Once bitten, twice shy

di CrisBo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio dosso ***
Capitolo 2: *** Il lento fluire del male ***
Capitolo 3: *** Tutto uguale, tutto diverso ***
Capitolo 4: *** Nostalgia, portami via ***
Capitolo 5: *** I know, it's over ***
Capitolo 6: *** Si sa che la gente da buoni consigli ***
Capitolo 7: *** Sfogati ***
Capitolo 8: *** Terapia d'urto ***
Capitolo 9: *** Una festa perfetta ***
Capitolo 10: *** Senza trucco senza inganno ***
Capitolo 11: *** Per quel che vale ***
Capitolo 12: *** Siamo anime perse ***
Capitolo 13: *** Verità e miscredenze ***
Capitolo 14: *** Lui era ***
Capitolo 15: *** Fretta? ***
Capitolo 16: *** Le probabilità di Murphy ***
Capitolo 17: *** Troppo tardi? ***
Capitolo 18: *** Mai abbastanza ***
Capitolo 19: *** La nostra transizione ***
Capitolo 20: *** Sono la persona sbagliata ***
Capitolo 21: *** La penitenza meritata ***
Capitolo 22: *** La deviazione del tempismo ***
Capitolo 23: *** È in tempi come questi ***
Capitolo 24: *** Confermare o ribaltare la situazione ***
Capitolo 25: *** Ritenta, sarai più fortunata ***
Capitolo 26: *** La rivelazione dell'Alpaca ***
Capitolo 27: *** Busan, spaghetti e sprite ***
Capitolo 28: *** L'euforia dopo mezzanotte ***
Capitolo 29: *** Il gatto scottato teme l'acqua fredda ***



Capitolo 1
*** Il mio dosso ***


~ Il mio dosso



 


ㅇㅅㅇ

 
La mia vita a Seul stava procedendo in maniera un po' saltellante, sotto il ridente cielo di un'estate calda e afosa. Le svariate ammaccature rendevano il trascorrere del tempo più frizzante. Potevo immergermi nell'asfalto nodoso e percepire i dossi che comparivano a sorpresa, nonostante fossi geneticamente portata per la sfiga e questo dava un gran vantaggio alle decisioni stupide e infantili che la mia mente uncinettava per portarmi verso il risvolto di vita sbagliato, mentre frecce rotanti e insegne al neon scadente di un motel in disuso indicavano la strada rosea che non avrei sicuramente imboccato.

Alcuni dossi, però, arrivavano così improvvisi che finivi con lo scontrarci contro senza possibilità di sferzata. Neanche con la vista geneticamente modificata di trecento decimi per cento. Probabilmente fu così che si sentirono i poveri di vedetta sul Titanic; non avevano visto l'iceberg in tempo e impossibilitati a una manovra veloce ci finirono contro. 

Tutti sappiamo come è andata a finire la storia. 

Il mio dosso non era l'iceberg del Titanic. Era la montagna di Maometto. Era il monte Fato appena ristrutturato. Era quel simpaticone del kraken in digiuno da quarant'anni. Era un machiavellico tranello del diavolo che persino Lucifero, vedendolo, mi aveva dato una pacca sulla spalla compatendomi.

La famosa pacca di consolazione del diavolo era, in realtà, Yoongi che mi guardava con aria tremendamente 
demoniaca
paradossale, sembrava che stesse pensando a centouno modi per uccidersi e, allo stesso tempo, a quale nome dare al suo futuro chiosco di carne. La sua mano sulla spalla era più ustionante del fuoco, mi avesse infilzato con la bacchetta avrei sentito meno dolore. 

Il famoso dosso, il famoso Monte Fato, il famoso kraken in carestia era, allo stesso tempo, la mia energia terrestre, il mio nucleo interno. Non potevo stare senza il mio dramma, era ciò che mi teneva salda al chiodo. I quadri all'improvviso cadevano, non reggevano più e io sentivo quel chiodo incrinarsi a ogni sguardo fulminante.

Hobi, il mio amico d'infanzia, la mia cotta adolescenziale, il mio primo vero amore, la mia eterna dannazione, era tornato a casa dopo un anno di studi all'estero. Era stato in Inghilterra, in una ridente e grigina cittadina di cui non aveva mai avuto il coraggio di mandarci le foto, per questo Jimin e Tae lo prendevano in giro dicendo che era diventato un maiale della brughiera. Non aveva mai dissentito e, tutti, eravamo convinti che un giorno sarebbe tornato a Seul con una metamorfosi in corso.

Invece non fu così.

Era tornato più bello che mai, un po' abbronzato, ma da dove avesse preso la sua dose di raggio solare era ancora un mistero e con un fluente e britannico savor-faire inglese. Persino i suoi capelli, di solito scuri e un po' a scodella, erano un po' più selvaggi, decisamente pregni di quell'aria James Bondiana da far sciogliere il reggipetto più duro. La mattina stessa aveva bussato a casa nostra, facendomi morire di crepacuore per l'improvvisa sorpresa. Gli ero saltata al collo senza neanche pensarci, indecisa se strozzarlo o abbracciarlo e sentirlo ridere, sentirlo parlare dal vivo, sentirlo di nuovo respirare la mia stessa aria aveva, in un attimo, cancellato quell'anno di terribile sofferenza.

Lo avevo impresso nella mente, il giorno in cui mi aveva detto che sarebbe partito. 

Era strano pensare quanto fossero scontate le abitudini giornaliere, non pensavi che potessero cambiare da un momento all'altro, che ti ritrovavi ad abituarti al fatto che una determinata cosa sarebbe venuta a mancarti come se ti avessero tolto l'ossigeno. Così niente più giornata cinema, niente più nottate nel parco a guardare il cielo da esperti ufologici, niente più giornata della pizza-orrorifica, niente più telefonate notturne sul perché Yuki ha lasciato Min-Yu per Giampippo, italo-brasilero-giapponese aitante in quel drama che durava ormai dal mesozoico. Certo, c'erano i messaggi, c'erano le chiamate sporadiche quando azzeccavamo il fuso orario, ma non era lo stesso.

Quando lo avevo abbracciato di nuovo mi ero resa conto quanto mi mancasse il suo odore. Il suo respiro calmo. Quelle labbra a cuore sempre sorridenti.  Il modo che aveva di passare il palmo lungo la mia schiena. Contavo i giorni, da quando era andato via, e quel maledetto non aveva mai fatto cenno che sarebbe ritornato in questo periodo. 

Come diavolo era diventato quel dosso?

Nella testa di una persona che aveva preso una decisione, era innegabile, si cominciavano a delineare le conseguenze. Ero da sempre innamorata di Hoseok, fin da quando la mia mente becera si ricordava, forse all'inizio era una semplice cotta progredita a sentimento reale in maniera lenta e graduale. Essendo cresciuti insieme avevamo intrapreso ogni cambiamento fisico e mentale nello stesso momento; credevo di aver capito di amarlo davvero quando mi confidò la sua prima esperienza sessuale, provocandomi un’esplosione di succhi gastrici interna degna del miglior film splatter. Insomma, ero la migliore amica, ero quella delle confidenze, ero quella da chiamare se litigavi con i genitori  e non sapevi dove rintanarti per sfogare la tua anima da adolescente ribelle, come potevo pensare di poter essere più di questo? Rispetto alle ragazze della mia età sembravo un giunco piangente, con la sfiga di essere cresciuta con lo stesso carattere di un puffo inesperto, ero nettamente in svantaggio a livello di fascino.

Amore è sofferenza, diceva Minseong, uno dei miei Guru-esistenziali preferiti. Era un tormento che ti avvelenava il cuore e non faceva che annegare nella tua testa immaginando risvolti irreali, che non avevano basi, che non trovavano appigli. Per questo in quell'anno di separazione avevo deciso di dirglielo. Dirgli tutto. Dirgli come mi faceva sentire, dirgli quanto lui per me fosse un casino gastronomico di sentimenti. I primi reduci di cotanto mio coraggio erano i miei coinquilini, chi convinto che avrei fatto la figura della medusa storta, paragone che non aveva mai trovato una spiegazione, e chi invece, nutriva delle discrete speranze. Namjoon e Yoongi vivevano con me da due anni, essendo gli unici tre con un salario più o meno stabile fu una scelta quasi obbligata. Visto che, da bravi superstiziosi anonimi non avevamo mai accettato un quarto inquilino, decidemmo di boicottare la leggenda mortuaria che questo numero si portava dietro e adottammo un cane che Nam chiamò RapMon, soprannominato Monie un po' da tutti.

Era una sorta di  spolverino bianco con la coda ballerina e l'indole a odiare il giorno, a odiare la socialità, a odiare la vita. In pratica era un gatto sotto copertura. Passava le sue giornate dormendo e le sue nottate a mostrare un falso amore a noi poveri comuni mortali, nonostante fossi sicura che fosse sincero quando si strusciava su Yoongi, forse empatizzando con la sua anima da vampiro fantasmagorico della casa.

All'insegna delle uscite notturne per le marchio-spruzzate di Monie, approfittando dell'atmosfera serale per fare i filosofi di vita, crebbe la nostra propensione a capirci con minimo sforzo e massimi risultati, avvalorando l'ipotesi che per un'azienda saremmo stati i dipendenti modello. Nessuno di loro aveva mai preso il posto di Hoseok, nonostante questo, come miglior complice di malefatte, ma nel mio anno di disperata telenovelas avevo nutrito una sorta di vicinanza bisognosa con entrambi, diventando un trio temuto nel peggior bar di caracas. C'era stato un quarto sub-entrato, che aveva confermato la teoria che il numero della morte mi perseguitava.

Il quarto bipede umano, a sorpresa, era Jin.

Era stato l'ultimo a immergersi nel nostro gruppo di disperati, lo aveva conosciuto Namjoon durante un lavoro di hardwar-ologia che aveva progettato insieme a una facoltà Universitaria circa tre anni prima, la stessa in cui Jin era diventato assistente. Sapevo solo che Jin, entrando in punta di piedi e con una trafila di battute terribili, aveva conquistato tutti. All'inizio la nostra amicizia era fatta di mangiate all'aperto e superficiali discorsi su come i colonizzatori fossero dei criminali, dovuto a studi interni che avrebbe approfondito in seguito con me, ma dopo la partenza di Hoseok aveva deciso che ogni sera libera il suo lavoro sarebbe stato quello di occupare casa mia come un vero conquistadores, quindi andando contro tutto ciò in cui credeva, accaparrarsi la cucina e imbastire serata ramen e film brutti brutti in modo assurdo. Così divenne una specie di uomo-di-casa, anche se la casa non era la sua e averlo lì riempiva un po' quel tremendo vuoto che mi portavo dietro.

Jung e Tae erano ancora studenti Universitari, nello stesso campus, nella stessa facoltà. Per via degli orari ballerini li vedevamo poco, almeno fino a che Yurim, la mia migliore amica e svenditrice di manuali d'istruzioni ingegneristici, non decise di mettersi insieme a Tae accaparrandosi il più bello della festa. Erano una coppia un po' a balzi, si lasciavano e si rimettevano insieme a ogni festività e il loro amore era condito da scenate di gelosie al limite dell'umano, bisticci sul cibo, bisticci sui vestiti. Eppure si amavano, ne ero certa, in un modo del tutto incomprensibile per la mente umana. 

Jimin frequentava una scuola di danza un po' fuori Seul, per poter stare vicino alla nonna malata e quindi veniva a trovarci ogni weekend. Quando lo faceva lo ospitavamo a turno, c'erano periodi in cui sfruttava le nostre dimore anche per un mese, accaparrandosi il nomignolo di "piccola fiammiferaia", cosa che non amava particolarmente. Ma a noi piaceva quando era nelle vicinanze, aveva il potere di calmarci un po' tutti con quella sua aria da ...Jimin, e fu uno di quelli che accusò maggiormente la mancanza di Hoseok, insieme alla sottoscritta.

Quando ci incontrammo tutti, la sera stessa, dopo il ritorno di Hoseok giurerei di avergli visto una lacrima sul viso, che nella mia testa poetica aveva persino fatto scintillare una gelosia recondita strana. Ma quello sarebbe stato decisamente un male minore.

Yoongi smise di toccarmi la spalla e mi resi conto che mi sentivo tremendamente fredda, non facevo altro che guardare Hobi a capo tavola, stessa cosa che stavano facendo tutti gli altri. 

«Perché mi guardate tutti così?» Hoseok lo aveva notato, ci guardò tutti come se fossimo alieni.
«No, scusa, che hai detto?» Taehyung poggiò la sua ala di pollo nel piatto, mentre tirò sul il mento per fissarlo oltre il muro di frangia che gli copriva gli occhi.
«Ma davvero tu?» Jimin era vicino a me, dall'altra parte rispetto a Yoongi, e stava guardando il mio eterno amore probabilmente con la mia stessa faccia.
«Cavolo, che bella sorpresa, altro che metamorfosi in maiale.» Namjoon e la sua indole documentaristica, mentre per la sorpresa per poco non ruppe la bacchetta che aveva in mano.
«Oh, ne avevo inventata una sui maiali proprio per-»
Jungkook piantò una mano sulla bocca di Jin bloccando la fatidica battuta triste che stava per uscire dalle sue labbra. Avrei preferito sentire quella, magari sarebbe stata talmente brutta da perforarmi i timpani.
«Non ora Jin-hyung. Mi sa che dobbiamo festeggiare. Come anima della festa propongo un brindisi di zuccheri!»

Yoongi invece era rimasto in silenzio, a quanto pare io e il mio coinquilino condividevamo la stessa metodologia per l'effetto sorpresa delle cose. 
Sentii di nuovo la sua mano su di me, ma questa volta provò a toccare la mia, aveva le dita tiepide e mi strinse il dorso in una morsa un po' troppo stretta.  Forse era un suo modo per trattenermi, o un suo modo per trattenere quell'improvviso istinto suicida che si impossessò di me in quel momento.

«Sì ragazzi»

forse avevo capito male, forse in quel momento era passata una zanzara proprio davanti al mio orecchio e aveva camuffato la sua voce, forse quel pollo che stavo mangiando mi aveva avvelenato il cervello


«...mi sposo.»

Senza pensarci girai la mano e strinsi quella di Yoongi fino a bloccargli la circolazione. 







NTA: Buonasera ( ormai notte vabbè ) a tutti, sono capitata in questo fandom dopo mesi di pensamenti (?) vari, reduce da letture di fanfiction che mi hanno fatto battere il corason come non mai, quindi ho deciso di intraprendere questa strada anche io, anche se in maniera più fruffola e divertentina. Chiedo già scusa per eventuali OOC o situazioni un po' irreali ma ho cominciato a scrivere questa fanfiction avendo in mente tutt'altra cosa e alla fine ha preso vita propria e ciao, è andata. Non ho assolutamente intenzione di offendere i BTS né nessun'altro, in realtà ormai li sento come se fossero praticamente gli amici della porta accanto e, da cosa nasce cosa, è nata anche questa storia. Cercherò di pubblicare un nuovo capitolo almeno una volta a settimana e, innanzitutto, ringrazio chi è arrivato fin qui, per me già significa molto. Alla prossima gente ;D 
PREMESSA IMPORTANTE. ci tengo a precisarlo, visto che la storia ha diversi capitoli e determinati risvolti hanno preso pieghe diverse, che potreste incappare in "situazioni" non piacevolissime da leggere, tutto quello che ho scritto ho cercato di renderlo nella maniera più "soft" possibile. Insomma un ANGST non troppo ANGST? Si può dire così? Per evitare appunto troppa pesantezza, da cui cerco di separarmi per quanto posso. Ovviamente non voglio ledere la sensibilità di nessuno, avverto per una sorta di rispetto. Certe cose non le voglio prendere sotto gamba, assolutamente. La mia è solo una storia che va presa per quel che è, un po' come se fosse una lunga puntata di un telefilm. E niente, scusate per il post ma mi sentivo di scriverlo <3 in tutto ciò grazie a chiunque sia arrivato fin qui. 
 

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Capitolo 2
*** Il lento fluire del male ***


2 ~ Il lento fluire del male

 
ㅇㅅㅇ
 
 




La cena da Oishii, un tipico ristorantino giapponese a due isolati da casa mia adibito per cene all'insegna di comunicazioni ed eventi importanti, fluì nel peggiore dei modi. A quanto pare Tae e Jung avevano trovato la loro vocazione per il giornalismo, visto che tampinarono Hoseok di domande. 

Dove l'hai conosciuta? Com'è? Ma è bella? Ma è coreana? Dici che mi troverà simpatico? Ammettilo, non esiste. 

Io non riuscivo a sentire le risposte, era tutto un suono ovattato, un brusio nelle orecchie che poteva presagire solo un complesso attacco di mutismo, oppure un attacco epilettico, cosa che le persone più vicine a me nel tavolo riuscirono a individuare con enorme successo. Il primo premio di tale scoperta fu dato a Jimin, anche se Yoongi non aveva smesso di stritolarmi la mano dalla fatidica notizia. O forse ero io che non riuscivo a lasciarlo andare. Avevo bisogno di conficcare le unghie dentro qualcosa e la pelle del mio coinquilino mi sembrava un pongo perfetto.

«Seo lo mangi questo?» Jimin mi sventolò davanti le bacchette dove aveva pinzato un tuorlo di uovo sodo, lo guardai con la peggiore faccia della mia vita e lui, con un sorriso innocente, mi si avvicinò per sussurrarmi una cosa. 
Mi disse: «Dopo ne parliamo.»

Sentii la mano di Yoongi stringere la mia in maniera ancora più forte e mi resi conto che in quella situazione non ci potevo più stare. Non avevo voglia di parlarne, non avevo voglia di farmi consolare, non avevo voglia di vedere Tae e Jung così raggianti per la notiziona del secolo e, ancor di più, sentire gli sguardi di Namjoon addosso già presagendo una chissà quale conversazione filo-misantropica-platonica che mi avrebbe propinato durante un'evacuazione vescicolare di Monie.
Così lasciai la mano di Yoongi, stirai le labbra in un sorriso più che finto per Jimin e piantai gli occhi su Hoseok. Guardare il sole direttamente a mezzogiorno avrebbe fatto meno male.

«Quando ce la presenterai?»

Non so se aveva già risposto, o se lo aveva detto, io stavo pregando in ottomano che non mi si leggesse in faccia quello che stavo provando in quel momento. Quando lui ricambiò il mio sguardo notai qualcosa che mi fece crepare il cuore. Fece un sorriso sottile e, probabilmente, quel colore sulle guance non era dovuto ad un'eritema improvviso. Era arrossito.

«Arriverà tra due giorni, non vedo l'ora di farvela conoscere e non vede l'ora anche lei. Le ho parlato di voi talmente tanto che se non mi ha strozzato è un miracolo.»
E poi rise, scuotendo il capo bruno fino a far finire delle ciocche sugli occhi. 

«Anche - anche noi non vediamo l'ora di conoscerla ma, ti prego, non fargli conoscere Jin.» Un punto a me per aver detto solo mezza castroneria, la parte di Jin almeno la pensavo sul serio.

«Ehi
«Farà crollare totalmente la nostra dignità, la nostra sontuosa immagine che spero tu abbia ingigantito, insomma non siamo mica degli amici comuni. Siamo come-»
«No ma scusa, che vuol dire, guarda che io sono meraviglioso!» Jin stava ancora urlacchiando da solo, inveendomi contro, ma sventolai una mano verso di lui per zittirlo.
«Scusa ma perché mi interrompi?» Mi lagnai io, mentre Jin mi bloccò la mano sventolante con la sua. Aveva le dita bollenti. 
«Ti prego, ne vale, per la nostra immagine. Jin mi vuoi lasciare le dita?»
«Ragazzi, basta che Jin tenga la bocca chiusa davanti a lei ed è fatta.» Disse Namjoon, spilucchiando una pietanza non ben definita dalla sua ciotola nera.
«Oh ma anche tu ti ci metti?» Jin mi stava rompendo un anulare ma la sua reazione mi fece ridere, per quanto potesse sembrare una risata la mia. «Hoseok per piacere, dillo tu che io sono  divertentissimo
«Bè» Hoseok ci provò ma Jin, con un latrato che fece girare due famiglie verso di noi, interruppe quella diatriba lasciandomi andare e sbuffando parole sconnesse.
«Dai non fare così hyung, ti vogliamo bene lo stesso.» Tae gli conficcò un braccio sulle spalle e se lo tirò dietro, facendo sghignazzare Jungkook lì vicino. 
«Ti conviene mettere delle regole almeno non scapperà a gambe levate.» Mormorò Jimin, guardandoci tutti.
«Le regole le seguirai tu, io sono così. Se le sta bene le sta bene, sennò -»
«Sennò non le sta bene, va bene.» Finì sempre Jimin, andando a guardare Yoongi che aveva appena parlato.

«Ragazzi, sa i vostri pregi e i vostri difetti. Specialmente i vostri difetti, andrà bene, mica vi devo presentare la Regina eh.»
«Che vuol dire che sa specialmente i nostri difetti? Hoseok che le hai detto?»Namjoon si tirò su con la schiena di scatto facendo spaventare Jungkook.
«Sa che tu sei un po'...ecco, insomma, rompi-cose
«Ma io non so-»
«E sa che Jungkook è famoso per essere un imitatore nato e che probabilmente non la guarderà mai in faccia.»
«Dai Hos-»
«E sa che Tae è un abbracciotutto ma anche schizzinoso da morire, e che Jin è» Hoseok guardò Jin e Jin guardò Hoseok con un'espressione semi-omicida ma l'altro non si scompose troppo «ecco, ha un'ironia un po' particolare.»
«Sì, salvato in corner maled-»
«E che Jimin è la persona più mansueta del mondo, anche se un po' scemo.»
«Ma!»
«E che Yoongi ha due facce, sa incuterti timore e allo stesso tempo essere la persona più dolce del mondo.»
«Ma che cazzo le vai a di-»
«E che tu, Seoyun, sei un po' disfattista e imbranata e anche un po' strana.»

In un momento di sobrietà interna avrei quasi ammirato quella descrizione di me.

«No scusa e i pregi? Non ho capito, mi avrà preso per una babbola.»Piagnucolai come un'attrice di livello estremo.
«Bè, di me ha detto che sono scemo, vatti a lamentare.» Borbottò Jimin.
«Le ho detto anche che sei un piccolo pulcino bagnato.» Ridacchiò Hoseok, ormai preso in quel suo viale descrittivo.
«Non è che stai migliorando la situazione, sai?»
«Dai ragazzi, vi ama, davvero. Non potrebbe essere altrimenti.»
«Certo, se ama il più brutto e il peggiore di noi, conoscendoci potrà solo migliorare opinione.» Incalzò Yoongi dal suo tepore.
«Ah-ah-ah ricordami come si ride.» Hoseok gli lanciò dietro una bacchetta unta di olio piccante e quello ricambiò spiattellandogli addosso una porzione di ramen ormai fredda.

«Oh è guerra
Esclamò Taehyung di colpo, alzandosi di scatto dalla sedia, mentre le due famiglie di prima già chiedevano il conto per non lasciar contagiare i figli da quella bolgia. 
«No ragazzi dai facciamo i seri.» La voce bassa di Namjoon si sovrappose a quella di Tae, ma si stava rigirando tra le mani qualcosa di bianco e umidiccio.
«Ah e poi il peggiore sarei io con le mie battute eh? Voi siete dei teppisti.» Si lagnò Jin, incrociando le braccia al petto.
«Visto che nessuno di voi mi ascolta, lo ripeto: direi di inaugurare la venuta di Hoseok-hyung e di festeggiare come si deve la novella notizia.» Esclamò Jung alzando le braccia per aria, aveva un bicchiere di liquido alcolico rubato a chissà chi e un tempura infilzato nell'altra.
«Ragazzi ci cacciano, Oishii-nim ci ucciderà.» Jimin si stava coprendo i capelli con le mani.
«Ragazzi!» Bacchettai il tavolo un paio di volte come un direttore di orchestra.  «Propongo una guerra civile, vietato sputarsi addosso.»

Non sapevo più neanche cosa stavo dicendo ma, che Oishii potesse perdonarmi, avevo bisogno di casino, del loro casino, per smetterla di pensare.  Non credevo ci fossero altri metodi per non sentire più il cuore strapparsi ad ogni respiro.

«Preparatevi a morireeee!» E con quell'incitamento da guerra mondiale Taehyung iniziò la battaglia e fu così che ci ritrovammo con riso, piselli, tempura, pezzi di sushi, ramen freddati, bacchette, tovaglioli imbevuti, birra appiccicaticcia in ogni anfratto del nostro corpo. Oishii stava già preparandosi ad un satsujin di emergenza, mentre le povere  cameriere pregavano per scongiurare una disgrazia omicida. Per fortuna fu una battaglia veloce e indolore, ma non ci furono né vinti né vincitori.  Eravamo stremati dalle risate convulsive e, per un secondo, mi dimenticai che ero morta dentro.

Quando tornai a guardare verso Hoseok era impiastricciato di birra sui capelli e aveva il volto rosso e sorridente.
«Oh ragazzi, quanto mi siete mancati.»
Oishii ci fece pagare un conto salatissimo. 









  Finita la cena Jungkook provò a convincerci ad andare in un locale-karaoke ma per fortuna ognuno di noi aveva un indelegabile fasullo impegno; era stato brutto vedere la faccina sconsolata di Jung ma non ero nel mio animo migliore per fare una serata del genere e, dopo aver consumato lo stipendio di un mese per non farci denunciare da Oishii, eravamo immancabilmente troppo poveri per spendere altri won. Avevo solo voglia di staccarmi la testa dal collo come cosplay d'alto livello di Maria Antonietta per smetterla di torturarmi, non sarei riuscita a mantenere quel sorriso falso ancora per molto. 

Ero più brava di Yoongi in questo, ma non così brava.

Jimin ci provò a prendermi da parte ma, per fortuna astrale, quella settimana era ospite di Tae e fu costretto ad andare con lui. Sapevo che mi avrebbe trovato, prima o poi, per darmi pacche sulla testa e dirmi che sarebbe passata col tempo, ma era meglio non rischiare uccisioni involontarie in quel momento. 
«Devo andare a prendere Yurim, sai com'è, se ritardo pensa che la sto tradendo.» Gracchiò Tae.
«Scommetto 130.000 won che lo penserà ugualmente perché ti sei dimenticato di invitarla stasera.» Disi io, un po' mogia.
«Sono sicuro di averle lasciato un biglietto.» Disse lui sicuro di sé, ma la sua espressione cambiò radicalmente, piantandosi le mani in faccia.
«Oh no, l'ho lasciato sul frigo. Di casa mia! Lei non vive con me!»
«Certo che sei proprio scemo.» Namjoon gli diede una pacca sulla testolina scura e quello, con un sorriso capace di conquistare pure un piccione, pinzò Jimin per un braccio caracollando giù per la via salutandoci tutti frettolosi.

Taehyung non sapeva che, in realtà, era salvo per il momento. Stavo messaggiando con Yurim da almeno un'ora ed era troppo intenta a lanciare improperi verso un povero Hoseok ignaro per preoccuparsi di Tae. 
Jungkook si defilò poco dopo insieme a Hoseok, abitavano nello stesso quartiere e avevano deciso di percorrere quei pochi chilometri come ebbri sbarazzini dei viali, mentre il più piccolo sfumava via domande e lezioni di rimorchio britannico.
Yoongi era ritornato silenzioso e di poco aiuto come al solito, ero sicura di averlo sentito borbottare qualcosa prima riguardo Tae ma non indagai più di tanto. Namjoon decise di fermarsi a prendere due sacchettoni di gelato mentre Jin, auto-invitatosi come al solito, comprò i noodles istantanei in un chiosco notturno.

Vivetti quell'estenuante ritorno a casa come un martirio, sentivo quello che gli altri dicevano ma non riuscivo a incanalarlo nella mia testa, quella giornata  era scivolata dentro l'anima ed era rimasta aggrovigliata e dolorosa all'altezza del petto. La mia mente non faceva che far susseguire quelle immagini: Hoseok davanti alla porta di casa mia, il suo abbraccio, la conferma istantanea che ero persa per lui e che non vedevo l'ora di dirglielo senza più quel terrore paralizzante. E poi quella notizia, quel dosso, quel dannato iceberg. Ci ero finita contro senza frenare, senza sterzare e mi ero sfracellata la faccia. Cercai come una disperata di non piangere ma sentivo un calore immenso dentro di me, qualcuno provò a toccarmi il braccio per un secondo, forse Jin, ma non lo appurai perché, quel blocco emotivo che mi imponeva di non perdere mai la calma davanti agli altri, si stava sgretolando pian piano.

Una volta a casa fui l'ultima ad entrare e sbattei la porta così violentemente che la nostra povera vicina di casa sicuro, aveva perso le cateratte per lo spavento. Intanto Monie zompò verso di noi con la pigrizia di un bradipo alle poste, senza alcuna paura, andando a mostrare un vero amore canino solo per Yoongi, mentre a noi riservò una slappata di circostanza giusto per darci un contentino affettuoso.

Si voltarono tutti e tre a guardarmi, persino la faccia di Yoongi aveva preso una parvenza di preoccupazione, con una piccola ruga tra le sopracciglia che RapMon stava lavando via con slinguate d'affetto.
«Ehi, vuoi - vuoi parlarne?» Ci provò Namjoon vedendomi sfrecciare come una iena verso il frigo e afferrare la prima cosa che mi capitò tra le mani, una volta aperto.
Per mia sfortuna era un barattolo di cetrioli sottaceto, cominciai a mangiarli come caramelle, scatenando diverse reazioni.

Namjoon cominciò ad aprire le vaschette di gelato per immergersi in una veloce cura dolciaria, senza dire una parola.
Jin posò le buste di noodles istantanei, cominciò a far bollire l'acqua, poi mi si avvicinò per levarmi il barattolo dalle mani.
«Li ho comprati per metterli nei panini, non finirli.» 
«Jin.» Sibilai, allungando la mano.
«Cosa?»
«Ridammeli.»
«Mi hai sempre detto che non ti piacciono.» Replicò lui, guardandomi. 
Era tremendamente serio; provai a immaginare quella sua espressione durante gli esami trimestrali, se fossi stata una sua studentessa sarei stata bocciata, incuteva sprizzi ansiogeni quando non sorrideva.

Cercai di non farmi prendere dal panico, in fondo volevo solo mangiare quei cavolo di cetriolini, volevo poter essere libera di provare la mia personale rabbia senza dover rendere conto a nessuno. In fondo non stavo distruggendo tutti i piatti degli Hard Rock Cafè che Namjoon collezionava da dieci anni, avevo una rabbia più salutare.

«Sì, è vero, non ne vado matta e spero che il mio corpo li veda come elementi estranei e cominci a mummificarli dentro di me fino a intossicarmi.» Ribattei io mentre Jin alzava il braccio e io provavo a riprendermi il barattolo. Sembravamo due idioti.

«Fino a prova contraria il depresso del gruppo sono io.» Yoongi finalmente prese parola, guardandomi con occhi un po' felini.
«Dai lasciatela stare, mangiamoci il gelato mentre ci guardiamo la tv.»
«Non voglio il dannato gelato, voglio i miei cetriolini.»
«Ehi ehi ehi» Namjoon questa volta spintonò di lato Jin che per poco non si lussò una spalla contro il mobile della cucina, mentre mi piantava una mano sulla spalla «Seo smettila di fare l'antipatica, lo so come ti senti, non ne vuoi parlare e va bene. Se vuoi stare da sola vai pure in camera tua, se vuoi stare con noi faremo finta di niente, ci mangiamo il dannato gelato e ci guardiamo qualcosa di scemo alla tv. Qualcosa di più scemo di Jin.»
«Oh ma che è oggi?»
 
«Nam io voglio solo...» non riuscì nemmeno a finire la frase, mi stavano guardando tutti e tre e mi sentivo un po' fenomeno da baraccone.

La verità è che avevo una paura estrema a stare da sola, nella mia stanza. Non volevo piangere, non volevo lasciarmi andare a quella sofferenza, era l'unica cosa che mi teneva ancorata a Hoseok in quel momento. Per quanto facesse male mi ricordava quanto lo amassi e lasciar libero il mio male, di sfogarsi, di fluire, mi creava un attacco di panico non indifferente.

Namjoon aveva un pregio che pochi gli riconoscevano, aveva una risolutezza unica per far tranquillizzare le persone senza tampinarle con paroloni fuori luogo. Ero convinta mi avrebbe provato a consolare dicendomi quanto fosse bello soffrire e invece mi aveva sorpreso. 

«...sì vuoi i cetriolini e Jin ti darà i cetriolini e poi ti mangerai il gelato e mi dirai quanto fa schifo questo gusto mischiato.»
Mi venne da sorridere ma non dissi niente, vidi solo Jin allungare di nuovo il barattolo per ridarmelo, ma io feci di no con la testa, sospirando.
«Tienili, ne ho mangiati abbastanza per avvelenarmi.»
«Sì certo.» Jin mi passò una mano sui capelli scuri e riprese a ricontrollare l'acqua che bolliva, tamburellando appena contro il pentolone. Namjoon mi fece un sorriso a fossetta e riprese ad armeggiare col gelato.

Dopo quel respiro di calma apparente mi ritrovai a guardare Yoongi e lo trovai fisso su di me, forse non aveva mai smesso di scrutarmi con quell'aria da ghepardo affamato di anime e provai un senso di disagio che, di solito, non provavo davanti a lui. Ma la sua testa era un casino unico, non riuscivo mai a capire cosa gli vorticasse tra gli ingranaggi. Eppure mi aveva tenuto la mano, era stato il primo a notare il mio sobbalzo alla cena, mi aveva toccato la spalla
per consolarmi?
per trattenermi, per trattenere le emozioni dentro di me, per aiutarmi a non annegare. Era stata una scialuppa di salvataggio. 

Forse dovevo smetterla di pensare a Titanic in quel momento.

«Non farlo.»
Disse solo questo, improvvisamente, tanto che mi ritrovai a fissarlo con sorpresa, non capendo. Inarcai un sopracciglio andando a guardare gli altri due; a quanto pare Namjoon aveva rotto il manico di un cucchiaio e stava tentando di incollarlo con il gelato stesso.
«Va bene, non mi avvelenerò.» Provai a tirare a indovinare.
«No. Non farlo, non dire niente a Hoseok

Di nuovo, un tuffo nel cuore, Sentii gli occhi bruciarmi insieme alla faccia ma riuscì a restare stoica. Yoongi doveva averlo notato perché abbassò lo sguardo in maniera colpevole.
«Cosa - cosa intendi, cosa non dovrei dirgli?» Rantolai io con un filo di voce.
«Non dirgli quello che provi. Lo confonderesti e basta, tienilo per te.»

La famosa regola, la conoscevo bene: tra i due mali, scegliere sempre il male minore. 
E io ero il male minore, perché far soffrire due persone se ne bastava solo una? 
Provai un irresistibile impulso di uscire da quella casa e passare tutta la notte a camminare altrove, a lasciare che i pensieri trovassero la loro dimora e abbandonarmi alla mia angoscia, con un Monie empatico quanto un sasso. Ma non lo feci, chiusi i pugni tra loro, prendendo un quantitativo di ossigeno ideale per una squadra di asmatici intera. Yoongi continuava a fissare per terra e gli altri due stavano parlando tra loro, ero quasi sicura che Jin stesse dicendo a Nam di provare ad aggiungere il gelato alla nocciola nei noodlles ma non lo appurai.

Yoongi stava sacrificando me per un bene più grande e per quanto il suo ragionamento fosse giusto, sentivo uno strano Alien dentro la pancia pronto ad uscire, squarciandomi.

«Lo hai visto vero, Yoongi?  Hai visto il suo volto? Il suo sguardo, mentre ci parlava di lei, mentre ci diceva che si sposerà?» Cominciai a parlare a bassa voce, Namjoon e Jin smisero di muoversi, forse ci stavano guardando. «Io non gli ho mai visto un sorriso del genere, mai. E lo conosco da quando eravamo piccoli come fagioli di campo.»

Finalmente Yoongi tirò su lo sguardo scuro e me lo puntò in faccia, carico di una profondità che non gli avevo mai visto.
«Non potrei mai ...mai rovinarglielo. Anche se - se ci andrò di mezzo io. Non posso, io-»
Sentivo la voce incrinarsi e dovetti premere le labbra tra loro per deglutire quella specie di osso di pollo che sentivo in gola. Vidi Yoongi strizzare un po' lo sguardo e darmi uno sbuffo sul naso, simbolico gesto d'affetto a quanto pare.
«Dai, andiamo a mangiare il gelato col ramen, so che danno "Hop-Hop carramba stasera.»

Con un drastico cambio di argomento lo vidi guardare verso gli altri due. Avevo capito cosa volesse fare, bloccando quello scroscio di emozioni. Mi ritrovai a fissarlo con aria un po' persa ma lui mi fece un sorriso addolcito. Non voleva farmi sfogare, mi teneva dentro i margini.

«Te l'ho mai detto che in quel programma c'è una ragazza che è simile a te?»
Lo seguì mentre si lanciava sul divano, e io lo guardai di sbieco.
«Se ti riferisci alla mascotte vestita da ananas ti stempio.»
«Eh, non ti si può mai dire niente.»

Jin e Namjoon ci raggiunsero poco dopo, con pentolone di noodles pronti e gelato tuttigusti+1, un'accozzaglia del tutto incoerente di sapori. Ma in fondo era così che mi sentivo e passammo tutta la notte a guardare programmi di dubbio gusto prima di svenire tutti quanti sul divano. 












NDA: buonsalve di nuovo, se siete giunti fino a qui grazie graziellissime a tutti. Non ho molto da dire in realtà, tranne che come avrete notato già da prima in questo universo parallelo alternativo i BTS non sono famosini, vivono una vita normale e frizzante (?) e hanno problemi umani come tutti, esternandoli o non esternandoli a seconda del carattere. Ah so che i nostri guys hanno una carica dei 101 tra tutti, ma nonostante io abbia 8 cani è assai arduo tenerli a bada in una ff quindi ne ho "adottato" uno solo di loro dandogli caratteristiche inventantissime da me, mi piaceva l'idea che fosse un cane anomalo e così l'ho fatto, perdonate questo cambiamento. Però il nome l'ho tenuto perché lo trovo bellissimo v_v ah, nonostante non sia stato richiesto da nessuno, Seoyun cioè la voce narrante è praticamente Solar delle Mamamoo come fattezze ( per parcondicio Yurim è Wheein anche se ancora non è apparsa ufficialmente ), la mia scelta per lei è un po' uno spoiler che verrà detto a tempi futuri debiti. Eee niente dopo sta pappella vi saluto <3 alla prossima.

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Capitolo 3
*** Tutto uguale, tutto diverso ***


3 ~ Tutto uguale, tutto diverso

 
ㅇㅅㅇ



 
Il gran giorno della venuta della prescelta arrivò un venerdì grigio, nonostante la  calura dell'estate che stava arrivando.
Hoseok era andata a prenderla direttamente all'aeroporto, combattendo contro il traffico giornaliero come un vero guerriero temerario e noi avevamo approfittato per rintanarci in una delle piazze verdi che s'affacciava su un grosso centro commerciale. L'atmosfera un po' deprimente del cielo era riuscita a regalarci uno stato d'animo teso. Sembravamo un patibolo di soldati che attendevano la venuta della salvezza, mentre stavamo come gufi attenti schiacciati su una sola panchina, in silenzio, tanto che mi sentivo un po' claustrofobica.

Jin, con il suo acume, aveva spezzato quel momento di stasi dicendo che il tempo era grigio per far sentire la ragazza di Hoseok a casa.
Non riuscì a ridere nemmeno Jimin davanti a quell'uscita infelice.

Ci aveva raggiunto anche Yurim, già in fase di bendatrice di occhi per Tae nel caso fosse stata troppo carina per i suoi canoni. Io continuavo a chiedermi per quale motivo fossi lì, sarei potuta rimanere a casa, a fare scorta delle cravatte intonse di Namjoon per decidere quale si abbinava meglio al mio collo. Di sicuro quella gialla a pois rossi con macchie di sugo-secco ormai parte dell'intreccio. 

Ma tergiversare sui mille modi per morire, come farebbe quella testina di Yoongi, non mi pareva il caso. 

Speravo che quell'atrocità finisse presto e che Hoseok non facesse il solito all you can-romantic, un nome fondato da Jimin per ogni fase relazionale di Hoseok, decidendo di condividere con lei - e noi - l'intera giornata. Qualcuno aveva cominciato a giocare con i miei capelli, attorcigliandoli in maniera ambigua sopra la mia testa. Era sicuramente Jungkook ma ero troppo presa a non stritolarmi la bocca con i denti per dirgli qualcosa. 

Finalmente un puntino giallo, allegrotto e sorridente ci puntò contro insieme ad una figura melliflua che trascinava un valigione grande quasi quanto lei. Io mi alzai di scatto, con gli occhi fuori dalle orbite e Yurim già pronta a sorreggermi in caso di collasso. Quando i due si avvicinarono stavo cercando in tutti i modi di sorridere, avevo un pernacchio di capelli a banana che mi sventolava sulla testa e un sorriso da Joker, Hoseok se ne accorse e si piazzò davanti alla ragazza indicandoci tutti.

«Emily, ecco la mia bolgia di idioti.»
A quanto pare prendemmo quell'introduzione con più entusiasmo del dovuto, forse neanche capendolo, ma molti di noi saltarono giù dalla panchina dove erano seduti già pronti con inchini, sorrisi e presentazioni. Sentii Yurim pinzarmi un polso, facendomi un sorriso di incoraggiamento.
«Ci sono io, non temere, pronta a defribillare.»
Me lo sussurrò con una dolcezza infinita e, sarà stato quel suo potere scioglinervi, ma mi ritrovai davanti alla famosa ragazza inglese con un sorrisone a mille denti. Yurim provò in tutti i modi di lisciarmi il ciuffo a banana in testa con scarsissimi risultati.

«Ciao, piacere di conoscerti.»

Era palese che non ci stesse capendo, oppure quella era la faccia di una che non s'aspettava un benvenuto così pittoresco. Era una ragazza di una bellezza quasi eterea, aveva lunghi capelli ramati, mossi e delle lentiggini sulla faccia, era più alta di me ma meno di Hoseok, magra ma con un principio di curve che io potevo sognarmi. Gli occhi rotondi e d'un azzurro intenso, un naso piccolo e un sorriso che poteva eguagliare, addirittura superare, quello di Hoseok per quanto luminoso. Se nel cuore della notte la mia testa nutriva delle deboli speranze sul fatto che lei non fosse quella giusta, vennero spazzate via nel momento in cui la vidi chinare la testa per salutarci educatamente. 
Lì cominciò una specie di rituale famoso, ormai, chiamato "salvaguardiamo la speranza" - ogni qualvolta una fiamma subentrava nel gruppo in maniera indeterminata il nome cambiava in base al membro scelto. 

Namjoon cominciò a parlarle in un inglese più che fluente, testando le sue risposte con occhi da acume elevato. Tecnica basata sulla resistenza dell'alto-ego-inglesizzato che Namjoon spargeva non appena aveva modo di mostrarlo.

Jimin non faceva che fissarla con uno sguardo da cucciolo bastonato, ripetendo piano le parole in coreano. Probabilmente lei lo parlava, un po' da principiante, perché riuscì a dire un paio di frasi che fecero sorridere Jimin di gusto. Tecnica basata sul padroneggiare la carineria di Jimin.

Jungkook stava dietro la spalla di Taehyung e guardava la giunta con quella sua affascinante aria di chi non sa cosa sta accadendo, sorrideva come un ebete e non faceva che inchinare la testa in segno di saluto. Tecnica basata su quanti saluti al secondo lei fosse capace di ricambiare prima di spezzarsi l'osso del collo.

Taehyung, che tentava un approccio più o meno gentile, era continuamente pinzato da Yurim che subentrava ogni volta che vedeva il suo sguardo diventare più languido del dovuto. Purtroppo per lei, Tae aveva quello sguardo innato, aveva già fatto innamorare metà Corea del Sud solo tirando su la testa e l'altra metà passandosi una mano tra i capelli. Quella tecnica era basata sulla sopravvivenza, se resisteva senza innamorarsi era ampiamente superata. 

Yoongi teneva le braccia incrociate, la guardava come un quadro senza bordi, incapace di approfondirne il significato non avendo abbastanza informazioni per basare una teoria finale. Mi sembrava abbastanza tranquillo, nonostante tutto, era sicuramente una delle tecniche che gli riuscivano meglio per far sentire a disagio le persone. Ma Emily era troppo intenta a sorridere e a elargire frasi carine per gli altri che non ebbe l'effetto desiderato.

Jin aveva preparato un piccolo vassoio di dolci tipici fatti in casa, donato come un re Magio alla Madonna, tanto che la ragazza si ritrovò un attimo in difficoltà, ringraziandolo metà in giapponese e metà in coreano. Se non fosse stato per Hoseok, sicuro la galanteria di Jin l'avrebbe conquistata, su quel lato era imbattibile. 

Io invece ero l'emblema della gentilezza, o della vergogna, non riuscivo neanche a guardarla in faccia senza sentirmi uno schifo tanto che, cogliendo la palla al balzo grazie ad un Jin pasticciere, guardai il vassoio di dolci dicendole in uno stentato inglese. 
«Anche se probabilmente saranno tossici, digli che ti son piaciuti, è tremendamente schizzinoso.»
Lei rise e rise ancora di più quando un braccio mi avvolse il collo con il tentativo di strozzarmi, sentendo la schiena impattare contro il busto di Jin che rideva in maniera finta.
«Non ascoltarla, ha una gravissima malattia mentale.»
Non so se avesse capito o no, ma lei cominciò a ridere. 
«Oh no no, non vi uccidete, vi prego.» Persino la sua voce era di una dolcezza glassata.

«Jin sto morendo!» Gli piantai un morso sull'avambraccio che gli fece fare uno strillo che  svegliò tutti gli uccelli dagli alberi. 
«Ma la finite voi due?» Namjoon mi tirò via dalle grinfie di Jin con uno strattone mentre l'altro mi spintonò con uno sbuffo, tanto che mi ritrovai addosso a Yurim, ancora intenta a incanalare energia sferica per ridurre la gelosia di quel momento. 

La tecnica di Yurim era alquanto semplice, contava le volte in cui la nuova giunta guardava la faccia del suo ragazzo, praticamente era accettato solo uno sguardo di sguincio e in quel caso la promozione a voti discreti era sua. Credo che avrebbe fatto lo stesso mestiere anche in caso di fiamma di natura maschile, ma non lo avevamo ancora appurato.

«Emily sa parlare coreano e giapponese un po' basilari ma se parlate lentamente vi capisce, quindi non fatemi sfigurare.» Hoseok ce lo disse in via non così confidenziale visto che Emily si arpionò al suo braccio, facendo un sorrisino un po' timido.  Lui le disse qualcosa in inglese e mi stupì come fosse migliorato con quella lingua.

Evidentemente era proprio vero che un buon modo per imparare una nuova lingua è fidanzarsi con una persona che la parla: in qualche modo sei costretto a comunicare, in fondo, a meno che tu non voglia proseguire una relazione fatta di versi di gola. Una volta avevo avuto una relazione durata ben due giorni in quello stato, con un ragazzo spagnolo.

Provai a rubare dell'energia da Yurim per non farmi prendere dalla gelosia ma non ce la feci, vederli stretti, vedere la mano di Hoseok che cercava quella di Emily e la stringeva, vedere i loro visi a un centimetro di distanza, dare finalmente un volto, una voce, addirittura un odore alla futura moglie di Hobi mi causò un senso di stritola-budella improvviso e dovetti allontanarmi da quella scena.
Yu se ne accorse e lasciò il suo ragazzo per un secondo, venendo verso di me.

«Dobbiamo imparare tecniche di meditazione ampliata per questo, vero?»
«Yu non ce la faccio, magari prova ad accecarmi.» Le sussurrai a bassissima voce, contraendo il viso.
«Sì che ce la fai, basta fare respiri profondissimi e placare quell'istinto da omicida seriale che senti nascere in te.»
Provai quella tecnica ma finì con ritrovarmi la gola otturata.
«Oppure potresti darmi un colpo in testa, magari incrociando le dita mi risveglierò tra 50 anni.»
Continuai io ritornando a guardare verso il gruppetto. Stavano ancora parlottando tra loro con un miscuglio di lingue poliglotte e mi concentrai maggiormente sulla mia fonte di dolore. Hoseok era raggiante; avevo sempre pensato che lui, più di tutti, fosse una naturale fonte di energia, ma a quanto pare la vicinanza di quella ragazza lo ricaricava.

Di nuovo una fitta allo stomaco.

«Te lo do davvero se non la smetti di piangerti addosso. Pensala così: finalmente puoi guardarti altrove.»
Finalmente? 
Corrugai la fronte, andando a guardarla con aria un po' da papera.
«Yu so che speri di vedermi con Lee Dong un giorno ma non capiterà mai, fattene una ragione.»
«Aish! Guarda che la speranza è l'ultima a morire, sai?»

Già, la speranza era l'ultima cosa a morire, così dicevano in tutte le salse del mondo. Nonostante il mio Guru di vita la pensasse diversamente, trovavo quasi più probabile che scattasse una fulminea storia d'amore con un attore di drama per la contentezza di Yurim, piuttosto che Hoseok cambiasse improvvisamente idea, mi guardasse, mi vedesse e mi amasse. 

Di nuovo tornai a guardarli, torcendo il collo in maniera un po' autolesionista. Notai Jin che mi fissava, facendo delle strane facce che non seppi tradurre; aveva il suo classico tic all'occhio, probabilmente stava comunicandomi telepaticamente che aveva fame.

«Metti caso che trovo Lee Jong Suk?» Quando ritornai su Yurim mi ero, irrazionalmente placata per un secondo.
Vidi Yurim fare gesti strani, prima di arruffarmi i capelli già in pessime condizioni.
«Ah, i tuoi gusti non li capirò mai. Ma in fondo che dovrei dire io che sto con uno che ha appena fatto innamorare la vecchietta che vende delle statuine di Natale?»

Mi voltai di nuovo, non mi ero accorta che Taehyung era stato fermato da un'arzilla vecchietta dai capelli bianchi che mostrava un babbo natale cicciotto fatto di vetro scadente, verso di lui. Il perché vendesse prodotti di Natale a giugno rimase un mistero mai risolto.

«Sì ma lui almeno ti ama. Più del Natale, è sicuro.»
«Sì, non esserne così sicura.» Mi disse lei, prendendomi a braccetto. «Dovrai conviverci con questa cosa, dobbiamo farci amicizia e non varranno le tue ignobili scuse per finte malattie, non ti rintanerai in casa per tutta l'estate. Tae per favore, che stai facendo? Ma ti devo legare?»
«Che ho fatto? Ne ho comprati due: uno per me e uno per te.»
«Sai che comprare cose di Natale prima di Natale porta sfiga?» Lagnò lei, sbuffando.
«Potevi dirmelo prima, sai che sono un compratore compulsivo.»
«Sei un cretino compulsivo, altro che compratore.» 

Sì, si amavano. Era palesemente amore. Quando due persone si insultavano in quel modo cos'altro poteva essere? 

Provai un po' d'invidia, forse per la prima volta nella mia vita, per la loro inusuale condizione amorosa. Se fossi nata maschio avrei sicuramente fatto pazzie per una come Yurim e, mi accorsi, che in quel frangente l'avrei voluta tutta per me. Era un po' troppo schietta e cinica contro le mie paranoie mentali, ma mi aiutava a piantare i piedi a terra in qualche modo. 

Grazie a Dio mi sorreggeva sul serio.

«Ragazzi, andiamo a mangiare?» Hoseok prese parola, mentre piantò un dito verso il mega centro commerciale cubico e grigio.
«Se entriamo lì dentro Tae va in rosso definitivamente.» Lo prese in giro Jimin. «Ma perché hai comprato due babbi natale?»
«Non domandarglielo, per favore.» Sbottò Yurim mentre lasciava il mio braccio per andare a recuperare il braccetto sia di Jimin che di Tae.
«Proviamo il messicano oggi?» s'intromise Namjoon, guardandoci tutti.
«Io volevo mangiare Thailandese.» Disse Jungkook, gonfiando le guance. 
«Vabbè tu vai a mangiare Thailandese e noi andiamo dal messicano, semplice no?» Jin subentrò di nuovo nella mia visuale mentre prendeva in giro un povero Jungkook già in procinto di fargli il verso.
«Che simpatico, i tuoi nipoti ti devono proprio amare per questo.» Borbottò il più giovane del gruppo, passandogli accanto.
«Aaaaa basta dire che sono vecchio. Non sono un nonno.» Si lagnò Jin, mentre mi piantava le mani sulle spalle.
«Oh non usarmi come scudo.» Cercai di scacciarlo ma quello mi stava letteralmente spingendo.

Non me n'ero accorta evidentemente, ma non mi stavo muovendo, stavo regredendo a feto, tra poco avrei perso tutte le mie conoscenze motorie. Con un po' di sconforto mi feci spingere verso il centro commerciale.

«Tutto bene, sì?»
«Che domanda complessa, Jin.» Feci io, tirando su la testa per guardarlo.
Eravamo rimasti un po' indietro rispetto agli altri. Ero convinta avrebbe tirato fuori le sue somme, dicendomi qualcosa a riguardo, o magari sfoggiando qualche commento su Emily, dandomi conferme che non volevo ricevere. 
Invece sorrise e io rimasi per un attimo a guardarlo.
«Che ne dici di una sfida? Mangiare il peperoncino più piccante che hanno, chi riesce a non sputarlo ha vinto.»
Mi venne da ridere, tanto che per poco non incespicammo entrambi.
«Ci sto! Ma se muoio ti cito in giudizio.»
«Meno male che Hoseok ci ha detto di non farlo sfigurare.» Smise di toccarmi le spalle, posizionandosi al mio fianco. 
«Come minimo dovremmo estendere la sfida a tutti.» Incalzai io.
«Grande mente, terribile sì. Ma grande.»
Dopo quella citazione magica lo spintonai, cominciando a raggiungere gli altri affrettando il passo. Presi l'ennesimo respiro gigante, che rimase bloccato in gola insieme agli altri.

Yurim aveva ragione, dovevo ingoiare il rospo. dovevo farmela piacere, diventarci amica, pensare che non potevo fare altrimenti. Di certo non potevo odiarla solo perché avrebbe sposato l'uomo della mia vita, no? Hoseok mi avrebbe ripudiato e avrei perso anche quell'ultimo sprazzo di intimità che avevo con lui. Forse era un ragionamento un po' egoistico ma non trovavo alcuno sbocco, per il momento, dovevo solamente far fluire le cose per come erano. Dicono che il tempo cura ogni cosa, avrebbe curato anche questo.
No?





Il tempo era una medicina a lento dosaggio. Non stava dando i frutti desiderati, anzi stava solo ampliando i sintomi facendomi passare da momenti di sconforto totale a strani sbalzi di buon umore immotivato, riuscivo a pensare a come sarebbe stata la mia futura vita senza di lui in due modi: 
1) Non sarebbe cambiato niente, io avrei rinunciato una volta per tutte e forse, un giorno, sarei riuscita a voltare pagina e a non immaginare uno di quei casi di "CrimeKoreanStory" dove ex amanti psicopatiche ammazzano lui, lei e tutto il vicinato.
2) Buio. Non vedevo nulla. Il vuoto cosmico. Un buco nero divoratore di tutto. 

La seconda opzione mi colpiva quasi sempre prima di andare a letto e, stranamente, riuscivo a non lasciare che il magone si trasformasse in pianto. In effetti non avevo ancora avuto una reazione esplosiva a quella cosa, un po' mi preoccupava e inquietava ancora di più i miei coinquilini che si aspettavano una bomba atomica da un momento all'altro. Ma erano già passati cinque giorni da quando avevamo conosciuto Emily e le cose stavano proseguendo come se fosse la cosa più naturale del mondo. Eravamo già usciti insieme tre volte e se, in tempi passati, Hoseok mi avrebbe chiamato per andare al cinema o a fare una passeggiata al mare a cercare i tesori dei pirati, ora chiamava solo per organizzare appuntamenti poco galanti insieme a tutti.
Ero sicura che la mattina l'accompagnasse a visitare la città e che le avesse già fatto conoscere tutti i parenti della zona, sapevo che lei si era già innamorata del suo cane, che sarebbero andati di notte a portarlo in giro, sotto le stelle, a parlare di tutti gli alieni esistenti al mondo.

Tutte le cose che prima faceva con me ora le faceva con lei.

 Non c'era più spazio per la migliore amica, non era più una cosa che  sarebbe risultata naturale. Quante volte mi ero chiesta del perché non me l'avesse detto, in quei mesi, magari con un messaggio o una chiamata. Perché non avesse voluto prepararci, prepararmi psicologicamente a questa cosa, a questo cambiamento improvviso. Non riuscivo a pensare di aver perso, oltre alla speranza di una vita futura con lui, anche quel piccolo tesoro che custodivo da sempre.
Lo trovavo ingiusto, non riuscivo proprio a perdonargli quel segreto informativo da area 51, tanto che quando in testa mi balenavano le parole di Yoongi
non dirglielo
venivo travolta da uno stato di rabbia che non era consono per una come me. 

Mi stava trasformando in qualcosa che non mi piaceva per niente, sentivo le emozioni che venivano mangiate dal vuoto e, nel vederlo, non provavo altro che rabbia. Forse stavo passando una sorta di via introduttiva alla liberazione di un amore, una specie di fase, come si fa con un lutto. Non lo so, ma nei periodi di sconforto facevo davvero fatica ad alzarmi dal letto e ancora di più ad andare a lavorare sapendo che quel maledetto Sole ambulante mi stava infettando come un virus.

Jin, che prima veniva a sere alterne, me lo ritrovai ogni sera a casa con la cena pronta o con prodotti freschi. Era un cuoco davvero in gamba, nonostante non glielo potessi ammettere per non alimentare il suo ego culinario. Non sempre Yoongi e Nam restavano a mangiare con noi e quando eravamo da soli passavamo il tempo a dire cavolate ai concorrenti dei programmi TV dei quiz a premi. Era la cosa più divertente che riuscivo a fare senza pensare a Hoseok, forse perché era una delle cose che - in effetti - non era sua. 

L'avevo iniziata con Jin e quindi non venivo sobbarcata da malinconici ricordi.

Ma c'era sempre qualcosa che non andava, non facevo che guardare il cellulare sperando di ricevere un suo messaggio,  o qualcuno dei suoi video stupidi che si divertiva a mandarmi nei momenti meno opportuni. Condividevamo tutti insieme una chat di gruppo ma gli unici che scrivevano sopra con parsimonia erano Jimin e Tae, noi altri sembravamo degli osservatori in incognito, come delle spie russe pronti a segnalarli per qualche infrazione. Ma da quando Jimin era arrivato a Seul anche quella chat era diventata arida come il deserto, così niente trillava in vista. E Yurim, per qualche ragione a me ignota, era raro che mi scrivesse quando le dicevo che Jin era a casa.
Avrei proprio dovuto chiederle il motivo.

«Questa la so, questa la so: "il coperchio è nel cesto".» La voce di Jin mi fece ritornare alla realtà, mentre pinzava una patatina fritta, ormai fredda, smangiucchiandola. Aveva Monie addormentato sulle gambe, a bocca aperta, a pancia in su; era una perfetta rappresentazione di Nosferatu.
«Ma che dici? E' palesemente sotto la coperta.» Dissi io, ritornando a guardare lo schermo.

Il programma era un gioco talmente stupido che ti faceva sentire intelligente. I concorrenti venivano bendati e, in base a dei suggerimenti tattici, dovevano trovare un oggetto che veniva mostrato loro all'inizio del gioco per poi essere nascosto da qualche parte. Avevamo visto donne cascare, uomini perdere la dignità, ragazzi palpare cose indefinite pur di vincere. Ma durante la serata c'era sempre un vincitore, per non far perdere le speranze ai più intrepidi.

«Ma quale coperta? Non c'è nessuna coperta!» Strillò Jin.
«Jin è simbolica. Insomma sii poetico, la coperta è  il suo io-interno. Dovrà sco-pertarla per trovarlo.»
«Va bene magari basta con i pop-corn che dici, eh?» Jin mi levò la ciotola da davanti al naso facendo un mezzo sorriso.
«Aaaaaah.»  Con un lamento degno di nota lo feci allarmare, mentre mi piantava la mano alle labbra.
«Sssh, se Yoongi si sveglia mi uccide. L'ultima volta mi ha inseguito con uno scopettone.»
«Sì me lo bicobdo, bei bembi.» Avevo ancora la mano di Jin sulle labbra, tanto che parlando gliela inumidii un po' di saliva. La tolse con una smorfia schifata,  pulendosi sul divano.
«Mi ha inseguito fino alla fine della strada.»
«Jin ti eri messo a nitrire per spaventare quel topo del documentario. A squarciagola. Alle tre di notte.»
«Sì ma ero ubriaco, non sapevo che fossero le tre di notte.»
«Eeee bè, lo hai scoperto.» Risi io, dandogli una pacca sulla testa liscia. 

Jin rise, strizzando un po' gli occhi. Aveva una risata particolare, per niente attraente nonostante tutto il suo corpo inneggiasse alla seduzione quando si impegnava, ma quando rideva sprigionava la vera essenza di Jin: un asmatico morente. Una volta gliela registrai, durante uno dei suoi attacchi, la misi come suoneria del cellulare a tutti quanti. Li feci ammattire per una settimana chiamandoli a intermittenza, volevano uccidermi. Ma quella risata era contagiosa e, se per caso qualcuno di loro si trovava in un luogo pubblico  e il telefono squillava, partiva una risata di gruppo non indifferente. 

Sarei dovuta finire nel Guinness dei Primati per questo, quanti riconoscimenti persi.

«Comunque Yoongi non c'è, credo sia andato da Tae e Jimin.»
«Non che di Namjoon abbia meno paura.»
«Namjoon non si sveglia neanche se gli spari addosso un bombardolo
«Che cos'è un bombardolo?» Mi domandò lui, sconcertato.
«Non lo so, qualcosa di molto rumoroso penso.» Spiegai io nella mia profonda cultura.

Lasciammo perdere la conversazione di vendette e sveglie progressive quando finalmente la partecipante trovò il coperchio: nella cesta. Aveva ragione il dannato Jin. 

«Tutta fortuna la tua.»
«Sfortuna in amore, almeno dammi una gioia.» Disse lui, poggiando il vassoio di patatine sul tavolino davanti al divano. Monie fece un guaito di disapprovazione per quel movimento.

Il nostro salotto era la stanza più grande di tutta la casa e avevamo un divano a zoccolo degno delle migliori living room, ma avevamo un tavolino orripilante che Namjoon aveva comprato in un mercatino delle pulci per andare al risparmio. Era pitturato con fiori di loto rifiniti con parvenze dorate e, nel mezzo, c'erano aquiloni variopinti. Era un pugno in un occhio non indifferente, ma per citare un famoso drugo dava un tono all'ambiente.

«Veramente la sfigata in amore sarei io.» Puntualizzai, dandogli una gomitata.
Ma poi, come un fulmine a ciel sereno, mi resi conto di una cosa. 
Jin non aveva nessuna ragazza, mai avuta da quando lo conoscevo. Sapevo delle vecchie relazioni di tutti, sapevo di quelle in atto, di quelle clandestine e di quelle mai nate,  ma Jin era stato sempre un punto di domanda su quel lato.

«Tu non sei sfigata, sei solo ...ecco hai solo un tepismo un po' ammaccato.»
«Ah tu dici eh? Ammaccato.» Affilai lo sguardo su di lui, fissando il suo profilo. «Dai, so che c'è una signorina Jin da qualche parte, come mai non ci racconti mai delle tue storie?»
«Perché non c'è nessuna signorina Jin.»
«Sì certo: hai portato dei dolci fatti in casa a Emily da grande traditore della patria quale sei e vuoi dirmi che non hai nessuna che ti fa battere quel cuore cioccolatoso che ti ritrovi?»
«Esatto.»

Ma non mi guardava, era diventato serio di colpo, mentre rubava pop-corn dalla mia ciotola con fare ritmico, non sembrava neanche li stesse masticando.
«Ma come, il più fantastico, bellissimo e fascinoso Jin?» Incalzai io, ma quello niente, fece spallucce come se l'argomento non fosse neanche di suo interesse.  «Ehi l'hai tirata tu fuori la storia che sei sfortunato in amore, ora non puoi liquidare questo pettegolezzo amoroso così.»
«Non c'è nessun pettegolezzo amoroso. Sono solo sfortunato, tutto qui.»

Misi il broncio ma non continuai con le domande, a quanto pare non voleva parlarne. Era bravo a farti capire quando superavi il limite con i quesiti personali perché cambiava tragicamente espressione, se prima sembrava la persona più buona e ironica del mondo diventava una maschera di freddezza. Quell'espressione era rara vederla tanto che non ne ero abituata neanche io, così con l'ennesima pacca sulla spalla, ritornai a guardare la TV.

«Ci facciamo compagnia allora, nella sfiga.»
Mormorai io mentre lanciavo un'occhiata di nuovo al mio cellulare, sempre nero, sempre morto, sempre dimenticato e provai uno stranissimo senso di solitudine. Durò fino all'istante in cui Sentii un suo braccio avvolgermi la testa, tirandomi verso di lui. Come conseguenza tutti i pop-corn ci finirono addosso. Monie grugnì dopo quell'attacco di mais cotto.
«Oddio sale, sale Seo, sale ovunque! Moriremo
A quanto pare non era capace di rimanere serio troppo a lungo.






Quando Yoongi tornò a casa ci ritrovò immersi in un documentario che parlava delle morti dei bradipi, nella savana, tanto che ci spaventammo non appena accese la luce facendoci sobbalzare ciotole e bicchieri vari. Quel frastuono provocò un  ringhio di disapprovazione nello sguardo di Yoongi che non sembrava particolarmente felice. Monie, sentendo il suo odore nell'aria, si alzò di scatto, scodinzolò pelo sulla faccia di Jin e si fiondò sul suo preferito, abbaiando un "ciao" sincronizzato a quello di Yoongi stesso.

«Ma siete ancora svegli voi due? Ci sono pop-corn ovunque.» Gracchiò quello, dando una carezza sulla testa bianca di RapMon, prima di caracollare verso il corridoio.
«Colpa sua.» Eravamo stranamente sincronizzati per incolparci a vicenda, mentre io indicavo Jin e lui indicava me.
«Pulite 'sto schifo e fate silenzio, ho un mal di testa folle oggi.»

L'allarme rosso che poteva darmi il mal di testa di Yoongi era quasi paragonabile alla paura che provava Jin per le meduse. Lo vidi barcollare mentre Monie lo teneva d'occhio col tartufo per aria, già pronto ad un salvataggio in caso di caduta.

«Ehi aspetta» mi alzai come uno di quei bradipi del documentario, dal divano, arrancando verso di lui per fermare la sua ascesa alla camera da letto «che c'è? Va tutto bene?»

Era una specie di messaggio in codice, o almeno così mi ero deciso di proclamarlo. Ogni volta che Yoongi mi annunciava che aveva mal di testa era successo qualcosa di grave, o di insormontabile persino per uno come lui. Jin forse non lo aveva capito ma io sì, e notai una patina lucida nel suo sguardo quando mi ritrovai a fronteggiarlo.

«Non ora.» Mi disse solamente lui, cercando di oltrepassarmi. 
«Dai Minno, sai che puoi par-»
«Cazzo Seo, mi vuoi lasciare stare? Hai già i tuoi problemi di merda a cui pensare o hai bisogno davvero di un motivo per tirare fuori quelle lacrime?»

Per poco non mi strozzai con la saliva, capitava di litigare con Yoongi motivi più che futili, come su chi fosse meglio tra Goku e Vegeta, ma quell'attacco personale mi destabilizzò per un secondo.
Rimasi immobile a guardarlo senza trovare nessuna parola di risposta.

«Yoongi, calmati. Non 'cè bisogno di arrabbiarsi.» Jin fece l'errore di subentrare nella discussione, affacciandosi dal divano. 
«Tu che cazzo ci fai qui, eh? Ogni fottuto giorno come se fosse casa tua, ti rinfresco la memoria, non è casa tua amico. O sei talmente solo che hai bisogno della compagnia della più disperata tra noi per non sentirti uno schifo?»

Sarà stato un latrato a sbuffo di Monie, sorprendentemente contrario alle faide famigliari, o la faccia di Jin che cambiava espressione ma mi Sentii montare nel petto la famosa rabbia-generalizzata che Hoseok aveva abilmente coltivato inconsapevole dentro di me. Senza nemmeno pensarci diedi uno spintone a Yoongi talmente improvviso e secco che lo vidi barcollare all'indietro, facendo un tonfo sordo contro la parete adiacente. Speravo di non avergli sfracellato il cervello, mi chinai con le ginocchia per appurarlo, ma finì col guardarlo dritto in faccia mentre un potentissimo odore alcolico mi arrivò alle narici.

Si tastò la nuca mentre fece una smorfia, c'era qualcosa che lo stava schiacciando, ero sicura. Ultimamente le sue sbronze erano più frequenti e, per quanto non fossi una grande amante delle ubriacature tristi e disperate, quelle rabbiose erano ancora peggio. Avrei voluto che mi sputasse in faccia qualunque cosa lo stesse avvelenando ma, in quel momento, avevo in testa solo la faccia di Jin improvvisamente ferita, e provai un senso di forza maggiore. 

E poi ero sicura ci fosse ancora del rancore sotto-pelle per la sua dichiarata preferenza per Hoseok, quella spinta era stata una macchietta vendicativa impulsiva.

«Vaffanculo Yoongi. Di un'altra sola parola storta a Jin e giuro che ti strappo la lingua a morsi nel sonno e la centrifugo.»
Quel tipo di minaccia ero sicura che lo avrebbe fatto ridere e invece  non  lo fece, mi guardò con l'aria di chi si era appena svegliato da un brutto incubo. 

«Fatti una pozione di caffè, limone e sale, bevilo a goccia come faresti col tuo amato makgolli, ripudia la sensazione di vomito per i primi cinque secondi ma poi lascia che il tuo stomaco si liberi dal diavolo, poi idratati con dell'acqua, non con della birra, mangiati un cucchiaino di miele, stenditi e non pensare al fatto che la stanza giri come un oblò di corallo.» Dopo quel monologo medico improvvisato un po' schietto e un po' rabbioso lui tentò di aggrapparsi alla mia maglia, ma io indietreggiai col busto prima che potesse aggrapparsi. «Avrei tremendamente bisogno di piangere, in realtà. Ma tu puoi parlarmi di tutto quello che vuoi; smettila di fare il cane idrofobo e smettila di berti le distillerie. Non devi imparare a comunicare, ma almeno non fare il brontolo, sai che ti capirei in ogni caso.»

Glielo sussurrai, non tanto per tenerlo nascosto a Jin, quanto più per evitargli un rimbombo craniatico già ampliato da quel mio attacco. 
«Seo io -» 
Lo bloccai di nuovo, mentre mi alzavo di scatto. Presi uno strofinaccio, lo bagnai con dell'acqua fredda e glielo spiattellai sulla fronte; come infermiera sarei stata terribile.
«Se stai per chiedere scusa, indirizzati a lui.»

Lui, Jin, era rimasto silenzioso e rispettoso per quel momento nonostante si fosse piazzato davanti a noi. Sentii Yoongi provare a dire qualcosa ma pinzai il polso del mio cuoco personale mentre fluivo verso la porta, ignara del fatto che Jin volesse seguirmi o meno. «Anzi sai cosa? Ricordati di dormire.»

Non so se disse, fece o provò a interloquire perché trascinai Jin fuori di casa, lasciando Minno solo nel suo dolore alcolico.







NTA: per chiunque sia arrivato pure alla fine di questo capitolo, grazissimo. Ci sono pezzi nei capitoli che non mi convincono del tutto ma mi servono per arrivare a cose successive più profondine e quindi niente, dopo svariati modificamenti non riesco a fare di meglio, ma sarà anche l'orario notturno che non mi aiuta. Tra l'altro, anche se non l'ho mai detto, mi sono resa conto che la storia è un po' molto alla "Il matrimonio del mio migliore amico", ma con sprazzi di drammaticità contaminata da più punti, come si può notare in questo capitolo da Yoongi, che ormai io riesco a vedere solo con 'sto carattere. Ho piani tristini per tutti in realtà, giusto per non farmi mancare mai un po' di cinismo maa in realtà mi piace mantenere quest'aria sempre un po' pittoresca e ironica. Scusate se ci sono errori di battitura e cose varie ma, nonostante rilegga e strarilegga, è molto probabile che mi perda pezzi, nel caso potete dirmelo senza indugi e vergogna <3  A prestissimo.

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Capitolo 4
*** Nostalgia, portami via ***


4 ~ Nostalgia, portami via

 
ㅇㅅㅇ



 
Era innegabile che noi passavamo più tempo a mangiare che a fare altro, persino nella rabbia non mi si chiudeva lo stomaco e così ci ritrovammo dentro uno dei chioschi notturni dove serpeggiava la linea ferroviaria. Ormai i treni erano ombre solitarie che passavano come vagoni fantasma mentre qualche povero ubriaco era rimasto addormentato sulla piattaforma. Jin mi stava guardando con aria un po' apprensiva mentre addentavo un onigiri, lui aveva ordinato una sorta di piadina intrisa di verdure lessate che lasciava un odore genuino e marino. Non eravamo gli unici, c'erano un paio di signori anziani e una coppia che sfoggiava tutta la sua libido con carezzine che facevano scuotere i capi pudici dei più vissuti. 

«Ne vuoi parlare?»
«No.»
Era la terza volta che me lo domandava. Non sapevo neanche perché lo avevo trascinato con me visto che non avevo voglia di parlare con nessuno, ma come io ero brava a far cadere un discorso che a lui dava fastidio, anche lui sembrava in grado di non continuare davanti ai miei esaustivi no.

In realtà avevo il cervello miscelato, non riuscivo a calibrare quella specie di fastidio nello sterno. Era raro che Yoongi perdesse le staffe in quel modo, non che fosse esente da arrabbiature più o meno infelici, ma l'accanimento era qualcosa di lontano anni luce. Quello scoppio mi aveva fatto male; da quanto tempo covava quei pensieri verso di me? Mi trovava davvero così disperata?

Ripensai a quei tre anni di convivenza, avevamo subito più stress mentale che spensierati pensieri felici, ma nel nostro essere disfunzionali, funzionavamo abbastanza bene. Avevamo cambiato ben tre case in quel lasso di tempo: la prima casa era una specie di buco con due camere, Nam e Yoongi avevano accettato di dormire insieme ma ero sicura che in quel periodo mi odiassero molto, fummo felici di venire cacciati. La seconda non era male ma era distante dal nostro lavoro almeno tre galassie e mezzo, così in pratica vivevamo insieme ma non riuscivamo mai a incrociarci, se non sporadiche volte la mattina per la lotta dell'uso del bagno. Confermai che a discapito di quanto ci aspettassimo era Namjoon che restava chiuso lì dentro per sei secoli.

La terza e ultima casa era perfetta: giardino in comune, vicino al lavoro, vicino agli amici, vicino ai supermercati e avevamo una vicina di casa che ci preparava spesso qualcosa da mangiare da portare al lavoro, sia mai che mangiavamo schifezze come noi giovani d'oggi siamo abituati a fare. Ci piaceva farle credere che condividevamo una vita sana ma non potevamo dirle la verità, ci faceva sentire un po' in colpa.

Io e Yoongi avevamo cominciato ad andare davvero d'accordo dopo una sua storia finita tragicamente,quando beccò la ragazza con cui si frequentava a letto con un altro.

Non si era mai sbilanciato riguardo i sentimenti che provava realmente per lei ma, da quel giorno, smise di chiedere a me e Nam di sloggiare quando portava qualcuna a casa. Se intraprese altre avventure relazionali non ci fu dato saperlo, ma ero convinta che avesse smesso di ripiegare quella sua noia interiore verso un altro essere vivente. Eppure ero sicura che ci fosse qualcosa, era qualcosa di segreto che non aveva intenzione di rivelare neanche sotto tortura, lo capivo dal fatto che il suo umore era molto ballerino. Peggio del mio. 
Pensai che fosse per colpa del suo nuovo corso di musica, o degli svariati lavori che faceva, ma visto la propensione al segreto di stato, era sicuramente qualcosa di emozionalmente più complesso.

Il lato oscuro di Yoongi.

Alle volte si sbilanciava, mi raccontava qualche aneddoto imbastito nella sua testa. Alle volte era più indecifrabile di un Codice della CIA, ma andava bene così a tutti, Yoongi era particolare ed essere suo amico era un privilegio.

Durante quell'anno decisi di dirgli del mio amore per Hoseok, fu il primo a cui lo dissi senza peli sulla lingua e lui, per tutta risposta, mi rise in faccia. Rise proprio di gusto, neanche avessi detto che Taehyung era diventato vegano. Sapevo che era un modo tutto suo, malsano,di dirmi che capiva il casino in cui mi ero messa.  Dopo quell'attacco di ridarella poco sensibile, però, ascoltò tutto il mio malessere e, per qualche ignota ragione, da quel momento anche il suo animo cambiò. 

Mi venne addirittura da pensare, nella mia infinita modestia, che fosse innamorato di me e che fosse geloso, ma non era questo. Non riusciva a consolarmi, per quanto si sforzasse e Namjoon - che fu il secondo per forza di obblighi morali - non era fisicamente in grado di farlo, non riuscivamo quasi mai a ritagliarci un po' di tempo da soli per colpa degli orari sfasati. Io lavoravo in una piccola agenzia di illustratori, Namjoon lavorava nel campo informatico privato, gestendo un minuscolo studio insieme ad un collega talmente rompino che non lo poteva sopportare nessuno. E Yoongi faceva troppe cose, da poter catalogare; una delle più belle fu il commesso di biancheria intima femminile a GlamGlam, una piccola marca ancora di poco successo. Quante ingiuste prese in giro aveva ricevuto da parte nostra.

Jimin aveva altri problemi a cui pensare e quando scoprì di quella rivelazione non tanto rivelazione, sono sicura per colpa di Yoongi e della sua boccaccia ubriaca, aveva i cuori che gli uscivano anche dalle orecchie. Parlava di matrimoni e di nipotini da accudire, quindi mi dissi che non era il caso di illudermi troppo, per quanto un po' di sano ottimismo mi servisse. Jungkook non credo l'abbia mai saputo e Tae non parlava di questo con me, non ha mai tirato fuori l'argomento neanche davanti a Yurim, che ovviamente era una delle fondatrici ufficiali di questo mio segreto-non segreto.

La cosa strana fu che a Jin non glielo dissi mai invece, lo capì da solo, un giorno, quando ancora il nostro rapporto era fatto di battutine un po' sceme e qualche uscita sporadica. Mi disse che me lo leggeva in faccia e speravo che quel particolare talento ce l'avesse solamente lui, non volevo avere la faccia di "gobbo" da teatro. Fu l'unico, in effetti, che mi propose di fare cose mai fatte prima, oltre la serata da vecchietti davanti ai programmi tv. Mi portò a fare un corso di decorazioni per ceramiche antiche, un disastro collettivo, eravamo gli unici con età non pensionabile e per tutto quel periodo i nostri "colleghi" di corso erano convinti che dovessimo sposarci. Ci hanno addirittura regalato un servizio da tè decorato da loro per la nostra "novella dimora". 

Per l'inverno, durante le vacanze natalizie, perdemmo una scommessa e provammo a farci assumere come elfi di Natale in uno dei grandi magazzini di Gangam. Purtroppo per noi ci assunsero entrambi e per un paio di settimane fummo i piccoli aiutanti di Babbo Natale. Scoprì che Jin con i bambini non era portato per niente mentre io aizzai una gang di piccoli teppisti non volutamente. Non fu un completo disastro ma ricevemmo un po' di lamentele dai genitori rabbiosi. Avevamo una scatola piena di foto di quel periodo che, dopo una promessa solennissima, avevamo deciso che non sarebbe mai stata usata per ricatti, vendette o spargimenti di sangue. Sarebbe morta con noi con noi ed era un segreto che nessun'altro sapeva.

L'ultima trovata di Jin era un corso di ballo di coppia, la salsa, che stava proseguendo ancora con vergognose lezioni di calpestamenti di piedi e movimenti robotici.
Lo odiavo molto per questo ma, credo, che nel suo essere così stranamente meticoloso cercasse in tutti i modi di tirarmi su di morale. Non ci pensavo molto, ma era l'unico con cui riuscivo a non tormentarmi troppo la testa per Hoseok. Alle volte mi scordavo addirittura di avercela rotta.

Yoongi poteva dirmi quello che voleva, sapevo di essere una palla al piede per quella questione e sapevo che, nella mia bolla sofferente, mi si appannava la vista e faticavo a vedere i problemi degli altri. Ma nessuno doveva dire niente di Jin. L'unica offenditrice ero io, nel caso. 
Senza di lui, probabilmente, sarei caduta in depressione senza margine di risalita. Gli dovevo molto ma anche questo, probabilmente, sarebbe morto nella tomba con me.

«Seo  stanno chiudendo e io domani devo andare in Università. Volevo finire di ripassare dei capitoli per la lezione.»
«Vai, tranquillo.»
«Ti riaccompagno a casa.»
«Jin, casa mia è a due minuti da qui.»
«Sì ma ho visto uno strano essere che faceva la pipì per strada, prima. Metti caso che ti scambia per un palo, sarei pronto a tenerti ferma per non fargli mancare il bersaglio.»
Feci una smorfia di disgusto divertito, mentre allontanai il mio piatto ormai finito. Mi guardai intorno, probabilmente ero rimasta mezz'ora immersa nei pensieri o chi lo sa quanto, non c'era più nessuno e i proprietari del chiosco mi stavano guardando con quella tipica faccia da "se non se ne vanno do fuoco a tutto, con loro dentro."
«Non ho pagato.»
«Ci ho pensato io da bravo finto-ricco che sono, andiamo.» Jin mi issò per un braccio, fece un inchino ai poveri lavoratori notturni e mi trascinò fuori da lì.

Avevo palesemente sonno, la rabbia si era tramutata in narcolessia ma avevo una gran voglia di rimanere fuori tutta la notte, senza dover tornare da nessuna parte, restare senza meta, una viaggiatrice dispersa, ancora per un po'.
«Non voglio tornare a casa.»
«Lo so.» Continuava a tenermi per un braccio mentre risalivamo una collinetta che portava ad un viale alberato, quel viale portava alla sua Università. Forse voleva abbandonarmi su una panchina del campus, o davanti ad un portone di qualche casa, finalmente levandosi di dosso quella monnezzina di amica che  non faceva che piangersi addosso.
«Andiamo a casa mia.»

Frenai di colpo e per poco Jin, data la presa, non si portò via il mio braccio come un tronco d'organo monco. Si fermò, girandosi con aria assonnata. Era tremendamente stanco, lo vedevo, aveva gli occhi rossi e le labbra più gonfie del solito. Era stato egoistico tenerlo con me tutta la notte, e provai un enorme senso di tenerezza.

«Che c'è?»
«No Jin, vivi con tuo fratello non posso. Già pensano male di me che vivo con quei due debosciati, se cominciano a vedere che vado a dormire a casa dell'assistente antropologo mi prenderanno per una poco di buono.»
Jin rimase per un secondo sconcertato da tale rivelazione fino a che, a sorpresa, si mise a ridere. Ecco che quell'aria seriosa, apprensiva e galante lasciò spazio all'asmatico che era dentro di lui. Venne da ridere anche a me, per chissà quale motivo, così che ci ritrovammo a poggiarsi contro una palizzata di legno per riprendere fiato. 
«Dormirò sul divano e mio fratello è partito per gli Stati Uniti due giorni fa, per un congresso culinario. Non penserà nessuno male di te, scema di guerra. E poi che problemi ti fai? Io avrò dormito a casa tua un milione di volte.»
«Ma-»
«Domani, quando torni a casa, ti chiarisci con quella testa di mela, fate pace, vi date tanti abbraccini e ritornerete amici.»
Rimasi per un attimo sconvolta a guardarlo, ancora mezza sorridente.
«La devi smettere di vedere i drama Jin, ti stanno ammalando il cervello.»
«Questi sono i videogiochi, non i drama, fidati sono molto più drammatici.»
«Sì lo so. Anche se,ammettilo, il vero dramma sono io che ti straccio a "Fuel2" giocando con una mano sola e leggendo un manuale di ignengneria meccanica in angolano.»
«Oh oh ohhh, ti piacerebbe.» 

Alla fine vinse lui.




Mi svegliai tardissimo, quando guardai l'ora era già mezzogiorno. Fui presa da un senso di panico per mancato lavoro, ricordandomi solo dopo qualche secondo che quel giorno ero di riposo. Ero ricoperta da venti strati di coperta, nonostante era palese ci fossero cinquemila gradi infernali fuori, tanto che ero sudata e avevo i capelli in balia di una guerra nucleare. 

Mi misi subito composta, drizzandomi e pulendomi eventuali sbavate notturne. Nonostante lui conoscesse ogni anfratto di casa mia, io non avevo mai visto la sua. Avevo conosciuto il fratello in sporadiche occasioni, insieme ai suoi genitori, e non mi ero mai permessa di auto-invitarmi a casa loro neanche per un tè. Quella casa era decisamente più tradizionale e aveva un ordine quasi fastidioso, ogni cosa aveva una collocazione minimale e c'era un forte odore di pulito e di fresco.
Non era un clima spiacevole ma mi sentivo tremendamente a disagio, tanto che provai a sistemare il letto e le coperte come meglio potevo per non disturbare quella precisione. Non rimasi troppo ad indagare dentro la camera di Jin, mi sentivo quasi una disturbatrice nel guardare in un luogo così intimo per lui. Ma prima di fluire verso la cucina mi fermai, bloccata da qualcosa.

Sopra la scrivania, legate da uno spago annodato a mano, erano appese le nostre foto. Alcune, lo ricordavo, erano state scattate da Jimin. Altre doveva averle stampate lui, chissà quando. Su ognuna c'era appuntata la data e il luogo, in alcune addirittura aveva disegnato delle faccine sorridenti. Eravamo presenti tutti, ma le mie preferite erano due: una mia e di Yurim, abbracciate, in mezzo alla neve. Mi ricordavo quel giorno, avevamo provato a fare snowboard finito tragicamente con rischio rottura colonna vertebrale. Eravamo  tutti impediti per qualsiasi cosa riguardasse l'inverno, tra pattini, sci e persino a sederci sulle seggiovie. Una specie di dilettanza condivisa.

La seconda, invece, ritraeva Jin e Namjoon, l'avevo scattata io col suo cellulare. Jin era appollaiato sulla sua testa e Nam lo stava guardando con una faccia di pongo talmente ridicola che, ero sicura, non sarebbe mai più riuscito a rifarla. Eravamo andati a mangiare sushi tutti e tre insieme, ci eravamo ubriacati con degli shot non identificati e avevamo passato tutta la notte a camminare per Seul senza meta, a parlare di tutto e di niente, forse ci dicemmo cose segrete che non ricordavo. Se dovevo scegliere un giorno nel quale capì che Jin era diventato importante per me, avrei scelto sicuramente quello. 

Prima di cercarne qualcuna con Hoseok e immergermi in fastidiosi ricordi decisi di smetterla, mi stavo lasciando prendere dalla mia fase malinconica e non avevo voglia di cominciare la giornata già col magone addosso. Pregai in tutte le lingue del mondo che Jin non fosse a casa, poi mi ricordai dell'Università e tirai un sospiro di sollievo, distendendo un po' i muscoli. Avrei voluto ringraziarlo per l'ospitalità ma, sapevo, che se l'avessi trovato lì sarei stata capace di non tornare a casa nemmeno quel giorno. Non era salutare aver bisogno di qualcuno per espellere i problemi interni e sapevo che, quel mio lato ancora infantile, non doveva trovare terreno fertile. 
Mi aveva lasciato la colazione, ormai gelida, sul tavolo della cucina  con un biglietto.

"Mangiami." 

Sentendomi molto Alice nel Paese delle Meraviglie divorai con una fame da lupo idrofobo quella colazione, riordinai tutto, lavai i piatti, mi detti una rinfrescata e uscì di casa. 
Gli lasciai anche io un messaggio con scritto: 

"Sono diventata alta cinque metri, e ora?"

Sperando che cogliesse queste citazioni disneyane mi diressi verso la fermata dell'autobus. Potevo benissimo immergermi in un'altra camminata vialosa, ma dovevo fare una tappa un po' fuori mano.

Capitava che tra noi coinquilini, ogni volta che litigavamo, ci facevamo dei regali a vicenda per dimostrare il nostro dispiacere. Di solito erano pensierini del tutto inutili, stupidi e senza senso di esistere. Questa idea ci piacque così tanto che la abbonammo a regola della casa così, ogni volta che ognuno di noi litigava, tornava a casa con un regalo.

Yoongi, da parte mia, si era già guadagnato: uno spruzzatore di perline per sassi, un fiocco di Sailor Moon, uno stringi federe e un portauovo.
Per Namjoon: un martello giocattolo, un olio per gomme, un caricabatterie per un telefono che non aveva, un maglione peloso con scritto "abbracciami forte". 
I miei regali, invece, non li nominerò neanche sotto tortura.

Vista la delicatezza di tale evento decisi di prendere il cellulare e mandare un messaggio a Hoseok. Stavo quasi per digitare il suo nome che mi bloccai di colpo, sentendo un vuoto allo stomaco. Perché stavo scrivendo a Hoseok? 
Perché lui ti dava l'ispirazione, no?
No, non dovevo. Non più. Cosa avrebbe pensato Emily se avesse letto il messaggio? Avrebbero litigato? Forse gli avrebbe detto di non sentirmi mai più? Sarebbe stata gelosa? E lui, per farla contenta, avrebbe accettato?

E se fosse già così? Non ci hai pensato eh, citrulla?

Tirai uno sbuffo mentre mi ficcai le cuffie alle orecchie, lasciando che la musica invadesse quelle paranoie mentali, scavalcandole e invece di digitare il nome di Hoseok, scrissi quello di Jimin.

«Ehi Chimmo, ti salvo dalla coppietta innamorata?»
«Sì, ti prego.»
«Sei così disperato?»
«Sì.»
«Ce la fai tra 20 minuti a Hongdae
«Sì.»

Presi un respiro e cominciai a guardare fuori dal finestrino.
Ormai le scuole stavano finendo, alcune famiglie si preparavano a partire per raggiungere i villaggi sulla costa. Anche la mia famiglia, di tanto in tanto, mi ci portava ma erano almeno due anni che in quei posti ci andavamo di rado. Ripensai ad una delle ultime vacanze passate insieme ai ragazzi, a Jeju-Do. Avevamo rischiato la morte ma furono dieci giorni di ordinaria follia. Più che la permanenza da classici turisti, la cosa  più esilarante era stato il viaggio di andata, con un bus palesemente del 400 a.C. guidato da un pretore proprio, una mummia, una specie di viaggiatore del tempo. Ero convinta avrebbero trovato i nostri corpi in qualche cratere o schiantati tra le rocce. Al ritorno optammo tutti per un volo in aereo; caso volle che le turbolenze di quel viaggio furono talmente intense che non servirono neanche il cibo. Jin decise che quello sarebbe stato l'ultimo viaggio che avrebbe fatto con noi, visto che portavamo palesemente sfiga. Eravamo un po' tutti d'accordo. Ma fu durante quella vacanza che scoprì le doti nascoste dei miei amici. Per le faccende estive eravamo tutti un po' più talentuosi.

Hoseok era un portento a beach-volley, l'avevamo convinto ad iscriversi ad un vero torneo ma rifiutò perché programmavano solo quelli femminili in quel periodo.

Jimin era una sottospecie di angelo, quando ballava, ma scoprimmo un segretissimo talento: faceva dei castelli di sabbia che sembravano opere d'arte contemporanee. Avevamo cinque foto dei suoi lavori, quando tornammo nessuno credeva fosse stato lui.

Yoongi e Jin, insieme, con la chitarra e l'ukulele ci avevano fatto vivere quell'aria un po' hawaiana che tutti sognavano, diventando un duo musicale amato da tutte le ajumme del luogo.

Namjoon riusciva a stare sott'acqua per più di due minuti senza morire. Ha rotto la sua maschera per lo snorkeling, immaginando che forse si era ritrovato un po' costretto a quell'apne-otico talento.

Taehyung si era scoperto essere un bravissimo cantastorie. Cantastorie horror. Molto horror. Quelle da fare davanti ai falò notturni. Non abbiamo dormito per dieci giorni a causa sua, Jin lo voleva strozzare.

Jungkook era bravo praticamente in tutto, ma nel calcio batteva tutti senza neanche impegnarsi. Pensavo fosse uno di quei ragazzi che, con impegno e parsimonia, sarebbe stato eccellente in ogni attività. Non a caso era sempre stato il più gettonato tra noi.

Yurim sapeva cantare lirica in maniera così celestiale che avevo visto tutti, e dico tutti, e dico Yoongi pure, commuoversi. Forse non era un vero talento estivo, ma fu  lì che lo appurammo quindi lo avevo classificato in quel modo.

Per quanto riguarda me, quella volta scoprirono il mio talento non richiesto per la giocoleria. Ovviamente non sono mancati i commenti ironici sul mio potenziale nel circo, ah ah. Ma far girare tre meloni con tanto di giravolte li aveva stesi tutti, quei malpensanti. 

Fare di nuovo la nostalgica mi fece quasi perdere la fermata, tanto che quando suonai per scendere il povero autista fece una frenata che per poco non ci schiantammo tutti uno addosso all'altro. Scesi scusandomi mille volte e per fortuna trovai Jimin già pronto ad aspettarmi.

Quel giorno era particolarmente raggiante: aveva i capelli scuri un po' disordinati e lo sguardo ben riposato, un sorriso da far sciogliere il cuore di Gargamella stesso. Ma la cosa che notai subito furono i vestiti, indossava una canotta nera che lasciava poco spazio all'immaginazione dei bicipiti e compagnia bella. Vidi tre ragazzine già pronte a svenire, guardandolo di sbieco.
«Jimin le vuoi far morire tutte?»
Lui sorrise come un ebete, imbarazzato, dandomi una pacca sul braccio per l'imbarazzo.
«Eh, sono splendido, lo so.»
«Dai vieni belloccione, devo fare un regalo a Minno.»

Chimmo e Minno erano due nomi coniati da me, con tanto di diritti di autore e detestabilità gratis da parte di entrambi, mi sentivo vittoriosa in quello.

«Avete litigato?» Domandò, imbronciandosi. Non mi piaceva farlo intristire, lui che sapeva metterci di buon umore solo con la presenza.
«E no, no è che insomma, ieri era un po' fuori di testa e sai come sono io, sai com'è lui, babum-chacha.» Spiegai col mio vocabolario improvvisato la faccenda e lui aggrottò la fronte, un po' stranito.
«Ieri sera era con me, Tae, Yurim e Suji. Sembrava stesse bene.»
«Chi è Suji?» Domanda, indagando peggio di un'investigatrice, mentre ci imbucammo in una via trafficata, la principale. Non ricordavo quanto pullulasse di gente durante questo periodo dell'anno.
«Ecco» lo guardai e lo vidi arrossire di nuovo «una, una che ho conosciuto qualche sera fa. Niente di serio ma ci stiamo sentendo e ieri l'ho presentata anche agli altri.»
«Uuuh Chimmo playboy eh.»
«Daaaai.» Di nuovo mi diede una mezza pacca sulla schiena. Era diventato forte, tanto che mi fece bruciare tutta la pelle.
«Tu perché sembri uscita da una mega festa finita male?»
«Come finita male? Sono così un disastro?» Sgranai gli occhi scuri e li piantai su di lui, fulminandolo. Lui si parò dal mio sguardo di fuoco scuotendo la testa.
«No no è che - scusa non abbiamo più parlato da - insomma stare con Tae sai che mi toglie qualsiasi energia e so che non ne vuoi parlare davanti a tutti.»
La sua lealtà di amico parlatore, in quell'occasione, avrei voluto boicottarla.
«Sto cercando di farmela passare.» Cominciai io già propensa a chiudere il discorso. Jimin mi fece segno per entrare in un negozietto con l'insegna luminosa blu. Aveva in vetrina dei pupazzetti talmente brutti che erano perfetti.
«...Poi ieri con Yoongi insomma, sono in un periodo barlocco e barocco insieme.»

Lui si voltò a guardarmi per qualche secondo prima di fiondarsi verso una vetrina, recuperando un paio di pupazzi: uno piccolo, a forma di unicorno, che faceva uscire pongo fluorescente dagli occhi. L'altro era palesemente una cosa a forma di scarafaggio che faceva uscire liquido di colori non meglio definiti da un orifizio ambiguo. Pensai fosse perfetto e glielo presi dalle mani. Lui approfittò di quella vicinanza per stringermi la mano, guardandomi negli occhi.

«So che non ne vuoi parlare ma, se un giorno ti sveglierai e avrai voglia di sfogarti, io ci sono. Ti devo ricordare com'ero messo dopo Maiko?»
«Oddio Maiko...quella era una psicopatica.»
«Sì, ma ho passato due mesi a tormentarvi, praticamente ero diventato il quarto inquilino. Insomma, non mi avete mai chiesto neanche un won e non ho mai ricambiato. E so la vostra politica per il numero quattro-»
«Non c'è nulla da ricambiare. Siamo sempre felicissimi di ospitarti, lo sai, e poi quando vieni a casa Yoongi fa cadere quella scopa dal sedere, dovresti farlo più spesso.»
Lui sorrise in maniera diversa, piantandomi anche l'altro pupazzino da unicorno sulla fronte.
«Tieni, questo te lo regalo io. Oh,  stasera ci sarai vero?»
«Dove?»
«Yurim ha proposto di fare una serata karaoke, ha praticamente già organizzato tutto.»

Oh no. 
No.
Non il karaoke.

«Non me l'ha detto.»
«Mi ha detto di dirtelo a voce, e che sa che avresti provato a convincermi a non venire e che avrei dovuto usare le mie tattiche per convincerti.»
«Che persone meschine che siete.» Sibilai verso di lui con un mezzo sorriso amaro. «Non funzioneranno.»
«Ti prego.» Implorò lui, con quegli occhioni da furbo maledetto.
«Chimmo non farmi questo.»
«Fallo per me.» Di nuovo lui, non mi ero accorta di quanto si fosse avvicinato a me, talmente vicino che le fronti per poco non si sfioravano. 
Mi venne da deglutire senza motivo mentre cercavo una salvezza da qualche parte. 
«Se quei due cantano una canzone di coppia davanti a me, sappi che ad ogni nota ti schiaccio i capezzoli tra le dita fino a staccarteli.» 

Era un sì, dettato dall'imbarazzo di quel momento e dal suo modo che aveva di guardarmi. Cambiò espressione, ritornò l'angelico e dolce Jimin di sempre, avvolgendomi la testa con un abbraccio.

«Ti autorizzo a farlo nel caso.» Disse lui, prima di scostarsi e guardarmi negli occhi. «Ma prima fai pace con Yoongi e usa la mia stessa tecnica per convincerlo a venire.»
«Se faccio così con lui quello mi esorcizza, pensando ad una possessione.»

La cosa lo fece ridere parecchio, ma non mi azzardai a dire altro. Ecco un'altra invasione di ricordo: andavamo spesso al karaoke tutti insieme. In realtà non cantavamo quasi mai, tranne Namjoon e Jung, o Yoongi quando lo trascinavamo lì da ubriaco. Solo una volta Hoseok si era prodigato nel canto e lo aveva fatto usando me come seconda voce. Avevamo cantato una famosa canzone j-pop talmente straziante che per poco non si staccavano occhi e orecchie tutti quanti.

Feci un respiro, cercando di non pensarci, ma come minimo Yurim mi doveva una doppia seduta di meditazione anti-assassinamenti totalmente gratis.




Quando tornai a casa Yoongi era pronto ad aspettarmi seduto sul divano, già vestito per uscire, cappellino risvoltato all'indietro un pacchettino di carta cinese tra le mani. Quando mi vide entrare alzò solamente lo sguardo, per poi scostarlo su un punto indefinito. Avrei preferito non trovarlo lì, come un carcerato che aspetta la sentenza di morte, avevo bisogno di farmi urgentemente una doccia e poi Yurim mi stava tampinando di messaggi da un quarto d'ora dicendomi di prepararmi come se stessi andando ad un matrimonio.
E non so se intendeva che dovevo vestirmi da sposa o da prete celebrante. 

Mi sedetti accanto a lui senza dire una parola, limitandomi a porgergli il mio regalo. Lui fece lo stesso con me, senza guardarmi. Non lo aprimmo, non ancora. Quel silenzio stava diventando snervante e io avevo bisogno che lui dicesse qualcosa, qualsiasi  cosa, perché non riuscivo a fare il primo passo. Non in quel momento. In fondo, per la prima volta, la colpa era fondamentalmente sua. O comunque, era lui ad avere iniziato quella battaglia di perdenti. E io come una stupida avevo lasciato che il fuoco maturasse, senza farlo spegnere.

«Senti-» 
lui provò a parlare ma io lo interruppi subito, da brava persone incoerente.
«Non importa, non importa. Lo so. Non lo pensi, eri ubriaco, sei uno stronzo, hai mille problemi, io sono una scassapagnotte. Mi va bene, apri quel dannato regalo e smettiamola, non posso ...non voglio provare rabbia anche per te. Non ce la faccio.»
Come un fiume in piena gli riversai addosso qualcosa che volevo dirgli nell'istante in cui l'avevo spinto la sera prima. Per fortuna ebbe l'effetto desiderato e lo ritrovai a guardarmi, serio ma con il volto più rilassato rispetto a prima. 
«Fammi chiedere scusa.» Mi disse solamente lui, stringendo il mio pacchettino tra le mani.
«Va bene, dillo.»
«Scusa.» Non staccò gli occhi da me ed ero quasi sicura che stesse per piangere. Aveva spesso gli occhi lucidi ma, in quel momento, erano più arrossati. 

O forse aveva pianto?

«Cosa c'è che non va, Yoongi? Cosa ti succede?» Provai a incalzare, di nuovo, piano e con un certo timore.
«Ho solo troppi pensieri e ieri ...non lo so, volevo parlartene ma non voglio farlo davanti a Jin. Gli voglio bene ma non ce la faccio. Non ce la faccio a stento con Namjoon, figuriamoci.»
«Non ti devi giustificare con me.  Mi sta bene che hai problemi e mi sta bene pure che me li sputi in faccia, ma non c'è bisogno di farlo così.»
«Lo so.» Era mortificato, quell'aria seria si spense lasciando al suo posto un'espressione più torbida, mentre le dita stringevano il mio regalo sempre più forte. Me lo avrebbe rotto, se continuava così. 

Avrei voluto davvero aiutarlo, avrei voluto che capisse che poteva benissimo caricarmi di altre cose, senza pensare che Hoseok si fosse preso tutta la mia sensibilità. In fondo mi sembrava che, almeno esternamente, non me la stavo cavando male in fondo.
«So che non mi sopporti in questo periodo, non mi sopporti più da quando ti ho detto di Hoseok e so ...so che mi odi perché pensi che gli rovinerò la vita, prima o poi. Ma Jin non c'entra niente, se non fosse stato per lui io-»
Lui mi bloccò dandomi una specie di indiciata sulla fronte, facendomi un po' male. 
«Ma sei scema? Hoseok lo prenderei a pugni io stesso per quello che ti sta facendo.»

Allargai lo sguardo un po' da pesce lesso, corrugando la fronte. Non ero sicura di aver capito bene così non mi azzardai a dire niente, continuai a guardarlo mentre lui aveva preso l'iniziativa e aveva cominciato a scartare il mio regalo di scuse.

«Lo vedo, non sono mica così insensibile come pensi. Non lo fa apposta, certo, ma è cambiato lo so. Prima era sempre qua a fare casino ora a stento ti scrive, ci scrive. Ci chiede di fare uscite di gruppo con la sua nuova ragazza per quale motivo? Non si rende neanche conto che ha cambiato atteggiamento e so che tu non glielo dirai mai, orgogliosa testarda quale sei, ma non credere che io ti abbia detto di non dirgli niente per salvaguardare solo lui. Certo, sarebbe un casino atroce e non sarebbe il caso - ma non voglio neanche che tu ti illudi, perché Hoseok è capace di mandare all'aria tutti i suoi piani se un dubbio comincia a insinuarsi in lui, ma non è detto che sarebbe la sua scelta definitiva. Lo sai com'è Hoseok, non hai bisogno di sentire la pantomina da me.»
«Io-»
«Ah, ho chiamato anche Jin, gli ho chiesto scusa. Scemo com'è ha continuato a dirmi che non si ricordava neanche cosa gli avessi detto, forse per non farmi sentire una merda, non lo so. Alle volte penso che sia stato proprio una manna per una come te."

Intanto aveva tirato fuori il mio scorpione con il pongo variopinto, schiacciandolo e schifandosi da vero professionista. 
«Ma che è sta roba?»

Io ci misi un po' a rispondere, avevo la testa ancora un po' sconvolta e dovetti scuoterla per tornare sulla realtà degli eventi. Non ero neanche sicura di aver capito tutto perfettamente.
«E' il tuo nuovo animale domestico: Cruzzo.»
«Apri il tuo, sei pessima a fare regali di consolazione.»

Non riuscì nemmeno ad offendermi. Non avevo capito proprio niente riguardo Yoongi, riguardo le sue intenzioni. Avevo pensato subito male. Questa situazione stava annullandomi tutte le sfumature, facendomi vedere o bianco o nero, avrei dovuto seriamente imbastire più sedute psicologiche con me stessa per non cadere vittima dei pregiudizi.
Intanto aprì il sacchettino di carta cinese e, dopo una pescata di dita un po' inceppata, tirai fuori due biglietti.
Due biglietti?
Li ruotai e notai che sopra c'era scritto il nome di una band rock americana che si sarebbe esibita a Seul il prossimo mese.
Per un attimo ebbi un mancamento.

«Minno ma dove li hai trovati questi? Li ho cercati per decenni ed erano esauriti su tutte le piattaforme! Hai venduto l'anima al diavolo? Hai fatto sesso con la venditrice di biglietti illegali? Oddio, non dirmi che hai dovuto dire al signor Mang che è uguale a Jackie Chan nei tempi d'oro?»
Mi ero alzata in piedi, addirittura, per la sorpresa.
Yoongi si mise a ridere, sprofondando con la schiena sul divano.
«Li ho presi appena sono uscite le vendite ma aspettavo di litigare con te per darteli senza sembrare un idiota. Ci volevo andare anche io, quindi-»
Non lo feci neanche finire di parlare, mi buttai sopra di lui in preda ad una contentezza estrema. Mi pentì amaramente per il mio regalo, ma ormai il danno era fatto
Yoongi riusciva a glassarti il cuore sempre quando meno te lo aspettavi.

«Graziegraziegraziegrazie.» continuai, senza prendere fiato, tanto che quel poveraccio sotto le mie grinfie stava palesemente soffocando, mentre rideva e tentava di abbracciarmi.
«Seo levati ti pre-»
«No mai, ora ti buschi tutto il mio affetto incondizionato senza lamentarti.»
«Mi pento di tutto! Posso ritornare indietro nel tempo e dirti che ti odio?»

«Oh ma cos'è? Un'ammucchiata
Namjoon, sbucato da chissà dove, si palesò lì davanti con un Monie tenuto al guinzaglio. Senza neanche aspettare una qualche risposta saltò  sopra lo schienale del divano, gettandosi addosso a noi come un sacco di patate.  Monie lo seguì a ruota, infettato di buon umore da quell'ammasso di corpi.  Eravamo avvinghiati tanto da sembrare una spaventosa opera d'arte contemporanea, mentre Yoongi sotto di me stava palesemente esalando gli ultimi respiri e io già sentivo  le vertebre sgretolarsi.

«Sto morendo!» Urlò Yoongi, ma Namjoon era in fase di abbraccio amorevole e non si scostò di un centimetro. Monie aveva cominciato a donare leccate a tutti mentre il guinzaglio assassino si stava annodando in malo modo.
«Ora pure io.» Mi lagnai io.
«Oh cazzo-»
«Oddio che é?» Riuscì a dire verso Yoongi, mentre sentivo un rumore metallico scoppiettare sotto di lui.
«Si è rotto il divano!» Sbraitò quell'altro mentre Namjoon, sconsolato, s'abbandonò ad un sospiro.
Il Caos della Distruzione non poteva elargire amore senza rompere ossa, vertebre e divani.







NTA: capitolo all'insegna dei ricordi, mi son lasciata prendere la mano e ho dato il via a pensieri nostalgici per questa Seoyun paranoica v-v scusatemi se come capitolo è stra-lungo ma ho provato a suddividerlo ma niente, alla fine non ce l'ho fatta. Perdonatemi T_T Intanto vi ringrazio se siete arrivati pure fin qui. Tra l'altro volevo confermare che la biancheria intima di GlamGlam non esiste, almeno spero non esista v.v l'ho inventata di sana pianta come anche il fantomatico videogioco Fuel2, che per quanto ne so potrebbe essere qualcosa  che a ache fare con le macchine, o magari col dare fuoco alle cose chi lo sa. Tra l'altro mi possa perdonare Hoseok, in realtà è il mio bias e mi pare che lo sto trattando malino in questa ff ma in realtà è solo la mente della protagonista che fa delucidazioni sue, lui è sempre un pulcino raggiante anw >///< eee niente a presto, buona serata a tutti. 

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Capitolo 5
*** I know, it's over ***


5 ~ I know, it's over

 
ㅇㅅㅇ




 
Dopo svariati tentativi di aggiustatore di cose da parte di Yoongi io ne approfittai per farmi una doccia e liberarmi da quel senso di polveri sottili e inquinamento che mi portavo dietro da tutto il giorno. Alla fine Yurim mi aveva chiesto esplicitamente di "farmi bella", tanto che l'avevo presa come sfida da ribelle; decisi di indossare una salopette a quadri, una camicia grigio morte di topo e un cappello del medesimo colore che teneva a bada i capelli. Sembravo una di quelle ragazze pronte a giudicare una scultura contemporanea nel museo di Bimbambì così decisi pure di abbinarci una borsa tremendamente vintage, per dare una mazzata finale a quella parvenza di fascino che non voleva uscire fuori.
Tra tutti, quello che sembrava stesse andando ad un matrimonio, era proprio Namjoon, vestito con tanto di giacca di pelle e camicia bianca, consci che sarebbe schiattato di caldo entro tre secondi e mezzo.

Alla fine si erano convinti tutti ad andare al karaoke, persino Yoongi, senza aver avuto bisogno di usare tecniche sessuali che quel depravato di Jimin chissà dove aveva imparato. Fui un po' fiera, in realtà, di quella sua nuova sicurezza interiore e mi domandai se avrebbe portato Suji. Se aveva intenzione di farla diventare una cosa seria ero quasi sicura che avrebbe cominciato a intrufolarla nel gruppo completo quasi subito.

Quando arrivammo in una zona periferica di Gangam, visto che Hoseok doveva mostrare solo i lati più chic di Seul da quanto avevamo capito, ci fermammo a prendere un paio di mochi giapponesi, aspettando gli altri. Arrivarono tutti in fila per tre col resto di due: prima Jungkook, vestito di nero e con uno sguardo da ammaliatore di folle, tanto che sapevamo già a chi chiedere per parlare con la cassiera per farci fare uno sconto. Tae e Yurim arrivarono un po' trafelati, lei mi fece un occhiolino che non capì mentre giudicava il mio outfit in silenzio. Dietro di loro si palesò una figura sconosciuta a tutti: era un collega di Yurim, laureato in lingue straniere ed era
fatemelo spiegare in parole semplici
un manzo mostruoso. Alto, spalle larghe, capelli neri e lucidi e uno sguardo addirittura più pericoloso di quello di Taehyung. Ci salutò educatamente, mentre Yurim lo spintonò in maniera poco galante proprio verso la sottoscritta. 
«Ragazzi, vi presento un mio nuovo collega, Kang Do-yun. E' uno stagista, si è trasferito da Bucheon e si sta ambientando. Ho pensato di farlo integrare, gli ho parlato molto di voi ed è stato lui a tirare fuori l'idea del karaoke tutti insieme.»

Ecco chi dovevo uccidere, quindi.

Lo salutammo tutti, sentendoci un po' a disagio. Io andai a fissare Taehyung giusto per appurare che non accusasse troppo la prestanza di quel tizio, ma a quanto pare sembrava altamente sicuro di sé. Teneva un braccio sulle spalle di Yurim e non aveva il volto di un potenziale stagisticida. Forse aveva  calibrato il suo lato geloso con metodi tibetani segreti.

«Scusate ragazzi, ma Yurim è stata  così gentile da permettermi di organizzare questa cosa e per ringraziarla pago io l'ingresso.»
Aveva già conquistato tutti, mentre io che avevo l'occhio lungo da faina, cominciai a capire le intenzioni della mia amica. Aveva cominciato a raccontarmi quello che lui era in grado di fare, come si occupava della sorellina, che era lo stagista migliore, che viveva da solo, auto munito.
Insomma, me lo stava palesemente mostrando come un prodotto da macelleria pronto alla vendita. 

Mi chiesi se Yurim fosse sotto effetto di qualche droga strana o semplicemente, a quel giro, a Tae oltre il cuore aveva donato anche il cervello. 
«Tu invece di cosa ti occupi?» Mi chiese lui, improvvisamente.
«Di giorno sono un'illustratrice di libri per bambini. Di notte lavoro ad un locale a luci rosse, sai per sbarcare il lunario.»
Non sembrava fosse una battuta, infatti non rise, ma mi guardò in maniera imbarazzata.
«Non ascoltarla, ti sta dicendo cavolate.» Namjoon salvò la situazione comparendo al mio fianco. «In realtà è una serial-killer.» 
«E ammazza solo uomini, evirandoli.» Yoongi diede manforte a quell'altro scemo, mentre io provai un vero e reale sentimento di fierezza per quei due matti. 
Alla fine scoppiai a ridere, trovando la faccia del nuovo giunto un vero spasso, un miscuglio tra confuso e terrorizzato.
«Stanno scherzando. La luna piena fa effetti strani, non ascoltarli. Però la prima cosa che ho detto è reale.»
«Oh.» Fece lui, sorridendo in maniera più che sensuale. «Peccato, come killer ti avrei vista bene.»

Se lo sguardo avesse potuto uccidere avrei sicuramente fatto passare a miglior vita la mia migliore amica, ma per sua fortuna non avevo ancora tali poteri. Sapevo perché me lo voleva propinare, era la copia sputata di uno degli attori per cui lei stravedeva. La sua propensione a volermi accasare con qualche belloccione della tv non pensavo avrebbe raggiunto mete reali, per quanto lui fosse solo un sosia alla fine.

Nello stesso istante cominciai a provare il sentore che, forse, il problema mentale ce l'avevo io. Chiunque avrebbe pagato oro per un appuntamento del genere, ma io non volevo nessun appuntamento al buio, tanto meno se a quell'incontro c'erano tutti. Tutti dannazione. Tra cui Hoseok e la sua futura moglie meravigliosa.
«Ragazzi scusate il ritardo, non riuscivamo a decidere cosa metterci e alla fine -» 
Hoseok, come richiamato da una forza superiore, comparì in quel momento insieme ad una raggiante e sorridente Emily. Erano dannatamente perfetti, in coppia, lui aveva una mano intorno alle sue spalle e - per darmi il colpo di grazia finale - erano vestiti in sintonia. Una maglietta con lo stesso disegno, un sole sorridente con gli occhiali da sole, con sfumature che passavamo dal giallo al rosa. Avevano entrambi un cappello a visiera girato, rosa e dei pantaloncini di jeans strappati. 

Lei era bella, ma lui, lui riuscì a farmi innamorare di nuovo. Mi sentivo di nuovo di troppo, di nuovo in una situazione che non potevo reggere. Persino l'arrivo di un Jimin selvatico non salvò la situazione, ritrovandomi a desiderare di sentirmi male per davvero e avere la scusa per fuggire da lì. Yurim se ne accorse, me la ritrovai di fianco, trascinandomi un po' lontano dal gruppo.
«Non uccidermi - ehi ma stai per vomitare?»
«Dimmi che la tua mente bacata non ha veramente pensato di organizzarmi un finto-appuntamento proprio stasera.» Le sibilai io, non riuscendo a contenere i battiti del mio cuore.
«No, voglio solo che ti guardi intorno. Lo so che non abbiamo parlato molto di quello che è-»
«Non ne abbiamo parlato affatto! Io voglio solo che tu capisca come mi sento. Non ho voglia di guardarmi attorno, cioè non - lo so che dovrò farlo prima o poi ma non così. So che è una cosa stupida.»
«Non lo è, io capisco come ti senti. Voglio solo che ti diverti e che non pensi a lui, almeno per stasera.»
«Come faccio a non pensarci? Ce l'ho davanti. Guardalo...dio

Stavo crollando, di nuovo. Non poteva farmi questo effetto ogni dannata volta che ce l'avevo davanti, non poteva intrufolarsi dentro la mia testa spazzando via tutto il lavoro di auto-rassegnazione che stavo coltivando in quei giorni di strazio. Mi ritrovai a pensare che mancava ancora l'unica persona che volevo veramente ci fosse, quella sera.
Mi serviva Jin.
Yurim mi avvolse la vita con un braccio e mi diede un bacio sulla guancia, vedendola così preoccupata provai a fare l'ennesimo sospiro, sorridendole nel migliore dei modi.

«Ho fatto un pasticcio, perdonami.»
«No, scusa tu, lo so che stai cercando di aiutarmi ma è difficile.»
«No, scusami tu.
» Ripetè lei, facendomi sentire in una gara di scuse amichevoli «So che sono un po' assente ultimamente, ma il lavoro in questi giorni è più duro del solito ma mi farò perdonare. Te lo prometto.»
«Hai Tae da tenere d'occhio, so che è un impegno a tempo pieno.» Scherzai, arricciando il naso in un sorriso più convinto.
«Già. Sai, con lui...»

Ma non finì mai la frase, mi ritrovai il fresco rimorchiatore seriale davanti a noi donzelle mentre indicava il resto del gruppo. 
«E' arrivato un tipo lagnandosi che gli abbiamo dato l'indirizzo del karaoke sbagliato, ma ecco ci siamo tutti, entriamo?»
Mi affacciai già conscia che il tipo lagnoso era Jin e infatti lo vidi mentre si sbracciava e parlava con Jimin e Tae, lo vidi guardarsi intorno in maniera un po' più attenta, prima di ritornare scuro in volto. Provai un sentore più calmante, tanto che mi venne da sorridere da sola. 
Feci per salutarlo ma poi qualcosa mi fulminò il cervello.
«Sì andiamo.» Fece la mia amica ma io, prima di muovermi, l'afferrai per un braccio per fermarla di nuovo.
«Gli hai dato tu l'indirizzo sbagliato, vero?»
«Cosa?» Sembrava sorpresa, ma non era mai stata un'ottima attrice, non avevo mai avuto la conferma che qualcosa in Jin non le piacesse, ma ero quasi sicura che fosse esattamente così.
«Yu.»
«Devo aver digitato male, figurati se potrei mai lasciare indietro il fantastico e meraviglioso SeokJin.»

Sembrava una sbeffeggiata bella e buona ma decisi di non indagare oltre, annuendo solamente come finta credulona.
«Dai andiamo, o il tuo nuovo collega stagista migliore del mondo potrebbe offendersi.»
Io reagì deridendo la sua riserva, senza nemmeno farlo apposta, tanto che lei piantò i piedi a terra, fermandomi me questa volta.
«Non voglio che soffri. Non è che Jin non mi piace ma ...insomma, stai attenta. Ne ho visti parecchi cominciare così.»
«Guarda che fra me e Jin non c'è assolutamente niente. Siamo amici e come amico ha superato il livello principiante, davvero.»
Lei non pareva convinta. Io non parevo convinta del suo non essere convinta, ma decidemmo che non era il luogo, il momento per parlarne, eravamo ancora troppo sobrie. Mi prese per mano e mi sorrise in maniera dolce.
«Dai andiamo, lo sappiamo tutte e due qual è il vero rimedio per la sofferenza della vita. Ci ubriachiamo fino a svenire?»
«Ah perché non era compreso nell'invito, scusa?»





«Ooooooh baby love meeeeeee / when I goooooo oooout / of your heeeeaaart / AAAAAAAAAAAA»
Yoongi si era ubriacato dopo tre secondi che eravamo entrati nella stanza del karaoke e già stava attentando alle nostre vite con una canzone di un'artista inglese sconosciuto, palesemente incline alla depressione. La stanzina era buia, con delle luminescenze rosse e blu e lucine a intermittenza che creavano quell'effetto ubriaco senza bisogno dell'alcol. Lo schermo del karaoke era gigantesco, forse era uno dei migliori a cui eravamo mai stati. Avevamo preso da mangiare, ma le portate dell'alcol erano state decisamente più importanti. L'unico sobrio pareva Jungkook. Tae aveva  bevuto solo una pinta piccola ma già stava molestando Yurim infilandole stuzzicadenti nelle orecchie. Namjoon stava parlando con lo stagista bello intelligente etc. etc. mezzo in inglese e mezzo in coreano, facendo interagire anche Emily in quella conversazione a tre. Hoseok le accarezzava i capelli, ridendo come un pazzo per la performance di Yoongi, Jimin fissava il mio coinquilino con una crisi d'asma contagiato da Jin lì vicino.

Io provavo emozioni contrastanti.

Yoongi ubriaco e canterino era uno spettacolo, come l'ottava meraviglia del mondo, ma avrei mozzato la mano di Hoseok con un lancio di boccale perfetto da quell'angolazione, avendocelo davanti al naso. 
«Ehi.» Jin mi sgomitò con un po' troppa veemenza, tanto che mi rovesciai la birra ovunque, ma lui neanche lo notò. «Chi è quel tipo?»
«Jin sei qui da tre ore, te l'ho detto mille volte. E' Dogungo. No, aspetta, Do-do.»
«Ah. E chi è?»
«Un collega di Yurim. Credo l'abbia portato qui per farmelo conoscere.»
Non mi rispose subito, notai che si era fatto serio di colpo mentre aguzzava la vista verso il ragazzo.
Doyun sembrava immerso in una conversazione approfondita proprio con Emily, nonostante lo vidi sbirciare altrove, tanto che seguì il suo sguardo. Forse potevo dare la colpa alle luci, alla sbronza molesta o forse al fatto che Yurim non era una grande esperta di appuntamenti focosi, ma notai qualcosa che mi fece ghignare.
«Vedo che lo stai conoscendo molto bene, tra un po' si ruba la ragazza di Hoseok.» Continuò Jin, bevendo un sorso di birra.
«Ooh, ehi.» Hoseok si intromise, era un po' brillo ma aveva la faccia sorridente e un indice intimidatorio alzato. «Lei è mia, non me la ruba nessuno.»
«Sarebbe scema a scegliere lui al tuo posto.» L'alcol stava facendo quell'effetto indesiderato da filtro della verità, tanto che avvertì chiaramente lo sguardo allarmato di Jin, così come quello di Jimin che si alzò di scatto rubandomi la birra.
«Cosa hai detto?» Hoseok riformulò la domanda.
«Ha detto che è uno strazio Yoongi.» Urlò Jin, mettendosi una mano di fianco alle labbra.
«Aaaah, sì. Sì lo è. Però è bravo.»
«Sì è uno strazio bravo. Magari questa la prendo io eh, Soe-nuna?» Jimin, salvatore della mia futura sorte, cercò di riparare al danno ormai troppo tardi.
«No, ho detto che sarebbe scema a scegliere quello al tuo posto.» Io urlai più forte di Jin, sentendo l'alcol prendere il sopravvento, mentre potevo chiaramente sentire quel fatidico effetto gelo  provenire da tutti i pori. Mi Sentii in colpa alcolica e andai anche a sbirciare pure verso Namjoon che, a quanto pare, mi aveva sentito vista la trasformazione del suo volto.

Jin, dopo un attimo di tepore, tentò di fare mosse strane per passarmi sopra e alzarsi in piedi. I tavolini erano posizionati vicini alle pareti e le panche non davano spazio d'uscita, bisognava scavalcarsi per passare. Fui travolta per mezzo secondo prima di sentirlo chiaramente raddrizzarmi, guardarmi con un'aria un po' grave e un po' compatita, prima di sgusciare via.

«Oh.» Hoseok drizzò la schiena, guardandomi. Poi sorrise, mettendo le mani sotto il collo, proprio sopra il cuore. «Che cosa carina che hai detto.»

Carina. 
Carina.
Ora lo ammazzo.

«Hobi ti sto facendo un super complimento altro che co-»
«VA BENE RAGAZZI, che ne dite se a questo giro canto io?»
Jin aveva preso, o meglio rubato con la forza, il microfono dalle mani di Yoongi mentre quello già si inchinava in vista di applausi e urlacci da parte di tutti. E tutti lo fecero, in effetti, compreso Jin. A quanto pare aveva deciso di salvarmi da quella situazione facendo una cosa mai fatta prima; e attirò la mia attenzione. Nessuno aveva mai sentito Jin cantare, neanche per sbaglio, quindi quel momento da pavone canoro era un fattore nuovo per noi. 
«Uuuh vai cos' Jin, facci sognare!» Jungkook urlò, ridendo come un matto. «Non pensare al dolore alla schiena!»
«Jungkook, ti curo.» Disse Jin al microfono, con un bel vaffanculo sottinteso.

Tae e Yurim erano passati alla fase successiva, avevano cominciato a strusciarsi le mani addosso, mentre Tae tentava di rubarle baci poco casti. Pregai che Hoseok e Emily non prendessero esempio ma, per ora, erano rimasti tranquilli, abbracciati a incitare un Jin coraggioso. Namjoon e lo stagista fecero altrettanto. Jimin fece sedere Yoongi vicino a lui, complimentandosi per la passione. Ero convinta di aver visto Yoongi arrossire, mentre Jimin gli abbracciava le spalle, ma l'attenzione fu tutta rivolta verso Jin e mi persi l'eventuale momento.

Lo vidi armeggiare col microfono come fosse un oggetto sconosciuto, provare anche un finto check-in che ci fece ridere tutti.
«Volete che vi delizi con una delle mie battute migliori prima di-?»
«NO!»
Non fece neanche in tempo a finire la frase che ci cimentammo in coro con un poderoso diniego, lasciandolo per un momento deluso e imbronciato. Ma poi comincio a scegliere dalla lista, soffermandosi su una canzone che non conoscevo. Restò a guardare lo schermo per un tempo indefinito, tanto che non ero sicura se stava pensando al da farsi o se si era addormentato lì in piedi, come un cavallo. 
Ma poi si decise a girarsi verso di noi, parlando ancora una volta al microfono.

«Questa la vorrei dedicare ad una persona alta 5 metri.»

Tutti reagirono con uno sguardo confuso ma io mi drizzai con la schiena di scatto. Nessuno poteva sapere che si stava riferendo a me, ma io sì. Per un momento provai un forte calore al petto, sentendo il cuore battermi forte. Era riuscito a mettermi al centro dell'attenzione senza realmente mettermici. Non ero sicura che l'alcol sarebbe riuscito ad aiutarmi con le emozioni, in quel momento. 

Quando la melodia un po' meccanica cominciò a invadere le pareti provai una forza nel petto troppo forte, pregai in ottomano che non fosse quella la reale canzone, che fosse solo uno dei suoi scherzi. L'unica mia salvezza era che cominciasse a cantare "La mucca fa uèuè quando piange / un duo e tre", ma non ero convinta che sarebbe andata così.
Non mi guardava, aveva lo sguardo fisso verso lo schermo ma riuscivo a vedere il suo profilo e notai che aveva chiuso gli occhi. Cominciò a far vibrare la voce con la gola chiusa e quel suono, il suono che uscì subito dopo, non lo avrei mai più dimenticato.

La canzone era un susseguirsi di note tremendamente tristi, toccanti, fluttuavano nella stanza mentre la sua voce vibrante, alta, con un'estensione pulita arrivava dritta ai nostri cuori. Emily si commosse, la Sentii tirare su col naso mentre si aggomitolava sullo sterno di Hoseok ma non riuscì a provare gelosia,  in quel momento.  Nel mio stato a stento riuscivo a capire il senso della canzone, ma sapevo di cosa parlava. Di me. Di quello che stavo passando. Di quello che stavo provando. E la sua voce non faceva che piantarsi dentro il mio cuore come un coltello, rigirandosi e rigirandosi, facendomi sanguinare.
Mi voltai per guardare le espressioni degli altri, erano tutti assorti. Jimin con la testa poggiata sulla spalla di Yoongi, Tae e Yurim abbracciati mentre andavano a ritmo col busto, lo stagista visibilmente sorpreso, Namjoon pensieroso, tremendamente attratto da quelle parole.

Perché non lo avevo mai sentito cantare?
Aveva una voce che ti smuoveva ogni abisso interno per portarti in piena burrasca e farti confrontare con tutte le tue emozioni interiori. Non riuscivo più a respirare bene, sentivo il cuore battere fino alle orecchie, e riuscì a rimanere salda fino a quando non lo vidi girarsi verso di me. Mi stava guardando, aveva gli occhi lucidi, si era commosso. E sotto quelle luci blu e rosse, quelle intermittenze luminose, mi accorsi di quanto fosse dannatamente bello.

Provai una contorsione allo stomaco non indifferente, dovevo prendere aria. Lui lo notò, ero sicura che mi stesse ancora guardando mentre mi defilai da quella stanza nella maniera più silenziosa possibile. Non appena richiusi la porta dietro di me cominciai a sentire la testa girarmi in maniera opprimente. Forse la soluzione migliore sarebbe stata quella di raggiungere il bagno, lavarmi la faccia, chiamare un taxi, fuggire in Perù e dimenticarmi di tutto questo.
Era una soluzione un po' estrema ma nella mia testa era perfettamente plausibile. Dovevo pensare ai bagagli, al passaporto, a qualche visto magari? Sicuramente non sapevo parlare il ... il ... perugiano

Qualcuno mi distrasse da quel piano geniale, facendomi voltare di colpo. Era Namjoon, aveva uno sguardo che non gli avevo mai visto, non ero sicura che mi avesse seguito apposta ma che avesse avuto bisogno di riprendere aria da quella stanza così come era successo a me. 
«Che ci fai ferma qui?» Mi chiese, guardandosi intorno. «Il tipo che Yurim vuole farti conoscere non è così male, dovresti dargli una possibilità. Almeno eviti di rischiare le nozze-rosse prima del tempo.»
«Nam quel tipo sta sperando ardentemente che Yurim lasci Tae e finalmente lo noti, non hai visto il modo in cui la guardava? Ogni volta che quei due si baciavano sembrava che volesse tuffarcisi. O forse ama Tae, chi non amerebbe Tae?»
«In effetti avevo notato qualcosa anche io.» Disse lui. «Con Yu, non con Tae.»
«Perché non sei rimasto dentro con gli altri?» Domandai io, guardandolo. Ci eravamo poggiati contro la parete che portava ad altre camere di karaoke. 
«Per colpa della canzone di Jin.»
«Già.»
«Ti ha tirato fuori da un casotto, lo sai vero?»
«Già.»

A quanto pare non ero in grado di dire altro. Sì, forse avrei detto più del dovuto a Hoseok o forse no, forse mi sarei bloccata da sola. Per quanto volessi urlarglielo in faccia, avevo comunque rispetto per la sua relazione e, che Minseong-nim potesse perdonare il mio tradimento del manuale esistenziale, non volevo farli soffrire. Ma ora, nel cervello, nel cuore, stava brulicando qualcosa di diverso. Sentivo ancora la voce di Jin nelle orecchie, mi stava letteralmente facendo tremare. Ma non potevo spiegarlo in quel momento, ero quasi sicura che fossi troppo ubriaca e che il mio corpo stava reagendo così per quello. Eppure il cuore non smetteva di tamburellare impazzito, facendomi quasi male.

Rimanemmo in silenzio a guardare il nulla, una cameriera con un carrello delle pulizie ci passò davanti. Notammo che stava spazzolando il nulla, sventolando il piumino per aria. La cosa avrebbe dovuto farci ridere ma ne rimanemmo inquietati per svariati secondi.
«Ma cosa stava ...comunque» Namjoon interruppe il silenzio. «come ti senti ora?»
«Pensavo di scappare in Perù.»
«Oh.» Namjoon rimase in silenzio un altro po' e così lo sbirciai. Aveva ancora l'aria di chi stesse pensando a cose oscure e misteriose. Da quanto aveva quell'espressione? Era la prima volta che gliela vedevo? Forse sì ma la cosa mi provocò un lieve fastidio; ero rimasta imprigionata nei miei pensieri così tanto che, forse, mi stavo perdendo dei momenti troppo importanti, lasciandoli navigare via senza dargli importanza. Provai l'impulso di chiedergli se ci fosse qualcosa che voleva dirmi ma lui mi bloccò sul nascere, facendomi perdere l'opportunità.

«Ti dispiace se vengo con te?»
«No, al massimo se ci arrestano siamo insieme.»
Si mise a ridere e io provai a fare lo stesso, ritrovandoci come due amici solitari senza speranza mentre l'alcol continuava a farci condividere quel sentimento disfattista. 
Sentimmo la musica alzarsi improvvisamente, qualcuno stava cantando ma non era nessuna voce che conoscevo. Forse lo stagista. Ci voltammo nella direzione della nostra stanza del karaoke nel vedere Hoseok avvicinarsi a noi, con equilibrio precario.

«Ragazzi vi state perdendo lo stagista che canta con Yurim. C'è Tae omicida.»
Entrambi facemmo un risolino in sincrono, a quanto pare le nostre deduzioni da detective non erano così acciaccate.
«Avevamo bisogno di prendere un po' d'aria.» Continuò Namjoon, trovandomi d'accordo.
«In realtà siamo scappati per evitare di piangere davanti a Jin.» Dissi io. 
«Accidenti, e chi se lo aspettava che lo hyung avesse questa vocalità, eh?»
«Sapete chi è la persona alta 5 metri?» Incalzò Namjoon di colpo. «Non si sarà mica messo con una gigantessa?»
Io feci finta di non aver sentito neanche la domanda, mentre Hoseok faceva no-no con un indice dondolante. 
«Ma sai che Jin da ubriaco dice cose insensate, una volta era convinto di aver parlato con una fata.»
«Hoseok quella fata l'hai vista anche tu.» Incalzai io, dandogli una spintarella alla clavicola.
«Ah sì?»

«Ragazzi urgenza bagno, vi raggiungo subito.» Namjoon si staccò dalla parete, arrancando verso il bagno. Non so se lo fece apposta, ma in quel momento avrei voluto bloccare la sua vescica con tecniche chirurgiche ed evitargli di lasciarmi lì in quel momento. Mi venne addirittura l'impulso di seguirlo in bagno, ma sarebbe stato un po' strano. Così rimasi in balia di Hoseok.

Da sola. Con Hoseok. 
Dopo un anno.

Era davvero terribile sentirsi a disagio con lui, avrei preferito che ci avesse raggiunto qualsiasi altro, anche Emily andava bene, tanto per far capire il livello di imbarazzo che ballava nel mio cervello. 
«Ehi.» Si appoggiò alla parete, accanto a me. Non aveva più il suo solito profumo, evidentemente aveva deciso di cambiarlo. 

Eau de Gnòcc, provatelo e il vostro charme sarà on-point, effetti collaterali: può causare svenimenti, perdite di controllo, tremori alle gambe e matrimoni indesiderati. 

«Ehi.» Pigolai io, evitando di guardarlo.
«Non mi hai detto come - come ti sembra.»
«Come posto è carino, forse un po' troppo chiuso e quelle lucine a intermittenza fanno venire la nausea. E penso che la donna di servizio sia una ghostbusters.»
Notai  che Hoseok mi stava guardando in maniera un po' stralunata, non era né un sorriso né una smorfia. Ma alla fine si mise a ridere, arrossendosi in volto.
«No no» riprese fiato, guardandomi con due occhi più che felici, o allegrotti. «Intendevo ...Emily.»

Se devo valutare una percentuale puramente fisica direi che non c'è trippa per ingordi anche se le persone mancine mi hanno sempre inquietata, per colpa di mia nonna che vedeva il Diavolo in tutto ciò che c'è di "sinistro" - devo ricordarmi di non dire mai questa frase ad alta voce - se devo guardare solo il lato caratteriale provo un senso di vertigine colonizzatrice, pensando che potrebbe essere una simpaticissima e frizzante amica se non fosse che ha deciso di rubarmi l'unico essere vivente su questo pianeta che avevo scelto come futuro manovale di pannolini per i miei pargoli. Avevo addirittura pensato di uccidervi, oggi, dopo varie meditazioni ma sono talmente magnanima che mi accontenterei solo di tranciarvi un braccio per uno. Ovviamene senza offesa.

«E' ...insomma, mi piace. Sembra»
dillo
«sembra»
non farlo ci ho ripensato
«sembra perfetta per te.»

Hoseok era rimasto in apnea fino al momento di quella frase finale, a giudicare dal colorito della sua faccia. E infatti lo vidi respirare, piantandomi gli occhi addosso. Sorrise in maniera piena, di nuovo quel sorriso che avevo visto la sera in cui il mio mondo era crollato. Perché era  così ingiusto? Lui stava vivendo un sogno. Io stavo vivendo un incubo. Mi sentivo una tremenda stronza a provare così tanta rabbia, gelosia e invidia per una cosa così bella. 
Sentivo di nuovo la voce di Jin che cantava, dentro la testa

I know it’s over
And it never really began
But in my heart it was so real


e provai un magone troppo forte, tanto che riuscì a evitare di piangere per miracolo. Avevo esaurito le mie forze per quello, così tanto che non mi accorsi che le mie labbra si stavano muovendo da sole.
«Perché non me lo hai detto?»
«Come?» Hoseok sembrava confuso, tanto che il suo sorriso si spezzò di colpo. 
«Perché non mi hai detto...di lei? Perché sei tornato, dopo un anno, senza dire niente a nessuno?»
Lo vidi rimanere in silenzio a lungo, la sua espressione ebbe un cambio graduale, passando dal sorpreso al rattristato, mentre aveva preso palesemente a tergiversare. Il suo volto assumeva una strana smorfia quando non sapeva dove artigliarsi e, come effetto collaterale, si torceva le mani con fare nervoso. 
«Mi - mi sembrava una cosa troppo importante. Non volevo dirtelo al telefono, so che è stato un po' improvviso ma non l'ho fatto per tenervi questa cosa nascosta. E poi ...»
Sfumò la frase senza finirla ma non incalzai per sentire il finale, cosa avrebbe potuto dirmi?

E poi non l'ho fatto perché sono stato rapito da dei troll?
E poi mi sono scordato come si scrive un messaggio?
E poi sono diventato un maiale?

Lasciai perdere, non volevo che si rovinasse la serata per colpa mia, non volevo litigare con lui per questo. Ormai era lontano anni luce da me, se avessi fatto esplodere tutte le parole che avevo in testa l'avrei fatto trasferire direttamente su Marte.
«Scusa, è che ...mi sembra che non parliamo più. Alle volte non mi rendo nemmeno conto che tu sei davvero tornato qui.»
«E invece sono tornato, so che sembro distante ma è solo perché sto mostrando il più possibile a Emily prima di -» si bloccò di colpo, guardandomi con un'aria un po' impaurita. Quello sguardo mi fece salire un brivido lungo la schiena, mentre corrugavo la fronte.Staccai la schiena dalla parete cercando di fronteggiarlo mentre vidi Namjoon ritornare canticchiando una qualche canzone proveniente sicuro dal medioevo.
«Prima di - cosa? Deve ripartire? Ma pensavo che vi sposaste qui.»

Hoseok era ancora nella sua particolare torsione delle falangi, si guardò intorno,  captando l'arrivo di Namjoon dal bagno pubblico mentre, dalla nostra stanza del karaoke, vidi avvicinarsi anche Jimin con aria un po' persa.
«Ecco, non - cioè sì, sì ci sposeremo qui.»
«Ah, ho capito, vuoi farle vedere i posti belli di Seul così quando noterà le vie del ghetto sarà troppo tardi?» Lo presi in giro, dandogli l'ennesima pacca sulla spalla, simulando un sorriso. Continuavo a essere nervosa, quel brivido mi si era avvolto fino alle ossa e quella sua espressione non aiutava a scioglierlo.

«In - in realtà non sono sicuro  che resteremo qui - qui a vivere.»

Jimin arrivò giusto in tempo per piazzare un braccio intorno alle spalle di Hoseok, tirandoselo vicino. 
«Ooooh ragazziiiii, ho provato a cantare io ma Yoongi mi ha fatto bere tre soju di fila e penso di essere ubriaco. Sta per raggiungerci Siju, lo sapete? Lei è beeella come un campo di grilli fritti.»
«Jimin mi stai scalfendo il cervello!» Si lagnò Hoseok mentre Jimin non faceva che grattare le nocche sulla sua nuca. 
Namjoon, per par condicio, mise un braccio intorno alle mie spalle.
«Non è proprio un paragone felice, Jimin.»
«Allooora come una piscina di rane!» Intonò Jimin, ridendo da solo.
«Belle le rane, ma non dirlo mai a una ragazza.» Incalzò Namjoon mentre mi piantava un palmo sulla clavicola. Non avendo calibrato la forza ero sicura che mi avesse rotto la scapola ma neanche se mi avesse rotto tutte le ossa avrei percepito qualcosa. 

Mi persi addirittura quei felici epiteti verso Suji la rana perché, in tutto ciò, ero rimasta imbambolata davanti alla faccia di Hoseok. Credo che lui lo avesse percepito, perché non faceva che guardarmi con aria colpevole. Il suo silenzio era la condanna peggiore, sapevo che non ci stava bene sotto quel mio sguardo. Infatti con qualche mossa di judo lo vidi liberarsi dal braccio di Jimin che decise, per non ruzzolare a terra, di aggrapparsi a Namjoon mentre rideva da solo.
«Ah Hokkino, c'è la tua rossa che ti cerca. Credo che quel Doyungo la stia rimorchiando.»
«Cosa?!»
«Sì ha detto qualcosa come: "Ao uar iu biutiful ledi red.» Biascicò Jimin, drizzando il collo.
«Lo ammazzo.»
A falcate di sei metri ritornò nella stanza lasciando me, Namjoon e Jimin come tre marionette avvinghiate tra loro. Sentivo il peso degli altri due sul collo, mentre le vertebre già sgretolate da Namjoon stesso ormai chiedevano una tregua.
«Ragazzi sto per vomitare.»
«Non farlo qui, quella donna di servizio ti porterà con lei nell'aldilà.»
«Quale donna?»

«Davvero ragazzi.» Lo sentivo, nelle viscere, che qualcosa stava andando a male. Probabilmente le mie budella non erano più controllabili, tanto che sentivo l'alcol pulsare nel cervello e chiedere di espellere. 
Non volevo sembrare una posseduta così scivolai di gran fretta dalla morsa degli altri due mentre li sentivo urlacchiare qualcosa che, nel mio stato attuale, sembrava una lingua arcaica. Superai una ragazza dai capelli biondi, molto carina, mentre mi fiondai in bagno.

Arrivai appena in tempo dentro una delle cabine libere mentre l'impulso di rimettere si fece più forte, ma a parte qualche colpo di tosse non uscì niente.  Non era una nausea reale, l'avevo capito, era solo dolore. Ora capivo come si erano sentiti gli essere umani rimasti nella terra dopo che Thanos aveva schioccato le dita. Hoseok stava svanendo come polvere, stava svanendo dalla mia vita e non riuscivo a trattenerlo in nessun modo. Perché preoccuparmi di non complicargli la vita se aveva intenzione di andarsene? Perché aveva cominciato a rivelarmi delle cose così importanti come fossero colpi di scena da film? Perché doveva sparire? Perché signor Stark eh? Perché?

Non so quanto rimasi chiusa lì dentro, ma quando mi decisi a uscire, rinfrescandomi la faccia con un'acqua talmente fredda da ibernarmi le cornee, trovai tutti nella sala circolare all'ingresso, davanti a delle macchinette di cibo e bibite indaffarati su quali schifezze prendere. Il primo a notarmi fu Jin, che mi si avvicinò con passo veloce e un'aria che avrei potuto definire arrabbiata? Sì, mi sembrava la parola corretta. Avrei voluto sentirmi un po' in colpa per quell'espressione ma non ero sicura di esserne in grado, in quel momento.
«Ti sto cercando da un'ora. Non farlo mai più, mi farai diventare matto un giorno di questi.»

«Sì circa.» Risposi senza alcun senso, evitando di guardarlo in faccia. Lui continuava a fissarmi, lo sentivo quell'occhio critico da mamma-chioccia, come al solito lo stava strizzando convulsamente, ma non disse più niente. Non fece in tempo, in realtà, perché vidi avvicinarsi Doyun.
«Yurim mi ha chiesto di riaccompagnarti a casa, non si fida di Namjoon alla guida e Yoongi... penso sia svenuto.» 
Mi affacciai giusto per vedere Minno collassato su una delle panche; sembrava avesse l'aria beata in realtà, mi faceva quasi tenerezza.
«Mica li posso abbandonare qui.» Dichiarai io, un po' allibita.
«No, vi porto tutti in macchina. Credo di essere l'unico che non ha bevuto.» 
Jin mi afferrò per la spalla, tirandomi indietro così da ergersi davanti a Doyun. Erano quasi alti uguali; per un secondo mi venne da pensare che stessero per picchiarsi, forse per colpa dell'occhio ballerino di Jin. Gli tastai la schiena per un secondo, più come appoggio che come vero richiamo di pace, ma quello cominciò a fare strane mosse.
«Anche io sono sobrio, guarda!» Jin prese parola mostrando il suo personale equilibrio con una gamba alzata e un braccio spalancato, ma tra lui e la forza di gravità non poteva esserci competizione.
Lo vidi sbandare verso destra, causando una risata di strafottenza da parte dello stagista bello intelligente etc.
«Già, vedo.»
«Posso farlo anche con l'altra gamba.»
«Jin non t'ammazzare, per favore.» Incalzai io, stringendogli la maglietta conscia che non sarei mai stata in grado di salvarlo, in caso.
«Puoi dare un passaggio anche a lui? Tanto vive praticamente a casa nostra.» Chiesi a Doyung.
«Se...proprio devo.»

Mi bloccai a guardarlo, corrugando la fronte. Jin non pareva essersi accorto della risposta perché, senza apparente motivo, fu placcato da Taehyung che gli si arrampicò sulla schiena, facendolo urlare. 
«Non è un problema se non puoi, non è mica un obbligo. Ceeerto, ti perderesti il viaggio in macchina di ritorno più esilarante del mondo. Dieci punti se non lo uccidi.»
Doyun si mise a ridere, andando a guardare quello strano casino che stava avvenendo con i più piccoli del branco. A quanto pare Jungkook si era arrampicato su Taehyung, trascinando Jin addosso a Yoongi svenuto. Non vedevo Yurim da nessuna parte e neanche Jimin. Emily e Hoseok facevano una sorta di tifo di incitamento. Namjoon stava controllando il proprio telefono, in disparte, ma non aveva una bella cera.
«E va bene mi hai convinto. Però la musica la scelgo io.»






NTA: avrei voluto spiegare a parole migliori l'effetto che mi fa la voce di Jin quando canta ma meglio di così non mi usciva e ho dovuto far fruffallare Seo per uscirmene v.v comunque non so se l'avete riconosciuta ma il capitolo si chiama esattamente come la canzone che canta, dei The Smiths, tra l'altro adoro 'sta canzone e me la immagino davvero cantata da Jin e ciao addio. In tutto ciò con questo stagista magnifico ho semi-citato Il Trono del Muori perché per descriverlo mi faceva ridere il pensiero che fosse una specie di Light di Death Note ma più socievole ecco, magari con meno istinti genocidi v.v Volevo ringraziare tre di voi, che mi hanno messa nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate - anche se in silenzio sappiate che vi ho notato e grazie mi avete reso super felicissima <3 spero che vi stia piacendo, pian piano giuro che le cose si approfondiranno meglio, ma lo sclero di Seo è graduale e per una che non s'espone in pubblico va così. Muore dentro xD eee niente, se in 'sto capitolo avete visto Nam stranino sappiate che ...c'avete ragione v.v ormai devono soffrire tutti basta poracci miei. A presto <3

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Capitolo 6
*** Si sa che la gente da buoni consigli ***


6 ~ Si sa che la gente da buoni consigli
 
 
ㅇㅅㅇ


 
Il tempo fu travisato dalla mia mente, quei quindici minuti in macchina li Sentii come cinquecento anni ma furono cinquecento anni decisamente pittoreschi. Alla fine Yoongi si era svegliato giusto in tempo per rigettare tutto l'alcol ingerito sulla fiancata della macchina del nostro autista-stagista. Namjoon aveva cominciato a fare beat-box elencando tutti i nomi di attrici porno americane, probabilmente raggiungendo un record personale. Jin passò tutto il tempo a fare strani balli del busto rischiando di farci tamponare ogni due secondi, io sembravo un cane sfuggito dal canile, con la testa fuori dal finestrino e le zanzare negli occhi. 
Non avevo la più pallida idea di cosa ci avesse detto, una volta lasciati sotto casa, ma ero quasi sicura che era una sorta di «Spero di non vedervi mai più», o magari era un «Non morite per favore», chi lo sa.

Decidemmo di darci il colpo di grazia una volta arrivati, stappando un'altra birra per darci al coma etilico. Non era saggio mischiare le gradazioni alcoliche ma ormai il nostro stomaco era pronto per un passo superiore. Il primo ad abbandonarci durante il viaggio fu Yoongi, dopo aver perso ogni liquido in corpo si era cappottato sul divano, senza più dare segnali di vita. Avevamo deciso di preparargli già delle aspirine per l'emicrania mortale del giorno dopo, di fianco ad una bottiglia di gin al riso provocargli altri traumi. 
Il suo angelo custode, Monie, annusando i vapori alcolici dell'aria si addormentò proprio sul suo petto; era divertente vederlo salire e scendere in base al respiro di Yoongi.
Jin riuscì a durare due sorsi di birra, mi fece una ramanzina sul fatto che non dovevo fargli venire l'orticaria - qualsiasi cosa volesse dire - e poi si addormentò su di me. Letteralmente su di me. Avevo la sua testa contro la faccia e i suoi capelli mi facevano un solletico terribile alla guancia.
Namjoon, invece, era diventato un ameba vivente. Era tutta la sera che era strano, dalla canzone, ma dopo l'ennesima birra era palesemente palese. Continuava a guardare il cellulare, rigirandoselo tra le mani. Quindi provai un approccio.

«Oh.»
«Eh.»
«Mh?»
«Ah.»

Dopo quel giro di monosillabi più simili a dei versi di animali feriti, finalmente ci decidemmo a interloquire, io guardando lui e lui guardando me. Jin fece un mugolio nel sonno, strofinando la faccia sulla mia spalla. 
«Va tutto bene, Nam?» Biascicai io, tirando su col naso.
«No.» Un po' lo ammirai per quella sincerità improvvisa, tanto che stetti zitta per vedere se avrebbe continuato. Speravo vivamente che Yoongi non lo avesse contagiato, non avevo voglia di sentirmi dire cose brutte. Avevo bisogno di immergermi nella testa di qualcun'altro, forse sarei riuscita ad auto-psicanalizzarmi meglio in quella maniera, confrontando i vari problemi mentali.

«La canzone che ha cantato Jin mi ha fatto pensare ad una cosa.»
«Ah.» Non ero molto d'aiuto con quelle risposte in ogni modo, ma volevo che continuasse. 
«In realtà tu sei un po' la causa del mio malessere, ma stasera l'ho sentito peggio che mai.»
Non era proprio ciò che volevo sentire ma provai a non darlo a vedere.
«...ti ho fatto qualcosa di male?» Domandai con un filo di voce, sentivo la testa fluttuare, calda. 
«No no, non - non direttamente. Non è colpa tua, ma è colpa di quello che ti sta capitando, di quello che provi. Non so come comportarmi con te perché io stesso non so come comportarmi con me. Non ho idea di che cosa dirti perché so che ogni cosa che ti senti dire è come aria fritta, vorresti mandare a fanculo chiunque, pensi che nessuno potrà mai capire il tuo dolore, che sei in un posto da cui non vuoi uscire e in cui nessuno può entrare. E più cercano di scalfire quel muro, più tieni le mani in avanti per evitare di farlo crollare.»

Era indubbio che l'alcol lo rendeva ancora più filosofico del dovuto. Provai a stare dietro a quel ragionamento con la miglior concentrazione possibile, anche se un capello di Jin stava per farmi starnutire. Lo soffiai via veloce, restando a guardare Namjoon. 
«Nam ma ...di cosa stai parlando?»
«Sono nella tua stessa schifosa situazione, Seo.»

Mi cadde il cielo in testa, per fare un eufemismo. Ma di cosa stava parlando? Non sapevo che ci fosse qualcuna, non ne aveva parlato. Ero sicura che non l'avesse fatto neanche con Yoongi, né Jin o Jimin. Nessuno. Per un attimo pensai che fosse una presa in giro bella e buona, ma la reazione che stava avendo era troppo reale.
Lanciò il cellulare di lato e piantò le mani in faccia, sfregandosela con violenza. Era inquietante quanto fossimo simili, noi umani, in determinate circostanze. Erano gesti universali, era palese e questo significava: non devo piangere.

«Si chiama Hyejin, l'ho conosciuta durante un corso di scrittura cinque mesi fa. E' -»
Si bloccò, lasciando scivolare le mani dalla faccia, mostrando uno sguardo pieno di pianto mentre la voce prese a incrinarsi. Tutto il mio autocontrollo sarebbe morto senza vergogna se Namjoon avesse cominciato a piangere, non ero sicura che sarei riuscita a restare stoica davanti ad uno spettacolo del genere.

«E' una ragazza fantastica, è più grande di noi, lavora come dentista in un ufficio privato. All'inizio pensavo che non avrei mai avuto speranze con una come lei, ma ha cominciato a parlarmi e dopo una settimana siamo usciti per prenderci un caffè. Ci sentivamo al telefono, via messaggio, ci mandavamo email ogni cazzo di giorno. Pensavo di sentirmi oltre la felicità, sai cosa si prova no? La volevo, volevo tutto di lei, ogni suo respiro, ogni suo sorriso, volevo la sua voce dentro la mia testa tutti i giorni, volevo svegliarmi e vederla lì con me. Dio - »

Si picchiò una mano sulla tempia bloccando un ringhio, aveva gli occhi sempre più lucidi ma riusciva a trattenere le lacrime. Istintivamente alzai una mano e, senza nemmeno pensarci, poggiai le dita sulla testa di Jin. Pareva lo stessi abbracciando ma, anche se era immerso in qualche sogno con i delfini probabilmente, Sentii un bisogno innaturale di aggrapparmi a lui. Gli strinsi le ciocche e deglutì a vuoto, aspettando che Namjoon continuasse.

«Dopo due mesi le dissi che l'amavo e anche lei - anche lei mi disse che provava le stesse cose. Abbiamo fatto l'amore il giorno stesso e credimi Seo, tutti gli anni di sesso non possono neanche paragonarsi a quello che ho provato quel giorno. Se c'è un termine per una cosa del genere penso che posso solo confrontarlo a un'immensa scorpacciata di spiedini di carne.»
«Che termine di paragone strano.» Mormorai io; ero conscia che ero capace solo di sbloccarmi sugli aspetti metaforici di quel racconto, il resto non potevo commentarlo. Era troppo, anche per me.

«Sì lo so, ma Jimin paragona la felicità ai campi di rane, mi sento più romantico io.»
«Ah bè.»
«Seoyun ero fritto. Cotto. Non c'era modo di farmi tornare coi piedi per terra. Ero talmente innamorato che non volevo rovinare questo sentimento, decidendo di non parlarne con nessuno, neanche con voi. Ero geloso, terribilmente. Forse Yoongi avrebbe fatto crollare quel castello di nuvole. Forse tu mi avresti fatto cadere giù sbattendomi in faccia che era tutta una dannata illusione. Ho pensato di dirlo a Jin ma ...no, no era una cosa solo mia. Volevo rimasse solo mia ancora per un po'.»
«Nam ...perché mi stai dicendo questo ora?»

Avevo paura della risposta, il suo sguardo era troppo addolorato, tanto che ci mise alcuni secondi a rispondere a quella domanda. Si sfregò le mani sugli occhi, tirandosi su con la schiena. Yoongi fece un rumore un po' strano con la gola, tanto che ci voltammo a guardarlo per essere sicuri fosse ancora vivo. Respirava e Monie non aveva aizzato le antenne come cattivo auspicio, così ritornai a fissare il mio attuale confidente.
Strinsi ancora più forte i capelli di Jin mentre quello dormiva, profondamente.
Sentii l'odore dei suoi capelli per un secondo, sapevano di zenzero.

«È sposata.»

Chiusi gli occhi, non riuscendo a resistere, mi stavano bruciando da morire.
Riuscivo a identificarmi con il dolore di Namjoon, tanto che ci misi un po' a ritornare su di lui. 
«Non ho la fantastica storia di un marito geloso che viene nel mio ufficio a picchiarmi. Non so neanche se quel povero disgraziato lo sa. Me lo disse lei, una sera, come se mi stesse dicendo di essere andata a fare shopping, con lo stesso tono, la stessa faccia. Tutto quell'incantesimo svanì all'istante, non vedevo più l'amore nei suoi occhi, persino l'intonazione della voce mi sembrava diversa. Mi disse che non aveva più intenzione di rivedermi, che non poteva mandare all'aria la sua storia, che voleva dei figli, che ero stato solo un passatempo.»
«Nam.»
«Un cazzo di passatempo. Mi ha detto "ti amo" dopo aver fatto l'amore, con il corpo ancora caldo, con gli occhi pieni di sentimento, con le labbra tra le mie, ed ero un cazzo di passatempo.»
«Non - non l'hai più rivista?»
«Sì, una volta. L'ho pregata di ripensarci, ma era così risoluta che mi sono sentito un idiota. Perché mi ha mentito così? Se voleva solo divertirsi perché ...perché farmi innamorare? Che cazzo di gusto c'è in questo?»


