Studi di Anatomia

di T612
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** TACHICARDIA - Cause ***
Capitolo 3: *** TACHICARDIA - Sintomi ***
Capitolo 4: *** TACHICARDIA - Cura ***
Capitolo 5: *** PSICOSI - Cause ***
Capitolo 6: *** PSICOSI - Sintomi ***
Capitolo 7: *** PSICOSI - Cura ***
Capitolo 8: *** ASFISSIA - Cause ***
Capitolo 9: *** ASFISSIA - Sintomi ***
Capitolo 10: *** ASFISSIA - Cura ***
Capitolo 11: *** TRACOLLO - Cause ***
Capitolo 12: *** TRACOLLO - Sintomi ***
Capitolo 13: *** TRACOLLO - Cura ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Pairing: Bucky/Natasha, Steve/Sharon, Tony/Pepper [+ Morgan]
Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.
Disclaimer: l'autore non scrive a scopo di lucro, i personaggi appartengono a chi di diritto.

 

Signori e signore siamo giunti all’atto finale: il “Quarto Progetto Mastodontico”!
Inizialmente quest'ultimo progetto conclusivo non era preventivato, ma ho avuto la fortuna/disgrazia di reperire giusto un "paio" di albi a fumetti riguardo a quel meraviglioso personaggio che è Natasha Romanoff (tra gli altri) ed ho iniziato ad ipotizzare la sua probabile sorte nel suo film stand-alone… e chi sono io per non ricamarci sopra giusto un "paio" di righe ed assecondare un bel po' di headcanon? Inutile dire che non terminerò mai di pubblicare entro l'uscita in sala (ho pianificato un aggiornamento ogni due settimane, giorno più giorno meno), quindi il mio esperimento vuole essere un palliativo per diluire l'attesa ed una sfida personale per indovinare la trama con qualche settimana d'anticipo (dato che la sinossi è già scritta per intero nei meandri del mio computer)… ovviamente più "in grande" e con una trama legata ai tre Progetti precedenti presenti nel
M.T.U., ma vi assicuro che la storia è tranquillamente godibile singolarmente (eventualmente specifico “varie ed eventuali” nelle note a piè di pagina).
Se siete curiosi credo troverete pane per i vostri denti, nel mentre io vi lascio qui sotto un mini-riassunto (con il minor numero di spoiler nel caso vogliate recuperare le altre parti) per facilitarvi la lettura ;)
_T

 

Nelle puntate precedenti:
Nella Stanza Rossa vige la regola che tutte le Vedove Nere entro i trent’anni devono diventare degli agenti operativi, è il 1956 e Natalia Alianovna Romanova ha a malapena ventotto anni quando le comunicano che deve sottoporsi ad un altro piccolo perfezionamento sotto la guida del Soldato d’Inverno prima di diventare anch’essa una macchina di morte perfetta… ciò che i Capi non avevano previsto è che rinchiudendo due armi di distruzione di massa nella stessa stanza si gettavano i presupposti perfetti per una rivolta sanguinosa, soprattutto se Tania Belinsky ha ricevuto l’ordine dalla Zarina in persona di costruire delle Fondamenta demolibili – nascondendole in bella vista insieme ad un cadavere di nove settimane di cui il Soldato non sa tuttora nulla – e sulle teste di James e Natalia incombe un matrimonio combinato con un certo Alexei Shostakov, il Guardiano Rosso.
La catastrofe era annunciata quanto inevitabile, ma in tutti gli anni a venire non ci sono stati vuoti di memoria incolmabili al punto da farli desistere a cercarsi… e per Natasha è davvero surreale scoprire nel 2014 che il suo James – il fantasma del famigerato Soldato d’Inverno – è anche il fantomatico “Bucky” di Steve.
Si suppone che cercarlo in due sia un po’ più facile, ma la caccia all’uomo si deve interrompere bruscamente quando la Sokovia spicca il volo e nel giro di qualche mese sul tavolo delle trattative appare un minaccioso “Atto di Registrazione” che divide in due quella stramba famiglia di soggetti psicolabili che sono gli Avengers… ma non occorre troppo tempo per capire che nel bel mezzo di quella baraonda istigata di proposito, i Capi superstiti avevano alzato la testa per dare battaglia. Ciò che nessuno di loro aveva previsto era che gli Avengers scendessero dai propri piedistalli ed istituissero un chiarimento al retrogusto di pace illusoria, ma la quiete come sempre ha breve durata perchè la scossa di assestamento era calcolata e serviva solamente a preparare il colpo di grazia, sfatando gli altarini quando James Buchanan Barnes viene chiamato alla sbarra per tentare di giustificare un increscioso curriculum rosso sangue, eletto dai Capi a prima tessera del domino per demolire l’Impero dall’interno come progettato dal Barone Zemo… chiudendo tuttavia il sipario su una sentenza miracolosa di non colpevolezza.
“Tagli una testa e ne spuntano due” è un motto che James e Natasha conoscono fin troppo bene e di cui hanno malauguratamente imparato il significato a proprie spese, non importa se ora condividono un appartamento a Parigi e si litigano le fusa di un gatto nero opportunista… Zemo sarà anche morto, ma ha lasciato un’eredità ed un piano da portare avanti dalle briciole di pane agguerrite disperse sull’atlante geografico.
Il Barone ha studiato le sue cavie troppo a lungo per non sapere esattamente dove attaccare e come infierire, nonostante i soggetti analizzati sappiano come difendersi… i Capi non sono particolarmente entusiasti del dover cambiare nuovamente gestione della Stanza Rossa, ma accusano il colpo in silenzio sepolcrale quando la Zarina e il Soldato riescono a togliere i paraocchi anche ad una fedelissima come Yelena Belova.
Gli incidenti di percorso capitano… ma ad un passo dalla soluzione del Problema Finale la scacchiera cambia di nuovo ponendo nuove pedine in gioco, e con il passare dei mesi ciò che inizia a preoccupare davvero gli Avengers è che dello Scacco Matto non si vede ancora l’ombra.

 

PROLOGO



 

Non si è mai interrogata sul concetto di esistenza, né su quello di vita, morte, coscienza, anima, ragionamento, giusto o sbagliato. 

Non ne ha mai avuto motivo o modo, limitandosi ad assecondare i desideri di chi aveva la capacità di ghermirla ed acconsentendo o meno nel siglare progetti rivoluzionari con la propria firma energetica… ma ora che apre letteralmente gli occhi e si ritrova a rispondere istintivamente a così tante richieste date dal semplice atto di respirare ossigeno auto-alimentando il proprio corpo – la propria vita –, la spinge ad osservare il mondo assalita da una confusione difficile da assimilare e quasi impossibile da catalogare correttamente. 

Non si supponeva dovesse pensare – respirare, parlare, vivere –, prima. 

Le persone intorno a lei urlano, corrono, digitando frenetiche contro delle scatoline nere che sembra debbano esplodere da un momento all'altro da quanto trillano ordini in risposta… ed è quasi strano vedere un uomo di mezza età abbassarsi sui talloni sorridente stonando con la bolgia in delirio alle sue spalle, sorprendendosi di riuscire a capirlo quando le parla in inglese ribattezzandola Kobik e le annuncia di chiamarsi Erik Selvig, spiegandole che c'era stato un incidente con un raggio di fotoni mal calibrato che aveva colpito trasversalmente il Tesseract, generando un comportamento irregolare che aveva creato una micro-frattura sulla superficie del Cubo, dando vita alla scheggia che aveva fatto impazzire le centraline evolvendosi in una forma organica che aveva donato la vita a Lei. Sono concetti difficili da assimilare al punto che richiedono una triplice spiegazione di grado sempre più semplice, fino a quando Kobik è in grado di comprenderlo per davvero e riesce da sola a saperlo ripetere a terzi: lei era un esperimento, una mera casualità, una anomalia… un miracolo della vita nel Cosmo.

C'erano volute un paio d'ore prima che si palesassero le due persone che l'intera sezione scientifica aspettava con ansia attaccata alle scatole nere che Kobik aveva saputo denominare "telefoni cellulare" solo in seguito, presentandosi a lei come Maria Hill – una donna dal sorriso forzatamente smagliante che tuttavia non era riuscito a scaldarle lo sguardo di panico gelido – ed un uomo burbero con una benda sull'occhio che la osservava diffidente come se lei potesse esplodere da un momento all'altro, sgridando Erik a denti stretti prima di porgerle una mano e condurla fino ad una scatola di latta su quattro ruote, portandola al cospetto di un uomo alto e biondo che le aveva detto di chiamarsi Alexander Pierce… il Capo del Pirata era simpatico, aveva un sorriso rassicurante e le aveva promesso una nuova casa in cui crescere, tranquillizzandola dicendole che i Doni del Cosmo avevano un posto speciale in famiglia, che era solo questione di ritagliare un posto speciale anche per lei nell’Era dei Miracoli.

Kobik non capisce davvero cosa voglia dire Alexander con quella strana espressione, ma le sembra di comprenderlo un po' meglio quando vede alla TV dei draghi di metallo piovere dal cielo mentre un bestione verde si arrampica sui palazzi e ruggisce come i dinosauri per giocare con i suoi nuovi amici, indicando lo schermo affascinata al signor Zemo ottenendo un piccolo sorriso prima di vederlo pigiare il tasto di spegnimento sul telecomando ed ordinarle in tedesco di tornare a giocare con le Barbie, addolcendole la pillola promettendole delle bambole reali con cui divertirsi se si comporta bene… anche se "comportarsi bene" è un concetto dai parametri labili che non capisce del tutto, scorrazzando indisturbata per tutto il perimetro del Castello sotto l'occhio vigile ed il sorriso dolce di Elisa, libera di sfruttare i propri poteri appieno a patto che non ferisca i suoi protettori, ma ciò non basta a rendere tollerabile la sua permanenza in Germania con Zemo e la madre, con una curiosità morbosa difficile da ignorare per il mondo che le è permesso di vedere solo attraverso le inferriate alle finestre che si affacciano su chilometri di nulla ed il piccolo schermo della TV. 

Pierce dice che è più sicuro così, le rare volte che va a farle visita e finge di prendere il the con lei e i suoi peluche, assicurandole che finché lei rimane al sicuro tra le mura del Castello il Pirata non può trovarla e non può rinchiuderla nella Torre scintillante che continua a vedere sul piccolo schermo, assediata giorno e notte da un esercito di draghi metallizzati dalla forma umanoide che le fanno tremare ogni volta le ossa quando si risveglia da incubi fin troppo vividi o sente sussurrare il nome "Stark" o "Avengers" lungo i corridoi della reggia del Barone Zemo… ed i giorni passano con lentezza esasperante nonostante i suoi tutori la ricoprano di giocattoli sempre nuovi, evitando di interrogarsi sul perchè ogni 365 giorni Elisa le prepari una torta al cioccolato e si ostini ad accenderle esattamente quattro candeline, intrecciando le dita in mezzo ai suoi lunghi capelli bianchi per poi baciarle il capo chiamandola “la mia piccola Peter Pan” – non che quella sia una associazione difficile da fare, dopotutto vive anche lei in un posto talmente isolato che potrebbe tranquillamente non esistere, può volare anche senza credere nelle fate e deve nascondersi e combattere contro la ciurma guidata da un Pirata.

Come ogni nuovo anno compiuto di quel suo orologio biologico fermo, Kobik desidera mettere il naso fuori dai cancelli della reggia od ottenere il permesso negato di teletrasportarsi all'esterno, ma Zemo non transige e le ricorda i termini del tacito accordo che hanno stretto all’inizio di quella avventura, sorridendo quando lei annuisce in risposta. 

Deve solo “comportarsi bene”… non deve essere troppo difficile.

 

***

 

«Vuoi farmi felice? Li aggiusteresti?» le chiede Zemo con un sorriso incoraggiante sulle labbra, indicandole una ragazza dalle dita magiche ed un ragazzo che rimbalza contro i muri della sua cameretta di vetro e pietra. «Hanno bisogno di assimilare il loro Dono.» 

Kobik gli sorride di rimando, euforica per essersi "comportata bene" al punto che Zemo non solo le ha recapitato le bambole con cui giocare che le aveva promesso, ma le ha anche concesso una gita fuori porta fino in Sokovia come premio. Passa l'intero pomeriggio a giocare all'Allegro Chirurgo con i Gemelli, estraendo i ricordi inutili stando attenta a non far suonare le pareti della loro scatola cranica, inserendone di nuovi plasmando per loro una nuova realtà che dipingeva i loro Doni come un qualcosa di innato, genetico, naturale e per nulla spaventoso. 

Per i gusti di Kobik la gita in Sokovia risulta fin troppo breve, sulla strada del ritorno prova speranzosa a farlo notare a Zemo, ma l'uomo la mette di fronte alla triste realtà che quella gita era da considerarsi un caso isolato perché la ciurma del Pirata stava continuando a compiere razzie in giro per tutto il mondo, evitando di nasconderle che nessuno di loro poteva considerarsi al sicuro, ma rassicurandola dicendole che si stava già adoperando per risolvere il problema sfidando l'intera ciurma del Pirata ad una complessa partita a scacchi su larghissima scala. 

Kobik non ha mai giocato a scacchi, né nessuno le ha spiegato mai le regole, ma pensava avesse delle dinamiche semplici come le sue bambole… ed è oltremodo impreparata quando gli Avengers si portano in vantaggio e rischiano di dichiarare lo Scacco Matto eliminando Zemo stesso dalla scacchiera, obbligando Elisa a prendere le redini della partita. La bambina non ricorda molto dei giorni a seguire, complice la vista appannata di lacrime e l'interesse carente nei confronti del mondo al di fuori della sua bolla di tristezza, sa solo che di punto in bianco si ritrova a vivere in un Castello a Madripoor [1], dove le mura della sua cameretta confinano con quelle del padrone di casa – l'Alleato della sua matrigna, un uomo d'affari giovane e bello con un sorriso dolce quanto lo zucchero delle caramelle, al punto da storpiarne il nome e ribattezzarlo Candy –, condividendo il tetto con un Soldatino di latta dall'uniforme rossa ed un Orso di peluche a grandezza naturale [2], entrambi riesumati dal freezer di un regno ghiacciato chiamato Siberia e definiti "l'Artiglieria Pesante" dalla stessa Elisa – infuriata e sconvolta per la perdita del figlio –, giurando vendetta contro chi glielo aveva portato via tra le mura domestiche, ma proclamandosi garante della pace dall'alto del podio dove Candy la incorona pubblicamente Regina. 

Le settimane a Madripoor sono un accavallarsi di giorni dalla durata fluida, dormendo sonni tranquilli stesa di traverso sulla pelliccia morbida di Mikhail e giocando sullo sfondo di cieli tersi con Alexei, ascoltando volentieri le favole che gli racconta quest'ultimo quando lo lasciavano uscire dalla sua cameretta dalle pareti in gommapiuma e si ripuliva dal mix nauseante composto da vodka e farmaci. I due uomini erano stati istituiti a suoi tutori dalla stessa Elisa, troppo impegnata alla scalata al potere per badare a lei, trascorrendo volentieri le giornate stesi tutti insieme sul tappeto della sua cameretta a disegnare, bere the e comporre puzzle, mantenendo costantemente la TV accesa alternando i notiziari in inglese, francese e cinese ai cartoni animati – era diventata la stanza preferita di Mikhail e Alexei quando lei aveva minacciato Candy ed Elisa di scoppiare a piangere scatenando una tempesta telecinetica se non toglievano dalla sua camera microfoni e telecamere, ottenendo il permesso a patto che ci fossero sempre due guardie alla porta per controllare l'operato dei suoi tutori, trovandola una richiesta ragionevole dall'alto dei suoi eterni quattro anni. 

«Alexei, cosa stai facendo?» chiede Kobik confusa scegliendo di comunicare in lingua slava quando lo vede imprecare in russo pigiando i tasti del telecomando con una concentrazione tale che si confaceva più al disarmo di una bomba piuttosto che al semplice zapping, sollevandosi appena dal fianco peloso di Mikhail improvvisato come schienale nell'ultima mezz'ora, cercando il movente per cui l'uomo aveva abbandonando i pastelli e si era accanito di punto in bianco contro il telecomando del televisore. 

«Spera di trovare un notiziario, piccola… oggi pronunciano la sentenza.» le spiega Mikhail con un tono di voce a metà tra il russo ed un bramito, indicando lo schermo con una zampa. «Alexei è leggermente irritato perché il tuo televisore ha una pessima ricezione della CNN». 

Kobik sbuffa chiudendo gli occhi concentrandosi, non le piace quando i suoi compagni di giochi sono irritati o tristi, sfruttando i suoi poteri per risintonizzare la parabola ripristinando il segnale, facendo comparire sullo schermo l'immagine in chiaro sotto lo sguardo allibito di Alexei, che le sorride grato in risposta. 

«Perché guardiamo i telegiornali? Sono noiosi.» afferma la bambina con un secondo sbuffo nella speranza di sentire uno dei due chiamarsi d'accordo con lei, ottenendo il permesso per cambiare canale e risintonizzare il televisore sui cartoni animati… i notiziari la innervosivano, Elisa e Candy non erano mai felici quando le guardie riferivano loro che li sorprendevano a guardarli. 

«Le guardie non capiscono ad orecchio la differenza tra l'inglese di un cartone animato e l'inglese di un giornalista, sono qui solo per ascoltare di cosa parliamo io e Alexei, finché non diciamo nulla di compromettente possiamo stare tranquilli.» afferma l'orso con nonchalance in russo per non farsi capire chiaramente dalle sentinelle alla porta, ottenendo un sibilo che intimava silenzio da parte del Guardiano quando inquadrano la ressa scalpitante di giornalisti davanti al Palazzo di Giustizia in Georgia, mentre Kobik trattiene appena il fiato coprendosi il volto con le mani quando vede Tony Stark apparire sullo schermo. 

«Non avere paura dell'Uomo di Latta, piccola… ci sono mostri peggiori al mondo.» la tranquillizza immediatamente Mikhail appena percepisce il suo fremito contro il fianco.

«Elisa dice che l’Uomo di Latta è senza cuore.» afferma convinta, premendosi i palmi contro le orbite con ancora più forza fino a vedere le stelline danzare all’interno delle sue palpebre chiuse, assecondando quel buffo gioco impostole dai due uomini nell’usare dei nomi in codice per indicare le Pedine di Elisa quando apparivano sullo schermo.

«Elisa sbaglia, la vedi la lampadina azzurra?» la riprende Mikhail con tono conciliante, sfiorandole le mani con il dorso della zampa per evitare di ferirla con gli artigli, osservando le immagini trasmesse sullo schermo attraverso le fessure tra le dita mettendo a fuoco la luminescenza azzurrina che si intravedeva da sotto la camicia. «Ce l’ha un cuore, è che di solito si comporta come se fingesse di non averlo.»

Kobik assimila l’idea tornando a sdraiarsi contro la pelliccia di Mikhail, tuffando il naso contro il pelo al profumo di shampoo talcato, sollevando la testa curiosa quando si aprono le porte del Palazzo di Giustizia ed appare sullo schermo un uomo dai capelli castani fiancheggiato da una donna bellissima dai boccoli rossi.

«Mikhail, chi sono loro?» indica il televisore interdetta, puntando gli occhi cerulei sul banner in sovrimpressione che non cambia la dicitura sul luogo fornendole informazioni sui diretti interessati, affascinata dalla novità di due volti che non riusciva ad identificare come amici o nemici… lasciando che la voce del giornalista sfumasse, ammaliata dal sorriso luminoso di lei e completamente rapita dal modo in cui lui cambiava espressione di riflesso ogni volta che posava lo sguardo sulla donna, come se lei incarnasse l'unica fonte luminosa al mondo. «È una principessa? Stanno dicendo che il Principe l’ha salvata dalla fortezza del drago?» 

Kobik non capisce, il giornalista usa parole strane come “processo” e “sventato ergastolo” mentre spiega come il Soldato d'inverno sia evaso durante la sospensione del verdetto per lanciarsi in soccorso dell'agente Romanoff, ed il fatto che entrambi i suoi compagni di giochi si siano ridotti in religioso silenzio di fronte all'apparizione della donna non fa altro che contribuire ad aumentare il suo stato confusionale. 

«Mikhail… chi sono?» insiste la bambina afferrando ed iniziando a scuotere la zampa dell'orso, intestardendosi nell'ottenere una risposta che evidentemente interessa anche ai giornalisti in TV, che lasciano perdere il verdetto della Corte e partono alla carica intravedendo uno scoop succulento da prime pagine, chiedendo ai due sconosciuti da quanto si conoscono e se hanno una relazione, se questa presunta "relazione" immediatamente confermata dai diretti interessati aveva contribuito o meno nella permanenza di Barnes tra le fila dello SHIELD… e Kobik non capisce, non sa nemmeno cosa significhi "avere una relazione", riuscendo però a dedurre che deve essere qualcosa di bello perché il sorriso del Principe quando guarda la Principessa le smuove qualcosa di caldo nella pancia. 

«Cos'hai detto, piccola? Scusami, mi sono distratto…» rinsavisce Mikhail baluginando le zanne in un sorriso, sollevandosi sui gomiti cercando Alexei con lo sguardo. 

«Ti ho chiesto chi sono… se il Principe ha salvato la Principessa dalla fortezza del drago.» 

«Semmai è lei che ha salvato lui.» interviene Alexei senza essere stato interpellato direttamente, voltandosi nella loro direzione con uno sguardo tumultuoso ed un tono di voce duro come una lastra di ghiaccio. «Comunque no, lei non è una principessa Kobik, è la Zarina… e lui è un grandissimo figlio di p-..

«ALEXEI, non davanti a Kobik!» lo riprende Mikhail con un mezzo bramito, ottenendo in risposta un verso a metà tra la scocciatura e la rabbia. «Non ascoltarlo, è solo arrab-… »

«Non sono arrabbiato.» lo interrompe Alexei a metà frase rimarcando sull'ultima parola come fosse un insulto, fulminandolo con uno sguardo che suggeriva esattamente il contrario. 

«Allora cosa sei? Preoccupato… o geloso?» 

«Fa differenza?» replica bisbetico assottigliando lo sguardo, per poi spalancare gli occhi e portarsi un indice alle labbra avvertendo lo scalpiccio degli anfibi delle guardie che si avvicinano alla porta. «Kobik, ti dispiace…?» 

Le note altisonanti di Rhapsody in blue riempiono la stanza quando Kobik risintonizza il segnale del televisore, allacciando la trasmissione sul canale della VHS in pausa nel mangianastri in un battito di ciglia, puntando lo sguardo sui profili frenetici di New York che si disegnano nota dopo nota. 

«Scusate, il volume è troppo alto?» si schiarisce la voce il Guardiano masticando un inglese sporcato da una pesante cadenza slava nel tentativo di farsi comprendere meglio dalle guardie, afferrando il telecomando facendo colare a picco le note di Gershwin pigiando sul pulsante del volume, lasciando i due intrusi spaesati di fronte allo schermo che trasmetteva la sequenza musicale di Fantasia 2000. «Ci dispiace, davvero, ma Kobik ha un debole per la musica jazz.» 

La bambina sorride imbarazzata camuffando la mezza bugia, salutando con la manina quando le guardie armate si dileguano una volta appurato il falso allarme, concedendo un respiro trattenuto di sollievo ad entrambi i suoi tutori. 

«Non hai risposto alla domanda, Alexei.» ritenta Mikhail con un sussurro a distanza di qualche secondo, caparbio nel non perdere lo snodo principale della discussione lasciata in sospeso. 

«Credi davvero che non ci sarà nessun tipo di conseguenza dopo questo?» lo interroga il Guardiano dopo un leggero tentennamento, indicando con il telecomando lo schermo soffocando la tacca di vaga preoccupazione nella voce aumentando il volume dell'orchestra – che accompagna con un picco sonoro assordante le figure concitate dei due genitori che salvano la bimba dal traffico –, ma alludendo al depistaggio amoroso proferito sui gradini del tribunale. «Ora lo sanno, lo sanno tutti… lei è appena diventata un bersaglio. Di nuovo.» 

«Lo è sempre stata… e che la cosa ti piaccia o meno, sono appena diventati anche il nostro biglietto di uscita da qui Shostakov.» afferma l'orso con un tono di voce che si sforzava di essere ragionevole, limitandosi a sfiorare l'argomento con le pinze per non spingere Alexei ad urlare e richiamare indietro le guardie nonostante il volume assordante del televisore… e Kobik non capisce, ma viene colta dalla netta sensazione di assistere allo scasso di un forziere composto da segreti maledetti. 

«Taci.» sbotta precipitosamente Alexei, irritato nel sentirsi sottolineare quella verità palesemente scomoda, alzandosi dal tappeto e scappando dalla conversazione senza proferire parola. 

Il silenzio che segue l'uscita di scena del Guardiano viene colmato dalla sequenza musicale successiva, lasciando che le note calzanti di Šostakovič riempiano la stanza, mentre Kobik svicola con lo sguardo cercando le parole adatte per porre il mare di domande che hanno iniziato ad assillarla nell'ultimo quarto d'ora, perdendosi in contemplazione dello schermo seguendo le vicende del Soldatino di Stagno che corteggia la Ballerina sotto lo sguardo furioso del Pupazzo a molla. 

«Eccoli.» afferma Mikhail di punto in bianco puntando un artiglio contro il televisore, dando voce alle sue domande ancora inespresse. «Mi hai chiesto chi sono i due sconosciuti, no?» 

«Il Soldatino e la Ballerina?» chiede conferma Kobik ottenendo un cenno affermativo da parte dell'orso, cercando di vedere oltre la storia che scorreva sullo schermo un fotogramma alla volta.

«Prima al telegiornale abbiamo visto la nota finale, il Soldatino è finalmente riuscito a tornare dalla Ballerina… sono decenni che si inseguono a vicenda.» le spiega Mikhail dolcemente con un sorriso impresso sulle fauci. «Alexei è arrabbiato perché a causa loro è rimasto intrappolato sotto un bicchiere di vetro.»

«Oh… ma è libero ora, é qui con noi.» riflette Kobik ad alta voce, restando interdetta quando l'orso bruno scuote la testa in segno di dissenso. 

«Non tutte le prigioni hanno le sbarre, piccola… non ti chiedi mai perché non puoi uscire dal Castello?» la interroga scoccandole un'occhiata eloquente, facendo germogliare nella sua testa un punto interrogativo di difficile risposta, zittendosi da sola quando le sovviene alle labbra la labile giustifica di nascondersi dall'Uomo di Latta senza cuore… perché l'ha vista prima, la lampadina azzurra, iniziando a muovere gli ingranaggi del proprio cervello verso la soluzione del rompicapo. 

«Mikhail… il Soldatino ha ucciso il Pupazzo a molla e ha salvato la Ballerina, vero?» chiede titubante insicura di ricevere risposta, mentre le pareti della sua cameretta rosa pastello sembra vogliano chiudersi su di lei tingendosi di rosso. 

«Si, uno dei tanti… il problema è che il Pupazzo a molla cambia volto ogni volta.» afferma con tono grave, spazzando via la tensione baluginando un sorriso rassicurante. «Ma non devi preoccupartene, Kobik… ci siamo io ed Alexei a proteggerti dal Pupazzo, finchè starai con noi non può farti del male, ci siamo capiti?»

«Non dovrei dirlo a Candy ed Elisa?» chiede la bimba innocentemente, cercando nel suo piccolo di rendersi utile. «Se è pericoloso come dici non sono al sicuro nemmeno loro.»

«Loro sono grandi Kobik, sanno badare a loro stessi… e hanno già tanti problemi per la testa a cui pensare, fare il Re e la Regina è un lavoro faticoso.» la convince accarezzandole una guancia con il dorso della zampa, annuendo in risposta perchè non vuole rattristarli più del dovuto rendendoli partecipi di un pericolo che può essere tranquillamente tenuto a bada dal Guardiano Rosso. «Sarà il nostro piccolo segreto, me lo prometti?»

«Promesso, croce sul cuore.» 

 

***

 

Passano i giorni e nonostante la questione possa considerarsi un capitolo chiuso, Kobik non può fare a meno di pensare a ciò che si era lasciato sfuggire Alexei, ritrovandosi a riflettere più del dovuto su quelle "conseguenze" inevitabili di varia natura legate all'annuncio del ritorno alla ribalta del Soldatino e la Ballerina, intravedendo il defilarsi di un'ombra malevola quando Elisa stessa riesce a ricavare mezza giornata dalla sua densa agenda politica per un paio di partite al gioco dell'oca, approfittando dell'occasione per spiegarle che l'arrivare al traguardo con il perfetto numero di lanci di dadi era pressoché impossibile, che nel corso della partita potevano sempre capitare degli imprevisti, ma che da tali errori si poteva sempre imparare e capire quali erano i trucchi migliori per sopravvivere e vincere. 

Kobik aveva capito solo in un secondo momento cosa intendesse Elisa con quelle parole, osservando da sopra la spalla di Alexei l’esercito di bambine che aveva assediato la palestra da un giorno all’altro dopo il tradimento di Yelena Belova, stringendosi di più nell’abbraccio protettivo del Guardiano Rosso che la teneva a distanza di sicurezza da Usenko e dalle bambole assassine, vedendosele brutalmente precluse come potenziali compagne di giochi sia dai suoi tutori che dal nuovo addestratore… ed era finita per far arrabbiare Mikhail ed Alexei materializzandosi a tradimento in palestra o nelle camerate delle ragazzine per giocare di nascosto, scoprendo il come i lettini si svuotassero regolarmente e venissero riempiti da facce sempre nuove portate all’Accademia da Anya – eletta a nuova pupilla di Candy –, sentendosi ripetere dai suoi tutori la solita ramanzina sul non doversi affezionare a nessuna di loro perchè capitava fin troppo spesso che le bambine raggiungessero l’infermeria e non tornassero più indietro, perdendo interesse per quegli agguati improvvisati nel giro di un paio di settimane e, per sommo sollievo di Mikhail ed Alexei, era ritornata a giocare con i suoi nuovi peluche – procuratole da quest'ultimo in uno dei tanti viaggi di ritorno dalle missioni per conto di Candy – come se le intruse non esistessero.

La musica era cambiata di nuovo quando le guardie avevano trascinato al Castello la carcassa di un uomo dalle ossa talmente spigolose che sembrava dovessero bucargli la pelle da un momento all’altro, seguendo Candy fino al nuovo laboratorio edificato nella dependance della reggia, tranquillizzando il nuovo ospite giocando con lui all’Allegro Chirurgo, per poi fare spazio a Mikhail ed osservarlo mentre stringeva le cinghie del sedile in cui avevano fatto sedere la nuova Pedina di Elisa, camuffando gli occhi lucidi e perdendo i solchi delle lacrime tra la pelliccia bruna nel vedere il come era stato ridotto un suo simile.

«Perchè sei triste?» chiede Kobik senza troppi giri di parole con voce sottile mentre la scorta di persona lungo i corridoi fino alla sua camera, sentendosi scombussolata dall’onda anomala di tristezza che l’orso le riversa inconsapevolmente addosso, afferrandogli d’istinto una zampa in un vago tentativo di conforto volto a contrastarla.

«Perchè mi manca giocare con te, piccola… odio il mio lavoro, ma il Pupazzo a molla non mi concede molte altre alternative.» ammette con un sussurro stringendo gli artigli a pugno, accarezzandole la testa con la zampa libera quando coglie un lampo di paura nei suoi occhi cerulei nel sentire nominare il vero cattivo della loro storia. «Non ti devi preoccupare Kobik, io ed Alexei ci stiamo occupando di tutto… ma non bastiamo più, è giunta l’ora che Shostakov metta da parte l’orgoglio, i risvolti peggiori sono dietro l’angolo e non possiamo più farcela da soli.»

Kobik ammutolisce ed evita di esternare i propri dubbi a voce alta, consapevole di non essere al sicuro tra le mura della propria camera, serbando domande fino alla soglia della propria stanza unicamente per vedere Mikhail inginocchiarsi ai suoi piedi e ribadire di fronte alle guardie armate che la favola del Soldatino di Stagno gliela racconta un’altra sera perchè Alexei lo aspetta per cercare le coordinate di un Archivio di fondamentale importanza. Agli occhi di Kobik tale informazione non aveva avuto molto senso a primo acchito, ma aveva raggiunto la soluzione al codice segreto solamente dopo essersi seppellita sotto le coperte, scacciando le ombre minacciose che si annidavano negli angoli angusti della sua cameretta rosa pastello, addormentandosi con il sorriso impresso sulle labbra al pensiero che il Soldatino e la Ballerina si sarebbero sicuramente alzati a paladini contro le forze del male orchestrate dal tanto temuto Pupazzo a molla… ma alla bambina occorrono un altro paio di giorni per comprendere seriamente in che razza di guai si stiano andando a cacciare i suoi tutori, sorprendendo alle spalle un Alexei intento a spiare l’andirivieni di medici che si accanivano senza sosta su un sarcofago aperto al centro della stanza dove avevano confinato l'ultimo ospite di Elisa, fissando allibita la donna che ne era uscita. 

«Voglio diventare grande anch'io!» esclama ottenendo un sibilo che intimava silenzio in risposta, limitandosi ad indicare energica il corpo adulto di Anya che si aggirava indisturbato nel laboratorio rigirandosi una lama tra le dita come a sottolineare quel dato di fatto straordinario, venendo strattonata lontano dal vetro dal Guardiano Rosso prima che possa assistere all'uccisione della versione di Anya bambina, stesa inerme sul tavolo operatorio affianco a quello dal quale si era appena alzata la sua fotocopia adulta. 

«Alexei, lasciami, mi stai facendo male!» tenta di dibattersi puntando i piedi per bloccarlo sul posto senza ottenere un qualche risultato, venendo trascinata quasi di peso dall'uomo lungo i corridoi alla disperata ricerca di Mikhail. «Mi hai sentito? Ho detto-...» 

«Sì, ti ho sentita Kobik… e tu puoi crescere, è che non vuoi, come Peter Pan.» la zittisce il Guardiano bruscamente, scartando l'appiglio al pensiero randomico fornitole dall'uomo, preferendo focalizzarsi sulla figura di Mikhail che stazionava davanti alla porta della sua camera tentando di farsi dire dalle sentinelle armate il dove diavolo si fosse andata a cacciare, voltandosi fulmineo quando Alexei richiama l'attenzione di tutti i presenti. «Sei qui Ursus, ti ho cercato ovunque… l’hai trovato? Era dove pensavamo?»

«Sì, ti cercavo anch'io, speravo fossi con Kobik…» afferma Mikhail eludendo il termine della frase trattenendo un sospiro di sollievo, abbassandosi all’altezza della bimba baluginando le zanne in un sorriso, ma sollevando uno sguardo euforico su Alexei. «Ho sistemato l’Archivio, era parecchio impolverato, ma non avranno problemi a trovarlo se sanno dove cercare.»

«Bene… giusto in tempo, l’esperimento è riuscito Mikhail.» confida il Guardiano Rosso scuro in volto, sopprimendo repentinamente l’abbozzo di un sorriso alla notizia del riuscito ritrovamento dell’Archivio. «Ti occupi tu di lei? Devo sistemare l’ultimo paio di cose...»

«Nessun problema, vai.» concede Mikhail allungando una zampa nella sua direzione per accarezzarle una guancia, abbandonandosi alla coccola sorridendogli a sua volta chiedendogli il perchè stava cercando lei ed Alexei con così tanta urgenza. «Ho mezz’ora libera, piccola… e ti avevo promesso una favola, no?»

«Finisci di leggermi quella del Soldatino di Stagno?» chiede con gli occhi che scintillano, afferrando la zampa di Mikhail e facendo cenno alle guardie di lasciare loro libero l’accesso alla porta della propria stanza. «Oppure me ne leggi una nuova?»

«Una nuova, Alexei è stato a Praga nell'ultimo paio di giorni, ha trovato una libreria sul viaggio di ritorno e ti ha preso un libro illustrato su una VHS che non hai.» le spiega reperendo il tomo in questione da una pila di libri e giocattoli nuovi abbandonati sopra la sua scrivania. «Parla di una principessa dai capelli bianchi di nome Kida, che vive in un posto segreto di nome Atlantide… potrebbe piacerti, piccola?» 

«Sì, tantissimo... e ce l’ha un lieto fine?» chiede speranzosa con occhi trasognati, seguendo Mikhail sul tappeto e sdraiandosi al suo fianco, accoccolandosi meglio contro la sua pelliccia per vedere meglio le figure illustrate.

«Non lo so… ci si può lavorare, al massimo se il finale non ti piace puoi riscriverlo tu. Va bene?» propone sfogliando le pagine stampate in inglese, ottenendo un cenno di assenso entusiasta in risposta. «Okay, allorac’era una volta...» 





 

Note:

1. Madripoor: città-stato fittizia collocata nell' Arcipelago Riau, vicino a Singapore, le lingue parlate sono inglese, francese e cinese cantonese. Epicentro di mezze disgrazie, isola di passaggio e rifugio per Mutanti e Signori del Male, AKA “ciò che succede a Madripoor, resta a Madripoor”.

2. Alexei Shostakov (il Guardiano Rosso, l'ex marito di Natasha) e Mikhail Uriokovitich Ursus (Ursa Major, mutante convertito a super soldato intrappolato a vita nella forma animale causata dallo scatenarsi del suo gene X).

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Capitolo 2
*** TACHICARDIA - Cause ***


PRIMA PARTE - CUORE

 

TACHICARDIA: Cause
Consumo eccessivo di caffè, alcol o sostanze stupefacenti.
Stress, ansia, un’emozione improvvisa.





 

La suoneria del cellulare di James irrompe nel buio silenzioso della camera da letto, troppo forte e troppo improvviso, strappando il sottile velo dell'incoscienza con un irruenza tale che il cuore di Natasha schizza in gola in un millesimo di secondo facendole spalancare gli occhi allarmata, spaventata più dalla drastica interruzione del russare di suo marito e del lieve allentarsi della presa di metallo intorno al suo polso martoriato che dallo scoppio di rumore inatteso, avvertendo un mugugno indistinto alle sue spalle che le comunica che anche James si è svegliato di colpo… ma la suoneria del telefonino si spegne da sola senza che uno dei due possa prendere in considerazione l'idea di rispondere, siglando un falso allarme che viene velocemente rimosso dalla testa di entrambi quando l'uomo la trascina nuovamente contro il proprio petto, liberando un respiro leggermente più profondo degli altri in un chiaro invito a tornare a dormire. 

Natasha si lascia cullare dall'espansione lenta e regolare della cassa toracica di James che collide ritmicamente contro le sue costole, ruotando su un fianco raggiungendo una posizione un po' più comoda, stiracchiando le gambe ed allungando una mano per scostare i propri ricci indomabili dal viso di entrambi… e stava per cadere nuovamente vittima del dormiveglia quando il cellulare trilla di nuovo da un punto imprecisato della stanza, socchiudendo un occhio giusto in tempo per vedere James sollevarsi sui gomiti cercando lo schermo luminoso che sporge appena dalla tasca dei pantaloni abbandonati ai piedi del letto, per poi schiantarsi nuovamente incontro al materasso decidendo palesemente di ignorarlo, preferendo di gran lunga tornare a cercarla in punta di dita ed affondare il naso in mezzo ai suoi boccoli che profumano di vaniglia. 

«Non rispondi?» biascica ancora assonnata, evitando l'ennesimo mugugno come replica infilando i piedi ghiacciati in mezzo alle sue gambe, ottenendo una carezza gelida con la protesi per ripicca, pareggiando i conti causandole un brivido lungo la schiena. 

«No… ricordamelo, perché ci siamo trasferiti di nuovo qui?» si lamenta suo marito nonostante conosca perfettamente la risposta, indicando con un gesto distratto il soffitto dell'appartamento a Little Ukraine in un vago rafforzativo al concetto appena espresso. 

«Perché fare costantemente la spola Parigi - New York non è più praticabile da quando ci hanno messi a fare i babysitter a mia sorella.» lo asseconda sbuffando appena, rigirandosi tra quel groviglio di gambe e braccia finendo per puntargli le mani intrecciate sopra lo sterno creandosi un appoggio per il mento, sfidandolo con lo sguardo a ribattere all'ovvietà con un'altra cretinata.

«Almeno a Parigi i problemi arrivavano ad un fuso orario più umano… abbiamo dormito a malapena due ore, sono ancora KO.» concede e confessa James nel giro di una frase, allungando le dita per scostarle una ciocca cremisi dal volto e portando subito dopo due dita sotto al suo mento sollevandole appena la testa, cercando le sue labbra per reclamare il bacio del buongiorno. 

«Mi sembrava non avessi nulla di cui lamentarti stanotte.» lo stuzzica sorridendo contro la sua bocca, agganciandosi con l'indice alla fede appesa al suo collo trascinandoselo sopra, disturbando l'approfondimento di quella conversazione muta con il terzo trillo del  cellulare ancora abbandonato sul pavimento, ignorandolo senza remore e continuando ad usare la lingua per uno scopo ben diverso da quello di dover articolare parole di senso compiuto. 

«Dici che ce lo lasciano il tempo di fare colazione? Ho bisogno di minimo un litro di caffè in endovena prima di riuscire ad alzarmi da qui.» scherza Natasha riprendendo fiato, percorrendo il profilo delle labbra di James con il pollice tracciando un sigillo che idealmente voleva mettere tutte le effusioni in pausa giusto il tempo per interrogarsi se poteva considerarsi maleducazione non rispondere ad un eventuale quarto squillo a vuoto, nonostante non fosse troppo difficile intuire chi sia il mittente e la motivazione dietro a quella fastidiosa ed inopportuna mitragliata di telefonate. 

«Non risento solo io delle ore piccole allora.» replica suo marito soffocando una risata, rotolando via da lei sopprimendo un lamento accorato dal fondo della gola quando la quarta telefonata arriva e decide di ignorarla di nuovo, limitandosi a fissare con odio lo schermo che si illumina dal pavimento. «Voglio la pensione, avrei l’età per andare in pensione.»

«Abbiamo l’età da pensione solo sul certificato di nascita… ti alzi tu a preparare il caffè?» lo istiga addossandosi contro al braccio sano di James appena tocca di nuovo il materasso con la schiena, lottando controvoglia con il torpore della trapunta e la promessa di coccole estatiche che aleggiava nell'aria, ripescando una briciola di senso del dovere che si perde e muore contro la pelle di suo marito quando gli bacia una guancia come incentivo. 

«E tu mi cucini i pancake?» contratta speranzoso valutando l'idea di mettere giù i piedi dal letto favorendo un atteggiamento collaborativo, prima che il raptus di raccogliere il telefono e lanciarlo fuori dalla finestra al quinto squillo lo colga di sorpresa vanificando il tentativo di iniziare la giornata con il piede giusto. 

«La dispensa è vuota… e dubito abbiamo il tempo per passare da Starbucks prima di raggiungere il Complesso.» annuncia la donna facendosi carico delle brutte notizie, troncando la frase a metà quando anche il suo cellulare inizia a suonare, con il volume attutito appena dal tessuto del borsa abbandonata ai piedi della poltrona nell'angolo della stanza. «Dici che vogliono me o cercano te?» 

«Non ne ho idea…» afferma James con tono a metà tra lo svogliato ed il scocciato, seppellendo la testa sotto il cuscino. 

«Ho una proposta.» annuncia Natasha allungandosi in direzione dell'uomo, tentando di combattere lo sprazzo di infantilismo sollevando un angolo della federa cercando il suo sguardo. 

«Ci prendiamo le ferie e torniamo a Parigi?» la anticipa James entusiasta nella vana speranza di venire accontentato nell'immediato, smorzando il sorriso fiducioso quando il cellulare di Natasha riprende a suonare. «Torniamo a Parigi e stacchiamo il telefono.» 

«Stacchiamo decisamente il telefono…» ribadisce Natasha interrompendosi nuovamente quando anche il loro gatto si unisce alle fonti di disturbo indesiderate, iniziando a grattare sulla porta reclamando il diritto di essere nutrito. «Non gli avevi riempito la ciotola ieri sera?» 

«Eravamo un filo impegnati ieri sera, Liho era davvero l’ultimo dei miei problemi.» ribatte piccato dipingendosi un sorriso malizioso sulle labbra, lanciando via il cuscino facendo precipitare di malagrazia metà oggetti abbandonati sopra il proprio comodino guadagnandosi un'occhiataccia in risposta, cercandola nuovamente bramando un'intensa sessione di coccole mattutine a discapito della chiamata in servizio, afferrandola per i fianchi e facendola salire a carponi sopra di lui strappandole una risata che soffoca contro le sue labbra, spazzando via quell'ipotesi idilliaca con un verso esasperato quando inizia a squillare anche il telefono fisso in corridoio con un suono a dir poco irritante. «Giuro che ammazzo tua sorella.» 

«Esagerato.» lo placa divincolandosi dalla sua presa trattenendo un sospiro dispiaciuto, abbandonando definitivamente la debole protezione delle lenzuola sfilando nuda fino alla porta della camera da letto, scavalcando un indumento alla volta aggirando il campo di battaglia seminato sul pavimento, abbassando la maniglia della porta rischiando di inciampare su un Liho affamato che fa irruzione nella stanza, iniziando a strusciarsi contro le sue gambe rallentandola, perdendo la chiamata e facendo partire in automatico la segreteria telefonica in vivavoce. 

«Smettetela di ignorarmi, rivestitevi e portate il culo qui al Complesso subito.» afferma la voce robotica di Yelena Belova, lasciando trasparire il tono irritato per il numero esoso di telefonate a vuoto palesemente permesse dalla pigrizia di non risponderle e la volontà di ignorarla, mentre Natasha riesce a liberarsi dalle fusa del gatto e raggiungere il bancone in corridoio, lasciando il via libera a Liho per balzare sul materasso ed iniziare ad infastidire James. «Vi preparo caffè e pancake, fatevelo bastare come incentivo.» 

«Riformulo, adoro tua sorella.» ritratta suo marito alle sue spalle, senza però muoversi di un solo centimetro dalla posizione scomposta in cui l'aveva lasciato, limitandosi ad affondare la mano sana nel pelo nero del felino acciambellato sopra il suo stomaco, scuotendo il capo rassegnata sollevando la cornetta prima che Yelena passi a decantare minacce di morte accorate. 

«Messaggio ricevuto, adesso arriviamo sorellina.» la tronca brutalmente, riattaccandole in modo altrettanto brusco il telefono in faccia, tornando in camera raccattando la biancheria intima dal pavimento iniziando a rivestirsi. 

«звезда моя [1], ieri sera dove l'hai lanciato il mio reggiseno?» chiede Natasha studiando il pavimento con le mani puntate ai fianchi, cercando di identificare il pezzo di stoffa nero in mezzo ai cumuli sparsi di indumenti. 

«Devo alzarmi, vero?» replica James con tono interrogativo pregando silenziosamente per un dissenso, allungandosi di sbieco tra le lenzuola recuperando il richiesto appeso per una bretella al paralume della lampada sopra il comodino della donna. 

Natasha prende al volo il reggiseno quando James glielo recapita con un lancio, ricambiando il favore scovando i boxer dalla pila di vestiti ai piedi del letto, prendendo la mira ed usando l'elastico come una fionda tirandoglieli dietro. 

«Forza, alza il culo dal materasso.»

«Signorsí signora.» 

 

***

 

Il profumo dell'impasto che cuoce sulla padella riempie la cucina del Complesso scatenando l'acquolina di Sharon Carter, ancora affamata dalla sera prima per la mancata cena e con due occhiaie spaventose a testimoniare la quantità di caffeina che in realtà la tiene in piedi, aggirandosi per le mura della base operativa senza tregua da quando ci ha rimesso piede un paio d'ore prima di ritorno dalla missione, ritrovandosi di malagrazia ad assolvere i propri doveri da zia scaldando un biberon mentre aspetta i dettagli per l'incarico successivo, rinunciando per l'ennesima volta ad una dormita ristoratrice. 

«Allora, gli altri due arrivano?» chiede a Yelena Belova quando le passa affianco al piano cottura, consegnando il biberon a Morgan prima di prenderla in braccio reclamandola con un "vieni dalla zia" dal tono vagamente stucchevole che fa storcere il naso alla ragazza. 

«Perché mi metterei a cucinare quantità industriali di pancake altrimenti? A me nemmeno piacciono.» replica scorbutica la Mini-Vedova con il suo solito modo di fare a metà tra il diffidente e lo scocciato, obbligandosi ad un respiro profondo prima di lasciar trasparire un microscopico sorriso ed indicarle il piatto fumante ostentando gentilezza. «Ne vuoi uno?» 

«Sono per Bucky, giusto?» 

«Uno in più o uno in meno non credo noti la differenza, sai?» scherza Yelena allungando la pila invitante nella sua direzione, scatenandole nuovamente l'acquolina in bocca. «Giuro che non li ho avvelenati.»

«Ti sentivi in dovere di specificarlo?» la interroga vedendola annuire convinta, afferrando il primo della pila per poi addentarlo. «Sono buoni… e sei fin troppo accomodante con Bucky, io ero rimasta che lo odiavi.»

«Non è odio, quello con il Cane Rabbioso è più un vago astio irrisolto… ma è riuscito a sposarsi mia sorella, la soluzione più indolore ed immediata è stata quella di accontentarla tentando di andare d'accordo per quieto vivere.» liquida la faccenda con una scrollata di spalle, afferrando tre tazze e riempiendole di caffè fino all'orlo. «Steve come lo beve? Latte, zucchero?» 

«Amaro.» replica Sharon con cipiglio attonito dal cambiamento repentino di umore, sistemandosi meglio la nipote sul fianco ed afferrando la tazza fumante con la mano libera rubandone un sorso. «Grazie Yelena.»

La ragazza in tutta risposta si irrigidisce come se Sharon l'avesse appena offesa in qualche strano modo, rilassando i muscoli nel giro di un secondo dissimulando la sorpresa nel ricevere un ringraziamento, sopprimendo l'accenno di una vaga ombra sulle labbra passabile per un sorriso. 

Dopo lo scontro all'Antarctica [2] con James e Natasha, Yelena era stata presa in custodia da Maria Hill ed era stata rinchiusa in una cella per venire interrogata, attendendo per ore gli ordini esecutivi diretti dall'ufficio amministrativo, da Fury e dal Governo stesso prima di procedere con l'incarcerazione o il rilascio della donna. Sharon aveva saputo da fonti certe che Thaddeus Ross non era stato particolarmente contento quando la sua assistente gli aveva riferito che l'agente Barnes aveva preso l'iniziativa di sua sponte ed aveva fatto irruzione nella cella di Yelena con un kit del pronto soccorso, una diet coke ed un tramezzino presi alle macchinette automatiche per medicare e nutrire il loro nuovo "nemico numero uno", andando bellamente contro agli ordini impartiti e scatenando l'ilarità di casa Rogers quando il verbale della discussione che ne era seguita era approdato sulla scrivania di Maria Hill al Complesso. Per quello che Steve le aveva raccontato e Natasha le aveva confidato, Sharon aveva appreso che Bucky si era posto a paladino della cognata contro Ross portando avanti la tesi che la ragazza non aveva colpe se non quella di essere stata cresciuta da un branco di lupi, ritrovandosi a gestire la condizione straordinaria di garante per l'intera banda di soggetti di dubbia moralità che si ritrovava in casa – lui compreso –, tenendo Yelena sotto stretta sorveglianza e facendosi aiutare a rintracciare i resti della Dark Room in cambio, chiudendo i battenti della casa a Parigi e traslocando di nuovo a New York con l'unica differenza che ora Natasha sfoggiava la fede all'anulare e i due si sparivano le ore di babysitting con la Mini-Vedova come nuova attività di coppia – chiedendosi spesso e volentieri il perché si fossero fatti carico di una responsabilità del genere, considerato che la ragazza dava loro costantemente del filo da torcere… e forse Yelena avrebbe preferito morire all'Antarctica piuttosto che abbassarsi a ringraziare il "cane rabbioso" che l'aveva salvata da una condanna come terrorista per mero spirito altruistico, preferendo dipingere l'intera faccenda come un tacito accordo sofferto per far felice la sorella e rendere più accettabile quella nuova situazione "familiare" che le era stata cucita addosso come un vestito troppo stretto. Sharon era dell'idea che Yelena fosse quantomeno contenta di aver cambiato fazione vestendo lo stemma dello SHIELD al posto di quello della Dark Room, ma ammetterlo ad alta voce avrebbe rappresentato una debolezza imperdonabile e certe abitudini erano radicate troppo a fondo per essere abbandonate da un giorno all’altro… restava un mistero il cosa ne pensasse Bucky ed il perché si fosse assunto una responsabilità del genere senza apparente motivo, nonostante Natasha le avesse confidato che parte della decisione era da attribuire al suo desiderio di non vedere nuovamente la sorella allo sbando e Steve l'aveva liquidata con un "è fatto così" di inutile interpretazione, scoprendosi restia lei per prima a scucire tali informazioni dal diretto interessato, limitandosi ad assistere imparziale alla personalissima crociata contro il tabagismo di James portata avanti dal fratello e dalla moglie. 

«Come siamo presi?» chiede la donna facendo irruzione in salotto, sorprendendo alle spalle Tony ed il compagno davanti alla proiezione di un mappamondo illuminato al centro della stanza, inclinandosi con il busto per permettere a Morgan di sfarfallare con le dita sconquassando la proiezione ed allungando la tazza fumante a Steve nel mentre. «Caffè.» 

«Grazie. Abbiamo ridotto le segnalazioni a due punti di interesse.» afferma il Capitano portandosi la tazza alle labbra prendendone una lunga sorsata per poi indicarle Stark con un cenno del mento, il quale aveva prontamente illuminato due punti diversi della mappa a scopo esplicativo. «Una casa dispersa in mezzo ai boschi a Praga e l'ennesimo omicidio a Madripoor.» 

«L'ultimo non è stato più di due settimane fa?» indaga riportando alla mente l'espressione abbattuta di Yelena quando era tornata da Singapore un paio di giorni prima con la coda tra le gambe ed una Natasha inviperita a seguito a causa dell'ennesimo buco nell'acqua. «Questo che avrebbe di diverso?»

«Disposizione diversa… ed è una bambina.»

«Gli altri due arrivano?» si intromette Tony troncando la discussione abbandonando la tazza di caffè sul tavolino ed allungando le mani per prendere in braccio la figlia, la quale si era immediatamente protesa in direzione del padre perdendo velocemente interesse nel disturbare la frequenza immagine della proiezione. «Dovevano proprio tornare a Little Ukraine ieri sera?»

«Considerato che sono le prime otto ore filate che trascorrono sotto lo stesso tetto dopo settimane… sì, direi di sì. Avranno fatto le ore piccole, lasciali in pace.» li giustifica Steve spezzando una lancia in favore del fratello, lasciando intendere la matrice terapeutica dietro ad una concessione del genere, fulminando Tony prima che potesse commentare la situazione con una delle sue solite battutine fuoriluogo. 

Era un dato di fatto che nelle ultime tre settimane gli omicidi e le segnalazioni di scomparsa nell’Arcipelago di Riau erano aumentate esponenzialmente, catapultando a rotazione James e Natasha al seguito di una Yelena agguerrita, alla disperata ricerca di una pista valida per rintracciare la Dark Room dopo un anno di continui fallimenti… traducendosi in un atteggiamento bellicoso alimentato da una tensione in costante crescita e soggetta alle frecciatine di Yelena, tenuta a bada da James con una quantità di sigarette da far impallidire un pneumologo e sedata da Natasha con un ampio uso del piombo al poligono da tiro nelle sessioni di allenamento con Sharon stessa.

«Beati loro…» non riesce a trattenersi Tony, dipingendosi un'espressione fintamente offesa quando si ritrova addosso due paia d'occhi infastiditi dal commento fuoriluogo. «Che c'è? Anch’io ho fatto le ore piccole, il mostriciattolo pestifero qui presente non ha chiuso occhio tutta la notte.» 

«Non iniziare.» lo ammonisce la cugina, puntando lo sguardo sulla bimba incrociando le sue pupille nocciola, improvvisamente vigile nel sentirsi presa in causa senza comprenderne il motivo. «A proposito, quando pensi di trovare una babysitter?» 

«A cosa mi serve la babysitter quando questo posto pullula di zii acquisiti?» replica Stark con tono ovvio, liquidando la discussione con una scrollata di spalle. «Pepper è in trasferta a L.A., io mi arrangio come posso.» 

«Questo posto sarà pieno di zii acquisiti Tony, ma non è esattamente un luogo a prova di neonato.» si intromette Steve come da routine, tentando la via della conciliazione mettendo subito a tacere una delle tante scaramucce di famiglia. 

«Ci sto lavorando, okay?» ribatte scorbutico per abitudine, stringendo meglio Morgan tra le braccia di riflesso, cambiando completamente discorso quando finalmente James e Natasha fanno irruzione in salotto dopo una veloce capatina in cucina per recuperare Yelena e la colazione contrattata al telefono. «Alla buon ora.»

«Taci.» lo zittisce Natasha portandosi la tazza alle labbra prima di replicare nuovamente, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto di fianco a James rubandogli un pancake dal piatto, mentre quest'ultimo reclama una porzione di tavolino per sé e si tuffa sulla propria colazione con una fame da lupi che pretendeva di ignorare tutto il resto. «Allora, che ci siamo persi?» 

«Qualcuno dei vostri si è fatto vivo.» afferma Stark indicando i due punti di interesse, aprendo le rispettive finestre olografiche mostrando le immagini satellitari e le fotografie trafugate alla scientifica, causando un improvviso calo dell'appetito in tutti i presenti quando appare l'immagine del cadavere della bambina, seguito da un breve momento di silenzio teso necessario per assimilare lo scenario ed incasellare la nuova informazione pervenuta. 

«Io vado a Praga.» si prenota Natasha a distanza di qualche secondo con forse troppa irruenza per non dipingerla come una faccenda impersonale, facendo ripartire le lancette di quel momento sospeso preferendo focalizzarsi sul dettaglio più criptico, ignorando la prima vera e propria prova tangibile di una pista per stanare il Dipartimento. 

«Non da sola.» le fa eco James fulmineo comunicando con lei in russo, rendendo tutti i presenti terribilmente consapevoli che quella sarebbe dovuta essere una conversazione privata, ripiegando all'emergenza inchiodandola con lo sguardo color ghiaccio e manifestando una chiara tacca di preoccupazione a colorargli la voce, costringendo Sharon a spolverare le sue nozioni in materia giusto per capire il senso della frase e prepararsi alla risposta tempestiva nello stesso idioma.

«Non con te.» afferma intransigente Natasha, celando una qualche informazione in un bagliore ombroso che le attraversa lo sguardo ed annega in un sorso di caffè, facendolo deglutire a vuoto in risposta e costringendolo a desistere dal dar battaglia giustificandosi nel giro di una frase, cambiando nuovamente lingua per mettere un punto definitivo alla discussione appena accennata. «Yelena non può restare scoperta, ordini di Ross.»

«Portati dietro Sharon allora.» contratta James strappandosi le parole fuori dai denti in inglese ed usando un vago sottotono autorevole dopo un altro paio di secondi di silenzio elettrostatico, dando a Sharon l'impressione di aver appena assistito al seguito di quella litigata proferita verbalmente in russo redatta in versione estesa alla velocità della luce nella testa di entrambi, sentendosi presa in causa dal verdetto formato da quelle quattro misere parole… e legge fin troppo bene l'espressione sulla faccia di James, notando la scintilla del desiderio forzatamente soppresso di seguire la moglie in Repubblica Ceca, fino a quella casa nei boschi che sembra popolarsi di fantasmi in grado di terrorizzare entrambi nel giro di uno schiocco di dita, mugugnando un ultimo rimprovero in russo per accaparrarsi l'ultima parola. «Io mi porto dietro Yelena a Madripoor, ma tu non ci vai a Praga da sola

«Okay.» concede Natasha storcendo appena le labbra mettendo fine alla disputa, alzandosi dal tappeto ignorando lo sguardo risentito della sorella per averle nuovamente affibbiato James alle costole, scomparendo in armeria per reperire la tenuta con aria palesemente indispettita. 

«Bene… ognuno sa cosa fare, mettiamoci al lavoro.» Steve spezza il silenzio creatosi sfregandosi le mani dopo aver scannerizzato James da capo a piedi senza dire una parola cercando di decifrare il contesto privato che era intercorso tra i due, rinunciandoci e limitandosi a seguire il fratello e la Belova con lo sguardo mentre si dirigono a loro volta a passo spedito in armeria, entrambi con un'espressione sul volto che denunciava un vago astio latente per essere finiti di nuovo a lavorare insieme. 

«Almeno hai una vaga idea di cosa aspettarti?» la interroga Steve mezz'ora dopo quando si avvicina per salutarla sulla rampa di decollo, alludendo tacitamente a quel battibecco in lingua slava che aveva destabilizzato tutti i presenti – spingendo inconsciamente Sharon a chiedersi se quella sensazione di disagio diffuso che era scaturita subito dopo era da attribuire alla semplice voragine linguistica, o peggio, se era da imputare al fatto leggermente più preoccupante che i due comunicavano in russo solamente quando non riuscivano a tradurre il coacervo di emozioni, ricordi e segreti pericolosi alle orecchie volutamente mantenute ignare di terzi. 

«Fantasmi, probabilmente.» mormora la donna mantenendosi sul generico, puntando lo sguardo sul parcheggio vuoto dove fino ad un paio di minuti prima c'era stato il Quinjet diretto a Madripoor. «Il che vuol dire problemi.»

«Speriamo siano fantasmi innocui… promettimi di stare attenta, Shar.» la prega il Capitano circondandole i fianchi con un braccio sporgendosi per baciarla, fermandosi a metà strada quando Natasha risale la rampa di decollo con un borsone carico di armi e munizioni in spalla, scoccando loro un'occhiata sbilenca deducendo a pelle di essere stata l'argomento della discussione interrotta e puntando a passo spedito alla cloche. 

«Promesso.» afferma Sharon scontrandosi con la bocca di Steve recuperando in velocità i centimetri mancanti, sopprimendo un sorriso contro le sue labbra. «Quando torno mi porti fuori a cena? Ho bisogno di una serata normale, una volta ogni tanto.»

«Forza piccioncini, non abbiamo tutto il giorno!» li interrompe Romanoff dai comandi del mezzo, spingendoli a staccarsi in fretta e furia. 

«Da che pulpito!» replica il Capitano a tono lasciandola andare, avvertendo la risata argentea della rossa ed un mezzo insulto provenire dall'interno del velivolo, mentre la compagna lo spinge giù dalla rampa. «E cena sia.» 

«Raccomandazioni dell'ultimo minuto?» 

«Tieni d'occhio Nat, e se succede qualcosa…»

«Se succede qualcosa chiamo Bucky, lo so.» lo interrompe Sharon abbassando la leva per chiudere il portellone. «Noi ragazze sappiamo cavarcela, non preoccuparti Steve.»

 

***

 

James non avrebbe mai voluto conoscere di persona Jessàn Hoan, non per futili motivi di antipatia o altro, ma semplicemente perché le circostanze in cui finivano per incontrarsi non erano mai delle più piacevoli… e di solito tali convenevoli avevano il retrogusto della salsedine e del lerciume che infestava il porto di Madripoor, con la partecipazione straordinaria di un cadavere e l'intervento obbligatorio di una ragazzina bionda, scorbutica ed irascibile che gli stava forzatamente incollata alle costole. 

Erano mesi ormai che James e Yelena volavano avanti e indietro dall'isola nella vana speranza che fosse l'ultima, pregando che ogni nuovo indizio trovato conducesse al passo successivo e non all'ennesimo buco nell'acqua… Natasha e la Belova c'erano andate vicine qualche giorno prima, ma si era rivelata solo l'ennesima pista vana, tristemente morta quando al termine della caccia al tesoro il fantomatico sicario si era volatilizzato a Singapore in un prestanome preso da una lapide ricoperta da sterpaglie più vecchie dello stesso James, traducendosi in una Mini-Vedova con un diavolo per capello, una Natasha che avrebbe preferito usarlo come bersaglio per i coltelli alla sua prima parola errata ed un clima familiare e lavorativo teso come una corda di violino. 

James respira profondamente focalizzandosi unicamente sul compito da portare a termine, grato che almeno nella zona di Hightown non ci siano gli odori sgradevoli e malauguratamente caratteristici del porto su cui erano sbarcati il mattino seguente, spalancando la porta dell'orfanotrofio a Yelena in un recesso di galanteria che solitamente conservava per la moglie e seguendola a passo di marcia fino all'ufficio della Direttrice Hoan, fingendo di non notare gli occhi della decina di bambini che si celavano nelle ombre traffiggendo loro la schiena spaventati dagli Stranieri. 

«Barnes.» lo riceve Jessàn allungandogli la mano con uno sguardo da gatta che le illumina gli occhi a mandorla, sorridendo estasiata quando lui asseconda il suo gesto e lo termina con un baciamano, registrando in sordina lo sguardo esasperato di Yelena rivolto al soffitto, nascondendo la mano libera dietro la schiena e facendole cenno in codice di contenersi. «Ti sono mancata?» 

«Non particolarmente, senza offesa.» la liquida gentilmente smorzando il sorriso ammaliante di Jessàn in risposta, serrando i ranghi ottenendo un microscopico cenno di approvazione da parte della ragazzina alle sue spalle. «Siamo qui per i sopralluoghi ed i fascicoli della scientifica, ti sei fatta lasciare una copia del verbale o devo andare a pestare qualche piede in questura?» 

«So come funziona la procedura ormai.» replica la donna con tono leggermente più freddo e vagamente offeso, aprendo un cassetto della scrivania prelevando il richiesto, indicandogli una scrivania libera in fondo alla stanza. «Potete usare quel tavolo per lavorare.»

Yelena gli nega la possibilità di replicare con un ringraziamento, agguantando il fascicolo sospeso a mezz’aria tra i due ed afferrando James per un gomito trascinandolo via con lei, soffiando irritata come un gatto quando lui le fa notare a mezza voce che non era necessario comportarsi in quel modo… perdendo velocemente interesse nella ramanzina sibilata tra i denti quando la ragazzina lo tronca piazzandogli sotto il naso un plico di foto segnaletiche chiedendogli di aiutarla a ricostruire la dinamica del delitto. Si concentra seppellendo i propri pensieri in tumulto dietro la fredda patina analitica del Sergente in missione – eliminando Jessàn, Natalia, Praga e l'urgenza esasperata di trovare Anya –, tacitamente grato che Yelena gli abbia fornito una valvola di sfogo tappezzando il tavolo di documenti, verbali e fotografie nel tentativo di comporre un puzzle che sembrava avere un Pollock come immagine di riferimento.

Dopo più di mezz’ora di analisi erano giunti alla conclusione che di tre bambine che erano uscite dallo stabile solo una era morta, mentre le altre due erano scomparse… tuttavia, stando alle registrazioni delle telecamere stradali, sembrava che le bimbe non erano state rapite contro la loro volontà, ma dovevano essersi semplicemente imbattute in Anya. Secondo Yelena la Vedova di terza generazione doveva averle adescate in un vicolo durante la loro innocua scorribanda notturna trascinandole verso Lowtown, dove le telecamere di sicurezza erano state divelte e le tracce si confondevano con quelle di centinaia di altri passanti fino agli attracchi del porto. Una delle bambine doveva essersi spaventata ed era fuggita tornando verso l'orfanotrofio a Hightown, Anya l'aveva inseguita uccidendola con un coltello volante, ma era stata costretta a lasciare il cadavere in bella vista senza marchiarlo o nasconderlo perché inquadrato da almeno due telecamere stradali. Era logico, lineare, quasi noioso nella sua semplicità, l'unica parte che non aveva minimamente senso era che l'ombra proiettata sul muro non era quella di una ragazzina di dodici anni ma di una donna… ed era stato quello il momento in cui James aveva deliberatamente deciso che gli serviva una pausa da quella situazione a dir poco delirante, dissociandosi con forza dagli scenari da incubo che erano apparsi nella sua mente come tante segnaletiche a neon intermittenti, illuminando un varco buio al termine di un vicolo ombroso creduto erroneamente cieco, lasciando che la sua testa ritorni ad essere una stanza troppo affollata da un vociare insistente e caotico, abbandonando Yelena su due piedi lasciandola a discutere da sola con il muro. 

«Ehi, Barnes… almeno mi stavi ascoltando?» gli urla dietro la bionda inseguendolo di corsa fino al cortile esterno, mentre lui la ignora sfilando il pacchetto di Marlboro dalla tasca interna della tenuta ed intrappolando un filtro tra i denti, accendendosi un fiammifero con una vampata sfrigolante quando lei arriva finalmente a piazzarsi davanti a lui criticandolo con lo sguardo. «Non dovresti fumare.» 

«Faccio un sacco di cose che non dovrei fare.» afferma con nonchalance scrollando le spalle, tentando di depistare il discorso da quella concessione rubata. «Comunque ti stavo ascoltando… è che l'intera situazione non ha senso, o almeno, il senso che intuisco non mi piace per niente.» 

«E quando mai ti piace qualcosa.» ribatte sprezzante incrociando le braccia al petto e facendo un cenno di dissenso quando le allunga il pacchetto di Marlboro aperto in una domanda implicita, in un blando tentativo di sentirsi meno in colpa fumando da solo e fornendo involontariamente a Yelena il pretesto per replicare puntigliosa. «Natasha e Steve dicono che non dovresti fumare.»

«Hai intenzione di fare la spia?» chiede con un sorriso da schiaffi dipinto sulle labbra, soffiandole il fumo in faccia di proposito. 

«No.» tossisce appena agitando la mano davanti al volto per scacciarlo, fulminandolo celando una minaccia nello sguardo che lo sfidava a rifarlo.

«Bene.» sentenzia James pregando che il discorso sia chiuso, perdendosi nelle proprie elucubrazioni mentali riportando il filtro alla bocca, contando i secondi prima che Yelena ritorni alla carica rompendogli le scatole per sport, assaporando l'attesa avvertendo i suoi occhi puntarlo alla nuca come due spilli roventi.

«Stanotte è andata in bianco o stai pensando di nuovo a Praga?» 

«Farti gli affari tuoi una volta tanto, no?» replica scorbutico e tempestivo sollevando lo sguardo al cielo, picchiettando la cenere nel vuoto tradendo un fremito di nervosismo che non passa inosservato, riesumando la chimera che Natalia non gli aveva mai permesso di arginare o combattere al suo fianco, confinandola in uno dei tanti tasselli che componevano sua moglie, trasformando l'accaduto in un trauma troppo personale al punto da venir convertito in un tabù anche tra le mura domestiche. 

Ora sto pensando anche a Praga, grazie Yelena. 

«Scusa… è che tu fumi solo quando litigate o non scopate ormai, diventate delle fottute bombe ad orologeria, quindi perdonami se voglio sapere quanto posso tirare la corda prima di attivare l’innesco.» si giustifica immediatamente la ragazza alzando le mani in segno di resa, annotando mentalmente le sue reazioni nella speranza di riuscire finalmente a raggiungere la sua stessa lunghezza d'onda per rendersi effettivamente utile alla causa, scegliendo l'approccio più controverso per riuscirci, propendendo per la strada tortuosa dell'istigazione. «Mi ricordo ancora come diventi quando sei incazzato, non è un bello spettacolo… e siamo nel cortile di un orfanotrofio.» 

James sbuffa sedando l'impulso esasperato di metterla a tacere facendole del male fisico, consapevole che ci siano decine di occhi innocenti ad osservare di nascosto gli Stranieri, riportando alla mente le parole di sua moglie che lo scongiurava di provare ad instaurare un rapporto sano ed umano anche con la sorella. 

«Stai già tirando troppo la corda Yelena…» brontola più per abitudine che per reale fastidio, scrollando il capo prima di abbassarsi a fornirle una spiegazione. «A titolo informativo, in mancanza di Natalia fumare mi fa ragionare meglio, riesco a visualizzare i tasselli che mancano.» 

«Perchè, ne mancano?» replica con un timbro di voce che finge di cadere dalle nuvole, nonostante il sottotono manifesti una reale titubanza nell'esprimersi. «Oltre alla crescita esponenziale del nostro sicario alquanto sospetta, ovvio.»

«Non sono... evidenti?» si stupisce James scannerizzandola con lo sguardo, lanciandole un'occhiata di rimprovero eloquente. «Sei una Vedova Nera e ti ho addestrata meglio di così, puoi tranquillamente arrivarci.» 

La Belova si irrigidisce appena interpretando la constatazione al pari di un'offesa alla propria intelligenza, rimuginando in silenzio per diversi minuti concedendogli del meritato silenzio, osservandola di sottecchi quando le si illumina lo sguardo realizzando la stranezza della loro segnalazione correlata a meno di ventiquattr'ore di scarto dall'invio delle coordinate della casa a Praga, dove nessuno ci aveva messo piede nemmeno per sbaglio nell'ultima trentina d'anni. 

«Qualcuno ci sta aiutando.» annuncia con tono d'importanza, cercando una briciola di gratificazione inesistente nel suo sguardo. 

«Bingo.» esala sarcasmo insieme ad una boccata di fumo, illuminando il mozzicone della sigaretta facendole cenno di continuare ad elaborare quel pensiero con la mano libera. 

«Qualcuno che non avrebbe dovuto… e che non ti piace? Perchè la lista è bella lunga, a te non piace mai nessuno.» tenta abbandonando il comportamento sprezzante quando lui annuisce in assenso e tende le labbra in un sorrisino di vaga approvazione, arrendendosi nel tenerla sulle spine ancora a lungo concedendole una spiegazione. 

«Qualcuno che se è ancora vivo non mi piace… e deve essere successo qualcosa di davvero terribile al nostro sicario, altrimenti non si sarebbe mai abbassato a chiedere il mio aiuto trovando le coordinate di Praga.» afferma notando il mezzo sussulto di Yelena nel sottolineare quel "mio" con tutt'altra importanza di un comune "nostro", rivendicando una questione personale lasciata in sospeso che evidentemente aveva a che fare anche con l'accenno di litigata avvenuta diverse ore prima nel salotto del Complesso con Natasha. 

«Barnes… Bucky…» chiede titubante, timorosa di scoperchiare un vaso di Pandora formato da cocci tenuti insieme dalla supercolla, cadendo nel soprannome pretendendo una risposta che non poteva più essere ignorata. «Io lo so cosa le è successo a Praga… ma cos’è che non mi stai dicendo? Cos'è stato nascosto lí?» 

 

Siberia, 1991: un favore mancato

 

L’aveva riconosciuta appena era entrata in palestra, salendo sul ring ostentando attenzione e salutandolo marcando sul suo appellativo per spingerlo a rinfrescarsi la memoria… ma non era necessario, James era scongelato e cosciente da abbastanza tempo da non aver bisogno degli appigli fornitogli da Tania Belinsky [3], limitandosi ad osservarla con sguardo indecifrabile in religioso silenzio mentre si allenava con gli altri Soldati. Per tutta la durata dell'allenamento si erano sfidati con lo sguardo stilando il verbale di quella disputa mentale, esponendo sul tavolo delle trattative la domanda e l'offerta per cui erano disposti a rischiare e morire, notando le fasce rosse sulle spalline e la stella bianca al centro del petto cucite sulla tenuta della donna a simboleggiare una promozione, sforzandosi in risposta di fingersi indifferente al motivo per cui le loro strade erano finite per incrociarsi di nuovo… era una notizia ufficiale il fatto che Natalia avesse fatto barcollare le Fondamenta seppellendo Petrovich nelle macerie fumanti di Budapest, ma era opinione comune ed ufficiosa il fatto che spettasse a lui dare il colpo di grazia… e Tania Belinsky sapeva, perché celava lo sguardo di chi garantiva una vendetta sanguinaria e prometteva al contempo l'assoluzione per tutti i loro peccati.

«Quando ti hanno passata a Guardiano?» chiede l'uomo senza troppi preamboli un paio di giorni più tardi, emergendo dalle ombre di un ufficio abbandonato in una struttura fatiscente, sorprendendo la donna alle spalle nel bel mezzo di una missione sul campo che non prevedeva ufficialmente la presenza di entrambi. 

«Dopo il crollo del Muro, Alexei è stato costretto a cedere l’uniforme.» replica spiccia chiudendo il cassetto di un archivio impolverato, sfilando un quadernino da una delle tasche interne della tenuta appuntandoci sopra qualcosa in velocità. 

Se Tania era sorpresa di ritrovarselo alle spalle non l'aveva dato a vedere, come lui aveva mantenuto imperturbabile la sua maschera di bronzo alla menzione di Alexei. 

«Immagino tu sia qui per chiedermi una mano.» lo anticipa con finta noncuranza, mostrando le carte in gioco parlando liberamente consapevole di non essere vista né sentita, puntellandosi all'archivio con un tono che pretendeva rispetto in nome di quei trentacinque anni trascorsi dal loro ultimo incontro e vissuti unicamente sulla pelle della donna. 

«Ora non fingere di aver sviluppato uno spirito di lealtà verso i macellai, vuoi distruggere questo posto tanto quanto me.» la frena senza peli sulla lingua con tono paternalistico, ritrovandosi a fronteggiare un sorriso compiaciuto che elimina ogni sua maschera, afferrandola delicatamente per un gomito suggerendo un abbraccio, che tuttavia si fossilizza a metà nel percepire la tensione latente in reazione al preludio di quel semplice gesto, spingendo James a giustificarsi. «Hai raccolto segreti per tutta la vita, quando sarebbe stato infinitamente più semplice consegnarci e salire in graduatoria… non ti ho mai-...» 

