva detto prima?
Aveva sbagliato di grosso e forse quell’errore le sarebbe costato caro.
-C’era anche il nipote di Thomas quando ho sentito lo sparo.- spiegò Cat.
Il detective Allen non reagì in alcun modo a quella notizia.
Probabilmente si stava chiedendo come mai non glielo avesse detto prima, ma per quanto assurdo potesse sembrare lui non disse una parola.
A quel punto Caitlin capì di dovergli dire tutto.
-Mi ha detto di tornare a casa e di non dire nulla a nessuno.- disse, rendendosi conto di quanto fosse stata stupida a tenersi quella cosa per sé. –Ma io ovviamente non gli ho dato retta e il giorno dopo ti ho chiamato.-
Kane Allen annuì. –Non ti devi preoccupare. –la rassicurò. –Jake Turner è apposto.-
Caitlin lo fissò con aria interrogativa. –Che significa?-
-Lui non c’entra niente con l’omicidio di suo zio.-
-Che ne potete sapere?-
Vide il detective scuotere la testa e poi accennare un sorriso. –Fidati di me.-
-Lo avete già interrogato?-
-Certo.- rispose Allen, come se la sua fosse una domanda assurda.
-Sei sicuro che non c’entra niente?- insistette Caitlin, perplessa.
Kane Allen fece uno dei suoi sorrisi rassicuranti. –Puoi starne certa.-
-Però credo che lui sappia chi ha ucciso Thomas.- replicò Cat, ricordandosi della loro conversazione.
Il detective la guardò in modo strano. –Come ti dicevo, Caitlin, ci stiamo lavorando.-
Caitlin annuì, ancora più sicura che lui le stessa nascondendo qualcosa.
-Come mai sei da sola?- le chiese poi il detective, curioso.
Probabilmente si stava chiedendo dove fosse finito suo fratello Matt.
-Matt è andato da Tracie.- spiegò Cat, incapace di trattenere una smorfia.
-Capisco.-  disse il detective. –Perché non vieni stare qualche giorno da noi, Cat? Così non stai da sola.-
Caitlin esitò. Stare qualche giorno dagli Allen l’avrebbe fatta sentire sicuramente più al sicuro, ma abbandonare la sua casa in quel momento non le sembrava una buona idea.
Aveva bisogno di un punto di riferimento e in quel momento aveva solo quelle quattro mura. Non poteva andare via. Non poteva e basta.
-Preferisco stare qui, Kane.- mormorò Cat, declinando la sua offerta.
Poi le venne in mente una cosa.
-Sono al sicuro qui?- chiese, rendendosi conto di non avergli nemmeno chiesto come avesse fatto ad entrare il ladro a casa sua.
Formulò quella domanda a voce alta.
Vide il detective annuire. –È entrato dalla finestra.- le spiegò. –Non è così difficile visto che state al secondo piano.-
Caitlin scosse la testa. –Devo far montare le inferriate, vero?-
-Sì, Cat. Non potete rischiare un’altra volta.-
-Domani chiamo qualcuno allora.-
-Sarebbe meglio.- convenne Kane. –Hai bisogno di qualcosa?-
Caitlin scosse la testa. Non aveva bisogno di niente, a parte un’aspirina e una bella dormita.
In quel momento aveva un filino di mal di testa e la tensione che aveva accumulato prima stava rivenendo fuori tutta insieme.
-Io andrei, allora.- disse il detective, alzandosi. –Sei proprio sicura che non vuoi venire a stare da noi?-
Caitlin annuì. –Mi hai salvato la vita.- disse poi, ringraziandolo.
Kane Allen l’abbracciò e poi la salutò.
-Chiuditi bene dentro e abbassa tutte le serrande.- le disse prima di andare via.
Caitlin lo accompagnò alla porta e poi fece come lui le aveva detto.
Una volta che lui se ne fu andato, si diresse in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua.
Recuperò l’aspirina dal mobiletto delle medicine e poi la mandò giù.
Non riusciva ancora a crederci.
Qualcuno era entrato a casa sua per cercare qualcosa, ma lei non aveva ancora capito di che cosa si trattasse.
Non era sicura che l’intrusione di quella notte non fosse collegata all’omicidio di Thomas, ma non aveva la più pallida idea di cosa c’entrasse lei con la sua morte.
Non aveva visto nessuno a parte Jake quella sera ed era abbastanza sicura che nessuno avesse visto lei.
Non poteva negare che per un attimo aveva quasi dubitato di lui, poi però le rassicurazioni del detective Allen l’avevano pian piano calmata.
Qualcosa non quadrava però e lei avrebbe tanto voluto sapere cosa.
Si andò a sedere sul divano, ancora troppo sconvolta da quello che era successo un’ora prima per mettersi a dormire.
Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi.
Si addormentò ancor prima di rendersene conto.
 
Il rumore del campanello della porta di casa interruppe bruscamente il suo sonno.
Aprì gli occhi lentamente, chiedendosi che ore fossero.
Quante ore aveva dormito?
Mise da parte quella domanda e si alzò, dirigendosi alla porta. Chi poteva essere?
Lanciò un’occhiata allo spioncino e sgranò gli occhi, riconoscendo immediatamente il suo visitatore.
Jake stava aspettando fuori dalla porta che lei gli aprisse.
Ma come faceva a sapere in quale appartamento abitava? Poi si diede della stupida, rendendosi conto che lui aveva un appartamento in quel palazzo.
Cercò di darsi una sistemata nel miglior modo possibile e poi aprì.
Jake era vestito in modo sportivo e la stava decisamente fissando.
Caitlin arrossì, rendendosi conto di aver indosso ancora il pigiama, un pigiama che non lasciava molto spazio all’immaginazione.
Aveva aperto la porta con una canottiera semitrasparente e un pantaloncino corto che lasciavano intravedere più di quanto riuscissero a coprire.
Dannazione, pensò.
-Posso?- le chiese Jake, incrociando il suo sguardo.
Caitlin ci rifletté un secondo. Kane Allen le aveva detto che lui era un tipo apposto e lei si fidava ciecamente di lui.
-Ehm... certo, entra.- rispose Cat, spostandosi per farlo entrare.
Jake la osservò mentre lei si richiudeva la porta alle spalle.
-Puoi darmi solo un momento?- gli chiese, imbarazzata. –Siediti pure, intanto.-
Non aspettò che lui le rispondesse.
Si fiondò in camera e si cambiò.
Non poteva intrattenere una conversazione con lui vestita a quel modo.
Quando tornò in soggiorno, vide che Jake che aveva fatto come gli aveva detto lei.
Si era seduto su un’estremità del divano e la stava aspettando.
Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, lui si irrigidì all’improvviso.
Caitlin si sedette sull’altro divano. –Allora...-
-Che diavolo è successo?- la interruppe, usando un tono secco che lei gli aveva già sentito parecchie volte da quando si erano conosciuti.
-Ehm...- disse Caitlin, non sapendo bene a che cosa lui si riferisse. –A cosa ti...-
-Sono venuti qua dentro, cazzo?- sbottò lui, interrompendola ancora una volta.
Caitlin non disse una parola. Come faceva a sapere che qualcuno si era introdotto a casa sua?
Jake sapeva sempre tutto e questa cosa le metteva ansia.
Lo vide alzarsi e poi passarsi nervosamente una mano nei capelli.
-Ti hanno fatto del male?- le chiese, avvicinandosi a lei.
-Ma tu come fai a saperlo?- rispose lei, rispondendogli con un’altra domanda.
Jake scosse la testa e sospirò. -Non siete al sicuro qui.-
-Ma di che stai parlando?-
-Tu e tuo fratello vi dovete spostare.- le disse, continuando a scuotere la testa. –Adesso sanno che abiti qui.-
-Chi?- chiese Caitlin, incapace di seguire i suoi ragionamenti.
Jake la fissò. –Dov’è tuo fratello?-
-Che cosa c’entra questo?-
-Caitlin.- rispose Jake, in tono duro. –Rispondi alla mia domanda.-
-Da mia zia Tracie, ma questo cosa c’entra con...-
-Può rimanere lì ancora per un po’?-
Caitlin non ci stava capendo nulla. –Sì, ma..-
Jake scosse per l’ennesima volta la testa e poi si sedette accanto a lei.
I suoi occhi scuri la inchiodarono dov’era. –Si stanno avvicinando sempre di più a voi.- le disse, come se per lei avessero un senso quelle parole.
-Chi, Jake?- gli chiese, preoccupata. –Non capisco.-
-Chi ha ucciso mio zio.- rispose, confermando le sue supposizioni iniziali.
-Ma perché?- chiese Cat, confusa. –Io non ho visto niente!-
Vide Jake esitare. Che cosa le stava nascondendo?
-Non lo so.- disse infine, con un tono che non la convinse affatto. –Forse ci hanno sentiti quella sera e in un qualche modo sono risaliti a noi.-
-Ma come è possibile? Tu hai detto che se n’erano andati.-
-Sì, ma a questo punto non ne sono sicuro.-
Caitlin rabbrividì. Era finita nel mirino di un pericolo assassino?
Aveva messo in pericolo la vita di sua fratello senza rendersene conto?
All’improvviso sentì il bisogno irrefrenabile di piangere.
Aveva già perso i suoi genitori. Non poteva perdere anche lui.
-È colpa mia.- iniziò a dire, cominciando a parlare a ruota libera. –Se avessi chiesto a Thomas di fare i turni del pranzo non mi sarei mai ritrovata in questa cavolo di situazione. Io devo pensare anche a Matt. Non posso mettere a repentaglio la sua vita. Che devo fare? Oddio, devo andarmene da qui. Ci dobbiamo trasferire in un altro posto, un posto in cui non ci conosce nessuno. Io devo...-
Smise di parlare nell’istante esatto in cui Jake le afferrò il viso dolcemente e la costrinse a guardarlo.
Caitlin scosse la testa, senza mai incrociare il sguardo.
-Guardami, Caitlin.- le disse. –Guardami, ti prego.-
A quel punto lei lo guardò.
-Non permetterò che ti accada nulla.- le promise. –Quanto è vero che mi chiamo Jake Turner.-
-E come?- sussurrò Caitlin, disperata.
-Fidati di me.-
A quel punto Cat andò su tutte le furie.
-Fidarmi di te?- urlò, alzandosi di scatto dal divano. –Io non so niente di te! So che mi hai tenuta lontana dalla scena del crimine e che mi hai chiesto di non dire niente alla polizia! Questo so! So che hai detto a tua madre che non sei arrivato in tempo la sera in cui è morto tuo zio e so anche che conosci me e mio fratello, ma io non so un bel niente di te!-
Jake si alzò e poi scosse la testa. –Tu non capisci.-
-Io non capisco?- sbottò Caitlin, cominciando a camminare su e giù per la stanza. –Io invece ho capito perfettamente quello che devo fare. Devo chiamare la polizia e poi.. anzi no... devo chiamare il detective Allen e chiedergli di...-
Jake si parò davanti a lei e l’afferrò per le spalle, costringendola a fermarsi. –Caitlin.- disse, guardandola dritto negli occhi. -Sono io la polizia.-
Cat si fermò nell’istante esatto in cui il cervello registrò quell’informazione.
Cosa? Jake era un poliziotto?
-Cosa hai detto?- chiese, senza provare minimamente a liberarsi dalla sua stretta.
Jake allentò la presa e poi sospirò. –Hai capito bene.-
-Ma come è possibile?- si ritrovò a dire, sconvolta.
Jake era un poliziotto. Non era mai stato dalla parte dei cattivi. Era sempre stato dalla parte dei buoni.
La sera in cui era stato ucciso Thomas aveva cercato di proteggerla, non di metterla a tacere.
Come aveva fatto a non capirlo?
-Se ti siedi, ti spiego tutto.- le disse a un certo punto, abbandonando la presa sulle sue spalle.
Questa volta non si sedettero su due divani diversi, ma l’uno accanto all’altra.
-Sto seguendo delle indagini su un omicidio.- iniziò a dire, parlando con tutta la calma possibile in quel momento. –Indagini di cui ovviamente non ti posso parlare.-
Caitlin annuì. Certo che non poteva farlo. Non poteva metterle a repentaglio rivelandole informazioni sensibili.
-Comunque credo che le mie indagini siano collegate all’omicidio di mio zio.-
-Davvero?-
Sentì Jake sospirare. –Purtroppo sì.-
-E che cosa c’entro io?-
Jake esitò. –Non lo so.- disse, evitando il suo sguardo. –Forse è come ti dicevo prima. Forse ci hanno visto o sentito quella sera. Non lo so.-
-E adesso?-
-Adesso devi andartene da questa casa.- le disse, guardandosi intorno.
Uno strano lampo gli balenò negli occhi, ma Caitlin non seppe spiegare il motivo.
-E dove vado?- gli chiese, sconvolta. –Non ho un altro posto in cui stare.-
Jake sospirò. Poteva quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare a tutta forza.
-Puoi stare da me.- le disse infine, riportando il suo sguardo su di lei.
Caitlin si schiarì la voce. -Non credo sia una buona idea.-
In fondo loro due non si conoscevano per niente e trasferirsi a casa sua non le sembrava una buona idea.
Non dopo che lui le aveva detto che stava indagando su un omicidio collegato ad un altro omicidio a causa del quale qualcuno era entrato in casa sua la notte prima.
Era complicato pure da spiegare il casino in cui si era cacciata.
-Posso stare dal detective Allen.- disse, ricordandosi della sua proposta.
Jake la fissò. –Sei più al sicuro con me.-
-Ma non lo conosci nemmeno!- protestò Caitlin, sconvolta dalla sua risposta.
-Io non ho famiglia.- disse.
-E che questo cosa c’entra?-
-Il detective Allen non ha famiglia?-
Caitlin lo fissò. –Sì, ma...-
-Quindi stare da lui significherebbe mettere in pericolo anche tutta la sua famiglia.-
Caitlin non disse nulla.
Il ragionamento di Jake non era del tutto sbagliato.
-Forse ne dovrei prima parlare con lui.- disse poi, rendendosi conto che non poteva fare di testa sua.
-Ci parli dopo.- ribatté Jake, senza darle minimamente ascolto. –Adesso prendi le tue cose e sbrigati così ce andiamo.-
Caitlin alzò gli occhi al cielo. Il suo modo di fare a volte era davvero irritante.
Però stava cominciando a fidarsi di lui e questo la faceva sentire al sicuro.
-Vado.- gli disse, lasciandolo in soggiorno.
Raccolse tutto quello di cui aveva bisogno in pochi minuti e poi preparò in fretta il borsone che si sarebbe portata, infilando anche il libro che le aveva regalato suo padre prima di morire.
Non era ancora convinta che andare da lui fosse una buona idea, ma probabilmente lui sapeva meglio di lei quello che stavano facendo e questo a lei bastava.
Quando tornò in soggiorno Jake stava fissando intensamente una foto che ritraeva lei  e Matt con i loro genitori.
Caitlin deglutì nervosamente.
Ricordava molto bene l’occasione in cui era stata scattata.
I suoi genitori avevano deciso di passare un’intera giornata al mare per festeggiare il compleanno di Matt.
Sua madre aveva preparato qualcosa da mangiare e suo padre aveva caricato la macchina con sdraio e ombrelloni.
Quando erano arrivati in spiaggia avevano deciso di fare una foto tutti insieme prima che la luce cominciasse a peggiorare. Avevano chiesto aiuto ad una mamma che era lì con il figlio e poi avevano sorriso tutti insieme quando lei li aveva avvisati che stava per scattare.
Era stata davvero una bella giornata quella.
Peccato che di lì a un anno, giornate come quelle non le avrebbero mai più potute trascorrere tutti insieme.
Caitlin si asciugò una lacrima che era scesa sul suo volto e poi si schiarì la voce.
Jake si voltò immediatamente verso di lei.
-Sei pronta?- le chiese, senza chiederle nulla di quella foto.
Per un momento le sembrò strano che lui facesse finta di niente, ma poi pensò che forse non voleva riportarle alla mente brutti ricordi.
Caitlin annuì.
-Dov’è casa tua?- gli chiese poi, dando un’ultima controllata alla casa.
-Vicino alla libreria di mamma.- le spiegò.
Caitlin chiuse casa e poi lo seguì per le scale.
 
Un’ora dopo Caitlin era in libreria  a lavorare.
Jake l’aveva portata a casa sua per posare il borsone e poi le aveva chiesto cosa volesse fare.
In quel momento lei era troppo in fibrillazione per stare lì ferma senza far niente, quindi gli aveva chiesto se potesse raggiungere la madre in libreria e lavorare fino a quando lei glielo avesse consentito.
Jake l’aveva accompagnata alla libreria senza entrare e poi l’aveva salutata dicendole che sarebbe venuta a riprenderla alle sei.
Non era riuscita a capire come mai non fosse entrato a salutare sua madre, ma poi si era dimenticata completamente quel particolare e si era messa a lavorare, dopo aver risposto ovviamente alle mille domande di Abigail sul perché fosse arrivata tardi.
Le aveva raccontato quasi tutto, tranne la parte in cui Jake si era presentato a casa sua e le aveva raccontato la verità, invitandola infine a stare da lui.
Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma probabilmente avrebbe preferito dirglielo direttamente lui alla madre.
In quel momento stava aiutando una ragazza a scegliere un regalo di compleanno per il suo fidanzato.
Lei gli aveva chiesto che generi gli potessero piacere e poi le aveva suggerito una serie titoli che avrebbero potuto fare al suo caso.
-Credo che prenderò questo.- le disse a un certo punto la ragazza, scartando gli altri titoli che lei le aveva consigliato.
-Ottima scelta.- osservò Cat, sorridendole.
Rimise a posto i libri che lei non avrebbe acquistato e poi la portò in cassa per pagare.
-Grazie mille e arrivederci.- le disse la ragazza dopo aver pagato.
Cat la ringraziò a sua volta e poi mise a posto il resto.
Non lo avrebbe mai detto, ma lavorare in libreria le piaceva.
Le piaceva stare a contatto con clienti educati e ben disposti che le chiedevano consigli sui loro acquisti.
Non era mai stata così soddisfatta del suo lavoro in vita sua.
-Tutto bene, Cat?- le chiese Abigail, strappandola ai suoi pensieri.
Caitlin annuì. –Tu?-
Abigail si appoggiò al bancone della casa. –Un po’ stanca ad essere sinceri.-
-Vuoi che chiudo io?- le chiese. –Se vuoi andare a casa non c’è problema, ci penso io a chiudere.-
Abigail scosse la testa dolcemente. –Non ti preoccupare.-
Poi il suo viso si incupì. –Stavo pensando ad una cosa prima.- le disse, evitando il suo sguardo.
-Che cosa?- le chiese Cat, preoccupata.
-Forse non è il caso che lavori qui.-
Cat la fissò. –Cosa?-
La sorella di Thomas sospirò. –È solo che...ho paura che tu ti metta in pericolo lavorando qui.-
-A me piace questo lavoro.- disse Cat. –Per favore, non mandarmi via.-
-Ma io non ti voglio mandare via, Caitlin. – la corresse Abigail. –È solo che mi preoccupo per te.-
-Lo so, ma ho bisogno di questo lavoro.- insistette Cat. –E poi c’è Jake che si...-
Vide Abigail sussultare. –Cosa?-
-Ehm..-
-Che stavi dicendo?- le chiese Abigail, guardandola negli occhi.
-Niente, lascia perdere.-
Abigail però non mollò. –Che c’entra mio figlio con questa storia?-
-Lui mi ha detto che è un poliziotto.- spiegò Cat, scegliendo le parole con cura. –E che mi proteggerà.-
Abigail scosse la testa. –Non ci posso credere.-
Caitlin non capiva la sua reazione. –Perché dici così? Lui sta cercando di proteggermi. Mi ha anche chiesto di stare da lui, così può farlo meglio.-
La sorella di Thomas sbiancò. –Che cosa ha fatto?-
In quel momento capì di aver fatto un passo falso.
-Ecco...lui...-
-Gli ha dato di volta il cervello?- disse Abigail, sconvolta. –Non può farlo.-
-Ma perché? Mi ha detto che sta facendo delle indagini in qualche modo collegate all’omicidio di tuo fratello e che volente o nolente ci sono finita in mezzo anche io a questa storia.-
-Non avrebbe dovuto farlo.-
Caitlin continuava a non capire. –Ma perché?- ripeté ancora una volta.
-Perché non è giusto. Non deve coinvolgerti e soprattutto deve lasciarti perdere.-
Caitlin sussultò. Non l’aveva mai sentita parlare in quel modo.
Poi sbiancò lei. Non aveva già detto a Jake quelle cose?
Ma lui aveva detto che stavano parlando di Stella. Perché le aveva mentito?
Decise che forse Abigail poteva aiutarla a capire.
-Perché Jake deve starmi lontano?-
Abigail abbassò lo sguardo. –Non deve coinvolgerti in questa storia.-
-Ma io sono già coinvolta!- protestò Cat. –Io c’ero quella sera.-
Vide Abigail sussultare. –Che vuoi dire?-
-Quando hanno ucciso Thomas.-
-Che cosa?-
Caitlin annuì. –Stavo tornando a casa quando gli hanno sparato. Se non fosse stato per Jake probabilmente avrebbero sparato anche a me.-
Abigail si passò una mano sul viso.
-Ti prego, Caitlin.- la supplicò poi, cercando il suo sguardo. –Dammi retta, stagli lontana. Non lasciarlo entrare nella tua vita. Ti farà soffrire.-
Che cosa intendeva Abigail? Perché non doveva lasciarlo entrare nella sua vita? E perché lui l’avrebbe fatta soffrire?
Caitlin non ebbe il tempo di dire nulla.
La porta  della libreria si spalancò all’improvviso.
Si voltarono entrambe verso l’ingresso.
Jake le stava guardando in modo strano.
-Ciao, tesoro.- lo salutò Abigail, accennando un sorriso.
Sorriso che Jake non ricambiò.
-Sei pronta, Caitlin?- disse invece, senza degnare nemmeno di uno sguardo sua madre.
Dannazione, pensò Caitlin.
Era finita tra due fuochi e non se ne era nemmeno accorta.
Si voltò verso Abigail, che in quel momento aveva un’aria afflitta.
-Puoi andare.- le disse lei, senza guardarla in faccia.
Caitlin si schiarì la voce. –Ci vediamo domani allora.-
Recuperò la sua borsa e poi raggiunse Jake, che uscì dalla libreria senza dire nemmeno una parola.
-Stai bene?- le chiese poi, una volta usciti.
-Ehm... credo di sì, ma...-
Il modo in cui la guardò la costrinse a fermarsi.
-Non hai nemmeno salutato tua mamma.-
-Non sono affari tuoi.-
Caitlin si arrabbiò. –Mi ha detto che dovrei starti alla larga e che mi farai soffrire.-
Jake sussultò. –Non sono affari suoi.- disse poi, riprendendo a camminare.
-Perché dice così?-
Jake scrollò le spalle. –Non sa di che parla.-
-Ma ci deve essere un motivo.-
Jake si fermò di nuovo.
La guardò dritto negli occhi e disse:-Caitlin, io non voglio stare con te. Sto solo cercando di proteggerti.-
Caitlin sospirò.
In fondo era quello che le aveva detto anche il giorno prima.
E allora perché continuava a provare quella strana sensazione? Come se stesse facendo la cosa sbagliata?
E poi quale madre avrebbe consigliato ad un’estranea di tenersi alla larga dal figlio?
Sospirò un’altra volta.
Accettare di andare a casa sua era stata una pessima idea.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Caitlin rimase in silenzio fino a quando Jake non richiuse la porta di casa alle loro spalle.
Non si erano detti nemmeno una parola da quando erano usciti dalla libreria e quel silenzio cominciava ad essere imbarazzante.
Caitlin non era una gran chiacchierona, ma per qualche strano motivo odiava i silenzi.
La portavano a fare riflessioni che in altri contesti non avrebbe mai fatto e soprattutto a pensare a cose che sarebbe stato meglio dimenticare.
Perciò in quel momento si ritrovò a incrociare le braccia al petto e poi a schiarirsi la voce.
-Tutto ok?- chiese a Jake, sperando che lui non fosse scontroso come lo era stato con sua madre.
Jake la fissò. –Perché me lo chiedi?-
-È solo che non hai detto una parola da quando abbiamo lasciato la libreria.- spiegò Cat, scrollando le spalle.
Jake posò le chiavi di casa sul mobile vicino al televisore e poi sospirò.
-Sono solo un po’ stanco.- disse, incrociando il suo sguardo.
Cat non gli credette, ma non disse comunque nulla.
-Perché non ti riposi mentre io preparo la cena?- gli propose, accennando un sorriso.
Lo vide esitare.
Probabilmente si stava chiedendo come diavolo le fosse venuto in mente di fare una proposta del genere in una casa che nemmeno conosceva.
Caitlin arrossì. In effetti che diavolo le era saltato in mente?
Quando Jake le aveva dato una mano col borsone, prima, lei non gli aveva chiesto di fare il giro della casa.
Si era sentita troppo in fibrillazione per rimanere da sola a casa con lui e quindi gli aveva chiesto subito se poteva andare in libreria a lavorare, sperando di riuscire a distrarsi almeno per un po’.
Ora però non aveva più scuse.
Erano da soli e questa cosa le stava dando parecchio da pensare.
-Non ti preoccupare.- la rassicurò Jake. –Ci penso io alla cena.-
Caitlin annuì, imbarazzata.
Non aveva la minima idea di come comportarsi.
Era tutto così strano; ritrovarsi sotto lo stesso tetto, eppure non conoscersi affatto.
Come sarebbe andata quella convivenza forzata? E quanto sarebbe durata?
Caitlin schiarì la voce e poi si costrinse a non pensarci.
In fondo era stata a lei ad accettare quella proposta. Nessuno l’aveva forzata. Anzi.
Avrebbe potuto benissimo rifiutare e andare dal detective Allen per qualche giorno.
Ma non voleva mettere a repentaglio la vita di sua moglie e di suo figlio Mike e quindi non ci aveva pensato due volte prima di decidere di andare da Jake.
In quel momento sperò solo di aver fatto la scelta giusta.
-Ti mostro la casa.- disse a un certo punto Jake, strappandola ai suoi pensieri.
Il figlio di Abigail le mostrò prima il bagno e la cucina, che erano adiacenti al salone, e poi si diresse nella zona letto.
Le mostrò la stanza in cui dormiva lui e poi quella in cui avrebbe dormito lei.
Caitlin non poté fare a meno di apprezzare lo stile moderno e curato con cui erano arredate le stanze.
Non c’erano molti mobili, ma quelli che c’erano davano un tocco di eleganza a tutto l’ambiente.
Jake aprì la porta finestra della stanza in cui avrebbe dormito lei e poi la condusse su un ampio terrazzo con vista sul mare.
Cat non poté fare a meno di appoggiarsi alla ringhiera e inspirare a fondo il profumo del mare, un misto di salsedine e iodio, che lei adorava.
-Ti piace?- le chiese Jake, notando la sua reazione.
Caitlin arrossì.
Probabilmente aveva reagito come avrebbe fatto qualsiasi bambina di cinque anni.
-Adoro il mare.- disse, accennando un sorriso.
Jake appoggiò le mani alla ringhiera e si posizionò accanto a lei. –Anche io.-
Caitlin non poté fare a meno di voltarsi verso di lui.
In quel momento poteva scorgerne solo il profilo, eppure la sensazione era comunque la stessa.
Jake era davvero attraente, molto più di quanto lei fosse disposta ad ammettere.
E non era solo una questione di lineamenti del viso od altro.
Non erano solo i suoi profondi occhi scuri o il contorno delle sua labbra ad attrarla.
C’era qualcosa in lui, qualcosa che le faceva battere un po’ più velocemente il cuore ogni volta che il suo sguardo si posava su di lei.
La consapevolezza del motivo per cui in quel momento si trovavano l’uno accanto all’altra a osservare il tramonto del sole sul mare la fece tornare in sé.
Non era un appuntamento quello, come non lo era stato il pranzo insieme del giorno prima.
Lo zio di Jake era stato ucciso e lei aveva avuto la sfortuna di ritrovarsi coinvolta in quella storia.
Doveva solo aspettare che le acque si calmassero e che tutto ritornasse in fretta alla normalità.
A quel punto Jake sarebbe stato solo un lontano ricordo.
-Hai freddo?- le chiese Jake, vedendo che lei era rabbrividita.
Non le diede il tempo di rispondere.
Si sfilò il suo giubbotto nero e glielo posò sulle spalle, indugiando un po’ più del necessario.
Caitlin lo guardò negli occhi senza dire nulla.
A quel punto Jake si scostò da lei e si schiarì la voce.
-Ti ho lasciato la stanza con il terrazzo apposta.- le disse, tornando a guardare il mare. –Quando si avvicina l’estate è piacevole godersi il panorama da qui.-
Caitlin lo fissò.
-Questa è la tua stanza?- gli chiese, cominciando finalmente a capire.
Jake sorrise. –Te la cedo molto volentieri.-
-Non c’è bisogno, davvero, io posso...-
Jake le prese una mano e scosse la testa. –Va bene così.-
Caitlin osservò il punto in cui le loro mani erano strette.
Non ebbe il tempo di dire nulla però.
Jake la lasciò andare e poi disse. –Comincio ad avere fame.-
Caitlin ridacchiò .-Anche io.-
-Bene.- annuì. –Allora sarà meglio che cominciamo a organizzarci.-
-Posso fare qualcosa?- gli chiese Cat.
-Non c’è bisogno.- rispose Jake. –Se hai voglia di fare una doccia però, fai pure. Io nel frattempo cucino.-
Caitlin annuì. Aveva davvero bisogno di darsi una rinfrescata.
L’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee e soprattutto a smettere di pensare al modo in cui lui l’aveva appena coperta con la sua giacca e al modo in cui l’aveva guardata più di una volta quella sera.
-Ne approfitto allora.- disse Cat, cominciando a rientrare nella stanza.
-Il bagno è tutto tuo.-
Jake si avviò in cucina, lasciandola da sola.
A quel punto Caitlin raccolse tutto ciò di cui aveva bisogno e si diresse in bagno.
Si fece una bella doccia calda, di quelle che aiutano a scaricare la tensione e a rilassarsi, e poi si asciugò in fretta i capelli.
Una volta finito si guardò intorno, alla ricerca dei suoi vestiti.
Cavolo, pensò.
Aveva preso tutto prima. Tutto tranne i vestiti.
Cercò di ragionare in fretta.
Poteva chiedere a Jake se glieli potesse prendere e passare dalla porta oppure uscire dal bagno e dirigersi in camera sua, sapendo che tanto Jake era impegnato in cucina.
Scelse la seconda opzione.
Si strinse il telo che Jake aveva messo a disposizione per lei intorno al corpo e poi uscì.
Il bagno si trovava a pochi passi dal soggiorno, ma molto distante dalla cucina.
Le probabilità di incontrare Jake con solo quello addosso erano praticamente pari zero.
Pari a zero per tutti, ma non per lei.
Incrociò Jake nel corridoio, chino sul suo telefono, probabilmente intento a scrivere qualche messaggio.
Quando si accorse di lei, il suo sguardo la percorse da capo a piedi.
Si voltò subito dall’altra parte non appena si rese conto che lei praticamente aveva solo il telo della doccia addosso.
-Scusa.- lo sentì farfugliare mentre ancora le dava le spalle.
Caitlin arrossì e poi entrò nella sua stanza senza dire nulla.
Ci mancava pure questa, si ritrovò a pensare imbarazzata.
Si infilò al volo una maglia e un pantalone comodi e poi si chiese cosa fare.
Doveva tornare di là come se niente fosse? Oppure fare qualche battuta stupida su quello che era appena successo cercando di minimizzare la cosa?
Alla fine decise di fare finta di niente.
In fondo Jake non aveva visto quasi nulla, se non gambe e braccia scoperte.
La cosa migliore era ignorare l’accaduto e andare avanti e soprattutto di dimenticare il modo con cui ancora una volta lui l’aveva guardata, facendola sentire un po’ più donna.
Prese un respiro profondo e poi lo raggiunse in cucina, dove lo trovò ad armeggiare con uova e insalata.
-Posso dare una mano?- gli chiese, notando che lui sembrava un po’ contrariato.
-Devo aver sbagliato qualcosa.- disse Jake, inarcando un sopracciglio.
Caitlin sorrise. –Che cosa?-
-Stavo cercando di preparare le uova strapazzate, ma alla fine è uscita una mezza specie di frittata.- le rispose, perplesso.
A quel punto Caitlin si mise a ridere. –Credo che la mangeremo lo stesso.- disse, ancora ridendo.
Jake alzò gli occhi al cielo e poi sbuffò. –Speriamo bene.-
-Posso apparecchiare intanto.- si offrì Cat.
Jake le indicò dove trovare tutto quello che le sarebbe servito e poi tornò a concentrarsi sulle sue uova.
Caitlin apparecchiò e poi si sedette a un’estremità del tavolo della cucina.
Mentre Jake cucinava, lei non poté fare a meno di guardarsi intorno.
L’ambiente era ampio e luminoso e l’arredamento in legno era semplice ma elegante.
In quel momento pensò che Jake avesse davvero buon gusto in fatto di arredamento.
-Ci siamo.- le disse a un certo punto lui, portando i piatti a tavola.
Caitlin si meravigliò di quello che si trovò davanti.
Jake era riuscito a trasformare delle uova strapazzate in malo modo in una gustosa frittata con affettato e formaggio, il tutto accompagnato da una bellissima insalata mista.
Si meravigliò ancora di più dopo che ne ebbe assaggiato un pezzo.
-Complimenti.- si ritrovò a dire. –È buonissima.-
E lo era davvero. Non lo stava dicendo tanto per dire.
Jake era un ottimo cuoco e questo la stupì molto.
Anche suo fratello era bravo ai fornelli, ma questo era tutto un altro livello.
Jake sorrise. –Diciamo che me la cavo.-
-Questo non è cavarsela.- lo contraddisse Caitlin indicando la frittata. –Questo è cucinare, e cucinare pure bene.-
-Ho imparato tanti anni fa.- le raccontò Jake. –Quando papà se ne è andato e la mamma doveva lavorare non c’era nessuno che mi potesse cucinare qualcosa e quindi ho dovuto imparare a farlo da solo.-
Cat si immaginò un Jake adolescente alle prese con i fornelli e i primi esperimenti in cucina.
Prese un sorso d’acqua e poi si schiarì la voce. –Quando se ne è andato via di casa tuo padre?-
-Una quindicina di anni fa.-
Caitlin abbassò lo sguardo.
Poi le venne in mente una cosa.- Tu quanti anni hai?-
Jake la guardò incuriosito. –Ventinove.-
Quattro in più di lei.
Se i suoi calcoli non era sbagliati il padre di Jake lo aveva abbandonato quando lui aveva appena quattordici anni.
Quale padre affezionato al figlio lo avrebbe mai abbandonato?
Si costrinse a non dare giudizi e si concentrò invece sulla cena.
-Comunque è tutto molto buono.- disse, addentando un altro pezzo di frittata.
-Grazie.- disse Jake, accennando un sorriso.
Continuarono a mangiare in silenzio, chiacchierando ogni tanto del più del meno.
Quando finirono di mangiare, Jake si alzò da tavola e cominciò a sistemare i piatti sporchi nel lavandino.
A quel punto Cat si alzò e si offrì di sistemare lei.
Jake la guardò con i suoi penetranti occhi scuri. –Non sei stanca?-
Cat scosse la testa.
-Vado a farmi una doccia allora.- le disse, senza abbassare mai lo sguardo.
Per qualche strano motivo Caitlin arrossì, ricordandosi di quello che era successo poco prima in corridoio.
Si schiarì la voce e poi si voltò verso il tavolo per raccogliere posate e bicchieri, sperando che quella fastidiosa sensazione di imbarazzo se ne andasse via.
Jake le chiese un’ultima volta se avesse bisogno di aiuto e quando lei scosse la testa di decise finalmente ad andare nella zona letto.
A quel punto Caitlin si appoggiò all’isola della cucina e chiuse gli occhi.
Perché continuava ad arrossire ogni volta che lui la guardava in quel modo?
Scacciò via quel pensiero dalla testa e poi si guardò intorno, alla ricerca di guanti e spugna per lavare tutto.
Rimase allibita quando si rese conto che Jake aveva una lavastoviglie.
Sciacquò in fretta tutto e poi la caricò, combattendo a lungo con il pulsante dell’accensione.
Tirò un sospiro di sollievo quando la sentì finalmente partire.
A quel punto pulì tavolo e lavandino e poi si diresse in camera sua.
Recuperò il telefono e chiamò suo fratello, approfittando che Jake fosse sotto la doccia.
Matt rispose al secondo squillo. –Cat?-
-Ciao, Matt.- lo salutò. –Come stai?-
-Tutto bene.- rispose suo fratello, con il suo solito tono sbrigativo.
-Come sta andando lì?-
-Abbastanza bene.-
Caitlin alzò gli occhi al cielo. –Pensi di argomentare un po’ le tue risposte o devo leggerti nel pensiero? Cosa che tra l’altro ancora non ho imparato a fare.-
Sentì suo fratello ridacchiare dall’altro capo del telefono.
-Va tutto bene, Cat. Esattamente come l’ultima volta che me lo hai chiamato.-
-Tracie di che umore è?- gli chiese Caitlin, scocciata di dover anche solo pronunciare il nome di sua zia.
-Direi bene.- rispose Matt, ridacchiando. –Domani dà una festa qui a casa.-
Caitlin scosse la testa.
Tracie aveva quasi quarant’anni eppure dava ancora le feste a casa come i ventenni.
Sarebbe mai cresciuta da quel punto di vista?
Si tenne quella cosa per sé e poi affrontò a malincuore l’argomento che più le premeva.
-Puoi rimanere qualche giorno in più là se ti fa piacere.-
-Davvero?- le chiese Matt, gasato.
-Davvero.- ripeté lei, per niente contenta di quello che gli aveva appena detto.
Ma non poteva fare altrimenti, per se stessa e per il bene di suo fratello.
-Come mai sei così accondiscendente, Caitlin?-
Cat esitò. Non poteva parlargli di quello che era successo a Thomas né tantomeno del fatto che qualcuno si fosse introdotto a casa loro nel cuore della notte, spaventandola a morte.
Matt sapeva che Thomas era morto, ma non gli aveva mai rivelato che qualcuno lo avesse ucciso brutalmente a pochi passi da casa loro.
Per suo fratello, Thomas era morto all’improvviso per motivi di salute ancora da chiarire e per quel che la riguardava quella era la versione dei fatti che Matt doveva conoscere.
Era una questione di prudenza. Nulla di più.
-So che ti piace tanto stare lì.- mentì. –Perciò pensavo che potevi rimanere qualche altro giorno.-
-Va bene, Cat. Non ti chiederò niente.- le disse, consapevole che lei gli stesse nascondendo qualcosa. – Grazie comunque.-
Cat non disse nulla.
-Ci sentiamo domani allora.- la salutò Matt.
-Va bene.-
Non fece in tempo a dire altro. Matt aveva già riattaccato.
Alzò gli occhi al cielo e poi mise il telefono in carica, chiedendosi che dove fosse finito Jake.
Prima di uscire dalla stanza provò a capire se lui fosse già uscito dalla doccia o meno.
Il rumore del phon le diede il via libera per uscire.
Non aveva nessuna intenzione di replicare la scena di prima.
Andò in soggiorno e accese la televisione, nella speranza di calmare il suo cuore impazzito.
Per qualche motivo cominciava a sentirsi agitata, forse perché si stava avvicinando l’ora del letto e lei avrebbe dormito nella stanza accanto a quella di Jake.
Mise il primo canale di cucina che trovò e poi prese diversi respiri profondi, cercando di calmarsi.
In fondo non avrebbero mica dormito nello stesso letto. Perché si agitava  tanto?
-Tutto bene?- le chiese all’improvviso Jake, facendola sobbalzare.
Si schiarì la voce, a disagio.
-Ti ho spaventata?- le chiese Jake, vedendo la sua reazione.
Cat si voltò verso di lui e accennò un sorriso. –Solo un po’.-
-Scusa.-
-Figurati.. ero solo un po’ sovrappensiero.-
Jake la fissò.
Indossava una tuta nera e una maglietta bianca e i suoi capelli erano ancora umidi.
-Come mai?- le chiese, andando a sedersi accanto a lei.
Cat cominciò a giocherellare con un filo della sua felpa e poi scrollò le spalle.
-Ho parlato con Matt.- disse alla fine. –Gli ho detto che può rimanere qualche altro giorno da Tracie.-
Jake annuì. –Hai fatto bene.-
A quel punto Cat incrociò il suo sguardo. –Quanto pensi che...ehm...dovrò stare qui?- gli chiese tutto d’un fiato.
Lo vide passarsi una mano nei capelli.
-Non lo so, Caitlin.- ammise. -Almeno per qualche giorno.-
Caitlin sospirò.
-Sei appena arrivata e già te ne vuoi andare?- le chiese Jake, prendendola in giro.
-No, è solo che..-
-Cosa?- le chiese, guardandola con i suoi penetranti occhi scuri.
-È tutto così assurdo.- si ritrovò a dire, sconvolta dagli ultimi avvenimenti della sua vita.
Era passata dal doversi preoccupare che Thomas l’avesse licenziata al doversi preoccupare di non finire ammazzata anche lei dalla stessa persona che lo aveva ucciso a pochi metri da casa sua.
Era incredibile quanto velocemente potessero cambiare le cose nella vita.
Jake le prese dolcemente il mento con la mano e poi le sorrise.
-Andrà tutto bene.- le disse, accarezzandola leggermente con il polpastrello del pollice
Caitlin si schiarì la voce e poi disse:-Lo spero.-
-Forse è meglio se andiamo a riposare.- propose Jake, alzandosi. –Si è fatto tardi.-
-Allora buonanotte.- disse Cat, alzandosi anche lei.
Jake le fece l’occhiolino e poi andò nella zona letto.
Caitlin lo seguì e poi si diresse nella sua stanza.
Non fece in tempo a chiudere la porta che Jake la chiamò.
Cat si sporse dalla porta. –Sì?-
-Domani ti porto al mare, Caitlin.- le disse, facendole un’altar volta l’occhiolino.
Lo vide entrare nella sua stanza e poi richiudere la porta, senza aggiungere altro.
Cat rimase qualche secondo ferma a guardare la porta chiusa della sua stanza.
Cosa? Jake la voleva portare al mare il giorno dopo?
Prese un respiro profondo e poi entrò nella sua stanza, attenta a richiudersi bene la porta alle spalle.
Recuperò il pigiama dal borsone e poi prese il libro che gli aveva regalato suo padre poco prima di morire. Lo stesso che in un brutto sogno qualcuno le voleva rubare.
Era un libro di poesie che lei adorava e che molto spesso usava per rilassarsi prima di andare a dormire.
Studiò bene l’indice e poi aprì il libro alla pagina che cercava.
Aggrottò la fronte quando vide un foglio di carta ripiegato su stesso in corrispondenza di quel punto.
Lo aprì, chiedendosi che cosa fosse e chi ce lo avesse messo.
Poi riconobbe la calligrafia di suo padre.
Sul pezzo di carta era annotato il nome di un medicinale e un lungo elenco di persone che lei non conosceva.
Si disse che probabilmente era un medicinale che suo padre aveva dato ad alcuni dei suoi pazienti e poi ripiegò il foglio con cura, decidendo di usarlo come segnalibro.
Lesse la sua poesia e poi andò a dormire.
Crollò molto prima delle aspettative.
 