«Condividi anche tu che la vita fa schifo, ora?»

Domandai sentendo la faccia bollente. Avrei voluto dirgli quello che pensavo davvero, avrei voluto dirgli che lei probabilmente si era innamorata, che aveva paura di quel sentimento e non poteva rischiare, non poteva rovinare il matrimonio e che aveva scelto la via più facile per tutti. 
Il famoso male minore.
Ma non potevo fargli questo, era un'illusione involontaria, si sarebbe convinto che il destino era contro di loro e magari ci avrebbe riprovato ancora e ancora, sbattendoci la faccia fino a rompersela del tutto. O magari no, ma era meglio non rischiare con un ragazzo ubriaco e con un cellulare vicino, in questi casi.
«Già, fa proprio schifo.» Raschiò lui, con la voce più bassa del mondo. «Ma non dirlo a Yoongi.»
«No. Me lo terrò per me.» Provai a sorridere ma non mi venne fuori bene. 

Restammo in silenzio qualche secondo in cui cercai di controllare il mio respiro, adeguandolo a quello calmo di Jin che dormiva ignaro e salvo da quelle rivelazioni. Mi sentivo di nuovo dentro quella bolla; avevo lasciato aperto uno spiraglio per far immergere Namjoon ma, alla fine lo sapevo, se solo non avessi chiuso il mio dolore lì dentro avrei sicuramente notato qualcosa. Per quanto amasse la tecnologia non era mai stato un grande amante del chiacchiericcio telefonico, rimanendo una specie di vecchia cariatide per quanto riguardava gli aspetti sociali della vita. Avrei trovato strano trovarlo davanti al pc, o al telefono, come un teenager alla prima cotta. Gli avrei sicuramente domandato qualcosa e, forse, lui avrebbe ceduto.
Ma non era successo, non avevo notato niente. Come non avevo notato i problemi oscuri di Yoongi. Mi Sentii terribilmente in colpa ma cercai di passare oltre quel vile sentimento, tornando a guardarlo.
Aveva le dita sulle labbra ed era palese se le stesse mordendo, così allungai la mano libera per poggiarla sulla sua coscia, solo per un secondo.

«Sai Nam, alle volte le persone fanno cose cattive senza nemmeno rendersene conto. Tu sei stato intrappolato in questa tela ma, pensaci, credo che il suo lato reale sia uscito in tempo per salvaguardarti, insomma sai per fare in modo di non rovinarti per sempre.»
Non ero molto convinta e lo sguardo che Namjoon mi rigettò fece crollare la mia già precaria sicurezza.
«In tempo? Proprio tu mi parli di tempo, Seo? Forse se mi avesse dato una chance, se avesse continuato a vedermi si sarebbe accorta di amarmi, forse avrebbe trovato il  coraggio di scegliere me. Non lo saprò mai, no? Come tu non saprai mai cosa sarebbe successo se avessi detto a Hoseok che lo amavi prima che partisse per l'Inghilterra.»

Di nuovo strinsi le ciocche di Jin in una stretta troppo convulsa, forse l'avrei stempiato, ma non riuscivo a calibrare quel movimento. I troppi se e i troppi ma non aiutavano mai nessuno, ed ero davvero una frana a dare suggerimenti su come soffrire meno ad una persona che voleva soffrire. Perché sì, quando qualcuno è in questo stato, nessuno ha veramente voglia di guarire, non con le parole, vuole solo che si esaurisca fino a scomparire, a costo di schiacciarti.

«Ti sei incaponito sulla persona sbagliata. Ecco la verità; solo che il cuore sbaglia direttive e non ci da tregua. Faresti meglio a non sentirla, a non scriverle, a non vederla e se la tua mente ti fa lo scherzo di pensarci, fai qualcosa per evitarlo. Prima o poi se ne andrà.»
Lo sguardo che continuava a donarmi mi faceva sentire sempre più piccola; mi sentivo come Gesù nel tempio, dispensatrice di consigli non richiesti e assolutamente inutili, fatti, finiti e inconcludenti. 
«Sei davvero convinta che funzioni?» Mi chiese lui, facendomi un ghigno più che triste.
«No, assolutamente. Ma sono la tua migliore amica e mi tocca dirti cavolicchiate per farti stare meglio. Ma come dice Minseong-»
«No ti prego, basta con 'sto guru» 
«l'asimmetria sentimentale fa perdere lacrime, peso e dignità ma almeno il portafoglio è salvo.»
«Quanto sei scema.» Si mise a ridere e la cosa mi sollevò un po' il morale, non tanto quando tentò di darmi una spinta che mi fece quasi caracollare dal divano, per fortuna sapevo usare Jin come bastone d'equilibrio ignaro. 

«Di che stavate parlando tu e Hoseok prima? Ti ha detto qualcosa che ti ha turbato. Oddio non dirmelo- Emily incinta?»
«Oddio non farmici pensare.» Mi lagnai io, sospirando. «Non - non mi ha detto niente che mi ha turbato. Lui mi turba incondizionatamente.»
Lui si affacciò verso di me come un uccello notturno, ma non si mise a scrutare me quanto più Jin che ronfava incurante.

Aveva ancora gli occhi annientati da un dolore profondo e mai guarito, ma piegò le labbra in un sorriso, mentre una fossetta gli bucava la guancia.
«Era per te, non è vero?»
Mi domandò improvvisamente lui. Mi voltai a guardare Jin quasi in maniera colpevole, il suo volto era rilassato, sicuramente avevo ragione: stava sognando delfini.
«Cosa?»
«Non fare la mammola con me.»
«Non so proprio di cosa parli.» Non mi usciva molto bene quell'indifferenza, in quel frangente.
«Non dovresti farlo preoccupare così, mentre stavi morendo nel bagno ha passato un'ora a parlare con la donna di servizio inquietante per chiederle se ti avesse vista. Ma quella parlava solo cinese e sai che Jin non è capace di parlare più lingue, hanno cominciato a comunicare a gesti e credo che si siano arrivati a parlare di astrofisica atomica.»

Di nuovo la stessa sensazione che mi prese al karaoke fece capolino nel mio stomaco, provocando un caldo vulcanico dentro il petto, fino alla testa. Il cuore prese a pompare più forte e staccai velocemente la mano dalla testa di Jin, innaturalmente convinta che lo avrei contaminato con quella sensazione tramite il solo contatto. Però lo sbirciai, di sbieco, deglutendo a vuoto ma sforzando un sorriso divertito. Quello scemo si preoccupava sempre per me, anche quando non permettevo a nessuno di farlo.

«Astrofisica atomica? Ora si spiegano molte cose.»
«Non fare il mio stesso errore. Non mi guardo più in giro, penso che siano tutte delle bugiarde e mi sto dedicando solo al lavoro senza più fare nulla di emozionante. Quella stronza ha rubato il mio tempo libero; so che Hoseok non è proprio l'ultimo arrivato, ma Yurim ha ragione, devi smetterla di sbatterci contro.»
Eravamo in due a sentirci Gesù nel tempio, a quanto pare. Di nuovo tornai alla mia realtà, facendo scomparire qualsiasi benefico sentimento.
«Nam ti prego. Se ti avessero detto così, nel culmine del tuo dolore per lei, come avresti risposto?»
«Male, forse vi avrei mandato a quel paese, ma credimi: avrei voluto da morire avervene parlato prima. Sarebbe stato molto più facile uscirne, forse non mi ci sarei neanche incaponito così tanto. Ho fatto un dannato errore a tenermelo dentro.»
«Fammelo fare anche a me. Non ho bisogno di sentirmi dire cosa fare, cosa non fare. Voglio solo lasciarlo fluire, so che è uno schifo, so che non fa bene alla mia mente, so che lo perderò per sempre. Che l'ho già perso. Ma ho bisogno ...ho bisogno di sentirlo, perché se perdessi anche questo allora non saprei più a cosa aggrapparmi per tenerlo vicino a me.»

Odiai l'alcol e odiai anche un po' Namjoon per avermi fatto fluire fuori quei pensieri spiccioli, i primi riverberi di quel vaso che voleva scoppiare. 
Pandora, accidenti a te, come ti capisco.

«E' questo il problema. Perché vuoi continuare a tenerlo vicino? Non sarà mai tuo. Come lei non sarà mai mia. L'hai detto anche tu, no? Mi sarò incaponito sulla persona sbagliata ma ammetti che tu stai facendo la stessa identica cosa. Almeno seguili i tuoi stessi consigli.» 

Sapevo di aver appena detto a Namjoon di fare qualcosa che io non potevo e non volevo assolutamente fare, ma odiavo quando mi si rinfacciava la mia incoerenza contro dopo solo pochi secondi. 

«Io sono ancora in tempo.» Sibilai, ormai senza controllo.
«No, non lo sei. Non è il tuo filo rosso, lo vuoi capire? Non è lui, non c'è, ti ha abbandonato, ti ha sostituito, avrai sempre un termine di paragone con lei. Se doveva succedere qualcosa sarebbe già accaduto, nei vostri settordicimila anni di amicizia. Tu lo ami ma lui non ama te, questo fa schifo lo so, ma non puoi continuare a prenderti in giro da sola.»

Quel discorso non stava prendendo la piega che desideravo, mi stava facendo sentire ancora peggio. Guardai per un secondo Jin, di nuovo, sperando che avrebbe fatto il suo miracolo inconsapevole, calmandomi nei momenti come questi. Evitai di fare una smorfia mentre constatavo che, in realtà, mi diede solo l'input per scappare da quella situazione. Non riuscivo più a respirare, i polmoni stavano bruciando e lo sguardo di Namjoon stava cominciando a perforarmi ogni neurone funzionante. 
Avevo richiuso la bolla, ora non volevo far entrare più nessuno.

Mi alzai di scatto, rovinando il sonno di Jin. Si svegliò di colpo, guardandoci con aria sconvolta. Volevo dispiacermene ma in quel momento la rabbia aveva preso il sopravvento, riportandomi ad uno stato febbrile di freddezza. 
«Non ho più soldi per comprare un'altra cavolata, meglio che me ne vado.»
«Seo-» provò a dire Namjoon.
Non lo feci neanche finire di parlare, uscì di casa sbattendo la porta. La nostra vicina mi avrebbe ucciso prima o poi. 





Come scherzo del destino, ovviamente, la mia testa continuava a lanciare arzigogolati impulsi al mio corpo in un ciclo continuo portandomi al punto da voler il cellulare tra le mani per cercare il numero di Hoseok, ma per fortuna resistetti. In quelle situazioni era sempre la prima persona che avrei voluto sentire, 
bello cervello, forse è il caso che ricalibri le tue priorità
e l'altro essere senziente in grado di tenermi salda a questo mondo terreno era rimasto mezzo addormentato e sconvolto a casa mia. Sarei voluta ritornare indietro solo per prenderlo e portarlo via con me, guardarlo mangiare mentre io mi alienavo dentro la mia testa, a cercare domande, a trovare risposte, a odiare ogni singolo secondo della mia vita senza trovare una via di fuga. Alla fine Namjoon aveva ragione, la scelta migliore sarebbe stata quella di lasciarlo andare definitivamente, magari evitare di vederlo, di pensarci, di focalizzarmi su ciò che non sarebbe mai diventato realtà. Ma ero annientata dalla paura, da quel nuovo problema, da quel maledetto pugnale che continuava a spingersi dentro il mio cuore facendolo sanguinare. Forse se avessi avuto il coraggio di dirlo a Namjoon la conversazione sarebbe deviata diversamente e avrei evitato di fare quell'uscita di scena da diva di Hollywood.

Ma non potevo farlo, non era un mio dovere, non era neanche un mio problema. Se Hoseok aveva davvero intenzione di andarsene per sempre non volevo assolutamente essere l'ambasciatrice di tale informazione, non potevo essere la responsabile della reazione degli altri. A stento riuscivo a essere responsabile della mia. Lui stava procedendo verso la sua nuova vita e non potevo biasimarlo, in fondo non poteva di certo immaginare cosa covavo dentro al cuore, non sapeva nulla. Ce l'avevo con lui per avermi lasciata indietro ma ero sempre stata io a restare un passo indietro rispetto a lui. 

Mi ero infilata nella famigerata e infernale friend-zone perché ero stata troppo vigliacca per uscirne. Era questo il punto. Era colpa mia, non era colpa di nessun'altro. Come potevo biasimare i miei amici che cercavano di farmi passare quel momento nell'unico modo possibile? Volevano solo darmi un'altra strada da imboccare e io continuavo a chiudere i cancelli, legarli, coprirli di spine.
Niente sentiero di mattoni gialli per te, Dorothy.
Dovevo lasciarlo andare, lasciare andare via quel dolore, accontentarmi di un'amicizia che stava evolvendo in qualcosa di diverso, tutto qui. 


Alla fine restai fuori casa per tutta la notte, decidendo di andare direttamente a lavoro senza aver chiuso occhio. Avevamo una specie di zona ristoro in un'aula della ditta in cui lavoravo, qualche volta arrivando in anticipo avevo trovato qualche collega ancora svenuto d'alcolici dalla sera prima. La mia capa era una donna tremendamente pacifica e, quindi, non aveva mai fatto storie al riguardo, ormai era diventata famosa per essere una raccattatrice di disperati. Finalmente potevo far parte di quella cerchia esclusiva.
Non trovai nessuno dei miei colleghi, era rimasto solo il netturbino che stava finendo le ultime faccende prima di finire il turno. Ci prendemmo una caldissima e schifosa tazza di caffè artificiale sputacchiato dalla macchinetta, ascoltando una delle sue nuove fobie, ossia la paura di essere osservato da un'anatra. Non lo biasimai, tentai di placare quella forma di masochismo mentale e mi rifugiai nella sala pronta a dormire un'ora per farmi scivolare di dosso tutto quanto.

Come ultimo assalto a tradimento che la mia testa fece scintillare, collegò il mio cervello al braccio e presi il cellulare ancora una volta. Avevo una decina di chiamate senza risposta e almeno sette messaggi non letti. Lasciai perdere le chiamate, ero convinta fosse Namjoon, e andai subito nella sezione messaggi. In ordine cronologico:
Da Doyun, «Spero tu ti sia divertita stasera, è stato un piacere conoscerti ma la prossima volta non vi riaccompagno a casa, siete dei assaltatori. Dovremmo fare queste uscite più spesso comunque, Yurim ha davvero una mente geniale per queste cose.»
Da Namjoon, «Ritorna indietro stupida.»
«Non farmi preoccupare, c'è Jin che mi sta svuotando il frigo perché è offeso con me.»
«Sta mangiando tutta la tua crema di pistacchio.»
«Ho rotto il tuo ipod preferito, perché non vieni a casa a insultarmi?»
«Non pensavo quello che ho detto, era da tanto che volevo sfogarmi con qualcuno, non fare così, parliamone. Devo andare a lavoro tra due ore, non voglio dormire preoccupato.»

Il senso di colpa mi colpì come un punteruolo allo sterno, facendomi sentire ancora più stupida e meschina del previsto. Ero pronta a rispondergli quando mi accorsi di aver dimenticato un messaggio. 

Era Hoseok.

«Ehi. Non riesco a dormire, avrei voluto chiamarti ma se ti sveglio mi uccidi. Domani ti vengo a prendere a lavoro, ho davvero bisogno di parlarti.»

Può il cuore palpitare a tal punto da uscire dal petto?
Sì può, posso confermare e sottoscrivere.








NTA: mi sembra di aver scritto un capitolo super corto ma pazienza, presa dalla poesia canora di De Andrè mi sono imbarattata in questo capitolo solo per far soffrire Namjoon, perdonatemi tantissimo v_v in realtà lo amo, non gli voglio del male, ma ce ne fosse uno felice almeno...invece no, ssso masochista. Niente non ho molto da dire, a parte che non me piasa molto ma sono tutte cose che mi  servono per giungere a cose successive. Che poi lo dico di tutti i miei capitoli, in pratica non mi piace mai niente, sto scrivendo cose per inerzia xD da brava. Alla prossima a tutti, ringrazio sempre nel caso siate arrivati fino a qui <3 

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Capitolo 7
*** Sfogati ***


7 ~ Sfogati
 
 
ㅇㅅㅇ


 
 
Fu la giornata meno produttiva della mia vita, colpa della mancanza di sonno, di una velata intossicazione da caffè andato a male e dal fatto che Hoseok mi stava aspettando fuori dall'ufficio. Lo vedevo dalla finestra sopra la piazzola contornata da alberelli freschi, continuava a gironzolare e a gesticolare da solo, bevendo un succo di frutta con la cannuccia.
Mi venne da ridere nel vederlo finire addosso ad una povera signora con chili di sacchetti della spesa, tanto che l'aiutò a fare un pezzo di strada fino alla fermata del bus.

Ripiombai nel passato con la velocità di una libellula, tanto che rimasi davanti alla finestra per minuti infiniti. Capitava spesso che lui mi venisse a prendere a lavoro o alla biblioteca pubblica, ai corsi, fin da tempi immemori. Era consuetudine mangiare insieme, che fosse fuori o a casa di uno dei due, per poi finire la serata a immergersi in intense conversazioni che non avevano mai né capo né coda. Facevo fatica a ricordare i particolari, erano delle immagini sfocate che andavano sempre più sgretolandosi. 

Ricordavo le passeggiate nei viottoli dietro casa, con Mickey  il suo cane, che adorava conciare come un piccolo confetto di pelo. Mi ricordavo le spremute bevute nella terrazza di casa sua, a guardare il cielo notturno, alle volte restando fino all'alba mentre la città si risvegliava dal suo temporaneo tepore. Ricordavo le fermate dell'autobus, quando le porte si chiudevano per riportarmi di nuovo a casa e lui rimaneva ad aspettare che l'autobus sparisse dietro la curva, prima di lasciarmi inghiottire dalla strada.
Eppure la sua immagine era sempre più sbiadita, era un'ombra informe che stava perdendo i contorni mentre i colori di quei momenti si mischiavano insieme, creando delle accozzaglie sfumate che scomparivano nei bordi.

«Il tuo amato ti aspetta?»
Spuntò Agnes, la mia manager, affacciandosi alla finestra e facendomi quasi sobbalzare per lo spavento. In quello stato sembravamo due stalker professioniste, tanto che mi allontanai un po' da quella televisione-realistica prendendo a guardarla.
«Non è il mio amato. È Hobi. Te lo ricordi, no? Anni e anni di degenerazione mentale.» Mi picchiettai la tempia, per ingigantire il concetto.
«Oh, già quell'Hobi.» Masticò il nome con il suo accento straniero, facendomi sogghignare senza motivo «Pensavo fosse quell'altro, sai quello che si diverte a specchiarsi allo specchio.»
«Jin?»

Mi venne da sorridere improvvisamente, sentendo il volto più caldo del normale. Jin non mi veniva a prendere a lavoro quasi mai, colpa degli studi e della sua lotta contro i colonizzatori del momento, ma quando lo faceva era per trascinarmi fuori a cena in qualche cucina esclusiva che poteva conoscere solo lui. Io, nel mio completo da lavoro simile ad una scappata di casa e lui impeccabile nel suo abito scelto accuratamente per l'occasione. Ma per quanto il lato di Jin elegante fosse una specie di tradizione genetica da parte sua, io lo preferivo con le sue felpe giganti e i calzini con le ciabatte. Altissima classe.

«Una volta si stava sistemando il ciuffo davanti al finestrino della mia macchina. Peccato che io ero dentro che lo fissavo.»

Mi misi a ridere sentendomi in imbarazzo per lui. Feci gesti da mimo che non volevano dire niente mentre borbottavo cose, andando a sistemare i miei strumenti di lavoro dentro la tracolla ormai usurata dal tempo.
«Sì ma perché è Jin, è tutto un programma quel ragazzo, insomma si crede un-»
non lo dissi, mi fermai mentre arrotolavo dei fogli rimasti sparpagliati sotto la tavoletta grafica. Prima di addormentarmi avevo disegnato come un'ossessa, quella notte, graffiando le punte di grafite e di pastelli per farli sciogliere sotto la pressione delle dita. 
Era da tanto che non mi cimentavo in quella personale tecnica di sfogo, prediligendo la tavoletta per mettere a nudo le immagini dentro la mia testa. Per quanto fossi devota alla tecnologia, per via di un Namjoon terribilmente persuasivo, mi cimentavo ancora in disegni fatti a mano quando volevo esternare le mie emozioni senza urlare.
Non c'erano soggetti, solo agglomerati di colore, tutti incentrati in grandi nebulose informi che sfociavano verso un nero opprimente e schiacciante. Ero quasi sicura di aver provato a ricreare la mia anima. Mi venne da sospirare, mentre raccoglievo l'ultimo foglio.

Quello non era nero, era un connubio di colori brillanti, che deviavano dal blu al rosa.
Era l'unico in cui avevo scritto una sola parola, una specie di estratto di salvezza che il mio subconscio voleva darmi, a cui cercavo di aggrapparmi per non cadere in quei vortici neri e calamitanti. 

Epifania.

A cosa stavo pensando quando l'avevo fatto? 
Hoseok era diventato il nero. Cos'era, quindi, quella luce?

«Già, una volta ho perso il suo  gel durante un viaggio di due giorni a Gapyeong, non mi ha parlato fino a che non gliene ho comprato un altro.» Mi ritrovai a dire, voltandomi a guardarla di nuovo. Lei mi stava fissando, era concentrata sui fogli che avevo appena messo via ma non si cimentò in alcun giudizio, quanto più fece uno sbuffo che non seppi decifrare.
«Che caso strano.» Cinguettò lei, sventolando la chioma bionda, prima di darmi una pacca sulla schiena e spingermi verso la porta. «Vai da questo tuo nuovo principe, ma ricordati che domani voglio un punto sul progetto di Luglio.»
«Sì Agniuska-nim.» Con un gesto molto militare feci per defilarmi, ma lei mi fermò di nuovo.
«Sai Seoyun, dovresti tornare a propormi schizzi fatti a mano. Ho dato un'occhiata a certi tuoi lavori e, per quanto l'agenzia preferisce i contorni, ho sempre avuto un debole per i tuoi attacchi d'arte astratti.»
Mi girai a guardarla con aria decisamente sorpresa, tanto che allargai lo sguardo provando un senso di onore più forte del dovuto. Mi misi una mano al petto, inchinandomi di nuovo.
«Lo farò. In fondo lo so che mi hai assunta per questo.» 
Lei si mise a ridere, facendomi un segno d'assenso prima di incitarmi ad andare. Salutai i miei colleghi-zombie ancora in balia di resoconti fluttuanti prima di imbattermi nella violenza di quell'uscita imprevista con Hoseok.


Ero pronta ad uscire a testa alta, fingendo un'indifferenza quasi canonica, ma una contorsione allo stomaco degno di nota mi fece deviare verso il bagno, ritrovandomi a respirare un po' a fatica mentre afferravo il lavandino. Non volevo assolutamente guardarmi allo specchio, sapevo di assomigliare ad una morta vivente in procinto di morire di vecchiaia.
Ero vestita come la sera prima, avevo le occhiaie, il trucco sbavato sugli occhi e i capelli in lotta costante. Hoseok e il suo tempismo nel volermi parlare era davvero impeccabile, a quanto pare le leggi del tempo con lui erano davvero l'ironia della mia vita.
Decisi che avrei usato la scusa del lavoro per il mio brutto aspetto e mi decisi ad uscire. Avrei voluto dare il merito alla mia tenacia, ma fu colpa dell'inserviente che doveva pulire urgentemente i bagni e mi cacciò agitando lo scopettone un po' da psicopatico. 
Non era lo stesso delle anatre, purtroppo.

Presi un respiro  enorme una volta fuori, beandomi di un sole meno caldo e l'aria fresca che filtrava in quel particolare momento della giornata. Non dovetti restare a cercarlo troppo, lo trovai seduto su una delle panche, di schiena, con la testa china sul telefono. Non volevo pensare che stesse scrivendo a Emily - magari mentendole su dove si trovasse - quindi decisi di richiamarlo con uno schiarimento di voce che sembrava più un grugnito strozzato.
Quando si voltò provai un enorme vuoto allo stomaco.
Aveva il viso radioso, i capelli scuri un po' mossi sulla fronte e quella pelle abbronzata che lo rendevano ancora più bello. Indossava una camiciola verde militare, me la ricordavo gliel’avevo regalata io uno dei compleanni passati. Provai di nuovo un malessere profondo ma mi sforzai di sorridere in tutto il mio terribile splendore di quel giorno.

«Scusami, sono qui da un'ora, credo di aver fatto amicizia con dei piccioni della zona.»
«Un'ora? Ti avevo detto che finivo alle sei. E sai che io sono sempre in ritardo involontariamente.»
«Sì lo so ma - non riuscivo ad aspettare, avevo bisogno di vederti.»

Il cuore si era fermato di nuovo. Cosa voleva dire? Perché era lì? Se in un tempo qualunque del passato non l'avrei trovato per niente strano ora era un evento che mi scuoteva in maniera quasi incontrollabile.

«Guarda! L'ho trovata nell'armadio, adoravo questa camicia, ti ricordi quando Jungkook la gettò nell'acquario della biblioteca?» Disse lui, allargando le braccia.
«Non farmici pensare, ero una persona rinomata lì dentro prima di decidere di portare voi due per studiare.»
«Ehi, io non c'entravo niente, l'ho solo ...sfidato.»
«Sì ma lo sai che Jung le fa 'ste cavolate se lo istighi!»
Lui fece spallucce, innocente fino a prova contraria e io mi misi a ridere, sentendo che mi piantava il succo di frutta contro la spalla.
«Tieni, pera e mandarino, è buonissimo.» Non feci neanche in tempo a prenderlo che Sentii il suo braccio intorno alla mia spalla. Odorava di cocco quel giorno, era una fragranza molto estiva. 
«Ti voglio portare in un posto.»
«Stai cercando di drogarmi per poi uccidermi e seppellire il mio corpo sotto una canna di bambù?» Chiesi io, constatando la bontà velenosa di quel succo di frutta.
«Perspicace come sempre, ora dovrò ucciderti subito.»
Finse di darmi un colpo in testa, per poi sfregarmi i capelli già distrutti di loro, mentre mi portava in posti sconosciuti.





Il posto sconosciuto era una specie di zona rurale che s'affacciava su uno dei canali che costeggiavano la zona della metro universitaria, in linea d'aria quella posizione avrebbe portato alla casa di Jin in tre nanosecondi. La luce del giorno era ancora aranciata e carezzava le mura delle case e gli alberi che si muovevano lenti davanti ad una staccionata di legno. C'era ancora molta affluenza di gente, mamme coi pargoli e uomini in giacca e cravatta, ragazzini sudati e cani sguinzagliati. Quell'atmosfera, per quanto caotica, mi metteva di buon umore. Eravamo passati a comprare un gelato, sedendoci sull'erba, poggiati contro uno dei tronchi più riparati dalla luce del sole. 

«Quanto mi era mancato il gelato. Lo sai che in Inghilterra esistono pochissime gelaterie?»
«Forse perché fa sempre freddo?»
«Che commento spicciolo, non è affatto vero.» Commentò lui, guardandomi storto. Ma poi fece un sorriso a cuore e strizzò gli occhi. «Sì, si gela accidenti. Questo clima, per quanto umido, lo preferisco di gran lunga.»
Si era impiastricciato la bocca di fragola e la mia mente, per la prima volta in sua presenza, fantasticò un molestissimo pensiero che mi fece arrossire di colpo. Diedi la colpa al caldo, sventolandomi con il cono alla nocciola.

«Allora ...hai intenzione di trasferirti lì?»
Presi coraggio e glielo chiesi, forse deviata dal fatto che il sonno mi faceva sentire ubriaca quanto l'alcol e che quel particolare momento mi faceva sentire nostalgica e comprensiva. 
Che strana malattia che può essere la mente umana.
«Sì, credo di sì. Dovrò ritornare per fare servizio militare ma ...insomma lei ha tutta la sua famiglia lì, non se la sente di lasciarla.»

Anche tu hai la tua famiglia qui, perché invece tu te la senti?

Non riuscì a domandarglielo, annuì e basta, scacciando via l'ennesima pesantezza. Continuai a mangiare il mio gelato, sperando di congelarmi il cervello.

«Dovrai dirlo agli altri. Non la prenderanno bene. Tae ha passato un mese a portarsi in giro quello strano borsello a forma di cavallo che dice che gli ricorda te. Jimin era intrattabile: Jimin ripeto, intrattabile. Jimin.» Per sottolineare il danno della sua assenza. «Anche gli altri, è stato ...un anno davvero lungo senza di te, devi vedere che cosa mi ha costretto a fare Jin per sopperire a questa mancanza.»
Lui si fermò col cono fermo a mezz'aria, un po' colato sulla mano. Aveva lo sguardo più serio e pensieroso, Sentii che si stava avvicinando a me, strusciando col sedere sull'erba. Sapevo che il mio cuore stava sfrigolando dentro il petto ma sperai di non darlo a vedere, continuando a mangiare senza vergogna. A differenza mia, lui non era per niente bravo a nascondere le sue emozioni. Indovinavo il suo stato d'animo solo da com'era impostata la sua bocca, alle volte, e in quel momento ero convinta che avrebbe detto qualcosa che non avrei voluto sentire. 
Quello sguardo era accecante, mi stava facendo più male del previsto.

«Sai come l'ho conosciuta?»

Rimasi a fissarlo, bloccandomi per un secondo. Il gelato cominciò subito a colarmi sulla mano, da fuori dovevamo sembrare due statue di carne, immobili.

«I primi tre mesi a Bristol sono stati un inferno, ero deciso nel fare quello scambio culturale ma mi sentivo solo. Mi mancava tutto, vivevo nella stanza di una famigliola inglese con cui a stento comunicavo, so che nei messaggi e nelle chiamate non ti ho mai detto come stavo male ma ...ogni volta che vi sentivo volevo dirvi di venirmi a prendere, volevo ritornare con la coda tra le gambe e farvi sapere che non riuscivo a stare lontano dalla mia città, dalla mia famiglia, da voi ragazzi. Mi mancavate terribilmente.»
Con la mano non insozzata di gelato cominciò a cercare la mia, sentire le sue dita tra le mie fu un'esperienza onirica, che mi lasciò col fiato sospeso tutto il tempo. 

«Tu mi mancavi terribilmente.»

Il cuore mi esplose nel petto, guardandolo ero sicura che avrei potuto rivelare tutto quello che provavo, ero sicura che il mio sguardo era limpido, lo avrebbe scoperto. La cosa mi fece andare in paranoia violenta e abbassai lo sguardo, deglutendo a vuoto.

«Non hai idea di quanto mi sei mancato tu.»

Lo Sentii stringere la mano, mi stava ancora fissando perché sentivo il volto vicino al mio, quasi potevo percepire il suo respiro dal sapore di fragola. Io stavo pregando che un meteorite mi colpisse in testa in quel preciso istante.
«Ero sul punto di abbandonare tutta la faccenda e ritornare qui, ormai ero deciso. Poi la sua voce mi richiamò, stava lavorando in un caffè inglese dove andavo per studiare ormai da giorni. Forse l'avevo già notata, non lo ricordavo, so solo che quando mi chiese se volevo un altro caffè e alzai lo sguardo, la  vidi ...beh, provai una sensazione che non avevo mai sentito prima al mondo. Sorrisi e lei mi sorrise e credo di essermi innamorato in quell'esatto momento, sono morto proprio sul posto, sono risorto anche. Ho cominciato a passare durante i suoi turni, parlavamo di qualsiasi cosa, pian piano l'oppressione della vostra mancanza veniva in qualche modo smussata fino a che ...fino a che lei era totalmente nella mia testa. Un giorno ho preso coraggio e le ho chiesto di uscire, fuori dal lavoro intendo.»

Meteorite colpiscimi, ti prego.

«E dopo aver passato una serata memorabile a perderci per le vie di Bristol, ho preso tutto il coraggio posseduto che avevo in corpo e l'ho baciata. Da lì siamo diventati inseparabili, le ho chiesto di sposarmi un mese prima di tornare a casa.»

Lui stava tremando per l'emozione, evidentemente ricordare quei momenti era ancora troppo per lui. Mi chiesi com'era stato il suo stato d'animo durante quei momenti, che espressione aveva il suo viso, in che modo batteva il suo cuore, in che modo sorrideva. Mi aveva lasciato la mano mentre si puliva l'altra, io nel frattempo avevo finito il gelato più per obblighi gustativi che per vera necessità, lo stomaco si era chiuso definitivamente.

«Le ho detto quello che provavo e s'è scoperto che lei mi aveva notato dal primo giorno, che sapeva che c'era qualcosa che non andava e aveva preso il coraggio per venirmi a parlare. Io che faccio colpo su una ragazza in questo modo, non è assurdo? Di solito preferiscono gli altri a me, non sono proprio un tipo da...insomma, da, no?»

Non gli risposi, mi limitai solo a fare una faccia che non aveva senso. Non ero così sicura di voler sapere tutta la sua idilliaca storia d'amore, di come fosse nata, del primo bacio, della proposta. No no, ero proprio sicuraunabananapercento che non volevo saperne niente.
«Voi mi mancavate ugualmente. Non è che vi ho dimenticato. Infatti non facevo che parlarne con lei: tra l'altro tu sei la sua preferita, trova inquietante Jin per delle questioni che non mi spiega e vorrebbe adottare Jimin come piccolo fratellino.»

Sì, piccolo fratellino, lasciala da sola con quella specie di lussuria vivente e poi ne riparliamo. 

«Sono talmente emozionato in questi giorni che non riesco nemmeno a dormire, mi sembra tutto così pazzesco. Io che mi sposo, di nuovo a casa, voi ragazzi sempre con me, ho la testa che frulla, dico davvero.»
Era emozionato davvero, ovvio, non faceva che muoversi come un'anguilla da circa un quarto d'ora. Mi ero accorta solo in quel momento che io non avevo ancora aperto bocca, non volevo sembrare così disperata così mi limitai a sorridergli, dandogli una pacca sulla spalla.

«Amico, stai per fare un passo importante e noi siamo qui pronti a darti - darti l'ultimo calcio nel sedere. Ma guai a te se ci dimentichi per strada.»

Quanto mi sentivo falsa a dirgli quelle cose, volevo davvero la sua felicità? Volevo davvero essere così comprensiva? 
No. 
Ma non potevo fare altrimenti, il suo sguardo era felice. 
Felice.
Non sarei mai stata la causa della sua infelicità, non volevo rovinare nulla di quel momento. 
Forse l'amore, oltre che struggente, era anche sacrificio. Stare zitti per il bene di qualcun'altro.
Il mio Guru non insegnava quelle cose, mi sentivo sperduta in quei pensieri. 

«Voi sarete sempre con me, specialmente tu. Per questo sono qui, volevo parlarti di una cosa importante, Emily è d'accordo con me e non vede l'ora di sapere la tua risposta.»

Ahia.

«Seoyun, vuoi essere la mia testimone di nozze?»

Feci un respiro malsano, provai a fare un sorriso orgoglioso ma credo che mi uscì fuori una smorfia tormentata che camuffai spalmandomi la mano ancora sozza su tutta la faccia. La cosa mi fece ridere piena di nervosismo, tanto che guardai ovunque tranne che lui.

«Oh Hoseok-»

No no cazzo no, no. Non posso. Stare lì. Di fianco a te. Mentre tu sposi un'altra. Come cavolo posso fare una cosa del genere?

«...sarebbe un onore per me, giuro che sarà la più t-tosta testimone di nozze del mondo.»
Hoseok mi saltò al collo dandomi un abbraccio stretto, strusciando la faccia contro la mia.
«Lo sapevo, lo sapevo che avresti accettato! Non sai quanto ti adoro! Ho subito pensato a te, so che dovrei chiedere a Jimin forse, ma noi due siamo cresciuti insieme, nessuno mi conosce come te e voglio che ci sia tu al mio fianco; insomma socia in questa folle avventura, no?»

Lo strinsi forte anche io in quell'abbraccio, provando a richiamare a me ogni cabina di ricordi che la mia mente poteva creare per non dimenticare più quella sensazione. Persino le sue parole mi lasciarono un senso di ustione dentro al petto nonostante la dolcezza. Avrei voluto scoppiare a piangere ma non sarebbe stato molto sano: non avrebbe ma potuto credere che erano lacrime di commozione.

«Ah» si staccò da me, tenendomi per le spalle, lo sguardo piantato sul mio «voglio che organizzi una festa memorabile. Non capisco perché nessuno ci abbia ancora pensato, insomma.»
«Cosa?» 
Io ero ancora confusa, bloccata, totalmente assente ma cercai di riprendere una parvenza di vita davanti a quella richiesta.
«Sì, una festa.»
«...Cosa?»
«Oh dai non fare così, fatti aiutare da Yoongi.»
«Hoseok ma sei scemo?»
«Forse, ma sono talmente curioso di ciò che potrebbe uscire fuori che ho deciso che posso rinunciare al mio addio celibato.» Sorrise di nuovo, cinguettando come un bambino nel suo parco giochi personale.
«Ma stai scherzando?»
«Alcol, donne fatali, baldi uomini e musica rap a palla. Potrebbe uscire qualcosa di mastodontico.»
Mentre lui si auto-programmava la festa che avrebbe voluto ricevere io pensai al modo di darmi per morta realmente, da qui all'eternità.





Quando tornai a casa ero praticamente una controfigura di  Dracula.
Appiccicosa di gelato, con ore di sonno arretrato che premevano sulla faccia, vestiti sgualciti e capelli vichinghi.
Ed ero quella che stava meglio di tutti. O quasi.
Trovai Yoongi avvolto in una coperta, bianco come un cadavere congelato, seduto sul divano mentre sorseggiava una brodaglia dal sapore di piede in cancrena.
Namjoon accasciato sul tavolo, con le cuffie nelle orecchie e lo sguardo di chi stava dormendo ad occhi aperti davanti al computer.
Trovai anche Jin, fresco come una rosa, intento a cucinare delle verdure bollite. Fu il primo a notarmi tanto che piegò le labbra in un sorriso raggiante, allargando le braccia.
«Allora non sei stata rapita da un branco di alieni geneticamente modificati per essere usata come cavia da laboratorio per imparare a fabbricare calzini di natale con i peli di bufalo!»
Restai per un attimo interdetta davanti a quella valanga di parole senza senso, ma questo portò anche gli altri due morti viventi a guardarmi. Yoongi mi fece una specie di saluto a cenno, avevo paura che si sarebbe squagliato se avesse fatto mosse avventate.
Namjoon si alzò dalla sedia, quasi si ammazzò le orecchie con le cuffie rimaste incastrate al computer, se le levò velocemente e puntò i passi verso di me.
«Seo, dannazione, neanche una chiamata, un messaggio, avevo paura che ti avessero investito!»
Mi diede un abbraccio strano, con tanto di pacca-rompi colonna vertebrale che mi fece quasi perdere il respiro. 
«Scusa Nam è... me ne sono completamente dimenticata.»
«Ti ammazzo io la prossima volta se provi a rifarlo.» Si staccò da me e gli rivolsi un sorriso pieno di colpe interiori mentre vidi Jin farsi serio in volto.
Yoongi provò a poggiare la ciotola con la brodaglia sul nostro tavolino obbrobrioso, con una lentezza di una lumaca addormentata.
«E' che - »

Non finì la frase.
Sarà stato il sonno. 
L'hangover che mi martellava ancora dentro.
O forse, diciamoci la verità, fu  colpa di tutto quello che Hoseok mi disse. 
Ero riuscita a resistere fino a quel momento, ero riuscita a rimanere stoica, a seguire il programma anti-emozionale di Yoongi, a conservare una parvenza di dignità, ma vedere le tre persone più vicine a me in quel momento, chi morente, chi preoccupato, chi complottista, mi diede la botta finale.
Cominciai a piangere in silenzio, prima delle lacrime leggere che traboccarono dalle ciglia fino a diventare più copiose nell'arco di tempo di un secondo. Mi misi una mano sulla bocca per bloccare eventuali singhiozzi, mentre mi lasciai finalmente andare.


Quel dolore allo stomaco stava diventando un vero cappio per le budella, non riuscivo a respirare talmente il petto faceva male mentre sentivo Namjoon toccarmi le spalle e chiedermi cosa avessi, percepì persino Yoongi lasciare il divano facendo frusciare quella coperta come un mantello. Ma per quell'attimo lasciai che il dolore mi annientasse, dovevo fare uscire tutti quei giorni di repressione in qualche modo.
«Mettiamola seduta, non mi risponde.» Namjoon provò a tirarmi verso il divano.
«Seo, ci sei? No non c'è. Ah la mia testa.» Yoongi provò a darmi una carezza sulla testa per poi tastarsi la sua.
Non volevo muovermi, tanto che un po' strattonai la presa di entrambi, rifugiandomi contro la parete vicina alla porta. Sentivo i loro sguardi su di me e avrei voluto cavare gli occhi a tutti per evitare di dover assistere alla crisi adolescenziale che stavo avendo.

L'avevo perso. Non avevo più nessuna possibilità.
Non avevo mai avuto nessuna possibilità, avevano sempre avuto ragione i miei amici ma la mia cocciutaggine non aveva voluto accettare quell'eventualità. Il tempo era sempre stato mio nemico, non ero mai stata neanche lontanamente sulla via giusta.
Quanto potevo sentirmi cretina? Hoseok non aveva mai provato niente per me, non voleva me, si era innamorato di una ragazza e dopo otto mesi le aveva chiesto di sposarlo. Otto fottuti mesi.
Io lo conoscevo da più di vent'anni e non aveva mai neanche dato il sospetto di volermi baciare, dovevo davvero avere altre prove? 

«Seo non morire, ti prego.»
Mi ero inclinata più del dovuto, sentivo i singhiozzi lacerarmi la gola, respiravo a malapena, stavo letteralmente soffocando dal dolore, tanto che la voce di Yoongi la percepivo a malapena. Non so neanche quanto tempo passò, ma Sentii Jin togliersi il grembiule da cucina e avvicinarsi a me velocemente. Se gli altri due avevano provato a trascinarmi sul divano, lui fece qualcosa di diverso. 
Mi tirò su il busto con prepotenza levandomi la mano dalla bocca, un tocco deciso da parte di mister premura, tanto che non me lo aspettai. Quando alzai per guardarlo notai che aveva il volto oscurato dall'apprensione, mi avvolse velocemente le braccia intorno al collo e mi strinse in un abbraccio talmente stretto che potevo percepire il suo cuore frenetico nel petto.
La faccia era piantata sulla sua scapola e, per bisogno di aggrapparmi a qualcosa, ricambiai quell'abbraccio dando il via libero a quei singhiozzi tenuti premuti dentro la bocca.
Piansi per un tempo indefinito, crollai letteralmente tra le braccia di Jin. 
Lui non disse niente, mi stringeva, lo sentivo carezzarmi i capelli pianissimo, mentre di tanto in tanto percepivo le sue labbra avvicinarsi alla mia pelle. Si stava strusciando piano, potevo sentire il contatto con il suo viso, era bollente.
Dopo minuti in cui mi lasciai andare, sfogando il mio dolore in quella maniera fisica, cominciai a sentire qualcuno carezzarmi la schiena. Era Namjoon probabilmente, tanto che provò di nuovo a tirarmi mentre Jin spezzava quell'abbraccio con lentezza.
«Vieni, siediti, ti porto dell'acqua.»
Ma Jin non mi lasciò andare subito, portò le mani al mio viso e mi ritrovai il suo volto a pochi centimetri dal mio. Dovevo avere uno sguardo terribile, gonfio e rosso, a giudicare da quanto mi facevano male gli occhi. 

«Sfogati.»
Mi scostò dalla faccia dei ciuffi rimasti incollati alla pelle e mi fece un sorriso, era un sorriso della speranza sicuramente. Poi avvicinò il viso al mio per darmi un bacio sulla fronte.
Era la prima volta, da quando lo conoscevo, che si spingeva ad un gesto così intimo con me. La cosa mi provocò un brivido che non riuscì a spiegare ma mi fece sorridere come una stupida, tanto che ruotai collo e occhi per guardare anche gli altri due.
«Scu-scusate ragazzi, sono ...che figura da becera che sto facendo.»
«No macché. Ti ricordo Namjoon quando pianse perché aveva perso la macchina fotografica?» Disse Yoongi, maligno.
«Oh dai, era un regalo di mia nonna ci tenevo.» Rispose Namjoon, prima di aggiungere ricambiando il favore.
«Oppure quando Yoongi si commosse davanti a quel drama scolastico?» 
«Non mi sono commosso, ero raffreddato!» Lagnò Yoongi mentre Jin cominciò a ridere da papera.

Fui l'unica a sedermi sul divano, gli altri tre erano rimasti a guardarmi come un'opera d'arte che non si capisce bene. Persino Monie, risorto dal suo sonnellino diurno, trottò verso di me. Salì sulle mie gambe, cominciando a leccarmi il mento. Forse non voleva bene solo a Yoongi, alla fine.

«E allora Jin quando mangiò quel kalguksu?»
«Aaahn avevo avuto una reazione allergica, non era un pianto.»
«Sì, vallo a raccontare a qualcun'altro.»

Quella scenetta mi fece ridere, tanto che singhiozzavo e ridevo, dovevo essere uno spettacolo davvero orribile da vedere.
«Dai avanti, ormai ti sei esposta, racconta.» Incalzò Yoongi.
«Proviamo a indovinare?» Continuò Jin, inarcando un sopracciglio.

Già, proviamo. 
Riprendendo fiato, bevendo sei litri d'acqua persa durante quel pianto e pinzandomi le ginocchia cominciai a tirar fuori tutto ciò che avevo tenuto dentro fino a quel momento, liberandomi.







NDA: in questo capitolo ho introdotto una manager presa dalla mia vita-vera, cioè una donna che conosco che adorissimo e ho dovuto citarla con affettuosità (?), anche perché ho progetti pure per lei così a caso v.v niente sto capitolo è stato un martirio, finalmente l'ho fatta piagne quindi mò si dovrebbe liberare un po'. Forse. Insomma ecco sì. Niente grazie come al solito se giungete fin qui <3 a presto e buonanotte, a sto giro pubblico ad un orario quasi normale che belloH.

 
 

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Capitolo 8
*** Terapia d'urto ***


8 ~ Terapia d'urto
 
 
ㅇㅅㅇ



 
A quanto pare, tirando fuori il demonio dell'amore, avevo richiamato una sorta di premura in tutti e tre i miei domatori di emozioni tanto che, alla fine, alla prima occasione libera in casa arrivarono tutti. 
Tutti tranne il mio dosso.
Non so bene che tipo di passaparola ci fu tra di loro, sapevo solo che il campanello scampanellò parecchie volte e mi ritrovai, alla fine della serata, davanti ad un tavolo pieno di prelibatezze da mangiare ormai finite e i miei amici ebbri di sazietà, e succhi di frutta freschi. Non ci fu bisogno di chiedere il motivo per cui Hoseok non era presente, a quanto pare qualcuno - Yurim - aveva ben sottolineato il fatto di non nominarlo quella sera. E nessuno lo nominò, nonostante era palese che mancasse la sua figura, ma eravamo ormai abituati alla sua assenza che in un certo senso non mi Sentii così in colpa per quella rottura del gruppo a tempo determinato. 

Ci eravamo messi a giocare a "indovina il personaggio" per un po', stampandoci in fronte nomi di persone più o meno conosciute, purtroppo era durato un battito di ciglia per via di una sfida all'ultimo sangue tra Jungkook e Jimin da veri cavalieri della tavola rotonda, la cosa aveva portato ad una pausa goliardica obbligata e, alla fine, avevamo deciso di piantarci davanti alla TV inconsapevoli dell'orrore visivo che quello schermo hd-multicolor ci stava donando. Uno dei film horror più brutti che la mia mente aveva avuto l'onore di vedere.
Brivido.
Ero convinta che il titolo fosse dovuto a quei frizzanti brividi di morte che ti instaurava continuando a torturarti con quella scenografia da camionisti ubriachi e inquadrature fatte con un telefono dell'anteguerra.
Faceva talmente schifo che persino Jimin lo stava guardando senza intrufolarsi dietro la schiena di Yoongi, seduto vicino a lui. Minno sembrava stare meglio rispetto a prima ma magari era solo in catalessi. Io ero seduta tra Yurim e Jungkook, stranamente Tae non era avvinghiato a lei ma mezzo-coricato sulle gambe di Namjoon. Jin era seduto sul tappeto, per terra, davanti a me. Era l'unico che si stava pregustando il film con un'attenzione antropologica.

La serata cinema era una di quelle che Hoseok e io facevamo spesso, in passato, qualche volta avevamo provato a farne una tutti insieme ma era finita che Tae si era preso un'intossicazione alimentare mangiando funghi nucleari e avevamo passato tutta la nottata in ospedale. Yurim, che in quel periodo l'aveva lasciato, era ritornata insieme a lui per riscoperto amore-trage-diomico. 
Non volevo provare il sentore nostalgia e sarà che quei ragazzi erano una bolgia di casinisti involontari ma stava funzionando, a discapito del fatto che nel dolore preferivo la solitudine ai ricordi.
Notai che Yurim era perennemente al telefono in fase messaggistica compulsiva, così decisi di riversare i miei commenti da critica cinematografica a Jungkook, immerso in un momento di attenzione totale.
Notai che era perché l'attrice del film stava sculettando davanti alla telecamera con degli short invisibili. 

«Jung smettila di guardare, diventerai cieco.»
Gli misi una mano davanti alla faccia velocemente.

«Seo è una scena importantissima, fammi vedere!» Borbottò lui agitandosi, finendo col dare un calcio alla testa di Jin, che si girò stizzito.
«Mi spettini, piantala!»
«Oh ma pensa a guardare il film invece di preoccuparti dei tuoi capelli.» Ammonì Jung, liberandosi dal mio arto salva-vista, lanciandogli un pop corn in testa.
Uno.
E si incastrò su una ciocca.
«Sei invidioso perché i miei capelli flusciano e i tuoi no.»
«Che vuol dire che flusciano?» Domandò Jimin, sbucando per rubare una patatina fritta a Jin stesso.
«Vuol dire che se li spremi escono flutti di fichi unti.» Rispose Yoongi come un parrucchiere esperto.
«Jin che schifo.» Namjoon non stava capendo, o forse sì, ma tirò indietro la testa guardandoci tutti storti.
«Ma non ascoltatelo, se li toccate sono come seta, sono come avorio sciolto, sono oro colato e impreziosito, lana pregiatissima dell'uzbekistan.»
«Ma piantala.» Tae gli lanciò un cuscino in piena faccia, facendolo deviare da un lato. Finì su uno dei miei piedi e lo rimisi su con delle mosse di stinco.
«Siete solo invidiosi, buzzurri.»

«Ragazzi questo film è un affronto alla recitazione brutta.» Namjoon mise fine alla discussione capellifera, cominciando a rotolare giù dal divano per levarsi Tae dalle gambe. Quello si alzò tutto contrito, vidi che fissò Yurim per mezzo secondo prima di alzarsi e andare a prendere qualcosa dal frigo, borbottando parole che non riuscì a capire.
«Allora sceglilo tu; ma ti prego non un altro film taiwanese-asiatico del '700 in bianco e nero con i dialoghi in manciuriano stretto.» Disse Jin guardando il mio coinquilino, quello gli stava rigettando una faccia semi-offesa, ma Yoongi prese le redini della scelta filmica cominciando a spolverare una fila di DVD abbandonata sul tavolo, scartando almeno i primi cinque. 
Jimin prese la briga di aiutarlo.
«Gli Avengers?»
«No Jim, lo abbiamo visto seicento volte.»
«Perché non un film d'amore?»
«Jung un film d'amore? Ora? Sul serio?» Mi intromisi io, guardandolo.
«Non sai che la cura per un cuore rotto è ...vedere che la gente nei film è felice mentre tu non lo sei?»
«Non sono molto convinta di questa teoria scientifica.»
«Ah, ci sono: l'esorcista!» Jin si voltò verso di noi mentre Jimin poggiò una mano su quella di Yoongi.
«No no no ragazzi l'esorcista no, no vi prego. L'ultima volta che l'ho visto ho dormito per due mesi con dell'acqua consacrata vicino al letto per paura delle possessioni demoniache.»
«Jimin guarda che basta fare pensieri impuri eh. E via, aperta la strada per l'inferno.» Lo provocò Namjoon.
«Oh ma la smettete?» Jimin si accasciò sul divano contrito, mentre Yoongi aveva afferrato un DVD lanciandolo verso di me.
«Ragazzi non avete capito  che cos'ho trovato.»

Il famoso DVD-fionda era uno di quei tesori da tenere sottochiave e mai più aprire.
Non c'era nessuna copertina ma solo una grande etichetta, scritta a mano da Namjoon, che recitava: "Film corto, estate 2017, scritto e diretto da: Min Yoongi."
In una delle sue passioni multi-mediali Yoongi aveva deciso di intraprendere la carriera di regista, filmando un film corto per mandarlo ad un concorso che si teneva a Busan ogni estate. 

Aveva chiesto a noi poveri ignari di recitare il suo scritto e così nacque la peggior recitazione della storia della Corea del Sud mai vista; la trama non era neanche così terribile se non fosse che noi non eravamo geneticamente portati per fare una cosa così. 
Partì una lotta sulla visione.
«Se ti azzardi a metterlo ti monco le mani.»
Tae, dopo una stasi di silenzio, mi si fiondò addosso, catapultandosi da dietro, con in bocca mezza banana che si spiaccicò tutta sulla faccia di Jungkook lì di fianco.
«Tae lasciamiiii.»
«Io sono con Tae, tranciale le mani.» Urlò Jimin, mentre Jungkook tentava di farlo cascare dal divano con delle spinte moleste.
«Hai ri-esumato un tesoro sepolto, dobbiamo vederlo!» 
«Yurim aiuta-» stavo cercando di richiamare la mia amica ma quella sventolò una mano, da persona impegnatissima, prima di dare una pacca sul sedere del suo ragazzo.
Finito l'aiuto.

«Aspetta, ti aiuto io.» Jin si alzò da eroe ma si piantonò sopra la schiena di Tae solo per darmi il colpo fatale.
«Ragazzi occhio che il divano è già rotto.» Namjoon era intento a fissarci con la morte nel cuore, mezzo sconvolto.
«Dovrei aiutarvi vero?» Yoongi cominciò a tirare un piede di Jungkook senza nessun tipo di forza mentre Jimin rideva come un ossesso, cascando dal divano per l'effetto gravità.
«Dammelo da- non osare Seo, non prova-» Tae ci provò.
«PRESO!» Jin aveva in mano il DVD, issandolo come uno scettro mentre tentava una corsa un po' da fata verso il lettore, Tae scavalcandomi provò a fare un placcaggio della morte a Jin ma quello ormai aveva infilato il DVD nel lettore e si era immerso in una fuga da Alcatraz, percorrendo tutta la casa.

Poi la sigla partì e tutti, contrari e favorevoli, ci piantonammo davanti alla tv.
Assistemmo ad una vera e propria invasione di ricordi che ci fece rimanere imbambolati e ridenti davanti alla televisione. La trama era abbastanza semplice: casa infestata da delle presenze demoniache, io e Tae eravamo i protagonisti principali.
Eravamo la coppia appena trasferita nella dimora degli orrori, c'era solo una piccola clausola.
Io, nella coppia, facevo l'uomo. 

Mi sono sempre sentita bene nei panni di un maschio così, quell'esperienza hollywoodiana, per me era stata una vera pacchia. Tae era bello anche con la gonna. Hoseok era l'agente immobiliare che ci aveva venduto la casa, oscurandoci i tormenti delle mura. Namjoon era il prete che avrebbe esorcizzato il maligno. Jin era la prima vittima trucidata, Jimin era il maligno; avevamo optato per Yoongi ma aveva deciso di non apparire davanti alla telecamera. Jungkook era il vicino di casa misterioso conoscitore della leggenda. 
Brivido, a confronto, era un film da Oscar. 

Il peggiore a recitare era Namjoon mentre, a sorpresa di tutti, il più realistico fu proprio Tae.
Yurim assistette a quell'umiliazione ludica senza proferire parola, quella sera era particolarmente assente, la sbirciai solo nel momento in cui fece un sospiro sconfortato, tornando al cellulare.
Mentre gli altri cominciarono a deridersi a vicenda, ricordando i tempi andati, io decisi di defilarmi per un secondo. Pinzai Yurim per un braccio, lei a stento notò che la stavo portando verso il corridoio.
«Ehi donna d'affari, ci sei?»
«Eh?»
«La vuoi piantare con 'sto coso?» Le presi il telefono tra le mani, provocandole un momento di panico improvviso.
Si gettò letteralmente su di me per riprenderlo, tanto che scontrai la schiena contro il muro.
«Ridammelo, muoviti Seo, ridammelo!»

La trovai una reazione fin troppo esagerata anche per una stacanovista come lei. Mi ritrovai a spingerla lievemente per le spalle, senza troppa forza, piantandole poi il telefono tra le mani.
«Tieni tieni non te lo voglio mica rubare, ma che hai oggi? A stento mi parli, avrei bisogno dei tuoi velati insulti sottintesi e invece sei spalmata su quel cellulare e addirittura permetti a Namjoon di toccare il tuo ragazzo, mi sto preoccupando. Stai morendo?»
«Guarda che non esisti solo tu, Seo. Sono venuta per tirarti su di morale ma noto che ci sono gli altri scemi a farlo, quindi non ti servo neanche.» 
Mi rifilò uno sguardo tagliente che mi fece bloccare il respiro per un secondo. 

«Ma -» mi bloccai, prima di corrugare la fronte. Sentii dalla sala partire la musica di un violino stridente e un urlo di Tae. Ricordavo la scena, era davanti alla figura morta di Jin, immersa in una pozzanghera di passata. Deviai da quella scena, pigiando i denti sul labbro inferiore con fin troppa foga, punta in maniera prepotente «-invece ho bisogno di te, specialmente di te. E' dall'altra sera che ti vedo strana, non me ne frega niente di parlare dei miei problemi, ma non voglio neanche vederti a pigiare quei tasti senza degnarci di una parola. E poi mi spieghi che ti hanno fatto gli altri per parlare così? Se volevi stare da sola perché sei venuta? O perché non me lo hai detto?»
«Mi sono lasciata con Tae.»

La cosa avrebbe provocato un effetto apprensivo e doloroso in chiunque se non fosse che, come minimo, assistevo a quella situazione almeno due volte l'anno. Tre se era bisestile. Non si lasciavano mai sul serio, ma quando dichiaravano quella pausa era sempre difficoltoso vedersi tutti insieme senza sfociare in strani battibecchi sessualmente tensivi tra loro due. 

«Ah, è di nuovo quel periodo dell'anno?»
«No, no è, è diverso. Questa volta è diverso.»

Diverso? Invece che trovare Tae a guardare una ragazza, l'aveva trovato a guardare ben due ragazze? 
Sì di solito i motivi dei loro tira e molla erano per lo più stupidi e insensati, erano persone estremamente mature ma di fronte alla gelosia diventavano due bambini rimbambiti. Avrebbero distrutto un matrimonio centenario per un commento lascivo di troppo, ne ero convinta.

«Ho ...insomma, forse - forse c'è un altro.»

Sgranai gli occhi, sicura di aver perso l'uso della parola. Sentii un groppo allo stomaco improvviso, tanto che mi girai a guardare verso il salotto dove gli altri stavano commentando e ridendo. Non li potevo scorgere ma, in quella confusione, non riuscivo a sentire Tae. Era tutta la sera che era distaccato, silenzioso, perso nei suoi pensieri; l'avrebbe capito anche un cieco. La mia amica si intrufolò per bloccare l'inizio di quei pensieri, afferrandomi le spalle improvvisamente. Mi voltai verso di lei, aveva gli occhi sgranati. 
Speravo che mi stesse per dire che era tutto uno scherzo.

«Non - non lo sa ovviamente, non lo deve sapere.
»
Il groppo allo stomaco si fece improvvisamente più intenso tanto che feci una smorfia contrariata.
 
«E' solo, è solo un flirt non sto facendo le cose seriamente con lui ma - insomma, so che c'è qualcosa di diverso e non mi va di prenderlo in giro, voglio capire cosa mi sta accadendo.»
Chiusi gli occhi prendendo un respiro profondo, prima di alzare le mani per andare a toccare quelle di Yurim. Aveva ancora il cellulare tra le dita, lo Sentii vibrare contro la pelle tanto che lo trovai insopportabile.
«Yu, io ti voglio bene, ma ti prego non dirmi che è Doyun.» Glielo bisbigliai, aspettando un bellissimo insulto che invece non arrivò.
Lei mi guardò con gli occhi sempre più appannati prima di morsicarsi il labbro e annuire colpevole, sbirciando di nuovo verso il salotto.
«Lo sapevo che quell'adone ti puntava, lo avevano capito tutti. Yurim è fantastica, Yurim è geniale, Yurim blabla - che pezzo di-» gracchiai in maniera più gelosa del dovuto.

Mi piaceva l'idea di condividerla con Tae, mi piaceva vederli insieme, mi piaceva vederli litigare per poi fare pace, mi piacevano le nostre serate mentre lei si sfogava, si confrontava con sé stessa, ritrovava il suo amore per lui mai dissolto, mi piaceva quando i tira e molla finivano bene. Ma questa cosa era diversa, non ero mai arrivata oltre il limite del loro percorso, non avevo mai visto oltre quella linea.
Ma c'era, evidentemente c'era, perché bastava fare un passo per lasciare indietro il passato. Ero talmente convinta che non avrebbero mai lasciato quella presa tanto che non avevo vagliato la possibilità che, in effetti, qualcosa sarebbe potuto subentrare per spaccare in due il loro percorso. 
Fece più male del previsto, tanto che ritornò il magone a bussare contro il mio cuore, come un vecchio amico.
«Non è come sembra, non è - lui è sempre stato davvero carino con me. Mi hanno lasciato a casa oggi, da lavoro, per via di un errore. Mi vogliono sospendere dal progetto e ho paura che mi licenzieranno. Non potevo dirlo a Tae, non riuscivo, così mi sono sfogata con Doyun e ...» non riuscì a subentrare nella sua pausa tanto che la lasciai continuare 
« so che sembra assurdo, ma la cosa è iniziata prima della serata di ieri, ha cominciato a scrivermi. Avrei voluto dirtelo, ho provato addirittura a boicottare tutto provando a fartelo conoscere, pensavo fosse una cosa innocente, non volevo farti pensare male ... male di me. Io»

Lasciai perdere il momento gossip, lasciai perdere anche la TV  dietro di noi mentre Namjoon espelleva il demone dalla casa con una preghiera rappata. Lasciai perdere anche la consapevolezza che il lieto fine non esiste mai, che l'amore non dura per sempre e che le cose possono cambiare in un attimo, sradicando via convinzioni millenarie. Mi fiondai su di lei per abbracciarla stretta, stringendole le spalle e conficcando la faccia tra i suoi capelli scuri.
Era raro che accadesse tra di noi, a stento ci toccavamo, ma provai l'irresistibile desiderio di dimostrarle il mio affetto in quella maniera. Stringendola a me, per non farla cadere nel suo buco nero da sola. Stavo pian piano perdendo anche lei, non potevo più permettere una cosa del genere.

«Non ti giudico, non m'interessa di quello che fai nella tua vita privata, io ti adoro, sei la mia migliore amica, sei la ragazza più tosta e più cocciuta che io conosca e la prossima volta che il tuo capo ti lascia a casa vieni da me che ci sbronziamo facendo dei riti vodoo contro tutti.» Presi una pausa per prendere un po' di respiro, sentivo l'odore del balsamo dei suoi capelli. Mi calmava, inspiegabilmente. 
«Non voglio che ti sobbarchi questi drammi da sola, mai. Io ti ho assillato come una dannata per la storia di Hoseok. Voglio che tu faccia lo stesso con me.»

La Sentii rigida sotto il mio abbraccio inizialmente, forse non se l'aspettava, ma poi lo ricambiò stretta, ficcando la faccia nella mia spalla. Non ero sicura che stesse piangendo ma per un tempo infinito rimase in silenzio, la sentivo solo respirare di fianco al mio orecchio, pianissimo.
«Scusami. Scusami Seo sono un casino. Ci sto male per Tae, ci sto male per il mio lavoro, ci sto male per quello che ho fatto, ci sto male sapendo che ti sto evitando ma mi sembra di non avere tempo neanche per respirare. Vorrei solo prendere una pausa, fermarmi e capire cosa cavolo devo fare.»
«Piantala, io sono qui. Sono sempre qui. Non devi chiedermi scusa, credo di poterti capire benissimo.»
«Dovrei aiutarti a seppellire il cadavere di quel cretino di cui sei innamorata e invece -» singhiozzò lei con voce rotta.
«Oh dai tempo al tempo.» Risposi io, sorridendo.
La Sentii tirare su col naso, se stava piangendo avrei dovuto prenderla in giro per l'eternità ma quando si scostò da me aveva solo un po' l'occhio lucido di sentimento affettivo. Era salva.

«Per farmi perdonare ti aiuto a preparare la festa: corpi mutilati appesi alle pareti, per far capire un po' il messaggio.»
Scoppiai a ridere proprio mentre dalla TV si sentiva Tae ringraziare Jungkook, salvatore di chissà quale vita, con una vocina baritona proprio sensuale.
«Sai che se mi tenti potrei -»
«Fatti aiutare da quel sbrillocco di Jin. Dovevi sentirlo l'altra sera, al karaoke.»
«Cosa?»
«Sì, era un po' ubriaco e ha cominciato a straparlare su di t- » si bloccò di colpo, coprendosi la bocca con le mani. «Sai cosa ti dico? Lascia perdere, andiamo a dire a quei balucchi che non sono degni di recitare.»
«Ehi-» la bloccai prima di vederla defilarsi verso la sala, stringendola per il polso. Si girò di colpo, notando che aveva il viso un po' arrossato e gli occhi ancora un po' lucidi. 
«Non so dove ti porterà questa cosa, ma sai che dovrai dirglielo vero?»
Di nuovo rigida, di nuovo col tormento negli occhi, più bianca del lenzuolo che avevamo usato per coprire Jimin-fantasmagorico che, ora, stava ululando alla TV come un vero spettro.
«Lo so. Lo so. Lo farò...se ci sarà qualcosa da dire, allora affronterò questa cosa. Te lo prometto.» Rispose lei,  con voce bassa.
«Non devi promettermelo, non è un obbligo. Non voglio che le cose si possano rovinare per sempre per ...una cosa del genere.»
Lei non mi rispose,si limitò a pigiare le labbra tra loro annuendo piano. Tirò via un po' la presa ma poi mi sorrise, in maniera più mesta ma sempre con quell'immancabile bellezza che la contraddistingueva.

«Pensi di esserti salvata dalla questione Jin? Di che stavi parlando?» Le rifilai a sorpresa, facendola sobbalzare, mentre fuggiva dagli altri.
«Non so di cosa stai parlando Seo, bah!» Mi rispose lei da vera vigliacca.

«Ragazze silenzio! State interrompendo alti livelli di recitazione!» Ci rimbeccò Namjoon una volta tornate in salotto, mentre seguivo Yurim di corsa, ritrovandoci dietro agli altri ancora immersi nella visione.
Guardai verso lo schermo e cominciai a sogghignare, era il momento in cui Tae e io andavamo via di casa, come due sposini, sani e salvi, ringraziando i nostri salvatori con sventolamenti di mani e fazzoletti. Partì un applauso collettivo di gruppo mentre Tae era sotterrato sotto i cuscini, aveva il sedere letteralmente per aria. Chissà da quanto tempo era così.
«Comunque lo devo ammettere Tae, come donna mi avresti conquistato subito.»
Il commento di Jungkook fece scoppiare a ridere tutti all'unisono.







Passai le seguenti due settimane a preparare la festa, talmente intensamente, così ermeticamente che, alla fine, la stava organizzando Jungkook. Avevo scoperto avere un talento innato per questo genere di cose, tanto che aveva trovato un posto azzecatissimo, l'aveva prenotato solo per noi e aveva chiamato addirittura un gruppo di amici per suonare dal vivo.
Un arcade con il bowling incorporato vicino a Seodaemun-gu.
Forse non avrei dovuto lasciargli proprio libera libera scelta ma tutti stavamo mandando inviti a chiunque conoscesse Hoseok ed eravamo convinti che si sarebbe presentata tutta Seul, irrazionalmente parlando. 
In tutto ciò riuscì a pensare a Hoseok il minimo indispensabile, ci sentivamo via messaggio di tanto in tanto e, in due settimane, eravamo usciti insieme solo una volta per una cena messicana, finita con me, Yoongi e Yurim ubriachi a fare amicizia con quelli della cucina, elogiando il cibo come dei veri intenditori. 
In compenso io e Yurim ci vedevamo quasi tutti i giorni dopo il lavoro, la tresca con Doyun sembrava stesse diventando ufficialmente un segreto e fra lei e Tae  c'era tensione sessuale non indifferente. Avevo paura che si sarebbe scatenato il panico, prima o poi per quel motivo, ma non volevo darle molte ansie. Sperai solo che non avesse intenzione di morirci, con quel segreto, perché per quanto la vedevo stranamente più serena, Tae invece sembrava un'ombra di sé stesso e la cosa stava creando momenti di apprensione collettiva.

Sembrava aver rivalutato Jin, tanto che lui era quasi sempre il terzo incomodo. Namjoon, dopo la confessione, sembrava stare meglio. Forse espellere quel tormento era stata una specie di medicina interiore che lo aveva portato a liberarsi degli ultimi stralci di dolore, tanto che ero convinta avesse cominciato a fare il piacione in giro anche se non mi ero mai sbilanciata abbastanza da confermarlo.
Yoongi era sempre il solito, non mi parlava mai di ciò che gli stava capitando, si ubriacava spesso e finivamo spesso a fare l'alba, davanti alla tv, schifando il mondo insieme. 
Jimin era tornato a casa per un'emergenza in famiglia, promettendoci che sarebbe ritornato per un'altra settimana durante il periodo della festa. 
Intanto le mie progressive lezioni di salsa, con Jin, proseguivano con un simpatico tempismo perfetto.

Eravamo già alla quarta lezione, eravamo gli unici giovani del corso e Jin aveva fatto colpo su tutte le donne presenti. Ero quasi convinta che mi odiassero, visti gli sguardi d'invidia che mi lanciavano ogni volta che provavamo un passo.
Jin si scoprì non essere in grado di ballare, mentre io sembravo essere nata per quello.
Tenevo il ritmo, prendevo il passo, guidavo la danza. Insomma, io ero l'uomo della coppia.
«Non girarti, c'è quella signora che ti sta guardando il sedere.»
«Cavolo. Ha provato a toccarmelo prima, sono tutte maniache qui.» Bisbigliò lui, andando a tastarsi una natica.

Cattiva mossa, vidi una di loro fare una smorfia di compiacimento che mi provocò una certa cattiveria in corpo. Per qualche strano motivo mi ritrovai a volteggiare per allontanarlo dalle grinfie visive delle altre, ma senza abbandonare una sorta di ghigno demoniaco.
«Ma come? Non eri tu quello più splendosissimo, meraviglioso, dai capelli argentei e la pelle di angelo? E ti meravigli?» Lo presi in giro io. 
Jin era un essere mitologico del tutto incomprensibile, amava particolarmente prendersi cura del suo aspetto fisico, si reputava un bel ragazzo, conscio di poter risultare un po' troppo vanitoso per i canoni. Ma guai se lo coccolavi di complimenti, si imbarazzava peggio di una scolara al primo giorno di scuola. 

«Guarda che il mio dono è una condanna.» Rispose lui, già con le sfumature rossastre in faccia.

«Ah scusi.»
Scoppiai a ridere e lui fece lo stesso con me,mentre provava a vorticare prendendo le redini della danza, cosa che ci fece sbandare verso una coppia un po' attempata. 
«Oh scusi signora.»

«Oh non si preoccupi, è davvero bravo nei movimenti. Se alla sua fidanzata non spiace, vorrei poter avere lei come partner per una canzone.»
«Oh in realtà-» Lui fece per rispondere, ormai rosso come un peperone maturo, mentre io presi la palla al balzo.
«Non sono la sua fidanzata, sono la sua istruttrice di pilates, dice sempre di sentirsi annodato e stanco e così gli ho proposto un corso come questo. Sa com'è signora, i ragazzi d'oggi, vogliono essere sciolti nei movimenti.»
«Oh, sciolti.» Mormorò lei, guardando Jin mentre quello mi fulminava con lo sguardo.
«Eh sì, ha bisogno di destrezza, imparare a tenere ferma la situazione nei momenti ...giusti. Muoversi nella maniera giusta.»
La signora per poco non sveniva, vedendola un po' accaldata.
«Muoversi, ma certo.»

«Ecco si-signora con tutto il rispetto, non sono ancora pronto per cimentarmi con la danza. Non vorrei rovinarle i piedi, prima mi alleno con la mia istruttrice, se lei si fa male non importa ma almeno la salvaguardo.»
«Oh, pure educato e galante.  Che fortunata ragazza che sei, cara.» Fece lei, sventolandosi una mano davanti alla faccia, mentre guardava me. Io mi ritrovai a guardare Jin con la coda dell'occhio mentre, per una frazione di secondo, lo vidi sorridere in maniera diversa. La cosa mi provocò un brivido lungo la schiena, tanto che la mia mente fece cilecca per un secondo. Uno solo, prima di riprendermi dando così una manata sulla spalla di Jin senza motivo.
«Eh sì, fortunata.» Balbettò lui mentre, approfittando del mio richiamo, tentava di trascinarmi di nuovo in mezzo alla pista, vedevo l'istruttrice darci il tempo con i piedi mentre ci guardava colpevoli di aver rotto il ritmo.
«Ma quanto sarai scema a dire queste cose, lo sai solo tu.»
«Ammettilo che ti piace quando le donne stravedono per te.»
«No - ma che dici, ma guarda te, boh.»
Continuammo a vorticare poco aggraziati mentre lui ripassava tutta la gamma cromatica dei colori con la faccia e io ridevo. 

Era da molto tempo che non mi sentivo così in pace, nonostante tutto. I miei amici erano la cura che mi serviva per restare salda con la mente e Jin - lui era il componente essenziale. Sentivo che stava diventando estremamente indispensabile, persino l'occupazione notturna di casa mia era diventata una routine quasi obbligatoria e ogni volta che tornava a casa sua a dormire sentivo la sua mancanza. 
Non avevamo più parlato di Hoseok, lui non mi faceva domande e io avevo deciso di lasciare tutto nel dimenticatoio, per quanto possibile. Non che il mio amore per Hobi fosse scomparso, ma ero sicura che sarei riuscita a domarlo piano piano, fino a farlo regredire del tutto.


«Jin?»
Mi fermai di colpo, facendolo frenare mentre per poco non investivamo due povere signore dietro di noi. 
«Sì?»
Eravamo rimasti a guardarci, io con la mano sulla sua spalla, lui dietro la mia schiena. Le dita delle mani che a stento si toccavano; aveva estremo rispetto per il contatto fisico più intimo, era l'unico tra noi che se ne preoccupava. Quella signora aveva ragione, sarebbe stata fortunata la sua futura ragazza; non era raro trovare ragazzi romantici, ma trovare ragazzi galanti stava cominciando a diventare una ricerca paleontologica piuttosto ardua.
«Mi canterai ancora una canzone?»
La mia domanda lo sorprese, il suo sguardo si accese per un secondo mentre le sue labbra piene si piegarono in un sorriso più convinto. Tentò di non guardarmi, ritrovandomi a seguire il suo sguardo verso punti imprecisati. Eravamo ancora fermi in quella posizione, ma sentivo la sua mano sulla schiena premere un po' di più e la cosa mi ammorbidii i muscoli. 
«Era...era una cavolata, volevo salvarti quella sera, stavi per dire a Hoseok più del dovuto. Insomma - insomma tu da ubriaca sei un pericolo vivente, devo tenerti sotto controllo.»
«Già.» 
Abbassai la testa. Avrei detto davvero qualcosa a Hoseok quel giorno? Forse, non lo so. Ma col senno di poi ero contenta di non averlo fatto, probabilmente ora le cose sarebbero state molto più complesse.

«Ma non appena hai aperto quella boccaccia sai e ho sentito quella voce, ho - per un attimo ho dimenticato tutto.»

Lo vidi corrugare la fronte quando riportai gli occhi scuri su di lui. Sentivo le dita della sua mano premere un po' di più contro le mie, si stavano intrecciando in maniera lenta provocando una vicinanza un po' più intima e silenziosa. Stavo creando inevitabilmente un'altra bolla.
«Mi sono sentita dentro un cosmo, una galassia, da sola. Immersa dentro la tua voce. Hai innescato qualcosa dentro di me quella sera e ...sono dovuta uscire per riprendere fiato. Ti ho odiato, dovevi prepararmi davanti a questo tuo talento, non ero pronta.»
Lo vidi boccheggiare davanti a me, con le labbra un po' schiuse e lo sguardo che stava penetrando nel mio. Non sapevo neanche da dove l'avessi preso il coraggio per rivelargli quelle  cose, le avevo tenute dentro di me fino a quel mometo, per custodirle gelosamente, come qualcosa di personale che avrei voluto avere solo per me. L’avevo capito grazie a Namjoon, durante il suo sfogo. Ognuno di noi stava mantenendo il proprio segreto personale, in fondo.
Ma se  avessi dovuto donarle a qualcuno, non c'era scelta migliore del diretto responsabile di quella sensazione.
Lui fece strusciare le dita contro le mie in maniera più pressante, tanto che voltai lo sguardo per andarle a guardare. Aveva delle belle mani, lisce, le dita lunghe e un po’ strane - pieghevoli direi - ed erano costantemente calde e piacevoli. Mi venne da sorridere a quel pensiero e, per un secondo, ebbi un po' timore di quel minuscolo dettaglio, rendendomi conto di una cosa del tutto stupida e inutile ma, in un certo senso, più significativa del dovuto: non mi ero mai soffermata sulle mani di Hoseok.

Un palpito nel petto più forte mi fece voltare di nuovo verso di lui, che mi fissava in maniera più seria e pensierosa. Di nuovo quell'alone che mi aveva colto al karaoke mi si schiantò nel petto; ma era sempre stato così bello?


«Quella canzone non parlava di te.»

Per un attimo rimasi imbambolata, perdendo l'uso delle vocali. L'istruttrice  stava comincando a spingerci verso la pista per muoverci, tenendo il tempo con voce più irritata di prima, tanto che pinzò i miei fianchi per smuoverli a tempo. Non mi ero accorta che non ci stavamo muovendo più, come due mimi pietrificati. 
Intanto Jin, colto da un senso del dovere ballerino, provò a farmi fare una giravolta lentissima, prima di riprendermi tra le mani e sorridere.
Quella volta, quel sorriso, mi fece effetto. Provai una sensazione al petto che avevo già provato in passato; qualcosa di caldo, di piacevole e molto, troppo pericoloso.


«Parlava di me.»

«Bene allievi miei, lezione finita, ricordatevi di sorridere, di amarvi e di pensare a cose belle. E voi due vi prego allenatevi, avete la prestanza davvero, insomma dentro di voi, molto in profondità so che c'è del talento, vi serve solo pratica. Molta pratica, tipo sette giorni su sette, sì. Ma in compenso: bravi ecco.»
Noi due ci voltammo verso la signora, io ero ancora un po' sconvolta, dentro, fuori, in ogni dove.
Lezione: promossa.











NTA: eeeee buonsalve, ho aggiornato un po' in ritardo ma tra lavoro e situazioni non sono riuscita a farlo prima. A sto giro facciamo soffrire altra gente che belloH, mi sento meschina perdonatemi tutti, scusami Tae ti adoro se un giorno ti fidanzerai giuro che sarà una coccolina che ti amerà per la vita sempre ç_ç e niente, grazie a chi mi legge come al solito. Intanto io faccio fare fruffare un po' Seo perché mi sembra brutto farla sempre star male. A prestissimo, passate una buona giornata <3

 

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Capitolo 9
*** Una festa perfetta ***


9 ~ Una festa perfetta
 
 
ㅇㅅㅇ



 
La sera era quasi alle porte e io ero nel panico, Yurim era passata da me per aiutarmi a prepararmi visto che non si fidava della mia predisposizione a vestirmi per queste occasioni. Le avevo ricordato che saremmo andate in un bowling per gente un po' nerd ma lei mi sventolò la mano sulla faccia, scacciando via quel dato irrilevante.
Aveva scelto per me una camicetta bianca con un fiocco che chiudeva il colletto, gonna corta ed erano già pronti gli stivali alti, dati in dotazione da lei, all'ingresso. Mi sentivo tremendamente a disagio ma la mia stilista di moda personale era una guru per queste cose e riuscì a farmi credere di essere più che decente. 
Lei invece sembrava una regina di Brodway, con un vestito nero di pizzo e scarpe col tacco. Avevamo deciso di non mostrarci prima del trucco e parrucco; l'avevo minacciata di non trasformarmi in un clown e, alla fine, aveva optato per un look quanto più semplice possibile. 

«Farai impazzire tutti questa sera.»
«Yu, ti ricordo che è la serata di Hoseok e Emily, non la mia.»
«Sì, ma tu sei l'artefice della festa, come minimo devi sembrare la leader di cotanto divertimento.»
Non mi sentivo molto la leader del divertimento in quel momento, ero nervosa, avevo più cipria in faccia che pelle e sentivo le gambe tremare per l'isteria interiore. Avrei voluto dare la colpa all'imminente uscita in mezzo a metà Seul, ma forse era anche colpa della canzone che fluttuava via dalla radio portandomi di nuovo nella mia personale atmosfera di ricordo convulsivo. 
Can you hear my heart?
Sì, potevo chiaramente sentire il mio. Ma la voce di Lee Hi, stranamente, non mi mostrava quella faccetta brillante del mio Hobi, quanto più un altro essere bipede che stava sgomitando per farmi impazzire. Con uno sbuffo scacciai via quel pensiero, proprio mentre Yurim mi piantava una mano sulla palpebra per accecarmi con una matita nera. 

«Veramente il leader sarebbe Jungkook, ma sarebbe strano se tu lo vestissi come me. Anche se con quelle gambe starebbe sicuramente meglio.»
Lei scoppiò a ridere mentre controllava il suo operato artistico, spruzzandomi spray profumati al biscotto e altre essenze floreali. Mi sentivo molto zuccherata in quel momento.
«Quando arriverà il tuo cavaliere?» Mi domandò lei d'improvviso. Sperai che il fard sulle guance nascondesse eventuali cambiamenti di colore della mia pelle.
«Quale cavaliere?» Ricambiai la domanda da vera gnorri aitante.
Lei si girò esasperata verso di me, mentre rialzava i capelli in una coda alta. Ne approfittai per ammirarla in maniera un po' invasiva; era di una bellezza mozzafiato, se Tae l'avesse vista in quelle vesti sarebbe svenuto con un colpo mortale. 
Quel pensiero, comunque, non mi provocò nessun tipo di emozione positiva, tanto che lo lasciai andare velocemente. Dovevo ricordarmelo: non era più come prima. 

«Stai andando ad una festa senza presentarti a braccetto con un ragazzo prestante, bello, dolce e luminoso?»
«Posso sempre entrare a braccetto con te.» Mi lagnai io, già cavallerizza.
«Io vado con Tae.» Mi informò lei di colpo. Dovevo aver assunto un'espressione da paresi
 perché lei mi bloccò, sorridendo. «No, prima che ti fai venire un colpo, non siamo tornati insieme ma non ho intenzione di portare Doyun a questa festa e so che Tae ci teneva a venirci con me. E poi, anche se ci sarà tutta la Corea, la sento un po' come la nostra festa, sai del nostro gruppo ristretto e non voglio contaminarlo con niente.»
Alla fine dovetti sciogliermi davanti a quella constatazione, dandole un colpetto di punta sullo stinco, in maniera carina e poco dolorosa.
«Quanto sei altruista.» Commentai tirando fuori la lingua, strizzando un occhio.
«Se tu hai un amico cretino che non ti invita non è colpa mia.»
«Di quale amico stai parlando? Devi essere specifica, ne conto almeno una ventina.»
«Sì fai la gnorri. Facciamo pure una conta se vuoi: Jung verrà con qualche ragazzina rimorchiata all'ultimo secondo, Jimin con Suji, Yoongi e Nam verranno insieme perché sai come sono quei due e indoviniamo chi resta? E poi quale ventina, se parli dei tuoi colleghi maniaci neanche li considero, per carità.»
Non so per quale motivo ma l'argomento aveva riportato le mie gambe a ballare la mazurca, tanto che dovetti premere le ginocchia con le mani per fermarle. Intanto mi misi a guardare fuori dalla stanza,mentre mi sistemavo la gonna senza motivo.
«S-sì certo che verrà ma ...sai staremo tutti insieme, perché hai la fissa delle coppie ora? Io voglio solo andare in coma etilico, lo sai.»
«Perché so che vuoi far ingelosire Hobi, in qualche modo.»

Mi voltai di scatto a guardarla, lasciandomi interdetta. Non avevo mai pensato di far ingelosire Hoseok con la mia presenza, non si trattava di mostrarmi a Hobi durante una serata qualsiasi, questa era pura fantascienza. Ormai avevo oltrepassato la fase della speranza, ero in rassegnazione violenta, ero già nel reparto "merce invenduta" e non volevo riaprire quell'arco emozionale per un capriccio come la gelosia inversa. Nel mio inconscio era sicuramente onnipresente il desiderio di farmi notare da lui, in qualche modo, ma quello spicciolo particolare stava scemando insieme alla fissazione che avevo di lui. E così volevo che rimanesse.

«Sai Yu, in effetti hai proprio ragione, c'è solo un piccolo particolare: credo che si stia per sposare, ma è solo una teoria, eh.»
Vidi Yurim avvicinarsi a me come una gatta focosa, spostandosi la coda da una parte della spalla. Stava recitando la parte della truffaldina passionale, e in effetti ci stava riuscendo. Mi piantò un dito sotto al mento, tirandomi su la faccia per fissarmi negli occhi. Capivo perfettamente la gelosia di Tae, in quel momento.
«Gli uomini si conquistano così, quando si accorgono che non potranno più averti...ZAM, eccoli. Cascano ai tuoi piedi. Vogliono riprendersi quello che pensavano non sarebbe mai andato via, è una questione tutta psicologica.»
Io deglutii a vuoto provando a distaccarmi da quella presa, tirando su un sorriso mezzo sghembo. Accidenti a lei e alla sua suadenza-innata.
«Ma quelle non sono le donne?»
«Bè sì, siamo tutti banali uguali in effetti.» Fece lei, facendo spallucce.

Qualcuno bussò alla porta, nonostante fosse  aperta, sbucando infine con una testa scura e ingellata. Era Namjoon. Da quella angolazione riuscì a vedere fino al collo, sembrava un cranio fluttuante e la cosa mi fece ridere da sola.
«Ragazze è arrivato Tae, andi- oh, e che è?» I suoi occhi scrutarono entrambe, da capo a piedi. 
Subentrò senza timore, mostrandosi in tutto il suo eterno sex-appeal, quella sera si era conciato proprio da esattore delle tasse ma stava bene, nel suo complesso. Estremamente bene.
«Che bellezzitudine. Farò un figurone arrivando con voi.»
«Anche tu non scherzi, Nam.» Disse Yu, facendogli l'occhiolino. Lo vidi boccheggiare mentre dietro di lui sbucava Yoongi vestito da funerale, sempre perennemente dark, guardandoci con la coda dell'occhio. Si soffermò di più su di me, facendo un lieve cenno d'assenso.
«Seo sembri quasi una ragazza vestita così.»
«Ricordami di ridere più tardi.»
«Ci muoviamo?»

Era emozionato quanto un leone davanti ad un piatto di fave e io mi sentii legata empaticamente a lui, tanto che mi alzai in piedi e zompai verso il suo braccio prendendolo come una borsetta da nonnina, stringendomi al suo fianco. 
«Oh Minno, stammi vicino, il mondo esterno mi terrorizza.»
«Potrei farti fuori, se lo desideri.» Mi rispose lui, guardandomi male.
«Ehi, se muore Seo poi chi le paga le bollette? Tienila viva fino a che non divento ricco almeno.» Namjoon si intromise con la sua sensibilità sempre accentuata.

Sentii Yurim sospirare dietro di me, ormai rassegnata.
«Oltre questo momento pieno di positività, non aspettiamo gli altri?» Intonò lei sistemandosi meglio il vestito, ma Namjoon ci avvisò che gli altri si sarebbero fatti trovare sul posto per non perdere relitti per strada. La notizia mi tranquillizzò solo per un secondo, prima di ricordarmi che l'attesa era sempre la parte più traumatica di un evento. Non avevo motivo di essere così nervosa, neanche si trattasse della mia festa, o del mio matrimonio, ma non riuscivo a smettere di sentirmi agitata. Era una sensazione che arrivava fin dentro le ossa, forse avrei dovuto prenderlo come preavviso imminente e negativo ma non riuscivo a pensare molto bene.

Tae era bello come una statua di Michelangelo, aveva portato un mazzolino di fiori per Yurim e noi tre solitari assistemmo ad una scena molto romantica: lui che apriva la portiera della macchina per la sua dama, inchinandosi e aiutandola a sistemarsi. Non so come fece Yurim a non diventare un budino sciolto ma la cosa fece sorridere tutti e tre. Intanto salimmo nei sedili posteriori un po' prendendolo in giro e un po' invidiando la situazione.
Quando arrivammo mi accorsi che non ero psicologicamente pronta per quella miriade di gente, erano venuti parecchi ragazzi dell'Università, alcuni miei colleghi, colleghi di Yurim, conoscenti in comune e anche qualche famigliare sparso. Facce allegre, facce buffe, facce di chi sarebbe voluto rimanere a casa a lavorare a maglia: insomma ne avevamo di tutti i tipi.

Mi infilai nella folla solo per cercare Jungkook, avendomi aspettato per cominciare a fare entrare le persone. Mi sentivo una specie di "usciera" all'incontrario, avvertendo i due signori all'ingresso di far passare solamente chi aveva ricevuto il famoso invito alla festa, che avevo scoperto riportare queste parole: "Al GameGoy potrai entrare se un bel sorriso vorrai mostrare."
Mi Sentii fiera verso Jungkook per quella citazione arrangiata, lasciai perdere la faccia un po' stranita dai gentiluomini all'ingresso e cominciammo a salutare i giunti, invitandoli a entrare.

Dissi ai miei amici di aspettarci all'interno,  mentre io e Jungkook rimanemmo fuori per controllare che la situazione non sfuggisse di mano, ma in verità era una scusa bella e buona per entrambi. Lui si sentiva stranamente a disagio davanti a tutte quelle persone e io, in realtà, volevo solamente togliermi il pensiero. E poi avevo un tassello dentro il cranio che dovevo scacciare via, non potevo alleggerirmi l'anima prima di prenderne coscienza.

Mentre aspettavamo l'arrivo degli ospiti d'onore mi accorsi che Jin, in effetti, non s'era ancora fatto vedere. Provai a immaginare in quale tombino fosse finito, sicuro che avesse perso la strada o che qualcuno gli avesse dato l'indirizzo sbagliato. Yoongi venne a farci compagnia dopo circa due minuti, tirando fuori una sigaretta per regalare all'atmosfera un po' di inquinamento.
«Lì dentro è un fottuto mattatoio.»
«Magari non dirlo quando arrivano i due novelli, eh?» Dissi io, strusciandomi le mani tra loro.
«Non conosco neanche metà delle persone che sono venute.»
«Credo di aver mandato inviti anche a gente sconosciuta, in effetti.» Ammise Jungkook, toccandosi i capelli. Quella sera aveva un'aria tremendamente calorica, nel senso che  chiunque l'avesse guardato avrebbe emanato calore proprio. 
«Per fortuna che Hoseok e il casino vanno molto d'accordo.»
«Ehi, c'è Jimin!»
Notai una figura avvicinarsi a braccetto con una ragazza bionda, bella e minuta. Pensavo di averla già vista da qualche parte ma non riuscivo proprio a fare mente locale.
«Vado a bere, mi sto già pentendo di essere venuto.» Yoongi spense la sigaretta sotto la scarpa, tirando su col naso, fluendo dentro. Ultimamente era diventando lunatico, passava da momenti di odio a momenti di puro odio. La differenza era sottile ma potevo percepirla.
Jimin ci salutò, andando a sbirciare verso il punto in cui Yoongi era sparito, presentandoci finalmente la famosissima e biondissima Suji.

Era molto timida, a stento riusciva a guardarci in faccia, nonostante avesse adocchiato Jungkook in maniera silenziosa e pudica. Finsi di non notare quel particolare, mentre il tizio di man in black alla porta chiedeva l'invito per l'ingresso.
«Avete organizzato una cosa grossa.»
«Se la serata finisce male, ricordati che è colpa solo di Joacchino qua.» Ammisi io, facendolo sorridere.
«No ma scusa, sarà una cosa mostruosa, non essere così pessimista.»
«Io metto le mani avanti insomma.»
«Seh le mani.» Jungkook mi diede una gomitata nelle costole mentre Jimin rideva, prendendoci per il braccio ad entrambi. 
Pensavo volesse usarci come bastoni della vecchiaia, invece s'avvicinò a noi giusto per sussurrarci un segreto segretissimo.

«Ragazzi, sarà un successone e poi ho in mente di fare una cosa più tardi, sapete per Hoseok, sarà memorabile.»

E con quell'uscita misteriosa ci diede una pacca sulla spalla a entrambi, prima di riprendere una Suji sempre più incline a sotterrarsi e subentrare all'interno. 
Non appena Jimin ci lasciò di nuovo soli a contemplare la notte, vedemmo Hoseok e Emily avvicinarsi, mano nella mano, vestiti diversamente per fortuna mia.
Emanavano la classica luce di chi è il cuore della serata, lei era raggiante e lui sembrava essere appena uscito da un litro di glassa caramellata, visto il quantitativo di sorriso che troneggiava sulla sua faccia allungata.

«Voi due siete dei geni, adoro questo posto!» Esclamò Hoseok lasciando indietro Emily per correrci incontro. Abbracciò prima Jungkook felice come un macaco, per poi tirarmi per il colletto e abbracciare pure me. A quel punto si unì pure Emily, formando un grande abbracciofero, con arti che si arricciavano tra loro. Chissà che spettacolo dall'esterno.

«Oh questa robetta, figurati. E poi dovevamo far sapere a tutti quanto sei scarso nel bowling.» Ammise Jungkook, sghignazzando.
«Scarso? Tiro giù i birilli di tutte le corsie con un tiro, altro che scarso.» Hoseok si tirò via da quell'intreccio e pian piano ritornammo tutti sui nostri piedi. 
Lo vidi affilare lo sguardo su di me, stava guardando il mio vestiario, aumentando il vestito.
«Ma guarda che bella che sei oggi.»
Mi piaceva constatare quanto tutti sottolineavano quell'oggi, ogni volta che mi mostravo in altre vesti, come a confermare il fatto che gli altri giorni facessi concorrenza ad un bidone dell'umido. Decisi di non offendermi, mostrando un sorriso pieno. E imbarazzato.
«Anche tu, tutto impomatato e gessato, sembri un avvocato penale, di quelli cattivi.» Ammisi io e lui mi diede un altro abbraccio, ridendo come una iena, pimpante di gioia.

Era strano constatare quanto quegli abbracci fossero sempre meno dolorosi, sarà che non riuscivo ad amalgamare il contatto che, subito, si passava ad altro. Non era un male così decisi di non pensarci. Lo vidi saltellare verso Jung mentre parlottavano di cose da uomini, ossia quanto fosse buono il profumo di Jungkook, mentre sentii la mano di qualcuno toccare la mia.
Era Emily.
Mi voltai verso di lei così da permetterle di prendermi entrambe le mani. Era sorridente, aveva un velo di trucco e i capelli arancioni boccolosi sulle spalle. Sembrava una di quelle bambole di porcellana tenute in buono stato sulla mensola, ma senza lo sguardo vitreo e nero da demone. Il suo sorriso mi contagiò all'istante, tanto che ne riflessi uno simile.

«Grazie.» Mi disse lei, con un accento coreano quasi impeccabile.  «Grazie di cuore Seo, non sai quanto ci teneva a questa serata, non ho mai visto Hoseok così felice da quando è tornato a casa. Lo devo a voi ragazzi, lo devo a te. Mi avete fatto sentire subito parte di questo gruppo, di questa piccola famiglia. Non potevo chiedere niente di meglio, mi sento ...davvero sono così felice, non smetterò mai di ringraziarti.»

Non ero mentalmente pronta a dei ringraziamenti come non ero pronta ad avere Emily così propensa ai complimenti, a queste rivelazioni sentimentali, all'apertura del suo cuore. Mi faceva piacere sapere che non mi vedeva come una minaccia, anzi che ero praticamente uno spicchio positivo nella loro idilliaca relazione. Ma probabilmente non mi avrebbe visto in questo modo neanche se le avessi detto che, in quel preciso momento, avrei strappato i vestiti di Hoseok per saltargli addosso.
Mi vergognai tremendamente di quel pensiero così sorrisi, sperando che non captasse la mia mente impura.
In fondo mi aveva regalato un momento molto intimo di sé stessa e, per quanto mi sentii un po' ipocrita nel pensarlo, mi fece sentire più forte, più sicura e anche più leggera.

«E' un piacere per me. Ormai sei parte di tutto questo e spero... insomma, divertitevi, non vedo ancora nessun drink nelle vostre mani.»
Lei sorrise di cuore di nuovo, abbassando lo sguardo. Evidentemente ci teneva davvero a quello che pensavamo di lei. Non avevo parlato con nessuno di lei ma credo che chiunque la trovasse una ragazza perfetta per Hoseok, più di quanto potessi mai essere io. Nessuno lo diceva ma lo sospettavo e io, io alla fine dovevo abbassare l'ascia di guerra e confermare tale ipotesi.
Mi faceva ancora male eppure vederla sorridere in quel modo mi diede un senso di quiete più vigorosa. Se dovevo proprio scegliere qualcun'altra adibita a portare la felicità al mio sole, credo che avrei scelto lei a prescindere. 

Con mia grande sorpresa mi abbracciò prima di staccarsi e fluttuare verso Hoseok e Jungkook, finendo con lo sparire dentro il locale. Io ero rimasta a guardarli da lontano per qualche secondo. Il tizio all'entrata mi chiese se andasse tutto bene, forse avevo qualcosa sulla faccia, o forse era solo la mia espressione di chi ormai si era adagiato su quel tappeto di vetri su cui stava camminando.

Non lo seppi mai, perché venni di nuovo disturbata dal mio tepore personale sentendo qualcuno sfiorarmi il braccio. Quando mi voltai trovai un ragazzo vestito di tutto punto, coi capelli neri e la fronte scoperta, due occhi taglienti e una rosa davanti alle labbra. 
Milord, di Sailor Moon, avrebbero detto i più nostalgici. 
Il ragazzo si chinò davanti a me, mentre mi porgeva la rosa e mi regalava una delle espressioni più suadenti che gli avessi mai visto.

«Sei pronta ad una vera festa
Il Milord delle Rose era quella papera di Jin. 
«Non ci sto credendo.» Mi piantai una mano davanti alla faccia, sconvolta. Non sapevo se ridere o piangere davanti a lui, ma fu lui a rompere il ghiaccio cominciando a ridere come un imbecille, tirandosi su con la schiena e mostrandosi in tutta la sua altezza. 
«Sì, la parola che stai cercando è: wow
Stava ancora sventolando la rosa davanti alla mia faccia, rischiando di scartavetrarmi la pelle con gli spuntoni, così decisi di prenderla e ficcarla in una piega della camicia. Cosa poco femminile ma sarebbe stato peggio lanciarla via, in fondo.
«Vuoi rimorchiare tutte le signore della serata?»
«Sì all'incirca, ormai ho scoperto di essere un adone famoso per le casalinghe. L'hai detto anche tu.»
«Ma se solo ti sfiorano un gomito diventi più incandescente della lava.»
«Quello era ieri. Ora sono un uomo diverso.» Scherzò lui, passandosi una mano tra i capelli con fare lentuadente, un miscuglio tra lento e suadente. Stava scimmiottando i bellocci, lo avevo capito, eppure davanti a quel gesto rimasi imbambolata a guardarlo.

Aveva uno sguardo diverso quella sera, non so cosa fosse, ma non riuscivo a fissarlo a lungo negli occhi senza provare un terribile imbarazzo così decisi di sventolare una mano per aria. Sentii dall'interno la musica alzarsi così gli presi una mano.
«Andiamo adone delle casalinghe, se finisce l'alcol prima che io possa ubriacarmi potrei uccidere qualcuno.»
«Mi piace questo spirito.»
«Lo so, ci lavoro da una vita.»
«Ehi aspetta Seo-» bloccò il passo di colpo, tanto che quasi mi strappai il muscolo del braccio, avendolo ancora artigliato alla sua mano. Mi girai velocemente verso di lui, pronta a tutto. Lo vidi abbassare lo sguardo, piegando il collo da un lato. Lo fece per due volte, prima di avvicinarsi a me. Avvampai di colpo, sentendo la bocca secca.
«-sei bellissima.» 
Colpita e affondata. Avevo sicuramente perso una decina di battiti. Non si era mai prodigato in questi complimenti, mai con quell'espressione, quella voce, quelle labbra. Mi stavo soffermando troppo a guardarle tanto che faticai a trovare una risposta a quella frase. Ma per fortuna Jin era sempre stato bravo a salvarmi anche da me stessa. Lo vidi sorridere, allungando una mano verso la mia testa.
«Non quanto me, ovvio, ma ci hai provato.» Mi scombinò tutti i capelli ruotandomi appena il cranio, ridacchiando, prima di fluire avanti a me e tirarmi per raggiungere l'interno.
Una volta dentro tutto si fece colorato.


Io e Jungkook avevamo deciso che sarebbe stato tutto pagato da noi, con l'aiuto di qualche fondo fiduciario degli altri e delle nostre famiglie, così c'era cibo in abbondanza, bibite in abbondanza e una variopinta sequenza di addobbi che dondolavano da tutte le parti. Avevo appeso ovunque le foto del cane di Hoseok, cosa che doveva aver apprezzato perché lo trovammo intento a farsi fare delle foto davanti ad ogni immagine fluttuante. C'erano girellini colorati, fiaccole finte multicolor, caramelle mou morbide e appiccicose e, in più, la sala era illuminata da dei strobo di luce lunare verde e gialla che si muoveva a ritmo della musica, oltre che i neon del bowling e i vari lumini che provenivano dai giochi da sala.
Stavo ancora tenendo la mano di Jin quando decidemmo di gironzolare verso la zona del bowling, dove un gruppo di persone stava già padroneggiandosi con tiri pirotecnici. Cercai Yurim con lo sguardo ma non riuscì a trovarla da nessuna parte. 
Qualcuno si fermò a salutarci, trovai qualche mio collega ebbro di gioventù e passai una buona mezz'ora a imbastire conversazioni dalla durata di tre minuti ciascuna con almeno una trentina di persone.

Tutto ciò fino a che non trovammo Jimin vicino ad uno dei banconi che servivano l'alcol, evidentemente già al terzo cocktail dal colore ambrato, visti gli evidenti bicchieri vuoti e degli ombrellini rossi conficcati tra le sue orecchie.
«Ragazziii, sono già ubriaco.»
«Che velocità!» Dissi io, toccandogli la schiena.
Quello si strusciò sulla mia spalla con la guancia, cominciando a ridere da solo. 
«A te l'alcol non fa per niente bene.» Disse Jin, tirandolo di nuovo su a sedere in maniera eretta e poco pericolosa. Quello ordinò un paio di drink assassini dal nome sconosciuto e ce li porse.
«Omaggio della casa.»
«Chimmo che omaggio della casa, abbiamo pagato noi.» Dissi io ma quello non mi stava neanche ascoltando, così decisi di non rovinargli quel momento di generosità. Presi il drink e lo bevvi a goccia insieme a Jin in una gara all'ultimo sangue.
Vinse lui, nonostante fosse famoso per la sua poca propensione a reggere l’alcol.

«Dove hai lasciato Suji?»
«In bagno a farsi bella per me, credo che mi aaami follemente.»
«Chi non ti ama follemente?» Dissi io mentre quello, di nuovo, si fiondò su di me. Non era proprio voluto, aveva perso l'equilibrio per chissà quale sbilancio d'aria.
«Ma io non la amo. Io amo voi. Io amo-»
Jin lo tirò su di nuovo, a quanto pare era portato per fare il reggipiedi degli alcolizzati, spezzando quel momento verbale di amore.
«Uh uh, dobbiamo giocare a bowling.»
«Se trovassi gli altri.» Cominciò Jin, guardandosi intorno, ma non fece in tempo a dirlo che si trovo Taehyung alle calcagna. Quello gli era saltato addosso, piantandogli le nocche sulla testa per sfregarla ferocemente.

Addio alla chioma perfetta di Seokjin; potevo intuire il suo dolore dall'acuto strillo che scacciò via dalle labbra, cercando di scrollarsi di dosso la sanguisuga.
«Jin-hyung! Fatti dare una sistematina ai capelli.»
«Ti ammazzo, levati. Ragazzi aiuto!»
«E' uno spettacolo talmente bello che non possiamo interrompervi.» Dissi io, risoluta.
Spuntò anche Yurim, mettendomi la mano intorno alle spalle, mentre guardava il suo ex, forse di nuovo ragazzo che si dimenava sopra la schiena di Jin.
«Quanto possono essere idioti?»
«Eh.»
«Senti, ho visto Namjoon parlare con la tua capa. Non vorrei dire ma, per me, tra quei due sta nascendo del tenero.»

La cara Agnuska era una donna più vicina agli anta che agli enta, bella, bionda, polacca, risoluta e spaccaculi esperta, era solo questione di tempo, era ovvio che Namjoon ci avrebbe messo gli occhi sopra prima o poi. Non ero molto convinta che sarebbe stato vantaggioso per me, o forse sì?
«Un giorno la troverai mezza nuda, con indosso una camicia di Nam, a prepararvi il pollo piccante per colazione.»
Non ci avevo pensato. Boicottai subito la loro relazione nel mio immaginario felice, facendo una smorfia.
«Grazie per quest'immagine onirica. Piuttosto, cos'ha il tuo ragazzo oggi? Mazzi di fiori, portiere di auto, euforia per Jin. Avete risolto?»
«No. Sai che voglio bene a Tae ma - lo sai, è solo per questa sera. Non voglio che si illuda, penso che lo sappia e se ne sta solo approfittando.»
«Yu, Tae ti ama. Non se ne sta approfittando, è ...insomma, sei tu. Lo fai andare fuori di testa.»
«No, ama solo l'idea di essere amato. Non ama me. Sono quasi sicura che se potesse scegliere, si prenderebbe Jin. O Jimin.»

«Jimin che?» Jimin, sentendosi chiamare in causa, sbucò davanti a noi con un ombrellino tra i denti. Lo stava facendo roteare passandoselo tra gli incisivi mentre gli altri due svettavano tra i capelli scuri.
«Niente Chimmo, stavamo dicendo quanto fossimo invidiose dei tuoi nuovi orecchini ombrelliferi.» 
«Oh. Non so di cosa state parlando.» Disse lui, ritornando di nuovo verso il bancone con l'equilibrio di un carlino senza zampe. Mi assicurai che non morisse in quel tragitto, prima di prendere Yurim per un braccio, trascinandola un po' più lontano, prima di affilare un  lo sguardo.
«Non voglio entrare nei dettagli di questi pensieri psicologici profondi, ti chiedo solo di non illuderlo. Davvero Yu.»
«Non lo farò stai tranquilla - oh, ma guarda quei due.»

Quei due erano Yoongi e Suji, pareva che stessero avendo una discussione molto accesa. O almeno era così che sembrava da lontano, visto i vari movimenti di mani di Yoongi. La ragazza a stento lo guardava in faccia così mi convinsi che Yoongi le stava raccontando di come le feste erano la peggior soluzione per boicottare il capitalismo. Intanto quella prima mescolanza di alcol senza essermi nutrita prese a dare i suoi frutti, provocando una vaga sensazione di claustrofobia insensata. Decisi di dare una carezza sostenitrice alla spalla di Yurim, prima di afferrare un drink rubato dal bancone.
«Yu tienili d'occhio, vado a sgranchirmi le  gambe. Ho bisogno di vagare.»
«Va bene, non ti perdere.» Mi urlacchiò lei, ma la sentii a malapena mentre mi addentravo nel cuore ululante della festa.

Namjoon non stava più parlando con la capa, sempre se fosse mai realmente accaduto, ma era immerso in un gioco di concentrazione da artiglio insieme ad un paio di ragazzi, provando a recuperare un pupazzetto a forma di granchio. Lo lasciai perdere a quel suo nuovo passatempo, serpeggiando tra la folla di ragazzi, mentre la musica impennava dalle casse intorno al posto.
Jungkook aveva deciso che avrebbe contaminato il genere rock-rap-pop in un unico concentrato di suono, così la musica passava da assoli degli slipknot a vocine squillanti di qualche gruppo kpop famoso del momento. Sapevo che si sarebbe esibito anche un gruppo dal vivo, amici suoi dell'università, ma non ero sicura delle tempistiche di tale evento così non me ne curai più.
Trovai il mio socio dei party in una gara di tiro a freccette con due ragazze, sicuramente più piccole di lui, mentre qualcuno tentava di tirarlo via da lì.

Emily e Hoseok avevano cominciato a giocare a bowling con un gruppo di vecchi amici delle elementari, alcuni di loro non li vedevo da anni ma questo mi fece provare un senso di malinconia un po' più acuto, soffermandomi a guardarli per un tempo indefinito, vicino ad una colonna, mentre finivo il secondo cocktail della serata. Trovai uno shottino abbandonato, trasparente, su uno dei tavolini vicini al tavolo del biliardo e me lo scolai di botto.

Non volevo realmente ubriacarmi ma credevo che il mio subconscio stesse donandomi un ultimo premio di consolazione, innescando la simpatica lotta di emozioni sbronze per immergermi maggiormente in quello scenario che sapeva tanto di addio.
Addio per Hoseok. Addio al mio amore per lui. Non era molto romantico come saluto finale, ma d'altronde avevo scoperto che il casino mi aiutava più della calma e andava bene così.
Così dopo l'ennesimo drink preso da un cameriere col vassoio volante tenuto tra le dita già cominciavo a sentire le mani intorpidite, la testa leggera e una pesantezza al cuore che stava scalpitando per emergere. Più guardavo Hoseok e Emily, più le canzoni viravano verso mielosi testi d'amore, più io mi abbandonavo alla consapevolezza.

Mi girai giusto per cercare i miei amici, di nuovo, ma non trovai nessuno nelle vicinanze. Qualcuno si avvicinò a me per chiedermi dove fosse il bagno, qualcun'altro mi disse quanto la festa fosse pazzesca, alcuni si avvicinarono per dirmi se potevano portare degli amici di amici di amici ritardatari. Non so bene cosa risposi a ognuno di loro, probabilmente ringraziai tutti senza capire niente, perché la musica cominciò a prendere il sopravvento rispetto a tutte le voci e le immagini che si mescolavano tra loro davanti a quella luce bluastra dell'arcade, insieme a quelle degli strobi pazzerelli.

Non mi accorsi nemmeno che qualcuno mi aveva appena spintonato facendo cadere quasi un quarto del mio drink per terra. Stavo già girandomi per cominciare la terza guerra mondiale quando mi accorsi che lo spintonatore era Yoongi. Stava camminando velocemente verso l'esterno, tastandosi le tasche per tirare fuori una sigaretta. Non era mai stato un fumatore incallito ma quella sera stava dando il meglio di sé in quella pratica tabagista. Decisi di bere a goccia quell'ultimo flutto alcolico e corrergli dietro, nuotando tra i ragazzi immersi in qualche ballo sconclusionato a ritmo di musica.

«Ehi Minno, aspet- scusa, scusa, oddio la sua borsa. Ecco tenga - Minno?!»
Ce la feci, una volta fuori mi accorsi che l'aria era più fresca e che i due uomini all'entrata si erano seduti per bersi una birretta, parlando di qualcosa di spassosissimo, visto le risate.
«Che vuoi?»
Riuscì ad affiancarlo, guardandolo con aria poco sobria.
«Ti prego, almeno per stasera, riesci a levarti quella spina dal sedere?» Dissi io, contrariata. Non aspettai nemmeno la sua risposta, che doveva sicuramente essere una parolaccia colorita. Andai dentro per fregare un paio di bottiglie di birra. Quando tornai fuori lui era già a metà sigaretta, lo sguardo verso i palazzi illuminati di Seul e i muscoli tesi e arrabbiati mentre se ne stava seduto sul muretto che costeggiava la piazzola.

«Tieni, socio.»
Lui prese la bottiglia senza fiatare, se la scolò in tre secondi esatti, non temendo una possibile congestione e lanciò la bottiglia di lato, centrando un povero cespuglio innocente. 
Io mi sedetti dietro di lui, a guardargli la schiena, mentre quella birra dava il colpo di grazia ai miei neuroni.
«Torna dentro a divertirti, è una serata anche per te, non ti servo io a rovinarti l'umore.»
Neanche gli risposi, continuai a bere la birra mentre con una lentezza sovrumana decisi di rubargli la sigaretta dalle dita, ormai alla fine della sua fumata, inspirare l'ultimo tiro e spegnerla in uno dei bidoncini lì vicino.
Lui sospirò, abbassando la testa. 

Sperai tremendamente che decidesse di parlarmi. Non avevo voglia di rovinarmi l'umore, quello no, ma non potevo provare il peggio se il peggio era dentro che stava baciando la sua futura moglie. Ero abbastanza ottimista in questo, quindi decisi di restare a fissargli la schiena inarcata, finendo la birra.
«Vuoi che torniamo a casa?» Gli chiesi io, dopo svariati eterni di silenzio.
Lui non mi rispose, continuava a fare qualcosa con le mani che non vedevo, mentre la testa era inclinata in avanti e ciondolava senza nessuna forza.
«O vuoi che andiamo a citofonare in quei bei palazzoni da ricchi laggiù fingendoci agenti immobiliari?»
«Non so che cazzo fare, Seo. E' tutto una merda. Non riesco a comporre più neanche un pezzo senza che la sua faccia mi compaia davanti. Suono e lo sento. Scrivo e lo sento. E non capisce, non lo capisce.»

Tirai su la schiena di scatto, improvvisamente colpita dalle sue parole. 
Ma di che stava parlando? Provai l'impulso di toccargli la schiena ma evitai, non volevo che la percezione di me che lo stavo ascoltando lo bloccasse. Sapeva che c'ero, ma volevo che il suo subconscio non lo percepisse. 

«Ho fatto domanda per l'Accademia di musica a Kyoto, mi hanno preso, sai?»
Provai un tuffo al cuore improvviso. Non mi aveva detto di nessuna Accademia in Giappone, perché la gente decideva di dirmi che se ne sarebbe andata senza prima avvertirmi? Provai l'impulso di spintonarlo e mandarlo a quel paese ma riuscì a calmare i nervi, anche se sentivo la necessità di bere qualcos'altro. Qualcosa di forte. Magari cianuro.
«Tranquilla, non andrò.»
Dopo quell'uscita molto telepatica chiusi gli occhi, riprendendo a respirare. Non riuscivo a sopportare l'idea di Hoseok lontano da me, figuriamoci se si aggiungeva anche Yoongi a questo martirio. Era un pensiero egoista e mi sentii tremendamente in colpa a provarlo, ma ero più sollevata. In fondo avevo bisogno di lui, nella mia vita, avevo bisogno della sua acidità, della sua tenerezza nascosta, del suo odio per l'umanità. 

«Ma vorrei allontanarmi da qui, andare in un posto dove nessuno mi conosce, perché forse mi sono scocciato di dover fingere. Forse mi sono scocciato di dover accettare in silenzio quello che mi sta facendo. Forse ho deciso addirittura di ricambiare quello che prova, se non fosse che lui non ha atteso neanche un mese.»

Lui? 

Un fulmine a ciel sereno mi attraversò il cervello, una scossa profonda che mi fece ritrovare un barlume di lucidità improvvisa, così tanto che ripescai le immagini dal mio cervello per fare mente locale.
«Yoongi...» sussurrai, con voce rotta e bassa, mentre le sue spalle cominciarono a muoversi in maniera più convulsa. 
«Non possiamo, non possiamo, diceva, e io ero d'accordo cazzo. Non avreste capito, non l'avrei potuto dire a casa, non l'avrei potuto dire ad anima viva ma quel fottuto egoista non ci ha messo neanche mezzo secondo per andare da lei. Mi ha preso per il culo, era in qualche fase da adolescente ritardatario e me l'ha fatta sotto il naso. E come un coglione ci ho creduto...ci ho creduto

Questa volta alzai la mano, la posai a palmo aperto sulla sua colonna vertebrale e Sentii che quei movimenti convulsi delle spalle erano sicuramente singhiozzi. Stava piangendo, in silenzio, lo vidi alzare la mano probabilmente per coprirsi la bocca, mentre faceva fatica a trattenere i singulti.
Un altro.
Un altro ancora.
Lentamente lo avvolsi in un abbraccio, da dietro, poggiando la faccia sulla sua camicia scura, lasciandomi cullare da quei movimenti. Non riuscivo a dire niente. Non avevo capito un beneamato cappero, la risposta era sempre stata lì e non l'avevo mai vista. Tutte le ubriacature, tutte le serate chiuso in camera, tutte le volte che ci aveva attaccato, tutta la scontrosità erano il sintomo di una sola malattia, e quella malattia era la stessa che, invece, lo metteva di buonumore, lo faceva sorridere, lo alleggeriva quando era con lui. Il suo amore era perso e non riusciva a trovare la soluzione a quel paradosso sentimentale.
Come avevo fatto a non capire che si trattava di lui? 

Jimin. 

Era sempre stato lui il suo male, la sua dannazione, la sua salvezza. Non aveva avuto bisogno di confermarmelo, tutti i pezzi di quell'equazione si erano amalgamati e avevo rivisto le immagini nella mia testa una per una, come un album di ricordi che appare improvvisamente per farti fare mente locale. Quando era con lui arrossiva, era di buon umore, ci usciva insieme, lo andava a trovare, c'era un contatto fisico che non aveva con nessun'altro. La risposta era sempre stata lì. La sera del nostro litigio,  la sera in cui Chimmo gli aveva presentato Suji, aveva innescato il ciclo delle sue sbronze più rabbiose, ma da quanto andava avanti quella situazione? Da quanto lo teneva nascosto?
Mi morsi la lingua nervosamente, cercando di mantenere il respiro tranquillo sotto i movimenti muscolari di Yoongi, soffocando l'ennesimo magone al petto.

«Ti ricordi quando mi hai detto di non dire niente a Hoseok?»
Gli sussurrai io mentre lui cominciava a calmare quelle lacrime, sentendo il suo cuore palpitare forte dalla schiena, nonostante i muscoli tesi sotto quella pressione.
«S-sì.»
«Fai l'esatto contrario.»
Di nuovo rigido, drizzò la schiena e io mi staccai lentamente da quell'abbraccio. Si girò per guardarmi e notai che aveva gli occhi gonfi di lacrime, mi si spezzò il cuore a vederlo ridotto così. Non volevo che soffrisse come me, non volevo che se ne pentisse, se doveva ricevere uno schiaffo doveva essere ben sonoro, chiaro e tosto. Ma non col dubbio, mai col dubbio.

«Non posso, Seo. Cazzo lo sai...»
«Ma fregatene di cosa penseranno gli altri. Noi. La tua famiglia. Jimin non si sta sposando con una topona rossa dal sorriso da igienista dentale e la voce da usignolo, sei ancora in tempo per prenderlo e ...amarlo. Amalo. E ama soprattutto te stesso pidocchietto scemo.»
Lui fece un'altra smorfia di dolore, doveva essere al limite della sopportazione perché non riuscì a rispondermi, fece solo un cenno con la testa mentre si puliva la faccia velocemente, vergognoso.


«Come- come hai capito che stavo parlando di lui?» Mi sussurrò, deglutendo chissà quale osso di pollo appuntito.
«Perché sono una genia.» Risposi principalmente, prima di sospirare pesantemente. «O forse perché mi sono resa conto di come sei quando lui è con te.»
Non disse niente davanti a quella frase, sembrava stesse valutando una possibile risposta, stringendo le labbra tra loro. Ma quando tornò a guardarmi fece una smorfia un po' contrita.

«Forse ho fatto un casino, ho detto a Suji che non lo deve toccare.»
«Oh mio dio.»
«Sì lo so, sono- »
«Tu sei un tipo geloso?» Restai sbigottita da quella rivelazione scientifica, tanto che sgranai gli occhi. Lui mi fissò come se fossi una specie di animale pietoso.
«...no.»
«Minno sei geloso, ma io - ma io, ma che giubilo, io non ci posso credere. Il signor zero sentimentalismi è geloso come un drammaturgo.»
«Hai finito di fare la scema?»

Eppure eccolo, un sorriso, un mezzo sorriso, o forse era un ghigno da omicida. Non si sa, ma lui fece una cosa inusuale, che mi lasciò interdetta. Poggiò la fronte contro la mia, i nasi che quasi si sfioravano; premette la fronte come una specie di spinta, sembrava una di quelle carezze possessive che i gatti decidono di donarti una volta ogni cento anni. Lo lasciai fare, socchiudendo gli occhi, prima di sentirlo sgusciare via lentamente.
Indietreggiai appena, restando a fissarlo dopo il distacco. 
«Entriamo, basta stare qui a piangermi addosso, mi sto logorando. E poi non è giusto che io sia l'unico a soffrire, come minimo dovrò chiedere a Hoseok di portarsi Emily a letto davanti a te.»
Lo vidi muoversi verso l'interno seguito da una coloratissima minaccia di morte da parte mia. Forse qualcosa si era liberato anche in lui, almeno era quello che speravo. Era provato che tenersi quei groppi dentro al cuore non era salutare per nessuno, avvelenavano dall'interno rendendoti una persona sconosciuta, incline a continue esplosioni tormentate. Namjoon stava meglio dopo quello sfogo, persino io mi sentivo meno oppressa e, se davvero, non c'era un due senza tre, forse Yoongi avrebbe deciso che non ne valeva la pena sotterrare chili di agonia per questo. 

Ma l'avrei dovuto capire, le mie gambe erano portatrici di veggenza e a casa mi stavano dando l'avvertimento primario. Una festa perfetta diventa tale solo quando tutto fluisce verso l'apice del divertimento, come una pandemia condivisa da tante teste colorate, ma in realtà lo sfogo di Yoongi era solo l'inizio di un bivio che stava portando inevitabilmente ad un casino collettivo. Lo percepii chiaramente non appena rientrammo dentro, vidi che i colori erano diventati più sbiaditi, era così diversa la sensazione ora. Entrare con Jin, prima, aveva  cambiato la mia percezione delle cose? O era sempre stato così scuro lì dentro? Così nero? Così claustrofobico?

L'oroscopo doveva averlo accennato, quel giorno: oroscopo per i segni zodiacali della bolgia di amici, non uscite di casa oggi, non vi incontrate, non vi parlate, la conseguenza? Il disastro.





 


NTA: salvissimo, ecco qua 'sta festa che pare essere boh una roba mastodontica ma in realtà non lo so v_v il capitolo doveva contenere più cose ma si stava facendo lunghetto e mi tocca suddividerlo in più sequenze, ma il prossimo è quasi pronto quindi aggiornerò a breve. Intantissimo la ringrazio qui, come mia prima commentatrice, ggiunn, che mi ha fatto saltare di gioia per i commenti <3 non ti ringrazierò mai abbastanza. E oggi come sofferenza della giornata tocca al nostro Yoongino, che non so se l'avevate capito che aveva sto tormento amoroso con il nostro cucciolimin, ho tentato tipo di mettere cosine nel corso dei capitoli ma non so se son stata capace di farlo notare nel caso pazienza, oggi c'è la conferma xD comunque si nota che Skins mi ha fatto da amico adolescenziale dopo tutte ste sofferenze ingiustificate me sa. E niente, spero a prestissimo, grazie se siete giunti fin qui *_* buona continuazione 
ah, p.s. "che bellezzitudine" detto da Namjoon è una citazione a Marco di Seoul Mafia, purtroppo mi ha contagiato con i gerghi del suo meraviglioso vocabolario v.v

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Capitolo 10
*** Senza trucco senza inganno ***


10 ~ Senza trucco senza inganno
 
 
ㅇㅅㅇ



 
A discapito della mia prima entrata in scena dentro quell'Arcade, questa volta non mi ritrovai a trascinare Yoongi all'interno, né tanto meno lui fece lo stesso con me. La musica era deviata verso un'arrangiata tecnica di stordimento progressivo, lasciando le persone ad armonizzare con le luci che piroettavano impazzite sopra le loro teste. Un gruppo di persone erano appolipate vicino alla zona del bar, c'era una massa consistente che ballava e si nutriva di situazioni spiacevoli che si stavano innalzando come sottofondo stonato.
Guardai Yoongi velocemente, disturbata da quella sensazione che continuava a opprimermi il petto ma lui stava guardando avanti a sé, facendomi segno di muovermi con un lieve cenno del capo.

Non c'era bisogno neanche di avvicinarsi, potevo sentire le loro voci anche da quella distanza, potevo riconoscerle senza neanche bisogno di vedere i loro volti. 
Taehyung e Yurim erano intenti a discutere. E non un discutere tipo: "oh caro, hai speso troppo per la cena." Ma una discussione più accesa. Una di quelle che era raro sentire tra di loro. Mi avvicinai più svelta, mentre alcune persone cercavano di fingere di non essere interessati a que litigio. E fu lì che notai una presenza che non doveva essere lì. 

Doyun.

Superai una linea di curiosi sgomitando con troppa insistenza per raggiungere i miei amici, arrivando in quel minuscolo cerchio in cui Yurim con le lacrime agli occhi tentava di aggrapparsi alla camicia di Taehyung, che continuava a levarsela di dosso con degli scossoni deboli, quasi disperati. 
Quando voltai lo sguardo notai che anche gli altri si erano avvicinati, tutti calamitati da quel richiamo invisibile. Tutti tranne Jimin, non lo vidi da nessuna parte e sperai che non fosse svenuto su qualche poltroncina bitorzola.


«Tae non è come pensi tu, lascia che ti sp-»
«No. No non voglio che mi spieghi niente. Ho capito benissimo, pensi che sia così stupido? Ah certo, Tae è un povero cretino, tanto perché preoccuparsi che possa accorgersi di cosa avviene al di là del suo naso? Come potrebbe mai notare i messaggi nascosti? Le chiamate chiusa in bagno? Turni in ufficio non reali?»
«Cosa? Ma mi hai seguito per caso, per dire tutte queste cose?»

Vidi Taehyung stringere i pugni, prendere un respiro e chiudere gli occhi. Non pensavo di averlo mai visto veramente arrabbiato. Mai. Aveva il volto terribilmente cupo, ero convinta che avrebbe potuto commettere un omicidio, ma sul serio.
«Non prendermi per uno stupido. Ti prego, se hai un minimo di rispetto per me, non farlo.»
«Tae io non -»
«Vi ho visti, cazzo. Vi ho visti, daccordo? Due giorni fa. Ho cercato di non pensarci, ho cercato di perdonarti dentro di me perché gli errori possono commetterli tutti.»

Oh no.

Guardai verso Doyun e notai che si stava avvicinando ai due. Pessima idea, stagista perfetto.
Yurim si mise le mani davanti alle labbra, mentre i suoi occhi si gonfiarono di lacrime.
Avrei voluto aiutarla in quella situazione, ma non riuscivo a muovermi. La sofferenza di Tae mi bloccava lì sul posto. Yoongi, vicino a me, stava fissando la scena come ad una partita di tennis tra due diavoli, con un volto talmente serio che mi fece rabbrividire. Stava risucchiando l'energia negativa di Taehyung, non lo potevo vedere ma lo percepivo, come una forza schiacciante di fianco a me.

« Ci sono passato sopra. Perché come uno stupido ti amo, ti amo - così tanto che vorrei strapparmi il cuore dal petto. E potevo addirittura aspettare che tu me lo dicessi, fingendo di non saperlo, tutto questo per non ferirti, per non darti altre pene. Ma no, tu lo porti qui, stasera, alla festa di uno dei nostri migliori amici, vi appartate nascondendovi come due ragazzini alla prima cotta e ...
»
Vidi Jungkook avvicinarsi veloce alla schiena di Tae, prenderlo per le spalle, dirgli qualcosa all'orecchio in segreto. L'espressione di Tae non cambiò di una virgola, non ero neanche sicuro che riuscisse a sentire cosa avvenisse lì intorno.

Vedeva Yurim, sentiva dolore: fine.


«Io ...»
«Lo so, lo so. Non mi ami, o non mi ami più. Speravo che rivedendo il motivo per cui ti eri innamorata forse avrei avuto una speranza ma invece non è servito a niente.»
«Dai amico vieni, lascia perdere.»
Jungkook provò a portarselo via ma quello strattonò la presa spintonandolo. Qualcuno nelle vicinanze lo guardò con aria malevola, borbottando qualcosa.
«Avanti dimmelo Yu, dimmelo che non mi ami più. Che questa recita, questo tira e molla, è solo perché hai una fottuta paura di restare sola.»

Yurim fece scivolare le prime lacrime, che si insinuarono dentro quella mano che le copriva la bocca. Stava tremando, aveva le ciglia quasi chiuse. Vidi Tae avvicinarsi a lei, Yurim aveva smesso di cercare di aggrapparsi ai suoi vestiti già da un po'. Visto che il danno e la beffa non venivano mai da soli, Doyun si piazzò davanti alla ragazza facendogli da scudo improvviso.
«Taehyung piantala, stai ingigantendo il problema. Non vedi che è sconvolta? Lasciala respirare un secondo. Hai preso un abbaglio bello e buono.»

Tae alzò gli occhi e fece un ghigno strano. Molto strano. Nella mia testa si insinuò una scena splatter che Kill Bill, in confronto, sarebbe stato un film per famiglie. Ma prima che Tae tirasse un cazzotto alla faccia perfetta di quel tizio notai che Hoseok l'aveva tirato indietro, evitando la strage degli 88 folli.
«Tae fermo, non ne vale la pena dai.»
«Lasciami Hobi, cazzo -»
«Nam aiutami, per favore!»
Ma prima che Namjoon potesse afferrarlo per la schiena vidi Taehyung sgusciare via, riuscendo finalmente a raggiungere il punto di quel martirio.
Doyun riuscì a stento ad alzare un braccio, prima che il mio amico caricasse il gomito per lanciare un pugno degno di nota. Ma quel colpo non arrivò mai a destinazione, Doyun con uno sbuffo più carico lo spintonò all'indietro, facendolo cadere a terra con un tonfo.

Yurim fece un gridolino, prima di vedere Hoseok svettare in avanti, con una flessione di gambe da scattista. Spintonò Doyun all'indietro, carico di vendetta e di rancore.

«Vattene da qua. Subito. Ora.» Sibilò velenoso verso di lui, prima di girarsi per aiutare Tae.
Anche Jin e Namjoon si erano prodigati, mentre io ero rimasta bloccata a osservare quella scena senza riuscire a muovermi. Yurim provò a fare un passo in direzione di Tae, ma venne subito bloccata.
Mi pianse il cuore nel vederla in quello stato, tanto che dovetti premere le labbra per evitare di piangere per lo sconforto.


«No, ti prego Yu, hai fatto abbastanza danni per oggi. Vai via.» Di nuovo Hoseok, con lo stesso velenoso tono di voce che aveva utilizzato per lo stagista.
«Ma io - io ...lo so, ho fatto un sacco di casini, ma ti prego Tae lasciami spiegare, non è come pensi tu.»
Non c'era più niente della mia migliore amica, la sua voce era diversa, la sua intonazione, persino il suo corpo e quei movimenti piegati, fragili, pregni di colpe e vergogna. 
«Vattene via. Non ti voglio più vedere.»
«Tae...ti scongiuro.»
«L'hai sentito?» Di nuovo Hoseok, ormai sceso in campo con l'armatura splendente e l'arma tratta, calpestatore di serpenti e ali taglienti. 

Yurim provò di nuovo a fare un passo, ma questa volta trovò Jungkook ad afferrarla per un braccio, glielo strinse in maniera delicata, lo vidi scuotere il capo pianissimo, con l'aria tormentata, mentre Yurim si caricava di pianto, la schiena si inclinava e le lacrime tagliavano la sua pelle, scomparendo dietro la mano che nascondeva le labbra. 


«Io voglio solo...»
«Yu, per favore.» Di nuovo Jungkook, con voce più bassa. «Fai calmare le acque, e ti prego dì a quel bell'imbusto di andarsene da qua.»

Hoseok e Nam erano riusciti a trasportare Taehyung verso un piccolo spazio adibito ad una sottospecie di privè, in realtà erano presenti tre poltroncine, un tavolino e una pianta morta almeno da dieci anni. Io rimasi in disparte per un secondo, notai che Jin si fermò a guardarmi ma io deviai lo sguardo per ritrovare Yurim. Poco dopo che Jungkook seguì gli altri, vidi Doyun provare ad avvicinarsi a Yurim. Lei non riusciva a smettere di singhiozzare, alcune persone la fissavano straniti, tanto che provai il terribile desiderio di portarla fuori da lì.
Ma quando lui provò a toccarla mi salì l'omicidio interno e quel classico tepore da serial killer moncatore di arti. Mi avvicinai a loro con delle falcate da ubriaca degne della miglior equilibrista nazionale, tirando via Doyun per un braccio. Non riuscii a spostarlo veramente, ma almeno gli stropicciai la camicia: punto per me.

«Per favore, non che non ami gli spargimenti di sangue, ma ti conviene andare via ora.» 
Doyun si voltò verso di me con una faccia che mi fece bloccare per un secondo. Non ero molto brava a tradurre le espressioni  del viso, a leggere lo sguardo di chi conoscevo a malapena, ma lo vidi come un barlume di sfida, forse per colpa delle luci spiritate dell'arcade, forse per colpa delle gradazioni alcoliche che si stavano fondendo dentro di me, ma quello che lessi mi fece salire un senso di protezione e omicidio che non pensavo di avere. 
Era fierezza.
Quel senso di vittoria inconscia che ti fa rilassare i muscoli, come un sospiro di sollievo che scaccia via una tensione tenuta da troppo tempo. 
Non so cosa sperava che sarebbe accaduto dopo quel fatto, ma per quanto mi ero prodigata in un non-intasamento nella vita privata di Yurim, ora sarei stata disposta a scazzottarlo al posto di Taehyung.

«Pensavo che fosse meglio portare Yurim fuori, a prendere un po' d'aria, non volevo causare questi problemi.»
«Pensavi, eh?» Sibilai io, prima di avvolgere le braccia intorno al fianco di Yurim per trascinarla via con me. La sentivo leggera come una piuma, era completamente malleabile, in balia dei miei movimenti e così mi allontanai dal ragazzo, stringendo Yurim al mio fianco.
«Allontanati da questo idiota.» Le sussurrai. 
Lei non sembò neanche avermi sentita, continuava a piangere, mentre alzai gli occhi per raggiungere gli altri, ancora fermi in quell'angolino a parte.
Me lei si bloccò di botto, strattonandosi via da quella presa, tanto che mi bloccai per un secondo.

«No...non posso stare qui. Perdonami Seo, devo -»
«Non ti lascio andare da sola con lui. Vieni con me, risolviamo questa dannata situazione.»

Lei scosse la testa in maniera violenta. Quella sera si era preparata in maniera così impeccabile, l'aveva fatto per Taehyung anche se non lo aveva ammesso, e ora era tutto colato, tutto sciolto, smascherando il vero volto sotto quella patina perfetta. 
Alzai la mano per portare via col pollice alcune delle sue lacrime, ma quelle non erano mai abbastanza, continuavano imperterrite a solcarle la pelle.

«No, io non posso. Non posso...»
Continuava a dirlo, sempre più piano, tanto che dovetti prenderle il viso tra le mani per piantare gli occhi su di lei.
«Vai in bagno, sciacquati la faccia e poi torna qui. Ti porto a casa io, non puoi tornare così.»

«Tranquilla, posso accompagnarla a casa io.»
Di nuovo eccolo lì, già pronto con le dita intorno alle sue spalle dominate dagli spasmi. La vidi fare uno scatto per toglierselo di dosso, tirando su il volto per mostrare una smorfia addolorata. 
«Doyun, ma spiegami un po', vuoi morire?» Dissi io, alzando lo sguardo su di lui.
«Sentite avete capito male, d'accordo? Non ho fatto niente con Yurim. È vero, provo qualcosa, è una persona fantastica, ho davvero sperato di piacerle ma non è successo assolutamente niente. Non ha mai tradito Taehyung. Ci siamo frequentati solo come amici e se quel demente del suo ragazzo non avesse il kimchi nel cervello, non avrebbe fatto questa sceneggiata. Non so cosa abbia visto.»

Mi bloccai ad ascoltarlo, tanto che presi un respiro enorme, senza rispondere. Portai gli occhi su Yurim che non aveva nessuna intenzione di guardarmi in faccia, poi di nuovo su di lui. Feci per dire qualcosa, ma questa volta fu Yurim a prendere parola.
Si girò lentamente per guardarlo.

«Chiamalo ancora demente e ti cavo gli occhi.»
L'unica cosa che disse, prima di voltarsi verso di me con uno sguardo pieno di angoscia. E muta si defilò da lì, correndo via, immergendosi nella flotta di gente che imperversava nella sala. Quello sguardo sembrava tanto uno "scusami" senza voce e per quanto avrei voluto riprenderla rimasi solamente a guardare il punto in cui era sparita.

Scossi la testa per scacciare via tutto ciò che stava premendo per uscire, parolacce sconclusionate comprese, tanto che abbandonai Doyun a sé stesso girandomi per andare a inquadrare gli altri. Erano ancora ubicati in quell'angolo di sala un po' in disparte e quando li raggiunsi arrivai giusto in tempo per assistere ad una seduta psicologica d parte di Hoseok, che stava tenendo il volto di Tae tra le mani. 


«Tae lo so, si è comportata male, ma se ti metti a menare uno della sua stazza non ne usciresti bene e ti ricordo l'ultima nottata passata in ospedale per colpa tua. Per poco non crepavamo tutti di morte precoce per la preoccupazione.» Disse Hoseok, prendendogli il volto tra le mani.
Taehyung aveva il volto paonazzo, lo sguardo gonfio di lacrime e il cuore lacerato. Aveva per forza il cuore lacerato, lo sguardo era di chi non riusciva a trovare uno sbocco.

«Possiamo sempre ucciderlo noi per lui.» S'intromise Yoongi, con tono un po' piatto, ma graffiante.
«Magari possiamo evitare una strage? Non voglio vedervi finire in prigione.»  Si lagnò Hoseok,disperato.
«Ma che prigione, siamo professionisti,occulteremo il cadavere.» Jungkook spalleggiò Yoongi in quell'assassinio.
Mi impanicò un po' quel suo tono così esperto in materia.


«Ragazzi Yurim ha fatto una cazzata è vero, ma non è affare nostro. Lasciamoli parlare tra di loro, non intromettiamoci-»
Si voltarono tutti verso di me, quasi di scatto. Se non si erano accorti del mio arrivo, lo fecero in quel momento.

«Non voglio parlare con lei, non voglio neanche sentirla nominare!» Ringhiò Tae con una cattiveria che non gli avevo mai visto.
«Tae ti prego, non fare così.»
«Così?  E come dovrebbe fare scusa? Quello si è presentato qui per farsela con la sua ragazza sotto al suo naso, è già tanto che non è partita una rissa.» Sbottò Hoseok, contrito.

«S-sentite non sto difendendo quel palo di legno, davvero, ma secondo me potrebbero risolversa se-»
«Dacci un taglio Seoyun, non stai aiutando la situazione.»

Hoseok si voltò a guardarmi trovandomi davanti due occhi più freddi del dovuto. Per un momento pensai che fosse colpa dell'alcol, invece quella durezza nel volto era proprio innata. E poi quella bocca chiusa, a cuore, era il sintomo primario: era irritato ai massimi livelli.
Finalmente, dopo momenti di blocco emotivo rimasto incastrato nel mio io interiore, sentii la forza bellica crescere dentro di me, decidendo di imbracciare la mia arma per combattere una causa che non era la mia. Vedere Taehyung in quello stato non faceva che conferirmi la forza necessaria per provarci; se Doyun stava dicendo il vero allora era inutile innaffiare quell'odio senza motivo. 

«Ragazzi, lo so Yu ha fatto una grandissima castronata ma non possiamo fare così. Tae, per favore, parlale, lei ti ama, sono sicura che è stato tutto un-» Continuai io, ormai in prima linea davanti a quei cannoni accesi, ma più ripetevo quelle parole più mi trovavo scoperta, tanto che fui interrotta quasi subito.

«Tu lo sapevi, vero? Che si vedevano?» Continuò Hoseok, subentrato davanti a me in quella guerra, stringendo il manico della sua spada con la punta rivolta verso di me. 
Mi bloccai per un secondo, ruotando il collo per inquadrare il punto in cui Yurim era scomparsa poco prima, sentivo l'alcol tradirmi come un vile codardo, facendomi assumere espressioni che non riuscivo a combattere. Sperai che gli altri fossero troppo brilli per accorgersene, ma quando mi voltai mi trovai tutti gli occhi addosso, sentendomi più piccola di una mosca.


«Tae non è come credi tu, io - sapevo che c'era qualcosa ma non-»
«...cosa?» Taehyung mi guardò con uno sguardo talmente sofferente che mi venne da piangere.
Perché la situazione si era capovolta così? Ma che cavolo, gli astri si stavano mettendo d'accordo?

«Tae te lo giuro.» Continuai io, quasi in implorazione. «Se solo mi lasciassi-»
«Lo hai invitato tu, vero?» Continuò lui, sibilando, interrompendomi per l'ennesima volta. Cominciavo ad odiare quello sguardo, mi stava annientando. Per un solo secondo odiai Yurim e quel suo maledetto segreto; le avevo detto che le conseguenze sarebbero state devastanti e io non sapevo gestirle in quello stato. Sentivo la presa della mia arma cedere sempre di più, mentre le frecce piene di segreti si conficcavano dentro il mio stomaco. Ne stavo covando troppi dentro di me, quell'ultimo però aveva squarciato una ferita che stava sanguinando, indebolendomi.

Guardai Hoseok con uno sguardo più affilato ma non riuscì a rimanerci. Provai a seguire la scia degli altri, sentendomi tremendamente circondata, come una preda davanti al destino di una catena alimentare affamata.
Yoongi come una maschera di cera. Namjoon che sembrava non capire che cavolo fosse accaduto. Jin che sembrava deluso. Jungkook sembrava addolorato. E Hoseok.
Hoseok era veramente infastidito. 

«Non lo hai voluto e così lo hai spinto tra le braccia di Yurim, non è così?» Continuò  Tae, facendo uno scatto del mento. 

Non ero una psicologa ma sembrava tanto che stesse cercando il colpevole di quella rottura tra loro e, a quanto pare, l'aveva trovato in me. Fare da capro espiatorio non era il sogno della mia vita. Lo vidi sgusciare via dalla presa di Hoseok per avvicinarsi a me a passo spedito.
Provai un'irrazionale timore, ma non feci neanche tempo a rendermene conto perché Jin fermò il suo passo quasi subito. Gli bloccò il braccio e lo tirò leggermente indietro, portando una mano sulla sua testa per placarlo.

«Tae, Seo ha ragione, dovresti parlare con Yu di questo. È inutile che cerchi di trovare il colpevole, è una faccenda troppo delicata e questo non è il luogo giusto per farlo.»
Tae lo guardò; era come un animale ferito senza più speranze di sopravvivenza, avrei dovuto capirlo, in fondo aveva solo una voglia tremenda di sfogarsi. Avevo già provato quel dolore, sapevo in che fase fosse.
«Dai ragazzi, questa cosa non può degenerare così, troviamo una soluzione.» Si intromise Jung, provando a dare una carezza sulla schiena di Tae, guardandoci tutti.


«No, no io non ci parlo con lei. Non voglio parlare con nessuno! Non voglio...»
Non finì neanche di parlare, quello si strattonò dal braccio di Jin, passandomi di fianco e tirandomi una sottospecie di spallata indolore. Lo guardai mentre si fiondava sul divano lì vicino, con la testa tra le mani e il dolore sulla schiena ricurva. Provai a dire qualcosa ma Hoseok si intromise prima che potessi provare a dire qualcos'altro.

«Come hai potuto non dirgli niente? Tae è uno dei tuoi migliori amici - »

Quella situazione stava cominciando a farmi ribollire quelle braci ormai spente da tempo. Vedere la faccia di Hoseok così arrabbiata mi fece provare un senso di nausea improvvisa, come ancora di salvezza cercai la sua ragazza ma non era presente. Quel teatrino privato era solo per noi, a quanto pareva. 
Mi voltai di nuovo a guardare gli altri, mi soffermai su Jin ma lui stava guardando il futuro sposino, così deviai su Namjoon ma era fisso imbambolato e pensieroso, così dovetti prendere la mia boccata d'ossigeno personale e ritornare a guardare il mio vecchio e arrabbiato miglior amico. Mi avvicinai a lui di un passo, corrugando la fronte.
«Davvero stiamo per fare questo discorso, Hoseok? Te l'ho detto non era affar mio, Yurim non ha mai approfondito nulla su quello che stava capitando con quello, avrei corso il rischio di accendere la miccia di una bomba inutilmente, creando ancora più casino.»
«Ah certo, perché ora le cose stanno filando così lisce in effetti.»
«Mi spieghi quale cavolo è il tuo problema, ora? La prendi così sul personale per qualche pagliuzza particolare?» Graffiai io, mentre quello fece uno sbuffo adirato, scuotendo il capo.
Era ubriaco anche lui, lo potevo capire dallo sguardo lucido e dal fatto che biascicasse molte parole. In tempi passati era una cosa che trovavo molto buffa, in lui, ora mi stava solo facendo irritare.

«Dai Seo, capiscilo, è la sua serata e abbiamo appena scoperto che Yurim se la fa con un altro dopo anni e anni insieme a Tae. Tutti erano convinti che si sarebbero sposati prima di chiunque.» Mi voltai verso Namjoon, sentendomi sempre più stretta lì dentro, tanto che mi morsi la lingua per evitare di cacciare fuori un ringhio animalesco. Non ero sicura che ci fossero dei veri schieramenti, ma Namjoon pendeva sempre più in la, avrei dovuto prevederlo vista la sua storia passata. 

Volevo un bene infinito a Taehyung e, per quanto avrei voluto consolarlo, mi sentivo in dovere di proteggere l'unica persona che non poteva difendersi da sola in mezzo a quel trambusto. Cominciavo a sentire la terra tremare sotto i miei piedi, e non riuscivo a capire perché. Non risposi a Namjoon, mi ritrovai solo ad abbassare il capo, mordendomi il labbro. Forse Yurim era indifendibile, in effetti, ma Hobi sembrava averla presa sul personale con me. E non riuscivo a capirne il motivo. 
Perché doveva avere ancora quel potere su di me? Rendere incontrollate le mie emozioni rabbiose, affamarle e poi nutrirle con quello sguardo che mi stava solo facendo sanguinare?
Presi l'ennesimo sospiro, cercando una calma zen superiore, che non arrivò mai.

«Sei stata un'egoista.» Ed eccolo di nuovo, in battaglia, a spada tratta, infierendo sempre di più.
«Egoista.» Ripetei con un sibilo stretto, senza neanche guardarlo. «Lo pensate anche voi?» Tirai su lo sguardo, per cercare quello degli altri. 
Mi sofferma su Jin, sperando in un supporto più invasivo ma ancora aveva lo sguardo deviato. Namjoon stava facendo la stessa cosa. Yoongi era l'unico che mi fissava senza dire una parola, aveva ancora lo sguardo arrossato. Mi sembravano passati solo due secondi dal suo sfogo e ora, come un dannato gatto, lo potevo sentire soffiare di nuovo dentro di sé.

«N-no, no sappiamo che tu non c'entri niente, è solo che queste cose sono da persone vigliacche. Insomma Tae non si merita questo, lui la ama davvero e lei lo stava solo prendendo in giro...Non me lo aspettavo da lei, sono rimasto deluso.» Guardai Jungkook con una patina facciale meno indurita. In fondo era la voce della verità, l'avevo sempre saputo. 
Sospirai, annuendo pianissimo, prima di strusciare le labbra tra di loro.
«Lo so, ma io non credo che lo abbia tradito davvero. Penso che fosse solo molto confusa, che stava cercando di capire cosa volesse davvero e se solo si parlassero penso che lo risolverebbero. Insomma, alla fine si erano lasciati - s-sì lo so, di nuovo, ma non gli ha fatto niente alle spalle. Insomma Tae» mi voltai verso di lui, ancora seduto sul divanetto, ancora con le mani tra i capelli neri e stropicciati. Lui non alzò il volto ma sapevo che mi stava ascoltando, era rigido come un tronco. «ti ha davvero illuso? Quando ti ha lasciato cosa ti ha detto? Noi non sappiamo molte cose e stiamo giudicando il nulla.» Provai di nuovo.

Lui non mi rispose, lo vedevo solo respirare a fatica sotto le lacrime e io scossi il capo debolmente, sentendo improvvisamente qualcuno toccarmi il braccio. Era Yoongi; il gatto era tornato a cercare una parvenza di comunicazione almeno.
«Davvero non ne sapevi niente?»

Al suo sguardo non resistetti, mi trovai a fare un passo in mezzo a quel cerchio intimidatorio, andando a guardare tutti con continui giramenti della testa. Con l'alcol in circolo non era una mossa saggia, ma la lingua voleva tremendamente scacciare via quel livore velenoso.
«Non ti rispondo neanche, che cavolo. Davvero ora il problema è sapere chi ne fosse a conoscenza o meno? Non facciamo stare meglio Tae in questo modo!»
«Dai ragazzi, stiamo perdendo di vista la situazione primaria. Non sappiamo davvero come si sono evolute le cose, così finiamo solo per alimentare un odio che non serve.» San Jin provò a placare gli animi, dietro di me, e dovetti fermarmi a guardarlo per cercare un po' di spalleggio ma, sarà stato il modo in cui Hoseok tirò su le spalle, il modo in cui guardò Jin, il fatto che aveva incrociato le braccia come gesto occlusivo verso qualsiasi giustificazione, mi arrivò il sangue al cervello definitivamente.
«Già, la situazione primaria è che Yurim è stata una grande stronza e tu sei stata la peggiore delle amiche.»

Eccolo pronto a sferrare il fendente mortale. Ma io cercai di parare  il suo colpo di spada facendo esplodere una bomba atomica, mischiando piani bellici di ere diverse, ma dannazione Yurim non era una cattiva persona e quello strano momento rancoroso di Hoseok mi stava facendo ammattire. 


«Ah ma davvero, Hoseok? Ma grazie per questa brillante tesi finale. C'è solo un piccolo particolare che non hai tenuto in considerazione: tutto questo non è affar tuo. Non lo è più da un sacco di tempo, da quando hai deciso di viverci nei tuoi cavolo di segreti, ripiombando tra noi come se fosse tutto dannatamente normale. Yurim avrà fatto un errore ma questo non ti da nessun diritto di giudicare, non ti da il diritto di aprire quella bocca a sproposito, tu non sai niente di quello che è accaduto tra di loro, non sei nella loro testa.  Ora dovresti solo pensare al bene di Tae e invece continui a cercare il colpevole come un Sherlock Holmes qualsiasi.» 

Ero partita senza freni. Se prima Yoongi mi aveva pinzato il gomito, finì con l'afferrarmi l'avambraccio per stritolarmelo in maniera convulsa. Namjoon aveva gli occhi più fuori dal cranio che dentro e Jin non aveva nessuna canzone che poteva interrompere quel flusso di parole. Guardava a terra, in silenzio. Jungkook tentò di tirare su le mani, placando la guerra.
«No dai ragazzi non fate così, questa serata doveva essere positiva, bella, divertente e tante cose-»

Provai un irreversibile senso di colpa a interromperlo, ma ormai il filtro s'era dissolto del tutto. Mi avvicinai a Hoseok, a muso duro, vedendolo irrigidirsi e cambiare totalmente espressione. Dovevo averlo punto sul vivo, perché l'espressione corrucciata di prima si tramutò in qualcosa di molto meno arrabbiato, quanto più ferito. Mi sarei fermata, se solo avessi avuto un aiuto esterno. Non potendo contare su Yurim in quel frangente, confidai per un secondo in Jin nonostante non sembrasse intenzionato a salvarmi, questa volta.

«E poi da che pulpito che  viene la predica, caro Mister Segretofaro. Arrivi qui bello spavaldo dopo un anno e passa non sapendo un cazzo di quello che abbiamo passato, per di più con una notizia bomba, "ah ragazzi mi sposo con la prima ragazza che mi ha offerto un caffè", ritrovandoci a catapultati in un nuovo vortice di assenza da parte tua, quella dove sei a casa ma non ci sei, dove ci propini uscite tutti insieme per mostrarci Emily come un trofeo, dove ci avvisi a scelte già decise, avviate e senza ritorno. Ah già, hai una ragazza, mica puoi avere ancora tempo per tutti noi. Chissenefrega se Jimin si è sentito abbandonato da quella testa di cavolo che sei, o se Namjoon ha preso a scrivere rap dove il tuo nome appariva ogni tre secondi, o se Jin ha cominciato a sentire l'impulso di fare le cose che facevi tu prima. Tanto siamo grandi e vaccinati e ce la caviamo da soli, no?"

Completamente senza salvezza.


«Ma la  cosa più divertente di tutte quale potrebbe mai essere? Oh sì, Hobi-Uan grande illustre delle decisioni, che hai deciso di spazzare via tutto questo decidendo di andare a vivere per sempre in Inghilterra. Tanto quella cretina di Seo passava le nottate a piangere pregando che il giorno del tuo ritorno sarebbe arrivato il prima possibile, mica soffrirà a sapere che probabilmente non ti vedrà mai più. Tanto agli altri non importerà di certo sapere che abiterai a mille mila chilometri di distanza. Tanto andrà tutto bene, come se fosse tutto normale, no?...No?»

Sentivo le lacrime premere come dannate agli angoli degli occhi ma riuscì a tenerle al loro posto, per via di un imminente e invasivo senso di colpa che si insinuò in ogni parola sputata fuori dalla mia bocca. Avrei voluto tapparmela in tempo, prima di rivelare qualcosa che non doveva uscire da me. Ma Hoseok aveva la sbronza arrabbiata, quello sguardo, quella faccia, quella voce non me le meritavo. Sarebbe stato più semplice girare i tacchi e andarmene via, invece di fare quel danno, ma Hoseok era sempre stato bravo anche in quello. A tenermi in trappola senza possibilità di scampo. Era il suo potere verso di me e sentivo che si era ritorto contro di lui, in qualche modo.

Ci fu un passaggio di sguardi mentre io riprendevo fiato, da me passarono a Hoseok che, di punto in bianco, diventò bianco come un lenzuolo. Notai Taehyung riavvicinarsi a noi, ma ora con aria tremante e lo sguardo piantato verso quel sole spento. Evidentemente, sentendo il mio sfogo, aveva deciso di rientrare nel suo cerchio dello sfogo, con lo sguardo ancora gonfio di pianto e le labbra sempre più tremanti e gonfie. Ora ero colpevole anche di quell'ennesimo dolore, un altro macigno lanciato nel cuore di chiunque. 

Sempre un ottimo lavoro nelle relazioni umane.


«E' - è vero?» chiese Jungkook, con un filo di  voce. «Davvero andrai a vivere in Inghilterra per sempre?»
«Hobi, dimmi che sta scherzando.» Continuò Namjoon. 
«Ragazzi» Hoseok fece un passo indietro, guardando gli altri con aria tremendamente colpevole, i palmi delle mani rivolte davanti a lui. La sua voce non era più velenosa, biascicava ancora ma questa volta il nervosismo era dovuto a quella nuova esplosiva rivelazione. Ed era colpa mia. «Ve ne avrei parlato. Non è ancora deciso nulla,  io -» Cominciò Hoseok ma Namjoon non stette a sentire nessun'altra parola, scosse la testa, indietreggiando.
«Stasera non è proprio aria, abbiamo capito. A sto punto sfasciamo il gruppo e facciamola finita.»

«Nam aspetta...»
«Hobi perché non ce lo hai detto? Vieni qui, pieno di sorprese, non sappiamo nulla di quello che ti accade da mesi e ora ...» Jin fece un passo in avanti, guardandolo in maniera triste. 
«No, non è così, io ...ragazzi sto per sposarmi, devo pensare anche a lei.»
«No, a quanto pare devi pensare solo a lei.» Cominciò Jungkook, corrugando la fronte. «Noi siamo sempre sacrificabili.»
«Non è così...non è così, davvero. Ve ne avrei parlato quanto prima, non dovevate saperlo così.» Continuò Hoseok, ripiantandomi addosso uno sguardo che doveva essere arrabbiato, ma sembrava solamente perso. 
Stava cercando aiuto, ormai l'arrampicata sopra lo specchio stava diventando veramente ardua.

«Ed è quello che vuoi?» Continuai io, aggrappandomi al suo sguardo. Non avevo il diritto di parlare ancora con lui, ma si sa che l'alcol ti dona sempre più coraggio del previsto. L'avrei capito se mi avesse odiato per sempre, se mi avesse spinto via, se avesse davvero creato quel muro di cui forse avevo bisogno. Ma ora non c'era più nessuna traccia di quella rabbia, vedevo solo vergogna nel suo sguardo, tanto che quando parlai deviò subito lo sguardo altrove. «Andartene? Lasciarci di nuovo?»
«...no. Non voglio, certo che non voglio.» Sfiatò lui, a mezza voce.
«Hobi posso dirlo che sei un grande botolo di cerume in questo momento?» Yoongi gli si piantò davanti e gli diede una pacca sulla spalla. Non so bene che significato avesse quel gesto ma Hoseok, mentre tirava su lo sguardo, era sul punto di scoppiare a piangere.

