Don Matteo 12 - 2.0

di Doux_Ange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non avrai altro Dio all'infuori di me ***
Capitolo 2: *** Non nominare il nome di Dio invano ***
Capitolo 3: *** Ricordati di santificare le feste ***
Capitolo 4: *** Onora il padre e la madre ***
Capitolo 5: *** Non uccidere ***
Capitolo 6: *** Non commettere adulterio ***
Capitolo 7: *** Non rubare ***
Capitolo 8: *** Non dire falsa testimonianza ***
Capitolo 9: *** Non desiderare la donna d'altri ***
Capitolo 10: *** Non desiderare la roba d'altri ***
Capitolo 11: *** Le mille e una fonte ***
Capitolo 12: *** Il principe indeciso ***
Capitolo 13: *** Sembro matto ***
Capitolo 14: *** Un Natale da ricordare ***



Capitolo 1
*** Non avrai altro Dio all'infuori di me ***


DON MATTEO 12 - 2.0
 
NON AVRAI ALTRO DIO ALL’INFUORI DI ME
 
 
Marco’s pov
 
È una bella giornata di metà marzo.
Dire che sono felice è poco. Tra poco più di una decina di giorni, finalmente, sposerò la mia Anna.
Il 22, per essere precisi, e io non vedo l’ora.
La nostra storia d’amore va avanti da più di due anni, ormai, e non avrei potuto immaginare di viverla in modo più perfetto di così.
E io l’adoro, Anna. Adoro i nostri giorni insieme, con lei che non ammetterà mai di trovare divertenti le mie battute, a cui però ride sempre, e la sua fissa per l’ordine sotto ogni aspetto.
È l’amore della mia vita. Proprio lei, che inizialmente consideravo esasperante, che mi stava antipatica - ma tanto, eh! - che, col tempo, ho capito essere intelligente, tosta, determinata, sensibile, emotiva, che ha una fiducia sconfinata negli altri, sempre onesta.
Una che, quando ama, ama fino in fondo, e io ho la fortuna di essere l’uomo che ha scelto di avere al suo fianco per il resto della vita.
Chi l’avrebbe mai detto che saremmo arrivati qui, quella mattina in cui il maresciallo, il nostro cupido pasticcione preferito, ci ha presentati... Poco importa, perché la nostra vita, da quel momento, è cambiata.
Ci siamo innamorati, e il nostro percorso in comune ha preso ufficialmente il via.
Ci eravamo ripromessi di cambiare insieme, ed è quello che stiamo facendo. Aveva ragione lei, quella volta... abbiamo intrapreso un viaggio che non sappiamo dove ci porterà, ma il nostro futuro lo sappiamo, da dove inizia: davanti all’altare, con Don Matteo a unirci in matrimonio.
 
A tal proposito, Anna, meticolosa com’è, vorrebbe tenere sotto controllo ogni dettaglio. È una maniaca della precisione, ormai la conosco bene, ed è anche testarda perché non vuole farsi aiutare. Io non mi sono dato per vinto, ovviamente, cercando in ogni modo di darle una mano e facendomi personalmente carico di parte del lavoro. Se non altro, vorrei placare la sua ansia e stemperare la tensione, anche adesso mentre stiamo cercando di incastrare i tavoli per la sala ricevimenti. Un punto su cui ci stiamo beccando in questo momento: zia Carmela. È una sua zia di settantacinque anni, l’ho conosciuta quando Anna mi ha presentato alla sua famiglia per una sorta di rimpatriata, e la simpatica vecchietta si era rivelata l’anima della festa. Inutile dire che io la adoro. Anna insiste per metterla al tavolo con altri parenti, ma io ho un’idea diversa.
 
“No, io, zia Carmela la metterei al tavolo delle cugine, perché è logorroica, racconta le barzellette, mettia-”
“No! Non mi toccare i segnaposti...” Mi stoppa immediatamente la mia futura moglie, prendendomi il bigliettino di mano. “Una donna di settantacinque anni non può stare al tavolo con un ventenne, perché-”
Intervengo di nuovo, cercando di calmarla. “Ma stai serena! È una festa, non è Risiko... Salve!” Saluto Don Matteo, che si è appena avvicinato a noi con un sorriso sul volto. Ringrazio mentalmente il parroco per il suo arrivo, altrimenti la discussione sarebbe continuata, e non è il momento di litigare.
“Allora, come va con la preparazione del matrimonio?”
Io non ho dubbi. “Benissimo!”
“Malissimo!”, è però la risposta di Anna, che mi lancia uno sguardo obliquo.
Io gliele rivolgo uno affettuoso di rimando, nel tentativo di rassicurarla.
“Ma sua madre e il maresciallo potrebbero darvi una mano!” Propone giustamente il parroco.
“Eh, certo, come no! Mia madre vuole che arrivi davanti alla chiesa con un cavallo bianco...!” Replica piccata Anna, in un tono eloquente che mi fa ridere. Ce l’ha a morte con lei per questa storia dei cavalli. Tra l’altro, è un punto di compromesso: Anna ha accettato di invitare zia Carmela a patto che sua madre limitasse le intrusioni nei preparativi. Non è che Anna odi la zia, eh... le dà fastidio il fatto che, pur avendo una nipote che fa il carabiniere, quella adori raccontare barzellette sull’Arma. Certo, Elisa è una persona splendida, per carità, ma lei e Anna non fanno che battibeccare da quando le ha detto che si sarebbe fermata a Spoleto per aiutarla con i preparativi.
L’unica cosa che trattiene la mia fidanzata dallo strozzare la madre (si fa per dire), è che presto arriverà Chiara, per aiutarla anche a gestire la sua invadenza.
Ma tornando a noi...
“A proposito, tua madre e il maresciallo che fine hanno fatto?”
Perché all’appello manca anche quel pazzo.
“Hai ragione! Vorrei saperlo anch’io...” Non fa in tempo a terminare la frase, che la mia futura suocera - oddio, quant’è strano dirlo - esce dal bar di Spartaco insieme a Cecchini. “Eccoli! Mamma, dov’eri?”
“Ero con il maresciallo...”
“Ci siamo presi una bibita...” Rispondono quasi in coro, dopo un cenno di saluto al parroco.
“Sì, ecco, perché noi volevamo dirti...” Inizia Elisa, ma Anna la blocca immediatamente.
“No, mamma, se si tratta del matrimonio non voglio paggetti, cavalli bianchi e carrozze!” Inveisce, alterata. Mi fa morire quando fa così.
“Anna, lascia stare...” Mormoro con tono dolce, accarezzandole la schiena nel tentativo di calmarla. Anna è per le cose semplici e sobrie, e tutta questa roba che sua madre vorrebbe preparare le dà fastidio. La capisco, in realtà. Tutto quello che vogliamo è un matrimonio intimo.
“No, no no no no! Noi volevamo dirti che-”
“Che non ci sono sorprese, e che faremo come dite voi!” Interviene Cecchini, che mi sembra un po’ agitato.
“Ma noi-” La signora è interrotta nuovamente dal cellulare di Anna che squilla. Una chiamata dalla caserma.
“Maresciallo, dobbiamo andare, c’è stata una rissa al mercato. Forse è meglio che venga anche Lei, Don Matteo...”
“Io?” Chiede lui, sconcertato. In effetti...
“Pare che sia coinvolta Natalina.”
Si avvia insieme al maresciallo e al prete verso il mercato, ma non prima di avermi lasciato un leggero bacio sulle labbra.
Adoro questi piccoli momenti tra noi.
 
