Il diario segreto di Taro Misaki

di Nathan05
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritrovamento ***
Capitolo 2: *** Taro il solitario ***
Capitolo 3: *** Taro incontra Tsubasa ***
Capitolo 4: *** Golden Combi ***
Capitolo 5: *** Nankatsu SC ***
Capitolo 6: *** Tormenti interiori ***
Capitolo 7: *** Il compito di matematica ***
Capitolo 8: *** I brividi di Taro ***
Capitolo 9: *** "T+T" ***
Capitolo 10: *** Dichiarazione ***
Capitolo 11: *** Una cosa complicata ***
Capitolo 12: *** Gioia e dolore ***
Capitolo 13: *** Coming out ***
Capitolo 14: *** Il film ***
Capitolo 15: *** Tsubasa gay o etero? ***
Capitolo 16: *** La festa di Kishida ***
Capitolo 17: *** Le confidenze di Tsubasa ***
Capitolo 18: *** Wakabayashi e Ishizaki ***
Capitolo 19: *** Dalla parte di Taro ***
Capitolo 20: *** Acque bollenti ***
Capitolo 21: *** La mossa di Sanae ***
Capitolo 22: *** Due appuntamenti ***
Capitolo 23: *** Il biglietto d'auguri ***
Capitolo 24: *** La festa di Tsubasa ***
Capitolo 25: *** Verso Tokyo ***
Capitolo 26: *** Colloqui notturni ***
Capitolo 27: *** Il dolore della sconfitta ***
Capitolo 28: *** Taro e Haruo ***
Capitolo 29: *** Vincenti nella tristezza ***
Capitolo 30: *** La gelosia di Tsubasa ***
Capitolo 31: *** La gelosia di Taro ***
Capitolo 32: *** "Anch'io" ***
Capitolo 33: *** Verso la finale ***
Capitolo 34: *** Il sogno è ancora vivo ***
Capitolo 35: *** Il trionfo ***
Capitolo 36: *** Addio ***
Capitolo 37: *** Il mio incontro con Tsubasa ***
Capitolo 38: *** L'appuntamento ***
Capitolo 39: *** Ritorno a Nankatsu ***
Capitolo 40: *** L'indagine ***
Capitolo 41: *** A casa di Tsubasa ***
Capitolo 42: *** Stato di ebbrezza ***
Capitolo 43: *** Rotta su Kagoshima ***
Capitolo 44: *** Kazuo Kodama ***
Capitolo 45: *** Eureka! ***
Capitolo 46: *** Codici segreti ***
Capitolo 47: *** Taro a Kagoshima ***
Capitolo 48: *** Taro incontra Kazuo ***
Capitolo 49: *** Mitsuru ***
Capitolo 50: *** Taro da Kodama ***
Capitolo 51: *** La mossa di Kazuo ***
Capitolo 52: *** Taro a Yokohama? ***
Capitolo 53: *** Le lacrime di Kazuo ***
Capitolo 54: *** Nishimine vs Matsura ***
Capitolo 55: *** Addio, Kagoshima ***
Capitolo 56: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il ritrovamento ***


CAPITOLO I - IL RITROVAMENTO

L'avevo sognato da tanto tempo, ed ora mi trovavo finalmente in Giappone per le vacanze estive del 2019. La mia prima volta nel Paese del Sol Levante si è rivelata subito emozionante, come del resto avevo sempre pensato e sperato. Ma mai avrei potuto immaginare quello che sarebbe successo nel corso delle settimane trascorse in quelle fantastiche terre.

Dopo un lungo viaggio aereo con scalo a Mosca, io ed i miei genitori atterrammo all'aeroporto di Tokyo-Narita. Appena giunti nel quartiere di Shibuya, uno dei più vivi della città, notammo una calca sulla sinistra. Apparentemente, nascosto tra la folla, doveva esserci un personaggio famoso. Sullo stand campeggiava un manifesto con scritto “Kojiro Hyuga – Toho Academy” ed una foto di un ragazzo alto e muscoloso in divisa da calcio, che, a giudicare dallo scenario, riscuoteva un certo successo tra le ragazzine, presenti in massa ad agitare smartphone e quaderni per gli autografi. Scoprimmo poi che in quei giorni sarebbe iniziato il torneo nazionale di calcio per le scuole medie, che evidentemente era considerato particolarmente importante in Giappone. Dalla foto, però, quel Kojiro Hyuga non sembrava affatto un ragazzino delle medie: la sua statura ed il suo fisico sembravano quelli di un ragazzo più grande.

Tornando a Tokyo, questa gigantesca città, seppur trafficatissima, risulta davvero pulita, ordinata ed efficiente agli occhi di un italiano. Può sembrare uno stereotipo, ma vi assicuro che è davvero così. Trascorsa una settimana in quel misto di modernità e tradizione che è la capitale, decidemmo di spostarci sfruttando i rapidissimi treni nipponici, gli shinkansen, noti internazionalmente come “treni proiettile” (“bullet trains”), anche se il termine giapponese andrebbe tradotto letteralmente in un meno ambizioso “nuovo treno rapido”. Andammo dritti verso sud, ad Hiroshima, la città colpita dalla prima bomba nucleare nel 1945, che ancora conserva i segni di quella tragedia nel suo “duomo atomico”. Risalendo facemmo tappa in altre magnifiche città come Osaka, la città del castello fondato dal leggendario shogun Nobunaga Oda, Nagoya, la piccola Gifu con il suo Monte Kinka, in cima al quale si erge un altro castello, o ancora le antiche capitali imperiali: la meravigliosa Kyoto, dove ogni angolo è ricco di storia, e la fiabesca Nara, città nella quale centinaia di cervi sono liberi di scorrazzare tra le strade ed i parchi.

Ma fu l'ultima tappa del nostro viaggio quella che scombussolerà tutto. Nel nostro itinerario, infatti, non poteva mancare il magnifico Monte Fuji, il Fuji-san, in Giappone considerato al pari di una divinità. “Esistono due generi di uomini folli”, recita un vecchio adagio nipponico: “coloro che non hanno mai scalato il Fuji, e coloro che lo hanno scalato due volte”. Salimmo dunque sullo shinkansen diretto verso la città di Shizuoka, capitale dell'omonima prefettura: già da qui, l'immagine imponente del Monte Fuji, con la cima ancora innevata nonostante il clima estivo, risultò impressionante alla nostra vista. Con i suoi 3.776, la montagna dominava il panorama di Shizuoka, da dove prendemmo un autobus per la piccola cittadina di Nankatsu, situata proprio ai piedi del Fuji.

Avvicinandoci alla meta, la sagoma del monte vulcanico diveniva ancora più imponente e minacciosa, tanto da far intuire il motivo per il quale i giapponesi l'abbiano considerato un ente divino per secoli. Raggiungemmo Nankatsu in serata, e potemmo subito notare il clima quiete di questa cittadina di poche migliaia di abitanti, con le sue strade poco trafficate e silenziose, costeggiate da villette a schiera. Ci recammo in una piccola abitazione prenotata su internet, che sarebbe stata la nostra dimora per i prossimi giorni: il precedente inquilino, ci avevano detto, era un artista, che poi aveva deciso di trasferirsi altrove per motivi lavorativi.

Entrai in quella che, per i prossimi giorni, sarebbe stata la mia stanza, chiedendomi chi avesse vissuto tra quelle mura prima di me: mai avrei immaginato di ricevere una risposta ben definita nel giro di poco tempo. Posai lo zaino su una sedia e mi buttai sul letto: sul muro c'era un poster autografato di un calciatore, Roberto Hongo, un fuoriclasse brasiliano che l'anno precedente aveva annunciato il proprio ritiro dalle competizioni, nonostante la giovane età, a causa di una malattia degenerativa che lo avrebbe privato della vista per sempre. Quell'artista, pensai, doveva avere un figlio, e questa doveva essere stata la sua camera. 

Incominciai ad organizzare i miei vestiti nell'armadio, poi andai verso la scrivania per sistemare il mio laptop. Presi la chiave della valigia per metterla in un posto sicuro, il cassetto a destra della scrivania sembrava il posto giusto. Aprendolo, però, ebbi una sorpresa: un piccolo diario rosso. Rimasi qualche secondo a fissarlo, poi smisi di indugiare e lo presi, maneggiandolo con cura come si trattasse di un reperto archeologico. Lo aprii.

In alto a destra c'era una piccola fotografia di un ragazzino con una felpa verde acqua ed il colletto di una camicia gialla che spuntava. L'espressione ed i tratti del viso ne denotavano la gentilezza e la cordialità: lo guardai nei grandi occhi castani come se fosse di fronte a me, quasi a volergli chiedere il permesso di proseguire a sfogliare quel diario, che certamente doveva essere suo. Continuando a guardare quella foto non potei fare altro che notare la bellezza dei suoi lineamenti, i capelli, intonati con gli occhi, né troppo ribelli né troppo ordinati che ne coprivano la fronte.

Spostai lo sguardo più in basso, e potei finalmente scoprire qualcosa sull'identità di quel ragazzino.

Cognome: Misaki
Nome: Taro
Data di nascita: 5 maggio 2007
Scuola: Scuola Elementare di Nankatsu
Classe: VI
Anno scolastico: 2018-2019 (I semestre)


Quel "I semestre" sembrava essere stato aggiunto in un secondo momento, frettolosamente ed in maniera posticcia. La curiosità era grande, ma si era anche fatto tardi. Dopo il viaggio un riposo era necessario, ma allo stesso tempo non vedevo l'ora di svegliarmi per fiondarmi nuovamente nelle pagine di quel diario. Chissà quali altre sorprese mi avrebbero aspettato.
 

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Capitolo 2
*** Taro il solitario ***


CAPITOLO II - TARO IL SOLITARIO

Mi svegliai di soprassalto, con una voce martellante che ripeteva nel cervello: “Taro Misaki”. Mi voltai verso l'orologio: erano solo le sette, i miei genitori ancora dormivano. Guardai sul comodino, dietro all'orologio: il diario rosso era lì, dove l'avevo lasciato. Lo presi, toccandolo quasi come per verificare che non fosse stato tutto un sogno. Aprii nuovamente la prima pagina del diario, per immergermi ancora una volta nei profondi occhi di Taro. Il giorno precedente non ci avevo fatto caso, ma notai per la prima volta affiorare un velo di tristezza e di malinconia nella sua espressione, ben celato dall'accenno di un sorriso. O forse era solo una mia impressione? In fondo si trattava solamente di una foto, e non era il caso di lasciarsi andare a queste interpretazioni.

Voltai la pagina, e trovai altre due foto. A sinistra quella di Taro con un uomo sulla quarantina, con barba e baffi appena accennati, ed un vistoso cappello di paglia in testa. Sullo sfondo il Monte Fuji in tutta la sua maestosità. Capii che la foto era stata scattata sul balcone della cucina della casa nella quale mi trovavo, dunque quello doveva essere il padre di Taro, l'artista, il signor Misaki. 

Dall'altro lato c'era una fotografia di una squadra di calcio con la maglia bianca ed i bordi azzurri. Sul petto potei leggere la scritta “Nankatsu SC”, e riconobbi Taro tra i giocatori. Dunque aveva la passione per il calcio, come si poteva intuire anche dal poster di Roberto Hongo appeso accanto al letto. La fotografia della squadra di calcio, al contrario delle altre, non era incollata, ma si reggeva solamente con una graffetta. Sollevai la fotografia, e sul retro c'era scritto a penna: Nankatsu SC, Campionato nazionale scuole elementari 2018-2019.


La curiosità sul contenuto del diario cresceva, ma allo stesso tempo iniziai a chiedermi anche come fosse possibile che Taro si potesse essere dimenticato di qualcosa che sembrava essere piuttosto importante per lui. Dopo le due pagine con le foto, trovai finalmente le prime pagine scritte da Taro: risalivano a maggio del 2018, dunque a più di un anno fa.

3 MAGGIO 2018

Siamo finalmente arrivati a Nankatsu, la nuova città dove mio padre ha deciso di trasferirsi per dipingere un quadro con lo sfondo del grande Monte Fuji. Solo pochi giorni fa, ho saputo di dover salutare i miei vecchi compagni di scuola a Furano, sull'isola di Hokkaido. A dire il vero, oramai ci ho fatto praticamente l'abitudine. Ho perso il conto di quante scuole ho dovuto cambiare per via del lavoro di mio padre, e chissà quanto a lungo resteremo qui a Nankatsu. Credo non più di qualche mese. Poco importa, tanto di amici non ne ho mai avuti, e probabilmente mai ne avrò. Il mio unico amico è il mio pallone, che mi segue ovunque vada. Presto inizierà il nuovo anno scolastico, e frequenterò l'ultimo anno della scuola elementare di Nankatsu. Spero solamente che la scuola abbia una buona squadra di calcio, almeno potrò divertirmi e prendere parte al Campionato della prefettura di Shizuoka: in fondo giocare a calcio è l'unica cosa che amo davvero. A Furano avevamo una buona squadra, ed un ottimo capitano come Hikaru Matsuyama, ma da quello che so la Nankatsu non ha mai ottenuto grandi risultati. Dicono la squadra più forte della città sia quella della scuola Shutetsu, ma è una scuola privata ed è troppo costosa. Dovrò accontentarmi della Nankatsu.

5 MAGGIO 2018

Oggi è il mio compleanno, compio undici anni. Lo so, dovrei essere felice, ma in verità non lo sono affatto. In fondo, è stata solamente un'altra noiosa giornata come le altre. Mio padre mi ha fatto gli auguri al mattino e mi ha regalato un nuovo smartphone color argento: molto bello, ho scaricato tante app e scattato qualche foto del Monte Fuji, ma peccato che non abbia nessuno con cui chattare e condividere le foto. Poi siamo andati in riva al fiume, dove mio padre ha continuato a dipingere il suo quadro, mentre io ho passato la giornata palleggiando, più o meno come sempre. Come al solito, nessuno mi ha telefonato per farmi gli auguri. Neppure mia madre: non che avessi voglia di parlarle. In fondo, non la conosco nemmeno, so solo che si è sposata con un altro uomo e che ora ha un'altra famiglia. Non mi interessa sapere altro. L'unico mio ex compagno ad essersi ricordato del mio compleanno è stato Hikaru Matsuyama, mi ha mandato un messaggio ed ho ringraziato. Scommetto che se ne è ricordato solo grazie al calendario di qualche social network. Per il resto, niente di nuovo. Devo sbrigarmi ad andare ad iscrivermi alla Nankatsu, visto che l'anno scolastico è già iniziato da qualche settimana, e così potrò almeno giocare a calcio con qualcun altro. 

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Capitolo 3
*** Taro incontra Tsubasa ***


CAPITOLO III - TARO INCONTRA TSUBASA

Non lo conoscevo, ma sfogliando le prime pagine del diario di Taro mi immedesimai al punto tale da pensare di averlo conosciuto da sempre. Sentii una forte emozione nel leggere le sue parole, dalle quali trasparivano la sua sensibilità e la sua profonda solitudine: senza veri amici e praticamente senza una madre, doveva seguire il padre nel suo girovagare per il Giappone, non riuscendo a mettere radici ed a costruire vere relazioni. Chissà dov'era andato, dopo aver lasciato Nankatsu.

Quel giorno, dovevamo apprestarci a scalare il Monte Fuji. Preparai lo zaino, ed alla fine decisi di buttare dentro anche il diario di Taro: la scalata del Monte Fuji, oltre ad essere molto lunga, è considerata una sorta di esperienza mistica, e sicuramente avrei potuto trovare qualche momento per la lettura. Mi sentivo un po' come Petrarca che ascende al Monte Ventoso con Sant'Agostino sotto il braccio. 

Ci spostammo con l'autobus a Fujinomiya, da dove parte il percorso più noto per raggiungere la cima della montagna. Qui, secondo la tradizione, bisogna recarsi al tempio di Fujisan Sengen, attraversarne il torii (il portale d'accesso ai templi shintoisti) ed abbeverarsi dell'acqua proveniente da una delle due sorgenti sacre, Kinmei-sui (la sorgente dell'acqua dorata) e Ginmei-sui (la sorgente dell'acqua argentata). Solo in questo modo si può iniziare la scalata senza incorrere nell'ira della divinità-montagna, garantendosi l'incolumità nella salita come nella discesa. L'ascesa è faticosa, ma ne vale la pena, soprattutto per i meravigliosi paesaggi naturali che circondano la montagna. Arrivammo nel tardo pomeriggio all'ultimo rifugio, il Goraikoukan, quello situato più vicino alla cima del Fuji. Il piano era infatti quello di riposare qualche ora al Goraikoukan, per poi terminare la scalata in notturna ed ammirare l'alba in cima al vulcano.

Approfitto del momento di riposo per riprendere il diario di Taro.

6 MAGGIO 2018

Questa domenica è trascorsa quasi tutta con la solita monotonia. Come sempre, mio padre è andato a dipingere in riva al fiume ed io l'ho seguito. Il paesaggio è bellissimo, ma dopo tante ore diventa noioso anche quello. Siamo rimasti lì quasi fino al tramonto, e per gran parte della giornata ho pensato ai miei compagni di Furano, che avevo lasciato da poco. Nella mia vita ho girato centinaia di posti e conosciuto migliaia di persone, ma non ho mai avuto modo di costruire relazioni tali da poter chiamare queste persone “amici” nel vero senso della parola. In molti sono stati simpatici e cordiali con me, ma con i tanti spostamenti è facile perdere i contatti. E soprattutto non ho mai trovato una persona con la quale costruire una relazione di fiducia, qualcuno con cui confidarmi. Quando sono tra gli altri mi sento bene, credo di avere un carattere allegro ed amichevole, ma nessuno sa quanto in realtà io mi senta solo. 

Stavamo per tornare a casa, quando ho sentito il rumore di una palla da calcio che rimbalzava: per un attimo ho temuto che il mio pallone stesse ruzzolando giù nel fiume, ma poi ho visto che un ragazzo stava avvicinandosi palleggiando. Ho subito notato la sua bravura nel palleggio, nel dribbling e nel controllo della palla. Mi è passato davanti e sono rimasto a fissarlo, incredulo, fino a quando non è scomparso all'orizzonte. Chi sarà mai qual ragazzo così bravo? Ho giocato in tante squadre, ma non avevo mai visto nessuno così abile con il pallone. Sicuramente sarà un giocatore della squadra di Shutetsu, alla scuola di Nankatsu non possono esserci calciatori così bravi. Spero di scoprire presto chi sia, e, se mai lo rivedrò, lo ringrazierò per aver reso interessante questa giornata. Sono rimasto talmente imbambolato che mio padre ha detto di avermi chiamato parecchie volte, ma io non me ne sono neppure accorto: guardavo solo quel ragazzo e il suo pallone.

7 MAGGIO 2018

Oggi devo andarmi ad iscrivere alla scuola elementare di Nankatsu. Continuo a pensare a quel ragazzo che ho visto ieri, chissà se riuscirò a incontrarlo in città.

8 MAGGIO 2018

Avrei dovuto scrivere queste pagine ieri, ma alla fine della giornata ero davvero stanco e non ci sono riuscito. Già, perché quella di ieri è stata una giornata davvero meravigliosa, una delle più belle e sorprendenti della mia vita. Come ho detto ieri, dovevo andare ad iscrivermi a scuola, ma ho trovato i cancelli della Nankatsu chiusi. C'era solamente un inserviente, mi ha detto che tutta la Nankatsu era alla Shutetsu! Per quale motivo? L'ho scoperto solo arrivando alla Shutetsu. Era in corso la partita del campionato interscolastico della città, una sfida tra le due scuole elementari più importanti d Nankatsu. Mi sono seduto tra gli spalti e... in campo c'era quel ragazzo dell'altro giorno! Ma la cosa assurda era che vestiva la maglia della Nankatsu! Ho subito pensato con entusiasmo che saremmo diventati compagni di squadra, ma non credevo che sarebbe successo così rapidamente. Infatti, improvvisamente il capitano della squadra della Nankatsu si è infortunato in un tackle, e la squadra è rimasta in dieci. La Nankatsu non aveva riserve, due ragazzi si sono fatti avanti per giocare – uno ha detto di chiamarsi Urabe – ma non erano della Nankatsu, e quindi non potevano giocare da regolamento. Fortunatamente ero appena riuscito ad iscrivermi, e quindi sono potuto entrare in campo dagli spalti!

Non potevo crederci, ero già in campo con la maglia della Nankatsu dopo solo pochi minuti, accanto al ragazzo che avevo visto l'altro giorno. All'inizio non ho avuto la forza di avvicinarmi a lui, ho solo pensato a giocare. Ero davvero felice di poter tornare a giocare con altri ragazzi, ma partita si stava mettendo male, eravamo sotto 2-1 ai supplementari. Ho sentito che gli altri giocatori lo chiamavano Tsubasa: è davvero uno figo, ha incitato la squadra nei momenti più difficili. Un vero leader, oltre a saper giocare in maniera fantastica. Anche in campo ho continuato a guardarlo tutto il tempo e, appena potevo, gli passavo il pallone. Alla fine, ci siamo trovati in due davanti al portiere della Shutetsu: Tsubasa mi ha passato il pallone, io avrei potuto segnare ma... ho voluto ridargliela e far segnare lui, se lo meritava davvero. Subito dopo il goal, Tsubasa mi è venuto vicino, mi ha ringraziato e ci siamo abbracciati: in quel momento ho sentito una sensazione davvero strana, non era la solita gioia per il goal. Non avevo mai provato una sensazione così, come un tuffo al cuore. Alla fine, la partita è finita 2-2. Ma soprattutto sono andato a dormire felice come non mi era mai successo. Non vedo l'ora di tornare ad allenarmi e giocare con Tsubasa e con gli altri ragazzi della mia nuova scuola.

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Capitolo 4
*** Golden Combi ***


CAPITOLO IV - GOLDEN COMBI

Nathan!”. Mi sveglio con la voce di mio padre che mi chiama. Mi ero addormentato leggendo il diario di Taro: probabilmente, sfogliando quelle pagine in cui diceva di sentirsi finalmente felice, avevo a mia volta avvertito una sensazione di maggiore tranquillità, concedendomi il diritto di riposarmi. Sembrava quasi che i miei stati d'animo fossero oramai entrati in perfetta sintonia con quelli descritti da Taro nei suoi resoconti quotidiani.

Nel bel mezzo della notte, era il momento di riprendere la scalata del Fuji, con tanto di torce, per non rischiare di arrivare troppo tardi in cima, ed ammirare il sorgere del sole dal tetto del Giappone. Dal rifugio Goraikoukan ci vuole ancora poco più di un'ora di cammino per raggiungere la vetta del vulcano, dove persino d'estate si trova ancora la neve. Proprio per via della neve, del resto, la stagione ufficiale di scalata del Fuji è aperta solamente due o tre mesi l'anno, durante l'estate, ed in quel periodo sono tantissimi gli appassionati di trekking che si lanciano nell'impresa.

Finalmente raggiungiamo la sommità del Fuji, proprio nel momento in cui iniziano ad apparire le prime luci all'orizzonte. Col suo lento sorgere, il sole illumina gradualmente il meraviglioso paesaggio circostante, fatto di laghi e boschi. La fatica è stata tanta, ma ne è valsa davvero la pena per godere di questo spettacolo naturale unico. In quel momento ho potuto avvertire una grande emozione mista ad una sensazione di pace interiore, forse simile a quella provata da Taro nell'abbracciare Tsubasa.

Prima di prendere il sentiero della discesa, riapro il diario e mi immergo in qualche pagina.

10 MAGGIO 2018

Oggi è stato il giorno del mio primo allenamento ufficiale con la squadra della scuola elementare Nankatsu. Mi sono divertito un mondo, soprattutto ho potuto nuovamente giocare con Tsubasa: credo che tra noi ci sia un grande feeling naturale, e del resto è difficile non trovarsi bene con lui per un amante del calcio. Il suo talento continua a sorprendermi ogni volta che lo vedo, la sua maniera di addomesticare la palle è unica, ed anche lui ha detto che gioco davvero bene: è stato un onore ricevere i suoi complimenti, al limite dell'emozionante. Dopo la partita contro la squadra della Shutetsu, su un giornale locale ci hanno addirittura dedicato un articolo, definendoci la “Golden Combi” della Nankatsu. Evidentemente anche gli altri devono essersi accorti di quanto ci troviamo bene sul campo. Quasi dimenticavo: il nostro allenatore è il brasiliano Roberto Hongo, uno dei miei giocatori preferiti da sempre. Davvero in questi ultimi giorni mi è sembrato di vivere in un sogno! Ho chiesto a Roberto di autografarmi il suo poster che ho appeso in camera, e mi ha promesso che lo farà. 


13 MAGGIO 2018

Negli ultimi giorni mi sono divertito davvero tanto a giocare con Tsubasa. I nostri compagni di squadra sono stanchi morti dopo gli allenamenti, ma spesso io e lui restiamo al campo a giocare fino al tramonto. Altre volte invece ci diamo appuntamento la mattina presto, prima di andare a scuola. Sembriamo davvero fatti per giocare insieme, ed anche se ci conosciamo solo da qualche giorno ci capiamo al volo. Sono stato molto fortunato ad incontrarlo, ed ogni giorno mi sveglio con il solo pensiero di tornare sul campo a scambiarci il pallone per ore.

Purtroppo, però, oggi è arrivata anche una notizia molto brutta, che mi ha davvero scosso. Genzo Wakabayashi, il portiere e capitano della squadra della Shutetsu, ci ha detto che Roberto ha annunciato il suo ritiro dal calcio, e che per via di un grave problema agli occhi potrebbe addirittura perdere la vista per sempre. Roberto ci ha confermato che purtroppo è davvero così, ma comunque continuerà ad allenarci fino alla finale nazionale, sperando prima di qualificarci come squadra rappresentante della prefettura di Shizuoka. Con un fenomeno come Tsubasa, sono sicuro che ci riusciremo, anche perché così potrei rivedere i miei vecchi compagni di tante altre scuole, se anche loro ce la faranno. Sono sicuro che Hikaru Matsuyama andrà a Tokyo con i suoi ragazzi, e pure Kojiro Hyuga: quel ragazzo è un mostro, ci ho giocato insieme quando ero alla Meiwa, una scuola della città di Saitama. Chissà se ancora si ricorda di me.

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Dunque Taro ha conosciuto di persona Roberto Hongo, che l'ha addirittura allenato! Ecco dunque spiegato il poster autografato. E poi ha giocato anche con Kojiro Hyuga, il ragazzo muscoloso che avevo visto a Tokyo, all'inizio del mio soggiorno giapponese. La storia continuava a farsi sempre interessante ed intrigante, e Taro sembrava trovarsi davvero bene nella sua nuova scuola, soprattutto con Tsubasa. Ero contento per lui, ma allo stesso tempo preoccupato, sapendo che oramai non abitava più a Nankatsu, e forse era nuovamente piombato nella solitudine. Dalla sua scrittura, infatti, potevo capire quanto il suo animo fosse sensibile, anche se la vita lo aveva costretto a reprimere i propri sentimenti: credo che proprio per questo abbia deciso di scrivere tutto in un diario, in mancanza di una persona con la quale confidarsi. Avrei volentieri continuato a leggere, ma era ora di cominciare la discesa dal Fuji.

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Capitolo 5
*** Nankatsu SC ***


CAPITOLO V - NANKATSU SC

Se la scalata del Fuji rappresenta una fatica immane, la discesa è ancora più difficile, mancando oltretutto la motivazione e l'entusiasmo dell'andata. Per tornare indietro non si può utilizzare lo stesso sentiero dal quale si sale: i passaggi, in alcuni punti, sono davvero stretti e tortuosi, e per questo non sarebbe fattibile gestire due flussi di persone provenienti da direzioni opposte. Il percorso della discesa non è affatto semplice, in alcuni punti è davvero molto scosceso: non è un caso che, affrontandolo, sia caduto ben due volte, fortunatamente solamente con qualche botta, dolorosa ma senza conseguenze.

Arrivato a casa, mi butto sul letto, dicendo ai miei genitori di avere bisogno di riposo. Ero effettivamente stanco ed acciaccato, ma soprattutto sentivo la necessità di continuare a leggere il diario di Taro. A pensarci, credo di essere caduto per la foga di arrivare al più presto a casa e riprendere in mano quel prezioso manoscritto rosso.

14 MAGGIO 2018

Un'altra bella giornata è trascorsa: dopo l'allenamento del pomeriggio, come al solito, ho continuato a giocare con Tsubasa, ci siamo sfidati a tirare i calci di rigore, e, come succede quasi sempre, ha vinto lui (ma solo di un goal!). Credo che anche Roberto si sia accorto di quanto Tsubasa sia speciale, ed infatti gli ha proposto di andare con lui in Brasile, la patria del calcio! Naturalmente, Tsubasa ha subito accettato, ed anche io mi sono sentito entusiasta per lui: se lo merita davvero, ed in Brasile potrà mostrare al mondo il suo talento. Credo che restare in Giappone sarebbe troppo poco per il suo talento. Ad ogni modo, Tsubasa partirà solamente alla fine del torneo nazionale – e solo se lo vinceremo! A quel punto, io sarò sicuramente partito per seguire mio padre da qualche altra parte, quindi comunque so che difficilmente potrò rivederlo il prossimo anno scolastico. Per ora voglio godermi ogni momento passato con lui, anche se so che prima o poi questa parentesi felice finirà.

"Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero".

16 MAGGIO 2018

Oggi è arrivata un'importantissima notizia. Tra pochi giorni inizierà il torneo di calcio della prefettura di Shizuoka, che dovremo vincere per qualificarsi al campionato nazionale. Ma non parteciperemo con la squadra della nostra scuola: la città di Nankatsu ha infatti deciso di presentare un'unico team, il Nankatsu SC, che comprenderà i migliori giocatori della nostra scuola, della Shutetsu, della Nishigaoka, della Yamabuki e della Mizukoshi. Ho sentito molti dire che verranno scelti quasi tutti giocatori della Shutetsu, ma sono sicuro che Tsubasa supererà le selezioni, e spero di farcela anche io. Dovrò impegnarmi al massimo per continuare a poter essere compagno di squadra di Tsubasa!

19 MAGGIO 2018

Che bellissima giornata! Lo so che lo scrivo spesso, ma da quando sono arrivato a Nankatsu la mia vita sembra essere davvero cambiata. Oggi c'erano le selezioni per entrare a far parte del Nankatsu SC e... siamo entrati sia io che Tsubasa! Obiettivo raggiunto, potremo continuare a giocare insieme per il torneo della prefettura, e speriamo anche in quello nazionale. Nella squadra ci sarà anche un altro nostro compagno di scuola, Ryo Ishizaki, quello che si era fatto male dandomi la possibilità di entrare nella partita contro la Shutetsu. La nostra nuova squadra sarà davvero forte: si saranno tanti giocatori della Shutetsu, soprattutto il portiere Genzo Wakabayashi, al quale solo Tsubasa riesce a segnare. Hanno preso anche Hanji Urabe, il capitano della squadra della Nishigaoka, che avevo visto quel giorno allo stadio. Non vedo l'ora di iniziare gli allenamenti con la nuova squadra, di giocare con Tsubasa e gli altri ragazzi: credo che possiamo diventare una squadra davvero forte e vincere il torneo della prefettura!

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Capitolo 6
*** Tormenti interiori ***


CAPITOLO VI - TORMENTI INTERIORI

21 MAGGIO 2018

Questo è un periodo davvero intenso per me: tra poco inizieranno le partite per il torneo della prefettura di Shizuoka, e dunque dobbiamo allenarci molto, ma presto ci saranno anche i test di metà semestre, dunque c'è anche molto da studiare. Nonostante tutto, trovo sempre il tempo per giocare con Tsubasa al campo: naturalmente mi diverto con tutta la squadra e mi sento sempre bene quando sono in campo con il pallone, ma quando restiamo solo io e lui a scambiarci qualche passaggio c'è un'atmosfera diversa, che non saprei descrivere. Non parliamo molto, ma sembriamo capirci solamente con uno sguardo o un gesto. Ieri, alla fine della giornata, ci siamo seduti sotto un albero vicino al campo per riprendere fiato, ho provato una sensazione di tranquillità. Sono rimasto a guardarlo mentre stava con gli occhi chiusi e la testa poggiata sul tronco dell'albero, ho pensato che in lui c'era davvero qualcosa di speciale, di diverso rispetto a tutti gli altri, eppure ho avuto centinaia di compagni di scuola e di squadra. Ho pensato che mi piacerebbe se potessimo vederci anche fuori dal campo e dalla scuola, ma poi non ho avuto il coraggio di chiedere.

23 MAGGIO 2018

Non so cosa mi stia succedendo, mi sento confuso. Arrivare qui a Nankatsu ed incontrare Tsubasa è stata una vera fortuna, ma so che non durerà per sempre. Ho paura, ogni tanto penso al giorno in cui dovrò andarmene per sempre da questo posto, e so che sarà il giorno più triste della mia vita. È la mia condanna. Ho paura di affezionarmi troppo a questo posto e soprattutto a Tsubasa, che oramai è diventato il mio unico punto di riferimento. So già che gli addii sono tanto più dolorosi quanto belli sono stati i giorni passati insieme, e, se altre volte sono stato male, questa volta potrebbe essere la più terribile. Forse dovrei cercare di non attaccarmi troppo a Tsubasa, anche se mi sembra molto difficile, visto che passiamo tante ore insieme, e nelle altre ore non faccio che pensare a lui. Non so davvero cosa fare.

24 MAGGIO 2018

Oggi eravamo al campo ad allenarci, e come sempre c'erano i ragazzi del fan club della nostra squadra a sostenerci. La leader del fan club si chiama Sanae, è una ragazza molto energetica che già avevo conosciuto alla partita contro la Shutetsu. Sembra avere una certa predilezione per Tsubasa, le altre ragazze della scuola la prendono in giro dicendo che è innamorata di lui, anche se lei continua a dire che fa il tifo per Tsubasa solo perché è il più bravo. Non so perché stia scrivendo di lei, ma quando si ferma a parlare con Tsubasa mi sento a disagio. Non ho nulla contro Sanae, è un'ottima supporter, solo non mi piace quando sta troppo vicino a lui. Forse dovrei andare davanti allo specchio, darmi uno schiaffo e gridare: “Taro, smettila! Tsubasa non è di tua proprietà!”. 

"I have a problem that I can not explain
I have no reason why it should have been so plain
Have no questions but I sure have excuse
I lack the reason why I should be so confused

I know how I feel when I'm around you,
I don't know how I feel when I'm around you...".

26 MAGGIO 2018

Sono stati giorni un po' difficili. Naturalmente quando sono in campo mi sento sempre bene, ma ho avuto troppi pensieri strani per la testa, soprattutto quando la sera mi ritrovo solo in camera, mi butto sul letto e qualche volta mi viene da piangere. E sono stato uno stupido. Ieri, dopo l'allenamento, Tsubasa mi aspettava per continuare a giocare insieme, ma io ho fatto per andarmene. Credo che ci sia rimasto male, mi ha rincorso e mi ha chiesto se c'era qualcosa che non andava. In quel momento il cuore mi ha iniziato a battere, mi sono sentito rincuorato, ho capito che Tsubasa tiene a me, ma mi sono anche vergognato per tutti quegli strani pensieri e per averlo trattato male. Gli ho chiesto scusa e l'ho abbracciato: in quel momento avrei voluto piangere, ho sentito un brivido percorrermi la schiena e ho capito di aver trovato qualcuno che mi capisce davvero. È stato il primo abbraccio che ci siamo dati che non sia per un goal, il primo abbraccio da amici e non da semplici compagni di squadra, ed avrei voluto che non terminasse mai. Grazie Tsubasa.

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Capitolo 7
*** Il compito di matematica ***


CAPITOLO VII - IL COMPITO DI MATEMATICA

Le ultime pagine del diario di Taro mi avevano davvero colpito ed emozionato. Sin dall'inizio avevo intuito quanto fosse un ragazzo sensibile, ma qui venivano fuori tutte le sue emozioni che probabilmente, a causa del suo continuo girovagare e dell'impossibilità di mettere radici, non aveva imparato del tutto a conoscere. Da un lato sembrava voler resistere all'impeto delle proprie emozioni, ma dall'altro pareva essere talmente coinvolto da dover uscire da quella sorta di corazza protettiva che si era costruito col tempo. Ad ogni modo, mi sentivo onorato di avere il privilegio di essere probabilmente l'unico a poter leggere per intero i suoi pensieri ed a conoscere ciò che provava nelle parti più recondite del proprio animo.

28 MAGGIO 2018

Per qualche giorno il calcio ha cessato di essere la mia principale attività, visto che siamo in piena stagione di test di metà semestre. Ovviamente ho continuato ad allenarmi, ma ho dovuto anche dedicare un po' di tempo allo studio: fortunatamente sono sempre stato uno studente organizzato, e restando attento in classe non ho bisogno di passare troppo tempo sui libri a casa. Tsubasa, invece, tra i tanti suoi pregi, non è proprio uno studente modello: diciamo che il suo talento scolastico non si avvicina neppure a quello calcistico. Ieri, alla fine del nostro allenamento extra, dopo che tutti i nostri compagni avevano lasciato il campo, Tsubasa mi ha chiesto se potevo aiutarlo a prepararsi per il test di matematica. La richiesta mi ha lasciato pietrificato per qualche momento, non riuscivo a dire niente, poi ho fatto “sì” con la testa. Era un po' che speravo di poter vedere Tsubasa fuori da scuola e dal campo di calcio, ma non pensavo che l'occasione sarebbe arrivata così, e che sarebbe stato addirittura lui a chiedermelo, risparmiandomi l'imbarazzo di farmi avanti. E quindi alla fine abbiamo preso appuntamento, domani Tsubasa verrà a casa mia per studiare insieme! Sto contando le ore, i minuti ed i secondi che mancano, sono emozionato ed allo stesso tempo un po' spaventato: non sono abituato a ricevere amici a casa. 

29 MAGGIO 2018

Tsubasa se n'è appena andato, e credo di poter dire che siamo stati davvero bene insieme questo pomeriggio, almeno da parte mia! Sono contento di sapere che possiamo essere amici anche al di fuori del campo, senza per forza un pallone a fare da tramite: sia chiaro, giocare a calcio con lui resterà sempre meraviglioso, ma in questi giorni sto capendo che essere amici significa anche altro. Ho anche capito che la matematica non è proprio la materia preferita di Tsubasa, ma spero almeno di averlo aiutato per avere un buon risultato al test. Una volta finito di studiare, abbiamo giocato ai videogiochi: almeno in quelli posso batterlo! In queste ore non ho avuto pensieri, o almeno non ho avuto pensieri che non fossero lui: ogni tanto mi fermavo a guardarlo, avrei voluto ringraziarlo di tutto, ma non sono molto bravo a parlare in queste occasioni. L'ultimo regalo me l'ha fatto quando stava per andarsene: Tsubasa, come tutti i miei compagni, mi chiama sempre per cognome, ed io del resto ci sono abituato, anche perché restando poco tempo nello stesso posto sono perennemente “quello nuovo”. Quando è uscito dalla porta, però, mi ha detto: “Ciao, Taro!”. Sarà solo un piccolo dettaglio, ma un dettaglio che mi ha scaldato il cuore, e credo di essermi lasciato andare ad un sorriso. 

Ora sono qui, in camera, dovrei andare a dormire, ma non riesco a non pensarti. Buona notte, Tsuby!

1° GIUGNO 2018

Oggi era l'ultima giornata di test, abbiamo chiuso con quello di storia. Due giorni fa abbiamo fatto il test di matematica, ed il professore ha appena affisso i risultati: io ho preso una A, ma soprattutto Tsubasa ha preso una B! Era davvero contento, ha detto che era il suo miglior voto di sempre in matematica, e mi ha ringraziato per averlo aiutato. Anche io sono davvero felice per lui, ancora più che per me, che sono abbastanza abituato ai voti alti. Insieme siamo imbattibili: ed ora è il momento di tornare concentrarsi sul calcio, perché tra poco inizierà il torneo della prefettura di Shizuoka, che dobbiamo assolutamente vincere per andare al torneo nazionale. Io e te, insieme, possiamo farcela!

“Don't you think we're extraordinary?
Believing, and seeing
Realizing the imaginary
Don't you, don't you?
Yes, I think we're extraordinary”.

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Capitolo 8
*** I brividi di Taro ***


CAPITOLO VIII - I BRIVIDI DI TARO

Taro sembrava oramai totalmente preso dal suo rapporto con Tsubasa, al punto che iniziai a pensare che i sentimenti da lui provati nei confronti del compagno di squadra e di scuola andassero ben oltre l'amicizia. Forse lui non ne era ancora cosciente del tutto, ma il suo continuo parlare di Tsubasa e pensare a lui sembravano indicare che Taro fosse totalmente innamorato dell'amico. Come sarebbe evoluto il rapporto tra i due? Come avrebbe gestito questa situazione così complicata Taro, che in quel periodo stava vivendo le emozioni più forti mai provate nella sua vita? 

3 GIUGNO 2018

Siamo oramai prossimi all'inizio del torneo della prefettura di Shizuoka, la nostra squadra è davvero in forma e siamo tutti fiduciosi. Allo stesso tempo, ho avvertito i miei compagni di quanto siano forti le altre formazioni di tutto il Giappone, come ho potuto sperimentare nel corso degli ultimi anni giocando in tanti team diversi. Ho parlato loro del team di Furano, la squadra di Matsuyama, e soprattutto del Meiwa FC, la formazione di Kojiro Hyuga. Kojiro è un grande talento calcistico, ma il suo modo di fare è spesso violento ed oltre le righe: so che ha una situazione familiare difficile, e che questo è il suo modo di sfogare la rabbia accumulata. Molti credono sia un ragazzo cattivo, quasi privo di sentimenti, ma io ho capito che questo è solo il volto che si è costruito, il suo modo di proteggersi dal mondo e di sfogare la sua rabbia interiore. 

