Punk & Jerk - Moments of our life

di Dida77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The mission end ***
Capitolo 2: *** The fear of my days ***
Capitolo 3: *** Quotidianità ***
Capitolo 4: *** Paparazzi ***
Capitolo 5: *** Belva feroce ***
Capitolo 6: *** Lullaby ***
Capitolo 7: *** A birthday gift ***
Capitolo 8: *** Poveri diavoli ***
Capitolo 9: *** Prugne ***
Capitolo 10: *** Memories ***



Capitolo 1
*** The mission end ***


 
Questa storia la dedico a ChiaFreebatch e Miss Rossange Stucky, grandi amiche (ormai lo possiamo dire, vero?) e colpevoli di aver dato il via a questa raccolta.
La storia è nata su ispirazione di questa splendid fan art di Petite Madam.
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Avevano deciso di fermarsi a mangiare qualcosa prima di tornare all'Avengers Tower. La battaglia era stata dura, difficile, e solo per puro miracolo ne erano usciti tutti sulle proprie gambe.


Quindi perché non festeggiare? L'idea era stata di Tony (e 
di chi altro poteva esser stata?), ma alla fine erano stati tutti d'accordo.

Avevano trovato una tavola calda aperta a quell'assurda ora di notte, piuttosto accogliente a dire il vero. Si erano seduti sulle panche imbottite e avevano ordinato molto più cibo di quanto sarebbero riusciti a mangiarne.

Bucky era seduto vicino a Steve, alla sua sinistra per esser precisi, le cosce che si toccavano, le caviglie intrecciate. Mangiavano hamburger e anelli di cipolla con una sola mano, in modo da poter tenere l'altra intrecciata a quella del compagno sotto il tavolo. Non che la loro storia fosse un mistero per qualcuno, ma diciamo che era un retaggio di quando ancora certe cose non potevano esser fatte in pubblico.

Le chiacchiere attorno al tavolo uscivano lente, rilassate, senza che nessuno si preoccupasse troppo dei minuti di silenzio che a volte cadevano sul tavolo. Troppo stanchi per preoccuparsene. Il braccio di Steve si spostò dietro la schiena del compagno, facendoselo più vicino nel tentativo di scacciare dalla sua mente la paura di perderlo di nuovo che ogni missione portava inevitabilmente con sé.

Bucky si lasciò tirare dolcemente verso di lui. Appoggiare la testa sulla sua spalle fu un riflesso incondizionato, mentre la mano di Steve si muoveva pigra su e giù lungo la sua schiena con un movimento rilassante che lo accompagnò alle soglie del sonno. Piano piano le parole scambiate attorno al tavolo non furono più così importanti, gli anelli di cipolla persero progressivamente di interesse, mentre nella mente di Bucky non restava spazio che per quelle carezze leggere.

Senza che nessuno se ne stupisse, la mano di vibranio si aggrappò dolcemente alla divisa di Steve, mentre l'ex soldato di inverno si lasciava vincere lentamente dal sonno.

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Capitolo 2
*** The fear of my days ***


Dopo che l'ultimo colpo fu esploso cadde il silenzio all'interno della vecchia fabbrica dismessa che fungeva da quartier generale dell'Hydra.

Per un attimo Steve riprese fiato dopo l'estenuante battaglia che era stata necessaria per catturare (o uccidere) fino all'ultimo uomo di quella cellula scoperta solo ventiquattro ore prima.

Un attimo soltanto prima che un pensiero gli martellasse nella testa e gli stritolasse lo stomaco con una morsa gelida.

Bucky.


Lo aveva visto non più di dieci minuti prima, alla sua sinistra a coprirgli le spalle, come sempre. Poi il fuoco nemico li aveva costretti a separarsi e da allora non lo aveva più visto né sentito.

C'era solo Nat accanto a lui, piegata in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia e il fiato corto. "Bucky?" Chiese Steve con il filo di voce che gli era rimasto e lo sguardo preoccupato. Nat non rispose, limitandosi a fare segno di no con la testa, che non lo aveva visto.

Il panico gli scoppiò improvviso nel petto, bloccando il respiro nei polmoni e facendo girare per un attimo la testa.