Nel pomeriggio, io e Anna dobbiamo presentarci all’ultimo incontro per il corso prematrimoniale.
Sono a dir poco euforico: pensavo che non avrei mai più messo piede in una chiesa per sposarmi, dopo il matrimonio saltato con Federica. Anzi, a dirla tutta, pensavo che non avrei mai più amato nessuno e basta.
Ma poi nella mia vita è arrivata Anna, come un arcobaleno a colorare il cielo dopo un violento temporale, con tutto il suo mondo di insicurezze celate dietro un’apparente austerità. Ci siamo curati a vicenda, dopo la batosta terribile delle precedenti relazioni, fino a diventare essenziali l’uno per l’altra.
Mentre attendo che la mia fidanzata arrivi, parlo un po’ con Don Matteo davanti alla chiesa.
“Io e Anna siamo un po’ preoccupati per il maresciallo...” Gli spiego. “Sono passati due anni ormai da quando sua moglie... Vabbè... e lui ha sofferto tantissimo. Però nelle ultime settimane sembrava tornato lui, sereno, scherzava, rideva... Però negli ultimi giorni, Anna dice che lo rivede di nuovo nervoso, è inquieto... ha paura che possa ritornare di nuovo nel tunnel della depressione.”
Caterina Cecchini se n’è andata dopo una breve e dolorosa malattia, scoperta per caso durante un controllo di routine. Il maresciallo ne è uscito devastato: era già stata una mazzata la perdita del piccolo Cosimo poco tempo prima, e la mancanza improvvisa della sua adorata moglie, dopo quella della figlia maggiore anni prima, lo aveva lasciato distrutto.
Il genero Tommasi e la nipote Lia erano venuti a trovarlo, ma avevano naturalmente la propria vita a Roma, e per forza di cose erano dovuti rientrare presto. Da quel momento, eravamo stati io ed Anna a occuparci di lui, per quanto possibile. Dopo avergli dato il tempo di elaborare il lutto, una volta passato il primo periodo, avevamo cercato anche di non lasciarlo mai veramente solo. Lo tenevamo impegnato, un po’ col lavoro, ma anche organizzando domeniche in famiglia, con Elisa e Chiara, e Assuntina quando riusciva a rientrare da Parigi, dove studia. Ce lo siamo portati in giro per l’Umbria, e a volte lo convincevamo ad andare in gita con la madre di Anna e le sue amiche. Era stata una buona intuizione, perché ne era nata una bella amicizia, tra loro.
Io, onestamente, non ho visto Cecchini così strano, anche perché proprio pochi giorni fa ricorreva l’anniversario di morte di Caterina, e la sua inquietudine probabilmente è dovuta a questo. C’è anche da dire che Anna è sempre stata più brava di me a leggere le persone, e con il maresciallo, in questi due anni, ha stretto un legame che è davvero quello tra un padre e una figlia. Anche per questo, Cecchini le aveva promesso che sarebbe stato lui ad accompagnarla all’altare.
“È bello...” Commenta Don Matteo, sottovoce.
“Cosa, che ritorni nel tunnel della depressione? Sto scherzando, ovviamente...”
Don Matteo fa una piccola risata. “È bello che vi preoccupiate del maresciallo, lei ed Anna.”  
La sua osservazione mi fa sorridere. La verità è che non potremmo non preoccuparci. Quel pazzo, con il suo messaggio alla radio, aveva fatto sì che la nostra storia d’amore avesse davvero inizio, dopo i suoi mille tentativi di farci ammettere i nostri sentimenti reciproci. E sappiamo che per noi c’è, e ci sarà sempre. Anche troppo, per certi versi, ma stargli vicino è il minimo che possiamo fare.
In questo momento, però, la mia mente ha un altro pensiero.
“Io non capisco perché Anna non arrivi...”
Sarebbe dovuta arrivare più di quindici minuti fa, e lei non è mai in ritardo.
Chissà che fine ha fatto.
 