Devo essere stato un profeta, perché, proprio dopo aver parlato ai miei compagni del Meiwa FC, Kojiro è arrivato al campo per osservare la nostra partita di preparazione. È addirittura entrato in campo, segnando un goal a Wakabayashi, il nostro formidabile portiere, e lanciandogli una sfida! Ad ogni modo, anche lui e la sua squadra dovranno affrontare il torneo prefetturale di Saitama prima di poter raggiungere la fase nazionale, dove potremmo anche incontrarci in una sfida diretta.

4 GIUGNO 2018

Finalmente è iniziato il torneo prefetturale: il nostro primo incontro è stato contro il Fuji FC. La partita è stata più facile del previsto, infatti abbiamo dominato per 7-0, con Tsubasa che ha segnato una tripletta nel primo tempo! È stata la nostra prima partita ufficiale e da titolari insieme, un vero onore giocare al suo fianco: personalmente ho dato il mio meglio a centrocampo, cercando di passare la palla a Tsubasa il prima possibile. Con il suo grande talento, so che trasforma qualsiasi cosa in oro. 

Con mia sorpresa, alla fine della partita Tsubasa mi ha chiesto se poteva venire di nuovo a casa mia. Credo di aver fatto ancora una volta la figura dell'imbranato, come mi succede quasi sempre quando mi trovo a parlare da solo, faccia a faccia, con lui. Non so perché, ma quando siamo uno di fronte all'altro, a guardarci dritti negli occhi, sento il cuore battere all'impazzata e tanti brividi percorrermi il corpo. Come dicevo, quando Tsubasa mi ha chiesto di venire a casa mia, io, come un imbranato, ho balbettato: “Ma non abbiamo compiti in classe...”, visto che l'unica volta che era venuto era stato per studiare in vista del test di matematica. E Tsubasa: “Lo so, volevo solo venire per passare il tempo insieme”. Beh, in quel momento mi sono squagliato. Tsubasa vuole passare del tempo con me che non sia solo giocare a calcio o fare i compiti? Lo ha detto davvero? Sì, lo ha detto davvero, e domani ci vedremo. Non vedo l'ora.

5 GIUGNO 2018  

Un'altra bellissima giornata trascorsa con Tsuby. Dopo l'allenamento, siamo andati insieme a casa mia ed abbiamo passato il tempo a giocare ai videogiochi, seduti l'uno accanto all'altro. Ogni tanto, il mio braccio destro sfiorava il suo braccio sinistro, e ad ogni piccolo contatto ho sentito di nuovo quei brividi percorrermi tutto il corpo, come improvvise scariche elettriche. Ogni tanto mi distraevo dallo schermo, e mi giravo per guardalo, osservando il profilo del naso e delle labbra. Quando se n'è andato ho sentito subito un senso di vuoto: avevamo passato tutta la giornata insieme, eppure dopo soli pochi secondi di sua assenza già mi mancava. 

È tardi, sono sul letto ma non riesco ad addormentarmi. Il mio pensiero non fa che andare verso Tsubasa, rivivere ogni istante passato insieme, e proiettarmi già nel momento in cui lo vedrò domani. Ti vorrei ora qui, accanto a me, vorrei parlare con te o semplicemente stare un po' insieme, seduti vicini e senza dire nulla, come facciamo a volte.

“We intend to rise through motion, 
speak through silence
And fight 'til the ocean”.

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Capitolo 9
*** "T+T" ***


CAPITOLO IX - "T+T"

6 GIUGNO 2018

Oggi, per la seconda partita del torneo della prefettura, abbiamo travolto l'Ikawa SC per 10-0. Abbiamo giocato davvero bene, e non è stato difficile avere la meglio su quella squadra, soprattutto con Tsubasa scatenato fin dall'inizio. Come al solito mi sono divertito molto a giocare, cercando di mettere sempre Tsubasa in condizione di segnare. Mi trovo davvero bene in questo ruolo da centrocampista, amo essere al servizio dei miei compagni e servire più assist possibili, lo considero ancora più soddisfacente che segnare. 

Ad ogni modo, non è tanto alla partita che sto pensando ora, ma a quello che è successo dopo. A dirla tutta, è che negli spogliatoi non riuscivo a staccare gli occhi da Tsubasa. Ovviamente cercavo di distogliere lo sguardo, non volevo che qualcuno mi vedesse mentre lo fissavo, ma allo stesso tempo i miei occhi finivano continuamente su di lui, cercando di scrutare tutto il suo corpo. Non so perché, ma credo in qualche modo di essere attratto da lui: non sto parlando solo di un'affinità calcistica o di un affetto tra amici, ma credo proprio di provare un'attrazione fisica nei suoi confronti, ripensando anche a tutte quelle sensazioni che mi hanno colto di sorpresa nei giorni precedenti ad ogni minimo contatto con lui. Guardando il corpo nudo di Tsubasa sotto la doccia ho avvertito strane sensazioni assalirmi, a quel punto ho preferito buttarmi sotto l'acqua fredda ad occhi chiusi. Ma anche dopo, non sono riuscito a togliermi di testa quelle immagini.


7 GIUGNO 2018

Un'altra partita facile, vinta per 11-0 contro il Kakegawa SC. Tsubasa ha dato spettacolo come sempre, ed io ho dato del mio meglio per farlo segnare. Ad un certo punto ho anche sentito Teppei Kisugi, l'altro attaccante della nostra squadra, borbottare e lamentarsi del fatto che la passo sempre a Tsubasa. Ho fatto finta di nulla, ma nella mia testa ho pensato che, anche se Teppei è un bravo attaccante, nessuno può pensare di paragonarsi a Tsubasa, per cui è normale che la passi sempre a lui. E poi, è Tsuby...

Già, Tsuby. Continuo a pensare a lui ventiquattr'ore su ventiquattro. Soprattutto dopo quello che è successo oggi. Dopo la partita, negli spogliatoi, Tsubasa mi è venuto vicino per complimentarsi con me, solo che eravamo entrambi nudi ed ancora umidi dopo la doccia. Mi ha poggiato la mano sulla spalla, dicendomi “bella partita”, poi mi ha tirato una pacca sul sedere! Ho sentito come tante bombe atomiche esplodermi in testa, nel cuore, in pancia, credo di essere anche diventato rosso, ho sentito il calore risalire tutto il corpo fino ad arrivare al cervello. Sono andando di corsa a vestirmi, non volevo assolutamente che qualcuno si rendesse conto della reazione che mi stavano provocando le mani di Tsubasa sulla mia pelle... sì, insomma, mi stava venendo duro!

Riprendo a scrivere poco prima di andare a dormire... Tsuby, quanto vorrei dirti quello che provo. Dopo essere tornato a casa, non sono riuscito a cancellare dalla mente quegli istanti, il tocco delle tue mani sul mio corpo. Continuavo a sentirmi eccitato, senza capire esattamente cosa mi stesse accadendo. A quel punto, non ho potuto fare altro che chiudermi in camera e... mi sono toccato, insomma mi sono fatto una sega pensando a te. Non l'avevo mai fatto, ho provato una sensazione fantastica, come se stessi volando per qualche istante, e nella mia testa c'eri solo tu. Se solo potessi dirtelo davvero, se solo potessi sapere se anche tu provi lo stesso...


Sotto quelle parole c'era spillata una foto, con Taro ed un altro ragazzo. Capii subito che si trattava di Tsubasa dallo sguardo di Taro, e ricordai effettivamente di averlo visto anche nella foto della squadra all'inizio del diario. Capii perché Taro si era innamorato di lui, Tsubasa era davvero molto carino, con un sorriso smagliante, anche se, a mio modo di vedere, non raggiungeva la bellezza e la dolcezza di Taro. Guardai le loro braccia incrociate, pensai alle sensazioni che provava Taro in quei momenti di contatto con Tsubasa. Girando la foto, trovai disegnato un cuore con dentro scritto “T+T”. Taro aveva finalmente capito di essere innamorato di Tsubasa, e, cosa importantissima, lo aveva ammesso a se stesso.
 

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Capitolo 10
*** Dichiarazione ***


CAPITOLO X - DICHIARAZIONE

9 GIUGNO 2018

Continua il nostro fittissimo calendario calcistico: abbiamo giocato altre due partite, travolgendo l'Hatsukura SS per 8-0 ed il Nakato FC per 9-0. Naturalmente Tsubasa è stato sempre il protagonista assoluto di entrambe le partite, spazzando via difensori e portieri avversari. È sempre un piacere vederlo giocare con il pallone tra i piedi, e soprattutto guardare le facce dei giocatori delle altre squadre quando mette in atto le sue prodezze.

I “problemi”, per così dire, arrivano dopo. Oramai ogni volta che lo vedo negli spogliatoi e sotto la doccia sento un'attrazione incredibile nei confronti di Tsubasa. Forse mi è sempre piaciuto, anche quando dicevo di voler essere solo suo amico, ma ultimamente sta andando tutto così velocemente che non riesco proprio a rendermi conto di quello che sta succedendo. Naturalmente la mia preoccupazione principale è quella di non far vedere a nessuno che mi eccito nel vedere Tsubasa, tanto meno a lui! Allo stesso tempo, i miei occhi continuano a cadere inevitabilmente sulle forme del suo corpo nudo... è più forte di me!

Dovrò fare molta attenzione a non rendere i miei compagni sospettosi, non voglio assolutamente che capiscano cosa provo per Tsubasa, e neppure che capiscano che sono gay! Sempre se sono gay, non posso ancora dirlo con certezza: magari mi piace solo Tsuby... Non lo so, davvero, sono abbastanza confuso sull'argomento. Certo, non ho mai provato per una ragazza quello che provo per Tsubasa. Ma perché proprio io devo essere quello diverso? Da un lato i miei sentimenti mi provocano disagio, perché so che per alcuni non potrebbero essere “normali”, dall'altro adoro tutte le sensazioni, le emozioni che provo quando sono con Tsubasa e quando penso a lui. La cosa più difficile è non poterne parlare con nessuno, per questo cerco almeno di scrivere.

11 GIUGNO 2018

Oggi abbiamo giocato la partita dei quarti di finale contro l'Hamana FC. Anche questa volta siamo riusciti ad avere la meglio abbastanza facilmente, con il risultato di 7-0. Tsubasa continua ad andare avanti di tripletta in tripletta, ed io continuo ad adorarlo, dentro e fuori dal campo. Non posso resistere alla sua bellezza, al suo sorriso, ai suoi modi di fare, al suo sguardo... oramai, devo ammetterlo, ogni volta che torno a casa non faccio altro che pensare a lui, soprattutto a quando è nudo, e sento l'irresistibile necessità di farmi una sega.

Sia chiaro, la mia attrazione dei confronti di Tsubasa non è solamente fisica, anzi quella forse è la parte che è arrivata per ultima, anche se sta diventando sempre più forte. La cosa più bella è che non ho mai conosciuto una persona con la quale mi trovassi così bene in ogni situazione, non solamente calcistica: è come se fossimo continuamente in sintonia, non abbiamo neppure bisogno di parlarci che già ci siamo capiti. Proprio per questo, mi domando se Tsubasa sappia in realtà quello che provo per lui, o se magari anche lui abbia dei sentimenti nei miei confronti che vadano oltre l'amicizia.

Vorrei tanto dirlo, gridarlo a tutti e dirtelo mentre ti guardo negli occhi, ma è la cosa più difficile del mondo, e allora lo scrivo qui: TSUBY TI AMO! Ti amo per quello che sei, e ti amo per quello che sono io quando sono con te. Vorrei che ogni istante passato insieme non finisse mai, vorrei stare con te per sempre.

“I'm so happy that you're with me
It just feels good to be free
There's no egos
It's just you and it's just me
… Stay with me till the end
With me till the end”.

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Capitolo 11
*** Una cosa complicata ***


CAPITOLO XI - UNA COSA COMPLICATA

Mi ero davvero emozionato leggendo la dichiarazione d'amore, seppur segreta, fatta da Taro. Nel frattempo, le botte della mia caduta erano finalmente guarite, così decisi di farmi un giro per Nankatsu, calpestando le stesse strade di Taro, portando sotto il braccio il suo diario ed andando alla ricerca di qualche luogo di cui si parlava nelle pagine da lui scritte. Fu così che raggiunsi un campo di calcio: pensai che doveva essere lì che Taro e Tsubasa giocavano insieme per ore. Guardai gli alberi, ricordando le emozioni di Taro nel sedersi accanto a Tsubasa all'ombra di una di quelle chiome. Ne scelsi uno per riprendere la lettura.

13 GIUGNO 2018

Oramai si avvicina la semifinale del torneo, dove affronteremo lo Shimada SC, una formazione davvero molto ostica. Purtroppo, in campo non ci sarà il nostro formidabile portiere Genzo Wakabayashi, che si è infortunato ad una gamba. Giocherà Yuzo Morisaki, il nostro secondo portiere: certo, nessuno è forte come Wakabayashi tra i pali, ma io ho fiducia nel fatto che possa fare bene. Mi è piaciuto come Tsubasa ha incoraggiato Morisaki, mentre Ishizaki si è lasciato andare a qualche commento inopportuno. Ripeto, nessun portiere può essere confrontato con Wakabayashi, ma per Morisaki questo è un momento davvero importante, ed i compagni di squadra dovrebbero incoraggiarlo, non ricordargli che è una riserva. 

Purtroppo alcune persone non riescono proprio ad immedesimarsi negli altri, ma per fortuna Tsubasa ha capito la situazione: non è un caso che sia stato scelto come nuovo capitano della squadra in assenza di Wakabayshi! Sono davvero contento per lui, se lo merita davvero, perché oltre ad essere il giocatore più forte ha anche un grande carisma da trascinatore. Sicuramente riesce a trascinare me, in tutti i sensi... 

14 GIUGNO 2018

È stata davvero durissima, ma ce l'abbiamo fatta! Quella contro lo Shimada SC è stata la partita più dura che abbiamo giocato da quando sono a Nankatsu, ma alla fine abbiamo vinto per 3-2 dopo essere stati a lungo in svantaggio fino ai minuti conclusivi. Lo Shimada SC si è confermata una squadra difficile, molto organizzata e dalla difesa quasi impenetrabile. Alla fine della partita ero davvero distrutto, credo di aver dato tutte le mie energie per la squadra, ma ne è valsa davvero la pena, e Tsubasa ha segnato tutte le reti! Al goal decisivo ci siamo lasciati andare ad un lungo abbraccio, un altro dei tanti momenti unici che adoro vivere con Tsubasa: in quegli istanti la stanchezza ha lasciato spazio alla gioia per la vittoria, ma soprattutto alla sensazione meravigliosa che provo quando sono avvolto dalle braccia di Tsubasa.

16 GIUGNO 2018

Ci stiamo preparando alla finale del torneo della prefettura, dove ci scontreremo con lo Shimizu FC. Oggi ci siamo allenati duramente, e con Tsubasa come al solito ci siamo trattenuti al campo per prepararci ancora meglio in vista di questo scontro decisivo, anche se in realtà la nostra intesa è talmente naturale da non aver bisogno di molta pratica. In fondo, a me interessa soprattutto passare del tempo con lui, e credo che anche lui abbia piacere a stare con me, tant'è che dopo l'allenamento ha insistito per venire a casa mia. Io naturalmente non aspettavo altro!

Entrato in camera mia, Tsubasa ha detto che ho troppi libri! L'avevo capito che non ama molto le attività culturali – ma in fondo sono quasi tutti manga. Beh, nessuno è perfetto. Comunque abbiamo passato ancora bei momenti insieme, abbiamo guardato un film molto divertente mangiando patatine, bivaccando sul divano. Alla fine del film, Tsubasa si è lentamente addormentato... io sono rimasto a contemplarlo per qualche minuto, poi mi sono messo accanto a lui. In quei momenti ho pensato a tante cose: a quanto vorrei dirgli quello che provo, al fatto che da un giorno all'altro potremmo doverci dire addio... Mi sono chiesto se sono davvero gay, o se è solo Tsubasa che è così speciale. È davvero difficile rispondere a queste domande, e soprattutto non posso parlarne con nessuno, non so come reagirebbero. Mio padre non so se accetterebbe una cosa del genere. L'unico con cui potrei confidarmi sarebbe proprio Tsubasa, ma non posso dirgli niente visto che riguarda proprio lui! Help me...

Purtroppo poco dopo la madre di Tsubasa lo ha chiamato al telefono, quindi si è svegliato ed è dovuto andare a casa. Per qualche istante ho fantasticato sul fatto che sarebbe potuto restare a dormire da me... Ma niente, alla fine mi sono dovuto limitare come sempre a pensarlo e a... insomma, non c'è bisogno di scriverlo ogni volta, no? ;-) Cavolo, essere innamorati è davvero una cosa complicata, soprattutto esserlo di un altro maschio.

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Capitolo 12
*** Gioia e dolore ***


CAPITOLO XII - GIOIA E DOLORE

18 GIUGNO 2018

Ce l'abbiamo fatta! Per la prima volta parteciperò alla fase nazionale del torneo, e sarà con il Nankatsu SC e soprattutto con Tsubasa! Devo dire che la partita finale con lo Shimizu FC è stata meno complicata rispetto alla semifinale, infatti abbiamo vinto per 3-0, naturalmente grazie ad una tripletta di Tsuby! <3 Alla fine della partita eravamo tutti felici, anche se io ero concentrato quasi esclusivamente su Tsubasa: ero contento soprattutto per lui, adoro vederlo ridere e gioire. Non vedo l'ora di andare a Tokyo per giocare il torneo nazionale e condividere altri momenti magnifici con lui, così finalmente potrà realizzare il suo sogno e volare in Brasile con Roberto!

Devo però dire che durante la partita finale è diventata chiara una cosa: non sono l'unico ad essere innamorato di Tsubasa. Oramai è evidente a tutti che Sanae, sebbene continui a dire il contrario, ha una cotta per lui, ma soprattutto è comparsa anche un'altra ragazza, di nome Yayoi, che sembra essere interessata a Tsubasa. Non so come reagire, oramai ho compreso che quella sensazione di fastidio che provo nel vedere Sanae vicino a Tsubasa è gelosia... Ed ora ci sono ben due ragazze che gli vanno dietro! La cosa positiva è che lui per ora non ha dato segnali di essere troppo interessato... ed in fondo passa molto più tempo con me! Io e Tsuby passiamo ore ed ore insieme, sia in campo che fuori, mentre con Sanae tuttalpiù si trattiene qualche minuto... anche se quei minuti a me sembrano lunghissimi, e qualche volta mi invento una scusa per distrarre Tsubasa e allontanarlo da lei. Scusami Sanae, ma lo amo! So che non è mio, che forse lui non prova lo stesso per me, ma allo stesso tempo non voglio che qualcuno me lo porti via...

20 GIUGNO 2018

Sapevo che quel giorno sarebbe arrivato... Oggi mio padre mi ha detto le fatidiche parole: ha finito il suo lavoro qui, ed alla fine del semestre lascerò Nankatsu. Non ho reagito, ho solo annuito, in fondo dovrebbe essere pura routine per me. Ho fatto finta che tutto fosse come al solito. Poi, mi sono chiuso in camera e ho pianto, davvero tanto, pensando a Tsubasa, al fatto che potrei dovergli dire addio per sempre. Certo, non è ancora finita, abbiamo ancora del tempo da passare insieme, abbiamo il torneo nazionale da giocare. E sapevo che prima o poi sarebbe venuto il momento dell'addio, ma ora so la data di scadenza e questo mi provoca ansia e sofferenza. Tutti sappiamo che dobbiamo morire, ma sapere la data precisa ci farebbe impazzire: forse il paragone è un po' esagerato, ma in questo momento è quello che provo.

Fosse per me, resterei per sempre qui, anche se poi Tsubasa potrebbe andarsene, partendo per il Brasile. Già, il problema non è stare a Nankatsu o in un'altra città, è che vorrei stare con Tsuby per l'eternità. Ci siamo visti nel pomeriggio all'allenamento, ma io ero ancora sotto shock per l'annuncio di mio padre. Tsubasa si è accorto che non ero quello di sempre, mi ha chiesto se ci fosse qualche problema. L'ho guardato negli occhi, avrei voluto dirgli tutto, ma non ci sono riuscito. Se lo amo un motivo ci sarà: ha capito che non era il caso di insistere con le domande, ma prima o poi dovrò dirgli che tra qualche mese abbandonerò Nankatsu. Sarà il giorno più brutto della mia vita, già lo so, ma in fondo non posso farci niente se non godermi ogni istante che vivremo insieme, ognuno dei quali sarà unico e irripetibile.

“And if you go, I wanna go with you,
And if you die, I wanna die with you,
Take your hand and walk away”.

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Capitolo 13
*** Coming out ***


CAPITOLO XIII - COMING OUT

21 GIUGNO 2018

Oggi è il compleanno di Hikaru Matsuyama, mio ex compagno di squadra quando ero alla scuola di Furano. Gli ho mandato un messaggio di auguri, ho saputo che anche la sua squadra si è qualificata per la fase del torneo nazionale, battendo i favoriti del Sapporo, da tutti considerati come il team più forte nella prefettura di Hokkaido. Sono davvero contento per lui, almeno potremo vederci di nuovo a Tokyo. Del resto è stato sicuramente il compagno di squadra con cui mi sono trovato meglio prima di arrivare a Nankatsu. Tra l'altro ho saputo, anche se era quasi scontato, che anche il Meiwa FC di Kojiro Hyuga si è qualificato vincendo il torneo della prefettura di Saitama, dunque a Tokyo ci sarà anche lui. Sono sicuro che sarà un torneo fantastico, dove avrò la possibilità di rivedere tanti miei ex compagni, ma anche  e soprattutto di giocare al fianco di Tsubasa contro squadre davvero forti, così potremo provare a tutto il Giappone il valore della Golden Combi della Nankatsu. E poi dobbiamo vincere assolutamente perché Tsuby realizzi il suo sogno di andare in Brasile.

22 GIUGNO 2018

Ieri, dopo che ho mandato il messaggio di auguri a Matsuyama, abbiamo continuato a chattare. Credevo quasi si fosse dimenticato di me, o che comunque non gli importasse più di tanto: a volte sono un po' pessimista, tra me e me mi sono scusato con lui. Abbiamo cominciato a parlare di calcio, poi mi ha iniziato a chiedere come mi trovavo nella nuova scuola. In un primo momento mi sono limitato a dare risposte generiche, tipo “tutto bene”, poi però, non so come, ho iniziato a parlargli di Tsubasa. Mi ha detto che ha sentito parlare di lui, delle sue prestazioni in campo e delle sue triplette a raffica. A quel punto, ho scritto che passiamo molto tempo insieme, poi la cosa è “degenerata”... nel senso che ho dovuto confessare tutto, era un peso troppo grande da tenere dentro, sentivo la necessità assoluta ed impellente di parlarne con qualcuno. Siccome però non ho il coraggio di parlarne faccia a faccia, l'unica soluzione era rompere questo silenzio scrivendo a qualcuno, e Matsuyama mi è sembrato essere il più indicato. Cancellerò tutta la chat, non voglio che mio padre o qualcun altro legga i messaggi anche solo per sbaglio, ma voglio appuntarne qualcuno per ricordarli. Credo che in qualche modo sia stato un momento molto importante per me.

“Sai, con Tsubasa passiamo molto tempo insieme, giochiamo per ore a calcio ed ogni tanto viene anche a casa mia”.
“Siete migliori amici?”
“Qualcosa del genere”
“In che senso?”
“Credo che lui mi consideri come un migliore amico, ma per me non è solo quello...”
“Non capisco... che intendi?”
“Non è solo un amico per me... mi piace davvero”
“Eh? Continuo a non capire... Vuoi dire che hai una cotta per lui?”
“Scusa, non dovrei coinvolgerti nei miei problemi”
“Ma che dici! Sai che con me puoi dire tutto”
“Beh, non è facile dirlo, ma... credo di essere innamorato di lui”
“Quindi sei gay?”
“Sì... no... boh... Non lo so, so che mi piace Tsubasa. Ora so che mi odierai...”
“Ma cosa dici! Anzi, sono contento che tu me l'abbia detto”
“Grazie, almeno qualcuno mi capisce... ma per favore non dirlo a nessuno”
“Tranquillo, mantengo il segreto. Ma ricordati che è una cosa normale”
“Non per tutti è normale...”
“Beh, sono loro quelli non normali. Tu non hai nessun problema, anzi sei innamorato di qualcuno ed è una cosa bellissima. Non vergognarti”
“Già... purtroppo però a fine semestre me ne andrò da qui... :(”
“Cavolo... mi dispiace... beh potete tenervi in contatto”
“Lo spero, ma sai non è la stessa cosa... io voglio stare con lui”
“Ti capisco... Se hai bisogno scrivimi pure. Poi magari ne parliamo meglio a Tokyo. Non fare il timido quando ci vediamo di persona ;)”
“Grazie ancora... sei un vero amico... a presto”
“Ci sentiamo, stammi bene”

Grazie Hikaru, mi ha fatto davvero bene confessarmi con qualcuno, mi sono levato un peso anche se non ho risolto certo tutti i problemi. So che ha ragione lui, amare un altro maschio non è una cosa sbagliata, ma tante persone non lo accettano. E Taro, smettila di negarlo... ami Tsubasa, Tsubasa è un maschio, tu sei un maschio... sei GAY! Accettalo! Già, me ne devo fare una ragione, sono gay e amo Tsubasa. 

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Capitolo 14
*** Il film ***


CAPITOLO XIV - IL FILM

25 GIUGNO 2018

Manca ormai poco più di un mese all'inizio del torneo nazionale: con la squadra stiamo continuando ad allenarci intensamente, e naturalmente poi c'è la scuola, dunque di tempo libero non ne ho molto. Ne vorrei un po' di più per passare più momenti con Tsubasa, intendo in contesti che non siano solamente scuola e campo di calcio, e soprattutto dove non ci siano altre persone. Ho sempre il timore che qualcuno mi osservi, che capisca i miei sguardi... Quando siamo con altre persone non mi sento libero e naturale come quando siamo da soli.

In questi giorni ho avuto modo di riflettere ulteriormente sulla mia conversazione con Matsuyama, e oramai sono quasi certo di essere gay. Anzi, senza il quasi. Ogni tanto mi faccio delle domande, mi chiedo perché sia accaduto proprio a me, se magari non sarebbe stato meglio essere uno “normale”, inteso come etero. Poi però penso a tutto quello che provo per Tsubasa, ai momenti passati con lui ed alle sensazioni che mi attraversano in quegli istanti, e capisco che non rinuncerei a tutto questo per nulla al mondo. Non è una situazione facile, ma ciò non significa che non sia qualcosa di meraviglioso. Anzi, l'amore che provo per Tsubasa mi ha aiutato anche a migliorarmi in campo, giocare al suo fianco mi dà ulteriore motivazione, e potergli fornire più palloni possibili per mandarlo in porta è forse l'atto d'amore più grande che posso fare per uno come lui, che vive per il calcio.

Devo dire che sto riuscendo ad accettare piuttosto bene il fatto di essere gay e di amare un altro maschio, anche grazie a quella conversazione con Matsuyama. I momenti più difficili restano quelli in cui penso a quando dovremo dirci addio, anche perché non l'ho ancora detto a nessuno di avere una “data di scadenza”. Dentro di me, però, sto facendo il conto alla rovescia dei giorni che mi mancano da vivere con Tsubasa, ed è un countdown dolorosissimo. Dovrò dire a Tsubasa che tra pochi mesi lascerò Nankatsu, ed in questo arco di tempo dovrò trovare anche la forza per dichiarargli quello che provo per lui e non avere rimpianti.

27 GIUGNO 2018

Oggi io e Tsubasa abbiamo passato diverse ore a giocare insieme al campo dopo l'allenamento. Ho aspettato che tutti i nostri compagni se ne andassero, poi, tra un passaggio e l'altro, ho aperto l'argomento “addio”. No, non ho avuto il coraggio di dirgli che abbiamo solo tre mesi da passare insieme, gli ho detto solo che mio padre si sposta spesso per lavoro, e che quindi potrebbe accadere che da un momento all'altro io debba lasciare Nankatsu. Ho avuto ancora la conferma che Tsubasa tiene davvero a me, ho visto nei suoi occhi emergere un velo di tristezza quando gli ho riferito queste parole. Mi ha detto che sicuramente gli sarei mancato molto, ed io ho risposto che anche lui sarebbe mancato a me. Poi l'ho voluto risollevare, ricordandogli che comunque lui andrà in Brasile, perché insieme vinceremo il torneo nazionale e lui potrà realizzare il suo sogno. Ci siamo dati appuntamento per domani, ha detto che vuole vedere un film, ma che lo deve vedere per forza insieme a me: come al solito, non vedo l'ora. Chissà di che film si tratta...

28 GIUGNO 2018

Oramai sono abituato al fatto che Tsubasa venga a casa mia, ma ogni volta, con l'avvicinarsi dell'ora X, sento un misto di ansia ed agitazione impadronirsi di me. Tento di leggere qualche manga per distrarmi, poi il suono del campanello mi provoca un tuffo al cuore... corro alla porta, apro e vedo lui, fantastico come sempre. Ci salutiamo, poi gli chiedo che film vuole vedere: Tsubasa fa una smorfia, poi mi dice di spegnere le luci. Tira fuori un DVD, che al buio non riesco a riconoscere, poi si siede accanto a me ed il film inizia...

IT! Tsubasa mi ha portato uno dei film che più mi terrificano, e che ho sempre evitato accuratamente di vedere anche per un solo fotogramma del trailer. Inizio a tremare dalla paura, anche se in quel momento non c'erano scene spaventose, ma non dico niente: non voglio che lui pensi che io sia un fifone. Poi, dal tombino della strada, compaiono gli occhi di IT: grido, faccio un balzo, e, non so come, finisco addosso a Tsubasa. Per un attimo lo sento ridere, poi avverto il suo braccio sulla mia schiena e lui che mi dice: “È solo un film”. Cerco di ricompormi, Tsubasa non dice nulla ma mantiene il suo braccio dietro la mia schiena. Ora ero distratto, più che seguire il film guardavo il suo profilo con la coda dell'occhio. Ero abituato ai suoi abbracci per qualche secondo, ma avere costantemente il suo braccio attorno al mio corpo stando appiccicati l'uno all'altro era qualcosa di diverso: la paura iniziale per il film era passata, mi sentivo al sicuro e soprattutto mi stavo eccitando. Lentamente reclino la mia testa sulla sua spalla, lui non dice niente e quindi mi appoggio.

Restiamo così fino alla fine del film, quando i ragazzi protagonisti si danno la mano per sconfiggere IT: in quel momento, quasi inconsciamente, avvicino la mia mano a quella di Tsubasa, infilo le mie dita tra le sue e la stringo. Pochi istanti davvero magici, prima che il film si concluda: ho pensato al fatto che, attraverso il contatto delle nostre mani, avrei potuto trasmettergli in qualche modo quello che provo per lui. Oramai era tardi, e Tsubasa doveva tornare a casa: lo accompagno all'uscita, sperando che non noti il mio stato di eccitazione dovuto ai prolungati contatti fisici con lui. Quando chiudo la porta, vengo invaso da uno stato di felicità e nostalgia insieme: ho vissuto un'altra serata fantastica con Tsuby, piena di emozioni, peccato solo che sia finita. E, anche questa sera, dovrò usare il solito metodo per risolvere la mia erezione.

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Capitolo 15
*** Tsubasa gay o etero? ***


CAPITOLO XV - TSUBASA GAY O ETERO?

Oramai il mio tempo a Nankatsu stava per esaurirsi, ma volevo assolutamente terminare la lettura del diario prima di lasciare la città. Nei miei giri tra le stradine di questa tranquilla cittadina, mi imbatto finalmente nella scuola elementare di Nankatsu, quella frequentata l'anno scorso da Taro e Tsubasa. Vedo il campo di calcio, c'era la squadra della scuola che si allenava: mi siedo tra gli spalti, pensando a quando Taro e Tsubasa giocavano insieme in quella formazione, anche se oramai probabilmente non c'era più nessuno del team dello scorso anno, essendo tutti passati alle scuole medie. Quale luogo migliore per continuare la lettura?

1° LUGLIO 2018

Non riesco a far altro che a pensare a quella sera... al braccio di Tsubasa che mi avvolge, alle nostre mani che si stringono. Cosa significa tutto questo? Tsubasa è gay? Stava provando a farmi capire che gli piaccio? Un maschio etero non dovrebbe essere infastidito da un contatto così prolungato ed “equivoco” con un altro ragazzo? O forse Tsubasa ha inteso quei gesti solo come segno di una profonda amicizia che ci lega? In fondo eravamo da soli, e quindi non c'era da temere lo sfottò di qualche imbecille, eravamo liberi. Queste ed altre domande non fanno che frullarmi nella testa da allora. Sto cercando insistentemente di mettere insieme un puzzle di milioni di pezzi, di analizzare qualsiasi gesto o parola, per tentare di capire se Tsubasa possa mai essere gay, o magari bisex. Per la precisione, sto cercando di decriptare i suoi sentimenti nei miei confronti: oramai non ho dubbi sul fatto che si tratti di sentimenti profondi, ma non so dire se anche i suoi sconfinino nell'amore e nell'attrazione fisica. Di conseguenza, mi chiedo anche fino a dove io possa arrivare con lui: si sarebbe mai ripetuta una cosa del genere? Come mi sarei dovuto comportare? Avrei potuto spingermi oltre rispetto a quanto già accaduto, o avrebbe reagito male ad un contatto fisico ulteriore? 

Quella serata, per alcuni versi, mi aveva sconvolto. Abbracci, pacche, stare seduti accanto, erano tutte cose che facevamo abitualmente e che sono abbastanza ordinarie in un contesto tra amici e compagni di squadra. Ma in quell'occasione eravamo andati ben oltre, ci eravamo lasciati andare a comportamenti che di solito si vedono tra... fidanzati, amanti. Eravamo stati appiccicati per tanto tempo, lasciando i nostri corpi avere tanti punti di contatto, in maniera quanto meno affettuosa, ma che in me aveva avuto una reazione soprattutto erotica. Un momento paradisiaco, certo, che però mi lascia tanti dubbi. 

3 LUGLIO 2018

Domani è il compleanno di un nostro compagno di squadra, Takeshi Kishida. Io e Tsubasa ci siamo visti per andare a comprargli un regalo insieme, anche se a dire il vero non sapevamo cosa prendere. Kishida infatti viene dalla scuola Yamabuki, dunque lo vediamo solamente agli allenamenti e non lo conosciamo abbastanza bene per sapere cosa possa piacergli di preciso. Alla fine abbiamo optato per una maglietta, orientandoci sulle taglie che portiamo di solito noi.

Usciti dal negozio, ci fermiamo per un attimo su una panchina del parco. In giro non c'era nessuno, io ero pronto a godermi qualche bel momento con Tsubasa, ma proprio in quell'istante lui rompe il silenzio: “Secondo te Sanae è innamorata di me?”. Gelo. Sono rimasto paralizzato e senza parole. Tsubasa mi guarda e ripete la domanda. Mormoro un “non lo so”. Agitazione. Panico. Cuore a mille. Dopo un silenzio assordante, riesco a farmi coraggio: “Perché, a te piace?”. Tsubasa esita, altro panico. “Non lo so, ma tutti dicono che è innamorata di me”. Non ha detto “no”. Gli piace. Non sapevo cosa fare, mi alzo, dico che ho da fare e che devo tornare a casa. Lui dice qualcosa, ma non lo sento e mi allontano.

Mi chiudo in camera a piangere. Stupido Taro! È etero, è normale, non un finocchio come te! Gli piace Sanae, non certo tu! Mi sono solamente illuso, e nient'altro. Tsubasa mi considera un amico, ed io invece mi sono lasciato andare a fantasie su di lui, mi eccito quando mi è accanto... se lo sapesse probabilmente mi schiferebbe! Almeno ho la risposta ai miei dubbi, la favola è finita.

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Capitolo 16
*** La festa di Kishida ***


CAPITOLO XVI - LA FESTA DI KISHIDA

5 LUGLIO 2018

Ieri era il compleanno di Kishida. Dopo quanto accaduto con Tsubasa il giorno prima, avevo deciso che non ci sarei andato. Fosse stato per me, non sarei proprio uscito di casa, sarei voluto restare chiuso tutto il giorno in camera. Peccato, però, che fosse lunedì, e dunque dovevo comunque andare a scuola. Non ho parlato con nessuno tutta la giornata, poi sono andato all'allenamento per non sembrare troppo strano: gli altri sicuramente si sarebbero preoccupati se non mi avessero visto. Per la prima volta nella mia vita, non avevo tanta voglia di giocare a calcio, ed in campo si è visto subito. Non riuscivo a giocare in maniera naturale come al solito, sbagliavo i passaggi, e soprattutto non trovavo la solita intesa con Tsubasa. Anzi, a dire il vero, ad un certo punto ho iniziato a passare il pallone agli altri piuttosto che a lui. Per fortuna che era solo un allenamento e non una partita importante: non avevo mai giocato così male in tutta la mia vita.

Terminato l'allenamento, mi sono dileguato ed ho corso fino a casa. Non volevo assolutamente vedere nessuno, né Tsubasa né nessun altro. Mi chiudo in camera e mi preparo a passare un'altra serata di pianti sul letto, come quella prima. Ad un certo punto, però, sento qualcuno bussare alla porta. Poi un'altra volta. Mio padre non era in casa, così mi decido a scendere ed ad aprire. Era Tsubasa.

Dalla sua espressione ho subito capito che era preoccupato per me, ma che stava cercando di comportarsi normalmente. “Sei pronto? La festa di Kishida è tra mezz'ora!”. “Non vengo”, rispondo, e faccio per chiudere la porta. Tsubasa, però, blocca la porta: “Perché? Non stai bene? Se non vieni non vado neanche io, resto qui con te”. Quella frase mi aveva spiazzato, non sapevo come reagire. Tsubasa entra e mi guarda: “A me piace stare con te. Solo con te”. La situazione stava peggiorando, nel senso che non avevo previsto nulla di tutto ciò, e quindi non avevo idea di cosa fare o dire. Resto in silenzio, aspetto che Tsubasa dica qualcos'altro. “Quando sono con te sono una persona diversa, riesco a fare cose che non farei mai da solo o con qualcun altro. Come guardare un film horror”. Il riferimento era chiaramente a quando avevamo visto “It” insieme: ripensando a quei momenti, finalmente mi sciolgo e, credo, abbozzo un sorriso. Anche io mi ero sentito stranamente tranquillo di fronte a quel film dopo che Tsubasa mi aveva abbracciato: forse mi stava cercando di dire che anche lui provava le stesse cose?

Restiamo per qualche istante a guardarci, senza dire niente, comunicando solamente con gli occhi. Poi Tsubasa rompe di nuovo il silenzio e sdrammatizza: “E poi devi venire per forza, il regalo lo hai tu!”. Era vero: nella rabbia del giorno precedente, non mi ero reso conto che andandomene mi ero portato la busta con il regalo per Kishida. Mi preparo, e così ci incamminiamo insieme verso la casa di Kishida. Finalmente riesco a parlare: “Arriveremo in ritardo”.

Dopo le ventiquattrore più brutte della mia vita, ora mi sentivo sollevato: avevo completamente rimosso dalla testa Sanae. Appena entrato in casa di Kishida, però, ecco che me la ritrovo davanti. Mentre varchiamo la soglia, ci vede e grida: “Tsubasa!”. Non credevo ci sarebbe stata anche lei, pensavo saremmo stati solamente ragazzi. E invece no, c'erano anche diverse ragazze, compresa quella che oramai era divenuta a tutti gli effetti la mia “rivale”. Come prevedibile, attacca subito bottone con Tsubasa. Io mi butto su una poltrona lì vicino: mi sento nuovamente sconfortato, li guardo e cerco di capire qualcosa dai loro discorsi e dai loro sguardi. Tsuby, di chi è il tuo cuore? I comportamenti e le frasi di Tsubasa negli ultimi giorni erano diventati così ambigui...

“Facciamo il gioco della bottiglia!”. Kishida interrompe i miei pensieri, invitandoci a mettere in cerchio. Mentre il festeggiato va alla ricerca di una bottiglia, Urabe spiazza tutti tirando fuori una app del suo telefono che riproduceva lo stesso gioco. “Così nessuno può imbrogliare o lamentarsi”, dice lui. Si inizia con una serie di schiaffetti tra diversi giocatori. Qualcuno sorride e sghignazza quando Urabe stesso, che aveva tanto voluto usare l'app, è costretto ad accarezzare Genzo Wakabayashi. Poi l'app decide: Sanae-carezza-Tsubasa. Non poteva essere! Ero nuovamente ripiombato nell'incubo... Tsubasa era lì, seduto accanto a me, alla mia destra. Vedo Sanae avvicinarsi: si inginocchia davanti a Tsubasa, gli mette la mano sulla guancia. Muoio. Quasi come a voler sottrarre Tsubasa da quel momento, allungo il mio braccio dietro di lui e gli tocco la schiena, ma poi mi fermo. Osservare Sanae sfiorare dolcemente il viso di Tsubasa, fissandolo negli occhi, era la peggior tortura alla quale potessi essere sottoposto.