Avevo esagerato; sarei tornata indietro nel tempo per evitarlo ma ormai il danno era fatto.
Stava andando tutto a rotoli, tanto che strizzai gli occhi sperando di riaprirli e trovarmi nel mio amato Perù, lontano, sperduta, da sola e senza più niente. Sarebbe stato molto meglio.


«Non puoi farlo. Non puoi - ti prego Hobi, non-» Tae riuscì a ringhiare quelle parole senza finirlo. Gli si aggrappò addosso, prima di dargli una spintarella scialba, quasi più rabbiosa ache altro.
«Tae...»
«Anzi sai cosa? Vattene pure tu! Lasciaci! E vaffanculo a questa festa maledetta!» Ringhiò dinuovo. Questa volta Tae si voltò verso di me, poi verso Jungkook, verso tutti. 
Ma nessuno provò nemmeno a reagire davanti a quelle parole. La terra che tremava sotto i miei piedi non era altro che un terremoto, stava dividendo ogni pezzo di noi.  
Ci guardammo tutti, senza parlare, ognuno con la propria disperazione personale. La gente intorno a noi era ignara, ballavano felici di quella serata ebbra e festosa, inconsapevoli che quella festa perfetta stava facendo colare a picco i tasselli della nostra amicizia.
La musica smaltì le ultime strofe di una canzone dei Bon Jovi.
Quelle parole si insinuarono nella mia testa, riflettendo in maniera netta tutto ciò che non potevo più dire. 

We can pack up our old dreams
And our old lives
We'll find a place where the sun still shines


Ma il sole non brillava più, lo avevo spento io e i suoi raggi caldi avevano raffreddato i cuori dei miei amici, sarebbe tramontato lontano, in un'altra landa, in un altro orizzonte e loro sarebbero rimasti al freddo, senza di lui. Io ormai ero nel mio ghiacciaio da tempo e pian piano avevo raggiunto uno sprazzo d'erba più caldo.
Ma questa volta sentivo il gelo soffiare sul collo, penetrava ancora dentro le mie ossa, facendomi tremare.
Non esiste un always, né per l'amore, né per l'amicizia, né per qualcosa che sembrava non dovesse morire mai.




Eravamo lì fermi, vicini ma ormai distanti anni luce, e fu lì che la voce nelle casse si bloccò improvvisamente, mentre qualcos'altro prese il monopolio dell'attenzione.
Ma non solo la mia. Di tutti.

Da un microfono chissà dove si Sentii battere un dito, seguito da un
«prova prova - oh ho sempre voluto farlo, che emozione.»
Era Jimin, decisamente brillo, illuminato da lucine a intermittenza tanto che sembrava una specie di insegna. Tutti ci voltammo a guardarlo, avviandoci verso una piccola postazione ai lati del bowling. C'era una piattaforma vuota, condita da strumenti musicali abbandonati e cavi elettrici che serpeggiavano ovunque. E Chimmo era lì, col microfono in mano e un drink nell'altra.
Aveva un sorriso dolce sulle labbra ed era palesemente alticcio. Per una forza d'attrazione guardai verso Yoongi, notai che aveva la stessa espressione di prima, segno che neanche l'amore lo smussava. O forse lo smussava dentro.


«Ehm salve, sono Jimin e molti di voi mi conoscono come...Jimin infatti, o Chimmo, altri non mi conoscono ma ora mi conoscono a quanto pare, mi sono appena presentato.»

Mi ricordai di cosa ci disse, a me e Jungkook, all'ingresso del locale in quel preciso istante. Aveva una sorpresa, per Hoseok. Che stesse per fare la sua speciale mossa finale? Quanto sperai che non vomitasse in quel momento.

«Questa sera siamo qui per festeggiare una delle persone più splendide e splendenti che io abbia mai conosciuto. Non gliel'ho mai detto in faccia, credo, quanto io tenga alla sua felicità e sono qui perché voglio dimostrare quanto sia importante per me. Siamo sempre stati una famiglia, siamo sempre stati insieme e ora comincerai un viaggio ...da solo. O così tu pensi di fare, ma in realtà non sarai mai solo. Che tu decidessi di sposare una scimmia o una banana, noi saremo sempre con te. Oh - per fortuna la sua ragazza non è né una banana né una scimmia, tanto per chiarire.»
Fece una pausa mentre lo vidi sollevare gli occhi al cielo e smuovere le mani verso un punto imprecisato. Noi intanto avevamo il cuore in subbuglio, sentii chiaramente Hoseok tirare su con il naso di fianco a me, probabilmente a questo giro non sarebbe riuscito a contenere le lacrime.

«A te Hobi, sono davvero orgoglioso di essere tuo amico, e sono davvero orgoglioso che chi più si meritava la felicità in questo mondo abbia trovato una ragione di vita. Ora farò una cosa che lo farà sicuramente piangere e forse farà piangere anche me, non ridete vi prego, ma vi chiedo di fare un applauso a Hoseok e a Emily a cui dedico cento di questi giorni. No anzi, cento di questi anni. Un po' tanti lo so, forse una via di mezzo. Oh insomma, avete capito.»
Alzò un braccio prima di andare a scolarsi il cocktail rosato tra le mani mentre le luci si abbassarono quasi di botto.

«Non importa dove sarai, cosa farai, se un giorno vivrai in un piccolo pulmino con la tua famiglia e i tuoi otto marmocchi. Io e gli altri sappiamo da dove vieni e sappiamo a cosa appartieni, sarai sempre nel nostro cuore e con tutto il nostro amore ti auguriamo una vita piena di vita, eh eh. Come te, che sei sempre stato una forza della natura, la nostra forza. Perdonami per quello che sto per fare non mi uccidere godetevi lo spettacolo e tirategli le orecchie alla fine grazie.»

L'ultima frase la disse talmente velocemente che stava andando in apnea, ma una luce ci fece voltare tutti verso la parete lì di fianco. Un proiettore cominciò a riflettere su di essa dei filmini e delle foto. Jimin era famoso per essere l'unico tra noi a fare filmati e foto con qualsiasi mezzo a disposizione, per ogni occasione noi avevamo dei veri e propri repertori. Non avevo idea di dove tenesse tutti quei reperti archeologici, ma a quanto pare li conservava e li stava per mostrare davanti ad una cinquantina di persone più o meno sconosciute.
Io venni invasa da un fuoco di imbarazzo totale, tanto che sgranai gli occhi sperando che si inceppasse il meccanismo e invece no. 

Nel primissimo filmato eravamo presenti io e Hoseok, avevamo dieci anni, stavamo giocando alle tartarughe ninja: io ero Michelangelo e lui Donatello. Stavamo facendo delle mosse di kung fu e dicendo strane minacce di morte verso il nostro nemico, che a quanto pare era un povero cestino della spazzatura. Di sottofondo c'era una sinfonia triste quanto la morte di Dobby, cosa che mi provocò un magone al petto improvviso. Non avevo la minima idea da dove avesse preso quei reperti, ma a quanto pare aveva fatto sotterfugi e magheggi con la famiglia di Hoseok per ricevere tali omaggi imbarazzanti, ne ero sicura.
Mi voltai per guardare Hoseok e notai che lui stava guardando me, con le lacrime agli occhi e la faccia dolorante.
Sbucarono delle foto imbarazzanti, di classe, dove io, Hoseok e Yoongi eravamo vestiti da abeti di Natale, pieni di foglie, stelle colorate e palline finte; gli altri bambini erano vestiti da folletti e ballavano intorno a noi, felici come gnomi di bosco.
Altri filmini, dove Hoseok soffiava le candeline di compleanno di fianco a noi, ai nostri genitori e ai nostri parenti.
Il nostro periodo in cui, io, Hoseok e Namjoon adolescenti rubavamo gli asciugamani per crearci mantelli eroici per combattere la criminalità nelle strade.
Foto di Jimin e Hoseok in vesti di danzatori di balletto classico, con dei sobri ed eleganti tutù con gli strass, merletti  e fiocchi di raso.
Yurim, Tae e Hoseok intenti a fare boccacce da persone serie contro il vetro di una vetrina di Gucci.
Un filmino in cui Jungkook, dentro un carrello della spesa, veniva spinto da Hoseok verso una discesa che avrebbe portato alla slogatura di un braccio di Jung e improperi maledetti.
Un selfie di carnevale, di Jin e Hoseok, vestiti da Pirati dei Caraibi, mentre io apparivo dietro con una parrucca da clown rossa non indifferente.
Era un susseguirsi di scene delle nostre avventure, della nostra quotidianità, della crescita che avevamo intrapreso insieme fin da quando eravamo lombrichi di campo.

Cominciarono a introdursi filmati di vacanze, di gite, di scherzi fatti gli uni agli altri, di foto sempre più imbarazzanti, di feste di Halloween, cene Natalizie, escursioni al mare, pian piano subentrarono tutti quanti, fino agli ultimi filmati - una gara dentro ai sacchi dove avevamo rischiato di morire almeno sette volte a salto - girati poco prima che lui partisse per l'Inghilterra.
Pensai che quella tortura fosse finita lì, ma notai che c'era dell'altro. Jimin aveva fatto foto e filmati le serate passate insieme con Emily; non avevo mai notato niente, evidentemente ero troppo occupata a ricoprirmi di sofferenza per rendermi conto che, a differenza mia, c'era qualcuno che stava immortalando quel nuovo capitolo della nostra vita. 

L'ultimo video riprendeva Emily e Hoseok intenti a fare un ballo lento, ripreso sicuramente alla serata del karaoke, mentre si sorridevano, si stringevano e si baciavano. Provai un calore al petto che mi fece chiudere gli occhi, bloccando per fortuna strani pianti improvvisi.

Lo avevo sempre visto come un cambiamento avverso, ma in realtà la mia concezione delle cose era solo deviata dal fatto che io non riuscivo a vedere il bicchiere mezzo pieno, e mentre sentivo che le cose stavano procedendo in maniera differente, c'era qualcuno che aveva capito che le cose stavano solo cambiando, non per forza in negativo. Erano solo nuove, diverse, ma erano reali e le stavamo vivendo, come sempre.

Quando il video finì salì un altro scroscio di applausi, di urli, di incitamenti e di hip-hip urrràààà, giusto per farci seppellire tutti vivi dalla vergogna. 

«Ricordatemi di uccidere Jimin - » mormorò Yoongi, ma notai quello sbrilluccichio negli occhi che era solo sintomo di commozione latente. 
Nessuno gli rispose, Hoseok si limitò ad aprire le braccia e abbracciarlo. Lui evitò per un paio di secondi, ma poi ricambiò l'abbraccio.


«Ragazzi venite qui.»
Aveva la voce rotta dal pianto e aveva già allungato una mano e aveva afferrato il braccio di Tae, che si unì a loro quasi obbligatoriamente. Pian piano ci unimmo tutti quanti, ritrovandoci avvolti in un gigantesco abbraccio di gruppo. Namjoon, come corpo esterno, era riuscito ad avvolgere le braccia quasi su tutti.
«Vi adoro ragazzi, tantissimo. Siete una famiglia per me e mi dispiace per essermi perso così tante cose...io-» Aveva cominciato Hoseok, di nuovo.
«Zitto Hobi, non rovinare questo momento. Ne riparleremo, ma per ora sta zitto.» Disse Jin con un mormorio più addolcito, un secondo prima di sentire qualcuno placcarci in malo modo, facendoci quasi perdere l'equilibrio.

«Ragazzi vi ho fatto piangere vero? Ammettetelo, sono stato un genio!»
Jimin stava saltellando, tutto contento, sbucando come un folletto, scacciando via quella nuvola grigia sopra di noi.
«Non hai idea di quello che hai fatto, pulcino bagnato.» Disse Hoseok, tirando su la testa, prima di scioglierci tutti da quell'intreccio e guardarci. Sembravamo una setta, per come eravamo messi a guardarci, gli uni con gli altri.

Hoseok aveva ragione. Jimin aveva ricompattato i pezzi che si stavano sgretolando di nuovo, ci aveva riuniti senza saperlo, ci aveva fatto ricordare perché eravamo così amici, dove era nato il nostro volerci bene, ci aveva ributtato nei problemi che aveva superato, alle crisi, all'esperienze. Come avevamo fatto a dimenticarlo? 

La musica ritornò alta tra le pareti grazie ad una band sconosciuta, imbracciando strumenti e strillando assoli. E le persone, almeno quelli che stava sopravvivendo a quella serata, avevano ripreso a giocare, ballare, parlare. Noi cominciammo a guardarci e a sorridere come dei dementi, non riuscendo a trovare altre parole per dire quello che stavamo provando. Sperai che qualcuno aprisse bocca ma nessuno lo fece, Hoseok cominciò a ridere e tutti seguimmo quel percorso, ritrovandoci a sciogliere la rabbia di prima con una potente e cinguettante risata.

Sapevo che non si sarebbe risolto tutto con uno schiocco di dita, ma eravamo di nuovo sulla strada giusta di quel bivio. Dovevamo sfregare le nostre mani, allentando sempre di più quel rancora reciproco. Il primo che controllai fu proprio Tae, che con una manata scacciò via le ultime lacrime, mentre lo vidi ruotare il volto per andare a guardare altrove. 
Seguii il suo sguardo, sperando di trovare Yurim, sperando che avesse guardato anche lei, ovunque fosse, perché per quanto avesse acceso la miccia di quel subbuglio era un tassello importante e non avrei permesso a nessuno di sciogliere quell'intreccio. 
Non la vidi, ma vidi Tae camminare verso la folla e sperai - pregai - che fosse per cercarla, per riprendere in mano quel momento e trovare veramente la sua soluzione.

Poi vidi Yoongi afferrare un braccio di Jimin e trascinarselo via, poco dopo avermi lanciato uno sguardo che avrei potuto interpretare in un solo modo. Un altro miracolo della serata e, forse, un nuovo sorriso per il giorno seguente. Mi venne da sorridere nonostante fossi incline a quella vaga sensazione di commozione da matrimonio, tipica delle zie col cappello enorme e il fazzoletto al naso, che frigna e sventola davanti alla visione di quell'amore.

Deviata da quel momento provai a cercare Jin, ma trovai Hoseok intento a separarsi da un abbraccio di Namjoon per raggiungere me. Io abbassai lo sguardo, contraendo il volto in una smorfia contrita e dispiaciuta. 

«Hoseok ti prego perdonami per prima, ero così ...sai che l'alcol mi fa diventare una specie di mutante. Ho fatto un casino enorme-»
«Ehi Michelangelo?!» Lui mi fece un sorriso pieno, con ancora gli occhi lucidi e la faccia rossa, tanto che rimasi un attimo di sasso. 
«...sì Donatello?»
«Mastica più forte, riesco ancora a sentire qualcosa da questo orecchio.»

Mi misi a ridere, scuotendo la testa e lui ne approfittò per abbracciarmi stretta. Non disse una parola, non rispose alle mie scuse, non fece le sue. Lo Sentii aggrapparsi ai miei vestiti in maniera così stretta che pensavo mi avrebbe spezzato il respiro. 
Io ricambiai, portando le mani ai suoi capelli, prima di provare a sciogliere quel contatto ma lui non lo fece. Non subito. Mi teneva avvinghiata in una maniera che percepii come bisognosa, tanto che potevo sentire le sue labbra sul mio collo, aveva nascosto il volto proprio lì. Un brivido mi invase, provocandomi un senso di oppressione non indifferente. Il cuore prese a battere un po' più veloce, un secondo in più e non l'avrei più controllato. Quell'abbraccio mi stava di nuovo riaprendo la ferita e non potevo farlo; dovevo tenerlo lontano, giusto un pochino, giusto un po' tanto.


«Ehi vai a cercare tua moglie, ti avrà dato per disperso.»  Gli sussurrai con un filo di voce e lui finalmente decise di lasciarmi andare. Mi guardò con gli occhi più belli di questo mondo, rialzando le mani per accarezzarmi il volto. Poi annuì piano, allontanandosi per andare a prendere Namjoon e Jungkook per le spalle e trascinarseli via da lì, ma Emily fu più veloce di lui a trovarci, cominciando a squittire felice per la sorpresa, abbracciando gli ultimi rimasti in quel frangente, passando da Jin, a Nam, poi a me, baciando guance e scompigliando capelli.
Stava piangendo anche lei; eravamo un gruppo di piagnoni non c'era niente da fare.

Quando passò a Hoseok e gli saltò al  collo, non provai il classico e irrefrenibile desiderio di bruciarli con un lanciafiamme. Si baciarono in una maniera talmente tenera e innamorata che, con un sorriso più personale, mi resi conto che ero davvero fortunata a diventare testimone di quell'amore. Forse non l'avevo visto nascere, e forse non l'avrei visto mai crescere, forse sarebbero stati lontani, ma d'altronde il destino era sempre stato beffardo con me, mi faceva soffrire per curarmi dalla mia tentazione.

Ma quel giorno le gambe tremavano, il disastro forse era stato scongiurato, le cose sarebbero cambiate per tutti, forse era la fine di ogni cosa per diventare l'inizio di qualcos'altro. E io avrei dovuto capirlo, che tutto ciò che mi aveva portato lì quel giorno, che il giorno del mio addio a Hoseok sarebbe dovuta essere la mia espiazione. 
La mia espiazione.
Ma non avevo fatto i conti col karma e ad ogni pena inflitta ne arriva sempre una più  violenta, improvvisa e irrimediabile, per riequilibrare l'energia universale.

Cercai Jin, trovandolo intento a guardarmi con uno sguardo più serioso e incapibile, le mani pigiate contro i fianchi e quel tic alla palpebra immancabile e portatore di angoscia non diluita. Ero pronta a sorridergli, ad avvicinarmi, a provare finalmente le mie lezioni di salsa in pubblico, senza vergogna. Ma mi bloccai di colpo, vedendo una ragazza avvicinarsi a lui con una velocità immotivata, arpionandosi al suo braccio e riprendendo fiato, dopo avergli donato un sorriso suadente e pericoloso.
Sembrava avesse fatto una maratona, visto la mancanza di fiato.


«Eccoti qui, sei scappato via prima e non ti ho più trovato.»
«Ah sì, scusa ero - questioni di famiglia.» Rispose lui.
«Mi porti a ballare?»

Ero rimasta a fissare quella scena per tutto il tempo, conficcando dentro al cranio ogni singola parola. Notai che mi guardò velocemente ma non si soffermò molto su di me. Prese la ragazza per mano, le fece un sorriso e la trascinò in mezzo ad altra gente, seguendo le note di una musica un po' lenta, macchiata di arpeggi un po' celtici e un po' classici.  Quella sera non avrei potuto scongiurare tutte le stragi, perché avrei sicuramete ucciso Jungkook e la sua band improvvisata.








NDA: e buongiornissimo!!11!! no vabbè, son le 2 di notte e sono un po' sclerata, ho scritto riscritto riletto sto capitolo almeno cinquecentomiliardi di volte, modificandolo altrettanto, non sono per niente soddisfatta di come è uscito ma non ne potevo più di cambiare fare e disfare e così niente, lo pubblico così sperando in bene v.v nel caso insultatemi pure per lo schifidume. In tutto ciò, perdonami Hobi per questo momento di rabbiosità ma, non so per qual motivo, mi immagino che un Hobi arrabbiato possa diventare anche acidellino e mi son divertita a farlo un po' rancoroso ( per motivi che verranno fuori presto ), perdonatemi per Tae cipollino stellino che non ho risparmiato neanche qui e perdonatemi per Yurim che forse odierete forse no. A sto giro Seo mi si sclera male, ha fatto danno, ma per fortuna Jimin ESISTE. Su Jin non mi esprimo che è meglio. Forse il disastro è scongiurato dai. Forse. Eee prima di andare volevo super ringraziare Juliet8198, nuova recensitrice che mi ha commentato tutti i capitoli e che mi ha fatto sciogliere il cuore <3 grazie grazie grazie per seguirmi, per me è davvero importante e mi da la carica per continuare questa storia, sperando in bene xD E ringrazio sempre ggiunn che mi segue e mi fa fruffare sempre, ormai questa storia la scrivo pensando a voi, davvero. Ee niente vado, al prossimo aggiornamento e scusate sta nota lunga oddio che sproloquità, basta.





   

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Capitolo 11
*** Per quel che vale ***


 
11 ~ Per quel che vale
 
 
ㅇㅅㅇ






Ero immersa sotto una strana scia verdastra che scannerizzava i miei vestiti con lapidaria precisione, ci misi almeno venti minuti a rendermi conto che si trattava di un laser che fuoriusciva dalla macchinetta del punteggio dei ticket, slinguati fuori ad ogni suono vittorioso. Il mio livello di riflessi lucidi era andato a farsi benedire già da qualche ora, artigliavo un cocktail dai colori più tossici ed ero seduta su uno dei divanetti davanti allo spazio adibito al ballo etilico, in cui amici, sconosciuti e il mio nuovo acerrimo problema si stavano cimentando.

Jungkook era rimasto a usufruire di quel momento madre figlio, così aveva avuto l'ardire di chiamarlo, accanto a me prima di svenire senza più concezione di causa. Avevo notato che stava sfoggiando dei segni ambigui sul collo molto simili a delle ventose, sintomo che qualche lucidalabbra al lampone aveva tentato un approccio più fisico con il mio socio dei party. Forse avrei dovuto cancellarglieli, ma  Namjoon, che aveva deciso di farmi da bastone della serata, mi disse che quella era la sua iniziazione da uomo di mondo. Non capii bene il paragone ma non feci troppe storie. 
Jimin e Yoongi non li vidi più per tutta la sera, si erano smaterializzati via dopo il litigio della vergogna, tanto che dovetti fare sfoggio di tutte le mie plausibili scuse riciclate in anni e anni di ostentata vita sociale per dire a Suji dove fosse finito il suo cavaliere notturno. Non mi sembrò troppo tormentata dopo aver sfoderato una delle migliori frasi che la mia testa ubriaca reperì dai meandri

Jimin ha avuto un brutto attacco dissenterico trimigenico nevralgenico all'apparato molle

ero riuscita  a confonderla grazie anche a dei movimenti di mani ipnotici e, alla fine, dopo un attimo di esitazione, che tradussi come compatimento elegante, si inchinò verso di me ringraziandomi e sparì dalla festa, almeno così immaginai visto che non la vidi più da nessuna parte. Provai a cercare anche Yurim, ancora invasa da quel senso di oppressione dovuta alla litigata, che aveva portato una certa tensione ai nervi che non scacciai via nemmeno con quei miscugli alcolici degni di nota. Non la vidi da nessuna parte, ma allo stesso tempo non vidi più nemmeno Tae.

Forse era andata a cercarla, forse in quel momento erano intenti a fare pace, strattonandosi, abbracciandosi e baciandosi con tutto l'amore di cui erano capaci. Mi ero talmente immersa in quei pensieri che a stento notai Namjoon che si era prodigato in infilzamenti di falangi, ossia mi stava piantando l'indice nell'orecchio per dubbie ragioni. Lo scacciai via senza nemmeno toccarlo, bevendo il mio cocktail con una tirata di cannuccia.


«Nam ma che stai facendo?»
«Andiamo a ballare anche noi. Ti posso fare volteggiare, sono un maestro in questo.»
«No per carità.»
«Donna di poca fede.»

In effetti, per quanto riguardava le movenze di Namjoon, ero poco religiosa e il mio ateismo era elevato ai massimi livelli, ma in realtà avrei preferito rischiare di rompermi entrambi i femori solo per liberarmi dalla visione che avevo davanti. Da brava ubriaca andante non mi ero persa neanche un salto, una piroetta, una presa, una stretta da parte di Jin e la sua ragazza misteriosa. Lo vedevo sorridere, addirittura ridere, mentre volteggiavano come due rane in mezzo ad altri ragazzi ebbri di percentuali di birra altolocati. 
Era una tortura che mi stavo infliggendo per estirpare il malessere che avevo creato, prima, con Hoseok.

Non ero sicura che lo stessi facendo con una vera presa di coscienza, non me ne rendevo conto, ero ipnotizzata verso le loro mosse senza riuscire a tirarmene fuori. Ero sempre stata una grande esperta in questo, Hoseok era stato un guru inconsapevole nell'alimentare quella parte di me, così incastrata dentro il mio buco, dentro quella fossa, che ero impossibilitata ad uscirne. Le uniche mani che riuscivano a tirarmene fuori erano le stesse che ora stavano stringendo le dita di un'altra ragazza. 
Provai una fitta di dolore che non mi competeva, un malessere che mi stringeva le budella e che alimentava una rabbia che volevo solamente spegnere. Non potevo provare gelosia, non la volevo, non avevo il diritto di sentirla. A quanto pare Namjoon se ne accorse, perché sentii il suo braccio strisciare intorno alle mie spalle, tirandomi vicino al suo viso.


«Te lo ricordi Ritorno al Futuro?»
«...sì.»
«Cosa aspetti? Quella è il tuo Biff. Ehi tu, porca, levagli le mani di dosso!»
Mi misi a ridere per quell'immagine così onirica e temporalmente sbagliata.
«Nam, stai dicendo che Jin è Lorraine?»
«Bè, dai, è palesemente lei!»

Si adeguò pure lui alla mia risata, starnazzando come due oche giulive e intanto il calore calcava di più, espandendosi dentro al mio corpo. Se prima l'alcol stava fluttuando nel mio sangue come un girino impazzito, ora era totalizzante, ero conscia che avrei lasciato fluire via più del dovuto, forse anche cose che non esistevano, perché i filtri si erano spezzati e non ero più riuscita a rimetterli a posto. Mi voltai verso Namjoon di scatto, ritrovandomi la sua faccia ubriaca a mezzo centimetro dalla mia. 
In un'occasione normale avrei provato vergogna, probabilmente, ma in quel momento tutto era così limpido da non riuscire a suddividere delle emozioni così semplici. Quella per la mia papera aveva preso il monopolio di tutto.


«Non ho più le forze per combattere, mi sa.»
Lui mi sorrise, pinzandomi la faccia con una morsa, tanto che mi strinse le guance fino a far fuoriuscire le labbra. Non dovevo essere molto attraente in quel frangente, ma lui aveva assunto un'espressione seriosa. Sentivo l'odore del suo cocktail, da lì, rum e qualcos'altro di letale, tremendamente alcolico.
«Ma a chi la vuoi dare a bere. Sei entrata in guerra, Seo, inforca la spada e non cominciare a piangerti addosso. Ti ricordo che hai fatto piangere Hoseok, prima?»
«In realtà è stato Jimin.»
«Oh gesù.»

Si mise a ridere di nuovo, questa volta non lo seguì in quel momento di giubilo personale. Sentivo il cuore palpitare un po' troppo forte, il mio filtro mente-lingua-corpo non era controllabile, se solo avessi voluto avrei fatto una di quelle figure becere che nemmeno nei telefilm più imbarazzanti, andando verso Jin per fargli capire che era con me che doveva ballare, era con me che doveva sorridere, era con me che doveva usare quel dannato sguardo. Ma più pensavo a quello, più mi vergognavo di me stessa. 
Tanto che l'immagine di Hoseok tornò prepotente dentro la mia testa, ricordandomi come anche le cose più pure e illibate finivano per essere macchiate dalla realtà. E anche Jin stava diventando un problema della mia testa; mi stavo infiltrando in pensieri totalmente irreali, avrei provocato l'ennesimo scoppio, avrei scavato sempre più a fondo e non sarei più riuscita a uscirne.


«Nam, guarda che non sono mica gelosa!» Biascicai con una credibilità pari a quella di una nonna che decide di sua spontanea volontà di non infilarti più ramen nel piatto.
«Sì e io sono Eminem.» Biascicò di rimando lui, che ancora mi stringeva le guance causandomi dei dolori nuovi. «Dai, smuoviamo un po' le cose, sono abbastanza ubriaco per farlo.»

«Che vuoi dire? Guarda che non posso alzarmi con le punte come fece Rose, non sono mai stata brava nel ballo!»
Titanic, che subentrava sempre nei miei periodi bui, non era proprio la smossa che Namjoon intendeva. Lo vidi sogghignare malandrino prima di girarsi verso quello spiazzo buio e colorato, luccicato da strobo che torturavano i miei pochi sensi rimasti.
Quando tornò a guardarmi mi tirò verso di lui, dandomi un piccolo e innocente bacio sul naso prima di tirarmi su dal divano con una mezza strattonata, adocchiando giusto un secondo Jungkook, ancora immerso in uno svenimento narcolettico.


«Vedrai, mi ringrazierai.»

Quella fu la sua premessa, prima di trascinarmi verso Emily e Hoseok, immersi in una danza sconclusionata davanti alla band, ora cimentati in un cantico rock e pop insieme, con assoli e stridi di chitarra che non ti permettevano di sfuggire al ritmo. La tattica di Namjoon avrei voluto boicottarla dopo un solo secondo, ma ormai ero subentrata in un tunnel senza ritorno, tanto che mi ritrovai a passare il resto della serata insieme a quei tre zombie-viventi, chi più chi meno, costringendo la mia mente a trovare il mio appiglio salva-vita in quello che, prima, era il mio tormento più grande. Non parlammo più di quello che era successo, non c'era la lucidità per farlo, ci limitammo a ballare insieme, tra volteggi e lenti improvvisati, ritrovandomi a saltellare insieme a Emily, insieme a Hoseok, ma trovando sempre una sorta di base militare in un Namjoon, che scoprì essere un grandissimo sculettatore e sventolare di ginocchio, seguito da movimenti di mani tipici e incongrui.

A discapito di quanto potessi mai credere, quell'ultima ora fu la più bella della serata. Risi di gusto, di petto, arrivando al finale senza più fiato in corpo, senza più acqua nel sangue e con il petto più leggero. Non era scomparso del tutto, lo sguardo cadeva sempre verso di lui e, quando non lo trovavo, ritrovavo il mio vecchio e mai dimenticato dolore allo stomaco che si protendeva fino al mio muscolo pulsante. Decisi più volte di fregarmene, di non dare peso a quella nuova sensazione, di lasciarmi cullare dal mio rinnovato addio per il mio vecchio amore e, con una forza di volontà quasi nulla, ce la feci fino alla fine. 

Almeno fino a che il locale, ormai in chiusura di battenti e burattini, scampanellò avvisi per dirci che era ora di sloggiare. La maggior parte della gente fluì via quasi subito, lasciando noi poveri reduci a recuperare le carcasse dei morti. Quasi tutti i miei conoscenti erano scomparsi, mi resi conto che non avevo avuto modo di cercarli dopo il fattaccio. Ma un'altra presa di coscienza si insinuò al finale, mentre giravo la faccia a destra e a sinistra, sperando di trovare anche solo una prova della loro presenza, ma non la trovai.
Jin e la ragazza misteriosa non c'erano più. 
Ero incapace di sostenere tante cose, quella sera, ma scoprire che quell'imbecille di Jin se n'era andato come un ladro senza nemmeno avvertirci mi fece salire il sangue al cervello. Ma fui brava a non farlo notare a nessuno, tanto che salutammo Hoseok e Emily, andando a recuperare Jungkook ancora svenuto e buttarlo dentro un taxi chiamato da Namjoon. 







«Che serata. E pensare che all'inizio mi stavo lasciando contagiare dai tuoi referti mentali per inventare una scusa e non venire, pensa cosa mi sarei perso.»
Esclamò lui, dentro la macchina. Non eravamo ancora nella fase in cui l'euforia della serata scemava per dar posto alla sonnolenza più acuta, nonostante il mio interlocutore avesse due borse della spesa al posto degli occhi.
«Già, te pensa.»
«E poi tu, baam, sei riuscita a ribaltare la situazione rubando il podio a Yurim. Ero sicuro che avresti detto tutto a Hoseok questa volta. Ci pensi a come sarebbe andata?»
«Già.»
Jungkook fece un solo russo, una specie di verso che non riuscimmo a identificare, steso sulle nostre gambe che facevano da cuscinetti comfort.
«Seo mi stai ascoltando o sto parlando da solo come un mongolo?»
«Già.»
«Ehi.»

Mi voltai verso di lui sentendo la sua mano sopra una porzione di gamba non occupata dalla testa del nostro figlioccio ubriaco. Ero riuscita con indomita tenacia a spazzare via quell'assurda sensazione di annichilimento che mi aveva attanagliato dal momento in cui quella ragazza si era aggrappata a lui, ma ora era ritornato beffardo a ricordarmi che una festa non risolleva gli animi e che l'alcol può farti dimenticare per attimi illusori un problema, sbattendotelo in faccia nel momento in cui ti adagi troppo sugli allori.
Lui passò dalla mia gamba alla fronte, tastandomela con fare materno.


«Ehi, stai bene? So che passare il fine serata con Hoseok non è stata l'idea migliore della mia vita ma speravo che almeno un po’ ti avrebbe sollevata»
«Infatti un po' è servito. Sono solo»
non finì la frase, non sapevo bene cosa dire tanto che rimasi a guardarlo con una faccia indescrivibile. Lui lasciò perdere la mia fronte, abbozzando un sorriso un po' mesto, tipico di un compatitore professionista. Non era nell'indole di Namjoon, ma evidentemente era in quella fase che non collideva per niente con una sbronza triste, neanche sfumature e parvenze di essa.
«Non dovresti pensare troppo, ogni volta fai questo errore.»

Il tassista fece una curva strana che fece ballare le mie budella, non so come riuscì a non rimettere, ma Jungkook approfittò di quel movimento per adagiarsi meglio sulle nostre gambe, abbracciando una mia coscia come fosse il cuscino più comodo del mondo.
«Hai per caso visto Yoongi?»
«Mh? Ah sì, è andato via con Jimin, ma un sacco di tempo fa, probabilmente li troveremo a casa morenti sul divano.»
Non ero sicurissima di quello ma annuì, constatando che cambiare argomento non funzionava, la faccia di quello scemo puntellava nel cranio facendomi sentire ancora più agitata. Provai un'altra tecnica.

«E invece tu, ho sentito da voci sobrie che ti hanno visto parlare con Agnes? Che mi stai combinando, farfallone?»
Namjoon per poco non si strozzò con la saliva, fece un suono con la gola che sembrava un miscuglio tra tosse e faringite, ma poi si mise a ridere rivelando un certo rossore su tutta la faccia. Forse non era una diceria, forse l'aveva notata sul serio.
«Oh ma che voci senti? Ci ho parlato sì, in fondo la conosco, ti ricordo che sono stato obbligato da te ogni volta che mi propini le tue cene aziendali aperte al popolo.»
«Sì ma stasera era tutta agghindata. Era tutta elegante. Era tutta bionda.»
«Seo piantala.» Mi diede una manata in faccia, non tanto forte, ma abbastanza da spintonarmi da un lato. «E' bella sì ma dai su. Lo sai.»
Lo sapevo e quindi non continuai, ma restai a fissarlo per attimi indefiniti. Aveva ancora un barlume sorridente sulla faccia, aveva pinzato il mento con le dita e si era messo a fissare fuori dal finestrino, pensando a chissà cosa. Ma era sereno e, in qualche modo, mi rilassai per un attimo.

Nonostante quella serata, dal mio punto di vista, la consideravo un disastro di dimensioni cosmiche ero davvero contenta che per alcuni di noi, invece, ci fossero dei barlumi positivi che si sarebbero portati dietro per tutta la notte. Si sarebbero svegliati domani mattina senza desiderare di richiudere gli occhi, lasciando che la rabbia di questa serata facesse solo da sfondo a qualcosa di più importante. Di più magico. 
Deglutii a vuoto, mentre la poca sobrietà riportava il mio fisico a sentire di nuovo i colpi inflitti, capeggiati da quel magone che mi bloccava la gola. Ripensai alla faccia di Tae piangente, a Yurim totalmente indifesa sotto quei riflettori, a Hoseok catturato da quel rancore che non riuscivo a masticare giù bene. E Jin. Jin che mi guardava. Jin che si era messo da parte. Abbassai lo sguardo, ritrovando la rosa che mi aveva sventolato appena arrivato. Era tutta schiacciata e aveva perso dei petali.

Aveva detto che ero bellissima.
Come se quei complimenti facessero effetto.
Già.
Quando mai.

Me la rigirai tra le dita una volta presa con una mano, trovando una strana allegoria. Quella rosa sembravo tanto io, diroccata e malmessa, tenuta dentro un taschino.
Neanche mi resi conto che la mia mano aveva cercato quella di Namjoon. In tutti quegli anni di amicizia non mi ero mai permessa di farlo, mai con lui. Mi voltai a guardarlo e lui si voltò a guardare me, abbozzando un sorriso silenzioso. Vidi che squadrò la rosa che avevo tra le mani ma non disse niente, lo Sentii solo carezzarmi il dorso della mano con un pollice, prima di piegare la testa e poggiarla sulla mia spalla. Agli occhi dell'autista, e forse anche di Jungkook se fosse stato ancora in forze, saremmo sembrati una coppia di fidanzati in preda alla stanchezza che stavano tornando alla loro dimora, con le gambi molli ma il cuore pieno.
Sarebbe stato molto più semplice se il mio cuore avesse scelto Namjoon, forse.
Ma come dice il mio Guru personale: "ricordati che per essere felice, dovrai soffrire per sempre e poi morire." Non era un gran motto, ma mi sembrava molto reale in quel frangente.


«Per quello che vale, io non ti lascerò mai.»

Sgranai appena gli occhi di fronte a quella frase biascicata di Namjoon, tanto che dovetti premere le labbra tra loro. In un qualche modo oscuro riusciva sempre a capire la radice della mia tristezza, senza neanche aprire bocca. Hoseok se ne sarebbe andato per sempre, avrei potuto sopportarlo? Avrei potuto sopportarlo senza Jin? 
Non risposi a quella frase, mi limitai a scoccargli un bacio casto sui capelli spettinati prima di chiudere gli occhi, evitando di cadere di nuovo in un flusso di pensieri poco felici.
Per fortuna il taxi si fermò pochi minuti dopo, ritrovandoci davanti casa. Per colpa della staticità del viaggio mi stavo lasciando di nuovo andare ma non appena fluì giù dalla macchina ritrovai un po' di forza interiore, tentando con mosse da infermieri di guerra di tirare giù Jungkook senza svegliarlo, tantomeno ucciderlo. Io lo presi per metà busto mentre Namjoon lo acchiappò per le gambe; ora più che una coppia di fidanzati sembravamo due mafiosi che cercavano un posto per scaricare un cadavere.

«Ragazzi ma devo chiamare un'ambulanza?»
«No no, sta solo dormendo, è narcolettico. Grazie per il passaggio, buona notte signore.» Chiusi la portiera e ci dirigemmo verso casa. 

Ci fu una strana lotta con le nostre menti, nessuno di noi si ricordava il codice per entrare, nonostante lo digitassimo ogni dannato giorno della nostra vita così meccanicamente che neanche i robot potevano vantare tale precisione. Ci pentimmo di non aver fatto l'upgrade per aggiungere il riconoscimento della retina o per l'impronta digitale. Cominciammo così a bussare sperando che Yoongi fosse in casa ma niente. Persino la nostra vicina di casa, sentendoci in difficoltà, ci propose di andare a dormire da lei ma per fortuna, dopo svariati tentativi e rischi di far partire un'allarme anti-taccheggio peggio delle sirene dei marines, riuscimmo ad entrare in casa, ringraziandola comunque per la gentile offerta. 
Nessuno dei due si chiese come mai fosse ancora sveglia, attiva e pimpante alle tre di notte,ma si sa che le vecchiette hanno vite segrete che noi essere umani normali non ci sogniamo neanche.
Passammo un altro quarto d'ora buono a decidere dove piazzare il nostro povero amico, ora mezzo ciondolante e poco snodato, fino a che optammo per il divano della sala come soluzione migliore. 


«Ci facciamo un'altra birretta mortale prima di andare a dormire?»
«Nam se bevo un'altra birra come minimo muoio.»
«Ah, dai me la fai bere da solo?»

Feci uno sbuffo, decidendo di occupare un lato del divano. Controllai che Junkook respirasse ancora prima di sventolare una mano verso il mio coinquilino.
«Nam saprei già la fine di questa richiesta: tu che apri la bottiglia, bevi un sorso e magicamente ti ritrovo a ronfare, russare e gracchiare mezzo storto sul divano. Parlo per esperienze personali.»
«Touchè.» Masticò lui, nonostante sentii chiaramente il frigo aprirsi e il rumore inconfondibile di una lattina che veniva aperta. «Ma vai a dormire pure tu, che già mi devo preoccupare di quell'altro disgraziato che se ne sta in giro di notte senza avvisare dove, come e perché.»
«Minno sta meglio di noi, fidati.»

Alzai lo sguardo ritrovandolo a fissarmi, mi fece un mezzo sorriso senza dire una parola, prima di allungare una mano verso di me e prendere la mia rosa, che avevo istintivamente rimesso nella piega della camicia. Provai il terribile impulso di mordergli la mano,  nel mentre, ma per fortuna il mio lato cagnesco non era abbastanza evoluto per questo. 

«A sto punto manchiamo solo io e te, eh.»

Inarcai un sopracciglio davanti a quella frase ma cercai di assumere la miglior faccia di tolla della storia, non so se ci ruscii, lui mi piantò la rosa tra i capelli prima di fluire via e abbandonarmi in salotto. Restai lì in silenzio, al buio, per attimi infiniti. Forse Namjoon aveva capito qualcosa, o forse anche lui sapeva, in fondo era sempre stato un ottimo osservatore, molto meglio di me. 
Non mi dilungai troppo a pensarci, decisi di accendere la TV e piantarmi davanti a qualche programma, sapendo bene che avrei solo coltivato in maniera malsana la mancanza che sentivo in quel momento. Mi piombò in testa un pensiero che mi fece venire i brividi.

Era così che l'avevo immaginato il mio fine serata, ma forse un tantino, un pochetto, una macchiettina diversa. 
Per mia fortuna trovai un drastico drama scolastico, talmente noioso, banale e sempliciotto che fece avanzare in maniera più veloce la sonnolenza. Finalmente abbandonai i pensieri, scivolando sempre di più in uno stato poco riflessivo, quanto più in sintonia col mio povero socio svenuto accanto a me. Non cercai troppo di resistere, nonostante mi stessi appassionando a quella situazione dove un ragazzo nuovo era giunto in una classe dove gli alunni avevano dei superpoteri mentali che ...

Bum. Bum. Bum. Bum.

Mi svegliai di soprassalto, alla TV non c'era più il dramma scolastico ma un signore che spiegava come tagliare le cipolle nella maniera corretta. Mi tirai su, con metà della faccia rossa e striata per le forme del cuscinetto del divano e il cuore martellante nel petto. Essere svegliati di soprassalto è la cosa peggiore del mondo, tanto che ci misi un po' per rendermi conto cosa stava accadendo. Pensai a Jungkook caduto a terra, ma quello era mezzo sbracato, inconsapevole del mondo esterno.

Bum. Bum. Bum. Bum. Bum.

Mi voltai di scatto, di nuovo. Qualcuno stava bussando alla porta di casa in maniera vigorosa. Ma che ore erano? Mi voltai per guardare l'orologio e notai che erano le 4:20, erano passati circa 45 minuti da quando ero tornata a casa, sembrava che fossero passati due giorni. Mi alzai lentissima, mentre mi stropicciavo la faccia, trascinandomi come un cantante di blues incatenato al pavimento.

Di nuovo, quel bussare potente, bum bum bum bum. 
La mia vicina di casa doveva proprio volerci bene per non farci secchi con tutti quei rumori notturni a cui era costretta.


«Arrivo Minno, un secondo, ma perché non usi il cod-»
Quando aprì la porta il mio cuore si ghiacciò all'istante. Non era Yoongi, era Jin. 
Aveva il fiatone, evidentemente aveva corso per arrivare fin qui, ma restai fermo a guardarlo senza farlo entrare e lui fece lo stesso con me. 
«Cosa - cosa ci fai qui?»
«Dobbiamo parlare.» Mi disse lui,  mentre riprendeva fiato. 
«Possiamo parlare ad un orario più umano?»
«No.» E senza neanche un invito aprì meglio la porta con una mano e subentrò in casa, sfilandomi di fianco. Si fermò in sala, con le mani sulla faccia, mentre io lo fissavo con uno sguardo accurato. 

Mi ritrovai  a guardare il suo vestiario, aveva ancora la giacca grigia, la camicia non era slacciata e i capelli erano un po' sconvolti, ma ricordavo che era stata colpa di Taehyung.
O no? Quindi non era tornato a casa? Dov'era andato?  Scacciai via quelle domande, prendendomi a schiaffi virtualmente.
Restai ferma davanti alla porta mentre lo guardavo, aspettando che parlasse. Non sapevo neanche cosa volesse dirmi, in fondo non eravamo andati insieme alla festa, non era il mio cavaliere, non era il principe che doveva riportarmi la scarpetta. 


«Sto cercando un modo per dirtelo senza risultare la persona più patetica dell'universo.»
«Non devi dirmelo, lo so.»
Lo vidi sbiancare, guardandomi con aria stravolta.
«Lo - lo sai?»
«Sì: il grigio non è il tuo colore. Ecco l'ho detto.» Feci un sospiro. Essere ironica in quel frangente era la mia unica salvezza, sentivo che stavo tremando. 
Lui aveva ancora quella faccia da triglia rispetto a prima, ma vidi le sue labbra piegarsi e ridere con fare nervoso, toccandosi la faccia, poi i capelli. Mi soffermai su quella mossa più del dovuto. L'alcol era ancora lì, meschino e subdolo, ma questa volta più che un magone provai un senso di nausea e tormento.
« Non volevo lasciarti sola stasera, ho visto che hai passato il resto della serata con Hoseok e Emily. A ballare.
»

Lo ha visto?

«Pensa te quanto sono ubriaca, infatti. E poi dovevo mettere in pratica le lezioni di...che ballo è? Salsa? Merenghe? No, ahn.»
«Sai, volevo - volevo parlarti di quella ragazza che mi ha -»
«Jin davvero, non importa, sono contenta che tu abbia trovato» non riuscì a finire la frase senza ritrovarmi con un crampo allo stomaco terribile, come al solito nessun aiuto dal mio fisico «sì insomma, che tu abbia imparato finalmente a ballare.»
«Ma non è come credi, non è-»
«Jin guarda che non sono mica arrabbiata.»
Lo vidi avvicinarsi verso di me con passo lento, io sarei stata capace di spalmarmi dentro la porta e diventare una porta stessa se avessi potuto. Non volevo assolutamente che mi toccasse, in quel momento, e sperai vivamente che non lo facesse.

Dovette averlo letto nel mio sguardo perché non mi sfiorò con un dito, ma restò fermo davanti a me a guardarmi, corrugando la fronte.

«La conosco da un po' di tempo, l'ho incontrata stasera dopo che sei sparita. Sparisci sempre ogni volta che andiamo in un posto, ultimamente. Quasi temo portarti in giro, un giorno ti troverò sulle scatole del latte come "sperduta."»
Questa voltai rimasi io un po' interdetta. In effetti non me n'ero resa conto ma lo facevo spesso, mi defilavo dalle situazioni, l'avevo fatto al karaoke, alle cene e ora anche ad una festa piena di gente. Pensavo che il motivo fosse perché volevo restare da sola coi miei pensieri, per struggermi d'amore. Ma in realtà la cosa capitava sempre e solo quando cominciavo a provare qualcosa di diverso. 
In cui centrava il ragazzo che avevo davanti. 
Non fuggivo da Hoseok. Fuggivo da Jin.


«Scusami ero - ero con Yoongi, poi è successa quella cosa con Tae e Yurim, il grande e immenso itigio che avrai sicuramente notato e-»
«Prima. Prima di Yoongi. Eravamo lì insieme, eri con me, stavamo parlando, stavamo ridendo e tu sei sparita. Al karaoke ti ho dedicato una canzone e tu sei sparita. Credo che se avessi la possibilità di sparire da casa tua, quando sono qui, lo faresti anche in questo caso. Ah aspetta: lo hai fatto. Sei una ragazza perduta, Seo e, alle volte, trovarti diventa complicato. Finisco per perdermi anche io per ritrovarti.»

Deglutì a vuoto sentendo di nuovo quella morsa al petto, mentre il mio cuore perdeva battiti vitali. Ma cosa voleva dirmi? Cosa voleva dimostrare? Ero una ragazza incasinata, lo sapeva da sempre, perché doveva rinfacciarmi quelle cose proprio ora? Proprio mentre provavo tutto quello? 
«Io non so perché - io credo che, insomma, lo sai con Hoseok e Emily, ultimamente non sono proprio la persona più lucida dell'universo. Io. Alle volte sento il bisogno di estraniarmi, non lo faccio consapevolmente, è più come un bisogno fisico, come ...come quando un fumatore ha bisogno di una sigaretta, una cosa del genere. Pensavo tu - tu lo capissi insomma io-»

Lui alzò la mano, lentamente. Guardai la sua mano per un secondo e lui si bloccò a mezz'aria. Se prima non volevo essere toccata, mi resi conto che avrei potuto dare una tregua al mio cervello e lasciare fluire le cose per come stavano andando, ma il mio respiro si fermò e lui restò per un bel pezzo a indugiare sul da farsi. Ma poi avvicinò le dita, pianissimo, fino a posare il palmo sulla mia guancia.
Era sempre tiepida, la sua pelle, ma questa volta la sentii bollente, o forse ero io che ero troppo fredda per calibrare bene quelle temperature. Provai una sensazione che mi fece tremare le gambe, provai dei brividi lungo il collo e dovetti chiudere gli occhi per un secondo per riprendere il controllo, cosa che non stava funzionando nel migliore dei modi.


«Credo di non avertelo mai detto, sai?»
«Che cosa?» Domandai senza più voce. Ora anche il mio viso stava bruciando.
«Sono fiero di te.»

Ripresi a respirare, mentre il mio sguardo si colmava di lacrime improvvisamente. Quelle stupide lacrime che, da quando erano uscite, non volevano proprio darmi tregua. Dovevo trovare un modo per disidratarmi volutamente, a quanto pare.
«Ma che dici, quanto hai bevuto, ahn?»
«Davvero. Sono fiero di te, sei una ragazza forte, sei riuscita ad andare oltre il tuo cuore pur di rendere felice l'amore della tua vita. Sei un po' strana e hai un pessimo tempismo ma ...ecco, questa vita è una vera merda, lo so, ho cominciato a impararlo anche io. Ma sai, alle volte, quando mi sveglio la mattina e so che devo affrontare un altro giorno, fa un po' tutto meno schifo se so che ci sei tu.»
Sollevai istintivamente la mano per toccare il dorso della sua, avevo il cuore che stantuffava sangue ovunque, probabilmente avrei preso fuoco da lì a poco e non riuscivo più a ragionare. E mi persi letteralmente nei suoi occhi scuri.

Da quanto tempo era lì davanti a me?
Avevo la sua immagine davanti e non riuscivo a vedere i margini delle altre cose, provai la stessa sensazione che Sentii la sera del karaoke, mentre lui cantava. Ero ad un passo da lui e a centomila passi allo stesso tempo, mi sarebbe bastato allungare la mano e l'avrei afferrato ma continuavo a prendere un mucchio di polvere e a lanciarla via, non appigliandomi a niente. Ma lui aveva quel braccio levato verso di me ogni volta, non l'aveva mai fatto scendere, mi tendeva la mano e finalmente la potevo sentire. 
Il cuore mi era tornato a battere, era di nuovo vivo.

Provai a parlare ma non riuscivo a dire niente, mi sentivo una cretina a stare in silenzio così, a guardarlo, sentendo il corpo tremare. Lui se ne accorse e socchiuse gli occhi, avvicinando il volto al mio lentamente.

«Jin io...»
«Sssh non dirlo, rovineresti tutto dicendo una cosa stupida-stupida, io riderei, Namjoon si sveglierebbe e mi fracasseerebbe la testa con una radiosveglia.»
«Nam non si sveglia neanche con le bombe a mano, lo sai.»
«Sì ...sì lo so.»
Era sempre più vicino, potevo sentire il suo respiro sulla pelle del mio volto e io pensavo che sarei morta da lì a poco. Il mio cuore stava schizzando dal petto e strinsi convulsamente la mano di Jin sul mio volto, convinta di avergli bloccato la circolazione. 
Lui se ne accorse e mi sorrise mentre io non capivo più nulla.
Chiusi gli occhi ma quello che Sentii fu una manata poderosa alla spalla e qualcuno intrufolarsi tra di noi, elargendo un odore alcolico invasivo.


«Ragazzi questa festa è una bombaaa!»

Jungkook!

Come avevo fatto a dimenticarmi che c'era anche Jungkook in sala, lì a mezzo metro da noi? Si era appeso ai nostri colli, ridendo come un matto. Dovevo proprio ammettere che non ero la sola ad avere un tempismo pessimo.

«Junk è finita da due ore.»
«Cavolo, eppure mi gira tutto, com'è possibile?»
«Non c'è correlazione tra questo e la festa,  ma tra te e l'alcol amico.»
«Ma facciamoci un altro cocktail, Jimin me ne ha fatto provare uno esplosivo!» Biascicò l'ubriaco molesto, ridendo di nuovo.
«Ti prego, non chiedergli se era perché è esp-»
«Esplosivo perché è esploso?»
«Jin sul serio?» Feci io, mentre quello sghignazzò  senza più regalarci tali perle.

Provammo a tenerlo dritto ma continuava a pendere da un lato non facilitandoci l'impresa, con dei movimenti un po' zoppicanti e invasivi riuscimmo a trasportalo di nuovo sul divano, dove si afflosciò quasi amalgamandosi con questo.

«Sei mezzo svenuto, avrai in corpo più alcol che sangue e non ci sembrava il caso di portarti a casa. Tua madre ci avrebbe rincorso con un mestolo per ucciderci e io non sono mai stata una gran scattista. Quindi ora stai giù, dormi e domani ti riportiamo a casa.»
«Aaah ma io voglio ballare.»
«Ma stiamo ballando. Chiudi gli occhi, non vedi come gira tutto a ritmo di musica?» Jin era un ottimo ipnotizzatore, avrebbe convinto anche me con quella voce. 
«Sì, sì lo vedo ...gira eccome.»
«Jin forse non è il caso di-»
«So cosa faccio, tranquilla, anni e anni di pratica con mio fratello.»

Non ero convinta che le tecniche della famiglia Kim fossero attendibili ma stetti a guardare il modo in cui cercava di far riaddormentare Jungkook e provai un senso di tenerezza estrema, cominciando a immaginare strane sequenze di lui fare lo stesso con una sua ipotetica copia, dominato dal suo stesso DNA, ma più giovane, tipo un figlio. Non so se potevo attribuire quella sensazione al fatto che Yoongi, quella sera, aveva rotto la sua maschera di freddezza per aprire i rubinetti delle emozioni con me, ma mi sentivo anche io più consona ai sentimenti. Dovevo ucciderlo per quello.

«Oh, come gira.»
«Esatto gira un sacco, così tanto che ti sta venendo sonno, non è vero?» Mormorò Jin, muovendo le mani davanti alla sua faccia con chiare tecniche antiche che io non conoscevo.
«Jin non credo sia-»
«Mi sta venendo»
«Bravo sì, sonno.»
«Mi sta venendo da vomitare.»
«Oh no no no non sul divano Junk, Minno mi fucila ti pr-»

Troppo tardi, purtroppo assistetti all'ultimo istante di vita del mio sofà trapuntato e chiazzato mentre Jungkook tirava fuori tutti i succhi gastrici presenti nel suo intestino. Guardai Jin senza fiatare notando il suo imbattibile imbarazzo, mentre pigiava le labbra e allargava gli occhi, terribilmente in colpa.
«Forse non era proprio così la tecnica.»
«Ah davvero? Davvero Jin? Oddio Junkito, ma che è? Ti sei bevuto tutti i residui di alcol presenti a Seul?»

Mi lagnai mentre Jungkook provava a bloccarsi senza successo. Cercai di tirarlo su con la schiena mentre Jin gli posò una mano sulla fronte, dandogli una specie di portantino per non farlo cascare in avanti. Sembrava che lo stessimo aiutando a buttare fuori tutto, una sorta di esorcizzazione alcolica, e in effetti dopo un paio di colpi di tosse riuscì a riprendersi. Aveva il volto rigato dalle lacrime per lo sforzo, così mi defilai per riempire un bicchiere d'acqua e portarglielo.
Se moriva ero sicura che sua mamma avrebbe giocato a yatsi con i miei organi e non era un'idea che mi allettava.


«Dovremmo portarlo in ospedale?»
«No macchè, non hai idea di quante volte mi sono trovata in questa situazione con Yoongi. Ha bevuto più del suo peso corporeo in litri, deve bere dell'acqua, dormire e passare il peggior post-sbronza della sua vita.»
«Che pessimi amici che siamo, eh?»
Guardai Jin con un sorriso mentre lo sollevammo per portarlo nella camera di Yoongi, pregando in ottomano che non avesse intenzione di innaffiare anche il suo letto.
Non appena posato sul cuscino si addormentò come un ghiro, gli lasciammo una brocca d'acqua sul comodino e ritornammo in salotto a pulire il disastro.

Fu l'ora più lunga e terribile della mia vita, dove  rischiai di condire quel pastume con altro pastume, visto la mia sensibilità davanti al rigetto umano. Jin non sembrava così schifato come me e fece quasi tutto il lavoro sporco mentre io spruzzavo prodotti profumosi e pensavo a come bruciare le prove; ormai i cuscinoni erano da buttare, non sarei mai riuscita a togliere quell'odore, ma alla fine con delle tecniche della nonna di cui Jin era a conoscenza riuscimmo a ridare alla sala una parvenza quasi normale. Tutte le finestre erano aperte, avevamo piantato i ventilatori per far evaporare quello spiacevole odore e avevo acceso ogni candela profumata in mio possesso. 

Alla fine ci accasciammo sul tappeto, Jungkook era riusciuto a mirare persino il tavolino brutto, ma tanto amato da Namjoon, che lo salvò. Almeno a qualcosa era servito. 
Purtroppo la stanchezza portò via tutti i buoni propositi che stavano nascendo poco prima.
Quando il tempo per fare quel passo in più scade è difficile riprenderlo ed ero sicura che, anche quella volta, era solo un riverbero di una serata che aveva rotto i filtri più disparati. Lo guardai mentre si addormentava, placido e sereno. Non sapevo cosa mi stava succedendo con lui, non sapevo perché avevo provato quella gelosia improvvisa e attanagliante quella sera, non sapevo perché mi ero decisa a lasciarmi andare, ma mi sentivo al sicuro e questo mi bastava.






Venni svegliata dalla sveglia ben due ore dopo. 
Avevo già chiesto alla capa di esentarmi dal lavoro quel giorno, ma ero quasi convinta che anche lei si fosse data malata, come anche gli altri miei colleghi. Forse il direttore generale non sarebbe stato contentissimo ma ero pronta a passare un'intera giornata a inchinarmi per chiedere perdono e pietà. Agnes almeno non mi fece storie a riguardo, dicendomi che sperava fosse per una giusta causa. Non so bene cosa intendesse e non volli indagare più a fondo. Presi il cellulare per spegnerla quando mi accorsi che non era la sveglia.
Sullo schermo, con la mia vista appannata e gli occhi di fuoco, vidi un nome gigante muoversi sullo schermo.

Hoseok.

Mi voltai di scatto rendendomi conto che stavo praticamente dormendo sopra la pancia di Jin, lui ancora dormiva beato senza fare un suono. Mi assicurai che non fosse morto e lo confermai sentendogli fare una smorfia di disappunto per i trilli che faceva il mio telefono. La mia suoneria era il verso di una foca, non so perché ma mi faceva alquanto ridere.
Mi alzai con la morte nel cuore, sentendo le gambi molli e un sonno incombente, ma premetti sul tasto verde, ficcandomi il cellulare all'orecchio.


«Hobi?»
Non rispose subito, sentii chiaramente qualcuno respirare forte, tirare su col naso, deglutire addirittura. E poi una voce rotta, piena di tormento.
«Seo...Seo non lo voglio più fare.»

Quanto può sopportare una persona prima di diventare una  killer professionista?










NTA: ragazzi perdonate questa lentudine folle ç_ç ma sono stata in ferie e appena tornata a lavoro, ossia 11 giorni fa questo è il mio primo giorno di riposto e non ce l'ho fatta a postare prima, mi pento e mi inginocchio sui ceci da sola. Ma per farmi perdonare entro stasera ( massimissimo domani mattina ) pubblicherò anche il nuovo capitolo almeno vi faccio felici (?) spero SI. E niente, sappiate che Jungkook ubriaco è tipo il 90% della mia adolescenza racchiusa quindi yo bro son con te. Per il resto non commento, me so lasciata andare a sti cippi-cippi anche se son maledetta e le cose non le faccio accadere. E il finale non doveva finire così ma son sempre più maledetta. Ringrazio le tesorine che  mi hanno recensito Juliet8198 e ggiunn come sempre, con una nuova aggiunta ma non meno importante HeavenIsInYourEyes <3 mi sciogliete il cuore, davvero, ormai vi penso ogni volta che scrivo una parola e penso "ah chissà se piacerà" o "qua mi uccide se faccio così" xD e niente, mi date proprio il carburante per andare avanti e finirla. Vi ringrazio davvero, e a prestissimo. 
ps. il titolo me fa ridere perché è l'inizio di una frase di Mulan, che so che se avete visto riconoscerete.
 

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Capitolo 12
*** Siamo anime perse ***


12 ~ Siamo anime perse
 
 
ㅇㅅㅇ






 
«Non lo voglio più fare. Mi - mi gira la testa, credo di aver rotto lo specchio, mia madre si arrabbierà.»
«Hai rotto l'elmetto?»

Non stavo capendo niente, o forse la mia mente stava cercando di darmi un ultimo strato di salvezza traducendomi parole con altre parole che, nel contesto, non erano molto in sintonia. Forse ancora reduce da quell'attacco ghibellino interiore verso di lui pensavo ancora ad armi, spade e munizioni. 

«...Non sono più sicuro di niente, è da giorni che mi sento così, volevo chiamarti per annullare la festa, per dirti che non potevo farlo. Che idiota che sono.»

Stava piangendo? Riuscivo a stento a capire le sue parole, sembrava lontano dal telefono, così che provai un brivido lungo la schiena. Non ero sicura che avesse dormito, né tanto meno che avesse smesso di bere una volta andato via dall'arcade visto che il suo accento cominciava a deviare verso suoni che a stento riconoscevo. In questo era molto simile a Yoongi e, in quel caso, non era d'aiuto.

«Hobi che stai facendo? Dove sei?»
«Ti ricordi quando Eun provò a farmi mangiare la colla, al liceo? Era una scommessa idiota, ma dovevo scegliere tra mangiare la colla o chiedere a te di venire alla fiera d'estate con me.»

Il sonno mi scomparve improvvisamente, stava rimembrando ricordi a cui non volevo pensare in quel momento. Cominciava a sembrare tutto troppo irreale, così presi a grattarmi una guancia in maniera convulsa, sperando di svegliarmi. Non poteva che essere un sogno, ora mi sarei svegliata di nuovo sulla pancia di Jin e tutti felici e contenti.

«Avrei preferito mangiare quella cosa piuttosto che perdere la dignità davanti a te.»
«Hobi di cosa - di cosa stai parlando? Quello ti ha fatto mangiare la colla perché era un bullo del cavolo, ti ricordi che Yoongi gli ha dato un cazzotto per quello?»
«No no no .. no ascoltami
La sua voce si incrinò di nuovo, potevo sentire il riverbero della sera prima, quella rabbia insita dentro di lui che scalpitava per uscire fuori e riversarsi. A quanto pare su di me, visto la fortuna che aleggiava sulla mia testa da sempre.
Mi girai di scatto per guardare Jin ma lui non sembrava essersi accorto di niente, non mi sembrava il caso di svegliarlo così mi defilai in bagno, chiudendomi dentro. Monie, che stava dormendo nella sua cuccia-doccia, si svegliò di soprassalto facendomi un guaito di disapprovazione.

«Ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando, per favore, calmati un secondo e spiegami che cosa sta succedendo.»
«No, non è vero. Tu non mi ascolti, non hai mai ascoltato, non hai mai capito. Mi andava  bene essere lo zimbello di tutti, ma tu mi guardavi diversamente, non potevo accettare un tuo rifiuto, sarebbe stato troppo-»

Presi un respiro enorme, aprendo il rubinetto dell'acqua  con l'intenzione di buttare la testa sotto quel getto freddo.  Evitai di fare del male alla mia cervicale in quel modo, così cominciai a bagnarmi la mano libera, provando a mettere insieme dei pensieri di senso compiuto.
Cosa stava dicendo? Sentivo la mano che reggeva il telefono che tremava, o era un incipit di morte imminente o cominciavo ad avere tremendamente paura di dove volesse andare a parare. Non così. Non così. Non così.

«Hobi dov'è ...dov'è Emily?» mi ritrovai a chiedere, con mezza voce.
«È a casa.»
Aprì gli occhi di scatto, poggiandomi sul lavandino. 
«Dove ti trovi?»
«Sono al ponte Wonhyo, vicino al campus, dove abbiamo inciso quella strofa, nel nostro periodo da musicisti.»
«Non muoverti da lì, ora arrivo.»

Non so come feci ma riuscì a cambiarmi, lavarmi e uscire di casa in meno di quindici minuti, del tutto priva di un qualsivoglia stimolo di vitalità. Non mi ero molto preoccupata del mio aspetto in quel momento, erano giorni che il sonno mi seguiva come un alone nero ed ero sicura di sembrare una disperata ma non me ne importava niente. Lasciai un biglietto sulla pancia di Jin con scritto che ero uscita per un'emergenza inesplicabile, che gli avrei spiegato dopo.
Sperai che non si svegliasse prima del mio ritorno, ma pian piano che mi avvicinavo al luogo indicato da Hoseok provai il terribile impulso di fare dietro-front e lasciar perdere tutto.
Non era proprio un pensiero da amica, ma quel ragazzo era la causa principale di tutti i miei drammi interni e delle mie interazioni sociali con chiunque, potevo sentirmi un po' lusingata di sapere che, questa volta, era toccato a lui, no? Forse, anche se inconsapevolmente, avrebbe finalmente empatizzato con me senza aver bisogno di dirgli ogni cosa.  Non era un bel pensiero da fare ma, in fondo, covavo ancora un po' di rancore verso di lui.

Non appena lo vidi però cancellai quel senso di giustizia-karmotica, era accucciato vicino ai pioli, il ponte era deserto a parte qualche macchina sporadica, così come il parco lì vicino, ma forse perché erano le sei del mattino e i lavoratori erano ancora sotto la doccia, e alcuni non erano neanche mai andati a dormire. Non avrebbero contaminato la città prima di un'ora. Il cielo era d'un rosa chiarissimo, aveva albeggiato chissà quando, il sole non si vedeva da quella zona ma quell'atmosfera così estiva, non ancora accaldata dai raggi, mi fece sentire piccola e indifesa, incapace di salvare qualsiasi situazione. 
Mi avvicinai sempre più lentamente fino a che mi ritrovai seduta davanti a lui, mentre Hoseok tirava su la testa. Aveva pianto come un disperato, aveva gli occhi gonfi e la faccia rossa. Non appena mi vide dalla gola gli sfuggì un singhiozzo e nascose la faccia tre la braccia.

La strusciava per pulirsi le lacrime o forse per cercare di reprimerle, non lo so.
«Hobi che succede? Guardati, sembri un piccolo spaventapasseri.»
Provai io, abbozzando un sorriso poco convinto, ma quello continuava a piangere e dovetti attendere un tempo infinito prima di vedere le sue spalle calmarsi. Allungò una mano verso di me per afferrarmi il polso, me lo strinse e non lo mollò fino a che non rialzò la testa per guardarmi.

«Mi stava scoppiando la testa, ho preso delle aspirine dal bagno ma credo di averne prese troppe...le ho vomitate, ero arrabbiato e ho rotto lo specchio.»
Abbassai lo sguardo, aveva le nocche scheggiate e graffiate, il sangue ormai asciutto raggrumato sulla pelle. Non doveva aver sanguinato molto ma provai un senso di paura nel sentire quelle parole. 
Presi il timone, alzandogli la testa per tenerla su, con lo sguardo fisso su di me.
«Lo capisco, hai paura di quello che sta capitando, hai paura che ti lasceremo indietro, che dovrai affrontare questo grosso cambiamento da solo ma non sarà così. Puoi trasferirti pure al Polo Nord, non ci importa, tu sarai sempre con noi. Non lo vedi... non lo vedi quanto ti amiamo, capoccione idiota che non sei altro?»
Lui tirò su col naso, altre lacrime gli sfuggirono dal volto e dovette sfregare la guancia con una mano, non riuscendo a smettere. Mi stava per contagiare, ultimamente stavo filtrando le lacrime di parecchie persone, non ero adatta come carta assorbente, il mio cuore non lo reggeva più.

«Ieri sera ero così arrabbiato, con me stesso, con te, con tutti. Quello che è successo con Tae non ha fatto altro che ingigantire il problema, lasciandomi modo di sfogarmi. Sempre nel modo sbagliato, sempre accidenti.»
«Ehi, lo capisco. Insomma, quello che è successo con Tae e Yurim avrebbe fatto arrabbiare chiunque, poi eravamo ubriachi, eravamo ad una festa e io ho fatto solo danni. Ho - ti ho messo io in questa posizione, ti ho lasciato indifeso davanti a tutti e non è proprio il comportamento da migliore testimone del mondo.»

Lui fece una smorfia contrita, annuendo senza spicciare parola. Forse avevo fatto più danni del previsto con lui, la sera prima. Lo avevo messo alla gogna per difendere la dignità di Yurim, finendo con il toccare corde che magari erano già sfibrate di suo, senza saperlo. 
Mi resi conto che non era solo lui ad essersi allontanato da me. Ero anche stata io ad essermi allontanata da lui. Non gli avevo mai chiesto come si sentisse, che cosa provasse, se aveva paura, se voleva rassicurazioni. Nella mia testa non riuscivo a scorgere nessun problema dentro al suo animo, in quel frangente, eppure me lo aveva detto come si sentiva in Inghilterra. Si sentiva solo. E io l'avevo lasciato solo.

«Hobi è tutta colpa mia, perdonami.»
«Non è colpa tua, Seo. Non - è solo che sai come sono fatto, reagisco di pancia e altre volte non mi do il tempo di ragionare su ciò che sto facendo. E mi sono reso conto di avere paura. Sono terrorizzato, accidenti.» Lo vidi strozzare l'ennesimo singhiozzo mentre tirava su la frangia con la mano, stropicciandosela.
«Questa è casa mia, voglio che il mio futuro sia qui, non - non ce la faccio a starvi lontano, a stare lontano dalla mia famiglia, per quanto Emily sia splendida io ...non riesco a metterla al primo posto, se so che non ho tutto questo.»
«Ma tu ce l'hai. Ce l'hai. Ti verremo a trovare ogni volta che vorrai, tu tornerai qui ogni volta che vorrai. Ma ci pensi Hobi, avrai una moglie, una casa tutta tua, forse un piccolo Hoseok dai capelli rossi che gironzola per casa e sculetta pannolini con gli elefanti sopra.»

Mi meravigliai di me stessa. Erano tutte cose che avevo sempre immaginato nella mia testa, il mio ipotetico futuro con lui e ora glielo stavo spiattellando per fargli coraggio. Questa era senz'altro la conseguenza della famosa malattia di Seokjinirus: ora era lui che mi stava infettando, con la piccola differenza che invece di ammalarmi, stavo guarendo.
Lui non sembrava convinto, così provai ad asciugargli le lacrime con i pollici, tirando su le labbra nel migliore sorriso che possedevo. Era uno di quelli che lui mi aveva insegnato a fare, era uno dei suoi, quindi glielo dovevo in fondo.

«E poi, anche se le cose dovessero andare male, potrai sempre prendere il primo aereo e riportare le tue chiappe qui.»
Potevo giocare solo entrambe le carte, magari si sarebbe convinto maggiormente.
«Non mi vuole più nessuno qui. Gli altri mi odiano, anche tu mi odi. Ho preso decisioni senza neanche parlarvene, costringendovi ad accettarle.»
«Nessuno ti odia. Secondo te perché ieri li hai visti così? Ti vogliono un mondo di bene, gli manchi e l'idea che te ne andrai li fa stare male ma nessuno farà mai nulla per impedirti di fare quello che vuoi; è la tua strada no? L'accettiamo tutti.»

Questa volta sentii i suoi muscoli irrigidirsi, anche lui sollevò le braccia per toccarmi il volto. Era strano come, quella posizione, era sempre stata nelle mie fantasie per anni. Ora stava succedendo e l'unica cosa che riuscivo a provare era nervosismo, panico, una sorta di  sensazione di malessere. Ero sicura che stavo tremando, le sue mani erano fredde ma lisce, mi stava accarezzando il volto e la mia voce si stava esaurendo pian piano.
«Ho- Hoseok lo so, è normale, davvero. Anche io avrei terrore di fare un passo così, ma tu devi pensare prima alla tua felicità, non dare retta a noi quattro bront-»
Non mi fece finire, il suo voltò si avvicinò al mio tanto da poggiare la fronte sulla mia. Aveva chiuso gli occhi, il suo respiro sembrava più calmo mentre il mio stava per mandarmi in apnea. Se mi avessero tolto i polmoni in quel momento sarebbe stata la stessa cosa per me.

«Ho paura di non riuscire ad amarla come ho amato te

Lo schianto fu tremendo.
Non riuscivo più a controllare i miei muscoli, ero sicura che stessi tremando come una foglia, forse sarei svenuta per via di quelle vertigini ma mi ritrovai a chiudere gli occhi per incanalare quella frase. Avevo capito sicuramente male, non poteva essere. Non aveva senso che lui, Hoseok, il mio tormento, il mio dosso, quella fottuta spina nel cuore mi avesse amato, avesse provato le stesse cose che avevo provato io, per tutti quegli anni. No, non potevo accettarlo quello. Un piccione era passato sopra le nostre teste e il frullare di ali mi aveva fatto capire male, per forza. Per forza.

«Ma sapevo che non potevo avere speranze con te.»

Piccioni smettetela. 
Smettetela.
Dannazione.

«Che idiota, non so neanche perché te lo sto dicendo ora. Continuo a ripensare a quella stupida colla, a come sarebbe andata se ti avessi invitato. Forse saresti tu quella in crisi per trovare l'abito del matrimonio, eh?»

Le mie labbra tremarono in maniera malsana, stavo piangendo anche io maledizione, tanto  che l'immagine di me che provavo abiti bianchi per sposare Hoseok mi creò una specie di risata da iena, isterica e senza sentimento. Non riuscivo a smettere. Per tutto quel tempo lui era sempre stato sulla mia stessa strada, c'era solo un passo da fare e come due idioti siamo stati immobili ad aspettare chissà quale miracolo, quale visione, quale spinta, magari urlata come un conduttore televisivo per non farci attendere oltre.
Fermi.
Facendoci schiacciare da chissà quale paura. Sentivo il suo sguardo addosso, sentivo le sue mani sempre più calde a contatto con il mio volto, il mio sguardo era piantato sulle sue labbra e, per un istante, nella mia mente balenò un pensiero.

Mi si strinse il cuore,  provai uno dei dolori peggiori che il mio amore avesse mai provato verso di lui, e quando tirai su il volto per guardarlo eravamo talmente vicini potevo notare dei piccoli dettagli del suo volto che non avevo mai notato in tutta la vita. Il suo sguardo era screziato, aveva una piccola coroncina intorno alla pupilla e le sue ciglia erano lunghe, perfettamente piegate. Aveva uno sguardo dolce, addirittura in quella situazione. E le labbra arrossate e appena increspate dal pianto, e dal martirio che aveva fatto coi  denti.

«Non ...» sentivo quelle lacrime bruciarmi la pelle, la stavano scalfendo, era struggente il modo in cui quel fuoco stava lasciando spazio ad un gelo doloroso. «Non sarebbe mai potuto funzionare tra noi. Io - tu sei il mio migliore amico, sei parte di me, la nostra amicizia è reale perché non c'è mai stato altro fine all'infuori di questo. Forse avremmo solo rovinato ogni cosa.»

Lui ricambiava il mio sguardo, vidi che pendeva letteralmente dalle mie parole, fino a che non si scostò appena con la fronte lasciando un misero spazio tra i nostri nasi. Notai una luce diversa nei suoi occhi, la stessa luce che avevo sempre avuto paura di scorgere in lui ma che era l'unica carica che poteva farmi andare avanti. Anche perché non avrei retto ancora per molto, quello che avevo detto a Namjoon era vero, non riuscivo più a combattere nemmeno contro me stessa. Non so con quale forza riuscì a fare il passo successivo, forse la consapevolezza che quella strada era l'unica che potevo percorrere in quel momento. 

Allungai il volto verso di lui, stringendo maggiormente le dita sulla pelle bagnata del suo volto e poggiai le labbra sulle sue. Gli diedi un bacio, intimo e straziante, strizzando appena gli occhi per bloccare altre lacrime, ma non riuscii bene nell'impresa e quelle sgorgarono, salando quel sapore nel peggiore dei modi. Lui ricambiò quel gesto, mi strinse il volto ancora di più, e lo sentii schiudere le labbra sulle mie. Ma non feci in tempo a intensificare quel gesto, avevo bisogno di respirare e decisi di scostarmi lasciando quell'ombra ancora supina tra di noi. Lui mi asciugò le lacrime, io feci lo stesso con lui e poi gli sorrisi. Non ero più sicura di riuscire a farlo ma ci provai.

«Sarai sempre nel mio cuore, sempre. Fino alla fine dei miei giorni e non ci sarà momento in cui sarò troppo lontana da te.»
«...lo so. Lo so
«Devi tornare da Emily ora, non farla preoccupare, quella ragazza è una santa. E ti sentiresti in colpa se venisse a cercarti per tutta Seul.»
Lui sorrise, per la prima volta da quando ero lì e, ancora di più, mi convinsi che squarciarmi gli organi era stata una mossa necessaria. Ma quanto mi odiai per quello. Quanto odiai quel dosso. Quanto odiai quell'iceberg. La cosa peggiore è che Rose, in quel frangente, era lui, mentre io affondavo negli abissi più bui.
«Ti piace davvero?»

Ci rimettemmo in piedi e, davanti alla sua domanda, mi resi conto di essere sempre stata estremamente sincera con il mio giudizio, nonostante l'evidente conflitto d'interessi. Annuii, sorridendo, mentre asciugavo quelle maledette dal viso per l'ultima volta.
«Sì. Credo che tu non potessi trovare di meglio al mondo. E' arrivata esattamente quando ne avevi bisogno, se non è destino questo.»

Mi sorrise con le labbra ancora tremanti, tirò su col naso prima di soffocare un altro singhiozzo, mentre ci voltammo entrambi notando alcune persone passeggiare nel ponte, in compagnia del loro quadrupede scodinzolante. Mi venne in mente il povero Monie, borbottante e sicuramente con la vescica che chiedeva pietà, abbandonato dentro la doccia. L'aria del mattino si stava scaldando un po', ora la città riprendeva suono e la sensazione che il mondo si stava popolando di nuovo mi diede la forza di continuare a parlare. Non c'eravamo più solo io e lui, l'ultimo luogo dove potevamo ricordare era nel riverbero di una luce del mattino, rosata e fresca, dove ci saremo sempre ritrovati.

«Se tu le dicessi quello che provi su questa partenza sono sicura che trovereste una soluzione oggi stesso. Ti ascolterà; l'amore è anche compromesso, no?»
«Sì, sì forse hai ragione.»
«Certo che ho ragione, scusa.»
Lui rise, di nuovo, provocandomi una risata convulsa e nervosa. Non ero sicura gli fosse passato del tutto, ma il fatto che riuscisse a tirare su le labbra anche con quel mattone dentro al cuore era sintomo di guarigione, ne sapevo qualcosa.
«Questa perla l'ha detta Minseong?»
«Ti pare? Lui avrebbe detto: "l'amore fa schifo, datti all'uncinetto".»

Ancora ridendo mi tirò verso di sé, stringendomi le spalle in un abbraccio. Ficcò la testa contro il mio collo e, ricordai, come la sera prima mi aveva abbracciato allo stesso modo. Il suo corpo stava già chiedendo aiuto ma io non ero una rete di salvataggio e avevo lasciato le redini ad una bellissima ragazza inglese. 
«Forse eviterò di parlarle di quello che ci siamo detto oggi, o dovrei?»
«Sì, dovresti.» Feci io, sempre nella mia più totale incoerenza affettiva. Avevo un primato indistruttibile in quello. «Magari fra una cinquantina d'anni, quando sarà troppo vecchia per arrabbiarsi. O uccidermi.»
«Non sottovalutare le persone anziane, non l'hai sentito di quella signora di Bukchon che ha dato fuoco al marito?»
Sgranai gli occhi, spostandomi da lui.
«Cosa?»
«Sì, per una questione di reddito famigliare, penso lui abbia speso tutti i loro risparmi nei giochi online. È stato anche arrestato per questo.»
«Oh dio-»
«Sicuro era parente di Yoongi.»

Con un'ultima risata un po' strozzata mi defilai da quell'abbraccio,conscia del fatto che sarebbe stata l'ultima volta che avrei avuto quel momento di intimità con lui. E non parlavo solo delle rivelazioni, di quel bacio, di quelle lacrime, ma di ogni cosa  che era stata con lui. Quella consapevolezza mi fece venire voglia di andarmene al più presto da lì.
«Dai andiamo, ho urgentemente bisogno di un caffè e di dormire, e sì esattamente in quest'ordine.»
Lui sorrise, annuendo, ritrovando un parvenza un po' più salutare sul viso nonostante fosse ancora rosso. Ero sicura che avesse bisogno delle stesse cose anche lui. O almeno, che avesse bisogno solo di quello. 





Buio.
Non riuscivo più a vedere niente, Hoseok era riuscito a donarmi gli ultimi raggi di luce  prima di oltrepassare la porta, chiuderla e lasciarmi nel buio. Non riuscivo ad orientarmi, ormeggiavo tra le sagome informi che mi passavano di fianco senza riuscire a carpire nessuna faccia, nessuna voce, nessun suono. 
Ero di nuovo sola, chiusa in una bolla che mi stava attanagliando la gola. Volevo urlare, volevo farmi sentire, volevo esistere di nuovo ma dalle corde vocali non usciva niente. Mi ero fatta scivolare via l'unica possibilità che avevo, non era un vicolo cieco, c'era davvero una scelta, c'era davvero un bivio. Qualcosa mi aveva spinto fino ad un masso e io non riuscivo a vedere l'altra parte, mi bastava risalire e avrei potuto davvero raggiungere il sole.
Raggiungere la luce.

Ma come può un'anima così nera bramare così tanto il calore di un'alba? La nostalgia di un tramonto? Non meritavo di possedere quella stella, l'avrei trascinato giù negli abissi con me, non sarei stata in grado di affiancarlo, mi sarei ritrovata in lotta perpetua con me stessa e con ciò che lui, invece, scaldava dentro di me. Sapevo di aver fatto la scelta giusta ma faceva così male, così male che non ero sicura che sarei stata in grado di risalire. Avevo le gambe dentro le sabbie mobili e gridavo, gridavo dentro di me, sperando che qualcuno lo sentisse questa volta. 

Non so come mi ritrovai davanti casa mia, non so quanto tempo dopo, non so neanche in quali condizioni. Ma rimasi davanti al portone per minuti interminabili, seduta su dei gradini, mentre la gente sfocata passava, viveva, percorreva delle vie incerte, soffriva e rideva. E io ero ferma, qualcosa mi tratteneva dentro quella terra e non riuscivo proprio a risalire.
Mi veniva di nuovo da piangere, tanto da volermi strappare gli occhi dalle orbite e un terribile attacco di ansia mi pressò il petto. Dovetti alzarmi per riprendere fiato mentre ero convinta che sarei morta in quell'istante, cominciai a muovermi, a camminare alla rinfusa, prima di sentire il magone arrivare alle labbra, agli occhi e premere costringendomi a simulare un singhiozzo.

Non potevo continuare così. Dovevo tornare a casa, farmi una doccia, farmi fluire via quella dannata sensazione, riprendere il controllo di me. In fondo, mi ero già rassegnata a lui, no?
Prima di scoprire che avevo una dannata possibilità, prima di scoprire che avevo sempre percorso la strada sbagliata. Ma potevo farcela, potevo farcela.
Prima di il codice per aprire la porta mi bloccai, con il dito a mezz'aria. Ero sicura che la mia vicina mi stesse sbirciando dallo spioncino, pronta a infarcirmi di mochi fatti in casa e offrendomi confortevoli tazze da tè. Così tirai giù la mano, presi un respiro enorme e cominciai a uscire fuori di casa di corsa.

Avevo una meta precisa, così presi velocità e continuai a correre per tutta la strada. Mi ritrovai a passare davanti alla mia vecchia scuola elementare, dove la prima volta Hoseok mi fece incrociare il mignolo al suo, giurandomi amicizia eterna. Attraversai il parco dove giocavamo a hokey sul prato, tutti insieme, durante le superiori, lo stesso dove Hoseok mi aveva chiesto di fargli da testimone di nozze. Puntai così verso la National University, svoltando l'angolo e serpeggiando tra la folla di gente che si stava godendo quel limpido e caldo giorno d'estate. Superai Oishii, superai la caffetteria dove una volta Jimin aveva vinto in premio una tazza a forma di orso dopo una partita a quiz divisa a squadre. Finalmente arrivai davanti all'edificio che stavo cercando. Mi feci aprire dal portiere che, vedendomi così trafelata, mi chiese del supporto infermieristico. 

Mi inchinai, lo ringraziai per l'aiuto e cominciai a salire le scale a quattro per quattro, prima di raggiungere la porta che stavo cercando. Così toccò a me questa volta a bombardare di pugni il legno. Sapevo di aver lasciato Jin a casa mia, quella mattina. Quante possibilità c'erano da uno a dieci che fosse tornato a casa in quel lasso di tempo? Senza contare che poteva essere in Università, a fare lezione, e magari stare fuori tutto il giorno.
Ma no, avevo quella sensazione, era tornato a casa. Lo faceva sempre, lo faceva sempre, proprio oggi doveva cambiare le abitudini? No, non era come me che sarebbe uscito di casa vestito come il giorno prima. Per fortuna, uno dei motivi per cui lo prendevo più in giro, in quel momento poteva essere la mia sola speranza.

Bussai ancora. E ancora. Ancora.
Se suo fratello era tornato sicuramente avrebbe chiamato la polizia per molestie ma non importava. Dovevo vedere Jin, era un bisogno impellente che non riuscivo a reprimere.
Bussai un'ultima volta, perchè come mi aveva insegnato un vecchio stregone della terra di mezzo, c'è sempre speranza.

Sentii il cigolio della porta che si apriva lentamente, tanto che avrei avuto il tempo di pentirmi di quella scelta e fuggire via come una codarda. Ma non lo feci, rimasi davanti all'uscio con il fiatone, il sudore sulla fronte, i capelli scompigliati dalla corsa e le lacrime. Un vagone di lacrime a scalfire il volto.
Jin era palesemente uscito dalla doccia di fretta e furia per venirmi ad aprire, indossava una canotta nera, aveva i capelli ancora bagnati e il volto liscio per il vapore. 
«Seo, pensavo fossero i servizi soc-» si bloccò guardandomi, restando a fissarmi con aria apprensiva.
«Seo?» Di nuovo, mi richiamò, mentre io, per la seconda volta, perdevo il controllo. 
Mi intrufolai dentro casa sua senza nemmeno rispondergli, le mani tra i capelli e il volto di chi ha appena visto un ufo proprio davanti casa. Ero convinta che me lo avrebbe chiesto, infatti aspettai che chiudesse la porta per voltarsi verso di me.
«...hai per caso visto un ufo davanti casa?»
Lo sapevo, non mi deludeva neanche quella volta.

«Ho baciato Hoseok.»
Buttai subito giù la bomba, non riuscivo nemmeno a filtrare le parole. Per qualche ragione mi puntai sulla sua reazione che non sembrò per nulla sorpresa, ma c'era qualcosa di doloroso nello sguardo che mi gettò addosso tanto che fui io a distogliere l'attenzione da lui per prima.
«Non l'ho fatto ...aspetta, forse sono partita dal punto sbagliato.»
«Ci sono dei punti?»
«Stamattina mi ha chiamato, era sconvolto. Stava piangendo, delirava per una cosa successa tremila anni fa, ha parlato di elmetti all'incirca, mi sono preoccupata. Era in una piena crisi di panico così mi sono fatta dire dov'era e l'ho raggiunto. Sai dov'era? Ti ricordi il ponte dove, una sera, abbiamo assistito al lancio delle lanterne prima della fiera i primi di ottobre? Quando per poco non cascavi nel fiumiciattolo come un sacco di patate.»

Mi bloccai per un istante. Hoseok aveva scelto quel ponte per via del fatto che c'erano incisi i versi di un brano dei Pink Floyd, quando ancora pensavamo che saremmo sfondati come band rock e avremmo portato la nostra musica per i continenti con un pulmino a fiori e la pace nel cuore. Eppure, in quel momento, avevo solo in mente la serata passata con Jin, l'autunno scorso, durante una delle nostre serate nella società.

«Mi hai spinto, ci credo.»
Sventolai la mano, come a interromperlo subito e lui lo fece. Era rimasto attaccato alla porta di casa, così che mi ritrovai ad ammirare la sua intera figura in quelle vesti più caserecce.  Sentii il cuore battere più veloce ma non lo ascoltai, per il momento.

«Quando sono arrivata ha cominciato a straparlare, sulla paura di sposarsi, sulla paura di lasciare noi, questo posto, la famiglia. Ha paura che lo odiamo, per questo. Ho provato a consolarlo come meglio potevo, fino a che-»
Mi accorsi in quel momento che avevo smesso di piangere dal momento in cui ero entrata in casa di Jin, ma ora stava ritornando il bisogno di espellere il male. Non volevo farlo, così mi concentrai, lasciando che la mia aura mi aiutasse. Presi un respiro profondo e continuai.
«...mi ha detto che aveva paura che non l'avrebbe mai amata come ha amato me.»
Lui smise di guardarmi, tirò giù lo sguardo. Non aveva ancora aperto parola sull'argomento e la cosa mi stava mandando ai matti, mi andava bene anche uno dei suoi versi, anche uno dei suoi giudizi, una ramanzina da mamma-chioccia, qualsiasi cosa.

«Non era quello che avevi sempre voluto, in fondo?»
Mi disse lui, restando con lo sguardo basso.

Oh certo, il mio sogno era sentirmi dire dal ragazzo del mio cuore che mi amava sull'orlo di un matrimonio con un'altra. 
Strinsi i pugni prima di serrare la mascella, provai un insolito senso di rabbia. Probabilmente stava cominciando a farsi sentire il rimpianto, o forse era solo perché Jin continuava a fissare il pavimento, cancellando con una domanda tutto ciò che mi aveva detto la notte precedente.

«Gli ho detto che non ricambiavo i suoi sentimenti, che non sarebbe mai successo nulla tra di noi, che la nostra amicizia era bella perché non fondata su un sentimento così brullo come l'amore.»

Davanti a questa rivelazione alzò di scatto gli occhi. Stetti attenta a che tipo di sguardo avesse elargito davanti a quelle parole; questa volta era sorpreso, a dismisura, tanto che sembrava un po' un pesce. Non mi pareva il caso di dirglielo ma ritrovai una forza più sottile pronta ad ispirarmi e rilassai i muscoli, finalmente levandomi le mani dai capelli. 

«...ma hai detto di averlo baciato, non capisco.»
«Sì, gli ho dato un bacio. Una specie di saluto finale a quel dannato periodo, un contentino per me, forse uno anche per lui. Non so, mi è venuto spontaneo farlo, sentivo che ne aveva bisogno.»
«Perchè?» Sussurrò lui, con una voce più bassa del dovuto. 
«Probabilmente sono ancora molto ubriaca, tipo da due mesi a questa part-»
«No. Intendo, perché non gli hai detto la verità Seo? Era... il tuo destino era lì, davanti a te, hai voltato le spalle così?»

Questa volta fu io a girarmi per non guardarlo. Mi piaceva come fosse capace di sottolineare l'ovvio giusto per darmi una mazzata finale, cominciai a comminare verso la finestra mentre sentivo di nuovo quel senso di ansia opprimermi il petto e lasciare le vertebre del mio collo rigide e sottili. Le massaggiai convulsamente. Ero davvero pronta ad analizzare la mia decisione e pensai che non ci fosse persona migliore di lui per farlo, per questo avevo provato l'impulso irrefrenabile di cercarlo.

«Sai che cos'ho visto nel suo sguardo? Quando gli ho detto che non lo amavo?»
Lo Sentii camminare verso di me, il rumore dei suoi calzini sul parquet era inequivocabile, faceva sempre strusciare i piedi. Aveva un portamento elegante ma quei piedi non li sollevava mai da terra, era un vizio che non riusciva a levarsi.
«Cosa?»
Voltai il viso per guardarlo; questa voltai sentii chiaramente il cuore palpitare nel petto. Faceva meno male, ormai era talmente rotto che le schegge non pungevano più.

«Sollievo

Si bloccò, guardandomi in maniera stranita e presi a girarmi completamente verso di lui, lasciando la luce del sole alle mie spalle. A dirlo ad alta voce mi ritrovai a riprendere a respirare, sentendo i polmoni più liberi.

«Aveva una crisi di panico, aveva paura di essere abbandonato da noi, forse aveva paura di non avere quel tipo di intimità creata anche con me, che ci conosciamo da quando eravamo ancora immaginazioni sporadiche nelle menti delle nostre mamme. È naturale che l'avesse, ma ero sicura ...sono sicura che lui la ami veramente. E non potevo prendere il suo posto, non potevo decidere di spintonarla lontano dal suo cuore per prendermi un podio che avevo sempre sognato. Un giorno, forse tra un anno, due, dieci anni, l'avrei trovato seduto sul divano, nel buio, a chiedersi se questo giorno, questo dannato giorno, avesse preso la decisione giusta a scegliere me. Non mi ama davvero. Quello stupido ha sempre avuto paura di provarci perché era convinto che l'avrei rifiutato.»

Mi venne da ridere al pensiero, tanto che piantai la mano in faccia per nasconderla. O sperando che mi avrebbe fatto sparire, probabilmente.

«Come poteva avere paura di una cosa così? Con me? Non sono neanche convinta che mi conoscesse così bene, a questo punto.»
«Seo...»
«Quando l'ho baciato, credo di averlo fatto perché avevo bisogno di sapere cosa mi avrebbe provocato. Volevo esserne sicura, essere sicura che stavo facendo la scelta giusta, che non ero diventata matta.»

Sentii la sua mano sulla mia, me la tolse dalla faccia e mi trattenne il polso per evitare che lo rifacessi di nuovo. Avevo gli occhi stanchi, non riuscivo più a guardarlo. Mi bruciavano da morire.

«Che cos'hai provato?»

Mi morsi le labbra, schiacciando la lingua sotto i denti. Non potevo dirglielo, questo non potevo dirglielo. Dagli errori non si impara mai, alla fine, di certo non ero abbastanza brava da estirpare la lezione e farla mia. Non sarei stata una degna erede di Yoongi, se fosse stato così.

«Io...»

Mi bloccò la bocca con le dita della mano libera, restando a fissarmi. Non lo avevo mai visto così serio, neanche la scorsa notte, dov'ero convinta di qualcosa a cui non volevo pensare, non potevo pensare. Non ora, non ero davvero pronta a quello.

«Non dirlo, non dirmelo se non vuoi. Hai fatto qualcosa di molto maturo, ero convinto che se un giorno lui si fosse accorto di provare qualcosa per te, tu avresti dimenticato tutte le paturnie dolorose provate in anni di agonia e ti saresti sciolta sulle sue braccia. E invece -»
Mi  venne da sorridere, tutto questo sotto i suoi polpastrelli che ancora premevamo sulla mia bocca.
«Invece non l'ho fatto. Perché preferisco morire da sola come una cicerana piuttosto che provare a essere felice, lo so.»

Lui mi sorrise di conseguenza, piegò le labbra in una maniera dolce, aveva fatto scivolare via le dita dalla mia bocca e fece un passo indietro. Si stava di nuovo allontanando da me.
«Ora come ti senti?»
«Se fossi morta starei meglio, presumo, ma nel complesso...»
«Devo passare dall'Università a prendere dei fascicoli, se vuoi ti accompagno a casa.»
«N-no tranquillo, posso andare da sola. Ormai mi sento in forma, ho perso almeno sette chili con la corsa che ho fatto.»

Risi nervosamente, fin troppo nervosamente. Chissà cosa mi ero immaginata, forse che avrei passato la giornata insieme a lui, che saremmo andati a mangiare thailandese, prima di decidere che pezzo portare per la lezione di ballo. 
Di nuovo provai l'impulso di andarmene ma mi aveva appena dato della matura, non potevo di certo deluderlo dopo un nanosecondo.

Quel momento venne interrotto quando qualcuno cominciò a bussare improvvisamente alla porta facendoci sobbalzare entrambi, tanto che ci guardammo in maniera un po' stranita. Poi lui si stanziò da me per strusciare i piedi verso la porta e aprirla. Poteva benissimo essere un alieno, questa volta, ormai sarei stata pronta a tutto.

«Ah ciao, meno male che ti ho trovato - ieri ho lasciato la borsa e ho le chiavi del mio ufficio. Se le perdo è finita per me.»

No, non ero pronta a tutto. Non era pronta ad un cazzo di niente, in realtà. 
La ragazza della festa di ieri, la dama ballerina di Jin, era filtrata dentro casa salutandomi in maniera rispettosa e un po' imbarazzata, ero scomparsa in una delle stanze, ricomparendo poco dopo con una borsetta di pelle infiocchettata di rosso, ci aveva risalutato ringraziando Jin toccandogli la spalla ed era di nuovo uscita di corsa, scusandosi ma che doveva andare di volata al lavoro era in ritardo ciao ciao ciao. 

Il tutto durò circa cinque minuti. 
Com'è che aveva detto quel famoso stregone sulla speranza? Ah già.
No, a quanto pare certe citazioni non facevano per me. Nella dottrina del mio Guru ero una delle prime della classe, non potevo di certo dimenticarlo per via di una parvenza illusoria di felicità, in fondo.
Mi Sentii terribilmente stupida, tanto che abbozzai un sorriso mezzo storto, probabilmente il Joker sarebbe stato più credibile di me e questo la diceva lunga. 

«Vado Jin, accidenti, è tardissimo non voglio farti fare tardi. Mi sono scordata che Monie  non mi ha ancora scodinzolato il suo odio oggi, e poi Minno è senza codice, Nam avrà già dato fuoco alla  casa-»
«Aspetta Seo non è come pensi-»
«Cosa? Cosa dovrei pensare?» Mi bloccai per guardarlo, probabilmente avevo un'espressione semi-adirata-fintatonta perché non mi rispose, corrugò solo la fronte come a trovare una risposta plausibile.
Quel fatto mi fece andare il sangue alla testa ma riuscii a trattenermi.

«Jin non devi darmi nessuna spiegazione, insomma ...è una bellissima ragazza, dovresti presentarcela come si deve.»
«Ma no, aspetta, davvero stai -»
«Ci sentiamo dopo, va bene? Dovrò sicuramente chiamare i pompieri.» Stavo già delirando. «Scusami se ti ho disturbato.»
Esattamente come la ragazza di poco prima fluttuai via come una libellula, ritrovandomi a correre giù per le scale e bloccarmi.

Dovetti toccarmi il petto per paura che il cuore mi sarebbe uscito per il potente tamburellamento che stavo subendo. Perché pensare a lui e lei insieme, in casa, mi provocava quel tremendo fastidio? Quindi era con lei prima di venire a svegliarmi nel cuore della notte? In casa sua, poi.

No. Non dovevo pensarci. Non dovevo pensarci. 

Talmente non dovevo pensarci che presi il cellulare in fretta e furia. Stava quasi per scaricarsi, ma riuscii a digitare il numero di Yoongi ma mi fermai. Era meglio non chiamarlo, non ero sicura di cosa fosse successo tra lui e Jimin la sera prima così registrai un messaggio veloce come la luce.
«Minno, mi hai contagiato. Credo di aver bisogno di aiuto, urgentissimo.»

Lo visualizzò dopo due minuti, aspettai la sua risposta con il cuore in gola. Visto che il dramma non poteva lasciarmi perdere, quasi sperai che mi dicesse che era andato a sposare Jimin a Las Vegas e che ora era impossibilitato. Ma evidentemente il destino era parecchio ironico verso di me.
«Sono a casa, muoviti. Nam pensa che ti abbiano rapito gli alieni perché in casa c'è un uno strano odore chimico.»

Magari fosse, cavolo. 









NTA: eh vabbè mai una gioia come si suol dire, sempre sul pezzo perché si sa che la vita delle fanfiction fa schifo, facciamocene 'na ragione. In ritardino ma come promesso ecco il capitolo, che spero odierete così come l'ho odiato io, c'è tipo il peggio tutto racchiuso, mi sembrava giusto così, secondo me è colpa di Febbraio che mi induce a non trovare felicità in nessun luogo. COMUNQUE, per chi si preoccupa per SeoxJin ( non voglio fare nomi a caso, ggiunn ) sappi che, sì. No anzi no. Vabbè si sta in angoscia fino alla fine pardonami. Intanto ringrazio sempre chi mi segue amorosamente, in silenzio, recensendomi: sempre nel mio cuore e sempre il motivo per cui continuo a pubblicare la mia storia. Spero a prestissimo <3

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Capitolo 13
*** Verità e miscredenze ***


   
13 ~ Verità e miscredenze
 
 
ㅇㅅㅇ







 
Me ne stavo sdraiata sul letto di Yoongi in una tipica posizione da seduta psichiatrica, con le mani incrociate sul grembo e lo sguardo perso a contare le varie ragnatele che abbellivano il soffitto di quella stanza; avevo già trovato sette ragni diversi a cui mi stavo affezionando. Yoongi era chino sulla sua scrivania a scribacchiare a ritmo di una canzone di Tristanio, nome in codice per Kim Wataru, arpeggista inclina ad una sofferenza musicale con rimandi ad assesti ed assoli un po' satanici. Creava un'ottima atmosfera spiritca, in effetti.

Jungkook non si era ancora svegliato, ormai nel mio punto di vista in una sottospecie di morte apparente, Minno lo aveva piazzato su uno dei puff più belli di sempre, io e Namjoon glielo avevamo regalato per Natale, convinti che le forme, la prestanza e la consistenza erano assolutamente ricollegabili al nostro coinquilino: gli avevamo comprato un cuscinone gigante e impiumato a forma di Snorlax. Sapevo che lo aveva amato quasi quanto noi, ma non ci diede mai la soddisfazione, offendendosi per il presunto paragone con quel pokemon perennemente addormentato - come te, aggiunsi io, ma lui fece finta di non sentirmi per non rovinare l'amicizia.

Il povero reduce alcolico era più storto che dritto, sia Minno che Nam si dovevano essere divertiti molto perché, in un momento stilistico d'alta classe, gli aveva infilato in testa un paio di mutande, e infilato degli occhiali da sole a forma di stella, sicuramente un omaggio di Jimin in una delle sue invasioni abitative a casa nostra. Sembrava un grandissimo artista, un singer famoso oppure un rapper un po' eccentrico, sfinito dopo un lungo concerto e una serata da tournista in preda ai folli deliri della giovinezza. Non era tanto lontano dalla realtà, in fondo.

Nel frattempo provai a mandare dei messaggi minati a Yurim, innalzando il livello di apprensione con poche parole, cominciando con tre sillabe per arrivare ad una sola. Non mi aveva mai risposto, né visualizzato, sperai che fosse per un motivo molto Taehyung-esco. Smisi di disturbarla dopo almeno una cinquantina di messaggi, di solito era lei la figlia del demonio che si divertiva a mandare testi spezzettati per farmi bloccare il telefono e il cervello. Sicuramente le sarebbe venuto un infarto davanti tutte quelle notifiche da parte mia, e un po' sperai che il suo senso d'allerta la invogliasse a rispondermi subito. Non ci sentivamo dalla notte prima, non sapevo dove fosse, non sapevo con chi fosse e la cosa mi stava facendo preoccupare peggio di una madre armata di mestolo, zoccolo e sguardo grinzoso. 

Namjoon stava preparando il pranzo, nonostante fossero le tre passate. Aspettavo una possibile esplosione dei fornelli da lì a momenti. Nello sconforto più totale cominciai a salutare i miei nuovi amici ragni, sperando che il passaggio per l'aldilà sarebbe stato veloce e indolore.

«Non ci posso credere che quel cretino di Hoseok ti abbia detto quelle cose.»
Yoongi mi fece risvegliare da quel discorso di addio mentale, girando la testa per guardarlo. 

Alla fine, nel mio grande senso di segretezza di stato, gli avevo raccontato ogni cosa. Non ero molto convinta del risultato, ancora in subbuglio per quello successo a casa di Jin, ma confidavo nel suo senso critico. Mi andava bene anche sentirmi dire che ero stata un'idiota, l'avrei accettato, avrei accettato qualsiasi cosa in quello stato, basta che tenevo lontano le immagini che cominciavano a diventare film colossal mondiali dentro la mia testa.
Era alquanto ironico che per tenere fuori portata Jin, avrei preferito parlare di quello successo con Hoseok. Dovevo proprio fare pace con me stessa, la cosa stava diventando imbarazzante anche per me.

Yoongi era tutto curvo e storto sulla schiena, una gamba sollevata sul sedile che abbracciava convulso. Non si era nemmeno degnato di prestarmi attenzione; era una cosa tipica che avevamo tutti e tre, in casa. Ogni volta che eravamo occupati a fare qualcosa, raramente ci distraevamo.
«Avresti lo spauracchio anche tu se ti stessi per sposare, Minno.»
«Infatti non mi sposerò mai.»
Feci uno sbuffo dalle narici, mentre quello imprecava e cancellava parole. Io  cercavo di sbirciarlo da quell'angolazione, l'occhio pigro e pesante era un sintomo di notte insonne e libertina, mi venne da sorridere ma non gli domandai niente. Con Yoongi le cose le dovevi aspettare, che fosse per un'ora, un giorno o un'era geologica incerta. E poi finché Jungkook era un presunto soprammobile in quella stanza sapevo che non avrebbe spiccicato parola neanche per sbaglio.

«Eppure ti ci vedrei come marito di casa.»
«Certo, a vivere per sempre con un'altra persona, amarla incondizionatamente anche se lascia i capelli dentro il lavandino o è più pigro di me nel fare le pulizie di casa. Immaginati che vita maritale meravigliosa.»

Mi alzai lentamente per poggiare la schiena contro lo schienale del letto, incrociai le gambe e ridacchiai, trovando parecchio spassoso il fatto che avesse pensato come una faina fleshante a Jimin. 
Era risaputo che Jimin e Minno, piuttosto che buttare le mutande nella lavatrice, le avrebbero fatte ammuffire fino a che non sarebbero diventate parte integrante dell'ambiente. Ma la questione capelli era una novità persino per me, ma ancora non appurai, fingendo risoluta indifferenza.

«Yoongi, vivi con noi da anni, ti ricordo che Nam non è proprio il coinquilino più ordinato della storia e io ho quella strana fobia dei dentifrici che si essiccano e ci avvelenano col fluoro. Insomma, praticamente è come se fossimo sposati tra noi.»
Lui fece una faccia poco convinta, quindi avvalorai la mia causa.
«Ma» presi una pausa voluta, alzando un indice con fare dispotico «senza fare sesso

Lo vidi diventare paonazzo improvvisamente, girandosi di scatto  verso di me.
Era la persona più schietta, sincera e rompipalle dell'universo ma si imbarazzava come niente, mi faceva sempre morire quel tipo di reazione così che tossicchiai, provando a rendere il discorso meno disagevole.

«Insomma pensaci, ci cuciniamo a vicenda, lavoriamo, abbiamo i turni per pulire e per far evacuare Monie, persino raggruppiamo i punti spesa e i punti lavanderia. Se non è un matrimonio questo.»
«Quindi - stai dicendo che ci manca solo fare sesso?»
«Eh, praticamente.»

«Ragazzi forse ho bruciato il pollo! Ha quel retrogusto affumicato e cancerogeno, secondo me è ottimo va bene vero? Perfetto grazie - no Monie sta giù, lascia stare quell'ala!»
Namjoon urlò dall'altra stanza interrompendo quell'importante discorso terapeutico.

Sentii Monie fare un abbaio di protesta, seguiti da movimenti di sedie e una mezza parolaccia in accento stretto. Il nostro cane era un essere strano: era raro che si interessasse alla vita culinaria di questa casa, ogni volta che Jin ci preparava qualcosa a stento tirava su il tartufo, aspettando con assoluta pigrizia il momento del rovescio di cibo nella ciotola. Ma quando era Namjoon a cimentarsi scodinzolava interazione da aiuto-cuoco non indifferente, pensai fosse colpa del fatto che Namjoon creava un vero campo di battaglia, con pezzi di ramen sparsi e contaminazioni in territorio alleato.
Mi venne da ridere da sola, mentre sentivo Jungkook rigirarsi sul suo puff-orlax, caracollando con una natica per aria.
Sarebbe stato un perfetto soggetto per una foto denigratoria ma non potevo fargli questo.
Vidi che lo fece Yoongi, pigiando i pollici sullo schermo del telefono puntato sul povero ignaro.

«Dici che dovremmo cominciare a farlo?»

Mi bloccai a fissarlo, prima di vederlo deviare con il cellulare per puntarmelo addosso. Alzai una mano per non farmi riprendere neanche un poro. Ora  quella imbarazzata ero io: insomma, non avevo mai pensato all'eventualità di fare cosacce con loro. Non era un segreto che trovavo Nam particolarmente bello per essere un disastroso incidente e Yoongi aveva quel fascino enigmatico che mi avrebbe fatto ammattire come una vipera, se solo mi fossi incaponita. Ma gli volevo troppo bene, erano addirittura oltre il retrogusto fisico, tanto che la cosa non mi aveva mai sfiorato. Mi sembrava di pensare di farlo con dei miei presunti fratelli, che nella mia famiglia genetica mancavano e che, quindi, mi ero trovata da me.

«Forse è meglio di no, vi innamorereste perdutamente di me, dopo. Mi levi quel telefono dalla faccia?»

La buttai sulla battuta sarcastica e infelice, ma Yoongi si mise a ridere di gusto, tirando la testa indietro, prima di rilanciare il telefono sulla scrivania e riprendere a scrivere cose segrete che non ero degna di sapere.

«In realtà, all'inizio, un pensierino ce lo avrei fatto.»
Sgranai gli occhi, cominciando a sentire i rimbombi delle mie cellule celebrale impazzire tra loro.
«Con Namjoon?» Chiesi, strabuzzando gli occhi.
«Con te, scema infetta!» Gracchiò lui, neanche guardandomi. «Ovviamente prima di conoscerti e scoprire che sei insopportabile.»
Niente, l'imbarazzo restava e mi pitturava la faccia come un fard extra-forte impossibile da togliere neanche con la salvietta struccante più tenace.

Altolà allo stucco!

«Insomma, quando non sembri uscita da un cassonetto dell'umido sei addirittura carina. E alle volte sembri simpatica. Anche se i tuoi gusti musicali fanno schifo.»
«Grazie Yoongi per questo contributo non richiesto.» Dissi a Yoongi per quello sputo di autostima nei miei confronti e gli lanciai addosso la prima cosa che trovai lì sul letto: un porta occhiali a forma di bara, probabilmente appartenente a quelli che ora Junkie aveva addosso. 
«Ahia, fa male 'sto coso!»
Yoongi si massaggiò la testa, rilanciandomi indietro un evidenziatore rosa fluo, colpendomi sul naso. Fu un tiro talmente di spirito che fece un rumore strano, uno STOC pericoloso. 
«Ohhh!»
«Oh caz-» lo vidi lanciarsi giù dalla sedia, raggiungendomi sul letto, mentre mi pigiavo il naso addolorata. «Non te l'ho rotto vero?»
«Morirò-» mi lagnai io, con gli occhi lucidi per il colpo, ma lui mi prese le mani per levarmele e constatare i danni. A parte il rossore non dovevo avere niente, nonostante rimase a fissarmi le narici per secondi infiniti. Ne approfittai per studiarlo un po' meglio. 

Nonostante la faccia sconvolta dalla notte insonne era davvero più rilassato, non sembrava portarsi dietro i residui di un alcol arrabbiato, o tragico. L'avrei notato, Jimin era troppo importante per non lasciargli alcun segno e, quel giorno, finalmente dopo secoli non vedevo altro che il solito vecchio Yoongi, tremendamente stoico quanto apprensivo.

«Purtroppo per me non morirai.» Mi disse lui, abbozzando un sorriso, prima di guardarmi con aria più felina.

Gli sorrisi anche io, provando l'irresistibile impulso di andare oltre e dirgli di Jin, sapere il suo parere, trovare un punto dal quale analizzare tutto quello che mi stava capitando e, magari, riuscire a prendere le redini di queste emozioni prima che collassassero tra di loro. Ma non lo feci, mi limitai a sospirare, sventolando una mano per aria.

«Sai, ti vedo bene oggi.» Dissi io, coraggiosa. «...Meglio
Lui non rispose, si limitò a guardarmi con degli occhi enigmatici, che poteva significare ogni cosa, da "occhio a quello che dici ti ammazzo" oppure "sì ho il cuore sciolto e voglio cospargermi di fiori".
Intanto, dalla cucina, ripresero a fuoriuscire altri improperi mentre uno strano odore di cipolla bruciata impuzzava la stanza.
«Nam tutto bene?» Urlai io.
«Mi sa che mangiamo i ramen pronti ragazzi.» Rispose lui con aria sconfitta.

Decisi di sgranchirmi le gambe, scivolando giù dal letto, stiracchiandomi.

«Vado ad aiutarlo, da quando Jin è diventato il nostro chef personale abbiamo perso il tocco magico. Ti prego tira su Junkie, sta per schiantarsi a terra.» Lo supplicai io, mentre indicavo il nostro amico ormai quasi un tutt'uno col pavimento.
«Questo è colpa vostra che avete deciso di piantarlo qua!» Si lagnò lui, zompettando per andare verso il nostro amico, tentando di rimetterlo in una posizione dignitosa. «Ora vengo anche io.» 
Gli sistemò gli occhiali in faccia, ma non stetti a guardare in che modo gli stava legando le mutande di nuovo perché ero propensa ad andare ad aiutare l'altro disperato. Ero consapevole che Yoongi non avrebbe dato vita ai suoi pensieri quel giorno e, alla fine, non ero sicura che avrei avuto altro da dire neanche io.

Ma non feci in tempo a uscire dalla sua stanza, lo sentii saltare verso di me con uno slancio da ballerino, bloccandomi per un polso. 
«Ehi aspetta.»
Non appena mi voltai mi lasciò andare subito, aveva le labbra tremarelle e aveva cominciato a incartarsi le dita tra loro. Quello era un sintomo: stava per dirmi qualcosa di importante. Aspettai senza fiatare, giusto diedi un'occhiata verso il finto defunto, constatando se poteva essere all'ascolto o no. Ma l'impazienza era troppa e non mi preoccupai più delle possibili orecchie indiscrete. Se non se ne preoccupava Minno, perché farlo io? Avevo solo voglia di sentire una bella notizia in quel momento, mi avrebbe risollevato l'umore come niente.

«Mi spiace per Hobi. Ti ho sempre detto di reprimere i tuoi sentimenti per lui e, alla lunga, forse se tu glielo avessi detto chissà. Mi sento un po', ecco, responsabile per questo. Non ti ho mai dato neanche un buon consiglio, sono sempre stato troppo - troppo cinico verso queste cose. Io-»
Di nuovo quel dolore al cuore. Era proprio il caso che me lo facessi asportare, stava diventando ingestibile. Corrugai appena la fronte risentendo un po' di quel discorso. In effetti Yoongi non era mai stato un grande saggiofolo in quello, un saggio-filofoso. Mi aveva sempre ascoltato, aveva sempre avuto la mano pronta a patteggiarmi la testa, aveva sempre avuto un occhio di riguardo; forse non aveva mai avuto delle belle parole, ma era sempre stato reale e mi aveva tenuto coi piedi per terra, per evitare di farmi troppo male dopo la caduta. Mi ero schiantata lo stesso, ma forse fece un po' meno male del previsto in effetti. 
«...ecco, mi sento un po'responsabile di questo. L'altra sera invece tu mi hai detto di rischiare e so che sarebbe stato un macello di proporzioni abnormi, che mi sarei fatto male, che una fucilata in faccia sarebbe stata meglio, ma cazzo avevi ragione. Col dubbio, con il rimorso non sarei andato da nessuna parte. Le sfumature in questo campo sono peggio del veleno.»

Provai un sollievo a quel martirio interno, le budella smisero di contorcersi per lasciare spazio ad una piacevole carezza. Yoongi, involontariamente, mi stava dando una lezione. Forse non quella che lui pensava, ma estrapolai il mio contesto da tutto quello. 

«Sai gliel'ho detto. Gli ho detto che lo - insomma che -» 
Sgranai lo sguardo; stava per dirmelo davvero, tanto che osservai di nuovo Jungkook ma quello aveva la bocca aperta, russava e Yoongi gli aveva messo le braccia incrociate. Sembrava un giudice di un talent-show svenuto in balia di qualche sostanza di dubbia natura.
«Oh Minno, so che dirlo ti fa provocare ulcere perforanti, credo di aver capito.»
Lo interruppi, ritornando su di lui. Era arrossito ma aveva un sorriso pieno sul volto, uno di quelli che era davvero raro trovare sulla sua faccia, a meno che non fosse nella sua fase euforica o pieno di percentuali alcoliche. 
Lui si mise a ridere imbarazzato, mentre guardava punti imprecisati per terra, si contorceva le dita ed era sempre più rosso. Aveva la pelle diafana, quindi era particolarmente visibile.
«C'è ancora tanto di cui parlare, non sarà una cosa facile ma ora c'è davvero una base. Un inizio.»

Un inizio.
Presi un respiro profondo e mi morsi il labbro, evitando di commuovermi davanti a quella rivelazione. Potevo dare la colpa alle cipolle bruciate che facevano sfrigolare i peli del naso, ci avrebbe sicuramente creduto.

«Yoongi ma è bellissimo.»
«Già ...bellissimo.» Rispose lui con un sussurro, poi decise di fluire via di nuovo verso la scrivania, afferrò il foglio che stava impiastricciando e me lo porse. C'erano abbozzate delle strofe, alcune frasi erano state cancellate e riscritte ma era palese che era tutto un brano scritto d'impulso. 
«Leggila e dimmi che ne pensi, è da stamattina che ci sto lavorando.»

Gli aveva scritto una canzone? 

Strinsi il foglio tra le dita e annuì convinta e poi feci qualcosa che sarebbe stata ricordata negli annali, colpendolo di sorpresa. Gli diedi un bacio sulla guancia, veloce e un po' umidiccio. 
Lui mi guardò sgranando gli occhi prima di tastarsi lo zigomo e darmi una spintarella alla spalla, mezzo sorridendo e mezzo schifato. Se la stava pulendo davvero, il maledetto.
«Piantala con 'ste schifezze.»
«Scusa ma te lo sei proprio meritato.» E detto questo ritrovai un sorriso più lenitivo. «Ti farò sapere ma non ho dubbi, hai sempre avuto uno strano talento per queste cose.»
Non fece in tempo a controbattere per quell'aggettivo improprio che avevo usato, perché continuai il discorso quasi subito.
«Comunque non prenderti le colpe per la questione mia di e di Hobi. Non era destino, eravamo due idioti e abbiamo continuato a esserlo. E poi credi davvero che mi sarei frenata solo perché tu me lo hai detto? Evidentemente non volevo dirglielo. Questo ti dovrebbe far capire i miei problemi mentali. Ma grazie, sai per la seduta. E' stata illuminante.»

Ora il mio problema era un altro. Cos'è che aveva detto? Il dubbio diventava un veleno, forse era il caso di smetterla di fare gli stessi errori, non era sano non imparare niente dopo tutto quello che era successo.

«Posso chiederti un'altra cosa?»
Mi fermai di nuovo davanti alla sua domanda, pronta a tutto, per l'ennesima volta quel giorno.
«Perché ...dopo tutto quello che è successo, non gli hai detto che lo amavi anche tu?»

Restai a fissarlo per svariati secondi, in silenzio. Ero davanti ad un bivio ben definito, in fondo era una domanda così semplice. Era una domanda che poteva avere una sola risposta. Era una domanda che non poteva essere fraintendibile.  Mi ero accorta di una cosa, a casa di Jin, che mi faceva restare ferma a guardare i due possibili imbocchi: la risposta non sapevo dirla. Non riuscivo a formarla dentro la mia testa, quindi i miei neuroni optarono per una classica presa di coscienza farlocca accendendo i campanelli genetici portatori di incapacità comunicativa.

«Sai anche tu che l'amore è complicato.»
«Ma no, non è complicato, sono cazzate. Siamo noi che lo rendiamo così.»
«Bè, allora sai che l'amore è sacrificio.»
«Sacrificio? E che cosa avresti sacrificato? Non avevi niente prima, non hai niente ora.»
«La so: l'amore è incoerente...?»
Lo vidi sorridere come una  volpe, mentre scuoteva la testa. Aveva più frangia negli occhi che ciglia.
«Ora sarò tremendamente sincero e dimmi se sbaglio.»
«Sbagli
«Non ho neanche cominciato!»

Feci uno sbuffo più sentito, incrociando le braccia al petto. Speravo fosse più intuitivo nel capire che non avevo nessuna voglia di andare a fondo a quel discorso, forse con un calcio nei gioielli di famiglia lo avrei fatto smettere. A mali estremi, estremi rimedi in fondo.

«Penso che tu sia un'idiota colossale.»
«Vabbè ma questo me lo dici da una vita, non fa neanche più effetto.»
«Non hai capito, come al solito» mi diede una pacca sulla fronte, spalmandoci sopra le dita «penso che tu fossi innamorata dell'idea che avevi di lui, non so quali film mentali ti facevi, quante volte immaginavi di salire sulla scala a pioli per entrare nella sua camera mentre era intento a guardare lo Squalo per la centesima volta»
«Minno quello è Dawson's creek»
«oppure quando durante il suo matrimonio, invece di dire il nome della sposa, ha detto il tuo nome»
«quello è Frie-»
questa volta non mi fece finire, mi piazzò una mano sulla bocca per farmi stare zitta.
«Esatto, esatto sono cose irreali, sono fiction, sono drammi che non hai mai vissuto, sono cose che avevi nella tua testa e li hai trasformati in un'ipotetica realtà. Questo era per te Hoseok: la tua storia. Non era la vostra, non c'è mai stato un voi, c'era solo un tu più un lui inventato da te. Non avevi la più pallida idea di come sarebbe stato nella realtà stare con uno come lui, forse avresti odiato il suo modo di ridere, o il fatto che è perennemente felice ogni cosa accada, o avresti trovato insopportabile il suo innato ottimismo ma anche la sua severità, la sua rabbia.»

Non potevo rispondere. Potevo mozzicargli una mano. Strappargli le falangi. Farlo smettere di parlare. Ma non potevo rispondere, e per fortuna il suo palmo pressato sulle labbra era un'ottima scusa per stare zitta.

«Ecco il punto del discorso: sai perché ti sei tirata indietro all'ultimo minuto? Perché lo hai idealizzato come lo hai sempre voluto tu, e hai avuto paura di perdere il reale Hoseok solo con un semplice "sì, ti amo anche io", facendo crollare anni e anni di castelli idilliaci e fiocchi zuccherosi.»

Dai Yoongi, l'altra guancia non ha ancora subito lo schiaffo di ritorno.

«Ti sei tirata indietro perché ti sei accorta che non è lui che vuoi.»

Alla fine gliela morsi, la dannata mano. Gli diedi un morso a denti stretti che lo fece urlare come un mezzosoprano femminile, tanto che Jungkook fece un grugnito di disapprovazione, biascicando una frase di senso incompiuto, mentre pendeva per forza di gravità tutto a sinistra.

«Ma cosa cazzo hai al posto dei denti, delle fauci da baleniere?» Mi urlò quello, tastandosi il punto dolente.
«Non ha senso quello che hai detto!»
«E va bene, come una tigre siberiana della Malesia.»
«No, no, non ha senso quello che hai detto su Hoseok - insomma non è assolutamente come dici tu, stai solo borbottando come tuo solito e no, non provare a guardarmi con quegli occhi da lucertola che hai, solo perché hai capito di amare Jimin non significa che devi diventare il mio nuovo guru di vita non approvato né identificato né certificato, perché io non accetto que-»
Mi bloccai rendendomi conto della faccia che aveva fatto e del preoccupantissimo silenzio che si era venuto a creare dopo aver nominato il nome innominabile. Infatti dalla cucina non proveniva più alcun suono e Jungkook poteva aver captato cose nella sua fase rem.

«Ma sei scema? Cosa urli così?» Sibilò lui, facendo dei movimenti strani di mani.
«Oh senti»
«Sì va bene, non mi atteggio a esperto nel settore, ma sai cosa ti dico? Non me ne frega niente cosa pensi, ho ragione io. Ti conosco come le mie tasche e sapevo, ci avrei scommesso la vita, che se ti fosse capitata quest'occasione adesso avresti rinunciato come il Dalai Lama rinunciò alla pizza col ketchup.»
«Non credo sia attendibile come paragone. E poi - e poi no, mi oppongo alla tua verità.»
«Perché? Che male c'è nella mia verità? Non ti senti più...libera ora che puoi finalmente aprire quegli stupidi occhi?»

Libera. 
Non l'avevo vista per niente in questo modo, non subito per lo meno. Mi ci era voluta una corsa da maratoneta, vederlo aprire la porta, empatizzare con la mia testa per capire che i miei polmoni potevano tornare a respirare, non più contaminati da un'oppressione senza fine. Ma le cose non avevano per forza un lieto fine, anche davanti ad una consapevolezza nuova. A Yoongi quel rischio era andato bene, aveva avuto più coraggio di me di saltare il fosso. Io continuavo a guardare tutto dall'alto, restando ferma. 

«Li avrei aperti, ma-»
«Ma cosa? Cosa c'è ancora che non va nella tua testa?»

Che il tempismo non è il mio forte.

«Minno quando ti ho detto di fare quel dannato passo non era perché volevo che ricambiassi il favore con me. Stiamo parlando di una cosa di cui non voglio parlare. Stranamente oggi penso tu sia fin troppo felice per poter stare zitto, ma guarda un po' a questo punto vorrei avere anche io la mia dose di sapere. Cosa ti ha detto quando gli hai parlato?»
«Non te lo posso dire qui.»
«Jungkook è svenuto da ieri notte, apri 'sta bocca.»

Lo vidi guardare di lato, poi di nuovo me fino ad avvicinare la faccia per avvicinare le labbra al mio orecchio. 
«Mi ha baciato.»

Quando si ritrasse era di nuovo rosso come un fagiolo messicano a dorso libero nel chili. In realtà quella notizia mi rendeva felice, dannatamente felice per loro. Ero riuscita a immaginarli, la sera prima, intenti a dichiararsi amore reciproco, magari con parole condite dall'ubriachezza, più reali e sentite, più graffianti e passionali. Jimin era sempre stato un tentatore provetto nascosto dietro una faccia d'angelo e Yoongi, nonostante quell'aria da presunto ghiacciaio dei Pirenei, faceva bollire fuoco e lava dentro di sé. Quei due insieme potevano solo essere esplosivi, non riuscivo a inquadrarli in altra maniera. D'improvviso battei le mani tra loro.

«Che bella dimostrazione d'amore.» Pigolai come un pulcino.
«Non l'aveva mai fatto di sua spontanea volontà.»
«Che bella dimostrazione d'amore parte due.» Pigolai ancora come il figlio pulcino di un pulcino.
«La smetti?»
«Solo se la smetti tu.»
«Se ti dico queste cose è perché so cosa ti potresti perdere per colpa della tua ottusaggine. Non hai idea di cosa si provi, perché se tu lo sapessi, davvero, non vorresti perdertene neanche un secondo. Ti si contorce lo stomaco, provi una sensazione di calore che è impossibile da definire, talmente nuova e rara che non ti abbandona. Tremi, come un foglia, perché sei invaso da delle emozioni che neanche sapevi che esistessero; e ne vuoi sempre di più, come se fosse la tua eroina, ti senti quasi un tossico, ma non puoi farne a meno. Ti nutre, dico davvero, come niente può fare.»

Ad ogni parola provai una sorta di invidia non indifferente. Era esattamente quello per cui bramavo tanto il mio Hoseok, un tempo. L'idea che esisteva quell'Amore, l'idea che poteva essere mio, che potevo saziarmi con esso e tenerlo ancorato a me. Eppure non appena avevo posato le labbra su di lui, prendendomi qualcosa che non avevo mai avuto, si insinuò qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Quella cosa mi aveva spaventato. Mi aveva rigettato dentro il mio buio. Ma non potevo spiegarlo a Yoongi, non potevo farlo perché lo trovavo ingiusto. Ero di nuovo davanti ad una felicità luminosa e per nessun motivo avrei spento quella luce. 
Non di nuovo.
Non ne potevo più di schiacciare gli interruttori degli altri. 
Così alzai gli occhi al soffitto sperando che i miei nuovi amici ragni cominciassero a sentirsi osservati e mi attaccassero in branco, col rischio di farmi diventare un nuovo Spiderman radioattivo geneticamente modificato. Ma non successe niente. Confidai nell'interruzione da parte di Namjoon ma quello stava palesemente parlando con Monie di come condire la zuppa di pollo. 

«Ho paura di soffrire di nuovo, tutto qui.» Bisbigliai in segreto, spiccicando solo una parvenza del mio pensiero.
«E allora stai ferma qui e patisci per sempre.»
«Non sei di conforto, lo sai?»
«Se ti dico di saltare la devo smettere, se ti dico di stare ferma mi dici che non sono di  conforto. La smetti di essere bipolare in questo modo?»

In realtà le parole erano lì, sulla punta della lingua. C'era il suo nome, quel maledetto nome e la paura che fossi arrivata troppo tardi anche per lui, nonostante quel sentore della notte prima. Mi aveva regalato una parvenza di felicità e me l'aveva tolta, come si farebbe per fare un dispetto ad un cucciolo di labrador. 
Volevo dirlo ad alta voce, ma non riuscivo a farlo. Dalla lezione di Hoseok avevo imparato almeno una cosa, a starmene zitta senza sbandierare i miei sentimenti a nessuno. Quel dolore era meglio tenerlo dentro di me, spegnendolo per conto mio.

«Grazie Minno per cercare di farmi essere una persona migliore, grazie per avermi fatto entrare nella tua testa felice per un attimo, ma questa volta ...voglio solo non pensare, dico davvero. Se una cosa è destino, è destino e succederà. Altrimenti non voglio alimentare niente, voglio solo mangiare ora, leggere questo pastrocchio melenso che hai buttato giù e voglio che Jungkook si svegli perché un essere umano non può dormire per 15 ore consecutive senza andare a fare la pipì.»

Lui non disse niente a questo giro, si limitò ad annuire in silenzio abbozzando un sorriso accondiscendente. Finalmente l'interruzione a quel martirio arrivò forte e chiaro, da parte di Namjoon.

«Ragazzi mi sta chiamando la madre di Junkie, che cosa le dico? Quella donna mi fa paura!» 
«Dille che è scappato in Cambogia con una famiglia circense!» Urlacchiai io, dirigendomi verso la cucina.
«Oppure che si è tatuato in faccia "Uomo di sostanza" e si vergogna a tornare a casa.» S'intromise Yoongi, seguendomi come una faina, mentre ridacchiava da solo.
«O che è stato assunto come un clown-dentista nella comunità vicina.»
«Ma mi spiegate cosa vi fumate voi due?» Si lagnò quello. «Pronto signora? Oh salve, qual buon vento-»

Nessuno s'accorse che Jungkook si svegliò proprio in quel momento decidendo di regalare alla tappezzeria di Yoongi un altro po' di anima interiore. Quel giorno scoprii esattamente quante parolacce conosceva Minno nel suo vocabolario. 








I giorni passarono inesorabili fino a luglio in cui mi buttai nel lavoro più di quanto avrei dovuto e, in quel mese, alcune cose cambiarono drasticamente. 

Emily era ritornata in Inghilterra e sarebbe ritornata solamente a fine Agosto, visto che il matrimonio si sarebbe tenuto in Autunno. Non era del tutto ufficiale ma Hoseok stava cominciando a fare sondaggi di gruppo per scegliere quale data sarebbe convenuta più per tutti. Aveva deciso di andare al servizio militare subito dopo il matrimonio, per motivi insoliti che non gli chiedemmo mai così che Emily, in quel periodo, sarebbe potuta rimanere a Bristol dai suoi.
Non avevano ancora deciso la loro base ufficiale ma la nostra rossa si stava talmente tanto affezionando al nostro stile di vita che sembrava più propensa a rimanere in Corea, si era innamorata di Busan ed eravamo abbastanza speranzosi che avrebbe deciso di trasferirsi lì.

Lo sposino novello, per soppesare la mancanza della sua futura moglie, aveva ripreso a venire a casa nostra ogni volta che poteva. Ero convinta che quel giorno, sul ponte, si fosse creata una muraglia cinese tra di noi e invece, a grande sorpresa per il pubblico, Hoseok tornò ad essere quello che era stato prima di partire, ricalibrando i momenti perduti, inserendosi  nei nostri momenti liberi con la sua indomabile energia. Non si parlò più del suo possibile trasferimento a tempo indeterminato, nessuno gli faceva domande e la cosa stava bene a chiunque, almeno nella nostra facciata superficiale. Alla fine fu proprio lui, con tecniche di persuasione imparate in anni e anni di programmi televisivi,  a far capire a Tae e Yurim che erano fatti l'uno per l'altra e, in effetti, dopo la parentesi Doyun sembravano più uniti che mai.
Avevo paura che avrebbero provato a tenere lontana Yurim dal gruppo, dopo quella sera, ma la cosa si era affievolita dopo una serata da Oishii, rintanando di nuovo negli anfratti la delusione scaturita fuori da un momento di rabbia provvisoria.
A quanto pare, dopo la festa, avevano passato un'intera notte a litigare rabbiosi in preda ad un amore pulsante, così l'aveva descritto lei poco dopo il fattaccio. Avevano parlato di tutto, si erano confidati le paure, le angosce, il motivo per cui l'amore saliva e scendeva a intermittenza come una scala mobile. Passarono una settimana da incubo prima di riprovarci seriamente e, nel mio essere in perenne ansia per la situazione, entrambi mi sembrarono meno immaturi del solito riguardo quel nuovo approccio. 

Jimin passava ogni weekend libero a casa sua, facendo avanti e indietro come un vero pendolare di successo, ma la maggior parte delle volte si intrufolava a casa nostra per stare con Yoongi. 
Non ero sicura che gli altri avessero capito cosa ci fosse tra loro ma Namjoon, una volta, gli aveva lasciato casa libera per un giorno intero. Sicuro qualcosa aveva captato con quella sua testolina intelligente e, con sua solita discrezione, non aveva mai detto nulla a riguardo. 

Jungkook era un'anima euforica. Dopo, quella che pensavo io, essere la sua prima vera sbronza importante e senza effetti sulla sua psiche, aveva deciso che quella vita faceva per lui e si era prodigato nella missione di prevenzione del nostro invecchiamento precoce. Scovava ogni festa, ogni evento, ogni fiera, ogni avvenimento per trascinarci fuori casa e toglierci di dosso la routine del giorno.

Sembrava tornato tutto alla normalità, tra disguidi altalenanti, risate sguaiate e momenti di sostenimento profondo, se non fosse che la bilancia non equilibrava mai il tutto, come una legge di contrappasso, o come una delle teorie dello scienziatissimo Min Herbert, un mezzo coreanglosassone, che esponeva: "Se va tutto bene nella tua vita che divertimento c'è?", amico intimissimo del mio guru esistenziale, per cui speravo facessero un best seller letterario collaborativo un giorno.
Bellissima domanda a cui nessun essero umano poteva dare risposta, il suo teorema era praticamente il mio motto di vita in quel periodo così che finii per abituarmici.

Per quanto il mio vecchio amico Hoseok mi era mancato incredibilmente, in quel periodo, c'era qualcun'altro che mi aveva lasciato un vuoto che non riuscivo a colmare con nulla.

Jin era praticamente sparito. Non che non uscisse più con noi, compariva come un'ombra, era distaccato, ogni volta che provavo a contattarlo mi ricopriva di scuse sul fatto che stava criticando riviste sulle dinamiche  sociali delle comunità locali della Caledonia e mi abbandonava a me stessa per giorni. 
Yurim era convinta che si fosse trovato una ragazza e che ora non avesse più tempo per noi e io, da brava paranoica, non facevo altro che pensare all'ultima volta in cui ero riuscita a stare da sola con lui.

A quella ragazza. A lui. A lei. 

Non ero riuscita a raccontarlo neanche a lei, non potevo assolutamente sentirmi dire che allora senzadubbiozioni era così. Avevo detto addio a Hoseok, non potevo dire addio a Jin. Non ci riuscivo, neanche se la paura di tenerlo lì in uno stallo infinito mi spaventava come niente al mondo. Nel cuore della notte mi ritrovavo interi poemi salvati sulle note del telefono, pronta a distruggere la mia dignità e mandarglieli. Ma c'era sempre qualcosa che mi bloccava, neanche se ripensavo al fatto che Yoongi era la prova vivente che vivere nell'ombra fa più male che bene e quanto, tutto il suo discorso, continuava a filare liscio e senza intoppi dentro il mio cervello.

Perché non mi cercava lui? Perché ogni volta che provavo a parlargli, a vederlo, si rifiutava? Quale universo misterioso si chiudeva in quel cervello? Potevo fare il primo passo fino ad un certo punto ma lui continuava ad indietreggiare e io mi ero stancata di correre dietro ai sentieri degli altri. Ma mi mancava, era un vuoto che stava diventando sempre più insormontabile. Stava cominciando a diventare visibile anche nella mia vita sociale, per colpa della mia propensione a non saperlo nascondere neanche dopo ore e ore di prove di lifting facciale, tanto che addirittura la mia capa se ne accorse.


«Problemi di uomini?»
Tirai su la faccia dall'ennesimo bozzo, guardandola con aria stranita.
«Eh?»
«I tuoi colleghi sono preoccupati, sono giorni che hai la sindrome del bradipo e stai continuando a bere il caffè dalle macchinette.»
«No ma cosa dici, non è cos-»
«Sì, vuoi avvelenarti. Ti capitava spesso quando ti straziavi per il tuo amico. Vuoi che ti  compro i cetriolini per aiutarti in quest'impresa?»
Forse le avevo raccontato troppe cose riguardo le sostanze che usavo per dare fine alla mia esistenza, ma almeno potevo usarlo come deterrente.
«Ho una grande notizia per tirarti su di morale: per domani sera hanno prenotato per fare il meeting lavorativo di fine stagione, prima che Yohu e Hyeng partono per le vacanze. Ci saranno i capi grossi... ti prego non fare quella faccia, lo so che odi quei posti ma ci tocca e poi è un ottimo modo per ritrovare la vitalità persa. Puoi portare qualcuno, se ti va, non so magari il tuo amico Namjoon.»

I meeting lavorativi non erano altro che serate come quelle che capitavano almeno una volta a settimana, dopo il lavoro, solo che in grande stile. Si andava a cena, ci si ubriacava, c'erano tradimenti e flirtamenti degni del miglior film hard degli anni 50 e poi ognuno a casa propria con in corpo più alcol che sangue. Il grande stile consisteva in un posto più lussuoso, accompagnatrici, colleghi stranieri e i grandi capi senza freni inibitori. Ad andare ad un funerale mi sarei divertita di più.

«Invitalo tu, scusa.»
«Forse potrei averlo già fatto.»
A quanto pare tra i due si stava innescando qualcosa ma Namjoon non mi parlava della mia capa, credo per rispetto, così non avevo idea in quale fase della tresca fosse evoluta quella relazione. Non pensavo fossero andati oltre i semplici appuntamenti da bar. Se conoscevo bene Namjoon stava andando coi piedi di piombo impiombati di altro piombo.

«E' proprio un ragazzo brillante.»
«Sì lo è.» 
Avrei voluto aggiungere delle postille, che includevano delle semi-minacce in caso di sofferenza, ma poi optai che non erano affari miei in fondo e decisi solamente di scoperchiare un tassello di confidenza in più. 
«Non è che hai un marito segreto e non ce lo ha mai detto, vero?»
Lei cascò dalle nuvole per un secondo, cambiando espressione. C'erano due opzioni: o si sarebbe messa a ridere dandomi della stupida o mi avrebbe licenziata come ti permetti io sono più vecchia ti paiono domande da farmi.
Per fortuna la mia capa era una tipa tosta, si mise a ridere, dandomi della cretina cosmica, forse un po' più colorita ma non mi offesi.

«Ma che marito nascosto, ma mi ci vedi? Sposata? Con dei marmocchi? Ho ancora intenzione di divertirmi, poi chi lo sa cosa succederà ma non ci voglio pensare ora. So  che per la vostra società sono già un rottame da buttare nella differenziata, ma nella mia terra sono ancora nel fiore degli anni.»
Sorrisi altamente d'accordo con lei. In effetti non era vista di buon occhio, dalle colleghe e dalle donne più mature, visto che aveva deciso di dedicare la sua intera vita alla carriera e ad uno stile più frullallero rispetto ai canoni femminili coreani, ma non aveva paura dei giudizi e, grazie a lei, molte volte riuscivo a ritrovare il mio spazio dignitoso in mezzo al mio paradosso sociale. 
Io non ero ancora considerata troppo vecchia per non essere sposata, ma di gran lunga era strano che fossi single: per rispetto verso Agnes nessuno però faceva allusioni e la cosa mi aveva salvata involontariamente.
Intanto una sveglia dagli altoparlanti annunciava l'ora di fine turno; era una specie di  trillo per ricordarci che, da quel momento in poi, se decidevamo di restare a lavorare non saremmo stati pagati. Una vera gioia, insomma.
«Posso venire già ubriaca, nel caso?»
«Questo comporterebbe bere già da qui e la risposta è no. A meno che io non me ne accorga.»

Ringraziai mentalmente Agnes prima di prendere le mie robe, arrotolare nuovi disegni e nasconderli nella borsa. 
Non avevo voglia di rimanere un'altra ora per finire un'impaginazione, così la salutai e mi diressi verso casa.

A quel punto iniziai anche io una gratificante ricerca di un accompagnatore per la serata del giorno dopo, decidendo di tornare a casa a piedi. Erano quasi le sette, era il penultimo giorno di Luglio e faceva un caldo da far sciogliere i sassi. Pensando ai sassi provai subito ad accalappiare la prima persona che mi avrebbe risposto di no, pregai nella buona sorte dell'amore che fa sciogliere i cuori più forti e blablabla

«Minno proposta, se ti ripago il costo dei biglietti per i Foo Fighters, mi accompagni ad una cena di lavoro domani?»
«Neanche se mi paghi la sezione VIP con tanto di meet&greet e CD autografato con dedica personale e videomessaggio da parte di Dave dove dice che mi stima come persona.»

Sorpassai la zona del parco, imbucandomi in una stradina che io chiamavo: il vicolo della gola profonda. Non era un aizzante strada a luci rosse, ma un percorso imbastito di chioschi e ristoranti tipici sempre pieno di gente, di odori e di colori che mi mettevano di buon umore. Avrei allungato la strada per di lì ma adoravo farmi avvolgere dai fumi del cibo, aumentava il mio appetito. Provai la mia opzione numero due.

«Ho una proposta per te, se mi accompagni ad una cena lavorativa domani sera ti compro quelle mutande di Gucci che stai bramando da una vita.»
«Ti risponderò con una sola parola che dovrebbe farti capire tutto senza bisogno di spiegazioni: Yurim.»

La mia mente già lo prevedeva, se avessi portato Tae non ero sicura che sarebbe tornato a casa illibato, allora provai la seconda carta.
«Visto che so che Yurim è lì di fianco anche a te che ti fissa come un chiurlo dal becco a spazzola, le chiedi se viene lei giusto per dare scalpore?»
«In mezzo ai quei depravati dei tuoi colleghi? Non penso proprio.»

Maledì mentalmente la loro gelosia ultra-potenziata e cominciai ad immergermi lungo uno stradone più residenziale, dove svettavano alcune casette a schiera abbellite da dei piccoli alberi che sfioravano i tetti. Intanto la luce era un po' più bassa e alcuni bambini della zona stavano giocando per strada, contaminando quel silenzio con degli schiamazzi infantili.

«Ehi Chimmo, hai piani per domani sera? C'è questa festa organizzata dal mio lavoro pazzesca, si mangia un sacco e c'è il karaoke. Che ne dici di venire con me?»
Visto che i  cambi di favore non funzionavano, tanto valeva provare con una mezza verità, infarcita di colorita menzogna. Sul fattore cibo non mentivo almeno, mi sembrava la parte più importante da sottolineare.

«Cuoricina non posso domani sera, sennò sarei venuto volentieri. Vado al cinema con Yoongi e Jungkook, a vedere un documentario sulla vita dei pinguini e sulla loro emigrazione di massa.»
Niente, due in un colpo solo. Mi mancavano due persone, le uniche due che avevo lasciato volutamente per ultime. Non avevo nessuna voglia di andare da sola, vedere la mia capa flirtare con Namjoon e sorbirmi pipponi aristocratici dai grandi capi, fingendo che tutto quello che dicevano fosse divertente. 

Mi venne da pensare alle false risate che propinavamo a Jin quando si cimentava con quelle sue barzellette senza tempo e provai un brutto magone allo stomaco. Intanto ero arrivata vicino alla sua Università, presi un profondo respiro mentre guardavo il grande spazio erboso che si apriva lungo l'ingresso, mi chiesi cosa stesse facendo in quel momento  così presi il telefono. 

Ma non scrissi prima a lui.

«Hobi-Wan, dimmi che domani sera hai voglia di salvarmi da una cena massacrante di lavoro. Sarà pieno di gente, avrei proprio bisogno della tua euforia per passare la serata.»
Puntai sul salvataggio, di solito Hoseok si cimentava in quegli attacchi eroici. Non era proprio l'idea più magnifica dell'universo chiedere al mio ex-amore di farmi da accompagnatore ma stavo cominciando a essere disperata.

«Ah, cavolo Seo, sai che sarei venuto a salvarti senza neanche un cenno di paura ma domani sono dalla nonna, a Gwangju, non riuscirò mai a fare in tempo. Perché non la spostate per domenica?»
«Dipendesse da me boicotterei queste cene per l'eternità.»
«Dai che ti divertirai sicuramente, salutami Agnuska.»

Ero quasi arrivata davanti casa e mi fermai sotto il portone, cominciando a sentire il pollice in cancrena per tutti quei messaggi. Era il momento di Jin, la famosa prova del nove. In tempi passati sarebbe stata la mia prima richiesta di aiuto, lui amava follemente quei momenti. Non tanto per il livello di vergogna che trapelava ad ogni shottino ubriaco, quanto più nel vedermi in vesti di dipendente rispettosa delle alte autorità. Lo faceva sbellicare dalle risate, ma questo nel dopo-tortura. Durante la cena era sempre impeccabile, una volta gli avevano addirittura offerto un posto di lavoro, tanto aveva convinto i superiori.

Ero nervosa, talmente tanto che mi sudavano le mani e non era per colpa dei seicento gradi che percepivo in quel momento. Era Jin dall'alto dei cieli che m tormentava, perché Hoseok non aveva già fatto abbastanza in passato a quanto pare. Persino aveva perso le ultime due lezioni di ballo di coppia, non presentandosi e accampando scuse sul fatto che avevano trovato reperti oceanici pacifici a cui doveva fare ricerca immediata. Forse non erano propriamente scuse ma la sua euforia nello studio doveva per forza aumentare adesso? 

«Ehi, eh - ciao. Senti so che sei molto impegnato in questo periodo ma ...ecco, domani sera c'è una delle tue attività preferite, ossia quella di deridere la mia facoltà a non essere minimamente presentabile in pubblico, meeting lussuoso di fine stagione con tanto cibo, karaoke, in più tutto squisitamente pagato dalla mia azienda. Se ti va di venire fammelo sapere, ultimamente non ci stiamo vedendo molto, hai bisogno di staccare anche tu la spina e- »

Lo stavo per scrivere, quel dannato "mi manchi da morire", ma no, mi bloccai prima, aspettai di invecchiare trent'anni e inviai il messaggio. E poi rimasi come una pazza psicopatica a guardare lo schermo. Non lo facevo mai, mai. Odiavo chi visualizzava subito, in realtà, per una questione di ansia-report indotta da Yurim, la quale viveva col telefono in mano e nel quale confidava in una risposta sempre celere e secondiniana. A tal proposito io avevo contratto la malattia del: ti rispondo quando mi ricordo, così lei si era placata.
Ma ora il virus si stava diffondendo, a quanto pare in quelle circostanze mi ammalavo anche io di quella malattia, così che rimasi con la luce dello schermo a farmi da luce abbronzante.

Cinque minuti.
Dieci minuti.
Quindici minuti.

Mi passarono di fronte almeno una ventina di persone in quel lasso di tempo, ero convinta che una signora avesse addirittura sospirato. Forse rimembrando i suoi percorsi giovanili quando non esistevano i messaggini ma stavi ore a guardare la finestra del ragazzo che ti piaceva come una stalker professionista d'alto grado.
Ma Jin non era il ragazzo che mi piaceva.
Lui era 
Lui era 

Lo schermò si illuminò e trillò un verso di elefante, un nuovo messaggio da parte di Jin-chala, suo nome personale sul mio telefono.

«Va bene, ci sarò. A che ora?»

Oh no.
Non ero pronta. Perché non aveva rifiutato come tutti gli altri? E ora che mi potevo inventare?
No, scusa non ti voglio più vedere perché non so come comportarmi con te, perché mi fai sentire inadeguata, perché probabilmente hai una ragazza e forse vi lascerete o vi sposerete e io non posso rivivere questa situazione ancora, faccio prima a farmi investire da questo bellissimo calessi che sta passando ora davanti a me, tutto impiumato e con uno strano vecchietto che canta a squarciagola.

Stavo divagando, mi ritrovai a scrivergli velocemente che l'incontro era alle 7, gli diedi l'indirizzo del posto con tanto di mappa geografica e punto cerchiato del luogo esatto. Lui mi rispose solo un "grazie" e "buonanotte".
Buonanotte alle sette di sera era un po' presto anche per lui, forse Jungkook aveva ragione sul suo lato da nonno. 
Per la prima volta nella mia carriera lavorativa, non vedevo l'ora che quel degenero post-lavorativo arrivasse il prima possibile.








NDA: eeeebuonsalve, 'sto capitolo non lo so, non me piasa molto perché è tipo un pezzo di trasinzione, però ho dovuto dare un momento  di gioia innamorativa (?) a Yoongi perché mi sentivo in dovere di farlo. In tutto ciò ho fatto passare tempo perché sì, so che certe questioni non le ho "approfondite" a dovere ma diamo tempo al tempo. Ah, sì,  ho deciso che Yoongi è un fan dei Foo Fighters come me, probabilmente nella vita vera manco saprà chi sono ma fatemi sperare y-y Scusate per l'assenza di Jinno ma giuro che nel prossimo capitolo sarà tipo super protagonista (?) indiscusso. E niente, vi ringrazio sempre per seguirmi, leggermi e recensirmi, non mi stancherò mai di dirvelo all'infinito fino alla nausea <3 sempre e per sempre.
p.s. perdonami Jungkook per aver deciso di darti alla vita alcolizzata ma mi fa ridere il pensiero v.v 

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Capitolo 14
*** Lui era ***


  
14 ~ Lui era
 
 
ㅇㅅㅇ




 
Come ogni donna che si rispetti avevo deciso di dare un senso alla mia ennesima nottata insonne.
Mi ero ritrovata davanti allo specchio a guardare la mia immagine riflessa, con un paio di forbici in una mano e una strana tintura per capelli dall'altra. Sapevo che si trattava di uno dei tanti tubicini che Namjoon si divertiva a mischiare per impiastricciarsi le ciocche quando decideva che fare la persona seria non valeva la pena.
Ero riuscita a ricreare un colore lilla-grigio-cenere-suora degna di nota ma non ero sicura che sarebbe stata un'ottima risposta al mio io interiore.
Monie mi osservava seduto nello spazio doccia con il tipico sguardo di compatimento canino, la lingua di fuori e l'occhio critico di chi stava dicendo che la tua vita faceva già schifo abbastanza, non c'era bisogno di rovinare anche la tua immagine esteriore.

Decisi che aveva ragione lui, così lasciai la tinta nel dimeticatoio ma cominciai a tagliare via strati di capelli.
Ero un cosplay perfetto e nostalgico di Mulan, provai a imbastire le stesse espressioni mentre lasciavo cadere ciocche di crine dentro il lavandino. Non avevo mai avuto i capelli particolarmente lunghi, ma erano cresciuti abbastanza per permettere alla gente di notare un cambiamento. Dopo svariati improperi, calcoli millimetrici e video su youtube sulle tecniche giuste per non fare un disastro ero riuscita a creare una parvenza di taglio più o meno decente.

I capelli a caschetto non mi facevano sembrare un fungo, come mi sarei aspettata, per via dell'innaturale ondeggiamento genetico che avevo, e dopo attimi di analisi decisi che quell'aria mi faceva sembrare più punk, allontanando con quella sferzata di novità la mia aria ormai attempata. Mi sentivo più fresca, più leggera e decisamente più pronta ad affrontare la vita. Probabilmente a parlare, dentro il mio cervello, era solo il sonno che chiedeva pietà ma decisi che era un buon punto per iniziare. Per ringraziare il mio fido voyeour decisi di fargli fare un'uscita notturna extra, portandolo in uno dei suoi parchetti preferiti, sotto casa.

L'aria della notte era qualcosa che mi piaceva particolarmente. Non c'era anima viva in giro, la città era silenziosa ma, di tanto in tanto, notavo qualche essere umano respirare quella solitudine insieme a me. Qualche lavoratore sfuggito all'ovile, qualche vecchietto in pensione con troppa  voglia di fare, qualche innamorato che non riusciva a lasciarsi andare alla notte. 
Lasciai libero Monie di scodinzolare e contaminare qualche aiuola, mentre io rimasi dentro il parco dello stabile a guardare il cielo che si schiariva, pensando a quanto quell'estate stava cambiando ogni cosa certa della mia vita.

Abbandonai i pensieri molesti, lasciai indietro il magone, la nostalgia, il dolore e provai a sentire il famoso senso di libertà che Yoongi aveva cominciato a predicare con tanta foga, ormai adepto di questa nuova setta. L'aria  fresca mi carezzava la pelle e ora sentivo molte più vibrazioni alla base del collo, donandomi una pace imposta più sentita e invasiva. 
Ma fermare la mente era impossibile, anche in quei casi, così che cercai di comandarla come meglio potevo. Chiusi gli occhi e provai a immaginare di nuovo la mia realtà illusoria, l'unica nella quale potevo sguazzare dentro senza sbattere contro dossi, iceberg o donne sconosciute.

Vidi Namjoon e Agnes, davanti a me, seduti su un tavolo di una caffetteria organica a parlare come due adolescenti, a ridere. Ridere molto. Allungare le mani per sfiorarsi, per sentire di nuovo qualcosa.
Vidi Yoongi e Jimin, spintonarsi e riacchiapparsi, lungo la stradina di una ferrovia abbandonata. Si rincorrevano, insultandosi, per poi saltarsi addosso, stringersi i capelli, scivolare a terra e darsi un bacio rapido, prima di rifarlo ancora e ancora.
Vidi Taehyung e Yurim, a bordo piscina, mentre lui la spingeva sott'acqua, stringendole le gambe, poi la faccia, creandole espressioni più che buffe, baciarla in continuazione mentre i suoi capelli lunghi lo avvolgevano come una spirale di fuoco.
Vidi Jungkook ancora libero, ancora in preda ai deliri della sua giovinezza, ubriaco di risate e di amicizie, pronto a prenderci in giro per ogni cosa, salterino nel posto adibito per lui da ognuno di noi.
Vidi Hoseok e Emily all'altare, mentre si scambiavano le promesse, davanti alle lacrime di tutti, ma soli nel loro infinito viaggio. Chiusi nella loro personale storia, dove nessuno poteva entrare, dove tutto sarebbe rimasto, tagliando via le differenze  sociali, la distanza, le paure. Amandosi davanti a tutto quello.

Mi bloccai, deglutendo a vuoto, mentre potevo sentire Monie inseguire animali di dubbia natura intorno alle altalene per i bambini.
Ero riuscita a rimanere calma, stoica e sognatrice. 
Ma lui stava sgomitando prepotente, distruggendo l'ultima immagine di un Hoseok che sorrideva verso Emily, prima di piazzarsi davanti ai miei occhi, con la mano tesa verso di me e un sorriso pieno.

E finalmente mi vidi, che prendevo la sua mano, che mi lasciavo trascinare nella pista da ballo illuminata da luci a intermittenza, mentre tentava di stringermi la schiena, avvicinandomi a lui. Mi aveva infilato un fiore tra i capelli, mi aveva dato uno sbuffo sul naso, mi aveva donato uno sguardo così dolce da distruggere anche il cuore più roccioso.

Aprii di scatto gli occhi scacciando via quell'immagine, mentre mi tastavo lo sterno in preda ad un battito cardiaco troppo accelerato. Cercai urgentemente Monie che aveva deciso di scavarsi la fossa da solo, forse pensando che avessi deciso di dare fine alla mia esistenza per poter evadere indisturbato, ma non appena lo richiamai corse subito da me.

Era stato un attimo. 
Era ritornata prepotente la sensazione che avevo sentito la sera in cui Jin aveva bussato alla mia porta, di notte, svegliandomi dal mio eterno sonnambulismo. Non l'avevo detto a Minno quel giorno, ma forse avevo davvero sentito qualcosa. La famosa sensazione mai provata prima, ma non potevo alimentarla solo tramite la mia fantasia. Non era giusto, sarei ricaduta di nuovo nel tranello del diavolo, rifugiandomi in una realtà tutta mia, lasciando scorrere la vita vera senza fare niente.

Però avevo lasciato la porta sempre aperta, questo me lo dovevo in fondo.