«Ringraziato? Come avresti potuto?» replica scettica Tania senza demordere nella sua caparbia resistenza. «Non illuderti che lo abbia fatto per te… lo dovevo a Natalia, le ho promesso delle Fondamenta e ho giurato di riportarti da lei una volta che sarà tutto finito. Sto semplicemente saldando un debito, tutto qui.»

«Bugiarda.» la interrompe con un tono che si sforzava di essere gentile, ottenendo un fremito che scioglie anche l'ultima maschera di cera della donna, mettendo a nudo tutti quei sentimenti pericolosi che motivavano entrambi. «Non sono l'unico che avrebbe qualcuno da cui tornare, hai bisogno di me perché in tutti questi anni non hai mai scoperto che fine ha fatto Mikhail… avrebbe dato troppi sospetti se una Vedova Nera avesse iniziato a fare domande di punto in bianco su un Dipartimento nel quale non ha mai messo piede, o sbaglio?» 

«Sei irritante.» conferma infastidita abbassando leggermente lo sguardo, consapevole di non poter davvero competere contro una leggenda vivente come il Soldato d'Inverno. «Dovrei dedurre che tu sai dov'è?» 

«È internato in un gulag a qualche miglio da qui, una sottospecie di sezione speciale per quelli come lui, ci sono stato in... visita.» ammette teso sfidandola a distogliere nuovamente lo sguardo, osservando come le sue iridi sembrino tizzoni ardenti che minacciavano di divampare in un incendio, alimentato da quella rabbia repressa che li accomunava tutti. 

«Per ripulire?» chiarisce Tania con uno sguardo vagamente lucido, non potendo fare a meno nel rilasciare un sospiro sollevato quando lui nega con il capo confermandole che quella non era stata la sorte toccata a Mikhail… e James non sapeva con esattezza se considerarla una maledizione o un segno di buon auspicio. 

«Non escludo una deviazione per raccattare un paio di persone… nel caso.» afferma deciso, arrischiandosi nel prometterle un legame andato perso troppi anni prima dal punto di vista di entrambi, giurando a sé stesso di saldare qualche debito personale sia con Ursus che con Howlett [4]. «Quindi mi dai una mano?» 

«Debiti con Natalia a parte… credo di dovertelo dopo Berlino.» ammette restia, scatenando il brandello di un ricordo soppresso che affiora sulle labbra di James assumendo la forma di una richiesta di delucidazioni, ingoiando sillabe inespresse quando un sospetto terrificante e fondato sedimenta tempestivo sulla bocca del suo stomaco agitando gli abissi torbidi della paura rivoltandogli le viscere, rinunciando a priori e permettendo a Tania di articolare una richiesta d'aiuto speranzosa speculare alla propria. «Tu dai una mano a me?» 

«Ti ho portato io qui dentro… vedilo come un modo per pareggiare i conti.»

La notte scelta per la fuga era giunta con più tempestività di quella programmata, Tania gli aveva assicurato di aver edificato un Archivio a Praga sopra la prima pietra di quell’abominio dai risultati nefasti, ma non avevano fatto in tempo a raggiungere il Dipartimento X che la Stanza Rossa aveva sguinzagliato i cani. 

Tania Belinsky era caduta prona sulla neve con un proiettile conficcato nel cranio, morendo con l'abbaglio di quella libertà aspirata per una vita intera all'orizzonte impressa sulle retine… James non era stato altrettanto fortunato, non aveva avuto altra scelta se non quella di chiudere gli occhi davanti a quella flebile possibilità di salvezza, dimenticandone semplicemente l'esistenza.

 

«Terra chiama Barnes, mi ricevi?» ironizza Yelena schioccando le dita di fianco al suo orecchio, abbandonando le proprie elucubrazioni mentali con una certa urgenza. «Cos’è stato nascosto a Praga?» 

«Giravano voci che Tania Belinsky ci avesse edificato le Fondamenta.» afferma lapidario, cancellando brutalmente il sorriso ironico dal volto della donna. 

«Ah.» esala Yelena a corto di parole, rinunciando a sua volta ad una qualche battuta sagace con cui infierire quando il transponder delle emergenze trilla nella tasca dei pantaloni, sbloccando lo schermo del cellulare con fin troppa apprensione, scorrendo il testo del messaggio da parte di Sharon mentre lo stomaco sprofonda di colpo sotto i suoi piedi. 

"Te la riporto a casa, ma al rientro fa in modo di esserci anche tu."

«Merda.» 

«Guai all'orizzonte?» tira ad indovinare Yelena, studiando la sua espressione combattuta di sottecchi, intuendone la matrice dal suo sguardo stralunato, ironizzando. «Oh… guai in Paradiso.»

«Non è giornata Belova, ti avviso.» la minaccia con sguardo temporalesco, rassegnandosi all'assenza di alternative spezzando definitivamente una lancia già fragile. «Non fare cazzate mentre sono via.»

«Mi togli la libertà vigilata? Davvero?» strabuzza gli occhi Yelena spalancando la mascella meravigliata, presa in contropiede dalla concessione elargita così su due piedi senza troppi ripensamenti. «Hai fatto un ictus per caso?» 

«No ragazzina, ma devo… voglio fidarmi per stavolta.» ringhia tra i denti, disintegrando il mozzicone sotto la punta dell'anfibio. «Non darmi un pretesto per ammazzati, ricevuto?» 

«Ricevuto.»





 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “stella mia”.

  2. Antarctica: base SHIELD sepolta sotto i ghiacci dell'Antartide, è il luogo scelto da Fury per conservare le centraline e i backup per far funzionare l'intera baracca. Secondo il mio headcanon sviluppato in "Indelible Marks" è stato lo scenario dello scontro finale e del successivo arresto di Yelena Belova. 

  3. Tania Belinsky: la prima allieva/sorella di Natasha, colei che sapeva della relazione disastrosa con James e ha tenuto la bocca chiusa, dedicando la sua vita alla rivolta un po' per debiti con i due ed un po' per vendetta personale (secondo i miei deliri mentali fumettisticamente fondati in gioventù aveva sviluppato un legame affettivo molto forte con Mikhail). Varie ed eventuali verranno specificate nei prossimi capitoli. 

  4. James Howlett AKA Logan AKA Wolverine: quella magica consapevolezza derivata dal fatto che grazie alle fanfiction si possono raccontare i retroscena inediti nei film causa diritti cinematografici.

 

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Capitolo 3
*** TACHICARDIA - Sintomi ***


PRIMA PARTE - CUORE 

 

TACHICARDIA: Sintomi
Palpitazioni, sensazione di peso e dolore al torace, vertigini, sensazione di stordimento, sincope.



 

Praga aveva l'incredibile capacità di far perdere il senno a Natasha, vantando il fascino malato di una repulsione frammentata persa nei recessi sconnessi della propria mente, ricoprendosi soggetta al venire influenzata più da quelle emozioni che fingeva di non avere, che dal proprio codice morale o dalla logica fine a sé stessa… era un sentimento indefinito e destabilizzante che le dava l'impressione di camminare in punta di piedi sul bordo di una lama affilata, sforzandosi di restare presente a sé stessa distraendosi da quella sensazione opprimente intavolando le conversazioni più disparate con Sharon nel tentativo di riempire completamente la decina di ore di volo aereo – uno spettro molto ampio che spaziava da catastrofi mondiali, passando per le verifiche di Ross sull'operato delle nuove reclute tra le fila degli Avengers, fino ad approdare al dilemma esistenziale sul perché fossero finite per cedere decidendo di trascorrere il resto della loro vita con gli altri due piantagrane. 

«Perché non hai voluto Bucky in missione?» si arrischia a chiederle la donna di punto in bianco, dissociandosi dalle chiacchiere banali in corso d'opera, decidendo che fosse ormai giunto il momento di interpellarla su quel tabú costruito nelle ultime ore, scoccandole uno sguardo confuso dal sedile del copilota. «Non parlo russo bene quanto voi due, ma me la cavo… e fammi il favore di risparmiarmi la cazzata del dover monitorare Yelena, uno qualunque di noi avrebbe potuto tranquillamente sostituirvi senza informare Ross della cosa.»

Natasha spezza bruscamente il respiro entrando in stato di allerta, biasimandosi per essersi dimenticata per una frazione di secondo che Sharon Carter condivideva la sua stessa deformazione professionale, eclissando l'indole da spia traducendo le sue parole in mera apprensione… nonostante gli anni trascorsi al di qua del Muro le faceva ancora uno strano effetto che qualcuno potesse preoccuparsi per lei, a discapito della famiglia allargata che le copriva le spalle ignorando i suoi taciti ordini di tenersi a distanza. Si prende comunque qualche secondo per rispondere, in istanti che si protraggono più del dovuto al punto che Sharon sembra voglia aprir bocca per ritrattare la considerazione espressa e fingere di non aver mai proferito parola, bloccandola socchiudendo le labbra in un preludio di spiegazione che tarda sempre più ad arrivare. 

«A Praga non c'è nulla da spartire con lui, non ha senso farsi del male in due.» ammette restia dopo un rapida valutazione dei pro e dei contro nel stratificare una menzogna, mantenendo le pupille rigorosamente incollate al parabrezza ed optando per la condivisione di un'accurata selezione di brandelli di verità sparse. 

«Ma non vuole nemmeno che tu sia da sola.» obietta Sharon con tono incolore, armandosi di pazienza per aprire una breccia tra le spine del roseto soffocante che assedia le pareti del suo cuore, sbuffando dal naso nel vano tentativo di allentare la pressione nella gabbia toracica. 

«Paranoia.» riassume facendo compiere alle sue pupille un giro completo della cavità orbitale, strappando un sorriso consapevole alla donna, grata che non le abbia chiesto esplicitamente a cosa si riferiva la loro discussione lasciandole la libertà di condividere o meno certi dettagli, sentendosi in dovere di ripagare tale fiducia con un spiraglio di verità autentica. «Certi fantasmi sono più spaventosi di altri, tutto qui.»

«Non mi devi nessuna spiegazione Nat, davvero.» la rassicura Sharon con una scrollata di spalle, iniziando a mangiucchiarsi le unghie fissando il parabrezza permettendole di tornare nella sua bolla confortevole composta da ombre e frammenti di ricordi caotici, concedendole i suoi tempi per avviare di sua sponte la conversazione successiva. 

Natasha respira, sigillando la propria mente a camera stagna, svuotandola totalmente per istinto di autoconservazione e riempiendola di informazioni inutili e fini a sé stesse, ritornando a stilare liste ed incastrare impegni riempiendo nuovamente l'abitacolo di chiacchiere… fino a quando non parcheggia il Quinjet nella radura a fianco alla casa abbandonata a pomeriggio inoltrato, trattenendo il fiato di fronte a quel paesaggio spettrale, temendo un agguato dietro l'angolo che tuttavia non si verifica. 

«C'è qualcosa che non mi torna.» sente Sharon bisbigliare alle sue spalle, ignorandola aprendo la porta su un ampio soggiorno ricolmo di schedari e archivi impolverati. «Nat?» 

«Qualcuno ci sta dando una mano, ecco cosa non ti torna.» afferma con un tono di voce normale dopo un rapido sopralluogo di stanze tutte uguali, accendendo i quadri elettrici illuminando l'intero stabile. «Qualcuno che è stato qui di recente, a quanto pare.»

«Perché la polvere è mal distribuita?» la interroga ripulendo il bordo di una mensola sporcandosi l'indice di nero, osservando pensierosa le assi del pavimento tirate a lucido. «Hanno cancellato tutte le impronte.»

«Hanno anche aggiustato il quadro elettrico.» conferma soprapensiero, scorrendo con lo sguardo sulle diciture dei fascicoli, cercando di dedurre uno schema di catalogazione decifrando le targhette che contrassegnavano gli schedari, illuminando il cervello a giorno sfilando dalla pila a colpo sicuro uno dei tanti taccuini accatastati sui vari ripiani e mensole. 

«Non c'è nemmeno un computer, solo cartaceo… è strano.» ragiona Sharon ad alta voce dopo un secondo sopralluogo, corrucciando le sopracciglia di fronte ai caratteri in cirillico tracciati a penna. «Tu hai una vaga idea di cosa sia questo posto?» 

«Un Archivio molto vecchio e molto pericoloso da tenere, di quelli che si possono ridurre facilmente in cenere con un bel incendio.» spiega sfogliando le pagine del taccuino fugando ogni dubbio, mancando un battito quando riconosce le informazioni e le date disperse tra le righe identificando la mano dietro a quell'opera di proporzioni colossali, illudendosi che il suo improvviso sguardo lucido sia causato da uno dei tanti granelli di polvere che saturano l'aria. «Sono le Fondamenta, alla fine Tania Belinsky le ha costruite al posto mio.»

«Io non ti leggo nel pensiero, Nat.» esordisce la bionda con un tono che lascia intendere una richiesta di delucidazioni, avvicinandosi di mezzo passo allarmata dopo aver visto una piccola increspatura nella sua solita facciata insondabile.

Sei fatta di marmo, ricomponiti. Ricordati che sei fatta di marmo, Natalia. 

«Era una delle mie sorelle, la prima che ho addestrato di persona. È morta proteggendo tutti i miei segreti.» confessa atona alzando lo sguardo granitico sulla donna, indicando con un ampio gesto la quantità esorbitante di taccuini che riempivano la stanza… la sua volontà sarà anche fatta di marmo, ma il suo corpo di carne è tristemente friabile, tradendola causandole un giramento di testa, desiderando di darsela a gambe e fingere che quell'intera parentesi di debolezza non si sia mai verificata, non riuscendo tuttavia a staccare gli occhi dalla pagina o frenare la lingua prima di combinare altri danni. «Soprattutto quelli abominevoli e da pena capitale…»

«Tipo James?» 

«Tipo James…» si morde la lingua prima di terminare la frase, scrollando le spalle come a scacciare la sensazione appiccicosa del rimpianto dovuto alla perdita che le si incolla addosso come una seconda pelle, liberando un sospiro che le accartoccia il petto in una morsa soffocante, grata che Sharon finga palesemente di non vedere e non sentire ciò che le sta accadendo. 

Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. 

«Nat… vuoi prenderti una boccata d'aria fresca?» chiede la donna titubante qualche secondo più tardi, avvicinandosi di un altro mezzo passo per assicurarsi delle sue reali condizioni, temendo un collasso imminente portando istintivamente una mano al transponder. 

«No, sto bene… sto…» serra la mascella con forza, ricomponendosi, raddrizzando le spalle affrontando la situazione di petto senza paura alcuna… nonostante l'ansia le stia distruggendo lentamente le viscere, stringendo il taccuino tra le dita con forza e desiderando di fuggire nel bosco per espiare tutti quei dubbi che avevano iniziato ad agitarsi nella sua scatola cranica come un fiume in piena, generando una quantità esorbitante di dettagli caotici che le affollano la testa. «Qui c'è materiale per incriminare ogni singolo affiliato della Stanza Rossa… fino al '91 almeno, non possiamo lasciarlo incustodito.»

«Chiamo qualcuno, faccio arrivare il primo dei nostri che è in zona…» la rassicura Sharon decidendosi a sfilare il transponder dalla tasca della tenuta per contattare una squadra tattica, indicandole la porta con un cenno del capo fornendole una via di fuga. «Non c'è bisogno che tu resti qui, aspettami fuori… io resto dentro e riordino un po'.»

Natasha non se lo fa ripetere due volte, girando i tacchi incespicando fino alla balaustra nel portico, aggrappandosi ad essa per riprendere fiato, chiudendo gli occhi respirando a fondo per ricomporsi… ma quando solleva lo sguardo vede la neve macchiata di sangue, sente le urla e i latrati dei cani portati dal vento, mentre un abisso sconfinato e vuoto germoglia dalla bocca del suo stomaco e minaccia di inghiottire lei e il suo orgoglio del cazzo. Non sarebbe mai dovuta tornare… non da sola, non senza James. 

I suoi piedi iniziano a muoversi ben prima che il suo cervello detti l'impulso, impuntandosi nel esorcizzare i propri demoni seguendo alla lettera la mappa approssimativa tracciata sulle pagine ingiallite, addentrandosi nei boschi con un passo vagamente malfermo. Sapeva di essere stata a malapena una ragazzina quando era successo, la reminiscenza originale era andata persa insieme ai vari reset subíti, ma all'epoca James aveva rubato per lei il suo fascicolo dall'ufficio di Petrovich, riuscendo a ricostruire a posteriori un ricordo verosimile del perché fosse stato necessario anticipare la Cerimonia di Laurea di un paio d'anni rispetto alle sue sorelle, raggiungendo un verdetto che aveva solamente contribuito a sedimentare la consapevolezza di non voler mai più mettere piede a Praga finché era in vita… e puntualmente era lì a seguire le direttive di un fantasma per trovarne altri, pronta a venir meno al limite imposto da sé stessa. 

«Non sapevo fossero entrambe qui…» afferma con voce sepolcrale quando avverte la presenza di Sharon alle sue spalle, completamente ignara del tempo trascorso da quando si era lasciata cadere in ginocchio in mezzo alla neve assecondando un crollo emotivo concesso, notando appena il cielo stellato trapuntato sopra la sua testa, asciugando i resti delle lacrime silenziose cristallizzate sulle sue guance con il dorso della mano, ricomponendosi per l'ennesima volta nel corso di quell'interminabile giornata e sentendosi in dovere di riempire il silenzio protratto con una qualche giustifica al suo imprevedibile stato d'animo, mostrandole il taccuino che stringeva tra le mani. «Me lo sono sempre chiesta, il dove Tania avesse seppellito la seconda… l'ha spostata qui con la sorella appena ha potuto, me l'ha lasciato scritto.»

«Non volevi saperlo?» chiede la donna alle sue spalle in un sussurro appena udibile, incapace di staccare gli occhi dalle due croci bianche in legno di betulla – contrassegnate dalle diciture “1946” e “1956”, incise rozzamente sul basamento del tronco verticale ed appena visibili alla luce della luna – che si ergevano ai lati di un cespuglio di rose selvatiche, timorosa di compiere un gesto troppo avventato e vederla cadere definitivamente in mille pezzi. [1] 

«Era un'informazione in meno da dimenticare.» scrolla le spalle noncurante, ascoltando una voce che stenta a riconoscere come propria. 

Sharon la raggiunge a terra, sfiorandole un gomito per essere sicura di non vederla scattare, abbracciandola trasmettendole un po' di calore umano… la donna non parla, non chiede nemmeno, aspetta semplicemente in silenzio e Natasha si ritrova a seguirla quando all'alba Sharon la trascina in piedi e la porta lontano dalle due tombe, aggirando di proposito la squadra tattica ancora al lavoro ed obbligandola a mangiare qualcosa appena risalgono sul Quinjet per tornare a casa. 

«L’hai appena chiamato immagino...» Natasha spezza il silenzio con voce rauca una volta terminata a fatica la propria razione di cibo, assottigliando lo sguardo accusandola istintivamente per essersi macchiata del crimine del buon senso quando la vede nascondere goffamente il transponder dietro la schiena.

«Tu non l’avresti mai fatto… e francamente hai più bisogno di lui che di me.» replica Sharon con una scrollata di spalle trasmettendole una strana sensazione rassicurante, proteggendola da un giudizio che si astiene per la semplice incapacità di trovare un parametro… Natasha sapeva che era inutile fingere, ormai aveva bruciato le sue carte, e per deformazione professionale Sharon doveva aver già collegato tutti i suoi brandelli veritieri espressi nelle ultime ore.

«Non mi hai ancora chiesto chi sia sepolto lì sotto.» concede Natasha titubante sfiorando il taccuino nascosto nella tasca interna della tenuta, preparandosi psicologicamente ad intavolare una spiegazione che era in grado di scarinificarla una parola alla volta, sorprendendosi quando Sharon le fa cenno con la testa di non voler sapere nulla.

«Non serve, me l’hai detto prima… un Abominio ed una Pena Capitale.» liquida l’argomento prendendo posto ai comandi costringendola al sedile del copilota, facendo sfoggio di sensibilità nel non toccare volutamente quei tasti dolenti messi a nudo, accartocciando un paio di domande sulla lingua cercando la formulazione corretta prima di proferire nuovamente parola chiedendo l’unica conferma che non poteva fare a meno di ignorare. «Bucky lo sa?»

«Della prima si, era annotato nel mio fascicolo del KGB.»

«E della seconda?» chiede allora la bionda con voce appena udibile, intuendo già la risposta prima di vederla negare con un cenno del capo.

«No, non saprebbe come gestirlo.» conferma atona eludendo lo sguardo della donna, rannicchiandosi sul sedile in posizione di difesa da quelle parole potenzialmente affilate come coltelli… ma Sharon non infierisce, anzi, sembra comprendere fin troppo bene.

«E tu invece? Hai saputo gestirlo?» la sorprende toccando un nervo sensibile.

«All'epoca avevo richiesto delle Fondamenta… e poi l’ho dimenticato insieme a tutto il resto per troppo tempo, con gli anni ha semplicemente smesso di fare male.» cede, usando un tono di voce che desiderava concludere quel discorso anomalo al più presto.

«Ha smesso davvero o ti sei abituata al punto da conviverci?» si arrischia a chiederle, sfidandola apertamente a replicare con sincerità, ottenendo prevedibilmente un’occhiata di fuoco in risposta. «Come non detto… torniamo a casa.»

Sharon avvia il motore del velivolo facendo definitivamente calare il sipario sull’argomento, ma ciononostante l’interruzione verbale non placa in automatico anche la sua mente, iniziando a chiedersi quanta verità si celasse in realtà nelle proprie affermazioni, interrogandosi se l’aver sempre evitato di parlarne con James si traduceva anche nella reale ignoranza di quest’ultimo. 

Quello che era iniziato come un sospetto diventa velocemente un dubbio fastidioso, trasformandosi in tarlo massacrante nel giro di poco, scardinando con prepotenza la porta della camera stagna istituita nel suo cervello… e Natasha finisce irrimediabilmente per perdersi nel proprio labirinto mentale senza via d'uscita.

 

Mosca, 1956: una verità negata

 

Natalia gli stava dando le spalle ma riusciva a percepirlo lo stesso, continuando a spazzolarsi i capelli ignorando forzatamente lo sguardo azzurro ghiaccio dell’uomo, covando la speranza vana che se ne stia in silenzio ed eviti di ripescare conversazioni scomode ad un passo dal lasciarsi per un tempo indefinito.

«Cosa c’è Natalia?» irrompe la voce di James con tempismo irritante, decidendosi a parlare per fugare ogni dubbio, nascondendo un sottotono preoccupato nella voce.

«Niente.» replica lei prevedibile voltandosi nella sua direzione e distogliendo lo sguardo subito dopo, fissando l’angolo del tappeto in un chiaro consiglio a desistere dal intraprendere conversazioni avventate.

«Lo so che domani Alexei ti trascina ad un’altra commemorazione, galà… qualunque cosa sia.» insiste nel cercare una spiegazione alla sua apatia, fraintendendo, chiamando in causa con tono incurante la sua debole concorrenza, parlando con cautela e sforzandosi di non distogliere lo sguardo a sua volta. 

Da come parlava sembrava quasi rassegnato a perderla… o peggio, aveva lo sguardo di chi sapeva di averla già persa. Natalia intuiva il cosa dovevano aver visto i suoi occhi nell'ultimo paio di giorni, sentendosi lei per prima un involucro vuoto e fragile da quando era tornata da Berlino, vantando l'aspetto di chi aveva visto la morte in faccia e desiderava solamente cercare con lui tra le lenzuola un appiglio per sentirsi di nuovo viva. In quei due giorni James l'aveva assecondata in tutto, senza mai battere ciglio o insistere con qualche domanda… perché forse aveva già intuito qualcosa, o peggio, forse sapeva ed aveva deciso che non gliene importava. 

«Accetti la cosa così? Niente scenata di gelosia? Nessun comportamento lunatico?» lo accusa furente leggendo nei suoi occhi la confusione più totale, tradendosi instillandogli involontariamente la scintilla di un sospetto che ancora non aveva. 

«Mi consolo che una notte del genere...» inizia l’uomo correndo al riparo con una consolazione lusinghiera, indicando loro due, la stanza e di nuovo lei in un unico gesto volto ad avvalorare la tesi espressa. «… Alexei non l’avrà mai. La fuga non è un’opzione, quindi mi accontento di questo.»

«E se scappassimo?» propone elettrizzata nel tentativo disperato di smorzare la scintilla che aveva incautamente scatenato, assecondando l'appiglio fornitore dall'uomo stesso per fortificare la barriera che aveva eretto negli ultimi due giorni per proteggerlo da quella verità orribile conosciuta solamente a lei e a Tania.

«Non possiamo.» replica James con tono ovvio tastando il terreno, scoccandole uno sguardo che tentava di studiare le sue reazioni, fiutando guardingo il depistaggio in corso.

«Perché no? Lasciamo un biglietto e un mazzo di rose come ringraziamento. Vorrei questo...» afferma Natalia imitandolo nei gesti, indicando loro due e la stanza in quel concetto non esprimibile a parole. «… ma lontano da qui

«Vuoi scappare da Ivan?» chiede James con lieve titubanza… e lo vede, il dubbio che divampa in fondo ai ghiacciai naufragati nei suoi occhi, scoprendosi indecisa tra l'essere spaventata per la sua possibile reazione violenta nel scoprire del cadavere sepolto a Berlino e l'urgenza di fuggire insieme dal Cremlino lasciandosi alle spalle le macerie fumanti di Mosca. 

«Si. Da lui, Lukin, Karpov, Dimitri, Madame B… e Alexei.» elenca sottolineando il come quel desiderio di evasione lo coinvolgesse in prima persona, ma guardandosi bene dal condividere con lui il Peccato Capitale causato dalla loro mancata attitudine ai doveri di Macchina, rischiando concretamente la vita per un stupido incidente dettato dall'anima libera che non erano.

«Sai come andrà a finire, vero?» formula James rassegnato, comprendendo fin troppo bene l'intera situazione reputandola folle, ritrovandosi ad assecondarla di nuovo, sentendosi messo all'angolo senza vedere l'ombra di una terza alternativa indolore o meno rischiosa.

«Preferirei la Siberia ad Alexei… passerei solo da una forma di prigionia ad un’altra.» afferma Natalia ricevendo un cenno di assenso in risposta, scorgendo un lampo di consapevolezza al termine dei pozzi neri celati nelle sue pupille… non potendo fare altro se non assistere silenziosa al divampare della sua paura mista a rabbia, tentando di direzionarla in porti più sicuri. «Lui non è te, non abbiamo più nulla da perdere James… tanto vale tentare.»

Natalia si rende perfettamente conto che forse avrebbe dovuto usare parole diverse, ma aveva bisogno di farlo barcollare prima di manipolarlo, dipingendosi un sorriso amaro sulle labbra, consapevole di aver toccato i tasti giusti quando lo sguardo di James si sgrana al punto da riuscire a vedersi riflessa nelle sue pupille, frenandosi dal toccarlo quando boccheggia a vuoto incapace di formulare una frase in grado di fugare tutti i dubbi dei quali non voleva realmente ricevere risposta. Natalia accarezza l'idea di non mentirgli, di confessare così su due piedi che ha avuto un aborto, di farsi abbracciare fino a scomparire tra le braccia di James per sentirsi di nuovo completa… ma allo stesso tempo riesce anche ad immaginare l'altro lato della medaglia, figurandosi la totale disperazione nello sguardo dell'uomo nel vedersi negata una possibilità che non pensava di avere, gestendo a fatica la propria di paura alla sola idea di vederlo crollare, conscia di non avere le forze per fermare il dolore tramutato in furia omicida. Se Natalia chiude gli occhi vede chiaramente il cadavere di James, morto suicida nel tentativo di vendicare il frutto di un amore perduto… e per salvaguardare la sua vita e la propria sanità mentale non può permettere che accada, illudendosi di mentirgli per proteggerlo da azioni avventate non ancora accadute, negandogli egoisticamente il pretesto ed il diritto di disperarsi, trasformandolo nel proprio appiglio inconsapevole per non lasciarsi andare alla deriva. 

Natalia si morde la lingua e tace, ma ha come l'impressione che James riesca comunque a leggerla nel pensiero, afferrandole istintivamente i fianchi impedendo ad entrambi di naufragare in una valle di lacrime, chiudendo gli occhi posando la fronte contro la sua limitandosi a percepirla sotto i polpastrelli, in una prova tangibile di tutto ciò che gli restava al mondo e poteva essergli ancora strappato via dalle braccia. 

«È un’impresa suicida Natalia… è folle, spaventosa…» gracchia James nascondendo l’impellente bisogno di assecondarla, di fuggire seduta stante senza guardarsi indietro.

«Ti spaventa più dell’essere innamorato di me?» chiede con ironia latente attingendo ad una forza di volontà che non sapeva di avere, portando a termine l'omissione ridimensionando l’ondata di paura che gli legge negli occhi, distanziandolo da quel sospetto abominevole spingendolo a credere di sbagliarsi.

«Dal mio punto di vista, la tua morte è una prospettiva decisamente più terrificante, ne avevamo già discusso.» afferma James cercando un punto di ancoraggio nei suoi occhi verde foresta, trovandoci la quiete che manca nel mare in tempesta che si celava nei propri, riuscendo a respirare dopo secondi interminabili di apnea, sfociando in una decisione dettata dall'impulso. «Vada per la Siberia, se devo morire voglio farlo da uomo libero.»

 

Natasha aveva aperto gli occhi di colpo al rumore di un velivolo che atterrava nell'hangar, stroppicciandosi gli occhi ritrovandosi a contemplare il sedile del pilota vuoto e la vista di due Quinjet parcheggiati affianco al proprio, appurando che Sharon doveva essersela data a gambe da un pezzo e che evidentemente in quel lasso di tempo James aveva fatto in tempo a tornare da Madripoor… quando avrebbe fatto meglio ad ignorare i messaggi di Sharon e risparmiare a lei il compito di costruire una facciata imperturbabile che reggesse ad ogni tipo di pressione, cosa che Natasha escludeva categoricamente di poter fare in tempi così brevi. 

Si obbliga a rimettersi in piedi approfittando dell'alibi di ferro che le si palesa davanti quando la squadra tattica convocata a Praga dalla Carter inizia con le operazioni di trasferimento a terra della documentazione raccolta, trascinandosi fino all'alloggio di Hill per buttarla giù dal letto e fare rapporto, consapevole e colpevole di aver mandato all'aria la possibilità di mettere definitivamente un punto alla caccia al topo che dopo più di un anno aveva assunto le sembianze di una guerra di logoramento – chiudendo a chiave i propri sentimenti inopportuni in un cassetto della propria mente per poi gettarla via, non aveva il tempo di piangere, non era più una bambina. 

Sei fatta di marmo, ricomponiti. Ricordati che sei fatta di marmo, Natalia. 

«La smetti di far fare scintille alla mia protesi?» irrompe a tradimento la voce di James dalla cima del laboratorio, spingendo Natasha a bloccarsi sul fondo delle scale, accusando una martellata che fa volare via diverse schegge di marmo dalla propria corazza. 

«Rinvii la diagnostica da mesi e la tratti da cani, ovvio che ora fa scintille.» brontola Stark troncando la discussione con una seconda scarica di sfrigolii, mentre Natasha si schioda dal primo gradino dandosi della stupida, avvertendo la netta sensazione che il taccuino nascosto nella tasca interna della sua tenuta inizi a pesare come un macigno, consapevole di dover per forza passare davanti alla porta a vetri del laboratorio per raggiungere le camerate, rallentando il passo scalino dopo scalino per origliare la conversazione in corso e lasciandosi superare dagli agenti che trasportavano pile e pile di scatoloni fino alla sala comune. «Dato che non hai via di fuga perché tengo in ostaggio il tuo ammasso di ferraglia ipertecnologico, pensi di spiegarmi cosa diavolo sta succedendo?»

«Perchè, sta succedendo qualcosa?» ribatte James spigliato, lasciando all’immaginazione di Natasha l’alzata di occhi al cielo di Tony di fronte a quel blando tentativo di depistaggio.

«Tu e Yelena siete partiti due giorni fa all'alba e nessuno vi aspettava per minimo settantadue ore, sono le due di notte e tu sei qui da solo in un fascio di nervi, mia cugina è atterrata ore fa ed è corsa da Steve senza nemmeno passare a salutarmi e di Romanov non c’è ancora traccia.» elenca Stark impietoso con il rumore di placche metalliche calibrate in sottofondo, facendo incespicare silenziosamente Natasha a ridosso della soglia del laboratorio instillandogli l’obbligo di assecondare qualunque sentenza di dubbia veridicità stia per formulare suo marito. «Qui ho finito, per la cronaca… ed ora ti sfido a mentirmi, Barnes.»

«Succede che qualcuno all'interno della Dark Room ci sta dando una mano.» afferma James lapidario puntando per l’esposizione dei fatti concreti intuibili ai più, mentre Natasha raggiunge il ballatoio del laboratorio sbirciando all'interno del laboratorio, notando per prima la figura di Tony puntellata al bancone da lavoro con il baby-monitor agganciato alla cintura, per poi spingere lo sguardo fino a suo marito che afferrava la protesi dal tavolo, approfittando del clangore dell'arto meccanico che si riattaccava alla placca magnetica per proseguire a passo felpato lungo il corridoio nella speranza di non essere vista. «Le ragazze hanno trovato l’Archivio di Tania Belinsky, a quanto pare siamo entrati in possesso di materiale in grado di incriminare mezza Russia.»

«Questo non spiega il perché tu sia qui senza la piccola siberiana alle costole, né giustifica l'assenza di Natasha.» afferma Tony con un vago scetticismo latente ed una sfuriata in lingua slava che evidentemente gli riecheggiava ancora all'interno della scatola cranica, puntando il dito sulle informazioni omesse mentre James dà il profilo alla porta in risposta e si dipinge un sorriso da schiaffi sul volto. 

«Bentornata amore, com'era la Repubblica Ceca?» elude la richiesta di delucidazioni di Stark, impalandola sulla soglia con una semplice domanda che ostentava nonchalance sconfinata, obbligandola ad affacciarsi alla porta per fronteggiarlo.

«Peggio di come la ricordavo… sono appena tornata con la squadra tattica Tony, ti mancavo per caso?» scherza ottenendo una mezza risata in risposta evitando di fingere di non aver origliato la loro conversazione, scrollando le spalle indicando un punto imprecisato alle proprie spalle. «Io vado, voglio controllare che si siano ricordati di prendere tutto ed iniziare a farmi un'idea da dove iniziare a catalogare i fascicoli domani mattina.»

«'Tasha…» tenta di bloccarla James scendendo dal bancone su cui era seduto, mentre la donna si sforza di dipingersi un sorriso sulle labbra, dissimulando la mancanza di quel paio di battiti persi di fronte allo sguardo ed al tono di voce preoccupato di suo marito. 

«Non saresti dovuto tornare.» lo allontana nel vano tentativo di tenere le proprie emozioni sotto chiave, le quali trovano prontamente una via di fuga alternativa scavandole una voragine nel petto, facendo riaffiorare la rabbia dal tumulto incoerente che le rimescola il sangue in corpo riconoscendola come una emozione familiare e terapeutica. «E pensavo di essere stata abbastanza chiara sul non dover lasciare Yelena da sola a Madripoor.»

«Ho già parlato io con Hill, ha spedito Barton in Asia appena l'ho chiamata per avvisarla del mio rientro anticipato… e fino a prova contraria tu sai tutto della Stanza Rossa, ma non hai mai messo piede nel Dipartimento, ti servirà una mano nei prossimi giorni.» replica l'uomo con logica ineccepibile smorzando sul nascere la scintilla furiosa che la anima, consapevole che Clint era la scelta più adatta per trattare con una Vedova irascibile, sollevando lo sguardo su suo marito permettendogli di intravedere i pozzi neri senza fondo celati nei suoi occhi, scansandosi appena quando accenna un passo nella sua direzione sfilando le chiavi della moto dalla tasca. «Guido io fino a casa?» 

«Va bene.» ribatte atona uscendo dalla stanza, avvertendo i passi di James inseguirla a distanza di qualche secondo richiamandola bloccandola a metà strada dalla rampa che conduceva ai garage, voltandosi a fronteggiare le sue braccia aperte in un abbraccio. «No

«... dai, vieni qui, non mordo.» la contraddice andandole incontro, stringendosela al petto appoggiando il mento sopra la sua testa, mentre Natasha chiude gli occhi respirando a fondo il profumo di tabacco, metallo e polvere da sparo impresso su James come un marchio di fabbrica, attraccando al sicuro placando il mare in tempesta che si agitava sottopelle. «Meglio?»

«Ti odio.» brontola aggrappandosi alle sue spalle, tradendo un respiro più brusco degli altri.

«Ti amo anch’io.» mormora posandole le labbra sulla fronte, spingendola inconsciamente a ricomporsi ed impedirsi di lasciarsi andare alla deriva. «Forza, torniamo a casa.»

«звезда моя…» tenta di contestarlo avvertendo il senso di colpa pungolarle lo stomaco, specchiandosi in un mare in tempesta che annega un sospetto malcelato sul fondo delle iridi di James, mordendosi la lingua ritornando sui propri passi. «Niente, torniamo a casa.»

 

***

 

«’Tasha, ora posso sapere che ti prende?» 

Natasha spanna lo sguardo riscuotendosi dall’ennesimo istante di apatia momentanea, attorcigliando lo stomaco di James in una morsa a tratti dolorosa, reprimendo la scintilla di paura che gli attraversa l'anticamera del cervello quando si specchia nei pozzi neri delle pupille di Natasha… le aveva concesso il tragitto fino a Little Ukraine in silenzio, le coccole di Liho mentre lui occupava la doccia ed aveva aspettato pazientemente che lei terminasse tutta l'acqua calda quando era stato il suo turno di lavarsi, ma James aveva deciso che era arrivato il momento di darci un taglio con tutte quelle futili precauzioni per aggirare il campo minato che la moglie gli aveva costruito intorno, consapevole che presto o tardi avrebbe messo male un piede e sarebbe inevitabilmente saltato in aria, rassegnandosi che ormai giunti a quel punto tanto valeva porre le domande giuste a bruciapelo ed accorciare le tempistiche fin da subito.

«Ho i capelli bianchi, guarda.» gli rigira il discorso Natasha afferrando un sottile filo bianco da una delle tante ciocche rosse indomabili che aveva tentato di acconciare maniacalmente nell’ultimo paio di minuti, sbuffando di fronte alla sua espressione scettica, rassegnandosi a raccoglierli in una treccia disordinata.

«Hai novant'anni suonati 'Tasha, non farne una questione di Stato… e non cambiare discorso di nuovo.» la riprende seguendola con lo sguardo mentre si arrampica sul materasso intrufolandosi al suo fianco sotto le lenzuola, allungando una mano per intrecciare le dita tra i suoi capelli ignorando la sua richiesta di delucidazioni.

«Non è giusto che tu non ne abbia nemmeno uno, sembro più vecchia di te adesso [2]

«Come se a me importasse… sono talmente pochi che non si notano nemmeno.» sbuffa assecondandola quel poco che bastava per farle abbassare la guardia, preparandosi il terreno per un nuovo attacco.

«Tu non noti nemmeno quando cambio taglio, звезда моя.» replica incolore leggendo tra le righe le sue reali intenzioni, voltandogli le spalle rotolando verso la sua metà di materasso. «Se provi ad uscirtene con una qualche frase melensa ti defenestro.» 

«Non ho detto niente… non ancora.» si difende debolmente allungando il braccio sinistro verso di lei afferrandole il polso martoriato, mantenendo invariata la loro solita routine facendo cozzare la schiena della donna contro il proprio petto. «Dovremmo parlarne prima o poi, lo sai vero?»

«Parlare di cosa?» Natasha finge di cadere dalle nuvole con scarsi risultati, ostinandosi a dargli le spalle per non tradirsi. 

«Del taccuino che hai nascosto sul fondo dell'armadio al posto delle punte gessate, dato che quelle sono riapparse in salotto… per dirne una.» afferma in un sussurro conciliante stringendo un po' di più la morsa delle sue braccia, consapevole che in quel doppio fondo angusto la compagna seppelliva tutte quelle parti della sua vita che voleva gettare nell'oblio della propria memoria, spingendo James ad agire in forma preventiva impedendole di logorarsi il fisico e soprattutto l'anima in solitudine sulle punte fino allo sfinimento. «Non costringermi ad insistere, non sei in grado di mentirmi troppo a lungo.»

«Potrei sorprenderti.» lo contesta fremendo appena quando le sfiora una spalla in una carezza, schermandosi dietro all’ultima difesa che le era rimasta per metterlo a tacere. «Lo sai che conosco tutti i tuoi punti deboli, vero?»

«Ed io conosco i tuoi.» ribatte allentando la presa togliendole l’appoggio del busto, sollevandosi su un gomito per fronteggiarla. «Credi di essere l’unica a saper usare il sesso per ottenere informazioni?»

«Dovrei interpretarla come una minaccia?» chiede guardinga con lo sguardo di un cerbiatto spaventato di fronte ai fanali di un’auto. 

«Consideralo più un avvertimento.» replica candidamente aspettando in silenzio una replica che non arriva, aprendo bocca prima che la donna possa distogliere lo sguardo. «’Tasha, ti conosco da sempre e ti ho sposata, ormai non esiste più una verità così spaventosa da farmi fuggire via, da respingermi o da ferirmi.»

Natasha si morde un labbro tentennando appena, tradendosi fremendo sul posto… rinunciando a mentire od omettere informazioni che lui ormai potrebbe tranquillamente scoprire frugando nel suo armadio, concedendosi un respiro un po' più profondo degli altri prima di proferire parola, cercandolo in punta di dita stabilendo un contatto ed ancorando lo sguardo al suo. 

«Non c’era solo la tomba di Rose a Praga.» confessa sconsolata, celando in fondo alle pupille un abisso tumultuoso in fase di allagamento… scavando una voragine nel petto di James quando il ricordo ottenebrato del motel di Mosca riaffiora dalle sue sinapsi e si colloca ordinato tra le fila della sua memoria rattoppata alla meno peggio, rendendo lampante il cambio di soggetto. «È questo che Tania ha lasciato scritto nel taccuino. Il come e il quando l’ha riesumata da Berlino e l'ha spostata a Praga con la sorella.»

Non abbiamo più nulla da perdere, James… è morta una bambina, James.

La sentenza si abbatte impietosa su entrambi ripescando reminiscenze di pensieri datati appartenenti ad un altra vita, assumendo contorni definiti ed agghiaccianti incrinando un qualcosa nel petto di James che si traduce fisicamente in uno spasmo doloroso allo sterno, come se il cuore si fosse trasformato improvvisamente in vetro e si fosse sbeccato, lacerando i tessuti spillando microscopiche gocce di sangue. 

James ricompone il puzzle, incollando i brandelli sparsi della propria memoria frammentata in decenni di ghiaccio e rivolte… naufragando nelle iridi verdi di Natasha rischiando di annegare in esse, sovrapponendoci il fotogramma dello sguardo caleidoscopico della sua piccola ballerina segnato dal ricordo di marchi indelebili e cicatrici mostruose che avevano origine ancora una sessantina d'anni prima. Riporta alla mente quei due giorni all'epoca creduti magnifici in cui si erano rinchiusi a chiave nella camera di un motel negandosi al resto del mondo, cercandosi ed annullandosi l'uno nell'altra per un numero incalcolabile di volte crogiolandosi nell'estasi, come se quella fosse l'ultima occasione che avevano per amarsi prima di salire sul patibolo… filtrando la dinamica attraverso i nuovi dettagli raccolti, reinterpretando la foga in disperazione, rendendosi conto che in quei due giorni le priorità di Natasha erano state ampliate dal mero istinto passionale volto alla ricerca di una gioia effimera, ma piuttosto puntavano al riavere indietro un qualcosa – un chi – che le era stato strappato via e poteva ritrovare solamente dentro di lui. Gli organi interni di James si dilaniano e sanguinano al ricordo che quella era stata anche la prima volta in cui l'aveva sentita piangere, ai suoi spasmi contenuti a fatica che riecheggiavano contro il suo petto come una cassa armonica, alle omissioni che erano seguite alle sue delucidazioni negate, alla richiesta disperata di fuggire dai loro padroni lasciandosi le macerie fumanti di Mosca alle spalle… all’epoca James l’aveva semplicemente intuito, trovando in un secondo momento la vaga conferma di un sospetto fondato nell'aiuto promesso da Tania Belinsky in memoria degli scempi di Berlino, agitando gli abissi torbidi della sua paura rivoltandogli le viscere nonostante all’epoca avesse dimenticato la matrice d’origine.

Il tempo si dilata rallentando i secondi fino allo stremo, ribaltando la clessidra della memoria per antitesi, perché poco importa se siano passati sessant'anni, sessanta ore, minuti o secondi… loro figlia è morta e non gli resta altra soluzione se non quella di aggrapparsi a sua moglie per non annegare nel mare in tempesta che inizia a sconquassargli il petto in respiri rantolanti vuoti e muti, riversando cascate di lacrime all'interno degli occhi allagando la sua gabbia toracica. James ha la netta sensazione di dover implodere da un momento all'altro… ed i centimetri che lo separano da Natasha sono troppi, nascondendo il suo sguardo in tumulto per non gettarla nel panico, stringendosela addosso in un conforto reciproco ed illudendosi che così facendo possa tornare indietro nel tempo e riuscire a percepirla ancora.

«Anastasia.» gracchia a tradimento Natasha contro il suo orecchio scivolando nella lingua madre, artigliandogli le spalle rispondendo all'abbraccio mentre James avverte il cuore schiantarsi in modo definitivo in fondo alla cassa toracica, lasciando che gli occhi si riempiano di lacrime. «Se fosse nata femmina avrei voluto chiamarla Anastasia… deriva dal greco, vuol dire “resurrezione”

James non ha la forza di replicare, limitandosi a stringerla immobile, incapace di versare lacrime o liberare i singhiozzi che gli frantumano le costole soffocandolo pian piano… si impedisce a forza di esplodere, terrorizzato di annientare Natasha per riflesso, concentrandosi sulle unghie della donna conficcate nella carne in un appiglio fastidioso. 

«Puoi piangere, James.» mormora Natasha con tono rassicurante, concedendogli il permesso quando non lo sente reclamare il diritto di provare un qualsiasi sentimento destabilizzante. 

«Anche tu.» replica in un rantolo che demolisce la diga rigandogli le guance, in una concessione reciproca che Natasha si stava negando a sua volta, seguendo la stupida convinzione che almeno uno dei due doveva ergersi a colonna portante dell'altro. 

Depongono le armi facendo crollare ogni barriera a forza di singhiozzi, rassegnandosi a rigettare un veleno salato che scioglie anche le ultime maschere… e l'emozione che resta a tempesta conclusa è così liberatoria da far girare loro la testa, continuando a tenersi stretti galleggiando insieme in un placido mare di lacrime. 

 

***

 

«Lo sai qual è l'arma perfetta per far crollare un Impero?» rompe il silenzio Elisa Sinclair, interrogando Kobik nel mentre che afferra la torre bianca ed elimina un pedone nero dalla scacchiera. 

Alexei Shostakov accusa il colpo storcendo appena le labbra, tentando di riparare al danno subíto spostando il proprio cavallo nella vana speranza di mangiare la regina bianca, fallendo miseramente nel tentativo quando il sorriso della donna si accentua ed elimina la torre nera che il suo cavallo stava proteggendo fino a qualche secondo prima. 

«Si!» esulta Kobik agitando i pugni in aria con un sorriso sfavillante ad incorniciarle le labbra, sollevando lo sguardo luminoso su Elisa. «Stiamo vincendo, vero? Non lo capisco ancora bene questo gioco.» 

«Si, stiamo vincendo piccolina.» sorride la donna con dolcezza infinita e per un istante Alexei riesce a figurarsela come la madre amorevole che doveva essere stata un tempo, con la giusta dose di gentilezza e la pazienza necessaria per spiegare le complesse regole degli scacchi ad un piccolo Helmut Zemo. «Ma non c'è gusto nel esercitarsi con il Guardiano… sei un pessimo giocatore Shostakov, lasciatelo dire.»

«Faccio troppa poca pratica.» si giustifica debolmente con una scrollata di spalle, accennando un sorriso al pensiero che nonostante la poca esperienza sul campo era riuscito a far svaligiare un Archivio con successo senza richiamare attenzioni indesiderate. «Ho imparato qualcosa, ma non sono ai suoi livelli Madame… lei gioca a scacchi da una vita.»

Elisa Sinclair sorride ignara estasiata per il complimento, muovendo pedine e divorando avversari con sfacciata naturalezza senza dar parvenza di ragionare dietro alle mosse attuate, spiegando le scelte fatte solo in un secondo momento sotto gli occhi divertiti della bimba. 

«Non hai risposto alla domanda Kobik, lo sai qual è l'arma perfetta per far crollare un Impero?» chiede nuovamente la donna, ottenendo una scrollata di capo in risposta, escludendo incautamente Alexei dalla conversazione in corso… come biasimarla, per quanto ne sapeva lo credeva intontito dalle droghe che idealmente Ursus avrebbe dovuto iniettargli giorno per giorno. 

Elisa Sinclair era troppo occupata a preservare ed amministrare il potere guadagnato a Madripoor per vedere al di là del proprio naso, spingendo lo sguardo su una scacchiera su larga scala ed ignorando le anime intrappolate nell'ombra dei vari pedoni, torri e cavalli… aveva preso la squisita abitudine di delegare ai sottoposti gli aspetti più aberranti della sua scalata al trono, ricavandosi una qualche sporadica mezz'ora per plasmare la mente della piccola con quel che bastava per ingannarla ed eseguire gli ordini, rifilando l'istruzione di Kobik ad Alexei e Mikhail convinta che un collare bastasse a controllare un mutante ed illudendosi che quest'ultimo iniettasse regolarmente le sostanze chimiche nelle vene del compagno di prigionia, invece di gettarle giù per lo scarico del lavandino come realmente faceva. 

«Un'idea Kobik, basta instillare nella testa di qualcuno un'idea malata.» spiega la donna con un sorriso dolce impresso sulle labbra quando Kobik annuisce convinta delle sue parole fuorvianti, scompigliando i capelli bianchi della bimba in un gesto affettuoso. «Molto presto potrai giocare all'Allegro Chirurgo con una bambola molto speciale, mia piccola Peter Pan.»

Kobik ride contenta battendo le mani entusiasta, mentre Alexei dissimula egregiamente il micro infarto registrato in sordina nell'apprendere la notizia, vedendo la propria occasione di conoscere il soggetto della frase dissolversi in fumo quando una guardia armata fa irruzione nella cameretta di Kobik richiamando l'attenzione del Leader Supremo. 

«Mi dispiace interrompere la partita a metà, ma il dovere chiama.» annuncia Elisa facendo scendere Kobik dalle proprie ginocchia, spolverando con le mani la gonna del vestito, per poi allungarne una nella direzione di Alexei in un chiaro segno di congedo. «Guardiano Rosso.»

«Avrebbe vinto sicuramente lei, io da solo non ho speranze di batterla ad armi pari.» confessa mascherando la presa in giro con una lusinga stucchevole, afferrando la mano protesa nella sua direzione ed inchinandosi a farle il baciamano. «Madame Hydra.»

La guarda uscire dalla stanza con le guardie armate a seguito, aspettando che la donna si chiuda la porta alle spalle per lasciarsi cadere di peso sulla sedia con aria affranta, osservando come la bimba stesse ancora studiando attentamente la scacchiera, strabuzzando gli occhi allarmato sollevandosi dallo schienale quando Kobik allunga una mano e rovescia la pedina del re nero proclamando il Matto. 

«È giusto vero?» chiede innocente cercando una conferma nel suo volto sollevando gli occhi cerulei su di lui. 

«Sì, è giusto.» ammette Alexei riluttante iniziando a riporre via la scacchiera pezzo per pezzo, sotto lo sguardo nuovamente annoiato della bambina. «Ma almeno ti piace come gioco?» 

«Non proprio, ma Elisa è contenta se imparo le regole… e se è felice mi procura altre bambole.» afferma la bambina con una scrollata di spalle come se avesse appena annunciato una verità assoluta, usando il tono innocente di chi non si rendeva conto delle proprie azioni convinta che gli orrori pianificati tra quelle quattro mura fossero semplicemente l'ennesimo gioco, sorridendogli euforica cambiando argomento. «A cosa giochiamo ora?» 

«A tutto quello che vuoi, Kobik.» replica conciliante alzandosi in piedi riponendo la scatola della scacchiera sul ripiano più alto, illudendosi che relegandola in un punto irraggiungibile possa renderla poco appetibile allo spirito giocoso della bimba, stampandosi un sorriso sulle labbra raccogliendo Kobik dal pavimento stringendola in un abbraccio protettivo. «Ma niente scacchi e bambole, ne ho avuto abbastanza per oggi.»

«Okay.» concede la bimba allacciandogli le manine sul retro della nuca. «A cosa ti va di giocare, Alexei?» 

«A nascondino.» afferma d'impulso, mordendosi la lingua prima di ammettere che vorrebbe vedere Madame Hydra coprirsi il volto con le mani ed iniziare a contare all'infinito, dandogli la possibilità di nascondersi con la bimba e Mikhail in un altro continente. «Oppure possiamo cercare Mikhail e chiedergli se ti legge una favola, così nel mentre io tento di scoprire quale sarà la prossima bambola che Elisa vuole aggiungere alla tua collezione.»

«Così mi rovino la sorpresa però…» riflette la piccola ad alta voce portandosi un indice al mento con fare teatrale, illuminando gli occhi curiosi dipingendosi un sorrisetto furbo sulle labbra scoccandogli uno sguardo d'intesa. «Ma Elisa non deve per forza saperlo, giusto?» 

«Giustissimo.» sorride Alexei a trentadue denti, sistemandosi meglio la bimba sul fianco ed avviandosi a passo sicuro verso la porta. «Forza, cerchiamo Mikhail e poi ci divertiamo.»





 

Note:

  1. Fumettisticamente parlando Natasha nel 1946 ha avuto un aborto al quinto mese di gravidanza, il padre era un tizio di nome Nikolaj di cui si sa poco nulla, mentre la bimba è stata chiamata Rose ed è effettivamente sepolta a Praga. La “Pena Capitale” del '56 è un mio headcanon sviluppato assecondando varie fan-theory che circolano su internet (nome compreso), tutti i retroscena affiorano in quasi tutti i miei "progetti mastodontici" e tratto l'argomento nel dettaglio nello spin-off "We always live in the castle". 

  2. La mia versione di Natasha è fedele ai fumetti (principalmente per motivi di trama), di conseguenza la nostra beniamina annovera sulle spalle una novantina d'anni ed è quindi "normale" che il corpo inizi fisicamente ad invecchiare a ridosso della soglia del secolo, tenendo ovviamente conto degli effetti collaterali causati dal siero della Vedova. Per James vale lo stesso discorso, nonostante gli 11 anni in più segnati all'anagrafe, ma fisicamente la cosa non si nota ancora a causa delle sei decadi in criostasi.

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Capitolo 4
*** TACHICARDIA - Cura ***


PRIMA PARTE - CUORE

 

TACHICARDIA: Cura
Nessuna cura, ma in casi gravi è richiesta una terapia farmacologica o chirurgica.





 

«Fermo! Steve fermati un minuto!» strepita James a corto di fiato, puntellandosi alle ginocchia inalando ossigeno a grosse boccate. 

«Ti stai seriamente sentendo male?» chiede suo fratello guardingo raggiungendolo di corsa, soppesandolo dall'alto in basso con espressione pacifica, come se fosse reduce da una tranquilla passeggiata e non da una maratona a sessanta chilometri all'ora costanti. 

«Io invecchio peggio di te, Mr Perfezione.» replica James piccato fulminandolo con lo sguardo, arrancando lontano dal marciapiede e lasciandosi cadere di peso sul prato di Central Park, contando i secondi tra un respiro e l'altro tentando di normalizzare il battito cardiaco che era stato messo sotto uno sforzo eccessivo. «Dio, mi sembra di avere il cuore in gola… era da una vita che non succedeva.»

«Quante sigarette hai fumato questa settimana?» lo interroga Steve con tono saccente e prevenuto lasciandosi cadere al suo fianco, premendogli una mano sul torace per accertarsi che il suo cuore non schizzi realmente fuori dal petto. 

«Non provare a dare la colpa al fumo.» lo minaccia James accartocciando respiri sempre più regolari sulla lingua, nonostante fosse fin troppo consapevole che l'aver consumato un intero pacchetto di Marlboro in meno di due giorni non aiutava per niente la situazione catastrofica in cui versavano i suoi polmoni. «Ti nego il permesso di farlo.»

«Permesso o meno, scommetto che se non fosse per la tua variante del siero saresti già tre metri sotto terra… potresti tranquillamente asfaltare una strada con tutto il catrame che hai in corpo.» brontola Steve con aria esasperata, staccandogli la mano di dosso dichiarandolo fuori pericolo. «Nat non aveva iniziato a buttartele via?» 

«Mh-m. Mi nasconde anche i fiammiferi, ma ciò non mi impedisce di ricomprarli.» replica con una finta punta di orgoglio nella voce, ridendo di gusto quando Steve alza gli occhi al cielo in risposta. 

«Come vanno le cose tra di voi?» chiede suo fratello con qualche secondo di scarto ed una vaga reticenza nel porre la domanda, studiando a distanza la sua reazione prima di continuare con la conversazione o meno, considerato l'argomento chiamato in causa. 

«Vanno che preferirei parlare del catrame nei miei polmoni.» sbuffa lapidario chiudendo gli occhi, concentrandosi unicamente sulla sensazione del sole che filtrava tra le fronde degli alberi scaldandogli la pelle. 

Era passata a malapena una settimana da quando Natasha aveva sganciato la bomba a mano che aveva ridotto la loro camera da letto in un acquario dove ristagnavano lacrime vecchie di sei decenni, concedendosi entrambi una debolezza che li aveva esauriti fino ad addormentarli sfiniti dal pianto, mettendo giù i piedi dal letto la mattina dopo pretendendo che non fosse successo nulla di eclatante dando una parvenza di normalità all'intera situazione… scelta che non aveva fatto altro che sottolineare una mancanza di fondo, gravitandosi attorno alla ricerca di un tasto reset da cui ripartire seriamente, non trovando altro se non situazioni banali che si sforzavano di riempire un vuoto che di fatto c'era ma in realtà non era così ingombrante. James non voleva sembrare indelicato nell'affrontare per primo il discorso per toglierselo d'impiccio, ma non voleva nemmeno dare la parvenza che la situazione non gli importasse abbastanza cercando una distrazione volando nuovamente a Madripoor, limitandosi a spiare la moglie mentre volteggiava in punta di piedi in salotto, controllando che mangiasse e dormisse in quantità adeguate… ma dopo giorni interi di quella logorante tiritera gli sembrava di impazzire, alimentando una rabbia repressa vana e fine a sé stessa, chiudendosi in un mutismo che Natasha non osava rompere perché entrambi consapevoli delle azioni e delle scelte attuate dall'altro, le quali non potevano rappresentare in alcun modo una vera e propria fonte di biasimo. 

Prima di quel momento James non aveva mai pensato o desiderato seriamente dei figli, dopo tutto ciò che gli avevano fatto usandolo come cavia da laboratorio non era nemmeno sicuro se fisicamente potesse ancora averne e non gli interessava saperlo, ma scoprire che quella remota possibilità si era verificata in modo tangibile e gli era stata strappata via a forza gli toglieva il terreno da sotto i piedi… e la parte che lo disorientava di più era l'incapacità di identificare e direzionare quel sentimento indefinito che si agitava in fondo al suo stomaco, non riuscendo in nessun modo a condannare la moglie per averglielo tenuto nascosto – la sua probabile reazione all'epoca l'avrebbe sicuramente portato alla morte e condannato Natalia di conseguenza –, macerando un risentimento generale che non riteneva giusto sfogare con o su di lei, ripiegando su attività meccaniche silenziando del tutto il cervello – scandendo la pausa sigaretta con l'addestramento reclute, l'allenamento al poligono e, dopo aver distrutto tutti i bersagli della palestra ed aver ultimato la sua scorta di proiettili, il correre dietro a Steve si era rivelato un adeguato palliativo.

«Voglio fare qualcosa per farla stare meglio, qualcosa di normale… per staccare la spina, spedire di nuovo le punte in fondo all'armadio e smettere di pensarci.» annuncia James senza filtri dopo diversi secondi di silenzio, sollevandosi sui gomiti cercando lo sguardo del fratello nascondendo una tacita richiesta d'aiuto in fondo alle iridi color ghiaccio. 

«Cosa cerchi? Un consiglio da parte mia?» replica Steve fissandolo stranito dalla novità di vederlo aperto al dialogo su quel determinato argomento, ricevendo un cenno affermativo sbrigativo in risposta. 

La mattina dopo la nottataccia trascorsa in lacrime James, con tutta la sua buona volontà di allestire una maschera di bronzo decente tra i muri del Complesso, si era ritrovato entro fine serata a confessarsi in terrazzo con il fratello, ricevendo una pacca sulla spalla ed un silenzio che valeva più di mille parole… non che ci fosse molto da dire dopo una sentenza del genere, grato che Steve fosse semplicemente rimasto al suo fianco senza perdersi in stupidissime frasi fatte del tutto inutili, chiudendo un occhio permettendo a Clint di sostituirlo a Madripoor obbligandosi a qualche giorno di ferie. Peccato che il permesso strappato a Hill fosse quasi scaduto, lui e Natasha non avevano ancora trovato il coraggio di affrontare il discorso e la soluzione a quella situazione indefinita era tutto fuorché dietro l'angolo. 

«Portala a cena fuori.» getta il sasso Steve condividendo i propri programmi per la serata analoghi a quelli proposti al fratello, ottenendo un occhiata di profondo scetticismo in risposta, sottoscrivendo un appunto che richiedeva un'attività diversa da quella assegnata per default al pretesto per farsi perdonare dalla moglie quando combinava una qualche cazzata. «Okay, niente uscita a quattro… un film allora? Che te ne pare?» 

«Steve, mi serve qualcosa di inedito, non qualcosa di abitudinario.» replica James scocciato, sbuffando allegandoci un'occhiata esasperata al cielo. 

«Con film intendo cinema, non il catalogo di Netflix. Idiota.» spiega Steve spazientito dal suo comportamento prevenuto, lasciandolo a corto di parole perché la sua non era una proposta poi così malvagia come aveva dedotto inizialmente. «Uscite, vi perdete nella storia di qualcun altro e al massimo se la trama è noiosa scommetto che sai benissimo cosa fare… prima pagina del manuale del rimorchio, sono le basi Buck, stai davvero perdendo colpi.»

James reagisce alla provocazione scoppiando a ridere all'improvviso, costringendosi a ritornare sdraiato a terra tentando di placare la tosse, annotando mentalmente di doversi seriamente dare una regolata con le sigarette per permettere al siero di espellere le tossine e non lasciarlo morire asfissiato in vista della prossima missione, puntando un dito contro Steve con sguardo minaccioso sfidandolo ad aprir bocca per proferire un imminente e meritatissimo "te l'avevo detto". 

«Ad essere sincero non mi ricordo nemmeno più quand’è stata l’ultima volta che ho messo piede in un cinema.» ammette James una volta ripreso abbastanza fiato per riuscire a parlare, chiudendo gli occhi sforzandosi di ricollegare le istantanee frammentate della propria memoria alla ricerca della risposta, passando in rassegna scenari sempre uguali di labbra senza nome perse nell'ultima fila di un cinema alla flebile luce di un proiettore, fino a raggiungerne la fine estrapolando il ricordo nitido di Rebecca [1] che si protendeva verso lo schermo con sguardo trasognato, messa a carponi sulla poltroncina abbracciata al secchiello dei popcorn, vantando un sorriso da orecchio ad orecchio. «È stato per il… tredicesimo compleanno di Becca, o sbaglio?» 

«Se ti aiuta a rinfrescarti la memoria ti avevo rubato il tabacco e l'avevo barattato al botteghino per dei popcorn.» avverte il sorriso di Steve nelle parole di conferma espresse, figurandoselo con la sua tipica espressione malinconica di quando riviveva un ricordo piacevole ad occhi aperti, macchiando quella fantasia con una tacca di consapevolezza dolce-amara nella voce. «Siamo due fossili Buck, "Biancaneve" è uscito nel '38.»

James vorrebbe replicare all'osservazione con una battuta sagace, ma la sua mente si prende il diritto di deragliare dai binari sicuri e prestabiliti, eclissando la voce di Steve con un vociare confuso che riemerge dirompente dagli angoli bui della sua memoria, collegando più puntini di quelli necessari, associando l'inverosimile all'impensabile...

Oh, qui non mi troverà mai… (внушайте страх)... e se mi fate restare mi occuperò della casa… (внушайте страх)... Laverò, stirerò, cucirò, cucinerò… (внушайте страх). [2]

«Bucky?» 

James riapre gli occhi di scatto scuotendo con forza il capo, scacciando dalla propria testa il rumore tipico della bobina che girava a vuoto sul proiettore, soffocato dalle voci squillanti di una ventina di tredicenni dai polsi martoriati intente a perfezionare l'accento inglese ripetendo meccanicamente il copione della principessa, mentre gli aloni delle parole внушайте страх comparivano sull'immagine ogni sette fotogrammi sedimentando un concetto impossibile da rimuovere… avevano solo tredici anni, le bambole assassine.  

«Ehi Bucky, tutto bene?» chiede Steve con la voce venata da una preoccupazione latente, la mano calda e salda a stringergli la spalla sana per non far scivolare la sua mente in mezzo alla steppa siberiana macchiata di sangue. 

«Scusami… è che ho imparato ad odiare Biancaneve e compagnia cantante.» concede una spiegazione alla nube temporalesca che gli aveva attraversato il volto, ritraendosi dalla presa del fratello, stampandosi un sorriso da schiaffi sul volto atteggiandosi in modo teatrale. «E parla per te, fossile… i miei quasi 103 anni li porto da Dio.»

«Cinque minuti fa sembrava dovessi sputare i polmoni.» replica Steve lapidario scoccandogli uno sguardo in grado di giudicargli l'anima, reprimendo a forza una risata di fronte al suo completo menefreghismo coscienzioso. 

«Ora non fossilizzarti sui tecnicismi, per favore.»

«Idiota.» suo fratello non riesce più a trattenersi scoppiando a ridere spudoratamente, rialzandosi in piedi qualche secondo più tardi allungando una mano come incentivo a seguirlo. «Forza fratellone, vediamo se per l'ultimo paio di chilometri riesci a farmi mangiare la polvere… senza morire asfissiato nel mentre magari.»

«Non istigarmi Stevie, sai che poi te ne faccio pentire.» replica alla frecciatina lasciandosi trascinare in piedi, controbilanciando la spinta per portarsi subito in vantaggio, scaraventando Steve all'indietro facendolo crollare a terra con un leggero pugno sinistro al diaframma, perdendosi un insulto alle spalle ed avvertendo i piedi del fratello che iniziano a pestare il marciapiede con nuova determinazione tentando di recuperare il paio di metri persi in partenza. 

«Così è giocare sporco!» lo apostrofa Steve furente quando lo raggiunge al traguardo, puntellandosi alla ringhiera dell'accesso della metropolitana leggermente a corto di fiato, premendosi una mano sul punto colpito. 

«Non hai mai specificato se c'era una qualche regola da seguire.» si stringe nelle spalle James con un sorriso angelico ad incorniciargli le labbra, voltandogli le spalle iniziando a scendere le scale con nonchalance. «Ho semplicemente reso la sfida ad armi pari, il livido dovrebbe spariti tra una decina di minuti.»

«Sei un-...» inizia Steve con un sorriso malcelato sull'angolo delle labbra, sporgendosi dalla ringhiera per non perderlo di vista e continuare a fulminarlo con lo sguardo. 

«Non iniziare ad insultare la mamma fratellino, non ti si addice.» lo rimbecca James sorridendogli da sopra una spalla, liberando una mano dalle tasche sollevando il braccio accennando un saluto, dirigendosi verso la linea sotterranea che portava a Little Ukraine. «Ci vediamo domani mattina al Complesso!»

Il viaggio in metropolitana è veloce ed indolore, dondolando appeso alla maniglia sul soffitto della carrozza accusando tutta la stanchezza che aveva tenuto a bada durante l’allenamento con Steve, trascinandosi fino alla propria porta di casa con passi stanchi scalciando via le scarpe appena varcata la soglia, attraversando il salotto scoccando uno sguardo a metà tra il risentito e il sollevato alle scarpette da ballerina che facevano capolino da sotto i cuscini del divano appurando che Natasha non le aveva spostate dal punto in cui lui le aveva nascoste la sera prima, richiamando Liho in cucina come d’abitudine facendo tintinnare i croccantini nella scatola prima di riempirgli la ciotola, assistendo all'entrata in scena di una palla di pelo nero che lo squadra da capo a piedi prima di concedergli un ondata di fusa come ringraziamento.

«звезда моя, sei già tornato?» prorompe la voce di Natasha attirandolo verso la loro camera da letto, facendole sollevare lo sguardo dalle pagine ingiallite di uno dei taccuini di Tania quando si affaccia sulla soglia puntellandosi allo stipite. «Ti sei sfinito per bene, vero?»

«E tu non ti sei mossa da qui, vedo.» afferma eludendo la risposta constatandone un’altra, avvicinandosi indicando la postazione di lavoro improvvisata sul materasso che consisteva in una pila di taccuini impilati ordinatamente sopra il copriletto ed il computer adagiato sul grembo della donna. «Hai pranzato almeno?»

La donna mugugna un verso spazientito di assenso in risposta, mentre James accarezza l’idea di posticipare la doccia calda in favore dell’istinto di abbandonarsi sul materasso e concedersi qualche istante di debolezza… soprattutto se Natasha era così dannatamente invitante, rannicchiata scomposta al centro del letto con quello che passava per un pigiama ancora indosso – una delle magliette trafugate dal suo armadio rigorosamente di un paio di taglie troppo grande, che lasciava scoperte per sua immensa gioia chilometri di gambe – lasciandosi cadere di peso sul letto sparpagliando gran parte dei taccuini sul pavimento e strappandole di mano il computer, facendosi spazio usandola deliberatamente come cuscino umano in una non proprio velata richiesta di coccole. 

«James… sei sudato, e puzzi.» lo ammonisce Natasha tempestiva arricciando il naso infastidita in un blando tentativo di scollarselo di dosso, sbuffando rassegnata alla propria sorte quando lui non accenna a muoversi nemmeno di un centimetro dalla posizione assunta, rifiutandosi tuttavia di assecondarlo puntellandosi ai cuscini nascondendo le mani dietro la schiena. «Ti vai a fare una doccia e poi ne riparliamo.»

«Ho una proposta.» la contraddice sorridendo con un ghigno volutamente malizioso, ruotando su un fianco sistemandosi meglio nella conca formata dal ventre di Natasha, allungando un braccio cingendole la vita e scivolando con le dita sotto la maglietta.

«Non vengo a farti compagnia sotto la doccia, ho da fare.» lo placa lei fulminea afferrandogli la mano sana che stava risalendo a passo di dita le sue vertebre, sorridendogli candida mentre gli storceva il polso. «Ritenta.»

«Antipatica... volevo solo giocare un po’.» si lamenta lui in risposta passando al contrattacco iniziando a farle il solletico per vendicarsi dell’effusione negata, finendo scaraventato sul pavimento di malagrazia e ritrovandosi ad osservare la compagna dal basso mentre si sporgeva oltre il bordo del letto per controllare le sue condizioni, anticipandola. «Sto bene.»

«Te la sei cercata.» infierisce Natasha studiando guardinga i suoi movimenti mentre si rimetteva in piedi, inginocchiandosi sul materasso afferrandogli i polsi in forma preventiva quando si avvicina intrecciando le dita sul retro della sua nuca. «Allora, questa proposta? Quella vera.»

«Andiamo al cinema stasera?» sorride James smagliante, sforzandosi di suonare convincente seguendo il consiglio di Steve, ma preparandosi una scusa pronta sulla lingua per ritrattare tempestivo nel caso che quella della moglie si rivelasse una sentenza negativa.

«Cinema?» ribatte Natasha inarcando un sopracciglio ad arte e schermandosi dietro ad un sorriso reticente, combinando i lineamenti nella giusta dose di scetticismo e diffidenza.

«Hai presente quel posto con un mega schermo, le poltroncine e i popcorn? Esisteva prima di Netflix, sei abbastanza vecchia per ricordartelo.» scherza facendola ridere, scadendo in una battuta pessima che allenta di poco il nodo d’ansia formatoglisi nello stomaco all'idea di porle la richiesta e vedersela negata. «Allora, verdetto?»

«Avrei da fare…» tentenna appena la donna scoccando uno sguardo di sbieco verso i taccuini sparpagliati a terra ed il computer abbandonato in un punto pericolante del materasso, lasciando trasparire il chiaro intento di terminare la catalogazione e porre un punto definitivo all’intera faccenda, accarezzandole una guancia e scoccandole uno sguardo adorante che riusciva a corromperla a discapito di ogni malefatta progettata od accidentale, costringendola ad assecondarlo tacitamente liberando un mezzo sospiro. «Sei un fottuto rompiscatole.»

«E tu un casino di donna… dai ‘Tasha, voglio una serata normale, non casca mica il mondo se per una sera facciamo una pausa dall'Archivio.»

«Facciamo? Te ne sei lavato le mani e me lo sono dovuto accollare tutto io, James.» 

«Dettagli.»

Natasha sbuffa esasperata di fronte alla sua scrollata di spalle noncurante, cedendo definitivamente liberandolo dalla presa ai polsi, puntandogli i palmi al petto spingendolo all’indietro. «Andata, ma il film lo scelgo io… e tu ora per favore ti vai a fare una doccia.»

«Con te?» riprova James con un ghigno malizioso ad incorniciargli le labbra, indietreggiando di un passo verso la porta del bagno, scivolando con i polpastrelli lungo le sue braccia dalle spalle fino ai polsi, tirandola leggermente.

«Senza di me.» sentenzia Natasha lapidaria, liberandosi dalla presa puntando l’indice perentoria contro la porta, passando alle minacce come incentivo. «Scelgo il film più melenso che trovo in programmazione se non ti dai una mossa.»

«Dio, ti prego no.» replica con un espressione fintamente terrorizzata dipinta sul volto, appendendosi alla maniglia aprendo la porta di peso con fare teatrale. «Sparisco.»

«Ecco, bravo.» sorride Natasha recuperando il computer aprendo la pagina internet per prenotare i biglietti. «E ti conviene non finirmi tutta l'acqua calda, altrimenti finisci di catalogare tu da solo quello che resta dell'Archivio, sono stata chiara?»

«Signorsì signora.»

 

***

 

Steve aveva ormai perso il conto di quante volte aveva dominato l’impulso di ammazzare James su due piedi da quando lo conosceva, mordendosi la lingua per non insultarlo limitandosi a fulminarlo con lo sguardo mentre scompariva in mezzo alla calca di gente che assediava l’ingresso della metropolitana, premendosi una mano sul punto colpito accusando più ferite nell’orgoglio che nel fisico… intrappolando sulle labbra un timido sorriso alla consapevolezza confortevole che in un mondo in cui tutto cambiava radicalmente dal giorno alla notte, il temperamento di Bucky era rimasto stupidamente invariato in quel secolo di conoscenza e nove decadi a fasi alterne di esasperata convivenza. 

Si stiracchia contro la ringhiera accusando l'ennesima fitta al diaframma, sedando l’impulso di iniziare a progettare il come vendicarsi arrancando fino alla panchina più vicina, massaggiando la parte lesa aspettando che il siero terminasse il suo lavoro di ricostituente con calma, chiudendo gli occhi e reclinando la testa beandosi del tenue calore del sole che gli scaldava la pelle… spalancando lo sguardo allarmato quando qualcosa lo afferra per il tessuto dei pantaloni tirandolo leggermente, identificando una bambina sui quattro anni che lo fissava con un sorriso elettrizzato e due zaffiri luccicanti al posto degli occhi, sorridendole con gentilezza di rimando.

«Tu sei Capitan America, vero?» chiede conferma la bimba schermando le iridi cerulee dietro le folte ciglia, raddrizzando la schiena in risposta e puntellando i gomiti alle ginocchia per portarsi alla sua stessa altezza. «Sono abituata a vederti solo in TV con la maschera e lo scudo.»

«Anche i supereroi hanno i giorni di riposo.» ammette con una risata leggera conquistando un sorriso da parte della bimba, mettendola a suo agio ormai avvezzo alle orde di bambini che lo fermavano ogni volta chiedendogli autografi e foto quando lo incrociavano casualmente per strada. «Posso fare qualcosa per te?»

«Forse posso farlo io per te...» ammette la piccola con sguardo speranzoso, attorcigliando nervosamente una ciocca di capelli castana intorno all’indice, provocandogli un lampo di confusione nel volto di fronte a quella strana risposta. «La tua mamma ti ha cercato così a lungo… mi ha mandato qui apposta per riportarti a casa.»

«Ho perso la mia mamma… entrambe le mie mamme un sacco di anni fa, piccola.» mormora Steve un’obiezione con confusione crescente, avvertendo una morsa spiacevole attanagliargli le viscere, sentendosi messo in soggezione dallo sguardo apprensivo della bambina… realizzando che era sola, senza nessun adulto o tutore a sorvegliarla, mentre una brezza leggera agita la fronde degli alberi in concomitanza con i lineamenti corrucciati della piccola.