Il gioco prosegue, ma mi assento completamente. Comincio a pensare e ripensare a quella carezza, cerco di ricostruire ed interpretare l'espressione di Tsubasa: aveva sorriso? Non mi ricordo. Sarebbe stato meglio restare a casa, mi dico tra me e me. I miei pensieri si dissolvono bruscamente quando sento una fragorosa risata generale. “Misaki!”, mi chiama Ishizaki, toccandomi la spalla sinistra. Lo guardo, aveva un'espressione sghignazzante: “Devi baciare Tsubasa”. Penso subito che Ishizaki, con il suo solito modo di fare scanzonato, mi stesse prendendo in giro. Poi guardo l'app: era vero, dovevo baciare Tsubasa. 

Nuovo momento di panico. Come dovevo reagire? Cosa dovevo fare? Naturalmente volevo baciare Tsubasa più di ogni altra cosa al mondo, ma non davanti a tutti, con il rischio di fare una figuraccia o di far capire a tutti i miei sentimenti. Oltretutto non avevo mai baciato nessuno, neppure in un gioco come questo. “Ma che scemenza, dai! Non è che lo dobbiamo fare per forza, è solo una stupida app”. Stavo dicendo esattamente il contrario di quello che stavo pensando. Faccio per alzarmi ed abbandonare il gioco. “È il gioco, dobbiamo rispettare le regole”. Era Tsubasa, che mi prende per il braccio e mi tiene lì. Lo guardo, lui si avvicina. Palpitazioni. Le labbra di Tsubasa sulle mie. Chiudo gli occhi. Sono in paradiso. Il cuore continua a battere a mille, ma non è più ansia, è puro piacere. Non so quanto tempo sia durato quel bacio, ho perso completamente la cognizione del tempo, ma è stato un momento che non dimenticherò mai.

Riapro gli occhi nel momento in cui le nostre labbra si separano, ci guardiamo senza dire nulla. Gli altri probabilmente stavano facendo qualche stupida battuta, ma non ci stavo facendo caso, ero troppo preso da Tsubasa. Ero rimasto immobile durante quel bacio, sapevo che gli altri ci stavano guardando e dunque non avrei mai potuto lasciarmi andare come avrei voluto. Ma era stato comunque meraviglioso. 

Al momento di andarcene, io e Tsubasa ci incamminiamo insieme. Non parliamo del bacio né di nient'altro che possa essere ricondotto all'argomento, ma solo di calcio. In effetti, non volevo dire nulla di sbagliato, e per quella sera ero assolutamente soddisfatto. Arriviamo di fronte a casa mia, ci salutiamo. Lo guardo mentre si allontana. Sto per entrare in casa, mi fermo prima di varcare la soglia: “Ti amo”, sussurro.

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Capitolo 17
*** Le confidenze di Tsubasa ***


CAPITOLO XVII - LE CONFIDENZE DI TSUBASA

6 LUGLIO 2018

Quanto accaduto il giorno della festa di Kishida ha lasciato un segno indelebile in me. Non faccio altro che pensare a quella giornata, a quel bacio, a quello che Tsubasa mi aveva detto quando era venuto a casa mia. “A me piace stare con te. Solo con te”, continuo a sentire la sua voce nella mia testa. E poi il momento in cui le nostre labbra si sono fuse, come fossero un'unica cosa. Cosa significa tutto questo? Di Sanae e della sua carezza, invece, me ne sono quasi dimenticato, e ci penso solo occasionalmente.

Questa mattina, però, dopo la ricreazione, sono rientrato in classe ed ho trovato una “sorpresa” che non mi aspettavo. Avevo lasciato il libro di matematica sul banco e, quando l'ho riaperto, ho trovato un bigliettino che ero sicuro di non aver messo io lì. Lo apro e leggo: FROCIO. Resto a guardarlo, c'era scritto proprio quello. Non dico niente, lo accartoccio e lo butto nel cestino. Dopo un primo momento di shock, incomincio a riflettere. Chi poteva essere stato? Cerco di fare mente locale. Doveva essere qualcuno che aveva visto il bacio con Tsubasa. Gli unici della nostra scuola presenti alla festa erano Sanae e Ishizaki, oltre a me e Tsubasa. Dunque doveva essere stato uno di loro due. Sanae? Non mi sembra il tipo. Ishizaki, invece...

Ad ogni modo, quel biglietto mi ha lasciato per certi versi sconcertato, anche se non ne ho parlato con nessuno. Certo non mi ha incoraggiato ad aprirmi con qualcuno circa i miei sentimenti: ci sarà un motivo se quasi tutti i ragazzi gay tendono a nascondere il proprio orientamento sessuale. Spero solo che non si ripetano episodi del genere.

8 LUGLIO 2018

Sono oramai passati diversi giorni da quel bacio con Tsubasa, ma non ne abbiamo più parlato. Fino a questo pomeriggio. Durante l'allenamento, ho notato Tsubasa un po' spento: anche lui, come me, trasferisce il proprio stato d'animo nel gioco del calcio, e non riesce a giocare al meglio quando qualcosa lo turba. I miei sospetti si sono rivelati esatti quando Tsubasa, alla fine dell'allenamento con la squadra, mi ha chiesto di appartarci a parlare anziché continuare a giocare in campo.

Tsubasa si siede sconfortato su quella che oramai era diventata la nostra panchina, la stessa sulla quale, qualche giorno fa, mi aveva fatto quella domanda su Sanae che aveva generato in me una reazione emotiva che non ero riuscito a controllare. Questa volta cerco di prepararmi: “Qualsiasi cosa ti dirà, mantieni la calma. Niente reazioni impulsive”. Infatti, l'argomento di cui Tsubasa voleva parlare era proprio lei: Sanae. “È arrabbiata con me”, inizia lui, senza neanche farne il nome. Ok, Taro. Mantieni la calma. Respira. Ascolta e cerca di capire. Siete solo tu e lui. E lui ha scelto te per questa conversazione. Non deluderlo.

“Che è successo?” chiedo. “Si è arrabbiata per il bacio”. Non dico niente, aspetto che Tsubasa continui. “L'app aveva detto che dovevi essere tu a baciarmi, invece sono stato io a baciarti”. Cavolo, non ci avevo fatto caso, ma era vero. “E poi... lei dice che sarebbe bastato anche un bacio sulla guancia”. Anche quello poteva essere vero, l'app non specificava il tipo di bacio. La conversazione stava diventando interessante, ma spinosa. Tsubasa voleva dirmi che mi aveva baciato di proposito? “E perché è arrabbiata? Siete fidanzati?”, chiedo, con la voce un po' tremante. “No”, sollievo. “Ma a lei piaccio, oramai lo sanno anche i muri”. Sanae è gelosa della relazione tra me e Tsubasa tanto quanto io sono geloso quando li vedo insieme. “E tu perché sei triste?”, cerco di indagare. “È una mia amica, non voglio sia arrabbiata con me. E poi il suo sostegno per la squadra è importante”.

"Amica", dice lui. Inizio a chiedermi cosa questa parola voglia dire per Tsubasa. Forse era anche lui un po' confuso, magari anche più di me. Mi faccio ancora coraggio: “E io cosa sono per te?”. Tsubasa mi guarda: “Che vuoi dire?”. Ricambio lo sguardo: “Hai detto che Sanae è una tua amica. Sono anche io un tuo amico?”. Non volevo fare domande troppo dirette, forse mi stavo un po' ingarbugliando. “Taro... tu sei molto, molto di più di un amico”. Tsubasa stava ora guardando per terra, sottraendosi al mio sguardo. Ha un sussulto, capisco che stava piangendo. Mi accosto a lui, cercando di confortarlo con la mia presenza, senza dire niente.

Siamo rimasti così per un po'. In quella conversazione, mi ha detto tanto, ma in fondo non mi ha detto nulla di chiaro. Non voglio interpretare male le sue parole: ha detto che sono molto più di un amico per lui, ma non ha specificato cosa prova per me, quindi meglio non illudersi. Sono comunque orgoglioso del mio comportamento. L'altra volta ero stato impulsivo, e soprattutto avevo pensato solo a me stesso: Tsubasa aveva bisogno di parlare, ed io l'avevo deluso. Questa volta ho tentato di dimostrargli che per me lui è la cosa più importante, anche più di me stesso. Ho superato un'altra prova d'amore, per te sono pronto a tutto. Anche se forse non mi amerai mai come ti amo io, io per te ci sarò sempre.

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Capitolo 18
*** Wakabayashi e Ishizaki ***


CAPITOLO XVIII – WAKABAYASHI E ISHIZAKI

10 LUGLIO 2018

Il rapporto tra me e Tsubasa è un po' strano, forse dovuto al fatto che entrambi siamo un po' timidi, soprattutto quando si tratta di parlare di noi stessi. Ci sono momenti profondi come quello dell'altro giorno, in cui riusciamo a mostrare quanto l'uno tiene all'altro, mentre poi per giorni non parliamo di niente di davvero importante, dedicandoci solamente alla nostra passione calcistica, pur passando ore ed ore insieme. In qualche modo, anche i silenzi e le lunghe giornate passate a dare calci al pallone fanno parte di un nostro modo di comunicare: non abbiamo bisogno di dimostrare continuamente il nostro legame, ne siamo già consapevoli. Eppure, in tutto questo tempo non sono riuscito a dirgli che lo amo, né a capire se lui mi ami altrettanto.

Ieri sera, quando ero già a letto, sento il campanello di casa. Poi mio padre mi chiama: era per me. “Tsubasa? A quest'ora?”. Penso. O spero. Mi sistemo velocemente, scendo, vedo Genzo Wakabayashi sul divano. Lui si alza quando sono ancora per le scale, “Misaki, dobbiamo parlare”. Capisco che si stratta di qualcosa di importante, così gli faccio strada verso camera mia. Avverto una strana sensazione, inizio a sentirmi agitato.

“Misaki, sei gay?”. Wakabayashi era sempre molto diretto nel parlare, ma quella domanda proprio non me l'aspettavo. Mormoro qualche suono senza significato. “Dalla festa di Kishida, qualcuno ha iniziato a mettere in giro questa voce”, mi dice. Capisco che si stava riferendo al bacio con Tsubasa. “Per il gioco?” chiedo. “Non è quello stupido gioco il problema, avete trascinato persino me in quella stronzata. È il come...”. Ero di nuovo perso. “Quelli che erano seduti dal vostro lato dicono che hai... toccato il culo di Tsubasa durante il bacio”. COSA? Io non avevo fatto niente, ero stato ben attento a non muovere un muscolo per non destare sospetti. Ero sicuro... o forse no. Forse ero entrato in trance e non me n'ero accorto?

“Misaki, se sei gay a me non importa. Davvero. Ma se si viene a sapere una cosa del genere, questo potrebbe creare problemi alla squadra, capisci? Manca meno di un mese al torneo nazionale, potrebbero utilizzare il gossip per destabilizzare la squadra e screditarci. Ed anche tu, sei un giocatore importante, non devi avere altri problemi per la testa se non le partite”. Capisco che Wakabayashi non era venuto per prendermi in giro o per farsi i fatti miei, era sinceramente preoccupato per la squadra ed anche per me. Decido, gli racconto del bigliettino. “Secondo te è stato Ishizaki?”. “Non lo so, lo scopriremo”.

Wakabayashi si era comportato da vero leader dello spogliatoio ed amico. Non gli avevo risposto alla prima domanda, e non aveva insistito. Forse anche lui si era reso conto di essere stato un po' troppo diretto. Se n'era andato senza sapere se fossi gay o meno, ma aveva preso le mie difese. In qualche modo, avevo trovato un altro alleato al mio fianco.

11 LUGLIO 2018

L'allenamento di oggi è iniziato senza Wakabayashi ed Ishizaki. Ho subito capito che loro assenza poteva essere collegata alla storia del bigliettino ed al colloquio che ho avuto l'altra sera con il nostro portiere. Stavamo allenandoci da un bel po', quando vedo uscirli insieme dagli spogliatoi. Ishizaki aveva l'espressione di un cane bastonato. Allora era stato lui a mettere il bigliettino nel mio libro?

Alla fine dell'allenamento, Wakabayashi chiama me ed Ishizaki in disparte. Mi sentivo tradito: Ishizaki era uno dei primi che avevo conosciuto qui a Nankatsu, ed era stato lui, suo malgrado, ad infortunarsi ed a darmi la possibilità di giocare nella sfida con la Shutetsu. 
“Misaki, scusami”, mi dice. 
“Sei stato tu a scrivere quella cosa?”, gli chiedo senza fare giri di parole. 
“No, ma è colpa mia. Ho raccontato tutto quello che è successo alla festa a Tsuyoshi Oda, forse è stato lui”.
Tsuyoshi Oda è un nostro compagno di scuola alla Nankatsu. Giocava nella squadra della scuola, ma poi non è stato selezionato per giocare nel torneo della prefettura con il Nankatsu SC. 
“Scusami, sai che a volte parlo troppo...”, continua Ishizaki.
“E sei stato tu ad inventarti la storia che ho ho toccato... il sedere a Tsubasa?”.
“Scusami ancora Misaki, non dovevo dirlo. Dovevo tenermelo per me. Ma... non me lo sono inventato”.
Cosa? Avevo davvero toccato Tsubasa durante il bacio? Mi sembra ancora assurdo. Avevo fatto attenzione a non destare nessun sospetto. Se era vero, dovevo essermi veramente lasciato trasportare, al punto da perdere il controllo del mio corpo. L'unica consolazione è che almeno so che Ishizaki non è omofobo, ma solo un po' pettegolo. Restano però ancora tanti nodi da sciogliere.

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Capitolo 19
*** Dalla parte di Taro ***


CAPITOLO XIX – Dalla parte di Taro

Il mio tempo in Giappone stava quasi per scadere, ma avevo ancora tante cose da scoprire. Dovevo indagare, dovevo assolutamente finire di leggere il diario. E poi avevo una gran voglia di incontrare sia Taro che Tsubasa, di sapere qual era stata l'evoluzione del loro rapporto, ma anche di scoprire dove si trovasse ora Taro, che certamente non era più a Nankatsu. Forse avrei dovuto convincere i miei genitori a prolungare il nostro soggiorno nipponico? Intanto decido: leggo ancora qualche pagina questa sera, poi domani vado alla scuola media di Nankatsu. Magari incontro Tsubasa o raccolgo qualche informazione importante.

13 LUGLIO 2018

Oggi eravamo all'uscita da scuola, io e Tsubasa. Ancora non gli avevo detto nulla della storia bigliettino, né delle conversazioni che avevo avuto con Wakabayashi ed Ishizaki. C'era troppa gente. Vedo un chiosco dei gelati dall'altra parte della strada: “Gelato?” dico, indicando il chiosco. Tsubasa annuisce, così riesco a portarlo fuori dalla calca. Troviamo un posto tranquillo per sederci, sotto un albero, come piace a noi.

Tsubasa era seduto accanto a me che leccava il suo gelato alla fragola. Quella sola immagine è bastata a risvegliare immediatamente gli aspetti più focosi della mia attrazione per lui. Era sempre così sensuale quando leccava il gelato, o stava accentuando i movimenti della lingua per me? Ok, mi sto di nuovo lasciando andare. Torno con i piedi per terra. “Come va con Sanae?”. Non so neanche perché ho attaccato la conversazione così, parlando proprio di lei. “Insomma, è ancora arrabbiata. Mi ha detto che io e te passiamo troppo tempo insieme”. Oramai avevo imparato a mantenere la calma in quei momenti. Tsubasa era lì, seduto accanto a me. Aveva scelto di passare quel tempo con me, e non con lei. Non c'era bisogno di agitarsi o di ingelosirsi. 
“Tu che hai detto?”.
“Ho detto che mi piace passare il tempo con te, quindi è normale che stiamo tanto tempo insieme”.
“Anche a me piace stare con te”, rilancio. “Ma perché è arrabbiata? Vuole che passi il tempo con lei?”
“Penso di sì. Ma non saprei cosa fare tutto quel tempo con lei. Con te invece non mi annoio mai”.
“Non ce la vedo Sanae a giocare tre ore consecutive a calcio”, sdrammatizzo. Tsubasa sorride.
Era venuto il momento. “Qualche giorno fa ho trovato un biglietto...”, inizio a raccontare tutto, o quasi. Dico del biglietto, ma non del fatto che stava girando la voce insistente che io fossi effettivamente gay. Racconto della confessione di Ishizaki.
“È stata colpa mia, che ti ho baciato in quel modo...”, dice Tsubasa. 
“No...” lo interrompo. “Non avevo mai baciato nessuno, prima a poi doveva capitare... e poi mi è piaciuto”. Aspetta... cosa avevo appena detto? E ora come reagirà? Mi è scappato...
“Anche a me”. Pausa. “È stato il primo bacio”.

Restiamo, come al solito, seduti accanto senza dire più niente. Era quasi ora di andare all'allenamento, Tsubasa si alza. “Taro, io sarò sempre dalla tua parte. Adesso andiamo”. Anche io – penso – sarò sempre dalla tua parte.

14 LUGLIO 2018

Non mi aspettavo che Tsubasa prendesse un'iniziativa del genere. A ricreazione, andiamo in cortile insieme, come al solito. Tsuyoshi Oda stava seduto insieme ad altri due nostri compagni di scuola, Masato Nakazato e Hiroshi Nagano. “Oda”, Tsubasa lo chiama con un tono serio. Lui si avvicina: “Sei stato tu?”. Cavolo, non volevo che succedesse così. Oda non risponde, aveva capito perfettamente e si era già arreso. Mostra la sua resa abbassando mestamente la testa, come a volersi nascondere per la vergogna. “Se offendi Taro, offendi anche me”, rincara Tsubasa. Oda era totalmente imbarazzato da quella situazione, tanto quanto lo ero io. Sussurra delle scuse. “Sono molto deluso”, conclude Tsubasa. Non lo avevo mai visto così deciso e determinato fuori da un campo di calcio. Ci allontaniamo insieme, in quel momento sento la mano di Tsubasa che sfiora la mia. Non so se sia stato un caso, o se l'abbia fatto di proposito. Sarà sempre dalla mia parte, e me l'aveva appena dimostrato.

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Capitolo 20
*** Acque bollenti ***


CAPITOLO XX – ACQUE BOLLENTI

17 LUGLIO 2018

Le ultime giornate sono trascorse abbastanza tranquillamente. Oramai siamo a circa due settimane dall'inizio del torneo nazionale, quindi ci stiamo allenando sempre più intensamente. L'intesa tra me e Tsubasa è sempre perfetta, ed anche oggi abbiamo prolungato la nostra permanenza in campo ben oltre l'allenamento di squadra. Quando oramai era quasi l'ora del tramonto, ci siamo avviati verso casa. 
“Guarda che sei arrivato”, dico a Tsubasa. Eravamo di fronte alla porta di casa sua, ma sembrava non essersene accorto. “Vengo da te”, risponde. Oramai Tsubasa era solito autoinvitarsi a casa mia, e la cosa naturalmente non mi dispiaceva affatto.

Mio padre non era ancora rientrato. Tsubasa si butta sul divano. “Non ti buttare tutto sporco sul divano...” gli dico. “Mi senti, puzzone?”. Mi ero lasciato scappare un nomignolo che denotava un po' troppa confidenza. Incomincio a preoccuparmi: si sarà offeso? “Puzzone ci sarai tu”, risponde. Ok, non si era offeso. 
“Ok, allora tu resti sul divano, io vado a farmi un bagno”.
“Vengo con te”.
Eh? Avevo capito bene? 
“La tua vasca sarà abbastanza grande”. Sì, avevo capito bene. 
Non sapendo cosa dire di preciso, non dico niente. Mi avvio verso il bagno, e Tsubasa mi segue.

Già solamente all'idea di entrare tutti e due nudi nella vasca da bagno mi stavo eccitando. Certo, con Tsubasa eravamo abituati a vederci nudi, ma non è la stessa cosa farlo negli spogliatoi con la squadra ed in una situazione così... privata. C'eravamo solamente io e lui in tutta la casa, e la vasca era sì abbastanza grande, ma non grandissima... insomma ci saremmo trovati nudi e appiccicati l'uno all'altro. La vasca era oramai pronta, mi spoglio rapidamente e mi immergo nell'acqua, sperando che Tsubasa non abbia notato il mio stato di eccitazione. Lui sembrava molto più a suo agio, si prende il suo tempo, e mentre non guarda verso di me posso godermi tutta la bellezza del suo corpo nudo.

Finalmente Tsubasa entra dal lato opposto della vasca, e si mette di fronte a me. Le nostre gambe si toccavano, faccio attenzione ai miei movimenti per non provocare contatti... equivoci. Nel frattempo avevo cosparso la vasca di una quantità immane di sapone, facendo più schiuma possibile per non far notare quanto duro fosse il mio... pisello. Tsubasa era lì, di fronte a me, nella vasca.

“Mi sembri strano”, dice Tsubasa.
“Che vuoi dire?”.
“Rilassati, sei in una vasca piena d'acqua e sapone”.
“Scusa, è che... è una situazione un po' strana”.
“Di che hai paura? Che esca Godzilla dalla vasca?”.
Era una battuta? Un'allusione? Help! Lentamente mi copro il pisello con la mano, per paura che sbucasse dall'acqua. Non che fosse possibile, non è poi così grande. LOL.
“Si sta stretti”, dico.
“Ma no, basta che ti metti un po' così, ecco...”. Tsubasa mi tocca una gamba e la mette sulla sua. Il contatto era reso ancora più soave dall'acqua, da far venire i brividi. 

“Mi gratti la schiena?”, Tsubasa rompe di nuovo il silenzio dopo qualche attimo di relax. Lentamente si gira e si piazza davanti a me, di spalle. “Dai...”, insiste. Inizio a grattarlo, nel frattempo lo spingo leggermente più lontano per evitare che venisse a contatto con la mia erezione.
“Un po' più giù... ancora”, seguendo le istruzioni di Tsubasa mi stavo pericolosamente avvicinando al suo sedere! 
“Scendi ancora un po'...”
“Ma...” a quel punto non potevo andare avanti senza toccare il confine tra la schiena ed il sedere di Tsubasa.
“Cosa?”, dice Tsubasa.
“Non...”, non mi uscivano più le parole, balbetto qualcosa di incomprensibile.
“Ora hai paura? Fai finta di stare alla festa di Kishida”.
Diamine! Era vero, l'avevo toccato durante il bacio. E non me n'ero accorto. Mi sentivo davvero imbarazzato, ed in quello stesso momento avevo avuto la conferma del fatto che Ishizaki non si era inventato un bel niente. L'avevo fatto davvero, e Tsubasa lo sapeva benissimo!

“Usciamo, è tardi”, dico facendo uno scatto per lanciarmi alla ricerca di un asciugamani nella quale nascondermi. Non si era accorto di niente, almeno credo. Tranne del fatto che mi stavo comportando in maniera nervosa. Lui sembrava molto più a suo agio. Ad ogni modo, si era veramente fatto tardi. Riusciamo a renderci presentabili poco prima che mio padre torni a casa, poi Tsubasa mi saluta e se ne va. 

Penso e ripenso a quei momenti passati nella vasca: così belli, ma allo stesso tempo così difficili da gestire senza sapere quale sia il confine di ciò che posso o non posso fare.

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Capitolo 21
*** La mossa di Sanae ***


CAPITOLO XXI – La mossa di Sanae

18 LUGLIO 2018

Continuo a pensare e ripensare a quello che è successo ieri con Tsubasa. La nostra vicinanza, il contatto delle mie mani sulla sua schiena, quei momenti così intimi nei quali avrei voluto lasciarmi andare. Se solo riuscissi a fare quel passo avanti, a rendere tutto chiaro, dicendo a Tsubasa quello che realmente provo per lui... So che quando siamo soli lui diventa un'altra persona, con me fa cose che non farebbe mai con nessun altro. Ma temo sempre di sconfinare troppo oltre, ed alla fine non riesco a sciogliermi del tutto, né con le parole né con le azioni. Devo trovare il modo di sconfiggere i miei timori e farmi avanti... Tsubasa capirà, spero...

20 LUGLIO 2018

Un'altra giornata di scuola era passata tranquillamente, fino all'uscita. Continuavo a riflettere sulla possibilità di dichiararmi finalmente a Tsubasa, di fare quel passo decisivo. Il limbo nel quale mi ero andato a cacciare mi stava diventando stretto, non potevo continuare a fingere di essere “solo” il suo migliore amico, dovevo in qualche modo liberarmi, dichiarargli i miei sentimenti. Appena varchiamo l'uscita, Tsubasa viene però “bloccato” da Sanae. Non sapendo cosa fare, mi siedo sul muretto lì vicino e li guardo parlare. Lei sembrava molto più coinvolta di lui, a dire il vero, ma Tsubasa comunque non faceva niente per sottrarsi a quei momenti. Avrebbe potuto inventarsi una qualsiasi scusa per darsela a gambe, invece di lasciare gli occhi di Sanae guardarlo in quel modo... 

A quel punto, dovevo essere io ad inventarmi qualcosa per tirarlo fuori da quella situazione: “Tsubasa, guarda, c'è di nuovo il chiosco dei gelati!”
“Uh, andiamo!”. 
Bene, ci siamo liberati, penso. Fino a quando non sento Tsubasa dire: “Sanae, vieni con noi?”. Sangue gelato. Dici di no, forza. Dici no, dici no, dici no.
“Certo”, risponde lei con sorriso allegro. Giornata rovinata, penso io. E non mi sbagliavo affatto.

Ci sediamo tutti e tre, Tsubasa al centro. Insomma, la scena si commenta da sola, rappresenta perfettamente quelli che erano i rapporti in gioco, la contesa di Tsubasa tra me e Sanae. Ma l'incubo era appena iniziato. Restiamo per lungo tempo seduti nell'imbarazzo generale, in uno di quei silenzi infiniti e disagianti, non come quelli pacifici che ci sono quando siamo solo io e Tsubasa. Almeno questo è quello che ho provato io: un disagio infinito, lo scorrere del tempo troppo lento, il volermene andare ma allo stesso tempo voler restare con Tsubasa anche a costo di “condividerlo” con Sanae, soprattutto per non lasciarlo da solo con lei.
“Tsubasa, vuoi assaggiare il mio gelato?”, dice improvvisamente Sanae.
“Ma se l'hai appena finito...”.
In quel momento, Sanae fa uno scatto e dà un rapido bacio a stampo sulle labbra di Tsubasa. Lì, davanti a me. Non poteva essere un caso, l'aveva fatto di proposito. Mi sento morire.
Tsubasa sembrava essere rimasto interdetto, io avevo avvertito un fuoco esplodere in tutto il corpo, salendo fino al cervello, che mi aveva stordito al punto che non riuscivo quasi più a sentire i rumori circostanti. Non ero in grado di reagire, avevo completamente perso la lucidità e la percezione del mondo circostante.

Ci metto un po' a riprendermi, prima di annunciare che sarei andato a casa. Ero perso in un abisso.

21 LUGLIO 2018

Dopo il bacio di Sanae a Tsubasa mi sono sentito davvero sconfortato. Non so spiegare il motivo preciso, in fondo Tsubasa non aveva fatto niente, infatti non ce l'avevo con lui. Non ce l'avevo nemmeno con Sanae, che sapevo essere cotta di Tsubasa, se non per il sospetto che l'avesse fatto di proposito a baciarlo davanti a me. Ma forse era solo una mia congettura dovuta alla reazione emotiva del momento. Magari lei neppure sospettava il fatto che io fossi gay e completamente pazzo di Tsuby. Ce l'avevo soprattutto con me, perché in tutto quel tempo passato insieme con Tsubasa non avevo trovato mai il coraggio di fare un passo così grande, eppure di occasioni ne avevo avute. Se fossi etero, o se io fossi una ragazza, sicuramente sarei riuscito a farmi avanti molto prima... non sto dicendo che vorrei essere etero o una femmina, ma solo che la vita è molto più facile per un etero. Quello che ha fatto Sanae è difficile farlo quando si prova qualcosa per una persona dello stesso sesso. Ma non voglio giustificarmi, ho passato ore ed ore con Tsubasa, io e lui da soli... siamo stati abbracciati davanti ad un film, nudi insieme in una vasca da bagno... e non ho mai fatto quel fatidico passo avanti. Colpa mia, punto.

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Capitolo 22
*** Due appuntamenti ***


CAPITOLO XXII – Due appuntamenti

Mi svegliai di mattina presto, ero agitatissimo al pensiero di dover andare alla scuola media di Nankatsu. Avrei sicuramente incontrato qualcuno dei protagonisti del diario di Taro, pensavo. Mi avvio verso la scuola, con il diario di Taro sempre sotto il braccio. Non sapevo esattamente cosa avrei dovuto dire o fare, volevo raccogliere qualche informazione, ma speravo soprattutto di incontrare Tsubasa. Allo stesso tempo, volevo continuare a leggere il diario per scoprire qualcosa di più. Quella lettura mi aveva davvero coinvolto, non riuscivo a togliermi dalla testa Taro e Tsubasa. Soprattutto, mi stavo profondamente immedesimando in Taro, e temevo oramai di provare persino dei sentimenti nei suoi confronti, anche senza averlo mai conosciuto personalmente. Nonostante questo, però, ero probabilmente l'unico a conoscere per filo e per segno il suo mondo interiore.

Arrivo finalmente fuori la scuola: dovrò attendere la ricreazione per parlare con qualcuno, non posso certo irrompere nelle classi durante le lezioni. Trovo un posto all'ombra e riapro il diario.

22 LUGLIO 2018

Stavo dormendo ancora, quando una notifica sul mio telefono mi sveglia. Vedo l'icona con la foto di Tsubasa, mi siedo di colpo e apro. “Sabato prossimo ci vediamo a casa mia per la mia festa di compleanno. Non mancare!”, leggo. Messaggio mandato a tutti uguale, penso. Rispondo con un laconico “OK, grazie per l'invito”. Sicuramente ci sarà anche Sanae, rischia di essere un altro supplizio. Comunque non posso non andarci, è pur sempre il mio Tsuby... E ci resterebbe sicuramente male se non ci andassi. Tanto cosa può succedere di ancora peggiore?

24 LUGLIO 2018

Bruttissima notizia per la squadra. Ad una decina di giorni dall'inizio del torneo nazionale, il medico ha comunicato che Genzo Wakabayashi non potrà giocare. Il suo infortunio è peggiorato, e dovremo fare a meno del nostro portiere. Sarà Morisaki il nostro estremo difensore, e Tsubasa il capitano della squadra. Sono molto contento per Tsubasa, ha già dimostrato il suo carisma in campo in occasione del primo infortunio di Wakabayashi, e Morisaki sicuramente saprà difendere al meglio la nostra porta come ha già fatto allora. La nostra squadra resta comunque molto competitiva per il torneo nazionale, in questo momento non sono le questioni calcistiche a preoccuparmi. Da quel punto di vista siamo messi molto bene nonostante il forfait di Wakabayashi. 

Andare a Tokyo con Tsubasa e tutta la squadra della Nankatsu sarà sicuramente un'esperienza fantastica. Ho girato tante scuole e cambiato tante squadre, ma questa è la prima volta che riescono a prendere parte al torneo nazionale. A Tokyo potremo sfidare tutte le migliori formazioni del Giappone, e potrò anche rivedere alcuni vecchi amici. In particolare, non vedo l'ora di incontrare Matsuyama... Anche se allo stesso tempo non so come reagirò quando mi troverò faccia a faccia con lui, ora che conosce il mio segreto. Sicuramente mi farà tante domande, e rispondere di persona non è la stessa cosa rispetto a chattare... Insomma, il torneo nazionale è un appuntamento fondamentale, ma al momento sono ben altri i miei tormenti.  

25 LUGLIO 2018

Passano i giorni e si avvicinano due appuntamenti importantissimi: prima il compleanno di Tsubasa, poi la partenza per Tokyo. Inutile dire che entrambe queste scadenze provocavano in me una certa ansia, anche se di tipo differente. Più che la prestazione calcistica nel torneo nazionale, in questo momento mi preoccupava soprattutto il mio rapporto con Tsubasa. Gli ultimi giorni sono trascorsi abbastanza tranquillamente: dopo quel bacio, Sanae è tornata a comportarsi come prima, cioè a limitarsi solamente a qualche chiacchiera con Tsubasa, senza andare oltre. Forse la reazione di Tsubasa, che era rimasto sorpreso e apparentemente non troppo entusiasta di quel bacio, l'aveva frenata. Avrei dovuto sicuramente indagare con Tsubasa, anche per sapere cosa era successo dopo che me n'ero andato.

Intanto, nel pomeriggio trovo il tempo per uscire ed andare alla ricerca del regalo per Tsuby. Volevo regalargli qualcosa che potesse piacergli davvero, non giusto perché dovevo fargli un regalo. Passo un paio d'ore tra negozi di ogni tipo, e alla fine scelgo: un orologio intelligente, di quelli che calcolano i passi, il battito cardiaco e tante altre cose, perfetto per chi ama fare sport. Avrei dovuto scrivergli anche un bigliettino... anche lì, c'era ampia scelta. C'erano bigliettini con i cuori, ma forse sarebbe stato troppo esplicito, sopratutto perché lo avrebbero potuto vedere anche altre persone. Ne scelgo uno a tema calcistico, che sicuramente gli piacerà: dovevo solamente decidere cosa scrivergli.

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Capitolo 23
*** Il biglietto d'auguri ***


CAPITOLO XIII – Il biglietto d'auguri

26 LUGLIO 2018

Mancano solamente due giorni al compleanno di Tsubasa. Ed appena qualche giorno in più alla nostra partenza per Tokyo. L'allenamento di oggi è stato infatti particolarmente intenso, abbiamo provato nuovi schemi sui calci piazzati, e come sempre io e Tsubasa ci siamo trattenuti sul campo anche oltre l'allenamento con i nostri compagni. Dopo un po', tiro di proposito il pallone verso gli alberi a bordo campo. Andandolo a recuperare, mi siedo vicino al tronco e Tsubasa mi segue, capendo il messaggio che gli avevo lanciato: avevo qualcosa da dirgli. Oramai ci capivamo al volo.

Tsubasa si siede accanto a me, aspetta che io inizi a parlare. “Tu e... ehm...”. Diamine, Taro, ti impappini sempre al momento più importante. “Tu e Sanae... che è successo?”, taglio corto.
“Che vuoi dire?”
“Sai, quella volta, il gelato...”, tergiverso per non nominare quel famigerato bacio, visto che il solo ricordo mi provocava ogni volta un tuffo al cuore.
“Ah! Beh, niente, che vuoi che sia successo?”, risponde Tsubasa, con una certa leggerezza. Ma per me non era affatto un argomento leggero, anzi, era di vitale importanza.
“Voglio dire, dopo che io me ne sono andato... che avete fatto?”. Certo, detta così può sembrare un po' pesante, ma è quello che mi è venuto fuori.
“Taro, ma cosa stai pensando! Non è successo niente, me ne sono andato subito dopo di te. Volevo raggiungerti, ma tu eri già scomparso”. Già, avevo corso verso casa il più rapidamente possibile. 
“Quindi non siete...”
“Siamo amici, e basta”. Tsubasa mi guarda come a volermi rassicurare. Ed in effetti quello che aveva appena detto era in linea con i suoi comportamenti successivi, visto che con Sanae sembrava essere tornato tutto in regola, come se quel bacio non avesse mai avuto luogo. Aveva capito che ero geloso, quindi?

28 LUGLIO 2018

Oggi è il compleanno di Tsubasa. Mancano poche ore all'appuntamento, e sono agitatissimo. Lo so, si tratta solo di una festa di compleanno, ma l'ultima volta che sono andato ad una festa è successo di tutto! E, soprattutto, non avevo ancora scritto il biglietto per Tsubasa, che in realtà si è trasformato quasi in una lettera. Non potevo certo scrivergli un banale “auguri”. 

“Caro Tsubasa,
innanzi tutto tantissimi auguri! Spero davvero che tutti i tuoi desideri si realizzino, ed io farò di tutto perché questo accada! Presto saremo a Tokyo, e sono certo che insieme riusciremo a vincere il torneo nazionale.
Sono oramai passati diversi mesi da quando sono arrivato qui a Nankatsu, e devo dire non sono mai stato così bene. E questo è merito tuo. Per me sei una persona unica ed insostituibile, che mi ha aiutato a capire tante cose di me. Con te ho vissuto i momenti più meravigliosi della mia vita, quando sono con te provo emozioni che non avrei mai pensato di poter provare. Ogni momento vissuto insieme a te è pura magia. Non posso che ringraziarti per tutto questo, e sperare di continuare a condividere attimi felici con te.
Ti a...”

Mi blocco. Non potevo scrivere “ti amo”. Certo, oramai era quasi ovvio da quello che avevo scritto. Insomma, se Tsubasa avesse voluto capire, avrebbe capito benissimo. Ma quella parola mi sembrava davvero troppo. Non perché non fosse vera, ma perché probabilmente sarebbe stata sconvolgente. Riprendo la penna:

“Ti adoro,
Taro”.

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Capitolo 24
*** La festa di Tsubasa ***


CAPITOLO XIV – La festa di Tsubasa

29 LUGLIO 2018

Dopo aver scritto il biglietto di auguri ieri pomeriggio, mi ero avviato verso casa di Tsubasa. Sentivo le gambe tremare, ero eccitato e spaventato pensando al momento nel quale lo avrebbe letto. Mi avvicino alla porta, mi fermo. Cerco di origliare, per capire se fosse già arrivato qualcuno. Silenzio. Suono il campanello.
“Taro, arrivo!”, sento la voce di Tsubasa. Come faceva a sapere che ero io?
Apre la porta. Non vedo nessuno. Mi sciolgo.
“Auguri, Tsuby!”, gli dico, gettandomi su di lui. Lo abbraccio e gli stampo un bacio al confine tra la guancia e l'angolo della bocca. Tsubasa mi abbraccia a sua volta. Come d'abitudine, non so dire quanto sia durato quell'abbraccio, ma è stato un altro attimo meraviglioso.
“Tsuby...?”, mi guarda sorpreso non appena ci stacchiamo.
“Eheh”, sorrido un po' imbarazzato senza aggiungere altro, e lui ricambia. Mi era venuto naturale, a furia di scrivere così sul diario. Tanto non c'era nessun altro. “Ah, questo è per te”, gli consegno il regalo col biglietto attaccato.
“Grazie! Che sarà? Lo apriamo dopo con gli altri..”.

“A proposito, dove sono gli altri?”, chiedo a quel punto.
“Ho detto di venire più tardi, volevo passare un po' di tempo da soli, io e te. Non vedi che non sono neppure pronto?”. Era vero, Tsubasa non poteva certo presentarsi alla sua festa con quella maglietta scambiata, ma non me n'ero neppure accorto. Per me era sempre fantastico. Ed il fatto che avesse voluto riservare del tempo solamente per noi due, non poteva che farmi felice.

“Dai vieni in camera mia, aiutami a scegliere i vestiti”. Lo seguo, sul letto di Tsubasa erano stesi magliette e pantaloni. Tsubasa improvvisa una sorta di sfilata di moda tutta per me, ma più che ai vestiti io badavo ai momenti in cui non ne aveva addosso, visto che se li toglieva e rimetteva continuamente. Le linee del suo corpo, la sua pelle liscia...

“Questa ti piace?”, mi dice Tsubasa indossando una maglietta rossa. “Che ti sembra?”
“Sei bellissimo”, sussurro tra le labbra.
“Eh?”
“Stai benissimo”, dico a voce più alta.
"Grazie"
"Aspetta che hai l'etichetta di fuori...", mi avvicino, gli sistemo la maglietta, gli appoggio le mani sulle spalle. "Fatto".

Scendiamo di nuovo al piano terra per giocare alla Xbox. Come al solito, la mia attenzione era più su Tsubasa che sullo schermo. “Chi hai invitato?”, chiedo mentre giochiamo.
“Un po' tutti”.
“Sanae viene?”, il vero senso della mia prima domanda, del resto, era quello.
“Credo di sì, mi ha detto che sarebbe venuta”.
“Stavolta però niente gioco della bottiglia...”, aggiungo.
“Ahahah, tranquillo. Non ci sarà nessun gioco della bottiglia. L'ho dovuto promettere a Wakabayashi, altrimenti avrebbe dato buca”.
Meno male, penso.

Mancavano pochi minuti, e sarebbero cominciati ad arrivare gli altri invitati. Dovevo affrettarmi ad affrontare un punto. Quel bacio di Sanae sulle labbra di Tsubasa continuava a tormentarmi, anche se lui aveva detto che non era successo niente e non sembrava particolarmente interessato. Eppure, io continuavo a pensarci.
“Com'è baciare una ragazza?”, irrompo.
“Non ho mai baciato una ragazza”, risponde Tsubasa, cogliendomi non poco di sorpresa.
“Come? E Sanae?”.
“È lei che ha baciato me, io non ho fatto niente”.
“Beh, ma com'è stato?”.
“Non è stato niente, non so che dirti...”.
“Avrai provato qualcosa in quel momento...”, incalzo. Volevo mettere tutto in chiaro prima che fosse troppo tardi, o prima di farmi ulteriori illusioni.
“A parte l'imbarazzo, intendi? Penso che si provi qualcosa solamente quando si bacia qualcuno di speciale, qualcuno a cui tieni davvero”, ribatte Tsubasa.
Aveva ragione: quella sensazione la conoscevo bene, grazie a lui. E la risposta voleva forse significare che anche lui l'aveva provata, quando mi aveva baciato? Mentre non aveva provato nulla con Sanae? Il passo successivo sarebbe stato chiedergli se aveva provato qualcosa baciando me. Naturalmente, non l'ho fatto. Quelle risposte, per il momento, mi bastavano. Avevo comunque capito che Tsubasa non provava nessun sentimento particolare per Sanae. Se c'era qualcuno di speciale nel cuore di Tsuby, quello dovevo essere io. Oppure nessun altro.