Anna’s pov
 
Sono uscita poco fa dalla caserma diretta in chiesa, per il corso prematrimoniale con Marco.
Ero già in ritardo di mio per un contrattempo in ufficio, ci mancava solo questa chiamata.
“Maggiore La Gumina, come sta?”
“Bene! Allora, ha valutato la mia offerta di lavoro? Che mi dice?”
Sono davanti al Tric Trac, a una delle telefonate più difficili della mia vita.
Mi è stato offerto un posto come caposcorta presso un’ambasciata, poco dopo l’Epifania.
Bella notizia, direte voi, visto che si tratta di un’occasione più unica che rara.
Certo, se non fosse che l’incarico è all’ambasciata di Islamabad, in Pakistan.
“Eh... è una scelta molto importante.”
“Caposcorta all’ambasciata di Islamabad non è una cosa che capita tutti i giorni, è un incarico che potrebbe aprirle grandi possibilità di carriera, signorina.” Mi spiega il Maggiore.
È vero, soprattutto per una donna in un ambiente maschilista come quello dell’Arma, ma solo se accetto. E lui non capisce.
“... Senta, Islamabad è a seimila chilometri da qui, e io mi starei per sposare...” Gli dico, un sorriso che si fa strada da solo sulle mie labbra.
“Il suo futuro marito che dice?”
“... Che non lo sa. Non lo sa, ancora...”
Ed è questa la parte più difficile. Marco non è a conoscenza del fatto. Non ho avuto il coraggio di parlarne con lui. Perché ho il timore che possa tentare di dissuadermi, soprattutto a così pochi giorni dal nostro matrimonio.
“Non potrebbe trasferirsi con Lei?”
“Senta, sarebbe un po’ complicato...”
E io la sto complicando ancora di più, soprattutto perché in questi anni insieme, non ho mai mentito né nascosto alcunché a Marco, e ora invece lo sto facendo su un argomento così importante e delicato come questo.
“Capisco... ma mi serve una risposta. La richiamo stasera.”
Chiude prima che io riesca ad aggiungere altro dandomi un ultimatum, e francamente non avrei saputo cosa dire.
Ci mancava solo questa, come se non fossi già in ansia di mio.
Ho lavorato al matrimonio mio e di Marco per mesi, studiato ogni singolo dettaglio, compresi quelli del corpetto del mio abito da sposa, che finalmente tra pochi giorni indosserò per coronare una storia d’amore iniziata tra i battibecchi più assurdi e con un cupido d’eccezione - Cecchini - e ora rischia di saltare tutto.
Perché se la mia testa una decisione l’avrebbe già presa, il mio cuore non è affatto convinto.
Perché un uomo come Marco non lo si trova tutti i giorni, e io non sono certa di volerlo perdere, perché questo succederebbe se io accettassi il lavoro.
Sto cercando di riordinare i pensieri per recarmi finalmente al corso, in ritardissimo, quando noto mia madre, seduta a uno dei tavolini del bar, intenta a parlare al cellulare. Quello che sento mi lascia sconvolta. Mia... mia madre si vede con un uomo! E... si fa chiamare... biscottino?!
“Ma chi è sto pervertito?” Mormoro tra me, sconcertata. Sono a un passo dall’intervenire, quando i miei propositi vengono interrotti da una voce che adoro.
“Buongiorno all’amore mio!”
Il mio fidanzato sta scendendo le scale dietro di me, per venirmi incontro. Io non riesco a mettere insieme due sillabe, dopo la telefonata di mia madre.
“Marco, Mar-”
“Vieni qua...” Mi interrompe però lui, stringendomi tra le sue braccia per avvicinarmi a sé e baciarmi.
In qualsiasi altro momento mi sarei goduta il suo bacio, ma ho bisogno di dirgli di mia madre. Marco ha evidentemente idee diverse però, perché mi prende per mano con un’espressione divertita in volto.
“Volevo dirti una cosa... ho incontrato il tuo fidanzato, Marco Nardi, non so se lo conosci, che ti stava aspettando, mi ha detto di dirti, al corso fidanzati... da un po’!” Mi informa, con un sorrisetto. Una delle sue battute stupidissime che non dovrebbero far ridere, ma io non mi riesco a trattenere lo stesso.
“Stavo arrivando... stavo arrivando, stavo arrivando, stavo arrivando...” Tento di dirgli, quasi in panico, ma Marco mi rivolge un altro sorriso che mi scioglie, abbracciandomi. Mi sento meglio, così vicina a lui.
“Basta con quest’ansia per preparare il matrimonio, va bene?”
“Okay...”
“Anna... Ci sono io, non mi costa niente, mi diverto,” mi dice, ed è la verità: si è preso carico di tutto, per non mettermi ulteriore pressione. Mi rassicura ancora come solo lui sa fare, col suo tono premuroso che solo al sentirlo il mio cuore fa una doppia capriola. “Tu devi imparare solo una frase: ‘Sì, lo voglio!’. Se lo vuoi, ovviamente, se no...” Io ridacchio alla sua battuta, anche se non devo averlo convinto, perché mi chiede cos’abbia. Svio sul bimbo rapito, che è una mezza verità, prima di seguirlo al corso prematrimoniale.
La mia attenzione è solo parziale.
Penso alla scena di poco fa, sulle scalinate, e mi viene da sorridere.
Quanto mi davano fastidio, le battutine di Marco, all’inizio... adesso non potrei farne a meno. Non riesco a immaginare un giorno senza sentirle.
Sbatto le palpebre davanti a questa considerazione, e le mie apparenti certezze in merito all’incarico vacillano.
Marco è la cosa più bella che mi sia capitata finora, e non potrei desiderare nessun altro di più perfetto al mio fianco. Siamo diversi, vero, ma complementari. Non riesco a immaginarmi davvero lontana da lui. Eppure prima pensavo di essere convinta...
Perché è così difficile?
Marco, evidentemente, si accorge della mia distrazione e mi prende con delicatezza una mano, intrecciando le nostre dita.
Io non so che fare.
 
