May your heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story

di Satellite_29
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Darkside ***
Capitolo 2: *** The Key ***
Capitolo 3: *** The Guard Armor ***
Capitolo 4: *** Who are you ***
Capitolo 5: *** The Dark Thorn ***



Capitolo 1
*** Darkside ***


May your Heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story

Chapter One

The Darkside


- Sei bellissima, Akane. Sai che non potresti farmi più felice.
Mi guardai allo specchio mentre mia madre e mia zia mi sistemavano l’abito per l’ultima prova. Ero davvero bella in quell’abito dorato. Avrei preferito di gran lunga un abito bianco, ma a Cardis è usanza sposarsi con quei colori. Mia madre mi guardava nello specchio, con gli occhi pieni di lacrime di gioia pronte a scenderle sul viso. Avrei voluto imitarla, piangere di felicità con lei. In realtà, non potevo essere più triste. A  soltanto diciassette anni, avevo finito a stento la scuola, e già avrei dovuto prendere marito. Non mi era mai piaciuto legarmi alle persone, figuriamoci sposarmi! Ma i miei genitori avevano insistito così tanto che mi sono vista costretta a rinunciare alla mia libertà. In fondo, lo facevano per me, per darmi un futuro migliore: erano riusciti a combinare un matrimonio con uno dei principi di Cardis. Non sarebbe stato il futuro re, ma mi avrebbe comunque dato una vita più agiata. Lui si chiamava Damian, e io non avevo la più pallida idea di chi fosse. Oltre al suo nome, non conoscevo nulla, neanche il suo viso. Mia zia e mia madre mi guardavano con occhi quasi adoranti, commosse per il grande passo che avrei fatto il giorno seguente. Volevo morire. I miei capelli erano stati rasati da un lato, come ce li aveva anche mia madre quando si era sposata, mentre dall’altra parte i capelli erano stati lasciati morbidi. Gli occhi verde smeraldo cercavano di non mostrare la sensazione di vuoto che provavo dentro.
- Ah, mi sono scordata di darti una cosa! – esclamò mia madre, sparendo in pochi attimi dalla mia visuale. Ritornò con una scatolina rossa in mano e me la consegnò.
- Questo è il mio regalo di nozze per te.
Aprii la scatola e vi trovai una pietra rosso-arancio che splendeva come il sole. Era legata a mo di pendaglio ad un filo d’oro sottilissimo.
- Vorrei che lo indossassi domani. Mi è stato regalato da una persona molto cara tanto tempo fa, dicendomi che aveva il potere di proteggere chi lo indossava. Forse sarà una sciocchezza, ma mi sentirei più tranquilla se lo tenessi con te.
E a quel punto non potei più trattenere le lacrime. Strinsi il corpo esile di mia madre, più piccola di statura rispetto a me, che la superavo di quindici centimetri. Cercai di far scivolare via la paura, il dolore, l’angoscia insieme alle lacrime. Mia madre dovette capirlo, visto che mi strinse più forte di prima. Invece quella testa vuota di mia zia doveva aver pensato che si trattasse di felicità, e esclamò contenta.
- Smettetela di fare così o mi commuovo anche io! E poi adesso devi riposarti, o domani arriverai all’altare con le occhiaie.
Mi staccai dall’abbraccio con mia madre in modo che le due donne potessero svestirmi. Quando ebbi soltanto l’intimo addosso, mia zia ripose l’abito sopra lo specchio ed uscì. Mia madre fece per seguirla, ma si fermò poco prima della porta.
- Akane, ricordati che io e tuo padre vogliamo il tuo bene. Ma ricorda ancor di più che vogliamo che tu sia felice. – disse, e poi uscì, lasciando tanti sottintesi quante domande e dubbi.

Erano le dieci di sera passate, non avevo mangiato niente ma non avevo fame. Osservai la mia stanza, o meglio, la stanza degli ospiti in cui avevo vissuto per tutta la durata del fidanzamento con Damian. A Cardis è tradizione che i due promessi sposi non si vedano durante i preparativi del matrimonio, e se non si rispetta questa tradizione, i più superstiziosi potrebbero anche far saltare il matrimonio. Ma un conto è non vedere per quattro mesi il ragazzo che ami, di cui conosci tutti i lineamenti a memoria, e un altro è attendere di vedere un uomo che non hai mai visto. I principi non escono spesso da palazzo, perciò non avevo la più pallida idea di quale volto avrei incontrato, quale sarebbe stato il viso che avrei visto ogni notte prima di andare a dormire e ogni mattina al mio risveglio. Per fortuna, o sfortuna, non saprei dirlo, era più grande di me solo di due anni. Mi avvicinai al balcone della stanza, dal quale si vedeva tutta Cardis. Le case più vicine al palazzo reale erano eleganti, piene di giardini pensili. Man mano che ci si allontanava dal centro, le strade iniziavano a degradarsi e le case a farsi più piccole e modeste. Io abitavo esattamente lì, nella zona in cui non si vive né nel lusso né nella povertà. La via di mezzo, insomma. La luna era ancora giallognola, segno che era nata da poco tempo. Si specchiava sulle acque del lago Hara, che era poco lontano dalla periferia della città. Mi allontanai dal balcone e mi accorsi che mia madre mi aveva lasciato la collana sul letto a baldacchino. La presi tra le mani e me la poggiai sul collo. Non dava la sensazione di essere adatta per una collana, era stranamente grande. Il colore era singolare: non era quel rosso scuro tipico dei rubini, nemmeno quello aranciato del corallo. Era più un rosso fuoco. Come il mio nome, che significa “rosso brillante”. Me la legai al collo e mi sdraiai sopra le coperte del letto. Mi avevano offerto l’occasione di vivere a palazzo reale, con tutte le comodità e gli agi esistenti al mondo. Ero stata fortunata, mi avevano detto: era stato il principe Damian in persona a scegliermi come sua futura sposa. Avrebbe potuto accontentarsi di una qualsiasi ragazza, molte sognavano anche solo di ricevere un saluto da lui, eppure voleva proprio me. Ero un’ingrata. Ma il mio cuore non ne voleva sapere di accettare l’idea di sposarlo. Avrei potuto fingere di amarlo, ma non sono mai stata il tipo di persona capace di vivere nella menzogna.
Con questo turbine di pensieri, mi addormentai, sognando ciò che avrebbe cambiato il mio destino.
 
Nero. Buio. Oscurità profonda.
Non era la stessa sensazione che si prova quando non ci si ricorda di un sogno, quando si dice erroneamente “non ho sognato nulla”. Era un sogno vero e proprio, e iniziava col nero.
Una luce apparve fievolmente davanti ai miei occhi. Provai ad avvicinarmi ma quella sembrava sfuggirmi. Un bagliore emerse dal suolo. Era come se, dal suolo che avevo appena calpestato, stesse nascendo un’immagine. Una piattaforma forse, visto che la sentivo solida sotto i piedi.
Apparve un disegno. Ero io, ma non ero io.
Indossavo degli abiti mai visti prima: una specie di armatura rossa e arancione dai bordi neri. Sembravo addormentata, e al mio fianco vi era una spada. O meglio, una chiave lunga quanto una spada.
- Sei destinata a grandi cose, anche se ancora non lo sai. Ma ricorda: più ti avvicini alla luce, più la tua ombra crescerà.
- Chi sei? – urlai, ma nessuno rispose. Di scatto, mi voltai all’indietro e guardai con orrore emergere un mostro dalla mia ombra. Un Heartless, ricordai a me stessa. Non ne avevo mai visto uno. Con la Seconda Guerra dei Keyblade, sembrava che la loro minaccia fosse stata debellata.
- Combatti, usa la luce che c’è in te. – ripeté la voce sconosciuta.
La creatura continuava a crescere a dismisura, i miei occhi non volevano crederci. Sentii qualcosa scuotermi il petto. Era la collana che mi aveva regalato mia madre a tremare. Improvvisamente ne uscì una luce gialla, che mi entrò nel petto. L’Heartless si avvicinava pericolosamente verso di me, quando dal nulla apparve una chiave. Era la stessa che era rappresentata sul pavimento. La afferrai, e lei cercò di trascinarmi contro il mostro. Non avevo nessuna possibilità. Io, minuscola davanti a quell’essere, non sarei mai riuscita a distruggerlo. Eppure qualcosa mi diceva che dovevo farlo, o non sarei uscita viva da li.
Impugnai il Keyblade con entrambe le mani e corsi all’attacco.
L’Heartless iniziò a lanciarmi delle sfere oscure contro. Ne vidi una passarmi davanti agli occhi e poi dissolversi magicamente senza avermi sfiorato, come se avesse incontrato una barriera invisibile. Pensando di essere invulnerabile a quei colpi, iniziai a colpirgli le gambe ma lui alzò il piede e colpendo il suolo scatenò un terremoto che mi fece cadere a terra. Rialzò il piede per schiacciarmi definitivamente, io istintivamente alzai il Keyblade per difendermi.
“È finita. Mi ucciderà.” pensai, ma il Keyblade iniziò a brillare e a riscaldarsi. Divenne quasi incandescente nella mia mano e bruciò letteralmente il piede dell’Heartless, che si accasciò in ginocchio. Avevo ancora una speranza di uscire viva da quell’incubo. Intravidi sul suo dorso un simbolo a forma di cuore. “Se non funziona questo, non so più cosa fare.” Mi alzai di scatto, saltai letteralmente sulla sua schiena e conficcai la lama del Keyblade ancora incandescente al centro del cuore. L’Heartless emise un orribile grugnito di dolore e iniziò a bruciare dall’interno. Tornai immediatamente a terra, e osservai l’orrendo spettacolo che si stagliava davanti ai miei occhi: una specie di buco nero stava risucchiando l’Heartless che bruciava lentamente e soltanto quando fu ridotto in cenere il vortice si chiuse. Del combattimento avvenuto pochi attimi prima non c’era più traccia.
- Complimenti Akane, hai battuto l’Oscurità che c’era in te. Ora il tuo cure è puro. – disse una voce.
- Come fai a sapere come mi chiamo? - chiesi. In realtà non mi aspettavo una risposta: semplicemente, chiederlo mi era parsa la cosa più naturale da fare. Si aprì un varco oscuro, simile a quello che aveva risucchiato le ceneri dell’Heartless. Con la differenza che quel vortice non spingeva le cose dentro di sé, ma era fatto per farle uscire fuori. Una figura incappucciata emerse dal nero. Era molto alta, ma era evidente che era molto esile, nonostante il cappotto nero.
- Niente di più semplice. Ti ho vista nascere. – rispose, come se stesse conversando con un amico che non rivedeva da tanto tempo. Io sgranai gli occhi.
- Tu cosa? – urlai, esterrefatta – Non è possibile!
- E perché no? – chiese sogghignando.
- Mia madre mi ha partorito in casa sua, con il solo aiuto di un’ostetrica. Non era presente nemmeno mio padre in quel momento, è impossibile che sia stato presente uno sconosciuto!
Ero furente. Quella cosa, perché in effetti non sapevo chi si stesse nascondendo sotto quel cappuccio, si stava prendendo gioco di me. Il Keyblade, che si era raffreddato da quando l’Heartless era scomparso, iniziò quasi a pulsare. E mi venne un’idea.
- Se vuoi che ti creda, fatti vedere in faccia. O giuro che ti ucciderò così come ho fatto con quel mostro. – esclamai, puntandogli la chiave contro la gola. La figura indietreggiò leggermente, sorpresa. Pensai di averla in pugno, ma iniziò a ridacchiare, prima a bassa voce e poi sempre più forte. Continuai a tenergli la lama puntata alla gola ma l’uomo, infischiandosene del fatto che avrei potuto benissimo ferirlo, la spostò con un dito. Ero troppo confusa per reagire, e l’uomo ne approfittò per avvicinarsi a me. Si abbassò il cappuccio e finalmente riuscii a vedere il suo volto.
Era pallido, spigoloso. Gli occhi verdi risaltavano per la loro brillantezza,erano quasi innaturali. Quasi come i miei, avrei osato dire. I capelli rossi erano pettinati verso l’alto e all’indietro ed erano di un rosso acceso. Si abbassò per avvicinarsi ancora di più al mio viso.
- Hai proprio la stessa faccia tosta dei tuoi genitori. Soprattutto di tua madre. – sussurrò, con un ghigno divertito stampato in faccia. Io trasalii. Sentirgli nominare la parola “genitori” mi faceva arrabbiare sempre di più: come faceva a conoscerli?
- Ma toglimi una curiosità: tra le due donne nella stanza, sei proprio sicura che la donna che ti ha partorito è la stessa che ti ha cresciuta in tutti questi anni? Credo che tu debba sapere chi siano i tuoi genitori, prima di sposarti. – disse, diventando stranamente serio. Sobbalzai. Volevo urlare, piangere, graffiargli la faccia a suon di colpi di Keyblade. Ma non ebbi la forza di fare nulla di queste cose.
- La vedi quella collana? – disse, indicando il ciondolo che portavo al collo.
- Quello è uno dei legami che hai con tua madre. La tua vera madre. Scopri chi sei, e perché hai il Keyblade. Se poi vorrai ancora sposarti, sarò felice di essere presente al tuo matrimonio. – terminò, sorridendo. Alzò il braccio e con la mano evocò un varco oscuro.
- Ci si rivedere, piccolina. – sussurrò, e si incamminò verso il varco.
- Aspetta! – urlai. Cercai di acchiapparlo, ma sembrava lontano anni luce da me. Era come se la distanza tra me e quell’uomo fosse infinita, come se fossi destinata a non raggiungerlo mai, nonostante poco prima era a un soffio da me. L’oscurità che fino a quel momento aveva fatto da sfondo al mio sogno iniziò a rompersi e sfaldarsi. Crepe di luce crebbero fino a diventare immense. L’Oscurità si ruppe definitivamente, così come l’immagine che avevo sotto i miei piedi, e caddi nella luce.

