Attraverso i miei occhi

di Ste_exLagu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero ***
Capitolo 2: *** Ops ***
Capitolo 3: *** May Maggio ***



Capitolo 1
*** Zero ***


Attraverso i miei occhi


04/01 Kanagawa

Sono giorni che sto ripensando a quello che è cominciato in questa data lo scorso anno, ho iniziato la scuola superiore, sono entrato nel club di basket e sono entrato in collisione con un tornado. L’identikit del suddetto è facile, parliamo di un ragazzo di quasi un metro e novanta con spalle larghe, gli occhi di un fantastico nocciola, i capelli color del fuoco e due labbra che dovrebbero figurare nei cartelli dei divieti. Lui si è accorto di me, e mi ha menato, lì per lì non ho capito perché fosse incazzato con me, ero ancora stordito, dei cretini mi avevano svegliato e avevo appena finito di pestarli, ancora non ero in grado di formulare un pensiero decente, e se devo dirla tutta la presenza di lui ha azzerato ogni possibilità che mi miei neuroni cozzassero insieme e dessero vita alla scintilla di un pensiero coerente.

Non mi tiro mai indietro quando c’è da menare le mani, sono sempre pronto, e sveglio, e con lui è diventata una costante. Sono da poco passate le tre del mattino e non riesco a dormire, sono qua a guardare una partita di basket, ma non riesco a concentrarmi, come quel giorno vorrei urlare ma non posso, e allora metto nero su bianco la mia frustrazione, si la frustrazione.

Per le ragazze sono bellissimo e lui è un cesso, non ho ancora capito se sono io ad essere troppo intelligente o troppo stupido per capirle, giuro, ma non si rendono conto del fisico che ha quel ragazzo? Non si rendono conto che ha delle mani grandi e forti, che la sua pelle profuma di bagnoschiuma e di uomo? Non vedono la bellezza di quegli occhi? Proprio non capisco cosa succeda nelle loro teste. Cinquanta ragazze hanno rifiutato quel gran pezzo degli dei, ho il dubbio che tutte avessero le stesse qualità intellettive della nostra seconda manager, ma cazzo, hanno il prosciutto sugli occhi?

Quello che sto scrivendo forse non ha senso, ma io so di aver ricevuto un regalo il giorno del suo compleanno dello scorso anno incontrandolo, e vorrei fargli un regalo quest’anno.

L’ho sempre apprezzato, anche se mai parole.

Ho cercato di essergli vicino quando è tornato dopo la riabilitazione, lui era impaurito e tutti lo trattavano come se fosse di cristallo, ma non lo è assolutamente, e mi sono comportato come al solito, solo che lui aveva dimenticato i fondamentali, o almeno era bloccato, e ho passato tutti gli allenamenti a sfidarlo “Allora Do’hao, non vedo nessun Tensai” è diventato un mantra mentre lo sfidavo a palleggiare, a tirare in sottomano, a tirare da ogni posizione, e non lo facevo per vantarmi con lui, ma per spronarlo, e abbiamo chiuso la palestra moltissime volte, stremati, ma lui è rinato. Non fraintendetemi è sempre una piaga con i suoi proclami, ma è diventato più sicuro dei suoi mezzi.

Vorrei riuscisse a vedersi con i miei occhi, vorrei riuscisse per una sera a capire che lo ammiro, non so se mi sarei ripreso così bene e così in fretta da una batosta come quella della riabilitazione. Ho deciso, domattina, cioè stamattina, va bene, prima della prima ora a scuola riceverà qualcosa che gli faccia capire come lo vedo io, sperando che questo gli faccia piacere.

Kaede


La mattina del primo aprile profuma di petali di sakura. Hanamichi Sakuragi raggiunge la scuola contornato dai suoi amici. “Ehi amico, ti stai attrezzando per il cinquantaduesimo scaricamento?” il rosso scuote la testa e poi sospira “Non penso proprio” e tira una testata a Noma che si è permesso di fare la domanda. “Speriamo di essere in classe insieme e di non essere in quella della volpe” aggiunge mentre entrano nel cortile, proprio al centro sono stati montati dei cartelloni che riportano la formazione delle classi. Un ululato disperato esce dalle labbra carnose del numero dieci dello Shohoku. “Proprio il contrario dei miei desideri” Mito comincia a ridere “Sono dispiaciuto di non potervi vedere insieme, e soprattutto non vedere le crisi isteriche dei prof. Amico sopravviverai” lo incoraggia con una pacca sulla spalla. “Yohei, ti odio, ti odio” dice ma viene interrotto “Sei in classe con l’Akagi” lo informa “ Oh il mio amore” si porta la mano sul cuore con fare melodrammatico “Merda” si riprende subito “ci sarà il suo amore” e si dispera. Raggiungono gli armadietti delle scarpe e si cambiano le calzature, e quando il rosso toglie le proprie cade una lettera in una bella busta piegata come se fosse un origami. Il rosso raccoglie la busta e si dirige in classe mentre i suoi amici “Ah c’è odore di fidanzata sfigata”, “oh poveretta”, “ma che stupida” “che buone queste patatine” ogni affermazione viene condita da una testata dal rosso. Arriva in classe e si ritrova con Rukawa addormentato nel banco alle proprie spalle e una ragazza schifata di fianco, ignora entrambi solo poter aprire la busta. Tira fuori una foto e una lettera scritta a mano, la grafia è piccola e ordinata. La foto rappresenta il rosso durante un allenamento che ha fatto in solitaria al campetto vicino al mare, con il sole che gli baciava i capelli rossi e lui che si libra in aria per uno Slam Dunk. Quasi con frenesia prende il foglio e comincia a leggere.


Attraverso i miei occhi

Vorrei regalarti un tuo ritratto attraverso i miei occhi.

Ti vedo camminare per i corridoi e cercare l’approvazione di ragazze che non dovresti nemmeno degnare di uno sguardo.

Sei la persona più bella che abbia mai visto.

Hai un fisico da urlo, sei forte, muscoloso. Adoro le tue mani ruvide per i pugni e per il basket ma calde e avvolgenti.

Ti associo all’autunno, caldo e avvolgente.

Quando qualcuno ti dice che non sei abbastanza non credergli.

I tuoi capelli rossi non piacciono e non capisco perché, ogni volta che ti vedo vorrei passare la mano tra i tuoi capelli, vorrei poterti sfiorare ma mi è impossibile.

Ai miei occhi sei la creatura degli dei più bella in assoluto. Sei fuoco, sei acqua, e sei tempesta.

Ti ho visto piangere per una sconfitta e lottare fino in fondo per una vittoria. Sei tenace.

Sei un enorme rompicoglioni, ma mi piaci comunque, e tu non mi vedi.

Io ti vedo baciato dal sole come in quella foto.

Ti vedo vincente, ti vedo stupendo, e vorrei baciarti, visto che non posso farlo allora accetta che ci sia qualcuno che ti ama in questa scuola.

Accettati per quello che sei, e non ascoltare chi ti denigra, non ascoltare chi cerca di aumentare la propria autostima azzerando la tua.

Non cercarmi, anche se dovessi trovarmi negherei quello che c’è scritto, perché semplicemente per te non esisto.

Passiamo ai fatti, come scrittore faccio schifo.

Non crucciarti, ma stasera vai alla galleria Tayumi in centro.

Zero.


Il rossino legge e rilegge il biglietto tutta la mattina, mentre proprio alle sue spalle Kaede Rukawa sta facendo finta di dormire, come se avesse dei pensieri. Hanamichi si tocca i capelli contro pelo e fa rumore contro le punte rasate recentemente. La giornata passa lenta e noiosa, anche gli allenamenti, seppur con la squadra in perfetta forma sembrano noiosi. Nello spogliatoio ricomincia a leggere il biglietto e dopo un po’ si rivolge a Miyagi “Ryochan, tu stai in centro vero?” il play annuisce “si, perché?” il rosso continua “Ho ricevuto un invito per andare alla galleria Tayumi, e non so cosa aspettarmi” l’altro fa un paio di smorfie pensierose “una mostra di qualcosa, bo, se vuoi ti accompagno” l’altro sorride “Si, dai così mi fai vedere dove si trova.” Rukawa è addormentato contro una colonna con indosso solo i pantaloni puliti e i calzini. I compagni di squadra lo guardano e ridacchiano, una matricola si avvicina e scuote il senpai che gli sferra un pugno in automatico “Non perdono chi disturba il mio sonno” i più grandi ridono mentre il ragazzino è shoccato e piegato in due. “Su su, riprenditi, e tieni a mente che svegliare Rukawa è il male, sia chiaro per tutti” la voce del capitano è minacciosa “E tu, smetti di picchiare la gente a caso, non sono mica tutti indistruttibili” il moro annuisce e poi guarda verso Sakuragi che è di spalle a cambiarsi. Ignora lo sguardo che sente su di se. Dopo un quarto d’ora sono tutti fuori dalla scuola e Miyagi si affianca al rosso “Hanachan che succede?” chiede, indagando con un sorriso. “Ryochan, non lo so, ho trovato una lettera stamattina, firmata Zero, in cui qualcuno si spertica di complimenti per me e mi ha chiesto di andare alla galleria stasera”. Prende la lettera, che ormai ha imparato a memoria e la porge al capitano dello Shohoku che la legge, e poi vede la foto. “Qua sei proprio figo” arrivano davanti alla galleria e Hanamichi sembra voler scappare. “Ora entriamo e capiamo che succede” lo sprona Miyagi. Sakuragi entra per primo nella galleria e si ritrova contornato di foto che lo ritraggono, molte sono foto rubate in qualche campetto in cui si è allenato nei mesi, però viene colpito da un ritratto, a cui si avvicina e che fissa intensamente toccandosi poi il volto con una mano mentre con l’altra segue le medesime linee della foto.