In serata, dopo il mio rientro in caserma, Zappavigna mi informa dell’arrivo del mio abito da sposa, che mi consegna e che porto nel mio ufficio. L’ho fatto recapitare qui perché non volevo correre il rischio che Marco sbirciasse.
Lo sposo non deve assolutamente vedere l’abito della sposa prima del matrimonio, a certe tradizioni ci tengo anch’io. Lo appoggio sul divanetto nell’angolo, con il cuore come un macigno.
Il matrimonio, la notizia da dare a Marco, e ora si aggiunge pure l’ipotesi orribile che il ‘biscottino’ di mia madre sia Ghisoni, visto la frase che gli ho sentito pronunciare per telefono giusto qualche istante fa... perché tutto in una volta?
Dovrebbe essere il momento più bello della mia vita. Sto per sposare il mio amore, l’abito bianco è finalmente arrivato, e la vita con l’uomo che amo è lì davanti che mi aspetta.
Eppure, in un angolo della mia mente, sento risuonare le parole di mia madre di qualche anno fa. Sul fatto che, per una che fa il carabiniere, sarebbe stato impossibile conciliare amore e lavoro.
E se penso che ha ragione, di nuovo, sento montare una rabbia che fatico a tenere a bada.
In questo momento, però, scelgo di dedicarmi a Ghisoni, e l’unico con cui posso parlarne nell’immediato è Cecchini. Mi deve aiutare lui.
 
Marco’s pov
 
Ho quasi finito di riporre le ultime cose negli scatoloni per portarle a casa di Anna.
Cioè, a casa nostra.
Ho venduto la villetta.
Sì, lo so, penserete che siamo pazzi - in procinto di sposarci, con a disposizione una casa più spaziosa che aveva perfino una camera per i bambini - ma una spiegazione c’è.
E ha pure un nome e un cognome: Nino Cecchini.
Non vogliamo lasciarlo solo, non ancora, quindi abbiamo deciso che, per il momento, ci faremo bastare l’appartamento di fronte al suo come nostro nido d’amore.
Sto giusto chiudendo una scatola quando Anna mi chiama.
Dovevamo vederci per portare tutto a casa, ma Don Matteo a quanto pare ha trovato il bambino rapito e quindi mi tocca andare in caserma.
Per fortuna il piccolo sta bene e la questione si è risolta senza incidenti, nonostante il finto rapimento messo in piedi che stiamo cercando di analizzare. Quando usciamo dalla caserma pronti per tornare a casa, però, Anna è sul piede di guerra.
“Dica a Ghisoni di stilare il rapporto, lo voglio entro domani mattina!” Dice inviperita a Cecchini. “E se necessario, ci lavori tutta la notte, è chiaro? Vada!”
“Comandi!” Fa quello, tornando su.
Io la osservo sconcertato. “Ma che t’ha fatto Ghisoni?” Provo a chiederle, ma lei solleva una mano per intimarmi di non fare domande, iniziando a camminare verso la sua macchina. Io non desisto, seguendola. “Cosa t’ha fatto? Oh!”
Prima di tornare al suo appartamento, dove ormai viviamo insieme già da qualche tempo, passiamo dalla mia vecchia casa per prendere le ultime cose che restano, e poi dal supermercato per un po’ di spesa. Io non demordo, continuando a domandarle perché ce l’avesse tanto col suo sottoposto. Non è da lei, fare così. Un po’ mi preoccupa.
 
Quando finalmente arriviamo a casa, lei si arrende. “Ghisoni ci ha provato con mia madre, va bene? Basta, fine della storia!” Esclama in tono irritato, entrando e portandosi dietro il nostro cane. “Vieni qua, Patatino, stai qua...”
“Che?!” Rispondo, trattenendo a stento una risata, quasi senza parole. La seguo dentro, tentando di stemperare il suo nervosismo col miglior metodo di cui dispongo: la comicità. “Mi son visto l’immagine di Ghisoni che bacia tua mamma... bellissima! Ma sai che bello un matrimonio a quattro, io, te, tua mamma e Ghisoni...!”
Lei posa le buste sul tavolo, dandomi un colpo sul braccio per bloccarmi, mentre io me la rido prendendola in giro. “Marco, Marco smettila!!” Fa, con espressione schifata, seppur divertita. Tira fuori alcune cose dalle buste, prima di rivolgersi a me. “Quello?”
“Che?” Chiedo, senza capire. Lei indica un oggetto ai miei piedi.
“Quello è il pouf... lo buttiamo, perché qui...” Mi intima in tono eloquente.
Mi viene da ridere, perché dice sempre che lo detesta per via di quella sera, ma in realtà, in seguito a noi è tornato parecchio utile in certe... situazioni.
“Tu non hai capito... io mi sono innamorato di te per questo, piuttosto leviamo la lavatrice, dai...” Rispondo io, davanti alla sua espressione da non-ci-provare-nemmeno. Decido di punzecchiarla ancora un po’. “Poi, secondo me, quando vengono tua mamma e Ghisoni, possono baciarsi sopra perché è ergonomico, e-...”
Lei torna a ‘picchiarmi’. “Marco, bastaaaaa!” Esclama, non riuscendo però a trattenere una risata. Quanto la amo, quando fa così. E quant’è bella quando ride... Adoro quando battibecchiamo così per poi far pace. Soprattutto far pace. Non vedo l’ora che diventi davvero quotidianità, tutto questo.
“Quando ti arrabbi così è bello, eh!” Le dico io, con un sorriso felice che lei ricambia.
Quanto la amo.
“Vado a prendere gli ultimi scatoloni... io vado a prenderli.” Sottolinea, in tono che non ammette repliche, da donna forte e indipendente qual è. In questo non è cambiata, deve sempre dimostrarmi che ce la può fare da sola. Ma in fondo la amo anche per questo.
Però io avevo altre idee, non volevo interrompere il nostro momento...
“Adesso vai giù?” Le chiedo, quasi in tono di supplica, cercando di trattenerla per il polso.
Lei abbassa lo sguardo, un lieve rossore sulle guance accompagnato da un sorriso timido che mi fa capire che l’intenzione è comune. “Torno subito... torno subito!” Mi rassicura, in un tono sommesso che mi fa fremere.
Ma siccome io sono sempre il solito, rincaro la dose.
“Comunque tua mamma e Ghisoni secondo me sono bene assortiti...”
“Marco!!!” Strilla lei dalla porta. Immagino la sua espressione esasperata, e rido tra me.
“Scusami, io do un’opinione!”
 