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Capitolo 2
*** The Key ***


May your Heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story

Chapter Two

The Key

- Aaaaah! – urlai e mi alzai di soprassalto. Ero di nuovo nel letto dove mi ero addormentata la sera precedente. Indossavo solo la vestaglia, uno dei tanti doni di Damian durante il mio soggiorno. Mi guardai allo specchio, in cerca di un qualsiasi segno che potesse tranquillizzarmi.
- Akane, che succede? – gridò mio padre, spalancando la porta. Era già vestito per il ricevimento, con la giacca rossa tipica degli ufficiali. I capelli castani, che di solito erano spettinati e cadevano sulla fronte, erano pettinati all’indietro. Era dall’ultima festa ufficiale che non lo vedevo così.
- Niente, è stato solo un sogno. – sussurrai, continuando a guardarmi allo specchio. Mio padre guardò lo specchio, cercando di capire cosa stessi fissando.
- Piccola mia, tutto bene? – chiese mia madre, che era corsa nella stanza insieme a mio padre. Vedendo che non parlavo, si sedette sul letto e mi abbracciò forte. Anche lei era già pronta per il matrimonio: i capelli biondi erano raccolti in una lunga treccia e indossava un vestito color ardesia stretto sotto il seno che scendeva morbido per i fianchi.
Più che mia madre, poteva essere mia sorella minore, visto che era molto più minuta rispetto a me. L’unica cosa che ci accomunava, potevano essere i capelli morbidi e sottili. Di mio padre avevo preso l’altezza e alcune spigolosità del viso.
“Credo che tu debba sapere chi siano i tuoi genitori prima di sposarti”, “Quella collana è uno dei legami che hai con la tua vera madre” erano i pensieri che offuscavano la mia mente. Mi resi conto che in realtà stavo fissando la mia pietra nel riflesso nello specchio. Le sfumature sembravano muoversi sulla sua superficie. La strinsi.
- Mamma, papà – dissi, guardando prima una poi l’altro – Ho bisogno di sapere una cosa molto importante.
Loro si guardarono, cercando di parlarsi senza farsi notare dai miei occhi.
- Ho fatto un sogno in cui mi è stato detto che in realtà voi non siete i miei genitori naturali. So che è una sciocchezza, ma ho bisogno che voi mi diciate se è una pazzia o meno.
- Akane! Ti rendi conto di cosa ci accusi? Dovresti vergognarti ..
- No, Daisuke. Non provarci nemmeno. – disse mia madre con la testa bassa, rivolgendosi a mio padre.
- Non vorrai …
- Invece lo farò. Ha tutto il diritto di sapere la verità.
A quelle parole mi si formò un nodo alla gola. L’uomo in nero aveva ragione?
Mio padre sospirò – Hai ragione. – e si sedette anche lui sul letto.
- Quando tua madre era incinta, incontrò una coppia innamorata che fuggiva dal proprio paese. Beh, in realtà non erano proprio di questo mondo. Come avrai studiato, dopo la Seconda Guerra dei Keyblade, i legami tra i mondi erano stati spezzati, ma loro avevano una navicella in grado di attraversare comunque l’universo, grazie alla quale sono sbarcati qui. I due erano inseguiti da una forza oscura, ma lei era incinta e doveva per forza partorire, o avrebbe perso il figlio. O meglio, la figlia. Tua madre li ha aiutati durante la loro permanenza a Cardis e li aveva tenuti nascosti. Quando la ragazza ha partorito, la aiutò a dare alla luce sua figlia, ma non avevano nemmeno finito per coprirla in fasce che una spia colpì tua madre con una magia letale. – disse, con voce sempre più sommessa. Mia madre, capendo che mio padre non aveva più il coraggio di raccontare, prese il suo posto nella storia.
- Ci fu un combattimento tra quelle spie e i nostri uomini. Noi ne uscimmo salve, ma non illese. Io avevo perso il bambino, e se la mia amica non mi avesse curato, avrei perso anche la vita. Dopo quell’episodio, capirono che non era a rischio solo la loro vita, ma anche quella della loro bambina e di chi li avrebbe aiutati durante la loro fuga. Perciò ci chiesero di allevare la loro bambina come se fosse stata nostra e di non cercarli ma più. Sparirono da questo mondo il giorno stesso in cui ci affidarono te.
- Ci chiesero di non dirti mai le tue vere origini, così tu non avresti mai corso nessun pericolo.
Ero al limite. Sentire tutte quelle cose mi aveva mandato in tilt il cervello. Il rosso aveva ragione su tutto. Mi misi le mani nei capelli.
- Per tutto questo tempo, non sapevo che i miei genitori scappavano da chissà cosa mentre io ero al sicuro. Non sapevo che stavo crescendo con dei bugiardi! – urlai. Mia madre mi guardò colpevole, mentre mio padre cercava di tenermi testa con lo sguardo.
- Dannazione, con che coraggio volevate mandarmi all’altare al fianco di uno sconosciuto se non sono nemmeno vostra figlia! Come?! – gridai, e poi scoppiai in un pianto nervoso. Misaki, la donna che da sempre pensavo fosse stata mia madre, mi appoggiò una mano sulla spalla.
- L’ho appena spiegato: ci avevano chiesto di trattarti come se tu fossi nostra figlia. Volevamo solo il meglio per te. Una vita senza pericoli, al fianco di un ragazzo che ti avrebbe protetta, ci sembrava la cosa più giusta … forse tu non provi molto per lui, ma tu non sai quanto quel ragazzo ti ami.
- Damian mi ama? – sussurrai. Avevo gli occhi gonfi di lacrime che non accennavano a smettere di scorrere sulle guance. Misaki annuì – Tu non c’eri, ma avresti dovuto vederlo quando è entrato a casa nostra e ci ha chiesto la tua mano. Non possiamo costringerti a fare nulla, ma se lo sposassi non solo renderesti orgogliosi noi e credo anche i tuoi genitori naturali, ma faresti di Damian l’uomo più felice di Cardis. Sarebbe un buon marito per te.
Ci pensai un po’ e dopo sospirai – Va bene, sposerò Damian.
Misaki sorrise e mi accarezzò una guancia – Brava la mia piccola Akane.
- Lo faccio per i miei genitori. Quelli veri. – dissi velenosa. Il sorriso scomparve dalle labbra della donna, che si alzò.
- Ora dovresti vestirti Akane, ci vediamo dopo nel cortile. – disse Daisuke. Prese Misaki per mano e uscirono fuori dalla stanza.
Guardai l’orologio. Avevo solo un’ora per prepararmi, perciò presi il mio abito dorato e lo indossai.
Mi guardai allo specchio. Un vestito abbastanza semplice: era monospalla, con una cinta d’oro sotto il seno, cadeva morbido fino ai piedi e c’era anche un po’ di strascico. Se i miei genitori volevano una vita normale per me, gliel’avrei data.
 
La cerimonia si sarebbe svolta nel chiostro del giardino del palazzo reale, che era stato decorato d’oro appositamente per le nozze. Inizialmente, doveva essere una cerimonia intima, ma le voci hanno iniziato a girare come sempre, perciò alla fine si è sparsa la notizia per tutta Cardis. Da quel momento, i reali hanno dovuto rivedere la loro lista degli invitati. Non potevano certo non invitare tutti i nobili, i senatori, gli ambasciatori dei paesi alleati.
 