La galleria è tappezzata da stampe di grandi dimensioni, e sono molte le persone presenti, il rosso sembra ignorarle ma alle sue orecchie arrivano diversi commenti “Questo Zero è proprio bravo, ma penso che siano foto studiate, guarda qua” indica una gigantografia della foto che il numero dieci ha ricevuto quella mattina. Una donna sulla quarantina e il curatore della mostra si avvicinano al ragazzo senza degnarlo di uno sguardo. “Vorrei proprio conoscere l’artista” e il curatore scuote la testa “Signorina Tanakasan non posso accontentarla, Zero non è qua” lei fissa il ritratto, mentre Sakuragi continua a toccarsi la zona del naso. “Posso comprare questa foto? C’è amore, c’è pathos, e il modello è perfetto” un grugnito esce dalle labbra del protagonisti della foto, e questo suono fa girare i due. “Sei tu il modello, wow, ti ha proprio reso giustizia. Sei bello, ma ho una domanda, le foto di basket sono fatte apposta?” “Eh? Come? Scusi?” la risposta è poco coerente “no, cioè non sapevo nemmeno che qualcuno mi stesse fotografando. E comunque quello non sembro io” dice la voce tremante mentre viene raggiunto da un Ryota stupito “Ma, cioè, in queste foto sei così bello, ti invidio, anch’io voglio qualcuno che mi faccia sembrare bello” l’altro arrossisce “Ryochan non sono io quello” il capitano scuote la testa “Lo sei, e non te ne accorgi”. La donna segue i discorsi dei due giocatori di basket con interesse “Ragazzo finirai nel mio salotto”. Il rosso si strozza con la saliva e viene trascinato verso un buffet dal capitano della squadra. “avrai tutte le ragazze ai tuoi piedi adesso” dice mentre Sakuragi beve un bicchiere d’acqua e si asciuga le lacrime dal tossire. “ora vorrei solo sapere chi sia questo Zero, non ho idea di che voglia da me, e poi che imbarazzo. Non mi faccio mai fare le foto, nemmeno da mia mamma”. Il centro della squadra non sembra rendersi conto che il capitano ha fatto sapere della mostra a mezza Kanagawa che si riversa nella galleria del centro. C’è quasi tutta la squadra, Ayako, Akagi con Haruko. Tutti sembrano rapiti dagli scatti che tappezzano i muri. Altri frequentatori abituali della galleria si congratulano con Sakuragi per le sue spiccate doti da modello, e per le sue prodezze sportive, il ragazzo sembra diventato una statua di marmo, accetta passivamente i commenti, mentre con lo sguardo cerca qualcuno in quella sala che gli dia qualche indizio sull’identità di Zero.


La mattina successiva all’inaugurazione della mostra “attraverso i miei occhi” allo Shohoku c’è uno strano fermento, un gruppo di ragazzine del primo anno blocca il centro della squadra di basket inondandolo di lettere. Quando riesce a districarsi riesce ad arrivare all’armadietto e quando prende le scarpe un’altra ondata di lettere lo travolge, mentre viene raggiunto dai suoi amici “Ah, vuoi cioccolatini? Sono per te!” Takamiya parla a bocca piena “ce li hanno dati quelli” si strafoga mentre gli altri tre ridono. “Oh, forse non festeggeremo più uno scaricamento.” vengono spintonati da un gruppo di ragazzine, e decidono quindi di scortare il rosso fino alla propria classe. Va a sedersi in modo sgraziato al proprio banco e sopra di esso trova una lettera, chiusa come quella del giorno prima.


Ora che tutti ti hanno visto attraverso i miei occhi sono quasi geloso, ora avrai accesso al cuore della tua amata. I miei migliori auguri Zero.




Parole sparse


Volevo scrivere qualcosa per il compleanno del mio rosso preferito ma ho sforato.

Sono sopravvissuto male ad una lezione online su Pietro Manzoni.

La dedico a Cathy, spero di piaccia.

Non sono riuscito nemmeno stavolta nella one shot.

Lo so è contorta, ma piano piano avrà più senso, ve lo prometto!

Se vi va battete un colpo.

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Capitolo 2
*** Ops ***


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Quindici Aprile.



04/15 Kanagawa

Ci sono giorni in cui la mia vita sembra andare a rotoli, in cui giocare a basket non basta, allora prendo in mano la mia macchina fotografica e sembra che tutto possa girare nel verso giusto, non serve nemmeno andare a scattare, delle volte basta occuparmi della piccola manutenzione ordinaria, tenere le ottiche pulite, controllare che le batterie siano cariche, controllare che ci siano le schede di memoria, e che ci sia spazio per scattare.

Per il mio nono compleanno mi regalarono una di quelle macchinette fotografiche quasi giocattolo, era quasi un pezzo di plastica ma l’amavo, aveva quattro obbiettivi e aveva la pellicola, ogni scatto che facevi era in movimento avevi quattro momenti della solita azione, era difficilissimo che venissero fuori quattro riquadri interessanti, ho ancora qualche stampa e qualche negativo, la macchina è andata distrutta, forse per il tempo, o forse è finita in mano a qualcuno dei miei fratelli.

Quando avevo dodici anni, mio fratello maggiore si è comprato una macchina fotografica migliore e mi ha lasciato in mano la sua, anche questa non era niente di che, era una macchina a rullino di bassa qualità, ma con quella ho scattato lo scattabile.

In casa se facevi il tuo dovere con i lavoretti assegnati ti meritavi una paghetta, e io ho sempre messo da parte i soldi per potermi permettere di pagare lo sviluppo e le stampe. Ho scatoloni di foto di paesaggi, per i primi anni, anche durante le gite scolastiche nelle mie foto non compare nessuno se non per sbaglio, e visto il mio carattere penserete che sia normale, e forse lo è veramente.

Il mio carattere forse è una reazione alla famiglia numerosa e rumorosa in cui sono cresciuto. I nonni hanno comprato una villa con delle villette più piccole che vi gravitano intorno, per mia madre e per i miei zii, la casa principale è al centro di un ferro di cavallo formato da cinque case. Sono cresciuto con i miei tre fratelli maggiori e i miei due gemelli diversi e le mie due sorelle minori, per non parlare di zii e cugini in quantità industriale. I nonni sono come la regina Elisabetta d’Inghilterra e il principe Filippo, longevi e pieni di potere su tutti noi.

Somiglio tanto al nonno ed è lui che mi ha fatto appassionare alla fotografia, sono sempre stato chiuso e silenzioso, sono sempre stato quello che ha ascoltato le sue storie, quello che gli somiglia di più, e mi ha fatto vedere le foto della sua giovinezza, e quelle della guerra, e le successive.

Per il mio tredicesimo compleanno mi ha regalato la mia prima reflex, una reflex analogica, la sua macchina fotografica, e mi ha insegnato a sviluppare le pellicole.

Il passaggio al digitale l’ho fatto recentemente, ho messo da parte le paghette per anni, e ho preso un corpo macchina digitale su cui posso usare le ottiche della macchina che mi ha regalato il nonno. I miei fratelli e i miei cugini sono gelosi del rapporto che ho con il nonno, ma non mi importa io sarò sempre grato a Kaede Hiro Rukawa il nonno di cui porto il nome per avermi mostrato un modo per esprimermi e conoscere meglio il mondo.

Di tanto in tanto nasce qualcuno che non è proprio adatto a capire i rapporti umani, e se capita in una famiglia come la mia si è sempre alla ricerca di un modo per esprimersi.