Lentamente cominciano ad affluire gli altri invitati, fino a quando appare lei: Sanae. Quasi come a volermi inconsapevolmente imitare, Sanae si getta al collo di Tsubasa e gli dà i suoi entusiasti auguri. Da lontano osservo la scena, che naturalmente mi infastidiva alquanto, ma cerco di non reagire. “Ti vedo teso, Misaki”, sento una mano sulla spalla destra.
Mi volto. “Wakabayashi...”.
“Tranquillo, ho avuto premura di vietare il gioco della bottiglia questa volta”.
“Lo so – ridacchio – e ti ringrazio”.
“Sei qui da molto, vero?”.
Non dico niente.
“So che tu e Tsubasa passate molto tempo insieme...”.
“Siamo molto amici”, mi limito a dire.
“Del resto non è affar mio”, dice aggiustandosi il cappello che non aveva mancato di indossare perfino in quell'occasione, allontanandosi.

Tsubasa era ancora impegnato ad accogliere qualcuno dei ritardatari. Mi siedo sul divano. “Hey, Misaki”. Era lei. Sanae si era appena seduta vicino a me. “Non mi stai evitando, vero?”.
“N-no...”.
“Non ce l'hai con me, vero?”.
“E perché mai dovrei?”, dico. Diamine, mi sentivo con le spalle al muro. Avrà capito tutto? 
“Niente, ti vedo strano. Ho fatto una torta per Tsubasa...”.
“Wow, non sapevo sapessi anche cucinare”.
“Beh, in realtà mi sono fatta aiutare da mia madre. Vieni in cucina, che te la faccio vedere...”.
La seguo titubante. Avevo un cattivo presentimento.
“Eccola! Pan di spagna, panna e fragole”.
“Deve essere buona, poi a Tsubasa piacciono le fragole...”.
“Vedo che fai attenzione ai gusti di Tsubasa...”.
“Sai... passiamo tanto tempo insieme”.
“Già...”, mi fissa per un attimo negli occhi. “Beato te!”. Sospira.
Mi stava dicendo che era gelosa? Oramai qualunque conversazione mi lasciava il dubbio che l'altra persona avesse capito dei miei sentimenti per Tsubasa. Probabilmente ero io che mi lasciavo suggestionare, ma ogni frase sembrava un velato riferimento al mio amore per lui. Quella situazione stava diventando imbarazzante, dovevo sottrarmi: “Vado a salutare Ishizaki, credo sia appena arrivato...”, mi avvio verso la porta della cucina.
“Misaki!”, mi richiama lei. Mi blocco sulla soglia ad ascoltare, senza voltarmi: “Io non ti conosco abbastanza, non so molto di te. Ma so una cosa: lui ama te. Non guarda nessun altro con quegli occhi”.
“Ma cosa dici?”, mi rigiro.
“Non lo vedi come ti guarda? Non te ne accorgi? Non hai visto come ti ha baciato quella volta, e come è stato freddo quando l'ho baciato io? Ma non importa... se lui ti ama, devi essere un ragazzo fantastico”.
Non sapevo cosa dire. La mia rivale d'amore sembrava essersi arresa, ed io, anziché esserne felice, provavo grande compassione nei suoi confronti. 
“Ragazzi, che fate qua? Venite di là che inziiamo qualche gioco”, ci richiama Tsubasa, togliendomi dall'imbarazzo.

Il resto della festa prosegue abbastanza tranquillamente. La torta preparata da Sanae, oltretutto si è rivelata davvero buona. Arriviamo al momento dello spacchettamento dei regali. Tsubasa inizia, entusiasta, ad aprirli ad uno ad uno. Sapevo che il mio sarebbe stato l'ultimo: ero arrivato per primo, quindi era finito sotto a tutti gli altri, ammucchiati su una poltrona. 
“Il tuo qual è?”, mi chiede Wakabayashi.
“Quello in fondo a tutto...”.
“Che hai comprato? Qualcosa di speciale?”.
“Uno smart watch”.
“Non hai badato a spese...”.
Il regalo di Sanae, invece, era un tenero orsacchiotto. “Tanti auguri al mio campione preferito”, recitava il suo biglietto. Toccava al mio. Tsubasa, lo scarta, lanciandomi un'occhiata ogni tanto. Sapeva benissimo che era il mio. E dalla sua prima espressione ho subito capito che gli era piaciuto: “Grazie davvero, fantastico!”. Sorrido.
“Hey, devi leggere anche il biglietto”, Wakabayashi l'aveva notato. Io avevo quasi sperato che Tsubasa non lo notasse, per leggerlo dopo, non appena gli altri se ne fossero andati. Tsubasa lo apre, sento la tensione salire. 
Inizia a leggere ad alta voce: 

“Caro Tsubasa,
innanzi tutto tantissimi auguri! Spero davvero che tutti i tuoi desideri si realizzino, ed io farò di tutto perché questo accada! Presto saremo a Tokyo, e sono certo che insieme riusciremo a vincere il torneo nazionale.
Sono oramai passati diversi mesi da quando sono arrivato qui a Nankatsu, e devo dire non sono mai stato così bene. E questo è merito tuo. Per me sei una persona unica ed insostituibile...”

Tsubasa si era bloccato. Aveva capito il tono del messaggio, ed ora lo stava leggendo tra sé e sé. Vedevo le pupille continuare a seguire le righe, mentre incominciava ad apparire un brillio di emozione nei suoi occhi. Finito, probabilmente, di leggere, Tsubasa si lascia andare sulla poltrona, oramai coperta solamente dalle carte strappate e stropicciate che un tempo avvolgevano i regali. Io resto immobile a guardarlo, avvolto da un silenzio generale.
“Non restare imbambolato!”, mi sussurra Wakabayashi, dandomi una spinta da dietro. Mi avvicino a Tsubasa, lui si alza e ci abbracciamo, entrambi emozionati. Mi sussurra all'orecchio “grazie”, e mi dà un leggero bacio sulla guancia. “Ti voglio bene”, gli rispondo sempre nell'orecchio.

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Capitolo 25
*** Verso Tokyo ***


CAPITOLO XV – Verso Tokyo

La lettura di quel capitolo aveva scosso anche me. Finalmente i sentimenti di Taro e Tsubasa stavano emergendo, e mi sentivo davvero felice ed emozionato per loro. Nel frattempo, era suonata la campanella della scuola ad annunciare la ricreazione, così mi infilo nel cortile. Incomincio a scrutare le divise degli studenti, cercando di leggere sul petto le classi di appartenenza. Trovo un gruppo di ragazzi del primo anno, che dunque avrebbero dovuto conoscere meglio Tsubasa.
“Scusate, sapete dove posso trovare un ragazzo di nome Tsubasa?”
“È a Tokyo, al torneo nazionale”, mi risponde uno di loro.
Ovvio, dovevo pensarci prima. In un flash-back il ricordo corre a quando avevo visto Kojiro Hyuga, al mio arrivo nella capitale. “E invece Taro Misaki?”.
“Chi?”, dice lo stesso ragazzo.
“L'amico di Tsubasa”, risponde un altro del gruppo. “Non abita più qui, ha lasciato la città tempo fa”.
Solo amico? Penso tra me e me. “Grazie”, rispondo prima di allontanarmi. A quel punto dovevo continuare la lettura per sapere dove fosse finito Taro, e sarei dovuto andare a Tokyo per cercare di incontrare Tsubasa.

30 LUGLIO 2018

Quella scena dell'abbraccio con Tsubasa aveva dovuto lasciare molti di stucco. Certo, i presenti erano quasi tutti gli stessi che avevano assistito al nostro bacio a casa di Kishida, ma quello era solamente un gioco. Questa volta, era stato tutto vero. Nonostante questo, credo che molti l'abbiano interpretato solo come un segno di profonda amicizia. Fino ad ora, solamente Sanae e Wakabayashi sembravano aver capito che tra di noi c'era qualcosa di più. Che poi, a dirla tutta, neanche io ci sto capendo molto: cosa siamo io e Tsubasa? 

Dopo quella giornata, Sanae ha continuato a comportarsi come al solito. Si ferma ogni giorno a parlare qualche minuto con Tsubasa, e lui è sempre accondiscendente. Non ho dubbi sul fatto che lei sia innamorata, ma oramai credo che abbia capito che i suoi sentimenti non sono ricambiati, dunque si accontenta di scambiare con lui qualche chiacchiera. La capivo perfettamente, anche io preferirei passare del tempo con Tsubasa piuttosto che niente, a qualsiasi costo. 

È stato al termine dell'ultimo allenamento prima della partenza per Tokyo, prevista domani, che Sanae è tornata a parlarmi.
“Misaki!”, mi giro. “Buona fortuna per il torneo. Farò di tutto per esserci e fare il tifo per voi”.
“Grazie, Sanae”.
“Anche a te piace, vero?”
“Che...?”, ci risiamo con le domande scomode. Ma oramai avevo capito che lei sapeva tutto, quindi non c'era motivo per mentire.
“Tsubasa... anche a te piace lui”.
Abbasso gli occhi e annuisco.
“È così frustrante vero? Stare ore ed ore a studiare le sue espressioni per capire cosa prova”.
La guardo, sorrido: “Già”.
Non avrei mai pensato di poter avere una conversazione così amichevole con lei. Mi sentivo sollevato. Pensandoci, però, non è così strano: in fin dei conti, avevamo una passione in comune. Ho dovuto poi congedarmi e tornare a casa, per preparare la valigia in vista della partenza per Tokyo.

31 LUGLIO 2018

Eccoci al grande giorno della partenza. Ci ritroviamo tutti alla stazione di Nankatsu, tranne Wakabayashi, costretto invece a restare a casa, almeno per ora. Ha detto a Tsubasa che avrebbe fatto di tutto per recuperare per le partite decisive, ma al momento non può ancora giocare, e la nostra porta sarà difesa da Morisaki. Nell'ultimo allenamento di ieri, il nostro allenatore ha confermato l'assegnazione della fascia di capitano a Tsubasa, vista l'assenza di Wakabayashi, ruolo pienamente meritato. Il fatto che Tsubasa sia il capitano del nostro team non può che essere una motivazione ulteriore per me! 

Ci apprestiamo ad affrontare qualche ora di viaggio in treno. Naturalmente ho dato per scontato che Tsubasa si sarebbe seduto accanto a me sul treno, e non gliel'ho neppure chiesto. Fino a quando Ishizaki non gli chiede esplicitamente di sedersi con lui. “Veramente sto con Misaki”, gli risponde Tsubasa, togliendomi subito ogni incertezza: vuole stare con me, e non c'era bisogno di dirlo in maniera diretta. Salutiamo le famiglie e finalmente partiamo. Durante il viaggio parliamo delle partite e del fatto che avremmo dato tutto per vincere il torneo. Dopo un po', Tsubasa si addormenta lentamente sulla mia spalla sinistra. Mi guardo intorno, sembravano tutti addormentati o assorti in qualche videogioco sul telefono. Cercando di non farmi notare e di non disturbare il sonno di Tsubasa, alzo il bracciolo che separa i sedili e lascio che lui scivoli lentamente sulle mie gambe. Lo guardo, ammiro la sua bellezza. Osservo i suoi lineamenti e le sue labbra. Gli accarezzo i capelli.

Finalmente arriviamo alla stazione di Tokyo. Appena scesi, incominciamo ad incontrare alcuni di quelli che saranno i nostri avversari nel torneo. Ad impressionarci sono stati due gemelli, che hanno detto di essere dell'Hanawa FC, che si passavano il pallone a memoria, senza neppure guardarsi, da un lato all'altro del binario. La loro intesa ricorda quella fra me e Tsubasa: del resto sono gemelli, e sicuramente hanno un feeling naturale. Poi abbiamo avuto modo di conoscere anche altri giocatori di diverse squadre, e soprattutto ho potuto finalmente incontrare nuovamente Hikaru Matsuyama ed i miei ex compagni della scuola di Furano. Dopo un caloroso saluto, Matsuyama mi avverte: “Misaki, stasera dobbiamo parlare, in privato”.

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Capitolo 26
*** Colloqui notturni ***


CAPITOLO XVI – Colloqui notturni

1° AGOSTO 2018

Dopo le presentazioni con le altre squadre, ieri sera ha avuto luogo il sorteggio della fase a gironi del torneo. Il nostro raggruppamento sarà particolarmente difficile, visto che dovremo affrontare sin dal primo incontro il Meiwa FC di Kojiro Hyuga, mentre l'ultima partita sarà contro l'Hanawa FC. Saranno sicuramente due partite difficilissime, mentre le altre squadre non sembrano essere al nostro livello, ma guai a sottovalutarle! Dopo il sorteggio, Tsubasa ha tenuto un toccante discorso a nome degli atleti sul rispetto dei valori di lealtà e sportività. Ha fatto un figurone sul palco e davanti al microfono! 

Siamo poi andati a vedere le nostre camere, dove soggiorneremo fino alla fine del torneo. Per un attimo ho fantasticato sognando che io e Tsubasa avremmo potuto avere una stanza tutta per noi, ma naturalmente non sarà così. Al torneo partecipano ben quarantotto squadre, dunque dormiremo in una grande stanza con tutti i nostri compagni. “Prendi il letto vicino al mio”, mi ha detto Tsubasa. Naturalmente, ho ubbidito. A cena, invece, abbiamo telefonato a Wakabayashi. Tsubasa gli aveva promesso di vincere fino alla partita contro la squadra di Hyuga, invece il calendario ci ha subito messo contro il Meiwa FC. Purtroppo, Wakabayashi è ancora infortunato, quindi non potrà sfidare Hyuga come sperava, ma ci ha detto comunque di vincere a tutti i costi.

Torniamo in camera e ci prepariamo a dormire: dovevamo riposare in vista della prima partita il giorno successivo. Io e Tsubasa ci infiliamo nei nostri letti, l'uno accanto all'altro. Per far entrare tutta la squadra in una stanza, i letti erano praticamente attaccati l'uno all'altro. Le luci erano oramai spente. Lui si avvicina a me e sussurra: “Buona notte, Taro”. 
“Buona notte, Tsubasa”, replico.
Lui si fa più vicino, allungandosi verso di me, fino a mettere la bocca accanto al mio orecchio: “Chiamami Tsuby. Mi piace quando mi chiami così. Non davanti a tutti, però”.
“Buona notte, Tsuby”. Sorrido nel buio, sapendo di non essere visto.

Dopo un po', quando stavo per addormentarmi, sento il telefono vibrare da sotto il cuscino. Gli altri sembravano già in pieno sonno. Infilo il telefono sotto le coperte e provo a leggere. Matsuyama. Me n'ero completamente dimenticato. “Vieni al corridoio del terzo piano”, diceva il messaggio. Cerco di non fare rumore, e di soppiatto esco dalla camera. Arrivo al luogo dell'appuntamento, vedo una porta aprirsi lentamente. Per un attimo temo che sia l'allenatore del Furano FC.
“Misaki, ti avevo detto che dovevamo parlare...”, Matsuyama esce dalla porta e mi viene incontro.
“Beh, mi sono dimenticato...”.
“Eri impegnato con Tsubasa, eh?”. Ecco, forse in realtà non mi ero dimenticato, ma volevo evitare la conversazione. Un conto è parlarne in chat, un altro è parlarne apertamente faccia a faccia. Con Sanae mi ero limitato a qualche monosillabo, ma sapevo che questa volta avrei dovuto raccontare tutto. A voce.
“Dai, scherzo. Quindi... ti piace ancora?”, mi chiede lui.
Annuisco. 
“E a lui piaci tu?”.
“Credo. Spero”.
“Sai, io l'avevo capito da tempo...”.
“Che?”, mi aveva lasciato di stucco, qualsiasi cosa volesse dire.
“Lo sapevo già che ti piacciono i maschi”.
“Ma... Come facevi a saperlo? Non lo sapevo neanche io”. Resto ancora più interdetto.
“O forse facevi finta di non saperlo? Cosa credi, che non ho notato come guardavi Kaneda negli spogliatoi?”.
“Io? Ma...”. Faccio mente locale. Può mai essere? Torno indietro nel tempo. Era vero, avevo una fascinazione per Haruo Kaneda, un nostro compagno a quei tempi. E forse era vero anche che mi soffermavo a guardarlo nudo. Non ci avevo dato tanto peso a quel tempo. Ero più piccolo, e forse non avevo compreso esattamente cosa significasse. Ora, ricomponendo il puzzle a distanza di qualche tempo, potrei effettivamente considerare tanti episodi passati come una serie di indizi. Insomma, dentro di me ho forse sempre saputo di essere gay, era solo questione di ammetterlo. 
“Dai, Misaki, tranquillo. Raccontami un po' di Tsubasa, se ti va”.
Inizio a raccontare gli episodi più importanti del rapporto tra me e Tsubasa, fino ad arrivare alla festa di compleanno, all'abbraccio finale.
“Ma che teneri...”, dice lui. Lo guardo male. “Non ti sto prendendo in giro, davvero. Ma quindi siete...?”
“Non lo so... questo è il problema. Non capisco, Tsubasa è così enigmatico. E poi c'è un'altra cosa...”.
“Che cosa?”.
“Non ho il coraggio di dirgli che a fine semestre abbandonerò Nankatsu. Gli ho solo detto che prima o poi me ne andrò per via del lavoro di mio padre, ma in realtà manca davvero poco”.
“Misaki, devi trovare il modo di dirglielo. Più tardi glielo dici e più sarà difficile”.
Ha ragione, devo dirlo a Tsubasa. E poi, se lui dovesse partire per il Brasile, non farebbe grande differenza.

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Capitolo 27
*** Il dolore della sconfitta ***


CAPITOLO XVII – Il dolore della sconfitta

2 AGOSTO 2018

Ieri abbiamo giocato la nostra prima partita contro il Meiwa FC. Purtroppo, non è andata come speravamo: nonostante i nostri sforzi, siamo stati sconfitti per 7-6. Tutta la squadra ha dato il massimo, ma contro Kojiro Hyuga e i suoi non è stato sufficiente. Tsubasa è stato un vero capitano, soprattutto quando Morisaki è stato colpito in faccia da un potente tiro di Hyuga. Il nostro portiere aveva perso fiducia in se stesso, era spaventato dal pallone, ma Tsubasa gli ha dimostrato con l'esempio che il pallone è nostro amico e che non dobbiamo temerlo, sacrificandosi e prendendo lui una pallonata in faccia. In quel momento mi sono davvero spaventato, fino a quando non ho visto che Tsuby non si era fatto niente. Io ho cercato di dare tutto per vincere ed in particolare per far segnare Tsubasa, ed ho realizzato anche il goal del 2-2 grazie al suo assist: nell'esultanza, Tsubasa mi è saltato tra le braccia. Ma tutta la gioia dei sei goal che abbiamo segnato è stata vanificata all'ultimo minuto, quando Takeshi Sawada ha segnato la rete della vittoria per il Meiwa FC. Takeshi è il più piccolo giocatore in campo, ha solo nove anni, ma è migliorato moltissimo dall'ultima volta che l'avevo visto: mi sono complimentato con lui, ed anche Hyuga sembra avere molta fiducia nel suo più giovane compagno di squadra. 

Negli spalti c'era anche tutta la squadra della scuola di Furano, con Matsuyama in prima fila a fare il tifo per me. C'era anche Kaneda: nel vederlo, per un attimo, mi è tornata in mente la conversazione avuta con Matsuyama la sera prima. Era davvero plausibile che mi fosse piaciuto, del resto è un ragazzo molto carino. Niente a che vedere con Tsubasa, comunque!

Alla fine dell'incontro, Tsubasa si è lasciato andare ad un pianto. Ci teneva moltissimo a questa partita, soprattutto per la promessa fatta a Wakabayashi. Abbiamo tentato di consolarlo, ma non si è calmato fino a quando l'allenatore non ci ha ricordato che non siamo ancora eliminati dal torneo. Abbiamo ancora quattro partite da giocare, e vincendole tutte ci potremo comunque qualificare come seconda squadra del girone. Wakabayashi ci ha telefonato, e si è comunque complimentato con Morisaki e con Tsubasa. Dopo aver digerito la sconfitta, siamo anche andati a dare uno sguardo alla partita della Musashi FC, la squadra di Jun Misugi, uno dei giocatori più talentuosi del torneo ed altro candidato alla vittoria finale.

La sera andiamo a dormire abbastanza presto, visto che ci aspetta la partita contro l'Ozu SS. D'ora in poi non avremo più jolly da giocarci, dovremo vincere tutte le partite. Nel corso della notte, però, sento Tsubasa emettere dei lamenti. Mi avvicino a lui e sussurro: “Tsuby? Cos'hai? Sei ancora triste per la sconfitta? Dai, che domani vinciamo...”
“Mi fa male tutto”, risponde, continuando a mugugnare.
La partita contro il Meiwa FC era stata particolarmente dura. Tsubasa, in particolare, si era scontrato diverse volte con Hyuga, che ha un gioco particolarmente fisico e non privo di scorrettezze. Aveva accusato molti colpi in diverse parti del corpo.
“Puoi massaggiarmi la schiena?”, mi chiede.
“Ma come faccio?”.
“Tranquillo, dormono tutti. Vieni, dai...”.
Cerco di muovermi lentamente per non fare rumore. Mi sfilo dalle coperte e mi trascino sul letto di Tsubasa. Lui era steso di pancia, senza maglietta. Mi sistemo sul suo sedere ed inizio a massaggiargli la schiena lentamente. Il solo contatto con la sua pelle mi provocava una grande eccitazione.
“Bravo, continua così... uh...”.
“Non fare casino, però”, gli dico.
Proseguo con il massaggio per un po'. Tsubasa non parlava più, forse si era addormentato. Lo massaggio un altro po', sulla schiena e sul collo, per continuare a sentire la sua pelle liscia scorrere sotto le mie dita, studiando ogni centimetro. Poi, mi lascio lentamente scivolare su di lui: il mio pisello era duro, ed in quel momento si trovava proprio sul suo sedere! Gli do un bacio sulla spalla, poi mi avvicino al suo orecchio: “Ti amo, Tsuby!”. Non credo mi abbia sentito, sono quasi certo che stesse dormendo. Lentamente, mi sposto nuovamente verso il mio letto. Mi convinco che non era stato un sogno, e finalmente mi addormento.

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Capitolo 28
*** Taro e Haruo ***


CAPITOLO XVIII – Taro e Haruo

3 AGOSTO 2018


Dopo la sconfitta iniziale contro il Meiwa FC, ieri abbiamo travolto l'Osu SS per 9-0, mentre oggi abbiamo superato per 8-0 la formazione della scuola di Kitayama. Le partite si sono rivelate abbastanza facili, a dirla tutta, e sono state utili per risollevare il morale di tutta la squadra. Il protagonista assoluto, naturalmente, è stato Tsubasa, ed io sono stato al suo servizio, fornendogli la maggior parte dei palloni da goal. Ora ci prepariamo ad affrontare lo Shimabara FC nella quarta partita della fase a gironi, prima della partita contro l'Haneda FC, che dovrebbe risultare decisiva per il passaggio del turno.

Nel frattempo, abbiamo avuto anche tempo di andare a vedere qualche altra partita. L'Haneda FC è sicuramente una squadra molto forte, tant'è che contro l'Osu SS si è imposta addirittura per 10-0. Personalmente, ho seguito con attenzione soprattutto gli incontri del Furano FC, con Matsuyama che ha guidato i suoi nella vittoria per 2-0 contro il Nagano FC. Nel frattempo, ho continuato a pensare alla conversazione avuta con lui, ed ogni volta che vedo Haruo Kaneda risento le sue parole echeggiare nella mia testa. Può sembrare strano, ma erano cose che avevo completamente rimosso, e che ora stanno riaffiorando nella memoria e mi lasciano stupito, nonostante siano episodi vissuti da me.

Intanto, ogni sera mi ripeto di parlare con Tsubasa per annunciargli la mia prossima partenza. Al momento, però, non ci sono ancora riuscito.

5 AGOSTO 2018

Ieri abbiamo superato per 7-0 lo Shimabara FC. Ora non ci resta che battere l'Hanawa FC per qualificarci alla fase finale. Oramai sappiamo bene che questa squadra si basa principalmente sull'ottima intesa tra i due gemelli Tachibana. Ieri sera abbiamo studiato gli schemi per la partita di questo pomeriggio, ed il nostro allenatore ha affidato a me e Tsubasa il compito di fermare i due gemelli. Spero che saremo all'altezza, e che l'affiatamento tra me e Tsubasa possa rivaleggiare con il loro. Penso che anche l'allenatore si sia accorto che tra noi due c'è un feeling particolare, e quindi ci ha ritenuto indicati per questo difficile compito. Con Tsubasa, ci siamo un attimo isolati dal gruppo uscendo fuori al balcone, ed abbiamo scambiato qualche idea su come comportarci nell'importante sfida di domani, e posso dire che siamo pronti: ho sempre pensato che insieme, noi due, possiamo realizzare qualsiasi cosa. In camera, poi, abbiamo scaricato la tensione con una battaglia di cuscinate con tutta la squadra.

In serata, ho ricevuto ancora un messaggio da Matsuyama: “Vediamoci allo stesso posto”. Questa volta, non ho dimenticato dell'appuntamento e, dopo aver dato la buona notte a Tsubasa ed essermi accertato che tutti dormivano, sono uscito di soppiatto dalla camera. Giunto al terzo piano, vedo Matsuyama che mi aspetta con la schiena contro il muro.
“Finalmente, Misaki!”.
“Ho dovuto aspettare che gli altri si addormentassero”.
“Sei pronto per la partita di domani?”.
“Sì, certo. Ho visto che avete vinto tutte le vostre partite, complimenti!”.
“Grazie. Hai parlato con Tsubasa?”.
“Ehm... no”, dico abbassando la testa. Sapevo che non era la risposta esatta, ma davvero non riuscivo ad affrontare quell'argomento con Tsubasa. Ogni volta che ci provavo avevo un blocco che mi assaliva.
“Ma che aspetti?”. Non rispondo niente. Sapevo di essere nel torto. “Scusa, sono stato troppo diretto. Ma cerca di parlarci”. Annuisco.
Matsuyama cambia argomento: “Ricordi l'altro giorno, quando ti ho parlato di come guardavi Kaneda?”.
“Già... ci ho pensato molto in questi giorni. Forse avevi ragione, ma non me ne ero reso conto”.
“Non ti ho detto tutto”. Attesa. “Quando hai lasciato la nostra scuola, il giorno che te ne sei andato, ho trovato Kaneda nascosto nel bagno della scuola a piangere”. Resto a bocca aperta. “Ci teneva molto a te”.
Intendeva dire che gli piacevo? Non l'avrei mai sospettato... 
“Misaki, credo che dovresti parlare con lui”.
“Va bene...”, dico interdetto. “Quando?”.
Matsuyama non attende nemmeno che io finisca di parlare, tira fuori il telefono dalla tasca e scrive qualcosa. Un attimo dopo, la porta della stanza dei giocatori del Furano FC si apre... e sbuca Haruo Kaneda. Matsuyama, invece, si muove lentamente e fa il tragitto opposto. Ci ritroviamo da soli, io e Kaneda, in corridorio.
“Misaki, finalmente ci rivediamo”. Si avvicina a me con un mezzo sorriso. “Credo che Matsuyama già ti abbia detto tutto. Vedi, tu mi piacevi molto...”.
Non sapevo cosa dire. Potevo capire i suoi sentimenti, trovandomi in una situazione simile, ma era davvero difficile affrontare tutto così, all'improvviso e in un faccia a faccia: “Non lo sapevo”, sono le uniche cose che riesco a dire.
“Lo so, è stata colpa mia. Non ti ho detto niente. Avrei dovuto parlarti prima, oramai è troppo tardi, ma sono stato davvero male quando hai lasciato la nostra scuola”.
“Scusami, non ne avevo idea. Mi dispiace che tu sia stato male per me”.
“Non preoccuparti, ormai l'ho superato. Ma non è stato facile. E comunque sei ancora molto carino...”.
“Anche tu”, gli dico, sicuramente arrossendo. Era vero, Kaneda era effettivamente molto carino. Se me lo avesse detto prima, forse sarebbe andata diversamente. Ma ora io avevo occhi solo per Tsuby.
“Taro”, mi chiama per nome. “Tu sei stato il primo ragazzo per il quale ho provato qualcosa. Oramai so che tra noi non ci sarà mai niente, ma resterai comunque sempre un dolce ricordo nella mia memoria, e per questo ti voglio bene. Quello che voglio dirti è che se tra te e Tsubasa c'è davvero qualcosa, devi mettere le cose in chiaro, prima della tua partenza. Devi dirgli al più presto che cambierai scuola, e soprattutto devi dirgli chiaramente cosa provi per lui. Altrimenti sia tu che Tsubasa starete molto male quando verrà il giorno dell'addio. Non fare i miei stessi errori, sono sicuro che non ti piacerebbe provare quello che ho provato io, e soprattutto so che non vuoi che lui stia così male”.
Aveva ragione su tutta la linea. “Grazie, Haruo”. Ci lasciamo con un abbraccio amichevole.

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Capitolo 29
*** Vincenti nella tristezza ***


CAPITOLO XXIX – Vincenti nella tristezza

Stavo salendo sul treno che mi avrebbe riportato a Tokyo: era stato facile organizzare tutto, tanto saremmo dovuti passare comunque per la capitale prima di prendere l'aereo per il nostro rientro in Italia. Prima di partire, però, sarei andato al torneo nazionale delle scuole medie alla ricerca di Tsubasa, anche se non sapevo ancora esattamente cosa dirgli. Nel frattempo, seduto sui comodi sedili dello shinkansen, riprendo la lettura del diario di Taro, non prima di essermi congedato dal maestoso Monte Fuji, che si stagliava nella visuale del finestrino sinistro.

6 AGOSTO 2018

Che la partita con l'Hanawa FC sarebbe stata difficile, lo sapevamo sin dall'inizio. Quel match era una questione di vita o di morte, dovevamo vincere per forza per superare la fase a gironi, dopo che la squadra dei gemelli Tachibana era riuscita sorprendentemente a strappare un pareggio contro il Meiwa FC di Kojiro Hyuga ed a dominare per 7-0 lo Shimabara FC. Inizialmente, abbiamo seguito le consegne del nostro allenatore, così Tsubasa ed io siamo riusciti a fermare i Tachibana, giocato principalmente in fase difensiva. Tutto sembrava andare per il meglio, soprattutto dopo che la nostra collaborazione aveva portato Tsubasa a segnare la rete dell'1-0. I due gemelli, però, hanno presto sfoderato la loro arma letale, mai vista prima: una combinazione acrobatica che ha sorpreso tutti, e che è valsa la rete del pareggio. Come se non bastasse, in quell'azione si è anche infortunato Koji Nishio, uno dei nostri difensori. Con Nishio sanguinante e costretto a lasciare il campo, l'allenatore ha deciso di far entrare per la prima volta Ishizaki.

Nel frattempo, pur scosso dal goal del pareggio, non ho potuto far altro che ammirare la perfetta intesa dimostrata dai gemelli Tachibana. Possibile che il loro feeling sia superiore a quello tra me e Tsubasa? Mi sono chiesto. Nel frattempo, però, la partita era ripresa, con Masao e Kazuo Tachibana che hanno tentato una nuova combinazione acrobatica, ben respinta dal nostro portiere Morisaki. Preso forse dall'emozione del suo esordio nel torneo e dalla foga di rilanciare l'azione, però, Ishizaki ha calciato la palla nella nostra stessa porta. Con il suo clamoroso autogoal, eravamo sotto di 2-1.

A quel punto, alcuni nostri compagni di squadra hanno iniziato ad insultare Ishizaki: eravamo quasi fuori dal torneo, ed era anche comprensibile quel momento di nervosismo. Ishizaki era piegato su se stesso, sull'orlo del pianto, Tsubasa sembrava per un attimo aver perso il suo carisma di leader e non riusciva a dire niente. Dovevo intervenire io, ed in quel momento mi sono giocato l'unica carta che avevo: “Smettetela!” ho gridato. “Non volevo dirvelo così, ma questo torneo sarà l'ultimo che giocherò con voi”. In quel momento ho rivolto lo sguardo verso Tsubasa, il suo volto era stupito e sotto shock. L'ho guardato dritto negli occhi, mentre ho continuato a parlare quasi in automatico, senza pensarci su: per la prima volta stavo giocando una finale nazionale, e dovevamo vincere insieme, ho detto. Guardo ancora Tsubasa, stava trattenendo le lacrime a stento, ma credo che attraverso il mio sguardo sia riuscito a capire il mio messaggio: non era il momento di piangere, ma quello di vincere. Così, Tsubasa ha usato quell'energia per incoraggiare la squadra prima di riprendere la partita, ritrovando la sua leadership di capitano: “Vinciamo per Misaki! Metteteci l'anima”, ha detto. Nel frattempo sono andato a rincuorare Ishizaki, dicendogli di non preoccuparsi del suo errore.

Con la squadra che aveva ritrovato la giusta dinamica, la situazione restava comunque difficile: a cinque minuti dalla fine, eravamo ancora in svantaggio. Ishizaki, voglioso di dimostrare che sapeva fare di meglio, ha tentato un tiro dalla distanza. Il tiro era abbastanza forte, ma centrale, sapevo che il portiere l'avrebbe bloccato facilmente. Così, mi sono lanciato sulla palla per deviarla all'ultimo momento, e segnare la rete del 2-2. Il pareggio, però, non sarebbe bastato: l'Hanawa FC si è chiuso in difesa, sapendo che con un punto sarebbero comunque passati al turno successivo.

Mentre ero in campo, continuavo a chiedermi se quella sarebbe stata davvero la mia ultima partita con Tsubasa e gli altri ragazzi. Come un flashback, ho ripensato a tutti i momenti più belli vissuti a Nankatsu, in particolare a quelli con il mio Tsuby. Non poteva finire così. In quel momento, con un altro dei nostri sguardi, da lontano e senza parlare, io e Tsubasa abbiamo deciso il da farsi, come fosse telepatia. Così, siamo riusciti a ricostruire esattamente l'azione acrobatica dei gemelli Tachibana, e Tsubasa ha realizzato la rete della vittoria. Lo sapevo, non potevamo perdere contro di loro: certo, Masao e Kazuo sono gemelli, hanno un'intesa naturale, ma noi due ci siamo trovati e ci siamo scelti. Sono certo che non esista nulla di più forte del nostro legame, Tsuby.

La sera, ho spiegato con più calma alla squadra che mi sarei dovuto trasferire alla fine del semestre, per via del lavoro di mio padre. Ho tentato di nascondere la mia tristezza, e sapevo che Tsubasa stava facendo lo stesso. Abbiamo incentrato il discorso sul calcio, sul fatto che quella sarebbe stata l'unica possibilità per vincere insieme. Nel frattempo, ci hanno raggiunto anche Matsuyama, Haruo ed i ragazzi del Furano FC: ero triste perché sapevo di dover lasciare Nankatsu, ma in quel momento ero circondato da tante persone che sapevo che mi volevano bene, tutte conosciute grazie alla comune passione per il calcio. Quando la situazione sembrava tranquilla, però, Matsuyama ha urtato, non volendo, Hyuga, che passava di lì. All'improvviso, Hyuga lo ha colpito in volto: stava per esplodere una rissa, ma fortunatamente siamo riusciti ad intervenire per placare la situazione. Le rivalità vanno risolte in campo, e non vale la pena di farsi male prima della fase ad eliminazione diretta. Intanto, il calendario ci ha messo contro il Naniwa FC per gli ottavi di finale, mentre non giocheremo sicuramente contro il Furano FC prima di un'eventuale finale. Sarebbe fantastico chiudere il torneo contro il team di Matsuyama e Haruo.

Eravamo oramai nel letto, con le luci spente. Non riuscivo ad addormentarmi, la giornata era stata molto intensa sia calcisticamente che emozionalmente. Certo, avevo detto a Tsubasa del mio addio, anche se quel momento non me lo sarei immaginato così: avrei voluto dirlo prima a lui, in privato. Per un attimo ho pensato che Tsubasa potesse essere arrabbiato proprio perché non ne avevo parlato prima con lui. Proprio in quel momento, sento Tsubasa muoversi dietro di me... Lo avverto infilarsi nel mio letto. Infila il suo braccio sotto il mio e mi stringe a sé. Sento il suo volto affondare nella mia schiena. Con la mia mano destra, stringo la sua mano sinistra che si trovava sul mio petto.
“Sei sveglio?”, mi sussurra.
“Già...”.
“Taro... Non voglio che te ne vai”, mi dice con voce di pianto.
“Neanche io voglio andarmene, ma non posso farci niente”.
Tsubasa mi stringe ancora di più, con le sue gambe avvolge le mie. Sento il suo pisello, inequivocabilmente duro, premere sul mio sedere. Certamente non mi dava fastidio, ma mi chiedo se lo abbia fatto di proposito o non se ne sia reso conto. Restiamo per un po' così: anche io ero molto eccitato in quel momento di contatto fisico con lui. 
Dopo un po', mi giro verso Tsubasa. Era buio, ma un raggio di luna che penetrava dalla finestra illuminava il suo viso rigato da qualche lacrima. Gli metto una mano sulla spalla: “Vinciamo questo torneo. Così tu andrai in Brasile”.
“Veramente stavo pensando di chiedere a Roberto di portare anche te”, mi risponde. Ero sorpreso.
“Non credo che potrei venire con voi, devo seguire mio padre, e poi lui vuole portare te, mica me”, gli dico.
“E allora non ci vado... ma tu devi restare a Nankatsu”.
“Tsuby... Non posso”, oramai stavo piangendo anch'io.
Tsubasa mi stringe di nuovo a sé, la mia testa era poggiata sulla sua spalla e la sua sulla mia. Ruoto lentamente la testa verso di lui, e gli do un bacio sul collo. Poi lui fa lo stesso, sento le sue labbra appoggiarsi sul mio collo e baciarmi, trasmettendomi un brivido di solletico.

“Tsubasa”, lo scuoto. “Tsuby, Tsuby, sveglia!”. Mi ero appena svegliato, il sole stava sorgendo e lui era ancora nel mio letto, avvinghiato a me. Ci eravamo addormentati così, del resto quando eravamo abbracciati sentivo una tale sensazione di pace e tranquillità da conciliare benissimo il sonno. Per fortuna, gli altri erano ancora nel sonno più profondo. Finalmente Tsubasa apre gli occhi, mi guarda, sorride: “Buongiorno, Taro”.
“Buongiorno, Tsuby”, ricambio. Ci fissiamo, questa volta c'era abbastanza luce per vedere i dettagli dei suoi bellissimi occhi.
“Muoviti, che tra cinque minuti suona la sveglia”. Tsubasa si sfila dalle coperte e torna nel suo letto, giusto in tempo.

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Capitolo 30
*** La gelosia di Tsubasa ***


CAPITOLO XXX – La gelosia di Tsubasa

8 AGOSTO 2018

Nella giornata di ieri hanno avuto inizio le partite ad eliminazione diretta, con il programma degli ottavi di finale. Tutte le squadre favorite hanno passato il turno, comprese il Meiwa FC ed il Furano FC. Noi abbiamo affrontato la squadra proveniente dalla prefettura di Osaka, il Naniwa FC, guidata dal portiere e capitano Taichi Nakanishi. Avevamo già incontrato Nakanishi nelle giornate precedenti, e mi aveva subito impressionato per la sua stazza imponente. Inoltre, nella fase a gironi non ha concesso goal, e molti l'avevano iniziato a paragonare persino a Wakabayashi. Prima della partita, abbiamo fatto una videochiamata proprio con il nostro portiere infortunato, che ci ha incoraggiato in vista delle prossime partite, visto che da ora non sono più ammessi passi falsi.

Inizialmente, Nakanishi è riuscito a bloccare tutti i nostri tentativi, compresi quelli di Tsubasa, e con i suoi lunghi rilanci ha favorito il contropiede degli attaccanti del Naniwa FC. I nostri avversari sono addirittura passati in vantaggio, ma poi è stato Tsubasa a sbloccare la situazione con un potente tiro dal limite dell'area, che Nakanishi non è riuscito a trattenere. Da allora, il portiere dei nostri avversari ha visibilmente perso fiducia in se stesso, così siamo riusciti ad imporci per 5-1, ed io ho anche segnato una rete.

In serata, sono riuscito a defilarmi per qualche attimo per andare a parlare con Matsuyama, che come al solito mi aveva dato appuntamento con un messaggio. Con lui c'era anche Haruo. Ci siamo complimentati a vicenda per le vittorie delle nostre squadre agli ottavi di finale, poi ho detto loro che ero riuscito finalmente a dire a Tsubasa ed alla squadra del mio prossimo addio, anche se in circostanze particolari. Non sono andato troppo nei dettagli, non ho detto tutto quello che era successo la notte, quando Tsubasa si era infilato nel mio letto. Non c'era bisogno che sapessero i dettagli del nostro rapporto.