Mentre lei è ancora intenta a fare avanti e indietro, il suo cellulare squilla. Noto che la chiamata arriva dal Comando Generale, quindi sarà importante, e quando provo a chiamarla senza successo, decido di rispondere.
“Pronto? No, non sono Anna... può dire a me perché sono suo marito... cioè, futuro marito...” spiego, compiaciuto, al Maggiore all’altro capo del telefono. Quello che però lui mi dice mi raggela. “Come, scusi?”
 
Cercando di mantenere la calma il più possibile, attendo che Anna rientri.
 
Lei si accorge subito che qualcosa non va.
“Cos’è ‘sta storia del lavoro in Pakistan?”
La sua esitazione non mi piace.
Tento di spiegarmi meglio. “Scusami... ho risposto al telefono... io non lo faccio, ma ho visto che era il Comando Generale, ho pensato fosse importante...”
“No, no, sì... Eh... te ne volevo parlare...” Questa conversazione sta iniziando male. Anna non è una che si fa problemi, a dire le cose. La sua incertezza mi mette in subbuglio.
“Praticamente il Comando Generale mi ha offerto un incarico all’ambasciata di Islamabad e... è un lavoro molto importante... Ecco, l’unica cosa è che...”
“Che c’è?”
“Dovremmo rimandare il matrimonio...” La sento appena, per quanto parla piano.
“Rimandare... in che senso, scusami?”
“Ipoteticamente, rimandare...”
“Ipoteticamente cosa significa?”
“Significa che dura tre anni!” Esclama infine.
Una coltellata avrebbe fatto meno male.
Se lei non è cambiata nel suo dover sempre mostrarsi forte, io non ho imparato a gestire meglio la rabbia. Esplodo in una volta.
“Ma tu quant’è che sai ‘sta cosa, scusami?!”
“Due-...”
“Due, cosa? Due giorni? Settimane? Facciamo un indovinello? Quanto?!”
“Mesi! Lo so da due mesi!”
“Due mesi! Ma cosa aspettavi a dirmelo, scusami? Mi mandavi una cartolina, ormai, quand’eri direttamente a Islamabad?! Tanto mica devi parlare con me, sono solo il tuo futuro marito, che te ne frega... sono solo dei dettagli questi, no?” Il fatto che lei non riesca a rispondermi mi manda completamente in bestia. Mi sento tradito. Pugnalato alle spalle.
Non ci riesco, a restare qua un attimo di più. “Se per te è più importante questo lavoro, come mi sembra, allora rimandiamolo, il matrimonio, non c’è problema...”
“Ti prego, ne possiamo un attimo parlare?”
“Ah, adesso ne vuoi parlare, t’è venuta voglia! Allora non lo rimandiamo di quattro anni, ce l’ho io la data: a mai più.” Esco fuori di casa come una furia, sbattendo la porta, mentre sento lei che mi chiama, ma non è la sua voce a fermarmi.
 
“Dove va??”
Sua madre.
“Eh, me ne vado, esco...” Mi limito a dire, con scarsi risultati.
“Resti, resti... volevamo comunicarle qualcosa... ecco, io e il maresciallo...”
Qualsiasi cosa sia, la mia è più importante.
“Vi comunico io una cosa, signora: il matrimonio è rimandato a data da destinarsi perché la signorina se ne va in Pakistan!” Urlo, la voce che trema, prima di fiondarmi giù per le scale.
Rientro tardi su richiesta di Cecchini, che mi ospita da lui.
 
Anna’s pov
 
Marco non è rientrato a casa, dopo la sfuriata di ieri, appoggiandosi da Cecchini.
Non me la sento di biasimarlo. Non mi ha dato il tempo di spiegarmi, ma lo capisco. Ho avuto due mesi per dirglielo, e l’ha dovuto scoprire così.
Dopotutto, è una decisione che non cambia solo la mia, di vita, ma quella di entrambi.
Mi rendo conto che non è stata una grande idea, tenerglielo nascosto. È il mio futuro marito, ne avremmo dovuto parlare.
Spero che abbia sbollito la rabbia abbastanza da poter affrontare il discorso, oggi.
 
Evidentemente però non è così perché in caserma, quando interroghiamo il cardiochirurgo che afferma di essere innocente perché ama sua moglie, Marco risponde in tono tagliente. “Ah, sì, la ama così tanto che non vi siete nemmeno confrontati su una questione così importante come l’operazione di suo figlio. Bello... strano modo di amare.” Dice, rivolgendomi uno sguardo di ghiaccio. E fa male, malissimo, perché non è la prima volta che gli sento pronunciare una frase del genere. È già capitato una volta, con quella ragazzina che non aveva avuto il coraggio di confessare al suo compagno i suoi sentimenti, e lui aveva appena iniziato a uscire con Chiara.
Io però sono una testona. Va bene, Marco ha avuto ragione ad arrabbiarsi, però potrebbe anche cercare di capire il mio punto di vista, e non mi ha lasciato il tempo di spiegargli nulla. Quella di Islamabad è un’occasione più unica che rara. Essere scelta tra tremila persone non è cosa da poco. Se solo mi facesse parlare, sono sicura che potremmo trovare una soluzione, insieme, come abbiamo sempre fatto.
Finito l’interrogatorio, Cecchini cerca di correre in mio soccorso.
“Ehhh, scusate, devo sistemare delle cose, vi lascio soli...”
Marco però ha altre idee. “Maresciallo, vengo con Lei, aspetti un attimo... Tenetemi aggiornato, va bene?” Dice, senza nemmeno guardarmi, andando via.
 