'"Steve?" Sentì chiamare qualche secondo dopo da dietro le casse di legno che gli bloccavano la visuale a sinistra. Giusto il tempo per appoggiarsi nel tentativo di fermare il capogiro.

Udire la voce di Bucky, seppur allarmata e con il fiato corto, permise all'aria di passare di nuovo. Quando lo vide sbucare da dietro le casse, tutto intero e sulle sue gambe un paio di secondi dopo, non riuscì a fermare l'enorme sospiro di sollievo che gli uscì dalle labbra.

"Cretino" gli sussurrò contro il collo abbracciandolo forte.

"Imbecille" fu la risposta, pronunciata dall'altro con un enorme sorriso sulle labbra che scaldò il cuore di Steve, oltre altre cose un po' più in basso...

"Su, andiamo a casa. Per oggi abbiamo fatto abbastanza." Continuò senza mollare la presa attorno alla spalla del compagno e incamminandosi con lui verso il quin jet.

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Capitolo 3
*** Quotidianità ***


A Bucky piaceva fare la spesa, andare al mercato, girare lentamente tra le bancarelle per trovare quella con la verdura migliore, per confrontare i prezzi come se dovessero ancora contare fare i conti con le ristrettezze economiche della loro giovinezza.

Steve lo seguiva volentieri, portando le borse della spesa e dando qualche consiglio qua e là.
Ma la cosa che più gli piaceva era rimanere qualche passo indietro e guardarlo da lontano mentre si riappropriava di quella vita che gli avevano strappato.

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Capitolo 4
*** Paparazzi ***


"Steve, guarda cosa ho trovato? Ti ricordi quando ce l'hanno scattata?" Bucky sventolava sotto il naso del compagno una vecchia foto in bianco e nero uscita da una delle scatole in fondo all'armadio che si era impuntato di voler riordinare.

Un lieve rossore coprì il volto di Steve (in fondo certe cose non sarebbero mai cambiate).

"O mamma, certo che mi ricordo... Pensavo che Dum Dum spaccasse il naso a quel povero fotografo. Alla fine lo convincemmo a lasciarlo andare e lui se ne andò spaventato, lasciando a noi il rullino delle foto scattate. Lo avevo dimenticato chissà dove... L'ho ritrovato in quella vecchia scatola che Fury mi ha consegnato dopo che mi hanno scongelato e dopo un po' mi sono deciso a farlo sviluppare. Questa era l'unica foto che ci riguardava. Non sono riuscito a incorniciarla però, faceva troppo male in quel momento. Poi ti ho ritrovato e non c'ho più pensato." Continuò Steve imbarazzato.

"Mi mancano i ragazzi." Sussurrò Bucky dopo un po'. "Non sarebbe dovuta andare così. Avremmo dovuto festeggiare la fine della guerra tutti insieme."

"Mancano anche a me Buck. Ci hanno sempre coperto le spalle, non erano i tempi giusti per una storia come la nostra... Erano dei buoni amici..."

"Ti va di incorniciarla adesso?" Gli occhi di Bucky si erano velati di lacrime.

"Certo che mi va, se ti fa piacere. Possiamo uscire a comprare una cornice anche adesso, se vuoi."

Dopo nemmeno cinque minuti uscirono in strada, mano nella mano, mentre il sorriso illuminava di nuovo lo sguardo di entrambi. Cercare la cornice adatta sarebbe stata l'impresa della giornata.

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Capitolo 5
*** Belva feroce ***


"Steve sono tornato." urlò Bucky rientrando in casa. "Dove sei?" chiese quando non udì risposta.

"Di qua, Buck. In sala." Una risata repressa nella voce mise Bucky sul chi vive. Un battere veloce, sordo e ripetuto, aumentò il suo livello di allerta.

Una volta varcata la porta della sala uno Steve tutto soddisfatto lo guardava dal divano mentre un cucciolo di labrador lo guardava festoso sbattendo veloce la coda sul morbido tappeto verde. Uno strano nodo di impossessò della gola di Bucky, impedendogli di proferire parola per una manciata di secondi, mentre gli occhi si velavano di lacrime calde. Guardò Steve con aria interrogativa, timoroso di aver capito male cosa significasse quel cucciolo nel mezzo alla sala.