Torno in camera e cerco di infilarmi nel letto senza fare il minimo rumore. 
“Dove sei andato?”, era Tsubasa che mi parlava da dietro.
“In bagno”, mento.
“Non dire cazzate... Dove vai quando sparisci la notte?”.
“E tu che ne sai? Mi spii?”.
“Hai l'amante?”, mi chiede all'improvviso. Cosa significava quella domanda? Sembrava un comportamento dettato dalla gelosia. Nonostante tutto quello che era successo tra me e lui, in realtà non è che fossimo veramente fidanzati, del resto non sapevo esattamente cosa fossi io per lui. Poteva sentirsi ugualmente “tradito”? O si sentiva come mi sentivo io quando si trovava vicino a Sanae?
“Ok, calmati. Mi vedo con i ragazzi della Furano FC, la mia vecchia squadra. Sono ancora amico con alcuni di loro. Ma nessuno di loro è il mio amante”.
“Posso dormire di nuovo con te?”, Tsubasa non mi dà neppure il tempo di rispondere, che già si stava infilando sotto le mie coperte. 
“Metto la sveglia dieci minuti prima, però ti devi sbrigare quando ti chiamo, che la mattina dormi come un ghiro!”.
“Tranquillo, Taro. Non me lo dai un bacino della buona notte?”. Diamine, che lo faccia di proposito o meno, Tsubasa sa davvero come farmi eccitare. Gli do un bacio sulla guancia. Lui si avvicina e me ne stampa uno sulle labbra. Sghignazza, poi mi passa il braccio attorno al corpo. È questo quello che chiamano Paradiso?

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Capitolo 31
*** La gelosia di Taro ***


CAPITOLO XXXI – La gelosia di Taro

9 AGOSTO 2018

Abbiamo appena terminato di disputare i quarti di finale, dove abbiamo giocato contro lo Shinjou FC. Anche se questa formazione si è qualificata tra le migliori otto di tutto il Giappone, il nostro compito è stato abbastanza facile, e siamo riusciti a vincere per 7-0. Credo che la nostra squadra stia migliorando di partita in partita, sicuramente giochiamo molto meglio rispetto al primo match perso con il Meiwa FC. Non dimentichiamo che i nostri giocatori vengono da scuole diverse, in alcuni casi anche storiche rivali come la Nankatsu e la Shutetsu, dunque ci è voluto un po' di tempo per trovare il giusto feeling tra tutti i giocatori. Oramai, però, tutto sembra filare per il meglio.

Nel frattempo ho continuato a pensare a quel bacio che mi aveva dato Tsubasa nel letto: senza giochi di mezzo, un gesto voluto e naturale, anche se del tutto inaspettato e sorprendente per me. Quello dell'altra sera è stato un vero bacio senza possibili equivoci, seppur di breve durata. In questo momento, anche se non ce lo siamo mai detti, sento più che mai Tsubasa come mio, e mi sento davvero amato da lui. Se solo avessimo il coraggio di dircelo direttamente, in faccia, per togliere quell'ultimo velo di dubbio...

10 AGOSTO 2018

Ieri, dopo la fine della nostra partita dei quarti di finale, Yayoi, la manager del Musashi FC, ha chiesto a Tsubasa di parlare in privato, mentre noi ci stavamo apprestando ad assistere all'incontro della sua squadra. So che i due sono stati compagni di scuola in passato, ed a quanto pare Yayoi aveva una cotta per Tsubasa. Devo ammettere che, appena i due si sono allontanati in disparte, ho provato immediatamente un senso di gelosia, forse ancora peggiore di quello che sentivo quanto Tsubasa parlava con Sanae. Sanae almeno era una nostra compagna di scuola e potevo tenere la situazione sotto controllo, mentre Yayoi non la conoscevo affatto, non avevo la certezza di quello che potesse accadere e di quale fosse il reale rapporto tra i due.

Li vedo allontanarsi insieme, così decido di seguirli. Yayoi lo porta fuori dallo stadio, in riva al fiume, i due si guardano negli occhi. Sembrava una scena decisamente romantica. Stavo morendo. Nonostante tutto quello che è successo tra me e Tsubasa, non posso ancora dirmi sicuro sul fatto che lui sia mio: in effetti, tutte le certezze che mi ero costruito dopo quel bacio, stavano crollando man mano che guardavo quella scena. La situazione non fa che peggiorare quando Yayoi prende le mani di Tsubasa e le stringe a sé. Ero troppo distante per sentire quello che si stavano dicendo, troppo agitato per provare a leggere il labiale, ma entrambi sembravano avere uno sguardo emozionato.

Non riesco più a guardare, scappo a nascondermi dietro una siepe. Mi siedo ed inizio a piangere e ricomincio a farmi le solite domande. Era stata tutta un'illusione? Tsubasa mi stava prendendo in giro? Non avrei mai sopportato una cosa del genere dopo tutto quello che era successo tra noi due: i baci, gli abbracci, le parole tenere. Era davvero stata tutta una farsa?
“Misaki?”, guardo sopra la siepe e vedo spuntare Sanae. “Che ci fai qui?”.
“Niente...”.
“Ma... stai piangendo?”.
La risposta era evidente e non necessaria. Sanae scavalca la siepe e si siede accanto a me.
“Tsubasa ha una ragazza”, dico, cercando di trattenere i singhiozzi. “Yayoi, quella del Musashi FC”.
Sanae inizia a ridere. “Ma guarda che non sono fidanzati. Anche io l'avevo pensato quando li ho visti. Ero nascosta dietro un albero, ed ho sentito tutto”.
La guardo sorpreso. Mi sento improvvisamente più tranquillo. 
“Tu lo sai che Tsubasa partirà per il Brasile se vincete?”.
Annuisco. “Ma anche io lascerò Nankatsu...”.
“E dove vai?”.
“Devo seguire mio padre...”.
“Capisco. Comunque, Yayoi e Tsubasa hanno parlato di Jun Misugi e del Musashi FC. Ho scoperto alcune cose della vita privata di Misugi, ma non credo di poterle dire. Non te la prendere, sono cose personali. Comunque hanno parlato solo di calcio, tra loro non c'è niente. Fidati, anche io ho avuto un colpo quando li ho visti...”.
Se da un lato ero felice per il fatto che non ci fosse nulla tra Yayoi e Tsubasa, quella notizia mi aveva lasciato sbigottito: che grande segreto nascondeva Jun Misugi, il giocatore più misterioso del torneo?
“Tranquillo quindi, Tsubasa non ha una storia d'amore con lei. Comunque dobbiamo andare allo stadio, la partita del Musashi FC sta per iniziare, e sicuramente gli altri ragazzi si staranno chiedendo che fine hai fatto”.

Il nostro avversario in semifinale sarà proprio il Musashi FC di Jun Misugi, che ha sconfitto per 6-2 l'Hitachi FC, squadra della prefettura di Ibaraki. Misugi è un giocatore molto talentuoso e tecnico, ma non gioca quasi mai. Nelle prime partite non era mai entrato in campo, ed anche ai quarti di finale è partito dalla panchina, subentrando solo quando la sua formazione era passata in svantaggio. Il segreto che Sanae aveva scoperto doveva avere a che fare con questa scelta, che sarebbe altrimenti inspiegabile da parte dell'allenatore del Musashi FC. Nell'altra semifinale, invece, la sfida sarà tra Furano FC e Meiwa FC: Matsuyama contro Hyuga. Naturalmente, io tiferò per i ragazzi del Furano FC, e spero di trovarli in finale.

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Capitolo 32
*** "Anch'io" ***


CAPITOLO XXXII - “Anch'io”

11 AGOSTO 2018

Questa mattina abbiamo assistito alla prima semifinale del torneo, quella tra il Meiwa FC ed il Furano FC. Io ero sicuramente più teso dei miei compagni: mentre per gli altri si trattava solamente di conoscere il nostro eventuale avversario per la finale, io ero concentrato a fare il tifo per Matsuyama ed Haruo. Certo, ero stato compagno anche di Hyuga e degli altri ragazzi del Meiwa, ma prima di Nankatsu la mia scuola del cuore era sicuramente stata quella di Furano. A dire il vero, mi sono anche preoccupato per la loro incolumità, visto che il gioco violento di Hyuga si è scatenato in tutta la sua potenza sin dall'inizio, in particolare nei confronti di Matsuyama.

Ero talmente distratto dalla partita, che in quei momenti, dopo giorni, non ho neppure pensato a Tsubasa, al punto che ho lasciato che Ishizaki si sedesse tra noi due. Preso dalla partita, ho spiegato ai miei compagni di squadra le qualità del Furano FC e le difficoltà che affrontano tutti i giorni negli allenamenti, persino sotto la neve, in condizioni meteorologiche proibitive. Purtroppo, tutti gli sforzi di Matsuyama e degli altri ragazzi non sono bastati: il Meiwa FC si è imposto per 3-2, anche grazie all'entrata in campo di un portiere misterioso, Ken Wakashimazu, che ha bloccato il possibile rigore decisivo di Matsuyama.

Ero in parte sotto shock, avevo davvero sognato una finale tra le mie due squadre del cuore. Tsubasa sapeva quanto sperassi nella vittoria del Furano, ed è venuto a consolarmi. Insieme, siamo andati comunque a congratularci con i ragazzi del Furano FC per la grande prestazione. Ne ho approfittato per far conoscere meglio a Tsubasa i miei amici di quella scuola, visto che ne avevamo parlato, ed anche per introdurlo direttamente a Matsuyama ed Haruo, che naturalmente già conoscevano Tsubasa soprattutto per le gesta calcistiche, oltre che per le conversazioni avute con me. Matsuyama alla fine ci ha fatto gli auguri per la semifinale, chiedendoci di vendicare la loro sconfitta nella finale contro il Meiwa FC. Finale che però dovremo conquistare questa sera contro il Musashi FC.

12 AGOSTO 2018

Ieri pomeriggio abbiamo affrontato la difficile semifinale con il Musashi FC di Jun Misugi. Il match si è presto trasformato in una sfida tra Tsubasa e Misugi, come ci si poteva aspettare. Questa volta, infatti, il capitano del Musashi FC ha giocato sin dall'inizio, mostrando non solo le sue qualità, ma anche la sua capacità di dirigere i compagni dal centro del campo. Nonostante l'iniziale svantaggio, siamo riusciti a pareggiare con una rete di Tsubasa su cross mio e sponda di Kisugi. Il match si è ulteriormente complicato quando i nostri avversari hanno cominciato ad applicare la tattica del fuorigioco, cosa mai vista in un torneo delle elementari: questo ha vanificato il mio assist per Tsubasa, che si è visto annullare il secondo goal. Alla fine del primo tempo, poi, una rovesciata di Misugi ha portato il punteggio sul 2-1.

Era davvero una situazione difficile per noi, con Tsubasa neutralizzato dalla difesa avversaria e Misugi che sembrava essere al massimo della forma. Ho visto Tsubasa particolarmente colpito da quel primo tempo così difficile, e, per la prima volta, negli spogliatoi ha dato segnali di sconforto. Mi sembrava abbattuto, senza la solita carica, incapace di incoraggiare la squadra come aveva fatto fino a quel momento. Anche all'inizio del secondo tempo, Tsubasa ha iniziato a giocare in maniera contratta, con errori non da lui. Mi sono definitivamente accorto che qualcosa non andava quando Tsubasa non ha seguito il mio gioco, mi sono voltato e non era dove mi aspettavo che fosse, dove sarebbe dovuto essere: non era mai successo.

Sono rimasto talmente sotto shock, preoccupato per Tsubasa, da farmi soffiare via il pallone da Misugi, azione che ha portato alla terza rete dei nostri avversari. Tsubasa era immobile in mezzo al campo, inginocchiato, la situazione si stava facendo tragica. Eravamo vicini alla sconfitta. Non riconoscevo il mio Tsuby, non era in lui. Ed anche io mi sentivo sconfortato, oltre che in colpa per aver concesso un altro goal.

Improvvisamente, sugli spalti appare Genzo Wakabayashi. Con il suo carisma lancia delle invettive di incoraggiamento a Tsubasa, ricordandogli della sfida finale con il Meiwa FC di Kojiro Hyuga. Tutto il clan della tifoseria proveniente da Nankatsu si unisce agli incoraggiamenti di Wakabayashi, e così dimentico l'errore appena commesso e decido di farmi avanti. Sapevo che in quel momento Tsubasa aveva bisogno di me. Cerco di dirgli le migliori parole che mi vengono in mente, gli porgo il pallone: “Non puoi lasciare che tutto finisca così”. Quella frase aveva tanti significati: la sfida con Misugi, quella con Hyuga, le nostre ultime partite assieme. Gli ricordo di tutti quelli che lo hanno sostenuto, del fatto che il pallone è nostro amico. Ci guardiamo negli occhi, gli passo il pallone in mano. Mi avvicino al suo orecchio, facendo attenzione a che nessuno possa sentire: “Dai, Tsuby...”. Vedo il suo sguardo cambiare, tornare alla determinazione di sempre. Si rivolge alla squadra con grinta ritrovata. In quel momento, mi sono sentito sicuro del fatto che avremmo vinto, anche se eravamo sotto per 3-1.

Anche io ho ritrovato tutta la voglia di vincere, di farlo per Tsubasa e per la squadra. Ho addirittura bloccato un passaggio di Urabe: mi sono accorto che stava per passare la palla a Tsubasa quando era in fuorigioco. Sapevo che Tsubasa aveva bisogno del mio passaggio, di un assist perfetto quando si trovava in linea con i difensori avversari per segnare la rete del 3-2, e così è stato. L'intesa tra noi due era ristabilita perfettamente, e poco dopo Tsubasa è riuscito anche a pareggiare.

È stato in quel momento che sono venuto a sapere del segreto di Misugi: il capito del Musashi FC si è accasciato per un attimo al suolo, ed ha rivelato a tutti di avere un grave problema cardiaco. Ecco perché giocava così poco. E doveva essere proprio quello che Sanae era venuta a sapere spiando la conversazione tra Tsubasa e Yayoi. In quel momento, ho realizzato che le strane reazioni di Tsubasa dovevano essere state dettate dal sapere già tutto. 

Nonostante la grande difficoltà a proseguire, Misugi ha deciso di andare fino in fondo, anche a costo della sua vita, riuscendo addirittura a segnare un'altra rete. Per un giocatore di questo genere, non si può che provare ammirazione, ma allo stesso tempo era un nostro avversario, e per onorarlo nella migliore delle maniere dovevamo giocare al massimo fino all'ultimo secondo. 

Con Tsubasa marcato stretto, ho dovuto prendere in mano la situazione, tentando un tiro dalla distanza. Il portiere avversario ha deviato il pallone, mandandolo verso Tsubasa, che era marcato da diversi avversari e defilato sulla sinistra. In quel momento, Tsubasa ha dato vita ad un assist acrobatico: sapeva che solo io, tra tutti i giocatori in campo, avrei capito quella giocata, e così sono riuscito ad intervenire con un tuffo di testa, anticipando Misugi e mandando il pallone in rete. Eravamo sul 4-4, a pochi minuti, anzi secondi, dalla fine. Tsubasa ha tentato il tiro dalla distanza poco prima del triplice fischio dell'arbitro: vittoria per 5-4.

È stata una partita eccezionale, piena di emozioni, nella quale ho dato il massimo e Tsubasa, nonostante le difficoltà, ha mostrato tutta la sua classe. La sera, a cena, abbiamo festeggiato con tutta la squadra, anche se naturalmente ora ci aspetta la partita più difficile: la finale con il Meiwa FC, rivincita dell'unica partita che abbiamo perso da quando giochiamo insieme, la prima della fase a gironi. Io e Tsubasa eravamo particolarmente stanchi, non avevamo voglia di alzarci da tavola: o forse volevamo semplicemente restare soli. Lentamente, i nostri compagni si dirigono verso la camera, mentre noi restiamo seduti l'uno di fronte all'altro: “Sei stato bravo, Taro. Senza di te non ce l'avrei mai fatta”, mi dice.
“Ma che dici? Hai fatto praticamente tutto tu!”.
“Taro, non scherzare. Hai preso in mano la squadra nei momenti più difficili. Sei stato decisivo con goal ed assist. E senza di te, non avrei mai superato quel momento di difficoltà. Non vorrei avere nessun altro come compagno di squadra, sei perfetto”.
Nessuno mi aveva mai detto così tanti complimenti, tutti insieme. E naturalmente ero felice che a farlo fosse stato Tsubasa, anche se per me il migliore resta sempre lui.
“Ragazzi, che ci fate ancora qui?”, entra il nostro allenatore. “Gli altri già sono a letto, sbrigatevi”. Quando sono con lui, il tempo vola. Si era effettivamente fatto tardi.

Entriamo in camera. Spero che Tsubasa abbia voglia di dormire con me, penso. Anche se in realtà ho sempre il terrore che un nostro compagno possa scoprirci. Se qualcuno si fosse svegliato di notte e ci avesse visti dormire insieme, magari abbracciati? 
“Stavolta te lo faccio io il massaggio...”, mi dice Tsubasa. “Te lo meriti”, aggiunge.
Mi viene vicino, mi sfila la maglietta. “Stenditi”.
Sento le sue dita percorrere la mia schiena. Quel contatto era soave ed eccitante, ancor più di quando ero stato io a massaggiarlo. Il mio corpo era interamente di Tsubasa: lo avrei lasciato fare qualsiasi cosa, penso. Le sue mani continuavano ad esplorare la mia schiena, ad avvolgermi le spalle. Mentre continua a toccarmi la schiena, lo sento lentamente avvicinarsi: avverto il suo respiro sul collo, sempre più intenso. Non dico niente, resto immobile, chiudo gli occhi. Sento le sue labbra poggiarsi tra la spalla ed il collo, stampare un bacio, poi allontanarsi lentamente. Il respiro di Tsubasa si sposta verso il mio orecchio, infine un sussurro: “Anch'io”.

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Capitolo 33
*** Verso la finale ***


CAPITOLO XXXIII – Verso la finale

Lo shinkansen era appena giunto alla stazione di Tokyo, ed io ero rimasto assorto nel pensiero di quell'intenso momento che Taro e Tsubasa avevano vissuto, nel quale finalmente erano divenuti coscienti di amarsi l'un l'altro. Ora non mi restava che andare alla ricerca di Tsubasa, che doveva essere impegnato proprio in quelle ore nella finale del torneo nazionale delle scuole medie. Certo, non sapevo di preciso cosa gli avrei dovuto dire, ma avevo il diario dalla mia parte, sapevo cose che nessun altro poteva sapere, e sicuramente mi avrebbe dato ascolto. Soprattutto, volevo sapere dove si trovasse Taro, per riconsegnargli il suo diario e conoscerlo di persona.

18 AGOSTO 2018

Scusami, diario, per averti trascurato. Infatti l'ultima settimana è stata davvero intensa, e non ho trovato il tempo di scrivere, ma recupererò ora che ho un po' più tempo. Quella notte in cui Tsubasa si era offerto di farmi un massaggio, è stata probabilmente la più bella della mia vita. Finalmente sapevo con certezza si essere ricambiato nel mio amore per lui. La mattina, dopo esserci svegliati, l'atmosfera era diversa: potevo finalmente guardarlo senza timore di dire o fare qualcosa di sbagliato, stare accanto a lui sapendo di essere amato. Certo, dovevamo pur sempre mantenere un certo comportamento, vista la presenza di tutti i nostri compagni di squadra, ma ci guardavamo sorridendo tutto il tempo. Era quello che avevo sempre desiderato, e finalmente era realtà.

Dopo colazione, avevamo un importante riunione in cui il nostro allenatore ci avrebbe spiegato con precisione gli schemi da applicare nella finale contro il Meiwa. Proprio mentre stavamo andando alla riunione, Tsubasa dice di essersi dimenticato il telefono sul tavolo. “Vieni”, mi dice, tirandomi per il braccio. Voltiamo l'angolo, Tsubasa si ferma. Si guarda intorno, poi mi dà un bacio sulle labbra. Ci guardiamo per qualche istante, sorridiamo. “Dai, andiamo alla riunione”, dice lui. “E il telefono?”, gli faccio notare. “Ce l'ho in tasca”, risponde con un ghigno.

Alla riunione l'allenatore si è innanzi tutto complimentato con noi per il percorso fatto fino ad ora. Rispetto alle partite precedenti, in finale potremo finalmente contare sul nostro portiere titolare, Genzo Wakabayashi, tornato operativo dopo l'infortunio. Un'arma in più per tutta la squadra, davvero fondamentale, soprattutto dopo che il Meiwa FC ha sfoderato in semifinale il misterioso portiere Wakashimazu. Anche se Morisaki ha fatto un ottimo lavoro durante tutto il torneo, Wakabayashi resta il numero uno in quel ruolo. Poi l'allenatore si è rivolto direttamente a Tsubasa, in qualità di nostro capitano. Infine, ha ricordato che questa sarebbe stata la nostra ultima partita insieme: sapevo benissimo che oramai mancava poco alla mia partenza, e che, indipendentemente dal risultato, quello sarebbe stato il mio ultimo match con la Nankatsu, ma in quel momento ho comunque sentito un sussulto al cuore. Proprio ora che io e Tsubasa... Quello, però, era soprattutto il momento di concentrarsi sulla partita, per vincere insieme e per permettere a Tsubasa di andare in Brasile.

Mancavano oramai poche ore all'inizio della partita che avrebbe assegnato il titolo di campione nazionale delle scuole elementari. Stavamo tornando alla nostra camera per preparare le borse ed andare allo stadio. Eravamo assolutamente carichi. “Misaki”, sento qualcuno chiamarmi da dietro. Mi volto, non vedo nessuno. Torno indietro, svolto l'angolo e, con mia grande sorpresa, mi ritrovo davanti Takeshi Sawada: “Che ci fai qui? La spia?”, gli dico, scherzando ma non troppo.
“No, mi ha visto qualcuno?”.
“Non credo. Ma che ci fai qui? Non dovresti essere con i tuoi compagni?”.
“Già... ma ho bisogno di parlarti”.
“Dimmi tutto, ma fai in fretta”.
“Tu e Tsubasa... come fate?”.
“Cosa vuoi dire?”, gli chiedo per indagare di più su cosa volesse dire.
“In campo... avete un'intesa incredibile, vi trovate ad occhi chiusi. Persino meglio dei gemelli Tachibana”.
“Beh...”, rifletto un attimo. “È un nostro segreto”, provo a tagliare corto.
“Ma... potresti spiegarmelo?”, insiste lui. “Vorrei tanto riuscire ad avere lo stesso tipo di intesa con Kojiro Hyuga”.
“Takeshi, tu sei un bravo giocatore e sicuramente hai una buona intesa con Hyuga. Ma, sinceramente, non credo che nessun altro possa raggiungere il livello tra me e Tsubasa. Tra di noi c'è qualcosa di speciale, di diverso”, cerco di convincerlo, naturalmente senza accennare minimamente alla nostra relazione extracalcistica.
“E perché non potrebbe succedere lo stesso tra me e Hyuga?”, continua. 
In quel momento, dopo quelle parole, non ho potuto far altro che pormi una domanda: e se Takeshi fosse innamorato di Hyuga? Sicuramente Takeshi aveva una grande infatuazione per il leader della sua squadra, dovuta alle qualità calcistiche ed al carisma di Hyuga. Ma forse c'era qualcosa di più?
“Takeshi, non posso dirti altro. Ma ti do un consiglio: se vuoi migliorare la tua intesa con Hyuga, devi giocare per lui, dedicarti anima e corpo a lui. Non pensare mai a te stesso, alla tua prestazione personale, ma pensa solamente alla squadra ed in particolare a Hyuga. Buona fortuna per la finale”.
“Grazie, Misaki!”, dice lui, ed in un attimo se la dà a gambe e sparisce per la tromba delle scale.

Eravamo finalmente arrivati alle porte dello stadio, la finale contro il Meiwa FC stava per avere inizio. Io e Tsubasa eravamo sempre vicini, ci trasmettevamo forza l'un l'altro. Personalmente, ero convinto del fatto che nulla avrebbe potuto fermarci, soprattutto ora che eravamo coscienti del nostro reciproco amore. L'entrata nello stadio è stato davvero un momento emozionante, con tutto il pubblico che ci acclamava. Da Nankatsu erano arrivate davvero tante persone, oltre al solito fan club guidato da Sanae: tra gli spalti ho potuto riconoscere mio padre, che non era solito venire alle partite lontano da Nankatsu. Non mi aveva detto che sarebbe venuto, e la cosa mi ha naturalmente fatto piacere e dato ulteriore carica. 

I nostri avversari, invece, si sono fatti attendere per qualche momento, destando qualche preoccupazione tra i tifosi. Quando noi eravamo già in fase di riscaldamento, un pallone scagliato da lontano ha centrato la porta difesa da Wakabayashi: era il segnale che Hyuga ed i suoi erano finalmente sul terreno di gioco. Era tutto pronto per la partita, la finale poteva avere inizio.

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Capitolo 34
*** Il sogno è ancora vivo ***


CAPITOLO XXXIV – Il sogno è ancora vivo

19 AGOSTO 2018

Eravamo in campo, io e Tsubasa, l'uno accanto all'altro. Dall'altra parte, Kojiro Hyuga e le maglie nere del Meiwa FC. Sin dall'inizio abbiamo capito che la partita sarebbe stata molto dura, quando Hyuga ha scagliato il pallone dritto addosso a Tsubasa, quasi certamente di proposito. Tsubasa, però, è riuscito a toccare la palla ed a passarla. Sapevo già quale sarebbe stata la chiave della finale: la complicità tra noi due.

Non avevo nessuna intenzione di perdere, volevo assolutamente vincere quell'ultima partita con Tsubasa ed i ragazzi della Nankatsu. La stessa determinazione, però, l'avevano anche i nostri avversari, ed il portiere Wakashimazu si è subito rivelato decisamente all'altezza, bloccando il primo tiro di Tsubasa. Takeshi, poi, sembrava aver preso alla lettera le mie parole, ed ha dimostrato sin dall'inizio di voler giocare per la squadra, ed in particolare per Hyuga.

Come prevedibile, la partita è stata molto equilibrata per tutto il suo svolgimento e, nonostante le giocate tra me e Tsubasa, Ken Wakashimazu è riuscito a lungo a respingere tutti i nostri tentativi, così come il nostro portiere Wakabayashi ha fatto con i tiri di Hyuga. 

Su una nostra azione offensiva, proprio di fronte alla porta di Wakashimazu, Tsubasa ha avuto un pericoloso contatto aereo con Hyuga: entrambi hanno sbattuto violentemente la schiena sul terreno. In quel momento, ho avuto un sussulto nel vedere Tsubasa steso a terra, quasi incosciente, ma allo stesso tempo c'era il pallone che vagava in area, pronto ad essere colpito: così, mi sono avventato sulla palla e, proprio in quel momento, mentre mi avvicinavo, Tsubasa si è ripreso e si è alzato scattando verso il pallone: è stato in quel frangente che entrambi abbiamo calciato la palla, colpendola esattamente nello stesso momento, dandole un effetto imparabile anche per Wakashimazu e segnando un goal come fossimo una sola persona. Incredulo ed ancora stordito per la botta, Tsubasa mi ha chiesto se avessimo effettivamente segnato: era tutto vero, e non poteva essere che un altro segno della nostra perfezione insieme, del nostro completamento reciproco. Per gli altri è stato solamente un goal spettacolare, ma per me e lui quell'istante ha rappresentato molto di più, l'apoteosi della nostra relazione dentro e fuori dal campo.

Nonostante l'intensità di quel momento, c'era ancora una lunga partita da giocare. Gli attacchi di Hyuga e Takeshi sono stati ancora respinti da Wakabayashi, e così siamo potuti tornare negli spogliatoi in vantaggio di 1-0. L'allenatore e la squadre si sono complimentati con me e Tsubasa per il goal, e ci ha detto che la nostra rete era stata ufficialmente assegnata a Tsubasa: del resto era lui che aveva tentato la rovesciata aerea in precedenza, e poi Tsubasa è anche in corsa per il titolo di capocannoniere del torneo. A me è invece stato attribuito un assist, e come sempre reputo di un valore immenso essere al servizio di Tsubasa anche a livello statistico.

Caricati dalle parole dell'allenatore e di Tsubasa, siamo tornati in campo per il secondo tempo. Il Meiwa FC ha iniziato la ripresa con un gioco molto aggressivo: anche se io e Tsubasa siamo riusciti ad evitare gli interventi della maggioranza dei giocatori avversari, alla fine Hyuga ha fatto nuovamente valere la sua forza fisica per strappare il pallone dai piedi di Tsubasa. Anche questa volta, Wakabayashi è però riuscito a bloccare il tentativo di Hyuga e Takeshi. Visto il tipo di gioco del Meiwa FC, io e Tsubasa, di comune accordo, abbiamo cominciato ad occupare posizioni diverse del campo, disorientando gli avversari.

È stato poco dopo che, nel tentativo di crossare il pallone verso Tsubasa, ho subito un violento colpo da parte di Takeshi. Ho sentito subito un forte dolore per l'impatto dei suoi tacchetti sulla mia caviglia, che ha fatto anche uno strano rumore. Ho sentito Takeshi preoccuparsi per me, ma del resto già sapevo che non lo aveva fatto di proposito: voleva prendere il pallone, ma era arrivato troppo tardi. Ad ogni modo, in quel momento il dolore era l'ultimo dei miei problemi: l'importante era che il pallone che avevo appena colpito raggiungesse Tsubasa. La palla era in aria, Tsubasa si è lanciato per colpirlo in rovesciata, ma Wakashimazu è riuscito a bloccare il suo tentativo. Come se non bastasse, Tsubasa è caduto violentemente a terra, proprio come nel primo tempo. Solo allora mi sono lasciato andare, avvertendo nuovamente il dolore alla caviglia. Anche in quell'istante di sofferenza, io e Tsubasa eravamo connessi, era come se sentissi il mio dolore ed il suo insieme. Avrei voluto in qualche modo assorbire tutta la sua sofferenza e permettergli di rialzarsi. 

Sugli sviluppi di quella stessa azione, Hyuga è riuscito a segnare la rete del pareggio. Era un momento critico per la squadra: io e Tsubasa eravamo a terra, il Meiwa FC aveva pareggiato. Tutto sembrava andare per il peggio. In qualche modo, forse, sono davvero riuscito ad incanalare verso di me tutto il dolore di Tsubasa, o almeno mi piace pensarlo: lui si è infatti ripreso dopo qualche istante, mentre io ho iniziato a sentire un dolore sempre più forte, fino ad accorgermi del fatto che stavo sanguinando. Per qualche minuto sono dovuto restare a bordo campo, mentre Tsubasa subiva un altro duro contrasto da parte di Hyuga. A completare il pessimo momento del nostro team, anche l'infortunio di Wakabayshi si è risvegliato. 

Tutto sembrava portare ad una prossima vittoria del Meiwa FC, alla fine del nostro sogno. Dovevo assolutamente tornare in campo. Sapevo che non avrei potuto giocare al massimo, ma in quel momento complicato la squadra e soprattutto Tsubasa avevano bisogno di me. Avrei giocato a qualsiasi costo, del resto se Jun Misugi può giocare con il suo problema cardiaco, io posso benissimo stare in campo con una caviglia infortunata. Appena rientrato in campo, mi sono subito diretto verso Tsubasa: la sua espressione sembrava rassicurata, probabilmente era preoccupato per me. “So cosa stai pensando”, gli ho detto. “Rubo il pallone e te lo passo”. Non era ancora finita, io e Tsubasa eravamo di nuovo in campo insieme, pronti a vivere istanti indimenticabili. In quel momento ho sentito che ce l'avremmo fatta: ad ogni modo, era l'ultima partita che avremmo giocato insieme, ed ero pronto ad utilizzare fino all'ultima goccia di energia che mi sarebbe rimasta.

Il dolore era ancora forte, anche se meno di prima. Riprendo comunque il gioco cercando di non pensarci: avevo promesso a Tsubasa che gli avrei passato il pallone. Sapevo che anche lui aveva male, dunque dovevo lanciargli il pallone direttamente dall'altra parte del campo. L'occasione è arrivata su una respinta di Wakabayashi: nonostante la sofferenza, sono riuscito a tirare il pallone il più forte possibile verso la metà campo avversaria, esattamente dove si trovava Tsubasa. Il suo tentativo, però, è stato prontamente fermato da Wakashimazu. 

Ero cosciente del fatto che avrei dovuto gestirmi in quella condizione: non potevo correre come al solito, così sono rimasto nella metà campo difensiva. Poco dopo, mi sono trovato di fronte a Kojiro Hyuga, senza però riuscire a fermalo. Neppure Wakabayashi ha potuto fare nulla contro la furia di Hyuga, che così ha portato il Meiwa FC in vantaggio per 2-1. A sorprendermi, però, era stato soprattutto il suo dribbling per superarmi: non era quello il suo solito stile di gioco, ed infatti mi aspettavo che avrebbe cercato il contrasto fisico. Quella giocata di finezza mi aveva spiazzato, permettendogli di trovarsi da solo di fronte al nostro portiere.

In una situazione del genere, molti avrebbero dichiarato la fine della partita, a soli tre minuti dalla fine del tempo regolamentare. Eppure, Tsubasa aveva ancora un'espressione fiduciosa, che mi ha immediatamente rincuorato e caricato tutta la squadra. Aveva ragione, non sarebbe potuta finire così. Proprio all'ultimo, dopo che anche una nostra combinazione era stata bloccata da Wakashimazu, Tsubasa è riuscito a segnare su un lungo tiro di Wakabayashi, uscito dalla sua area di rigore, ed una mia deviazione di testa: era il 2-2, ed ora la finale si sarebbe decisa ai tempi supplementari. Il sogno era ancora vivo.

Nell'intervallo prima dell'inizio dei supplementari, mi sono nuovamente fatto medicare la caviglia. Anche mio padre è venuto a controllare se stessi bene, e l'ho rassicurato. Per nulla al mondo mi sarei tirato indietro proprio in quel momento così importante. Avevamo rischiato di perdere, ma eravamo ancora vivi e quei tempi supplementari li ho presi come un regalo: ancora un po' di tempo in campo con la maglia della Nankatsu ed in compagnia di Tsubasa, per realizzare il nostro sogno, insieme.

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Capitolo 35
*** Il trionfo ***


CAPITOLO XXXV – Il trionfo

20 agosto 2018

Sarebbero stati i miei ultimi momenti sul campo al fianco di Tsubasa, ed allo stesso tempo sarebbero potuti diventare quelli più importanti. Il trionfo era ad un passo, non era certamente quello il momento di mollare. Ho deciso di lasciare da parte qualsiasi altro pensiero, l'unica cosa importante era raggiungere il successo. Per il resto ci sarebbe stato tempo dopo.

Tsubasa ha iniziato i supplementari in maniera molto aggressiva, ma la nostra giocata non ha avuto il successo sperato. Questa volta, infatti, Wakashimazu ha letto in anticipo il mio movimento, bloccando il mio colpo di testa sul tiro-cross di Tsubasa. Intanto, il caldo e la fatica si facevano sentire sempre di più. E, soprattutto, un brutto rumore proveniente dalla caviglia mi ha colto proprio mentre avevo il pallone. 

Mi trovavo a terra, su un ginocchio, con il pallone davanti, e due giocatori avversari che si avvicinavano per rubarmi la palla. Il dolore era lancinante, ma per un attimo scompare quanto sento Tsubasa gridare il mio nome: alzo lo sguardo, leggo la situazione. Mi rialzo giusto in tempo per colpire il pallone e lanciarlo verso Tsubasa, subito dopo sento i tacchetti degli avversari affondare di nuovo sulla caviglia dolorante. Non aveva importanza, tengo lo sguardo verso Tsubasa, che con la sua rovesciata riesce questa volta ad ingannare Wakashimazu. L'arbitro però fischia e, dopo un momento di suspense, decreta la fine del primo tempo supplementare e dichiara il goal non valido. Avevo giocato come se fosse l'ultimo pallone della mia vita, ma non era servito a niente.

Dopo un attimo di delusione, Tsubasa e gli altri compagni corrono verso di me per sincerarsi delle mie condizioni. Tsubasa prende il mio braccio per sostenermi, mi chiede scusa per non essere riuscito a segnare. Il dolore era fortissimo, ma la vicinanza di Tsubasa per me ha sempre poteri miracolosi. Faccio finta che tutto vada bene e, guardandolo negli occhi, lo rassicuro: la partita era ancora in bilico, e non potevo lasciarmi andare, nonostante sapessi che la situazione della mia caviglia fosse in continuo peggioramento.

Rientriamo in campo, io e Tsubasa, l'uno accanto all'altro, per dare il calcio d'inizio. “Anche la prima volta che abbiamo giocato insieme erano i tempi supplementari...”, gli ricordo, sottintendendo che quella sarebbe stata la nostra ultima partita, e che avremmo dovuto finire come avevamo iniziato. Lui annuisce, poi il match riprende. In campo eravamo tutti stanchissimi, le possibilità per segnare erano sempre meno. Tsubasa si ritrova di nuovo in una sfida diretta con Hyuga, dovevo fare qualcosa. Il dolore però diventa nuovamente acuto: non riesco a muovermi. Non posso che restare immobile a guardare Hyuga vincere il contrasto con l'aiuto di Takeshi e Tsubasa restare a sua volta a terra. Fortunatamente per noi, Wakabayashi riesce a bloccare la rovesciata di Hyuga.

La partita non riusciva a sbloccarsi: dovevamo giocare altri due tempi supplementari per decretare la squadra campione. Continuo a fare finta di non soffrire, cerco di incoraggiare i miei compagni. Con Tsubasa, invece, è solo un gioco di sguardi: come al solito, non avevamo bisogno di parlarci. Proprio in quel momento di break, inizia a piovere, anche se solo per qualche minuto: l'ideale in quella giornata così calda. La pausa, prolungata per la pioggia, ci ha dato la possibilità di scambiare qualche chiacchiera, e sono stati i nostri compagni, questa volta, a ricordare la prima partita giocata insieme da me e Tsubasa. Era la conferma che quel qualcosa che c'era tra noi due era evidente a tutti, almeno per quanto riguarda l'aspetto calcistico. 

In caso di parità al termine degli ulteriori tempi supplementari, entrambe le squadre sarebbero state dichiarate vincitrici. Nel momento stesso in cui l'allenatore ce lo ha ricordato, però, Tsubasa lo ha immediatamente contraddetto: avevamo perso la partita d'esordio, non saremmo stati dei veri campioni senza prenderci la rivincita sul Meiwa. Aveva ragione, e quelle parole dimostravano che la sua determinazione era ancora ai massimi livelli. È anche per questo che lo amo...

Allo stesso tempo, però, mi sentivo sempre più una zavorra per la squadra. Negli ultimi minuti non ero praticamente riuscito a toccare il pallone. Mi avvicino a Tsubasa e confesso: “Se continuo a giocare sarò solamente un peso per la squadra”. Il suo sguardo diventa immediatamente preoccupato, mi chiede se mi fa male la gamba. “La gamba sta bene – mento per rassicurarlo – ed anche se dovessi rompermela, farei di tutto per continuare a giocare con te e gli altri. Ma per come sto giocando ora, forse...”. Tsubasa mi interrompe: “Ma cosa diavolo dici?”. Il suo tono era quasi di rimprovero, non si era mai rivolto a me in quel modo. “Non riuscirei mai a battere Wakashimazu senza di te”, aggiunge.

Dopo tutto, aveva ragione. Dovevamo finire insieme quello che avevamo iniziato. Non poteva andare altrimenti. Wakabayashi si aggiunge alla conversazione, sostenendo la tesi di Tsubasa: del resto eravamo più sempre la Golden Combi, anche se acciaccati e stanchi. Rimuovo immediatamente quel pensiero: dovevo continuare. Per Tsubasa, per la squadra. Il nostro portiere, poi, lancia un'idea: avremmo dovuto lasciare il Meiwa FC attaccare per i primi cinque minuti, così io e Tsubasa avremmo potuto riposarci e dare tutto nella parte finale della partita. Era la soluzione migliore per tutti. Io e Tsubasa ci scambiamo le ultime parole di incoraggiamento prima di riprendere la partita.

Il piano aveva funzionato: nei primi cinque minuti, Wakabayashi era riuscito a bloccare tutti i tentativi di Hyuga e del Meiwa FC. Ora toccava a noi fare il nostro dovere, in quegli ultimi cinque minuti in campo insieme. Tutta la squadra contava su di noi, ed io ero pronto a dare tutto quello che mi restava, anche a costo di peggiorare il mio infortunio e di finire in ospedale.

Come pianificato, Tsubasa parte subito all'attacco dribblando diversi avversari, poi mi passa il pallone. Di nuovo, però, il dolore torna a farsi sentire non appena poggio lo caviglia a terra dopo aver saltato il tackle di un giocatore del Meiwa FC. Nonostante la mia determinazione, il dolore era davvero troppo forte, e così non posso far altro che farmi soffiare il pallone. 

Per fortuna, Tsubasa riesce ad intervenire in tempo per bloccare il tiro di Hyuga. Non appena intercetta la palla, la lancia proprio verso di me: nonostante tutto, Tsubasa aveva ancora fiducia in me. Non potevo tradirlo. Penso a Tsubasa, poi incrocio lo sguardo di mio padre nelle tribune, e infine quello di mia madre, che a sorpresa era venuta ad assistere alla finale. Non la vedevo da tempo, e la sua presenza mi aveva sconvolto per un istante, ma nonostante tutto non mi sono lasciato distrarre dall'obiettivo principale: quello di vincere la partita. Era il momento di stringere i denti, e così ho raccolto il pallone ed ho fatto tutto quello che Tsubasa si sarebbe aspettato da me fino a trovarci di fronte alla porta di Wakashumazu. Tento il tiro, ma il portiere avversario respinge il pallone. Ishizaki lancia il pallone nuovamente in avanti, mi lancio in area per fintare una rovesciata ed ingannare Hyuga: Tsubasa capisce che il pallone sarebbe andato a finire proprio dalle sue parti e che sarebbe dovuto essere lui l'autore di quel goal. Mentre ero ancora sospeso in aria, mi giro e lo vedo colpire il pallone in rete.

