Shadows

di Malbethy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II a. ***
Capitolo 3: *** II b. ***



Capitolo 1
*** I. ***


 Il caldo era soffocante. Più di venti corpi erano stipati all’interno di un furgone.  La puzza di sudore impregnava tutto, non c’era nemmeno una finestra che permettesse di prendere un po’ di aria e i carcerieri non sembravano interessati a far viaggiare quei ragazzi in maniera più comoda.
Una delle ragazze cercava di respirare con la bocca, tentando di dar sollievo al naso da quell’odore così acre. Aveva respirato il fetore di vari fluidi corporei per così a lungo, che sentiva il naso bruciarle, tutte le volte che dimenticava di inspirare l’aria attraverso la bocca.
 La benda che aveva sugli occhi le prudeva terribilmente, soprattutto negli zigomi, ma con le mani legate le risultava impossibile raggiungere la faccia. I primi giorni aveva cercato di sfregare le mani fra di loro per cercare di liberarsi, ma quando si era accorta che non era corda, bensì plastica, quello che teneva i suoi polsi uniti e ci aveva rinunciato. Avrebbe solo rischiato di provocarsi tagli profondi sulla pelle già lacerata.
Continuava a muoversi anche ora, però, cercando di trovare una posizione comoda, ma non riusciva a trovarla. Le mani erano intorpidite, le gambe erano attraversate da fitte di dolore e le sembrava di viaggiare da settimane, ormai. Anche se aveva contato all’incirca otto giorni da quando erano stati rinchiusi là dentro.
Era riuscita a capire il passare dei giorni solo grazie ai pasti che i carcerieri davano loro. Ogni giorno una finestra sopra le loro teste veniva aperta e qualcuno buttava nel furgone pane e acqua. Il pane non lo aveva mai toccato, cadeva sul fondo metallico, ormai lurido, del furgone, dove ognuno di loro era stato costretto a soddisfare i propri bisogni fisiologici. L’acqua, invece, veniva versata direttamente addosso a loro e le bastava aprire la bocca per soddisfare almeno la sete, che le incendiava la gola.
Sapeva che se il viaggio fosse continuato a lungo non avrebbe potuto resistere molto senza mangiare, ma per ora la dignità superava la fame.
Il panico aveva lasciato spazio alla rassegnazione di non capire cosa stesse succedendo, anche se continuava a ripensare alla sera in cui la sua vita e quella dei suoi amici era cambiata. L’aveva ripercorsa mille volte, per cercare un indizio qualcosa che potesse mettere a tacere le brutte sensazioni che si facevano strada in lei, ma non aveva ottenuto nulla.

<< Mi  annoio, facciamo sempre le stesse cose! >> , Mia era conosciuta per le sue lamentele e una volta che iniziava, non la finiva più. Per questo  lanciai un’occhiata a Jason, per cercare di limitare le ore in cui avremmo dovuto ascoltare  il monologo sulla sua vita schifosa.
Mia era sicuramente una delle persone a cui volevo più bene in assoluto, ma era  una bambina mai cresciuta. Le piaceva ancora farsi trattare come une principessa da chiunque conoscesse e quando si arrabbiava o si offendeva faceva i capricci proprio come i bambini.
<< Mia, lo sai anche tu che non ci sono molte cose da fare ormai. E’ già tanto che il Signor Moon abbia aperto questa bettola che da qualcosa da bere, sennò avremmo potuto solo girare nelle zone ancora vivibili della città e ti ricordo che non sono molte >> Jason cercò di parlarle come un padre faceva con la figlia.
<< E’ inutile che tu faccia il maturo della situazione. Dimmi che anche tu non ti sei stancato di restare seduto in questo posto che puzza di pipì tutte le sere, per ore. E tu, Emma, non preferiresti una volta ogni tanto andare a qualche festa? Vivere come ragazzi di venti anni?>>
<< Nessuno vive più così, lo sai bene Non ci sono feste. Dobbiamo  e possiamo solo pensare a lavorare>>.
La capivo.  Capivo la frustrazione di vedere gli anni migliori delle nostre vite strappati  senza poter fare nulla. Ma il mondo non era più quello che raccontavano i nostri nonni. Eravamo tutti registrati, marchiati e assegnati al lavoro che più ci rispecchiava. Non si poteva fuggire dal Sistema, per quanto lo volessimo. La nostra vita era segnata.


Uno scossone segnò la fine del tragitto e qualcuno le finì addosso, facendola sbattere sulla parete metallica del furgone, togliendole il fiato.  Sentiva respiri trattenuti, singhiozzi di persone che cercavano di non piangere, ma soprattutto imprecazioni da parte di ragazzi sicuramente più coraggiosi di lei. Emma se ne stava in disparte, cercando di passare inosservata, anche se sapeva che sarebbe servito a poco.
Con un rumore stridulo le pesanti porte del furgone si aprirono, facendo finalmente respirare ai prigionieri aria pulita. Dalla benda nera,  anche sforzandosi non riuscì a distinguere nulla se non qualche ombra, ma niente che le potesse essere veramente utile per capire dove si trovassero.
L’unica preoccupazione di Emma in questo momento era la sua famiglia. Ormai erano diversi giorni che lo scanner non rilevava il suo codice identificativo a lavoro e per ogni sua assenza il Sistema toglieva o viveri o energia o acqua alla casa dove la sua famiglia viveva.
Sentì i primi ragazzi che scendevano e mettevano i piedi per terra. Lo spazio intorno a lei si allargava, e cercò di distendere le gambe, per riattivare la circolazione. La bocca si distorse in una smorfia di dolore, ma doveva sopportarlo perché riuscisse a camminare quando sarebbe arrivato il suo turno di lasciare quella tomba di metallo. La fortuna non era dalla sua parte, però,  passarono solo pochi secondi e con uno strattone fu trascinata fuori e come previsto le gambe non ressero il suo peso, non essendo più abituate a stare in posizione eretta. Delle mani la sostennero dalla vita, aiutandola a non cadere rovinosamente per terra. 
La testa le girava e le sembrava di dover vomitare da un momento all’altro. Sicuramente lo avrebbe anche fatto avendo qualcosa nello stomaco.
<< Cerca di resistere un altro po’ >>
La voce non le era familiare.
L’unica cosa di cui era certa è che fosse una ragazza, restava solo da capire se facesse parte delle persone responsabili del loro rapimento o fosse una sua compagna di sventura.
<< Ora togliamo la benda, fai la brava però >>.
Sicuramente era dei loro.
La luce la colpì e si ritrovò a strizzare immediatamente gli occhi, cercando di schermirsi il più possibile dalla luce. Cercò di aprire almeno un occhio, nel tentativo di acquisire qualche informazione in più rispetto al nulla di cui era in possesso ora. Riacquisire la vista sarebbe stato un grosso  vantaggio, l’avrebbe resa meno inerme nelle braccia di persone di cui non conosceva le intenzioni, se non che avevano rapito lei, Mia e Jason senza dar tempo loro neanche di ribellarsi.