Il giorno dopo Caitlin si svegliò presto.
Lanciò un’occhiata al telefono che si trovava sul comodino accanto al letto e poi controllò che ore fossero.
Non erano nemmeno le sette.
Si alzò dal letto e uscì sul terrazzo.
Il sole era già sorto, ma la luce era ancora debole. Era la tipica luce fioca delle prime ore del mattino.
Si infilò la maglia e il pantalone che aveva usato la sera prima e poi si diresse in cucina, decisa a preparare la colazione per lei e per Jake.
Peccato che lui fosse già in piedi accanto alla finestra del salone e che stesse parlando a bassa voce al telefono con qualcuno.
-Non mi fido più di lui.- stava dicendo al suo interlocutore.
Caitlin non poté fare a meno di chiedersi di chi stesse parlando Jake.
-Lui è l’unico a sapere che loro non sono morti in quel modo.- disse, in tono arrabbiato. –Ha mentito a tutti. Perché?-
Caitlin era sempre più perplessa. Di che stava parlando Jake?
Poi si rimproverò mentalmente.
Lui era un poliziotto. Un poliziotto che stava svolgendo delle indagini molto delicate.
Non avrebbe dovuto nemmeno mettersi a origliare in quel modo.
Stava per fare dietrofront quando sentì Jake attaccare in malo modo il telefono.
-Merda.- lo sentì imprecare.
Cat tornò indietro senza fare rumore e poi aspettò qualche secondo per raggiungerlo di nuovo.
In quel modo, nella sua testa, Jake non si sarebbe mai accorto che lei aveva origliato la sua telefonata.
Tornò in salone una decina di minuti, facendo finta di niente.
Jake stava guardando intensamente fuori dalla finestra.
Si voltò non appena la sentì arrivare.
-Ciao.- le disse, usando un tono completamente diverso da quello che lei gli aveva sentire usare poco prima.
-Ciao.- lo salutò Cat, accennando un sorriso. –Come stai?-
Jake si passò una mano nei capelli. –Tutto bene. Tu? Come hai dormito?-
-Molto bene, grazie.-
-Mi fa piacere.-
-Facciamo colazione?- le chiese Jake. –Così poi andiamo al mare.-
-Ehm..-
-Che c’è?- la provocò Jake. -Non dirmi che non muori anche tu dalla voglia di fare una passeggiata in spiaggia con una giornata del genere.-
Caitlin si sforzò di non scuotere la testa. Non era quello il punto.
Il punto era che lei non stava in vacanza.
Non era lì per guardare i tramonti insieme a lui o per fare lunghe passeggiate sulla spiaggia.
Lei era lì perché qualcuno aveva deciso di entrare in casa sua per rubarle qualcosa e lei ancora non aveva capito che cosa.
Si inventò la prima scusa che trovò.
-Dovrei prendere delle cose a casa.- disse, evitando il suo sguardo. –Magari facciamo un’altra volta.-
Jake la fissò a lungo, ma alla fine non disse nulla.
Probabilmente aveva capito che lei gli aveva appena detto una balla.
Era sabato e non doveva nemmeno lavorare. Perché sprecare una mattinata del genere per andare a prendere qualcosa a casa sua?
Sicuramento se lo stava chiedendo come avrebbe fatto anche lei a parti invertite.
Lo osservò mentre si dirigeva in cucina, lasciandola da sola.
Caitlin sospirò. Si era offeso? Ma di che cosa?
Alzò gli occhi al cielo.
Lo raggiunse in cucina e poi lo aiutò a preparare la colazione.
Jake non disse nulla tutto per tutto il tempo.
Quando ebbe finito il suo caffè le disse che l’avrebbe accompagnata a casa e che poi si sarebbero incontrati più tardi perché lui aveva da fare.
Caitlin non obiettò nulla.
Finì di bere il suo caffè e poi si andò a preparare, consapevole che quella sarebbe stata una giornata lunga ed intensa.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Caitlin lanciò un’occhiata all’orologio, perplessa.
Non erano nemmeno le undici e mezza e lei aveva già riordinato tutta casa, approfittando di quel poco di tempo che aveva a disposizione per rimettere a posto l’enorme casino che chiunque si fosse introdotto a casa sua due giorni prima aveva deciso di lasciare nel suo soggiorno.
Quella mattina, quando Jake l’aveva lasciata sotto il portone di casa sua, Caitlin si era sentita quasi in colpa.
Non era vero che aveva bisogno di passare a casa sua per prendere delle cose. Anzi. Il bagaglio che aveva fatto il giorno prima era stato preparato in maniera rapida ed efficiente, e per quanto assurdo potesse sembrare, Caitlin non si era dimenticata nulla, nemmeno le cose più difficili da ricordare.
Ma non se l’era sentita di andare al mare con lui.
Era ancora molto scossa da quello che stava accadendo nella sua vita e passare del tempo con lui, in una circostanza simile, le era sembrata un’idea ancora più  assurda.
Per questo gli aveva mentito.
Si era inventata che aveva assolutamente bisogno di passare a casa e aveva guadagnato un po’ tempo, tempo che poi aveva impiegato per rimettere in ordine tutto il suo appartamento.
L’idea che qualcuno avesse potuto toccare le sue cose l’aveva mandata fuori di testa, ma poi si era resa conto che paragonata al rischio che qualcuno potesse ucciderla, quella era davvero una sciocchezza.
Quel pensiero però la incupì.
Da quando Thomas era stato ucciso, Caitlin non aveva fatto nessun passo in avanti con le indagini. Anzi. Le era sembrato addirittura di farne uno indietro.
Non aveva scoperto nulla e quella strana sensazione di impotenza che provava tutte le volte che se ne rendeva conto continuava a darle il tormento.
Chi poteva aver ucciso uno degli uomini più buoni e gentili che lei avesse mai conosciuto in vita sua? Chi poteva avercela a tal punto con lui da ammazzarlo in un vicolo buio a pochi passi da casa sua?
Quelle e tantissime altre domande continuavano a rimbombarle nella testa.
Ma che cosa poteva fare lei, se non fidarsi di Jake e sperare che tutto andasse per il meglio?
In quel momento si sentì persa.
Non aveva praticamente nessuno su cui fare affidamento per davvero.
Jake di fatto era un estraneo e suo fratello non doveva rimanere coinvolto in quella storia per nessun motivo.
In quel preciso istante si ritrovò a pensare ai suoi genitori, che di sicuro avrebbero saputo cosa fare.
Quel pensiero, però, se andò dalla sua testa alla stessa velocità con cui era arrivato.
Non si sarebbe messa a piangere come aveva fatto il giorno del funerale di Thomas. Si sarebbe rimboccata le maniche e avrebbe fatto come sempre, facendo leva su stessa e su nessun altro.
La suoneria del suo telefono la riportò alla realtà, strappandola via a quei pensieri.
Andò a recuperare il cellulare dalla borsa e rispose.
-Caitlin?- la chiamò il detective Allen, preoccupato.
-Ciao, Kane.- lo salutò lei, felice di sentire una voce amica.
-Come stai?-
Caitlin si schiarì la voce. –Abbastanza bene.- rispose, mentendo spudoratamente. –Stavo giusto riordinando casa.-
-Ieri sera sono passato, ma non ti ho trovata.- la informò il detective, perplesso. –Eri uscita per caso?-
Caitlin valutò bene la situazione prima di rispondere.
Poteva dire al detective che era uscita a fare una passeggiata per distrarsi un po’ oppure poteva dirgli che era andata da Jake e che sarebbe rimasta lì da lui per qualche giorno.
Ma come avrebbe giustificato la cosa? Agli occhi del detective Allen lei e Jake erano perfetti estranei.
Poi si chiese se invece Jake e il detective si conoscessero.
Possibile che fosse quello il motivo per cui quest’ultimo l’aveva rassicurata con così tanta convinzione sul fatto che Jake non c’entrasse nulla con l’omicidio di suo zio?
Decise di ignorare quell’aspetto in particolare e si schiarì la voce.
Per qualche strano motivo si ritrovò a pensare che dirgli la verità non fosse una buona idea, così mentì. Di nuovo.
-Sì, in effetti, sì.- disse, cercando di sembrare convincente. –Avevo bisogno di una boccata d’aria.-
-Certo, hai fatto bene.- la assecondò il detective. –Solo che mi stavo preoccupando.-
Caitlin si schiarì un’altra volta la voce, a disagio.
Lei odiava mentire, ma in quel momento non aveva altra scelta.
-Tutto apposto.- disse. –Grazie.-
-Bene, allora ci sentiamo presto.-
Caitlin stava per attaccare quando le venne in mente una cosa. –Ci sono novità, Kane?-
Il detective capì al volo di che cosa lei stesse parlando.
-Sai che non posso dirti nulla, Cat.-
Caitlin si rimproverò mentalmente. -Certo...ehm...scusa, non volevo metterti nei guai.-
-Non ti preoccupare.- le disse lui. –In tutti i sensi, dico. Non permetterò a nessuno che qualcuno vi faccia del male.-
Caitlin annuì, anche se sapeva che lui non poteva in alcun modo vederla. –A presto.-
-Ciao, Caitlin.-
Cat riattaccò e poi prese un lungo respiro profondo.
Doveva smetterla di pensare.
Doveva tenersi impegnata e cercare di distrarsi da tutti quei brutti pensieri.
Andò a recuperare un paio di maglie che avrebbero sostenuto la sua bugia per non andare al mare con Jake e poi uscì di casa, richiudendosi attentamente la porta di casa alla spalle.
Non aveva nessuna di intenzione di chiamarlo e dirgli di venirla a prendere.
Voleva fare due passi all’aria aperta e godersi il sole caldo di quei giorni.
Recuperò gli occhiali da sole dalla borsa e poi si avviò a piedi verso il centro.
 
Stava camminando ormai da un’ora quando una voce familiare maschile alle sue spalle la chiamò.
Caitlin si voltò, sorpresa.
Il figlio del detective Allen si stava avvicinando a lei in compagnia di sua moglie Samantha, incinta di parecchie settimane.
-Ciao, Caitlin.- la saluto Mike, con un gran sorriso.
Michael Allen aveva all’incirca un paio di anni più di lei, ma la sua vita era decisamente più stabile e avviata della sua.
Michael lavorava infatti per una grande casa farmaceutica con cui aveva collaborato anche il padre di Caitlin ed era felicemente sposato con Samantha Winston ormai da due anni.
Era un ragazzo alto e ben formato, con un paio di occhi chiari simili a quelli della madre e una matassa di capelli biondi simili a quelli del padre.
Sua moglie Sam invece era una bellissima ragazza asiatica con lunghi capelli scuri e due occhi nocciola dal classico taglio orientale.
In quel momento le stavano sorridendo entrambi, contenti di incontrarla in una delle principali vie dello shopping del paese.
-Ciao, ragazzi.- li salutò Cat, in tono allegro. –Come state?-
Mike sorrise. –Alla grande.- rispose, voltandosi verso sua moglie.
-Quando nasce il bambino?- chiese invece a Samantha, felice per loro.
Samantha si toccò la pancia e poi fece un gran sorriso anche lei. –Se tutto va bene, a giugno.-
Cat si rese conto che ormai mancava poco più di un mese.
-Avete già deciso il nome?- chiese, curiosa.
Mike e Samantha si scambiarono un’occhiata.
-Sì.-
-No.-
Caitlin scoppiò a ridere. –Non siete d’accordo quindi.- osservò, rendendosi conto che avevano risposto contemporaneamente dicendo due cose diverse.
-Non ancora.- disse Samantha, divertita.
Mike alzò gli occhi al cielo. –Ci stiamo lavorando.-
-E il lavoro come va?- gli chiese Caitlin.
-Abbastanza bene, Cat. – rispose. -Stanno testando molti farmaci nuovi in questo periodo. Vediamo come va, insomma.-
Caitlin annuì. –State facendo una passeggiata?-
Li vide annuire e sorridere raggianti. Erano davvero una bella coppia quei due.
-E tu invece?- le chiese Mike. –Come stai?-
Cat esitò.
Per qualche strano motivo si ritrovò a pensare che Michael e sua moglie non sapessero nulla di quello che le era successo negli ultimi giorni, altrimenti avrebbero già tirato fuori l’argomento da un pezzo, e quindi decise di non fare nulla per cambiare le cose.
Li aveva visti così felici ed elettrizzati per l’imminente nascita del bambino che non se la sentiva proprio di rovinargli la giornata.
Si sforzò di sorridere e poi rispose che andava tutto bene e che stava approfittando della bella giornata per farsi una passeggiata all’aria aperta.
Michael annuì, dicendole che in effetti giornate del genere non andavano mai e poi mai sprecate.
-Ci vediamo domani, Cat?- le disse poi, riferendosi al solito pranzo domenicale della famiglia Allen a cui erano invitati sempre anche lei e Matt.
Cat si schiarì la voce. –Matt è fuori città.- iniziò a dire. –Non so se...-
Samantha le toccò un braccio, con fare materno. –Vieni solo tu allora.-
Caitlin disse che ci avrebbe pensato e poi li salutò, tornando alla sua passeggiata.
Non poteva mettersi a pensare anche al pranzo domenicale degli Allen.
Sbuffò lievemente e continuò a camminare, chiedendosi dove diavolo di fine avesse fatto Jake.
Era mezzogiorno e mezza e lui ancora non si era fatto sentire. Che cosa doveva fare di così tanto urgente se fino a poche ore fa voleva andare al mare con lei?
In quel momento pensò che forse si era comportata male.
Avrebbe dovuto accettare la sua offerta e smetterla di pensare sempre alle conseguenze di quello che faceva.
Solo che non era riuscita a farlo quella mattina e la bugia per evitare di stare da sola con lui era uscita dalla sua bocca molto prima che lei riuscisse a rendersene conto.
Non ebbe il tempo di fare ulteriori riflessioni però; il telefono vibrò nella sua borsa all’improvviso.
Jake le aveva mandato un messaggio. Ci vediamo alle tre sotto casa tua.
Caitlin scosse la testa. Che aspettava ad avvertirla?
Infilò il telefono in borsa e poi sbuffò un’altra volta.
Non aveva proprio voglia di tornare a casa e pranzare da sola.
Che poteva fare allora?
Poi le venne in mente un’idea.
Per un attimo si chiese se fosse buona o cattiva.
Alla fine si limitò ad alzare gli occhi al cielo ed alzare le spalle. Chissenefrega.
Inforcò gli occhiali da sole e si avviò a passo svelto nella direzione in cui doveva andare.
 
Caitlin arrivò a destinazione dopo mezzora.
Il locale in cui aveva lavorato per tre anni era aperto da già mezzora, ma, a differenza di quanto lei immaginasse, era più vuoto del solito.
Cat riconobbe il ragazzo che serviva sempre al turno del pranzo e gli chiese dove potesse sedersi.
Daniel alzò le spalle, come se la sua domanda fosse assurda. –Dove vuoi, Cat.- le disse, alludendo al fatto che la maggior parte dei tavoli fosse disponibile.
Caitlin si andò a sedere in un tavolo più in disparte, uno dei pochi ad avere maggior spazio intorno.
Non ebbe bisogno di leggere il menu.
Lei quel menu lo conosceva a memoria e sapeva anche che le cose buone che c’erano sopra si potevano contare sulle dita di una mano.
Ma lei non era lì per il cibo.
In realtà non lo sapeva nemmeno lei perché fosse lì.
Forse sperava solo che passare del tempo in quel posto potesse aiutarla a capire cosa fosse successo al proprietario.
Daniel si avvicinò a lei per prendere la sua ordinazione.
Caitlin ordinò un hamburger con un po’ di insalata e  poi si guardò intorno, curiosa.
Non c’era quasi nessuno quel giorno.
C’erano un paio di coppie che qualche volta aveva visto anche a cena e un signore di mezza età che mangiava da solo.
Esclusi loro, il locale era vuoto.
Caitlin si chiese se la morte di Thomas c’entrasse qualcosa. Poi capì che probabilmente era quello il motivo principale per cui Daniel aveva poco lavoro quel giorno.
Cat aspettò che arrivasse la sua ordinazione e poi mangiò con calma, godendosi il sapore della carne e il silenzio che regnava sovrano in quel posto.
Quando ebbe finito rimase là seduta per un po’.
Non aveva nessuna fretta di tornare a casa e l’appuntamento con Jake non sarebbe stato prima di un’ora.
Aveva appena tirato fuori il telefono dalla borsa quando la moglie di Thomas entrò nel locale.
Cat si concesse un momento per osservarla, consapevole che lei non l’aveva ancora vista.
Aveva un aspetto decisamente migliore rispetto al giorno del funerale, ma continuava avere lo stesso sguardo spento e triste che le aveva visto addosso quel giorno.
Era vestita in modo semplice e i suoi capelli erano raccolti in una bella coda alta.
Cat la vide andare a parlare prima con Daniel e poi con la ragazza che stava in cassa.
Probabilmente stava chiedendo loro come stessero andando i ricavi di quel giorno.
Poi si accorse di lei.
Cat le sorrise.
Stella ricambiò il sorriso e poi si avvicinò al suo tavolo.
-Posso?- le chiese, accennando al posto libero di fronte al suo.
-Certo.-
La vide togliersi la giacca e poi sedersi. –Come stai, Cat?-
-Abbastanza bene.- rispose Caitlin. –E tu?-
-Si va avanti.-
Cat annuì. –Oggi avevo voglia di venire qui.-
Stella accennò un sorriso. –Hai fatto bene a venire.- annuì. –Se me lo dicevi magari passavo prima e ti facevo compagnia a pranzo.-
-Ho deciso all’ultimo.- spiegò Cat, imbarazzata. –Senti, come vanno le cose?-
Stella abbassò lo sguardo. –Mi manca.- rispose, malinconica. –Ma non posso farci niente.-
Caitlin annuì.
Anche a lei era successa la stessa cosa quando erano morti i genitori.
Aveva sentito subito la loro mancanza, ma non aveva potuto farci proprio un bel niente e così era stato per molto tempo.
-Se solo avessi saputo che avremmo avuto così poco tempo insieme, io...-
Cat le prese una mano. –Nessuno si sarebbe mai immaginato una cosa del genere.-
Stella fece un sorriso amaro. –Già.- disse. –E poi proprio ora che avevamo trovato finalmente un farmaco efficace...-
La vide scuotere la testa e trattenere a stento le lacrime.
Cat esitò. Di che stava parlando Stella?
Le strinse la mano con più forza, come quel gesto potesse darle una mano ad affrontare quei discorsi dolorosi.
-Che farmaco, Stella?- chiese, non capendo a che cosa si stesse riferendo.
Stella tirò su col naso e poi la guardò negli occhi.
-Un anno fa Thomas ha scoperto di avere il cancro.- iniziò a dire, scuotendo la testa. –È stato devastante per noi, un fulmine a ciel sereno.-
Cat trattenne il respiro. Non aveva mai saputo niente di quella storia.
-I medici dicevano che non c’era nulla che potesse farlo guarire veramente, solo medicine che alleviassero un po’ la sofferenza.-
-Cosa?- chiese Cat, sconvolta.
Stella annuì. –Poi però un medico gli ha prescritto un farmaco di ultima generazione che nessuno aveva mai preso in considerazione fino a quel momento e le cose hanno cominciato a migliorare.-
-Stava funzionando quindi?-
Stella fece una risata amara. –Già.-
Cat sospirò.
Thomas era morto proprio quando la medicina cominciava finalmente a vincere la sua battaglia contro il cancro.
-Non ne sapevo nulla.- mormorò Caitlin, sincera. –Non..-
-Lo so, non l’ha mai detto a nessuno.-
-Non mi sono mai accorta che stesse male..-
-Diciamo che era un combattente nato, lui.- disse Stella, sospirando.
Caitlin prese un sorso d’acqua. Poi le fece la domanda che più le premeva. –La polizia ha qualche pista da seguire?-
Stella alzò le spalle. –Non mi dicono niente.-
Cat pensò a Jake, ma non disse nulla.
Non poteva darle false speranze e soprattutto non doveva intromettersi in cose che non la riguardavano.
-Che cosa pensi tu?-
Stella la fissò per qualche secondo. –Vuoi sapere la verità?-
Cat annuì con decisione.
-Io non lo so, Caitlin.- disse Stella, arrabbiata. –Non so cosa pensare. So che fino a qualche giorno fa ero felice con mio marito e che nel giro di un attimo lui è stato ucciso. È un vuoto rimarrà per sempre, Caitlin.-
-Vedrai che con il tempo...-
-No.- la fermò subito Stella. –Non passerà. Io lo amavo. Più di qualsiasi altra cosa al mondo. E nessuno me lo ridarà più indietro. Nessuno.-
-Ma chi può essere stato?- chiese Caitlin. -Devi esserti fatta qualche idea.-
Stella scosse la testa. –Forse una rapina?-
-Ma voi non abitate in quella zona, Stella. Che ci faceva lì Thomas a quell’ora?-
Stella sospirò. –Non lo so.-
Cat capì che era giunto il momento di fermarsi.
Aveva fatto fin troppe domande e parlare di quelle cose avrebbe fatto male sia a lei che a Stella.
-Però so che ultimamente era più strano del solito.- le disse a un certo punto Stella, come se si fosse ricordata un particolare importante da raccontarle a tutti i costi.
-In che senso?-
-Era più irascibile del solito e non voleva partecipare a nessun evento di famiglia o altro.-
-E perché, secondo te?- chiese Cat, curiosa.
-Non saprei.- ammise Stella. –Ma voleva passare più tempo possibile insieme a me. Diceva che ero la cosa più preziosa che aveva e che se fosse tornato indietro nel tempo avrebbe rifatto tutto daccapo, insieme a me.-
-Ti amava molto.- osservò Caitlin, credendo fermamente alle sue parole. –Però, perché dici che era strano? A me sembra bello quello che ti diceva.-
Stella esitò. –Infatti. –concordò con lei. –Ma era come se avesse paura che potesse succedere qualcosa da un momento all’altro.-
-E cosa?-
-Forse aveva paura che il farmaco che gli avevano dato smettesse di funzionare e che la sua vita potesse finire da un momento all’altro.- disse Stella, alzando le spalle. -Chi lo sa.-
Caitlin annuì. Forse era davvero così.
Forse Thomas aveva paura di perdere tutto quello che aveva e quella paura lo rendeva più irascibile e apatico del dovuto.
-Ora devo proprio andare.- le disse a un certo punto Stella, alzandosi. –Mi ha fatto piacere parlare con te.-
-Quando vuoi, io sono qua.-
Stella sorrise.
La vide infilarsi la giacca e poi recuperare la borsa.
-A presto, Caitlin.- la salutò.
-A presto, Stella.-
La moglie di Thomas sorrise un’altra volta e poi se ne andò, lasciandola da sola.
Caitlin si fece portare il conto e poi uscì dal locale.
Era molto confusa in quel momento.
Non aveva mai saputo che Thomas stesse male e il pensiero che lui fosse morto prima ancora di vincere la sua battaglia contro quella terribile malattia le metteva un’enorme tristezza addosso.
Com’era possibile che lei non se n’era mai accorta?
Era così bravo a fingere che andasse tutto bene da non far mai trapelare nulla sul stato di salute?
Con quelle domande in testa si avviò a passi decisi verso casa.
 
Arrivò venti minuti dopo, accaldata ma contenta di aver fatto altri due passi.
Jake la stava aspettando sotto al portone, esattamente come le aveva detto per messaggio.
Caitlin prese un respiro profondo e poi lo affrontò.
-Ciao.- disse, accennando un sorriso.
Lui la salutò freddamente.
Probabilmente era ancora offeso del fatto che lei non fosse voluta andare al mare con lui quella mattina.
-Sei arrabbiato.- osservò Caitlin, fissandolo.
Lo vide alzare le spalle e poi distogliere lo sguardo.
Cat si avvicinò a lui e poi gli prese un braccio, costringendolo a guardarla.
-Perché?- gli chiese, mollando la presa.
Jake posò il suo sguardo su di lei. –Ti sbagli.-
-E allora cos’era quello?-
-Cosa?-
-Quel saluto freddo e distaccato.-
Jake scosse la testa. –Perché pensi che il mondo ruoti sempre intorno a te, Cat?-
Caitlin sussultò. Perché la stava trattando in quel modo Jake?
-Io...-
-Tu cosa?- l’aggredì lui, guardandola negli occhi. –Pensi davvero che ce li hai solo tu i problemi al mondo?-
-Io non ho mai...-
Jake la fulminò con lo sguardo.
Caitlin non gli permise di trattarla ancora in quel modo.
Senza dire una parola recuperò le chiavi di casa ed entrò nel palazzo.
Non aveva la minima idea del motivo per cui lui si stesse comportando in quel modo e, francamente non gliene importava nemmeno più di tanto, ma non sarebbe rimasta lì impalata a farsi trattare in quel modo da lui.
Che diritto aveva di dirle quelle cose? Nessuno, e sarebbe sempre stato.
Stava salendo per le scale quando qualcuno alle sue spalle le afferrò un braccio.
Caitlin non aveva la minima intenzione di voltarsi. Sapeva che era lui.
Si liberò dalla sua stretta e continuò a salire, fino a quando non si ritrovò davanti alla porta di casa sua.
A quel punto infilò la chiave nella toppa ed aprì.
Stava per richiudersi la porta alle spalle quando Jake la bloccò con un braccio per entrare dentro casa sua.
-Che diavolo vuoi?- gli chiese, arrabbiata.
Jake chiuse la porta e poi si passò una mano nei capelli.
-Scusa.- disse, guardandola negli occhi. –Non volevo...-
-Cosa?- lo interruppe lei bruscamente.
Jake scosse la testa. –Mi dispiace.-
-E a me sai cosa dispiace?- gli chiese Caitlin, profondamente delusa dal suo atteggiamento. -Di averti dato retta.-
Vide Jake sussultare. –Non dire così..-
-Io non ti conosco.- disse Cat. –Pensavo che volessi aiutarmi e invece..-
Jake si avvicinò a lei fino quando non si ritrovarono a pochi centimetri di distanza l’una dall’altro.
-Io voglio aiutarti.- affermò Jake, prendendole il viso dolcemente. –Anzi, io voglio proteggerti.-
-Ma perché?- gli chiese, scuotendo la testa.
In effetti se lo era sempre chiesto. Perché lui la voleva aiutare a tutti i costi?
Caitlin non ci credeva più alla storia del poliziotto altruista che le voleva dare una mano.
Lui aveva insistito a tutti i costi per farla andare a casa sua, dicendole che andare dal detective Allen avrebbe significato mettere a repentaglio la vita di tutto loro.
E poi le aveva chiesto di andare al mare insieme a lui, come se quella fosse una sorta di vacanza invece che una forma di protezione.
Adesso questo.
Quelle frasi cattive che le aveva detto, in un tono che gli aveva sentito usare solo quella mattina con la persona con cui stava parlando a telefono.
Perché la stava trattando in quel modo?
Jake sospirò e poi fece un passo indietro.
-È mio dovere proteggerti.-
-Non dirmi stronzate.- disse Cat, arrabbiata. –Non c’era bisogno di tutto questo ardore. Avresti potuto aiutarmi a montare le inferriate a casa, assicurarti che stessi bene e andartene. E invece no. Mi hai chiesto di venire da te per stare più al sicuro e poi mi hai detto quelle cose brutte. Perché, Jake?-
-Mi dispiace.-
-Che significa mi dispiace?-
-Significa che sono stato uno stronzo.-
Cat esitò. Sembravano scuse sincere.
-Perché?-
-Perché sono teso.-
-Per via del caso?-
Jake annuì. –Anche.-
-Ci sono novità?-
Lo vide sorridere. –Anche se ci fossero, non potrei dirtele.-
Poi a Cat venne in mente una cosa. –Tu sapevi che tuo zio era malato?-
Jake si irrigidì. –Perché?-
Caitlin sospirò. Lui rispondeva alle sue domande sempre con altre domande. Mai una volta che le desse le risposte che cercava.
-Oggi sono andata a mangiare al locale.-
Jake la fissò.
-Tu sei sparito tutto il giorno praticamente.- si giustificò Cat, anche se non doveva. –Non volevo pranzare da sola.-
-Mi dispiace.- si scusò un’altra volta Jake. –È saltato fuori un imprevisto.-
Caitlin si chiese se il suo imprevisto avesse a che fare con la sua telefonata di quella mattina.
Poi si rese conto che probabilmente era così.
-Comunque ho parlato con Stella e mi ha detto che tuo zio era malato. Tu lo sapevi?-
Jake scosse la testa, ma evitò il suo sguardo.
Qualcosa le disse che lui stava mentendo.
-Sei pronta?- le chiese poi lui, cambiando totalmente argomento.
Caitlin fece finta di niente e poi recuperò la busta di plastica in cui aveva messo le cose che si sarebbe portata.
Mentre uscivano di casa, si disse che la malattia di Thomas era il suo nuovo punto di partenza.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Caitlin sbuffò, profondamente indecisa.
Poteva rimanere a casa con Jake e fare finta che lui non le rivolgesse la parola da quando avevano fatto colazione insieme poche ore prima oppure poteva darsi una sistemata e raggiungere il detective Allen per unirsi al loro solito pranzo domenicale, godendosi quel po’ di calore familiare che quell’incontro sembrava sprigionare tutte le volte.
Non ne poteva davvero più di stare chiusa dentro casa e sapere che Jake ce l’aveva di nuovo con lei la faceva stare anche peggio.
Che poi, a dirla tutta, non era nemmeno così convinta che lui ce l’avesse di nuovo con lei, ma i suoi silenzi erano diventati talmente eloquenti che lei alle fine aveva imparato ad interpretarli, cercando di capire al volo quando era il caso di fare finta di niente e quando invece era il caso di farsi coraggio e affrontarlo a viso aperto per capire quale diavolo fosse il problema.
Quella mattina non era sicura di quale fosse la strategia migliore da seguire, ma di sicuro non aveva nessun senso continuare a rimanere lì, con Jake che le rivolgeva a stento la parola e lei che non ne poteva più di aspettare che lui si ricordasse di nuovo della sua presenza. 
Doveva smetterla di farsi investire da tutte quelle paranoie e prendere una decisione una volta per tutte.
Quella riflessione l’aiutò stranamente a prendere una direzione.
Chiuse frettolosamente il libro che aveva letto per più di due ore e poi frugò a lungo nell’armadio in cui aveva riposto tutti i vestiti che si era portata dietro.
Doveva ammettere che quella sistemazione, se pur temporanea, non era affatto male.
La camera in cui dormiva non era particolarmente grande, ma in compenso era estremamente comoda.
Il letto a una piazza e mezza era decisamente più grande del letto singolo che aveva a casa sua e la scrivania in mogano alla destra dell’armadio si era rivelata un valido alleato in tutti quei momenti in cui aveva voglia di leggere qualcosa o di navigare su internet col pc.
Il problema alla fine era solo Jake, che alternava stati d’animo un po’ troppo altalenanti per i suoi gusti.
Caitlin si sforzò di non pensare a lui e si concentrò invece sulla sua ricerca.
Alla fine scelse una gonna nera a vita alta che le arrivava poco sopra alle ginocchia e una maglia rosa con le maniche a tre quarti.
Per essere una ragazza era abbastanza alta, ma decise comunque di non rinunciare a un paio di ballerine con un po’ di tacco.
Con un filo di trucco addosso avrebbe avuto poi un aspetto ancora più carino e questo bastò a convincerla del fatto che stesse facendo la cosa giusta.
Uscire un po’ le avrebbe fatto bene, esattamente come le avrebbe fatto bene prendere le distanze da Jake, che era un po’ troppo umorale ultimamente.
Recuperò rapidamente il beauty con tutti i suoi trucchi e poi si diresse in bagno, riflettendo intanto su come chiedere a Jake di accompagnarla a casa del detective.
Non aveva senso prendere i mezzi pubblici quando lui poteva portarla a destinazione in meno di mezzora con la macchina.
Se c’era un aspetto positivo del vivere nei piccoli centri infatti era proprio quello, poter raggiungere qualsiasi punto della città in poco tempo.
Decise di legarsi i capelli in una coda di cavallo per rendere più agevole il trucco e poi aprì il suo beauty rosso in vernice.
Stava per svitare la base per gli ombretti che usava sempre quando Jake la raggiunse, anticipando un po’ prima del previsto il loro confronto.
-Che stai facendo?- le chiese subito lui, notando che si stava preparando per uscire.
Cat si schiarì la voce.
All’improvviso si sentiva stranamente a disagio, come se stesse facendo qualcosa che non doveva fare.
Jake si appoggiò allo stipite della porta del bagno, che lei era stata così stupida da lasciare aperta, e poi la fissò a lungo, in attesa di una risposta.
Indossava la sua solita tuta da ginnastica nera e in quella posizione sembrava ancora più alto e muscoloso di quanto già non lo fosse.
-Allora?- la incalzò lui, vedendola esitare.
-Vorrei andare a pranzo dagli Allen.- rispose Caitlin, andando dritta al sodo.
-E perché?-
Caitlin si indispettì. Perché Jake stava usando quel tono strano con lei?
In fondo era un suo diritto concedersi qualche ora di svago dopo tutto quello che le era successo negli ultimi giorni.
Non doveva certo chiedergli il permesso, né tanto meno giustificarsi con lui per il fatto di voler uscire un po’ da quelle quattro mura di cemento.
-Ci deve essere per forza un motivo in particolare per voler andare da loro?- lo provocò Cat, infastidita dal suo atteggiamento.
Jake si passò una mano nei suoi capelli scuri e poi sbuffò. –Non ti va di pranzare insieme e poi fare un giro da qualche parte?-
Caitlin rise. L’aveva evitata tutta la mattina e ora che lei voleva andare a pranzo dagli Allen lui si ricordava di voler passare un po’ di tempo con lei? Era uno scherzo per caso?
E poi che senso aveva?
A volte si comportava in modo davvero strano, come se lei non fosse finita nel mirino di un killer e lui non fosse un poliziotto che la stava ospitando solo per proteggerla.
Decise di dirglielo ad alta voce.
-Io non ti capisco.- gli disse, mettendo da parte i trucchi e incrociando le braccia. –Non capisco perché ti comporti in questo modo, sinceramente.-
Jake la fissò in modo strano, ma non disse nulla.
Caitlin sospirò. Non avrebbe cavato un ragno dal buco, come al solito.
-Perché lo fai?- gli chiese, cambiando strategia.
-Cosa?-
-Tentare in tutti i modi di passare del tempo insieme.- rispose Cat, perplessa.
Jake aveva messo le cose in chiaro quasi subito.
Non era interessato a lei e il suo unico obiettivo era quello di proteggerla.
Eppure continuava a proporle di passare del tempo insieme e questo lei non riusciva proprio a spiegarselo.
Jake scosse la testa. –Non è come pensi tu.- le disse, sospirando. –Cerco solo di dare una mano.-
Caitlin si irrigidì. –Che vuol dire?-
Lei non aveva bisogno della balia né tanto meno di qualcuno che volesse passare del tempo con lei solo perché gli faceva pena o perché era in pericolo.
-Che ne hai passate tante e che ti meriti anche tu un po’ di serenità.- le disse, sincero. –Tutto qui.-
Cat inspirò profondamente con il naso.
All’improvviso le tornarono in mente le parole di Abigail.
La devi lasciar perdere, Jake. Ha già sofferto abbastanza nella vita.
Eppure lui le aveva assicurato in tutti che non stessero parlando di lei. Ma allora perché il tono che aveva usato poco prima lasciava intendere altro?
Decise di mettere in chiaro le cose una volta per tutte.
-Che ne sai tu?- gli chiese, sempre più tesa.
Jake alzò le spalle. –Ti sei ritrovata a un passo dal luogo in cui è stato ucciso mio zio e qualcuno si è intrufolato in casa tua nel cuore della notte.- le spiegò, quasi come se fosse colpa sua. –Direi che questo non è proprio il tuo momento, Caitlin.-
Caitlin si rilassò.
Jake si riferiva solo agli ultimi avvenimenti della sua vita, non a quello che avevano passato lei e Matt da quando avevano perso i loro genitori.
In fondo cosa poteva saperne lui?
Cat aveva provato ad accennargli qualcosa, ma alla fine non si era mai aperta del tutto con lui.
Jake era un poliziotto e quindi una persona di cui fidarsi, ma si conoscevano da poco tempo e lei non era certo il tipo che andava a spifferare tutti i fatti suoi alla prima persona che incontrava.
Si schiarì la voce e poi annuì, molto più tranquilla.
-Ci invitano a pranzo tutte le domeniche.- gli disse, rispondendo alla sua domanda iniziale. –Linda e Kane, dico. Come se io e Matt facessimo parte della famiglia.-
Jake annuì. –Va bene.-
Cat non riuscì affatto a decifrare il tono della sua voce.
Sembrava rassegnato, ma lei ci vide anche dell’altro. Dispiacere forse?
-Però magari dopo possiamo andare a fare una passeggiata al mare.- gli propose, rendendosi conto che da quando si conoscevano lei non aveva fatto altro che mantenere le distanze.
Gli occhi di Jake si illuminarono. –Davvero?-
Cat accennò un sorriso. –Davvero.-
Jake ricambiò il sorriso e poi si offrì di accompagnarla dagli Allen.
Cat accettò senza esitare la sua offerta e poi aspettò che lui se ne andasse per iniziare a truccarsi.
Doveva ammettere che era stato molto più facile del previsto.
Lei gli aveva spiegato il motivo per cui voleva andare a pranzo da loro e lui si era offerto di accompagnarla con la macchina fino a lì.
Non sarebbe potuta andare meglio di così nemmeno se avesse organizzato tutto con anticipo nei minimi dettagli.
Decise di farsi un trucco leggero e poi si sciolse i capelli.
Voleva godersi a tutti i costi quella giornata, senza mettersi troppo a pensare.
Pettinò i suoi lunghi capelli biondi e poi avvisò Jake che era pronta.
 