Decisi che era tempo di smetterla di stare ferma sugli allori, così tornai a casa e finalmente riuscii a dormire le mie ben tre ore di sonno ristoratore.

Il giorno dopo filò via con la velocità ad improbabilità infinita.
Grazie alla magnifica predisposizione a notare i dettagli, nessuno dei miei coinquilini notò la differenza del mio nuovo look di capelli, almeno non nelle prime tre ore. Non la presi troppo sul personale, in fondo avevo rinunciato alla tintura, probabilmente avrei fatto più effetto sfoggiando quella bellissima chioma argentea sirena degli abissi. Mandai giusto una foto a Yurim durante il pomeriggio, che mi rispose solo un "RIP" che poteva avere tanti significati, mentre la mia capa mi riempì di complimenti dicendomi che sembravo più giovane. Non so quanto fosse un complimento in effetti, ma non potevo fare la schizzinosa.

La sera arrivò talmente prepotente che ero pronta a boicottare tutto, colta dalla mia solita paura di un'uscita così maestosa. Grazie a Buddha, avevo un Namjoon come sostenitore particolarmente prestante quella sera, tanto che, dopo almeno seicento cambiamenti d'abiti, mi convinse ad accettare la nostra magnificenza, cimentandoci in rispettabilissime mosse da top model davanti allo specchio, per pregustarci quel modo classic-elegante in cui avevamo deciso di infiltrarci. 

Sembravamo due agenti di man in black, o due becchini a seconda dei punti di vista, entrambi vestiti di nero, lui con gli occhiali da sole e io con un fiocco a cappio sul colletto della camicia. Yoongi e Jimin ci guardavano con aria divertita, mentre quest'ultimo ci scattava foto come un vero paparazzo, chiedendoci anche di metterci in posa.
«Ragazzi ma siete proprio sicuri di volervi mostrare in pubblico così?»
«Ah piantala Yoongi, siamo bellissimi.» Si lagnò Namjoon, passandosi una mano tra i capelli gellati all'indietro.
La mia capa sarebbe morta vedendolo in quelle vesti, ne ero sicura.
«Ah bè-»
«Dai Yuki» captai il nomignolo  che Jimin diede a Yoongi come una vera gossippara di tabloid «non fare il solito, sappiamo che sei solo invidioso perché vorresti andare con loro.»
«Non penso proprio.»
«Ma non dovevate andare al cinema voi due?» Dissi io, lisciandomi la gonna stretta.
Per l'occasione avevo messo un paio di sandali con mezzo tacco, un evento raro. Speravo di spaccarmi le caviglie e dover rinunciare, ma scoprii di essere un'equilibrista discreta. Yurim sarebbe stata particolarmente fiera di me, per quello.
«Sì, aspettiamo che arrivi Jungkook.»
«Scommetto che il film l'ha scelto Yoongi, eh?» Fece Namjoon, ridendo, mentre mi sistemava il colletto, ormai in fase da sarto.
«Oh senti, non possiamo sempre vedere i prodotti commercializzati dalle multinazionali.»
«Sì ma quando è il tuo sempre? Se ti vai a vedere "Star Wars" mica muori.»
«Non nominatelo, vi prego. L'ha già visto, ha già litigato con chiunque in sette forum diversi per il finale. Non riapriamo vecchie ferite.» Allarmò Jimin, sventolando le mani.
Yoongi non commentò, si limitò a girare gli occhi al cielo prima di rubare la macchina fotografica di Jimin con una mossa e farci una foto.
«Fate una faccia brutta.»

Sia io che Namjoon sperimentammo smorfie altolocate e fiere, con piegamenti di braccia e gambe che nessun contorsionista poteva invidiarci, prima di sentire il suono di un citofono che ci fece sobbalzare, ridandoci la dignità perduta. Io mi guardai un'ultima volta allo specchio, il mio animo così ondeggiante era nascosto sotto chili di angoscia interiore. Non mi piacevo per niente, avevo messo troppo rossetto, troppa matita nera, troppa faccia, troppa pelle, troppo tutto, ma ormai non potevo tirarmi indietro e, di certo, non potevo confidare nella caduta di un meteorite sopra il ristorante, mi sarei sentita un po' troppo in colpa. 

Namjoon si ammirò nella sua sicurezza ancora una volta, prima di afferrarmi un polso, guardandomi con occhi sottili. Studiai la sua faccia come una vera ricercatrice, invidiai per un secondo quel suo fascino genetico, tanto che mi sentii una nutria spastica davanti a lui.
«Regola numero uno?»
«Non vomitare sulla macchina di Agnes?»
«No, te l'ho detto mille volte, dai.»
«Se mi fai questo segno» feci un occhiolino un po' troppo sentito, schiacciando mezza faccia «vuol dire che devo tornare a casa in taxi.»
«Uoh, che altarini ragazzi, sul serio?» Disse Jimin, guardandoci con occhi a palla.
«Nam ma perché ti scegli sempre le vecchie?» Continuò Yoongi.
«Ma non è mica vecchi- oh ma allora, non era questa la regola.» Si lagnò Namjoon.
«Sai che a lui piacciono mature.» Continuai io, guardando gli altri due, con aria colta.
«Ecco perché arrossiva sempre quando la signora Soki gli portava i volantini della chiesa!» Continuò Jimin.
«Esatto; se non hanno almeno sette rughe per occhio non vanno bene.»
«Eh l'esperienza, fa gola.» Continuò Yoongi.
«Ma la piantate? Dobbiamo davvero cominciare il discorso sui gusti personali di tutti i presenti in questa stanza?»
Con quella tecnica ci fece zittire tutti. 
«La regola numero uno è: divertiamoci. Qualsiasi cosa accada, promettimelo.» Continuò lui dandomi una pacca spacca clavicola.
Feci un sospiro, abbozzando poi un sorriso a mille denti, arricciando tutto il naso.
«E va bene Nam-hyung» dissi io, alzando un pollice «prometto che ci divertiremo come non mai, ma ti prego non farmi licenziare.»
«Ci penserai tu stessa a farlo.» Prendendomi per le spalle, con quella velata minaccia di perdita di lavoro, indicò gli altri due con un indice minaccioso. 
«Se tornate prima di noi non fate ubriacare Jungkook, ve ne prego. Su quel divano non possiamo più sederci.»
«Pure camera mia è stata contaminata, vorrei ricordarlo.» Continuò Yoongi.
«Motivo in più per non farlo bere.»
Mi sentii responsabile di quella sorte quindi non dissi niente.
«Sì va bene capo-branco. Divertitevi. Ah mi raccomando non spezzare il cuore a quella povera donna col tuo sauver foir.» Rispose Yoongi, puntandoci addosso un dito a canne mozze. «E Seo, ti curo, mi raccomando.»
La seconda velata minaccia da parte di Yoongi mi  fece uscire dalla stanza un po' frastornata, ma con una grinta un po' più vitale.

Al citofono era Agnuska, era venuta a prenderci entrambi con un macchinone che sembrava una nave spaziale ad alto costo. Sicuramente l'aveva affittata per l'occasione. Non appena vide Namjoon Sentii un poco decoroso sospiro di feromoni, la cosa mi provocò un senso di vergogna estrema tanto che mi gettai in macchina e aspettai che loro finissero i loro convenevoli su quanto fossero belli ed eleganti e svariate parlantine da intellettuali.
In macchina aleggiava una musica soft, di un qualche cantante coreano in piena crisi d'amore, giusto per alleggerire quel momento.

Seoul di sera era un posto ancora più magico, amavo guardarla sfrecciare dal finestrino, che fosse di una macchina o di un treno, mentre le luci la rendevano viva e i rumori erano più meccanici e l'aria più fresca. Era un tripudio di insegne e di gente ebbra di vita, tolte le vesti da lavoratori e studenti, si trasformava in una vera e propria casa dei balocchi. Le persone erano più felici, le coppie erano più innamorate e le famiglie erano più unite.
Mi convinsi che aggrapparmi a quel pensiero sarebbe stato il miglior metodo possibile per superare quel nervosismo crescente e mentre quei due parlavano di tutto e di più, io chiusi gli occhi provando a riprendere il controllo.

La macchina si fermò davanti ad un grande palazzo, un grattacielo con almeno settecento piani. Il nostro ristorante era là sopra, da qualche parte, con una delle migliori viste che potevi avere di Seul. Non tutti i piani erano illuminati, ma delle insegne indicavano che lì erano presenti almeno tre ristoranti, un cinema e anche stanze da affittare. 
C'era un gruppo di gente ad attenderci, alcuni miei colleghi, altri che non avevo mai visti, clienti stranieri e i grandi capi del monte, alcuni avevano portato mogli, mariti e fidanzati. Altri erano già pronti ad un cuccamento estremo, visto il livello di colonia che aleggiava sulle nostre teste. 
Salutammo tutti con vigoroso rispetto, mentre aspettavamo gli ultimi giunti.

«Tesoro, il tuo accompagnatore? Non dirmi che alla fine non hai invitato nessuno?»
«No-no è che, si perde sempre, è in ritardo sicuro.»
Jin in ritardo era uno dei motivi per  cui non mi stavo allarmando, anche se in realtà la mia calma superficiale stava urlando in ottomano dentro di me. Namjoon se ne accorse e mi diede una gomitata, prendendo il telefono.
«Lo chiamo se vuoi.»
«Sì, così lo fai arrivare al confine. Hai il senso dell'orientamento peggiore di tutti.»
«Che crudele che sei.» Si lagnò lui, sghignazzando. 
Non volevo già sottolineare i suoi difetti davanti alla mia capa ma era risaputo che Namjoon aveva bisogno di mappe spaziali per arrivare nei posti; una volta lui e Jin decisero di visitare un Tempio nella città di  Gyeongju , non so come arrivarono a Yongin che aveva circa ben 230 chilometri di differenza. Non ci fu mai spiegato come avessero fatto, ma alla fine visitarono una casa di bambole di stoffa, portandosi a casa dei souvenir inquietanti.

«Oh Seo con un uomo? E che è successo? Cascato il mondo?» Hyun Ki Bin ci si affiancò, prendendomi in giro.
«È provato che il cambiamento climatico è solo colpa mia, infatti.» Dissi io, cercando di ridere.
«Ti sorprenderà sapere quanti sessi maschili gironzolano intorno a lei.» Namjoon provò ad aiutarmi, sorridendomi, ma io lo fulminai con uno sguardo allarmato.
Hyun Ki Bin sgranò gli occhi. Agnes fece un colpo di tosse mascherato da risata, o viceversa.
Namjoon s'accorse dell'uscita infelice, grattandosi la nuca.
«Non intendevo in quel...senso, forse mi sono spiegato male.»
«Ah davvero?» Pigolai io, piena di vergogna. 
«Oh ragazzi, Seoyun è una ragazza che non ha bisogno di sentirsi sovrastata da un patriarcato che la obbliga a insidiarsi in una società che la vuole perennemente al fianco di una figura maschile per darsi un valore.»

Agnes mi diede una stretta sulle spalle, da vera donna rivoluzionaria, facendomi fare un sorriso più ristoratore. Il mio collega sembrava non aver capito una parola. Namjoon aveva lo sguardo di chi si era appena innamorato, mentre io la guardavo con aria grata e fiera. Ero davvero fortunata ad avere lei nella mia scala meritocratica; per quanto avevo lasciato al mio cuore la libertà di comandarmi il più delle volte, non mi ero mai sentita inferiore rispetto alle mie amiche accoppiate. 
Ed ero sicura che la sua influenza contasse molto in questo. 
Namjoon poteva benissimo dimenticare la sua dentista, Agnes avrebbe battuto chiunque.

«Sì ma quindi, 'sto ragazzo dov'è?» Riprese Ki Bin.
Ki Bin mi riportò alla realtà dei fatti piuttosto velocemente.
Quasi venti minuti di ritardo. Qualsiasi persona normale avrebbe alzato il telefono e chiamato ma non potevo, sarei sembrata una disperata. Il fatto che lo fossi sul serio non doveva trovare solide radici.

«Stanno cominciando a salire, è meglio andare o cominceranno a mangiare senza di noi.» Disse il mio collega, facendomi impanicare il triplo.
«S-sì, magari gli dico che siamo già al ristorante, avrà trovato traffico.» Balbettai io mentre sfilai accanto a Namjoon. 
Quello mi prese per un braccio, guardandomi con un'aria compatita.

Accidenti, perché non riuscivo a nascondere la delusione? Non volevo che si rovinasse la serata per stare dietro a me. 
«Sto bene, tranquillo. Lo dovevo immaginare -»
«Stasera farò il karaoke, deciso.» Ammise lui, facendomi stranire. Mi misi a ridere, immaginando la meravigliosa scena, mentre annuivo.
«Sai che potresti casualmente finire in un video sulla chat di gruppo?»
«Ne sono consapevole,ma potrei sempre ricattarti per non farlo.»
«Non hai le basi per farlo.»
«Scommettiamo? Tazza del lama.»
La tazza del lama era stato un regalo di Jimin, l'unica vera tazza della mia vita, la usavo per ogni bevanda esistente. Avevo minacciato di morte Namjoon nel caso avesse solo anche pensato di rompermela, involontariamente o no. 
«Non osare, maledetto.»


Stavo quasi per entrare dietro la fila di gente quando Agnuska mi fermò per un braccio, guardando un punto dietro di me. 
«Credo che il tuo principe sia arrivato, bellezza.» Mi sussurrò all'orecchio mentre mi voltavo giusto in tempo per vedere Jin correre verso di noi.

Non lo vedevo da quasi tre settimane ormai, abituata com'ero a vederlo tutti i giorni, mi sembrò di avere una visione. Aveva un completo nero anche lui, non so perché mi meravigliavo essendo un completo tipico per quelle cene, e una camicia azzurrina. Era un po' spettinato per la corsa e non appena ci vide, sfoderò un sorriso enorme. Lo feci ache io, evidentemente, perché non riuscivo a controllare i miei muscoli facciali in quel momento.

«Aaaaah, scusate il ritardo, il taxista mi stava parlando dei problemi con sua moglie che vuole trasferirsi dalla suocera, non mi lasciava più andare. Avevo paura di non fare in tempo.»

Si inchinò davanti agli altri, alcuni lo riconobbero e subito ci furono saluti rispettosi assoli di nomi. Lo guardavo, nella mia profonda analisi interiore, constatando che lui sembrava il solito Jin, niente di diverso, niente di insolito. 
Agnes mi sussurrò un "ammazza, non me lo ricordavo così figo il tuo amico" che mi fece sotterrare fino a raggiungere il nucleo dalla terra ma, per mia fortuna - o sfortuna, Jin mi si avvicinò guardandomi con un sorriso che diventava sempre più pieno. Sembrava felice di vedermi e sperai che lo fosse quasi quanto me.

«Allora, sei pronta ad una serata memorabile?»
«Ahn? Oh, eh sì - memorabile, lo vedremo.»
«Ti sei tagliata i capelli?»
Mi scrutò la testa, con una faccia un po' critica, prima di formare le labbra un po' a pappagallo.
«S-sì, una...volevo fare, insomma, un taglio drastico.»
«Stai bene.»
Erano lontani i momenti in cui i complimenti erano un po' diversi, un po' più da Jin, ma la cosa mi provocò lo stesso un imbarazzo recondito e abbozzai un sorriso timido, patetico, da una che si era pentita di essere uscita di casa e di stare lì davanti a lui.
Ma lui fece la stessa cosa dell'altra volta, mi pinzò la testa dandomi una leggera spinta, ridacchiando.
«Lo sai cosa sto per dire, vero?»
«Non bene quanto te, lo so.»
«Brava ragazza.»
Mi prese a braccetto e io mi Sentii ribollire la faccia. Namjoon sghignazzò come un matto per tutto il tempo, chissà con quale pensiero da scemo in testa.








Il ristorante era un miscuglio tra cucina coreana e giapponese, avevamo prenotato per due grandi tavolate, vicino ad un finestrone da cui si vedeva l'intera Seul, illuminata e spavalda. Erano già filtrati litri di shot, calici e boccali tanto che eravamo tutti già ubriachi prima degli antipasti, il locale era pieno, c'era una luce soffusa che rendeva quella cena molto intima e una musica leggiadra aleggiava nell'aria mentre mandrie di camerieri volavano nella sala, che era suddivisa in due parti da un separè di bambù. Alcune donne succinte, eleganti e dal viso rifatto intrattenevano i maschi del gruppo mentre alcuni di noi traducevano per gli stranieri: c'era un signore di mezza età americano e un ragazzo australiano. 

Namjoon e Agnuska si erano cimentati in un imboccamento a vicenda molto da coppietta, tanto che alcuni colleghi cominciarono a prenderli in giro, facendo schiamazzi poco eleganti. Io e Jin eravamo seduti quasi al confine di uno dei tavoli, di fianco avevamo una ragazza mai vista e un collega proveniente da un'altra filiale.
«Ma Nam e Agnes sono...?»
«Non chiedermelo non voglio saperlo voglio dimenticare tutto i miei occhi aiuto.»
Non presi neanche un respiro, o una virgola, immergendomi in una nuova ciotola di cibario piccante.
«Questa volta si sono dati da fare con il buffet, non finirà neanche tra un anno tutto questo cibo.»
«Sì, ma è sempre così prima delle vacanze estive.»
«Non vedo l'ora di trovarmi un lavoro così anche io.»
Commentò Jin mentre afferrava un polipo e un'alga e qualcos'altro mangiando allegrotto. Intanto il karaoke era stato inaugurato da un signore, che stava ululando parole incomprensibili rovinando una canzone, ma una signora piangeva guardandolo e mi resi conto che doveva essere dedicata a lei.
Per fortuna che l'amore, oltre che cieco, è anche sordo.

«Allora Seo, cosa farai durante le ferie? Non dirmi niente come tuo solito, avrai pure delle idee.» Ki bin,  davanti a noi, subentrò nella conversazione.
«Avevo intenzione di non fare niente, in effetti.»
«Mh, probabilmente andremo in qualche anfratto archeologico sperando d non morire.» Mi aiutò Jin, mentre rubava un gambero insalsendolo di soia.
«Con tutto il rispetto, Kim, ma non può passare la vita dietro a voi.» 
Per poco non mi strozzai con un onigiri, mentre guardavo il mio collega con sguardo stralunato. 
Jin si bloccò, guardandolo con aria torva.
«Cosa, scusa?»
«Oooh no niente, non offenderti, è che speriamo tutti di vedere la nostra Seo sposata, con un bel pancione, insomma ormai è quasi vecchia.»
«Quasi vecchia? Ma ti ammazzo - » borbottai io mentre quello rideva divertito, a quanto pare il potere di Agnes si stava affievolendo, colpa della distanza periferica tra noi e loro. Il mio collega aveva un umorismo un po' sessista, non mi dava particolarmente fastidio, ma alla lunga era ridondante. Ogni volta mi controllava le dita per vedere se avevo anellini particolari, gioielli, promesse e fidanzamenti in atto.
«Seo si sposerà quando avrà voglia di farlo, se ne avrà voglia. E per quanto riguarda la mamma, bè sono sicuro che si nutrirebbe dei suoi figli, non è proprio bambino-portata.» Di nuovo Jin, a quanto pare salvatore della mia situazione da nubile. 
La cosa stava cominciando a farmi formicolare le dita.
«Guarda che quello che fa arrabbiare le bambine sei tu, io sarei una mamma fantastica.»
«Sì, nei tuoi sogni.»
Lo sgomitai, lui sgomitò me e ci fu una breve battaglia di mani che si picchiettavano tra loro, tanto che il mio collega ci guardò con aria un po' confusa.

«Dovrebbe dimenticarsi di quel suo amico, è ora che si guardi in giro. Te mi sembri un tipo a posto.»
Jin e io ci fermammo, andando a guardarlo. Io provai a strozzarlo con l'aiuto della forza, Jin pescò un altro shot che ingurgitò a goccia.
«Sììì bè, non è facile levarsi dalla testa uno come Hoseok. Farei fatica anche io.»
Guardai Jin provando la tecnica di Darth Vader su di lui ma non funzionò, così che decisi di buttarmi sull'alcol anche io.
«Ma la piantate di parlare di me come se non ci fossi?»
«Ma io non parlavo di Hoseok, seh addio quello ormai è inarrivabile.»
«Vaa bene, basta, perché non assaggi questo coso algoso, sembra buonissimo!»  Lanciai una ciotola verso Bin, provando a soffocarlo con le bacchette, mentre quello per poco non si sbrodolò tutto, intanto Jin mi guardava con aria un po' confusa. 

«Oh Seo tutta la camicia, l'avevo fatta stirare  giusto per l'occasione.»
«L'universo ti sta dicendo che non devi stirare più, infatti.» Dissi io mentre riprendevo a mangiare. Pescai da una padella gigantesca qualche pezzo di carne, rossa come l'inferno, sperando che il bruciore del piccante mi sciogliesse la carotide.
Speravo che Jin non avesse colto le sue parole, ero sicura del non sono diventata matta per cento, che non avevo mai parlato dei miei problemi sentimentali con lui, né teorie, né cospirazioni, né paranoie, né dilemmi.
Mi ricordai improvvisamente di Agnuska, che faceva supposizioni su chi sarebbe stato il mio futuro trastullo, e nel suo essere una pettegola involontaria doveva aver nominato nomi innominabili. Non ne ero sicura ma non potevo assolutamente rischiare, così diedi inizio al mio infossamento personale.

«Ragazzi, momento karaoke! Io mi butto!»
Mi guardarono entrambi come se avessi appena detto che avrei ucciso tutti, al tavolo. 
«Cooo-ooosa, miss boicottatrice serale a cantare una serenata? Di solito ti devo pure costringere a parlare con la gente. Non sarai mica diventata romantica, eh?»
«No, ma ho abbastanza alcol in corpo per poter fare questa follia prima di morire.»
«Ehi aspetta -» Quello si catapultò fuori dalla panca, alzandosi in piedi e porgendomi la mano. «Facciamo un duetto io e te.»

Quella richiesta fece girare anche alcune persone lì presenti, mentre una ragazza sospirò d'amore. Guardai Jin, come ancora di salvezza per quella proposta ma lui mangiava noncurante, come se neanche avesse sentito.
«Ahm - non posso, ho promesso che duettavo col mio accompagnatore, poi s'offende.» Provai io come ultima scusa. 
«No no, vai pure. Sto mangiando.» Mi disse Jin, senza neanche guardarmi in faccia, con un tono così serio che mi schiaffeggiò via ogni barlume positivo.

Ero riuscita a far crollare quell parete tra di noi e ora si stava di nuovo rialzando, per colpa di chissà quale offesa. Avrei dato 300.000 won per chiunque fosse riuscito a capire la testa di Jin in quel momento, compresa me stessa. Mi sarei auto-premiata. 
Intanto il nostro duo-canoro fu preso così bene dal tavolo che ci fu un vero e proprio incoraggiamento a cantare. Provai a cercare la salvezza in Namjoon ma quello era il tifoso più attivo di tutti, aveva preso pure a urlare come se fosse in uno stadio. 
Avevo gli occhi di tutti addosso mentre oltrepassai il tavolo andando ad affiancare il ragazzo, quello mi prese per un polso e mi trascinò letteralmente sul palchetto del karaoke, andando a scegliere la canzone. 
Provai a guardare Jin di nuovo ma era l'unico che non ci fissava. Mangiava e basta. 

Dio, che tortura.

«Che ne dici di questa?»
Guardai il titolo e per poco non mi venne un embolo. Non solo il danno ma anche la beffa, mentre neanche aspettò la mia risposta che cominciò a partire quella musichetta che fluttuò tra gli altoparlanti. Cominciai a sentire il cuore battere fortissimo, avevo gli occhi di tutta la sala addosso e quando mi piazzò in mano il microfono ero sicura che sarei svenuta.

Ma invece non lo feci, Ki Bin prese a cantare per primo mentre una canzone famosa dei The Police, una delle canzoni romantiche d'eccellenza, ci faceva da sfondo. E allora chiusi gli occhi e cominciai a stargli dietro, aprendo le labbra e sperando che l'alcol facesse il suo dovere. 

E così ritornai dentro la mia immaginazione, pensando di essere altrove, di essere su una spiaggia, di essere davanti ad un piccolo falò mentre il mare era calmo e le stelle nel cielo brillavano. Immaginai una sera, dell'estate scorsa, mentre un ragazzo mi prendeva le mani per fare un gioco stupido, mentre mi sotterrava i piedi nella sabbia, mentre intagliava un'anguria per farci dei caschi spaziali anti-pensieri. 

Cantai ogni parola, non so se in maniera stonata o no, non ero sicura neanche che stessi andando a tempo con il mio collega perché non stavo guardando le parole, la conoscevo quella canzone, l'avevo canticchiata spesso nella mia mente come possibile dedica ad Hoseok, durante il liceo. Ma ora non vedevo lui, non lo vedevo più da un po' di tempo.

Quando riaprii gli occhi sapevo già dove stavo puntando lo sguardo e mi accorsi che lui stava guardando me, con ancora una palla di cibo al lato della guancia, le bacchette sollevate e uno sguardo misto tra il sorpreso e qualcos'altro che non riuscivo a definire. Provai a sorridere, nel mio canto, prima di sentire Ki Bin toccarmi una spalla, facendomi voltare, cantandomi in faccia delle strofe. Lui non era molto intonato, ci metteva troppo pathos nella canzone e mi fece ridere, smorzando quell'effetto romantico. 

Si inginocchiò persino mentre dalla sala partirono degli urli e dei fischi, facendomi venir voglia di sparire in quel momento. Per mia fortuna la canzone finì dopo un'altra strofa, e si levarono in cielo applausi divertiti, qualcuno urlò anche BIS ma io mi defilai quasi subito, ringraziando il mio collega con una minaccia di morte. Stavo già per dirigermi al tavolo che mi  bloccai di botto.

Jin non c'era più.

Quando cavolo s'era alzato?
Andai a guardare Namjoon notando che stava fissando un punto imprecisato, con ancora l'ombra di un applauso tra le mani.
Mi avvicinai a lui, infatti, mentre Agnes si complimentava per il mio coraggio improvviso.
«Non ho filmato, accidenti a me.» Lo sentii dire prima di invitarmi ad avvicinarmi. «Ehi vagli dietro, mi ha detto qualcosa tipo che non poteva più restare, non so quale turba tu gli abbia causato ma mi sembrava parecchio nervoso.»
«Porca miseria ladra, che stupida stupida stupi» cominciai io.
«Cara, vai.» Mi incitò Agnuska.
«Sì cara, vai.»  Continuò Namjoon, accecandosi con una stanga degli occhiali, mentre se li infilava dietro l'orecchio.

Con quelle esortazioni non potevo aspettare oltre.
Mi scusai verso Agnes e altri capi per l'improvvisa fuga, girai i tacchi e cominciai a incamminarmi fuori. Appena fuori dalla sala presi a correre più veloce che potevo, convinta che mi sarei sfracellata le gambe, mentre mi fiondavo per le scale. Per quale motivo avevo deciso di mettere dei sandali con un tacco lo potevo sapere solo io. Se era uscito dall'edificio non lo avrei mai raggiunto, c'erano almeno trenta rampe di scale da fare.  Potevo prendere l'ascensore ma avevo sempre odiato l'attesa dei piani, confidavo più nelle mie gambe.

Per fortuna la mia scelta stradale fu premiata, perché lo trovai mente era intento a camminare lungo un corridoio lungo quanto una coda all'ora di punta, vicino ad una lunga vetrata che s'apriva sul cielo di Seul e i tetti dei palazzi più alti.
Era un'immagine onirica, da togliere il fiato, se non fosse che tutta la mia attenzione era solo per la schiena di quel ragazzo che stava allontanandosi da me. Di nuovo.
«Jin aspet- aspetta, cazz- mi sto uccidendo i piedi, per favore,»
La raffineria non era il mio forte, ma sentii un crack pericoloso e mi fermai a qualche metro di lui.
«Dove - dove stai andando, la cena non è neanche a metà. Devono ancora portare i kimchi e so che hanno preparato dei dolci richiesti proprio dai grandi cap-»
Lui si fermò e si  voltò, bloccando ogni mia parola.

In quell'istante sarei voluta morire sul serio. Lo guardai in volto e vidi che aveva gli occhi completamente lucidi. Possibile che gli avessi fatto lo stesso effetto che mi fece lui, al karaoke? Ma era impossibile, a differenza sua io cantavo come una cornacchia con le gonadi, non c'era paragone.

«Jin...»
«Perché mi hai chiesto di venire? Per ...per avere qualcuno da sfoggiare stasera? Perché non volevi essere l'unica senza un accompagnatore?»

Qualsiasi sensazione anche solo lontanamente positiva venne spazzata via davanti a quelle domande, facendomi sentire un vuoto allo stomaco non indifferente.
«N-no ma che dici ...non puoi pensare davvero che ti abbia chiesto di venire per questo motivo.»
«Dai Seo, non ci parliamo da un mese. Da quando te ne sei andata da casa mia come una stupida, facendomi sentire il peggior traditore dell'universo.»

«Traditore?» Domandai io, allibita.

Vidi che si stava irritando sul serio e quegli occhi, così lucidi e dolorosi, non riuscivo proprio a reggerli; notai che quel suo tic alla palpebra era più insistente che mai.
 «Quel giorno era già tanto se sapevo come mi chiamavo, Jin. Ero a pezzi, volevo vederti, volevo capire se avevo fatto la scelta giusta e tu ... tu hai accusato me di averti lasciata sola alla festa ma anche tu lo hai fatto e- va bene, mi sta bene insomma non sei»
il mio ragazzo
«insomma non sei obbligato a stare con me, ma non ne posso più di  essere messa da parte. Prima Hoseok, ora anche - »
Mi bloccai per un secondo, riprendendo fiato. 
«Hai una ragazza? Bene, perfetto, sono contenta per te ma non hai neanche avuto il coraggio di dirmi nulla, neanche che l'hai portata a casa tua e io come una stupida a pensare che -»
no no no no, dimentica le parole di Yoongi dimenticale
«- a pensare a cazzate. Ma ci ho provato lo stesso a fare il primo passo, a chiederti di vederci di nuovo ma tu sei sparito. Non sei più venuto, campavi scuse ignobili pur di non vedermi.»

«Tu dici a me di non avere avuto coraggio? Da che pulpito che viene la predica. Ma ti sei  chiesta almeno il motivo per  cui ho smesso di venire da te?»
Scossi la testa con foga, allargando le narici. Stavo cominciando ad irritarmi anche io.
«Certo che me lo sono chiesta, non ci vuole una laureata in Jin-ologia per capire che sei stato troppo impegnato e non hai avuto le palle di dirmi niente, forse ti va meglio questa versione?»
«E anche se fosse che differenza fa? Hai avuto quello che volevi, no? Hoseok ha sopperito la mancanza, mi chiedo perché non ci sia lui qui stasera.»
Mi morsi le labbra, provando a non farle sanguinare ma stava cominciando a diventare impossibile tenere tutto dentro. 
Se ce l'avevo fatta per Hoseok, con Jin sembrava un'impresa titanica. Quel ragazzo stava spazzando via in pochi secondi anni e anni di pratica.
«Tu non hai la minima idea di quello che voglio, ma avanti illuminami, potente messia della verità.»

Se era riuscito a tenere le lacrime al sicuro fino a quel momento, il filtro si ruppe nell'istante in cui spostò lo sguardo per guardare la città notturna. Le vidi chiaramente, due scie invisibile e luccicanti, rigargli il viso. Mi fece più male del previsto, tanto che questa volta sentii chiaramente un sapore ferroso dentro la bocca.

«Non posso essere l'ombra di Hoseok.» Mi disse lui, ghiacciandomi sul posto. «Ora sei confusa, forse pensi addirittura di provare qualcosa di strano ma ...non posso essere la sua ombra, e mentre mi parlavi del tuo rifiuto verso di lui l'ho capito. Non volevi che lui se ne pentisse e io non voglio la stessa identica  cosa. Non sarò mai lui, mai. Sarei solo una fiaccola nel tuo cuore, niente di più e io non mi merito questo - e devo salvaguardarmi prima che sia troppo tardi.»

Se ero riuscita a rimanere stoica fino a quel momento, davanti a quelle parole i miei occhi decisero di imitarlo e cominciai a sentire il bisogno di espellere lacrime anche io. 
Non avevo mai neanche considerato l'idea che Jin fosse il rimpiazzo di Hoseok. Con lui era tutto completamente diverso, con Hoseok ero cresciuta, avevamo fatto cavolate, avevamo passato tutte le esperienze di crescita possibili ma Jin era tutt'altra cosa, con lui non erano esperienze, con lui era tutto concreto, con lui c'era consapevolezza, con lui era vita. 
Lui era 
Lui era

«Prima che sia troppo tardi per cosa? Sei sempre stato tu, tu dannazione, a venire da me. Io non ti ho mai imposto niente, non ti ho legato ad una sedia e obbligato a vivere una situazione che non volevi! Mai! Quindi ora non fare la vittima con me, non ci provare. Se ti da fastidio qualcosa perché non me ne parli?»
«Parlartene? E quando? Durante una delle tue cinquantamila fughe? Oppure tra una crisi esistenziale o l'altra? Ogni volta che ci provo lo vedo - lo vedo chiaramente quel dannato muro, come se volessi continuamente restare dall'altra parte.»

Dovevo dissentire su una cosa, pensavo che Jin non sarebbe mai stato capace di farmi male.
Eppure, a sorpresa, stava facendo più danni di chiunque.

«Stai scherzando, vero? Un muro? Con te?»
«Perché non torni alla cena? Mi sembrava che ti stessi divertendo con il tuo collega. Dovresti seguire i suoi consigli.» 
Continuò lui, masticandosi il labbro, le parole, facendo evadere dalla testa e dal cuore tutti quei pensieri che venivano giù come un fiume in piena. Mi stava travolgendo e non riuscivo a fermarlo.

«Jin smettila. Smettila di sminuirmi, non hai la più pallida idea di che cosa provo, di cosa ho provato, non prendere il monopolio delle mie emozioni come se tu potessi tradurle a tuo piacimento.»

Lo vidi fermarsi a guardare di nuovo verso la vetrata, illuminato dalle luci dei palazzi e da quello spicchio di luna che a stento lasciava un riverbero pallido nel cielo. C'era uno spazio terso ma sembrava stesse annuvolandosi, in lontananza, era una specie di schiaffo morale visto che non c'era niente di lindo pulito e sacro dentro di noi in quel momento.

«Seo, per favore, torna alla cena, dimenticati di tutto questo, è solo una stupidaggine. Non hai bisogno di me qui, non ne hai più bisogno. Ti sto solo rovinando la serata.» Biascicò lui, asciugandosi le lacrime.
«Perchè? Perchè devi dire queste cose? Perché mi stai allontanando? Non me ne frega un cazzo di tornare alla cena senza di te, neanche del mio collega, né di nessun- »
«Seo, davvero-» ci riprovò, lasciandomi ancora mezza stralunata a guardarlo.

«E allora perché diavolo sei venuto? Se vuoi tenermi lontano, perché mi illudi che le cose potrebbero tornare come prima? Potevi dirmi di no, campare un'altra delle tue scuse. Lo avrei capito e avrei smesso una volta per tutte di tormentarti la vita.»

Ma lui non mi rispose, si limitò a girarsi pronto a camminare verso le scale. Continuava a passarsi la mano sugli occhi mentre prendeva velocità per allontanarsi da lì.
Il mio cuore perse un battito, stava per andarsene sul serio, senza dirmi niente, lasciandomi lì come una babbalucca qualsiasi.
Questa volta non accettai il destino. Non accettai neanche la scelta che Jin stava prendendo per entrambi. 
Stavano cominciando a scocciarmi gli allineamenti astrali del mio oroscopo. 
Avrai una pessima settimana - no, cazzo, no, io ti boicotto.

«Jin!» Mi fiondai verso di lui percorrendo le ultime distanze con uno scatto sorprendente anche per me. Lo afferrai per una manica, cercando di tirarlo. «Vuoi rispondermi? Perché devi fare così?»
«Seo lasciami-»
«No, non ti lascio.» Lo strattonai ancora, ma quello era risoluto. Era piuttosto forte per essere così magro. «Non- dimmi quello che pensi, dannazione, per favore, per una volta. Se non riesci ad affrontarmi perché sei venuto?»

«Perché mi manchi!» Finalmente si girò verso di me, togliendosi con uno strattone dalla mia presa, tanto che per forza contraria barcollai un po' indietro.  «Ecco perché sono qui, perché mi manchi da impazzire e non ce la facevo più.»

Altre lacrime, mille lacrime. Stavo sicuramente finendo la scorta annuale, o almeno la scorta della serata.
La bocca era sempre più secca e il cuore faceva sempre più male.
Eravamo così vicini, e allora perché voleva allontanarsi? La cosa mi fece ritornare di nuovo la rabbia, ma non quella provata per Hoseok in quelle settimane passate. Era una rabbia diversa, era una rivoluzione, la mia, la sua, e ritornò di nuovo il veleno che serpeggiava nelle vene.
Il mio momento di boicottaggio finì piuttosto in fretta. Il dubbio tornò prepotente come una granata lasciata inesplosa troppo a lungo.

«Ti manco, eh? Già, l'ho proprio notato. Così tanto che stavi per andartene via senza dire una parola. Senti fai un piacere a entrambi, torna dalla tua nuova fiamma, fai il misterioso, scompari anche tu, anzi trasferisciti direttamente, sposati, procrea altri piccoli urlatori-compulsivi come te. Sono davvero stanca.»

Non so con quale forza riuscii a dire quelle parole, non era giusto nei suoi confronti dopo tutto  quello che aveva fatto per me, dopo tutto quello che aveva passato per colpa del mio amore per un altro. Forse lo stavo ammazzando lentamente e non lo sapevo, ma non riuscivo più a salvare nessuno, dovevo pensare prima a togliermi da quell'acqua perché volevo smetterla di stare in apnea con piccoli ritagli di ossigeno qui e la.

«Ma tu davvero pensi che io abbia un'altra?»
«Non è che lo penso, l'ho proprio visto con questi miei occhi, va bene che sono una fantasista tragica ma non sono diventata una psicopatica. Almeno credo. Visto che ora ho paura pure di questo credo che finirò questa dannata conversazione. Vuoi tornare a casa? Vai allora, tornatene a casa, torna a cercare citazioni di Mao Tse-tung sui musei Messicani, ignorami, butta all'aria anni di amicizia perché non sai nemmeno tu che cavolo vuoi dalla vita, ma se questo è un addio - un addio vero allora smettila di voltarti indietro, vai per la tua strada. Me ne farò una ragione, ormai ci sono abituata! Ma abbi il coraggio di dirmelo, almeno tu, almeno questo me lo devi.»

Niente non mi fermavo, in quei momenti mi sarebbe servita proprio una coscienza in grado di bloccarmi, urlandomi nell'orecchio un"basta fare casini / basta fare casini / mangiati un onigiri piuttosto ", magari canticchiato con voce robotica.
Così mi girai di scatto, riprendendo la scia delle scale, pronta a risalire la montagna di Maometto fatta come una lunga trafila di scalini verso il mio inferno personale. Niente discesa per te, Seoyun, solo salite, è il chiaro messaggio della vita, della tua vita, da qui fino alla tua morte.

Ma neanche arrivai alla scala che sentii dei passi venirmi dietro velocemente e la sua mano trattenermi, facendomi voltare di scatto. 
Feci per ribattere ma lui mi piantò le mani sulle spalle spingendomi verso la parete dietro di me, non mi fece cozzare in malo modo ma mi ritrovai ad un millimetro dalla sua faccia mentre ero imprigionata in quella morsa.

«E' la ragazza di mio fratello. Ha scoperto di essere incinta, abbiamo parlato di questo dopo la festa, non sa cosa fare e mi ha chiesto dei consigli.»

Il rumore di un cervello che si spaccava era simile ad una suonata di clacson, almeno il mio fece esattamente quel rumore, ma non un clacson qualsiasi, era uno strombazzamento da festa. Penso che mi stesse sbeffeggiando. Per un secondo provai a connettere tutto quanto, lasciando libero il cervello di darmi della disgraziata patentata per dei minuti molto commemorativi.
Mi resi conto che avevo passato un mese a immaginarmi una storia d'amore fra loro due inesistente, che non gli avevo mai dato modo di lasciarsi spiegare in effetti, che non lo avevo neanche voluto ascoltare. 
Volevo diventare piccola come una formica, in quel momento e lui se ne accorse e mi sorrise tra le lacrime, facendomi tremare le gambe.

«Non sono riuscito a dirtelo, perché sei fuggita via. E ho aspettato che tu tornassi indietro, ti ho aspettato seduto sul divano per tutto il tempo sperando che saresti tornata da me, che davvero io ero ...più forte di tutto, anche di quella paura . Che ero più forte di Hobi. Ma non è andata così, non va mai così...»

Mi sentii uno schifo, tanto che insieme alle lacrime mi partì un singhiozzo che sembrava tanto un verso d'anatra.
Finalmente lo capii che cos'era, era qualcosa che sapevo da tanto tempo, ma che puntualmente era arrivato nel momento esatto in cui mi ero sentita trascinare fuori dall'acqua. Niente più apnea, un sollievo profondo mi invase, tanto da sentire il cuore in gola. La voce di Yoongi si insinuò in testa: il dubbio è un veleno.
Potevo averla imparata la lezione?
Presi un respiro con una fatica immane, averlo  così vicino
come nella tua testa, no?
mi provocò di nuovo quella sensazione al  corpo che non riuscivo a spiegare. Era immensa, si stava impadronendo di tutto, continuava a farmi tremare senza sosta, scossa dai brividi più indicibili. 

«Ecco perché ti ho evitata, perché mi sono sentito ferito, dopo, dopo tutto quello che ho cercato di dimostrarti mi sembrava di non aver fatto abbastanza. Poi succede quel casino alla festa, tu che ...» si fermò, prendendo respiro, mentre io ero focalizzata sulle sue labbra piene, che si muovevano lente, inghiottendo le lacrime «...pensavo di avere una speranza, una sola stupida speranza, ma no, ovviamente tutto doveva andare a rotoli per colpa di un fraintendimento. Non mi hai mai, mai lasciato spiegare niente. E sì, forse mi sono parecchio arrabbiato per questo, mi ero imposto di non cercarti a meno che tu non avessi voluto parlarne - ma tu. Ma tu sei- ecco tu-»

Non riusciva a finire la frase, ci provò un paio di volte, così decisi che toccava a me fare quell'ultimo sforzo.
Presi l'ultima fetta di coraggio rimastami in corpo, deglutendo a fatica.

«Ti ricordi quando mi hai chiesto che cos'ho provato, baciando Hoseok?»
Lui allargò un poco gli occhi, per poi annuire lentamente, schiudendo le labbra.

«Niente.» 

Finalmente lo ammisi.
Era stato brutto, avevo avuto paura che fosse dovuto al fatto che non avevo più niente per cui sperare, che lui avesse risucchiato ogni sentimento che potevo provare. Ma, in realtà, sapevo che il cervello era subdolo e che il cuore lo era ancora di più. Alimentai il mio coraggio grazie alla sua mano che era risalita fino alla mia faccia, carezzandomi via le lacrime. Io, per non cadere a terra  come una pera cotta, afferrai la sua camicia, tenendolo lì  con tutta la forza che avevo. Mi affidai al mio Guru di coraggio che, nei suoi teoremi disfattisti disse anche: "L'amore ha gli stessi sintomi di un ictus."

«Continuavo a pensarti.»

Avrei preferito l'applauso per questo, invece che per il mio canto, visto l'ignobile audacia che stavo risucchiando da ogni vertebra. La sua espressione non cambiava, continuava a rimanere sorpreso, come un pesce lesso, a fissarmi. Io feci lo stesso, cercando l'ultimo appiglio per tirare fuori qualcosa che non avevo mai detto ad anima viva. Non in carne e ossa almeno.

«N-Non sei mai stato un'ombra di Hoseok, brutto idiota. Mai. Non ho mai avuto il coraggio di dirgli ...niente, non so se, se ti sei perso questo passaggio. Tu invece mi spingi a fare cose al limite del possibile: ho cantato una canzone d'amore lo capisci? Ci rendiamo conto?»

Lui si mise a ridere, chiudendo gli occhi, avvicinando il volto al mio così tanto  da toccarmi la fronte. Sentivo il suo naso che sfiorava il mio, la sua pelle che strusciava sulla mia.  Tirò su col naso, ma la sua espressione cambiò di nuovo. Aveva le labbra piegate all'ingiù, continuava a muoverle, stava cercando di reprimere il pianto ma gli usciva veramente male.

Da quanto tratteneva quelle lacrime?
L'avevo così tanto condizionato da farlo soffrire in silenzio, da solo, chiuso nella sua bolla personale?

«Perché piangi? Smettila, ehi-» tirai su le mani per accarezzargli la faccia, cercando di levargliele. Era divertente il fatto che io stessi piangendo quanto lui, ma provai a bloccarmi con tutta la tenacia che mi era rimasta in corpo per essere io, quella forte, per una volta. 
«Seo, io-»
Si bloccò di nuovo, continuava a tenere gli occhi chiusi, a strusciarsi sulla mia fronte, sembrava non trovare la sua pace. 
Toccava a me salvarlo da sé stesso, così come lui aveva sempre fatto con me.

«Ma hai capito cos'è successo? Ho cantato, io, Park Seoyun, e non davanti ai miei migliori amici deviati, ma davanti ad una platea internazionale e nazionale, gente che ha conti bancari che rasentano i settemila zeri. Verrò sicuramente licenziata per assalto al pudore pubblico, Namjoon l'aveva predetto e il mio oroscopo diceva chiaramente: "La carriera da Idol non fa per te."»
Aveva smesso di muovere il viso e aveva socchiuso gli occhi per guardarmi, stava di nuovo sorridendo divertito.
«Lo sai che sono io il visual tra i due.» Gracchiò lui, con una voce roca e bassa. Era dannatamente provocante, non ero abituata a sentirlo così.
Intanto continuava a carezzarmi la faccia e io facevo lo stesso. 
Se qualcuno ci avesse visto da fuori saremmo sembrati due personaggi di uno spot pubblicitario intenti a controllare i risultati di una crema idratante sulla pelle, ne ero sicura.

Ma la mia testa si stava aggrappando ad altri tipi di domini. Potevo immaginare gli altri, in un'occasione del genere, di fianco a noi a fare l'ultimo potente tifo. Questo mi diede la spinta finale: potevo vedere il famoso burrone, non riuscivo a vederne il fondo, c'era la rete? C'era l'acqua? Scogli? Spuntoni di metallo?

«Ma c'è un fattore troppo divertente in tutto ciò, che non hai considerato. La cosa più assurda di tutte. Hai idea di che scherzone mi stesse facendo la mia testa in quel momento? Anni e anni a guardare dalla parte sbagliata, e c'è voluto quell'invertebrato di Bin a portarmi davanti - davanti a te, mentre cantavo strofe più melense di te quando ti pavoneggi allo specchio, rivedevo nella mia testa tutti quelle stupidere fatte insieme alla»

Vai Seo, continuavano a urlare i miei amici.
Facci sognare. Pensa a Friends. Pensa a Ritorno al Futuro.
Lo sappiamo a cosa pensi.
Pensa alla canzone che hai appena cantato.
Riesco solo a vedere il tuo viso.
Mi guardo intorno ma sei tu che non posso sostituire.

«-alla persona più importante della mia vita. A quello strano essere che ha una risata aliena, che ha fatto di tutto pur di tirarmi fuori dalla mia fasulla crisi amorosa, mi ha portato ad un corso di ceramica! Di ceramica, parliamone insomma. Ma, nonostante tutte queste cose imbarazzanti e la possibilità che non sarò mai riconosciuta come persona seria nella società, ha fatto una cosa per cui gli sarò grata per sempre. Non ...non mi ha mai fatta sentire alla deriva. Non mi ha mai fatta sentire sola.»

Lo vedevo muovere le pupille velocissimo contro le mie, sembrava stesse cercando di memorizzare ogni mia parola come se ce le avessi scritte nello sguardo.  Ma forse, chi lo sa, era davvero così. Era tutto scritto lì dentro, chissà da quanto tempo.

«Sai chi avevo in mente ad ogni dannata strofa? Cos'è che vedevo?»

Se non avessi immaginato Jungkook strombazzarmi nell'orecchio una trombetta da stadio probabilmente mi sarei bloccata lì, ma la forza dell'immaginazione aveva sempre avuto un grande potere in fondo.

«Vedevo solo t-»
Neanche mi lasciò finire di parlare, abbassò il volto verso di me, premendo le labbra sulle mie. 

Ero sicura che il cuore avesse smesso di battere per poi pompare un colpo mortale, non mi sentivo più la testa, troppo ossigeno in un colpo solo. Il suo corpo si scontrò contro il mio, schiacciandomi ancora di più contro la parete mentre le sue mani mi strinsero la faccia, tirandomi sempre di più contro di lui. 
Mi baciò e io baciai lui, con trasporto, con tutto il bisogno che sentivo, mentre avvinghiavo le braccia sulle sue spalle larghe e mi ci aggrappavo, per paura di crollare, per paura che mi sfuggisse. Incastrai le dita tra i suoi capelli scuri, stringendone le ciocche, mentre lui non faceva che ricercare le mie labbra. Le stuzzicava, dandomi dei morsetti per niente dolorosi, tirandomi verso di lui per poi ritornare a cercarmi, schiacciandomi contro la parete. 

Continuammo a baciarci per minuti interminabili, dal volto le sue mani scivolarono verso i miei fianchi mentre mi tirava verso di sé, facendo aderire i nostri corpi. I nostri sapori si mischiavano e quelle labbra, morbide e sensuali, accarezzavano le mie come un potente lenitivo, facendomi fremere sempre di più. Sentivo il cuore nelle orecchie, ormai, e il cervello resettarsi ad ogni sospiro che lui soffiava contro di me. Non potevo più farne a meno, lo strinsi così forte che avevo paura gli avrei fatto male, mentre lui poggiava un braccio alla parete per sorreggermi, per sorreggersi a quanto pare. Da lì potevo sentirlo, stava tremando anche lui, come me.

Ero completamente avvolta dalla sensazione che Yoongi aveva così tecnicamente descritto, quel giorno, davanti ad una me ignara di quanto potesse creare dipendenza una cosa del genere. Avevo sempre pensato che sarebbe stato Hoseok a darmi tutto questo, un ipotetico giorno dentro il mio immaginario fantascientifico. E non mi aspettavo altro. 
Niente che andasse oltre il limite della mia testa.
Ma quello era reale, era sempre stato reale. 
Cos'avevo trovato in fondo al burrone? Piume. Una miriade di piume.
Perchè lui era 
lui era

Lui era il mio frastuono interiore
ed ero completamente pazza pazza pazza di lui.










NDA: ragazzi l'avrò riletto seimilavolte non mi convince mai, ma più ci sto dietro peggio è quindi niente lo smollo così t-t non ho molto da dire tranne un: ALLELUJA ALLELUJA ALE' ALE' finalmente peperperepreprepreprep. E' uscita fuori una cosa un po' da telefilm americano ma oibò amen. Comunque  dopo sti attimi di stupidera, rinnovo come al solito i miei ringraziamenti per chi mi legge, per le pulcinine che mi recensiscono <3 e pure per chi passa per sbaglio e dice: ma che è? è l'una di notte, ho tre ore di sonno in corpo, sto morendo capitemi aiuto. Nel prossimo capitolo intensificheremo di più le dinamiche *ammic ammic*, per ora dovevo solo sganciare 'sta bomba per far felici un po' di anime, si spera. A presto, grazie per essere arrivati fin qui *-* vi adoro tutti.
ps. il taglio di capelli era d'obbligo, si sa che noi donne regiamo così alle nuove ere NON FINGIAMO.


 

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Capitolo 15
*** Fretta? ***


15 ~ Fretta?
 
 
ㅇㅅㅇ

 




 
«Jin?» 
Provai a interromperlo, parlandogli sulle labbra, mentre continuavo a restare spalmata alla parete come un'acciuga, senza via di uscita. Era una prigione in  cui mi stavo adagiando fin troppo bene. Jin continuava a baciarmi senza dare l'aria di uno che voleva smettere, continuava a premere le labbra contro le mie, a saggiarmi la pelle, a strusciarsi facendomi ribollire ovunque.
«Jin?» 
Ci riprovai, rendendomi conto che la voce stava uscendo dalle mia labbra con un suono fin troppo rauco e asmatico. Non riuscivo a controllare l'ossigenazione del cervello, ero sicura che sarei fluttuata via .
«Jin, dovrem-»
Mi rubò di nuovo la frase con l'ennesimo bacio, facendo un mugolio che non potevo tradurre in quelle condizioni, o non sarei stata in grado di fermarlo. Alzai le mani verso i suo i capelli, stringendoli con forza. Stavo cercando di scostarlo, o forse era una scusa che stavo imponendo a me stessa.
«Jin la cen-»
«Mmmh.» Di nuovo quel mugolio, mentre dalle labbra scendeva per morsicarmi il mento, poi il collo. Quel contatto mi stava facendo diventare più scema del dovuto, non riuscivo più a capire niente, colpa dei brividi istantanei che continuavano a partire dalla schiena, arrivando alla base del collo. Stava diventando un'impresa titanica mantenere quella parvenza di controllo che mi era rimasto.
In realtà non ne avevo più dal momento in cui aveva preso a baciarmi; più andavamo avanti, più diventava complicato formare pensieri di senso compiuto nel cervello.
In fondo sapevo che persino i maiali avessero di quei problemi durante l'approccio.
O erano le oche? 
Tartarughe?
Non riuscivo più a pensare normalmente.

«Mi licenzieranno.»
Sussurrai in apnea, prima di sentirlo respirare vicino al mio orecchio, risalire su tutta la mandibola ricoprendomi di baci, di morsi, con quelle labbra che assomigliavano a dei cuscinetti morbidi e lisci, tiepide e risanatrici.
«Non lo faranno. So essere molto persuasivo
Aveva la voce più bassa, carica di una patina da attore porno agli esordi. Come poteva essere che quell'essere vivente, quello che rideva come un Godzilla con la polmonite, quello che in versione casereccia sfoggiava pigiami da rapper fallito, divertendosi a farsi codini in testa di dubbia origine sessuale, riusciva a trasformarsi in quella maniera? Trasudare un fascino carico di sessualità? 
Come? Qual era la sua ricetta? Un ingrediente segreto nella sua cucina? Una potente energia che fuorisciva da quelle ciabatte della puma che indossava come pattine reali? 

«Jin, c'è il kimchi»
Solo facendo subentrare del cibo, in quel discorso, lo indussi a fermarsi con un verso. Lo fece molto controvoglia, ma lo fece, restando col viso vicino al mio, le labbra schiuse e lo sguardo carico e febbrile. Bastava solo quello a farmi sentire formicolii ambigui in tutto il corpo, tanto che mi aggrappai alle sue spalle, issandomi sulle punte.
«In effetti ho ancora fame.»
Mi disse lui, snudando un sorriso mezzo sghembo, tragicamente criptico.
A quanto pare Jimin non era l'unico figlio del demonio in grado di creare dei problemi ai corti circuiti nel cervello, dal nulla, con solo un movimento delle labbra o il cambio di una voce.
Non sapevo se esserne fiera o no, visto che ero io, in quel frangente, la vittima di quel talento.
«Quindi non sei ancora sazio?» Domandai, baciandolo sulla bocca.
«Mai.» Mi sussurrò lui. «Mai sazio
«Il kimchi, infatti.» Continuai io, cercando di ipnotizzarlo.
«Aaah non sto pensando al kimchi, Seoooo» si lagnò quello, ritrovando la sua vera essenza, con un mezzo urlo che mi fece diventare bollente. 
Gli piazzai la mano sulla bocca, guardandomi intorno.
«Ma non urlareeee!» Urlai io.
«Non sto urlando!» Riusciva a trapassare il mio palmo; aveva proprio una voce potente, dovevo ammetterlo.
«E va bene-» mi staccai, dandogli un ultimo bacio, lo mordicchiai piano mentre fluivo via dalle sue braccia, sorridendo come un ebete. «-maa sai c'è anche altro alcol, c'è un karaoke che ci aspetta, Namjoon che è regredito a ormone libero, Ki Bin che mi dice di guardarmi intorno.»

Lo convinsi.
Mi fece scivolare un braccio intorno alle spalle, in principio, prima di ricordarsi che eravamo andati oltre il limite consentito. Gurdandomi con uno sguardo addolcito sentii il suo braccio scivolare lungo la mia schiena, toccando con i polpastrelli tutta la lina della colonna vertebrale, deviando infine sulla mia mano.
Me la prese. 
Era già successo, quel tipo di contatto tra noi, ma quella volta l'atteggiamento era diverso e mi provocò di nuovo un sussulto al cuore. Sentivo le sue dita premere contro le mie, andando a infilarsi tra gli spazi, prima di stringere in maniera pressante la presa e abbozzare un sorriso pieno.
Sembrava davvero felice e io,  io non sentivo più le lame dentro il mio cuore. 
Neanche una.
«Ki Bin te lo dice perché ci sta provando con te, non l'hai ancora capito?»
«Ti sembro una che può capire queste cose, scusa?»
«No.»
La sua risposta schietta, veloce e lapidaria mi fece fare una mezza smorfia rotonda perfetta.
«Come osi?»
«Sei un po' tarda per queste cose, ammettilo.»
Cominciammo a salire le scale, o meglio lui cominciò a trascinarmi, mentre io mi padroneggiavo in quell'offesa profonda, continuando a guardarlo con aria imbronciata al cento per cento, affondando i piedi con tonfi rumorosi.
«Ma con tutte le bellezze eteree che ci sono nel mio ufficio ti pare? Non me ne accorgo perché sono cose false.»
«Lo spero per lui.» Biascicò lui, a voce bassa, forse sperando che io interpretassi male quel suo commento.

Lo interpretai benissimo; forse era già successo, in passato, senza accorgermene che Jin lasciasse sfociare un po' di gelosia verso di me. Ma questa volta era qualcosa di molto più tangibile, mi fece battere il cuore ancora più forte mentre sentivo la faccia diventare di nuovo calda quanto una zuppa di pollo piccante mortale.
«...Jin, non sarai mica geloso
Neanche mi rispose, si limitò a fermarsi in mezzo alle scale, voltandosi verso di me con un'aria tremendamente seria. Ero quasi certa che sarebbe stato un attore magnifico se non fosse stato troppo occupato alla salvaguardia del rimpatrio delll'arte sparsa per il mondo.
«...sì? Vuoi dirmi qualcosa?» Pigolai io, sbatacchiando le ciglia come una vera faina.
«Non sono geloso.» 

Gli volevo dare la stessa soddisfazione che mi diede lui, ossia rispondere con un "meno male ah-ah scemo sei ma vai vai nessuno mi domina" ma sarei stata falsa quanto Jimin che canta baritono, infatti mi uscii una specie di verso deluso, che lui annotò per bene nel suo cervello visto il sorrisino maledetto che fece comparire sul volto. 
«Dai andiamo a mangiare questo kimchi, che ora me lo hai fatto desiderare.»
A grandi falcate riuscì a salpare ben oltre due gradini di differenza, rispetto a lui, bloccandogli così la camminata verso il paradiso.
Speravo davvero che nessuno ci stesse guardando in quel momento.

«Io lo sono, invece. Insomma, sapevo di essere una persona gelosa già da quando provavo istinti omicidi per gli eventuali ladri di cibo dal mio piatto, ma sai non sono mai riuscita a farla sfociare per bene. Se invece penso a te il discorso è tutto diverso-»
Lui non mi fece neanche finire di spiegare, stava di nuovo facendo quel sorriso mezzo storto, il tic all'occhio immancabile - a quanto pare era dovuto alle emozioni o non mi spiegavo - e una faccia che rasentava la strafottenza. 
Mi pinzò la testa di nuovo, avvicinando la faccia, le labbra ad un millimetro dalle mie.
«Seo forse non hai capito, se quello si inginocchia di nuovo cantandoti»
si schiarì la voce, prima di tirare indietro il collo e aprire la bocca
«Oh can't you seeeeeeee, you belong to meeeeee » 
la sua magnifica voce si era trasformata in un lamento di triceratopo morente mentre cantava, starnazzava, gracchiava a voce altisonante, creandomi un imbarazzo crescente che prese il suo culmine quando vidi qualcuno affacciarsi per constatare che nessuno stesse morendo.
«Jin ma che caz-»provai a tappargli la bocca con la mano, velocissima. «Non urlare sei matto?» 
«How my poor heaaaaart-» quello continuava, incurante di tutto.
«Jin oddio santo piripillo!»
«...acheeeeeeeeeees»
«Ragazzi tutto bene? Vi serve aiuto?» Una signora, che probabilmente era a cena con noi, provò a darci un sostegno psicologico ma io più provavo a bloccare quel demente, più mi sentivo incapace di farlo. Mi venne da ridere, nonostante ero conscia che avrei perso il lavoro sul serio.
«N-no grazie scusi, è che, oggi è...il nostro anniversario, ha bevuto troppo sa com'è, i ragazzi, è che ha i neuroni che non funzionano, sta morendo in effetti»
«Oh, capisco.»
«... with every step you takeeeeee.» Niente, una radio rotta.

«Purtroppo è proprio malato dalla nascita, sì.» Continuai io, cercando di sovrastare lui. Sentivo altre persone borbottare cose, qualcuno stava entrando e uscendo da una porta, probabilmente disturbato da quell'acuto assassino di Jin.
«Magari fallo stendere.» Mi consigliò la signora ancora un po' sconvolta, prima di parlottare con qualcuno che non vidi. Finalmente Jin aveva smesso quella tortura fisiologica, cominciando a ridere come un coccodrillo, quasi strozzandosi con la saliva.
Io, per forza d'attrazione, non riuscii a resistere cominciando a ridere con lui, piegandoci su noi stessi.
«Jin tu sei tutto scemo.»

«...io lo uccido.» Finì lui, riprendendo fiato, tirando su la schiena. Aveva finito il suo enorme resoconto in quel frangente, tanto che rimasi un secondo a guardarlo, non avendo capita una mazza.
«Cosa uccidi?»
«Aaaaah,  ma Seo, non hai capito, lo devo rifare?»
«No!» Di nuovo sulla sua bocca, ma al posto della mano, gli diedi un bacio-bloccante, tirandomi indietro con una mezza risata. «No ti prego, ormai ci hanno già preso per dei poveri pazzi.»
«Beh lo siamo.»
«La prossima volta che ti propongo un duetto, invece di fare il musone della taverna, vieni con me e fammele tu queste serenate. Sennò guarda che ti succede, il tuo cervello si fonde.» Gli diedi una pacca sulla spalla, mentre lui mi rimpinzava la mano, finalmente raggiungendo il piano desiderato.
«Non farei mai un duetto con te, non sai cantare.»
Con quel complimento capace di farmi sentire la Britney Spears della situazione, mi diede un ultimo bacio.

Era assurdo che fino a poco fa saremmo stati capaci di mandare all'aria tutto questo, che eravamo tutti e due in un groviglio di tensione, di lacrime e di rabbia. Sembrava non esserci più niente di tutto quello, non riuscivo nemmeno più a pensare al dolore che avevo provato, mi sembrava tutto così irreale, lontano, non più appartenente alla mia persona.
Dovevo ammetterlo: Hoseok mi aveva insegnato cosa significasse sorridere, ma Jin mi aveva insegnato a ridere ed era di quello che non avrei mai più fatto a meno.





Riuscimmo a tornare alla cena dopo quel momento di disagio mentale, sperando che il momento canterino di Jin non fosse filtrato dalle pareti. Nessuno sembrava essersi accorto di niente e noi cercammo in tutti i modi di entrare con la massima nonchalance. Mi sembrava un arduo compito cercare di eliminare quel sorriso a mille denti che avevo dipinto in faccia e, infatti, Namjoon ci accolse con un'occhio indagatore che non lasciava spazio alle interpretazioni. 
Sembrava volesse farci una scannerizzazione a laser, ma bastava soffermarsi ui nostri capelli spettinati per capire che, nel retro-scena erano successe cose segrete. 

Non disse niente, si limitò a incrociare il mio sguardo abbozzando un sorriso lunghissimo, stretto, che mi fece sentire ancora più imbarazzata del normale.
In un cataclisma interiore cominciai ad afferrare la mano di Jin anche con l'altra, chiudendola in un sarcofago di dita, prima di avvicinarmi al nostro amico e sederci in dei posti liberi, probabilmente spodestando persone innocenti. Agnes era intenta a parlare concitata con un gruppo di persone sedute vicino a lei; aveva la pelle rossa e l'occhio sbirulo di una bevitrice di successo.
«Dov'eravate finiti voi due?» Ci chiese Namjoon, innocente e indagatore.
«Dovevo comprare delle uova.» Disse Jin.
«Ho dovuto pagare il parcheggio.» Dissi io.
All'unisono. Falsi quanto la conduttrice Hyuki Pan Ming quando diceva di non essersi mai rifatta il naso.
«Cosa?»
«Ha dovuto pagare il parcheggio.»
«Doveva prendere delle uova.»
Ci riprovammo, all'inverso però, con un livello di credibilità talmente basso che persino Monie si sarebbe offeso per così scarsa inventiva.
«Ragazzi.» Incominciò Namjoon, già in fase di congratulatore emozionato, ma Agnes notò la nostra presenza, sgusciando su di noi con braccia aperte e un sorriso a mille denti.
«Seoyun, Kim Seokjin vi siete persi il grande capo provare a cantare Arirang.» Squittì, prendendomi per le spalle, per scuotermi.
«Vi dirò la verità: vi siete salvati. Sembrava una gallina spellata viva con momenti di crisi interiore.» Ammise Namjoon, afferrando un paio di bicchieri dopo averli riempiti di liquidi ambrati, e passarceli. Poteva essere birra, ma chi lo sa.
Sia io che Jin li prendemmo, cominciando a ridere.
«Niente a che vedere con la tua esibizione di prima.» Continuò lei, rubando un bicchierino sconosciuto,accompagnato da un pezzo di pollo pinzato da una ciotola lì davanti.
«Agnes vorrei dimenticarmene per sempre.»

Non era proprio la verità. Non l'avrei dimenticata, probabilmente mai più, in tutta la vita, per via di quello che aveva portato quel minuscolo dettaglio. Mi chiesi se accendendo in Jin quel senso di oppressione, per chissà quale subbuglio geloso, avrei ottenuto tutto quello che stavo vivendo in quel momento. Il pensiero mi fece andare il cervello in brodo di giuggiole in un secondo e mezzo, tanto che mi ritrovai a voltarmi verso Jin, sorridendogli senza apparente motivo.
Lui fece lo stesso con me, stringendomi le dita sempre di più.
«Non pensavo ti piacesse quel Ki Bin, Seo, posso dirti che la cosa mi crea un certo disappunto?»
Cascai dal pero e tutte le pere vennero dietro a me, voltandomi di nuovo verso Agnes.
«Cosa?»
«Tu sei fantastica anche senza una proboscide maschile di fianco, ma accidenti per te sceglierei uno più sveglio, più intelligente, bello, dinamico, giovane, frizzante - »
Stava descrivendo Namjoon, o sbagliavo?
«Agnes ma io non-»
«-non un troglodita capace solo di pavoneggiarsi per le conquiste della serata sventolando banconote da poveraccio.»
Ormai era partita per un lido tutto suo, non riuscivo a raggiungerla, tanto che cercai un appoggio in Namjoon stesso che, a quanto pare, trovava quella conversazione più divertente che mai visto i gargarismi che la sua gola ridente creava.
«Nam, falla smettere di bere per favore.»
«Non sono mica suo padre, eh.»
«Nim-Agnuska, si tranquillizzi, Seoyun non starebbe mai insieme a lui, purtroppo ha espresso chiaramente che vuole provare un altro tipo di carriera sentimentale: l'astensione
Sia io che Namjoon ci voltammo verso Jin, facendo scattare il collo.
«Sul serio?» A quanto pare riuscivo a sincronizzarmi bene anche con lui.
«Oh caro ragazzo.» Agnes fece una risata un po' strana prima di afferrare un altro bicchiere. «Seoyun è troppo piena di cose belle per tenerle dentro di sé e lasciarle ammuffire come una casalinga disperata, non deve seguire l'esempio della sottoscritta.»

Provai di nuovo un imbarazzo latente, tanto che strinsi gli occhi, alzando il  bicchiere per farlo scontrare contro quello di Agnes, finendo con accoccolarmi un po' vicino a lei.
«Agnes smettila di dire castronerie, per favore.»
«Ehi, che cos’hai sul collo?»
L'auto-combustione spontanea non era ancora un mio super potere, per la fortuna di tutte le persone che erano lì dentro con noi.
«Checos'hosulcollo?» Squittii io, coprendomelo con entrambe le mani.
Sentii Jin farsi rigido,  di fianco a me, mentre Namjoon tentava di levarmi la mano.
«Ti sei fatta male?» Chiese lui, più innocente di prima.
«Una zanzara, sicuro!»
«O un calabrone!» Continuò  Jin.
«Un tricottero magari.» Continuai io.
«Un coccidae, presumo.» Jin, di nuovo.

Namjoon si tirò indietro, guardandoci con aria piatta, un po' stranita.
«Ragazzi dovete piantarla di vedere i documentari alle tre di notte, state diventando inquietanti.»
Inconsapevolmente, i nostro svaccamenti documentaristici davanti alla TV stavano dando dei risultati del tutto inutili, in quel contesto, ma la cosa fece prendere il tempo che ci serviva per boicottare quella curiosità da parte loro.
«Sappiamo un sacco di cose che tu non sai sulla vita del sicarius hahni.» Continuò Jin, annuendo da vero acculturato.
«Ma non ci tengo a saperlo, ti dirò la verità.»
«Alora vivi nella tua ignoranza.» Continuai io, un po' troppo melodrammatica, mentre Agnes aveva rinunciato a osservare cose nella mia pelle e aveva già versato altri tre bicchierini per passarceli losca, come una vera spacciatrice.
«A me piacciono molto i ragni, trovo i documentari su di loro molto affascinanti.»
«Oh ma anche io.» Ammise Namjoon, guardandola.
«Che falso.» Io e Jin, in coro, a quanto pare stavamo diventando più bravi del previsto.
Ci venne da ridere all'unisono, alimentando così quel momento goliardia  anche tra Nam e Agnes, che presero a sbellicarsi senza apparente motivo.

Io mi sentivo sempre più piena, sempre più incline a svolazzare via, sarei stata trascinata lontano da un misero colpo di vento se solo ne avessi avuto la possibilità. 
Mi sentivo finalmente libera. 
Le mie risate non erano condite da un senso di falsità e oppressione.
Erano reali, finalmente, le potevo sentire, me le stavo pregustando come una medicina che ti curava, improvvisamente, tutti i mali subiti in anni e anni di tensione. Bastava davvero così poco per annullare tutto quanto? Bastava essere lì, insieme alle persone a cui volevi più bene in assoluto, insieme al ragazzo che continuava a salvarti, forse senza neanche rendersene conto?

Era sempre stato lui il mio Jack?

«Oh ma eccovi, altolocati figli della strada, dove eravate fuggiti?»
Ki Bin interruppe quel momento di casino casereccio per piantonare le mani sulle spalle di Jin, facendogli andare di traverso un tocco di riso. 
«A parcheggiare le uova mentre compravano una macchina, qualcosa del genere.» S'intromise Namjoon, ancora sghignazzando da solo. Nella foga di quel momento aveva rovesciato una brocca d'acqua, scatenando un urlo condito da imprecazioni dialettali nei bipedi seduti lì vicino.
«Oh, mi hai lasciato solo prima, volevano il bis.» Continuò quello, mentre stringeva le spalle di Jin e guardava me. «Ho dovuto improvvisare una canzone di que cantante italiano panciuto e lirico pur di far smetter quel tifo ma non è stato lo stesso.»
«Bin non avrei cantato di nuovo, forse solo a pagamento, in contanti.» Comunicai io, risoluta.
In tuttò cio non mi stavo perdendo neanche un barlume delle espressioni di Jin, in quel frangente. Tentava disperatamente di non far notare niente, ma continuava a lanciarmi occhiate eloquenti, strizzando le palpebre.
Era irritato.

«Non ti pago per cantare-» disse lui, risoluto «magari per altro.»
«Ki Bin chiudi quella ciabatta o giuro che ti sospendo per il  prossimo mese.»  Urlacchiò Agnes, avendo colto il commento poco pudico dell'altro.
«Ma se sono in vacanza il prossimo mese.»
«Oh vabbè, per quando torni, non fare il puntiglioso con me.»
«Era solo una battuta innocente, suvvia suvvia.» Pigolò l'altro. 
Vidi Namjoon tentare di passare una mano sul braccio di Agnes, probabilmente per placarla visto lo sguardo carico di uno strano odio represso.

«Dai voi almeno l'avete capito, no? » Continuò quello, biascicando un po'. 
«No.» Risposero in coro Jin e Namjoon. A quanto pare il talento stava avanzando velocemente su più fronti.
«Che gente triste che siete- ah signor Kim, vieni con me devo presentarti una persona.» Ma Jin non fece in tempo neanche a ribattere che quello lo trascinò per un braccio, mentre richiamava qualcuno da lontano.
Agnes ne approfittò per afferrarmi un braccio, tirandomi più verso di lei.
«Quello quando beve diventa peggio di un cane idrofobo in procinto di fecondare i tubi idrici.»
Quel paragone anomalo mi fece ridere di gusto, ma io la presi più leggera.
«Ma lascia perdere, fa sempre così. Ti ricordi quando quella povera stagista era venuta a fare un tirocinio di due mesi? Ha cambiato carriera lavorativa per  colpa sua.»
«Dovrei licenziarlo.»
«Non puoi.» Mormorai io, sospirando. «Ma puoi contenerlo. Tanto lo sai com'è fatto, ora tirerà fuori qualche storia strappalacrime per fare un piagnisteo irreale»
«Ehm Seo?»
«con qualche povera fanciulla, qualche uèèè uèèèè, quella ci cascherà, poi tirerà fuori la finta foto del padre morto»
«...Seo?»
«che in realtà è l'attore che ha interpretato Hattori Hanzo e quella, che sarà una grande fan di cinema, se ne accorgerà tirandogli maledizioni, e fine della storia. Va sempre così.»
Namjoon mi strattonò un braccio, facendomi perdere il filo del discorso.
Non mi ero accorta dei suoi richiami, ma mi accorsi subito  cosa voleva mostrarmi.
A quanto pare Ki Bin aveva trovato un'altra tattica: la fatidica povera indifesa fanciulla non veniva presa all'amo da una foto di un finto defunto, ma da Jin.
Gliela stava presentando, mentre  vedevo la ragazza ridere e coprirsi la bocca, mentre già allungava mani verso un braccio del mio

«Ma porca vacca di quella lurida impestata io a quello lo uccido lo licenzio io lo flagello con ossa di amaranto del Pleistocene avvelenate di maitotossina!»
«...i documentari?» provò Namjoon, interdetto davanti alla mia reazione un po' troppo di spirito, mentre Agnes mi issava, spingendomi a salvatrice.
«Vai Seo, fatti valere!»
A grandi falcate ubriache, investendo almeno sette camerieri, mi avvicinai a loro come la più innocua delle persone, piazzandomi di fianco a Ki Bin mentre lo fissavo con angolazione da torcicollo perfetta.
«Ki Bin che stai facendo?»
«Oh Seoyun; è tutta la sera che provo ad avere un dialogo ma Chiaki è attratta dal tuo amico, non ha fatto altro che chiedermi di lui.»

Nel mio cervello si scatenò una terza guerra mondiale degna di nota, colpa di tutte le battaglie perse durante le guerre ludiche con Taehyung ai videogame. Ringraziai mentalmente il mio amico per avermi preparato alla vita da sicario, raggiungendo il fianco di Jin.
Lo vidi imbarazzato, molto più di quanto avrei voluto, mentre sorrideva davanti alla parlantina fluida e un po' brilla della ragazza.
A quanto pare Jin non solo mi faceva cantare canzoni d'amore, ma aveva acceso in me un lato che non ero conscia di avere. Ero sempre stata attenta a farmi rubare tutto da sotto il naso, ma per Jin avrei lottato con le unghie, i denti e pure gli alluci. 
L'alcol era un grande carburante guerrafondaio, in quello.

«Piacere signorina, non credo di averla mai conosciuta, lei in quale filiale lavora?»
Avevo interrotto un fantastico discorso su come il gatto della nostra povera sventurata avesse lo stesso nome di Jin oh oh oh che ridere che redire che spassosissimo spasso.
«Ahn, no io non lavoro qui. Sono stata invitata alla cena insieme a delle colleghe, purtroppo domani partirò per Tokyo per un altro evento.» Ammise lei. 
Fulminai Ki Bin con lo sguardo ma quello si era già defilato verso altri porti sicuri, parlottando con un paio di signore mai viste prima. A quanto pare non solo non era una collega, ma era una delle signorine a pagamento invitate dal signor Sang-hwa.
Cercai di darmi un contegno, prendendo a respirare regolarmente così da abbassare la pressione, ritrovando un secondo di pace interiore.
«Oh, scusi pensavo...fossi una- ahn, come non detto.»
«Non ti preoccupare cara.» Mi sorrise, facendo un inchino, prima di uccidere tutti i miei buoni propositi avvicinandosi a Jin, stringendogli un braccio. 
Gli sussurrò qualcosa all'orecchio che io non potei sentire ma vedere Jin arrossire mi fece partire i neuroni.

«Ah io-»
«Non ti preoccupare, so dove portarti.»
Fuoco. Fulmini. Saette. Malattie circolatorie. Tutto.
«N-no, no mi scusi c'è stato un enormissimo malinteso. Non - non posso venire, non so perché il mio amico ci ha presentato ma ecco io, non sono, insomma sto con lei.»
Jin mi lanciò uno sguardo mentre io ero in una fase un po' pericolosa, al momento.
«Ma come? Mi ha detto che eri single.»
«No forse lui intendeva per sé stesso, non per me, è che si spiega male, ha proprio un difetto di ...parlata.» Continuò Jin, gesticolando un po'.
«Ah.»
La ragazza fece una smorfia contrita, sbuffando, prima di osservare Jin in tutto e per tutto e passare al mio collega, squadrandoselo da lontano. 
Potevo capire la sua grande ed enorme delusione, ma alla fine con una mezza smorfia fece un altro inchino con la testa.
«Scusate, sono stata informata male, non volevo disturbare.» E detto questo la vidi allontanarsi mogia, mentre io ancora immersa in un mutismo salva-vita avevo pinzato la mano di Jin per trascinarlo di nuovo al tavolo.
Namjoon e Agnes ci stavano osservando da chissà quanti minuti; Namjoon stava ridendo come un disperato, a quanto pare trovava tutto quanto molto spassoso.
«Non dire niente stai zitto se provi a ridere ti espello.
» Minacciai io.
«Sono zitto!» Disse Namjoon, poco credibile, ancora ridendo.
«Quanto è cretino quel Ki Bin.» Commentò Agnes, dandosi di nuovo all'alcol.

Io ero di nuovo calata in un silenzio tombale. 
Non volevo neanche immaginare cosa sarebbe successo se la situazione fosse stata diversa.
Non ci vivevo con i miei se, ma in quel frangente stavo provando delle emozioni molto fresche, come ortaggi appena strappati dall'orto, ero in subbuglio ed ero sconvolta dal cambiamento di tutto questo.
Jin se ne accorse, mi passò la mano tra i capelli prima di avvicinare le labbra al mio orecchio.
«Scema, ma secondo te ci sarei andato?»
«Sì.»
«Non essere irrazionale.»
«Ti piaceva sei arrossito avevi le labbra piegate mentre facevi quella cosa strana.» Dissi io senza respirare.
«Sorridevo?»
«Esatto!»
In tutta risposta Jin si mise a ridere, dandomi un bacio sulla tempia che Namjoon e Agnes notarono come due falchi, prima di girarsi e sogghignare cose che non stetti ad ascoltare, riprendendo a parlare tra di loro.
«Hai finito di fare la stupida?»
«Non lo so! Forse...» Commentai io, di nuovo, percependo quel sentore di infantilismo che a quanto pare era ritornato a trovarmi.

Non ero realmente incattivita con lui, non era colpa sua, era più che altro la sensazione di gelosia pericolosa, quella che diventava possessione, quella che ti faceva litigare per gli sguardi strani o intonazioni di voce. Era la gelosia di Yurim, quella maledetta mi aveva contagiata. La vicinanza in tutti quegli anni era stata deleteria; non potevo rovinare anni di auto-controllo per una cosa stupida come quella. Avevo passato ere a spiegarle quanto fosse irrazionale e pericolosa la sua paura di perderlo, non potevo essere un'ambasciatrice così fasulla e incoerente, sarei stata uno zimbello di me stessa.
Ma Jin era quello delle prime volte, d'altronde, avrei dovuto prevederlo.
Mi riprese la mano di nuovo, continuando a strusciare le dita contro le mie mentre il suo viso restava a pochi centimetri, continuando a scrutarmi.
Stavo quasi per cedere, ma tenetti il broncio giusto perché ormai ero entrata nella parte.

«Ammetto che vederti gelosa però-»
«Non sono gelosa!»
«Ma prima hai detto che-»
«-prima ero pazza, non dovresti ascoltarmi.»
Lui sospirò, facendo un mezzo ghigno, pinzandomi la faccia per il mento, così da costringrmi a guardarlo negli occhi.
«Seo io ce l'ho già una ragazza, ce l'ho già da moooolto tempo. Non ho bisogno di trovarmene un'altra.»

Avvampai di nuovo, stringendo le dita intrecciate alle sue, dimenticando improvvisamente come far subentrare ossigeno nei polmoni.
Aveva lo sguardo sincero e un sorriso capace di far concorrenza allo scioglimento dei ghiacciai.
Ricercavo quel leggero contatto senza riuscire a smettere, vibrando ad ogni sensazione.

Come avevo fatto a resistere a tutto quello fino ad ora?
Come avevo fatto a convivere con la sua presenza per tutto quel tempo senza fare quel passo successivo? 
Dannazione, Yoongi aveva ragione. Era innegabile. 
Quella sensazione era una vera droga, non potevi tornare indietro, non avresti più potuto accontentarti di nulla.
Volevo prendermi ogni cosa, ogni sensazione, volevo viverla con ogni fibra del mio essere e volevo farlo da quel preciso momento.

«...io»
Provai a dire qualcosa di sensato ma, per mia fortuna o sfortuna, Namjoon rubò la scena annunciando che era ora del suo karaoke, catapultandosi verso il palchetto. 
Lo vidi incespicare su uno dei tavoli, mentre tirava giù un bicchiere e un piatto, fracassandoli a terra. Provò a scusarsi con il cameriere, che aveva il tipico sguardo da chi sarebbe stato capace di uccidere da lì a poco, e dopo attimi di scuse e lamenti, riuscì a raggiungere la zona canterina. Avrei voluto filmarlo ma la mia mente non era pronta a quella cosa, così ce lo godemmo dal vivo e segretamente, definendola una delle migliore performance mai viste nella vita: : avevo sempre pensato che avesse una bella voce, ma a casa cantava canzoni di Zico e Rich Brian,  le melodie non erano proprio il suo forte. 

Sembrava più che stessero uccidendo un gatto ma, visto che ormai eravamo tutti più vicini al coma etilico che alla vita, lo trovammo eccezionale e a fine canzone partirono ululati e battimani fin troppo vigorosi, qualcuno urlacchiò quanto fosse "figo" il cantante, forse era stata Agnes in incognito, ma c'era talmente tanto casino che non riuscii a constatarlo. Quando tornò al tavolo lei se lo strinse in un abbraccio palpatorio che ci fece ridere contenti senza alcun motivo.

Ma ormai qualcosa fremeva follemente dentro di me. 
Di fianco non avevo più uno dei miei più cari amici, ero arrivata al passo successivo, ogni cosa che diceva mi faceva imbambolare, ogni cosa che faceva mi distruggeva la ragione, la sua voce era una tortura alla compostezza. Ero ancora più nervosa di prima, le gambe tremolavano e lui non faceva che passare le dita lungo il mio braccio, anche quando parlava con gli altri, anche mentre beveva a mangiava. Non si staccava da me, tirandomi non appena sentiva la percezione che stavo allontanandomi da lì.

Non ce la facevo più, ero arrivata al limite, lo stavo desiderando come niente al mondo.
Mi voltai per provare a elargire uno sguardo eloquente ma me lo trovai cone le labbra sul mio orecchio di nuovo, provocandomi un brivido di piacere immenso.
«Maa dici che se la prendono se ora ti rapisco e ti porto via con me?»

Feci cenno di no, ero sicura che più avessi lasciato Agnes sola con Nam e meglio sarebbe stato, ma nel caso avrei accettato un licenziamento offensivo di buon grado. Mi alzai giusto per annunciare la nostra dipartita, lasciando un attimo interdetti i nostri due amici. Namjoon mi scrutò per un secondo prima di abbozzare un sorriso da porno attore professionista, schiacciando un occhio.
«Ci vediamo dopo.» Mi disse solamente; frase che captai come una sottospecie di obbligo morale. 
«Oh che peccato che andate di già, per favore non prendete la macchina, vi chiamo un taxi, anzi no andate a casa mia - no anzi forse sì vi chiamo un taxi!» Nella sua parlantina finale ci diede baci abbracci e carezze.
«Non ti preoccupare Agnes, divertitevi e grazie davvero per la cena. È stata la più bella della mia vita.» Le dissi io, in segreto, prima di pinzare Jin e trascinarmelo via.
Qualcuno da lontano cercò di salutarci ma stavo abbandonando il ristorante il più velocemente possibile, non più in grado di pazientare.


Decidemmo di tornare a casa con i mezzi di trasporto, a discapito di tutte le intemperie. Aveva cominciato a piovere, non pioveva da almeno due mesi e mi sembrava logico avesse deciso di cambiare il suo stile climatico proprio in quel momento. La presi come una risposta divina che stavo percorrendo la strada giusta. Sotto la pioggia, con i vestiti che si stavano inzuppando e i capelli ormai appiccicati al volto, mi sentivo estremamene felice.
Come non lo ero da ...sempre, probabilmente.

Arrivati a ridosso della fermata Jin si fermò, voltandosi verso di me, le mani sul volto e uno sguardo che poteva voler dire ogni cosa. Sembravamo sicuramente due protragonisti di qualche drama romantico drammatico e la cosa mi fece ridere da sola.
«Sarebbe troppo disdicevole se ti chiedessi di venire a dormire da me?»
«La smetti di parlare come un Conte Medievale di Villa Sabbiosa?» 
Lui mi guardò con aria un po' stranita e io continuai.
«Devo seriamente rispondere alla tua domanda?»
Cominciò a ridere, nel suo solito modo, sciogliendomi ormai gli ultimi nodi rimasti dentro di me. 
Ma quando era diventato così bello?
Mi accarezzò il volto e mi diede un altro bacio. Rispetto a quello dato sulle scale, questo aveva un sentore più dolce, quasi calibrato, sembrava volesse carpire ogni secondo. Io ormai ero subentrata nello spazio profondo e non c'era possibilità di tornare indietro, vagago come una meteora spersa e rapita, con tutto l'universo a disposizione.

«Scommetto che non ce la fai a cantare per tutto il tragitto a squarciagola.»
Mi disse lui, scostandosi, stringendomi le guance. Io lo guardai con aria di sfida.
«Vai, Yoshio Canzonino, scommettiamo. Però dovrai farlo anche tu o non vale assolutamente questo gioco, scusa eh.»
«Io non mi vergogno di niente, te l'ho mostrato prima.»
«Ottimo.»

Il pullman arrivò qualche minuto dopo. Per le povere orecchie dell'autista e degli ultimi pendolari di autobus della giornata, ci dedicammo ad una canzone strappastorie con una sincronia disuguale ma funzionante. Stava cantando appositamente male, esattamente nella maniera in cui mi aveva fatto sprofondare poco prima, di nuovo urlando e gracchiando e scornacchiando e io più che cantare ridevo come un'asmatica, non riuscendo a smettere. Quando cominciò lui, a ridere, tutto l'autobus venne contagiato e ci ritrovammo tutti immersi in una ridarola collettiva.
Probabilmente, il giorno dopo, non avremmo riso di tutto quello ma in quel frangente era così spassosso che non ce ne importò granché. L'autista ci fece scendere con grande sollievo vicino all'Università e, sempre canticchiando e ridendo allegrotti, cominciammo a dirigerci verso casa sua.

Mano nella mano, come due adolescenti alla prima cotta, passammo tutto il breve tragitto dalla fermata al suo portone starnazzando come oche giulive, impantanandoci in balletti stradali, baci rubati, versi strani, assalimenti alla sua schiena, assalimenti alla mia di schiena, in un connubio di situazioni che ci avrebbero probabilmente portato all'arresto se solo fossimo stati così sfortunati da incontrare un agente.
L'alcol mi stava aiutando ma ero conscia che, quel lato stupido e fanciullesco, era Jin che lo stava tirando fuori. 
Era lui che continuava a innaffiare la mia parte bambina, perché lui non l'aveva mai abbandonata, nonostante fosse il più grande del gruppo.
Non c'era più neanche l'ombra di quelle lacrime, nemmeno in lui, e mi domandai se aveva provato la stessa sensazione. 
Se davvero io, tenendolo vicino a me, avevo annullato il suo dolore.

Non feci in tempo a restare troppo nei miei pensieri, una volta arrivati facemmo una strana gara mortale per salire i piani di casa sua con salti a gambe unite, rischiando la rottura degli incisivi almeno sette volte su sei. 
Ma una volta davanti alla sua porta, col fiatone, l'ombra delle risate, il silenzio imposto per non svegliare tutto il condominio, venni colta da un terribile magone.

E mi venne il panico. 

Non sapevo bene che giri l'alcol facesse lungo le terminazioni cerebrali per cambiare drasticamente l'umore di una persona; che capovolte e funambolesche piroette lasciavano fluire  il sangue qui e là, ammattendo i miei circuiti. Ma sta di fatto che mentre digitava il codice, per entrare, cominciai a sentire un senso di ansia che si propagò per tutto il petto, tanto che mi dovetti premere la mano al centro dello sterno mentre guardavo dentro casa di Jin. Lui se ne accorse solo dopo aver acceso la luce, tenendo la porta aperta e voltandosi verso di me per tirarmi dentro.
Io ero rimasta vicino alle scale, immobile come una statua.
Avrei voluto mangiarmi le dita da sola quando vidi il suo sorriso scomparire dalla sua faccia improvvisamente, diventando preoccupato. 

«Ehi Seo, va tutto bene?»
Deglutii a vuoto mentre lo guardavo. Perché la mente doveva fare questi scherzi? Un secondo prima ero la persona più felice del mondo e ora? Aveva ragione Jungkook quando diceva che dovevo andare in terapia, avevo abusato troppo della mia mente per essere normale.

«No io...forse non dovevo venire.» Ammisi, piena di vergogna.
Lui mi si avvicinò, carezzandomi i capelli, mi infilò alcune ciocche scomposte dietro l'orecchio ma non rimasero lì a lungo.
«Ti porto a casa, non c'è problema. Non sei obbligata a stare qui.»
Chiusi gli occhi, decidendo di rilassarmi volontariamente. Con un po' di respiro ce la feci. Gli stavo facendo ancora del male, era evidente. Dalla voce, dal suo sguardo, dal modo che aveva di deglutire. Ormai era un libro più che aperto per me.
«No è che -»

ho paura, ho paura che tu mi stia mentendo, ho paura che non sia vero niente che sia solo un illusione, l'ennesimo cerchio della mia testa, che ottenuto ciò che volevi mi dirai che era stato uno sbaglio, che rimanere amici era la cosa migliore, che io amavo Hoseok e sapeva che non poteva competere. 

«-sta accadendo così in fretta e non so se, insomma, sai dopo Hobi è tutto così complicato e strano. Non voglio rovinare le cose perché questa volta non ce la potrei fare, ho paura che potrei crollare sul serio. E che non potrei più...più rialzarmi.»

«Fretta?»  Lo vidi sorridere dolcemente, non imponendomi di entrare in casa. Probabilmente stavamo disturbando i suoi vicini, ormai mia prerogativa di vita, ma non ero in grado di preoccuparmi di quello ora. «Seo, io ero convinto che non mi avresti mai notato, che non saresti stata mai mia. Ma sai da quanto io -» fece una pausa che mi uccise, ma poi continuò «anche io ho paura, ho paura che domani ti sveglierai e ti renderai conto che non può funzionare tra di noi. E sì, forse non ho un Hobi-fantasma che mi trascino dietro, ma credimi se dovesse andare male non riuscirei più a riprendermi. Ed è assurdo perché pensavo che tutto questo sarebbe rimasto solo un desiderio dentro la mia testa e nulla più, ma ora - ora che sei qui, con me, l'idea che potresti scivolare via mi fa andare di matto.»

«Vedo che io e te condividiamo anche le stesse paure.»
Lui si mise a ridere di nuovo, deglutendo. 
Io volevo solo stringerlo a me, come potevo avere paura che Jin mi mentisse?
Non era geneticamente in grado di raccontarmi bugie, era un pessimo mentitore.

«Non sei costretta a fare niente comunque, ho aspettato secoli, che sarà mai ancora un po'?»

Mi venne da ridere, quello scemo di Jin non aveva mai provato a interfacciarsi con me in maniera intima, mai nemmeno una volta. Si era ascoltato i miei piagnistei per Hobi e addirittura mi aveva dato consigli su come fare. Aveva avuto un gran rispetto per me, e finché non era stato sicuro che per Hobi non sarei mai stata più di un'amica è sempre stato in un angolo a tenermi d'occhio. 
Mi sbagliavo, forse sarebbe stata una grandissima mamma un giorno.

«Ma oggi non danno quel programma TV dove bisogna indovinare le parole e disegnarle?»
«Oh sì: "Cala la penna", come ho fatto a dimenticarlo!»
«Magari se ci sbrighiamo riusciamo a vedere la replica.»
Lo pinzai per un polso e lo trascinai dentro casa.




"Cala la Penna" era quasi finito, ma in compenso riuscimmo ad arrivare in tempo per un vecchio gioco a premi dove un tizio ruotava una bolla di domande, ne pescava una e in base alla risposta si vinceva un montepremi. Le domande erano balorde e assassine, solo uno come Namjoon avrebbe potuto realmente vincere a questo gioco. 
Come da tradizione aveva messo a mollo una zuppa di miso, piatto tipico con cinquanta gradi all'ombra, che stava rilasciando vapori calmanti mentre l'alcol si stava sciogliendo sotto i litri di acqua che stavamo ingurgitando. 
«Questo gioco è una fregatura; una volta mia madre ha chiamato per la domanda a casa, aveva dato la risposta giusta ma la conduttrice ha detto che c'era la linea disturbata e ha attaccato.»
«Nooo, che ignobile. Immagino tua madre che pantomima le avrà fatto.»
«Sì, ha chiamato la direzione e secondo me ha pure licenziato delle persone. Lei proprio, mia madre, da casa.»
«Grande donna.»

Scavalcò il divano con due ciotole in mano e un equilibrio da ninja della Montagna, riuscendo a non far sbrodolare neanche una goccia. Le poggiò su un piccolo tavolino rotondo, prima di girarsi verso di me e rubarmi il telecomando.
«Ho visto che fanno un drama chiamato: "Il cuore del dragone", parla praticamente di un cuore ...e di un dragone.
» Spiegò lui, molto dettagliatamente.  «Lo guardiamo?»
«Vai.»
Cominciò a pigiare nei tasti del telecomando mentre i programmi tv cambiavano e si intervallano.
Mi ritrovai a guardarlo come si guardava qualcosa che era apparso improvvisamente di fianco a te.

Il giorno dopo avrei dovuto dire tutto a Namjoon, probabilmente anche a Yoongi, a Yurim e poi ci sarebbe stato un passaparola tempestivo, tutti avrebbero saputo che tra me e Jin era successo qualcosa ma, in quel preciso momento, volevo che tutto quello restasse solo mio. Ancora per una notte. Guardarlo arrabbiarsi e borbottare con la TV perché non trovava il canale mi fece venire voglia di prendere in mano le redini della questione. Presi un respiro profondo, aiutata dall'odore di zuppa, mentre un guizzo di emozione mi fece tremare il cuore. 
Non mi lasciai condizionare da quello, stringendo i denti sul labbro.

Salii sopra le sue gambe in maiera lenta e graduale, fermando il suo zapping frenetico che si fermò proprio su un programma di cucina dove un gruppo di vecchiette facevano a gara su quale crostata di mele sarebbe stata la migliore della serata. 
Gli avevo pinzato il viso tra le mani e avevo lo sguardo ricolmo fisso su di lui, lui aveva il volto bollente e lo sguardo un po' perso, imbambolato a guardarmi.
«Mi ricordo che un certo Seokjin mi ha promesso una serata indimenticabile, non so te ma fin'ora è stata così banale ...»
«Questo Seokjin è proprio un disastro, fa promesse, non le mantiene...» Mormorò lui, con voce bassa.
«Già, ma colpa mia che mi fido, sai?»
Lui si mise a ridere con un labbro mezzo sghembo, e io lo seguii a ruota ritrovandomi a deglutire via un nervosismo crescente. Ero riuscita a salire sulle sue gambe ma mi ero bloccata peggio di una statua di sale, stavo letteralmente andando in agonia per colpa di quel contatto, ma lui mi aiutò nell'impresa.
Mi afferrò i fianchi, molto lentamente, prima di stringere le dita sui miei vestiti e tirare su il collo per premere le labbra sulle mie e baciarmi. Io feci lo stesso, avvalorando subito la mia causa, che si faceva più bisognosa che mai.

Dal viso passai ai suoi capelli, quel nido soffice era davvero la cosa più morbida del mondo, ci incastrai le dita e me lo tirai dietro mentre lui stava prendendo le redini della situazione. Mi scostò giusto per spingermi contro i cuscinoni del divano, cambiando posizione e salendo sopra di me, strusciandosi lentamente senza schiacciarmi. Non aveva mai smesso un secondo di baciarmi. 

In TV una signora cominciò ad elencare tutti gli ingredienti usati nel suo pasticcio cremoso e Jin, ad ogni grammo, aveva cominciato a slacciarmi i bottoni della camicia, scendendo dalle labbra al collo. Faceva parecchio caldo, ero sicura che avrei preso fuoco, il tocco delle sue mani era come cioccolata spalmata sul corpo, come glassa sciolta nella gola.

Il programma mi stava contagiando così che cominciai a fare qualcosa per non sembrare un vegetale umano, gli levai la camicia di dosso e, per la prima volta, lo guardai a petto nudo. Non aveva addominali scolpiti e perfetti ma il busto era largo e le spalle possenti, la pelle perfetta come quella del David di Michelangelo. Iniziai a far scivolare le mie labbra su quella pelle mentre cominciavo a sentirlo mugolare di piacere. Se alla cena si era leggermente trattenuto, questa volta non si vergognò affatto di mostrare piacere in quel contatto.
Quel suono mi fece partire via tutti i freni inibitori e, per quanto provassi a godermi ogni istante, mi liberai di tutti i suoi vestiti proprio mentre la signora Aga dalla Francia spiegava le sensazioni che provava nel cucinare la sua crostata.

Oh è come musica, capite? Il suono che scaturisce, che ti entra nelle orecchie mentre il suo sapore lo senti in gola, si scioglie dentro di te, ti libera i polmoni e senti che ogni parte è fatta solo per renderti  felice, mentre l'assaggi è come se ogni terribile infausto evento della tua giornata scomparisse dalla terra.

Io e la signora Aga, in quell'istante, stavamo descrivendo allo stesso modo due cose diverse. Continuavo a baciarlo, per quanto provassi a stuzzicarlo sul collo, tra il petto, sulle spalle con piccoli morsi era sempre sul suo volto che tornavo. E i baci erano irruenti e mordenti, lo facevano tremare, mentre lo sentivo muoversi in maniera più decisa, mentre le sue mani sondavano ogni parte del mio corpo, spogliandomi, scoprendomi, facendomi sentire sempre più legata a lui ad ogni fulmine di piacere che sapeva procurarmi quel contatto.
Sarei rimasta legata a quell'intreccio per tutta la vita mentre morivo dalla voglia di averlo. Lo sentii sollevarsi appena per non schiacciarmi il busto, si stava reggendo con metà braccio piegato e l'altra mano non faceva che accarezzare me. Il suo volto era estasiato da un piacere crescente mentre, all'improvviso, cominciai a sentire un brivido che mi fece inarcare la schiena.

E così mi immaginai, al posto della signora Aga, mentre la conduttrice mi porgeva il microfono. Allora, signorina Seoyun, può descriverci che cos'è il piacere? Oh il piacere, il piacere è una scossa, è un fulmine in piena testa che sfibrilla il cuore e intorpidisce i muscoli, i piedi e persino i sensi. Non c'è più il raziocinio, senti solo che vuoi vederlo morire dall'eccitazione, senti solo che vuoi morire ad ogni sospiro, ad ogni gemito, sperando che non finisca mai nonostante tu lo sai, che vuoi quel finale. Ho già provato il piacere fisico, ma quando lo mischi, quando cominci a miscelare gli ingredienti, quando t'abbandoni ad un piacere mentale e a sentire che non è solo quello che ti sta facendo, ma chi te lo sta facendo, allora arriva, prepotente, senza avvertirti. 

Cosa, signorina Seoyun?

L'apice, no? L'apice. Dove ti accorgi che lo hai graffiato dappertutto, che hai fatto uscire dalle tua labbra frasi come "non fermarti", come "non lasciarmi", che lo vedi inarcare la schiena, che senti il suo respiro sulla pelle accaldata, che siete una cosa sola ormai, che non si torna indietro da quello, che tu lo a-


Inarcai la schiena stringendomi contro di lui mentre il piacere mi sconvolse in tutto e per tutto, un fuoco che partiva dal bassoventre irradiandosi fino al cervello. Non ero riuscita a dire niente, ma lui invece sì, disse il mio nome, lo aveva ripetuto molte volte, macchiandolo con una voce graffiante e lussuriosa, era lascivo e dolce. Si afflosciò su di me subito dopo, con la testa nel mio collo e il fiatone, ancora con gli spasmi che lo facevano tremare appena. Lo strinsi in un abbraccio, affondando le dita sulla sua testa, completamente appagata di tutto. 

Eravamo rimasti in silenzio, io continuavo a dargli baci sui capelli ritrovando un respiro normale, mentre lui mi carezzava le braccia, arrivava al collo, mi toccava il volto. Sembrava stesse appurando che io fossi ancora lì, con lui. E restò così per infiniti minuti, tanto che ero sicura si fosse addormentato, ma lo sentii strusciare il volto su di me un'ultima volta.

«Non andare via, resta con me.»

Me lo sussurrò pianissimo, schiacciando il naso contro la mia guancia, mentre io chiudevo gli occhi, provando di nuovo quel fuoco nel petto. Lui si addormentò poco dopo, abbracciato a me, mentre io non chiusi occhio.
L'insonnia mi avrebbe uccisa prima o poi, ma mai quanto lui.
Mai quanto lui.













NDA: eeeeeee  salvino salvino amici, 'sto capitolo è sempre un po' di transizione ma ci tenevo boh a farli tornà a casa felici (?) quindi mi sono un po' coccolinata a scrivere ciò. Comunque la donnina a pagamento, so che pare tipo una cosa orripilante, ma a quanto pare alle cene aziendali in Corea del Sud vengono tipo invitate sul serio, come anche qui a Londra, SO COSE che avrei voluto non sapere infatti v-v
E niente come al solito non son convinta di niente ma questo capitolo lo dedico alla SeoJin, ebbene sì, nome coniato dalla SHIP <3 che sia
Juliet8198  che ggiunn hanno coniato con tanto amore basta io lo ufficializzo <3 tra l'altro come sempre ringrazio chi mi recensisce ogni capitolo, siete sempre le mie eroine ma chi ve lo fa fare, io vi  stimo per sempre. E ringrazio anche chi mi mette tra le seguite e le preferite, che per me è sempre tipo un colpo al cuore, non me lo aspetto e mi rende felice un sacco ;//////; a presto.
AH, tempo fa avevo pubblicato un semi-video che avevo creato per sta storia, cancellato da me medesima perché boh NON LO SO son pazza, però l'ho rifatto e niente ve lo metto magari vi piace magari no, non sono brava ma mi diverte farli in realtà, nel caso perdonate per la perdita di 2 minuti e passa della vostra vita xD 
https://www.youtube.com/watch?v=4qtHYs4FP_Y
 
 

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Capitolo 16
*** Le probabilità di Murphy ***


 
 

 
16 ~ Le probabilità di Murphy
 
 
ㅇㅅㅇ



 
 
Alla fine riuscii ad addormentarmi, ad un certo punto della notte in mezzo a chissà quale pensiero uccidi-neuroni. Ripresi tutte le ore di sonno perse, svegliandomi a mezzogiorno inoltrato. Ero stata coperta e rivestita, ed ero su un letto. A quanto pare il letto di Jin; ci misi un po' a focalizzarlo.Per la seconda volta nella mia vita, mi misi a sbirciare quell'angolo intimo della sua vita con ancora la vista sfocata, mentre pensavo al senso della vita, in quei primi secondi di veglia. C'era una chitarra abbandonata in un angolo, vicino alla scrivania piena di libri. Erano stati lanciati mille vestiti sulla sedia, evidentemente aveva cambiato molti outfit la sera precedente prima di decidere cosa mettersi. La cosa mi fece sorridere, addolcendomi più del dovuto. Mi rotolai nel letto andando a sospirare, posando una mano sopra la testa, ricordando improvvisamente ogni cosa. Venni avvolta da un senso di calore accentuato dai gradi infernali estivi, mentre sentivo il cuore tamburellare nel petto impazzito. 

La luce del giorno subentrava filtrata dalle finestre, attraverso le persiane, rendendo l'aria più leggera, potevo vedere le briciole di polvere svolazzare tra i raggi che illuminavano piccoli scorci come dei raggi perfetti, circolari. Mi sentivo così appagata; era stata una notte che non avrei mai dimenticato. Mi sembrava quasi che non fosse successo realmente, che me lo fossi solo sognata. Ma sapevo che era tutto reale, me lo sentivo addosso, avevo ancora i segni dei piccoli morsi, qualche graffio truffaldino e il suo odore, ovunque, che mi mandava fuori di testa.

Mi alzai più che riposata, andando a controllare che non avessi porzioni di corpo ancora nude. A quanto pare mi aveva rivestito perfettamente, infilandomi una specie di camicia-vestaglia larga il doppio di me, chissà con quali tecniche visto la mia propensione a paralizzarmi durante il sonno. Mi venne da ridere da sola al pensiero, immaginandolo prendermi in braccio per portarmi sul letto, mentre mi avvicinai alla porta. Potevo sentire Jin muoversi in cucina, ero convinta che stesse cantando una canzone per bambini, che parlava di una carota viaggiatrice negli orti del mondo, ma questa volta non stava starnazzando come una cornacchia, stava usando la sua voce reale, quell'angelico suono che riusciva a ricreare facendo vibrare le corde vocali. Era davvero assurdo che non avessi mai saputo di questa sua dote canora in tutti quegli anni.

Decisi di subentrare in scena indossando una delle sue maglie, rubata dall'ammasso gettato sulla sedia. Volevo dire perché la trovavo una cosa particolarmente carina, ma in realtà mi ero innamorata di una maglietta in particolare, bluastra e con una balena gigante disegnata sopra, che avrei voluto rubargli senza destare sospetti. Mi avvicinai pronta a cambiare il mio look mattiniero, ma fui deviata da una lettera, sopra la trafila di libri. Non ero solita farmi gli affari degli altri in questo modo ma ero stata dirottata dalla serie di timbri, timbrini e timbretti che riportavano un chiarissimo richiamo. 

Decisi di fare finta di niente, di infilarmi la maglia di Jin togliendomi quella specie di vestaglia rinascimentale di dosso e slittare verso la porta. 
Ma poi mi bloccai, di nuovo. 
La mia mente, o la mia coscienza, si limitava a spararmi in testa frasi cantate con voce robotica e metallica sul fatto che non dovevo assolutamente farmi gli affari di Jin, che non era nulla, che era solo un depliant, una raccomandata, una lettera di una studentessa innamorata di lui follemente. Sarà che quel pensiero mi provocò un bruciore di fegato, lo stesso sentito la sera prima, lo stesso provato quando la ragazza di suo fratello era ancora un pericoloso rivale dentro di me, ma ripiombai sulla scrivania con una falcata e presi la lettera tra le mani, sfilandola dalla busta aperta.
La lessi con la velocità di un ghepardo, slittando su ogni parola in apnea.

Signor Kim Seokjin, 
riguardo alla sua richiesta la informiamo che la sua proposta è stata accettata per cominciare il servizio militare a partire dal prossimo semestre. Le sarà richiesto di recarsi presso l'Ambasciata con i seguenti documenti:
- passaporto e carta d'identità
- carta medica e assistenza sanitaria
- iscrizione e bollettino della retta per il training
- prova di un indirizzo valido 
- certificati di studi, lauree o dottorati in corso.

Presi un respiro profondo, interrompendo la lettura. Cominciai a sentire i santi, buddha,le fate e i troll aggrovigliarsi tra di loro nella mia testa in un'apocalisse di idee che mi lasciò immobile per minuti infiniti. Richiusi la busta, strinsi le mani a pugno e cominciai a pensare a mille idee per azzoppare Jin in qualche modo; sapevo che c'erano permessi speciali per le persone che avevano subito gravi lesioni o non erano autonome per prestare servizio, potevo asportargli un occhio magari, o indurlo ad un trauma psicosomatico radendolo a zero o gettandogli in faccia del miele bollente. Insomma, mi avrebbe perdonato no? Era per una buona causa.

Ma quel momento di boicottaggio mentale non alleggerì neanche un po' quel senso di mancanza preannunciata, ero a fatica riuscita a superare un mese di viste sporadiche con lui quando ancora non era chiaro niente nella nostra relazione, come potevo sopportare mesi e mesi senza sentirlo, dopo tutto quello che avevo finalmente trovato? Sapendolo sperduto in qualche frontiera? Magari vagando tra le mine sparse nei boschi della Corea del Nord? In una trincea recintata? In un fossato di spine?
Forse non avevo ben chiaro il servizio militare, ma nella mia testa cominciarono a fluttuare solo immagini del Vietnam, della Guerra di Corea, di tutti i momenti bellici della storia, non riuscendo bene a razionalizzare la situazione.

Aveva scelto i marines. 
Sapevo che suo padre era davvero severo in quello, ma ero convinto che avrebbe provato per il servizio da vigilante, immaginandolo come una specie di Gordon in divisa. Accidenti a me e alla mia curiosità farlocca, non potevo fare finta di niente adesso e lui avrebbe scoperto che avevo trafugato il vaso e avevo visto cose. Cose di cui non mi aveva mai parlato e che, probabilmente, non voleva farmi sapere, non ora per lo meno.

Mi armai di un'ignoranza letteraria e andai verso la cucina dove sentivo borbottare i fornelli sotto le note di una canzone. Non era la canzone della carota viaggiatrice, era una canzone allegrotta che proveniva dalla radio in maniera melodiosa e tonica, mentre da Jin usciva più come una piaga  di sofferenza, capace di aprire tutti i rubinetti emotivi di un animo umano. Mi sembrava così sereno, col sorriso in faccia, i capelli spettinati e quel vestiario casalingo che boicottava tutto il suo sex-appeal. 
Era quello il Jin che preferivo, nonostante tutto. 
Sarà stata quell'immagine così intima, quella visuale così dolce e pacata, che fingere mi venne più facile e subentrai con uno sventolio di mano, alzando la voce.

«Ehi ciao!»
A quanto pare non era pronto alla mia venuta, lo vidi fare un mezzo salto, spaventato, mentre lanciava un mestolo verso di me. Guardai la scena al rallentatore, sapendo che quell'impiastricciato utensile culinario mi avrebbe colpito e infatti così fu, in pieno petto, rovinando la maglietta di Jin e schizzandomi barlumi di olio piccante e curry un po' ovunque.

«Oh cavolo, scusa scusa scusa, accidenti che disastro.»
Prese almeno sette canovacci diversi mentre s'avvicinava per tamponare la "ferita" salsifera sulla maglietta, toccando inconsciamente luoghi proibiti e facendomi quasi ridere per disperazione.
«Ti sei fatta male? Scotta? Ti ho ustionato? S'è sciolta la pelle
«No, no, no e ...oddio come nell'Arca perduta? Che schifo.»
Dissi io, mentre lui fermava quel tamponamento, drizzando la schiena e fissarmi con aria un po' sorpresa e dolce. 
Non l'avevo mai notato, ma il suo viso la mattina sembrava sempre più radioso e le labbra ancora più gonfie del normale. Qualsiasi ragazza avrebbe invidiato dei canotti del genere.
«Ehi ma questa maglietta la conosco.»
«Dici? Strano, perché è sempre stata mia.» Ammisi io, tirandola per i lembi così da mostrare tutta la sua lunghezza chiazzifera. Mi arrivava quasi alle ginocchia, che avevo evitato di coprire per non liquefarmi dal caldo.
«Devo avere proprio la memoria difettata.»
«Eh la vecchiaia, sai.»
Lui si mise a ridere, dandomi un bacio frettoloso sulla fronte, prima di zompare di nuovo ai fornelli e controllare la vastità di cibo preparata. Non era mai stato bravo con le porzioni, o ne faceva troppo o troppo poco. 
«Sto preparando la colazione, che forse è più un pranzo, te l'avrei portata a letto, è una cosa che ho sempre sognato fare.»

Era bravo a trovare nuovi metodi per farmi arrossire come un'aragosta. A quanto pare anche io, come lui con me, avevo accentuato delle caratteristiche che era stato costretto a tenere pacate nel suo io interno. Che fosse sempre stato un ragazzo romantico lo sapevo, ma difficilmente lo sfoggiava in maniera così plateale.
Di nuovo sorrisi, mordendomi il labbro, mentre annusavo i mille odori speziati  che arrivavano dappertutto.
«Se vuoi torno di là così puoi fare la tua entrata in scena da servizio in camera.»
«...Però poi mi son ricordato che tu sei pericolosa con le cose in mano.»
«Ehi, non sono mica Namjoon!» Brontolai io, mentre quello rideva, girando qualche salsa col cucchiaio.
«Ti ha contagiato, lo sappiamo tutti.» Disse lui, voltandosi a guardarmi per un secondo, prima di riprendere ad armeggiare con gli utensili, a ritmo della nuova canzone radiofonica.

Mi avvicinai al tavolo, poggiando un fianco sul bordo, mentre gli fissavo la schiena, in silenzio. Avevo mille cose in testa, mille sensazioni che sgomitavano per uscire fuori, prendere aria e trovare il loro posto in quel mare di emozioni nuove che mi stavano letteralmente avvolgendo. Io e lui ci eravamo sempre comportati come una coppia, da quando la nostra amicizia si era intensificata. Quante volte l'avevo guardato  cucinarmi, proprio come stavo facendo in quel momento? Quante volte avevamo dormito nella stessa casa? Sul divano? Abbracciati? Quante uscite
appuntamenti
avevamo fatto, quante cene, quante fiere, quante risate, una miriade di risate. La sera prima l'aveva detto e io non ero riuscita a rispondere, mi considerava la sua ragazza, chissà  da quanto tempo, e come io avevo fatto con Hoseok, lui aveva lasciato gli occhi su di me senza più guardarsi intorno. 
Provai di nuovo un forte calore al petto davanti a quel pensiero.

Mi ero comportata da egoista, forse addirittura un cieco avrebbe capito che Jin provava qualcosa per me, Yurim lo sapeva e aveva cercato di dirmelo e io, come una stupida, avevo chiuso la testa rigettando quel pensiero per poi lasciarlo recitare la sua personale parte, senza dare modo di farlo fiorire nel migliore dei modi. 
Ma io da quanto provavo qualcosa per lui? 
Mi ricordavo come se fosse successo poche ore prima la sera in cui avevo cominciato a guardarlo con occhi diversi, in cui avevo deciso di farlo entrare nel mio  cuore come un tassello assolutamente insostituibile. Quella sera avevamo inaugurato una sottospecie di miglio dorato insieme a Namjoon, a girare per Seul di notte come dei vampiri d'alto borgo. Ma il momento decisivo era avvenuto quando l'avevo visto togliersi la giacca, metterla sulle spalle di Namjoon che stava morendo assiderato, pallido e tremante per colpa di chissà quale alcolico ingerito, mentre gli diceva di stare tranquillo, che aveva chiamato un taxi, che poteva portarlo all'ospedale se voleva, che si sarebbe preso cura di lui.

Era stato quello, quella sua propensione a curarsi di tutti di noi, sempre, a discapito delle intemperie, dei suoi pensieri, dei suoi problemi. Lo avevo notato, faceva così con ogni nostra anima persa, non ti faceva mai pesare niente, aveva sempre un braccio pronto a tirarti su dalla tua palude della tristezza. 
Jin era un'anima unica, una di quelle che dovevi preservare per non farla spezzare e mi sentii improvvisamente fiera di essere stata scelta dal suo cuore. Tra tutte le persone viventi  che  conosceva, lui aveva scelto me. 
E non aveva cambiato idea.

Ma come funzionava la legge del contrappasso, o le innegabili propietà di Murphy che avevamo già visto? Dove il mio Guru di vita diceva: "se senti odore di fiori, sicuro è una bara"? Avrei dovuto cambiare Guru, magari cominciare a seguire le nozioni filantropiche di Keisha, che invece diceva: "amore e fantasia la noia si portan via."
Insomma, Tae riusciva benissimo in quest'impresa, potevo benissimo farcela anche io.
Quel pensiero mi fece sospirare, profondamente. 
Potevo assaporare tutto quello ancora per poco prima di vedermelo sfilare via dalle mani per colpa di una forza maggiore come il dovere? 

«Senti Jin»
provai a cominciare per intavolare il discorso, come potevo dirgli quello che pensavo senza sembrare una disperata pronta a legarmi al suo busto pur di farlo desistere ad andare? Sapevo che era d'obbligo, prima o poi sarebbe successo, ma speravo che almeno completasse i suoi studi prima di imbarcarsi in due anni di vita militaresca. Sperai che quello successo con me lo avrebbe fatto desistere, ancora per un po', giusto per darmi altri ricordi a cui aggrapparmi in quei lunghi e agonizzanti mesi di distanza.
Ma lui si voltò con una faccia che mi fece cambiare idea; non potevo proprio rovinare quella giornata. E non ero sicura di volermi sentire dire che a Settembre sarebbe partito per chissà quanto.
Goditi il momento, diceva Keisha, e visto che avevo deciso di seguire le sue nozioni di vita, intavolai un altro discorso.
«Ti va di uscire più tardi? Vorrei portarti in un posto.»

Lo vidi sorpreso, forse era addirittura arrossito. O forse era il calore della zuppetta che stava sfrigolando nella padella.
«Dove mi vuoi portare?»
«Eh ora vuoi sapere troppo, non è che posso dirti tutto.»
«Non mi starai mica chiedendo un appuntamento?» Disse lui, gonfiando le guance.
«Noooo macchè, ma va, ma dai, ma su.» Dissi io, facendo no sia con la testa che con un dito ballerino.
«Ah meno male, sono un uomo impegnato non è che posso uscire con tutte quelle che me lo chiedono.»
«Già.» Dissi io affilando gli occhi e pure le mie lame da omicidio interne, mentre mi avvicinavo a lui. «E poi gli uomini impegnati se la tirano troppo, fanno battute orribili, si credono Dei scesi in terra, una noia.»
«Cos'hai contro le battute, scusa?»
«C-usa? Niente.»
Lui abbandonò le armi da cucina e pentolami vari sul fuoco e mi si spiattellò addosso, afferrandomi i fianchi per sollevarmi da terra e prendermi in braccio. Incrociai le gambe dietro la sue schiena, reggendomi sulle sue spalle, mentre la chiazza di sugo sulla mia maglia rovinava la sua, per giusto parcondicio delle cose.

«Ne so una fantastica, reggiti forte:  quali sono i pesci simili tra loro?»
«Ti prego non farlo.»
«I-dentici.»

Lui cominciò a ridere da solo come un citrullo mentre io, roteando gli occhi al soffitto, mi chiesi se ero pronta davvero a cominciare una relazione a lunga durata con quell'individuo. Ma alla parole relazione, nella mia testa, persi per un secondo l'uso del cervello. Così che Jin riuscì senza alcuna fatica ad appoggiarmi sul tavolo della cucina della cucina, mentre ancora rimanevo aggrappata a lui. Lo stringevo con le gambe, impedendogli qualsivoglia via di fuga.

«So che stai ridendo. Dentro. Nel tuo cuore.»
«Oh sì, un groviglio di risate interne lorde.» Dissi io, mentre quello continuava a ridere.
I fornelli borbottavano gelosia visto l'abbandono di  Jin ma lui non gli diede alcun contentino, continuava a restare su di me, contro di me, mi stringeva i fianchi in maniera possessiva e io cominciai a sentire una grande, grandissima fame.

«È inutile che rigetti questo mio talento, lo sappiamo entrambi che senza le mie battute la tua vita sarebbe solo una macchia infelice in questo nebbioso mondo.»
«Jin, la mia vita è infelice proprio per questo, lo capisci? Cioè una persona muore nel mondo ogni volta che ne tiri fuori una.»
«Aaaah, non capisci il talento! Potrei fare il cabarettista, la gente mi amerebbe, striscioni ovunque su di me: ma guardate quello splendido ragazzo, con quella faccia perfetta, sa persino far ridere
«Jin rassegnati non succederà mai nella vita.» Esclamai io, in preda a quel momento utopistico. 

In realtà non potevo rivelargli la verità, era un segreto che mi portavo dietro dalla nascita. Avevo sempre trovato affascinanti le battute tristi di Jin, era vero, mi facevano ridere dentro ma per preservare i miei ultimi sprizzi di dignità rimastami avevo dovuto fingere, anni e anni di risate interne solo per simulare una parvenza di serietà. Era stato un lavoro a tempo pieno davvero frustrante. 
Lui stava facendo strane facce, davanti alla mia risolutezza nel bloccargli i sogni, così gli pinzai il naso tra le dita ridacchiando.

«E va bene, ora ti rivelerò una cosa che non dovrai dire ad anima viva. Ne so una valanga anche io, ho archivi nel mio cervello invidiabili.» 
Lui sgranò gli occhi, colto di sospresa, restando in silenzio.
«Con questa ti uccido, preparati.» Dissi io, guardandolo seriosissima. 
Lui si stava preparando, evidentemente, perché avevo perso l'uso delle parole, guardandomi con un'aria che sembrava quasi traumatizzata.
«Come si chiama il Santo delle scarpe?»
Lui neanche mi rispose, la sua scheda madre si era bruciata, era evidente. 
Mi venne da ridere. In effetti era davvero divertente stare sull'orlo di una barzelletta squallida sapendo che non avresti fatto ridere neanche le iene del re leone. Potevo  capire l'ebrezza che provava Jin ogni volta che si cimentava in quei motti di vita, pronto a rovinare la giornata della gente.
«San-Dalo

Rimase per un secondo fermo, convinta che non avesse neanche sentito, ma poi cominciò a ridere come un ebete di nuovo, con quella sua risata tipica a papera asmatica che tanto amavo. Non smise per qualche secondo, ero quasi sicura che sarebbe morto per mancanza di ossigeno, ma alla fine mi tolse le mani dai fianchi, drizzandosi con la schiena.
Mi prese il viso tra le mani, schiacciandomelo. Stava ancora sogghignando, non riusciva a tornare serio.
«Non resisto più, sei così sexy, vieni qui.»
«Eh immagino-» riuscii a dire prima di sentire le sue mani tirarmi il volto appena, premendo labbra contro le mie, mentre con il corpo era già pronto a spingermi contro l'asse del tavolo, facendomi distendere con la schiena. 

I fornelli borbottarono molto, in effetti, ma in quel momento avevamo bisogno di un altro tipo di nutrimento.







Alla fine uscii da  casa di Jin che erano le tre passate. 
Avevo dovuto abbandonare a malincuore la maglia-balena di Jin, ritornando verso la mia dimora sconfitta con gli stessi abiti della sera prima, ma ormai con una carriera da ladra professionista visto lo scippo volontario di un paio di calzini; erano bianchi e c'era disegnato sopra un alpaca, non potevo proprio evitarlo.
Ricordandomi di tornare al mondo reale, decisi che era giunto il momento di aggiornare un po' i miei amici, inforcando il cellulare.
Notai sul mio telefono ben quarantamila messaggi non letti, essendomi dimenticata totalmente dell'esistenza di quell'aggeggio dalla sera prima.
I partecipanti ai quei monologhi mesaggiferi erano ben tre: Yurim, Namjoon e Jimin.
Cominciai a scorrere le notifiche mentre presi un autobus al volo. Della pioggia della sera prima non c'era più traccia, era di nuovo tornato il sole, il caldo e strati di polverina secca. 

Ero riuscita a non pensare più a quella lettera, ma una volta lontana da Jin quel pensiero era piombato di nuovo nel cervello. Sperai che i miei amici avessero notizie succulente e felici, non avevo proprio voglia di pensarci. Per una volta volevo che quello stato d'animo perdurasse almeno per un altro giorno, non chiedevo felicità eterna, solo un altro po'.
Solo un po'

A quanto pare i miei amici erano stati colpiti dalla legge della fisica, quella che annienta, a sorpresa, bastarda e maledetta. Ricordai un detto che diceva, un battito d'ali di una farfalla può generare un uragano dall'altra parte del mondo. Insomma, una farfalla, un disastro, ecco perché avevo sempre preferito le falene.

"Tesoro ho bisogno di parlarti, ti prego rispondi appena puoi. Ho provato a contattare Namjoon ma non mi ha risposto e Yoongi ha borbottato qualcosa sul fatto che non sei tornata a casa. Se sei stata rapita ti uccido, anzi prima ti salvo e poi ti uccido. Appena puoi chiama, baci baci. Ah, ma che hai fatto stanotte? Hai fatto la frizzarella? Eh? Birbante! Non mi hai raccontato niente!"
Il nesso dei messaggi di Yurim era quello, mi venne da ridere per un secondo, ma l'inizio di quel messaggio mi riportò ad uno stato più serioso. Era raro che mi chiedesse di parlare con urgenza, a meno che non fosse successo qualcosa di gravoso e impossibile da risolvere. 
Mi feci prendere da un attacco di panico di un secondo ma poi decisi di leggere ancora.

"Sappi che se verrai licenziata non è stato assolutamente per colpa mia. Te lo posso giurare."
Sapevo che sarebbe successo, sicuro aveva deciso di giocare ai suoi preliminari preferiti, ossia fingere di essere a Hogwarts in uno scontro-incontro tra Malfoy e Hermione e Agnes l'aveva mandato a quel paese. Non so perché si ostinava a raccontarmi i suoi preliminari preferiti, non era una nozione di vitale importanza da sapere.

Sperai in Jimin, un piccolo raggio di pace capace di lietare il cuore di chiunque e di spazzar via questo momento di sconforto.
"Yoongi mi ha lasciato."

Eh vabbè ma allora lo fate apposta. E che cavolo. 

Con uno sbuffo sonoro simile ad un trattore decisi di chiamarli, uno alla volta, evitando così la messaggistica, boicottando la mia insana paura di parlare al telefono con la gente.
Provai a chiamare Yurim per prima. 
Partirono almeno settanta squilli ma di lei nessun segno di vita, sicuramente era a lavoro, così passai a Namjoon, il secondo della lista. 

«Ehi socia.»
«Ti prego, dimmi che non le hai detto che sembra una Mangiamorte.»
«No, no - ah ah ma che dici, ma va.» Non sembrava sicuro, gli avrei sequestrato gli Harry Potter a vita.
«Sicuro Nam? O dovrei dire: shut up Malfoy?»
Provai a imitare Namjoon, quando si divertiva a imitare lui stesso l'accento britannico.  
Silenzio dall'altra parte, sembrava avessi colto nel segno, tanto che mi venne una crisi un po' blanda.
«Nam ho bisogno di quel lavoro, se lo perdo non potrò più nutrirmi di sogni e speranze. E di miso, pollo, kimchi, sushi e messicani vari.»
«Dovrei smetterla di raccontarti cosa faccio con le ragazze.»
«Nessuno ti ha mai obbligato, infatti.»
«Senti ne possiamo parlare a casa, dopo?»
«Ho capito, mi preparo ad una vita sotto ad un ponte, la prossima volta che ci provi con un mio capo ti taglio le mani.»
«Non è come pensi, scema.» Borbottò lui, mentre diceva cose incomprensibili al telefono. Poi riprese a parlare. «Mi ha invitato a casa sua, ci sono andato ma - ecco l'ho lasciata lì, sul più bello diciamo. Non sono riuscito ad andare oltre e ovviamente non mi ha scritto nulla e io non ho scritto nulla a lei.»
«Ah.»
«Già, non volevo offenderla ma ...sai dopo l'ultima esperienza non riesco a fare quel passo in più. E lei mi piace anche, è una donna fantastica, ma me la ricorda. Che schifo
Potevo capire lo schifo di Namjoon, ci avevo navigato dentro fino alla sera prima, in fondo.
«Hai solo bisogno di tempo Nam, quella persona ti ha deluso e ora hai paura di aprire il tuo cuore a qualcuno, è normale. Vedrai che quando sarà il momento riuscirai a fare il tuo passo, ma non darti fretta. Passerà da solo.»
«Che saggezza Seo. Potrei commuovermi.»
«Eh lo so, anni e anni di pratica.»
«Quando sono tornato non c'eri, sei rimasta da Jin?»

Sentivo le budella contorcersi ancora. Namjoon non aveva fatto neanche un passo, io già duemila. Ma la mia situazione era un po' diversa, non mi andava di spiattellargi così bruscamente quella sensazione. Avevo ancora addosso tutte le emozioni che Jin mi aveva regalato; se chiudevo gli occhi potevo ripescare alla memoria ogni singolo brivido di quella notte. Per poco non mi strozzai da sola ripensando agli occhi
al corpo
di Jin su di me. Quindi sorrisi a dismisura, sperando di non far capire il mio stato d'animo dal telefono.

«Sì.» 
Brava Seo, veloce e concisa, non capirà mai niente.

«Che figlia di gianfronia che sei, lo sapevo che sarebbe successo, era da una vita che speravo che apriste gli occhi. Jin di qua, Seo di là, e le cene, e le uscite e quegli abbracci, e il dormire spiattellati, e i corsi insieme, persino uno come Tae l'avrebbe capito.»
Non ero riuscita  bene nell'impresa.
«No ma scusa, ma che - cosa hai capito? Non ti ho detto niente.»
«A  casa mi dici i dettagli, ho finito la pausa ci vediamo dopo.»

Mi chiuse la telefonata praticamente in faccia mentre io ero bollita dentro. Evidentemente dall'esterno sembravamo già una coppia fatta e finita, esattamente nel modo in cui era sempre stato, ma ora con dei piccoli particolari in più. Insomma, a quanto pare l'unica scema a non averlo capito ero io.
Mi levai di dosso quell'auto-insultamento e provai chiamare Jimin.
Era stato l'ultimo ad avermi scritto così ero fiduciosa. Mi rispose dopo un secondo.

«E-ehi Seo, dove sei?»
«Quasi a casa. Ehi Chimmo, mi spieghi che è successo? Stai bene?»
Non mi rispose, pensai che stesse provando a trovare delle parole carine per dirmi che stava uno schifo, invece la sua voce un po' flebile mi disse altro.
«Vieni a Gong Cha? Quello vicino casa tua, sono con Suji.»
«Gong Chan ...ahm sì, va bene, dammi il tempo e sono lì.»

Per quanto volessi un bene dell'anima a Jimin, cominciai a provare una sorta di sentimento simile alla rabbia per lui e per Suji. Era qualcosa che mi faceva sentire sporca, ma non riuscivo a non pensare a quella sera della festa, nel vedere Yoongi piangere per lui, a sentire il suo dolore attraverso di me. Non avevo la più pallida idea di come fosse imbastita la loro storia, se era più tragica di una telenovela con un triangolo amoroso, e non sapevo se ci sarebbe stato un lieto fine, ma ero certa di com'era Yoongi quando stava con lui, come lo trasformava, la sua presenza era un toccasana. 
Perché non potevano permettersi di stare bene, accidenti? 

Mentre il bus soffiava e deviava per raggiungere la zona del centro commerciale, provai a chiamare Yoongi. Mille squilli, nessuna risposta. Lo richiamai. Ancora. Ancora. Non volevo prenderlo per sfinimento ma sapevo che la mente di Yoongi, alle volte, reagiva in maniera instaibile, mi bastava anche solo un insulto e mi sarei calmata. 
La risposta arrivò dopo la quarta chiamata. Aveva la voce impastata di sonno, non era arrabbiata.
Era distrutta. Sì, era la parola esatta.

«Chi è?»
«Minno, sono io. Come -»
Non dirlo, come vuoi che stia? Era una domanda che odiavo quando era palese che stessi male, così cambiai il tiro.
«Mi ha scritto Jimin. Non sapevo neanche che sapesse che sapevo, insomma di solito ti fai gli affari tuoi in questo, quindi ecco-»
«Sì beh, gliel'ho detto io. Non la finiva più di frignare.»
«Yoongi ma cazzo, però. Cos'è successo? Non dirmi che è colpa del documentario sui pinguini, ti ha pinguinato il cervello scusa?»
«Si è portato dietro Suji, per le apparenze dice lui. C'era Jungkook, che cazzo gliene fregava delle apparenze? Come se avessi passato la serata a limonarlo.»

L'immagine di loro due che limonavano mi sconvolse un poco ma decisi di sorvolare, da brava.

«Se ha paura di stare con me non voglio neanche che ci stia.»
«Lo sai che i giudizi lo annientano, una volta è rimasto chiuso in casa per due giorni perché Jungkook gli aveva detto che i suoi capelli sembravano una spruzzata di cacca di piccione.»
«Sì ma qua non si parla di capelli tinti male, qua si parla di me. Del fatto che lo amo, del fatto che sto rinunciando a delle cose per poter stare con lui. Non vuole neanche parlarne, come se non fosse un problema, dice che è normale, così ha modo di poter stare più con me non facendo insospettire nessuno. Io e Nam viviamo insieme e non credo che facciamo insospettire nessuno, perché dovrebbe farsi delle storie per questo?»
«Perchè» 
non trovai subito la risposta, ero quasi arrivata a destinazione, così premetti il pulsante per prenotare la fermata e sospirai, guardando fuori dall'autobus. Era pieno, strapieno, ingolfato di coppiette. Mi venne un po' di tristezza al pensiero.
«perché ha paura. Ecco perché. Sai che non viviamo in una società molto aperta mentalmente su queste cose. E i suoi genitori saranno adorabili ma sono all'antica. Hai notato  che hai appena  detto che lo ami?»
«Se mia madre mi impedisse di stare con la persona che amo per via di motivi che non hanno senso le andrei contro, non farei il pappamolle. E hai sentito male.»
«Invece lo faresti.» Ammisi io, sentendomi in colpa subito. «Dai Minno, non so neanche quando è cominciato tutto questo, ma sicuro la cosa vi ha sconvolto entrambi. Tu hai avuto una crisi per lui, lui è terrorizzato da quello che prova. È normale, anche io provo lo stesso.»
«La smetti di difenderlo? Fammi sfogare come si deve.»
«Sì, scusa.»

Stette zitto ancora un po',lo sentii fare un verso di rabbia, sicuramente aveva fatto cadere qualcosa per terra  perchè percpeii il rumore di un oggetto che si rompeva e poi un impropero colorito da parte sua.
«Se davvero volesse stare con me ora starebbe con me.» Sibilò lui, mentre io scendevo per un pelo alla mia fermata, spintonata giù da una borsa della spesa. 
Era impossibile trovare Jimin in quella bolgia così decisi di stare ferma ancora un po'.
Era strano pensare che fino a poche settimane prima era riuscito a essere la persona più felice dell'universo, forse aveva sfiorato vette mai raggiunte in anni di relazioni, riuscendo a darmi la spinta necessaria per fare il mio passo e ora, di nuovo, era ripiombato giù per colpa di un fattore esterno, la famosa forza maggiore che si intromette nel tuo quotidiano e che non riesci a sconfiggere con niente. 
Io e Yoongi eravamo stranamente compatibili con le torture che la vita ci donava nei nostri momenti migliori.
La mia era il senso del dovere, la sua era la discriminazione di una società.
Bellissima prospettiva per entrambi.

«Non è proprio così che funziona, hai l'esempio vivente che ti sta parlando. Ci sono sempre altri fattori, non siamo delle macchine, siamo umani e abbiamo, sai, quelle brutte cose chiamate paranoie, pensieri, paure.»
«Sì ma neanche ti considero a te, sei una tale idiota in fatto di relazioni.»
«Oh ma scusa eh-»
«Almeno finalmente hai detto a Jin che lo ami o dobbiamo ancora stare qui a fingere?»

Pum-pam. Di nuovo il cuore a martello. 
Mi guardai in giro, come se qualcuno avesse potuto cogliere quello scompenso, ricordandomi che a nessuno sarebbe comunque importato, ero solo un puntino in mezzo a mille persone, eppure mi sentivo esposta, come se fossi nuda. Quel maledetto di Nam doveva sicuramente avergli detto  cose. Questo passaparola famelico era peggio del gioco a quiz, almeno avessi vinto dei soldi.

«Stavamo parlando di te, non di me.»
«Almeno sii sincera, dai. Ho passato metà della mia vita a sentirti lagnare per Hoseok, non posso arrivare alla pensione sentendoti lagnare per Jin.»
«Aish.» Feci uno sbuffo, avvicinando la bocca al parlatoio digitale così da abbassare la voce «Ci siamo baciati, sono andata a casa sua, abbiamo fatto cose proibite, credo di essere ufficiosamente la sua ragazza, probabilmente andrà a militare a settembre  spezzandomi il  cuore e sì, sì ...io ...»
No, non potevo dirlo. Per quanto Hoseok non inondava più la mia testa, sapevo che dovevo aspettare ancora.

Lo sentii ridere, sguaiato, si stava proprio sbellicando dalle risate. Non so cosa ci trovasse di così divertente, forse era la mia voce. Almeno si era tolto quella raceudine da persona morente, se prendermi in giro lo aiutava ero ben disposta a farmi usare come giullare di corte.
«Hai finito?»
«Sai, vi avrei fatto un disegnino nel caso non foste riusciti. Ehi aspetta, hai detto che andrà a militare?»
Finsi di non sentire la sua domanda finale.
«Senti devo vedere Jimin visto che ora pare abbia bisogno di uno psicologo, tu vedi di prendere un respiro, ricordarti com'era prima che prendessi coraggio e comprendere che ci sono persone che sono caratterialmente diverse da te, che hanno bisogno dei loro tempi. Ti ricordo la lezione di vita che mi hai inculcato tempo fa, da grande accolito della causa, magari ripesca i ricordi di quelle sensazioni e non sabotarti come farei io. E se ridi ancora ti strangolo.»

Neanche lo salutai, attaccai e basta. 
Ora la mia rabbia fasulla era passata verso Yoongi, in un flipper di sentimenti contrastanti e irragionevoli.



Jimin e Suji erano seduti in un bar che faceva granite, tè, yogurt e tante prelibatezze del genere dai gusti più disparati, ordinai una granita dal colore azzurro puffo e mi sedetti insieme a loro. C'era una bella area ristoro fuori, piena di piantine e tavolini, compressa di gente. Il casino non mi dispiaceva in certi casi, ma ora che avevo trovato una sorta di pace lo trovai destabilizzante.
Jimin era l'emblema della depressione, un manifesto noir di tutto ciò che andava male nella vita di un uomo, gli mancava un cappello, il sigaro e una bottiglia di whiskey vuota davanti al naso. Suji, invece, era sempre color pastello, sorridente e timida, che lo osservava apprensiva, dandogli pacche sporadiche sulla spalla.

«Perché sei vestita come ieri sera?»
Domandò lui, alzando gli occhi su di me. 
«Beh perché ovvio: per ricordarti che il passato, anche se lo ri-usi, può sembrare sempre come indossato la prima volta, se non addirittura più conscio.»
«Ah.» Disse lui, sorseggiando rumorosamente dalla cannuccia.
«Già.»
«Ma è sgualcito, ci hai dormito sopra?»
«Senti davvero vuoi parlare del mio vestiario di oggi? Non fare il Tae della situazione.»
«Scusa Seoyun-ssi.» Suji si intromise, facendo un inchino con la testa. «Sono rimasta perché non volevo lasciarlo da solo ma, ecco, ora che ci sei tu avrei proprio urgenza di andare via se non è un disturbo per voi.»
Certo che, tra lei e Yoongi, c'era un abisso di differenza. Jimin era incapabile in fatto di gusti, forse non riusciva a proprio a trovare un baricentro tra ambedue queste personalità, ma ero convinta che fosse per il fatto che anche lui ne avesse due. 
Una come Sunji. Una come Yoongi. 

Le sorrisi, annuendo.
«Ma certo, tranquilla, vai pure e grazie per essere rimasta.»
«Grazie. A presto.» Poi si rivolse a Jimin, in maniera più dolce. «Mochi se hai bisogno scrivimi pure.»
E si defilò, portandosi via la granita e quell'alone di tenerezza sfoggiato con quel personale nomignolo per il nostro Jimin. 
Per essere stata rifiutata da Jimin era comunque gentile nei suoi confronti, mi chiesi se la sua uscita con lei non fosse stata un pretesto, se magari l'avesse usata come scusa fin dall'inizio. Magari erano stati da sempre solo amici e lei lo aveva aiutato a mettere a posto i pensieri sui suoi demoni interiori. 

Lo vidi salutarla con un cenno impercettibile prima di sospirare, poggiando i gomiti sul tavolo e reggendosi la testa con le mani.
«Tra un paio di giorni dovrò tornare a Busan, ci starò fino alla fine di Agosto, posso tornare qui per altri due giorni prima di ricominciare i corsi. E sarà un casino organizzarmi, il prossimo anno prevedo mille impegni e pochi soldi.»
«Noto che il prossimo anno sarà una bella mazzata per tutti a quanto pare.»
Lui mi guardò un po' confuso ma io decisi di non fare la disfattista proprio in quel momento, sorridendogli nel modo più confortevole del mondo.

«Vuoi dirmi che è successo?»
«Mio padre non accetterà mai questa relazione, ho paura che potrebbero scoprirci, ho provato a spiegarglielo che mi serve solo tempo ma lui è impaziente. E testardo. E mi fa ammattire quando fa così.»
«È Yoongi, sapevi a cosa andavi incontro, no?»
Dissi io, che a consolare le persone ero brava come Garomi-Mi-Gara, energumeno di sumo, a fare sfilate di bikini. 
«Sì ma  - »
«Non dovete correre, avete tipo ancora un sacco di sofferenza da provare, ma i primi periodi sono quelli più belli, eccitanti e magici in un rapporto. Non rovinateli con queste cose, non è che te lo devi sposare, tuo padre lo conosce, pensa sia tuo amico, tu goditi questi momenti e lascia fare al tempo.»
«Non è così facile come dirlo ad alta voce.»
«Su vieni con me, moscerino di vimini, ti porto in un posto.»

Consapevole di aver trovato un soprannome perfetto per quel finto-dolcino che stavo trascinando fuori dal bar cominciai a sogghignare, improvvisando al momento le mie intenzioni. 
O meglio le sapevo, ma non ero consapevole che avrebbero funzionato.
«Dove mi stai portando? Oh, ho dimenticato la granita.»
«Non fiatare.» Risoluta, lo portai in uno delle zone pic-nic adibite per gli studenti universitari. Era un gigantesco spiazzo verde non tanto distante dalla zona più affollata, ma si respirava aria pulita e, nonostante la folla, lo trascinai verso un punto più  distaccato che avevo scoperto durante uno dei miei pellegrinaggi solitari, quando ancora mi tormentavo la testa per Hoseok.

C'era una specie di grotta che io chiamavo "grotta urlante" per via di un'immensa bocca di pietra incisa e spalancata che permetteva ai temererari di subentrare dentro per fare orrorifici selfie di cannibalismo. Essendo priva di tavolini e zona ristoro era meno affollata in quel periodo, tralasciando le coppiette imboscate per sfuggire agli sguardi dei più curiosi. 
Vicino alla grotta era stato messo un pilastro di pietra.
Era una sottospecie di totem gigantesco, spaventoso e dalle forme di un dragone, ma che io reputavo più essere un serpente particolarmente ciccione. 
C'era una scritta in un cartello lì vicino e narrava la leggenda che, chiunque avesse infilato la mano nella bocca del serpente, sarebbe stato contagiato dal veleno se ad una domanda avesse risposto una bugia.

La psicologia, essendo una materia meravigliosa per i più superstiziosi, aveva provocato danni irreversibili; si erano rovinati matrimoni, relazioni, amicizie e quant'altro, mogli cornute, furbastre e carogne, avevano obbligato i mariti a infilare la mano lì dentro per confermare finalmente un tradimento, amici di lunga data con problemi di soldi e di menzogne, persino figli con genitori, cani con gatti - insomma una strage. Adoravo venire lì e vedere le persone trovarsi a rispondere la verità assoluta, impauriti che quel serpente-dragonesco di pietra avrebbe calato le fauci per infettare la carne del malcapitato e farlo morire di terribili agonie velenose.

Jimin era la persona più superstiziosa che conoscevo, quasi più di Jin, sapevo che davanti ad un marchingegno del genere avrebbe cantato fuori la verità senza neanche pensarci. Sapevo cosa provava, ma credevo avesse bisogno di sentirlo - di sentire se Yoongi era davvero la risposta, o un problema per lui. Così con la mano pinzata al suo polso lo trascinai fino alla bocca del serpente, gliela infilai dentro e cominciai a recitare:

«Giuri di dire la verità nient'altro che la verità? Narra la leggenda: se levi la mano il serpente te la mozzerà. Se rispondi una farlocchiata, il serpente ti avvelenerà. Se dirai la verità allora sarai benedetto e salvato dalla tua eterna dannazione.»
Lui era rimasto impietrito a fissarmi, con la mano nella bocca pietrosa del totem e l'altra che continuava a muoversi davanti a me.
«No no no che hai fatto, oddio. Non voglio che mi morda. Ma cos'è questo coso?»
«Allora scava dentro di te e rispondi sinceramente alle mie  domande o non ci sarà pace.»
Forse la stavo facendo troppo drammatica, Jimin era letteralmente spaventato ora, tanto che provò a cercare aiuto in una coppietta intenta a farsi i selfie nella grotta urlante. Quelli neanche lo notarono.

«Seo ti odio.» 
Gracchiò, ormai abbandonandosi al suo destino.
«Perché hai paura di amare Yoongi?»
Partii in quarta, in fondo c'ero soltanto io e sapevo  che anche se mi avesse mentito niente e nessuno lo avrebbe avvelenato, ma se funzionava...

Lo vidi prendere un respiro enorme, chiudendo gli occhi, afflosciando la fronte contro il totem. Era davvero disturbato da questo suo problema, mi pentii all'istante di quello stupido gioco. 

«Perché non sopporto i giudizi della gente e perché non sono sicuro che Yoongi sia quello giusto per me.»
«Cosa ti  fa provare?»
«Lui ...» 
aprì gli occhi di scatto, guardandomi con aria di supplica, stavo già per cadere sotto il suo incantesimo da cane bastonato ma riuscì a resistere. 
«...ecco mi fa provare rabbia, frustrazione, alle volte penso che vorrei ucciderlo. Mi scuote tutto dentro, le viscere, lo stomaco, mi perseguita come un demonio.»
Non era proprio un buon inizio, pensai, ma poi il suo sguardo cambiò drasticamente.
«Non riesco a resistergli. Per quanto ci provo, tutto di lui mi attrae, la sua voce, il suo sorriso, quegli occhi sottili ed enigmatici. Nessuno riesce a farmi l'effetto che mi fa lui. Non so se sia amore, so ...solo che mi piace sentirmi così, mi piace provare tutto questo insieme di sentimenti. Anche quelli brutti.»
«Sai lui ti ama
Yoongi mi avrebbe ucciso e impalato ma ormai il danno era fatto. 
«Insomma, è veramente cotto di te. Tu hai quest'aura da angelo guerriero che farebbe crollare le difese di chiunque Jimin, ti ricordi quando provi la tecnica di persuasione? Faccio fatica addirittura io.»
«Lo so che sono bellissimo.» Sorrise imbarazzato, con una voce talmente bassa che a stento riuscivo a sentirlo. Aveva cominciato a picchiettare il totem con la mano libera, guardandolo con aria pensierosa. Si era zittito di nuovo.

«Sì ma tutto di te è bellissimo, non solo quella faccetta da budino, tu sei bello dentro. Sai alla festa per Hobi? Stavamo tutti litigando, tra motivi e motivacci, e sei arrivato tu, hai fatto la tua solita magia, ossia quella di uccidere la nostra dignità davanti a tutta Seul ma ehi ha funzionato, ha pianto persino Minno renditi conto. E davvero pensi che qualcuno potrebbe mai schiacciarti solo perché il tuo cuore potrebbe appartenere ad un uomo? Tu sei sempre stato la cura per ogni discussione tra noi, in qualche modo ci salvi sempre.»
Mi stava guardando in maniera triste ma, allo stesso tempo, riconoscente. 
Quel poverino aveva ancora la mano dentro la pietra, doveva crederci sul serio.

«Quindi salvati. Usa quel potere angelico verso di te. Se non c'è nessun'altro in grado di farti provare quelle cose sigifica che non c'è e basta. Forse non sarà l'uomo della tua vita, forse un giorno ti sposerai, con una donna, forse con Suji o con Ellen della caffetteria.»
«Ma ha 50 anni e non parla una parola di coreano.»
«Dettagli dettagli - insomma, non lasciare tutto perdere, un giorno ti chiederai come sarebbe stato altrimenti.»
«Me lo stai dicendo perché te lo chiedi anche tu, vero? Per Hoseok?»

Jimin maledetto Lucifero.

«Non prendere mai esempio da me, mai. Sono un terribile punto di riferimento.»
«Non è vero. Sei un po' un disastro con le relazioni umane ma se non ci fossi sarebbe tutto più noioso.»
«Ah sì, come i drammi nella vita.»
«Cosa?»
«Cosa?»

Stavo già perdendo il filo, così rimisi insieme un po' di pensieri, andando ad afferrargli il polso delicatamente, trattenendoglielo ancora per un secondo. 
Decisi di  dare il colpo di grazia a quel misero gioco, distruggendo in un secondo tutti gli anni di amicizia con Yoongi, ma era per una giusta causa, forse alla mia morte mi avrebbe perdonato.
«Ti ha scritto una canzone, sai?»
Lui sgranò gli occhi, schiudendo le labbra. Lo guardai per qualche secondo, senza continuare, pregustandomi l'inizio del suo imbarazzo. Stava cercando di non sorridere ma gli venne fuori male.
«Non ce l'ho qui, perché dopo avermela fatta leggere ovviamente me l'ha sequestrata, probabilmente l'ha bruciata e ha venduto le ceneri a qualche demone dell'Inferno.»
«...come una setta?» Riuscì a dire lui, ormai senza più voce.
«Sai anche tu quanto sia incapace di dire a qualcuno cosa prova, lo fa sempre nella maniera sbagliata, persino l'averti lasciato è una chiarissima dimostrazione d'amore, significa che ti vuole al cento per cento, non vuole vivere un segreto, vuole vivere...te.»

Aveva abbassato la testa, mentre l'imbarazzo lo divorava dall'interno, stava tentando di nascondere la sua espressione ma lo vedevo, truffaldino e furbo, quel sorriso appagato che gli stava trasformando il viso.
Ero pronta a dare il colpo finale, ricordandomi delle strofe, piantate nella memoria, probabilmente per sempre.
Yoongi era un disastro con le relazioni umane, era uno dei motivi per cui mi sentivo in sintonia con lui, ma quando cominciava a far scorrere la penna su un foglio di carta per dare vita ai suoi pensieri diventava imbattibile. Sarebbe stato un ottimo scrittore, o cantautore, se solo non fosse stato così pigro da  provarci, disponeva di un talento che nessuno di noi aveva, sapeva raggruppare in poche frasi  dei significati profondi.

Mi ricordavo di una volta, durante una cena per la laurea di Hoseok, aveva scritto un discorso che aveva fatto così tanto scalpore che Hobi lo aveva ingaggiato per scrivergli, in un futuro prossimo, le promesse matrimoniali.
Che grande ironia del destino sapere che, quel futuro prossimo, era arrivato alla fine.
 
«Non importa dove mi trovo, ci rincontreremo di nuovo, non importa sotto quale forma.»
Cominciai, parlando piano, giusto per ficcargliele in testa nel modo giusto. 
«Quando ero perso e sconsolato, quando sono caduto in un buco di disperazione / Anche quando ti ho spinto via, tu eri fermamente al mio fianco.» 
Lui fece salire il volto per guardarmi, completamente sconvolto.

«Non ti abbandonerò
Non lascerò mai più la tua mano
Quindi non lasciare la mia mano.
Non ti lascerò andare di nuovo.»


Lui sembrava esterefatto, a stento riusciva a mantenere lo sguardo fisso su di me, respirando piano dalle labbra schiuse.

«Sicuro ho dimenticato alcuni pezzi e ne ho mischiati altri ma, ecco...quello che lui ha dentro quando pensa a te. Non credo di averlo mai visto così, mai. Per nessuno al mondo. E sai cosa? Non ho visto nemmeno te, così, per nessuno. Anche il dolore che provi è una sorta di...certezza
«Lui ha - davvero ha scritto queste-»
«Hai presente quel film, dove quel tizio decide di farsi giustizia da solo dopo che gli hanno ucciso la moglie e la figlia? Così rapisce l'assassino, lo lega e lo tortura nel peggior modo esistente sulla faccia del pianeta?»
«..sì.»
«Yoongi mi farà questo se scopre che ti ho detto queste cose, ma gli devo una sottospecie di favore e so che di sua spontanea volontà non riuscirà mai a dedicartela in faccia quindi...sì, lui ha davvero scritto questo. Per te.»

Lo vidi abbozzare un sorriso, tastandosi la testa, grattandola piano, forse per  contenere chissà quali parole. Il suo sguardo da sconvolto si stava tramutando ancora, era pieno, colmo di parole.
Potevo chiaramente percepire una consapevolezza diversa, una sorta di soddisfazione, che non arrivò fino alle labbra.
Continuava a torturarsele con i denti, indeciso se far filtrare i pensieri oppure no.
«Non so cosa dire-» 
«A me non devi dire proprio niente.» Dissi io, sorridendogli, dandogli uno sbuffetto sul naso che lo fece sorridere con più gusto.
«Mi sento un po' un'idiota.»
«Oh beh, lo siamo tutti qui, benvenuto nel club.»
Gli sfilai finalmente la mano, tirandogli appena il polso, prima di lasciare la presa. 
«Niente veleno, benedizioni a te, non morirai sotto atroci sofferenze e la vita ti darà un sacco di  cose belle, buone e giuste eccettera

Lui sorrise  con più gusto, si slanciò su di me e mi diede un semi-abbraccio, che era una sorta di avvolgimento di braccia fragili e poco strette, io lo ricambiai per pochi secondi sorridendo pienamente. Aveva sempre quell'effetto ammaliante, averlo troppo vicino mi scombussolava, facendomi sentire in imbarazzo; in fondo quell'angelo tentatore s'era fatto grande.
«Grazie. Sei strana con le lezioni di vita ma ...ecco grazie, davvero. Alle volte faccio troppa fatica a trovare una pace dentro di me. Non credo che la troverò mai, in realtà. So che non sembra, vorrei non farvelo notare e ammetto che parlarne è complicato.»
«Sì, lo so che è complicato. Posso immaginarlo, ho passato una vita a starmene zitta senza un reale motivo, tu stai affrontando una tua guerra interiore in un mondo che non accetta guerre interiori, nonostante sia davvero ironico questo fatto sulle guerre qui ma...»

A quanto pare l'era di Titanic era finita. Ora nella testa avevo solo Apocalypse now. Maledizione ai militari.
Lui fece un altro mezzo ghigno, prima di alzare una mano e spostarmi una ciocca dalla faccia, con lentezza.

«So che pensi che io lo abbia tradito con Suji o cose di questo genere, in realtà lei mi sta aiutando molto, si è subita molti sfoghi. Ma Yoongi ne è geloso, troppo. Non ha capito che io e lei non siamo -» Si interruppe da solo.
«Tienitela stretta questa ragazza se ti ha aiutato a fare ordine nel cervello. Ma davvero rimango sempre più sconvolta dalla gelosia di Yoongi, sai?»
«Lo sono anche io.» Mi disse lui, guardandomi serio in volto. 
«Da morire.»
«Jimin tu hai la stessa maledizione di Tae, se ti porto in giro ricevi proposte di matrimonio dalle sconosciute; Yoongi al massimo riceve querele
Speravo di farlo ridere, ma lui rimase serio, guardandomi con occhi pieni di tormento.
Era ritornato all'attacco qualche pensiero e, per un secondo, rimasi interdetta.
«No un momento, c'è qualcun'altro
Lui tornò a guardare il totem con un'aria che, se non lo conoscessi bene, avrei potuto tradurre come infastidita.
Sperai che quel potere superstizioso fosse infitrato dentro  di lui tanto da dirmi qualcos'altro.
La situazione si era ribaltata in una maniera un po' strana, ma alla fine quando tornò a guardarmi scosse solamente la testa, convincente quanto Namjoon con un bastone in mano dentro una cristalleria.
«Non c'è nessun'altro, siamo solo io e lui. Tutto il resto è un contorno.» 

Decisi di non indagare oltre, se c'era qualcosa di segreto, nascosto e intimo non lo avrei trascinato fuori con le pinze.
Così abbozzai un sorriso, sospirando, prima di annuire. 

«Senti, a discapito di tutto quello che senti, non sei obbligato a stare  con Yoongi se non vuoi, ma se non ce la fai a resistergli, se tutta questa situazione ti tormenta, se pensi davvero che bisogna superare una guerra nemica per salvare il soldato Ryan allora - l'indirizzo lo sai. Se ti fa storie, ti insulta o fa cose di questo tipo digli  che "moccasino verde mela pastrume" e lui capirà e starà buono.»