Mia mise il broncio perché non aveva ottenuto l’appoggio che aveva sperato e dovetti trattenere una risata, per non infierire ancora di più. Se avesse notato che la deridevo, avrei scatenato qualcosa di ben peggiore di un semplice broncio.
<< Posso portarvi altro ragazzi? E tu biondina, hai pensato alla mia proposta? >>
Luke Moon, il figlio del proprietario del locale in cui ci trovavamo ora, aveva un debole per Mia dai tempi della scuola. Ogni giorno le chiedeva di uscire e ogni volta la biondina in questione lo guardava con aria di sufficienza e rifiutava. Jason d’altra parte si irrigidì sul posto, ma stette zitto.
<< Quando capirai che se ho risposto no ieri, sarà un no anche oggi?>>
<< Vedremo. La speranza è l’ultima a morire, no? >>
Il ragazzo si allontanò con un sorriso furbo sulle labbra, facendo un piccolo inchino alla nostra amica. Non si poteva definire un ragazzo brutto con i suoi capelli castani sempre in ordine e quel suo sorriso strafottente aveva mietuto tante vittime nel corso della sua adolescenza.
<< Mi spieghi perché continui a rifiutarlo se in realtà ti piace? E non provare a negare! >>,chiesi incapace di trattenermi oltre.
<< Perché non gli piaccio io, ma il fatto che non sia mai riuscito a farmi cedere. Il giorno che dirò di si, tutto il suo interesse svanirà. Ora è l’unica distrazione positiva. >>, Mia si limitò a rispondere con un’alzata di spalle.
<< Grazie eh!>>, borbottò Jason, dandole un colpetto sulla testa. << Noi cosa saremmo, quindi?>>
<< Un male necessario>>
Mi stiracchiai sul posto, ascoltando il battibecco di quei due e appoggiando la testa sullo schienale di quella poltroncina scomoda.


Ora Emma riusciva a vedere con chiarezza e si ritrovò a sbattere più volte le palpebre, incredula dello spettacolo che si trovava di fronte a lei.
Non è possibile.
Una casa occupava tutto il suo spazio visivo. Chiamarla casa era sicuramente riduttivo, villa forse più appropriato. Il colore grigio era il più diffuso, sia su le colonne all’ingresso, che delimitavano una grande veranda, sia sulle pareti. L’effetto era quello di una grande lastra di granito, con delle venature nere che spezzavano il grigiore e davano quel tocco di eleganza. Gli infissi erano di un nero lucido quasi fastidioso alla vista. La porta principale era di massiccio legno nero a due ante, con maniglie laccate in argento, che proprio in quel momento si aprirono e rivelando varie figure, vestite di nero dalla testa ai piedi, che iniziarono ad uscire lentamente dalla casa. Uomini e donne si alternavano, mentre si disponevano in file ordinate di fronte a noi. A chiudere la fila due uomini, diversissimi tra loro, ma che camminavano con passo più deciso e sicuro rispetto agli altri. Uno biondo con un grande sorriso stampato in faccia, l’altro moro con l’espressione più cupa, quasi come se fosse scocciato di stare lì.
La ragazza che aveva aiutato Emma si ricongiunse con i propri compagni. Trenta paia di occhi guardavano con interesse i ragazzi frastornati, alcuni sorridevano, altri sogghignavano.
Fu il biondo a parlare per primo, attirando l’attenzione su di se.
<< Benvenuti, benvenuti!! Sono contento di constatare che quest’anno il gruppo è numeroso. Molti di voi sapranno chi siamo, altri di voi invece si chiederanno cosa fanno qui. Mi chiamo Joseph, sono il capo qua dentro, per farla breve. Come sapete il Sistema è una macchina ben oliata. Tutti noi serviamo a qualcosa. Voi servite a qualcosa ed è per questo che vi hanno mandati qui da noi!>>
La morsa che le stringeva il cuore si allentò di poco, se la sua assenza da lavoro era stata giustificata, i suoi genitori e il suo fratellino Cam non stavano patendo né la fame, né il freddo. Soprattutto Cam che aveva solo dieci anni, ed era troppo piccolo perché capisse cosa significasse vivere a Seattle. Il mondo era cambiato drasticamente negli ultimi cento anni. La natura si era ribellata agli umani. Troppa popolazione, troppo inquinamento, troppo di tutto.
Era cominciato piano, con i livelli di ossigeno nell’aria che diminuivano, le scosse di terremoto che si facevano più frequenti, gli oceani e i mari che diventavano innavigabili. L’economia era crollata, tutte le nazioni erano troppo preoccupate cercando di far sopravvivere la popolazione, che non a commerciare e ben presto tutti si ritrovarono da soli. La città di Seattle era stata una delle più colpite: era iniziato tutto con una leggera scossa, che però non aveva allarmato nessuno. Ormai tutti si erano abituati a sentire la terra tremare. Ma quella scossa non finì, si trasformò in un terremoto che fece sprofondare mezza città senza consentire alle persone di mettersi in salvo. Erano morte migliaia di persone e nessuno aveva potuto fare nulla.
Seattle rimase immobile nel suo lutto per diversi mesi, chi si era salvato aveva pagato un prezzo più alto di chi aveva perso la vita. Erano da soli, senza energia elettrica, senza capi che dessero una direzione. Il cibo era razionato, perché il terremoto aveva colpito le principali industrie di sostentamento.
Così che nacque il Sistema. Alcune delle persone più forti ed influenti, presero il comando della città. Si innalzarono sulla popolazione come capi, senza che nessuno li eleggesse. Decisero di registrare ogni singolo cittadino e di munirlo di un codice identificativo, attraverso un microchip che veniva impiantato nel braccio. Ormai erano passati decenni, tutti venivano monitorati costantemente. Scienziati assegnati al Sistema controllavano  i progressi a scuola, i comportamenti, le aspirazioni, gli hobby di ogni cittadino e attraverso questi dati si veniva smistati secondo le competenze che loro ritenevano più consone. Non ci si poteva ribellare. Il Sistema non sbagliava mai.
Emma cercò di farsi un’idea generale di cosa la circondasse. Oltre un giardino che circondava l’ampia villa e ragazzi che erano spaesati quanto lei, vide Mia e Jason in fondo alla fila alla sua destra che si guardavano intorno nervosamente. La ragazza bionda fu la prima a notarla e con un colpetto richiamò l’attenzione di Jason verso di lei, indicandola con un dito. Il volto del ragazzo si rilassò all’istante e fece cenno ad Emma con la mano invitandola a raggiungerli. Lei però scosse la testa e con le dita gli fece intendere che si sarebbero incontrati dopo, gli occhi scuri di Jacob si incupirono, ma sembrò capire e riportò l’attenzione verso il ragazzo biondo che ora li scrutava attentamente.
<< Pochi sanno di noi ed è meglio così. Serviamo il Sistema da molto vicino, risolviamo i problemi, troviamo le soluzione e cerchiamo di far vivere ai cittadini una vita spensierata. Non usiamo metodi tradizionali. Ma questo lo scoprirete , non vi voglio di certo rovinare la sorpresa >>
Un sorriso,che assomigliava più ad un ghigno, si fece strada sul suo viso.