Era giunto il grande momento. Mia madre aveva finito di dipingere i segni rituali sul mio corpo ed ero pronta ad uscire allo scoperto dopo due giorni passati nella mia stanza. O gabbia d’oro, come la chiamavo io. Avevo percorso i corridoi del palazzo, fino ad uscire sulle scalinate che portavano al chiostro, dove si sarebbe tenuto il rituale. Il mio volto era coperto da una maschera che mi copriva gli occhi, come da tradizione: i due sposi possono togliersi le maschere solo alla fine del rituale. In altri paesi, ci si scambia le fedi, degli anelli che simboleggiano il proprio amore; a Cardis le maschere sono l’equivalente delle fedi. Avrei dovuto attendere l’arrivo di Damian, prima di scendere la scalinata di marmo. I miei genitori non erano più dietro le mie spalle. Ero completamente sola, aspettando che il mio destino mi accogliesse a braccia aperte.
- Allora non hai ascoltato proprio nulla di ciò che ti ho detto? – chiese una voce ben troppo nota.
- Ho ascoltato benissimo. Ma ho ascoltato ancor di più la richiesta dei miei genitori. Te lo chiedo per favore, vai via. – sussurrai a bassa voce, in modo da esser udita soltanto dal diretto interessato.
- Per cortesia, girati. – disse l’uomo, sfiorandomi la spalla. Non so dire se fu per la strana gentilezza del suo tono oppure per la mia curiosità, ma feci ciò che mi aveva chiesto. Ritrovai il viso spigoloso della sera prima, ma questa volta era reale. Gli stessi occhi verdi, gli stessi capelli rossi. L’unica differenza era che non aveva più l’aria strafottente.
- I tuoi non avrebbero mai voluto che tu ti sposassi così. Erano dannatamente egoisti, avrebbero voluto passare il resto della loro vita con te, non vederti al fianco di un altro già a quest’età.
- Allora perché mi hanno lasciata? Perché mi hanno affidata a un’altra famiglia? Loro vogliono davvero il mio bene! – la mia voce era sempre più incrinata dalla disperazione.
- Non avrebbero mai voluto farlo. Saresti morta se fossi rimasta con loro.
- Perché dovrei crederti? Chi sei? – quasi urlai. Con la coda dell’occhio intravidi degli uomini muoversi dall’altra parte della scalinata. Damian doveva essere arrivato.
- Vieni con me e te lo dirò. Ti scongiuro, dammi la possibilità di dimostrarti che tutto ciò che ho detto è vero. – disse, supplicante. La sua mano era tesa verso la mia. Morivo dalla voglia di scoprire chi fossero i miei genitori, ma non volevo deludere le persone che mi avevano accolto come se fossi loro figlia.
- Mi dispiace, ora è troppo tardi. Devo andare. – sussurrai, con il volto cupo. Lui mi fissò, cercando di capire il perché del mio gesto.
- E va bene. Ora dovrò inventarmi una scusa da dire alla gente quando i mondi andranno in rovina e l’unica che può salvarli non si presenterà. – annunciò, voltandomi le spalle e aprendo un varco oscuro con la stessa mano che poco prima era tesa verso di me.
- Che intendi dire? – chiesi, allarmata.
- Che tu hai la chiave per salvare i mondi dall’oscurità: il Keyblade. Ma ormai è troppo tardi, no? – disse arrabbiato il rosso, guardandomi con i suoi occhi accesi. Si fiondò nel varco oscuro, senza lasciare traccia. Rimasi shockata: che cosa voleva dire che ero l’unica a poter salvare i mondi?
- Akane, che sta facendo? Devi scendere! – mi disse mia zia, arrivata non so quando vicino a me. Possibile che nessuno avesse visto la scena di prima? Avevo parlato con un fantasma? Guardai davanti a me e vidi che sull’altra scalinata, alla mia stessa altezza, era arrivato un ragazzo. I lunghi capelli castani erano pettinati all’indietro, ma qualche ciocca rimaneva verso l’alto. Anche lui indossava un completo ufficiale, ma a differenza degli altri invitati, il suo era dorato e bianco e alle sue spalle era attaccato un lungo mantello grazie a due grosse fibbie d’oro. Il suo viso era coperto da una maschera identica alla mia. Il mio destino era arrivato. Strinsi forte la mia collana, come per darmi coraggio, feci un cenno al principe per confermargli che ero pronta e, contemporaneamente, scendemmo le scale. Prima di allora non avevo mai sceso quella scalinata, e soprattutto non avevo mai provato a scenderle insieme a Damian. Arrivammo alla fine insieme. Come da programma, mi porse il braccio, in modo che potessimo arrivare al centro del chiostro fianco a fianco. Erano accorsi in molti per partecipare alla cerimonia. Sembrava che a sposarsi non fosse un principe, ma il re stesso. Giunti al centro, ci girammo nuovamente uno di fronte all’altra. A Cardis il matrimonio è svolto direttamente dai due sposi, senza l’aiuto di funzionari o sacerdoti: nel rituale non deve intervenire nessuno, a meno che non sia contrario al matrimonio. Mia madre e tutte le altre ancelle a palazzo mi avevano ripetuto migliaia di volte cosa sarebbe successo: Damian mi avrebbe posato il mantello reale sulle mie spalle, in segno che anche io dal quel momento facevo parte della casata regnante. Mi avrebbe mostrato le rune dorate che gli erano state disegnate sul braccio sinistro, e io avrei mostrato le mie. Mi avrebbe disegnato la runa dell’unione, a forma di nodo e di colore rosso, sul palmo destro, e io avrei fatto altrettanto sul suo. Solo dopo, avrebbe potuto togliere la mia maschera, e io avrei potuto togliere la sua. Tutto ciò sarebbe avvenuto nel silenzio più solenne. E anche più inquietante, aggiungerei io.
Damian iniziò ad armeggiare con le spille per togliersi il mantello, quando notai un’ombra nera muoversi da uno dei porticati del chiostro. “Non è niente” pensai “sarà qualche ritardatario”
Ma nel momento in cui Damian poggiò il mantello sulle mie spalle, notai che i suoi occhi non guardavano me, ma dietro di me. Un urlo. Mi girai, allarmata, e vidi un orribile spettacolo.
L’ombra che avevo visto prima aveva tagliato la gola di una donna e un’altra ancora stava graffiando l’uomo alla sua destra.
- Perdonami, ma devo aiutarli. – dissi, stringendo la pietra di mia madre.
- No, io devo aiutarli. – sussurrò, quasi non volesse farsi sentire. Damian corse verso le ombre, in mano brandiva una spada celeste. Il Keyblade, come se avesse intuito la presenza del pericolo, apparve nella mia mano.
“Beh, a quanto pare quel tizio aveva ragione. Per fortuna, nel mio futuro ancora non è previsto un matrimonio.” Pensai, così mi tolsi il mantello che mi aveva dato Damian e lo affiancai nella battaglia. Vidi tutti gli uomini, compreso Daisuke, prendere le spade e combattere gli Heartless. Purtroppo le loro spade non avevano effetto su di loro, mentre la mia e quella di Damian erano le uniche in grado di farli dissolvere. Stavo per ucciderne uno quando un altro mi saltò sulle spalle. Cercai di scrollarmelo di dosso, ma quello mi graffiò la spalla e non riuscivo a muovere più il braccio che teneva il Keyblade. Sbattei la schiena contro una colonna del porticato, e solo allora l’Heartless mollò la presa e si dissolse. Mi guardai attorno: il chiostro era diventato una gigantesca macchia nera. Nonostante il dolore, impugnai il Keyblade con entrambe le mani, in modo da alleggerire la spalla destra, e mi buttai di nuovo nella mischia. Ormai della cerimonia non importava più, ognuno pensava soltanto a salvarsi la pelle. Il mio vestito era ridotto a una mini gonna, per colpa di tutti i graffi che avevo preso combattendo. Ma tutto sommato non me la cavavo male, uccidevo gli Heartless al primo colpo. “Sono solo degli Shadow, sono deboli per natura” ricordai a me stessa.
Intravidi la regina salire le scalinate insieme ai principini più piccoli, ma un gruppo di Heartless le sbarrò la strada. Damian e il resto della sua famiglia dovevano essere troppo occupati nella battaglia per accorgersene. Ma non c’era tempo di salire tutte quelle scale. Trovai una pila di sedie che dovevano essere utilizzate per il banchetto in bilico. “E’ una pazzia, anche con quelle non riuscirò mai a saltare così in alto” pensai. “Tu dici?” mi disse una voce nella testa. Saltai, arrivando in cima alla pila di sedie, e poi saltai di nuovo. Nel farlo non me ne resi conto ma era un salto disumano, alto più di due metri. Mi aggrappai ad un gradino e poi  mi sollevai sulla scalinata. Un Heartless aveva appena attaccato la regina quando mi rimisi in piedi. Ero furiosa. Quegli Heartless mi avevano sottratto dal matrimonio, ma stavano facendo del male alla mia gente, agli abitanti del mio paese. Un Heartless mi saltò addosso ma parai bene il colpo, in modo da ributtarlo indietro verso i suoi simili. Li colpii col Keyblade e dopo un po’ svanirono come vapore nero.
- Ma tu sei …
- Maestà, salite nei vostri alloggi con i principi. Se volete, posso scortarvi io, anche se non so per quanto ancora riuscirò a combattere. – dissi, con un sorriso amaro. Purtroppo la ferita alla spalla si stava facendo sentire. Non ero mai stata addestrata a combattere, figuriamoci a combattere quando si è feriti!
- Sei una ragazza e sei ferita, non dovresti combattere. E sei la fidanzata di mio figlio, non ti permetterò di stare in quella bolgia. – disse la regina con tono autorevole. Istintivamente scoppiai a ridere.
- Mi scusi, Maestà, ma non credo che in questo momento bisogni tirarsi indietro dai combattimenti. Anche se si è del sesso sbagliato, chiunque può dare una mano. – dissi e saltai giù nel chiostro. La regina mi guardava allibita, lo sapevo, ma non poteva impedirmi di aiutare i soldati. Ma qualcun altro si.
- A quanto pare ci vogliono questi a farti cambiare idea. Vieni, ti porto al sicuro. – esclamò il rosso dietro le mie spalle.
- Tu – urlai, girandomi – Sei stato tu a chiamare questi cosi? – domandai. L’uomo rise.
- Magari avessi tali poteri, non avrei bisogno di tanta fatica per portarti sulla retta via. – disse, con un sorriso stampato in faccia. Un Heartless gli saltò sulla gamba per graffiarlo, ma quello evocò la sua spada rosso fuoco e lo distrusse immediatamente. Osservai meglio l’arma: l’impugnatura era a forma di chakram e la lama sembrava lava appena emersa da un vulcano. Ricordava vagamente il mio Keyblade.
- Non avevi detto che era tardi? – chiesi, uccidendo un Heartless che si era avvicinato a noi. Lui mi guardò negli occhi – I tuoi non mi perdonerebbero mai se ti lasciassi in pericolo in mezzo a tutti questi Heartless.
- Loro sono vivi? – urlai, ma un Heartless mi colse di sorpresa e mi ferì la gamba. Il rosso lo uccise appena se ne accorse.
- Non so dirtelo. – sospirò.
- Allora non mi muoverò da Cardis. – dissi e corsi lontano da lui. L’uomo urlò il mio nome, ma ormai non mi importava più.
Non vedevo più nessuno di quelli che conoscevo: Daisuke, Misaki, Damian, il re, sembravano spariti. Improvvisamente si aprì un varco oscuro, dal quale ne uscì un uomo che indossava lo stesso cappotto dell’uomo dai capelli rossi.
- Eccola, la nostra principessina. – disse, con una voce scura. Io sobbalzai.
- Stai parlando con me? – chiesi. L’uomo si abbassò il cappuccio: era un uomo dai lineamenti duri, gli occhi di colore giallo, i capelli lunghi che richiamavano il cielo notturno e una grossa cicatrice a forma di x che gli copriva la fronte e il naso.
- E vedo anche che c’è il traditore. – disse, senza tanta sorpresa, rivolgendosi al rosso.
- Isa, sai bene come mi chiamo. – urlò, arrabbiato.
- E tu dovresti sapere che ormai Isa non c’è più. – esclamò, evocando la sua arma, un grosso claymore.
- Akane, devi scappare da qui! Muoviti! – urlò il rosso, correndomi affianco.
 - Non posso, la mia famiglia …
- Vai via! – gridò, esasperato. Aprì un varco oscuro - Non ho altra scelta – disse, e mi spinse nelle tenebre. Riuscii ad udire soltanto l’urlo dell’uomo che doveva chiamarsi Isa, poi il varco si chiuse davanti ai miei occhi.

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Capitolo 3
*** The Guard Armor ***


May your Heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story
 
Chapter Three

The Guard Armor

Aprii gli occhi dopo non so quanto tempo, ma mi resi conto subito che non ero più nel chiostro del palazzo reale. Ero sdraiata sul marciapiede di un vicolo, me ne rendevo conto anche per i dolori al fianco.  Lentamente, mi alzai, cercando di capire dove fossi capitata. Quella strada non somigliava a nessuno dei luoghi di Cardis. Camminai verso la fine di quel vicoletto e vidi un’insegna: Traverse Town (la Città di Mezzo). Come diamine ero arrivata fin lì?
- Aiuto, Heartless! – urlò una donna con un bambino in braccio.
- Non anche qui, vi scongiuro! – dissi tra me e me. Evocai il Keyblade e notai solo allora che non indossavo più il mio abito da sposa, ma una specie di armatura. Era la stessa del mio sogno!
Distratta da quella scoperta, non mi resi conto che un ragazzo biondo era saltato giù da non so dove e aveva eliminato le ombre.
- Da dove sei sbucato? – gli chiesi, visto che non era troppo lontano da me. Il ragazzo si girò verso di me – Da quel tetto – rispose, indicando col mento il tetto di una casa lì vicino. Notando l’altezza di quel punto, strabuzzai gli occhi – E come hai fatto a non sfracellarti?
- Non dirmi che possiedi un Keyblade e non sai fare nemmeno le cose più semplici. – disse, senza nemmeno guardarmi in volto. Indossava una divisa da combattimento nera e in mano brandiva una spada gigantesca coperta di bende. Io arrossii e poi sbuffai – Non è colpa mia se ho scoperto solo adesso di averne uno.
Il ragazzo fissò i suoi occhi nei miei e poi sorrise.
- Mi ricordi una persona che ho conosciuto molto tempo fa. Anche lui era imbranato come te, un Custode del Keyblade davvero inusuale.
- Ehi, vacci piano con le offese! – dissi io, arrabbiata. Lui rise e poi mi scompigliò i capelli con la mano.
- Stai calma, non era un insulto. Dovresti sentirti onorata di essere paragonata a quel ragazzo. Ha salvato tutti noi più di una volta. – sussurrò, con gli occhi persi nel vuoto. A chi si riferiva?
- Ma ora non è il momento dei rimpianti. Mi chiamo Cloud, devo sbrigare una faccenda per un tizio. Ci vediamo in giro! – continuò, salutandomi con un cenno della mano e saltando su un balcone poco più in alto.
- No aspetta! Non lasciarmi da sola! – urlai, sperando che riuscisse a sentirmi. Per fortuna, si girò.
- Non ti farò da baby sitter, sappilo! E non urlare, dai fastidio ai passanti. – disse, saltandomi affianco, facendomi spaventare.
- Non è quello che volevo dire, infatti! Ma sono catapultata qui senza rendermene conto, non so cosa fare! Ero a Cardis e un uomo mi ha spinto in quel varco …
- Aspetta un attimo – Cloud mi zittì con la mano – Stai dicendo che tu non sei originaria della Città di Mezzo? Che vieni da un altro mondo? – chiese a bassa voce. Io annuii.
- Come ti chiami?
- Akane. – risposi. Lui mi squadrò dalla testa ai piedi.
- Se non sapessi che è impossibile, direi quasi che sei sua figlia. – sussurrò, in modo che solo io potessi sentire.
- Seguimi, conosco delle persone che ti possono aiutare. Ma non rallentarmi il passo, chiaro?
- Se la smetti di saltare di tetto in tetto, forse posso riuscirci. – dissi, quando lui si era già allontanato da me. Si era incamminato verso un portone con un’insegna che diceva “Secondo Distretto”.
 