Il mondo, le persone, e i miei sentimenti sono chiari nei miei scatti, e solitamente nascondo le stampe gelosamente, l’unico che può vederle è il nonno ed è proprio lui che mi ha fregato, lui e la nonna stavano prendendo il tea delle cinque con il curatore della galleria Tayumi e gli ha fatto vedere i miei scatti in cui ritraevo Hanamichi. Almeno qua permettetemi di chiamarlo per nome. Ha deciso per delle stampe di grandi dimensioni, e io mi sono occupato della post produzione dei file da mandare in stampa. Non dopo ore di silenziosa guerra col nonno, entrambi seduti ad un lato del tavolo quadrato della cucina, mentre la nonna si è messa a cucinare e noi abbiamo continuato a fissarci negli occhi fino a quando il patriarca di questa immensa famiglia ha sentenziato “Queste non le possiamo nascondere, non puoi continuare a nasconderti”, l’unica cosa che ho potuto fare è stato annuire, l’ho sempre saputo che sarebbe arrivato il momento in cui non avrei più potuto nascondermi, ma non mi sento pronto. Mi sono buttato sulla post produzione, e ho cercato di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere.

Quando il signor Tayumi mi ha chiesto che nome volessi usare ho deciso Zero [ゼ ロ*] ha un bel suono, quando la tua presenza è un numero decidi che numero essere, ad esempio uno dei miei cugini ha deciso di essere il numero undici, perché così è due volte il primo, abbiamo tutti un numero, siamo così tanti da poter essere numeri. Per i miei genitori sono il numero scritto male, quello che non si capisce, mentre gli altri son tutti scritti bene.

Kaede



La metà di aprile arriva in fretta, alla galleria Taykumi la mostra di Zero continua ad essere esposta, e l’autore ancora non si è presentato, o forse non ha palesato la sua presenza. Un assiduo frequentatore invece è Hanamichi Sakuragi che si trova sempre a metà tra quell’orribile sensazione che si prova a vedersi ritratti e la sensazione di percepire i sentimenti di quella ragazza che si firma con lo pseudonimo Zero. Si ritrova spesso a guardare il proprio ritratto, quello venduto la prima sera e si guarda come se quello ritratto fosse un estraneo. Dopo la seconda lettera non ha ricevuto altre notizie e si ritrova ad ogni momento libero a tornare in galleria alla ricerca di quell’anima che traspare da quegli scatti. Riesce a percepire amore, come quando sua madre gli scompiglia piano i capelli dopo che torna a casa dopo un turno stressante, quella sensazione di accettazione che prova quando si ritrova con i suoi amici, raramente, a parlare di cose serie, e si sente pazzo, e stanco di cercare qualcuno che non si vuole far trovare.

Prima di andare a scuola è passato nuovamente ad interrogare il curatore della mostra senza però ricevere nessun indizio, fino al momento in cui sente un ragazzo e una ragazza parlare. Hanno entrambi i capelli castani e gli occhi blu, che gli ricordano quel maledetto volpino, quello che con la sua presenza gli impedisce di conquistare la sua Harukina, anche se è sempre meno convinto dei propri sentimenti verso di lei. “Quel deficiente usare il suo soprannome che gli abbiamo dato a casa, pensa sia figo?” dice lei con un tono allegro, ed il ragazzo ride “Oh, questa e il basket sono le uniche cose in cui è almeno un essere umano decente, che ci vuoi fare, se uno nasce zero non può migliorare”. Hanamichi rimane impietrito ad ascoltare. “Non sa fare un cazzo, le foto son venute bene perché ha una bella macchina fotografica e perché il soggetto è interessante, non ha talento.” dice lei, il ragazzo annuisce “secondo me anche per il basket si da tante arie da prima donna ma fa schifo anche lì, e lo so senza vederlo giocare”. Lei sorride “E poi la sua mania per il nonno, nonostante la matriarca sia la nonna e tutti noi portiamo il suo cognome, lui si è intestardito ad usare quello di lui. Però va nella scuola adatta a lui, lo Shohoku è proprio pieno di disadattati, non poteva mica venire al liceo K, il più costoso e rinomato della prefettura non ne ha le capacità” ridono entrambi mentre il centro della squadra di basket non riesce a muovere un muscolo ad ascoltare i due sconosciuti parlare di Zero. Nella sua testa è una ragazza carina e molto molto timida, e sicuramente molto brava nella fotografia. “Non so perché quando hanno saputo che eravamo tre e hanno chiesto ai nostri genitori se ci volessero tutti hanno deciso di tenere anche quella nullità”. Dire che è allibito è come sminuire il turbinio di emozioni che lo sta sopraffacendo, come se lo tsunami di rabbia che lo pervade fosse un semplice torrente in secca. Si scuote da suo torpore non riesce ad ascoltare altro, corre verso la scuola e poco dopo l’entrata va a sbattere contro Rukawa che pedala mezzo addormentato su quel catorcio che si ostina a chiamare bicicletta. Parte la rissa, si ritrovano a terra a darsi pugni, e quelli di Sakuragi sembrano voler dilaniare, sembrano voler cancellare l’ala piccola dello Shohoku. Che non sembra tirarsi indietro, o colpire con meno forza l’altro. La situazione è strana da mesi non raggiungono la violenza della rissa mattutina di metà Aprile. Vengono divisi dal ventaglio di Ayako, che come la proprietaria si materializza magicamente vicino ai due contendenti. “In piedi” la voce è perentoria, ma la ragazza non urla. “Siete in punizione, oggi agli allenamenti fondamentali per entrambi, tutto il tempo, insieme”. Come è apparsa se ne va, lasciando una leggera scia profumata di agrumi, lasciando i due del secondo anno senza la facoltà di controbattere o di continuare, si rialzano entrambi e si spolverano la divisa, Rukawa va a parcheggiare la bici, mentre Sakuragi lo aspetta imbambolato in mezzo al cortile. “Rosso” lo apostrofa quando si riavvicina “andiamo in classe”, la voce del numero undici è profonda, e sembra quasi lenire il dolore che sembra straziare il compagno di squadra. Raggiungono l’aula e si siedono ai propri posti, la referente della loro classe sta impazzendo, nessuna ragazza sembra reggere accanto al giocatore di basket più tenebroso di tutta la prefettura, ogni volta che una di loro si siede vicino a lui, partono i sospiri e le risatine acute.
“Bene ragazzi” richiama all’ordine la classe che si alza in piedi vicino al banco, che i ritardatari si apprestano a raggiungere “No, voi due fermi qua” si guardano in cagnesco mentre la professoressa continua a parlare con tono duro “La disciplina di questa classe è carente, e tutto perché voi ragazze non riuscite a far funzionare il cervello se c’è lui in giro, indica
Kaede che sembra appisolarsi in piedi. “Da oggi nessuna ragazza starà accanto di banco a Rukawa, anche l’esperimento con Akagi è terminato con un fiasco clamoroso. Da oggi e per tutto l’anno scolastico voi due sarete compagni di banco, e non aprite quelle bocche, siete già in ritardo. Akagi va al posto che era di Sakuragi, e tu Sakuragi va al posto a fianco a quello di Rukawa. Muoversi” il tono non ammette repliche e come con Ayako i due eseguono docilmente gli ordini. Ad un orecchio attento può giungere una specie di litania di insulti contro gli ibridi umano volpe.



Miyagi è divertito, ha messo il centro e l’ala piccola titolari a fare i fondamentali insieme, e i due cercano di ignorarsi anche quando devono passarsi la palla.”Ayachan, ce la faranno?” chiede alla manager che si trova al fianco della nuova collega Haruko Akagi manager in seconda da qualche mese. “Non abbiamo alternative, o cooperano o si ammazzano, ma ci risolvono mesi di sedute psichiatriche in entrambi i casi.” Ridono entrambi, mentre la seconda manager fissa in maniera spudorata Rukawa. “Oh com’è bello, ma anche Hanamichi, avete visto alla galleria?” chiede. “Haruko, ti ricordo che sono io che ho sparso la voce.” Miyagi le parla con la voce che si usa per parlare ai bambini piccoli o agli animali. “È un cazzo di dai e vai, la smettete di fare le mezze pugnette?” i due giocatori si sentono feriti nell’orgoglio e sembrano allearsi contro il capitano, che torna ad allenarsi con il resto della squadra.

Nello spogliatoio quelli del primo anno si stanno sfidando a svegliare Rukawa che si è crollato su una panchina con ancora un calzino in mano, solo in boxer.