Venti minuti dopo Cat cominciò ad intravedere l’elegante profilo della villa a due piani con vista sul mare in cui abitavano i coniugi Allen.
Era un edificio moderno, sui toni del rosa salmone, con una grandissima terrazza sul mare e una serie infinita di stanze arredate con eleganza e buon gusto.
Per quel che ne sapeva lei, Linda e Kane avevano sempre abitato lì.
Si erano conosciuti nell’ospedale in cui lavorava suo padre e nel giro di poco tempo si erano sposati e avevano avuto Mike, il loro unico figlio.
Linda era stata la migliore amica di sua madre da quando lei ne aveva memoria, fino a quando i suoi genitori non erano morti nel tragico incidente che era costato loro la vita.
In quel momento Caitlin non poté fare a meno di chiudere gli occhi per un istante. Li riaprì  quasi subito, però,  sforzandosi di non pensare costantemente a quella stramaledetta sera.
Le succedeva quasi sempre ormai.
Non riusciva a fare a meno di pensare a loro tutte le volte in cui metteva piede nell’ultimo posto in cui presumibilmente loro erano stati prima di morire.
Si chiese se prima o poi le cose sarebbero cambiate e se andare a casa degli Allen non sarebbe stato più così difficile come lo era stato fino a quel momento.
-Tutto bene?- le chiese Jake, notando la sua reazione.
Caitlin annuì.
Non aveva nessuna voglia di raccontargli il motivo per cui si sentiva male ogni volta che intravedeva la villa degli Allen.
Jake entrò nel vialetto antistante alla villa come lei gli aveva suggerito e poi fermò la macchina a pochi metri dall’imponente cancello nero davanti a loro.
Caitlin non fece in tempo ad uscire dalla macchina che il detective Allen venne loro incontro, superando il cancello e fermandosi a un passo da loro.
Probabilmente li aveva visti arrivare dalla finestra e non aveva potuto fare a meno di uscire quando ormai erano a pochi metri da casa sua.
-Ci vediamo dopo.- disse a Jake, ringraziandolo del passaggio.
Scese dalla macchina e poi si diresse verso il detective, che stava fissando Jake in un modo strano.
Probabilmente si stava chiedendo che diavolo ci facesse lei con il nipote dell’uomo che era stata ucciso pochi giorni prima a pochi passi da casa sua.
In quel momento decise che gli avrebbe spiegato tutto una volta che Jake se ne fosse andato.
Non era il caso di mettersi a fare scenate in mezzo alla strada.
Cat si rese conto però che lui non la stava minimamente considerando, distratto dall’uomo che le aveva appena dato un passaggio.
-Ciao, Kane.- lo salutò allora, cercando di attirare la sua attenzione.
Kane non le rispose affatto.
Si avvicinò al lato della macchina in cui era seduto Jake e poi scosse la testa. –Che diavolo ci fai tu qui?-
Cat guardò prima lui e poi Jake, curiosa.
Quindi si conoscevano. E a giudicare dall’espressione che avevano entrambi, non erano per niente felici di vedersi.
Jake sapeva che sarebbe successa una cosa del genere? E perché non le aveva detto niente?
Vide Jake scendere dalla macchina e poi incrociare le braccia al petto. –Sto facendo quello che avresti dovuto fare tu, Kane.- gli disse, in tono arrabbiato.
Caitlin era sempre più confusa. Ma di che diavolo stavano parlando?
Kane si ricordò solo in quel momento della sua esistenza.
Si voltò verso di lei e le ordinò di entrare in casa, in un tono che lei non gli aveva mai sentito usare.
Cosa?
-Si può sapere che sta succedendo?- chiese, guardando prima l’uno e poi l’altro.
-Entra.- si limitò a dire Kane, fulminandola con lo sguardo.
Jake gli fece un cenno con la testa. Era il suo modo di dirle che doveva entrare dentro casa e basta, senza fare troppe storie.
-No, allora.- disse, spazientita. –Forse non ci siamo capiti. Voi adesso mi spiegate che diavolo sta succedendo e me lo dite una volta per tutte, ok? Perché io non ne posso più di tutti questi misteri.-
La guardarono entrambi come se fosse passa.
-Cat, entra.- le ordinò Jake, senza darle minimamente retta.
-Tu non puoi dirmi quello che devo fare.- protestò lei, stufa dei suoi atteggiamenti da duro.
-E nemmeno tu.- aggiunse poi, rivolgendosi al detective Allen.
-E va bene.- si arrese Kane, con una strana luce negli occhi. –Ma tu prima mi spieghi che diavolo ci fai con il detective Turner.-
Cat stava per aprire bocca quando il suo cervello le disse che era meglio stare zitta.
Detective Turner? Jake era un detective? Non era un semplice agente?
Ecco, quello era un particolare che le era completamente sfuggito.
-Io...-iniziò a dire, non sapendo bene cosa dire.
Jake intervenne al posto suo. –Le ho impedito di farsi ammazzare, tanto per cominciare.- disse, senza usare mezzi termini. –E le ho detto anche che era meglio stare da me fino a quando non si fossero calmate le acque.-
Kane sgranò gli occhi. –Cosa hai fatto, tu?- sbottò il detective, alzando il tono di voce.
-Avresti dovuto proteggerla, Kane.- lo accusò Jake, arrabbiato. –E non lo hai fatto.-
A quel punto Caitlin non ci capì più niente.
Cosa c’entrava il detective Allen con lei? Non era mica colpa sua se qualcuno si era introdotto in casa sua.
E allora perché Jake ce l’aveva tanto con lui?
-Tu non puoi fare una cosa del genere.- disse Kane, sconvolto. –E sai anche molto bene il perché.-
Jake si irrigidì per un attimo e poi scosse la testa. –E cosa hai intenzione di fare allora? Darla in pasto ai leoni?-
-Ti devi mettere bene in testa una cosa, Turner.- gli disse Kane, cercando di mantenere la calma. –Se un tuo superiore ti da un ordine, tu lo esegui e basta, non fai di testa tua come avessi la libertà di scegliere, è chiaro?-
Cat lanciò un’occhiata a Jake. Si capiva che stava facendo di tutto per non perdere le staffe.
-E tu.- le disse Kane, puntandole il dito contro. –Tu perché non mi hai detto niente?-
-Io non capisco cosa sta succedendo.- si limitò a dire Caitlin, sempre più confusa.
-Cosa c’è da capire?- sbottò Jake. –Ti sei messa in un bel cazzo di casino, Caitlin.-
Il detective Allen gli lanciò un’occhiata.
Poi si voltò di nuovo verso di lei. –Come diavolo ti è venuto in mente di andare a casa sua?-
Caitlin fece per aprire bocca, ma alla fine non disse nulla.
Non aveva scuse. Se Kane era così arrabbiato, significava che lei aveva fatto un’enorme cavolata e ora doveva assumersene tutte le conseguenze.
Solo che non capiva come mai quei due si odiassero così tanto.
-Lo so, ho sbagliato.- ammise. –Ma ero spaventata e...-
Il detective la interruppe bruscamente. –Dovevi venire da me.-
Cat sospirò. Perché riusciva a fare sempre la cosa sbagliata?
Poi le venne in mente una cosa.
-Perché non posso stare da lui?- gli chiese, riferendosi a Jake.
E non lo stava chiedendo perché volesse starci. Anzi. Il problema era che non capiva cosa diavolo c’entrasse Jake con lei.
-Perché no.-
-Non è una risposta.- si intromise Jake.
Il detective Allen scosse la testa. –Non riesco a crederci, guarda.- disse, in tono rassegnato. -Eri l’ultima persona che doveva avvicinarsi a lei e invece lo hai fatto lo stesso.-
-Perché?- chiese Caitlin. –Perché non poteva avvicinarsi a me?-
Vide i due detective scambiarsi un’occhiata, ma nessuno le rispose.
Bene. Non solo non le stavano dando le risposte che voleva, ma ora era anche più confusa di prima.
-Mi spiegate che sta succedendo?- chiese ancora una volta, in tono quasi supplichevole.
Nessuno dei due fece in tempo a dire nulla.
Linda si affacciò dalla porta di casa e li chiamò in lontananza.
-Dobbiamo andare.- le disse Kane, in tono sbrigativo.
Poi si rivolse a Jake. –Con te facciamo i conti dopo.-
Jake serrò la mascella e poi rientrò in macchina senza dire nulla.
Cat lo osservò mettere in moto e poi allontanarsi sempre di più.
Quando il suo sguardo incrociò di nuovo quello di Kane, lei capì che stavolta l’aveva fatta davvero grossa.
-Cat, non devi dare retta a Turner.- iniziò a dirle, sospirando. –È una testa calda e sta portando avanti delle indagini molto pericolose. Stargli vicino significare rischiare quanto rischia lui e io questo non lo posso proprio permettere.-
Cat cominciò finalmente a capire.
Ecco perché il detective era così arrabbiato. Non voleva che lei finisse in pericolo a causa delle indagini di Jake.
-Scusa.- disse, abbassando lo sguardo. -Ho sbagliato a non dirti niente.-
Kane annuì. –Non lo fare mai più.- la rimproverò. –Ho fatto una promessa ai tuoi genitori e intendo mantenerla.-
Cat rialzò lo sguardo verso di lui. Che intendeva?
Kane si passò una mano nei capelli e poi scosse la testa, come se stesse ripensando a qualcosa che però non voleva dirle.
-Che promessa?- gli chiese, schiarendosi la voce.
-Che mi sarei sempre preso cura di te e di Matt.-
-E perché hai fatto una simile promessa ai miei genitori?-
Il detective esitò. –Perché eravamo amici.-
Cat non pensava che il motivo fosse quello, ma annuì comunque. –Linda ci starà aspettando.-
Il detective sorrise. –Non vedeva l’ora che arrivassi.-
Caitlin ricambiò il sorriso e poi lo seguì verso casa.
 
Un’ora dopo Caitlin non ne poteva più di mangiare.
Linda aveva cucinato tantissimo e lei aveva mangiato anche più di quanto mangiasse di solito.
Si era goduta la compagnia degli Allen come se facesse parte anche lei della loro bellissima famiglia e quella sensazione l’aveva fatta stare bene per un po’, come non le succedeva ormai da tempo.
In quel momento Michael era seduto sul divano e chiacchierava con suo padre, mentre lei chiacchierava amabilmente con Linda e Samantha.
Linda era davvero una bella signora, sulla sessantina, con due grandi occhi chiari e una caschetto di capelli biondi simili ai suoi.
Le aveva sempre voluto bene, fin da piccola, e se sua madre fosse stata viva avrebbe sicuramente apprezzato quel legame affettivo che si era creato tra loro nel tempo.
Anche Samantha era una ragazza davvero in gamba e attraente e la sua bellezza era dovuta in parte alla madre, una donna asiatica che aveva sposato tanti anni prima un occidentale.
In quel momento indossava un tubino fucsia che metteva in risalto la sua carnagione e il suo bel pancione.
-Come va il lavoro, Cat?- le chiese a un certo punto Linda, in tono gentile.
Caitlin esitò. Doveva dirle di Thomas e di tutto il resto?
Poi però pensò che probabilmente già sapeva del suo omicidio e quindi era inutile mentire.
-Mi sto trovando bene in libreria.- rispose. –Ma è strano non lavorare più per Thomas.-
Linda la guardò con aria afflitta. –Mi dispiace così tanto per quello che è successo.-
Samantha le guardò con aria interrogativa. Forse era l’unica a non sapere cosa fosse successo.
-Ti ricordi Thomas, il proprietario del locale in cui lavoravo?- le chiese Cat, rabbuiandosi.
Sam annuì.
-È stato ucciso.-
-Cosa?- disse Sam, sconvolta.
Caitlin sospirò. –Già.-
A quel punto intervenne Linda. –Pensano che si tratti di suicidio, però.-
Cat sussultò. Che cosa ne poteva sapere Linda?
La moglie di Kane si voltò e poi si accertò che marito e figlio fossero abbastanza lontani da non sentire la loro conversazione.
In effetti gli uomini erano seduti su uno dei due divani del salone, mentre loro erano ancora sedute a tavola. Li separavano almeno tre metri e lei abbastanza sicura che questo Linda lo sapesse bene.
-Prima Kane stava parlando con un collega, o almeno credo.- le disse, con fare sospetto. –Parlavano di suicidio.-
-Non è possibile.- si ritrovò a dire Cat, disorientata.
Linda la guardò con aria perplessa. –Perché, tesoro?- le chiese, confusa. –Pare che fosse molto malato.-
Cat si irrigidì. E lei come faceva a saperlo?
Le fece quella domanda ad alta voce.
Linda abbassò ancora di più la voce. –Me lo ha detto Kane, ma non devi dirlo a nessuno, Caitlin.- le rivelò.- Sono informazioni riservate, capisci?-
Cat annuì, facendo finta di non saperlo.
-E come mai parlano di suicidio?- le chiese poi, fingendosi curiosa.
Linda alzò le spalle. –Probabilmente perché sapeva di essere molto malato e non voleva finire la sua vita in un letto di ospedale.-
Cat sapeva che le cose non stavano così.
Thomas era malato, sì, ma la cura che gli avevano dato stava facendo effetto. Non aveva nessun motivo per togliersi la vita.
E allora perché Kane aveva prospettato quell’ipotesi al suo collega?
Sospirò, sempre più confusa.
C’era qualcosa che non andava e lei avrebbe tanto voluto sapere che cosa.
-Comunque sono molto vicini alla risoluzione del caso.- le confidò Linda. –Credo che stiano aspettando gli ultimi risultati dell’autopsia per confermare definitivamente l’ipotesi del suicidio.-
Cat non disse nulla. Lei sapeva per certo che Thomas non si era suicidato, ma non poteva certo dirlo a Linda e Samantha, con il rischio di compromettere la posizione delicata in cui si trovava Jake, la sua principale fonte di informazioni.
-Avete deciso il nome del bambino?-
La voce di Linda interruppe ancora una volta il flusso dei suoi pensieri.
Si rese conto che questa volta non stava parlando con lei e a quel punto si sforzò in tutti i modi di concentrarsi sulla loro conversazione.
Non poteva fare niente tanto.
Doveva aspettare che Jake la venisse a prendere e poi ne avrebbe parlato con lui, sperando che almeno questa volta lui le dicesse qualcosa in più.
 
Jake venne a prenderla alle tre e di questo Kane non fu affatto contento.
Il detective le disse di recuperare tutte le sue cose da lui e poi di tornare a casa sua, per il suo stesso bene.
Cat lo rassicurò dicendogli che lo avrebbe fatto e poi salutò tutti, facendo attenzione a non stringere troppo Samantha.
Sorrise un’ultima volta e poi si diresse verso la macchina di Jake, che era ferma davanti al cancello degli Allen.
Quando salì in macchina Jake le lanciò un’occhiata.
Sembrava arrabbiato, ma non con lei.
-Tutto ok?- le chiese, ingranando nel frattempo la retromarcia.
Cat notò che indossava un paio di jeans e una maglia rossa, che metteva in risalto il colore scuro dei suoi capelli.
Si schiarì la voce, imbarazzata. –Sì.-
-Ma?-
-Ma devo tornare a casa mia.- gli disse, stupendosi che lui si fosse accorto che qualcosa non andava.
-Te lo ha detto Allen?-
Cat annuì.
Jake si voltò per un attimo verso di lei e poi tornò a concentrarsi sulla guida.
-Non sei al sicuro lì.-
-Perché non mi hai detto che vi conoscevate?- gli chiese Cat, ignorando quello che lui le aveva detto.-
-Non mi stai ascoltando, Caitlin.- le disse Jake, ignorando la sua domanda.
Cat incrociò le braccia al petto e poi guardò fuori dal finestrino.
La villa degli Allen distava pochi chilometri dalla casa di Jake, ma lei in quel momento ebbe la netta impressione che quel viaggio sarebbe stato più lungo del previsto.
Lui era arrabbiato con Kane e Kane era arrabbiato con lui. Come si usciva da quella situazione di impasse?
-Mi ha detto che le tue indagini potrebbero mettermi in pericolo.- gli disse, consapevole della sua provocazione.
Jake si irrigidì. Strinse con più forza il volante, ma non disse nulla.
La sua reazione fu piuttosto chiara per Caitlin.
Quello che le aveva detto Kane era vero, ma Jake non aveva nessuna intenzione di ammetterlo.
-Hai detto che volevi proteggermi.- lo incalzò lei, decisa a capirci qualcosa.
-Ed è la verità.- disse Jake.
-E perché Kane pensa che le tue indagini possano mettere a repentaglio la mia vita?-
-Non è così.-
Cat sbuffò. –Non è una risposta.- disse, riprendendo le stesse parole che aveva usato lui con Kane.
Quando vide che lui non aveva nessuna intenzione di risponderle decise di parlargli di quello che aveva scoperto da Linda.
-La polizia pensa che si tratti di suicidio?- gli chiese, sperando che almeno gli rispondesse su questo.
Cat notò che erano quasi arrivati a casa sua e che il mare distava ormai solo pochi metri da loro.
All’improvviso si ricordò del loro proposito di fare una passeggiata insieme nel pomeriggio e si irrigidì.
Era davvero il caso?
Cat pensò che forse sarebbe stata un’occasione in più per capire cosa diavolo stesse succedendo e quindi non disse nulla.
-È un depistaggio.- le rispose Jake.
-Che vuol dire?-
Jake sospirò. –Cercano di far abbassare la guardia a chi ha ucciso mio zio. – le spiegò. –Se l’assassino di Thomas crede di averla fatta franca perché la polizia punta sull’ipotesi del suicidio di sicurò farà qualche passo falso, convinto che nessuno sia sulle sue tracce.-
Cat annuì. Quel ragionamento non faceva una piega.
-Ma con l’autopsia non si capisce se è suicidio o meno?- chiese, curiosa.
Jake le lanciò un’occhiata. La riposta era scontata. –Ma lui questo non lo sa.-
Cat lo vide svoltare a destra.
Stava portando la macchina quanto più vicina alla spiaggia.
Non si era dimenticato affatto della loro passeggiata.
-Tu sai chi è stato?- gli chiese, facendogli per l’ennesima volta la stessa domanda.
-Non ne sono sicuro.- rispose Jake, parcheggiando nel frattempo la macchina. –Ma sono abbastanza convinto che sia la stessa persona che ha ucciso le vittime dell’altro caso che sto seguendo.-
Cat sospirò. –Tu e Kane siete colleghi?- gli chiese poi.
Jake spense la macchina e poi si voltò verso di lei. –Non esattamente.- le disse. –Lui è il mio capo.-
Lo vide slacciarsi la cintura di sicurezza e poi scendere dalla macchina.
Cat fece la stessa cosa e poi si concesse un momento per osservare lo splendido panorama di fronte a lei.
La spiaggia era praticamente vuota, fatta eccezione per una coppia di ragazzi che aveva steso un telo in un angolino per stare insieme e una famiglia con due bambini che giocavano con un pallone.
Il mare, un’immensa tavola blu, era calmo, increspato dalle onde solo in prossimità della riva.
Cat prese un respiro profondo e poi sorrise. Il mare aveva uno strano effetto benefico su di lei, ma a distanza di tempo ancora riusciva a spiegarsi il perché.
-Facciamo due passi?- le propose Jake.
Caitlin annuì.
Si incamminarono verso la spiaggia e poi rimasero per un po’ di tempo in silenzio.
Cat non sapeva cosa dire e Jake non faceva nulla per aprire una conversazione.
-Devo prendere le mie cose.- gli disse allora, ricordando le parole del detective Allen.
Jake le lanciò un’occhiata e poi tornò a guardare dritto davanti a sé.
-Sei più al sicuro con me.- replicò, in tono secco.
-Kane non vuole che stia da te.-
-Kane non sa sempre cosa sia meglio per gli altri.- si limitò a dire Jake, in tono misterioso.
-E che significa?-
Lo vide passarsi una mano nei capelli e poi scuotere lievemente la testa. –Che questa volta non ha ragione.-
-Perché gli hai detto che avrebbe dovuto proteggermi?-
Il figlio di Abigail fece un sorriso amaro. –Perché è così.-
-Da chi?- insistette Caitlin. –Da chi ha ucciso tuo zio?-
-Già.-
-Ma non è colpa sua.-
Jake non disse nulla.
Era evidente che non volesse parlare di quello.
-Come è andato il pranzo?- le chiese a un certo punto lui, cambiando totalmente argomento.
-Bene.- rispose Cat, accennando un sorriso. –Da quando sono morti i miei, Linda e Kane hanno fatto di tutto per farci sentire in famiglia. Si sono sempre presi cura di noi e di questo gli sarò per sempre grata.-
Vide Jake annuire. –Tu e Michael siete amici?- le chiese poi, in un tono che lei non riuscì affatto a decifrare.
-Ci conosciamo da quando eravamo piccoli, sì, ma non siamo mai stati amici nel vero senso della parola.- rispose Cat. –Perché, tu lo conosci?-
-Solo di vista.- si limitò a dire Jake, in tono evasivo.
Cat annuì. –È un bravo ragazzo, comunque. E sono felice che stia per avere un bambino con Samantha. Si amano e si meritano tutta la felicità di questo mondo.-
Jake non disse nulla. E a lei questo non sfuggì.
Come mai all’improvviso sembrava più cupo?
Non ebbe il tempo di approfondire la questione. Il suo cellulare iniziò a squillare proprio in quel momento e lei non poté fare a meno di rispondere.
Lanciò un’occhiata a Jake che la stava guardando e poi si schiarì la voce.-Pronto?-
-Ciao, Cat.- la salutò suo fratello.
-Ehi, Matt, tutto ok?-
-Sì, tutto apposto.- rispose suo fratello. –Stasera zia Tracie dà quella festa di cui ti parlavo l’altro giorno.-
Caitlin fece una smorfia. –E chi ha invitato?-
Notò che Jake la stava fissando, curioso.
Per qualche strano motivo arrossì. Si sentiva sotto una lente di ingrandimento quando lui la guardava così.
-Un sacco di suoi amici e poi anche quel collega giovane che lavorava con papà, te lo ricordi?- gli rispose Matt, in tono allegro.
Certo che se lo ricordava. Ci aveva parlato un sacco di volte e poi era stato a lungo un tirocinante seguito da suo padre.
Non riuscì comunque a mascherare un’espressione di sorpresa. –Chris?-
-Esatto.- le confermò suo fratello. –Credo che stiano insieme, sai?-
-Ah sì?-
-Già.- rispose Matt. –In fondo sono coetanei. Entrambi sulla trentina e senza un compagno.-
-Veramente hanno più di trent’anni.- lo corresse Cat, alzando gli occhi al cielo.
Ma questo non cambiava comunque le cose.
Chris era un uomo gentile e altruista, mentre sua zia Tracie era acida e molto individualista.
Come potevano stare insieme due persone così diverse?
Si sforzò di non fare quella domanda ad alta voce e poi si concentrò su quello che stava dicendo suo fratello.
-E quindi voglio provarci.- disse Matt, in tono fiducioso.
-Cosa?-
-Voglio invitare Melissa alla festa di stasera.-
Cat aggrottò la fronte. Si doveva essere persa un pezzo.
A suo fratello piaceva Melissa? La sua compagna di classe? E perché non glielo aveva mai detto?
-Fai bene.- lo incoraggiò, convinta di quello che diceva.
-Allora ci sentiamo dopo.- la congedò suo fratello, imbarazzato.
-Certo.- lo assecondò Cat, divertita dal suo imbarazzo. -E fammi sapere come va, ok?-
Suo fratello le disse di sì e poi riattaccò.
Mentre posava il telefono nella borsa Caitlin non poté fare a meno di sorridere.
Matt cominciava a provare interesse per una ragazza e lei non poteva fare a meno di esserne contenta.
-Tutto apposto?- le chiese Jake, strappandola ai suoi pensieri.
-Direi proprio di sì.- rispose, allegra. –A mio fratello piace una ragazza e da quanto ho capito vuole invitarla alla festa che dà mia zia stasera.-
-Ed è una cosa buona?-
-Certo!- esclamò Cat, accennando un altro sorriso. –L’unica cosa strana è che ho scoperto che un collega di papà, che è poco più grande di te, si è messo con mia zia. Assurdo...-
-Perché?-
-Perché sono molto diversi.- gli spiegò, ancora sconvolta.- Lui ha un animo gentile che mia zia non ha mai avuto in vita sua.-
-Addirittura.-
Lanciò un’occhiata a Jake e poi annuì con convinzione.
-Comunque mi fa piacere che almeno Matt si stia rilassando un po’.- disse, schiarendosi la voce.
Jake la guardò in modo strano.
-Con questo non voglio dire che io non mi stia rilassando, ma...-
Si interruppe nell’istante esatto in cui capì che forse era meglio stare zitta. Parlare avrebbe solo peggiorato le cose.
-Lo so, Caitlin.- disse Jake, anticipandola. –So che non è il periodo più bello della tua vita.-
Cat non disse nulla.
-E so anche che a volte mi comporto da vero stronzo.- proseguì. –Ma, credimi, ho molto a cuore la tua incolumità e se a volte sono più silenzioso è solo perché mi preoccupo molto per te.-
-Perché ti preoccupi così tanto per me?- gli chiese, quasi in un sussurro.
Jake sospirò. –È il mio lavoro.- le rispose, stringendosi nelle spalle.
Cat non gli credette affatto, ma non commentò nulla.
-Rimani con me, per favore.- la pregò poi, guardandola negli occhi. –È più facile proteggerti così.-
Caitlin per un attimo fu indecisa.
Kane le aveva dato ordini ben precisi. Come faceva a disubbidirgli?
Solo che Jake la stava guardando come se fosse la cosa più preziosa del mondo e lei non riusciva a togliersi di dosso quel senso di sicurezza che lui continuava a trasmetterle.
-Ma come faccio?- gli chiese, scuotendo la testa.
-Parlo io con Allen.- si offrì Jake.
Caitlin si ritrovò ad annuire ancor prima di rendersene conto.
-Se poi dovessi avere la sensazione di non essere al sicuro, allora sei libera di tornare a casa tua, va bene?-
-Va bene.- annuì Cat, sperando che quella fosse la decisione giusta.
Jake le sorrise.
Tornò a guardare di fronte a sé e poi passeggiarono per un’altra ora, chiacchierando del più e del meno.
 
Qualche ora dopo, mentre Jake si faceva la doccia, Caitlin decise di chiamare l’unica amica che aveva.
Dopo la morte dei suoi genitori, infatti, Cat aveva allontanato quasi tutti dalla sua vita.
Tutti, tranne Lauren, l’unica persona che le era rimasta sempre vicino anche quando spesso era proprio lei ad allontanarla.
Si era conosciute tanti anni prima, sui banchi dell’università, e la loro amicizia era andata avanti per tanto tempo, senza mai deteriorarsi.
Lauren non era una persona invadente e questo era l’aspetto che Cat apprezzava più di lei.
Si sentivano quasi tutte le settimane e si vedevano anche spesso, ma dopo tutto quello che le era successo Cat non aveva avuto un briciolo di tempo per chiamarla.
Decise di rimediare quella sera stessa.
Lauren rispose al terzo squillo, allegra come al solito. –Ciao, Cat!- la salutò. –Che fine avevi fatto?-
Cat sospirò. –Se te lo dico, non ci credi.- le disse, non sapendo nemmeno lei da dove iniziare.
-Spara.-
Cat le raccontò quasi tutto.
Le disse che Thomas l’aveva licenziata e che la sera stessa era stato ucciso. Le raccontò del suo nuovo lavoro e persino di Jake, omettendo però che lui l’avesse baciata.
Quanto ebbe finito, si ritrovò a sperare che Lauren non la prendesse per pazza.
Cominciò seriamente a preoccuparsi quando la sentì esitare.
-Ci sei?- le chiese, notando che non diceva niente.
-Cat, ma stai scherzando?- le disse alla fine la sua migliore amica, sconvolta.
-No.-
-Ma come è possibile, scusa?-
-Me lo chiedo anche io.- ammise Cat, scuotendo la testa.
Sentì Lauren sospirare. -E lui com’è?-
Caitlin alzò gli occhi al cielo.
Incredibile. Lauren era più curiosa di sapere come fosse fatto Jake che di sapere come si sentisse lei. Com’era possibile una cosa del genere?
-Lui...ehm... è molto protettivo.- disse, farfugliando.
In effetti Jake lo era davvero. Quel pensiero la fece arrossire.
Era una sensazione meravigliosa sapere che qualcuno era sempre lì, pronto a prendersi cura di te.
La sua risposta non bastò però a Lauren. –È un bel ragazzo?-
Caitlin si schiarì la voce, imbarazzata. Certo che lo era, ma non era        quello il punto.
-Lo è, vero?- insistette Lauren, capendo al volo il suo silenzio.
-Ma ti sembra questa la cosa più importante tra tutte quelle che ti ho raccontato?-
-Cat, scusa, ma forse sono io che mi sono persa un pezzo. –iniziò a dire Lauren, confusa. –Un poliziotto di bell’aspetto ti ha salvato da un pericoloso assassino la sera in cui è stato ucciso Thomas e poi ti ha chiesto di stare da lui dopo che qualcuno si è introdotto a casa tua. Il tutto per proteggerti meglio, giusto?-
Caitlin confermò. Sentirle dire quelle cose ad alta voce rendeva quella storia ancora più bizzarra di quanto pensasse.
-E tu non riesci a cogliere quello che colgo io?-
-No.- rispose Cat, sincera. Cosa c’era esattamente da cogliere?
-Perché mai un poliziotto dovrebbe avere più a cuore la tua incolumità rispetto a quella degli altri?-
Cat non capiva dove lei volesse andare a parare. Decise di dirglielo ad alta voce.
-Forse è interessato a te.- disse Lauren, come se avesse fatto la scoperta del secolo.
Caitlin rise. –Sei completamente fuori strada.- le disse. –E poi ci conosciamo a malapena.-
Le raccontò quello che lui le aveva detto subito dopo averla baciata e per qualche strano motivo le raccontò anche di quel bacio.
-Cosa?- urlò Lauren, sconvolta. –Lui ti ha baciato?-
-Sì, ma non per il motivo che pensi tu.- rispose Cat. –Non è interessato a me. Credo più che altro che gli facessi pena in quel momento.-
Per un momento non poté fare a meno di chiedersi se le cose non stessero davvero così.
In fondo lui glielo aveva detto più di una volta che cercava solo di distrarla dai suoi problemi e quel pensiero era più di deprimente di quanto non volesse ammettere con se stessa.
-Lui ti piace?-
La domanda di Lauren interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportandola alla loro conversazione.
-No.- si affrettò a dire, probabilmente mentendo a se stessa.
-Vabbè.- l’assecondò Lauren, cercando di nascondere la sua perplessità. –E come stanno andando le tue indagini personali sull’omicidio di Thomas invece?-
Cat sospirò. –Ho scoperto solo che era malato, ma niente di più.-
-Cosa credi che gli sia successo?-
Cat alzò le spalle, anche se sapeva che lei non poteva vederla. –Non ne ho la più pallida idea.-
-Scommetto che non mollerai fino a quando non lo avrai capito.-
-Già.-
-Non puoi proprio farne a meno, eh?- la provocò Lauren, conoscendo la sua testardaggine.
-No.- rispose Cat, rendendosi conto che Thomas era stato una delle persone a cui si era affezionata di più dopo che i genitori erano morti.
-Stai attenta però.- la mise in guardia Lauren. –Non ti cacciare nei guai.-
Quella frase le ricordò le parole di Jake.
Anche lui le aveva detto la stessa cosa. Ma perché si comportava in quel modo con lei? Come se avesse davvero a cuore la sua sicurezza?
-Ti va se ci vediamo domani?- le propose poi Lauren, cambiando discorso.
-Certo.- rispose Cat. –Caffè?-
-Andata.-
Cat si sforzò di non pensare più a Jake e si concentrò invece sulla loro telefonata.
Per quella sera avrebbe messo dai parte i suoi pensieri e si sarebbe comportata come una qualsiasi ragazza della sua età.
Era davvero assurdo continuare a fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Il giorno dopo Caitlin chiese a Jake se poteva prendere in prestito la sua macchina.
La sera prima, infatti, si era resa conto che chiedere passaggi in continuazione per ogni singolo spostamento era una cosa impensabile e così quella mattina, per prendere un caffè con la sua amica Lauren prima di andare in libreria, aveva provato a chiedergli in prestito la macchina, convinta che quella soluzione potesse risolvere tutti i loro problemi.
Ma a giudicare dal modo in cui lui la stava guardando in quel momento, probabilmente non era affatto la brillante idea che lei credeva.
Si ritrovò quindi a incrociare le braccia al petto e a fissarlo mentre si infilava il suo immancabile giubbino nero.
-A che ti serve?- le chiese Jake, recuperando le chiavi della macchina dalla tasca.
-Vorrei prendere un caffè con un’amica.-
Jake la guardò di traverso. – È proprio necessario?-
Cat sbuffò. –Il caffè o la macchina?-
Lo sentì ridacchiare. –Tutti e due.- le rispose, divertito.
Caitlin si sforzò di non pensare al fatto che lui avesse anche una bellissima risata oltre ad avere un bel sorriso e poi sbuffò un’altra volta, fingendosi più spazientita di quello che in realtà fosse. -Sono agli arresti domiciliari e non me ne sono accorta?-
-Certo che no.-
Jake le fece l’occhiolino e poi controllò di aver preso tutto.
-Se preferisci accompagnarmi tu in giro, per me non c’è problema.- gli disse. –Ma forse è più semplice se mi presti la macchina così non ti devi scomodare tutte le volte.-
Jake scosse la testa, come se gli avesse appena fatto una proposta assurda. –Tanto per cominciare anche io devo lavorare e quindi la macchina mi serve.- iniziò a dire, in tono divertito. –E poi non credo proprio di poterti affidare il mio bolide.-
Cat sorrise.
Non si era ancora accorta di quanto fosse affascinante quand’era rilassato e di buon umore.
L’atmosfera era molto più leggera e i problemi sembravano un po’ meno gravi di quanto in realtà non fossero.
-Quindi mi accompagni tu tutte le mattine in libreria e poi mi vieni a riprendere dopo il lavoro?- gli chiese, perplessa. –E se dovessi rimanere qui per tanto tempo?-
Lei lavorava in libreria dal lunedì al venerdì e quando non lavorava aveva comunque sempre mille cose da fare.
Era impensabile chiedergli di fare l’autista a tempo pieno.
-Non ti preoccupare.- la rassicurò.- Ti accompagno io.-
Cat continuava ad essere perplessa, ma decise di non dire nulla.
In fondo era stato lui ad insistere perché lei rimanesse a casa sua e questo significava anche accollarsi tutte le seccature che ne derivavano.
Andò a recuperare la borsa nella sua stanza e poi lo seguì fuori di casa.
Mentre attraversavano il vialetto alberato che precedeva l’ingresso del parcheggio condominiale si ritrovò a pensare alla conversazione che avevano avuto il giorno prima.
Jake era riuscito a parlare con Kane in merito alla sua permanenza lì? E lui come aveva reagito a quella notizia?
Decise di fargli quelle domande ad alta voce.
In fondo lui era l’unico ad avere le risposte.
Salì in macchina e poi aspettò che anche lui salisse per parlargli.
-Hai parlato con Kane?- gli chiese, tesa.
Jake mise in moto e poi uscì dal parcheggio. –Perché?-
-Per il fatto di rimanere qui.-
Jake abbassò il parasole del suo posto e poi annuì.
-Come l’ha presa?- chiese Cat, sempre più preoccupata.
Jake le rispondeva a monosillabi e quell’atteggiamento la stava facendo preoccupare  più del dovuto.
-Gli ho spiegato il mio punto di vista e lui ha capito.- si limitò a dirle, come se nulla fosse.
Cat aggrottò la fronte. Ma se ieri si stavano mettendo a litigare per quella questione! Com’era possibile che Kane avesse cambiato idea così repentinamente?
-Tutto qui?- chiese, perplessa.
Jake le lanciò un’occhiata e poi scrollò le spalle. –Tutto qui.- ripeté, come se non ci fosse nulla di strano.
Cat arrivò a pensare che lui le stesse mentendo.
Kane si era infuriato parecchio per quella storia. Le aveva detto di riprendere le sue cose e di tornare a casa sua, in tono anche piuttosto seccato.
Non ci credeva nemmeno un po’ che nel giro di ventiquattro ore avesse cambiato completamente idea e avesse accettato quella situazione senza fare storie.
Cat scosse impercettibilmente la testa e poi si ripromise di chiamare Kane più tardi, almeno per capire se Jake le avesse detto o meno la verità.
Notò che in poco tempo avevano già percorso quei pochi chilometri che separavano la casa di Jake dal centro abitato e che nel giro di pochi minuti lui l’avrebbe portata a destinazione.
Per un attimo si chiese come avrebbe reagito Lauren alla vista di Jake.
Poi si disse che poteva farsi lasciare qualche metro più avanti per non farle vedere chi era il suo accompagnatore e quel pensiero se ne andò alla stessa velocità con cui era arrivato.
-A che ore stacchi dalla libreria?- le chiese a un certo punto Jake, distogliendola da quei pensieri.
-Alle quattro.- rispose Cat, ricordandosi del messaggio che le aveva mandato la sera prima Abigail.
L’aveva avvisata che il giorno dopo avrebbero chiuso un po’ prima perché lei aveva delle cose da sbrigare e che quindi anche Caitlin era libera di andarsene via a quell’ora.
-Bene.- si limitò a dire Jake, richiamando la sua attenzione.
Lo vide svoltare in direzione del centro e poi nella via in cui si trovava la libreria.
-Va bene se ti lascio qui?- le chiese, fermandosi. –Mi è più comodo rigirarmi dopo.-
-Certo, non c’è problema.- lo rassicurò lei.
Poi le venne in mente una cosa che non si era mai chiesta prima.
Ma doveva lavorava Jake? Nello stesso edificio in cui lavorava Kane?
Teoricamente se lui era il suo capo la risposta già la conosceva.
Decise comunque di chiederglielo.
Jake la fissò, come se lei gli avesse fatto una domanda che non avrebbe dovuto fare. -Perché me lo chiedi?-
Cat esitò. Che c’era di male nel fare una domanda del genere?
In fondo lui sapeva quasi tutto di lei, mentre lei continuava a sapere molto poco di lui.
-Perché non me lo hai ancora detto.- rispose, dicendo la verità.
-Nello stesso posto in cui lavora Allen.- le disse, come se fosse una cosa ovvia. –E credo che tu sappia molto bene dove lavora lui.-
Cat annuì.
Certo che lo sapeva. Lavorava nella stazione vicina all’ospedale in cui suo padre aveva prestato servizio per anni, fino a quando non era stato travolto insieme alla madre da quel maledetto tir.
Decise di non pensare a quel particolare e lo ringraziò invece del passaggio, dicendogli che si sarebbero visti nel pomeriggio.
Jake le fece un cenno del capo e poi ripartì.
Cat controllò che ore fossero e poi si diresse verso il bar in cui lei e Lauren si erano date appuntamento, sperando di non fare tardi.
Mentre si incamminava a piedi in quella direzione, si ritrovò a pensare che era tutto molto assurdo.
Si era ritrovata a due passi dal luogo in cui il suo precedente datore di lavoro era stato ucciso e in suo soccorso era arrivato il nipote, un detective che sapeva più cose di lei di quante ne sapesse lei di lui.
E come se non bastasse qualcuno aveva deciso anche di intrufolarsi in casa sua per cercare qualcosa che non solo lei non aveva ancora capito, ma che l’aveva costretta anche a trasferirsi a casa del detective che lei conosceva a malapena.
Continuava avere mille domande e pochissime risposte e da quando si era confrontata l’ultima volta con Stella praticamente non aveva fatto nessun passo avanti nelle sue indagini.
In quel momento decise che forse era il caso di andare a trovarla a casa più tardi e fare due chiacchiere con lei, magari nel tardo pomeriggio.
Le avrebbe chiesto come stava e avrebbe cercato di capire qualcosa in più sull’omicidio del marito.
Mentre si avvicinava sempre di più al bar, Cat decise di chiamare Lauren per sapere dove stava.
La sua migliore amica le disse che aveva già occupato uno de tavoli all’aperto disponibili e che la stava aspettando.
A quel punto Cat riattaccò e allungò il passo.
Lauren era esattamente dove le aveva detto di essere, seduta ad uno degli innumerevoli tavolini del loro bar preferito.
Quella mattina indossava un vestino celeste non molto corto e i suoi lunghi capelli rossi sembravano più chiari del solito.
La vide alzarsi dalla sedia non appena i loro sguardi si incrociarono, ormai l’una a pochi metri di distanza dall’altra.
Cat la raggiunse in pochi secondi e l’abbracciò.
-Ciao Cat.- la salutò subito Lauren con un sorriso.
-Come stai?- le  chiese Cat, contenta di vederla.
La sua migliore amica alzò gli occhi al cielo, divertita. –Come al solito.-
L’espressione dipinta sul suo viso le fece capire che era ancora parecchio impelagata con gli esami all’università.
Si sedettero entrambe intorno al tavolino e poi ordinarono due caffè al primo cameriere che videro.
Da quella posizione potevano vedere tutta la piazza di fronte a loro.
Era una bellissima giornata di fine aprile e il sole era tiepido sulla loro pelle.
Cat notò diversi turisti intenti a fotografare la chiese principale della città , un gruppo di bambini in gita con la loro maestra e una serie infinita di coppiette sedute sulla scalinata che precedeva l’ingresso della chiesa.
Se avesse avuto un ragazzo probabilmente avrebbe fatto la stessa cosa anche lei. Si sarebbe goduta la luce calda del sole di quella mattina in compagnia della persona che amava.
Scacciò quel pensiero dalla testa e poi si concentrò sulla sua migliore amica.
I suoi profondi occhi castani la stavano guardano ormai da un po’.
-Che c’è?- le chiese, curiosa.
Lauren si raccolse i capelli in una coda di cavallo e poi sorrise. –Non devi dirmi niente?-
Cat la fissò, confusa. –A che ti riferisci?-
-Santo cielo, Cat!- la rimproverò Lauren, scuotendo la testa. –Com’è vivere con lui?-
A quel punto capì. Lauren voleva sapere vita, morte e miracoli di Jake.
-Strano.- si limitò a dire, non riuscendo a trovare un aggettivo migliore.
-Per una che non ha mai avuto in ragazzo, dev’esserlo di sicuro.- la prese in giro Lauren, ridacchiando.
Cat la guardò di traverso.
-Stavo solo scherzando.- si affrettò a dire la sua migliore amica, sdrammatizzando.
-Certo.- l’assecondò Caitlin, alzando gli occhi al cielo divertita.
-E comunque è stato il primo ragazzo che hai baciato dopo Ryan.- disse Lauren. –Deve pur voler dire qualcosa.-
Cat la corresse subito. –Non sono stata io a baciare lui.- le disse. -È stato lui a baciare me.-
-Che differenza fa?- le chiese Lauren, alzando le spalle.
Cat alzò gli occhi al cielo.
Lauren non capiva.
Innanzitutto non era stata lei a baciare Jake e poi non c’era nulla tra di loro.
Nemmeno con Ryan c’era mai stato nulla in realtà perché la morte dei genitori l’aveva portata ad allontanare anche lui prima che potesse nascere qualcosa, ma le cose erano ben diverse.
Lei con Ryan c’era uscita qualche volta e l’interesse era stato reciproco.
Jake invece l’aveva baciata una volta perché lei l’aveva vista piangere in mezzo ad un parco e poi le detto fin da subito che il suo unico obiettivo era quello di proteggerla, non di mettersi con lei.
Cos’altro c’era da capire?
Non era interessato a lei. Punto. Ma lei era interessata a lui?
Non fece in tempo a darsi una risposta che il cameriere portò loro i caffè.
-Come stai messa con gli esami?- le chiese Lauren, prendendo un sorso di caffè.
Cat fece una smorfia. Altro tasto dolente quello.
Studiava legge da una vita, ma ancora non era riuscita a prendersi uno straccio di laurea.
E non perché non si impegnasse. Anzi. Studiava più di tante altre persone che conosceva.
Il problema era il tipo di vita che faceva.
Quando non lavorava, studiava, ma nel tempo libero aveva anche un sacco di altre cose da fare, tra cui badare a suo fratello, e studiare a volte era l’ultimo dei suoi pensieri.
Dopo la morte di Thomas, poi, non aveva proprio aperto più libro.
Le mancavano ancora tre esami e la luce in fondo al tunnel sembrava ancora molto lontana.
Se mai si fosse laureata, sarebbe stata uno dei tanti studenti fuori corso, e non di un anno o due. Di tre o quattro forse.
Una tragedia, insomma.
-Male.- rispose infatti, sbuffando.
-Non riesci a studiare?- le chiese Lauren, preoccupata.
-Non ho tempo.- rispose Cat, spazientita. –Se non sto in libreria ho mille altre cose da fare e non so davvero come recuperare tutto il tempo perso.-
-Ti servono appunti?-
-No, tranquilla.- la rassicurò. –Prima o poi ce la farò.-
Cat non ne era così convinta, ma dirlo ad alta voce era sicuramente di aiuto.
Prese un sorso di caffè e poi sospirò.
Prima o poi si sarebbe laureata anche lei, era solo una questione di tempo. O almeno era quello che sperava lei.
-Tra due giorni è il compleanno di Alex.- le disse a un certo punto Lauren, distogliendola da quei pensieri.
-Di già?-
A Cat era completamente passato di mente.
Il fidanzato di Lauren stava sotto i trenta, ma ogni anno dava una festa a casa sua, approfittando dell’ampio giardino di cui disponeva e della piscina che aveva fatto costruire grazie all’aiuto dei suoi, che di problemi economici non ne avevano.
Lauren si era trasferita da lui ormai da un annetto e per quanto assurdo potesse sembrare Cat non si era ancora abituata all’idea che la sua migliore amica presto o tardi si sarebbe sposata.
In quel momento si ritrovò a pensare che forse era lei ad essere infantile, a vivere ancora nel mondo dei piccoli.
-Vieni, vero?- le chiese Lauren, come tutti gli anni.
-Certo.-
Lauren sorrise e poi controllò che ore fossero. –Cavolo, farò tardi a lezione.-
Cat si rese conto che anche lei sarebbe dovuta andare in libreria. –Ci sentiamo per telefono?-
-Ovvio.- le disse Lauren, alzandosi.  
Pagarono il conto e poi si salutarono con un abbraccio.
 