- Dove mi porti adesso? – chiesi, cercando di capire in che zona della Città fossimo. Avevamo superato il Secondo Distretto, ed eravamo entrati nel Terzo. Per tutto il tragitto il silenzio aveva regnato tra noi, ma non ce la facevo più. Avevo appena scoperto che i miei genitori reali mi avevano abbandonata a Cardis, il mio matrimonio era stato interrotto per colpa degli heartless, un uomo dai capelli rossi cercava disperatamente di portarmi dalla sua parte e un altro con i capelli blu mi stava cercando, ero stata catapultata lontana da casa, in un mondo che non conoscevo. Ero triste, delusa, arrabbiata, confusa e soprattutto esausta. Come se non bastasse, mi ero affidata ad un ragazzo che avevo appena incontrato che mi stava portando chissà dove.
- Non posso dirtelo, te l’ho già detto.
- Eh no, adesso basta! Non ce la faccio più a seguirti così alla cieca! – urlai – Avevi detto che mi avresti portato da qualcuno capace di aiutarmi, ma mi sembra che tu stia solo facendo altro!
- Senti, ragazzina. Ho accettato di aiutarti e lo farò, ma devi farmi sbrigare la faccenda per cui sono venuto qui – disse, fermandosi davanti a una porta. Sopra vi era disegnata una fiamma.
- Avevi detto anche che ci avremmo messo pochi minuti.
- Se tu non mi avessi rallentato così tanto, ci sarei riuscito! – disse irritato. Dalla sua mano si sprigionò una fiamma rossa. Evocai il Keyblade, pronta a combatterlo. Lui alzò un sopracciglio. Poi guardò la sua mano e ghignò.
- Pensavi fosse per te questa? – chiese, allargando il palmo. Poi lanciò la fiamma contro la porta, e questa si aprì.
- Non preoccuparti, la prossima volta prenderò meglio la mira. – esclamò, ridendo. Io sbuffai – Non sei simpatico! Anzi, visto che non mi vuoi tra i piedi, vai avanti mentre io ti aspetto qui.
- Non prendertela, ma è meglio se ti tengo d’occhio. Potresti ficcarti nei guai. – disse, oltrepassando la porta. Se si fosse girato, avrebbe notato i lampi di fuoco che cercavo di lanciargli con gli occhi. Entrai anche io, e guardandomi attorno notai che la stanza era tutta in disordine. Come se qualcuno avesse rovistato dappertutto per cercare qualcosa. Cloud si diresse verso una delle tante mensole coperte di libri.
- Si può sapere cosa stai cercando? Se cercherai da solo in tutto questo disordine ci metterai ore!
- Un libro. Ma non preoccuparti, so dov’è. L’importante è trovarlo integro.
Volevo  ucciderlo con le mie stesse mani. Mi dava sui nervi: ogni volta che cercavo di aiutarlo si mostrava sempre distante.
- Eccolo qua! Ora dobbiamo correre a Radiant Garden. – disse, prendendomi per un braccio e trascinandomi fuori dall’antro.
- Mi fai male, lasciami! – dissi, tirando il braccio indietro in modo da allentargli la presa. Lui strinse ancora di più.
- Se non ci muoviamo, la Guardia di Ferro ci troverà, e tu non sei ancora allenata a combattere con Heartless di quel calibro.
- La cosa? – chiesi, ma un tuono mi impedì di udire la risposta. Una scossa di terremoto mosse la terra e quasi persi l’equilibrio.
- La Guardia di Ferro. Esattamente dietro di te. – disse Cloud, guardando in alto. Mi girai e spalancai gli occhi nel vedere un enorme ammasso di ferro che si muoveva.
Cloud si lanciò subito contro l’Heartless, ma la Guardia sembrava non sentire alcun colpo. Improvvisamente gli arti della Guardia si staccarono dal tronco e iniziarono a girare vorticosamente verso di noi.
- Akane, attenta! – urlò Cloud, mentre bloccava con la sua spada un braccio dell’Heartless. Evocai il Keyblade e parai uno dei colpi di una gamba. Un solo arto di quel mostro era mille volte più forte di uno Shadow. Iniziai a colpire la gamba e quella saltava a destra e sinistra confondendomi le idee. Entrambe le braccia si erano accanite contro Cloud, e una era riuscita a ferirgli una guancia. L’altra gamba stava per saltargli addosso e spiaccicarlo.
- Cloud, dietro di te! – urlai, cercando di avvertirlo. Lui si girò ma non ce l’avrebbe mai fatta a parare tutti i colpi degli arti. Così smisi di pensare e agii.
Saltai in groppa alla gamba che mi stava attaccando e lanciai il mio Keyblade a mo’ di boomerang contro il piede che era saltato contro Cloud. L’arto, sentito il colpo, cadde immediatamente a terra e dopo un po’ svanì.
- Distruggi l’altra gamba, o riapparirà! – urlò, mentre colpiva un braccio. Anche quello si dissolse. Io annuii e saltai giù dalla gamba. Il Keyblade mi ritornò in mano appena in tempo per bloccare un calcio. Affondai la lama nel piede e quello si dissolse. Mi girai verso Cloud e vidi che stava bloccando un colpo rotante del busto. Lo raggiunsi e lo colpii alle spalle. Il tronco smise di girare e iniziò a saltare, provocando delle scosse di terremoto. Caddi a terra e il tronco si preparò a schiacciarmi. Cloud corse verso di me, ma non abbastanza veloce. L’Heartless si abbatté su di me, ma non riuscì a colpirmi. La pietra della collana bruciava la mia pelle e il Keyblade divenne incandescente. Il busto della Guardia era rimasto immobile, così ne approfittai per colpirlo. Cloud era rimasto a bocca aperta a fissarmi. Dopo alcuni colpi, la Guardia tremò e cadde a terra, dissolvendosi. Dopo pochi attimi crollai anche io a terra. La testa mi pulsava e avevo le gambe doloranti. Combattere contro la Guardia di Ferro aveva totalmente esaurito le mie energie.
- Akane! – urlò Cloud inginocchiandosi affianco a me. Poi chiusi gli occhi.
 
- Dovevi proprio portarti questa mocciosa? – chiese una voce sconosciuta.
- Ha il Keyblade. Se noi l’aiuteremo, potrà aiutarci con la rivolta. – disse quello che mi sembrava Cloud.
- E’ impossibile. Solo quei tre e il Re potevano usarlo. – sussurrò.
- A quanto pare, l’ha ereditato in qualche modo da loro. Ha detto che non era della Città di Mezzo, che qualcuno l’ha portata lì con un varco oscuro.
- Hai già qualche idea su chi possa essere stato, o sbaglio?
- Non è così semplice. Quelli in grado di fare una cosa del genere sono tutti morti. A meno che non sia stato qualcuno dell’Organizzazione. – rispose. Sentii Cloud avvicinarsi a me e spostarmi una ciocca di capelli dal volto.
- Credi che vogliano evocare Kingdom Hearts? – chiese l’altro uomo. Cloud sospirò.
- Credo di sì. Ogni volta che qualche malvagio vuole acquistare potere, cerca sempre di trovare Kingdom Hearts. E in questo caso, Akane sarebbe la loro arma migliore. – appena sentii il mio nome, aprii gli occhi.
- Oh, ti sei svegliata. Hai dormito per tutto il viaggio. – disse il biondo.
- Dove stiamo andando? – chiesi, guardandomi attorno. Mi trovavo su una specie di navicella.
- Radiant Garden, signorinella. Comunque piacere, io sono Cid. Sei a bordo della mia Gummiship adesso. – rispose l’uomo che avevo sentito prima. Era più vecchio di Cloud, indossava una maglietta e un bermuda e portava una specie di panciera arancione.
- Cos’è, un altro mondo? – chiesi, rivolta a Cloud. Lui mi sorrise.
- Ti avevo detto che c’era qualcuno che poteva aiutarti, stiamo andando da lui.
- Da dove hai detto che provieni, ragazzina? – chiese Cid, mentre pilotava la Gummiship.
- Non mi chiamo ragazzina, ma Akane! E vengo da Cardis. – risposi, irritata. Possibile che tutti quanti mi trattavano come una poppante?
- Mi dispiace per te, ma questo mondo non è segnato sulle carte. Per trovare casa ci vorrà  un bel po’. – disse Cid, pensieroso. Cloud mi guardava con uno sguardo che non sarei riuscita a spiegare: sembrava in pensiero per me.
- Tanto non voglio tornare a casa. Lì non ho più nessuno, credo. – sussurrai, parlando più con me stessa che con gli altri. Cloud mi mise una mano sulla spalla.
- Siete stati attaccati dagli heartless? – chiese. Io annuii. Il biondo sospirò.
- So come ci si sente: alla deriva, soli, senza un posto dove andare. O tornare. – continuò, guardando oltre un oblò della Gummiship. Era con questa navicella che i miei genitori avevano raggiunto Cardis? Una lacrima era riuscita a sfuggire al mio controllo e mi rigava la guancia. Cloud lo notò e mi strinse a lui.
- Non ti lascerò sola, questa è una promessa. Potrai sempre contare su di me e su tutti i miei amici a Radiant Garden. – sussurrò, in modo che solo io potessi sentire. Cloud mi stava consolando? Non ci potevo credere. Mi abbandonai alla sua stretta: era davvero confortante essere abbracciati da qualcuno di cui ti fidi. Ma facevo bene a fidarmi di lui?
- Stiamo per atterrare, preparatevi a scendere! – disse Cid, con una smorfia soddisfatta sul volto.
- Ora ti accompagneremo da Merlino. Sono sicuro che riuscirà ad aiutarti. Poi ti farò conoscere gli altri della compagnia e ti farò fare un giro per Radiant Garden.  – disse, poi si avvicinò al mio orecchio – Perciò leva quel broncio e mostra il tuo sorriso migliore. – finì di dire. Gli sorrisi – E va bene, andiamo.
 