Hanamichi, sembra non essersi ancora ripreso dallo shock subito quella mattina. “Ryochan?” chiama il capitano che cerca di tener d’occhi i più piccoli “non lo farei fossi in voi” li ammonisce invano, uno dei ragazzini si avvicina e sveglia urlandogli in un orecchio, il numero undici e si becca un pugno in pieno stomaco. “Maledetto bastardo, non perdono chi disturba il mio sonno” lo guarda con aria minacciosa e la voce è forte e potente e fa cadere un fastidioso silenzio nello spogliatoio. “Il prossimo che mi urla nell’orecchio lo ammazzo di botte” aggiunge gelido come non era da mesi, per chi lo conosce bene da dopo la pausa con la nazionale è tornato in squadra con un atteggiamento meno siberiano e tutto sembra essersi sgretolato in un urlo. I primini lo guardano vestirsi, il corpo ricoperto di lividi, e vecchie cicatrici, medaglie al valore di chi sa menare le mani. Raccolte le proprie cose se ne va, e sembra che voglia mettere più distanza possibile tra se e lo spogliatoio. “Voi alla prossima partita farete panchina, ve l’ho detto che non dovevate provocarlo. Se ricomincia a comportarsi come lo scorso anno per colpa vostra non sapete quanti suicidi* vi aspettano, in più ai venti che farete domani. Ora evaporate dalla mia vista prima che ne aggiunga altri!”. Sussurra un paio di improperi indirizzati all’ala piccola e poi si rivolge ad Hanamichi “Hanachan, che succede oggi? Tu e lui che sembrate tornati allo scorso anno, loro che cercano di farsi ammazzare, abbiamo il campionato alle porte. Quest’anno dobbiamo superare lo scoglio dei quarti di finale del girone.” Il rosso sospira mente finisce di vestirsi. “Cercavo informazioni su Zero” l’amico scuote la testa “non sai chi sia zero, potrebbe essere anche un vecchio bavoso” “NO!” lo zittisce prima che possa continuare “No è una ragazza che gioca a basket in questa scuola” il capitano apre la bocca come a voler dire qualcosa ma viene interrotto dalla voce dell’altro “due ne parlavano stamani e mi sono arrabbiato, perché hanno detto tante cose cattive, tante cattiverie che nemmeno riesco a ripetere, la peggiore però è stata che quando i genitori hanno scoperto di aspettare tre gemelli avrebbero dovuto farla fuori”. “Bene almeno sai dove andare a cercare, ma la squadra femminile è messa peggio di noi, almeno noi siamo andati al campionato nazionale lo scorso anno, loro non lo fanno da secoli”

Un Hanamichi Sakuragi travestito si presenta a vedere gli allenamenti della squadra femminile di basket, ma nessuna ragazza sembra assomigliare in nessun modo ai due incontrati alla mostra, e nessuna ragazza sembra abbastanza brava nel gioco, si accapigliano ogni tre per due, con una frequenza che nemmeno lui e Rukawa avevano i primi tempi, alla fine degli allenamenti il ragazzo si fa coraggio e comincia ad avvicinarsi al capitano della squadra, una ragazza con una massa di riccioli scuri che somiglia ad Ayako in maniera impressionante, che borbotta “dovrei avere il polso di mia sorella” sconsolata. “Se smetteste di litigare potreste fare molto meglio di così” lei ride, una risata argentina melodiosa “Oh, Sakuragi da che pulpito” lui abbassa la testa “mi conosci?” le chiede e lei annuisce “mia sorella parla sempre di voi, e poi non sei proprio bravo nei camuffamenti, soprattutto dopo la mostra” lui la guarda interrogativo “Tua sorella?” e lei annuisce “Si mia sorella maggiore Ayako” e lui sospira “A proposito della mostra, ho poche informazioni su zero, ma penso sia una tua compagna di squadra, so che gioca a basket, so che è bravissima a fare le fotografie e che ha un fratello e una sorella gemelli che frequentano il liceo K e che non hanno lo stesso cognome” lei aggrotta le sopracciglia e lo guarda con un’espressione confusa “Nessuna ragazza della squadra ha dei gemelli, e le conosco tutte, soprattutto che vanno in una scuola così costosa, ma so che Ayako mi parla di una sua conoscenza che ha queste caratteristiche, dovresti parlare con lei” lui si gratta la nuca nervosamente “Lo farò quando sarà meno arrabbiata con me, spero proprio non le duri tanto stavolta. Mi ha messo a fare i fondamentali con quel deficiente di Rukawa tutto l’allenamento.” sbuffa “Ma se vuoi far vedere come funziona una squadra porta le tue all’allenamento e vedranno il genio in azione” una risata da genio maniaco e si allontana lasciando la ragazza ai propri problemi con la squadra.

La stessa sera il centro dello Shohoku suona al campanello di una villetta poco lontano dalla scuola “Signora posso parlare con sua figlia Ayako” quando una voce femminile risponde al citofono “Certo ragazzo entra” gli risponde, si trova sotto un portico e viene raggiunto dalla manager. “Ayasan” esordisce lui e lei gli sorride “Scusa per stamattina” e lei scuote la testa “mi ha detto Ryochan perché eri arrabbiato, questo non vuol dire che tu e Rukawa possiate pestarvi e soprattutto con quella violenza.” lui sospira e annuisce. “Sono qui per parlare di zero” e lei annuisce indicando un dondolo “Sediamoci” lo invita, l’aria frizzante della sera è piacevole, nonostante la sensazione porti con se un ricordo d’inverno. Lui obbedisce e lei lo raggiunge sedendosi a sua volta e sorridendo al ragazzo “Su, dimmi” lo incoraggia. “L’altra mattina ero alla galleria e c’erano un ragazzo e una ragazza con gli occhi blu e i capelli castani, molto chiari, che parlavano di Zero e dicevano un sacco di cose cattive, tipo che non sarebbe dovuta nascere e cose del genere, e che le foto son belle ma solo perché sono un buon soggetto e non per la bravura di lei, e che è inferiore perché va allo Shohoku e loro invece sono al liceo K e che lei ha il cognome del nonno mentre loro quello della nonna” lei spalanca gli occhi castani ma rimane in silenzio e Sakuragi continua a parlare con fare concitato. “la cerco, mi scombussola sapere di lei, e che non posso sapere chi mi vede in quel modo, e poi mi ha scritto, ma non vuole che sappia chi sia, e mi sto logorando. Tua sorella mi ha detto che tu forse sai dirmi chi è, ma per loro gioca a basket e per tua sorella no” aggiunge facendo un sospiro e affossandosi nel dondolo. “Non so se stiamo parlando della stessa persona.” Esordisce lei cercando di essere credibile, “Posso informarmi, e magari dire a Zero di darti qualche notizia, se fosse la persona che penso io, va bene? Non posso prometterti niente” lui sorride “Grazie Ayako sei un’amica” e lei risponde con un sorriso “spero di aiutarti in qualche modo. Ma ora a casa che lunedì ti voglio in forma”