Due ore dopo Cat stava riordinando la sezione dei gialli in uno degli innumerevoli scaffali della libreria.
Abigail non le aveva rivolto un granché la parola da quando si erano viste e quella situazione l’aveva messa parecchio a disagio.
Si ricordava molto bene che cosa le aveva detto l’ultima volta che si erano viste, ma lei non le aveva dato minimamente ascolto e forse per una volta credeva di aver fatto la cosa giusta.
Lei non era interessa a Jake e stare da lui era solo una sistemazione temporanea in attesa che il caso di Thomas fosse chiuso e che la sua vita non fosse più in pericolo.
Quel pensiero però la destabilizzò fortemente.
Lei non poteva rimanere da Jake a oltranza. E se il caso non fosse stato chiuso nel giro di poco tempo?
Però Jake aveva già una pista da seguire e forse stava solo cercando altre prove per avere una conferma dei suoi sospetti.
Era solo una questione di tempo e il caso sarebbe stato risolto.
Finì di sistemare gli ultimi libri in ordine alfabetico e poi lanciò un’occhiata ad Abigail.
Sembrava più distratta del solito quel giorno e lei avrebbe tanto voluto sapere il perché.
Notò che indossava uno dei suoi vestiti colorati che mettevano in risalto la sua figura e che ai piedi aveva un paio di scarpe con il tacco.
Per un attimo le venne il dubbio che avesse un appuntamento con qualcuno.
Decise di andarci a parlare.
Non potevano continuare a ignorarsi tutto il giorno.
Si diresse verso la cassa e poi si schiarì la voce.
Abigail alzò lo sguardo su di lei e poi sospirò.
Non era un bel segno.
-Tutto bene?- le chiese Cat, preoccupata.
-Certo.-
Non aveva voglia di parlare, questo era evidente.
-Stai benissimo oggi.- le disse allora, cercando di smorzare quella brutta tensione che si era creata.
La madre di Jake sorrise. –Grazie.-
-Hai un appuntamento speciale?- si ritrovò a chiedere, senza rendersene conto.
Abigail arrossì. Quindi ci aveva preso. Aveva un appuntamento con qualcuno.
-Scusa.- le disse poi. –Sono stata indiscreta.-
Vide la madre di Jake scuotere la testa. -Tranquilla.- la rassicurò.- Non hai chiesto nulla che non potessi chiedere.-
Cat annuì. Stava per chiederle dove sarebbe andata quando Abigail le confidò di essere un po’ tesa.
-E come mai?- le chiese Caitlin, curiosa.
-Non lo so.- ammise la madre di Jake, alzando le spalle.
Caitlin non era la persona adatta per dispensare consigli sugli appuntamenti galanti.
Era uscita con un ragazzo solo, per due, forse tre volte e non era mai arrivata ad avere una relazione con lui.
Non sapeva proprio cosa dire in quel momento.
-Mi sento un po’ stupida in questo momento.- le disse Abigail, abbassando lo sguardo. –Uscire con un uomo alla mia età...non lo so... forse dovrei annullare...-
-Ma sei giovane ancora.- replicò Cat, sicura di quello che stava dicendo. –Hai tutto il diritto di essere felice di nuovo.-
Poi però si pentì di quello che le aveva appena detto. Che diritto aveva di dirle una cosa del genere?
Lei, che aveva smesso di sorridere da quando i suoi genitori erano morti?
Abigail infatti la fissò in modo strano.
-Te l’ha detto Jake, vero?- le chiese, riferendosi alla separazione dal marito.
Cat annuì e basta.
Sentì Abigail sospirare. –Mio marito era una brava persona.- iniziò a dirle. –Credo che lo sia ancora in realtà. Ci siamo sposati che eravamo due ragazzini e l’amore non è stato abbastanza forte da mandare avanti un matrimonio.-
Cat l’ascoltò in silenzio.
-Un giorno ha preso e se n’è andato.- le raccontò. –Jake non l’ha presa male perché in fondo loro due non avevano mai legato più di tanto, ma io c’ho messo veramente tanto per riprendermi. Quando il tuo matrimonio va a rotoli e tuo marito se ne va di casa non puoi fare a meno di chiederti se in fondo qualcosa non l’hai sbagliata pure tu. Poi però capisci che i rapporti si mandano avanti in due e a quel punto ti rendi che non puoi lottare anche per lui. E lo lasci andare, dicendoti che forse è meglio così.-
Cat annuì, d’accordo con lei.
Non aveva mai avuto in fidanzato ma chiunque avrebbe condiviso una prospettiva del genere.
Come si fa a mandare avanti da soli un rapporto che nasce e muore come un rapporto di coppia?
-E ora mi ritrovo alla mia età a uscire con un uomo che forse non ha nessuna intenzione di impegnarsi.- continuò Abigail .-Mi sento un po’ ridicola.-
-Con chi...- si fermò quando si rese conto della domanda che stava per fare.
Con chi doveva uscire?
Abigail rise. Forse aveva già capito cosa voleva chiederle.
Scosse la testa dolcemente e poi le disse che sarebbe uscita con un suo compagno del liceo per cui aveva avuto una cotta ai tempi della scuola.
Si erano rincontrati un giorno in libreria e lui le aveva chiesto di uscire, come se fossero due adolescenti alle prime armi.
-Andrà tutto bene.- la rassicurò Cat.
Abigail sorrise  poi controllò che ore fossero.
Erano quasi le quattro ormai.
Cat le disse che avrebbe sistemato gli ultimi libri in quei dieci minuti che le rimanevano e poi le augurò in bocca al lupo.
Poco prima di andare via, però, Abigail la chiamò. –Caitlin?-
Cat si voltò. –Dimmi.-
-Jake è un bravo ragazzo.- le disse, in tono dolce. –Ma a volta fa un sacco di casini.-
Con quelle parole Abigail le sorrise e poi andò verso il suo ufficio, senza nemmeno darle il tempo di rispondere.
Cat uscì dalla libreria chiedendosi che cosa mai intendesse.
 
Un’ora dopo era a casa di Stella, a bere un tè con lei sul suo divano.
Dopo essere uscita dalla libreria, infatti, Caitlin aveva rimuginato a lungo sulle parole di Abigail, senza però venire a capo di niente.
Si era sentita talmente strana che non le era passato neanche per l’anticamera del cervello di chiamare Jake e farsi venire a prendere.
Gli aveva mandato un messaggio dicendogli che andava dalla moglie di suo zio e che sarebbe potuto venirla a prendere prima di cena.
A quel punto aveva preso un autobus fino a casa di Stella, chiedendosi in continuazione se fosse una buona idea.
Alla fine aveva smesso di chiederselo.
Era entrata nel comprensorio alberato in cui lei e Thomas avevano abitato insieme a lungo e poi aveva citofonato al suo interno, sperando che lei fosse in casa.
Stella l’aveva fatta salire subito e poi le aveva offerto un tè, che in quel momento si stavano godendo sul divano di casa sua.
Era stata una volta sola nel suo appartamento, un anno prima, quando Thomas le aveva detto di passare a casa sua per darle lo stipendio in contanti.
Non si era mai spiegata il motivo per cui aveva voluto darle lo stipendio in quel modo, ma all’epoca non si era fatta molte domande.
Lo aveva ringraziato di cuore e poi se n’era andata, con qualche soldo in più nella tasca.
-Allora, come stai?- le chiese Stella, sempre molto premurosa nei suoi confronti.
Cat sorrise. –Bene. –rispose. –E poi mi piace un sacco lavorare da Abigail.-
Stella sorrise a sua volta. –Abigail è davvero in gamba.-
Caitlin non poté fare a meno di annuire. –E tu invece? Come stai?-
La moglie di Thomas sopirò. I suoi occhi blu le sembrarono più scuri in quel momento. –Vado avanti, ma non è la vita che ho scelto.-
-Certo.- le disse Cat, dispiaciuta.
Il loro era stato un grande amore. Non si erano separati nemmeno quando avevano scoperto che nessuno dei due poteva avere figli e per Caitlin quella era la prova più evidente del loro amore.
Quanto coppie scoppiavano perché uno dei due non poteva avere figli?
Tante, ma non la loro.
-E il locale come va?- chiese a Stella, ricordandosi delle difficoltà economiche.
Caitlin sapeva per certo che il locale non stesse messo bene perché glielo aveva detto Thomas stesso la sera in cui l’aveva licenziata. A distanza di tempo però non aveva ancora capito se in un modo o nell’altro quell’aspetto fosse collegato o meno alla sua morte.
-Più o meno.- rispose Stella, sospirando. –Non sta andando benissimo, ma per il momento rimaniamo a galla.-
-Immagino.-
Si schiarì la voce e poi le fece la domanda che avrebbe voluto farle dal primo istante in cui l’aveva vista quella sera.
-Ci sono novità sul caso?-
Stella scosse la testa. –Il detective con cui ho parlato stamattina mi ha chiesto se mio marito avesse avuto comportamenti strani nell’ultimo periodo.- le disse. –Se lo avessi visto più triste ultimamente o meno proiettato verso la vita. Che diavolo significa essere meno proiettati verso la vita?-
Cosa? Cat aggrottò la fronte, confusa.
Con quale detective aveva parlato? E che razza di domande aveva fatto alla moglie della vittima?
-E sai cosa voleva sapere alla fine di tutti questi giri di parole?- continuò Stella, sconvolta.
Cat scosse la testa.
-Se potesse essere il tipo da tentare il suicidio.- le disse, sconvolta.
Caitlin scosse la testa.
Thomas non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non avrebbe mai abbandonato Stella, non quando la cura che gli avevano dato stava cominciando a fare effetto.
E poi era stato Jake stesso a dirle che era solo una tattica per disorientare l’assassino di Thomas.
L’ipotesi del suicidio non era proprio da prendere in considerazione.
-Ero sconvolta quando mi ha fatto quella domanda.- le confidò Stella, scuotendo la testa.
Cat prese un sorso di tè e poi disse che era comprensibile. –Ancora non hai idea di chi possa essere stato?-
-No e quella è la cosa più assurda.- rispose Stella. –Io non capisco chi possa avercela avuta così tanto con lui da ucciderlo. Non aveva nemici e andava d’accordo con tutti. I miei lo adoravano e non credo che abbia mai litigato con nessuno in vita sua. Chi può averlo ucciso?-
Cat sospirò. Era quello che continuava a chiedersi anche lei.
-Tu sei sicura che non si fosse messo in mano agli strozzini per salvare il locale?- le chiese, rendendosi conto che era una domanda parecchio indiscreta da parte sua.
Stella scosse la testa con decisione. –Te lo posso assicurare.- le disse. –Non avrebbe mai fatto una cosa del genere e se mai gli fosse venuto in mente qualcosa ne avrebbe prima parlato con me.-
-Eravate molto uniti vero?- le chiese Cat, con un nodo nella gola.
Come poteva finire così un amore forte come il loro?
A Stella vennero gli occhi lucidi.
La sua reazione valeva più di mille parole.
La vide finire il suo tè e poi tirare su con il naso. –Vado a posare un attimo le tazze.- le disse, vedendo che anche lei aveva finito.
Probabilmente era un modo per non farle vedere che le veniva da piangere.
Cat le consegnò la sua e poi approfittò per guardarsi intorno, mentre Stella andava in cucina.
Il salone in cui si trovavano era abbastanza ampio e luminoso, nonostante ormai fosse quasi ora di cena.
Era arredato con mobili antichi in legno e i divani erano molto spaziosi e comodi.
Le pareti erano tappezzate di quadri e di foto dei coniugi Fisher, ma la cosa che la colpì di più era il senso di unione che quelle foto trasmettevano.
Si vedeva lontano un miglio che quello era vero amore e quel pensiero la fece intristire ancora di più.
Non era giusto quello che era successo a Stella e lei non vedeva l’ora che fosse fatta giustizia.
Si alzò dal divano per osservare una foto in cui lei e Thomas stavano ridendo spensierati davanti alla fotocamera quando la sua attenzione fu attirata da un flacone di medicinali posato sul tavolo in legno alla sua sinistra.
Non poté fare a meno di prenderlo in mano e leggere l’etichetta. Parenol.
Per qualche strano motivo il nome le era abbastanza familiare, ma in quel momento non riuscì proprio a fare mente locale. Doveva aveva già letto quel nome?
Riposò il flacone di scatto quando Stella tornò in salone.
Il suo sguardo seguì quello di Caitlin e poi si incupì all’improvviso.
-Scusa, non volevo..- iniziò a dire Caitlin , imbarazzata.
Stella scosse la testa con dolcezza.
-Era il farmaco che avevano dato a Thomas nell’ultimo mese.- le spiegò, in tono triste. –Quello che stava facendo effetto.-
Caitlin inspirò profondamente. Il fatto che Thomas fosse stato ucciso mentre un farmaco lo stava facendo guarire da una malattia molto grave la mandava ancora più fuori di testa.
-Ti va di rimanere a cena?- le chiese a un certo punto Stella, cambiando completamente argomento.
Cat le disse che non poteva. Doveva tornare a casa e sistemare alcune cose.
Avrebbe voluto farle compagnia, ma Jake si era infuriato parecchio quando lei gli aveva detto che era andato da sua zia.
Non voleva farlo imbestialire ancora di più dicendogli che sarebbe rimasta anche a cena da lei.
In quell’istante esatto suonò il citofono.
Stella andò ad aprire e Cat non poté fare a meno di chiedersi chi potesse essere a quell’ora.
Per poco non le venne un colpo quando Stella, dopo aver aperto la porta, tornò in salone con Jake.
Cavolo, pensò. E adesso?
Cosa diavolo era saltato in mente a Jake?
Forse non era il caso di far vedere che loro due si conoscevano.
Jake le lanciò un’occhiata e poi si concentrò su sua zia. –Come stai, zia?- le chiese, ignorando completamente Caitlin.
Stella lo fissò con aria interrogativa. –Ti posso presentare Caitlin?- gli disse, voltandosi verso di lei.
Jake scosse la testa. –Già ci conosciamo.-
Cat per un attimo non seppe cosa dire.
All’improvviso le sembrava tutto molto strano.
-Oh.- disse Stella, confusa.
Poi però sorrise. –In effetti lavora per tua madre.- disse, come se all’improvviso avesse capito tutto.
Cat non la smentì e non lo fece nemmeno Jake.
Forse era meglio farle credere che loro due si erano conosciuti per via del suo nuovo lavoro di Caitlin piuttosto che dirle tutta la verità.
-Ti posso offrire qualcosa?- chiese poi Stella a suo nipote.
Jake declinò gentilmente l’offerta, dicendole che era passato solo per farle un saluto.
-Perché non ti accomodi?- gli propose sua zia, in tono gentile. –Io e Caitlin stavamo giusto facendo due chiacchiere. Caitlin prima lavorava per Thomas.-
Jake  annuì, ma non disse nulla.
A un certo punto però si voltò verso di lei e le lanciò un’occhiata che non le piacque affatto.
Cat si sforzò di non sbuffare. Stavolta che aveva fatto di sbagliato?
Stella sembrò non accorgersi delle loro occhiate perché continuava a sorridere e a chiedere a Jake come stesse e come andasse il lavoro.
Per un attimo Cat si chiese se lei sapesse che il nipote era un detective e che lavorava al caso dello zio morto.
Poi però si disse che era impossibile che lei non sapesse che lavoro facesse il nipote.
Jake rispose in modo molto evasivo e poi disse che doveva andare.
A quel punto si voltò verso di lei e le chiese se avesse bisogno di un passaggio.
Cat capì al volo. –Magari, grazie.-
Jake fece un cenno col capo e poi salutarono entrambi Stella.
La moglie di Thomas le disse che la sua visita le aveva fatto molto piacere e che poteva passare da lei tutte le volte che le andava.
Cat accettò volentieri il suo invito  e poi uscì di casa insieme a Jake.
Mentre raggiungevano a piedi il suv scuro di Jake, Cat capì subito che qualcosa non andava.
Jake era teso come una corda di violino e le rivolgeva a stento la parola da quando era salito a casa di Stella.
-Tutto ok?- gli chiese, mentre camminavano l’uno affianco all’altra.
Jake scosse la testa. –Perché continui ad andare da Stella?- gli chiese, diretto.
Cat esitò. –Perché, non posso andarci?-
Jake sospirò. Lo vide uscire dal comprensorio e poi tirare fuori le chiavi della macchina.
-Non dovresti.- le disse, arrabbiato.
-Perché?-
-Perché rischi di fare un gran casino.-
Per qualche strano motivo a Caitlin vennero in mente le parole di Abigail. La madre di Jake le aveva detto infatti solo poche ore prima che il figlio era un bravo ragazzo, ma che a volte faceva un sacco di casini.
Ora però Jake lo stava dicendo a lei. Lui stava dicendo a lei che avrebbe potuto fare un casino.
Dannazione.
-Perché?- gli chiese, curiosa.
-Perché le mie indagini sono delicate e tu non puoi andare ogni tre per due da mia zia a farle domande.-
-Io non faccio nessuna...-
Jake si voltò di scatto verso di lei. Lo vide inarcare un sopracciglio.
La stava sfidando a ribattere il contrario.
Cat alzò le mani. –Ok, forse posso averle fatto qualche domanda, ma non ero in cattiva fede.-
Jake si avvicinò a lei. Il suo sguardo la inchiodò nel posto in cui si trovava. –Devi starne fuori, ok?-
-Come faccio a starne fuori, scusa?- sbottò lei, allibita. –Qualcuno si è intrufolato in casa mia nel cuore della notte e tu stesso mi hai detto che in questo momento non sono al sicuro. Mi hai pure chiesto di rimanere con te, a casa tua. Come faccio a fare finta di niente?-
Jake l’afferrò per le spalle e poi scosse la testa. –Ti ho detto che ti proteggerò.- le disse. –E intendo farlo. Ma se tu continui a fare domande e a condurre le tue indagini personali in questo modo poco discreto prima o poi qualcuno se ne accorgerà e a quel punto sarà molto più difficile proteggerti. Per non parlare poi del fatto che rischi di mandare all’aria anche le mie, di indagini.-
Cat annuì. Jake aveva ragione. Stava facendo un casino. –Ok.- si limitò a dire, rendendosi conto di aver sbagliato ad andare da Stella. –Non lo farò più.-
Jake la guardò per un istante. Il suo sguardo si addolcì e le sue mani si allontanarono dalle sue spalle.
Cat si ritrovò a trattenere il respiro. Lui era così vicino.
Per un attimo le venne in mente la sera in cui si erano visti per la prima volta.
Quando lui l’aveva scortata fino a casa.
Per un istante aveva creduto che stesse per accarezzarle il viso e il modo in cui la stava guardando in quel momento le ricordò quella scena.
Jake però non fece nulla. Annuì e poi le disse che dovevano andare a casa.
Lei lo seguì verso la macchina senza dire nulla.
 
Qualche ora dopo Caitlin era appoggiata alla ringhiera del balcone della sua camera, con gli occhi chiusi e un leggero venticello tra i capelli.
Lei e Jake aveva finito di cenare un’ora prima e lei non aveva potuto fare a meno di andare lì e godersi quella leggera brezza del mare.
Era molto tesa quella sera e non sapeva nemmeno lei il perché.
Forse era per di via quello che le aveva detto Jake prima, ma non ne era così convinta.
Sapeva che doveva smetterla di fare domande, ma ormai in quella storia ci era finita anche lei e non poteva fare a meno di chiedersi chi avesse ucciso Thomas e perché lo avesse fatto.
Avrebbe continuato a fare le sue indagini, ma magari avrebbe mantenuto un profilo più basso, in modo tale da non allarmare Jake e da non destare sospetti negli altri.
In quel momento si ritrovò a prendere un respiro profondo e a pensare alla sua vita.
Le mancavano tanto i suoi genitori e per qualche strano motivo la sua testa continuava a dirle che doveva ricominciare a vivere.
Aveva allontanato quasi tutti dalla sua vita da quando loro erano morti e alla fine aveva finito con l’alzare su un muro veramente difficile da abbattere.
Teneva a distanza tutti i ragazzi vagamente interessati a lei o comunque tutte le persone che finivano in un modo o nell’altro nella sua vita.
Lo aveva fatto con alcune amiche dell’università e lo aveva fatto anche con Jake.
Ma quello era l’unico modo per sentirsi davvero al sicuro.
Aveva paura di soffrire e questo la costringeva a non abbassare mai le difese con nessuno.
Ma poteva definirsi vita quella?
Riaprì gli occhi e fece un sorriso amaro.
No, non lo era. E fino a quando non avesse ricominciato a fidarsi degli altri e a mettere in conto che nella vita si poteva soffrire le cose non sarebbero mai cambiate.
Si schiarì la voce quando vide Jake uscire sul balcone, fresco di doccia e con quel sorriso che la destabilizzava sempre.
-Stai bene?- le chiese, avvicinandosi a lei.
Indossava una tuta grigia e una maglietta nera. I suoi capelli erano ancora un po’ umidi, ma il fascino rimaneva sempre lo stesso.
Cat annuì, chiedendosi come facesse a capire così bene i suoi stati d’animo.
Lo vide appoggiarsi alla ringhiera e poi incrociare le braccia.
Erano rivolti entrambi verso l’interno casa, invece che verso il mare, e per un po’ non si dissero nulla.
Poi a un certo punto Jake sospirò e si voltò verso di lei. –Non volevo essere duro con te, prima.- si scusò, incrociando il suo sguardo.
Cat scosse la testa, come a voler minimizzare la cosa.
In fondo Jake non aveva detto nulla di male ed era stato molto protettivo nei suoi confronti come sempre.
Faceva parte delle forze dell’ordine ed era il suo dovere metterla in guardia ed evitare che si cacciasse nei guai.
Poi però fece una cosa che la mandò in confusione.
Le prese una mano e le disse che per quanto in suo potere l’avrebbe sempre protetta e tenuta al sicuro.
Cat lo fissò negli occhi per un istante e poi abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Perché faceva così? Perché la trattava come se fosse la persona più importante della sua vita?
Perché in fondo era questa la sensazione che provava lei ogni volta che i loro sguardi si incrociavano e non riusciva minimamente a spiegarsi il perché.
Si conoscevano a malapena, santo cielo. Cosa aveva lei di tanto diverso dagli altri?
Jake le sollevò il mento con l’altra mano e la guardò con i suoi meravigliosi occhi scuri.
Poi la baciò, senza darle minimamente il tempo di capire che cosa stesse succedendo.
Cat rimase immobile, spiazzata.
Sentì Jake premere con più decisione le labbra sulle sue e a quel punto, per qualche strano motivo, si arrese anche lei a lui.
Lasciò che lui la baciasse e le cingesse la vita con un braccio, approfondendo quel bacio breve e inaspettato.
Per lei fu come essere catapultati sulla luna con annesso viaggio di ritorno.
Le mancò il respiro a lungo, ma non fece nulla per allontanarlo.
Si ritrovò ad arrossire, però, quando a un certo sentì che lui si stava scostando da lei.
Jake incurvò le labbra in un sorriso e poi le accarezzò dolcemente il viso.
Perché l’aveva baciata un’altra volta? Non aveva detto che non era interessato a lei? E perché lei aveva risposto al suo bacio?
A un certo punto si sentì come se l’avessero messa all’angolo e lei non avesse alcun modo per liberarsi.
Si scostò bruscamente da lui e poi si schiarì la voce. –Io devo andare a dormire.- gli disse, consapevole di quanto suonassero ridicole quelle parole alle sue orecchie.
Jake la fissò, ma non disse nulla. I suoi profondi occhi scuri la stavano guardando in un modo strano, come se cercassero di capire cosa le passasse per la testa in quel momento.
Poi le fece un cenno del capo e rientrò in casa senza dire nulla.
A quel punto Cat chiuse gli occhi per un istante e poi si sfiorò le labbra con le punta delle dita.
Perché Jake l’aveva baciata? Era interessata a lei come sosteneva Lauren?
Ma allora questo significava che non la proteggeva con disinteresse come credeva lei.
Quel pensiero si insinuò prepotentemente nella sua testa.
Che stava succedendo?
E perché lei lo aveva allontanato in quel modo dopo averlo baciato con la stessa passione con cui lui aveva baciato lei?
Prese un respiro profondo e poi rientrò, torturandosi  a lungo con quelle domande.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Il giorno dopo Caitlin, verso le sei di sera, si disse che era ora di rimettersi a studiare.
Aveva perso così tanto tempo a convincersi di non avere tempo per rimettersi sui libri che alla fine lo aveva fatto davvero, anche quando di tempo in realtà ne aveva più che a sufficienza.
Aveva lavorato tutto il giorno in libreria, sforzandosi in tutti i modi di non pensare al bacio che Jake le aveva dato la sera prima, ma alla fine non c’era riuscita per niente.
A quel punto aveva cercato di evitarlo il più possibile, scambiando con lui solo inutili chiacchiere di circostanza.
Jake si era accorto benissimo che qualcosa non andava, ma non le aveva fatto nessuna domanda.
In fondo era stato lui a baciarla dopo averle detto più di una volta di non essere interessato a lei, e quindi paradossalmente era lui che doveva dare delle spiegazione a lei e non il contrario.
Tirò fuori uno dei tomi di diritto che doveva studiare per il prossimo esame e poi cercò di concentrarsi su quello che stava leggendo.
Inutile dire che continuava a ripensare alla sensazione delle labbra di Jake sulle sue.
Prese un respiro profondo e poi si rimproverò mentalmente.
La laurea era molto più importante del bacio di un ragazzo, anche se quel bacio le aveva fatto provare sensazione mai provate prima.
Riprese a sottolineare con la matita i concetti più importanti che leggeva, ma dopo pochi minuti di rifermò un’altra volta.
Ok, si disse.  Oggi non ci riesco proprio.
Sbuffò spazientita e poi tamburellò sulla scrivania con la matita.
Era inutile. Non riusciva minimamente a concentrarsi.
Che doveva fare?
Poi si rese conto di conoscere già la risposta a quella domanda.
Doveva affrontare Jake, altrimenti quel bacio avrebbe continuato a darle il tormento.
Prese un respiro profondo e poi si alzò dalla sedia.
Per qualche strano motivo si accertò di non avere un aspetto indecoroso e poi lo raggiunse nella sua camera da letto, che aveva la porta chiusa.
Bussò un paio di volte.
Jake le disse che poteva entrare e a quel punto lei entrò.
Il figlio di Abigail era seduto sul letto, con il telefono in mano.
Le lanciò un’occhiata, ma dall’espressione che aveva sul viso non sembrava molto ben disposto nei suoi confronti.
-Tutto bene?- gli chiese, lievemente a disagio.
Jake non si era ancora cambiato da quando erano rientrati a casa mezzora prima.
Indossava ancora la sua felpa blu e i suoi jeans grigi. Cat notò che non si era tolto nemmeno le scarpe.
Lo vide posare il telefono sul letto e poi alzarsi.
Cat si schiarì la voce quando lo vide avvicinarsi a lei.
-Perché me lo chiedi?- le domandò Jake, fissandola negli occhi.
-Io...- iniziò a dire, imbarazzata. –Io volevo solo...-
Sospirò. Così non andava. Doveva sputare il rospo e doveva farlo anche subito.
-Perché mi hai baciato ieri sera?- gli chiese a bruciapelo, senza abbassare lo sguardo.
Jake la fissò con i suoi penetranti occhi scuri.
-Voglio dire... questo punto penso che...-
Cat si fermò nell’istante esatto in cui si rese conto che se lui continuava a guardarla in quel modo lei non sarebbe mai riuscita a formulare una frase di senso compiuto.
-Tu mi piaci.- le disse Jake, nel modo più diretto e schietto possibile.
Cat arrossì. Cosa? Jake era interessato a lei?
-Ma non posso stare con te.- le disse anche, con sguardo più cupo.
-Cosa?- si ritrovò a chiedere lei, ancora più confusa.
Jake si passò una mano nei capelli e poi sospirò. –Ti ho detto una marea di stronzate.- iniziò a dire lui. –Quella volta, in mezzo al parco, non ti ho baciato perché ti ho vista piangere o perché mi facevi pena in quel momento.-
Cat si ritrovò a trattenere il respiro. Cosa?
-Ti ho baciata perché mi piaci.- ammise, per niente imbarazzato da quello che stava dicendo. –Dal primo momento in cui ti ho vista. Ma non ti ho costretto a venire da me per questo, sia chiaro. Non vorrei che le mie parole venissero fraintese.-
-Che cosa...-
-Ti ho chiesto di venire da me per proteggerti meglio.- le spiegò .-E per me è questa l’unica cosa che conta.-
Cat deglutì nervosamente. Non capiva. –Perché allora mi hai detto di non essere interessato a me?- gli chiese. –E poi come puoi essere interessato a me? Ci conosciamo da così poco tempo.-
Jake si incupì, ma lei non riuscì a capire quale fosse il motivo. –A volte non servono mesi per capire se una persona ti piace.- le disse. –A volte basta uno sguardo o un sorriso per capire che quella è la...-
Lo sentì esitare. –Comunque questo non cambia le cose.- le disse, in tono amaro. –Io e te non possiamo stare insieme.-
-E perché?- si ritrovò a chiedere, prima ancora di rendersene conto.
Quella domanda implicava che anche lei fosse interessata a lui e lei questo non se l’era nemmeno mai chiesto.
Jake fece un sorriso amaro. –Perché non vado bene per te.- gli rispose. –E poi non sarebbe nemmeno opportuno.-
-Perché?- ripeté ancora una volta.
-Perché tu sei coinvolta in un omicidio su cui io sto indagando.- le disse. –Non posso e basta.-
Cat sospirò. Quindi le cose stavano così.
Jake era interessato a lei, forse lo era sempre stato, ma non poteva stare con lei.
E se avesse potuto? Lei che avrebbe fatto?
Era chiaro che era attratta da lui, ma si sarebbe mai lasciata amare?
Scacciò quel pensiero dalla testa, rendendosi conto che non aveva senso farsi quelle domande dopo tutte le cose che lui le aveva appena detto.
-Devo andare via da qui?- gli chiese, non sapendo che fare.
Come poteva convivere con una persona a cui piaceva e che non poteva stare con lei?
Jake scosse la testa con decisione. –Assolutamente, no.- le disse. –Ma ti prometto che non mi avvicinerò mai più a te. Io non voglio farti soffrire né tanto meno compromettere le mie indagini.-
Lo sentì sospirare. –E poi non penso che tu sia interessata a me, quindi non ci dovrebbero essere problemi.-
Cat arrossì. Non sapeva cosa dire in quel momento e quella situazione diventava sempre più imbarazzante ogni minuto che passava.
Poi però le venne in mente una cosa. –Se non ti fossi piaciuta, mi avresti protetta comunque come hai fatto fino ad adesso?-
Jake annuì. –Certo.- le rispose, annuendo.
Cat si schiarì la voce. Forse era il caso di tornare nella sua stanza.
Non sapeva cosa dire e la rivelazione che le aveva fatto Jake l’aveva mandata ancora più in confusione.
-Va bene, allora io... torno in camera mia.- gli disse, imbarazzata.
Jake le disse che avrebbero mangiato per le otto e poi tornò a concentrarsi sul suo telefono.
Una volta che fu di nuovo nella sua stanza Cat si  buttò sul letto, sconvolta da quello che aveva appena appreso.
Piaceva a Jake. Ma come era possibile?
Si conoscevano da poco e non avrebbe mai immaginato che lui fosse interessato a lei.
Scrisse un messaggio a Lauren per raccontarle cosa era appena successo e poi recuperò il suo libro di poesie.
Lo aprì nel punto in cui aveva lasciato l’appunto di suo padre e lesse un paio di poesie nel disperato tentativo di non pensare a Jake.
Dopo un po’ però perse di nuovo la concentrazione e a quel punto ripensò a Stella e suo marito Thomas. Non poteva pensare a Jake. Non poteva e basta.
Capì che le stava sfuggendo qualcosa. Ma cosa?
Prese l’appunto di suo padre e per qualche strano motivo lo lesse un’altra volta, come se leggerlo potesse aiutarla ad avere l’illuminazione che stava cercando.
Le cadde il libro dalle mani quando lesse il nome del farmaco che suo padre aveva segnato. Parenol.
Lo stesso medicinale che era stato prescritto a Thomas per la cura del suo cancro. Ecco perché le era sembrato un nome familiare.
Era davvero una strana coincidenza però.
Rilesse il lungo elenco di nomi che suo padre aveva appuntato e per un attimo si chiese se non si fosse sbagliata.
Perché mai suo padre avrebbe dovuto fare un appunto di quel genere su un pezzo di carta invece che nelle cartelle cliniche dei suoi pazienti?
Aggrottò la fronte, perplessa.
Era una cosa davvero strana.
Andò a prendere il pc dalla scrivania e poi cercò il nome di quel medicinale su internet.
Non riuscì a mascherare un’espressione sorpresa quando si rese conto che lo produceva la casa farmaceutica in cui lavorava Mike, il figlio del detective Allen.
Per un attimo si chiese se non fosse tutta una grandissima coincidenza.
Poi però il suo istinto le disse che il giorno dopo avrebbe potuto fare un salto da Mike e fargli qualche domanda.
In fondo non c’era nulla di male.
E quello che lei aveva scoperto non era nulla di incriminante.
Thomas prendeva un medicinale prodotto dalla casa farmaceutica in cui lavorava Mike e guarda caso suo padre aveva appuntato il nome di quel medicinale su un pezzo di carta, con accanto una serie di nomi che lei non conosceva.
Cosa c’era di così strano dopotutto?
Eppure qualcosa non la convinceva.
Ripiegò il pezzo di carta che l’aveva mandata in confusione quella sera e poi si ripromise di andare a trovare Mike il giorno dopo con qualche scusa, ignorando completamente quello che le aveva detto Jake.
Però lei non avrebbe fatto niente di male e non era una cosa così assurda andare a trovare un amico al lavoro.
Posò il libro di poesie sul comodino e poi controllò che ore fossero.
Era quasi ora di cena.
Decise di non pensare più al bacio che le aveva dato Jake il giorno prima e si alzò invece dal letto per andare a dargli una mano.
In quel momento sperò solo che continuare a rimanere da lui dopo quello che lui le aveva detto poco prima fosse la cosa giusta.
 
