Dark Paradise

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cuore che fa i capricci ***
Capitolo 2: *** Genitori in prova ***
Capitolo 3: *** Nonna Fancy ***
Capitolo 4: *** La mamma di Julian ***
Capitolo 5: *** La strategia difensiva del riccio ***
Capitolo 6: *** "Non sono una super mamma" ***
Capitolo 7: *** Cuore di vetro in inverno ***
Capitolo 8: *** A Yomuri Land ***
Capitolo 9: *** Gocce d'oro e di vaniglia ***
Capitolo 10: *** La vita ai supplementari ***
Capitolo 11: *** Cane nero ***
Capitolo 12: *** Fuga dal passato ***
Capitolo 13: *** L'unione fa la forza ***
Capitolo 14: *** Paura ***
Capitolo 15: *** Acquario ***
Capitolo 16: *** Antichi bambini ***
Capitolo 17: *** Fiori di primavera ***
Capitolo 18: *** La strada verso casa ***
Capitolo 19: *** La farfalla con le ali d'acciaio ***
Capitolo 20: *** Io gioco libero ***
Capitolo 21: *** L'ora blu ***
Capitolo 22: *** Una famiglia quasi perfetta ***
Capitolo 23: *** Van Gogh in campo ***
Capitolo 24: *** Una famiglia piccola così ***
Capitolo 25: *** Il filo della vita ***



Capitolo 1
*** Cuore che fa i capricci ***


Corrono.

Il sentiero gli è così familiare che potrebbero percorrerlo anche ad occhi bendati.

Il mister osserva i ragazzi e si liscia il baffo sinistro.

Che belli che sono, con le pettorine che sbatacchiano!

Pensare com’erano fragili fino a qualche anno fa e vederli ora così fieri, asciutti e muscolosi, con negli occhi quella spensieratezza da cuccioli in un corpo che sta diventando adulto è motivo di orgoglio. Certo c’è ancora tanta strada da fare ma stanno crescendo splendidamente!

Ridono, saltano, corrono in quel rumore fatto di rumori: acqua che scorre, vento tra i rami, passi sulle foglie scricchiolanti…

“Presto vinceremo il torneo regionale e, se restiamo in forma, abbiamo buone possibilità anche in quello nazionale!”

Il tono del capitano è una via di mezzo tra un discorso aulico, da re, e il proclama di un condottiero che incita le sue truppe in battaglia.

“Su facciamo un buon allenamento, ragazzi! Acceleriamo un po' il passo!”

Julian scatta: ha un’eleganza incredibile, un’espressione dolcissima su un fisico potente e forte.

Bellissimo.


Corre.

Corre a passo deciso verso i suoi sogni.

Poi la pietra d’inciampo, la beffa del destino.

All’improvviso i suoi polmoni rimangono indietro, molti passi indietro. Il fiato gli si strozza dentro il petto e sente soltanto il frusciare del suo respiro.

La testa gli gira, gli occhi bruciano; la strada, prima dritta e alberata, è rami, tronchi e foglie che si confondono.

Una fitta.

Una fitta così forte che lo costringe a rallentare, a fermarsi.

Una fitta che lo abbatte.

Il cuore arranca, poi si spezza.


Julian resta in piedi, dando le spalle alla finestra aperta, con gli occhi incollati alla porta: è di legno, verniciata del verde bluastro tipico degli ospedali.

Il sangue gli romba nelle orecchie quando entra il Dottor Johnson, stropicciato nel suo camice da chirurgo, trascinando i passi in un paio di sandali di gomma.

“Pensavo che un giorno così non lo avrei mai vissuto!”

Il dottore è un amico di famiglia, collega di suo padre, adesso giudice inflessibile per il futuro di quel ragazzo a cui è molto affezionato.

Allinea i referti medici e scruta Julian da dietro il doppio strato di vetro dei suoi occhiali dalla massiccia montatura di tartaruga.

“Devo darti una brutta notizia, Julian! Ti sei sentiti male perché il tuo cuore fa i capricci!”

Capricci. Come l’esplosione emotiva straripante di un bambino bizzoso che sente di aver perso il controllo .

Una condanna.

Quindici anni. Una scadenza del proprio corpo.

Il ragazzo cerca di reagire a quel momento di caos, confusione e sconforto.

“Potrò continuare a giocare a calcio?”

La prima domanda che gli sale alle labbra è la più stupida, la più importante per lui.

“Come tuo medico devo metterti in guardia: nelle tue condizioni è pericoloso praticare qualsiasi sport per più di pochi minuti!”

Parole come schiaffi; lo investono con tale violenza che è difficile trovare uno spiraglio di ottimismo. Eppure quando parla, la voce di Julian suona calmissima.

“Questo non significa che io non giocherò più! Lei ha appena detto che per qualche minuto posso andare in campo, vero?”

Si aggrappa a quella minuscola possibilità, con rabbia e con speranza. Con la forza della disperazione.

Il dottor Johnson lo inchioda con uno sguardo paterno, un po' triste ma schietto e sincero.

“Ragazzo mio cerca di non fare pazzie! Potresti rimetterci la vita, te ne rendi conto?”


Julian esce dall’ospedale con la testa ovattata, pesante come un macigno.

Sulle spalle il peso di un referto troppo ingombrante e un futuro andato in pezzi in una manciata di secondi.

Un vuoto allo stomaco e i nervi all’erta quando, in lontananza, scorge le luci di un’ambulanza.

Un incidente? Una disgrazia ?

Pensa alla sofferenza delle persone coinvolte, poi si ferma.

La ragazza è praticamente schiantata su un gradino e le lacrime le scendono ininterrottamente: alcune le asciuga il vento, altre le pizzicano il viso e scendono fino a rigarle il volto per poi sciogliersi sulla felpa blu oltremare, in netto contrasto con i suoi capelli rossi.

Julian esita un momento poi capisce di non avere la forza di accollarsi anche quelle lacrime; inghiotte le sue e cerca di strozzare il dolore.

Ignora Amy e svolta l’angolo mentre le luci psichedeliche dell’ambulanza si allontanano.

Si ferma su un passaggio sopraelevato e, nella sua posizione precaria, prende in mano il telefono.

Cerca il numero sulla rubrica, digita e tende l’orecchio a quel tu-tu di libero.

Uno squillo, due squilli, tre. Silenzio per trenta secondi, poi attacca la segreteria.

Una smorfia storta e amara gli si dipinge sulla bocca.


Julian chiude gli occhi per rifuggire quello scenario da E.R.: figure di paramedici solerti, una donna con i vestiti sporchi di sangue e una maschera d’ossigeno sul viso, la corsa dell’autolettiga sulla rampa d’entrata…

Basta un tocco forte e saldo, che si posa sulla sua scapola, perché ritrovi un equilibrio.

“Non preoccuparti! Vedrai che tutto si risolverà!”

Mister Keegan è genuino, ha modi pacati e il suo ottimismo opera come una magia che scioglie quel nodo di tensioni che sta soffocando Julian.

Ringrazia co un sorriso da bravo ragazzo che però non arriva fino ai suoi occhi lucidi e arretra di qualche passo, fino a tornare da Amy.

Lei non singhiozza più ma resta con il viso nascosto tra le ginocchia.

Quando lui la sfiora, spalanca le palpebre umide in un maldestro tentativo di assumere una posa coraggiosa.

“Va meglio?”

La voce calma di Julian agisce sui suoi nervi come un toccasana ed Amy si lascia accarezzare i capelli lentamente, quasi che lui la stesse pettinando con cura.

“Dovrei essere io a chiederti come ti senti!”

Ho ancora troppe cose da fare, troppi progetti, idee e passioni per farmi fermare da un cuore che no può reggere tutte le mie ambizioni !

I pensieri faticano a trasformarsi in parole, restano impigliate dietro le labbra arricciate, dentro quel cuore imperfetto.

Julian tende la mano fino ad afferrare quella di Amy e si tirano su insieme, sorreggendosi l’un l’altro per restare in piedi.

“Andiamo a prenderci un gelato? Abbiamo entrambi bisogno di un po' di dolcezza!”

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Capitolo 2
*** Genitori in prova ***


È il copione di tutte le sere: ad accoglierlo una cucina asettica con del cibo già pronto da riscaldare e ambienti vuoti e silenziosi.

Tuttavia, sulla strada del ritorno, Julian ha accelerato il passo lasciandosi guidare dalla luce della luna piena proiettata sui muri, ha divorato le distanze con una certa impazienza.

Si sente uno zombie mentre si asciuga il sudore umido dal volto per poi schiantarsi sul divano, con la testa ritratta in un angolo innaturale tra il braccio e il cuscino.

Accende la tv per avere un po' di compagnia e per disfarsi di quei brutti pensieri che gli sono restati appiccicati addosso come catrame nero.

Tutto è scombussolato, danneggiato. Sottosopra .

Mette il volume a zero e, anche se non ha per nulla fame, afferra un panino lasciando che milioni di briciole si disperdano sul tessuto rosso del tappeto.

È come un animaletto cieco rintanato in un cunicolo, nel suo piccolo angolo di mondo.


Andy è la prima a rientrare.

Cammina con il suo inconfondibile stile ordinato e silenzioso, porta con grazia uno dei suoi tailleur da avvocato di grido: longuette, giacca stretta in vita, camicetta e tacchi alti.

Julian si tira a sedere e la osserva. Sua madre è più bella di quanto l’abbia mai vista!

Non è più quell’adolescente mai cresciuta nel suo cappotto arancione come il mango e violento come il sole d’estate.

Non è più la ragazza curiosa che, dopo il parto, aveva giocato a fare un po' la mamma ma si era stancata presto.

È cresciuta, si è costruita una carriera.

Ora è una donna tutta tailleur, fede al dito e figlio sempre reperibile via sms .

Julian non parla però la guarda dritto negli occhi, in un affondo che la scava dentro e la mette a disagio.

Gli occhi di suo figlio sono veri, ricchi di significato, e lei quasi non riesce a sostenerli.

“Stai bene?”

Andy ci prova a gettargli quelle due parole al collo, come un abbraccio ma non le pronuncia mai a cuore aperto e spesso non presta attenzione nemmeno alla risposta.

Julian potrebbe replicare in mille modi ma qualsiasi risposta è posticipata dal sopraggiungere di Gregory.


L’uomo, con l’andatura lenta e carica di stanchezza, ha più o meno le sembianze di un lombrico mentre appoggia la sua borsa in pelle marrone sul piano in cotto della cucina.

Nemmeno la sua giornata è stata un granché .

Julian però sa di non poter rimandare.

Si tira bruscamente in piedi e i resti del panino si sbriciolano nella boscaglia di fibre sintetiche.


Rapido come un lampo, si avvicina al tavolino in vetro curvato, dal design leggero e raffinato. Sopra ci sono libri sfusi e le cornici con le foto di loro tre.

Senza dire una parola, mette sotto il naso del padre il plico con il logo del reparto di cardiologia con la stessa indifferenza con cui gli allungherebbe la pagella di scuola.

Gregory è costretto a leggere due volte prima di prendere coscienza che il loro mondo sta cambiando, esplodendo proprio in questo preciso momento.

“Cosa ti è successo?”

La tensione ha un effetto quasi ipnotico ma l’aria che, all’improvviso, si fa fredda e tagliente serve a spezzare l’incantesimo.

“Oggi durante l’allenamento ho avuto un malore!”

La voce di Julian non ha nessuna inflessione particolare, è piatta e priva di emozione.

Per qualche secondo padre e figlio si fronteggiano dinnanzi allo schermo muto del televisore che proietta immagini di repertorio.

In realtà Julian ha disperatamente bisogno del suo papà. Di un passo verso di lui, di un abbraccio che lo consoli nella loro storia spezzata. Invece il Dottor Ross svicola nella direzione opposta allontanandosi e, con calma apparente, digita con sicurezza un numero sul cordless.

Mentre attende di prendere la linea assume un’aria seria e si poggia con le spalle al muro per avere una visione d’insieme: osserva suo figlio con un interesse che nasconde un’ombra d’orrore.


Tocca ad Andy il tentativo maldestro di tranquillizzare Julian ricorrendo ai suoi modi da mamma impacciata.

Intanto, al lato opposto della stanza, Gregory parla a voce molto bassa: la conversazione con il Dottor Johnson sembra concitata e un po' controversa.

Julian si rilassa al tocco calmo di sua madre. È felice che ci sia lei ad accarezzargli la nuca.

Il tailleur la fa apparire forte ed energica e il ragazzo desidera soltanto abbandonarsi tra le sue braccia e cederle il controllo della situazione.

Basta lo sguardo che suo padre getta nella loro direzione perché tutto vada a rotoli.

Gregory è pallido, impensierito e nervoso.

Ora sa che non c’è possibilità di scelta.

Come quindici anni fa quando quel figlio arrivato all’improvviso gli ha scombinato tutti i piani.

Una virgola sulla prima ecografia, un corpo estraneo, un limite all’opportunità di fare le cose per bene.

Julian.

Ha accettato la responsabilità di fargli da padre.

Per lui è diventato una delle tante cravatte nel mondo .


Chiusa la telefonata, per Julian è una situazione nuova e un disagio ritrovarsi al centro dell’attenzione.

È un sollievo quando i genitori lo spediscono a letto rimandando qualsiasi confronto.

“Vedrai che una bella notte di sonno ti farà bene!”

È la buonanotte frettolosa e il consiglio di sui padre e lui obbedisce volendo illudersi di poter recuperare le forze a proprio piacimento.

Andy e Gregory, finalmente soli, possono permettersi che le loro armature piene di crepe si distruggano completamente.

Si lasciano cadere sul pavimento, stretti uno all’altra come due naufraghi impauriti alla ricerca di una zattera che possa salvarli. Nel silenzio del loro dolore è la voce di lei che risuona perentoria.

“Andiamo a fumarci una sigaretta?”

È una via di fuga temporanea, che li salverà soltanto per qualche minuto ma suo marito accetta senza esitazioni.

“Ma sì, proviamoci! Anche se credo che oggi una sigaretta e qualche lacrima non basteranno a spazzar via tutto quello che ci è piombato addosso!”

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Capitolo 3
*** Nonna Fancy ***


Il giardino della nonna sembra un mondo incantato: filari di rose curati con amore, fiori di ogni specie e piante grasse arrivate da ogni parte del mondo. È tutto un caleidoscopio di colori, odori e sapori che riempiono l’anima.

Prescott, il gatto giapponese con il nome da lord inglese, si crogiola al sole sdraiato tra i papaveri californiani che fanno tanto estate.

Fancy Ross, accovacciata sui talloni, continua a strappare le erbacce e a tagliare la lavanda di Provenza che cresce, profumata e rigogliosa, in fondo al giardino.

È una giornata molto calda e, nonostante si ripari la testa con un ampio cappello di paglia, il solleone l’accalda e la stordisce. È il momento di fare una pausa.

Strofina i palmi umidi sul vecchio grembiule, annodato su un semplice vestito di cotone a fiori logoro ma pulito e sorride.

Prescott, dopo essersi leccato accuratamente la pelliccia, ha trovato un nuovo divertimento e, guidato dalla sua indole di cacciatore, rincorre le mosche ma diventa diffidente quando sente dei passi sempre più vicini.

Il sorriso di Fancy, invece, si allarga un po' di più.


Julian ha appena svoltato l’angolo con la sua camminata da giovane airone un po' zoppo e la nonna lo ammira in tutta la sua bellezza acerba, anche nel passo ondeggiante e nell’andatura un po' sbilenca.

“Ce l’hai un po' di fame, oro di Yamashita ? Te lo preparo uno dei miei super Fancy toast?”

È un rito, un saluto che è diventato un must tra loro. Anche il richiamo al tesoro saccheggiato nel sud-est asiatico dalle forze imperiali giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

È una tipa tosta nonna Fancy!

Scanzonata ed energica, prende la vita con una bella dose d’ironia. Un po' guerriera e un po' bambina, una Peter Pan al femminile ecco che cos’è!

“Credo che questa tua frase sia ormai entrata di dritto su Wikinonnapedia !”

Julian cerca di fare il disinvolto ma la tristezza che gli abita dentro stende un velo sul suo sorriso. Quella tristezza che cresce sempre più pesante e non ha più la forza di nascondere.

Tuttavia, per qualche secondo, sfugge lo sguardo acuto e indagatore della nonna, osservando il gatto in appostamento che muove la coda in continuazione, il Maggiolino d’epoca parcheggiato al solito posto che gli strappa un sorriso, malgrado tutto.

Fancy ha preso la patente tardi, si è fatta quel regalo per il suo cinquantesimo compleanno. È uno spettacolo quando si mette al posto di guida della sua Herbi , battezzata come l’originale della Disney e che profuma di cera per mobili, e se ne va chissà dove con il suo cappotto a spina di pesce piegato bene sul sedile accanto.

Ed è così buffa, quasi comica, quando guida troppo attaccata al volante come se avesse timore che qualcuno le pugnalasse la schiena con un colpo di clacson.


Julian ha disperatamente bisogno di quella leggerezza che butta via il dolore, la pesantezza di certi giorni e che adesso sente scivolargli tra le dita come la sabbia bianca di una clessidra. Perciò glissa usando i ricordi della nonna, aggrappandosi ad un racconto unico e personale.

“Nonna me lo racconti, ancora una volta, di come hai conosciuto il nonno?”

Quasi sempre la bocca di un anziano, che ricorda il vento di entusiasmo della sua gioventù, sospira e gli occhi, pieni di malinconia, rimpiangono.

“Magari potessi avere i tuoi anni!”

Sorridendo, gli dà un buffetto sulla mano. Non ha la minima idea di quanto sia complicato, oggi, essere nei panni di Julian.

“Ho conosciuto Albert nel quarantanove . Me lo ricordo benissimo…”

È l’incipit ad una grande storia d’amore fatta di casualità, vita quotidiana, sacrifici e passione. Una storia che ancora fa sognare e spinge il ragazzo a punzecchiare sua nonna.

“Come mai questa memoria di ferro? Ti fece un regalo per conquistarti?”

Fancy arriccia le labbra come una ranocchia e si finge offesa.

“Ci provava con mia sorella, la zia Rea. Quel cornuto!”

È stato un amore nato ai tempi in cui le cose rotte non si buttavano, si riparavano.

Albert è stato suo compagno di vita per oltre mezzo secolo e Fancy lo ha amato tantissimo ma non ha mai tentato di ingentilirne i difetti.

“Ti manca?”

Quella di Julian più che una domanda è un dato di fatto e la risposta sarebbe scontata.

Anche se adesso è lì in giardino a respirare le foglie balsamiche della lavanda, una parte della donna è rimasta impigliata ad una paura mai vinta. Il puzzo pungente dei disinfettanti.

Il segnalatore di fine- flebo.

La porta che si chiude alle tue spalle al termine dell’orario di visite…

L’urgenza di Julian di liberarsi di quel macigno che gli balla sullo stomaco è più veloce della razionalità di Fancy per scacciare i brutti ricordi.

“A quanto pare non ho ereditato soltanto i capelli castani e gli occhi malinconici di nonno Albert ma anche il suo cuore difettoso!”


Tutto sprofonda in un silenzio assordante.

Un ossimoro in cui il respiro e il battito cardiaco di Julia hanno l’effetto di un martello pneumatico piuttosto che di un soffice sottofondo.

Fancy resta a guardarlo a bocca aperta, istintivamente porta entrambe le mani alle orecchie come strategia contro la verità, incurante del cestino con le cesoie che ruzzola a terra.

La lavanda si sparge sull’erba in tanti batuffoli viola.

“Mi dispiace, non volevo intristirti!”

Julian si inginocchia per raccogliere i fiori e lei gli è subito di fianco per aiutarlo.

Si morde le labbra cercando di controllare il tumulto delle proprie emozioni.

È l’unica di cui Julian, abituato a far vedere sempre il meglio di sé, si fidi così tanto da farla confidente delle sue preoccupazioni.

“Sai nonna adesso ho un po' paura della vita, di quello che sarà!”

Ci vogliono le parole giuste per non illuderlo che tutto sarà facile ma anche per convincerlo che il futuro sarà positivo.

“Ci saranno giorni in cui il mondo ti crollerà addosso, in cui crederai di non avere più niente. Crederai che tutto sia finito.

Io voglio solo dirti che non devi mollare. Ci sarà sempre qualcuno per te. Anche quando ti mancheranno le forze, anche quando lottare ti sembrerà inutile!”

“Ho paura del dolore!”

“Il dolore fa parte di noi, come la gioia. Non puoi vivere l’uno senza provare l’altra!”

Julian ha messo a nudo la propria anima. Ha lasciato cadere tutti i veli, anche quelli impigliati negli spigoli interiori più sporgenti.

È un atto d’amore immenso abbandonarsi, svelarsi, fidarsi.

È ripagato dal profumo di nonna che lo avvolge come una coccola. Limone e gelsomino, memoria e sapore di casa.

“E adesso me lo prepari il tuo famoso Fancy toast ?”