La domenica mattina Kaede Rukawa si sta allenando in un campetto a poca distanza dal mare, il suo preferito e viene raggiunto dalla manager della squadra dello Shohoku. Lui la ignora e lei si avvicina, fino ad intralciarlo in fase di tiro, e lui ricade a terra in modo scomposto, poggia male la caviglia destra e ricade con uno sbuffo. La caviglia del numero undici pulsa, ma la ragazza ignora l’unica espressione che si è dipinta sul volto di lui, diversa dall’indifferenza e dalla noia, da quando lo conosce. “Rukawakun, io sono innamorata di te dalle medie” la vocetta di Haruko Akagi viene ignorata dall’ala piccola, che però non riesce ad alzarsi in piedi e sbuffa ripetutamente. “Vorrei che diventassi il mio fidanzato” ignora completamente quello che sta succedendo al ragazzo, quasi fosse un soliloquio. “Ti trovo il ragazzo più bello della scuola, e adesso la professoressa ci ha divisi, non possiamo più essere accanto” lui la guarda come si guarda un pezzo del National Geographic sulle blatte. Si sforza a parlare, per lui è sempre difficile usare quel mezzo per comunicare, ne è sempre stato consapevole, ma si rende conto di doversi sbarazzare di quella ragazza che lo ha appena fatto infortunare, nella sua testa spera sia solo una botta per la ricaduta strana. “Ti odio, mi fai schifo e mi hai fatto fare male, evapora dalla mia vista” si morde il labbro inferiore, aveva cercato di essere diplomatico, ma le parole avevano preso un’altra strada come in un corto circuito tra testa e bocca, finendo per far uscire la verità. In lontananza si sente fischiettare un motivetto allegro, Hanamichi Sakuragi, dopo la chiacchierata con Ayako sembra essere riuscito a recuperare tutto il suo ottimismo, quando giunge al parchetto sente le parole del compagno di squadra e vede la ragazza correre via in lacrime, sa che dichiarandosi innamorato di lei avrebbe come minimo dovuto rincorrerla, ma non prova questo istinto, non ha questa voglia, sente solo di doversi accucciare e chiedere qualcosa al compagno di banco “Perché sei così crudele?” il blackout tra mentre e bocca ha contagiato anche il rosso. “Perché stavo tirando, si è messa in mezzo, per non pestarla mi sono fatto male, e non riesco ad alzarmi, ma soprattutto è la verità.” abbassa lo sguardo per nascondere il rossore che sente sulle guance caldo e che incrementa il suo imbarazzo. Il centro lo osserva e lo prende in braccio come se fosse un fuscello e non un ragazzo di un metro e novanta che pesa sui settantacinque chili di muscoli. “Ora andiamo al pronto soccorso, per quanto la voglia di spaccarti la faccia sia tanta ci servi un minimo per il campionato nazionale Kitsune”. Le uniche parole che escono dalla bocca del moretto sono sussurrate “Grazie Hanamichi” un soffio di vento, così lieve da sembrar galleggiare tra loro due. Nessuno dei due è veramente convinto dell’esistenza di quel ringraziamento, se da una parte Rukawa non si capacita di averlo chiamato per nome dall’altra parte l’altro è convinto di esserselo immaginato. Prima di portarlo al pronto soccorso il tensai da modo a Kaede di recuperare tutte le sue cose, andando personalmente a prendere il pallone, che con lo scontro con Haruko, è finito in un cespuglio, solo in quel momento distante dall’infortunato sembra riuscire a calmare il battito del proprio cuore, che non sembra allineato con il proprio sentire. Gli immobilizza la caviglia nel miglior modo possibile e quando sono pronti prende nuovamente in braccio il compagno di squadra dopo essersi messo in spalla anche la borsa di lui, oltre la propria. Quando raggiungono il nosocomio e dopo un breve triage i due vengono spediti in radiologia, il rosso spinge una carrozzina con la sua nemesi sopra che non fa un verso di dolore nemmeno a pagarlo oro, ma la caviglia sembra aver perso le proporzioni abituali per essere sostituita con quella di un elefante. “Fa male?” chiede, quando si è infortunato, e quando è tornato in squadra ha sentito il supporto del volpino, nella loro lingua incomprensibile fatta di sfottò e risse, fatta di insulti e allenamenti estenuanti insieme, ora sta ricambiando con la speranza nel cuore che si risolva in una bolla di sapone.

Qualche ora dopo, e il sedere di Sakuragi più simile ad un cubo che ad un paio di natiche, portano il referto a Rukawa che si lascia sfuggire un paio di improperi coloriti. “Sakuragisan” e il ragazzo che viene chiamato sente come una morsa alla bocca dello stomaco quando sente il proprio cognome e non il solito soprannome. “Kitsune dimmi” non riesce ad essere formale, sono compagni di squadra e si son visti nudi più volte di quelle che vuole veramente ricordare. “Ti devo chiedere un favore” la voce del numero undici sembra quasi un filo “Mentre mi occupo delle scartoffie mi procureresti un paio di stampelle al negozio di ortopedia qua fuori?” Prende il portafoglio dalla tasca della borsa e lo porge al compagno di squadra, dopo aver recuperato il documento e un paio di tessere tra cui quella dell’assicurazione. Il numero dieci annuisce “Ok” e riceve in cambio una strana smorfia condita da un “grazie Dohao”. Il rosso si allontana e l’altro spinge da solo la carrozzina verso l’accettazione, andando ad occuparsi delle cose burocratiche, e un giovane medico lo affianca “Allora, signor Rukawa dovrà stare a riposo un mese un mese e mezzo, ma deve cominciare subito con la fisioterapia, è un metodo recente, ma visto che è uno sportivo potrebbe giovarne maggiormente”* “Hn, grazie signore” risponde in modo molto formale il giovane a cui poi vengono consegnati dei depliant e un carnet di appuntamenti per la fisioterapia con orari consoni al suo impegno scolastico. Addebitano tutto sull’assicurazione del ragazzo che viene liberato da quelle incombenze poco dopo il ritorno del compagno di squadra che gli porge un paio di stampelle già settate all’altezza giusta, il moretto fa qualche passo incerto con quei due arnesi con cui piano piano sembra prendere confidenza. “Ti accompagno a casa. Se stai lontano prendiamo un taxi” quello che sembra un gemito esce dalle labbra del volpino “Sto abbastanza vicino, ma non voglio tornare, andiamo a piedi, che così mi abituo a queste” dice la richiesta, anche se insensata, viene accolta dall’altro che gli si affianca. Rimangono in silenzio per tutto il tragitto, ma non c’è imbarazzo, c’è solo una sorta di silenziosa vicinanza. “Eccoci” dice il moro quando arrivano alla base della tenuta dove abita “Vieni ti offro una cola” lo incoraggia.

Ad ogni passo che lo fa avvicinare all’agglomerato il rosso sembra sempre più stupito “così sei veramente una ricca kitsune” l’altro sbuffa quando arriva a casa trova solo suo nonno nella villetta dove abita il nipote preferito, un amore incondizionato tra i due che si può leggere l’espressione e nel tono del più anziano “Chibichan che hai fatto?” si allarma l’uomo ultraottantenne quando i due ragazzi entrano nella cucina “Nonno che ci fai qua?” chiede il nipote di rimando “Nonna” non aggiunge altro sorridendo. “Ti presento un mio amico lui è Sakuragi Hanamichi, lui è mio nonno Rukawa Kaede Hiro” il rosso si inchina profondamente e l’uomo lo fa un piccolo inchino a sua volta “Sakuragi hai detto?” Sembra pensoso “Tuo nonno era uno scozzese vero? Mi ha salvato la vita in guerra, e tu ora mi riporti il mio adorato nipote con le stampelle, sembra un deja vu” il rosso sorride “si era mio nonno, aveva già preso il cognome di nonna” “Chibi che hai fatto alla caviglia” insiste il vecchio che riceve una specie di grugnito dal ragazzo che sembra una sua copia più giovane. “Chi ti ha fatto cadere?” continua e il numero undici continua in una serie di suoni che sembrano sconnessi. L’uomo ridacchia, “ora che nonna avrà finito di urlare posso tornare a casa, fate i bravi, gli altri rimangono fuori a cena i gemelli hanno vinto un premio di non so che cosa e tua nonna vuole andare a festeggiarli, sai che gioia” il ragazzo e il vecchio sospirano nel medesimo modo. “Quando la regina Elisabetta chiede…” la voce di Kaede è limpida adesso la frase viene finita dal nonno “noi sudditi dobbiamo obbedire. Se ti servisse qualcosa rimangono a casa Tomiko e i domestici da noi” “grazie nonnino”. Il vecchio si alza in piedi e con fare reale si allontana “Alla prossima Sakuragi” e il numero dieci si inchina all’anziano che così riesce a scompigliargli i capelli. “Tuo nonno sarebbe fiero di sapere che un altro rosso che passeggia per la prefettura di Kanagawa ha salvato qualcuno”. Se ne va non aggiungendo altro e lasciando i due adolescenti da soli. “La cola è in frigo, se non è un problema mi passi il ghiaccio?” chiede al compagno di squadra che ancora sembra stranito dall’incontro con l'ottuagenario. “Non lo sapevo” l’altro scrolla le spalle. “Nemmeno io che il suo salvatore si chiamasse Sakuragi, e che avesse i capelli rossi, ho visto delle sue foto a casa del nonno ma ovviamente erano in bianco e nero. Senti Dohao, se vuoi ti faccio riaccompagnare da Tomiko” e l’altro aggrotta le sopracciglia “Uno dei domestici?” il padrone di casa scuote la testa “Mia zia, la pecora arcobaleno della famiglia.” Il rosso vorrebbe chiedere di più “ce la fai da solo?” chiede e il moro annuisce mentre scrive scrive un messaggio a qualcuno. “Sono stanco” aggiunge il moro “penso di andare in camera a dormire” questa affermazione fa rispondere al compagno di squadra “Ok, accetto volentieri il passaggio. Vengono raggiunti fa Tomiko una donna carina dai lunghi capelli arcobaleno “papà mi ha detto che ti sei fatto male” dice al nipote “Un po’ zia, potresti accompagnare il mio amico a casa?” le chiede e lei annuisce “Su rossino kawai andiamo”. “A domani Dohao” saluta il suo salvatore tenendo il ghiaccio poggiato sulla parte lesa. “A domani Kitsune”. La zia del moretto ride di gusto “Vedo che la tua capacità di dare soprannomi fa veramente schifo Kaede” e la donna fa cenno a Sakuragi di seguirla mentre si sente una litania di “Dannata zia, dannate le donne” che accompagna i due fino ad un garage, dentro c’è un’utilitaria di un acceso color giallo. “Allora, devi essere proprio simpatico a Kaede se hai un soprannome” il rossino quasi si strozza con la saliva “Simpatico? Ci sopportiamo, ma per la maggior parte del tempo finiamo a rissa” scrolla le spalle e la donna ride ancora “Vorrei proprio vedervi, avrei voluto vedervi al campionato nazionale, ma ho avuto problemi a raggiungere Hiroshima, sai il lavoro”. Il ragazzo sembra guardingo mentre si siede sul sedile del passeggero e la donna prende posto al volante. “Sei l’unico essere umano a cui il mio nipote preferito ha dato un soprannome, che fa schifo sia inteso, ma ci avrà anche pensato quella testa vuota” il ragazzo si rilassa leggermente, la guida di lei è piacevole “Siamo compagni di squadra, adesso cerchiamo di collaborare la maggior parte del tempo” lei sorride ancora, “Bene, allora sta proprio crescendo, come lo chiami? Kitsune? Appropriato. Ho visto le foto alla galleria Tayumi, sei proprio un figo, e lo sei di più di persona” la tonalità dei capelli viene superata dal rossore al viso e un balbettio confuso esce dalle sue labbra. “Scusa non mi hanno fornito i filtri alla nascita, dico quello che penso, e penso che tu piaccia a Kaechan, che tu gli interessi veramente”. “Allora dohao hai un nome?” chiede “Hanamichi” ancora un balbettio ma un po’ più intellegibile degli altri. Lei ridacchia “se mi dici dove andare” lui si schiarisce la voce e riesce a darle le indicazioni. “Come ha fatto a farsi male?” chiede la donna e il ragazzo torna a rilassarsi “Stava giocando al campetto, e penso che una ragazza si sia messa tra lui e il canestro” lei scuote la testa e poi batte la mano sinistra sulla coscia del rosso che fa un salto come se un banco di piraña. “Dai sta tranquillo non ti mangio Hanachan, stavo pensando, il mio nipotino piace un sacco alle ragazze, sai che divertimento se sapessero che è un unicorno come me”. “Non ho capito” un filo di voce mentre il volto non ne vuol sapere di tornare ad una colorazione normale. “Unicorno, una creatura fatata, non è sicuramente l’emblema dell’eterosessualità quel ragazzo…” non riceve nessuna risposta e parcheggia proprio davanti a casa del rosso “Se il suo fan club sapesse che gli piacciono i ragazzi” lei si mette a guardare il tettuccio dell’auto mentre il ragazzo si libera dalla cintura di sicurezza. “La ringrazio signora” la voce è tremante e la postura del ragazzo ne rivela tutto l’imbarazzo. “Arrivederci” la saluta e lei gli lascia un bigliettino da visita “Vorrei che facessi da modello anche a me” sospira “Buonanotte rosso kawai Hanachan”.