Furono scortati all’interno della villa e se possibile l’interno risultò ancora più maestoso dell’esterno. Se fuori avevano optato per colori tenui, qua il marrone, il rosso e l’oro facevano da padroni. L’ambiente aveva un’aria confortevole. Loro si trovavano in un ampio ingresso, che si affacciava su due stanze. Non c’erano porte, ma due archi separavano gli ambienti. Alla sua sinistra una specie di salottino, con poltrone e un divano di velluto rosso posizionati di fronte ad un cammino. Tavolini di mogano erano sparsi qua e là per l’ambiente senza un reale motivo. Alla sua destra riusciva a scorgere solo scaffali alti addossati alle pareti, ma non molto di più. La stanza era completamente al buio.
<< Bene miei  cari, ora vi lascio al mio braccio destro. Spero che la vostra permanenza qua sia delle migliori >>, con un inchino ci salutò e si rivolse al moro vicino a lui, <> e con quest’ultima frase, sparì lungo la scala che si stagliava di fronte a loro.
<< Il mio nome è Ash, ma a meno che voi non siate in punto di morte, preferirei che non pronunciaste il mio nome. Non mi piace essere disturbato se non per questioni importanti. Questa sarà la vostra casa per i prossimi mesi e se supererete l’addestramento e le prove, per la vostra vita. Al piano superiore troverete gli alloggi, ognuno di voi dormirà con un altro allievo. La colazione sarà servita alle sei in punto, chi arriverà in ritardo, non mangerà. Gli allenamenti inizieranno esattamente due ore dopo e saranno scanditi solo dai pasti principali. Non ci interessa a che ora andrete a dormire. Buona permanenza.>>
Simpatico.
Ash li lasciò lì, con mille domande ancora da fare e senza aver appianato per niente i suoi dubbi. Possibile che siano tutti così strani? Chi erano? E  cosa ci faceva lei lì?
Emma finalmente poteva guardarsi intorno con molta più facilità, ora che erano tutti rinchiusi dentro la villa.
Qualcuno lo conosceva di vista, altri erano facce completamente nuove. Ma era sicura al cento per cento di non avere niente in comune con nessuno di loro.
In tutto erano in diciassette, sei donne e undici uomini, età praticamente simili.
Nessuno che spiccasse per una qualche dote particolare, nessuno veramente degno di nota.
Solo un ragazzo se ne stava tranquillo appoggiato al muro con le braccia incrociate e con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Non fu difficile capire che faceva parte dei ragazzi arrivati col furgone grazie alla sporcizia che lo ricopriva. Emma si ritrovò a fissarlo. Perché era così tranquillo, perché non sembrava spaesato come lo erano tutti? Non dimostrava un’intelligenza sopra la media, sembrava più la persona da chiamare per picchiare qualcuno. Era alto, con due spalle ben piazzate. La faccia assomigliava a quella di un cane con il muso schiacciato. I capelli scuri tagliati corti e neanche un filo di barba incorniciava il suo viso. In quel momento il protagonista delle sue occhiate si accorse che lo stava fissando e le fece un cenno con la testa.
<< Problemi, piccoletta?>>
<< Tu sai dove siamo, vero?>>
Nel frattempo si era avvicinata o non avrebbe mai sentito quella parola quasi sussurrata dalle labbra di lui.
<< Shadows>>
Un nome che aveva solo sentito una volta, sussurrata dai suoi genitori tanti anni prima e  ben presto dimenticata. Era solo una bambina quando aveva provato a capirne il significato, ma il padre aveva scosso la testa e non aveva mai risposto alla sua domanda. 
<< Spiegati meglio >>
<< Gli assassini del Sistema. Chi viene dai bassifondi come me, li conosce. Sono tra le persone più pericolose di tutta la regione. Riescono ad infiltrarsi ovunque, a raggiungere chiunque. Chi viene scelto è perché ha dimostrato di avere le qualità giuste, non sbagliano mai. Ho visto ragazzi uccidere la propria famiglia per cercare di entrare a far parte degli Shadows, ma non hanno mai capito che non serviva a niente >>
<< Assassini? Non prendermi in giro.>>
<< Questa è una scuola per noi. Ci insegneranno ad uccidere e ad essere maledettamente bravi nel farlo>>
Emma non riusciva a replicare, lei che aveva sempre una risposta pronta, non riusciva a proferire parola. Era sicura che lei non avesse la stoffa per fare l’assassina, aveva fatto giuramento di aiutare le persone non di ucciderle.
Non capiva se quel ragazzo la stesse prendendo in giro per vedere a che punto lei si fosse spaventata o era veramente convinto che qualche setta li avesse rapiti per iniziarli a qualcosa di macabro.
<< Eccoti qua! Trovarti è quasi impossibile, in mezzo a questo caos>>
Riconobbe la voce di Jason ancora prima di sentire le sue braccia avvolgerla e tirarla verso il suo petto. Lo sentì avvicinare la faccia ai suoi capelli e tirare su con il naso, scostandola poi da lui con un’espressione disgustata sulla faccia.
<< Ti serve una doccia>>
<< Simpatico. Ti sei annusato di recente?>>
Jason sorrise e la abbracciò di nuovo, evidentemente non puzzava così tanto se riusciva a tenerla così vicino. L’amico non aveva prestato attenzione al moro vicino a loro fino a quel momento, sentì infatti i muscoli irrigidirsi contro la propria schiena, sollevando la testa osservò in viso l’amico che guardava con diffidenza il ragazzone vicino a loro.
Per quanto Jason superasse il metro e ottanta sembrava minuscolo se paragonato all’altro, che lo superava sia in altezza che in muscolatura.
<< Jason, piacere >>, disse Jason che continuava ad circondarle le spalle con un braccio, mentre tendeva la mano verso l’altro.
<< Raw >>, si limitò a dire l’altro, lanciando un’occhiata nella sua direzione.
<< Attenta piccoletta>>
 