«No.» si oppone la bambina con convinzione, bloccando la sua richiesta di delucidazioni sulla soglia delle labbra quando vede i suoi occhi scintillare e la radice dei suoi capelli sbiancarsi di colpo, premendogli gli indici sulle tempie con un sorriso rassicurante impresso sulla piccola bocca a forma di cuore. «Shh, va tutto bene Steven… ti aiuto solo a ricordare

«Non capisco...» replica con voce costretta, mentre una tacca di vaga paura gli colora la voce di fronte ai capelli completamente bianchi della bambina che iniziano ad agitarsi come serpenti, perdendosi nel vortice scoppiettante celato in fondo ai suoi occhi cerulei.

«Non c’è nulla da capire, Steven… va tutto bene, ora aggiusto io le cose.»

 

Brooklyn, 1924: un'idea malata

 

Avevano cambiato casa… ora che il suo papà era finalmente morto la sua mamma non poteva più permettersi l’appartamento in cui vivevano, Sarah Rogers glielo aveva comunicato con un sorriso triste in volto e gli occhi rossi dal pianto, in mezzo ai quattro scatoloni che contenevano tutti i loro averi riempiendo l'intero spazio del loro nuovo salotto minuscolo... e Steve contro ogni aspettativa si era scoperto in colpa per sentirsi felice, perchè ora non c’erano più urla, porte chiuse a chiave e pugni troppo piccoli per fare qualcosa contro a quell’omone burbero che tornava a casa in licenza puzzando di alcol, riempiendo di lividi la sua mamma ogni volta.

Pensava che le cose sarebbero cambiate, migliorate in qualche modo, dato che c'erano tutti i presupposti per sperarlo… ma era stato uno sciocco ad illudersi in quel modo, in fondo la mancanza di suo padre si era rivelata un'arma a doppio taglio, perché insieme alle percosse e le urla era sparita anche la loro principale fonte economica. Sua madre continuava a ripetere di cercare il lato positivo, lato che si era palesato con una torta di mele recapitata dalla signora Barn-… Sinclair

– Concentrati Steven, ricorda Steven –

La signora Sinclair... abitava sull'altro lato della strada, era una stimata insegnante che aveva avuto la disgrazia di trasformarsi in una delle tante giovani vedove della Grande Guerra e nel vicinato si vociferava che anni addietro fosse stata anche la segretaria di un uomo molto potente negli alti ranghi dell'esercito americano, ma invece di costruirsi una carriera in quell'ambiente dopo la fine della guerra era stata rispedita a casa sola con una misera medaglia al valore da appendere al muro per i servizi resi alla patria. Con il passare dei mesi Elisa si era rivelata un aiuto prezioso per sua madre, offrendo le sue competenze in fatto di insegnamento in cambio di qualche sporadico lavoretto nei weekend, aiutando Steve con i compiti e sostituendosi volentieri alle maestre quando si ammalava, cosa che succedeva talmente spesso da dargli l'illusione di frequentare una scuola privata, finendo per affezionarsi alla donna al punto da arrivare a chiamarla per nome eleggendola a seconda mamma, procedendo con la propria vita dall'esistenza ciclica senza accusare alcun tipo di scossone particolarmente eclatante. 

Era stato all'alba dei suoi quattordici anni che la vita monotona di Steve era stata stravolta, piangendo lacrime amare mentre Elisa gli stringeva affettuosamente una spalla di fronte ad una tomba aperta, cullandolo in un abbraccio mentre inalava a fondo il suo profumo alla violetta, sentendosi promettere che le cose si raddrizzeranno, che staranno bene, informandolo che negli ultimi mesi di malattia Sarah Rogers aveva stilato un testamento che eleggeva la donna a suo tutore… e poi era scoppiata la guerra, quella di cui tutti bisbigliavano ma a cui nessuno voleva credere, cancellando qualunque altro futile problema quando era diventata estremamente reale inviando le prime lettere per l'arruolamento. 

Ad un paio di mesi dai suoi vent'anni Steve si era ritrovato a fronteggiare la triste realtà dei fatti: sua madre era una stratega, una spia dell'SSR ed era stata richiamata in servizio in tempi di crisi, mentre lui… lui aveva l'asma – insieme ad una quantità indicibile di altri piccoli problemi di salute – e quando Elisa gli aveva proposto di metterlo in lista per il Progetto Rinascita aveva firmato ad occhi chiusi ogni singolo pezzo di carta che gli veniva messo sotto il naso pur di partecipare e rendersi utile. Era stato deludente scoprire che "utile" significava dover fare la scimmia ammaestrata per riempire le tasche dell'esercito consacrandosi alla propaganda, trovando un minimo di conforto nell'idea che così facendo era sempre aggiornato sull'operato dell'agente Sinclair, rispondendo alle sue lettere ogni volta che poteva mentre era in viaggio con la tournée per tutti gli accampamenti d'Europa. 

La mancanza di lettere era stato il primo campanello d'allarme, il secondo un tenente scuro in volto che gli aveva recapitato una missiva in carta bollata ed il terzo il decifrare le parole "copertura compromessa" e "cattura" nel giro della stessa frase, cedendo all'istinto furioso raccattando un nutrito manipolo di uomini scellerati per mettere a ferro e fuoco la Germania pur di rintracciarla. 

Era stato in queste circostanze inusuali che aveva conosciuto Barnes – ribattezzato "Bucky" da Dum Dum Dugan perché "che razza di nome è James Buchanan" –, scoprendolo uno spirito affine dalla personalità diametralmente opposta, quel genere di uomo che viveva sulle note di un'orchestra cercando la compagna di danze perfetta, quello che ripuliva tutti a poker solo per permettersi sigarette e francobolli per rispondere alle lettere inviategli dalla sorella, bruciando un punto diverso del foglio con il mozzicone imprimendo una chiave di decriptazione conosciuta solo a lui e a Rebecca perché la prudenza non era mai troppa. 

Gli Howlings Commandos avevano aiutato Steve a decimare le forze dell'HYDRA, ma dopo un anno inoltrato di scontri iniziava a perdere le speranze di riuscire a rintracciare Elisa… era stato un pessimo scherzo del destino perdere quello che era diventato il suo migliore amico nella stessa settimana in cui gli era stata recapitata una lettera di sua madre, rediviva e risposata con uno degli ufficiali tedeschi che la tenevano prigioniera, confidandogli per iscritto che il neo-marito era un disertore e che per l'incolumità di tutti era meglio incontrarsi di persona a guerra conclusa. 

Steve aveva combattuto valorosamente con tutte le sue forze, illudendosi che la fortuna finalmente gli stesse sorridendo quando aveva guidato il battaglione lungo i boulevard proclamando a gran voce la liberazione di Parigi, facendone un vanto che voleva vendicare Bucky e costituire un palliativo per mitigare l'attesa di stringere sua madre tra le braccia e saperla al sicuro… ma evidentemente all'universo piaceva giocare a dadi, seppellendolo sotto a metri e metri di ghiaccio ad un passo dalla proclamazione ufficiale di un "cessate il fuoco". 

Quando aveva riaperto gli occhi su New York – dopo aver corso a piedi scalzi fino a Times Square in preda alla confusione più totale ed essersi fatto spiegare per filo e per segno cosa diavolo gli fosse capitato – aveva fatto richiesta per scoprire dove fosse stata sepolta sua madre, ma evidentemente ai tempi Elisa Sinclair era stata lungimirante e per precauzione aveva abbandonato il cognome da nubile, perdendosi di proposito in mezzo alla folla di tre generazioni di sconosciuti con un documento falso in tasca e la convinzione che il suo unico figlio adottivo era morto sul campo di battaglia… così Steve Rogers aveva perso la sua mamma, tra l'atlante e le pieghe del tempo, e non l'aveva più ritrovata. 


«Vieni, la tua mamma ti aspetta.» sussurra la bambina dai capelli bianchi al suo orecchio, afferrandogli una mano trascinandolo in piedi. 

«La mamma…?» la interroga scuotendo la testa, mentre la sua mente viene invasa da una vaga reminiscenza delle proprie mani minuscole protese in avanti, spostando le lenzuola stese alle corde tese sul tetto del condominio con foga, rincorrendo un James di sette anni con un sorriso finestrato ad incorniciargli le labbra. 

Jimmy, per l'amor del cielo, finirete per cadere giù dal tetto di questo passo! Sarah digli tu qualcosa, ti prego… 

«Sì Steven, la mamma.» conferma la bambina trascinandolo lungo il marciapiede, incespicando sui propri passi, gli occhi velati dal ricordo di un'istantanea di Sarah Rogers che sorrideva ad una donna alta, mora e dagli occhi color azzurro ghiaccio, mentre la aiutava a piegare e riporre nella cesta i panni asciutti. 

Lasciali fare Winifred, sono solo bambini… 

«Elisa, Steven. Elisa.» ripete la piccola sorridendo rassicurante, indicandogli una donna dai capelli castani e dagli occhi scuri che si stava puntellando alla portiera di un suv parcheggiato sul ciglio della strada, interrompendo la sua attesa di un qualcosa sollevando uno sguardo luminoso su di lui iniziando a corrergli incontro con le lacrime agli occhi… accartocciando la flebile istantanea di due iridi color ghiaccio che facevano ancora resistenza tra le pareti del suo cervello, dissolvendosi in cenere sostituite da un paio di occhi nocciola penetranti ed amorevoli, lasciandosi la bimba dai capelli bianchi – ora tornati castani – alle spalle, prendendo la rincorsa senza rendersene conto mentre il cuore inizia a battergli all'impazzata. 

«Steven, oh mio Dio…» piange la donna gettandogli d'impulso le braccia al collo, infossando la testa contro la sua spalla inglobandolo in un abbraccio, stringendola a sé a sua volta inalando a fondo il suo profumo alla violetta… ed è giusto, i vestiti della sua mamma adottiva profumavano sempre di violetta. «Ti ho cercato così a lungo, mi sei mancato da impazzire…»

«Mi sei mancata tanto anche tu, mamma.» mormora contro i suoi capelli trattenendo a stento le lacrime, eclissando qualunque altro pensiero al cospetto della miracolosa consapevolezza di essere finalmente riuscito a rintracciarla. 

«Shh, va tutto bene Steven, torniamo a casa.»

 

***

 

«Tony, sono a casa!» esclama Pepper dal salotto preceduta dal lieve ding dell’apertura delle porte dell’ascensore, abbandonando la borsa sulla penisola del divano e perdendo i tacchi nel tragitto verso la cucina. 

Appena la voce della madre raggiunge le orecchie di sua figlia, Morgan H. Stark pensa bene di spalancare la bocca per cacciare un urletto di richiamo, dando l'occasione d'oro a Tony di farle inghiottire l'intero cucchiaio di omogeneizzato, beccandosi un'occhiata truce da parte della piccola in risposta, la quale tuttavia inghiotte il boccone e si limita a manifestare il proprio disappunto gettando a terra il sonaglio dal seggiolone. 

«Vedi che non fa poi così schifo?» ironizza Tony riempiendo un altro cucchiaio con fare perentorio, ricevendo una linguaccia in cambio alla propria contestazione. «Dai Maguna, non facciamola più complicata di com'è in realtà.»

«Ehi amore.» lo saluta Pepper entrando in cucina depositando due cartoni della pizza sul tavolo, aggirando il seggiolone per posare un bacio sui capelli di Morgan e uno sulle sue labbra, allungando un braccio strappandogli il vasetto di omogeneizzato dalle mani. «Lascia, faccio io, tu cena.»

«A L.A. stanno tutti bene?» chiede cedendo il vasetto senza troppi rimpianti, trascinando una sedia vicino all’altro lato del seggiolone, spostando il cartone aperto contenente la pizza di Pepper alla sua portata di braccio, aprendo il proprio ed addentando la prima fetta.

«Tutti a meraviglia.» la donna liquida l’argomento in fretta con l’accenno di un sorriso, evitando in scioltezza di annoiarlo con faccende che non riguardavano una sua supervisione o coinvolgimento diretto, rigirandogli la domanda appena espressa. «Tu invece? Ti sei messo a lavorare su qualcosa di interessante mentre non c’ero?»

«Fury mi ha commissionato una nuova A.I. per lo S.W.O.R.D., tipo J.A.R.V.I.S., ma con uno spettro di utilizzo più ampio… devo ancora pensare ad un acronimo decente [3].» ribatte con un vago cenno della mano, cercando lo sguardo di Pepper e soffermandosi ad osservarla mentre sollevava il cucchiaio in direzione di Morgan inarcando un sopracciglio con fare velatamente minaccioso, la quale spalanca la bocca senza troppi capricci ed inghiotte l’intera cucchiaiata senza un singolo lamento.

«Questa è un’ingiustizia bella e buona, signorina!» afferma Tony con espressione comicamente allibita, puntando il dito contro la figlia con aria fintamente offesa, ottenendo una seconda linguaccia come replica, voltandosi verso la moglie con aria esasperata alla ricerca di un minimo di supporto che si vede negato con l’accenno di un risolino impresso all’angolo delle labbra. «Pep, almeno tu...»

«Non guardare me, l’hai abituata tu così.» replica Virginia Potts con una scrollata di spalle, rifilando una terza cucchiaiata alla figlia ed allungando la mano ora libera per afferrare ed addentare una fetta della propria pizza, abbassando lo sguardo sullo schermo del suo palmare che si illumina segnalando una chiamata in entrata da parte di Sharon.

«Ciao cugina, a casa Rogers non si mangia a quest’ora?» apre la chiamata Tony con tono canzonatorio saltando in tronco i convenevoli, ricevendo una sbuffo sonoro in risposta.

«Dovevamo andare a cena fuori Tony, ma Steve deve ancora farsi vivo, non ti chiamo a quest’ora solo perchè mi va di romperti le scatole… per caso è lì al Complesso?» lo interrompe Sharon dall’altro lato della cornetta, tradendo una nota preoccupata nella voce, spingendolo inconsciamente a rendersi collaborativo. «E prima che tu lo chieda, ha il cellulare staccato e ho già sentito Nat e Sam, non si trova né a Little Ukraine né a Hell's Kitchen.»

«Hai visto Steve in giro mentre arrivavi qui?» rinuncia ad una qualsiasi battuta di spirito ponendo la domanda a Pepper distanziando il cellulare dall’orecchio, ottenendo un cenno di negazione con il capo ed uno sguardo vagamente confuso da parte della moglie, sollevando gli occhi al soffitto ricorrendo velocemente ad altri mezzi. «F.R.I.D.A.Y., per caso il Capitano Rogers è qui al Complesso rintanato da qualche parte?»

«Negativo Capo, è uscito oggi pomeriggio con il Sergente Barnes e non ha fatto più ritorno.» risponde l’A.I. con tono efficiente, attorcigliando lo stomaco di Tony in forma preventiva al primo vago cenno di effettiva preoccupazione. 

«Shar, facciamo una cosa del genere...» sospira velocizzando i propri pensieri alla ricerca di una soluzione immediata per arginare i possibili problemi, stringendosi la radice del naso tra pollice ed indice. «Prima di proclamare la caccia all’uomo lasciami fare una veloce ricerca via satellite, intanto raggiungimi… ti offro la mia pizza, se vuoi.»

«Sono già per strada, arrivo.» replica l’agente Carter con tono forzatamente leggero, avvertendo la porta di casa che veniva chiusa sbattendo ed il rumore di accensione dell’auto in sottofondo. «Lasciami almeno una fetta però, non farmi promesse a vuoto.»

«Non ti faccio mai promesse a vuoto, Shar.» chiude la telefonata alludendo a tutt’altro tipo di garanzie, trattenendo un’imprecazione tra le labbra, sollevando lo sguardo sull’espressione ancora confusa di Pepper e quella vagamente curiosa di Morgan, spingendo la metà pizza rimasta sul cartone verso il centro del tavolo. «Forse abbiamo un problema. Forse.»

«Il genere di problema che prevede una riunione di famiglia organizzata su due piedi?» Pepper aggira il depistaggio inarcando un sopracciglio ed andando dritta al punto, facendogli cenno con la testa verso il tavolo olografico in salotto. «Vai, hai del lavoro da fare.»

Tony non se lo fa ripetere due volte, alzandosi da tavola chiedendole scusa con lo sguardo, dirigendosi a passo spedito verso il ripiano olografico innalzando la proiezione della barra di ricerca, sfregandosi le mani tradendo una punta di nervosismo ragionando a voce alta nel mentre. 

«Vediamo se il nuovo progettino per Fury funziona… F.R.I.D.A.Y. potresti accedere alle nuove risorse, recuperarmi i filmati delle telecamere stradali e ricostruire i movimenti di Rogers da quando se ne è andato da qui, per favore?» chiede rivolgendosi al soffitto, venendo prontamente accontentato mentre una decina di schede olografiche passano in rassegna tutto il circuito stradale dall’Upstate fino a Manhattan, impilando in un angolo della schermata tutti i fotogrammi in cui era visibile Steve o Barnes, ricostruendo lentamente i loro movimenti passeggiando avanti e indietro davanti al tavolo selezionando questa o quella sezione di filmato iniziando ad ordinarle manualmente, annotando mentalmente il dover potenziare la velocità di caricamento dei dati della nuova A.I.

«Tones.» si annuncia Sharon sovrastando il ding dell’apertura delle porte dell’ascensore, raggiungendo il salotto a passo di marcia abbandonando cappotto e borsa sullo schienale del divano attratta dalle schermate in funzione sospese per aria, notando solo in un secondo momento la figura di Pepper sdraiata sul tappeto a terra mentre porgeva i pezzi dei lego ad una Morgan concentratissima nell’edificare un qualche edificio di dubbia stabilità. «Ehi Potts, sei tornata stasera?»

«Si, Tony ti ha lasciato un po’ di pizza se hai fame.» replica la donna sorridendole dal pavimento indicandole con il mento il cartone abbandonato sopra il tavolino, venendo interrotta da un urletto di saluto da parte di Morgan che assomigliava vagamente ad un “zia”, agitando le mani in aria pretendendo un abbraccio.

«Ciao tesoro… perdonami, ma la zia sta morendo di fame.» Sharon si inginocchia a terra assecondando il volere della nipote perdendo i tacchi nel mentre, posandole un bacio tra i capelli prima di rialzarsi quanto bastava per agguantare una fetta di pizza.

«Dalla fame che hai sembra che non mangi da giorni.» tenta di sdrammatizzare Tony scrutandola da sopra una spalla, beccandosi un’occhiataccia in risposta ed un dito accusatore puntato contro.

«Sono nervosa, okay?» si giustifica la cugina, mordicchiando la crosta tentando di darsi un contegno, facendo leva sulle ginocchia rimettendosi in piedi spolverandosi il vestito dalle briciole, lisciando le pieghe con le mani prima di affiancarlo. «Tu piuttosto, hai trovato qualcosa?»

«Ci sono quasi, il nuovo sistema richiede più tempo del solito per analizzare i dati, è ancora in fase sperimentale.» commenta insofferente assottigliando lo sguardo di fronte alla barra di caricamento ferma a 99,9% da trenta secondi buoni, tendendo le labbra in un vago sorriso soddisfatto quando la scansione dati si riordina automaticamente da sola qualche secondo più tardi, trasmettendo i filmati ad alta velocità iniziando a seguire Steve con l’indice ragionando a voce alta. «Okay… è uscito da qui con Barnes, hanno raggiunto Central Park… F.R.I.D.A.Y. manda avanti veloce fino a quando non smettono di correre… Barnes riprende la metro per tornare a casa…» 

«Rallenta F.R.I.D.A.Y. c’è qualcosa di strano.» lo blocca Sharon tirando indietro il filmato di una decina di secondi, assottigliando lo sguardo puntando l’indice contro la bambina che stava parlando con Steve. «Guarda gli alberi Tones, non c’era un filo di vento ed iniziando a muoversi di colpo… e subito dopo i capelli della bimba cambiano colore.»

«Cosa diavolo...» mormora Tony confuso notando come le ciocche scure della piccola sbianchino di colpo iniziando ad agitarsi mosse da un vento che stando al meteo non era previsto, trascinando Steve in piedi dirigendosi lungo il marciapiede afferrandogli una mano, indicandogli una donna puntellata alla portiera di un suv parcheggiato a bordo strada. «F.R.I.D.A.Y. chi è lei

«Un secondo, prego.» afferma l’A.I. con fredda efficienza, fornendo il risultato nei tempi promessi. «Scansione facciale eseguita con successo: Elisa Sinclair, attuale Leader Supremo di Madripoor. Non ci sono altre informazioni di alcun genere sul suo conto.»

«Cercala sul database del Triskelion, per favore.» replica Tony all'istante con tono diffidente, covando l'amara speranza di riuscire a rintracciare la donna tra le fila dell'HYDRA, considerato che era altamente improbabile non scovare mai il nome di un Capo di Stato come Elisa Sinclair su un qualsiasi tabloid esistente. 

Sharon lo ignora e non stacca gli occhi dalla finestra di ricerca, iniziando a mordicchiarsi le unghie quando vede il compagno salire a bordo del suv e sparire in mezzo al traffico. 

«F.R.I.D.A.Y. chiama Bucky, subito.» ordina la cugina con tono granitico di fronte alla schermata nera della registrazione conclusa in un vicolo cieco, mentre il segnale della chiamata in uscita suona cristallino tra le mura del Complesso. 

«Io e Natalia abbiamo la serata libera fino a prova contraria, Stark.» irrompe la voce di James all’altro capo della telefonata qualche secondo più tardi – dimostrandosi puntualmente un grandissimo fan del convenevoli saltati –, restando palesemente interdetto quando avverte la voce di Sharon in risposta e non quella di Tony.

«Dobbiamo parlare con tutti e due, hai lì Nat?»

«James sta guidando, siete in vivavoce.» interviene la voce di Natasha con tempismo a tratti inquietante, data l'assenza di rumore di fondo nella frequenza di chiamata trasmessa. «Che sta succedendo?»

«Conoscete una certa “Elisa Sinclair”?»

«È la Leader Suprema di Madripoor, ma al di fuori di questo… dovrei?» afferma dubbiosa Natasha palesando un interrogativo nel tono della voce.

«Non la conosco di persona, ma Jessàn Hoan non ne parla benissimo… perchè?» conclude il discorso James accavallandosi alle parole della moglie, tradendo una nota di tensione a colorargli la voce, lasciando intendere un abisso di maldicenze dietro al superficiale “non ne parla benissimo” della Direttrice dell'orfanotrofio di Madripoor.

«Steve è salito in macchina con lei ed è scomparso.» afferma Tony lapidario, breve e conciso, sentendosi rispondere con una imprecazione telefonica da parte di entrambi.

«Capo.» interviene F.R.I.D.A.Y. placando la discussione in atto, accedendo sia al sistema vocale del Complesso sia all'impianto audio dell’auto condividendo i risultati della ricerca avviata in background, gelando il sangue nelle vene di tutti i presenti nel giro di una semplice frase. «Stando alla nostra copia della banca dati del Triskelion, il nome Elisa Sinclair è correlato a Heinrich ed Helmut Zemo.» 

«La madre. Steve è salito in macchina con Elisa Zemo.» sbotta James con qualche secondo di scarto necessario ad elaborare la frase recepita, sovrastando uno stridio di gomme sull’asfalto ed una cacofonia di clacson in reazione alla probabile inversione dell’auto da lui guidata. «Come diavolo è successo?»

«Se te lo spieghiamo per telefono non ci crederesti.» interviene Sharon pragmatica placando gli animi, incasellando il nuovo pezzo del puzzle in tempi record prendendo il controllo dell’intera situazione. «Noi prepariamo il Quinjet, le tenute e le armi, voi...»

«Noi avvisiamo Yelena e Clint, ricevuto.» la anticipa Natasha staccando la chiamata, sovrastando il motore dell’auto che stava andando sempre più su di giri.

«Siamo di nuovo in partita...» mormora la donna respirando a fondo, animandosi di colpo voltando le spalle al cugino dirigendosi a passo spedito verso l’ascensore chiamando il piano per l’armeria, tenendogli aperta la porta scoccando uno sguardo di scuse in risposta a quello rassegnato a Pepper. «Odio chiedertelo, ma sei dei nostri Tones?»

«Torna intero.» lo anticipa la moglie evitandogli l’incombenza di fingersi combattuto, ormai consapevole dopo anni trascorsi al suo fianco che lui non sarebbe mai stato in grado di restare a casa con le mani in mano, soprattutto se c’era Steve di mezzo e lo scontro implicava il coinvolgimento diretto della cugina. «Solo… torna tutto intero.»

«Senza nemmeno un graffio.» sospira Tony guadagnandosi un bacio a stampo quando raggiunge Pepper ai piedi del divano, posandone uno sulla fronte di Morgan a sua volta. «Papà torna presto, promesso.»





 

Note:

1. Rebecca Barnes, la sorella minore di Bucky e Steve, dopo la morte dei genitori James si era preso la custodia. L'intera storia verrà sviluppata meglio nei prossimi capitoli, per ora vi basti sapere che i tre erano molto legati, rispetto a questo arco narrativo Rebecca è cronologicamente morta circa un paio di anni prima ed hanno presenziato entrambi al funerale. 

2. Traduzione dal russo: "instilla paura". La bobina di Biancaneve con i fotogrammi per il lavaggio del cervello sono visibili nella 1x05 di Agent Carter. 

3. Angolo speculazioni: E.D.I.T.H. a mio avviso è un sistema di sicurezza troppo sofisticato per un Tony Stark che canonicamente ha deciso di appendere l’armatura al chiodo, quindi – tralasciando l’utilizzo opinabile che se ne fa in Far From Home – ho riconvertito l’A.I. in una commissione da parte del Signor Paranoico per avere un accesso facilitato a qualunque struttura, portale, o arma senza passare necessariamente per lo SHIELD o il Complesso, considerato che ora come ora – sia nei miei scritti, che nel MCU – Fury se ne sta rintanato sulle Mura (AKA quello che presumo sia lo S.W.O.R.D. e si vede nel post-credit del film sopra citato) a controllare tutti i suoi pargoli dall’alto dello spazio. Va da sé che l’acronimo differisce di troppo dall’uso finale, quindi il nome del nuovo giocattolino targato Stark resterà a navigare nel vuoto e va a vostra discrezione il come rinominarlo.



Avvisi dalla regia:
Se siete arrivati qui in fondo credo siate poco inclini a sorbirvi un secondo papiro, ma credo che a questo punto della storia un paio di parole siano doverose.
Ringrazio di cuore chiunque ha seguito questo "progetto mastodontico" fino a qui inserendolo nelle proprie liste o lasciando qualche commento, come credo possiate ben ipotizzare siamo giunti alla conclusione della prima parte di quattro e da questo momento in poi si entrerà nel vivo della storia, quindi mi auguro che la narrazione sia di vostro gradimento e come al solito qualunque commento/opinione è sempre ben accetto!

Detto questo, considerato il periodo che stiamo affrontando, mi auguro anche che voi tutti stiate bene e mi piace illudermi che nel mio piccolo vi ho saputo intrattenere strappandovi una risata, un mezzo infarto o aver suscitato una qualsiasi emozione che possa essere fonte di distrazione dal clima che si respira negli ultimi giorni. Principalmente per questo motivo vi annuncio che ho scoperto di avere un sacco di tempo libero (in realtà non così tanto, come i miei "amabili" professori hanno voluto precisare intasandomi la casella di posta con una quantità esorbitanti di progetti, ma questi sono dettagli), quindi la pubblicazione del prossimo capitolo potrebbe avvenire prima delle fantomatiche due settimane. Considerata l'aria che tira non escludo nemmeno l'idea di riuscire a concludere quest'ultimo "progetto mastodontico" prima della data di uscita del film di "Vedova Nera" (causa prevedibile, annunciato e puntuale rinvio della pellicola).
In ogni caso io sono sempre a disposizione per scambiare quattro chiacchere, in caso contrario ci risentiamo su questi schermi tra una settimana (probabilmente)!
Un abbraccio virtuale forte forte,
_T :*

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Capitolo 5
*** PSICOSI - Cause ***


SECONDA PARTE - CERVELLO

 

PSICOSI: Cause
Insonnia, abuso di alcol o farmaci, ferite cerebrali, esperienze traumatiche.





 

Steve si rigirava la tazza di caffè tra le mani contemplando il liquido nero con aria assente cercando di placare il ronzio di fondo che gli bisbigliava all’orecchio, tentando di mettere ordine tra i propri pensieri caotici, quando i suoi piedi avevano improvvisamente perso l'appoggio sulla sedia all'altro capo del tavolino, sollevando lo sguardo sulla fonte di tale disturbo identificando prima una mano di metallo decisamente familiare ancorata allo schienale, ed in seguito il cipiglio indefinito di James mentre prendeva posto di fronte a lui con l'aria di chi era arrivato tardi ad un appuntamento. 

«Cosa diavolo ci fai qui?» lo interpella Steve con tono infastidito dall’interruzione e dalla sorpresa non particolarmente gradita, sfoggiando un atteggiamento diffidente di fronte al compagno d'armi, memore dei moniti sottolineati da sua madre durante il volo aereo fino a Madripoor. «Non dovresti essere qui

A Steve iniziano a prudere le mani di fronte alla consapevolezza che tutti i suoi piani attentamente studiati a tavolino si siano tramutati in cenere con la comparsa dell'uomo… era riuscito nell’ardua impresa di depistare sua madre e le guardie, fuggendo dalla reggia alla ricerca di un po’ di quiete e di un buon caffè, ma evidentemente aveva aspirazioni troppo elevate per venir accontentato dal Cosmo.

«E dove altro dovrei essere se non a calpestare la tua ombra?» ribatte ironico Barnes spezzando il labile filo dei suoi pensieri, portandosi teatralmente la mano di metallo al petto. «Un minimo di gratitudine per rincorrerti in capo al mondo per salvarti il culo sarebbe gradito, sai?»

«Non ho chiesto il tuo aiuto, James.» ribatte piccato, sottolineando il suo nome in un palese indice di fastidio. «Quindi perché sei qui?» 

«Fammici pensare… forse perché sei sparito di punto in bianco e non hai avvisato nessuno della tua vacanza di tre giorni in un posto orrendo come Madripoor? O forse perché sei arrivato qui con la Vedova Zemo?» domanda retorico l'uomo, mettendo in chiaro la situazione per evitare fraintendimenti. «Così, per dirti le prime ipotesi che mi vengono in mente… per caso ti sei dato allo spionaggio e non me l'hai detto? Credevo che il lavoro sporco spettasse a me e Natalia, ne va della credibilità dello scudo-...»

«Puoi piantarla di sparare cazzate?» 

«Okay, la smetto.» si arrende facilmente James sollevando le mani sopra la testa a sottolineare il concetto espresso, diventando improvvisamente serio quando il cipiglio ironico sparisce completamente dal suo volto, lasciando perdere il copione da teatrino passando al lato pragmatico. «Sono solo preoccupato per te Steve, non capisco il perché diavolo sei qui e non sei ancora tornato a casa…» 

«Tornato a casa?» ribadisce Steve con tono sprezzante sottintendendo il fatto che reputasse assurdo il concetto appena espresso, senza comprendere lo stupore di fondo che leggeva nelle iridi ghiacciate dell'agente Barnes. «Io sono a casa, più di quanto lo fossi prima.»

«Il tuo è un discorso che non ha senso, Stevie.» afferma confuso James, rendendosi conto per la prima volta dall’inizio di quella conversazione che il suo non era affatto uno scherzo di pessimo gusto. 

«Il tuo è un discorso che non ha senso, Buck.» ribatte il Capitano Rogers stringendo la tazza di caffè tra le mani, serrando gli occhi con forza per una frazione di secondo vedendo i bordi del proprio campo visivo sfarfallare, visualizzando mentalmente gli occhi nocciola di sua madre e scacciando a forza l'istantanea sporadica di occhi molto simili a quelli di James, che negli ultimi giorni riaffioravano tra i suoi ricordi nei momenti meno opportuni. «Sono qui con mia madre, dove altro dovrei essere?» 

«Madre?» lo riprende il Soldato d'Inverno basito, tamburellando con l'indice di metallo sul bordo del tavolo tradendo una briciola di nervosismo latente. «Le nostre madri sono morte decenni fa, Steve… e sono sepolte a Brooklyn, di certo non qui a Madripoor.»

«Smettila di mentirmi.» sbotta il Capitano irritato, stringendo la tazza di caffè con ancora più forza. «Smettila.»

«Perché diavolo dovrei mentirti su questo? È un dato di fatto.» replica James con espressione sempre più confusa, assottigliando lo sguardo quando intercetta un sospetto fondato ed inizia a seguirlo come un segugio. «Tu stai pensando seriamente che la Vedova Zemo sia tua madre? La bambina dai capelli bianchi ti ha fatto il lavaggio del cervello per caso?» 

«Non essere ridicolo James, il lavaggio del cervello, andiamo.» afferma scettico, spazzando via il mezzo sospiro di sollievo da parte dell'uomo nel giro di una frase. «Credo me ne sarei reso conto altrimenti… e non ti devo nessuna spiegazione, anzi. Elisa mi ha cercato per anni, anni Buck, e voialtri ci avete sempre impedito di riallacciare i rapporti.»

Sua madre era stata chiara in merito e Steve, durante quella intera giornata di volo verso casa, aveva assorbito come una spugna tutti i retroscena che si era perso nei decenni trascorsi nell'Artico, stilando una lista dettagliata di tutte le bugie che gli erano state propinate nel corso degli ultimi otto anni da tutti i membri della sua "famiglia" per tenerlo buono ed impedirgli di riallacciare i rapporti con la donna. 

«Frena un attimo…» mormora James spezzando il respiro, puntandolo con uno sguardo che non prometteva nulla di buono, fomentato da un sospetto ai suoi occhi terrificante che gli aveva fatto serrare la mascella in una morsa dolorosa, articolando la domanda seguente con evidente difficoltà. «Qual è il primo ricordo che hai di me, Steve?» 

«Che domanda idiota è mai que-...» 

«Tu rispondi.» lo zittisce James serrando le dita di metallo sul bordo del tavolino minacciando di lasciarci l'impronta, respirando profondamente per placare la rabbia montante. 

«Londra.» afferma Steve senza ombra di dubbio, mentre il proprio cervello gli ripropone il fotogramma di un James ventisettenne che veniva sbattuto fuori dal pub insieme a Toro e ad una imprecazione accorata del barista che se proprio dovevano menarsi per le attenzioni di una ragazza potevano risolvere la cosa tra loro fuori in strada senza rimetterci mobilia, bicchieri e clienti scontenti. «Tu e Toro avete sempre avuto gusti simili in fatto di donne.»

«Sbagliato.» impreca Barnes tra i denti, confondendolo, mentre un lieve rumore di metallo annuncia che il suo interlocutore aveva appena impresso le proprie impronte digitali sul ripiano in ferro battuto, sollevando lo sguardo per fronteggiare la furia celata nelle iridi dell'uomo… richiamando indietro dai recessi della propria memoria l'istantanea di un bambino di sette anni dagli occhi azzurro ghiaccio che si nascondeva dietro le gonne della madre, scuotendo la testa con forza scacciando l'immagine dalla propria scatola cranica. «Avevi sei anni Stevie, tuo padre era morto da nemmeno un mese.»

«Elisa mi aveva avvertito che avresti provato a confondermi.» ribatte il Capitano con tono di sufficienza, alzandosi in piedi intenzionato ad andarsene e mettere una distanza anche fisica dai dubbi che lentamente si stavano insinuando nel suo cervello, facendo scattare sull'attenti anche James di riflesso. «Non voglio più starti ad ascoltare.»

«No, tu invece mi stai a sentire, forte e chiaro.» proclama il Soldato d'Inverno afferrandolo per una spalla fulmineo, prima ancora di potergli dare la possibilità di compiere un singolo passo. «La tua adorata madre ha fatto in modo di riempirti la testa di segatura, razza di mulo testardo che non sei altro.» 

«Levami la mano di dosso.» lo minaccia Steve strattonandogli il braccio sinistro, tentando di fargli perdere la presa arrancando di un passo indietro con scarsi risultati. 

«Altrimenti che cosa fai?» lo sfida apertamente James, stringendo ancora di più la morsa delle proprie dita. «Mi fai male? La Vedova Zemo ti ha già istruito a dovere sull'arte della tortura?» 

«Non parlare così di mia madre.» 

«Lei non è tua madre!» sbraita il Soldato d'Inverno mentre un incendio divampa in fondo alle sue iridi ghiacciate, furibondo per una motivazione che Steve non riesce ancora bene a capire, trovando ridicolo il suo accanimento nel ripetergli le menzogne che gli aveva raccontato per una vita intera ora che lui aveva scoperto la verità. «Elisa Sinclair è una nazista manipolatrice senza scrupoli, è una delle fondatrici dell'Alto Concilio-…»

«Lei non fa parte dell'Alto Concilio.» ribatte con un sibilo furente per l'insinuazione incresciosa appena pronunciata, rabbrividendo orripilato al ricordo degli scheletri ambulanti che avevano incontrato per sbaglio in Polonia una vita prima [1]... e per quanto Steve desiderasse negarlo era indubbio che nei file del Triskelion il cognome Zemo figurasse tra gli ideatori fondatori, obbligandosi a sorvolare sul fatto che effettivamente sua madre non era invecchiata di un giorno [2] dall'ultima volta che l'aveva vista prima della guerra. «Avrà anche sposato un disertore dell'HYDRA [3], ma non-…»

«Non fanno più esperimenti su cavie umane?» lo interrompe James con il tono di voce venato dalla collera, puntandosi l'indice al petto in un cenno esplicativo. «Cambia il nome, ma non i macellai… la bambina è solo un'altra cavia, non è vero? Ti ha messo lei a soqquadro il cervello, non è così?» 

Il ronzio incessante che Steve aveva avvertito in sottofondo fino a quel momento diventa pian piano assordante, annaspando mentre il sangue sembra andargli al cervello a causa del sovraccarico di informazioni, smembrando il puzzle da mille pezzi che componeva la sua scatola cranica rendendolo incapace di riformare un'immagine coerente, incapace di reagire per mettere James a tacere, permettendogli di continuare a raddrizzare i pezzi del rompicapo a parole, gettando benzina sul fuoco per bruciare i tasselli superflui… ed il cervello di Steve va in ebollizione colando materia grigia, formando una pozza fusa alla base della nuca che non fa che aumentare esponenzialmente il suo mal di testa latente. 

Fa male, Dio se fa male. 

«Elisa Sinclair ha cresciuto il mostro che ha tentato di farci fuori tutti… sono davvero curioso, come ti giustifichi l'esistenza di Zemo Jr, genio?» continua ad infierire James senza demordere, centrando il bersaglio puntando palesemente alla sua soglia di sovraccarico cerebrale, pretendendo da lui una risposta che tarda sempre di più ad arrivare. 

«Non puoi biasimarla per essersi rifatta una vita.» ribatte Steve sforzandosi di confezionare una scusa plausibile, soffermandosi solo in quel preciso momento sulla deduzione logica di aver davanti l'assassino del suo fratello adottivo, boccheggiando a vuoto preso in contropiede dalla consapevolezza improvvisa. «Tu hai ucciso mio fratello…»

«No, Zemo ha provato ad uccidere me, tuo fratello, insieme a Natalia, Sam, Stark e la tua dolce metà… c'è una sottile differenza.» lo schernisce Barnes rimarcando su quelle lacune mentali che sua madre non aveva saputo colmare e così su due piedi Steve non sapeva giustificare, offrendogli su un piatto d'argento l'arma perfetta con cui stroncarlo. «Ti concedo di dubitare di me, ma non puoi dubitare di Sharon.»

«Perché no?» replica istintivo con tono amaro, vacillando con lo sguardo accusando il colpo quando realizza l’implicazione chiamata in causa, ammettendo a sé stesso che Sharon era tante cose, ma non una bugiarda… distraendosi concedendosi un breve respiro di sollievo quando vede James abbassare lo sguardo allarmato sul proprio petto, identificando il pallino rosso di un puntatore laser. «Buck…?»

«Sono stati veloci…» mormora l'uomo perdendo la presa sulla sua spalla, scansandosi appena in tempo per evitare la pallottola al petto deviando la traiettoria sul braccio sano, sollevando lo sguardo sul suo cecchino appena in tempo per vederlo crollare a terra freddato dal sicario che gli copriva le spalle a distanza con un colpo preciso e pulito. «Wow, che accoglienza calorosa...»

Steve non ha tempo di girarsi a fronteggiarlo di nuovo che James si è già volatilizzato, distinguendo appena la sagoma dell’uomo in lontananza che veniva inghiottita dai vicoli sudici di Madripoor, mentre alle sue spalle appare un'intera squadra armata a fucili spianati che si lancia a passo di carica all'inseguimento del Soldato d'Inverno… quando lui desiderava solo un buon caffè e un po’ di quiete, non gli sembrava di aver chiesto la Luna. 

Evita di porsi altre domande scomode ignorando la ressa di guardie che lentamente si defilano dallo spiazzo della caffetteria dopo aver fatto rapporto a sua madre sul dove si trovasse e sull’attacco appena subìto, tornando a sedersi al tavolino naufragando con sguardo assente sulle placide onde di caffeina contenute nella sua tazza, con mille domande, zero risposte all'orizzonte e un mal di testa incurabile che si agitava incessante sul fondo della sua scatola cranica.

Voleva solo un caffè e puntualmente aveva ricevuto in cambio una demolizione gratuita delle quattro sinapsi confuse che gli rimanevano, insieme alla consapevolezza di avere indosso un guinzaglio invisibile tenuto saldamente da una madre apprensiva che trovava difficile da gestire e digerire dopo così tanti anni passati in solitudine… Steve pensava di sapere cosa desiderava davvero, ma in quel preciso istante vorrebbe solo riportare indietro le lancette dell’orologio per presentarsi alla cena con Sharon senza nessuna deviazione intercontinentale nel mezzo, accontentandosi di ordinarsi una birra, ridere fino alle lacrime e sentirsi dire da lei come stanno davvero le cose.

Non fa in tempo a finire di formulare quel semplice pensiero che ha già sfilato il cellulare dalla tasca e ha composto il numero, ma il segnale suona libero troppo a lungo, scandendo con lentezza esasperante i secondi eterni... la linea finisce prevedibilmente per cadere nel vuoto e con essa la speranza di far attraccare la propria mente in un porto sicuro, naufragando in un mare in tempesta, arginato a fatica da sorsi amari di un caffè sempre più freddo. 

 

***

 

Un fischio di richiamo collaudato negli anni fa sollevare di scatto la testa a James, arrestando la sua corsa spingendo lo sguardo sulla sagoma dei tetti sopra la sua testa identificando i boccoli rossi di Natasha, prendendo la rincorsa aggrappandosi alla scala antincendio che pendeva dal secondo piano dell'edificio al suo fianco strappandogli una bestemmia quando il proiettile gli ricorda che si trova ancora all’interno del suo bicipite sano, ritirandosi dal cornicione appena in tempo per nascondersi dalle guardie armate che si aggiravano nelle strade sottostanti.

«Credo sia escluso raggiungere subito gli altri all’orfanotrofio.» condivide i propri ragionamenti in un sussurro mentre scocca uno sguardo veloce alla compagna dalla testa ai piedi, assicurandosi che non si sia ferita durante la corsa rocambolesca dalla postazione da cecchino fino al punto di rendez vous, appurando l’assenza dell’arma a tracolla che le aveva ceduto deducendone la sorte dal contesto. «Adoravo quel fucile, giusto per la cronaca.»

«Aspetta un paio di mesi e te ne regalo uno nuovo per il compleanno.» lo liquida Natasha allungando le dita verso il suo braccio, spostando delicatamente i brandelli della tenuta lacera. «Sanguini.»

«Non saresti dovuta intervenire, avevo tutto sotto controllo.» brontola James ignorandola, concentrandosi sulla tabella di marcia impedendo alla propria mente di divagare in pensieri più turbolenti, ricevendo un’alzata di occhi al cielo in risposta.

«Sanguini, ti servono punti.» insiste Natasha con un sibilo irritato, astenendosi dal infierire premendo il pollice sul foro d’entrata unicamente per non rischiare di farlo urlare e rivelare il loro momentaneo nascondiglio precario, sorvolando sul suo borbottio irritato che voleva dipingere la ferita come un dettaglio di poco conto, iniziando a guardarsi attorno cercando di capire con precisione il luogo in cui si trovavano, visualizzandolo in una mappa mentale che conduceva a nascondigli più sicuri e forniti di disinfettante, ago e filo sterili. «Da questa parte, speriamo non ci sia nessuno in casa.»

«In casa di chi?» chiede James vedendosi negata la richiesta di delucidazioni, evitando di perdere tempo rincorrendola come un'ombra, atterrando con la leggerezza e la silenziosità di un gatto sul tetto di un palazzo anonimo, ritrovandosi ad assistere allo scasso di una finestra che si apriva su un salotto spartano altrettanto privo di segni caratteristici e palesemente disabitato da diverso tempo… nonostante aleggi nell’aria un odore familiare di muschio, sigari e metallo, ricollegando velocemente l’aroma ad un volto e un nome, strabuzzando gli occhi tradendo una nota di vago panico nella voce. «’Tasha… non vorrei suonare fatalista, ma tuo zio mi ammazza appena scopre che ho macchiato di sangue il suo parquet, spero tu ne sia consapevole.»

«Non stai grondando sangue e al massimo ripulisco con l'alcol, seduto ora.» afferma la donna con tono a metà tra il seccato e l'autoritario, puntandogli le mani al petto facendolo cadere di peso sul divano. 

«Peggio ancora, l'alcol non ha esattamente un profumo delicato… lo sente ogni essere umano, figurati Howlett.» sbuffa senza demordere, seguendo Natasha con lo sguardo mentre esegue un breve sopralluogo di ogni stanza, raccattando man mano tutto il necessario per medicarlo. «Che poi, mi spieghi il senso di tenere una farmacia in casa quando gode di un fattore rigenerante istantaneo?» 

«Non sei l'unico a sanguinare sul suo parquet… e l'età si fa sentire un po' per tutti [4]. Spogliati.» spiega la donna lasciandosi cadere sul divano al suo fianco, voltandogli le spalle appoggiandosi al tavolino da caffè per preparare l'occorrente, sterilizzando un paio di forbici da cucina con uno zippo trovato in giro per l'appartamento mentre lui inizia a slacciare i bottoni della parte superiore della tenuta in silenzio, limitandosi a sibilare tra i denti accusando una fitta dolorosa quando riesce a sfilare la manica del braccio ferito senza causare troppi danni. 

«Sei taciturno.» scherza Natasha iniettandogli della morfina in vena anestetizzandogli la zona di pelle lesa, aspettando un paio di minuti che la dose da cavallo che ha in circolo faccia effetto, continuando tuttavia ad ignorarla perso nei meandri dei propri pensieri turbolenti… che rallentano pian piano, sforzandosi di rincorrerli per non perdere il ritmo senza riuscirci, annuendo appena per automatismo mentre fissa un punto imprecisato della stanza con sguardo vuoto. «Sono delusa, mi aspettavo almeno una battutaccia sul doverti spogliare da solo.» 

«Non sono dell'umore adat-... Cristo, 'Tasha.» inizia mentre la compagna lo infilza a tradimento con la punta delle forbici rigirandola nella ferita, avvertendo una vaga fitta a primo acchito, imprecando sorpreso quando la donna estrae il proiettile al primo colpo registrando una tenue stilettata di dolore con un paio di secondi di ritardo a causa della droga che aveva in circolo. «Un minimo di preavviso, no?» [5]

«Se ti avviso tolgo tutta la parte divertente.» afferma sua moglie con una scrollata di spalle, strappando la confezione contenente ago e filo con i denti, indugiando con le dita sulla ferita aperta quando gli fa togliere la garza con cui si stava tamponando il braccio. «Inizio a metterti i punti, preparati psicologicamente alla cosa.»

«Non sei simpatica… non ha più senso avvisarmi ora.» mormora seccato ignorando lo strano prurito che avverte quando l'ago inizia ad entrare ed uscire dalla sua pelle, cercando nel mentre di riprendere il filo dei propri pensieri con scarsi risultati, perdendolo definitivamente quando Natasha termina la fasciatura e si sporge nella sua direzione posandogli un bacio a fior di labbra. 

«Sei taciturno, звезда моя.» insiste la donna ad un soffio dalla sua bocca, rendendo James terribilmente consapevole che l'avere della droga in circolo aiutava unicamente sua moglie nel sottoporlo al terzo grado, spingendolo ad ammettere ad alta voce tutta quella parte di mezze verità che solitamente le nascondeva per una qualche ragione di dubbia ovvietà. 

«Sono fuori allenamento nel litigare con Steve, tutto qui.» cerca di liquidata scrollando le spalle, sfiorandole la guancia con la punta del naso in una tenue carezza, crollando con la testa contro la sua clavicola mentre un crepaccio si dirama dal suo sterno fino allo stomaco, rompendo i sigilli della muraglia che comprimeva i suoi sentimenti caotici in un angolo angusto del suo corpo. 

«Questa è la risposta standard per gli altri, quella veritiera per me qual è invece?» sussurra Natasha al suo orecchio iniziando a districargli le ciocche della nuca con movimenti lenti e ritmici delle dita, ignorando il suo vago tentativo di scrollare la testa in un cenno di dissenso ed evitare di rendere reali i propri pensieri articolandoli in parole. «звезда моя… ti ho cucito le ferite del corpo, permettimi di guarirti anche quelle dell'anima.»

«È che odio… odio avere ragione.» riassume spiccio strappandosi la confessione dai denti, alludendo a quel sussurro preoccupato che si era perso nel silenzio della cuccetta del Quinjet durante la notte appena trascorsa, percependo il corpo di Natasha fremere spaventato ed irrigidirsi preoccupato sotto il suo peso per la seconda volta in meno di dodici ore… e voleva evitare di farla sentire di nuovo in quel modo, maledicendo il siero che gli scorreva nelle vene per permettere alla morfina di sciogliergli ogni volta la lingua con facilità disarmante, invece di farlo addormentare subito come tutti gli altri comuni mortali. [5]

«Cosa gli hanno tolto?» mormora la donna al suo orecchio nonostante non ci sia un motivo preciso per cui stanno parlando con un tono di voce più basso di tre ottave, scendendo con le dita lungo la spina dorsale stringendolo in un abbraccio, come a tenere insieme tutti i suoi pezzi che pian piano si stavano sfaldando di pari passo con il crollo di tutte le sue difese. «Cosa non ricorda?» 

«La mamma… me, Becca e papà. Crede di avermi conosciuto a Londra. Londra, 'Tasha… sono quasi vent'anni di buco.» sfiata con un tono di voce che sembra giungere dal fondo di un sepolcro, circondandole la vita con il braccio di metallo avvicinandola a sé, cercando forzatamente del calore umano in grado di riscaldare il crepaccio innevato che gli squarciava il petto. «Ci sono quattro cose che tengono in piedi Steve e gliele hanno strappate via una ad una… manca solo che trovino il modo per rivoltargli contro Sharon e hanno creato la marionetta perfetta.»

La Vedova Zemo aveva steso una leggera passata di bianchetto apparentemente indelebile sui ricordi di suo fratello, confondendo i nomi, le facce e le esperienze reali con quelle progettate da una bambina di quattro anni… Elisa era stata in grado di cancellare il suo nome dalla mente di Steve collocandolo con una ventina d’anni di distacco, minando un’infanzia intera di esperienze che stava alla base del legame indissolubile che li univa, bruciando fino all'osso ogni appiglio e margine di recupero. Aveva portato a termine l’improbabile impresa di cambiare il soggetto di quel stramaledetto appuntamento andato in fumo per colpa dell'Artico, riuscendo inoltre a tramutare in assassini bugiardi ogni membro della loro famiglia allargata… e in tutto quel caos Sharon, miracolosamente, restava l'unica pedina grigia in una scacchiera di pezzi bianchi e neri dai colori invertiti. James poteva considerarsi ormai avvezzo dai metodi dei suoi ex datori di lavoro da sapere di non dover riporre false speranze nella risoluzione veritiera e coerente del punto interrogativo rappresentato dall'agente Carter, dopotutto era successo anche a Natasha, a lui era capitato innumerevoli volte, ma per una strana ragione quello era un concetto che trovava impossibile da accettare se applicato a Steve… forse perchè lo credeva al sicuro, forse perchè non aveva mai abbandonato la battaglia persa in partenza che lo vedeva concentrato nell’impedire che succedesse qualcosa di male al fratello, cosa assai probabile dato che aveva a che fare con un mulo testardo che trovava ragionevole buttarsi a capofitto in una mischia per il semplice desiderio di farlo, convinto che così facendo avrebbe reso il mondo migliore. Probabilmente pensava di essere dalla parte dei “buoni” anche in quel preciso momento… e Dio, sembra che debba scoppiargli la testa da un momento all’altro a discapito della morfina, desiderando ardentemente una sigaretta che non gli conveniva fumare. 

«A cosa pensi?» chiede Natasha a distanza di qualche minuto, continuando a districargli le ciocche in una coccola delicata e metodica che per una qualche strana ragione ha la capacità di placare il suo bisogno di nicotina, scivolando con la testa fino ad appoggiare la nuca contro la conca formata dal suo bacino, stiracchiandosi meglio sul divano allungandosi su un fianco e premendo la guancia contro il ginocchio della compagna. 

«Penso che sono stanco, di tutto… una volta chiusa questa storia mi ritiro.» afferma titubante inchiodando lo sguardo al muro color crema che ha di fronte… non erano molto bravi a fare progetti a lungo termine, o a parlare di cambiamenti radicali in generale, ma l'anestetico che gli rallenta il cervello lo convince che sciogliersi la lingua sia la soluzione migliore, che qualunque sentenza possa mai ricevere in cambio non sarà mai in grado di spaventarlo, formulando frasi meno brutali, con meno spigoli e silenzi ingombranti rispetto al solito.

«Ti ritiri?» gli fa eco la donna con tono sorpreso, lasciando la mano sospesa sopra i suoi capelli per una frazione di secondo, giusto il tempo per elaborare la frase da lui espressa e convertire l’affermazione dal singolare ad una proposta al plurale. «Ci ritiriamo?»

«Perché no? É quello che pian piano stiamo facendo tutti…» ragiona a voce alta riuscendo finalmente ad esprimere a parole quel discorso che inconsapevolmente si era preparato per un’intera settimana, riuscendo a realizzare – ora che i suoi pensieri correvano lenti ed aveva tutto il tempo per analizzarli tutti – che la sensazione destabilizzante tra l'equilibrio e la fuga che aveva sperimentato di fronte al loro ultimo fantasma necessitava semplicemente di un contesto nuovo. «Fa un attimo di mente locale e pensa al Complesso. Clint sta addestrando Kate con l'intenzione di cederle l'arco... Stark ha una figlia, Parker e si è comprato una casa sul lago... Sam ha ereditato lo scudo e si è rifatto una vita a Hell's Kitchen... Lang, Wanda, Visione e gli altri sono tutti operativi che sanno benissimo guardarsi le spalle da soli… e Yelena sarà anche una vipera irascibile, ma non ha certo bisogno di noi per sopravvivere tra i buoni.» 

«In linea teorica quella che dipingi sarebbe la soluzione migliore per entrambi…» gli concede Natasha con voce atona, respirando a fondo prima di afferrargli il mento tra due dita ed obbligarlo ad incrociare il suo sguardo.

«Lo è.» afferma deciso abbandonando lo stato di apnea quando un timido sorriso germoglia sulle labbra di sua moglie, osservandola con cipiglio confuso quando la vede scrollare il capo in un cenno di diniego.

«Dopo un po' ti mancherebbe l'adrenalina, James.» spiega con il sorriso sulle labbra, come se quella appena espressa fosse una verità assoluta che a lui tuttavia sfuggiva. «Non sei il genere di persona che riuscirebbe ad essere felice e godersi la pace senza una qualsiasi responsabilità sulle spalle…»

«Sei tu la mia responsabilità...» ammette cercando e trovando le sue dita con la mano sana, portandosele alle labbra imprimendo un bacio leggero sul dorso della sua mano. «...mi basti tu, ‘Tasha. Il resto del mondo può tranquillamente andare a farsi fottere.»

«Potrei vomitare la colazione sul tappeto ora come ora, e dopo chi lo sente zio Logan…» scherza la donna demolendo senza pietà il suo vago sprazzo di romanticismo, rabbuiandosi di colpo quando comprende che per una volta i binari dei loro pensieri si muovevano in due direzioni diverse.

«Natalia, io sono serio…» 

«Noi, a differenza degli altri, non possiamo semplicemente tirare su baracca e burattini e mandare al diavolo Nick, James… abbiamo Parigi, non ti basta?» chiede abbandonando il fare giocoso, alludendo tacitamente al fatto che al di fuori del lavoro non avevano e non potevano avere nient'altro, ruotando il polso della mano che lui stava ancora trattenendo tra le dita, accarezzandogli con il pollice la fossetta sulla guancia quando lui tende le labbra in un sorriso triste che voleva sembrare incoraggiante, sopprimendo l'istinto goliardico di replicare con un "no, voglio la Luna" scherzoso. 

«Non è che non mi basta, il punto è proprio questo, mi basterebbe di meno… il concetto di "casa" non sono quattro mura e un tetto, e possiamo riempirlo con qualunque cosa vogliamo.» spiega caparbio cercando il palmo della sua mano con le labbra, scivolando sull’interno del polso percependo il battito sordo e regolare del suo cuore contro la bocca, in una blanda dimostrazione di quel concetto basilare.

«Quindi stai dicendo che "casa" siamo io e te contro il mondo?» ironizza Natasha con il tono di voce forzato dal sorriso enigmatico che le solca le labbra, puntandolo con uno sguardo che sembra voler abbandonare le foreste selvagge celate nei propri occhi e salpare nel mare ghiacciato contenuto nei suoi. 

«Sì, immaginalo… basta telefonate nel cuore nella notte, basta punti di sutura, basta missioni. Solo io, te, il gatto, notti brave e dormite fino a pranzo.» elenca James con sguardo trasognato, beandosi della vista della compagna che per una frazione di secondo si perde in quella fantasia ad occhi aperti, smorzando il sorriso in concomitanza al suo quando abbassa di nuovo lo sguardo su di lui con aria disillusa.

«Dopo un po' troveremmo il modo di annoiarci anche del sesso, звезда моя… per quanto fantastico sia.»

«Quindi mi stai dicendo di no?» indaga James titubante, liberando un microscopico sospiro di sollievo quando la vede negare con un cenno del capo per l’ennesima volta.

«Quindi ti sto dicendo che ci serve un… un hobby con cui riempire le giornate, abbiamo bisogno di adrenalina e della giusta dose di paranoia per direzionare le energie negative.» afferma risoluta afferrandogli le guance con una mano chinandosi a baciarlo, strofinando la punta del naso contro al proprio prima di risollevarsi. «E fare yoga non funziona, ci ho già provato.» 

«Beh, con me funziona, mi calma i nervi e placa gli incubi…» la contesta tempestivo ottenendo un cenno della mano che pretendeva di liquidare il discorso reputandolo infondato, consapevole che il tentare di curare l’insonnia sedendosi a gambe incrociate ai piedi del letto contando i secondi tra un respiro e l’altro poteva rivelarsi un valido aiuto per placare l’ansia, ma ciò che lo faceva realmente addormentare precipitando in un sonno senza sogni era il dormire incollato a Natasha con il naso sepolto tra i suoi boccoli al profumo di vaniglia e la consapevolezza di aver messo a tacere tutti i loro fantasmi con almeno un proiettile a testa. «Ma è un palliativo, hai ragione, è-...»

«…è la polvere da sparo che ti fa dormire sonni tranquilli. Già.» Natasha giunge alla sua stessa conclusione, mettendo un punto alla questione ricominciando a districare le ciocche dei suoi capelli con le dita, incupendo lo sguardo ritornando all’argomento principale che richiedeva una risoluzione decisamente più immediata, morfina in circolo o meno. «Ma questo è un problema futuro, piuttosto, come risolviamo la situazione di Steve ora?» 

«Non credo che la ricalibrazione cognitiva serva a qualcosa stavolta, é convinto all'ottanta percento di ciò che dice e ciononostante non vuole scendere a compromessi…» ammette James riluttante con un tono di voce che cola a picco e verte verso il mutismo, rigirandosi su un fianco tornando a premere la guancia contro il ginocchio di Natasha.

«Non prenderla sul personale… Steve non scende a compromessi con nessuno, звезда моя. Mai.» afferma sua moglie con tono conciliante, sorvolando sul suo cambio di posizione che tradiva la volontà di chiudersi nella propria bolla ed ignorare tutto il resto, risolvendo il calo di attenzione attorcigliando una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice tirandoli leggermente. «Parlami, non chiudermi fuori dalla tua testa.»

«Con me è diverso, 'Tasha.» sbuffa accontentandola, concedendole un spiraglio sull'altalena dei suoi pensieri liquidi con tono monocorde, sconfinando pian piano nel torpore dell'incoscienza. «Steve mi dà ancora retta ogni tanto, è che prima deve sbatterci il naso… ha sempre dovuto sbatterci il naso...»

 

Brooklyn, 1938 - un compromesso dibattuto

 

«Un giorno di questi mi manderai al manicomio, o peggio, mi costringerai a mettere di nuovo piede in un obitorio…» sibila James marciando a passo spedito lungo il vialetto lastricato, trascinandosi appresso uno Steve malconcio che respira a fatica nel tentativo di stargli dietro, nonostante fosse praticamente appeso alle sue spalle. «Ormai mi viene da pensare che hai della segatura al posto del cervello…» 

James si sentiva osservato… era un pensiero stupido, ne era consapevole, ma mentre trascinava il fratello zoppicante verso casa si era ritrovato a chiedersi se anche a notte fonda ci fosse davvero qualcuno in piedi nel vicinato a studiarli da dietro le tende tirate. 

È solo una stupida sensazione, James. Non preoccuparti, è solo un'idea nella tua testa. 

Continua a ripeterselo per tranquillizzarsi, zittendo le obiezioni di Steve e le richieste di rallentare il passo, ma quella è un'idea che non riusciva a schiodarsi dalla testa… dopotutto le sentiva le voci nel vicinato durante il giorno, le lodi velenose sul suo conto in merito al portare a casa due salari diversi e spenderne una parte al bar il venerdì sera dividendo un bourbon con una ragazza sempre diversa, i commenti ipocriti sui vestiti spiegazzati e le trecce disordinate di Rebecca, le critiche malevole sull'incapacità di Steve di farsi assumere e tenersi un lavoro che non fosse quello del lucida-scarpe o disegnare caricature al porto per i turisti. Le sentiva, come percepiva gli sguardi invisibili in quel preciso istante, con le nocche scorticate ed il sangue che gli gocciolava dal naso, mentre uno Steve dal zigomo tumefatto ed il sopracciglio spaccato gli zoppica affianco, arrancando fino alla porta di casa tentando di aprirla il più silenziosamente possibile in una precauzione inutile.

«Si può sapere che fine aveva-... oddio Jimmy, che cos'è successo?» esordisce Rebecca Barnes furente, in piedi a braccia conserte nel bel mezzo del salotto in camicia da notte, abbandonando il principio di ramanzina correndo loro incontro quando registra il sangue secco sul volto di entrambi. 

«Il solito, Steve non sa mai tenersi la lingua tra i denti e mi tocca ogni volta andarlo a ripescare dalle peggiori risse…» afferma raggiungendo il divano sgangherato, scaricandoci sopra il fratello di malagrazia, brontolando irritato tradendo una punta di frustrazione nella rabbia che gli colora la voce. «E tanti saluti alla mia serata libera… quei due erano il doppio di te Stevie, a volte mi chiedo cosa cazzo ti dice il cervello!» 

«Non che ci voglia molto per essere il doppio di me, Buck...» mormora Steve tra i denti nella vana speranza di non farsi sentire, istigando quella parte di lui che voleva placare il prurito alle mani con uno schiaffo così forte da fargli girare la testa di 360 gradi.

«Jimmy...» sibila minacciosa Rebecca troncando sul nascere ogni sua iniziativa, di ritorno in salotto con la valigetta di Sarah sottobraccio, premendogli contro il petto un fazzoletto di stoffa con cui tamponarsi il naso, sedendosi accanto a Steve armata di batuffolo di cotone e disinfettante. 

James inghiotte la bile ed inclina la testa all'indietro iniziando a ripulirsi dal sangue ormai secco, illustrando la dinamica dell'incidente dopo le sollecitazioni della sorella una volta appurato che Steve non era ragionevolmente intenzionato ad esprimersi al riguardo, spiegando che il farsi pestare a sangue nel vicolo dietro al bar in cui lui aveva annunciato di trascorrere la serata non sapeva definirla un'idiozia o un colpo di genio. Sicuramente un'idiozia, perché aveva espressamente chiesto a Steve di darci un taglio sia con le cazzate che con l'eroismo… perché non aveva più tempo per raccoglierlo dai vicoli, perché da quando era morto loro padre quasi sei mesi prima gli assistenti sociali li tenevano d'occhio, ed il fatto che loro due tornassero a casa pieni di lividi tre volte a settimana non aiutava per niente a zittire le voci nel vicinato.

«Avevano iniz-...» afferma Steve titubante, racimolando il filo di coraggio necessario per difendere la propria causa, ottenendo come unico risultato quello di gettare altra benzina sul fuoco. 

«Non mi importa chi ha iniziato cosa, tu ti mordi la lingua e taci!» ricomincia James puntandogli contro il fazzoletto sporco di sangue in forma esplicativa, accartocciando una sequela di imprecazioni sulla lingua ricordandosi che i muri della loro casa erano fatti di cartongesso. 

«Finitela, entrambi.» li riprende Rebecca con tono autoritario, dimostrando più maturità di loro due messi insieme, voltandosi in direzione di Capitan Idiota con sguardo comprensivo. «Stevie…» 

«Perchè prendi sempre le sue parti?» ribatte piccato l'interpellato levando gli occhi al soffitto, ricevendo due sbuffi spazientiti in cambio. 

«Perchè ho più buon senso di te, idiota.» replica James in un sibilo, afferrando al volo il pacchetto di sigarette che la sorella gli lancia dietro per zittirlo, evitando così di rischiare di svegliare l'intero vicinato a notte fonda a forza di urla. 

«Fuori, va a darti una calmata, qui ci penso io.» lo interrompe Rebecca autoritaria, eseguendo il richiesto, raggiungendo la ringhiera del portico accendendosi un fiammifero ed espirando una boccata di fumo liberatoria. 

«Ti prendi un raffreddore se resti fuori in queste condizioni.» afferma James con tono paternalistico quando la sorella lo raggiunge all'esterno, rigorosamente a piedi scalzi e con un solo strato sottile di stoffa addosso, avvolgendola subito in un abbraccio per riscaldarla e finendo per usare la sua testa come appoggio per il mento. «In più, a quest'ora tu dovresti essere a letto a dormire…» 

«Perchè tu pensi davvero che le altre sere quando mi spegni la luce in camera io mi metta a dormire subito?» commenta ironica la ragazzina appendendosi alle braccia che la tenevano stretta al suo busto, allungando due dita temeraria verso la sigaretta che gli pendeva dalla bocca, sfilandogliela dai denti con fare scaltro portandosi il filtro alle labbra concedendosi un piccolo assaggio.

«Mi piace illudermi che sia così, sì.» ribatte James riappropriandosi tempestivo del tabacco sottrattogli, allungando una mano per pizzicarle un fianco facendola sobbalzare. «Ti concedo di fratturarti il setto nasale sui libri fino a notte fonda, ma sei ancora troppo piccola per fumare signorina.»

«Per te sono ancora troppo piccola per fare un sacco di cose, Jimmy… ho tredici anni, non cinque.» lo riprende Rebecca scorbutica rifilandogli una gomitata alle costole, divincolandosi dalla sua presa finendo per stringersi le braccia al petto e premere la fronte contro il suo sterno per scaldarsi meglio, rimuginando in silenzio pentita per non essersi gettata sopra le spalle almeno una coperta leggera con cui ripararsi dalla brezza di inizio ottobre, scostandosi appena dal suo rinnovato abbraccio cercando il suo sguardo. «E Steve ne ha venti, Jimmy… ed è una testa calda orgogliosa, testarda e guerrafondaia come te, non sei nella posizione in incazzarti per come si comporta quando tu sei uguale

«Non è quello il problema…» mormora con tono monocorde, rischiando di scivolare e confessare la vera motivazione che alimentava la sua rabbia, filtrando la risposta con la prima scusante plausibile che gli viene in mente. «È che io avevo ben altri programmi per la serata, tutto qui.»

«Oh povero caro, non hai trovato nessuna con cui spassartela stanotte?» lo prende in giro la sorella con uno sguardo di profondo scetticismo, pizzicandogli un fianco in un debole incentivo al buon senso. «La "donna della tua vita" che cerchi tanto non potrà mai essere un'oca starnazzante che si accontenta degli avanzi, a te serve una pantera affamata che ti mastichi vivo… e stai parlando con me Jimmy, quindi fammi un favore e non fingere di essere incazzato per questo motivo.» 

«E per quale altro motivo dovrei essere arrabbiato? Sentiamo.» la sfida apertamente sibilando inviperito, reagendo in quel modo sconsiderato di fronte al timore concreto di essere stato colto in flagrante da Rebecca nel seppellire le proprie debolezze. 

«Sei arrabbiato con te stesso, perchè dopo la morte di papà ti sei sentito in dovere di auto-eleggerti l’adulto responsabile tra noi tre… ma nessuno te l’ha mai chiesto, Jimmy.» afferma sua sorella con una sentenza precisa ed affilata come un fendente di spada, trattenendo il respiro e svicolando con lo sguardo camuffando gli occhi lucidi… perché ovviamente ha ragione, sono mesi ormai che vorrebbe avere il permesso di accartocciarsi su se stesso ed abbandonarsi in balia degli eventi, ma non può farlo, ripiegando in un respiro profondo che gli impone di non barcollare di nuovo. 

«Potrebbe anche essere vero… ma vedi un’alternativa Becca?» si costringe a chiedere, obbligandosi a non pensare alla minaccia velata che si profila alle sue spalle sotto le sembianze di una custodia minorile revocata. 

«No… ma questo non ti da automaticamente il permesso di riversare tutto su Steve, quando litigate le cose peggiorano sempre.» afferma Rebecca tradendosi con uno sguardo azzurro ghiaccio che palesa tutta l'insicurezza e la paura dettata dall'idea di vedere andare in frantumi l'unica famiglia che le resta. «Non cambierete mai Jimmy, potete solo cercare dei compromessi per bilanciarvi.» 

«Lui non scende a compromessi sorellina, dovresti averlo capito ormai.» ribatte conciliante, sospirando appena, stringendo ancora di più la morsa delle sue braccia cercando di infonderle quel senso di protezione e sicurezza che cercava così disperatamente, sentendosi stringere a sua volta ricacciando indietro il groppo che gli era salito alla gola. 

«Con te ragiona e scende a compromessi, sempre, è che tu non te ne rendi conto e lui non te lo dice…» afferma Rebecca sfilandogli la sigaretta di bocca, spegnendo il mozzicone contro il bordo della ringhiera. «Steve ha bisogno di sbattere il naso sulle cose per capirle, tu devi solo tenerlo in piedi quando poi rischia di cadere per il contraccolpo… che dici Jimmy, torni dentro a rimetterlo in piedi?» 

«Ti hanno mai detto che sei troppo saggia per la tua età?» ribatte James ironico seguendo il suo cenno del capo affrettandosi a seguirla, agguantandola nuovamente in un abbraccio a metà strada per scoccarle un bacio sulla guancia. 

«Nah, non sono saggia, la verità è che in realtà tu hai tredici anni ed io ventuno.» afferma Rebecca facendolo ridere, salendo sulle punte dei piedi per posare le labbra contro la sua fronte. «Non sta scritto da nessuna parte che devi combattere ogni singola guerra da solo, Jimmy. Dovresti ricordartelo un po' più spesso.»


«… звезда моя?» lo richiama Natasha con un sussurro appena udibile che viene inghiottito da un'onda silenziosa, infrangendosi sul placido mare dell'incoscienza garantita dalla morfina. 

«… non mi lasci... da solo... vero?» biascica assonnato ad occhi chiusi, accoccolandosi meglio contro la compagna mormorando un verso di approvazione quando percepisce il tocco leggero delle sue dita lungo il corpo. 

«Mai.» promette la donna in un soffio, iniziando a canticchiare una ninna nanna a mezza voce che lo fa attraccare in porti sicuri, lontano dagli squali tenuti a bada dall'anestetico. «Dormi ora, io non vado da nessuna parte.» 

 

***

 

Era ormai pomeriggio inoltrato quando le guardie armate avevano sospeso le ricerche abbandonando le speranze, liberando le strade di Madripoor concedendo loro un attimo di respiro, uscendo dal bunker sepolto tra le fondamenta dell’orfanotrofio in cui Sharon e compagni si erano nascosti, aspettando che Jessàn Hoan aprisse loro le porte dall'esterno e li conducesse al proprio ufficio dove James e Natasha li stavano aspettando.

«State bene?» esordisce Clint aggirando la scrivania afferrando la rossa per le spalle, squadrando entrambi da capo a piedi. «Vi hanno sguinzagliato dietro un esercito...»

«E vi hanno anche sparato dietro, non è una novità… vorrei ricordarvi che siamo a Madripoor, vi aspettavate un comitato di benvenuto?» li mette tutti in riga Yelena Belova intromettendosi, indicando la manica della tenuta di James ridotta a brandelli in segno esplicativo, prendendo il controllo della situazione facendo rimanere di sasso tutti i presenti tranne i due interpellati, che tradiscono un sorriso ironico palesemente fieri di come stavano addestrando la loro nuova recluta. «Avevi ragione, vero Barnes?»

«Si… la modifica mentale non ha ancora attecchito completamente, ma non ci resta moltissimo spazio di manovra.» afferma James incupendosi, facendo colare a picco l’umore generale e causando a Sharon un brivido freddo lungo la schiena.

«Quindi ora che carta ci giochiamo?» interviene Tony passando al lato pratico, mentre l'agente Carter viene distratta dal trillo di una notifica in entrata permessa dalla ri-guadagnata ricezione telefonica, afferrando il cellulare prendendo atto della chiamata persa da parte di Steve e sperimentando la sordità completa per un lungo, interminabile istante. «Shar… tutto okay?»

«Ti ha chiamata?» si intromette James attraversando la stanza a lunghe falcate, strappandole il cellulare di mano quando non riceve risposta, liberando un respiro di sollievo riconoscendo il nome del fratello digitato sullo schermo, abbracciandola d’impulso ricapultandola presente a sé stessa ritrovandosi a ricambiare la stretta per istinto. «Grazie a Dio… ci giochiamo la “ carta Sharon” Stark, che era esattamente quello in cui speravo.»

«Aspetta… cosa?» replica la donna interdetta una volta elaborata la frase, districandosi dalla presa guardando spaesata l’uomo che la stava abbracciando. «Spiega.»

«Per farla breve, io e Steve abbiamo avuto una discussione molto accesa e molto dolorosa sul fatto che Elisa Sinclair dovrebbe essere sua madre, si è convinto di avermi conosciuto nel ‘43, ha rimosso quasi completamente Peggy ed è molto incazzato con tutti noi perchè siamo dei bugiardi traditori, eccetera eccetera…» elenca James monocorde senza infamia e senza lode, ignorando a forza gli sguardi sempre più sconvolti dei presenti ad ogni parola espressa, ottenendo una brusca interruzione respiratoria alla menzione di Peggy ed un sospiro sconsolato unanime a resoconto concluso, afferrandole le guance tra le mani in risposta all'apparizione delle prime lacrime agli angoli degli occhi quando Sharon metabolizza ed accetta la sentenza. «Io gli ho fatto sbattere il naso sul problema di fondo, tu invece devi farlo restare in piedi ora che sta vacillando. Sei l’unica persona di cui non dubita, Sharon… e ti ha chiamata, capisci dove voglio arrivare?»

Sharon aveva annuito convinta alimentando una scintilla speranzosa, pentendosene amaramente quando tutti i loro tentativi di ricontattare Steve per organizzare l’incontro in un luogo neutro erano stati pressoché inutili, arrendendosi alla triste realtà che il Capitano Rogers era entrato nel Palazzo del Leader Supremo ed evidentemente non aveva voglia o il permesso di uscire dalle mura dell’edificio, rassegnandosi al fatto che se volevano giocare d’azzardo lei sarebbe dovuta entrare di proposito nella fossa dei leoni… e Sharon trovava semplicemente surreale risolvere l’intera situazione citofonando al portone dell’edificio più sorvegliato di Madripoor, annunciandosi con un “sono Sharon Carter, vorrei parlare con il Capitano Rogers, posso entrare?” oltremodo ridicolo.

Due guardie armate l’avevano scortata all’interno dell’edificio senza fare domande, ispezionandola accuratamente privandola di armi, cellulare, transponder e giocattoli iper-tecnologici targati Stark Industries vari, scortandola fino agli appartamenti privati del Leader Supremo ritrovandosi a fronteggiare lo sguardo basito del suo fidanzato ed il sorriso saccente della loro principale fonte di problemi, conficcandosi le unghie nei palmi per impedirsi di compiere azioni avventate mentre l'elenco delle possibili complicazioni calcolate a monte si allungava man mano annodandole lo stomaco.