Steve sorrise di rimando, un veloce cenno di assenso con il capo. "Sì, Buck, è tuo."


"Nostro." Rispose l'altro in un sussurro mentre si chinava e permetteva al nuovo arrivato di leccargli la mano.

"Aggiudicato. Nostro. In fondo sono più di cento anni che parliamo di prendere un cane. Mi sembrava fosse il momento adatto."

"Lo sai che ti amo, vero?" Disse ridendo mentre il cucciolo si era fatto più audace e aveva iniziato a leccargli la faccia.

"Certo che lo so, scemo... Dai vieni qua, cerchiamo un nome per questa belva feroce." Disse battendo la mano sul divano per invitarlo a sedersi sul divano accanto a lui.

"Cosa ne pensi di Lucky?"

"È perfetto. Vada per Lucky." Sussurrò Steve contro la sua tempia dopo averlo stretto in un abbraccio.

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Capitolo 6
*** Lullaby ***


 
Steve si trovò sdraiato sul letto a guardare il soffitto, con Bucky addormentato tra le braccia, la testa appoggiata sul suo petto e un braccio attorno alla sua vita. La mano di Steve indugiava tra i capelli del compagno, muovendosi piano in una carezza leggera che provocava qualche gemito languido dalle labbra di Bucky. Un sorriso dipinse le sue labbra mentre piano piano si abbandonava anche lui al sonno.

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Capitolo 7
*** A birthday gift ***


Quella mattina Steve si era alzato presto come al solito. La corsa mattutina era diventata una consuetudine alla quale, però, Bucky non aveva mai ceduto. "Non ho assolutamente nessuna intenzione di alzarmi all'alba per venire a correre" gli rispondeva tutte le volte che lui faceva un tentativo per andare a correre insieme. Così lui si alzava, mentre il compagno si faceva ancora un'ora e mezza di sonno, rannicchiato tra le coperte e i cuscini che portavano ancora il loro odore.

Ma quella era una giornata speciale e Steve si era fermato al loro forno preferito per comprare i croissant appena sfornati, prima di risalire le scale e farsi una doccia. "Due croissant, Carlo, alla crema" aveva ordinato. "Anzi no, facciamo tre." Per una volta poteva assecondare la golosità del compagno, pensò con il sorriso sulle labbra: era la giornata giusta per essere indulgenti.

Una volta salite le scale, aprì la porta facendo attenzione a non fare rumore e si diresse verso il bagno nel modo più silenzioso possibile.

Aveva ancora l'accappatoio addosso quando si affacciò alla porta di camera. Bucky dormiva ancora, ma Steve sapeva che era ormai una questione di minuti prima che si svegliasse. Da lì all'alzarsi, però, c'era molta differenza. Bucky poteva rimanere per ore intere a oziare sotto le coperte e in mezzo ai cuscini godendosi le lenzuola di raso di cotone che anche Steve aveva iniziato ad apprezzare una volta arrivato nel ventunesimo secolo. Scosse la testa sorridendo tra sé e si mosse verso la cucina per preparare il caffè.

"Bucky..." lo chiamò sotto voce alcuni minuti dopo, mentre appoggiava il vassoio con le due tazze di caffè e i croissant sul comodino dal suo lato del letto. Un mugolio indistinto si alzò dal cuscino, però senza essere seguito un qualche movimento che facesse pensare che Bucky si stesse veramente svegliando. Gli appoggiò allora la mano sulla guancia, muovendola piano in una carezza dolce che, a prima vista, contrastava con la forza proveniente da quella montagna di muscoli che era diventato. "Mio bel raggio di sole..." sussurrò. "Amore della mia vita..." continuò muovendo piano il pollice contro la guancia ispida.

"Steve, che stupido" rispose finalmente Bucky, arrossendo a quelle parole particolarmente sdolcinate che Steve non era solito pronunciare nemmeno al buio tra le lenzuola.

"Buon compleanno Bucky" continuò Steve sdraiandosi anche lui sul letto, abbracciandolo da dietro e depositandogli un leggero bacio sulla tempia.

"Ohh... già il mio compleanno... è il primo da dopo il trattamento di Shuri." Rispose voltandosi verso Steve e abbracciandolo stretto. "Me ne ero completamente dimenticato, sai?" Le ultime parole vennero pronunciate contro il petto del compagno, come se quasi si vergognasse di averle pronunciate.