Il giorno dopo Cat si alzò presto.
Avvisò Abigail che sarebbe arrivata un po’ più tardi e poi chiese a Jake se la poteva accompagnare in libreria.
Non aveva nessuna intenzione di dirle che sarebbe andata da Mike quella mattina. Poteva solo immaginare tutto quello che le avrebbe detto.
Che non doveva e che doveva tenere un profilo basso.
Che poi lei non ci vedeva niente di male in realtà, ma il modo in cui lui le aveva chiesto se lei e il figlio del detective Allen fossero amici le aveva fatto dubitare della sua simpatia nei confronti del ragazzo.
Perciò si limitò a seguire il solito schema.
Jake la lasciò a pochi metri dall’ingresso della libreria e poi, dopo che lui se ne fu andato, lei prese un autobus per raggiungere il quartiere in cui lavorava Mike.
Mentre il panorama scorreva davanti a lei, al di là del finestrino accanto a cui era seduta, Cat pensò a come si era comportato Jake quella mattina.
Era stato molto formale con lei, non aveva sorriso né riso in sua presenza, e quel suo tentativo di starle alla larga e non darle confidenza l’aveva fatta stranamente impensierire.
Non aveva fatto in tempo infatti ad abituarsi alla sua versione più allegra e di buonumore che le cose erano cambiate un’altra volta, creandole una gran confusione in testa.
Non sarebbe mai riuscita a stargli al passo.
E forse non si sarebbe mai nemmeno capacitata del fatto che lui potesse essere interessato a lei.
Non aveva problemi di autostima o cose del genere. Anzi. Sapeva di essere una bella ragazza, ma non era quello il punto.
Lei e Jake si conoscevano sì e no da una settimana e lei non aveva mai creduto all’amore a prima vista.
Poi però scosse la testa.
Jake non le aveva mica detto di essere innamorato di lei. Le aveva solo detto di essere interessato a lei, che era una cosa ben diversa.
Sospirò un’altra volta e poi si alzò dal suo posto.
Era quasi arrivata a destinazione.
L’autobus si fermò a pochi metri dal luogo in cui lei doveva andare e a quel punto Cat scese.
Gli uffici della casa farmaceutica in cui lavorava Mike erano in una zona semi periferica, ubicati in un enorme grattacielo di innumerevoli piani con ampie vetrate a specchio.
Cat attraversò in fretta la strada e poi si diresse in quella direzione.
Era stata poche volte lì, quando era più piccola, ma quella zona della città non era cambiata di una virgola.
Era una zona piena di uffici e molto trafficata, senza un briciolo di spazio verde.
Cat si avviò verso l’ingresso del palazzo in cui doveva andare e poi alla reception chiese di Michael Allen.
La ragazza mora dietro al bancone inarcò un sopracciglio, perplessa. –Ha un appuntamento?-
Cavolo. No, che non ce l’aveva.
Mise in moto i neuroni per trovare una scusa valida per essere lì.
Non fece in tempo ad elaborare nulla però.
Una voce maschile che conosceva bene la chiamò da lontano.
Cat si voltò e dentro di sé fece un sospiro di sollievo.
Mike stava venendo verso di lei con un grande sorriso stampato addosso.
-Ciao, Caitlin.- la salutò, avvicinandosi a lei.
Cat notò che indossava un completo blu scuro e una cravatta bordeaux, in linea con l’eleganza dell’edificio in cui lavorava.
-Ciao, Mike.- lo salutò a sua volta, accennando un sorriso.
La ragazza delle reception capì che loro due si conoscevano e a quel punto tornò ad occuparsi di qualunque cosa stesse facendo prima del suo arrivo.
-Che ci fai da queste parti?- le chiese Mike, allegro.
Cat esitò. Non poteva dirgli che era andata lì per fargli delle domande.
-Mi trovava nei paraggi e ho pensato di venirti a fare un saluto.-
Gli occhi chiari del ragazzo si illuminarono. –Hai fatto benissimo.- le disse, sorridendo. –Che ne dici se andiamo a prendere un caffè così facciamo due chiacchiere?-
Cat annuì. Era esattamente quello che voleva fare anche lei.
Mike la condusse al bar situato al primo piano del palazzo in cui lavorava e poi ordinò due caffè.
-Allora, come stai?- le chiese, mentre il barista glieli preparava.
-Tutto bene.- rispose Cat, sorridendo. –E tu?-
Mike fece una risatina. –Sam mi sta facendo diventare matto.- le disse, divertito. –La gravidanza è più pesante per i mariti che per le mogli.-
Cat rise, ma gli disse che non era d’accordo.
Erano le donne a sopportare il peso maggiore in tutta quella situazione e questo non sarebbe mai cambiato, nemmeno a distanza di anni.
-Lo so, però ogni tanto le viene qualche voglia strana e non riesco proprio a starle dietro.- le confidò, con il sorriso sulle labbra.
-Dai, manca poco.- lo confortò Caitlin, divertita. –Avete deciso il nome poi?-
Mike sbuffò, fingendosi spazientito. –Non ancora.- rispose. –Ma sono quasi vicino alla vittoria nella nostra battaglia per i nomi.-
Cat scoppiò a ridere.
Per qualche strano motivo si ritrovò a pensare se un giorno anche lei si sarebbe mai ritrovata in una situazione del genere, a combattere con suo marito per scegliere il nome dei loro bambini.
Scacciò quel pensiero dalla testa e poi si concentrò sul suo obiettivo.
Nel frattempo il barista porse loro i caffè.
Cat ne prese un sorso e poi si schiarì la voce. –Posso farti una domanda?-
Mike sorrise. –Certo.-
-Ad un mio amico è stato prescritto il Parenol.- iniziò a dire, scegliendo con cura le sue parole. –Tu che ne pensi di questo farmaco?-
Mike fece un sospiro. –Il tuo amico sta molto male, vero?-
Cat annuì. Aveva bisogno di informazioni e l’unico modo che aveva per ottenerle era inventarsi qualche bugia.
-Cat, io non sono un medico.- le disse Mike. –Ma so che è uno dei nostri medicinali di punta per la cura contro il cancro.-
Cat prese un altro sorso di caffè. Da quello che aveva letto su internet era un medicinale innovativo con un ampio spettro di effetti collaterali però.
In quel momento pensò che magari suo padre all’epoca stava studiando proprio quelli.
Mike glielo confermò un secondo dopo. -Ha degli effetti collaterali, ovviamente, ma so che sta funzionando in molte terapie.-
Cat si limitò ad annuire, ma c’erano altre domande che avrebbe voluto fargli.
Perché suo padre avrebbe dovuto appuntare il nome di quel medicinale insieme ad una serie di nomi su un pezzo di carta qualunque?
Stava facendo delle indagini su quel farmaco? Ed eventualmente perché?
Solo che non poteva fare quelle domande a lui.
-Sai se papà lo ha mai prescritto a qualche paziente?- si ritrovò a chiedere, schiarendosi la voce.
Mike la fissò per un attimo in modo strano. In effetti era una domanda un po’ assurda da fare, considerando che lui non era un collega di suo padre.
-Francamente non lo so.- rispose Mike, alzando le spalle. –Però so che aveva preso in condirezione molti farmaci della nostra casa farmaceutica.-
Cat finì di bere il suo caffè. Quella conversazione non stava portando a niente.
Soffocò l’impulso di alzare gli occhi al cielo.
-Come mai me lo chiedi?- le domandò Mike, curioso.
Cat inventò la prima scusa che le che venne in mente. –Sono molto preoccupata per il mio amico.- gli disse. –E sapere che anche mio padre prescriveva questo farmaco ai suoi pazienti mi avrebbe fatto stare un po’ più tranquilla.-
Vide Mike annuire. Lui sapeva quanto Caitlin si fidasse di suo padre.
-Certo.- le disse, continuando ad annuire.
-Speriamo bene.- aggiunse Cat, portando avanti la sua messinscena.
Mike la rassicurò che il Parenol era molto efficace e poi le disse che le avrebbe offerto lui il caffè.
Cat provò a pagare lo stesso ma non ci riuscì.
-Devo proprio andare adesso.- le disse a un certo punto Mike controllando l’orologio. –Ho una riunione tra poco.-
Cat annuì. –Certo, allora ci vediamo domenica.-
Mike le sorrise e poi si salutarono.
Cat aspettò che lui fosse abbastanza lontano per sbuffare.
Andare lì non era servito a niente. Cosa aveva scoperto? Nulla.
Eppure continuava a pensare che ci fosse dell’altro.
All’inizio non aveva dato affatto peso all’appunto di suo padre. Poi però aveva capito che si riferiva allo stesso farmaco che era stato prescritto a Thomas e a quel punto aveva iniziato a mettere in moto le rotelle.
Era una coincidenza troppo strana per i suoi gusti.
Con quella riflessione in testa si incamminò verso le scale che l’avrebbero portata al piano terra.
Non andò molto lontano però.
Una voce maschile che lì per lì non riconobbe la chiamò alle sue spalle.
Cat si voltò curiosa.
Non poté fare a meno di irrigidirsi quanto si ritrovò davanti il padre di Stella.
Che ci faceva lì?
Poi si rese conto che era vestito in modo elegante e a quel punto capì che anche lui lavorava lì.
-Ciao, Caitlin.- la salutò, guardandola con i suoi profondi occhi blu, gli stessi che aveva anche Stella.
Cat si schiarì la voce. –Buongiorno signor Davis.- lo salutò, a disagio.
Dopo che le aveva detto che aveva lavorato con suo padre, Cat aveva cercato di darsi una spiegazione sul motivo per cui lui l’aveva fissata a lungo la prima volta che si erano visti.
Ora però provava di nuovo la stessa sensazione di disagio che aveva provato quella volta e non riusciva a spiegarsi il perché. Come mai si sentiva così in difficoltà?
Poi si disse che forse era il modo in cui la stava guardando, come se cercasse di capire cosa ci facesse lei lì.
-Come mai qui?- le chiese infatti, teso.
Cat non poté fare a meno di chiedersi come mai fosse si fosse irrigidito anche lui dopo averla vista.
-Sono passato a salutare un amico.- si limitò a dire, evasiva.
Il signor Davis la guardò in modo strano. –Stai andando via?- le chiese poi, come se avesse fretta di farla uscire da quel posto.
Cat si chiese ancora una volta come mai.
Poi annuì, in risposta alla sua domanda.
A quel punto il padre di Stella iniziò a rilassarsi. Le fece un sorriso e le disse che l’avrebbe accompagnata verso l’uscita.
Cat non poté fare a meno di chiedersi a che cosa fosse dovuta tutta questa fretta.
Poi le venne in mente una cosa.
Se lui lavorava lì e aveva collaborato con suo padre, forse poteva sapere se anche lui avesse mai prescritto lo stesso farmaco che era stato prescritto a Thomas.
Decise di fare un tentativo.
-Lei collaborava con mio padre giusto?- gli chiese, mentre si avviavano entrambi verso l’uscita.
Il padre di Stella le lanciò un’occhiata che non le piacque affatto. –Perché?-
Cat gli rifilò la stessa bugia che aveva rifilato a Mike sul suo amico malato.
Che poi non era nemmeno una bugia, in fondo.
Thomas era stato il suo datore di lavoro, quindi lei conosceva veramente qualcuno a cui era stato prescritto il Parenol.
Il signor Davis si irrigidì un’altra volta.
Per Cat fu una reazione molto eloquente. Come mai sembrava più teso? Sapeva qualcosa su quel farmaco? O sapeva che suo padre lo aveva prescritto a qualcuno?  
-Io non lo so.- le disse l’uomo, senza guardarla in faccia.
-Speravo che almeno lei lo potesse sapere.- si ritrovò a dire Cat, ancora prima di rendersi conto di quello che stava dicendo.
Il padre di Stella si fermò a pochi passi dal luogo dall’uscita dell’edificio. –Almeno lei?- ripeté, come se volesse sapere a chi altri aveva fatto quella domanda.
Cat si morse la lingua. Dannazione, aveva fatto un passo falso.
-Beh, perché ha collaborato con lui.- mentì Cat, sperando di sembrare convincente.
Il signor Davis non le credette.
Cat lo capì dalla sua espressione. Non le credeva affatto, ma non aveva intenzione di farle altre domande.
Anzi. Sembrava impaziente che lei se ne andasse via da quel posto.
-Buona giornata, Caitlin.- le disse, congedandola.
Cat si sforzò di non sbuffare e poi lo salutò.
Non ebbe modo di rimanere qualche altro minuto lì.
Il padre di Stella era fermo all’ingresso, in attesa che lei se ne andasse.
Cat lo salutò un’altra volta e poi uscì dall’edificio.
Mentre si dirigeva verso la fermata dell’autobus si ritrovò a pensare che qualcosa non quadrava. E non solo una cosa, mille forse.
A Thomas era stato prescritto il Parenol, su cui suo padre aveva scritto un appunto.
Mike non sapeva se anche suo padre l’avesse mai prescritto a qualcuno e quando lei aveva fatto la stessa domanda al padre di Stella, che sosteneva di aver collaborato con lui, lui si era chiuso e irrigidito, come se gli avesse chiesto una cosa indelicata e inopportuna.
Era tutto molto strano, inutile negarlo.
Ma questo c’entrava qualcosa con l’omicidio di Thomas? Possibile che fosse tutta una sua fantasia?
Ringraziò il cielo che l’autobus stava già arrivando e poi una volta a bordo continuò a farsi mille domande, cercando di mettere insieme i pezzi che aveva raccolto.
Ne sarebbe venuta a capo, prima o poi. Era solo una questione di tempo.
 
Qualche ora dopo Cat era in libreria, a fare cassa.
C’erano parecchi clienti quel giorno e lei non aveva avuto un attimo di tempo per ricostruire tutto quello che era successo quella mattina.
Si era dedicata esclusivamente al lavoro e per un po’ non aveva avuto pensieri di alcun tipo.
Ora però le acque si erano calmate e lei continuava avere tanti dubbi.
Non poté fare a meno di chiedersi se Jake sapesse quello che aveva scoperto lei quella mattina.
Sbuffò spazientita e poi lanciò un’occhiata ad Abigail, che in quel momento stava sorridendo allo schermo del suo telefono.
Cat si chiese come fosse andato il suo appuntamento.
Poi però si rese conto che non erano affari suoi e che non poteva mettersi a fare una domanda del genere al suo datore di lavoro.
Scosse la testa e poi sospirò, consapevole del fatto che fosse tutto un gran casino.
Non fece in tempo però a mettersi a pensare perché Abigail la raggiunse e le fece un gran sorriso.
-Come va, Cat?-
Caitlin ricambiò il sorriso. –Alla grande, direi.- le rispose. –Abbiamo venduto una marea di libri oggi.-
La madre di Jake le sorrise, ma non sembrava molto interessata a quello che lei stava dicendo.
Quel giorno indossava una maglia rossa con uno scollo a barchetta e un paio di jeans blu.
Doveva ammettere che anche vestita in quel modo era una donna davvero bella e affascinante.
-Sono felice oggi.- le disse Abigail, accennando un sorriso.
-Davvero?- le chiese Cat, contenta per lei.
Abigail si appoggiò al bancone della cassa e poi annuì. –L’appuntamento è andato bene, ieri.-
Cat non poté fare a meno di sorridere. –Mi fa piacere.-
-So che siamo due persone di mezza età con un matrimonio fallito alle spalle, ma credo che possiamo essere felici insieme.-
-Assolutamente.- le confermò Cat, convinta di quello che stava dicendo.
-Solo che non ho ancora detto nulla a Jake.- le confidò, schiarendosi la voce.
Cat incrociò le braccia. –Vedrai che sarà contento per te.-
Abigail sospirò. –Non lo so.- replicò la madre di Jake. –Potrebbe anche prenderla male.-
-E perché?-
-Non vuole che io soffra.- rispose Abigail.
-E perché dovresti soffrire?-
La vide alzare le spalle. –Magari pensa che Tom non faccia sul serio e un domani possa comportarsi come il mio ex marito.-
-Ma questo nessuno lo può sapere.-
-È quello che dico anche io.-
Cat scosse lievemente la testa. Cosa poteva fare per darle una mano?
Abigail però la anticipò. –Ti prego, non gli dire nulla per il momento.-
-Ma certo.- la rassicurò, Caitlin.
Non ebbero il tempo di parlarne ancora, perché Jake entrò nel negozio proprio in quel momento.
Cat lanciò un’occhiata ad Abigail.
Quando parli del diavolo...
Abigail sorrise. Probabilmente stava pensando la stessa cosa.
Cat si voltò verso Jake e per poco non le venne l’istinto di fare un passo indietro quando vide l’espressione del suo viso.
Era arrabbiato e non faceva nulla per nasconderlo.
-Tesoro.- lo salutò sua madre, contenta di vederlo.
-Ciao, mamma.- la salutò Jake.
Ma non la stava considerando affatto.
Il suo sguardo era puntato su Caitlin e lei non poté fare a meno di scuotere la testa.
E adesso qual era il problema?
-Cat.- si limitò a dire, in tono secco.
-Ciao, Jake.- lo salutò lei, fingendo di non aver capito che lui ce l’aveva con lei.
Per fortuna intervenne Abigail.
-Tutto bene, Jake?- chiese al figlio, notando il suo atteggiamento.
Jake incrociò le braccia al petto. –Vuoi rispondere tu, Cat?-
Caitlin fece per aprire bocca, ma poi decise di rimanere in silenzio.
Cosa poteva dire lei? Non sapeva nemmeno per quale diavolo di motivo fosse arrabbiato! Come faceva a rispondere?
-Che succede, tesoro?- si intromise Abigail, confusa.
Cat si sforzò di non mettersi a piagnucolare.
Ma come mai lui faceva sempre così?
Un attimo era tranquillo e quello dopo già non lo era più.
Era impossibile avere a che fare con lui.
-Io e te dobbiamo parlare.- le disse Jake, in tono arrabbiato.
Cat soffocò l’impulso di mettersi a ridere. Quando mai non era arrabbiato?
Abigail spostò prima lo sguardo sul figlio e poi su di lei.
Era molto confusa e Caitlin avrebbe tanto voluto dirle che lo era anche lei.
Poi si chiese se lei sapesse che Jake la faceva stare a casa sua, ma quella domanda se ne andò così come era arrivata.
Non era certo quello il momento per mettersi a discutere di quella cosa.
-Vieni.- le disse a un certo punto Jake, distogliendola da quei pensieri.
Cat sospirò e poi lanciò un’occhiata ad Abigail prima di seguirlo.
Jake la portò nell’ufficio della madre, come aveva fatto molti giorni prima per dirle che di cercarsi un altro lavoro.
-Ti ha dato di volta il cervello?- sbottò, non appena si fu richiuso la porta alle spalle.
Cat alzò gli occhi al cielo. Stavolta qual era il problema?
-Di che parli?- gli chiese, mantenendo la calma.
-Sei andato da Mike.- l’accusò, come se fosse un crimine contro l’umanità.
-E allora?-
Poi si fermò. Ma come faceva lui a saperlo?
-E tu che ne sai?- gli chiese in fatti, senza dargli il tempo di rispondere all’altra domanda.
Jake si passò una mano nei capelli. –Tu non mi ascolti quando parlo, secondo me.- le disse, spazientito.
-Non ti seguo.-
-Che ti ho detto ieri?- le chiese, fissandola con i suoi profondi occhi scuri.
-Che mi hai detto ieri?-
-Di non fare domande.- le disse, scandendo bene le parole. –E tu che fai? Vai da Allen e fai domande. Esattamente il contrario di quello che ti avevo detto di fare.-
Caitlin si andò a sedere sulla sedia di fronte alla scrivania della madre di Jake.
-Ancora devo capire come fai a saperlo.- gli disse, in tono pacato.
-Me lo ha detto Allen.-
Cat capì subito che si riferiva a Kane e non a Mike.
-Come corrono le voci.- replicò, ironica.
Jake si inginocchiò di fronte a lei, in modo che i loro occhi fossero alla stessa altezza. –Perché ti vuoi cacciare nei casini a tutti i costi?-
-E tu perché non mi dici che sta succedendo?-
Jake scosse la testa. –Tu non capisci.-
Cat alzò gli occhi al cielo. –Non mi dire.- lo provocò. –Mi pareva strano che non lo avessi ancora detto.-
Poi però si rese conto che stava perdendo di vista la cosa più importante.
-Mio padre ha scritto un appunto.- gli disse, incrociando le braccia al petto.
Vide Jake irrigidirsi. –Che appunto?-
-Sul farmaco che è stato prescritto anche a Thomas.- rispose Caitlin. –Non può essere una coincidenza.-
Jake si alzò e poi sospirò. –Di che si tratta?-
-Un elenco di nomi di persone che non ho mai sentito in vita mia.-
-Suoi pazienti?- le chiese Jake.
-Non lo so.- rispose Cat. –Ma questo cosa c’entra con la morte di Thomas?-
-Niente.- si limitò a dire Jake, con un tono che non la convinse affatto.
-Perché continui a mentire?-
Jake le lanciò un’occhiata.
-Perché è questo che fai, giusto?- lo incalzò Caitlin. –Rifilarmi una marea di bugie.-
Jake non ebbe il tempo di rispondere.
Sua madre entrò nella stanza senza chiedere nemmeno il permesso e poi guardò prima il figlio e poi lei.
-Mamma.- la rimproverò Jake, come se avesse fatto una cosa che non doveva fare.
Abigail incrociò le braccia al petto. –Adesso basta, Jake.-
Suo figlio sussultò e Caitlin non poté fare a meno di chiedersi come mai Abigail sembrava così arrabbiata.
-Che succede?- chiese allora, confusa.
-Niente.- rispose Jake.
Vide Abigail scuotere la testa, completamente in disaccordo con il figlio. –Jake.- disse, in tono duro.
Jake si passò una mano nei capelli e poi sospirò.
Sembrava rassegnato e forse Caitlin stava finalmente per capire cosa diavolo stesse succedendo.
-Forse la morte di Thomas è collegato al farmaco su cui tuo padre ha fatto l’appunto di cui mi parlavi prima.-
Caitlin annuì, lieta di trovare una conferma alle sue ipotesi.
Finalmente cominciava a capirci qualcosa.
Poi si voltò verso Abigail. Non sembrava soddisfatta della risposta di suo figlio e Cat si chiese come mai.
C’era dell’altro forse? Dell’altro che Jake non le stava dicendo?
-Ma tu devi piantarla di fare domande.- la rimproverò poi, seccato.
-Io...-
Non provò nemmeno a giustificarsi. In fondo lui glielo aveva detto chiaro e tondo che lei non doveva fare domande e puntualmente aveva fatto l’esatto contrario di quello che le aveva ordinato.
Però continuava ad avere dei dubbi.
Possibile che la casa farmaceutica in cui lavorava Mike mettesse a punto farmaci dannosi? E che c’entrava il padre di Stella con tutto ciò?
Decise di parlare con Jake di quelle cose in separata sede.
Non se la sentiva di parlare con lui davanti alla madre.
-Finiamo di parlare dopo.- le disse a un certo punto Jake, distogliendola da quei pensieri.
Cat sospirò, ma non disse nulla.
Poi però Abigail fece una domanda strana a tutti e due. –Costa state combinando voi due?-
Jake le lanciò un’occhiata e poi scrollò le spalle. –Che intendi?-
Abigail scosse la testa. –State insieme?-
Cosa?
Caitlin arrossì e di questo Jake se ne accorse.
-No.- disse a sua madre, in tono secco.
Abigail si voltò verso di lei. –Ricordati quello che ti ho detto.-
Caitlin si schiarì la voce e poi abbassò lo sguardo.
Era tutto molto imbarazzante in quel momento.
-Che diavolo significa?- sbottò Jake, arrabbiato.
A quel punto Abigail ordinò a entrambi di sedersi e di ascoltarla molto bene.
-A questo punto è meglio scoprire le carte in tavola.- disse, guardando entrambi.
Cat notò che Jake era tesa, ma in quel momento era troppo curiosa di sapere cosa avesse da dire sua madre.
-Mio fratello è stato ucciso una settimana fa.- iniziò a dire, sforzandosi chiaramente di non perdere la calma. – E Jake sta indagando sul suo omicidio.-
Cat annuì. Fin lì c’erano arrivati tutti.
La vide voltarsi verso di e lei sospirare. –Tu purtroppo hai avuto la sfortuna di passare di lì in quel momento e se non fosse stato per Jake probabilmente saresti stata uccisa pure tu.-
Cat sussultò. Abigail sapeva parecchie cose, era evidente, ma non le aveva mai sentito usare un tono del genere con lei.
-Ma questo non significa che dovete diventare amici o peggio.- chiarì, in modo un po’ brutale forse.
Jake le lanciò un’occhiata, ma Caitlin fece finta di niente.
Non capiva come mai sua madre non volesse che loro due si frequentassero.
No che ci fosse il pericolo, però era una cosa davvero strana.
In quel momento si sentì in dovere di chiarire le cose, preoccupata anche di perdere il posto di lavoro.
-Noi non stiamo insieme.- precisò, schiarendosi la voce. –Jake mi sta solo...ehm...proteggendo.-
Poi disse una cosa che non avrebbe mai voluto dire. –Io nemmeno ci volevo andare  a casa sua.-
Abigail sgranò gli occhi. –Cosa?-
A quel punto intervenne Jake. –Mamma, basta.-
-Che significa che non volevi andare a casa sua?-
Cat si sarebbe presa a schiaffi da sola. Detto in quel modo sembrava che lei fosse andata a casa di Jake per fare cose poco opportune con lui.
-No, aspetta.- si affrettò a dire. –Non è come pensi tu. Io sto da lui, ma non sono stata con lui.-
Cat si fermò. Che diavolo stava dicendo?
Jake scosse la testa. Le stava dicendo chiaramente di stare zitta.
-Lo sai molto bene, mamma, che io e lei non possiamo stare insieme.- disse ad Abigail.
Cat colse qualcos’altro nelle sue parole, ma in quel momento non seppe dire cosa.
Abigail fece un cenno del capo, come se quelle parole fossero bastate a rassicurarla.
-E ora vai.- disse al figlio.
Jake non rispose nulla.
Si alzò e se ne andò, lasciandole da sole.
Cat si schiarì la voce, a disagio.
Cosa era successo esattamente?
-Cat, per favore.- la supplicò la madre di Jake. –Stagli lontana.-
Cat alzò lo sguardo verso di lei.
-Jake sta indagando su gente molto pericolosa.- proseguì Abigail. –Non farti coinvolgere da lui.-
Cat annuì, anche se sapeva che ormai era troppo tardi.
Lei era già coinvolta. Lo era dalla sera in cui Thomas era stato ucciso vicino casa sua o forse da molto prima, quando suo padre aveva fatto quell’appunto sul Parenol.
-E adesso concentriamoci sul lavoro.- la esortò Abigail, chiudendo definitivamente la conversazione.
Cat aspettò che lei uscisse dalla stanza per scuotere la testa e sbuffare.
Ma che diavolo stava succedendo?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Caitlin non riusciva a prendere sonno.
Era ancora molto turbata e confusa da quello che era successo durante il giorno e non aver avuto un confronto diretto e soddisfacente con Jake la faceva sentire anche peggio, come se fosse rimasto in sospeso qualcosa di importante. Qualcosa di cui, però, doveva venire assolutamente a capo in un modo o nell’altro.
Dopo che lui era venuta a prenderla in libreria, infatti, le cose erano andate in un modo alquanto bizzarro.
Jake le aveva rivolto a stento la parola e lei, invece di fare mille domande e correre il rischio di ottenere zero risposte, lo aveva assecondato, ripromettendosi di parlare con lui in seguito, magari in un momento più tranquillo per tutti e due.
Ma quel momento non era mai arrivato, sia perché Jake aveva trascorso parecchio tempo al telefono, sia perché lei si era fatta mille scrupoli su come affrontare quella conversazione con lui nel migliore dei modi.
E alla fine non era successo proprio niente.
Avevano cenato limitandosi a parlare del più e del meno e poi Jake si era chiuso in camera sua senza mostrare alcun interesse nei suoi confronti.
Caitlin non aveva ancora capito se era un modo per tenerla alla larga alla luce di quello che lui le aveva confidato il giorno prima oppure un modo per non farsi fare domande su quello che era successo in quella singolare e difficile giornata.
Perché in fondo lei, di quello che era successo, non aveva capito proprio tutto.
Non aveva capito ad esempio se Jake sapesse che suo padre stava indagando sul farmaco che era stato prescritto anche a Thomas ed eventualmente in quali termini, e soprattutto non aveva capito come mai Abigail si fosse esposta così esplicitamente davanti al figlio nel sostenere che loro due non si dovessero assolutamente mettere insieme.
Era ovvio che Jake parlasse molto con sua madre, altrimenti lei non avrebbe mai potuto sapere certe cose, ma sotto sotto era convinta che ci fosse dell’altro.
Dell’altro che lei, ovviamente, non aveva ancora capito.
Si rigirò per l’ennesima volta nel letto e poi sospirò.
Non poteva andare avanti così.
Era snervante rigirarsi a oltranza nel letto senza avere una minima speranza di addormentarsi.
Scacciò via il lenzuolo con cui si era coperta più di un’ora prima e poi si alzò.
Magari poteva frugare nella credenza di Jake e vedere se lui avesse qualche tisana veloce da preparare oppure anche una semplice camomilla.
Non ce la faceva più a stare sdraiata nel letto con gli occhi sbarrati e qualunque cosa la potesse aiutare a rilassarsi era ben accetta.
Si infilò una vestaglia leggera che non l’avrebbe fatta girare con un pigiama striminzito per casa e poi si diresse in cucina.
Non riuscì a mascherare un’espressione sorpresa quando vide che la luce era accesa.
Jake era ancora in piedi e presumibilmente non riusciva a prendere sonno esattamente come lei.
Cat si schiarì la voce e poi entrò in cucina. –Ehi.- gli disse, sorpresa di trovarlo in piedi.
Jake era seduto intorno all’isola, a bere un bicchiere d’acqua.
I suoi occhi la squadrarono da capo a piedi, ma per qualche strano motivo lei non si sentì in imbarazzo.
Si era messa la vestaglia apposta. Per evitare di rimanere in canotta e pantaloncini davanti a lui nel caso in cui si fossero incrociati.
-Non riesci a dormire?- le chiese Jake, finendo il suo bicchiere d’acqua.
Cat annuì e poi gli chiese se per caso avesse qualche tisana oppure qualche filtro di camomilla da mettere in un po’ d’acqua.
Lo vide sorridere e scuotere la testa.
-Immagino che tu non sia un tipo da camomilla.- gli disse, divertita.
Jake si lasciò sfuggire un sorriso. –Immagini bene.-
A quel punto Cat si sedette intorno all’isola anche lei.
Poteva sfruttare quell’occasione per parlare con lui.
In fondo erano entrambi svegli ed era solo mezzanotte.
Una piccola conversazione sui temi che più le premevano non era poi così fuori luogo come si potesse pensare.
Notò che lui indossava una maglia a maniche lunghe blu e un pantalone morbido grigio.
Per un attimo pensò a quanto fosse assurda quella situazione.
Lei e Jake in pigiama a chiacchierare in cucina a quell’ora. Chi lo avrebbe mai detto?
-A che stai pensando?- le chiese Jake, curioso.
Cat esitò. Non poteva dirgli veramente a cosa stesse pensando.
Non dopo il bacio che lui le aveva dato e la rivelazione che le aveva fatto il giorno dopo.
Si schiarì la voce e poi partì all’attacco. –Non credi che dovremmo parlare di quello che è successo?- gli chiese, incrociando le braccia al petto.
Jake sospirò e Cat non poté fare a meno di pensare che quello era solo il preludio ad una serie di bugie che lei avrebbe puntualmente smascherato.
-Di che vuoi parlare?- le chiese invece Jake, cogliendola alla sprovvista.
Era molto più aperto e disponibile del solito e Cat non si fece sfuggire quell’occasione.
Puntò i suoi occhi azzurri in quelli scuri di Jake e poi gli parlò apertamente. –Cosa c’entra mio padre con quel farmaco che è stato prescritto anche a Thomas?- iniziò a chiedergli, partendo dall’argomento che più le premeva.
Lo sguardo di Jake si incupì. E per un attimo Caitlin si chiese se lui avrebbe risposto a quella domanda dicendole la verità.
-Ci sono delle indagini in corso su quel farmaco.- rispose Jake, soppesando bene le parole. –Ci sono state delle morti sospette negli ultimi anni che potrebbero avere a che fare con i principi attivi contenuti al suo interno.-
Cat annuì. Quello che lui le stava dicendo aveva un senso e si avvicinava parecchio alle sue supposizioni, perciò, per una volta, lei gli fu grata per la sua sincerità.
-Credi che mio padre lo avesse capito?- gli chiese, facendo due più due.
Jake alzò le spalle.- Difficile a dirsi.- le rispose. –Non ho ancora visto l’appunto che ha fatto e non posso darti una conferma così, su due piedi.-
Cat esitò. Come mai non le aveva chiesto di vederlo allora?
-Aspetta un attimo.- gli disse, alzandosi.
Andò a recuperare il biglietto e poi glielo fece vedere.
Jake lo lesse attentamente e poi glielo riconsegnò.
-Chi sono queste persone?- gli chiese a quel punto Cat, sperando di capirci qualcosa.
Jake evitò il suo sguardo. –Alcune delle vittime.-
-Quindi conosci alcuni di questi nomi.- disse Caitlin, vicina alla verità.
Il figlio di Abigail scosse la testa. –Non dovremmo nemmeno parlarne.- si limitò a dire, facendole capire che erano informazioni riservate che non poteva rivelarle.
Cat non lo incalzò.
In fondo lui era pur sempre un detective della omicidi e non poteva parlare con lei delle sue indagini, anche se quelle indagini, per uno strano caso del destino, fossero collegate in un qualche modo a suo padre.
-Forse papà aveva scoperto qualcosa prima di morire in quello stramaledetto incidente.- gli disse comunque, pensierosa.
Vide Jake irrigidirsi, ma lei interpretò la sua reazione come un ulteriore tentativo di farle capire che non ne poteva proprio parlare.
-Ma è morto prima di arrivare alle conclusioni.- aggiunse anche, sospirando.
Jake non disse nulla e lei rispettò il suo silenzio.
Poi però le venne in mente un’altra cosa.
-Credi che Thomas sia stato ucciso perché aveva capito gli effetti dannosi di questo farmaco?-
-Non lo so, Caitlin.- ammise Jake. –E anche se lo sapessi non potrei certo dirlo a te.-
Cat annuì. Il confronto con lui si stava rivelando un completo fiasco.
Aveva scoperto molto poco parlando con lui, solo che forse sua padre aveva iniziato a farsi delle domande su un medicinale apparentemente innocuo, ma per lei questo non era abbastanza.
Aveva tante altre domande da fargli, ma sapeva benissimo che lui non poteva darle tutte le risposte che cercava.
-Tu sapevi che mio padre aveva iniziato a farsi delle domande sul Parenol?- gli chiese, preoccupata.
Jake scosse la testa. –Non sapevo nulla dell’appunto che aveva fatto fino a quando non me lo hai detto tu stessa oggi.-
Cat gli credette, ma solo in parte.
Era convinta che lui non fosse a conoscenza di quell’appunto, ma non era sicura del fatto che non sapesse che suo padre era in un qualche modo coinvolto in quella vicenda.
Per un attimo si chiese se l’assassino di Thomas sapesse delle indagini di suo padre.
Poi però quel pensiero scomparve dalla sua testa così com’era venuto.
I suoi erano morti in un incidente d’auto e se qualcuno avesse saputo che suo padre stava facendo delle indagini scomode sicuramente avrebbe provato a toglierlo di mezzo in un altro modo.
Si costrinse a non soffermarsi su quei pensieri e poi fece un altro paio di domande a Jake.
-Mike c’entra qualcosa in questa storia?-
Jake si alzò dallo sgabello accanto all’isola e poi si prese un altro bicchiere d’acqua.
Le rispose dandole le spalle, rivolto verso il ripiano della cucina.
-Perché me lo chiedi?-
A Cat quella risposta non piacque affatto.
E non perché fosse un’altra domanda, ma perché per lei era un segnale evidente del fatto che forse Mike in un modo o nell’altro fosse coinvolto in quella storia.
-Lui sa di queste morti sospette?- lo incalzò, sempre più testa.
A quel punto Jake si voltò verso di lei e sospirò. –Non saresti dovuta andare da lui.- si limitò a dirle, evasivo.
-Questo significa che è coinvolto anche lui?- gli chiese, allarmata. – E Kane lo sa?-
-Fai troppe domande, Caitlin.- la rimproverò Jake, lasciandosi sfuggire un altro sospiro.
-Io dovrei essere messa a conoscenza di queste cose, non trovi?- replicò Cat, con i nervi a fior di pelle. –Gli Allen sono amici di famiglia e io...-
Jake la interruppe bruscamente. –Allen è apposto.- si limitò a dirle.
Ma lei non capì a quale dei due si riferisse, se a Mike o a Kane.
E poi trovò paradossale che lui avesse usato quelle parole perché erano le stesse che aveva usato anche Kane a proposito di lui.
Quindi non avevano un rapporto idilliaco, ma almeno si fidavano l’uno dell’altro.
Era già qualcosa, dal suo irrilevante punto di vista.
-È tardi Cat.- le disse a un certo punto Jake, alludendo al fatto che fosse quasi mezzanotte e mezza.
Ma Cat non si fece intimidire.
Si alzò dallo sgabello e poi gli fece l’ultima, ma non meno importante, delle domande che voleva fargli.
-Perché tua madre non vuole che io e te ci frequentiamo?- gli chiese, incrociando il suo sguardo.
Jake si passò una mano nei capelli.
Lo faceva quando era nervoso oppure quando era sovrappensiero e la sua reazione non le piacque neanche un po’.
-Perché sa che sto indagando su questi omicidi, tra cui quello di mio zio, e che qualsiasi cosa possa nascere tra di noi non può avere futuro.- le spiegò.
Cat per qualche strano motivo si fece andar bene quella spiegazione.
In fondo era coerente con quello che le aveva detto anche lui e non c’era nessun motivo per mentire su una cosa del genere.
-Non che si ponga il problema.- aggiunge poi, fissandola.
Cat arrossì. Le stava dicendo che il problema non si poneva perché lei lo aveva in un qualche modo rifiutato e anche se non ci fossero state le indagini di mezzo sicuramente non sarebbe mai nato niente tra di loro.
Abbassò lo sguardo e poi gli augurò la buonanotte, non sapendo che altro dire.
Si era addentrata in un campo minato che in quel momento non era in grado di affrontare.
Perciò fece quello che sapeva fare meglio.
Alzare le tende e scappare.
Jake le augurò a sua volta la buonanotte e poi ognuno si diresse nella proprio camera.
Cat non aveva ottenuto molte risposte, ma per qualche strano motivo si sentiva più tranquilla.
Si infilò di nuovo sotto le coperte e poi finalmente si addormentò.
 
Il giorno dopo, Caitlin continuava a sentirsi tranquilla.
Lavorò serenamente in libreria fino alle sei e poi Jake la venne a prendere con la  macchina.
Mentre tornavano a casa, lei si rese conto di non avergli ancora parlato della festa che avrebbe dato il fidanzato di Lauren a casa sua quella sera.
Non era corretto dirglielo all’ultimo, ma tra una cosa e un’altra non aveva avuto più un briciolo di tempo per parlargliene.
Decise di rimediare prima che fosse troppo tardi.
Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino e poi si schiarì la voce. –Oggi il fidanzato della mia migliore amica compie gli anni.- disse, come se fosse quello il punto più importante.
Jake la guardò per una frazione di secondo e poi tornò a concentrarsi sulla guida.
Chiaramente la notizia non era di suo interesse e quindi non le stava minimamente dando retta.
-Dà una festa a casa sua stasera.- aggiunse Cat, sperando che la cosa non gli desse fastidio.
-Devi chiedermi qualcosa, Cat?- le domandò Jake, venendo al punto.
Caitlin osservò per un attimo il blu del mare che cominciava ad avvicinarsi e poi gli disse che aveva bisogno di un passaggio.
Jake si irrigidì, ma lei non capì per quale motivo.
-Ci vuoi andare?- le chiese poi, con un tono che lei non riuscì affatto a interpretare.
-Sì.-
Jake annuì. –Va bene.-
-Dici sul serio?-
Jake annuì un’altra volta. –Non sei agli arresti domiciliari come pensi tu e andare ad una festa di ventenni non credo che possa metterti in alcun modo in pericolo.-
Cat colse però anche qualcos’altro nelle sue parole. –Ma?- disse infatti, sicura che lui non avesse finito il discorso.
-Ma forse è il caso che ti accompagni.-
Cat soffocò l’impulso di scuotere la testa.
Cosa? Jake voleva venire alla festa di Alex con lei? E cosa avrebbe detto a Lauren?  Che lui era il suo accompagnatore?
Caitlin prese un respiro profondo.
Doveva trovare un modo carino e gentile per dirgli che lui non poteva andare con lei alla festa.
Non erano una coppia e non lo sarebbero mai stato.
Che senso aveva andarci insieme?
E poi a casa di Alex non avrebbe corso nessun pericolo. Non c’era proprio motivo di preoccuparsi.
-Non ti preoccupare.- gli disse infatti. –Ci saranno poche persone e non è necessario che ti scomodi.-
Jake entrò nel vialetto del parcheggio e poi posizionò la macchina al posto riservato a lui.
Cat lo osservò mentre tirava il freno a mano e poi mentre si sganciava la cintura di sicurezza.
Aveva un’espressione strana sul viso e lei si preparò al peggio.
-Insisto.- le disse infatti, con un tono che non ammetteva repliche.
Bene. Jake era sul piede di guerra e lei non sapeva come fare.
Non poteva portarlo alla festa di Alex. Non poteva e basta.
E anche se avesse potuto e voluto a che titolo lo avrebbe portato con lei?
Non era il suo fidanzato né un suo amico.
Come ne sarebbe uscita?
Jake scese dalla macchina e lei fece lo stesso.
-Basta che mi accompagni e che mi vieni a riprendere.- provò a dirgli, senza farsi prendere dal panico.
Jake le lanciò un’occhiata. –Che ti prende?-
-Niente, perché?-
-Non vuoi venga con te a questa festa.- le disse lui, in tono asciutto.
-Ma no, ti sbagli.- si affrettò a dire Cat. –È solo che ti annoieresti a morte e lì non corro nessun pericolo, quindi...-
-Quindi andiamo insieme.- la interruppe lui. –Fine della discussione.-
Cat scosse la testa. –Cosa pensi che possa mai succedere?-
Jake alzò le spalle. –Non lo possiamo sapere.-
-Ma con questo criterio non dovrei andare da nessuna parte.- protestò Caitlin, allibita.
-Questo valeva fino al giorno in cui non sei andata a fare un mucchio di domande alle persone sbagliate nel posto sbagliato.-
Caitlin stava per aprire bocca quando si rese conto che lui aveva ragione.
Aveva fatto un casino, come al solito.
E va bene. Sarebbe andata alla festa con lui.
Che diavolo sarebbe mai potuto succedere?
 
Un’ora dopo Caitlin era pronta.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio e poi sorrise, soddisfatta del risultato.
Indossava un vestitino rosso morbido, ma stretto in vita, che le arrivava poco sopra le ginocchia e sopra un giacchetto di pelle nero che aveva da una vita.
Non aveva tacchi, quindi si limitò a mettere un paio di stivaletti neri che non fossero troppo sportivi rispetto al vestito che indossava.
Aveva fatto qualche onda morbida ai capelli e il suo trucco era un po’ più acceso del solito.
Doveva ammettere che stava proprio bene quella sera.
Per un attimo si chiese come l’avrebbe vista Jake. Gli sarebbe piaciuta?
Poi però si disse che non aveva nessun senso chiederselo e quindi scacciò via quel pensiero dalla testa.
Recuperò la sua borsa dalla scrivania e poi andò in salone.
Jake era già pronto, camicia e jeans scuri, e stava scrivendo qualche messaggio sul telefono.
Si voltò verso di lei non appena Cat mise piede in salone.
A quel punto infilò il telefono nella tasca dei jeans e la squadrò da capo a piedi.
Cat si schiarì a voce, a disagio.
Come mai la stava guardando in quel modo? Non gli piaceva come era vestita?
-Sei bellissima.- le disse invece Jake, evitando il suo sguardo.
Caitlin arrossì. –Grazie.- mormorò. -Anche tu stai benissimo.-
Ed era vero. Era vestito in modo sportivo ma elegante e nel complesso era davvero affascinante.
-Andiamo?- le chiese poi Jake, lanciando un’occhiata all’orologio.
Cat annuì.
Uscirono entrambi di casa e poi si avviarono verso la macchina.
-Dove abita il fidanzato della tua amica?- le chiese Jake qualche minuto dopo, salendo in macchina.
-Non lontano da qui.- rispose Caitlin. –Anche lui abita fuori città.-
Jake le chiese l’indirizzo e poi si avviò nella direzione che lei gli aveva indicato.
 