<< Dov’è Mia? >>
Emma non aveva ancora visto l’amica e cercare di identificarla in mezzo a quel marasma di persone non era facile. Figure vestite di nero si mischiavano a ragazzi con vestiti mal ridotti e maleodoranti. Sarebbe dovuto essere facile individuare una testa bionda, se non fosse per il piccolo particolare che quasi tutte le ragazze presenti là dentro avessero lo stesso colore di capelli.
<< Le avevo suggerito di stare vicino alla scalinata, così sarei venuto a recuperare te e poi ci saremmo ricongiunti. E’ più facile trovare te. Sai, per i tuoi capelli. >>
Emma osservò i capelli che le ricadevano sulla schiena e sulle spalle e ne prese in mano una ciocca. Il bianco candido ora opaco a causa dello sporco, era sicuramente più facile da individuare, era certa di sì sembrare un faro in mezzo alla tempesta. Non aveva mai amato particolarmente i suoi capelli proprio per questo. Troppo riconoscibile, troppo difficile mischiarsi in mezzo alle gente. Tutti avevano avuto qualcosa da ridere, all’inizio le aveva dato,  ma con il passare del tempo non aveva fatto più caso delle malelingue. Aveva anche tentato di coprire il bianco con una tinta nera, anche se trovare tinte che durassero più di qualche giorno era diventata un’impresa impossibile, ma le stesse persone che la prendevano in giro per i capelli troppo chiari, avevano trovato un’altra cosa a cui attaccarsi. Un mese le era bastato per rendersi conto che nulla sarebbe cambiato e che l’unica che potesse veramente giudicarla, era lei stessa.
<< Non dovevi lasciarla sola. Sai come è fatta, starà già dando di matto>>
<< E tu non dovresti dare confidenza agli sconosciuti, soprattutto a quelli che assomigliano a quello là>>.
L’ultima parte della frase venne fuori con rabbia dalle labbra di Jason, talmente nervoso da far pulsare il nervo della mascella.
<< Si, papà>>, borbottò Emma  a bassa voce, per non farsi sentire.
Non era interessata a litigare, ma l’istinto di protezione di Jason nei suoi confronti diventava spesso soffocante. Non era la prima volta. Lei e Mia erano state costrette per anni a frequentare i ragazzi di nascosto dall’amico, perché appena lui lo scopriva diventava freddo e scostante. Due anni fa non le aveva parlato per due settimane solo perché aveva scherzato con un uomo.
 Loro, d’altro canto provavano gusto nello stuzzicare la pazienza del ragazzo, civettando, il più delle volte, con gente poco raccomandabile. Secondo Mia, era la punizione giusta per la continua intromissione di Jason nelle loro vite private.
Emma era sempre stata affezionata all’amico e un tempo la sua vicinanza provocava in lei sensazioni che aveva scambiato per amore, ma ora la sua mano stretta in quella di lui, non le provocava altro che senso di familiarità. I suoi occhi non vedevano più il ragazzo per cui avevo preso una cotta quando era più giovane, ma solo Jason.
<< Finalmente! Perché diavolo ci avete messo così tanto? >>
Emma lanciò un’occhiata al ragazzo come per dire “Te lo avevo detto” e si lasciò avvolgere dall’abbraccio dell’amica, che la strattonava e pizzicava per constatare che fosse tutto apposto.
<< Hai finito? La pelle mi servirebbe>>
<>, quasi urlò la bionda.
<< In realtà erano otto>> , dichiarò Emma pentendosi subito dopo.
<< Non sei d’aiuto>>, la rimproverò Jason e tu Mia ora calmati, non è un bene attirare l’attenzione su di noi >>
<< Perché mai? Cosa vuoi che ci facciano?!>>
<< Jason ha ragione. Non sappiamo ancora con chi abbiamo a che fare. >>
<< Non ti ha detto nulla quel Raw, prima?>>
Emma sussultò a quelle parole. Ancora non voleva crederci, assassini. Lei avrebbe dovuto togliere delle vite. Guardò attentamente i suoi amici e non le parve possibile che uno dei due fosse in grado di uccidere qualcuno senza impazzire subito dopo per i sensi di colpa. Gli occhi dolci di Mia e il sorriso contagioso di Jason, non erano tratti di assassini.
Emma, però, non si sentiva pronta a condividere l’informazione  che Raw le aveva dato. Non era mai successo che tacesse loro qualcosa, erano i suoi più grandi confidenti da che aveva memoria, ma qualcosa la tratteneva. Aveva paura che Raw le avesse mentito e non voleva provocare panico, finché non fosse stata sicura.
Se solo riuscissi a parlare con qualcuno che vive qui.
Uno sbadiglio improvviso le face realizzare che la stanchezza iniziava ad essere un peso sugli occhi e sulla sua testa, erano giorni che non dormiva e mangiava bene. Dentro quel furgone era riuscita solo ad assopirsi massimo venti minuti ogni tanto,  il minimo indispensabile perché non iniziasse ad avere le visioni.
<< Quindi?>> la voce di Jason la riportò alla realtà, ma si limitò a scuotere la testa.
<< Troviamo le nostre camere, sono distrutta>>

Eravamo già al quarto bicchiere e sentivo la testa leggera come una piuma che volteggiava indisturbata. Non avevo mai retto bene l’alcool, mi bastavo pochi bicchieri perché iniziassi a ridacchiare come una pazza. Comportamento che avevo anche in questo momento, comunque.
Mi stringevo la pancia con le mani e continuavo a ridere per una battuta che Jason aveva fatto più di dieci minuti fa, quest’ultimo mi guardava con un misto di compassione e divertimento.
Jason non era fra le persone più divertenti, le sue battute facevano sempre pena. Per quanto ci provasse, non riusciva a raccontarne una che provocasse anche solo un sorriso. Questo la diceva lunga sul mio livello di ubriachezza.
<< Emma, missà che è arrivato il momento di andare a casa>>
<< Un altro po’>> , non sono sicura di come pronunciai le mie parole, ma sicuramente non furono chiare perché Mia scoppiò a ridere, mentre scuoteva la testa rassegnata.
La bionda reggeva molto meglio di me l’alcool e anche se aveva bevuto quanto me, era tranquilla seduta sulla sua poltroncina.
<< Non capisco perché continui a bere, Emma, lo sai anche tu che reggi meno di un bambino ancora in fasce>>
<< Questo non è vero>>, la additai con un dito, anche se mi sembrava di sventolarle l’intera mano davanti alla faccia.

Da quando avevo venti dita?
Vedere doppio, in questo caso anche quadruplo, non mi era mai successo. Provai ad alzarmi in piedi, ma sbandai e dovetti appoggiarmi allo schienale della sedia per non cadere rovinosamente per terra.
<< Ok, tesoro, io ti prendo in braccio. Tu per favore cerca di non vomitarmi addosso>>
Jason mise un braccio sotto le mia ginocchia e con l’altro dietro la mia schiena mi sollevò come se fossi fatta di carta pesta.  Non avevo le forze per fare resistenza o oppormi, appoggiai la testa sul petto di Jason e borbottai un grazie assonnato.
Gli occhi iniziarono a chiudersi da soli e ben presto, cullata, dai passi del ragazzo mi addormentai.


Informazione: Pubblicherò all'incirca un capitolo a settimana. Se ci saranno ritardi, chiederò già scusa. 
E grazie mille per chiunque leggerà la mia storia! }

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Capitolo 2
*** II a. ***


Un senso di smarrimento si fece strada nella mente assonnata di Emma appena si svegliò. Non capiva dove si trovasse, ma era certa di non essere nella sua camera di Seattle. La luce filtrava da una finestra semichiusa, illuminando l’ambiente poco spazioso. Un lampo rosso che si muoveva velocemente per la stanza attirò la sua attenzione.
E così ricordò.
La sera prima lei, Mia e Jason avevano deciso di esplorare il piano superiore alla ricerca di una camera libera dove potersi sistemare e si erano ritrovati davanti un enorme corridoio che si estendeva sia alla loro destra che alla loro sinistra.
Chiacchiericci soffusi si diffondevano nel silenzio dei corridoi deserti. Porte chiuse da cui proveniva uno spiraglio di luce, una risata che riecheggiava attraverso le pareti fecero venire i brividi ad Emma, che camminava attenta a non inciampare.
<< Non troveremo mai una stanza libera >> si lamentò Mia.
Per una volta Emma avrebbe voluto unirsi al suo stato d’animo. Con tutte le porte chiuse era impossibile capire quale fosse occupata e quale no e bussare non era un’opzione praticabile. Si immaginava già ogni scenario possibile e finire faccia a faccia con uno dei residenti della villa non era il modo in cui voleva concludere la serata.
<< Ragazze guardate qua >>
Jason era poco più avanti, fermo di fronte ad una porta e guardava con un’espressione corrucciata la targhetta dorata che vi era appesa sopra. Le due ragazze si sporsero al di sopra della sua spalla e rimasero parecchio confuse.
Con lettere eleganti il nome di Jason era stato inciso sulla targhetta insieme a quello di un altro ragazzo.
<< Magari è un altro Jason >> disse speranzosa Mia.
<< Non penso ci siano molti Jason Murray a Seattle di questi tempi >>, rispose dubbiosa Emma.
<< Credo che questa sia la mia stanza >>
<< Beh, immagino di si >> disse la bionda che nel frattempo aveva preso a mangiucchiarsi le unghie.
<< Io entrerei a dare un’occhiata. Ci vediamo domani a colazione, ragazze? >>
<< Mmmh mmh >> risposero loro non troppo convinte di restare da sole.
Con un sorriso incerto Jason le salutò per poi entrare dentro la sua camera e richiudersi la porta alle spalle.
<< Certo che poteva accompagnarci a trovare le nostre stanze. La galanteria è morta ormai! >>
<< Principessina continuiamo a cercare e spera ci abbiano messo insieme >>
Emma prese Mia per il braccio trascinandola lungo il corridoio, controllando ogni porta alla ricerca dei loro nomi.
<< Forse dovevamo chiedergli di restare >>
<< Mia, siamo all’interno di una casa, non ci può accadere niente di male >>
Lo diceva più per lei che per la sua amica. Non era tranquilla.
Quali persone sane di mente avrebbero rapito un gruppo di ragazzi, chiudendoli dentro un furgone per poi legarli come bestie?
E quali persone poi avrebbero fatto finta di niente una volta che si fossero trovati davanti i prigionieri?
Mia si fermò all’improvviso davanti ad una stanza e si immobilizzò all’istante.
<< Non siamo insieme >>, sussurrò a voce talmente  bassa che Emma fece fatica a sentirla anche se era a pochi centimetri da lei.
Cercò di farle capire che la mattina dopo si sarebbero riviste e di non abbattersi, alla fine in quelle camere ci avrebbero passato solo la notte.
Qualcuno doveva mostrarsi forte, però odiava dovesse farlo sempre lei. Il fulcro della loro amicizia era sempre stato questo: Mia poteva piangere, sbattere i piedi per terra come una bambina e disperarsi per ogni piccolo problema della vita.
Emma non era così, le sue espressioni quasi sempre impassibili, la sua razionalità, le avevano tolto la possibilità di mostrarsi fragile. Ogni suo problema era sempre minimizzato con la solita frase: “Tanto sei forte”.
La verità è che un abraccio di conforto serve a tutti, anche a chi non piange fuori.