"Per fortuna me ne sono ricordato io." La voce di Steve non aveva modificato il proprio tono, come se in fondo fosse normale dimenticarsi del proprio compleanno. "Ho comprato anche i croissant da Carlo's." Continuò indicando i croissant sfornati da poco che riempivano l'aria della camera di un odore paradisiaco mescolato insieme a quello del caffè.

Bucky si sentiva ancora un pesce fuor d'acqua, ma non riusciva a rimanere triste in situazioni come quelle, in cui Steve lo abbracciava e lo guardava come se fosse la cosa più importante del mondo. A dir la verità, con Steve vicino riusciva a non farsi sopraffare dai pensieri negativi, con lui accanto la speranza di una vita normale albergava sicura nel suo petto e scaldava le sue giornate. Quindi fece un bel respiro e sorrise all'amore della sua vita.

Fecero colazione a letto, contravvenendo alle regole ferree di Steve che permettevano di mangiare solo in cucina, facendo piani per quella giornata di inizio primavera. "Ah dimenticavo..." disse alla fine Steve con l'aria di chi non si era dimenticato affatto. "Il tuo regalo."

Gli porse una semplice busta che Bucky prese in mano titubante e guardò con una certa cautela. "Su, forza... aprila..." Lo incitò il compagno con un sorriso. Dopo qualche secondo ancora di incertezza, tirò un profondo respiro e la aprì tirandone fuori una lettera.

"E' per Fury..." l'espressione di Bucky nel leggere il destinatario della lettera fu quasi comica.

"Su avanti, leggila..."

Per un attimo Steve avrebbe voluto avere il cellulare a portata di mano per riprendere le espressioni sul volto di Bucky mentre leggeva il suo "regalo di compleanno". Ma forse fu meglio così e godersi il momento. In fondo si sentiva ancora un ragazzo nato a Brooklyn nel 1918 e il suo rapporto con la tecnologia era ancora conflittuale. Quando Bucky rialzò la testa guardandolo con aria interrogativa, la sua bocca formava una "O" quasi perfetta.

"Ma queste..."

"... sono le mie dimissioni dagli Avengers. Hai capito benissimo."

"Non capisco, Steve."

"E' già qualche mese che ci penso. Non ti ho detto niente perché sapevo che se te lo avessi detto ti saresti sentito in colpa anche per questo, perché avresti pensato che lo facevo solo per te." Bucky provò a parlare, ma Steve gli appoggiò dolcemente un dito sulle labbra. "No, fammi finire... Ed è vero, lo faccio per te, ma non nel senso che pensi tu. Lo faccio perché in questi cento anni ti ho perso così tante volte... tante volte ho pensato che non ti avrei mai più rivisto o abbracciato... e adesso che siamo di nuovo qui, insieme, non voglio perdermi tutto questo. Non ho più voglia di combattere Buck, l'ho fatto per tanto, troppo tempo. E anche tu. E' tempo di farla finita con questa vita... io non voglio più partire la mattina per una missione domandandomi se la sera torneremo a casa vivi e incolumi. Non voglio più fare questa vita. Ho solo voglia di andarmene via, con te. Magari in quel cottage nel Vermont che il pazzo di Tony ci ha regalato un paio di anni fa. Cosa ne pensi?" Le ultime parole uscirono titubanti dalle labbra di Steve, mentre guardava Bucky con aria interrogativa, tutto ad un tratto preoccupato per quella che poteva essere la reazione del compagno.

Bucky rimase impassibile per una manciata di secondi, una faccia "da spia" che niente faceva trapelare dei pensieri che si agitavano nella sua testa.

Poi, ad un tratto, un sorriso luminoso come il sole gli si allargò sulle labbra, dando ufficialmente il via alla loro nuova vita insieme. 

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Capitolo 8
*** Poveri diavoli ***


Bucky varcò la soglia di casa e gettò le chiavi in malo modo nello svuotatasche vicino alla porta. Durante il viaggio verso casa non aveva aperto bocca.

"Bucky." Provò a chiamarlo Steve mentre lui già si dirigeva a testa bassa, silenzioso e scuro, verso la camera.