L’atterraggio non era stato traumatico e, visto che avevo ritrovato tutte le energie, mi trovavo a tartassare Cloud e Cid di domande sui loro amici. Cid cercava di zittirmi ogni volta mentre Cloud ridacchiava alle nostre spalle. Non capivo come mai si fosse improvvisamente intenerito nei miei confronti.
Ad un tratto Cid mi bloccò improvvisamente e per poco Cloud non mi sbatteva contro. Si sentivano delle urla e il suono del clangore delle armi.
- Torniamo indietro, ci sono gli scagnozzi di Blackwell. Stanno combattendo con gli altri. – sussurrò Cid. Cloud sbiancò.
- Come hanno scoperto il covo?
- Beh, con tutto il via vai di ribelli, non è difficile … - ripose Cid pensieroso.
- Chi sono quelli? – chiesi. Non ci capivo più nulla!
- Torna indietro sulla Gummiship, non è aria per noi questa. – disse Cid spingendomi lontano. Cloud lo bloccò.
- Non possiamo lasciarli soli a combattere!
- Senti ragazzino, loro sono più di noi e sanno cavarsela da soli. Solo perché Aerith … - aveva iniziato a dire, ma il biondo lo aveva già superato ed era entrato nella mischia, sorprendendo due guardie alle loro spalle. Un’altra cercò di coglierlo di sorpresa, ma un ragazzo dai capelli scuri era riuscito a coprirlo e a parare il colpo.
- Beh, a questo punto … - sospirò Cid, e si diresse verso il gruppo che combatteva. Non me lo feci dire due volte che avevo già evocato il Keyblade e stavo già combattendo contro un uomo. Gli amici di Cloud e Cid avevano tutti i segni tipici della stanchezza: dovevano aver combattuto a lungo.
- Oh, finalmente vi ho trovati. Pensavo di dover attendere ancora un’eternità, e invece eravate proprio sotto il mio naso. – disse una voce. Mi girai e vidi il proprietario di quella voce.
Era un uomo, non poteva avere più di trent’anni. Era alto, i capelli erano biondi ossigenati, praticamente bianchi, lunghi fino al mento e tenuti legati da una coda. Indossava dei pantaloni di pelle nera, una giacca corta che lasciava intravedere delle armi nelle sue tasche, sotto si vedeva una maglietta bianca e un foulard rosso gli copriva il collo. Gli occhi erano dorati. Lo scontro si era paralizzato al suo arrivo, e le guardie si erano avvicinate a quell’uomo in modo da difenderlo in caso di attacco. Si fermò soltanto quando fu a due passi da me.
- E non solo ho trovato voi scocciatori, ma anche la ragazza. Gli altri Membri saranno contenti. – continuò, mostrando un ghigno orrendo. Mi sentii tirare per una spalla e d’un tratto vidi Cloud pararsi davanti a me.
- Non è in vendita, e non te la lasceremo portare via, Blackwell. – rispose, duro in viso. Non ci capivo più niente. Perché quell’uomo aveva aggredito i compagni di Cloud? Perché mi stava cercando? Chi erano i Membri?
- Povero stupido. Dovresti ben sapere che fine fa chi mi si oppone.
- Non ho paura dei vostri soldati. – sentenziò il biondo. Blackwell lo fissò per qualche secondo e poi scoppiò a ridere. Afferrò il ragazzo per la gola e lo sollevò in aria.
- Infatti è di me che dovresti avere paura. – esclamò. La mano di Blackwell emanò un’ aura nera e Cloud, che aveva provato a divincolarsi,  si bloccò improvvisamente. Soddisfatto del risultato, l’uomo lo lasciò cadere a terra a peso morto.
- Prego signori, continuate le danze. – disse, e a quell’ordine i soldati si accanirono su di noi. Il Keyblade si riscaldò improvvisamente, come se volesse avvisarmi di qualche pericolo. Un soldato mi afferrò per i capelli, ma improvvisamente mollò la presa e lo vidi cadere a terra. Rialzai lo sguardo e Blackwell teneva il braccio teso verso il cadavere. La sua mano era ancora avvolta da quello stesso alone oscuro che aveva strozzato Cloud.
-  Ogni tanto devo ricordargli di non toccare le nostre cose. – disse, rivolgendosi a me.
- Io non sono di nessuno! – urlai, tenendo ben stretto il Keyblade. Sul volto dell’uomo riapparve lo stesso ghigno maligno di prima.
- Ma allora la nostra eroina possiede il dono della parola! Ora, da brava, vieni con me. Se obbedirai, non ti farò nulla di male. – esclamò, guardandomi negli occhi. Il suo sguardo mi provocava dei brividi di disgusto: mi guardava come se davvero fossi di sua proprietà.
- Perché diamine dovrei seguirti? Me lo hanno chiesto persone meno inquietanti di te, e ho rifiutato, perché con te dovrebbe essere diverso? – chiesi, quasi in lacrime. Cloud giaceva ancora affianco a me, inerte. Blackwell indicò il suo corpo con il mento.
- Perché se accetterai potrò risparmiare quella fine a te e a tutti  i tuoi amici.  – rispose, avvicinandosi ancora di più.  Dopo aver visto come aveva messo al tappeto Cloud, il terrore per quell’uomo era nato subito in me. Ma perché tutti mi cercavano? Prima il rosso, poi quell’uomo a Cardis, ora Blackwell, tutti volevano qualcosa da me. Ma cosa?
- Abbassati!  - urlò qualcuno. Senza pormi altre domande, ubbidii e potei soltanto notare Blackwell cadere in avanti. Mi rialzai velocemente. Un ragazzo impugnava un Keyblade verde e lo teneva puntato sull’uomo, che stava sanguinando. Non capivo come fosse riuscito ad arrivare lì, visto che non l’avevo visto. Aveva volato?
- Salta su quel tetto, lì non potrà raggiungerti!  - urlò, indicandomi un tetto davanti a noi.
- Ma è impossibile! È troppo in alto! 
- Non dirmelo: possiedi già un Keyblade ma non sai nemmeno usare Gransalto. -  disse. Lo guardavo confusa. Blackwell si rialzò, guardando il ragazzo con occhi di fuoco.
- Non riuscirai a portarmela via! – urlò, evocando subito l’aura nera di prima.
- Mi dispiace, ma dovremmo arrangiarci! – disse. Mi afferrò per un fianco e saltò in aria. Saremmo dovuti cadere come frutti maturi, e invece ci libravamo ancora in aria. O meglio, il ragazzo che mi stava tenendo riusciva a librarsi, non io. Volando, ci dirigemmo verso i tetti più alti della città ma Blackwell, infuriato, iniziò a lanciarci sfere di oscurità. Il ragazzo riuscì a schivarle con poche mosse e presto sparimmo dalla vista di Blackwell.
Ero salva, ma mi sentivo nuovamente sola e confusa. L’unica persona di cui mi fidavo era morta per proteggermi, e ora mi trovavo a fianco a un custode del Keyblade, uno come me.
Ma nonostante avesse la mia stessa capacità, non mi sentivo per niente al sicuro.

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Capitolo 4
*** Who are you ***


May your Heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story

Chapter Four

Who are you

Il sole aveva inondato di luce tutta la stanza.
Dopo lo scontro con Blackwell ci eravamo rifugiati nel mio appartamento. La ragazza era sconvolta, a stento riusciva a formulare frasi connesse e di senso compiuto. Dopo averla tranquillizzata un po’ e dopo averla aiutata a togliere l’armatura e averle prestato una maglietta ero riuscito a farla addormentare. Mi aveva detto soltanto di provenire da un mondo che non conoscevo, e di essere finita a Radiant Garden grazie a Cloud. Era fuggita perché era stata attaccata dagli Heartless  e poi era finita nella Città di Mezzo. Prima che partissi da Fyllon era successa una cosa del genere. Prima che mio fratello scomparisse.
 
Eravamo andati a caccia, come ogni mattina. Lui era più grande di me di due anni, e ogni volta cercava di risparmiarmi la battuta di caccia. Quella volta in particolare era quasi riuscito a lasciarmi a casa. Era come se avesse previsto cosa sarebbe successo.
Entrati nella foresta, ci addentrammo nella parte più boscosa, dove di solito si catturano più animali, e li vidi per la prima volta.
Heartless. Esseri nati dall’oscurità delle persone, assalgono gli umani alla disperata ricerca di trovare un cuore di cui cibarsi. Non ne avevo mai visto uno, non sapevo come affrontarli. Mi misero al tappeto quasi subito, e al mio risveglio mio fratello non c’era più. E da quel momento la mia vita cambiò.
Io e mio fratello eravamo una cosa sola, combattevamo e cacciavamo sempre uno affianco all’altro. I miei erano distrutti dal dolore, e io stavo peggio di loro.
 