Cecchini, più tardi, cerca di farmi ragionare, seduto davanti alla scrivania nel suo ufficio.
“Signor Capitano, lei ormai mi conosce, sa che non sono il tipo che mi metto a farmi gli affari degli altri, però ho visto il PM veramente arrabbiato... Ma dove se ne va? Ma perché, non le piace stare qua?” Mi chiede, in tono sconsolato.
“Ma certo che mi piace! Non è questo,” provo a spiegargli. “Il problema è un altro... lo sa tra quante persone mi hanno scelta? Tremila! Hanno scelto me! È un’occasione che capita una volta sola nella vita.”
“Eh, ma lei lo sa quante persone vorrebbero essere al suo posto, qua a fare il capitano nella caserma di Spoleto? Tre miliardi di persone, come minimo! E dove se ne va, nel Pakistan? Che ogni sera al telegiornale... ci sono le guerre mondiali...”
Lo interrompo. “Comunque è una questione tra me e Marco, la risolveremo, è solo un litigio prematrimoniale...”
Cerco di auto-convincermi di questa cosa. Il maresciallo la vede sicuramente come Marco, e come mia madre. Figuriamoci, mia madre ha passato tutta la sera a cercare di farmi cambiare idea. Secondo lei, dovrei pensare a sposarmi, avere figli, e della carriera chi se ne frega.
Ho fatto una vita di sacrifici per arrivare a questo. E ora dovrei rinunciare? Mai!
Però... se avessero ragione?
Forse, se Marco mi lasciasse almeno spiegare, capirebbe.
Anche perché, non voglio rinunciare nemmeno a lui. Soprattutto a lui.
Devo solo aspettare che si calmi.
 
Marco’s pov
 
Rientrando dal maresciallo, vengo a sapere della storia tra lui e la madre di Anna.
Fantastico. A quanto pare tenere i segreti è un vizio di famiglia. Anche se sono felice per entrambi, si meritano un po’ di serenità. Però dimostrare la mia approvazione in questo momento non mi riesco troppo bene, e mentre cercano ancora di spiegarmi il retroscena di questo loro ‘segreto’, a interrompere il tutto arriva Anna, che bussa nonostante la porta sia ancora aperta. Cecchini ed Elisa vanno via con una (pessima) scusa, lasciandoci soli.
“Possiamo parlarne?” Mi chiede infine lei, avvicinandosi con fare incerto.
“Sì, sì sì sì... sarebbe stato meglio parlarne prima, forse, quando t’è arrivato il lavoro, però...”
Non sono più arrabbiato, per lo meno non adesso.
E ci ho pensato anche io, alla questione.
“Mi dispiace... ho sbagliato, mi dispiace.” Mi dice Anna, con voce piccola, ma io non riesco ad alzare lo sguardo su di lei, nemmeno quando mi prende per mano. “Ti prego...” Prova a baciarmi, ma per la prima volta nella mia vita glielo impedisco, per quanto sia doloroso.
“Il problema vero è che tu non volevi discutere con me di quel lavoro, perché appena te l’hanno offerto, il tuo corpo e il tuo cuore avevano già deciso... Il tuo problema vero era solo ‘E adesso come glielo dico, a Marco?’”
Lei abbassa lo sguardo che nel frattempo si è fatto lucido. Lo so, che per lei è una grandissima opportunità, e potremmo anche trovare un compromesso, ma... la verità è che mi sento tradito, perché lei non ha ritenuto importante condividere una questione così seria con me. Amo Anna e il suo modo di essere, ma per una volta avrei voluto che lei non avesse deciso di affrontare tutto da sola. E non avrei voluto nemmeno che il nostro viaggio ci portasse qui, a discutere del nostro futuro a casa Cecchini. Ma ho bisogno di sentirglielo dire, anche se lo so già. “Se mi sbaglio, ti prego, dimmelo adesso...” La imploro. Non ce la faccio nemmeno a tenere la voce ferma. “Se non è così, io ti chiedo scusa e torna tutto come prima... Dimmi, è così?” Lei abbassa di nuovo lo sguardo. “È così?”
“Sì, è così.” Ammette infine, con un filo di voce che mi devasta.
“È così...” Trattengo a stento le lacrime. “Noi, quando ci siamo fidanzati, ci siamo detti che saremmo cambiati insieme, ed è stata la cosa più bella che mi potesse capitare, una figata...” Dico, senza riuscire a celare come mi senta. “Però, evidentemente, anche se fa un male... ci sono delle cose in cui tu vuoi cambiare da sola...”
“No, non-”
“E sono un ostacolo, io, in questo...”
“No, non sei un ostacolo, non è vero...” Cerca di ribattere lei, con il mio stesso tono, ma io so bene che non è così. Anche se ammetterlo mi sta distruggendo. Ma l’unica cosa che voglio, da quando la conosco, è renderla felice. Anche adesso.
“C’è un modo più carino senz’altro di dirlo... Anna, non ci siam mai detti delle balle, non iniziamo ora, va bene? E quindi è giusto che l’ostacolo se ne vada... e... per me va bene così.”
La lascio così, senza riuscire a dire altro.
Non sono mai stato tanto disperato, e combatto contro la voglia di tornare indietro, mandare all’aria tutto e stringerla e implorarla di non andare via. Di non lasciarmi.
Ma non posso. Non posso. È un’occasione unica per lei, e io non voglio impedirle di vivere la sua vita, dopo i sacrifici che ha fatto. E se è quel lavoro che vuole, io sono disposto a farmi da parte.
A lasciarla andare, piuttosto che averla accanto infelice.
 