Un grugnito senza nemmeno voltarsi fu l'unica risposta. Così non poteva andare... In due passi Steve gli fu accanto e gli arpionò il braccio costringendolo a voltarsi.

"Ehi Bucky. Sono io." Le parole furono pronunciate da Steve abbassando la testa per tentare di incrociare lo sguardo dell'altro ancorato a terra. "Sono io Buck... Guardami."

Un sorriso timido si affacciò sulle labbra di Bucky, subito smentito dagli occhi che si facevano rapidamente lucidi. "Scusami." Riuscì a dire dopo un po' scuotendo la testa. "È stata una brutta giornata."

"Lo so. Vieni qua." Lo attirò a sé avvolgendolo in un abbraccio. Per un attimo Bucky rimase rigido come un colonna, ma il compagno sapeva che era solo questione di tempo e non si dette per vinto continuando a stringerselo addosso.

Una manciata di secondi più tardi un sospiro tremulo uscì dalle labbra di Bucky mentre si appoggiava di peso addosso al compagno, circondandogli le spalle con le braccia e incastrandogli le testa contro il collo. Lacrime silenziose iniziarono a scendere lavando in parte l'angoscia che si era portato dietro per tutto il giorno, da quando quella mattina si erano scontrati con una banda di mercenari ben addestrati che erano poi risultati essere il frutto di esperimenti di condizionamento effettuati da una banda di trafficanti di armi senza scrupoli.

"Quei poveri diavoli..." Disse con un filo di voce.

"Lo so Bucky, lo so. Nick ha detto che non li riterrà responsabili per ciò che hanno fatto e che cercheranno di liberarli condizionamento. Hanno già contattato Shuri."

Le braccia di Steve attorno alle spalle di Bucky si fecero ancora più strette, come a cercare di tenere insieme tutti i pezzi in cui l'ex soldato d'inverno rischiava di frantumarsi. "Potevo esserci io al loro posto..."

"Ma tu non c'eri. Eri dalla parte giusta stavolta... Eri alla mia sinistra, a coprirmi le spalle."

"Ma potevo essere dall'altra parte..."

"Non succederà più Bucky. Te lo prometto. E se mai dovesse succedere una cosa del genere... Se mai dovesse succedere, ti giuro che ti troverò e ti riporterò a casa con me. Il mio unico grosso rimpianto nella vita è non esserti venuto a cercare quando sei caduto da quel treno. Stai pur certo che non ripeterò due volte lo stesso maledetto errore."

A quelle parole le braccia di Bucky di strinsero convulse attorno alle spalle del compagno. "Ti amo jerk."

"Anche io punk. Anche io."

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Capitolo 9
*** Prugne ***


Ti seguo da giorni e giorni.
 
Eri la mia missione.
Dovevo ucciderti. Questi erano gli ordini.
Ma qualcosa si è rotto.
Qualcosa dentro mi ha detto che non potevo farlo... non potevo ucciderti.
E non l'ho fatto.
Ho perso tutto. Tutto.
Ho perso loro.
Ho perso uno scopo.
Ho perso tutto.
 
Solo tu mi sei rimasto.
Ma chi sei?
Il tuo volto lo conosco.
Ma non so chi sei.
 
Chi sei?
 
Ti ho trovato. In questa città immensa, brulicante di persone.
Ti ho trovato e ti ho seguito tra la gente.
Ti ho seguito per giorni.
 
So dove abiti.
So quando vai a comprare il pane. Dove.
So che orari fai a lavoro.
So che ti piace mangiare pizza a cena il giovedì e, non so perché, ho l'impressione che dovrebbe ricordarmi qualcosa.
So un sacco di cose su di te.
Ma non capisco perché questo debba interessarmi tanto.
Proprio non capisco.
Sei solo una missione.
 
O no?
 
Ho bisogno di risposte.
Non posso più andare avanti così.
Non ne posso più.
 
L'unico in grado di darmi queste risposte sei tu, quindi racimolo tutto il coraggio di cui sono capace e decido che è giunto il momento di bussare alla tua porta.
Speriamo che non sia una cazzata.
Speriamo.
 