«Shar… che cosa ci fai qui?» chiede Steve raggiungendola con espressione a metà tra il confuso e il preoccupato, inglobandola in un abbraccio che le smorza il respiro, registrando speranzosa il microscopico sospiro di sollievo che si perde tra i suoi capelli quando lei ricambia la stretta… fingendo confusione a sua volta quando il compagno la afferra per le spalle, allontanandola. «Ti ha mandato Bucky, vero?»

«No… perchè avrebbe dovuto? Ho trovato la chiamata, ho provato a ricontattarti, ma la linea è caduta nel vuoto…» spiega dando inizio allo spettacolo, seguendo alla lettera il copione concordato con James, tacitamente grata che Natasha e Yelena le avessero dato qualche diritta per limare le sue doti recitative colmando le lacune che l’addestramento dello SHIELD e della CIA non erano mai riuscite a colmare, odiandosi un pochino per essere stata costretta dalla situazione a manipolarlo di nuovo. «Ti ho rintracciato, non sapevo cosa fare...»

«Oh… e tu stai bene ora? Le guardie ti hanno dato qualche problema?» chiede Steve cambiando immediatamente atteggiamento quando appura il fatto che lei non rappresentava nessun tipo di minaccia, serrando le dita sui suoi fianchi premendo gli indici con forza ponendo una tacita richiesta d’aiuto in quel strano codice che avevano collaudato negli anni.

Fammi uscire di qui, ho bisogno di parlarti.

«Stai scherzando, amore? Questa è la parte migliore della mia giornata.» afferma dipingendosi un sorriso stucchevole sulle labbra, leggendo un mare di dubbi nel suo sguardo azzurro cielo e promettendogli tutte le risposte con un bacio, premendo gli indici contro le sue spalle sentendo i nodi di tensione sciogliersi sotto le sue dita. «Forza, ti riporto a casa...»

«Io non credo proprio.» li interrompe Elisa Sinclair con un freddo sorriso sulle labbra, schioccando le dita richiamando un gruppo di guardie armate capitanate da un uomo biondo e massiccio, ordinando a quest'ultimo di separarla da Steve mentre i soldati puntavano loro i fucili contro. «Steven, tesoro, non possiamo fidarci di una spia

«Ma è Sharon…» prova a difenderla affermando un'ovvietà indiscutibile, ammutolendo di colpo rinunciandoci quando Elisa fa cenno di no con la testa affiancandolo, facendosi da parte silenzioso per permettere alle guardie di afferrarla. 

«Steve, non vorrai seriamente lasciarglielo fare!» strepita Sharon quando vede lo sguardo dell’uomo vacillare, cadendo vittima dello charme della donna che gli sorride dispiaciuta con aria amorevole, mentre le mani callose del capo delle guardie si stringono attorno alle sue braccia placando ogni suo possibile movimento. «Steve…!»

«Mi dispiace, è un rischio che non possiamo correre Sharon.» replica Steve inespressivo con rinnovata freddezza, tentennando appena quando lei inizia ad urlare il suo nome scalciando per aria senza ottenere alcun tipo di risultato, osservandolo impotente mentre Elisa Sinclair gli cinge la vita con un braccio e si solleva sulle punte per baciargli una tempia, ordinando soddisfatta la sua incarcerazione in forma preventiva e facendo espressiva richiesta della bambina per un piccolo “aggiustamento”.

Non era così che doveva andare… nel modo più assoluto. 

James era riuscito a farlo barcollare, ma Elisa Sinclair le aveva rubato la scena impedendo al “figlio” di cadere, stringendo le spire dei tentacoli intorno al suo collo… precludendo loro ogni margine di recupero da cui ricominciare, dichiarando guerra scegliendola come ostaggio, spingendola all’orlo della disperazione mentre il capo delle guardie la scorta personalmente fino alla propria cella strattonandola per un braccio, rifilandole una pacca sul sedere mentre la spinge dentro una stanza spoglia priva di telecamere.

«Ehi, ti sembrano questi i modi?!» sbraita Sharon strofinandosi il punto colpito, perdendo la voce di colpo quando tasta con i polpastrelli il bordo liscio di un telefono cellulare infilato nella tasca posteriore dei suoi jeans, reprimendo un sorriso grato per non compromettere le coperture di nessuno quando comprende di trovarsi di fronte al loro misterioso alleato.

«Oh taci, non fare tante storie.» lo sente rispondere in russo celando la transazione  chiudendo violentemente la porta della sua cella, richiamando le guardie all’ordine liberando velocemente il corridoio.

Sharon non lo credeva possibile, ma crede che il russo sia diventata la sua nuova lingua preferita.





 

Note:

1. L’HYDRA si fonda su Teschio e il suo Alto Concilio, ogni membro gestiva un aspetto diverso del conflitto e le famiglie fondatrici coinvolte finanziarono profumatamente la divisione scientifica cedendo nelle mani del Dipartimento X tutti i Campi di concentramento come copertura per studiare i primi casi certificati di mutanti. Dai fumetti di Capitan America (#620) si apprende che gli Howlings si perdono in Polonia e mettono effettivamente piede per sbaglio ad Auschwitz, scatenando accidentalmente una rivolta e un fuggi fuggi generale quando aprono i cancelli, evento che viene poi confermato in “Magneto Testamento”. Il fatto che tale peripezia di eventi causi indirettamente un giro di debiti (in seguito ripagati) tra Eric e Bucky generando un rapporto di amore-odio è un altro discorso, ma sarò ben lieta di dilungarmi sull’argomento qualora voi lettori foste curiosi dei retroscena.

2. Chiunque fa parte dell’Alto Concilio ha diritto ereditario sull’ "elisir di giovinezza" di Daniel Whitehall, genetista dell’HYDRA a cui bisogna imputare il merito per aver reso immortali i nostri cattivi di fiducia.

3. Tecnicamente il Barone Zemo non ha mai disertato dall’HYDRA, semplicemente ha sempre trovato più vantaggioso osservare le mosse dell’Alto Concilio dall’alto del suo trono, offrendo imparziale assistenza economica e un tetto sicuro sotto cui rifugiarsi ai vari membri dell'HYDRA quando decidevano di farsi la guerra tra loro. Tale approccio ha tramutato la famiglia in un’onta dell’organizzazione, venendo relegata a “pecora nera necessaria per la sopravvivenza” da ogni suo membro in quanto creduti erroneamente poco devoti alla causa. Morale della favola, i Zemo sono gli unici ad essere sopravvissuti ad ogni famiglia continuando puntualmente a dare del filo da torcere ai miei protetti. 

4. A Madripoor c'è anche la Mansion X di Magneto, Logan ci bazzica ogni tanto, ma considerato il suo carattere "amabile" se si ferma per qualche giorno non vuole avere gente intorno a rompergli le scatole, offrendo ospitalità all'amante o al fuggitivo di turno lontano da occhi indiscreti. Credo sia oltremodo risaputo che il nostro uomo ha le ossa rivestite di adamantio, ma con l'avanzare dell'età il fattore rigenerante inizia a fare cilecca (vedi l'ultimo film a lui dedicato). Il come conosca James e Natalia, e soprattutto il perché sia stato ribattezzato "zio Logan" da quest'ultima, verrà spiegato nei prossimi capitoli. 

5. I fisici potenziati dal siero sono resistenti a qualunque "aggressione" esterna (sostanze stupefacenti, alcol e morfina compresa). Nel caso specifico dell'anestetico la sostanza fa percepire un "fastidio" più o meno intenso invece di annullare completamente il dolore, mentre manifesta tranquillamente tutti gli altri effetti (tipo la sonnolenza) con più lentezza rispetto ad un fisico normale. 

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Capitolo 6
*** PSICOSI - Sintomi ***


SECONDA PARTE - CERVELLO

 

PSICOSI: Sintomi
Difficoltà di concentrazione, insonnia, depressione, deliri, ansia, allucinazioni, pensieri o azioni suicide.





 

Tony spegne il suo sorriso insieme alla caduta della linea telefonica, abbandonando il cellulare con lo schermo all'ingiú sopra il proprio stomaco, respirando profondamente mettendosi nell'ordine delle idee di dormire… ma non ci riesce in nessun modo, forse perché il materasso singolo che gli hanno assegnato è troppo duro, forse perché la camera da letto in cui l'hanno confinato è claustrofobica o, semplicemente, forse perché ha appena terminato una telefonata con le sue donne di casa e si era guardato bene dal menzionare il fatto che la cugina fosse tenuta in ostaggio per non farle preoccupare. 

Se voleva essere sincero con sé stesso Tony non avrebbe dovuto preoccuparsi affatto lui per primo, in un qualche modo Sharon era riuscita ad appropriarsi di un telefono e gli aveva spedito un SMS con un resoconto dettagliato sul vento che tirava tra le mura della residenza del Leader Supremo, stilando un piano d'azione che prevedeva delle ricerche sul campo in solitaria e richiedeva la loro completa fiducia nelle sue capacità, oltre ad una dose sostanziosa di pazienza – inesistente, per quanto lo riguardava. Era ancora tutto sotto controllo, l'incarcerazione era una delle possibilità vagliate ed avevano concordato tutti insieme delle direttive precise da seguire per ogni scenario ipotizzato – principalmente per evitare di richiamare l’attenzione indesiderata di Ross, tramutando la faccenda in un caso nazionale declinabile in una reiterazione degli Accordi ormai aboliti da anni –… Tony prova di nuovo a ripeterselo mentalmente nella speranza di riuscire a convincersene, ma l'intento fallisce miseramente di fronte all'ennesimo dubbio che gli attraversa il cervello, minando la sua tranquillità ed attentando volutamente alla propria psiche ripensando alla Legge di Murphy con un accanimento che aveva del allarmante.

Tony rinuncia definitivamente a tentare di dormirci sopra buttando giù i piedi dal letto, defilandosi silenzioso dall'ala dei dormitori in punta di piedi puntando alla zona giorno dell'orfanotrofio, tristemente sprovvisto di un laboratorio in cui rifugiarsi a lavorare e non trovando altra soluzione se non quella di ripiegare in una missione esplorativa della cucina alla ricerca della macchinetta del caffè, imbattendosi in una Natasha insonne quando si affaccia sul cortile interno, la quale si stava concedendo una sigaretta seduta sul muretto e puntellata ad una delle colonne del chiostro. 

«Non riesci a chiudere occhio nemmeno tu?» lo interroga la donna illuminando il mozzicone con un gesto svogliato, facendo cenno di un'offerta sfilando il pacchetto di Marlboro da una tasca. 

«La cosa ti sorprende in che modo?» chiede scrollando la testa rifiutando il tabacco, prendendo posto accanto a lei adocchiando il thermos abbandonato lì affianco, requisendolo e sgraffignando un sorso di caffè tiepido, sollevando il recipiente in segno esplicativo. «Cercavo questo, grazie.» 

Natasha si limita a sorridere enigmatica, portandosi nuovamente il filtro alle labbra, assaporando il silenzio denso senza dar segno di volerlo spezzare nuovamente in tempi brevi. 

«Dalla mia ho un'insonnia cronica e un probabile jet-lag, ma tu perché sei in piedi Nat?» si ritrova a chiedere Tony quando l'assenza di rumore diventa insopportabile, iniziando a tamburellare con le dita contro il thermos placando l'ansia latente che gli intorpidisce i nervi tesi fino allo spasmo, osservando il modo composto in cui la donna disintegra il mozzicone contro il muretto. 

«Turno di guardia, ho dato il cambio a Yelena mezz'ora fa.» riassume spiccia, indicando prima il cortile vuoto e poi le porte d'uscita dalle camerate. «Clint è appostato sul tetto a controllare che le ragazzine non sgattaiolino fuori dalle finestre… l'asservimento di Steve non garantisce che ora la Dark Room non abbia più bisogno di reclute, Anya è un pericolo che non va sottovalutato.»

«Perché non mi avete detto dei turni di guardia?» chiede Tony sorpreso sorvolando sulla spiegazione, bruciando le tappe traendo le conclusioni sbagliate, restando interdetto quando Natasha si stringe nelle spalle con aria di scuse. «Potrei dare una mano… fare qualcosa

«Tony… anch'io sono preoccupata per Sharon, okay?» afferma la donna con tono conciliante, allungando una mano verso la sua spalla sobbalzando appena, stranito dalla situazione e dal gesto improvviso in sé, ma ritrovandosi a rilassarsi sotto il tocco delle sue dita. «Ma siamo a Madripoor, se un'armatura stacca i piedi da terra la abbattono in meno di dieci minuti.»

«È che odio non poter far nullal'immobilità.» brontola puntando lo sguardo sul thermos che stringeva ancora tra le dita, scoccandole uno sguardo di sbieco da sotto le ciglia. «Tu come fai a sopportarlo?» 

«Abitudine, credo.» afferma Natasha con una scrollata di spalle, tradendo un sottotono rassegnato a colorarle la voce mentre stacca i polpastrelli dalla sua spalla, raddrizzandosi contro la colonna chiudendo gli occhi e respirando a fondo. «Ultimamente le cose mi sono un po' sfuggite di mano… ma l'hanno sempre fatto e continueranno a farlo, quindi…» 

«Quindi aspetti?» chiede confuso, ottenendo un cenno affermativo in risposta che sembra servire a convincere più se stessa che lui. 

«Forse le cose si sistemeranno da sole.» afferma facendo spallucce, strappandogli il thermos di mano e prendendo un lungo sorso di caffè prima di terminare la frase. «Forse Sharon sa davvero quello che fa e dobbiamo solo fidarci, Tony.»

«Non è che non mi fido…»

«È che sei in pensiero, è normale.» lo interrompe colpendo nel segno, sbuffando spazientito per averle permesso di leggerlo come un libro aperto, notando con la coda dell'occhio il come si mordicchia le labbra di nascosto quando dopo un paio di minuti sfila il cellulare dalla tasca per controllare le notifiche trovandone nessuna. 

«Le cose non si sistemano mai da sole, vero?» ironizza Tony con tono spento, cogliendola in flagrante mentre tenta di riporre nelle tasche il cellulare con nonchalance, giocando d'astuzia inchiodandola con lo sguardo ed obbligandola a fornirgli una risposta. 

«A volte devono… perché non ci è permesso fare altrimenti.» concede restia svicolando con lo sguardo, dipingendosi un sorriso triste sulle labbra mentre recupera una seconda sigaretta, incendiando lo zolfo di un fiammifero per accenderla, aspirando appieno e rilasciando sottili nuvole di fumo dal naso nella degna incarnazione di una draghessa vagamente adirata. 

«Sai che quella porcheria a lungo andare può ucciderti, vero?» chiede Tony con ironia latente facendole il verso, cadendo con lo sguardo all'anulare sinistro istigandola di proposto, dipingendosi un sorriso da schiaffi sul volto.

«Disse l'uomo che ha passato metà della sua vita a distruggersi il fegato.» lo rimbecca Natasha sollevando gli occhi al cielo, rispondendo alla sua tacita domanda con uno sbuffo, celando la fede al dito per automatismo inconscio nascondendo la mano sinistra sotto la piega del ginocchio. «Non abbiamo litigato.»

«Non ho insinuato questo.» si difende Tony mettendo le mani avanti, studiando Natasha mentre respira a fondo, afferrando la sigaretta tra l'indice e il medio della mano libera picchiettando la cenere nel vuoto… vacillando, concedendogli uno spiraglio, sentendosi in dovere di ricambiare il favore mitigando la sua preoccupazione. «L'hai detto tu prima, essere in pensiero è normale… dov'è ora? Dubito che Barnes sia confinato in camera da letto, considerato che non ci sei tu a trattenerlo tra le lenzuola.»

Il calcio da parte di Natasha era prevedibile quanto scontato, schivando la traiettoria del piede arretrando dal muretto solamente di una decina di centimetri, spostandosi fuori portata in forma preventiva smorzando una risata sulla soglia delle labbra, riproponendo la domanda con intonazione seria. 

«Sta studiando un modo per entrare nel Palazzo della Sinclair… nel caso Sharon dovesse aver bisogno di un aiuto dall'esterno.» ammette scrollando le spalle, prendendo a morsi la continuazione della frase prima di esprimerla ad alta voce. «O meglio, è ciò che presumo stia facendo, dato che non ha ancora visualizzato i miei messaggi.»

«Come ha preso la situazione con Steve?» si sorprende di ritrovarsi a chiederle, ammettendo a sé stesso di aver sconfinato dalla semplice educazione ed aver posto la domanda con vivo interesse… Tony aveva tutte le ragioni del mondo per limitarsi a tollerare James, ma una piccola parte di lui spingeva per mettersi nei suoi panni e capire davvero che cosa stesse succedendo, soprattutto se tale situazione coinvolgeva in prima persona anche la cugina. 

«Come diavolo vuoi che l'abbia presa, Tony?» lo interroga Natasha con tono seccato, tradendo una punta di colpa nell'essersi espressa con così tanta irruenza senza filtri, sorridendo triste in una parvenza di scuse concedendogli una blanda spiegazione. «È come se avessero ritorto contro di te Sharon o Rhodey… come se avessero distrutto qualunque legame vi possa mai unire, tenendo in considerazione che ci hanno provato già per sei decenni a spingerti ad odiare ed uccidere Pepper.»

Tony si sofferma a riflettere sullo scenario appena descritto da Natasha, ripensando a quel terribile momento dopo la battaglia di New York in cui aveva creduto di aver perso irrimediabilmente sua moglie a causa dei propri errori [1], facendo uno sforzo di fantasia figurandosi gli occhi freddi di Rhodey che lo osservano senza riconoscerlo ed immaginando la cugina mentre gli punta la pistola contro la testa con il chiaro intento di sparargli… rabbrividendo, spaventato dal gelo che si diffonde dalla bocca del suo stomaco fino a bloccare il suo cuore alla sola ipotesi, mentre una rabbia sorda e viscerale gli satura le vene alimentando un'impazienza che esclude qualunque cosa lo circondi, obbligandosi a ritornare presente a sé stesso ricordandosi che Pepper e Rhodey sono al sicuro dall'altra parte del mondo e che Sharon gli ha garantito di sapersela cavare da sola. 

«Ti ha tagliata fuori.» realizza quando posa nuovamente lo sguardo su Natasha, con le gambe abbracciate al busto, il cellulare in bilico sulle ginocchia ed una sigaretta tra le labbra, ritrovandosi due smeraldi taglienti puntati addosso appena apre bocca mentre la donna sbuffa nuovamente fumo dalle narici, correndo ai ripari nascondendosi dietro all'ironia quando si rende conto di essersi espresso ad alta voce. «Non incenerirmi, o temibile Smaug.»

«È il primo drago che ti viene in mente, davvero?» replica la donna divertita, limitandosi a celare sull'angolo delle labbra un sorriso che ha del mortifero. 

«No, ma ti si addice… tu saresti davvero in grado di dare alle fiamme un'intera città se hai motivo di sentirti minacciata.» afferma Tony con logica inattaccabile ripescando dalla propria memoria una delle tante nozioni futili assorbite da Peter, concedendosi di tendere le labbra in un sorriso. «Oppure preferivi Mushu e i draghi dei Targaryen?» 

«Smaug mi va benissimo… incarna perfettamente il mio stato d’animo.» annuncia Natasha sadicamente divertita dalla battuta, scrollando le spalle tornando seria, picchiettando nuovamente la cenere nel vuoto rispondendo alla sua considerazione incauta, reputando inutile nascondergli una ovvietà del genere. «James mi taglia fuori in continuazione, Tony… ma torna sempre a "fare rapporto", in un certo senso. È che-…»

«"Siamo a Madripoor", ho capito.» taglia il discorso anticipandola ripetendo il mantra da cui non riusciva a liberarsi, ricevendo in cambio il sorriso grato di Natasha per averle evitato di addentrarsi in una conversazione scomoda.

«Vedo che impari in fretta.» scherza la donna con tono spento, mettendo in pausa il discorso quando il cellulare vibra in una risposta, tradendo un microscopico sorriso che scompare subito dopo quando solleva la testa sentendosi osservata, finendo per incrociare la traiettoria dei suoi occhi. «Abbiamo almeno due vie di fuga, giusto perchè tu lo sappia.»

«E una via d’entrata?» ribatte con tono fiducioso, inarcando un sopracciglio avvertendo la tensione allentarsi di poco. 

«Deve lavorarci.» lo rassicura Natasha tradendo uno sguardo cupo, disintegrando il secondo mozzicone contro il muretto ostentando nonchalance. 

«Perchè non ti piace stare qui a Madripoor, Nat?» chiede Tony a bruciapelo, ormai stanco di quelle conversazioni allusive sul filo del rasoio, accartocciando il fiato sulla lingua in contemplazione della reazione diffidente della donna, che blocca il thermos di caffè a metà strada dalle sue labbra soppesandolo con lo sguardo in attesa di una continuazione alla domanda. «Perchè non ti lascia… indifferente come al solito, intendo. Sembra sempre che tu, Barnes e la piccola siberiana vogliate darvela a gambe da un momento all’altro.»

«Perchè tu no?» ribatte spigliata minando la sua affermazione di dubbi, non per la mancata negazione, ma per l’incapacità di percepire a sua volta quel sentore di disagio latente che in linea teorica avrebbe dovuto fargli odiare la sua permanenza tra quelle mura… ma Tony non avvertiva nulla di strano, niente di diverso dal suo costante equilibrio precario tipico di quando si aggirava al di fuori della sua comfort-zone o dal suo più recente bisogno da genitore assillante di sapersi a meno di trenta metri da Morgan – obbligandosi ad ignorare per l’ennesima volta nel corso di quell’interminabile giornata di trovarsi invece a milioni di chilometri e a ben dodici ore di fuso orario rispetto a New York.

«Non così tanto.» mente stringendosi nelle spalle, scacciando quella sensazione pressante ed indesiderata di essere finito in mezzo ad una conversazione dai risvolti imprevedibili, mordendosi la lingua quando finalmente intuisce il brandello di verità che si celava dietro a quella semplice domanda retorica.

"Perchè tu no?" era una domanda retorica dalla risposta quasi stupida… semplicemente a lui Madripoor non ricordava “casa” – non gli riportava alla mente i fotogrammi raccapriccianti di uno stanzone che più a un laboratorio somigliava a un mattatoio, non gli ricordava il sangue, le siringhe e le celle –, ma riconosceva la medesima paura sedimentata nelle loro pance e l’agitazione di un sesto senso nefasto che si agitava sottopelle, ignorando a forza la consapevolezza che ora anche Steve aveva imparato a chiamare Madripoor “casa”, trovando uno spiraglio di conforto al pensiero che nonostante tutto aveva chiesto di Sharon. 

Steve aveva chiesto di Sharon... e la speranza dissolve il veleno dell’impotenza, riuscendo finalmente ad assimilare e concedere la pazienza richiesta, crogiolandosi nella fiducia cieca.

 

Upstate New York, 2016 - una bussola alla ricerca del Nord

 

Tony si stropiccia gli occhi accusando una vaga stanchezza distogliendo lo sguardo dal prato imbiancato dal nevischio di fine gennaio, allungando distrattamente una mano verso il bancone da lavoro in cerca della tazza di caffè per scacciare la sonnolenza, storcendo le labbra disgustato quando abbassa lo sguardo sui fondi freddi depositati sulla ceramica che lui aveva incautamente trangugiato, troppo preso dal studiare la traiettoria dei fiocchi di neve che precipitavano lenti al di fuori della finestra. 

«JARV-... FRIDAY, prepara altro caffè per favore.» proclama sollevando lo sguardo al soffitto, sospirando correggendosi appena in tempo, accusando una leggera resistenza alla nuova intelligenza artificiale che aveva installato per gestire il Complesso. 

«Sono finite le cialde qui in laboratorio Capo, ho avviato la macchinetta in cucina.» replica fredda ed efficiente la voce robotica, mentre Tony sbuffa sonoramente prendendo a morsi un ringraziamento in risposta, alzandosi dalla sedia girevole con una leggera spinta e trascinandosi fino in cucina a reperire il proprio carburante per riuscire a stare lontano dal proprio letto vuoto… seppellendo la punta di consapevolezza data dal fatto che JARVIS gli avrebbe consigliato di rivalutare la propria richiesta, rifilandogli una tazza di decaffeinato a tradimento in seguito alle sue sollecitazioni come pre-impostato da Pepper. Non aveva avuto tempo – o meglio, voglia – di programmare FRIDAY con i protocolli precedenti, scrollando le spalle lasciandosi scivolare l'intera situazione addosso. 

«Ciao Tony.» lo saluta Steve fornendogli una tacita spiegazione sul perché la luce della cucina fosse accesa, sollevando appena la testa dal blocco da disegno aperto in mezzo alle pile di fascicoli e documenti vari. «Insonnia?» 

«Inutile sottolineare l'ovvio.» lo liquida Tony arrancando fino al bancone del piano cottura, versandosi una generosa tazza di caffè fumante per poi puntellarsi al ripiano, incuriosito dalla presenza anomala del Capitano tra le mura del Complesso a notte fonda quando fino al giorno prima Steve soggiornava nell'appartamento a Brooklyn che Tony gli aveva appositamente ristrutturato per averci a che fare il meno possibile, posando lo sguardo sui fascicoli in cirillico non riuscendo a tenere a freno la lingua simulando educazione. «Come procedono le ricerche per stanare Barnes?» 

«Procedono… che non procedono, mi sta evitando.» sospira Steve eludendo il suo sguardo, passandosi una mano sul volto stropicciandosi gli occhi con fare esausto prima di chiudere definitivamente il blocco da disegno con uno scatto secco del polso, iniziando ad impilare i fascicoli per liberare in fretta il tavolo. «Dovrei dormire, ricaricare le batterie…» 

«Addestramento reclute all'alba?» lo interroga vagliando le varie possibilità che giustificassero la sua presenza sotto il suo stesso tetto, colmando il silenzio portandosi la tazza alle labbra concedendosi un sorso. 

«Si, ma non all'alba… è decaffeinato, comunque. Ho ricaricato le cialde prima.» afferma Steve indicando distrattamente la tazza che lui teneva tra le mani con il tono di chi gli stava facendo un favore, rifilandogli uno sguardo fintamente truce in risposta, manifestando il fatto che non gradiva particolarmente il suo spirito di iniziativa. «Non guardarmi così, sono ordini di Pepper.»

«Comunque.» scandisce infastidito posando nuovamente la tazza sul bancone sorvolando forzatamente sulla menzione di quel risvolto inaspettato, molleggiando sui talloni tradendo la volontà di rinchiudersi nuovamente in laboratorio, ma riscontrando il bisogno inespresso di ficcare il naso in mezzo agli affari di Steve nella speranza di tenere la propria mente occupata, evitando di pensare al proprio letto vuoto e alla bugia fresca di inventiva decantata un paio di giorni prima a pranzo per giustificare il rientro posticipato di Pepper da L.A… crogiolandosi nella falsa sicurezza che quella sia solo l'ennesima conversazione con Steve redatta ad orari improbabili della notte, avvertendone una mancanza improvvisa quando realizza che l'ultima risaliva ancora a settimane prima, notando come il Capitano stesse aspettando senza fretta un suo cenno per essere congedato. 

«Devi chiedermi qualcosa, Tony?» chiede Steve con gentilezza, evidentemente confuso dal vederlo fermo in contemplazione di una tazza di caffè sprovvista di caffeina, rimuginando sillabe sconnesse a bocca chiusa protendendo un'attesa inconcludente prima di essere espresse. «Perché in caso contrario salgo le scale e mi chiudo in camera…» 

«A questo proposito…» lo riprende all'istante sfruttando l'appiglio offertogli per fugare tutti i dubbi lasciati in sospeso nella sua testa – ritenendo uno spreco di materia grigia il dover risolvere un enigma che poteva essere evitato con una breve indagine, soprattutto se momentaneamente sprovvisto di caffeina in circolo con cui carburare –, voltando tuttavia le spalle a Steve ostentando nonchalance aprendo la dispensa, alzandosi sulle punte per afferrare le cialde contenenti caffeina. «Non perché non ti voglia qui, ma non hai un appartamento a Brooklyn?» 

«Non ho motivo di attraversare Manhattan per dormire e fare colazione da solo quando ho un alloggio qui, tanto vale ottimizzare i tempi.» replica Steve pacifico stringendosi nelle spalle, fornendogli subito ed in modo completamente involontario la risposta alla sua ricomparsa dopo settimane di assenza, andando ad istigare quella parte di Tony che godeva nel mettere Steve in imbarazzo, garantendogli una degna distrazione dai propri problemi ritrovandosi a trattenere un sorriso divertito di fronte a quel innocuo "da solo" espresso con così tanta leggerezza. 

«Giusto, Sharon è stata richiamata in missione ieri.» afferma innocente gettando benzina sul falò delle allusioni, avviando la macchinetta del caffè ripristinando i suoi intenti – attentando volutamente alla propria salute senza remora alcuna – versandosi nuovamente una tazza di caffeina fumante, voltandosi a fronteggiare Steve e le sue esilaranti orecchie rosse portandosi la ceramica alle labbra con rilassato divertimento. «Esci ancora con mia cugina, giusto? O mi sono perso qualcosa per strada?»

«Sai, la cosa non è ancora di dominio pubblico.» Steve cerca di tagliare il discorso fallendo miseramente nel tentativo di liquidarlo, rifilandogli un'occhiata alquanto scettica in risposta che non nascondeva l'intenzione di mettere in discussione la presunta segretezza con cui i due avevano gestito la faccenda, obbligandolo a cercare una labile giustifica su due piedi. «Non pensavo che Sharon te ne avesse parlato.»

«Non è servito, mi ha riconsegnato le chiavi del loft a Manhattan ancora un mese fa e quando si ferma in zona nessuno dei due dorme qui… non serve essere un genio per fare uno più uno.» afferma con tono ovvio indicandosi, ironizzando. «In pratica convivete, era questione di tempo prima che la notizia diventasse di dominio pubblico.»

«Non lo definirei convivere…» 

«No? E come lo definisci il fatto che Sharon abbia lasciato spazzolino e mutande a casa tua?» scherza Tony beandosi del rossore di Steve che si propaga dalle orecchie fino alle guance, desistendo dal infierire quando scorge un cipiglio pensieroso solcargli il volto. 

«Non lo definisco, Tony… ai miei tempi ci si sposava e basta, poi si passava il resto della vita a pregare che le cose funzionassero.» ribatte Steve con semplicità disarmante, sedando tutta la sua voglia di scherzare andando a sfiorare inconsapevolmente una sua corda sensibile… ritrovandosi a pensare che pregare non serviva assolutamente a niente, ammettendo almeno a sé stesso che i compromessi erano un equilibrio precario di difficile gestione. «È più facile viverlo. Poi non costa nulla definirlo un "punto fermo" a tempo debito.»

«E se il "punto fermo" si allontana?» chiede Tony prima di poter fermare la propria lingua, fingendo indifferenza annegando una disperata ricerca di risposte in un sorso di caffè che gli ustiona la gola, appurando che il rossore era scomparso completamente dal viso di Steve e al suo posto si era fatto avanti un sorriso incoraggiante… di quelli sereni e ottimisti, che in condizioni diverse Tony avrebbe voluto cancellargli a suon di pugni. 

«Si allontana sempre, Tony… nello specifico tre dei miei si trovano sottoterra a Brooklyn, due fanno fatica a riconoscermi e l'ultimo è in fuga [2].» elenca Steve con una scrollata di spalle ed un piede che scivolava già all'indietro, pretendendo una pausa tacitamente richiesta da entrambi dalla conversazione in corso. «Dipende tutto da che cosa puoi fare per non lasciarteli scivolare tra le dita, per ripristinare l'equilibrio e smettere di barcollare… e vorrei tanto che Sharon entrasse a far parte di quella lista, Tony. Per questo non ho nessun tipo di fretta nel metterci un etichetta.»

«Se non ti conoscessi direi che "aspettare troppo" sia il tuo più grande difetto.» ringrazia Tony tra le righe con tono sarcastico per la lezione di vita gratuita, girando i tacchi con la tazza in mano, spacciando l'affermazione per un "buonanotte" mancato. 

«Perché, ne ho di peggiori?» lo ferma Steve a ridosso della soglia, guadagnando una briciola di tempo mentre raccoglie il plico di fascicoli e se li stringe saldamente al petto, tendendo le labbra in un sorriso a metà tra il divertito e il colpevole. 

«Sono talmente tanti che non saprei da dove iniziare.» ironizza continuando a tenergli le spalle voltate, tradendo tuttavia una nota veritiera di fondo, salutandolo con un cenno della mano mentre si avvia in direzione del ballatoio che lo riporta al laboratorio. «'Notte, Steve.»

«'Notte, Tony.»


Erano anni che Tony non ripensava a quella conversazione, puntando lo sguardo sul cielo stellato chiedendosi se da lassù tutti i loro problemi potessero sembrare più piccoli.

«A cosa pensi?» lo interroga Natasha inarcando un sopracciglio, studiando curiosa il suo profilo che si staglia contro il cielo, malcelando un sorriso nascosto sull'angolo delle labbra. 

«Penso che dovremmo avere tutti più fiducia nei nostri "punti fermi".» afferma elusivo alzandosi dal muretto puntando ai dormitori da cui era arrivato, decidendosi a levare le tende quando lo sguardo di Natasha rincorre un rumore e si ferma sulla figura di Barnes appena atterrata sul tetto che si sporge dal cornicione per cercarla, affrettandosi a concludere la chiacchierata prima di sentirsi in dovere di scambiare due parole anche con l'ultimo arrivato quando la donna segnala la propria posizione facendogli cenno di raggiungerla. «… a conti fatti, a fine giornata ci restano solo quelli Nat.»

 

***

 

Alexei non capiva. 

Vedeva Steve Rogers – Capitan America, il fratello del Bastardo – che si aggirava tra le mura del Palazzo come se quel posto fosse suo di diritto, subiva e studiava in silenzio le moine di Elisa Sinclair erette in una salda impalcatura di fragili specchi intorno al "figlio", ma ciononostante non riusciva ancora a capire il perché diavolo Madame Hydra si fosse data così tanto da fare per demolire l'Impero attaccando direttamente il vertice se poi ne aveva ricavato un nulla di fatto. 

Alexei sapeva cosa comportava un cambiamento del genere all'interno di un gruppo come gli Avengers, la bionda segregata a cui aveva riconsegnato il cellulare di nascosto ne era una prova lampante, ma gli mancavano i dettagli fondamentali per comprendere i meccanismi azionati da Elisa nella scacchiera a larga scala in cui stava proiettando la partita in corso d'opera… qual era l'utilità di manipolare la persona al vertice se poi non veniva sfruttata per demolire immediatamente la base? Perché segregare la donna del Capitano invece di ucciderla? Perché limitarsi a proclamare un mandato di cattura per il Bastardo invece di piazzargli una pratica taglia sulla testa? Perché servirsi di un Mutante per far rinascere una ragazzina adulta priva di memoria? Perché manipolare una marionetta come Anya per rifocillare le fila dell'Accademia se poi non c'erano target da assegnare alle nuove reclute? Ma soprattutto, perché permettere ad una bambina di quattro anni di riscrivere le sorti del Cosmo senza puntare ad uno scopo preciso? 

Alexei si arrovellava il cervello da giorni su quei quesiti senza risposta, interpellando Mikhail alla disperata ricerca di un brandello di comprensione ed uno straccio di idea per scovare una chiave di interpretazione univoca, riuscendo solamente a dedurre che tutte quelle domande rappresentavano ognuna una diversa tessera del domino, ma il disegno che avrebbe formato ed il semplice ordine in cui sarebbero crollate continuava a rimanere un mistero. 

Probabilmente Elisa Sinclair aveva uno schema, sicuramente aveva un modus operandi, ma Alexei non aveva le capacità, i mezzi o i tempi per riuscire ad osservare il problema da un punto di vista esterno, analitico ed oggettivo… per questo aveva cercato, trovato e successivamente ceduto a terzi l'Archivio della Belinsky, confidando che la sua tanto adorata – quanto odiata – ex moglie riuscisse a cogliere quel dettaglio che continuava a sfuggirgli tra le dita, non potendo far molto altro se non prepararsi ad afferrare e tirare una cima quando gli verrà lanciata dall'esterno, limitandosi a preparare il campo di battaglia ai Traditori che avrebbero fatto irruzione al Palazzo nelle vesti di Salvatori. 

Forse ciò che dava più fastidio ad Alexei era il fatto di non poter più gestire la faccenda da solo, di essere dovuto scendere dal suo piedistallo per farci salire il Bastardo, restituendogli gradualmente tutto ciò di cui lui si era appropriato illegittimamente nelle ultime decadi. I Capi gli avevano permesso di privare il Soldato d'Inverno di Natalia e l'avevano obbligato a rubargli l'uniforme, per poi spingerlo ad odiarli per avergli incautamente acceso la scintilla della rivolta nel petto, quando non gli era rimasta altra soluzione se non quella di far scattare le manette intorno ai propri polsi… salvando Natalia da una condanna a morte annunciata, concedendole il divorzio immolandosi sul tavolo operatorio dopo aver inscenato la propria dipartita, rimanendo schiacciato sotto la beffarda ruota dentata del Cosmo – arrivando ad ammettere con il trascorrere dei decenni che in "piccola" parte doveva biasimare unicamente se stesso per la situazione in cui si era invischiato, assistendo impotente alla nascita della propria coscienza, la quale non aiutava minimamente nel rendere meno raccapriccianti gli scenari da incubo che lo circondavano giornalmente. 

Alexei odiava sentirsi in colpa – detestava quella sensazione orribile di avere della melma appiccicosa incollata addosso, impossibile da scrostarsi dalla pelle e che pian piano filtrava attraverso i muscoli e le ossa, raggiungendo il suo intestino corrodendogli le viscere –, ma non poteva farne a meno quando si ritrovava a supervisionare gli allenamenti di Anya, non poteva evitarlo quando Kobik gli poneva una domanda dalla risposta aberrante e, soprattutto, non poteva esternarlo quando recapitava i pasti alla donna del Capitano, consapevole che a discapito della mancanza di telecamere e microfoni in quella zona del Palazzo, gli occhi e le orecchie dei soldati di guardia erano sempre pronti a riferire ogni suo vago gesto o parola sbagliata a Madame Hydra.

Alexei ci prova davvero ad ignorare la faccenda, ma trova difficile contenere il fremito che gli percorre le spalle quando termina il turno di guardia al perimetro e trascina i piedi fino alla stanza di Kobik con l'intenzione di collassare sul materasso in piume d'oca e guardare con lei la VHS della Sirenetta, vedendo i propri piani andare in fumo quando apre la porta e si trova il letto occupato da Elisa, seduta composta sul bordo del copriletto nell'incarnazione di un avvoltoio mentre osserva Rogers e la piccola disegnare sdraiati sul tappeto in mezzo alle matite colorate. 

«Finalmente sei qui.» lo accoglie la donna alzandosi in piedi, spolverando i pantaloni con gesti distratti prima di camminargli incontro, dirigendosi a passo spedito verso la porta che lui stava ancora tenendo aperta. «Puoi occuparti tu di Kobik? Io e Steven abbiamo alcune faccende da sbrigare in vista del grande evento di domani.» 

«Certamente Madame.» si china a farle il baciamano calandosi nella parte del lecchino asservito, morsicando sillabe velenose che vorrebbero rinfacciarle il quando lui non si occupava della piccola, seguendo il fratello del Bastardo con lo sguardo mentre si issava dal pavimento e scodinzolava dietro ad Elisa con le fattezze di una marionetta di carne… ed Alexei doveva ammettere che vedere Capitan America ridotto a uno zerbino gli smuoveva qualcosa di freddo nella pancia, chiedendosi cosa diavolo gli avesse fatto vedere Kobik un paio di giorni prima nell'ultimo "aggiustamento" al punto da svuotarlo di qualunque cosa e trasformarlo in un automa. 

Steve Rogers era un guscio vuoto, un giunco solitario frustrato dal vento, privo di qualunque caratteristica in grado di identificarlo nella persona che era prima… fin dall'inizio di quella anomalia l'uomo aveva dimostrato una sorta di resistenza, vantando una testardaggine e una incoscienza che tradiva una familiarità con il fratello, dimostrandosi incauto nel chiedere di Sharon Carter per portare un po' di chiarezza nella propria mente. Alexei sapeva che era evaso per cercare tranquillità e risposte – dopotutto era stato lui a lasciare il cancello aperto –, ma era rientrato tra le mura del Palazzo con dei dubbi pericolosi per la testa che entro sera si erano manifestati nell'apparizione della donna alla porta, ritrovandosi obbligato a scortarla nelle celle lasciandosi alle spalle i capelli bianchi di Kobik che si agitavano come serpenti… e non era sicuro di voler sapere il cosa diavolo fosse successo al Capitano, ma era stato impossibile non notare che da quel giorno in poi Steve Rogers si comportava come se la bionda segregata non esistesse, spiccicando parola lo stretto indispensabile e rinunciando in principio a contraddire qualsiasi ordine. 

«Un altro piccolo favore.» lo richiama sorridente Elisa, guardandosi bene dal chiamarlo per nome o con un qualsiasi appellativo riconducibile – maniaca e paranoica fino alla fine –, sollevandosi in punta di piedi raggiungendo il suo orecchio. «Sbarazzati dei disegni… brucia tutto.» 

Alexei annuisce diligente continuando a tenere la porta aperta ai due mentre escono dalla stanza, chiudendosela alle spalle addossandocisi contro, fronteggiando lo sguardo della piccola che si illumina nel vederlo, saltando fisicamente quel paio di metri che li separano materializzandosi direttamente tra le sue braccia. 

«Mikhail ti saluta, piccola… dice che gli manchi tanto tanto.» riferisce Alexei stringendosela meglio tra le braccia, raggiungendo il tappeto crollando a terra. 

«Anche a me manca tanto… perché non può uscire dalla sua camera? Ha fatto i capricci ed è in punizione?» chiede Kobik replicando in lingua slava senza rendersene conto, mettendo su un broncio che spinge la verità a farsi strada tra le sue corde vocali, riducendola a brandelli sulla soglia dei denti. 

«No piccola, é che Elisa non vuole... spaventare i nostri ospiti mentre sono qui… non credo che Rogers o la Carter abbiano mai visto dal vivo un grizzly, figurati se scoprono che l'orso sa anche parlare.» la liquida celando la verità dietro una patina di menzogne rassicuranti, afferrando il blocco da disegno dal pavimento sotto il cipiglio confuso della bambina al suo fianco. 

«Perché, gli orsi non parlano?» 

«No, in realtà nessun animale comune parla, ma Mikhail fa parte di una specie molto rara.» spiega Alexei con una scrollata di spalle, affrettandosi a cercare un argomento leggero con cui distrarla, trovandone uno perfetto sui fogli sporcati di grafite che teneva tra le mani. «Avete disegnato oggi?»

«Sì, Steven fa dei disegni bellissimi!» esclama la piccola indicandogli i volti abbozzati sulla carta, puntando l'indice sul proprio ritratto con sguardo fiero. «Questa sono io, questa è Elisa… ma non conosco queste altre persone, nemmeno Steven sa perché le ha disegnate.»

Alexei scorre le pagine sporcandosi i polpastrelli di grafite, sfiorando i solchi arrabbiati impressi con forza sulla carta, incidendo volti con segni vibranti che tradivano una rivolta interna che poteva manifestarsi solo sui fogli, nella speranza recondita di smuovergli qualcosa nel cervello e costringerlo a scattare… sentendosi in soggezione di fronte agli occhi di grafite del Bastardo, seppellendo la punta di colpa di fronte alle iridi sconfinate di Natalia, svicolando con lo sguardo riconoscendo il profilo della Carter e di Stark ad un paio di centimetri di distanza ed interrogandosi su chi potevano essere le altre quattro donne abbozzate sulla carta, intuendone il ruolo nella vita di Rogers dalle fisionomie che le accomunavano con gli altri ritratti. 

«Questa dovrebbe essere sua madre.» ipotizza Alexei indicando una testa di tre quarti dai capelli chiari e lo stesso naso di Rogers, destando la curiosità di Kobik quando si sofferma con l'indice sulla donna tratteggiata affianco, picchiettando sui capelli nero pece trascinando accidentalmente una sbavatura sul medesimo taglio degli occhi della ragazzina abbozzata appena più sotto, dipingendo di nero con il polpastrello lo stesso sorriso sghembo del Soldato d'Inverno, sconfinando a ridosso dei boccoli di Natalia elencando i nomi man mano. «L’altra madre, la sorella… mentre questa è la Ballerina

«Quindi questo è il Soldatino…» ipotizza affascinata la piccola, sporcandosi a sua volta l'indice scorrendo il dito sui capelli nero pece di un ragazzino sui dieci anni abbozzato in un angolo del foglio, tracciando la curva morbida della mandibola che le era capitato di vedere già squadrata solo in TV. «È piccolo…»

«È stato un bambino anche lui, Kobik… con il tempo si cresce e si invecchia.» spiega scalfendo il bordo del foglio con l'unghia, ammettendo a sé stesso che a discapito dei soggetti il Capitano Rogers vantava un discreto talento artistico, dispiacendosi in piccola parte di dover ridurre i fogli in cenere… a meno che…

«Questo è l'Uomo di Latta! Guarda, c'è la lampadina… mentre loro due chi sono?» lo interpella Kobik interrompendo il suo flusso di pensieri, riconoscendo fiera il taglio del pizzetto di Stark mentre sporca di nero il piccolo tondino che sbuca dalle linee imprecise delineanti una camicia, per poi scivolare con il dito ad indicare un mezzobusto dagli occhi ammalianti e delle onde morbide tracciate con il piatto della matita simulando un caschetto di capelli castani, sporcando i centimetri immacolati che separano la figura misteriosa dal profilo della donna del Capitano, soffermandosi a studiare le bocche a forma di cuore curiosamente simili. 

«Lei non ne ho idea.» annuncia Alexei indicando il mezzobusto, correndo con l’indice al profilo della bionda sorridendo all’idea temeraria che si è appena affacciata nella sua mente. «Ma lei… lei è la Raperonzolo che Elisa tiene rinchiusa nella Torre.»

«E come ci è finita tra i disegni di Steven?» indaga la bambina con occhi curiosi, istigando il suo sorriso furbo con un’occhiata complice, mentre realizza che la Raperonzolo di cui parla si trova a Palazzo ed è rinchiusa in una Torre a lei accessibile, richiedendo una conferma prima di fantasticarci sopra con l’innocenza garantita solamente da una mente pura di quattro anni. «Alexei… tu è Mikhail avete sempre detto che Capitan America è il Principe Azzurro...»

«Io non l’ho mai detto… il Principe Azzurro è solo un idiota dalla nobile causa.» finge di smorzarle l’entusiasmo, picchiettando con l’indice sporco di nero sul profilo di Sharon Carter, regalando a Kobik un ghigno divertito che probabilmente a lui costerà molto caro, fregandosene di correre il rischio accarezzando l’idea di veder bruciare un bel po’ di pedine sulla scacchiera allestita da Elisa. «D’altro canto bisogna ammettere che Madre Gothel ha accecato il Principe facendolo precipitare sui rovi dopo un bel volo dalla Torre.»

«Non Madre Gothel… io.» afferma spaesata Kobik di punto in bianco iniziando finalmente a comprendere le conseguenze delle proprie azioni, ammettendolo con il morale fin sotto le scarpe e l’incapacità timorosa di affrontare le conseguenze della propria marachella… ed Alexei si rende conto dopo anni che Kobik sta finalmente crescendo, riuscendo a riconoscere da sola la sottile zona grigia che separava “giusto” e “sbagliato”. «Ho combinato un bel pasticcio.» 

«Ma puoi rimediare, no?» indaga tradendo un pizzico di fiducia mal riposta nella voce, abbandonando il suo inguaribile cinismo sforzandosi di sorriderle incoraggiante… perchè Alexei iniziava finalmente ad intravedere il disegno in cui erano state disposte le tessere del domino, ipotizzando l’ordine di crollo deducendone nulla di buono. «Puoi iniziare andando a chiedere scusa a Raperonzolo, le mostri i disegni e le spieghi che hai combinato.»

«Elisa e Candy si arrabbieranno un sacco.»

«Non sta scritto da nessuna parte che loro devono saperlo.» la rassicura mentre Kobik annuisce convinta, scoccandole uno sguardo complice alludendo alle celle di isolamento insonorizzate della Torre Nord. «A te non serve una chiave per aprire le serrature, piccola.»

«Vero.» sorride Kobik di rimando, issandosi dal pavimento con sguardo temerario pronta a scendere sul campo di battaglia, prelevando il blocco da disegno dalle sue mani. «Ci si augura buona fortuna per questo genere di cose, giusto?»

«Tu non ne hai bisogno, ti proteggo io.» afferma Alexei in risposta, ma Kobik si è già volatilizzata in un glitch veloce quanto un battito di ciglia.

 

***

 

Natasha lo sente arrivare, silenzioso come il vento, tradito dagli sguardi dei bambini che non riescono a mascherare l'ilarità nell'assistere allo scontro in diretta, scattando di lato all'ultimo secondo rispondendo all'attacco, finendo con un ginocchio al centro della schiena di James, storcendogli il braccio sano e costringendolo a baciare il ghiaino del cortile sotto il coro di esultanza del suo esercito di reclute in erba. 

«Ed ora lo rifacciamo a rallenty se qualcuno continua a collaborare, così vi spiego bene come si atterra un avversario.» annuncia sollevandosi in piedi ottenendo un mormorio rapito di assenso, allungando una mano in direzione di suo marito per raccoglierlo dal suolo. «Forza. In piedi, звезда моя [3].» 

«Secondo me te la stai godendo troppo a prendermi a calci nel sedere, любовь моя [4].» brontola James obbligandosi a filtrare le proprie parole per renderle adatte ad un pubblico di minori, issandosi da terra spolverando distrattamente i vestiti, alzando la guardia in posizione di difesa facendo apposta a rifilarle un sorriso smagliante che la disorienta. «Ma potrebbe essere solo una mia idea.»

«È a scopo educativo, non farne un dramma.» ghigna Natasha riparandosi dall'attacco, sbilanciandosi quando schiva il colpo e non ritira la mano, sentendosi afferrare per un polso e piroettare incontro al petto di James, sporgendo il gomito nella manovra piazzando un colpo d'effetto tra lo stomaco e le costole, ottenendo una pacca sul sedere in ripicca, rispondendo all'affronto facendo cozzare il proprio tallone contro l'alluce dell'uomo costringendolo ad imprecare tra i denti. «Collabora, poi ti premio.»

«Niente pareti insonorizzate.» le ricorda suo marito sussurrandole all'orecchio, sollevando lo sguardo sull'esercito di pargoli per assicurarsi di non aver attirato attenzioni indesiderate, ghignando al pubblico sordo alle loro parole, ma completamente rapito dalle loro movenze. «Come la mettiamo?» 

«Un modo lo troviamo, non preoccuparti.» sorride Natasha maliziosa, ritirando gomito e tallone lasciandolo libero, ritrovandosi a dover piegare la schiena all'improvviso assecondando il movimento quando James si tuffa sulle sue labbra d'impulso pretendendo un piccolo assaggio della nottata, infilando nel bacio più lingua di quanto fosse comunemente lecito ed ottenendo in cambio un coro unanime di "bleah" e "che schifo" da parte dei marmocchi, che istiga la risata della donna e collateralmente quella del pubblico adulto che assisteva all'addestramento. «Non avresti dovuto.»

«Cosa sono quelle facce schifate? Aspettate qualche anno e vedrete come cambierete idea.» scherza James sordo al richiamo della donna, puntando lo sguardo teatralmente risentito al loro pubblico, lasciandola libera, ottenendo in cambio uno scappellotto sonoro sulla nuca a cui risponde con un lamento perso in una risata ed uno sguardo vagamente truce. «Non ho intenzione di rimangiarmelo, любовь моя

«Avete finito di dare spettacolo? Perché in caso contrario mi intrometto io.» li riprende Yelena Belova avvicinandosi ancheggiando per non essere da meno, divertita dal rovinare il loro momento al punto da tradire un microscopico sorriso all'angolo delle labbra, mettendo piede nel cerchio tracciato nel ghiaino che delimitava il perimetro di lotta. «Ci divertiamo Barnes, vuoi?» 

«Guastafeste.» sibila l'uomo assecondando tuttavia l'iniziativa senza troppa resistenza, ritornando ad alzare la guardia in posizione di difesa mentre Yelena si lancia in spiegazioni concise ed efficaci sull'auto-difesa, preparando i bambini ad uno scontro nel caso si fossero imbattuti in Anya e darsela a gambe non sarebbe bastato, nella speranza che prenderla in contropiede con un minimo di doti nell'arte del combattimento bastasse a garantire una finestra per la fuga. 

«La prossima volta anche meno.» la riprende Jessàn Hoan appena Natasha arriva a portata d'orecchio, soppesandola dall'alto in basso puntellata ad una colonna del chiostro, tradendo una punta di insofferenza nella voce. «Vi ho chiesto qualche lezione, non una dimostrazi-...»

«Non guardare me, è lui quello delle iniziative vietate ai minori.» ironizza Natasha interrompendola sul nascere puntando un dito alla cieca alle sue spalle contro James, dipingendosi un'espressione innocente sul volto che faticava a mantenere a causa dello sguardo palesemente allusivo di Tony, il quale mima con le labbra un temerario "tu non sei da meno" che gli garantisce un'occhiata di fuoco e l'esplicita richiesta di lasciarle il posto affianco a Clint sul muretto, cambiando prontamente discorso per evitare che la discussione degenerasse in una qualche scenata, indicando con il mento il marito e la sorella che spiegavano ai pargoli come prendersi amorevolmente a botte. «Sbaglio o si tollerano di più rispetto a prima?» 

«Yelena ha scoperto che in confronto a me Bucky non è poi così male come guardia carceraria.» interviene Clint stringendosi le spalle in una vaga giustifica, ammettendo di avere uno spirito molto più invadente ed apprensivo di quello del Soldato d'Inverno, due fattori che se combinati insieme gli garantivano il primo posto assoluto nella lista di persone altamente indigeste alla sorella. 

Natasha sopprime un sorriso, sbilanciandosi contro la spalla di Clint concedendosi un momento di quiete, staccando la spina mentre segue con lo sguardo i movimenti sul cortile con aria assente, dissociandosi dalle chiacchiere di Tony che riempiva il silenzio dissipando il malumore di Jessàn, la quale si trovava nella posizione precaria di non aver altra soluzione se non quella di ospitare soggetti ad alto rischio come loro che minavano la sicurezza dell’orfanotrofio nonostante la loro presenza nasceva come una garanzia per proteggerlo. 

Natasha da un paio di giorni cercava di sdrammatizzare e tenere impegnati tutti i compagni d’armi – conservando un occhio di riguardo nei confronti di James e Yelena –, spezzando lance e mitigando gli animi per rendere meno pesante l’assenza di aggiornamenti esterni da parte di Sharon o la mancata comparsa di una qualsiasi notizia diramata direttamente dal Palazzo del Leader Supremo, ma dopo aver vagliato qualsiasi altra possibilità che poteva portarli in vantaggio non restava loro molto altro da fare se non improvvisare le attività più disparate, come fornire le basi del combattimento corpo a corpo agli orfani con cui si erano ritrovati a dividere il tetto… distraendosi quando la voce di Tony cola a picco e si spegne, sollevando lo sguardo allarmato su di lui contemplando la sua immobilità di fronte allo schermo del cellulare, strappandogli il dispositivo di mano leggendo la chat aperta sulla conversazione con Sharon. 

«Niente panico.» ordina Natasha perentoria schizzando con lo sguardo in direzione del marito e della sorella, appurando che non si erano accorti del cambio di scenario in corso, riconsegnando il cellulare al proprietario e facendo cenno a Clint di alzarsi in piedi e seguirla. «Devo controllare un paio di cose, mi mancano informazioni.»

«Non glielo diciamo?» chiede Tony arrischiandosi a proferire parola, indicando con il mento i due insegnanti che dal prendersi a pugni tra loro erano passati al spiegare la tecnica ai marmocchi allestendo una mini-arena di addestramento.

«Non ancora, controllali che non facciano seriamente male a qualcuno… al resto ci penso io.» lo liquida la donna partendo in folata dirigendosi all’interno dell’edificio, puntando alle scale che conducevano alla propria camera da letto mentre Clint la segue come un’ombra lungo il tragitto.

«Cosa dobbiamo cercare?» chiede l’arciere senza perdere tempo, bloccandosi a ridosso della soglia della camera da letto che la donna divideva con James in una tacita richiesta di permesso, sorvolando sul disordine generalizzato evitando di commentare, limitandosi ad afferrare il tablet che Natasha sfila da un borsone da viaggio nascosto sotto il letto. «Questo che cos’è?»

«La copia digitale dell’Archivio di Tania, trovami qualunque cosa riguardi Madame Hydra.» ordina la donna tornando a frugare nel borsone alla ricerca di qualcos’altro. «Voglio sapere se è semplicemente una donna con deliri di onnipotenza o se devo preoccuparmi anche di possibili fattori “super”.»

«Tu che fai invece?» indaga Clint sbloccando lo schermo ed eseguendo il richiesto, inoltrando la ricerca ed attendendo il caricamento dati, sollevando lo sguardo quando Natasha pesca dal fondo del borsone un cercapersone con aria vittoriosa attivando il segnale. «Chi hai appena chiamato?» 

«Il genio della lampada.» afferma recuperando il proprio cellulare appena in tempo per vederlo squillare, mostrandogli il nome del contatto prima di accettare la chiamata. «Nick? Mi serve un favore… il nome “Kobik” ti dice qualcosa?»





 

Note:

1. Riferimento ad Iron Man 3.
2. Rispettivamente Sarah Rogers, Winifred e George Barnes sepolti a Brooklyn, Peggy ricoverata a Washington e Rebecca in un ospizio in Connecticut, mentre Bucky (stando alla datazione del flashback) è ancora in fuga.

3. Traduzione dal russo: "stella mia".
4. Traduzione dal russo: "amore mio".

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Capitolo 7
*** PSICOSI - Cura ***


SECONDA PARTE - CERVELLO

 

PSICOSI: Cura
Psicoterapia, imparare a scindere tra finzione e realtà.





 

«Sei qui.» afferma Natasha spalancando la porta di accesso al tetto, individuando James seduto a filo del cornicione inesistente con le gambe a penzoloni nel vuoto ed un mozzicone in via di spegnimento intrappolato tra i denti. 

«Dove altro dovrei essere?» replica l'uomo ironico, seguendola con lo sguardo mentre lo raggiunge sul bordo a strapiombo, requisendo il tabacco per sé sfilandogli la sigaretta dalle labbra. «Ehi…» 

«Ti fanno male.» lo liquida disintegrando il mozzicone contro il pavimento in cemento, urtandolo appena con una spalla in modo scherzoso. «Considerato che sono le quattro di mattina… non lo so, forse a letto con me magari?» 

«Non riesco a dormire, 'Tasha.» mormora James sospirando appena puntando i palmi all'indietro, tornando a rivolgere lo sguardo alle sporadiche stelle appena visibili a causa dell'inquinamento luminoso. «Lo sai.»

Natasha tace, assecondando il silenzio di James quanto basta prima che inizi a starle stretto, obbligandolo ad esternare quei pensieri morbosi che gli impedivano di chiudere gli occhi e riposare. 

«Fammi entrare nella tua testa, parlami.» chiede in un soffio sottile allungando due dita a sfiorargli la guancia, lasciandogli un bacio a stampo sulle labbra prima di inchiodarlo con lo sguardo. «A cosa pensi?» 

«A prima, al piano, a cosa abbiamo detto...» cede arrendevole l'uomo, perdendosi nei suoi occhi cercando in lei un àncora, raddrizzandosi per sporgersi a premere la fronte contro la sua, senza tuttavia abbassare lo sguardo e celarle il mare in tempesta che si dibatteva al suo interno. «Non vorrei che fosse così facile uccidere.»

«Nessuno ha mai lasciato intendere che fosse una decisione facile da prendere.» replica Natasha tradendo un mezzo sospiro, scrollando le spalle cercando di togliersi di dosso la sensazione opprimente di quella consapevolezza che aleggiava nell’aria... non riuscendoci, svicolando via con lo sguardo ritrovandosi a corto di parole di conforto, stringendosi al braccio di carne e premendo la guancia contro la spalla di James, avvertendo le labbra dell’uomo posarsi sulla sua fronte in un muto ringraziamento.

La chiacchierata al telefono con Fury non era stata piacevole, Nick aveva tentato di tergiversare aggirando l’argomento, ma era finito per ammettere le proprie colpe sciogliendosi la lingua spiegandole spiccio tutti gli incidenti con il Tesseract che aveva insabbiato prima di New York, ritenendo più opportuno all’epoca metterli al corrente di minacce più urgenti come Loki, trascurando l’esistenza di una bambina aliena credendo di avere la situazione sotto controllo. Aveva ammesso di averla affidata a Pierce, in quel lasso di tempo imprecisato in cui si fidava ancora del Segretario e credeva ancora nell’istituzione dello SHIELD, fidandosi della parola dell’uomo quando aveva affermato di essersene “occupato”, confondendo l’eliminazione del problema alla fonte con la tutela garantita da un nazista.

Natasha aveva informato l’intera squadra degli ultimi sviluppi a cena, restituendo la moneta a James tagliandolo fuori dalla parte organizzativa illudendosi di avere un filo di lucidità in più del marito per far fronte alla situazione, spiegando che stando all’Archivio di Tania Madame Hydra si era macchiata dei crimini più aberranti, ma non rappresentava una reale minaccia dal punto di vista fisico… il problema era ciò che la morte della donna avrebbe scatenato, ma quello era un argomento che Natasha desiderava evitare il più a lungo possibile, illudendosi che così facendo l'ombra della Bestia che oscurava Steve evaporasse. Era una speranza vana… lei lo sapeva, James pure e tristemente non potevano farci assolutamente nulla. 

Elisa Sinclair aveva un esercito, un cubo cosmico e teneva Steve in pugno, ma a conti fatti era un comune essere umano… e dalla loro avevano tre super-soldati, due spie qualificate, un meccanico geniale con un esercito di armature e un paio di alleati all’interno del Palazzo, compresa Kobik. Poteva ritenersi quasi uno scontro ad armi pari, se non si considerava il coinvolgimento sentimentale… e su quel fronte Natasha non poteva far altro che restare sveglia insieme a James ad aspettare l’alba. 

Se non si calcolavano i rischi dettati dall’impulso emotivo il loro poteva ritenersi un buon piano d’attacco, nonostante fossero ben consapevoli che il comizio al municipio annunciato al telegiornale serale per il mattino seguente era palesemente un invito in prima fila ad una carneficina, ma scarseggiavano di occasioni migliori per trascinare Elisa e Steve fuori dal Palazzo garantendo una finestra per la fuga a Kobik e Sharon.

«Non mi piace l’idea di coinvolgere la bambina.» afferma James di punto in bianco dirottando la conversazione concedendole uno spiraglio su una parte dei propri pensieri in tumulto, strappandosi la confessione dai denti dopo una ponderata analisi dei pro e dei contro nel renderla partecipe dell’inferno che imperversava nella sua testa, ruotando il polso destro intrecciando le dita tra le sue alla ricerca di un contatto. «Ci sarà l’esercito… sarà un bagno di sangue.»

«Non è una comune bambina indifesa.» replica Natasha con tono che si sforza di essere ragionevole, stringendo la presa intorno alle sue dita con fare rassicurante. «Kobik è l’incarnazione del cubo cosmico… è l’essere più potente dell’universo, se vogliamo far rinsavire Steve abbiamo bisogno anche di lei.»

«L’idea non mi piace comunque… potrebbe ucciderci tutti con uno schiocco di dita se inizia a fare i capricci, questo è vero, ma ciò non cambia che è una bambina ‘Tasha.» afferma James sospirando sconsolato quando torna a cercare il suo sguardo, incontrando nelle sue iridi verde foresta la sua stessa reticenza nel coinvolgere la piccola in uno scontro armato. «Se proprio voglio essere sincero, non mi piace nemmeno l’idea che una volta finita tutta questa storia dobbiamo consegnarla nelle mani di Fury… Nick la trasformerà in un arma, la tratterà alla stregua di un genio nella lampada.»

«Stai empatizzando troppo.» lo placa Natasha allungando la mano libera ad accarezzargli nuovamente la guancia, sorridendo triste tradendo una punta di colpa consapevole quando James si abbandona contro il suo tocco, ruotando appena la testa baciandole il palmo della mano.

«Difetto di fabbrica.» ironizza con tono spento, inchiodandola con le iridi ghiacciate constatando una seconda verità indiscussa che tuttavia non suonava come una colpa, ma più come un dato di fatto per il quale non si poteva più fare nulla. «Tu invece non empatizzi abbastanza

«Difetto di fabbrica.» Natasha gli regge il gioco replicando allo scherzo facendogli il verso, ma ritirando la mano dal suo volto come se si fosse scottata, ribadendo un concetto basilare dal quale non potevano più fingere di nascondersi o fuggire. «Nessuno ha mai detto che fosse una decisione facile da prendere, ma siamo i migliori in ciò che facciamo… ed anche se ciò che facciamo non è bello, que-...» 

«… questa è solo l'ennesima brutta giornata. Lo so.» James conclude la frase per lei, respirando a fondo nel tentativo di riesumare e sedimentare nel cervello la prima regola coniata dall'Arma più sanguinaria del Dipartimento, spezzando il ricambio di ossigeno scrollando il capo. «Lo so, ma non riesco più a farlo.»

«Vuol dire che finita questa storia ci troveremo un hobby.» concede Natasha conciliante, siglando una proposta andata persa giorni prima tra le mura di un rifugio di fortuna, stringendo con ancora più forza le dita intrecciate tra quelle di James fornendogli un appiglio, tornando a posare la tempia contro la sua spalla. «È l'ultima volta, promesso.»

Natasha accarezza l'idea di concretizzare in fatti le parole espresse, sognando ad occhi aperti la fine delle battaglie e del sangue, ipotizzando giornate scandite da baci che si tengono ben lontani dal filo del rasoio… e si sente persa, dubbiosa dell'oceano di incertezza che le si profila davanti, senza una routine scandita da polvere da sparo e proiettili. Avverte una vertigine destabilizzante, aggirandola a pié pari ancorandosi alle dita di suo marito avvinghiate alle proprie, ritrovando il suo posto nel mondo che per una frazione di secondo aveva perso… è con James e, a discapito di ciò che le aveva insegnato Logan una vita prima, la giornata poteva solo migliorare. 

 

Mosca, 1944: una lunga serie di "brutte giornate"

 

«Non ricordi proprio nulla, zio?» chiede Natalia in un sussurro, articolando domande pericolose a discapito delle guardie armate che la circondano, alzando la guardia appena in tempo per difendersi dal colpo inflitto dal suo istruttore, finendo a gambe all'aria e rimettendosi in piedi subito ignorando il nuovo livido. 

«No.» sibila burbero l'uomo, fermando lo scontro correggendo la sua guardia, indicandole i suoi punti deboli e quelli di forza, spiegandole come gestire il nuovo attacco che stava per illustrarle, avvicinandosi al suo orecchio sfruttando la scusante della vicinanza richiesta dalla spiegazione per parlare. «Concentrati. Vogliono che tu diventi brava quanto me ad uccidere, non ti servono dei ricordi per riuscirci

Natalia incassa il colpo ed annuisce poco convinta, rimettendosi in posizione di difesa ed eseguendo il richiesto per ripararsi dai colpi inflitti da Logan, arretrando fino al limitare del cerchio disegnato a terra sulle proprie gambe e non venendo sbalzata fuori da uno dei colpi micidiali del suo insegnante… ma non demorde, intestardita a soddisfare la propria curiosità al pari di un prurito fantasma che sapeva non l'avrebbe lasciata in pace fin quando non l'avrebbe grattato via. 

Natalia aveva fatto ricerche, aveva scassinato la porta dell'ufficio di Ivan Petrovich nel tentativo di capirci qualcosa, di rubare una qualche informazione che la aiutasse a capire quale fosse il suo "posto nel mondo", qual era il motivo di fondo che aveva scatenato la disputa per la quale la stavano preparando, per quale ragione fra tutti un uomo come il suo insegnante fosse finito a Mosca ad addestrare delle sedicenni da spedire sul campo di battaglia. Voleva solamente capire, soddisfare quel bisogno di appartenenza, sentendosi costantemente inadeguata tra le mura di cemento della caserma in cui era confinata… e credeva di aver trovato la persona che cercava nel suo istruttore, riconoscendo la natura dei suoi vuoti di memoria simili ai propri, combattendo contro il muro che l'uomo aveva eretto per tenerla a distanza liquidano il suo interesse con giustifiche irremovibili che non sconfinavano dal suo compito di dover semplicemente insegnarle ad uccidere con cognizione di causa. 

«I ricordi non servono per uccidere, ma a saper distinguere un alleato da un nemico.» annuncia Natalia risoluta, dissimulando il brivido che le percorre la schiena alla vista degli artigli d'osso snudati che fuoriescono dalle nocche del suo insegnante, modificando la guardia preparandosi a contrastare colpi che le avrebbero spillato sangue oltre che procurato lividi. «Io e te cosa siamo, zio Logan? Nemici o alleati?» 

«Cavie da laboratorio convertite in armi.» replica burbero l'uomo in un sibilo, schivando l'affondo ma inciampando nel movimento, sentendosi afferrare per una spalla e crollando a terra, regolando il respiro per non graffiarsi con gli artigli sospesi ad un paio di centimetri dalla sua carotide. «Se hai l'occasione di andartene, fallo.»

«Per andare dove? Non ho un posto nel mondo.» lo sfida apertamente facendo leva con l'intero corpo, riuscendo a divincolarsi dalla presa senza ferirsi più del necessario. 

Natalia non conosceva nulla al di fuori delle mura della caserma, ma tale consapevolezza invece di farle temere l'oscurità del bosco limitrofo alla base militare, essa la attirava all'esterno per fuggire dalle ombre ben più pericolose che la circondavano giorno e notte… ed vorrebbe poter dire a zio Logan che desiderava scappare via con lui, che si fidava abbastanza da non porgli più domande scomode, che il suo interesse assillante tradiva una punta di affetto malcelato che si illudeva fosse corrisposto. Vorrebbe confidargli di aver trovato nell'ufficio di Petrovich i documenti che certificavano la compravendita per scopi scientifici del "prigioniero americano"... i Capi avevano annotato che Logan era uno dei caduti delle linee nemiche giapponesi, sembrava fossero riusciti ad identificarlo unicamente dal numero seriale del reggimento, riconducendolo ad uno dei pazzi che viaggiava per l'Europa con gli "Howlings Commandos", segnalando che l'amnesia doveva avercela già da prima perché nella piastrina era riportato semplicemente il nome che si era scelto [1]

«Non ti serve un posto nel mondo, bambina.» la riprende Logan atterrandola di nuovo, correggendo i suoi errori, limando i suoi punti deboli a pugni e parole… perché la ricerca di un branco di appartenenza era insito nell'istinto di sopravvivenza animale, ma era un concetto che forse poteva ancora applicarsi all'umanità che si erano dimenticati di avere e alla ferocia delle bestie che avevano imparato ad essere, non alle armi che dovevano diventare. «Sei un arma, i ricordi non ti servono a niente, non sprecare tempo a cercarli.»

«Io li rivoglio indietro… io sono l'arma di me stessa, non la loro.» afferma testarda, sfidandolo apertamente a demolirla con una contraddizione. «Deve esserci più di questo.»

«Non farti domande sul futuro, bambina… per quelli come noi il futuro e solamente un'altra brutta giornata.»

Forse Natalia avrebbe dovuto dargli retta, ma negli anni aveva continuato a porsi domande, a risolvere enigmi, a cercare risposte… perdendo pezzi di sé per strada, dilaniandosi, rimuovendo dettagli e ricostruendoli a posteriori, intestardita a conquistare il suo "posto nel mondo" e farlo coincidere con un porto sicuro a cui fare sempre ritorno. C'erano voluti anni, ma aveva scoperto che il suo concetto di "casa" rispondeva al nome di James ed era regolato dallo strano equilibrio vertiginoso che li bilanciava… le "brutte giornate" continuavano ad essere la prassi, ma erano ormai anni che avevano smesso di farle paura. 

 

«Non farmi promesse che sai di non poter mantenere…» interviene James spezzando il filo dei suoi pensieri, sollevando lo sguardo sul suo profilo fingendo un'espressione di disappunto per la contestazione espressa, sbilanciando involontariamente l'equilibrio di cui si era appena convinta. «Un hobby non ti basterebbe 'Tasha, dopo un po' inizieresti ad odiarmi.» 

«Questo sta a me deciderlo, no?» lo rimbecca la donna punta sul vivo, sollevandosi di scatto dalla sua spalla studiandolo con lo sguardo. 

«Vogliamo cose diverse, любовь моя …» afferma James scrollando le spalle, soffermandosi a riflettere meglio sulle parole appena espresse, correggendo il tiro nel giro di una frase. «O meglio… io sono incapace di lasciarti rischiare l'osso del collo da sola, nonostante desideri solo un po' di pace. La mia unica prerogativa sei tu, ma tu hai decisamente bisogno di un lavoro a tempo pieno.»

«E se fossi tu il mio lavoro a tempo pieno?» mormora Natasha retorica prima di poter accartocciare le parole sulla lingua, ponendosi la domanda ad alta voce inconsciamente, sgranando gli occhi quando realizza di aver dato aria alla bocca con sillabe compromettenti. 

«L'hai detto davvero?» si sorprende James spalancando gli occhi a sua volta, sfoggiando un sorriso mozzafiato che scaccia le nubi temporalesche all'orizzonte. «Tu, Natalia Alianovna Romanova, hai detto qualcosa che suona vagamente romantico?» 

«Posso ritrattare…» sorride Natasha incerta stringendosi nelle spalle, mettendo su un broncio che voleva testare l'istinto di autoconservazione di suo marito, boccheggiando confusa quando lo vede scoppiare a ridere, incrociando le braccia al petto indispettita. «Smettila

«Mi segno la data sul calendario, festeggeremo la ricorrenza al pari dell'anniversario.» James la ignora sghignazzando senza ritegno alcuno, covando un istinto suicida che si manifesta all'istante quando Natasha gli punta i palmi al petto obbligandolo a stendersi sul pavimento in cemento, salendogli sopra a cavalcioni ed allungando le mani a tappargli la bocca nel tentativo inconcludente di ridurlo in silenzio, ritirando le dita di scatto quando l'uomo finge di prenderle a morsi le falangi per ripicca. «Devi impegnarti più di così per farmi stare zitto.»

«È un suggerimento?» ribatte Natasha maliziosa, rabbrividendo appena quando le dita di metallo di suo marito scivolano sotto i vestiti e le risalgono la schiena in una tacita conferma, alludendo al premio da riscuotere decantato nel pomeriggio limitandosi a sorriderle, portandosi un indice alle labbra facendo voto di silenzio. «Se la metti così allora…»

Natasha snuda i denti da cobra e cala sulla preda con foga silenziosa, accorciando il respiro di James e troncando ogni gemito sulla soglia delle labbra a forza di baci, sorprendendosi di raggiungere la loro camera da letto sulle proprie gambe e con ancora tutti gli indumenti addosso, ricredendosi velocemente quando viene spinta contro la porta chiudendo fuori occhi indiscreti e malelingue, beandosi del sorriso stronca-fiato di James quando balugina le zanne da lupo famelico, invertendo i ruoli di preda e predatore cedendogli arrendevole il controllo una volta tanto, divertendosi ad autoeleggersi garante del semi-silenzio tra quelle quattro mura. 

«Non vogliamo cose poi così tanto diverse, звезда моя…» sussurra ironica Natasha in lingua madre quando James crolla su di lei, soffocando un accenno divertito posando le labbra sul suo sterno, accoccolandosi contro il suo fianco decretandola la posizione del collasso definitivo, con la testa seppellita tra l'incavo dei suoi seni e l'orecchio premuto all'altezza del suo cuore. «Dormi ora, ai tuoi incubi ci penso io.»

 

***

 

Il mondo, la mattina dopo, sembra andare a rilento e James non sa decidersi se tale sensazione sia dovuta dal suo cervello carente di caffeina o se semplicemente il sesto senso che gli pungola lo stomaco voglia donargli una mezz'ora di quiete aggiuntiva prima di catapultarlo brutalmente sul campo di battaglia dove tutto si riduceva a riflessi, destrezza, polvere e sangue. 

Lo sveglia Natasha, districandogli le ciocche sulla nuca tirandogli leggermente i capelli, posando il primo bacio della giornata sulle sue labbra e sgusciando da sotto il suo peso reclamando la doccia per prima, spiaggiandosi sul materasso a pancia in su allargando le braccia perdendosi a studiare i disegni semi-invisibili del pulviscolo che formano ghirigori sopra la sua testa. I secondi scorrono lenti sul mare di latte che lo circonda, rallentando i suoi movimenti mentre incespica sulla soglia del bagno per lavarsi via l'intontimento dovuto dai recessi di sonno che gli otturano ancora il cervello, sibilando infastidito svegliandosi di colpo quando dà il cambio alla moglie sotto la doccia ritrovandosi a fare i conti con una cascata gelata invece del tenue torpore dell'acqua tiepida. 