Sono le piccole cose a rendere una persona speciale nella nostra vita e nel nostro cuore. E ad una richiesta così dolce e carica di affetto non si può resistere.

In fondo è il rimedio di ogni nonna: mangiare contro tutti i mali .


*****

Fancy Ross è un personaggio che mi appartiene al 60%. Il restante 40% sono felice di spartirlo con Amily Ross che lo ha già usato nella sua fanfiction “Lontano dagli occhi, vicino col cuore…”

Partendo da una scena di una mia vecchia fanfiction ci siamo divertite a creare una nonna abbastanza eccentrica che movimentasse la compassata famiglia Ross e, al contempo, fosse un valido sostegno per Julian.

(Darling mi perdonerai se mi sono presa un 10% in più sulla proprietà di nonnina? Dai mi spetta di diritto visto che ho dato una nonna a Julian ben 15 anni fa!)

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Capitolo 4
*** La mamma di Julian ***


Quando, alle due e mezzo, esce dall’ufficio il cielo è scuro come il suo umore, pieno di nubi foriere di pioggia.

Questa mattina una vera tragedia! Nonostante non avesse voglia di fare nulla, per controllare i pensieri negativi si è sforzata di essere quella di sempre sul lavoro ma è riuscita soltanto ad incontrare due clienti mangiucchiandosi le unghie per tutto il tempo.

Sembra che scoppierà un temporale da un momento all’altro tuttavia Andy decide di non fermare nessun taxi. Stamattina è andata a piedi e anche adesso ha bisogno di camminare per risollevarsi l’animo.

Come strategia di difesa nasconde i suoi occhi misteriosi e sfuggenti dietro un paio di maxi occhiali da sole alla Jackie Kennedy.

Vede ma non vuole essere vista.

Riflette ma non vuole che i passanti vedano ciò che si specchia nei suoi occhi .

Il brutto tempo è un buon pretesto per prendersi una pausa e regalarsi una coccola perciò ha deciso di prendere un appuntamento per la bellezza dei capelli. Il salone della signora Aoba è arredato con forme e linee morbide e semplici, delicate tinte pastello che incontrano e sfumano sulle pareti e infondono armonia e serenità.

È un’oasi del benessere .

Al di là del taglio vero e proprio, è una cornice che permette di svagarsi e di distogliere la mente dallo stress quotidiano.

È questo che vuole fare Andy per qualche ora: mettere da parte il lavoro, lo studio dei casi e, soprattutto, il pensiero di suo figlio.


Amy adora passare i pomeriggi a dare una mano a sua madre Naomi.

Da piccola, ammirava la sua maestria con pettine, spazzola, forbici e phon e quelle pettinature gonfie e piene di ricci. Era convinta che dopo le signore sarebbero state a rimirarsi davanti lo specchio come la matrigna di Biancaneve.

Arrivavano brutte e in disordine ma dopo che la mamma metteva le mani sulle loro teste sperimentando mille idee diverse, uscivano belle come pavoni .

Adesso quel salone le sembra più uno studio da psicanalista.

È luogo di riposo e di rinnovamento.

È tempio pagano alla bellezza .

Tra una tinta e un taglio, una piega e una permanente le donne si confidano, raccontano, spettegolano, si sfogano e chiedono consiglio.

Vicende romantiche, malinconiche, a volte anche piccanti, incentrate soprattutto sull’amore in tutte le sue forme.

Le chiome raccontano.

Ogni capello, più o meno, resta libero di prendere una sua direzione ma le folate dell’asciugacapelli, l’aria calda che acconcia, è il legante delle storie che passano da lì . Amy, attenta osservatrice e ascoltatrice, annota mentalmente tutto con un pizzico d’ironia. Vorrebbe annotare su carta quei frammenti di vite che non smettono mai di stupirla.

Questo pomeriggio c’è tanta vita in transito in quell’angolino di Tokyo: l’innamorata che sogna sotto il casco, la ragazzina ribelle che vuole tingersi i capelli di viola, la futura sposa che deve provare l’acconciatura per il gran giorno…

E poi c’è lei. Una donna di classe, una donna di legno , di una bellezza spigolosa che scompare alla sua aurea di donna forte e sicura.

Quella cliente inaspettata la mette talmente in soggezione che Amy, in difficoltà, vorrebbe soltanto scappare.


Finora Andy ha finto di essere assorta nella lettura dell’ultimo numero di una rivista mensile: quelle storielle mielose sulle cattedrali gotiche la interessano pochissimo ma legge da cima a fondo, senza mai alzare gli occhi dalla pagina per evitare il contatto con le altre donne presenti, le cui conversazioni non l’attirano per niente.

Poi la sua attenzione viene catturata dalla giovanissima shampista pratica, risoluta e veloce. Come se vivesse con un timer in azione attaccato alla schiena.

Quando arriva il suo turno, la signora Ross toglie la giacca e tende le braccia per lasciarsi infilare in un camice nero in cui viene avvolta come una mummia.

Appoggiandosi all’indietro batte la nuca sul bordo duro del lavatesta, ma stringe i denti e non dice niente. L’acqua calda le entra nelle orecchie, poi si raffredda scendendo nel collo ma quando la shampista, con la sua vocina timida, le chiede se la temperatura è giusta risponde che va tutto bene.

La ragazza chiude l’acqua e comincia a sfregale il cuoio capelluto con uno shampoo dal profumo agrumato.

Per Andy quel massaggio è così piacevole che sente sciogliersi la tensione; per Amy il disagio è così grande che le pare di avere tra le dita i serpenti della Medusa.

Non resiste fino a pettinare i capelli bagnati.

Non resiste più, nota stonata, tra divertissement e chiacchiere.


All’improvviso Amy corre fuori.

Come se volesse fuggire da qualcuno o da qualcosa. Da quella cliente che l’ha sconvolta.

Un guizzo attraversa la mente di Andy e un senso di leggerezza mai provato prima la spinge ad osare. Da quando Julian ha sganciato quella bomba, è come se avesse qualcuno che la incoraggiasse bisbigliando ai margini della sua coscienza.

Lei l’istinto materno non l’ha mai avuto ma le viene naturale seguire quella strana shampista.

“Stai bene ragazzina?”

Amy è seduta sul ciglio del marciapiede con la testa bassa appoggiata sulle ginocchia. Ha un sussulto appena sente quella domanda, diventa nuovamente rossa e, per la vergogna, continua a guardare a terra.

Andy si avvicina e si accascia difronte a lei. Le prende la testa tra le mani e gliela solleva.

“Sai chi sono io?”

Con i capelli in un cespuglio disordinato, un’aria quasi dolce molto diversa rispetto alla sua consueta eleganza, e gli occhi stanchi appare più umana e accessibile.

“La mamma di Julian!”

Non è la signora Ross.

Non è l’avvocatessa Fletcher. Mamma. La parola più bella sulle labbra dell’umanità .


Amy si ricompone e, cercando di rimediare alla mancanza dovuta all’emozione, fa un leggero inchino.

“Io sono Amy Aoba!”

Sul viso di Andy compare l’accenno di un sorriso che la ragazza non sa decifrare.

“Sei l’amica di Julian. A quanto pare abbiamo qualcuno di prezioso in comune!”

Si sentono un po' complici, meno sole in balia del presente.

Più leggere nonostante i capelli gonfi di umidità.

Meglio adesso affidarsi alle mani esperte di Naomi se la signora Ross vorrà tornare a casa pavoneggiandosi !

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Capitolo 5
*** La strategia difensiva del riccio ***


Oggi tira uno scirocco fortissimo. È una giornata in cui il vento spira così forte che l’aria salmastra riesce ad arrivare lontana, chilometri dal mare che bolle.

In un desolato paesaggio di mattoni e di catrame, di pagine di giornale che svolazzano, il profumo di mare è portato in un giro di valzer tra i quattro punti cardinali e scompiglia i capelli al ragazzo che occupa, teso, il sedile del passeggero.

Una nave scivola sulla linea d’orizzonte, piccola abbastanza da poterci giocare fingendo di posarla sul palmo della mano, strizzando gli occhi per scacciare la tensione.

Il fumo azzurrognolo della sigaretta, addormentata tra le dita dell’uomo alla guida, incrocia lo stacco tra il cielo e il mare mentre il cuore di Julian va ad un ritmo inafferrabile.

“Non c’era bisogno che tu mi accompagnassi. Avrei potuto prendere un autobus di linea!”

La stilettata di Julian è una rovente critica al modo in cui è stato trattato fino ad oggi.

Gregory si sente investito da un’improvvisa autorevolezza paterna. Il volto diventa paonazzo e il resto della sigaretta atterra sull’asfalto.

Ha perso tutte le parole, riempie i polmoni col profumo di Tokyo e lo guarda stralunato.

Quella provocazione è un’infezione dell’animo, il loro rapporto un gioco delle sedie senza fine e senza sosta in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta ed esclusione.

Non replica.

Julian è diventato un osservatore passivo del paesaggio che gli scorre accanto, noiosissimo come dentro una cornice.

Il traffico si fa sempre più congestionato ora che svoltano in direzione dell’ospedale.


La struttura è molto curata, quasi lussuosa. La hall ha il soffitto un po' basso e si sente il peso dei piani superiori.

L’aria è intrisa di disinfettante. Julian fa fatica a respirare: inspira sofferenza ad ogni boccata.

Gregory, invece si muove sicuro: è un bell’uomo con grandi occhi scuri e un sorriso sfuggente. È primario del reparto di ortopedia e quei corridoi gli sono familiari, una seconda casa.

I cartelli dei reparti ti guidano su e giù nei diversi piani. È la mappa dell’ospedale e anche del corpo.

Nello stanzino dei prelievi entrano insieme.

Julian ha paura ma non sa come dirlo. Sa che sentirà male quanto una puntura di zanzara ma questo brutto momento potrebbe essere precursore di cose peggiori.

Dà la giacca a vento a suo padre e inizia ad arrotolarsi la manica della camicia con gesti nervosi. Gregory nota il suo pallore ma decide di fare finta di niente.

Il ragazzo arrotola un po' di più la manica fino a scoprire l’incavo del gomito. Intanto la giovane infermiera, dopo aver lavato le mani e infilato i guanti in lattice, si avvicina reggendo un vassoio con sopra alcune fiale e un laccio emostatico.

In genere fa parlare i suoi pazienti di altro mentre li buca, per farli rilassare, ma oggi la presenza del dottor Ross la manda in crisi.

Gregory è il sogno di quasi ogni donna dell’ospedale. È un dottore cortese e affascinate, un uomo elegante, colto e dotato di grande charme.

Le vene si nascondono, l’ago scappa, un sorriso amaro si dipinge sul viso del figlio di quel dio della medicina .

Sbagliare è normale. La ragazza non si scoraggia e, nonostante il vistoso ematoma provocato, immerge di nuovo la cannula in quel condottino verde-bluastro che pulsa sangue.


“Ti avrà tolto mezzo litro di sangue. Ti sei guadagnato una super colazione!”

È una situazione nuova, in cui all’improvviso anche Gregory si sente vulnerabile e teme di essere maldestro con una battuta ironica poco gradita. Julian, invece, non si offende e non reagisce con aggressività.

Si massaggia il braccio indolenzito e si appoggia a suo padre, pronto a comprargli tutto ciò che c’è di dolce perché recuperi le forze.

Nella caffetteria dell’ospedale il cameriere strappa lo scontrino, estrae il piattino ancora bollente dalla lavastoviglie, buca il nylon della confezione delle bottiglie di succo di frutta e ne prende una.

Incarta il cornetto e lo porge a Julian con un sorriso professionale.

Si siedono al tavolino. Il ragazzo pronto a sporcarsi le labbra di zucchero a velo, il Dottor Ross con il suo solito caffè macchiato. Strappa la bustina e versa metà dello zucchero nella tazzina.

La mano gli trema lievemente, il viso è disteso, le guance morbide ma le rughe ai lati degli occhi sono profonde e recenti.

Julian, malinconico e grigio come un comignolo di Londra, adotta la strategia difensiva del riccio.

Non vuole parlare. Vuole soltanto nascondersi a sé stesso e agli altri, un desiderio che nasce dalle fumanti ceneri della delusione di non sentirsi compreso.

Osserva lo spazio circostante. Medici con camici e pennarelli indelebili nelle tasche, barbe curate i più maturi e una tenerezza inconsapevole i più giovani; dottoresse con orecchini preziosi e spiritosi braccialetti di gomma.

Lascia intatto il croissant per un pezzo, infine ne sbocconcella due bocconi e lo lascia ricadere nel piattino sotto lo sguardo ammonitore di Gregory.

“Julian devi mangiare per recuperare le forze!”

Quel consiglio non richiesto risulta indigesto quanto un pasto abbondante quando non si ha fame.

“Che se ne fa delle forze un malato di cuore?”

È faticoso dirsi infelici. Vorrebbe imbavagliare il suo dolore, nasconderlo dietro un sorriso di circostanza, barattarlo con la prima distrazione a portata di mano. Oggi però non ci riesce a trincerarsi dietro la corazza che si abbina a tutti i colori dell’umore.

Cede.

“Non voglio che il mio futuro sia fatto di aghi e palline colorate!”

Sono tutte lì le parole soffocate.

Imbavagliate, taciute per imbarazzo o per legittima difesa.

Quelle ammutolite per celare la propria delusione. Le parole troppo impulsive e quelle troppo caute.

Parole non dette che si sfiorano tra loro. Silenzio che, a suo modo, si aspetta di ricevere attenzione.

“Ragazzo mio!”

La carezza che segue vale più di mille parole. Ruvida di rimpianti, meraviglia dell’amore paterno, avvicina.

Arriva dal viso fino al cuore.

Sono mani buone che profumano di fresco e di pino silvestre.

Mani che profumano di responsabilità, impegno e cerotti colorati.

Sono le mani di papà, un porto sicuro.

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Capitolo 6
*** "Non sono una super mamma" ***


Per affrontare quel viaggio nel girone dei pazienti Andy non si è nemmeno truccata.

Magari poi le scappa da piangere e le cola il mascara .

Il rito del make up è ormai una routine mattutina consolidata che esegue con la massima cura appena sveglia; il mini kit di pennelli, ombretto e fard cremoso sono ormai mattoncini delle sue certezze e l’aiutano a sfondare le piccole insicurezze.

Stamattina, ancora intorpidita dal sonno e dai sogni che non volevano lasciarla, la signora Ross si è avvicinata allo specchio del bagno in una specie di dormiveglia all’in piedi. Ha aperto il rubinetto ma non ha avuto il coraggio di prendere l’acqua fredda per cancellare i segni del cuscino sulla pelle e cancellare le ultime ombre della notte; ha atteso che l’acqua si offrisse tiepida alle sue mani ansiose.

Si è raccolta i capelli, ha passato un filo di lucidalabbra e si è spalmata una noce di crema all’aloe vera su braccia e gambe.


Adesso che si sono avventurati per il corridoio principale dell’ospedale ha tanto bisogno di una piccola sferzata di energia!

La macchinetta del caffè, in ospedale, è come un punto di ritrovo sociale. Come una pozza d’acqua nella savana.

Andy ha deciso di bere il suo terzo caffè della mattina.

Il bicchiere di plastica cade in fondo al pozzetto, un rumore di polvere seguito dal muggito della centrifuga. Alla fine la macchina scricchiola e frigge e finalmente arriva la bevanda.

Alla donna il caffè del distributore nei bicchieri di plastica marroni ricorda l’università o gli aeroporti.

Altri caffeinomani arrivano a piccoli gruppi o a coppie contando gli spiccioli.

“Bel posto qua!”

La tensione e l’imbarazzo sono palpabili e la caffeina non l’aiuta ad affrontare a mente lucida una situazione nuova per lei; la conseguenza è una battuta infelice.

Julian è distratto dal distributore di snack vicino a quello delle bevande calde. Gli incarti dei dolciumi e delle patatine splendono dietro il vetro: sembrano giocattoli più che cibo, ognuno con la sua luccicante promessa di un momento di infantile felicità.

Si volta di scatto verso sua madre. Vorrebbe mandarla al diavolo ma si limita a conficcargli in viso quel suo sguardo sdegnoso.

“Bel posto di merda!”

Esclama di rimando.


Aspettano il loro turno come pazienti qualsiasi.

Andy afferra una rivista e cerca di immergersi nella lettura mentre gli occhi di Julian vagano e incrociano sguardi, volti, mani, dolori, paure, pensieri, storie interrotte dalla malattia.

Ad un certo punto la porta si apre ed esce il Dottor Johnson con il camice bianco: è un po' brizzolato, alto, sorridente. Sa mettere a proprio agio ogni tipo di paziente, dal più giovane all’adulto.

Li fa accomodare.

Julian è un po' contratto, per non dire proprio imbalsamato.

Da quando ha saputo della malattia è diventato l’opposto di ciò che era: è vulnerabile e pronto a mettere il broncio a tutti.

Resta a torso nudo e una smorfia compare sul suo volto; il suo corpo è percosso da un brivido come se avesse freddo.

Tiene le braccia strette intorno al busto finché il dottore non lo fa sdraiare sul lettino.

Il ragazzo obbedisce, muto.

Il suo amico medico però sa toccare le corde giuste, è paterno e protettivo mentre gli posiziona gli elettrodi dell’Holter con una filastrocca.

“Il bianco in alto a destra immagina che sia la neve sugli alberi…”

Un elettrodo viene applicato poco sotto la clavicola, un altro verde lungo il bordo inferiore della gabbia toracica .

“Il fumo sopra il fuoco…”

Le mani del Dottor Johnson si muovono esperte e sicure sulla pelle nuda e Julian chiude gli occhi per rifuggire quella sensazione di disagio. Soprattutto per non incrociare l’espressione della madre, le cui labbra sono adesso una linea sottile e tesa e le mani due pugnetti stretti.

Nelle situazioni sfavorevoli la strada più semplice è estraniarsi dal problema e sperare che questo scompaia miracolosamente.

Julian immagina di essere altrove.

In una baita circondata da alberi dalle svettanti cime innevate, un timido falò che emana un sottile sbuffo di fumo denso.

“La cioccolata vicino al cuore!”

L’elettrodo marrone, l’ultimo applicato vicino al cuore, diventa una tazza di calda bevanda che ristora e riscalda .


Esce dall’ospedale e si sente un ragazzo-robot con addosso quell’insieme di fili supersonico racchiuso in un marsupio, appeso ad una cintura elastica improponibile che gli penzola dal fondoschiena e sembra una coda.

“Avreste potuto incorporarmelo nella schiena come a Super Vicky!”

Si è permesso il lusso di scherzare, di congedarsi dal dottor Johnson con quella battuta per ringraziarlo di averlo messo a suo agio.

“Beh in effetti anche io odio i marsupi! Scommetto che a casa non hai nemmeno un pile multicolor fine anni ottanta da abbinargli. Un disastro!”

John Johnson è stato al gioco consapevole che questa è la prima prova del nove di una realtà che è piombata addosso a Julian come un missile terra-aria.

“Stai calmo e fai la tua solita vita. Se ti innervosisci potresti rischiare un cortocircuito. Ci vediamo domani!”

Un monitoraggio di ventiquattro ore per quel cuore ballerino .

Nonostante le sdrammatizzazioni, Julian vuole soltanto allontanarsi da quell’odore di medicine e angoscia prima che perda definitivamente il controllo.


Le ore successive somigliano ad una passeggiata sui carboni ardenti.

Andy ha smesso di fumare ma in casa tiene nascosto un pacchetto di sigarette per i momenti più difficili: oggi ha deciso di giocarsi il bonus.

Ne fuma una di nascosto e poi si sente pronta ad affrontare il pomeriggio insieme a suo figlio. Lo sorprende nel disperato e scriteriato tentativo di risolvere il cubo di Rubik.

Il ragazzo, seduto sul divano, la accoglie con quel suo sguardo un po' distaccato. Resta concentrato su un paio di lati per non pensare che tutti quei fili non è un piacere tenerli addosso.

La presenza di Andy, in realtà, agisce sui nervi di Julian come un blando anestetico. Si siede accanto a lui e restano in silenzio per un lungo tempo.

Si percepisce che la donna si trattiene a stento, agitandosi come un vulcano prima di un’eruzione. Poi di punto in bianco sbotta.

“Come puoi essere così stupido da giocare con la tua vita?”

Le parole di sua madre sono simili ad un sole nero che lo abbaglia e lo oscura.

Senza scomporsi, Julian continua a scombinare il cubo, a ruotarne le facce.

“Il calcio è la mia vita!”


Cosa ne sa lei di cosa gli passa per la testa durante lo stretching prima della partita?

Di quanta sicurezza gli dia entrare in scivolata sulla palla!

Che ne sa delle gomitate che ha preso, dei calci che ha dato, delle strette di mano sincere all’avversario di turno ?

“Io posso proibirti di continuare a giocare a pallone!”

Quella conversazione tagliente come un coltello si trasforma in una partita a scacchi dove Andy muove la pedina della mamma autoritaria.