Un momento di gioia incontenibile, per me, per lui, per tutta la squadra. Dopo aver esultato con i nostri compagni, io e Tsubasa ci siamo stretti la mano guardandoci negli occhi. Un momento di intensità enorme, eravamo così vicini alla realizzazione del nostro sogno, ma anche alla conclusione della nostra avventura insieme. La partita, però, non era ancora terminata, e dovevamo mantenere la concentrazione per qualche altro istante. Hyuga ed i suoi sicuramente non si sarebbero arresi così facilmente.

Con una rete di svantaggio ed il nostro portiere Wakabayashi sempre più condizionato dal suo infortunio, il Meiwa FC si è lanciato all'attacco negli ultimi due minuti. Avevo ancora un po' di fiato: le ultime forze residue le avrei spese per difendere il nostro vantaggio e marcare Kojiro Hyuga. Nonostante i miei sforzi, l'arrivo del portiere Wakashimazu in attacco mi ha sorpreso, e così Hyuga è riuscito ad evitare la mia marcatura ed a scatenare il suo potente tiro. Wakabayashi era ancora dolorante, e con un ultimo sforzo è riuscito a deviare il pallone. L'azione, però, non era finita: proprio Wakashimazu, il portiere avversario, si è trovato il posizione perfetta per segnare la rete del pareggio praticamente a porta vuota.

Anche se sono passati dei giorni, non ricordo esattamente quel momento. So che non potevo perdere, che non potevamo concedere un goal proprio in quel momento, dopo essermi fatto saltare così da Hyuga. Era il mio unico pensiero mentre correvo verso quel pallone diretto in rete. Avrei fatto qualsiasi cosa per ottenere la vittoria, per la squadra, per Tsubasa. Così, devo essermi lanciato sul pallone senza pensare ad altro. Senza pensare che, a pochi centimetri, c'era il palo. Ricordo il pallone deviato dal mio piede, la nostra porta era salva: poi un buio improvviso.

Devo aver perso i sensi per qualche momento, dopo aver centrato il palo con la mia fronte. La prima cosa che ricordo dopo quegli istanti di buio è la voce di Tsubasa che mi chiama, riapro gli occhi, il nero diventa rosso: sangue. Riesco ad intravedere Tsubasa, lo guardo. Per te farei qualsiasi cosa, penso. Dall'emozione nei suoi occhi, doveva averlo capito. Era stato un sacrificio per la squadra, certamente, ma anche un estremo gesto d'amore nei suoi confronti. Più forte del dolore, era la soddisfazione.

Il calcio, però, non dà troppo spazio alle emozioni prolungate. Il pallone era ancora in gioco, proprio davanti a Tsubasa. Richiamato dai compagni e sicuramente caricato da quel mio sacrificio, ma anche rassicurato del fatto che, dopo tutto, stavo abbastanza bene, si gira ed incomincia a dribblare tutti gli avversari. Il Meiwa FC era del tutto sbilanciato in avanti, e sapevo cosa stava pensando il mio Tsuby: dovevamo segnare un altro goal, così avremmo definitivamente cancellato la sconfitta per una rete nella prima partita del torneo, dimostrando la nostra superiorità. Né Hyuga, né Wakashimazu avrebbero potuto fare nulla in quel momento contro l'estrema determinazione di Tsubasa: era la rete del 4-2, il trionfo della squadra e la sua risposta al mio sacrificio. Entrambi avevamo dimostrato il nostro amore reciproco a nostro modo, e, grazie alla forza che ci eravamo dati a vicenda, avevamo trascinato la squadra al successo.

La partita era finita, eravamo campioni. Avevo raggiunto quel trofeo proprio con Tsubasa e con la Nankatsu. Wakabayashi mi aiuta a rialzarmi, ero ancora un po' stordito per la botta, ma in fin dei conti felice per tutto: per i miei compagni, per Tsubasa, per il nostro amore. Persino Hyuga, il nostro acerrimo avversario, ha dovuto ammettere la nostra superiorità e l'invincibilità della Golden Combi. 

L'avventura, almeno dal punto di vista calcistico, si era conclusa. Avevamo raggiunto il nostro obiettivo, insieme, come ci eravamo promessi. Mancavano pochi giorni alla mia partenza da Nankatsu, e pensavo di passarli felicemente insieme a Tsubasa. Non sapevo ancora quello che sarebbe successo poco dopo.

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Capitolo 36
*** Addio ***


CAPITOLO XXXVI – Addio

21 agosto 2018

Mancano oramai poche ore alla mia partenza, al momento dell'addio. Nankatsu diventerà presto solamente un dolce ricordo, e con lei tutti i fantastici momenti vissuti con Tsubasa e con gli altri ragazzi. Sto sistemando le mie cose nella valigia, ma sono davvero tanti i pensieri che ho in testa in questo momento. In questa città ho vissuto gli istanti più belli della mia vita insieme alla persona più speciale che io abbia mai conosciuto, il mio Tsuby. In realtà sono stati solamente pochi mesi, ma sono stati anche molto intensi, ed è difficile spiegare l'importanza che hanno avuto per me, da tutti i punti di vista, calcisticamente e personalmente. Ho vinto un campionato nazionale, ho scoperto e finalmente accettato il fatto di essere omosessuale.

Prima di andarmene, però, devo terminare quello che avevo iniziato. Raccontarti, caro diario, quello che è successo dopo la nostra vittoria in finale. Avevamo appena conquistato il titolo nazionale, avevamo realizzato il nostro sogno insieme, eravamo estasiati. Non facevamo altro che gridare ed abbracciarci, in particolare io e Tsubasa. In qualità di capitano, Tsubasa è stato chiamato per la consegna della bandiera alla squadra vincitrice. Poi è stato intervistato da diverse reti televisive, nel frattempo tutto lo stadio continuava a scandire il suo nome e quello della squadra. Persino i nostri avversari del torneo non facevano altro che complimentarsi con noi. Ho avuto modo di passare anche gli ultimi momenti con Matsuyama ed Haruo: chissà se e quando li rivedrò.

Sembrava davvero tutto perfetto. Poco dopo io e Tsubasa ci siamo appartati rispetto a tutti gli altri, scambiandoci uno sguardo molto intenso. Sapevamo che mancavano pochi giorni al momento dell'addio, ma avevamo raggiunto il nostro obiettivo e volevamo goderci quei momenti insieme. Proprio in quell'istante, però, la madre di Tsubasa irrompe sul campo. Roberto Hongo aveva lasciato una lettera ed era partito per il Brasile, senza Tsubasa. Tutto quello che avevamo fatto insieme per permettere a Tsubasa di partire per il Brasile stava per essere vanificato.

Tsubasa era disperato, così cerco di non fargli perdere l'ultima speranza. Gli suggerisco di correre all'aeroporto, magari era ancora in tempo per incontrare Roberto e, quanto meno, chiedergli delle spiegazioni. Io stesso ero sotto shock, non c'era nessuna spiegazione a quello che era appena accaduto. Il sogno di Tsubasa stava per infrangersi, ed in più io stavo per lasciare Nankatsu: ricordo ancora quando mi aveva detto che avrebbe potuto rinunciare a partire solo per me.

Passano le ore, Tsubasa non torna. Era il momento di rientrare a Nankatsu per tutta la squadra: sarei voluto restare ad aspettarlo, ma a quel punto non sapevo dove fosse. Era riuscito a fermare Roberto in tempo? Passo il viaggio del ritorno a pensare a lui ed a fissare il sedile vuoto accanto a me. Ero triste per lui, probabilmente era arrivato troppo tardi. E tutto questo avrebbe anche rovinato i nostri ultimi giorni insieme. Dopo la vittoria, pensavo che li avremmo passasti a divertirci insieme, non ad affondare nella tristezza.

Dopo il nostro ritorno a Nankatsu, non ho visto Tsubasa per un bel po'. Avevamo capito tutti che oramai non sarebbe più partito per il Brasile. Gli ho scritto qualche messaggio, ma non mi ha risposto. Così, con l'avvicinarsi della mia partenza, ho deciso di rompere il ghiaccio: dopo tutto quello che era successo tra noi, non potevo lasciare Nankatsu senza neppure salutarlo.

Mi incammino verso casa sua, con mille pensieri nella testa. Come avrebbe reagito? Sarebbe stato contento di vedermi? O forse non gli importava più? Resto fermo qualche minuto davanti alla porta prima di decidermi a bussare. Sua madre apre la porta, aveva uno sguardo preoccupato. “Posso vedere Tsubasa?”, chiedo.
“Sono giorni che è chiuso in camera sua, non so se...”.
“Per favore...”, la supplico.
“Ci provo, aspettami”.
La sento salire le scale e bussare alla porta della camera di Tsubasa. “C'è un tuo amico che vuole vederti”, dice. Non avrebbe mai aperto così. Riscende le scale e scuote la testa.
“Ha un foglio e una penna, per favore?”, chiedo. Lei mi guarda sorpresa, ma poi me li dà. Salgo le scale. Scrivo: “Tsuby, sono io”. Passo il foglio sotto la porta. Aspetto, non succede niente. Faccio per andarmene, ma in quell'istante sento il rumore della serratura, la porta aprirsi leggermente. Mi faccio avanti, spingo la porta, varco la soglia. Tsubasa era lì, seduto a terra con la schiena contro il muro. Dai suoi occhi si notava che aveva passato tanto tempo a piangere.

Mi siedo accanto a lui, senza dire niente. Gli passo il braccio attorno al collo, lui si lascia andare ed appoggia la testa sulla mia spalla. “Speravo che saresti venuto...”, mi dice. 
“Non sapevo cosa fare... ma mi sei mancato tanto”, rispondo. Mi dà un bacio sulla guancia... mi era mancato lui, e mi erano mancati quei momenti. “Vuoi parlare di quello che è successo?”, gli chiedo. Tsubasa si fa coraggio ed inizia a raccontarmi della sua inutile corsa all'aeroporto. Poi tira fuori la lettera che gli aveva scritto Roberto, me la lascia leggere. 

“Mi dispiace tantissimo...”, gli dico.
“Già, ed ora anche tu mi abbandoni...”.
“Non dire così, lo sai che non è colpa mia. Fosse per me, resterei con te per sempre”.
“Lo so, scusami...”.
Mi avvicino a lui, lo osservo attentamente. Anche nella tristezza e con gli occhi arrossati per il pianto, era sempre bellissimo. Lo bacio. Lui ricambia. Ci scambiamo un lungo bacio, ci stringiamo l'uno contro l'altro. 
“Sei rimasto chiuso in camera tutti questi giorni?”.
“Qualche volta vado in riva al fiume, dove ci siamo visti per la prima volta...”.
Mi aveva notato... non ne avevamo mai parlato, non credevo mi avesse notato in quel momento. “Quindi mi avevi visto?”.
“Sì, ma non sapevo quello che sarebbe successo dopo. La vita è come un film, pensavo che saresti stato solo una comparsa, invece sei diventato il protagonista del mio film”. 
“Io invece da quel momento non ho fatto altro che sperare di incontrarti...”. Sorride.

Cerco di distrarlo, gli propongo di giocare qualche videogioco sul telefono. Ci stendiamo l'uno accanto all'altro. Volevo godermi ogni secondo insieme a lui, anche se eravamo entrambi tristi, ma avevamo ancora la possibilità di passare dei momenti l'uno con l'altro. 

“Uffa, ma vinci sempre...”, dice lui.
“Hey, tu sei il giocatore più forte del Giappone, almeno fammi vincere ai videogiochi”.
Finalmente lo vedo sorridere.
“Taro, ma tu te le fai?”, mi chiede all'improvviso.
“Co... cosa?”, balbetto.
“Dai, che hai capito”, mi fa lui. Avevo capito, ma non mi aspettavo quella domanda.
“Beh, sì...”, gli rispondo. 
“E... ti esce qualcosa?”, insiste lui.
“Sì...”, continuo rispondendo per monosillabi.
“Ti andrebbe ora?”. 
Stavo per morire. Certo che mi andava. Con tutte le volte che me le ero fatte pensando a lui...
“Se non vuoi non fa niente”, dice, visto che ero rimasto in silenzio.
Non sapevo cosa dire, né cosa fare. Annuisco.

Eravamo stesi l'uno accanto all'altro, e ci stavamo segando insieme. Ogni tanto ci scambiavamo qualche bacio. Poi, ci voltiamo l'uno verso l'altro, ci avvinghiamo. Sento il suo respiro pesante, “ti amo”, mi dice all'orecchio. “Anch'io ti amo”, gli rispondo. Un altro bacio. Veniamo insieme. Restiamo qualche istante sul letto appiccicati l'uno all'altro. 
“Che casino... ora mi toccherà lavare le lenzuola”, dice lui. Ridiamo.

Si era fatto davvero tardi, dovevo tornare a casa. 
“Taro, non dire a nessuno che ci siamo visti. Non me la sento ancora di vedere gli altri”.
“Va bene”, lo rassicuro.
“Non so se riuscirò a venire a salutarti... è troppo doloroso vederti andare via”.
“Tsuby... io ti amo e ti amerò per sempre...”.
“Shh!”, mi poggia l'indice sulle labbra. “Non dire niente, non c'è bisogno”.
Ci abbracciamo per l'ultima volta. Ci scambiamo un ultimo bacio. Piango camminando verso casa. Non ti dimenticherò mai.

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Capitolo 37
*** Il mio incontro con Tsubasa ***


CAPITOLO XXXVII – Il mio incontro con Tsubasa

Ero ancora sotto l'impatto emotivo dovuto alla lettura di quelle ultime pagine. Continuavo a pensare al momento dell'addio fra Taro e Tsubasa, a quanto dovevano aver sofferto entrambi. Il diario di Taro si chiudeva con l'aggiunta di una breve nota scritta in fretta con la penna rossa, probabilmente pochi attimi prima di uscire per sempre dalla sua casa di Nankatsu:

Addio Nankatsu! Addio Tsuby, ti amo!

Poi, solo pagine bianche.

Certo, può sembrare strano che Taro abbia scritto queste ultime due frasi per poi dimenticarsi il diario. Quando l'avevo trovato, sembrava riposto in maniera ordinata nel cassetto della scrivania. E se... l'avesse lasciato di proposito lì, affinché qualcuno lo trovasse? Forse voleva che qualcuno leggesse la versione completa della sua storia, compresi quei particolari che nessuno – neppure Tsubasa! – aveva avuto modo di conoscere. Leggere il diario di Taro non significava solamente venire a conoscenza di una serie di eventi della sua vita, ma anche scoprire quali erano stati i suoi sentimenti ed i suoi stati d'animo più genuini in ogni situazione.

Ero fuori lo stadio, sentivo le urla provenire dai tifosi. La partita doveva essere ancora in corso, ma, visto l'orario, si stavano probabilmente svolgendo gli attimi finali. La mia missione era chiara: incontrare Tsubasa, parlargli, e possibilmente consegnargli il diario di Taro. Dico possibilmente, perché tutto sarebbe dipeso dalla sua reazione: in fin dei conti ero solamente un tipo qualsiasi, perché mai avrebbe dovuto darmi retta?

“Nankatsu è vicina alla conquista del suo primo titolo nazionale nel Campionato delle scuole medie...”, sento lo speaker dall'interno dello stadio. Era il momento, tutti sarebbero stati distratti dall'esultanza e dai festeggiamenti di fine partita. Ancora un boato, la partita doveva essere finita. Le parole dello speaker erano coperte dalle urla dei tifosi. Non sembravano più esserci controlli ai cancelli d'ingresso, oramai la partita era conclusa, i tifosi erano già tutti entrati da un pezzo: così mi introduco nello stadio, salgo verso gli spalti. Mi affaccio verso il campo, lo vedo: Tsubasa era sulla linea del centrocampo, ad abbracciarsi con i suoi compagni. Nel suo cuore, però, doveva sentire la mancanza dell'abbraccio più importante di tutti, quello di Taro. 

Dovevo fare in fretta, presto l'euforia si sarebbe calmata e qualcuno avrebbe potuto notarmi. Così mi avvicino alla parte degli spalti che si trova giusto al di sopra dell'entrata degli spogliatoi. Scavalco la ringhiera di metallo, salto. Ero a bordo campo, di fronte a me il tunnel degli spogliatoi. Cerco quello della squadra di Tsubasa, mi siedo su una panchina appena accanto alla porta. Ero emozionato, quasi impaurito, ma dovevo farlo assolutamente: sentivo il peso della responsabilità, come se l'avessi promesso direttamente a Taro, anche se naturalmente non l'avevo mai visto di persona.

I giocatori cominciano ad entrare negli spogliatoi, finalmente lo vedo. Mi alzo e faccio un passo verso di lui: “Tsubasa?”. Lui si volta e mi guarda sorpreso. “Complimenti per la vittoria”, gli dico.
“Chi sei? Non credo che tu possa stare qui...”.
“Tranquillo, devo dirti qualcosa di importante”.
Nel frattempo, un compagno di squadra alto e robusto si avvicina a noi con fare minaccioso, come se fosse la guardia del corpo di Tsubasa: “E questo chi è?”
“Calmati Takasugi, è solo un fan. Firmo un autografo e vengo”, lo rassicura Tsubasa. Gli altri entrano alla spicciolata nello spogliatoio della squadra, mentre Tsubasa torna a rivolgersi a me: “Allora, dove firmo?”.
“Veramente... dovrei dirti una cosa importante. So di quello che è successo tra te e Taro Misaki”. Tsubasa mi guarda fisso, non reagisce. “Ho trovato un diario scritto da Taro, so tutto di voi”.
“Senti – Tsubasa rompe il silenzio – se vuoi ti firmo un autografo, altrimenti puoi anche andartene”.
“No, davvero, dobbiamo parlare in un posto privato...”.
Tsubasa si volta e fa per andarsene. Mi gioco l'unica carta che mi viene in mente in quel momento: “Tsuby...”.
Lui si immobilizza. Lo vedo stringere i pugni lungo i fianchi. Abbassa la testa. Poi si gira lentamente verso di me. Sussurra guardando il pavimento: “Come fai a sapere...”.
“Te l'ho detto, ho trovato il diario segreto di Taro. Credimi, per favore. L'ho qui nello zaino, ma forse è meglio non parlarne ora”.
Tsubasa torna a guardarmi: “Ci vediamo questa sera. Ce l'hai una penna?”. 
Tsubasa mi prende il polso e mi scrive un indirizzo sul braccio. “Ci vediamo qui, stasera alle otto, quartiere di Roppongi. Sai dov'è, vero?”. Annuisco. “Bene, allora a dopo. Ora vedo andare, meglio non destare sospetti”.

Avevo un appuntamento con il più talentuoso calciatore di tutto il Giappone, chissà in quanti – e in quante! - pagherebbero tutto l'oro del mondo per avere un'occasione del genere. Il mio primo obiettivo era raggiunto: avevo incontrato Tsubasa e l'avevo convinto a darmi ascolto.

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Capitolo 38
*** L'appuntamento ***


CAPITOLO XXXVIII – L'appuntamento

Per uno straniero, non è sempre facile trovare un indirizzo in una città giapponese. Questi si basano infatti su una serie di quadranti tracciati per suddividere la città, all'interno dei quali ci sono ulteriori quadranti via via sempre più piccoli. Può sembrare un po' complesso quando si è abituati a leggere semplicemente via e numero civico, ma dopo un po' ci si abitua, e ci si rende conto che in realtà è un sistema molto efficace, soprattutto quando si tratta di trovare qualche stradina sconosciuta ai più.

Roppongi è uno dei quartieri più noti della capitale nipponica, conosciuto, tra le varie cose, per la sua vita notturna. Scendo dalla metropolitana – linea Hibiya – ed incomincio ad orientarmi per trovare l'indirizzo che Tsubasa mi aveva scritto sul braccio. Lo avevo lasciato lì, come una reliquia, ed in effetti le persone mi guardavano in maniera strana consultare quegli scarabocchi.

Anche se avevo già incontrato Tsubasa di persona, ero abbastanza agitato in vista di quell'appuntamento. Non facevo altro che controllare di avere il diario nello zaino. Finalmente, poi, lo vedo: Tsubasa era appoggiato ad un muro, girato di tre quarti, con una visiera a coprirne parte del volto. Sembrava un agente in incognito.

“Hey”, mi avvicino a passo lento.
“Finalmente... seguimi”, mi dice lui.
Ci infiliamo in una stradina nei pressi dell'Hard Rock Café, ci fermiamo di fronte ad una porta di legno di una piccola locanda. Tsubasa entra, io lo seguo. Dentro non c'era nessuno, aveva probabilmente scelto il locale più sconosciuto di tutta la città per avere quell'incontro così importante: avevo l'impressione di essere il protagonista di qualche attività clandestina. Ci sediamo ad un tavolino di legno all'angolo, ci guardiamo in faccia: chi doveva cominciare?

“L'hai portato?”, dice lui.
“Certo...”, tiro il diario di Taro fuori dallo zaino e lo ripongo sul tavolo.
“Quanto vuoi?”, mi chiede.
“Cosa?”.
“Quanto ti devo pagare?”.
Per un attimo resto basito: “Niente...”, dico con voce dubitativa.
“Niente? E perché mai dovresti darmi il diario e non usare tutte le informazioni che sai su di me...”.
“Tsubasa, calmati”. Lo interrompo “Lo faccio per Taro”.
Il volto di Tsubasa stava cambiando espressione, la tensione stava scomparendo. “Veramente non vuoi nulla in cambio?”.
“La tua gratitudine mi può bastare”.
“Beh, grazie... Come ti chiami?”.
“Nathan”.
“Grazie, Nathan!”.

Tsubasa prende il diario ed inizia a sfogliarlo, guarda le foto di Taro, in particolare quella dove c'erano loro due. I suoi occhi brillano per l'emozione: “È la sua scrittura”, sussurra, accarezzando una pagina, e lasciando scendere una lacrima. 
“Non devi leggerlo ora, penso sia meglio farlo quando sei da solo. Anche io mi sono emozionato molto,  senza nemmeno conoscervi. È per questo che volevo assolutamente trovarti e dartelo di persona. E scusami se ti ho dato una cattiva impressione allo stadio, non volevo...”.
“Non ti preoccupare, grazie ancora”.
“Mi dispiace che vi siete lasciati in quel modo. Taro deve aver sentito la tua mancanza quando è partito da Nankatsu. Ma capisco, per te era troppo difficile vederlo andare via”.
“Veramente, alla fine, sono andato a salutarlo. Era già sull'autobus, ma sono riuscito a tirargli un pallone con un messaggio. Gli ho scritto che ci rivedremo quando giocheremo insieme in nazionale. Ma non so se posso resistere tutto questo tempo senza di lui”.
“Vi state scrivendo, spero”.
“Veramente... i primi tempi ci sentivamo più spesso, ora sempre più raramente... quasi mai. Non capisco... Mi manca”. 
Tsubasa stava per ricominciare a piangere. Gli prendo la mano: “Sono sicuro che lui pensa a te tutti i giorni. Ho letto tutto il suo diario e so che ti ama ancora, il suo amore per te era troppo forte, non può scomparire così. Forse... sta troppo male senza di te, e allora preferisce non scriverti per non sentire ancora di più la tua mancanza”.
“Già... non è la stessa cosa chattare o parlare dal vivo... lo schermo è così freddo... vorrei tanto i suoi abbracci”.

“Sai dov'è ora?”, gli chiedo, quando sembrava essersi calmato.
“No...”, si prende un attimo per pensare. “So che ha una madre, forse è andato lì. Ma non ho idea di dove abiti. Potrebbe essere ovunque, suo padre gira sempre”.
“Dovremmo indagare”, gli suggerisco. “Ho un'idea... ma dobbiamo tornare insieme a Nankatsu. Tu non devi andare con la squadra?”.
“No, loro sono già partiti. Ho detto che mi sarei trattenuto qualche giorno in più a Tokyo”.
“Allora ci vediamo domani mattina in stazione e prendiamo il treno per Nankatsu?”.
Tsubasa annuisce. Poi si avvicina a me e mi abbraccia. Lo stringo anch'io. 
“Scusami se non sono Taro”, lui sorride alla mia battuta.
“A domani”.

Il diario di Taro si era rivelato un talismano in grado di aprire porte inaspettate. Non mi aveva permesso di conoscere tutto il mondo interiore del suo autore, ma ora potevo praticamente dire di essere amico di Tsubasa, visto che non aveva esitato a confidarsi con me e a mostrarmi le sue emozioni.

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Capitolo 39
*** Ritorno a Nankatsu ***


CAPITOLO XXXIX – Ritorno a Nankatsu

L'indomani mi sveglio presto per andare alla stazione centrale di Tokyo e prendere il treno per Nankatsu con Tsubasa. Arriviamo entrambi in anticipo, ci vediamo subito: eravamo sicuramente tutti e due eccitati ed elettrizzati per questa “indagine” su Taro.
“Hey, ti vedo stanco...”, gli dico appena siamo abbastanza vicini da poterci parlare senza dover urlare tra la folla.
“Non ho dormito neanche un secondo questa notte...”.
“Il diario, vero?”.
“Sì... l'ho letto tutto d'un fiato. È stato... meraviglioso. Non finirò mai di ringraziarti”.
“Figurati... andiamo a fare i biglietti intanto”.

Ci avviamo verso la biglietteria automatica. 
“Ma i tuoi genitori ti lasciano andare da solo in giro per il Giappone?”, mi chiede lui.
“Beh, anche a te...”.
“Ma io sono giapponese”, ride.
“Ho dovuto convincerli. Ho spiegato a mio padre che è una questione di vitale importanza, e ho promesso che sarò di ritorno a Tokyo il prima possibile. Per fortuna, si fida molto di me”.
“Anche io mi fido di te... Si vede che sei un ragazzo serio. Quanti anni hai?”.
“Tredici. Tu dodici, giusto?”.
“Già... mi conosci come le tue tasche”.

Il viaggio in treno ha rappresentato un'ottima occasione per conversare con Tsubasa e poterci conoscere meglio. Abbiamo parlato di tanti argomenti diversi, soprattutto di calcio. Tutte cose abbastanza leggere, fino a quando Tsubasa non si avvicina al mio orecchio per farmi una domanda che doveva essere più importante delle altre: “Scusa se te lo chiedo, ma... tu sei gay?”, mi sussurra.
“Beh... sì”, rispondo. “Si vede?”.
“L'ho pensato, per come hai preso a cuore la storia mia e di Taro. Come hai fatto a capire di essere gay?”.
“Non lo so... non c'è stato un momento preciso. Da quando ero più piccolo, praticamente dall'asilo, ho sempre pensato che i maschi fossero più carini. Quindi non è che l'ho scoperto da un giorno all'altro, sono sempre stato così”.
“Sai, ti dico un segreto... io non sono sicuro se sono... oppure no”.
“Ma Taro? Lui ti piace, anzi direi che lo ami”.
“Sì, ma lui è speciale. Non sono sicuro che mi possano piacere altri maschi, penso sia qualcosa che provo solamente per lui”.
“Vuoi dire che in genere ti senti attratto dalle femmine?”.
Tsubasa sospira: “Vedi, prima di conoscere Taro non avevo mai considerato la possibilità che mi potesse piacere un maschio. Poi, da quando lui è entrato nella mia vita, mi sono venuti tanti dubbi. Lui mi è subito piaciuto tantissimo, ma, siccome mi sentivo strano e non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo... insomma, lo sai, ci abbiamo messo tanto tempo a dirci che ci piacevamo”.
“Sì, lo so, non è facile capire e accettare quando succedono queste cose. Già è difficile dichiararsi tra etero, insomma, ci vuole un bel po' di coraggio per ammettere di avere una cotta per un maschio e dirlo al diretto interessato”.
“Alla fine, almeno, sono riuscito a dire a Taro che mi piaceva. Solo che, siccome continuavo ad avere dubbi, anche dopo che io e Taro eravamo... insomma ci eravamo dichiarati... allora ho fatto delle prove per capire meglio cosa mi piace”.
“Delle prove? Cosa vuoi dire?”.
“Dai su... capisci... sono andato su certi siti... per vedere cosa mi piaceva, insomma cosa mi eccitava di più”.
“Lo facciamo tutti, non ti preoccupare...”.
“Lo so... ma quando vedo i video, insomma, mi eccito solamente con le femmine, con gli uomini proprio niente. Mentre con Taro... mi eccitavo tantissimo, ecco. Non riesco a spiegarmelo”.
“Capisco perché sei un po' confuso. Ma sono cose che succedono. Non so cosa dirti di preciso, a me piacciono solo i maschi, quindi non ho questo tipo di esperienza. Sicuramente tra te e Taro c'era e c'è qualcosa di speciale, che va oltre l'attrazione fisica. Ma se vogliamo parlare della questione fisica... magari è una questione di età. Insomma, magari ti piace lui che ha la tua stessa età mentre non ti interessano quelli più grandi che vedi nei video...”.
“Può darsi. Sai, Taro è... o era, ma spero che lo sia ancora... era tutto liscio”.
Ridacchio, “immagino, e poi devo ammettere che è proprio carino, almeno nelle foto. E anche caratterialmente sembrate fatti apposta per stare insieme”.
“Già...”, Tsubasa si lascia andare ed appoggia la testa sulla mia spalla, “mi manca tanto”. Probabilmente stava pensando a quello che era successo un anno prima, quando lui e Taro avevano affrontato insieme il viaggio in treno da Nankatsu a Tokyo. Da parte mia, ero davvero felice per quella conversazione avuta con Tsubasa: avevo capito che si fidava pienamente di me, tanto da confidarmi cose molto personali, insomma eravamo ufficialmente amici.

Arriviamo così alla stazione di Nankatsu, pronti per iniziare le nostre indagini su dove potesse essere Taro. Avevo un paio di idee in mente, e presto le avrei svelate a Tsubasa.

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Capitolo 40
*** L'indagine ***


CAPITOLO XL – L'indagine

Eravamo appena scesi dal treno, ed eravamo entrambi di ritorno nella piccola Nankatsu. Era davvero bello ritrovarmi tra le stradine di quella tranquilla località, praticamente sconosciuta ai turisti, nonostante la vicinanza con il Monte Fuji, dove tutta questa storia aveva avuto inizio. Anche rivedere l'imponente Fuji-san mi destava una grande emozione. Anzi, a dire il vero, non riuscivo a capacitarmi di come fossi stato in grado di scalarlo fino in cima.

“Ci sei stato lassù?”, chiedo a Tsubasa.
“Dove?”.
“Sul Fuji”
“Ah, no. Non ci sono mai andato”.
“Dovresti, è fantastico”.

Ci fermiamo entrambi di colpo. Eravamo di fronte alla casa di Taro. Tsubasa fissava la porta, come a sperare che all'improvviso si aprisse e venisse fuori lui a salutarlo.

“Dovremmo cercare nella casa”, dico. Tsubasa mi guarda con aria interrogativa. “Il diario, l'ho trovato sistemato nel cassetto della scrivania. Doveva essere molto importante per Taro, e dalle ultime pagine si capisce che stava scrivendo fino agli ultimi momenti prima di partire. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo, o al limite lo avrebbe dimenticato sulla scrivania o sul letto, non riposto con cura nel cassetto. Ci ho pensato a lungo, ed ho motivo di credere che lo abbia lasciato lì di proposito”.
Tsubasa mi stava ascoltando attentamente: “E perché avrebbe dovuto lasciarlo di proposito?”.
“Perché voleva che qualcuno lo leggesse, e soprattutto che lo leggessi tu. Voleva che tu sapessi tutte quelle che cose che la sua timidezza non gli aveva permesso di dire”.
“Potresti avere ragione... ma perché dici di cercare in casa? Cosa pensi di trovare?”.
“Non ne ho idea. Ma potrebbe aver lasciato qualcos'altro, da qualche parte. Proviamo, non si sa mai”.

Ci avviciniamo alla casa, sbirciamo dalle finestre. Sembrava non ci fosse nessuno. Doveva essere rimasta vuota da quando io e la mia famiglia l'avevamo lasciata. Non restava che trovare un modo di entrare: “La finestra della cucina”, dice Tsubasa. “Una volta ho sentito il padre di Taro lamentarsi perché non si chiudeva bene”. 
Facciamo il giro della casa. La finestra sembrava chiusa. Tsubasa prova a spingere per aprirla, si apre solo uno spiraglio. Alla seconda spinta, non sembra muoversi più. “Il gancio sopra”, indico. Tsubasa sale sul davanzale esterno e con un dito riesce a sganciare le due ante, che si aprono sulla cucina. “Fai il ladro nel tempo libero?”, scherzo.

Eravamo in quella che era stata la casa di Taro e, per un breve periodo, anche la mia. Sia Tsubasa che io la conoscevamo abbastanza bene per orientarci sui possibili nascondigli. Rovistiamo l'intera abitazione, soprattutto la camera di Taro, ma non troviamo nulla. “Tutto questo per niente”, dice Tsubasa. Ci buttiamo, un po' sconfortati e molto sudati, sul divano. 
“Non una buona idea fare tutta questa fatica col caldo di agosto”, gli dico.
Tsubasa sospira, fissa la televisione spenta: “Ci vorrebbe una consolle”, si ferma. Sapevo che stava pensando ai pomeriggi passati a giocare ai videogiochi, proprio su quel divano, accanto a Taro. Lo lascio per qualche momento nuotare tra i suoi ricordi. Gli occhi smettono di fissare nel vuoto: “Nathan... sei fidanzato?”.
“N-no”, balbetto. La domanda mi aveva colto di sorpresa. “P-perché?”.
“Così. Strano però, sei carino. E quando si toccano questi argomenti diventi rosso ed imbranato come Taro, mi sembra”.
“Non mi aspettavo questa domanda. E comunque non avevi detto che ti piaceva solo Taro di maschio?”.
“Sì, che c'entra. Ho solo detto che sei carino, e che quindi pensavo fossi fidanzato”.
“Se la metti così, anche tu sei carino. Comunque usciamo di qui, andiamo a scuola”.
“No, che palle, non voglio andare a scuola, sono appena tornato, oggi faccio assenza”.
“Ma che hai capito. Alla scuola elementare”. Tsubasa mi guarda come se stessi parlando esperanto. “Devono avere qualche informazione su Taro, sapranno dove è andato dopo che ha lasciato la scuola di Nankatsu”.

Eravamo di fronte all'uscita delle scuole elementari di Nankatsu. Tsubasa incomincia a manifestare qualche perplessità sul mio piano: “Ma perché dovrebbero lasciarci entrare e darci tutte quelle informazioni?”.
“Dici che vuoi salutare gli insegnanti delle elementari, vedi che ti fanno entrare”.
“Ma non credo che possano darci informazioni su Taro, sono cose private, no?”.
“Guardati...”.
“Eh?”.
“E guarda quel cartellone vicino al campo di calcio della scuola. Lo conosci quello?”
“Sì, sono io...”.
“Ecco! Sei tu, Ōzora Tsubasa, la persona più conosciuta di tutta Nankatsu. Tutti ti adorano e sanno che eri molto legato a Taro, e in questa scuola sei praticamente una divinità. Insomma, usa il tuo superpotere di calciatore famoso e fatti dare quelle informazioni”.

Entrare nella scuola accanto a Tsubasa è stata un'esperienza sensazionale. Gli studenti di tutte le classi si fermavano a fissarlo come se avessero appena assistito ad un fenomeno paranormale. L'idolo di ogni alunno di quella scuola era di fronte a loro e facevano fatica a crederci. Solamente un bambino sui dieci anni si avvicina a noi con il pallone ed un pennarello in mano: “Me lo autografi?”.
“Certo... come ti chiami?”.
“Shun”.
“Ecco”, Tsubasa gli restituisce il pallone autografato.

Anche nella segreteria, tutto il personale ha immediatamente riconosciuto Tsubasa. Sembravano tutti entusiasti di rivederlo per la prima volta dopo la sua uscita dalle scuole elementari. 
“E il tuo amico chi è? Non me lo ricordo...”.
“Ehm...”, Tsubasa stava cercando di inventarsi qualcosa per giustificare la mia presenza di fronte alla segretaria. “È uno studente che è venuto qui per uno scambio... viene da... da... da Pechino!”. Sembravano essersela bevuta. “Sono qui perché vorrei delle informazioni sul mio amico Taro Misaki. Sapete dove vive ora?”.
La segretaria guarda per un attimo Tsubasa, poi digita qualcosa sul computer. “Misaki...”, sussurra. “Non posso sapere dove vive ora, ma posso dirti che l'anno scorso ha chiesto il trasferimento alla scuola elementare di Kagoshima”.

Avevamo il nostro indizio. Non ci restava che andare a Kagoshima. E poi dovevo mettere in chiaro una cosa molto importante con Tsubasa.

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Capitolo 41
*** A casa di Tsubasa ***


CAPITOLO XLI – A casa di Tsubasa

“Hey!”, mi rivolgo a Tsubasa con tono minaccioso appena usciti da scuola. Lui si volta sorpreso, con la faccia di uno che aveva capito che c'era qualcosa che non andava. “Non sono cinese”, gli dico, guardandolo negli occhi. Sembra non capire, allora ribadisco: “Hai detto che vengo da Pechino, non sono cinese...”.
Tsubasa riprende la parola: “Ma era solo una scusa per...”, lo interrompo. 
“Ok, era una scusa, ma non sono cinese, sono vietnamita, ok? VIET-NA-MI-TA”. 
“Va bene, va bene... però non te la prendere...”.
“Mille anni di dominazione cinese, mille anni... e devo sentirmi dire che sono cinese?”.
“Scusami, non sapevo che fosse così grave...”, si giustifica lui.

Ero talmente nervoso che mi ero per un attimo dimenticato del vero motivo per cui eravamo andati alla scuola elementare. Nel frattempo stavamo continuando a camminare, non sapevo bene verso quale meta, anche se oramai Nankatsu la conoscevo abbastanza bene – del resto non è di certo una grande città. Mi stavo calmando: “Ok, ho esagerato, scusami Tsubasa. Per un vietnamita è davvero poco piacevole sentirsi dare del cinese”.
“L'ho notato...”, mi risponde quasi sottovoce. Tsubasa sembrava turbato, era forse ancora sotto shock per la mia reazione? O magari c'era qualche problema di cui non sapevo?
“Hey”, gli metto la mano sulla spalla. “Non te la sei mica presa?”.
“Figurati...”.
“E allora perché hai quella faccia?”.
“Kagoshima...”, sussurra.
“Eh?”.
“Kagoshima...”, ripete.
“È il posto dove è andato Taro, giusto? Non ci resta che andare lì e trovarlo”, gli dico fiducioso.
“Hai idea di dove si trovi Kagoshima?”, mi chiede.
“N-no...”.
Tsubasa si ferma nel bel mezzo della strada. “Sull'isola di Kyushu... Sulla fottuta isola di Kyushu... è lontanissimo, uno dei posti più a sud di tutto il Giappone, bisogna cambiare tre o quattro treni da qui”.
“Ci andiamo insieme...”.
“Non posso venire”, mi fredda Tsubasa. Vedo qualche lacrima iniziare a scendergli sulle guance. “Tra pochi giorni iniziano gli esami di fine semestre, poi riprenderanno gli allenamenti... e comunque tu non resterai in Giappone per sempre. Non so neanche perché ci ho creduto, mi sono lasciato coinvolgere in tutto questo, il diario... Sto solo soffrendo sempre di più...”.
“Non credevo di farti soffrire, volevo solo aiutarti...”.
“Lo so, non ce l'ho con te. Sono io che mi sono lasciato trascinare...”.

Passa qualche attimo di silenzio. Per fortuna le strade di Nankatsu sono sempre poco frequentate, per cui Tsubasa non correva molti pericoli nonostante fosse fermo come un palo al centro della carreggiata, a fissare l'asfalto. Provo ad avvicinarmi nuovamente, non sapevo esattamente cosa dirgli: “Ti accompagno a casa?”. Lui annuisce. “Ok, poi faccio in tempo a prendere il treno delle tre e...”.
“Non te ne andare...”, mi interrompe Tsubasa, con voce supplicante. “Ho bisogno di compagnia”.
“Ma come faccio, scusa?”.
“Resti da me questa notte, se ti va...”.
“Certo, va bene”, gli dico sorpreso. Pensavo che Tsubasa ce l'avesse con me, invece non era per niente così. “Questa notte resto da te, poi però devo mettermi in viaggio per Kagoshima. Troverò Taro per te”, gli prometto.
“Grazie Nathan, sei davvero un amico”.

Arriviamo a casa di Tsubasa. Quando ero venuto a Nankatsu per la prima volta ci ero passato davanti diverse volte, ma allora mi era sembrata solamente una casa come un'altra. “Entra dai, tranquillo che non c'è nessuno”, mi dice. Accende la tv. “Sto morendo di sete... tu vuoi qualcosa?”.
“Acqua va bene...”, rispondo. Mi sembra quasi incredibile: ero a casa di Tsubasa, lui mi trattava come se fossimo amici da una vita... e non potevo far altro che ripensare a quanti avrebbero voluto essere al mio posto.
“Ecco la tua acqua”, Tsubasa mi riporta con i piedi per terra. “L'alcool lo teniamo per dopo”, sghignazza. 
“Hai detto che tra poco hai gli esami di fine semestre, giusto?”, gli dico senza reagire alla sua battuta.
“Sì...”, risponde con tono poco entusiasta.
“Ma senza Taro come fai a passare matematica?”.
“Prendi in giro? Comunque sto andando a ripetizioni private. Vado a casa di un tipo, un po' strano, però è bravo. Almeno sto migliorando un po'”.
“Taro ne sarebbe contento, era così felice per averti aiutato a passare il test l'anno scorso”.
“Sì, lui è molto bravo a scuola. Non so dove trovi il tempo per studiare per andare così bene. Comunque non mi va di parlare di scuola adesso... Videogiochi? Scegli tu quale vuoi”.