James si veste lentamente, riservando una cura speciale anche nel infilarsi i calzini, nella vana speranza di poter posticipare di una qualche altra mezz’ora il momento in cui scenderanno in piazza e l'aria si saturerà inevitabilmente di polvere da sparo… ed il sesto senso torna ad agitarsi irrequieto nei recessi delle sue viscere, registrando la pelle d'oca sulle braccia mentre si infila il primo strato di kevlar, sollevando lo sguardo sulla moglie concentrata ad intrecciarsi i capelli davanti allo specchio in canottiera intima e pantaloni rinforzati. 

James vorrebbe essere in grado di articolare in parole coerenti i propri dubbi, chiedendo a Natasha se lo sentiva anche lei quel refolo di vento che gli scuoteva le ossa, ma inghiotte sillabe vane e si affretta a raggiungerla, sfilandole le forcine dalle mani assicurandole le trecce cremisi in una crocchia sulla nuca, per poi porgerle la giacca in kevlar ed allungare le mani a chiuderle la zip fino alle clavicole. 

«Rilassati.» mormora Natasha in russo sorridendo incoraggiante, sollevandosi sulle punte per raggiungere le sue labbra, allungando le dita verso le asole ed iniziando ad allacciargli i bottoni del giubbotto antiproiettile della tenuta, per poi discostarsi da lui a lavoro concluso chinandosi sotto il letto recuperando gli stivali, lanciandogli dietro gli anfibi per spronarlo. 

«È facile dirlo.» ribatte in lingua scrollando le spalle, dissipando la preoccupazione latente per essere scivolati entrambi nell'idioma slavo senza rendersene conto, allacciando gli scarponi e sfilando il borsone da sotto il letto iniziando a far scorta di proiettili, pistole e coltelli, calciandolo in direzione della moglie per rivendicare l'arsenale restante. «Non sei tranquilla nemmeno tu.»

«Mi preoccuperei del contrario, James.» si nasconde Natasha dietro la lingua anglofona, venendo interrotta da un colpo di nocche alla porta da parte di Clint, il quale annuncia che la colazione è servita e si augura che siano entrambi svegli ed operativi, scrollando le spalle finendo di allacciare le fibbie intrecciate del giubbotto antiproiettile prima di allungare una mano verso la maniglia... e James agisce d'impulso bloccandola nel movimento, entrando in rotta di collisione con le sue labbra rubandole l'ossigeno, manifestando una punta di paura che viene puntualmente spazzata via dal sorriso di sua moglie. «Ehi звезда моя, non abbiamo tutto il giorno.»

«Lo so, è solo…» "che non so davvero cosa farei senza di te" vorrebbe ammettere James, dimenticandosi momentaneamente come si parla riscontrando un nodo fastidioso alla lingua, respirando a fondo ricomponendosi prima di proferire parola, allestendo una giustifica labile che non necessita di spiegazioni. «Avevo solo bisogno di un momento, tutto qui.»

L'incantesimo si spezza ed il tempo ritorna a scorrere regolare mentre tracanna il caffè in piedi puntellato ai fornelli delle cucine dell’orfanotrofio, registrando una brusca accelerata del ticchettio delle lancette quando iniziano a muoversi tutti e cinque sul piede di guerra, raggiungendo e sparpagliandosi in piazza nascondendosi dalla folla in attesa dei loro bersagli… mentre la paranoia trasforma il ticchettio delle lancette in quello di una bomba ad orologeria, spingendo James a riscoprirsi credente ritrovandosi a masticare preghiere mute tra i denti nella speranza di venire ascoltato da Qualcuno. 

«Sono in posizione, Barnes.» annuncia Yelena Belova all'auricolare come concordato, registrando mentalmente la presenza di Steve e Madame Hydra sul palchetto allestito di fronte al municipio, sollevando lo sguardo su Stark e Natalia controllando che il messaggio sia stato recepito anche dai compagni. «Aspetto il segnale.»

«Ci sono quasi.» replica Clint a distanza di un paio di secondi, riferendo la situazione a Palazzo ed aggiornandoli sull’avvio del segnale in leggero ritardo rispetto ai tempi prestabiliti. «Qualcosa dev'essere andato storto...»

«Che genere di imprevisto?» li anticipa Natasha premendo un indice contro l'auricolare, tradendo un'occhiata preoccupata nella sua direzione alla menzione dell'intoppo. «È gestibile?» 

«Volo da te? Ti serve una mano?» si propone Tony tempestivo, manifestando un tremito di impazienza nell'apprendere che il salvataggio della cugina aveva avuto un piccolo incidente. 

Il piano che avevano concordato era semplice, ma la catena di eventi non avrebbe dovuto riscontrare intoppi altrimenti sarebbe collassato… James reprime un sospiro quando Clint fa rientrare la possibile emergenza, comunicando via radio che Sharon e la bimba erano uscite dai cancelli, reprimendo un verso spaventato quando Kobik lo identifica e materializza lei e la donna al suo fianco a due condomini e tre piani di altezza di distanza, facendoli rientrare nei tempi prestabiliti della loro tabella di marcia.

«Ora.» ordina James dando il permesso a Clint di procedere, aspettando l'esplosione del fumogeno scoccato dall'arciere prima di dare inizio all'attacco simultaneo. 

È questione di un attimo, di un battito di ciglia, un sospiro trattenuto e rilasciato con una irruenza comparabile ad una scintilla all'interno di una distilleria… la canna del fucile da precisione di Yelena fumava ancora che la bolgia si era aperta in due gridando al cecchino, iniziando a correre in preda al delirio seguendo inconsciamente come un gregge la prima fonte di salvezza fornita, incarnata dall'armatura di Iron Man che si librava sopra le loro teste direzionando la folla in zone più sicure, mentre la notizia che Elisa Sinclair era stata freddata con un proiettile alla testa si diffonde a macchia d'olio richiamando in campo l'esercito. James si lancia in mezzo alla ressa e corre con Natasha appresso, dividendosi a metà strada dal palco registrando con la coda dell'occhio la scomparsa dei capelli rossi dal suo campo visivo periferico, mentre la moglie procede a passo di carica in direzione di Clint per aprirgli la strada sbaragliando qualunque avversario le si pari davanti, presto aiutata nella riduzione della mole di guardie da affrontare quando la Iron Legion si dispiega nel cielo richiamata da Stark e scende sul campo di battaglia per dare loro una mano… e poi il tempo si ferma, il ticchettio della bomba ad orologeria si placa per quella frazione di secondo che precede l'innesco, facendo inciampare James sulle suole dei propri anfibi quando Steve solleva lo sguardo dal corpo senza vita di Madame Hydra e lo punta su di lui con occhi annacquati, le spalle che tremano ed una vaga aria omicida ad esasperare il tutto. 

James si arresta in mezzo al campo di battaglia e fronteggia Steve, fasciato nell'uniforme di Capitan America con un nuovo scudo triangolare fissato sulle spalle per ordine della donna che teneva stretta tra le braccia e contemplava con disperazione montante… Steve che si specchia nello sguardo vitreo di Elisa era un monumento alla pietà e all'umana indecenza resa possibile dall'annientamento di un uomo, perdendo un battito accettando la consapevolezza che stavolta le mani che tiravano le fila nell'ombra erano le sue, promosso da burattino ad artefice di decisioni aberranti nonostante la situazione richiedesse quel genere di scelte drastiche. James sa cosa ha appena scatenato, lo ha già visto succedere per ben tre volte, ma non è pronto comunque ad affrontare la Bestia… si ricorda fin troppo bene del ragazzino rachitico che aveva rischiato di causarsi un infarto nel tentativo di mettere a soqquadro il salotto per sfogare la frustrazione e la rabbia di fronte alla notizia della morte della madre, alle lacrime che solcavano le guance di Steve mentre tempestava di pugni inconsistenti il petto di suo padre quando aveva comunicato a tutti e tre i figli che anche loro madre era passata a miglior vita, ascoltando nuovamente le urla del fratello quando aveva sollevato lo sguardo dalla lettera dell'esercito ed era esploso al pari dell'ordigno che aveva ucciso loro padre. Questa volta è diverso – non ci sono apparenze da salvare, non esistono persone da rassicurare, restavano soltanto Steve, il dolore e l'omicida che l'aveva causato – e di fronte al corpo senza vita di Elisa Sinclair Steve reagisce come suo solito, implodendo a primo acchito ed esplodendo in un grido il momento dopo, traducendo il dolore in una furia incontrollabile veicolata in una mole ben diversa dal fisico gracile che aveva subìto i tre lutti precedenti. 

Steve ora è un involucro di tendini, muscoli e sangue che alimenta un arma umana e i suoi pugni fanno dannatamente male quando impattano contro il corpo di James rilasciando furia, obbligando quest'ultimo a concentrarsi più a schivare la punta di metallo del nuovo scudo triangolare che l'HYDRA aveva fornito al fratello per l'occasione, invece di difendersi nel vero senso della parola e rispondere all'attacco con la medesima violenza incontrollata… lo scenario che si dipinge davanti agli occhi del Soldato d'Inverno assomiglia in modo spaventoso a Washington, ma stavolta James ha la netta sensazione che sarà lui quello a finire sul letto di un ospedale, appurando con un verso stizzito che le contusioni al diaframma avevano iniziato ad accorciargli il respiro in un modo che solo il principio di una lesione interna poteva garantirgli, precipitando incontro al pavimento quando il ginocchio cede sotto il calcio alla rotula da parte di Steve e rotolando via appena in tempo per non sentire nuovamente la punta di metallo lacerargli la pelle in un punto semi-vitale spillandogli altro sangue. 

«Clint, dov'è Kobik?» urla James all'auricolare nella speranza che quel supplizio termini al più presto, covando il sospetto fondato di poter collassare da un momento all'altro e svenire permettendo a Steve di dargli il colpo di grazia, maledicendo a gran voce la punta di metallo dello scudo che attentava alla sua vita colpo dopo colpo… aveva rinunciato diverse contusioni fa a prendere in considerazione l'idea di discutere con Steve durante lo scontro, limitandosi a schivare, pregare e maledire le sigarette per non avere il fiato per urlargli contro, tradendo una frustrazione latente nel non ricevere risposta dall'arciere. «Clint! Rispondimi, maledizione!» 

«È qui, Bu-...» la voce di Barton cola a picco, subito sostituita da una imprecazione esagitata della moglie e l'urlo disumano della bambina, riuscendo a prendere fiato quando sia James che Steve sollevano il capo al cielo per una frazione di secondo, mentre nuvoloni neri e sferzante di vento piombano sul campo di battaglia richiamate da Kobik, peggiorando ulteriormente una situazione ingestibile fin dal principio. 

«Cosa diavolo…?» esordisce James confuso, arretrando di mezzo passo quando lo scontro riprende come se i nuovi fattori in gioco non esistessero, appurando che la lucidità di Steve era compromessa al punto da fregarsene della tempesta telecinetica in corso. 

«Hanno sparato a Barton, la bimba ha reagito al sangue.» lo aggiorna Stark teso, volando in picchiata dall'uomo per prestare soccorso e portarlo via da lì.

«Non è ancora morto, ma il proiettile gli ha sfiorato la tempia a bruciapelo…» interviene Natasha con una voce innaturale venata dal panico, accendendo in James un campanello d'allarme, distraendosi per quella frazione di secondo che basta per finire riverso a terra con il fiato mozzo, facendo leva sulle gambe per sbalzare via Steve quando ne approfitta per saltargli addosso, strappandosi accidentalmente qualcosa nel movimento… e suo fratello non si placa, non demorde, assumendo le sembianze di un toro imbufalito sotto droghe pesanti che puntava unicamente a sventrarlo, quando James al contrario vorrebbe solo avere il fiato per chiedere aiuto ed invece si ritrovava a fare i conti con un qualcosa che gli ostruiva i polmoni impedendogli di respirare abbastanza. 

Fa che non sia sangue, fa che non sia sangue, fa che non sia sangue. 

«Romanov, il Soldato ha decisamente bisogno di un assist.» Tony prende prontamente il controllo della situazione, silenziando ogni obiezione elargendo direttive a tutti i presenti avendo una perfetta visuale delle condizioni di ognuno. «Mini-Vedova, corri ad aiutarli… Sharon, calma Kobik e portala da Steve, io trascino Clint lontano da qui e contatto i nostri amici di Seoul.»

Nel tempo necessario a Stark per concludere la frase, Yelena fa in tempo ad entrare nel campo visivo di James ed aiutarlo a rimettersi in piedi eseguendo una rapida diagnostica, informandolo che le costole incrinate si erano fratturate e non doveva compiere movimenti troppo bruschi per evitare di perforare i polmoni, mentre una scheggia rossa si precipita in picchiata contro uno Steve a dir poco furioso dando inizio ad un secondo scontro… e la bomba ad orologeria ricomincia a ticchettare, mentre James segue con lo sguardo i movimenti della moglie che tentano di tenergli suo fratello a distanza saltando sulle spalle di Steve, iniziando a cavalcarlo come un toro meccanico il tempo necessario a Kobik per avvicinarsi e poter intervenire, ripristinando l'equilibrio mancante che aveva tramutato Steve in una Bestia furiosa. 

«Barnes hai le costole rotte, Cristo!» strepita Yelena quando James si butta a testa bassa in mezzo allo scontro, preferendo rischiare il collasso di un polmone piuttosto di vedere Natasha ridotta alle sue stesse condizioni, assecondando l'istinto innato di protezione che provava nei suoi confronti. 

È una frazione di secondo. Una fottutissima frazione di secondo. 

Steve riesce a disarcionare Natasha facendola precipitare a terra, mirando alle costole fratturate di James con la punta di metallo dello scudo per infliggergli il colpo di grazia… ma Yelena reagisce d'istinto afferrandolo per la protesi trascinandolo lontano dalla linea di tiro, facendo scattare la testa di Natasha nella sua direzione a causa del suo movimento improvviso, assecondando la decisione della sorella di impulso puntandogli i palmi al petto spingendolo all'indietro, finendo accidentalmente nella traiettoria del colpo… e la punta di metallo impatta… lacera la carotide… trapassa la cervicale… ed il mondo cessa di esistere. 

Crack

Non è successo, non può essere successo.

Natasha cade a peso morto su James, afferrandola al volo inciampando all'indietro collassando al suolo mentre le costole fratturate risentono del movimento brusco, accusando una stilettata di dolore che risale la spina dorsale e riecheggia nel vuoto emotivo che si propaga tra le pareti congelate e spigolose del suo cuore, concretizzandosi in un gemito rauco, disumano e agonizzante di fronte allo sguardo vitreo della moglie rivolto ad un cielo tempestoso che non poteva più vedere. 

«No… no, no, no no no NO!» James urla nel silenzio in cui è piombato il campo di battaglia, mentre un secondo grido acuto irrompe con la potenza di una bomba atomica, rilasciando un'onda d'urto azzurrina che ha come epicentro Kobik, polverizzando l'esercito nemico e ricalibrando la psiche svalvolata di Steve in un colpo solo… non che a James interessi, per lui il mondo ha appena perso ogni importanza. 

James stringe Natasha tra le braccia ed ordina al proprio cervello di illudersi che la donna sia semplicemente svenuta… ma non c'è respiro, non c'è battito… c'è solo sangue che zampilla dalla carotide recisa nonostante lui continui ad esercitare pressione sulla ferita con la mano destra e la consapevolezza che se rimuove la sinistra dalla nuca della donna il collo si piegherà in un angolo innaturale e terrificante. James si chiude nella sua bolla fatta di panico, lacrime e sangue, cullando Natasha tra le braccia mettendo in secondo piano pure l'insufficienza respiratoria, iniziando ad iperventilare senza rendersene conto… sforzandosi di ignorare la voce di Tony all'auricolare che chiede cosa sia successo, il silenzio assordante generato dalla risposta mancata, i singhiozzi trattenuti di Yelena alle sue spalle e quelli nitidi e sonori della bimba aliena che osservava la scena a qualche metro di distanza, chinandosi a premere la fronte con forza contro a quella fredda della moglie contraendo la contusione, inviandogli una seconda stilettata di dolore che gli ricorda di essere vivo ad ogni respiro compiuto, avvertendo il sapore del sangue addensarsi sul fondo della bocca minacciando di soffocarlo in risposta al collasso dei suoi polmoni in corso. 

«Cosa… oh mio Dio…» la voce di Steve fa breccia nel muro che James si è costruito intorno, disintegrando la bolla che lo isolava dal resto del mondo, minacciando di avvicinarsi alla donna per prestare soccorso nel vano tentativo di riparare ai danni causati. 

«Tu non puoi toccarla, vattene!» strepita James sputacchiando sangue congelando il fratello sul posto, concedendosi il permesso di piangere lasciando che calde lacrime silenziose gli righino le guance, pregando di chiudere gli occhi e morire a sua volta in santa pace. 

Dio… ti prego, se esisti, prendimi ora. 

James rigetta altro sangue e i suoi polmoni collassano in risposta. 

Pace, finalmente. 

 

***

 

James era rimasto in terapia intensiva per quattro lunghissimi giorni, in bilico tra la medicina che pretendeva di tenerlo in vita e la sua volontà di lasciarsi morire… e nonostante tutto Steve non sapeva fargliene una colpa, ostinandosi a restare fuori dal reparto ed interpellare i medici di passaggio nei corridoi, consapevole che – nonostante il fratello fosse incosciente – James non l'avrebbe comunque voluto a vegliare sul suo capezzale. Di sicuro non dopo ciò che aveva combinato, almeno. 

Quei quattro giorni trascorsi a Seoul erano stati strani, ma necessari a Steve per assimilare i danni che aveva causato un pezzettino alla volta, iniziando a fare i conti con il proprio operato già dal campo di battaglia. 

Quando James era collassato su se stesso, continuando a stringere spasmodicamente Natasha tra le braccia, Steve era rimasto fermo immobile dove il fratello l'aveva inchiodato, lasciandosi scivolare addosso ogni tipo di sentimento per impedirsi di andare in cortocircuito… si era risvegliato dallo stato di trance quando aveva visto Kobik avanzare ed inginocchiarsi al fianco di James, infilando una mano eterea all'interno del torace del fratello raddrizzando manualmente le costole rotte, rimarginando i tessuti lacerati della cassa toracica facendola reagire positivamente agli input con uno spasmo, obbligando il corpo di James a vomitare altri fiotti di sangue liberando un respiro rantolante che segnalava un cenno di vita. 

«Stava morendo… io non volevo.» aveva spiegato la piccola strofinandosi le guance cancellando i segni di un pianto che tuttavia non sembrava intenzionato a smettere, nascondendo d’impulso il volto contro le gambe di Yelena cercando del contatto umano, la quale era crollata in ginocchio abbandonandosi all'abbraccio della piccola reggendole la nuca con una mano, sporgendosi istintivamente a girare James su un fianco per farlo respirare meglio, gattonando al cospetto della sorella chiudendole gli occhi e premendo a sua volta la fronte contro quella della donna in un ultimo saluto. 

«Natasha è morta, Tony. Bucky quasi.» annuncia la voce di Sharon alle spalle di Steve, fornendo una risposta via radio alle domande insistenti del cugino spiegandogli la situazione, usando un tono freddo che si sforzava di non cedere al panico. «Mi ser-... mi se-... sì, avvisa Seoul. Porta qui il Quinjet... fa in fretta.»

Natasha è morta… Bucky quasi… ed è colpa tua, Steve. Tutta. Colpa. Tua. 

Era stato solamente dopo aver elaborato quel pensiero aberrante che le ginocchia di Steve avevano ceduto e lo stomaco si era ribellato, vomitando l'anima mentre la mano timida di Sharon si era posata sulla sua spalla. 

Le ore successive erano state confuse… Tony aveva ritirato la Iron Legion e l'aveva rispedita in America, facendo atterrare il modulo di contenimento del Quinjet per permettere a Yelena di caricare a bordo in modo più agevole i corpi di James e Natasha, trascinandosi la bimba appresso ed eseguendo le manovre di primo soccorso sul fratello per tenerlo in vita nelle ore di volo che li separavano da Seoul. Sharon era rimasta a terra con lui, spettatrice silenziosa ed imparziale mentre Steve dava degna sepoltura ad Elisa Sinclair in nome del presunto legame che la donna aveva costruito dal nulla negli ultimi giorni, facendo tappa all'orfanotrofio per informare la Direttrice Hoan sui nuovi sviluppi, raccogliendo gli averi dei compagni d'armi lasciati in quel luogo, caricando il tutto nel bagagliaio della sua auto targata SHIELD spiccando il volo alla volta di Seoul. 

Era stato solamente quando Steve aveva messo piede nella clinica di Helen Cho che aveva scoperto che il fratello versava in condizioni critiche e si trovava ancora sotto i ferri, mentre Clint era già stato ricoverato in terapia intensiva con una lesione al timpano che l'aveva lasciato completamente sordo dall’orecchio sinistro… aggiungendo anche quell'ultimo tassello alla lunga lista di colpe, trascinandosi fino alla stanza convertita in obitorio in cui i medici avevano sistemato Natasha, vedendosi sbattere la porta in faccia con un ringhio rancoroso da parte di Yelena in sottofondo per averla disturbata mentre si occupava di preparare il corpo della sorella dopo l'autopsia obbligatoria richiesta dall’ufficio amministrativo dello SHIELD per inoltrare le pratiche del funerale e la successiva sepoltura. Gli veniva di nuovo da vomitare alla sola idea che nella cartella clinica di Natasha ora alla voce “causa del decesso” fosse riportato nero su bianco un definitivo ed inconfutabile “frattura cervicale causata da Steve Rogers”.

Steve ignorava il come aveva avuto l'accesso alla palestra adibita alla riabilitazione, ma aveva trascorso i quattro giorni seguenti a tenere la mente occupata picchiando il sacco da boxe con spiccato accanimento, interrompendosi giusto il tempo dei pasti, dei check-up neurologici impostogli dalla dottoressa Cho – per monitorare le alterazioni sinaptiche dopo una prolungata esposizione ai poteri di Kobik – e gli aggiornamenti da parte della compagna in merito alle situazioni cliniche e amministrative che coinvolgevano la squadra, notando con una punta di rammarico che Sharon si rivolgeva a lui unicamente nelle vesti di Consulente e Capo Squadra, mettendo momentaneamente in standby tutti i doveri derivanti dall'essere ancora la sua fidanzata fino a prova contraria. 

Il secondo giorno Hill aveva messo piede a Seoul requisendo Kobik per portarla alle Mura da Fury come da accordi, ritenendo la bimba una minaccia troppo pericolosa per permetterle di soggiornare sulla Terra, fermandosi alla clinica il tempo necessario per porgere un ultimo saluto a Romanov, controllare il corretto funzionamento del respiratore a cui era collegato James, scambiare un paio di frasi scritte con Clint ed aggiornare Tony, Sharon e Yelena sul come gestire la situazione a Madripoor. Steve era stato ignorato, trovando solamente la forza di chiedersi se quella era la decisione più adatta per Kobik e se lei fosse d'accordo al trasferimento, ma aveva silenziato il cervello tornando a picchiare il sacco da boxe con ancora più forza. 

Il terzo giorno Stark era incappato di proposito nella sua stessa traiettoria verso la caffettiera del cucinino, obbligando Steve a scambiare un paio di parole di circostanza strettamente pratiche, scoprendo che l'ingegnere si era già messo al lavoro per costruire un apparecchio acustico per Barton, informandolo che Ross aveva visionato le pratiche e si era fatto vivo accettando la richiesta di impedire al governo russo di reclamare il corpo di Natasha, in replica aveva avanzato la proposta di seppellirla ad Arlington con la scusante del servizio reso alla Patria nelle vesti di Avenger… Steve aveva elaborato l'informazione ed aveva annuito, ma non aveva saputo dare a Tony una risposta, borbottando un “dovrebbe deciderlo Bucky" fuggendo dalla stanza. Non aveva avuto il coraggio di mettere piede nel reparto di terapia intensiva, Yelena l'aveva nuovamente sbattuto fuori dall'obitorio, ma in compenso Clint gli aveva rivolto un cenno di saluto quando era passato davanti alla porta della sua camera e Sharon era scesa in palestra a notte fonda solamente per abbracciarlo. 

Il quarto giorno James si era svegliato dal coma farmacologico indotto, aveva avuto un attacco di panico appena aveva ricordato cosa fosse successo causandosi una seconda crisi respiratoria, ma entro fine giornata i medici gli avevano rimosso i drenaggi ed era tornato a dormire sedato con la Belova a fargli da cane da guardia ai piedi del letto, lasciando sguarnita la porta dell'obitorio. 

«Mi sarei dovuto fermare prima.» ammette Steve con voce costretta di fronte al corpo senza vita della propria migliore amica, mentre Sharon gli stringe la mano con forza camuffando lo sguardo lucido, riesumando una scintilla di conforto nei suoi confronti che era rimasta assopita negli ultimi giorni. 

«È stato un incidente… non eri in te, non avevi il controllo.» mormora Sharon conciliante, un sussurro appena udibile che urla in contrasto al silenzio denso della stanza. 

«Questo non cambia la realtà dei fatti.» biascica in risposta strofinandosi arrabbiato le guance rigate di sale, respirando a fondo prima di riuscire a proferire parola senza far vacillare la voce. «Cosa si fa adesso? Mi processano?»

«Bucky ha creato un precedente… nel verbale hai specificato che non eri consapevole delle tue azioni, lo SHIELD non prenderà provvedimenti e vuole insabbiare l’episodio con la stampa.» spiega spiccia Sharon con tono pragmatico, stringendogli la mano con ancora più forza. «Devi trovare da solo il modo per conviverci a vita.»

Erano serviti un altro paio di giorni prima che James riuscisse a reggersi da solo sulle proprie gambe senza collassare incontro al pavimento, aggirandosi per i corridoi della clinica imbottito di farmaci e chiuso in un mutismo spettrale, finendo per trascinarsi in obitorio e piazzando Yelena a fare la guardia alla porta negando l'accesso a chiunque altro. 

Steve aveva scoperto da terzi che la proposta di Ross era stata declinata, a distanza di un altro paio di giorni avevano fatto tutti ritorno in America e la Belova si era assunta l'onere di organizzare il funerale della sorella secondo la tradizione ortodossa [2], prendendo accordi per seppellire Natasha nella tomba di famiglia dei Barnes a Brooklyn, ergendosi a braccio esecutore di James dato che quest'ultimo continuava a trascorrere le proprie giornate in uno stato di astinenza emotiva parlando a monosillabi che apparentemente venivano compresi solamente dalla piccola siberiana. 

Steve non era mai stato ad un funerale ortodosso, Sharon gli aveva detto che Tony aveva dovuto cedere alle pressioni di Ross permettendo l'accesso ai reporter previo consenso di Yelena, ritrovandosi a rabbrividire di fronte alle mura di pietra della chiesa illuminate unicamente dalla luce delle candele… si era nascosto in ultima fila con la compagna evitando esplicitamente di farsi riprendere dalle telecamere, tenendosi a debita distanza dal primo banco della chiesa, provando un moto di sconforto nel appurare la presenza di Yelena e dei Barton, ma non di James. Steve sperava di intravvedere il fratello al cimitero, ma non era riuscito in nessun modo ad identificarlo tra la ressa di persone vestite di nero, rinunciando alla ricerca ed intercettando Clint in mezzo alla folla, avvicinandosi in punta di piedi per chiedere spiegazioni. 

«Il funerale era per me e Yelena, non per lui.» afferma Clint scrollando le spalle, tradendo un sospiro rauco che manifestava una nota di pianto represso, sollevando lo sguardo su di lui con fare apprensivo realizzando la motivazione che si nascondeva dietro alla richiesta. «Non gli hai ancora parlato…»

«Non c'è nulla da dire.» lo liquida Steve fissando la punta delle proprie scarpe, sobbalzando appena quando Clint gli afferra una spalla e stringe, nel primo contatto umano dopo giorni escludendo i medici e Sharon. «Non so cosa dire… ed è comunque troppo presto.»

«Se lo dici tu...» mormora l’uomo svicolando con lo sguardo, accartocciando l’inizio di un paio di frasi sulla punta della lingua prima di pronunciare la sentenza definitiva. «Se lo cerchi è volato a Praga... chiamalo prima che salga alle Mura.»

«Oh… okay. Lo farò.» promette Steve senza rendersene conto, il cervello che si scollega per un attimo di fronte alla consapevolezza di ciò che comportava la menzione di Praga, avvertendo la bocca improvvisamente secca di fronte alla notizia che a breve il fratello si sarebbe trasferito in orbita portandosi fuori dalla sua portata, annuendo con convinzione come se a Clint importasse davvero se lui seguiva seriamente il suo consiglio o meno, sollevando lo sguardo per ringraziarlo scoprendo che l’uomo doveva averlo lasciato a rimuginare da solo già da un bel pezzo.

«Torniamo a casa, vuoi?» si sente richiamare da Sharon, avvertendo le sue dita sottili cingergli la base della schiena in un mezzo abbraccio, rendendosi conto che la folla stava pian piano scemando svuotando il cimitero, scoccando un ultimo sguardo alla lapide dei suoi famigliari interamente ricoperta di fiori… dove l’unico segno del passaggio di James era un mazzo di rose tinte di nero, Steve sapeva che erano sue, erano le uniche senza un biglietto o una dedica pacchiana appuntata sopra. 

«Prima-… devo fare una cosa, prima.» mormora Steve sfilando il cellulare dalla tasca, agendo d'impulso premendo l'icona di James avviando la chiamata rapida automatica. 

Steve aspetta… aspetta… aspetta… "risponde la segreteria telefonica…"

«Non importa, torniamo a casa.»





 

Note:

1. Breve identikit di Logan ricostruita da frammenti sparsi: James Howlett nasce alla fine del XIX secolo in una famiglia aristocratica canadese, è il figlio bastardo di Thomas Logan, il giardiniere. La notte in cui scopre le proprie origini coincide con la notte in cui si manifestano i poteri, prendendo il sopravvento con una furia omicida che causa la morte di tutti i famigliari, provocandogli una amnesia totale salvo per il nome "Logan" che adotta come proprio. Si sa poco nulla di cosa combini fino al 1917, quando lo si vede combattere durante la Grande Guerra a Madripoor con la divisione americo-canadese, dove apparentemente soggiorna fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dove torna sul campo di battaglia finendo per vie traverse ad affiancare gli Howlings (quindi sì, conosce Steve e Bucky), venendo catturato in Giappone e venduto al Dipartimento X per studiarlo. A Mosca conosce Natasha e, a discapito di una resistenza iniziale, inizia a trattarla come una figlia e la aiuta a fuggire con Nikolaj nel '46. Dopo la fuga torna in Canada, non si sa di preciso quando Sabretooth lo recluta per il progetto Arma X, ma gli X-men e compagnia cantante (comprese le ossa rivestite di adamantio) arrivano solo negli anni '60.

2. Speculazioni religiose: l'universo Marvel è abbastanza variegato da questo punto di vista, ma come tematica non viene mai trattata in modo approfondito (salvo alcuni casi particolari, tipo Daredevil), dando predilezione a battaglie, introspezione massacranti di vario genere ed un mare di cazzate. Per quanto riguarda i miei due prediletti sono rispettivamente di religione ortodossa e protestante, anche se per entrambi il rapporto con il Sommo negli anni è andato a scemare al punto da rasentare l'ateismo per Natasha ed un approccio agnostico per James, ma prendete le mie affermazioni con le pinze in quanto ricamano sopra a brandelli di scorci introspettivi e si basano fondamentalmente sul come sono state allestite le rispettive bare ai funerali (l'unica volta in cui gli amici illustratori si sono degnati di disegnare tale scenario, a discapito delle innumerevoli volte in cui mi hanno tirato momentaneamente le cuoia in una cinquantina d’anni erotti che i due personaggi esistono).


 

Commento dalla regia:

Non so con che coraggio sto scrivendo queste note a piè di pagina... forse perchè a questo punto come "autrice" devo dire un paio di parole, giusto?
In "Secret Empire" la morte di Natasha è esattamente questa, è brutale, improvvisa e i disegnatori hanno pensato bene di dedicarle un'intera pagina dominata da quel meraviglioso "crack" che come lettrice mi ha distrutto l'anima e mi ha fatto chiudere l'albo in questione per non toccarlo per un paio di giorni... e di norma l'avrei completamente ignorata nei miei scritti, se non fosse per lo spin-off che Mamma Marvel mi ha pubblicato dopo, materiale così bello che per me è stato praticamente impossibile non ricamarci sopra.
Colgo l'occasione per ringraziare chiunque ha seguito la storia fino a qui e l'ha inserita nelle sue liste, chi ha lasciato un commento e chi l'ha semplicemente apprezzata in silenzio... "apprezzata" ora come ora mi sembra una parola un po' fortina, considerati gli ultimi risvolti e tenendo conto che da settimana prossima si passa dal "cervello" ai "polmoni" ^^'
Nella speranza che il plot-twist vi abbia "stravolto la giornata in positivo", vi auguro buona Pasqua e noi ci risentiamo al prossimo aggiornamento!
Con affetto,
_T :*

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Capitolo 8
*** ASFISSIA - Cause ***


TERZA PARTE - POLMONI

 

ASFISSIA: Cause
Difficoltà o incapacità a respirare.





 

Il cervello è in grado di convincersi di qualunque cosa, di eliminare ricordi traumatici, di ripescare dettagli infinitesimali con una nitidezza per i particolari vecchi di anni, di sopprimere pulsioni o rifiutare di assimilare concetti per mero meccanismo di difesa da sé stesso… affondando per paura di spiccare il volo e perdere l'equilibrio, soffocando in sillabe mai pronunciate, sopprimendo sentimenti travolgenti per puro terrore che il cuore sia troppo fragile per sopportare così tanta pressione sanguigna, annegando in cascate che si riversano all'interno degli occhi per non attirare un sentimento appiccicoso come il biasimo… e l'apatia nasconde il ticchettio di una bomba ad orologeria sprovvista di innesco, inesorabile nella sua dedizione alla devastazione emotiva, inevitabile come una mina antiuomo ben nascosta in una strada impossibile da non percorrere. 

Il petto è una cavità vuota, un antro angusto ed appiccicoso dove tra la settima e l'ottava costola si trovano gli scheletri di falene corrose dal tempo, un pozzo buio in fase di allagamento che straripa e smorza il fiato, esplode ad una caviglia slogata su un passo incerto, lasciando una ustione da freddo che incide una impronta nitida sottopelle… ed il cervello memorizza, formando un buco nella trama ingarbugliata della memoria, rimpiazzando con un brivido freddo lungo la schiena una vertigine che nasceva calda dal fondo della pancia. 

L'apatia è terapeutica, nonostante lo stomaco sfarfalli ancora spingendo per raggiungere la botola d'uscita ben celata sul fondo del pozzo, ma James non sa più nuotare… ed annega cercando salvezza. 

 

«So che sei sveglio.» afferma Yelena Belova ai piedi del suo letto, indugiando con le dita sospese sopra il suo corpo prima di decidersi ad afferrargli una caviglia e riscuoterlo, ma James si ostina a tenere gli occhi chiusi fingendosi morto mentre la ragazzina inizia a fargli un resoconto brutale e sbrigativo degli ultimi giorni. «Sono passati cinque giorni… avevi i polmoni in collasso e ti hanno operato, sei rimasto in coma fino a ieri, ma hanno dovuto sedarti di nuovo perché la prima volta che hanno provato a svegliarti sei entrato nel panico. Non so se te lo ricordi, non eri molto lucido.»

Il problema era proprio quello, James se lo ricordava e non avrebbe voluto, era annegato nelle proprie lacrime aspettando che la morfina tornasse velocemente a fare effetto per non provare più nulla… il rumore del suo cuore in fibrillazione gli aveva spaccato in due i timpani, soprattutto se partiva dal presupposto che avrebbe voluto e sarebbe dovuto essere morto

«Ti hanno tolto i drenaggi ieri sera, hai un bel po' di cicatrici nuove...» commenta la ragazzina impertinente con cinismo sconfinato, spostandosi al suo fianco avvertendo il suo peso leggero gravare sul bordo del materasso, tradendosi sbuffando dal naso infastidito. «Lo so, lo so… se fossi morto staresti molto meglio. Ti è andata male, temo.»

James non vorrebbe reagire ma l'indolenza di Yelena gli smuove qualcosa dentro, aprendo gli occhi di colpo trafiggendola con lo sguardo che brucia di una domanda ancora senza risposta… i suoi polmoni erano in pieno collasso, non esisteva che lui fosse riuscito a sopravvivere. Non voleva sopravvivere in un mondo in cui non c'era più Natalia. 

«Ti ha salvato la bambina, non voleva farvi del male, ha rimediato come ha potuto… credo sia in grado di leggere le emozioni delle persone, l'hai sconvolta.» spiega Yelena svicolando con lo sguardo, storcendo appena le labbra al ricordo di quel grido disumano che James aveva inciso nel cervello in modo indelebile, contraendo le dita in un riflesso involontario prima di pronunciare la continuazione della frase. «Hill ha dovuto trascinarla a forza via da qui, l'ha portata da Fury come da accordi… diciamo che non è stato un bello spettacolo.»

James chiude nuovamente gli occhi, chiudendosi nella propria bolla solitaria lambricandosi sulla risposta della ragazzina, grato che Yelena rispettasse il suo silenzio e non infierisse più del dovuto rigirando il coltello nella piaga… non aveva voglia di parlare, non aveva voglia di capire, non aveva voglia di molte cose, ma la piccola siberiana – per qualche strana ragione a lui sconosciuta – si era intestardita a mantenerlo in vita e James non aveva avuto altra scelta se non quella di ritirarsi a spettatore passivo dei rimasugli della propria non-vita, addormentandosi con la morfina in circolo pregando che quello fosse semplicemente un brutto incubo. 

Il giorno seguente James aveva aperto gli occhi ad un orario imprecisato del giorno e si era ritrovato in contemplazione di Clint, appollaiato ai piedi del suo letto con gli occhi venati di rosso, un sorriso triste ed una lavagnetta con un "ehi…" scritto bianco su nero... non voleva nemmeno azzardarsi ad affrontare il perché quei puntini di sospensione gli riducessero in polvere il suo cuore già atrofizzato in quel modo, preferendo concentrarsi sul supporto e non sul messaggio. James si era limitato ad incurvare le sopracciglia in un'espressione interrogativa, osservando l'arciere mentre cancellava le lettere con la manica del maglione, spingendo lo sguardo sulla soglia distinguendo la figura longilinea di Yelena che discuteva con Stark e Sharon mentre Clint gli scriveva giù una risposta. L'agente Carter aveva alzato lo sguardo su di lui e si era stretta tra le spalle, un sorriso triste sulle labbra mentre alzava il mento in un cenno di saluto… James sapeva che il suo sguardo ardeva abbastanza da rendere visibile la richiesta impigliata sulle sue labbra, ottenendo un sospiro sconsolato che tradiva tutta la paura di Steve e la sua stessa reticenza nel affrontarlo, sopprimendo la scintilla d'odio nell'apatia preferendo non darle un nome e riversarla su qualcuno, distraendosi al rumore delle unghie di Clint che picchiettando sul bordo della lavagnetta richiamando la sua attenzione. 

Addio timpano sinistro, sono sordo. Se parlo urlo, non mi sembra il caso.

La conversazione era proseguita nel silenzio più totale, James non gli aveva chiesto dove fosse stato da ridurre lo sguardo ad un acquario, ma si era sentito rispondere che doveva esserci un motivo se lui era ancora vivo, che Natasha non avrebbe mai voluto che lui si lasciasse andare e smettesse di combattere… la gola era ridotta ancora a carta vetrata per poter parlare, ma James aveva urlato contro la soglia dei denti che non c'era più motivo per dare battaglia, che ormai aveva perso la sua unica ragione di vita. 

«Ti porto da lei domani, i medici dicono che riesci a fare più di dieci passi senza svenire.» aveva annunciato Yelena di punto in bianco a cena conclusa, usando un tono meno freddo del solito mentre prelevava il suo vassoio semi-intatto giudicando con lo sguardo la sua perseveranza nel continuare lo sciopero della fame, sbuffando appena quando lui aveva negato con il capo declinando l'offerta. «Non puoi continuare a far finta che non sia successo… rifiutarti di vedere il corpo non cambia il fatto che Natalia sia morta.»

In tutta risposta James gli aveva voltato le spalle fingendo che la ragazzina non avesse proferito parola… facendole raggiungere una soglia massima di sopportazione, udendo il suo singhiozzo represso ed incassando apatico il pugno arrabbiato scagliato contro il suo fianco, sibilando tra i denti mentre Yelena scopriva le proprie carte fornendogli una valida motivazione urlata a quel suo modo di fare apprensivo del tutto anomalo. 

«Sto di merda anch'io, okay?!» strepita Yelena in russo sferrandogli un secondo pugno, incassando ancora mentre la voce della ragazzina si spezzava e virava nel pianto, definitivamente esaurita dalla sua apatia, ricomponendosi mormorando il resto della sfuriata tra i denti. «Sarà egoista da parte mia, ma non voglio perdere anche te in mezzo a tutto questo casino»

«Tu mi odi.» balbetta James d'impulso reagendo allo stimolo, spezzando il voto del silenzio scoprendosi in grado di saper ancora articolare parole di senso compiuto, ascoltando la propria voce distorta e sepolcrale sorprendendosi di sentirla per ragioni diverse da quelle della ragazzina. 

«Non è un motivo valido per lasciarti morire… a chi altro dovrei dare il tormento altrimenti?» chiede Yelena retorica, lasciandosi sfuggire una mezza risata isterica. 

«A chiunque altro.» brontola James, smuovendo il velo dell'apatia quel tanto che bastava per riesumare una briciola di affetto malcelato, mitigando la risposta burbera allungando le dita di metallo stringendole intorno al polso di Yelena, in un blando tentativo di trattenerla e formulare delle scuse al retrogusto di richiesta che mentalmente e verbalmente non era in grado di elaborare. «Morfina.»

«Non posso evitarti gli incubi all'infinito.» aveva replicato la ragazzina con un sorriso triste recependo il messaggio nascosto dietro a quella semplice parola, afferrando la siringa ed iniettando la sostanza nella flebo a discapito della sentenza espressa, tornando a contrattare propositiva con un filo di voce. «Domani?»

«Domani.» concede James in un mugugno, aspettando di veder sfumare il proprio campo visivo in un placido oceano nero, sforzandosi di ignorare gli squali che l'anestetico teneva a bada, rinsaldando la presa intorno al polso di Yelena. «Grazie.»

Forse avrebbe dovuto aspettare a ringraziarla, James aveva cambiato idea quando "domani" era arrivato e si era ritrovato a fissare il corpo di Natalia steso sul tavolo, finendo inevitabilmente per incidersi nel cervello il fotogramma indelebile del cadavere di sua moglie… avvertendo la disperazione pungolargli lo stomaco – insieme ad un'altra diecina di emozioni completamente diverse e totalmente destabilizzanti –, spaventandosi quando un sospiro rauco gli spezza il fiato annacquandogli lo sguardo, tradendo un singhiozzo che gli incrina le costole, stringendo spasmodicamente le dita di sua moglie per un'ultima volta mentre la sua mente urla con tre intonazioni diverse della medesima voce. 

Avevi promesso di non lasciarmi da solo...

James si nega a forza la speranza vana di ricevere in cambio una risposta o di vedere il petto di Natasha sollevarsi assecondando un illusorio alito di vita… venendo a patti con la consapevolezza che la Fine si era verificata davvero e lui ne era sopravvissuto, rifugiandosi nuovamente nell'apatia impostando il pilota automatico per istinto di autoconservazione, trascinando i piedi per inerzia fino alla porta d'uscita dell'obitorio.

«Dovremmo discutere del funerale, lo sai vero?» lo placa Yelena con tono meno tagliente del solito appena mette piede fuori dalla stanza, studiandolo mentre James oscilla sul posto incapace di elaborare la frase appena espressa dalla ragazzina, capitolando sui meccanismi di difesa malfunzionanti quando la piccola siberiana si fa avanti e le permette di stringerlo in un abbraccio. «Posso occuparmene io, se tu sei d’accordo.»

James annuisce come suggeritogli dal pilota automatico, ma non riesce a fare a meno di allungare le braccia e stringerla a sua volta in un gesto di conforto… l’istinto gli dice che è la cosa giusta da fare, avvertendo la ragazzina irrigidirsi leggermente sotto il suo tocco, distanziandolo appena quando decide che come contatto umano per quella giornata era anche troppo.

«Ho alcune cose che devo chiederti e non ho intenzione di ripetermi… così dopo tu puoi evitare di pensarci quando vuoi ed io non sarò costretta a romperti le scatole più del necessario, okay? Mi basta un cenno della testa.» continua Yelena con una freddezza palesemente autoimposta, sentendosi annuire grato di non dover spiccicare parola, ipotizzando già quali fossero le domande a cui la ragazzina necessitava una risposta. «Niente donazione degli organi, ho fatto bene?»

Sì, sono inservibili per via del siero.

«Funerale ortodosso?»

Sì, se tu ci tieni… comunque sì, niente cremazione.

«Dove la facciamo seppellire? Mosca, Arlington…?»

«Brooklyn.» brontola James a mezza voce istigando un cipiglio a metà tra il sorpreso e il confuso sul volto della ragazzina, mentre la voce di Natasha fa breccia nel suo stato di apatia e gli sussurra all’orecchio la risposta, cancellando a forza il fotogramma vivido dei loro piedi in mezzo alla neve fresca quando avevano deviato per il cimitero di ritorno da casa Rogers la notte della Vigilia appena trascorsa. «Tomba di famiglia.»

«Oh… okay, va bene.» aveva commentato Yelena registrando l’informazione deducendo tutti i sottostrati che si nascondevano dietro a quell’ultima affermazione, cercando i suoi occhi per una conferma e dandogli l’impressione di leggerlo come un libro aperto ora che James si era ritrovato sprovvisto di difese, formulando l’unica domanda retorica di cui ormai conosceva già la risposta. «Non hai intenzione di presentarti al funerale, vero?»

«No… è troppo Yelena, ho bisogno di fare le cose a modo mio.» afferma James in un sibilo, incapace di razionalizzare i propri pensieri in lingua madre ascoltando la voce di un estraneo che non riconosce come propria, fissandosi le punte dei piedi mentre la frase più lunga che ha espresso da quando ha ricominciato a parlare gratta fastidiosa contro le pareti della sua gola fatta di carta vetrata, facendo ribollire tutti quei pensieri, sentimenti e sensazioni che pian piano l’anestetico stava facendo riaffiorare nella sua pancia… ed è troppo… troppa rabbia, troppo odio, troppa confusione. «Mi dispiace.»

«Non credo che la solitudine sia la soluzione in questo caso...» si adegua Yelena tradendo un piccolo spasmo sedando l’istinto di tornare a sfiorarlo, mentre James traduce la frase in un appello volto a non abbandonarla per un impulso deleterio, obbligandolo a ripescare un barlume di buon senso per salvarsi in angolo, cedendo definitivamente sollevando lo sguardo rivelando alla ragazzina più di quanto avrebbe voluto ammettere perfino a sè stesso. «… ma devi avere una gran bella confusione in testa.»

James si era limitato ad annuire, risparmiandole le dichiarazioni incollerite e deliranti del "Soldato" che spingeva a vendicarsi, placate dai riguardi insistenti di "Bucky" nell'affermare che si era trattato di un tragico incidente, mentre "James" subiva in silenzio in un angolo covando la vana speranza che i due si zittissero, spaventato ma al contempo grato che la voce del buon senso incarnata da "Natalia" avesse momentaneamente le labbra sigillate dalla morfina che gli offuscava il cervello… era riuscito ad ottenere un po' di pace solamente al cimitero, fermo immobile e con il respiro costretto davanti alla lapide su cui erano state incise anche le lettere del nome di Natalia, depositando un mazzo di rose tinte di nero sul basamento mentre i profili delle tombe si stagliavano contro la luce di un'alba pallida, lasciandosele alle spalle alla volta di Praga. 

Era stato solo davanti alla croce bianca di sua figlia che James si era permesso di chiedersi se ora quella ipotetica lei e Natalia fossero insieme, se esistesse davvero un Paradiso, un Aldilà o un qualcosa del genere… ritrovandosi di colpo in lacrime senza averlo deciso, strappando definitivamente il velo dell’apatia lasciandosi in balia dello tsunami che lo fa crollare in ginocchio. 

È solo l’ennesima brutta giornata. L’ennesima brutta giornata della tua vita da incubo.

«Ragazzo.» la voce di Fury lo pugnala alle spalle con precisione millimetrica, sobbalzando appena nonostante lo stesse aspettando, scoprendosi incapace di articolare un saluto in risposta, limitandosi ad alzare gli occhi arrossati sul Colonnello asciugandosi i segni delle lacrime in fretta e furia. «Da quanto sei qui…

«Abbastanza.» mormora James mentre la consapevolezza che sia ormai notte fonda gli fa notare che si trovava da un'intera giornata, scrollando le spalle issandosi in piedi. 

«Sei ancora convinto che sia la scelta giusta?»

«Non è quella sbagliata, se è questo che mi stai chiedendo.» si obbliga a rispondere a Fury con la voce che trema appena, caricandosi il borsone contenente tutti i suoi averi in spalla ed afferrando il trasportino di Liho con la mano libera, iniziando a far strada a Nick per uscire dal bosco lasciandosi alle spalle un secondo mazzo di rose nere ai piedi della croce in legno di betulla. «Portami alle Mura e facciamola finita.»

«È un palliativo… ne sei consapevole, vero?» aveva provato ad insistere Fury tradendo una punta di umanità malcelata al cospetto della sua astinenza emotiva, ignorandolo fuggendo dal biasimo eludendo lo sguardo. 

«Non mi interessa… portami alle Mura e basta.»

 

***

 

L'isolamento allo SWORD era stata un'idea di Yelena, una clausola integrativa nata dalla concessione di gestire la faccenda "a modo suo", promettendo a James la solitudine che tanto bramava in cambio della garanzia di saperlo sotto l'occhio vigile di Fury. Contro ogni aspettativa avevano urlato parecchio entrambi per riuscire a mettersi d'accordo sulla faccenda, ma alla fine James era riuscito a spuntarla con un unico canale inter-spaziale che riferiva alla sola Yelena e dei sonniferi abbastanza potenti da contrastare il principio di crisi da astinenza da morfina, in cambio aveva giurato di adeguarsi a qualunque lavoro Fury gli avrebbe imposto per tenere impegnate le sue giornate. 

In tre settimane che si trovava in orbita James si era ritrovato ad eseguire le mansioni più strane e disparate, riesumando un barlume di indolenza facendo richiesta per una missione adrenalinica sul campo per sopire gli impulsi deleteri che le sigarette non riuscivano a sedare, vedendosi negare la proposta e rifiutandosi volutamente di interagire con Kobik per ripicca – segregata ad un paio di alloggi dal proprio –, evitandola con ancor più accanimento di quello suggerito dall'istinto. Una piccola parte di James osava ammettere che la bambina non aveva colpe di ciò che era successo, ma la parte preponderante e ridondante di sé sembrava volerlo soffocare in presenza di Kobik, trovando più semplice tenersi a debita distanza nonostante Fury reputasse "terapeutico" provare a conoscerla meglio… sfruttando l'obbligo a proprio favore bloccando sul nascere tutti i tentativi di approccio della bimba, istigandola a lamentarsene con Nick per poter contrattare l'aggiunta di qualche nuova clausola alla sua prigionia forzata. Allo scadere del mese James era riuscito a strappare al Colonnello un nuovo accordo, tollerando la presenza della bambina purché si mantenesse ad almeno un metro di distanza dalla sua persona, ricevendo il permesso di scendere in campo per una missione a settimana, riscoprendo il sottile divertimento nel ricoprire il ruolo dello strozzino intergalattico di Fury – regolamentando il traffico di merci inter-spaziali e mantenendo la "pace" nella galassia –, riesumando pian piano tutti quei sentimenti "positivi" che l'apatia aveva eliminato per settimane intere. 

«Bucky-bukaroo sei tornato!» gli perfora un timpano Kobik, materializzandosi alle sue spalle mentre riponeva il proprio arsenale in armeria di ritorno dalla missione, facendolo trasalire placando lo spasmo alla mano prima di lanciarle dietro il coltello che si era ritrovato in mano appena aveva percepito un sentore di pericolo. 

«Cosa ti ho ripetuto fino allo sfinimento, Kobik?» indaga James con tono burbero voltandosi a fronteggiare la piccola, inchiodandola con lo sguardo mentre quest'ultima lo abbassava a fissarsi la punta delle scarpe imbarazzata. 

«Di chiamarti solo "Bucky"...» 

«E di non materializzarti di colpo alle mie spalle perché prima o poi ti lancio dietro qualcosa.» ripete James accondiscendente quando la bimba non dà cenno di voler terminare la frase, rinfoderando il coltello ed avviandosi lungo il corridoio puntando al proprio alloggio, ignorando forzatamente il fatto che Kobik aveva iniziato a pedinarlo di nuovo. 

«Dopo vieni a giocare con me?» chiede la bimba puntuale come un'orologio svizzero, rinunciando a star dietro al suo passo di marcia librandosi in aria svolazzandogli affianco. 

«Lasciami fare una doccia prima, poi arrivo.» ribatte James come da copione tentando di liquidarla, afferrando la maniglia della porta della propria camera, indicando con il mento la stanza della piccola a qualche metro di distanza in un tacito suggerimento a levarsi di torno. 

«"Poi" vuol dire "mai"?» lo spiazza Kobik con innocenza sconfinata, impalandolo sulla soglia mentre un sentimento che assomiglia alla colpa si agita in fondo al suo stomaco, limitandosi a sbarrare gli occhi di fronte all'espressione corrucciata della bimba. «Ho capito che vuoi evitarmi… l'ho capito anche se le tue emozioni sono confuse e sono difficili da leggere.» 

«Non vado molto d'accordo con le mie emozioni ultimamente…» mormora James d'impulso preso in contropiede, sperimentando una punta di amarezza nel averlo ammesso ad alta voce, studiando l'espressione della piccola che si illumina quando capta il suo nuovo stato d'animo, mentre una domanda gli si forma sulla lingua per istinto necessitandone la risposta immediata. «È per questo che mi dai il tormento? Perché le mie emozioni sono difficili da leggere?» 

«Anche… mi incuriosiscono.» ammette Kobik stringendosi tra le spalle, abbassando lo sguardo borbottando il resto della spiegazione fissandosi la punta delle scarpe. «È colpa mia se le tue emozioni si comportano in modo strano…»

«Non è stata davvero colpa tua Kobik, è stato un incidente…» la rassicura James, ammettendo a voce alta quel pensiero che fino a qualche giorno prima trovava inconcepibile, riuscendo finalmente dopo settimane a dominare ed indirizzare correttamente la scintilla d'odio che scandiva ancora le sue giornate a discapito dei suoi migliori intenti… sforzandosi di suonare sicuro di sé ed indifferente all'argomento per controllare le proprie emozioni e non spaventare la bimba, ma le sue viscere si contraggono, ritrovandosi ad assecondare l'istinto di darsi alla fuga – James ha poco chiaro se il desiderio di correre via fosse legato alla tematica in corso, alla bambina o a ciò che Kobik incarnava –, scrollando le spalle ed aprendosi la porta con discreta nonchalance. «Sono stanco, giochiamo domani.»

«Okay…» mormora Kobik con una inflessione nella voce talmente affranta da causargli del male fisico quando le chiude la porta in faccia prima di cedere all'impulso di ritrattare, respirando a fondo con la fronte premuta contro lo stipite per calmare la valanga emotiva che gli era franata nel petto all’improvviso. 

James non ci pensava spesso – a dire il vero non ci pensava mai –, ma l'ammettere a voce alta che la Fine era stato un incidente lo rendeva in qualche modo reale… realizzando che per la prima volta dopo giorni la propria mente non stava urlando, ma era sintonizzata in una frequenza di calma piatta, scoprendosi lucido ora che la rabbia era scemata… fermando lo spirito deduttivo prima di ferirsi o sentirsi in colpa per essersi negato al mondo per un mese e mezzo, ignorando le implicazioni chiamate in causa da una consapevolezza del genere. 

Un pensiero alla volta, un problema per giorno. 

James si era fatto una doccia calda, decidendo di saltare la cena per evitare di imbattersi in Kobik, lasciandosi cadere di peso sul materasso con aria esausta… adocchiando i sonniferi posati sul comodino pensando di doverli assumere, ma scoprendosi troppo stanco anche solo per allungare un braccio ora che la tensione nervosa era crollata di colpo indolenzendo l'intero corpo. 

Riposo gli occhi solo cinque minuti. 

 

… solo… cinque… minuti… 

 

Non è successo, non può essere successo.

James urla a pieni polmoni ed il dolore riecheggia nel vuoto emotivo che si propaga tra le pareti congelate e spigolose del suo cuore… mentre un secondo grido acuto irrompe con la potenza di una bomba atomica, rilasciando un'onda d'urto azzurrina che spazza via chiunque lo circondi lasciandolo solo, infrange le vetrate dei palazzi, crepa il pavimento lastricato della piazza su cui è inginocchiato… abbassando lo sguardo giusto in tempo per veder dissolvere il corpo di Natalia in fumo e James precipita… precipita… precipita in caduta libera nel più vuoto dei Nulla. 

 

Brooklyn, 1949: la vita che non abbiamo mai vissuto

 

James si sveglia di soprassalto con le spalle che tremano, il fiato mozzo ed il sudore che gli percorre la schiena incollandogli la maglietta del pigiama addosso, guardandosi frenetico intorno cercando un appiglio concreto per appurare che il frammento appena vissuto era solo il recesso di un brutto incubo… ma le pareti che lo circondano sono tinta crema e non bianche, c'è della luce lunare che filtra dalle imposte rovinate e non l'alone evanescente delle stelle che circondano la stazione spaziale, mentre un odore polveroso gli solletica le narici richiamando indietro un ricordo parzialmente rimosso. 

Casa. Casa dei suoi. L'appartamento dai muri in cartongesso a Brooklyn… ma nonostante il luogo sia familiare c'è quel qualcosa di strano che rimane e lo confonde. Ci sono delle fotografie incorniciate posate sui mobili diverse da quelle che ricordava, c'è una culla in legno addossata in un angolo della camera, c'è un vago sentore di vaniglia anch'esso familiare che però non dovrebbe trovarsi in quella stanza… ed il cervello di James va in ebollizione, respirando a fondo tentando di tranquillizzarsi, passandosi la mano sinistra sul volto per cercare sollievo dal mal di testa usando il metallo freddo della protesi, ritrovandosi ad osservare la mancina confuso quando avverte il tocco tiepido della carne sulla fronte mentre le terminazioni nervose delle dita della mano sinistra gli restituiscono la sensazione del tatto che credeva andato perduto decenni prima.

«звезда моя, hai fatto un brutto sogno?» 

La voce di Natalia è sottile ed assonnata, lacerando i timpani di James mentre si volta a fissare un fantasma, osservandola congelato sul posto con una lieve crisi respiratoria in corso mentre la donna si solleva seduta allungando una mano nella sua direzione… e la stretta delle sue braccia intorno al busto è reale, la pressione delle sue labbra alla base del collo pure, il solletico delle ciocche ramate che gli sfiorano la pelle anche e James potrà anche avere una fervida immaginazione, ma non al punto da riuscire a percepire sua moglie a 360 gradi. 

«Torna a dormire… è notte fonda.» sussurra Natalia al suo orecchio portandogli le mani al petto, spingendo all'indietro fino a farlo sdraiare di nuovo, sistemandosi meglio al suo fianco puntando un gomito per sorreggersi la testa e studiarlo dall'alto con sguardo critico. «Di nuovo incubi sulla guerra, mio bel Soldato? È finita ormai da quattro anni, abbiamo vinto.»

«Non capisco…» mormora James confuso mentre Natalia sorride enigmatica, assaggiando le labbra morbide di sua moglie quando si china a baciarlo, perdendosi in quel momento al punto da far quadrare l'intero schema. 

La guerra è finita da quattro anni, abbiamo vinto. 

James accarezza quella fantasia e ci si immerge completamente, richiamando indietro un fotogramma alla volta a forza di baci, come se sulle labbra di sua moglie fosse impressa una storia che lui non ricordava bene e volesse rispolverare… rivede la neve che fioccava lenta seppellendo gli scempi di Kronas, marciando in mezzo alla distesa bianca in direzione dei boschi assecondando il contrordine di Steve ai danni di Phillips, raggiungendo una caserma di bambole assassine stanando Karpov e soci con l'aiuto della figlia ribelle del Generale Petrovich. James era abbastanza certo di essersi innamorato del suo sguardo temerario ancora prima di capire di che pasta era fatta, registrando un sottotono vendicativo che graffiava la cadenza slava del suo inglese mentre Natalia affermava che l'imboscata sulle Alpi era una brutta idea, disegnando loro una mappa e condividendo informazioni sensibili che ribaltano completamente le sorti della guerra. 

James ricordava che il giorno della liberazione di Parigi era stato colto da una frenesia tale da sollevare Natalia da terra e baciarla con trasporto fino a consumarle l'ossigeno nei polmoni, venendo sorprendentemente ricambiato con una teatralità tale da mandare la folla in visibilio… e quella era stata anche la prima notte di tante in cui avevano fatto l'amore, mitigando la paura viscerale di non arrivare vivi al giorno dopo nonostante le cose stessero andando nella giusta direzione, scoprendosi comunque spaventato al punto da lasciarsi sfuggire dalle labbra una promessa d'amore eterno. James portava incisa nella memoria l'istantanea del sorriso di Natalia quando al matrimonio del fratello si era stretta a lui nel bel mezzo di un lento ed aveva fugato tutti i suoi dubbi sollevandosi sulle punte per sussurrargli all'orecchio un "sposami" inequivocabile, affermando che per lei le malelingue della gente non avevano importanza – in merito alle sue origini russe, al fatto che ci fosse un intero decennio a separarli, alla convinzione generalizzata che lui avrebbe potuto trovare di meglio ed alle voci poco lusinghiere che reputavano scandalosa la loro convivenza a discapito della fede mancante al suo anulare – e che poteva essere davvero felice solamente se sarebbero rimasti insieme per il resto della loro vita, quindi tanto valeva renderlo ufficiale. 

James si rende conto di colpo che l'unico trauma che si portava dietro in quella idilliaca versione dei fatti era quello di essere sopravvissuto alla guerra illeso e di aver sposato in anticipo l'amore della sua vita al di qua del Muro… ed era troppo bello per essere vero, disintegrando quella fantasia in mille pezzi quando percepisce sotto i polpastrelli la mancanza delle cicatrici familiari che avrebbero dovuto deturpare il corpo di Natalia, lasciando che il cuore ceda alla fibrillazione frantumandogli i timpani, realizzando di trovarsi nel bel mezzo di un sogno lucido. 

Un sogno troppo lucido per non essere reale… 

«Fermati… 'Tasha fermati.» mormora James staccando le labbra da quelle di sua moglie, obbligandola a dargli ascolto mentre la donna si dipinge un'espressione confusa sul volto. «Questo non è reale… è sbagliato, tu non dovresti essere qui.»

«Se è sbagliato dovevi pensarci bene prima di sposarmi e mettermi incinta.» scherza la donna divincolandosi dalla sua presa, interpretando la sua interruzione come un gioco sorridendo maliziosa, sussurrando al suo orecchio accattivante facendogli accapponare la pelle ed affluire il sangue in zone del suo corpo che non combaciano con il cervello. «Se non sono qui, dove altro dovrei essere?» 

«In Russia… siamo in anticipo sui tempi di una decina d'anni.» si sforza di articolare James con tono convinto, fallendo miseramente nell'impresa quando vede Natalia sorridere mentre scrolla la testa… distraendosi quando intravede un alone azzurrino muoversi ai bordi del suo campo visivo, scovando l'artefice dietro a tutto del delirio, sbraitando a pieni polmoni assecondando la rabbia montante che gli sta dilaniando il petto. «Kobik!» 

«Non urlare, звезда моя…» lo rimprovera la donna tappandogli la bocca con una mano, sbuffando affranta quando dalla culla si leva il pianto di un neonato, facendo mancare il terreno sotto i piedi di James inceppandogli il cervello. «Fantastico, si è svegliata… grazie amore.»

James si era scoperto completamente incapace di reagire di fronte alla figura di sua moglie che si alzava dal materasso e si infilava la vestaglia abbandonata ai piedi del letto, chinandosi sulla culla per raccogliere una bambina di qualche mese dai capelli castano scuro e due fanali luccicanti color smeraldo. 

«Shh, va tutto bene Ana… papà ha solo fatto un brutto incubo, va tutto bene.» sussurra Natalia stringendo loro figlia tra le braccia, cullandola accarezzandole le ciocche scure, mentre la piccola si tranquillizza di colpo quando posa lo sguardo color smeraldo su di lui ed allunga le manine nella sua direzione, sporgendosi oltre la spalla di Natalia diffidando delle parole della madre. «Ho capito, ho capito… questa volta vuole te amore, la prendi tu in braccio?» 

«Kobik!» urla James di nuovo con disperazione montante insieme all'aumentare del suo mal di testa, intraprendendo una battaglia dilaniante tra ciò che i suoi occhi vedono e ciò che la sua mente cerca di razionalizzare, avendo la netta sensazione che i muri in cartongesso si crepino ad ogni suo respiro rantolante, mentre le fughe tra le assi del pavimento si illuminano di azzurro e la bambina dai capelli bianchi e gli occhi color zaffiro si materializza al centro della stanza, bloccando il collasso della camera da letto in cui si trovavano e fermando l'orologio sopra la cassettiera che ticchettava in sottofondo. «Cos’è questo posto?!» 

«Una piega dell'universo… una in cui le cose sono andate per il verso giusto fin da subito.» spiega la piccola con la voce venata dalla paura, spaventata dal suo sguardo furioso e confusa dal disastro emotivo che gli invade il petto e stava incautamente riversando su di lei. 

«Fammi uscire da qui! Subito!» sbraita James imponendosi di non soffermarsi sull'immagine di Natalia con loro figlia stretta tra le braccia prima di incidersela a fuoco nel cervello, negandosi di accettare l'idea che in una delle tante pieghe dell'universo quella era effettivamente la sua vita. 

«Ho percepito l'incubo, volevo solo farti fare un bel sogno…» mormora Kobik con lo sguardo annacquato dalle lacrime, indicandogli la porta fornendogli una via di fuga. «Volevo aiutarti…»

«Non lo voglio il tuo aiuto!» urla James furioso, scattando in piedi e raggiungendo la porta di corsa. «Esci dalla mia testa, Kobik!» 

«Okay…»

James si pente di aver urlato nell'esatto istante in cui la voce della piccola raggiunge le sue orecchie, sobbalzando quando la porta sbatte alle sue spalle voltandosi ad accertarsi della scomparsa, guardandosi intorno confuso riconoscendo l'alba pallida che illuminava le tombe del cimitero di Brooklyn il giorno del funerale di Natasha. 

«Siamo ancora dentro la tua testa, ma questa è tutta farina del tuo sacco, звезда моя.» lo richiama il fantasma di sua moglie ai piedi della tomba, anticipando una spiegazione con le mani affondate nelle tasche del cappotto mentre indica con il mento il mazzo di rose nere solitario abbandonato sul basamento. «Devo ammettere che le rose sono state un vero tocco di classe.»

«Perchè sei qui?» sussurra James affiancandola, trattenendosi dal sfiorarla per non vederla di nuovo dissolversi in fumo sotto le sue dita. 

«Non lo so, la testa è la tua… mi hai trascinato tu qui.» afferma Natasha stringendosi tra le spalle, adeguandosi alla sua stessa tonalità di voce, sollevando lo sguardo su di lui sorridendogli appena. «Penso sia perché per colpa dei sonniferi noi non parliamo da un bel po'...»

«Non che ci sia molto da dire, любовь моя…» brontola James con aria affranta, distogliendo lo sguardo focalizzandosi sulle lettere incise sul marmo, facendo uno sforzo visualizzando mentalmente il proprio nome al punto da farlo apparire sulla lapide, suscitando uno sguardo curioso da parte della moglie. «Volevo accertarmi che fosse davvero “farina del mio sacco“, come hai detto tu… dovevo esserci anch'io là sotto con te, c'ero quasi riuscito.»

«Non credi ci sia un motivo se non lo sei?» indaga Natasha prendendolo in contropiede instillandogli un dubbio fastidioso, spingendolo a voltarsi nella sua direzione. 

«Perché continuate tutti a ripeterlo…» 

«Kobik ti ha salvato per un motivo.» insiste sua moglie con aria autoritaria ignorando il suo commento, sfilando una mano dal cappotto intrecciandola alle sue dita di metallo, riuscendo a vederla ma non a percepirla

«Quale? Qual è questo motivo 'Tasha?» chiede James esasperato, scuotendo il capo di riflesso prima di precipitare nello sguardo di Natasha. 

«Io non sono un oracolo, James… scoprilo, no?» replica sua moglie indispettita rivolgendogli un sorriso complice, divertita dal fatto che fossero riusciti a trovare il pretesto per bisticciare anche nei suoi deliri onirici, sporgendosi nella sua direzione posandogli la seconda mano all'altezza delle viscere, avvertendo un formicolio che ricordava una carezza fantasma. «Sai che ho ragione звезда моя, riesci a sentirlo anche tu dal fondo della pancia.» 

«Il mondo è un posto spaventoso senza di te, любовь моя …» ammette James lasciandosi sopraffare dal momento di debolezza, chiudendo gli occhi entrando in collisione contro la fronte di Natasha. «Avevi promesso di non lasciarmi solo.»

«Non sei mai solo.» ribatte la donna convinta risalendo le sue spalle ed afferrandogli le guance, sollevandosi sulle punte per raggiungere le sue labbra. «Adesso siamo insieme… no?» 

 

James spalanca gli occhi ritrovandosi a fissare il soffitto del proprio alloggio, riuscendo a percepire ancora l'impronta di dieci piccoli polpastrelli incandescenti impressi sulla pelle… alzandosi seduto puntando lo sguardo truce sulla bimba appollaiata ai piedi del suo letto. 

«Bucky-buckaroo…» tenta di addolcirlo Kobik, il respiro accelerato e gli occhi pieni di lacrime trattenute a stento. 

«Vattene Kobik.» la placa con tono monocorde, tradendo la volontà di vederla scomparire. 

«Volevo solo aiutarti…» afferma la piccola spezzando la voce a metà frase, liberando un singhiozzo che crea un crepaccio nel petto di James, inspirando bruscamente per impedirsi di cedere e liquidare l'episodio in un nulla di fatto, imponendosi tuttavia di mitigare la rabbia. 

«Vattene Kobik.» ripete James intransigente, facendo riecheggiare quelle due semplici parole nel crepaccio vuoto che gli spacca in due il petto. 

«Okay…» mormora Kobik con una inflessione nella voce talmente affranta da fargli del male fisico, dissolvendosi in una scintilla azzurra elettrostatica che per una frazione di secondo riempie il crepaccio, sventrandolo il secondo subito dopo rendendo il mondo ancor più spaventoso di quello che è in realtà. 

Andrà tutto bene, звезда моя.

«No, non è vero 'Tasha.» mormora James a voce alta, coprendosi il volto con le mani, chiedendosi se dovrebbe preoccuparsi per aver ricominciato a sentire le voci. «Non c’è niente che va bene, любовь моя

 

***

 

Alexei avrebbe dovuto capire che c'era qualcosa di strano già dal modo in cui Alexander ed Elisa si erano salutati prima che lei e Steve partissero per il comizio… avrebbe dovuto capirlo perché i due non si lasciavano mai andare ad effusioni pubbliche, quando invece li aveva beccati in flagrante mentre erano intenzionati a darsi quello che aveva tutta l'aria di essere un bacio di addio, origliando le rassicurazioni di Madame Hydra mentre istruiva l'uomo affermando che tutto sarebbe andato per il meglio, di attenersi al piano e di far filare tutto liscio in sua assenza. 

Alexei aveva aspettato che la donna lasciasse il Palazzo con il Capitano Rogers prima di iniziare a pedinare Candy, seguendolo fino all'ala dove tenevano rinchiuso Epsilon Red, scomparendo oltre la porta in vetro smerigliato del laboratorio offrendogli l'occasione perfetta per agire, surclassando il problema dirigendosi a passo di marcia verso la cameretta di Kobik, appurando che a causa di quella "leggera" deviazione ora era in ritardo sulla tabella di marcia. 

«Guardiano Rosso.» lo placa una sentinella alla porta della piccola, appurando di aver mancato il cambio della guardia per un soffio. «Cosa ci fai qui? Motivo della visita?» 

Alexei aveva provato a cercare una scusa su due piedi, aveva anche tentato di contare fino a dieci per ponderare la frustrazione per vedere il piano andate a rotoli, ritenendo che un gancio destro alla mandibola della guardia fosse una risposta sufficientemente adeguata alla domanda. 

«Kobik!» urla spalancando la porta, ritrovandosi al cospetto della bimba ed inginocchiandosi ai suoi piedi, avvertendo il scalpiccio degli stivali di un'intera scorta che lo stava raggiungendo per imprigionarlo per tradimento ed insubordinazione. «Portaci alla Torre Nord, fa in fretta piccola

L'aria che lo circonda diventa elettrostatica, mentre le mani di Kobik si posano sulle sue spalle e visualizza il luogo da lui richiesto, facendogli mancare il terreno sotto i piedi e rivoltandogli lo stomaco quando tocca nuovamente il suolo della cella di Sharon Carter, ingoiando a forza il vomito che gli risale l'esofago. 

«Sei in ritardo.» commenta la donna lapidaria con tono critico, ricordandogli in modo fastidioso il modo di fare del Capitano Rogers, limitandosi a fulminarla con un colorito verdognolo in faccia, rimettendosi in piedi giusto in tempo per sentirsi strappare nuovamente il terreno da sotto i piedi mentre Kobik teletrasporta tutti e tre ai cancelli di uscita, piegandosi in due in sincrono con Sharon mentre rigettano la colazione in corridoio. «Ammetto che questa non è stata una delle mie idee migliori.»

«Tu dici?» la schernisce il Guardiano Rosso pulendosi la bocca con il dorso della mano, puntellandosi al muro del corridoio per rimettersi in piedi ed arrancare fino ai comandi di apertura delle porte, facendo cenno alla donna di prendere in braccio la bambina e correre, sfilandole il cellulare dalla tasca per continuare a collaborare a distanza. «Qualunque cosa succederà… è solamente l'inizio. State pronti.»

Sharon Carter si limita ad annuire sulla soglia prima di lanciarsi in corsa verso l'esterno, aspettando di vederle dissolversi in una scintilla azzurra prima di dare il via alla missione di ricerca, consapevole di non avere molto tempo a disposizione ora che è partito l'allarme in tutta la struttura e ci siano intere squadre armate pronte ad attaccarlo, sfruttando le scorciatoie per depistarle e raggiungere il laboratorio nel minor tempo possibile. 

Alexei fa attenzione a non fare rumore quando varca la soglia, ma è lampante che sia già troppo tardi, arrestandosi pietrificato davanti all'ultima creazione di Epsilon… pensava che la versione adulta di Anya fosse raccapricciante, ma questo… 

… questo è abominevole. 

«È grandioso, non trovi?» la voce di Alexander lo sorprende alle spalle insieme al rumore a dir poco inconfondibile di un grilletto armato, tradendo una freddezza disumana nella voce, rendendo chiari i suoi intenti con brutale evidenza, non riuscendo tuttavia a levare gli occhi dal tavolo operatorio. «Pensavi di essere davvero così furbo, Shostakov? Non hai imparato niente in tutti questi anni?» 

«Hai sacrificato Elisa… l'hai mandata a morire.» mormora Alexei spaesato, rendendosi conto delle condizioni in cui versava sfilando il cellulare dalla tasca con un movimento fulmineo, scattando di lato fermando il proiettile con la scheda madre del cellulare privando Candy di una possibile arma da usare contro gli Avengers, mentre Anya emerge dalle ombre silenziosa ad un cenno dell'uomo e gli crivella la schiena, con una repentinità tale da fargli comprendere la dinamica solamente una volta che si ritrova sdraiato a terra con la schiena ridotta ad uno scolapasta. 

«L'amore è sopravvalutato di questi tempi.» afferma l'uomo sorridente inginocchiandosi al suo fianco, sollevandogli la testa tirandolo per i capelli con aria soddisfatta. «I deboli di cuore hanno vita breve tra queste mura, abbiamo trovato il modo perfetto per correggere questa malattia cronica

«Non funzionerà…» mormora Alexei mentre il sangue gli si addensa in gola, aggrappandosi all'unica legge inconfutabile che era rimasta vera per decenni… vedendo le proprie speranze crollare di colpo quando realizza che, stando ai nuovi risvolti dei piani predisposti dai Capi, non rimarrà più nessuno con la forza o la volontà per combattere ancora dopo quel giorno. 

«Tu dici?» lo deride Alexander un ultima volta, facendogli sbattere la testa contro il pavimento con una forza tale da disorientarlo, alzandosi in piedi puntando lo sguardo su Anya. «Occupati delle sue ferite, sedalo, rinchiudilo e getta via la chiave… il Guardiano Rosso ci ha già dato abbastanza problemi, facciamolo pentire della sua scelta sconsiderata.» 

«Agli ordini, Capo.»

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Capitolo 9
*** ASFISSIA - Sintomi ***


TERZA PARTE - POLMONI

 

ASFISSIA: Sintomi
Inspirazioni forzate, “fame d'aria”, agitazione, cianosi al volto, sudorazione e convulsioni. 





 

«Bucky-bukaroo?» 