Guardando la finestra riuscivo a vedere il mio riflesso nel vetro. I capelli biondo miele scompigliati, i ciuffi verdi spettinati all’insù, le occhiaie sotto gli occhi marrone chiaro. Indossavo ancora la mia armatura marrone e verde. Di certo mi sarei addormentato, se Akane non avesse urlato di nuovo nel sonno.
- Attento! No, no, no!
D’istinto mi girai verso di lei e mi avvicinai. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma da lì a poco si sarebbe svegliata. Un altro incubo. Quella notte ne aveva avuti tanti, e ogni volta urlava di dolore. Non ero riuscito a dormire per le sue urla improvvise. Ma avevo voglia di farle da guardiano, in un certo senso. Quella ragazza ne aveva passate di tutti i colori in sole ventiquattro ore. Ricordava me all’inizio del mio viaggio: solo, confuso, indifeso, in balia del caso. La sua fronte era madida di sudore, così andai nell’altra stanza per prendere un panno asciutto. Ma quando tornai in camera mia lei era già seduta.
- Che ci faccio qui? – mi chiese. In realtà, credo che si stesse rivolgendo più a se stessa che a me, poiché non mi guardava direttamente negli occhi.
- Avevi bisogno di riposare, per questo ti ho portata qui. – risposi, sedendomi sulla sedia affianco alla finestra, dove avevo trascorso la notte.
- Allora era tutto vero. – sussurrò. I suoi occhi verdi erano spenti, come la sera precedente. Quegli stessi occhi che il giorno prima, alla luce del crepuscolo, mentre volavamo sui tetti della città, brillavano come pietre preziose. Aveva voglia di piangere e di sfogarsi, si vedeva, ma corrugò la fronte tentando di nascondere la sua tristezza e ricacciò indietro le lacrime. Cercò di sdrammatizzare in qualche modo.
- Come hai fatto?
- A fare cosa? 
- A volare! Le persone normali non volano! – esclamò la ragazza.
- Oh invece volano eccome, solo che tu non lo sai. – dissi, ridendo. A Fyllon non c’era una persona che facesse più di due passi a piedi. Durante le feste venivano addirittura organizzati dei balli in aria, tutti adeguatamente coreografati.
- Allora perché non ho mai visto un uomo volare? – chiese. Voleva fare la saputella per non pensare a tutti i problemi che la circondavano.
- Perché evidentemente nel tuo mondo le persone non lo sanno fare. Ma con un po’ di pratica lo possono fare tutti. – risposi, sollevando le spalle.
- E cosa mi dici di Gransalto, anche quella è un abilità tipica degli abitanti del tuo mondo? – chiese. Si era ricordata che l’avevo presa in giro il giorno prima..
- No, quella è una cosa che ho scoperto di poter fare dopo aver saputo di poter maneggiare il Keyblade. – dissi. Ripensai a quando incontrai gli Heartless la prima volta. Se solo avessi saputo delle mie capacità prima avrei potuto salvare mio fratello.
- Anche Cloud sapeva cos’era. E sapeva anche utilizzarla, credo. – disse, giocando con la pietra che portava al collo. Istintivamente sgranai gli occhi.
- Cos’è quello? – chiesi, indicando il ciondolo col mento. Lei alzò un sopracciglio.
- Perché ti interessa? – obbiettò, coprendo la pietra con la mano.
-  Non preoccuparti, non te la rubo mica. Ma è stranamente simile alla mia, per questo volevo vederla da vicino. – dissi, andando verso il mio comodino. Era lì che la nascondevo. Trovai la familiare scatolina di legno chiaro e al suo interno la pietra verde.
- Me l’ha regalata mio padre al mio sedicesimo compleanno. Gliel’ha data un uomo che mi ha accudito da bambino, quasi un padrino, e dice che abbia la capacità di proteggermi. – dissi, tenendola nel palmo. Le venature verde scuro si attorcigliavano formando quasi dei nodi.
- Ma io preferisco tenerla al sicuro. È l’unica cosa che mi lega alla mia famiglia ormai.
- La mia apparteneva alla mia mamma. Se non fosse per il colore, direi che provengono dallo stesso posto. Persino le venature si assomigliano. – disse indicandole. Era vero.
- Strano. Puoi darmi la tua un secondo? – chiesi. Lei annuì, slegando la pietra dal collo. Mi sembrò che provasse quasi un dolore fisico nel distaccarsene. Accostai la mia pietra alla sua per vederne meglio i disegni. Le girai un po’ e notai che i segni sulle pietre sembravano voler formare un disegno principale, se accostati bene.
- Li vedi anche tu quei nodi divisi? Penso che segnino il punto in cui si devono accostare le pietre. – dissi, indicando le venature.
- Credo che manchi un pezzo. Vedi qua? – fece notare lei.
- Beh, a quanto pare c’è qualche altra pietra simile a questa. E qualcuno che la possiede. – sussurrai, rivolto più a me stesso. Perché mio padre mi aveva consegnato quella pietra? Perché anche quella ragazza ne aveva una simile? Trovando le pietre mancanti che disegno avremmo trovato? Cosa legava queste pietre?
- Scusami per la domanda brusca, ma chi sei? – chiese lei. La guardai di sottecchi.
- In che senso?
- Beh, possediamo due pietre praticamente identiche, se non per il colore, che ci sono state consegnate in circostanze molto simili tra loro. Bene, allora cos’abbiamo in comune per avere queste pietre? – chiese, prendendo la sua pietra rosso-arancio tra le mani.
- Non saprei, forse è perché riusciamo a maneggiare dei Keyblade entrambi. O forse perché i veri proprietari di queste pietre avevano qualcosa di strano in mente. Sinceramente non so cosa pensare. – sospirai. Guardai Akane. Ecco, aveva di nuovo il viso tipico di un cagnolino bastonato, come ieri sera.
-Comunque sono Shou, piacere.
Le porsi la mano, e lei alzò di nuovo lo sguardo su di me. Forse quella era la prima volta che mi ha guardato sul serio. Visto che non rispondeva, continuai a parlare.
- Mi hai chiesto chi sono, no? Ho diciassette anni, tra due mesi diciotto in realtà, e vengo da Fyllon, un mondo dove le persone non camminano quasi mai. – finii di dire, ridendo. Lei fece un sorriso timido.
- Io sono Akane, ho diciassette anni e vengo da Cardis, un mondo in cui nessuna persona sa volare. – rispose, stringendo la mia mano. La sua pelle era morbidissima.
- Da quando hai scoperto di avere un Keyblade? – mi chiese, interrompendo i miei pensieri.
- Da meno di un mese. Ho fatto uno strano sogno e quando mi sono svegliato ho scoperto che ciò che era accaduto era vero. E quando mio padre l’ha saputo mi ha dato questa. – risposi, stringendo la pietra con le dita.
- Io l’ho saputo solo ieri, e probabilmente ho ereditato questa capacità dai miei genitori, che con tutte le probabilità a quest’ora sono morti da un pezzo. – sospirò. Io rivolsi lo nuovamente lo sguardo alla finestra.
- Ora che Leon, Aerith, Cid e gli altri sono in prigione, Blackwell riuscirà a neutralizzare i ribelli in un niente.
- I ribelli? – chiese Akane, confusa. Ovviamente, lei non ne sapeva nulla di ciò che stava succedendo in quel mondo.
- Da quando Ansem il Saggio, colui che regnava su queste terre, è scomparso, Radiant Garden è nel caos più totale. Il trono spetterebbe di diritto a suo figlio, Melville, ma Blackwell lo tiene imprigionato nella Fortezza Oscura e tiranneggia su tutti gli abitanti. Prima era innocuo, era tutto chiacchiere e niente di concreto. Non usciva nemmeno dal castello, sembrava che non esistesse. Un giorno si mostrò in piazza e fece vedere a tutti i suoi poteri oscuri. I ribelli cercano di neutralizzarlo e liberare Melville dalla prigione. Il gruppo di persone catturate ieri, di cui tu già conosci Cloud e Cid, erano la mente centrale degli attacchi ribelli.
- Ma tu non sei originario di qui. Che cosa ti importa di quello che succede in questo mondo? – chiese. Era sveglia la ragazza. Continuai a guardare il vetro, cercando di rimanere impassibile.
- Non mi piacciono le ingiustizie. E poi sto cercando una persona qui a Radiant Garden, e ho il presentimento che sia nelle segrete.
Ritornai alla mente a tutto ciò che era successo dalla mia partenza. Ero arrivato alla Città di Mezzo con la Gummiship che aveva costruito mio padre, e in quel mondo avevo incontrato Leon e Aerith. Dopo averli aiutati nella loro missione, mi hanno accompagnato nell’antro di Merlino, che mi ha insegnato le magie Fire, Blizzard e Energia. Mentre tornavamo alla Gummiship avevamo incrociato un uomo incappucciato. “Quello che stai cercando è vivo, ma ancora per poco” aveva detto. Sapevo che si riferiva a mio fratello. Insieme siamo atterrati a Radiant Garden e ho incontrato Blackwell durante la ricognizione nel giardino del castello. Più che altro, l’avevo spiato sotto richiesta specifica di Leon. Mi aveva chiesto di indagare su una certa Organizzazione, ma non riuscii a scoprirne nulla. Giorno dopo giorno avevo continuato a spiarlo nel giardino, l’unico punto facilmente accessibile dall’esterno, e grazie ad un ribelle avevamo ottenuto la mappa del castello.
Ieri, all’insaputa del gruppo, ero entrato nel castello. Avevo quasi la certezza che mio fratello si trovasse lì. Ero arrivato nei sotterranei quando sentii una voce. Erano a un passo da me.
- Mio signore, la custode è appena atterrata in città.
- Finalmente. Sono sicuro che seguendola troveremo anche i ribelli.
- La porterete subito al cospetto dei Membri?
- No. Prima voglio conoscere da solo le sue qualità.
Non credo che sarei mai riuscito a dimenticare quel ghigno sadico che gli ricopriva la faccia. E a quel punto sono corso via dal castello e ho raggiunto il covo.
- Allora che stiamo aspettando? Dobbiamo intrufolarci nella prigione! – esclamò la ragazza, alzandosi dal letto.
- Cosa? – quasi gridai.
- Io devo andare a liberare gli amici di Cloud. Dopo che mi ha salvato la vita, glielo devo. Tu hai detto che devi entrare nelle prigioni per cercare una persona. Uniamo le forze e andiamo al castello!
- Dimentichi che tu sei ancora una novellina e che Blackwell ti sta cercando. E penso che stia cercando anche me, visto che gli ho rovinato i piani. Andare nella sua tana sarebbe un suicido!
- Ascoltami – iniziò a dire, guardandomi dritto negli occhi – in poche ore avevo già due tizi alle mie calcagna, non sarà di certo un terzo a preoccuparmi. E se non vuoi venire con me, a quanto pare questa persona non è così importante come sembra.
- Non ti permetto di dire queste cose su mio fratello. – sbottai, scattando in piedi. Akane sorrise e io, resomi conto di ciò che avevo detto, mi maledissi da solo.
- Allora ecco chi era. E io che già pensavo ad una fidanzata! – esclamò, dandomi le spalle per levarsi la maglietta e indossare la sua armatura rossa. Peccato che non aveva notato i riflessi nel vetro che io invece avevo studiato tutta la notte. Naturalmente, abbassai lo sguardo per correttezza e arrossii.
- E con tutto quello che mi è successo chi mai avrebbe pensato ad una fidanzata? – chiesi, in maniera retorica.
- Pensa che ieri mi sarei dovuta sposare. A quest’ora potevo essere in un castello grande quanto questa città, in compagnia di un principe che mi ama. Potevo vivere una vita normale.
- E poi che è successo? – mi azzardai a domandare. Non sapevo ancora come avrebbe reagito, ma sentivo che quella ragazza non sarebbe diventata solo una conoscente per me. Tutti e due eravamo rimasti soli e avevamo un’arma di cui non conoscevamo il reale utilizzo. Se mai avesse deciso di continuare il suo viaggio nei mondi in mia compagnia, avrei dovuto imparare di più su di lei.
- Qualcuno ha deciso per me come dovessero andare le cose. E mi ha spinto in un portale che mi ha condotto da Cloud, alla Città di Mezzo. – rispose, girandosi di nuovo verso di me. Ne approfittai per osservarla più da vicino. Era alta quasi quanto me, e non era cosa da poco visto il mio metro e ottanta di altezza, i capelli erano rosso vivo rasati da un lato e ondulati dall’altro, gli occhi verdi erano magnetici per il loro colore quasi innaturale. Ne aveva passate troppe in sole ventiquattro ore e la stanchezza risaltava sul viso che in quel momento era più pallido rispetto al resto del corpo.
- Forse non ti ha mandato lì a caso. Forse sapeva che avresti trovato Cloud che si sarebbe preso cura di te. Nonostante faccia il duro, Cloud è il primo ad affezionarsi alle persone. – ipotizzai, ripensando al mio primo incontro con lui. Non mi aveva rivolto una parola, ma quando venne in missione con me non esitò un attimo a coprirmi le spalle in caso di necessità. Le altre volte mi mandarono da solo nel castello, lui urlava e sbraitava pur di trovare qualcuno che mi tenesse d’occhio. In mia presenza non diceva mai una parola, ma leggevo la preoccupazione nei suoi occhi. Ed era la stessa che avevo intravisto poco prima che Blackwell lo uccidesse.
- Allora se non vuoi rischiare la vita perché non sei sicuro di trovare tuo fratello, fallo per Cloud. Dobbiamo vendicarlo. Sei con me? – chiese, tendendo la mano verso di me.
- Blackwell ci farà arrosto col suo fuoco oscuro, lo sai? – dissi ridendo.
- Saremo anche dei pivelli, ma noi siamo due custodi armati di Keyblade contro uno. E non abbiamo voglia di arrenderci facilmente, giusto? – sorrise, incoraggiandomi. Le strinsi la mano, come avrei fatto con mio padre o con mio fratello prima di andare a combattere nella foresta.
- Giusto.
 
Era la prima volta che portavo la pietra di mio padre con me. Non lo avevo detto ad Akane, ma mi faceva sentire più sereno. Appena usciti dall’appartamento avevamo intravisto numerosi sgherri di Blackwell, perciò feci indossare ad Akane un mantello per non farla notare. Ci eravamo “divisi”: lei avrebbe proceduto a piedi, mentre io l’avrei seguita dall’alto, con la promessa di scendere immediatamente a terra in caso di bisogno. Le avevo dato tutte le indicazioni per arrivare al castello e in quel momento ci stavamo dirigendo verso la parte posteriore del castello. Se avessimo provato ad entrare dal cancello principale, ci avrebbero bloccato immediatamente ancor prima di fare un passo. Ogni tanto cercavo di volare più basso per controllare meglio chi le passava accanto, sperando di incontrare qualcuno che aveva fatto delle missioni con me in precedenza. Stranamente la città era quasi deserta. Quando Akane arrivò ad un vicolo si fermò, come le avevo detto. Scesi affianco a lei, che sussultò.
- Mi hai fatto spaventare. – sussurrò a bassa voce, irritata. Da quando avevamo iniziato a prepararci per la missione, Akane mi era sembrata più energica. Forse era per l’adrenalina.
- Abituati. Nel castello potrebbe saltarti alle spalle chiunque. – dissi, sistemandomi il cappuccio sulla testa.
- Beh, adesso dove si va? – chiese Akane, guardando dritto di fronte a sé. Le feci silenziosamente segno di seguirmi, e camminò dietro di me, fino a quando non arrivai a uno strapiombo. La ragazza non riuscì a frenare un gemito di orrore. Davanti a noi si stagliava una vallata abitata da una miriade di Heartless. Al centro vi era un castello diroccato, circondato da un alone di nebbia violacea.
- Ecco il castello, Akane.
 