Parole sparse

*Zero è scritto in Katakana, il metodo di scrittura che viene usato per traslitterare le parole straniere, è l’unico numero di cui non viene normalmente usato il Kanji.

Il giapponese è una lingua che prevede modi più o meno formali di parlare, ma non prevede la differenziazione tra maschile e femminile, singolare e plurale.

*Suicidio: punizione che gli allenatori di basket amano particolarmente. Il suicidio è quel sadico giochino in cui parti a correre con uno scatto dalla linea di fondo fino alla prima riga tracciata sul terreno e torni indietro, e così per ogni linea del campo tornando sempre alla linea di fondo campo. Più sport si praticano in palestra più scatti devi fare, si considera anche la linea dei tiri liberi e il suo prolungamento. Per la cronaca ne ho fatti milioni nella mia carriera da giocatore di basket fallito.

*Non sono un medico, ma so cosa non si fa con una distorsione importante della caviglia, non si ingessa… Mi hanno ingessato un luglio di tanti anni fa, quando sono tornato traballante in palestra dopo qualche allenamento ho smesso di giocare dopo un litigio con l’allenatore perché ero ancora più brocco di prima. Ho letto qualche articolo e ce n’erano un paio che parlavano di questo nuovo metodo che non prevede l’immobilizzazione completa ma un lavoro sulla distribuzione dei carichi sulla caviglia infortunata.

Non parlatemi dell’HTML almeno fino a settembre… quando avrò passato l’esame ne riparleremo.

Chibichan/Chibi= piccoletto/piccolo

Kawai= carino, tenero

Ste: Ho messo tanta carne al fuoco

Ru: C’è puzza di carbonizzato, maledetto [prende una mazza chiodata e comincia a rincorrere l’autore]

Ste: Ok Ru, no, la clava no…

Ru: (grugniti a caso)

Sendo: L’autore è momentaneamente incapace di intendere e volere.



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Capitolo 3
*** May Maggio ***


May Maggio
05/05 Kanagawa

Sono circa a metà della mia riabilitazione per la caviglia, sono sempre incazzato, oggi c’è la prima partita della squadra per la qualificazione per i campionati nazionali, mi sono nascosto in un angolo a guardare la partita, siamo allo Shohoku e conosco bene la palestra. Le mie fan sono in lutto da quando mi sono fatto male, e finalmente anche il rosso ha la sua schiera di fan, si sono accorte di lui, anche grazie alle mie foto. Ho parlato con il curatore della mostra, e ha detto che ha già venduto qualche scatto, e mi ha fatto avere i soldi, solo che mi sento in colpa, è grazie a lui che sto ricevendo questi meriti. Oggi mi sono portato la macchina fotografica a pellicola, quella che mi aveva regalato il nonno, e un paio di rullini in bianco e nero, la luce della palestra è pessima, come in qualsiasi palazzetto del mondo, ma spero di tirare fuori qualcosa da queste foto. Non ho voglia di digitale, ho bisogno di sentire qualcosa sotto le mani, sembra che tutto mi stia sfuggendo tra le dita.

Il mio banco e quello di Hanamichi sono sempre vicini, e noi siamo di nuovo in tregua, ma sono impaziente, e non è da me.


Kaede


Kaede Rukawa impugna una macchina fotografica con un obiettivo dal diametro molto ampio, un teleobiettivo, ha trovato un posto dove i suoi compagni di scuola e i suoi avversari non lo vedono, ed ha una buona vista del campo. Ha solo 36 foto, e considerando che la media di scatti buoni è sei, si sente sotto pressione, si morde un labbro mentre la fotocamera gli copre parte del volto. Trattiene il fiato ad ogni scatto. Non riprende solo Sakuragi, ma anche gli altri componenti della squadra, e addirittura Ayako, anche se sono giorni che cerca di evitarla. Sembra aver capito qualcosa, lei lo conosce fin troppo bene, gli ricorda sua zia Tomiko, sono intuitive e molto impiccione, soprattutto se si tratta della sua vita. Sta usando il primo giorno senza stampelle per rimanere inginocchiato in un angolo della palestra a centellinare gli scatti, non ha la libertà di sbagliare che il digitale consente. Ha già programmato il resto della sua giornata, ricreerà una camera oscura nella sua stanza, la fortuna di essere ricchi è che ognuno ha la propria camera, anche i suoi genitori hanno una camera a testa.

La partita è in parità al fischio dell’ultimo tempo regolamentare, lo Shohoku ha passato tutta la partita a rincorrere gli avversari, che hanno sfruttato la mancanza del realizzatore migliore per tenere il punteggio della partita molto basso, infatti sono 60-60 all’inizio del primo supplementare. Cinque minuti, quando giochi sono un lampo, mentre quando sei fuori sono un’enormità. Il fischio finale dell’arbitro decreta la vittoria dello Shohoku per un punto, grazie ad un potente slam dunk di Sakuragi ad un decimo di secondo dalla fine del match. Rukawa ripone la propria attrezzatura nello zaino fotografico, e mentre è distratto da questa operazione viene intercettato dalla manager della squadra. “Cercavo proprio te” lo interpella: “Zero” l’ultima parola è detta come se fosse un’accusa, e il moretto arrossisce, cosa che gli capita raramente e lo porta a toccarsi le guance accaldate. “Quando l’hai capito?” le chiede con un filo di voce andando a sedersi su una delle sedute degli spalti seguito dall’amica. “Che sei innamorato di lui, da quando hai continuato a cercar rissa con lui dopo la prima che avete avuto. Che sei Zero? Dal soprannome? Dal fatto che i tuoi fratelli hanno detto le solite cose simpatiche di sempre alla galleria, e c’era Hanamichi che ha sentito tutto, e ha cercato una giocatrice di basket nella squadra di mia sorella? Me lo ha confermato poi il racconto di Hanachan, che è venuto a parlarmi di Zero”. Lui abbassa lo sguardo “Non posso dirgli nulla” lei sospira e l’ala piccola sospira a propria volta, la ragazza si passa una mano sul volto sconsolata: “Perché?”. Lui fa un gemito e si rialza in piedi e comincia a fare qualche passo in direzione dell’uscita: “Non lo accetterebbe, non mi accetterebbe, e ora siamo in tregua, non voglio rovinare tutto, come faccio sempre.” Allunga il passo, claudicante, e lascia la palestra, e un’attonita manager che fissa l’uscita.