La voce di Kobik è un sussurro appena udibile che scivola sotto la porta e si piazza sull'orecchio di James come un tarlo fastidioso, spezzando il suo sonno leggero facendogli spalancare gli occhi allarmato, strappandolo da un limbo vuoto che nell'ultima settimana si era gradualmente sostituito alla calma piatta data dai sonniferi – disturbandolo con frammenti caotici e chiacchierate fantasma che James non riusciva a cacciare nonostante la sua buona volontà. 

«Bucky… sei sveglio?» la voce della bimba torna alla carica mentre James si sorprende che non abbia già fatto irruzione in camera, facendo attenzione a non calciare Liho da un capo all'altro della stanza mentre scende dal materasso e si appende alla maniglia della porta. 

«Che vuoi?» afferma James scorbutico quando le apre la porta, ritrovandosi a fissare due zaffiri annacquati che lo supplicano dal basso di non sbatterle la porta in faccia, mentre Kobik solleva tra di loro un orsetto di peluche malconcio strappandogli controvoglia un timido sorriso. «È un'offerta di pace?» 

«Baloo ha fatto un incubo, non vuole dormire da solo…» spiega la bimba abbassando le braccia, continuando a fissarlo speranzosa. 

«Credo sia un problema di Baloo, non mio.» ribatte James schivo indicando distrattamente l'orso di peluche, mentre la piccola punta i piedi e gonfia le guance indispettita, stringendosi il pupazzo al petto. 

«Sei proprio un… un cane rabbioso!» sbotta Kobik con tono arrabbiato convinta di aver partorito l'insulto del secolo, mentre James soffoca una risata per buona educazione e si abbassa sui talloni con fare accondiscendente. 

«E tu sei la mia pulce rompiscatole.» ribatte perfido sgonfiandola come un palloncino, allungando una mano per fermarla quando Kobik da segno di voler rinunciare alla trattativa, riesumando una punta affetto malcelato andando contro alla sua tendenza rancorosa dell'ultima settimana che sotto sotto non le aveva ancora perdonato la sua ultima bravata notturna, abbassando lo sguardo sul peluche tradendo un microscopico sorriso rassicurante. «Cosa ha sognato Baloo di così spaventoso da chiederti di trascinarlo fino alla mia porta?» 

«Lei… e un sacco di vernice rossa.» mormora Kobik azzardandosi ad allungare una mano per tirare la catenina che spariva sotto l'orlo della maglietta di James, rivelando la fede dorata con inciso all'interno il nome di Natalia, ritraendosi di scatto come se si fosse appena procurato un ustione di terzo grado, affrettandosi a nascondere di nuovo l'anello sotto la stoffa. «Scusa… ma dovevo dirlo a qualcuno e sapevo che mi aprivi la porta.»

«Non è stata fortuna?» chiede James diffidente reggendosi allo stipite della porta, mentre Kobik abbassa lo sguardo sulla punta delle scarpe e risponde con tono vagamente imbarazzato. 

«No, l'ho sognato… tra le altre cose.» ammette la piccola tornando a sollevare lo sguardo su di lui, schiarendosi la voce quando James non da cenno di voler reagire, il cervello fermo in cortocircuito all'immagine di Natalia ricoperta di sangue ed il petto vuoto dove risuona il suo battito mancato, specchiandosi negli occhi di Kobik che lo pregano per una briciola di quel contatto umano che le ha scioccamente negato per una settimana intera, indietreggiando di un passo quando deduce dalla sua reazione che "Baloo" deve sbrigarsela da sola per scacciare via gli incubi. «Non dovevo… scusa.»

«No, dove vai…?» la ferma James prima di mordersi la lingua, scrollando la testa pentendosi già della sua scelta, allargando le braccia pronto ad afferrarla al volo. «Salta su.»

«Davvero?» chiede Kobik per una conferma, prendendo la rincorsa per saltargli tra le braccia quando James fa un cenno affermativo con la testa, stringendosi saldamente al suo busto quando lui si sporge a chiudere la porta e raggiunge la sponda del letto con tre ampie falcate, depositandola sulle coperte spingendola verso il centro del letto per farsi spazio a sua volta. «Mi racconti una storia?» 

«No.» afferma James categorico, ancora incastrato a capire come gestire i nuovi spazi dopo settimane di solitudine tra le lenzuola, ritrovandosi sdraiato su un fianco con le ginocchia rannicchiate per non beccarsi un'unghiata da Liho, il braccio destro che puntava alla cancrena venendo usato come cuscino umano dalla piccola ed i piedi gelidi di quest'ultima che si intrufolavano in mezzo alle sue gambe per scaldarsi, ragionando che la cosa meno fastidiosa di quella posizione decisamente scomoda era il calore localizzato contro la sua pancia causato dal pelo sintetico dell'orsetto di peluche. 

«Una ninna-nanna?» contratta Kobik assonnata sopprimendo uno sbadiglio, stringendosi meglio Baloo al petto e strusciando una guancia contro il suo braccio. 

«Vada per la ninna-nanna.» sbuffa James schiarendosi la voce, avvertendo la curva del sorriso della piccola contro il bicipite, ripescando dai meandri della memoria la melodia che Natasha era solita canticchiargli per tranquillizzarlo quando era lui quello reduce dagli incubi, allungando la protesi per portarsi Kobik più vicina ingabbiandola tra le braccia, iniziando a farle i grattini sulla nuca per indurla al sonno. «È solo per stavolta, non farci l'abitudine.»

Alla fine quello che l'aveva eletta a routine era stato proprio James, un po' perché il letto sembrava meno vuoto rispetto al solito ed un po' perché pian piano si stava affezionando a Kobik, due cose che sicuramente avrebbe ammesso più volentieri rispetto alla vera ragione che stava dietro a quella nuova abitudine, ovvero che da quella notte in poi James era riuscito a dormire per cinque ore filate e si era svegliato riposato il mattino dopo. 

Era stato un processo graduale, a sorpresa aveva iniziato Kobik prendendo l'abitudine di fargli recapitare una pila di pancake fumante ed un thermos di caffè sopra la scrivania ogni mattino, promettendo di non entrare mai più nella testa di James senza permesso a patto che lui lottasse contro i suoi incubi – fisici o figurati che fossero –, ricambiando il favore andando a rimboccarle le coperte ogni sera prima di andare a dormire e facendole spazio nel letto quando Kobik si materializzava nella sua stanza reduce da un brutto sogno e si arrampicava sul materasso rifugiandosi nel suo abbraccio. 

Dopo un paio di settimane di quella nuova routine James aveva rinunciato nell'impresa di cercare delle risposte alle sue domande o tentare di comprendere le azioni di Kobik razionalmente, lasciando libero sfogo alle proprie emozioni represse imparando a distinguerle nuovamente grazie all'aiuto della piccola, scoprendosi più permissivo di quanto pensava quando quest'ultima aveva iniziato ad invadere i suoi spazi personali di proposito… e pian piano, senza che James lo decidesse o se ne rendesse realmente conto, le "brutte giornate" si erano trasformate in altro

«Io non le pesco dodici carte.» afferma Kobik risoluta indicando l'ultimo +4 scartato da James in cima al mazzo, mostrandogli il retro dell'ultima carta che aveva in mano. «Sto per vincere la partita.»

«Sono le regole, Pulce.» ribatte James serafico, sdraiato sul tappeto al suo fianco spiandola da sopra il bordo delle carte. «Hai voluto giocare a Uno, no?» 

«Si, ma tu potresti lasciarmi vincere almeno una volta.» brontola la piccola iniziando a pescare dal mazzo coperto il quantitativo richiesto, sbuffando di fronte alle sue tredici carte rispetto al paio che James teneva ancora in mano, scoccandogli uno sguardo accusatore venato da profondo scetticismo. «Secondo me stai barando… stai inventando le regole.»

«Non è vero, è che tu non sai perdere Kobik.» la liquida James scartando un "salta turno" proclamando "uno", vincendo la partita con un sorriso da schiaffi dipinto sulle labbra facendo spallucce. «Non è colpa mia se sono bravo a giocare a carte.»

Kobik si limita a fulminarlo, ondeggiando sul posto per una frazione di secondo prima di lanciarsi in direzione della scatola contenente il regolamento, imitandola d'impulso per non farsi smascherare – ignorando la lieve fitta che avverte quando accidentalmente tira i bendaggi sul fianco –, surclassando il problema entrambi incuranti del fatto che in quel preciso momento Liho si stesse divertendo a mordicchiare il cartone stampato, il quale vedendosi sotto attacco aveva snudato gli artigli prendendo tutte e due ad unghiate prima di rifugiarsi sotto il letto portandosi dietro scatola e regolamento.

«E poi sono io quella che non sa perdere…» brontola la bambina risentita rigirandosi a pancia in su continuando a restare sdraiata sul tappeto, iniziando a mulinare gambe e braccia in preda al riso quando James aveva risposto all'accusa proclamando la guerra del solletico, sibilando dolorante quando l'uomo le sfiora per sbaglio il taglio procuratole dal gatto. «Ahia, brucia…!»

«Scusa…!» esclama James arrestandosi di colpo, alzandosi dal pavimento dopo aver controllato il segno puntinato di rosso che attraversava la mano di Kobik. «Vieni, disinfettiamo e mettiamo un cerotto.»

«No, non è nulla.» ribatte tranquillamente la bambina, passandosi il pollice sulla ferita illuminandola di azzurro prima di farla scomparire come se non ci fosse mai stata, porgendo una mano in direzione di James con un sorriso gentile sulle labbra. «Guarisco anche il tuo?» 

«Si è già rimarginato, guarigione accelerata.» la rassicura James perplesso dai suoi poteri apparentemente illimitati, mostrandole il graffio biancastro già parzialmente riassorbito nella pelle, tornando a sedersi sul tappeto dissimulando una seconda fitta che gli percorre il fianco con scarsi risultati, rassegnandosi a sollevare l'orlo della maglietta scoprendo la garza macchiata di sangue. «Merda.»

«Non dire le parolacce, se non posso io non puoi nemmeno tu.» lo rimbecca la bambina con tono risoluto, accartocciando una qualsiasi battuta sagace in risposta preso in contropiede dalla correzione, mentre Kobik non aveva perso tempo gattonando fino al suo fianco sollevando l'orlo della maglietta con uno sguardo palesemente allarmato. «Perché non mi hai detto che ti eri fatto male?» 

«Questo? È solo un graffio.» cerca di liquidarla James con tono rassicurante, riducendo lo scontro armato potenzialmente letale del giorno prima – quando si era beccato una pallottola per aver accidentalmente urtato la sensibilità del Kree con cui Fury l'aveva spedito a trattare in via "diplomatica" – ad una scaramuccia di poco conto. «Non è niente, ma credo di essermi strappato i punti mentre giocavamo.»

«Potevi dirmelo, non mi spaventano le cicatrici.» lo contraddice Kobik risentita mentre James si morde la lingua per non smentirla, tenendo per sé le confessioni di Yelena sul come aveva reagito la piccola nel vederlo rinchiuso in terapia intensiva, scostandole una ciocca candida dal volto con la mano destra obbligandola a sollevare lo sguardo nella sua direzione, venendo zittito prima di avere la possibilità di mentirle. «Posso guarirti, se vuoi.»

«Come?» la richiesta gli scivola sulle labbra prima che la lingua possa fermarla, mentre osserva la bambina imporre le mani sopra la garza sporca, avvertendo un formicolio piacevole solleticargli la pelle prima di percepire l'assenza di un qualsiasi acciacco, correndo con le dita a sfasciare i bendaggi per appurare con i propri occhi la mancanza della sutura, sfiorando la pelle liscia completamente guarita. «È così che hai fatto a Madripoor? Per impedirmi di soffocare?»

«Più o meno… non so come ci riesco.» si stringe tra le spalle Kobik, svicolando con lo sguardo cadendo sulla miriade di cicatrici che costellavano il corpo di James, avvertendo il tocco dei polpastrelli curiosi della bambina che iniziano a percorrere i bordi ruvidi e frastagliati dei marchi prima di poter abbassare la stoffa celando il tutto. «Posso eliminare anche queste, sai? Riscrivere il corpo non è troppo diverso dal riscrivere la mente.»

«No.» afferma James precipitoso e categorico abbassando con forza il tessuto, dissimulando lo sguardo allarmato sfuggendo al tocco di Kobik, portandole la mano sotto il mento sollevandole la testa quando il suo sguardo si incupisce, tentando di rimediare al proprio tono scorbutico incurvando le labbra in un sorriso e sciogliendo la lingua in una spiegazione dovuta. «Mi piacciono le mie cicatrici, quelle restano.»

«Perché ti piacciono?» mormora Kobik confusa, mentre James sbuffa e solleva reticente l'orlo della maglietta, obbligandosi a spiegare perché cancellarle fosse sbagliato. 

«Sono sempre stato spericolato… alcune me le sono fatto da piccolo, altre in guerra, un paio sono pure colpa di Steve.» ridacchia James con un sorriso divertito sul volto quando richiama alla mente i ricordi legati ad ogni sfregio, scivolando sui bordi frastagliati delle cicatrici sotto lo sguardo rapito di Kobik, smorzando appena il ghigno sulle labbra ruotando su un fianco, sollevando la maglietta sul retro permettendole di vedere una porzione di schiena segnata dai resti di una costellazione in piombo ormai vecchia di decenni. «Tante altre me le sono cercate innamorandomi della persona giusta al momento sbagliato. Mi aiutano a ricordare quando la memoria vacilla… mi definiscono, insieme ai fantasmi.»

«Ma i fantasmi fanno paura…» ribatte Kobik con una verità ai suoi occhi indiscussa, vacillando di fronte alla sua affermazione che andava contro a tutto ciò che le avevano insegnato da quando aveva messo piede sulla Terra. 

«Fa più paura non ricordarne di averne… fanno parte di me, capisci?» insiste James lasciando cadere l'orlo della maglietta, afferrando le guance della piccola con entrambe le mani. 

«Credo di sì.» ribatte la bambina spingendosi in avanti, posando le mani all'altezza delle costole riparate, andando a collidere con la fronte contro la sua. «In un certo senso… anch'io faccio parte di te, ora?» 

«In un certo senso, sì…» concede James sorpreso dalle parole scelte da Kobik, spalancando gli occhi ritrovandosi a specchiarsi in due zaffiri caleidoscopici, balbettando una domanda che aveva aspettato una risposta per troppi giorni. «Perché hai deciso di salvarmi, Pulce?» 

«Volevo rimediare...» ammette Kobik con una tacca di colpa che le colora la voce, abbassando lo sguardo borbottando il resto della frase come se si vergognasse ad esprimerla ad alta voce. «… mi hanno detto che tu sei il Soldatino che ci salverà tutti dal Pupazzo a Molla, ho bisogno di te per riscrivere il finale della storia.»

«Quale storia?» chiede James confuso da una risposta così criptica, cercando velocemente di aggirare i nomi in codice per capirci qualcosa. «Chi è il Pupazzo a Molla?» 

«Un mostro che cambia faccia ogni volta…» sussurra Kobik dimenandosi dalla sua presa gettandogli le braccia al collo, contrastando la momentanea paralisi di James quando l'ombra dei tentacoli dell'HYDRA si profila alle sue spalle. «Hai promesso di combattere tutti i miei mostri, lo farai, non è vero?» 

«Certo… te l'ho promesso.» afferma ricambiando la stretta dell'abbraccio, voltando la testa per posare un bacio sulla tempia di Kobik in un gesto volto a rassicurarla. «Io mantengo sempre le mie promesse. Sempre.»

 

***

 

Più il tempo passava e più Yelena desiderava armare il grilletto e sparare a qualcosa… scoprendo a proprie spese di essere insofferente alla noia in un modo che la innervosiva, ritrovandosi a tamburellare con il piede sul pavimento lastricato del porticato aspettando impaziente che l'auto di Sharon entri nel parcheggio del Complesso, in attesa di conoscere il verdetto formulato dal Segretario Ross sul poter scendere in campo o meno con la supervisione del suo nuovo garante dopo sette settimane di completa immobilità. 

In quei mesi di permanenza al Complesso Yelena si era abituata alla vita caotica dei suoi residenti, alla confusione perenne tra quelle quattro mura, agli schiamazzi a qualsiasi ora del giorno e della notte ed ora che i suoi abitanti si erano dileguati si era ritrovata sola in mezzo a corridoi troppo vuoti e dai soffitti troppo alti. Prima c'era sempre una missione con Natasha, una discussione con cui stuzzicare Bucky, un via vai continuo di ragazzini che correvano dietro a Steve o discutevano in laboratorio con Tony… mentre ora, dopo l'incidente a Madripoor, il Complesso sembrava essersi spento, come se l'HYDRA avesse conficcato una lama seghettata nel cuore pulsante degli Avenger e fosse scesa fino allo stomaco, privando di battito, lucidità e respiro il corpo unito e armonioso che rappresentavano, riducendoli ad una carcassa che arrancava per mera forza di inerzia, elemosinando indizi da piste ormai fredde dato che lei non aveva il permesso di lavorarci senza la supervisione di una persona legittimata dai piani alti dello SHIELD… ora che Natasha si trovava tre metri sotto terra e James l'aveva abbandonata fuggendo in orbita per cercare un nuovo equilibrio nell'assenza di gravità, Yelena era nuovamente sola e con le mani legate, fronteggiando il posto vuoto di Steve a capotavola, tenendosi a debita distanza dal laboratorio di Stark e dalla mandria di ragazzini che assediava la palestra ostinandosi a dare una parvenza di normalità, chiedendosi se la terra bruciata che si era costruita intorno fosse volontaria o se fosse garantita dagli altri residenti che la evitavano per automatismo inconscio. 

Dopo il funerale della sorella ognuno aveva tentato di negare l'evidenza a modo proprio, ma i cambiamenti erano stati lampanti dallo zelo di Sharon Carter nel insabbiare l'accaduto con la benedizione di Hill, dalla rinnovata insonnia del Capitano Rogers, dal lento abbandono della palestra da parte degli abitanti e dalla meno affluenza di ragazzini che raggiungevano il Complesso dopo la scuola, dalla vacanza di Stark dedicata al trasloco ufficiale nella casa al lago e dall'arco di Barton appeso in armeria sul quale si erano depositate almeno due dita di polvere… e mentre la vita di chiunque altro rallentava, la furia di Yelena faceva scintille litigando con la segreteria telefonica di un canale inter-spaziale, ammazzando la noia cercando una pista a distanza per rintracciare Anya e trovare un movente valido a tutto ciò che era successo, setacciando l'Archivio della Belinsky per scovare gli affiliati di Elisa Sinclair che non avevano ancora pagato per la morte di Natasha, assillata dalla consapevolezza che stando a quanto riferito dal carceriere di Sharon quello era solo l'inizio di un brutto incubo. 

Le settimane erano trascorse con lentezza massacrante, al punto che Yelena aveva preso seriamente in considerazione l'idea di piangere dal sollievo quando James aveva risposto al telefono dopo un mese e mezzo di assoluto silenzio radio, proclamando un brief durante il quale aveva nominato Sharon come suo nuovo garante ed aveva fatto espressiva richiesta che qualcuno tornasse a Madripoor ad indagare, procacciandogli nuove informazioni con cui ricostruire la scacchiera di gioco, sfruttando la posizione privilegiata per studiare i presupposti della nuova partita avvalendosi delle risorse dello SWORD, della paranoia di Fury e le nozioni frammentate assorbite da Kobik. Yelena aveva proferito ignorare che la prima parola che era uscita dalla bocca del cognato dopo un mese e mezzo di silenzio era stata "HYDRA", come aveva fatto finta di non notare il fatto che James avesse interrotto la comunicazione di colpo appena Steve aveva provato ad intromettersi nella conversazione in corso… supponeva che il rinnovato interesse fosse legato alla bambina, ma evidentemente ciò non implicava che l'uomo fosse disposto ad appianare tutte le divergenze lasciate irrisolte dal suo ritiro precipitoso in orbita, considerando già un traguardo sostanziale il fatto che si fosse deciso a comunicare con qualcuno di esterno – a Yelena importava gran poco se il mutismo di James si fosse trasformato in mutismo selettivo e se il tono usato trasudava vendetta malcelata mista a rivalsa in ogni sillaba. 

Allo scadere del secondo mese la ragazzina era tornata a calpestare i vicoli sudici di Madripoor, muovendosi tra le quinte del teatrino imbastito per Ross da Steve e Sharon, tornando ad usare l'orfanotrofio come base operativa… trovandolo meno vuoto di quanto pensava, scoprendosi fiera nell'apprendere che quel paio di lezioni impartite sull'autodifesa fossero servite al punto da impedire che qualche altro bambino sparisse nei vicoli e non facesse più ritorno, assoldando i ragazzini più promettenti istituendo un giro di ronda seminando occhi e orecchie per l'intera cittadina, riuscendo a ricostruire i movimenti della loro Orfana problematica nel giro di un altro paio di settimane. 

«Un aiuto… fisico mi farebbe molto comodo, sai?» proclama Yelena alla webcam, ottenendo uno sbuffo sonoro da parte di James dall'altro lato del monitor, fronteggiando risoluta il suo broncio scontroso. «I tuoi occhi sono migliori dei miei per notare certe cose.»

«Sei tu quella che ha addestrato Anya, Yelena.» obietta l’uomo senza muoversi di una virgola dalla propria decisione di partecipare alla caccia a distanza, incrociando le braccia al petto con un fare che sarebbe risultato minaccioso se James si fosse trovato ad un paio di metri di distanza da lei, postura che invece dallo schermo si traduceva in una mera espressione di spiccato disappunto con chiave tragicomica. «Io non riconosco il suo modus operandi, quindi a cosa ti servo sul campo?»

«Mi servi perché io conosco il tuo di modus operandi fare l'eremita allo SWORD è solo una distrazione alla quale rinunceresti volentieri per tornare qui a dare la caccia ai Capi, la vera domanda Barnes è cosa ti sta frenando.» sbotta Yelena acuminata come uno spillo e tagliente come una lama, leggendo tra le righe di quelle scuse articolate che forse potevano illudere Rogers ma sicuramente non lei, auto-assegnandosi un punto per aver vinto lo scontro verbale in corso quando James non la corregge, svicolando con lo sguardo e limitandosi a mordersi le labbra contrariato. «Resti allo SWORD perché ti sei affezionato a Kobik e Fury vuole tenerla al suo guinzaglio, o perché hai istituito una Guerra Fredda contro Steve che sai di non poter vincere?» 

«Risparmiati il discorsetto sul rancore e sul perdono Yelena, suona ipocrita detto da te...» ribatte James piccato mirando con un colpo basso, incurvando le labbra in un sorriso ironico quando lei boccheggia una risposta che le rimane impigliata sulla punta della lingua. «... e ti voglio ricordare che tu continui a far finta di odiarmi perchè sei troppo orgogliosa per ammettere che in realtà, sotto sotto, mi vuoi un po’ di bene.»

«Oh taci, James.» ribatte Yelena d’impulso facendolo ridere, concedendogli un sorriso prima di tornare nuovamente seria dandosi un contegno, obbligandosi a suonare minacciosa ed autoritaria come se dovesse farsi dare ascolto da un asino particolarmente testardo. «Lasciamo perdere… ci aggiorniamo come al solito tra una settimana, nel mentre tu evita di farti infilzare da una spada laser.»

«Non esistono le spade la-...»

Yelena si prende l’ultima parola chiudendo la chiamata senza preavviso facendo scomparire il sorriso da schiaffi di James dallo schermo, chiedendosi per l’ennesima volta da quando lo conosce il come abbia fatto la sorella ad innamorarsi di un deficiente simile, sospirando rassegnata di fronte alla consapevolezza che ora l'uomo era finito per diventare una delle sue responsabilità, nonostante lo trovasse irritante e desiderasse strangolarlo ogni volta che prendeva una decisione sconsiderata – situazione che si verificava fin troppo spesso per i suoi gusti –, tradendo un sottile divertimento nel provocarle un aneurisma per sport… ma aveva promesso a Natalia di prendersene cura. Semplicemente, a volte, Yelena avrebbe solo voluto che James le rendesse quel compito meno difficile.

 

Tre mesi prima, Madripoor: il modus operandi di un lupo solitario

 

«Avete litigato?» chiede Yelena a bruciapelo quando Natasha si palesa sotto il porticato facendole cenno di poter smontare dal turno di guardia, rimanendo interdetta dalla domanda dipingendosi un’espressione vacua sul volto che lasciava intendere il bisogno di una delucidazione ulteriore da parte della sorella, indicandole il profilo del tetto sul quale ora si intravedeva in controluce la silhouette di Clint. «Vi ho visti gesticolare animatamente prima che arrivasse Barton, presumo abbiate litigato.»

«Presumi male.» afferma Natasha diffidente prendendo posto al suo fianco sul muretto, sollevando lo sguardo al cielo esasperata di fronte all’occhiata scettica che Yelena le rivolge in risposta. «Okay… abbiamo avuto una leggera divergenza sulla gestione opinabile dei nostri modus operandi, James mi ha lasciato appesa saltando sul tetto qui di fianco senza degnarmi di una risposta.»

«Quindi riassumendo… avete litigato. Fantastico.» commenta Yelena ironica, consapevole che finchè i due non risolvevano lei avrebbe avuto a che fare con il comportamento passivo-aggressivo di James e le risposte scorbutiche della sorella, studiandola mentre sfilava il pacchetto di Marlboro dalle tasche e si portava un filtro alle labbra. «боже мой, siete proprio uguali...»

«Potrei prenderlo come un insulto, ora come ora.» ribatte Natasha infastidita rendendosi conto della propria reazione inconscia, intascando nuovamente la sigaretta scrollando le spalle come a liquidare il gesto appena compiuto, sfarfallando le ciglia con fare suscettibile rivolgendole uno sguardo granitico. «Vuoi chiedermi qualcosa, sorellina?»

«Dipende da quanto vuoi collaborare, sorellona.» replica Yelena spigliata facendola sorridere in risposta, interpretando il cenno affermativo del capo di Natasha come un permesso per dare inizio all’interrogatorio. «Cosa gli hai contestato?»

«Il modus operandi.» ammette la donna in risposta puntellandosi meglio alla colonna, girovagando con lo sguardo prima di decidersi ad argomentare l'affermazione espressa quando il silenzio di Yelena si protrae in attesa di una continuazione. «James è un lupo solitario, è fatto per stare in prima linea… ma odia quando gli faccio notare che io non sono da meno.»

«Quindi ti esclude a forza?» Yelena azzarda un’ipotesi dubbiosa, bruciando le tappe raggiungendo lo snodo centrale della disputa, interpretando il cenno secco di Natasha come una conferma alla deduzione appena espressa. «Immagino che tentare di ragionarci insieme sia impossibile...»

«No, non è questo il problema Yelena...» mormora la sorella scuotendo la testa, lasciando trasparire l’accenno di un sorriso sulle labbra mandandola in confusione, aspettando in silenzio una spiegazione che non tarda troppo ad arrivare. «Sono abituata ad essere tagliata fuori, lo fa per proteggermi, io faccio lo stesso… il vero problema è che James ha paura e non vuole ammetterlo nemmeno a se stesso, è stanco di tutto questo ma non può farne a meno.»

«Abbiamo tutti paura di quello che sta per succedere Nat, c'è puzza di guai nell'aria…» la interrompe Yelena correggendola, accelerando sulle sillabe finali divulgando una verità scomoda ai suoi occhi inconcepibile. «Quello che non capisco è come tu riesca a preoccuparti solo per lui ed ignorare tutto il resto.»

«Quando capirai qual'è il tuo posto nel mondo vedrai le cose sotto un altra prospettiva, Yelena.» promette Natasha scrollando le spalle, lo sguardo perso in contemplazione dell'anello che si stava rigirando all'anulare, sollevando la testa di scatto quando un verso di scherno incredulo lascia le labbra della sorella. «È tutta questione di priorità, sai? Dopo qualche decennio credo di aver capito di cosa non posso fare a meno nella vita.»

«Ti sei rammollita, altro che priorità.» la condanna Yelena senza troppe remore, mostrandosi indispettita quando Natasha non le concede la soddisfazione di fingersi offesa. 

«Può essere… forse ha ragione James nel dire che non siamo più tagliati per questo lavoro, che ormai sai cavartela benissimo da sola.» confessa la sorella senza preavviso, scoppiando a ridere di fronte alla sua espressione incredula. «Scioccata?»

«Offesa.» ribatte Yelena dissimulando la sorpresa, atteggiandosi assecondando lo scherzo sotto lo sguardo divertito di Natasha, reprimendo il sorriso spontaneo che le affiora sulle labbra nel vederne uno speculare e genuino sulla bocca della sorella dopo settimane di musi lunghi e cupi silenzi. «Non voglio crederci che Barnes si fida più di te.»

«Non è che non mi fido…»

«Lo so, non serve che tu lo dica.» la frena Yelena scrollando la testa, alzandosi dal muretto pulendosi i vestiti come a scacciare via il principio di imbarazzo insieme alla polvere. «Questo è il momento in cui dovrei abbracciarti e dirti che andrà tutto bene?» 

«No, siamo apposto così.» sorride la donna liquidando la faccenda con un gesto distratto della mano, lasciando intendere che volendo quello poteva considerarsi anche un cenno di congedo. 

«Tralasciando gli scherzi, andrà tutto bene Nat.» ci tiene a sottolineare Yelena prima di girare i tacchi e smontare ufficialmente dal turno di guardia, cedendo ad una microscopica dimostrazione di affetto in nome di una nobile causa. «Paranoia a parte, ovvio.»

«Come se fosse facile ignorarla, la paranoia.» mormora Natasha reprimendo uno sbuffo, tentennando per un paio di secondi buoni prima di sbottonarsi e cedere alla richiesta assurda che premeva con insistenza contro la soglia dei denti. «Se dovesse dovesse succedermi qualcosa…»

«Non essere ridicola-...» 

«Zitta e ascoltami.» insiste la sorella risoluta, silenziandola con tono perentorio obbligandola a prestarle attenzione. «Prenditi cura di James, non lasciare che il modus operandi prenda il sopravvento… promettimelo, Yelena.»

«E di me chi si prenderà cura?» replica lei spaesata assimilando l'ipotesi, sottoscrivendo una tacita promessa nella domanda, trovando conforto nel sorriso rassicurante e fiducioso di Natasha.

«Sei una Vedova Nera migliore di me, sorellina… conosci già la risposta.» 


La risposta si era celata subdola in una conferma sospesa, in bilico tra la sopravvivenza garantita dalla solitudine e il bisogno intrinseco di ogni Vedova di trovare un luogo, una persona o un ideale di appartenenza… era tutta questione di recezione, di saper cogliere ed interpretare i segnali, di trovare quel tassello mancante che le era stato strappato via confrontandolo con la medesima parte andata dispersa custodita nell'animo di una seconda persona, ma per Yelena quel vuoto si era rivelato in una promessa accantonata, una falsa faida lasciata aperta e delle impronte di sangue fresco che percorrevano una pista ormai fredda. 

Aveva fatto giurare al suo esercito in erba di non intervenire, di scappare dal pericolo e correre da chi poteva gestirlo, ma quando Yelena aveva raggiunto lo stanzone fatiscente che le era stato indicato da una delle sue piccole spie aveva capito che certi pericoli era meglio se venivano affrontati in due. Il corpo di Anya giaceva riverso a terra senza vita, riflesso all’infinito negli specchi appesi alle quattro pareti di quella che anni addietro doveva essere stata una scuola di danza – o un distaccamento della Stanza Rossa caduto in disuso –, inginocchiandosi a fianco del cadavere della ex allieva controllandole le ferite… rabbrividendo riconoscendo il modus operandi come il proprio, con il collo spezzato ed il marchio della clessidra sul collo, guardandosi intorno guardinga temendo un attacco alle spalle da parte dell'avversario che palesemente voleva incastrarla, non vedendo nessuno e tornando a chinarsi sul corpo cercando altri segni di lotta, consapevole che in alcuni casi particolari la composizione del delitto non coincideva quasi mai con la forma dell’omicidio.

«Come?» chiede Yelena di punto in bianco con il dubbio che le colora la voce, le dita impigliate tra le ciocche nere di Anya per poter scoprire le bruciature di una scossa elettrica ai lati del collo, scovando la reale causa del decesso in sincrono con l’apparizione della sagoma del suo futuro assassino che si riflette sullo specchio, tenendo a bada la paura e l’incomprensione decidendo di affrontarla in un secondo momento preferendo richiedere una conferma. «Sto per morire, non è vero? Ti servo morta.»

«Non è nulla di personale, credimi…» ammette il suo aguzzino con tono affranto, armando il grilletto e puntandolo ai suoi reni. «La pallottola è imbevuta di veleno, fa male ma è veloce.»

«Promettimi di riportarmi indietro quando avrai risolto.» chiede Yelena respirando a fondo, sorridendo con le lacrime agli occhi quando le sue terminazioni nervose raggiungono un picco massimo e vanno a pezzi, piantando i piedi a terra ed allargando le braccia calcolando l’ingombro della caduta in modo scenografico, assecondando il codice di decriptazione costruendone uno comprensibile ad occhi più esperti dei loro. «Promettimelo.»

«Poi rimetto tutto a posto, promesso.» garantisce il suo assassino avanzando di un passo, ricambiando il sorriso riflesso allo specchio notando i solchi delle lacrime che rigano le guance in contrasto con la presa salda sul calcio della pistola, mentre Yelena chiude gli occhi ed accetta in silenzio la paura della morte.

«Ci vediamo dall’altra parte allora.»

Bang.

 

***

 

«Sicuro che sia il posto giusto?» chiede Steve per l’ennesima volta, i pugni puntati ai fianchi ed il mento sollevato ad ammirare la facciata del palazzo fatiscente in controluce, tradendo una punta di tensione che probabilmente Sharon è la sola a poter percepire, mentre il ragazzino si limita ad annuire convinto continuando a puntare l’indice contro l’edificio, aspettando diligente di ottenere un cenno di congedo prima di girare i tacchi e tornare all’orfanotrofio dal quale erano venuti.

Steve non approvava appieno l’esercito in erba assoldato da Yelena per fronteggiare la crisi e rimettersi in pari, ma doveva ammettere che si era rivelato una risorsa fondamentale per potersi muovere in un posto come Madripoor, dove ottenere delle informazioni sbandierando il tesserino degli Avengers equivaleva ad un nulla di fatto… il passaparola funzionava al punto che qualcuno si presentava sempre alla porta dell’orfanotrofio con una qualche novità da verificare, come quella mattina quando era giunta la notizia di un avvistamento al porto di una donna sulla trentina dai capelli neri che assomigliava moltissimo ad Anya. Era stato naturale e logico spedire Yelena a fare un sopralluogo, ma dopo mezza giornata in cui la ragazzina non aveva dato alcun segno di vita Steve aveva dato voce alla propria paranoia obbligando Sharon a convocare una delle loro piccole spie in erba e farsi dare una mano a ripercorrere i suoi passi per controllare che non le fosse successo qualcosa, timoroso che l’approccio più morbido rispetto a quello del fratello di lasciare carta bianca alla mini-Vedova fosse stata la peggior decisione che avesse mai potuto prendere in tutta la sua vita.

«Credi ancora che io sia solo paranoico?» sbotta il Capitano interrogando la compagna indicandole la facciata del palazzo in segno esplicativo, abbassando lo sguardo colpevole quando Sharon si limita a sottolineare con il silenzio il suo tono involontariamente sgarbato. «Scusami, è che-...»

«Lo so, ti sta sfuggendo tutto di mano.» lo anticipa la donna scrollando la testa in un cenno di noncuranza, afferrandogli una mano intrecciando le dita alle sue, rinunciando in partenza a formulare una frase di conforto con parole vuote, preferendo mantenere la sentenza sospesa in un preludio alla catastrofe. 

Steve sospira e la anticipa lasciando la presa salda delle sue dita per aprirle la porta d'entrata, eclissandosi ad ombra silenziosa quando Sharon si arresta ad un paio di metri dai corpi delle due donne, improvvisamente confuso dalla vigliaccheria nata dalla punta di sollievo che prova nel vedere il cadavere di Anya, lottando con la disperazione montante nell’osservare il corpo rigido e l’espressione vitrea di Yelena che contemplava il vuoto lasciato da una terza persona… un nuovo mostro, forse familiare a causa dell’ombra dei tentacoli che a detta di James sapevano di dover cercare, ma ancora sconosciuto nella forma e nel genere.

«Dovremmo chiamare la scientifica...» afferma Sharon recuperando un filo di voce voltandosi in direzione della sua espressione granitica, limitandosi a sollevare lo sguardo ombroso sulla donna negando con un cenno secco del capo, spingendola a tornare a concentrarsi sulla scena del crimine cercando un'altra ottica con cui osservarla. «Cosa vedi che io non vedo?» 

«È una scena del delitto composta per Bucky… chiunque ha ucciso la Belova vuole giocare con lui.» spiega Steve spiccio con un tono di tensione ben palpabile nella voce, indicandole la disposizione dell'omicidio sopprimendo l’istinto che spinge a far parlare l’esperienza derivata dalle poche nozioni imparate lavorando con Natasha e il fratello, inginocchiandosi a terra esaminando da vicino le ferite sui corpi delle due donne prima di confermare le proprie supposizioni. «Anya ha il collo spezzato… ma

Yelena è cianotica, è morta perché non respirava, non per il proiettile.»

«Veleno?» lo interroga Sharon inginocchiandosi al suo fianco, premendo le dita contro il fianco della ragazzina traendo le sue stesse conclusioni, spostando il colletto della tenuta rivelando una stellina a cinque punte impressa a fuoco sulla cervicale, bloccandosi confuso mentre la compagna solleva lo sguardo su di lui chiedendo una conferma alla medesima domanda che si è appena formata nella testa di Steve. «Bucky è l'ultimo Soldato rimasto, siamo d'accordo su questo punto, giusto?» 

«Per quanto ne sappiamo noi, sì…» replica l'uomo monocorde, frugando istintivamente nelle tasche di Yelena recuperando il transponder con il logo dello SWORD inciso sul retro della custodia, soppesando l'oggetto tra le mani con fare pensieroso prima di porgerlo alla donna. 

«Non essere infantile, Steve… dovrete pur ricominciare a parlarvi prima o poi.» ribatte Sharon tempestiva, notando il timido sorriso incoraggiante che si affaccia all’angolo delle sue labbra quando lo vede sospirare stizzito mentre compone il numero, pregando silenziosamente che non si inserisca la segreteria telefonica come l’ultima volta che aveva provato a contattarlo. 

«Ti mancavo di già, ragazzina-...?» irrompe la voce di James dopo sette lunghissimi squilli a vuoto, vacillando sull'ultima parola percependo l'aria tesa dall'altro capo della linea, intuendo perspicace chi doveva essere il suo interlocutore, accartocciando un sospiro sulla lingua che preannunciava una reazione prevedibile e scontata considerati i precedenti più recenti. 

«Non osare sbattermi il telefono in faccia, James.» proclama Steve prendendo il controllo della situazione, avvertendo il fratello inspirare bruscamente nell'udire la sua voce dopo mesi di silenzio confermando i propri sospetti. 

«Cosa vuoi?» ribatte scorbutico astenendosi dal assecondare gli istinti bambineschi, avvertendo una tacca di urgenza nella voce del fratello accantonando momentaneamente tutti i dissapori lasciati in sospeso, articolando un sospetto terrificante quando il silenzio elettrostatico della linea telefonica inizia a gravare tra loro senza la pronta interruzione da parte della proprietaria del dispositivo. «Se Yelena fosse nei paraggi ti avrebbe già amputato le mani a quest'ora… cosa le è successo?» 

«È… complicato.» riassume Steve incapace di articolare una risposta convincente, restio a definire la scena del delitto come semplice omicidio, confuso dai dettagli caotici che gli balzavano agli occhi ma non riusciva a collocare correttamente. «Mi servi qui, Buck.»

«L’hanno uccisa… non è vero?» sfiata James dall’altro lato della linea, mentre il silenzio assume pian piano le sembianze di una conferma, bruciando le tappe quando interpreta correttamente la sua titubanza nell’esprimersi. «Steve...»

«Ti procuro un referto… è-... é un gran casino.»

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Capitolo 10
*** ASFISSIA - Cura ***


TERZA PARTE - POLMONI

 

ASFISSIA: Cura
Respirazione indotta, eliminazione del corpo estraneo.





 

James non sapeva decidersi se si sentiva più scombussolato dalla notizia della morte di Yelena, dal senso di colpa subdolo che da qualche ora rigirava il coltello nella piaga interrogandosi se con il suo aiuto le cose sarebbero potute andare diversamente, o dall'ironia latente che si celava dietro alla consapevolezza che aveva smesso di parlare con Steve per colpa di un omicidio e dopo tre mesi di totale silenzio aveva ripreso a rivolgergli la parola per far fronte comune davanti al medesimo scenario… e lo sentiva, riusciva a percepire da solo il vortice altalenante che gli sconquassava lo stomaco, al punto da non sorprendersi più di tanto quando Kobik aveva deciso di lasciarlo in pace per non risentire di riflesso del ciclone che imperversava nella sua gabbia toracica. 

La conversazione al telefono con Steve si era mantenuta forzatamente su toni freddi e circostanziali, James era consapevole di aver vacillato in alcuni punti ed aveva percepito la voce del fratello fare lo stesso… ma se dal punto di vista razionale avrebbe voluto ignorare l'episodio ed andare avanti, dal punto di vista emotivo si frenava ancora fino a quando non avrebbe sentito un'ammissione di colpevolezza uscire dalla bocca del fratello. Li aveva ascoltati i messaggi in segreteria, Steve aveva detto tante belle parole, ma "mi dispiace" non era tra quelle… era intuibile dal contesto, dal tono di voce, dalle pause rantolanti tra una frase e l'altra, ma James non riusciva ancora a passarci sopra a discapito dell'ipocrisia, come se una conferma verbale avrebbe potuto chiudere il sipario su un palco macchiato di sangue concedendo ad entrambi il lusso di macerare ognuno nei propri sensi di colpa per quelle azioni che non avrebbero mai voluto compiere di loro sponte. 

Natalia era solo l'ennesima macchia d'inchiostro rosso sulle pagine di un quaderno insanguinato stilato in nero di seppia, uno dei tanti mezzi usati per spezzare l'anima dei burattini a cui l'HYDRA aveva verniciato la mente di bianco… ma l'odore acre della pittura nera, bianca e rossa era un'onta che rimaneva impressa nel cervello, non si scollava dalle mani, continuava a colorare le impronte nonostante si fossero cambiate uniformi e scarpe. Fino a quel momento James aveva inseguito strenuamente un "mi dispiace", ma dai documenti che aveva davanti sembrava che il fratello non avesse nulla da rimpiangere… forse la sua era cecità caparbia, ma non poteva ignorare ancora per molto che tra le righe del referto fosse narrata la storia di una vana speranza alla quale si ostinava a non dar credito. 

Sharon aveva fatto i salti mortali per insabbiare i due corpi, Steve aveva eseguito alla lettera le sue istruzioni per descrivergli la scena del crimine come se ce l'avesse davanti, ma i dati raccolti componevano uno schema di risoluzione improbabile che aveva solamente aumento il mal di testa di James facendogli raggiungere nuove vette di masochismo e collateralmente aveva fatto aggravare il suo stato emotivo. La spiegazione logica della morte di Anya era una frattura cervicale per mano di Yelena, come confermava il marchio della clessidra impresso a fuoco… ma le contusioni riportate sul corpo raccontavano di uno scontro ben diverso, di sessanta chili caduti in picchiata sulle spalle della mora e due pallide cicatrici da morso [1] ai lati del collo. Supposizione confermata dalle ferite riportate sul corpo della Belova, prendendo in esame la pallottola conficcata all'altezza dei reni che camuffata i sintomi del veleno di cui era imbevuta, un cocktail che James conosceva fin troppo bene gli effetti e dal quale era stato vaccinato da Natasha in forma preventiva… ma il veleno era quasi trascurabile in confronto al marchio del Soldato d'Inverno impresso sulla cervicale della bionda, sottolineando per contrasto la completa assenza di un qualsiasi segno di lotta, fattore che James trovava inconcepibile se messo in relazione all'addestramento che aveva personalmente impartito alla ragazzina. 

Una spiegazione c'era, era abbastanza ovvia, ma era talmente assurda che James non osava nemmeno prenderla in considerazione, imponendosi di staccare la spina chiudendo i fascicoli digitali prima di fondersi definitivamente il cervello, trascinando i piedi fino alla cameretta di Kobik nella disperata ricerca di una fonte di distrazione, aprendo la porta sulle note di Rhapsody in blue che fuoriuscivano a tutto volume dal televisore. 

«Mi piace questa canzone.» annuncia James puntando lo sguardo sullo schermo che trasmetteva Fantasia 2000, congelando Kobik nel bel mezzo di una piroetta rovinando lo spettacolo di danza dedicato a Baloo, Liho e qualche altro peluche, cogliendo la palla al balzo fronteggiando le guance rosse della piccola facendole un inchino porgendole una mano, sorridendo smagliante grato di aver trovato una distrazione così divertente. «Mi concede questo ballo, signorina?» 

Gli occhi cerulei di Kobik si illuminano a giorno spazzando via l'imbarazzo, afferrando la sua mano tesa iniziando a volteggiare in giro per la stanza, ridendo a crepapelle quando al termine della canzone James inciampa lasciandosi cadere di peso sul materasso con il fiatone. 

«Guardi i cartoni animati con me?» propone la bambina arrampicandosi al suo fianco, mentre James sorride e si trascina sui gomiti fino a puntellarsi con la schiena contro la testiera del lettino, allargando le gambe per farle spazio permettendole di spalmarsi contro il suo petto come una lucertola al sole, il tutto mentre la palla di pelo nero del suo gatto lo guardava risentito per aver preferito le coccole di Kobik alle sue. 

«Sei riuscita a far ingelosire Liho, Pulce… sono imprese non da poco.» ridacchia James mentre il felino gli soffiava contro un insulto e caracolla a nascondersi in mezzo ai peluche offeso, reazione che fa ridere di gusto la bambina spingendola a vantarsi rifilando una linguaccia al gatto per aver ottenuto il primato, circondandole il busto con le braccia di riflesso quando la sente muoversi cambiando posizione di nuovo. «Stai abbastanza comoda?» 

«Mh-m… zitto ora, arriva la mia parte preferita.» proclama Kobik indicandogli lo schermo del televisore mentre l'orchestra fa da accompagnamento musicale all'animazione del risveglio di una scatola di soldatini di stagno. 

«Se preferisci Šostakovič a Gershwin abbiamo un problema di fondo, lo sai vero?» la condanna James con tono scherzoso, fronteggiando il broncio della bimba con espressione ironica, mentre allunga due dita ad afferrargli il mento costringendolo a posare nuovamente lo sguardo sul televisore. 

«Non per la musica, per la storia.» afferma Kobik risoluta, tentennando appena prima di confessare la motivazione che si celava dietro alla preferenza. «Il Soldatino e la Zarina… siete tu e Natalia.» 

James assorbe le parole in silenzio, mentre collega i dettagli rivivendo sulla pelle le brutte giornate trascorse, perdendosi nell'accompagnamento musicale seguendo le vicende di quella marionetta priva di un arto che attraversava mari e monti per riprendersi la sua ballerina di carta, ghignando appena quando il pupazzo a molla cade nel camino, protendendosi inconsciamente verso lo schermo quando la ballerina volteggia tra le braccia del soldatino nell'esatto istante in cui calava il sipario su quel bacio sospeso… riscuotendosi cancellando a forza il ricordo del tocco di labbra fantasma che si posavano delicate sulle sue, cacciando nei cunicoli della memoria i dettagli assurdi del referto letto poco prima, mentre un dubbio lampeggia in fondo alla scatola cranica e si fa strada a forza fino alla soglia dei denti. 

«Pulce… chi ti ha messo in testa che siamo io e Natalia?» sfiata James prima di riuscire a mordersi la lingua, riconoscendo fin troppo bene il Pupazzo a molla dal quale doveva proteggerla, avvertendo al tempo stesso la necessità di conoscere il nome del loro alleato chiedendosi se esisteva ancora una terza persona sensata a cui imputare l'omicidio della piccola siberiana. 

«Non posso dirtelo, è un segreto.» mormora la piccola confusa dal contrasto tra il tono teso della voce e la scintilla speranzosa che gli illumina il petto, divincolandosi dalla sua presa per cercare una conferma nel suo sguardo. «Non voglio che tu sia triste.»

«Non sono triste… sono confuso.» ribatte James d'impulso, rendendosi conto dell'insensatezza della propria affermazione, prendendosi un paio di secondi per scegliere le parole più adatte per informare Kobik dei nuovi sviluppi. «È successa una cosa brutta a casa… ho bisogno di sapere se chi ci ha dato una mano ha anche motivo di farci del male.»

«Se ha fatto delle cose brutte gli darai la caccia, vero?» chiede una conferma Kobik afferrandogli la mano destra preoccupata, incupendosi quando James annuisce in risposta rimarcando la promessa fatta qualche giorno prima. «Quindi mi lasci da sola… poi ti ho detto tutto, non avrai più bisogno di me.» 

James ammutolisce interdetto, aprendo la bocca per ribatte spigliato assecondando l'impulso, ma accartocciando le sillabe sulla lingua quando comprende i pensieri di Kobik per la prima volta da quando la conosce… ora che le nota sotto una luce diversa riesce a vedere le sue gentilezze come autentiche dimostrazioni di affetto, avverte il suo bisogno di essere amata da qualcuno che non voglia usarla, percepisce la sua paura di venire abbandonata quando non sarà più utile allo scopo, legge nei suoi occhi tutte le risposte alle quali non aveva voluto dargli risposta per timore che anche lui scomparisse una volta ottenuto ciò di cui aveva bisogno. Lo capisce solo in quel preciso istante la vera motivazione per cui Kobik l'aveva ancorato a forza alla vita, non per rimediare, ma perché qualcuno le aveva spiegato che lui era uno dei buoni ed era l'unico che aveva le capacità e le conoscenze per rimettere tutte le cose al loro posto… c'era sempre stato un burattinaio che l'aveva usata fin dal primo giorno in cui era venuta al mondo, le avevano insegnato a fare lo stesso per sopravvivere, ma nessuno – tra vittime e carnefici di quel teatrino – aveva considerato la possibilità che Kobik potesse affezionarsi a lui in quel modo. 

«Io non voglio che mi lasci sola.» mormora la bambina titubante quando non lo vede reagire nell'immediato, inclinando appena la testa abbandonandosi al suo tocco quando James allunga una mano a sfiorarle una guancia, scostandole una ciocca candida dal volto sorridendo di fronte a quella reazione genuina. 

«Non vado da nessuna parte senza di te, Pulce.» confessa James su due piedi senza rifletterci troppo, rischiando di sbattere la testa contro il muro quando Kobik gli getta le braccia al collo d'impulso, finendo per stringerla tra le braccia di riflesso e posarle un bacio sulla tempia. 

«Perché vuoi tornare sulla Terra?» chiede Kobik restia nel spezzare il momento, divincolandosi dalla sua presa tornando sui propri passi dopo qualche breve momento di silenzio. 

«Qualcuno ha fatto del male a Yelena, devo capire chi è stato… Steve l'ha trovata insieme ad Anya.» spiega James svicolando con lo sguardo, sollevandolo riluttante sulla bambina tornando ad interrogarla caparbio, approfittando del suo slancio collaborativo. «Tu sai che cosa le hanno fatto di preciso?» 

«Non so come funziona… so che c'erano due Anya, Red ha fatto qualcosa di magico e dal lettino si è alzata solo quella grande… » afferma Kobik corrucciando le sopracciglia sforzandosi di ricordare, scuotendo il capo affranta quando non ci riesce. «Alexei mi ha portata via dal laboratorio, ma ne lui ne Mikhail hanno voluto spiegarmelo.»

«Pulce… non ho sentito male, vero? Hai detto davvero "Alexei" e "Mikhail"?» chiede James scandendo i due nomi strabuzzando gli occhi incredulo, contemplando lo sguardo confuso di Kobik mentre annuisce convinta, restio a crederle su due piedi insistendo con un'ulteriore conferma. «Stiamo parlando di un armadio biondo e un orso bruno parlante, giusto?» 

«Mh-m… Mikhail diceva che tu e Natalia eravate il loro biglietto d'uscita da Palazzo, ma hanno dovuto cambiare il piano quando è arrivato Steve.» spiega Kobik argomentando a parole la confusione che James provava per automatismo, stringendogli una mano cercando una reazione diversa dallo stupore e l'incomprensione che lo dominava. «…Bucky-bukaroo?»

«Cristo...» sbotta James d'impulso afferrandosi la radice del naso tra due dita, respirando a fondo cercando di calmare il mare in tempesta che si dibatteva energico e senza sosta dentro la sua testa, catalogando velocemente le nuove informazioni incastrando la maggior parte dei tasselli… e di fronte ai nuovi dettagli raccolti l'ipotesi formulata qualche quarto d'ora prima non sembrava più troppo assurda, solo altamente improbabile e pericolosa, anche se prima di cedere definitivamente alla speranza aveva bisogno di una conferma che solamente un'altra persona al mondo gli poteva dare. «Pulce… sei mai stata in Iowa [2]?» 

 

***

 

«Puoi suonare il campanello, se vuoi.» afferma James abbassando lo sguardo su Kobik, fermo in mezzo al porticato con un borsone per spalla e la bimba che gli trotterellava a fianco reggendo tra le mani il trasportino del gatto, indicandole il tasto con il mento sorridendo divertito quando la piccola si solleva sulle punte per premerlo, sorprendendosi del suono che si propaga attraverso i muri della casa. 

Il rumore di passi che corrono giù per le scale rimbomba al punto da sentirsi all'esterno, presto seguito da altri due paia di piedi che raggiungono velocemente la porta d'entrata, mentre un richiamo bonario si leva dalla cucina rivolto a tutti e tre i ragazzini in merito al non correre in quel modo per non rischiare di schiantarsi contro l'intelaiatura della porta… raccomandazione che viene puntualmente ignorata, avvertendo un colpo vuoto di qualcuno che afferra la maniglia con troppa forza prima di aprire l'uscio, gettando a terra i borsoni appena in tempo per accogliere tra le braccia due tornado in movimento. 

«Zio Bucky!» urla Nathaniel mentre spicca il volo e si appende al suo collo, seguito a ruota da Lila che gli cinge la vita con un braccio, sollevandosi sulle punte per scoccargli un bacio sulla guancia mentre Cooper si limita a puntellarsi contro lo stipite rivogendogli un cenno di saluto con il capo, cadendo con lo sguardo su Kobik che osservava la scena basita nel vederlo così ben disposto al contatto fisico. 

«Ragazzi.» ricambia il saluto James con un richiamo collettivo, scoccando un bacio sulla fronte di Lila ed allungando la mano libera a scompigliare i capelli di Cooper, per poi abbassare lo sguardo su Kobik a sua volta indicandola con un cenno del capo. «Lei è Kobik… Kobik, questi sono i tuoi… cugini

«Ragazzi, almeno lasciatelo mettere piede dentro la soglia!» strepita Clint raggiungendoli dalla cucina, il cellulare targato Stark Industries ancora in mano e un'espressione incredula impressa sul volto. «La roba che mi hai inviato stamattina… è quello che penso, vero?» 

«Dipende da cosa pensi.» ribatte James mantenendosi sul vago, rimettendo Nathaniel a terra chinandosi a raccogliere i due borsoni lasciati cadere a terra, porgendo a Cooper quello contenente gli averi di Kobik. «Dov'è vostra madre? Ho bisogno di parlarle…»

«A far compere, torna tra poco… c'è tempo per queste cose, mentre scarseggia per questo.» afferma Clint richiamando la sua attenzione sollevando lo smartphone in segno esplicativo, indicando distrattamente il borsone che pendeva dalla spalla di Cooper con la mano libera. «Ragazzi, perché intanto non sistemate le cose di Kobik nella camera di Lila? Io e zio Bucky dobbiamo discutere di alcune cose…»

James sorride incoraggiante garantendo alla piccola di trovarsi al sicuro, prelevandole dalle mani il trasportino e spingendola appena in direzione di Lila quando quest'ultima le porge una mano per condurla in cima alle scale, procedendo a fila indiana dietro a Cooper mentre Nathaniel chiudeva il corteo, approcciandola curioso iniziando a fare conversazione su argomenti ritenuti di importanza capitale dall'alto dei suoi cinque anni – circa il perché aveva i capelli bianchi, se le piacevano i dinosauri e se mangiava anche lei i biscotti al cioccolato –, ridacchiando appena voltandosi a fronteggiare Clint una volta soli, intuendo la domanda che si era appena formata sulle labbra dell’arciere.

«Non una parola su Kobik.» lo anticipa James mentre quest’ultimo solleva le mani sopra la testa in segno di resa, liquidando il principio di discussione cambiando discorso indicando l'apparecchio acustico con fare curioso. «I timpani come vanno?» 

«Vanno che l'apparecchio è ancora in fase sperimentale e funziona a colpi… leggo il labiale e tiro avanti, quindi fammi il favore di non brontolare così poi non sono costretto a chiederti le cose due volte.» spiega Clint seguendolo con lo sguardo mentre scaricava il secondo borsone ai piedi del divano e liberava Liho in giro per il salotto, azzardandosi ad avvicinarsi ed afferrargli la spalla sana stringendolo in un mezzo abbraccio, ricambiando la breve stretta prima di svincolare dalla sua presa. «Tu invece come stai, Buck?» 

«Potrebbe andare peggio.» ribatte James con fare sbrigativo, puntando l'indice contro la scatoletta nera che Clint teneva salda tra le dita. «Ma c'è un margine di netto miglioramento in base alle tue conferme o meno.»

«Conferma sul veleno?» indaga Clint azzardando un'ipotesi, grattandosi inconsciamente il bicipite in corrispondenza alla cicatrice lasciata dal vaccino, digitando sullo schermo cercando gli esami tossicologici eseguiti su Yelena. «Non ha lasciato tracce nel sangue, ma i sintomi li conosci Buck… forse meglio di me. Ed io non sono la persona giusta per un'analisi oggettiva, non in questo caso.»

«Per questo studiamo il fascicolo in due, no?» ribatte James spigliato tradendo una tacca di speranza frustrata ben celata nella voce, seguendo Clint nell’ufficio di Laura dopo un cenno sbrigativo della testa, avviando il proiettore olografico per analizzare meglio i dati. 

Quella mattina James aveva fatto le valigie, aveva inviato a Barton tutta la documentazione raccolta dal fratello, per poi litigare animatamente con Fury circa il permesso di riportare Kobik sulla Terra, spuntando la discussione minacciando il Colonnello di firmare ad occhi chiusi una domanda di adozione dopo l'accusa velata di Nick in merito alla sua mancata paternità, lasciandolo a corto di parole e vedendosi cedere le chiavi dello Zephir-One [3] in completo silenzio. Dopo una breve telefonata Laura Barton aveva promesso di prendersi cura della bambina e di Liho, a patto che James tenesse d'occhio Clint nel caso le sue supposizioni si fossero rivelate corrette, partendo alla volta di Madripoor una volta fugati tutti i dubbi… era un buon piano, se si escludevano le diecimila variabili impazzite che si nascondevano tra le righe del referto che tentava inutilmente di giustificare la dipartita della piccola siberiana e l'omicidio di Anya. 

Entro cena Clint e James erano arrivati alla conclusione che una terza persona c'era, ma il dubbio sulla sua identità rimaneva a divorare le viscere di entrambi… non importava se Yelena era stata marchiata dalla stella del Soldato d'Inverno, se su Anya erano rimasti i segni dei morsi sul collo e se la piccola siberiana era stata uccisa da una dose letale di veleno di vedova nera [4]. Nonostante le più azzardate delle ipotesi Natasha Romanov si trovava tre metri sottoterra, quindi l’unica altra opzione valida che restava loro era un sadico a cui piaceva torturarli inscenando il modus operandi della Zarina con tecnica impeccabile, un qualcuno che evidentemente non poteva essere Alexei per la stazza e Mikhail per la natura delle ferite, continuando ad ignorare in toto chi fosse “Red” irritando entrambi a dismisura, considerato che tra le lacune spiccava anche la consapevolezza se le “capacità magiche” del mutante potevano in qualche modo inscenare un delitto simile a discapito delle poche nozioni estrapolate da Kobik… rassegnandosi a ricostruire il processo deduttivo di Yelena a cena conclusa, ripercorrendo le sue indagini tenendo in considerazione in nuovi dettagli acquisiti, operazione più facile a dirsi che a farsi calcolando che l’organizzazione dei dati dell'Archivio era redatto secondo una logica conosciuta alla sola Natasha. 

«Queste cosa sono?» chiede Clint di punto in bianco dopo ore di lavoro ininterrotto, zoomando con le dita sulla scansione dell’ultima pagina del taccuino ritrovato nelle tasche di Yelena, sorvolando sui scarabocchi e gli appunti che seguivano le deduzioni logiche relative al caso, puntando il dito contro a delle macchie nerastre a bordo pagina. «Bruciature da sigaretta?»

«Yelena non fumava.» replica James lapidario portandosi il filtro alle labbra, evitando di scomodarsi dal davanzale della finestra a cui era puntellato continuando a dare le spalle all'uomo, concedendosi una pausa sigaretta a suo avviso più che meritata dopo una cena oltremodo caotica e una ricerca snervante su larga scala che nelle ultime ore aveva portato solamente ad un vicolo cieco dopo l’altro.

«Hai detto qualcosa?» lo interpella Clint spingendolo a voltarsi nella sua direzione, stringendosi tra le spalle indicandosi l’apparecchio acustico per poi obbligarlo a sollevare lo sguardo sulla scansione del taccuino sospesa in mezzo allo studio, spingendolo a focalizzarsi su quel dettaglio a cui James non aveva prestato sufficiente attenzione ad una prima indagine.

«Ho detto che Yelena non fumava...» ripete James scandendo le parole, bloccandosi interdetto a metà frase spegnendo velocemente il mozzicone contro il davanzale folgorato da un'illuminazione, avanzando verso la proiezione olografica con una speranza genuina ed imprevista a scombussolargli la pancia mentre Clint chiedeva delucidazioni confuso dal suo repentino cambio d’umore. «Ho una teoria folle.»

«Mi preoccuperei del contrario.» afferma l’arciere scrollando le spalle, seguendolo con lo sguardo mentre afferrava carta e penna dalla scrivania, trascriveva le ultime dieci righe del taccuino e scarabocchiava sopra le lettere riportate seguendo un codice di decriptazione basato sulla bruciatura impressa sul foglio, arrivando ad estrapolare da quel rebus contorto un numero e due iniziali, mostrandogliele soddisfatto. «Cosa dovrei magicamente dedurre da “113 AC”?»

«Tu niente, io tutto.» ribatte James consapevole di avere un sorriso allucinato impresso sul volto, facendosi consegnare la copia digitale dell’Archivio della Belinsky con un cenno sbrigativo della mano, scartabellando i file registrati fino al modulo 113, scorrendo i dati fino a soffermarsi al primo nome dalle iniziali corrispondenti a quelle trovate. «Bingo!»

«Hai intenzione di rendermi partecipe dei tuoi deliri mentali o…?» azzarda Clint sempre più confuso dalla sua improvvisa euforia, porgendogli il cellulare obbediente al primo schiocco di dita palese in direzione del dispositivo abbandonato sul tappeto.

«Mio padre si era inventato un codice cifrato ai tempi del fronte, non era quasi mai a casa ed era diventato il suo modo per tenerci impegnati nelle settimane in cui restava in caserma… con gli anni eravamo arrivati al punto che io, Steve e Rebecca ci sfidavamo a chi decifrava le lettere correttamente. Papà teneva un punteggio che ci comunicava il giorno in cui tornava a casa in licenza, ci portava a Coney Island e chi vinceva aveva diritto a dieci dollari in più da spendere per le giostre… capisci che la competizione era molto accesa.» sorride James afferrando il cellulare, sbloccando lo schermo con l'impronta iniziando a digitare frenetico sulla tastiera. «La cosa si è rivelata utile in guerra, c'era il rischio che le mie lettere per Rebecca venissero intercettate, quindi bruciavo ogni volta il foglio con il mozzicone segnalando la chiave di decodifica… e c'è solo un'altra persona al mondo a cui ho insegnato il codice.»

«È una teoria folle.» conferma Clint quando collega tutti gli indizi del rebus raggiungendo la medesima conclusione di James, restio a dar credito a quella supposizione, ma vedendosi costretto a farlo per mancanza di altre prove. 

«È una teoria plausibile… ti viene in mente un altro valido motivo per cui Shostakov dovrebbe darci una mano?» lo interroga James sollevando lo sguardo dal cellulare per rifilargli un occhiata di profondo scetticismo, vedendolo negare con un cenno della testa. 

«Rimane da spiegare il come.» proclama Barton smorzando brutalmente il suo spiraglio di ottimismo, rinunciando alla contestazione ritrovandosi a fissare lo schermo del cellulare di James voltato nella sua direzione visualizzando il profilo di un certo "Alexander Cady", registrando tuttavia l'informazione sbagliata di fronte alla schermata. «Da quando hai un account Facebook?» 

«Da quando Stark mi ha messo in mano uno smartphone.» ribatte James facendo spallucce, liquidano la divagazione con una spiegazione concisa volta ad avvalorare la propria tesi. «Ne ho tre, uno dove posto le foto del gatto anche. Più un paio di profili falsi su Instagram e un account su Twitter… seriamente Clint, come pensi vada avanti lo spionaggio oggigiorno?» 

«Vorresti dirmi che se cerco "Liho" su Google ho un'intera raccolta di foto del tuo gatto? Davvero?» si ostina a sottolineare l'uomo, incartato sulla nozione più basilare e futili dello spionaggio. 

«Mh-m, esiste un algoritmo che carica dati come se appartenessero a persone reali… ti stai distraendo Clint, non è questo il punto.» afferma James spazientito levando gli occhi al cielo, evidenziando l'indirizzo dell'ufficio di copertura. «Hightown, Madripoor… direi che vale una visita, non credi?» 

«Credo che dobbiamo dormirci sopra… abbiamo entrambi il cervello fuso ed è notte fonda, se ci sembra ancora una buona idea domani mattina partiamo.» propone Clint conciliante reprimendo uno sbadiglio, procedendo a piedi di piombo per non illudersi più del necessario. «Ci stai?» 

«Mi sembra… ragionevole.» concede James scrollando la testa, dando una veloce sistemata allo studio e finendo per collassare sul divano in salotto nel giro di mezz'ora, ritrovandosi con gli occhi a mezz'asta ad un passo dal dormiveglia quando Kobik aveva fatto la sua comparsa al suo fianco, annunciando di aver fatto un brutto sogno e chiedendogli di usarlo come materasso umano. 

James non ci aveva riflettuto affatto, si era limitato a ruotare su un fianco sdraiandosi a pancia in su, alzando un braccio invitante reprimendo uno sibilo infastidito quando Kobik gli aveva piantato un ginocchio sullo stomaco tentando di scalare il divano, addormentandosi tranquillo stringendosela tra le braccia… il problema si era palesato il mattino dopo, quando l'intuizione della nottata prima era sembrata ad entrambi convincente e sensata anche dopo un secchio di caffè, ritrovandosi inginocchiato sui gradini del portico a fronteggiare l'indole capricciosa di una bambina aliena provata da una crisi di pianto inconsolabile alla sola idea di venire "abbandonata". 

«Devo andare via, Pulce…» tenta di rassicurala James inutilmente, asciugandole con i pollici le lacrime che scendevano copiose rigandole le guance. «Qui sei al sicuro-...» 

«No.» insiste la bambina scuotendo la testa, afferrandogli i polsi in un debole cenno volto a trattenerlo, guardandolo con due paia di zaffiri luccicanti in grado di farlo sentire in colpa anche per le caramelle rubate a sette anni. «Ohana significa famiglia, famiglia significa che nessuno viene lasciato indietro o dimenticato.»

«Tu guardi troppi cartoni animati…» brontola James sospirando appena, facendo scorta di pazienza infinita e tentando di suonare ragionevole nel continuo della frase. «Non posso, vado in un posto pericoloso Pulce.» 

«Io sono magica, io ti servo…» insiste Kobik caparbia, cedendo con il tono della voce quando si rende conto che la strada percorsa non stava dando i risultati sperati, cambiando approccio puntando ad aggravare i suoi sensi di colpa. «Voglio restare con te… e se stanotte faccio gli incubi?» 

«Se fai gli incubi chiami Laura… e sei in camera con Lila, sa tirare con l'arco, ti protegge lei dai mostri nell'armadio.» ribatte James con logica inconfutabile, sollevando lo sguardo preoccupato verso i vetri delle finestre quando iniziano a tremare pericolosamente. 

«Ma non è la stessa cosa!» esplode Kobik esagitata, i singhiozzi che le accorciano ufficialmente i respiro, seguendo il suo sguardo fino alle finestre obbligandosi a darsi una calmata per evitare di mandare in frantumi gli infissi di mezza Fattoria, appendendosi precipitosa alla sua gamba per inchiodarlo sul posto quando l'uomo accenna ad alzarsi e scendere il primo gradino del portico. «Avevi detto che non andavi da nessuna parte senza di me… ti prego, papà…»

«Pulce.» sfiata James in risposta perdendo un battito nel richiamarla all'ordine, tornando ad inginocchiarsi a terra afferrandole nuovamente le guance, risparmiandosi la correzione consapevole di aver ceduto a definirla "figlia" per primo… era prevedibile, solo non pensava facesse così male. «Non rendermi le cose più difficili di come sono… ti prego.»

«Prometti che tornerai.» insiste Kobik temeraria, divincolandosi dalla sua presa gettandogli le braccia al collo d'impulso. «Promettilo.» 

James respira a vuoto stringendo la bimba in un abbraccio, reggendola talmente stretta da minacciare di inglobarla all'interno della propria cassa toracica, rinunciando volentieri a qualche costola pur di farle spazio ed impedirsi di lasciarla… ma si obbliga a mettersi nell'ordine delle idee che quello non è un addio definitivo, sotto sotto lo sa, dopotutto ci è già passato. 

 

Brooklyn, 1942: un giuramento lungo una vita intera

 

«Che dici Becca, come mi sta la divisa?» la interroga James sistemandosi la cintura, lisciando le pieghe della camicia con dita nervose, specchiando gli occhi azzurro ghiaccio in uno sguardo riflesso speculare al proprio. 

«Dico che ti sta bene… ma dovresti restituirla al mittente.» mormora Rebecca alle sue spalle, spolverandogli le spalline della giacca riadattare, controllando per l'ennesima volta di aver cucito bene la stoffa trovandolo un buon pretesto per svincolare con lo sguardo. 

«Non posso restituirla… vorrei, credimi.» sospira James voltandosi a fronteggiarla, portandole due dita sotto il mento obbligandola a sollevare gli occhi sul suo volto… scoprendolo annacquato, sorvolando a forza sul tic nervoso malcelato di continuare ad attorcigliarsi e srotolare il metro da sarta tra le dita. 

«Hai paura?» chiede Rebecca obbligandosi a non cedere alle lacrime e fingersi insensibile, la copia carbone di qualche anno più grande di quella bambina che gli aveva sorriso sulla soglia incoraggiante, come se lui fosse l'unica persona importante nell'intero universo e gli assistenti sociali impalati sul portico in sua attesa non esistessero. 

«No, scherzi?» ironizza James costringendosi a un sorriso spento, scrollando le spalle in un gesto fintamente incurante, impedendosi di ripensare alle testate dei quotidiani che stilavano elenchi di morti con ostentato ottimismo. «I giornali sono rassicuranti da questo punto di vista.»

«L'hai detto a Steve?» lo interroga Rebecca a bruciapelo, asciugandosi una lacrima sfuggita al suo controllo con il dorso della mano, allungando le mani a rifargli il nodo alla cravatta per tenere le dita impegnate. 

«Non ancora… stasera abbiamo un'uscita a quattro.» la informa come se fosse una nozione da poco conto, scrollando le spalle in un vano tentativo di scaricare la tensione nel dover fingere entusiasmo di fronte al fratello, sospirando di nuovo all'idea che gli basterebbe una briciola del patriottismo di Steve per contrastare l'idea assillante che il mattino dopo l'avrebbero imbarcato su una nave diretta in quell'immenso mattatoio in cui si era trasformata l'Europa. «C'è l'inaugurazione della fiera nel Queens, ci sono i volantini di Stark in giro per mezza città.»

«Spezzi cuori anche stasera, insomma.» mormora Rebecca stringendo il nodo al collo con più forza di quella richiesta, minacciando di soffocarlo scherzosamente lasciando trasparire nel gesto un rimprovero bonario, sforzandosi di sorridere e reggere lo scherzo. «Da domani inizi a far perdere la testa alle europee, non sia mai che ti fai mancare qualcosa…»

«Ehi… quando torno ti porto al cinema, giuro.» afferma James tracciando una X all'altezza del cuore suggellando la promessa, accentuando il sorriso sentendolo andare in mille pezzi quando le labbra di Rebecca fremono risucchiando un singhiozzo. 

«Al cinema? Non a ballare?» replica la ragazzina – donna, James… non è più una bambina ormai – asciugandosi velocemente una guancia con le dita malferme, liberando una breve risata isterica. 

«Credevo preferissi Walt Disney a Glenn Miller, tutto qui…» si giustifica James scrollando il capo, incappando per sbaglio nel suo riflesso allo specchio scambiandosi per la versione venticinquenne di suo padre, con la stessa divisa indosso ed il piede in procinto di posarsi sopra una mina antiuomo. 

«Walt Disney va benissimo.» lo rassicura Rebecca lisciandogli i baveri della giacca, probabilmente con i suoi stessi ricordi spiacevoli in testa mordendosi un labbro con forza, distanziandosi di colpo ripescando una astuccio in pelle dal tavolo ricolmo di scampoli di stoffa. «Ti ho cucito un porta-tabacco, c'è una taschina apposta per le sigarette, un'altra per i fiammiferi… così hai sempre qualcosa di mio in tasca e non hai scuse per cifrare le lettere.»

James ammutolisce limitandosi ad afferrare l'astuccio e stringerlo tra le dita, trattenendo a fatica le lacrime quando sua sorella cede e si fionda tra le sue braccia inzuppandogli ufficialmente la camicia, percorrendole la schiena in una carezza leggera volta a tranquillizzarla. 

«Voglio che tu mi scriva una lettera Jimmy, ogni volta che puoi.» annuncia Rebecca risoluta, rinforzando ancora di più la presa tra le sue braccia, continuando caparbia a nascondere il volto contro la sua camicia. «Non voglio che tu vada via, Jimmy… vorrei ci fosse un modo per schioccare le dita e fare in modo che la guerra cessi di colpo di esistere.»

«Lo vorrei anch'io Becca…» mormora James stringendo ancora di più la presa del suo abbraccio, posandole un bacio tra i capelli con fare rassicurante. «… ma non preoccuparti, ti scriverò di tutte le ragazze che farò cadere ai miei piedi a colpi di Glenn Miller.»

«Idiota.» sorride restia Rebecca, cedendo alla provocazione concedendogli un sorriso, afferrandogli le guance risoluta cancellando i solchi delle lacrime temerarie che avevano osato sfuggire al suo controllo. «Prometti che tornerai. Promettilo.» 


«Papà torna, promesso, deve solo recuperare la mamma e un altro paio di persone.» garantisce James specchiandosi nei zaffiri senza fondo di Kobik, vedendosi contraccambiato da un timido sorriso. «Ti chiamo ogni sera per leggerti una favola, okay?» 

«Okay…»

 

***

 

«Ottimo lavoro.» afferma Alexander Cady impilando ordinatamente le fotografie della scientifica picchiettando il plico contro il bordo della scrivania, convinto di averle visionate tutte e non un'accurata selezione. «Mi spiace solo di aver perso Anya… era un ottima pedina.»

«Lo so, dispiace anche a me… ma volevi la Belova fuori dai giochi, no?» chiede l'assassina con educata compostezza, ricevendo un sorriso deliziato da parte dell'ultimo Capo rimasto della Dark Room. 

«Certo… aveva iniziato a dare troppi problemi, ha recuperato lo svantaggio troppo in fretta.» liquida l'argomento Cady con un gesto svogliato della mano, spingendo la sedia all'indietro reperendo un pacco regalo e posandolo sul tavolo con un sorriso accecante impresso sul volto. «Un premio per le tue fatiche.»

«Non avresti dovuto.» sorride deliziata il sicario, sfarfallando con le ciglia lasciando trasparire una lusinga peccaminosa, scartando la scatola e sollevando il coperchio rivelando l'ultimo fucile da precisione disponibile sulla piazza, reprimendo un brivido estatico nel stringerlo tra le mani studiandone tutte le componenti. «È semplicemente meraviglioso

«È quello che volevi, no?» sorride Alexander appagato dal suo entusiasmo, ricambiando il ghigno mascherato da lusinga. «Mi è costato un occhio della testa al mercato nero, sono contento che apprezzi.»

«Questo ed altro per la tua punta di diamante, no?» la donna sfarfalla nuovamente le ciglia, mordendosi il labbro peccaminosa facendo cadere definitivamente l'uomo nella sua ragnatela dopo mesi trascorsi a lavorarselo senza sosta. «Solo non capisco una cosa…»

«Cosa sfugge alla tua brillante mente, cara?» replica Cady con una leziosità tale da darle il voltastomaco, allungandosi contro lo schienale della poltrona picchiettando sul proprio ginocchio con fare invitante. 