Non ebbi il tempo di spiegare quella parola d'ordine ad un Jimin confuso che sentii il telefono trillare.
Una volta. Due volte. 
Non volevo rovinare quel momento con Jimin ma, per un secondo, venni colta da un cattivo presagio.
Fu una sensazione veloce, a stento ero sicura di averla sentita, ma mi fece ravanare nelle tasche con più velocità.
Preso in mano il telefono avevo già una decina di messaggi da parte di Yurim, tutti dicevano la stessa cosa.

«Tae è all'ospedale! Avvisa tu gli altri, ti prego vieni subito! Ti prego Seo!»













NDA: so che il finale potrà farvi un attimo dire WTF ma che **** *** **** ** sequenze ignobili di bestemmie insomma, ma questo semi-cliffhanger l'ho inserito per narrare di una cosa nei prossimi capitoli a cui tengo particolarmente, che però ora non dirò giusto perché senno spoilero, ma son maledetta e vi faccio stare con l'ansia (?). Intanto perdonate per aver tolto la gioia ai YoonJiminni ( non so come si chiama la ship rendiamoci conto quanto son citrulla ) ma mi farò perdonare su questo giuro ;_; visto che Yoongi, il vero Yoongi quello reale dei BTS, quando scrive è tipo un maledetto sabotatore di animi ho deciso di infilare dei versi di "First Love" perché quella canzone mi fa morire dentro e volevo usarla per dedicarla a Jimin. ( TRA L'ALTRO FACCIAMO GLI AUGURI A STO MICIO CHE STA DIVENTANDO GRANDE, love a te, meriti tutto l'amore vero del mondo e sii felice mangia bene dormi hai mangiato? Mangia verdure stay healthy non me fa preoccupà! ) 
In tutto ciò Jin al militare è tipo la mia passione di Cristo, dovevo introdurla anche qua per sentire già sofferenze dentro di me e farle sentire centruplicate (?) a Seo, perchè il mai 'na gioia è una religione di vita.

IN ULTIMO ma non meno importante, avrete notato una copertinina all'inizio, nuova di zecca, splendente, bellissima, profumata e cicciopalliccina <3 ecco, l'ha realizzata ggiunn. Ti ho già ringraziato moltissimo ma sappi che ti ringrazierò a vita, perché queste cose mi mandano in brodo di giuggiole, la amo e ormai la ficcherò ovunque, ci faccio le magliette, i gadget, i poster ok? OK è.é No davvero grazie <3 è splendida e io sfrigolo d'amore.

Ovviamente vi ringrazio tutte, per essere arrivate fin qui, per supportare 'sta storia, che non vi stancate di recensire, o di leggere, chi in silenzio e chi no, grazie sempre. Sta nota è più lunga del capitolo stesso ma va così. AH e auguri a tutte le donne, che tanto non ci serve un giorno specifico per dire che siamo cazzute, belle e diverse. E niente, a presto spero <3

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Capitolo 17
*** Troppo tardi? ***


 




17 ~ Troppo tardi?

 
 
ㅇㅅㅇ


 
Avevo cominciato a sentire le mani tremare, come azione involontaria del mio corpo.
Jimin se ne accorse subito, afferrandomi il cellulare dalle mani per leggere il messaggio che Yurim mi aveva mandato.
I messaggi, in realtà. Stavano continuando ad arrivarmi e dicevano tutti la stessa cosa. 
La mia mente la immaginò a pigiare le dita sui tasti del telefono in un continuo spasmo nervoso della mente.

In ospedale. Taehyung. Vieni subito. Ti prego.

Rimpossessatami del mio telefono ero riuscita a mandare un messaggio a chiunque, probabilmente anche al portiere di casa mia, di casa di Jin, in non so quale forma di coreano visto  l'agitazione che mi stava attanagliando.  In seguito avevo chiamato un taxi al volo, trascinandomi dietro Jimin. Lui era rimasto sotto shock, non aveva aperto parola per tutto il tragitto, sparendo coi pensieri in chissà quale meandro mentre io scongiuravo il guidatore di prendere le strade meno trafficate possibili.  
Intanto provai ripetutamente a chiamare Yurim ma non rispondeva al telefono, era perennemente occupato. 

Non mi aveva detto nient'altro, solo di andare in ospedale, di fare in fretta e sentivo il cuore in gola.
Gli altri avevano preso a mandarmi messaggi sconclusionati, per chiedermi cosa stesse succedendo, ero riuscita a rispondere  che ne sapevo quanto loro ma la cosa non li placò, come non stava placando neanche me.

Mi ritornò alla mente il famoso pensiero di quella mattina, la famosa faglia dentro quel continuo cicle di vite. Le nostre vite. Quando nella tua mente si insinuava la  consapevolezza che le cose peggio di così non potevano andare, di sicuro erano pronte ad andare peggio. Molto peggio. E nessuno ti avvisava, nessuno ti preparava all'ennesimo salto nell'ignoto. Ti ritrovavi di fronte all'ennesimo dosso ma, questa volta, non era un semplice bitorzolo dell'asfalto. Lo sentivo, era un muro, un muro altissimo, gigante, che inglobava tutto. E non riuscivo a vederne la fine, non ci riuscivo.

«La prego signore, schiacci quel dannato acceleratore.»
La voce di Jimin mi riportò alla realtà, scacciandomi via quei pensieri. Non volevo rintanarmi nella mia mente, non in quel momento.
Non potevo arrendermi davanti all'ennesimo problema, dovevo reagire. 
«Chimmo.» Lo richiamai, cercando di tastargli una spalla ma quello me la scacciò via con uno strattone, probabilmente involontario.
«Signore, sto cercando di andare più veloce possibile, ma il traffico di oggi è immenso. Sto prendendo una scorciatoia ma c'è il limite di velocità, non posso proprio fare altrimenti.»
«Prenda il parallelo che porta vicino alla stazione, cazzo è importante!»
«Signore, le ho già spiegato del traff-»

Provai di nuovo a intercettare la spalla di Jimin con uno strattone più forte del suo, portandolo a impattare la schiena contro il sedile. Sapevo che era spaventato, sotto shock, ma non poteva far uscire il suo lato oscuro in quel frangente, ci si sarebbe nutrito fino a perdere il controllo.
«Chimmo stai calmo, cerca di non andare fuori di testa. Non sappiamo ancora cosa sia successo.»
«Yurim non perde mai il controllo. L'unica volta che ha fatto così è stato quando Tae si è intossicato.»
Aveva ragione. Yurim era famosa per essere una persona stoica, sempre in grado di mantenere un controllo sulla situazione. Era riuscita a farlo persino durante la festa, quando la mano di Tae stava lentamente sfilandosi dalla sua presa. Piuttosto che crollare, era scappata via.

«Forse si è solo fatto male, magari un incidente, magari gli è caduta una mensola in testa o magari...»
«Per favore Seo, per favore
Volevo provarci, volevo davvero inserirmi nel solito discorso dei forse, dei forse.
Ma Jimin mi lanciò uno sguardo pieno di pianto, stravolto, ancora non del tutto lucido e io mi fermai subito. 
Mi limitai ad annuire in silenzio, lui si voltò verso il finestrino e non mi degnò più di uno sguardo. Io feci lo stesso.

Il taxi aveva preso una scorciatoia piuttosto libera, passando nelle vie strette e residenziali vicino all'ospedale. Furono dei minuti infiniti, in cui mi soffermai su ogni insegna, su ogni casa, su ogni giardino che inquadravo senza riuscire più a pensare a niente. 
Il dubbio uccideva, in qualsiasi situazione e, specialmente in quel caso, era un cappio stretto intorno al collo. Forse la verità sarebbe stata dura, ma avevo bisogno di saperlo. Riprovai a chiamare Yurim, ma di nuovo il numero era occupato. 

Con uno slancio piazzai le mani sul sedile dell'autista, provocandogli un lieve sobbalzo.
«Gliele pago io le multe, ma schiacci quel cazzo di acceleratore.»





Arrivammo dopo circa un quarto d'ora e, a quanto pare, eravamo i primi.
Non vidi nessun'altro nei paraggi,così intimai Jimin di muoversi e seguirmi all'interno. 
Andai subito alla reception chiedendo informazioni; la sfiga in certi casi ha talmente tanti decimi di vista che sa benissimo dove puntare e quando puntare. L'infermiera addetta a darmi informazioni era mezza sorda, o mezza cieca, non mi capiva insomma, così che dovetti scriverle nome cognome a caratteri cubitali sperando che sapesse darmi indicazioni specifiche. Mi disse di prendere le scale, raggiungere il corridoio, svoltare a destra, imboccare un altro corridoio e sarei arrivata al pronto soccorso.

Era un viaggio un po' lungo per un soccorso pronto, pensai in preda ad una scarica più esasperata, mentre pinzavo Jimin e me lo trascinavo in quella schiera di corridoi, scale, porte. Non amavo gli ospedali, mi mettevano di cattivo umore, dall'odore, alla vista dei familiari davanti alle sale d'aspetto, alla vista dei malati, dei dottori, di quelle pareti pittate di azzurro che parevano dire "tranquillo, andrà tutto bene, ci sono le pareti azzurre, cosa potrebbe andare storto?" 

Riuscii in qualche modo a raggiungere il punto indicatomi, ma fui fortunata perché notai Yurim camminare come un'ossessa davanti a delle macchinette del caffè, in preda ad una crisi di pianto isterica. Parlava da sola, lo potevo vedere mentre mi avvicinavo, così cominciammo ad andarle incontro di corsa.
Quando ci vide sembrò perdere ogni forza in corpo, la vidi cedere con le ginocchia, mentre Jimin riuscì a malapena a tenerla sollevata prima che potesse rompersi le rotule.


«Yurim!»
«Oddio...oddio Seo,Jim, non , oddio ...»

Non potevo vederla così, non ce la facevo, la strinsi in un abbraccio stretto mentre Jimin faceva lo stesso ma circondandole le spalle. Eravamo un tutt'uno in quell'ammasso di consolazione, mentre sentivo il cuore bruciare. Stavo morendo dalla paura, sentire quei singhiozzi addosso aprì di nuovo i rubinetti. Cercai di sollevarle la faccia, mentre faceva fatica a respirare, completamente fradicia di pianto.

«Yurim che cos'è successo? Tesoro mio,  ehi - ti prego parlami, cerca di spiegarmi.»
«Tae - Tae io ... ieri abbiamo discusso, di nuovo. Di nuovo.» Era un rantolo confuso, a stento riuscivo a capire le sue parole mentre le pronunciava tra un singhiozzo e l'altro. «Io ...me lo continuava a dire, che non stava bene, che riprovarci non era abbastanza, continuava a dirmelo ma io l'ho preso sotto gamba, pensavo che fosse solo ancora ...ancora geloso, come ho potuto, come ho potuto Seo...»
Non dissi niente, le levai le ciocche bagnate dal volto, respirando con prepotenza, sperando che lei facesse altrettanto.
Ero sicura che sarebbe svenuta da un momento all'altro.
«Non rispondeva alle chiamate, per quanto siamo arrabbiati non mi ignora mai , mai. Sono andato a casa sua e l'ho trovato collassato, a terra, non so che cavolo abbia preso, credo dei tranquillanti ...credo che abbia tentato-»

Un colpo al cuore.  Tremendo. 

Sgranai gli occhi andando a guardare Jimin che, silenzioso e spiaccicato su Yurim, piangeva in silenzio.  Non aveva aperto bocca ancora, continuava a darle delle carezze sulla testa e si mordeva il labbro, tentando  di fermare dei piccoli singhiozzi.

Non poteva essere.
Taehyung era forte, non avrebbe mai fatto una cosa così, era sicuramente stato un errore.
Magari un colpo di caldo, forse ha bevuto troppo in fretta.
Non era possibile che quel sorriso fosse fasullo, non era possibile.

«Ha preso dei tranquillanti, o dei sonniferi, non ne ho idea. Non so neanche da dove li avesse presi, se erano i suoi, da quanto prendeva quelle schifezze,io ...come ho fatto a non accorgermene Seo? Perché non me lo ha detto? Oddio, non - non riesco a respirare, non ci riesco...»

Si buttò di nuovo su di me, affondando il volto al mio, mentre piangeva a dirotto. Provai a stringerla più forte che potevo, mentre la testa mi si annebbiava del tutto. Possibile che Taehyung fosse in terapia? Che avesse dei farmaci prescritti? O che li avesse trovati, su internet magari?

«Yurim, non è colpa tua. Fai respiri profondi, col naso. Prova a sederti.» Fu Jimin a parlare con voce flebile, provando a scostarsi dalla sua schiena, mentre la guardava con infinita dolcezza. Aveva il viso rigato di lacrime ma tentò di sorriderle, dietro a quel dolore.
«Oh Jimin, è solo colpa mia...» Continuò lei, scuotendo il capo.
Jimin provò a tirarla contro di sé, andando a stringerla in un abbraccio stretto, affondando il viso nel suo collo.
Lasciai andare la presa con il corpo di Yurim, restando in ginocchio a fissarli.
Quell'immagine mi provocò un senso di nausea terribile. Ero sconvolta, non riuscivo a ragionare.
«Yu dai, sediamoci, ti prendo una cosa calda da bere.» 
Provai a dire, alzandomi. Sentivo le gambe molli, pesanti e sapevo che la mia voce era diventata una vibrazione tremante.
Dovevo restare ferrea e invece mi stavo facendo schiacciare da quella rivelazione.

In quel preciso momento arrivarono tutti, uno dopo l'altro. 
Non ci fu bisogno di dire molto, vedendoci in quello stato si allarmarono più del dovuto. Non ero sicura che sarei riuscita a ripetere le parole che aveva detto Yurim ma non volevo che fosse lei a farlo, non volevo che si soffermasse su quello che Taehyung aveva fatto, arrivando a pensare che quella era effettivamente la realtà.
La sua realtà.
La realtà del ragazzo che amava.

Quanti sorrisi nascondevano quel disperato grido di aiuto?
Scossi solo la testa, era l'unica cosa che riuscii a fare, mentre provai a dare un senso a quella situazione così surreale.

«Ragazzi Tae è...»
Niente, blocco totale. Sentire Yurim piangere come una disperata non aiutava per niente il mio autocontrollo. Guardai lei e Jimin riuscire a rialzarsi da terra, mentre venivano raggiunti sia da Yoongi che da Jungkook. 
Yoongi prese la mano di Jimin, guardandolo. Jungkook aiutò Yurim a raggiungere le sedie poste come lapidi, vicino alla parete. 

Per fortuna Namjoon prese le redini della situazione, prendendo un respiro profondo. Mi passò di fianco, provando a darmi una carezza sulla guancia. Lo guardai, ritrovando in lui lo stesso sguardo che avrei voluto mantenere io ma che, miseramente, stava diventando sempre più opaco, sempre più spento. Ma quel gesto mi rinvigorì un po' di più.

Così riuscii a dirgli quello che mi aveva detto Yurim. Avrei pagato oro per non essere la portatrice delle conseguenze di quel nuovo capitolo. Mi aggrappai ad ogni loro sguardo, caricandomi di ogni piccolo guizzo di dolore che lessi in ognuno di loro. 
Hoseok era sconvolto, non aveva ancora aperto bocca. 
Jin era rimasto un po' in disparte, a fissare il nulla, stretto in un fascio di nervi.
Stava cercando di non crollare, ma non appena incrociai il suo sguardo fui io a sentirmi persa.

«I dottori cosa dicono?» Incalzò Namjoon, guardando prima me, poi Jimin.
«Non lo sappiamo, siamo arrivati poco prima di voi. E ...» Disse Jimin, tirando su col naso.
Yurim tirò su la testa, scuotendola piano.
«Non - non dicono nulla, non so niente da almeno un'ora. Non mi hanno permesso di entrare.»
«Tipico.» Sibilò Namjoon, tirando indietro il collo.

Una valanga di pensieri mi si piantarono in testa, tanto che mi ricacciai nel mio silenzio lasciando a Namjoon la staffa di quella situazione. Tra tutti era quello più lucido: lo vidi prendere piede per cercare infermieri, dottori, per tutta la sala, in grado di poterci dire qualcosa in più. I genitori di Tae erano riusciti ad entrare con i medici, ma non erano ancora usciti, dopo quasi un'ora. Non ci dicevano altro e la cosa stava cominciando a diventare snervante per tutti.

Rimanemmo in attesa per minuti infiniti, io ero rimasta vicino a Yurim per tutto il tempo, cercando di farla calmare. I singhiozzi erano diminuiti ma non smetteva di piangere, tanto che l'affidai alle mani di Jimin e decisi di andarle a prendere qualcosa da bere.  
Sapevo che era una scusa, volevo solo creare una illusoria sensazione di calma, qualcosa che tenesse impegnata me, che tenesse impegnata lei. 
Jungkook era completamente sperso, a malapena ero sicura che sapesse dove si trovasse.
Hoseok continuava a girare come un matto, grattandosi la testa, parlando da solo. 
Yoongi era muto come Jungkook, seduto un po' in disparte, la testa nascosta tra le mani. 
Jin, infine, si era mosso insieme a Namjoon per carpire informazioni.

Infine decisi che portare un tè o un caffè caldo per tutti sarebbe stato il modo migliore per dare al tempo un buon motivo per cavalcare veloce. Non chiesi niente a nessuno, decisi solo di intraprendere quel nuovo impiego per conto mio, provando a fare qualcosa che mi togliesse una briciola di quei pensieri. Solo una briciola.

Quasi tutti lo rifiutarono, alla fine, tranne Jungkook,che mi guardò con l'aria più innocente del mondo. 
«Non morirà, vero?»
Non riuscii a rispondere a quella domanda, solo scossi la testa cercando di dargli una carezza sulla sua. Potevo farcela, in quel caso, a credere a qualcosa di positivo anche io?
«Tae è tosto, l'hai mai visto arrendersi?»

«Sì, a quanto pare si è arreso.» Disse Yoongi, ancora nascosto con la faccia tra le mani.
Volsi lo sguardo su di lui, prendendo un respiro profondo. Il suo cinismo era un'arma a doppio taglio, molte volte, ma quanto avrei voluto estirparglielo in quel momento.Dovevamo davvero sentire una verità così bruciante quando avevamo solo bisogno di sperare che fosse stato solo un errore? Un accidentale errore?
Ma aveva ragione. Non potevo fare niente per controbattere. Nemmeno vedere lo sguardo di Junk riempirsi di lacrime mi aiutò in quell'impresa, non riuscivo a trovare le parole.
Così venni travolta di nuovo, provando un grande senso di impotenza.

Chi di noi lo aveva sospettato? 
Che dietro quegli scatti di rabbia, quel continuo mollare e prendere Yurim, quel suo tenere tutto dentro era un macigno così insormontabile. 
Aveva deciso di scrivere qualcosa? Lo avrebbe spiegato?

Se non ce l'avesse fatta, che cosa avremmo fatto?

Non volevo neanche pensarci, mi venne da piangere e mi asciugai le lacrime con il polso, soffiando sopra il mio tè schifoso e bollente, fino a che non vidi Hoseok avvicinarsi a me. Aveva pianto, ma ora sembrava più calmo in viso, o forse era solo troppo stanco per farlo.
«Credo che avesse provato a chiamarmi, ho ricevuto uno squillo da lui stamattina ma stavo tornando da Gwangju, non gli ho dato peso. Forse voleva ...»
«Ehi smettila, smettila ti prego. Quante volte non hai risposto ad una chiamata? O ad un messaggio nella tua vita? Mille, non farti prendere da questi sensi di colpa Hobi, non farlo.»
Ma stavo piangendo, di nuovo, mentre i suoi occhi si lucidavano. 
Mi si appolipò al collo così forte che per poco non mi versai addosso il tè bollente, cercando di ricambiare con un braccio solo. 
«Come abbiamo fatto a non capirlo?» 
Mi sussurrò lui all'orecchio.

Già, come?
Come.

Namjoon e Jin tornarono dopo circa una ventina di minuti, Nam sembrava furioso mentre Jin prese parola, facendo un sospiro profondo.
«Non si sa ancora niente, è in rianimazione ora.»

Vidi Yurim tremare mentre chinava giù la testa, Jimin prese a stringerle la mano, portandosela vicino al cuore e io mi pinzai le ginocchia per ammortizzare il dolore. 
Non era per niente funzionale quel procedimento.

«In rianimazione? Che vuol dire?» Jungkook si alzò in piedi, rosso in volto.
«Che non sappiamo in che condizioni sarà quando si sveglierà, ha preso un quantitativo troppo alto di benzodiazepine, così dicono.»
«Parla come mangi Jin, per favore.»
«Oh cazzo Junk» Namjoon gli andò di fronte, perdendo la calma un po' da leader che si era portato dietro fino a quel momento «significa che potrebbe aver subito danni al cervello, che forse avrà problemi di qualche tipo, che non si sa quando si sveglierà, se si sveglierà. Ha avuto una crisi respiratoria.»
«Ragazzi per favore, basta.» Provò Hoseok, alzando il collo per guardarli. «Siamo tutti preoccupati, fare così non aiuterà nessuno. Calmatevi.»

Junk si morse le labbra, gli stavano tremando dal nervoso e dal pianto, prima di spintonare via Namjoon da davanti e farsi strada lungo il corridoio, prendendo a calci una panca. Un signore, che sperai non fosse cardiopatico, si spaventò cominciando a dire quanto le generazioni giovani fossero irrispettose e buoni a nulla.

Presi un respiro profondo andando a guardare verso Namjoon, dopo quell'attimo di nervoso sembrava essersi calmato. Jin era sul punto di piangere ma riuscì a trattenersi.
«Ragazzi i genitori sono ancora dentro, possiamo aspettare qua, ma ho chiesto loro di farci sapere in qualsiasi caso. Non siete obbligati a rimanere.»
«Siamo obbligati.» Disse Yoongi.
«Sì, non mi muovo neanche se mi trascini.» Hoseok ora.
«A costo di dormire qua per tutta l'estate.» Fu l'unica cosa che disse Jimin.
«E va bene allora, aspettiamo.» Disse Namjoon, prima di fare un sospiro e andare a seguire Jungkook nel punto in cui era sparito. 

Fu l'attesa più lunga, snervante e terribile della nostra vita.





Mi ero addormentata sopra la spalla di Hoseok e lui aveva fatto lo stesso con me, stavo stringendo la mano di Yurim prima di addormentarmi ma quando cominciai ad aprire gli occhi non era più accanto a me,  la sala d'attesa era costellata dagli ultimi reduci della giornata, ormai era sera inoltrata e gli infermieri si aggiravano come anime ambulanti su e giù per il corridoio. Jimin stava dormendo accucciato in qualche panca più distante, Jin era seduto di fronte a noi, le mani congiunte in una sorta di preghiera e lo sguardo basso. Namjoon era in piedi, pigiato allo stipite, Jungkook era seduto dietro di lui mezzo-addormentato. 

Fu Jin ad alzare la testa per primo, verso di me, mentre sgusciavo via da Hoseok per non farlo svegliare. Mi tese la mano e io la presi quasi subito, nonostante la calura di quella giornata lì dentro stavo morendo di freddo e lui mi tirò vicino con una leggera smorfia, prima di lasciare andare la presa. Mi diede solo una carezza sottile al palmo.
«Che ore sono?» Chiesi.
«Le undici passate.» Aveva la voce roca, si doveva essere addormentato anche lui.
«Mi sta scoppiando la testa.»
«Ti vado a prendere un  caffè.» Disse lui alzandosi, nel farlo mi diede un'altra carezza, sulla testa, mentre cominciava a scendere le scale. Stava andando diretto alla caffetteria aperta al primo piano, mi venne da sorridere amaramente mentre mi avvicinavo a Namjoon, dandogli una pacca sulla spalla.

«Novità?»
«No, prima ho visto i genitori. Non c'è stato nessun miglioramento, né peggioramento. Non so se sia una cosa buona o no.»
«Hai visto Yurim?»
«È
 entrata dentro, i genitori hanno supplicato che entrasse anche lei, ha avuto un'altra crisi prima pensavo si sarebbe fatta male. Sono riuscito a calmarla grazie a Yoongi, non so come. Sento che sto per impazzire.» Si piantò le mani sulla faccia, stravolto.
Mi venne di nuovo da piangere ma stetti il più calma possibile, guardai verso i miei amici addormentati e provai una grandissima pena. 
Tutti lì, troppo tardi. Sempre troppo tardi.

«Sii sincero, cosa ...quali sono le tue prospettive Nam?»
«Le mie prospettive?» Si mise a ridere, un verso nervoso pregno di stanchezza. Era lì da tutto il giorno, non ero neanche sicura che si fosse seduto, che avesse riposato. Mi voltai per inquadrare Yoongi e notai che anche lui non era lì. «Vorrei dirti che Tae non molla, ma Yoongi ha ragione. Se lo ha fatto volontariamente...perché dovrebbe voler sopravvivere, in fondo?»
Chiusi gli occhi, sentendo un dolore al petto indicibile. 

No, non poteva lasciarsi andare.
Non poteva morire.
Era Tae accidenti, il nostro Tae, il miglior estrapolatore di hamburger del mondo, colui che organizzava giornate di escursioni speciali e poi si lamentava di tutto, il nostro guru della moda, l'unico essere umano vivente che amava il contatto fisico, capace di organizzare una gara per "mangiatori di torte" comprando crostate e pupazzetti dei pokemon come premi.
Il mondo non poteva permettersi di perdere una persona come lui, non poteva.

«Quando sei disperato  fai gesti estremi, ma so che in un angolo del suo cuore lui voleva essere salvato. Se davvero il suo intento era quello di dare un po' di pace ai suoi demoni interiori, sono sicura che,  alla fine, abbia voluto continuare a lottare contro di essi. Lo voleva, Nam.»
«E tu come lo sai?»
«Perché se ha chiamato Hoseok sul serio per avere uno spiraglio di sole allora mi devo aggrappare a questo. Perché se penso che Tae morirà non voglio neanche immaginare le ripercussioni, su di noi, su Yurim ...»
Questa volta vidi i suoi occhi farsi più lucidi ma annuì, abbozzando un sorriso triste, senza più dirmi niente.  Si limitò a morsicarsi il labbro,  in maniera nervosa e io provai a ricambiare la carezza che mi aveva dato ore prima.
Mi aveva aiutato, un pochino,  e sperai che facesse lo stesso effetto anche a lui.

Pochi secondi dopo dalle scale comparvero sia Jin che Yoongi con un vassoio di caffè e paninetti farciti; avevano delle pessime cere entrambi ma presi a respirare un secondo.
«Il caffè contro il mal di testa è micidiale.»
Jin poggiò il vassoio sulle panche mentre mi porgeva una tazzina di carta, che bevvi di colpo, ustionandomi le corde vocali. Sapevo dei rimedi miracolosi della caffeina ma non credevo che quel tipo di dolore sarebbe sparito così.
«Abbiamo preso da mangiare, credo che staremo qui tutta la notte.» Gracchiò Yoongi mentre si posteggiava vicino a Jimin, posandogli una mano sulla testa per fargli una carezza leggera. 

Io tornai su Jin, che mi guardava in maniera così  cupa che mi fece male.
«Ho avvertito alcuni suoi amici dell'università,  credo che gli farà piacere svegliarsi in mezzo a tante  facce conosciute e a chissà quanti doni.»
Svegliarsi. 
Era bello sapere che alcuni di noi, nel cuore, vedevano di nuovo il volto di Tae contratto in un sorriso, con gli occhi aperti, col cuore che batteva. Ci si aggrappava alla speranza, ma poteva essere una certezza, in fondo.
Gli sorrisi in maniera dolce; mamma Jin sempre in azione, anche in quei casi. Provai un affetto smisurato per lui in quel momento, tanto che mi cullai nel dolce ricordo della notte prima, sperando di placare un po' i nervi. 

Mentre io e Jin facevamo l'amore per la prima volta, Tae stava pensando di uccidersi?

Aprì di scatto gli occhi, di nuovo colta dall'ansia. Per fortuna un rumore ci fece scattare tutti, da una delle porti pesanti che separava le sale dei pazienti dal corridoio uscì la mamma di Tae, sfatta e scombussolata, ma con un sorriso a mille denti.

«Ragazzi, si è svegliato.»






Non ci permisero di vederlo, non ancora. Era confuso e aveva bisogno di stare tranquillo, fu permesso solo a Yurim e ai suoi genitori di entrare nella stanza e restare con lui, così ci ritrovammo a chiedere se era fuori pericolo, se andava tutto bene, se l'avrebbero dimesso presto - insomma le solite domande paranoiche. Lei ci disse che, per ora, non c'era da allarmarsi,  i valori erano tornati normali, la dose ingerita non aveva intossicato gli organi in maniera grave e, a parte la perdita di coscienza, sembrava si stesse riprendendo.

Yurim venne fuori poco dopo per salutarci, dopo che decidemmo che era il caso di tornare a casa, a casa nostra per l'appunto, e di stare insieme fino al giorno seguente. Ci abbracciò tutti, ringraziandoci per essere rimasti, ma con me rimase un po' di più. Me la trascinai un po' in disparte, coccolandola tra le braccia mentre le lasciavo sfogare un po' l'adrenalina che aveva in corpo, per tutta quella giornata ansiogena. In verità era un ottimo calmante anche per me, mi Sentii terribilmente sollevata tanto che riuscì a sorriderle con più trasporto.

«Non riesce proprio a lasciarti sola, non c'è niente da fare.»
«Non importa cosa dice Jimin, è colpa mia Seo. Per quella storia di Doyun, per colpa del mio lavoro, per tutte le chiamate perse, per tutte le volte che lo lasciavo, mi sentivo oppressa, non riuscivo ad accorgermi di niente, avevo in testa solo i miei cazzo di problemi e lui ...lui mi chiedeva aiuto e io non lo capivo.»
Aveva ancora altre lacrime e le fece uscire senza alcun blocco, mentre mi si aggrappava ai vestiti per paura di cadere. Io le tenevo le spalle ma passai a carezzarle il volto velocemente, tentando di prenderne qualcuna dal suo viso, sperando che lenisse anche solo di una percentuale, una minima.
«Ora mettiti in testa una cosa una volta per tutte Yurim: non sei una super-eroina, tutti gridiamo in silenzio sperando che qualcuno ci senta ma, a meno che non coltiviamo una super-empatia psico mentale è quasi impossibile che questo grido arrivi alle orecchie di qualcuno, sì - sì anche di chi ci è vicino, anche di chi ci ama. Tae lo sai com'è. Ha sempre represso tutto, sembra sempre la persona più felice dell'universo, come puoi capire che c'è qualcosa che non va?  Che c'è uno scorcio così grande dentro di lui, se lui continua a incerottarlo per non farlo aprire? I suoi momenti no li potevi tradurre con giornate particolarmente pesanti, o col fatto che è lunatico e metereopatico e tutti gli -atico del mondo.»

Lei non mi sembrò tanto convinta ma, in realtà, stavo cercando di indorarle la pillola. Tutti ci sentivamo responsabili di questa cosa, ma lei era la sua ragazza, il suo amore, potevo capire quanto la cosa la schiacciasse. E dio, se avesse schiacciato anche lei io avrei fatto prima a buttarmi sotto un ponte. 

«Sì ma lui ha provato...mi ha lanciato dei segnali, ora li sto ricollegando tutti nella mia testa.»
«Lanciare segnali è sempre un azzardo Yu, guarda questi bamboli qua.» Li indicai, stavano parlando con i genitori, Jimin stava ancora piangendo, mentre abbracciava la madre di Tae e mi si strette il cuore. «Siamo un gruppo disadattato di persone che continuano a nascondersi, che sperano di non annegare davanti alle incombenze della vita, c'è chi è più forte e stoico, chi invece è più sensibile. Tutti hanno lanciato segnali, tutti, io compresa, tu compresa ma ...alle volte sei troppo concentrata sul tuo dolore che fai a fatica a sobbarcarti di quello degli altri, non perché non vuoi o sei egoista, solo perché sei talmente piena che non ci riesci.«
«Ma io...» Provò a dirmi qualcosa ma si ammutolì, le tremavano le labbra e reprimette un singhiozzo. 

Questi due mammalocchi si amavano da morire e continuavano a giocare a chi era più orgoglioso, più testardo o più incasinato. Mi venne quasi da ridere nevrastenica al pensiero che, per accorgersi di questo, dovevano toccare il fondo. E Tae era arrivato a saltare nel suo inferno personale, se non fossi stata così arrabbiata, triste, spaventata lo avrei preso a calci.

«Stai con lui, appena si sveglierà abbraccialo, bacialo, digli che lo ami più di qualsiasi cosa, sì persino più delle mele caramellate di Uh-hoo e ricaccialo fuori dalle sue paludi della morte.»

Lei mi fece un sorriso tra le lacrime e mi diede un bacio sulla guancia, stringendomi un'ultima volta.
«Lo farò...non vedo l'ora di poterlo fare.»











nda: mi scuso infinitamente per l'attesa lunghissima, per farmi perdonare pubblicherò un altro capitolo oggi stesso. Questo, infine, non è uscito esattamente  come lo avevo pensato, ma non riesco a revisionarlo ancora. È stato scritto un po' di getto, avrei voluto soffermarmici di più ma credo che lo porterò un po' dietro nei prossimi capitoli, come "fardellino". È anche piuttosto corto, ma almeno non l'ho fatto finire MALE v-v In un qualche modo ho voluto inserire questo brutto argomentaccio perché avevo bisogno di farlo, in un qualche modo, per dargli il mio finale. Non mi ci soffermo molto, ho scelto Tae per questo per via del fatto che sembra sempre quello più incline a questo genere di cose, tanto da far preoccupare le Army. Ma come ho detto anche qui: lui è forte. E così è, e basta. Grazie comunque per essere arrivati fin qui <3 grazie sempre per  chi mi segue e mi recensisce. A super prestissimo.
 

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Capitolo 18
*** Mai abbastanza ***


 




18 ~ Mai abbastanza

 


 
Una volta a casa, tra alti e bassi e soste ad un piccolo supermercato notturno, Jin decise di cucinarci dei noodles al pollo semplici e indolori davanti ad una birra fresca e ad un canale che stava facendo le repliche di un anime giapponese dove un insegnante molto giallo e gommoso tentava di farsi uccidere dai propri studenti. Lo conoscevamo, Jimin e Tae ne andavano matti, tanto che ci avevano obbligato a guardarlo. In realtà erano i nostri consulenti in fatto di anime da sempre, una volta Tae mi aveva obbligato a pre-ordinare una collezione limitata di un manga in giapponese, rilegata, placcata e incelofanata. 

Io, lui e Junk eravamo rimasti svegli tutta la notte per accaparrarci una delle edizioni con ogni mezzo digitale e tecnologico a disposizione acceso sul bollettino che conteggiava alla rovescia alla messa in vendita.  Con la mano più veloce del west Tae era riuscito a comprarne una versione, e dopo sette caffè, cinque chili di zuccheri e un'ininità di energy drink al ginger come minimo ci aspettavamo i numeri coperti d'oro con anche banconote di won dentro come ringraziamento.

Fu una delle giornate più strane della mia  vita, il pacco sarebbe stato spedito solo in una fumetteria di una fazione lontano casa e tu, con un numero specifico, potevi andarlo a ritirare pagando la dogana alla consegna. La fumetteria era in un vicolo losco, ero sicura che saremmo stati uccisi da qualche organizzazione criminale, ritrovandoci in questo sgabuzzino torbido e ammuffito di una piccola bottega che vendeva prodotti giapponesi, fumetti e anche tisane rilassanti.  Il proprietario pensava che Tae avesse un numero di ordine fasullo, fu una lotta all'ultimo sangue per mostrare tutte le email, i bonifici, le schedule, una lettera personalizzata di avvenuta vendita e, alla fine, dopo maledizioni indigenti eravamo riusciti a ottenere questo famosissimo e atteso pacco dell'edizione limitata di questo manga.

La fantomatica edizione limitata era un numero bonus, una specie di extra, disegnato dall'autrice originale ma re-visionato da una compagnia diversa. Si trattava di un libricino triste di cinque pagine, su un personaggio secondario di cui non fregava niente a nessuno. Tae per poco non si scartavetrò i capelli in diretta, Jungkook voleva strozzarlo, io avevo imparato più maledizioni in giapponese che altro e stavo sfoggiando il mio nuovo vocabolario sperando che quel posto venisse risucchiato negli inferi della carpa.

Per riprenderci da quella delusione letteraria eravamo andati a mangiare del tiramisù, che non ci tirò su proprio niente ma almeno era buono.

Pensare a quello mi fece sorridere da sola, tanto che Yoongi mi diede una spallata.

«Stai impazzendo per caso?»
Tornando alla realtà mi resi conto che Jin era intento a portare il pentolone di noodles al centro del tavolino brutto, mentre Junk passava ciotole e bacchette a tutti.  Monie, quel giorno, aveva deciso di donarci attenzioni virtuali da lontano, accovacciato su un cuscino apposito per lui. Jimin gli aveva messo davanti una ciotola di avanzi ma l'aveva snobbata: lui non mangiava avanzi, lui mangiava solo prelibatezze.
Eravamo seduti un po' in cerchio, mentre la televisione parlava, gracchiava e suonava in sottofondo; il mio pensiero andò, come al solito, alla nostra santa vicina e alla sua sopportazione affettuosa verso di noi. 

«Jin leva quel sedere da lì.»
«Oh mi dai un attimo? Già vi ho preparato la cena, un po' di gratitudine.»
«È il tuo dovere, sei il più grande.»
«Ma è casa tua, dovresti fare tu gli onori di casa.»
«Ma se consumi più tu quando vieni che io vivendoci.»

Quel teatrino tra Yoongi e Jin finì nel momento in cui quest'ultimo sbuffò, smanacciando via un ciuffo dalla faccia, mentre con mosse marziali era riuscito a insinuarsi proprio tra me e Yoongi, sedendosi su uno dei cuscini che avevamo posto per terra. 

«Ehi ragazzi» Nam tirò su la bottiglia di birra, guardandoci tutti «a Tae
Alzammo tutti la bottiglia facendola scontrare tra di loro prima di bere un sorso, in silenzio. 
Non avevo idea se volessero parlare di Tae, io mi ero ammutolita, continuavo a guardare il telefono sperando che Yurim scrivesse qualche novità. Aveva smesso di rispondere ai messaggi da una mezz'ora, sintomo che si era sicuramente addormentata. 

«Dai mangiamo, ci siamo nutriti solo di caffè e disperazione oggi.»
Nonostante la tradizione volesse che fosse sempre Junk e dividerci le porzioni, imitava sempre qualche asso del kung-fu nel farlo facendoci morire dal ridere, fu Jin di nuovo a prendere le redini, dividendo le porzioni per tutti. Mi si scaldò il  cuore vederlo prendersi cura di noi, anche in quel frangente, nonostante avesse il cuore pieno di tormento esattamente come tutti. 
Avrei voluto baciarlo in quel momento e il pensiero mi fece imbarazzare come una demente; per fortuna faceva caldo e quel vapore del brodo aiutava con l'allargamento dei pori e il rossore della pelle, quindi tutto giustificato.

«Pensate che ci odi?»

Jimin prese le redini di un discorso che, sapevo, non sarebbe finito bene. Era quello che più mi sembrava tormentato dall'accaduto, e non dicevo in maniera interna, ma visibilmente. Non aveva parlato molto da quando era successo, si era prosciugato a furia di piangere ed era l'unico leggermente in disparte rispetto a tutti. In tutto ciò non era più riuscito a parlare con Yoongi, quindi si stava portando dietro altri fardelli personali.
«Non ci odia, che dici?» Rispose Nam, guardandolo storto. «Tae è solo molto sensibile, sai anche tu com'è con Yurim, con la scuola, con quei dementi che frequenta quando non sta con noi.»

I famosi dementi, come diceva Nam, erano dei suoi amici di corso completamente privi di spessore. Erano due ragazzi dediti a passare le loro giornate a sbavare sulle ragazze, a fare shopping e a tormentare ogni locale con la loro presenza. Non erano cattivi ragazzi, erano solo... 

dementi, già.

«Sì, facile dare la colpa alle frequentazioni. Diciamola tutta, Nam, Tae non è mai stato un asso nel parlare dei propri problemi. Ti devo ricordare di quella volta che è scoppiato a piangere, senza alcun tipo di motivo, perché è stato rimandato ad un test di matematica? Era un corso privato, non c'era bisogno di fare mille storie ...ma lui si incaponisce lo sai, pensa sempre di dover dare il meglio su tutto e di non avere il diritto di lamentarsene, o di sfogare la frustrazione.»
«Sì Min, siamo tutti così, ma c'è chi si fa schiacciare da queste cose e chi no.»
«Siamo i suoi migliori amici ma siamo dei fottuti egoisti come chiunque nel mondo, come Yurim, come anche la sua famiglia. C'è chi è fortunato e se ne accorge, chi no, ecco cos'è.»

«Dai Yoongi, non potevamo prevederlo, tutti facciamo una vita impegnata. Per fortuna Yu lo ha trovato in tempo, c'è chi non può vantarsi di questo.» Hoseok prese parola, guardando Minno con aria un po' grave. Non avevo nominato la famosa chiamata della mattina, forse stava cominciando a pensare che non fosse responsabile della sorte di Tae. 
Un po' mi sollevai, ma durò circa un secondo.
«Sì, lo so.»

Di nuovo silenzio tombale, si sentivano solo le bocche masticare, i sospiri e la tensione. Io ero spiaccicata contro Jin e avrei solo voluto sparire. Di solito, messa alle strette, sono brava nel trovare le parole, giuste o sbagliate che fossero, per alleggerire i momenti ma credevo di averle finite tutte ormai. Il fatto è che, in momenti come questi, così delicati da rompersi con un tiro di troppo, ero sicura che io sarei stata solo una lama molto tagliente. 

«So che non lo dico mai, che magari sembra che sia scontato ...ma vi voglio bene ragazzi. Davvero tanto.»

Jungkook spezzò il silenzio, ci voltammo tutti a guardarlo con aria un po' trasognata.
No, non lo diceva mai, nessuno di noi lo diceva mai. Eravamo amici da anni, chi più chi meno, ma era raro che trovassimo dei veri momenti in cui esternare quanto fossimo importanti l'uno per l'altro. Provai un nodo alla gola, mentre mi venne da sorridere. 
Jungkook era davvero saggio, per la sua età, insieme a Jimin erano un lenitivo perfetto per noi vecchiardi dal cuore più duro.

«Anche io vi voglio bene.» Si accodò Namjoon, guardandoci tutti, più seriamente.
«Sì, anche io ve ne voglio. Magari un po' meno a Junk.» Jin si accodò subito dopo, abbozzando un sorriso.
«Ma se senza di me saresti perso, ammettilo.» Borbottò l'altro, imitando stranamente la stessa voce di Jin.
«Sì, forse.»
«Aaahn, forse, ma pensa te.»
«Anche io ve ne voglio, siete ...siete davvero importanti per me.»  Pigolai io, interrompendo quella diatriba tra i due, ma senza nemmeno guardarli in faccia, «Se non ve lo dico mai è perché con le parole non sono brava, io sono più brava coi regali per dimostrare il mio affetto.»
«Regali? Come lo spazzolone da bagno a forma di cigno che mi hai fatto a Natale?» Intervenne Yoongi, guardandomi.
«O quel cerchietto coi lustrini e due razzi spara coriandoli?» Continuò  Jimin.
«Ragazzi era per ridere.» Provai a giustificarmi io, sventolando le mani per aria.
«Oppure quel posacenere a forma di naso?» Namjoon.
«Mi hai regalato un reggiseno per il mio compleanno, te lo ricordo.» Jin, fissandomi sbieco.
«Sììì ma ecco, insomma, sicuro avevamo litigato dai.» Provai di nuovo. Forse non ero così brava coi regali come credevo.
«Che strani regali.» Intervenne Hoseok, facendo una smorfia. «A me fa solo regali meravigliosi, come quella felpa a toppe che desideravo da una vita. Oppure le cuffie della casa Marley, sono una bomba!»
Hoseok stava per rivelare il fatto che a lui, sì, avevo sempre fatto regali meravigliosi perché ci tenevo alla sua reazione.  Non che agli altri non ci tenessi ma, ecco, c'era bisogno di spiegarlo?
Quel momento stava prendendo una piega inaspettata, così mi voltai verso Jungkook come salvezza.
«Ehi, a te ho regalato quell'ammorbidente, te lo ricordi? Uno scatolone di dodici bottiglioni, eri felice come un leprotto.»
«Oh sì, è vero!» Jungkook piantò le mani sulle gambe, salvandomi da quel momento. «Adoro l'odore di quell'ammorbidente.»
«A Tae gli avevi regalato quella camicia originale di Armani, l'avevi pagata con gli straordinari.» Intervenne Jin, di nuovo, guardandomi di sbieco.
«Quali? Gli straordinari gratis che faccio ogni volta?»
«Era così contento, però. L'ha indossata per giorni, senza mai cambiarla, ormai gli si era incollata alla pelle.» Ridacchiò Hoseok, stringendo i denti nel labbro.


Per un secondo l'atmosfera si allentò davvero,  facendo rimanere tutti leggermente più sereni, davanti a quel ricordo.
«Anche io vi voglio bene ragazzi, siete la mia seconda famiglia,ma non c'è bisogno neanche che ve lo dica, insomma lo so che lo sapete, lo sapete meglio di chiunque.» Intervenne Hoseok, masticando un noodles ballerino dalle labbra.
«Invece ce n'è bisogno, non bisogna vergognarsi di farlo.» Jimin prese parola, mentre provai una sorta di batticuore malsano. 

Decisi di affogare quel momento di affetto reciproco quasi ficcando il naso nella ciotola, mentre sbirciavo Yoongi di sbieco, era l'unico rimasto ancora zitto, al momento, riguardo quella condivisione di affetto.

«...non dico quasi mai quello che provo, lo so ve lo faccio capire, come farebbe Tae. Lui ha la mania di abbracciare anche gli alberi, per quanto è affettuoso, e io alle volte lo invidio. E' sempre stato un grande punto di riferimento, come lo siete voi, imparo ogni giorno qualcosa e sono carico di insegnamenti da parte di chiunque. Vorrei dirvelo ogni giorno, quanto siete importanti. Forse se solo Tae lo avesse sentito più spesso ora...»

Jimin continuò quel suo monologo, ma sul finale la sua voce si incrinò drasticamente. Deglutii a vuoto, ritrovandomi a guardare gli altri davanti a quella realtà così meschina e schiacciante, ma così veritiera. Alle volte una parola dolce, un abbraccio in più può fare davvero la differenza, può davvero essere la colla che tiene ben salda la sedia dove ti sei arrampicato. 

«Non voglio più avere paura di provare determinate cose, o di dirle. Non voglio più chiedermi come sarebbe stato, voglio poter sbagliare e poter rimediare, voglio potere avere sempre le mie occasioni per vivere come voglio, per essere chi sono
Si stava per rompere le falangi a furia di toccarsele, aveva la testa china e non ci stava più guardando. Io tornai su Yoongi che sembrava essersi paralizzato. 

«Jimin non ci starai mica per dire che ci ami e vorresti sposarci tutti?» Scherzò Hoseok, alleggerendo per un secondo quel momento, dandogli una spallata semi-divertita. 
Quello rise, o meglio fece un suono che pareva una risata nervosa e imbarazzata, ma quando tirò su la faccia rossa aveva lo sguardo lucido e lo piantò sulla faccia di Yoongi. 
Credo che se avesse guardato così, chiunque altro, avrebbe creato un flusso da cupido immediato, il famoso colpo di fulmine.

«Sì che vi amo, vi amo tutti dal primo all'ultimo. Anche se, lo ammetto, c'è una persona fra voi in particolare che amo in maniera diversa. E non voglio lasciare quella mano mai più.»

Io per poco non mi strozzai con i noodles.
Namjoon fece un verso che non seppi tradurre.
Jin aveva assunto una faccia da gufo tipica.
Jungkook lo guardava con aria stralunata.
Hoseok pure, con la bocca aperta da  chi non stava capendo.
Yoongi, invece, si era finalmente voltato verso di lui. 
Ero sicura si sarebbe rotto il collo visto il movimento a scatto.

Jimin aveva citato una frase della canzone di Yoongi, sperai che Yoongi non se ne fosse accorto ma, visto lo sguardo da  serial killer professionista che mi lanciò ero quasi sicura avesse colto. Incassai il collo tra le spalle, sapendo che per ora la mia vita era salva, non  credo avrebbe mai tentato di uccidermi lì, davanti a tutti, sarebbe stato controproducente.

«Ah» Jimin si sentii sopraffatto da quel momento, tanto che rise da solo imbarazzato come il peccato, mentre si grattava la nuca nervoso. «Smettetela di guardarmi così.»
«Cosa vuol dire: c'è una persona tra voi? Sei innamorato di uno di noi? Qualcuno che non è Suji?» Jungkook, la voce dell'innocenza, smascherò il cuore di Jimin che diventò rosso-lava incandescente.
Io posai la mia ciotola mentre, lestissima, cercavo la mano di Jin. La trovai quasi subito mentre lui intrecciò le dita alle mie, stringendole. Lo facemmo in maniera un po' nascosta e segreta e la cosa mi provocò un brivido strano.

«Sì. Suji e io siamo solo amici, non c'è mai stato realmente nulla tra noi, era ...in realtà diciamo che eravamo fintamente accoppiati. Il mio cuore appartiene a qualcun'altro.» Ammise Jimin, confidando il grande segreto.

Dopo attimi di silenzio partì una specie di ululato strano, un coro fatto di mille versioni, di voci starnazzanti, era un miscuglio "ma che cazzo dici ma quando ma come " "ma chi è ma perché ma come mai non sapevamo" "ma dicci mostrati esponici l'amore" "oh jimin innamorato che caro"
Jimin stava sotterrando dentro al pavimento, sicuro che si sarebbe sciolto, mentre Yoongi ero convinta fosse morto sul colpo. 
Dopo quel momento di baldoria svergognata ci ricomponemmo tutti, Hoseok gli pinzava una spalla strattonandolo in maniera amichevole.
«Non so se posso dirvi chi è, insomma, è ...personale.»

«Personale? Lo hai spiattellato così davanti a tutti, non ti sarai innamorato di Seo no?»
Essendo l'unica ragazza in quel momento dovevo aspettarmelo, Jin prese a stritolarmila mano, e mi ritrovai lo sguardo di tutti addosso.
Non ero sicura di poter tradurre quelle espressioni così subito sventolai una mano.
«Oh ma perché io? Insomma, ci sono Yurim, E-Emily e PeyPey.»
«Yurim e Emily sono più che off-limits. PeyPey è un'insegnante di pilates che ha cinquecento anni, non credo possa esserlo.»
«L'amore non ha età!» Ammisi io, sperando di convincerli con le massime saggezze di Namjoon.

Lo feci, senza sapere come, mentre gli altri si voltarono di nuovo verso di lui. Ma quello non demordeva, stava zitto, morsicando le labbra. Ma finalmente assistetti al miracolo, non so se potevo attribuirlo al fatto che quel giorno era stato pesante, se avevamo avuto paura di perdere uno di noi, o semplicemente se era arrivato il momento, ma Yoongi si alzò dal suo cuscinone, guardandoci tutti.

Tutti lo guardammo, come si guarderebbe un presidente che sta per fare un discorso importante alla nazione.

«Anche io vi voglio bene ammasso di gentaglia.»  Borbottò lui, guardandoci uno per uno, ma quando si fermò su Jimin fece un respiro più profondo. Io pregai in sette lingue diverse che, davanti al coraggio di Jimin, lui avrebbe fatto lo stesso. Chiusi gli occhi per un secondo.
«E anche io ti amo

Non c'era modo di spiegare la reazione degli altri, in quel frangente, se non paragonandolo ad uno scoppio di bomba, fuochi d'artificio e del big-bang nello stesso istante. 






Quella nuova notizia aveva portato un momento di giubilo all'interno del gruppo, in cui persino i cuscini che ci reggevano i sederi stavano volando da una parte all'altra, andando a colpire i due malcapitati. Era stato un fulmine a ciel sereno quasi per tutti, solo Nam e Junk sembravano meno sorpresi, forse le loro doti cognitive erano più evolute. O semplicemente lo sapevano e basta.

Hoseok aveva smesso di respirare a furia di aspirazioni nasali e versi durante quell'esultanza, Jin rideva contento mentre io riuscii a unirmi a quel momento giusto brindando verso i miei due amici, dicendo loro un "e finalmente" abbastanza esasperato. Finimmo di mangiare avvolti dalle domande verso quella nuova presunta relazione. Yoongi aveva messo a tacere tutti dopo tre secondi, dicendo che non c'era bisogno di tutta quella gioia, che si stava deprimendo.

Ma in realtà, lo vedevo, era felice. Sorrideva, era imbarazzato, si era appollaiato accanto a Jimin che, invece, sembrava più propenso a rispondere alle domande nonostante i pugni di Yoongi sul suo braccio per farlo smettere. Finimmo i nostri noodles dimenticandoci per un secondo di tutto quello che era successo, nonostante aleggiasse su di noi in maniera prepotente, come una nuvola scura sulle nostre teste.

Ero sempre stata sicura che non ci sarebbero mai stati pregiudizi, tra di noi. Jimin e Yoongi stavano per rovinare tutto, per colpa di quello e invece si erano finalmente tolti un peso, un enorme peso. In un qualche modo mi ritrovai più leggera anche io, avendo finalmente spartito quel minuscolo grande segreto con tutti. In un momento così nero, quella era una piccola stilla di luce e mi fece sentire molto meglio.

Stappammo tutti un'altra birra per brindare di nuovo e sarà stato il connubio di alcol, risate e sangue più fluido ad aprire di nuovo i rubinetti della confidenza. Era proprio vero che la mente viaggiava e percorreva una strada tutta sua davanti a delle emozioni forti, che fossero brutte o belle.

Questa volta fu Hoseok a prendere parola.

«Ragazzi»

Ci voltammo tutti verso di lui, ero quasi sicura che stesse per fare un annuncio disperato, di quelli che non ti dimentichi, come il suo sposalizio. Aveva la faccia di uno che stava per dirci che sarebbe diventato padre. O che aveva appena scoperto che le puntate di "Sakura lo fa buono lo fa bello" era tutta finzione e non era vero che era lei a fare quegli ottimi mochi a forma di animali. 

«...credo che non mi sposerò più.»

Acqua ghiacciata in pieno viso, per la seconda volta rischiai di strozzarmi, questa volta con la birra. Percepii Jin irrigidirsi in maniera fin troppo vistosa mentre ci fu un coro di "chee?" quasi all'unisono e intonato. Erano pronti per fare i cantanti, appurato.

«Ma sei diventato scemo di colpo?» Namjoon domandò con la sua infallibile gentilezza e discrezione.
«Non posso andarmene, non posso. Emily non vorrà mai trasferirsi qui e io non sono...non voglio andare a vivere in Inghilterra per il resto della mia vita. Non trovo altre soluzioni. Sono mancato un anno e mi sembra di non riconoscere neanche più la mia città, mi perdo i pezzi, siete cresciuti così tanto e io me lo sono perso. Stavo per litigare con tutti voi per questo, vi avrei perso.»

Restammo tutti zitti a guardarlo mentre io mi sentii sbudellare dall'interno. 
Ma allora quel discorso sul ponte non era una dannata fase, stava pensando davvero di lasciarla, di abbandonare la missione, di salire sulla scialuppa. Per un secondo mi sentii frastornata, talmente tanto che ero a rischio nausea ma mi afflosciai con la schiena contro il divano, guardando Hoseok. Jin mi stava fissando, lo notai, ma non riuscivo a togliere gli occhi di dosso dal mio primo ed eterno tormento.

«Ma la ami?» S'intromise Jungkook, guardandolo. 
Lui ci mise un po' a rispondere, diresse lo sguardo verso di me e, per un attimo, ci guardammo. 
Ero sicura che mi si fosse gelato il sangue improvvisamente, distolsi lo sguardo quasi subito. 
«S-sì...credo di amarla, sì.»
«Credi.» Riprese Jungkook, sospirando e bevendo un sorso. «Senti io non capirò niente di amore ma vedo i miei genitori, hanno fatto tanti sacrifici, sai mio padre era sposato con un'altra donna prima di incontrare la mamma. Hanno avuto una relazione a distanza per anni, anche dopo di me, perché l'altra donna non gli permetteva il divorzio. Anni, anni in cui non riuscivano a vedere una fine. E invece alla fine è arrivato.»
«Sì ma»
«Non c'è un ma, se la ami troverai dei compromessi e se lei ti ama sarà uguale. Mia mamma ha preso le redini della situazione e, alla fine, lottando con le unghie i denti ha finalmente raggiunto la sua felicità. Non pensare subito al peggio, sii un po' come la mamma della situazione, almeno glielo hai chiesto, gliene hai parlato di queste cose?»

Lui guardò di nuovo verso di me, lo potevo sentire come si sente una lama conficcata nel cuore. Avrei voluto che la smettesse, non potevo pensare che il destino avesse deciso di riportarlo sulla mia strada proprio ora. 
Va bene che il destino era stronzo, ma sul serio, così tanto?

«Non - non ancora. Alla fine è ...insomma ho avuto una crisi qualche tempo fa, volevo lasciar perdere tutto.»

Almeno fammi diventare sorda, o priva di ricordi. 

«Ma pensavo fosse solo l'ansia da prestazione insomma, solo che...»
«Stai per legarti per sempre ad una persona, anche io me la farei sotto.» S'aggiunse Namjoon. «Se le hai chiesto di sposarla è perché, con lei, hai visto un futuro. Altrimenti perché lo avresti fatto?»
«Smettila di pensare, lo capirai da te se la vorrai sposare o no. Quando la rivedrai lo capirai.» Yoongi si cimentò in quella massima. «Comunque, figlio mio, fai pace con il cervello. Sei sempre stato così tu, agisci di pancia e poi te ne penti. Un conto è quando prendi i jeans più brutti dell'universo.»
«Ehi, quei jeans erano una bomba
«Un conto è quando, con le tue azioni, fai danno anche alle persone che ti amano. Le fai soffrire involontariamente perché non ragioni. Quindi, te lo dico per esperienza, smettila di ravanare nella tua testa citrulla e fai cosa dice il tuo cuore. E per l'amor del cielo seguilo.»
«Non voglio farla soffrire, è normale che io non voglia accidenti, so bene a cosa andrei incontro.»
«No, non lo sai. Fai sempre così, prendi e parti ma poi te ne penti e le persone che hanno viaggiato con te si ritrovano con un pugno di mosche. Abbandonate.»

Fulminai Yoongi con lo sguardo, se stava parlando di me non era il momento giusto. Avevano appena ufficiliazzato il loro amore, c'era bisogno di ritornare a rimembrare tutto il dolore che avevo provato io? Avevo ancora in testa Tae, stavo male, non potevo sobbarcarmi anche quello, di nuovo.

«Yoongi hai un modo tutto strano per tirare su di morale una persona.» S'imronciò Hoseok, guardandolo torvo.
«Non sono mai stato famoso per tirare su di morale nessuno.»
«Touchè.»

«Invece di ascoltare questo testone, insomma, pensaci. Non lo risolverai di certo stasera questo problema, vedrai che troverai una soluzione, basta che ne parli con lei. Ormai le decisioni le dovete prendere in due.» Jimin, con la sua voce sottile e gli occhi assonnati, lo aveva calmato di più. Vidi Hoseok sorridergli mentre finiva la sua birra.
«Sì, lo so, dovrò parlargliene, continuo a rimandare forse per paura di quello che mi direbbe.» Ammise scuotendo il capo. 
«Scusate ragazzi, mi sento un imbecille a parlare di queste cose con voi. Giuro che quando vi sposerete farò il vostro consulente completamente gratuito.»
«Sì, aspetta e spera.» Namjoon ridacchiò.

In tutto ciò Jin era rimasto in silenzio violento, avevo paura a guardare la sua espressione così mi limitai a bere e a fingere di interessarmi al nuovo anime che stavano dando, questa volta c'entrava un bambino alieno che viveva con due ragazzini che gli facevano da genitori. 
Anche io ero rimasta silenziosa, alla fine di tutto, ma Hoseok stava attentando alla mia sanità  mentale e io ero già sul brilla andante.

«Anche io devo dirvi una cosa.»

A quanto pare mi volevano morta, perché a parlare fu Jin.
Che avesse deciso di rivelare della nostra relazione in quel preciso momento?

«Partirò per il militare a inizio stagione, da settembre.»

Ci fu un silenzio terribile, come uno schianto mi ritornò alla mente quella lettera. 
L'avevo completamente rimossa, come avevo potuto dimenticarla? 
Mi voltai di scatto verso di lui sentendomi estremamente male, avevo voglia di piangere anche io, per lasciar scivolare via tutta quella dannata giornata ma rimasi solo bloccata a guardarlo senza riuscire a dire nulla.

«Così presto Jin? E l'università?» Disse Namjoon, imbronciandosi.
«Per il dottorato ci metto troppo e non ho voglia di imbarcarmi nel servizio militare all'ultimo momento, ho quasi 30 anni. Lo finirò quando torno.»
«Chi ti ha preso?» Chiese Yoongi.
«Marine.»
Ci fu una lamentela comune, mentre io continuavo nel mio mutismo estremo. Ero pronta per fare il magistrale cinema muto famosissimo negli anni venti, sarei stata perfetta.
«Cazzo Jin, ma così ti perdiamo di vista per più di un anno.» Sempre Namjoon e la sua finezza.
«Due.»

Due anni. 
Se la nausea prima era stata passeggera ora era ritornata potente, facendomi contorcere lo stomaco. 
Si può provare dolore al dolore? 
Non so bene che mischioni fossero ma sentivo il corpo sbriciolarmi da dentro, non era una sensazione proprio carina.

«Sì lo so, sono molti, ho due settimane di vacanze e tornerò qui a trovarvi ogni volta. E poi so che ti lasciano chiamare casa almeno una volta a settimana, non credo siano permessi i cellulari o internet ma ogni volta  che potrò contattarvi lo farò.»

Non riuscivo a dire niente, smisi anche di guardarlo, mentre mi scolavo a goccia tutta la birra senza preoccuparmi del fatto che le bollicine mi facevano bruciare il naso. 
«Ma settembre è fra un mese, perché non inizi la prossima stagione? Dacci il tempo di metabolizzare almeno.» Disse Hoseok, lagnandosi.
«No, non posso Hobi. Davvero, prima comincio e prima me lo levo di torno.»
«Perché non hai scelto il servizio comune? O la polizia? Sei andato a scegliere quello più tosto di tutti, sei tutto matto.» Di nuovo Namjoon.
«Oooh matto, in realtà mi è sempre piaciuto e poi avevo solo provato a mandare la richiesta, non pensavo mi avrebbero accettato.»

«Certo che ti accettano, sei ligio alle regole, sai cucinare, sai rifarti il letto in meno di due secondi e sai stirare. Meglio di così non lo trovano.» In effetti Jimin aveva ragione, Jin avrebbe fatto faville al militare, nonostante il suo carattere un po' infantile, quando si trattava di regole era uno dei migliori a rispettarle. Avere una madre "sergente" aveva aiutato, in fin dei conti.
«Sì, ma ora chi ci cucinerà per i prossimi anni? L'unico decente è Hobi e ci abbandona per una rossa inglesotta, insomma.» Yoongi provò a sdrammatizzare nel peggiore dei modi, tanto che tutti lo guardammo senza espressione. 
«Seo sa cucinare, anche se finge di no.» Disse Jin improvvisamente, guardandomi.

Io lo guardai. 
Non so bene cosa ci stavamo dicendo attraverso gli occhi ma ero sicura che ci fosse una guerra interiore accesa dentro di noi.
«So far bollire l'acqua, sì.» Dissi io, senza molto sentimento. Rise solo Hoseok, che neanche andai a guardare.

«Ragazzi piano con queste rivelazioni stasera, non sono pronto a tutto questo.» Si lamentò Jungkook, buttandosi sul divano già con la sonnolenza andante. «Ora ci manca solo che mi abbandonate per il servizio militare tutti quanti, che vi sposate, che vi innamorate e mi lasciate solo in balia del futuro.»
«Junk non temere, sei il nostro piccolo cucciolo di casa, non ti lasceremo indietro.» Lo prese in giro Jimin, prima di ridacchiare.
«No sul serio ragazzi, altre cose? Perché giuro che non la reggo più sta giornata. Nam? Seo? Voi zero? State morendo? Vi trasferite?»
Io e Namjoon ci guardammo poi scuotemmo il capo.
«No, noi ci potrai sopportare ancora per un po'.» Ammisi io e quello sospirando si posò un braccio sulla fronte. 

L'atmosfera non stava migliorando, Jin aveva amplificato il malcontento generale, tanto che alla fine eravamo rimasti zitti mentre ognuno prendeva posto sul divano e alcuni si afflosciarono sui cuscini, cominciando a perdere energia. Io, per quanto fossi in preda ad una narcolessia feroce, non riuscivo a stare lì. Ero già in procinto di salutare tutti, ficcarmi in stanza e non uscire fino alla fine dell'estate ma mi ritrovai a uscire fuori dal balcone, con una nuova birra in mano, lasciando i miei amici addormentati davanti alla TV. 

Anche Seul stava dormendo, nonostante le luci della città. Non volava una mosca, alcuni grilli e le cicale suonavano la loro sinfonia notturna e io mi immersi in quel torpore con una coperta leggera avvolta sulle spalle e gli occhi vuoti. 
Hoseok non voleva sposarsi. Jin sarebbe partito. I lati della medaglia che scambiavano i loro posti, ancora una volta. 
E poi Tae. Tae che mi bruciava dentro come un fuoco, per la paura provata. Almeno c'era stata una nota positiva, Jimin e Yoongi, davanti a tutti. Non lo avrei mai creduto possibile, ma ero sicura che la reazione degli altri sarebbe stata la medesima. 
Ci volevamo bene davvero, l'apertura mentale, tra noi, era sempre stata l'armonia perfetta di quell'amicizia, il perfetto collante per qualcosa di eterno.
Feci un sospiro più profondo, andando a prendere il cellulare per controllare che Yurim non mi avesse scritto. Ancora nulla: se fosse successo qualcosa ero sicura che sarei stata la prima a cui lo avrebbe detto, quindi cercai di rilassarmi.

«Non riesci a dormire?» La voce di Jin mi fece quasi cascare la birra per terra ma riuscì a tenerla salda.
«No.» Non volevo risultare secca, ma non riuscì proprio a modificare la voce.
«Sei arrabbiata?»
«Jin lo sapevo già. Avrei voluto che me ne avessi parlato in maniera diversa ma, ammetto, che i tuoi colpi di scena li ho sempre trovati particolarmente attraenti.» Risposi io, mentre lo vedevo sedersi accanto a me. Anche lui aveva una birra, pensai che avesse avuto la mia stessa idea, in qualche modo eravamo telepatici pure senza volerlo.
«Hai visto la lettera, eh?»
«Beh sì, non volevo sbirciarla eh, lo giuro. È solo che...solo che»
«È solo che l'hai sbirciata.» Concluse lui. 

Non sembrava arrabbiato, ma era triste.
Il suo sguardo addosso era peggio di quello di un cucciolo bastonato, così decisi di guardare altrove.
«Senti, non ti dirò di non partire ora se è quello che speri. È solo che-»
Di nuovo. Solo che, cosa? Presi una pausa, lui non mi incitò a continuare ma mi guardava, speranzoso che lo facessi.
«Sai, fra me e te ...proprio ora che le cose stavano andando bene io, io non capisco perché di nuovo devo-»
Niente, non riuscivo proprio a esprimermi.

Sentii che si muoveva piano, verso di me, mi sfiorò la spalla con la propria mentre andò anche lui a guardare la nostra città notturna. Qualcuno stava avendo una nottata insonne come la nostra, c'era un lumino acceso nella casa di fronte. Forse una coppia come noi, che guardava la tv, mangiando noodles, ridendo, giocando, amandosi. 
Che schifo, stavo diventando di nuovo smielata.

«Per questo non volevo dirtelo, non ero sicuro nemmeno di accettare in realtà. Ma diciamoci la verità Seo, ti ho vista come hai reagito quando Hoseok ha detto che non si sarebbe più sposato. Ti credo quando mi dici che non sono come lui ma ...il fatto è che lui ci sarà sempre, so che ti sei pentita di non avergli detto che lo amavi quando potevi farlo. Io forse sono ...insomma so che ci tieni a me ma l'ho visto stasera. Lui ti guardava in un modo diverso e tu non riuscivi a nascondere quello che stavi provando.»

L'ennesima acqua ghiacciata, provai l'impulso di andarmene davvero a letto e non uscire mai più ma la sua voce mi bloccava. Era rotta, stava soffrendo per quello che mi stava dicendo e io avrei voluto prenderlo a schiaffi per questo. 

«...è meglio così, per entrambi. È stato un sogno bellissimo e ...davvero, vorrei chiederti di aspettarmi, non hai idea di quanto lo vorrei ma non, non posso. Non posso farti una cosa così, so che sarai in buone mani mentre io non ci sarò, Hobi non ti lascerà sola.»

Non riuscivo neanche a rispondere. 
Mi stava lasciando, mi stava gettando tra le braccia di Hoseok come se fossi un oggetto da scambiare. Ma per quanto la cosa mi mandava in bestia ero anche consapevole che Jin, da un lato, aveva ragione. Lui non poteva fare proprio niente e io non potevo fare proprio niente. 
Il destino beffardo stava decidendo per me, ancora, stava invertendo i ruoli dei due ragazzi più importanti per me. Hoseok finalmente a casa. Jin in procinto di andare via per anni. Maledetto beffardo dosso.

Ma c'era ancora una cosa, l'ultima cosa.

«Oggi avevamo un appuntamento, un qualcosa simile ad un appuntamento per l’appunto. Te l’ho detto stamattina, ricordi?»
Cambiai drasticamente argomento, come se neanche avesse parlato in maniera così seria fino ad ora.  Lui non mi rispose subito, rimase per un attimo a fissarmi interdetto, prima di annuire.
«Ah- s-sì, me lo ricordo.»
«Bene. Domani mattina andiamo da Tae, lo meniamo per indurlo di nuovo in coma per come ci ha fatto preoccupare, poi vai a casa, ti fai bello e ti fai trovare alle sei davanti alla caffetteria True Love. Sai quella dove Junk aveva incontrato quella idol per cui ha una cotta assurda?»

Jin mi stava guardando con l'aria di chi non stava capendo. Avrei voluto dare la colpa al fatto che stavo dormendo dentro e che la mia bocca si muoveva da sola ma ero in uno stato incapibile, era meglio conitnuare così.

«Jin, ho capito, vuoi finire tutto questo prima che diventi troppo pericoloso, o non so cosa diavolo ti sta passando ancora per la testa. Ma ho bisogno di mostrarti una cosa, quindi ti prego dimmi che verrai.»
«Seo io non vog-»
«Dimmi che verrai.» Lo bloccai subito, posandogli due dita sulle labbra.

Lui le schiuse, pensai me le stesse per baciare ma non lo fece, sussurrò un "sì" a bassa voce, prima di prendermi la mano e spostarla dalle labbra. Quel contatto mi fece rabbrividire di nuovo, tanto che chiusi gli occhi. Lui s'avvicinò, poggiando la fronte contro la mia. Stavo di nuovo tremando e lui non faceva che muoversi come un gatto, respirando sulla mia pelle. 

Lo sentii tirare su col naso mentre strizzava gli occhi, andando ad aggrapparsi ai miei vestiti. Li tirò appena, prima di deviare da quella posizione. Conficcò la fronte contro la mia spalla, si era afflosciato su di essa, stringendosi contro di me, mentre avvalorava quell'abbraccio personale.
Quel contatto bisognoso.

«Ho avuto così paura oggi. Non ce la faccio più ...non ce la faccio più, voglio che finisca tutto questo.»
Mi sussurrò quelle parole a bassa voce, mentre lo sentivo tremare appena sotto quella presa. Alzai le braccia per avvinghiargli la testa, stringendogli i capelli scuri, accarezzandolo dolcemente.
«Non devi per forza reprimere quello che senti. Puoi sfogarti con me, lo sai.»
«Voglio che voi stiate bene, sempre. E l'idea che non posso controllare il destino di nessuno, che non posso fare niente per aiutarvi, per aiutarlo mi fa andare fuori di testa.»
Chiusi gli occhi, respirando forte.

Che immenso macigno si portava dietro Jin?  Perché  voleva, a tutti i costi, salvarci? Avrei voluto togliergli quell'onere di dosso, farlo respirare e permettergli di crollare, solo per farsi aiutare. Era sempre pronto a sorreggerci con le sue braccia ma, alle volte, persino il più forte aveva bisogno di venire sollevato da terra per ritrovare un po' di pace.

«Jin, non puoi controllare sempre tutto. Alle volte devi lasciare andare le cose, in un qualche modo si risolveranno. Alle volte non fare niente è la soluzione migliore.»
«Quante volte mi ha chiamato, sfogandosi. Quante volte mi ha chiesto di vederci. Pensavo che portarlo al cinema, aiutarlo con lo studio, accompagnarlo a fare shopping ...sono cose così inutili, non ho mai ascoltato. Ero troppo preso da ...»
«...anche io ero troppo presa da Hoseok. Ascoltavo i problemi di Yurim, non capendo che in quei problemi c'era di mezzo anche Tae. Non mi sono mai azzardata a intromettermi, ho sempre pensato che non fossero affari miei, affari nostri. E forse lui voleva solo prendere un po' a pugni quello che gli stava capitando. Dobbiamo davvero decidere chi ha la colpa in questo? Non è così che funziona

Finalmente alzò il volto. Stava piangendo, ma lo aveva fatto in silenzio, niente singhiozzi. Io ero riuscita a reprimere tutto, ancora, cercando di trattenermi. Mi ero resa conto che non avevo lacrime per quel momento, ero estremamente vuota e sentire che la mia unica certezza stava scivolando via mi fece sentire ancora più piccola, più debole.
Fragile.

«Potrà mai perdonarci?»
Gli presi il volto tra le mani davanti a quella domanda, guardandolo negli occhi.
«Quando ci vedrà, domani, sarà così contento di vederci che gli infermieri dovranno fermarlo perché saltellerà come un pazzo per tutta la stanza.»
Si mise a sorridere,strusciando le labbra tra loro.
«Sì, vero? Lo farebbe.» Sospirò lui.
«Ultimamente stai piangendo un po' troppo davanti a me. Dove le conservavi tutte queste lacrime, eh?» Domandai io, cercando di deviare il discorso, mentre strusciavo i pollici per levargliele dal volto.
«Riesco a farlo solo davanti a te.» Fece una smorfia, nel confidarmi quello, mentre tirava via il muso per pulirsi il volto da solo.
«Che grande onore.» Dissi io, abbozzando un sorriso dolce.

Lui non mi rispose, si limitò a ricomporsi, andando a bere un altro sorso di quella birra ormai dimenticata. Ebbe l'effetto di ricarica, quando tornò a guardarmi gli vidi lo stesso sguardo che aveva la sera prima, su quelle scale, prima di baciarmi. 
«Non hai idea di che effetto stai avendo su di me.»
Sussurrò lui, strizzando appena la palpebre. 

Quella frase mi provocò un batticuore assurdo. Avrei voluto rispondergli, dirgli che per me era lo stesso, ma non ce la feci. Si era insidiata dentro di me di nuovo quella malattia, quella velenosa e pericolosa disfunzione sotto il sangue: la paura. Mi limitai a sorridergli nella maniera più sincera che potevo e lo vidi, nel suo sguardo, un guizzo più lucido. 
Si avvicinò verso di me, imprimendo le labbra contro le mie. Mi baciò con trasporto, spingendomi leggermente all'indietro, mentre mi accarezzava il volto in maniera dolce. Non durò molto, quando scostò le labbra dalle mie rimase qualche secondo a strusciare il naso contro il mio, in silenzio.

Se solo avesse capito che io avevo solo bisogno di questo, di nient'altro, ma invece il portatore ufficiale di ulcere decise di scostarsi, creando di nuovo quella distanza tra di noi.
Io avevo ancora il sapore di quel bacio addosso, sentivo ancora la sensazione delle sue labbra sulle mie.
Perché sembrava così tanto un bacio di addio?

Lo guardai alzarsi, guardarmi un'ultima volta.
«Prova a dormire adesso, Seo. Andrà tutto meglio domani mattina.»
Nonostante tutto, davanti a quella frase, riuscii a ritrovare l'indole primaria di Jin. Quella delle certezze. Quella che vedeva la risposta. Che vedeva la soluzione, nonostante la sola voglia di permettersi di abbassare la guardia e abbandonarsi a tutte le sue insicurezze.
«Buona notte, Jin.» Sussurrai io.
Mi sorrise un'ultima volta e io feci lo stesso con lui prima di vederlo richiudere la porta vetro dietro di sé e sparire, di nuovo, all'interno.
Ero rimasta sola un’altra volta, davanti alla nostra città dormiente.
Di nuovo partita chiusa, di nuovo zero punti.











nda: eee ecco il secondo capitolo di oggi. Con questo mi sono "divertita" (?) di più nonostante tutto, ho voluto smorzare di nuovo un po' i toni nonostante quello successo a Tae, avrò modo di riprenderlo ovviamente più avanti e approfondirlo ma finché il diretto interessato non ce spiega non si può sapere. E per SeoJin, per loro ho tutto un piano prestabilito, giuro che FORSE non mi odierete. Ma non ne sono sicurissima v_v penso che il prossimo capitolo arriverà tra qualche giorno, vi auguro una buonanotte <3 a presto.

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Capitolo 19
*** La nostra transizione ***






19 ~ La nostra transizione






 
Mi svegliai abbracciata ad un vaso di peonie mentre un' ape mi gironzolava sopra la testa, ronzando come una sveglia naturale. Ebbi un sano autocontrollo per non morire d'infarto davanti a quel corpo bomboso, peloso e rigato, ma dimenticai l'imminente morte quando notai che Yurim aveva provato a chiamarmi, aveva lasciato un messaggio vocale dove pigolava qualcosa sul fatto che Tae era sveglio, stava bene, aveva mangiato, doveva uccidere l'infermiera che gli aveva controllato la flebo civettando con lui e di venire presto che voleva vederci. 

Fui la prima a svegliarmi a quanto pare, dentro tutti dormivano ancora immersi tra ciotole vuote, bottiglie riverse e cuscini bitorzoli. Jimin era abbracciato a Yoongi, mentre un piede di Yoongi faceva da cuscino a Hoseok. Namjoon dormiva in stile vampiro, con le mani incrociate al petto, aspettando la luce divina. Jungkook era a gambe incrociate, sotto al tavolino, in una sorta di meditazione del sonno mentre Jin, dopo una ricerca accurata,  lo trovai  intento a dormire in camera mia, abbracciato ad una mia felpa. Sarei stata capace di intenerirmi davanti a quella scena ma mi ritrovai a fare da alza bandiera, urlacchiando che Tae era sveglio e dovevamo andare. 

Ci furono mugolii di protesta ma tra insulti, versi e dialetti all'incontrario simili a dei rituali satanici alla fine ci ritrovammo, dopo un'ora, verso la via dell'ospedale. Ci fermammo a comprare una sfilza di hamburger gourmet, convinti che sarebbero stati sequestrati come bottino di guerra dalle infermiere, ma non potevamo presentarci a mani vuote e quello era il miglior regalo che Tae avrebbe ricevuto quel giorno, ne eravamo consapevoli. C'era un bel sole, faceva meno caldo rispetto al solito, ma la luce rendeva il corpo dell'ospedale meno spaventoso del giorno precedente. Era insolita come la prospettiva dello stesso posto, in base ad un'emozione interiore meno infelice, creava una sensazione del tutto diversa. Non vedevo più l'ombra che incombeva con una falce e un mantello nero, sembrava che qualcuno avesse spolverato via l'aria malsana di quel posto, rendendo quelle pareti azzurrine quasi un sollievo, gli infermieri sorridenti e i corridoi meno lunghi e paurosi, continuava a non piacermi, ma sotterrai l'ascia di guerra verso quel mio personale nemico ospedaliero. Senza neanche passare dal via ci catapultammo tutti insieme nella camera  di Tae, nonostante i vari borbottii delle infermiere che ci intimarono di entrare uno alla volta, senza irruenza, quasi travolgendo Yurim che lo stava giusto preparando alla nostra venuta.

Quando ci vide fece un sorriso che non scorderò mai. 
Sembrava aver visto la salvezza, sembrava che una luce particolare lo avesse colpito, rendendolo più raggiante, più fragile, estremamente incline al pianto. Ero sicura che stava per scoppiare ma Jimin gli saltò letteralmente addosso, abbracciandolo stretto.
«Dio Tae, non provarci mai più. Non provare mai più a farci preoccupare in questo modo o giuro che, giuro che...»
Non so se rispose, perché tutti copiammo Jimin e ci ritrovammo praticamente sopra il letto stretti in un grande abbraccio di gruppo, nonostante un'infermiera avesse cominciato a urlare che dovevamo lasciarlo respirare, sarebbe morto, chiamo il dottore, vi faccio cacciare. Ma noi non l'ascoltammo, restammo tutti chiusi a uovo per un bel pezzo prima di accertarci che non l'avessimo effettivamente ucciso sotto il nostro peso. Quando ci tirammo via notai che stava piangendo, ma nel mentre sorrideva. Si era commosso. O forse era semplicemente grato per quell'affetto.

«Ragazzi io...»
Ci provò a dire qualcosa, scuotendo il capo. Alzò il braccio per tastarsi la faccia ma non gli lasciammo molto spazio di replica.
«Non dire niente, lo sappiamo, senza di noi non puoi vivere, lo so. Siamo troppo fantastici! Guarda, ti abbiamo portato il tuo cibo preferito: non ringraziarci.» 
Disse Jin, ridendo e scompigliandogli i capelli, mentre poggiava il sacchettone odoroso di buono sulle coperte. Tae di nuovo tirò su col naso, asciugandosi delle lacrime con la manica del pigiama dell'ospedale. Mi fece male vedergli il polso circondato dal bracciale in cartoncino bianco per identificarlo ma cercai di non darci peso.

«Nascondilo all'infermiera, non sembra molto incline ad accettare una dieta ospedaliera del genere.» Continuò Jin,mentre Yurim afferrava il sacchetto, eclissandolo in qualche anfratto dietro il letto, cercando di non farsi vedere dalla boicottatrice in divisa.
«Oh ragazzi...» provò a dire Tae.


«Siamo i primi,vero? Ieri Jin ha avvisato qualche tuo amico dell'università. Speravamo di trovarti immerso in regali costosi, accidenti!» Si lagnò Hoseok, gonfiando le guance.
«Cosa? Ma perché lo avete-»
«Abbiamo detto che ti sei sentito male, un colpo di sole, anche se sei poco credibile così bianco latticino. Perché boicotti il sole, Tae? Eh, perchè?» Brontolò Jin, mentre sbuffava. 
«Ma non dovevate. Non mi interessa dei regali, io ...» Tae aveva ancora gli occhi gonfi di pianto e arrossati, vidi Yurim posargli una mano sulla testa in una carezza leggera.

Lo vidi assumere un'espressione corrucciata, era indecifrabile in quel caso, ma potevo immaginare che si sentisse profondamente in colpa. O forse si vergognava. Non mi sarei mai abituata a quel nuovo strato umano di Taehyung, faceva ancora male, nonostante tutto.

«Scusaci Tae, per non - insomma siamo degli idioti, a non aver capito. Ma tu lo sai, capoccione, quando pensi di non farcela, se hai voglia di menare qualcuno, chiamaci dannazione.» Incalzò Namjoon, pinzandogli una guancia bagnaticcia.
«Io...»
«Oh, ma che menare qualcuno, ma lo sai che se Tae ti tira un pugno ti scartavetra la faccia? Magari ti aiutiamo a trovare qualcuno da picchiare.» Continuò Hoseok, praticamente l'unico ancora sul letto.
«A Tae lo distruggo con un dito, che ci provasse.» Scherzò Jungkook, ridendo nervosamente.
«Ragazzi io una volta l'ho avvelenato, non c'è competizione.»  Incalzai io, ricordando i miei iniziali periodi culinari con conseguenti intossicazioni. Ammisi per la prima volta in vita mia il grave fatto della famosa intossicazione. Ma grazie a me Yurim e Tae erano ritornati insieme, dopo due giorni di distacco, nel male dovevo trovare una cooperazione benigna. 
«Ma quindi sei stata tu? Non era colpa dei funghi andati a male?» Mi chiese Yoongi. «Anni e anni di timore per i porcini per nulla! Sei un'assassina, non provare mai più a cucinare.»
«Avevo letto male la scadenza, non l'ho fatto volutamente.» Mi giustificai, mentre Tae, dopo qualche attimo, cominciò a ridere divertito. Piangeva e rideva. Era uno spettacolo davvero buffo da vedere ma quel suono, la sua risata, ci fece sospirare a tutti quanti e cominciammo a ridere dietro a lui. Stava cominciando a sciogliere i nervi; sapevo che i miei amici sarebbero riusciti a fare quel piccolo miracolo, che insieme avremmo alleggerito l'atmosfera. In fondo loro, il loro casino, le loro risate erano state, da sempre, un toccasana per ogni inconveniente della vita. 
Tutti insieme, nessuno di meno. 

«Oh ragazzi, in realtà una volta anche Jimin mi ha quasi ucciso.» Provò a dire lui, guardando il colpevole che aveva elargito una faccia da gufo. «Quando abbiamo provato a usare il motorino del fratello di Jin.»
«Cosa avete fatto scuuuusa? Mio fratello mi ha quasi staccato le ginocchia pensando che glielo avessi ammaccato io.»
«Tae mi sa che non lo sapeva.» Intervenne Jimin, fingendo di non averlo neanche sentito.
«Siete dei teppisti Non mi devo fidare di voi! Vandali! Delinquenti!» Si lamentò Jin di nuovo, alzando le mani, condendo l'aria con quella sfilza di sinonimi. L'infermiera, ero sicura, si mise a fare un veloce segno della croce, imprecando.

«Per non parlare di quando Nam ha lasciato quella candela profumata accesa tutta la notte e ha preso fuoco la coperta. Mi sono svegliato già  con un piede nella tomba.» Continuò Taehyung, continuando a ridere. Si era tutto piegato sul  cuscinone, dietro la schiena, incapace di restare dritto.
«Senti, c'era scritto che lo stoppino si spegneva da solo, come potevo saperlo.»
«Beh che il fuoco sia pericoloso non è proprio un mistero.» Dissi io, ridendo. 
«Oh ma perché quella volta che Junk, per provarci che il microonde sarebbe esploso, ha infilato dentro un vecchio telefono di sua madre?»
Ci voltammo verso Junk che aveva sgranato gli occhi.
«Oh senti, se lo metti nelle condizioni, il maledetto esplode.»
«Sì ma perché ci hai infilato dentro un telefono?» Continuò Hoseok, quasi strillando.
«Non lo so! Non ero in me!» Urlò l'altro, quasi di conseguenza.

«Ma mai come quella volta che Yu mi ha tagliato i capelli in casa e per poco non perdevo un orecchio.» 
«Sembravi un fungo di bosco, dovevo. Dovresti apprezzare il gesto, amore mio.» Si lagnò Yurim, guardando Tae con una smorfia. 
«Stavi benissimo col nuovo taglio.» Intervenne Yoongi, ridendo pure lui. «Sembravi quella famosa cantate, come si chiama? Lady Gaga?»
«Ma perché Lady Gaga?» Urlacchiò Tae, indignato, piantandosi le mani alla faccia.

«Uh-uh ma invece quando abbiamo provato a fare quel corto per Minno?» Incalzò Hoseok, saltando sul letto con il sedere. «Ho infilato Tae vestito da donna in quel carrello per vedere se riusciva a scivolare giù per la discesa! Il vestito che indossava si era incastrato nelle ruote, si è accappottato nello stagno.»
Strizzai gli occhi, ridendo come una matta. Cercai di evitare di pensare al fatto che, la sera della veduta del corto, Hoseok non ci fosse. Ma in fondo lui l'aveva vissuto, un po' come gli attori di guerre stellari. 
«Oh cavolo: in quello stagno c'erano sicuro dei coccodrilli! Li ho visti!» Disse Jimin, strabuzzando gli occhi.
«Sono quasi sicuro che fossero delle salamandre ma va bene uguale, la fauna non è il tuo forte Jimin.» Incalzò Namjoon, provando a esporre le sue conoscenze biologiche.
«Dissento Nam: gli anfibi urodeli li puoi trovare in zone più umide, come ambienti boscati o foreste.» Intervenne Jin, più esperto.
«Esatto, Nam» continuai io, esponendo la mia cultura, confermando così notti insonni insieme al qui presente Jin
 «e la qualità dell'acqua è importante, per  deporre le uova, prediligendo torrenti e acque non inquinate, anche per nutrirsi dei macroinvertebrati di cui si cibano le larve.» 
Tutti ci guardarono con aria un po' perplessa.
«Quanto vi odio.» Dichiarò Namjoon, guardandoci male.
«In realtà, vi ricordo, che dopo essere  caduto nello stagno mi sono ritrovato addosso quelle sanguisughe.»
«Che schifo ragazzi, ma perchè?» Commentò Yurim, sconvolta
«Non vi posso lasciare andare in giro da soli, mi fate paura!»
Tutti ci mettemmo a ridere di nuovo, mentre l'infermiera ritentò a piombare nella stanza, davanti a noi, borbottando che stavamo facendo troppo casino, ci avrebbe cacciato sicuramente ora, ma dov'era il dottore quando serviva?

Non parlammo di quello che aveva fatto, non ce n'era bisogno.

Probabilmente parlare delle nostre, o più sue, quasi morti premature aveva alleggerito il discorso, espiandogli la colpa di un gesto che, ero sicura, non volesse realmente fare. Yurim, poco prima che andassi via, mi disse che la notte prima gli aveva confidato com'era andata realmente: dopo la discussione aveva cominciato a bere, ritrovandosi a cercare in casa dei calmanti per prendere sonno e scacciare via il senso di ansia e irrequietezza.  Doveva aver sbagliato le dosi, stava cominciando a perdere i sensi e aveva cercato di indursi il vomito per buttare fuori tutto. Quando Yurim lo aveva trovato era già svenuto da diversi minuti. Non potevo essere sicura che quella fosse la realtà dei fatti, forse Tae aveva alleggerito la questione per non far preoccupare Yurim, per farle indorare una pillola troppo dura da sciogliere. Forse non avremmo mai saputo se aveva davvero tentato di addormentarsi una volta per tutte, se stava mentendo a sé stesso per scacciare via quella potente ombra nera che si portava sulle spalle pesanti, convincendosi che, sì, voleva davvero avere una ragione, una sola, per non lasciarci.

So solo che, Yurim, com'era sempre stata il suo tormento era, allo stesso tempo, la sua salvezza.
Il suo piccolo angelo custode, sempre pronto a salvarlo da quelle viscere meschine che lo trascinavano giù ogni volta che non si sentiva all'altezza. 

Lei era esausta ma sembrava serena, continuava a tenergli gli occhi incollati, come se ogni dettaglio di quel ragazzo non fosse stato visto abbastanza, come se dovesse marchiare nella mente ogni cosa e rivederla ancora, e ancora, senza mai prendersi una pausa. 

La paura fa fare brutti scherzi, ti mette di fronte ai tuoi limiti, alle tue debolezze ed ero sicura che un evento del genere l'avesse segnata come mai niente prima di allora. Credo che lo avesse fatto con ognuno di noi, non solo perché la sera precedente eravamo riusciti, dopo tanto tempo, a essere sinceri gli uni con gli altri, senza più filtri, senza più segreti non detti, ma perché lo vedevo dal loro sguardo che qualcosa si era rotto, era cambiato e avrebbe continuato ad aleggiare intorno a loro come un fantasma. Non lo potevo considerare un errore ma era così che lo sentivano, era così che lo sentivo anche io e più ne prendevo coscienza più mi sentivo in dovere di fare qualcosa per me, non potevo arrivare ad un punto di non ritorno, non volevo più farmi sovrastare da qualcosa che non controllavo.
In qualche modo dovevo estrapolare qualcosa di buono da tutto questo o non sarei stata in grado di voltarmi indietro, a osservare quel grande buco nero, senza provare la temibile sensazione che mi stesse attirando verso di sé. 
Volevo che fosse solo un buco, niente di più. Un grande ammasso senza fine, ma che fosse dietro di me, sempre un passo dietro di me, incapace di raggiungermi.

Quando guardai gli altri,  ero pronta a giurare che ognuno di noi, in modi diversi, tendeva a rubare da tutto questo la stessa medesima sensazione. 

Prima di andare via lo abbracciamo tutti ancora un volta, al mio turno rimasi un po' di più, stringendolo forte. Sarebbe rimasto in osservazione altri due giorni, e avrebbe dovuto seguire un programma indetto dall'ospedale obbligatorio, vedere una psicologa una volta a settimana e sarebbe dovuto tornare ad abitare con dei tutori, in questo caso i genitori, nonostante la maggiore età, fino a che la dottoressa l'avrebbe trovato idoneo per riprendere una routine solitaria. Era ovvio che avrebbe avuto delle conseguenze ma lui sembrò accettarlo, in fondo poteva fare solo del bene. Poteva sfogarsi, non avrebbe più dovuto tenere niente dentro fino a scoppiare. Avrebbe avuto sempre qualcuno, nel bene o nel male, pronto a notare una ruga corrucciata sulla sua fronte, anche quando la luce della stanza si spegneva, o lo schermo del cellulare non brillava più.

«Appena esci fuori di qui andiamo a farci un giro nella fumetteria in centro, che dici? È
da un bel pezzo che non spendacciamo lo stipendio.»
Lui mi sorrise, annuendo, stringendomi un po' più forte prima di lasciarmi andare.
«Budget illimitato con la tua carta di credito?»
«Basta che non mi fai morire di fame.»
«Ti lascio giusto i soldi per comprarti almeno un paio di mele, da farti durare tutto il mese.»
«Ah allora a posto.»
Lui si mise a ridere, stringendomi di nuovo ancora una volta prima che l'infermiera diede un ultimatum a tutti con in mano una cartellina che brandì come arma, l'orario visite era finito, dovevamo sloggiare, il paziente doveva riposare, andate a fare casino da altre parti.
Dopo i saluti da parte di tutti, svariate promesse, ed esposizioni affettuose avevamo il cuore un po' più sereno.







Alla fine tutti ritornammo a casa nostra, ormai base operativa per quell'estate a quanto pare. Tutti tranne Jin, che mi disse di non fare tardi per l'appuntamento, un dettaglio che mi fece quasi sentire offesa per almeno un secondo buono, prima di ricordarmi che il mio essere in anticipo era quantomeno uno dei più grandi paradossi universali. Non capitava neanche se, qualcuno, sbagliava l'orario di proposito. 
Decisi che non era ancora il caso di far sapere di me e Jin visto che non stava progredendo proprio come la più bella storia d'amore del secolo, ma Jimin lo aveva scoperto e aveva passato l'ultima ora ad aiutarmi a prepararmi. Yoongi doveva averglielo rivelato come vendetta personale per la sua canzone, un po' me lo meritavo, ma mi sentivo un po' l'artefice della loro riappacificazione quindi non c'era motivo per quella particolare ripicca.

«Seo così sembri che stai andando ad un funerale.»
«Guarda che l'effetto è voluto
In radio stava passando una canzone molto depressiva,un miscuglio tra depresso e passiva, parlava di un amore finito, o di un amore morto. Non lo sapevo, ma non aiutava molto a farmi entrare in un'atmosfera più romantica. E poi per quello che avevo in mente era giusto che trovassi un equilibrio.

«Che  ne dici di questo?»
«Ma dove lo hai trovato? Ah, è di Yurim, deve averlo dimenticato qui mille anni fa.»
Jimin stava sventolando un vestito blu, stretto e con il preannuncio di parti scosciate e scoscese. Non era il caso, nonostante il caldo, mentre stavo lanciando fuori dall'armadio almeno tre paia di jeans diversi. 
«Secondo me ti starebbe bene e poi non vuoi che Jin abbia gli occhi solo per te?»
«No.»
In verità sì, ma mica potevo dirglielo, già mi sentivo imbarazzata ad avere un improvvisato modaiolo che mi stava dando suggerimenti di stile. E non perché con Jimin mi trovassi a disagio, ma perché come un vecchietto che guarda i cantieri in costruzione, c'era Yoongi seduto sul mio letto che mi fissava senza dire una parola da almeno mezz'ora. Odiavo il suo non avere espressioni facciali, in determinati momenti.
«E questi? Maglietta e short, un classico.»
Jimin stava sventolando cose, mentre cercava di scavare con l'altra mano sotto la montagna di panni ammassata sul letto.
«Perché non vai nuda? Immagina la sorpresa.» Yoongi si decise a contribuire con quell'idea pazzesca.
«Come ho fatto a non pensarci prima?»
«Lo sai che sono un genio.»
Finalmente un'espressione:  aveva aperto le braccia, tirando su le spalle, con una smorfia in viso talmente scema che mi venne da ridere per l'esasperazione.

«Stai bocciando tutto quello che ti sto consigliando, sei un tormento.»
«Jimin, ti devo ricordare le ore passate ai grandi magazzini per scegliere il vestito per la laurea di Jin?»
«Oh ma-»
«O di quando siamo stati invitati al concerto di Natale dai genitori di Junk, all'Auditorium? Era un coro di bambini che cantavano ma tu no, dovevi essere il Gesù sceso in terra anche in quel caso.» Accodò Yoongi, facendo un sorrisetto scaltro.
«Perché ci tengo all'immagine.» Si giustificò Jimin, arrossendo, prima di lanciarsi addosso a Yoongi e placcarlo col suo dolce peso.

Si misero a ridere entrambi, mentre facevano strane lotte ambigue sopra il mio letto, ma prima che la mia mente potesse adoperarsi per immaginare il seguito mi decisi a bloccarli infilandomi una delle ultime cose tirate fuori dall'armadio, nulla di sensazionale, ero piuttosto anonima.

«Ragazzi per favore, quel letto è rimasto vergine fino ad ora, non mi sembra il caso di traumatizzarlo ora.»
«Non esserne così sicura, Seo.» Ghignò Yoongi, mentre spintonava Jimin di lato. 
Non volli sapere cosa intendesse, così mi limitai solo a fare una giravolta, allargando le braccia.
«Vado bene così? Sì? Perfetto, grazie.»
Acciuffai uno zainetto vuoto, giusto per fare scena, e me lo ficcai sulla spalla.
«Vedrai che lo farai impazzire anche vestita così. Divertiti anche per noi!»
Mi urlacchiò Jimin prima di sentirlo ridere di nuovo, immerso in chissà quale nuova lotta con Yoongi. Non riuscivo proprio a capire se mi avesse offeso o no, ma d'altro canto cercai di non pensarci troppo, sentivo un groppo allo stomaco come se stessi andando ad incontrare l'Imperatore del Mondo. In sala trovai Hoseok e Jungkook intenti a giocare alla playstation, Namjoon era chiuso in camera sua e cantava a squarciagola una canzone che avrei voluto dimenticare.

«Ehi, stai uscendo?»
Mi bloccò Hoseok, guardandomi di sbieco. La mia infallibile tattica di uscire senza farmi notare non aveva funzionato, avrei dovuto prevederlo visto che la porta era proprio di fianco alla televisione.
«Eee sì.» Ammisi. Notai Jungkook fare un sorrisetto scaltro ma non disse niente.
Sapevo che lui sapeva che io forse sapevo che lui magari sapeva.
«Appuntamento?» Aggiunse Hobi con un tono che non seppi interpretare. 
Perché mi sembrava infastidito? Ma no, era immerso nel gioco, magari era solo concentrato.
«Noo, ma che appuntamento.»
Adoravo il mio nuovo sport di menzognera, mi usciva talmente male che, se fosse stato uno sport vero, sarei stata eliminata alla prima fase.
«Stai attenta.» Mi rispose lui, senza più guardarmi. Poi lo  vidi fare un sorriso, non proprio uno dei suoi soliti sorrisi ma poteva andare. «Sei davvero carina vestita così, fortunello il tuo principe.»
A discapito dell'effetto che mi fece sentirlo da Jimin, sentirlo dire da Hoseok mi provocò solo l'insana voglia di andare in camera e cambiarmi. In passato avrei pagato oro per un commento del genere, ora mi stava dando solo un leggero fastidio. 
«G-grazie. Oh, è tardi, vado, ci vediamo dopo se avete intenzione di occupare casa anche oggi. Junkino, visto che stai giocando sopra i miei salvataggi triennali di Fallout pensando che non me ne sarei accorta, lo porti tu fuori Monie dopo vero? Grazieciao.»
«Ma lo ha portato fuori Nam-»


Non aspettai neanche una risposta, mi defilai fuori di casa mentre prendevo un respiro profondo. 
Hoseok era un puntello che dovevo levarmi di dosso, non poteva subentrare così ogni volta che riuscivo a scacciarlo. Ripartivano le paranoie, i pensieri, quei se, quei ma che ero riuscita ad allontanare dopo settimane di terapia auto-analitica. Da quel giorno sul ponte pensavo che le cose, fra noi, fossero tornate normali ma forse, questa volta, ero io a non vedere cosa c'era di diverso. E poi quella nuova rivelazione, quel suo cambio di idea non facevano bene. Mi piazzai davanti alle porte dell'ascensore, dove la mia immagine riflessa era un po' distorta. Provai a sorridere ma non ci riuscii bene, così mi sprimacciai la faccia, scacciai via i pensieri e mi diressi verso il mio non appuntamento.
 






nda: salve ragazzi <3 Ecco un altro capitolo, grazie per essere arrivati fino a qui come al solito:3 come procede questa quarantena? Spero bene e non nella noia più drastica come ...invece presumo. In tutto ciò speravo che questo tempo libero (?) mi avrebbe fatto velocizzare con la pubblicazione dei capitoli e invece NO perché, a quanto pare, mi perdo a fare altre cose e mi scordo di scrivere, da brava demente. Spero di avervi tenuto un pochino di compagnia, in tutto ciò. A presto <3 stay safe sempre. 
 

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Capitolo 20
*** Sono la persona sbagliata ***






20 ~ Sono la persona sbagliata





 
Io e Jin avevamo fatto più cose insieme che una vera coppia di sposini, non solo con gli altri, ma anche in solitaria. C'era sempre piaciuta la compagnia reciproca, non mi ero mai divertita tanto come quando ero con lui, certe volte in passato lo avevo preferito anche a Hoseok solo che la mia mente non era in grado di  capirlo e non voleva analizzare tali ipotesi. Non avevo mai provato disagio nel vederlo, non avevo mai sentito lo stomaco ballare la lambada né tanto meno il cuore dargli il tempo con taccate di tip-tap tanto da perforarmi lo sterno. Una cosa così comune, così usuale, così banale come un'uscita con uno dei miei migliori amici, quel giorno, mi stava dando sensazioni completamente diverse.

Lui era già lì ad aspettarmi, se ne stava seduto su uno dei pilastri di pietra che circondavano la fontana, mentre si guardava in giro con aria vagamente spersa. Notai delle ragazze fermarsi a guardarlo più volte, in passato avrei rotto il silenzio facendogli battute scadenti su quanto fosse un latin-lover mancato pure in quella inusuale circostanza da persona silenziosa e immobile, ma quel giorno ogni occhiata che riceveva, di striscio o più sapiente, mi faceva ribollire il sangue. Ero gelosa, tremendamente gelosa, quanto non lo ero mai stata con nessuno. Per Hoseok, più che gelosia, avevo sempre provato una sottospecie di mortificazione mischiata ad un compatimento verso me stessa, ero sicura di non poterlo avere e quindi mi commiseravo ogni volta che una ragazza gli rivolgeva la parola, o usciva insieme a lui o, addirittura, cominciava con lui una relazione extra-salivare con palpate annesse. Anni e anni di terapia auto-indotta non aveva per niente aiutato quel processo, probabilmente donandomi altri motivi per immergermi come associata primaria del mio Guru.
Cosa avrebbe detto Minseong, in quel contesto, per aiutarmi? 

"Vedi quella cosa lì, lontana e brillante? Si chiama gioia e tu non la vedrai mai." 
No, dovevo pensare a Keisha, ai suoi positivi messaggi di amore verso sé stessi, ma pensare agli idoli filantropi di Tae, in quel momento, era una mossa a doppio taglio.

Il fatto era che Jin non era paragonabile a niente, lui scombussolava ogni mia certezza e ogni giorno era sempre più difficile controllarlo. Smisi di fantasticare sui possibili omicidi verso le povere donzelle ignare e saltellai verso di lui, zompando davanti a lui come un mostro, a braccia allargate.
«Uaaa, eccomi qua!»
Lui fece un verso di spavento, sobbalzando tutto tremante, prima di ridere da solo, mettendosi una mano davanti alle labbra.
«Ma sei scema?» Il suo saluto iniziale fu quello. «Ah, ben due minuti di ritardo, penitenza!»
Gracchiò lui prima di alzarsi dal pilastro e piantarmi un braccio sulle spalle.
«Io qui solo, al freddo e lei, e lei»
So che stava provando a cercare le parole giuste, lo vidi guardarmi da capo a piedi, senza trovare le parole.
La cosa mi fece ridere, gli pungolai un fianco con il gomito.
«Ma se ci sono ottanta gradi all'ombra.»
«Sono freddo dentro.»
Dopo quella conversazioni sulle temperature interne lui fece scivolare il braccio dalla mia spalla fino al mio braccio, Sentii la sua mano cercare la mia mano fino a intrecciare le dita con le mie. 
Provai dei brividi indescrivibili mentre la mia mente cominciava a fare cilecca. Era dannatamente bravo a farmi diventare un atomo analfabeta. Ma ero contenta per quei progressi comportamentali. Avevo ancora addosso quella sensazione della sera prima, quella strana consapevolezza che stesse fluendo via ogni cosa, che non potevo fermare, ma forse nemmeno lui poteva fermare ciò che provava. La mia unica speranza era che, nonostante le sue insicurezze verso di me, decidesse di seguire una strada diversa.

«Allora, sei pronta a questo non appuntamento galante con l'uomo più divertente, fantastico premuroso e intelligente dell'universo?»
«Veramente preferirei uscire con te.»
Si bloccò, sembrava non aver capito la mia battuta, tanto che restammo a guardarci con aria da pesce lessi per due minuti buoni prima di vederlo aprire la bocca e ridere fintamente, senza nessuna carica spassosa.
«Che simpatia.» Biascicò lui, prima di fare una smorfia. 
«No seriamente» avevo ancora la mano intrecciata alla sua, mi piazzai davanti a lui per fronteggiarlo, la differenza di altezza si faceva sempre sentire, rischiavo il torcicollo ogni volta «oggi sappi che mi odierai più del dovuto, probabilmente vorrai abbandonarmi per strada, fingerai di non conoscermi, ma credimi fa tutto parte di un piano. Se arriverai alla fine di questa cosa senza volermi uccidere allora avrai un premio.»
Non sembrava convinto, aveva sgranato lo sguardo in malo modo, pensai che si stesse spaventando sul serio.
«Non vorrai mica portarmi a fare rafting, sai che non sono per niente bravo.»
«Non esattamente.»




La prima tappa era il famoso bar caffetteria frapperia True Love, un piccolo locale per i giovani ragazzi in carenza di glicemia nel sague e ottimo ritrovo per le coppie traditrici. A quanto pare, per qualche condizione astrale allineata sopra il tetto rosso di questo luogo, avevamo scoperto che era un ottimo posto tragi-comico. Come quello del totem di drago, anche questo era stato scena del delitto di molte disgrazie. Ogni volta assistevamo alla scena da soap-opera riguardo qualche povera anima, di solito di sesso femminile, che grazie a locazioni gp-sessuali o di strani attacchi da stalker poco fiduciari, trovavano i consorti intrecciati con altre mani traditrici. 

Probabilmente era una prerogativa nostra assistere a quei drammi, o forse portavamo sfiga alle povere anime pie che tentavano di boicottare i dogmi di una relazione duratura. Non era molto sano che lo portassi proprio lì per sancire il mio percorso, ma per quanto la tragedia paradossale di True Love fosse leggendaria, io lo vedevo come un luogo di opportunità connaturale.

Jungkook era solito, per qualche insano motivo, trovare qui personaggi famosi di ogni natura, per purissimo caso. A quanto pare, oltre le costellazioni del scornamento-inflitto era allineata anche la massa gassosa della stella fortunata, una delle astrologie che Junkino si portava dietro da tutta la vita.
Era qui che aveva incontrato una famosa idol per cui fantasticava storie d'amore glassate. Sopra ogni aspettativa era riuscito, persino, a farsi salutare da lei con un semi cenno imbarazzato, tanto che aveva passato una settimana in una fase psicologica ipnotica in cui non capiva più niente. Fu così che eravamo riuscito a convincerlo a fare manipolazione di massa verso tutti
Yoongi
per travestirci, ad Halloween, come i sette nani, Yurim Biancaneve e, guest star speciale di me medesima, da Matrigna con la mela velenosa e poco sana, nomea che era costata a me e a Yurim una particolare simbologia con quel frutto del peccato, che a quanto pare ci perseguitava in qualche modo.

«Perché non mi sento per niente al sicuro?»
«Vedi lì?» Indicai con un dito allungato un punto dietro la vetrina dei dolci. Appeso al muro c'era un quadretto con un cartellone a scritte cubitali: Estate calda? Estate afosa? Partecipate in coppia / a questa gara focosa!
Lui non sembrava convinto, tanto che deglutì a vuoto, ritornando a guardarmi con l'aria più preoccupata del mondo.
«Ho prenotato questo gioco: a quanto pare, se riesci a finire le portate, ricevi in omaggio una foto di coppia vincente che verrà appesa alla vetrina del negozio e, ovviamente, un biglietto di timbri omaggio per una bevanda gratis a tua scelta.»
«Mi hai davvero portato ad una gara dove si mangia?» Mi domandò lui, stralunato. 
«Sì lo so, è una cosa che Tae adorerebbe ma ...promettimi che non mi odierai.»
«Perché dovrei-»
Non riuscì a finire di parlare perché si palesò davanti a noi una signora bassa, dalla faccia rotonda e dal sorriso gentile. Aveva i capelli raccolti da una retina e una divisa rosa confetto, impreziosita da un grembiulino pieno di ricami fantasiosi.
«Benvenuti da True Love, io sono Astrid e sono davvero felice di proporvi la nostra scelta di  dolci alla frutta per la gara prenotata di oggi. Abbiamo crostata di crema di fragole, una di crema di lamponi, tortini ripieni con sciroppo all'arancia, una coppa di gelato al limone e alla banana, biscotti fritti ripieni all'ananas, tofu con albicocche e i nostri intramontabili fagioli rossi rivisitati, ripieni di crema al melone verde. Buon appetito e buona fortuna.»
Quella sventolò via e io mi limitai a fissare quel ben di dio dolciario davanti ad una faccia di Jin che era da antologia storica.

Era risaputo ai più  che Jin, per quanto amasse la cucina, i dolci, la frutta, c'era una cosa che proprio non tollerava: le cose al sapore di frutta. Era stata una grandissima fortuna, per me, riuscire ad azzeccare la settimana giusta per la gara che più di tutti Jin avrebbe odiato nella sua vita. Ormai era confermato: quel posto era allineato. Non so a cosa, ma era allineato.

«Mi stai prendendo in giro vero?»
«Mmmh, questo tortino sembra  così buono, prova ad assaggiarlo.» Ero già pronta, con un dolce in mano, ad imboccarlo.
«Leva quelle dita da davanti a me o te le strappo a morsi.»
«O magari perché non inizi da questo gelato alla banana talmente giallo da essere, senz'altro, un prodotto chimico prodotto in un laboratorio nucleare sotterraneo dove topi e tartarughe mutano e diventano padroni delle tecniche ninja?» 
Avevo infilato un cucchiaio dentro il gelato, portando una palla solida vicino alle sue labbra. Lui provò a spostare il collo per defilarsi da quell'imboccamento, ma poi lo vidi afflosciarsi sul tavolo cominciando a ridere in maniera convulsa, affondando i gomiti sul tavolo.
«Jiiin-oppaaa.» Lo presi un po' in giro, sghignazzando.
«Tu non puoi farmi questo, vado contro tutti i miei principi, anni e anni di studio per arrivare ad una mia identità caratteriale, per essere fermo nelle mie convinzioni, impiantato nei miei più profondi concetti... e tu mi porti a mangiare una delle cose per cui mi sono così battuto fin dalla mia tenera età, per cui mia madre ha patito tormenti e per cui s'è flagellata pur di farmi cambiare idea?»
«Sì.» Risposi io, facendo ballare il cucchiaio.
Lui fece una smorfia, prima di guardarmi con un'aria serissima. Per un secondo ebbi il timore che avrebbe alzato i tacchi e avrebbe messo la parola fine. Fine a tutto. Fine a questa relazione. E invece, per mia grande sorpresa, alzò un indice intimidatorio verso di me, guardandomi con due occhi da cerbiatto per niente maligni.
«Sappi che questa me la pagherai così tanto che non ti basterà una vita intera per redimerti.»
E detto questo aprì le fauci e mangiò la palla di gelato alla banana. 

Era un evento raro, un evento così prezioso e così unico che per poco non feci cadere il cucchiaio dalle mani. Avrei dovuto immortalare quella cosa per sbatterla in faccia agli altri, come unica vincitrice della storia ad averlo convinto a tale gesto. Ma non potevo, ero rimasta imbambolata a guardarlo mentre mi rubava il cucchiaio dalle mani per finirsi il gelato. Il tutto senza dire una parola: potevo notare solo il cambiamento repentino del suo colorito, che da chiaro e perfetto, stava inoltrandosi in un rossore atipico, sintomo che si stava sforzando di ingoiare quel pastone, a detta sua.

«Seo smettila di guardarmi come se avessi visto uno zombie e aiutami a finire questo scempio culinario. Come minimo voglio una mia foto magnifica lì sopra, quindi datti da fare!»
Ah sì: primo livello decisamente promosso.




Alla fine riuscimmo a finire tutto: scoprimmo che non era prevista nessuna bevanda gratuita, per quella bisognava finire in un tempo prestabilito, ma per la felicità estetica di Jin riuscimmo a farci fare una foto di coppia. Ci misero davanti ad uno sfondo pieno di ciambelle con visetti carini e sorridenti e un cappello in testa con delle orecchie da pupazzo. Esponemmo tutto il nostro carattere in due facce tremendamente buffe, mischiate all'immenso disgusto che Jin stava ancora provando per tutta quella frutta artificiale ingurgitata. Astrid ci disse che eravamo una meravigliosa coppia da copertina, ci diede una coppia della foto ad entrambi, ma io e Jin promettemmo che sarebbe stata un'altra di quelle polaroid innominabili da seppellire nella nostra scatola di storie mai realmente esistite. 

«Seo, se stai veramente cercando di portarmi dove penso io, ti dico già che sono pronto a denunciarti per molestie.»
«Avanti mio caro oppa, ti giuro che non è così tragico come pensi.»
Lo stavo letteralmente trascinando contro la sua volontà, facendo girare diverse persone verso di noi.
«Smettila di chiamarmi oppa! Non è così che mi conquisterai, vile codarda!»
«Jin la gente ci guarda, e non in senso positivo su, non fare il frignone.»
«Aaaaish Seo lasciami, non ci voglio andare! Ho ancora quei dolci nello stomaco, di sicuro non ci rimarranno ancora per molto!»
«Oh per tutti i Buddha del mondo.» Imprecai a mio modo, avvolgendo un suo braccio intorno al mio per continuare a tirarlo verso quella che sembrava una casa.
Una casetta.
Una casetta innocua.
Una casetta innocua con le pareti pittate di rosso e un grosso cartello che diceva "Non entrate, potreste non uscirne vivi!"

«No no Seo lasciami, non ci entro, te lo scordi, porca miseriacc-»
Nonostante i borbottii vari e le proteste non era molto incline a strattonarsi, mi seguiva senza opporre resistenza, mentre le luci cominciavano a imbrattare le nostre teste e un forte odore di pop-corn dolci e zucchero filato rallegrava l'atmosfera.
L'avevo portato al parco giochi che si estendeva vicino ad un parco, per niente distante dalla frapperia. Non era molto grande, ma era tradizione della nostra città ospitare giostrai e carrettieri sgargianti per donare alla nostra estate dei pirotecnici modi di divertimento.
Per mia sfortuna era raro che convincessi gli altri ad andarci, a quanto pare era visto come uno sport di coppia e, a meno che non ci portassi Yurim, gli altri si sentivano a disagio a venirci da soli con me.  Riuscivamo a combinare quell'evento di gruppo molto raramente, probabilmente per colpa dei movimenti astro fisici deviati dalla frapperia fin dentro la mia vita, e il mio eterno amore per quel mondo fatto di giostre volanti, chioschi cioccolatosi e bambinetti allegri era sempre stato sopito contro la mia volontà. Non era raro, che in passato, mi abbandonassi a fidanzamenti lampo estivi solo per potermi godere di quel divertimento. Non era un comportamento che reputavo molto nobile, ma mi avvalevo del diritto di essere giovane e stupida, come giustificazione mi sembrava attendibile. 
A pensarci, ero contenta di essere cresciuta abbastanza da non fare più cose imbarazzanti come quelle. Almeno, in quel frangente, il ragazzo che stavo trascinando era effettivamente il mio ragazzo, in un qualche modo non ufficiale. E, ovviamente, sempre sottolineando la mia immensa fortuna, poteva solo essere un ragazzo per niente intenzionato a mostrarsi euforico davanti a quel progetto. 

Mondo meschino e crudele.

«Benvenuti nella casa degli orrori di Transylvania-city, ascoltatemi attentamente, prima di immergervi in questa temibile esperienza mi assicurate che siete maggiorenni e che non avete problemi di salute gravi?»
«Io soffro di infarto precoce.» Si lagnò Jin davanti a un ragazzino brufoloso, vestito come un porta-vivande di un hotel, rosso sangue, annoiato più di Yoongi davanti ad un evento sociale di gossip scandalistico. Per fortuna non c'era una coda immensa e il nostro turno arrivò quasi subito. Jin non sembrava intenzionato a scavalcare la fila per fuggire da lì, dovevo ringraziare il prezioso alleato che avevo: l'orgoglio.
«Non lo ascoltare, è un idiota.»
«Sei incinta, per caso?» Fece il ragazzino, guardando me, ma la mia faccia doveva aver esplicato in maniera eloquente la risposta. Lo vidi deviare verso altre tre coppie di persone, ponendo loro le stesse identiche domande. 
La casa degli orrori di Transylvania-city era una sottospecie di casa degli Orrori reale. Ci si addentrava dentro le stanze composti da un piccolo gruppo di persone, ogni stanza era un set di un film horror famoso, composti da dettagli, luci flashanti e, dal pezzo forte, attori in carne ossa truccati dal cattivo orrorifico di turno. 
«Seguite la lucina rossa, ognuno di voi deve tenere le mani sopra le spalle di quello davanti a voi, non vi staccate per nessun motivo. Sappiate che gli attori non vi toccheranno mai quindi voi non toccate loro. È permesso urlare, comunque. Buon divertimento, ah ah ah.» Con una finta risata grottesca ci spintonò dentro la casa, pronti a morire di paura.

«Non lo voglio fare, me lo sognerò di notte. Avrei preferito le montagne russe!» Urlacchiò Jin, piazzandomi le mani sulle spalle. Da vero uomo aveva fatto andare me per prima, ma per fortuna io avevo davanti altra gentaglia sconosciuta. Mi aggrappai alle spalle di un'altra ragazza, che già tremava di paura.
«Te le ho proposte ma tu ti sei messo a fare quei versi soliti. Ho pensato che l'unico modo per sconfiggere la paura è comprendere la paura e affrontarla.»
«Ma perchè dovrei affrontare la bambina dell'esorcista? O Frankestein? O Freddy Krueger? O Hannibal Lecter?» Domandò quello, stritolandomi le scapole.
Il percorso stava iniziando, completamente al buio, con un laser rosso invadente che ci indicava il percorso verso le stanze macabre.
«Jin, te lo prometto, mi perdonerai.»
Un tizio davanti a noi cacciò un urlo, facendoci frenare di colpo, prima di sentire una ragazza davanti a noi strillare.
«Oddio, oddio è piena di vomito verde! Oddio il letto si muove da solo!Andiamo via Woo, andiamo viaaa
Sentii le labbra di Jin avvicinarsi al mio orecchio, da dietro. Nonostante la situazione, nonostante il fatto che mi stesse infilando le dita fin dentro le scapole, quel particolare gesto mi fece rabbrividire.
«Ne sei proprio sicura?»

Non ero sicura più di niente.



Fu una traversata mortale piuttosto impegnativa.
Nemmeno Frodo e Sam soffrirono così tanto per arrivare a Mordor. Probabilmente fu più facile sconfiggere Voldemort o superare le paludi della tristezza. 
A quanto pare l'uscita di quel posto era la nostra luce della speranza. Lì dentro capitarono parecchie cose, alcune non del tutto comprensibili, ma ci fu un vero e proprio lavoro di gruppo per cercare di non soccombere alla paura, o alla morte.
Scoprimmo che mantenere la nostra posizione, ossia restare attaccati alle spalle del nostro compagno davanti a noi, era un compito pressoché impossibile. Io  e Jin ci ritrovammo parecchie volte indietro, a correre come due disgraziati, rincorrendo il gruppo che aveva deciso di fuggire agli orrori delle stanze come degli scattisti da maratona, urlando impanicati, sparpagliandosi in angoli remoti di quel posto buio come formichine impazzite.
La Casa degli Orrori, nonostante da fuori sembrasse un'innocua struttura con un'uscita, dentro invece la grandezza era percepita come la Reggia di Versailles, era un maledetto labirinto con Minotauro annesso, era un groviglio di trappole e spaventi mortali. Non c'era una fine. Non la trovavamo. Quella luce laser rossa era menzognera.

Ad un tratto raggiungemmo delle scale, delle scalinate enormi, che salimmo in meno di tre secondi inseguiti da uno spaventoso medico assassino. 
Uno di noi perse un sandalo.
I più coraggiosi tornarono indietro per riprenderlo, e in quei coraggiosi, a discapito di quanto avrei mai potuto immaginare, c'era proprio Jin. 
Lasciò le mie  spalle per andare a recuperare il calzare perduto, ritornando da noi proprio quando un killer, un killer armato di motosega, accendendola con uno strattone spaccò una porta con una pedata e prese a inseguirci come un macellaio forsennato.
Lo conoscevo bene, era uno dei miei preferiti, Leatherface. 
Nei film era molto più simpatico, dovevo ammettere, ma la sua corsa verso la nostra prematura uccisione ci fece trovare l'uscita immediatamente, facendoci uscire dalla casa con il fiatone, ritrovando la tanta agognata libertà. Fummo così contenti che festeggiammo tutti insieme con uno zucchero filato condiviso, facendo amicizia con quei nuovi ragazzi.
Jin, salvatore di sandali, era diventato amico ufficiale di questo Choo tanto che aveva proposto altre uscite a quattro, in futuro, magari meno pericolose e meno spaventose.

Ma non passammo con loro il resto della serata, ognuno aveva i propri piani serali, i propri appuntamenti e, alla fine, dopo qualche ora di gironzolamenti verso chioschi pieni di pupazzi e di cibarie di ogni tipo, mi ero ritrovata in piedi a fissare Jin seduto su una panchina. Il cielo si era scurito, ma non era ancora del tutto buio, era in quella fase in cui percepivi che l'aria si sarebbe rinfrescata, macchiando il tuo umore con un po' di nostalgia, dove i rumori, gli odori, addirittura le luci dei lampioni, calde e carezzevoli, subentravano nei tuoi pensieri, cullandoli in maniera dolce. Non mi ci ero mai soffermata, su quella sensazione, come in quel momento, mentre guardavo Jin con le mani sui capelli, intento a fissarmi con l'aria di chi non aveva nessuna intenzione di finire quell'appuntamento. 
Mi chiesi se anche lui, in un qualche strano modo, stava condividendo con me quel momento, in segreto, come un tassello un po' più intimo del previsto. 
«Credo che questo sia stato il peggior primo appuntamento della storia. Non solo mi costringi a ingurgitare, contro la mia volontà, quel veleno al fruttosio, per di più mi costringi a vivere dentro tutti i film più terrificanti che io abbia mai visto. Prova a farlo con Jimin questo scherzo e vediamo se ti rimane amico.»

Forse no, non lo condivideva.

«Ci ho messo dieci minuti buoni per organizzare tutto questo nella mia mente, non potresti almeno apprezzare lo sforzo?»
«Dieci minuti? Non saranno troppi?» Commentò lui, allargando le braccia.
«Te l'ho detto, è tutto per un bene superiore.»
Lui si mise a sospirare, abbozzando un sorriso. Sapevo che non era realmente arrabbiato per quella serata, sotto sotto si stava divertendo, ma ero ormai quasi giunta alla fine di quel mio esperimento sociale che prendeva il nome di Jin. Non  ero per niente sicura che avrebbe funzionato, in realtà non ero nemmeno convinta di ciò che stavo facendo. Come metodo per persuaderlo da qualsiasi decisione che, la sua testa, aveva preso mi sembrava un po' raffazzonato.
Non avrebbe mai funzionato, ma tanto valeva continuare a remare. Ormai ero salita sulla mia scialuppa di salvataggio e sì,
ebbene sì,
non avevo lasciato morire Jack annegato, stavo cercando di tirarcelo sopra con tutta la mia opinabile forza.

«Hai detto che volevi mostrarmi una cosa. Volevi per caso vedere quanto avrei sopportato prima di abbandonarti qui?»
«Dai vieni.» Allungai una mano verso di lui, ma lui la guardò con riluttanza, prima di fissarmi. 
«Giuro che questa me la perdonerai molto più facilmente.»
«Se hai intenzione di farmi camminare a piedi nudi su un letto di cicale giuro che ti lascio qui sul serio.»
«Ma che schifo, Jin.» Pigolai io, prima di afferrargli la mano con prepotenza, intrecciando le dita alle sue. 
Nonostante la superficiale esasperazione, non si fece trascinare. Mi seguì, stringendo la presa, mentre io lo portavo davanti all'attrazione più ambita di quel posto. 

Davanti a noi svettava la mastodontica, magnifica e regale ruota panoramica di Seul. Era l'unica attrazione annuale che non smetteva mai di adempiere al suo lavoro, funzionava contro ogni intemperia, decisamente angolo privato più ambito per le coppie che volevano dichiararsi, per quelle che volevano proporsi, per quelle che ancora non sapevano di amarsi ma che, davanti ad un cielo notturno e pieno di stelle, chissà magari potevano sentire il vago profumo di un amore nascente.
Io non la vedevo così. Non l'avevo mai vista così. 
Nonostante fosse stato un ottimo momento da condividere con Hoseok, in passato, non ero per niente un'amante di quella lentissima attrazione. Ma era innegabile, era decisamente la cosa più romantica a cui potevo ambire quella sera. E poi, tutta Seul dall'alto, illuminata dalle luci delle case e delle insegne, le macchine piccole e veloci, era uno spettacolo che valeva la pena di vedere.

«Ti va di fare un giro lassù con me?»
Chiesi io, una volta portato lì davanti. 
«È uno scherzo, vero? Ora mi dirai che in realtà vuoi portarmi sull'ottovolante solo per il gusto di vedermi urlare.»
«Mi credi davvero capace di tale gesto?» Commentai io, fintamente offesa.
«Sì, ovvio. Ti conosco.»
Feci uno sbuffo, imbronciandomi. Voltai  la faccia, da brava superba, prima di sentirmi tirare appena. 
Feci il grave errore di voltarmi lentamente verso di lui, notando la sua espressione sul volto. Si era addolcito, stava sorridendo con due guanciotte un po' piene, le labbra chiuse e uno sguardo che stava letteralmente mettendo a dura prova il mio equilibrio. Avrei potuto benissimo condurre uno studio, riguardo la fatto che reputavo i suoi occhi come vere nemici giurati della mia forza di gravità personale.
Alla fine mi strinse la mano, allargando le labbra.
«Sei per caso malata?»
«No.» Dissi io, cercando di fingere di non sentirmi imbarazzata. «Purtroppo quando sono sobria faccio queste cose, dovrei bere più spesso per evitarlo.»
Lui si mise a ridere un po' più forte ma senza quella sua solita aria da anatra asmatica. Era una risata più bassa, piacevole, persino suadente che mi diede quel leggero colpo di grazia finale, ma che allo stesso tempo mi tranquillizzò alquanto. 
Jin era il classico ragazzo da appuntamento romantico, qualcosa di tranquillo, senza scatti di adrenalina e sicuramente da cenetta a base di carne, in un buon ristorante. Quelle classiche cose che uno prospetta al terzo giorno, o al centesimo giorno, di uscite insieme ma noi eravamo un caso a parte rispetto ad una normale coppia e avevo bisogno di arrivare a questo punto nel momento giusto della serata.
«Tu davvero faresti questo con me? Una delle cose più noiose dell'universo, a detta  tua?»
«Già.»
Lo sentii muoversi lento verso di me, alzando le mani per prendermi viso tra le mani. Fu una sensazione davvero piacevole. Nonostante avessimo superato già la terza base, del nostro rapporto, quel tipo di contatto mi metteva ancora un po' a disagio. 
«Ma come fai?»
Mi disse solo questo, senza aggiungere altro, dandomi un leggero bacio sulle labbra. 
Valeva la pena ogni cosa, ogni secondo trascorso della mia vita fino a quel momento, per potermi godere quelle sensazioni così intense, così irrazionali. 
Come facevo io? Ma come faceva lui, accidenti.

«Ormai lo hai detto, andiamo.» Si scostò giusto per sorridermi in maniera piena, prima di tirarmi verso il bigliettaio. 
Dopo dieci minuti eravamo finalmente dentro la nostra cabina personale. 
Jin aveva il muso incollato al vetro, aveva lo sguardo pieno di incanto e le ginocchia si muovevano per l'eccitazione. Non ero convinta che non fosse mai salito su una ruota panoramica, ma la sua reazione era talmente genuina che mi fece pensare che fosse la prima volta anche per lui.
«Seul da quassù è meravigliosa.»
Mi voltai verso la finestrella e, per un secondo, mi fermai a guardare la città. 
Eravamo in silenzio, dagli altoparlanti della cabina fluttuava una soave musica romantica, di una cantante che non riuscivo a riconoscere, ma la sua voce aveva il potere di immergermi in un momento del tutto assorto.
Mi venne da ripensare a tante cose, si abbatté prepotente su di me la sensazione provata poco prima.
Provai a immaginare i miei amici, ora, in quel momento. 
Cosa stavano facendo? Cosa stavano provando? Come stavano superando quello che era successo con Tae? Stavano cercando, a loro modo, di trovare quel particolare calore, in quella serata, accarezzati da qualche musica, da qualche odore particolare?
Lo speravo. Infinitamente. 
Ognuno di loro aveva un problema da risolvere, una consapevolezza nuova, qualcuno stava sconfiggendo la propria Moby Dick, altri stavano ancora affrontando le intemperie della tempesta.
Alcuni stavano risalendo, per riprendere l'ossigeno, di nuovo. 
Se avessi potuto avrei cercato di regalare quella sensazione, a ognuno di loro, dove i pensieri quasi si amalgamavano tra loro, dove ti ritrovi solo a guardare le luci della tua città, a sentire l'estate che ti scivola addosso, a pensare che, in quel particolare momento, in quel particolare tempo, c'è qualcosa per cui valeva la pena fare silenzio e immergerti solo in quello che ti stava  capitando in quel momento, senza andare indietro, senza andare avanti. 
Che eri qui, ora e andava tutto bene così.

Mi voltai a guardare Jin, immerso in chissà quale pensiero, mentre guardava la città che diventava sempre più piccola da quella prospettiva. Stava sorridendo, senza dire una parola, la testa castana che ondeggiava a destra e a sinistra, a ritmo di quella canzone. Provai un leggero magone nel petto, qualcosa che si espanse fino alla gola, un calore opprimente. 
Allungai una mano verso di lui per prendergliela, facendolo voltare lentamente verso di me. Lui, di conseguenza, cercò di afferrare l'altra, così che ci ritrovammo coi busti inclinati e i volti vicini.

«Ecco quello che sono io.»

Gli dissi con un sussurro più sentito, alzando le spalle.
«Sono la persona più sbagliata per te. Quella che organizza appuntamenti che non hanno senso, ma che ne hanno molto allo stesso tempo. Sono piena di problemi, sono piena di contraddizioni, ho la mente perennemente confusa, penso di sapere cosa voglio ma ho paura ad ammetterlo, cambio idea continuamente, faccio fatica a esprimere ciò che sento e quando lo faccio, lo faccio nella maniera sbagliata.»
Cominciai quel discorso,guardandolo negli occhi. Lui non aveva provato a interrompermi, non faceva che accarezzarmi il dorso delle mani, lentamente, in maniera dolce.
«È vero, non posso mentirti su questo, Hobi per me sarà sempre un tassello importante. Non posso eliminarlo dalla mia testa, ogni sua azione, ogni sua parola ha un potere su di me che non controllo.»
Lo vidi abbassare lo sguardo, deglutendo qualcosa che non disse, ma non cercai una pausa, dovevo finire di parlare.
«Nella mia testa. Quello strano saggio di Yoongi me lo ha fatto capire tanto tempo fa, Hoseok è sempre stato nella mia testa. Tutto ciò che provo o ho provato per lui è stato indotto da fantasie che non esistevano, per quanto le sensazioni che provocavano erano reali, un po' come quella canzone che hai cantato, ricordi? Ma era solo questo: un'idealizzazione che avevo di  lui, ciò che la mia mente creava in contesti che non c'erano.»
«Seo non devi giustificarti con me, io»
«Non mi sto giustificando con te. Sto cercando di comunicare con te, è diverso. Mi hai sempre detto che non sono mai stata in grado di farlo, che non sono mai stata brava a combattere per ciò che ritenevo importante, facendomi scappare via dalle dita le cose solo per paura. È vero, sono una fifona. Ho perennemente paura,  come ce l'ho ora che ti sto dicendo tutto questo. È la prima volta che mi apro così tanto con qualcuno per cui provo»
Mi bloccai, appiattendo le labbra. Lui tirò di nuovo su la testa, guardandomi negli occhi. Stavo di nuovo per crollare, ma quello sguardo mi diede la forza di continuare a parlare. 
Ora o mai più, d'altronde.
«Ho una paura folle di perderti, di vederti scivolare via da me per colpa delle paure, delle insicurezze, della lontananza. Non ti sto chiedendo di fidarti di me, so che non è facile, so quanto hai paura di soffrire per colpa mia. Ma voglio che sappi una cosa, solo una cosa. È»

Dai Seo, ce la fai, ce la fai.
Minseong si è sempre sbagliato.
Lui era odiato persino dal suo cane, in fondo.
Oh cavolo ma pure io-

«è la prima volta, che io ricordi da tanto tanto tempo, che mi sento finalmente nel posto giusto. Tu sei un tormento, non fai che distruggermi ogni convinzione, lo stai facendo da anni e io me ne sono resa troppo tardi, ma non posso fare a meno di sentirmi così. E volevo che tu questo lo sapessi, e volevo dirtelo qui, su una ruota panoramica, probabilmente il posto più adatto a uno come te, dopo averti mostrato la vera me, quella che in una circostanza normale probabilmente abbandoneresti dentro una gelateria per poi bloccarla su ogni social esistente, quella che ama renderti la vita difficile ma che vede quello che sei e cerca di farlo incastrare nel suo essere. E porcaccia la vacca questa ruota è altissima ma che cavolo abbiamo fatto perché siamo saliti qui?»

Lui aveva lo sguardo  terribilmente aperto. Era sorpreso, o almeno era quello che percepivo col mio grande acume, ormai deviato dal fatto che avevo appena scoperto di soffrire di una fobia molto comune: quella delle altezze.

«Si è fermata.» Sussurrò lui, guardando dalla finestra. 
Aveva ancora le mani strette alle mie mentre guardava giù, allungando il collo.
«Oh cavolo è davvero alto qui. Forse era meglio non salire.»
«Già, siamo pazzi! Ma come fanno a dire che è una giostra per coppie, sto per morire, è terrificante!»
«Non pensarci, guarda me. Non fare a caso al fatto che la cabina sta dondolando nel nulla e che se, per sfiga, si staccasse moriremmo in maniera cruenta.»
«Jin perchè?» Lagnai io, mentre lui alzava le mani per tenermi la testa ferma, fissa su di lui.
«Devo vendicarmi per ciò che mi hai costretto a subire stasera.»
«Giuro che non lo farò mai più, te lo prometto, se solo questo coso si muovesse a scendere, voglio tornare a terra, sto iper-ventilando.»
«Tieni gli occhi fissi su di me e non pensarci.» Sussurrò lui, abbozzando un sorriso. Ma poi quel sorriso si trasformò in una risata, una risata decisamente contagiosa, che lo fece sbellicare per infiniti secondi, portandosi dietro anche me.
Era un buon modo per sconfiggere uno stato d'ansia, lui era sempre un grande maestro in quello.
«È la prima volta che salgo su una ruota panoramica, lo sai?» Confidò lui, riprendendo a respirare, dopo qualche secondo.
«Non ci credo neanche se lo vedo.»
«Beh vedilo, sono qua con te, che razza di commento è.»
«Oh ma senti, è già tanto se so parlare con una grammatica sensata ora. Oh mamma mia.» Niente, respiravo a fatica, allargando a dismisura le narici.
«Ehi pidocchietto» era bravo coi nomignoli, dovevo proprio dargli merito «sai quante volte avrei voluto portartici, in un posto simile, solo per dirti che mi piacevi? Non riuscivo a trovare altri modi per farlo. Ho sempre cercato di declinare i tuoi inviti passati per venire qui solo perché stavo aspettando l'ispirazione per farlo, volevo a tutti i costi trovare un modo per parlarti di quello che provavo senza risultare un banalissimo attoruncolo di drama incapace di trovare metodi originali per dirlo.»
«Jin, mi hai baciato su delle scale dopo un litigio degno di nota, più drammatico di così.»
Si mise a sorridere, mordendosi il labbro.
«Aggiungi anche il fatto che mi piacesse un altr»
«Seo!» Mi incitò a chiudere la bocca, non stavo aiutando quella conversazione.
«Sai tu mi spiazzi ogni volta. Ogni volta che penso a come fare, arrivi tu e la fai al posto mio. Ho sempre avuto paura che tu non fossi in grado di prendere in mano la tua vita, e io come un idiota cercavo di imboccarti per  scegliere una strada. Non per forza la mia, volevo solo che tu ...che tu scegliessi, che decidessi con la tua testa, che lottassi per qualcosa perché tu meriti di  vincere le tue partite, e sei testarda, molto testarda, quando vuoi esserlo credimi. Hai sempre le idee così chiare quando vuoi dare un punto a qualche problema, ma quando si tratta di te stessa vai nel pallone, come se non sapessi neanche più usare il cervello.»
Strinsi gli occhi con una smorfia, ormai prossima alla morte, se non fosse che la voce di Jin era l'unico piccolo nodo che mi teneva salda in quel momento.
Lui scostò delle ciocche dal mio viso, potevo sentire il suo respiro caldo e dolce su di me.
«Sei completamente sbagliata, lo so.»

Aprii gli occhi di scatto, ritrovandolo talmente vicino che facevo fatica a respirare. Era un bel grattacapo, visto che i miei polmoni avevano bisogno di ossigeno in quel momento.
«Ma sono sicuro che non ci sia nessuna più giusta per me, in questo mondo.»
Mi sussurrò quella frase in maniera così dolce che feci un respiro più calmo. Mi stava scaldando il cuore, quel maledetto.
Tirai via le mani dalle sue solo per andare a tastargli il volto. Glielo accarezzai debolmente, concentrandomi su quello, lasciando che il mio cervello smettesse di filtrare tutto quello che stavo provando in quel frangente.
Questa volta non c'era nessun intoppo,  in fondo: io piacevo a lui, lui piaceva a me, nessuna ragazza inglese subentrata per sposarlo, più facile di così non si poteva, no? 

«Una volta mia nonna mi disse una cosa, una cosa che non ho mai dimenticato. Mi ha detto che, a tavola, ognuno ha il suo posto. Il suo posto prestabilito. Anche quando non ci sei, quel posto rimane tuo, nessuno può sedersi lì.»
Glielo dissi, senza peli sulla lingua, strofinando il naso contro il suo. 
«Quel posto non verrà mai occupato.»
Lui mi guardò un po' confuso, mordendosi il labbro, così continuai.
«Puoi metterci anche dieci anni a tornare, ma magari non metterci così tanto ecco.»
Lui sospirò di nuovo, chiudendo gli occhi.
Ero arrivato al succo di tutto il discorso.
Eccolo il vero problema, la vera paura, la vera insicurezza. Sapevo perché voleva fare quel salto indietro adesso, perché eravamo ancora in tempo per salvarci, perché sapeva che, in caso sarebbe andata male per via della distanza, non avevamo ancora nulla da rimpiangere.

Ma potevo dirglielo  che, in qualsiasi caso, sarebbe stato troppo tardi?
Sarebbe stato troppo tardi oggi.
Ieri.
Un anno fa.
Due anni fa.
Lui non era nella mia testa. Lui era la cosa più reale che avevo. Lui era quello per cui mi sentivo viva. Lui metteva in dubbio ciò che pensavo che fossi, mi faceva perdere per farmi ritrovare. Lui non imponeva niente e mi costringeva a lottare per le mie priorità. Lui era sempre stata la mia epifania più grande. Lui mi faceva amare. 
Che fosse stato un mese, un anno, due, ormai non c'era modo di scampare da quello. Il mio grande dosso si era finalmente adeguato all'asfalto e io stavo correndo nella mia strada. Ed ero sveglia, ero completamente me.

«Il fatto è questo Jin: Hoseok potrà anche non sposarsi, mettere in dubbio ogni cosa, cercare di capire se davvero ama Emily o  no, ma io non ho più alcun tipo di dubbio. E prima te lo metti in testa, zuccone, meglio è. Non andrò da lui a farmi consolare perché il mio Jin s'è fatto grande ed è andato ad ammazzare la gente.»
Lui non disse niente, mi si gettò sulle spalle avvolgendomi il collo con un abbraccio stretto, la faccia incavata nel mio collo.
«Sai che non ucciderò nessuno, vero?» Sussurrò lui, facendomi rabbrividire.
«Come no?» Chiesi io. «Ma allora perché stai andando? Che senso ha tutto questo?»
Fece una pausa leggera, smorzando  una risata. Rimase abbracciato a me a lungo, senza dire niente, stringendomi in una maniera così avvolgente che, per un attimo, mi dimenticai del tutto dove fossi. C'era solo lui, ero al sicuro, non avevo paura. Mi aggrappai alla sua schiena sperando che, quello stato, perdurasse ancora un po'. Era davvero bello, fin troppo, ero consapevole che non potevo più farne a meno. 

«Mi fido di te, non voglio che pensi il contrario. Le cose che ti ho detto ieri non erano per sminuire ciò che siamo io e te e non era neanche un modo per spingerti verso Hobi. Mi dispiace che tu l'abbia percepita in questo modo. Anche io non sono molto bravo a spiegarmi, non mi sono mai trovato in una situazione così e non sei l'unica a fare cavolate, in questo stato. Siamo davvero due ottimi incapaci.» Fece una brevissima pausa. «Ho solo paura, tanta paura anche io di perderti. Come uno scemo.»
«Eh, siamo in due. Che coppia modello, oppa.» Di nuovo lo chiamai così, potevo sentirlo ghignare contro la pelle del collo.
«Oppa.» Ripeté quel soprannome. Non credevo lo odiasse sul serio ma era alquanto strano sentirlo dire da me, forse. Era giusto la ciliegina dolce di quella serata, probabilmente l'avrei debellato dal mio vocabolario una volta finita. «Non ho alcun dubbio anche io, questo voglio che ti sia ben chiaro. Neanche uno. È solo che sapere che lascerò a casa la ragazza che amo per così tanto mi fa sentire così-»
Non lo feci finire di parlare, mi scostai da lui quasi in maniera brusca, probabilmente lussandoci l'omero.

Lo aveva detto.
Lo aveva detto ad alta voce.
Non avevo sentito male. 
Non poteva essere stato uno stormo di piccioni, in quel caso, e nemmeno la voce della cantante che aveva preso connotati maschili in maniera innaturale.
Era una cosa assurda, che mi facesse quell'effetto, ma provai uno strano e incontrollabile scompenso cardiaco immediato.
Finalmente la cabina prese a muoversi, dandomi un sollievo illusorio.
«Scusa, cosa hai detto?»
«Che non ho dubbi.»
«Non fare scherzi Jin sono ad un passo così da un collasso e potrei ucciderti.»
No, non ero psicologicamente e fisicamente pronta, era chiaro.
«Qualsiasi cosa tu abbia sentito, sicuramente non l'hai sentito. Sono certo fosse la ruota, che si sta muovendo, c'era quel rumore metallico strano.»
Feci un ringhio acuto, ma così strano e improvviso che lui, per placarmi, mi strinse di nuovo la faccia per darmi un bacio. Un bacio più sentito, giocando con le mie labbra in maniera dolce, mordicchiandole appena.
Ero pronta a fingere di aver sentito male, era bravo a vincere a questo gioco.
«Che ne dici se il prossimo appuntamento lo organizzo io, eh? Probabilmente mi odierai, vorrai lasciarmi, tenterai di cambiare identità e darti per morta ma giuro che mi perdonerai.»
Mi sembravano tanto delle parole già sentite, ma quel bacio mi aveva fatto perdere l'uso proprio del raziocinio, così che annuii senza troppa enfasi, un po' inebetita.
«Non vale giocare sporco così, comunque.»
«Ne so una sullo sporco che  ti farà scompisciare.»
«Ah cavolo, mi ero scordata di questo tuo terribile difetto.»
Quello neanche mi stava ascoltando, già pronto.
«Un signore al ristorante, chiama il cameriere tutto imbronciato: "Cameriere cameriere questo tovagliolo è sporco!" E il cameriere fa: "Strano, l'ho dato ad altri cinque clienti e nessuno s'è lamentato."»

Era un'opzione quella di aprire la cabina e buttarsi di sotto, immagino, ma decisi di baciarlo di nuovo dopo una risata frettolosa. 
Avevo scelto come ragazzo un cabarettista fallito, azzardato forse?
Sì, ma nella vita valeva la pena rischiare alla fine.






 
nda: dopo un paio di giornate che vorrei dimenticare forever mi sono cimentata in uno dei capitoli più romantici (?), coppiosi (?), farfallini (?) della mia storia. Tutto merito del fatt che non dormo da due giorni probabilmente, colpa dei nostri Bitiessini che decidono di fare concerti che ci costringono a svegliarci a orari da panettieri ( lo so, non è colpa vostra ragazzacci, ma il sonno non perdona v.v ). Spero vi sia piaciuto, la SeoJin si ufficializza veramente qui presumo, speriamo perduri v_v per la gioia, in generale. Grazie per chiunque sia arrivato fin qui, per chi commenta, per chi mi legge <3 come sempre se sono arrivata quasi alla fine di questo percorso Bangtannoso è merito vostro, davvero. Per gli ultimi capitoli ho in mente cose da PA PA PA PA PA PA PA ( leggetelo con la voce di Hobi mentre spiega i passi di danza e capirete ) giusto perché sì. Quindi al prossimo capitolo <3  buona notte.

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Capitolo 21
*** La penitenza meritata ***






21 ~ La penitenza meritata





 

Prima di tornare a casa decidemmo di fermarci in uno stand per provare a vincere un pupazzo a forma di cuore un po' aristocratico,
per Tae aveva detto lui
cosa che aveva convinto a farmi valere come cecchino professionista. Jin non era per niente portato per quel tipo di giochi, tanto che dopo due prove di tiro al bersaglio lasciò l'arma del delitto alla sottoscritta con nuca calata e colpa avvalorata, dimostrando quanto poco sarebbe stato capace a una guerra di colpi a fuoco.

Avrei dovuto dirglielo, forse, per portare acqua al mio mulino e costringerlo a darsi per incapace davanti alle forze dell'ordine, ma decisi di non infierire.

Era già stato abbastanza soddisfacente guardarlo a bocca aperta mentre tiravo giù tutte i bersagli che il signore del chiosco aveva fieramente impilato una di fianco all'altra. Persino lui, dopo un'attenta analisi di non baro, aveva dovuto confermare la mia vittoria schiacciante. Jin mi tirò su un braccio, da fiero ragazzo, mentre il signore mi aveva lasciato scegliere il pupazzo cuoricioso che preferivo; ne scelsi uno rosso, con una strana faccina disegnata sopra, mi sembrava un'ottima rappresentazione di Tae.

«Lui ama questo tipo di cose, ne sarà felice.»
Aveva detto Jin, prima di prendermi per mano e trascinarmi verso casa.

Alla fine ero davvero soddisfatta di quella serata. Avevo già scritto una lunghissima e toccante lettera di perdono, nel caso avesse deciso di lasciarmi per troppa crudeltà non giustificata, ma per fortuna avrei potuto dormire sonni tranquilli.
Lo sbirciai attentamente; dopo la ruota panoramica il suo volto era cambiato, non leggevo più quell'angoscia profonda, quella paura che sottometteva la ragione. I concetti di Minseong si stavano, lentamente, sgretolando dentro la mia testa. Stava donando il podio a Yoongi ormai, divenuto ufficialmente mio Grillo Parlante di fronte alle avversità.

Il dubbio lacera ogni cosa.
Il dubbio può distruggere.

Avevo sempre vissuto in un limbo pieno di punti di domanda, non c'era nessuna certezza, non rischiavo, davo la faccia a quel grosso buco nero che vorticava dentro la stanza. Ci sarei caduta dentro? Lo avrei oltrepassato?

Alle volte sembravano così lontani i problemi degli altri ma, davanti a Jin, mi ero resa conto che nessuno di noi riesce a convincere senza accendere quella maledetta luce. Il dubbio stava per uccidere Taehyung. Il dubbio avrebbe fatto cadere in depressione uno come Yoongi. Il dubbio avrebbe reso meno amaro il dolore di Namjoon ma condito di frizzanti e insolenti bugie. Il dubbio avrebbe lasciato Hoseok disperso, come lo ero stata io. Il dubbio aveva schiacciato Yurim rendendola più fragile del cristallo. Per quanto la verità potesse essere terribile e velenosa, alla fine si riusciva a passare sopra, ci si aggrappava lasciandoci guidare verso la nostra personale soluzione.

Per tutti c'è.
Questo lo so per certo. 
Jin aveva bisogno di sentirselo dire, che qualcuno lo guardasse e gli dicesse 

io ti vedo

perché niente è più insopportabile del restare dentro la propria bolla, per mesi, per anni, senza far cambiare quell'aria viziata che ormai ti schiaccia e ti impedisce di reagire. Mi scaldava il cuore pensare che fossi io l'artefice della sua felicità, che avrei potuto prendermene cura come un tesoro prezioso, senza più nessuno stupido iceberg a babordo pronto a rovinare tutto. 
In fondo non ci voleva una scienza per appurarlo, quell'iceberg ero sempre stata io. Non era Hoseok, non era Jin, non era Emily. 

«Seo, tutto bene?»

Come al solito mi ero persa nei miei pensieri.
Quell'aria fresca e tipicamente estiva stava distruggendo anni di freddezza.
Maledetta empatia meteorologica.

«Sì. Stavo ripensando alla ruota panoramica. Al fatto che potevamo morire.»
«In realtà è una struttura molto sicura nonostante i sette video che ho visto online inerenti a persone morte per colpa di malfunzionamenti meccanici.»
«...Cosa?»
«Forse non avrei dovuto dirtelo.»
«Tu guardi video online sulle morti atroci delle ruote panoramiche senza di me?»
Jin mi guardò sbalordito, restando senza parole.
«Ma io»
«No no giovinotto, basta dopo questa sei obbligato.» 
Stretti la presa sulla sua mano per trascinarmelo dietro.
«Obbligato a fare cosa?»

Evitai accuratamente quella domanda terrorizzata mista ansiolitica. L'obbligo era collegato al fattore mangime post appuntamento, quindi niente di mortale o simile. La sua prima intuizione riguardo la parola mangime la  collegò a Monie per ovvie ragioni linguistiche, in realtà s'accorse che mi riferivo a un'importante appropriazione di gelati tutti gusti più uno. 

Non era raro che Jin o Namjoon portassero a casa quel tipico dolce estivo, ma la sentivo come una sottospecie di tradizione mia personale. Il mio incubo era iniziato con del gelato, potevo finalmente mettere la parola fine a quel lungo tormento con la stessa prelibatezza ghiacciolosa. Poi volevo portarlo ai miei amici, che a quanto sapevo si erano ormai stanziati a casa mia come dei senzatetto qualsiasi; era un mio ringraziamento personale per il fatto che, nonostante tutto, erano lì. Erano sempre stati lì. Jin, su questo, era simile a me ed era la cosa che più ci accomunava in assoluto. 

Prendemmo la strada che costeggiava la ferrovia, meno trafficata nonostante non ci fosse un'atmosfera romantica come quella che passava dal ponte, e lo apprezzai infinitamente per questo. Mano nella mano, a parlare e ridere di cose da niente, scoprendoci ancora un po' di più,  mentre già tentava un prospetto per il prossimo appuntamento da coppia, chiedendomi se ero disposta a mangiare qualsiasi cosa o dovevo fare la schizzinosa.

Già avevo un'idea di come sarebbe potuta andare: cena in qualche ristorante di nicchia che conosceva grazie ai suoi passa parola di forum culinari, poi bevuta davanti ad altre leccornie giusto per non abbassare mai la guardia e, infine, film oppure sala giochi, a sfidarci a randomiche lotte ludiche che avrebbero previsto solo un vero e unico vincitore della serata
di solito lui
per poi finire tutto con una marea di snack dal gusto meno sano possibile davanti ai nostri amati documentari notturni, magari sulla biologia molecolare, lasciandosi assonnati ma colti.

Non ero sicura che sarei mai stata in grado di dirglielo, ma in realtà speravo davvero che l'appuntamento che aveva in mente per me sarebbe stato, esattamente, come una delle nostre solite giornate passate insieme, da un anno a questa parte. Non mi piaceva l'idea di cambiare metodo di vita, con lui, di dover per forza subentrare in quella trafila di leggi, dettate da chi poi, sul fatto che le coppie dovessero seguire delle regole di relazione prestabilite. Nemmeno Yurim e Tae adoperavano il manuale della "Coppia Perfetta", neanche io volevo farlo.

Provai a indagare un po', ma quello era chiaramente nella fase del "no spoiler", così rifiutai di addentrarmi nella sua mente, consumando quegli ultimi momenti di quell'appuntamento.

«Ragazzi abbiamo preso il gelat-»

Quando tornammo a casa, alla fine pieni di buste di gelati e altre cose indigeste simili, ci ritrovammo davanti a una strana scena che avremmo sicuramente faticato a cancellarci dalla testa nei futuri sette secoli. 
Nessuno dei due era più riuscito a emettere un suono sensato. 
Il tavolino brutto brutto era stato colonizzato da svariate bottiglie di alcolici e bevande, sprite principalmente,spuntate fuori da non so quale orifizio della casa, tra cui bicchieri, bicchierini e tazze di ogni giro. Provai un insensato sintomo da omicida seriale quando vidi la mia tazza lama ricolma di un liquido non identificato, ma riuscii a mantenere una parvenza di calma grazie ad una rara e selvaggia immagine onirica.

Hoseok piegato in avanti, sopra quello che sembrava essere il tappetino del twister, con Jungkook intento a dargli una pacca di natica ben calibrata, visto la flessione anatomica del suo gomito. 
Namjoon stava ridendo come un matto, mezzo svenuto sopra il tappeto, aveva spodestato il mega Snorlax dalla stanza di Yoongi solo per usarlo come cuscinone panciuto. Jimin teneva un telefono in mano, stava palesemente registrando tutta la scena, o facendo foto scabrose come un vero giornalista di tabloid, visto l'interruzione del suo atto di telecronista.
Yoongi, in tutto  ciò, era seduto sul divano con in braccio Monie. Lo accarezzava nella stessa maniera in cui avevo sempre visto Giovanni accarezzare Persian, nei Pokemon. Guardava la scena con un diabolico sorriso stampato in faccia, neanche stesse dirigendo un fantomatico e discutibile film pornografico, o snuff-movie vista quella velata sequenza di violenza. 
Natica-lenta.
Quel pensiero lo nascosi a Jin, sperando che non leggesse nella mia mente tale tristezza.

«Ma che ca-»
«Chiudete la porta chiudete chiudete chiudete» urlò Hoseok, con aria un po' isterica, mentre io mi affrettavo a chiudere la porta  con un tonfo, sconvolta.
«Oh finalmente siete tornati, siete matti a farci preoccupare così?»
Disse Jimin, voltandosi con il telefono in mano. Lo puntò contro di noi.
«Jimin saranno le dieci.»
«Veramente sono le 11 e 14 minuti.»
Precisò Namjoon, ancora sdraiato sul tappeto in preda a delle convulsioni di risa. Ero quasi sicura  che sarebbe morto.
«Zitti tutti! Ragazzi state per assistere un evento di portata massima. La penitenza è quasi servita! Hobi preparati, non proverai mai più un dolore del genere, lo ricorderai per sempre.» Jungkook soffiò sopra la mano che stava per colpire, passandola vicino alle labbra come un vero degustatore di suono.
«In realtà non sono molto contento di questo primato di dolore Kookie.»
Ma non fece in tempo a finire di parlare che lo schianto arrivò prepotente.
Sentimmo chiaramente il rumore che fece, come una manata ben assestata sulla pancia viscida di un pesce enorme. Il dolore di quell'impatto lo potevo sentire, forse grazie all'espressione di dolore  che fece Hoseok davanti a quella forza bruta.