Arrivarono un quarto d’ora dopo, verso le sette.
Jake parcheggiò la macchina lungo il vialetto che costeggiava il giardino della casa di Alex e poi scesero entrambi.
Cat sorrise.
Alex e Lauren abitavano in una di quelle villette a schiera di legno a due piani che lei adorava.
Intorno c’era un ampio giardino verde e sul retro una piscina che Alex aveva fatto costruire grazie a un piccolo contributo dei genitori.
Doveva ammettere che se un giorno avesse dovuto scegliere dove abitare, anche lei probabilmente avrebbe scelto una casa simile alla loro.
Le piaceva stare in mezzo al verde e soprattutto la tranquillità che solo una villetta monofamiliare poteva offrirle.
Lanciò un’occhiata a Jake e poi si avviò verso l’ingresso della villa.
Cat notò che il cancello era aperto e non poté fare a meno di chiedersi come mai.
Per poco non le venne un colpo quando capì quante persone c’erano alla festa di Alex e quanto rumore stessero facendo nel suo giardino.
-Tutti amici del festeggiato?- le chiese Jake, perplesso.
-Non ne ho idea.- rispose Cat, sconvolta.
C’erano ragazzi e ragazze dai venti anni in su che scherzavano e ridevano in gruppi e una musica ad alto volume che sovrastava quasi tutte le voci.
Caitlin non aveva mai visto tutta quella gente alla festa di Alex e per un attimo si chiese cosa ci fosse di diverso quest’anno rispetto a quelli scorsi.
-Caitlin!- esclamò a un certo punto una voce femminile alla loro destra, attirando la sua attenzione.
Cat si voltò e il suo sguardo incrociò quello allegro e contento di Lauren.
Indossava anche lei un vestitino, ma il suo era attillato e a differenza di Caitlin lei indossava un paio di decolleté con il tacco che la facevano sembrare altissima.
-Ciao, Lauren.- la salutò, accennando un sorriso.
Lauren l’abbracciò e poi il suo sguardo si posò su quello di Jake.
-Non mi presenti il tuo amico?-
Cat si schiarì la voce. –Lauren, lui è Jake.- le disse, imbarazzata.
Come poteva spiegarle la sua presenza lì?
Poi si voltò verso Jake. –Jake, lei è la mia migliore amica, Lauren.-
Lauren sorrise. –È un piacere conoscerti.- disse a Jake, allungando una mano verso di lui.
Cat vide che lui la strinse e poi fece un cenno con il capo.
-Alex dov’è?- chiese poi a Lauren, non vedendolo da nessuna parte.
-In giro, da qualche parte.- rispose la sua migliore amica, alzando le spalle.
Cat sorrise. –Gli volevo fare gli auguri.-
Lauren si guardò intorno e poi schioccò le dita. –Se non è in giardino, sicuro è dentro casa.- le disse. –Venite con me.-
Cat lanciò un’occhiata a Jake, che si guardava intorno attentamente, e poi seguì Lauren.
Jake ovviamente non rimase indietro ed andò con loro.
Lauren li portò dentro casa.
Era una villetta molto grande, la loro, e dentro era arredata con mobili moderni ma classici.
Attraversarono l’ampio salone arredato in legno, dove c’erano altre persone sedute sui divani a chiacchierare, e poi si dissero in cucina, dove Alex stava parlando con due ragazzi che davano loro le spalle.
-Piccola.- disse subito a Lauren, con un sorriso sulle labbra.
Caitlin non fece in tempo a dire nulla, perché i due ragazzi che erano con lui si voltarono verso di loro.
Uno dei due era il cugino di Alex, un ragazzo dell’età sua con folti capelli neri e due occhi verdi come quelli di Alex, mentre l’altro era più alto e aveva corti capelli castani e due occhi chiari che Cat riconobbe subito.
Si irrigidì. Che diavolo ci faceva Ryan alla festa di Alex?
-Ehi, Caitlin.- la salutò Alex, distogliendola da lui. –Come stai?-
Cat si schiarì la voce e si concentrò solo su di lui. –Tutto bene e tu?- rispose. –Tanti auguri, comunque.-
Alex la guardò con i suoi profondi occhi verdi e poi sorrise. –Grazie, Cat.- le disse. –Ti ricordi mio cugino Peter?-
Cat annuì e poi il suo sguardo incrociò quello di Ryan, che la salutò. –Caitlin.-
-Ciao, Ryan.-
Poi guardò Lauren. Lei sapeva che Ryan sarebbe venuto alla festa del suo fidanzato?
Lauren la guardò per qualche secondo, come a volerle dire che dopo le avrebbe spiegato tutto, ma poi si girò verso Alex.
-Voi due vi conoscete?- le chiese quest’ultimo, guardando prima lei e poi Ryan.
Cat non disse nulla, mentre Ryan annuì. –Abbiamo studiato insieme qualche volta.-
Il suo tono non le piacque affatto perché sembrava voler alludere anche a qualcos’altro.
-E tu invece non ci presenti il tuo amico?- le chiese poi Alex, riferendosi a Jake.
Cat si voltò.
Per un attimo era stata così concentrata su quello che stava succedendo davanti a lei, che si era quasi dimenticata di lui.
Jake la stava fissando in modo strano e a giudicare dallo sguardo che aveva probabilmente si stava chiedendo chi diavolo fosse Ryan e perché all’improvviso l’atmosfera fosse cambiata.
-Ehm, sì...-disse Cat, voltandosi di nuovo verso Alex. –Lui è Jake, un amico.-
Ryan la fissò e poi posò il suo sguardo su Jake.
Lei fece finta di niente e poi provò ad abbozzare un sorriso.
Era molto imbarazzante quella situazione e la cosa cominciava a darle fastidio.
-Va bene.- si intromise per fortuna Lauren, allegra. –Faccio fare un giro a Lauren e Jake.-
Cat tirò un sospiro di sollievo dentro di sé.
La sua migliore amica era appena venuta in suo soccorso.
Alex e Peter le dissero che si sarebbero visti dopo, mentre Ryan si limitò a lanciarle un’occhiata.
A quel punto Cat seguì Lauren e Jake seguì lei.
Non appena furono fuori, Cat sbuffò.
-Che c’è?- le chiese Lauren, preoccupata.
Si misero in un angolo del giardino un po’ più tranquillo e poi lei si schiarì la voce.
Cat non voleva parlare davanti a Jake, perciò si limitò a scuotere la testa.
Ma lui non fece finta di niente. –Ex fidanzato?- le chiese, attirando la sua attenzione.
Cat non fece in tempo a dire nulla perché Lauren l’anticipò. –Assolutamente no.- si affrettò a dire. –Sono usciti un paio di volte, ma non è mai nato niente perché Cat lo ha allontanato bruscamente dalla sua vita quando i suoi sono morti.-
Cosa?
Ma perché Lauren diceva tutti i fatti suoi a Jake?
-Vi vado a prendere qualcosa da bere.- annunciò poi, lasciandoli da soli.
Cat sbuffò. Non aveva nessun diritto di dire quelle cose a Jake. Perché lo aveva fatto?
Jake si avvicinò a lei e poi incrociò le braccia al petto. –Che hai?- le chiese, con un tono così dolce che a lei venne quasi voglia di abbracciarlo.
-Niente.-
-È per via di quell’idiota?- le chiese, riferendosi a Ryan.
Cat rise. Ryan non aveva mai fatto parte della sua vita, ma il modo in cui aveva detto che loro due qualche volta avevano studiato insieme le aveva dato parecchio fastidio.
Come se volesse dire che in realtà avevano fatto anche altro insieme, ma quello non era assolutamente vero.
Si erano baciati sì e no tre volte e di sicuro non erano andati oltre.
Primo, perché lei non aveva mai fatto niente con nessuno e aspettava la persona giusta, e secondo, perché quando erano morti i suoi loro non si erano ancora messi insieme e lei non avrebbe mai fatto nulla con una persona che non fosse il suo fidanzato.
Quindi nona era successo proprio un bel niente tra di loro e il fatto che lui volesse far credere agli altri il contrario, lei lo vedeva come una grande mancanza di rispetto nei suoi confronti.
Decise di dirlo anche a Jake, giusto per chiarire come stavano le cose.
-Io e Ryan non siamo mai stati insieme.- gli disse, incrociando il suo sguardo. –In tutti i sensi.-
-Lui ha fatto intendere altro, però.- le fece notare Jake.
Cat lo fissò. Cos’era quel tono? Era geloso per caso?
Poi si rese conto di quello che lui le aveva detto e a quel punto decise di mettere le cose in chiaro.
-È un idiota.- disse, arrabbiata. –Non so cosa posso aver trovato di interessante in una persona del genere.-
E lo pensava davvero.
Che diavolo ci aveva trovato in uno come lui? Che alla prima occasione faceva allusioni poche opportune con altre persone?
Jake si voltò per un secondo alla sua destra e poi le afferrò il viso delicatamente.
Cat rimase immobile, sconvolta da quello che stava succedendo.
Ma non aveva detto che tra loro non ci poteva essere nulla?
All’improvviso l’atmosfera si fece più elettrica e lei si ritrovò a trattenere il respiro.
Non ebbe il tempo però di capire cosa stesse succedendo.
Jake si chinò su di lei e poi la baciò, cogliendola completamente alla sprovvista.
Fu un bacio lieve, un contatto quasi difficile da percepire, ma che bastò a mandarla in confusione.
Jake si scostò da lei e poi le sorrise.
-Adesso non è più un problema.- le disse, guardandola negli occhi.
-Cosa?-
Jake rise. –Non credo che ti darà più fastidio quell’idiota.-
Cat scosse la testa. Non lo stava seguendo. Di che parlava?
Jake le fece un cenno alla sua destra e a quel punto lei si voltò.
Ryan stava parlando con Peter a pochi metri da loro, ma la fissava in modo strano.
Aveva assistito al bacio che le aveva dato Jake?
E Jake perché l’aveva baciata? Solo per far capire a Ryan che loro due stavano insieme e che non poteva permettersi di darle fastidio?
A un certo punto si ritrovò a sbattere le palpebre un paio di volte, perplessa.
L’aveva baciata solo per farle un favore?
Quel pensiero la fece incupire.
Per lei non era stato un bacio così, di semplice aiuto.
Per lei quel bacio aveva avuto un senso e per un attimo si chiese che diavolo le stesse succedendo.
Jake le piaceva?
Si schiarì la voce, imbarazzata.
Conosceva la risposta a quella domanda, ma non era la risposta giusta.
Non dopo che lui le aveva detto che non potevano stare in alcun modo insieme.
-Tutto ok?- le chiese Jake, attirando la sua attenzione.
Cat annuì.
Annuì anche se dentro si sentiva come una barca a vela in mezzo al mare in tempesta, fragile e impotente allo stesso tempo.
-Io...- iniziò a dire, a disagio. –Io devo andare in bagno.-
Jake la fissò in modo strano, ma non disse nulla.
Si limitò a precisare che l’avrebbe aspettata lì, mentre lei faceva quello che doveva fare.
A quel punto Cat si incamminò verso l’ingresso della casa, senza fare caso alle occhiate di Ryan, e poi si diresse in bagno.
Non andò molto lontano.
-Cat.-
Si voltò, arrabbiata.
-Per quale diavolo di motivo non mi hai detto che ci sarebbe stato pure Ryan?- chiese a Lauren, seccata.
Lauren scosse la testa. –Non lo sapevo, infatti.- rispose la sua migliore amica, facendole cenno di seguirla.
Salirono al piano di sopra e poi Lauren la portò nella camera da letto in cui lei e Alex dormivano.
-È un amico di Peter.- le disse, riferendosi al cugino di Alex. –Che ne potevo sapere?-
-Non si è comportato bene.- osservò Cat.
Lauren annuì. –Hai ragione.- disse. –Però Jake è venuta in tuo soccorso.-
-Di che parli?-
-Del bacio che ti ha dato davanti a tutti.- le spiegò Lauren, con un sorriso sulle labbra.
Cat non poté fare a meno di arrossire. Lo aveva visto anche lei?
-Gli piaci.- la informò poi la sua migliore amica.
Cat stavolta non poteva smentire le sue parole.
Glielo aveva detto Jake stesso che lui era interessato a lei e non poteva certo dire il contrario.
-Ma tu questo già lo sai.- osservo Lauren, curiosa.
Cat le raccontò quello che era successo e poi sospirò.
-Quindi avevo ragione io.-
Cat sbuffò. Non era quello il punto.
Certo che aveva ragione lei, ma il problema era un altro e lei non riusciva a dirlo ad alta voce.
-Ti piace?- le chiese Lauren, cominciando finalmente a capire.
Cat non disse nulla.
-Quindi tu piaci a lui e lui piace a te.- disse la sua migliore amica, entusiasta.
-Non è così semplice.-
-Perché?-
Non ebbero il tempo di dire nulla.
Alex le raggiunse di sopra e poi disse loro che tra pochi minuti ci sarebbe stata la torta.
-Ne parliamo dopo, ok?- le disse Lauren, con un sorriso.
Cat le disse che doveva andare in bagno e che poi li avrebbe raggiunti giù.
A quel punto Lauren la lasciò da sola e scese al piano di sotto.
Caitlin andò in bagno e poi si sbrigò a tornare giù.
Non voleva perdersi per niente al mondo il momento della torta.
Quando scese al piano di sotto però il suo sesto senso le disse che qualcosa non andava.
Non c’era nessuno in casa, eppure per un attimo provò un senso di inquietudine.
Rischiò di sobbalzare quando, un attimo prima di uscire fuori nel giardino, una voce maschile attirò la sua attenzione.
Cat si voltò e poi sospirò.
-Che vuoi, Ryan?- chiese, seccata.
Ryan si avvicinò a lei e poi sorrise. –Perché sei sparita in quel modo?- le chiese, riferendosi a quello che era successo più di due anni e mezzo prima.
Caitlin sbuffò. Non si arrendeva proprio, eh?
-Ne vuoi parlare adesso, a distanza di quasi tre anni?- gli chiese Cat, allibita.
Ryan si avvicinò ancora di più a lei. –Mi piacevi.- le disse, a mezzo metro da lei. –Mi piaci ancora adesso in realtà.-
Cat fece un passo indietro. Non le piaceva proprio il modo in cui la guardava.
Non rispose nulla.
Si voltò per aprire la porta di casa, ma lui la bloccò prima che lei riuscisse ad uscire.
A quel punto si voltò di nuovo verso di lui. –Che diavolo fai?-
-Te ne vuoi già andare?- le chiese, in tono strano.
In quel momento Cat ebbe paura. Che voleva da lei?
-Ho provato a contattarti in tuti i modi, ma tu te ne sei sempre fregata.- le disse, con una strana luce negli occhi.
-I miei genitori erano appena morti.- gli fece notare Cat, arrabbiata.
-Ma questa non è giustificazione valida.- le fece notare, senza mai abbassare lo sguardo da lei.
Cat cominciò a sentire i palmi delle mani sudare.
Che voleva Ryan da lei? E perché non le permetteva di uscire?
Fece un passo verso destra quando lui si avvicinò ancora di più a lei.
Se ne avesse fatto uno indietro si sarebbe ritrovata con le spalle contro la porta di casa e non voleva ritrovarsi in trappola con uno come lui.
Ryan fece un sorriso che la spaventò e poi le afferrò un braccio con forza.
Cat provò a divincolarsi, ma non ci riuscì.
Lui voleva baciarla.
Lo aveva capito dal modo in cui le guardava le labbra e le stringeva il braccio.
-Mi stai facendo male.- gli disse, cercando di tirare via il braccio.
Lui sembrò non ascoltarla. –Chi è quello stronzo che ti sei portata dietro?-
Cat non fece in tempo a dire nulla.
La porta di casa si spalancò all’improvviso e Cat approfittò di quel momento per liberarsi dalla sua stretta.
-Che cazzo stai facendo?- sentì dire a una voce maschile arrabbiata che conosceva bene.
Cat si fiondò verso Jake e poi gli buttò le braccia al collo.
Jake la strinse per un attimo e poi si concentrò su Ryan.
Aveva uno sguardo che metteva paura anche a lei.
-Che cazzo stavi facendo?- chiese un’altra volta Jake a Ryan, furioso.
-Non sono cazzi tuoi.- lo sfidò Ryan, affrontandolo a muso duro.
Jake le disse di uscire e che poi l’avrebbe raggiunta.
Cat scosse la testa. Che aveva intenzione di fare?
-Lascia perdere, Jake.- gli disse, preoccupata.
Jake le puntò addossò i suoi profondi occhi scuri. –Ti ha fatto del male?-
Caitlin scosse la testa. Non aveva fatto in tempo perché lui era venuto in suo soccorso prima che fosse troppo tardi.
-Ci stavamo divertendo.- disse Ryan, in tono di sfida.
A quel punto Jake si imbestialì.
Lo afferrò per il maglione e lo fissò negli occhi.
Era molto più alto di Ryan e questo giocò a suo favore.
-Se provi a toccarla un’altra volta, ti faccio fuori.- lo minacciò. –E non dico tanto per dire.-
Cat gli vide tirare fuori il distintivo da poliziotto e poi sbatterlo davanti agli occhi impauriti di Ryan.
-Non ti voleva prima e non ti vuole nemmeno adesso, stronzo.- gli disse poi Jake, scuotendo la testa.
Cat gli toccò un braccio e a quel punto Jake lasciò andare Ryan.
-Andiamo via.- disse Jake, prendendola per mano.
Cat annuì e poi uscirono entrambi da quella casa.
Ovviamente si erano persi il momento della torta, ma a lei in quel momento non importava un fico secco.
Era ancora troppo scossa da quello che era successo.
E se non fosse arrivato in tempo Jake?
Cosa le avrebbe fatto Ryan?
Prese un respiro profondo e poi scosse la testa.
Le veniva da piangere e non sapeva nemmeno lei il perché.
Jake le disse che forse era meglio se tornavano a casa e poi le accarezzò il viso con dolcezza.
-Non permetterò a nessuno di farti del male, ok?- le disse, accennando un sorriso rassicurante.
Cat lo abbracciò.
Lo abbracciò perché da quando si conoscevano lui l’aveva sempre protetta e lo abbracciò anche perché lui in un modo o nell’altro era diventato il suo porto sicuro da quando si conoscevano.
-Saluta Lauren, così poi ce ne andiamo.- le disse, continuandola a stringere.
Cat tirò su con il naso e poi annuì.
Raggiunse Lauren ed Alex, che erano circondati da una marea di persone che aspettavano il loro turno per prendere un pezzo di torta dal tavolino che avevano messo nel giardino, e poi li salutò, dicendo loro che era stanca e che il giorno dopo avrebbe dovuto lavorare.
Lauren la guardò in modo strano, ma non le disse nulla.
Alex la ringraziò per essere venuta alla sua festa e poi tornò a concentrarsi sui suoi invitati.
A quel punto Cat tornò da Jake e poi entrambi si diressero verso la macchina.
Il viaggio di ritorno fu un viaggio silenzioso.
Cat era ancora troppo scossa per dire qualcosa e Jake invece era teso.
Stringeva il volante come se volesse prendere a pugni qualcuno e lei sapeva chi sarebbe stato il prescelto se solo ne avesse avuto l’occasione.
Non si sarebbe mai immaginata che Ryan fosse così.
Si erano frequentati talmente poco che lei non aveva fatto in tempo a cogliere questo lato orribile del suo carattere.
Col senno di poi aveva fatto bene ad allontanarlo dalla sua vita.
Lei non sarebbe mai potuta stare con un uomo del genere, né all’epoca né mai.
Si disse invece che con Jake ci avrebbe passato anche tutta la vita, se avesse potuto.
Era dolce e molto protettivo nei suoi confronti.
Il genere d’uomo che tutte vorrebbero accanto, insomma.
Decise di scacciare quel pensiero dalla testa e poi sospirò. –Grazie.- gli disse, ancora molto turbata.
Jake le lanciò un’occhiata e poi scosse la testa. –Gli avrei dovuto spaccare la faccia.-
-Ma poi saresti passato tu dalla parte del torto.-
-Non me ne frega niente, Caitlin.- replicò Jake. –I pezzi di merda come lui andrebbero menati fino a quando non imparano la lezione.-
Cat non disse nulla. Poteva forse dagli torto?
Notò che nel frattempo erano quasi arrivati a casa e questa cosa la mise in condizione di rilassarsi.
Non l’avrebbe mai e poi mai detto, ma stare da Jake le piaceva.
La faceva sentire al sicuro e protetta.
Sapeva che era una sistemazione provvisoria, ma per un attimo si chiese come sarebbe stato vivere con lui.
Perché ormai era inutile negarlo.
Lui le piaceva, e tanto anche, ma Jake era stato molto chiaro.
Non poteva esserci nulla tra di loro, per lo meno fino a quando non si fossero chiuse le sue indagini.
E dopo invece? C’era forse una possibilità per conoscersi meglio e stare insieme?
E come mai adesso le importava così tanto? A lei, che di solito teneva tutti alla larga?
Scacciò via quel pensiero dalla testa e poi lo osservò mentre parcheggiava la macchina nel posto riservato a lui.
Non scambiarono molte parole dopo essere scesi dalla macchina.
Salirono a casa e poi ognuno andò nella sua camera.
 
Il giorno dopo Cat si svegliò molto presto.
Aveva dormito poco e male la sera prima e quando i suoi occhi si erano aperti, quella mattina, poi non erano più riusciti a richiudersi.
Continuava ad avere uno strano pensiero in testa e voleva condividerlo con Jake.
Gli voleva dire che anche a lei piaceva lui e voleva chiedergli anche se ci fosse una possibilità di frequentarsi una volta che il caso fosse chiuso.
Era assurdo ritrovarsi a pensare una cosa del genere, ma il modo in cui lui l’aveva baciata nel giardino di Alex e il modo in cui l’aveva difesa da Ryan avevano fatto scattare qualcosa in lei, qualcosa che non avrebbe mai e poi immaginato di provare.
Per lo meno non dopo anni di chiusura e paura nei confronti di tutto e di tutti.
Decise quindi di alzarsi e di andarglielo a dire.
Tutt’al più lui le avrebbe detto che non c’era alcun modo per stare insieme e a quel punto lei avrebbe fatto finta di niente e soffocato i suoi sentimenti.
Non aveva nulla da perdere in fondo.
Bussò piano alla sua porta e poi aspettò che lui le dicesse di entrare.
Ma non successe.
Jake non disse nulla.
A quel punto lei afferrò la maniglia della porta ed entrò.
Jake non c’era, ecco perché non aveva ricevuto risposta.
Il letto era stato già rifatto e la serranda era alzata.
Cat si guardò intorno, come se studiare quella stanza potesse aiutarla a capire qualcosa in più su di lui.
Era arredata esattamente come quella in cui dormiva lei, e che in realtà era la sua,  solo che c’era anche un comodino in legno vicino a letto che lei non aveva.
Per qualche strano motivo si andò a sedere su uno dei bordi del letto e poi aprì uno dei cassetti del comodino.
Voleva capire meglio che tipo fosse e che cosa gli piacesse, ma non trovò nulla di interessante, solo un fascicolo di una carta più spessa con una marea di fogli dentro.
Per un attimo pensò che si trattasse del caso di Thomas.
Lo prese e cominciò a sfogliarli tutti, curiosa di capire che cosa fosse successo al suo precedente datore di lavoro.
Sapeva che non doveva farlo, ma la tentazione era stata troppo forte.
Jake non c’era e lei aveva tutto il tempo per leggere cosa c’era scritto in quei fogli.
Solo che a un certo punto si bloccò, disorientata.
Sgranò gli occhi per la sorpresa.
Lesse un’altra volta e poi scosse la testa, sconvolta.
C’era un foglio in particolare che aveva catturato la sua attenzione.
Un foglio su cui erano riportati i nomi dei suoi genitori e la descrizione dettagliata  del modo in cui erano morti.
Solo che non c’era scritto che erano morti in un incidente stradale come aveva sempre saputo lei.
C’era scritto che qualcuno gli aveva sparato in fronte mentre erano seduti l’uno di fianco all’altra  in macchina, a pochi chilometri di distanza dalla casa in cui all’epoca vivevano tutti insieme, e che erano anche morti sul colpo, senza la possibilità di salvarsi.
Cat si sentì improvvisamente male.
Abbandonò il fascicolo sul letto e poi cominciò a respirare in modo irregolare.
Le mancava l’aria e il suo cuore batteva fortissimo nel petto.
Cos’era quello? Un attacco di panico?
Provò a prendere respiri profondi e a calmarsi, ma non sembrò funzionare.
Allora si alzò e poi chiuse gli occhi, concentrandosi sul battito impazzito del suo cuore.
Perché non rallentava? E perché il suo respiro non tornava regolare?
Prese un respiro profondo e poi riaprì gli occhi.
Doveva darsi una calmata sennò rischiava di sentirsi male.
Recuperò il fascicolo dal letto e poi lesse il foglio che più le interessava per altre due volte.
C’era scritto che l’assassino ancora non era stato arrestato e che la polizia stava seguendo una pista sola.
Quella del farmaco che era stato prescritto anche a Thomas.
Quindi Jake le aveva mentito. Tutti le avevano mentito, anche Kane.
Non le avevano detto la verità sulla morte dei suoi genitori e non le avevano detto nemmeno che in un modo o nell’altro era rimasta coinvolta anche lei in quella storia, proprio come era successo ai suoi genitori due anni e mezzo prima.
Perché? Perché nessuno le aveva detto la verità?
Poi chiuse gli occhi.
Non poteva fidarsi di nessuno e doveva andarsene via da lì.
Non poteva rimanere con Jake, non dopo aver scoperto tutte quelle cose.
Lui aveva detto di essere interessato a lei, ma non era vero.
Gli faceva solo pena.
E gli faceva pena perché lui sapeva come erano morti i suoi genitori.
Ecco perché sapeva tutte quelle cose su di lei ed ecco perché tentava in tutti i modi di farla distrarre e divertire.
Come aveva fatto a non capirlo prima?
A Jake non fregava nulla di lei e lei era stata  una grandissima stupida a credergli e iniziare a provare interesse per lui.
Rimise il fascicolo al suo posto e poi tornò in camera sua.
Doveva fare i bagagli e andarsene.
Non poteva assolutamente rimanere lì.
Si cambiò in fretta e poi prese in fretta tutti i suoi vestiti.
Li infilò nel borsone che si era portata dietro e poi decise di chiamare un taxi per farsi ripotare a casa.
Non riusciva a crederci.
I suoi genitori non erano morti per uno stramaledetto incidente stradale.
Erano morti perché qualcuno gli aveva sparato e quel qualcuno molto probabilmente sapeva che suo padre stava facendo delle indagini molto scomode per la casa farmaceutica in cui lavorava Mike Allen.
Ma chi poteva essere stato?
A un certo punto pensò al padre di Stella.
Come mai aveva avuto fretta di farla andare via dal luogo in cui lavorava?
Era stato lui ad uccidere i suoi genitori?
Si coprì la bocca con una mano.
E se avesse attirato la sua attenzione facendogli tutte quelle domande?
Merda, pensò.
Aveva fatto un casino andando da Mike e forse aveva messo a repentaglio la sua di vita e quella di Matt.
Uscì fuori di casa con il borsone sulla spalla e poi aspettò il taxi, che per fortuna arrivò pochi minuti dopo.
Diede l’indirizzo al quale voleva essere portata al tassista e poi abbandonò la tasta contro il sedile.
Alla fine si mise a piangere, silenziosamente, ma a piangere.
Pianse perché i suoi genitori erano stati uccisi brutalmente da qualcuno e pianse perché tutti quelli a cui voleva bene le avevano mentito.
Dopo che si fu sfogata, si asciugò le lacrime con la mano.
Prese un respiro profondo e poi si disse che aveva sbagliato ad abbassare la guardia.
Non poteva fidarsi di nessuno e quella mattina ne aveva avuto un’ulteriore conferma.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Caitlin legò i suoi lunghi capelli biondi in una coda di cavallo e poi osservò a lungo la sua immagine riflessa nello specchio.
I suoi occhi azzurri erano rossi e gonfi per il pianto e il suo incarnato, spento e pallido, sembrava aver perso ogni traccia di vitalità quel giorno.
Aveva davvero una brutta cera, inutile negarlo, eppure nemmeno vedersi in quelle condizioni la spingeva a reagire.
Era ancora molto turbata da quello che era successo a casa di Jake e i suoi pensieri continuavano ad affollarsi confusi nella sua mente, uno dopo l’altro e soprattutto uno più fastidioso dell’altro.
Si sciacquò il viso con dell’acqua fresca e poi chiuse gli occhi, profondamente amareggiata da quello che aveva scoperto solo poche ore prima.
Come aveva fatto ad essere così stupida? Come aveva fatto a fidarsi ciecamente di Jake?
Lei, che a stento si fidava della sua migliore amica a volte?
Aveva trascorso le ultime due ore a chiedersi come avesse potuto commettere un errore del genere, eppure nemmeno dopo tutto quel tempo era riuscita a darsi una spiegazione vagamente plausibile e soprattutto credibile alle sue orecchie.
Una vocina fastidiosa nella sua testa le aveva suggerito che il motivo fosse più banale di quello che pensasse e che l’attrazione che provava per Jake le avesse temporaneamente annebbiato la mente, ma in cuor suo sapeva benissimo che le cose non stavano affatto così.
Jake le piaceva, questo non poteva negarlo, ma non si era fidata di lui solo per questo.
Si era fidata di lui perché il suo istinto l’aveva spinta a farlo, ma col senno di poi avrebbe fatto meglio a non dargli ascolto e a mantenere anche con lui quella barriera impenetrabile che ormai alzava con tutti.
Aveva commesso un errore, un errore imperdonabile, e adesso ne stava pagando le conseguenze.
Ma che cosa poteva fare? Con chi poteva parlare?
Le uniche persone di cui si era fidata negli ultimi tempi le avevano mentito e le uniche che avrebbe voluto al suo in fianco in quel momento non c’erano più o, nel caso di Matt, erano lontane.
Si sentiva sola, e dannatamente persa, e la cosa peggiore era che non poteva farci proprio nulla.
Alla fine prese diversi respiri profondi e poi riaprì gli occhi.
Non poteva rimanere in bagno a piangersi addosso. Non poteva e basta.
Doveva rimettere insieme tutti i pezzi della sua vita e scoprire cosa diavolo si nascondesse dietro alla morte improvvisa dei suoi genitori e del suo precedente datore di lavoro.
Sapeva di essere troppo coinvolta in quella storia e di non avere la lucidità sufficiente o quantomeno necessaria per far luce su quello che era successo, ma non poteva fare finta di niente.
Così si diresse a passi spediti verso la sua camera e poi si vestì con le prime cose che trovò. Un jeans chiaro e una maglia nera con le maniche a tre quarti e lo scollo a barchetta.
Non aveva nessuna intenzione di rimanere con le mani in mano, ad aspettare che qualcun altro le mentisse ancora su una parte così importante della sua vita.
Doveva mettere da parte quel senso di delusione che aveva provato quando aveva scoperto che Jake e il detective Allen le avevano mentito e scoprire finalmente la verità sui due omicidi che le avevano cambiato per sempre la vita.
Recuperò frettolosamente la borsa dal divano e poi uscì di casa.
Peccato che qualcuno non la pensasse come lei.
Non fece in tempo a chiudere la porta di casa, infatti, che una voce profonda alle sue spalle la chiamò, facendola trasalire.
-Caitlin.-
Cat serrò la mascella talmente forte che per un attimo rischiò di farsi male.
Che diavolo voleva ancora da lei quel dannato bugiardo?
Chiuse la porta a chiave e poi si girò.
Non doveva assolutamente perdere la calma.
Jake non significava nulla per lei e di sicuro non gli avrebbe dato nessuna possibilità di mentirle ancora.
-Che diavolo vuoi?- gli chiese, con il tono più freddo e distaccato che riuscì a tirare fuori.
Jake si irrigidì.
I suoi occhi scuri la stavano scrutando attentamente.
-Che succede?- le chiese, come se non avesse idea di quello che lei aveva scoperto quella mattina. –Sono passato a casa prima e non solo non ho trovato te, ma non ho trovato neanche nessuna delle tue cose. Perché te ne sei andata?-
-Mi prendi in giro?- sbottò Cat, arrabbiata.
Lo scansò e poi iniziò a scendere le scale, con una tale rabbia in corpo da non rendersi conto che il suo non era una passo normale, ma una dannata corsa contro il tempo.
Jake ovviamente la seguì, ripetendole più volte di fermarsi.
Cat non gli diede minimamente ascolto e tirò dritto, fino a quando non si ritrovò fuori dal palazzo in cui abitava ormai da quasi tre anni.
Era una bella giornata, nonostante tutto.
Il sole splendeva sulla città e il clima era stranamente mite.
L’estate stava arrivando.
-Ti vuoi fermare?- sbottò Jake a un certo punto, arrivando alle sue spalle e afferrandole un braccio.
L’aveva seguita fino a giù, ma lei non si era minimamente resa conto di quanto fosse insistente e testardo.
Cat si divincolò dalla sua stretta e poi lo affrontò a viso aperto.
-Non hai fatto altro che mentirmi.- lo accusò, guardandolo dritto negli occhi. –Perché non mi hai detto la verità sulla morte dei miei genitori?-
Jake trasalì, spiazzato dalle sue parole. –Di che stai...-
Cat lo interruppe con un cenno della mano. –So tutto.- disse, in tono amaro. –Basta mentire.-
Lo vide passarsi una mano nei capelli e poi sospirare.
Indossava i suoi soliti jeans scuri e una maglia grigia, ma quel giorno non le sembrava così affascinante come al solito.
Forse perché per lei la fiducia era tutto e sapere che lui l’aveva tradita in quel modo così meschino le aveva fatto perdere all’improvviso qualsiasi interesse nei suoi confronti.
Come si può anche solo immaginare di stare con una persona che non fa altro che mentirti?
Per lei era davvero inimmaginabile e sarebbe sempre stato così.
-Perché non saliamo a casa?- le chiese a un certo punto lui, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
-Così puoi dirmi altre bugie?- lo schernì Caitlin, arrabbiata.
Jake distolse lo sguardo.
-Perché è questo che fai, no? Dire balle su balle, sperando che gli altri ti credano.- continuò Cat, in tono amaro.
Il figlio di Abigail scosse la testa. –Ti sbagli.-
-Davvero?- lo provocò Cat, scuotendo la testa. –Era tutta una menzogna, vero? Non c’era nulla di reale in questi giorni che abbiamo trascorso insieme.-
Jake le afferrò il viso all’improvviso e poi la fissò negli occhi. –Era tutto vero.-
Lei fece un passo indietro e poi si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –Chi ha ucciso i miei genitori?-
-Io questo non lo so, Cat.- rispose Jake. –Ma ti giuro che troverò il loro assassino e mi assicurerò che trascorra il resto della sua vita dietro alle sbarre di una maledetta prigione.-
-E dovrei crederti?-
-Saliamo a casa tua.- la supplicò Jake, con uno sguardo che non gli aveva mai visto.
Sembrava addolorato, ma lei non riusciva a provare nessuna pena per lui.
Le aveva mentito e questo per lei era più che sufficiente per chiudere i battenti ed eliminarlo dalla sua vita.
-Ti dirò tutto.- continuò Jake, senza abbassare mai lo sguardo da lei.
-Io non mi fido più di te.-
-Lo so.- replicò Jake, in tono amaro. –Volevo solo proteggerti.-
-Dicendomi bugie?-
Jake scosse la testa. –Aspettando il momento giusto per dirti tutta la verità.- rispose. –Ma quel momento a quanto pare è arrivato e se me ne dai la possibilità, ti dirò tutto quello che vuoi sapere.-
Cat esitò. E se le avesse detto altre bugie? Come poteva fidarsi ancora di lui?
Per un attimo pensò di girare i tacchi e andarsene.
Solo pochi minuti prima aveva promesso a se stessa che non avrebbe permesso più a nessuno di dirle altre bugie.
Ma andarsene significava perdere l’unica possibilità di sapere qualcosa in più e lei questo non poteva permetterselo.
Combatté a lungo con la sua coscienza e alla fine fece l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare.
Annuì suo malgrado e rientrò di nuovo nel palazzo.
 