Avevamo passato diverse ore a giocare a diversi videogiochi, il sole oramai stava tramontando fuori dalla finestra. “Ordiniamo qualcosa da mangiare?”, mi chiede Tsubasa.
“Magari.... Ma tua madre non c'è?”.
“Non dovrebbe tornare questa sera, è andata a trovare alcuni parenti lontani. E infatti non stavo scherzando quando ho detto dell'alcool”, mi guarda con occhi maliziosi.
“Ma mica vorrai ubriacarti?”.
“Tranquillo, beviamo solo un po'... che può succederci?”.

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Capitolo 42
*** Stato di ebbrezza ***


CAPITOLO XLII - STATO DI EBBREZZA

“L'hai mai fatto?”, gli chiedo ancora con parecchi dubbi.
“Cosa?”, mi risponde Tsubasa.
“Beh, bere alcool...”.
“Veramente no, ma vorrei provare...”.
“E perché proprio ora?”.
“Perché ci sei tu... Voglio dire, sei una persona che ho appena conosciuto, ma già sai molte cose di me, cose che neppure mia madre o i miei migliori amici sanno. E non so se poi ci rivedremo... mi sento libero di fare cose che non farei mai”.
Mentre parlava, Tsubasa era intento a rovistare nello sportello del mobile sotto la televisione.
“Che ne dici di questo?”, tira fuori una bottiglia.
“Non me ne intendo...”.
Neanche il tempo di rispondere, che Tsubasa già stava versando il contenuto di quella bottiglia nei bicchieri. “Dovrebbe bastare...”, dice fra sé e sé.
Tsubasa mi porge uno dei due bicchieri: “Al mio tre, beviamo insieme. Uno, due e tre...”.
Ingurgitiamo rapidamente il liquido marroncino, e immediatamente iniziamo a tossire: “Che schifo!”, esclamiamo all'unisono.

Dopo la bevuta, Tsubasa si lascia andare sul divano, ed io lo seguo. “Dovremmo farcene almeno un altro...”, dice versando nuovamente.
“Ma non voglio sentirmi male...”, obietto.
“Non ci dobbiamo sentire male, solo un altro po'... serve a sentirci liberi...”.
Ubbidisco, e, al tre di Tsubasa, tiriamo giù un altro sorso sostanzioso.

“Senti qualcosa?”, mi chiede dopo qualche istante passato sul divano a fissare il soffitto.
“Direi di sì, tu?”.
“Sì... vorrei ci fosse Taro”.
Non sapendo che rispondergli, gli stringo la mano. Lui mi lascia fare. Sia chiaro, non avevo nessuna intenzione di andare oltre l'amicizia con Tsubasa. Lui era di Taro, e non avrei mai fatto niente del genere. Ma speravo di potergli essere d'aiuto nel sentire meno la sua mancanza, visto che oramai era un anno che non si vedevano.
“Ma quindi tu sei bisessuale?”, gli chiedo all'improvviso. Doveva essere l'alcool, le parole mi erano uscite senza che io lo volessi.
“Mi piace Taro... lo amo... ma non mi sento gay, né bisessuale. Ho sempre pensato di essere etero, e lo penso ancora”.
“Non ti sembra un po' contraddittorio?”.
“Boh... Sai Sanae? Quella di cui Taro era geloso? Io lo sapevo già che lei è innamorata di me dalle elementari. Se Taro non dovesse farsi più vivo... insomma, non lo so... ma a volte penso che dovrei sposarmi, avere una vita normale... che ne pensi?”.
“Non è un po' presto per pensare al matrimonio? Comunque penso che tu sia fatto per stare con Taro... e che dovresti accettare il fatto di essere bisessuale”.
“I miei genitori ci resterebbero male se non mi sposassi”.
“Ma smettila di pensare al matrimonio... dovranno passare almeno altri dieci anni... E lo sai benissimo che non proveresti mai per qualcun altro quello che provi per Taro”.
“Lo so... lo amo... mi manca... Senti, ma perché non ti sei levato i calzini?”.
“Che? Mi sono levato le scarpe, che ti importa se ho i calzini?”.
“Ma levateli, dai...”, Tsubasa si piega e afferra un calzino per togliermelo. Ritraggo la gamba e ingaggiamo una breve lotta. Praticando judo, sono riuscito a tenerlo a bada.
“Guarda che faccio judo, stai attento che ti faccio volare”, gli faccio notare.
“Che palle che sei...”.
“Scusa, ma che ti importa se porto i calzini?”.
“Voglio vedere i tuoi piedi...”, mi risponde.
“I miei piedi?”.
“Sì, te lo confesso... mi piacciono i piedi”.
Lo guardo per un attimo, cercando di capire se mi stesse prendendo in giro.
“Sai... calcio... piedi... è tutto collegato”, aggiunge lui. Sembrava proprio serio. Riprova ad allungare le mani, questa volta lo lascio fare. “Carini”, dice, non appena finisce di scoprirli.
“Sei contento adesso?”, gli rispondo.
“Almeno ringraziami... ho detto che sono carini”.
“Ok, grazie... e come mai non c'è scritta questa cosa nel diario di Taro?”.
“Perché lui non lo sa... non ho mai voluto dirglielo, avevo paura che pensasse che fossi troppo strano o cose del genere. Ma mi è sempre piaciuto guardargli i piedi, almeno quanto a lui piaceva guardarmi il pisello”, inizia a ridere. “Quelli di Taro sono fantastici, ma anche i tuoi non sono male”, aggiunge, mentre inizia a toccarmeli. Lo lascio fare, non ci vedevo niente di eccessivo, e comunque non avevo le forze per reagire.

Poco dopo, mi ritrovo coricato sul divano con Tsubasa che mi stava massaggiando le piante dei piedi. Era piacevole, e immagino, seppur in altro modo, doveva essere piacevole anche per lui.
“Ma in tutto questo, ce l'hai duro mentre mi massaggi i piedi?”.
“Beh, un po'... Ti stai divertendo?”.
“Sì...”.
“Vedi, senza bere non sarebbe mai successo tutto questo”.
Tsubasa interrompe il massaggio: “Ultima bevuta”, mi passa ancora il bicchiere. “Che schifo...”, ripete di nuovo. “Ma è forte questa roba, fa venire un caldo...”.
“Se hai caldo levati la maglietta”, gli faccio notare.
“Solo se te la levi anche tu”, risponde.
“E qual è il problema...”.
“Dai, così ti massaggio anche la schiena, girati”.
Tsubasa inizia a massaggiarmi la schiena e le spalle. Immagino quello che doveva aver provato Taro quando lo aveva fatto con lui. 
“Vedo che non hai le mutande...”, mi dice mentre cerca di sbirciare dentro l'elastico dei miei pantaloncini.
“Ora ti piace anche il mio culo?”, gli rispondo. “E comunque sono scomode, non le porto spesso”.
“Bravo”, ride.
Lentamente Tsubasa smette di massaggiarmi la schiena e si appoggia su di me: “Grazie per la serata”.
“Grazie a te”, cerco di girarmi.
Riesco a divincolarmi nonostante Tsubasa fosse buttato a peso morto su di me. Per fortuna il divano era abbastanza grande per eseguire l'operazione senza buttarlo per terra. Ora era accanto a me con la sua testa poggiata tra la mia spalla ed il mio petto, e le sue gambe sulle mie. Aveva gli occhi chiusi, doveva essersi addormentato. Dalla sua bocca, proviene solamente un ultimo sussurro: “Taro...”.

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Capitolo 43
*** Rotta su Kagoshima ***


CAPITOLO XLIII – Rotta su Kagoshima

“Dove mi trovo?”, è stata la prima cosa che ho pensato al risveglio. L'alcool doveva avermi stordito troppo, non riuscivo ancora a ricordare quello che era successo la sera prima. Mi guardo intorno e non riconosco l'ambiente, poi i miei occhi cadono in basso e vedo Tsubasa, con la sua testa appoggiata sulla mia spalla e la mano sul mio petto. Eravamo entrambi senza maglietta. “Non sarà mica successo qualcosa fra noi?”, mi chiedo. Ero quasi sicuro che non avessimo fatto nulla, ma per sicurezza mi controllo nei pantaloncini... no, dai, non era possibile. Nessuno di noi due avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lentamente cerco di spostarlo senza svegliarlo e scendo dal divano. Mentre cerco di ritrovare qualche ricordo della sera precedente, vado alla ricerca del bagno.

Quando torno in salotto, trovo Tsubasa seduto sul divano. “Che mal di testa...”, dice. “Mica ti ricordi se... non abbiamo mica...”, balbetta.
“No, tranquillo”. Avevo naturalmente capito a cosa si riferiva. I miei ricordi cominciavano a schiarirsi, ed oramai ero sicuro del fatto che non avevamo avuto nessun tipo di interazione sessuale. “È già tardi, devo sbrigarmi altrimenti perderò il treno”.
“Ti accompagno... Fammi trovare qualche vestito decente”.
Mentre aspettavo che Tsubasa fosse pronto, non facevo altro che ripensare a quanto era successo il giorno precedente. Naturalmente passare del tempo così “intimo” con un ragazzo come Tsubasa, avere dei contatti fisici, seppur non troppo espliciti, non mi aveva lasciato affatto indifferente. Dovevo tenere a mente, però, il mio vero obiettivo di quell'incontro: far sì che Taro e Tsubasa tornassero insieme. 

Ancora una volta, mi trovavo a camminare per le strade di Nankatsu accanto a Tsubasa. Non sapevo se sarebbe stata l'ultima, ma tra poco sarebbe stato il momento di salutarsi. Oramai eravamo a pochi passi dalla stazione.
“Mi ha fatto davvero piacere conoscerti”, gli dico.
“Anche a me. Grazie di tutto”, mi rispondere.
“Spero che ci rivedremo, un giorno”.
“Mi piacerebbe molto. Sai, dopo che se n'è andato Taro, mi sono sentito solo. Non che non abbia amici, ne ho tanti. Ma non è la stessa cosa, solo con lui riuscivo ad essere davvero me stesso. Ieri sera è stata la prima volta che, per qualche attimo, non ho sentito la sua mancanza”.
Gli prometto che avrei ritrovato Taro e che comunque lo avrei tenuto aggiornato, così ci scambiamo i numeri di telefono. Mancavano solo cinque minuti alla partenza del mio treno. Ci lasciamo andare ad un lungo abbraccio senza parole. Salgo sul treno, lo cerco dal finestrino. Ci salutiamo con la mano, poi il treno parte, lasciando Nankatsu e Tsubasa alle mie spalle. Solo il maestoso Monte Fuji mi avrebbe ancora fatto compagnia per qualche chilometro.

Tsubasa aveva ragione: arrivare a Kagoshima non è affatto semplice. Arrivato ad Osaka con lo Shinkansen, ho dovuto cambiare linea per raggiungere la stazione di Hakata, a Fukuoka. Poi, un treno locale fino a Yatsushiro, nella prefettura di Kumamoto. Infine, un nuovo Shinkansen fino a Kagoshima, nel profondo sud del Giappone.

Avevo l'indirizzo della scuola per la quale Taro aveva chiesto il trasferimento da Nankatsu. Quella, però, era una scuola elementare, mentre ora Taro sarebbe dovuto essere alle scuole medie. Trovarlo, quindi, non sarebbe stato affatto automatico. Oltretutto mi trovavo per la prima volta in una città che non conoscevo affatto e senza nessuno. E poi, un ultimo dubbio: e se Taro avesse cambiato ancora città? Se il mio viaggio si fosse rivelato un fiasco completo? Come ci sarebbe rimasto Tsubasa?

Cercando di non pensare troppo alle eventualità più negative, prendo il telefono e mando un messaggio a Tsubasa: “Arrivato a Kagoshima :)”. Iniziava una nuova tappa della mia ricerca di Taro.

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Capitolo 44
*** Kazuo Kodama ***


CAPITOLO XLIV – Kazuo Kodama

Kagoshima è una città dell'estremo sud dell'arcipelago nipponico, situata al centro della baia di Kinko e sovrastata dal vulcano Sakurajima. Proprio per il suo aspetto visto dal mare, viene considerata come la Napoli del Giappone. Ero da poco arrivato in quella nuova città, e non sapevo dove andare di preciso. Avevo solamente l'indirizzo ed il nome della scuola dove Taro si era trasferito l'anno prima: Scuola Elementare Nishimine.

Seguendo le indicazioni di qualche passante, riesco ad arrivare nel quartiere della scuola. Era ora di pranzo e non avevo ancora mangiato niente da quando ero arrivato a Kagoshima. Così, andando alla ricerca di un po' di cibo, mi imbatto in un'insegna di un piccolo ristorante, “da Kodama”. Mentre aspetto il mio pasto, vedo un ragazzo con l'uniforme di una squadra di calcio entrare nel ristorante: “Ciao papà”, saluta rivolgendosi al proprietario del locale. “Ciao Kazuo”, risponde il signor Kodama.

Quel ragazzo doveva avere all'incirca l'età di Taro ed in più stava indossando la tuta di una squadra di calcio di una scuola della città: quasi sicuramente dovevano conoscersi. Magari erano compagni di squadra, o avversari. Aspetto che suo padre vada nel retro della cucina, e così mi alzo dalla mia sedia e mi avvicino allo sgabello del bancone dove era seduto: “Kazuo, giusto?”. Lui mi guarda un po' sorpreso e annuisce.
“Posso?”, mi siedo accanto a lui. “Giochi a calcio?”.
“Sì, sono il capitano della squadra della Scuola Media Nishimine”, risponde orgoglioso. Nishimine! Era lo stesso nome della scuola dove si era trasferito Taro. Ero sulla strada giusta.
“Per caso conosci un ragazzo... Taro Misaki?”.
Lo sguardo di Kazuo cambia di colpo. “Come conosci Misaki?”, mi risponde nervoso.
“Sono un suo amico”, rispondo mentendo. Avevo comunque abbastanza informazioni su Taro per poter dimostrare di conoscerlo.
“Amico? Non mi sembri giapponese”.
“No, sono vietnamita, ma ho fatto uno scambio con la scuola di Nankatsu”, rispondo. Questa volta la bugia l'avevo copiata da Tsubasa.
Kazuo mi guarda ancora con aria sospettosa. “Nankatsu? Quindi eri lì quando hanno vinto il campionato nazionale? Non ti ho mai visto...”.
“Non gioco a calcio”, taglio corto. “Comunque... Taro gioca nella tua squadra?”.
“Giocava... Non abita più qui”.
Subito dopo aver ricevuto quella risposta, sono piombato nello sconforto più assoluto. Cerco di trattenere le lacrime, fissando il pavimento. Come avrei potuto dirlo a Tsubasa? Avevo fallito, era stato tutto inutile. Aveva ragione lui, era stata solo una perdita di tempo. 

“Vedo che avete fatto amicizia”, il signor Kodama era venuto a portarmi il pranzo. Cerco di ricompormi e di non far notare il mio stato d'animo. “Non vi disturbo, continuate pure”, dice, allontanandosi.
Inizio a mangiare silenzioso. Kazuo doveva aver capito che c'era qualcosa che non andava, nonostante i miei sforzi per dissimulare.
“Yokohama... Credo sia andato a Yokohama”, dice.
“Yokohama? Vicino Tokyo?”. Praticamente avevo fatto tutto quel viaggio per nulla. Taro era a due passi da Tokyo ed io ero venuto fino a Kagoshima. Ora avrei dovuto dare la notizia a Tsubasa, e poi mi sarei dovuto precipitare a Yokohama per recuperare il tempo perso. Comunque, la situazione sembrava migliorata. Almeno ora sapevo dov'era: non tutto era perduto.

“Misaki è davvero un grande giocatore, era sprecato qui a Kagoshima. A Yokohama sicuramente avrà più possibilità di brillare, e magari vincere un nuovo campionato”, continua Kazuo, mentre io riflettevo sul da farsi e pianificavo le prossime mosse.
“Senti, sai per caso dove abitava qui in città?”, lo interrompo.
“Sì, conosco la sua casa. Ma ora credo che ci abitino altre persone”.
“Potresti portarmi lì?”.
Kazuo era sorpreso per la mia richiesta: “Va bene, è qui vicino”, risponde.
Lascio una banconota sotto il bicchiere e usciamo dal ristorante. 

Kazuo inizia a farmi strada: “Quindi conosci anche Tsubasa?”, mi chiede.
“Sì, lo conosco. Anche lui è un mio amico”, almeno questa non era una bugia.
“Insieme erano proprio formidabili. Peccato che non giochino più insieme”, aggiunge.
“Già...”, rispondo. Kazuo non poteva sapere tutto ciò che c'era dietro alla frase che aveva appena detto. Si riferiva naturalmente all'aspetto calcistico, importante ma superficiale rispetto alla profondità del rapporto che avevano instaurato Taro e Tsubasa. Per me, invece, sentire parlare della Golden Combi tra Taro e Tsubasa significava provare una grande emozione.
Ci fermiamo di fronte ad una porta marrone scuro: “Abitava qui”, mi dice.
Non lo lascio neppure terminare che mi dirigo verso la casa e premo il campanello. 
“Che fai? Sei pazzo? Fermo!”, Kazuo si agita e fa per correre, come quando si bussa alle case per scherzo. Oramai era troppo tardi per fermarmi.
Io resto immobile di fronte alla porta. Kazuo si calma e resta a guardare, forse incuriosito dal mio atteggiamento.
Dopo qualche istante, una signora apre la porta. Ci guarda con in maniera sospetta: “E voi chi siete?”.

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Capitolo 45
*** Eureka! ***


CAPITOLO XLV – Eureka!

Kazuo era pietrificato alle mie spalle, probabilmente senza sapere cosa fare. A dire il vero, neppure io mi sentivo a mio agio, ma ero abbastanza determinato per superare l'imbarazzo: “Mi scusi signora, non volevo disturbarla”, esordisco nel tentativo di mostrare cortesia. “Un mio amico viveva in questa casa...”.
“Beh, non ci vive più”, cerca di tagliar corto la signora.
“Lo so, vorrei solamente sapere...”, prendo tempo per formulare al meglio la frase. Dovevo essere deciso, non vago, dovevo dare l'impressione di sapere di cosa stessi parlando. “Il mio amico mi ha mandato qui perché ha dimenticato qualcosa di importante”.
La signora sembra volermi dare ascolto. Così proseguo: “È qualcosa di molto personale, e credo che lei potrebbe aver trovato...”.
“Personale?”, la signora mi interrompe, “come un diario segreto?”.
Lo sapevo! Non mi ero sbagliato! In quel momento ero al settimo cielo, ma dovevo cercare di restare calmo esteriormente. Mi limito a rispondere annuendo.
“Lo stavo quasi per buttare, ho aspettato per un po' ma non si è fatto vivo nessuno. Aspettami un momento...”, la signora rientra in casa lasciando la porta socchiusa.

“Cos'è questa storia del diario?”, Kazuo si avvicina. Non avevo calcolato questo inconveniente. Ora Kazuo sapeva del diario, ma certamente non potevo dirgli tutta la verità. E se avesse voluto vederlo? Leggerlo? Dovevo trovare un modo per tenerlo fuori da questa storia. Era stato gentile, mi aveva aiutato a trovarlo, ma non potevo permettergli di leggere tutti i segreti di Taro. 
“Niente, è un diario di Taro. Lo ha dimenticato qui. Non so perché, ma deve essere importante per lui”.
“Quindi sei in contatto con Misaki?”.
Dovevo per forza rispondere di sì, così annuisco. Tanto oramai di bugie ne avevo dette fin troppe, e un po' mi ci stavo abituando. Tra la lettura del diario e tutte queste peripezie, mi stavo quasi convincendo di essere davvero amico di Taro.
“Devi essere uno dei suoi migliori amici, da me non si è mai fatto sentire da quando ha lasciato Kagoshima”.

“Eccolo qui...”, la signora mi porge il diario. Una strana sensazione si impadronisce di me quando noto che il diario, questa volta di colore azzurro, è chiuso da un lucchetto. L'aspetto positivo era che avrei potuto usare il lucchetto come scusa per non affrontare l'argomento con Kazuo, e comunque potevo stare tranquillo del fatto che neanche la signora lo avesse letto. Dall'altro lato, però, avrei dovuto trovare un modo per aprirlo. Probabilmente all'interno avrei potuto trovarci indizi per sapere dove fosse finito Taro dopo la sua breve permanenza a Kagoshima.

Ringrazio la signora, che chiude la porta quasi compiaciuta. Aveva cambiato espressione dall'inizio, quando era sembrata fredda e sospettosa. 
“È proprio un diario segreto!”, Kazuo quasi mi salta sulle spalle. “Lo leggiamo?”.
“C'è un lucchetto”, gli faccio notare.
“Non si può rompere?”, mi dice lui.
“Sei pazzo? Devo restituirlo a Taro tutto intero”. In realtà, lo avrei dovuto dare a Tsubasa, comunque integro.
“Proviamo qualcosa... c'è un codice da inserire qui”, Kazuo insiste.
“Perché ti interessa tanto?”, gli dico stizzito. “È una cosa personale, non sono affari nostri”.
“Volevo sapere se ha scritto qualcosa su di me...”, continua lui.
“Se ti comportavi così anche con lui, avrà scritto che sei un rompicoglioni”, stavo perdendo la pazienza.
“Hey, chi ti credi di essere?”, mi risponde, assumendo un tono scontroso. “Guarda che ti ho aiutato io a trovarlo...”.
Forse avevo effettivamente esagerato. E poi, magari Kazuo mi sarebbe potuto essere ancora utile. Dovevo ricominciare a pensare freddamente, come avevo fatto fino ad allora. Dovevo accontentarlo in qualche modo. Non sapevo quale fosse il codice segreto del diario, e sicuramente sapevo più cose su Taro di quante non ne potesse sapere Kazuo. Non avrebbe mai potuto indovinarlo.
“Hai ragione, scusami”, gli dico riprendendo un tono calmo. “Ho esagerato. Ti ringrazio per avermi aiutato a trovare il diario”. Kazuo sembrava quasi sorpreso delle mie scuse, o in qualche modo deluso di non poter continuare lo scontro verbale. “Non so il codice per aprirlo, tu lo sai?”, rilancio.
“Proviamo col suo compleanno”.
Banale, improbabile – penso. “Prova”, gli do il diario sicuro che non avrebbe portato a nulla. Kazuo si impegna a girare le quattro rotelline. Prima il giorno, poi il mese, quindi il contrario, poi ancora l'anno. Tutti i suoi tentativi finiscono a vuoto. 
Alla fine si arrende, restituendomi il diario. “Hai ragione, non sono affari nostri”, borbotta rassegnato. Nondum matura est.

“Ti fermi a dormire? Abbiamo un camera vuota”.
“Va bene, grazie mille”, gli dico, sperando di avere il tempo necessario per poter trovare un modo per aprire quel diario.

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Capitolo 46
*** Codici segreti ***


CAPITOLO XLVI – Codici segreti

“Ecco la tua camera”, mi dice Kazuo aprendo una porta. “La mia è quella di fronte, se hai bisogno di qualcosa. E scendi a cena tra un'ora, così mangiamo insieme”.
“Grazie mille, Kazuo. E scusami ancora per prima. Sei molto gentile...”, gli rispondo.
“Di niente, sei amico di Taro, quindi sei anche amico mio”.

Mi chiudo la porta alle spalle. Il mio unico pensiero era quello di trovare il codice per aprire il diario. Mi butto sul letto e comincio a fissarlo. Come mai questa volta Taro aveva deciso di inserire un codice per aprirlo? Evidentemente aveva in mente qualcosa... Ma perché invece il primo diario era stato lasciato alla mercé di tutti? Qualcosa non tornava.

La prima cosa che mi viene in mente è il compleanno di Tsubasa: 28 luglio. Provo 2807 e 0728, ma il diario non dà segni di aprirsi. Ero comunque sicuro che il codice segreto dovesse avere qualcosa a che fare con Tsubasa. Magari la soluzione era contenuta nel primo diario, ma non lo avevo con me. Prendo il telefono e incomincio a scrivere a Tsubasa:

“Ciao Tsubasa, sono ancora a Kagoshima. Scusami se non ti ho scritto prima. Purtroppo ho una notizia non molto buona: Taro non abita più qui. Però ho anche un'altra notizia: ha lasciato un secondo diario segreto! Il diario ha un codice segreto per aprirlo, non sono riuscito a trovarlo. Hai qualche idea? Nathan”.

Passa qualche istante, e mi arriva una prima risposta di Tsubasa: “Lo sapevo, si è trasferito di nuovo... Non lo rivedrò mai più! Scusa se ti ho fatto perdere tempo, è stata un'idea stupida”.

“No! Sono sicuro che lo rivedrai presto! Hai letto del nuovo diario? Per favore, mandami il codice se hai qualche idea”.

Non mi arriva più nessun messaggio. Nel frattempo, avevo perso la cognizione dello scorrere del tempo. Ero già in ritardo per l'ora di cena. Proprio mentre stavo uscendo sento qualcuno bussare alla mia porta. Apro. “Hey, ti avevo detto di scendere per cenare insieme...”, mi fa notare Kazuo.
“Scusa, mi ero addormentato...”.
“Va bene, andiamo adesso”.

Il padre di Kazuo ci aveva preparato alcune delle sue specialità. “Questa la mangiavamo sempre quando veniva Taro”, mi dice.
“Veniva spesso da te?”.
“Sì... ogni tanto... Senti, ma mica hai trovato il codice per il diario?”.
“No, non ho idea di quale sia”.
Proprio in quel momento sento il telefono vibrare. Doveva essere Tsubasa. Ma non potevo leggere il messaggio in quel momento. Kazuo sembrava abbastanza impiccione, sicuramente mi avrebbe fatto domande. 
“Ti faccio vedere qualche foto di quando giocavo a calcio con Taro”, rilancia Kazuo. Prende il suo telefono e digita rapidamente il codice per sbloccarlo. Un momento! Sono quasi sicuro che il codice digitato da Kazuo fosse 0505, come il compleanno di Taro, 5 maggio!
Kazuo mi mostra qualche foto, poi decido di indagare: “Come mai ti ricordavi il compleanno di Taro?”.
“Così, mi è rimasto in mente... È facile da ricordare, 05/05”.
Taro era appena arrivato a Nankatsu quando aveva festeggiato il suo undicesimo compleanno, ed aveva già lasciato Kagoshima prima del dodicesimo. Non aveva mai festeggiato il suo compleanno qui, eppure Kazuo ricordava la data e probabilmente – a meno che non avessi preso una svista - la usava come suo codice PIN!
“Eravate molto amici tu e Taro quando lui era qui?”.
“Giocavamo a calcio insieme, andavamo a scuola insieme, ogni tanto lo invitavo a mangiare qui... ci trovavamo molto bene. Ma se n'è andato dopo poco tempo”.
“Ti manca?”.
Kazuo esita a rispondere. “Era molto bravo a giocare a calcio, non avevamo mai vinto così tanto partite prima. Ed era anche molto gentile, un buon amico”.
“Già, Taro manca a tutti quelli che lo hanno conosciuto”. Kazuo non risponde. “Adesso salgo in camera, sono molto stanco. Grazie mille per la cena, ci vediamo domani mattina”.
“Buona notte”.

Appena svoltato l'angolo tiro fuori il telefono: “0507 il nostro primo bacio”.

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Capitolo 47
*** Taro a Kagoshima ***


CAPITOLO XLVII – Taro a Kagoshima

Appena rientrato in camera mi assicuro di chiudere bene la porta e mi fiondo sul diario. Inserisco il codice come suggerito da Tsubasa: 0507. Il lucchetto emette un piccolo suono e si apre: finalmente! Ero euforico, ma allo stesso tempo intimorito: aspetto qualche secondo prima di iniziare a sfogliarlo. Poi mi decido ad aprire la copertina. Questa volta il diario sembrava molto diverso: non sembrava esserci nessuna foto, la prima pagina era già scritta in maniera fitta, senza presentazioni.

25 agosto 2019

Sapevo che saresti arrivato qui, che mi avresti cercato. Ci ho sempre sperato. Sei Tsuby, vero? O almeno spero. Comunque se stai leggendo questo diario, devi aver letto il primo, quello che ho lasciato a Nankatsu. No, non l'avevo previsto, all'inizio. Il primo diario l'ho iniziato a scrivere per noia: passavo tanto tempo da solo, e quindi scrivere era un buon passatempo. Non avevo idea di quello che mi sarebbe successo a Nankatsu. Non pensavo di incontrare qualcuno di speciale come te, e tanto meno avrei immaginato tutto quello che è successo dopo. Ma giorno dopo giorno, anche scrivendo quelle pagine, mi sono reso conto di quanto mi stava accadendo.

Ho vissuto i miei giorni più belli a Nankatsu, e questo già lo sai. Alla fine, quel diario era diventato una testimonianza importante di quello che mi era successo, di quello che era successo tra noi. Così, appena finito di scrivere, poco prima di partire, ho deciso che avrei dovuto dartelo, che avresti dovuto leggerlo. Dopo tutto, se la trama di quel diario è la mia vita, il vero protagonista della storia sei tu, perché in quei mesi sei stato il protagonista della mia vita. Lo sei ancora, e lo sarai sempre.

La decisione l'ho presa troppo tardi, pochi istanti prima di partire. Già avevamo avuto il nostro ultimo incontro, pensavo che non ti avrei più rivisto. Non sapevo che, alla fine, saresti venuto lo stesso a salutarmi. Così ho deciso di lasciarlo in quel cassetto, sperando che forse, in un momento di nostalgia, saresti venuto in camera mia, magari entrando dalla finestra. 

Ad ogni modo, il fatto che tu sia venuto a salutarmi, mi ha riempito il cuore come non mai. Anche se avrei voluto abbracciarti per l'ultima volta. Dopo che mi hai tirato il pallone, ti ho guardato scomparire all'orizzonte. Ho aspettato fino all'ultimo, sperando che succedesse qualcosa, che magari l'autobus si rompesse nel bel mezzo della strada. Poi mi sono rassegnato, ho abbracciato quel pallone e gli ho dato un bacio, proprio dove era scritto il tuo nome. Ho rivolto un ultimo sguardo al Monte Fuji, testimone delle nostre avventure calcistiche e del nostro amore.

Adesso sono arrivato qui, nella mia nuova casa, a Kagoshima, distante centinaia di chilometri da te. Il mio cuore, però, è sempre a Nankatsu, e sarà ovunque tu andrai. Certo, come sai sono abituato a cambiare città, a frequentare nuove scuole, a farmi nuovi amici. È così da sempre, per me. Mai, però, mi sono lasciato dietro qualcosa di così importante, di insostituibile. 

Lo so, è inutile disperarsi. Quando sono arrivato a Nankatsu, pensavo che il posto migliore del mondo fosse Furano, che i miei migliori amici fossero lì. Non vivrò mai le stesse emozioni che ho vissuto con te e con gli altri ragazzi, ma ora sono qui, e devo farmene una ragione. Domani andrò alla mia nuova scuola: ho già letto che hanno una squadra di calcio, anche se non forte come quella di Nankatsu. La squadra si chiama Nishimine, come il nome della scuola: almeno potrò continuare a giocare a calcio, ed ogni volta che toccherò il pallone penserò a te.

Spero quanto meno di farmi qualche buon amico. Ma la mia speranza più grande è quella che un giorno ci rivedremo. Anzi, non lo spero, lo so. Sono sicuro che un giorno ci rivedremo, la nostra storia è appena iniziata. Per ora, mi accontenterò di sognarti. Buona notte, Tsuby. A domani.

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Capitolo 48
*** Taro incontra Kazuo ***


CAPITOLO XLVIII – Taro incontra Kazuo

26 agosto 2019

Ciao Tsuby, anche un'altra giornata è passata qui, a Kagoshima... senza di te. 
È stato il mio primo giorno nella nuova scuola, la Nishimine. Naturalmente, la prima cosa che ho fatto è stato iscrivermi alla squadra di calcio. La giornata di scuola è stata abbastanza noiosa. Tutti gli insegnanti mi hanno fatto domande: da dove vengo, come mai mi sono trasferito... le solite cose. Oramai ci sono fin troppo abituato. Ricordi? Anche a Nankatsu mi avevano chiesto le stesse cose. Anche qui, devo ricominciare tutto da zero. A scuola, nella mattinata, è stato tutto piuttosto tranquillo. A dire il vero, nessuno mi ha considerato più di tanto: ero quello nuovo, seduto da solo ad un banco in fondo. 

Per fortuna, nel pomeriggio sono andato al mio primo allenamento con la Nishimine. Del resto, è sempre stato grazie al calcio che sono riuscito a farmi nuovi amici e a farmi apprezzare in tutte le scuole dove sono andato. All'inizio, i nuovi compagni di squadra mi guardavano, come a chiedersi se fossi veramente io. Ho sentito che bisbigliavano qualcosa sulla nostra vittoria nel campionato nazionale dello scorso anno. Ero anche un po' preoccupato, visto che ogni tanto l'infortunio della finale si fa ancora sentire. Ma volevo assolutamente tornare a giocare.

Quando siamo entrati in campo, siamo finalmente riusciti a rompere il ghiaccio. Ai primi passaggi, sono diventato uno di loro. Non preoccuparti, la mia squadra del cuore resterà sempre la Nankatsu. Ma, come sai, il modo migliore di comunicare per quelli come noi è attraverso il pallone. Ai miei primi tocchi di palla, i miei nuovi compagni sono rimasti sbigottiti. Da quello che ho capito, la Nishimine non è una squadra abituata a vincere. Quindi i ragazzi si sono sentiti subito confortati dal sapere che, almeno per qualche tempo, avranno me come compagno di squadra.

A dire il vero, erano proprio entusiasti. Dopo poco, ho segnato con un tiro dalla distanza, anche se a dire il vero il tiro non era granché, ma il portiere non è riuscito comunque a prenderlo. Loro pensano che finalmente riusciranno a vincere grazie a me, ma dovranno comunque lavorare duro, perché, a dire il vero, non sono molto bravi. Almeno non gli manca la passione, che è la cosa più importante. Cercherò di aiutarli a migliorare, così finalmente la Nishimine non sarà più una squadra materasso.

Tra i miei nuovi compagni c'è un ragazzo che si chiama Kazuo Kodama. Sembra essere un mio ammiratore. Si è subito complimentato con me, ed ha detto di aver seguito tutte le partite della Nankatsu in televisione. Ha detto che suo padre ha un piccolo ristorante qui in città, e mi ha chiesto di andarci qualche volta. Credo che fosse davvero emozionato. È una strana sensazione: lui per me è solo un nuovo compagno di scuola e di squadra, ma io per lui sono probabilmente un idolo o qualcosa del genere.

Kazuo è anche il capitano della squadra. Gioca in attacco, e sicuramente è il più bravo con la palla, ma non segna molti goal. Proverò a dargli qualche consiglio per migliorare. Tra gli altri ragazzi, Tsuyoshi e Takahiro giocano in difesa, e Koji a centrocampo. Poi c'è Mitsuru, anche lui gioca a centrocampo. Mitsuru non è per niente bravo, a dire il vero, e tutti sembrano prenderlo in giro. Sua madre lo rimprovera sempre, gli dice che deve studiare, e a dire il vero mi fa un po' pena. Spero di aiutarlo ad inserirsi meglio nel gruppo, e magari anche a migliorare tecnicamente.

Il pomeriggio, quindi, non è stato niente male. Almeno ho ripreso a giocare a calcio e ho rotto il ghiaccio con i nuovi compagni. Domani avremo un nuovo allenamento, e spero di conoscerli ancora meglio. Ti scriverò di nuovo al più presto. Ti penso sempre. Buona notte, Tsuby!

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Capitolo 49
*** Mitsuru ***


CAPITOLO XLIX - Mitsuru

30 agosto 2019

Ciao, Tsuby. La mia vita a Kagoshima procede abbastanza bene. Mi manchi sempre, ma almeno gli allenamenti con la mia nuova squadra stanno occupando il mio tempo. Negli ultimi giorni ho cercato di dare a tutti qualche consiglio, e per fortuna devo dire che mi stanno a sentire: hanno voglia di migliorare e comunque mi guardano ancora con grande ammirazione, anche se in fondo sono solo un loro compagno. Almeno hanno la passione, e questo sicuramente aiuta.

Ti avevo parlato di Mitsuru, uno dei miei compagni di squadra. Devi sapere che la Nishimine è una squadra molto piccola. Prima che arrivassi io, avevano appena undici giocatori per disputare le partite. Adesso, quindi, Mitsuru resterà escluso dalla formazione, visto che prenderò il suo posto a centrocampo. Come se non bastasse, sua madre lo costringe a studiare e a frequentare lezioni private anche dopo l'orario scolastico, quindi Mitsuru arriva quasi sempre tardi agli allenamenti, e questo gli impedisce di migliorare.

Gli altri ragazzi della squadra sembrano molto infastiditi dai suoi ritardi, e lo trattano quasi sempre male. Gli hanno detto che, visto che oramai ci sono io, non hanno più bisogno di lui, e che quindi può evitare di venire agli allenamenti. Kazuo gli ha detto che prima lo lasciavano giocare solamente perché non avevano abbastanza giocatori. Poi gli ha detto di restarsene a casa e di non venire più. Mi fa molta pena, e ho tentato di essere gentile con lui. È vero, Mitsuru non è bravo, ma questo non è un buon motivo per trattarlo così. E senza allenarsi sicuramente non migliorerà mai!

Io invece credo che Mitsuru ami il calcio, e questa è la cosa più importante! Ho visto la tristezza nei suoi occhi quando gli altri gli hanno detto di non venire più. Ci fosse stato un vero capitano come te, Tsuby, questo non sarebbe mai successo. Sostenersi tra compagni di squadra è fondamentale! Ricordi quanto è migliorato Ishizaki allenandosi e giocando tutti i giorni con noi? Sono sicuro che Mitsuru può migliorare tanto, anche se non sarà mai un campione.

Mentre gli altri ragazzi erano distratti ed impegnati a trovare nuove battute per prenderlo in giro, mi sono avvicinato a lui ed ho cercato di farlo sentire meglio. Gli ho promesso che lo aiuterò a migliorarsi, e mi è sembrato molto rincuorato dalle mie parole. So già che prima o poi dovrò lasciare anche Kagoshima, e la Nishimine avrà bisogno nuovamente di lui quando io non sarò più qui. Io potrò aiutarli a vincere qualche partita, ma per affrontare il prossimo campionato sarà più utile Mitsuru.

Se gli altri ragazzi sono stati molto duri con Mitsuru, anche sua madre di certo non lo aiuta. Si è presentata nel bel mezzo dell'allenamento, e lo ha rimproverato davanti a tutti perché doveva tornare a casa a studiare! Lo ha trascinato via, e gli altri ragazzi sono subito tornati ad allenarsi, lasciandoselo alle spalle. Devo dire che non è stato un momento piacevole, mi sono sentito a grande disagio, ma non potevo certo contraddire sua madre. Ma proprio il fatto che Mitsuru continui a presentarsi nonostante le prese in giro ed i rimproveri di sua madre è la dimostrazione del suo amore per il calcio!

Noi invece siamo rimasti ad allenarci fino a tardi, e gli altri ragazzi hanno continuato a seguire le mie indicazioni. La Nishimine infatti non ha neppure un vero e proprio allenatore, quindi l'intera squadra è praticamente nelle mie mani. Kazuo, soprattutto, mi fa sempre domande e sembra ammirarmi molto. Ha detto che sono il miglior giocatore che abbia mai visto.

Ho deciso che il mio obiettivo a Kagoshima sarà quello di far migliorare i miei compagni di squadra e soprattutto Mitsuru. Almeno adesso ho una motivazione per stare qui. Spero di fare in tempo, perché non so quanto a lungo potrò restare qui. Il mio sogno resta quello di tornare a Nankatsu e di riabbracciarti. Buona notte, Tsuby!

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Capitolo 50
*** Taro da Kodama ***


CAPITOLO L – Taro “da Kodama”

3 settembre 2019

Ciao, Tsuby. Negli ultimi giorni non ho scritto molto perché le cose sono andate come nei giorni precedenti. Stiamo continuando ad allenarci ogni giorno, e sto cercando di aiutare i miei compagni a migliorarsi, soprattutto Mitsuru. Per il momento, a dire il vero, non ho ancora visto grandi risultati, ma devo essere paziente. Alla Nishimine non hanno proprio idea di cosa sia la tattica, pensano che giocare a calcio sia semplicemente tirare il pallone verso la porta. Il calcio è invece un gioco di squadra, e la vittoria può arrivare solo con il giusto affiatamento tra i compagni: lo abbiamo provato a tutto il Giappone nello scorso campionato!

Oggi, dopo l'allenamento, sono andato a mangiare al ristorante del padre di Kazuo, “da Kodama”. Non è la prima volta che ci vado, visto che Kazuo mi invita continuamente. Il padre di Kazuo si è complimentato con me per la nostra vittoria in campionato. Fino ad ora era stato tutto abbastanza tranquillo, nel senso che mangiavamo insieme e poi io me ne tornavo a casa. Oggi però Kazuo mi ha rimproverato per essere troppo “educato”, penso intendendo che sono troppo freddo o distaccato, in qualche modo.