Aveva percorso quasi tutto il corridoio e poteva dire con certezza che fosse di forma quadrata. Si ritrovò infatti vicino alla scale, solo dall’altro lato rispetto a dove si trovavano una manciata di minuti prima.
La porta della sua camera era socchiusa e sentiva provenire da dentro un borbottio femminile. La sua compagna era arrivata prima di lei.
Perfetto, odio queste situazione imbarazzanti.
Si schiarì la voce prima di entrare e una testa rossa si girò nella sua direzione, rivelando una delle ragazze più belle che avesse mai visto.
Capelli rosso fuoco, occhi verdi e una spruzzata di lentiggini la rendevano una bambola vivente.
Si sentì parecchio in soggezione, ma almeno anche l’altra sembrava sudicia quanto lei. Una magra consolazione, è vero.
Con un sorriso si avvicinò verso di lei, tendendo la mano davanti a sé.
<< Piacere, Jade >>
<< Emma >>, rispose semplicemente.
<< Ho preso il letto a destra, ma se lo vuoi tu, possiamo fare a cambio >>
La stanza non era molto grande, due letti erano messi ai lati opposti della stanza con due comodini affianco, una finestra riempiva quasi del tutto il muro di fronte e due armadi erano addossati alle pareti ai piedi del letto. Credeva di trovare di peggio, il fatto che ci fosse un letto dove dormire era già un passo in avanti rispetto al furgone.
<< Non ti preoccupare, mi va bene tutto >>
<< Come vuoi tu>>, si limitò l’altra a rispondere.

<< Dormigliona svegliati!>>  Jade le stava praticamente urlando in faccia e la tentazione di tirarle un pugno era più forte che mai.
<< Dobbiamo andare nei bagni, farci la doccia, cambiarci e poi scendere a fare colazione. Non vorrai arrivare in ritardo proprio il primo giorno,no?>> continuò la rossa.
<< Che ore sono? >>, Emma sbadigliò non curandosi di portarsi una mano davanti alla bocca.
<< Le cinque e mezza>> disse l’altra sogghignando.
<< Porca…..>>
Si alzò talmente in fretta che le vertigini rischiarono di farla cadere. Si tenne con una mano alla ringhiera del letto, guardando l’altra che rideva di lei.
<< Piano, piano. Ti stavo prendendo in giro. >>
<< Fanculo >> borbottò Emma sottovoce.
Mentre si dirigevano verso i bagni guardò attentamente la compagna che la precedeva. La sua camminate era sensuale, ondeggiava i fianchi facendo in modo che i lunghi capelli rossi seguissero il movimento, ma notò la sua magrezza, le costole che si intravedevano dalla canottiera e la pelle pallida, quasi giallognola che le dava un aspetto malaticcio.
La sera prima si era soffermata solo sul viso simile a quello di una bambola di porcellana, senza curarsi del resto. Durante il viaggio avevano sofferto sicuramente la fame, anche lei era dimagrita, ma non in quel modo.
La sua compagna doveva aver sofferto anche prima di tutto questo.
<< Jade >>, la chiamò.
 La rossa si arrestò e girò il viso nella sua direzione, guardandola da sopra la spalla.
<< Dimmi >>
<< Mi chiedevo, ecco, tutto apposto?>>
<< Ho solo bisogno di una doccia e di mangiare qualcosa >>
<< Sicura? >>, chiese.
<< Non capisco quale sia il problema. Neanche tu sembri appena uscita da un centro di bellezza >>
<< Si, hai ragione. Solo che mi chiedevo, cosa faceva prima di arrivare qui? >>
A quanto pare aveva posto la domanda sbagliata, il volto della ragazza si trasformò in una maschera di rabbia e disprezzo e gli occhi si assottigliarono .
<< Non sono affari tuoi >>
Non le diede tempo di replicare, scappò letteralmente nella posizione opposta lasciandola ferma in mezzo al corridoio. Sicuramente non si era fatta un’amica, ma da una parte le dispiaceva per lei.
Aveva già conosciuto Raw che veniva dalla parte povera della città e sicuramente anche Jade proveniva da lì. Aveva il dubbio che se avesse guardato meglio anche gli altri le sarebbero apparsi più malconci rispetto a lei e i suoi amici.
I bagni erano un ambiente unico non c’era distinzione fra maschi e femmine. L’imbarazzo era palpabile su tutti. Si spogliavano lentamente cercando di evitare l’inevitabile. L’ambiente per fortuna era poco illuminato e le ragazze si spostarono tutte in un solo punto, dove sembrava ci fosse meno luce. Anche se era una mera illusione. L’unica che invece era assolutamente tranquilla a camminare, in mezzo ad undici ragazzi, nuda era la sua compagna di stanza.
La rabbia di poco prima era completamente sparita dal suo viso.
D’altra parte i ragazzi erano ragazzi e tennero lo sguardo incollato sul suo corpo magro deglutendo vistosamente, compreso Jason che si era sempre vantato di essere superiore ai suoi coetanei. 
Mia sembrava come indemoniata, se lo sguardo avesse potuto uccidere sicuramente Jade si sarebbe trovata già all’altro mondo.  Era sempre stata abituata a vivere al centro dell’attenzione, ma ora qualcuno stava riscuotendo più successo rispetto a lei.
<< Ragazze guardate dietro al collo >>
Una compagna che si trovava lì, indico un tatuaggio che la rossa aveva proprio sotto l’attaccatura dei capelli: due cerchi che si incrociavano fra di loro e nel punto di unione tre pallini sistemati verticalmente.
<< Una puttana, chi altro poteva comportarsi così>>
<< Starà cercando clienti per quando uscirà di qui >>
<< Cosa ci fa una come lei? >>
Emma mal sopportava le male lingue.
Non tutti avevano avuto la fortuna di crescere in ambienti agiati. La maggior parte delle persone vivano in condizioni pietose,  vendevano qualsiasi cosa pur di mangiare, le ragazze il più delle volte erano costrette a vendere il proprio corpo.
Il tatuaggio era solo il simbolo del pappone con cui aveva contratto il debito e i puntini all’interno il numero di anni, in cui avrebbe dovuto prestare servizio.
<< Tappatevi la bocca e pensate a lavarvi. Come se voi foste tutte vergini, immagino >>
<< Emma…>>  Mia la guardava a bocca aperta, ma lei si limitò a scuotere la testa.