Jungkook, lo sapevamo tutti, era insolitamente forte  ed era, insolitamente, pericoloso quando si cimentava in quei momenti di violenza fisica giocosa. Ogni volta che ci intrattenevamo con qualche gioco, in cui c'era da sorbirsi qualche penitenza, provavamo sempre a barare per boicottare il suo turno.
«Jungkook mi sta andando a fuoco ma che cavolo mangi per essere così forte!» Urlò Hoseok saltando come un coniglio, sul divano, mentre si tastava il punto dolente. 
«Kebab di agnello.» Rispose lui, ridendo come un disgraziato.
«Che pessimo che sei.» 
Quella voce, però, non proveniva da nessuna parte. O meglio, da nessuna voce lì presente. Mi guardai intorno un po' perplessa mentre Jin, approfittando di quel mio momento di confusione, mi spinse in avanti, scavalcando Namjoon ormai progredito a soprammobile della casa. Lo vidi posare le buste dei gelati in cucina, dietro al bancone, mentre già preparava delle ciotole, le uniche rimaste, per assaporare quella frescura.
«Ma chi?»
«Ragazzi, salutate Yu e Tae! Siamo in video chiamata! Non volevamo sabotare la nostra serata "giochi in compagnia" e così ho  trovato un geniale modo di farla ugualmente.» Disse Jimin euforico, mentre girava lo schermo del telefono per mostrarci Yurim e Taehyung seduti sul letto, intenti a salutarci. Yurim era rossa, forse per le risate, Tae aveva un gran sorriso sulla faccia.
Li salutammo velocemente, mentre io nascosi velocemente il pupazzo a cuore dietro la schiena.
«Non abbiamo mai avuto la serata "giochi in compagnia", o sbaglio?» Replicò Jin, ma poi lo vidi sorridere, aprendo le labbra. «Mi piace! Subentro nella giocata.»
Dopo i vari convenevoli, mi ritrovai tirata da Hoseok che cercò di piazzarmi sopra i pallini colorati del tappetino del gioco.
Lanciai via il cuore a pupazzo che centrò in piena faccia Namjoon; riuscivo ad avere la mira anche senza volerlo.

«Preparatevi a subire le peggio torture da parte mia.» Jungkook tirò indietro la testa, ridendo come uno psicopatico. 
«Ma che gli avete fatto bere?» Domandò Jin.
Dopo la sua carriera da gelataio durata ben un secondo a ciotola, era ritornato in salotto mollando quell'incentivo calorico sul tavolo, cominciando a fare stretching, tutto a modo suo.
«Niente, è così di natura.» Disse Hoseok, prima di afferrarmi per i fianchi. 
«Abbiamo comprato il gelato, ve l'ho messo sul tavolino, prego servitevi pure. Grazie Jin-hyung sei sempre il migliore. Eh lo so ragazzi, lo so. Anche con la collaborazione di Seo ma senza di me, sapete no?» Jin cominciò un monologo tutto suo, ringraziandosi da solo, che fece ridere di gusto sia Jimin che Namjoon, ormai quasi del tutto privi di ossigeno.
«Mettiti così, tutti e due i piedi in quei pallini gialli e solari come me! Gamba  tirata ... no Seo tirata, non così. Pensa di fare una v, ma triste.»
«Hobi non capisco il tuo linguaggio.»
«Ti mostro.» Lo vidi piegarsi in uno strano modo per mostrarmi la v che intendeva lui. 
«Mostralo a Jin, io non mi piego così.» Dissi io.
Quando alzai gli occhi su Jin lo vidi guardarmi con un'aria indecifrabile. Potevo quasi essere sicura che fosse leggermente geloso.
«Cos'è? Il nome del tuo film porno?» Intervenne Yoongi, sempre con quella sua aria da mafioso.
«Cosa?!» Sbottai io. 
«Per favore ragazzi, ci  sono minorenni qui.» Disse Jimin, da finto innocente, mentre Namjoon si adoperava a girare la ruota dei colori. 
«Ehi ma perché non giocate tutti? Stavate aspettando noi per usarci come cavie?» Domandai, mentre Namjoon cacciò un urlo che mi fece quasi sobbalzare.
«Seo: piede sul coso verde lì, mano su quello rosso e le due gambe su quei due gialli perpendicolari alla tua destra.»
«No ragazzi, io rinuncio. Ho mangiato troppi dolci, se mi piego vomito tutto qui.»
«Concordo! Ma se vuoi arrenderti, arrenditi ...così lasci spazio ai vincenti.» Esclamò Jin, ormai immerso nel gareggiamento.  

«Ehi un momento»
la voce della verità, ossia quella di Taehyung resa un po' meccanica dal telefono, si insinuò prepotente.
«il famoso appuntamento di Seo era con Jin?»
Io e Jin ci bloccammo interdetti mentre tutti, o almeno quelli che ancora non sapevano
che potevo racchiudere in Hoseok, Yurim e Tae e forse Jungkook,
ci guardarono con sguardo incredulo.
Non mi ero ancora del tutto reso conto che quell'entrata in  scena insieme, dopo aver parlato di appuntamento, avrebbe potuto innescare dei sospetti nelle menti Sherlockiane dei miei amici. A volte sottovalutavo il loro ingegno. O forse sopravvalutavo la mia, chi poteva dirlo.

«Siete usciti come ...una coppia?» 
Yurim squittì come una donnola.
«Jimin-ssi dai questo cellulare a quella maledetta disagiata che voglio che abbia paura di me per il resto della sua vita.»
Jimin mi piazzò il telefono in faccia più panicato di una cavalletta davanti ad una locusta potenzialmente a dieta.
«Noooo ma vaaaa ma cheeee» all'unisono cantilenammo io e Jin, giusto per non lasciare il beneficio del dubbio a nessuno.
«Seo come hai potuto non dirmi niente! Sono la tua migliore amica! Sono mesi che mi sorbisco quell'altro mentecatto che si sfoga con Tae su quanto tu sia il suo filo rosso e blablamenti simili e ora succedono queste cose e non dici niente?» 
Avevo il suo faccione davanti, rosso  ancora ma presumeva di una genuina rabbia, mentre io guardai il famoso mentecatto cercando un aiuto esterno. Evitai accuratamente la storia del filo rosso, ma il mio cuore l'assimilò per bene facendo una piroetta su sé stesso.

«Veramente lo sapevamo tutti.» Disse Yoongi, come un maledetto Giuda traditore.
«COSA?»
«Beh io l'ho saputo in ritardo eh, lo giuro.» Provò Jimin, piccolo dietro la telecamera ergendosi a spia e  carnefice.
Mi sentivo come un pentito a cospetto di un Buddha gigantesco e particolarmente irato, una fantasia che non mi sarei mai aspettata di immaginare. Non in queste circostanze.
«Jimin ti prego non mi aiuti ...ehi e poi parlate voi? Anche voi avete tenuto nascosta una storia e-»
«Ah non ti salvi così signorinella, loro almeno hanno avuto la decenza di dircelo subito non come te, protettrice di segreti che nel mio codice dell'amicizia non sono contemplati.»
«Tae per favore le doni un po' della tua morfina?»
«NON OSARE!»

«Comunque state tutti prendendo un grande abbaglio, io e Seo siamo usciti come amici, come al solito. Non capisco tutto questo trambusto.» 
Jin era credibile quanto Majinbu a digiuno di umani.

«Quindi sei solito sporcarti la faccia di rossetto?» 
Disse Yoongi, ormai deciso a morire. 
«...Sì.» Rispose Jin, corrugando la fronte.
«Ah.» Rispose Hoseok, guardandoci entrambi. 

Avevo evitato accuratamente di fissarlo per tutto il tempo. Eravamo etrambi sul tappetino del gioco, il suo sguardo era così invadente che mi fece sentire in enorme disagio. Sembrava stesse indagando, scrutandoci il volto, le labbra, i vestiti. A quanto pare SherlHoseok aveva deciso di palesarsi, rendendolo estremamente incline ad un'investigazione profonda. Namjoon si stava pregustando quella scena con un sorriso sulla faccia, senza dire una parola. Jungkook invece si era seduto vicino a Yoongi, aveva preso la mia tazza di lama e stava bevendo
sorseggiando
da bravo spettatore di  cinema d'autore ispirato da quelle dinamiche di vita sociale.
Per fortuna sua ero troppo intenta a non morire di vergogna per preoccuparmi della tazza, ma quell'immagine mi diede l'input di trovare coraggio. Andai a guardare Yurim, che veniva spodestata anche un po' da  Tae. Lui, a dispetto della mia amica,aveva già calibrato un sorriso a tremila denti.

«Ecco io»

Hoseok non mi fece finire di parlare. Esplose. Non letteralmente ma, ero quasi sicura, se avesse avuto la possibilità lo avrebbe fatto: allargò le braccia, cacciando fuori un sorriso enorme, pieno di felicità, saltellando come pinguino.
«Oddio ragazzi ma non lo sapevo, congratulazioni! Che bello! Un'altra coppia! Quanto amore! Ma sono troppo contento!» 
Ci prese per mano, a entrambi. Ci indusse a saltare con lui, mentre sentivo i dolci nel mio stomaco faticare a restare al loro posto. 

«Ora dovete dirci tutto. Quello stupido di Minno non mi da queste soddisfazioni, ma so che voi invece-»
«Non credo proprio.» Brontolai io, mentre Jin rubava il telefono a Jimin, una volta  che Hoseok  lasciò la presa.

«E va bene: farò io l'annuncio, visto che Seo ama questo tipo di cose» Jin mi lanciò un'occhiata del tutto eloquente, tanto che sarei stata capace di estirpargli i bulbi oculari visto l'imbarazzo crescente «io e Seo siamo ufficialmente una coppia

A quanto pare i miei amici, a tale notizia, riuscivano a reagire solo in una maniera, ossia lanciando  oggetti volanti non identificati.  Anche chi ormai era parte integrante del segreto, come Yoongi e Namjoon, ci colpirono con oggetti, chi morbidi e chi meno, lanciandoli in aria come veri giocolieri improvvisati. Potevo sentire Yurim e Tae urlacchiare frasi contente e anche insulti velati, da lei, mentre Jin faceva dei versi di contentezza, un po' fasulla e teatrale, prima di ridare il telefono a Jimin con un lancio poco sicuro.

«Ragazzi quanto mi dispiace che mi sto perdendo queste rivelazioni. Vorrei essere lì con voi ora, a festeggiare queste ...belle notizie. Forse era destino che non ci fossi.» Borbottò Taehyung.
«Tae guarda che è tutto merito tuo se ci siamo esposti. L'importanza di dirci tutto e di non lasciare decantare i nostri segreti dentro di noi ci ha dato la forza di vivere a pieno tutto ciò che proviamo. Inconsapevolmente, tutto questo, ce lo hai insegnato tu.»
«Uh Jimin, in quale cioccolatino l'hai letta questa?» Lo prese in giro Jungkook, camuffando la voce, che divenne più  sottile e acuta.
Come quella di Jimin, per l'appunto.       

Dopo quella frase ci fu un vero e proprio passa-telefono.
Jungkook glielo rubò dalle mani, mostrando il suo bel volto all'amico.

«E tu Jk? Hai anche tu un amore segreto folle e misterioso da raccontarci?»
«No. Le ragazze mi scivolano ai piedi, lo sai, ma io non do soddisfazioni. Il mio cuore è per lo studio e per taekwondo. Non ho tempo per queste cose. Però ehi, amico, tu sei qui con noi. Smettila di dire che era destino che tu non ci fossi; e con chi sto parlando? Con Geppetto Pastorello?»
«Chi diavolo è Geppetto Pastorello?»

«Dammi qua, altro che le ragazze mi scivolano ai piedi, se neanche le riesci a guardare in faccia senza avere tre ictus istantanei.»
«Oh ma»
Yoongi gli aveva fregato il telefono, puntandoselo in faccia. Monie si era preso il monopolio della telecamera. Probabilmente Tae e Yurim, di Yoongi, riuscivano a vedere solamente gli occhi da gatto malefico.

«Dì ancora una cosa del genere e dico a Yurim di passare tutta la notte a farti vedere quel film su quel cane che muore, a ripetizione per indurti dei traumi.»
«Ma perché? Già solo che lo nomini mi fa sentire male, mamma mia.»

«Dai qua, razza di pazzo debosciato.»
Ero io, sorrisi a mille a denti davanti a Tae.
«Dì ancora una cosa del genere e mando ai tuoi genitori quel video dov'eri vestito da cameriera privata, con tanto di cerchietto e tacchi vertiginosi rubati a quella che è la tua ragazza infida che ora non si fa neanche vedere perché è offesa con me.»
«E meno male che il pazzo debosciato è Minno.» Sbuffò Jin, scuotendo il capo, vicino a me.
«Ma non ascoltarli questi quiii!» Hoseok si palesò alle nostre spalle, ficcandoci un braccio per uno. La sua allegria, in quel momento, era schiacciante quanto il suo peso.
«Noi siamo una cura miracolosa. Ognuno di noi. Non siamo mai stati inclini a dirci qualcosa di carino, abbiamo sempre dato per scontato che non c'era bisogno di esprimer nulla. Ma sai, te l'ho detto, quando ieri ci siamo confidati i nostri pensieri è stato così ...liberatorio, così immenso, che mi sono chiesto come mai non lo avessimo mai fatto. E non importa se alcune notizie non erano belle, o erano incerte, o erano meravigliose. Abbiamo solo liberato ciò che volevamo dirci da tanto tempo, e non è mai troppo tardi per capire questo. Non quando puoi davvero cambiare il tuo modo di porti al resto del mondo. Abbiamo provato ad avere coraggio ed è stato davvero piacevole sapere che, mentre ti lanciavi, avevi le braccia dei tuoi migliori amici pronti a sorreggerti, a capirti. Questo non bisognerebbe mai dimenticarlo, mai.»

«Hoseok accidenti» Namjoon si era alzato, mettendosi dietro di lui, ora pian piano ci stavamo accalcando tutti dietro il telefono per mostrarci davanti a Taehyung. Lui aveva gli occhi lucidi, le parole di Hobi dovevano averlo colpito molto, così come aveva colpito ognuno di noi.  Ciò che aveva fatto Taehyung era ancora troppo fresco per poterlo lasciare da parte e, fingere, che non fosse mai successo.
Non potevamo più farlo,  ma potevamo davvero prendere il meglio che riuscivamo a cogliere da tutto quello.

Stretti tutti quanti davanti a quel telefono, davanti a Tae commosso e a Yurim che gli accarezzava i capelli con tutto l'amore che provava, eravamo finalmente noi stessi. Con mille tormenti, mille pensieri, ma pronti a saltare.
No?

«Vi vogliamo bene ragazzi. Tae vedi di uscire da lì in fretta che Jk ha già in mente di farci stancare queste settimane, più di un anno di doloroso lavoro.» Disse Jin con un sorriso pieno.
«Ah, di nuovo quella sua fobia di farci fare cose faticose?»
«Io vi faccio vivere la vita vera, ingrati.» Sbuffò Jungkook, andando a recuperare una coppa di legato ormai diventato liquido e non più molto freddo.
«Nessuno te l'ha chiesto.» Yoongi fece lo stesso, ritornando a morire sul divano.
«Qualcuno dica a Seo che finché non mi manda un messaggio con tutti i dettagli le vorrò meno bene del 10 per cento.»
«Yurim ti sento, sono qui.» Dissi io.

«Dai avanti, Namjoon, raccontaci un po' di Agnes ora.» Intervenne Tae, asciugandosi gli occhi.
Mi voltai per sbirciare il mio coinquilino ma quello si era già defilato, di nuovo afflosciato sul suo Snorlax amico di vita.
«Perché non continuiamo a giocare? Seo deve fare la penitenza, neanche ha cominciato a giocare, non si è piegata neanche di 90 gradi per seguire le mie direttive.» Disse Namjoon, non rispondendo alla domanda gossip.
«È il nome del tuo film porno?» Yoongi quel giorno, a quanto pare, aveva la testa deviata.
«Minno fatti curare!» Borbottò Namjoon, girando ancora la freccia del gioco, a caso.

«Oh ma che penitenza, io direi di brindare. Finalmente possiamo fare la famosa cena a quattro che ho sempre sognato.» Hoseok mi riprese le mani, di  nuovo, guardandomi con un sorriso rinnovato.

A guardarlo da quella prospettiva sembrava realmente felice per quella notizia. Forse tutto ciò che mi sembrava covasse dentro di sé era solo una sensazione, non provava gelosia, non stava davvero pensando a me in nessun altro modo rispetto al solito, magari quel fatidico giorno sul ponte avevo veramente chiuso quel capitolo, ma non solo per me, per entrambi. Decisi che ritornare a farmi domande non era la scelta più saggia della vita così decisi di lasciarmi andare a quel suo buon umore. La cosa mi provocò un improvviso e veloce sollievo, tanto che gli sorrisi di cuore. Ero sicura di essere diventata rossa come un peperone ma cercai di camuffarlo con un colpo di tosse. Sempre meglio dare la colpa alla saliva trasversa, in quei casi.

«Hobi sappi che non succederà mai.» Dissi io.
«Sai che succederà, non potrai impedirlo. Basta corrompere Jin-hyung con del cibo.» Mi disse lui, prima di tirarmi verso di lui e darmi un abbraccio stretto. Non durò molto, per mia grande fortuna, perché poi si piazzò le mani sui fianchi.
«Verrei corrotto facilmente, sì.»

«Allooora, chi la decide la penitenza?»  
«Io.» Alzò la mano Yoongi, guardandomi con occhi di fuoco.
«Ma se tu non stai neanche giocando.» Brontolai io, guardandolo storto.
«Sono il giudice. E l'arbitro. Quindi valgo.» Continuò lui. 
«Dai Seo, te la meriti questa penitenza, per il segreto. Lo sai  che sei colpevole!» Disse Yurim, da lontano, mentre Jimin si lanciava a peso morto sul divano, vicino a Yoongi. Sperai che la vicinanza lo lasciasse desistere ma non fu così. 
Lo vidi dare un'ultima carezza a un Monie offeso per essere stato abbandonato per quei dieci secondi, mentre il padrone mi guardava con aria poco raccomandabile.

«Qualcosa in cui non c'entra Jungkook, almeno.» Supplicai.
«Cosa vorresti  insinuare?» Jungkook mi guardò con aria offesa, mentre già faceva scricchiolare le dita.
«Che non voglio morire.»
«Devi recitare la famosa scena, di tu sai cosa.»
Sibilò Yoongi.

Sapevo di che scena stava parlando  e, sapevo, che la vendetta prima o poi sarebbe arrivata. Anni passati avevo obbligato Yoongi ad un corso di recitazione nella nostra scuola, mentendogli su tal gesto. Lo convinsi dicendogli che era un progetto per manifestare contro la mensa che, nella mia mente geniale, avrebbe fatto pagare il doppio i buoni pasto per gli studenti del secondo anno. Quando s'accorse della terribile trappola era ormai troppo tardi. Per non perdere la faccia, partecipò alla prima lezione, dove fu costretto a dover ripetere una scena romantica, di un famosissimo drama coreano, con un nostro compagno di corso. L'insegnante, non contenta della performance, glielo fece ripetere almeno una decina di volte, per dimostrare come la pratica incentivasse alla buona recitazione al trasporto emotivo. Non funzionò. Non mi rivolse la parola per due settimane, grazie a quell'innocente scherzo, minacciandomi che, prima o poi, avrebbe trovato il modo di  farmi provare la stessa identica e imbarazzante vergogna.  Ma almeno, grazie a me, aveva scoperto quella sua veloce e innocente passione per la regia. Non mi sentivo così in colpa, alla fine.

«Ah-ah, non lo farò mai Minno.»
«Lo farai, eccome se lo farai, ho aspettato dieci anni.»
«Ma che dieci anni»
«Ad Azkaban!» La sua citazione a Harry Potter fece fremere d'emozione Namjoon, che batté le mani incentivando quella sua ideona.
«Avanti non ti puoi sottrarre, qualsiasi cosa sia.» Replicò Jin, dando manforte a quell'altro.
«Jin, si tratta di una scena particolarmente romantica di un drama, stai attento a ciò che dici.»
«Oh.» Fece lui, corrugando la fronte. «Ma che storia c'è dietro, che non sappiamo?»
«Non la saprai mai.» Sibilò Yoongi, fulminandomi con lo sguardo.
«Yoongi fai paura  con quello sguardo. Ma da quanto covavi questo odio?» Replicò Jungkook, deglutendo.
«Te lo devo ripetere?»
«Oh dai avanti, falla con me, così sarete entrambi contenti.» Jin allungò una mano verso di me ma Yoongi, che a quanto pare quel giorno aveva una mira infallibile, provò a colpirlo con un cuscino del divano.
«Troppo facile Jinnie, leva quelle manacce.» 
Entrambi guardammo Yoongi, Jin non sembrava molto contento e io ero sul punto di strozzare con la mente il mio coinquilino.
«La farai con» 

Lo guardai.
Lo supplicai  con lo sguardo, mentalmente, di non farmi questo. Lo  vedevo tergiversare, mentre deviava il suo sguardo su Hoseok. E Hoseok stava aspettando la nomina nella stessa maniera nervosa in cui la stavo aspettando io. 
«Dai Yoongi, non posso stare in linea tutta la notte. Se l'infermiera mi becca me lo sequestra. Già Yurim è qui clandestinamente.» Si lagnò Tae, mentre mi sentivo tutti gli occhi addosso.
Anche Jin si era innervosito, tanto che lo vidi abbassare lo sguardo stringendo le labbra. E quel tic all'occhio era un segnale inequivocabile.

«Namjoon.»

Ci voltammo tutti con occhi sgranati,  io e Namjoon più di tutti.
«Oh ma dai!» Anche io e Nam potevamo vantare di una sincronia di tono molto accurata.
«Dai: Seo fa l'uomo. Tu la donna.»
La cosa venne presa da tutti con un esulto e un battito di mani divertito.  Persino Jin aveva sciolto tutti i nervi e sapevo bene perché. Alla fine mi arresi davanti a quel tifo sfegatato, ricordando tutti che non era il caso di dare altro motivo di odio da parte della nostra vicina viste le urla disumane che stavano emettendo.

Così mi inginocchiai, andando a guardare Namjoon. Lui si era messo in ginocchio mentre io mi stesi a terra. La scena era semplice: lui doveva permettermi di fare delle flessioni, tenendomi le gambe, mentre io,  in versione maschia, avrei dovuto stuzzicare la sua bellezza, con eloquenti flirt e volti vicini e imbarazzati.
«Pronto ad un alto livello di recitazione?»
«Pronto! Ragazzi se un video così finisce online, come minimo, mandatelo a dei produttori. Sfruttate bene l'occasione.»

Non riuscimmo ad andare oltre la prima flessione.
Con i volti così vicino da vedere ognuno i pori dell'altro, ci arrendemmo subito.
Neanche una battuta. Le risate degli altri e le nostre stavano contaminando quel set improvvisato.
Come penitenza della penitenza Jungkook ci assaltò entrambi, rischiando di romperci le ossa.
La serata giochi non era proprio il nostro forte.




 
nda: Ciao ragazzi <3 oggi sono particolarmente giù di morale per mille motivi diversi, quindi mi sono cimentata in un capitolo che ho trovato davvero rilassante scrivere e spero, per voi, sia stato rilassante leggere. Ho rubato una frase di una puntata di Bojack Horseman, in tutto ciò che ho sempre trovato significativa e volevo inserirla in qualche modo. Il prossimo capitolo verrà aggiornato prima di questo, visto che è praticamente pronto v.v quindi grazie per chiunque sia arrivato fin qui, anche in silenzio, e ovviamente grazie infinite per chi mi lascia sempre una recensione <3 
p.s. avevo promesso capitoli pa pa pa pa pa vabbè insomma arriveranno momenti peggiori (?) v_v ma oggi è andata così e quindi niente. Buona notte a tutti :*






 

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Capitolo 22
*** La deviazione del tempismo ***





22 ~ La deviazione del tempismo
 


ㅇㅅㅇ




 
La calura d'agosto arrivò al suo picco estremo nelle settimane seguenti, decidendo di evitarci lo strazio della pioggia, probabilmente a sentimento meteorologico. Eravamo aridi come le piante che Namjoon si ostinava a comprare solo per farle morire, o non mi spiegavo quell'atrocità bonatica. Dopo che Taehyung uscì dai suoi giorni di osservazione Jungkook s'improvvisò come schedulatore delle nostre giornate essendo ormai quasi tutti in vacanza e quindi potenziali figli dell'accidia. Gli unici che ancora venivano tormentati dai propri capi erano Yoongi e Yurim, alcune volte anche Namjoon faceva cose tecnologiche inspiegabili, ma bene o male avevamo tutti molto più tempo libero. La cosa, ovviamente, aveva aperto le frontiere per delle vere e proprie giornate all'insegnà dell'attività, di qualsiasi fattispecie.

Oltre quelle in piscina, quelle a bere, quelle nei pub e le svariate fiere e festività all'aperto, io ripresi a dedicarmi alla pittura. Era un passatempo che trovava il suo tempo sempre in estate, era una stagione che mi dava enorme ispirazione, ma quel periodo l'avevo accantonato non aspettandomi tutti quei trascorsi emozionali. Avevo sempre amato disegnare a mano, ma il mio lavoro non mi permetteva di sfoggiare la mia arte nel modo in cui sentivo più adeguato a me. Adoravo prendere i colori e sabotare la tela bianca, macchiandola con insane forme diseguali. Era un modo molto piacevole di buttare fuori i pensieri belli e brutti dalla mia testa. Riuscivo a farlo egregiamente solo in quel modo; invece di scrivere un diario come una persona normale, io gettavo pastoni di colore denso per creare forme scomposte.

Avevo tappezzato casa con miei quadri da poveraccia facendo vergognare Minno, nonostante Namjoon fosse l'unico che vedeva in quella nuova galleria artistica casereccia un futuro proficuo. Yoongi era di pessimo umore, in quel periodo, per via del fatto che Jimin era dovuto tornare a Busan. La teoria era che sarebbe dovuto rimanere lontano da Seul fino a Settembre, la pratica era che non ci riusciva. Ogni volta che poteva Minno gli pagava il treno per farlo venire da noi almeno per un paio di giorni, ma la cosa stava diventando difficoltosa da entrambe le parti. Nonostante la rivoluzione delle nostre vite e, quindi, senza più la paura di venire scoperti da noialtri  Minno reagiva sempre allo stesso modo ogni volta che Jimin era o non era presente.

Jimin c'era : Yoongi diventava una persona mansueta, docile e incline al divertimento, sfoggiandolo con karaoki e addirittura balli di dubbia natura durante qualche festival di musica dal vivo, improvvisato nelle piazze.
Jimin non c'era: la casa ricadeva in uno stato febbrile, tanto che a stento riuscivamo a convincerlo a uscire per bere una birra fresca insieme a tutti. Almeno non dovevamo più tormentarci la testa con la rubrica  settimanale del
cosa sta accadendo al cervello di Yoongi? Divertiamoci a scoprirlo.
Ormai eravamo tutti consapevoli dell'effeto che quei due si facevano e, in cuor mio, potevo capirlo pienamente. 

Hoseok faceva la spola in tutte le case a disposizione senza vergogna, la mancanza di Emily cominciava a inficiare sulla sua psiche umana, tanto che non era raro ritrovarci tutti a fare delle video chiamate con la nostra nuova amica britannica, non azzeccando mai il suo fuso orario. Oltre a rovinare il suo ritmo circadiano, eravamo sicuri che gli mancassimo molto. Non faceva che dircelo, ogni volta che Hoseok ce la mostrava in video conferenza, prima di sparire in qualche anfratto di casa per parlare ore e ore con lei. Non credo fosse riuscito a dirle niente, riguardo i suoi dubbi, i suoi timori e tutte le complicazioni  che erano venute allo scoperto in quei giorni. Già parlarle di quello che era successo a Taehyung fu abbastanza complesso. Ma lei era stata fantastica, nonostante conoscesse Tae da così poco, si era dimostrata davvero dispiaciuta, addirittura aveva chiesto di vederlo per accertarsi che stesse meglio.

Namjoon e la sua relazione con Agnes era diventata un segreto di stato, ossia che nessuno sapeva più niente di come stava procedendo e se lo stesso facendo in qualche modo. Dall'ultima famosa serata non conclusa lui s'era ben guardato da raccontare cose, ma di tanto in tanto lo beccavo parlottare al telefono in segreto o uscire ad orari improbabili, da solo, senza dire niente. Qualche gatta covava ma, da brava inesperta professionista, mi ero promessa di non fare domande a riguardo, sicura che non avrebbe mai rifatto l'errore che fece con 
Hyejin. Per fortuna Jin era un grande asso oratorio anche in quello. 
Non si teneva dentro niente, ogni volta che un'ombra oscura adornava la faccia di qualcuno di noi era già pronto a risolvere la situazione, con grande aria da psicanalista esperto. Se non covasse il sogno di rimpatriare le sculture africane, ero sicura che sarebbe stato un ottimo dottore in qualche modo. Yoongi non era molto  contento di estirpare il suo malessere interiore verso uno psicologo improvvisato, tanto che ero convinta avesse deciso di darsi botte in testa volute per amplificare i vari mal di testa che lo attanagliavano in quel periodo. 

Oltre questo suo desiderio di seguire la carriera di Freud, io e Jin eravamo diventati una vera coppia normale a tutti gli effetti. Stavamo diventando inseparabili, tanto che era addirittura strano non affrontare la quotidianità insieme. Era una delle cose che mi ero promessa di non fare, ossia quella di diventarne quasi dipendente, ma purtroppo da brava persona incapace di seguire i propri consigli ero del tutto priva di controllo. Stavo, addirittura, rendendo fiera Yurim con quel mio nuovo comportamento da persona impegnata e questo avrebbe dovuto farmi capire che stavo sicuramente esagerando. Sapevo che non era salutare pensare che, senza Jin, mi mancava il respiro ma stavo cercando di farmi ampie e ampie boccate dalla mia bombola personale così da averne abbastanza per quando sarebbe stato lontano da me. Non ero sicura che quella tattica avrebbe avuto i frutti desiderati, ma almeno avevo la scusa per quella concatenazione appiccicosa tra di noi. Jungkook aveva cominciato a descriverci come un mostro mutaforma a due teste e nessuno aveva avuto l'onore di dissentire. Non sapevo se dovevo prenderla come un'offesa o esserne stranamente fiera.

Forse ero un po' fiera, in effetti. A quanto pare questa nuova relazione aveva reso felice come una Pasqua Taehyung, tanto che, insieme a Yurim, aveva cominciato a tampinare Jin di messaggi per chiedere aggiornamenti lampo su tutto quanto. Per fortuna eravamo riusciti a deviare la loro romantica gioia anche verso Jimin e Yoongi ma, a quanto pare, avevano perso il primato quando Minno li aveva minacciati  di bruciargli l'armadio per farli smettere. 
Avevano smesso.

«Allora, esponimi le tue idee.» 

Un pomeriggio Tae ci aveva chiamato con codici della Nasa segreti per imbastire quella che, a detta sua, sarebbe stata la festa più meravigliosa della storia. Al messaggio da Houston avevamo risposto solo io, Hoseok e Yurim, ma era una cosa che mi aspettavo visto che, a quanto pare, due membri del gruppo erano i festeggiati. Un altro era impossibilitato a raggiungerci in tempi brevi vista la distanza chilometrica tra Seul e Busan. Namjoon si era scusato in duecento lingue, compreso il greco antico, perché non sarebbe riuscito a immergersi in questo piano a livello pratico, ma per il supporto teorico potevamo disturbarlo. Yoongi era a lavoro, ma ci avrebbe raggiunto sul tardi. Ero quasi sicura che fosse una scusa ma nessuno di noi appurò.

Ridendo, scherzando e soffrendo alla fine Agosto era quasi giunto a metà mese, mancavano poche settimane alla sua fine e questa faceva presupporre solo una cosa: quella sarebbe stata l'ultima estate passata insieme. Nessuno di noi lo disse apertamente, nemmeno Tae quando aveva tirato fuori quell'idea, ma tutti noi lo sentivamo nell'aria. Hoseok aveva ancora molto di cui parlare, ma eravamo convinti che, prima o poi, avrebbe ceduto per accontentare il suo amore. Jimin, una volta iniziata l'accademia, avrebbe avuto davvero pochi weekend per poter venire a trovarci, e non osavo immaginare la reazione futuristica di Yoongi a tutto quello. Jin sarebbe andato a Jeju, per il suo corso militare, e non eravamo sicuri che per l'estate futura avrebbe avuto giorni liberi da dedicarci. Non volevo pensarci, non ancora. Dovevo aggrapparmi al presente, nient'altro, o sarei impazzita del tutto. Non volevo già diventare come una di quelle vedove di guerra, col fazzoletto sventolante sotto il naso, a guardare fuori dalla finestra aspettando il suo arrivo. 

Uno, perché non era il 1940.
Due, perché odiavo terribilmente i fazzoletti in stoffa, bianchi. Erano anti-igienici.

«Guarda qua!»
Tae mi posizionò davanti un depliant. Mi stava guardando con occhi pieni di speranza, indicandomi un punto nel foglio con un indice. Io lo guardai con un sorriso a mille denti; lo aggiudicavo a miglior trovatore di idee di compleanno, spodestando Jungkook dal podio. 
Sapevo che non mi avrebbe delusa, Tae era sempre stato il migliore di noi a organizzare cose di questo genere, tanto che quando pianificavamo di fare una gita ci affidavamo immancabilmente al suo essere un navigatore digitale umano. 
«Non ci avevo proprio pensato.» Sospirai io, allargando le mani.
«Per questo sono arrivato in campo io.» Rispose lui, facendomi un sorriso sbilenco.

Ero stata la prima ad arrivare a casa sua, i suoi genitori avevano già preparato degli snack da sgranocchiare, davanti a delle bibite fresche. Quando mi aprirono la porta il loro sorriso fu talmente raggiante che mi misero un buon umore immediato. Cercai di non scadere in domande inappropriate o fuori luogo, ero ancora del tutto incapace di parlare naturalmente dopo quello che era successo e senza avere l'aiuto di sostegno dagli altri la trovavo un'impresa difficile.
Fin troppo difficile. 
Ma loro erano stati davvero gentili e per nulla invadenti, rispettando il mio improvviso mutismo e lasciandomi con Tae nella terrazza che dava sulla strada, con la porta rigorosamente aperta. 

Lo potevo leggere, però, nel loro sguardo lo stesso velo pietoso che ondeggiava sopra le nostre teste. Era quell'aura un po' più scura che ci portavamo dietro tutti, da quel giorno. Era il riverbero della paura, qualcosa di sottile, che non riuscivamo a smussare via con nulla. Non volevo essere ipocrita, era vero, ci aveva spinti a considerarci molto di più, ad ascoltarci, a guardarci in maniera diversa. Ogni volta che un problema sormontava, c'era la voglia di risolverlo, di provarci, senza nascondersi. Quando le cose le dai per scontate, alle volte, non pensi che dentro una giornata storta può nascondersi un abisso molto più profondo.  Era il motivo per cui nessuno diceva nulla a Jin, riguardo il suo voler parlare dei problemi. Lo faceva per lo stesso motivo, odiava quella sensazione, era il suo modo per cercare di smorzare un po' il grande senso di colpa che attanagliava tutti noi.

Ma Tae sembrava essere tornato quello di sempre, come se tutto quello che era successo non avesse avuto ripercussioni di sorta, se non quella di aver migliorato il suo lato comunicativo con noi. Yurim me lo diceva spesso, in quel periodo, non avevano mai parlato così tanto. Non solo della loro relazione, ma di tutto, dei loro sogni, delle loro paure. Volevo crederci davvero, a quello, ma non riuscivo mai ad abbassare del tutto la guardia. Per questo, ogni volta che ero con lui, mi ritrovavo a studiare il suo volto con più precisione, a guardare se dentro il suo sguardo ci fosse qualcosa che dovevo percepire, magari un guizzo segreto.

Quel giorno non lessi niente di più che un reale e sincero buon umore, era davvero contento di aver preso le redini di quella festa.
Aveva deciso di organizzarla per il compleanno di Jungkook e, allo stesso momento, per salutare tutti insieme Jin prima della partenza. 

«Il festival delle spiagge a Busan, che idea meravigliosa.»
«È da tanto che non facciamo una bella gita tutti insieme, si tratta solo di un paio di giorni, ma ho già parlato con Jimin, possiamo stare tutti nella guest house di sua nonna.»
«Ma quale? Quella dove a stento ci stiamo in due?»
«No, quella vicino alla spiaggia di Songdo. Ci sono stato una volta, è quasi più grande di casa tua.»
«Ma scusa, quante ne ha?»
«Ah non lo so, quella vecchietta è piena di risorse.»
«Che donna all'avanguardia, spero di diventare come lei un giorno.»
Ammisi piena di ammirazione. Lui fece una risata con voce bassa, prima di tirare un sospiro.
«Ascolta, ho organizzato tutto: partiamo a fine Agosto, diciamo a Kookie e a Jin-hyung che stiamo organizzando una piccola gita, fingendo di non ricordarci del suo compleanno.»
«Tae l'ultima volta che l'abbiamo fatto si è disidratato a forza di singhiozzare.»
«Oh senti» si afflosciò sulla seggiola di vimini, allargando le braccia «quella volta è successo solo perché Minno ha deciso che era divertente litigarci senza motivo, prima di portargli la torta.»
«Chissà perché Yoongi trova divertenti cose simili.»
«Sarà un mistero a cui non daremo mai una risposta.» Ammise lui, sorridendo.

Restai in silenzio per qualche attimo a guardarlo, mentre la luce del sole caldo lo accarezzava. Si era messo sulle gambe il pupazzo che io e  Jin gli avevamo vinto al parco giochi, da quando l'aveva ricevuto lo usava  come mascotte personale, se n'era innamorato. Quell'atmosfera mi fece sentire, per un secondo, di nuovo bambina. Ogni volta, prima di cena, mi ritrovavo a guardare gli uccellini che svolazzavano nel cielo bluastro, a stormi, in cerca di cibo. Sentivo mia nonna cucinare, dalla cucina, e il nonno combattere  contro la televisione. Io restavo lì, ore, a guardare il tramonto che lasciava posto alla sera.
Anche quel giorno il cielo era pieno di uccellini, mi diede un senso di pace indescrivile. 

«Yoongi fa così perché ha paura di mostrarsi fragile, davanti a noi.» Disse lui, d'improvviso, scattando in alto coi reni per sedersi dritto con la schiena. Io ero rimasta a guardare il cielo, per un attimo persa nei miei ricordi, e feci soltanto un piccolo sbuffo.
«Ultimamente Jimin sta un po' levigando questo suo lato, però.» 
«Già è vero. Avrei dovuto capirlo, visto quello che mi ha scritto.» 

Dopo quella rivelazione nuova lo vidi slungarsi per prendere il telefono lasciato sul tavolino ancora pieno di cose da mangiare. Pigiò sopra qualche codice segreto e ci restò sopra qualche secondo prima di passarmelo. 

«Cos'è?»
«Yoongi.» Disse lui, abbozzando un sorriso un po' meno solare di prima. «Mi ha scritto il giorno del» 
Non finì la frase, avevo capito. Per un secondo ebbi un mancamento. Era la prima volta che tirava fuori l'argomento davanti a me, non avevo Yurim né Hoseok a sostenermi, quindi cercai di non mostrare la mia improvvisa paura alla cosa, scorrendo il muro di testo del suo schermo.

Minno gli aveva scritto un messaggio chilometrico. 
Scoprii come Tae aveva scoperto di lui e Jimin, ma non c'era solo questo. Era una e propria ammissione di colpa, una sorta di lettera per libera associazione. Ogni cosa, ogni cosa che Yoongi aveva lasciato nascosto nel suo cervello era lì, nero su bianco, in bella vista. Quando alzai gli occhi su Taehyung lo vidi sorridermi in maniera triste, restando a fissarmi.
Yoongi era riuscito a trovare qualcuno con cui parlare apertamente delle sue paure, di tutto ciò che lo aveva portato a odiare Jimin e ad amarlo, parlava di come aveva paura di averci deluso come persona, si sentiva in colpa con me e Namjoon per via dei suoi lavori precari, odiava il fatto di non avere uno stipendio adeguato per permettersi di lavorare in proprio o di dedicarsi alle sue abitudini. E poi scuse. Ogni tipo di scusa, per Taehyung, per non essergli stato vicino, per non aver capito. Gli aveva scritto che gli voleva bene, che aveva avuto una paura fottuta di perderlo e che non si doveva azzardare mai più. 

C'era tutto l'amore che quel bipede ambiguo che mi sporcava casa poteva provare verso tutti noi.

«Quel Minno!» Non riuscivo a dire altro, mi venne da sorridere pienamente, andando a guardare Tae. Ero quasi sicura che avesse riletto quel messaggio molte volte, consumando ogni lacrima in corpo. 
«Non avrei voluto farvi preoccupare così. Se addirittura ho smosso il cuore di Yoongi è grave, vero?» Mi confidò lui, strizzando gli occhi.
«Tieni conto che, per dirci che ci vuole bene, di solito ci caccia di casa dicendoci che non ci sopporta più, quindi.» 
Non era proprio così, ultimamente aveva mostrato dei sentimenti un po' più umani, ma ero contenta che fosse riuscito a coinvolgere così tanto Tae dentro un problema tutto suo, lo rendeva estremamente più sensibile di quanto mi aspettassi.
«In realtà tutti, tutti voi mi siete stati vicino, mi avete aiutato così tanto, non so come potrò mai sdebitarmi.» Continuò lui, andando a guardare oltre la staccionata. Qualcuno, dentro un appartamento di una casa vicino, aveva cominciato a strimpellare con le corde di un violino.

Accidenti, Titanic, non ora.

«Non abbiamo fatto abbastanza, e quello che abbiamo fatto è stato fatto troppo tardi.» Confidai io, restando su di lui. 
«No, non è così.» Sospirò lui. «Ne ho parlato tanto con Jin, sai?» 

Sgranai un po' gli occhi, restando muta. La luce lo colpiva, accarezzandogli il profilo. Era estremamente pacifico, guardarlo da quella prospettiva, come se stesse razionalizzando tutto nella sua testa, per dare un punto preciso a quel momento. Sapevo che non sarei mai potuta entrare nella testa dei miei amici, ma in quel momento avrei tanto voluto invadere la sua privacy, capirlo nel pieno delle mie facoltà e provare a mantenere quel momento così stabile, senza nessuna cattiva interferenza.

«Gli ho detto la verità, di quella sera. Non sa niente nemmeno Yurim e non dovrà mai saperlo, mai.»
Mi sussurrò lui, tornando a guardarmi.

Dovevo essere onorata, mi sarei dovuta sentire così davanti a quella quasi ammissione. Mi stava rendendo partecipe di una cosa così intima e così pericolosa che, per un attimo, avvertii un brivido lungo la schiena.
Ne ero terrorizzata. Non ero sicura che sarei stata in grado di reggere una cosa del genere. Non volevo risultare scortese o, addirittura, insensibile davanti a quello. Avevo impiegato giorni e giorni per fare ordine nella mia testa, quante volte mi ero domandata se, quello che gli avrei detto una volta uscito dall'ospedale, avrebbe avuto senso, se non sarebbe risultata una frase fatta e finita, o addirittura una sorta di contentino che avrebbe sminuito tutto il discorso. Non ero mai stata brava a trovare un modo adatto per sorreggere il dolore di un amico, ma qui si trattava di  qualcosa di molto più complicato da affrontare, c'era di mezzo il famoso buco nero, quello nella stanza, che la gente alle volte sorpassa senza vederlo, che ci gira attorno, che lo fissa a lungo per poi decidere.
Salti? 

«Tae no.» Scossi la testa, corrugando la fronte. «Non dirmela, se pensi che ci siano dei segreti ancora da mantenere allora non preoccuparti, parlane con Jin, non c'è bisogno che tu tiri fuori tutto con tutti, l'importante è che tu ti senta libero di farlo, o almeno più leggero a riguardo.»
Lui abbassò lo sguardo mentre io allungavo la mano per ridargli il telefono. Cercai di sfiorargli le dita con le mie,per una frazione di secondo, come una piccola carezza.
«Yurim è la mia migliore amica, mi ha aiutato molto in momenti in cui pensavo che sarei stata ottima solo come concime per piante, non penso di averla mai vista stare così male come quel giorno. Mi ha detto cosa le hai detto, di quella sera, se  e l'ho vista così ... Se ci sono cose che non vuoi rivelare non te ne darò mai una colpa, non sei costretto a fare nulla.»
«Mi sento un mostro per quello che ho fatto, Seo. Alle volte, mi fermo, mi guardo intorno e mi domando come ho potuto farmi travolgere dalla mia realtà. Le cose che ho intorno io le amo tutte, eppure mi bastava guardare la luna, la sera, per sentirmi ...sbagliato
«Penso che sia il modo che ha il cervello di fare del male. Tu sei una persona sensibile, hai sofferto tanto, ti metti in gioco dando tutto di te e quando le cose vanno male ti lasci travolgere, è normale venire sopraffatti.»

Mi sentivo una tremenda incapace,  non avevo idea di che cosa stessi dicendo e se lo stessi dicendo nel modo giusto. Quel mestiere era per Jin, o Jimin magari, Hoseok sicuramente, non per me, perché la mia voce nella testa non mi fermava in quei momenti?

«Non è stato solo per quello successo con lei, è che stava andando tutto male, mi sentivo tremendamente solo nonostante la vostra presenza. E non volevo davvero farlo, è stato solo un momento, un momento minuscolo in cui ho pensato che il mondo sarebbe stato meglio senza di me. Ma ero ubriaco, almeno credo. Faccio fatica a ricordare quella notte.»
«Il mondo starebbe meglio senza nessun essere umano, questo è appurato.» La strada dell'ironia era l'unica che conoscevo, sicuramente se non avesse funzionato mi sarei buttata io di sotto per prima, almeno avrei evitato le conseguenze di tutto ciò. 

«Ma il nostro mondo, quello fatto da Yurim, da noi, quello sarebbe solo diventato molto triste. E non credo sarebbe più migliorato.»
Ammisi io, deglutendo a fatica. Era un lavoro davvero faticoso, dovevo dare gli onori a tutti gli psico-eccettera del mondo.
«Non avrei mai voluto causare questo dolore.» 
«Non lo hai fatto. Sei qui. Siamo qui.» Continuai.
Questa volta presi coraggio. Mi  drizzai sulla sedia per arrivare a fronteggiarlo, andando a prendere un bicchiere di succo di frutta. 
«Hai la fortuna di avere una ragazza che vuole avere sempre l'ultima parola, probabilmente è tornata da te quella notte solo per dirti qualcosa come "e comunque sappi che il cappello alla francese sta meglio a me". Lo so,  non si è comportata egregiamente in passato, ha fatto molti sbagli. Non volevo giustificarla quel giorno della festa e mi dispiace se non ti sei sentito capito, alle volte certe situazioni sono così complicate che hai paura di fare solo danni, mettendoti in mezzo. Ma sai, siamo tutti sbagliati, commettiamo mille sbagli ogni giorno, l'importante è cercare di risolverli, migliorarsi insomma.
 So che lei sarebbe la prima ficcarti la faccia dentro l'acqua per farti annegare, ma credo ti abbia salvato davvero.» 

Lo vidi ridere, sempre con quel suo tono basso, ma col sorriso a mille denti e una luce diversa nel volto. Non mi rispose, non ce n'era bisogno, lo potevo leggere nel suo sguardo. Ero sicura che non avesse più brutti pensieri, non così brutti almeno, ma doveva ancora lavorarci molto per farselo passare. Noi eravamo un valido aiuto, ma gli ultimi gradini erano sempre quelli più difficili, perché dovevi percorrerli da solo, sperando di non cadere di nuovo.

«La amo davvero.»
Mi piazzò uno sguardo addosso carico di sentimento, tanto che mi sentii quasi fuori luogo nel percepirlo.
«Pensavo di seguire le orme di Hobi, sai?»

«Cosa?
» Sgranai gli occhi per un secondo, prendendo tempo prezioso per rispondere. «No! Non puoi andartene in Inghilterra anche tu, nelle brughiere poi? Capisco la tua  voglia di percorrere la storia scozzese ma no Tae, è grigia, fa freddo, piove sempre, ci sono le pozzanghere!» Pensai di persuaderlo così, andando a bere un gran sorso fresco della mia bevanda. Perché tutti volevano andarsene? Ma cos'era: la soluzione ai problemi di chiunque?

Ma quello fece un lamento un po' più acuto, spingendomi con una mano la spalla.
«Ma no! Non hai capito, scema.» 
Il violino dentro la casa vicina fece un'impennata di suono tanto che sembrava molto un stridio atmosferico di sottofondo.
Lo percepimmo entrambi allo stesso modo perché ci voltammo verso l'esterno con aria un po' stranita.

«Voglio ...voglio chiederle di sposarmi
Per poco non morii di infarto precoce per quella notizia. Saltai giù dalla sedia, rovesciando mezzo contenuto del bicchiere, guardandolo con aria gravissima, piantandogli una mano addosso.
«No giura? Giuralo ora! Non t'azzardare a farmi naso di velluto, non farlo, cosa? No dai!»
La regia diceva che l'avevo presa bene. 
Tae cominciò a ridere, facendosi rosso per l'imbarazzato. Aveva la propensione a nascondersi la faccia, quando capitava.
«Seo ma perché dovrei farti un naso di vellu»
«Giuralo ora sul sangue del mio futuro figlio alieno!» Sbottai io, ormai in preda ad una veggenza genitoriale futura un po' atipica.
«Che cosa?» Squittì lui, mezzo stralunato.


«Cosa deve giurare?» 
La voce di Yurim fece capolineo dalla vetata che separava la terrazza dal salotto, per poco non ci venne una sincope per lo spavento, tanto che anche Tae si  alzò di scatto dalla sedia con fare del tutto irrazionale, quasi incespicando sul tavolino degli snack.
«Niente!» Rispondemmo noi all'unisono.
«Amore ma quando sei arrivata?» Domandò Tae, zompando verso di lei veloce.
«Sì amore, quando sei arrivata?» Continuai io.
«Poco fa, ho portato dei dolcetti per tua mamma. Ma cosa stavate confabulando?»
Non era stata deviata da un bacio innamorato di Tae, perché continuò a guardarci con aria da investigatrice privata.
«Nulla di potenzialmente pericoloso. Seo mi ha fatto giurare che, per la festa di Jungkook, noi ragazzi ci vestiremo tutti da ortaggi.»
Lei ci pensò su, prima di fare spallucce e annuire, convinta.
Era davvero credibile che avessi avuto un'idea così?
Per fortuna la voce della mamma di Tae ci interruppe di nuovo, Hoseok era arrivato, eravamo pronti per i preparativi ufficiali della grande e memorabile festa. 








Era tutto pronto progettato documentato e equipaggiato, io mi ero proposta di mentire a Jin riguardo la gita, consapevoli che sarei stata una frana di proporzioni epiche a fare cose più arzigogolate come inventarmi metodi di persuasione per far credere qualcosa al posto di qualcos'altro, dando questo primato agli altri membri conoscitori di tale segreto.
Hoseok era arrivato portando  altri cibi di ogni natura possibile, così che restammo a mangiare fino ad orari impossibili, ingrassandoci senza temere la prova costume.  Dovetti mentire a Jin sulla mia ubicazione attuale per non destare sospetti. 
Dopo aver rimembrato cose passate degne di essere dimenticate per sempre, io e Hobi decidemmo di lasciare un po' di privacy ai due innamorati, cominciando a incamminarci verso casa mia.

Era ora di cena, c'era ancora un po' di luce in cielo e le coppiette cominciavano a sparpagliarsi per le strade,approfittando della frescura della sera. Era scesa un po' di brezza, si stava divinamente, tanto che obbligai Hoseok ad allungare la strada per andare a prenderci un gelato vittorioso per l'ideona della festa, non mia ma alla fine io ci mettevo la conoscenza quindi era meritato. Non dissi a Hoseok della forse proposta di matrimonio che Taehyung voleva fare a Yurim. Quel segreto sarebbe morto con me, almeno fino a che Tae non avesse deciso di rivelarlo di sua spontanea volontà. Ero davvero rimasta sconvolta per quello, tanto che Yurim aveva notato ogni mia espressione potenzialmente anomala; aveva cominciato a fare domande strane, durante la giornata, poi continuata con messaggi minatori una volta usciti di casa.

"Non è che Jin ti ha lasciato e non me lo vuoi dire?"
"Lo ammazzo eh!"
"Non come ho ammazzato Hobi ma, insomma, lo sai."

Dovevo ripiegare su tutta la mia credibilità per farle capire che Jin e io stavamo ancora insieme, sperando che non la prendesse come frase col sotto testo e non commettesse un omicidio involontario. Per fortuna Tae doveva averla tenuta occupata, in qualche modo, perché i messaggi smisero dopo un po', lasciandomi col dubbio che il mio ragazzo fosse ancora vivo.
Lo appurai dopo che mi scrisse che stava guardando un documentario sugli artropodi e stava pensando a me.

La trovai una cosa molto dolce, in effetti.

«Tra poco devo chiamare Emily, ieri ho dimenticato di nuovo il fuso orario. L'ho chiamata alle sei di mattina, credo che ormai dorma di giorno e viva di notte, per colpa mia.»
«Ma mettiti delle sveglie sul telefono ultra deluxe che ti sei comprato.»
«Le metto, ma con l'orario di Seul.» Si giustificò lui, facendo un broncio.
«Oh, spero che riesca a venire per la festa! Sarebbe come una vacanza romantica.»
«Una vacanza romantica inieme a quei debosciati dei tuoi amici, però.»
Dissi io, ridendo. Eravamo quasi arrivati a casa, il gelato era finito nelle nostre pance senza pietà.
«Ma a lei non piacciono le cose romantiche normali, quindi lo apprezzerà.»
«Meglio così.» 

Quando parlava di Emily era sempre di buon umore, forse le cose con lei si erano un po' equilibrate dentro il suo cervello confuso. Lo speravo davvero, non ero sicura di voler ricevere altre chiamate di piena crisi alle soglie del matrimonio. Ormai la decisione, qualsiasi essa fosse, doveva averla presa, in fondo mancava relativamente poco tempo per attendere oltre. E poi c'era il fattore normalità, lo percepivo più che mai in quel periodo, dopo aver finalmente esposto la mia relazione con Jin. Tra me e Hoseok sembrava non essere cambiato niente, pian piano ci stavamo riprendendo quel tempo perduto senza disagi di sorta. Certo, evitavo tematiche scottanti così come momenti di potenziale imbarazzo, ma me la stavo cavando bene e, a dirla tutta, mi rendeva estremamente serena sapere che potevo ancora contare su di lui, senza più paura di me stessa. Non avevo nessuna voglia di dover domare un'altra volta chissà quale altro problema, per colpa di un evento nefasto che non lasciava tregua.
A costo di decapitare lui o me stessa, per quello.

«Ah, siete arrivati. Meno male, sto morendo di fame.»
Una volta a casa trovammo Yoongi sbragato sul divano, vestito con un lussuoso pigiama più vecchio della dinastia Joseon, circondato da ciotole di cibo vuoto, con Monie addormentato ai suoi piedi, da bravo cane vampiro qual'era.
«Abbiamo già mangiato.»
«Dai! Non ho ordinato niente perché speravo che avreste cucinato voi.» Si lagnò quello, facendo un verso di disappunto. «Chiama Jin e fallo venire a cucinare.»
«Jin verrà più tardi, ma non per cucinare te.» 
Sia lui che Hoseok mi guardarono confusi.
«A te. A te volevo dire.»
«Uuuuh Seo ma che mi combini?» Hoseok mi diede gomitate imbarazzanti, molto imbarazzanti, tanto che mi defilai verso la cucina, preferendo regredire a cuoca per Yoongi che dare vita alle battutine tristi sul lato sessuale del mio rapporto con Jin.
«Che stai guardando?» Hoseok si piazzò sul divano, prendendo il monopolio della TV, già inforcando il telecomando.
«Cambia canale e ti spezzo le falangi. Devo sapere se Tiffany sceglierà Bryan o Zach.» Borbottò Yoongi, tanto che sia io che Hoseok ci guardammo con aria un po' preoccupata.
«Ti stai guardando sul serio "Amore in affitto"?» Domandò lui.
Yoongi sembrò pensarci un po' prima di tirarsi su lentamente, impiegandoci almeno venti secondi buoni.
«No.» Rispose quello. 
«Yoongi depresso per amore è una di quelle meraviglie mondiali che proprio ti scalda il cuore.» Ammisi io, sospirando.

Non mi accorsi dell'occhiata di fuoco che mi lanciò il mio coinquilino, intenta ad armeggiare con quelle cose culinarie così difficili per me. Non avevo voglia di prendermela con Yoongi, non dopo quello che aveva fatto per Tae, non dopo quello che avevo letto. Non volevo rivelargli che io sapevo cose, ma lo sguardo che gli lanciai dovette aver acceso un lumino nel suo cervello, tanto che lo sbirciai arrancare verso di me, permettendo a Hoseok di cambiare canale velocemente, girando su un programma di talent show.
«Com'è andata la riunione per il compleanno a sorpresa?»
«Non diremo a Jungkook che non lo vogliamo più nel gruppo solo per rendere la sorpresa più appetibile.»
«Ma come no?» Si lagnò lui.
«Jungkook che piange è una cosa che il mio cuore non regge bene, sono diventata sensibile a queste cose.» Ammisi io.  «Ehi ma tu, non dovevi essere al lavoro?»
«Ero a lavoro infatti, ho finito prima.»
«Sei falso come Namjoon quando dice di non aver mai perso il suo passaporto.» 
La storia del passaporto era lunga e dolorosa, così che neanche la commentò, se non con uno sbuffo che non voleva dire niente.
«Non crederci se non vuoi. Ah, non metterci troppo aglio.» 
Non ero paziente come Jin, in cucina, tanto che cercai di spintonarlo via con un mestolo, cercando di capire perché lo avessi preso e a cosa mi potesse servire.
«Namjoon tra l'altro?»
«Mi ha chiamato dicendo che farà tardi stasera, di non aspettarlo.»

Sospirai, imbronciandomi. 
Allungai un collo verso Hoseok, era intento a controllare l'ora mentre canticchiava allegrotto davanti alle canzoni dei concorrenti. Stava tentando anche di immergere Monie in quel motivo allegrotto con scarsi risultati, visto che il mio cane continuava a dormire, o a fingersi morto.

«Senti Seo, non t'arrabbiare, ma devo dirti una cosa.»
«Ho un mattarello e non ho paura di usarlo, occhio a cosa dici!» 
«È un mestolo, quello.»
«Ah.» Ammisi io, guardando quello strumento. «Ora si spiegano tante cose.»
«Non posso venire al concerto con te.»
Per poco non persi l'uso dei vocaboli, restando a fissarlo con la bocca spalancata.
«No dai, cosa cavolo stai dicendo?»
«Spenderei troppi soldi, ho bisogno di fare dei turni extra per tutto Agosto. Ho quasi del tutto finito i soldi che ho messo da parte, Jimin sta cercando in tutti i modi di raccimolare il più possibile ma il corso all'Accademia è costoso e non ho voglia di fargli spendere soldi che non ha. E se stiamo davvero organizzando una gita non posso permettermi di spendere altro.»
«Ma te li presto io!» Esclamai io, irrazionale.
Non avevo molti soldi da parte, giusto qualche won per emergenze
 in caso di licenziamento in tronco, difficilmente custoditi per mesi evitando spese inutili. C'era voluto molto impegno per quello, ma avrei donato i miei averi per una giusta causa.
«Sì e poi l'affitto come lo paghiamo? Non possiamo far prostituire Joon.»
«Vendo i miei disegni, Namjoon ha avuto un'ottima idea sul trasformare casa nostra in una galleria d'arte.»
Lo vidi guardarsi in giro, c'erano i miei progressi artistici sparpagliati per casa, tanto che uno di questi era stato usato come cuscino dallo stesso Monie. Era apprezzamento o disgusto? Non lo sapremo mai.
«No, non posso, non insistere. Vai con Jin o con Yurim, vedrai che ti divertirai lo stesso.»
«Ma io-» 
«Vengo io!» Hoseok si intrufolò nella conversazione. Si era alzato dal divano, affacciandosi alla cucina. «È da una vita che non vado ad un concerto, e poi è da molto che non passiamo del tempo insieme, sarà divertentissimo. Sono un ottimo accompagnatore di concerti.»

Eccolo di nuovo, il contorcimento allo stomaco.
Riuscivo a resistere a Hoseok grazie al fatto che lo calibravo a dosi moderate, in qualche modo. Ma un'intera gioranta da sola, con lui, era davvero da molto che non succedeva, da troppo. Non avevo paura di ricascarci, ma era ancora troppo presto per mettere a prova il mio saldo autocontrollo.

«Hobi sei sicuro?» Provai di nuovo. sperando che cambiasse idea in un nano secondo.
«Sicurissimo! Non vedo già l'ora!» Poi lo vidi scattare sull'attenti, andando a recuperare il telefono. «Oh cavolo. Emily Emily devo chiamarla, che ore sono, accide» 
Non lo sentimmo finire la frase che si era andato ad abbarbicare in una stanza, probabilmente quella di Namjoon. 
Lo sguardo di Yoongi, in tutto ciò, da addolorato di pene amorose si era fatto terribilmente colpevole, tanto che aveva appiattito le labbra e aveva incassato il collo.
«Io»
«Non dire niente. Non ci provare. Ti infilo veleno per topi nel cibo.»
«Muto, sono mutissimo lo giuro.»
Fece il gesto di cucirsi la bocca, prima di avvicinarsi per prendere le redini della sua cena, dicendomi di non preoccuparmi. Il senso di colpa mi aveva evitato di continuare a preparare quella specie di pietanza di pollo che aveva l'aspetto di tutto, tranne che di pollo.

Dovevo solo prendere un bel respiro, pensare che era un'uscita divertente innocente e togliermi di dosso l'idea che, quella cosa, poteva causare problemi di sorta. Mi afflosciai sul divano, cercando di non pensarci, prima di sentire il telefono vibrare qualcosa.
Quando lo presi c'erano due messaggi, uno di Yurim.

"Seo ho capito tutto: sei incinta!"

Un altro di Jin.

"Sto arrivando, Jungkook mi è passato a prendere. Ha proposto una serata di alcolismo-pong, non sono sicuro di voler sapere cosa voglia dire."

Qualunque cosa fosse l'approvavo a pieni voti.  









nda: Ee salve a tutti, oggi capitolino che porterà ad eventi GNEH prima della grande fine (?), sto allungando il brodo perchè mi son resa conto che non voglio finirla ma non può diventare lunga cme Grey's anatomy, troppo lavoro e io sono pigra, non je la fo. Spero abbiate passato tutti una bel weekend, finalmente il primo dopo una lunga quarantenosa. Non per me che vivo a Londra e probabilmente starò in quarantena per settantanni ma son contenta che almeno potete godervi un po' di aria frescosa ç_ç Grazie come sempre per chiunque mi legga, mi segue, mi recensisce, mi odia mi ama eccettera <3 spero di riuscire ad aggiornare presto, di nuovo. Passate una buona serata! 

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Capitolo 23
*** È in tempi come questi ***






23 ~ È in tempi come questi



ㅇㅅㅇ


 
Il giorno del concerto arrivò più in fretta del previsto: come ogni evento di natura pubblica e potenzialmente letale per la mia fobia di gente ammucchiata, sudaticcia e allegra cadde in un giorno così cupo, così grigio, così uggioso e così carico di tempesta partorita sicuramente da uno Zeus incattivito, dopo una sfuriata gelosa dalla povera Era che doveva sobbarcarsi i suoi tradimenti umani, "insomma io sono una Dea, cosa ci trovi in quella Pollonia di Creta Ovest? Ha anche l'alluce leporino!", quindi confidai nel mio compagno di avventura. Hoseok era venuto ad alzarmi come una vera sveglia svizzera, mai stata richiesta tra l'altro, alle sei del mattino in punto.
Come fosse entrato in casa restò un mistero  a lungo sopito. Era letteralmente saltato sul mio letto gettandomi giù dal materasso come un vero generale con tendenze suicide, visto l'elevato tasso di mortalità che questo gesto portò. A nulla servirono i miei improperi verso la sua persona, era talmente raggiante, euforico e carico che nemmeno quel cielo Apocalittico aveva smontano il suo entusiasmo. Mi obbligò a lavarmi con un cronometro, piantandomi a tutto volume la radio per non addormentarmi sotto il getto della doccia. Inutile dire che la cosa rese Yoongi un bambino furioso, tanto che con un latrato da cane idrofobo lo vidi raccattare cuscino e coperta, uscendo fuori. Di casa proprio. Ero quasi certa che fosse andata dalla vicina ma Minno, in dormiveglia, era capace di tutto. 

Per fortuna Namjoon era affetto da quella che io chiamavo  la malattia del dormitore-insolito, così che non diede segni vitali per tutto il tempo, come suo solito. Alla fine fui costretta a fare una colazione di mezzo secondo, strozzandomi con del kimchi freddo e del caffè acquoso, mi obbligò a indossare un k-way giallo sole d'agosto offerto generosamente dalla casa che, per motivi che non mi spiegavo, era in combo con il suo. La cosa stava prendendo quella piega di ambiguità che mi fece sentire quasi in fallo. 

«Hobi, se Emily ci vede vestiti uguali non pensi che potrebbe arrivare fin qui a nuoto per uccidermi?»
«Non li ho trovati  di colori diversi. E poi lei non sa bene questa legge culturale del colore condiviso, sono salvo.»
«Sì, ma io no

Lo vidi interdetto per un attimo, intento a grattarsi il capo scuro e a pensare a chissà quale soluzione per quell'intramontabile problema. Finì col dirmi che Jin era abbastanza intelligente da non fare scenate e aveva chiuso l'argomento senza darmi diritto di replica. Non era la prima volta che io e Hoseok ci comportavamo da coppia in un'uscita così  d'amplio prospetto ma, ormai, ogni cosa anche solo parzialmente ricollegabile ad un atteggiamento di relazione più lontano dalla semplie amicizia, mi donava quella magnifica sensazione di groppo  allo stomaco inimitabile. 

Lasciai un messaggio a Jin, dicendogli che avrei cercato di farmi sentire nei momenti in cui nessuno attentava alla mia vita con il pogo o il lancio dell'artista. Non mi rispose, ma diedi la colpa all'orario illegale. Quando gli dissi del nuovo  cambio di soggetto per quell'evento non ebbi proprio la reazione che mi aspettavo. Ero consapevole che Jin fosse geloso di Hoseok, in un modo abbastanza salutare, ma comunque con quella percentuale di fastidio che faceva fatica a nascondere con me. Invece non aveva reagito. Era stato abbastanza accondiscendente, dicendomi quindi di stare attenta, di evitare di tradirlo colta da un lampo d'amore passato e di non scappare con Hoseok ai Caraibi per sposarlo davanti ad un cocomero e una palma di cocco sventolata da un'aitante sirena.

Ero sicura che quella probabilità fosse piuttosto vana ma potevo capire la sua sottile angoscia per la cosa. In una situazione contrapposta non avevo idea di come avrei potuto reagire. Sarei stata brava a nasconderlo per poi angustiarmi per tutto il giorno affogando in una vasca piena di bolle alla lavanda e mangiando gelato al cioccolato per indurmi una malattia glicemica fulminante. Forse lui avrebbe fatto lo stesso, per questo mi ero premurata di farmi sentire a tratti regolari durante la giornata, per evitargli una brutta morte  all'insegna della pastosità di un composto parzialmente scremato. 

Per arrivare nel luogo prestabilito Hoseok aveva preso tutte le cartine metropolitane esistenti; nella mia ingenuità pensavo che sarebbe stata una passeggiata arrivarci e, invece, ci rivelammo dei pessimi personaggi composti da zero senso dell'orientamento. Non avrei mai più potuto prendere in giro Jin e Namjoon per quello. Il distretto del concerto era in una zona periferica di Seul, in uno stadio che non sapevo nemmeno esistesse, riuscimmo a prendere due treni sbagliati e farci indicare la linea della metro da una vecchietta che, a quanto pare, stava venendo al nostro stesso concerto. Erano un po' preoccupanti la percentuali di anziani che riuscivano a circondarmi in ogni attività che facevo, avrei dovuto prenderlo come un segno propiziatorio. Ma, visto che tra i tre, lei era quella che sembrava più arzilla e grintosa evitai di interferire con quella strana coincidenza età-logica.

Mi chiesi come sarebbe andata se, al posto di Hoseok, ci fosse stato veramente Yoongi.

Ci saremmo svegliati due ore prima del concerto, saremmo arrivati appena in tempo per osservare la flotta di teste variopinte, a guardare il palco da lontano e a sorseggiare birra in solitaria come dei veri outsider. Ma, Hoseok, per mia grande sfortuna non era come Yoongi. Lui era sempre stato una vera anima della festa, riusciva a trascinare in divertimenti acuti anche i cuori più agguerriti; non era raro che, in passato, mi ritrovassi a supportare quel suo lato senza nemmeno sapere come, affiancandolo come una vera soubrette clandestina. Il fatto era che Hoseok, in qualche modo, riusciva a trascinarti nella sua euforia, anche quando avevi passato una brutta giornata per colpa di chissà quale evento astratto. Lui con uno schiocco di dita era capace di cancellarlo. Era davvero impossibile provare a imitare quel suo strano talento innato, tanto che durante la sua assenza avevo sentito più che mai il bisogno di riprovarlo. 

Era strano ai tempi: l'unica persona capace di farmi andare via il cattivo umore era colui che me lo provocava. Che simpatico paradosso. Escher avrebbe potuto ricreare un grafico perfetto per quello.

«Eccoci qui ragazzi, siamo arrivati.»
La vecchietta, alla fine, con tanta pazienza e voglia di vivere

sicuramente più di me

era riuscita a portarci al luogo designato. C'era già una cosa immensa, un sacco di giovani e poco giovani che sfoggiavano magliette, striscioni, macchine fotografiche, cappellini e fotografie di ogni qualità rockeggiante. A quanto pare io e Hoseok eravamo i più colorati del gruppo, grazie al nostro copri pioggia personale. Il cielo prometteva sempre più una colata di zolfo imminente ma, contro ogni intemperia, eravamo tutti lì ad aspettare che i cancelli dello stadio venissero aperti. Ero parecchio emozionata, nonostante tutto, ma mai come Hoseok che aveva cominciato a farmi uno strano massaggio sulle spalle, probabilmente per contenere o contenermi l'emozione del momento, guardandosi intorno con aria allegra.

«Ma ci credi Seooo?! Stiamo per vedere un vero concerto!»
«Eh ci credo, sì. Ah grazie, un po' più a destra.» 
Lo presi in giro, rialzando una scapola per beneficiare di quel suo strano modo di esprimere gioia. 
«È il vostro primo concerto insieme
La gentile signora ci fece un sorriso a mille denti, già notando lo sbrilluccichio dei suoi occhi, da esperta emozionale calibrata in anni e anni di drama amorosi e passionali.
«Oh no, cioè sì, ma non è proprio il nostro inteso come nostro.»
Balbettai io, imbarazzata.

«In realtà signora siamo venuti qui solo come amici, ma è davvero il nostro primo concerto insieme. Anche se in passato volevamo seguire le orme di una band rock e provare a diventare musicisti. Ma non avevamo abbastanza soldi per vivere on the road
«Oh che cari. Ai miei tempi era davvero all'ordine del giorno partire da casa e andare a qualche festival, insieme agli amici, quante emozioni.»
«Oh, dice davvero?»
Hoseok smise di massaggiarmi le spalle, guardando la signora emozionato.

«Oh sì. È così che ho conosciuto il mio Ronald.»

Ronald. Nome molto inglese. 
Guardai Hoseok per un secondo e mi venne da sorridere.

«Ronald? È suo marito?»
«Era, caro. Era.» Disse lei con un sospiro un po' malinconico, ma il suo volto era pacato, sorrise andando a guardare oltre gli spalti coperti dello stadio dietro di noi. «Non abbiamo mai smesso di seguire le nostre passioni, sai caro, abbiamo visto nella nostra vita più di trecento concerti, partendo anche per l'America o l'Europa. Era un grande musicista, il mio Ronald, ma ahimè è venuto a mancare poco tempo fa. Era inglese, ci siamo conosciuti proprio grazie ad un gruppo punk che piaceva ad entrambi, più di cinquant'anni fa, è stato amore a prima vista. Mi ha seguito fino qui, in Corea, pur di non lasciarmi andare.»
La vidi sospirare e, per un secondo, guardai Hoseok trovando davvero una bizzara coincidenza in quella conversazione.

«Dev'essere dura ...per lei ora che lui non c'è più.»
«Oh no, caro no. Lui vive in me. Nei miei ricordi. Gli ho promesso che non avrei mai smesso di vivere la nostra vita, che non avrei mai  smesso di sorridere. Un giorno sarò con lui e finché arriverà quel momento, sarà lui a stare con me.» 

Hoseok fece un sorriso debole e io mi sentii un po' più stordita. 
Avevo trovato la Rose dell'era moderna.
Ma Hoseok aveva trovato qualcos'altro, lo vidi rasserenarsi di gusto, prenderle le mani con il suo permesso e stringerle in maniera affettuosa. Lei si mise a ridere, un po' imbarazzata e commossa dal suo stesso racconto, scuotendo il capo.

«Oh ragazzi oggi sarà una giornata indimenticabile. Mi ricordate così tanto me e il mio Ron, da giovani. Portatela sempre nel cuore, sarà con voi nei momenti di sconforto.» 

Sia io che Hoseok ci guardammo con aria un po' assorta, non sapendo bene cosa rispondere, prima di vederla drizzarsi, affaccendata, a ravanando nel marsupio che aveva portato per l'occasione. Era palesemente più attrezzata e comoda di noi in quel frangente, non stentavo a credere che avesse vissuto giornate come quelle in passato. La musica, senza se e senza ma, riusciva a riunire generazioni diverse parlando la stessa identica lingua. Non ero mai stata una grande appassionata di quell'arte, non come potevano esserlo Yoongi o Namjoon, ma oltre a disegnare, venivo accompagnata spesso dalle note di una canzone; riusciva a capire ogni mio stato d'animo, la musica, quasi adattandosi alla mia personale situazione.
Un amico fatto di suoni pronto a confortati.

«Oh, andrò a prendere un po' d'acqua e del cibo, godetevi il concerto in caso non ci rivedessimo. E grazie per la compagnia.»

La salutammo, vedendola sgambettare via, oltre la folla di ragazzi. 
Cercai di non concentrarmi troppo sulle sue ultime parole, almeno non con lo stesso significato che poteva aver avuto per lei, in giovane età. Non avrei dimenticato sicuramente quella giornata, come non avrei dimenticato nulla della mia vita passata con Hoseok, con Jin, con i miei amici. Erano ricordi indelebili nella mia testa, ogni giorno se ne aggiungeva uno, ogni giorno imparavo qualcosa che non se ne sarebbe mai andato via dal mio cuore. Sbirciai per un secondo il mio accompagnatore; mi concentrai molto sul suo volto, tanto che provai a immergermi nei suoi pensieri, ad andare oltre tutto quello che mi aveva provocato nei nostri giorni passati. Stava ancora sorridendo, guardando il punto in cui la signora era sparita. Non le avevamo neanche chiesto come si chiamava, ma sicuramente non l'avrei dimenticata. 

«Mi manca Emily

Sussurrò quelle parole, tanto che per un secondo, provai qualcosa di strano al petto. Non era più gelosia, non era più un magone brutto e incapace di farmi respirare, non era la voglia omicida per cui sarei diventata famosa in Korean-Crime. Era un senso di commozione; potevo sentire il suo amore per Emily, capirlo, farlo mio e intensificarlo per colui, che ora, mancava a me. Mi venne da sorridere in maniera dolce, tanto che azzardai una vera mossa da coppia, ma speravo che i nostri compagni ce l'avrebbero perdonata, in caso.

Gli afferrai la mano, stringendogliela stretta. Lui si voltò verso di me, sorridendomi con un'aria un po' più rattristata, tanto che gli diedi pure uno sbuffo sul naso, provando a tirar fuori la stessa allegria che lui stesso era solito infondermi con un solo sorriso.

Avevo avuto paura che stesse ancora rimuginando su tutto ciò che gli impediva di fare chiarezza nel suo cervello. Avevo letto sguardi, espressioni e persino intonazioni della sua voce che non ero riuscita a tradurre correttamente nella mia testa, forse ero addirittura incappata in un sottile strato di ego, dove quasi ci speravo che lui, dopo tanto tempo, aveva finalmente rivolto lo sguardo verso di me. Ero stata condizionata da quella giornata, sul ponte, ne ero sicura e, più che mai, dopo aver detto a tutti - a lui - di Jin. Non volevo buttarmi in un triangolo, ovviamente, ma forse un po' desideravo fargli quell'effetto. Quello un po' inspiegabile. Quello che ti tormenta ancora un po', prima di addormentarti, sotto la luce della luna. Ne potevo avere abbastanza? Vivere in drammi che mi creavo io, come una grande regista americana? Sì, mi ero fatta il callo per quello. In fondo era sempre così, dopo aver messo finalmente il punto all'ennesimo pensiero della mia testa, sentivo chiaramente il sollievo sbattermi addosso.

Hoseok aveva solo Emily nel cuore. 
Di qualsiasi natura fossero i suoi dubbi, ero sicura che non ce ne fossero riguardo a lei. Lei era salda, ben impiantata nel suo cuore. Quel pensiero me lo fece vedere in maniera diversa. Stava crescendo, più di chiunque ed ero immensamente fiera per quello.

«Sai, l'Inghilterra è la patria della musica bella. Non appena salperai a casa sua dovrai proprio imbarcarti in questa sfida on the road con Emily, perché non glielo organizzi, come regalo di nozze?»
«C'è un solo problema in questo.» 
Mi mormorò lui, facendo una stupida faccetta indecifrabile.

«Problema? Quale?»
«Lei ama il k-pop!»

Sgranai gli occhi, andai a guardare verso i vari sfollati lì intorno. Alcuni ragazzi si erano seduti, altri stavano già banchettando con un pranzo nonostante non fosse nemmeno ora di colazione, altri si erano addormentai sopra dei sacchi a pelo occasionali.

«Oh, fratello mio, auguri per un tour k-pop on the road.»
«Non me ne parlare, sono fregato.»
Mi misi a ridere, prima di lasciargli la mano, cominciando a frugare nello zaino da concerto che avevo portato, decisamente più ingombrante di un marsupio ma capiente. Tirai fuori dei tramezzini nucleari fatti gentilmente da un Jin premuroso per la nostra salute cibaria. Aveva passato la serata da me, dandomi direttive su come conquistare musicisti. Non ero sicura se fosse una tecnica a favore o a sfavore della  cosa ma mi limitai giusto ad annuire, fingendo che quella lezione avesse riscontri decisivi. Ma accettai la preparazione del cibo  da concerto senza lamentarmi.

«Mangiamo che è meglio, il mio ragazzo ci ama e non vuole farci morire di fame.»
«Grazie Jin-hyung salvatore di noi poveri espatriati.»
Ci sedemmo anche noi, in uno spiazzo erboso, aspettando l'inizio della famigerata giornata indimenticabile.


 
ㅇㅅㅇ
 

Dopo ore di attesa snervante all'insegna di spizzicamenti di cibo, sonnellini tattici e giocata a carte da veri rocker temerari, eravamo riusciti ad entrare nel grande spiazzo dello stadio. Per fortuna non eravamo sugli spalti, ma non esistevano posti numerati e così a forza di sgomitate e prese di posizione, ci ritrovammo a emergere vicino alle transenne, dopo aver recuperato un numero indecifrabile di birre schiumose e bottigliette d'acqua per calibrare la disidratazione che ci avrebbe colto durante la serata. Alla fine la coda davanti all'ingresso divenne una vera e propria carovana di gente, tanto che una volta lì dentro perdersi era la paura primaria di entrambi. Avevamo deciso di tenerci il k-way giallo per riconoscerci a distanza, come dei coni stradali, in caso ci fosse stata urgenza bagno o urgenza alcolica.

Riuscimmo a fare conoscenza con un gruppetto di turisti vietnamiti, venuti lì appositamente per seguire il tour asiatico del gruppo, tanto che si accozzarono come portatori di grandi cose, spoilerandoci la grandezza del concerto, che sarebbe stato memorabile, che ci sarebbero stati effetti scenici degni di nota e probabilmente qualcuno sarebbe morto. Probabilmente noi, visto che avevamo deciso di rimanere davanti a tutto e tutti, incuranti del pericolo.

Alcuni uomini pomposi stanziavano davanti a noi a braccia incrociate, radiolina tattica e occhiali da sole pronti a stenderci con un pugno in caso di trapasso. Incutevano un po' di timore, visto la serietà facciale che portavano, ma io e Hoseok non ci facemmo condizionare da quella apaticitià lavorativa. Avevamo assunto abbastanza benzina alcolica, eravamo armati di striscioni, tra cui uno firmato da Yoongi che avrei dovuto cercare di autografare, cappellini girati da veri ribelli e l'aria di chi, effettivamente, era al primo concerto importante della loro vita. 

In fin dei conti stavamo un po' avverando il nostro sogno di quando eravamo adolescenti. Era il nostro primo e reale concerto di quella portata; ovviamente avevamo ascoltato molte band di misura minore nei locali e anche all'aperto, ma mai una cosa così maestosa. C'erano miliardi di stand, miliardi di facce di nazionalità diverse, sponsor in ogni dove e il palco era un rettangolo illuminato e stratosferico, con luci a laser e casse che avrebbero sentito fino in Zimbabwe. 

«Seo ma ti ricordi quando provammo ad andare a Kyoto per quella band rock giapponese?»
«Ma chi: i Zelinda 102? Non farmici pensare, Hobi. Che trauma!»
Hoseok cominciò a ridere come un disgraziato, facendo aizzare le antenne al tipo vestito di nero  davanti a noi, già pronto ad un attacco alla John Cena per atterrarci.
«Ci hanno quasi rapito!»
«Non volevano rapirci, no, è che abbiamo sbagliato autobus.»
«Secondo me l'autista voleva rapirci, ci ha portato in quel villaggetto di monache. Magari era una setta!»
«Era un pulmino turistico, sei tu che sei scemo e hai letto Kyoto quando c'era palesemente scritto "Villaggio dei dannati!"»
«Oh ma» quello borbottò tutto contrito, dandomi una pacca, prima di rifilarmi un altro bicchiere di birra. La fortuna di quel giorno uggioso e privo di vitamina D era che, in qualche modo, manteneva la birra fresca nonostante non spumeggiasse più di tanto.

«Ragazziiiii!»
Una voce dietro di noi ci fece sobbalzare, qualcuno dietro di noi ci diede una spintonata brutale che quasi caracollammo contro le transenne. Il bodyguard si fece il segno della croce.
«C'è Dave! C'è Daveeee! Iniziano inizianooooo!»

Stava smanacciando e gridando come un forsennato e lì ci fu un vero e proprio degenero mondiale. Vidi bicchieri volare, striscioni sventolare, cellulari impazzire e trillare, qualcuno provò a passarmi una sigaretta allegrotta visto l'odore aromatico presente nell'aria. Ero pronta a immolarmi a quella vita da Woodstock ma sentii chiaramente Hoseok prendermi per un braccio e trascinarmi davanti a lui.
Mise le braccia ai miei lati, tenendomi in prima fila, davanti al palco, il suo petto contro la mia schiena. Avevo la sua guancia a un millimetro dalla mia e, per poco, non chiesi al body-guard di farmi fuori in caso di sintomi involuti improvvisi.

«Stai qua. Ho paura che ci sarà un gran casino.» 
Mi sussurrò lui, facendomi morire di vergogna. Io annuii senza dire una parola, pregando che non mi si leggesse in faccia nulla di ignobile. Per fortuna era alle mie spalle, non avrebbe mai potuto percepire nulla.
«Ma ti rendi conto che probabilmente moriremo?»

Oh sì, caro Hoseok, l'avevo messo in conto da molto tempo.
Ma non gli dissi così, mi limitai a sbracciarmi in avanti provando già le mie tecniche per mostrare al cantante lo striscione di Yoongi. 
Quando il gruppo uscii fuori, la musica si innalzò fino al cielo, le luci si spensero e si riaccesero provocando una sensazione di rinascita, la voce al microfono che ci salutava vibrò dentro al petto come un potente e unico tuono di rumore. Tutto si annullò in quell'istante.

Fu una cosa mai vista prima.
Qualcosa di accecante e improvviso, mi diede un'energia talmente potente da farmi sentire davvero capace di affrontare qualsiasi cosa. Alcune canzoni erano pronte a schiaffeggiarti, spronarti, tirarti fuori dal fango in cui ti eri immolata. Ma altre erano pura e violenta realtà, sembravano la cura per guarirti dal problema che ti tormentava. Mi resi conto che ne avevo estremamente bisogno, ne avevo avuto bisogno dal momento in cui Hoseok era partito per l'Inghilterra, per tutti quegli anni di sofferenza silenziosa, per tutti i cambi di idea, per la mia paura, per il mio coraggio.

Mi sentii estremamente felice, in quel momento. Hoseok aveva passato tutto il tempo a saltare e spintonare gente pronta a pogare, era riuscito a salvaguardarmi dalle gomitate ammazza-faccia ma, in compenso, io in quel frangente avevo la sua stessa energia movimentata. 
Saltavo, cantavo, mi sbracciavo come una vera scheggia impazzita, tanto che il cantante notò lo striscione indicandolo con un sorriso a mille denti, che Hoseok riuscì a riprendere col telefono sotto mia velata minaccia isterica.

Eravamo riusciti a mandare un messaggio lampo a Yoongi che ci aveva chiesto di chiamarlo in direttissima, tanto che passò almeno dieci minuti di concerto insieme a noi, a fare versi di dubbia natura, prima che il suo capo lo reclamò con minacce di licenziamento in tronco. Avrei voluto fare lo stesso con Jin ma, a quanto pare, c'erano problemi di connessione a lunga distanza così che lo accontentai con immagini sfocate del palco, di teste in pieno headbanging, di Hoseok in preda al delirio, di birre rovesciate e un meraviglioso book fotografico dei bodyguards neri che, a grande sorpresa, durante il  concerto si misero a saltellare insieme a noi a ritmo di batteria e bassi rombanti. Fu uno sfogo musicale del tutto meraviglioso. Ero davvero dispiaciuta che Yoongi si fosse persa tutto questo ma ero felice di non aver boicottato quel regalo. Hoseok, alla fine, si era dimostrato la presenza perfetta per quell'occasione. 

Il cielo cominciò a farsi sempre più scuro, tanto che il finale del concerto fu un vero e proprio tripudio di luci e stelle scintillanti che, ai lati del palco, cominciarono a saettare verso l'alto ad ogni assolo. Le nuvole avevano cominciato a diradarsi, come se la musica stessa avesse preso il primato di quella serata, come se non ci fosse realmente spazio per un'acquazzone, o per l'ira di Zeus, ma solo per quel concerto, per quelle canzoni che ti entravano dentro, caricandoti tutte le batterie. Intonò, verso il finale, una delle mie canzoni preferite. Una canzone che parlava di come fosse doveroso imparare ad affrontare la vita, per quello che sei, per il modo in cui esisti. 

È in tempi come questi che impari a vivere di nuovo
È in tempi come questi che dai e dai ancora
È in tempi come questi che impari ad amare di nuovo
È in tempi come questi, una volta e una volta ancora

Sentii la mano di Hoseok, che sorrideva mentre ancora saltava del tutto privo di stanchezza umana, mentre si piantava sulla mia spalla per stringermi con affetto. Lo guardai, aveva lo sguardo luminoso di un bambino che assapora la meraviglia di qualcosa di grande e immenso. Mi sentivo esattamente come lui, mentre tutte quelle parole mi entravano dentro, la melodia più pacata e malinconica, che faceva solo venire voglia di chiudere gli occhi e lasciarti andare a tutte quelle emozioni. Fu qualcosa di così stabile e improvviso che mi abbandonai allo stato alcolico della mia testa, ubriacandomi però di tutto quello. Mi venne quasi da piangere, alla fine, ma per fortuna la band ci graziò con un'ultima canzone spacca-ossa che bruciò d'improvviso quel momento, facendomi risvegliare di colpo. Hoseok mi si piantò di nuovo dietro,mani sulle spalle e stretta forte, mentre saltava come una gazzella. E io cominciai a ridere come una scema, mentre alzavo di nuovo lo striscione di Yoongi, più euforica che mai.

Ci ritrovammo dentro un pogo improvvisato, verso la fine, mentre qualcuno tentò un approccio strattonandomi il k-way giallo 
apprezzatissimo dal cantante, che non avrei mai più tolto in vita mia 
ma alla fine riuscimmo a uscirne illesi, sani e salvi, senza molari mancanti o lividi di collisione. Dopo che tutto finì sentii chiaramente un miscuglio di delusione e forza interiore estrema. Come tutto era iniziato, tutto era finito, lasciandoci nel silenzio del mondo, mentre l'unico sottofondo erano solo le persone che ancora applaudivano e fischiavano, urlando e cantando ancora l'ultimo pezzo, in preda al mio stesso stato d'animo. Non  durò molto, però, visto che molti cominciarono a diradarsi. Io e Hoseok restammo a guardare il palco a lungo ancora un po' sconvolti da tutto quello, purtroppo non riuscimmo a incontrare i musicisti nonostante assistemmo ad una vera e propria situazione molto anni settanta, con ragazzine che oltrepassavano la transenna per defilarsi nel dietro le quinte di tutto quello. Non scoprimmo mai se erano riuscite nel loro intento ribelle o se furono mandate via con lanci a catapulta dagli uomini in nero, ma ci piaceva pensare che fossero lì, insieme ai loro beniamini, a godersi un post-concerto all'insegna del vero rock'n'roll.

Alla fine decidemmo di finire quella giornata andando a comprare una carovana di merchandise, boicottando così la mia regola primaria di risparmio. Fu breve ma intenso: comprammo due portachiavi, un marsupio, quattro magliette di cui una per Emily e una per Yoongi, una  felpa per Jin e una miriade di spillette e adesivi per gli altri. 
Probabilmente mia madre non sarebbe stata per niente fiera di quella mia nuova indole di sperperamento di denaro lampo, dove soldi messi via in quasi tre anni lontano da casa stavano volando via come gabbiani sull'oceano, ma mi sentivo in dovere di farlo, per me, per Yoongi e per tutto ciò che avevo dovuto subire senza possibilità di sfogo.

Mi aveva aiutato in una maniera che non credevo nemmeno possibile, tanto che mi lasciai trascinare da Hoseok verso lo stand delle birre per dare un lieto fine alla nostra già precaria lucidità. Eravamo sudati, gli unici con ancora addosso quell'abbigliamento da turista che si protegge dalla pioggia, nonostante i gradi fossero risaliti, a discapito del fatto che il sole alla fine non era mai sbucato da dietro le nubi, ma ora le stelle erano particolarmente visibili in mezzo agli strati di nuvole sfumate e grigie. Forse era l'umidità o forse  era tutta l'adrenalina che si stava sciogliendo dentro il sangue, rendendoci irrequieti e spensierati e inclini a sopportare qualsiasi tempo climatico senza conseguenze.

«È stato pazzesco! Ma perché non abbiamo intrapreso la strada dei musicisti on the road? Pensa che gran successo!»
«Colpa tua che sei voluto andare all'università.» 
«Anche tu l'hai fatta, che c'entra!»
«Sì ma io» non riuscivo a trovare una scusa plausibile, così chiusi lì il discorso, senza mai finirlo.

Lo guardai mentre era intento a prendere delle birre per entrambi; aveva il volto arrossato ma allegro, subito lo vidi cominciare a parlottare con un gruppo di ragazzi lì vicino, lasciandomi sola  a pensare al fatto che, in effetti, era stato tutto perfetto, ma sarebbe stato ancora meglio se con noi ci fosse  stato anche Jin. Così presi il telefono, mandandogli una caterva di messaggi, dicendogli che era stato magnifico, che avrei voluto poter condividere quel momento con lui, tanto che mandai un selfie di felicità vera e alticcia a cui lui rispose con una foto sua, in pigiama, con un codino sulla testa e le labbra sporche di salsa di soia.

Sì, era decisamente il mio uomo.

«Tieni Michelangelo.»
Hoseok mi spiattellò una birra tra le mani, quasi facendomi rovesciare il contenuto sul telefono, che misi via in fretta e furia.
«Grazie Donnie. Allora: sei pronto alla grande avventura del ritorno? Ti ricordo che non abbiamo più una fantastica e arzilla guida pronta a non farci approdare in Corea del Nord.»
«Aspettiamo che la gente se ne vada, c'è ancora un sacco di folla, se ci perdiamo qui è la fine.»
«Alla  salute amico mio.»
Alzai il boccale di plastica, scontrandolo contro il suo, ma non feci in tempo a bere un sorso che vidi Hoseok venire arprionato da due mani che si piantarono sulle sue spalle.

«Aaaaaaaaah!»
Urlò lui.
Chi lo toccò urlò.
Urlai anche io, tanto che ci voltammo tutti e tre con aria un po' stralunata, fino a che mi resi conto di chi era appena apparso dietro di noi.
Qualcosa, dentro il mio cervello, fece cilecca per un secondo  perché rimasi completamente di sasso, sconvolta, vedendo la ragazza fluire via dalla schiena di Hoseok per piazzarsi davanti a noi,senza smettere di guardare entrambi.

«Hoseok, mi sembrava di averti riconosciuto. Scusatemi, mamma mia, vi ho spaventato?»
L'ultima domanda la rivolse a entrambi, ma io non dissi niente, feci solo un cennno col capo che voleva dire sì, no, forse, oddio.
«Oh ma da quanto! Che assurda coincidenza, come stai?»
«Benissimo! Sono qui con i miei amici ma mi sembrava di averti riconosciuto, è che con questi k-way siete ...come dire, vi si vede anche di notte.» E rise. 

Quella risata.
L'aveva fatta anche quel giorno, quando l'avevo vista entrare in casa di Jin, inchinarsi, salutarci, sparire nel corridoio, ritornare in sala per poi uscire.  La guardai in tutto e per tutto, finalmente, senza più il pregiudizio che mi aveva sconvolto all'inizio. Era molto carina, era più alta di me, sembrava anche più grande. Aveva gli occhi profondi e un sorriso sottile ma dolce. Aveva le fossette, come Namjoon e i capelli lisci e lunghi un po' arruffati sulla testa. La pelle arrossata di chi doveva aver saltato molto, durante il concerto, così come noi.

«Come state? Vi siete divertiti? Non è stato meraviglioso? Era da una vita che volevo vederli, per fortuna una mia amica ha trovato i biglietti appena in tempo.»
«Anche noi, stessa sorte.» Sorrisi io, imbarazzata.
Era strano sentirmi ancora  così, davanti a lei, nonostante il fatto che ora sapevo la verità. Continuavo a percepire del disagio, come se mi sentissi tremendamente in colpa per qualcosa che non riuscivo a catalogare nei miei pensieri, come quando fai una marachella innocente, che non potrà mai essere retribuita a te, ma comunque ti tormenta, come un sasso nella scarpa che non riesci proprio a levare.

«Seoyun, giusto? Io mi chiamo Jiyoung.»
Mi domandò d'improvviso lei, guardandomi con un sorriso. Notai solo in quel momento che stava bevendo anche lei, una birra, già finita per metà. 
«Ah sì, sì esatto. Scusami, non ci siamo nemmeno presentate. È davvero un piacere.»
«Oh ma non preoccuparti, è come se ti conoscessi, sai Jin ha parlato molto di te.»
Mi venne da sorridere mentre strizzavo gli occhi, colta dal solito imbarazzo. Non era insolito che Jin avesse parlato con lei, in fondo presumo che quella notte si fossero confidati. Lui forse riguardo me. Lei per colpa di quell'enorme bivio che si è costretti a superare quando non si è sicuri di diventare genitori oppure no. Non avevo più chiesto a Jin nulla, di quella faccenda, ritenendola troppo intima e confidenziale anche solo per essere usata come chiacchiericcio da salotto. Ma era davvero di buon umore, evidentemente la conseguenza del concerto aveva avuto lo stesso effetto placebo che aveva avuto su di noi. 

«Dovrei andare a cercare i miei amici, mi aspettano allo stand del merch, ma spero di beccarvi presto, è stato davvero bello vedervi. Hoseok ancora tanti auguri per il matrimonio, salutami Emily da parte mia, è davvero una bellissima ragazza.»
«Oh ma certo, lo farò. »
«Ciao, non perdertiii. Salutami Seok-joong.»

Le urlacchiai io di rimando, vedendola sparire tra la bolgia di gente con una faccia un po' confusa ma non mi preoccupai più di tanto.
Mi venne da sorridere, tanto che presi Hoseok sottobraccio davvero di buon umore, cominciando a trascinarlo in una zona un po' meno affollata, vicino a delle sedie che ormai erano state rovesciate dalla foga. 
«Non sapevo che la conoscessi anche tu, Jin non mi aveva mai parlato di lei prima della festa.»
«Sì, Jiyoung l'ho conosciuta ad una specie di seminario dell'università, era insieme a Jin. Di tanto in tanto siamo usciti a prendere da mangiare insieme, è una brava ragazza.»
Il primo colpo al petto mi fece quasi strozzare con la birra.
Inarcai un sopracciglio, andando a guardare Hoseok, distogliendomi dal suo braccio per guardarlo in faccia.

«Frequenta i corsi con Jin?»
«Sì sì, hanno partecipato ad un corso insieme per uno studio in quel museo, ti ricordi?»
Mi ricordavo il museo. Era stato poco prima che Hoseok partisse per Bristol e, ovviamente, ai tempi non avevo avuto nessuna scusa per approfondire meglio ciò che Jin stava vivendo all'infuori della vita che condivideva con noi. Forse era così che aveva conosciuto il fratello, in fondo era una cosa comune, il famoso e potente passaparola o, come mi divertivo a chiamarlo io, appuntamento a effetto sorpresa.

«Dev'essere così che ha conosciuto il fratello di Jin.» 
Dissi io, tramutando in parole quel mio stesso pensiero.
Non so perché lo feci, era stato un piccolissimo guizzo dentro il petto, come se quel sassolino fosse tornato a tormentarmi la punta dei piedi, senza possibilità di toglierlo. Intanto la folla si stava diramando, noi eravamo riusciti a rimanere indietro, di tanto in tanto dalla zona palco uscivano dei ragazzi che smontavano attrezzature, e chi era rimasto vicino alle transenne urlacchiava ogni  volta, facendoci girare.

«Mh? Ah sì, penso che l'abbia conosciuto. Non sono sicuro, però.»
Hoseok si mise a ridere, prima di farmi cenno verso l'uscita.
«Andiamo? O vuoi aspettare sperando di trovare il gruppo? Yoongi sarebbe contento di avere un autografo su quello ma ho paura che sarà una vera odissea. Al massimo ci scriviamo noi sopra qualcosa, fingendo sia stato il cantante. Io saprei essere molto credibile.»

Ma io non stavo più pensando all'autografo. 
Non stavo più pensando al gruppo.
Improvvisamente mi ritornò in mente, come un fulmine a ciel sereno.
Quel lampo si tramutò in una vera scossa che mi fece irrigidire i muscoli, creandomi un potente blocco dietro lo sterno.

Stava bevendo birra.
La presunta ragazza incinta del  fratello di Jin. 
Non aveva un filo di grasso.
Non era sufficiente per fare un'analisi della cosa ma, la risposta di Hoseok, mi fece frenare di nuovo.

«Ma ...lei non è la ragazza di suo fratello?»
Non so dove  trovai il coraggio per fare quella domanda. Mi resi conto che non avevo mai, mai parlato con nessuno di loro di questa ragazza, ai  tempi, come specie di cura personale per evitare di pensarci. Io sapevo queste cose solo perché dette dalla voce di Jin. Ma, per la prima volta dopo tempo, provai una strana sensazione per niente piacevole. Tutto  ciò che il concerto fece di buono si stava inevitabilmente sgretolando.  Hoseok non poteva sapere tutto, in fondo. Sicuramente era stata solo un'assurda coincidenza. Un fraintendimento.

«Suo fratello sta con la stessa ragazza da  almeno cinque anni, l'ho anche conosciuta un giorno. A meno che non si siano lasciati ultimamente allora, su questo purtroppo non sono molto aggiornato. Sicuramente ti  sei confusa.»

Improvvisamente sentii il mondo crollare, ributtandomi dentro il buco nero dentro la mia stanza mentale.
Non ero più riuscita a dire una parola, mi limitai ad annuire pianissimo, sentendo il cuore creparsi in mille pezzi.
Non era possibile, doveva esserci una spiegazione, non dovevo lasciarmi condizionare da un impetuoso sentimento che stava spingendo contro la mia testa in maniera così prepotente.  Ma non riuscii a scacciarlo, mi lasciai sopraffare e cominciai a vedere tutto nero.



Bugiardo.

Pensi davvero che io possa uscire con qualcun'altra in questo momento?

Bugiardo.

È la fidanzata di mio fratello.

Bugiardo.

Voleva solo un'opinione, abbiamo parlato tutta la notte. Non sa che fare.



Ero quasi sicura di aver assunto un'espressione da imminente cedimento muscolare, lo avvertii come una vibrazione pericolosa che partiva dalla pianta dei piedi fino a irradiarsi su, fino alla testa, come un potente e improvviso colpo di calore. Solo l'ansia riusciva a farmi quell'effetto così improvviso e strutturato, ma a quanto pare anche Kim Seokjin.

Ero rimasta imbambolata come una scema a fissare Hoseok senza emettere alcun suono, per fortuna mia il chiasso che c'era lì intorno aveva sopito ogni cosa, mentre io mi immersi in una bevuta di birra talmente veloce e improvvisa che mi scolai tutto il contenuto con una gollata unica. Ero conscia che sarei potuta morire per una cosa del genere, il mio fisico non era anatomicamente in grado di supportare un attacco liquido così improvviso, ma in quel momento non potevo avvalermi dei miei fidati cetriolini. Non ne avevo.

Mi ritrovai a guardare la calca con aria spaesata e perduta.
Non avrei dovuto reagire coì. Non così.
Non sarebbe dovuto succedere. In fondo, era davvero un problema? Non stavo facendo un dramma per niente?
Cosa sapevo? Niente di concreto, niente di certo, ma continuavo a pensare al fatto che mi avesse mentito. 
Non era incinta, ma quali spiegazioni potevano esserci? Forse l'aveva perso? Aveva abortito? Forse. Forse.
Non riuscivo a ragionare lucidamente, si insinuò dentro di me il grande e immenso tarlo che avevo così faticosamente annidato in un angolo del cervello: il dubbio. Il mio vecchio amico era tornato e io mi lasciai avvolgere da lui, deviata dal fatto che non ero abbastanza lucida per combatterlo. Mi ritrovai ad alzare la mano per aggrapparmi al k-way di Hoseok. 

«Hobi.»

Persino la mia voce mi sembrava diversa. Mi odiavo infinitamente per quello, avevo promesso che non l'avrei più fatto, che avrei messo da parte tutti le locuzioni mentali che mi avrebbe provocato qualsiasi problema, lo avrei affrontato prima di immergermi come fosse un terribile mostro a due teste da cui fuggire a gambe levate. 

«Seo, sei diventata bianca, stai bene?»

Lui alzò la mano per afferrare una mia spalla, come una trattenuta per evitarmi di afflosciarmi a terra in caso di caduta. Non seppi rispondere a quella domanda, mi limitai a scuotere il capo in maniera lenta e dolorosa. La sua faccia cambiò espressione radicalmente, tanto che mi maledii per non avere più comando nelle mie emozioni trasparenti. Prima sarei stata capace di fingere indifferenza e martoriarmi a casa, ora non riuscivo nemmeno più a nascondere la delusione. Minseong lo diceva sempre, in fondo: mai affogare nell'amore, la strada più facile per la sofferenza, per la delusione e per l'omicidio premeditato.

Mi mancava solo una fase, in quel momento.

«Forse non avrei dovuto bere a goccia la mia birra.»
«Oh mama!» Esclamò lui, già sfilando per mettermi un braccio intorno alle spalle e allontanarmi da un gruppo di gente che si era stanziata lì vicino a noi. «Vieni, cerchiamo di uscire. So che non me lo perdoneresti mai se svenissi in mezzo a così tanta gente.»

Avrei voluto sorridergli, ma non riuscivo. In quel momento ero davvero grata di non essere da sola, davanti a quel nuovo problema. Dovevo cercare di non buttarmici dentro con la testa o, sapevo, non ne sarei uscita facilmente. Non adesso che avevo così poco tempo per rimettere le cose a posto, non ora che finalmente mi ero ritrovata a percorrere la strada giusta. Ma le sentivo, le maledette infide ormai compagne di vita, che premevano sugli occhi per lasciarmi sfogare quell'improvviso  effetto sorpresa.

Non ce la feci a resistere.
Mi bloccai, in mezzo ad una marea di gente sconosciuta, obbligando Hoseok a fare lo stesso. 
Ma perché doveva sempre finire così? 
Che diavolo avevo che non andava?

«Seo ma che»

Tirai su una mano per andarmi a coprire gli occhi, cominciando a piangere in silenzio, senza singhiozzi, senza scenate. Solo sentivo le lacrime calde che solcavano il mio volto, bruciavano peggio di tutto il sole filtrato di quell'estate che si divertiva a rendermi la vita un  continuo colpo di scena. Hoseok non disse niente, lo sentii far scivolare le braccia intorno alle mie spalle per tirarmi verso il suo petto e stringermi in un abbraccio stretto. Lo stavo facendo preoccupare senza motivo. Io stessa stavo piangendo senza motivo. Ne avevo davvero basta, ma perché non potevo avere una vita quieta e lineare come quella di Yoko, la bottegaia della fioreria sotto casa mia, che diceva sempre: il segreto della felicità? Bere vino e vivere con almeno dieci gatti.

Ah Yoko, ma che ne saprò mai io della felicità?
Avrei dovuto scegliere te, e non Minseong, non Yoongi, come vero esempio da seguire.

«Andiamo a casa e ne parliamo se vuoi, d'accordo?»

Non ero molto d'accordo, in realtà, ma la persuasione di Hobi era innata e mi ritrovai ad annuire, contro la sua spalla, lasciandomi di nuovo andare.





 
nda: Ciao a tutti <3 a sto giro ho pubblicato più in fretta del solito, avevo il capitolo quasi pronto e sì sto cercando di arrivare alla fine senza impiegarci molto tempo. Oggi c'è un bel sole, purtroppo per me la quarantena non è finita, quindi me lo godo guardando la finestra. In questa giornata mi è tornata la voglia di andare ad un concerto, così qui ho descritto grossomodo uno che per me è stato veramente importante. Sono sicura di aver fatto un po' di ripetizioni, ma l'ho scritto così di getto che ormai è andata AH! Hoseok mi sembrava l'accompagnatore perfetto per tutto ciò <3 Spero il capitolo vi sia piaciuto, ormai ho l'ansia a pubblicare, non so neanche perché. Grazie come al solito a chi mi legge, sia in silenzio che non. Non ci credo che sono quasi arrivata alla fine, comunque. Di solito non riesco mai a continuare, quindi vorrei ringraziarvi ( sia le mie recensitrici di fiducia <3 ) che chi mi ha messo tra le seguite/preferite/ricordate mi ha dato davvero tantissimi tantissimi stimoli. So che non è perfetta, che ha mille clichè banali, ma essendo la mia prima storia in questo fandom un po' ci tengo e voi siete stati il mio carburante. Grazie davvero. E intanto scusatemi per questo dramma finale v_v Ah la canzone citata è "times like this" dei foo fighters,al loro concerto stavo per morire quando l'hanno fatta, ho dovuto quindi darle un posto d'onore XD

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Capitolo 24
*** Confermare o ribaltare la situazione ***






24 ~ Confermare o ribaltare la situazione



ㅇㅅㅇ



 
Riuscimmo a tornare a casa sani e salvi, dopo un paio d'ore. Colpa mia che gli chiesi, esplicitamente, di fermarci a mangiare qualcosa lungo il tragitto. Alla fine eravamo riusciti solo a nutrirci con dei tramezzini, inconsapevoli che una volta usciti dallo stadio avremmo avuto una fame becera e ingorda. Trovammo  un piccolo chiosco aperto, in una zona di Seul mai vista piena di  viottoli con tantissimi cavi elettrici che passavano sopra i tetti delle case; mi ricordava la scena di un film, ambientato in una periferia un po' trasandata, ma che si portava dietro l'atmosfera caotica della mia città. Avevo evitato accuratamente di parlare di quello che era accaduto, lui fu molto rispettoso in questo, tanto che passammo tutto il tempo a riguardare le foto del concerto e a ricordare i piccoli avvenimenti della giornata. Avremmo voluto incontrare di nuovo la signora gentile della mattina, ma era davvero impensabile ritrovarla. Quel giorno, in fondo, era flato tutto liscio, mica poteva farmi finire la giornata con un sorriso.

Eh no, sei matta Seoyun? 
Non è che puoi pretendere scusa.
Non hai imparato niente dagli astri? Dai gruppi sanguigni? Dalla sfiga?

In compenso fui contenta che Hoseok propose di dormire da me, non approfondii molto il motivo per cui mi propose quell'offerta che non potevo assolutamente rifiutare, ma non ci voleva un genio a immaginarlo. Gli ero scoppiata a piangere davanti, a vista sua senza nessun apparente motivo, quindi ero conscia che si fosse preoccupato. Non aveva nominato Jin, in tutto ciò, ed ero quasi sicura che avesse capito in qualche modo che il problema era scaturito da questo. In questo era molto simile a Jin. Sapeva del mio enorme disagio nel parlare senza filtri, a impulso, senza calibrare i pensieri e quindi rispettava il mio tempo d'attesa. Non duravo due minuti, come le pause al cinema, ma poi davo enormi soddisfazioni. Più o meno.  L'unica volta che non lo avevo fatto gli avevo riversato contro di tutto; probabilmente aveva imparato la lezione, mai forzare troppo la mano. 

In casa trovammo solamente un Jungkook selvatico, si era addormentato sul tappeto come un buddha, con addosso Monie che gli faceva da coperta di pelo. Yoongi aveva lasciato un biglietto sul frigo dicendo che avrebbe fatto tardi, per via del lavoro. Per Namjoon avevo due opzioni, o era chiuso in camera come un vampiro che attendeva la luna piena, oppure non era ancora rientrato. Ultimamente viveva quella vita da esploratore notturno quindi non me ne preoccupai. 

In compenso avevo smesso di rispondere a Jin. Non era una cosa molto matura, me ne rendevo conto, ma non riuscivo a leggere il suo nome senza sentire un grosso peso sullo stomaco. Mi ritrovai una decina di chiamate senza risposta e una valanga di messaggi simil-preoccupati. Mi ero stesa sul letto, probabilmente come avrebbe fatto Namjoon-vampiro, con lo sguardo rivolto al soffitto e l'aria di una persona che aspetta di essere chiamata per la sedia elettrica. Non mi stavo comportando da persona matura, ma non volevo nemmeno esserlo, in quel frangente. Avevo dato il via alle mie preoccupazioni dandogli il potere di cullarmi, con una lenta e tediosa nenia dentro la mia testa. Facevo sempre così, in fondo: un problema? Ma perché risolverlo quando puoi odiare direttamente il facitore di tale siffatta cosa? 

Al diavolo Seo. 

Hoseok si era seduto a terra, con la schiena contro il materasso del letto. Era riuscito a chiamare Emily con qualche maledizione per il fuso orario, non ero sicura di che ore fossero in Inghilterra, da noi era da poco passata la mezzanotte ma la città era ancora viva, sotto di noi, nonostante l'atmosfera schiacciante che percepivo, con solo la mia lampada a ufo accesa e il suono che le macchine provocavano sfrecciando verso chissà quale nuova avventura notturna, chi era appena uscito, chi stava rientrando, chi sognava, chi rideva, chi piangeva ...

Da una grande amante della Seul notturna, quel senso di impotenza e solitudine mi stava abbastanza stretto, avrei voluto boicottarlo. Giocherellando col cellulare avevo scritto, infine, solo a Yurim, che mi aveva tampinato di messaggi. Sapevo che non era particolarmente sicura di quella giornata passata con Hoseok e dopo che lui aveva pubblicato sul gruppo in comune la nostra foto da concerto vestiti in sintonia aveva scatenato, in lei, quell'animo da crocerossina pronta a salvarmi in caso di collasso o ritorno alle origini.

Non avevo voluto dirle niente di Jin, non ero ancora del tutto sicura che la mia relazione con lui le andasse a genio sul serio, non aveva ancora fatto commenti importanti a riguardo, ma avevo deciso che, finché non avessi trovato il problema insormontabile e di difficoltà elevata da poter essere gestita solo da me medesima, avrei evitato di  metterla in mezzo.  Aveva ancora troppo a cui pensare e io non volevo più essere un altro tassello fastidioso che incombeva con problemi stupidi e sciocchi davanti a quelli che aveva dovuto affrontare lei.

"Mi raccomando, dormi bene, domani ti chiamo. Per qualsiasi cosa scrivimi, io sono sempre qui."

Questo mi aveva scritto lei, come ultimo messaggio, dopo averle detto che la giornata era stata divertente e senza particolari problemi. Che avesse colto, con il suo sesto senso illuminato, che qualcosa non andasse non lo seppi dire ma quel messaggio mi fece rilassare di più. Tanto quanto sbirciare la testa di Hoseok, da quell'angolazione, immerso a scrivere a qualcuno. Forse a Emily. O a Jimin, chissà. 

Quante volte da bambini c'eravamo ritrovati così, nella stessa stanza, a pensare alle nostre cose senza sentire il bisogno di conversare obbligatoriamente. Mi aveva sempre messo a mio agio, questa cosa, anche se nell'ultimo periodo era scemata parecchio, fino a sparire del tutto. Finché il mio cuore era in subbuglio per lui, dopo Emily, sarebbe stata impensabile una cosa del genere. Ma ero felice che stavamo condividendo di nuovo questo momento,  mi fece sentire in grado di poterlo far entrare dentro la mia bolla come una volta.

Mi era davvero mancato.

«Mi era mancato tutto questo.»
Lo dissi anche ad alta voce, a quanto pare un po' stavo imparando ad aprirmi di più con lui, andando contro tutti i fucili puntati al mio cervello per evitare tale uscita. Ma quando lui si voltò con un sorriso a mille denti, mi sentii più sollevata.

Giù le armi, posso comunicare.

«Anche a me.» 
Disse lui, ritornando a guardare davanti a sè. Posò il telefono a terra, stiracchiando in avanti gambe e braccia con un verso da stretching. Quel ragazzo aveva un suono per ogni movimento corporale. 
«Avevo paura che, sai, dopo tutto quello che è successo non saremmo più riusciti a essere ...così

La frase mi sorprese ma cercai di non farlo vedere.
Mi venne da sorridere in maniera triste, tanto che tornai a guardare il soffitto.

«Siamo diventati adulti, penso sia normale che le cose cambino, ad un certo punto.»
«Sì, ma alle volte non vorresti cambiassero. So che, prima o poi, arriverà il momento in cui vederci sarà talmente difficile che diventerà la normalità ma, in giornate come queste, penso che invece non succederà. Mi sembra che potremmo vivere così per sempre.»

Quanto vorrei crederci, quanto.

«Hobi posso chiederti una cosa?»
Si voltò verso di me, girando col busto ma rimanendo a terra.
Trovai di nuovo il suo sguardo scuro, decisamente attento.
«Certo, puoi chiedermi ciò che vuoi.»
«Perché hai scelto me come testimone di nozze? Insomma, a prescindere che sono una ragazza ma perché non hai pensato a tua sorella?»

«Lei sarà la madrina di mio figlio.»
Lui mi fece un sorriso che valeva più di ogni risposta e, veloce,  andai a guardarlo, tirandomi su col busto per mettermi a sedere sul letto. 

«Oh.»
«E poi sai perché ho scelto te.  Te l'ho già detto, sei come una sorella per me. Per tutta la vita ho pensato che non avrei mai potuto trovare qualcuna come te e ...sono sicuro che nemmeno con Emily riuscirò davvero a raggiungere lo stesso livello. So che sembra orribile detto così, devo stare attento durante il discorso che farò alla cena del matrimonio.»
Si mise a ridere, nervosamente, passandosi una mano tra i capelli mossi.

Che effetto avrebbe fatto una frase del genere, pronunciata tre mesi fa?
Mi avrebbe davvero fatto mettere in gioco per potermelo prendere e convincerlo che ero io l'unica e sola vera anima gemella? 
Nonostante tutto, quel pensiero mi fece più male del previsto perché avevo in testa solo la sua stupida faccia, lo stupido pensiero che avrei potuto fargli male decidendo di provarci con Hoseok. E la cosa era peggio di qualsiasi sofferenza avessi mai provato io. 

«Non è carino dirlo, sai? Emily potrebbe offendersi per una frase così e sei fortunato che non è coreana o ti avrebbe già decapitato.»
«Non lo dirò a Emily, lo dico a te. E poi ho comunque scelto lei, quindi in un certo senso ha vinto.»

«Vinto?»

Lui si bloccò, diventando rosso d'improvviso.
«Ecco, non che ci fosse nessuna scelta, io volevo solo, insomma non riesco a spiegarmi bene, ho bevuto troppo.»

Scivolai giù dal letto, raggiungendo il pavimento così da sedermi di fronte a lui come un vero sbirro in vena di pungolare il mio presunto sospettato. Lui si piantò le mani in faccia, con rumore annesso, tanto che mi fece ridere di gusto. 
Gli pinzai un braccio giusto per liberargli la visuale, di nuovo.

«Sai quel giorno, sul ponte, quando hai avuto la tua crisi che ti ha portato a dire a tutti che, forse, non ti saresti più sposato? Ci ho pensato molto a quello che hai detto. Non ti ho mai chiesto come ti senti a riguardo, cosa ti fa paura, perché continui a rimandare la conversazione con lei riguardo questo?»
«Io ...non lo so, forse ho paura che»

Abbozzai un sorriso, il grande maestro Yoongi spodestatore di guru aveva fatto un ottimo lavoro con la sua allieva, ero quasi sicura di sapere il motivo di tutto quel blocco, e non aveva niente a che fare con i suoi sentimenti. Su quello, ero sicura, che non c'erano dubbi, come avevo potuto constatare quel giorno. Era qualcosa che stavo provando io, dal momento stesso in cui avevo deciso di lasciar passare Jin e donargli una grande parte di me.

«Hai paura che lei ti lasci.»

Lui non mi rispose, si limitò a guardare verso la finestra, con una faccia strana.
Forse si sentiva in colpa, per qualcosa, così avvalorai la mia tesi sperando di cogliere i punti essenziali.

«Ti conosco abbastanza bene da sapere che tu sei il primo motivatore delle folle ma sei veramente un disastro quando devi prendere una decisione. Ti ricordo che invitarti a mangiare fuori è sempre un tormento, con te.»
Lui si mise a ridere, nervoso, tornando a fissarmi.
«Io penso che lei ti ami sul serio, posso dirti al livello che ...addirittura ti sposerebbe, pensa te.»
«Sì ma ci sono tante cose diverse tra di noi, per me non sono un problema ma lo vedo quanto sta male davanti a queste piccole cose. Forse sembrano sciocchezze dall'esterno ma ti giuro, non lo sono. Non riusciamo a far conoscere i nostri genitori per via della lingua, anche se ci abbiamo provato con delle chiamate. I miei genitori vorrebbero un matrimonio tradizionale e i suoi lo vorrebbero in stile cattolico, abbiamo pensato di compierli entrambi ma non abbiamo abbastanza soldi e questo ha due soluzioni: o ne scegliamo uno, o posticipiamo tutto.»

Finalmente tirò fuori tutto, tutto quello che non gli avevo mai chiesto, quando ero ancora troppo accecata da un amore che sembrava essere nullo e frivolo davanti a tutto quello. Lui stava cercando di creare realmente un futuro con Emily, scavalcando tutti i problemi che derivavano da un matrimonio del genere. Per noi poteva sembrare facile, vederlo dall'esterno, ma non ero mai arrivata a pensare a tutte le complicazioni che erano costretti a vivere ogni giorno. Con i genitori, la lingua, il visto e il trasloco e il matrimonio. Aveva avuto un coraggio da leone ad affrontare tutto questo e mai, nemmeno una volta, ci aveva tediato con quello che stava passando. Almeno, non lo aveva mai fatto con me.

Ma quanto era diventato grande, il mio piccolo Hobi? Era realmente cresciuto. Nonostante avessimo intrapreso una strada comune, ero io quella che si era fermata, ad un certo punto del percorso. Lui aveva continuato a proseguire ed era diventato adulto, scontrandosi coi reali problemi che una cosa del genere comportava. Quanto avrei voluto imparare qualcosa da tutto quello.

«Il fatto che i soldi che guadagnerò dovrò dividerli anche con i miei genitori, forse un giorno dovremo ospitarli in casa e non sono sicuro che i suoi genitori accetteranno l'idea di farla vivere qui. I miei sono disposti anche a cambiare continente, ma lo farebbero solo per vedermi felice e io non ho il cuore di separarli da tutto quello che hanno creato qui. E ho paura che se le dicessi tutto questo, se srotolo questo foglio pieno di problemi, lei decida che non ne valga per niente la pena. E non voglio perderla,  se solo ci penso mi sento morire dentro.»

«Hoseok ora dovrai fare una grandissima cosa, una cosa folle, la più difficile della tua vita, anzi che dico, della vita di chiunque, proprio un atto di coraggio che Indiana Jones spostati proprio, cosa saranno mai cene a base di serpenti, pipistrelli giganti e arche dell'alleanza?»

Mi guardava con  aria un po' intimorita, forse avevo esagerato con quell'approccio.
Hoseok non era molto famoso per essere un intrepido archeologico pronto a  saltare giù da un elicottero.
O magari sì? L'amore ti cambia, in fondo. 

«Fidati di lei

Rimase in silenzio a lungo, formando con le labbra un'espressione che, sapevo bene, voleva significare che era un po' deluso dalla mia risposta. Mi faceva sempre ridere ma evitai accuratamente di farlo.

«Insomma, non penso sia una stupida. Quando ha scelto di stare con te, di amarti e addirittura di decidere che eri l'uomo giusto per passare insieme l'eternità terrena e spirituale era consapevole a cosa sarebbe andata incontro. Fidati di quello che prova per te, fidati di quei meravigliosi ed enormi occhi blu e di quel sorriso solare quanto Jin davanti ad un buffet infinito di cibo e dille tutto questo. Forse anche lei ha le stesse paure ed evita di parlartene perché, se è davvero la tua anima gemella, è sicuramente paranoica mentalmente come te.»

Lo vidi sorridere con più sicurezza, abbassando lo sguardo. Ma non mi rispose, così idorai la pillola, cercando di alleggerire quel momento.

«Accidenti, la madrina di tuo figlio, stai pensando già di diventare papà? Ma me lo dici così? Devo fare soldi per essere la zia figa e ricca da cui scapperà quando vorrà bere alcolici e andare a feste clandestine!» Pigolai io, infine, cercando di smorzare quel momento.

«Ricordami di non farti mai fare da baby sitter ad una mia eventuale prole. Tu pensi che io non lo sappia, ma so cos'hai fatto. L'inverno scorso.»
«Non so di cosa parli.»
«Gang di bulli
«Percival Jungion Hoseokobaldo!» Pronuncia io, inglesizzando molto male il suo nome.
«Ma che nome è?»

La cosa ci fece ridere, tanto che per un attimo lasciai scivolare di dosso tutta l'inquietudine di quella serata. Ma quando il telefono squillò d'improvviso ci fece quasi sobbalzare, non ricordavo di aver rimesso la suoneria ma, evidentemente prima, giocandoci avevo pigiato tasti sconosciuti. Presi il cellulare in fretta, quel suono faceva un gran baccano, ancora in fase di ridarola compulsiva del tutto ingiustificata, aprendo la chiamata.
Grave. Gravissimo errore.

«Pront»
«Ma si può sapere dove diavolo eri finita Seo? Ti sto provando a chiamare da almeno tre ore, mi sono talmente panicato che ho cominciato a guardare i telegiornali notturni per sapere se era il caso di uscire per venire a cercarti in qualche vicolo disperso, ormai sgozzata e morta! Non farlo mai più, continuavi a leggere i messaggi senza rispondermi, ma che cavolo ti dice la testa?»

Non c'era nemmeno bisogno di mettere il vivavoce, la voce di Jin era abbastanza forte da oltrepassare il timpano e perforarlo.
Hoseok si bloccò di colpo, guardandomi con aria grave e un po' impaurita.

«...scusami ero stanca, siamo tornati a casa e stavamo per addormentarci.»
Una scusa più ignobile non poteva uscirmi ma non ero mentalmente pronta per affrontarlo in quel momento. Un problema alla volta, non riuscivo a essere così multistalking, i miei problemi potevo risolverli domani in fondo.
«Stavamo?»
«Sì, sono con Hoseok, rimane a dormire da me.»

Silenzio tombale dall'altra parte del telefono. 
Non volevo farlo, mi ero concentrata assai per evitare di scendere così in basso e usare lo stuzzicamento, conosciuta  come vendetta innocua, per provocargli lo stesso tipo di dolore che lui aveva provocato in me inconsapevole. Non era per niente onesto, per niente leale, per niente da me, ma non riuscii a frenare la lingua abbastanza in fretta e ormai il danno era fatto.
«L'importante è che sei tornata a casa sana e salva.»

La sua voce era seria,talmente tanto da essere irriconoscibile. Hoseok aveva assunto una faccia del tutto incomprensibile, lo stavo mettendo in mezzo come una vera traditrice, accidenti. La fitta al cuore tornò prepotente, facendomi sentire una stupida. Stavo di nuovo cadendo nella mia stessa trappola; forse Jin mi aveva mentito, ma che diritto avevo di provocargli del dolore? 

«Sì, sana e salva.»
Mi stavo odiando  da sola e non riuscivo a trovare uno sbocco.
«Bene, buona notte.»

Mise giù la chiamata senza nemmeno aspettare la mia risposta. 
Hoseok aveva ancora le labbra a cuore mentre mi fissava con aria gravosa e, un po', da giudice di talent-show, pigiando le dita sotto al mento mentre lo sporgeva appena in avanti: disappunto Seo, quello è disappunto, ricordatelo per la prossima volta che hai queste idee geniali.

«Ora mi spieghi. Ho fatto finta di niente perché ti conosco, quando sei pronta a parlare so che lo farai da sola ma ...probabilmente Jin mi sta odiando per ragioni che non comprendo quindi avanti, sputa il rospo. Pensavo che l'avessi avvertito che ero qui.»

«Mi ha mentito.»
«Mentito su cosa?»
«Su una cosa che ha dato il via ad una separazione forzata e che, smentita, ha dato il via alla nostra relazione.»
«Non ti sto capendo perfettamente, lo devo ammettere.»

Feci un sospiro, tirando indietro la testa, e chiudendo gli occhi.

«La ragazza che abbiamo incontrato oggi, durante la tua festa è stata tutto il tempo con Jin. In quel periodo ero confusa su di lui, ero ...insomma diciamo che non ha aiutato la mia testa a fare nessun passo nella sua direzione. Avevo scoperto avessero passato la notte insieme. Mi sono allontanata da lui per questo perché speravo davvero che, almeno per una volta, nessuno cercasse di rimpiazzarmi con qualcun'altra, che fossi una scelta e la cosa ha, diciamo, influito un pochettino.»
«Hai passato tutto Luglio più depressa di Yoongi, in effetti avrei dovuto intuirlo.»
«Mi ha detto che era la fidanzata di suo fratello, che non era nessuno, che non dovevo preoccuparmi di lei.»

Non continuai, Hoseok sembrava aver capito, lo intuii grazie al fatto che disse prorprio "ah sì ho capito", ma diciamo che fui brava a leggerglielo anche nell'espressione del volto.

«E ora lo stai evitando sperando che lui legga nel pensiero questo tuo problema perché, ovviamente, tu non hai nessuna intenzione di parlargli fino a che non scoprirai la verità su questa storia, ho ragione?»
Mi ammutolii.
Aveva ragione, era proprio la mia infallibile tattica, ma mi sarei sentita un po' scema a confermarglielo visto il tono canzonatorio con cui la buttò giù.

«Sai, pensavo che non sarebbe mai stato capace di dirmi una bugia. Ora mi chiedo se mi sono intromessa anche in questa cosa, se ho fatto dei danni inconsapevoli, se ero la prima scelta, la seconda,  la terza»
«Tu sei addirittura peggio di me in questo, lo sai sì?»
«Hoseok ti ricordo che tu  vuoi boicottare un matrimonio, io sono meno drammatica.»
«La fai una cosa  coraggiosa anche tu che Alan Grant spostati proprio, che vuoi che siano velociraptor che imparano ad aprire le porte?»

Touchè, caro Hobi.

«Cosa?»
«Affrontalo. Tu fai sempre  così, pensi di perdere in partenza e nemmeno giochi la partita, sono sicuro che hai mandato all'aria almeno settantamila occasioni nella tua vita per colpa di questa cosa. Forse, se ti fossi immersa in qualcosa, ora saresti un'astronauta su una navicella spaziale diretta sul Pianeta Oblak-501 per scoprire le prime forme di vita aliena nell'Universo e invece»

«e invece non incontrerò mai un extraterrestre per colpa del fatto che ancora oggi, alle volte, per non far soffrire mia mamma è da venticinque anni che le dico che mi piacciono le barbabietole quando è palesemente una bugia?»
«Ecco sì, all'incirca.»

«E se poi scopro...che mi ha tradito
«Allora affronterai anche quello. Guarda Tae e Yurim, stanno passando un periodo orribile, ma l'amore è più forte di qualsiasi stupido errore e, se si è maturi abbastanza, si arriva ad una soluzione insieme.»
«Ma dov'è questa sicurezza quando si tratta di te, eh?»

Lui si mise a ridere, afflosciandosi sul tappeto, con lo sguardo più chiuso che aperto.
Ero quasi sicura che si stesse per addormentare, con le mani sul grembo e il respiro calmo. 
Era sempre stata una persona saggia ma, in quel frangente, mi sentii leggermente più sicura per aver deciso di rivelare a lui per primo un tormento che mi aveva rovinato un mese di vita. Forse se fossi stata abbastanza forte da affrontarlo prima, avrei evitato molte stupide scelte, forse avrei scoperto prima che i miei sentimenti avevano preso una piega diversa già da tempo. 

«Tu lo ami, Seo?»

La famosa domanda da mille dollari.
Se me lo avessero chiesto di Hoseok, in passato, avrei risposto al cento per cento sì, senza esitazione, senza un minimo di sospiro, niente. Avrei detto sì e basta, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo. Ma non avevo mai messo in conto quanto, in effetti, l'amore reale è davvero difficoltoso da catalogare. È
 complesso. È pieno di esitazioni. È pieno di paure. Specie quando scopri che non è per niente facile, e ti viene da chiedere perdono a Yurim per tutte le sclerate serali su quanto fosse complicato tenere a galla un rapporto. 

Parlavo ma non sapevo.
Non sapevo proprio niente, anche se pensavo di sì.
L'amore a senso unico è un amore platonico senza tutti i problemi che derivano da una relazione che si muove su entrambe le vie.
A volte ne sentivo la mancanza, certi dolori facevano sicuramente meno male.
Il male minore, accidenti.

Avevo voglia  di scrivere a Jin, dirgli che avrei voluto parlargli, che c'era qualcosa che mi stava davvero uccidendo la testa e che, se l'avessi lasciata nidificare le sue infide radici, avrebbe fatto più danni. Ma non lo feci, mi limitai a starmene nel mio buio personale, sperando che evaporasse da solo. 
Dubbio signori e signore, maledetto dubbio.

Non risposi a Hoseok, feci solo un verso incomprensibile, sperando che lui lasciasse cadere la domanda e si abbandonasse al sonno. Certe cose non ero ancora pronte a dirle ad alta voce, decisamente non ero ancora così sicura di provarle sul serio, così mi limitai ad accovacciarmi e pigiare la faccia sulle ginocchia, sospirando pesantemente.

«Seo?»
Hoseok era fuoriuscito come un lampo dalla sua fase rem, o forse semplicemente non era mai subentrato nella fase notturna che prevedeva sonno, riposo e ristoro. Era plausibile dopo solo cinque minuti.

«Sì, dimmi.»
«Ma Jin è geloso di me?»

Per poco non mi schizzò fuori il cuore dal petto.
Potevo fingermi morta, in fin dei conti, ma sapevo che non sarebbe servito a niente. Quindi provai con delle teniche linguistiche rubate a Namjoon, risucchiando una parte del suo quoziente intellettivo a distanza, a ribaltare la situazione per indurlo a pensare che Jin non era un essere geloso quanto più un essere potenzialmente apprensivo nella fattispecie che l'altra controparte, ovvero io, fossi in situazioni più o meno assimilabili all'ambiguità pirotecnica in cui due figure composte di carbonio potessero centrifugare così in una sorta di malfomarzione relazionale avanzata, e continuai con quella filippica senza senso, notando che Hoseok si era tirato su giusto per osservarmi, con un'aria un po' gravosa e seria. O confusa.

«Seo.» 
Pure l'ammonimento amalgamato solo a una sillaba del mio  nome, la cosa poteva diventare grave, dovevo riprendere il controllo.
«No, insomma, perchè - perché dovrebbe essere geloso di te? È ridicolo.»

Non ero credibile, lo percepivo dall'intonazione della voce, ma ancora di più dall'espressione del suo volto. Aveva ancora un po' i capelli scuri stravolti dal concerto, le occhiaie per il sonno e il viso un po' troppo allungato per i miei gusti. Mi stavo imbarcando in una conversazione che non doveva assolutamente fuoriuscire dalla mia bocca, non ora, non in quel frangente e non così.

«Di cosa stavi parlando prima? Non mi è sfuggita quella frase, sai, che non vuoi essere di nuovo rimpiazzata con qualcun'altra.»
«Ho detto così? Sicuramente sono un po' confusa, intendevo che non voglio essere, come dire-»
«Perché ho come la sensazione che stai cercando di farmi naso di velluto?»

Quel gioco non era più divertente, in effetti, tanto che mi ritrovai a trovare una presunta ispirazione, fuori dalla finestra, sperando che la notte mi portasse consiglio. Ma quella notte era buia, era fredda, mi lasciava solo amaro dentro la bocca e nessun tipo di carezza. Così chiusi gli occhi e ritrovai un po' di respiro. In quel minuscolo silenzio potevo sentire addirittura quello di Hoseok, un po' troppo rumoroso, forse per via dell'attesa in cui l'avevo obbligato.

«Non - ecco io, non avevo preso benissimo tutto quello che è accaduto.»
«Cosa intendi?»

Stavo quasi sperando che Jin mi richiamasse. Sarebbe stato più semplice litigare con lui, piuttosto che cominciare davvero quell'argomento, tanto che presi un respiro profondo prima di continuare.

«Intendo che sai, fra me e te, ci stavamo un po' allontanando, ti sentivo ...diverso in un qualche modo, ma ovviamente io»
«Pensi che Emily ti abbia rimpiazzato?»
«No.» Risposi quasi di getto, allungandomi con il busto per affrontarlo più da vicino. Lui aveva tolto quell'aria seriosa, stava cominciando a diventare confuso e, sì, addirittura  potevo percepire un certo timore. Sembrava avesse paura di dove volessi andare a parare e io con lui. 

«No, ovvio non penso che lei mi abbia rimpiazzato. Ma prima, ecco, non ho preso benissimo questa notizia. Mi sembrava stupido parlartene, perché insomma lei è la tua futura moglie e non volevo metterti in difficoltà.»
«Perché non me lo hai detto? Noi abbiamo sempre parlato di tutto, sempre, l'avremmo risolta. Ti ricordo che alla festa sei stata piuttosto irruente, quasi mi sono spaventato, cosa vuoi che sia un altro discorso con te.»

«Non potevo dirtelo Hobi, davvero non potevo.»
«Ma  perchè? So che ci sei rimasta male che non ti ho avvisato subito della cosa, ma ti ho già spiegato i miei motivi.»
«Hoseok davvero, non è così semplice, il fatto è che mi fisso troppo sulle cose e sono arrivata ad allontanarmi io stessa. Non so se te ne sei accorto ma-»

Lui si affacciò verso di me, districò le gambe che erano rimaste incrociate fino a quel momento, solo per piantarmi una mano sulla caviglia. Quel gesto mi fece bloccare di colpo, tanto che deglutii a fatica non riuscendo a continuare. Passai in rassegna con lo sguardo la sua mano, fino a risalire sul suo volto e pregare che avrebbe fatto finire quella conversazione nell'immediato.

«Non me ne sono accorto? Mi scrivevi ogni giorno, prima. Mi chiamavi, mi  mandavi foto, mi facevi sentire presente in ogni cosa che ti capitava ma dopo che sono tornato con Emily è svanito tutto. Avevo paura ti sentissi a disagio nell'essere la Seo di sempre davanti a lei,  forse per rispetto. E  ho provato a rispettarlo, senza infierire. Quando lei è ritornata a Bristol, invece, sembra quasi essere tornato tutto come prima. Pensi che non me ne sia accorto sul serio?»

«Cosa avrei dovuto fare, Hobi? Non posso più piombare a casa tua nel cuore della notte come se niente fosse. Non posso più chiederti di andare a mangiare fuori, come se niente fosse. Sei fidanzato, stai per sposarti, era normale che le cose non sarebbero tornare come prima.»

Provai a fermarmi, ma non ci riuscii. 
Era l'unica cosa rimasta segreta, fra me e lui, in quel frangente e ora stava venendo fuori nel momento più sbagliato del mondo. Cosa potevo fare per fermare quella bomba? Non sapevo disinnescare nemmeno una sveglia a muro, figuriamoci un ordigno di quella portata.

«Sarebbe stato diverso ugualmente, anche se fossi tornato senza Emily. Penso che Jin abbia scavalcato di buon grado il muro e si sia avvicinato a te nel momento in cui ne avevi più bisogno.»
«Cosa vorresti dire? Che ti avrei evitato per colpa di Jin?»
«Sì Seo, certo. Lui ti piace da un sacco di tempo, vedevo la vostra chimica ogni volta che uscivamo insieme, sembrava che vi conosceste da una vita.»
«Hobi te non hai proprio idea di cosa stai dicendo.»

Mi chiusi in quel giudizio, sperando di mettere fino a quella discussione.
Non avevo proprio più voglia di proseguire. Se stava per caso dicendo che era geloso di Jin avrei davvero finito per ritrovarmi di nuovo senza filtri, come all'arcade, incapace di fermarmi.

«Sei tu  che hai rimpiazzato me, non il contrario.»
«Che cosa?»
Sgranai gli occhi, cercandolo con lo sguardo. 
Sembrava estremamente serio, tanto che abbassò lo sguardo, andando a tormentarsi i calzini con le dita. 

«Non sto dicendo che sono geloso di Jin, sto dicendo che tu non hai fatto nulla per impedire che il nostro rapporto cambiasse. Io forse non ti avrò detto niente di Emily, ma nemmeno tu mi hai detto niente di lui. Torno e scopro che la  mia migliore amica ha trovato il mio sostituto perfetto. Per carità, sono davvero felice che sia lui e non uno spostato qualsiasi, ma non sei stata sincera nemmeno tu con me.»

E la bomba esplose.

«No, tu stai insinuando delle cose strane Hoseok. Prima di tutto: Jin non è il rimpiazzo di nessuno, nè tuo, nè di nessu'altro. Jin mi è stato vicino in un momento in cui pensavo che sarei impazzita e ha continuato a farlo, nonostante sapesse cosa avrebbe dovuto sopportare. Jin è Jin, è l'unico che riusciva a farmi ridere quando vedevo tutto senza una ragione, e poi non ho fatto nulla, certo, cosa ti aspettavi? Quando il ragazzo che ami da una vita arriva e ti dice che si sta per sposare, cosa pretendi eh? Che avrei fatto i salti mortali? Che sarei stata pronta a fare la liceale del momento e mandarti messaggi minatori piantati contro il tuo armadietto?»

Lo vidi bloccarsi, sbiancando come un cencio. Non mi ero ancora reso conto del grandissimo danno che avevo fatto, ero solamente riuscita a finire la frase con quell'intonazione da persona che non ammette repliche, che sa di aver ragione, fino a che non ripensai in una frazione di secondo a cosa avevo appena tirato fuori. 

Tutti i miei anni di segreti spiattellati senza senso a Hoseok. 
Hoseok che mi stava guardando con un'aria sconvolta, tanto che ancora non aveva aperto bocca, ma aveva tirato via la mano dalla mia caviglia, neanche avesse toccato qualcosa di molto ustionante.

«...cosa?»
«Cosa?»
Ripetei, senza  un filo di voce.

Lui lo vidi guardarsi intorno, stralunato. Sperai che l'alcol che aveva in corpo cominciasse a fare il suo dovere, quindi a costringerlo a dormire di colpo, oppure che gli venisse un attacco di nausea imminente. Con Jk funzionava sempre, perché lui era così stomaticamente forte? Le birre inglesi dovevano averlo temprato.

«Tu ...tu mi amavi?»
«Io ...»

Nessun miracolo? 
Non so, un asteroide? Zeus un'altra litigata con Era? No? 
Avrei capito,  non avrei giudicato nessuno.

«Hoseok senti non è il caso, è successo un sacco di tempo»
«Tu mi amavi, Seo

Lo vidi avvicinarsi a me lesto, tanto che non riuscii a frenarlo in nessun modo. Mi prese il volto tra le mani, esattamente come avevo fatto io, quella giornata al ponte, guardandomi con occhi penetranti che, in quel momento, capii di non riuscire a reggere. Mai del tutto, purtroppo, tanto che provai a divincolarmi ma lui pressò i palmi contro la mia faccia lasciandomi immobile, fisso su di lui.

«Hoseok ti prego...»
«Quel giorno, quel giorno mi hai detto che non avevi mai provato nulla per me.»
«Ti ho mentito Hobi, ok? Ovvio che ti ho mentito. Stai per sposarti, secondo te potevo dirti di lasciarla e venire da me? E poi ero confusa, non avrei mai potuto farlo. E quella tua crisi è stata così improvvisa che non ero pronta. Non voglio rovinare la tua vita, non volevo farlo.»

Lo vidi annuire lentissimo, mentre corrugava la fronte.
Non avevo idea a cosa stesse pensando, ma sperai in cuor mio di non aver fatto l'ennesimo danno con lui, di non aver di nuovo innalzato il muro o, peggio, di averlo messo davanti ad un altro problema sul quale si sarebbe scontrato, senza trovare la sua pace. 

«Da quanto tempo provi...»
«Da quando mi hai detto che preferivi il Power Ranger verde.»
«Ma avevamo sei anni.»
«Lo so... lo so, ma non riesco nemmeno a ricordare da quanto tu...»

Finalmente mi lasciò il volto, ritornando ad adombrarsi nel suo spazio vitale. Aveva chinato le spalle e lo sguardo non trovava un soggetto sul quale rimanere assorto, cominciò a muovere le pupille velocemente, quasi fosse incapace di fermare i pensieri.

«Non me lo hai mai detto, io pensavo che tu non provassi niente.»
«Lo so, ma nemmeno tu lo hai mai detto. O almeno, qualsiasi cosa fosse quello che provavi tu per me.»
Alzò lo sguardo verso di me, fissandomi con un senso di colpa più sentito.
Ci sono certi amori che non hanno il potere di sbocciare in nessun modo, nemmeno se percorrono la stessa strada. A quanto pare non eravamo destinati a nulla, nonostante tutte le prove che, insieme, potevamo davvero stare bene.  Ma non abbastanza, evidentemente.

«Poteva essere diverso ora, lo sai?»
Sussurrò lui, come se quel segreto avesse aperto i padiglioni auricolari di tutto il quartiere, tanto che incassò il collo dentro le spalle.
«Forse. Ma non è andata così. Tu hai Emily e io ...»

E io forse non avevo più niente.

«Forse ho sbagliato a chiedere a te.»
Mormorò subito dopo, tanto che mi voltai di scatto per guardarlo.
Provai un forte batticuore, tanto che dovetti tastarmi il petto, forse pensando inconsciamente di contenerlo. Non la smetteva di farmi salire il sangue al cervello, dovetti mordermi il labbro per non farmi travolgere da quella nuova situazione.

«Non dire così, ti prego.»
«Non so più cosa dire, davvero Seo. Forse sarebbe meglio se tornassi a casa. Adesso ho capito un sacco di cose. Jin lo sapeva vero? Quanti lo sapevano? Tutti?»

Non trovai la forza di fermarlo, nemmeno quando lo vidi rialzarsi con una pesantezza estrema.
Mi sembrava che avesse assimilato chili e chili sulle spalle, tanto da osservarlo mentre provava a riprendere una sua stabilità. 
In cosa mi  ero cacciata? Non sapevo più come togliermi da quella situazione, mi sembrava solo di peggiorarla. 

«Io»

Ci provai, ci provai sul serio, ma a quanto pare il mondo decise di intervenire, tardi ovviamente rispetto al graduale lasso di tempo, sia mai che perdesse il primato.

«Ragazzi siete svegli? Posso dormire qui? Ho per sbaglio fatto un fischio a Monie, poco fa, perché gli ho versato dell'acqua da bere ma credo di aver richiamato il fantasma di Don Ernesto Ferrandez
Jungkook si palesò in camera mia, abbracciato ad un cuscino, ancora sconvolto dal sonno. Aveva tutti i capelli sparati sul cranio e lo sguardo più chiuso che aperto, non ero nemmeno del tutto sicura che fosse sveglio, in effetti.
Tentai di ingoiare tutto quel malumore velocemente, abbozzando un sorriso nervoso.

«Jk, per l'ennesima volta, non c'è nessun Don Ernesto Ferrendez morto per uno scontro colonico espatriato dalla Colombia.»
«Io so quello che ho visto!»
Esclamò lui irritato, già caracollando verso il mio letto, tuffandocisi sopra.
«Tranquillo Kookie, dormi qui, mi trasferisco sul divano io.»
Hoseok prese la palla al balzo, uscendo dalla mia stanza come una lepre, senza darmi alcun modo di continuare quella conversazione.

Jungkook si infilò  sotto le coperte, senza nemmeno chiedermi il permesso, probabilmente già immerso di nuovo nel mondo dei sogni. Io non feci altro che osservare la porta da dove il mio migliore amico era sparito, portandosi via tutta quella giornata, che sembrò svanire via in uno dei tanti ricordi  che avrei voluto dimenticare, di quell'interminabile estate.
Quella signora, la mattina stessa, ci aveva quasi fatto sognare, dedicandoci la sua storia, trovando delle emozioni attraverso di lei, che non avremmo mai potuto dimenticare. Ed era stato così. Ma come la sua storia d'amore, nulla durava per sempre, nemmeno un ricordo felice. E se non si sta attenti, è capace di trasformarsi in una giornata terribile.

Chiusi gli occhi, ritrovando un respiro normale. 
Ero di  nuovo dentro le tenebre, Hoseok si era portato via la luce e io, come un fiamminfero ormai spento e bruciato, stavo allontanando l'unica fonte luminosa che avevo.
Come si cura una cosa così?
Jungkook si mise a russare, a pancia  all'aria, dandomi il pretesto per accovacciarmi sul tappeto e sperare di addormentarmi, il prima possibile, senza sognare, senza pensare, senza rendermi conto di niente. 
Nel mio buio.








nda: Buonasera ragazzi <3 grazie per essere arrivati fino a qui, ormai le cose sembra che stanno degenerando ma ...sì, in effetti stanno degenerando. Ma doveva accadere prima o poi perdonatemi. Ringrazio intanto Borghezio ( Borghese - insomma ) per avermi dato il mood perfetto del capitolo con il suo motto ristorantiano ormai diventato famoso globalmente xD Ah, volevo ringraziare qui bridgetvonblanche per aver cominciato a recensirmi la storia, dall'inizio, dandomi ancora più voglia di finirla e mettere la parola fine su sto martirio in cui mi sono cacciata u.u Ovviamente non dimenticto la mia fidata e fiducissima Juliet8198, che è sempre con me in quest'avventura ormai da molti mesi <3 Ma allo stesso modo voi tutti che leggete in silenzio o mi seguite in silenzio, lo so che sono ripetitiva ma penso che sia davvero importante per chi scrive avere un supporto del genere, per non lasciare le cose incomplete o perdere fiducia nel proprio progetto ( COME ME del resto, la sfiducia in persona v.v ). Penso davvero che avrei abbandonato se non avessi avuto questo supporto quindi davvero GRAZIE <3 vi auguro una buona notte e ci vediamo presto col prossimo capitolo. 
ps. chiunque stia odiando Seo in questo momento alzi la mano prego! +alza la mano BENE!

pps. ringrazio anche le citazioni anni 90 di questo capitolo che penso abbiate colto ( Jurassic Park, Indiana Jones e ...combattono per noiiiii son bravi  come noiiiii i power rangeeeeers!  GRZ! )
 
 

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Capitolo 25
*** Ritenta, sarai più fortunata ***






25 ~ Ritenta, sarai più fortunata



ㅇㅅㅇ


 
La mancanza di sonno aveva portato una delle decisioni peggiori che la mia mente potesse mai prendere.  Avevo deciso di ignorare tutto. Ignorare ciò che avevo detto a Hoseok. Ignorare Jin fino a che non fossi stata pronta ad affrontarlo. Nessuno approvava quella mia tattica. 

Nessuno. 

Yoongi continuava a dirmi che ero una deficente cronica e che facevo prima a restare single a vita invece di rovinare la vita dei poveri ragazzi. Provai a scorgerci dell'affetto in questa frase ma non lo trovai in nessuna sillaba. Namjoon aveva evitato accuratamente di commentare ma, di tanto in tanto, mi lanciava dei messaggi psico-telecinetici con lo sguardo.
Mi giudicava in silenzio, piazzando le mani sotto il mento.

Potevo tradurlo da me: Seo, io ho perso le speranze con te.

Jimin, a tal proposito, quasi chiamava più me che il suo ragazzo, il che aveva appunto innescato quel ciclo di insofferenza che Minno mi lanciava addosso senza nessuna vergogna. Le aveva tentate tutte, il povero, cercando di dirmi che dovevo seguire i miei suggerimenti, che avrei dovuto parlare a Jin e risolvere qualsiasi pensiero mi affliggesse, ma purtroppo ero di nuovo ripiombata in un coma emozionale piuttosto profondo. 

Taehyung aveva provato l'approccio della pena. Continuava a inoltrarmi tutti i messaggi che Jin gli mandava cercando di smuovermi a compassione, puntando sull'effetto emotivo del nostro trascorso. Era un attacco decisamente infido, tanto che ero lì lì per cedere, visto che Jin, oltre che provare a intercedere attraverso gli altri, non mancava di mandarmi messaggi e lasciarmi vocali  in segreteria che avrebbero fatto sciogliere quel freddo iceberg Titanico provocando la salvezza di tutte le duemila anime.

Hoseok invece, dalla sera del concerto, non  mi rivolgeva più la parola. Se fosse per un senso di colpa, per rabbia, per imbarazzo o perché aveva deciso che io non valevo più niente come amica non lo sapevo. Mi ritrovavo costantemente a pensare che, in un qualche modo, me l'ero meritato. In tutto e per tutto, senza nessun effetto lenitivo. Non provai nemmeno a cercarlo, o a scrivergli per chiarirmi, non riuscivo a farlo con Jin figuriamoci con lui. Sta di fatto che, quella conseguenza, mi aveva portato a retrocedere di miliardi di passi indietro, rispetto a qualsiasi cosa. Ogni lezione imparata, ogni situazione affrontata, ogni maturazione era tutto finito in una centrifruga, mescolato, spatasciato, amalgamato e io mi ero ritrovata davvero alla deriva. 

«Non so cosa ti ho fatto, non riesco a capire perché ti sei allontanata. Non mi permetti di parlarti, ti prego almeno dammi una motivazione, mi sto uccidendo per capire dove ho sbagliato.»

La voce di Yurim, intenta a leggere l'ennesimo messaggio di Jin, mi fece rovesciare la faccia sul tavolo, stravolta. 
Jungkook e la mia migliore amica avevano optato per le soluzioni più pratiche: uscire e ubriacarsi.  Ci eravamo inoltrati in un locale serale dove suonavano della musica un po' underground, composto quasi da più adulti che giovani, in un vicolo un po' indigesto e, decisamente, poco raccomandabile. Eravamo nella stessa strada dove la tatuatrice illegale di Jk lavorava, quindi mi sentivo un po' teppista e clandestina.

Ero già alla terza birra doppio malto, sentivo la testa vorticare strana. Yurim era quella più sobria, Jungkook non faceva che darmi pacche sulla spalla accodiscendenti.

«Tesoro, sono giorni che lo stai evitando. Non ti conviene rispondergli? Hai sempre detto che il dubbio è un veleno terribile, lo stai facendo soffrire inutilmente.»
«Non sono ancora così ubriaca da farlo, ma giuro che dopo questa provo a fare un piccolo passo. Per la scienza
Biascicai io mentre sentii Yurim sospirare. Quando tirai su la testa per guardarla la stava scuotendo con enorme disappunto.

Se persino Yurim, dopo la storia di Doyun, era delusa dal mio atteggiamento voleva dire che ero proprio caduta in basso.
In fondo per cosa ero arrabbiata? Che avesse inventato una storia per evitarmi una gelosia? O perché magari voleva lasciarla e, il mio dichiararmi, gli aveva dato l'imput per farlo? O magari era la sua amante e, con quella frase, non mi aveva dato modo di sospettare? 

«Io non le do tutti i torti.»
Jungkook prese le mie difese, tanto che mi voltai a guardarlo sconvolta. Il fatto che fosse ubriaco non era un deterrente, in quel caso, potevo usarlo a mio favore. Visto che, a quanto pare, era l'unico che spalleggiava per me, i vari riscontri erano due: o sapeva qualcosa che io non sapevo o stava dalla mia parte per pena, visto il mio angolo era così solo e buio.

«Sai cosa succede quando si tengono dentro dei segreti, specie di questa portata. Vuoi davvero che la loro relazione vada a scatafascio per una stupida storia che, probabilmente, sarà solo un'altra sua paranoia mentale?»
Yurim si stava agitando, aveva ancora in mano il mio telefono che prese a trillare subito dopo.

«Se la mia ragazza mi avesse detto che un ragazzo che ha passato con lei tutta la notte era un cugino, per esempio, e scoprissi dopo settimane che non era così non so se mi fiderei ancora di lei.»
«Qua si parla di Jin, ragazzi. Di Jin. E poi quando è successo il fattaccio non stavano nemmeno realmente insieme. Questa rimbambita fino a ieri era innamorata di un altro, allora cosa dovrebbe dire lui?» Yurim attirò la mia attenzione. 
Mi sentivo come ad una partita di tennis, e io ero l'arbitro che conteggiava i punteggi. Per ora? Arbitro:  venduto.

«Io ecco»

Non avevo detto ancora a nessuno ciò che avevo combinato con Hoseok, non ero sicura che lui avesse mantenuto quel segreto ma, considerando che nessuno mi stava odiando anche per quel motivo era molto probabile che Hobi stesse tenendo per sé il grande colpo di scena. Ma io stavo faticando a lasciar perdere anche quella situazione; ero nella parte del torto. In fondo non ero nemmeno più sicura del perché stessi continuando a scavarmi la fossa da sola. Aveva ragione Yoongi, era meglio se fossi rimasta a flagellarmi senza distruggere le vite altrui.

«Seo lo sa, ho sempre pensato che Jin fosse un ragazzo, come dire, non riuscivo a inquadrarlo. Alle volte pensavo che la sua gentilezza fosse solo una facciata fasulla del suo vero carattere. Ma ammetto che è stato l'unico, a parte Seo, a farsi sentire dopo quella storia della festa.»

Sgranai gli occhi, guardandola. 
Non sapevo di quella faccenda, erano stati bravi a tenermelo nascosto entrambi.
Jin, in quel periodo, era stato il mio fantasma personale così che mi persi gran parte delle sue giornate, dei suoi progetti, della sua normale quotidianità.  Yurim non mi aveva mai parlato del fatto che lui invece, con lei parlava in quel periodo. Mi resi conto di come, anche io, mi ero ritrovata ingarbugliata in faccende segrete di cui non facevo direttamente parte. Era la nostra sottile linea, quella di legarsi insieme con un filo, che inevitabile si intrecciava, anche se alle volte ti sembrava che il nodo allentasse.

Ma era solo una percezione, nulla di più.

«Yu quella storia è stata un macello, non la voglio nemmeno ritirare fuori. Ed è decisamente una questione diversa
Fece Jungkook, smettendo di guardarla.
«Non la voglio tirare fuori, voglio solo farti capire che Jin mi ha dimostrato quanto ci tenesse sul serio alla nostra amicizia, è stato davvero premuroso. Certo, poi pian piano tutto è tornato alla normalità, persino Hobi si è dimostrato comprensivo, ma ...Jin si è confidato molto con me, riguardo Seo. Non ho mai sentito nessuno parlare così di te, l'accortezza che ha usato sapendo quanto fosse difficile trovare un posto di fianco a Hobi. Non credo nemmeno che volesse conquistarti, forse voleva solo sapere di avere una minima speranza, prima o poi.»

Lei si voltò verso di me. 
Io dovetti bere una sorsata di birra per non svenire, ma ero ancora stabile.
Quelle parole stavano puntellando il mio cuore in maniera così secca e spietata che, ero sicura, non sarei riuscita a reggere un altro giorno in quella situazione.

«Ho capito perché non lo comprendevo, perché volevo vederci per forza del marcio che non c'era. Jin ti ha sempre tenuto sul palmo di una mano, sei sempre stata la sua più grande forza e lo sai benissimo anche tu quanto ci tiene a te. Non rovinare tutto ora che se ne andrà, non fare come hai fatto con Hoseok, tira fuori quella cazzo di grinta, il coraggio, qualsiasi cosa covi qui dentro, mannaggia a te. Non ci sarà per sempre, non dare per scontato che lui rimarrà lì, di fianco a te, pronto a sopportare ogni tua bambinata.»