Stava camminando nei corridoi. Un ghigno gli dominava il volto
- Signore. – lo chiamò un soldato - I prigionieri stanno di nuovo chiedendo di voi. - annunciò a Blackwell
- Facessero quello che vogliono. Che nessuno mi venga a disturbare, sono stato chiaro? – urlò, accostandosi a un portone nero come la pece. Le maniglie avevano la forma di una mezza Luna. Il soldato annuì e si dileguò velocemente fuori da quel corridoio. Blackwell aprì il portone ed entrò nella stanza scura. Vi erano dei troni disposti in cerchio. Lui si sedette su quello più vicino alla porta. Ormai era diventata un abitudine. Appoggiò il gomito ad un bracciolo, e annoiato chiese a bassa voce – Quando vi deciderete ad apparire?
Qualche secondo dopo, apparvero seduti sui troni delle figure scure.
- Numero Nove, ti avevamo chiesto di portare la prescelta. Non hai adempito al tuo dovere. 
- Che ci vuole a prendere una ragazzetta, Nove?
- Stai zitto, Sette. Non sono affari che ti riguardano. – sibilò irritato, girandosi alla sua destra.
- Certo che sì, invece. Nove, sai benissimo a cosa stai andando incontro.
- Tre, avrò anche fallito nel compito appena assegnato, ma ho trovato l’altro ragazzo. – guardava dritto davanti a sé, e aveva dinnanzi la scena del suo trionfo: Radiant Garden bruciata, gli Heartless che facevano razzia di cuori, i cadaveri dei prescelti ai suoi piedi. Già immaginava le torture che avrebbero subìto, e inconsciamente sorrise.
- Non cercare di imbrogliarci, Nove. Sai che fine fanno i traditori.
- Lo so benissimo, Quattro. Ma dovresti sapere che io dico sempre la verità.
- Se tu sei onesto, io sono un poppante in fasce.
- Infatti lo sei, Dodici.  – esclamò un uomo, dall’altra parte della stanza. Quattro emise un verso di disappunto.
- Ora resta solo capire chi sia questo prescelto. E chi il suo “mentore”.
- I due ragazzi saranno qui a momenti, li catturerò e li porterò al vostro cospetto.
- Se gli capiterà qualsiasi cosa, verrai terminato. Te ne ricorderai, quando giungerà il momento?
- Certamente, non gli sarà tolto nemmeno un capello. – sentenziò. “Ma qualcos’altro sì”.
- Intesi. Torneremo in questa stanza a mezzanotte esatta. E questa volta non esiteremo a farci vedere dai tuoi sudditi, se non sarai presente all’appuntamento. O se loro non ci saranno.
- Non ce ne sarà bisogno, lo assicuro. – disse, e con ciò gli uomini sparirono in aloni oscuri.
Blackwell appoggiò una gamba sul bracciolo del trono e improvvisamente scoppiò a ridere. Iniziò ad agitare la mano in movimenti circolari. Quasi a disegnare qualcosa nell’aria. Davanti a lui si materializzò un essere che emise un urlo.
- Mia dolce creatura, portami quei due bambocci integri. Non sarò clemente come la volta scorsa se fallirai. – sentenziò, e con un movimento della mano, cacciò via la creatura che gemeva sommessamente.

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Capitolo 5
*** The Dark Thorn ***


May your Heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story

Chapter Five

The Dark Thorn

- Stai più attenta, ti sentiranno! – mi sussurrò Shou. Eravamo entrati nel castello, non so grazie a quale miracolo. Eravamo in un labirinto di corridoi, per fortuna Shou aveva una mappa.
- Abbassa la voce! Che bell’esempio che mi stai dando. – replicai.
- Ora dobbiamo girare a destra. Qualche altro bivio e poi saremo vicini alla stanza dove dovrebbe essere rinchiuso Melville. Ci saranno molte guardie, perciò stiamo in allerta.
Senza farci vedere, arrivammo davanti alla stanza del principe.
- Aspetta, sta entrando adesso. Se mettiamo ko le guardie potremmo liberarlo, e tutti i problemi di questa città sarebbero finiti.
- Akane, non siamo venuti qui per questo. – affermò Shou, mentre analizzava la pianta della fortezza.
- Non eri tu quello che “odiava le ingiustizie”? Io vado, tu fai quello che vuoi.
- Non avevi intenzione di vendicare Cloud? – chiese, senza distogliere lo sguardo dalla cartina.
- Certo, e liberare Melville sarebbe il miglior modo per farlo! Ci sbarazziamo delle guardie, liberiamo gli altri ribelli e poi ce ne andiamo. – affermai, osservando il corridoio. Non c’era nessuno fuori alla porta. Bastava far fuori quelle due guardie che erano entrate insieme al principe. Non avrebbero avuto il tempo di dare l’allarme.
- E credi davvero di riuscire a fare tutte queste cose senza che Blackwell non se ne accorga?
- Certo.
- Si vede che sei ancora una pivellina, sei troppo impulsiva. Prima liberiamo i prigionieri, poi io li porto fuori e tu fai quello che vuoi.
- Melville conosce questo castello meglio di noi, potrebbe aiutarci! – esclamai, avvicinandomi alla porta della stanza.
-Che fai?! Vieni subito qui!
- Tu vai dai prigionieri, ti troverò non appena avrò finito qui! – dissi. Aprii la porta ed entrai.
Le guardie erano girate di spalle, e anche il principe. Socchiusi piano piano la porta e evocai il Keyblade. Diedi un colpo alla testa di un soldato, e subito l'altro estrasse la spada e la puntò contro di me.
- Ferma dove sei.
- Sì, ti piacerebbe. – dissi e abbassandomi, gli assestai un calcio sugli stinchi. Cadde a terra e per sicurezza, gli diedi un altro colpo che lo mise completamente al tappeto.
Melville era rimasto immobile, paralizzato. Aveva i capelli biondo platino tagliati corti, gli occhi erano di un marrone chiaro, quasi arancione.
-  Sei una dei ribelli?
- Diciamo di sì, mi sono aggiunta da poco. Vostra altezza abbiamo bisogno del vostro aiuto. – sussurrai, come per paura di essere sentita.
- Credi che io non abbia mai provato ad uscire? Blackwell ha evocato una Spina Nera, se si accorge che siete qui vi ucciderà. – rispose Melville. Poteva avere poco più dei miei anni, ma il tono di voce era autoritario.
- Una cosa?
- Ti faccio vedere. – disse, andando verso la sua scrivania. Prese il libro che vi era appoggiato sopra e lo girò verso di me. L’immagine che vidi era raccapricciante.
- E’ un Heartless abbastanza potente, è la trasformazione del Cacciatore Oscuro. Blackwell lo ha evocato per gli altri Membri, da ieri si è trasformato in Spina Oscura. Ciò significa solo una cosa.
- Cioè? – chiesi. Non ci capivo molto, riguardo gli Heartless. Ne avevo visti solo sui libri della biblioteca reale, durante il mese in cui sono stata a corte.
- Ha trovato la preda che stava cercando. Blackwell aveva parlato di una custode, non molto tempo fa. Magari ne hanno paura.
- Aspetta un momento. – sgranai gli occhi, la custode di cui parlava ero io!
- Mi stai dicendo che Blackwell mi sta cercando e vuole consegnarmi a delle persone? – Il voi che avrei dovuto dare al principe era andato a farsi benedire e la domanda uscì dalla mia bocca con un tono troppo alto, infatti Melville mi ordinò di fare silenzio.
- Se tu sei davvero la persona che stanno cercando, sei in guai più grossi di quel che pensavo. Devi scappare via da qui, posso aiutarti con la mia magia.
- Non me ne vado, non senza di te. Lo devo a una persona. Se vuoi venire con le buone andremo d’accordo, sennò mi troverò costretta a usare la forza. – dissi, impugnando meglio il Keyblade. Melville fissò l’arma.
- Sai cos’è quell’arma, vero?
- Certo che lo so! Ho capito che sono impegnata in una missione dove rischio la vita, ma non sono così cretina da non sapere con che cosa combatto! – urlai, irritata. Mi stava rendendo le cose difficili, e stavo perdendo tempo prezioso che avrei potuto spendere per aiutare Shou.
- Uscirò da questa stanza. – disse, con la testa abbassata, poi evocò un fuoco bianco dal palmo della mano e fece per lanciarmelo contro - Promettimi che mi aiuterai. Promettimi che libererai il mio popolo dagli Heartless. Tu sei l’unica che può farlo. – sembrava supplicarmi, lui, il principe di quel mondo. Radiant Garden doveva star messa proprio male per chiedere il mio aiuto.
- Maestà, non sono molto allenata, ma giuro che farò tutto ciò che è in mio potere per salvarli. – dissi, solenne, premendo la presa sul Keyblade. Lui sospirò, di sollievo credo, e la palla infuocata svanì.
- Ora seguimi, ti porterò alle segrete. Da lì conosco una scorciatoia sotterranea che ci porterà direttamente in città senza dover affrontare tutti gli Heartless all’esterno. – disse, riacquistando il tono rigido e sicuro di prima.
 
- Shou, che diamine ci fai qui? – mi disse Leon appena mi vide. Io risi, aprendo la cella col Keyblade.
- Ti sto salvando la vita, non lo vedi?
- Shou devi andartene. Dopo quello che è successo ieri Blackwell non fa altro che parlare di prescelti, è tutta una trappola! – urlò Aerith, mentre gli altri si alzavano per venirmi incontro
- Spiegati meglio, Aerith.
- Tramite Melville sono riuscita a scoprire delle cose, c’è un’Organizzazione molto di più grande di noi che ha bisogno dei custodi dei Keyblade. Blackwell ne fa parte e se scopre che siete qui …
- Aerith, Shou, ne parliamo dopo, dobbiamo trovare una via per fuggire. – sussurrò Cid.
- La mappa segna una strada sotterranea per uscire, è nella quinta cella a destra. Voi andate, io devo tornare indietro.
- Cosa? Sei ammattito del tutto? – ringhia Leon, guardandomi negli occhi. Io abbassai subito lo sguardo – Devo fare una cosa prima.
- Non mi interessa, tu vieni con noi. E’ troppo pericoloso! – gridò, prendendomi il gomito per spingermi avanti
- Akane è andata a liberare Melville, non possiamo lasciarla sola! – urlai, strattonandolo per liberarmi dalla presa. Leon arretrò e io riuscii ad allontanarmi correndo. Non vidi la reazione di Leon, ma sentii una voce nella testa che diceva – E il tuo povero fratellone? Lo credi davvero morto?
Scossi la testa, cercando di levarmi quel pensiero dalla mente e corsi a perdifiato verso la stanza del principe. Ad un certo punto un ululato. Qualsiasi cosa fosse, non era nulla di piacevole. Il mio cuore batteva all’impazzata, il rumore rimbombava nelle orecchie. Dovevo trovarla, prima che quella cosa trovasse lei. Evocai il Keyblade, per prepararmi mentalmente alla battaglia. Non appena girai l’angolo la vidi: era una Spina Oscura che correva verso di me.
 