Sbagliando mossa.

Sa che questa dovrebbe essere la stagione più bella della vita di Julian, piena di cose da vivere e ancora poche da raccontare.

Non vorrebbe fare il poliziotto cattivo ma non può avere pietà. Non sente a sufficienza lo spessore e il dilagare della sofferenza di suo figlio.

“Se pensi che io giochi a calcio per capriccio, per sfidare te, ti sbagli di grosso!”

Nella sua voce provocatoria c’è un’aria di sfida. Il respiro è leggermente affannoso ed Andy si rende conto che una tachicardia emotiva potrebbe alterare i risultati dell’Holter.

Cambia strategia. Si addolcisce.

“Lo so che sono una mamma imperfetta. Non c’ero quando hai mosso i primi passi, non ti ho quasi mai accompagnato a scuola la mattina, ma ho cercato di esserci nei momenti chiave. Non sono Wonder Woman, Julian! Per la carriera ho dovuto rinunciare a qualcosa!”

Il cuore gli galoppa nel petto come un cavallo selvaggio.

Il cubo magico finisce a terra e i cubetti colorati si scompongono .

“Per la carriera hai rinunciato a tuo figlio!”

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Capitolo 7
*** Cuore di vetro in inverno ***


Amy è da sempre un aggiustatutto. Fantasia e ingegno ha dimostrato di averne in abbondanza ma le manca la competenza.

Quando aveva cinque anni, giocando, aveva indossato di nascosto la collana di perle di sua madre finendo per romperla. Per le tre ore successive aveva provato ad incollarne insieme i pezzi: l’unica cosa che era riuscita ad incollare con successo erano state le sue dita!

Quando qualcuno ha un problema, usa la sua capacità di ascolto e di empatia, e gli altri la ritengono all’altezza di ricevere certe particolari confidenze.

Adesso, negli anni dell’adolescenza, la mentalità della crocerossina tenta di impadronirsi di lei.

Nell’essere indispensabile per qualcuno trova un riscatto, una conferma di sé.

Oggi che Julian è tornato a scuola, però, ha preferito far finta di niente, limitando a scrutarlo per cercare nel suo aspetto qualche segnale della malattia; ma niente.

Pare normale. Al massimo sembra un po' stanco.

Lo ha salutato di fretta e Julian sembra essersi accorto della sua freddezza perché, durante una pausa dalle lezioni, l’ha bloccata nel corridoio deciso a mettere le cose in chiaro.

L’imbarazzo è raddoppiato dinnanzi a quel bambino con gli occhi da uomo, tanto che Amy è svicolata tra gli altri studenti come un’anguilla che ha trovato la corrente giusta prima che lui potesse aprir bocca.

Il fatto è che nessuno dei due ha ancora messo a fuoco come comportarsi.


Negli ultimi giorni Julian ha preso coscienza del fatto di dover convivere in quel corpo dal cuore traditore ma rifiuta, con decisione, le etichette di malato o cardiopatico.

Continua a sentirlo battere quel cuore capriccioso e, se chiude gli occhi, può sentire il sangue nel suo scorrere lungo le arterie principali.

Lo sente, come si sente la pioggia quando ti scivola addosso.

Dentro è come se piovesse sempre e lui fosse continuamente esposto a questa pioggia.

Quello che lo spaventa davvero è la simmetria tra azione e reazione semmai la verità giungesse alle orecchie dei suoi compagni di squadra.

Nel pomeriggio si presenta al campo di allenamento, cupo e nervoso, e si ferma ad osservare Stephen e Mirko che aspettano l’allenatore dando calci al pallone, facendo un torello…

Finora lui ha vissuto per gli allenamenti del giovedì dove si prova e si riprova sempre lo stesso schema, per il momento in cui va a sentire com’è il campo, per lo spogliatoio che diventa un incredibile amplificatore di emozioni.

Oggi sa che fisicamente sarà in campo ma mentalmente da un’altra parte.

È talmente fuori dal contesto che Mister Keegan deve poggiargli una mano sulla spalla e svegliarlo dall’ipnosi.

“Questa diagnosi non è una fine ma un nuovo inizio, Julian. È una sconfitta che ricorderai come il seme della rinascita!”

Un eroe non canonico. Un ragazzo fragile.

Un cuore di vetro in inverno .

“Io non voglio la pietà di nessuno!”

Non vuole essere il cantante che cerca di non stonare quando gli altri lo ascoltano con più attenzione, si fingono interessati e, alla fine provano pietà per sé stessi, per essere stati costretti ad ascoltare la totale distruzione della musica.

Julian non si fa illusioni. È rassegnato anche al destino di guardare le partite dalla tribuna.

Qualche volta soffrirà perché ci sarà chi scherzerà sui suoi sogni.

Anche se il suo futuro è stato polverizzato in una manciata di secondi, non vuole perdere anche il rispetto dei compagni della Mambo.

Mister Keegan però ha fiducia, è convinto che un uomo che ha volontà non è mai finito.


Il resto dei ragazzi arriva alla spicciolata. L’ambiente è un po' teso perché la società è ambiziosa e la squadra davvero forte: l’allenatore è chiamato ad un super lavoro per creare un gruppo unito ed equilibrato.

Inizia il riscaldamento. Julian si defila, resta immobile a ridosso delle panchine, senza accennare a togliersi la tuta di dosso.

“Che novità è mai questa?”

Sbotta Henry, mal disposto a tollerare quel cambiamento.

“Non ci serve una riserva di lusso!”

Fa eco Mirko. Uno che gioca bene sta antipatico un po' a tutti e i ragazzi non perdono l’occasione per esercitare una sorta di mobbing sportivo sul compagno più talentuoso.

Nella Mambo sono stati selezionati i migliori ma quando il talento non è supportato dal collettivo non fa la differenza. I campioni non bastano da soli.

Ancora una volta è Mister Keegan a venire in soccorso del suo campioncino, a reggere il suo gioco.

“Julian è il nostro leader, il nostro fiore all’occhiello. Voglio che ciascuno di voi dia qualcosa in più per raggiungere il suo livello, perciò ho deciso che da oggi vi allenerete senza di lui!”

Fingere un atteggiamento da prima donna crea un covo di serpi e il livore dei ragazzi si concretizza in frecciatine gratuite che Julian fa finta di non udire.

“Mammoletta. Soubrette passata di moda!”

Lo canzona Ken Marshall, sibilando quelle ingiurie nell’orecchio di uno sghignazzante Henry Foyles.

È difficile non farsi affossare da quelle critiche distruttive ma ancora più dura è vedere la squadra giocare ed essere costretti a fare da spettatori.

“Scaldati Julian!”

Poi finalmente arriva quella frase. Breve, secca, decisa.

Sarà così la sua vita calcistica d’ora in poi? Uno sconfinato amore per il pallone non totalmente corrisposto.

“Julian, nei pochi minuti a tua disposizione bisogna che tu sia semplicemente perfetto. Non devi sbagliare nemmeno uno stop!”

Il buon allenatore gli trasmette sicurezza e affetto, incoraggiamento e motivazione tanto che il ragazzo entra in campo sereno, ignorando l’ennesima provocazione.

“Baronetto gregario può portarci le borracce? Abbiamo una gran sete!”


Stephen Mellory è rimasto in silenzio durante tutto l’allenamento. Ha voluto evitare quelle patetiche scene di schermaglie e, al tempo stesso, non si è schierato.

Non è uno stupido e dal giorno in cui Julian si è sentito male è diventato sospettoso.

Oggi poi la preoccupazione e lo smarrimento sono evidenti nei bei lineamenti del viso di Amy.

La ragazza gli è stata simpatica fin da subito; ha una vena di lealtà che lui adora. Quando è arrivata nella loro scuola, sono diventati amici velocemente perché Stephen non avrebbe permesso che andasse in un altro modo.

Si è accorto che Amy ha qualcosa da nascondere, qualcosa che la priva della sua genuinità e la pone in conflitto con il suo vero io.

In effetti custodire il segreto di Julian è come trattenere il respiro.

La appesantisce, la tormenta ogni volta che riaffiora automaticamente alla mente deconcentrandola.

È stato un sollievo restare da sola sul campo, a riordinare i palloni. Avrebbe bisogno soltanto di un gesto semplice ed elementare, più importante delle parole.


Con il braccio piegato che regge il borsone, Julian si ferma a guardare il campo.

Terra e sassi.

Terra e sassi che lo hanno fatto cadere, che gli hanno dato tanta gioia.

Terra e sassi negli scarpini. Terra e sassi che sono la sua casa .

È un istante di silenzio.

Un istante in cui si lascia coscientemente bombardare il cuore dalla scena dell’abbraccio tra Amy e Stephen.

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Capitolo 8
*** A Yomuri Land ***


Il villaggio olimpico di Yomuri Land è un rifugio privato per tutti loro.

Appena arrivati, i ragazzi della Mambo hanno percorso il sentiero che circonda il complesso: hanno superato una palestra, un’aria di defaticamento con vasca idromassaggio, campi da calcio e piscine.

C’è tutto quello che un atleta possa desiderare!

Per Julian è già una cosa enorme trovarsi qui, a vivere un sogno.

Ora è parte di qualcosa di molto più grande. Insieme alla squadra, rappresentano centinaia di persone sparse per tutta Tokyo.

È una responsabilità enorme ma sa il fatto suo. Anche loro possono fare grandi cose.


Ci sono squadre provenienti da ogni parte del Giappone e, il giorno della cerimonia d’apertura, le loro divise colorate ricordano la bellezza delle Montagne Arcobaleno cinesi.

“Chi porterà lo stendardo per nostra squadra?”

Chiede timidamente Amy, volgendo lo sguardo verso Julian.

Fare il portabandiera è un dovere e un onore.

“Nella squadra non c’è soltanto lui. Dovrebbe portarla qualcun altro!”

Protesta Henry, incrociando le braccia e sfidando le decisioni dell’allenatore.

“Henry ha ragione! Io ho già fatto un sacco di cose interessanti come i discorsi e le interviste. È giusto che qualcun altro si goda il suo momento di gloria!”

È proprio Julian a spegnere il fuoco delle polemiche con la sua calma serafica, la sua saggezza e la sua capacità di discernere che agiscono per il bene di tutti.

Continua la parata delle squadre. La loro entrerà per penultima.

“La squadra della Mambo!”

L’annuncio dello speaker riecheggia nello stadio. Centinaia di persone si alzano in piedi, sbracciandosi e scattando fotografie.

I ragazzi restano senza fiato.

È la folla più grande che abbiano mai visto; gli spalti dello stadio sono gremiti di gente.

Una telecamera passa accanto a Julian. Lui sorride e sventola la sua bandierina gialla.

Davanti Stephen regge la bandiera olimpica.


Dopo il primo allenamento, i calciatori della Mambo hanno passato un’oretta buona a guardare di storto il loro Capitano.

Nessuno ha voluto condividere la stanza in albergo con lui.

Sfinito, soprattutto psicologicamente, Julian arriva alla sua nuova camera: una volta entrato si abbandona, esausto, sul letto. Solo dopo diversi minuti, il suo udito percepisce dei suoni provenienti dall’esterno.

È un sottofondo di risate e di chiacchiericci allegri.

Sotto la finestra della sua camera c’è un gruppo di ragazzini intorno ad un pallone.

Giocano a scartarsi, a fare tiri in porta, si trattengono, scherzano.

“Io sono come un pesce palla. Sembro inoffensivo ma, in realtà, sono molto pericoloso!”

“Ehi Philip lo sai qual è il colmo per un pesce palla? Finire in rete!”

Ridono.

“Non fare il cretino Peter! Piuttosto impegnati che con quelle Chiquita che ti ritrovi al posto dei piedi non la butti dentro nemmeno a porta vuota!”

“Mettimela qui Capitano, che faccio una rovesciata alla Klaus Fischer!”

Si prendono in giro senza mai essere offensivi. Gli allenamenti sono divertenti.

Non c’è cattiveria. Nessuno è escluso o sbeffeggiato.

Sono belli.

La Flynet è una squadra che permette a tutti di dare il proprio contributo con le proprie qualità migliori, mitigando i difetti e smussando gli angoli.

Se poi i ragazzi sono campioni, si faranno. C’è tempo.

E se non sono campioni si divertiranno comunque per tanto tempo.

Insieme.


La gabbia toracica gli stringe il petto come in una morsa. Si allontana da quel peccato capitale che lo divora, l’invidia , fruga nel borsone prende un flacone e ne estrae due compresse. Stappa la bottiglia di acqua minerale che si trova sul tavolo e se ne versa mezzo bicchiere.

Julian ingoia le pillole con un rapido movimento indietro del collo e beve l’acqua a piccoli sorsi.

Passa una decina di minuti nel silenzio e a poco a poco il respiro torna regolare.

Si affaccia di nuovo per essere spettatore di quello sport di squadra che gli fa bene, davvero bene.

II capitano della Flynet alza lo sguardo e si accorge di lui. Sorride e gli fa un cenno di saluto con la mano. Ha lo sguardo pieno di fiducia come un bambino.

Apre le braccia e sorride al mondo.

All’improvviso l’invidia è qualcosa che non tocca più Julian. Pensa a sé stesso. Vuole giocare. Vuole star bene. Vuole essere felice.


“Ogni volta che si spegne una risata è molto peggio di una partita persa!”

La luce filtra da quella finestra che si affaccia su un altro mondo e conferisce alla stanza un’atmosfera sospesa, da film d’antan.

La porta non era chiusa, era solo accostata e Stephen è entrato e ha sorpreso il compagno di squadra con il viso reclinato all’indietro.

Si avvicina a Julian e si ferma a guardare il cielo sagomato dal riquadro della finestra.

“Hai bisogno di qualcosa?”

Chiede il Capitano con voce dura, impaziente di mandarlo via.

Stephen però sembra non avere troppa fretta di andarsene. Lascia vagare lo sguardo sul profilo dei mobili, quasi fosse alla ricerca di un’ispirazione.

Alla fine, su una mensola, nota una bottiglietta bianca in plastica piena di farmaci.

“Sono un sacco di pillole!”

Julian si stringe nelle spalle, a disagio sotto lo sguardo scrutatore di Stephen.

Come diceva Agatha Christie: un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova.

Di punto in bianco il Capitano ha iniziato a giocare soltanto per una manciata di minuti.

Ha sorpreso Amy in lacrime al termine degli allenamenti.

E ora questa nuova rivelazione

“Che sta succedendo, amico?”

“Noi non siamo amici. Non è amico tuo chi non ti difende da chi ti insulta.”

La voce di Julian, piena di acredine, smonta sul nascere ogni slancio affettuoso che Mellory era pronto a compiere.

L’amico è quello che ti dice le cose in faccia e alle spalle ti difende. Lui invece ha peccato di silenzio quando c’era bisogno di protestare.

È un codardo.

Gli altri ragazzi della Mambo potranno pentirsi delle loro parole cattive ma anche lo spaventoso silenzio di Stephen è una colpa.

“Anche tu pensi che mi dia delle arie?”

Non si aspettava una domanda così schietta e diretta, tergiversa e, alla fine incalza il compagno con una domanda di rimando.

“Sei malato?”


Non si può costruire niente sulle bugie e sulle omissioni.

Julian ha la bocca impastata e le tempie gli pulsano. Torna a sedersi sul divano con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa tra le mani: fissa i disegni del tappeto per un tempo indefinito.

È ad un passo così dal confidargli il suo segreto, dall’alleggerirsi di quel fardello che è costretto a portare da solo.

Poi l’orgoglio ha la meglio.

“Non voglio più parlare di me!”

Afferma con indifferenza.

“Di cosa vuoi parlare, allora?”

Stephen si appoggia allo schienale della poltrona. Si sente più leggero e al tempo stesso un po' triste perché sa che non c’è più la fiducia che Julian aveva in lui.

Le cose restano in sospeso tra loro e non può fare nulla per cambiarle.

“Non voglio parlare!”

Stephen si alza e, senza proferire parola, esce dalla stanza sotto lo sguardo freddo e ipnotizzato di Julian.

Sale le scale a tre gradini per volta e, dopo una decina di minuti, un gran fracasso accompagna il suo ritorno.

È ancora lì. Stavolta picchietta sull’uscio e poi entra armato di bagagli.

“Cosa significa questa storia?”

Julian ci prova a mantenere la sua facciata da duro ma gli sfugge un sorriso.

“Tieniti pure i tuoi segreti ma non ti permetterò più di fare il lupo solitario!”

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Capitolo 9
*** Gocce d'oro e di vaniglia ***


Herbie, il Maggiolino della nonna veterano di molte folli corse, è invecchiato con la dignità di una rockstar passata di moda.

Sembra ancora più vecchio e malandato accanto alla lucente Jaguar nera parcheggiata nel vialetto di casa Ross.

La villetta si appollaia al fianco di una collina: è maestosa ed elegante. Tutta bianca, in stile mediterraneo, una sorta di architettonica torta nuziale.

Tutto lì attorno sembra dire: strada senza uscita, relazioni senza nessuna svolta .

C’è una calda atmosfera estiva, con lame di luce che trapelano dalle chiome degli alberi.

Fancy spinge a fondo il pedale del freno e inchioda sulla ghiaia lasciando i segni di pneumatici, poi scende dal posto di guida con un sorriso intenso ed aperto.

“Credi che i giaguari si mangino i maggiolini?”

È una donna molto curata, ben vestita, con le unghie sempre perfette ma è il suo senso dell’umorismo a renderla unica.

“Solo se particolarmente affamati!”

Un angolo della bocca di suo figlio Gregory si incurva al commento spiritoso.

“Stai uscendo?”

“Stavo!”

Risponde il Dottor Ross giocherellando con le chiavi dell’auto. Indossa un paio di pantaloni scuri e una camicia color panna di una stoffa e una manifattura così raffinati che deve essere costata un occhio della testa.

Difficile dire a cosa pensi dietro le lenti scure degli occhiali da sole.

“Ma pare che i miei piani siano cambiati!”

Fancy ha settant’anni ma è instancabile come una ragazzina. Gli anni passano ma lei resta al centro dell’universo per i suoi figli.

“Ti ho portato un po' di gocce d’oro e vaniglia !”

Le susine quest’anno sono state prodotte in grande quantità nel suo orto e lei le ha trasformate in marmellata, per racchiudere l’estate in un vasetto.

Tuttavia quella confettura dal succo zuccherino è stato soltanto un pretesto per affrontare discorsi più seri.


In salotto fanno bella mostra i ritratti di famiglia eseguiti in occasione dei riti significativi della vita, ci sono fotografie di Julian in serie quasi a comporre un’autobiografia.

“A volte mi sembra che nonno e nipote si siano fusi in un’unica persona. È sbalorditivo quanto Julian somigli a papà!”

“I ritratti genetici sono sorprendenti. Purtroppo il nostro bellissimo ragazzo non ci ricorda Albert soltanto nei suoi tratti somatici!”

A quelle parole l’uomo deglutisce a fatica e si irrigidisce come se sua madre lo avesse appena schiaffeggiato.

I dolori ci cambiano e si fa fatica a parlarne pubblicamente.

I genitori sono persone speciali, sono il nostro primo affetto, la nostra più antica relazione. Con la morte di Albert, Gregory aveva perso parte della sua storia, parte di sé stesso e delle sue radici.

Ha provato lo stesso senso di sradicamento e di sospensione la sera in cui si è consumato il dramma di Julian.

“Finché papà stava bene la morte per me era una remota leggenda a cui credere o non credere. Su questo argomento da piccolo mi ero fatto una convinzione tutta mia: che alla gente di una certa età cominciano a diventare i capelli bianchi, sempre di più, e quando poi l’ultimo capello nero si trasforma in bianco la persona muore!”

Un ciuffetto di piccole rughe circonda gli occhi di Fancy, che si increspano ogni volta che sorride. È una persona che sorride con gli occhi.

“Oh me lo ricordo bene quel giorno che incontrammo una donna distinta e canuta in mezzo alla strada e, di fronte a lei, mi chiedesti candidamente: Mamma perché questa signora non è ancora morta?”

Sono ricordi belli ed è dolce e appagante rievocarli ma poi arrivano anche quelli cattivi, quelli che si tenta di accantonare ma che si riaffacciano sempre alla memoria.

Per Gregory è impossibile non pensare agli ultimi giorni di vita di Albert, ai massaggi alle gambe con cui cercava di alleviargli i dolori, scoprendo la sua carne bianca senza più massa muscolare.

“Papà l’ho sempre avuto poco per me ma forse si ammira, si ama meno un padre perché lo si vede poco?”

Sembra una storia che si sta ripetendo con suo figlio ma l’uomo è troppo preso dal passato per accorgersene.

“Salivo da lui la sera, quando era più facile che lo trovassi da solo. Lo sorprendevo seduto allo scrittoio, chino a scrivere o a leggere. Non sapeva che lo guardavo, guardavo la mano che accarezzava tra collo e nuca, il profilo assorto, le labbra che si muovevano piano per formulare parole e frasi silenziose.