“Che succede?” Mi blocca nuovamente sui miei passi sua madre, in compagnia di Cecchini. So che stavano cercando di spiare.
E mi trovo a dover dire quello che mai avrei voluto.
“Potete disdire il ristorante, la chiesa, anche il cavallo bianco, signora... Il matrimonio non è rimandato, non si fa proprio più.”
Vado via, perché restare è insopportabile, anche se so di aver fatto la cosa giusta. O almeno, cerco di convincermi che sia così.
 
La via più facile per smettere di pensare è sempre l’alcol. Così mi ritrovo seduto a un bar, a buttare giù un drink dopo l’altro, fino a quando la mia mente è troppo annebbiata per capire, e non so nemmeno più quello che dico, così mi metto a raccontare al barman le mie pene.
“Bello perché la prima fidanzata mi ha tradito, ma col mio migliore amico, un po’ scontato, capito? La seconda è stata più originale perché mi ha fatto cornuto, ma col suo lavoro, capito? Grande Anna! Mi è piaciuto proprio! Io devo controllare su Internet, ma credo di avere il record mondiale degli abbandoni sull’altare!” biascico, un garbuglio di sentimenti che mi scuotono.
“Giornataccia?” Mi giro come posso, e vedo una donna appoggiata al bancone accanto a me.
Che razza di domanda... “Tipo la più brutta della mia vita... però... noi festeggiamo, eh... Puoi dare un drink anche alla mia amica? ... no, scusami, stop, forse non bevi...” Farfuglio.
“No, bevo!”
“Ah! Allora okay, va bene!”
Non so nemmeno quello che succede dopo, non lo capisco. Mi rendo a mala pena conto, fino a un certo punto, che lei mi lascia sfogare. Poi diventa tutto molto sfocato. Non so nemmeno come ci sono arrivato, all’interno di questa villa. L’unica cosa vagamente chiara è il viso di quella donna che si fa tanto, troppo vicino, e poi il buio.
 
Quando mi sveglio, la mattina, sono convinto di aver fatto un sogno orribile. Di Anna che diceva di aver ricevuto un incarico a migliaia di chilometri da qui, e ci lasciavamo.
Ma sono certo che non è vero. Che non appena aprirò gli occhi, la mia Anna sarà addormentata al mio fianco, perché nulla sarà stato se non un incubo, e la potrò svegliare come faccio sempre tutte le mattine, con qualche lieve bacio, accarezzarla, e magari, poi...
Mi alzo di scatto.
Non sono a casa con Anna. Non è il nostro letto, questo, né il nostro appartamento, e quella che dorme accanto a me non è lei...
Mi rendo conto di aver fatto la cazzata più grande della mia vita.
Non aspetto nemmeno che la donna si svegli. Mi rivesto e corro via, nel panico più totale.
 
Anna’s pov
 
Stanotte Marco non è rientrato nemmeno da Cecchini, stando a quello che ha detto lui. Chissà dove ha passato la notte... Io non ho chiuso occhio.
Accanto a me, appeso all’attaccapanni dell’ufficio, il mio abito da sposa nella sua custodia.
Mi viene da piangere come non ho mai fatto in vita mia. Anzi sì, ieri sera. E stanotte.
Sento la testa esplodere, il cuore dilaniato nel realizzare che davvero quell’abito bianco non lo indosserò mai.
Marco è più testardo di me, per certe cose, e so che non tornerà sui suoi passi. Si sente un ostacolo e niente che io possa dirgli potrebbe fargli cambiare idea. Ma non lo è, non lo è! Come potrebbe? Io lo amo, non potrebbe mai essere un ostacolo, per me...
E se avessi mai avuto dubbi su quanto Marco sostenga la mia carriera e creda in me, credo che questa sia stata la prova definitiva: mi ha lasciata libera di scegliere la divisa all’amore.
Proprio per questo vorrei solo addormentarmi e risvegliarmi indietro di due mesi, dirgli tutto subito...
Avremmo potuto affrontare la questione diversamente, e soprattutto insieme. Sono stata egoista, siamo cambiati e cresciuti uno al fianco dell’altra in questi anni. Abbiamo progettato il nostro futuro insieme senza dargli una precisa collocazione geografica, perché la cosa importante era stare insieme, al resto avremmo ovviato. Restando sempre uniti.
Sì, io quel lavoro lo volevo, e lo vorrei ancora accettare, ma non voglio rinunciare a Marco.
Più ci penso, più ho dubbi.
Ho sempre pensato di essere convinta, ma allora perché fa così tanto male anche la sola idea di non vederlo per poco tempo? Già in queste due notti senza di lui, la casa sembrava così vuota, il letto così freddo...
Mi sono a malapena accorta delle lacrime che hanno ripreso a scendere, quanto i miei pensieri vengono bruscamente interrotti da Cecchini, che spalanca la porta del mio ufficio con un’espressione terrorizzata in volto.
“Signor Capitano, hanno sparato a Don Matteo!”
 
Ci precipitiamo in ospedale, dove per fortuna scopriamo che il crocifisso che il sacerdote portava sotto i paramenti ha fermato il proiettile, salvandogli la vita.
Al rientro in caserma, notiamo Marco seduto a uno dei tavolini del bar. Si tiene la testa fra le mani. Io sento una fitta al cuore.
“Senta... ma perché non gli va a parlare?” Mi propone Cecchini, esitante.
“Abbiamo una donna in coma e un prete ferito da un’arma da fuoco. Pensiamo al lavoro, va bene?” Gli chiedo però, quasi in tono di supplica, le lacrime che tornano a minacciare di scendere. Non voglio pensarci in questo momento.
Non voglio pensarci.
 