Pochi attimi dopo, Cat aprì la porta di casa e si disse che stavolta non avrebbe ceduto.
Se avesse avuto la minima sensazione che Jake le stesse mentendo, lo avrebbe sbattuto immediatamente fuori di casa e lo avrebbe eliminato per sempre dalla sua vita.
Questa volta le cose sarebbero andate diversamente, cascasse il mondo.
Jake la seguì dentro casa e poi sospirò.
Cat non poté fare a meno di scuotere la testa.
Cosa c’era da sospirare?
In quella storia la vittima era lei. Possibile che nessuno se ne rendesse conto?
-Adoravo questa casa.- le disse a un certo punto Jake, attirando la sua attenzione.
Cat si chiuse la porta di casa alle spalle e poi lo fissò. Che diavolo intendeva?
-Cosa?- chiese infatti, confusa.
Jake fece un sorriso amaro, di quelli che non ti scordi facilmente.
Lo sentì schiarirsi la voce e poi sospirare un’altra volta.
-Ti ricordi cosa ti dissi a proposito di quel mazzo di chiavi che usai la prima sera che ci siamo conosciuti?- le chiese, incrociando il suo sguardo. –La sera in cui è stato ucciso mio zio?-
Cat ricordava benissimo quella sera, eppure non capiva. Ma di che diavolo stava parlando?
Posò le sue, di chiavi, e poi si avvicinò a lui.
-Mi hai detto che un tempo abitavi qui.- rispose, continuando a non capire.
Jake fece un altro sorriso amaro.
-Io non abitavo semplicemente qui.- le disse, alludendo al palazzo in cui si trovavano. –Io abitavo proprio qui, in questo appartamento.-
Caitlin non riuscì a mascherare un’espressione sorpresa. –Che significa?-
Jake si andò a sedere sul divano e poi si guardò intorno.
Il suo soggiorno non era nulla di che.
Era un ambiente abbastanza piccolo e arredato in modo semplice e moderno, eppure Jake osservava tutto con una strana luce negli occhi, come se adorasse quel posto.
-Perché non ti siedi?- la invitò, schiarendosi la voce.
Cat per qualche strano motivo lo assecondò, sedendosi accanto a lui, e poi attese in silenzio che lui riprendesse le fila del discorso.
-Questa casa è mia.- le disse all’improvviso, cogliendola alla sprovvista.
-Cosa?- mormorò Cat, confusa.
Lei era in affitto lì, era vero, ma conosceva perfettamente il proprietario di quella casa e di sicuro non era lui.
-Stai mentendo.- osservò, in tono secco. –Di nuovo.-
-Non è così.-
-Tu non sei il proprietario di questo appartamento.- replicò Cat, sicura di quello che stava dicendo. –Io lo conosco.-
-Tu conosci Steven.- la corresse Jake. –Il mio migliore amico.-
Cat stava per replicare di nuovo quando si rese conto che il ragazzo che lei conosceva come il proprietario dell’appartamento in cui abitava da quasi tre anni si chiamava proprio Steven.
È solo una coincidenza, pensò. Una coincidenza davvero strana, però.
-Sarà meglio che cominci dall’inizio.- mormorò Jake, in tono triste.
Cat non disse nulla.
Si limitò a fissarlo in silenzio, sempre più confusa da quello che stava succedendo.
-Ho conosciuto tuo padre tre anni e mezzo fa.- iniziò a dire, lasciandosi sfuggire più di un sospiro. –Quando Allen mi ha assegnato diversi casi di omicidio che apparentemente non avevano nulla in comune, ma che in realtà avevano un unico e terribile denominatore.-
Cat fece due più due. –Il Parenol.-
Jake annuì.
-Tu hai conosciuto mio padre?- gli chiese poi Cat, sconvolta da quella rivelazione. –Perché non me lo hai mai detto?-
Jake si strinse nelle spalle. –Sempre per lo stesso motivo, Caitlin.- rispose, in tono affranto. –Volevo tenerti al sicuro, ma non ci sono riuscito. Il caso ha voluto che ti trovassi nei paraggi quando mio zio è stato ucciso e da quel giorno, in un modo o nell’altro, tutti i miei tentativi di tenerti al sicuro sono miseramente falliti.-
-Tutti i tuoi tentavi?-
Jake la fissò. –Vuoi sapere o no la verità?-
-Certo.-
-E allora dovresti smetterla di fare tutte queste domande e lasciarmi raccontare quello che so.-
Touché.
Cat si schiarì la voce e poi annuì, come a voler dire che non lo avrebbe più interrotto.
-Quando ho cominciato ad indagare su tutti quegli omicidi, mi sono reso conto che le vittime avevano la stessa malattia che poi ha colpito anche mio zio. Così ho parlato con Allen e lui mi ha messo in contatto con tuo padre, che all’epoca non sapeva molto di quel farmaco. Si è messo a fare delle ricerche, però, e piano piano siamo risaliti a una lunga lista di persone a cui era stato prescritto, quanto meno tra i pazienti dell’ospedale in cui lavorava lui.-
-Quindi sapevi tutto di quell’appunto?- gli chiese Cat, alludendo alla nota che aveva trovato nel libro che le aveva regalato suo padre.
Jake annuì. –Io e tuo padre collaboravamo insieme da mesi, quando lui e tua madre sono stati uccisi.-
Cat rimase senza parole.
Ecco perché lui sapeva tutte quelle cose su di lei.
Suo padre collaborava con la giustizia per far luce sulle morti misteriosi di cui le aveva parlato Jake tempo prima e questo era costato caro sia a lui che a sua madre.
Si sforzò di non lasciarsi sopraffare dalla rabbia e continuò invece ad ascoltare Jake.
-Passavamo molto tempo insieme per via delle indagini e quando ho saputo della sua morte, per me è stato davvero un duro colpo.- le confidò, con gli occhi lucidi.
Cat lo osservò con attenzione.
Jake sembrava davvero dispiaciuto per la morte dei suoi e lei non riusciva davvero a capire il perché.
Aveva collaborato con suo padre, questo lo aveva capito, ma perché dispiacersi così tanto?
Non si era forse abituato all’idea della morte, con il lavoro che faceva?
Lo sguardo di Jake le fece capire che l’espressione del suo viso tradiva quelle domande che aveva osato formulare solo nella sua testa.
-È colpa mia.- si limitò a dire Jake. –È colpa mia se sono morti.-
Caitlin non riuscì ad aprire bocca. Che diavolo intendeva?
-Tuo padre mi ha aiutato in tutti i modi possibili e immaginabili e io invece non sono riuscito a proteggere né lui né tua madre.-
Cat stavolta non riuscì ad rimanere in silenzio. –Che significa?-
-Che non mi sono accorto che le sue ricerche hanno attirato l’attenzione di qualcuno che voleva che lui tenesse la bocca chiusa e questo lo ha portato alla morte.- rispose.- Alla sua e a quella di tua madre, in realtà.-
Caitlin non era d’accordo.
Per quanto odiasse il fatto che lui le avesse mentito o quanto meno omesso alcune cose importanti sulla sua vita, lei non gli avrebbe mai e poi mai addossato la colpa per la morte dei suoi genitori.
Non era colpa sua. Questo era poco, ma sicuro.
-Ti sbagli.- si ritrovò a dire infatti, sorpresa dalle sue stesse parole.
Jake alzò la testa di scatto, incrociando di nuovo il suo sguardo.
-Non è colpa tua.- mormorò, schiarendosi la voce. –È colpa di chi li ha uccisi.-
Jake scosse la testa. -È anche colpa mia, però.-
-Ti ritieni davvero colpevole?- gli chiese, scioccata. –Come ti ritieni colpevole della morte di tuo zio?-
Lui la fissò in modo strano.
-Vi ho sentito.- gli spiegò Cat, riferendosi a lui e sua madre. –Vi ho sentito quella volta in libreria.-
Jake scosse la testa. –Non avresti dovuto.-
-Non avrei dovuto fare tante cose, Jake.- gli disse lei, con un sorriso amaro. –Ma se non le avessi fatte non avrei mai scoperto la verità sui miei. Ho passato tanto di quel tempo ad odiare un incidente stradale che non è mai esistito da non accorgermi che il vero assassino era ancora a piede libero. Come è possibile questo?-
-Lo prenderemo.- la rassicurò Jake, avvicinandosi a lei. –Devi credermi almeno su questo.-
Cat distolse lo sguardo. –Mi avete mentito entrambi, però.- gli disse lei, riferendosi anche al detective Allen.
-Lo abbiamo fatto per il tuo bene.- replicò Jake. –Tutto quello che ho fatto da quando sono morti i tuoi è stato fatto per proteggerti. Il lavoro, questa casa, tutto...-
Cat trasalì. –Cosa?-
Jake scrollò le spalle. –Ho chiesto io a mio zio di darti quel lavoro e l’appartamento in cui ti ho detto di aver abitato per tanto tempo è proprio questo, quello in cui abitate tu e tuo fratello dalla morte dei tuoi.-
-Non capisco...-
-Non sono riuscito a proteggere i tuoi, ma dovevo almeno proteggere te e Matt e quindi...-
Caitlin era sconvolta, talmente sconvolta che non sapeva nemmeno cosa dire.
Jake era stato il suo dannato angelo custode per tutto quel tempo?
Impossibile.
-Non guardarmi così, Caitlin.- la supplicò lui. –Volevo solo proteggervi.-
E lei che aveva scambiato il suo dannato atteggiamento per pietà! Quanto era stata stupida!
Dannazione. Lui voleva proteggerla sul serio.
Poi però le venne un dubbio.
-E quel bacio?- gli chiese, senza specificare a quale si riferisse.
-Mi piaci.- rispose Jake, con un tono così diretto che la fece arrossire. –Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro sul punto.-
Caitlin si schiarì la voce. –Hai anche detto che non possiamo stare insieme, però.-
E adesso capiva anche il perché.
Aveva così tante domande in testa, eppure in quel momento il suo cervello non riusciva a concentrarsi su nessuna di esse.
Perché Jake aveva cercato di proteggere lei e Matt così disperatamente? Solo perché si sentiva in colpa per la morte dei suoi? E i suoi sentimenti per lei erano reali o dettati dal senso di protezione che aveva sviluppato nei suoi confronti?
Si lasciò sfuggire un sospiro e poi si mise a giocare con il bordo della maglietta.
Non sapeva che dire e questa cosa la sconcertava parecchio.
-Non farlo.- la rimproverò Jake, attirando la sua attenzione.
-Cosa?-
-Pensare che mi piaci solo perché non sono riuscito a proteggere i tuoi.-
Cat non gli chiese come avesse fatto a intuire i suoi pensieri. Si limitò a guardarlo per un istante e poi riabbassò lo sguardo, imbarazzata.
Jake si avvicinò a lei e poi le prese una mano.
-Mi piaci per ben altri motivi, alcuni dei quali sono molto meno nobili...-
Cat arrossì di nuovo e poi gli fece una domanda che le stava a cuore. –Mi hai dato una mano con il lavoro e mi hai aperto la porta di casa tua.- gli disse. –Perché mentirmi allora?-
Jake sospirò. –Perché era il modo migliore per tenerti al sicuro.- rispose, sincero. –Ti seguivo tutte le sere, sai? Per accertarmi che rientrassi a casa sana e salva, dopo il lavoro.  E poi è bastato un dannato attimo per mandare tutto all’aria.-
-Mi seguivi?- gli chiese Cat, sconvolta.
Possibile che fosse lui l’uomo che l’aveva seguita una sera di tanto tempo prima, facendole spaventare a morte?
-Dovevo accertarmi che il tragitto verso casa fosse il più sicuro possibile per te.-
Cat sentì una stretta al cuore.
Jake aveva fatto di tutto per tenerla al sicuro ed aiutarla.
Le aveva dato un lavoro, le aveva trovato una casa e si era accertato per tanto tempo che lei e suo fratello fossero al sicuro e lei non riusciva minimamente a capire il perché.
Era terribilmente confusa e tutto quello che aveva scoperto in quella mattina non aveva fatto altro che confonderla ancora di più.
Aveva un disperato bisogno di sapere cosa fosse successo ai suoi genitori e perché Jake si fosse dato tanta pena per tenere al sicuro lei e Matt, ma in quel momento non riusciva a pensare ad altro che al motivo per cui il suo istinto le avesse detto di fidarsi di lui sin da subito.
Cosa c’era in lui che le infondeva tutta quella sicurezza?
-Stai bene?- le chiese Jake, vedendola esitare.
-Io...-
-Non volevo mentirti, Cat.- mormorò lui, sinceramente dispiaciuto. –Scusami, davvero, ma credevo fosse il modo migliore per proteggerti. Evidentemente mi sbagliavo.-
Cat non disse nulla.
Non era ancora pronta a perdonarlo e le sue rivelazioni l’avevano turbata nel profondo, perciò fece quello che sapeva fare meglio.
Chiudersi in se stessa e tenere le distanze.
-Ci sono novità?- gli chiese alla fine, spostando la conversazione su un tema meno complicato, se così si poteva dire.
Lo vide scuotere la testa. –Nulla di nuovo.-
Cat annuì e pochi secondi dopo Jake si alzò.
-Torniamo a casa.- le disse, incrociando il suo sguardo.
Questa volta fu Cat a scuotere la testa. –Ho bisogno di stare un po’ da sola.- mormorò, abbassando la testa.
-E come faccio a proteggerti?-
-Io...-
Jake si inginocchiò davanti a lei e poi le prese il viso fra le mani. –Non posso perderti di vista, Caitlin.- le disse, senza mai abbassare lo sguardo. -Non ora.-
Cat si perse per un attimo nei occhi e poi si tirò indietro, fino a quando lui non mollò la presa dal suo viso.
-Non posso.- gli disse, quasi in un sussurro.
Lo sguardo di Jake si indurì. –Bene, vorrà dire che rimarrò qui, fino a quando non si saranno calmate le acque.-
Caitlin scosse la testa. –Ho bisogno di tempo per riflettere e la tua presenza renderebbe tutto più complicato...-
-Cat, quella gente non scherza.- l’avvisò lui. –Hanno provato a rubare l’appunto di tuo padre mentre tu eri in casa e se sapessero che tu sai più di quello che credono, non ci penserebbero due volte prima di farti fuori.-
Caitlin questo lo sapeva bene, ma non voleva stare a casa sua, con lui.
Voleva starsene un po’ da sola, fino a quando il suo cuore e la sua testa non si fossero messi d’accordo sul da farsi.
Era rischioso rimanere lì da sola, di questo se ne rendeva conto, ma Jake la confondeva e in quel momento lei aveva bisogno di chiarezza, non di confusione.
Si schiarì la voce e poi lo guardò.
-Potrei andare da Lauren.- suggerì, cauta.
Jake fece una risata amara.–Così rischiamo che Ryan ti metta di nuovo le mani addosso?-
Cat si irrigidì. In quel momento Ryan le sembrava l’ultimo dei suoi problemi.
Quell’episodio però le riportò alla mente il bacio che lui le aveva dato nel guardino di Lauren.
Il bacio che le aveva fatto provare sensazioni che non credeva di poter provare in un momento del genere e soprattutto per una persona del genere. Uno sconosciuto che le aveva salvato la vita in più di un’occasione e che l’aveva tenuta al sicuro per più di due anni.
Si sforzò di scacciare quei pensieri dalla testa e poi sospirò.
-Facciamo così.- le propose Jake, attirando la sua attenzione. –Ti concedo tutta la giornata per pensare o fare quello di cui hai più bisogno in questo momento, però stasera vengo a prenderti e ti porto a casa con me.-
Cat stava per protestare quando lui la fulminò con lo sguardo. –Senza se e senza ma, Caitlin. Prendere o lasciare.-
Cat avrebbe voluto dire che no, non sarebbe andata con lui, ma che chance aveva di rimanere al sicuro senza il suo aiuto? E che chance aveva di scoprire la verità sulla morte dei suoi senza le notizie che lui e Allen avrebbero potuto darle di volta in volta in via informale?
Conosceva già la risposta a quelle domande, eppure non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce.
Osservò Jake alzarsi e uscire di casa in silenzio dopo averle lanciato un’ultima occhiata.
Il suo atteggiamento era abbastanza eloquente.
Silenzio, assenso.
Lei non si era più opposta alla sua proposta e Jake aveva dato per scontato che tutta quell’organizzazione a lei stesse bene.
Che nervi, pensò.
Abbandonò la testa contro lo schienale del divano e poi represse la voglia di mettersi a urlare coprendosi la faccia con un cuscino.
Jake l’avrebbe mandata al manicomio prima o poi. Sempre che l’assassino dei suoi genitori non l’avesse fatta fuori prima, si ritrovò a pensare ironicamente.
Quel pensiero la riportò alle sue indagini.
Dov’era rimasta?
Fece un breve punto della situazione e poi sbuffò.
Sapeva che i suoi genitori erano stati uccisi perché suo padre stava facendo delle indagini su un medicinale potenzialmente tossico, o quanto meno questa era l’idea che si era fatta lei, e che Thomas, a cui era stato prescritto quel medicinale per via della sua malattia, molto probabilmente era incappato nelle stesse conclusioni.
Il figlio del detective Allen e il padre di Stella lavoravano per la casa farmaceutica che lo produceva e probabilmente solo uno dei due era in buona fede.
Cat non ci mise molto a capire quale dei due fosse.
Eppure c’era qualcosa che le sfuggiva. Ma cosa?
Decise che rimanere chiusa dentro casa a logorarsi con quei pensieri non sarebbe servito a nulla e decise invece di uscire e di prendersi del tempo per lei.
Non poteva passare tutte le sue giornate a scervellarsi su questioni che nemmeno la polizia era riuscita a dirimere.
Chiamò Lauren e le chiese se le andava di fare un giro per negozi.
Lauren non se lo fece ripetere due volte.
Le disse che sarebbe venuta a prenderla nel giro di un quarto d’ora perché quel giorno aveva la macchina a disposizione e per fortuna era già in zona.
 
Venti minuti dopo, Lauren venne a prenderla come promesso.
Cat la trovò seduta nella suo Ford Fiesta blu elettrico, intenta ad armeggiare con il telefono.
Non appena i loro sguardi si incrociarono, Lauren tolse la sicura agli sportelli e le fece cenno di entrare.
-Ciao, Cat.- la salutò subito, allegra.
Cat si sforzò di non far trapelare le sue emozioni e la salutò con lo stesso tono gioviale.
Notò che Lauren aveva lasciato i capelli rossi sciolti e che indossava una gonna molto corta nera e un top verde brillante con un ampia scollatura.
-Ma dove vai vestita così?- la prese in giro Cat, divertita.
Lauren scrollò le spalle. –Veramente sono andata al supermercato, ma non ho trovato quello che cercavo.- rispose, facendo una smorfia.
-Vestita così?-
Lauren la guardò storta. –Perché?-
-Sembri una modella di Vogue.-
Lauren alzò di nuovo le spalle. –Il pubblico mi ama.-
Cat rise. –Non ho dubbi.-
-Allora.- disse Lauren, mettendo in moto. –Dove si va?-
-Vie delle shopping?-
Lauren fece una smorfia. –Oggi fa caldo.- rispose, con un tono che Cat riconobbe subito.
-Ok.- le disse, sapendo già cosa aveva in mente. –Va bene.-
-Davvero?-
-Perché ti stupisci?- le chiese Cat, ironica.
Vinceva sempre lei in quella battaglia invisibile. Cat voleva andare per negozi nelle vie del centro e Lauren al centro commerciale, per sfruttare il fresco prodotto dall’impianto dell’aria condizionata.
Era una storia che si ripeteva da anni, ormai. Quantomeno quanto arrivava la bella stagione e di conseguenza anche il caldo afoso.
-Perché tu odi andare per centri commerciali.- le rispose la sua migliore amica, stupita dal suo atteggiamento accomodante.
Cat annuì. –Già, ma ho bisogno di rilassarmi e credo che qualsiasi posto possa fare al caso mio oggi.-
Lauren alzò le spalle e poi mise in moto.
-È tutto ok?- le chiese poco dopo, partendo.
Cat si schiarì la voce e poi si sforzò di annuire.
Non poteva dirle nulla di quello che aveva scoperto quella mattina e sinceramente, anche se avesse potuto, non ne avrebbe avuto nessuna voglia in quel momento.
Voleva solo distrarsi e passare qualche ora con la sua migliore amica a fare quello che facevano tutte le sue coetanee.
Perciò si stampò un sorriso in faccia e poi chiese a Lauren in quale centro commerciale volesse andare.
 
Mezzora dopo Lauren parcheggiò la macchina vicino all’ingresso del suo centro commerciale preferito e in pochi minuti lei e Cat si ritrovarono sulle scale mobili che collegavano il parcheggio sotterraneo al piano terra del centro.
Cat notò che c’erano pochissime persone a quell’ora del mattino e questo pensiero in un qualche modo la rincuorò.
Odiava i luoghi affollati, soprattutto i centri commerciali, dove le luci e i rumori tendevano sempre a disorientarla dopo pochi minuti.
Sapere invece che c’era poca gente quel giorno le dava un senso di tranquillità che non avrebbe mai sperato di trovare in un posto del genere.
-Vorrei prendere un vestitino rosa cipria.- le disse a un certo punto Lauren, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Cat aspettò di scendere dalle scale mobili per chiederle per quale occasione le servisse.
-Devo dirti una cosa.- rispose a quel punto Lauren, su di giri.
Cat non fece in tempo a dire nulla perché lei le afferrò un braccio e la portò in un angolo più tranquillo del piano per poter parlare.
-Che succede?- le chiese allora, perplessa.
Non aveva mai visto Lauren così gasata.
La sua migliore amica prese un respiro profondo e poi sorrise. –Alex mi ha chiesto di sposarlo.- rispose la sua migliore amica, eccitata.
-Cosa?- strillò Cat, a metà tra lo stupore e la gioia per quella notizia inaspettata.
Lauren annuì. –Ieri sera.- le spiegò, emozionata. –Mi sono messa a piangere come una bambina dopo che me lo ha chiesto.-
Cat sorrise, un sorriso vero, di sincera felicità per quello che stava accadendo alla sua migliore amica.
Le buttò le braccia al collo e l’abbracciò come se provasse anche lei la stessa gioia che vedeva riflessa negli occhi di Lauren.
La sua migliore amica ricambiò l’abbraccio con decisione e poi si schiarì la voce, come se dovesse chiederle qualcosa di importante.
-Mi faresti l’onore di essere la mia damigella d’onore?- le chiese infatti, con gli occhi lucidi.
A quel punto anche Cat sentì qualcosa cedere dentro di sé. Annuì, sopraffatta dal nodo in gola che aveva, e ricacciò indietro le lacrime che le erano spuntate agli angoli degli occhi.
Non riusciva a crederci. Lauren si sarebbe sposata! E lei sarebbe stata la sua damigella d’onore!
Era così contenta per lei da non riuscire a proferire parola.
-Stai piangendo?- le chiese Lauren, abbracciandola un’altra volta.
Cat scosse la testa. –Sono così felice per te.- le confidò, sinceramente emozionata.
Lauren sorrise e poi le strinse la mano. –Ti voglio bene, Cat.-
-Anche io, Lauren.-
-Però adesso basta piangere.- le disse la sua migliore amica, ricomponendosi. –Abbiamo un vestito da comprare.-
Cat annuì e poi le chiese a cosa le servisse il vestito.
-Voglio dare una festa di addio al nubilato.- le spiegò. –E voglio un vestitino carino da mettermi.-
Cat alzò gli occhi al cielo, divertita.
Lauren era sempre la solita.
Adorava le feste e anche prima del suo matrimonio ne avrebbe data una.
-Alex lo sa?- le chiese, sorridendo.
Lauren alzò le spalle, con aria birichina. –Lo saprà presto.-
Cat scoppiò a ridere e poi scosse la testa. –Sei veramente terribile.-
-Lo so, ma mi ama anche per questo.-
Cat ne era certa, ma rise lo stesso. Chissà come l’avrebbe presa Alex.
Lauren le indicò un paio di negozi di vestiti che piacevano anche a lei e poi iniziarono i loro giri, godendosi la tranquillità che solo una mattinata infrasettimanale poteva garantire in un posto simile.
 
Due ore dopo Cat guardò Lauren e le fecce il segno del time out.
Avevano girato quasi tutti i negozi di vestiti del piano terra, ma la sua migliore amica non aveva trovato nulla di suo gradimento.
Cat le aveva detto che molti di quelli che aveva provato le stavano bene, ma lei, non convinta, aveva finito col dire tutte le volte che ancora non aveva trovato quello giusto.
Cat sapeva quanto avesse gusti difficili in materia di abbigliamento, ma non si sarebbe mai immaginata che in due ore di prove nessuno potesse andarle bene
Ne aveva provati trenta, forse anche di più, ma nessuno di loro l’aveva convinta fino in fondo.
Così, tra una cosa e un’altra, si era fatta l’una e mezza e loro ancora dovevano pranzare.
-Ho fame.- dichiarò, stremata.
Lauren guardò l’orologio e poi sgranò gli occhi.
-Cavolo, è tardissimo.-
Cat annuì, quasi a voler sottolineare la cosa.
Aveva una fame tremenda e nessuno vestito al mondo l’avrebbe allontanata dal adorato pranzo.
-Che mangiamo?- le chiese Lauren, guardandosi intorno.
Cat ci pensò su. –Andiamo da Mc?-
Lauren storse il naso e poi la trascinò in uno dei posti che lei odiava di più al mondo.
Oltre ad essere un tipo molto puntiglioso in fatto di vestiti, la sua migliore amica era anche una delle poche persone al mondo della sua età che odiava a morte i fast food.
Era esageratamente attenta alla linea e quel cibo spazzatura che piace alla maggior parte della gente, parole sue, non si era mai avvicinato al suo piattto, nemmeno una volta, e, soprattutto, nemmeno per sbaglio.
E così lei non si stupì quando, un quarto d’ora dopo, invece di mangiare hamburger e patatine fritte, che lei adorava, si ritrovò davanti al piatto un panino vegano, dall’aspetto ambiguo, circondato da altre verdure di tutti i tipi e ancora più ambigue del panino.
Era la sagra delle verdure in quel posto e lei non poteva farci assolutissimamente nulla.
Lauren la fissò in silenzio e poi inarcò un sopracciglio, perplessa. –Che c’è?-
Cat non lo aveva nemmeno fatto lo sforzo di guardare il menu e scegliere qualcosa che potesse vagamente allietare il suo palato, aveva fatto scegliere tutto a lei, perché in fondo sapeva benissimo che in quel posto non c’era nulla di buono per una persona che non fosse vegana.
Lei adorava la carne e un pranzo solo a base di verdure per lei era come un matrimonio con decine di portate in cui si mangiava solo il contorno.
Può riempirti, certo, ma non ricavi nessun piacere dal pasto e questo per lei era inconcepibile.
Cat si schiarì la voce e poi abbozzò un sorriso. –Niente.- rispose, mentendo spudoratamente. –Ho solo fame.-
Lauren non le credette affatto, ma fece finta di niente.
Cat non le aveva mai detto che lei odiava quel ristorante vegano, per una serie di motivi, e non si sarebbe di certo tradita proprio quel giorno.
Che poi il locale, in sé per sé, era anche carino, molto spazioso e luminoso, arredato in modo semplice, ma accogliente, però il cibo non incontrava i suoi gusti e questo purtroppo lo aveva fatto uscire subito dalla playlist dei posti in cui preferiva andare a mangiare.
In ogni caso, finì in fretta il suo piatto per la fame e poi bevve tanta acqua.
Era stranamente disidratata e non capiva bene il perché.
-A quando il matrimonio?- chiese a Lauren, curiosa.
-Credo a dicembre, o al massimo a gennaio.-
-Wow.- si lasciò sfuggire Cat, sorpresa. –E ce la fate a organizzare tutto entro la fine dell’anno?-
Lauren la guardò come se stesse facendo una domanda ovvia. –Con chi ti credi di parlare?- la prese in giro.
-Con la regina dell’organizzazione.- rispose Cat, ridendo.
-Esatto.-
-Mi sa che ho bevuto troppo.- le disse poi Cat, sentendo il bisogno di andare in bagno.
Lauren sorrise. –Ti sei scolata mezza bottiglia.- osservò, accennando al litro e mezzo che avevano ordinato solo pochi minuti prima.
-Vado in bagno e torno.- le disse Cat, alzandosi.
Si diresse in fretta verso la toilette e poi, una volta fatto, si sbrigò a tornare da Lauren.
Non fece in tempo però ad aprire la porta dell’antibagno che qualcuno l’aprì al posto suo, facendola sobbalzare.
Era talmente sovrappensiero da non ricordarsi che quella porta era comune sia al bagno degli uomini che a quello delle donne.
Un uomo sulla quarantina le sorrise. –Caitlin.- la salutò, in tono allegro. –Ti sei spaventata?-
Cat scosse la testa, riconoscendo immediatamente l’uomo di fronte a lei. –Ciao Chris.- rispose, ricambiando il sorriso. –Come stai?-
L’uomo lasciò che lei uscisse e poi si misero a parlare a pochi metri dall’ingresso delle toilette.
-Abbastanza bene, Cat.- le rispose, incrociando le braccia al petto. –E tu come stai? Come vanno le cose?-
Cat si schiarì la voce. Non vedeva Chris dal funerale dei suoi genitori e la sua presenza le evocava purtroppo spiacevoli ricordi.
-Me la cavo.- disse, in tono neutro.
Poi si ricordò di quello che gli aveva detto suo fratello Matt.
Non avevano mai avuto una grande confidenza loro due, ma il fatto che suo padre gli avesse fatto da tutor e che le loro età non fossero così lontane, li aveva portati a fare più di qualche chiacchiera in passato.
Da adolescente si era presa pure una bella cotta per lui, ma era stata una cosa temporanea, di cui nessuno aveva mai saputo un bel niente.
In fondo era sempre stato un bel ragazzo, alto, muscoloso e con due occhi azzurri ancora più accesi dei suoi, ma era molto più grande di lei e questo aveva sedato ogni forma di sentimento che potesse mai nascere.
Mise temporaneamente da parte quei pensieri e poi lo affrontò a viso aperto. –Ti sei messo con mia zia?- gli chiese a bruciapelo.
Chris si schiarì la voce, imbarazzato. –Te lo ha detto Matt?-
Cat annuì. –È così?-
Chris incrociò le braccia al petto e poi annuì a sua volta.
-Come è possibile?- gli chiese Cat, sconvolta. –Tu non sei come lei.-
Chris scosse la testa. –Tua zia è una bravissima persona.-
-Certo.- lo assecondò lei, ironica. –Talmente brava che se n’è fregata quando mamma e papà sono morti.-
-Non dire così, Caitlin.- la rimproverò Chris. –Ha sofferto molto.-
-E tu che ne sai?-
Chris si passò una mano nei capelli scuri e poi sospirò.
A quel punto Cat inarcò un sopracciglio, cominciando a capire. –Oh mio Dio.- disse, sconvolta. –State insieme da allora?-
-Non esattamente.-
-E da quando allora?-
-Ci siamo conosciuto il giorno del funerale dei tuoi e poi abbiamo iniziato a parlare e...-
Cat scosse la testa.
Assurdo.
Chris e sua zia avevano iniziato a frequentarsi dopo la morte dei suoi? Perché le suonava così di cattivo gusto quella cosa? Forse perché mentre lei e Matt soffrivano come cani loro ci davano dentro come adolescenti?
Soffocò quella sensazione di ribrezzo che provava e poi si sforzò di non essere sgarbata. –Ora devo andare.- disse, in tono neutro.
Chris la guardò in modo strano. –Sei arrabbiata, Cat?-
-Non sono arrabbiata.- si affrettò a precisare lei. –Sono solo...-
Disgustata.
Quella era la parola giusta, ma non poteva certo dirla ad alta voce.
-Sorpresa.- disse invece, senza far trapelare le sue emozioni.
Chris annuì. –Me ne rendo conto e mi dispiace non averti detto nulla in questi due anni e mezzo.-
Cat scosse la testa. –Non ci vediamo da tanto tempo, Chris.- mormorò, con aria assente. –Non c’è stata l’occasione.-
Chris fece un sorriso triste e poi le chiese se era da sola o in compagnia di qualcuno.
-Sono con la mia migliore amica.- rispose.
Quella domanda le fece girare la testa, in cerca di Lauren.
La sua migliore amica la stava guardando in modo strano, ma appena si accorse che anche Chris si era girato verso di lei, la vide subito a distogliere lo sguardo.
-Vieni a trovarmi qualche volta.- le disse a un certo punto lui, attirando la sua attenzione.
Cat si voltò verso di nuovo e poi annuì distrattamente.
Stava per salutarlo e ritornare al suo tavolo quando una voce femminile alle sue spalle la chiamò.
-Ciao Cat.-
Cat si voltò, sorpresa. –Stella.-
La moglie di Thomas sorrise e poi salutò in modo molto formale Chris. –Buongiorno dottore.-
Chris ricambiò il saluto con un sorriso.
Cat guardò prima lei e poi lui. Quei due si conoscevano?
Stella notò la sua espressione perplessa e poi fece un sorriso triste. –Il dottor Cooper ha seguito Thomas fin dal primo stadio della malattia.-
Cat a quel punto capì. Chris era il medico che seguiva Thomas.
Per un attimo si chiese se lui potesse sapere qualcosa sulla morte, poi si ripromise di andare a studio da lui uno di questi giorni.
Non poteva mettersi a fare domande davanti a Stella e nel bel mezzo del ristorante.
-Devo andare.- ripeté quindi, sentendosi a disagio.
Era stata già una bella coincidenza incontrare Chris lì e ora che al gruppo si era unita anche Stella, qualcosa la spingeva ad andarsene e anche in fretta.
Non sapeva bene cosa, ma sapeva che era ora di alzare le tende e tornare da Lauren.
Salutò entrambi e poi tornò al suo tavolo con una strana sensazione addosso.
Lauren guardò oltre le sue spalle e poi si concentrò su di lei. –Quella era la moglie di Thomas?-
Cat annuì.
-E quello era Christopher Cooper?-
Cat annuì un’altra volta. –Perché?-
-Non lo so... sembravano conoscersi.-
-Era il medico curante di Thomas.-
-Ah ok.-
Il tono di Lauren non la convinse affatto. –Che c’è?-
Lauren incrociò le braccia sopra al tavolo e poi scosse la testa. –Vedi quel tipo?- le chiese, alludendo a un tizio che era seduto a pochi tavoli dal loro.
Cat si girò con discrezione e poi annuì.
Era un uomo di mezza età che lei non aveva mai visto in vita sua. –Sta con Chris.-
-E allora?-
Lauren alzò le spalle. –Mi pare di averlo già visto da qualche parte.-
Stavolta fu Cat a scrollare le spalle. –Non lo conosco.-
Lauren prese un sorso d’acqua e poi disse che forse si stava sbagliando.
A quel punto ordinarono il conto e poi uscirono dal locale.
-Sei pronta per un’altra sessione?- le chiese Lauren, riferendosi ai negozi di abbigliamento.
Cat alzò gli occhi al cielo. –Posso dire di no?-
Lauren rise. –No.-
-E allora sì, sono pronta.- mentì, ridendo.
La sua migliore amica sorrise e poi la trascinò in tutti i negozi in cui credeva di poter trovare qualcosa che le piacesse.
Girarono per altre due ore, fino a quando Cat non disse che era stanca morta e che voleva tornare a casa.
A quel punto Lauren cedette e la riaccompagnò fin sotto al portone di casa.
Cat si congratulò di nuovo con lei per l’imminente matrimonio e poi salì a casa, esausta.
Per poco non le venne un colpo quando trovò Jake nella sua camera da letto, intento ad osservare i suoi libri dell’università.
-Che ci fai qui?- gli chiese, lievemente seccata. –E come sei entrato?-
Jake la fissò, come se la risposta a quella domanda fosse ovvia.
Giusto. Quella era casa sua e sicuramente aveva ancora le chiavi dell’appartamento.
-Come stai?- le chiese lui, scrutandola attentamente.
Cat posò la borsa sulla scrivania e poi andò in bagno a lavarsi le mani.
Jake ovviamente la seguì.
-Hai riflettuto in santa pace oggi?- la schernì.
Cat lo guardò di traverso.
Per qualche strano motivo aveva voglia di litigare e non si sarebbe persa questa occasione.
-Dici sul serio?- chiese, seccata.
Lo scansò e poi andò in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua.
-Sei ancora arrabbiata quindi.-
-Io non sono arrabbiata.- sbottò. –Sono solo delusa, perché le persone di cui mi fidavo non hanno fatto altro che mentirmi.-
Jake sospirò. –Ti ho spiegato il perché, però.-
Cat alzò le spalle. –E che differenza fa?- gli chiese. –Si chiama comunque mentire, anche se lo fai per una buona causa.-
Jake si avvicinò a lei costringendola ad arretrare.
Cat sbuffò mentalmente quando si ritrovò con la schiena appoggiata al ripiano del lavello, in pratica con le spalle al muro.
-Perché sei così astiosa?- le chiese, fissandola negli occhi. –La passeggiata al centro commerciale non è andata bene?-
Cat scattò. –Mi hai seguito?-
Questa storia cominciava a seccarla. All’improvviso si sentiva in gabbia e non era più disposta ad accettare quella sensazione.
-Mi sono solo accertato che fosse tutto apposto.-
-Scherzi?-
Jake scosse la testa. Le accarezzò una guancia con la mano e poi sospirò. –Non faresti lo stesso a parte invertite?-
Cat stava per replicare quando il suo telefono iniziò a squillare.
Bypassò Jake e lo recuperò dalla borsa nella sua camera.
Cavolo, pensò. Era il detective Allen.
Guardò prima Jake e poi il cellulare.
Non aveva voglia di parlare con lui.
Rifiutò la chiamata e poi tornò a concentrarsi su Jake, che non perse occasione per dire che il detective Allen le voleva bene e che le aveva mentito per tenerla al sicuro.
All’improvviso le sembrava che lui lo difendesse un po’ troppo, come a voler tirare acqua anche al suo mulino.
Poi ripensò a quello che le aveva detto.  Non faresti lo stesso a parte invertite?
Lei non lo sapeva cosa avrebbe fatto se si fosse trovata al posto suo, ma di sicuro non avrebbe mentito, mai e poi mai.
-Devi smetterla di seguirmi e di... di prenderti cura di me.- gli disse, quasi farfugliando.
Jake si lasciò sfuggire un sorriso. –Non lo farò mai, Caitlin.-
Cat si irrigidì.
La stava guardando in quel modo che lei detestava, come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Per quale diavolo si comportava in quel modo con lei? E perché lei rimaneva sempre turbata dal suo atteggiamento?
-Io non sono niente per te.- mormorò, distogliendo lo sguardo.
Jake scosse la testa. –Io ti proteggerò sempre, Caitlin.-
Cat lo guardò negli occhi e poi si fece coraggio. -Perché ti faccio pena?-
Lo vide scuotere la testa. –Perché pensi una cosa del genere?-
Cat alzò le spalle. –Perché collaboravi con mio padre e perché i miei genitori sono stati uccisi.-
-Ma questo spiegherebbe solo una grande determinazione nel risolvere il caso.- la corresse, in tono dolce.
Caitlin sbuffò. Lui la mandava sempre in confusione e lei odiava sentirsi così, confusa e allo stesso tempo lusingata dalle sue attenzioni.
-Perché tua madre insisteva tanto sul fatto di non poter stare insieme?-
Jake sorrise. –Ancora non lo hai capito?-
Cat arrossì. In realtà lo aveva capito eccome.
Jake aveva collaborato con suo padre e si stava occupando dell’omicidio dei suoi e di quello di suo zio Thomas.
Se il detective Allen avesse saputo che tra loro due c’era qualcosa, sicuramente lo avrebbero rimosso dal caso e lui non voleva essere rimosso, di questo ne era certa.
-Per questo il detective Allen era arrabbiato con te il giorno in cui mi hai accompagnato a casa sua?-
Jake annuì. –Cominci a capire.-
-Non capisco però il comportamento di tua madre.- replicò Cat, perplessa.
Capiva il motivo per cui non poteva stare con lei, ma non capiva perché Abigail si fosse così alterata quando aveva scoperto che lei stava a casa del figlio.
-Crede che non vada bene per te.- si limitò a dire Jake, in tono evasivo.
Questo chiaramente acuì la sua curiosità. –Che significa?-
Jake si adombrò e poi cambiò discorso. –Vieni con me?- le chiese, puntando lo sguardo sul borse che ancora non aveva disfatto da quella mattina.
Cat prese un respiro profondo.
Era agitata e non sapeva nemmeno lei il perché.
Aveva come la sensazione che dipendesse tutto da quello che avrebbe deciso quella sera.
Cosa doveva fare?
Odiava il fatto che Jake le avesse mentito, ma dopo quello che lui le aveva raccontato, era come se una parte di lei fosse tornata a fidarsi di lui e questa cosa la sconcertava.
Come era possibile?
A un certo punto si rese conto che testa e cuore si erano messi finalmente d’accordo.
Caitlin si fidava di lui, per motivi che neanche lei riusciva a capire, e non poteva far altro che andare a casa con lui e cercare di capire cosa fosse successo ai suoi genitori e a Thomas.
Quel pensiero le riportò alla mente il fatto che Thomas fosse un paziente di Chris.
E se uno di quei giorni fosse andata da lui per cercare di capire se sapesse qualcosa?
Decise di tenere per sé quelle riflessioni e poi guardò Jake negli occhi.
Per quanto si fosse convinta quella mattina che lui fosse un bugiardo e una persona in mala fede, tutte le volte che i lo sguardi si incrociavano scattava qualcosa in lei, qualcosa che le diceva di stare tranquilla.
Non avrebbe saputo dire cosa, ma sapeva che poteva fidarsi di lui.
Se lo aveva fatto suo padre, di sicuro lo avrebbe fatto anche lei.
-E va bene.- cedette alla fine, schiarendosi la voce. –Niente più bugie però.-
Jake annuì. –Questo vale anche per te.-
Cat annuì, ma lui la guardò in modo strano.
-Chi era il tipo che hai salutato al ristorante?- le chiese poco dopo, incrociando le braccia al petto.
Cat sospirò. Era impossibile tenergli nascosto qualcosa.
-Era un collega di papà.- gli spiegò. –Papà gli ha fatto da tutor per molto tempo.-
Jake annuì, ma continuò a guardarla, come se si aspettasse che lei gli dicesse altro.
-Cosa?- gli chiese, facendo finta di niente.
-Conosce mia zia.-
Cat sbuffò dentro alla sua testa.
E va bene. Non poteva nascondergli proprio un bel niente.
-Era il medico curante di tuo zio.-
Jake non riuscì a mascherare un’espressione sorpresa. –Davvero?-
-Già.-
-Non sapevo che fosse lui.-
-Perché, lo avevi già incontrato?-
Jake scrollò le spalle. –Una volta, al ristorante di mio zio.-
Cat non ne era sorpresa. In fondo era il medico di Thomas. Non era poi così strana la cosa.
-Vogliamo andare?- le chiese poi Jake, prendendo il borsone.
Caitlin annuì e poi lo seguì.
In cuor suo sperò di non aver sbagliato un’altra volta. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Caitlin osservò a lungo l’ingresso della facoltà di legge in cui studiava ormai da anni e poi prese diversi respiri profondi, nel disperativo tentativo di placare l’ansia che ormai la stava assalendo.
Erano passate tre settimane da quando Jake le aveva raccontato finalmente la verità sulla morte dei suoi genitori e da quel momento in poi qualcosa, neanche lei avrebbe saputo dire con esattezza cosa, era inspiegabilmente cambiato.
Lei aveva ritrovato di nuovo la serenità per studiare e lui, meno taciturno e cupo del solito, le era stato vicino in un modo che neanche lei avrebbe mai e poi mai immaginato.
Avevano abitato sotto lo stesso tetto solo per due settimane, fino a quando Matt non era rientrato dalle vacanze trascorse a casa della zia Tracie, ma in quei pochi giorni in cui erano stati insieme il loro rapporto si era trasformato lentamente, in un modo che alla fine aveva finito per cogliere alla sprovvista anche lei.
Jake l’aveva trattata sempre con dolcezza e con rispetto, senza mai provare ad avvicinarsi a lei più di quanto il suo ruolo gli permettesse e soprattutto standole accanto nei momenti più bui, quelli in cui l’ansia per gli esami prendeva il sopravvento, esattamente come avrebbe fatto un fidanzato presente e premuroso.
Ma loro non erano fidanzati e per quanto assurdo potesse sembrare la loro complicità era arrivata alle stelle, ad un punto tale da superare perfino quella che lei aveva con Lauren, la sua migliore amica.
Era difficile spiegare quanto stessero bene insieme, sempre come amici ovviamente, ma c’era qualcosa nel loro rapporto che le dava una strana sensazione, un misto di gioia e serenità che non aveva più sperimento da quando i suoi erano morti.
Sapeva benissimo che loro due non potevano stare insieme e che qualsiasi cosa fosse successa tra loro avrebbe rischiato seriamente di compromettere le indagini di Jake, ma lei sentiva che i suoi sentimenti per lui erano cambiati lo stesso, giorno dopo giorno, sempre di più.
Erano passati da una banale attrazione fisica che aveva provato fin da subito a un sentimento più forte, che nemmeno lei sapeva riconoscere.
Stava bene quando era con lui e si sentiva incompleta quando lui non c’era e qualcosa le diceva che anche per lui non si trattasse di pura e semplice attrazione.
Lo capiva da come la guardava, dal modo in cui si preoccupava per lei quando l’ansia per gli esami cominciava ad attanagliarla e soprattutto dalla dolcezza che riponeva in ogni gesto che la riguardava.
Si era chiesta spesso cosa sarebbe successo dopo che il caso fosse stato chiuso, ma non era mai andata oltre con l’immaginazione.
Aveva paura di essere ferita e questo la faceva rimanere con i piedi per terra, nel bene e nel male.
Avrebbe lasciato che le cose andassero come dovevano andare e che i suoi pensieri non interferissero con la realtà.
In fondo non poteva fare nulla, se non aspettare che le cose si evolvessero da sole.
E nel frattempo si era rimessa a studiare, con sua somma sorpresa, ma si era rimessa a studiare, decisa a portare a casa il titolo di studio di cui i suoi genitori sarebbero andati certamente fieri.
Si era detta di preparare un esame per volta, in modo tale da non farsi travolgere dall’ansia di dover fare più cose contemporaneamente, e così aveva fatto, preparando pagina dopo pagina il primo degli ultimi esami che le mancavano.
In quel momento era ferma davanti alla facoltà di legge della sua università, paralizzata dall’ansia e sommersa dai ricordi.
Era stato suo padre ad accompagnarla lì per l’iscrizione del primo anno ed era stato davanti a quella scalinata che sua madre le aveva augurato il primo in bocca al lupo della sua lunga carriera universitaria.
In quel momento, invece, era completamente sola, impaurita da quello che sarebbe potuto succedere e ansiosa di portare a casa il risultato per cui aveva studiato.
Ma non poteva rimanere lì ancora a lungo.
Era quasi il suo turno e se le sue gambe non si fossero decise a muoversi, il suo esame sarebbe andato all’aria.
Prese un altro respiro profondo e poi iniziò a salire uno alla volta i gradini della scalinata principale.
 