È così che lo ricordo, forse perché Julian legge allo stesso modo: recitando senza voce!”

Anche se è un adulto, con un lavoro, una famiglia e una vita propria, all’improvviso Gregory si sente come un bambino abbandonato.

“Figliolo…”

La voce di Fancy è rauca ed esitante. Si fa avanti barcollando un po' e poi lo abbraccia. Il Dottor Ross ricambia di slancio.

Le mani rugose di sua madre lo afferrano per le braccia con una forza sorprendente, lo guarda fingendosi arrabbiata.

“L’amore è fragile e noi non sempre ce ne sappiamo prendere cura, improvvisiamo e cerchiamo di fare del nostro meglio sperando che possa sopravvivere contro ogni avversità!”

“Grazie mamma, dici sempre la cosa giusta!”

È un momento così intenso e speciale tanto che Fancy ha bisogno di ricorrere al suo umorismo come antidoto alla possibilità di commuoversi.

“Oh non è farina del mio sacco. L’ho sentita in un film tratto da un libro di Nicholas Sparks!”

È da lei snocciolare citazioni da film o titoli di libri e prendere spunto per fare discorsi ad hoc. Gregory scoppia a ridere ma sua madre lo guarda con occhi profondi e un sorriso caldo. Toglie la mano dal suo polso e la tiene dritta davanti a lui con il palmo aperto.

La risata si spegne.

“Non diventare un fantasma nel futuro di tuo figlio!”


All’improvviso il telefono di Gregory inizia a squillare. La suoneria si trasforma nel famoso fraseggio finale del Bel Danubio Blu di Strauss.

Daa-daa-daa-daa-daa di-di, di-di .

Sfila il cellulare dalla tasca e ridacchia imbarazzato tentando di sfuggire lo sguardo penetrante e malizioso di Fancy e butta lì una giustificazione campata in aria.

“Mi piace il valzer, va bene?”

Lo schermo si illumina e compare il numero di Julian.

Ad ogni parola di suo figlio, Gregory si irrigidisce. Con le mani afferra i bordi della sedia come se stesse per precipitare.

Sbianca.

Fancy è sempre più confusa, soprattutto perché anche Andy entra in casa come una furia e si scaglia contro il marito.

“Dobbiamo correre a fermarlo. Non gli permetterò di fare questo assurdo colpo di testa!”

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Capitolo 10
*** La vita ai supplementari ***


Fuori dallo stadio regna un’atmosfera di immobile sospensione. Dalle montagne sopra Tokyo arrivano nuvole scure che schermano il sole.

Oggi, per la prima volta dopo molto tempo, i caldi raggi del sole estivo sono stati ingoiati dalle nuvole. In radio hanno annunciato forti temporali.

È davvero una bella giornata di sport e di amicizia.

Andy e Gregory entrano sulle gradinate proprio mentre lo speaker sta annunciando le formazioni.

Julian giocherà titolare .

Sono andati raramente allo stadio per veder giocare il figlio, anche per non creargli maggiore stress, ma oggi è diverso.

Erano convinti che lui fosse in panchina, che non dicesse sul serio al telefono, e mai avrebbero pensato di trovarlo in campo dal primo minuto.

“Ma da dove viene? Dove l’hanno tenuto questo ragazzo fino ad oggi? Quello è un fenomeno!”

Esclama qualcuno al loro fianco.

Quando lo vede giocare, anche gli occhi di Gregory si riempiono di orgoglio.

Il suo ragazzo è una spanna superiore alla media: ha personalità, stile, senso della posizione, eleganza nei movimenti…

Oggi Julian è ispirato. Sta dando il centodieci per cento, quasi che fosse la sua ultima partita.

“Caro non si starà strapazzando un po' troppo?”

La consapevolezza di quello che potrebbe accadere tormenta Andy già dopo la prima mezz’ora di gioco.

“Se Julian dovesse avere problemi…”

Gregory la prende per mano. Diviso tra l’amore e il desiderio che suo figlio sia in grado di vivere una vita piena e normale, è difficile agire nel modo migliore.

“In quel caso chiederemo all’allenatore di sostituirlo. Ma non ci saranno problemi, te lo prometto!”


La New Team sembra una mosca nella tela del ragno.

La trappola del fuorigioco, orchestrata magistralmente da Ross, si rivela dura da evitare. I calciatori in maglia gialla recuperano la palla di continuo e se la passano con una precisione strabiliante.

Agli avversari riesce appena un tiro che si schianta sul palo.

Julian, invece, dà spettacolo non soltanto palla al piede ma è spesso incisivo ed illumina ogni azione della Mambo.

È la dimostrazione che il calcio si gioca con la testa. Le gambe, da sole, non bastano.

Da un suo ennesimo recupero parte l’azione combinata degli attaccanti che sfocia nel gol di Mellory, che tira al volo.

Il risultato è 3 a 1 in favore della Mambo.


È da oltre un’ora che Julian sta andando oltre i suoi limiti.

Ha corso per tutto il campo, è scattato a calciare e all’improvviso gli sembra di aver esaurito ogni energia.

In realtà ha soltanto esaurito quello che Mister Keegan chiama primo fiato .

Sente il cuore che batte vertiginosamente, sembra che debba scoppiargli nel petto: deve riuscire a ricondurlo al suo ritmo normale in meno di due minuti, altrimenti saranno guai.

Si sforza per superare la piccola crisi che sembra bloccarlo. Dopo qualche minuto di sofferenza arriva al secondo fiato .

Gregory si accorge che Julian risente del terreno appesantito dalla pioggia. Lo fissa con attenzione: si è spostato a centrocampo per gestire da lì la squadra; i suoi occhi corrono instancabilmente su e giù per il campo e non gli sfugge niente.

Vede anche quello che ancora deve succedere e riesce ad anticipare le mosse della New Team in modo sorprendente.


Il cielo continua a tremare, scosso dal fragore dei tuoni, ancora una volta il braccio del numero quattordici si alza ordinando ai suoi di spostarsi per lasciare gli avversari in offside.

Stavolta Tom Becker, con una scivolata mozzafiato, riesce ad aggirare l’ostacolo.

La partita è agli sgoccioli e il risultato è sul 3 a 3.

Julian riprende la sua posizione con movimenti molto lenti, stringendosi la maglietta all’altezza del petto con la mano destra.

Poi la situazione precipita.

La scena si immerge in una nebbia irreale che rende confusi i contorni.

Il ragazzo crolla in ginocchio, i suoi polmoni si contraggono così tanto che non riesce nemmeno a pensare di prendere un respiro.

Riesce solo ad appallottolarsi su sé stesso, con la mano premuta forte contro il petto come a voler fermare quel dolore sordo.

“È il momento di entrare al suo posto, Larson. Signor arbitro vogliamo effettuare un cambio!”

La voce di Mister Keegan, in preda al panico, gli da finalmente la forza di prendere un respiro.

L’aria brucia appena raggiunge i polmoni ma i muscoli si rilassano per il rinnovato afflusso di ossigeno.

Si gode un attimo di sollievo.

“Un momento. Aspettate ancora un momento!”


“Figliolo!”

I bei lineamenti del volto di Andy sono contratti dal terrore puro. C’è qualcosa di caldo e umido sulle sue guance.

Attorno a Julian si è formato un capannello d’allarme.

Fa caldo, nonostante la pioggia fitta, ma sullo stadio è sceso il gelo.

“Capitano che succede?”

È Stephen a porre a voce alta quella domanda scomoda, quella che finalmente permetterà di fare chiarezza.

È così difficile mettere a nudo la propria anima, sfilarsi lentamente quella maschera di finta superbia e mostrare le proprie cicatrici, infatti Julian non riesce a sostenere lo sguardo di nessuno di loro mentre risponde.

“Sono stato un egoista. Perdonatemi tutti per non averlo detto prima. La verità è che soffro di una grave malattia cardiaca!”

Quelle parole colpiscono la squadra come un fulmine a ciel sereno.

Una tempesta emotiva, un terremoto di sentimenti e di sensi di colpa si manifestano all’improvviso sul terreno di gioco.

Gli occhi del Capitano ardono di collera e di determinazione, ed è forse questo a tenerlo ancora in piedi.

“Dai il meglio di te, figliolo. Dobbiamo vincere! Gioca come sai e fatti onore fino alla fine.”

Poi arriva quell’incitamento inaspettato, sincero e fuori dagli schemi.


La voce di Gregory è calma e gli occhi di Julian vengono attirati da quelli di suo padre. Sono colmi di quella luce intensa ed elettrica che sembra brillare dall’interno.

Quelle parole sono un dono così grande che il ragazzo deve ricacciare indietro le lacrime. È il primo sorriso d’intesa che scambia con il suo papà.

Le preoccupazioni di Andy, tuttavia, non sono infondate.

Quello che succede nei minuti successivi gela il sangue nelle vene ai due genitori.

Ad un minuto dalla fine, la Mambo è di nuovo in vantaggio: un’esitazione di Alan dà occasione a Julian di risorgere ancora una volta. Da fermo, con un lancio portentoso, piazza un tiro angolato.

Subito dopo il suo sguardo si spegne, come uno schermo a cui viene staccata la spina con uno strattone.

È un vuoto che dura una manciata di secondi.

Ormai è allo stremo delle forze e, in una manciata di secondi, tutti i suoi sogni finiscono.

Vince la New Team all’ultimo respiro.

Julian cerca di muoversi ma, appena si stacca dal palo, le gambe si piegano facendolo cadere in ginocchio come una marionetta a cui sono stati tagliato i fili.

Poi si affloscia al suolo, come se stesse facendo un profondo inchino.


È un incubo in una dimora del tempo sospeso.

Andy si porta le mani alla testa e singhiozza istericamente in quei momenti frenetici, cercando di divincolarsi dalla stretta salda con cui Gregory cerca di calmarla.

Lui è più lucido.

“È in fibrillazione ventricolare!”

Assimila la diagnosi dei soccorritori a bordocampo e si muove con sollecitudine. Si china sul corpo esamine di suo figlio mentre qualcuno è già di ritorno con il defibrillatore.

Libera il più possibile il torace dalla maglietta bagnata e preme saldamente gli elettrodi sulla pelle nuda.

“Non ti lasciamo andare, Julian.”

Dice deciso.

“Tieni duro!”

Guarda la squadra della Mambo alle sue spalle. Nessuno dei ragazzi osa aprire bocca, il fiato sospeso, intrappolati tra incredulità e ansia.

Alla fine cede anche Gregory.

“Non ti perderò, hai capito? Io non ti perderò!”

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Capitolo 11
*** Cane nero ***


Sulle porte di ogni camera d’ospedale si dovrebbe inchiodare il cartello Attenti al cane! Un cane nero che ti vive dentro e che diventa sempre più grande, la paura che alimenta la paura.

Fino ad oggi Andy si è nascosta, ha trovato il modo di mandarla via, si è messa in salvo…Tutto fuorché affrontarla.

Ora è costretta a guardarla in faccia quella paura.

Deve raccogliere tutte le sue forze per entrare lentamente in quella stanza: il silenzio interrotto soltanto dal suono del battito del cuore di Julian.

Richiude la porta senza far rumore, solo un lieve scatto, e finalmente si avvicina a lui.

Julian è appoggiato ai cuscini, il viso pallido e i naselli per l’ossigeno che non annullano minimamente la sua bellezza. Ha gli occhi chiusi e il suo respiro è lento e regolare, segno che sta dormendo.

Andy si avvicina e gli prende la mano sinistra tra le sue, e nel momento in cui i suoi occhi si riempiono di quelle lacrime che si ostina a trattenere, gli passa le dita sul viso per accarezzarlo. Segue la guancia, la mascella, il mento e infine gli disegna le labbra perfette che, in quel momento, sono leggermente dischiuse.

Senza lasciargli la mano, prende la sedia che è accanto al letto, l’avvicina e si siede senza distogliere lo sguardo dal ragazzo. Gli accarezza il dorso della mano, scorrendo sulla pelle calda.

Quel movimento le serve per assicurarsi che non sta sognando: suo figlio è lì ed è vivo.

Julian sta riacquistando conoscenza lentamente, scivolando fuori da un sogno confuso indotto dai medicinali.

Un lieve movimento delle dita fa balzare il cuore nel petto a sua madre, solleva la testa verso il suo viso e sa di non essere pronta a vederlo sveglio.

Julian apre gli occhi cercando di mettere a fuoco l’immagine. Poi la fissa un po' confuso.

Uno sguardo penetrante che sembra entrare fin dentro l’anima. Andy si piega su di lui, in una posizione strana, mezza in piedi e mezza in ginocchio, per guardarlo negli occhi.

“Ciao, come ti senti?”

Stringe ancora la sua mano ma Julian non ricambia la stretta.

“Ho avuto giorni migliori!”

La donna torna a sedersi. Le sembra un tradimento guardarlo troppo fisso, soprattutto così da vicino, conciato com’è su quel letto d’ospedale. Più della flebo e della maschera dell’ossigeno, più del battito cardiaco della macchina attaccata a lui, è qualcos’altro a non quadrare. Qualcosa nel suo viso pallido e nei suoi occhi malinconici.

È qualcosa che rende Julian la persona che è .


Cala il silenzio, un silenzio denso.

Le parole, le paure sono tutte aggrovigliate in una palla che si è piazzata da qualche parte, tra voce e cuore, impedendo loro di dire quello che realmente provano.

Andy pensa alla sua infanzia.

Lei non disegnava ragazze in abito bianco o donne con il pancione come facevano altre sue compagne.

Non c’era il matrimonio con l’uomo dei sogni o una sfilza di bambini sulla lista dei desideri che si raccontavano tra amiche.

Da bambina voleva fare l’avvocato. Aveva avuto quell’idea dacché ricordasse, quella decisione fissa in testa.

Non aveva mai desiderato di fare la madre. Se non ci fosse stato Julian, non sa se avrebbe avuto quell’istinto materno di cui tanta retorica parla.

La verità, però, è che la nascita di suo figlio ha influenzato i suoi passi più di quanto voglia ammettere .

“Dove sono gli altri?”

All’improvviso Julian la mette difronte ad una verità spinosa e impopolare ma incontrovertibile. Ad un ricordo che le si palesa dinnanzi all’improvviso e con fastidio.

Ha dato di matto nel corridoio dell’ospedale scacciando i ragazzi – compagni e avversari- corsi lì a sincerarsi della salute di Julian. Ha trovato un capro espiatorio in Gregory e si è accanita su di lui con parole taglienti.

“Come hai potuto permettere a nostro figlio di rischiare la vita per una stupida partita di calcio? Non te lo perdonerò mai!”

Il senso di colpa del Dottor Ross è stato spazzato via da una reazione d’orgoglio.

“Non capisci? Oggi Julian ha rischiato di morire per scegliere di vivere !”

“Hai sempre quel pallone in testa, Julian. Cerca di riposare adesso!”

“Vorrei restare da solo!”


Dopo qualche tempo, illuminata dalla luce bianca del neon di una camera d’ospedale, entra una donna capace di portare una ventata di aria pura.

Julian fa un respiro profondo e sorride.

“Ehi Oro di Yamashita !”

Fancy ha settant’anni ma è instancabile come una ragazzina.

Un po' casinista e un po' perfettina, quando si è ritrovata davanti a quella porta, come in un flash ha rivisto sé stessa nella medesima situazione.

Gli anni sono passati ma quella ferita è ancora vivida nei suoi pensieri.

L’estate trascorsa al capezzale di Albert, in una stanza doppia al terzo piano di quello stesso ospedale, con un voluminoso condizionatore che ronzava e sferragliava giorno e notte .

Sbatte le palpebre e pensa che le emozioni che sta provando giochino con la sua mente.

“Ho fatto tripletta oggi, sai nonna?”

Il ragazzo racconta con l’entusiasmo dei suoi quindici anni. Un lieve sorriso gli stira le labbra livide e le sue guance riprendono un po' di colore.

“Il mio piccolo campione!”

In realtà Fancy si sforza di trattenere le lacrime.

Probabilmente Julian non si rende conto del grave pericolo che ha corso per inseguire i suoi sogni. Lui fa un sospiro e si lascia ricadere sui cuscini, sopraffatto dal suo destino.

“Mamma e papà hanno ragione, vero? Non lo pensi anche tu che sono stato uno stupido incosciente?”

Scivolare dalle retrovie in prima linea è questione di un attimo ma Fancy sa bene che i nonni non devono fare i genitori .

“Secondo me no. Non ci si può permettere di giudicare quando non si posseggono tutti i particolari di un problema.”

E, allo stesso tempo, è incapace di starsene in un angolo. Una tristezza atavica adombra la mente di Julian, rendendolo incapace di formulare qualsiasi risposta.

Allora tocca a lei, che lo ha sempre accudito come un figlio, trovare le parole giuste.

“Ti hanno piegato oggi, Julian. Ma non sono riusciti a spezzarti!”


Intanto Andy si è concessa una breve fuga sul balcone del reparto. Sa che sua suocera, la nonna di suo figlio, troverà sicuramente le frasi giuste per calmarlo.

Finalmente ha smesso di piovigginare. Ha il filtro della sigaretta tra le labbra quando arriva qualcuno che si schiarisce la voce e fa un “ehm” come se si preparasse a recitare.

“E che palle! Se non posso almeno farmi due tiri vado fuori di testa!”

Gregory abbassa un po' gli occhi per mettere a fuoco quelli della moglie. La guarda, fa un sospiro profondo.

“Ehi, ehi calma. Non sono venuto per sgridarti ma soltanto per portarti questa!”

Con premura le appoggia sulle spalle un golfino in cachemire azzurro, poi dalla tasca del camice tira fuori anche lui un pacchetto di sigarette.

“Dai copriti bene, che ce ne fumiamo un’altra insieme!”

Andy apre e chiude la bocca, ma dalle sue labbra non escono parole. È sconcertata. Aveva previsto lamentele, grida, rimproveri, persino la possibilità di litigare seriamente.

Vorrebbe accusarlo perché ha permesso al loro figlio di rischiare la vita e invece si ritrova a sorridere, suo malgrado.

“Dovremmo smettere! Il fumo nuoce alla salute…Soprattutto a quella di Julian!”

Gregory le allunga l’accendino acceso. Per un momento si perde nel tremolio luminoso della fiammella, si lascia attirare come una falena, poi vi accosta la punta della sigaretta e aspira la prima boccata di fumo caldo.

L’uomo accende la sua e soffia fuori una nuvoletta di fumo che per un po' resta sospesa nell’aria.

Vapore di paura nell’aria fredda .

“Sai anche io ho paura, tanta! John mi ha detto che si potrebbe provare a sottoporre Julian ad un’operazione. Un’operazione seria”

Anche lui ha il suo cane nero dentro. Chissà se gli ha dato un nome! Quello che prova per lui ora è qualcosa di più della semplice solidarietà. È complicità.


Tornano insieme nella camera di Julian.

E per quasi tutta la notte restano seduti, Gregory, Andy e Fancy, un triangolo scaleno intorno al letto d’ospedale sul quale è adagiato Julian, con i bip delle macchine e lo schermo del televisore in un angolo che trasmette immagini di un film in bianco e nero perché nessuno si prenderà la briga di cambiare canale.

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Capitolo 12
*** Fuga dal passato ***


Amy è stesa sul letto con indosso una maglietta di un paio di taglie più grandi della sua. Sta mangiando il gelato direttamente dalla vaschetta, perdendosi nell’estasi degli zuccheri.

Affonda il cucchiaino e un sentimento di delusione si fa strada tra i suoi pensieri.

Chiude gli occhi per un’istante. La guancia infiamma al ricordo dello schiaffo che Julian le ha mollato ieri ma più di tutto brucia l’offesa subita.

Fino a ieri Amy lo ha guardato con occhi adoranti, come se fosse il re del mondo. Oggi ha la netta sensazione di aver sciupato tutto.

Sospira. Nemmeno il gelato funziona come illusione di una felicità effimera.

Naomi spinge gli occhiali sui capelli e la fulmina con lo sguardo.

“Non serve a niente starsene seduta tutto il giorno a piangere dentro un barattolo di gelato, così non guarirai più in fretta il tuo cuore spezzato. Hai bisogno di sole e di aria fresca!”

Non ha nessuna voglia di uscire di casa ma, come sempre, sua madre dice la cosa giusta per spronare quella faccia carina con lo sguardo perso in un orizzonte lontano.

Amy obbedisce anche se sembra non avere nessuna aspettativa.


Julian è steso a letto immerso nella buona puzza di formaldeide, la stessa di tutti gli ospedali. Una puzza bianca e fredda come l’acciaio.

Il suo è stato un risveglio standard, praticamente all’alba: le luci che si accendono, l’infermiera che lo sveglia, la febbre da misurare…

È una bella giornata di sole. Qualcuno gli ha aperto la finestra e l’aria porta finalmente dentro la sua stanza d’ospedale un po' di profumo, il profumo di resina degli alberi davanti all’ospedale.