Mi alzo prima dell'alba.
Da quando ho preso la decisione non sono più riuscito a dormire.
Inutile stare in questo letto pulcioso. Tanto vale alzarsi.
Mi vesto ed esco di casa (sempre che si possa chiamare casa) ben prima che la maggior parte delle persone scenda per strada.
 
Il mercato però già brulica ti vita e ci passo in mezzo, attraversando una normalità altrui che non fa più parte della mia vita.
Passo davanti a un banco di frutta e verdura e d'istinto mi blocco.
Non so perché, non capisco, ma qualcosa mi blocca davanti a questo banco e mi spinge a comprare un sacchetto di prugne.
Sono bellissime, viola, succose, mi viene voglia di mangiarne un paio e cedo alla tentazione.
In fondo ho usato tutti i soldi che avevo per comprarle, non so quando potrò comprarmi qualcos'altro da mangiare...
 
Arrivo davanti alla porta del tuo palazzo e riesco ad entrare indisturbato.
Sono bravo in questo.
Maledettamente bravo.
Arrivo davanti alla porta del tuo appartamento e per un attimo mi fermo con il cuore che batte forte, il sangue che scorre veloce nelle vene e un sacchetto di prugne in mano.
 
Ormai e' tardi per tornare indietro.
Suono il campanello e aspetto.
Per una manciata di secondi, infiniti, nessun rumore.
 
Poi un "Arrivo" urlato dall'altra stanza mi fa capire che ormai è tardi per tornare indietro.
Tanto, in fondo, non ho niente da perdere.
Assolutamente niente.
 
Quando apri hai i capelli scarmigliati e gli occhi appannati da un sonno interrotto a metà.
Una cascata di ricordi mi si riversa addosso, mentre guardo i tuoi occhi che sono identici a occhi di settanta anni prima che pensavo di aver dimenticato.
 
"Bucky" soffi fuori senza respiro. Perché anche a te si è fermato il fiato nei polmoni.
 
E ci guardiamo senza respirare. Fino a quando i tuoi occhi cadono sul sacchetto che tengo davanti a me come uno scudo e poi si alzano di nuovo, guardandomi negli occhi, interrogativi.
 
"Prugne." dico soltanto, mentre i tuoi occhi si riempiono di lacrime, e non so perché.
 
E i miei occhi si riempiono di lacrime, e non so perché.
 
Non dici niente, non parli.
Ma fai un passo verso di me e mi abbracci come se fosse l'ultima cosa che vuoi fare prima di morire.
 
Per un attimo non so cosa fare.
Scappare?
Proteggersi?
 
Poi le braccia decidono di muoversi indipendenti dalla mia volontà, seguendo un istinto che non pensavo nemmeno di avere.
Il sacchetto di prugne cade a terra e prima di aver udito il plonf del suo impatto sul terreno, le mie braccia sono artigliate attorno alle tue spalle.
 
"Bucky. Bucky. Bucky..." ripeti come una litania, mentre affondo la faccia nel tuo collo ed e' come tornare a casa.
 
Mi trascini dentro e il tempo si ferma, mentre mi riapproprio di ricordi persi e di una vita che non mi ricordavo di avere. Mentre tu non riesci a staccarti da me e a smettere di ripetere il mio nome.
 
"Come mai le prugne, Steve?" ti chiedo ore dopo sdraiato addosso a te su questo divano che e' la cosa più vicina al paradiso che conosca.
 
"Adoro le prugne. Trovavi sempre il modo di comprarmele quando stavo male o giù di corda. In qualunque stagione dell'anno. Non ho mai saputo come tu riuscissi a farlo..."
 
"Ti piacciono ancora le prugne?" chiedo titubante.
 
"Non sono più riuscito a mangiare prugne da quando sei caduto da quel treno Buck." mi dici con aria improvvisamente triste.
 
"Oh..." Rispondo triste, consapevole di aver gettato al vento i miei ultimi risparmi.
 
"Ma credo sia arrivato il momento di ricominciare." continui con un sorriso luminoso, mentre mi stringi forte a te e la vita torna a scorrere nelle nostre vene.

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Capitolo 10
*** Memories ***


Steve è a terra, la bocca piena di sangue, il sopracciglio spaccato, il cuore che batte così furioso da sentirne il suono nella testa. Lo scudo giace lì alla sua sinistra, lo ha lasciato cadere pochi istanti prima.
 