Un’ora e mezza dopo Cat era stravolta.
Aveva aspettato un’ora prima di essere interrogata e il professore aveva fatto di tutto per metterla in difficoltà.
Le aveva fatto tutte le domande più strane possibili e immaginabili, ma lei gli aveva tenuto testa alla grande, senza farsi scoraggiare dal suo atteggiamento ostile e scontroso.
E alla fine aveva preso il massimo, contro ogni aspettativa.
Il professore si era addirittura complimentato con lei e le aveva chiesto quanto esami le mancassero e se avesse già deciso cosa fare dopo.
Lei aveva tenuto un profilo basso, senza rivelare sogni che non si era mai permessa di sognare, e poi aveva chiamato Jake, con il cuore a mille e un sorriso a trentadue di denti di pura felicità stampato sulla faccia.
Jake le aveva fatto i complimenti e le aveva detto che sarebbe venuto subito a prenderla, per festeggiare l’occasione.
Cat sapeva che il suo atteggiamento non poteva essere dettato solamente dall’attrazione che provava per lei e così aveva accettato, senza pensarci due volte e soprattutto senza troppe aspettative.
Si vedevano tutti i giorni da quando Matt era tornato, ma vivere sotto due tetti diversi non era la stessa cosa.
Non aveva avuto molta scelta, però.
Aveva raccontato a Matt tutta la verità e lui non ne aveva voluto sapere niente di vivere a casa di Jake.
Lei non aveva ancora capito se fosse diffidenza o gelosia, la sua, fatto sta che aveva dovuto fare di nuovo i bagagli ed era tornata a casa sua, che in realtà era casa di Jake.
Non riusciva ancora a crederci, a distanza di settimane.
Jake aveva fatto di tutto pur di aiutarla e proteggerla e forse era stato anche questo ad alimentare i suoi sentimenti per lui.
In quel momento, però, decise di mettere da parte tutti quei pensieri e di godersi il risultato che aveva sperato di portare a casa a tutti i costi.
Jake sarebbe arrivato in pochi minuti, così decise di appoggiarsi ad uno degli innumerevoli muretti che costeggiavano il campus universitario e di aspettarlo lì.
Non poté fare a meno di irrigidirsi, però, quando il suo sguardo incrociò quello di Ryan, che stava chiacchierando con altri ragazzi a pochi metri da lei.
Quel bastardo aveva provato a metterle le mani addosso alla festa del fidanzato di Lauren e lei non se lo sarebbe mai e poi mai dimenticato.
Lo guardò con odio, cosa che a lui non sfuggì affatto, e poi si girò dall’altra parte, minimamente intenzionata a dargli importanza.
Osservò il verde che circondava il campus, l’imponenza e l’eleganza dell’edificio in cui era ubicata la sua facoltà e poi i diversi gruppetti di studenti che si affollavano all’interno e all’esterno del campus.
Era un posto veramente delizioso, peccato che lei non se lo potesse permettere, nemmeno dopo ventiquattro ore consecutive di turni in libreria.
Riusciva ad andare avanti con una piccola borsa di studio che riceveva per la sua media alta e con lo stipendio di Abigail, ma non avrebbe mai potuto soggiornare al campus universitario come faceva la maggior parte dei suoi coetanei più abbienti.
Non che la cosa la turbasse più di tanto, in realtà.
Sbuffò senza neanche rendersene conto e poi i suoi occhi si illuminarono, come se quei discorsi non l’avessero minimamente toccata.
Jake parcheggiò la macchina a pochi metri da lei e poi le venne incontro con un bellissimo sorriso stampato in faccia.
-Ciao, Caitlin.- la salutò, felice.
Cat si mosse di istinto.
Gli buttò le braccia al collo e poi lo strinse forte, come se fosse la persona più importante del mondo in quel momento.
Jake ricambiò l’abbraccio e poi sorrise. –Deduco che sei contenta di vedermi.- la prese in giro, facendole l’occhiolino.
Cat alzò gli occhi al cielo e poi sorrise, sorpresa del suo stesso slancio.
Mise da parte ‘imbarazzo e poi scosse la testa. –Quanto sei scemo.-
Jake scoppiò a ridere. –Complimenti, Cat.- le disse poi, contento per lei.
Cat lo ringraziò e poi gli chiese come avrebbero festeggiato il suo primo esame dopo la morte dei genitori.
Jake le disse che era una sorpresa e poi si avviarono entrambi verso la macchina.
 
Durante il tragitto Jake la riempì di domande.
Le chiese come si sentisse in quel momento e cosa provasse dopo aver capito che la laurea non era poi così lontana.
Cat cercò di esprimere a parole quelle che sentiva, ma non ci riuscì affatto.
Era a mille e la sua testa non riusciva a formulare un discorso di senso compiuto.
Erano due anni che provava a sostenere un esame, ma tutti i suoi tentativi erano andati sempre a vuoto.
E non perché venisse bocciata. Anzi. In vita sua non era stata mai bocciata.
Il problema era che agli esami non si presentava proprio.
E come avrebbe potuto?
Non riusciva nemmeno a finire di leggere il libro che stava studiando! Come avrebbe mai potuto presentarsi davanti al professore impreparata?
Scosse impercettibilmente la testa e poi sorrise, serena come non lo era mai stato in vita sua.
Era strano da dire, ma scoprire la verità sulla morte dei suoi aveva sbloccato qualcosa dentro di lei, qualcosa che nemmeno lei avrebbe mai e poi mai immaginato di trovare bloccato.
Adesso sapeva che non era stato un incidente a portarle via i genitori e per quanto assurdo potesse sembrare quella consapevolezza la faceva stare meglio.
Non era stato un uomo ubriaco al volante a portarglieli via, ma un assassino che era ancora a piede libero.
Presumibilmente la stessa persona che si era intrufolata a casa sua una notte e che aveva ucciso lo zio di Jake.
Aveva paura, sì. Chi non ne avrebbe avuta?
Però scoprire la verità le aveva restituito la serenità che aveva perso e questo era bastato a ridarle speranza.
Si era rimessa di nuovo sui libri e aveva ottenuto il risultato sperato.
Non avrebbe potuto chiedere di meglio in quel momento.
Sorrise un’altra volta e poi si guardò intorno.
Jake guidava in silenzio e lei non poté fare a meno di chiedersi dove stessero andando.
A quel punto decise di chiederlo ad alta voce anche a lui.
Jake ridacchiò. -Continui a fare domande.-
Cat alzò gli occhi al cielo. -E tu a non dare risposte.-
Lo sentì ridacchiare di nuovo. -Tuo fratello ce l’ha ancora con me?- le chiese poi, cambiando completamente discorso.
Caitlin sospirò.
Matt non ce l’aveva con Jake. Ce l’aveva con chi aveva ucciso i suoi genitori e anche un po’ con lei, per non avergli detto subito la verità.
Non voleva stare a casa di Jake perché si rifiutava di abbandonare l’unico posto che considerava veramente casa da quando erano morti i genitori, ma questo non significava che provasse rancore nei confronti del proprietario.
Jake questo lo sapeva, ma Cat era convinta che se ne dispiacesse lo stesso.
-Credo che abbia solo bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare la cosa.- si limitò a dire, pensierosa.
E in fondo disse solo la verità.
Jake la guardò con la coda dell’occhio e poi strinse con forza il volante. -E tu?- le chiese, schiarendosi la voce. -E tu hai metabolizzato la cosa?-
Cat si fermò un attimo a riflettere, ma conosceva già la risposta a quella domanda.
-Ho passato tanto tempo a maledire l’incidente stradale in cui credevo fossero morti i miei da non capire che qualcosa in tutta quella storia non tornasse.- iniziò a dire, con estrema calma. -E ora, dopo due anni, scopro che non c’era nulla di reale nella versione che conoscevo.-
Jake non disse nulla, in attesa che lei continuasse a parlare.
-Ero sconvolta quando ho letto il fascicolo che tenevi nel comodino.- gli confidò, schiarendosi la voce. -E lì per lì ti ho anche odiato per avermi mentito.-
Ancora una volta Jake non disse nulla.
-Ma adesso mi sento serena.- continuò Cat. -So che è difficile da credere, ma mi sento meglio.-
Jake annuì.
-Sapere che non sono morti per un incidente stradale causato da un ubriaco mi fa sentire meglio perché so che in fondo la vita non gli è stata strappata da un incosciente che si è messo al volante pur essendo ubriaco.- mormorò. -E so che l’uomo che li ha uccisi è ancora a piede libero, ma mi fido di te e sono sicura che lo troverete e pagherà per tutto quello che ci ha fatto.-
Vide Jake annuire, ma non si stupì affatto quando capì che lui non avrebbe detto nulla.
Le aveva chiesto come stesse e se avesse superato la scoperta sulla morte dei suoi, ma non aveva nessuna intenzione di parlare del caso quel giorno, per lo meno non in quel momento.
In realtà non c’era nessuna novità, da giorni ormai, e lei cominciava quasi a temere che la verità non sarebbe mai venuta a galla.
Scacciò con forza quei pensieri e guardò fuori dal finestrino.
Erano vicini al mare, Cat ne poteva percepire il classico odore di iodio e salsedine, ma non aveva idea di dove stessero andando.
-Dove mi stai portando?- gli chiese infatti, sempre più curiosa.
Jake le disse che lo avrebbe scoperto tra un minuto e così fu.
Cat per un attimo non seppe cosa dire.
Riconobbe il punto esatto in cui venne scattata la fotografia appesa in soggiorno che la ritraeva felice con la sua famiglia e i suoi occhi divennero immediatamente lucidi.
Jake l’aveva portata in uno dei posti a cui era più affezionata al mondo e quella dolce attenzione nei suoi confronti le fece sciogliere il cuore.
-Come facevi a…-
Si dovette fermare, oppressa dal nodo in gola che non le consentiva di parlare.
Jake parcheggiò davanti a una duna di sabbia e poi si sganciò la cintura.
-Stai piangendo?- le chiese, scacciandole le lacrime dalle guance con il pollice.
Cat scosse la testa, negando l’evidenza.
A quel punto Jake le prese il viso con le mani e puntò gli occhi scuri nei suoi.
-Sarebbero fieri di te, della donna che sei diventata.- le disse, con una tale dolcezza da lasciarla senza fiato.
Cat non ci poté fare nulla.
Lasciò che le lacrime scendessero sul suo volto e che la tensione accumulata in quel giorno si allentasse sempre di più.
Jake l’aveva già vista piangere, ma neanche quella volta era riuscita a trattenersi.
-Non so cosa dire.- mormorò, imbarazzata.
-Non devi dire nulla.- la confortò lui., accarezzandole il viso.
-Io non…- iniziò a dire, non sapendo nemmeno lei cosa fosse giusto dire in una situazione del genere.
Jake le era stato vicino, ancora una volta, e l’aveva portata in un posto a lei caro.
Cosa poteva dire? Come poteva ringraziarlo per quell’attenzione inaspettata?
In quel momento capì una cosa, una cosa che in fondo già sapeva.
Jake non era solo il suo angelo custode.
Jake era il ragazzo con cui sarebbe voluta uscire, con cui avrebbe passato ore intere a chiacchierare e che avrebbe voluto stringere forte in tutti i momenti in cui si sentiva sola e persa.
Provava dei sentimenti per lui, questo ormai era innegabile, ma non poteva farci nulla perché lui era un detective che stava indagando sugli omicidi che le avevano cambiato per sempre la vita e questo imponeva loro di stare lontani.
Perciò era costretta a reprime quei sentimenti e a fare finta di niente, perché niente poteva fare.
Ma non avrebbe mai dimenticato quel momento, il modo in cui lui le aveva detto che i suoi genitori sarebbero stati fieri di lei.
Lo abbracciò senza pensarci troppo e poi si schiarì la voce. -Grazie.- disse, guardandolo negli occhi.
Jake le sorrise, uno di quei sorrisi che le arrivavano dritti al cuore, e poi le disse che era ora di scendere dalla macchina.
Cat annuì e poi fece come le aveva detto, godendosi il profumo del mare e la sensazione di benessere che quel luogo le dava.
 
Mezzora dopo Jake la condusse al ristorante sulla spiaggia in cui aveva mangiato tanti anni prima con Matt e con i suoi.
Ricordava ogni minimo dettaglio di quel posto, gli infissi bianchi, le decorazioni azzurre sulle pareti e infine i tavoli in legno apparecchiati con larghe tovaglie bianche.
Jake le disse che aveva prenotato quella mattina, sicuro del risultato che lei avrebbe conseguito all’esame, e ancora una volta Cat ebbe una conferma di quello che pensava.
Jake era esattamente il tipo di ragazzo con cui avrebbe anche potuto passare una vita intera.
Il cameriere li fece accomodare al loro tavolo e poi lasciò loro il menu.
Cat si prese un momento per osservare il mare che poteva vedere dall’ampia vetrata vicino a cui era seduti e poi si concentrò sul detective davanti a lei, intento a studiare il menu.
Quel giorno era vestito in modo più elegante.
Indossava una camicia celeste con le maniche arrotolate e un paio di pantaloni scuri che gli fasciavano le gambe muscolose.
I suoi occhi scuri erano più vivaci del solito e i suoi capelli un po’ più ribelli di quando lo aveva conosciuto una sera di qualche settimana prima.
Per lei era perfetto, di una bellezza disarmante, eppure era convinta che lui non avesse idea di quanto fosse attraente agli occhi delle altre ragazze.
Sembrava non fare caso alle occhiate delle donne che popolavano il ristorante e soprattutto sembrava non avere occhi che per lei.
Per un istante si ritrovò ad arrossire, assalita da pensieri che non avrebbe mai immaginato di fare.
Che cosa avrebbe provato se lui l’avesse baciata davvero? Senza limitarsi a premere le sue labbra sulle sue? E cosa sarebbe successe se i loro corpi e la loro pelle fossero entrati in contatto in un modo più profondo? Che andava ben oltre un semplice abbraccio?
Per la prima volta in vita sua provava desiderio per qualcuno e questa sensazione la lasciava totalmente senza fiato.
-Tutto ok, Cat?- le chiese  all’improvviso Jake, vedendola esitare.
Cat arrossì di nuovo, come se lui potesse leggere i suoi pensieri.
-Certo.- rispose, abbassando lo sguardo sul menu. -Perché non scegli anche per me?-
Jake sorrise. -Ti fidi a tal punto?-
Cat avrebbe voluto rispondere di sì, che si fidava ciecamente di lui, ma non lo fece.
Si limitò a sorridere e ad alzare le spalle.
Jake ridacchiò e poi alzò le mani. -Lo hai voluto tu.-
Cat ricambiò il sorriso e poi iniziò a rilassarsi.
-Sono anni che non vengo qui.- gli disse, guardandosi intorno.
C’erano parecchie persone in quel momento e i camerieri facevano avanti e indietro per cercare di tenere tutti i tavoli sotto controllo.
Jake annuì, come se già lo sapesse.
-Come mai hai scelto proprio questo posto?- gli chiese, come se non lo sapesse.
-Credo che fosse il posto per migliore per festeggiare questo traguardo.- rispose lui, senza dire altro.
-È solo un esame.- gli ricordò lei, minimizzando la cosa.
-Già.- confermò Jake. -Ma è uno in meno e adesso sei un passo più vicina alla laurea.-
A quel punto Cat non poté fare a meno di sorridere. Jake aveva ragione e lei non aveva nessuna intenzione di sminuire il risultato che aveva portato a casa.
Quando venne il cameriere a prendere le loro ordinazione Jake fece come lei gli aveva detto.
Ordinò per entrambi e poi tornarono a chiacchiere, come se si conoscessero da una vita e non da poche settimane.
Cat gli chiese come stavano andando le  indagini, ma lui non disse nulla di rilevante, segno che al momento non c’erano novità.
Quando arrivarono le loro ordinazioni Cat rimase senza parole.
Jake aveva ordinato due porzioni di salmone con una salsa che non aveva mai assaggiato in vita sua e quando assaggiò il primo boccone non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un  verso di approvazione.
-Ti piace?- le chiese Jake, soddisfatto della sua reazione.
Cat annuì, sottolineando il gradimento di quel piatto.
La salsa era a base di maionese, ma conteneva anche dell’altro, un ingrediente che lei non riusciva affatto a identificare, ma che rendeva tutto estremamente squisito.
Accanto un piatto di verdure grigliate che lei trovò eccezionali.
Jake le propose un brindisi con del vino bianco che aveva ordinato in un secondo momento e poi brindò a lei, all’esame e alla loro salute.
Cat festeggiò il risultato dell’esame con sincera felicità, ringraziò Jake per esserle stata sempre accanto e poi si godette quel pranzo con lui senza farsi troppe domande.
In fondo se lo meritava, più di chiunque altro.
 
Un’oretta dopo lei e Jake decisero di fare due passi sulla spiaggia.
Era una bellissima giornata e ritornare subito a casa sarebbe stato un inutile spreco di tempo.
Il sole splendeva alto in cielo e il mare era leggermente increspato.
Una leggera brezza ad accompagnare i loro passi diminuiva notevolmente la temperatura percepita.
Jake le chiese se le fosse piaciuto il pranzo e Cat lo ringraziò ancora una volta, non sapendo cos’altro fare.
Lui aveva insistito per pagare e lei non aveva potuto fare altro che accettare la sua gentilezza.
Era stata un pranzo perfetto, a partire dal cibo e dalla compagnia, e la location di quella giornata aveva reso tutto più emozionante.
Cat non avrebbe mai immaginato di tornare lì, non dopo la morte dei suoi, ma col senno di poi non sarebbe potuta tornare in quel posto se non con una persona come Jake al suo fianco.
Inforcò gli occhiali da sole per non farsi investire dalla luce pomeridiana e poi si godette la brezza del mare.
Jake camminava vicino a lei, guardandosi sempre attorno, ma rilassandosi anche lui.
-Sono contenta di essere qui con te.- gli disse Cat, sincera.
Jake le sorrise e poi le disse che valeva lo stesso per lui.
Chiacchierarono a lungo, fino a quando il sorriso di Jake non si spense e il suo umore cambiò all’improvviso.
Cat lo vide irrigidirsi e fermarsi di colpo.
Guardò davanti a lei, ma non vide nulla di strano.
C’era una famiglia con dei bambini poco più avanti e una donna che passeggiava da solo nella loro direzione.
Cat guardò Jake e poi si chiese che cosa lo avesse turbato a tal punto da fermarsi.
-Dobbiamo andare via.- le disse lui, frettoloso.
Cat non capì. -Che succede?-
Jake la prese per mano e poi la trascinò via da quel punto, nella direzione opposta a quella in cui stavano andando loro.
-Che sta succedendo?- gli chiese ancora una volta Caitlin, confusa.
Jake allungò il passo, fino a quando non trovarono una panchina vuota qualche metro dopo.
Si sedettero entrambi e poi Jake prese un respiro profondo.
-Ehi.- mormorò Cat, preoccupata.
Trovò il coraggio di accarezzargli il viso con la mano e di guardarlo negli occhi. -Stai bene?- gli chiese, cercando di fargli sentire la sua vicinanza.
Jake evitò il suo sguardo. -Non…esattamente...- rispose, con un tono che non gli aveva mai sentito.
Cat lo costrinse a guardarlo. -Mi dici che succede?-
Lo osservò a lungo, cercando di capire cosa stesse succedendo, ma non riuscì affatto a decifrare il suo comportamento.
Jake mise una mano sopra la sua e poi finalmente la guardò.
-Devo dirti una cosa.- mormorò, lo sguardo triste e cupo.
-Che cosa?-
-Non riguarda il caso.- si affrettò a precisare lui, come a volerla rassicurare.
Cat tirò un sospiro di sollievo dentro di sé. Qualunque cosa fosse, sicuramente era più facile da affrontare in luogo del genere.
Jake scosse per un attimo la testa e poi la fissò. -Quattro anni fa ho seguito un caso di omicidio che mi ha scosso più di quanto avrebbe dovuto.- iniziò a dire, scuro in volto.
Cat non lo aveva mai visto così e in quel momento si preoccupò per lui come non le era mai successo in vita sua da quando si conoscevano. Era stato sempre lui a preoccuparsi per lei e mai il contrario.
-Io e Kane stavamo cercando di incastrare uno spacciatore che aveva venduto droghe pesanti a due ragazzini che per poco non ci hanno rimesso la pelle.- le raccontò, profondamente turbato.
-Ma per farlo avevamo bisogno di informazioni e così ci siamo avvalsi della solita rete di informatori che abbiamo a disposizione da anni.- continuò Jake. -Tra di loro, però, c’era anche una ragazza, della mia stessa età, figlia di spacciatori e ansiosa di cambiare vita il più presto possibile. Ci aiutava in cambio della promessa di andare via di lì e per quanto ci è stato possibile l’abbiamo sempre protetta, in attesa che un giudice ci permettesse di darle la vita che sognava. Aveva dei precedenti e avrebbe dovuto scontare una pena breve in un carcere di un’altra città, ma la sua collaborazione aveva cambiato le carte in tavola ed era solo questione di tempo. In un mese o due avrebbe cambiato completamente vita e la droga non ne avrebbe più fatto parte.-
Cat si irrigidì immediatamente. Cosa non le aveva detto Jake della sua vita?
-Ma?- sussurrò, infatti, tesa.
Sapeva che in quella storia c’era dell’altro e non un lieto fine.
-Ma i suoi genitori facevano parte di un giro molto più grande e quando qualcuno ai piani alti ha scoperto che collaborava con la polizia, non c’è stato più niente da fare. La ragazza andava eliminata e così è stato.- disse Jake, addolorato.
Cat abbassò lo sguardo, colpita da quella storia.
Jake si sentiva in colpa anche per la morte di quella ragazza? Era dovuto a questo il suo sguardo triste e vuoto?
Decise di non dire nulla, sicuro che lui non le avesse ancora raccontato una parte della storia.
-Io credevo di poterla salvare.- mormorò infatti lui, con voce incrinata.
-Non è colpa tua.- lo confortò Cat, sicura di quello che diceva.
-Tu non capisci.- replicò Jake, alzandosi. -Io… io… l’amavo…-
A Cat sembrò di ricevere una gomitata nello stomaco, una di quelle che ti tolgono il respiro e che ti fanno piegare in due dal dolore.
-Cosa?- sussurrò, sconvolta.
Jake si era innamorato della sua informatrice?
-Mi ero innamorato di lei.- confermò. -Passavamo molto tempo insieme e alla fine ci siamo innamorati.-
-Ah…ho... ho capito…- farfugliò Cat, sempre più sconvolta.
Poi ebbe un’illuminazione e capì tutto. -Per questo tua madre non voleva che io e te stessimo insieme?- gli chiese, certa di quello che stava dicendo.
Jake fece un sorriso amaro e poi annuì. -Ha paura che tu possa fare la stessa fine di Megan.-
Cat non disse nulla. Ora le era tutto chiaro e non sapeva veramente cosa dire.
-Kane mi aveva dato ordini precisi.- le disse, sguardo serio e impassibile. -Mi dovevo tenere alla larga da te perché tu non sapevi nulla sulla morte dei tuoi e perché un tuo coinvolgimento avrebbe messo in serio pericolo la tua vita e quella di Matt. Io ho fatto di tutto per tenerti al sicuro senza avvicinarmi, ma quando hanno ucciso mio zio era impensabile stare nascosto mentre tu ti avvicinavi al luogo del crimine.-
Cat queste cose le sapeva già, perciò non disse nulla.
-Ma anche mamma mi aveva detto di stare alla larga da te perché ti avrei fatto soffrire, o peggio, avrei messo la tua vita in pericolo, come era successo già con Megan. E alla fine non ho dato ascolto a nessuno dei due e ci ritroviamo qui insieme, a festeggiare un esame andato bene in una spiaggia piena di gente come se fossimo una dannata coppia.-
-E questo non va bene?- chiese Cat, stupidamente.
Lo sapeva anche lei che quella situazione non andava bene per niente.
Non erano fidanzati, non si frequentavano, eppure passavano una marea di tempo insieme.
Era una situazione strana, da qualunque angolo la si vedesse, e nessuno dei due era intenzionato a darci un taglio.
E ora le cose erano anche peggiorate perché Cat aveva scoperto una parte della vita di Jake di cui ignorava l’esistenza e che l’aveva turbata più di quanto immaginasse.
Jake aveva amato una donna che era morta. Possibile che non avesse ancora superato il lutto?
Per un attimo si chiese se i suoi cambi di umore nei suoi confronti fossero legati anche a quella vicenda oltra che alle sue indagini sull’omicidio dei genitori.
Provò a razionalizzare la cosa e poi si sforzò di non sospirare.
Le cose si stavano ingarbugliando più del dovuto.
-Che cosa hai visto in spiaggia che ti ha così turbato?- gli chiese alla fine, scacciando tutti quei pensieri.
Jake sospirò. -La madre di Megan.-
Cat aggrottò la fronte, ma alla fine capì. La donna che veniva nella direzione era la madre della ragazza che Jake aveva amato e che per aiutare la polizia era stata uccisa.
Non mancava nessun tassello al puzzle e ora che sapeva la verità anche su questa cosa, Cat non sapeva più cosa pensare.
Jake amava ancora Megan? E per lei, invece, cosa provava?
-Non logorarti, Cat.- le disse Jake, attirando la sua attenzione.
Cat alzò la testa di scatto. Che intendeva?
-Ho amato molto Megan, ma lei non c’è più e questo nessuno lo può cambiare. Me ne sono fatto una ragione e ho messo suo padre in galera. Lei fa parte del mio passato, non della mia vita.-
-E questo che significa?- gli chiese Cat, tesa come una corda di violino.
-Che sono andato avanti e che se potessi passerei ancora più tempo con te.- rispose. -E non come amici.-
Cat rimase senza parole. Diceva sul serio?
-E perché non volevi incrociare la madre di Megan?-
-Perché mi ritiene responsabile della morte della figlia e della carcerazione del marito.-
-Come mai lei non è in carcere?-
Jake sospirò. -Una lunga storia, fatta di cavilli giudiziari e di avvocati scaltri.-
Cat annuì, senza fare altre domande.
Si alzò anche lei dalla panchina e poi si avvicinò a Jake. -Sei sicuro di aver superato la cosa?- gli chiese, accennando alla reazione che aveva avuto prima.
-Quella donna mi ha ricordato un momento doloroso della mia vita, ma non ha nulla a che fare con i sentimenti che provavo per sua figlia. L’ho amata, sì, ma non si può vivere amando una persona che non c’è più.-
Caitlin questo lo capiva, ma non riusciva a capire se i sentimenti per una persona che non c’era più potessero svanire davvero da un momento all’altro, con la sua morte. Era questa la domanda che più le stava a cuore e che avrebbe tanto voluto fargli.
Ma non gliela fece, sia per dignità che per discrezione.
-Perché me lo chiedi?- le domandò invece Jake, curioso.
A quel punto Cat capì di dover cambiare discorso. Si stavano avventurando in un terreno scivoloso in cui lei non era in grado di stare in piedi e la cosa migliore era tornare sull’asciutto, dove lei era bravissima a camminare.
-Facciamo altri due passi?- gli chiese infatti, evitando di rispondere alla sua domanda.
Jake però se ne accorse e non mollò. Si avvicinò a lei e la guardò con i suoi profondi occhi scuri.
-Se potessi, lo farei.- si limitò a dire.
Cat sbatté le palpebre, confusa. -Cosa?-
-Questo.-
Jake non le diede il tempo di parlare.
Abbassò il viso verso il suo e poi la baciò, cogliendola alla sprovvista.
Lo faceva sempre, in fondo.
La baciava quando lei meno se lo aspettava e le catturava le labbra con le sue, senza darle scelta.
Cat ci mise un secondo a capire cosa dovesse fare.
Voleva rispondere a quel bacio con tutta se stessa, ma Jake non era della stessa opinione.
Premette le labbra contro le sue per una frazione di secondo e poi si allontanò da lei, con fare composto ed educato.
Come se non l’avesse appena baciata sulle labbra in mezzo alla spiaggia, disorientandola come non mai per l’ennesima volta.
-Sai che non posso.- le disse, come se gli costasse caro ammetterlo.
Cat non capiva. E allora perché l’aveva baciata un’altra volta?
-Lo so.- disse invece, sforzandosi di non pensare a quanto avrebbe voluto di nuovo le labbra di Jake sulle sue.
-Ma vorrei tanto farlo.- continuò lui, fissandole le labbra.
Cat colse altro nelle sue parole, ma non ci si soffermò più di tanto.
Jake le piaceva e lei piaceva a lui. La storia era più semplice di quello che si potesse pensare, ma c’erano indagini e omicidi di mezzo, e tutta quella semplicità andava a farsi benedire.
Si sforzò di non sospirare e gli chiese invece se volesse fare altri due passi.
Jake le disse che aveva delle cose da sbrigare e che l’avrebbe riaccompagnata a casa.
A quel punto Cat tirò un sospiro di sollievo dentro di sé.
Era stravolta a causa dell’esame e quel bacio l’aveva destabilizzata, più di quanto volesse ammettere con se stessa.
Tornare a casa le avrebbe fatto solo bene.
 
Jake la lasciò sotto casa quaranta minuti dopo.
Si salutarono più in fretta di quanto lei avrebbe immaginato e poi Jake ripartì, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Non sapeva più cosa pensare.
Fino a qualche settimana prima aveva preso in seria considerazione l’idea di sbatterlo fuori dalla sua vita per tutte le bugie che le aveva detto e ora si ritrovava a sperare che lui la baciasse con la stessa passione con cui lei avrebbe baciato lui.
Che cosa era successo in quel lasso di tempo? Si era forse innamorata di lui?
Spalancò gli occhi per averlo anche solo pensato e poi salì a casa, turbata dai suoi stessi pensieri.
Per poco non fece un salto quando Matt sbucò fuori dal nulla, facendole prendere uno spavento.
Era talmente concentrata sui suoi pensieri da non rendersi conto che suo fratello era appena uscito dalla cucina con una vaschetta di gelato in mano.
-Ti sei spaventata?- le chiese Matt, divertito.
Se non altro sembrava di buon umore.
Da quando gli aveva raccontato la verità sulla morte dei loro genitori non avevano scambiato molte parole.
Matt sembrava arrabbiato con lei a volte e lei non poteva fare altro che accettare la situazione.
In fondo anche a lei era crollato il mondo addosso quando aveva scoperto che i genitori erano stati assassinati e c’era voluto del tempo prima che la sua mente riuscisse ad elaborare il tutto.
Sperava solo che fosse così anche per Matt e che nel frattempo il loro rapporto non si deteriorasse.
-Ero sovrappensiero.- gli spiegò, chiudendo la porta di casa a chiave.
-Vuoi?- le chiese il fratello, alzando la vaschetta di gelato.
Indossava una tuta da casa e aveva capelli ancora umidi per la doccia.
-No, grazie.-
-Sei contenta?- le chiese poi Matt, riferendosi all’esame.
Anche lui sapeva quanto era stato difficile riprendere in mano gli esami e l’espressione sul suo viso le faceva capire quando fosse contento lui per lei.
-Sì e sono anche esausta.- rispose Cat, sentendo di colpa tutta la stanchezza addosso.
Suo fratello annuì e poi si andò a sedere sul divano.
Cat ci colse un’opportunità in quella situazione.
Voleva sapere come stava suo fratello e parlare un po’ con lui di tutto quello che era successo negli ultimi giorni.
Si andò a lavare le mani in bagno e poi lo raggiunse sul divano, sedendosi accanto a lui.
-Come è andata la giornata?- gli chiese innanzitutto, partendo dalle cose più semplici.
Matt alzò le spalle. -Solita storia.-
Cat non si fece scoraggiare. -A scuola tutto ok?-
-Più o meno.- le rispose, evasivo.
-Che succede?-
Matt prese un cucchiaio di gelato e poi sbuffò. -Non è andato bene il test di matematica.-
Cat rimase senza parole. Suo fratello era un genio della matematica, come poteva essere andato male ad un test?
Poi però capì. Forse era ancora molto turbato da quello che era successo e la verità lo aveva destabilizzato a tal punto da fargli perdere la concentrazione sullo studio.
Decise di chiudere un occhio e poi si schiarì la voce. -Stai bene?-
Matt la guardò. -Perché me lo chiedi?-
-Non abbiamo parlato molto in questi giorni.-
Matt abbassò lo sguardo sul gelato e poi annuì. -Già.-
-È stato orribile quello che è successo a mamma e papà.- gli disse, con voce incrinata. -Ma Jake farà di tutto per prendere il loro assassino e sbatterlo in prigione.-
Vide Matt irrigidirsi.
Non era ancora a pronto a sentire la parola assassino accostata a quella dei genitori.
Aveva sempre sentito parlare di ubriaco al volante e incidente stradale, ma mai di assassino e pistole.
Cat decise di andarci cauta con lui e rimase per qualche secondo in silenzio. Non aveva idea di come comportarsi e per l’ennesima volta si chiese cosa avrebbero fatto i suoi.
Scosse impercettibilmente la testa e aspettò che lui dicesse qualcosa, qualunque cosa.
-Perché gli hanno sparato?-
Cat gli aveva detto tutto quello che sapeva, ma Matt voleva una risposta più precisa di quella che poteva dargli lei.
-Ha fatto delle indagini su un farmaco che probabilmente non è a norma.- gli disse, ancora una volta.
-Questo lo ha già detto.-
-Non so altro, Matt.- disse Cat. -Credimi.-
-E neanche quel tizio che ti ronza sempre intorno?- le chiese suo fratello, riferendosi a Jake.
-No, nemmeno Jake.-
Matt prese altro gelato e poi scosse la testa. -Non riesco a crederci.-
-Lo so, Mattie.-
Suo fratello la guardò per un secondo e poi posò il gelato su un mobile accanto al divano.
-Chi credi che li abbia uccisi?- le chiese, in un tono che non gli aveva mai sentito usare.
Le aveva già fatto quella domanda, ma anche stavolta Cat esitò prima di rispondere.
Aveva preso in considerazioni diverse ipotesi, ma non aveva trovato nessuna prova in grado confermarne una.
Il padre di Stella per lei era diventato il primo sospettato.
Trovava assurdo il fatto che lui potesse aver ucciso anche il marito della figlia oltre che i suoi genitori, ma francamente il suo atteggiamento le era sembrato strano fin da subito.
Il modo insistente con cui l’aveva guardata la prima volta che si erano incontrati e la fretta con cui l’aveva voluta mandare via dal luogo in cui lavoravano lui e Mike le avevano dato parecchio da pensare negli ultimi giorni e anche se non ne era certa, era abbastanza convinta che lui nascondesse qualcosa.
Poteva non essere stato lui l’esecutore materiale di quegli omicidi, ma qualcosa di sicuro c’entrava in quella storia e lei avrebbe voluto sapere tanto cosa.
Non disse nulla però a Matt di quello che pensava.
Gli rispose che non ne aveva la più pallida idea e poi sospirò.
-Credi che sia stato qualcuno che lavora nell’azienda di Mike?- le chiese Matt, insoddisfatto della sua risposta. -Per insabbiare la cosa?-
-Potrebbe.-
-Ma perché?-
Cat accavallò le gambe e poi incrociò le braccia. -Credo abbia molti effetti indesiderati quel medicinale.- rispose, soppesando bene le parole. -Forse papà lo aveva capito e questo lo ha reso un bersaglio necessario da eliminare.-
Matt si irrigidì e poi le disse che si era fatto quell’idea anche lui.
-Perché non provi a parlare con Chris?- le suggerì suo fratello, come se avesse avuto un’illuminazione.
Cat lo guardò, senza dire nulla.
Poi gli chiese che intendeva.
-È un medico e lavorava con papà.- le spiegò Matt. -Magari sa qualcosa.-
Cat omise di dire che ci aveva già pensato e poi annuì.
Il suggerimento di suon fratello, però, le fece venire in mente sua zia Tracie, da cui Matt aveva passato parecchio tempo.
Non avevano avuto ancora modo di parlare di quella vacanza e così Cat ne approfittò per chiedergli come erano andate.
Matt alzò le spalle. -Direi bene.-
-Ma?-
Suo fratello la guardò. -C’era un’atmosfera un po’ strana a casa.-
Cat aggrottò la fronte. -In che senso?-
-Zia era molto tesa.-
-Perché?-
-Non lo so, una volta l’ho sentita litigare con Chris per una polizza, ma non ho capito di che diavolo stessero parlando.-
Cat alzò gli occhi al cielo. Sua zia riusciva a litigare anche con il postino.
-Magari parlava dell’assicurazione della macchina.- disse, per niente sconvolta.
Matt alzò di nuovo le spalle. -Comunque, la festa è andata bene.-
Cat sorrise. Parlare della festa era sicuramente più interessante dell’argomento zia Tracie.
-Hai invitato quella ragazza, alla fine.- osservò, riferendosi alla ragazza a cui era interessato suo fratello.
Matt annuì.
-E come è andata?-
-Abbastanza bene.-
Cat alzò gli occhi al cielo. -Tutto qui?-
-Mi piace, ok?-
A quel punto Cat sorrise. -E tu piaci a lei?-
Suo fratello alzò le spalle, come se non sapesse dare una risposta alla sua domanda. -Credo di sì.-
-La vuoi invitare a pranzo uno di questi giorni?-
Gli occhi di Matt si illuminarono. -Posso?-
-Sì, ma devo esserci anche io, così me la presenti.-
-Certo.- rispose Matt, contento.
Cat era convinta che lui non vedesse l’ora di portarla a casa. -Quante volte siete usciti insieme?-
-Quattro o cinque.-
-Bene.- disse Cat. -E allora potrebbe farle piacere conoscermi.-
-Certo.-
Cat rise. Suo fratello era veramente di poche parole, ma almeno avevano smesso di parlare della morte dei genitori e lui aveva ritrovato finalmente il sorriso.
-Che programmi hai per oggi pomeriggio?- gli chiese, alzandosi.-
-Devo studiare.-
Cat annuì e poi gli disse che lei avrebbe fatto almeno il turno pomeridiano in libreria.
Matt le disse che allora si sarebbero visti per cena e a quel punto Cat si andò a cambiare.
Il piano era di mettersi dei vestiti più comodi e poi di andare in libreria, per tenere la mente impegnata.
Era rimasta sconvolta dalle rivelazioni di Jake e rimanere a casa non era un’opzione fattibile.
Indossò un paio di jeans e una maglia blu elettrico e poi uscì, solo dopo aver optato per un paio di scarpe più comode.
 
Arrivò in libreria poco dopo, accaldata e anche un po’ stanca.
All’ora di pranzo aveva deciso che non ci sarebbe proprio andata da Abigail quel giorno, visto che la mattina aveva dato un esame, ma la storia di Jake l’aveva turbata nel profondo e rimanere a casa, sola con i suoi pensieri, non le era sembrata per niente una buona idea.
Salutò Abigail che era in cassa e poi andò a posare le sue cose nell’armadietto che le aveva concesso la madre di Jake, un valido appoggio per posare la borsa e tutto il resto.
Mentre lo chiudeva a chiave, Abigail sbucò alle sue spalle.
-Allora?- le chiese, preoccupata.
Cat si girò e sorrise. -Ho preso il massimo.- rispose, con un sorriso che le arrivava fino agli occhi.
Abigail l’abbracciò. -Sono davvero contenta, Caitlin.-
-Anche io.-
-Non ti potevi riposare oggi?- la rimproverò la madre di Jake, scuotendo la testa e guardandola dolcemente con i suoi grandi occhi verdi.
Cat le disse che stava bene, sorvolando chiaramente sulla questione Megan, e poi si mise all’opera.
Non aveva nessuna intenzione di mettersi a pensare.
Voleva godersi la giornata e il voto dell’esame, ma per farlo aveva bisogno di tenersi occupato e così avrebbe fatto.
Sistemò un po’ di libri fuori posto e fece parecchi turni in cassa, lieta che quel giorno ci fossero più clienti del solito.
Si ritrovò a curiosare all’ingresso solo una volta, quando entrò un uomo dell’età di Abigail, che cercava insistentemente la proprietaria della libreria.
Era alto, con un fisico asciutto e due occhi scuri familiari. Possibile che lo avesse già visto da qualche parte?
Non fece in tempo a darsi una risposta perché Abigail andò da lui e poi entrambi uscirono.
Cat si disse che forse era l’uomo con cui si vedeva Abigail e poi tornò a fare quello che stava facendo.
In fondo non erano assolutamente fatti suoi.

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