Resta in ascolto e ode chiaramente il tramestio del personale medico, porte che si aprono e si chiudono, i campanelli dei malati che hanno bisogno di aiuto, i carrelli delle medicazioni e tanti altri rumori.

Non vuole stare in questo posto. Anche se dorata è pur sempre una prigione!

Ha ancora un terribile dolore al petto e le gambe molli come burro. Trema vistosamente mentre cerca di compiere il gesto così normale, così naturale di rimettersi in piedi.

Ancora una volta quella nota sensazione di frustrazione che avvolge il fallimento, che ha vissuto già tante volte da quando ha scoperto la malattia e in cui si è ripromesso di non cadere mai più, lo aspetta in agguato, sprezzante.

Piange di rabbia ma, alla fine, la sua ostinazione ha la meglio e, dopo vari tentativi, riesce a rimettersi in piedi.


Amy cammina senza meta, senza pensare di arrivare da qualche parte e sono soltanto i suoi piedi a condurla in una sorta di pellegrinaggio per le strade dell’hinterland di Tokyo che culmina in una sosta in quel simulacro di affetti, di ricordi e di sentimenti.

È il campo da calcio in cui si è consumato il dramma del giorno prima.

Il tabellone graffiato segna ancora il risultato di vittoria per 5-4 della New Team, le porte bianche sono mangiate dalla ruggine e le zolle di terra smosse dalla pioggia.

Rimane immobile tra i fili d’erba bagnati, poi sobbalza: c’è qualcuno appoggiato allo schienale di una delle panchine.

È lontano ma ha una fisionomia e una postura così familiari che la ragazza accelera il passo per raggiungerlo, tradendo una certa urgenza.

Quando arriva a pochi passi di distanza sente il respiro affannoso dell’altro.


Julian usa la panchina come punto di appoggio, proprio come ieri si è sostenuto al palo della porta. Il suo viso smunto e tirato è solcato, per un’istante, da un’ombra che si trasforma in un mezzo sorriso quando cede e si siede di schianto su uno dei seggiolini colorati con un sorriso di sollievo.

“Stai bene?”

Amy è ancora arrabbiata con lui ma, in una frazione di secondo, la preoccupazione prende il sopravvento. Gli si siede di fianco mentre Julian annuisce e inizia a parlare con voce strascicata e roca.

“Quando ero bambino, mia nonna mi raccontava spesso la storia di due amici che camminavano nel deserto. Ad un certo punto iniziarono a discutere e uno dei due diede uno schiaffo all’altro.”

Fa una pausa, si inumidisce le labbra secche e prima di proseguire osserva con cautela Amy, come se temesse di venir preso in contropiede dalla sua reazione.

Lei resta in silenzio, arrossendo lievemente.

“Addolorato, ma senza dire nulla, l’amico che aveva ricevuto lo schiaffo scrisse nella sabbia: oggi il mio migliore amico mi ha dato uno schiaffo . Continuarono a camminare finché non trovarono un’oasi dove decisero di fare il bagno…”

A quel punto la ragazza lo interrompe, prendendo nelle sue la mano livida e ghiacciata di lui. Anche lei conosce bene quel racconto, testimonianza di una forte amicizia e allora continua con voce tranquilla.

“L’amico che aveva ricevuto lo schiaffo rischiò di affogare ma l’altro lo salvò. Quando si fu ripreso, scrisse in una pietra: oggi il mio migliore amico mi ha salvato . Quando era stato ferito lo aveva scritto nella sabbia perché i venti del perdono potessero cancellarlo, adesso che era stato aiutato lo aveva scritto nella pietra perché restasse scolpito per sempre.”

Sono anime in disordine in una luce soffocata da un dolore gemello. <è> Basta un incontro dei loro occhi e questa comunicazione rapida e perfetta trascende ogni parola o azione.


È il tramonto, uno di quelli che irrompono da qualche angolo nascosto del cielo e ti ricordano perché sei vivo, e lo sguardo di Julian è così fragile e radioso che Amy perde ogni orientamento.

“Io ti perdono, Julian!”

La voce della ragazza è tranquilla e pacata come se avesse deciso di buttarsi quel brutto incidente alle spalle per non permettergli di incrinare la loro amicizia.

Julian resta accucciato nel suo angolo di panchina, rannicchiato su sé stesso, tremando come un gattino appena nato. Amy gli si avvicina, tendendo una mano sulla sua fronte scottante. Si sfila il foulard a fiori e glielo annoda intorno al collo.

“Mettiti questo. Hai i brividi.”

Lui sorride al pensiero di essere costretto ad indossare un fisciù poco virile ma non obietta.

“Non sono brividi di freddo.”

Puntualizza. Immediatamente dopo si sente in dovere di spiegarle, con estrema franchezza, i motivi che hanno guidato il suo deprecabile comportamento il giorno prima.

“Non permetterò a nessuno di mettermi in gabbia, nemmeno a te Amy. Capisco che tu sia preoccupata per me ma ho un sogno che mi sono ripromesso di proteggere con le unghie e con i denti. Niente, nemmeno il destino riuscirà a mettermi i bastoni tra le ruote…” I suoi occhi ardono di determinazione. Sembra forte e sicuro di sé ed è questo a dare ad Amy la spinta necessaria a fare la sua scelta: gli sarà alleata.

Avrà la stessa forza di resistere e di sfidare, insieme a lui, tutto e tutti.

“Abbiamo condiviso un segreto inconfessabile e un pizzico di follia, ecco cosa lega due persone per sempre!”

Essere complici è il massimo livello di intimità e ciò che li unisce è molto di più di un’affinità profonda e un rispetto reciproco.

“Ora aggrappati al mio braccio. Devi tornare in ospedale prima che si accorgano della tua fuga e chiamino la polizia!”

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Capitolo 13
*** L'unione fa la forza ***


Che bello tornare a casa!

Julian è alla ricerca soltanto di silenzio: lontano dall’odore di disinfettante, dal tanfo della malattia, dal suono delle suole di gomma sul pavimento e dalle voci che rimbombano.

Lontano dalle facce come la sua: serie, tristi, preoccupate. Terrorizzate.

Ha addosso uno strano brivido d’inquietudine che soffoca il sospiro di sollievo, capovolge lo scampato pericolo.

Lui la morte l’ha vista in faccia ma ha deciso di combattere.

All’orizzonte c’è quell’intervento chirurgico che è una grande opportunità ma anche un salto nel vuoto.

Ha paura e continua a ripetersi che tutto passerà e guarda con speranza al futuro.


Si sdraia sul divano e solleva gli occhi al soffitto.

Un silenzio lunghissimo lo separa dai suoi genitori.

Andy e Gregory pensano che si sia addormentato ma il suo respiro ha il ritmo un poco irregolare della veglia.

Julian ha gli occhi risoluti, ma di una risolutezza che è figlia più della malinconia che della sicurezza. Adesso i genitori sembrano a disagio, come se cercassero le parole per dirgli qualcosa e non sapessero dove cercarle. Alla fine, Gregory gli si siede accanto e gli prende una mano.

“Ci hai fatto prendere uno bello spavento, sai Julian?

Sente tutto il tono di rimprovero nei suoi confronti espresso in quelle poche parole e legge immediatamente la preoccupazione sul viso di suo padre. Gregory non ha ancora imparato a fingere a sufficienza per non tradire le sue emozioni.

Andy sorride, chiude gli occhi come per prendere fiato, poi continua il discorso al posto del marito.

“Sei sempre stato un ragazzo modello, di quelli che studiano abbastanza per essere considerati bravi a scuola e senza grilli per la testa. Tranne uno!”

Il calcio !

Fino a ieri avrebbe pagato qualsiasi cifra per strappare al Dottor Johnson il permesso di accumulare un minutaggio più consistente in campo.

Alle visite di controllo lo ha sempre corteggiato con occhi supplichevoli perché non permettesse che il suo sogno si infrangesse.

Ruota la testa verso un ripiano della mensola a muro, si porta una mano al cuore e si rimette in piedi, ostentando una spavalderia senza vera sicurezza che risulta quasi patetica.

“Mi dispiace che questo mio cuore matto abbia portato dei dispiaceri a tutti. Io però non voglio più essere costretto a fermarmi durante le partite e aspettare che le pulsazioni impazzite ritornino normali. Non voglio vivere di rimpianti e rinunciare ai miei sogni. Non voglio diventare il più grande rimpianto del calcio giapponese. Potete capirmi?”

È il loro campioncino malinconico a cui la sfortuna sembra aver negato una carriera luminosa e un avvenire ricco di successi.

Talento e classe contro destino.


Alcuni minuti dopo suona il campanello. Andy va ad aprire.

Teste ricciute e zazzere scomposte si sollevano all’unisono rivelando sguardi limpidi di oltre una dozzina di ragazzini. Sono disposti a semicerchio e sembrano imbarazzati di trovarsi lì.

“Ci dispiace di essere piombati qui senza preavviso signora Ross…”

È Stephan a farsi portavoce della squadra, con un tono che è quasi un mormorio.

“Ma volevamo parlare con Julian.”

Lei si volta un istante ad osservare il figlio, a studiarlo per capire cosa debba fare. Il ragazzo distoglie lo sguardo.

“Falli entrare!”


Il soggiorno sembra diverso: sotto i piedi il pavimento sembra più freddo. Le sedie su cui si sono accomodati i ragazzi sono disposte a semicerchio a formare una mezzaluna.

La famiglia Ross non si è mai seduta così. Sarebbe stato meglio?

Julian sarebbe stato più al sicuro se fossero stati quel tipo di famiglia che si siede per parlare invece di farlo prima di uscire, con un piede già fuori dalla porta ?

L’imbarazzo è palpabile.

“Perdonatemi tutti!”

Far uscire fuori quelle parole è stato più facile di quanto sembrasse: come con le bolle di sapone, se soffi piano vengono da sole.

A sorprendere è il fatto che il primo a pronunciarle sia stato Julian.

“Se non siamo arrivati in finale la colpa è esclusivamente mia! Sono stato un egoista a voler restare in campo a tutti i costi…”

Non bisogna mai essere troppo orgogliosi per chiedere scusa e neanche troppo orgogliosi per non accettarle.

Sono tutti colpevoli e questa consapevolezza è un humus fertile perché i ragazzi della Mambo si parlino sinceramente.

“Se siamo arrivati in semifinale il merito è quasi esclusivamente tuo!”

Lo contraddice Mirko, con quel mezzo sorriso di antico nemico diventato alleato.

“Perché non ci hai parlato prima dei tuoi problemi, Julian?”

Stephen è un ragazzo che va dritto al sodo, magari a volte brutalmente.

L’inchiostro del cuore non si vede ma si sente e nel suo tono di voce incerto c’è tutta la delusione e il rammarico per non essersi dimostrato un buon amico per il loro Capitano.

“Non ti fidavi di noi, capitano?”

Aggiunge Henry con voce timida. Lo stesso che non gli ha risparmiato frecciatine gratuite quando non conoscevano la verità.

“Vi temevo. Temevo che avrei perso il vostro rispetto se avreste scoperto che ero un giocatore a mezzo servizio. Ma credo di aver fatto un buon lavoro anche come bugiardo…”


È lo stesso Julian che ha nascosto le sue debolezze per non far emergere i difetti che avrebbero impedito di far risaltare i suoi pregi e di farlo stimare. Adesso vuole parlare della sua fragilità, non più nasconderla, convinto che sia una forza che aiuta a vivere.

Lui il ragazzo dal cuore di vetro , pregiato come un cristallo di Boemia: bello, elegante, ma basta poco perché si frantumi.

Così racconta tutta la storia, senza filtri, lasciando che quelle parole intrappolate e attorcigliate attorno ai suoi pensieri scivolino via e si incollino nelle emozioni di questi amici appena (ri)trovati.

Dopo aver confessato e rivelato un Julian inedito, capace di mettere a nudo la propria anima, si sente svuotato ma anche così stanco psicologicamente da doversi appoggiare allo schienale della sedia.

Stephen è il primo ad attraversare lo spazio che li separa e a prendere tra le sue una mano di Julian. Gli altri non esitano a circondare il loro Capitano in una sorta di abbraccio simbolico.

“Tu sei un vero uomo squadra, Ross. Hai rischiato la tua vita per segnare quel gol, per tener vivo fino all’ultimo secondo anche il nostro sogno. E adesso che dovrai giocare la tua partita più importante, anche se saremmo costretti ad essere spettatori interessati, noi saremo al tuo fianco. Perché noi abbiamo bisogno di te e…A quanto pare tu hai bisogno di noi!”

Fino a ieri Julian Ross era come un fiore: bastava un colpo di vento perché un petalo si staccasse e perdesse il suo profumo.

Oggi, con la Mambo al suo fianco, si sente forte come l’acciaio. Un uomo di roccia e non di vetro.

Sam, Kevin, Korn, Hok, Carl, Kait, Mirko, Vincent, Pan, Stephen…Julian.

Pezzi di un’unità che non c’è mai stata ma che finalmente è una vera squadra.

La differenza tra due opposti: la fragilità e la forza.

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Capitolo 14
*** Paura ***


È la stagione dei tifoni in Giappone.

Oggi è una giornata umida e orribile, con raffiche di vento così forti che sembra possano spazzare via ogni cosa.

Julian è così nervoso che gli tremano le mani e non riesce ad allacciarsi bene le stringhe del camice dell’ospedale, perché si sono perse da qualche parte sulla schiena.

“Aspetta. Ci penso io!”

La mamma lega i lacci con la stessa facilità con cui tirerebbe su la zip di un vestito elegante.

La stanza trasuda intimità e distacco al tempo stesso.

Andy ha sempre avuto una manualità straordinaria. Lo ha appena sfiorato eppure quel contatto è stato così vivo e vibrante che brucia sulla pelle di Julian.

“Grazie!”

È un momento di coinvolgimento emotivo totale che spiazza entrambi e la mano di Andy si contrae prima di ritirarsi da suo figlio.

“Ti ricordi quando mi hai insegnato come allacciarmi le scarpe?”

C’è una strana nota nella voce di Julian: un misto di nostalgia e dolcezza con cui contrastare la tensione.

Il coniglietto ha due orecchie. Gira intorno all’albero. E va nella sua tana. ” Recitano insieme come in uno sketch del passato, condividendo un ricordo dolce come zucchero filato.

Julian chiude un attimo gli occhi per riordinare le idee, cerca di controllare il respiro e di restare calmo.

Poi, con la brutalità dei sinceri, un po' kamikaze di verità e un po' bambino, dà voce alle sue emozioni.

“Ho paura!”


Mamma, ho paura !

Quante volte gliel’ha detto il suo Julian, da piccino!

Stavolta però non sono difronte al cattivo di un cartone animato, nel mezzo della lettura di una fiaba, al centro delle ombre che danzano di sera.

Suo figlio non ha paura soltanto che il futuro potrebbe essere diverso da quello che sogna.

È un ragazzino spogliato del suo essere riconoscibile ed entrato nell’anonimato dell’ospedale.

Ospite d’onore nel salotto di una casa sconosciuta, circondato da formichine laboriose infagottate di cuffiette e mascherine, che toccano, pungono, agganciano flebo, accarezzano, montano aggeggi vagamente inquietanti .

“Lo so che hai paura. E va bene che tu ne abbia e non abbia paura di dirlo. Va bene che tu non ti senta obbligato all’invincibilità, al coraggio imposto e alla forza a tutti i costi. Non vergognarti, non sentirti fragile. Non sentirti stupido, piccolo o sbagliato Julian.

Hai paura perché senza paura non si sta al mondo.”

Si siede sul letto accanto a lui e questa donna poco avvezza al calore delle carezze riscopre il conforto in un’abitudine persa, un gesto che travalica ogni lingua e cultura: cinge suo figlio in un abbraccio nel quale entra adulto e si stacca di nuovo bambino .

“Stavolta però possiamo avere paura insieme. Possiamo provare a conviverci o a sconfiggerla. Se mi lascia provare io ci sarò, ti amerò e ti abbraccerò quando ne avrai più bisogno.”

Una lacrima dispettosa si ferma in una piccola ruga ai lati degli occhi di Andy mentre le sue mani cercano di asciugare i tristi pensieri di Julian come un timido raggio di sole.


Amy resta in equilibrio precario sulla porta, vergognandosi come una ladra perché ha interrotto quell’intenso momento madre-figlio.

Sembra una fata del nord Europa così minuta, con i capelli ramati, le lentiggini e una gonna scozzese.

“Vieni avanti, tesoro!”

La invita la mamma di Julian, con un gesto aggraziato come una Regina che concede un permesso.

Poi recupera in fretta la borsa, decisa a concedere ai ragazzi un momento solo loro.

“Io vado a prendermi un caffè e a cercare tuo padre. Ti lascio in buone mani, Julian!”

Pudore e rossore fanno rima, soprattutto nel linguaggio universale del cuore .

Amy si sistema una ciocca ramata dietro l’orecchio per darsi un tono e si avvicina al letto sul quale è seduto Julian. Lo stupore sul suo viso dimostra che non si aspettava tanta intraprendenza; le sorride con timidezza: sembra pazzesco ma è intimidito dalla situazione.

“Sei nervoso per l’operazione?”

Si siede sul materasso rigido d’ospedale, vicino a lui come un angelo custode. È nervosa e parla a raffica non dando al ragazzo il tempo di una risposta.

“Domanda idiota, vero?! Ho una cosa per te!”

Un peluche a forma di gattino. Un maneki-Neko nero che si dice porti buona salute .

La sua zampa sinistra alzata fa sorridere Julian che sistema con cura il prezioso regalo sul cabinet.

“Non che tu abbia bisogno di portafortuna…”

“Manager smettila di parlare! Apprezzo davvero il fatto che tu non mi abbia lasciato solo oggi.”

Lei è spiazzata. Ha mascherato il suo disagio con un’esuberanza che non le appartiene ma lo smarrimento dura solo un attimo.

“Non sei solo Capitano. C’è un’intera squadra qui a fare il tifo per te: affacciati alla finestra!”

Nello spiazzo dell’ospedale un fazzoletto colorato di maglie gialle come il sole, come l’estate, come un limone profumato. L’energia della Mambo. <è> È Stephen, come il peggiore dei capo ultras a dare il la per uno spettacolo insolito in un luogo di quiete e tranquillità.

I compagni lo accompagnano con un breve coro da stadio, di incoraggiamento.

C’è solo un Capitano.

Combattiamo insieme a lui.

Julian uno di noi…Uno di noi.

Julian uno di noi .

L’emozione è palpabile ma il caparbio Ross tira indietro la testa, raddrizza le spalle e saluta i suoi compagni come un leader, come un uomo.


Forte di tutto quel sostegno, il momento di entrare davvero nell’anonimato, di diventare fantasma adesso gli fa un po' meno paura. Entra in sala-operatoria con un sorriso e con il “Fai il bravo” sussurratogli da suo padre che ancora gli risuona nelle orecchie.

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Capitolo 15
*** Acquario ***


Si corre e non si pensa.

Si corre e non si vive.

Si corre e i problemi non si risolvono mai.

Eppure ci sono momenti della nostra vita in cui siamo costretti a fermarci.

Non dipende da noi.

Dobbiamo aspettare.


Nelle sale d’attesa degli ospedali il tempo si dilata e tutto quello da cui si fugge ogni giorno torna a prendersi una rivincita. Non ci sono vie di fuga.

Si è soli davanti al tempo e a sé stessi.

Gregory non riesce a star fermo. Passeggia su e giù lungo quel corridoio che conosce così bene.

Oggi è troppo emotivo e così deve essere. Oggi quel ruolo di medico che porta cucito addosso, come una medaglia al valore, diventa una lettera scarlatta.

Sa che Julian ha il meglio che si potesse chiedere.

Il Dottor Johnson è un cardiochirurgo bravissimo ed esperto e da quel punto di vista si sente al sicuro, come in una botte di ferro.

L’orologio ticchetta.

Rabbrividisce al pensiero di suo figlio fermo, in attesa.

Pensa a Julian sdraiato sul letto operatorio che si addormenterà con chissà quali sogni tormentati.

Nervoso, continua a guardarsi il polso dove le lancette dell’orologio scorrono lente.


A pochi metri da lui, Andy è un groviglio di nervi tesi e stenta a trattenere le lacrime.

Resta seduta cercando di sfogliare una rivista ma non vi presta davvero nessuna attenzione. Le serve qualcosa da fare con le mani per impedire loro di tremare.

È il giorno più lungo delle loro vite.

“Cosa pensi che stiano facendo?”

La sua voce rompe il silenzio, come se si fosse allontanata in chissà quale spazio remoto.

“Del loro meglio!”

La risposta del Dottor Ross giunge repentina e forse un po' brusca ma si sente così impotente!

Si avvicina alla moglie, le si siede accanto e le prende la mano che continua a tremare anche sotto il suo palmo.

Non c’è bisogno di parole.