L’aria fresca della sera mi solleticava il viso e rendeva più sopportabile la nausea che mi stava rimescolando lo stomaco. Avevo giurato di non bere mai più ed invece ancora una volta mi ritrovavo così. Sentivo il petto di Jason contro la mia guancia che tremava. Sicuramente stava ridendo per una battuta di Mia, che camminava vicino a noi. Mi dispiaceva che dovessero riaccompagnarmi a casa, anche se abitavamo tutti vicino.
<< Jason…>> gracchiai, per quanto la mia gola completamente asciutta mi permettesse di parlare.
<< La Bella Addormentata si è svegliata, signore e signori!!! >>
La voce squillante di Mia peggiorò il mio mal di testa, non era normale riuscire a raggiungere quei toni senza compromettersi le note vocali, ma lei ce la faceva.
<< Mia, per favore, abbassa la voce >>
<< Ha mal di testa la piccolina >>
<< Mia, eh dai. Non la prendere in giro. Sai che non regge neanche un bicchiere >>, Jason voleva sicuramente aiutarmi, ma non poteva impedirsi di prendermi comunque in giro.
<< Siete degli amici pessimi >>, borbottai. << Vi prendete gioco di una povera ragazza indifesa >>
<< Povera magari, indifesa proprio no. Potevamo lasciarti su un marciapiede e tornarcene a casa >>
<< La prossima volta faremo così!! >>
Avevo giù detto che Mia era teatrale o rendeva tutto tale?


Emma era convinta di essere tornata agli anni della scuola e di non essersene resa conto. La sala da pranzo in realtà era identica ad una mensa. Una mensa più elegante, certo, ma non cambiava quello che era. La stanza era un ambiente unico, enorme, con dei tavoli di legno disposti in modo ordinato. L’unica cosa che la rendeva particolare era il piano rialzato dove un’unica enorme tavolata svettava al centro della pedana, e al posto della panche erano posizionate delle sedie di legno che assomigliavano a piccoli troni.
I residenti della villa avevano già preso posto e i novizi si guardavano intorno per cercare posto a sedere. Emma, con i due amici al seguito, si incamminò verso un tavolo dove altri tre ragazzi erano già seduti. Non li conosceva, ma ridevano fra di loro e questo faceva ben sperare che non fossero degli stronzi colossali.
<< Possiamo sederci? >>
<< Tu, bellezza, non devi neanche chiedere >>, disse uno di loro.
<< Lascia perdere mio fratello, è convinto di essere un dongiovanni >>, il secondo ragazzo diede uno schiaffo alla nuca del primo che aveva parlato.
<< Piacere, comunque. Io sono Sam, il conquistatore qui vicino a me è Micheal e il taciturno è Rob >>
<< Emma, Mia e Jason >>, rispose lei mentre si sedeva. << Piacere di conoscervi >>
<< Fighi i tuoi capelli, comunque >>, quello che doveva essere Micheal la indicò.
<< Si, ti avevamo notata ieri. Difficile non farlo, dopotutto. Ma sono tinti? >>
Emma scoppiò a ridere. I due fratelli, sicuramente, non avevano nessun filtro fra il cervello e la loro bocca. Guardandoli attentamente notò la somiglianza. Stesso taglio degli occhi un po’ a mandarla, stessa espressione furba sul viso e stessi capelli castani.
<< No, sono nata così. Per rispondere all’altra vostra domanda, non sono albina >>
<< Scusali, non sono abituati a parlare con ragazze che rivolgono loro la parola volontariamente >> disse il terzo ragazzo che aveva una voce profonda e graffiante. Sembrava un uomo, più che un ragazzo come gli altri.  
<< Senti chi parla! >>
<< Come se tu fossi abituato, invece! >>
<< Sicuramente più di voi due cretini >>
Il battibecco fra quei tre era qualcosa di surreale, era come se non avessero risentito del viaggio a cui erano stati costretti. Il loro umore era un toccasana per Emma, che ancora cercava di metabolizzare cosa le fosse successo. Era abituata a fingere, a nascondere chi era veramente, a smussare parti del suo carattere che nessuno avrebbe capito. Ma negli ultimi giorno sembrava che non riuscisse a reagire.
<< Con chi siamo capitati? >>, le sussurrò Jason all’orecchio. Lei si limitò ad un’alzata di spalle per risposta. L’unica che si comportava in maniera diversa era Mia, che rimase per tutto il pasto stranamente silenziosa.
Nel mezzo della colazione, uno strano silenzio fece scattare i novizi sull’attenti, trenta persone si alzarono in piedi rimanendo di fianco ai loro tavoli, immobili e con lo sguardo fisso davanti a loro. Emma e i suoi compagni si guardarono intorno e con molta incertezza si alzarono anche loro, non capendo cosa stesse succedendo.
Passi riecheggiarono nei corridoi finché due figure fecero il loro ingresso. Una bionda e l’altra mora. Uno sorridente e l’altro perennemente corrucciato.
Joseph ed Ash erano sicuramente una visione. Alti, slanciati e sotto quei completi neri si notava che erano corpi abituati all’allenamento costante.  
Camminavo sicuri, senza incertezza in mezzo a tutte quelle persone che li fissavano.
Lo sguardo di Emma però era fisso solo sul ragazzo moro che continuava a guardare davanti a sé, senza incrociare gli occhi di nessuno neanche quando prese posto sulla pedana alla destra del biondo, che invece più volte durante il tragitto si era fermato a salutare i suoi “sudditi”.
Era stata sicuramente un’entrata trionfale, impossibile da dimenticare. Ben presto tutti ripresero a mangiare, ma Emma ogni tanto lanciava un’occhiata verso il tavolo dove un ragazzo moro la guardava di sottecchi senza farsi notare.