Miyagi si avvicina ad Ayako: “Tutto bene?” le chiede con tono dolce, quello che gli esce ogni volta che sono soli, così diverso da quello che ha quando hanno pubblico. “Non lo so, sono uno più testardo dell’altro.” Il play aggrotta le sopracciglia mentre la osserva: “Ayachan di chi parli?” lei fa un gemito di frustrazione: “Quel cretino di Zero e Sakuragi”. “Tu sai chi è Zero?” la incalza e lei annuisce, lui le prende una mano con naturalezza, una naturalezza così distante dal solito che fa sussultare entrambi, le dita calde di lui si intrecciano a quelli di Ayako, la manager non sembra voler parlare e quindi è di nuovo Ryota a prendere la parola: “Ayachan, non voglio fare la fine di zero, che si nasconde dietro uno pseudonimo e manda lettere anonime, io quando dico che ti amo sono serio, quando dico che mi piaci è la verità, non voglio giocare a nascondino con te, sei la ragazza più bella, più forte e più intelligente che conosca, e l’imbarazzo di essere basso, e brutto mi porta ad esagerare, così non puoi dirmi seriamente che ti faccio schifo”. Si porta la mano libera alla bocca, tappandosela con forza, e arrossendo come un’aragosta. Lei non scioglie la stretta da quella di lui, lo guarda, anche il suo volto è arrossato, e gli occhi sono lucidi: “Ryochan, non pensavo, cioè sembrava come la fissa del rosso per Haruko” riesce a dire, la voce le esce meno sicura del solito, quasi un bisbiglio. “Non pensavo di piacerti sul serio” conclude. Avere una certa velocità decisionale è la caratteristica migliore di un playmaker, è il regista quello che deve valutare almeno le tre mosse successive, e soprattutto gli scenari possibili che si aprono con un determinato passaggio, o continuando a palleggiare, o nel tentare il tiro. Non aveva però previsto questa svolta, questa disponibilità nei propri confronti: “eee… iiii” emette dei suoni disarticolati che la ragazza fa terminare in un bacio, un veloce bacio sulle labbra, a stampo.


05/06 Kanagawa

Stanotte non ho dormito, ho sviluppato tre rullini che mi ero portato alla partita, dopo l’analisi dei provini a contatto, e dopo qualche ora di lavoro su quelli e sulle foto scelte ho trovato otto foto su più di cento, che non mi fanno completamente schifo, ho stampato due copie di una foto, Hanamichi in un’ottima posizione di difesa che sembra guardarmi con la massima concentrazione e con uno sguardo intimidatorio, quasi guardasse verso l’obbiettivo, e non verso il suo avversario, come stava facendo in realtà. Ho preparato una busta, sono abbastanza bravo con gli origami, un altro hobby che mi accomuna con il nonno. Come nonno sono paziente in molti campi, anche se ci sono delle cose che mi fanno scattare come una molla. Voglio scrivere qualcosa per Hanamichi da allegare a questa busta.


Kaede

Il numero 11 dello Shohoku prende della bella carta spessa e il suo pennino preferito, e guarda il foglio con astio, mentre una busta su cui campeggia un origami a forma di fiore loto è posata al fianco del foglio. Scrive, lasciando le parole fluire dal cervello e imprimersi sulla carta grazie al suo tocco deciso. Non rilegge quello che ha scritto quando ha finito, lascia che l’inchiostro si asciughi per poi mettere il foglio nella busta insieme alla foto che ha scelto e ad una parte dei guadagni che ha fatto grazie alla vendita di alcuni scatti.

Giocare in un giorno di scuola, e dover andare in classe il giorno successivo è una delle cose che Hanamichi Sakuragi odia di più nella sua vita, insieme al volpino e al suo fan club. “Sto impazzendo” dice, rivolgendosi a Mito che ridacchia: “Zero?” chiede lui scuote la testa, un gesto di diniego: “Quella pazza della zia del volpino artico.” Sono stranamente da soli, i ragazzi del guntai sono in punizione e sono dovuti entrare a scuola un’ora prima per subire una non meglio identificata punizione da parte del referente della loro classe. “Rukawa ha una zia pazza?” chiede Yohei all’amico che sembra ancora perso nei propri pensieri: “Si, è una donna con i capelli arcobaleno che ha detto che lei e lui sono degli unicorni, visto che nessuno dei due è etero, e che vorrebbe le facessi da modello.” sputa tutto d’un fiato, ad una velocità esorbitante, cosa che fa ridere il più basso. “Hana, con calma. La zia ha i capelli arcobaleno, e ti ha detto che lei e suo nipote sono gay? Ma soprattutto, ho capito bene, ti vuole come modello?” chiede con tono curioso. “Quella pazza mi ha chiamato kawaii tutto il tempo. In pratica la risposta è si a tutte e due le domande. Sono quasi venti giorni che ci penso, a entrambe le cose. Non so se mi infastidisce che un mio compagno di squadra sia gay” abbassa il tono proporzionalmente all’avvicinarsi alla scuola. “Anche se pagherei per vedere la faccia dello shinetai quando scopriranno che non c’è trippa per gatti”. Yohei Mito sta per morire soffocato dalle proprie risate: “Dobbiamo capire quando succederà e far pagare i biglietti” in tono pratico appena riesce a riprendere un po’ di fiato. “Falle da modello, dai sarebbe una cosa figa, nelle foto di Zero sei super figo, a proposito, Ayako ti ha fatto sapere nulla?” Il rossino scuote la testa: “Nulla di nulla” sospira: “Qui lo dico e qui lo nego, mi manca Rukawa agli allenamenti, manca alla squadra.” Vengono interrotti dalla campanella, che li riscuote dai discorsi, indossano le scarpe da interno e si dividono, sono sui lati opposti del corridoio delle seconde.

Hanamichi raggiunge il proprio banco e vi trova una lettera sopra, riconosce lo stile, è sicuramente di Zero, sente il battito aumentare, le mani cominciano a sudargli, quasi si trovasse davanti ad una ragazza in carne ed ossa e dovesse dichiararsi. Ha ricevuto molte dichiarazioni d’amore, che ha sempre rifiutato, e comincia a capire le cinquantuno che l’hanno scaricato, non puoi accettare l’amore da parte di qualcuno di cui non ti importa niente. Apre la busta e si ritrova una foto in A4 in bianco e nero, su una carta fotografica spessa, l’espressione seria, sembra provenire dall’ultima partita. Trova anche un foglio e una ulteriore busta, con dentro diverse banconote, una notevole cifra, è quasi sicuro di non aver mai visto così tanti soldi in vita sua. Si guarda intorno e nessuno lo sta osservando, il suo sguardo si posa sul proprio vicino di banco, che ha la testa appoggiata sulle braccia e sembra dormire della grossa. Da un paio di giorni non porta più le stampelle, Sakuragi sente il proprio umore migliorare grazie all’impressione che il ritorno del moretto in squadra si avvicini.



Caro Hanamichi,

sono venuto alla tua partita, e cavolo, non riuscito a staccarti gli occhi di dosso, e nemmeno l’obiettivo, questa foto è, secondo me l’emblema della tua forza. Qua sei concentrato, e ho sentito il tuo sguardo penetrare dentro le ossa, quasi fossi riuscito a vedermi dentro. Ti ho messo la metà della vendita delle foto alla galleria, te li meriti, sei stato il mio modello involontario.

Sono inguaiato, sono innamorato di te, e tu mi stai cercando, non farlo, ti prego non cercarmi, resteresti deluso da quello che troveresti. Un po’ come non trovare la pentola d’oro alla base dell’arcobaleno. Sono qua a guardare questo foglio e le uniche cose che mi vengono in mente sono tutte belle cose su di te. Non è un periodo tranquillo nella mia vita, ma mi basta guardarti per ritrovare la forza, basta guardare la tua determinazione, la tua dedizione e devozione, al basket, ai tuoi amici, e il mondo sembra un posto migliore. Vorrei poter passare le dita sui tuoi capelli, come fai tu, carezzandoti la nuca. Ok sembro uno stalker in piena regola, ma non devi aver paura di me, non ho intenzione di farti niente, e non ho intenzione di infrangere la tua privacy. Lascia però che possa ritrarti ancora mentre sei al campetto, o sei sul campo. Lasciami illudere che potresti amarmi, lo so che non lo potrai mai farei, ma lascia che mi illuda.