Loro non hanno mai avuto paura del fallimento perché hanno sempre saputo che è l’unico modo per avere successo.

Ma adesso che il loro unico figlio è sotto i ferri, le loro certezze sono fragili come carta velina e i loro pensieri blindati come casseforti superblindate.


Amy osserva il movimento ipnotico e circolare dei pesci rossi che nuotano in cerchio nella grande vasca al centro dei giardinetti dell’ospedale.

Lei, in questo momento, vorrebbe avere lo stesso serafico distacco dei pesciolini in quell’ampolla.

Ciò che resta del sole pomeridiano trasforma ogni loro guizzo in una sorta di scia fatta di polvere d’oro.

Sembrano comete minuscole impegnate a trovare una via di fuga.

Una mano rugosa, incerta ma mai sazia di donare carezze, si posa sulla sua spalla scossa dagli ultimi residui di singhiozzi ed Amy si appoggia a quel sostegno inaspettato come ad un albero d’argento . Perché nonna Fancy è così: ha l’argento nei capelli e l’oro nel cuore.

“Su non piangere più piccina. Julian avrà bisogno anche dei nostri sorrisi per rimettersi!”

Con la sua voce calma e il sorriso affettuoso l’anziana donna riesce a tranquillizzarla.

Dopo che Julian è stato portato in sala-operatoria, Amy non ha resistito troppo in quella sala d’aspetto affollata di timori eco dei suoi.

Ha avuto solo una gran voglia di fuggire, di lasciarsi alle spalle tutti i pensieri negativi che la stavano opprimendo come zavorre inutili.

È corsa via, senza una meta, piangendo. E ha continuato a piangere perché in questo momento è l’unica cosa che le riesce perfettamente.

“Davanti ad un acquario si può stare delle ore assorti in fantasticherie, come quando si contemplano le fiamme del caminetto! E si imparano molte cose durante questa contemplazione!”

La bocca di Amy è asciutta come se avesse ingoiato gesso mentre Fancy si esprime con sapienza.

La vecchia saggia e la bambina disperata .

Come in una delle più belle fiabe dei fratelli Grimm.

È una situazione così insolita ma così giusta che Amy, inaspettatamente scoppia a ridere. Il cambio di registro è tanto inatteso, così impensata la disinvoltura della ragazza e ovvia la sorpresa della sua interlocutrice, che anche Fancy scoppia a ridere.

“Beh questo acquario è un utile passatempo ma anche un ottimo sedativo contro la nostra tristezza!”

Entrambe adesso si sentono meno sole perché la fusione delle loro preoccupazioni dà loro una forza nuova.

“Che ne dici piccina torniamo dentro? Magari facciamo un po' di compagnia a quegli altri due disastrati!”

Una vecchia e una bambina si prendono per mano

E vanno insieme incontro alla sera .

Incontro ad un futuro, adesso, meno nebuloso.

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Capitolo 16
*** Antichi bambini ***


Il pilota preferito di Fancy Ross gareggia sulla vettura numero 33.

Doppio tre. Doppia perfezione.

Quando i motori cominciano a ruggire, un brivido, quasi una scossa elettrica, attraversa il corpo dell’arzilla appassionata davanti allo schermo della tv.

È il momento magico che precede la partenza, l’istante che mette in perfetta sintonia pilota e vettura. Per la prossima ora e mezza il cuore della simpatica nonnina vibrerà, palpiterà, soffrirà e combatterà insieme all’ olandesino per tutti i cinquantatré giri della pista di Suzuka fino al traguardo.

Ha bisogno di emozioni forti e diverse, di distrarsi, perché la paura brucia ancora nelle sue vene per poter dimenticare la sensazione del suo ottimismo andato in mille pezzi al capezzale di Julian.

Le auto scivolano sulla griglia di partenza, la bandiera verde apre la strada al giro di ricognizione.

Fancy si sente bene: chissà se oggi quei ragazzini terribili daranno spettacolo in pista?

Le vetture ritornano sul rettilineo e riprendono la posizione di partenza. Gli sguardi dei piloti e degli spettatori sono inchiodati al semaforo rosso.

Ancora pochi, interminabili, istanti e le auto si avventeranno sul nastro d’asfalto come belve.


DRIIN -DRIIN

Il suono del campanello arriva sempre nei momenti meno opportuni, in questo caso rovinando uno dei momenti più esaltanti della gara, quello che determinerà l’andamento della corsa.

Sbuffando come un tricheco e imprecando a voce alta, Fancy va alla porta.

La visitatrice, con la testa bassa e gli occhi grandi, tristi e imploranti, è del tutto inaspettata. Tuttavia Fancy non lascia trasparire la sua meraviglia.

“Dai togliti quell’espressione da cane bastonato e vieni dentro! Mi sa che hai proprio bisogno di quattro chiacchiere tra amiche!”


Andy prende la tazza, che sua suocera le porge, con mani tremanti e beve subito. Un fiotto di caffè caldo le esplode in bocca, lo ricaccia giù e ingoia.

Fancy si siede sul divano accanto a lei, la voce del telecronista all’improvviso è una stonata musica di sottofondo e allora abbassa il volume della tv al minimo, resistendo alla tentazione di abbracciare Andy per consolarla.

“Ho sempre ammirato e invidiato il suo carattere solare, pieno di amore da elargire a piene mani. Lei ha il sorriso allegro di una ragazzina, Fancy. È un’antica bambina!”

La donna più giovane parla con il cuore ma il suo fare è glaciale, l’alfabeto meno sciolto e il tono rigido da avvocato difensore.

“È per questo che Julian l’adora!”

Non è un’accusa ma una dolorosa presa di coscienza.

I suoi abbracci da madre, invece, sono sempre stati rigidi e si è sempre chiesta se suo figlio si sia mai accorto di quanto fossero forzati da parte sua.

Ha sempre avuto l’irrazionale paura che ogni stilla di affetto in più rischiasse di trasformarsi in dolore. E questa cinica convinzione l’ha portata dritta all’anaffettività.


Nonna Ross ha un’energia nascosta quando si tratta del nipote: si trasforma in un vero e proprio vulcano cui non si stacca mai la batteria.

“È il più comune assioma della storia: ogni generazione fa la rivolta contro i genitori e fa amicizia con i nonni!”

Obietta Fancy sorseggiando tranquillamente la sua tazza di caffè con un goccio di latte. Lancia un’occhiata distratta al televisore: sul circuito i due giovani piloti stanno dando spettacolo in un’epica battaglia ruota a ruota.

Sa che è su un terreno impervio e che scivolare dalle retrovie in prima linea è questione di un attimo. È incapace di restarsene in un angolo quando si tratta di suo nipote ma non vuole scavalcare i genitori del ragazzo, neanche con amorevole prepotenza.

“I nonni sono un nido sicuro, il pretesto per sfuggire a qualche regola, un comodo cuscino, il passato che si fa storia. Per tutto il resto ci sono mamma e papà!”

La signora Ross Senior ha un carattere un po' difficile da decifrare: a volte è brontolona, scorbutica e testarda, altre è dolce, disponibile e dalla battuta pronta.

Sa toccare le corde giuste per entrarti dentro, per incoraggiare la giovane signora Ross a confrontarsi con quel turbinio di emozioni e pensieri che le affollano la testa.

“Io e Greg siamo un tale disastro!”

“Non è vero!”

La rimprovera sua suocera, categorica, agitando un dito in aria. Si lascia andare ad un pesante sospiro e allunga il braccio sul bracciolo imbottito per cercare la mano di Andy.

Fa un sorriso amaro e negli occhi le brilla una piccola scintilla di speranza.

“Tu e Gregory dovete soltanto essere più attenti. Vi scade il tempo e non ve ne accorgete!”


Gregory volge lo sguardo al lettino sul quale suo figlio sdraiato su cuscini immacolati: i primi bottoni del pigiama sono sbottonati e si intravedono due elettrodi, fissati al petto del ragazzo e collegati ad un monitor cardiaco che si trova di fianco al letto, nella parte alta del braccio il manicotto di un apparecchio per misurare la pressione si gonfia in modo automatico a intervalli regolari.

L’altro braccio è allungato su un fianco con la cannula della flebo che ricade dall’alto.

Accortosi di suo padre, Julian alza la mano come in un saluto indiano.

È pallido e l’unica nota di colore sul suo viso spento è data dalle due mezzelune viola che ha sotto gli occhi come frutti marci.

A Gregory sembra una rappresentazione scultorea del dolore.

“Come ti senti oggi?”

“Mi sento ogni giorno più forte!”


Gregory prende una sedia e si accomoda ad un lato del letto pronto ad un esame inevitabile.

Sente forte l’esigenza di aprire e guarire quelle ferite apparentemente invisibili, esistenti già da prima della comparsa della malattia di Julian.

Arriva un momento nella vita in cui ci si deve fermare, come in un pit-stop, prendersi il tempo necessario per cambiare quella parte in cui si è stati soltanto passeggeri.

“In questi anni ho cercato di capire, di sentire quello che si prova nei confronti dei pazienti e allo stesso tempo ho cercato di essere distaccato perché se un dottore prendesse a cuor tutti i casi finirebbe al manicomio!”

Il rapporto tra Julian e i suoi genitori è sempre stato un catechismo di domande e risposte ben educate e adesso suo padre lo sorprende con un amaro tono confidenziale.

“Io non sono un tuo caso clinico!”

La risposta di Julian è risoluta mentre si solleva un poco, appoggiandosi ai cuscini con una smorfia che Gregory non riesce ad indovinare se sia di dolore o di imbarazzo.

È convinto di aver steccato di nuovo, ancora una volta di aver detto la frase sbagliata e questo nuovo confronto padre-figlio lo fa diventare spietatamente autocritico.

“Vivo quasi ventiquattrore su ventiquattro in ospedale e come padre sono un tale fallimento! Finisco sempre per deluderti!”

Julian si mette seduto del tutto, facendo attenzione a non tirare la flebo, e abbozza un sorriso.

“Tu non mi deludi affatto papà!”

La sua protesta tuttavia suona come un perdono troppo affrettato.

È come se non abbia più grandi aspettative e le delusioni e la malinconia non gli tolgono dignità ma lo maturino.

Il suo Julian sta crescendo !

È in quell’età in cui ha ancora poco da raccontare e tanto da vivere.

“Anche io commetto tanti errori con te e la mamma, papà. Non sono stato sempre un figlio esemplare!”

Riconoscere i propri errori è il primo passo su una strada di responsabilità e cambiamento: la chiave di svolta.

Gregory allunga la mano e prende tra le sue le dita tremanti del ragazzo.

“Insieme forse possiamo fare grandi cose!”

Stavolta il sorriso di Julian è sincero e leale e una luce birichina torna a risplendere nei suoi occhi. Si porta una mano al petto con un gesto teatrale.

“Allora basta delusioni da ora in poi. È vero che aprono gli occhi ma chiudono il cuore!”

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Capitolo 17
*** Fiori di primavera ***


La convalescenza è un periodo strano: è la fase della malattia che sottopone alla sfida più grande.

È una tappa fondamentale nel processo di guarigione ma si è ancora deboli e fragili e smaniosi di ristabilirsi.

Il giorno delle dimissioni, Julian ha lasciato in ospedale qualche kilogrammo di sé e un paio di ciabatte.

I segni del dolore, invece, se li porta scritti sulla pelle.

Come un fiore di primavera ha messo tante spine intorno a sé per evitare che gli altri vedano le sue debolezze.

Soltanto una persona delicata e preziosa come Amy è capace di valicare quest’esistenza da derviscio che Julian si è imposto di condurre in questo periodo di guarigione; solo lei è capace di accarezzare le sue fragilità, di prenderle per mano e promettergli che andrà tutto bene, nonostante tutto.

Dal canto suo, Julian si sta dimostrando più duro del ferro e più solido della roccia ma tutti sanno che prima o poi abbasserà le difese.

E in quel momento di vulnerabilità, cadrà.


I due ragazzi passano quasi tutti i pomeriggi insieme scoprendo nuove letture o nuovi film, prevalentemente commedie, da guardare insieme.

Oggi la voce nasale del telecronista è un ronzio che riempie di parole un sonnolento pomeriggio d’inizio estate, le immagini di una festa in campo e di un trofeo che svetta tra ragazzini euforici sono vivide e tridimensionali.

Un trionfo che appartiene ad altri.

Un mondo che Julian è costretto a guardare su un display.

E quando sullo schermo appare Oliver Hutton, così pieno di vita, non costretto a colmare la distanza tra sogni e realtà, a rimandare la sua felicità; la linea sottile delle labbra di Julian è agitata da un lieve tremito che sembra in accordo con il battito del suo cuore e le vibrazioni della sua anima.

Un’energica rabbia iniziale lascia spazio alla frustrazione sarcastica nell’attimo stesso in cui sferra un pugno impotente contro il bracciolo imbottito della poltrona.

Un rumore di vetro rotto che si infrange sul parquet spezza il silenzio e riscuote Julian.

Si vergogna della sua reazione appena scorge Amy imbambolata in mezzo alla stanza, come sotto l’effetto di un qualche sortilegio.

Sarebbe stato molto meglio restare chiuso nel proprio guscio, in sé stesso.


In realtà, passato lo shock iniziale, la ragazzina è quasi sollevata da quello scatto d’orgoglio che dovrebbe destare Julian e fargli finalmente alzare la testa.

Non gliene ha mai parlato, disposta a concedergli i suoi tempi, ma quest’abulia, questo trascinarsi dal divano al letto che dura ormai da giorni, iniziava a preoccuparla davvero.

Con la testa piena di pensieri ma con una leggerezza nuova quando lui le ha chiesto di prendere qualcosa di fresco in frigo, si è messa persino a canticchiare un motivetto allegro mentre riempiva due bicchieri di succo di frutta.


“Mi dispiace, non volevo spaventarti!”

La frase le riecheggia nelle orecchie come un eco. Doveva e voleva essere lei a pronunciarla, per accertarsi di non aver arrecato sussulti inutili al cuore di Julian, invece lui l’ha anticipata ed è già chino accanto a lei per aiutarla a raccogliere i cocci.

“Lascia, faccio io!”

Amy lo guarda come guarderebbe sul pavimento i frammenti di quelli che, fino a pochi secondi fa, erano due bicchieri di cristallo.

Come se fosse rotto.

“Julian…”

La voce di Amy è lontana, come se provenisse da un universo parallelo, allunga una mano e sfiora il gomito del ragazzo sperando che questo basti a riportarlo alla realtà.

Basta uno sguardo perché lui vacilli, quella mano tesa perché crolli come una piramide di fiammiferi.

“Perdonami Amy. Ho avuto uno scatto di nervi ma non è giusto che gli altri possano giocare mentre io sto qui a fare il malato!”

Questa confessione candida e sincera è un contropiede che Amy non si aspettava e le scatena dentro un’ondata di emozioni a cui non ha il coraggio di dare un nome.

Stupiti da tanta audacia tardano a reagire.

Amy fa per allontanare la mano ma Julian, con la spontaneità dei bambini quando vogliono una carezza, se l’avvicina al viso e l’appoggia contro la sua guancia calda e liscia.

Quel gesto lo sorprende ma lo rassicura allo stesso tempo.

Questa volta lei non si ritira nel carezzargli la pelle in una sconosciuta ed esaltante passeggiata con le dita. “La mia autostima si è sbriciolata come un biscotto friabile!”

Quella battuta inattesa, non da Julian, strappa quasi una risata ad Amy.

“Beh i biscotti friabili sono i miei preferiti!”

Entrambi sono sconcertati ma incantati da quest’ atmosfera da serra, da un’intimità nuova difronte alla quale non fuggono.

Fiori di primavera. Coriandoli colorati .

Una risata sincronizzata crea una situazione di complicità in cui è facile spogliarsi di ogni remora e lasciarsi andare.

D’impulso le labbra di Amy schioccano lievi e morbide sulla fronte larga di Julian.

Un casto bacio d’affetto. Milioni di universi che nascono e muoiono nel contatto tra la loro pelle.

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Capitolo 18
*** La strada verso casa ***


Le strade di Tokyo sono un caleidoscopio di effetti architettonici: palazzi a strutture triangolari, prismi a vetri e piramidi rovesciate dalle pareti traslucide.

I marciapiedi dai colori sgargianti sono territorio delle tribù di giovani che si riversano a fiumi nelle vie, corridoi di piccoli negozi.

Andy dribbla la folla con una specie di gimkana e aumenta il passo.

Percorrere la strada verso casa non l’ha mai messa così di buon umore.

Il suo sorriso sembra traboccare freschezza, un ritorno di serenità.

In effetti stamattina doveva discutere una nuova vertenza in tribunale ma la controparte ha nominato un legale di buon senso con il quale è riuscita a trovare una soluzione in cinque minuti.

Andy Fletcher ama il suo lavoro: non esiste routine e di conseguenza anche il rischio di annoiarsi è basso. Come avvocatessa ha conosciuto un sacco di persone, ognuna con una propria storia, che l’hanno messa davanti alle loro vite con fiducia e completezza.

Ha raccolto molte confidenze come farebbe un frate con i peccati.

Toccare così da vicino le miserie umane le ha permesso di vedere le cose sotto diversi punti di vista.

Sorride adesso pensando che, per lei, il pessimismo è sempre stata una specie di deformazione professionale.

Per lavoro ha abituato la sua mente a pensare in negativo e ha quasi finito per rovinare la sua vita privata.

Non è facile ma mentre Julian prosegue nelle sue terapie, in questo momento di incredibile vulnerabilità per tutta la famiglia, si è imposta di sostenerlo con un misto di fiducia e ottimismo.


Nel vialetto segue la linea definita su un tappetto d’erba in cui avanza senza fermarsi: la speranza dilata il tempo e il presente le sembra una promessa così perfetta da farle sentire dentro una spinta verso il futuro.

Le chiavi si muovono sul palmo della sua mano, trovano la toppa tremanti e il profumo di casa la investe.

Entra e si preme una mano sulla bocca, inorridita dalla scena che si trova difronte.

E allora si rende conto di essersi solo illusa di essere forse riuscita a sfuggire finalmente a quell’ombra che minaccia la loro serenità.


Julian è in ginocchio sul pavimento, accovacciato su sé stesso.

L’istinto di protezione, sempre pronto ad intervenire, in un primo momento fa credere a sua madre che abbia un malore.

Ma quando nota le spalle sconquassate dai singhiozzi, in qualche angolo profondo di sé Andy avverte una punta di dolore.

Un dolore primordiale, ignoto, che appartiene a tutte le mamme.

“Julian!”

Lui la fissa con gli occhi sgranati, gonfi e rossi di pianto, svelandosi fragile e indifeso.

Un insetto dentro un bicchiere.

Una cicatrice che eclissa definitivamente il buonumore e la positività di Andy.

Posa a terra la borsa e scatta in avanti, si china verso il figlio e lo avvolge in un abbraccio impacciato, disperato, completo.

Un abbraccio nel quale il ragazzo si rifugia in silenzio. Vuole restare così, senza suoni se non quelli interiori: dei pensieri, del battito del suo cuore difettoso, del respiro.

“Cosa ti è successo, tesoro?”

Tocca ad Andy scavare nelle zone più profonde di Julian, alla ricerca di risposte nel suo maldestro tentativo di ascoltare e trasformarsi in una speleologa dell’anima.


“Sono stanco. Stanco di pianificare nella mia testa cose che non succederanno mai, di programmare una vita che non vivrò mai perché quel futuro che sogno non esiste.

Come posso illudermi di diventare un grande calciatore? Guardami! Sono inerme, senza scampo, inutile…”

Quello di Julian non è soltanto uno sfogo, un lungo e inevitabile sospiro, ma anche un appello perché i suoi genitori non lo lascino solo ad affrontare un momento tanto delicato.

Non riesce più a chiudere le emozioni in scatole mentali, anzi si aggrovigliano e si mischiano come i fili sul fondo del cestino da ricamo della nonna.

Un unico pensiero, un unico filo, invece si stringe intorno al cuore di Andy: vuole essere una madre all’altezza del compito.

“Molte persone non sanno ciò che vogliono nemmeno da adulte. Tu sei diverso Julian, nel profondo lo sai, sei solo terrorizzato dall’idea di perdere tutto.”

“E se dovessi restare schiavo del mio cuore, della sua ribellione e dei suoi divieti?”

“Suvvia non è da te abbatterti in questo modo! Il peggio è alle spalle e, da quanto hai dimostrato negli ultimi tempi, non ti sei arreso con tanta facilità difronte a nessun avversario. Sei un ragazzino coriaceo, uno d quelli che vende cara la sua preziosa pelle!”

Julian ride, un riso tra lacrime strozzate, segno che la tempesta si va placando e si scioglie dall’abbraccio di sua madre.

“Mi sento così stupido a piangere come un bambino!”

Si stropiccia gli occhi con le mani per asciugarli ma Andy lo ferma.

“Non asciugare le lacrime. Bisogna lasciarle scendere, come la pioggia. Prima o poi si stancheranno.”