Erano tornati nelle loro stanze per cambiarsi prima dell’inizio della prima lezione. L’armadio era colmo di varie tute tutte uguali: nere, tutte elasticizzate, che assomigliavano più ad una seconda pelle che ad indumenti veri.
Per fortuna che sono dimagrita.
Jade le dava le spalle mentre si cambiava. Non le aveva rivolto più la parola, faceva finta di non vederla. Emma, d’altra parte non aveva voglia di altri drammi di prima mattina e lasciò che la ragazza sbollisse la sua rabbia, prima di riprovare ad avere un dialogo con lei.
Iniziò a spogliarsi anche, creando un mucchietto ai suoi piedi, guardò i vestiti e sospirò  e prese la prima cosa che le capitò sotto mano. Non che avesse una vasta scelta.
Nel momento in cui avrebbe indossato quella tuta, tutto si sarebbe concretizzato. Sarebbe stata come a loro. Avrebbe imparato ad essere uguale a loro. La cosa la spaventava, non poteva permettersi di far crollare i muri che aveva creato negli anni. Ci aveva messo troppo tempo per sembrare uguale agli altri.
<< Quelle che diavolo sono? >>
Si voltò di scatto e vide Jade che le guardava la schiena con occhi sgranati e si maledisse. Era talmente sicura che l’altra non l’avrebbe neanche guardata da non preoccuparsi di nascondersi mentre si cambiava e la loro camera era molto più illuminata rispetto al bagno in cui si erano lavate stamattina.
<< Ecco, io…>>
Come poteva spiegare qualcosa che aveva nascosto a tutti? Jade la guardava con occhi pieni di pietà e le sorrise tristemente.
<< A quanto pare c’è sempre qualcuno che ha passato peggio di noi. >>
Con queste parole la lasciò lì, immobile. Era stata una stupida. Nessuno sapeva del suo passato, nessuno sapeva che persona era. Doveva stare attenta che Jade non dicesse nulla o avrebbe dovuto dare molte spiegazioni, per cui ancora non si sentiva pronta.
Si incontrarono tutti al piano inferiore dove erano stati riuniti il giorno prima, aspettando che qualcuno spiegasse loro dove andare. Mia era ancora strana, era vicino a lei, ma con la mente sembrava altrove.
<< Mia, tutto bene? >>
<< Ehm, si. Solo che…>>
Faceva quasi fatica a parlare e non la guardava in faccia. Jade non poteva averle detto nulla, perché la sua amica era arrivata dopo di lei, come al solito rasentando il ritardo.
<< Mi ha fatto pensare a come hai preso le difese di quella ragazza con i capelli rossi. Ecco, tu non sei mai stata…>>
<< Buongiorno raggi di sole! >>, l’amica era stata interrotta da una voce squillante e allegra che aveva fatto la sua comparsa all’improvviso. Una donna fece il suo ingresso sbucando dalla stanza semibuia in cui si intravedevano ancora solo scaffali alti addossati alle pareti.
<< Mi presento! Mi chiamo Jasmine e sarò una delle vostre istruttrici. Oggi risponderò ad alcune delle vostre domande che sicuramente affolleranno le vostre testoline. Prima di tutto, volevamo scusarci per come siete stati trascinati qui. Ma quella del furgone è la prima prova a cui siete stati sottoposti. Questo è il primo anno che sopravvivete tutti >>, rise per quello che doveva considerare un aneddoto divertente.
I diciassette ragazzi che aveva di fronte però la guardavano come se fosse pazza, tranne Raw, che rimase impassibile. L’Istruttrice non fece neanche caso agli occhi spaventati dei suoi studenti, continuando il suo discorso come se niente fosse.
Dove siamo finiti?
<< Se venite avanti potrete notare delle scale alla mia destra. Portano al piano sotterraneo, dove si svolgeranno tutte le vostre lezioni. A mezzogiorno suonerà una campana che indicherà la pausa pranzo. Avrete due ore a disposizione per mangiare e riposarvi prima di rientrare nelle aule alle due. Continuerete fino alle otto di sera >>
Dieci ore sotto terra. Dieci ore in cui dovevano cercare di sopravvivere a quanto pare. Se la prima prova era quella del furgone, Emma non osava immaginare le altre. Non sarebbe stato facile stare lì dentro.



{Ho dovuto dividere questo capitolo in due parti, perchè un paio di voi si sono lamentati della difficoltà di lettura perchè il capitolo precedente risultava troppo lungo. Figurarsi metterne uno ancora più lungo. Volevo ringraziare chi ha letto la mia storia e chi l'ha salvata. Grazie mille a tutti, alla prossima settimana!!}

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Capitolo 3
*** II b. ***


Le strade erano tutte uguali a Seattle, se non per chiazze di colore che distinguevano i quartieri.  Al mio era stato assegnato il rosso, colore abbinato a chi lavorava in campo medico come me e mio padre. Di notte, senza luce a rischiarare il buio, il colore era talmente scuro da sembrare sangue rappreso che colava giù dalle pareti, non c’era nessun lampione ad illuminare la zona e camminare da sola per queste vie mi aveva sempre dato un senso di angoscia difficile da spiegare.
Non era come il quartiere di Jason, con le sue case verdi, che donavano quasi sempre un senso di allegria ogni volta che qualcuno passava per di lì.
<<  Arrivati piccola >>, Jason mi aiutò a rimettermi in piedi, difficilmente ci sarei riuscita da sola. Questa volta lo giuravo su tutto ciò che avevo di più caro al mondo, non avrei mai più esagerato con l’alcool. Le luci del salone erano accese, questo significava che mia madre come sempre era rimasta sveglia ad aspettarmi. Non riusciva a non vedermi più come una bambina e continuava stare in pensiero per me.
<< Oh-oh. La signora ti aspetta >>
<< Se non dovessi farmi sentire domani, chiamate le guardie >>, sussurrai.
Eccola lì mia madre, con i suoi capelli corvini che le incorniciavano il volto pallido, mentre mi guardava con aria di rimprovero dalla finestra. Addio al mio piano di entrare di soppiatto!
La casa era calda e il profumo di limoni della crema viso di mia madre era ancora nell’aria e rievocava in me ricordi di un’adolescenza felice e spensierata.
<< Emma, possibile che ogni notte rientri sempre più tardi? Lo sai che io e tuo padre stiamo in pensiero! Non ci posso credere! Devi pensare anche a noi! O non ci vuoi bene?  >>
Non avevo le forze di rispondere, la testa continuava a girarmi terribilmente e mi limitai ad annuire e dare un bacio sulla guancia liscia di mia madre.
<< Mi dispiace. Però possiamo parlarne domani? Ho veramente bisogno di dormire. >>
Non so se mia madre sentì quella frase, una luce accecante illuminò la casa come se fosse giorno seguita da un tonfo talmente forte da farmi tremare il cuore. La porta d’ingresso era stata completamente scardinata e lasciata cadere.