Mi ha fatto piacere che tu abbia chiesto di me in giro, ma ti prego, ti supplico, fermati.

Non cercarmi, non sono la persona che pensi. I miei fratelli hanno ragione sono solo Zero.


Zero


05/10 Kanagawa

Il numero 10 non riesce a trattenersi e sbatte un pugno sul banco facendo sobbalzare Rukawa al proprio fianco. Kaede si gira verso di lui con sguardo truce, e Hanamichi sussulta, sembra che quegli occhi fatti di zaffiri puri possano leggerlo nel profondo. “Scusa, non volevo svegliarti” Rukawa si passa entrambe le mani sul viso e poi riprende a guardare il compagno di squadra “tutto ok Sakuragi?” chiede, la voce arrochita come se non la usasse da tempo, cosa che probabilmente rispecchia la realtà. “Kitsune, col cazzo che va tutto bene, tua zia mi ha chiesto di farle da modello, la ragazza della galleria Tayumi, Zero, non so se lo sai, ma ha fatto una mostra con le mie foto, ecco lei mi ha mandato un’altra foto e una lettera e dei soldi, e vorrei solo parlarle, una che mi vede così bello, vorrei proprio capire che le passa per la testa, ma mi ha respinto, ancora e ancora.” Un profondo respiro seguito da uno sbadiglio del moretto che inclina la testa da un lato mentre ascolta le parole dell’altro. “Ferma i lavori Dohao, non ho capito nulla. Intanto mia zia è una scultrice molto rinomata, se le fai da modello, ti pagherebbe bene e ti renderebbe giustizia, non fa quelle cose strambe dell’arte contemporanea, quelle che rendono le cose strane.” Cerca di rassicurarlo sull’operato della zia. Sakuragi passa la foto al compagno di squadra: “Questa è una foto fatta da Zero”. Rukawa cerca di non cadere nell’errore del far capire al rosso che quella foto la conosce bene, in ogni sfumatura, in ogni piccolo particolare, in ogni scelta dalla carta alla quantità di filtri usati per far risaltare il compagno di squadra. “Sei tu mentre giochiamo, hai sempre quella faccia” non si sbilancia, non se la sente di farsi complimenti, e nemmeno di denigrare il proprio lavoro. “Ha detto di smettere di cercarla, ma ci sono vicino”, Rukawa ringrazia la propria inespressività “Ma se non vuole essere cercata fallo, no? Si vede che non tiene abbastanza a te per dirtelo, è quasi peggio delle cretine che ti hanno scaricato senza conoscerti” si gira, appoggia di nuovo la testa sulle braccia e finge di dormire, cerca di rallentare il proprio respiro. Lascia che Sakuragi lo insulti, che provi a vedere se sia sveglio, e simula il sonno, ormai è bravo anche in quello.

Lo scambio con il volpino lascia Sakuragi ancor più confuso rispetto a qualsiasi altro momento della giornata fino a quel momento. “Stupida Kitsune, proprio oggi dovei parlare più di quanto hai parlato negli ultimi due anni?” chiede in un sussurro, il compagno di banco non si muove ma non riesce a trattenere un paio di lacrime che scivolano sul volto pallido, ma che nessuno riesce a vedere perché la faccia è sprofondata tra le braccia. Rukawa non dorme nemmeno un secondo, e nonostante si ancora dolorante e zoppicante, riesce ad uscire dall’aula per la pausa pranzo prima che il rossino riesca a rivolgergli nuovamente la parola. “Deve avere un interruttore” borbotta raggiungendo i propri amici in terrazza, con la busta e tutto il contenuto.


La giornata scolastica è per tutti gli studenti dello Shohoku uno strazio, e quando finiscono anche le attività dei club, un ragazzo che supera il metro e novanta e dai capelli rossi esce dalla palestra e si dirige a casa a passo di marcia, lasciando indietro gli amici, a cui non rivolge la parola da quando ha lasciato la terrazza, e loro storditi dall’ennesima testa, dopo la fine della pausa pranzo, li ignora.

“Moshi Moshi” risponde la voce all’altro capo del telefono, lui è in salotto, svaccato su una sedia con il cordless all’orecchio “Signorina Tomiko, sono Hanamichi, il compagno di squadra di suo nipote Kaede” si presenta con un filo di voce, non sembra nemmeno il solito spaccone, quello che continua ad urlare di essere il genio, il salvatore del club di basket. “Ah il rosso kawaii, tesoro hai pensato alla mia proposta?” gli chiede e lui dopo aver ingoiato a vuoto un paio di volte risponde “Le farò da modello” dall’altra parte l’entusiasmo è palese anche grazie ad una serie di urletti onomatopeici “Ti va bene se passo a prenderti domenica mattina? Il mio studio è a casa, una di quelle vicine a quella dove sta Kaechan, va bene se passo per le otto?”. Il rossino sospira, non è convinto della propria decisione ma non può tirarsi indietro ormai è fatta. “Perfetto, mia mamma vorrà sicuramente conoscerla, quindi se vuole può fare colazione con noi” lei ride “Hanachan non essere così formale, sarò felice di fare colazione con voi”.


05/13 Kanagawa

Sakuragi non è riuscito a dormire e quindi si è alzato presto cucinando sia per lui che per sua madre e la loro ospite, la zia della kitsune, ha preparato per un esercito, ma almeno è riuscito a calmare i nervi, almeno un po’. Alle otto precise Tomiko suona al campanello e viene accolta dalla madre del ragazzo, Mio, una donna tipicamente giapponese, lunghi capelli neri intrecciati, piccola di statura e molto sottile, ma con un volto espressivo da cui si può dedurre la sua risolutezza d’animo. “Prego entri pure” invita l’ospite “Sono Mio, sono la mamma di Hanamichi” la giovane artista fa un piccolo inchino e poi indossa le ciabatte che le ha indicato la padrona di casa.

Cominciano a fare colazione e le due donne parlano del progetto della zia di Rukawa, parlano di tempistiche e cose del genere, ma ad un certo punto la più adulta pone una domanda diretta alla sua interlocutrice: “Perché proprio mio figlio?” Tomiko sospira prima di rispondere: “Suo figlio assomiglia tanto all’uomo che ha salvato mio padre in guerra, e poi è riuscito a far uscire un pochino mio nipote dal suo guscio, avevo perso le speranze, ma il suo ragazzo ha una forza straordinaria” la madre sorride al figlio che borbotta qualcosa sull’andarsi a preparare, lasciando così le due donne a parlare, mentre lui corre in camera propria a nascondersi, si imbarazza ogni volta che qualcuno parla bene di lui con sua madre. “Kaede è un tipo tosto per fortuna, ma ha due fratelli gemelli, e si è creato una corazza, non fa avvicinare nessuno, ma suo figlio si, magari non sarà un rapporto normale, ma il mio nipotino è un po’ selvatico.” Mio ride: “Anche mio figlio è un po’ selvatico, ma sarà sola in studio con lui?” chiede e la donna dai capelli arcobaleno ride: “Pensavo di stare in giardino, è una così bella giornata, e a casa mia c’è una famiglia immensa tra cui mio padre, un uomo di altri tempi, non permetterebbe mai che si facesse male ad un Sakuragi, visto che un Sakuragi gli ha permesso di tornare a casa.” La mamma di Hanamichi porta una mano alla bocca e poi parla: “Suo padre è Kaede Hiro Rukawa? Mio suocero ne parla sempre, e si rammarica che abbiano perso i contatti. Ma lei non si chiama Rukawa di cognome.”. “Li faremo incontrare di nuovo, anche mio padre sarebbe felice di rivedere il suo salvatore. L’unico che ha preso il cognome di mio padre è mio nipote Kaede, noi ci chiamiamo Mishima” “Quei Mishima?” chiede di rimando a questa affermazione, la più giovane annuisce “si quelli” non specifica, ma la famiglia è ricca e rinomata, e questi due nomi insieme sembrano rendere la donna più tranquilla. “Dai Hana sbrigati” urla al figlio che raggiunge le due in cucina, si è vestito ed è pronto ad uscire.

Alle 8.30 Tomiko e Hanamichi raggiungono il complesso residenziale Mishima.



Note Sparse
Un capitolo del cavolo… vabbé mi arrendo alla mia insensatezza.
Le date sono in stile giapponese prima il mese poi il giorno
Mi sono scervellato per il cognome della nonna, e poi visto che sto leggendo Neve di primavera ho scelto Mishima come l’autore.
Il titolo è uno stupido gioco di parole tra May Maggio e may nell'accezione potere. Possono succedere cose a maggio...
ok mi eclisso

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