Lui le rivolge uno sguardo serio e profondo, in cerca di quelle rassicurazioni che soltanto una mamma può dare.

“E prima o poi mi stancherò di soffrire?”

Adesso il viso di Andy ha il fascino discreto di uno sguardo aperto, di occhi luminosi e di un sorriso dolce che non gli rivolgeva da prima che scoprissero della malattia.

La carezza che gli allunga sulla gota umida ha un tocco speciale: un gesto d’affetto ma anche un potente antidolorifico.

“Non farti mai frenare dalla paura dei tuoi limiti, Julian!”

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Capitolo 19
*** La farfalla con le ali d'acciaio ***


Il sole d’inizio autunno inonda il mondo intorno a Tokyo di tepore e di luce; di minuto in minuto cresce sempre più fiero tanto che già si suda come in piena estate.

Fancy Ross esce di casa, arzilla come una scolaretta, profumata vagamente di mandorla, con i capelli che sembrano fiocchi di neve tenuti in ordine da un fermaglio d’argento: la mattina ha sempre una marcia in più, mentre il cambio della sua Herbie inizia a diventare duro e alcune volte non riesce ad ingranare la prima e rimane a folle.

Balza alla guida del suo Maggiolino, fa manovra per uscire in retromarcia dal vialetto di casa e, con le mani aggrappate allo sterzo come se fosse un salvagente, percorre il chilometro e mezzo che la separa da casa di suo figlio Gregory.

Julian la vede svoltare, con la bella testa quasi incollata al parabrezza come se una ventosa la risucchiasse, e sul suo viso imbronciato si allarga un sorriso.

Un sorriso bonario e allo stesso tempo un po' ironico.

“Buongiorno! Salta su Oro di Yamashita!”

Fancy è una nonna un po' sopra le righe, originale e pazzerella come una crazy cake dove tutti gli ingredienti si mescolano direttamente nella teglia.

Quando esce a piedi per il quartiere si porta sempre un paio di cesoie in tasca e non riesce a trattenersi: capita spesso che qualche vicino la trovi a potare a regola d’arte piante e cespugli del proprio giardino, per quanto possa sembrare strano vista l’inflessibilità della nonna quando si tratta della benché remota possibilità che qualcuno si permetta di toccare le sue piantine con un dito.

E così è diventata il guru dei giardini. Degli altri.


Julian apre la portiera dal lato passeggero: è fresco di doccia, con i capelli ancora bagnati e il broncio tipico di un adolescente offeso con il mondo.

Gli occhi di Fancy incontrano quelli del nipote e, per un istante, le sembra fragile e delicato come vetro soffiato.

In altre circostanze lui apprezzerebbe questi viaggi folli con sua nonna, vivace di intelletto e con gli occhi attenti, che gli parla di mondi passati e saggezze antiche.

Oggi però sono diretti in ospedale per una visita di controllo e Fancy sa che ogni parola di conforto in certi momenti è totalmente inutile.

Anzi dannosa.

Meglio il silenzio, far decantare il malumore del ragazzo e magari questo insolito muro tra di loro si abbatterà automaticamente.

Julian cerca disperatamente di non pensare per tutto il tragitto ma dopo cinque minuti di silenzio assoluto, fatto salvo per il leggero sottofondo musicale della radio, è proprio lui a rompere gli indugi.

“Sai nonna, i miei sogni mi sembrano fragili come le ali di una farfalla. Basta il tocco di un bambino dispettoso e loro muoiono!”

È un ragazzo introverso, profondo ed intelligente, e parlare per metafore lo aiuta ad esternare quello che ha dentro.

“Beh piccolo è vero che la felicità è fragile come questo delicato esserino alato ma se la inseguiamo non riusciamo mai a prenderla, se ci mettiamo tranquilli può anche posarsi su di noi!”


L’ospedale è pieno di persone. Persone che accompagnano e non sanno dove guardare, persone che non vogliono essere viste e altre che non vogliono vedere.

C’è chi si dispera e piange, chi è terribilmente preoccupato, chi cerca di nascondere la paura prima di tutto a sé stesso, chi aspetta e chi spera.

E poi c’è l’esercito di chi lavora con uniformi di colori e modelli diversi.

È strano ma adesso che è qui Julian si sente sereno.

Suo padre lo aspetta già nella sala visite del reparto cardiologia: l’ortopedico è a fine turno ma solo le occhiaie lo tradiscono, cerchi violacei che gli infossano gli occhi e gli danno l’aspetto stralunato e un po' assente di quando è dominato da un’ansia che non riesce a governare se non restando perfettamente immobile.

Il Dottor Johnson, che è insieme a lui e ne indovina i pensieri, allunga la mano per un gesto di conforto che gli riesce a metà, anchilosato.

Quando Fancy e Julian appaiono dal nulla, entrambi i dottori scattano in piedi all’istante come soldati richiamati all’ordine.

Mentre la porta si chiude con un click appena accennato, Gregory mima un grazie con le labbra a sua madre. Andy oggi è rimasta incastrata in tribunale e la nonna si è sempre dimostrata una valida sostituta di questi genitori sempre impegnati.


“Ok Julian cominciamo con l’eco-cardio!”

Il Dottor Johnson è precisissimo, scrupoloso, gentile, simpatico e sa sempre come metterlo a proprio agio.

“Benissimo!”

Il ragazzo toglie gli abiti e li poggia su una sedia cercando di mantenere la calma. Suo padre e sua nonna fanno un passo indietro diventando semplici spettatori adesso.

John Johnson lo fa sdraiare su un lettino e fin qui non è difficile. Rimane zitto per tutta la durata dell’esame e, di riflesso, anche gli altri restano muti.

“Va bene, qui è tutto a posto!”

Decreta il Dottor Johnson con un sorriso d’incoraggiamento.

Lo sapeva. Ha fatto lo stesso identico esame qualche settimana fa ma detto dal cardiologo ha tutto un altro sapore.


Si passa ad un altro esame, questa volta per misurare il volume polmonare. Il dottore gli passa il boccaglio dello spirometro.

“Adesso soffia, Julian!”

È buffo: è la stessa frase che si dice quando si soffia sulle candeline della torta di compleanno, sperando che i desideri si avverino.

Lui inspira il più possibile, poi butta fuori tutto a lungo. E anche questa è fatta!

Elettrocardiogramma da riposo: tutto ok.

Si arriva all’ultima stazione di questa via Crucis di visite mediche: l’elettrocardiogramma sotto sforzo.

“Se fossi in un videogioco adesso dovrei uccidere il mostro dell’ultimo livello, giusto?”

Essere spiritosi quando si è sotto stress e segno di maturità e generosità. Forse è una battuta scherzosa ispirata dall’amarezza ma funziona come battuta spezza-tensione anche tra i tre adulti.


Julian sale sulla cyclette, gli attaccano gli elettrodi al petto e comincia a pedalare.

Gregory lo guarda, più stressato di lui.

Il ragazzo pedala determinatissimo.

Il dottore aumenta la difficoltà, i pedali si fanno più duri, il falsopiano si fa salita e Julian spinge, spinge come un dannato: vuole mangiarsi questa salita.

È una sfida contro sé stesso e non sarà certo lei a fermarlo.

Gli manca il fiato e allora capisce: il cardiologo vuole affaticarlo. Giustamente vuole essere sicuro prima di dargli il lasciapassare.

Ci mette ancora più rabbia, ancora più grinta.

È madido di sudore e sul punto di cedere, Fancy sta quasi per urlare che la smettano di torturarlo a questa maniera, e finalmente il dottor Johnson pronuncia le fatidiche parole.

“Tutto a posto!”

È una porzione di sole, un’emozione che Julian, abituato a stare in equilibrio tra angoli e spigoli, non sa gestire.

Quando la vertigine di gioia lo inebria, le braccia di Gregory lo sorreggono e lo avvolgono in un abbraccio esultante.

Guarda suo padre e poi sua nonna e quasi gli scappa da piangere.

“Quindi mi dà l’idoneità?”

È talmente bello che quasi non ci crede.

John Johnson pensa a questo paziente speciale che sembrava una piccola farfalla il cui volo sembrava destinato a durare meno di una stagione. Eppure Julian ha resistito, è cambiato ma è rimasto uguale a sé stesso nell’essenza.

Niente è più lontano dalla polvere di quelle ali di sogni spezzati e dalla cromia di un battito dalla consistenza dell’acciaio.

In questo ragazzo il fragile contiene il resistente.

“Certo che te la diamo!”

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Capitolo 20
*** Io gioco libero ***


Sul campo d'allenamento della Mambo si incontrano, da tempo due mondi. La palla suona jazz: istinto, fantasia e improvvisazione tipici di un certo calcio d'autore.

Dare la palla a Julian poi significa affidarla agli spartiti della musica classica, ai suoi schemi e alle sue tattiche.

Comincia ad imbrunire e la foschia cala sul morbido paesaggio.

Mister Keegan sta applicando la pedagogia montessoriana: zero fischietti o cartellini rossi, l'auto-arbitraggio è pratica quotidiana. Quando il conflitto in campo è inevitabile, mette a confronto i protagonisti della discussione. Se nemmeno così si risolve, si ripete semplicemente l'azione di gioco.

L'importante d'altronde non è vincere ma giocare (tutti lo dicono ma in pochi lo praticano).

Julian lo ha capito durante la partita contro la New Team.

Nei giorni successivi, in ospedale, ha avuto spesso lo stesso incubo ispirano a 2001: Odissea nello Spazio che ha visto quando era ancora troppo piccolo: precipitava nello spazio infinito ed era terrorizzato non perché temesse di morire soffocato ma perché non aveva niente a cui aggrapparsi e continuava per sempre a ruzzolare nel vuoto.


Adesso resta a guardare, da bordocampo, il suo calcio rubato.

Osserva le espressioni dei compagni mentre, semisdraiati sul manto erboso, fanno esercizi di stretching o flessioni sulle braccia. I tratti dei loro volti serbano tracce della purezza dei bambini.

Atmosfera serale, profumo di erba, vociare di ragazzi.

Non dovrebbero essere questi i momenti più felici?

Quel cameratismo giocoso, i sacrifici condivisi, le aspettative comuni.

Il tribunale dei pensieri di Julian diventa sempre più affollato, una sinfonia di color, suoni e profumi che con il suo clangore vibrante gli arriva al cuore per via diretta.

Aspetta l'occasione giusta, seduto su quella panchina che custodisce storie meravigliose, frustrazioni, sconfitte personali, ricordi e promesse mai mantenute.

Quando è arrivato al centro sportivo, è in punta di piedi per non disturbare. Per non inquinare tutto con il volgare desiderio di essere sul campo.

Una farfalla bianca di sera.


Accortisi della sua presenza però i ragazzi anticipano il Rompete le righe e fanno cerchio intorno al loro Capitano festeggiandolo come dopo la realizzazione di un gol.

Dopo la scoperta della malattia di Julian, i suoi compagni sono cambiati. Si aspettano molto da lui e nell'ultimo periodo gli sono stati vicini dandogli la forza di voler tornare. Si sono interessati a lui con un atteggiamento che lo ha fatto sentire benvoluto.

Hanno trovato nella complicità il collante perfetto. L'amicizia li ha uniti e la complicità legati

Prima la Mambo era un gruppo , un aggregato che tirava dalla stessa parte come nel tiro alla fune, adesso sono squadra.

Finalmente sono una cosa sola, un agglomerato unico.

Anche in questo momento hanno poco da dirsi e molto da darsi.

Tocca a Julian parlare con un sorriso che gli va un orecchio all'altro.

"Sono tornato ad essere un calciatore!"

Il capitano è la voce del team perché la squadra ha una voce sola. Si vince insieme, si perde insieme, ci si muove insieme.

Si soffre e si gioisce insieme.

C'è un'esplosione di gioia collettiva a quella notizia. Stephen, Mirko, Henry e a seguire tutti gli altri sommergono Julian di abbracci e di grida di incitamento festose, come se fossero allo stadio.


Mister Keegan lascia a Julian tutto il tempo per farsi sciupare da quelle manifestazioni di affetto nuove che riscaldano il cuore come un raggio di sole.

L'uomo è orgoglioso dei suoi ragazzi che hanno ancora sorrisi da bambini, che stanno diventando grandi come fiori pronti a schiudersi, che riescono a creare questi momenti dolci come zucchero filato.


Smaltita l'euforia, quando dopo aver agitato le mani in allegri saluti i giocatori della Mambo prendono la via di casa, il mister chiede di parlare ancora qualche minuto con Julian a quattrocchi.

Quando entra nell'ufficio dell'allenatore, Julian dilunga un'occhiata inquisitoria all'ambiente come farebbe un agente immobiliare che valuta un appartamento. Sta studiando le grandi finestre cariche di luce, i mobili di design accostati non senza una logica, i quadri di arte contemporanea appesi alla parete, la riproduzione di trofei vinti dalla società posizionate in teche trasparenti.

"Sempre un attento osservatore tu, eh?"

Bypassando la poltroncina di pelle bianca che attende di essere occupata, mister Keegan si siede direttamente sul piano in ebano della scrivania rivolgendo al suo calciatore un sorriso benevolo e invitandolo a mettersi comodo.

"Una qualità che ho sviluppato essendo costretto a seguire la maggior parte delle azioni di giocos dalla panchina!"

Sono troppe parole per un tipo riservato come Julian e allora arrossisce strofonandosi i palmi sudaticci sul denim dei jeans.

Mister Keegan si avvicina al mobile bar, dove tiene una buona bottiglia di Bordeaux per le occasioni speciali, recupera il bicchieri, l'acqua tonica, il ghiaccio e il limone e prepara una bevanda analcolica che il ragazzo non riesce a rifiutare. Anzi quel sorso ghiacciato rompe l'imbarazzo iniziale.

Ha con sé i certificati medici ad attestare la sua idoneità a tornare a svolgere l'attività sportiva a livelli agonistici tuttavia il coach, un uomo alla vecchia maniera, si affida al suo occhio clinico.

"Forse sei ancora un po' giù fisicamente ma hai una grande forza d'animo, ragazzo!"

Simula un brindisi inclinando il bicchiere e si lancia in un monologo appassionato.

"Tu sei un genio Julian. Il genio è quel giocatore che fa star male i suoi tecnici perché non ti aiuta granché quando si tratta di coprire ma quando si tratta di creare è Van Gogh. Durante quella maledetta partita contro la New Team sembravi una farfalla leggerissima che scivolava impenetrabile tra Bob Denver e tutti gli altri lottatori di sumo messi in difesa dagli avversari. Bene quando quella farfalla ha deciso di giocare a calcio di prima e a testa alta, come tu sai fare, la partita si è ribaltata!"

Fa una pausa bevendo un sorso della sua acqua tonica e temporeggia qualche secondo con un sospiro, come si stesse preparando ad aggiungere una postilla sgradevole.

Julian ormai lo conosce abbastanza per sapere che è il preludio a quella nuvola nera che offuscherà la felicità di questo giorno.

"Dobbiamo essere realisti figliolo e tener conto anche di questo tuo periodo di inattività forzato che avrebbe potuto inficiare la tua tenuta fisica!"

"Quando sarà il momento e lei lo riterrà opportuno mi basterà tornare in campo anche soltanto per cinque minuti a partita!"

"Se c'è l'ok dei medici non sarò certo io a sprecare il tuo talento tenendoti in panchina!"

Mister Keegan passa le dita sulla condensa del bicchiere fino a formare un intricato disegno poi osserva il giovane con un sorriso.

"Tu sei il migliore quando non hai la palla perché hai imparato a leggere il gioco. Hai un dominio mentale e tecnico che ti permette di anticipare le mosse dell'avversario tale da fargli compiere scelte controintuitive o addirittura sconsigliabili. Ho visto pochissimi ragazzini, sui campi di periferia, alzare il braccio per chiamare il fuorigioco!

Per questo ho deciso di cambiarti ruolo. Che ne pensi?"

Julian vorrebbe replicare con una battuta, asserire che è ancora troppo giovane per fare l'aiuto allenatore per quanto ne sarebbe lusingato, ma trova inappropriato fare dello spirito dopo un elogio così bello e allora si limita ad annuire e a restare zitto.

"Sul campo sarai l'ultimo baluardo della difesa. Hai i piedi buoni, hai personalità e potrai fare ancora qualche gol. Giocherai libero!"

Nel sorriso di Julian c'è adesso una determinazione nuova e nessuna esitazione nell'accettare quella nuova sfida. Suggella quel patto con una frase che vale più di una stretta di mano.

"Gli attaccanti vincono le partite, i difensori i campionati!"

Anche il mister sorride di rimando, orgoglioso di quel piccolo talento che stanno coltivando alla Mambo.

"A presto allora, Julian. E la prossima volta portati gli scarpini!"

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Capitolo 21
*** L'ora blu ***


Alla luce del tramonto, con due lacci di luce intorno al collo, Amy è ancora più bella. Capelli rosso mélange oro come gli eserciti dei conquistatori, mani piccole, il sorriso leggero, il dono aggiuntivo delle lentiggini, della pelle che cambia con le stagioni: cifrata in messaggi morse, luccica come un camaleonte sotto il cotone sottile.

Così bella, l'incarnato della perfezione, che a Julian, per la prima volta, non dispiace affatto se gli manca il fiato su un campo da calcio. La consapevolezza di essere rimasto da solo con lei, nel centro sportivo, gli provoca una vertigine.

Una vertigine di vita .

La loro è un'amicizia acqua e sapone e non ha nessuna intenzione di rovinarla.

"Che sensibile il sole! Arrossire tutte le sere al momento di tramontare."

Simula una certa spavalderia, un'esplosione di energia dietro cui nasconde un batticuore sconosciuto.

"Julian!" Basta che lei pronunci il suo nome per mettere il mondo di Julian sottosopra.

Ha un profumo che evoca cannella e terra bagnata dopo la pioggia.


Con le mani sprofondate nelle tasche e lo sguardo perso lontano, il ragazzo sembra scrutare quella linea del cielo che sottolinea l'infinito.

Non più confine ma orizzonte

"Una panchina vuota, un solo pensiero e un tramonto: questi sono tutti gli ingredienti che servono per descrivere la malinconia!"

Amy scuote il capo e la sua aria cogitabonda fa da buffo pendant ai capelli spettinati e a quel pallone che tiene stretto fra le braccia come se fosse il suo giocattolo preferito.

"Mi manca una panchina. E mi manchi tu seduta al mio fianco che mi deridi l'anima e la fai rivivere!"

Ci sono momenti in cui le parole scivolano fuori come una pioggia infinita in una tazza di carta. Parole intrappolate nella mente, che si attorcigliano nei pensieri, che magicamente scivolano fuori dalla bocca senza che Julian possa filtrarle.

Solitudine e audacia.

Si è espresso con un certo tono da poeta maledetto.

Amy si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e rimane zitta per non arrossire ancora di più.

Si siede sulla panchina in policarbonato trasparente e Julian prende posto accanto a lei, con un sorriso cortese, come se fosse la cosa più naturale del mondo.


"Giocherò libero. L'ultimo baluardo della difesa. Ho piedi buoni, ho personalità e posso ancora fare qualche gol!"

Forse è un po' egoista nella sua euforia ma sa che nessuno può capire fino in fondo la sua gioia meglio di Amy, la ragazza che ha capito il fuorigioco .

Adesso le sta parlando come se le stesse raccontando la partita di calcio che ha visto in televisione domenica scorsa.

Con una punta di delusione, la ragazza ha la spiacevole sensazione di elemosinare l'attenzione di un amico egocentrico ma si accoda alla conversazione con tono gentile e partecipe.

"Quindi sarai quello che comanderà la difesa, farai da guardia al palo sui calci d'angolo a sfavore e ti metterai come primo di barriera quando alla Mambo verrà fischiata una punizione contro all'altezza del limite dell'area. Continuerai ad azionare il fuorigioco al grido del fantomatico: usciamo !"

Tenta di imitare un vocione da uomo tanto che Julian deve tenersi la pancia dal ridere.


"Mi conosci così bene!"

Esclama Julian, tornando serio e mutando anche l'espressione del viso.

"Ormai per te sono un libro aperto mentre tu sei tutta da scoprire. Un libro chiuso!"

La sensibilità è un dono raro fatto di intelligenza e affettività ed è bello adesso essere al centro del mondo di Julian.

"Mi piace sporcarmi le mani!"

Confessa d'un fiato. Fresca e genuina.

"Eroe o criminale?"

La prende in giro Julian con un'ironia che non ha mai avuto.

"Sporcarmi le mani per un lavoro pulito. Mi piace l'arte, manipolare l'argilla che è un materiale magico."

"Insomma ti piace modellare vasi al tornio come nel film Ghost ?"

"Più o meno. Soltanto che io non sono Demi Moore e non c'è nessun Patrick Swayze per poter replicare una scena tanto sensuale!"

La sua risata sembra sbriciolarsi in migliaia di frammenti che si sparpagliano qua e là.