Nel dirlo mi pungolò in mezzo al seno, facendomi quasi morire per il dolore.

«E allora perché mi ha mentito? Se è vero quello che dici, perché ...»
«Non lo saprai mai finché non tiri su quel telefono del cavolo, lo chiami e lo stai a sentire. Giuro che se ti ha tradito sarò la prima a prenderlo a calci in culo fino a Gwacheon, ma davvero vuoi stare qui a farti domande? Non ti sei stufata?»

Certo che ero stufa. Ero stufa anche di sentirmi in quella maniera.
Ma ero bloccata da una forza invisibile che non riuscivo a controllare. Provai dunque a guardare verso Jungkook, cercando un appoggio psicologico che, invece, non arrivò. Lo vidi solo fare spallucce, con una faccia buffa.

«Non ho nulla da dire, Yu ha ragione. Quel vecchietto stravede per te, da sempre. Tu a frignare per Hobi e intanto quello a frignare per te. Se non fosse che dovrei darvi dei diritti, produrrei un video musicale a riguardo.»
«Fallo sugli altri amichetti tuoi.»
«Lo farò, appena Minno smetterà di minacciarmi di farmi una denuncia restrittiva in caso.»
«Sei cagasotto anche tu, visto?»
«Sì ma io ho paura di Yoongi perché sono sicuro che quello è capace di uccidere.»

Non potevo dargli torto, così feci un lungo respiro e bevvi un'altra sorsata di birra. Intanto la musica filtrava sopra le nostre teste e il locale era ormai completamente pieno. Di nuovo mi stavo curando con il casino, anche se ora era un rumore più frastagliato e fastidioso. Di certo mi riempiva la testa per non farmi ragionare lucidamente e, così ne approfittai, per alzarmi in piedi con equilibrio più che precario.

«E va bene, un altro giro e giuuuro» allungai la parola per darmi un tono «che andrò a casa sua a cavallo del primo bus che trovo.»
«Vai così!» Esclamò Yurim, ridendo. «Ti accompagnamo, così non scappi durante il tragitto.»
«Sono così inaffidabile?»
«Sì!» Risposero insieme, cosa che mi fece sbuffare stizzita, con tanto di sventolio di mano. Ero quasi sicura di aver appena compiuto un gesto di alto tradimento, ma per fortuna non ero a conoscenza di tutti i simboli significativi che i miei arti potevano compiere.
Venni fermata in tempo reale da Jungkook, che mi fece risedere con una spintarella.
«Vado io ragazze, tu resta qui buona che ti vedo già barcollante.»
«Ma se sei più ubriaco di me.»
Biascicai io.

Non so quanto fosse vero, ma quello mi fece un segno di mano abbastanza eloquente, così lo guardai dirigersi verso il tripudio di gente, lasciandoci sole.  Quando mi voltai verso Yurim la vidi immersa, di nuovo, in una chiara conversazione messaggistica. Ero ripiombata nel silenzio, così lasciai vagare un po' la mia mente mentre studiavo il volto della mia migliore amica con un po' più di attenzione.

Era stanca, ma mi sembrava più serena rispetto le settimane precedenti. Era l'unica che non aveva smesso un secondo di lavorare, la sua azienda non le permetteva delle reali ferie e i giorni di permesso erano dei lussi abbastanza complessi da prendere; volevi riposarti? Facevi prima a farti licenziare. Per fortuna a lei non era successo, nemmeno dopo il grande problema che aveva scatenato nefasti eventi,  ma allo stesso tempo le avevano appioppato una caterva di lavoro extra a cui non era riuscita a dire di no.

In più continuava a fare avanti e indietro da casa di Taehyung, senza lasciarlo solo un secondo. Era ammirevole la costanza con cui riusciva a prendersi cura di tutto, la reputavo una vera stacanovista. Mi chiedevo da dove prendesse l'energia necessaria per non crollare. A me era bastato un piccolo dramma per mandare all'aria il mio cervello, se solo avessi anche solo una percentuale della sua forza forse ora non avrei avuto bisogno di tutta questa sequenza psicologica.

Mi venne da sorridere, guardandola, tanto che allungai una mano per sfiorarle il braccio. Lei smise immediatamente di messaggiare, alzando gli occhi su di me e sfoderando un sorriso un po' sorpreso, ma pieno d'affetto. 
Oh Yurim, ma perché non mi sono innamorata di te?

«Grazie Yu. Scusami, dovrei lasciarti riposare e invece sei qui a prenderti cura di me, so che mi odi moltissimo, potrai mai perdonarmi?»
Lei lasciò andare il telefono, allungandosi verso di me per darmi uno sbuffo sul naso.
«Prendermi cura di te è uno dei miei lavori più importanti.»
Abbassai lo sguardo, colpevole e sconfitta, provando a bloccare il flusso di pensieri che mi stavano vorticando in testa.

«Stava andando tutto bene, sai dopo Tae e ...scusami, non voglio parlare di quello, ma finalmente c'era una sorta di pace e invece sto facendo un macello.»
«Smettila.»
Mi strinse il braccio, prima di afflosciarsi sullo sgabello e tirare un sospiro. Si tirò indietro i capelli, li aveva lasciati sciolti ed ero quasi sicura che, con quel movimento, aveva fatto innamorare i tre quarti dei ragazzi che la stavano addocchiando da quando eravamo entrati.

«Lo so a cosa pensi, stupida. Pensi di essere un peso per me, non è vero? Sai a parlarmi di questo e di quello, solo perché ti do l'impressione di avere tante cose a cui pensare non significa che non posso ascoltarti e starti vicina. Tu lo hai fatto con me.»
Aveva colto il mio primario disagio di quel momento. Ero stata brava a non fiondarmi subito su di lei, dopo quella maledetta giornata al concerto. Avevo fatto lo stesso, ai tempi in cui Jin aveva cominciato a tormentarmi la mente e, così,  l'avevo tenuta lontana da tutto il mio percorso freudiano da poveraccia che avevo intrapreso da sola.
«Yu i miei problemi sono delle stupidate in confronto a»
«Smettila di nuovo, oh mamma, l'alcol ti rende ancora più rompiscatole del normale.»

Quella frase mi fece zittire, tanto che piantai un broncio.
Non doveva essere un broncio molto minaccioso perché si mise a ridere subito dopo.

«Non sono qui per giudicare la grandezza di un problema, pensi davvero che io possa trovare stupido tutto questo? Io? Dopo Doyun? E tutto quello che ne è derivato? Insomma Seo, ogni problema è grande se ti fa stare male, se non ti permette di essere lucida, se ti fa piangere la notte e se ti fa venire gli attacchi di panico. Qualsiasi, anche quello che può sembrarti insignificante e sciocco.»

Piantai i denti contro il labbro inferiore, mentre mi lasciavo cullare dalle sue parole.
La luce soffusa del locale si sposava perfettamente al mio leggero vorticare.

In quel momento sarei stata pronta a tradire Taehyung e dirle che il suo uomo era pronto a chiederle di sposarlo. Credo che sarebbe stata la proposta di matrimonio più brutta della mia generazione, o magari della generazione di tutti, ma lei stava calmando le mie paranoie e non con degli schiaffi poderosi, ma come un canto leggero, facendomi sentire a posto anche con quel tipo di dolore. 

Non lo feci, Taehyung mi doveva un enorme favore.

«Certo, se tu la smettessi di boicottare la tua vita non è che sarei così contraria ma ...insomma, non saresti tu, no?»

«Yu, ho detto a Hobi che lo amavo.»

Nella mia testa si formò un'immagine strana: musica impallata, silenzio nel locale, le teste che si giravano lente verso di me, metà città bloccata, tutti a voltarsi verso quella mia grande rivelazione. 
Per fortuna nessuno, a parte Yurim, poteva creare quell'estremo effetto sospresa ma ero riuscita a ricrearlo perfettamente nel lasso di tempo in cui Yurim rimase in silenzio, a guardarmi, con aria indecifrabile.

«Cosa?»
«Ho detto a Hobi che lo amavo dopo una sua strana considerazione sul fatto che lo avevo sostituito con Jin.»
«Cosa?»

Si era impallata lei, non la musica.

«Ho detto a Hob»
«No vabbè.» La vidi piantarsi le dita sulle palpebre, in una chiara ricerca di calma interiore. «Io forse sarò una rimbecillita, per forza, forse ti ho permesso troppe volte di affidarti a Minseong sapendo che sarebbe stata una strada senza ritorno, forse avrei dovuto estirparti il cervello quando mi dicesti che Hoseok sarebbe diventato il babbo dei tuoi pargoli, ma ...»

Aprì gli occhi per guardarmi, dandomi un'occhiata che era tutto un programma.
Mi ricordava molto l'occhiata di Namjoon che, in questi giorni, si divertiva a osservarmi con aria compatita e a scuotere la testa senza dire una parola. Per mia sfortuna, invece, Yurim parlava e, a quanto pare, aveva anche parecchia anidride carbonica da sfiatare via.

«Non volevo farlo ovviamente, è successo per sbaglio, mi è uscito senza che me ne rendessi nemmeno conto.»
Di nuovo quell'occhiata, era talmente statica e invadente che sarebbe stata uno sfondo perfetto per il mio telefono. Peccato  che Yurim martellava le dita sul mio, o l'avrei sicuramente immortalata.

«Lo hai detto a Jin?»
«No.»
«Davvero ti è uscito senza che te ne rendessi conto?»
«Già. Ha reagito in maniera brutta, non mi parla da allora.»

Scosse la testa, afflosciandosi sul tavolo con i gomiti, tanto che si piantò in un silenzio un po' disagevole. Non ero sicura che stesse pensando a cosa dirmi, forse pensava davvero a come uccidermi, così che mi decisi a guardarmi un'ultima volta in giro, cercando di stampare nella mia testa tutte le immagini  che riuscivo a immagazzinare nel mio cervello.

Addio ragazzo biondo che sta ballando da solo, in mezzo alla pista, con possibile slogature falanginee.
Addio ragazzine intente a ispezzionarvi le doppie punte come delle vere amiche capellifere.
Addio Jungkook che sta palesemente rimorchiando la barista.

«Ammetto che mi hai sorpreso. Pensavo che non saresti mai riuscita a dirgli niente e invece. Sei diventata grande, eh?»

Mi voltai di scatto, Yurim aveva ripreso a parlare.
Aveva un sorriso più lieve, mentre ancora scuoteva la testa.
Non avevo mai pensato al fatto che, 
quella rivelazione, fosse percepita con doppia percezione. 
Quindi non ero stata solo una stupida
 
«Insomma, significa che hai voltato veramente pagina. Non credo avresti mai potuto dire niente se ancora nutrivi qualcosa per lui, no?»

Cercai di focalizzarmi su quelle parole, ragionandoci su. 
L'avrei fatto sicuramente meglio con il mio quarto drink, non avrei più fatto andare Jungkook a prendere da bere, era troppo facile perderlo nei meandri relazionali della società.

«Non hai riprovato sensazioni tragediomiche, no?»
«...no, direi che ho provato solo vergogna vedendo la sua reazione. Non ho mai preso in considerazione che potesse trovarla una notizia così brutta.»
«Non è brutta, penso solo che gli scocci molto.»
«Ma ...perché? In fondo lui sta per sposarsi, cosa gli potrebbe interessare?»
«Non è il fatto che lo hai amato, non è il fatto di Jin, insomma non hai capito? Gli ha dato fastidio il fatto che hai avuto dei segreti e glieli hai tenuti nascosti.» E nel dire questo piantò due pugni chiusi uniti, tanto da far intersecare le nocche tra loro. «Sono quasi sicura che se la sia presa più per questo, perché è come se non ti fossi fidato di lui. Come se lui non contasse poi così tanto.»
«Beh, rivelargli i miei sentimenti mi sembra una cosa che sottolinea parecchio il conti-rometro di una persona, no?»

Il mio telefono prese a trillare ancora, confondendosi con il vociare del luogo.
Non me ne accorsi subito, solo quando  Yurim alzò lo schermo facendo un mezzo sorriso. Forse avrei dovuto preoccuparmi di cosa stava combinando, ma ero ancora abbastanza fiduciosa riguardo le sue mosse.

«Sì certo, in passato magari, ma quando è tornato lo hai evitato come eviteresti il coriandolo nei noodles. Non gli hai più detto nulla, di quello che facevi, che provavi, nulla. Magari scoprire ora che gli hai tenuto nascosto questo fattaccione per anni e anni lo ha mandato un attimo in subbuglio.»
«Ma stai rubando il lavoro di psicologo a Jin, per caso?»
«Parlaci e poi mi dirai se avevo ragione io.»

Avrei voluto parlarci, prima o poi, ma ero in grado di affrontare un argomento alla volta. Comunicare con Hoseok lo trovavo ancora complicato, nonostante fosse abbastanza paradossale visto gli ultimi avvenimenti, ma ora riguardava approfondire qualcosa che avevo cercato di infossare il più possibile, non avevo voglia di ricacciarlo fuori per metterci un punto definitivo.
E se fosse successo un altro casino? Non sarei mai stata in grado di aggiustarlo, era abbastanza palese che fossi una vera incompetente in quello.

«E se invece, ascolta questa mia grande ideona, non facessi nulla e aspettassi che gli eventi lo facciano placare?»
«Oh beh certo, puoi farlo, magari fra vent'anni riuscirai a conoscere suo figlio adolescente, ottimo piano.»

La musica diventò un po' più forte, sintomo che si stava avvicinando il momento in cui i ragazzi potevano cominciare a vorticare in mezzo alla sala, ballando e dimenticandosi dei problemi della giornata. Mettevano in pausa le loro incompletezze, solo per godersi la vita ancora un po'. 

«C'è un fatto positivo, almeno. Jin ti ha completamente stregato.»
«Come vorrei riuscire ad affrontarlo senza questa paura

Lo ammisi con un sospiro che mi fece tremare il petto.
Continuavo a rivederlo, in tutto quanto, ogni volta che chiudevo gli occhi e mi lasciavo andare. Quel luogo non stava aiutando la mia transizione, tanto che mi passarono davanti tutte le immagni possibili: ,tutte le risate, le prese in giro, il nostro primo bacio, la notte a casa sua, le cene, i documentari, tutto quel parlare, tutto quel capirsi. E poi le parole di Yurim che bruciavano dentro, in maniera così marcata, tanto da farmi cedere del tutto. Come poteva un ragazzo come lui pensare, anche solo lontanamente, di farmi del male? 
Ero sempre stata sicura che non era nelle sue corde. 
Che non poteva essere.
Che non era capace.

Perché stavo cancellando tutto ciò che in lui c'era di bello per quello stupido motivo? C'era sicuramente una spiegazione che non mi avrebbe distrutta. Doveva esserci, o voleva dire che.
Che.

«Scusate il ritardo, portare tre birre è complicato. Occhio Yurim mi sta cadendo, prendila prendilaaa»
Jungkook arrivò per interrompere quel flusso di pensieri, mentre Yurim già pinzava il bicchiere, rovesciandone un quarto sul braccio. Cominciò a borbottare in un dialetto sconosciuto.

«Sappiamo che ti sei fermato a fare il cippappero con quella del bar.»
«Seo, a quella ragazza piacciono quelle come te.»
«Le fallite
Jungkook fece una finta risata, tirando pure indietro la testa,  prima di passarmi la mia birra. Non feci neanche in tempo ad afferrare il bicchiere che bevvi almeno quattro sorsate da vera assettata del deserto. 

«Allora, novità successe in questo quarto d'ora che dovrei sapere?»
«Niente di importante.» Disse Yurim.
«Tutto ugale.» Continuai io.
«Miseramente Jk, magnificamente a pezzi come sempre.»
Quelle risposte lo lasciarono un attimo interdetto, tanto che fece spallucce, cominciando a bere.

«Sai mentre ero lì che prendevo da bere ho pensato al fattore ambiguità.»
Cominciò lui, costringendoci a guardarlo.

«Fattore ambiguità?»
«Sì, ho assistito ad una strana scena. Un tizio ha cercato di rimorchiare una ragazza, lei ha tentato di respingerlo in tutti i modi carini che conosceva, fino a che non è arrivato un suo amico e l'ha portata via, lasciando il povero adescatore in solitaria.»
«Ah i famosi adescatori.» Sospirai io.
«Una volta, uno dei miei, mi dedicò una poesia scritta su delle mutande.» Ammise Yurim, facendo una strana faccia. Aveva ripreso a scrivere al telefono, al suo questa volta.
«Oh per tutti i Buddha, è vero, quello delle mutande. Che romantico, mi chiedo come hai fatto a resistere.» 
«E pensare che aveva usato tutti i congiuntivi perfettamente.»
«Ma dai: rarissimo.»
«Stupida io infatti.»

Jungkook piantò una mano sul tavolo, facendoci quasi sobbalzare.

«Ragazze voi due mi fate paura.»
«Scusaci Junkino, cosa stavi dicendo?»

Bevve un altro sorso prima di continuare, cominciando a gesticolare con una mano.

«Tutto, se decontestualizzato, può avere molteplici significati. Continuavo a pensare, mentre li guardavo: chissà cosa si stanno dicendo, chissà perché lei sorride in quel modo, chissà perché lui ha messo del gel sulla testa rasata....capisci, no?»

Durante il finale di quel momento si voltò a guardarmi.
Sembrava che stesse cercando di comunicarmi qualcosa. Non ci voleva un genio per intuirlo. Mi soffermai a guardarlo, scrutandolo con una certa invadenza. Nonostante fosse il più piccolo di noi, Jungkook rivelava sempre una grande saggezza. Non era mai stato uno in grado di esprimere bene le proprie emozioni, ma le percepivi da quello che diceva, trasformando le sue esperienze in lezioni di vita, che decideva di condividere con noi per aiutarci a comprendere meglio quando le cose non erano per niente facili da capire.

«Stai cercando un modo carino per dirmi che, per risolvere un problema, è importante ascoltare tutte le versioni? O forse che non dovrei rasarmi i capelli? Sono un po' lenta in questo momento.»
«Devi. Devi ascoltare tutte le versioni. Se vuoi risolverlo, devi farlo per forza. So che hai paura di scoprire qualcosa di brutto, ma in caso ci fosse qualcosa di brutto sarai capace di affrontarlo, perché hai tutte le armi per combatterlo. Ma non così, così è come andare in guerra con una forchetta, capisci no? Non hai materiale, ti stai inforchettando la testa senza sapere neanche perché.»

Quell'esempio, che mi fece venire una strana voglia di mangiare pasta improvvisamente, era così calzante che mi sentii di nuovo in balia del mio stesso vorticare. Parlare con loro mi aveva aperto svariati punti di vista a cui non avevo pensato nemmeno per un secondo.

Decontestualizzazione. 
Realizzazione.

Così bevvi un sorso lungo quanto una casa e cercai di alzarmi di nuovo, questa volta ciondolando male verso Yurim che riuscì a tenermi dritta con l'aiuto di un braccio solo. Aveva ancora il muso concentrato sul telefono; quello era talento vero.

«Ragazzi, ho capito tutto! So cosa devo fare! Devo andare da quella ragazza e incendiarle la casa.»
«No forse non è il caso.»
«Posso rigarle la macchina.»
«Magari niente di illegale?»
«Citofonarle e dirle che sono della finanza?»

Li vidi realmente pensarci, tanto che mi venne da ridere. Risi per il pensiero che ero davvero ossessionata dalla gelosia per quella persona, che la cosa mi stava facendo diventare irrazionale e vendicativa nella maniera sbagliata e che avevo davvero una paura immensa di scoprire che, tutte quelle rivalse, nella mia testa non erano niente in confronto al pensiero di immaginarla con lui.
A baciarlo.
A stringerlo.
A passarci la notte insieme mentre io guardavo la rosa malmessa che mi aveva dato la sera stessa, facendomi credere di essere preziosa, almeno per quella notte.

«Forse è meglio farla smettere di bere, mi sembra che stia impazzendo.»
Provò a dire Jungkook, guardando Yurim.
«Seo che ne dici, andiamo all'avventura?»
«Sì, avevi detto che saresti andata da Jin, bevi a goccia e andiamo.»

Non ero molto convinta, non lo ero più ma annuii fingendo una certa sicurezza, di nuovo prendendo il mio bicchiere e finendo la birra in tre sorsate precise. Un grosso errore fu quello di sottovalutare la mia prontezza fisica. Mi reputavo in grado di reggere l'alcol, ma in quel momento mi sentivo più stordita di Monie quando riceveva coccole affettuose in momenti della giornata in cui era particolarmente avvezzo all'odio. Riuscivo ancora a parlare normalmente e a ragionare, ma provai una terribile sensazione allo stomaco che mi fece venire voglia di vomitare.

Non lo feci, per fortuna, aspettai che gli altri due finissero di bere prima di venire arpionata a braccetto da Yurim, mentre uscivamo dal locale.

«Allora, dov'è la fermata dell'autobus?»
Dissi io, come una  vera gnorri professionista.
«Seo stai andando verso il quartiere residenziale.»
Yurim mi tirò per un secondo, prima di intercettare di nuovo il telefono e digitare tasti, velocemente.
«Dovresti anche ridarmi il telefono, senza mi sento un po' vuota.»
«Ma se lo usi solo per perdere le chiamate e non rispondere ai messaggi.»
«È un lavoro a tempo pieno, sai?»

«Aspettiamo un secondo, fatemi controllare gli orari.»
Yurim si bloccò a pochi passi dal locale. 
Una volta fuori l'aria era diventata decisamente più fresca, il vociare dei ragazzi era un brusio lontano, nonostante vicino all'ingresso c'erano gruppetti che parlottavano e ridevano, sorseggiando i loro drink e beandosi della frescura di quella nottata.
Il cielo era terso, nonostante tutto, e si potevano intercettare delle piccole stelle che brillavano da lontano. Di solito da casa nostra era complesso farlo, per via delle luci che bloccavano la visuale celeste, ma quel particolare vicolo era piuttosto scuro per bearsi di quell'immagine più romantica e quieta.

«Qui mi dice venti minuti.»
«No dai, così tanto? Non facciamo prima a prendere un taxi?»
Disse Jungkook, lagnandosi per un secondo.
«In tre possiamo dividerlo ma io sono a corto di won, mi servono per ricaricare la chiavetta della corrente domani.»
«Io posso pagare, sono ricca!»
Esclamai io, intrufolandomi nella conversazione.
«O magari» vidi Yurim guardare Jungkook con occhi un po' ingigantiti, prima di tornare su di me «aspettiamo l'ora del bus qui e poi ci incamminiamo.»
«Ma non facciamo prima ad andare alla fermata? Magari ne passa uno prima.»

Anche Jungkook si mise a tirarmi, fermandomi di nuovo.
«No meglio aspettarlo qui, la strada del bus è meno trafficata e poi così ascoltiamo la musica.»
Come scusa mi sembrava un po' atipica ma feci spallucce, non indagando molto.
«Ottima idea, sì.»
«Ragazzi, state cercando di dirmi che volete rimanere qui a bere? Guardate che a me va bene, in realtà volevo avvisarvi che non ho minimante il coraggio per andare da Jin adesso quin»

«Ragazzi?!»

Mi voltai di scatto, irrigidendomi come un tronco, non riuscendo nemmeno a finire la frase.
Per poco non mi schizzò fuori il cuore dal petto.
Davanti avevo Jin. 
Era un po' trafelato e aveva una felpa gialla sopra la maglia di uno dei suoi pigiami preferiti. Era palesemente uscito di casa di corsa, senza nemmeno cambiarsi, questo voleva dire solo una cosa. Yurim mi aveva tradito, chissà quando durante la serata. 
Maledetto serpente peccaminoso, come ho pouto fidarmi? 
Mi voltai a guardarla con occhi infuocati, ma quella allungò solo il mio telefono per rimettermelo in tasca, colpevole come una rea.

«Colpa mia, ho progettato io quest'uscita in modo da farvi incontrare a tua insaputa, anche se Yurim mi ha detto che non me l'avresti mai perdonata, infatti abbiamo atteso un po' prima di dire a Jin che ci trovavamo qui.»
«Aveva ragione. Non ti perdono
Sibilai io a Jungkook, prima di guardarli entrambi.
Jin stava ancora prendendo fiato, mentre ci osservava in silenzio, ricalcando sulle nostre figure per poi, inevitabile, soffermarsi su di me.

Sembrava non riconoscermi più.
Eppure il suo sguardo era sempre lo stesso.
Rivederlo mi aveva fatto venire voglia di stringerlo forte e chiudere una volta per tutta quella cavolata che stavo portando avanti, ma continuavo a rimanere bloccata nella mia personale paura. Quanto potevo essere cretina, in fondo?

«Davvero siete incredibili, accidenti a voi e alle vostre idee, era palese che stavo fingendo quando ho detto ...insomma non potevo essere credibile dai, aaar.»
Ormai attrice professionista delle uscite in quella maniera, imbarcata in quella parte senza possibilità di fuga, mi defilai da tutti e tre cominciando a camminare veloce lungo il viale buio e tempestoso, quello che portava alle casette che s'affacciavano spente, lungo una strada in salita. C'erano delle insegne ancora accese, di qualche locale notturno, con colori che deviavano dal rosso al blu. Sicuramente creavano una perfetta atmosfera per un omicidio serale. Avrei dovuto smetterla di pensare a fatti sanguinolenti.







Percorsi diversi metri, già pentita di essere fuggita via come una ladra, ma non riuscivo davvero a ragionare. Avevo ancora troppa adrenalina addosso per quell'improvviso agguato di Jin, mischiata alla rabbia di quello che avevano fatto quegli altri due scemi. Volevano solo aiutarmi, non fidandosi assolutamente di me. Neanche io mi fidavo di me, in effetti, non potevo di certo biasimarli.

Premio incoerenza dell'anno.

«Seo?!»
Jin mi era corso dietro, sicuramente incentivato dai due tifosi pon pon della mia relazione, tanto che potevo sentire le sue ciabatte impattare contro i ciottoli.
L'aria stava diventando sempre più fredda, o almeno era quello che percepivo io, dentro le ossa, costringendomi ad abbracciarmi da sola.

«Seo? Aspettami!»

Ora era lui a seguire me. 
Ebbi un dejavù violento della serata della cena di lavoro e rallentai il passo, lasciando scorrere via il ricordo. Ma niente, l'immagine di quella ragazza si piantonò come un chiodo nel cervello.
Non stavamo ancora insieme, lui poteva avere chi voleva prima, perché perché perché dovevo fare così? Quale neurone stupido mi era rimasto in testa per darmi quella tortura?

«Seo! Fermati ahi ahi ...stupide ciabatte!»
Mi aveva raggiunta, evidentemente non ero riuscita a velocizzare il passo. I muscoli delle gambe mi facevano malissimo e l'alcol non era in grado di darmi i giusti riflessi. Mi afferrò il braccio, ma io lo scostai con prepotenza, voltandomi di scatto a guardarlo.

«So di quella ragazza! E non t'azzardare a rispondermi "quale ragazza?", o ti tiro un sandalo in testa.»

Lui si bloccò di scatto, tirando giù il braccio. 
Il suo sguardo sembrava confuso, ma durò un secondo, perché si abbassò colmo di sensi di colpa e quello, caro Minseong che vegli su di me senza mai tradirmi, diede a me il colpo di grazia. Per un solo secondo ci avevo sperato, che fosse solo nella mia testa, ma i suoi occhi non erano capace a mentire. Di quelli mi ero sempre fidata, più di qualsiasi altra cosa.

«L'abbiamo incontrata io e Hoseok al concerto, e sai la cosa divertente di tutto questo? Non c'era sicuramete nessun pancione in vista, sempre se non vogliamo contare la pancetta da birra che si stava felicemente scolando. Oh oh ma un'altra, ancoooora meglio, non è mai stata la fidanzata di tuo fratello. Non è così?!»

Quando tirò su lo sguardo era terribilmente tormentato.
Come al solito, provai un pentimento lampo. Non volevo ferirlo, non riuscivo a vederlo in quello stato, ma accidenti la cosa mi basta bruciando letteralmente l'anima  e non riuscivo proprio a levarmela di dosso.

«Ora ti spiego tutto, te lo giuro, ma promettimi di ascoltarmi, fino alla fine.»
Cominciò lui, con una calma calibrata. Aveva la voce un po' rotta e roca. Forse stava dormendo quando Yurim lo aveva chiamato, si era infilato una felpa e mi aveva raggiunto qui, a più di quaranta minuti di distanza da casa sua. 
La cosa mi fece ammorbidire, decisamente. Forse l'avrei ascoltato fino alla fine, pronta ad assistere alla morte del mio cuore.

«Va bene.»
Risposi schietta ma abbastanza sincera.

«È una ragazza dell'università. Siamo usciti qualche volta, non abbastanza seriamente da risultare una coppia ma, sì, diciamo che l'interesse c'era.»

Chiusi gli occhi.
Non ero più sicura di voler sentire il continuo di quella storia.
Ma perché il dubbio è così male, in fondo? Meglio non sapere.
Boicotto tutto il mio credo, ora, Minseong riprendimi a te.
Non  volevo tradirti, in fondo quando il cuore non sa può decidere di provare o il dolore, o la gioia. Era il mio paradosso di Schrödinger.

«Non è mai successo nulla, te lo posso giurare. Non sono andato a letto con lei, non l'ho mai neanche baciata, non è una mia amante, non è un'infiltrata, non è una spia, neanche un'aliena o una parassita che prende le sembianze di altri essere umani per divorarli.»

Feci una fatica immane per non sorridere davanti a quelle frasi, tanto che mi morsi il labbro, quasi scorticandomi le mucose.

«E' stato solo un flirt innocente che non è sfociato in niente.»
«Quindi era talmente un flirt innocente non sfociato in niente che hai dovuto inventarti una storia persino molto fantasiosa perché la mia stupida testolina non avrebbe concepito questa verità?»
«Seo ero consapevole che prima o poi lo avresti scoperto, e prima o poi te lo avrei detto.»
«Ah certo:  queste frasi le dicono sempre i fidanzati traditori dopo che le proprie ragazze li scoprono. Strano che non è successo a True Love, forse la sfiga astrologica si è spostata in questo punto di Seul?»

Con un sospiro lo vidi avvicinarsi a me, ma io feci un passo indietro per evitare qualsiasi tipo di contatto. Non volevo ancora toccarlo, non volevo che lo facesse. Non volevo cedere prima che tutte le domande non erano state addomesticate dentro la mia testa.
C'erano ancora troppi ma per poter lasciar perdere, o mi avrebbero tormentato più avanti, magari quano lui era davvero troppo lontano, per poterlo risolvere. Quelle domande antiche e maledette, che ti svegliano di notte. Ne avevo già a bizzeffe dentro la mia testa, non volevo aggiungerne altre.

«Quindi cosa vuoi fare? Vuoi non credermi, girarti, fuggire via come hai sempre fatto?»
«Non farlo, Jin. È normale che io abbia dei dubbi ora, non saresti stato felice neanche tu davanti ad una cosa così.»
«Tipo come davanti al fatto che tu e Hoseok quella sera avete dormito insieme? E che me lo hai detto palesemente per ferirmi?»
La sua sindrome da psicologo continuava a funzionare fin troppo bene, per mia sfortuna.
«Oh ma dai, per ferirti, e poi c'era anche Jungkook a casa, e ha dormito in camera mia. Non potevamo combinare proprio niente.»
Tirò su lo sguardo verso il cielo, piazzandosi le mani in faccia.

Se gli avessi detto quello che avevo rivelato a Hobi come avrebbe reagito?
Mi accorsi che, il pensiero, mi provocò di nuovo quel veloce e fulmineo senso di paura, tanto che mi morsi il labbro per evitare di farlo fuoriuscire.

«Sai cosa mi fa davvero incavolare di te? Che un secondo mi fai sentire come se, davvero, niente potrebbe rendermi più felice e poi mi lanci giù da un dirupo mentre ti sganasci dalle risate aspettando la mia morte.  Il fatto è che sì, avevo intuito che qualcosa non andasse, che ti avevo fatto in qualche modo arrabbiare, e bastava che alzassi quel sedere per venire da me e chiarire e invece no. Ora la tua mente è avvelenata da chissà quante paranoie mentali e chissà quali congetture e non c'è nessun modo per passarci attraverso e distruggerle, perché tu non lo permetti. Non lo fai mai!»

«Cosa vuoi che ti dica, Jin? Non riesco a capire questo tuo strano metodo di difesa che hai verso di me, avevo paura a parlartene perché sì, forse non ci crederai, ma l'idea che mi avresti confidato chissà quale altra storia mi stava mandando fuori di testa.»

«Sai perché ti ho mentito? Lo vuoi proprio sapere?»

Fece una leggera pausa, in cui mi sembrò di vederlo cedere di nuovo.
Non gli risposi, aspettai solo la mia sentenza.

«Perché tu sei una vigliacca

Sgranai gli occhi, guardandolo.
Lui aveva smesso di provare ad avvicinarsi, era rimasto lì rigido, chiuso in un abbraccio per via della frescura di quella sera. Era particolarmente umido e ti si infiltrava dentro le ossa. Aveva bruciato come l'inferno fino al giorno prima del  concerto, poi la temperatura aveva deciso di calare proprio in quel periodo, dieci e lode sempre per l'immancabile senso dell'umorismo metereologico.

«Una vigliacca?»

«Sì, una vigliacca. Se ti avessi detto che, con quella ragazza, ci stavo uscendo tu la sera della cena mi avresti baciato? Mi avresti confidato i  tuoi pensieri? Avresti fatto qualcosa per ...vincere tu, per una dannata volta? Ti do un indizio: no

Non era proprio un indizio ma non volevo infierire.
Ero rimasta  senza parole a fissarlo, cominciando a sentirmi sempre più piccola.
L'alcol stava facendo un effetto  drastico su quella particolare sensazione, ero sicura che sarei scoppiata.

«Sai quante volte ti ho osservato sperando che tu prendessi una decisione? E pensavo che l'avessi capito, ti ho dato un sacco di indizi durante questi anni. Non ci sono mai riuscito, perché vedevo il tuo amore per Hoseok come qualcosa di impenetrabile. Ma poi è successo qualcosa, non so cosa, ma tu hai cominciato a vedermi. Mi vedevi sul serio. E dopo tutte le cose che abbiamo passato insieme non potevo rovinare una tale occasione per colpa di una cosa che tu, tu con la tua stupida testa, avresti ingitantito fino a farlo diventare un problema. Come sono sicuro tu abbia fatto in questi giorni.»

Io sapevo cos'era successo.
Mi ero resa conto di quello che provavo la sera del karaoke, ma covavo quel sentimento dentro di me da ancora prima e la sua voce, le sue parole, il suo sguardo erano riusciti a penetrare tutta l'armatura che l'amore per Hoseok aveva costruito intorno a me. 
Avrei dovuto dirglielo, ma in quel momento non ci riuscivo, in nessun modo.

«Se ti avessi detto la verità tu ti saresti sentita sconfitta, di nuovo. E ti saresti tirata indietro, e io, forse, ti avrei odiato per quello e mi sarei davvero gettato tra le braccia di un'altra per dimenticarti. O forse no. La sera della festa l'ho invitata a casa mia solamente per prestarle un libro per un esame, tutto qui. E sai che le ho detto? Che mi piaceva un'altra ragazza e non volevo creare fraintendimenti.»

Sospira, chiudendo gli occhi.
Ma che stava succedendo? Perché mi sentivo di nuovo così leggera?
L'effetto Jin, peggio di qualsiasi alcolico, in fondo.

«Ma non avevi alcun diritto di decidere per me. Mi credi davvero così debole? Così debole da non accettare una cosa del genere?»
«Seo, sei scappata da casa mia pensando che avessi un'altra donna, non stavamo nemmeno insieme.»
«Sì ma»
«Non c'è nessun ma, io ti volevo come non ho mai voluto niente nella mia vita. E ho fatto di tutto per tenerti, sì addirittura mentirti, per non rischiare. Sapevo che se te l'avessi mostrata completamente "inaccessibile" non l'avresti mai considerata una rivale. Non mi sono comportato in maniera disonesta, ti avrei raccontato di questo fatto proprio perché ci ha permesso tutto quello che ci è capitato dopo.»

Mi veniva da piangere.
Ritornavo di nuovo all'epilogo, il dubbio stava di nuovo distruggendo tutto.
Aveva ragione, come al solito. Ero una vigliacca, avevo paura di affrontare le cose, mi ergevo come una persona sicura solo davanti ai problemi degli altri ma ero profondamente insicura per quanto riguardava me. Se quel giorno mi avesse detto che si vedeva con un'altra l'avrei lasciato lì, a sbattere la testa contro il muro, perdendo anche l'occasione che mi aveva portato a provare delle cose mai provate prima d'ora. 

Vederlo lì, un po' tremante, bisognoso di spiegarsi, bisognoso di mettere un punto anche a questi miei pensieri stupidi aveva fatto sopire via tutte le paranoie, ancora una volta. 

«Cosa vuoi che ti dica? Che hai ragione, che forse ti avrei lasciato andare?»
«Non voglio che mi dici niente. Mi è bastato quello che hai fatto.»

Quello che non avevo messo in conto.
Io annegavo nei miei pensieri, mi lasciavo tormentare dai dubbi, ma lui intanto tentava di inseguirmi e io non glielo permettevo. 
E se si fosse stancato lui, di questo? Come aveva detto Yurim.
Non avrei dovuto darlo per scontato.
Provai di nuovo un'immensa paura, tanto che cominciai a tremare anche io.

«Pensavo che dopo determinati discorsi tu avessi smesso di fare la fifona. Ero sicuro che avremmo potuto combattere contro tutto, dopo quello che ci siamo detti mi sono sentito così fortunato. Ma ora mi chiedo se possiamo davvero superare una relazione a distanza se tu mi tieni lontano al minimo problema. Una settimana Seo, io parto tra poco e se non ti avessi inseguita non sono nemmeno sicuro che saresti mai venuta da me a chiarire.»

«Certo che lo avrei fatto, io»
«Lo sento dire spesso dalle ragazze, giusto per giustificarsi. Di solito queste scene, nei film, finiscono bene.»
«Jin avevo paura che tu mi tradissi, non ero pronta a sentirmelo dire, ho avuto paura, hai ragione, ma ora non farmi sentire peggio, ti prego.»

Questa volta lo lasciai avvicinare, tese una mano verso di me per accarezzarmi il volto. Nel suo sguardo lessi qualcosa che non mi piaceva per niente, tanto che alzai la mano per toccare la sua. Tremavo ancora, avevo gli occhi lucidi di pianto, l'adrenalina era ormai scesa ma quella paura mi stava dilaniando.
Avevo davvero rovinato tutto, per l'ennesima volta?
Perché non avevo messo in conto i suoi sentimenti? Come avevo potuto farlo?

«Avevo intenzione di dirtelo in un'altra maniera, perché odio l'idea di usare questa cosa per marcare un concetto che pensavo fosse già abbastanza chiaro ma evidentemente non lo è»

Oh cavolo.

«Io ti amo. Ti amo davvero da morire. Ho creduto davvero quando mi hai detto che non sarei mai stato secondo a Hobi, ma in realtà penso che tu non sia davvero pronta per ...Ti chiedo scusa se ti ho mentito, se ho usato quella situazione per un nostro vantaggio personale. Alle volte ho quasi paura che tutto questo sia successo solo perché tu non sapevi dove indirizzare tutto l'amore che hai provato per Hoseok in questi anni, e in me hai visto un'ancora di salvezza...»

Sentivo il cuore battere all'impazzata, avevo perso la salivazione.
Quello che mi aveva detto sulla ruota panoramica era, in un certo senso, la stessa cosa eppure ora il peso di quelle parole lo sentivo in maniera rimbombante. Lui mi amava ed era insicuro sui miei sentimenti per lui. 
Una qualsiasi ragazza lo avrebbe stretto, lo avrebbe pregato di non lasciarla, gli avrebbe fatto capire che tutto quello che lei provava era reale, che era solo tutta sbagliata, era la persona più sbagliata, come lui sapeva. Come lui amava.

«...il fatto è che non sono sicuro che tu provi lo stesso sentimento per me.»

Ci provai a dirlo, strinsi più forte la sua mano, ma il suo sguardo mi stava uccidendo. Perché era così difficile? Cosa mi stava bloccando? 
Non mi meritavo un ragazzo come lui, non avevo fatto niente per farlo stare meglio, continuavo a dargli motivi per soffrire, del tutto immotivati, del tutto privi di consistenza. Io potevo aver avuto paura di una cosa così effimera come un pensiero mentale, ma quello che gli avevo fatto io non era effimero per niente.
Lo avevo lasciato di nuovo solo, senza risposte, e questo era stato meschino da parte mia. Non sarei riuscita a perdonarmi nemmeno io.

Mi sentivo totalmente impossibilitata a trovare le parole giuste da drigli, ne avevo troppe, nonostante lo sapevo che ne bastavano solo due per risanare quella stupida crepa. Ma erano bloccate, in gola, forse per colpa di quel groppo che non lasciava passare niente.

«Io, ecco io...»

Ecco. Ottimo esempio di come rovinare un momento perfetto.

«Lascia perdere

Lo sentii scivolare via dalla mia guancia e sfilarmi di fianco, camminando nella direzione opposta. Lo guardai allontanarsi da me, senza avere la forza di corrergli dietro, né di fermarlo. Nè di urlargli tutto quello che provavo per lui.

Stavo perdendo la mia occasione e, in maniera schiacciante e paralizzante, stavo perdendo anche lui.









na: Buonsalve gente <3 sto capitolo è stato un parto atroce, l'ho cambiato seimila volta perché non mi piaceva, non mi piace nemmeno ora a dire la verità ma mi serviva per fare una mezza scemata che ho in mente col prossimo capitolo quindi AMEN eccolo e bon-A, almeno me lo son tolta di mezzo. Perdonatemi per sta tortura, odiate Seo quanto volete, inveitele contro le peggio maledizioni frullallere, non lo impedirò. In tutto cio il prossimo capitolo dovrei riuscire a pubblicarlo entro la settimana, non faccio promesse bislacche ma ci provo. Ragazzi, mancano tipo 3 capitoli al finale, sto viaggio della speranza sta per finire sul serio T_T non ci sto a crede. Grazie per chiunque mi abbia seguito fin qui, per le mie recensitrici, per chi mi legge in silenzio, per tutti <3 vi citerò tutti, lo giuro. Grazie. E buonaserata. 

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Capitolo 26
*** La rivelazione dell'Alpaca ***






26 ~ La rivelazione dell'Alpaca



ㅇㅅㅇ


 





Avevo messo a ripetizione il CD del gruppo del concerto nel lettore, ad un volume un po' da denuncia condominiale, le candele profumate erano accese e e le avevo sparpagliate per tutta la sala, mentre Monie aveva deciso di camminare avanti e indietro come una guardia inglese, senza una reale meta. Erano ormai quasi le sette del mattino, una luce chiara e malinconica aveva cominciato a colorare i contorni della mobilia, creando una sottospecie di atmosfera riconducibile ad un loft sulla spiaggia. Peccato che la mia distesa di sabbia fine era il giardino condominiale capeggiato da panchine e attrezzi per tenersi sempre in forma, privi di quel magnifico riverbero ondoso e spumoso che avrebbe dato il sottofondo perfetto. Mi ero avvolta in una copertina viola, con i piedi incrociati davanti al tavolino, immersa in un compatimento solitario. Sembravo una specie di medium intenta a leggere il mio infausto destino nelle carte pitturate con artistiche pose circensi, oppure delle rune incise con linee bianche. Ma non avevo né le carte, né le rune: stavo disegnando dei piccoli animaletti su dei foglietti di carta riciclata fingendo di donare a Monie dei nuovi amici, che avrebbero preso vita grazie ad una parola magica specifica.

Ero giustificata dal fatto  che ero ancora un po' alticcia, calibrata ed equilibrata grazie ad un mischione fatto in casa, una miscela a base di birra e succhi al mango tattici per mantenere gli zuccheri alti nel sangue. Non avevo voglia di comunicare con anima viva e nemmeno con l'anima morta di Ernesto Ferrendez che provai a richiamare tramite un fischio clandestino. Purtroppo non ero brava come Jungkook a fischiare quindi, probabilmente, sarei rimasta col dubbio della sua esistenza. Avevo solamente scritto a Yurim e a Jungkook che ero tornata a casa, senza Jin, e  che li avrei maledetti per ere geologiche estreme. Yurim mi inviò un suo selfie pieno di dispiacere, condito da tante frasi d'amore che, sicuramente, erano già state riciclate per un certo Taehyung. Mentre Jungkook mi inviò un messaggio che pareva un discorso presidenziale di Capodanno.

Non aveva cercato di risollevarmi il morale, quanto più di darmi una svegliata, che la vita era tutto ora e io stavo perdendo i miei tempi migliori per stare dietro alla tristezza. Parafrasando, il messaggio che mi inviò, era quello. La cosa mi fece riflettere, ma non riuscivo proprio a trovare una pace ai miei pensieri. Mi sentivo come se avessi finalmente scalato la montagna, fossi in cima, con la mia baita, la cioccolata calda, la visuale mozzafiato, l'aquila reale come sveglia e d'improvviso, un chiurlo, geloso della pomposità dell'aquila reale, aveva dato fuoco alla mia baita, aveva bevuto la mia cioccolata calda, aveva rovinato la mia visuale e, dolcis in fundo, mi aveva spintonato giù dalla cima facendomi ruzzolare a capitombolo nel nulla più disperato.

Risalire? Non ne avevo più voglia, ora. 

Era egoistico da parte mia pensarla, così, ne ero consapevole. Molti di noi stavano finalmente combattendo contro i propri problemi, erano riusciti a superare cose molto più complesse di quelle, perciò perché immolarmi in quella sconfitta senza nemmeno aver tentato? E fu mentre disegnavo una specie di  cavallo con la parrucca rossa che qualcuno entrò in casa, spalancando la porta e restando sull'uscio con aria un po' interdetta, a guardare quella presenza inco-pertata dall'aria da medium che lugubrava davanti al tavolino. 
Per poco non incespicò su Monie, che fece un abbaio di saluto, o di protesta, ma non rallentò la sua marcia reale, lasciando comunque passare Namjoon, che a quanto pare era pieno di buste del supermarket notturno.
Capitava spesso che ci dessimo i turni per le cibarie essenziali, molte volte approfittavamo delle uscite notturne per recuperare avanzi proteici in grado di  tenerci in vita per qualche giorno. Jin era stato un ottimo spesatore nei suoi anni passati, tanto che ci abituammo un po' troppo alla tradizione di compratori della notte, evitando così immense code alle casse e la lotta per accaparrarsi il surgelato migliore. Era una tattica infallibile anti-stress.

«Seo, mi fai un po' paura.»
«Lasciami morire da sola.»
«Neanche ti sento, hai la musica a palla. Non so se ti sei accorta di che ore sono. Ci farai denunciare da tutto il condominio.»

Provò così un veloce abbassamento di volume, prima di lanciare via i sacchetti, andando a piantare nel frigo e nel freezer il cibo in fase di scioglimento climatico. Fece cadere qualcosa, pregai che non fosse la mia tazza-lama, ma ero pronta anche a sopportare quel lutto ceramico in caso, ormai il mio cuore non poteva stare peggio di così. Lui borbottò qualcosa, prima di sentirlo scivolare oltre il divano e sedersi proprio vicino a me, a gambe incrociate, donandomi quella che aveva tutta l'aria di essere una brioches ripiena e glassata.

«Tieni. Sono stati appena sfornati, non ti ricapiterà mai più.»
«Namjoon» feci finta di niente, nonostante il borbottio della mia pancia, andando a spingere davanti a lui le mie carte disegnate: ne avevo create dieci, ognuna con una figura animalesca diversa «scegli tre carte.»

«Se è un gioco per richiamare i fantasmi di questa casa non ci sto. Jungkook me la sta facendo fare addosso da quando dorme qua.»
«Non c'entrano i fantasmi. Avanti, dai.» Lo intimai.

Lo vidi fissare intensamente, tanto che mi soffermai a guardarlo. Aveva un po'occhiaie sotto agli occhi, ma nel suo aspetto era sempre impeccabile. I capelli scuri portati indietro, vestito in modo casual ma atto ad aumentare la sua prestanza fisica, potevo addirittura sentire il suo odore spingersi fino alle narici. Non indagai, ma mi venne da sorridere al pensiero che fosse appena rientrato da un appuntamento notturno caliente.

«Scelgo queste.»
Tirò verso di sé tre foglietti: la prima 
era proprio il cavallo con la parrucca. Era vestito come un marinaretto, una maglietta a righe, un cappellino bianco sopra la chioma rossa e una pipa nella mano destra.
Sulla seconda, invece, c'era una balenottera azzurra, a mollo sull'acqua di una piscina, con un cappello di paglia sulla testa e gli auricolari dentro le orecchie. 
Nella terza, invece, avevo disegnato un'alpaca, bianco, con una sciarpa rossa al collo, gli occhiali da sole in una posa molto caraibica. Se  ne stava sdraiato sulla sdraio a sorseggiare un cocktail dal color confetto.

«Il primo è: il Capitano Cavallo.» 
Cominciai io, approfittando di quella mia nuova professione. Scaldai la voce come una vera chiaroveggente, tanto che lo vidi allargare lo sguardo quando gli rubai i disegni dalle mani, per poggiare il primo proprio davanti al suo naso.
«Significa cambiamento tormento
Notai il suo sguardo farsi più serio, mentre piantava indice e pollice tra mento e labbro e ascoltava paziente, davvero concentrato.

«Non vedi il suo sguardo? Terribilmente inquieto, non fa  che fumare la pipa perché sa che di meglio non può fare, mentre le onde imperversano e danno vita alla tempesta, che farà ballare la nave, e di qua e di la»
Ondeggiai pure io, come smossa dalle onde, mentre spiegavo il mio disegno nel peggior modo possibile.
«E all'improvviso un'iceberg
«Oh no!»
«Eh già. Proprio lui. Ma il Capitano Cavallo riuscirà a virare? Eh no, perché cinque giorni prima aveva detto ai suoi mozzi "ragazzi suvvia, velocizziamo questa vecchia carampana" e così, BAM
E sbattei le mani tra loro, con un rumore sordo e improvviso, tanto che vidi Namjoon sobbalzare.

«Ma ecco qua, la Balena Spiaggiata
«Seo io-»
«No ascolta, la Balena Spiaggiata è una Balena incurante del pericolo, è lì che ascolta musica deprimente e pensa "ma perché sto ascoltando Justice Timberland?" che senso ha tutto questo?»
«Ma non si chiamava Justin-»
«Namjoon non interrompermi, aspetta» incalzai io, ormai in modalità tenebrosa, o forse alcolica, tanto da non riuscire a frenarmi in alcun modo «capisci che lei è lì, lei è lì e non vede che la nave del Capitan Cavallo sta arrivando, sente sì un po' di ondeggiamento ma pensa "oh saran state le cozze della sera prima", mica va a pensare che quello sta arrivando per tranciarla di netto e ucciderla senza preavviso, così - così»

Namjoon mi fermò, tastandomi un braccio, prima di rubarmi dalle mani l'ultimo disegno. Fece un mezzo sorriso, andando a pigiarlo sopra gli altri due, un po' più delicatamente di quanto avessi fatto io poco prima.

«E che mi dici dell'Alpaca con la sciarpa
Chiese lui. Aveva ancora la brioches infarcita di diabete in mano, non aveva provato a mangiarla lui stesso, sembrava stesse solo aspettando che io finissi quella carovana di castronerie, come farebbe un vero affiliato.

«L'Alpaca con la Sciarpa, beh lui è » ci provai a trovare una storia, ci provai a seguire le orme degli altri due, che sembravano tanto nella mia testa i personaggi di un cartone a cui stavo dando vita, immedesimandoli nella mia.

«Lui è»

Perché non riuscivo a trovare una definizione? 
In fondo era semplice, non c'era da tergiversare.
Non ce n'era davvero più bisogno.

«Lui è l'amore
Sussurrai alla fine, gettando fuori un sospiro, che mi fece afflosciare sui cuscinoni del divano, mentre abbassavo il capo, provando a dissociarmi anche da questo. Avevo fatto un chiaro riassunto della mia frizzante estate, la cosa mi aveva di nuovo fatto ripiombare in un silenzio annerito. Per fortuna, mister Namjoon, era un ottimo estrapolatore di indizi, tanto che prese il sopravvento, superando i miei pensieri.

«Perché non vai da lui?»
«Perché ho rovinato ogni cosa.»
«Qual è la novità, scusa?»
Mi voltai a guardarlo, la sua faccia così ovvia mi diede una spinta in più, almeno per mettermi a sedere correttamente. 

«Ho detto a Hoseok che lo amavo, l'ho fatto la sera del concerto.»
Lo vidi sgranare gli occhi, bloccandosi con un'espressione semi-sconcertata. Finalmente appoggiò quella bomba calorica dolciaria sul tavolino, liberandosi le mani. Era giunta l'ora di rivelarlo anche a lui, forse sarebbe stato comprensivo e mi avrebbe dato modo di analizzare una possibile soluzione a tutto quel casino.

«Cosa cavolo hai fatto, scusa?»
No, forse no.

«È uscito il discorso, insomma, è stato ...non volevo farlo ma ero così arrabbiata con Jin che non sono riuscita a bloccarmi, non ci ho nemmeno pensato. E poi era ora che mi levassi questo sasso dalla scarpa. Ci ha già pensato Yurim a farmi una ramanzina, sono a posto su questo lato.»
A quanto pare era in procinto di dire qualcosa ma si interruppe, guardandomi con occhi sottili. Così continuai io.
 «Jin stasera è venuto al locale, abbiamo parlato, mi ha detto tantissime cose e io non sono riuscita a dire nulla, cercavo solo di trovare una scusa per difendermi dalla rabbia che provavo, e non sono riuscita a trovare un modo per difendere lui, invece.»

 «Seo, io non ti capisco.»
 «Eh, benvenuto nel club.»
 «No sul serio, non ti capisco. Hai fatto di tutto per riuscire a stare con Jin e, ora che finalmente ti vedevo un minimo felice, rovini tutto per cosa? Un segreto non detto? Ah capirai, sai quanti ne sto tenendo ad Agnes io? Fino a che sono solo cavolate non c'è da farne una tragedia.»
 «Cosa cosa cosa cosa e ancora cooo-sa?» Quasi sillabai cantando, rubando la stessa espressione di Namjoon in quel frangente. «Agnes?»
 «Vabbé ma lo sapevi, dai. Sono sempre fuori casa.»
 «Ma cosa sapevo, non mi dici mai niente.  L'ultimo gossip che ho di questa risale a te che mi dici che l'hai abbandonata a casa dopo la famosa cena. E a quanto ne posso sapere tu la sera esci per partecipare a bische clandestine, guadagnando montagne di denaro o non mi spiego le nuove lucine per il bagno intorno allo specchio. Oppure era un regalo da litigata?»
Indagai, al finale, inarcando un sopracciglio.
 «Sono bellissime e danno atmosfera, tranquilla che non ho litigato con nessuno. E comunque no, nessuna bisca clandestina, è ovvio che sto uscendo con Agnes.»
Lo spintonai con un gomito e mi scivolò la coperta dalla testa, riprendendo così una parvenza normale di decenza.
 
 «Quindi è finalmente una cosa seria?»
 «No no, assolutamente no.» Disse lui frettolosamente, scuotendo il capo.  «Insomma, mi piace certo, ma non voglio fare nessun passo estremo e poi ho troppi pensieri ultimamente, non riesco a concentrarmi su di lei.»
 «Che pensieri hai?»
 «Non mi  va di parlarne adesso, non guardarmi così! Giuro che ve ne parlerò, ma ora è ancora tutto incasinato e ho paura di portarmi sfiga da solo.»
Feci un sospiro, scuotendo il  capo.
 «Ero quasi convinta che avessi deciso di andare a vivere da lei, pensa. Faccio quasi fatica a incrociarti in casa, ormai.»

 «Seo» si mise a ridere, prima di sentirlo smuoversi, afflosciando col sedere sul pavimento e poggiare la testa sulla mia spalla. Per un secondo rimasi immobile, non aspettandomelo, andando a guardare i suoi capelli di sguincio  «lo sai già che noi tre vivremo insieme per sempre fino alla vecchiaia, ascoltando vecchi vinili, circondati dai tuoi quadri ormai diventati famosi in tutti i musei del mondo e pensando a quanto la  vita sia effimera, corta e incompleta.»
 «Questo patto valeva solo se fossimo rimasti single fino ai quarant'anni, ora non vale più per nessuno di noi.»

Mi diede un pizzicotto sul braccio, accomodandosi meglio lì, mentre andava a pinzare gli altri disegni con una mano. Vidi che si soffermò su quello dove era disegnato un Koala-rapper, tanto che se lo tenne in mano, prima di sospirare.
 «Aspetta a dirlo, tu ormai sei single conclamata e io probabilmente non avrò mai una storia seria fino alla fine dei miei giorni. Solo Minno è fuori dai giochi.»
 «Allora, la single conclamata ti dice di smetterla di fare il piagnone. Noi tre ci contagiamo troppo a vicenda, non va mica bene.»
 «Non faccio il piagnone.»
 «Oh lo fai invece. E poi chi te lo dice che il mio sogno di andare a vivere in Perù non diventi realtà, scusa? Ne ho già parlato con mia madre, non potrebbe essere più in disaccordo quindi è praticamente cosa fatta.»

Di nuovo lo sentii ridere, mentre aveva preso a piegare il mio disegno, senza nemmeno chiedermi il consenso, e ficcarselo in tasca da vero ladro professionista. Avrei  voluto digli cose, ma un po' ero onorata che gli fosse piaciuto a tal punto da tentare un furto, secondo lui, non visto.
 
«Mi verrebbe  il panico se tu te ne andassi davvero. »

Ammise con un sospiro più serio, nonostante riprovò di nuovo a ridere. In effetti, era una faccenda di cui non avevamo mai parlato, nè con lui nè con Yoongi. L'idea di separarci, ad un certo punto, ognuno seguendo la propria vita non ci aveva ancora sfiorato. Non riuscivo a immaginarmi, ancora, in una situazione diversa  da questa e, per un attimo, venne il panico anche a me, tanto che mi voltai giusto per dargli una leggera carezza tra i capelli. Un piccolo tocco d'affetto che lo fece accomodare meglio contro la mia spalla.

 «No, sarai costretto  a sopportare me e Yoongi per l'eternità.»
 «Farò questo grande sforzo.»
 «Però dovresti darti una possibilità, non ti fa bene imbarcarti in una storia come se fossi ancora un quindicenne.»
 «Non ci riesco, Seo, per favore. Non ritorniamo su questo aspetto.»
 «Dovresti dimenticarti di lei.»

Lui fece scattare in alto la testa, ritornando a guardarmi. Non si defilò da quella postazione, ma almeno potevo guardarlo in faccia. Il suo sguardo diventava sempre molto serio, quando si parlava di Hyejin, tanto che mi pentii di averla tirata in ballo di nuovo. Avrei proprio dovuto mordermi la lingua, in certi frangenti, eppure ero così brava a fare scena muta. Magari diventasse un talento anche davanti ai momenti sbagliati.

 «Se Jin ti lasciasse sul serio tu riusciresti così facilmente a voltare pagina? Anche in caso di tradimento, dico.»

Corrugai la fronte, andando a guardare Monie che, aveva deciso, di sedersi davanti alla porta in trepida attesa della venuta di Yoongi. Peccato che Yoongi era già in camera sua, probabilmente intento a maledirmi per averlo tenuto sveglio per colpa della musica, quindi provai un attacco di tristezza per quel botolo di pelo, richiamandolo con un leggero rumore sul pavimento.

No, ovviamente, non sarei mai riuscita a voltare pagina.
Non con Jin. Ormai si era infilato sotto la pelle, non sarei mai stata capace di levarlo da lì, nemmeno se avessi trovato il suo clone perfetto. Nemmeno se avessi trovato, a rigor di logica, uno migliore di lui, o più incline al mio carattere. Non riuscivo a vedere nessun'altro che non fosse Jin, nella mia vita, e d'un tratto mi resi conto che Namjoon stava passando davvero una fase insuperabile. Quella ragazza lo aveva stregato e non gli  dava modo di voltare pagina, perché lui l'aveva amata. L'aveva amata sul serio. Non come un quindicenne, ma come uomo, e il risultato lo aveva stravolto.

 «Ti vorrei solo vedere felice, tutto qui. Per questo te lo dico.»
 «Non ho bisogno di nient'altro per essere felice, me la misuro a mio modo la felicità. E comunque» sfilò via dalla tasca il telefono, passandomelo come aveva fatto poco prima con la brioches, che ora aveva deciso di mangiare alla faccia mia  «chiamalo. Vedrai che non appena avrai risolto con lui, tutto il resto sarà in discesa. Supera il tuo primo ostacolo.»
 «Non mi vorrà parlare, ho fatto davvero un casino.»
 «Ma dai, intendi oltre al fatto che lo hai evitato per giorni senza risolvere nulla?»

 «Mi ha detto che mi ama. Mentre litigavamo.»
La sua smorfia contrita non aiutò la mia causa. Avevo costretto Jin a rivelare i suoi sentimenti in una maniera che aveva odiato, forse stava davvero pensando ad un modo carino per dichiarare il suo amore, magari davanti ad un documentario sull'accoppiamento delle manguste, oppure mentre tentava di risolvere un sudoku con scarsissimi risultati. La  vera potenza delle romanticherie di Jin. E io gli avevo rovinato tutto, com'ero solita fare quando si trattava di lui.

 «Beh, almeno sarà stato contento di sentirlo dire anche da te, no?»
 «...già
 «Seo non glielo hai detto anche tu?»
Non risposi subito, tanto che piantai in faccia un'espressione più che colpevole,
 «...già.»

 «Ma io porca miseria ma che devo fare con te?» Si alzò dal divano, tanto che Monie, che si era finalmente avvicinato, si spaventò andando a rintanarsi in cucina, tutto indispettito.  «Ma te lo devo tatuare in fronte? A volte sembra che sei scema volutamente.»
«Meno male che sembra, solo.»
«Ora prendi quel dannato telefono, lo chiami, chiarisci sta barzelletta in cui vi siete piantati e per favore resta salda nei tuoi principi.»
«Eh ma»
Neanche feci in tempo a fingere di oppormi, mi piantò il suo telefono in mano con una tale foga che ebbi paura lo avrebbe fracassato, ma riuscii a tenerlo saldo, allontanandomi un po' intimorita. Probabilmente ne aveva la testa piena anche lui di tutto ciò che stavo combinando.

«Io non so, due idioti sembrate, eh ma Seo qua e ma Jin là, e ma c'era Hoseok che aveva la camicia con i fenicotteri quindi m'è venuto  da dirgli che lo amo che vuoi che sia? No ma quella ragazza è la cugina della sorella della matrigna di Cenerentola, mica è una con cui ho preso un caffè una volta e a cui ho fatto due mezzi sorrisi per sbaglio. Un dramma proprio, Amori  in Affitto fa meno di danni!»

Aveva cominciato a mettere a posto la spesa, aprendo e facendo più casino del dovuto, quasi più casino della mia musica di poco prima. Non volli rimarcare il fatto che conosceva anche lui Amori in Affitto, ma quel piccolo particolare mi fece rendere conto che Yoongi, sicuramente svegliato da tutto quel macello, era uscito dalla stanza in stile Nosferatu per ucciderci con lo sguardo, immobile come un fantasma a fissarci da lontano. Monie, almeno, alla sua vista riprese la gioia canina nascosta  nell'angolo più remoto del suo pelo. Ma io non avevo tempo per Yoongi in quel momento, ritornando a guardare il telefono, con le mani già tremanti.

«Ti ha detto  che ti ha tradito? Che ha seimila amanti?  Che vuole diventare poligamo? No perché giustificherei questo comportamento solo in questo caso, ma avanti, illuminami.»
«No, va bene non mi ha tradito ma...Senti mi ha mentito su una faccenda stupida, mi sono ingelosita come una iena, che dovevo fare? Mi da fastidio quando mi prende per una persona debole che non è capace di accettare la realtà delle cose. E poi per cosa? Ha sottovalutato i miei sentimenti per lui, non si è fidato di me, è normale che io sia indisposta.»

Yoongi fece un solo verso, non ero del tutto sicura che ci stesse ascoltando, perché continuava a tenere gli occhi chiusi. Namjoon, invece, aveva preso a tastarsi le tempie. Non sembrava avere proprio la pazienza di un monaco buddhista, quindi evitai di continuare lasciandogli libero sfogo.

«Ma infatti non dico che si sia comportato bene, avrebbe dato fastidio anche a me. Ma ammetti che tu sei una che cede facilmente, probabilmente è andato in panico anche lui, ha fatto un errore perdonabile. C'è davvero bisogno di tutto questo?»
«Ma gli avevo già spiegato che non deve temere i miei sentimenti, che non gli avrei voltato le spalle al primo problema.»
«Invece lo hai fatto

Namjoon era davvero bravo a farmi sentire in completo torto, tanto che piantai le labbra tra loro senza riuscire a dire altro. Era ovvio che le parole potevano valere ben poco se poi, con i fatti, non raggiungevo lo stesso livello di coerenza. Ma continuavo a pensare che non mi meritavo una menzogna tanto elaborata, ero sicura che non avrei rinunciato a lui neanche se avessi saputo che un'altra ragazza gli stava gironzolando intorno.
Non con lui.
Non sarebbe stato l'Hoseok della situazione.

«Non avrei mai rinunciato a lui, perché so con certezza che lui e solo lui è quello giusto per me.»
Dissi con un impeto più sentito. Yoongi fece un altro strano verso, ancora immobile a squadrarci senza proferire parola. Non ero del tutto sicuro che fosse ancora vivo ma il fatto che ciondolasse era un buon segno. Namjoon, invece, si limitò a scrutarmi con fare serio e invadente, se avesse avuto una torcia penso che me l'avrebbe puntata in faccia  giusto per trovare la sua conferma, alle mie parole.
«E questo glielo hai detto? O deve provare a indovinarlo?»
«Pensavo che fosse palese, ma devo sempre spiegare tutto?»
«Ti ricordi quello che ci siamo detti, la notte in cui Tae ... Ritorna in te e ricordati di quel giorno. Alle volte una sola stupidissima parola può salvare dalla rottura definitiva. Non devi fare grandi pazzie, devi solo dargli delle certezze. Jin è una persona piena di difetti ed è un vero disastro, pure lui, con la comunicazione dei sentimenti, col fatto che si nasconde dietro battute squallide, è un po' troppo schietto alle volte e non capisci che cavolo sta cercando di dire ma su una cosa è sempre stato più che chiaro.»

Inclinai il capo di lato, provando a interromperlo, ma non mi diede modo.
Stava scavando dentro il mio stomaco con un cucchiaino, non avrei dovuto chiedere aiuto a lui, era troppo saggio per i miei gusti.
Peggio di Minno.

«E sei tu

Il cuore divenne improvvisamente caldo.
Namjoon chirurgo: taglia e cuci, dieci e lode.

«Quindi alza quel cavolo di telefono, chiamalo o giuro che ti riempio di cetriolini ogni cosa legalmente ingeribile fino alla fine dei tuoi giorni.»
«Sì Nam va bene va bene, calmati ora lo chiamo - lo chiamo, ouf.»

Digitai numeri a caso prima di trovare quello giusto, mentre cercai un supporto da Yoongi che, senza aver detto una sola parola, decise di sparire di nuovo, ma questa volta in camera di Namjoon, probabilmente sbagliando porta in maniera del tutto accidentale. Probabilmente era stato un effetto un po' sonnambulo, il suo. O forse non era Yoongi, ma quel Ferrendez maledetto, a smuoverlo come un burattino.
Non volevo pensarci.

«Squilla.»
Dissi io, mentre Namjoon sbatteva e metteva cose a posto, guardandomi con occhi di fuoco. Sembrava ci tenesse più lui, a risolvere quella questione, che noi stessi. Come metodologia funzionava, stavo cominciando a provare un po' di timore a contraddirlo, era piuttosto risoluto e combattivo. Mi chiesi perché, quella tenacia, non la usasse anche per i suoi problemi.

«Non risponde, sicuramente sa che sono io a chiamarlo.» Sospirai, già sconfitta.
«Chiama casa. Di sicuro penserà che è l'Università. O sua madre. Risponde sempre al telefono di casa.» Disse Namjoon combattivo.

Quella tattica mi sembrava convincente, così cercai sul telefono il numero di casa, lo trovai sotto una bizzarra sequenza di "Boh", "
Non ricordo", "Boh2", evitai di ridere per quella rubrica all'insegna dell'incertezza, finalmente ricliccando il tasto verde per far partire la chiamata.

«Squilla.»
«Eh per forza squilla, è casa sua.»

Mi venne improvvisamente il panico, tanto che presi a imitare Monie trottando  lì intorno come un pazza, girando a vuoto. Avevo cominciato a scarnificarmi le unghie, potevo sentire il cuore rimbombare fino alle orecchie creando una brutta pressione alle tempie. Non ero sicura che sarei riuscita ad avere una conversazione civile, così deviai improvvisamente, cominciando ad arrancare verso Namjoon velocissima, allungando il telefono.
«Parla tu, ho cambiato idea.»
«No no, devi farlo tu, muoviti.»
«Nam ti prego, mi sta salendo l'ansia.»
«Seo ti rompo la tazz-»
Ci fu una semi-lotta di mani, mentre quello continuava a spingere il telefono nel mio orecchio e io facevo altrettanto col suo, ma alla fine una voce maschile rispose, proprio quando la palla* era, di nuovo, passata a me.


«Pronto?»
«Jin! Jin ascoltami, sono Seo, lo so che sono le sette del mattino, che abbiamo litigato e che probabilmente non mi vorrai più vedere ma ho bisogno di dirti una cosa importante, sul serio. Ho  bisogno che mi ascolti perché non riuscirò a ripeterla più di una volta, quindi se mi dai venti minuti giuro che sono da te, so che non ti scandalizzerai a vedermi in  pigiama, hai visto decisamente di peggi-»
«Seo?»

Per un attimo rimasi di sasso. Sgranai gli occhi e mi voltai verso Namjoon decisamente perplessa, tanto che gesticolai cose con la mano libera, non facendo capire niente al mio amico. Lui, infatti, si bloccò a osservarmi con aria stralunata e confusa.

«Park Seoyun? Ma ciao, Stavi cercando Jin, immagino.»
Non era Jin, avrei dovuto capirlo dall'intonazione della voce,ma nell'attimo di guerra con Namjoon mi ero persa la vera metrica del suono e non mi ero accorta che, a rispondere, non era stato Jin. Ma un altro ragazzo. 
Sicuramente suo fratello.
«Seokjoong-nim? Oh perdonami, scusami sul serio. Ero - stavo -  sì cercavo Jin, mi dispiace molto se ho chiamato a quest'ora, ma non avevo idea che fossi tornato dall'America e-»

«Non ti preoccupare, sono tornato ieri per fare una sorpresa alla famiglia. Jin mi ha parlato molto di te, ma mi sembravi un po' agitata, spero vada tutto bene.»
«Oh certo, certo è solo che ho urgenza di parlare con tuo fratello, è davvero importante.»
«Ma in questo momento non c'è. E' uscito poco fa, sta andando verso la stazione, quella vicino casa

Un altro dardo al petto, tanto che di nuovo cercai aiuto verso Namjoon ma quello si era piazzato al lato del telefono per cercare di carpire informazioni. Nessuno dei due era stato abbastanza sveglio da mettere il vivavoce, così che alla fine sgranai gli occhi, agitandomi improvvisamente.

«Come in stazione?»
«Sì, è uscito poco fa. Prova a chiamarlo, sicuramente ti risponde, altrimenti-»
«Grazie mille, lo chiamo subito, scusami ancora per il disturbo. Ti auguro una buona giornata.»

L'avevo interrotto ma non ero nella fase della burocrazia buona, mi sarei scusata prossimamente,  ora avevo solo in mente Jin che si stava dirigendo in stazione. Per andare dove? Forse tornare dai suoi genitori prima di partire? 
Cominciai ad iperventilare, tanto che pigiai il telefono sul petto di Namjoon, cominciando a correre verso la porta.

«Nam Nam Jin sta andando in stazione, non so dov'è diretto, ma non posso lasciarlo andare così. Cazzo non mi risponde, ma perché perché perché. Questa è colpa tua che mi infondi coraggio e ora mi tocca fare una corsa disumana, morirò nel tragitto, non lo raggiungerò mai!»
Avevo riprovato a chiamarlo, ancora, questa volta col mio numero, mentre tentavo di infilarmi delle scarpe, non calibrando bene la mia mente, visto che mi infilai delle ciabatte decisamente della misura di Yoongi, troppo grandi per me.
Vidi Namjoon seguirmi, andando a prendere le chiavi polverose e dimenticate della macchina, sfilandole da porta oggetti vicino all'ingresso.
«Andiamo. Ti porto io. E' ora di riportare in vita il nostro bolide.»

Non feci in tempo a replicare, lo vidi fischiare a Monie che prese a seguirlo giù per le scale. Io avevo il cuore a mille, ma non me lo feci ripetere due volte, mi lanciai dietro di lui, pregando in tutte le lingue del mondo di trovarlo in tempo.










«Nam Nam Naaaam quello era uno stop, o-ccavolo
Tenevo Monie al petto, con la cintura pure per lui, alquanto terrorizzati dalla guida spericolata di Namjoon. A quanto pare, alle sette del mattino di un giorno feriale in pieno agosto, le strade erano piuttosto libere per permettere a quella specie di serial-killer alla guida di diffondere tutta la sua indole distruttiva, sicuramente voglioso di rompere i freni, o la macchina, o le nostre vite.

«Seo, se non lo becchiamo quello se ne va e tu te ne pentirai per sempre. E vuoi davvero sentire Minno che ti insulta per tutta la sua vita riguardo al fatto che sei stupida?»
«Non è un buon motivo per uccidermi- ah dosso
Un dosso, la macchina fece un balzo allarmante, tanto che Monie si conficcò sotto una mia ascella, forse più per il fatto che lo stavo stringendo troppo che per paura.
«Stai tranquilla, conosco queste strade come le mie tasche. Mettiamo un po' di musica, per darci carica-»
«No no no no Nam caz-»
Pigiò un tasto vicino al registratore tecnologico che svettava attempato davanti a noi, mentre una canzone di un rapper famoso americano cominciò a cantare una sequenza di settantamila parole in un secondo e mezzo, tanto che la cosa mi stordii per un attimo.

Io, Namjoon e Yoongi avevamo comprato una macchina in comune poco dopo essere diventati coinquilini, con il nostro saldo molto esiguo avevamo trovato una Punto dal colore acqua marina di laguna un po' malmessa, una specie di miscuglio di più pezzi messi insieme, probabilmente con nastro adesivo e colla, presa da un rivenditore di macchine usate. Faceva dei rumori pericolosi, la frizione era la cosa meno funzionale di tutte, il clacson non suonava e uno specchietto non esisteva. Era stata usata per un paio di settimane prima di finire nel dimenticatoio. Avevamo scoperto che, usarla era troppo dispendioso per le nostre tasche ed era potenzialmente un'arma letale con ognuno di noi alla guida, cosicchè era stata relegata come cimelio dell'anteguerra e tenuta polverosa e un po' diroccata come oggetto di riserva per tragitti di lunga portata o accompagnamenti all'aeroporto improvvisi. Di tanto in tanto la prestavamo a Jungkook per fare bella figura, a detta sua, ma gli avevamo proibito di rivelarci per quali figure lui la usasse, vista la decadenza archeologica che si portava dietro.

«Era da un sacco che non guidavo, sai?»
«Ah davvero? Davvero? No ma dai, giura!»
«Oh dovevo andare a destra, stupido navigatore -»
«Nam stai guardando la strada per andare da "Ciccio Panza" nell'altro distretto, che cavolo! Prendi la prima a sinistra, occhio alle str-auf!»

Un altro dosso, mentre io riprogrammavo la strada sul suo cellulare, piantandoglielo davanti alla faccia. Intanto la voce del navigatore sovrastava quella del rapper, tanto che creò una specie di canzone virtuale meccanica viaggiatrice del tutto incapibile.

«Dice di andare a sinistra ma la strada è chiusa!»
«Segui quella macchina Nam, lì stanno facendo lavori.»
«Prendo la scorciatoia?»
«Sei conscio del fatto che se fossi andata a piedi sarei arrivata prima, sì?»
«Oh scusami tanto se cerco di salvare il tuo amo- No Monie, tienilo tienilo Seo
Namjoon urlò qualcosa, rendendomi conto che Monie era saltato tra i suoi piedi, tanto che lo sentii sbandare malamente, prima di riuscire a prendere il cane e poggiarlo nella zona passeggeri, al sicuro.

«Moriremo tutti!» Mi lagnai io, mentre Namjoon riprendeva il controllo, facendomi scivolare sul sedile per la sterzata. «Monie ricordati che ti perdono anche se mi odi e tu» indicai Namjoon, in piena crisi «ti conviene trovare una scusa nobile dall'aldilà per spiegare a Jin perché sono morta quindi comincia a pensarci!»
«Come sei tragica, come se fossi pericoloso.»
«Namjoon cambia la marcia per favore, sta grattando tutto qui, buddha aiutaci!» Mi piantai le mani davanti alla faccia, mentre lo sentii cambiare, pigiare l'acceleratore e puntare una strada. Eravamo vicini, riconobbi la casa di Jin che ci sfrecciò di lato alla velocità del suono.

«Fermati fermati fermati parcheggia qui o ti faranno pagare, scendo al volo.»
«Fammi almeno frenare!»
«Frena Nam!» 
Quello frenò inchiodando, tanto che un paio di signori lì vicino si voltarono a guardarci un po' preoccupati.

«Vai, io ne approfitto per portare a spasso Monie. Tu torna vincitrice o non tornare neanche.»
«Namjoon non tornerò mai più in macchina con te, fattene una ragione.»
«Drammatica, sei drammatica.»

Con uno sbuffo gli diedi una pacca al braccio prima di fluire fuori dalla macchina abbandonandolo, cominciando correre all'impazzata verso la strada della stazione.
Era ormai a pochi metri da lì, ero consapevole che qualche addetto alla sicurezza mi avrebbe sicuramente arrestata vedendomi arrivare in quella maniera spericolata ma non riuscivo proprio a fingere di non avere il cuore in gola. 
Ero spettinata, in pigiama, avevo indosso delle ciabatte in cui stavo praticamente navigando e come atto vandalico finale non avevo per nulla nascosto i miei sgargianti calzini rosa con degli avocado disegnati: meritavo l'arresto solo per quello, ma prima avrei provato il tutto per tutto per convincere Jin ad ascoltarmi.
Cominciai a scendere delle scalinate caracollando come un bigfoot, arrivando nella piazzetta esterna alla stazione, dove alcuni altoparlanti stavano dando gli orari dei treni e mi bloccai, per un istante.
Non avevo la più pallida idea di dove cercarlo, non sapevo nemmeno dove pensava di andare, se era già partito. Riprovai a chiamarlo ma, di nuovo, il telefono squillava a vuoto e così decisi di fiondarmi verso l'ingresso, cercando le direttive sul treno per Gwacheon. 

Era l'unica soluzione che avevo, forse stava andando dai suoi genitori. 
Ma perché non mi aveva avvisato? Anche solo un "ti lascio, torno dai miei, addio." Mi sarebbe andata bene, avrei avuto più tempo per fermarlo almeno, più tempo per rendermi conto che non potevo lasciarlo andare rovinando ogni cosa. 

Ero riuscita ad attraversare la piattaforma che portava direttamente alla biglietteria, quasi capicollandomi giù per i gradini che portavano all'ingresso dei binari. Per fortuna non ammazzai nessuno, tantomeno me stessa, cosa da non sottovalutare assolutamente. 
La zona era capeggiata da gente in valigetta pronta ad affrontare la giornata lavorativa, insieme a qualche famigliola carica di valigioni e berretti tipici da vacanza, c'era qualche ragazzo giovane con l'aria appisolata che, potevo immaginare, già agognava l'idea di addormentarsi con la testa calata sul finestrino e i binari scorrevoli dietro di essi.

Attraversai una piccola zona adibita come luogo d'attesa, che reputavo estremamente pratica: c'erano macchinette, un piccolo bar con l'internet point annesso - vero eden per gli studenti - e un'edicola abbastanza provvista di giornali e giochi enigmistici di ogni sorta. Non feci caso a niente, il mio sguardo si posò immediatamente sulla tabella degli orari che lampeggiava sopra le mie teste.
Cercai di non pensare alle occhiate della gente, vidi parecchi osservarmi come se fossi un alieno; sapevo di avre un aspetto non proprio accurato e accorto, ma non potevo farmi prendere male dai pensieri altrui, dovevo trovare quel treno.

Provai di nuovo un assalto al telefono, componendo il numero di Jin ma, come le seicento volte prima di questa, squillava a vuoto.
Quando controllai i messaggi c'era solo quello di Namjoon, che mi chiedeva se ero riuscita a trovarlo.

Cominciò a salirmi un vero e reale panico, tanto che provai a guardarmi in giro alla ricerca di un possibile capostazione. Nonostante fosse un orario improponibile, era davvero assurdo come fosse già pieno di gente. Da quando avevo smesso di fare la pendolare per gli studi, avevo completamente rimosso la vita frenetica delle stazioni, il tempo caotico che sembrava velocizzarsi a dismisura. Non avevi tempo di prendere un caffè che ti ritrovavi già in ritardo, pronta a perdere il treno e a prepararti ad una corsa da maratoneta per evitare di aspettare un'altra mezzora inutilmente.

Sul tabellone non riuscii a scorgere nessun treno diretto nella città natale di Jin, probabilmente ci sarebbero stati degli scali di cui non ero a conoscenza, sempre se fosse quella la meta che si era prefissato. 

«Ah! Signore? Signore?»
Finalmente ne scovai uno; era un uomo basso, dalla corporatura esile e dall'aria gioviale. Dava l'idea di un'adorabile vecchietto, tipico vicino di casa, che ti portava le fragole dopo la raccolta. Chissà perché mi venne in mente proprio quel frutto, in quel momento.

«Sì, mi dica? Ha bisogno di aiuto?»
«Oh sì, la ringrazio, avrei bisogno di sapere qual è il treno diretto per Gwacheon, sono abbastanza di fretta.»
«Oh, signorina, partirà fra due minuti esatti dalla piattaforma otto, quella laggiù. Farà uno scalo, ma non credo riuscirà ad arrivare in tempo, è dall'altra parte della stazione.»
Mi voltai  di scatto. Davanti a me c'erano diverse piattaforme, non era una stazione molto grande ma ne aveva più di dieci. Per superarle bisognava passare per l'obliterometro, impossibile da scavalcare illegalmente da qualsiasi angolazione.
«Ah dann- cioè, la ringazio signore, da che parte devo-»
«Signorina mi mostri il biglietto per cortesia, non riuscirà mai ad arrivare in tempo, posso farle il favore di posticiparle l'orario in caso, anche se la politica non lo consentirebbe.»

Ah, ma certo, il biglietto, il classico cavillo.
Finsi di tastarmi le tasche, per chissà quale motivo, prima di congiungere le mani in segno di preghiera.
Volevo sembrare realmente disperata, cosa per cui non dovevo sforzarmi poi così tanto.
Lo ero.

«Non ho il biglietto, sono disposta a prenderlo sul treno, pagando anche la differenza, ma non posso prendere un altro treno.»
«Signorina non farà mai in tempo, e senza biglietto non può nemmeno entrare nel binario, dovrei farle una multa per questo.»
«Ma signore io-»
«La posso accompagnare a fare un biglietto per il prossimo treno, la vedo un po' spaesata. Strano, di solito gli studenti sono molto più svegli di me in questo, ah ah.»

Quel signore vecchietto raccoglitore di fragole mi stava facendo perdere del tempo prezioso.
Se mi fossi messa a correre forse avrei innescato uno strano inseguimento, non la trovavo un'idea così improbabile.

«Il prossimo treno a che ora parte?»
«Alle 12.40, ma avrà tre scali, impiegherà più di quattro ore.»
«Quattro ore?

Perché tutto mi riportava a Titanic?
Non era finito, ormai, questo tormento? 
Forse avrei dovuto smetterla di farmi perseguitare da quel film, la mia nave stava affondando e non avevo nessun aiuto esterno?
La mia nave di salvataggio avrebbe ritardato così tanto?

Io dovevo salvare il soldato Ryan, maledizione.

«Purtroppo gli orari estivi sono diversi, ma presto ritorneranno quelli normali, per la gioia dei pendolari.»
«Non c'è nemmeno un bus che parte dall'autostazione che possa partire tra poco?»
«No signorina, ne dovrebbe cambiare almeno due ma non le converrebbe, ci metterebbe il doppio del tempo. Ma le corse non iniziano prima delle 10, per via della riduzione degli autisti.»

Mi guardai intorno spaesata, cominciando a sospirare.
Stavo cominciando a perdere le speranze, forse era davvero la mia kriptonite.
Non arrivavo mai in tempo, nemmeno se Namjoon attentava alla mia vita pur di aiutarmi in quell'impresa. 

«Ho bisogno di andare a Gwacheon entro oggi, se mi indica il percorso più veloce va bene lo stesso. Non badi al prezzo, pago anche la linea veloce.»
«Ma si sente bene? La vedo un po' pallida.»
Si accorse solo ora del mio vestiario molto casereccio, tanto che fece una strana smorfia, poco convinta.
Avrei dovuto sentirmi giudicata, ma non avevo nemmeno la forza di giustificare il motivo della mia apparizione poco divina.

«Forse sarebbe meglio se bevesse un caffè prima. C'è giusto un piccolo bar nella zona ristoro. O magari un po' d'acqua.»
«No no voglio prima prendere quel  biglietto, la ringrazio infinitamente, ma non sarò tranquilla fino a che»

«Seo?!»

«Un attimo Jin, sto cercando di prend...aspetta
Mi bloccai di colpo, trovando un Jin dall'aria confusa davanti a me. Il signore delle fragole immaginarie fece un piccolo cenno di saluto, che Jin ricambiò velocemente, prima di interrompere quel piccolo momento di stasi.

«Ah la conosce? Meno male, forse sarebbe meglio farla sedere.»
«Ma io sto bene signore!»
«Scusi signore, il treno per Busan?»

Una signora rubò la sua attenzione, tanto che io rimasi in balia dello sguardo di Jin senza più terzi incomodi da utilizzare a mio favore.
Presi un respiro enorme e lo fronteggiai, in tutto il mio enorme splendore insonne e decisamente in hangover ancora attivo e funzionale.

«Ero convinta che fossi già sul treno, perché diavolo non rispondi al telefono, ti dovrei staccare la testa accidenti a te.»
Quasi pigolai tutta la frase senza riprendere fiato, sgranando appena gli occhi, piantandogli due pugni chiusi sul petto.
Gli diedi un paio di spinte, cercando di metterci tutta la forza possibile.
Non lo feci nemmeno replicare, perché rimase interdetto a fissarmi.

Indossava la maglia che avevo cercato di rubargli, la sera che avevo dormito da lui dopo la cena, non più macchiata di pietanze innominabili, ma linda e profumata, dall'acceso colore marino. Indossava anche dei bermuda chiari, larghi e le immancabili ciabatte, a quanto pare calzare estivo intramontabile. A scrutargli il viso, sembrava non avesse dormito neanche mezzo secondo, nemmeno lui.

«Senti ti devo parlare, ora o mai più prima che tu faccia la cavolata di andartene chissà dove senza darmi nemmeno il tempo di chiarirmi. Lo so che sono una ritardataria cronica, anche in questo caso e sono disposta a prendermi tutti gli insulti del mondo, per questo, ma sono pronta a dirtelo senza che pensi che sia, non lo so, una persona che cerca solo la scialuppa di salvataggio dopo aver rubato il cuore dell'Oceano, non è così  che funziona!»

Stavo decisamente delirando, tanto che Jin provò a intercorrere per me, ma non glielo permisi.
Gli tappai la bocca con le dita, lasciandolo per un secondo spiazzato, o forse non solo un secondo.

«Posso dire con convinzione che gli anni e anni come adepta di Minseong mi hanno resa un po' anormale, insomma di certo non sono mai stata una di quelle pronte a dirlo ad alta voce, non seriamente almeno, se non  contiamo il mio fidato cuscino-erotico, grandissimo baciatore e impersonificatore di sagome attoriali che tu forse non sai-»
«Purtroppo so.»

Disse lui, abbozzando un semi ghigno sotto le mie dita, ma non disse più niente, facendomi morire di vergogna.
Ero consapevole che stavo prendendo una strada molto anomala per arrivare al punto, ma ci sarei arrivata.

«Yurim mi ha fatto capire cose che erano palesi da capire, forse sai dall'esterno certe cose sono pressapoco intuibili ma dentro era stato tutto un casino, anche nella  certezza c'era incertezza. E avevo paura di dirlo perché voleva dire che la cosa sarebbe diventata veramente seria e che sarei entrata davvero in quella situazione da cui poi non si torna indietro, insomma non so che sto dicendo

Jin provò ad alzare le mani, verso di me, pronto a scollarsi le dita dalla sua bocca ma io lo fermai di nuovo, cercando di non farmi bloccare in quel flusso di parole. Ormai gesticolavo, guardavo qualsiasi cosa, ero in balia di un tamburellare muscolare cardiaco degno di nota; forse stavo avendo un attacco, ma almeno sarei morta senza più segreti.

«Anche io ti amo, ti amo davvero Jin e sono sicura di saperlo da ...non lo so, accontentati del fatto che l'abbia capito, cosa da non sottovalutare per una come me. In fondo dopo che l'ho detto finalmente anche a Hobi era naturale che sarebbe stata solo questione di giorni, o di coraggio.»
«Hai  detto a Hobi che lo amavi?» Chiese lui, sgranando gli occhi. 

La sua reazione fu quasi peggiore della mia, 
e  meno male che s'era anche offeso, il grande romantico.

«No ma tu davvero ti stai soffermando su questi punti? Io ti sto dicendo che provo amore incondizionato che la Disney persino nei suoi miglior cartoni si sogna, fai pure tanto lo splendido facendo l'attoruncolo drammatico sfuggendo via dalle mie mani facendomi sentire la persona peggiore del mondo e tu»

Ma lui non mi fece finire di parlare.
Cominciò a ridere, ma a ridere di gusto, come un matto. Il suono della sua risata da tergicristallo a papera cominciò a espandersi per tutto il binario, tanto che alcune persone lì vicino presero a voltarsi un po' interdette. Cominciai a guardarmi intorno imbarazzata, provando a fermarlo con delle tattiche del tutto inutili. Il  fatto era che la sua risata era troppo contagiosa, tanto che alla fine cedetti come una pera cotta, cominciando a ridere dietro a lui, piegando appena la schiena in avanti.

Ero sicura che sarebbe morto asfissiato, visto com'era diventato rosso mentre continuava quella ridarella mortale, fino a che non cominciò a soffiare via un po' di carbonio, riuscendo a rimettersi dritto, ripescando una parvenza di serietà.
Ci provai anche io, tanto  che strizzai la faccia, sentendo gli occhi lucidi per quel momento di scemenza collettiva.

«Io ...non ci posso credere.»
«Ma davvero sembra così impossibile?  Insomma, pensavo che tu lo sapessi già.»
«Tu davvero avresti preso un treno per Gwacheon? Per venire a prendermi?» 
Mi chiese lui, cambiando drasticamente discorso.
«Già, ero davvero disperata. Non riesco a credere che mi avresti fatto una cosa simile. Ora sono arrabbiata per questo, mi pento di tutto quello che ti ho detto fino ad ora.»

«Ti rendi conto che saresti andata a casa dei miei per niente, sì?»
Mi domandò improvvisamente lui, prima di alzare il braccio e mostrarmi una cosa che non avevo per nulla notato.
Un giornale, che mi spiattellò in faccia, senza vergogna. 
«Ma cosa?»
«Sono venuto per chiedere un rimborso dell'abbonamento del prossimo anno, visto che dovrò disdirlo. Volevo sapere se c'era modo.»

Rimasi un attimo interdetta, a guardare il giornale con cui stava continuando a colpirmi in faccia. 

«No ma scusa, ma tuo fratello ha detto che eri venuto in stazione, io ho pensato che...»
«Sì, te l'ho appena detto, pidocchietto. E sì ho anche preso il giornale per lui, che è il vero vecchio della famiglia. Questo dovrei dirlo a Kookie.»

Ero ancora perplessa, ma almeno lui smise di darmi fogliate in faccia.
In effetti tutte quelle parole mi fecero, per un attimo, rimanere imbambolata a guardarlo, come risvegliata improvvisamente da un brutto sogno che, pian piano, sfumava via lasciandoti confusa, ma con ancora quel sentore angosciante dentro le ossa. A guardarlo bene, in effetti, non aveva di certo l'abbigliamento di un viaggiatore. Oltre il giornale non aveva niente, né valige, né cappello di paglia, né canna da pesca da vero viaggiatore di mondo. Nulla. Avrei dovuto capirlo subito, non avevo per niente l'occhio da detective in quei casi. Non avevo capito una ceppa di niente.
Intanto lui fece un passo verso di me, ritrovandomelo ancora più vicino, con lo sguardo limpido e il volto radioso per la risata di poco prima. Mi era mancata quell'espressione, valeva tutta la sofferenza provata.

«Oddio sarei andata fino a Gwacheon, da sola, come una scema!»
«Sai che è una cosa talmente romantica da poter battere completamente ogni mia idea futura, sì?»
«Questa cosa mi perseguiterà per sempre. Non posso crederci!»

Se non lo avessi beccato, non volevo nemmeno immaginare cosa sarebbe successo.
«Ma perché non mi hai chiamato?»
«Non ti ho chiamato?! Quando ricontrollerai il tuo telefono troverai almeno settecento chiamate senza risposta, tra me e Namjoon forse te lo abbiamo fatto esplodere, quello stupido telefono.»
«Ah, forse l'ho tenuto su silenzioso.»
Mormorò lui, facendo una smorfia.

Ero ancora scossa da tutto il discorso insensato, dal fatto che stavo per ritrovarmi in una città sconosciuta da sola e in pigiama, che mi allungai verso di lui per abbracciargli il busto, ficcando la faccia contro il suo petto.
Non ci mise molto a ricambiare la mia stretta, ridacchiando a bassa voce.

«Questa cosa Namjoon non dovrà mai saperla, fingi che ti ho fermato appena in tempo e che grazie a me hai rinunciato a passare la fine dell'estate a casa dalla tua famiglia.»
«Sono  un bravissimo attore, quando serve. Posso farcela.»
«Bravo.»
Biascicai io,contro la sua maglia. Inspirai forte il suo odore, imprimendolo nei polmoni, tanto da calmare ogni nervo solo con quell'azione. Sapeva di buono, era qualcosa di impercettibile, ero quasi sicura  che fosse l'odore della sua pelle, senza altri intrugli di sorta. Non riuscivo a dire niente, volevo rimanere solo imbrigliata così; avevo davvero avuto paura di perderlo sul serio, questa volta, e stavo realizzando solo in quel momento che, in realtà, non aveva mosso nessun passo lontano da me, era solo stata una percezione errata, o la mia stupida testa che aveva pensato subito al peggio. Gli avevo donato io, delle intenzioni impulsive, lui non ci stava nemmeno pensando. Eppure non riuscivo a scrostarmi da lui.

«Avevi davvero paura che me ne sarei andato? Ma ti pare che l'avrei fatto?»
«Jin, tu sei un mistero vivente per me. Ero anche convinta che non mi avresti mai mentito e invece...»
Rimase in silenzio, ancora stringendomi forte. Potevo sentire le sue braccia calde avvolgermi come un polipo. Posò le labbra sulla mia testa, baciandomela dolcemente, prima di sospirare e sospingermi appena con la guancia.
«Mi dispiace se ti ho mentito. Scusami, ho continuato a pensarci per tutta la notte, sapevo che avevi ragione ma ero arrabbiato e ho avuto paura, così mi sono accanito su di te. Mi sono comportato come un vero idiota, non avevo nessun diritto lo so, ma quando si tratta di te vado in confusione. E davvero quella ragazza non è nulla, non è mai stata nulla e mi dispiace se hai pensato, anche solo per un secondo, che ti avessi fatto cose brutte alle spalle. Ma di certo non ti avrei mai e poi mai abbandonato qui, senza dirti nulla. Non sono così meschino.»

Mi venne da sorridere, nonostante tutto.
Era una cosa che mi aveva ferito, mi aveva portato a pensare a cose brutte e ossessive veramente, ma nel sapere il motivo per cui lo aveva fatto la sensazione si era decisamente placata. In fondo, era anche questo un male minore, sarebbe stato molto peggio scoprire che aveva una moglie segreta di cui non conoscevo l'esistenza. Per fortuna, quello stupido essere umano era solo un po' troppo protettivo e, sicuramente, molto più insicuro di quanto potessi essere io. 

«Sai cosa? Mi disturbava troppo il fatto che tu non ti fidassi di me. So  che è difficile per te, che magari non sei del tutto convinto dei miei gesti, ma davvero non so più cosa fare per fartelo capire. Stavo per prendere un treno di quattro ore per venire a prenderti a scarpate, capisci in che livello sono?»
«Non devi fare niente per farmelo capire, io lo so già...solo che non lo so, magari avevo bisogno di vederti caracollare con quelle ciabatte ridicole per rincorrere il mio treno e pregarmi di tornare da te.» Al finale cominciò a sghignazzare, un po' perfido, pigiando i denti sul labbro gonfio.
«Ah, perdonami principessa se 'sta scema di Seoyun non ha esaudito il tuo grande desiderio.»
«La perdono, non preoccuparti.» Lo potevo sentire ridere, mentre il petto andava a ritmo cardiaco, salendo e scendendo dolcemente.
«
Non ci voglio neanche pensare, se non ti avessi trovato ora sarei su un treno chissà dove, sperduta sui monti. Un giorno mi vendicherò per tutto questo.»
«Non vale minacciarmi, sono una persona sensibile. E poi quali monti? Ti sarei venuto a riprendere, scherzi?»
«Vale tutto in trincea, fratello. E non mi fido di te, mi avresti deriso e lasciato al mio infausto destino.»

Si mise a ridere, in maniera un po' inquietante, prima di sentirlo sgusciare via dall'abbraccio giusto per prendermi il viso con la mano libera e rialzarlo, per obbligarmi a guardarlo. Non aveva più risposto, ma aveva gli occhi pieni di sentimento, probabilmente riflettevano i miei. Finalmente mi ero liberata di quella stupida paura, mi sentivo decisamente più leggera e sicura. Alla vista dovevamo sembrare due vagabondi, e quel pensiero rinvigorì il sentimento, tanto che mi aggrappai alla sua maglia - che sarebbe diventata mia sul serio, prima o poi - trascinandolo verso di me. Ora non avevo più voglia di perdermi neanche un secondo, mancava davvero poco, la fine dell'estate diventava imminente e mi ero davvero stancata di giocare col tempo.
Volevo comandarlo io, questa volta.

Mi venne incontro e io feci lo stesso, rialzando le mie fantastiche ciabatte, giusto per trovare le sue labbra e baciarlo. Fu un contatto dolce  bisognoso, quel semplice gesto mi era mancato in maniera opprimente tanto che persi diversi secondi a tormentarmi sotto quel contatto, lasciando il mondo al di fuori, ancora un po'. Le sue labbra erano un lenitivo potente, erano capaci di placarmi lo spirito come niente al mondo, tanto che mi dimenticai completamente che eravamo dentro una stazione che si stava, pian piano, riempiendo di gente. Qualsiasi suono o rumore era rimasto in disparte, c'era solo Kim Seokjin intorno a me,  dentro di me, in ogni luogo. Non volevo farlo andare via, mai più.

Fu davanti a quel pensiero che lo sentii sospirare appena, scostandosi dalle mie labbra per donarmi uno sguardo capace di uccidere a distanza. Era particolarmente bravo, con quelli, dovevo proprio ricalibrare la potenza e dare a Jin il suo primato, spodestando Taehyung dal suo podio imbattuto. Nonostante avessi amici con gli occhi più letali del globo, il suo mi tranciava di netto le gambe.
Ero morta? Sicuro, niente più battito, niente più lucidità, ero una piuma nelle sue mani. 
Avrei dovuto riprendermi, non potevo subire tutta quella tortura ogni volta, o il mio corpo non avrebbe retto sul serio. Ma non riuscivo proprio ad abituarmici, era sempre un'esperienza nuova, come se tutte le altre venissero cancellate e sostituite, per darmi colpi mortali differenti. 

Chissà se anche lui provava lo stesso con me.
Mi sembrava una domanda troppo azzardata e intima da chiedere, ma a giudicare dal suo sguardo e da quel sorriso forse, e dico forse, un po' di effetto glielo facevo anche io.

«Forse non dovrei dirtelo ma c'è una strana signora inquietante che ci sta osservando da almeno venti minuti.»
Me lo sussurrò contro i capelli, tanto che ruotammo lentamente il volto entrambi verso la zona delle panche. In effetti c'era una strana signora, dall'aria raggiante e con indosso un enorme cappello pagliericcio, decisamente ingombrante anche per lei. Ci stava sorridendo, chissà ripensando a quale aneddoto passato.

Oh Rose, fa male ripensare a Jack, lo so.
Per fortuna il mio, potevo vivermelo ancora un po' prima che gli abissi militareschi me lo portassero via. 
Pinzai il braccio di Jin, scostandomi per guardarlo in volto.

«Ti proporrei una colazione molto abbondante, accetti?»
«Farò il grande sforzo.»
«Ma ti rendi conto che sarei andata davvero a Gwacheon? Se ci penso mi sale il panico! Non ci posso credere!»

Jin prese per le spalle, interrompendo il mio momento di ansia con un altro piccolo bacio sulle labbra, veloce e indolore, prima di trascinarmi verso le scalinate.
«
Questa cosa rimarrà nella mia memoria per sempre. Andiamo a mangiare prima che cambi idea e racconti questa storia a tutti quanti. Quanti potrebbero vantarsi di una cosa così? Ho la ragazza più dolce del pianeta.»
«Non osare, Jin! Sono capace di fare cose molto orribili per riequilibrare questa cosa.»
«Aaaah, non lo so, non lo so. Ormai sarà difficile levare quest'aria così dolce e smielata dalla mia mente.»
«Jin se ci provi condivido quella foto innominabile fatta appena sveglio che ho avuto l'onore di immortalare.»
«Seo! Ricordati che io ho molte più armi di te! Come un video di presentazione per la tua azienda dove ti avevano costretta a vestirti da carota! Per i bambini!»
«Jin ma perché vuoi la guerra?»

Lui non rispose neanche, si limitò a ridere come uno scemo.
Come sempre.
Mi pinzò la testa, prima di darmi una leggera spintarella, oltrepassandomi per correre su per le scale.

«Mi ami per questo, no?»
«Mi sono pentita enormemente di avertelo detto, mi rimangio tutto. Sei un essere orribile.»
«Non puoi rimangiarti niente. Non ti libererai mai più di me.»
Oh magari fosse, Jin.

Ma questo non lo dissi, mi limitai solo a inseguirlo su per le scale, con i miei polmoni sempre più pronti a collassare, mentre lo avvisavo di spintonare via  Namjoon dalla guida, se aveva intenzione di tenersi cara la vita.
Non mi chiese niente, a tal proposito, si limitò solo a prendermi la mano, trascinandomi fuori dalla stazione.

«Ma hai davvero detto a Hobi che lo amavi?»

Le mie carte avevano ragione, l'alpaca non mente mai. 
Ma la causa cavallo? Ancora aperta, agente, ancora aperta. 
Ma avevo buoni propositi, finalmente quel bicchiere mi sembrava mezzo pieno ed ero pronta a berlo tutto d'un fiato.








nda: ooooo salve carissimi <3 rieccomi qui, sono stata molto indecisa se pubblicare il capitolo oggi o no, ho paura mi sia uscito un po' troppo frettoloso maaaa niente, visto che oggi è la giornata per Kim Seokjin ho deciso che la va o la spacca e bom, pubblicato senza pensieriiii la mia vita saràààà. Sto un po' impazzendo, quindi perdonatemi. Almeno un problema lo abbiamo risolto per la gioia (?) di tutti. Sarebbe  stato bello portarmelo fino alla fine ma, pensando e ripensando, mi son detta "già la sua futura partenza sarà abbastanza dolorosa, non posso fare sta strage di feelings" e niente, è uscito sto capitolo proprio da puntata di Dawson's creek ma mi sono divertita un sacco, lo ammetto. Grazie ragazzi, per chiunque sia arrivato fin qui, per chi mi ha appena aggiunto tra le preferite e le seguite, io lo vedo e mi scalda sempre il cuore ç_ç avrò modo di ringraziarvi in maniera migliore. Per il prossimo capitolo cercherò di pubblicarlo il prossimo weekend, lo spero almeno, in caso non me ne vogliate ma sto avendo poco tempo per scrivere ç_ç Vi auguro una buona serata <3 

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Capitolo 27
*** Busan, spaghetti e sprite ***






27 ~ Busan, spaghetti e sprite



ㅇㅅㅇ




 
I giorni passarono inesorabili fino alla fatidica partenza per Busan. 
Ero in fibrillazione e, allo stesso tempo, ero nervosa come non mai. Non era raro che organizzassimo delle gite fuori porta, fra noi, specialmente nel periodo estivo ma quell'avventura nuova si portava dietro tutte le conseguenze di un'estate che era stata, su per giù, decisamente traumatica e non ero pienamente cosciente di ciò che sarebbe potuto accadere. Non abbassare mai la guardia, era il mio nuovo motto di vita. Ma ero decisamente più propensa all'ottimismo cronico, colpa del fatto che con Jin le cose, dopo quello che era successo, stavano andando bene. Fin troppo bene.  Non riuscivo nemmeno più a ricordare come mi ero sentita riguardo la nostra ultima litigata. La testa faceva sempre questo brutto scherzone al cuore, portava a dimenticare le sensazioni spiacevoli, le attutiva almeno, piazzandole in un angolo del cervello in chissà quale fascicolo, sotterrandolo sotto chili di ricordi più piacevoli. Era un po' la regola dell'inverso, alle volte bastava una sensazione felice per farti fare promesse bizzarre e farti dimenticare le lacrime amare versate, come ci voleva una sola sensazione infelice per schiaffeggiare tutte le risate e i palpiti del cuore. 

Jin era la mia regola dell'inverso, per quanto stare male per lui non era mai stato nei miei piani a lungo termine, riusciva comunque a farmi dimenticare il motivo per cui ero stata così tanto male. Non che avessi abbassato la guardia, appunto, ma di certo facevo scivolare via più cose rispetto a prima. Si era dimostrato per quello che era sempre stato, un ragazzo un po' scemo, incapace di fare delle cose umane come fare una conversazione seria senza prenderla sul ridere, ma con un cuore enorme. Si era fatto perdonare in tutto e per tutto, comportandosi esattamente come sempre, senza fare cose arzigogolate e pacchiane. Serate a mangiare a casa mia, documentari come se piovesse, giochi da tavola insieme a Minno, prese in giro nei riguardi della presunta vita clandestina di Namjoon - non avevo cuore di dirgli che la sua fantasia di un Nam suadente che accaparrava donzelle in un talking bar ormai era stata sfatata dalla realtà - e serate in giro insieme agli altri a perdere la nostra solita dignità. 

Non ci fu mai il famoso appuntamento romantico, almeno non nei canoni che mi sarei aspettata da uno come Jin. Mi invitò solo una volta, a cena, a casa sua in presenza di suo fratello e della sua reale ragazza. Una vera  e propria cena a quattro, la stessa  che avevo categoricamente vietato di fare a Hoseok. Me l'aveva proposta come sorpresona della vita e io, da brava persona piena di fiducia, gli avevo creduto ritrovandomi immischiata in una conversazione un po' imbarazzante riguardo la mia relazione con Jin e, soprattutto, riguardo la peripezia della stazione, che quel simpaticone del mio ragazzo, aveva deciso di pigolare al suo consanguineo primario. Per tutta la sera gli lanciai chiari messaggi bellici che lui colse con grande audacia, sghignazzando malefico sotto i baffi. Ero quasi sicura che la sua idea di cena romantica era una specie di velata, e neanche tanto, vendetta riguardo la mia persona. Non ero convinta che avesse del tutto superato le mie ultime avventure con Hoseok, tanto che ogni tanto mi stuzzicava con dei doppisensi involontari, ma voluti, per quanto potevo conoscere i miei polli.

Ero quasi sull'orlo di dirgli della sua festa di partenza a sorpresa ma poi mi morsi la lingua, considerando che non fosse necessario rovinare tutto il piano di Taehyung solo perché Jin era un cretino, ma fu molto ardua fare finta di nulla. Almeno fino a che, dopo la cena, non mi portò a fare una passeggiata vicino ad un viale alberato, pieno di lampioni luminosi, tenendomi per mano e mostrando la sua aria serena alla volta celeste. Quella sera mi chiese scusa di nuovo, per quell'imboscata a tradimento, e mi fece parlare di Hoseok, con grande sorpresa per i miei telespettatori mentali. Nonostante non mi sarei data due lire, ero riuscita a convivere divinamente con il tarlo di Hoseok, se con divinamente intendevo: passare le notti insonni a disegnare e fare cose segrete come una spia criminale; provare a fare un discorso da presidente del Paese pieno di scuse e sensi di colpa usando Monie come cavia con tanto di "bau" contrariati; registrare di nascosto Namjoon che cantava sotto la doccia per poi fare dei tagli e cuci con un programma e creare delle canzoni blasfeme degne del peggior talent-show musicale del mondo.

Facevo davvero delle cose strane quando ero inquieta.

Ma, nonostante tutto, sapevo che l'avrei risolta, in un modo o nell'altro. Ormai potevo addirittura vantarmi di essere una grande esperta in fatto di relazioni umane, e non mi riferivo solamente a me. Avevo dalla mia parte una bolgia di amici debosciati che, bene o male, avevano avuto esperienze relazionali peggio di un drama coreano scadente quindi potevo davvero vantarmi di saperne qualcosa in più, rispetto a prima. Hoseok era solo l'ultimo tassello del mio grande dramma, così come era stato il 
primo. Avrei solamente dovuto affrontarlo e dopo aver attraversato una stazione in pigiama e con ai piedi delle ciabatte sbagliate potevo davvero fare tutto.

«There's a ribbon in the skyyyyyy» Namjoon stava facendo avanti e indietro dalla sala a camera sua.
Ero già pronta a registrare ma quel giorno c'era troppo traffico in casa e la cosa era un po' difficoltosa.
«Qualcuno ha visto il mio cappello da viaggio?» Chiese Taehyung, sbucando da dietro un divano.
«No no Jin, quella crema solare no, mi è costata cinque miliardi di won, non te la porti!» Biascicò Yoongi, quasi avventandosi su Jin, dietro le sue spalle.

Come da bravi adepti delle estemporanee, avevamo deciso di fare un finto pigiama party, la sera prima, così da essere tutti pronti e attivi e puntuali, possibilmente, per partire da casa nostra e arrivare alla stazione senza fare delle corse sovrumane e perderci dei pezzi nella corsa, o delle persone, come l'ultima volta che scordammo Hoseok da un benzinaio per puro errore di calcolo umano.
Non ce la perdonò molto facilmente.

«Seo, hai visto il mio mp3?» Minno ora si avventò su di me, come un corvo.
«Dici quello che hai perso nel lontano settecento?»
«No, quello bianco! Piccolo così!» E imitò una parvenza di misura, con le dita.
«Yoongi, quello è il mio.»
«Ah.» Rispose lui, prima di fare uno sbuffo contrito e passare oltre. Io stavo piazzando nello zaino le ultime cose, ero sicura che non mi sarebbe servito niente di tutto ciò ma, ogni volta che partivo, era mia consuetudine avere con me le seguenti cose: giochi enigmistici, un piccolo notes con una penna scrivente, un fumetto dall'aria poco colta e un apribottiglie, utilissimo per ogni evenienza di vitale importanza.

«Qualcuno porta le maschere idratanti, vero?»
«Sì Jinnie, tranquillo, ho tutto l'armamentario, la tua pelle diafana non verrà rovinata dal sole.»
Yurim era l'unica seduta sul divano, a sgambettare davanti ad un Monie che ci stava guardando come uno che avrebbe sicuramente fatto una festa privata, una volta che avrebbe avuto casa libera. 
«Ma mica sono per me, io sono perfetto così.»
«Lo dice per me, è convinto che mi squami.» Risposi io, facendo una smorfia di finto disappunto.
«Ti squami infatti, io mi preoccupo per te.»
Lo ignorai volutamente, vedendolo già in procinto di ridere come una iena. 
«Yu, hai tu gli orari dei treni?»
«Non li doveva guardare Minno?»
«Secondo te ho la faccia di uno che potrebbe mai fare una cosa così complicata e pericolosa come aprire un'applicazione per guardare degli orari del treno?» Chiese Yoongi, guardandola con uno sguardo un po' da triglia.
«Li so io, e siamo qasi in ritardo, se solo Hoseok si sbrigasse.»
Jin ci fece zittire, cominciando a guardare fuori dalla finestra come un vecchio che guarda i cantieri. 

Hoseok non aveva dormito da noi, non volevo pensare che fosse per colpa mia ma per colpa degli eventi ancestrali che avevano portato Emily a trovare un volo per Seoul esattamente il giorno prima di partire per Busan. Eravamo stati in dubbio fino all'ultimo, della sua giunta, ma non appena aveva confermato che sarebbe arrivata la cosa ci fece rallegrare tutti. Persino me. Lui ancora non mi rivolgeva la parola e, speravo, che con l'arrivo di Emily la cosa si smussasse senza particolari giochi di prestigio da parte nostra, ma più come una circostanza obbligata che avrebbe fatto scemare via quel senso di disagio che provavamo nello stare nella stessa stanza.

«Ma Jungkook è morto in bagno o cosa?» Chiese Yoongi.
«Ragazzi mi raccomando, non una parola eh.» Sibilò Tae, sedendosi di fianco a Yurim, avvolgendole le spalle con un braccio.
«Posso incarare un po' la dose? Così non mi diverto.» Continuò Minno, un po' malefico, ma l'occhiata che prese sia da Yurim che da Tae non si dimostrò comprensiva, così che il suo piano andò subito in malora. Era un po' troppo amante della sofferenza umana, forse questi giorni lontano da Jimin stavano avendo un effetto troppo disturbante per i suoi canoni, si stava trasformando in un demonio dell'inferno.
«Qualcuno gli bussi, però. Chiamate Hobi per sapere se si è fermato ad ammirare gli arcobaleni, per favore?» Domandò Jin, andando ad acchiappare Monie con le braccia. «Io porto Monie dalla vicina prima che si faccia strane idee, qui in casa da solo.»

Io e Jin avevamo gli stessi pensieri riguardo la vita mondana di Monie,
era una cosa un po' inquietante. Per fortuna Minno era riuscito a convincere la nostra vicina di casa a tenerlo d'occhio per questi due giorni, all'inizio sembrava un po' restia ma poi accettò a patto che saremmo andati a cena da lei, una volta tornati, che si sentiva un po' sola e sarebbe stata grata di assaggiare qualcosa di buono cucinato da quei bravi vicini giovincelli che si ritrovava. Insomma, ci aveva relegato a chef culinari per un giorno ma, visto che poteva andarci decisamente peggio, accettammo senza riserve.

«Hanno suonato, è arrivato!»
«Jungkook esci dal bagno per favooore?» Gli urlò Yoongi. «Se perdiamo il treno vi uccido a tutti.»

Andai io ad aprire, cominciando a fare tecniche di respirazione profonda. Rivedere Hoseok, dopo tutti quei giorni, era stata un'incognita balorda. Cominciavo ad avvertire i primi batticuori traditori, quelli infidi da finta strafottenza, quella che mi ero portata dietro riguardo tutta la vicenda. Ma cosa volevo affrontare, io? Non ero mica così coraggiosa, solo nei film l'eroe prende le redini delle situazioni e affronta i suoi stessi demoni. Io ero il co-protagonista scemo dei miei film, quello che così lo pigli e così rimane, era così ovvio. Era palese che non imparassi mai la lezione.

Potevo descrivere il nostro primo sguardo come un'ibernazione glaciale dei tessuti. Una cosa notata da chiunque, probabilmente persino da Monie ormai a distanza di sicurezza nella casa vicina, ma per fortuna Emily era così contenta di rivederci che non notò quella particolare freddezza iceber-atica che eravamo in grado di creare stando nella stessa stanza. L'abbracciamo tutti e, grazie a quel momento di amore incondizionato, l'aria si alleggerì un po' di più.
Probabilmente Emily non sapeva o non credo sarebbe stata così bendisposta nei miei confronti.

Taehyung, nei giorni passati, aveva provato a donarmi delle tattiche per fare pace degne di nota, di inequivocabile facilità sociale. Il fatto che le usasse con Jimin, durante i loro battibecchi su quante calorie avessero le banane, e che con lui funzionassero non ero per niente sicura che fosse la tattica giusta per approcciarmi a Hoseok. Yurim, invece, aveva ribadito che la mia grande idea potesse funzionare sul serio: stare ferma, immobile e osservare il proseguirsi della situazione. Credeva che sarebbe stato costretto a rivolgermi la parola, quindi non si preoccupava di un possibile fallimento. Cosa che, invece, pensavano tutti.  Non volevo preoccuparmene, in realtà. Era quella che potevo chiamare la mia ultima parvenza d'estate che avrei passato con Jin e gli altri e non volevo rovinarmela per una cosa che, ormai, volevo solo accantonare nella mia testa.

Eppure ad ogni sguardo che non ricambiava era un colpo allo stomaco non da poco. Per quanto ci provassi, fingere che avrei resistito fino ad un chiaro segnale divino, cominciava a diventare poco credibile anche per me. Per fortuna questo non rovinò il tema principale del viaggio, far credere a Jungkook che non ricordavamo del suo compleanno e, al tempo stesso, far credere a Jin che si trattasse solo del compleanno di Kookie. 

Era l'unica mia magra consolazione e, più s'avvicinava l'ora della partenza, più mi saliva il panico da viaggio.
Nei giorni passati, mentre ascoltavo la musica e guardavo i giorni nel calendario proseguire inesorabili senza preoccuparsi di quante cose non sarebbero state vissute, di quante cose non sarebbero state dette, mi ero resa conto che avrei persino accantonato tutte le schedule di vita movida di Jungkook per dedicarmi ad una pratica molto più casereccia e intima. Provavo uno strano senso di nostalgia, nonostante il mio presente era più attivo e pieno che mai, riuscendo solo a proiettarmi verso i giorni futuri, pensando a quante cose mi sarebbero mancate.

Per fortuna passava, ogni volta che sentivo Jin suonare il citofono per salire a casa, con del cibo e una risata già pronta, mischiata a chissà quale battuta infelice. La notte era rimasta sempre e solo mia e sua, nostra. Mi cullava piano e dolcemente e lasciava andare via il dolore che provavo nell'avere ancora una piccola, grande, cosa da risolvere. Lui era stato paziente con me, dopo avermi dato della scema patentata riguardo a Hoseok, mi aveva ascoltato e, a giudicare dal suo sguardo, era rimasto parecchio sorpreso dal mio incredibile atto di coraggio.

Ma lo potevo vedere, dai suoi occhi, da quel sorriso pieno e la tranquillità che emanava. Era in pace ora. Non vedevo più un barlume di dubbio, non sentivo più strane frasi sul fatto che io e Hoseok forse un giorno saremmo finiti insieme, una volta per tutte. Non aveva più paura di questo e io non avevo più paura che potesse, realmente, accadere. Quell'ultima cena-vendetta aveva veramente dissolto quel maledetto mostro che si annidava tra di noi. Ma volevo recuperare almeno quello che avevo sempre avuto con Hoseok e, in questo, ero stata onesta. E lui aveva capito, provando a consigliarmi di essere sincera  con lui una volta per tutte, di aprire il mio cuore e dirgli che potevo sopportare tutto, ma non quello di vederlo di nuovo scivolare via dalla mia vita.

«Aaah ragazzi pronti? Andiamo? Chi c'è?» Esclamò Hoseok, sbattendo le mani tra loro.
«Sono così emozionata, adoro Busan.» Disse Emily, sorridendo a mille denti.
«Jk esci da sto cavolo di bagnooo, ma si può che le tue docce devono durare più delle migrazioni delle rondini?»
«Minno però, se non sai le cose» lo interruppe Jin, guardandolo.
«Esatto, è risaputo che la migrazione più lunga è quella della paradisea artica.»
«Il suo viaggio corrisponde a tre viaggi andata e ritorno dalla Terra alla Luna.»
«A questi due li lasciamo qui.» Replicò Yoongi, acciuffando il suo zaino.

C'era una vera e propria esplosione di roba. Avevamo più valige  e zaini noi che, probabilmente, uno zar russo in procinto di portare tutta la generazione in vacanza in Cambogia. Jin aveva optato per una valigia grande quasi il doppio di lui, non capendo bene la sua previsione di "vacanza" di due giorni, visto che i cambi vestiari che un essere umano poteva fare in un giorno non erano poi così ampi. Yurim era riuscita a ficcare tutto il necessario in un trolley agevolissimo, a quanto pare pure le cose per Tae visto che lui era già pronto con una tracolla e occhiali da sole tattici. 

«Sto uscendo sto uscendo, ah.»
Finalmente il festeggiato ignaro uscì dal bagno, portandosi dietro un aromatico profumo di bagnoschiuma alla vaniglia e crema solare.
«Oh Jk vieni qui.» Jin aveva richiamato il più piccolo,  già lanciandogli addosso lo zaino. 
«Then I loooooooove guyyyys» Namjoon era ricomparso, ancora immerso in quello strazio canoro, ma sparì quasi subito, ritornando indietro. «I forgoooot one thiiiiing»
«Ragazzi qualcuno lo può far smettere?» Borbottò Yoongi.
«Pa pa pa uh uh mare mare yo - ci vuole spirito per iniziare questa vacanza. Dai su su su andiamo? Siamo già in ritardo.» Continuò Hoseok, sbattendo le mani tra loro.
«Ma 'sta energia da dove la prendi?» Brontolò Tae.
«Dalla mia felicità, principalmente.»
«Ah certo.» Rispose Yurim, sorridendo.

Tra Namjoon che cantava, Hoseok che faceva strane danze caraibiche intorno a Emily e Jin che stava letteralmente legando il suo zaino a quello di Jungkook, mi resi conto che volevo uscire di fretta da casa per cominciare ad avviarci verso la stazione. Non eravamo realmente in ritardo, forse grazie al fatto che Jimin ci stava aspettando a Busan e non era dovuto partire con noi, quindi se la stavano tutti prendendo comoda, nonostante la fretta teorica.

«Annnnnddd I can mooooove on my soooouuul» Namjoon tornò alla riscossa di nuovo in sala.
«Per carità!»
«Jin-hyung ma che stai facendo?»
«Per non perderci.» Rispose Jin, facendogli un sorriso a mille denti.
«Seo? Li hai tu i biglietti?» Mi chiese Tae, d'improvviso.

Per un momento sgranai gli occhi, guardando tutti con un vero senso di panico. 

«No, li ha Jk.»
«Come Jk? Perché li dovrei avere io? Non sapevo nemmeno che dovevamo partire, mi dite sempre tutto all'ultimo.»
Si lagnò il più piccolo, facendo un broncio.
«Ah.» Disse Jin. «Nam li hai tu, mi sa.»
«I don't haaaave any tickeeeet my loooooove»
«Qualcuno lo può far stendere?» 
Yoongi era ritornato in sala, di nuovo,  vestito sempre col suo immancabile e felice color buco nero, se non fosse che aveva deciso di  cambiare maglietta e mettere la stessa identica che avevo io.  Quella del gruppo che avevo sentito con Hoseok. 

«No dai, cambiati.» Entrambi, indicandoci pure con le dita.
«Oh ma che carini, siete una coppia meravigliosa.» Sghignazzò Jungkook, mentre mi sfilava di fianco insieme a Jin. Sembravano due scout, visto che il mio ragazzo aveva una mano sulla sua spalla, oltre che lo zaino legato a nodo scorsoio col suo. Jin non fece nemmeno finta di essere geloso della cosa, lo ero più io. Kookie me lo avrebbe rubato, prima o poi.
«Ragazzi andiamo per favore? Siete pronti?»
Ma alla  fine mi prese la mano, creando quel trenito a tre un po' strano.
«Minno avevi già visto che avevo 'sta maglietta, perché mi fai questo?»
«Dai, fammi almeno godere la maglietta. Tu li hai pure visti dal vivo.»
«Ooooh my friendssss don't fighting anymooooreee, we can't taaaaalk»

Namjoon non aveva smesso di cantare per un attimo. Aveva deciso di comunicare con noi solo attraverso delle frasi in inglese che, a quanto pare, facevano morire dal ridere Emily. Non che non lo trovassi divertente, ma era stonato come una campana, e alle otto del mattino non c'è niente di peggio di una persona che canta in quel modo, specie se lo stomaco non ha nemmeno  mezzo chicco di riso crudo, nè caffè americano con caffeina quadruplicata, poi metti il fatto che Hoseok evitava di commentare qualsiasi cosa io facessi, dicessi, vedessi, era un po' dura rimanere stabili mentalmente.

«Oh, l'ho portata anche io una maglietta. Quella che mi ha portato Hoseok!» 
S'intromise Emily, almeno lei, santa donna.
«Se la metti facciamo il trio meraviglia.» Esclamai io, provando a sorridere.
Hoseok nemmeno un verso, se non che si voltò verso Emily giusto per prenderle la mano e darle un bacio sulla guancia, dicendole qualcosa di incapibile ai più.
«Come oooon everybodyyyyy, we can goooo to our Holidaaaaay»
«Nam, lo hai detto ad Agnes che per due giorni non potrai dedicarti al gioco d'azzardo con lei?»
«We can't talk anymoooore!»

«Ragazzi ma il treno non era alle nove e mezza?»
«No. O forse sì. Non lo so, i biglietti li ha Nam!»
«Non li ho ioooo, in quante lingue devo cantarvelo?»
«Ossignore, li ho io Seo, se stiamo ad aspettare questi!»
Yurim mi sventolò davanti alla faccia una mazzetta di biglietti del treno. Eravamo riusciti ad uscire tutti da casa.



La nostra entrata in scena nelle vie trafficate di Seul sarebbe stata perfetta se ci fosse stato un tasto a rallentatore e della musica di hit estate 1999. Sembravano una specie di compagnia di un circo molto particolare. Eravamo vestiti tutti in maniera totalmente diversa, colorata e bizzarra. 

Jin era una combinazione di colori che facevano a pugni con loro stessi,  ma era molto estivo, emanava una specie di energia fanciullesca che mi fece iniziare bene quella traversata verso la stazione. Indossava una camicia rosa tenuta aperta su una maglietta della speranza, bianca come la colomba, sopra un paio di bermuda con fiori enormi disegnati sopra e le magnifiche, pirotecniche, stratosferiche ciabatte anti-infortunistiche anni 2000 di un colore arancione tuorlo d'uovo. Aveva portato un paio di cappelli di paglia alla Sampei, dandomene uno per agevolarmi a quel collasso di stile insieme. Io, almeno, ero un po' più sobria con maglietta e pantaloncini tattici anti-caldo.

Hoseok e Emily erano riusciti a diventare i veri turisti della situazione, vestiti in sintonia cromatica per non perdere mail il tocco. Lei aveva una macchinetta piccola e nera legata al collo, oltre una specie di pareo celeste che aveva legato alla vita e faceva da vestito sopra una canotta e dei pantaloncini chiari. Lui era in bermuda, cappellino e una strana maglia che recitava "Make my noodles" che, avrei voluto tanto dirglielo, sembrava una strana pubblicità progresso per un film erotico ambientato in un ristorante. 

Namjoon aveva uno zaino tattico e, in confronto agli altri esperti marini,  aveva deciso di mascherarsi tutta la faccia fino agli occhi sottili e scuri. Era quello che più di tutti soffriva l'inquinamento, per via di una svirgolata al suo setto nasale che non voleva saperne di farsi operare, così era costretto a evitare di far entrare oggetti estranei all'interno per non compromettere la respirazione. Quel look lo indossava spesso nelle nostre gite turistiche.  Indossava una salopette lunga anni ottanta profondi, con una maglia d'un marroncino slavato, larga, che rendeva le sue braccia più piccole del dovuto. 

Io e Minno sembravamo la seconda coppia, per via della maglietta nera che svettava larga e suadente sopra i nostri busti. Il nome del gruppo sul davanti e le date di un tour mondiale dietro la schiena. Vantavamo anche di una scritta "stay rock" proprio sopra l'ombelico. Non ero sicura che fosse geometricamente carina da vedere ma ci faceva sentire un po' più ribelli.

Taehyung aveva l'aria più sobria di tutti, una maglietta bianca piantata dentro i jeans lunghi e occhiali da sole da divo del cinema Hollywodiano. Aveva trovato il suo cappello da viaggio, che era una specie di basco molto meno caldo di quello originale, color rosso vivido. Yurim, a differenza mia e di Emily, aveva optato per un vestitino con delle meravigliose pannocchie gialle  piazzate ovunque, e proprio ovunque, tanto che ci fece venire voglia di mangiare il granturco grigliato. 

Jungkook, solitamente portatore di un guardaroba annerito, quel giorno aveva deciso di mostrarsi più colorato del dovuto, ossia con un grigio cenere pantegana. Alimentava un po' l'aria da cattivo ragazzo, colpa forse del fatto che fosse l'unico a indossare degli anfibi neri. Non volevamo sapere quanti gradi avessero raggiunto i suoi piedi, in quel frangente, ma eravamo quasi sicuri che camminare sulla brace sarebbe stato meno caloroso.

«Ragazzi ma sapete che stiamo andando a Busan proprio per il primo settembre, sì?»
Chiese Jungkook, guardandoci con aria  un po' curiosa e un po' interrogativa.
Per fortuna anche Emily era stata informata riguardo la bugia collettiva tanto che facemmo tutti spallucce in sincronia, fingendo un'indifferenza talmente fredda e schietta che, quasi, mi pentii per l'ennesima idea di tenergli nascosto il nostro piano.

«E quindi?» Fece Jin, guardandolo, mentre mi stringeva le dita.
«Devi per forza ricordarci che Agosto è finito?» Incalzò Yoongi.
«Sei una persona meschina a farci pensare a questo.» Hoseok, in quella tattica, sembrava davvero bravo.
Solo Tae stette zitto; ero convinta che stesse per cedere, nonostante l'idea fosse stata sua, ma Yurim riuscì a fargli uno sguardo da omicida seriale, voltandosi verso Jungkook con aria piuttosto sorridente.
«Tranquillo Jk, ti perdoniamo per questo.»

La sua faccia delusa era davvero troppo da sopportare.

Mi strinsi maggiormente a Jin mentre guardavo i miei amici. Yoongi era più agitato del normale, ma potevo capirlo. In un mese era riuscito a vedere Jimin a intermittenze molto disparate, ora poteva goderselo per due giorni pieni e, probabilmente, sarebbe rimasto un paio di giorni in più a Busan da lui, godendosi la sua personale vacanza. Se lo meritava, dopo i mille sacrifici lavorativi, e vederlo così impaziente di rivederlo mi riscaldò un po' il cuore. 

Il clima, per quei giorni, sarebbe stato potenzialmente caldo e soleggiato. Il sole riusciva a scottare già a quell'ora del mattino e noi tutti emanavamo odori di creme solari, profumi alla vaniglia, al collo, alla frutta. In tutto ciò continuavo a trovare un pretesto per rivolgere la parola a Hoseok, che mi ignorava da bravo professionista e  alla fine, finivo solo col parlare con Emily giusto per farmi raccontare gli ultimi aneddoti dall'Inghilterra.

Mi disse che aveva piovuto per due mesi consecutivi, tranne il giorno in cui era partita. La triste legge della domenica, come la chiamavo io. Tempo solare per tutta la settimana, ma appena arriva la fatidica domenica di riposo eccolo lì, temporale, pioggia, fulmini, tornado, tsunami e pure terremoto. Infausto e terribile destino.

«Avete un piano per questi due giorni o dobbiamo affidarci a Jimin?»
«Ah perché non avevamo deciso di stare in spiaggia per due giorni senza fare nulla?» Chiese Yoongi.

Il vero ritratto della mia vacanza ideale. 






Arrivammo a Busan dopo svariate peripezie che, a detta nostra, non sarebbero mai state raccontate. Tralasciando la quasi perdita del treno per colpa del fatto che volevamo farci una foto tutti insieme mentre mangiavamo dei pretzel, comprati da un chiosco straniero alla stazione principale, e dal desideroso piano di Minno di ritornare a fare il regista e, quindi, obbligarci a ricreare una scena tratta da un film di zombie coreano, proprio ambientato su un treno per Busan, eravamo riusciti a scendere addirittura alla stazione sbagliata. 
Dopo vari improperi da parte nostra - di Yoongi principalmente - e degli scatti che ci avevano già fatto perdere le funzioni articolari delle gambe, alla fine riuscimmo ad arrivare finalmente nella città di Jimin.

L'avevo vista solo una volta, molti anni prima, ancora prima di conoscere Jin. Eravamo andati solo io, Tae, Jungkook  e Yurim durante un pellegrinaggio orchestrato su due piedi, fu l'ennesimo viaggio della speranza ma, di quel giorno, potevo ricordare tutti i bagni nel mare e le passeggiate sulla sabbia mentre mangiavamo jajangmyeon
 d'asporto; c'era una bella atmosfera pacifica, nonostante fosse pieno di gente, ma la sentivo meno claustrofobica rispetto a Seul. Tutti gli anni, durante quel periodo, a Busan si festeggiavano degli eventi. Riuscivamo a perderli quasi sempre, non azzeccando mai le date giuste, e per la prima volta eravamo riusciti a organizzarci per partecipare al grande festival musicale delle spiagge. 
Era un evento di grande portata, molte persone si spostavano dalle città vicine, addirittura molti stranieri, per assistere all'evento. Venivano costruiti dei palchi sulle spiagge, molti ristoratori aprivano dei chioschi per permettere alla gente di bere e mangiare sul posto e l'aria era colorata e chiassosa. Era un ottimo luogo per le famiglie, la musica non era solo tradizionale, c'era una scaletta per gli eventi e tra gruppi musicali, idols e delle associazioni di intrattenimento potevi passare quei giorni senza annoiarti un solo secondo.

Adoravo quell'atmosfera. Di solito, l'ultima serata, si accendevano le lanterne da lanciare verso il cielo notturno. Era qualcosa di magico e onirico, ma non ero sicura che saremmo riusciti a vederle, avevamo un programma piuttosto risicato e Yoongi era stato imperativo, non voleva fare il turista ma solo morire in spiaggia per l'eternità, aveva letteralmente detto questo.

Nessuno aveva avuto il coraggio di contraddirlo.
Forse per colpa del suo sguardo un po' inquietante, o del fatto che, una volta arrivato da Jimin, la scena di loro due che quasi si saltavano addosso dalla contentezza di rivedersi ci fece scaldare il cuore così tanto che  non potevamo proprio ribattere. 
Passammo dieci minuti buoni ad abbracciarci e a raccontarci le ultime novità, Jimin mi lanciò diversi sguardi di uno che voleva sapere come stessero proseguendo i miei vari drammi ma riuscii a sviare, prendendolo sottobraccio per chiedergli cosa avremmo mangiato di buono per pranzo, abbandonando Jin con Jungkook, ormai amici di zaini per l'eternità, a quanto pare.
Ci portò alla guest house che sua nonna affittava ritmicamente agli studenti della zona, in quel periodo nessuno aveva fatto richiesta, visto la fine delle lezioni, quindi eravamo stati abbastanza fortunati. 

Come mi aveva detto Tae in precedenza, quella casa condivisa era molto più grande dello sgabuzzino a cui eravamo abituati quando eravamo venuti la prima volta. Non era gigante, c'era una sola stanza enorme divisa da una libreria, con due letti a castello e due letti più o meno grandi abbastanza da starci in due, se belli stretti. Un bagno capiente, addirittura con la vasca da bagno e un cucinotto in una rientranza, con una mensola e un mini-frigo per le bevande. Aveva addirittura uno spiazzo d'erba che s'affacciava proprio verso la strada che dava alla spiaggia. Da quella zona era raggiungibile a piedi, anche se non era vicinissima. Ma potevi sentirne l'odore, del mare, trasportato dal vento e subito la sensazione che l'estate era ancora calda e vivida si impossessò di me in maniera forte e concisa. 

Da bravi giovani  quali eravamo, decidemmo di mangiare qualcosa di poco sano e dormicchiare un po' prima di uscire per la prima perlustrazione serale. Si sentiva il traffico della città e il vociare dei turisti, fuori dalla finestra, ma era un sottofondo piacevole. Molto più piacevole della morra cinese che fummo costretti a fare per accaparrarci i letti migliori. Ci fu una vera e propria mattanza di forbici e sassi, stranamente la carta non la usava mai nessuno e, così, all'ultimo rimanemmo io e Jungkook
 a lottare per la vita e la morte della nostra carcassa corporea. Era rimasto un letto a castello libero e dopo due tentativi, come ovviamente doveva andare 

aveva vinto lui.

Fu una spartizione piuttosto bizzarra ma sembrava andare bene a tutti, alle leggi della morra cinese nessuno obbiettava mai: nel primo letto a castello avrebbero dormito Emily e Hoseok. Nel secondo Jungkook e Jin. Rimanevano i due letti semi piazzati, così io mi presi Yurim e Jimin, relegando Tae, Yoongi e Namjoon nell'altro. Qualcuno avrebbe potuto dire: ma perché le coppie non dormono insieme? La morra cinese non perdona mai, proprio mai. Alcuni si appisolarono subito, ma io ormai relagata a insonne a qualsiasi orario della vita avevo deciso di leggere il mio fumetto non colto per rilassarmi. Non ero l'unica rimasta cerebralmente attiva. Hoseok stava gironzolando per la camera, avanti e indietro, forse comandato dal russare discontinuo di Namjoon, o dagli strani versi che Tae faceva nel sonno. Provai più volte a concentrarmi su di lui, cercando di utilizzare la mia sapienza telepatica che avevo allenato con gli altri miei amici ma non ci fu verso. 

Lo stato di tensione era ancora troppo alto e non mi sembrava il caso di iniziare una conversazione di tale gelo proprio quando tutti gli altri erano impossibilitati a rompere quella roccia già friabile.  E poi non avevo pronta nessuna tattica per iniziare un discorso. Certo, se avessi dato retta al mio impulso, avrei provato con un classicissimo.

"Ehi amico, ma sarò ancora la tua testimone di nozze?"

Ma non ero pronta a sentirmi dire che l'aveva già chiesto a sua sorella, magari, o a uno degli altri. Il dubbio lacera ma lacera pure la verità troppo crudele. Dovevo solo resistere ancora un po', prima o poi le circostanze avrebbero ceduto e lui mi avrebbe parlato di nuovo, doveva per forza succedere, era impensabile il contrario no?

Lasciai passare le ore in un mutismo violento, mentre le luci della città si coloravano d'arancione e il fresco scese a per darci un po' di respiro. Alla fine si alzarono tutti, chi prima e chi dopo e dopo un cambio d'abito, una rinfrescata, una mangiata di schifezzine che avevamo portato da casa decidemmo finalmente di uscire per goderci la vita di Busan. Le strade erano piene di gente, avevano chiuso uno spiazzo per renderlo solo pedonale in modo da agevolare la gente a muoversi in maniera più sicura. Il festival era sparso per tutte le spiagge della città, come una grande festa collettiva e sparpagliata, ma noi avevamo puntato uno sputo di sabbia non molto ampio ma decisamente più caratteristico.

Erano state impilate delle lanterne lungo una sfilza di fili che arrivavano fino ad un ponticello, la spiaggia era gremita di gente e la musica alleggeriva l'atmosfera, scontrandosi contro il rumore delle onde in lontananza. Si poteva sentire l'odore vivido di quella stagione, io e Yurim avevamo abbandonato i sandali e avevamo cominciato ad arrancare a piedi nudi sulla spiaggia, sconfiggendo la paura delle conchiglie rotte e dei cocci appuntiti, Emily ci seguì a ruota. Mi sembrava di non vivermela bene, quell'atmosfera, con una suola a dividere il mio piede dalla sabbia. Oltre questa mia strana malattia mentale, avevamo deciso di occupare malamente un chiosco che s'affacciava su una terrazzina appena dopo uno dei palchi che innalzava luci, musica e colori oltre la barriera, lasciando un riverbero di luce sull'increspatura dell'acqua marina. C'erano diverse tavolate oblunghe, di legno, che ricordavano un po' le baite delle montagne. 

Non c'era molto di montanaro, in quello, e grazie ad una tecnica di persuasione di Yurim - non avendo prenotato non c'era posto - riuscimmo ad accaparrare dei posti  per un'oretta, accontentandoci di mangiare la prelibatezza del giorno, un piatto straniero ma abbastanza famoso anche per noi. Spaghetti con aglio, olio e peperoncino. Non era una pasta tipica della nostra quotidianità, dopo che una volta Namjoon si prodigò nella sua realizzazione dando vita ad un'oscenità indigeribile. Ma avevamo così tanto apprezzato l'entusiasmo che, alla fine, l'avevamo mangiata tutti. Andavo matta per l'aglio ma, in quel caso, sentivo che c'era qualcosa di sbagliato. 

Lo appurammo tutti, dopo aver ordinato la nostra porzione in quel posto pastifero, il vero sapore di quella pasta non era nemmeno paragonabile a quella di Namjoon. Semplice ma estremamente gustosa, stavo per avere un imprinting culinario.

«Bene ragazzi, inauguriamo la nostra prima serata all'insegna della...nullafacenza!» Sbraitò Jimin, quasi caracollandosi sul tavolo.
Avevamo già bevuto almeno una ventina di birre, sprite a volontà e poca acqua salutare. E non era neanche passata mezz'ora dalla nostra mangiata.
«Oh sì, salute ragazzi!» Esclamò Namjoon, tirando su una bottiglia.
Facemmo tutti lo stesso gesto, insieme a qualche esultanza del tutto insensata.

«Ragazzi, so che non c'è nulla da festeggiare in questo periodo ma»

potevo sentire il cuore di Jungkook sgretolarsi davanti all'annuncio di  Taehyung, ma mancava ancora un po' alla mezzanotte e non potevamo proprio rovinare il grande momento 

«essendo questa un'estate un po' particolare propongo una cosa che sono sicuro accetterete senza pensarci.»
«No Tae, te lo scordi, non lo faccio snorkeling dopo l'ultima volta.» Disse Jin. Era quasi tutto sdraiato su di me, potevo sentire i suoi capelli sotto al naso farmi il solletico.
«Non è snorkeling, è meglio.»
«Ragazzi magari, non so, andiamo in qualche locale? Sapete domani è settembre, magari volete...fare qualcosa di particolare.» Ci provò Jungkook, con una voce più bassa, aprendo un po' lo sguardo scuro.

Non riuscivo nemmeno ad ascoltarlo, stava cercando in tutti i modi di farci ricordare qualcosa senza, però, essere esplicativo. Doveva davvero sentire il bisogno che noi ce lo ricordassimo. Stavo per cedere, ma Yurim riuscii a darmi un calcio salva situazione, sotto il tavolo.

«No ma che locale, non fa freddo per restare fuori e poi non voglio festeggiare Settembre, mi ricorda solo cose brutte.»
«Oh.» Sospirò Jungkook.
«Tipo noi che ci sposiamo, intendi?» Disse Hoseok, facendo una risata che contagiò anche Emily.
«Oppure Jimin che comincia di nuovo la tiritera del pendolare scomparso?»
«Ragazzi, se mi pagate la scuola a Seul guardate che ci vengo a vivere.» Pigolò Jimin.
«Oppure Seoyun che inizierà la sua carriera nei norebang
«Jin la pianti?»

«Volevo proporvi di dormire in spiaggia, a dire la verità. Probabilmente ci arresteranno, perché penso sia illegale, ma potremmo vedere l'alba e la mattina qui è così pacifico e tranquillo che ti rilassa per tutto il giorno.» Disse Tae, tirando su una porzione di spaghetto, prima di masticare piano. «Minno approva, no?»
«Ma sì, approvo. L'avevo detto che non volevo fare niente.»
«Sì ma Yoongi-hyung sei una discarica, non è che puoi fare il vecchio alla tua età.» Jungkook fece una risata, prima di imitare la voce di Yoongi stesso per auto-rispondersi "sta zitto te, che non sai quanto duro lavoro faccio blablabla". 
«Io la trovo un'idea meravigliosa, da me queste cose sono un po' proibitive e non c'è la vista che c'è qui, lo facciamo?» Domandò Emily, intrecciando le braccia in quello di Hoseok.
«Andiamo a votazioni?»
«No, andiamo che lo  facciamo e basta.» Disse Namjoon, piantando una mano sul tavolo.
«La morra cinese è stata del tutto inutile, allora!» Ribattè Yurim, prima di fare un sospiro e scuotere il capo. «Dormirò con Seo lo stesso, ayo
«Ragazzi buttate giù le birre, le sprite, qualsiasi cosa abbiate e andiamo a goderci un po' questa vacanza.»

Namjoon piantò di nuovo una manata sul tavolo, a quanto pare si sentiva un po' giudice che assolveva anime, appena in tempo per avvistare una cameriera arrivare dritta verso di noi con quello sguardo da "è passata un'ora e non avete ancora sloggiato, vi guarderò male fino a che non vi sentirete a disagio per questo"; ammisi che quella tecnica funzionava piuttosto bene, si schiariva la voce ogni tre secondi, come un orologio, da vera persona infastidita. Per fortuna sparì poco dopo, ritornando al lavoro. 

«Un momento!» Tae ci fermò di nuovo, poco dopo, proprio mentre eravamo già pronti a scavalcare le panche. Jin si era proposto di pagare per tutti ed era andato in fretta alla cassa nella parte interna, non aveva voluto sentire ragioni di sorta. Vidi Tae affacciarsi, probabilmente per accertarsi di non avere orecchie indiscrete all'ascolto. «Appena torna, state pronti, gli lanciamo l'acqua addosso.»
«Ho solo della birra.»
«Perfetto, andrà bene. Sarà il suo portafortuna per il militare. L'inizio della nostra benedizione.»
«Sapete, vero, che si vendicherà in maniera lenta e dolorosa?» Chiesi io, guardando allarmato Tae. 
«Oh ma pazienza, quando ci ricapita più.» Esclamò Jimin, facendo ridere tutti quanti, prima di fare gli gnorri e sistemarci, chi allisciando fintamente i vestiti e chi sistemandosi la chioma perfetta. Non uscì subito, probabilmente si era messo a parlare con il ragazzo alla cassa, com'era solito fare quando non avevamo tempo, ma non appena lo vedemmo sbucare fuori ci fu un boato disumano.

Cominciammo tutti a lanciargli addosso residui di birra, di sprite, di bibite indefinite, forse anche vino - vidi persino degli spaghetti avanzati volare verso la sua testa - ma la reazione più bella fu quella di lui che aveva preso a urlare come un disperato, evidentemente spaventato dalla foga con cui l'avevamo accolto. 
Ci furono delle risate mortali  non indifferenti, ci stavamo tutti piegando, mentre il mio povero Jin era rimasto mezzo traumatizzato, a testa bassa, pieno di liquidi non identificabili e con degli spaghetti che penzolavano dalla testa. Era una visione celestiale, notai Jimin che stava riprendendo tutto con il telefono, Emily addirittura scattò delle foto velocissime per immortalare tale scena.

«Questo è per augurarti una buona fortuna, per il servizio militare. Si dice sposa bagnata sposa fortunata, ma insomma credo che possa valere anche per te. Up up hurraaa Jin!»
Esclamò Hoseok, alzando le braccia.
Lui non rispose. Forse era andato in catalessi.
Lo vidi solo alzare lo sguardo ancora mezzo sconvolto, con un principio di risata isterica sulle labbra.
«Ci mancherai un sacco amico, dovevamo avere un ottimo ricordo prima della tua partenza.» Gracchiò Namjoon, ridendo con la gola.
«Ma farmi, non so, una torta con scritto "buon viaggio" vi sembrava brutto?»
«In realtà il tuo regalo sarebbe la vacanza, questo era solo il principio dei tormenti che ti cadranno in testa in questi giorni.» Disse Minno, con una nonchalance degna del miglior cinico dell'universo.
«Come il principio?»
«Oh su su, al massimo poi ti buttiamo in acqua, per sciacquarti.» Rise Jungkook, quasi soffocandosi da solo.
«No no che, io ora torno a casa e mi cambio.»
«Eh no» mi intromisi io, finalmente, prendendolo per un braccio, insozzandomi io stessa, come una vera complice di vita dovrebbe fare «non puoi farlo, o rovinerai tutti i vestiti che ti sei portato.»
«Aaaaah ma perchèèèèè»
«Perchè no, Jin? Perché no?» Domandammo tutti, quasi all'unisono, con una sincronia spaziale.

«Ragazzi, prima che chiamano la polizia, che ne dite se andiamo a festeggiare come si deve?»
Disse Jimin, alzando gli occhi dal telefono, mentre guardava tutti.
«Andiamo, Settembre è alle porte.» 
«Ah e a proposito di Settembre e festeggiamenti, non vi viene proprio in mente chi altr-»
«Non ora Jk, ci stai tormentando.»

Minno era davvero perfetto per quel genere di tortura psicologica, non restai troppo a sentire la risposta di Jungkook. Portai le mani sulla faccia di Jin che tentava di ripulirsi, per quanto poteva, prima di scoppiare a ridere. Era una risata un po' nevrotica, a dire la verità, non ero sicura che non sarebbe diventata uno sclero da lì a poco.
«Eri d'accordo anche tu a questa tortura?»
«Vendetta, amore mio, vendetta.»

Lui sgranò appena gli occhi, restando a fissarmi per qualche secondo.
Sapevo perché, avevo usato un nomignolo molto più dolce del dovuto, ma in fondo se lo meritava visto che la serata era ancora lunga e che sia lui, che Jungkook, sarebbero stati tormentati a dovere fino all'alba. Avevamo uno strano modo per festeggiare i nostri amici, ma era di sicuro meglio di qualsiasi torta. 
All'incirca.
Lui mi prese il viso tra le mani e mi diede un bacio sulle labbra un po' più intenso, sapeva di mille bevande diverse ma non feci la schizzinosa.

«Andiamo, ho paura che non ne usciremo vivi.»

Lo presi per mano, intrecciando le dita alle sue, mentre seguivamo il nostro gruppetto verso il cuore della spiaggia. Mi soffermai a guardarli mentre ridevano, si prendevano a pacche sulle spalle, si dicevano chissà quale battuta scema. Osservando le loro sagome, di schiena, mi feci prendere da un magone un po' più nitido e fulmineo. Stavo  cercando in tutti i modi di scacciare via la potenziale minaccia della malinconia. Era un durissimo lavoro ma, grazie a quei casinisti, era davvero più facile affrontare quel nuovo barlume di cambiamento. La serata era appena alle porte ma già ne temevo il finale, continuando a immergermi nella mia stessa testa per navigarci un po' dentro. Ero la vera nemica di me stessa, in queste situazioni, ma ogni volta che Jin rideva o mi guardava - mi cercava - in mezzo agli altri sapevo che sarei riuscita a tirarmene fuori. 

Mi mancava solo quell'ultimo tassello. 
Sarei riuscita a tirarlo giù? 
Ci provai, di nuovo, con un coraggio un po' più eroico.

«Ehi Hobi, che ne dici di provare le granite alcoliche? Le dobbiamo far provare anche agli altri, ricordi come ci erano piaciute?»
Emily era un po' in disparte, stava parlando con Yurim e Jimin di qualcosa e lui era rimasto un po' indietro, mentre contemplava la spiaggia, allunando il passo verso la zona più affollata. Si voltò verso di me, con uno sguardo che mi fece raggelare all'istante. 
Non rispose nemmeno subito, guardò me e poi Jin  prima di fare una leggera smorfia, scuotendo il capo.
«No, non mi vanno.»

E allungò il passo, andando a prendere per le spalle Tae, ridacchiando per chissà cosa.
Sbirciai Jin, evitando di mostrargli la mia delusione, ma lui mi fece un sorriso pieno, alzando appena le spalle.
«Dagli tempo. Magari è ancora un po' scocciato.»

Dargli tempo. Tempo.
E se non ne avevo?  
Chiusi gli occhi e feci un respiro enorme; l'unica soluzione era non pensare, sperando che le cose si sarebbero sistemate da sole.
Forse sotto l'effetto dell'alcol, magari avevamo solo bisogno di abbandonarci al  divertimento più puro per snodare la tensione.
Chiusi gli occhi e mi lasciai guidare dalla serata, aspettando la mezzanotte.











nda: buonaNOTTE ormai ragazzi <3 questo capitolo è un po' un intervallo. Alla fine mi sarebbe uscita una cosa troppo lunga quindi ho deciso di dividere i capitoli di Busan in due parti v_v reduce dal concerto di stamattina mi ci sono messa e ho tipo scritto di getto una miriade di parole, so che non succede nulla di particolare ma mi sono divertita a farli andare in "vacanza" se si può dire, quindi ecco qui l'inizio - dovevo pubblicarlo tipo settanta ore fa ma ho perso molto tempo, perdonatemi. Spero vi siate goduti il concerto anche voi, stamattina <3 penso ne avessero davvero bisogno per quanto non ci fossero le vere army lì con loro a fare casino. Spero che 'sto periodaccio finisca presto ç_ç per tutti. E niente, vi ringrazio moltissimo per le recensioni ( voi sapete <3 ) e per seguirmi anche in silenzio, siete il mio carburante, non mi stancherò mai di dirlo. A presto!


 
 

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Capitolo 28
*** L'euforia dopo mezzanotte ***






28 ~ L'Euforia dopo mezzanotte



ㅇㅅㅇ




 





Ad un certo punto ci fu un vero e proprio chaos, un ordine completamente esploso. Potevo dare la colpa alla percentuale alcolica nel nostro sangue o, solamente, ad una potente ed immensa euforia che ci prese nel momento stesso in cui ci infilammo tra la folla, scontrandoci con quella festa estiva, così piena di colori e rumori. La musica continuò per delle ore infinite, alcune famigliole abbandonarono la spiaggia dopo una certa ora, lasciando il monopolio ad altri avventori della notte. Era pieno di giovani, di persone straniere, di adulti senza figli, di qualche ragazzino sfuggito all'orario imposto dai genitori.

Teste variopinte che saltavano, festeggiavano, ballavano, ridevano, bevevano abbondanti sorsate di felicità. Nonostante non fossi avvezza alle feste, riuscivo a diventare un camaleonte non appena mi immergevo in esse. Mi facevo travolgere, sentendo tutto il rombo di quel chiasso dentro di me, fino alle ossa. Se mi fossi lasciata andare come si deve, probabilmente, sarei stata capace di salire sul palco e afferare il microfono, cimentarmi in chissà quale canto disperato, probabilmente scatenando una valanga di risate ilare e  anche apprensione, tanto da chiamare l'ambulanza all'ennesimo sgambettamento procace. 

Per fortuna il mio coraggio si limitava solo ad immaginare tale scena nella mia testa, non c'era pericolo per me, ma non potevo dire lo stesso per persone come Hoseok, Jimin o Jin stesso che, a quanto pare, avevano provato a lottare contro l'ubriacatura ma avevano miseramente perso, sconfitti senza pudore, tanto che il pudore - quell'unica vaga speranza - era andato a farsi benedire. 

Stavano facendo una strana danza, che sicuramente per qualche comunità locale dell'Asia avrebbe avuto anche significati molto profondi, ma io pensavo fosse atta solamente per strapparsi i muscoli e distorcersi qualche osso importante. Jin si stava sbracciando a caso, i suoi capelli neri andavano a ritmo della musica, scombinandoli. Purtroppo per lui era  stato benedetto con altre sostanze, in quelle ore successive, tra cocktail, altra birra e anche degli appiccicamenti tattici di zucchero filato. Ero sicura che si fosse ubriacato apposta per non impazzire, ma sembrava si stesse divertendo come non mai.

Hoseok aveva cominciato a fare delle strane mosse col sedere che stavano facendo imbarazzare Emily, lei aveva una mano sulla faccia e tentava di nascondere il rossore e le risate convulse. Jimin non potevo proprio descriverlo, se non attraverso lo sguardo di Yoongi che lo guardava  inebetito da almeno una mezz'ora buona, ma forse aveva avuto solo un crollo cerebrale. 

Io e Yurim ci eravamo cimentate in una danza saltata e romantica,  tanto che alla fine si era introdotto pure Taehyung e ci fu una strana ondulazione a tre che avrebbe fatto sospettare anche le menti meno pure verso una qualche nostra potenziale relazione tensiva, ma io fui presa in ostaggio da Namjoon non appena i miei due accompagnatori danzerecci presero a strusciare i propri lombi tra di loro, creando una risata convulsa in Jungkook che stava guardando tutti come un pesce, senza parole. Aveva ben due drink diversi in mano, e li stava bevendo entrambi dalla cannuccia, creando un miscuglio molto ragionato e un po' invidiato da me.

«Come ai vecchi tempi!» Mi urlò Namjoon all'orecchio. 
Non si sentiva niente, c'era solo la musica che padroneggiava, persino il mare e il suo dolce suono era disturbato da quegli strumenti tumultuosi. Namjoon mi fece degli strani gesti, prima di acchiappare per un braccio pure Yoongi, ancora ipnotizzato sul suo ragazzo, trascinandolo verso di noi.
«È quasi ora! Assaltiamolo mentre fingiamo di ballare.»
«Io stavo già fingendo!» Risposi io, urlando a mia volta. 
«Jk sta bevendo raddoppiando il contenuto alcolico, se continua così non arriva manco a sentire buon compleanno.» Urlò di rimando Yoongi.