Le scale erano di cemento grezzo, non raffinate come il resto della casa, come se chi le avesse costruite avesse voluto finire il lavoro il più in fretta possibile. Le luci attaccate al soffitto si accendevano quando la loro insegnante ci passava sotto, rivelando un altro corridoio lungo e buio di cui non si intravedeva la fine.
Non aveva mai sofferto di claustrofobia, ma avrebbe potuto benissimo cominciare ora. Sembrava che le pareti si stessero restringendo intorno a lei e il soffitto la stesse schiacciando. Prese lunghi respiri per cercare di tranquillizzarsi.
Neanche quando era piccola le aveva mai dato fastidio stare chiusa in spazi stretti, ora che sapeva cosa fosse la libertà non riusciva a sopportare l’idea che le fosse stata tolta un’altra volta. Tutti camminavano in silenzio, andando in contro al loro destino a testa bassa. Emma provava ad immaginare cosa sarebbe successo da lì a poco, ma la sua immaginazione non arrivava a tanto. Come avevano intenzione di addestrarli?
A cosa li avrebbero addestrati? Combattimento, armi? Qualcuno si sarebbe fatto male?
L’ultimo punto era sicura fosse l’unico a cui avrebbe potuto rispondere da sola e un grande ‘si’ lampeggiava nella sua mente.
L’unica cosa di cui era certa è che ormai stavano camminando da cinque minuti e il suo cuore batteva talmente velocemente che aveva paura che anche gli altri potessero sentirlo.
Iniziava a sudare freddo e sentiva che la tuta le si stava appiccando addosso. L’ansia le stava corrodendo lo stomaco, aveva troppe domande che le risuonavano in testa, domanda a cui sperava oggi qualcuno avrebbe dato delle risposte.
Ed eccola lì la loro destinazione, una stanza enorme si estendeva davanti a loro. Quattro persone li stavano aspettando, seri e nella stessa identica posizione: mani dietro la schiena e testa rigida con lo sguardo puntato in avanti.
<< Buongiorno. Vedo che nessuno ha saltato l’appuntamento, quasi mi dispiace le punizioni sono sempre la parte più divertente di questi addestramenti. Il mio nome è Felix, sarò colui che vi addestrerà a combattere. I miei colleghi qui, sono Samantha esperta di veleni, Joe esperto di lotta con armi e Rox esperta nelle comunicazioni >>
Emma guardò tutti e quattro cercando di associare i nomi ai loro volti, l’uomo che aveva parlato era sicuramente colui che attirava più l’attenzione. La pelle color cioccolato, la stazza imponente e lo sguardo da psicopatico. Guardava tutti con un’espressione disgustata perenne sul volto.
Samantha era donna piccola, assomigliava quasi ad un folletto, a cui avevano strappato le ali, sorriso sempre presente, capelli biondi portati corti e mani in continuo movimento.
Gli ultimi due erano identici, se non per il sesso. Stessi capelli rossi, stessi occhi scuri e stessa espressione vacua. Erano sicuramente fratelli.
<< Mi… Mi scusi >> a parlare fu una dei suoi compagni. Non l’aveva mai notata, né in mensa, né in doccia, né per i corridoi. Era abbastanza anonima, difficilmente si sarebbe ricordata di lei o l’avrebbe notata, se non avesse aperto bocca ora.
<<  Ecco, perché dovete addestrarci a combattere? >>
Ed eccola qua la domanda che tutti volevamo porre, ma nessuno aveva il coraggio di fare. Proprio la ragazza anonima, quella a cui nessuno avrebbe dato un soldo, aveva avuto il coraggio di farla. Alcune volte le persone ancora mi sorprendevano.
<< La ragazzina qui ha fegato devo ammetterlo. Come al solito tocca a me spiegare dove vi trovate, perché siete qui e tutte le altre cose. Ve la farò breve, siamo gli Shadows, gli assassini scelti dal Sistema. Agiamo nell’ombra, aiutiamo chi ha bisogno, ma alla fine dei conti siamo mercenari. Il Sistema ci ricompensa per togliere di mezzo persone che potrebbero costituire un problema. Ora, nessuno vi costringerà a rimanere o seguire le lezioni. Potete andarvene e sono sicuro che il Sistema vi ricollocherà per un’altra mansione. Quindi a chi non piace, prego >>, Felix indicò una porta nera dall’altra parte della stanza, che risaltava sopra le pareti completamente neutre che li circondavano.
Vedeva ragazzi e ragazze che bisbigliavano fra di loro e si guardavano intorno spaesati da quella scoperta e dalla possibilità di abbandonare.
Il maestro di combattimento non aveva indorato la pillola e ora guardava i suoi studenti con un sorrisetto sulle labbra, aspettando chi di loro avesse lasciato per primi.
Per Emma, però, il tranello c’era. Era impossibile che lasciassero andare via le persone così facilmente, si trattava comunque di una società segreta di cui nessuno era a conoscenza, tranne alcune persone come Raw. Se andarsene era possibile in quale modo avrebbero potuto costringere a non parlare?
Un gruppo di ragazzi fece un passo in avanti, in totale erano sei, rivolsero un sorriso incerto agli insegnati per dirigersi, poi, verso quella porta che prometteva salvezza.  Riuscirono a fare solo alcuni passi prima di cadere a terra, senza emettere nemmeno un suono. I corpi atterrarono con un tonfo sordo, manici di coltelli sbucavano dalla loro schiena o dai loro colli. Alcuni avevano la bocca spalancata, altri era caduti con la faccia sopra il pavimento facendo rumore di ossa rotte.
Emma si girò velocemente verso le quattro figure in nero che erano di fronte a loro e tutti stavano ritornando piano alla loro posizione originaria, mentre risistemavano i coltelli da lancio che non erano serviti.
<< Come dicevo il Sistema saprà come reindirizzarvi. Il concime serve sempre >>
Il suo corpo era come immobilizzato, non riusciva a credere che della vite avessero così poco peso. Quei ragazzi avevano una famiglia, genitori da cui tornare, amanti da riabbracciare e amici da consolare. Ora erano semplicemente cadaveri.
Non volevano insegnare semplicemente ad uccidere, volevano insegnare ad essere delle macchine.
La ragazza riusciva a vedere Mia in lontananza che tremava e stringeva il proprio corpo con le mani. Jason che la guardava, ma aveva paura ad avvicinarsi per le ripercussioni che avrebbe potuto ricevere.
<< Purtroppo siete rimasti in undici, quindi non vi potremmo dividere in modo equo. Ora chiamerò il primo gruppo che andrà con Rox: Jason, Rob, Jade. >>
Li conosceva tutti e tre. Il suo cuore perse un battito quando sentì il nome di Jason, che si dirigeva verso la donna con un’espressione decisa sul volto. Sperava solo di vederlo all’ora di pranzo.
<< Secondo gruppo: Camilla, Lucien, Sebastian. Voi andrete con Samantha >>
Ecco, come si chiamava la ragazza anonima. Camilla, un bel nome che di sicuro le si addiceva. Gli altri due li aveva incrociati qualche volta, ma non avevano scambiato neanche un saluto. Rimanevano in cinque.
<< Il terzo gruppo che invece andrà con Joe sarà: Mia, Sam, Micheal e Romi. Che cazzo di nome è Romi?>>
Emma rimase da sola al centro della stanza, era rimasta solo lei e per esclusione avrebbe svolto la sua prima lezione con lo psicopatico.
La solita fortuna.
<< Tu, capelli bianchi con me. Per essere più chiari, questi gruppi non cambieranno mai>>
Come volevasi dimostrare.

Cambiando invece stanza due figure guardavo la scena con una certa curiosità. Joseph guardava con interesse la ragazza che stava al centro della sala con le spalle dritte e l’espressione neutra in volto, non aveva mai nascosto il suo interesse verso di lei da quando l’aveva vista per la prima volta, sporca e denutrita, che invece di preoccuparsi per se stessa cercava con gli occhi gli amici.
Non passava inosservata, ma il suo interesse verso di lei non era dato semplicemente dal colore dei suoi capelli, ma perché conosceva solo una persona che li aveva avuti così e non la vedeva da circa dodici anni.
<< Secondo te può essere lei? >>
<< Non lo so, Joseph. Dobbiamo aspettare >>
<< Oh, aspetterò. Puoi giurarci >>


{E rieccoci! Mi scuso con tutti per l'attesa, ma fra Pasqua e poi problemi miei personali non ho avuto modo di pubblicare altro. Per farmi perdonare questa settimana ho pensato di effettuare due aggiornamenti, quindi di pubblicare anche il terzo capitolo. Ma non vi prometto nulla, che se non dovessi farcela, mi sentirei in colpa! 
La storia di Emma va avanti e come vedete ho accennato il punto di vista di altri personaggi, che non sarà una costante, ma capiterà che ci sia. 
Ringrazio FDFlames che ha lasciato la mia prima recensione e lo ringrazio di nuovo per tutti i complimenti. 
Mi sono accorta che nei precedenti capitoli alcune frasi di dialoghi si erano completamente cancellate e quindi ho riaggiornato tutto! 
Grazie mille a tutti! Al prossimo capitolo <3 }

 

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