«Perché ci avete messo così tanto? Le teste, le pedine, la gerarchia… non capisco lo zelo nel fallimento.» afferma la donna civettuola, inserendo il caricatore nel calcio del fucile con nonchalance sfruttando la scusante di assemblarlo per capirne la meccanica, sorridendo deliziata distraendolo con il movimento ipnotico delle sue labbra rosso ciliegia e chinandosi leggermente in avanti mettendo in mostra la scollatura. 

«Non è fallimento, è pazienza… Roma non è stata costruita in un giorno.» sorride Alexander Cady sicuro di sé, ritornando presente a sé stesso scollando lo sguardo dal decolté della Zarina avvertendo il rumore del fucile carico che scatta perdendo la sicura, sollevandolo allarmato sui suoi occhi verdi che ardono furiosi vedendosi la canna dell'arma puntata alla testa. 

«No, ma è bruciata in uno.» sentenzia Natasha Romanov con il più dolce dei sorrisi impresso sulle labbra, premendo il grilletto dipingendo un Pollock sul muro alle spalle dell'uomo, beandosi del brivido gratificante che le percorre la colonna vertebrale e le contrae il basso ventre alla vista del sangue, finalmente libera di esternare i suoi reali pensieri. 

Si ricompone, conscia di non aver tempo da perdere, facendo pulizia inscenando la seconda scena del crimine della settimana disseminando le cariche esplosive, cadendo con l'occhio sull'orologio appeso alla parete… stando ai suoi calcoli lo Zephir-One che aveva visto spiccare il volo via satellite dall'Iowa doveva essere atterrato sul tetto dell'orfanotrofio a Lowtown da più di mezz'ora, le rimaneva meno di un quarto d'ora per terminare l'allestimento prima venire interrotta dalle domande dovute ed insistenti dei suoi due ospiti invitati appositamente per il grande evento. 

«Hai decifrato il mio messaggio, vedo.» sorride Natasha una decina di minuti più tardi, seduta sul bordo della scrivania con le gambe accavallate in palese attesa ostentando spensieratezza di fronte alla porta scardinata dell'ufficio di Cady, l'espressione allibita di Clint ancora a ridosso della soglia e quella granitica di James, fermo al centro dello studio congelato nel bel mezzo della corsa precipitosa in direzione delle sue braccia, assalito da un lampo di rabbia mista a diffidenza più che giustificata. «Mi dispiace non aver potuto farmi viva prima, davvero.»

«…come?» articola James a stento, abbassando l'arma limitandosi ad indicarla nella sua interezza con la mano destra libera, per poi puntare l'indice contro il cadavere di Cady lasciato ad infeltrire di sangue il tessuto della poltrona su cui era stato freddato. «Perché?» 

«È… complicato, звезда моя.» si stringe tra le spalle Natasha scendendo dalla scrivania, avvicinandosi titubante allungando una mano facendo cenno a Clint perentoria di starsene zitto e lasciarla gestire la situazione da sola.

«Semplifica.» non demorde James diffidente, eleggendosi a portavoce della confusione comune bloccandola per il polso sinistro prima che lei possa accarezzargli una guancia, sgranando lo sguardo quando si rende conto di stringere carne sotto le dita, incupendosi quando punta le iridi ghiacciate sulla cicatrice sul suo polso sfiorandola titubante con i polpastrelli. «È diversa…»

«Devi fidarti di me… non abbiamo tempo per questo, James.» tenta di giustificarsi la donna, consapevole di dover scendere velocemente a compromessi se non vuole mandare al diavolo la propria tabella di marcia, cedendo controvoglia di fronte al tremore delle spalle e lo sguardo improvvisamente lucido di suo marito, non troppo diverso da quello di Clint ancora inchiodato sulla porta con le sue stesse domande che fanno capolino sulla soglia delle labbra. 

«Non mi interessa, semplifica





 

Note:

1. Con "morsi della Vedova" si intendono tutte le armi elettrificate date in dotazione alle Vedove Nere (teaser di varie forme e generi – dischetti, proiettili, stelle ninja –, o più comunemente bracciali e bastoni). 

2. Stando ai miei headcanon la Fattoria si trova in Iowa, credo sia la casa d'infanzia di Clint e sono dell'idea che sia per questo motivo che continua a ristrutturarla. 

3. Versione modificata del comune Quinjet che permette al velivolo di viaggiare al di fuori dell'orbita terrestre. 

4. Natasha nei primi anni in America si era data alla coltivazione di varie tipi di ragni letali per estrarne il veleno con cui sedare e/o uccidere le sue vittime, si è dovuta sbarazzare di Igor (la tarantola) quando Clint – dopo le sue accorate proteste andate a vuoto circa il fatto che sia aracnofobico – ha minacciato di lasciarla dopo che è stato accidentalmente morso dalla bestiola finendo in ospedale. 



 

Commento dalla regia:

Pensavate che la lasciavo morta, davvero?
Ogni opinione in merito a come sia avvenuto il miracolo è ben accetta, noi in ogni caso ci risentiamo martedì prossimo per l'ultima "sezione anatomica" ;)

Ne approfitto per ringraziare chiunque abbia seguito la storia fin qui, i lettori silenziosi e non e chiunque abbia inserito questa storia nelle proprie liste… grazie di cuore, davvero.
_T :*

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Capitolo 11
*** TRACOLLO - Cause ***


QUARTA PARTE - ANIMA

 

TRACOLLO: Cause
Lavoro stressante in costante contatto con terzi, ambiente violento o disturbante, forti pressioni esercitate dai superiori.





 

«Devi fidarti di me… non abbiamo tempo per questo, James.» tenta di imporsi Natasha forzando il tono di voce in una nota autoritaria, ignorando il ticchettio inesorabile dell'orologio che le ricorda di non poter assolutamente perdersi in chiacchiere. 

«Non mi interessa, semplifica.» insiste James caparbio, lo sguardo che vacilla al suo cospetto, riuscendo quasi a leggerlo nel pensiero intuendo gli argomenti urlati dalle voci nella sua testa, continuando a stringerle il polso incapace di razionalizzare gli impulsi tattili e visivi. «Eri morta, ti ho seppellita.» 

Natasha sa cosa sta pensando, in realtà conosce perfettamente i pensieri di entrambi, ma se Clint ha già superato lo stupore ed ora pende dalle sue labbra accecato dalla consapevolezza di vivere in un mondo in cui magia e scienza realizzavano miracoli, James non era intenzionato a cedere di un millimetro dalla sua posizione fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva… e la donna non poteva dargli torto, a volte una speranza mal riposta era solamente una lenta tortura autoimposta. 

«La Stanza Rossa ha reclutato Epsilon Red, è in grado di rigenerare fisicamente e mentalmente un organismo da zero… avrebbe dovuto trasmettermi solamente una memoria parziale, ma ha deciso diversamente.» sciorina Natasha in fretta, riassumendo spiccia gli eventi degli ultimi tre mesi, mentre James annuisce confermandole che quella fornita era una spiegazione a cui poteva credere, facendole cenno di argomentare. «Ho passato quasi tutto il mio tempo a depistare Anya, per questo Yelena non trovava più uno straccio di pista.» 

La sua voce vacilla nel menzionare la morte della sorella, poco importava se Yelena le aveva creduto su due piedi e si era immolata senza battere ciglio, sopprimendo il desiderio di aver avuto un altro modo per consolidare la propria fedeltà alla causa agli occhi del suo ex datore di lavoro… ma se quel fremito lei lo percepisce come una debolezza fuori controllo, per James sembra diventare la conferma indiscussa che spazza via ogni remora spingendolo a portare a compimento la sua traiettoria, avvicinandosi di un altro passo prima di arrestarsi di nuovo di fronte all'obiezione più che giustificata che scivola dalle labbra di un Clint confuso da una spiegazione così criptica. 

«Come facciamo a sapere che tu sei davvero tu?» la interroga l'uomo dubbioso, sollevando gli occhi al cielo spazientita in risposta… e forse è quel futile dettaglio a convincerli, più delle sue parole espresse in seguito, scartabellando mentalmente la lista di segreti ed episodi imbarazzanti che conservava sul loro conto. 

«Mi salgono ancora i conati al pensiero di quel milkshake alla fragola semplicemente disgustoso che mi hai rifilato in aeroporto a Budapest, Clint.» specifica Natasha ad un passo da un esaurimento nervoso, sorridendo di riflesso quando vede il suo sguardo illuminarsi al ricordo di lei che correva al cestino più vicino e vomitava quel concentrato chimico di latte e zucchero – specificare di essersi vendicata rovesciandogli in testa la metà di bevanda restante per aver osato ridere troppo le sembrava superfluo –, posando poi lo sguardo su James dipingendosi un sorriso complice sulle labbra. «Tu invece soffri di vertigini звезда моя, l’ultima volta che ti ho trascinato a Coney Island sei salito sulla ruota panoramica per farmi contenta, ma quando hai rimesso piede a terra mi sei crollato addosso e li hai definiti i “cinque minuti più spaventosi della tua vita”... ho passato l’esame?»

«Sì, decisamente sì.» ribatte James con un sorriso da orecchio ad orecchio, prendendo ufficialmente la rincorsa afferrandola per la base della schiena sollevandola da terra, baciandola impetuoso stroncandole il fiato… cancellando di colpo gli ultimi tre mesi di inferno relegando la Fine ad un brutto ricordo.

 

Madripoor, tre mesi prima: una ragnatela ricoperta di rugiada

 

Natasha freme impaziente con un sorriso euforico impresso sulle labbra, grata che la gonna del vestito da sposa nasconda le sue ginocchia tremanti, completamente persa negli occhi azzurro ghiaccio di James vivendo appieno quello che crede sia uno dei giorni più belli della sua vita, desiderando che il celebrante velocizzi il ritmo delle formule di rito per poter finalmente rendere noto al mondo intero che James Buchanan Barnes sia a tutti gli effetti suo marito.

«Se qualcuno è contrario a queste nozze, parli ora o-...»

«Io! Io mi oppongo!» strepita furibondo qualcuno dal fondo della navata, avanzando verso l’altare a passo di carica in una brutta imitazione di una vecchia commedia romantica, seguito velocemente da quattro voci diverse che sbraitano la medesima frase.

Natasha smorza il sorriso allarmata, voltandosi interdetta a fronteggiare i cinque oppositori rendendosi conto che i banchi della chiesa sono deserti se non per coloro che avevano espresso voce in capitolo. Il Generale Karpov si sporge oltre il banco esagitato al fianco di Lukin, proclamando ingiurie dal lato dello sposo facendo a gara con le ovazioni incollerite provenienti dal lato della sposa, dove Madame B sbraita insulti seguita a ruota da Ivan Petrovich, mentre un uomo alto e dal sorriso smagliante dolce quanto lo zucchero delle caramelle elenca i moventi più disparati per interrompere la farsa… e le urla riecheggiano tra le mura in pietra della chiesa, spingendo Natasha a specchiarsi negli occhi ricolmi di panico di James mentre legge nelle sue iridi la sua stessa consapevolezza di essere entrambi disarmati, strofinando comunque le mani lungo il tessuto della gonna dorata cercando delle tasche inesistenti.

È questione di un battito di ciglia, uno sfarfallio del suo campo visivo, un svolazzare di vesti seguito da cinque colpi di pistola secchi ed assordanti… i suoi accaniti oppositori si afflosciano al suolo con un foro alla fronte cadauno, mentre il celebrante rinfodera l’arma tra le pieghe della veste come se nulla fosse, sorridendo gentile attirando lo sguardo basito della donna.

«Un dono di nozze… per altri mille di questi giorni a cui non voglio assistere.» si giustifica stringendosi tra le spalle, convertendo il sorriso in un ghigno quando Natasha ricambia il suo sguardo confusa. «Posso fermare tutto questo, sai? Mi dispiacerebbe davvero molto dover cancellare dalla tua testa questo momento.» 

«Allora non farlo, lasciamelo.» ribatte la donna d’impulso, improvvisamente consapevole di trovarsi nel bel mezzo di un delirio lucido orchestrato da l’uomo che aveva di fronte e che apparentemente aveva libero accesso alla sua mente, prendendo in mano le redini di quel giochetto sadico tempestiva contrattando pragmatica una via d’uscita.

«Giochiamo per la stessa squadra Natalia, credimi… ma dato che questa è una trattativa, io lascio la tua memoria integra e in cambio voglio solamente un piccolo favore.» afferma il suo interlocutore con un sorriso comprensivo impresso sulle labbra, emanando quel sentore di fiducia cieca che Natasha percepisce e non può fare a meno di seguire, consapevole che per una volta la sua mente non nascondeva insidie e di fronte a quell’accordo non aveva nulla da temere. 

«Cosa devo fare?» ribatte la donna senza troppe remore, mostrandosi collaborativa mentre affronta l’idea che quando aprirà gli occhi si ritroverà all’inferno, quindi tanto valeva sfoderare l’artiglieria pesante e procacciarsi tutti i mezzi per sopravvivere all’impresa.

«Disinnescami.» sussurra l’uomo al suo orecchio, ritirandosi di colpo spezzando il momento di tensione riavvolgendo il nastro, riprendendo da dove si era interrotto. «… bene, se non ci sono obiezioni, io vi dichiaro marito e moglie. Lo sposo può baciare la sposa.»

James non se lo fa ripetere due volte, azzerando le distanze afferrandola per la vita obbligandola ad assecondare il movimento piegandosi in un casquette, sorridendo contro le sue labbra mentre l'intera folla esulta. 

 

Natasha spalanca gli occhi sul soffitto bianco del laboratorio, strappandosi i neurotrasmettitori dalle tempie ed alzandosi di scatto dal lettino come se le avessero dato la scossa, guardandosi intorno frenetica riconoscendo il celebrante del suo delirio onirico nell'uomo legato alla sedia a rotelle, con un collare contenitivo al collo e l'espressione allucinata e remissiva di chi fisicamente era troppo intontito dai farmaci per poter parlare, riconoscendola a sua volta oltre la patina opaca dello sguardo sollevando appena un angolo delle labbra. 

«Ursus, puoi riportare Epsilon nella sua stanza?» chiede una voce gentile al suo fianco, voltandosi verso un uomo dal sorriso smagliante che Natasha riconosce come il quinto oppositore alle sue nozze, distraendosi quando Mikhail si fa avanti su due zampe da un angolo in ombra della stanza scoccandole uno sguardo ammonitore, obbligandosi a non manifestare stupore nel scoprirlo ancora vivo ed operativo. «Mia cara, come ti senti? L’ultimo scontro ti ha ridotta così male che ho dovuto ricorrere alle maniere drastiche, mi dispiace.» 

«Sono come nuova.» annuncia con nonchalance, dissipando l'istinto di darsi alla fuga deducendo di doversi mostrare accomodante dall’inflessione nella voce dell’uomo nel richiamarla all’ordine, alzandosi dal lettino spavalda barcollando appena, anticipando ogni proposta del suo presunto capo puntando lo sguardo sul grizzly con un sorriso complice impresso sulle labbra. «Ursus, accompagneresti anche me al mio alloggio?» 

Mikhail aveva colto la palla al balzo porgendole una zampa, stringendola con forza manifestando una tacita gratitudine per assecondarla ed un sincero affetto nel vederlo vivo, approfittando del tour della struttura per memorizzare i corridoi, spingendo Mikhail ad aggiornarla per mettersi in pari con il programma. Ursus l’aveva zittita indicandole cautamente le guardie alle porte, aspettando di chiudersi nel suo alloggio asettico per spiegarle cosa le fosse capitato, elencando i nomi e specificando il ruolo di ognuno in quel disastro caotico che era stato il suo assassinio.

Le aveva illustrato in cosa consistessero realmente i poteri di Epsilon, confidandole che l'ultima testa dell'HYDRA gli aveva spezzato le gambe per impedirgli di scappare, obbligandolo a sottoporsi ai poteri di Kobik per domare il suo spirito combattivo, ottenendo solamente l'effetto contrario quando a distanza di settimane lui e Alexei avevano scoperto che il mutante aveva ampliato gli orizzonti fanciulleschi della piccola mantenendo un canale di comunicazione diretto con la sua mente, bisbigliando all'orecchio del suo inconscio assillandola con incubi raccapriccianti ed impartendole al contempo direttive specifiche per attuare la sua vendetta… provando un moto di compassione viscerale nei confronti della bambina, per Natasha era stato inutile tentare di dimostrarsi insensibile di fronte a quei risvolti cupi, richiamando alla mente controvoglia le remore di James sull'argomento lasciando libero sfogo a quel lato umano che solitamente manteneva soppresso. Agli occhi del mutante il coinvolgimento di Kobik era fondamentale, il suo necessario, quello di James obbligatorio… l'intervento diretto di Steve era stato un fuori programma inatteso che aveva spinto ognuno di loro a fare i conti con un bel po' di scelte discutibili che avevano fatto finire Alexei in una cella, aumentando ed inasprendo i controlli di sicurezza e trascinando lei nel cuore pulsante del problema obbligandola ad adattarsi al cambiamento.

Natasha aveva pianto lacrime amare quando la sera stessa si era osservata nuda allo specchio, apprendendo il come Alexander Cady avesse preteso di riportarla a zero, cancellando le sue cicatrici e con esse ogni traccia del passaggio di James dal suo corpo… aveva premuto le dita con forza sul fianco, trovando pelle liscia ed intatta dove un tempo c'era il foro d'entrata di un proiettile sparato ad Odessa, graffiandosi la schiena cercando il conforto di un abbraccio che non poteva ricevere. Nei giorni a seguire aveva scoperto che nel periodo di incoscienza forzata le avevano nuovamente scarnificato il polso sinistro legandola alla Stanza Rossa, minacciando di distruggerle il crociato ricreando il marchio di appartenenza al Generale Petrovich ed infliggendole per una seconda volta quella ferita profonda ed indelebile che le attraversava il basso ventre rendendola a tutti gli effetti una Vedova – di nome, di identità, di prole ed a tratti di fatto –… fisicamente era tornata ad essere creta modellabile nelle mani dei suoi aguzzini, come se l'orologio avesse smesso di ticchettare nel novembre del '63 quando le avevano fatto credere di aver assassinato Alexei [1], pretendendo di cancellare dalla sua memoria Budapest e tutto ciò che si era verificato in seguito, andando a modificare la sua esistenza con una montagna di reazioni a catena.

Per Natasha era stato naturale giocare d'astuzia, mostrandosi accomodante compiacendo il suo nuovo Capo, sorridendogli seducente figurandosi James al posto di Cady per renderselo più facile… imparando a proprie spese che la copertura le stava stretta in un modo che non credeva possibile, ritrovandosi sempre più spesso a fantasticare insonne di poter mettere piede fuori dall'Accademia alla luce del sole, farsi venire a prendere da suo marito e tornare a Parigi, sventolando bandiera bianca deponendo le armi sul fondo dell'armadio e godersi la pensione accoccolati sul divano. 

Con il passare delle settimane era finita per trascorrere le sue giornate a depistare Anya ed ingraziarsi Cady, muovendo i fili sottobanco per distanziare Yelena dalle proprie tracce, progettando una fuga che conservava un lieto fine per ognuno di loro, disseminando i presupposti adatti all'occorrenza sfruttando il fatto che il mondo intero la credesse morta… alcuni giorni era semplicemente più difficile di altri venire a patti con quella consapevolezza, da quel punto di vista Ursus si era rivelato un aiuto prezioso, assumendo il ruolo di suo confidente fidato in quei rari momenti di debolezza. 

«Ti chiedi mai perchè siete finiti per diventare delle leggende al Dipartimento?» aveva chiesto Mikhail a bruciapelo una mattina di inizio marzo, cogliendola di sorpresa mentre contemplava il sorgere dell’alba con un mozzicone consumato tra le labbra, obbligandola ad asciugarsi in fretta e furia le lacrime che le rigavano il volto.

«Curriculum impeccabile?» aveva azzardato Natasha voltandosi a fronteggiare l’orso appostato alle sue spalle, ritirando le gambe dal cornicione smorzando la sigaretta contro il bordo di cemento del Palazzo, obbligandosi ad un sorriso forzato per salvare le apparenze.

«No… è perché siete la dimostrazione vivente che l’amore non è una malattia cronica.» aveva rivelato Mikhail scoprendo le fauci in un sorriso, fingendo di non vedere le lacrime traditrici che tornavano a far capolino all’angolo dei suoi occhi verde foresta, ritrovandosi stretta in un abbraccio soffocante seppellendo volutamente il naso contro la pelliccia bruna dell’orso. «James capirà, fidati… dopotutto ci siete già passati.»

«Lo so Mikhail, é che sono stanca… credevo di aver chiuso anni fa con tutto questo.» aveva mormorato Natasha divincolandosi dalla sua presa, sorridendo all’idea fugace che le era apparsa mortifera nella testa, scindendo tra l’emotivo e l’utile convertendo per istinto la debolezza in determinazione furiosa. «Questa volta quando raderemo al suolo questo posto facciamo in modo di polverizzare le macerie, siamo d’accordo?»

«Non sono nessuno per contraddire gli ordini della Zarina.» aveva sorriso Mikhail incoraggiante con una scintilla di fiducia circa ad illuminargli lo sguardo. «Cosa devo fare, Romanova?» 


«Quali sono gli ordini, 'Tasha?» chiede James senza perdere tempo riportandola brutalmente presente a sé stessa, concedendole il lusso di respirare ossigeno facendole posare nuovamente i piedi a terra, indicando il corpo di Alexander Cady riverso sulla poltrona a fissare il soffitto dell’ufficio con sguardo vitreo. «Presumo che quello diventi colpa nostra, non l'hai marchiato.»

«Non mi serve marchiarlo, faccio esplodere l'ufficio…» sorride complice Natasha piazzandogli sotto il naso il dispositivo di innesco appena sfilato dalla tasca, dipingendo sulle labbra di James il medesimo ghigno. «… confondiamo un po’ le acque, no?» 

«Non è l’equivalente di un cartello a neon che segnala il tuo tradimento?» interviene Clint procurandosi un’entrata in scena spintonando via James per gettarle a sua volta le braccia al collo, inglobandola in un abbraccio soffocante. «Giocami di nuovo uno scherzo del genere e ti ammazzo con le mie mani, ci siamo intesi Nat?»

«Non è tipo un controsenso?» azzarda la donna distanziandosi di quel poco che le permette di rivolgergli la parola, incurvando le labbra in un sorriso mortifero che gli consigliava caldamente di toglierle le mani di dosso e ridarle libertà di movimento. «Giuro che è l’ultima volta che sparisco dai radar in questo modo, ma ora dovete darmi retta tutti e due... non abbiamo troppo tempo da perdere.»

«E questo?» interviene James distratto, abbassando lo sguardo sul fucile nuovo di zecca che ora reggeva tra le mani, lo sguardo curioso e luccicante mentre ne studiava le componenti, indicandole con il mento il pacco regalo posato sulla scrivania una volta ottenuta la sua completa attenzione. 

«Buon compleanno…?» azzarda Natasha titubante beandosi del sorriso euforico di James di fronte all'arma mentre metabolizza l'informazione, divincolandosi dalla presa di Clint per voltarsi a ricambiare frontalmente lo sguardo adorante di suo marito con la medesima intensità luminosa. «Ti avevo promesso un fucile… so di essere in ritardo di circa un mese, ma meglio tardi che mai, no?»

«Tu non hai idea di quanto ti sto amando in questo preciso istante, любовь моя.» annuncia James riferendosi all’arma come se stesse parlando di un'autentica reliquia, tornando a posarla sul tavolo aggirando la scrivania per stringerla di nuovo tra le braccia fregandosene deliberatamente del ticchettio delle lancette che correvano inesorabili, mentre Natasha ride di gusto di fronte alla sua reazione spropositata ricambiando la stretta concedendosi un ultimo istante di tregua prima di tornare alla carica.

«Mi dispiace rovinare il momento romantico… ma che dobbiamo fare, Nat?» si fa avanti Clint da perfetto terzo incomodo, reprimendo uno sprazzo di riso nell’udire il vago lamento gutturale di James quando la lascia di nuovo libera, anticipandola con perfetta sintonia.

«Organizziamo l'assalto mentre la salvatrice della Patria qui presente si elegge a paladina della Madre Russia.» afferma suo marito con un sorriso beffardo impresso sul volto, assumendo le redini della situazione distanziandosi di un passo per aver libertà di manovra, dislocandosi manualmente l’articolazione della spalla sinistra porgendole la protesi. «Sgancia l’arco, Clint.»

«Perchè?» replica l’arciere confuso portando istintivamente una mano alla cinghia della faretra, diffidando della mano tesa di Natasha che reclamava a palmo aperto la sua arma preferita, cadendo con lo sguardo nella cerniera del borsone abbandonato ai piedi della donna dove aveva già delicatamente riposto il braccio bionico del compagno. 

«Trofei.» riassume James con un ghigno poco rassicurante impresso sulle labbra, scoccando uno sguardo di profondo astio in direzione del cadavere di Cady stringendo di riflesso la vita di Natasha con il braccio restante portandosela più vicina, tornando a posare gli occhi azzurro ghiaccio su di lui sorridente quando cede riluttante l’arco alla donna. «Sei appena morto Clint, congratulazioni, benvenuto nel club.»

 

***

 

Il boato della denotazione è talmente fragoroso che si propaga per interi isolati di distanza, spingendo Steve a precipitarsi in strada per capire cosa sia successo, notando una voluta di fumo nero e denso che si levava da uno dei tanti palazzi nelle vicinanze mentre Sharon correva fuori a perdifiato dal portone dell'orfanotrofio arrivando ad affiancarlo allarmata. 

«Non è la zona dove dovevano andare Bucky e Clint?» chiede preoccupato alla compagna, rinunciando ad ottenere una risposta in conferma sfilando tempestivo il cellulare dalla tasca, arrivando a comporre il numero dell'arciere prima di interrompersi al suono della notifica di un messaggio in entrata, abbassando il menù a tendina realizzando di essere stato battuto sul tempo aprendo l'SMS da parte di Clint, dipingendosi per riflesso un sorriso euforico sulle labbra che desta la curiosità di Sharon. 

«Perché sorridi?» chiede la donna dubbiosa tentando inutilmente di strappargli il cellulare di mano quando le nega una risposta, troppo spaesato per articolare una qualsiasi risposta sensata, reagendo di impulso sollevandola da terra facendola girare su se stessa, incollando le labbra alle sue quando le concede di rimettere i piedi a terra. «Ehi, calmo tigre… pensi di rendermi partecipe o-...?»

Sharon ammutolisce di colpo quando Steve si limita a piazzarle davanti lo schermo del cellulare, mostrandole la conversazione aperta sulla chat con Clint dove spiccava una foto talmente surreale da dipingere anche sul suo volto un sorriso a metà tra l'euforico e il basito: James di spalle che si stringeva con il braccio sano ad una donna che era palesemente ed inconfutabilmente Natasha, entrambi con lo sguardo sollevato in direzione del cratere che sventrava il palazzo esploso qualche minuto prima con lo stesso entusiasmo di una coppia di neo-sposini che ammirava estasiata lo spettacolo pirotecnico del 4 luglio… scoppiando a ridere nel leggere il messaggio inviato subito dopo, un a dir poco pessimo "ritorno con il botto" seguito a ruota da una decina di emoji che raffigurano fiammelle, bombe e candelotti di dinamite vari, allegandoci infine la minaccia velata di stampare la foto ed incorniciarla per regalarla ai due diretti interessati come dono per l'anniversario di matrimonio. 

«È una buona notizia, no?» chiede dubbiosa Sharon quando il sorrido di Steve si smorza, confuso dal vuoto che prova nell'avvertire il senso di colpa dissolversi di punto in bianco, mettendo in luce quel buco nero all'altezza dello stomaco che si trova improvvisamente sprovvisto di nutrimento, rivoltandogli le viscere all'idea di dover affrontare James da un momento all'altro… con una tempistica oltremodo orrenda che li vedeva ancora entrambi su fronti opposti, realizzando che il ritorno di Natasha al mondo dei vivi non implicava un azzeramento di tutto ciò che lui era stato troppo vigliacco per fare o troppo poco coraggioso per dire. 

Steve era fin troppo consapevole di aver relegato le sue scuse più sentite alla segreteria telefonica, illudendosi che così facendo avrebbe gettato le basi per costruire un ponte tra lui e il fratello… quando, al contrario, sarebbe dovuto salire alle Mura a sua volta dopo la terza telefonata a vuoto, chiarendo la situazione di persona e stringere James in un abbraccio, che lui lo volesse o meno. L'aveva abbandonato a sé stesso, seguendo alla lettera quel "vattene" sbraitato dettato dal dolore, permettendogli di isolarsi ed annegare nella depressione… aveva scoperto da Yelena che Kobik – una bambina aliena di quattro anni – era stata fondamentale per rimettere James in sesto, Steve non avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto se una volta scemata la rabbia Bucky aveva reagito alla sua assenza costruendogli un fossato attorno per tenerlo lontano. 

«Steve…?»

«Con che coraggio lo affronto Sharon?» si lascia scivolare dalle labbra spaesato, specchiandosi nella calma piatta celata negli occhi della donna, intravedendo una scintilla di consapevolezza che la spinge ad allungare una mano al suo volto per imprimergli una carezza sulla guancia. 

«Con il coraggio che ti è mancato tre mesi fa… avevi perso anche tu la tua migliore amica, non dimenticartelo.» afferma Sharon conciliante assumendo il ruolo della voce della coscienza, scrollando le spalle frenando un ripensamento che si affaccia sulla soglia delle labbra, ingoiandolo in silenzio sperando che lo sguardo non la tradisca. 

«Cosa?» indaga Steve incupendosi davanti al suo leggero tentennamento, afferrandola per un gomito quando la donna accenna ad allontanarsi di un passo. «Dimmelo.»

«Solo… questa volta vedi di scusarti di tua iniziativa, non costringere James a strapparti a forza un "mi dispiace" dalla bocca.» sciorina in fretta la compagna abbassando lo sguardo sulla punta delle scarpe, tornando a cercare i suoi occhi azzurro cielo con una vaga punta di rimorso nel sbattergli in faccia i suoi difetti peggiori in un momento come quello. «Lo sa che ti senti in colpa, vuole solo sentirtelo dire

«Io ammetto sempre quando sbaglio…» replica d'impulso arrampicandosi sugli specchi, negando con un cenno della testa. «Fammi un solo esempio in cui non-...»

«Risparmiatelo.» lo interrompe Sharon smorzandogli il fiato con un semplice sguardo che lo sfidava apertamente a contraddirla, picchiettando a palmo aperto contro il suo petto con fare accondiscendente. «Io torno dentro ad avvisare Jessàn, tu invece puoi farti un esame di coscienza nel mentre che aspetti gli altri due… che dici, ti sembra una buona idea, uh?»

Steve ammutolisce limitandosi ad ammirarla in silenzio mentre sfilava verso il portone dell'orfanotrofio da cui era uscita di corsa, mordendosi la lingua soffocando la colpa… dopotutto non facevano altro che ripeterlo da settimane ormai, sotto a dosi massicce di idealismo ed un filo di ipocrisia sapeva che Sharon aveva ragione e lui prontamente si ostinava a rifiutarsi di ammetterlo ad alta voce come suo solito. 

Steve era stato abituato fin da piccolo ad avere sempre una persona a guardargli le spalle, un qualcuno che si prendeva cura di lui, gli lasciava vincere qualche discussione, si prestava allo scherzo o gli offriva una spalla su cui piangere… e la consapevolezza che quel qualcuno fosse stato Bucky nove volte su dieci non lo aiutava per niente, finendo solamente per sottolineare il suo atteggiamento discutibile negli ultimi mesi. Steve si era convinto che James avesse bisogno dei suoi spazi, facendo fede ad un ordine sbraitato in preda al dolore invece di reagire in memoria di tutte quelle lezioni imparate nei suoi primi vent'anni di vita a forza di porte in faccia, brontolii esasperati e compromessi che teoricamente avrebbero dovuto limare gli angoli aguzzi del carattere di entrambi… in quelle ultime settimane Sharon aveva tentato inutilmente di spingerlo a ragionare su fatto che ciò che era successo poteva considerarsi un incidente, che James non ce l'aveva realmente con lui ma semplicemente Steve era la persona più facile da odiare in quel momento e che prima o poi avrebbero dovuto ricominciare a parlarsi. Paradossalmente la prima conversazione che lui e James avevano avuto dopo settimane di mutismo era stato un consulto impersonale per fare chiarezza su un omicidio, lo stesso argomento che li aveva divisi all'inizio e che avrebbe potuto evitare loro quella intera situazione se solo Steve avesse avuto un po' più di faccia tosta ed obbligare James ad un confronto diretto come il fratello aveva sempre fatto al suo posto in scenari analoghi, invece di nascondersi dietro ad un silenzio riparatore che aveva solo reso ancora più fragili le crepe che componevano il baratro creatosi tra loro. Forse Sharon aveva ragione… il condizionamento dettato dall'HYDRA poteva giustificarlo al suo posto fino a un certo punto, James lo sapeva meglio di lui, ma prima o poi Steve avrebbe dovuto rispondere del senso di colpa che aveva ripreso a rivoltargli le viscere, resurrezioni miracolose o meno. 

Nei pochi minuti che gli restano Steve prova seriamente a prepararsi un discorso di scuse, rinunciando velocemente a qualsiasi bella frase ad effetto, cedendo a rimuginare sopra a quel "mi dispiace" che da una dozzina di settimane gli ostruiva la gola rendendo amare le sue parole, senza tuttavia convincerlo al centro per cento ad esprimerle ad alta voce smacchiandosi la coscienza… dopotutto che senso aveva chiedere perdono ora, fuori tempo massimo? 

Tutti i buoni propositi di Steve – in realtà l'unica bozza di idea mal assemblata negli ultimi minuti – vanno in fumo quando James varca la soglia dell'orfanotrofio con un sorriso accecante ad incorniciargli il volto, la manica sinistra della divisa vuota e la tracolla di un fucile nuovo di zecca a pesargli sulla spalla destra. 

È armato… è l'unico pensiero sensato che attraversa il cervello di Steve con logica ed urgenza opinabile, congelandolo sul posto a fronteggiare il fratello che incespica sui propri piedi a sua volta quando entra nel suo campo visivo e lo mette a fuoco, attenuando il sorriso di riflesso mentre Clint alle sue spalle cerca istintivamente l'arco mancante, seguendo il suo stesso esempio finendo per posare lo sguardo allarmato sul fucile che pendeva dalla spalla del fratello. Steve silenzia il cervello seguendo ciecamente il bisogno dettato dall'impulso, rassegnandosi al fatto che se era destinato a ritrovarsi una pallottola conficcata nel corpo si sarebbe limitato a stringere i denti, patire in silenzio e tirare avanti, preferendo nuovamente i gesti alle parole colmando il paio di metri di scarto gettando le braccia al collo di James stringendolo in un abbraccio, aumentando la stretta quando avverte il braccio di carne cingergli la vita e ricambiare il gesto. 

«Questo non vuol dire che abbiamo fatto pace.» sentenzia James riacquistando compostezza cercando con poca convinzione di divincolarsi dalla sua presa, rinunciando velocemente all'impresa finendo per incastrare il mento contro la curva della spalla di Steve abbandonandosi al contatto, aumentando la stretta di riflesso. «Okay… devo ammettere che un po' mi sei mancato, cretino

«Mi sei mancato anche tu, idiota.» replica Steve in risposta, allentando la morsa delle sue braccia scoprendo di non potersi comunque muovere, lottando con quelle due semplici parole che continuano a grattare insistenti sul fondo della gola, trovando solamente la forza di procrastinarle. «Tregua?» 

«Per ora.»

 

***

 

Alexei ha ormai perso il conto dei giorni trascorsi tra le mura della propria cella, riuscendo a malapena a distinguere l'alternarsi dei giorni in base ai pasti recapitatogli a turni alterni da Anya e Mikhail… di solito la settimana iniziava con una iniezione di tranquillante deabilitante, mentre i sei giorni restanti erano un continuo susseguirsi di deliri allucinogeni, pasti immangiabili e aggiornamenti fini a sé stessi quando Ursus si palesava nella sua cella con un vassoio e gli raccontava a mezza voce i nuovi dettagli del piano di fuga progettato da Epsilon Red. 

Per le prime settimane di reclusione forzata si era crogiolato nei propri deliri mentali, lasciando pieno controllo all'istinto di sopravvivenza, trascorrendo qualche serata ad ammazzare il tempo steso sul letto a chiacchierare con il fantasma della sua ex moglie… era stato un duro colpo realizzare che le quattro dosi di anestetico settimanali si erano ridotte a malapena a due con l'arrivo di Natasha, congelando sul posto quando le dita della donna avevano osato spingersi oltre i trenta centimetri che li separavano, districandogli le ciocche di capelli in una carezza innocua. 

«Sei abbastanza lucido per capire che sono davvero qui, giusto?» aveva sussurrato la donna con un piccolo sorriso a sollevargli l'angolo della bocca, inchiodandolo con uno sguardo verde foresta così penetrante da fargli perdere l'equilibrio pur restando steso sul materasso. 

«Quindi non sto sognando ad occhi aperti?» mormora confuso, protendendosi nella sua direzione bisognoso quando Natasha si alza dal letto con un movimento sinuoso, ponendosi nelle condizioni di squadrarlo dall'alto.

«No, non stai sognando.» conferma la donna puntando i pugni ai fianchi, inclinando la testa e sfarfallando con le ciglia con fare malizioso, concedendosi il lusso di deriderlo. «Suppongo che se fossimo in un sogno io avrei di sicuro qualche vestito in meno.»

«Possiamo rimediare, se vuoi.» propone Alexei prestandosi allo scherzo, ghignando provocatorio senza demordere anche quando la sua ex moglie scuote la testa in cenno di negazione declinando la proposta. «Neanche in memoria dei vecchi tempi?» 

«Non sono ancora così disperata, моя дорогая [1].» ribatte Natasha spigliata, marcando volutamente sul diminutivo che gli aveva affibbiato una vita prima, guadagnando la porta ancheggiando di proposito con fare giocoso. 

Alexei non aveva saputo ribattere e Natasha si era chiusa la porta alle spalle, appurando la presenza del vassoio con il suo pasto posato sopra il tavolo, adocchiando una siringa usata nascosta tra le pieghe del tovagliolo, nascondendola agli occhi vigili di Anya e sbandierandola sotto il muso di Mikhail due giorni più tardi chiedendo spiegazioni. 

«Antidoto.» aveva replicato con una scrollata di spalle, sparandogli un dardo sul collo con una cerbottana. «Io e Romanov ti stiamo disintossicando dal veleno di Anya, ci servi vigile se vogliamo uscire da qui.»

«Quindi è sveglia» riesce ad affermare Alexei dopo un leggero tentennamento, assimilando l'idea che la conversazione di un paio di giorni prima si era verificata sul serio – insieme a tutte quelle avvenute negli ultimi due mesi circa –, corrucciando le sopracciglia risentito quando Ursus si lascia andare ad un bramito di scherno. 

«Quindi è sveglia?" È davvero l'unica cosa di cui ti importa?» lo riprende Mikhail prendendolo a bacchettate in testa con la cerbottana che stringeva ancora tra gli artigli. «Per qualche strana ragione è disposta a salvarti il culo nonostante tutto ciò che hai combinato, e tu pensi a come approfittatene?» 

«Non voglio approfittarmene, è che i piani all'inizio non erano questi.» si giustifica Alexei con tono risentito, offeso dall'accusa nonostante fosse più che motivata… aveva commesso un solo errore di valutazione in tutta la sua vita, forse il peggior crimine che avrebbe mai potuto compiere – doveva ammetterlo –, ma sembrava che chiunque altro puntualmente si dimenticasse il come aveva trascorso il resto della sua prigionia auto-inflitta per redimersi. 

«Epsilon ha cambiato idea.» lo liquida Ursus guadagnando la porta, congedandosi con un movimento d'artigli che ricordava un saluto militare oltremodo grottesco. 

Alexei era rimasto a fissare con sguardo vacuo la porta per più tempo di quanto potesse essere considerato sano, pizzicandosi l'interno dei polsi in un monito a restare concentrato e vigile. L'ex Guardiano Rosso aveva avuto l'onore – o la disgrazia – di ritrovarsi nel Palazzo Mentale di Epsilon Red solamente una volta, Cady aveva avuto la brillante idea di azzerarlo subito dopo averlo rinchiuso, togliendogli il ricordo del doppione di Natasha steso sul lettino del laboratorio privandolo di un pretesto per ribellarsi… Epsilon l'aveva illuso che quel particolare scenario fosse solamente il recesso di un brutto incubo, insinuandosi subdolo aprendosi una porta d'accesso alla sua mente attraverso un suo vecchio ricordo risalente ai giorni subito dopo l'intervento [2] – quando lui e la moglie avevano trascorso intere nottate insonni stesi sul letto a fissarsi in silenzio, uno dei pochi momenti in cui poteva affermare convinto che quando Natalia lo guardava innamorata e grata vedeva lui e non il gran bastardo del Soldato –, disseppellendo quella istantanea ed illudendolo a sua volta per mesi di conversare con un fantasma, mantenendolo buono e docile fino a quando non gli sarebbe servito per il giorno dell'assalto. 

«Perché lo fai?» aveva chiesto Alexei a bruciapelo a Natasha il giorno dopo quando l’aveva vista entrare nella sua cella in punta di piedi, iniettandogli rapida l'antidoto in vena prima di stendersi al suo fianco sopra il materasso, le mani giunte sotto la testa e le ginocchia piegate che sfiorano le sue. 

«Mi sentivo al sicuro con te, in questo momento almeno… è una sensazione che ultimamente mi manca.» ammette la donna svicolando con lo sguardo, mordendosi il labbro risparmiandogli la confessione ad alta voce che alludeva allo stratagemma di usarlo come tranquillante in assenza del Soldato d'Inverno. 

«Quindi mi stai usando...» la asseconda dando voce ai propri pensieri, mancando un battito quando Natasha si sporge nella sua direzione cercando il suo abbraccio.

«Ti restituisco il favore, Alexei… me lo devi.» sentenzia Natasha inspirando a fondo con il naso seppellito contro la curva del suo collo, avvertendo il suo corpo irrigidirsi sotto la sua stretta ricambiata, lasciandola libera di darsi alla fuga quando un dubbio assillante lotta per fuoriuscire dalle sue labbra. «Mi hai mai amata? Nel vero senso della parola...»

«A modo mio, sì...» conferma Alexei restio, chiudendo gli occhi inspirando a fondo placando l’impulso fisico di baciarla consapevole di essere sotto verifica, limitandosi a scostrarle una ciocca ramata dal volto e sorriderle con aria rassegnata. «E ti amo abbastanza per sapere quando farmi da parte… ho tentato di rimediare, poi.»

«Lo so… Tania, l’Archivio e tutto il resto. Sono in debito.» sorride Natasha abbassando lo sguardo, divincolandosi quel poco che bastava per mettere giù i piedi dal letto, voltandosi di tre quarti nella sua direzione prima di congedarsi. «Ti tiro fuori da qui, poi siamo pari.»

«Ti ho amata davvero, per quello che vale.» rimarca Alexei stringendo aria con le dita, mancando il suo polso di qualche centimetro, ma riuscendo comunque a calamitare il suo sguardo obbligandola a concedergli una risposta per pareggiare i conti. «Tu invece? C’è stato almeno un istante in cui hai amato me e non la mia copia carbone del Soldato?»

«Sei morto per tenermi in vita, моя дорогая… non posso ignorarlo.» ribatte Natasha senza sbottonarsi troppo, sorridendogli un'ultima volta prima di chiudersi la porta della cella alle spalle. «Sono in debito, te l’ho detto.»

Alexei ammutolisce, confuso da quella risposta oltremodo criptica, macerando i propri rimpianti in silenzio aspettando la resa dei conti. Pensava fosse silenziosa, misericordiosa e calasse su di lui in punta di piedi... invece era iniziata con un omicidio, un boato e la sirena dell'allarme liberato a tutto spiano.

«L’ha fatto… ha ucciso Cady.» annuncia Mikhail facendo irruzione nella sua cella trafelato, risparmiandosi l'ovvia spiegazione in merito a ciò che stava succedendo fuori dalla sua cella, addossandosi alla porta per impedire alle guardie di afferrarlo e rinchiuderlo a sua volta, mentre Alexei deduce che il piano di Epsilon doveva essere appena iniziato, sorridendo entusiasta con uno sguardo luccicante ad illuminargli il volto.

«Era ora.»





 

Note:
1.
Traduzione dal russo: "amore mio".
2. Secondo i miei headcanon fondati sui fumetti Natasha ed Alexei sono stati sposati dal '57 al '63, il matrimonio era una copertura per mantenere docile Nat ed impedirle di dare la caccia a James, obbligandola a reindirizzare i sentimenti che provava per quest'ultimo in Alexei grazie alla manipolazione mentale. Il periodo di convivenza ha avuto molti alti e bassi (ne parlo nello specifico in "We always live in the castle"), il lato peggiore è che tale martirio è stato garantito dalla collaborazione consapevole di Alexei, il processo che l'ha spinto ad innamorarsi della donna è stato lungo e tortuoso ed è culminato con l'operazione che l'ha sterilizzata definitivamente, rendendosi ufficialmente conto di cosa le avevano fatto. I suoi tentativi di proteggerla dalla Stanza Rossa sono stati infruttuosi, accettando il ricatto di fingere la propria morte per salvare la vita a Natasha condannandola nuovamente all'Accademia quando il controllo mentale aveva finito per cedere per forza di cose.

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Capitolo 12
*** TRACOLLO - Sintomi ***


QUARTA PARTE - ANIMA

 

TRACOLLO: Sintomi
Apatia, nervosismo, irrequietezza, insonnia, rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, negativismo, senso di colpa, paranoia, isolamento, cinismo.





 

«Cosa deve succedere perché tu smetta di fumare?» esordisce Steve mentre James afferra la sigaretta tra le dita e si volta a fulminarlo, sbuffando una voluta di fumo con studiata lentezza per urtargli appositamente i nervi. 

«Vedi Steve, questa…» ribatte il fratello piazzandogli il mozzicone sotto il naso, sorridendogli con una faccia da schiaffi tale da fargli prudere le mani. «… è l'unica cosa che mi calma al punto da impedirmi di fratturarti il setto nasale. Fammi un favore, taci.»

«Almeno posso sedermi qui?» si azzarda a chiede Steve conciliante, indicandogli la porzione di muretto libera, guardandosi intorno fingendo di studiare il chiostro vuoto alla fiacca obiezione che dichiarava il posto occupato. «Da chi, se posso chiedere?»

«I fantasmi di tutti quelli che ho ucciso.» brontola James illuminando il mozzicone che gli pende dalle labbra, scadendo in una battuta di dubbio gusto con una drammaticità tale da risultare quasi comica. Quasi. 

Quella sera a cena c'era stata una sottospecie di riunione per decidere il da farsi, James e Clint avevano aggiornato lui e Sharon su ciò che era capitato a Natasha, riassumendo a beneficio di terzi quali fossero gli ordini impartiti dalla Vedova Nera, concordando unanimi che dopo l'omicidio di Cady di quella stessa sera avevano circa ventiquattro ore di autonomia per organizzare l'assalto e rispettare la scaletta stilata da Romanov… Clint e Sharon erano stati gentili nel non puntare il dito o rigirare il coltello nella piaga sottolineando la tensione latente tra lui ed il fratello, ma se volevano avere una speranza di vincere Steve sapeva di dover ritrovare la sintonia che li legava al più presto – che James lo volesse o meno –, sventolando bandiera bianca a cena conclusa, consapevole che spezzare la sacralità della pausa sigaretta equivaleva muovere piede sul passo di guerra, aizzandosi contro James in modalità cane randagio covando la vana speranza che non lo azzannasse come suo solito. 

«Okay, senti… mi dispiace. Davvero.» tenta Steve con scarso successo, risparmiandosi di nutrire false speranze quando James solleva un sopracciglio sorpreso, socchiudendo le labbra quanto bastava per far inclinare la sigaretta verso il basso con un gesto secco, spargendosi la cenere sulla maglietta. 

«Credi che questo basti?» lo placa il fratello ricomponendosi velocemente, stringendo le palpebre a fessura e tradendo una nota di disappunto latente a colorargli la voce. 

«No, minimamente.» lo sorprende Steve prendendo l'iniziativa, sedendosi al suo fianco con aria sinceramente afflitta. «Mi inginocchierei ai tuoi piedi e mi lascerei prendere a frustate se servisse a qualcosa, ma non credo sia la soluzione ai nostri problemi…»

«Arrivare all'ultimo minuto a raccogliere i miei cocci invece lo è?» lo schernisce James disintegrando il mozzicone contro il muretto.

«Ammetto che le tempistiche sono opinabili…» si giustifica Steve stringendosi tra le spalle, arrischiandosi ad urtarlo lievemente con il ginocchio. «… ma mi avevi mandato via, dovevi sbollire per conto tuo ed io-...»

«Tu ti sentivi troppo in colpa per farti avanti, considerato che non stavi dalla parte del torto da un bel po'.» lo interrompe James rubandogli le parole di bocca, chiudendo gli occhi concedendosi un respiro profondo prima di fornirgli un appiglio. «Lo sai che lo capisco, solo…» 

«Avrei dovuto raccogliere i cocci prima… mi dispiace.» ammette Steve liberando un piccolo sospiro rassegnato, afferrando la spalla di James repentino stringendo appena, facendo scattare la testa del fratello verso l'alto con uno sguardo lampeggiante ad illuminare le distese di ghiaccio celate nelle sue iridi. «Una volta era più facile fare pace, tutto qui.»

 

Londra, 1944: inconvenienti del venerdì sera

 

«Come sta?» chiede Steve con tono stanco, puntellandosi alle sbarre della cella, cercando lo sguardo di Thomas[1] per sollecitarlo a fornirgli una risposta. 

«Come vuoi che stia, Stevie? Mi scoppia la testa…» brontola James dal fondo della panca in cui è steso, il capo infossato tra le spalle e la giacca della divisa appallottolata a mo di cuscino. 

«Ti sta bene, mi hai quasi fratturato il setto nasale Bucky.» lo riprende Thomas risentito puntandogli il fazzoletto sporco di sangue contro, mentre l'imputato registra lo sguardo offeso della vittima delle sue angherie socchiudendo un occhio, incurvando le labbra in un sorriso. 

«Sta zitto, Toro.» ribatte James con un sorriso da schiaffi impresso sul volto, mentre Thomas si limita ad invocare la forza di non prenderlo a pugni, lo sguardo rivolto al soffitto e la schiena addossata al muro opposto della cella rispetto al fratello. 

«Uno dei due gentilmente mi spiega cosa diavolo avete combinato?» perde la pazienza Steve afferrando con forza le sbarre di metallo, fulminando entrambi cercando di incutere una briciola di timore, calcando la mano quando riceve un mutuo silenzio in cambio. «Ragazzi sono le due del mattino, Carter mi ha appena buttato giù dalla branda dopo una ripassata con i fiocchi-...»

«"Ripassata" in che senso, Capitano?» lo interrompe un Thomas basito in nome dello sgomento comune, mentre James si limita a combattere i postumi della sbronza alzandosi seduto di scatto fiutando aria di fattaccio, mettendo in bella mostra l'occhio nero sfrontato. 

«Steve… non infierire, non sono nelle condizioni.» lo segue James con tono melodrammatico, puntando l'indice contro il compagno di cella. «Ci ha già pensato lui a fregarmi la ragazza, non posso neanche consolarmi con una partitina a carte che si scatena il putiferio...»

«E nel grande schema delle cose la percentuale di merito dove la metti, James?» chiede Steve retorico sorvolando sulla frecciatina, sollevando gli occhi al cielo esasperato chiedendosi per quale motivo i suoi commilitoni mettessero in atto sempre le peggiori idee quando lui non era presente per limitare i danni. 

«Non guardare me, io stavolta non c'entro per davvero.» si giustifica Thomas sollevando le mani sopra la testa, guardando in cagnesco James spingendolo ad auto-promuoversi paladino di se stesso nella speranza di mitigare la sua rabbia latente dopo anni di battibecchi collaudati. 

«Lo sai il mio compleanno cade a meno di una settimana da San Patrizio, no?» chiede retorico il fratello zittendolo con un gesto della mano prima che Steve possa ribattere con una richiesta di chiarimento. «Dato che l'ultimo paio di settimane siamo stati in giro, Dugan era dell'idea che festeggiare gli arretrati come di deve fosse d'obbligo, quindi eravamo tutti un po' tanto ubriachi…»

«Non sono più molto sicuro di voler sapere il finale della storia…» li riprende Steve smorzando il mezzo sorriso che gli affiora sulle labbra, prendendoli in contropiede puntando per un approccio più sbrigativo. «Quindi l'opera di demolizione è stata di gruppo?»

«Demolizione… esagerato. Sono un paio di sedie e un tavolo, scalali dai soldi che mi deve Howard a carte e siamo a posto. » sbuffa James tentando di sdrammatizzare, afferrandosi la testa tra le mani lottando con un capogiro improvviso tornando subito a stendersi sulla panca, continuando tuttavia a gesticolare con le mani per aria. «La cosa è degenerata un filo perché Namor ha scoperto che stavo barando a poker, Gabe e Romita hanno svalvolato...»

«Quindi è al cento per cento colpa tua.» deduce Steve sospirando sconsolato, incredulo di star realmente discutendo di quell'argomento alle due del mattino davanti alle celle della caserma, premendo la fronte contro le sbarre e puntando lo sguardo su Thomas cercando di tirare le somme. «In tutto questo, tu come ci sei finito qui Toro?»

«Per sbaglio, ho trovato una compagnia migliore di una decina di idioti ubriachi… sono tornato tre ore dopo per vedere se era rimasto qualcuno al pub ed ho trovato lui con un occhio nero svenuto sul pavimento.» afferma Thomas additando James con aria di condanna, mentre il giustiziato sbuffa sonoramente coprendosi gli occhi con un braccio. «Ho fatto per rimetterlo in piedi e mi ha sganciato un destro micidiale in pieno volto, mi ha quasi fratturato il naso… poi non lo so, degli ufficiali ci hanno portati qui e sono venuti a chiamarti.»

«Hai qualcosa da dire in tua difesa, James?» indaga il Capitano eclissando sul piccolo dettaglio che quel qualcuno che erano andati ad importunare a notte fonda era la Tenente Carter, la quale non si era fatta nessun tipo di problema nel buttare giù dalla branda chi di dovere per recuperare lo scavezzacollo che si ritrovava come fratello. 

«Namor aveva messo in palio una visita ad Atlantide e quel posto è più blindato del Wakanda… ammettilo Steve, pure tu faresti di tutto pur di metterci piede almeno una volta.» annuncia James sollevando il braccio per godersi lo spettacolo, accennando un sorriso quando intravede nel suo sguardo una scintilla di curiosità traditrice che confermava la sentenza appena espressa, mentre Thomas spalancava gli occhi allibito maledicendo a gran voce di non aver avuto una mano da giocare per partecipare alla contesa, garantendo al fratello l'atmosfera adatta per smorzare l'entusiasmo nella speranza che il continuo della frase fosse recepito in sordina insieme alla sua scrollata di spalle. «Gli altri si sono resi conto che non era la prima volta che nascondevo la carta nella manica… ed erano talmente ubriachi che l'alcol li ha convinti che fosse una buona idea azzerarsi i debiti e i conti aperti al bar a suon di pugni.»

«Sapevi che sarebbe successo prima o poi.» afferma Steve liquidando l'argomento, sfilando le chiavi dalla tasca aprendo la porta della cella. 

«Aspetta, tu lo sapevi?» si sorprende Thomas sfilandogli affianco, fingendosi offeso per aver lasciato correre chiudendo entrambi gli occhi davanti a quel principio di truffa bello e buono. 

«La vera domanda è un'altra, Toro… io non gioco a carte con voi perché lo so o perché baro meglio di Bucky?» lo interroga Steve sorridendo di fronte alla sua espressione confusa, allungando un braccio di riflesso spingendo James all'indietro puntandogli il palmo aperto al centro del petto, scattando fulmineo a richiudere la porta della cella davanti all'espressione canzonaria del fratello che passa velocemente da fiera a basita. «Ah-a, tu dormi al fresco per questa volta. 'Notte Buck, sogni d' oro.»

«Tu…» esordisce James scatenando l'ilarità dei presenti, ingoiando a forza l'insulto che serbava sulla punta della lingua, improvvisamente consapevole della propria situazione al punto da tornare diligente a sdraiarsi sulla panca. «… non hai intenzione di fare rapporto a Philips, vero?» 

«Dormi James, torno a liberarti tra qualche ora.»

 

«Non era più facile fare pace, è che dovevamo scusarci per delle cazzate.» lo riprende James mandando in frantumi le sue fantasie, fissandosi la punta degli scarponi con aria cupa. «Era più facile perché avevamo le mani molto più pulite rispetto ad ora.»

«Vero… allora, siamo riusciti a fare pace?» lo interroga Steve speranzoso con un sorriso incoraggiante impresso sul volto, rantolando un respiro quando incassa a tradimento un pugno ben piazzato allo stomaco, abbassando lo sguardo sorpreso contro la mano destra di James che si era spinta laterale con una violenza tale da dimezzargli il fiato. «Era necessario?» 

«Vitale.» sentenzia James aprendosi in un sorriso smagliante, ghignando senza remora alcuna ad addombrargli lo sguardo. «Ora siamo pari, per quanto mi riguarda… è sempre un immenso piacere discutere con te, Steve.»

 

***

 

Natasha corre silenziosa lungo il profilo dei tetti rischiarati dalla luna, il cuore che pompa adrenalina nel sapere di star commettendo di proposito un’infrazione potenzialmente mortale, convinzione che viene presto soppiantata dall'impazienza che rende i suoi passi ancora più leggeri e veloci, trattenendo il fiato ed atterrando sul tetto dell'orfanotrofio con una capovolta olimpionica... individuando James seduto sul bordo dell'edificio in sua attesa, il quale allunga le dita a porgerle una sigaretta, in una muta offerta di pace che viene sottolineata dal suo sorriso luminoso quando si volta a guardarla. 

«Io non sono qui.» ci tiene a sottolineare la donna, sedendosi al suo fianco sul cornicione, accettando il tabacco ed infilandosi il filtro tra i denti, iniziando a frugare nelle tasche cercando l'accendino per automatismo. 

«Ovvio che non lo sei.» rimarca James anticipandola, facendo sfoggio di maggior autonomia di movimento nonostante l'arto sinistro mancante, sfilando un fiammifero dal pacchetto e strisciandolo contro la suola dell'anfibio per accederlo. «La mia protesi?» 

«Sotto sequestro, non mi hanno permesso di tenerla… te la recupero appena possibile.» si giustifica Natasha stringendosi tra le spalle, tentennando confusa disperdendo cenere nel vuoto con uno sfarfallio di dita quando si sporge in direzione di James decisa a saltare i convenevoli per dedicarsi a ben altro tipo di conversazione, contraendo le sopracciglia interdetta quando lo vede negarsi al contatto, manifestando verbalmente la propria richiesta. «Ho un urgente bisogno che mi baci.»

«Io invece ho un urgente bisogno di qualche giustifica.» ribatte James spigliato, rubandole la sigaretta che era tornata a pendere dalle sue labbra, sorridendo sfrontato davanti alla sua espressione basita, bruciando le tappe smascherando su due piedi i suoi tentativi infruttuosi di raggiro. «Il fucile nuovo mi ha distratto come speravi, ma non ci vengo a letto con te senza uno straccio di spiegazione.»

«Cosa ti fa pensare che alla fine di questa discussione finiremo a letto insieme?» scherza Natasha stando al gioco, riappropriandosi del mozzicone con un sorriso malizioso trattenendosi dal sospirare esplicitamente, ostinandosi a divagare dall’argomento proposto dal marito per evitare di degenerare in un litigio… desiderava l'esatto contrario, erano settimane che bramava quel momento ed in quel preciso istante ne necessitava quasi più dell'aria, non esisteva che James si dimostrasse così poco collaborativo – era più brava a fare pace tra le lenzuola, non aveva le stesse abilità con le parole a differenza di James e quella, a discapito della dose di colpa sostanziosa, era una disputa che lei puntava a vincere. 

«Me lo fa pensare il fatto che sono incapace di limitarmi a parlare con mia moglie, soprattutto se non la vedo da tre mesi.» replica James testardo, indurendo i lineamenti del volto per riflesso per contrastare palesemente i suoi intenti, finendo per gravare con pesantezza involontaria sul tono di voce con cui pronuncia quel "tre mesi" ingombrante, cadendo nel accusatorio mandando ufficialmente all’aria i buoni propositi di Natasha di aggirare la lite – o meglio, erano entrambi consapevoli che con l'arrivo di quel momento ci sarebbero state molte urla e molti baci, tuttavia avevano opinioni contrastanti sull'ordine in cui si sarebbero dovuti collocare nel corso della discussione. «Potevi hackerare il canale dello SWORD e chiamarmi… perché non l'hai fatto?» 

«Perché è impossibile da hackerare, credi che non ci avessi pensato?» lo sorprende Natasha rispondendo al fuoco con il fuoco, raddrizzando le spalle ingoiando il boccone amaro difendendo la propria gestione opinabile della situazione e finendo involontariamente per sottolineare il come James gli avesse reso complicato quel compito che idealmente doveva risultarle semplice, imponendosi di ricacciare indietro le lacrime pensando al doppio di Yelena lasciato con Epsilon Red quando se ne era andata dall'Accademia circa una mezz'ora prima, senza tuttavia estinguere la scintilla di rabbia che esplode e travolge entrambi senza scontare nulla. «Ho dovuto comporre un rebus con il cadavere di mia sorella al centro per convincerti a rimettere piede sulla Terra… piuttosto spiegami tu perché sono dovuta arrivare a tanto.»

«Io? Non osare farmi passare dalla parte del torto ora, Natalia… non me lo merito.» sentenzia James incrociando le braccia al petto scorbutico, ponendosi istintivamente sulla difensiva studiandola con sguardo furente e lucido. «Hai una vaga idea di come sia stato? Sopravviverti, tentare di tirare avanti...» 

«Lo immagino…» tenta la donna conciliante cercando di estinguere l’incendio prima che assuma proporzioni colossali e dannose, commettendo il grave errore di sporgersi a sfiorargli una guancia, azione che viene interpretata come un tentativo di liquidare l’argomento, spingendo definitivamente James sul piede di guerra ottenendo l’effetto contrario di quello sperato. 

«No, non lo immagini.» la condanna suo marito con tono affranto, scacciando la sua mano protesa con uno schiaffo leggero, puntandole l'indice contro accusandola apertamente partendo dal presupposto che a situazioni inverse lui sarebbe riuscito a trovare il modo di contattarla e risparmiarle il supplizio che lei gli aveva involontariamente inflitto. «Semplicemente non puoi immaginarlo!» 

«Questo tu non puoi saperlo!» replica a tono cedendo alla furia, disintegrando il mozzicone contro il cemento urtandolo provocatoria puntandogli entrambi i palmi al petto, facendolo cadere all'indietro verso l'interno del tetto… ferita al punto da non riuscire più a controllare le proprie lacrime, passando involontariamente come la vittima senza tuttavia eleggersi tale, con l’unica colpa di essere la prima a cedere a quei sentimenti che di solito sapevano nascondere meglio. «Credi che mi sia piaciuto tenerti all'oscuro di tutto?»

«Io so che non respiravo, 'Tasha… come se i miei polmoni fossero costantemente in collasso. Ogni singolo, fottuto secondo era agonia…» confessa James senza peli sulla lingua, risucchiando un respiro rendendosi conto del reale significato delle parole espresse nel preciso istante in cui anche il suo sguardo azzurro ghiaccio si scioglie, alzandosi in piedi per darsi alla fuga accusando lontano da occhi indiscreti la pugnalata emotiva, radicato nel prendere in considerazione unicamente il proprio dolore ed eclissando quello della compagna, condannata a fonte del proprio stato d’animo irrisolto. «Sto-... stavo da cani.»

«Perché tu ovviamente sai benissimo come me la sono passata io, no?!» sbotta Natasha seguendolo a ruota lottando contro il suo istinto di esclusione, fregandosene di urlare e dare spettacolo ai nottambuli impiccioni, recuperando i metri persi afferrando James per il braccio obbligandolo a voltarsi ad affrontarla, puntandogli l'unghia al petto ghignando con tono di scherno. «Non ero rinchiusa all'Accademia con Mikhail e Alexei, ero a divertirmi a Disneyland!»

«Non mettermi parole in bocca che non ho detto, lo sai che non-...» scatta James sulla difensiva rendendosi conto di come suonavano le proprie parole e cosa sembravano i suoi gesti agli occhi della compagna, notando in sordina i lampi minacciosi che gli illuminano lo sguardo alla menzione non preventivata del suo ex-marito, agguantandole le dita con l'unica mano rimastagli in un implicito gesto di supremazia che pregava di ridurla in silenzio e sedare la lite prima che degenerasse più di quanto fosse lecito. 

«Non era quello che intendevi? Davvero?» lo schernisce Natasha interrompendo la giustifica bruscamente, con una tempesta nello sguardo che agita pericolosamente le fronde della foresta nascosta nelle sue iridi, partendo per la tangente prendendosi l'ultima parola al primo segno di cedimento di James. «Prova tu ad aprire gli occhi ogni fottuta mattina e rivivere il dannato incubo della Stanza Rossa, giorno dopo giorno, e sapere che l'unico modo che hai per uscirne è avere pazienza…» 

«Pazienza, uh?» la rimbecca James con sguardo granitico, obbligandosi a fingersi forte di fronte allo scorcio di inferno da lei descritto in un paio di frasi concise, spezzando la voce convertendola istintivamente in russo quando la frustrazione supera la gravità dell'offesa. «Bastava una chiamata…» 

«Per farti salire al patibolo?» lo asseconda Natasha liberando la mano dalla sua presa, puntandogli i pugni al petto mostrando a sua volta un segno di cedimento nel sottotono stridulo dell’ultimo paio di sillabe, tradendo una paura profonda solo all'idea di soffermarsi a pensare alla sentenza appena espressa. «Sì, bastava una chiamata…»

«Perché ora non ci stai trascinando tutti a morire?» la interroga James spaventato in ugual misura, non per ciò che lei gli aveva evitato, ma per ciò che dovevamo ancora affrontare e potenzialmente poteva concludersi come l'ultima volta. «Cosa c’è di diverso ora?»

«Ora ho ucciso Cady, idiota…» mormora la donna tentando di suonare ragionevole, bilanciando l'improvviso abbassamento dei toni facendolo arretrare di un altro passo a forza di spintoni, sentendosi vagamente in colpa di atteggiarsi in quel modo considerato che l'uomo in quel preciso istante fosse sprovvisto di un arto con cui difendersi. «Ho passato tre mesi di inferno a lavorarmelo-...»

«Natalia…» la ammonisce James con tono sottile, pensando immediatamente al peggio ferendola nell'animo, consumando la sua rabbia latente con la repentinità di una candela spenta dal vento. 

«Oh, ma fammi il favore-...» ribatte spezzando l'esternazione arrabbiata con uno sbuffo esasperato, tentando di respingerlo solo per ritrovarsi controvoglia stretta in un mezzo abbraccio, premendo la fronte contro la clavicola di suo marito ricambiando la stretta esausta, costringendosi a tornare ad esprimersi in lingua anglofona ostentando una lucidità che tuttavia stava ancora cercando. «Mi sono massacrata per organizzare tutto il necessario per demolire la Stanza Rossa, per tornare da te ed impedire che accada tutto questo un'altra volta-...»

«Io credevo davvero che tu fossi morta Natalia, non puoi biasimarmi per questo…» mormora James contro i suoi capelli, scostando il braccio dalle sue scapole per obbligarla a sollevare lo sguardo su di lui, afferrandole il mento con due dita. «Ad aver saputo il contrario avrei preso Kobik e sarei tornato a casa molto prima…»

«Cosa diavolo c'entra Kobik, ora?» mugugna confusa la donna stringendo la presa sui fianchi di James, inarcando un sopracciglio ad arte quando lo vede balbettare una spiegazione muta, convertendo il dubbio in autorevolezza sollecitandolo a fornirle una risposta. «James...»

«L'ho… adottata.» spiega arrendevole suo marito, riservando una cura speciale nel trattare con le pinze la parola appena espressa, in un vano tentativo di ridimensionarla ed eclissarla ad un dettaglio di poco conto, fallendo miseramente quando Natasha sgrana lo sguardo spiazzata dalla notizia inattesa.

«Ho una domanda, звезда моя.» esordisce senza perdersi d'animo con un tono di voce prettamente pragmatico, sorridendo complice accarezzando la proposta inespressa. «Siamo due casi umani James, pensi davvero che riusciremo a crescerla senza trasformarla in una serial killer?» 

«Riusciremo?» ribadisce l'uomo focalizzandosi sulla parte meno preoccupante dell'intero discorso, sorridendole euforico con sguardo luminoso… al punto che Natasha arriva a chiedersi se sia umanamente possibile provare dei sentimenti così profondi, spaventosi e destabilizzanti per una persona che non sia se stessa. «Tu ed io?» 

«Sì, razza di musone paranoico e testardo.» afferma di getto scoprendosi a ridacchiare di gusto di fronte allo spaesamento del compagno, sollevandosi sulle punte dei piedi per portarsi ad un soffio dalle sue labbra. «Fino a prova contraria siamo ancora sposati, sai?» 

«Sei una grandissima stronza bisbetica…» la apostrofa l'uomo d’impulso in una serie di aggettivi che alle orecchie di Natasha suonano allo stesso modo di un “ti amo”, godendosi l’espressione di James quando realizza che la risoluzione della lite doveva essersela persa un paio di battute prima, ghignando sardonico in risposta inclinando il busto all’indietro e scendendo con il braccio alla base della sua schiena facendole staccare i piedi da terra. «Lo trovi divertente, uh?» 

«Da morire.» conferma Natasha mentre l’ombra di un sorriso torna ad incorniciarle le labbra, gettandogli le braccia al collo per sorreggersi. «Mi è mancato da matti litigare con te.» 

«Idem… per quanto riguarda Kobik, ti va bene? Davvero?» chiede delucidazioni suo marito, concedendole di rimettere i piedi a terra spingendola a recuperare un brandello di serietà obbligatoria per affrontare il discorso. «So che non sei una grande fan dei cambiamenti e-...»

«James.» lo riprende Natasha con tono pragmatico, impedendogli di gettarsi a braccia aperte in balia della paranoia, afferrandogli le guance ed inchiodandolo con lo sguardo… sorridendo conciliante, mentre qualcosa sul fondo della pancia che Natasha credeva morto stecchito troppi anni addietro sfarfalla alla sola idea che qualcuno possa chiamarla “mamma”. «Lei come ti fa sentire?»

«Come se non esistessero più le brutte giornate.» ammette James restio ad esporsi, concedendole uno spiraglio sui propri pensieri, accentuando il suo sorriso in risposta nell’udire quelle parole di conferma che hanno l’incredibile capacità di metterle il cuore in pace. «Diceva di sognarti… con il senno di poi penso fossero delle sottospecie di visioni.»

«Lo sono, dall’altra parte del mondo Kobik si è appena svegliata ed ha visto questo preciso istante… o almeno è ciò che Epsilon Red mi ha promesso di farle sognare.» lo rassicura Natasha riportando una parte delle informazioni contattate a monte con il mutante, beandosi del suo sorriso mentre la donna si solleva nuovamente sulle punte intrecciando le dita sul retro della nuca di suo marito, cadendo in un sottotono capriccioso rivendicando il primato che la vedeva vitale agli occhi di James – più di quanto lo fosse la bambina almeno, unica sua vera rivale in quella sciocca disputa nata recentemente. «Io invece come ti faccio sentire?»

«Come se le brutte giornate non fossero mai esistite sulla faccia della Terra, любовь моя.» la rassicura l'uomo chiudendo gli occhi ed entrando in rotta di collisione contro la sua fronte, concedendosi un respiro leggermente più profondo degli altri prima di sottoscrivere la propria resa incondizionata al suo volere, siglando una tacito armistizio che alludeva ad un preciso accordo di pace. «Lo so perché hai fatto quello che hai fatto, 'Tasha.» 

«Ed io so come ti ho lasciato, звезда моя… mi dispiace.» si sente in dovere di ribadire Natasha, notando con la coda dell’occhio l’angolo delle labbra di James incurvarsi verso l’alto, inclinando la testa portandosi talmente vicina a lui da condividere lo stesso respiro. «Che dici, me lo sono guadagnato un bacio?»

 

***

 

«Non me lo sto sognando, vero?» sussurra James cercando inutilmente di trattenere Natasha tra le dita, sporgendosi oltre il bordo del materasso mentre la donna termina di rivestirsi, sorprendendola mentre scocca un'occhiata preoccupata alla finestra per controllare che non sia ancora sorta l’alba… avvertendo una morsa spiacevole allo stomaco, scacciando l'idea che la notte appena trascorsa sia solo un'eccezione che conferma la regola – come se le lancette dell'orologio fossero tornate indietro nel tempo di una sessantina d'anni, con l'unica differenza che quella che stava lasciando la stanza per prima era Natasha e non lui. «Sei reale…»

«Facciamo subito una prova.» lo rassicura la compagna gattonando nella sua direzione, valicando le sue gambe finendo per sedersi a carponi sopra di lui, scendendo in picchiata sulle sue labbra terminando il bacio con un morso che invia una stilettata di dolore localizzato al suo intero sistema nervoso. «Credo di essere abbastanza reale, non trovi?»

«Mi sto facendo del male fisico nel mandarti via, ma tra meno di mezz’ora sorge l’alba.» le ricorda James riluttante quando il bacio da casto minaccia di farsi sempre più intenso, afferrandole le guance allontanandola, obbligandosi a sorridere incoraggiante. «Ci rivediamo tra qualche ora, tieni la finestra aperta e recuperarmi la protesi.»

«Ci vediamo tra qualche ora.» conferma Natasha puntandogli i palmi al petto spingendolo contro il materasso, indugiando sulla soglia scoccandogli un ultimo sguardo. «Sai che sono contro alle false speranze, ma dopo quando chiami Kobik… puoi raccontarle questa versione della favola?» 

«Quella in cui la Ballerina salva il Soldatino?» indaga James sorridente, ghignando quando la vede annuire dopo aver indicato entrambi lasciando parlare un tacito sottotesto. «Perché, esiste un'altra versione che dice il contrario?» 

Natasha si limita a sorridere, scomparendo oltre la soglia nel stesso silenzio con cui era arrivata, seppellendosi sotto le coperte beato tentando di recuperare qualche ora di sonno perso… e James potrebbe arrivare a pensare che le ultime otto ore siano solo state un bellissimo sogno particolarmente vivido se non fosse per quel paio di succhiotti impressi sul collo ed il sorriso da ebete che non abbandona il suo volto, al punto da riscuotersi solamente quando Steve si allunga oltre il tavolo pizzicandogli il braccio facendolo sussultare sul posto. 

«Ti si fredda la colazione se vai avanti così per un altro po'.» lo bacchetta Steve nascondendo il sorriso dietro la tazza di caffè che si porta alle labbra, dissimulando la fitta ad arte quando James replica alla frecciatina con un calcio sotto il tavolo ben assestato agli stinchi del fratello.

«Dobbiamo dedurre che avete risolto, no?» interviene Sharon pacata, seduta di fianco al compagno ed intenta a strizzare il filtro del the senza spargerne troppo in giro. «Anche la questione di Kobik, deve averla presa bene…» 

«Avete motivo di sospettare il contrario?» ribatte James fintamente infastidito dal fare pettegolo dei due, sopprimendo una risata a forza di fronte all'occhiataccia scettica che il fratello gli rifila in risposta, tracannando un sorso di caffè tiepido ostentando nonchalance. 

«No, considerato che stanotte vi siete messi a sbraitare a tutto volume sopra le nostre teste e poi… vi siete dati alla pazza gioia, ecco.» azzarda Sharon indicando lei ed il compagno anticipando uno Steve a cui vanno a fuoco le orecchie, liquidando la faccenda con un gesto sbrigativo della mano, distogliendo lo sguardo mentre James sgrana leggermente gli occhi, distraendosi quando Clint avanza di soppiatto e si intromette nella discussione afferrandolo per una spalla. 

«Quello che il Capitano e Tredici stanno tentando di dire è che i muri sono fatti in cartongesso… apprezziamo che abbiate tentato di far piano, però.» interviene Clint con lo stesso tono di chi gli chiedeva di passargli lo zucchero a tavola, prendendo posto al suo fianco depositando sul tavolo una caraffa di caffè da bersi da solo e un intero pacco di biscotti da annegarci dentro, scrollando le spalle indicandosi l'apparecchio acustico con fare distratto prima di iniziare ad inzuppare i frollini nel mare di caffeina. «Ringrazia che questo affare si può spegnere.»

«Al contrario il mio udito non può spegnersi, ma sono allenato ad ignorarti da decenni, quindi…» scrolla le spalle Steve liquidando la faccenda, ghignando di fronte alla sua espressione a metà tra lo sconcerto e l'imbarazzo lasciando intendere che nemmeno lui e Sharon fossero rimasti con le mani in mano, infierendo deliberatamente a discapito del secondo calcio repentino contro gli stinchi. «Sei curiosamente silenzioso, Buck.»