"Io non combatterò con te" ha detto con un filo di fiato, guardando negli occhi il Soldato d'inverno. "Io sarò con te fino alla fine."
E per un attimo, per un'infinitesima frazione di secondo, l'espressione dell'altro muta. È una variazione impercettibile, un accenno di stupore, un minimo cedimento nella sua granitica determinazione. A Steve ricorda un'espressione confusa che non era poi così rara sul volto del suo Bucky. Quindi fa uno sforzo e puntellandosi con una mano si mette seduto. "Fino alla fine" ripete con voce un po' più alta e un filo di speranza in più nelle vene.
 
Il Soldato d'inverno lascia cadere le braccia lungo i fianchi e si lascia cadere sulle ginocchia. Si affloscia come un palloncino privo di aria, quasi senza far rumore. Sul volto lo stupore e la paura dell'ignoto, di cose che non si riescono a capire e che potrebbero fare male.
 
Il sangue di Steve corre, se possibile, ancora più forte. Alza una mano in segno di pace e con l'altra apre la zip della tuta. La mano entra dentro, all'altezza del cuore e ne tira fuori un cartoncino piegato in due e ingiallito dal tempo. Un sospiro esce dalle sue labbra mentre lo porge al soldato come se fosse un oggetto prezioso.
 
Per un attimo non accade niente e continuano a guardarsi mentre combattono ciascuno la propria guerra: il Soldato d'inverno contro la paura, Steve contro la speranza.
Con una lentezza esasperante il soldato allunga la mano e si ferma un centimetro prima di toccarlo, aspettando che sia Steve a coprire quell'ultima porzione di spazio.
Steve è certo che il suo cuore si sia fermato mentre l'altro apre il cartoncino e i suoi si posano sul suo contenuto.
 
E' una foto ingiallita dal tempo, anzi due foto, di due ragazzi innamorati. Il biondo più basso ed esile, il moro più alto, con la divisa da militare il cappello un po' storto sul capo. Nella prima il biondo guarda altrove, ma ha il braccio saldamente ancorato attorno al collo dell'altro, come a rivendicarne il possesso. Nella seconda è il moro che prende il controllo, appoggia la mano sul volto dell'altro e lo bacia con riverenza, amore e rispetto.
 
Il Soldato d'inverno guarda la foto in silenzio e i suoi occhi mutano espressione così rapidamente che non è facile capire cosa stia davvero pensando. Come il mare d'inverno in una giornata piena di vento e nuvole, che cambia colore così rapidamente da non riuscire a disegnarlo. Poi lentamente quelle mutazioni veloci si placano e un timido sorriso si ferma sulle labbra del moro, che alza gli occhi e lo guarda chiedendo in silenzio conferma dei propri pensieri.
Steve annuisce piano e l'altro trova la forza di parlare.
 
"Siamo noi due." La voce non è più quella del Soldato d'inverno, bensì una voce che Steve non sente più da una vita. E' tornata ad essere la voce che preannunciava la salvezza quando lo pestavano in fondo a un vicolo e che gli teneva compagnia compagnia nelle lunghe notti insonni per la febbre. "Siamo noi due" ripete Bucky con lo stupore di bambino. "Ce le siamo fatte scattare l'ultima sera prima di imbarcarmi... Eravamo al festival di Stark".
 
"Sì Bucky, siamo noi. Ti ricordi adesso? Di me? Di noi?" Steve non sa come sia riuscito a far uscire quelle parole visto l'enorme nodo che gli sta chiudendo la gola in quel momento. Per un attimo ripensa a sua madre... Steve si trova sempre un modo quando si vuole veramente qualcosa... Aveva ragione, un modo si trova sempre.

Bucky fa cenno di sì con la testa, gli occhi umidi. Steve lo abbraccia, gli mette un braccio attorno al collo ed esattamente come nella foto, rivendica il possesso di quella parte della sua anima che pensava perduta per sempre.
 
"Adesso cosa faremo Steve?" la voce di Bucky è incerta mentre si libera da quell'abbraccio e guarda le proprie mani coperte di sangue.

"Adesso andiamo a casa." risponde Steve tornando ad abbracciarlo.

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