Kazuo continua anche a parlare di me a suo padre, continua a dirgli che sono il migliore non solo a giocare a calcio, ma anche con i voti a scuola. Invece sua madre lo ha preso in giro, dicendogli che lui è tutto il contrario di me, visto che ha brutti voti e non è poi così forte a calcio. Kazuo deve essersi sentito abbastanza imbarazzato, visto che i suoi genitori hanno cominciato a confrontarlo con me e a dirgli che dovrebbe prendere esempio da me. Mi sono sentito un po' in colpa, e così, quando Kazuo mi ha chiesto se volevo salire in camera sua, ho accettato, pensando che in quel momento volesse allontanarsi dai suoi genitori.

Kazuo mi ha chiesto se volevo giocare a qualche videogioco. Nel momento stesso in cui abbiamo iniziato a giocare, non ho potuto far altro che pensare a tutti i pomeriggi passati con te, a sfiorarci mentre ti battevo a Fifa :-P Ma a volte penso anche che forse avrei dovuto dirti tutto da molto prima, evitando tutte quelle esitazioni, senza sapere se ti piacevo o no. Devo dire che in realtà tante cose mi portano a pensare a te. Ogni volta che succede qualcosa, automaticamente lo collego a qualche momento passato insieme.

Insomma, ho passato un po' di tempo a giocare con Kazuo, e naturalmente ho battuto anche lui :-P
Finito di giocare, Kazuo mi chiede a bruciapelo: “Misaki, ti posso chimare Taro?”. Come sai generalmente tutti mi chiamano per cognome, forse perché sono quasi sempre “quello nuovo” ovunque vado. Tu sei stato il primo e l'unico che mi abbia mai chiamato Taro, anche se solo in privato. Ma in fondo, ho pensato, Kazuo vuole solo essere amichevole, quindi che problema c'è? Non mi dà certo fastidio, è il mio nome! Però allo stesso tempo mi sembrava strano, in fondo era poco tempo che ci conoscevamo... Insomma, non sapevo cosa dire, ho solo detto “Ok”.

Il punto è che, subito dopo, Kazuo ha incominciato a dire che i suoi genitori in fondo avevano ragione, che io sono il migliore in tutto, ed ha incominciato a fare l'elenco delle mie qualità: “Tu sei il più bravo a giocare a calcio, il più bravo a scuola, il più gentile, il più generoso, il più carino...”. Il più carino? L'aveva detto davvero? “Chissà quante lettere d'amore riceverai dalle ragazze della scuola”, ha aggiunto. Quindi lo aveva detto davvero. La situazione stava diventando alquanto imbarazzante. Di quelle che mi rendono impacciato.

“Non dici niente?”, mi chiede lui, dopo che aveva finito di elencare le mie qualità. “Grazie...”, gli rispondo. “Ma non sono poi così perfetto”. Alla fine lui dice: “Mi piacerebbe essere come te. Possiamo passare più tempo insieme?”. Cosa potevo rispondergli!? “Adesso devo andare, si è fatto tardi”, è l'unica cosa che mi è venuta in mente. “Ma domani vieni dopo l'allenamento?”. “Forse”.

Aiuto! Mi sa che mi sono cacciato in un guaio. Per ora ci dormirò su. Buona notte, Tsuby!

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Capitolo 51
*** La mossa di Kazuo ***


CAPITOLO LI – La mossa di Kazuo

5 settembre 2019

Ciao, Tsuby. In questi giorni mio padre si trova a Tokyo, quindi sto passando molto tempo con Kazuo. Ci stiamo allenando molto intensamente, visto che sabato avremo la nostra prima partita contro il Matsura FC. Gli allenamenti stanno andando abbastanza bene, anche se c'è ancora molto lavoro da fare. Incomincio a vedere dei segni di miglioramento, anche se penso che nessuno dei miei compagni di squadra attuali diventerà mai un campione. Ma almeno potremo puntare a vincere qualche partita, e già sarebbe un buon risultato, visto che la Nishimine perde praticamente sempre.

Comunque, parliamo di Kazuo. Visto che sono solo a casa, Kazuo mi sta invitando a mangiare tutti i giorni. Devo dire che non mi dispiace affatto, visto che altrimenti dovrei cucinarmi da solo, lavare i piatti... E poi devo ammettere che suo padre è un ottimo cuoco, quindi accetto sempre volentieri i suoi inviti.

Ieri sera, finita la cena, Kazuo mi ha invitato a salire in camera sua. Io l'ho seguito, ma non avevo capito cosa intendesse di preciso. Abbiamo giocato un po' ai videogiochi, poi mi sono alzato per prendere le mie cose ed andarmene, visto che il giorno dopo avremmo avuto la scuola e non volevo fare tardi. “Che fai?”, mi dice Kazuo.
“Vado a casa, è un po' tardi. Ci vediamo domani a scuola...”.
“Veramente pensavo che ti saresti fermato a dormire qui”, mi fredda Kazuo.
Resto sorpreso, e non dico niente. Rifiutare non sarebbe stato molto gentile, ma non volevo cacciarmi in situazioni imbarazzanti. Avevo troppi sospetti sul fatto che Kazuo fosse interessato a me, e forse sarebbe stato meglio dire di no.
“Tuo padre non c'è, che vai a fare a casa da solo? Resta, giochiamo un altro po' e poi andiamo a dormire...”.
Era chiaro che Kazuo non me lo aveva detto solo per cortesia, ma ci teneva davvero tanto al fatto che io restassi con lui. Poso la borsa ai piedi del letto in segno di resa: accetto. “Dove posso dormire?”, gli chiedo.
“Dormi qui, con me...”, mi risponde.
Non si stava mettendo per niente bene.
“Ma non hai un'altra stanza? La stanza di fronte è vuota, giusto? Non vorrei disturbarti troppo...”.
“Sì, non c'è nessuno lì. Ma mi fa piacere se resti a dormire con me”.

Oramai era fin troppo ovvio che Kazuo stava cercando di creare una situazione intima tra me e lui. I miei sospetti erano oramai diventati certezze. Allo stesso tempo, provavo grande empatia per lui, e non volevo renderlo triste. Probabilmente stava scoprendo adesso di essere attratto dai maschi, e non volevo rifiutarlo in maniera esplicita. Volevo capire fin dove si sarebbe spinto, e fermarlo in tempo, se necessario. 

Per fortuna il letto di Kazuo è abbastanza grande, quindi siamo riusciti a sistemarci in maniera comoda. Abbiamo parlato un po' di scuola e di calcio, prima di dormire. Almeno, quella era la mia intenzione. In quella situazione non riuscivo a stare del tutto tranquillo, e quindi non sono riuscito ad addormentarmi subito. Lui non parlava più, quindi ho pensato che stesse dormendo. Ma anche lui deve aver pensato che io stessi dormendo... e dopo un po' ha incominciato a farsi una sega. Sì, steso accanto a me, Kazuo si stava segando, ne sono sicuro. Avvertivo chiaramente le vibrazioni del letto, e poi il suo ansimare, trattenuto nel tentativo di non farsi sentire. Sono rimasto immobile e in silenzio per tutto il tempo, sperando che finisse presto, anche se una parte di me voleva girarsi e urlargli, o almeno avrei potuto fargli capire di essere sveglio per farlo sentire in imbarazzo. È stata davvero una situazione spiacevole, avevo l'impressione che il tempo non passasse mai. Alla fine, l'ho sentito accelerare ed ansimare di più, poi finalmente ha smesso.

Credo che lui sia convinto che io stessi dormendo e che non mi sia accorto di niente. Invece non solo non stavo dormendo, ma non sono riuscito ad addormentarmi per un bel po' anche dopo. Non so di preciso per quale motivo: non dovrebbe darmi fastidio un maschio gay che si fa una sega, ma allo stesso tempo avvertivo che stava succedendo qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Il giorno dopo, a scuola sembravo uno zombie: devo aver dormito al massimo tre ore.

Non ti preoccupare, non hai motivo di essere geloso. Kazuo ha chiaramente una cotta per me, ma per me esisti solo tu! Anzi, ho voluto raccontartelo per non tenere segreti e per dimostrarti che non farei mai qualcosa con un ragazzo diverso da te. Spero solo che situazioni di questo tipo non si ripetano più. Buona notte, Tsuby! Ti amo.

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Capitolo 52
*** Taro a Yokohama? ***


CAPITOLO LII – Taro a Yokohama?

6 settembre 2019

Ciao Tsuby, sono successe molte cose oggi, anche troppe. E tutto questo proprio il giorno prima della partita. Non so proprio da dove cominciare, ma cercherò di andare con ordine.

Dopo l'allenamento di oggi sono andato di nuovo a casa di Kazuo. Ho cercato di fare finta di niente, ma continuavo a sentirmi un po' a disagio, quindi dopo la cena non mi sono trattenuto ulteriormente, anche se lui ha cercato di insistere. Gli ho detto che mio padre sarebbe rientrato in serata. In realtà non lo sapevo, ma quando sono tornato ho visto la luce della finestra accesa, ed in effetti era proprio rientrato, come se avessi avuto una sorta di premonizione.

Mio padre era soddisfatto della sua mostra a Tokyo, ha detto che era andata bene, ma allo stesso tempo sembrava avere un'aria strana. Aveva qualche compito ancora da fare, quindi mi sono messo al tavolo con il quaderno. Proprio in quel momento, mio padre mi chiama e mi dice queste parole: “Tua madre è venuta alla mia mostra”. Resto sorpreso da quell'annuncio. 

In questi giorni ho pensato molto a mia madre... O meglio, a come sarebbe se avessi una madre presente nella mia vita. Cambiando in continuazione città ho avuto modo di conoscere le madri di tanti miei amici, ed ogni volta mi sono chiesto quale potrebbe somigliare di più alla mia. Ho sempre considerato mia madre come un'estranea, visto che non la conosco affatto, ma allo stesso tempo ne ho avvertito spesso la mancanza. Ho spesso avuto sentimenti negativi nei suoi confronti, in fondo mi ha abbandonato; ma vorrei anche riuscire a conoscerla bene un giorno.

Mio padre, nel frattempo, mi ha iniziato a parlare di lei, dicendo che si è risposata cinque anni fa. I miei genitori si sono separati poco dopo la mia nascita, undici anni fa, e credo che neanche mio padre la abbia vista molte volte da allora, anche se credo che si siano incrociati alla nostra finale dello scorso campionato. Mio padre ha detto che mia madre è entusiasta delle mie prestazioni sportive, ma sopratutto ha detto che... ora mia madre vorrebbe riprendermi con lei.

Dopo undici anni? Dopo che mi ha abbandonato e non si è mai interessata di me? Solo perché sono bravo a giocare a calcio? Non ho retto, e ho iniziato a piangere, parlando con rabbia contro mia madre. Incontrarla mi sarebbe andato bene, ma andare all'improvviso a vivere con lei, senza conoscerla realmente, e con la sua nuova famiglia... Questo proprio no. 

Mio padre ha cercato di calmarmi, ma anche lui sembrava molto scosso. In fondo è stato lui a crescermi, e quella donna... mia madre non ha nessun diritto di pretendere qualcosa adesso. Quando mi sono tranquillizzato, mio padre mi ha spiegato che visto il successo della sua mostra gli è stato offerto di andare in Francia, dove la sua arte sicuramente sarà apprezzata. E per questo mia madre si è fatta avanti per permettergli di trasferirsi, mentre io sarei rimasto con lei in Giappone, dove avrei potuto continuare a giocare a calcio. Mio padre ha detto che in questo modo avrei potuto stabilirmi finalmente in una casa fissa e giocare con la stessa squadra, per sviluppare al meglio le mie doti.

Se proprio devo restare in Giappone senza mio padre, lo farei solo per tornare a giocare con te! Se ho lasciato Nankatsu è stato solo per seguire mio padre, altrimenti sarei rimasto. E ora dovrei ricominciare tutto da capo, ma senza mio padre e senza di te? Oramai sono abituato a spostarmi ogni pochi mesi, sarei disposto anche ad andare in Francia... L'unico posto che posso davvero chiamare “casa” è Nankatsu, ed è l'unica soluzione per la quale potrei accettare di restare in Giappone da solo.

Ero determinato a non accettare nessuna soluzione diversa da queste due. Fino a quando mio padre non è scoppiato in lacrime: ha cominciato a dire che per colpa sua non potevo avere una casa stabile e amici ai quali legarmi, che in tutti questi anni non era riuscito a fare niente per me. Ovviamente io non la vedo così, ma alla fine abbiamo fatto un accordo: andremo insieme a Yokohama a conoscere mia madre, e poi deciderò cosa voglio fare. 

Non lo so, Tsuby, non sono per niente convinto. Ho accettato solo perché ho visto mio padre in quelle condizioni, ma non penso di restare realmente a Yokohama. Ma non penso neanche che mio padre accetti di lasciarmi da solo a Nankatsu, anche se so che tu ne saresti molto felice. Forse, alla fine dovrò trasferirmi davvero in Francia. Non sarebbe una cattiva idea, in fondo la Francia ha vinto i Mondiali lo scorso anno... magari potrò imparare qualcosa di nuovo lì. 

Intanto domani ho la partita con la Nishimine... che probabilmente sarà la prima e l'ultima con questa squadra. E dovrò anche dire a Kazuo che non potremo vederci più... Ci resterà malissimo. Ora vado a dormire, altrimenti non sarò in forma per la partita di domani. Sarà una giornata di fuoco. Buona notte, Tsuby.

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Capitolo 53
*** Le lacrime di Kazuo ***


CAPITOLO LIII – Le lacrime di Kazuo

7 settembre 2019

Buongiorno, Tsuby. Mi sono appena svegliato: ti ho sognato questa notte. In realtà ti sogno spesso, ma il sogno di questa notte è stato tra i più belli. In realtà non lo ricordo di preciso nei dettagli, ma ricordo la sensazione che ho provato nello starti accanto, poi ricordo che eravamo abbracciati l'uno all'altro... e alla fine mi sono svegliato. Quando ho aperto gli occhi ho guardato di fianco a me, e, quando ho realizzato che non c'eri, ci sono rimasto un po' male... sembrava tutto così reale!

La giornata di oggi sarà molto lunga. Dovrò preparare le valigie, perché questa sera dovrò partire per Yokohama. Ma prima dovrò dire a Kazuo e agli altri ragazzi che sto per lasciare Katsuyama. E questo pomeriggio abbiamo anche la partita. 

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Sapevo che Kazuo non l'avrebbe presa tanto bene. Visto che mi aveva invitato anche oggi per pranzo, ho aspettato quell'ora per andare da lui. Nel frattempo ho iniziato a preparare le valigie, visto che ho poco tempo per farlo e questa partenza era del tutto inattesa fino a ieri sera. Come al solito, il signor Kodama ci ha preparato un pranzo delizioso. Questa volta, appena finito di mangiare, sono stato io a dire a Kazuo di salire sopra. Lui ha capito che dovevo dirgli qualcosa di importante.

“Cosa c'è? Ti vedo strano...”, mi dice appena entriamo in camera sua. “Devi dirmi qualcosa?”.
“Sì... Ma non ne sarai felice”, gli rispondo.
Vedo la sua faccia cambiare espressione. Chissà cosa stava pensando in quel momento... forse temeva che gli dicessi qualcosa sulla notte che abbiamo passato insieme.
“Come sai mio padre viaggia spesso per lavoro...”, stavo tergiversando. “Per farla breve, oggi è il mio ultimo giorno a Kagoshima”.
Da preoccupata, la faccia di Kazuo assume un'espressione visibilmente triste. “Per quanto tempo starai via?”, mi chiede. Non aveva ancora capito, o forse sperava di aver capito male.
“Vedi, Kazuo... intendo dire che mi trasferisco. Per sempre”.
Le lacrime cominciano lentamente a scorrere sul suo volto: “Come faremo senza di te? La squadra ha bisogno di te...”.
“Ve la caverete anche senza di me. Siete migliorati molto negli ultimi allenamenti...”.
“E come farò io senza di te?...”, ecco. A quella domanda, non sapevo esattamente come rispondere.
“Mi dispiace... non posso farci niente... mi dispiace”, provo a dirgli.
Kazuo mi guarda come per implorarmi, mentre continuava a piangere. Voleva a tutti i costi che io restassi, ma non stava dicendo più niente, sapendo forse che in realtà io non potevo farci niente. Mi siedo accanto a lui e gli metto la mano sulla spalla, cercando di calmarlo: “So come ti senti...”.
“No, non lo sai!”, Kazuo si alza di scatto allontanando il mio braccio che cercava di trattenerlo. “Non lo sa nessuno!”, grida singhiozzando.
“Calmati...”.
“Non ti importa niente! Guarda come sei tranquillo, non te ne frega niente...”.
“Mi importa, Kazuo, davvero. È solo che oramai mi è successo talmente tante volte di dover abbandonare città, scuole, amici, compagni di squadra... per questo mi vedi così tranquillo. Ma mi dispiace molto. Mi sarebbe piaciuto restare più tempo qui con te e gli altri ragazzi”.
Kazuo ora sembrava essersi calmato, si siede di nuovo accanto a me. Gli rimetto la mano sulla spalla: “Mia madre mi ha abbandonato quando ero molto piccolo, e mio padre ha sempre dovuto viaggiare per lavoro. Quindi ho cambiato città tante volte, anche dopo poche settimane. Lo scorso semestre sono stato fortunato, sono riuscito a giocare tutto il campionato con la Nankatsu. E mi manca molto Nankatsu... Quella volta ho pianto anche io, quando me ne sono andato”, gli racconto.
“Non lo sapevo... scusami”, mi dice Kazuo. “Ma tu non puoi capire cosa vuol dire per me...”.
“Lo so, Kazuo. So che ti piaccio, non solo come amico. Me ne sono accorto quasi da subito... E scusami se qualche volta ti ho evitato, non volevo farti stare male, ma non volevo neanche illuderti...”.
“Dovevo capirlo subito che non eri interessato... ma che ci posso fare... mi sei piaciuto dal primo istante, Taro... non mi era mai capito prima... soprattutto con un maschio”.
“Capisco perfettamente cosa provi, Kazuo. Anche io l'ho capito da poco”.
“Che cosa?”, mi chiede lui.
“Che sono gay. Anche a me piacciono i maschi”.
Kazuo mi guarda sorpreso: “Ho sempre pensato che a te piacessero le ragazze. Con tutte quelle che ti vengono dietro...”.
“No, a dire il vero mi piacciono i maschi. E scusami se non te l'ho detto prima”.
“Quindi ti piacciono i maschi, ma io non ti piaccio...”, mi fa notare Kazuo.
“Non è quello. È che ho già qualcuno. A Nankatsu. E mi manca da morire. Penso a lui tutti i giorni. Per questo so esattamente come ti senti ora, e mi dispiace molto”.
“Gli altri lo sanno che te ne vai?”, mi chiede.
“No, ma penso che glielo dirò dopo la partita. Devono restare concentrati. Tu non dire niente, mi raccomando...”.
“Certo, non ti preoccupare... Quindi torni a Nankatsu?”.
“No, vado a Yokohama. Dove abita mia madre... È una storia lunga. Mio padre partirà per la Francia. Devo decidere se restare in Giappone con mia madre o seguire mio padre. Io vorrei andare con mio padre, ma dovrei imparare una nuova lingua e lì è un mondo tutto diverso. Mio padre dice che per me sarebbe meglio restare in Giappone...”.
“Sei pazzo? Io fossi in te andrei subito in Francia! Tu sei bravissimo, ti prenderà sicuramente qualche squadra importante... Giocherai con Mbappé al Paris Saint-Germain!”.
“Mi piacerebbe, ma ci devo pensare bene. Terrò a mente il tuo consiglio, Kazuo. Adesso devo andare, altrimenti non sarò pronto per la partita”.
“Va bene... Mi sento che oggi vinciamo”, risponde Kazuo, confidente.
Gli sorrido. Lo abbraccio. Poi mi accompagna giù, e torno a casa.

Mi dispiace davvero molto per lui, so perfettamente come si sente. Spero di averlo consolato almeno un po'... In fondo non abbiamo passato così tanto tempo insieme, forse tra qualche settimana mi avrà già dimenticato e avrà una cotta per qualcun altro... O magari capirà che in realtà gli piacciono le ragazze. O forse no. Adesso devo prepararmi per la partita... Oggi dobbiamo vincere! Lo devo a Kazuo e agli altri ragazzi. Nishimine non sarà più una squadra di perdenti!

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Capitolo 54
*** Nishimine vs Matsura ***


CAPITOLO LIV – Nishimine vs Matsura

Tra tutte le cose che ho da fare oggi, stavo quasi per fare tardi alla partita. I miei compagni erano già tutti in campo, probabilmente preoccupati nel non vedermi. Sono arrivato giusto in tempo per scaldarmi ed iniziare la partita. Mio padre mi ha accompagnato: anche se non era una partita molto importante, ci teneva a vedermi giocare... Sarebbe potuta essere l'ultima volta per molto tempo.

I nostri avversari erano quelli del Matsura FC: non una grande squadra, ma un buon test per un team che non è abituato a vincere, come quello della Nishimine. I miei compagni speravano di vincere puntando tutto su di me, ma io sapevo che gli avversari mi avrebbero marcato con particolare attenzione, e che questo avrebbe permesso ai miei compagni di giocare più liberi. Dovevano essere loro a farci vincere la partita, non io da solo!

Come capitano, Kazuo ha caricato la squadra prima della partita. Sembrava più che mai determinato: forse anche il fatto di sapere che quella sarebbe stata la prima ed ultima partita che avrebbe giocato con me gli aveva dato una spinta in più! Mentre eravamo pronti per iniziare la partita, arriva anche Mitsuru, l'unico della squadra che mancava all'appello. A dire il vero, gli altri ragazzi non sembravano molto felici nel vederlo. Lui invece era molto entusiasta.

Kazuo, come al solito, non è stato molto gentile con Mitsuru: “Ma non ti avevo detto di non venire più?”. Anche gli altri ragazzi gli hanno rivolto frasi non proprio incoraggianti: “Ma non avevi lezione di inglese oggi?”. Mitsuru ha risposto di aver cancellato la lezione apposta per venire alla partita. Dovrebbe essere apprezzato per quello che fa, per continuare a tenere testa a sua madre e seguire la sua passione! “Sono pur sempre un giocatore della Nishimine!”, ha aggiunto.

Anziché apprezzarlo, gli altri ragazzi hanno continuato a fare commenti negativi: “Dice che è un giocatore!”, con tante risa. “Chi non si allena tutti i giorni non può dire di far parte della squadra”. A quel punto, anche l'entusiasmo di Mitsuru sembrava essersi spento. “Oramai abbiamo undici giocatori, con Misaki, quindi non giocherai”, gli dice seccamente Kazuo. “Dovresti tornare a studiare, prima che la tua mammina venga qui a gridare”, aggiunge. Mitsuru abbassa la testa per un attimo: “Va bene, allora farò il tifo dalla panchina!”. Poi mi rivolge lo sguardo: “Buona fortuna, Misaki!”.

Ero dispiaciuto per come gli altri avevano trattato Mitsuru, ma in quel momento dovevamo iniziare la partita. Magari a fine partita dico di essermi fatto male e lo faccio entrare – dico tra me e me. Tanto il resto dell'anno dovranno giocare senza di me, e Mitsuru dovrà per forza essere in campo, visto che la Nishimine non ha altri giocatori. Nel frattempo, Mitsuru si era sistemato in panchina, mentre a bordo campo tutte le ragazze della scuola gridavano il mio nome.

Non appena inizia la partita, i miei compagni dimostrano subito di non aver capito che il calcio è uno sport di squadra. Alla prima difficoltà, l'unica soluzione che trovano è buttare la palla verso di me. Come avevo previsto, i nostri avversari avevano organizzato tutta la squadra per non permettermi di giocare liberamente. È il prezzo di essere diventati famosi: oramai tutte le squadre del Paese mi conoscono e sanno come gioco, quindi sanno anche come organizzare la difesa per fermarmi. Per fortuna, i difensori del Matsura non sono tra i più forti che io abbia mai visto, quindi sono riuscito abbastanza facilmente a liberarmi di loro. Mi ritrovo subito davanti alla porta, e tutti si aspettavano che tirassi. Guardo con la coda dell'occhio a sinistra, vedo Kazuo libero. Gli passo la palla, è solo davanti al portiere. Goal!

Kazuo sembra non crederci, ha appena segnato un goal in una partita vera! Anche gli altri compagni sembrano sbalorditi. “Bel tiro”, gli dico. 
“È tutto merito tuo”, mi risponde lui. “Oggi sento di poter segnare una tripletta!”.
“Adesso non esagerare”, gli dice Tsuyoshi.
Insomma, tutto stava andando per il meglio, e dopo una mezz'ora eravamo già in vantaggio per 3-0. Le ragazze continuavano a gridare il mio nome, insieme a Mitsuru. I ragazzi della Nishimine sembravano vivere un sogno, non avevano mai giocato così bene. 

All'intervallo Kazuo ci incoraggia a continuare così anche nel secondo tempo. Mitsuru si complimenta con me e con Kazuo: “Sei davvero incredibile Misaki, vorrei tanto essere come te! Anche tu Kazuo, bel tiro!”. 
“Visto?”, gli dice Kazuo con aria di superiorità, “ma è stato tutto merito di Misaki”.
Dopo tutte le offese e le cattiverie che avevano detto nei suoi confronti, Mitsuru era ancora lì a sostenere Kazuo e gli altri. Meritava di entrare in campo.
“Hey Kazuo, facciamo giocare Mitsuru nel secondo tempo”, gli dico. Sapevo che potevo utilizzare la cotta che Kazuo aveva per me per convincerlo. Non mi avrebbe detto di no.
“Che hai detto?”, Kazuo tenta di tergiversare. “Ma no dai, non ce n'è bisogno...”.
“Ma è anche lui un giocatore della Nishimine. Ed ha cancellato la sua lezione di oggi solo per venire qui”.
Kazuo non dice più niente, ma gli altri ragazzi non avevano preso la mia iniziativa tanto bene. Nessuno sembrava disposto ad andare in panchina per fare posto a Mitsuru, oltretutto proprio in una partita che stavamo dominando.
“Se nessuno vuole uscire, vuol dire che uscirò io”, annuncio. 
“Sei pazzo!”, mi blocca Kazuo. “Di cosa stiamo parlando? Se esci tu, ci segneranno un sacco di goal e finiremo per perdere la partita come al solito!”.
A quel punto, Koji si fa avanti: “Se Misaki vuole tanto far entrare Mitsuru, posso uscire io. Ho un leggero dolore alla caviglia a dire il vero...”.
“Sei sicuro, Koji?”, gli chiede Kazuo. Koji annuisce. “Allora non abbiamo scelta, entri tu, Mitsuru!”.
Gli occhi di Mitsuru si spalancano, illuminandosi di gioia: “Davvero!”.
“Faresti bene a ringraziare Misaki...”, gli dice Kazuo.
“Grazie mille, Misaki!”, mi dice. “Non c'è di che!”, gli rispondo.

Il secondo tempo stava per iniziare, Mitsuru stava finalmente per entrare in campo. 
“Mitsuru!”, proprio in quel momento si sente la voce di sua madre. “Di nuovo qui, sei senza speranza!”, grida lei.
Quella volta, anche gli altri ragazzi sembravano stizziti. Forse li avevo finalmente convinti a considerare Mitsuru come uno di loro.
“Andiamo, facciamo ancora in tempo per la lezione”, dice la madre di Mitsuru.
Il volto di Mitsuru era nuovamente cambiato. La gioia per l'ingresso in campo si era improvvisamente trasformata in tristezza. Nel momento in cui l'arbitro fischia l'inizio del secondo tempo, Mitsuru libera violentemente il braccio dalla presa di sua madre: “Studierò questa sera, recupererò tutte le lezioni, ma adesso lasciami giocare!”.
Sua madre era talmente sorpresa da quella reazione, da non poter dire più nulla. Facciamo per entrare in campo, la madre di Mitsuru prova a rincorrerlo. In quel momento, mio padre la ferma ed inizia a parlare con lei. Oramai eravamo in campo, non potevo sentire di cosa stavano parlando, ma sono certo che mio padre le abbia fatto capire che Mitsuru ha il diritto di seguire le sue passioni, e che avrebbe dovuto lasciarlo giocare, perché il calcio è quello che lo rende davvero felice. 

L'ingresso in campo di Mitsuru non è stato dei migliori: ha subito perso la palla. Gli altri ragazzi hanno cominciato nuovamente ad assegnargli nomignoli e a fare commenti su di lui. Del resto, se non può allenarsi regolarmente per via di sua madre e se neppure i suoi compagni lo sostengono, cosa possono aspettarsi? 
Ho tentato di rincuorarlo: “Non preoccuparti, la prossima volta andrà meglio. L'importante è non mollare mai”. Dovevo fare di tutto per dargli coraggio e fiducia, e alla prima occasione avrei cercato di fargli fare un goal. “Se giocare a calcio è la tua vera passione, prima o poi riuscirai ad esprimere quello che senti sul campo... E dimostrare a tua madre che giocare a calcio è quello che ami fare”.
Mitsuru sembrava rincuorato. I nostri avversari erano in attacco, e Mitsuru, per la prima volta, è riuscito ad intervenire in anticipo, rubando il pallone. Mitsuru tira la palla il più lontano possibile, dove non c'era nessuno... corro il più velocemente possibile e riesco a prenderla, in modo da far sembrare il suo errore un passaggio lungo.
Lo incoraggio a seguirmi, corriamo insieme verso la porta avversaria. Gli avversari erano rimasti sorpresi dal nostro contropiede, era l'occasione per fargli segnare il primo goal della sua vita. Gli indico di dirigersi verso il centro dell'area. Sapevo che non avrei potuto giocare di finezza con Mitsuru. Per quanto potessi avere fiducia in lui, non aveva le doti tecniche adeguate. Così tiro il pallone il più forte possibile verso la sua testa, cercando di calcolare l'angolo giusto... Il pallone finisce dritto in faccia a Mitsuru, che però lo devia in porta. GOAL! Mitsuru aveva segnato! E tutti, da sua madre ai nostri compagni, erano a bocca aperta.

Gli altri si dirigono correndo verso Mitsuru e lo abbracciano. Finalmente era un giocatore della Nishimine a tutti gli effetti! Ero davvero felice per lui, per Kazuo e per tutta la squadra: avevamo vinto 4-0, e sia Mitsuru che Kazuo avevano segnato. Potevo lasciare Katsuyama soddisfatto.

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Capitolo 55
*** Addio, Kagoshima ***


CAPITOLO LV – Addio, Kagoshima

Avevamo vinto, tutti erano felici, e più di tutti lo era Mitsuru. Io ero felice e soddisfatto soprattutto per loro: non era certo stata la partita più importante della mia vita, ma per i ragazzi della Nishimine aveva rappresentato un passo avanti enorme. Ho aspettato un po', li ho lasciati sfogare, prima di dare la notizia.

Quando ho annunciato la mia partenza, gli animi si sono subito raffreddati. Kazuo aveva mantenuto la promessa, e non aveva detto niente a nessuno. Ma proprio per questo, molti ragazzi si sono lasciati prendere dallo sconforto, altri hanno pensato che stessi scherzano. Alcuni hanno addirittura detto che non avrebbero vinto più nessuna partita nella loro vita! Li ho rincuorati, gli ho ricordato che il calcio è uno sport di squadra e che si vince in undici. La vittoria di oggi deve rappresentare per loro solo un punto di partenza, e la dimostrazione che anche la Nishimine può vincere.

Mitsuru mi ha ringraziato e mi ha abbracciato: ora finalmente può sentirsi un giocatore della Nishimine a pieno titolo, e spero che anche sua madre capisca la sua passione per il calcio. Senza di me, la squadra avrà bisogno di lui, ed è importante che tutti i ragazzi abbiano fiducia in sé stessi e nei loro compagni. Mitsuru, Kazuo e gli altri ragazzi della Nishimine probabilmente non diventeranno mai dei giocatori professionisti, ma ora quanto meno non sono più la squadra materasso della prefettura, e possono finalmente divertirsi.

Ho salutato tutti i ragazzi, tranne Kazuo, che mi ha invitato per l'ultima volta a cenare al ristorante di suo padre. Questa volta è venuto anche mio padre, e finalmente i nostri genitori si sono potuti incontrare. Finita la cena, abbiamo lasciato gli adulti ai loro discorsi e siamo saliti sopra. Abbiamo giocato un'ultima partita alla PS e poi ci siamo dovuti dare l'addio. Kazuo era visibilmente emozionato, tratteneva a stento le lacrime: “Non pensavo che questo momento sarebbe venuto così presto”.
“Non essere triste. Dopo tutti gli addii che ho dovuto dire ho imparato una cosa: quando lasciamo per sempre qualcuno, non dobbiamo essere tristi per non poterlo vedere più, ma dobbiamo essere felici per i momenti passati insieme”.
Kazuo accenna un sorriso: “Hai ragione. Sono felice di averti conosciuto e di aver passato del tempo con te, e grazie di tutto. È merito tuo se ora la Nishimine è una vera squadra di calcio”.
“Lascio la squadra nelle tue mani”, gli ho detto.

“Taro! Dobbiamo andare!”, mio padre mi chiama dalle scale.
Ci guardiamo, ci abbracciamo. Gli do un bacio sulla guancia e corro via, senza guardare indietro. Non so cosa deve aver pensato o che espressione avesse, ma deve essere rimasto immobile, perché non ha detto nulla e non mi ha seguito. Spero di avergli fatto piacere e di avergli lasciato un bel ricordo. Quello che gli ho detto lo penso davvero: quando lasciamo per sempre qualcuno, non dobbiamo essere tristi per non poterlo vedere più, ma dobbiamo essere felici per i momenti passati insieme. Eppure, Tsuby, non posso fare a meno di sentire la tua mancanza, e mi capita ancora di piangere quando mi sento solo e ti vorrei avere qui con me. Credo che anche per Kazuo sarà lo stesso, almeno per un po'.

Lasciare Kagoshima non sarà come lasciare Nankatsu. Vedere il vulcano Sakurajima che si allontana dal treno non sarà emozionante come l'ultimo saluto al Monte Fuji da quell'autobus che hai rincorso. Qui ho avuto delle belle esperienze, mi sono divertito e ho fatto amicizia; a Nankatsu ho avuto delle esperienze indimenticabili, ho scoperto me stesso e trovato l'amore: te. Eppure, c'è sempre un velo di nostalgia quando si dice addio ad un luogo e a delle persone.

Cosa farò? Non ne ho idea. Tra poco prenderò il treno per Yokohama, e domani incontrerò mia madre. Ma voglio davvero restare in Giappone con lei, mentre mio padre andrà in Francia? No, e non l'ho mai voluto. Ho solamente accettato di fare una prova perché mio padre ha insistito tanto. Se fosse possibile, verrei subito a Nankatsu, ma non credo che lo sia. Se mio padre dovesse lasciare il Paese, mia madre potrebbe mettersi di mezzo, in qualche modo. Non so che persona sia, so solo che mi ha abbandonato e che ora, dopo che ho vinto il Campionato nazionale, improvvisamente è di nuovo interessata a me. Troppo comodo...

Quindi non so con certezza cosa farò, ma spero che mio padre capisca che non voglio restare con mia madre e con la sua nuova famiglia. In fondo, io sono Taro Misaki! Andare in Francia sarebbe una grande esperienza, anche Kazuo me l'ha detto, e sono sicuro che anche tu la penseresti così: del resto tu hai sempre desiderato andare in Brasile, e spero che presto riuscirai a realizzare quel sogno. Quindi, caro Tsuby... non penso che ci rivedremo presto, ma sono sicuro che prima o poi ci rivedremo! 

Mio padre mi sta chiamando, devo davvero andare. Lascerò questo diario qui... sperando che un giorno verrai a cercarmi e lo troverai. E sappi che ovunque andrò, sarai sempre con me, perché ti amerò fino all'eternità, Tsuby. 
Il tuo Taro.

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Capitolo 56
*** Epilogo ***


CAPITOLO LVI – Epilogo

Bussano alla porta. “Nathan, sei sveglio?”.
Era Kazuo. Non avevo dormito per nulla, avevo passato la notte a leggere e rileggere il diario di Taro. 
Mi alzo, apro la porta.
“Guarda che se non ti sbrighi perderai il treno... Ma che hai fatto? Non ha dormito?”.
Evidentemente la mia faccia era visibilmente stanca: “Ho passato la notte a leggere, non avevo sonno”.
“Non avrai... aperto il diario?”.
“Forse... o forse no”, gli dico, voltandomi dall'altra parte.
“Se hai aperto il diario me lo devi dire! Se hai il diario sai...”, Kazuo si interrompe. Mi giro nuovamente verso di lui. Mi guarda dritto negli occhi: “Sai tutto”.
“Non preoccuparti, Kazuo”, gli rispondo, dopo un attimo di esitazione. “So tutto, anche più di quello che immagini. Ma non è un problema”.
Kazuo era sconvolto, probabilmente voleva dire tante di quelle cose da non sapere da dove cominciare. Sicuramente avrebbe voluto chiedermi di leggere il diario, ma dopo quello che ci eravamo detti il giorno prima forse aveva capito che non era il caso. 
“So che vuoi leggere il diario, Kazuo, ma non è per te. Taro lo ha scritto per qualcun altro. Però una cosa puoi saperla: Taro ti considera un amico e sicuramente ti vuole bene”.
Kazuo guarda verso il basso e stringe i pugni, vedo una lacrima cadere sul pavimento: “È Tsubasa, vero? Taro ama Tsubasa. Lo dovevo capire da come giocano insieme...”.
Non rispondo, probabilmente non serviva. “Sei un bravo ragazzo, Kazuo, anche se vuoi fare il duro. Taro l'aveva capito”.
“Se ti capiterà di incontrarlo, fagli sapere che mi manca”.
“Lo farò”.



Avevo salutato Kazuo, il treno stava tornando verso Tokyo. Avrei dato il diario a Tsubasa, che mi stava mandando messaggi a ripetizione. L'avevo ignorato tutta la notte, visto che ero preso dalla lettura e non mi ero accorto delle notifiche sul telefono. E poi la mattina non avevo scritto nulla, perché non volevo farmi vedere da Kazuo, anche se oramai aveva capito...

“L'hai aperto? Hai letto?”.
“Ho letto, tra poche ore sono da te e te lo do”.
“Grazie”.



Tsubasa era venuto alla stazione di Tokyo per prendere il diario. Non avrei avuto tempo per andare nuovamente a Nankatsu, i miei genitori mi aspettavano per prendere l'aereo. Le mie ore in Giappone erano contate.

Non appena scendo dal treno, Tsubasa mi corre incontro e mi abbraccia: “Ce l'hai fatta!”.
Troviamo una panchina appartata, ci sediamo. Apro lo zaino e tiro fuori il diario. Lo consegno a Tsubasa. Lui lo guarda, lo gira e lo rigira tra le mani.
“Lo ha scritto apposta per te”, gli dico. “Ma non voglio dirti niente, devi leggerlo quando sei da solo”.
“Lo ha scritto per me? Quindi mi pensa ancora...”.
“Ogni attimo”.
“Grazie Nathan, senza di te non so come avrei fatto... Sai dov'è adesso?”.
Lo guardo, Tsubasa capisce che c'è qualcosa che non va. Esito: “Non lo so con certezza... Ma penso che non sia in Giappone”.
Tsubasa non risponde, guarda nuovamente il diario. 
“Tu e Taro siete fatti l'uno per l'altro. Sono sicuro che prima o poi vi rincontrerete, è il vostro destino. Come il destino vi ha fatti incontrare la prima volta, succederà di nuovo. E il tempo trascorso distanti l'uno dall'altro renderà quel momento ancora più bello”.
“Hai ragione, anche io penso che ci incontreremo di nuovo. Ma vorrei che quel momento fosse vicino, invece più cose scopro e più penso che non succederà presto”.
Gli metto la mano sulla spalla. Tsubasa mi abbraccia, sento una sua lacrima scorrermi sul collo. La asciuga dandomi un bacio in quello stesso punto: “Spero di incontrare di nuovo anche te”.



Le mie vacanze giapponesi erano finite, ed erano state un'avventura incredibile. Se lo avessi raccontato  a qualcuno, nessuno mi avrebbe mai creduto, e per questo ho deciso di scriverlo. Mentre l'aereo decollava dall'aeroporto di Tokyo-Narita, stavo forse vivendo quelle stesse sensazioni che Taro aveva provato tante volte, quando aveva dovuto abbandonare luoghi e amici. Intanto, ripensavo alle sue parole: non ero triste, ero felice per aver conosciuto Tsubasa e per aver vissuto quelle giornate incredibili in compagnia del diario di Taro. Chissà, forse un giorno lo incontrerò veramente, e potrò raccontargli tutto. Ma soprattutto, spero con tutto il cuore che Taro e Tsubasa possano incontrarsi nuovamente, perché così deve essere.

Credo che alla fine Taro non abbia accettato di restare in Giappone con sua madre. Sono quasi sicuro che ora si trovi in Francia, anche se non so per quanto tempo. Magari suo padre è riuscito a trovare un lavoro più stabile e non devono più cambiare città ogni pochi mesi. O forse continuano a girare per tutta la Francia. Francia... potrebbe essere una bella meta per le mie prossime vacanze.



GRAZIE A TUTTI I LETTORI DI QUESTA STORIA. LA STORIA SI CONCLUDE QUI, MA PRIMA O POI CONTINUERÀ... UN GIORNO TARO E TSUBY SI INCONTRERANNO DI NUOVO!

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