«Andate a farvi fottere, tutti e tre-...» annuncia James puntando l'indice accusatore contro i suoi commensali, unendosi alle loro risa di fronte a quell'invito particolarmente sentito, interrompendosi quando il suo cellulare vibra sparando la sveglia a tutto volume, silenziandola alzandosi da tavola e requisendo i frollini sotto il naso di Clint. «Se volete scusarmi…»

«Sgancia i biscotti, Barnes.» lo apostrofa l'arciere con fare scontroso, tornando al suo posto diligente quando riceve un "no" categorico in risposta, chiudendosi la porta delle cucine alle spalle ricercando un po' di privacy nel corridoio momentaneamente deserto, sfilando il cellulare dalla tasca componendo il numero con la chiamata automatica. 

«Papi!» gli perfora un timpano Kobik dall'altro capo della linea, immaginandosela mentre si materializza dal suo letto al soggiorno per rispondere per prima al telefono… dopotutto James aveva promesso di chiamarla, se non aveva sbagliato a calcolare il fuso orario doveva essere giusto per l'ora della nanna. 

«Ehi, Pulce… piano con il “papi”, è una novità a cui devo ancora abituarmi.» ribatte trattenendo una mezza risata, addossandosi con la schiena al muro scivolando fino al pavimento. 

«Hai trovato la mamma, vero?» annuncia la bambina con un tono di voce che suggeriva il fatto che forse stava davvero fremendo sul posto. «Ho sognato che la baciavi.» 

«L'ho trovata, sì.» conferma James con il sorriso sulle labbra, incastrando il cellulare tra orecchio e spalla, aprendosi il pacco di biscotti con l'unica mano libera, rischiando di strozzarsi con il frollino appena addentato quando Kobik chiede di parlare con Natasha. «Al momento non è qui… se tutto va bene ti faccio richiamare domani mattina, okay?» 

«Okay…» concorda la piccola ragionevole, smuovendo qualcosa nel petto di James che esulava dalla distanza, accarezzando l'idea che quella sperimentata potenzialmente poteva diventare una routine… da spartire equamente con Natasha magari, immaginandosele mentre si dividevano il letto matrimoniale e chiamavano ogni sera per accertarsi che lui fosse ancora vivo in missione, degluttendo a vuoto all'idea che stando alle visioni di Kobik quella era una plausibile versione dei fatti in una linea dimensionale parallela, chiedendosi se ci fosse qualcosa di male nel tentare di ricrearla anche nella loro realtà di appartenenza. 

«Lì va tutto bene? Lila tiene a bada i mostri nell'armadio?» si ritrova a chiedere James con improvvisa apprensione, rendendosi conto che doveva essere in vivavoce quando avverte un flebile urletto di protesta e si palesa la voce della figlia di Barton al posto della propria. 

«Affermativo Sergente, ispezione della camera fatta e nessuna lucertola viola [2] in vista.» riferisce Lila con toni militareschi, figurandosela con due dita alla fronte mentre fa scontrare i talloni serrando i ranghi sul posto, avvertendo un brusio di sottofondo mentre convinceva Kobik a sdraiarsi sul materasso. «Zio Bucky, dopo tu e papà state attenti okay?» 

«Siamo sempre attenti, sta tranquilla… zia Nat ha già pensato a tutto.» la rassicura James addentando un altro biscotto per ingannare l'attesa, aspettando di ricevere una conferma da parte di Kobik prima di poter procedere con il racconto della favola della buonanotte. «Natalia mi ha chiesto di raccontarti una favola precisa, così magari puoi sognarne un pezzettino stanotte.»

Kobik esulta dall'altro lato della cornetta, mentre James inghiotte un ultimo biscotto primo di schiarirsi la voce, facendola ridacchiare nonostante il primo sbadiglio si faccia sentire forte e chiaro nel momentaneo silenzio. 

«Allora. C'era una volta una Ballerina, viveva in un regno fatto di ghiaccio rosso…»





 

Note:
1. Thomas Raymond AKA Toro: per i meno ferrati in fumetti dovete sapere che la formazione originale degli Howlings non è quella cinematografica, lo è solo in parte, infatti all'appello mancano Namor, la Torcia Originale, Toro e Nick Fury Sr (Samuel L. Jackson è il figlio di quest'ultimo).

Thomas è la seconda Torcia della triade marveliana (la prima è Jimmy Hammond – sopracitato –, mentre la terza è Johnny Storm, il quale a differenza dei primi due non è un Mutante – sì, quello dei F4) ed un po' perché sono entrambi "irrequieti", un po' perché hanno più o meno la stessa età (nei comics Bucky ha sedici anni, Steve e compagnia cantante una ventina) è finito per legarsi a James e solitamente quando capitava qualcosa che riguardava poker, risse, donne e baldoria la colpa era sempre da attribuire ai due.
2. Randall di "Monster&Co." era una citazione dovuta, dai. 

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Capitolo 13
*** TRACOLLO - Cura ***


QUARTA PARTE - ANIMA

 

TRACOLLO: Cura
Periodo di pausa prolungata da lavoro, instaurare un dialogo con una persona fidata.





 

«Ci sei? Stammi dietro, non perderti.» afferma James addossandosi repentino contro la parete, sporgendosi con la testa sul corridoio adiacente per sporgersi a controllare che non ci fossero guardie in arrivo, facendo cenno a Clint di continuare a seguirlo. 

«Ti sono dietro, ma tu corri il doppio di me.» annuncia l'arciere venendo afferrato per la cinghia della faretra inciampando sui propri passi, mentre James gli impedisce di schiantarsi contro il muro perché troppo impegnato a rifilargli una ramanzina tentando di guardarlo negli occhi. «Chi sarebbero i tizi che dobbiamo salvare?» 

«Tizi a cui devo la mia sopravvivenza… e devo ringraziare per aver garantito quella di Natalia.» ammette James tradendo una vaga nota di astio nella voce all'idea di dover essere grato ad Alexei, scartando quel pensiero focalizzandosi sulla missione in corso. 

Raggiungere l'Accademia era stato facile, scalare le mura fino alla finestra di sua moglie un po' meno – considerato che James doveva barcamenarsi con un braccio soltanto –, riepilogando il compito di ognuno una volta dentro le mura e dividendosi in due squadre una volta varcata la soglia. Natasha aveva promesso di attirare i Capi restanti in laboratorio, dove aveva posizionato l'innesco delle cariche e li aspettava con i trofei ed una Yelena rediviva, nel mentre Steve e Sharon si sarebbero occupati di slegare le cadette dai loro letti, un compito nettamente meno arduo di dover superare la zona delle celle e far uscire i due prigionieri… cosa che forse si sarebbe potuta evitare se solo Natasha non avesse ordinato a Mikhail di "disinnescare" Epsilon Red con una pallottola nel cranio appena il doppio di Yelena era stato completato, facendo scattare gli allarmi dell'intera struttura mentre Ursus veniva incarcerato e la piccola siberiana si dava alla macchia rintanandosi da qualche parte in attesa della sorella. 

«Sei pronto?» chiede James cercando una conferma negli occhi di Clint, ormai giunti all'ultimo corridoio percorribile e riuscendo a contare tre sentinelle a testa da tramortire, sorridendo complice quando l'uomo sfila dalla faretra due frecce-lacrimogeni e le scaraventa manualmente il più lontano possibile da loro facendole impattare contro il pavimento, disperdendo volute di fumo biancastro mentre si buttano nella mischia a suon di pugni. 

«Tutto okay?» chiede James puntellandosi alle ginocchia un paio di cazzotti e sei guardie svenute dopo, mentre l'allarme inizia a suonare a sirene spiegate segnalando l'intrusione, chiedendosi di sfuggita se la colpa per aver attirato l'attenzione fosse sua e di Clint o di Steve e compagna. «Non ci resta troppo tempo, stando ai calcoli di Natalia abbiamo dieci minuti prima di essere raggiunti dal plotone di esecuzione… ammesso e concesso che stiano arrivando tutti qui e non alle camerate.»

«Allora diamoci una mossa, qual è la cella?» replica Clint pragmatico, indicando la fila interminabile di porte blindate che si affacciavano sul corridoio, ognuna con un tastierino numerico installato sopra le maniglie. «Non abbiamo il tempo di scardinare tutte… e mi auguro tu conosca i codici.»

«Non mi serve conoscere i codici.» ribatte James sfilandosi la tracolla del fucile nuovo e crivellando di proiettili il primo tastierino, facendo saltare la maniglia della porta con un clangore decisamente assordante. «Non ho troppi proiettili, tu bussa alle porte di sinistra, io a quelle di destra. Tre colpi secchi.»

Clint si limita ad annuire iniziando a tempestare di pugni le porte blindate, aspettando ogni volta un paio di secondi sull’uscio in attesa di una possibile risposta, bloccandosi quando James arriva a metà corridoio e la porta in metallo appena percossa vibra sotto i colpi di uno dei due prigionieri, arretrando di un paio di passi mandando in corto il tastierino, facendo cenno all’arciere di dargli una mano a scostare la porta a spallate fino a ritrovarsi a faccia a faccia con Mikhail.

«È-… è un orso.» annuncia Clint sgomento venendo palesemente ignorato da entrambi quando, una volta superata la sorpresa iniziale, Ursus si lascia andare ad un bramito di gioia e lo stritola un abbraccio che gli toglie il terreno sotto i piedi. «Perchè è un orso?»

«Mikhail, non mi sembra il momento adatto per spezzarmi qualche osso.» tenta di protestare James evitando di cibarsi della pelliccia dell’amico per sbaglio, rinunciando a ricambiare la stretta con l’unico arto a disposizione. «Puoi rimettermi a terra, per favore?»

«Scusa-... scusami.» afferma Mikhail con tono dispiaciuto, disarticolando ufficialmente la mandibola di Clint quando lo sente parlare una lingua a lui comprensibile.

«Sembrava impossibile che non conoscessi l’orso…» mormora l’arciere recuperando un filo di voce, gli occhi ancora spalancati mentre articola una sottospecie di richiesta di delucidazioni. «Buck… cosa… come? È-… è un orso… che parla.»

«Ovvio che parla, Mikhail era umano una volta.» scrolla le spalle James indicando distrattamente il diretto interessato con un gesto svogliato della mano, mentre Clint avanza di un passo e porge una mano per stringergli la zampa avallando ogni titubanza, presentandosi a vicenda. «Ora che i convenevoli sono stati fatti, in che cella hanno rinchiuso Shostakov?» 

«Perché il nome mi è familiare?» indaga l'arciere mentre l'orso bruno indica una porta ad un paio di metri di distanza dalla propria, crivellando di proiettili il tastierino nel mentre tentando di ottimizzare i tempi. 

«Perché è il tizio che si è sposato Natalia prima di me.» afferma James spiccio desiderando non dilungarsi troppo su quel dettaglio non gradito, beandosi della risata di Ursus quando Clint replica con innata insofferenza se era proprio necessario salvare Alexei dopo tutto ciò che aveva combinato ai tempi della Stanza Rossa, obbligandosi ad ignorarlo mentre finiva di aprire la porta della cella a spallate. 

«Era anche o-... oh.»

«CLINT!» sbraita James allibito quando Alexei, dopo essere impallidito notevolmente ed aver perso la voce nel vedersi davanti lui e non Natasha, si piega in due ed arretra di un passo quando Barton lo carica a testa bassa e gli piazza un pugno micidiale allo stomaco. 

«Lui sarebbe…?» chiede in russo Mikhail alle sue spalle, ridendo sguaiato cadendo seduto a terra portandosi le zampe alla presunta altezza dello stomaco, dopo aver indicando Clint con un cenno del capo. 

«Mio cognato.» replica James in lingua sforzandosi di trattenere la risata che spinge per manifestarsi sul suo volto, limitandosi a bearsi delle imprecazioni colorite di Shostakov in lingua slava in risposta all'offesa, discussione che potenzialmente avrebbe potuto protrarsi ancora più a lungo se solo l'arciere avesse capito una singola parola detta dal Guardiano. 

«Mi piace tuo cognato.» afferma Mikhail asciugandosi le lacrime agli occhi, puntandogli un artiglio contro curioso. «Me la aspettavo da te una reazione del genere

«Non ne vale la pena.» scrolla le spalle James avanzando a passo sicuro oltre Clint, allungando la mano in direzione di Alexei per aiutarlo a raddrizzarsi, ricevendo una espressione di profondo scetticismo che sottintendeva una palese richiesta di spiegazione al gesto inatteso. «Tra cavie ci si aiuta… e tu non sei una minaccia, non più.»

Alexei si limita a guardarlo stranito, abbassando lo sguardo leggermente con fare rassegnato nell’udire la sua ultima specifica, chiedendosi probabilmente se a situazioni inverse lui avrebbe reagito con la medesima cordialità di facciata. James era consapevole che sarebbe stato infinitamente più facile odiarlo, aveva passato una buona parte della sua permanenza nella Stanza Rossa a farsi corrodere le viscere dalla gelosia, ma in quel preciso istante – libero, consapevole delle proprie facoltà mentali e con una fede dorata a sbatacchiare contro il proprio sterno ad ogni passo – provava solo una pena immensa per ciò che Alexei era diventato… un fantasma di sé stesso, nulla a che vedere con la marionetta della grande Madre Russia né con la sua copia carbone sbiadita di cui aveva letto solo nei fascicoli del KGB ed appreso dai pochi racconti di sua moglie sull'argomento, un'ombra tra le ombre dello stesso Castello in cui aveva voluto rinchiudersi di proposito. 

James non  avrebbe voluto conoscerlo quel poco che bastava per non doversi curare troppo di ciò l'uomo poteva o meno pensare sul suo conto – su ciò che la figura idealizzata del temibile Soldato d'Inverno rappresentava ancora per lui, l'incarnazione vivente di una maledizione che si era costruito da solo –, per la sua incapacità stessa nel notare come l'astio che Alexei provava nei suoi confronti si celasse sottopelle insieme alla diffidenza… ma non era la parte peggiore, il vero problema erano tutti quelle azioni volontarie o meno seminate negli ultimi sessant'anni, le quali avevano un peso maggiore di quello delle semplici parole che non si erano mai rivolti.

James avrebbe voluto provare qualsiasi altro sentimento che rasentava la civiltà pur di non doversi sentire grato, tollerando già a fatica la semplice indifferenza, chiedendosi nel profondo dell'animo dove sarebbe Natasha senza l'intervento tardivo del Guardiano, se esistesse un motivo razionale o affettivo per aver taciuto ai Capi gli scempi di Berlino che l'uomo era finito per scoprire durante la convivenza con sua moglie, se ci fosse un perché non aveva mai approfittato della capsula criogenica per cecchinarlo attraverso il vetro, interrogandosi se a Shostakov rimanesse un brandello di anima abbastanza grande per rendere credibile il fatto che si fosse preso cura di Kobik fino a quando non l'aveva fatta uscire da quelle stesse mura senza ottenere per sé un qualunque vantaggio. Forse, se lui e Alexei si fossero conosciuti in circostanze e tempi diversi, sarebbero potuti diventare amici… senza l'obbligo di lottare per due fazioni opposte e senza la volontà di difendere o appropriarsi di Natalia, eletta a premio ambito per amore o per riscatto, alimentando una rabbia cieca che nonostante tutto aveva visto sempre e comunque James come vincitore indiscusso. 

«Le bambine-…» si schiarisce rumorosamente la voce Shostakov, spezzando l'aria tesa che li circondava denunciando l'esigenza di portarle in salvo ora che aveva assaggiato un brandello di libertà lui per primo.

«C'è già qualcun altro che si sta occupando delle bambine.» lo interrompe James riscuotendosi risoluto, mettendosi a capo della fila invitando gli altri tre uomini a stare al suo passo. «Dobbiamo muoverci, mia moglie ci aspetta in laboratorio.»

«Dovevi proprio sottolinearlo?» brontola Alexei insofferente alle sue spalle, calpestando la sua ombra mentre Mikhail li guida lungo i corridoi attraverso una scorciatoia, percependo la risata soffocata dell'orso bruno che si sforza di non infierire troppo sulla situazione in corso. 

«Era fondamentale.» ghigna James con la sua miglior faccia da schiaffi impressa sul volto, prendendosi una piccola rivincita posando lo sguardo azzurro ghiaccio sul Guardiano Rosso, liquidando una qualunque obiezione o pretesto per ribattere a tono con una scrollata di spalle. «Forza, non abbiamo tempo da perdere.»

 

***

 

Alexei segue James in silenzio lungo il corridoio, i passi forzatamente leggeri per evitare le guardie e raggiungere il laboratorio il più velocemente possibile, appiattendosi contro il muro ad ogni cenno dell'uomo quando udiva dettagli sonori che lui non era in grado di percepire… il Soldato d'Inverno aveva ancora le sembianze di un automa nel fisico – era armonioso, silenzioso e diligente, incarnando tutte le caratteristiche che Alexei non era mai riuscito ad assimilare e fare proprie in maniera speculare –, tuttavia il Guardiano Rosso riscontrava un errore di fondo ogni volta che  soffermava al pensiero di aver davanti "James" per due secondi di troppo, la vera vittima sconosciuta con il quale aveva scambiato più parole di quante pensava ai tempi di Mosca – sensazione che andava ben oltre la manica sinistra vuota, nonostante quel dettaglio lo rendesse solo ancora più grottesco e lampante. I piedi del "Soldato" li stavano scortando, ma era James ad avere in mano le redini della mente, dettaglio fondamentale e caratterizzante che emergeva in ogni emozione senza filtri che attraversava il volto dell'uomo, in ogni sguardo apprensivo rivolto al suo seguito, in ogni gesto istintivo non calcolato… tic psicotici, respiri trattenuti, labbra morsicate e gentilezze disinteressate – come il gesto inconcepibile di offrirgli una mano amica, per esempio.

Alexei si sentiva sotto giudizio, come se a James potesse importare qualcosa di ciò che lui poteva dire o fare per giustificare torti vecchi di decenni, nonostante fosse consapevole che non c’era nulla di più vero del contrario… irritandosi per il come nonostante tutto ciò che era successo non lo considerasse degno della sua attenzione, arrovellandosi le viscere per dimostrargli di avere tempra e spina dorsale contrariamente a ciò che il Soldato d'Inverno poteva pensare, obbligandosi tuttavia a far sfoggio della medesima maturità macerando risentimento in un silenzio teso che non osava spezzare a causa di quel senso di colpa che gli pungolava lo stomaco in sordina. 

«Abbiamo recuperato tutti?» esordisce James mettendo piede in laboratorio ed individuando a colpo d'occhio Natasha, accerchiata da una Yelena rediviva, Rogers, Carter e uno stuolo di bambole assassine, voltandosi tempestiva appena sente la voce del marito richiamarla a discapito della cacofonia di allarmi e guardie armate in avvicinamento che li stordivano. 

«звезда моя...» lo saluta la donna, incappando con lo sguardo su di lui, ghignando ironica indicandoli divertita quando realizza che James si trovava a meno di due metri di distanza dalla sua persona e nessuno dei due era segnato da ferite più o meno gravi di varia entità. «Non vi siete ammazzati a vicenda? Fantastico!»

«Ho i miei buoni motivi per non farlo.» ribatte James spigliato, incontrando la donna a metà via, intrappolando le dita tra i suoi capelli per un veloce bacio a fior di labbra, incatenando lo sguardo nel suo. «Tu, tutto okay?» 

James ha un modo strano di porle una domanda così semplice ed Alexei, che è stato addestrato appositamente per imitarlo in ogni sua più piccola parte, non può fare a meno che studiarlo… è insolito nel modo in cui le sfiorava le spalle per assicurarsi che non tremino, nell'angolo della bocca sollevato in un sorriso enigmatico a tratti preoccupato, nel modo in cui si guardano – riflettendosi a vicenda nelle pupille dell'altro per scovarne i segreti dell'universo, unicamente per ritrovarsi entrambi nell'esatto centro del loro micro-cosmo imperfetto – con una intensità tale da rendere l'aria circostante elettrostatica, come se sulle labbra di entrambi fosse impressa la promessa che l'uno poteva essere "okay" se lo era anche l'altro. 

Alexei poteva affermare con assoluta certezza che non c'era stato nemmeno un singolo istante in cui la donna aveva guardato lui in quel modo – di certo lui non era mai riuscito a guardare negli occhi Natasha con lo stesso grado di venerazione ed amore incondizionato, all'inizio della farsa nuziale non era stato emotivamente in grado di manifestarlo, a differenza dell'ultimo paio d'anni quando al contrario si era sentito semplicemente troppo in colpa per riuscirci. 

«Non ho finito di collegare le cariche, non ho avuto il tempo-...» cerca di scusarsi Natasha spezzando l'idillio, porgendo l'arto di metallo tirato a lucido al marito, allungando le dita a sollevargli il bordo della manica in suo aiuto quando James si riattacca la protesi al moncherino senza troppe cerimonie, rinunciando a terminare la propria giustifica all'arrivo del plotone di esecuzione che li circonda, pronti a dar battaglia sotto la guida di un Usenko imbufalito.

«Ti copro io, non preoccuparti.» Alexei lo sente annunciare in risposta prima che scoppi ufficialmente il finimondo. 

Il rumore del piombo e l'odore della polvere da sparo fanno da sottofondo molesto al Capitano Rogers quando inizia a sbraitare ordini vari sul come farli uscire tutti dalla Dark Room vivi e interi, nello stesso istante in cui Alexei si ritrova con un paio di pistole in mano donategli da una Yelena determinata che si palesa davanti ai suoi occhi insieme al corteo di bambine, avvertendo la voce di James levarsi dal mezzo della calca in aiuto al fratello per coordinare l'evacuazione. «Belova, mi servi fuori da qui, non voglio che ti crolli il soffitto in testa!» urla il Soldato d'Inverno sbracciandosi in mezzo alla mischia per indicarle l'uscita, venendo inghiottito nuovamente dalla ressa quando le guardie avanzano riducendo le distanze, obbligandolo a mettere da parte il fucile per prestarsi ad una lotta corpo a corpo che prevedeva una Vedova Nera incollata alla schiena, rimasta bloccata in una coreografia mortale che la distoglieva dal portare a termine il proprio lavoro di innesco. 

«Ursus, falle strada!» grida Alexei a sua volta prendendo l'iniziativa, facendosi largo tra la mischia con furia crescente a pistole spianate, puntando deciso alle centraline di denotazione quando si rende conto di essere l'unico con ancora sufficiente libertà di movimento. «'Tasha, cosa devo fare?! Come collego le cariche?!» 

«Improvvisa!» strepita la donna in mezzo alla ressa, il fiato corto e i riflessi pronti che le impedivano di concedergli una spiegazione più articolata di quella fornita, schivando un paio di affondi nel mentre fino ad arrampicarsi sul pannello di comando, ritrovandosi a fianco del tizio che l'aveva preso a pugni mezz'ora prima. 

«Ti copro le spalle, tu fa quello che devi fare.» lo informa Barton scrutandolo con la coda dell'occhio, continuando imperterrito a far piovere frecce sui loro assalitori che tentavano invano di raggiungere la loro postazione sopraelevata. «Se c'è un qualsiasi problema, parla in una lingua comprensibile che lo riferisco agli altri.»

Alexei si limita ad annuire, dandogli le spalle mentre apre il pannello delle centraline, studiando l'operato di Natasha e cercando di capire fino a che punto dei loro piani concordati si fosse spinta… Mikhail gli aveva riferito che la donna nell'ultimo mese aveva seminato esplosivo in giro per tutto l'edificio, posizionando una quantità sufficiente capace di sgretolare ogni singolo pilastro portante, ricollegando pian piano l'attivazione di innesco collettiva ai quadri del laboratorio. 

«Belova è fuori.» annuncia l'arciere rendendolo partecipe delle notizie riferite via auricolare, mentre Alexei continua a trafficare con il pannello limitandosi a calcolare mentalmente che era passato un quarto d'ora dall'inizio dello scontro, stimando una percorso di cinque minuti di marcia se si escludevano una ventina di ragazzine a seguito, un'orda di oppositori ai cancelli ed il vantaggio di un grizzly pronto a sbranare chiunque si imbattesse in una delle sue scorciatoie. «Tu a che punto sei?» 

«Ci sto lavorando.» lo liquida Shostakov con aria diffidente, ancora sospettoso per via del mezzo pestaggio e la sua rapida risoluzione, stranito dalla collaborazione inattesa da parte dell'intera combricola convocata da Romanov… avrebbero dovuto odiarlo, invece erano tutti lì a giocare per la stessa squadra, ma ciononostante Alexei era dell'idea che si sarebbe sentito più a suo agio a nuotare in mezzo agli squali. «Non riesco ad impostare il timer…»

«Il che vuol dire…?» chiede preoccupato il suo interlocutore, con un tono tale da urtargli i nervi in modo fastidioso, come se i suoi continui tentativi infruttuosi di ricalibrare l'innesco a più di trenta secondi non bastassero… facendosi prendere dall'ansia quando Alexei realizza quali erano le uniche due possibili opzioni che gli erano state concesse. 

«Che non riesco ad impostare il timer, mi sembra di aver parlato in inglese…» bestemmia tra i denti il Guardiano Rosso facendo un rapido calcolo dei pro e dei contro nell'intraprendere la via più scellerata, in una replica scorbutica che finisce solo per acuire la sua determinazione, obbligandosi ad un respiro profondo prima di concedere a Barton una risposta civile. «Dovete andarvene tutti ora, se premo il pulsante ci seppellisco tutti… resto io, voi andate.»

«Ci deve essere un altro modo...» mormora Clint spaesato quando metabolizza l'informazione ricevuta, scontrandosi contro il suo cenno di negazione ed obbligandosi a riferire la notizia ai compagni d'armi. 

«Shostakov!» urla James dal fondo della bolgia ormai ridotta all'osso, spingendo Alexei a sporgersi dalla grata e cercarlo con lo sguardo, trovandosi un indice furioso puntato contro che lo minacciava di non osare a far nulla che potesse aggiungere altri pretesti che avrebbero obbligato l'uomo ad abbassarsi a ringraziarlo sulla tomba, mentre Natasha lo placa tempestiva per il braccio sano e solleva lo sguardo annacquato su di lui mormorando qualcosa. 

«Nat chiede se non c'è davvero nessun'altra soluzione.» riferisce Barton donando una voce al labiale della donna, scuotendo energicamente il capo in risposta per farsi vedere da tutti i presenti anche a quella distanza, scontrandosi con quattro paia di occhi allibiti e un solo sguardo color smeraldo comprensivo… Alexei trova buffo il come Natasha fosse arrivata a guardarlo con un sentimento simile all'amore sul fondo delle iridi solamente quando lui aveva deliberatamente deciso di essere arrivato al capolinea. «Deve esserci…»

«No, non c'è.» afferma Alexei risoluto con un sorriso all'angolo delle labbra in risposta, trattenendosi dal scoppiare incoerentemente a ridere nel vedersi concretizzare davanti agli occhi una previsione realistica oltremodo datata, illudendosi di udire la risata argentina di Tania Belinsky che lo invitava a raggiungerla dall'altra parte del varco. «È sempre stata questa.»

 

Budapest, 1989 - un crollo imminente

 

«Da dove arrivi?» la interroga Alexei quando Tania Belinsky fa la sua comparsa alla caffetteria dove si sono dati appuntamento, prendendo posto sul tavolino, spogliandosi del cappotto che abbandona sullo schienale della sedia.

«Mosca, sono solo di passaggio, ho un treno per Praga tra un paio d'ore… hai qualcosa per me?» ribatte la donna senza perdere tempo in convenevoli inutili, dipingendosi un sorriso innocente sulle labbra, assecondando la sua richiesta sfilando dalla ventiquattrore una busta contenente qualche documento secretato e il contratto di compravendita fresco di stampa di un appartamento in centro città.

«Sei fortunata, Petrovich ha firmato stamattina.» sorride fiero Alexei mentre le dita della mora si chiudono ad artiglio sul plico offertole, facendolo sparire all'interno della propria borsa alla velocità della luce, aspettando che la cameriera prenda le ordinazioni di entrambi per proseguire con i loro discorsi. «Prima o poi pensi di dirmelo dove hai costruito l'Archivio?» 

«Non allargarti Shostakov, l'Archivio esiste anche per colpa tua… devi guadagnartele, le coordinate.» afferma Tania sorridendo candida, arrotolandosi la punta della treccia sull'indice tradendo un tic nervoso, un labile preambolo ad uno sguardo che arde al solo pensiero di ciò che stanno costruendo alle spalle dei padroni. «Tu invece da dove arrivi?» 

«Siberia.» la informa l'uomo mangiandosi le ultime lettere tra i denti, svicolando con lo sguardo puntandolo alla borsa della donna appesa allo schienale della sedia, indicandola con un cenno del mento. «Ci sono delle nuove reclute, hanno tolto il Soldato d'Inverno dalla criostasi per addestrarli… aggiungi anche questa informazione ai tuoi preziosi taccuini?»

«Bravo, prendimi in giro… così le coordinate te le sogni.» lo minaccia scherzosamente la donna sfilando una agenda dalla borsa, fingendo di segnarsi un appuntamento di lavoro nel mentre che la cameriera deposita due tazze di espresso al loro tavolo. «Per questo Petrovich ti ha scelto come scorta?» 

«Temono che la mia presenza sia fonte di… brutti ricordi per il loro amato Soldatino, sono stato spedito qui a proteggere mio suocero dato che non posso mettere piede a Mosca.» le spiega l'uomo con una scrollata di spalle, lasciando intendere una domanda implicita nell'affermazione appena espressa. 

«Carino come continui a definirlo "suocero" nonostante tutto.» lo ridicolizza Tania portandosi la tazza alle labbra per celare un sorriso, finendo per cedere ed aggiornarlo con ciò che si stava perdendo lontano da casa. «Hanno assoldato una nuova marionetta anche a Mosca…»

«Ligia al dovere?» deduce Alexei dal tono infastidito della donna vedendola annuire in risposta, cercando di strapparle qualche altra informazione rilevante.

«Terribilmente. Yelena Belova è brava… tanto quanto la Zarina a momenti, può diventare un problema.» si sbottona l'Agente Belinsky tracciando il bordo della tazza con l'indice, sospirando rassegnata sollevando lo sguardo su di lui, concedendogli l'unica risposta che Alexei voleva sentirsi dire. «Natalia si sta svegliando… non ha ancora un volto o un nome, ma a modo suo ha iniziato a cercarlo.»

«Quante probabilità ci sono che scopra che l'hanno internato in Siberia?» indaga Alexei contraendo le dita contro la tazza, obbligandosi a dosare la forza per non frantumarla, preoccupato all'idea di un intoppo di fronte al fatto che le nuove pedine in gioco non erano esattamente amichevoli o propense a ragionare di testa propria in generale. «Se si azzarda a raggiungerlo…»

«Non è stupida, Shostakov.» lo placa Tania con espressione scettica, giocherellando con il bordo della bustina dello zucchero in un tic nervoso malcelato. «È spavalda, quindi conoscendola farà qualcosa di molto peggio… troverà il modo di attirare l'attenzione.»

«Non è spavalda, deve essere fuori di testa se progetta di andare a Berlino e farsi beccare mentre butta giù il Muro di persona…» commenta Alexei diminuendo il tono della voce per non farsi sentire da orecchie indiscrete, notando come lo sguardo dell'Agente Belinsky si illumini a giorno nel dichiarare la sua deduzione corretta, mordendosi il labbro preoccupata e limitandosi ad annuire confermando le sue ipotesi, sbuffando incredulo in risposta. «Tanto vale darle un nome e voltarsi dall'altra parte mentre butta giù la porta della caserma in Siberia, Belinsky. Non puoi lasciarglielo fare.»

«Non ho chiara una cosa… ti stai preoccupando per lei o per la tua divisa?» ribatte Tania a bruciapelo con tono vagamente seccato, inchiodandolo con uno sguardo insofferente mentre Alexei non fa segreto della propria espressione indignata per l'accusa appena proferita. «Oh non fare quella faccia, lo sa tutto il Dipartimento che se il Muro crolla ti depongono… hai peccato di negligenza ultimamente.»

«Almeno puoi far finta di non esserne così compiaciuta?» sbotta Alexei piccato ustionandosi la gola con un generoso sorso di caffè, tentando inutilmente di svincolare con lo sguardo nella speranza di trovare il coraggio di farle il verso. «Lo sa tutto il Dipartimento che se il Muro crolla ti promuovono, hai saputo giocare le tue carte meglio di me.»

Tania Belinsky nasconde un sorriso di scuse dietro il bordo della tazza mentre Shostakov si abbandona esausto contro lo schienale della sedia, tamburellando distratto contro il bordo del tavolo, il cervello inceppato in quella previsione terrificante non troppo lontana dalla realtà dei fatti. Alexei era consapevole che il giorno in cui aveva permesso ai Capi di internarlo al Cremlino fasciandolo nella divisa del Guardiano Rosso, era stato anche il giorno in cui aveva fornito loro un tallone d'Achille trasformando Natalia in merce ricattabile, acconsentendo alle peggiori tragedie pur di mentenerla in vita… non era del tutto sicuro che la vita della sua ex moglie valesse quella di centinaia di altre persone, ma se in qualche modo le sue azioni potevano servire ad alleviare in parte quelle sofferenze che le aveva inflitto non ci pensava due volte ad eseguire il richiesto. Forse con il proprio operato poteva sperare in una riduzione della pena, ma Alexei non poteva fare nulla in quei casi in cui Natalia incappava su un ricordo labile e seguiva la scia di quel fantasma a cui aveva giurato amore eterno, incurante se ciò poteva avere delle ripercussioni sulla propria condanna o su quella di chi vedeva la propria vita appesa a un filo ad ogni suo errore di programmazione… erano in molti al Cremlino a vivere alla giornata, cooperando insieme nella tacita missione di tenere separati i due amanti ponendo la sopravvivenza collettiva al di sopra di quel legame che aveva assunto sfumature leggendarie con il passare degli anni, ma a discapito di tutti i loro sforzi il Soldato e la Zarina ciclicamente ricordavano abbastanza da iniziare a cercarsi, riducendo inconsapevolmente la vita ad un inferno in Terra a tutti i loro garanti. 

«Mi uccideranno.» mormora Alexei di punto in bianco, lo sguardo perso in contemplazione del liquido nero che cambia improvvisamente punto di ancoraggio per mettere a fuoco i lineamenti della donna. «Per mano dei Capi, del Bastardo o di Natalia… l'unica cosa di cui sono certo ormai è che morirò accoltellato per tutti i crimini che ho commesso.»

«È qui che ti sbagli, Shostakov.» lo placa Tania, scrollando le spalle in un gesto di noncuranza. «Nessuno si prenderà la briga di ucciderti, ti sei già condannato da solo.»

L'Agente Belinsky trattiene un sorriso all'angolo delle labbra, risparmiandosi l'elenco di tutte le sue malefatte compiute prima e dopo il matrimonio con Natalia – la gelosia nel non essere riuscito a piegare la donna-trofeo promessa al suo volere, scoprendo che l'amore con cui lo lusingava per dovere era in realtà riservato ad un altro, serbando rancore e consegnando i due amanti per ripicca, acconsentendo a sposarla per "rimetterla in riga" imparando a camminare nelle scarpe del Soldato pur di trattenerla al suo fianco, vedendosela strappare via dalle braccia il giorno in cui il Fantasma era riemerso dalla Siberia per reclamare ciò che era suo di diritto –, mettendo in luce quel senso di colpa che continuava a corrodere le viscere di Alexei di fronte alla consapevolezza di essersi scoperto devoto della Zarina contro ogni regola o previsione, rendendo ridicole agli occhi di Tania le sue lamentele in merito a quella prigione che aveva contribuito personalmente a progettare e nella quale si era rinchiuso a forza quando i Capi l'avevano congedato presentatogli il conto. 

«Puoi affermare di odiare il Soldato quanto vuoi, ma ciò non ti ha fermato dal aiutarmi.» sottolinea la donna ricordandogli chi dei due teneva il coltello dalla parte del manico in quella trattativa, recuperando il cappotto abbandonato contro lo schienale della sedia su cui era seduta. «Che ti piaccia ammetterlo o meno, sai bene quanto me come andrà a finire questa storia.»

«Moriremo martiri.» sfiata Alexei in un brontolio sommesso, tirando le somme dichiarando le proprie ovvie conclusioni. «Non che avessimo altra scelta...»

«Ce l'abbiamo Shostakov, tra eseguire gli ordini e saldare il debito, hai scelto di pareggiare i conti con la Zarina e il Soldato.» sentenzia la donna chinandosi a posargli un bacio sulla guancia, prendendosi la libertà di arruffargli i capelli con fare scherzoso. «Solo che tu per farlo, a differenza mia, hai anche deciso di concludere l'opera impiccandoti con la corda che ti sei costruito da solo.»

«Sei insopportabile, Belinsky.» ammette Alexei ricambiando il bacio di saluto, allegando nella concessione anche una blanda ammissione di colpa. «Ti saluto Mikhail, se lo vedo.»

«Digli che mi manca.» ringrazia tacitamente la donna, svicolando il velo liquido dello sguardo sfruttando la scusante di dover recuperare la borsa, controllandone il contenuto un'ultima volta. «Tu invece, chiamami se trovi altro materiale… interessante. Ti saluto Natalia?» 

«No… piuttosto dille che non è l'unica a caccia.» rivela Alexei complice, rassegnato alla propria sorte e ormai votato alla causa della donna. «Non ha ancora un volto o un nome, ma a modo suo la sta cercando… e fammi un favore Belinsky, tenta di non farti uccidere quando decideranno di attirare l'attenzione.»

«La stessa cosa vale per te, Shostakov.» lo saluta la donna dirigendosi verso la porta d'uscita mentre un piccolo sorriso fa capolino da sopra la sua spalla. «Di questo passo, ci vediamo dall'altra parte del Muro.»



 

Gli ultimi cinque minuti di vita del Guardiano Rosso non sono né memorabili, né banali… sono cinque minuti in cui l'aria profuma di polvere da sparo, trascorsi a fronteggiare impavido un plotone d'esecuzione sottonutrito per garantire la fuga a tre americani, al Bastardo senza patria e alla donna a cui aveva portato via quasi tutto, alla quale era finito per dedicare anima e sangue pur di ripagare quel debito che si trascinava dietro da più di sei decenni. 

La non-vita del fantasma che porta il nome del fu Alexei Shostakov inizia con un'esplosione, un cumolo abnorme di macerie e un mucchietto di ossa carbonizzate… mentre fuori, salva e al sicuro, Natasha si concede il lusso di riprendere a respirare, stringendo la mano di James aspettando che la polvere si assesti sulla carcassa di una piovra troppo stanca per cambiare di nuovo maschera. 

 

***

 

Lo Zephir-One si poteva considerare al pari di un mini-appartamento con le ali, Natasha doveva ammettere che non le sarebbe dispiaciuto troppo doverci vivere sopra, se ovviamente non si considerava quel perenne dondolio quasi impercettibile che aveva l'incredibile potere di scombussolarle lo stomaco ogni qualvolta che non sedeva alla cabina di pilotaggio, stringendosi nella maglietta extra-large di James passabile per pigiama, trascinandosi fino alla cuccetta di quest'ultimo trovandola inspiegabilmente vuota. 

«Ehi.» la sorprende la voce dell'uomo alle sue spalle coprendo il rumore della chiusura della porta scorrevole, voltandosi a fronteggiarlo ritrovandosi con un paio di barrette energetiche sotto il naso. «Non mangi nulla da ore… queste dovrebbero aiutarti con la nausea.»

«Ricordami perché non sto guidando io.» lo interpella Natasha prelevando una barretta dalle mani del marito, scartandola ed addentandola riluttante senza opporre alcun tipo di resistenza, lasciandosi cadere seduta sul materasso con aria esausta. 

«Sei in piedi da tre giorni 'Tasha… nessuno di noi desidera schiantarsi al suolo perché tu rischi un colpo di sonno al primo crollo psicotico.» ribatte paziente James con tono conciliante, sedendosi al suo fianco scartandole anche il secondo snack, porgendoglielo con fare invitante. «Hai bisogno di mangiare… e dormire, любовь моя

Natasha sbuffa infastidita addentando la barretta svogliata, spiando il sorriso macchiavellico di James quando di alza in piedi ed inizia a sprimacciare il cuscino con relativa calma, sollevando la coperta di colpo facendola scivolare sul pavimento di malagrazia, osservandolo divertita dal fondo della moquette mentre James si infila sotto le lenzuola addossandosi con la schiena contro il muro. 

«Se ci stringiamo ci stiamo tranquillamente in due.» propone suo marito invitante di fronte alla sua richiesta di delucidazioni, picchiettando a palmo aperto sulla porzione libera del materasso singolo. «Conosco quello sguardo, hai un disperato bisogno di coccole che non sei intenzionata a chiedermi.»

«Ne va della mia reputazione, lo sai.» si presta al gioco Natasha, spolverandosi i pantaloncini dalle briciole prima di raggiungerlo sotto le coperte, incastrandosi alla perfezione tra le braccia di James usando la spalla sana come cuscino, intrecciando le gambe tra le sue in un blando tentativo di scaldarsi i piedi ed avvertendo la mano di metallo circondarle la vita e spingerla verso il centro del letto per impedirle di cadere oltre il bordo, concedendosi un lungo respiro profondo prima di strofinare la punta del naso contro quella dell'uomo in un timido contatto. «Ehi…»

«Ehi.» replica James sporgendosi per posarle un bacio sulla fronte, piegando il braccio destro sotto la curva del suo collo, sfiorandole la spalla scoperta in punta di dita disegnando piccoli cerchi concentrici. «Va meglio?»

Natasha apprezza in silenzio la scelta delle parole espresse, rabbrividendo appena nel percepire il tocco dei polpastrelli di suo marito che le accarezzano la pelle, reprimendo al contempo quel tumulto interiore a cui era restia a dare un nome… specchiandosi nello sguardo di James riconoscendo in fondo alle pupille quella medesima scintilla, convincendosi che affrontare quel non detto che aleggiava tra loro era più facile da gestire se veniva espresso dalle parole dell'uomo e non dalle proprie. 

«Fammi entrare nella tua testa, звезда моя.» lo supplica Natasha, riuscendo a leggere nelle labbra di suo marito le stesse domande che le affollavano la testa, stringendosi ancora di più nel suo abbraccio cercando del contatto umano. «A cosa stai pensando?» 

«Avremmo dovuto seppellirlo…» mormora James abbassando lo sguardo, ritenendo superfluo specificare il soggetto, tradendo una punta di rimpianto nel modo in cui la mano di metallo freme abbandonata alla base della sua schiena. 

«Non è rimasto nulla da seppellire…» concede Natasha allungando una mano a tracciargli il profilo della mascella, tentando di dissolvere la propria tristezza posando un bacio casto sulle sue labbra, sforzandosi di sorridere conciliante. «Lo SHIELD sta ripulendo, se trovano le sue ossa hanno promesso di dircelo.»

James annuisce restio, indugiando con le dita sulla sua spalla prima di riprendere la sessione di coccole, tremando sotto il corpo di Natasha sopprimendo un brivido che gli fa chiudere le dita ad artiglio contro la sua pelle, inspirando a fondo sciogliendo la lingua per confessarle di non sapere da dove iniziare con quel discorso che idealmente avrebbe dovuto farla stare meglio, considerati i suoi sentimenti contrastanti ed ancora irrisolti in merito all'argomento. 

«Non so come devo sentirmi a proposito, l'ho odiato per così tanto tempo che ora mi fa... strano l'idea di doverlo ringraziare.» ammette James con riluttanza, cercando una risposta sul fondo delle iridi di Natasha, la quale prende tempo sistemandogli un ciuffo ribelle dietro l'orecchio… sforzandosi di sorvolare sui capelli fuori taglio e la barba sfatta da due giorni che erano indice lampante dello stato d'animo dell'uomo, scavandole inconsapevolmente una voragine nel petto e rivoluzionando radicalmente la disposizione dei suoi organi interni quando si concede di pensare che "sì, è davvero finita", avvertendo un velo liquido ricoprirle le pupille verde foresta mandando in allarme James, spingendolo ad aumentare la stretta nella morsa composta dalle sue braccia. 

«Se ti aiuta a dormire, consolati che non l'ha fatto per te.» ammette Natasha con riluttanza abbassando lo sguardo, avvertendo la fronte di James collidere con la propria in una blanda fonte di conforto. «Tu sei solo un beneficiario collaterale.»

«Lo so… sei tu quella che passerà le notti in bianco d'ora in poi.» ammette restio, iniziando a percorrere la lunghezza del suo braccio in punta di polpastrelli, mordicchiandosi le labbra prima di aprir bocca e sondare il terreno, cercando di comprendere la natura del velo liquido contenuto nel suo sguardo. «L'hai mai amato? Nel vero senso della parola, intendo.»

«Non quanto te, se è questo che mi stai chiedendo.» lo rassicura Natasha con un sorriso, dimenandosi tra le sue braccia sopprimendo l'istinto di darsi alla fuga, grata del fatto che continuassero entrambi a mantenere il soggetto della conversazione senza nome, sospirando rassegnata quando James insiste per ricevere una risposta. «Non lo so, звезда моя... credo di aver amato l'idea di lui, non lui

Se Natasha non avesse una reputazione da difendere era convinta, senza ombra di dubbio, che non le sarebbe costato nulla ammettere ad alta voce che la confusione genuina che attraversava i lineamenti di James in quel preciso istante lo rendeva adorabile – non perché fosse tenero, ma per la consapevolezza di tenerlo in pugno al punto da potersi permettere di giocare con le sue emozioni se desiderava farlo, chiedendosi per l'ennesima volta in sei decenni di domande a vuoto cosa diavolo dovesse aver fatto per essere meritevole di averlo nella sua vita –, allungando nuovamente le dita ad aggiustargli le ciocche ribelli, rilassandosi visibilmente nel compiere quel semplice gesto. 

«Dovresti raderti… e tagliarti i capelli.» azzarda Natasha tentando invano di cambiare discorso, ricevendo uno sbuffo in risposta ridacchiando di conseguenza, sentendosi afferrare per la vita scivolando verso il centro del letto, ritrovandosi schiacciata sotto il peso di James con i suoi gomiti puntati ai lati della testa, allungando le dita a sistemargli le ciocche che ora gli cadevano davanti agli occhi, continuando imperterrita nel proprio depistaggio. «Mi piacciono in entrambi i modi, ma ora hanno davvero una misura insulsa… non sono abbastanza lunghi per raccoglierli, né abbastanza corti per-...»

«Ti fermo qui, okay?» la placa James inchiodandola con lo sguardo, scendendo in picchiata contro le sue labbra rubandole l’ossigeno per qualche secondo, per poi puntellarsi su un gomito in un blando tentativo di imporsi scrutandola dall’alto e costringendola a fornirgli la risposta che stava ancora aspettando, facendola cedere consapevole di non potergli negare nulla di fronte al suo sguardo da cane bastonato. «любовь моя...»

«Okay… mi piaceva l’idea di avere una parvenza di vita normale. La cosa peggiore che poteva succedermi era perdere l’autobus per tornare a casa o affettarmi un dito mentre cucinavo la cena… cose del genere.» confessa Natasha rasentando la sua blanda definizione di "romanticismo", sentendosi mancare l'aria inghiottendo sillabe a vuoto che denunciano la perdita di equilibrio al di fuori della propria comfort-zone, supplicando silenziosamente James di accorrere in suo aiuto per salvarla dai suoi sentimenti fuori controllo. «Lo so che Alexei era solo un tuo surrogato… ma la vita che avevamo-...» 

«La vita che avevate è quella che noi due all'epoca non ci potevamo permettere… la versione che prevedeva una bella casa, una famiglia e un lavoro in cui nessuno dei due rischiava di tirare le cuoia un giorno sì e l'altro pure.» riassume James con aria affranta, cancellando l'ombra cupa dallo sguardo mentre si perde a pettinarle i boccoli cremisi con le dita ricambiandole il favore, chinandosi a posarle un bacio all'angolo della bocca che punge contro la sua pelle per colpa della barba ancora in fase di ricrescita. «Ti piacerebbe come vita?» 

«Mi piacerebbe provarla per un po'... nel senso di vacanza, fantasticherie a parte continuo a pensare che noi due non saremo mai pronti per la vera pensione.» annuncia Natasha con timidezza sospetta, lasciando implicita la domanda in merito a cosa poteva riservare loro l'universo da quel momento in poi. «Tu cosa pensi, звезда моя?» 

«Penso che per il resto del mondo tu sei ancora morta…» afferma James aprendo uno spiraglio positivo su quella vacanza ipotetica, elencando i presupposti adatti per attuarla. «Penso che al momento non siamo ricercati in Europa… e penso anche che ho consegnato le dimissioni allo SWORD e c'è una bimba di quattro anni e mezzo che mi aspetta alla Fattoria.»

«Ci aspetta alla Fattoria.» lo corregge la donna, sorridendo complice, lasciandogli intendere di non aver cambiato idea in merito all'adozione con scarso preavviso, incupendosi di colpo assalita dai dubbi quando un sospetto terribile le chiude lo stomaco in una morsa. «E se non le piaccio?» 

«Le piaci già… e lo sai.» la rassicura James posandole un secondo bacio pungente sulla clavicola, un terzo contro la curva del collo che le provoca un'ondata di solletico ed un quarto in corrispondenza della fossetta sulla guancia, indugiando sulle labbra donandole un sorriso. 

«Davvero, fammi un favore e tagliati almeno la barba. Punge.» ridacchia Natasha ottenendo uno sbuffo esasperato in risposta, infilando l'indice nella fede che pendeva dal collo di suo marito trascinandolo verso il basso, cancellando a suon di baci le nuvole temporalesche che gli scurivano lo sguardo, sporgendosi a sussurrargli un rimprovero scherzoso all'orecchio. «звезда моя non sono in pericolo solamente le mie guance, ma anche quelle di Kobik.»

«Oh fantastico, se la metti così… è il tuo modo di dirmi che d'ora in poi la userai come incentivo contro di me?» indaga James reprimendo una risata, allontanandosi dalla traiettoria del bacio per strofinare la guancia ruvida contro la sua, facendola ridere e beccandosi un rimprovero che lo scongiurava di non iniziare a comportarsi come un bambino capriccioso, cedendo arrendevole senza troppi drammi o moine ruotando su un fianco ritornando alla posizione iniziale. «Domani mattina la taglio, promesso.»

Natasha sorride, accoccolandosi meglio contro il petto di suo marito, circondandogli la vita con un braccio, stringendosi ancora di più nel suo abbraccio per scaldarsi – e per non cadere dal materasso, un rischio concreto considerato che la sua schiena costeggiava pericolosamente il bordo –, rilassandosi sotto il tocco dei polpastrelli di James che iniziano a percorrerle il braccio in punta di dita dalla spalla al gomito in una carezza delicata… assaporando il brandello di pace ed accarezzando l'idea lusinghiera che quell'istante, volendo, poteva durare in eterno. 

«E se non sono tagliata per fare la mamma?» sussurra preoccupata Natasha ad un passo dal sonno, mantenendo gli occhi chiusi e limitandosi a percepire il respiro esitante di James, che stringe la presa alla base della sua schiena e replica con un tono di voce talmente calmo da infonderle sicurezza e fiducia cieca. 

«Perché tu pensi che io sia tagliato per fare il papà?» la interroga l'uomo retorico, ponendo entrambi sullo stesso piano e con il medesimo livello di probabilità di combinare un disastro, lasciando implicito il suggerimento di gettarsi in balia dell'improvvisazione. 

«Il tuo istinto paterno batte il mio istinto materno cinque a uno…» insiste Natasha, gli occhi ancora chiusi e le dita artigliate spasmodicamente al fianco di James, assillata dal pensiero morboso che di solito quando lei desiderava troppo intensamente qualcosa finiva sempre per rovinare tutto combinando qualche cazzata – dopotutto con lui ne progettava tre e ne attuava dieci una dopo l'altra, in un bisticcio continuo condito da molti drammi dai risvolti tragicomici –… e non voleva bruciare le proprie carte, non con Kobik, nel modo più assoluto. 

«Natalia tu sei una mamma fantastica, solo che ancora non lo sai.» afferma James senza nessun tipo di dubbio a colorargli la voce, ciecamente fiducioso nella sentenza appena proferita… e per una qualche strana ragione Natasha gli crede, crogiolandosi in quella rassicurazione sentita, sciogliendosi sotto il contatto caldo delle labbra di suo marito quando si posano contro la sua fronte in un dolce bacio della buonanotte. «Dormi ora, sta tranquilla… non vado mai più da nessuna parte senza di te, любовь моя





 

Commento dalla regia:

Se siete giunti fin qui vorrei ringraziarvi, sia chi ha lasciato un commento, sia i lettori silenziosi che si sono limitati ad aggiungere questa storia alle proprie liste. Grazie, davvero.
Riguardo alla trama è palese che questo sia un punto di svolta, ignoro il come abbiate potuto prendere la dipartita di Alexei o quali siano i vostri pensieri in merito a Kobik e i due casi umani che ora si ritrova come genitori (se desiderate lasciarmi un commento per farmi sapere la vostra è cosa gradita)... va da sé che queste ultime modifiche sono state scritte di mio pugno, la trama fumettistica assegna ben altro destino a Kobik, Alexei è ancora miracolosamente vivo (ignoro pure io secondo quale logica, Mamma Marvel non l’ha spiegato ancora) e James e Natasha sono ancora ben lontani dal convolare a nozze (o semplicemente riallacciare i rapporti, fumettisticamente parlando sono ancora in rotta, ma ciò non significa che si stiano facendo ancora una corte pietosa a vicenda).
In ogni caso, personalmente ho finito gli argomenti con cui ampliare questa storyline… e noi ci “risentiamo” tra una settimana per l’epilogo ;)
That's all folks!
_T :*

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


EPILOGO





 

«Vieni a giocare, K?» chiede innocente Nathaniel Barton, un guantone da baseball in mano e l'aria di chi non capiva cosa stesse combinando la cugina adottiva, seduta sui gradini del portico in palese attesa di qualcosa. «Mi dici che stai aspettando?» 

«Bucky-bukaroo.» annuncia la bambina sicura di sé, puntando un indice al cielo indicando un puntino nero rumoroso appena apparso all'orizzonte, ignorando le grida di Nate mentre chiamava a rapporto i fratelli, aspettando diligente che lo Zephir-One tocchi terra prima di materializzarsi in un glitch sulla rampa di accesso abbassata. «Bucky-bukaroo!» 

«Pulce!» esulta James in risposta caricandola di corsa, sollevandola da terra con slancio per strappazzarsela meglio in un abbraccio. «Hai fatto la brava mentre non c'ero?» 

«Ovvio. Ho fatto un sacco di disegni, devo farteli vedere!» esclama la piccola gettandogli le braccia al collo per ricambiare l'abbraccio, ritirandosi infastidita quando la propria guancia si scontra con quella ancora ruvida dell'uomo. «Ahia… la tua barba punge.»

«Te l'ho detto io che dovevi tagliarla.» rimarca la voce di una donna alle spalle del suo papà, ignorando l'obiezione di quest'ultimo in merito all'assenza di un rasoio in tutto il velivolo, sporgendosi oltre la sua sagoma individuando una Natasha imbarazzata per via della sua improvvisa attenzione, che si limita a sollevare una mano sfarfallando con le dita in segno di saluto. «Ehi, Kobik…»

«Mamma!» urla la bambina perforando un timpano a James, il quale si ritrova a stringere aria tra le braccia quando lei si dissolve in un glitch e si riassembla a meno di un metro dai piedi della donna, portandosi una mano alla bocca allarmata a distanza di una frazione di secondo quando si rende conto del come l'ha chiamata, contemplando la figura di Natasha ridotta ad una statua di sale. «'Talia…?»

«любовь моя…» mormora la donna sorridendo basita in risposta, cadendo in ginocchio senza preavviso ed obbligando James a riscuotersi dal medesimo stato di trance sentendosi chiamare in causa solamente per rendersi conto di non essere il soggetto della frase, mentre Kobik si ritrova stretta in un abbraccio a tratti soffocante fatto di boccoli rossi e braccia esili, presto raggiunte da un secondo tonfo di ginocchia ed un altro paio di braccia un po' più robuste che circondano entrambe. «È finita davvero…»

«È finita davvero.» conferma James in una vibrazione calda che rimbomba contro la spina dorsale di Kobik, posandole un bacio sulla testa invitandola a sciogliere l'abbraccio, aiutando la moglie a rimettersi in piedi ed indicandole la plancia di comando. «Il pilota vuole salutarti prima di andarsene… io e Natalia scendiamo a terra, tu raggiungici appena vuoi, okay?»

«Okay.» conferma la bambina schizzando euforica fino al parabrezza frontale, individuando la sagoma irsuta di Mikhail ben prima di scorgerne il muso, prendendo la rincorsa e seppellendo il naso contro la sua pelliccia. 

Kobik gli aveva confessato quanto gli fosse mancato e quanto fosse felice di vederlo, chiedendogli notizie di Alexei non vedendolo da nessuna parte… riuscendo ad identificare la natura della punta di rimpianto che aveva percepito sotto tutti gli strati di sollievo provati da James e Natasha, avvertendo il proprio sguardo riempirsi di lacrime quando Mikhail le aveva nascosto la verità dietro l'ultima favola dal finale ingiusto, spiegandole il perché dopo ciò che era successo non volesse rimanere con le zampe ancorate al suolo, accettando il posto vacante allo SWORD lasciato da James. Mikhail aveva sottolineato come quella fosse la soluzione migliore per tutti loro, garantendole di lasciarla in buone mani, ricordandole che Alexei si era sacrificato per permettere un futuro più roseo a tutti loro. 

Quando Kobik era rientrata alla Fattoria aveva cercato Natasha, attirata dai suoi sentimenti in subbuglio come una calamita poteva sentirsi attratta da un campo magnetico, trovandola fresca di doccia intenta a cambiare le lenzuola nella camera degli ospiti mentre James terminava di radersi la barba nel bagno privato… scontrandosi con un muro insondabile di tristezza, preoccupazione e rabbia appena varcata la soglia, percependo nettamente il calo di tensione in entrambi appena Kobik si era ancorata alla gamba di Natasha infondendole pace, sentendo i livelli ansiogeni di James colare a picco nella stanza a fianco come se il suo stato d'animo fosse direttamente proporzionale a quello della moglie e fossero collegati per via di un qualche strano meccanismo. 

«Finisci di darmi una mano?» propone Natasha chinandosi a posarle un bacio sulla sommità del capo, celando nella richiesta d'aiuto un muto ringraziamento mentre si scostava da lei ed afferrava le lenzuola, porgendole un lembo per distenderle sul materasso spoglio. 

Per il resto della giornata Kobik si era divertita a sedare la propria curiosità gravitando intorno a Natasha, scoprendosi un ottimo deterrente per tutti quei sentimenti negativi che nuotavano nell'abisso dell'animo della donna… accettando riluttante l'invito pacato di James di lasciarle respiro, venendo presto distratta quando verso l'ora della merenda Nate era tornato a cercarla per giocare, registrando con la coda dell'occhio l'istantanea sfuggevole degli occhi lucidi della sua mamma nel momento in cui pensava di non essere vista, chiudendosi la porta alle spalle correndo in giardino nel mentre che il suo papà se la stringeva al petto ed aspettava paziente che Natasha finisse di accartocciarsi contro la sua spalla e si esaurisse in un pianto liberatorio. 

La donna aveva ancora gli occhi rossi quando si erano seduti a tavola per la cena, Kobik si era tenuta in disparte per l'intera sua durata, confusa se considerarsi o meno una parte del problema… poco importava se lei e Nate avevano ottenuto il permesso di restare alzati fino a tardi "perché bisognava festeggiare", Kobik si era limitata a spazzolare la sua fetta del dolce preparato da Laura per l'occasione comodamente seduta sulle ginocchia di James, fingendo di non notare come tutti gli adulti avessero continuato a perdersi in chiacchiere goliardiche quando Steve e Natasha erano scomparsi sul portico, dimenandosi infastidita quando l'uomo si era alzato in piedi caricandosela in spalla annunciando che fosse ormai giunta l'ora della nanna, lottando con gli occhi a mezz'asta per scorgere il flebile lumicino della sigaretta della sua mamma che fendeva il buio esterno, preoccupata nel percepire le ombre delle colpe di Steve che avanzavano ad ondate soffocati e sembravano volessero inghiottire in un sol boccone il ritrovato equilibrio emotivo della donna scandito dall'accensione ritmica del mozzicone che le pendeva dalle labbra. 

«`Talia…» brontola assonnata agitando i pugni contro la schiena di James quando la donna sparisce dalla sua visuale mentre svoltano insieme all'angolo del pianerottolo, sopportando il passo cadenzato del suo papà mentre risale i gradini fino alla camera che continuava a dividere con Lila. «Papi… la mamma è okay?» 

«È stata una giornata molto, molto lunga.» la liquida l'uomo risparmiandosi la correzione sul nomignolo affettivo, puntando un ginocchio contro il materasso e scostando le coperte con la mano libera prima di lasciarla cadere incontro al giaciglio. «È ora della nanna Pulce, vedi di dormire, domani mattina partiamo presto.»

«Per andare dove?» chiede assonnata, afferrando Baloo dai piedi del letto e trascinandosi la coperta fino al mento, seguendo con lo sguardo il suo papà che aveva iniziato ad aprire e chiudere le ante dell'armadio per automatismo inconscio. «Torniamo a New York?» 

«È meglio se restiamo lontani dalla Grande Mela per un po', Fury dice che è più sicuro così.» afferma James chinandosi a spiare la tana dei mostri nascosta sotto il suo letto, annuendo soddisfatto di sé stesso prima di sporgersi a posarle le labbra sulla fronte. «Niente mostri da nessuna parte, ho controllato.»

«Ho notato…» ridacchia Kobik portandosi una mano alla bocca per coprire lo sbadiglio, socchiudendo un occhio per spiare la reazione di James alla sua affermazione successiva. «Mikhail mi ha raccontato cosa è successo…» 

«Quindi sai perché la mamma è triste… starà meglio, dalle un paio di giorni.» la rassicura l'uomo sedendosi sul bordo del letto, allungando due dita a pettinare la frangetta bianca, scostandole un paio di ciuffi ribelli lontano dalle ciglia. «Io continuo a volerti bene anche se è tornata Natalia, lo sai vero?» 

«Io ti leggo Bucky-bukaroo… non ti ho mai sentito più felice di così.» afferma Kobik con un sorriso impresso sulle labbra, stringendo Baloo tra le braccia ed accoccolandosi meglio contro il cuscino. «Io sono okay se tu e 'Talia siete okay

James sorride con sguardo luminoso e si china a posarle un secondo bacio sulla fronte prima di alzarsi, chiudendosi piano la porta alle spalle augurandole la buonanotte… Kobik era ancora nel dormiveglia quando la porta si era socchiusa di nuovo, sprofondando ufficialmente nel mare placido dell'incoscienza quando un paio di labbra al profumo di vaniglia si erano posate leggere contro la sua tempia. 

 

***

 

L'appartamento a Parigi profumava di pane fresco, colori ad olio e rose… quasi ogni mattina Natasha rientrava in casa con un sacchetto di pane appena sfornato e i croissant ancora caldi per colazione, mentre l'odore pungente dei solventi e dei colori filtrava con la brezza attraverso le imposte insieme alle note di un qualche musicista che si esibiva sulla piazzetta di Montmartre, scontrandosi con il profumo inebriante delle rose lasciate in ammollo nel vaso istituito a centrotavola in salotto – facendo sfoggio di fasi più o meno avanzate di decomposizione di settimana in settimana, dato che ogni occasione era buona per James per rientrare in casa con un mazzo di fiori sottobraccio, ignorando il fatto che Natasha non aveva la medesima costanza nel prendersene cura. 

Le prime settimane in Europa erano state insolite, James e Natasha si erano presi entrambi le ferie a tempo indeterminato e Kobik si era ritrovata ad orbitare loro attorno mentre tutti e tre tentavano di prendere le misure con quella nuova situazione – aveva scoperto che chiamarli per nome o per diminutivo li aiutava molto, anche se con il passare dei giorni avevano smesso entrambi di sobbalzare ogni volta che le sfuggiva un "mamma" o un "papà" dalle labbra, vedendosi imposta l'unica regola di non attirare l'attenzione in pubblico quando uscivano di casa e di non sorprenderli alle spalle con un glitch… quindi, in definitiva, non si era rivelato nulla di troppo diverso dalla sua convivenza con James ai tempi dello SWORD. 

C'era voluta circa una settimana prima che il suo papà si stancasse di dormire sul divano pur di cederle un posto comodo durante la notte, liberando la stanza degli ospiti riconvertita a stiva di cianfrusaglie varie, rischiando di soffocare tutti e tre sotto i quintali di polvere che regnavano tra quelle quattro mura. Kobik si era divertita da matti a ridipingere le pareti di azzurro con il rullo da pittore, seduta sulle spalle di James per raggiungere i punti fuori dalla sua portata mentre Natasha li scrutava dall'alto della scala in metallo puntellata alla parete già asciutta, additandoli con il pennello sporco di pittura bianca minacciandoli di non macchiarle il parquet inciampando sulla carta da giornale che ricopriva le assi del pavimento e rovesciando accidentalmente la latta di colore in giro, sospirando a metà tra la rassegnazione e il riso tornando a dipingere le nuvole bianche sulla distesa azzurra, assecondando le richieste della piccola che aveva passato giorni interi a decantare il perché desiderasse che la sua cameretta fosse il più simile possibile a "quella di Andy su Toy Story" [1]

Kobik aveva accompagnato Natasha da Ikea per scegliersi i mobili con cui arredare la propria stanza – a dire il vero si era anche persa in mezzo ai corridoi, la donna aveva sventato di poco l'attacco di panico ed in seguito Kobik aveva affermato di sentirsi infinitamente dispiaciuta quando non aveva trovato altra soluzione se non quella di dissolversi in un glitch per ritrovare la sua mamma tra la bolgia –, trascorrendo i due giorni seguenti a contare le viti e i bulloni sdraiata sul pavimento mentre James imprecava contro la cassettiera, lamentandosi in toni coloriti in tutte e otto le lingue del libretto delle istruzioni, decifrando a salti intere pagine di inglese, spagnolo e tedesco nella speranza di capire perché mancasse sempre una vite sul più bello che gli sembrava di aver finito… alla fine la cassettiera era stata eretta in piedi da Natasha, che armata di cacciavite e le istruzioni scritte in svedese era riuscita a raggiungere la luce alla fine del tunnel, ponendo un punto definitivo alla ristrutturazione collettiva quando James si era messo d'impegno ed aveva ricreato con le stelline adesive la costellazione dell'Orsa Maggiore sul soffitto tinto di blu scuro – un modo come un altro per farle sentire meno la mancanza di Mikhail e ricordarle che il mutante vegliava silenzioso su di lei dall'alto della stazione spaziale –, riscontrando allo stesso tempo un netto calo di incursioni dei mostri che non potevano più strisciare fuori dall'armadio durante la notte a causa della debolissima luminescenza che rischiarava la stanza. 

C'erano volute tre settimane prima che giungesse la chiamata da parte dello SHIELD che confermava il ritrovamento delle ossa di Alexei a Madripoor, dicevano di averle trasferite a Mosca, mentre in America il Capitano Rogers aveva preso l'iniziativa facendo apparire sulla scrivania di Ross la documentazione necessaria per far incidere una targa commemorativa, allegandoci la proposta di sostituirla a quella di Natasha sul Muro degli Eroi nella sede amministrativa dell'agenzia a Manhattan [2]

Nel giro di un altro paio di settimane il mondo intero aveva scoperto che l'Agente Romanoff era tornata al mondo dei vivi, paparazzata in ogni tabloid al fianco del Sergente Barnes – di nuovo sulla piazza dopo il suo ritiro precipitoso dalle scene spionistiche mondiali –… voci di corridoio nelle redazioni delle testate giornalistiche di mezzo mondo dicevano che nelle fotografie originali la Vedova Nera tenesse per mano una bambina sui cinque anni dai capelli castani, ma il fotoritocco era stato impeccabile al punto da lasciar cadere le vaghe insinuazioni in merito all'esistenza della presunta figlia dei due, proteggendo Kobik al meglio delle loro possibilità nascondendola ai sicari che erano tornati a puntare un bersaglio alle loro schiene. 

Era stata una mera questione di tempo prima che Yelena iniziasse a far squillare il cercapersone ad orari improbabili del giorno e della notte, istituita a braccio esecutore del Capitano Rogers che pretendeva il consulto sul campo di uno dei due fornendo pane per i loro denti… Kobik lo scopriva alla mattina quando uno dei genitori mancava all'appello, sapeva che James se ne era andato quando Liho iniziava a miagolare contro la porta e la sua mamma la svegliava prima delle nove del mattino accendendo l'impianto stereo in salotto, mentre dava per scontato che quella a partire in missione fosse Natasha quando metteva giù i piedi dal letto verso l'ora di pranzo e beccava il suo papà intento a non bruciare l'impasto dei pancake nella padella mentre il gatto nero si leccava i baffi in attesa degli avanzi. 

Kobik aveva imparato a convivere con quel rapporto ad intermittenza, diventando il catalizzatore che li teneva uniti a distanza, scoprendo che se bacchettava James per una qualche ragione l'uomo sentiva meno la mancanza della moglie, mentre se lasciava disordine in giro o faceva i capricci Natasha la riprendeva additandola con un "sei proprio figlia di tuo padre" che le faceva riguadagnare il sorriso. 

Spesso capitava che a James venissero assegnate le missioni più lunghe, prendendo l'abitudine di misurarla contro lo stipite della porta ogni volta che rientrava, stupendosi comunque in modo genuino del mezzo centimetro guadagnato in altezza a discapito del paio di chili presi che sentiva appena Kobik gli saltava tra le braccia appena varcava la soglia, dando il cambio a Natasha per una gita adrenalinica fuoriporta, ammazzando il tempo della separazione giocando insieme in giardino o stendendosi al sole sull'amaca mentre Kobik si dondolava dalla cima all'altalena che le aveva costruito. Era sempre un dramma quando era la sua mamma quella a dover partire – principalmente perché le sue coperture avevano tempistiche variabili e non aveva la possibilità di chiamare spesso a casa –, rassegnandosi all'ordine naturale delle cose adattandosi alla realtà dei fatti, facendosi spiegare come funzionasse la lavatrice per evitare che James allagasse il bagno una seconda volta e memorizzando i numeri di telefono delle pizzerie e dei ristoranti che consegnavano a domicilio per non rischiare di morire di fame o dover ingoiare a forza gli esperimenti fallimentari del suo papà ai fornelli… godendosi appieno e facendo tesoro dei momenti in cui la situazione si palesava a parti inverse, quando il suo papà la chiamava su Skype alla sera e Kobik gli raccontava fiera di aver cucinato i biscotti al cioccolato senza far esplodere il forno, facendosi fare le trecce ai capelli dalla sua mamma ed ottenendo il permesso di improvvisare dei pigiama-party che si concludevano sempre sul divano con una ciotola di popcorn in grembo ed una VHS nel videoregistratore che terminava ben oltre l'ora della nanna. 

Capitava anche che, a volte, James tornasse a casa con qualche osso rotto di troppo e Natasha riuscisse a strappare qualche giorno di congedo in più ad Hill… e quelle erano anche le volte in cui i due la trascinavano a Champs de Mars per un pranzo comodamente spaparanzati sull'erba, ridacchiando alle battute del suo papà in merito al fatto che se si fossero mai messi a fare un picnic a Central Park ci sarebbero state frotte di gente ad importunarli senza remora alcuna, mentre la sua mamma rispondeva a tono che quello era esattamente il motivo per cui amava così tanto vivere in Europa [3]

Quelle erano anche le volte in cui le serate di concludevano sul divano… e Kobik poteva giurare che non esistesse sensazione più paradisiaca di addormentarsi tra le braccia del suo papà, un orecchio premuto contro lo sterno che faceva da cassa armonica al suo russare e la testa di quest'ultimo abbandonata in grembo a Natasha, mentre la donna si rilassava districando lenta le ciocche di capelli arruffate del marito, mormorando a mezza voce una qualche favola su case stregate o mele avvelenate per conciliarle il sonno.

James e Natasha non erano e non saranno mai dei genitori modello… ma erano okay, e a Kobik tanto bastava per sentirsi okay a sua volta. 

 

***

 

Kobik, fino a qualche anno prima, non aveva mai avuto motivo di interrogarsi sul concetto di esistenza… né su quello di vita, morte, coscienza, anima, ragionamento, giusto o sbagliato. 

Solo nell'ultimo paio d'anni aveva imparato che la vita e la morte erano massime relative, delicate tanto quanto l'anima con cui aveva promesso di non giocare mai più, imparando a scindere tra giusto e sbagliato, sperimentando sulla propria pelle che per ogni azione attuata ne corrispondeva una uguale o contraria… e ne aveva esempi a bizzeffe con cadenza quotidiana da quando viveva con James e Natasha. 

Aveva imparato a contare tre rimproveri bonari sul disordine prima di veder volare le cose di James fuori dalla finestra, si era allenata a riconoscere l'ironia nella voce di quest'ultimo garantendogli uno schiaffo o un bacio da parte di Natasha, calcolando quante probabilità c'erano di farli impietosire sfoderando il suo miglior sguardo da cucciolo bastonato quando combinava qualche marachella – con la sua mamma le probabilità che ciò si verificasse erano un numero che rasentava lo zero, il suo papà invece recuperava e doppiava tutte le occasioni scartate Natasha, salvo i casi in cui la piccola rischiava effettivamente di ammazzarsi o di demolire la casa. 

Kobik aveva anche imparato a contare fino a 100 senza perdere cifre per strada… per questo motivo è confusa nel vedere la propria torta di compleanno con ben cinque fiammelle che danzano sugli stoppini delle candeline, gettando ombre scoppiettanti sulla glassa colorata. 

«Sono cinque.» afferma basita sollevando gli occhi cerulei sul fiammifero spento tra le mani di James, contando con le dita ed osservando perplessa il suo mignolo piegato a metà. 

«E quante dovrebbero essere invece?» interviene Natasha seduta al suo fianco con un sorriso furbo che le incurva le labbra, cercando lo sguardo del marito all'altro capo del tavolo. «Dopo il 4 viene il 5, non di nuovo il 4, giusto? Perché se non funziona così voglio degli eterni 36 anni e zero capelli bianchi.»

«Pulce, tutto okay?» chiede James rinunciando allo scherzo gettatogli come esca dalla moglie, abbassando la fotocamera del cellulare preoccupato dalla confusione che le incupisce lo sguardo mentre Kobik raddrizza il mignolo arrivando al cinque, invece di reclinarlo contro il palmo come aveva sempre fatto negli ultimi anni in casa Zemo, aggiustando ufficialmente il proprio orologio biologico fermo che contro ogni previsione le aveva fatto guadagnare in ogni caso qualche centimetro in altezza negli ultimi mesi. 

«Tutto okay.» conferma la piccola aprendosi in un sorriso luminoso, chinandosi in contemplazione delle cinque fiammelle preparandosi a spegnerle gonfiando le guance. 

«Non esprimi un desiderio?» chiede Natasha complice mentre lei nega con un cenno del capo, sporgendosi rapida a posarle un bacio sulla tempia una volta spente le candeline venendo investite entrambe dalla luce del flash, ridendo di gusto al tono fiero di James che afferma di aver appena immortalato il suo nuovo sfondo del cellulare. 

Kobik crede di non aver mai desiderato un finale migliore per la propria favola. 





 

Note:

  1. Trovo sia particolarmente azzeccato fare un riferimento al buon vecchio "Toy Story", soprattutto se partiamo dal presupposto che esso sia la versione Pixar de "il soldatino di stagno" di Andersen. 

  2. Il primo "Muro degli Eroi" é stato inaugurato nel '49 al Triskelion a Washington DC, né è conservata una copia in ogni sede amministrativa dello SHIELD in tutto il Paese. Dato che la sede a Washington è stata demolita (TWS), quella a Manhattan è salita di grado a livello di importanza. A titolo di cronaca il Complesso degli Avengers non è la sede amministrativa, è un distaccamento collaterale, tanto quanto può esserlo il Baxter Building, la X Mansion o il Sanctum Sanctorum a Bleecker Street. 

  3. Spesso si da per scontato il fatto che i supereroi in Terra-616 sono considerabili al pari delle celebrità, ma tale fama – sia positiva che negativa – non è uguale in tutte le zone del mondo. Semplicemente, gli europei si filano di più Capitan Bretagna che Capitan America. 






 

Commento dalla regia:
Se siete arrivati qui presumo intuiate che questo è la fine di un ciclo, ho momentaneamente finito gli argomenti e penso che per un po’ mi prenderò una pausa da progetti così impegnativi (ciò non significa che mi astenga dalla scrittura, infatti al momento sto lavoricchiando a tempo perso su “Cavia n 32557”, nel caso vogliate dare un’occhiata alla mia nuova follia)… in ogni caso, ringrazio chiunque mi ha seguito fino a qui, chi ha aggiunto questa storia alle proprie liste, chi ha lasciato un commento e chi si è limitato a leggere questa storia in silenzio.
Grazie <3

Concludo con una mia illustrazione* (la vera genesi di questo epilogo, nato prima ad inchiostro che a parole).
Un bacio,

_T

 


 

* Potete trovare questo ed altri miei lavori nella mia pagina Instagram (tilde_stuff) e la mia bacheca Pinterest (Tilde_Artwork)

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