Ci voltammo verso il povero Jungkook, notando che stava cominciando a muoversi come un anguilla, imitando i movimenti di Jimin che lo stava volutamente ignorando, a quanto pare Chimmo aveva preso di mira il mio ragazzo mentre ondeggiava le braccia verso di lui. Hoseok si mise in mezzo, saltellando come un grillo. Erano uno spettacolo non da poco; notai Emily che stava fotografando quei momenti, non so con quale risoluzione ottica, di certo non ultra HD professionale visto la posizione periferica che aveva adottato.

«Taehyung non aveva portato una specie di striscione?»
«Abbiamo fatto uno striscione?» Chiese Yoongi, inarcando un sopracciglio.
«Sì,  ho falsificato la tua firma visto che se aspetto te.» Brontolò Namjoon, prima di prenderci per mano entrambi e fingere di fare passi da valzer, avvicinandoci di più al gruppetto. Sembravamo decisamente più imbarazzanti degli altri tre, mentre ondeggiavamo da un piede all'altro, con un ritmo un po' robotico e meno sciolto.

«Dai, che che se dici così pare che sono insensibile come la morte.»
«No, sei  solo pigro.»
«Tae?» Io lo richiamai, pinzando anche lui, trascinandolo nel nostro cerchio valzero-tico insieme a Yurim. «Jungkook è sulla via dello svenimento, quindi ora o mai più.»
«Sì!» Esclamò quell'altro, prima di girarsi e cercare di dare un calcetto a Jimin che, a quanto pare, aveva creato una gang di danzatori, visto che oltre Jin e Hoseok ora si erano unite tre ragazzine che saltavano e ridevano insieme a loro. Guardai come una mosca Jin, ma quello era ancora talmente immerso in quello scapocciamento insensato che non se n'era neanche accorto. 
Si sarebbe rotto l'osso del collo se avesse continuato così.

«Oh che è?»
«Jimin, il piano Jk! Ora!» Yurim lo guardò con uno sguardo più acesso. 
Jimin capì all'istante, tanto che prese per un braccio Hoseok e aguzzò lo sguardo fino a Emily, che intanto si era avvicinata a noi. 
«Hobi placati, per favore!» Gracchiò Yoongi, facendo un verso strano.
«Ooooh, perchè? Ballate anche voi, così, unz - eee unz» Stava già biascicando, segno che era ubriaco già a livelli importanti. Avrei  dovuto capirlo dalla faccia tremendamente arrossata, era una cosa che mi faceva sempre ridere, anche se ora ero costretta a nasconderlo.

«Hobi non balleremo mai come te, devi fartene una ragione.» Disse Namjoon, ridendo. «Potete fermare Jin?»
«Jin?!»

Niente, quello stava continuando a muoversi da un lato all'altro, cantando pure qualcosa.
Probabilmente stava tentando di seguire il complesso musicale, ma con scarsi risultati. 

«Jinnie?» Taehyung provò a pinzargli le spalle, spezzando così il nostro cerchio per niente losco agli occhi di Jungkook, 

proprio zero

l'unico rimasto in disparte a guardarci in silenzio, mentre confabulavamo non così tanto in silenzio. Per fortuna, la Dea Musica, in quel momento era un'alleata perfetta. 

«Oohhh Jiiiin?» Namjoon tirò fuori il vocione, provando a scuoterlo, tanto che finalmente rialzò la testa, con  il fiatone e lo sguardo di chi è appena stato risvegliato da un sogno meraviglioso.
«Oooooh che c'èèèè?»
«È mezzanotte!» Urlò di rimando Namjoon, prima di guardarci tutti.
«Siamo abbastanza ubriachi per adempiere al piano primario e fargli una sorpresona che non si dimenticherà più!» Provò Minno, di nuovo, agganciandosi ad una spalla di Jimin, che lo avvolse con un braccio dietro la schiena. Jimin prese a saltare di nuovo e, questa volta, pure Yoongi lo seguì.
«No dai ragazzi, avevamo detto di no.» Brontolò Yurim, facendo un broncio.
«Oh io sto indossando più alcol che abiti, perché lui non riceve lo stesso regalo?»
«Non temere, ne abbiamo anche per lui, e non ti lamentare che sei molto più sobrio così!» Disse Jimin, sghignazzando.
«Che vorresti dire, che mi sono vestito male?» Sbraitò Jin, pinzandomi le spalle con le mani, facendomi ondeggiare malamente.
Nel cambiarsi, il pomeriggio, era riuscito a vestirsi esattamente come all'andata. Quello era talento.
«Beh...» Provò Jimin, di nuovo, con una smorfia già peccatrice ma per fortuna Emily interruppe quella diatriba, cacciando in avanti la testa rossa.

«Ho un'idea io: qualcuno lo distragga, inventandosi chissà quale cosa, con gli altri andiamo verso la spiaggia, ho in mente una cosa carina. E poi lo portate là, dove c'è quella piccola rientranza.» Ci indicò un punto non molto lontano. Era carino, c'era una piccola passerella di legno che arrivava a metà spiaggia, illuminata da delle lucine piantate nella sabbia, probabilmente per l'occasione.

Tutti la guardammo già pronti a fare una lotta nel fango per decidere chi sarebbe stato incaricato a distrarlo, ma non ce ne fu bisogno. Jungkook si era avvicinato lesto, a quanto pare ancora ignaro di tutto quello che stavamo dicendo, piazzando un braccio intorno alle mie spalle e a quelle di Hoseok, in linea d'aria era stato comodo per lui aggrapparsi a noi.
«Ragazzi, ho finito i drink» ci spiattellò in faccia i bicchieri vuoti, una cannuccia per poco non mi accecò un occhio «mi accompagnate a prenderne altri due?»
«Oh sì, ti accompagnano loro!» Emily ci spintonò verso la bolgia di gente, facendoci un occhiolino furbo, da volpe, prima di smuovere le dita verso gli altri. «Noi vi aspettiamo!»

Poteva scegliere due persone migliori per distrarlo? 
Persino l'inconscio di Emily non aiutava la mia causa, anche se forse avrei dovuto sentire un po' lo zampino del famoso destino, magari era la mia occasione per appiattire quella tensione tra noi.

«Dai andiamo Kookie, riesci a camminare? Non hai ballato neanche un secondo. Almeno ti stai divertendo?» Hoseok lo trascinò un po' in disparte, mentre io feci fatica a stargli dietro, allungando il passo. Lo stavamo ancora reggendo per le spalle, ma per fortuna non si era accasciato su di noi, riusciva ancora a stare in equilibrio. 
Lo guardai dai basso, sperando che non avesse la faccia di uno che stava per svenire da un momento all'altro: no, era piuttosto vispo, coi capelli più lunghi davanti agli occhi e la bocca di chi stava facendo fatica a non torturarsi le labbra. Fece uno strano movimento con la lingua, tanto che mi allarmai un secondo. Era sintomo di rabbia, di solito, tanto che slungai lo sguardo verso Hoseok che lo ignorò così bene che quasi mi stavo commuovendo.

«Oh ragazzi, vi voglio bene lo sapete?» Ci disse Jungkook, strusciando la testa contro quella di Hoseok.
«Eeeh come no, anche noi, lo sai.» Disse l'altro, puntando una trafila di banchetti.
Il palco era situato sotto un gazebo gigantesco, ai lati, verso il lato della strada erano posti dei piccoli chioschi che vendevano birra artigianale, drink di ogni tipo e anche cibo veloce, come hamburger, piadine, anche noodles pronti e gamberetti fritti, per non parlare della quantità di dolci.  L'odore, in quella zona, avrebbe fatto venire l'aquolina in bocca anche alla persona più sazia dell'universo, tanto che mi immersi in quella fragranza mentre rialzavo la mano per andare a sostenere quella di Jungkook, ancora intento a camminare verso quella zona restando addosso a noi.

«E allora perché non lo ricordate?» Pigolò Jungkook, tirando giù la testa.

Quella domanda mi fece più male del dovuto. Mi sembrava troppo meschino quel piano, ma perché avevamo accettato di farlo? Sospirai, tentando di restare ancora un po' in silenzio, tanto che mi voltai per guardare anche Hoseok, sperando che avesse la risposta pronta anche a quella domanda. Issai meglio il braccio di Jungkook sulle spalle, prima di soffermarci davanti ad una sequenza di punti vendita di ogni tipo: birre? alcolici? Alcuni vendevano delle bottigliette minuscole di vodka e soju, la vera rovina nella nostra vita alcolica.

«Ehi, ti va di provare una cosa buonissima?» Rispose Hoseok, zompando sopra la sua domanda come se niente fosse. Il suo sorriso era talmente contagioso che, quando Jungkook lo guardò, sembrava di nuovo riflettere una parvenza di buon umore.
«Cosa?»
«Prendiamo il soju e lo mescoliamo alla granita, ti giuro che è la cosa più buona dell'universo. Io e Seo lo bevevamo sempre, durante gli esami all'università, quando passavamo la notte a studiare. Una volta ne abbiamo bevuti almeno cinque o sei a testa, il giorno dopo ci siamo presentati ad un esame completamente stravolti, volevamo solo morire.»

Provai un tonfo al cuore. 
Mi voltai di scatto verso Hoseok, guardandolo con occhi sgranati e senza sapere bene cosa dire.
Lui mi guardò di sbieco, con ancora lo stesso sorriso che stava dando a Jungkook, ma senza soffermarsi troppo. 

Mi bastava. 

Mi bastava anche quel misero sguardo; aveva tirato fuori un ricordo estivo molto particolare che, avevo addirittura paura, non si ricordasse. Mi morsi la lingua, tra i denti, nervosamente, prima di fare un sospiro, provando a non dargli l'importanza che, invece, gli stavo dando. Forse era davvero così che funzionava, all'improvviso qualcosa scivola via e ti fa dimenticare i motivi per cui sei stato invaso dalla rabbia o dalla frustrazione e vuoi solo dimenticartene.

«Uuuh mi ricordo quel periodo, io ero ancora al liceo con Tae, quanto invidiavo la vostra vita da adulti.»
«Avevi tanta voglia di crescere, eh?» Domandai io, finalmente prendendo parola.
«Sì.» Ammise lui, annuendo pianissimo. «Ma ora vorrei rallentare il tempo.»
«E allora non avere fretta.» Rispose Hoseok, prima di ficcargli una mano sulla testa e sfilare via da quella presa a trittico che avevamo imbastito.
«Prendiamo puffo, arancia e menta, per gli altri qualche bottiglia di soju in più. Devono invidiarci, vedendoci tornare.» 
Mi guardò per ultima, prima di defilarsi e andare a comprare le bevande.
Si ricordava persino il sapore che preferivo, ma non avrei dovuto esserne così sorpresa, mi rinfacciava sempre di essere una strana figlia del demonio per preferire la menta agli altri sapori, ma in quello ero molto simile a Jin, non andavo matta per le cose al gusto di frutta. 

«Seo ci hai fatto pace?» Mi chiese Jungkook, sfilando pure lui dalla mia spalla, per guardarmi.
«No Jung, le cose sono sempre miseramente complesse.» 
«Ricordati la faccenda dell'incomprensione!»
«Jk non c'è incomprensione, anzi son stata fin troppo chiara a sto giro.»
«Ah allora non  ho capito niente.» Si lagnò lui, prima di tirare indietro la testa e fare un sospiro. «Ah, Hobi prendi  una bottiglia di drink energetico, quello rosa fluorescente, lo gettiamo tutto in testa a Jin appena ritorniamo da loro.» Sbraitò subito dopo, verso Hoseok che percepì la proposta e gli fece dei segni di approvazione.
«Ah, Hobi prendine pure un'altra, verde nucleare, per tu sai cosa!» Sbraitai pure io, a sto punto con un coraggio un po' più percepibile, e pure in quel caso fece dei segni di assenso, ma  questa volta senza guardarmi. 

Quando tornò verso di noi aveva due buste piene e in mano, da vero giocoliere, tre granitoni che spiattellò nelle nostre mani un secondo prima di perderne la presa, cosa che non avvenne per grazia divina.

«Ma state confabulando qualcosa che non so?» Chiese Jungkook, guardandoci con una smorfia.
«No ma che - noi non siamo il tipo da confabulare cose.»
«Ma se abbiamo organizzato un viaggio per far passare a Jin una nottata  che neanche per l'addio al celibato?»
«Quelli son dettagli irrilevanti.»
«Andiamo dai, gli altri ci aspettano. Strano che Jimin non sia ancora salito sul palco.» Disse Hoseok ridendo, riprendendo le spalle di Jungkook. Io gli presi un sacchetto, giusto per non lasciargli tutto il peso, ma non gli dissi più nulla. 

Mi limitai a seguire gli altri due verso il punto lasciato, poco prima, tanto che quando notammo la loro sparizione - più per vedere la reazione di Jungkook che altro - non tardò ad arrivare un suo sguardo perso e l'aria di chi non stava capendo bene. Si voltò per cercarli, tanto che cominciò a sospettare che ci avessero abbandonato lì per andare in giro a fare i balordi della strada.

L'immagine era un po' bizzarra, ma con qualche tecnica di convinzione estrema - lui sarebbe andato a cercarli per il centro della città -  riuscimmo a convincerlo a seguirci verso la spiaggia, dicendogli che sarebbe stato meglio aspettarli lì. Sia io che Hoseok  guardammo in giro, ma non avvistammo nessuno di loro. C'erano svariati gruppetti di persone che sostavano in spiaggia, alcune con asciugamani tattici, altri con una marea di drink e del cibo preso dai chioschetti. Più ci allontanavamo dal palco e più la musica era meno rombante e prepotente, persino le strisce più rossastre del palco, che gli addetti alle luci facevano danzare sopra di noi, stavano diventando bagliori lontani, riportandoci nel buio della serata, con quell'alone più cupo e il riverbero delle lanterne appese che donavano una luce più fredda, lontana, come qualcosa di irraggiungibile.

Fu una passeggiata un po' strascicata. 
Camminare sulla sabbia, da ubriachi, era come scalare un masso pieno di buchi. Incespicammo almeno quaranta volte a piede, tanto che persi un bel quarto della mia granita per strada, tentando di non perdere l'equilibrio. Hoseok si mise a canticchiare una canzone un po' stupida, facendo dei versi disumani e Jungkook prese a stargli dietro, senza vergogna. Ero sicura che lo stesse facendo per avvertire gli altri del nostro arrivo, visto che non avevo idea di dove si fossero ficcati, ma alla fine notai delle ombre sbucare da dietro un montagnola di sassi, tirando fuori i cellulari per illuminare uno striscione che tenevano in mano, srotolato e colorato su cui svettava:

Buon Compleanno Kookie, te l'abbiamo fatta di nuovo!

In aggiunta qualcuno aveva scritto:

Sii grato che non ti abbiamo lasciato a casa.

Sicuramente da parte di Minno, visto l'andamento un po' più dialettico della scrittura. Ci fermammo di colpo tutti e tre, Jungkook restò per un secondo imbambolato, prima di osservare di nuovo quella dannata scena a rallentatore. 

A quanto pare avevano recuperato dell'acqua, da qualche parte, perchè partirono delle vere e propri bottigliate che ci colpirono tutti e tre, seguiti da degli urli senza senso, tra "auguri scemoooo" a "amaci  di più dopo questa sorpresaaa", tanto che vidi Taehyung correre verso di noi, ormai fradici e ancora immobili, e saltare addosso a Jungkook, raggirandolo per salirgli sulla schiena, tanto che per poco quello non cascò in avanti malamente.

«Ma noi che centriamoooo!» Urlacchiò Hoseok, facendo un brivido.
«Vendetta supremaaaaa!» Urlò Jin, di rimando, alzando le braccia, ridendo come un disperato.
Fu l'inizio di una vera e propria rivoluzione di lanci. 

Le nostre granite corrette furono le prime a volare in rivolta, in quella guerra di bibitari, adoperandosi per una giusta causa, finendo sulle teste dei primi poveri malcapitati, Namjoon e Yurim, in ordine di vicinanza.

Io e Hoseok riuscissimo a recuperare le nostre bibite dai colori tossici giusto un secondo prima di venire colpiti da qualcosa che sembrava tanto sabbia - ottima analisi, visto che eravamo sulla spiaggia - Jin e Emily stavano lavorando in combo in quella causa di tiro al bersaglio, mentre Jimin e Yoongi tentavano un furto di alcolici dai nostri sacchetti ormai abbandonati, tanto che ci ritrovammo tutti, chi prima e chi dopo, a scappare come dei grilli per quello spiazzo sabbioso  Ci furono solamente sconfitti, in questa lotta all'ultimo drink, tanto che alla fine eravamo stravolti e senza più ossigeno, a riprendere fiato ognuno a distanza di sicurezza dall'altro, ma con ancora le risate in corpo, appiccicaticci e colorati. Se ci fosse stata una luce ultravioletta, ero quasi sicura che ci saremmo illuminati come i gas al neon. 

«Voi siete tutti matti!» Eslcamò Jungkook, alla fine, mettendosi le mani in faccia per fingere di ripulirsi da  chissà cosa, mentre si tirava su. Aveva ancora Taehyung praticamente accozzato addosso, stile vongola, intento a stritolargli le spalle con le braccia.
«Ho la sabbia pure in bocca!» Pigolò Hosek, sputacchiando rimasugli bellici.
«Statemi a distanza di sicurezza, tutti quanti!» Yoongi aveva in mano il mio drink verde chernobyl, ancora del tutto intatto, probabilmente rubato in un attimo di distrazione. Centellinava e minacciava, sventolandolo nel vuoto.
«Noi dobbiamo smetterla di lanciarci le cose addosso, se mia madre sapesse come spreco i miei soldi mi farebbe fuori.»
«Sì Jin, tua madre ti farebbe fuori se sapesse che vai in giro vestito così, ti facciamo solo un favore.»
«Oh ma cosa avete contro il mio bellissimo stile?!»

«Guys guys shut up one moment -» Emily prese il monopolio per un secondo, mentre sentivo Jin aggrapparsi alla mia schiena con le mani, spalmandomi addosso tutto lo schifo che aveva addosso. Odorava di distilleria, luna park e anche ristorante italiano; il mio stomaco non era in grado di sopportare quell'amplesso di sapori. 
«Jungkook ti abbiamo fatto perdere tempo per mostrarti una cosa ma è andato tutto in malora.» Continuò la ragazza, prima di fare un passo indietro e mostrare una cosa nella sabbia. «Look at this
Era senza fiato anche lei, bagnata e piena di sabbia, non ne era uscito salvo proprio nessuno. Era rossa in viso, come Hoseok tendeva a cambiare colore della pelle quando beveva o rideva troppo, e probabilmente era più propensa a parlare nella sua lingua natia in quello stato.

Ma la capimmo tutti, ci  voltammo verso il punto che stava indicando. 

C'era un enorme scritta, sulla sabbia, contaminata dai nostri piedi che avevano corso o dalle sagome dei corpi caduti, ma si capiva perfettamente che c'era inciso a caratteri cubitali: Jungkook, non potremmo mai dimenticarci di te.

Jungkook era rimasto inebetito a guardare la frase, a distanza di sicurezza dall'acqua del mare che continuava a ritirarsi e a ritornare, muovendo la spuma fino al bagnasciuga. Stava premendo le labbra tra loro, riprendendo fiato, tanto che quando si voltò a guardarci aveva l'aria talmente sorpresa e felice che sarebbe stato capace di smuovere i cuori più duri. Si mise le mani davanti allo sterno, per un secondo, prima di chinare le ginocchia e ridere imbarazzato.

«Pensavo che ve lo foste dimenticati, dico davvero.»
«Come possiamo dimenticarlo?» Gracchiò Taehyung, mentre scivolava via dalle sue spalle. Vidi Yurim avvicinarsi a entrambi, ridendo. 
«Non so cosa dire.» Mormorò Jungkook, scuotendo il capo bagnato. «Io
«Non dire niente, tranne il fatto che sei un po' tardo, ogni anno ti facciamo uno scherzo del genere e ancora non l'hai capito. Si vede che stai diventando vecchio.» Disse Jin, sghignazzando malefico. Mi avvolse le braccia intorno al collo prima di darmi un morso sull'orecchio e fluire via da lì. Accolsi quel momento di cannibalismo senza fiatare, guardandolo zompare verso Jungkook, attento a non rovinare ulteriormente la scritta.

Hoseok aveva allungato una mano verso Emily, dicendole qualcosa a bassa voce, forse un "che idea dolce" ma chi lo sa, mi bastava la faccia di Jungkook in quel momento. Come dono non sarebbe stato eterno, ma di sicuro se lo sarebbe ricordato.

«In questo momento ci vorrebbe proprio che Namjoon cantasse una delle sue canzoni da karaoke.» 
Proposi io, avvicinandomi, mentre il mio amico mi metteva una mano intorno alle spalle, ridendo come una iena.
«Non sfidarmi.»
«Jungkook vorrebbe sentirlo-»
«Non è necessario ragazzi davv-»
«Happy birthday to yoouuuuuuuuuuu» niente, ormai Namjoon era partito, a quanto pare ormai preso in quella sua nuova carriera da cantante neo melodico trot, colonna sonora estate hit parade. 
«Mi basta sul serio la scritt-»
Jungkook ci provò di nuovo ma ormai il danno era stato fatto.

Tutti ci aggrappammo gli uni agli altri, formando una grande linea di braccia e corpi che ondeggiavano a ritmo della canzone che, ora, stavamo intonando tutti, davanti a lui più imbarazzato per l'orrore canoro più che per la scelta di farlo lì, in spiaggia, davanti a delle persone che si erano fermate a fissarci un po' allibite.

«...happy birthday tooooo JaaaaaayKaaaaay! Happy birthday tooooo»
e qui Jin prese il monopolio della situazione, tirandosi in avanti e alzando le braccia come un martire, con voce potente e squillante «youuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!»

E restò così, con quell'eco vocalico per secondi infiniti, praticamente urlando come un assassinato, piegando la testa di lato e lasciando Jungkook interdetto a fissarlo, senza avere più parole da dire.
Noi stavamo ridendo di nuovo, sciogliendoci da quell'abbraccio, disfando così il nostro veloce e intenso concerto davanti al festeggiato.

«Non ce la faccio.»
«Vieni qui coniglietto che non sei altro!» 
Jungkook provò a nascondere la faccia ma, purtroppo, furono tutti più veloci di lui, cominciarono a dargli pacche sulla testa, assalendolo in malo modo tanto da scapicollare nella sabbia, probabilmente uccidendolo sul colpo. 

Ma stava ridendo, buonissimo segno.

«Voi mi ucciderete prima del tempo, lo so già!»
«E allora goditi questi momenti che non torneranno più.» Rise di gusto Jimin, scivolando a pancia in giù e soffocando le ultime risate. Sembrava quello più provato di tutti, probabilmente aveva perso un sacco di fiato ridendo. 
Era schiantato con le chiappe sulla sabbia, tanto che per risalire a sedersi ci mise sei secoli.
«L'idea della torta di Jin non era male, comunque, perché ci volete così male?»
«Perchè noi siamo persone originali e con brillantissime idee.» Spiegò Hoseok, mettendosi a sedere, trascinandosi Emily praticamente addosso.
«E poi la torta, hai idea di che battaglia sarebbe stata?» Yoongi si lanciò di lato, ripercorrendo la caduta di Jimin, andando a sedersi lì di fianco.

Ci stavamo tutti ricomponendo, seduti sulla sabbia, davanti alla scritta per Jk. Davanti a noi la città e dietro l'immenso mare, buio e quieto.

«Piena di fragole ovvio.» Disse Taehyung, scivolando sul busto di Yurim, che lo abbracciò da dietro.
«Al cioccolato.» Dissi io.
«No, una crostata ragazzi, l'avrebbe fatta mia madre.» Disse Hoseok.
«Perchè non una di riso? Mia nonna le fa buonissime.» Jimin gonfiò le guance, lanciando un po' la sabbia addosso a noi.
«E perché non una torta gelato?» Chiese Namjoon.
«Vedi? Non era cosa.» Disse Yoongi, scuotendo la testa rassegnato, voltandosi verso Jungkook. «Sarebbe stata immensamente disgustosa.»
«O immensamente buona.» Rispose Jin, ridendo. A quanto pare aveva preso di mira il mio orecchio, ora continuava a carezzarlo con un dito pieghevole, come anti-stress.

Approfittai di quel momento di stasi per guardarli uno per uno, abbozzando un sorriso più convinto. In quella combo un po' seduta spiritica e un po' Cerchio della Vita, restammo a fissarci e a ridacchiare, riprendendo il fato perso per la lotta di poco prima. Era una tradizione bizzarra, quella di prendere in giro Jungkook in quel modo durante il suo compleanno, era una specie di inizio di  stagione. Settembre era il mese dove la routine riprendeva la solita vita, dove si iniziava a pensare a mettersi d'accordo per vederci durante i tempi liberi da lavoro e da scuola, si decideva da chi passare il Natale, quale fiera festeggiare, come affrontare la vita dell'anno che volgeva al termine. Fingere che non c'era niente da festeggiare era il nostro miglior modo di dare il via a tutto quello.

Ma quella volta percepivo qualcosa di diverso, c'era qualcosa di molto più grosso in ballo, c'erano stati troppi cambiamenti e, per quanto uno poteva sperare che le cose si sarebbere solo trasformate in maniera positiva, era comunque un cambiamento a cui, forse, nessuno era realmente pronto. 

Provai un forte senso di vertigine, una bizzarra sensazione che mi fece tremare per un secondo, tanto che dovetti chiudere gli occhi per scacciarla via. Non so cosa fosse, non riuscivo a capirlo, tanto che alla fine decisi di alzare lo sguardo per guardare uno ad uno i miei amici. I loro volti erano così sereni che, quel motivo di ansia, mi passò in un secondo. Alzai la mano per stringere quella di Jin, che smise con quello strano feticismo per il mio orecchio, mi guardò con uno sguardo dolce. Conciato così disastrosamente sembrava ancora più bello. Quell'attimo si interruppe nel momento in cui Jungkook sussurrò un grazie davvero commosso, tirando su col naso. Niente lacrime, al momento, per lui, forse stava crescendo davvero, giostrandosi con le sue emozioni più impulsive.

«Avevo davvero bisogno di questo e,  in cuor mio, so che siete dei pirati sensibili e che stavate cercando di farmi assaporare di più la sorpresa. Avremmo molto da festeggiare, tra la partenza di Jin, il matrimonio di Hobi e Emi e la proposta che vuole fare Tae a Yu, ma avete dedicato questo a me lo stesso e non lo dimenticherò-»

Non si rese conto, ma noi sì. 
Alcol beffardo e truffaldino, che scherzi che fai.

A occhi sgranati assistemmo ad un cambiamento assurdo della sua faccia, quando si rese conto della grandissima notizia tirata fuori. Ma io mi volta di scatto verso Yurim e Tae, vicino a me. Lei si era staccata dal suo ragazzo, guardando Jungkook con sguardo indecifrabile, tutti noi sembravano in attesa della bomba atomica per eccellenza. Taehyung era diventato più bianco di un cadavere, guardò Jungkook per mezzo secondo, con quel tipico sguardo ammazza-cervello, prima di voltarsi con una lentezza estrema verso Yurim.
Io guardai Jin per un supporto da panico ma quel maledetto si stava letteralmente scompisciando a bocca chiusa - a quanto pare lo trovava molto divertente.

«No scusa, di che proposta stai parlando?» Lei guardò Jungkook, per poi deviare su Taehyung, indietreggiando con la schiena. «Tae?»
«Ehm ...ecco, in realtà non è niente di serio insomma, non so perchè Jungkook ha cacciato fuori questa cosa.» Sibilò Tae riguardando Jungkook con occhi sottili.
Potevo immaginare come si sentisse Jungkook: non ditemi più segreti di questa portata, vi prego. 

In effetti un po' lo capivo, ero stata  tentata mille volte di oltrepassare Taehyung e fare la proposta a Yurim io stessa, ma forse sarebbe stata un po' anomalo in effetti.

«Tae?!» Ripetè Yurim. 
Sentivo che era un po' colpa nostra, tutti li stavamo guardando senza dire una parola, come spettatori di teatro, che attendevano la grande scena madre. Volevo davvero aiutarlo ma ormai era fatta: o la va o la spacca, e Jin che tentava di bloccare la risata non aiutava, tanto che piantò la faccia contro la mia schiena, per frenarsi.

«Ecco io...»
«Oh dai diglielo Tae, davanti al mare, ai tuoi amici, è una propostona.»
«Sì ma io l'avevo progettata diversamente, al suo ristorante preferito!» Rispose lui, stizzito, verso Yoongi.
«Oh, immagino stessi aspettando il tuo grande amico clichè, in questo caso.» Fece Jimin, diavolo furbastro, sogghignando. 
«Jimin-ssi.» Sibilò di nuovo Tae, guardandolo torvo.
«Fammi indovinare: spumante, tavolo privato e violini che suonano?» Provò Hoseok, ridacchiando.
«Dai non essere meschino, tu me lo hai chiesto sotto la pioggia, davanti ad una fermata dell'autobus, è stato spontaneo no? E ti ho detto di sì lo stesso!» Emily gli diede una gomitata molto leggera e, davanti a quell'immagine, rimasi un attimo imbambolata a guardarli.

Non mi aveva mai raccontato il modo in cui glielo aveva chiesto, quell'immagine poteva benissimo essere molto da Hoseok, in fondo. O forse no? Provai un leggero senso di disagio che cercai di scacciare via velocemente.

«Ragazzi non mi state aiutando!»
«No ma te la stai cavando benissimo, credimi.» Rise di gusto Jin, tirando su la faccia, cercando di non morire.
«Yu devi capire che hai un ragazzo molto riservato e si vergogna.» Provò Namjoon, annuendo da vero colto del mestiere. 

Ma Yurim non stava guardando Namjoon, sembrava non aver colto neanche mezza parola di nessuno.
La prima cosa che fece lei fu guardarmi, girandosi verso di me quasi con urgenza. Sembrava che stesse  cercando la conferma che anche io sapessi del grande segreto di Taehyung, stava trattenendo il respiro e aveva gli occhi lucidi, per via dell'alcol e dell'emozione probabilmente. Non dissi niente, mi limitai a sorriderle e ad annuire velocemente.

«Tu davvero volevi chiedermi di sposarmi?» 
Disse lei, alla fine, con una voce che sembrava aver perso tutta la tonalità, ritornando sul suo ragazzo.
Taheyung ci mise sei secoli prima di cedere, annuendo con un sospiro.
«...sì, anche se potenzialmente lo ha fatto Jungkook al posto mio.»
«Sì ma io non voglio sposarti, cioè nel senso lo sai che ti adoro Yu ma non sono pronto per tale impegno.» Provò Jungkook a metterla sul ridere, ancora imbarazzato, tanto che si grattò la testa.
«Oh mamma mia, sto per sentirmi male.» Sfiatò Yurim.
«Minno passami quel drink che hai!»
«Ouf, tieni.» Minno glielo lanciò controvoglia. 
«Sto per svenire!» Continuò lei in iperventilazione.
«Non farlo ora, non sono bravo con queste cose.»
«Sto anche per vomitare!»
«Eh però ...tutte le hai, tesoro.»
Taehyung sembrava disperato sul serio, tanto che gli sventolò la mano davanti alla faccia mentre quella sembrava in procinto di collassare.

«

Taehyung si bloccò per un secondo, restando a guardarla, mentre lei alzò gli occhi verso di lui, ancora col fiatone e, potevo immaginarlo, il cuore in subbuglio. Noi eravamo su un filo, pendevamo solo dalle sue labbra.

«C-cosa?»
«Sì che ti sposo brutto scemo patentato!» Gli saltò letteralmente addosso, per abbracciarlo, facendolo cadere sulla sabbia. «Non ci posso credere che me lo stai chiedendo così!»

Potevo respirare di nuovo anche io, mentre tutti facemmo un grandissimo sospiro, più in panico di Taehyung. 
Ma, in fondo, chi ci credeva che gli avrebbe detto d no?
Non ci fu bisogno di dire molto altro, la peggiore proposta di matrimonio della storia finì con l'ennesimo travolgimento corporeo, esultando come solo dei veri fan potevano fare.  Ci alzammo per saltargli addosso, purtroppo quel drink verdognolo finì di nuovo sulle nostre teste, ormai benedizione massima per ogni situazione della serata.

Alla fine non era andata per niente male.








Restammo sulla spiaggia a bere gli ultimi drink sopravvissuti della serata lasciando scivolare di dosso tutte le emozioni provate. Jungkook prese il monopolio della situazione, a quanto pare tra la vecchiaia sopraggiunta e il senso di colpa per aver rovinato la proposta a Taehyung cominciò una lunga trafila di racconti e scenette che allietarono la nostra serata fino alla fine.
Non durammo molto, arrivò il classico calo della palpebra, tanto che ci fu un dibattito un po' più sentito riguardo al dormire sulla spiaggia così com'eravamo conciati o tornare alla guest house per prendere degli asciugamani e cambiarci degli abiti. Optammo per la seconda opzione, dopo che Jin appurò che se non ci fossimo cambiati saremmo morti assiderati, era una premonizione un po' troppo drastica ma ci convinse a tornare indietro per recuperare un po' di armamentari da spiaggia e esaudire la proposta di Taehyung di dormire davanti al mare. 

Fu in quel frangente, dopo che ci ripulimmo e ci cambiammo d'abito per la terza volta durante la giornata, constatando che l'idea di Jin di portarsi un valigione era stata una bizzarra premonizione da parte sua,  proprio mentre stavamo per comprare qualche kimpab in un piccolo chiosco notturno, che capii per quale ragione, poche ore prima, ero stata tediata da quella spiacevole sensazione fulminea; era una sorta da sensazione da medium. Un brivido così potente che nemmeno un mentalista professionista avrebbe potuto gestire. Arrivò con un leggero schiarimento di voce, da parte di Hoseok, mentre Jimin pagava al cassiere le piccole porzioni che eravamo riusciti a recuperare. Eravamo a pochi minuti dalla spiaggia, in una stradina più isolata, non c'era più molta gente in giro e la musica era ormai cessata da un pezzo, c'era solo il rumore del mare in lontananza e i passi dei piedi sull'asfalto, delle nostre ciabatte. 

«Ragazzi, so che non è il momento più adatto per dirlo ma non credo di riuscire a resistere ancora. Visto che è serata di rivelazioni...» Hoseok ci fece fermare a tutti, voltandoci dietro di lui. Stava tenendo Emily per mano. Si erano riusciti a vestire in combo pure per dormire in spiaggia. La luce del chiosco dietro di loro illuminava le loro figure, rendendole stranamente angeliche, tanto che per un attimo rimanemmo incantati a guardarli. 

Sembrava tanto un'aura, quella che ascende dal cielo per tirarti su e riportarti in Paradiso. Per portarti via.

«Ne abbiamo parlato alla fine, siamo stati in dubbio per giorni ma alla fine siamo giunti ad una conclusione. Non vogliamo dirlo a vacanza finita, perché ho paura che la rovinerei sapete, con un sacco di pianti e magari l'effetto sorpresa e-» vidi Emily stringergli la mano un po' più forte, guardandolo di sbieco, prima di voltarsi verso di noi. 

Io stavo tenendo la mano a Jin, lui me la strinse più forte. Non mi stava guardando, ma a quanto pare provammo lo stesso strano senso d'ansia, nel preciso momento. 

«Io e Emily resteremo a vivere in Inghilterra, alla fine. Il matrimonio lo faremo qui, ci trasferiremo subito dopo e ...insomma, non è di certo un addio ma credo che sia la soluzione più fattibile per tutti. » Disse lui, provando a ridere sopra le sue stesse parole. Alzò la mano per grattarsi la testa.

Lo vidi, in una maniera così rapida, che per poco non cedetti.
Mi guardò, per un istante infinito, cercando di trovare qualsiasi cosa da comunicare a lui, col mio. Ma non riuscivo: mi sentivo svuotata. Provai, in una maniera quasi diametralmente opposta, la stessa sensazione che mi fece quando avvisò  che si stava per sposare. La paura più grande di tutte, la stessa che mi aveva inseguito fino a quel momento e non era l'idea di condividerlo con un'altra ragazza, non era l'idea di non viverlo come fidanzato, ma quella di perderlo. Forse era quello il motivo per cui mi stava evitando, forse era stata la mia rivelazione a dargli l'imput necessario per fare quel passo in più, decidendo di alleggerire il futuro di entrambi rimanendo separati per sempre.

Non dicemmo niente per mille secondi, restammo tutti a guardarlo con un'aria tremendamente ipnotizzata, come se ci avessero tolto la parola. Jin provò a sbirciarmi, lo potevo percepire ma cercai di non voltarmi verso di lui, perché se l'avessi fatto sarei scoppiata a piangere. Via Jin. Via Hoseok. Non volevo arrivare a questo punto, in nessuna maniera, avrei potuto vivere tutto il disagio del mondo sapendolo nella mia stessa città, a vederlo saltuariamente, mi andava bene anche così, ma quell'annuncio aveva dato voce a tutti i miei timori.

Il tempo si prende sempre la sua rivincita, anche quando provi a giocarci contro e a vincere una partita.

«R-ragazzi non guardateci così. Ve lo giuro non vi sto abbandonando, non è un addio, non ho nessuna intenzione di dirvi addio davvero.»

Facemmo tutti un sospiro, chi prima e chi dopo. Io mi voltai per un secondo, trovando lo sguardo di Namjoon su di me. Stava controllando la mia reazione, forse, ma non sembrava avere una bella cera. Poi scosse il capo e tornò su di lui.

«Hobi, qualunque sia la vostra decisione noi l'accettiamo, a noi basta che siete felici.» Ammise, con voce un po' bassa e rotta.
Oh Namjoon, quanto sei bravo a trattenere le tue emozioni, quando vuoi.
Ma Hoseok aveva bisogno di quello, di quell'incipit più comprensivo, perchè si mise a sospirare, sorridendo in maniera nervosa.

«Sì, è vero Nam ha ragione, a noi ci basta questo. Dovete vivere la vostra vita come meglio credete, noi non siamo qui per giudicare le vostre scelte, accettiamo ogni cosa.» Continuò Jimin, sbucando da dietro le mie spalle.
«Servirebbe un abbraccio di gruppo.»  Mormorò Jungkook con voce più bassa. «Questa vacanza è il più bel regalo di compleanno che potevate farmi e voglio godermi ogni istante, siete le persone più importanti della mia vita e non ringranzierò mai abbastanza il destino per avervi portato da me. E ...insomma, non importa dove andremo, noi siamo qui adesso, quindi vi prego non facciamoci prendere dalla tristezza e non piangiamo, d'accordo?» 

«Stai piangendo Kookie, accidenti.» Disse Minno, provando a dargli una pacca sulla spalla, abbozzando un sorriso che sapeva tanto di fasulla cordialità.

Era vero, aveva cominciato a piangere, in silenzio, forse in quel momento di attonito silenzio. Se lo avessi guardato troppo a lungo sarei crollata, quindi cercai di prendere un po' di controllo, deglutendo con fatica disumana.
«Ma ...verrete a trovarci, non è vero? Insomma, non è che farete passare anni ogni volta che-»

«Sempre.» Parlò anche Emily, neanche lasciandomi finire di parlare, sovrastando Hoseok che tentò di rispondere. Mi stava guardando, di nuovo, ma io andai a guardare lei. «Ovvio, cercheremo di venire qui almeno due volte l'anno, per fortuna in Inghilterra ti permettono molte giornate di ferie e le faremo sempre coincidere con le vostre.»
Io le sorrisi, annuendo pianissimo, prima di stringere le labbra.

Due volte l'anno. Per sempre? Dopo una vita passata insieme ogni giorno?
Potevo tornare indietro e non rifare questa domanda?
Provai a rispondere ma non ce la feci. Così decisi di cercare un appoggio visivo per non pensare, ma quando mi bloccai su Taehyung, provai di nuovo un grande groppo allo stomaco. Non l'aveva presa bene, alla festa, quando l'aveva saputo e, dopo tutto quello che era accaduto, l'idea che quell'aria spensierata di quei giorni potesse venire compromessa mi fece allarmare per qualche secondo. Anche lui aveva lo sguardo lucido ma, a differenza di Jungkook, era rimasto più stoico. Continuava a mordersi le labbra, senza dire una parola. Ma poi lo vidi annuire, abbozzando quello che era l'aria di essere un sorriso, ma non disse nulla.

«Portatevi via anche Jk, che cominciamo a non sopportarlo più.» S'intromise Jin, cercando di sdramattizzare la situazione, tanto che deviai su di lui con un sorriso più rinnovato, per quanto spicciolo. Amavo il modo che aveva per alleggerire quel processo di metabolizzazione della notizia, per fortuna eravamo stati preparati nei mesi scorsi a questa evenienza, quindi l'impatto fu un po' più semplice da sopportare. Diciamo una frenata meno letale di quelle che poteva fare Namjoon, in macchina. 

Eppure mi sentivo troppo incriccata, forse non era una macchina la mia, ma un treno merci.

«Oh ma dai, lo sanno tutti che senza di me non ci puoi vivere.» Tirò su con il naso Jungkook, facendo una mezza risata, nel pianto.
«Hobi, ci porterai un sacco di regali vero?» Chiese Taehyung, mentre Hoseok smorzava appena una risata per la battuta di Jin, annuendo con più vigore.
«Ovvio, fatemi una lista di ciò che volete, basta che non mi fate andare in bancarotta.»
«Magari una corona della Regina per Jin, andrebbe bene.» Dissi io.
«Oh sì e l'
M&M's gigante per Tae, ovvio, da mettere in giardino.» Propos Yurim, abbracciando il collo del suo ragazzo.
«Per Jimin noleggia direttamente il palco di Wembley a Londra.» Sorrise Minno, facendo un cenno col mento.
«Oh che vorresti dire, che sono un egocentrico?» Jimin gli piantò un pugnetto sul braccio, che fece ridere Yoongi con più gusto.
«Per Seo potresti rubare un quadro dalla Tate Modern, sicuro non se ne accorgerà nessuno.» Propose Namjoon, raschiando la gola con una risata.
«Sarà un po' complesso fare tutto questo ma ci proverò, lo giuro. Se mi arrestano pagherete una cauzione tanto, no?»
«Ma se siamo degli squattrinati senza speranza, che cauzione.» Brontolò Yoongi, prima di farsi avanti e fronteggiare Hoseok.
Il rumore dei suoi passi sull'asfalto ci fecero venire voglia di seguirlo, ritornando tutti vicini a guardarci. 

«Non voglio che vi rattristiate, non è una una brutta notizia. Sarebbe stata brutta se avessi detto che ho mangiato tutti i kimbap che abbiamo comprato mentre voi non guardavate.»
«Lo hai fatto sul serio?!» Esclamarono in coro Jungkook e Jin, da veri padre e figlio della situazione.
«No, ovvio che no!» Rise Hoseok, inumidendosi le labbra lentamente. «Non lo farei mai.» 
Stava crollando anche lui, era riuscito perfettamente a rimanere sorridente, con quel solito talento di non farci preoccupare, ma il suo volto si stava incrinando spaventosamente, non so quanto sarebbe resistito.

«Insomma, non voglio che ...vi sentiate, ecco, perduti senza di me o che pensate vi stia abbandonando. Sto solo seguendo la mia vita, ma voi ne fate comunque parte. Non c'è nessuna distanza che ci terrà separati, vero ragazzi?» Alzò lo sguardo per guardarci tutti, e il primo a rispondere a quella frase fu Taehyung che, staccatosi da Yurim, si era avvicinato a lui per buttargli le mani intorno al collo. Lui ricambiò subito l'abbraccio, ficcando la faccia nella sua spalla. Forse si era lasciato andare.
Alla fine prendemmo tutti lo stesso esempio, ci avvicinammo fino ad allargare le braccia e incrociarle tra noi, appolipandoci uno addosso all'altro per un abbraccio gigante, stretto, doveroso, uno di quelli che raramente facevamo perché, si sa, non si da mai abbastanza valore alle cose così ordinarie, come queste.

Un ordinario che sarebbe diventato un vero e proprio lusso.

La cosa stava diventando più infima del dovuto, questa volta nessuno di noi stava sorridendo, e sembrava tanto un abbraccio d'addio. Ficcai la faccia contro la schiena di Jimin, mentre a chiudere tutto quell'abbracciofero era Namjoon, che si spiaccicò sulla schiena di Jin.

«Ci mancherete da morire.» Sussurrò Hoseok. «Avevamo detto niente pianti e niente tristezza però.»
Non era convincente con quella voce rotta, da pianto.
«Anche voi ci mancherete.»
Mormorò Namjoon, dando voce a tutti, mentre ci godemmo gli ultimi secondi, chiusi così, prima che Minno prese di nuovo parola, cercando di sciogliere l'abbraccio per primi.

«I goonies di Astoria non muoiono mai, no?»
Disse, guardandoci, abbozzando uno dei suoi sorrisi, quelli più rari.

Un gruppo di amici, cresciuti insieme, nella più grande caccia al tesoro della vita: la ricerca della gioia.
No, certo, non muoiono mai.










Alla fine riuscimmo a prendere posto nella nostra bolla sulla spiaggia e la notte era passata davanti ad altre storie, ci furono un paio di canti simili ad esorcismi e delle storie che sarebbe stato meglio non sentire. Mancava solo il falò un po' hawaiano e i marshmallow da cuocere su un bastoncino di legno. Non avevamo tutto quello ma, in compenso, non ne sentimmo la mancanza. L'adrenalina per quell'ultima rivelazione ci aveva quasi tolto il sonno e sentivamo forte il sentore che quell'estate, quell'immensa immagine che si stagliava davanti a noi, non dovesse mai avere fine. Eravamo rimasti sulla spiaggia decisi ad aspettare l'alba, dimenticandoci che i nostri fisici da quasi trentenni non avevano abbastanza prestanza per non soccombere al sonno dei meno audaci. Jungkook, Yurim e Tae furono i primi ad abbandonarci, si erano addormentati sopra un asciugamano poco dietro una piccola sporgenza, un vago promontorio che allungava la sua scia verso l'acqua salata. Il cielo notturno era terso, potevamo vedere delle piccole stelle che bruciavano a milioni di anni luce di distanza, come le famose lucciole di Timon, mentre la luna illuminava una piccola porzione di spazio creando una vera colonna di luce.

Il suono del mare ci stava cullando, tanto che feci una fatica immensa a rimanere sveglia. Jin e Namjoon erano crollati uno a ridosso dell'altro, su un paio di materassini che avevamo portato per l'occasione, in uno strano legamento corporeo che avrei ritenuto un po' troppo ambiguo per i miei canoni, ma avevo deciso che non ero propensa a pensare male. Yoongi  e Jimin erano stati gli ultimi ad abbandonare il mondo degli insonni, Jimin aveva canticchiato un'ultima canzone per bambini prima di svenire tramortito sulla pancia di Yoongi. Li potevo sbirciare, dalla mia postazione, notando come Yoongi era propenso a lasciare la mano sui suoi capelli, carezzandoli piano fino a fermarsi.

Emily si era addormentata poco vicino a loro, accovacciata contro una trafila di zaini. Hobi le aveva messo la sua giacca addosso, per coprirla e lo potevo vedere mentre se ne stava seduto su una piccola radice che sporgeva dalla sabbia, intento a guardarla. Nemmeno lui riusciva a dormire, a quanto pare.  Era una di quelle cose che condividevamo, involontariamente.

Era stata una serata fin troppo piena, avevano messo un punto a qualcosa e, quel qualcosa, era stato il suo tormento più grande per tutta l'estate. Nonostante avessi tentato di non prendere nessun argomento imbarazzante, durante quelle ore, stavo cominciavo a pensare che il nostro momento era arrivato, il nostro unico attimo in cui potevamo coesistere nei nostri segreti, ed era proprio quello.
Poco prima dell'alba.
Quando le paure erano più forti e gridavano aiuto.
Eravamo sempre stati bravi a captarle; era assurdo come riuscissimo a vederci veramente solo in quel frangente.

Presi coraggio, un coraggio che mi diede guardare Jin per qualche secondo, che ora si era appena sistemato con le mani chiuse in preghiera, sotto la testa.  Mi venne da sorridere, mentre mi issavo dalla sabbia, dirigendomi a passo da lumaca verso Hoseok, lui era a pochissimi metri dall'acqua. Non c'era più nessuna luce artificiale ad illuminare la zona, solo quella del suo cellulare che svanì poco dopo, nonostante si vedessero le lanterne del lungo mare, che s'affacciava a qualche metro di distanza, sopra una piccola collinetta di sabbia. Quando mi affacciai su di lui notai che stava mangiando delle patatine al formaggio, chiuse in una scatoletta. Quando alzò lo sguardo, notandomi, non disse niente. Si limitò solo a spostare il sedere così che riuscii a sedermi di fianco a lui.

Ero pronta ad un discorso che sarebbe riuscito a spodestare ogni sindaco dalle città. Era pieno di buoni propositi, di coraggio, di lealtà impegnata. Ma riuscii solo a fare un sospiro, ritornando a guardare il mare, così immenso e scuro, pieno di segreti che non ci avrebbe mai rivelato. Forse sarebbe stato meglio se li avessi tenuti sempre dentro, i miei, tutti quanti, senza dare spazio a nulla.
Probabilmente sarebbe stato tutto molto più semplice, anche per lui.
Fu in quel momento  che mi allungai verso la scatoletta per pinzare una patatina, ma lui mi diede una sberletta sulle dita per evitare quel furto cibario. Riprovai, ma di nuovo tentò una picchiettata.

Di nuovo.

Finalmente ci decidemmo a guardarci negli occhi, soffocando un paio di risate convulse che uscirono senza preavviso, facendoci per un attimo scordare tutto, davvero tutto quanto. Alle volte, forse, fingere che non sia mai cambiato niente aiutava davvero la transizione al cambiamento. Nel pensarci lo vidi finalmente piantarmi un grumo di patatine sulla mano, sfregando i polpastrelli per pulirsi dalle bricioline più oliose.

«Fattele bastare, ho dovuto fare un patto con Joon per non farmele rubare.»
«Che grande onore, proverò a sopravvivere a questo.»

Di nuovo sorrise, ma questa volta si soffermò a guardarmi un po' di più e io feci lo stesso con lui. Non avevo idea di che cosa covasse dentro di sé, ero quasi sicura che mi avesse spodestato dal mio podio di testimone, e probabilmente anche quello di migliore amica. Ma ero pronta a sopportare ogni cosa, ormai, qualsiasi tipo di guerra. Ero pronta a combatterla e a trovare il mio equilibrio, almeno questo lo dovevo, ad entrambi, o non sarei più stata in grado di farlo in futuro.

«Devo confidarti un segreto.»
Presi io il comando della Nave. 
«Un altro? Sei sicura?» Disse lui. Non mi sembrava arrabbiato, quanto più abbastanza retorico, cosa che mi fece sorridere imbarazzata. Intanto io cominciai a  mangiare il mio bottino al formaggio, cercando di non pensare all'ennesimo brivido che mi solcò la schiena.
«Ho usato uno dei tuoi film preferiti come sottofondo alla nostra storia d'amore.»
Si bloccò, fermandosi a guardarmi. Fece saettare lo sguardo su Emily, prima. Probabilmente aveva paura che captasse qualcosa che non avrebbe saputo spiegare, nonostante fosse oggettivamente troppo lontana per sentirci.
«Titanic?»
«Già. Emily è stato il mio iceberg, quando hai fatto il tuo annuncio ero già pronta ad affondare.»
Non disse niente, si limitò a deglutire rumorosamente, abbassando lo sguardo verso la sabbia. Aveva i piedi nudi, li aveva sotterrati sotto di essa. Anche io stavo facendo lo stesso, era davvero fredda di notte.

Pensavo che non sarei mai stata capace di dirgli una cosa del genere, era sorprendete come le cose potevano cambiare da un momento all'altro. 

«Se avessi saputo avrei avuto più tatto, lo sai.»
«Non è questo che volevo dire. Era solo un dettaglio, minuscolo, di tutto quello che è stato. Ora la prospettiva è diversa. In realtà vi invidio molto. Avete affrontato mille difficoltà e, nonostante questo, tu non hai mai abbandonato la nave. Non sei corso ai ripari, sei stato molto coraggioso.» Glielo confidai a bassa voce, allungando la mano per tastargli una gamba, con una carezza sottile e per niente invasiva. «Non te l'ho mai detto ma sono molto orgogliosa di te.»

Lui fece un sorriso, bello pieno, uno di quelli capace di illuminare anche la notte più scura. Mi contagiò immediatamente, tanto che mi drizzai, avvicinandomi meglio alla sua spalla, tanto che le nostre braccia si sfiorarono appena.
«Siete voi due Jack e Rose. Io probabilmente sono quella comparsata del fidanzato antipatico col taglio a scodella.» Dopo quella brutta immagine feci un sospiro. «Ma ...magari evita di morire annegato, insomma su quella porta ci state entrambi, dico davvero.» 
Lui mi diede una spintarella, prima di piantarmi una mano sulla testa per un secondo, scombinandomi i capelli.
«Dai smettila, mi sto imbarazzando Seo.» Sbuffò lui, per poi fare una smorfia. «Fidanzato antipatico.»

«Va bene la smetto, mi sembrava un ottimo momento per farti imbarazzare, insomma nessuno ti vede.»

Mi misi a ridere, piano, prima di ritornare in silenzio.
Non ero sicura di dove volessi andare a parare col mio discorso, ero pronta ad un discorso di addio degno e strappalacrime ma mi ero promessa che non l'avrei fatto, che avrei preso quel cambiamento per quello che era. Solo diverso. Non per forza doloroso. Eppure non riuscivo a subentrare in quella barriera che avevo creato la sera della rivelazione, tanto  che mi richiusi nel mio silenzio, di nuovo. Dovevo farmi bastare quello, forse. Non accelerare nessun processo, prima o poi sarebbe tornato tutto come prima. O forse no.
Ma non ero in grado di domare anche il destino.

«Voglio che tu sappia una cosa Seo.» Mi disse lui, improvvisamente, allungando le gambe. Restò a guardare il mare, anche dopo che mi voltai di nuovo per osservarlo. Da quella prospettiva, con solo un riverbero lunare a illuminargli il profilo, mi ricordai per quale motivo quel ragazzo era stato la mia ossessione per tutta la vita. Era la sua piccola e immensa anima a renderlo così luminoso, così libero e inarrivabile. Era perfetto sotto ogni punto di vista.
«Dimmi.»
«Tu sarai sempre il  mio Michelangelo.» Finalmente si voltò a guardarmi. Aveva lo sguardo un po' lucido,sembrava essere ingigantito, forse era colpa del buio. «Qualsiasi cosa accada, questa cosa non cambierà mai. Insomma, quello che ho detto prima anche agli altri lo penso davvero. Quello che siamo io e te va oltre le nostre vite separate. Non sei una comparsa nella mia vita, sei tipo la mia co-protagonista, lo sai.»

Provai a pinzarmi il labbro per evitare di scoppiare in lacrime.
Ce la feci, con una forza sovrumana che Hulk mi avrebbe invidiato a vita, ma riuscii giusto a fare un verso di gola che non voleva significare niente in particolare ma che, in realtà, voleva dire più di quanto immaginassi. Non mi stava abbandonando sul serio, provava esattamente le stesse cose, e il mio cuore si ricompattò all'istante, con quell'ultimo tassello mancante e doloroso.

«Hobi dai, lo so, non c'è bisogno di dirlo. Insomma, anche se ora andrai a vivere su Marte io ti tormenterò sempre con la mia esistenza.» Provai a metterla sull'ironico ma mi uscii qualcosa di molto mogio e straziante, provavo pena e compatimento per me stessa in quel frangente. Ma Hoseok era un angelo, in fondo e lo sguardo che mi piantò addosso aveva tutto, tranne che pietà.
«Lo so benissimo che io e te non eravamo destinati a stare insieme. Ci ho pensato così tanto in questi giorni, non so nemmeno perché ti ho evitato, forse mi sentivo in colpa. Probabilmente hai sofferto tanto per questo e sapere che ne sono stato l'artefice mi ha fatto sentire...malissimo.
» 

Non sarei mai riuscita a resistere, non davanti al fatto che stesse palesemente per piangere.
Stavo per allungare un braccio verso il suo volto ma mi bloccai immediatamenteme.


«Non avrei mai voluto questo, mai. Ho pensato a come siamo  cambiati, al fatto che ci siamo allontanati senza nemmeno rendercene conto e, in questi giorni, l'unica l'unica cosa che mi veniva in mente erano le nottate che passavamo sul tetto della mia vecchia casa, quando sgattaiolavamo di notte dopo aver rubato i succhi di frutta dal frigo. La mamma mi sgridava sempre per quello.»

Suvvia lacrime, perché piangere davanti ad un ricordo nostalgico?
Insomma, mica c'è bisogno. State buone, su. Da brave.

«Quando pensavamo che gli alieni, un giorno, ci avrebbero rapiti per usarci come esperimenti, eh?»
«Lo hanno fatto, o non mi spiego il tuo carattere.»
«O il tuo.»
Ci scrutammo come due detective indagatori, occhi sottili e smorfia seriosa, prima di riprendere a ridacchiare a bassa voce. Un mugolio di Emily quasi ci fece prendere un infarto, ma era solo un falso allarme, probabilmente un mite gabbiano.
«Io e te funzioniamo troppo come amici, è innegabile. E non voglio che cambi.»

Continuò lui, abbondando di sorrisi. Come faceva a piegare le labbra in quel modo senza provare dolore alle guance?
Qual era il suo segreto?
Riuscii finalmente a entrare di nuovo in gioco, in maniera più seria.

«Non cambierà.  Ce lo eravamo promessi, da bambini no? Amici per sempre, quelle stupide cose che si dicono quando non hai idea di quanto duri una vita.»
«Già, per sempre
Abbassò lo sguardo, tanto che lo feci anche io, provando a calmare il mio cuore.
«Non hai bisogno di sentirti male per quello che è successo, non è stata colpa tua, non è sempre colpa di qualcuno. Quando è arrivato il coraggio, mi sono accorta che il tempo era scaduto. E sai cosa? Anche se all'inizio pensavo fosse insopportabile, alla fine è stata la cosa migliore per entrambi. Tu sei felice, stai per sposarti e stai per fare un'esperienza di vita pazzesca!» Abbozzai un sorriso più pieno. Finalmente mi stavo liberando da ogni cosa. «Sei e sarai sempre il mio migliore amico. 
E poi senza il mio Donatello come faccio ad affrontare questo mondo pieno di complotti? »
«Hai sempre il tuo Leonardo, però.
» Mi disse lui, allungando lo sguardo verso il materassino dove dormiva Jin. Fu in quel momento che sentii la sua mano sulla mia, tanto che andai a guardarla per un secondo. «E volevo dirti che non sono mai stato geloso di lui, davvero. So che non era un sostituto. Anzi, a dire la verità, sono davvero felice per te, ho sempre sperato di vederti così, mi sei sempre sembrata un'anima un po' cupa e invece ora ti vedo diversa. Credo che sia stata davvero la cosa migliore, anche per te.»

Abbozzai un sorriso un po' tremolante, voltandomi a guardare verso Jin per un secondo. Aveva un'espressione talmente beata che sarebbe stata un'ottima immagine come screen-saver del mio telefono ma evitai di rovinare quel momento, così ritornai a guardare Hoseok che non aveva smesso un secondo di fissarmi. Se solo avessi avuto prima il coraggio di aprirmi così, con lui, quante pene mi sarei risparmiata?
Probabilmente tante, forse tutte.
O forse tutto questo era arrivato nel momento esatto in cui sarei stata in grado di capire e analizzare tutto quello che comportava la nostra amicizia. Non mi stavo più chiudendo dentro la bolla, ormai ero libera, avevo saltato il fosso, avevo sciolto l'iceberg, avevo scalato la montagna di Maometto e quel dosso era sparito sotto il caldo torrido di un'estate che non avrei mai più dimenticato.

«Sai, sarà davvero dura affrontare tutto questo senza di te. Ho una paura folle di questo cambiamento, ho paura di saperlo lontano sperando che non capiti niente di brutto, ho paura che ci perderemo e che questi momenti saranno gli ultimi  che condivideremo prima di separarci, chissà per quanto.»
Sfiatai, liberandomi un po' dalla pressione che avevo sulle spalle.
«Ho paura anche io, di mille cose, ma nulla di tutto questo cambierà. Sono sicurissimo
«Perché sei sicurissimo? Infondi anche a me questa  cosa, ti prego, credo di aver esaurito tutto il tuo ottimismo.»

Strinse le dita sulle mie per un secondo prima di tirarmi così verso di lui, allungando le braccia oltre le mie spalle per abbracciarmi stretta. Conficcai la faccia sulla sua spalla, stringendomi a lui. Sentivo il suo respiro sul mio orecchio e il suo cuore battere oltre la camicia verde che indossava. Era calmo, pacifico, come il suono delle onde di quella sera.

«Quando la sua mancanza sarà troppo difficile da sopportare chiamami immediatamente. Conosco un sacco di modi per farti ridere e so che non resisti quando faccio le mie voci stupide.»

Avrei sfidato chiunque a rimanere stoica e fredda ancora, persino davanti a quel suo metodo consolatorio, così che sentii chiaramente le lacrime pizzicare gli occhi, fino a scivolare oltre le ciglia e rigarmi il volto. Per fortuna la sua camicia poteva essere un ottimo filtro, o un fazzoletto, in caso.

«Non sei sola. Non lo sei mai stata. Io sono e sarò sempre con te.»
Continuò lui,  in un sussurro caldo.
«Nemmeno tu, ricordatelo. Nemmeno tu sei solo. Qualsiasi cosa succeda, ti prego chiamami, scrivimi. Mi vanno bene anche delle crisi, basta che mi rendi partecipe della tua vita. In tempo reale possibilmente.»
Lui si mise a ridere, pigiando le labbra sulla mia spalla. Le sue dita presero a carezzarmi i capelli lentamente, un tocco leggero e intimo. Il mio corpo, per fortuna, non stava reagendo in una maniera inopportuna davanti a quello. Provavo solo una pace inusuale, un conforto piacevole, come quello che può darti un fratello di sangue, del tutto spontaneo e genuino.

«Giuro che non mi presenterò la prossima volta con un bimbetto di due anni dagli occhi a mandorla e i capelli rossi.»
«Hobi ti uccido, se osi.»
«Giuro che non oso.»

Lo strinsi ancora più forte e lui fece lo stesso con me. Il cielo stava cominciando a schiarirsi, rendendo quell'aria un po' meno fresca ma intima e sottile. Mi ricordò improvvisamente quella mattinata al ponte, dopo la nostra chiaccherata segreta. In fondo anche questa lo era, qualcosa di solo nostro che avrebbe viaggiato per sempre sotto la linea dell'alba; era davvero piacevole sapere che io e lui avevamo quel posto, solo per noi. Ci avrebbe ricordato che la distanza non era fatta di chilometri. Non ce ne sarebbero mai stati, fra di noi. 
E così scivolarono via gli ultimi barlumi della mia paura.

«Mi mancherai da morire, lo sai?»
«Anche tu.» Sussurrai io, cominciando a scansarmi da quell'abbraccio, piano piano, pronta a guardarlo negli occhi. Ero riuscita  ad asciugarmi le lacrime, veloce come una faina, prima di sorridergli. Lui aveva fatto lo stesso, asciugandosi le lacrime con il colletto.
«È
stato un vero onore suonare con te, in questa vita.» 
Mi disse, improvviso, dandomi un ultimo sbuffo sul naso prima di ridacchiare divertito.

Non dissi niente, non ce n'era bisogno.
Era stato un onore davvero assistere alla sua crescita, da bambino a ragazzo a uomo. E forse un giorno avrei potuto vederlo puntare a fare il padre. Il mio sentimento era mutato, come la nostra vita, eppure nel guardarlo in quel momento mi sentivo legata a lui in maniera così potente che, in anni e anni di amore poribito e segreto, neanche mi ci ero mai avvicinata. Era questa la mia consapevolezza. Avevo finalmente raggiunto una sorta di Nirvana interiore.

«Ehi, ma che ne dici se facciamo un'ultima follia?»
«Stai pensando a quello a cui sto pensando io?»
«Non lo so. Tu stavi pensando di sotterrare Jin nella sabbia per fargli spuntare solo la testa e gridare a tutti che c'è un Tremors sotto la spiaggia?»
Lo vidi guardarmi un po' sbigottito, sbatacchiando le palpebre.
«Ehm...veramente no.»
«Scherzavo Hobi! Ci hai creduto, te l'ho fatta!»
Gli piantai un dito sotto al naso, dandogli un piccolo sbuffetto, prima di alzarmi divertita e afferrare uno di quei cuscinetti da viaggio, che Jimin aveva deciso  di portare ma che, a quanto pare, nessuno stava usando.

Cominciai a sbattere violentemente il pugno su questo, facendo rimbombare il suono nel silenzio di quel momento. La luce era sempre più chiara, stava albeggiando piano ma l'aria era bella fresca. Guardai un'ultima volta Hoseok che, tirandosi su, si era messo a fiancheggiarmi, sorridendo.

«SORGETE E BRILLATE BELLI ADDORMENTATI, È IL MOMENTO DI ACCHIAPPARE JUNGKOOK E JIN E GETTARLI IN MARE!»

Come farsi odiare da tutti in tempo zero: fatto.
Ma senza sonno potevo sopportare anche un linciaggio di massa, in fondo.
















nda: sto capitolo è tipo lungo quanto la quaresima, me ne rendo conto ( o forse no? non lo so non conto mai le parole, sono una pessima persona ). Ah, ho citato cose molto anni 90 anche qui, perchè ormai non riesco a farne a meno v.v so che avete colto. Sappiate che è il penultimo, col prossimo do finalmente una conclusione a questa cosa, quasi non mi sembra vero, di solito sono un'inconcludente di natura quindi portare a termine questo viaggetto descrittivo per me è un passo importante. Che vabbè pare chissà quale obiettivo di vita, ma essendo che sto ancora in lockdown e non ho ispirazione, devo ammettere che mi sento quasi fiera di non aver mai preso delle pause dalla storia e averla finita. In teoria sto già pensando di scriverne un'altra, completamente diversa da questa, ma non so ancora quando e SE deciderò di pubblicarla, non voglio far promesse estreme quindi niente, vedremo. Intanto ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui, giuro che col prossimo capitolo vi ringrazierò uno per uno, perché anche se in silenzio ( e chi no,  ovvio ) mi siete stati appresso e questa cosa non la scordo <3 Vi auguro una buona notte e che il capitolo vi sia piaciuto, ALMENO A VOI, che non son mai convinta XD, e niente con questo schiaffo di autostima vi lascio, a presto

 

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Capitolo 29
*** Il gatto scottato teme l'acqua fredda ***






29 ~ Il gatto scottato teme l'acqua fredda



ㅇㅅㅇ




 
Il giorno della partenza di Jin era arrivato con una prepotenza meteorologica degna della miglior giornata soleggiata di quella stagione. Il  cielo era libero, non c'era nemmeno una nuvola e, stranamente, non si moriva di caldo solo ad osservare l'asfalto delle strade. Si era caricato solo con un bagaglio pienotto ma niente cappello di paglia, o camicia dai dubbi colori. Indossava una maglietta a maniche corte di una marca sportiva che conosceva solo lui, pantaloni della tuta e un cappellino con la visiera in avanti, che gli schiacciava tutti i capelli scuri sulla testa. Sembrava che stesse andando ad un raduno di insegnanti di educazione fisica e la cosa mi fece sorridere nervosamente, mentre lo guardavo di sbieco. 

Eravamo arrivati davanti ad una delle fermate dell'autobus, dietro la stazione, dove alcune corriere aspettavano l'orario adatto per partire. C'erano altri ragazzi, oltre noi, che aspettavano davanti alla nostra fermata e mi soffermai a guardarli in silenzio, mentre stringevo la mano del mio ragazzo. Erano facce comuni, alcuni erano in compagnia dei propri genitori, altri erano da soli, per altri invece potevo sentire una sorta di empatia a distanza, osservando le ragazze già in lacrime mentre stringevano i busti dei propri amori. Io, nella mia profonda scaltrezza, avevo ben deciso di reprimere ogni emozione sgradevole. Sarei rimasta stoica per il bene di entrambi. Era una sorta di promessa fatta a me stessa, non avevo nessuna intenzione di pensare al fatto che, la mano che stavo stringendo, non l'avrei più potuta toccare per mesi e mesi. Non volevo nemmeno prendere in considerazione quell'idea.

Quel giorno era arrivato.

Il giorno che tanto temevo si stava mangiando il mio tempo e potevo percepire come quei minuti stessero diventando troppo veloci. Mi sembrava solo ieri che eravamo ancora a Busan, a passare quei momenti insieme godendoci ogni singolo attimo. Il giorno successivo, dopo che svegliai gli altri per un bagno che, alla fine, tutti fecero promettendomi di affogarmi con gaio e giubilo, fu uno dei più belli che passai in loro compagnia durante quell'estate. Facemmo esattamente quello che aveva progettato Yoongi, ossia: niente. Prendemmo il sole, ci facemmo una miriade di bagni, bevemmo granite corrette, mangiando angurie e pesche, avevamo provato addirittura ad assaggiare uno strano connubio di carne salata e melone, a detta della nonna di Jimin una prelibatezza che non potevamo ignorare. Aveva ragione.

Al nostro ritorno verso Seoul ci fu un malcontento generale. Yoongi rimase con Jimin per altri due giorni, mentre il viaggio di ritorno fu all'insegna della depressione più disperata. Nessuno era riuscito ad aprire bocca, era una sensazione che provavo spesso, alla fine delle ferie, quando c'era la consapevolezza che la routine sarebbe tornata subito a tormentarti. Ma ora non c'era solo questo: Hoseok e Jin ci avrebbero lasciati, che sia per due anni, o per tutta la vita, ma ormai era qualcosa di imminente, e per quanto avevamo provato a prenderla bene, quando eravamo ancora immersi nella vacanza per via della felicità del momento, ora che quella sensazione stava svanendo, si stava portando via anche i buoni propositi. Non volevo rattristarmi e passare gli ultimi giorni con Jin con quell'alone di morte addosso quindi provammo a ritornare alla nostra solita routine, ma avevo cominciato a fare una cosa che prima avevo dato per scontato.

Avevo cominciato a osservarlo compiere le azioni più comuni. 

Il rumore che faceva quando risucchiava i noddles. 
Il modo che aveva di indossare gli occhiali da sole, roteando il polso, senza nessun motivo anatomico.
Il modo in cui cantava mentre lavava i piatti.
Il fatto che adorasse piantarmi sulla schiena i piedi gelati, quando andavamo a dormire.

Cose da niente, ma che erano tutto, per me.

 Mi girai quindi verso Jin, che stava controllando qualcosa dentro lo zaino con uno sguardo fin troppo apprensivo e assorto.
Feci una fatica immonda a non crollare, ma mantenni il controllo.

«Allora soldato, pronto alla partenza?»
«Certo, non si vede?»

No, non si vedeva per niente, ma quando si girò verso di me sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, di quelli fantastici ma anche estremamente falsi. Provai l'ennesimo magone al petto ma gli diedi una smanacciata con la mano libera, verso il suo braccio, giusto per fingere una spinta. Lui fece finta di barcollare, in effetti.

«E dai! Tornerai tutto abbronzato lo sai? Jung ti prenderà in giro di sicuro.»
«Sì, quel Junkiya. Tienilo d'occhio tu, sono sicuro che quando tornerò sarà diventato un teppista della strada.»
«Lo è già, Jin. Ebbro e pieno di vitalità.»
«Aaaah.»

Fece un lamento strano, cacciandosi una mano sulla fronte prima di grattarsela nervosamente. Stava ancora controllando dentro lo zaino, lo aveva messo in bilico sopra la valigia nera mentre si tormentava le labbra con i denti. Non disse niente per un bel po' di secondi, tanto che ero convinta si fosse impallato.

«Jin?»
«Ho dimenticato la mia macchina fotografica. Sai, pensavo di fare delle foto da stampare una volta  tornato. Che stupido.»
«Puoi sempre farle col telefono.»
«No, no non è lo stesso.»

Allungai l'altra mano verso di lui, tastandogli il braccio. Il palmo si sollevò sulla sua pelle mentre l'accarezzavo lento, cercando di imprimere lo sguardo su di lui per raccogliere più dettagli possibili. Fece un altro sbuffo, scuotendo appena la testa prima di chiudere lo zaino e tornare a guardarmi. Non rimase su di me troppo a lungo, continuava a muoversi, guardandosi intorno, guardando il tabellone degli orari, le corriere che aspettavano di partire. L'attesa era la cosa peggiore di tutte, quasi speravo che qualcosa si smuovesse, giusto per strapparmi di dosso la sensazione che, senza preavviso, qualcuna di loro avrebbe portato  Jin lontano da me. Ma preferivo lo strappo, quello doloroso, a quella lenta agonia senza pace. 

E penso che, in fondo, lo desiderasse anche lui.

«Mi avvisi appena sei arrivato al traghetto?»
«Sì. Magari vedrò qualche delfino, sai come in Titanic, ricordi?»
«Già ...come dimenticare.»

Come dimenticare.

«Ti avrei mandato delle fotografie per posta, che scocciatura che mi sono dimenticato la macchinetta.»
«Non importa Jin, mi fiderò dei tuoi racconti.»
«Ma era per la nostra scatola segreta. Così non avremo niente, non avrai niente.»
«...Jin.»

Di nuovo sollevai la mano cercando il suo sguardo. Si era messo a guardare altrove, ovunque, tranne che me. Lo convinsi a girarsi giusto quando premetti le dita contro la sua spalla larga. Ce la feci con immensa fatica, era terribilmente sodo in quel punto, non pensavo che sollevare libri mastodontici e antropologici facesse così bene ai muscoli.

«Ehi, non preoccuparti di queste cose. Avrò un sacco di materiale da mettere in quella scatola. Tu assicurati solo di tornare da me non appena puoi.»

Lui fece un sorriso più mesto, sottile nonostante le labbra gonfie. Ero quasi convinta che stesse cercando di non piangere ma gli stava riuscendo piuttosto male. Era stato un weekend molto provante, per lui. Eravamo andati a trovare i suoi genitori per salutarli durante il weekend e da lì era iniziato il calvario dell'addio. Con suo fratello era stato un po' meno tragico, forse per il fatto che erano abituati a stare lontani, per via del lavoro di Seok-joong. Era quasi riuscito a placarsi, ma quando era toccato al saluto con i ragazzi non aveva retto neanche un secondo. Eravamo andati a mangiare da Oishii, per pranzo, tutti insieme. Era buffo come tutto ciò che mi aveva portato fino a Jin fosse nato proprio in quel posto, quando Hoseok aveva innescato la miccia di una bomba che era esplosa in mille conseguenze diverse. Quel luogo, potevo affermarlo, era stato testimone di molti eventi davvero toccanti. Avrebbe sicuramente preso il posto del True Love, se solo avessi raccontato le sue gesta. 

Mangiammo a sazietà e ridemmo senza sosta, tanto che ci sorbimmo persino un'ultima occasione per sentire le massime terribili di Jin. Fu un momento che tutti assorbimmo con ogni fibra del nostro essere, era l'inizio del cambiamento delle nostre vite. Era quello che si respirava davanti a tutti quei piatti ormai vuoti, quell'obbligo di coraggio che ci toccava prendere e ingoiare, come ultimo cibo della giornata. Ci saremmo rincontrati, ovviamente, tutti insieme, per qualche festa, per il matrimonio di Hobi e Emily, per quello di Tae e Yurim, per delle nuove vacanze, ma sembravano tanto attimi futuri così lontani e non sopperivano quel sentimento malinconico che, alla fine, uscì prepotente nell'attimo in cui Jin guardò l'orologio, prossimo ad andare. 

Fu in quel momento che tutti diedere il peggio di sé. 

Tae, Jungkook e Jimin non avevano intenzione di scrollarglisi di dosso, a turno o tutti insieme. Ero quasi convinta che sarebbero stati costretti ad andare con lui visto l'accollamento, ma persino davanti a quell'immagine io riuscii a non versare una lacrima. Ormai ero decisa, non valeva la pena piangere, ormai le cose stavano procedendo e potevo solamente far diventare quelle nuovi sorti degli alleati e non dei miei nemici, in fondo la mancanza non doveva per forza essere presa come una cosa distruttiva. Avevo resistito in situazioni ben peggiori di questa, lui sapeva che ero qui ad aspettarlo e io sapevo che lui sarebbe tornato da me. Era una cosa bella, senza conseguenze terribili.

Namjoon per poco non gli scoppiò a piangere mentre lo abbracciava. Vedere Namjoon incline al pianto mi provocava sempre un frastuono interiore incontrollabile, era l'unico che riusciva a farmi cedere come una pera cotta, forse per quella sua aria un po' da duro che involontariamente si portava dietro. Persino Yoongi non era riuscito a bloccarsi, anche lui aveva pianto, un po' in segreto, con l'occhio lucido e tentando camuffamenti per non farsi notare. Ma io lo beccai quasi immediatamente, insieme a Tae che gli si appolipò addosso insieme a Jimin, subito dopo. 

Anche Yurim non era riuscita a restare fredda davanti a quel saluto. So che gli aveva detto delle parole segrete, l'avevo vista bisbigliare senza vergogna ma non le volli chiedere niente in merito, era qualcosa che mi faceva stare bene, pensare che lei e lui fossero finalmente sulla linea sottile che li legava a me. Ero proprio sul punto di cedere, ormai potevo sentire il cuore pompare e parlare al mio cervello: "non resisterò a lungo, amico, fai qualcosa."

Hoseok mi diede un colpo mortale non da poco. Gli disse delle frasi incoraggianti bellissime, lo abbracciò stretto, piansero davvero insieme, senza vergogna. Per loro due la cosa era decisamente peggiore. Si sarebbero rivisti al matrimonio ma, poi, tutto sarebbe stato un grande punto di domanda. Non volevo nemmeno pensare a come sarebbe stata la partenza di Hobi, se già quella di Jin ci riduceva in quello stato, ma sapevo che non c'era più scampo per tutto quello.

«Noi siamo qui ad aspettarti ed evita di spararti ad un piede, se puoi.»
«Per fortuna non ho le mani di Nam.»
«Appena hai dei momenti liberi se non vieni a trovarci ti uccido.»
«Aaah, datemi un altro abbraccio, ne ho bisogno

Un altro abbraccio, tutti insieme.
Ci perdemmo diversi secondi così, in silenzio, stretti e pieni di tristezza.
Il mio valoroso piano di stoicismo stava cadendo a picco, come avrei dovuto prevedere, ma alla fine sulle loro facce si dipinse un bel sorriso e fu quello che Jin vide, un'ultima volta.

Penso  che se fossero venuti tutti insieme a me, ad accompagnarlo alla fermata, sarebbe stata una tragedia. Non avrei retto nemmeno un secondo, nemmeno mezzo attimo, mezzo barlume proprio. Ero contenta che avessero deciso di lasciare gli ultimi istanti con lui solo a me, come un piccolo regalo d'addio. 

Il suo autobus sarebbe partito poco dopo l'orario di cena, così che avrebbe viaggiato con l'ultimo traghetto notturno. Fu dopo quell'ultimo saluto, rendendomi conto che ormai tutti avevano dato il loro addio personale a Jin, mi salii un panico indicibile.

Cercai Minno, Yurim, Nam con lo sguardo.
Ero sicura che il mio cuore avrebbe ceduto ma, grazie ai loro sguardi un po' più sicuri, riuscii a mantenermi salda e a spezzare quel momento tragico con una frase terribile.

Bene ragazzi, è meglio che lo porto ora o non andrà mai via.

Quanto avrei voluto farlo davvero. Prendemmo un autobus per arrivare alla fermata. L'insano senso dell'umorismo della mia vita ci fece trovare tutti i semafori verdi, come schiaffo in faccia finale, senza vergogna. Nessun tipo di traffico. Nessun vigile che bloccava la strada. Nessuna vecchietta che voleva attraversare le strade sulle strisce impiegandoci dai venti ai quarant'anni. Niente, tutto liscio come l'olio, una strada senza intemperie che portava puntualissimi al luogo della partenza.

Iceberg, io dico, una volta che servivi.

«Ho una cosa per te. Avrei voluto dartela prima ma ho voluto tenere la tua reazione solo per me. E poi è una cosa che gli altri non devono sapere, per la mia salvezza futura.»

Lui era rimasto in silenzio, ad aspettare una mia qualche parola. Mi stringeva la mano in maniera convulsa, quasi stesse unendo insieme le nostre pelli. Potevo vederlo dal suo sguardo, stava cominciando ad impanicarsi sul serio. Avrei voluto che si sfogasse, che mi mostrasse le sue paure, se magari si sentiva inadeguato di fronte a quell'esperienza, se pensava che sarebbe stato un errore, se aveva paura di deludere chissà quale aspettativa, se aveva paura per me, che non l'avrei aspettato. 

Ma Jin era fatto in quella maniera strana che lo rendeva così affascinante, ai miei occhi. Non c'era bisogno di chiedergli niente, non era il tipo da buttare fuori i propri pensieri, avevo imparato ad accettarlo e mi andava bene così. 

Così andai a ravanare nella tracolla che avevo portato, tirando fuori un libricino. Era un block notes, uno dei mille block notes che collezionavo senza una reale ragione. Ne avevo almeno una trentina, a casa, li compravo per disegnarci sopra delle bozze o scrivere fasulle liste della spesa, ma di nessuno di loro avevo mai visto le pagine finali. In quello c'era un'aragosta rossa, disegnata sopra, che con le chele formava un cuore un po' rustico.

«Pensavo che ne avresti avuto bisogno, per le notti in cui ti mancherò così tanto che non riuscirai a respirare.»
Forse ero un po' melodrammatica, ma sapevo che queste frasi avevano sempre un bell'effetto su uno come Jin, e infatti si mise a ridere. Quella risata che mi sarebbe mancata come niente al mondo.

Guardai la sua reazione mentre mi lasciava la mano per prendere il quadernetto e aprirlo. Scivolò via un foglio, che avevo piegato e piantato dentro le pagine. Non ce n'era una vuota, avevo scritto tante cose, alla rinfusa ma aspettai che aprisse il foglio ripiegato, per primo. Me lo ricordavo come fosse stato ieri, quando l'avevo fatto. Era un disegno, uno schizzo, fatto la notte in cui avevo quasi litigato con Namjoon per via di Hoseok, dopo uno dei nostri karaoke più famosi. Mi ricordavo che ero un po' brilla, che avevo sfogato la mia rabbia contro dei poveri fogli ignari, ma quando avevo disegnato quello stavo pensando solo ed esclusivamente a Jin. Mi aveva talmente placato che avevo preso sonno, immediatamente. 

Jin era sempre stato lì pronto a proteggermi, anche dai miei pensieri più neri, era stata l'epifania più grande della mia vita. Mi aveva insegnato tante cose, magari con metodi poco ortodossi e molto Jin-iani, ma grazie a lui ero davvero riuscita a crescere e, addirittura, a scegliere per me. 

E avevo scelto, senza più paura.

«Ma è...»
«Sai non ti ho mai detto grazie. Mi ero promessa che non lo avrei mai fatto, sai per il tuo ego già troppo pompato. Ma questo te lo devo davvero, ci ho pensato tanto in quel periodo, prima ancora di rendermi conto che eri la mia stupida anima gemella. Senza di te sarebbe stato tutto molto più complesso.»
Lui alzò gli occhi su di me, dopo quella frase, provando a stringere le labbra tra loro. Aveva quello strano tic all'occhio, ma ero sicura che non fosse la fame quella volta.
«Seo io...»
«Hai reso le mie giornate sempre più leggere, persino quando stavo male per te o ero arrabbiata, ero comunque ...non lo so, mi sentivo di appartenere a qualcosa, non mi sentivo più così persa. Mi avevi davvero ritrovato e quindi grazie, davvero Jin. Per tutto ciò che hai sempre fatto per me. Per tutti noi, a dire la verità.»

Ero conscia che sarei riuscita a farlo piangere, ma ancora resisteva. Probabilmente le aveva sprecate tutte con la mia bolgia preferita, ma non mi davo per sconfitta. Vedere il suo sorriso così contento e pieno di affetto mi fece sentire un pochino meglio. Ormai la luce della sera si stava scurendo e il cielo bluastro prendeva delle sfumature più opache, come se stessimo per addentrarci in un sogno, svolto alla luce del tramonto, quando gli uccelli cantano in cielo in cerca di cibo e tu aspetti che la sera avanzi. Avrei voluto fermarla, in quel momento, solo per godermi dell'immagine del mio Jin mentre cominciava a sfogliare le pagine del quaderno, leggendo ciò che avevo scritto sopra. 

Aspettai, senza fiato, prima di vederlo ridere in maniera convulsa e improvvisa.
Sempre più asmatico e morente, tanto che dovette piantare la faccia contro il quadernetto per placare le risate, ma ormai quel suono aveva già fatto stragi, qualche ragazzo dietro di noi si mise a ridacchiare. Era proprio contagioso, peggio di una malattia. 

Io presi a ridere, insieme a lui, ma questa volta in maniera più leggera. Avevo sentito il rumore di un motore che s'avvicinava, una delle corriere si stava avvicinando al nostro numero di fermata e la magia, di quel momento, stava diventando reale e travolgente. Così allungai di nuovo la mano verso di lui, per aggrapparmi alla sua maglia, provando con tutta me stessa a non scoppiare.

«Lo so, sono la peggiore fidanzata del mondo.»

Lui stava ridendo ancora, tanto che pensai che non mi avesse ancora sentito, e invece tirò in alto la testa, togliendo la faccia dal quaderno. Stava ridendo, ma stava anche piangendo. Davanti alle sue lacrime non ce la feci più, i miei occhi cominciarono a riempirsi tragicamente, pronti a buttare fuori litri e litri di disperazione. 

«Io non ci posso credere, ma dove le hai trovate?»

Feci una risata più nervosa, tanto che alzai una mano pronta a picchiettarmi una tempia, più volte. Ormai stavo praticamente singhiozzando, mentre ridevo, eravamo uno spettacolo terribile sicuramente, ma in quel momento non ero più nemmeno consapevole di dove mi trovassi, stavo sentendo solo la pressione del tempo che mi spingeva, mi spintonava, facendomi quasi cadere.

«Tutte qui, nella mia testa scema. Anni e anni contagiata da te, ecco cosa mi è successo.»
«Seo ma sono meravigliose, ma se avessi saputo di questa tua dote avrei sicuramente comprato un dominio per uno spettacolo pubblico!»
«Non avrei accettato neanche sotto tortura psicologica, Jin.»

Ma lui fece uno sbuffo, prima di levarmi con uno strattone la mano dalla maglia. Ma non per scostarmi, tanto più per permettere a lui stesso di avvicinarsi a me e  abbracciarmi. Mi travolse le spalle con le braccia, ficcando la faccia contro la mia testa e stringendo in maniera stretta. Il suo odore mi invase in maniera feroce, tanto che per poco non sentii le mie gambe cedere. Mi aggrappai a lui, tanto che se avessi avuto gli arti da polipo mi sarei sicuramente avvolta al suo corpo per annodarmi e non lasciarlo più.

Potevo sentire le porte della corriera aprirsi, l'autista invitare i ragazzi a salire e a posare la valigia nell'apposito spazio adibito. Tutto quel rombare, il vociare, i ragazzi che salutavano un'ultima volta i famigliari, gli amici, le fidanzate mi fece solo venire voglia di ficcare la faccia contro la sua maglia, lasciandomi travolgere dalle lacrime che non riuscivano a smettere di uscire. Meno male che con le promesse ero davvero la peggior persona mondiale, non ero per niente coerente con i miei buoni propositi.

Il fatto è che volevo solo piangere in quel momento, abbandonarmi al fatto che mi sarebbe mancato come potrebbe mancare un organo importante, tipo il cuore, da non riuscire nemmeno a concepirlo. Era troppo persino per la mia mente, non potevo essere pronta a quella cosa, era totalmente insensato pensarlo.

«Mi prometti che le leggerai ogni volta che ti sentirai giù?»
«Le leggerò ogni giorno, ogni ora, ogni volta che riuscirò ad avere uno spazio per me.»
«Bravo, così mi piaci.»

In una sola notte ero riuscita a scrivergli tutte le peggiori barzellette e battute tristi che mi erano venute in mente, avevo cercato di inventarle tutte da me, alcune erano sicuramente state solo riadattate, ma ero quasi fiera di quel mio strano talento da barzellettiera triste. Forse dovevo davvero pensare ad un'ipoetica attività futura riguardo a questo.

«Seo smettila di piangere, ti prego.»
«Smettila anche tu, non è che lo faccio apposta.»
«Io sto partendo, posso piangere, sono giustificato.»
«Anche io sono giustificata, scusa eh.»

Ammisi io prima di sentirlo scostarsi un po' e prendermi il viso tra le mani. Aveva ancora in mano il quaderno con il disegno rimasto aperto, tanto che li sentii un po' premere sulle guance ma non ci feci troppo caso. I miei occhi gonfi e lucidi erano rivolti solo a lui e i suoi a me. Quello mi diede il colpo mortale finale; stava davvero andando via da me. Provai ad allungare di nuovo le mani per afferrargli la maglia, non riuscivo proprio a lasciarlo andare.

«Mi mancherai da morire, stupido pidocchietto.»
«Anche tu, Jin-Oppa.»
«Ma posso odiarti quando mi chiami oppa?» 
Ci mettemmo a ridere entrambi, un po' disperati, un po' tanto disperati.
«Dai vai Jin, o ti lasceranno qui.»
Fece uno sbuffo, tirando giù la testa, scuotendola piano.
«Non ci riesco...»
«Neanche io ci riesco, ma non mi sembra il caso di rinfacciarti che l'hai deciso tu quindi vai prima che ti dica di restare per sempre.»
«Bene. Va bene.»

Tirò su col naso, annuendo piano. Le sue lacrime stavano scivolando oltre il mento, alcune sulle labbra, tanto che mi allungai verso di lui per posare le mie sulle sue, cercando di rubargli un bacio. Lui fece lo stesso con me, ci abbandonammo a quel contatto con un po' più di possessione, tanto che spalmai il petto contro il suo, tenendolo stretto, cercando di bearmi ancora un altro po' quel bacio, assaporando ancora le sue labbra, la sua lingua, il suo sapore. Non sarei riuscita a farne a meno così a lungo, ma potevo conviverci con la memoria. Era l'unica cosa che potevo fare.

«V-vai, vai Jin ti prego o non ti lascio più andare.»
«Ti amo, Seo. Magari ricordatelo in caso ti venisse voglia di lasciarmi, ok?»
«Quanto sei scemo, guarda.»
«Ehi quando torno riprendiamo con quelle lezioni di salsa, non è vero?»

Pinzai le labbra contro il labbro inferiore. 
Dopo tutto quello che era successo non partecipammo più a nessuna lezione. Il nostro hobby estivo era sfumato via, ma potevo perdonare quella mancanza visto tutto quello che quei mesi ci avevano procurato. 

«Ho già pre-ordinato una barca per andare a pescare.»
«Ah -» lui  tirò indietro la testa, sorridendo«ma allora non ho fatto per niente male a scegliere te.»
«Eh no, vedi? Sempre piena di sorprese.»
«Già.» Strusciò la fronte contro la mia un'ultima volta prima di scostarsi appena. «Già è vero.»
«Ora vai, o davvero ti lasciano qui.»

Cercai di spingerlo via, con una risata per niente divertita, quanto più sconvolta e in preda ad un altro spasmo dovuto ai singhiozzi. Lo guardai mentre si metteva lo zaino in spalla e trascinava la valigia verso il bagagliaio dell'autobus. Mi guardai intorno, alcuni ragazzi erano già saliti, altri stavano ancora salutando i poveri reduci messi esattamente come me: frignoni e disperati.  Mi avvicinai di qualche passo mentre lo guardavo metteva a posto la sua roba, quando si voltò verso di me provò ad asciugare delle lacrime, ma era un compito inutile visto che non smettevano di scendere dagli occhi.

Il mio piano di disidratazione volontaria doveva assolutamente essere attuato, stavamo diventando troppo emozionali. 

«Torna da me
Gli mimai con le labbra, mentre lo guardavo avviarsi verso le scalette. Lui fece un cenno d'assenso, sorridendo con uno sbuffo, prima di darmi le spalle e mostrare il biglietto all'autista. Io feci un passo indietro, andando subito a guardare verso i finestrini. Avevano quasi tutti la faccia rabbuiata, là sopra, alcuni più stoici, altri non contenevano quel velo di tristezza e malinconia che quella serata si stava portando dietro. 

Non mi ero resa conto di niente, Jin era tornato indietro verso di me con una velocità più sostenuta, avvolgendomi di nuovo le spalle con le braccia. L'impatto quasi non mi fece barcollare all'indietro, tanto che ci misi un po' a rendermi conto della faccenda. Alzai le braccia poco dopo, riabbracciandolo ancora.

«Scusami, ho dovuto. L'autista mi odierà tantissimo.»
«Ah Jin, ma cosa devo fare con te?»
«Mi aspetterai, vero? Tanto, se tutto va bene, ci rivedremo per il matrimonio di Hobi, incrociando tutte le dita possibili. Non avresti il tempo di dimenticarti di me, te lo ricordo in caso, che non si sa mai.»

Annui pianissimo, contro la sua spalla, soffocando un gemito di pianto e di risata insieme, prima di scostarci ancora e darci un ultimo bacio, frettoloso ma pieno di sentimento.

«Perché hai questa strana paura che mi possa dimenticare di te?»
Non mi rispose alla domanda, quanto più si scostò più velocemente, a occhi sgranati.
«Ah, mi stavo quasi dimenticando, accidenti che testa di melone che ho!»
Si sfilò lo zaino dalle spalle, andando subito a ficcarci le mani alla rinfusa, prima di tirare fuori una maglia appallottolata e passarmela. Era un po' stropicciata ma potevo riconoscerla anche da lì: era la maglia che avrei voluto rubargli. La srotolai per un secondo, guardando la balenottera disegnata sopra, che sorrideva incurante di quel momento di grande pathos.

«Avrei dovuto rubartela con abili tecniche da ninja.»
«Sì, non ce n'era bisogno.» Ammise lui, ricomponendosi veloce. «Sapevo già che era la tua preferita quindi ...tienila, è tutta tua. Questo vale come un grande pegno d'amore, quella maglietta l'ho comprata anni fa al mercato di Myeongdong, sai quando? Esattamente il giorno in cui ci siamo conosciuti, ma non credo tu te lo ricorda. Ci tengo molto quindi trattala bene.»

Rimasi per un secondo imbambolata a guardarla; inconsciamente amavo quella maglietta ma non ricordavo assolutamente di quel fatto. Ai tempi lui era solo un ragazzo dall'aria pacata che Namjoon aveva invitato a cena, una sera qualsiasi di un giorno qualsiasi. Se solo avessi saputo che sarebbe diventato il mio pensiero fisso, un giorno, avrei avuto più rispetto per quei ricordi iniziali, imprimendoli meglio nella memoria. Per fortuna, Jin lo aveva fatto al posto mio.

«Sarà trattata benissimo, lo giuro.» 

La strinsi al petto, sorridendogli in maniera piena. Mi diede l'ennesimo bacio, un ultimo agognato gesto prima della separazione definitiva. Certo, potevo sperare che si sgonfiassero tutte le ruota del pulman senza motivo, così che sarebbe stato costretto a rimandare il viaggio, ma non potevo essere così fortunata in fondo.

Lo guardai camminare di nuovo verso le scalette. Lo vidi salire, questa volta senza più ripensamenti, e prendere posto verso il retro del mezzo. Aveva scelto un posto libero, ma qualcuno si sedette vicino a lui poco dopo. Si scambiarono un paio di parole prima di vederlo ruotare la testa per cercarmi. Ancora il sorriso sulle labbra, pieno di un miliardo di sentimenti, lo sguardo tagliente e lucido che restava su di me. 

Gli imitai un paio di frasi, che mi ero scordata di dirgli: di mangiare non appena scendeva e di non fare strane battute ai suoi compagni di camerata. Con la seconda opzione ci fu qualche difficoltà di comprendonio, ma grazie alle mie tragiche doti da mimo riuscimmo a comprenderci.  Ero conscia che, alcuni dei ragazzi, mi stavano fissando con sguardo un po' confuso, ma la cosa ci fece solamente ridere di gusto, a distanza. Non riuscivo più a sentire il suono della sua risata ma la potevo percepire, come se fosse incastrata nelle mie orecchie, come un suono registrato incancellabile.

Le porte si chiusero poco dopo, l'autista fece uno sbuffo e l'autobus cominciò a muoversi. In quel momento smisi di sorridere, lo strappo del cerotto era arrivato e si era portato dietro un potente soffio al cuore, tanto che provai un contorcimento budellare non da poco. Provai a seguire a piedi per un tratto il mezzo ma poi mi fermai.

Eravamo riusciti a guardarci un'ultima volta, sventolando entrambi le mani velocemente, per pochissimi metri prima che l'autobus svoltò a destra, scomparendo verso la strada principale, muovendosi verso una salita. Io provai a dirgli qualcosa, lui provò a fare lo stesso ma chissà quali parole non captai, quali gesti non riuscii a comprendere. 

Quella era stata la mazzata finale, uno sguardo colmo di cose: era pieno di frasi, di quelle non dette all'ultimo minuto, dimenticate nella testa e ritornate in mente nel momento sbagliato, sempre troppo tardi, come il buon vecchio tempismo insegnava. 

Avrei dovuto abbracciarlo un'ultima volta.

Guardai il punto in cui l'autobus era sparito per momenti infiniti, non riuscivo proprio ad allontanarmi, tanto che rimasi sola alla fermata poco dopo. Provai a consumare tutte le mie lacrime contro la maglia di Jin, in quel frangente, tanto che non mi accorsi del messaggio che mi arrivò fresco e veloce, facendolo vibrare nella mia borsa. Volevo solamente lasciar scivolare via quel senso di impotenza e rendermi conto che dovevo lottare con tutto quello per un periodo incredibilmente lungo, almeno per le mie facoltà mentali. Sapevo di non essere sola, in quella battaglia, ma non riuscivo a smettere di farmi del male con quel pensiero.

Lo stomaco faceva male. 
Non era solo un contoncersi, sembrava me lo stessero per asportare. Non riuscivo a farlo smettere, nemmeno con le lacrime, che alimentavano quel dolore come delle vere compari di sofferenza. Decisi che era il caso di sentire Yurim, in quel frangente, magari sarebbe riuscita a dirmi qualcosa per farmi ridere, o magari avrebbe solo pianto insieme a me non facendomi sentire così terribilmente stupida, a riguardo.

Quando presi il telefono c'era un messaggio lampeggiante. 
Era di Jin.

Torna a casa subito, non farmi preoccupare. Non riuscirò a dormire stanotte, come faccio a resistere così tanto senza di te? Mi sento male al solo pensiero.  Non guardare i documentari senza di me, mi offendo.

Riuscii a rispondergli senza sapere come, ovviamente mentendogli sulla prima parte del messaggio. Non volevo già dargli modo di preoccuparsi per me, non era partito nemmeno da dieci minuti, mi sembrava un po' troppo precoce come comportamento. Via messaggio non era percepibile quel dolore, rilessi le parole almeno mille volte, cercando di levare qualsiasi parvenza di sofferenza. Non volevo che si prendesse carico anche di quello, forse si sarebbe preso le colpe, pentendosi delle sue scelte e peggiorando la sua, di sofferenza. Non lo volevo, in fondo quelle lacrime erano una cosa meccanica, ma sarebbero passate.

Non sarebbe andato via per sempre, come Hoseok.
Sarebbe tornato e io sarei stata meglio. 
Dovevo solo rendermene conto. Magari in un anno e 11 mesi ci sarei riuscita. Tempo di abituarmi e lui sarebbe tornato: ottimo piano emozionale, in fondo.

Non riuscirò a dormire neanche io. Sto tornando a casa, avvisami quando sei arrivato. E mangia. Ti amo. Per i documentari non posso prometterti niente.

Era il meglio che potevo fare.
Ma non riuscivo a tornare a casa e così rimasi lì, per un tempo indefinito, cercando di finire tutte le mie lacrime in un'unica volta. 







Tornai indietro a sera inoltrata, l'orario di cena era passato già da un bel pezzo, la temperatura si era abbassata di colpo ed era sceso anche il freddo. Sentivo le ossa gelide ma, nonostante questo,  avevo deciso di tornare a casa a piedi. Tanto sapevo che non ci sarebbe stato nessuno, a casa, ad aspettarmi e io presi del tempo per percorrere le stradine più interne, passando inesorabilmente per allungare il tutto e arrivare davanti casa di Jin. Rimasi per un tempo interminabile a guardare le finestre di casa sua; la luce era accesa, sicuramente il fratello era in casa. Chiusi gli occhi per un secondo, provando a immaginare tutte le volte che ero corsa lì, in momenti di crisi e anche dopo, quando ormai la crisi era passata. Ero sicura che non avrei potuto piangere ancora, ormai ero del tutto priva di liquidi, e invece no, a quanto pare riuscivo a farlo perchè subito sentii due goccioloni scendere lungo le guance. 

Non volevo fare così, ma non riuscivo a smettere di pensare che non avrei più potuto fare tutte quelle cose che rendevano la mia vita migliore. Per quanto era una cosa temporanea, sarebbe stata davvero dura resistere senza impazzire. Ma alla fine riuscii a placare quella sensazione, mi asciugai le lacrime e cominciai a vagare senza meta per la città. Cercai di non soffermarmi sulle varie coppie che popolavano i luoghi, o i locali pieni di gente, o la gente sorridente che si godeva la serata. Non volevo essere ipocrita, sapevo di avere tutto quello, nonostante i vari abbandoni della mia vita, ma in quel momento mi sentivo tremendamente spersa. Attraversai il ponte dove Hoseok mi aveva parlato, la famosa mattina della crisi, decidendomi a cambiare tratta e arrivare fino al quartiere dove vivevano sia lui che Jungkook. Non mi soffermai davanti casa del mio migliore amico, nonostante provai un sentore terribile passandoci davanti. Rividi noi due, da bambini, correre per quelle strade mentre andavamo al negozietto sotto casa per prendere le figurine dei cartoni e sprecare il resto per le caramelle gommose. Ci facevano impazzire, tanto che ne mangiavamo a tonnellate, provocandoci dei gran mal di pancia. Ma quante risate, in quel periodo, sembrava che il futuro fosse la cosa più bella dell'Universo e l'estate sembrava non finire più.

Ma ora tutto scivolava via troppo veloce. 
Quei bambini erano cresciuti e le caramelle gommose erano diventato l'alcol, i pasti pronti, i dolori al cuore. 
Stupida crescita. E stupido tempo.

Alla fine decisi che era il caso di rincasare. Sapevo che Namjoon sarebbe stato da Agnes per tutta la notte e Yoongi sarebbe andato a dormire da Taehyung, insieme a Jimin, visto che sarebbe ripartito per Busan dopo il weekend. Avevo la  casa tutta per me, probabilmente avrei infilato nello stereo un CD musicale strappa gonadi e avrei usato Monie come psicologo serale, sperando di non alleggerire il corpo con altre lacrime. Cominciava a farmi male la testa per tutto quel pianto e non avevo più voglia di lasciarmi andare alla tristezza. Avrei resistito. Avevo resistito tutta la vita con un amore non corrisposto, potevo resistere due anni senza Jin. Se solo Hoseok fosse rimasto qui forse sarebbe stato tutto più sopportabile, ma potevo farcela anche in quel frangente. In fondo, anche io, forse sarei andata finalmente in Perù, prima o poi. Magari alla veneranda età di settantanni, sarei riuscita a fare qualcosa di così folle come decidermi a visitare il globo mondiale.

Non appena aprii la porta di casa mi ritrovai davanti un'immagine che non mi aspettavo, tanto che mi bloccai davanti alla porta per qualche secondo.
Monie zompettò verso di me, scodinzolando. Probabilmente aveva annusato nell'aria il mio bisogno di amore canino, in quel momento.
Namjoon e Yoongi erano seduti davanti al tavolino, per terra,  stavano contemplando un giornaletto che non riuscii a vedere da lì, avevano già della musica in sottofondo, creava un'atmosfera un po' blues e un po' da bettola clandestina, grazie al fatto che avessero acceso una lampada poco soffusa che illuminava male l'ambiente. Le luci, al di fuori, erano molto più incisive. Entrambi stavano mangiando del gelato; che cosa bizzarra, ritornavo con la memoria sempre al giorno in cui Hoseok era tornato da Bristol, perché stavo avendo quei deja-vu proprio in quel momento? Non era già abbastanza soffrire normalmente?

«Ragazzi ma...cosa ci fate a casa?»
Chiesi, richiudendo la porta, dopo aver donato a Monie qualche carezza. Il mio cane, soddisfatto e anche un po' schifato da quel momento di dolcezza, ritornò verso Minno senza remore.
«Sospresa!» Dissero senza nessuna enfasi sia Namjoon che Yoongi, tanto che sollevarono pure le braccia, alzando gli occhi verso di me.
«Ma -»
«Avevamo paura avresti fatto un po' di follie, non ce la sentivamo di lasciarti sola proprio oggi.» Rispose Namjoon, abbozzando un sorisone a labbra e occhi stretti, con le fossette bene in vista.
«In caso, ti abbiamo comunque comprato dei cetriolini e il numero dell'ospedale pronto.» Yoongi tirò in alto un barattolo che non avevo notato, facendolo ballonzolare, prima di riporlo sul tavolino.

Che cari amici che avevo, si preoccupavano di farmi morire nella maniera giusta. Che fortunata.

«Ma ragazzi, non dovevate. Avevo già intenzione di deprimermi, insomma, piangendo davanti a qualche film d'amore, come quello là dove ci sono quei due che si conoscono fin da bambini, ma poi uno uccide barbaricamente il padre di lui e lo accusano di omicidio, così lui scappa per andare a vivere insieme ad una comunità locale, a mangiare insetti e vermi, prima che lei lo ritrova, tenta di ucciderlo perché non lo riconosce e-»
«Ma che film d'amore è, scusa?»
«Il Re Leone.» Dissi, convintissima.
«Dai  vieni a sederti qui, c'è del gelato.» Mi disse Namjoon, indicandomi una vaschetta tenuta aperta, alzando un cucchiaio per porgermelo.
Non me lo feci ripetere due volte.

Quei due riuscivano sempre a sorprendermi, in un qualche modo. 

Riuscii a sedermi alla grande tavolata, provai un attentato ai cetriolini ma poi deviai verso il gelato, ficcando il cucchiaio dentro quella pastosità diabetica, cominciando a mangiarlo senza remore. 
Li guardai un po' di sottecchi. Stavano facendo  questo per me, ma sapevo che anche loro stavano soffrendo per lo stesso motivo. Ero quasi sicura che fossero rimasti a casa, tranquilli, anche solo per avere il potere decisionale di chiudersi in camera loro se avessero sentito la tristezza  bussare spavalda. Avevano avuto bisogno di quello e, da un lato, ne ero rimasta confortata. 

«Come è andata?»
Mi chiese Namjoon, guardandomi. 
Non volevo ripensare al mio saluto con Jin, in realtà, e alla fine decisi di fare finta di essere una bravissima canalizzatrice di emozioni. Così mi tirai indietro con la schiena, pigiando i palmi a terra e mostrando un'espressione da grandissima esperta in questo genere di business.
«Oh sai com'è, tutto incanalato qui dentro, mi sono focalizzata solo sugli aspetti oggettivi della questione. Sta andando per rendere onore al nostro Paese: fierezza, disciplina, coraggio. Ottime doti per un soldato.»
Avevo anche camuffato la voce, rendendola più grave e bassa.
Entrambi si misero a guardarmi  come se fossi diventata pazza improvvisamente, Yoongi fece scivolare addirittura il gelato sul tavolino.

«Vedo che ti ha fatto molto male.» Disse, infine.
Era  una recita destinata a morire prima di subito, gettai la testa in avanti, nascondendo il volto tra i capelli, mentre quasi toccavo il tavolino con la fronte.
«Sto già diventando matta, non è un buon segno.»
«Mia madre ha subito lo stesso martirio quando era giovane, mio padre è andato a fare militare quando stavano già insieme. Mi ha detto che, per farsi passare la tristezza, si era iscritta a pilates.» Namjoon mi tastò una spalla, stringendola brevemente.
Tirai su di scatto la testa, andando a guardarlo.
«Se io mi iscrivessi a pilates penserei a Jin ancora di più, vi ricordo la sua strana ossessione di avere una marea di hobby. Quando tornerà sarà la volta buona che andremo a pescare insieme.»
«Sei davvero difficile da consolare.» Borbottò Yoongi, mentre lasciava fluire Monie sulle sue gambe, come cuscinetti comodi.

«Non voglio essere consolata, davvero non c'è bisogno. Insomma Jin non mancherà solo a me, come non mancherà solo a me Hoseok. Questa situazione mi fa sentire solo molto impotente, a riguardo.»

Ammisi io, conficcando ancora il cucchiaio per rubare ancora un po' di gelato.
Era al limone, Jin lo avrebbe odiato, e un po' lo odiavo anche io. 
«Vedrai che andrà tutto bene, tra il lavoro e tutto non avrai nemmeno il tempo per pensarci.» Mormorò Namjoon, facendo spallucce.
«Magari finalmente la smetterai di guardare quei maledetti documentari.» Continuò Namjoon, guardandomi con un mezzo  sorriso.
Evitai di dire che avevo ricevuto l'obbligo morale di fermare quel mio meraviglioso passatempo.
«Avevo intenzione di trovarne uno per superare gli abbandoni cronici.»

Fecero  una mezza risata entrambi, davanti al mio desiderio di trovare delle soluzioni psicanalitiche solitarie, così non continuai, imbronciandomi senza motivo mentre controllavo sbilenca il cellulare. Jin non mi aveva più scritto, probabilmente si era addormentato, ma trovai un messaggio di Yurim: una sfilza di cuori viola, che intasarono lo schermo per intero. Quell'immagine mi fece stranamente sorridere di cuore.

«A proposito di abbandoni cronici ragazzi, io devo dirvi una cosa, ora che ci siete tutti e due.» 
Yoongi si fece strada con quella frase, andando a guardare sia me che Namjoon. Non ero prontissima a sapere la "cosa" vista la premessa della frase ma mi misi fisicamente nella posizione d'ascolto, ossia occhi sgranati e collo tirato indietro.
«Io...» abbassò lo sguardo, andando a contorcersi le dita per qualche secondo, prima di ficcarsi le unghie alla bocca. Pessimo pessimo segno. «...ecco, non è una cosa immediata, ma meglio che vi avviso ora, anche per lasciarvi organizzare insomma.»

«Dai Minno, se dici così sembra quasi che vuoi andare via da  casa.»
Disse Namjoon, dandogli una mezza spintarella al braccio, cacciando fuori una risata più bassa.

Yoongi non rise, neanche un po'. Sembrava veramente imbarazzato, tanto che io sciolsi quella posa d'ascolto per andare ad assumere un altro tipo di posizione, quella di chi si stava preparando al peggio, ossia gambe incrociate e testa piegata di lato, un po' da gufo notturno.

«Minno?» Continuò Nam.
«Ecco sì, in effetti è così ...io e Jimin abbiamo intenzione di andare a vivere insieme, a Busan.»

Silenzio, da ambedue le parti.
Namjoon aveva perso il sorriso di poco prima, il famoso panico si stava impossessando anche di lui. Forse poteva sopportare Hoseok via. Ancora ancora Jin. Ma perdere anche Minno da casa doveva cominciare a essere troppo. Istintivamente allungai una mano, sotto al tavolo, per tastargli una coscia per un secondo. Ne avevamo parlato pochi giorni prima, quanto potevamo essere vicini alla realtà, senza saperlo? Eravamo convinti che avremmo vissuto insieme per sempre, anche se sarebbe stato un po' illogico, ci accontentavamo almeno di farlo fino a che non eravamo tutti prossimi al matrimonio, almeno.

E invece no, certe cose arrivavano prima del tempo.
Ma non il suo.
Evidentemente doveva averci pensato molto, prima di rivelarci quella cosa, visto il suo sguardo pieno di pentimento.

«Ho cercato di lavorare il più possibile in questo mese per mettere da parte i soldi per una caparra. A Busan i costi sono meno proibitivi, e Jimin non sarebbe in grado di trasferirsi qui, visto l'Accademia. Io alla fine non ho mai avuto un posto fisso, come voi due, e sarebbe stato molto più semplice per me spostarmi.»

Più continuava a spiegare le sue ragioni, più la cosa cominciava a diventare veramente reale. Non sapevo bene cosa provare, ero un connubio di emozioni diverse. Ero davvero fiera di lui, della sua decisione, del fatto che la cosa stava diventando davvero seria, tanto da provare a convivere. Ma allo stesso tempo, non averlo più in casa sarebbe stato strano. Lui era sempre stato la voce della coscienza, colui che era in grado di tenermi coi piedi per terra davanti ad ogni problema. Certo, non si trasferiva in Finlandia, ma era comunque a più di due ore di distanza e, senza la scusa di Jimin, chissà quante volte sarebbe riuscito a venire a trovarci.

«Non sapete quanto ...quanto odio dirvelo così, in tutti questi anni mi avete sempre aiutato con l'affitto, non mi avete mai fatto pesare quando mancavo di pagare alcune bollette o quando non riuscivo a mettere i soldi della spesa. Siete  stati i coinquilini migliori che una persona possa avere, meglio di Friends, eh!» Provò a dirlo facendo un sorriso finale, che gli uscì più come uno sbuffo contrito, che gli fece strizzare la faccia.
«Ma almeno così avrete modo di organizzarvi, per trovare un altro coinquilino o cambiare casa... so che imporvi questo cambiamento adesso è una merda, ma non possiamo aspettare, abbiamo trovato un'offerta e se non la prendiamo al volo rischiamo di rimandare per chissà quanto tempo.  Spero ...spero che voi possiate capire.»

Ancora silenzio, da ambedue le parti.
Sentivo il ginocchio cominciare a ballare un po' troppo velocemente, per il nervosismo crescente. Questa volta fu Namjoon a tastare la mia gamba, guardandomi di sbieco, con uno sguardo che non seppi decifrare. Era serissimo, tanto che ebbi il presentimento che ci avrebbe lasciato lì per ficcarsi in camera sua e maledire tutte queste tempestive novità.

«Possiamo chiedere a Jk di venire qui, tanto ormai è diventato amico anche del fantasma della casa.»
Mi disse questo, evitando totalmente Yoongi.
Per un secondo non seppi rispondere, non riuscii a cogliere l'ironia nella sua voce, visto che non c'era.
«Hai ragione, o magari far diventare camera sua uno studio da mettere in affitto, sai per gli studenti.»
Risposi, cercando di mantenere lo stesso tono.
«O magari ci facciamo una sala cinema, pensa che figata.» Continuò Nam.
«Oh dai ragazzi, ma davvero non vedevate l'ora di liberarvi di me?»

Yoongi fece una lagna così tanto infantile che non riuscimmo più a continuare, cominciammo a ridere come due deficenti, prima di voltarci verso di lui. 
Questa volta, cominciai io.

«Minno, è una notizia bellissima!» E gli diedi una spintarella, che lo fece barcollare appena. «È un cambiamento fantastico, magari finalmente potrai frequentare la stessa Accademia di Chimmo, fare qualche corso di musica e usare il tuo talento di scrittura per qualcosa di meglio che vendere gli omaggi per le salviette pulisci-mani.»
«Eh, magari. In fondo all'Accademia di Tokyo mi avevano preso, ricordate no?»
«Amico, sono felice per te. Davvero. Non preoccuparti di abbandonarci, non siamo mica legati da un contratto vitale, è la tua vita e hai il diritto di viverla come vuoi. Tanto ti mancheremo così tanto che ci chiamerai ogni giorno.»
Yoongi si mise a ridere, con un soffio più sottile, quasi da gatto, prima di annuire gonfiando le guance.
«Sì come no, siete voi che vi sentirete tremendamente soli senza di me.»

Mi slanciai verso di lui, fregandomene altamente del disgusto che avrebbe potuto provare, abbracciandolo in maniera stretta. Capitava raramente, se non mai, di abbracciarsi tra noi tre. Il vivere insieme ci aveva, meccanicamente, instaurato un certo obbrobrio per il contatto fisico, senza che nemmeno ce ne rendessimo conto. Ma questa volta me ne fregai, lo strinsi forte, e lui fece lo stesso con me. Era confortevole, tanto che ficcai la faccia sulla sua spalla, restando per un po' in silenzio, ad ascoltarlo respirare.

«Non mi diventare sentimentale, non hai pianto già abbastanza oggi?»
«Per una volta chiudi quella bocca, Minno e goditi 'sto momento. Quando diventerò una pittrice famosa potrai vantartene. "Sono stato toccato da Park Seoyun, sono un pezzo raro anche io".» 
«Ah, certo. Mi porterò dietro qualche tuo quadro, almeno ci faccio i soldi veri se diventi importante.»
Cominciai a ridere, respirando piano.
«Sono davvero felice per te, ma sappi che un po' ti odio. Non eravamo pronti a questo.» 
«Lo so, ma non me ne andrò prima di Ottobre, quindi potrete sopportarmi ancora un po'.»

Lui sgusciò via da me dopo pochi secondi, guardandomi con un sorriso più addolcito del normale. Era rara persino quell'espressione, in lui, ma quando era realmente sollevato e contento, riusciva davvero a esprimerlo come nessuno al mondo. Si illuminava di una luce strana, e ti contagiava, senza controllo.

«Avete la scusa di venire a trovarmi a Busan, quando volete.»
Mi diede uno sbuffo sul naso, prima di voltarsi verso Namjoon. Mi rimisi a sedere in maniera più comoda, restando a guardarli entrambi. Restai un attimo da parte mentre li vedevo sorridersi, in silenzio, prima che Nam allungasse una mano per stringere quella di Minno, con un'espressione decisamente più contenta rispetto a quella maschera di cera di poco prima.
«E insegui i tuoi sogni invece di accontentarti di quei lavori, sei bravo e puoi farcela. È ora che ti metti un po' in gioco.»

Yoongi rimase a guardarlo senza dire più una parola, giusto un senso di accenno di uno che aveva deciso di mettere finalmente un punto alla sua vita e che ne stava per abbracciare una nuova. 

«Visto che siamo in vena di rivelazioni... anche io avrei una cosa da dirvi.»
Namjoon tirò su un sospiro, facendo uno stretching a rialzo con le braccia. 
Giuro che se avesse detto che sarebbe andato a vivere da Agnes lo avrei avvelenato con i miei cetriolini ancora intatti.

«Vi ricordate che vi ho detto che avevo delle cose in ballo di cui non volevo parlare per non portare sfiga?»
«Come dimenticare.» Sospirai io, di nuovo nella mia posizione da trincea. Ero già a terra morente, se Namjoon avesse tirato fuori l'ennesima bomba a mano sarei sicuramente deceduta all'istante. Così tenni il respiro, per agevolare quel processo di morte, in caso.

«Prima della fine dell'anno aprirò uno studio di registrazione tutto mio. Ovvio sarà minuscolo e purtroppo dovrò accontentarmi di lavoretti quasi gratuiti ma finalmente pare che la fortuna stia girando un po' dalla mia parte.»

Sgranai gli occhi totalmente sorpresa, tirandomi in avanti giusto per acchiappare un altro po' di gelato. Potevo ancora vivere, almeno.

«Uno studio tutto tuo? Davvero?»
«Sì, grazie ad un lavoraccio che ho fatto quest'estate ho conosciuto un signore che è stato rimasto sorpreso dalle mie doti. So pasticciare bene al computer e con i programmi me la cavo, specialmente con quelli in lingua straniera. Vuole diventare mio socio, a quanto pare lavora nel mondo della musica già da tempo, mi ha proposto un bell'affare e metterebbe più della metà dei soldi. Penso che non dovrei lasciarmi sfuggire quest'occasione, che dite?»
«Ma sei matto?!» Yoongi si calò addosso a lui, piantandogli una pacca sul braccio. «È una notizia grandiosa! Volevi metterti in proprio da una vita, certo  che la Dea bendata quando vuole prenderti di mira ti si lancia addosso senza vestiti, ahn?»

«Non ci posso credere, sto per piangere.» Ammisi io, stringendo le mani tra loro.
«Non piangere per carità, basta!» 
«Sei sicuro che sia un tipo a posto? Non è che vuole fregarti?» Continuai io, mettendo le mani davanti alla faccia come una persona molto sorpresa dalla mia stessa scemità mentale. «Non sarà uno di quelli che ha intenzione di usarti per rapinare una casa del gioco per poi lasciarti morire ucciso da uno dei suoi scagnozzi? O magari un venditore di organi?»
«Seo, ma perché?»
«Perché no, eh? Io mi preoccupo!»
«Tu la devi smettere di guardare la tv, promettimi che ti disintossichi da quei programmi come Korean Crime.»
«Non posso giurartelo, Minno.»
«Ragazzi il signor Bang Si-hyuk è un tipo a posto, ci ho parlato per mesi, mi ha mostrato il suo ufficio, ho conosciuto alcuni suoi vecchi collaboratori. Sono sicuro che andrà bene, in caso non andasse bene allora niente, me ne tirerò fuori senza venire ucciso e con tutti i miei organi dentro al corpo, lo prometto.»
«E se volesse usare la tua spietata intelligenza per cercare di creare un prototipo robotico virtuale?»

Nessuno dei due mi rispose più, mi guardarono come se fossi una persona tutta da compatire, prima di beccarmi un pat-pat in testa proprio da Namjoon, che mi spintonò poco dopo, sogghignando.

«Aaah accidenti ragazzi, chi si sposa, chi va a convivere, chi inizia una carriera in proprio, e io invece...»
«Tu cosa? Pensi che la tua vita non sia cambiata neanche un po'?»

Mi girai a guardare Yoongi con una faccia un po' stralunata. Non dissi più niente, mi limitai a fare spallucce, pensando che in fondo ad ognuno spetta il cambiamento di cui ha bisogno quando deve arrivare, non un attimo prima e non un attimo dopo.

Namjoon tirò su il deretano per andare a zompare verso il bancone della cucina. Fece un po' di casino, tanto che Monie lo seguì pensando che fosse già l'ora del pasto disseminato per il pavimento. Ora il mio cane poteva fare festa, in effetti, non c'era più Jin a tenere a bada le nostre scorte cibarie. Quel pensiero mi fece sprofondare di nuovo nello sconforto, così che m'affacciai guardando Namjoon tornare con una brocca di liquido aranciato e tre bicchieri. Doveva aver creato qualche miscela speciale.

«Come facciamo come Monie?» Chiesi, guardando Yoongi.
«Che vuoi dire?»
«Beh, ormai ti ama talmente tanto, Minno, che sarà un tormento lasciarvi separati.»
Namjoon guardò Yoongi con una smorfia mentre cominciava a versare il liquido nei bicchieri, passandoceli come un barman poco professionale. Sbrodolò più liquido sul tavolino che nei bicchieri, tanto che Yoongi borbottò qualche parola prima di rispondere.
«Ragazzi faremo un po' e un po', come farebbero una coppia di divorziati. Magari per un po' lo tengo io e per un po' starà da voi. Tanto passa tutto il tempo a dormire.»
«Stiamo divorziando davvero. La felice coppia sposata che si scioglie.» 

«Non c'è nessun divorzio, sarete sempre le mie mogli preferite.»
«Minno occhio a ciò che dici.» Lo minacciò Namjoon.

La cosa ci fece ridere con un sentore un po' meno spigliato del dovuto. Cominciai a bere quella sostanza liquida; era succo d'arancia, puro e semplice, nessuna parvenza alcolica. Forse era meglio così, anche se mi stavo rendendo conto che non avrei dovuto ingerire più niente che non fosse di natura solida per non dare al mio corpo il potere di lasciarmi espellere quella tristezza col pianto.

Ero felice ed ero triste insieme, tutto stava cambiando e io mi sentivo ancora in bilico, sul mio filo un po' sottile, ad aspettare che qualcosa arrivasse, una specie di svolta che mi avrebbe fatto capire che anche io, in un qualche modo, ero in un gradino più alto. Ero sicura che quel qualcosa fosse Jin ma, in realtà, forse erano tutti loro, con tutte le loro vicende, con le vite così diverse e così intersecate alla mia che, in un qualche modo, mi avevano aiutato a trovare il mio posto nel mondo. Con quella consapevolezza appoggiai il bicchiere sul tavolino, allungando entrambi le mani per afferrare quella dei miei amici. 

«Allora brindiamo con questo succo di frutta infelice la fine di un'epoca che è stata magnifica, dolorosa e anche un po' pornografica, come quando avete deciso di entrare nel bagno mentre mi stavo facendo la doccia, nel nostro primo buco casereccio.»
«Si gelava in quella casa e i vapori della doccia tenevano caldo!»
Si giustificò Yoongi, facendo spallucce.
«Sì ma potevate almeno aspettare che finissi!»
«Seo non hai niente che non abbiamo già visto.» Provò Namjoon, con la stessa sintonia di Yoongi. «Dai, ragazzi, è stato un periodo bellissimo e sappi che, per qualsiasi motivo, potrai tornare da noi quando vuoi, insieme a Jimin, senza Jimin, come e quando vuoi.» 
«Sì.» Rispose Yoongi con un sorriso più imbarazzato. «Sì lo so. Non c'è bisogno di dirlo.»

Sollevammo i bicchieri come veri cavalieri della tavola rotonda. Monie fece un abbaio, forse sentendosi un po' abbandonato da quel brindisi, zompettando di nuovo verso Yoongi con uno sculettamento permaloso.

«Once bitten, twice shy!»

Namjoon riprese parola, inarcando appena un sopracciglio, pronto a guardarci da vero professore. 
«Cosa?» Dicemmo in combo sia io che Yoongi, avvalorando il fatto che, in inglese, non eravamo una cima come lui.
«Once bitten, twice shy. È
 un modo di dire, me lo ha detto Emily qualche giorno fa, parlando è uscito fuori e ...sapete non ci ho dato importanza sul momento, ma credo sia stata la perfetta sintesi della nostra vita.»
«E che cosa vuol dire?» Risposi io, guardandolo.
«Letteralmente? Ha diverse traduzioni in realtà, potrebbe essere: "il gatto scottato teme l'acqua fredda", è una metafora di vita. Quando una persona soffre molto per la prima volta, la seconda fa molta più attenzione, pensi che tutte le acque siano bollenti e ustionanti e infili la mano lentamente.»
Rimasi in silenzio, corrugando appena la fronte. 
«E si può applicare ad ogni evento della vita. Mi fa piacere constatare che noi siamo così pazzi da non lasciarci frenare dagli ostacoli che ci hanno sempre impedito di fare quello che sognavamo, o sentivamo.»
«Che grande saggezza, Nam.» Biascicò Minno.

Chiusi gli occhi per un secondo. 
Era un buon modo per vedere le cose che ci erano successe, eravamo davvero pazzi da ritentare, tutti quanti, con la stessa paura di farci molto più male della prima volta ma in fondo, il passato è passato il dolore, alla fine, se ne va sempre.
Sorrisi, ritornando a guardarli entrambi. Presi il mio bicchiere d'aranciata, senza vergogna, alzandolo come un calice prelibato, di nuovo.

«Alla nostra rinnovata felicità!»
Pigolai io, mentre gli altri restarono un secondo a guardarmi.
Era davvero inquietante come riuscissero a fare la stessa espressione, quando dovevano guardarmi in quel modo.
«Insomma...non siete felici, ora, finalmente?»

Poi si guardarono loro, andando ognuno a bere una sorsata prima di sorridere, entrambi.
«.» Rispose prima Yoongi, annuendo con più convinzione. Avevo ancora una mano libera e l'avevo lasciata, inconsapevolmente, stretta alla sua, così gliela strinsi appena. «Sì sono felice, ora.»
«Anche io.» Rispose Namjoon, seguendo a ruota l'altro. «Le cose stanno andando per il verso giusto e sono ottimista, non ho niente per cui lamentarmi.»

Sorrisi anche io davanti a quelle frasi.
Alle volte il tempo, oltre che essere un grande nemico, poteva essere un alleato. Aveva prolungato le nostre sofferenze, ci aveva fatto scontrare con delle realtà pessime, senza pace, ma alla fine ci aveva dato modo di metabolizzare tutti i nostri pensieri. Col tempo le cose si erano sistemate, c'erano le basi per cominciare una nuova strana avventura. La mia? Cominciava con un tizio che pensava di essere il più bello del mondo, potevo solo aspettarmi grandi cose da questo.

«E tu Seo?»
«Sì.» Risposi a Namjoon, sorridendo con più sentimento. «Sì, finalmente lo sono.»

Non ci dicemmo più una parola, non per quel  frangente.
Lasciammo la musica come unico sottofondo rumoroso al nostro sorseggiare e mangiare il gelato, era un connubio di sapori veramente disgustoso ma non potevo dire a Namjoon che era riuscito a fare un omicidio gustativo pur senza cucinare, sarebbe stato troppo. Ormai potevamo affidarci solo alla cucina l'uno dell'altra, dovevo stare zitta per buona convivenza.

Guardai un'ultima volta Yoongi, concentrandomi un po' sul suo volto, risalendo il suo profilo come una vera profiler, assaporandomi ancora un po' quel muso da gatto, sempre troppo ambiguo, sempre troppo enigmatico. Ero rimasta così imbambolata a guardarlo che sobbalzai non appena sentii il suo telefono squillare.

«Ahn, è Jimin! Quanto scommettete che mi dice che resta a dormire da Tae?»
«Scommetto le casse del tuo stereo.»
«Io il tuo cuscinone da Snorlax.»
«Era una domanda retorica, ragazzi.»
E mettendo fine alle nostre speranze si alzò, zompando a piedi nudi verso la sua stanza, rispondendo al telefono.

Mi soffermai a guardare il giornaletto che stavano sfogliando prima della mia venuta; era un catalogo di oggetti casalinghi di seconda mano, probabilmente avremmo dovuto affidarci a quello per le prossime spese future della casa, tanto che sospirai, andando a guardare Namjoon che si soffermò a sbirciarmi, facendomi giusto un sorriso.

«Credo che andrò a farmi una doccia, ho bisogno di levarmi di dosso questa giornata e cominciare a pensare che io e te ce la faremo pure senza di lui.»
«Vedrai che ci abitueremo, esattamente come ci siamo abituati a qualsiasi altra cosa che è successa.»
Annuii, un po' più convinta del solito.

Abituarmi. Sì era una cosa che potevo benissimo fare.

«Ah prima di andare. Ho trovato una cosa, qualche giorno fa-»
si tastò le tasche, con una faccia un po' pensierosa, tanto che si bloccò a metà del lavoro andando a guardare un punto indefinito. Non ero sicura che stesse cercando qualcosa di piccolo o qualcosa di grande, visto che si mise a tirare su i vari sottobicchieri, tazze, brocca dal tavolino, persino qualche cuscino. «Ah sì!»

Alla fine ritornò nelle tasche, ma quelle della camicia che indossava. E tirò fuori una cosa che non seppi identificare subito, sembrava una specie di pianta morta schiacciata da settemila piedi, travolta dalle acque fognarie.

«Stavo spostando il divano per provare a fare meditazione, sì lo so non guardarmi così era un esperimento, e ho trovato questo sotto il divano. All'inizio stavo per buttarlo, quando mi sono accorto di una cosa.» 
Lo rigirò tra le dita. Ancora non capivo di cosa si trattasse, poteva essere un amalgamanazione di cibo ormai essiccato o addirittura un insetto morto.
«Sai cos'è? La rosa che ti ha dato Jin, ti ricordi? Alla festa di Hoseok.»

Sgranai appena gli occhi.
Non sembrava più una rosa, ovviamente, ma guardandola bene potevo notare una certa somiglianza. Era rimasto solo un petalo, completamente acerbo e mummificato sopra uno stelo secchissimo. Non era nemmeno più rossa ma color catrame, tanto che la presi con una certa premura dalle sue dita, ripercorrendo come una disperata quel periodo. Quella sera era stata così piena di emozioni che non sarei riuscita a rimuoverla per niente al mondo. La rivelazione di Yoongi, il litigio tra Tae e Yurim, tutto quel massacro tra di noi, Jimin con il suo miracoloso video nostalgico ...e Jin, che mi aveva torturato con la gelosia, per poi piombare in casa mia e quasi suggellare tutto quello che provavamo.

L'effetto succo all'arancia stava per fare di nuovo effetto ma riuscii a coinvolgere un colpo di tosse fasullo per eliminare il pianto precoce.

«Probabilmente è diventata tossica.»
«Sì!» Namjoon si mise a ridere divertito, scuotendo il capo scuro. «Sì probabile, ma ho pensato che sarebbe stato carino conservarla nella tua scatola delle cose mai successe. Ci ho spruzzato sopra della lacca, sperando di mantenerla un po' viva ma ... non so, è quasi inquietante così.»
«Sì un po'.» Sorrisi, tenendola sul palmo, ritrovando i suoi occhi scuri. «Grazie Nam, in effetti sarebbe un'ott»

Mi bloccai per un secondo, guardandolo stranita.
Come faceva a sapere della mia scatola delle cose mai successe? 
Su quello ero sicura al millemila per cento che nessuno sapesse, solo io e Jin, tanto che avevamo persino fatto un patto di maledizione reciproca in caso fosse uscito il discorso.

«Nam, come diavolo lo sai? Della scatola?»
Lui fece un sorriso un po' imbarazzato, labbra piatte e sguardo sgranato di chi era stato appena colto in fallo. Lui era la persona più intelligente che conoscevo, eppure si faceva sempre fregare dalla sua più letale minaccia, la distrazione. Mi allungai su di lui un po' malefica, visto che si era pietrificato.

«Non fingere di fare la statua con me.»
«Forse ...mi odierai un pochino per ciò che ho fatto ma giuro che sono stato obbligato, Jin mi ha detto di non prenderle tutte ma Yoongi si stava sbellicando dalle risate così tanto che-»

Io avevo perso l'uso della parola. 
Cosa avevano fatto?
Chiusi le dita intorno alla mia rosa ormai defunta, guardandolo malissimo.

«Che cosa avete confabulato?»
«Vai in camera tua e lo scoprirai. Però giurami di non uccidermi, sappi che io e Minno siamo vittime indirette.»

Stavo per alzarmi, con lentezza, alla fine quel succo di frutta mi aveva  stordito ugualmente. O forse erano state le mille lacrime sprecate durante la giornata. O forse era il fatto che Jin aveva combinato qualcosa di segreto che non mi aspettavo minimamente, tanto  che il mio cuore prese a tamburellare fortissimo.
Prima di prendere il controllo del mio corpo, però, Namjoon si avvicinò a me. Per un secondo mi bloccai, trovando il suo viso vicinissimo al mio, ma le sue labbra deviarono verso la mia guancia, dandomi un bacio soffice sulla guancia.

Rimasi di stucco per un secondo, ma simulai una finta non reazione esterna - dentro stavo un po' avendo dei veri scompensi - tanto che lo spintonai con una risata un po' troppo fasulla. Ma lui rise per davvero, stringendo lo sguardo, sussurrandomi una cosa a bassa voce.

«Ti piacerà, davvero. E in caso sarà poi troppo ...ecco io sono qui.»

Namjoon era sempre stato bravo a controllare le mie emozioni. Ma non solo le mie, quelle di tutti quanti, sembrava davvero essere nato per prendere le redini di un eventuale collasso. Quante volte aveva trattenuto le cose dentro solo per farci sapere che, come una roccia, lui sarebbe stato lì a sostenerci? Era davvero un ottimo leader e, se avessi dovuto scegliere qualcuno per assestare un po' i nostri cervelli, avrei sicuramente scelto lui. 
In fondo, se non fosse stato per la sua mirabolante guida da nascar, probabilmente io avrei avuto molto più per cui piangere, quel giorno.

Gli feci un sorriso velocissimo prima di alzarmi in fretta. Mi lasciai andare ad un gesto più affettuoso anche io, allungando la mano per dargli una leggera carezza sulla guancia, guardandolo. Non dissi niente, mi limitai a quel contatto silenzioso, sperando che cogliesse che lì dentro c'era molto più di quello che avrei potuto dire con le parole. Quando ripresi un po' il controllo andai subito verso la mia stanza con un po' timore ad aprire la porta, sapevo che avrei trovato qualcosa di molto "alla Jin", non so cosa gli aveva detto di fare, non riuscivo a immaginarlo ma, allo stesso tempo, avevo timore a scoprirlo. Significava che mi sarei dovuta accontentare di quello, per mesi infiniti, senza avere la possibilità di correre da lui e stritolarlo, di persona. Dovevo accontentarmi di un messaggio lampeggiante sullo schermo del telefono.

Presi un respiro profondo e aprii la porta.




Quello scemo di Jin me l'aveva proprio fatta. 
Sulle pareti di camera mia erano state appese tutte le foto che ci eravamo fatti nei nostri lunghi e imbarazzanti anni d'amicizia. Alcune di quelle nemmeno me le ricordavo, sicuramente il maledetto le aveva conservate per convenienza di minaccia da parte sua. Rimasi imbambolata a guardare le mie pareti, non sapendo bene da che parte guardare, su quale ricordo immergermi.
Oltre la nostra testimonianza come Elfi di Babbo Natale, la foto al True Love, noi col gruppo di signore del decoupage davanti ad una trafila di ceramiche, c'erano tutte le cose più stupide conservate dall'inizio, quello che sarebbe diventato così maledettamente importante, per entrambi.

E così mi crogiolai nei ricordi più disparati, riguardandoci vestiti da pirati ad una festa per bambini, lui intento a sorridere alla telecamera mentre io stavo morendo davanti al gabinetto di casa mia dopo chissà quale sbronza; una combo mortale di maschere idratanti per la faccia dal colore rosa a forma di maiale, sopra un paio di pigiami di dubbia fattura;  lui con una retina per capelli che provava i bigodini dal parrucchiere; io caduta dentro una pozzanghera in mezzo ad una folla di gente durante durante la Festa dei Genitori; lui con i miei genitori ad un karaoke casereccio mentre impersonificavano i Beatles; io con sua madre che per poco non sveniva davanti alla mia torta di riso bruciata. Non c'eravamo solo noi, in qualche foto era presente anche Jimin, o Namjoon, in altre Yurim o Tae. Solo in una eravamo tutti, addirittura con Emily, durante una cena messicana: io Yurim e Yoongi stavamo ballando come dei crostacei, davanti alle facce schifate dei poveri lavoratori. 

Ogni cosa mi ritornò prepotente in testa, come una ricarica di memoria improvvisa, tanto che feci una fatica immane a non finire di disidratarmi del tutto. Non riguardavo quelle foto da una vita, quello scemo doveva aver deciso di piazzarmele davanti alla faccia per non dimenticarmi come tutto era nato, magari in silenzio, senza che ce ne accorgessimo, scivolando sottopelle per poi avvolgerci completamente. Era così totalizzante che per poco non mi ficcai nel letto per fare la teenager della situazione, morendo di nostalgia, ma girandomi e indagando altre prove notai che c'era qualcosa che non avevo notato.
Qualcuno aveva lasciato un foglio sul mio computer insieme ad una chiavetta usb. La calligrafia era di Yoongi e diceva "sono stato costretto, ma sappi che è merito mio, è tutto nella chiavetta". 

Ebbi un po' di timore.
La prima immagine che mi venne in mente fu un porno amatoriale, tanto che rimasi imbambolata sul da farsi. Ero ancora scossa dal fatto che ero circondata da tutti i miei ricordi più scemi con Jin, non ero pronta a vederlo fare uno spogliarello mentre faceva ondeggiare una corda sopra la testa.

Mi levai dalla mia testa quell'immagine di Jin un po' da "old town" e decisi di non stare troppo a pensare su cosa avrei visto e vederlo, senza esitazioni.
Infilai la chiavetta nel computer e lo accesi. Dopo pochi smanacciamenti trovai il file, era l'unico salvato lì sopra, evidentemente doveva avere il podio primario.
Era un file video, non durava molto ma abbastanza per poter essere benissimo uno spogliarello a tutti gli effetti.
Mi preparai a quella pazzia visiva e schiacciai play, aspettandomi di tutto.


«Minno-ssi stai registrando?»
«Sì, sì sta registrando da venti secondi, smettila di torturarti i capelli!»
«Telespettatori, salve  salve, qui è Pornessian Parrabio che vi parla. Sono qui per presentarvi il grande, meraviglioso specialissimoooo Jiiiin, cutie guy, cutie guy!»
«Pornessian Parra-cosa?» Squittì Jin, guardandolo male «Mamma mia, ti prego, già sono nervoso. Lo sa già che sono fantastico tra l'altro non c'era bisogno di-»
«E modesto, aggiungerei. Umile e galantuomo!» Continuò Namjoon.
«Umile, proprio.» Yoongi da dietro la telecamera.


Jin era a mezzo busto, indossava una maglietta a righe blu e bianche, la pelle baciata da un sole splendente e alle spalle il mare di Busan. C'era un po' di casino alle sue spalle, potevo vedere Taheyung e Jungkook che stavano facendo qualcosa di strano e incapibile, forse tentavano di imitare i bagnini di Baywatch, perché continuavano ad andare verso l'acqua e poi tornare indietro. Jimin era immerso in una costruzione edilizia con la sabbia, Hoseok stava trascinando un salvagente a ciambella lungo la riva, sopra la testa, come una corona. Lo potevo riconoscere dal fatto che indossava un costume giallissimo che rifletteva il sole; era proprio una luce vivente. 

«Ciao Seo, sono io, Jinnie, sai no?»

E come no.

«Ti abbiamo mandato a prendere da mangiare insieme a Emily e Yurim e, se tutto va bene, ci metterai almeno venti minuti visto che non sai mai scegliere tra i frutti di mare e le fettine di pollo, quindi-»

Dal nulla, o almeno dai suoi piedi, tirò fuori una piccola chitarrina, era un ukulele di un bel marrone chiaro, lo stesso che aveva portato la nostra seconda giornata in spiaggia, il motivo per cui aveva portato una valigia più grande di lui, la custodia di quell'oggetto era enorme.

«Ti ricordi, durante una delle nostre lezioni di danza, fallita miseramente, mi hai chiesto se avrei più cantato per te. In realtà non mi reputo così bravo, quella famosa sera è stata un caso ma ci ho pensato tanto e mi sono fatto aiutare da Yoongi a scrivere una cosa. Per te.»

Ebbi un sussulto al cuore, tanto che feci fatica a deglutire.

«Non mettermi in mezzo!» brontolò Yoongi. «Che se fa schifo se la prende con me.»
«Ah, visto che Minno non vede l'ora che canto allora, ecco qua. In caso non ti piaccia puoi sempre citare per danni Yoongi, ha tutti i crediti.»
E fece una risata. La sua solita risata, quella da asmatico morente, e lì non riuscii più a resistere, ripresi a piangere come una cretina, sentendo gli occhi bruciare.

Maledetta me che accetto i succhi di frutta!

Strimpellò qualche nota alle corde dell'ukulele prima di cominciare a cantare una canzone. Una canzone sconosciuta, ovviamente, ma la sua voce era talmente intonata e melodiosa che mi sembrò di sentire qualcosa che non poteva essere stata creata da lui. Non era una canzone d'amore e questo provocò tutta la rottura dei miei tubi lacrimali, tanto che dovetti affondare la testa contro la tastiera per cercare di smettere.

Parlava di un viaggiatore disperso, che non trovava la via di casa, un'ombra lo seguiva e lui continuava a scappare, per non farsi trovare. Ma l'ombra non era cattiva, era solo un'ombra, e voleva ricongiungersi al viaggiatore disperso per portarlo al sicuro. 

Parlava di questo, le sue parole, la sua voce che riusciva a entrarmi dentro e scombussolarmi in maniera malsana e completamente irrazionale. Vidi, dietro di lui, gli altri che presero a guardarlo e a battere le mani  a tempo. Se lo avessi visto dal vivo, fare una cosa del genere, forse lo avrei preso un po' in giro. Era decisamente una cosa romantica, eppure in quel momento ne avevo bisogno, in una maniera così assurda da non crederci nemmeno io. Volevo avere il lato di Jin che avevo imparato ad amare così tanto. E più lui cantava, armonizzando la sua voce con delle note più alte, chiudendo gli occhi e vederlo diventare rosso davanti ad alcune frasi, più io riuscivo a capire perché ero riuscita a combattere per lui.

Lui, la mia più grande salvezza.

Mi asciugai le lacrime velocemente, aveva smesso di cantare facendo alleggerire la voce fino a farla sparire del tutto, mentre guardava di lato per cercare di scorgermi, probabilmente. Forse stavo tornando insieme alle altre, perché si affrettò ad avvicinarsi alla telecamera, sghignazzando imbarazzato.

«Questa te la  farò vedere quando sarò molto lontano, così non potrai riempirmi di insulti su quanto sembro un idol e cose varie. Ringrazio Yoongi per essere stato un regista ...più o meno capace, anche se ora si è commosso anche lui Seo, sappilo.»
«Ma che commosso, smettilaaa!»
«Un ringraziamento al presentatore del programma che non è mai stato richiesto.»


Apparve pure Namjoon, salutandomi dalla telecamera.

«Un grazie per il mio pubblico, sono qui per voi.» Alzò pur le braccia, salutando chissà chi poi.
«Ecco sì, ora vattene che è il mio video d'addio, lo stiamo rovinando.» Jin lo spintonò via.
«Aaaah Jinnie-ssi, ma che fai i provini per le audizioni di canto?»
Jimin gli si accollò dietro le spalle, saltandogli in groppa.
Si era avvicinato insieme agli altri.
«Lasciami daaa-»
«Oh anche noi!» Jungkook tirò in avanti Taehyung, correndo verso la telecamera, ficcando nasi e labbra su quello che pensavo fosse il telefono di Jin stesso. «Benvenuti nell'audizione speciale di Busan, numero 7, siamo qui riuniti oggi-»
«Oh è un video di saluti?» Hoseok era sbucato, con il salvagente incastrato nei fianchi e l'aria abbronzata. Diventava subito scuro sotto il sole. «Ciao mamma e papà di Jiiiin!»
«Non è per i miei genitori, aaaaish ma perché state qui, vi togliete? È
 il mio momento!»
«Jin non ti sembra troppo presto per fare testamento?» Jungkook lo spintonò fuori dall'inquadratura, tanto che rimasero Jimin e lui a guardare la telecamera, mentre si mettevano a posto i capelli.
«Ragazzi è il mio video dannazione - Minno poi taglia tutto.»
«Secondo me se lo vede tutto le piace di più!»
«Ed eccoci qui al gran finale: Seo, grazie per essere stata in linea con noi stasera, purtroppo il nostro Bread Ginnie non è per niente capace di fare un finale fatto bene quindi.»
«No no Nam levati, saluto io -»
vidi Jin ritornare alla postazione, spodestando tutti quanti, mentre si faceva bello e sorrideva, dando un bacio allo schermo. «Chiudo prima che questi debosciati rovinino tutto, vedo che stai per arrivare insieme alle altre» si fermò per un secondo, a guardare altrove

a guardare me, che arrivavo dal chiosco, me lo ricordavo bene.
Lo vidi sorridere in una maniera così dolce che ebbe un sussulto, tanto che restai imbambolata a guardarlo.

«alla fine hai preso i frutti di mare. Io lo sapeeevo, ti conosco troppo bene. Sappi che finiranno tutti nel mio stomaco. Tra l'altro sei bellissima ogg-»
«Jin ora chiudo 'sto coso, come messaggiatore d'amore fai schifo! Se continui ti becca!» 

S'interrompe così, con Yoongi che rivolta il telefono verso la sua faccia e blocca la registrazione. Tutto il casino s'interrompe di colpo, lasciandomi ancora un po' frastornata e incredula, davanti allo schermo ritornato nero, con il tasto riavvolgi in bella vista, al centro. Ci cliccai sopra con la freccia, lo riavvolsi, per riguardarmi quelle immagini ancora una volta. E un'altra volta ancora. 

Ancora una.

Potevo sembrare una pazza maniaca, in effetti, ma di certo quella piccola scenetta era stata meglio di qualsiasi spogliarello avesse mai potuto fare Jin davanti alla telecamera. Quel giorno me lo ricordavo bene, non avevo notato nulla, eravamo ritornate con dei sacchetti pieni di cibo d'asporto ma io avevo già cominciato a spilucchiare i miei frutti di mare, non riuscendo a resistere all'odore. Jin mi era corso incontro e mi aveva rubato la vaschetta, mangiandosi quasi tutto quanto. Lo avevo maledetto fino a sera, per quello, ma quella era stata una prova inconfutabile di quanto lo amassi: nessuno mi poteva rubare il cibo, sarei riuscita a diventare un'omicida seriamente, per quello.

Avevo richiuso la porta di camera mia, ma mi voltai per osservarla, sentendo Namjoon e Yoongi parlottare dalla sala. Probabilmente avevano sentito ogni cosa, ma non mi stavano prendendo in giro. Avrei voluto dirgli che avevano fatto un ottimo lavoro per permettere a Jin di farmi quella sorpresa, anche se forse non eravamo proprio in grado di fare una video-dedica seria, ma non potevo lamentarmi. Avevo amato tutto quello, erano così loro, senza filtri, senza copione.

Con ancora addosso la voce di Jin mi gettai nel letto, avevo deciso che la doccia me la sarei fatta la mattina dopo, ora volevo solamente annegare un po' in quei pensieri, sorridere davanti alle foto appese, ripensare al suo volto, alle sue braccia, alle sue labbra. Era davvero assurdo che quell'estate, iniziata come una vera e propria tortura per la mia persona, alla fine era riuscita a formare una linea dritta e lineare, lasciandoci ancora in equilibrio, tutti quanti. 

Once bitten, twice shy.

Ripensando ai miei migliori amici non potevo fare altro che essere fiera e orgogliosa di loro. Eravamo davvero delle persone coraggiose e, attraverso i problemi degli altri, avevamo imparato davvero cosa significava combattere per qualcosa.

Ripensai a Yurim, che riuscivo a immaginare solamente insieme a Taehyung, che erano riusciti a vincere una delle battaglie più pericolose che una persona potesse mai affrontare. Ci sarebbe stato un matrimonio con miliardi di colombe e confetti, forse dei bambini o forse un cumulo di viaggi, intorno al mondo, con le loro menti ora piene di buoni propositi. Aveva sconfitto la grande D? Non lo potevo sapere con certezza, ma ero propensa ad essere più ottimista, quella volta.

Yoongi e Jimin, come due amici un po' scemi in pubblico, e come due amanti un po' scemi nel privato. Non si erano lasciati schiacciare dalla mentalità ottusa di certe persone, della società. Ci avevano sofferto entrambi, avevano avuto paura, ma alle volte la voglia di andare oltre non si controlla. Quando erano insieme sprigionavano un'energia talmente potente da farmi sentire quasi a disagio. Nel loro modo di guardarsi c'era tutto l'amore che non esprimevano a parole, ed era qualcosa di enorme. 

Jungkook, l'unico fra noi ancora acerbo di sofferenze relazionali, ma che si era sobbarcato le nostre senza essersi mai tirato indietro, una specie di manna curativa che cala sopra le ferite e le fa sanguinare un po' meno. Nonostante una futura vita all'insegna dell'alcolismo, ero sicura che Jungkook avrebbe fatto grandi esperienze, come si suol dire: le peggiori sofferenze arrivano dopo i venti anni, si sapeva. E poi aveva già un bel bagaglio psicologico pieno, grazie a noi.

Namjoon, una delle persone più forti e intelligenti che conoscevo, così fiero e orgoglioso, chiuso dietro quel sorriso di uno che ha accettato il proprio destino, che lo re-inventa, lo modella per farlo andare bene con i suoi sogni, non lasciandosi sopraffare dalle delusioni della vita,  dell'amore un po' balordo, sapendo che l'amore più grande è quello che provi per te stesso. Forse avrebbe fatto fortuna, un giorno, magari avrebbe lavorato con artisti famosi e avrebbe finalmente dato al suo cervello un po' di pace.

E poi Hoseok. Il mio caro Hoseok. Il mio primo vero amico, colui che conosceva tutto di me e che, camminando a testa alta e con un inguaribile ottimismo, era riuscito a trovare il suo destino in un piccolo caffè dell'Inghilterra, negli occhi di una ragazza dai capelli rossi e dal cuore enorme.  Aveva paura della differenza che c'era di loro ma, da bravo eroe della Saga, aveva mandato al diavolo la diversità facendo leva su tutto ciò che avevano in comune. Non era annegato dentro gli abissi dei suoi dubbi, aveva affrontato quel lento naufragio perché sì, insomma, lo sapevo, la sua Rose lo aveva salvato.

Quando arrivai a  pensare a Jin il mio cuore si sciolse.
Lui era sempre stato il mio tormento interiore. Gli dovevo più di quanto avrei mai potuto dimostrargli e, mentre chiudevo gli occhi con la testa sul cuscino, la musica che filtrava attraverso le pareti dal salotto, il suono della mia città notturna, immaginai il momento del suo ritorno, l'abbraccio stretto, le risate, correre a casa, e amarlo amarlo, amarlo davvero. Pensai, per la prima volta, ad un futuro reale, che sarebbe potuto essere. 
Ci saremmo sposati? Avremmo avuto anche noi una gang di bulli da crescere? Sarebbe venuto a vivere con me e Namjoon, finendo con l'essere lui la moglie perfetta? Sarebbe stato con me per sempre?

Forse. 
Non sarebbe stata solo una fantasia, nessuna sit-com, nessun film tragico.
Forse si sarebbe potuto avverare tutto, per una volta, sul serio.

Il telefono trillò improvvisamente: mi apparve un messaggio con una foto in allegato, da parte di Jin. C'era lui, seduto davanti ad un tavolino, vicino a quella che sembrava una banchina, intento a mangiare dei naengmyeon. Sorrideva, aveva gli occhi chiusi mentre mangiava e sotto c'era scritto solo:

"Mi manchi, ma sto mangiando, quindi ora sono un po' più contento."

Mi misi a ridere di getto. Gli risposi con una foto, allo stesso modo, davanti ad una delle nostre foto appese, così da fargli capire che il suo regalo era stato visto, apprezzato e già schedato.

Mi rispose con una faccia che rideva, imbarazzata, mentre aveva dei noodles che penzolavano dai denti. Gli uscii tutta sfocata, probabilmente si stava strozzando col cibo.

La mantenni, trasformandola nel mio sfondo del telefono, già conscia che sarebbe diventata una delle mie foto mai esistite.
Mi appurai che non fosse morto, nel frattempo. Per fortuna non era andato all'altro mondo per  colpa di un grumo di noodles.

Alla fine presi la frase di Namjoon, constatando che la mia acqua fredda era stata proprio Jin. L'avevo toccata lo stesso, con la paura di bruciacchiarmi, ma senza quelle ferite di guerra non sarebbe stato per niente lo stesso.

Sarebbe stato per sempre, per forza.
Essere ottimisti non era poi così male, in fondo.
Hoseok me lo aveva insegnato, Jin me lo aveva fatto credere.

Di nuovo afflosciata sul cuscino chiusi gli occhi, rendendomi conto di una cosa che mi fece sorridere di gusto. Non avevo più pensato a Minseong durante quei giorni. Il mio Guru accompagnatore di vita era stato eliminato senza che nemmeno me ne rendessi conto. Semplicemente lo avevo lasciato andare senza rendermene conto. Non c'era nemmeno Keisha. O Yoko, della fioreria. 

C'era solo Park Seoyun, ora, nella mia testa. 

Quella notte, finalmente, potevo riprendere il possesso di me.
Quella notte, finalmente, potevo davvero cominciare ad affrontare le mie paure.
Quella notte, finalmente, riuscii a  dormire.






















Angolo autore:

ma salve ragazzi <3 eccoci giunti al mio finale. Lo so, forse vi aspettavate di più, forse volevate cose più "woooo" ma niente, alla fine dalle mie mani è uscito questo capitolo e così è stato, non riesco mai a stravolgerli completamente, mi hanno sempre guidato loro. Ammetto, che ad un certo punto, questa storia l'ho un po' odiata.
Avevo in mente seimila finali diversi, seimila situazioni diverse e avevo davvero paura a  sceglierne una lineare per arrivare fino ad un punto finale.  Alle volte mi fermo e penso "acciderbola avrei dovuto scrivere quell'altra cosa che avevo in mente" ma niente, alla fine ha preso questa piega e bom. Forse ci sarà un epilogo con la skip time in avanti ( juliet mannaggia che mi metti ste idee ) o forse no xD  In fondo chi lo sa cosa succederà? Sarà un mistero forever. Intanto vi ringrazio, davvero, ma davvero di cuore. Se sono arrivata alla fine è per merito vostro, sappiatelo proprio, avrei già abbandonato la nave seimila anni fa.
Ringrazio voi, che mi avete messo nelle preferite, non so se avete piacere che vi nomino uno per uno ( fosse per me lo farei <3 ), spero che abbiate gradito la storia e che vi abbia rallegrato un po' in momenti di crisi ( oddio che poi rallegrato de che? Che ho messo un pianto ogni due secondi! )
Ringrazio chi mi ha messo nelle seguite, che non so se state in attesa di leggere o state leggendo ma in caso grazie perché significa comunque tanto, come non smetterò mai di ripetere.
Grazie a chi mi ha messo nelle ricordate e GRAZIE DI CUORE ESTREMO a chi ha perso del tempo per recensirmi ç:ç ( sia in fase di pubblicazione, chi dopo, chi sporadicamente e anche per chi lo farà magari in futuro - quanto sono ottimista xD ). Specialmente per bridgetvonbalanche, per xxxibgdrgn88, giunn ( che mi ha creato lo splendido banner che prima o poi mi stamperò <3 ), HeavenIsInYourEyes e Juliet8198 che mi segue dagli esordi (?) e mi ha recensito  TUTTI i capitoli, cioè ç_ç è amore per te dico davvero.
Non ve lo dico neanche, se avete tempo filate sui profili di queste giovincelle che ci sono storie fantastiche che hanno bisogno di gente che le legge <3
Ma in generale, davvero, specie questo fandom dove ho trovato davvero delle chicche meravigliose.
E niente, vi lascio ora che ho già parlato un fracchio ma fermatemiii. Spero a presto, con una nuova storia chissà, vi auguro una buona serata <3 



 

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