"In questi ultimi mesi mi sono sentito come un gigante dai piedi d'argilla, come una statua che si sgretola alle prime frustrate di vento…"

Inaspettatamente Julian accentra di nuovo l'attenzione su di sé, con un sorriso malinconico.

Egoista, egocentrico, narcisista.

Viene da pensare ad Amy.

In realtà, in campo, Julian è il migliore quando non ha la palla perché sa leggere il gioco. Il suo dominio mentale e tecnico si traduce nella capacità di anticipare le mosse dell'avversario.

"Se penso a qualcosa felice, anzi a qualcuno di felice, a cui tengo e non voglio perdere perché mi ha fatto star bene nelle ultime settimane, capisco che non c'è nessuno più importante di te nella mia vita, Amy!"

Come un flusso di coscienza, come una scivolata a gamba tesa, i due ragazzi sono adesso intrappolati in un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: cielo, terra, aria…

Si potrebbero immaginare tutte lì le parole non dette, a sfiorarsi tra di loro, adagiate su una curva da cui sperano di essere cullate.

In fondo non c'è silenzio che, a suo modo, non si aspetti di ricevere attenzione.

Un soffio caldo sulla faccia e poi le labbra di Julian posano con decisione sulle sue.

I loro cuori battono all'unisono nell'attimo in cui giorno e notte, che sempre litigano e non sono fatti per stare insieme, si toccano. L'ora blu.

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Capitolo 22
*** Una famiglia quasi perfetta ***


Julian è così elettrizzato che gli sembra di toccare il cielo con un dito, l'emozione è tanta che gli occhi non si vogliono chiudere: la tensione per il suo ritorno in campo, nell'imminente spareggio contro la Toho di Mark Lenders, prende il sopravvento sul sonno e allora mette su le sue cuffie magiche .

Se la sua vita fosse una canzone, in questo momento, sarebbe un intero album.

La musica è l'ultimo suono della notte e, come per incanto, lo addormenta. Sogna tante cose belle perché forse è vero che quando si è felici si sognano cose meravigliose.

Gli sembra di essere in un'altra vita reale. L'unico lato negativo è che magari ti svegli sul più bello, magari eri ad un attimo da una grande felicità e all'improvviso apri gli occhi e tutto svanisce.


Quando si sveglia, il sole splende come vetro liquido. Dopo giorni di pioggia si preannuncia una bella e calda giornata.

Quasi profetica. Perfetta.

Raggiunge Andy che è distesa su una sdraio sotto il patio, un romanzo in grembo e una mano a schermarsi gli occhi con la sua espressione di inflessibile dignità.

"Buongiorno mamma!"

Il tono di Julian è diverso, quasi cadenzato da una felicità impalpabile come fumo, tanto che la donna resta qualche secondo sospettosamente in silenzio quasi che potesse sentire il cigolio degli ingranaggi del suo cervello.

Inaspettatamente Julian le schiocca un bacio sulla guancia.

"Posso confessare che è bello vederti così di buonumore? Non ricordo l'ultima volta che ti ho visto così...allegro!"

Andy è una donna poliedrica: è stata psicologa, custode e guardiana ma mai madre, neanche quando le barriere si abbattevano e le speranze erano al massimo.

Il ragazzo sorride di quella diagnosi gratuita.

"Forse è il sole a rendermi più felice di qualsiasi medicina!"

L'aria porta con sé il calore di una splendida giornata, un gioco di luce abbaglia Andy che si mette seduta e si riappropria degli occhiali da sole da anni da dolce vita .

"Tanto tempo fa, il cinque maggio, mi ritrovai in un villaggio fuori da Tokyo. Un paesaggio antico,basso e verde, con boschetti e ruscelli. Il suolo era così piatto che sembrava essere stato strigliato.

Su alte aste di bambù accanto a gran parte delle case grosse carpe di carta fluttuavano nell'aria controvento come se nuotassero controcorrente."

" Koinobori . La giornata dei bambini!"

Osserva Julian con un sorriso fresco come un ghiacciolo alla menta. Non sa perché la mamma gli stia raccontando quella storia ed è curioso di scoprirlo.

"Sai perché le carpe? Perché sono pesci che nuotano controcorrente così come i figli, in futuro, dovranno nuotare contro la corrente della vita!"

Questa è Andy: non è avvezza a smancerie o a riempire di baci e carezze ma, nei momenti che contano, sa coccolare a parole.

Julian ci mette qualche istante per assimilare quel dono grande prima di fare la sua richiesta con un tono che non ammette repliche.

"Stamattina voglio fare colazione insieme a te e papà. C'è una cosa importante che vorrei dirvi!"


Gregory è ingabbiato in quella che funge da biblioteca della casa. Gli piace leggere all'alba.

È il momento migliore in compagnia del sole. Forse è un retaggio degli anni di studio, forse fa parte del suo modo di essere, forse è il ritmo della vita che scandisce il tempo.

A Julian piace l'odore della carta stampata, un po' meno quel modello anatomico di scheletro flessibile con legamenti, ossa, colonna vertebrale e articolazioni in bella mostra. Un suppellettile adatto alla casa di un ortopedico!

Perciò si inoltra nelle letture di suo padre con una sorta di timore reverenziale.

"Vieni avanti, Julian! Vuoi prendere qualche libro?"

"Voglio parlare con te!"

Avanza con determinazione ritrovata. Suo padre si sfila gli occhiali da lettura e incrocia le braccia pronto ad ascoltare.

"Papà hai presente quando ti sembra che vada tutto alla perfezione?"

"Beh è bene o male quello che penso io subito dopo aver mangiato i peperoni. Subito dopo aver mangiato i peperoni va tutto bene. Il problema viene dopo: inizio ad avere rigonfiamenti strani, crampi, giramenti di testa…"

Potrebbe sembrare un esempio sconclusionato ed incoerente, strano, invece è il modo di Gregory per far sapere a suo figlio che lo capisce.

La sua fase post-peperoni somiglia alla fase post-operatoria di Julian.

Il ragazzo lancia un'occhiata carica di disgusto al modellino anatomico, scansandosi il più possibile.

"Questo scheletro mi inquieta. Mi dà la sensazione di aver camminato sull'acqua per mesi e, peggio ancora, dover continuare a farlo. Un'acqua lucida e setosa come il laghetto dove mi portasti una volta a pescare. Un'acqua abbastanza forte da reggermi e abbastanza opaca da impedirmi di vedere cosa ci sia veramente sotto!"

Gregory si alza facendo strisciare la sedia sul pavimento, raggiunge il figlio mettendogli paternamente una mano sulla spalla.

"L'incertezza è l'unica certezza che abbiamo, figliolo!"

Julian resta con il capo chino a fissare l'intreccio di vene azzurrine sul suo braccio.

"Papà come fa il cuore, un muscolo tenero e indifeso, a creare tutti questi problemi?"

Sembra un bambino nella fase dei perché e Gregory lo guarda con tenerezza perché sa che ha soltanto bisogno di essere rassicurato.

"Il cuore non è un muscolo debole, Julian. Anzi io credo che il cuore sia un osso ."

Quell'opinione controversa, scioccante, da abiura per un uomo di scienza e medicina fa inarcare un sopracciglio al giovane.

"Si, un osso duro, al pari di un femore o di una costola. Si rompe il cuore, come tutto il resto!"


Julian voleva riunire insieme i genitori per comunicargli che presto tornerà in campo per giocare una partita ma ha bisogno di tranquillizzarsi, di ridurre le possibilità di pericolo.

"E se il mio cuore si rompesse di nuovo mentre faccio quello che più amo? Se mi tradisse ancora mentre sono sul campo da gioco?"

Non c'è sempre una risposta a tutto ma, sorprendentemente, in quell'attimo la porta si apre ed Andy cammina verso suo figlio. Con il suo abito a portafoglio sembra la donna dal kimono bianco.

Tocca a lei, adesso pronta ad accogliere ogni errore di Julian con un sorriso, ridargli fiducia con una sola parola.

Anzi con una citazione da film.

"C'è un tempo per il coraggio e un tempo per la cautela. Il vero uomo sa come distinguerli!"

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Capitolo 23
*** Van Gogh in campo ***


Il campo da gioco è liscio e verde brillante come un panno da biliardo. Tamburi e voci gracchianti dentro ai megafoni crescono d'intensità; un jingle pubblicitario, una sorta di inno ante litteram, richiama l'attenzione di Julian: è il segnale.

Le squadre entrano in campo e lo speaker inizia a scandire le formazioni. Mentre lui raggiunge il suo posto accanto a Mister Keegan le parole inciampano e si smarriscono.

Si mette subito male per la Mambo e la Toho dilaga con un secco 3-0. Lo sguardo di Mark Lenders è un guanto di sfida che il numero quattordici della Mambo, con il viso arrossato e infervorato ancor prima che l'arbitro fischi la fine del primo tempo, decide di accettare.

Julian Ross si trasforma nella farfalla che decide di giocare a calcio di prima e a testa alta come sa fare. Con il suo stile quasi fatato dei movimenti palla al piede detta i passaggi ai compagni, dà spettacolo.

Trascina la palla e se la coccola, non la lascerebbe andare per niente al mondo. Quando si tratta di creare è Van Gogh.

La partita si ribalta.


La gioia di questo campioncino ritrovato spalanca l'aria e arriva fortissima fino a metà gradinata dove esultano Gregory e nonna Fancy, dove gioisce in maniera più discreta il Dottor Johnson ed applaude anche Amy, in un misto di dolcezza, commozione e preoccupazione.

Tutti gli affetti di Julian sono partecipi in questo pomeriggio di gloria.

Andy non guarda la partita ma il suo bambino che gioca centravanti. È una mamma nel pallone.

"Julian...Non ti fare male!"

Mormora in una muta preghiera quando c'è lo scontro con un avversario (e la farfalla scivola impenetrabile tra i lottatori di Sumo che sono i difensori della Toho).

"Bravo Julian!"

Non si scompone ma quel complimento esce tiepidamente dalla sua bocca quando il figlio sigla la sua personale tripletta.

Il suo cuore di mamma ha un sobbalzo quando, con la squadra ancora euforica per il pareggio, lo vede perdere un po' della sua spavalderia mentre i compagni si gettano si di lui e lo abbracciano forte.

Il cuore di Julian, invece, fa i capricci come a segnalargli un pericolo imminente. Si appoggia un attimo al palo della porta per ritrovare stabilità perché ha la sensazione di stare in bilico, sul ciglio di un precipizio.

Sta male ma si nasconde dietro un sorriso. Un campanello d'allarme risuona nella testa di chi gli vuole bene.


Mentre il Dottor Johnson sta per fare un'invasione di campo, spinto dalla sua coscienza medica e viene trattenuto dalle lacrime di una Amy innamorata, Julian si sente quasi invincibile.

Passata la leggera tachicardia, è pronto a segnare ancora. Nonostante stia correndo già da parecchio tempo e inizi a sentire umanamente la fatica si trova a fare degli scatti o dei giri di campo interi, senza risparmiarsi, come se fosse solo al riscaldamento iniziale.

Mark lo vede scendere sulla fascia e affiancarlo: i due rivali iniziano a sgomitare nella loro persale sfida nella sfida.

Come diavolo farà Julian ad avere tutte queste energie?

Se lo chiede ma tutto in una frazione di secondo; più che chiederselo lo sa, lo sente dentro, ma non può pensarci sul serio. Deve correre, seguire l'azione. Subito.

I suoi piedi non cooperano e si sente come un personaggio dei cartoni animati stilizzato, un folletto bastardo mentre il corpo dell'avversario scivola senza controllo e crolla come un sasso. Come un peso morto.

Julian Ross è a terra, su quel campo che avrebbe dovuto sancire il suo riscatto, la sua rivincita sul destino.

Nessuno riesce a darsi una spiegazione. A conclusione dell'azione di gioco, la partita viene momentaneamente sospesa.

Un po' come tutta la vita da adolescente di Julian.

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Capitolo 24
*** Una famiglia piccola così ***


Il rancore è come bere un veleno sperando che un altro muoia.

Julian è attraversato da un misto di rabbia e frustrazione; come un vino che ha tenuto nel posto più buio e profondo di lui per diversi anni.

Cerca di essere onesto con sé stesso sul suo dolore mentre si concede un lungo riposo sul divano davanti alla tv.

Nel pieno del gioco, non ha compreso subito di essere svenuto in campo: Mark lo ha aiutato ad alzarsi, Stephen lo ha sorretto fino alle panchine e poi la partita è proseguita indifferente al suo destino.

Hanno perso.

La sconfitta, insieme alla rabbia, brucia come un fuoco.

Julian si è spaventato ma sa che tutto quello che gli è successo lo ha provocato lui sottovalutando i tempi di recupero dopo l'intervento.


Dopo gli accertamenti a cui lo ha voluto sottoporre il Dottor Johnson, i genitori gli si sono stretti attorno discreti, circondandolo di un affetto che è parte della sua consolazione.

Non ha potuto fare a meno di sorridere per la bizzarria della figura di Andy con il grembiule infarinato quando si è chiusa in cucina per preparare un piatto che gli tirasse su il morale.

Ha preparato la pasta a forma di lettere e utilizzando il piatto come una scacchiera di scrabble ha compitato le parole mai arrendersi e campione .

"Ci ho provato a non mollare ma è andata male!"

Spiega il ragazzo con un sorriso triste, di resa. Andy è fiera di lui e non vuole più essere troppo cauta per farglielo sapere.

"Allora provaci di nuovo!"

Qualcosa è cambiato. Quella che un tempo era una donna ingessata, statica e poco disinvolta, si sta aprendo come un melograno che al centro delle sue fette mostra un fiore.

"Anche tu sei una mamma con la M maiuscola!"

Julian si avvicina a lei, simile ad un cangurino che vuole entrare nel marsupio della mamma, abbandonandosi ad un abbraccio che sa di miele e di cielo.


Gregory entra in casa insieme a sua madre, come in una piccola processione, e si avvicina a Julian che ha assunto una posizione da dio pagano.

Gli prende il polso per assicurarsi che la pressione sanguigna sia tornata a posto ma il ragazzo si tira indietro, con la stessa espressione di quando, alla fine dell'infanzia, ha iniziato a chiudere a chiave la porta del bagno.

"Va tutto bene Julian! Lo sai che papà è un uomo razionale ma oggi mi hai dato anche tantissime emozioni...Fino ad oggi credevo tu fossi una farfalla con le ali spezzate ma, vedendoti giocare, mi hai trasmesso una sensazione di incredibile libertà. La tua singolare bellezza ha cancellato il terrore che avevo nel profondo di me...Sei una farfalla mimetica che sembra un rametto spezzato da entrambi i lati e alla fine sei Muhammad Ali. Un pugile che vola come una farfalla ma punge come un'ape"

Papà non è perfetto ma ha tirato fuori delle parole che hanno bussato dritto al cuore di Julian e saranno fonte della sua ispirazione, correggendolo bonariamente, nei suoi errori di fraseggio con il pallone.

"Il mio papà poeta verrà a vedere la mia prossima partita?"

"Certo! Anche se c'è il rischio che l'infarto lo farai venire a me!"


Fancy è stata spettatrice di questi attimi di famiglia così teneri e delicati che ha avuto paura di sciuparli soltanto nel respirare.

Adesso però è il suo turno di fare scorpacciata di coccole perché anche lei è parte di questo confine d'amore che sta iniziando a somigliare ad una famiglia unita e affiatata.

Ha portato in regalo al nipote il poster del suo pilota di formula uno preferito.

Julian sorride indulgente.

"Nonna io e l'automobilismo centriamo come i cavoli a merenda!"

Il suo Achille: l'eroe fragile, vulnerabile!

"Mi piace guardare le corse di uomini che hanno la velocità nel cuore perché l'adrenalina è tanta, fino all'ultimo giro. Proprio come oggi quando, con te in campo, il risultato è stato incerto fino all'ultimo minuto. I numeri possono diventare emozione, Julian...E oggi vedere il numero 14 sulla tua schiena mi ha fatto girare la testa e provocato quel vortice allo stomaco che è emozione pura!"

Fancy si asciuga gli occhi umidi con il dorso della mano, quindi la tende ad afferrare quella che gli porge Julian.

"Andiamo ad affiggere questo poster in camera mia? Magari vicino a quello di Johan Cruyff!"

Il rancore, il vino che era prima dentro di lui sa adesso di aceto.

Nonna e nipote si muovono insieme ad un ritmo leggero e deciso allo stesso tempo. Sembra ballino un'antica danza fatta di feeling e di una sintonia che si allarga sempre più quando incrocia i sorrisi di Andy e Gregory, che hanno superato gli ostacoli, nel loro movimento di crescita e cambiamento.

Sono una famiglia piccola così ma con un sogno grande da realizzare.

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Capitolo 25
*** Il filo della vita ***


Julian ha raggiunto un'armonia a tutti i livelli. La felicità che prova in questo momento è un mix di equilibrio e ordine.

Lui è come quei brani musicali fatti di fraseggi lunghi, che solo dopo lunghi giri, ritornano alla tonalità fondamentale; infatti il suo percorso di crescita ha compiuto un semicerchio fatto di dissidio interiore, dubbi ed errori.

Il dolore e le esperienze amare sono stati potenti fertilizzanti per formare l'uomo che sarà in futuro.

La negatività che lo ha accompagnato per troppo tempo è scomparsa come fumo dissolto dal vento.

Andrà in Europa!

Contro ogni aspettativa, contro ogni speranza, si sta riscattando scrivendo un destino diverso.

Quando è arrivato quel telegramma di convocazione nella Nazionale giovanile tuttavia è stato colto da un'ansia fortissima che gli ha fatto provare le sensazioni di studente che deve sostenere un esame e pensa di non essere preparato.

Sa che per vincere le sue paure ci vogliono testa, cuore e gambe.


Poiché hanno la fortuna di avere sul retro della casa un giardino a prato basso con un bel gazebo, per festeggiare la fine di un periodo da incubo e celebrare il primo importante passo del loro campioncino in erba, i genitori hanno organizzato un picnic semplice ma strepitoso.

Sono stati invitati tutti i ragazzi della Mambo (i nuovi amici di Julian) e ha vinto lo stile rustico con tovaglie a quadri, cestini di vimini e cuscini per stare più comodi.

Ovviamente non può mancare il pallone e una partita improvvisata in cui, tra la goliardia generale, Stephen finisce per giocare a piedi nudi.

" Abebe Bikila, il maratoneta scalzo !"

Julian è un impressionista quando tira fuori le sue chicche, le sue perle di cultura. Poi il suo sguardo adulto torna ad essere lo sguardo di un bambino sul viso bello e luminoso arrossato dalla corsa.

"Questa è la tua faccia da gara Capitano?"

Lo provoca scherzosamente Mirko, cercando di rubargli palla.

Julian si muove con naturalezza, non ha il fiatone ma, dopo cinque minuti, chiede una tregua.

"Stai bene, Julian?"

Il primo pensiero degli amici è che sia il suo cuore a fare rumore . C'è un fondo di verità, ma in senso lato ed è Henry a dargli voce.

"Corri, corri dalla tua bella che qui ti copriamo noi! Alla Mambo ormai il nostro motto è uno per tutti, tutti per uno ma chissà se Freddy Marshall sarà così flessibile con i latin lover della sua squadra in Europa..."


Gli sfottò all'amico innamorato sono una novità sia per Julian che per Amy e, infatti, per la prima uscita in pubblico si sono comportati per quello che sono: due ragazzi innamorati alle prime armi.

Il giovane cerca di trarsi d'impiccio ad occhiate eloquenti mentre si allontana dal resto del gruppo che va avanti con i suoi incitamenti non troppo velati che scatenano risate divertite da parte loro e una risatina nervosa da parte di Julian.

"Oggi si stanno comportando proprio come un branco di scalmanati!"

Obietta con disappunto e un pizzico di timidezza Amy, sollevando gli occhiali da sole a fermare i capelli sulla fronte. Julian si inginocchia sulla coperta da picnic accanto a lei e le prende una mano.

"Guarda che è un gesto molto serio... Il nostro pubblico potrebbe fraintendere!"

Sta al gioco lei mentre i lineamenti del suo viso si tendono.

"Pensino pure quello che vogliono, non m'interessa! L'importante è adesso, Amy. L'importante è che ti amo!"

Due parole, cinque lettere, un mondo intero che la colgono di sorpresa e le scatenano dentro una tempesta di emozioni.

C'è un solo modo per rispondere, senza parole. Senza paura, senza tabù.

Un bacio.

Un bacio a fior di labbra.

Un bacio lungo e caldo di quelli che fan tremare le gambe.

Un olio su tela di Klimt

Con le mani di Julian che cingono la schiena di Amy come in un incantesimo e le piccole mani di lei che scivolano e si adagiano sul petto del ragazzo che ama.

Su quel filo malato all'interno del cuore curato da un chirurgo mentre un altro filo veniva riannodato in una bellissima storia di sport e di vita.

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