- Quanto è grande questo castello di preciso? – chiesi a Melville. Era da mezz’ora che camminavano nei corridoi.
- Ho scelto una strada più lunga, avrei dovuto dirtelo. Qui però non passano mai le guardie, dovremmo essere al sicuro. Certo, se la Spina Oscura ci trova …
Non finì nemmeno di dirlo che un ululato riempì l’aria della stanza.
- Merda, è più vicina di quanto sperassi. Dobbiamo correre. – urlò Melville, prendendomi per un braccio e tirandomi dietro di lui. Non riuscivo a stargli dietro, lo sentivo nelle ossa delle mie gambe che sembravano volersi sgretolare dall’interno. Un altro ululato dietro di noi e poi un urlo, questa volta umano. Di un ragazzo.
- E’ Shou! Devo aiutarlo!
- Tu non vai da nessuna parte, quella cosa ci ha già fiutato!
- Allora gli darò quello che vuole, andate avanti senza di me! – dissi, staccando il polso dalla sua mano e girandomi all’indietro. Corsi fino a quando non vidi la Spina Oscura. Se nel disegno mi aveva fatto rabbrividire, dal vivo faceva quasi venire il vomito. Aveva un ghigno sadico stampato sul volto e non appena si accorse di me si allargò ancora di più, se possibile.
- Akane vattene! – urlò Shou, in groppa alla Spina Oscura. Io sgranai gli occhi quando l’Heartless balzò in avanti per prendermi. Saltai di lato per evitare l’onda d’urto e atterrai alle spalle della bestia. Shou cercava di colpirlo alla testa, dove era più vulnerabile, ma l’Heartless lo afferrò e lo lanciò contro il muro. Shou roteò su se stesso per rimbalzare sulla parete e darsi la spinta per volare contro di essa. Io iniziai a colpirle le zampe, ma i miei colpi sembravano carezze in confronto a quelli di Shou. Ero arrivata lì per salvare Shou, ma sembrava cavarsela benissimo anche da solo. Una rabbia feroce salì dentro di me. Il Keyblade iniziò a riscaldarsi, fino ad incendiarsi del tutto. Saltai contro il muso dell’Heartless, e iniziai a colpirlo fino allo sfinimento. La Spina Oscura ululava e di dimenava, attaccava e si difendeva. Shou ne approfittò per colpirla alle spalle, sembrava che fossimo in vantaggio. Ad un tratto svanì.
- E’ morto? – chiesi a Shou. Lui scrollò le spalle – Non mi sembrava in crisi. Forse è solo fuggito.
- Meglio per noi allora. – dissi, e mi avviai verso le segrete con Shou. Camminammo per un po’, fino a quando non arrivammo davanti ad un portone nero. C’era qualcosa di strano, potevo sentirlo nelle viscere. Ad un tratto vidi qualcosa muoversi, ma non c’era niente. Poi di nuovo. Mi girai e percepii come uno spostamento d’aria.
- Shou c’è qualcosa che si muove. Lo sento. – lo avvisai. Lui mi squadrò.
- Ma che stai dicendo? – chiese, e poi lo vidi, l’Heartless, mentre si materializzava dietro di lui.
- Attento! – Urlai, e poi lanciai velocemente il Keyblade contro la Spina Oscura, che si accasciò emettendo un urlo di dolore.
- Entriamo lì dentro, prima che ci attacchi di nuovo! – gridò Shou, e io obbedii aprendo immediatamente l’anta del portone. Proprio mentre Shou spinse il portone per chiuderlo vidi la Spina Oscura rialzarsi e attaccare, senza alcun risultato.
Entrambi ci appoggiammo all’anta e emettemmo un sospiro di sollievo. L’Heartless provò a sfondare la grossa porta più volte facendola vibrare rumorosamente. Dopo cinque minuti, non si sentiva più nessun rumore.
- Se ne sarà andato? – chiesi a Shou, sperando di poter uscire da quel castello una volta per tutte. Il ragazzo scosse la testa.
- Meglio aspettare ancora un po’, potrebbe sempre essersi reso invisibile, come prima. – affermò, appoggiandosi ad una pietra che stava lì nella stanza. In realtà ve ne erano 13, tutte a forma di trono. Aggrottai la fronte.
- A che servono tutti questi posti? – domandai a Shou, che abitava in quel mondo da un mese. Lui si girò, notando la stessa cosa.
- Non saprei. Qui a Radiant Garden vi è la monarchia, dovrebbe esserci solo un trono, al massimo. E che io sappia non vi sono nemmeno dei ministri o senatori o qualcosa di simile. E’ tutto molto strano.
- Durante le missioni nel castello, Leon si è sempre raccomandato di avvisarlo nel caso avessi trovato una stanza con tredici posti. Lui cercava una certa Organizzazione.
- Anche noi vi cercavamo, prescelti. – disse una voce, agghiacciante, che riconobbi quasi subito. Al centro della stanza apparve un Varco Oscuro dal quale ne uscì la figura che aveva rovinato i sogni della notte precedente.
- Blackwell. – sentenziai, chiudendo le mani a pugno. Shou si mise immediatamente tra noi, per proteggermi. Che stupida ero stata a lanciare il Keyblade contro l’Heartless, dovevo assolutamente trovare un modo per rievocarlo nel momento del bisogno.
- Non avvicinarti di un altro passo, o te la vedrai con me. – affermò Shou, puntandogli  contro il proprio Keyblade. Blackwell scoppiò in una fragorosa risata.
- Credi sul serio che voi due marmocchi mi spaventiate?
- Noi forse no, ma abbiamo liberato Melville. Il tuo potere su questo mondo è finito. – quasi ringhiai. Blackwell iniziò ad avvicinarsi a noi, ma Shou gli tirò una palla di fuoco contro, che lo colpì in pieno. Blackwell non sembrò percepire alcun dolore, non si scompose minimamente. Sorrise, beffardo, facendomi imbestialire.
- Da bravi, ragazzi, non costringetemi a fare cose di cui potrei pentirmi.
- Tipo abbrustolirci come cinghiali sulla brace? – chiesi io. Mi guadagnai un’occhiata torva da parte di Shou.
- Era per smorzare la tensione! – affermai, facendo spallucce.
- Renditi conto che gli hai suggerito il modo più facile per ucciderci. Solo questo. – disse, scrollando la testa.
- Siete divertenti, ragazzi, ma adesso vi dico come stanno le cose. – Blackwell mosse entrambe le mani dal basso verso l’alto e dal terreno emersero delle catene che ci bloccarono entrambi.
- Siete dei prigionieri speciali, avrete l’onore di parlare con degli ospiti importanti.
- E chi sarebbero? – chiesi, cercando di divincolarmi dalle catene. Come se avessero percepito le mie intenzioni, quelle si strinsero ancora più forte intorno a me, causandomi un urlo di dolore.
- Fai parte dell’Organizzazione, non è vero? – urlò Shou. Blackwell fece una smorfia quasi disgustata. Alzò la mano destra verso Shou e strinse le dita, contemporaneamente le catene di Shou lo strinsero letalmente e per il dolore Shou cadde a terra.
- Tu non dovresti sapere certe cose, sei solo un piccolo topo di fogna.
- Meglio un topo di fogna di un verme codardo, Blackwell. – rispose Shou, con un sorriso a trentadue denti. L’uomo continuò a stringere ancora di più.
- Basta! Che cosa vuoi da noi? – urlai, cercando di farlo smettere. Blackwell non accennò a rispondere. Ero furente. L’uomo che aveva ucciso Cloud stava per uccidere l’unica persona in cui ponevo un minimo di fiducia. La mia collana iniziò a pulsare, fino a quasi bruciare.
“Tu sei come il fuoco che brucia. Sarai la luce che illuminerà la notte più nera. Brucia, Akane, e ti salverai.” disse una voce dentro di me. Ma come fare?
“Liberati da tutte le tue paure e ce la farai. Devi essere coraggiosa, bambina mia.” La voce mi risultò terribilmente familiare. Shou era piegato in due, Blackwell lo sovrastava in tutta la sua altezza e sorrideva sadicamente. Ripensai a ciò che era successo in così poco tempo. E urlai. La mia pelle si era riscaldata al punto di diventare incandescente. Bruciavo viva, senza sentire la minima scottatura. Blackwell si girò verso di me, allentando la presa su Shou, e rimase a bocca aperta. Le catene si sciolsero e io fui libera. Aprii la mano destra e evocai il mio Keyblade. Ero accecante, brillavo quasi come il sole. Il volto di Blackwell non era più una maschera di terrore, anzi era in piena estasi.
- Devi essere tu. La tua purezza è evidente. – sussurrò Blackwell. Mentre l’uomo era distratto, Shou evocò il proprio Keyblade nonostante le catene e riuscì a spezzarle.
- Smettila di dire cose senza senso: io sono me, nessun altro! – urlai e mi scagliai contro Blackwell. L’uomo parò tutti i miei colpi, senza molta difficoltà. Shou si unì a me, cercando di colpirlo alle spalle. Improvvisamente Blackwell scomparve, materializzandosi dietro di noi, sopra ad uno dei tanti troni nella stanza.
- Non la farai franca, verme! – urlò Shou, preparandosi a scagliare una delle sue magie.
Blackwell scoppiò a ridere.
- Mi hai proprio stufato, mezza calzetta. – affermò e aprì di scatto i palmi delle mani, evocando due palle di fuoco nero. Le scagliò contro di lui, ma Shou fu più veloce.
- Aero! – urlò Shou, e un vortice lo avvolse, proteggendolo dall’attacco di Blackwell, che strinse i pugni, irato.
- Ora capirete con chi avete a che fare! – urlò, e dalle sue mani uscirono altre catene. Una avvolse il mio collo, impedendomi di respirare, l’altra stava per fare lo stesso con quello di Shou ma il ragazzo, grazie alla sua magia, riuscì ad evitarlo e a colpire la catena, spezzandola. Mi mancava l’aria, le mie forze stavano per esaurirsi. Non ero abbastanza in forze da poter scioglierle come avevo fatto prima, e piano piano la luce e il calore abbandonarono il mio corpo. Mi accasciai a terra, esausta. Shou cercò di spezzare la catena che mi stava strozzando, ma Blackwell glielo impedì lanciandogli un’altra palla di fuoco nero. Sollevò la mano e la catena mi alzò in aria, poi mi scaraventò contro il muro. Blackwell mi si avvicinò, Shou era stato colpito in pieno ed era bloccato a terra. La catena mi stringeva ancora il collo, quando sussurrò queste parole.
- Ci rincontriamo di nuovo, dopo tutti questi anni. Pensavo di averti ucciso con le mie stesse mani, ma a quanto pare ti sei salvata. Ricordo ancora il viso spaventato di tua madre quando vi ho colpite. – sorrise, sadicamente, al ricordo. Io sgranai gli occhi. Era per colpa sua che i miei mi avevano abbandonata? Era lui il pericolo? Cercai di raccogliere tutte le forze che avevo ancora in corpo per liberarmi dalle catene. Potevo sentire il calore scorrere nuovamente nelle mie vene. Cercai di convogliarlo verso le mie mani. Afferrai con le mani le catene e queste si sciolsero a contatto con i palmi.
- Avresti fatto meglio a tenere l’informazione per te, Blackwell. Ora sono davvero al limite della sopportazione.  La pagherai cara per quello che mi hai fatto! – urlai, e sentii delle lacrime bollenti attraversarmi il viso. Blackwell non smise di sorridere. Voleva vedere di cosa ero capace. Shou intanto si era rialzato e doveva anche aver sentito il dialogo, dalla sua espressione. Silenziosamente, volò dietro a Blackwell.
- Non vedo l’ora di sapere se hai davvero tutti quei poteri di cui parla la profezia. Avanti, colpiscimi!
- Credimi, lo farà con immenso piacere. – disse Shou, che intanto si era inginocchiato e aveva appoggiato la sua mano a terra. Vicino a Blackwell emersero delle radici che lo bloccarono immediatamente.
- Vai adesso! – mi gridò il ragazzo, tenendo il palmo fisso a terra. Io impugnai nuovamente il Keyblade e tutto il fuoco che avevo nelle mani si diffuse rapidamente nel metallo del Keyblade, rendendolo incandescente. Colpii Blackwell in pieno petto e la stanza fu invasa da una luce fortissima. Rimasi accecata per diversi secondi, ma quando la luce si affievolì di Blackwell non c’era più traccia. Shou si rialzò e le radici furono ingoiate dal terreno. Il mio Keyblade si raffreddò e io mi appoggiai ad uno dei troni di pietra. Ero stanchissima.
- Per essere due pivelli, non ce la siamo cavata male. – affermò Shou sorridendo.
- Non so tu, ma dopo questa missione dormirò per almeno un mese. – dissi, ridendo. Shou mi porse la mano – Melville e i ribelli ci stanno aspettando fuori dalle mura.

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