Marco’s pov
 
Noto Anna e il maresciallo giungere all’ingresso della caserma, e scendere dall’auto.
Stanno chiaramente parlando di me, visto che si voltano dalla mia parte.
E ora che faccio?
Ieri sera mi sono ubriacato, ho fatto una cazzata terribile, e anche se Anna mi ha ferito nascondendomi dell’incarico, e consapevole del fatto che a questo punto partirà a breve, io la amo, e non voglio lasciarla andare via senza che sappia.
Perché la conosco: prima di andarsene, vorrà di sicuro tentare di risolvere le cose e io, nonostante ciò che ho detto, non sarò in grado di resistere lontano da lei. Se è così decisa a partire, io, sbollita la rabbia, prenderei in ogni caso il primo aereo per Islamabad per starle accanto.
Ma ora? Come reagirà lei? Non bene, ovvio, perché non ci siamo mai raccontati balle, e io con i segreti non vado d’accordo.
Devo dirglielo. Magari non in questo momento, perché la mia testa sta scoppiando, ho bevuto troppo, ma glielo dirò.
Devo.
Mentre lei si avvia verso le scale, Cecchini mi viene incontro.
E ora che faccio? Se gli racconto tutto, lui come reagisce? Mi aiuta? O mi ammazza, cosa più probabile, considerando che per lui Anna è una figlia? Lui nel frattempo mi raggiunge.
“Come sta? Ma dove ha passato tutta la notte? Dalla faccia si vede che ha passato una brutta nottataccia, da solo, sveglio, a soffrire, a pensare al matrimonio, a Anna... “ Snocciola, senza lasciarmi dire nulla. Sempre molto delicato, Cecchini.
“Più o meno, maresciallo, sì...”
“Ma Lei lo sa quante volte io e mia moglie Caterina abbiamo litigato, e sembrava tutto finito, e invece... invece poi le cose si-... Guardi, parlo io con la Capitana, la convinco a non partire. E poi, in fondo, non è successo niente di irreparabile!”
Alla sua proposta, vado ancora più nel panico. Cosa faccio, glielo dico? Forse è meglio di sì, tanto che differenza fa? Il danno l’ho fatto, Anna l’ho lasciata io...
Ti aiuta, oppure ti uccide. Scegli con serenità, Marco.
Mentre sto ancora cercando di decidere cosa fare, le mie paure si materializzano, perché la donna di ieri notte sta procedendo a grandi falcate verso la caserma. E io devo impedirglielo a tutti i costi, non mi importa cosa sta pensando il maresciallo, ormai.
Mi precipito da lei. “Senti...!”
“Ciao!” Mi saluta quella, in tono allegro. Non c’è niente di cui essere felici!
“Ciao ciao ciao ciao... Senti, io non so che cosa pensi, ma tra di noi non può esserci niente, non c’è niente, mai, mai e poi mai.” Cerco di mettere in chiaro. Non importa se io e Anna ci siamo lasciati, io la amo, la amo e l’ho tradita... “Tu non puoi stare in questo posto perché io qui ci lavoro!”
“Anch’io ci lavoro!”
Per poco non mi prende un infarto. “Cosa dici?!”
“Sara Santonastasi, Procuratrice Capo.” Cosa?! “Sono qui per incontrare il Capitano Anna Olivieri.”
No! Anna no!
Okay dire la verità, ma non è il caso di raccontare proprio tutti i dettagli.
Questa donna è il mio capo - non ci posso pensare! -, e se Anna lo scopre nel modo sbagliato, questa storia potrebbe finire male male male.
Io sono nel panico più totale, e lei sembra accorgersene.
“Marco, giusto? Calmati un attimo, non c’è bisogno di agitarsi...” tenta di dirmi, ma io la blocco immediatamente, inventandomi una scusa per non farla salire in ufficio, rinviando l’incontro a dopo che avrò raccontato tutto ad Anna.
“Torno... torno un’altra volta...” accetta lei. “Dammi del tu!” Fa, tentando di afferrarmi il braccio, che io scanso come se mi potesse scottare. “Ci vediamo in tribunale!”
 
Giusto per migliorare le cose, il maresciallo mi raggiunge. “Ma chi è quella?”
“Chi?”
“Chi è quella, che voleva?”
“No, è una turista che s’è persa...” Cerco di fare l’evasivo pure con lui.
“Una turista...?”
“Sì, che-che c’è? è una turista!” Turista che si volta a salutarmi con la mano. “Sì, signorina, deve andare sotto il ponte, poi c’è il mausoleo e lì chiede...”
Cecchini mi osserva di sottecchi, affatto convinto, così decido d’istinto.
“Maresciallo, io... con Anna ho combinato un casino, ho combinato...”
“Vabbè, Anna ha sbagliato, ma Lei l’ha trattata male! Ma non è così grave, potete rimediare, ancora!”
“L’ho tradita.”
Cecchini rimane per la prima volta senza parole. Quando si riprende abbastanza, biascica, “Come... ma così, co-col pensiero...”
“No...”
“Proprio, l’ha... l’ha tradita... coi fatti...” Lo capisco, è sconvolto anche lui.
“Non volevo... io, maresciallo, non volevo... io e Anna ci eravamo appena lasciati perché lei vuole partire per il Pakistan, e io ero arrabbiato... ero disperato, e ho bevuto...”
“Ma quando è successo, scusi? Con chi, poi?”
“Eh, ieri...”
“... è la turista, vero?” intuisce.
“Non è una turista,” mormoro, tanto ormai... “Quello è il mio capo.”
“Ah, il capo!”
Come a dire ‘peggio di così non si poteva’.
Mi prenderei a schiaffi da solo.
Una volta in ufficio, dopo la confessione spontanea del videomaker, mi affretto ad andare via. Non sono pronto a parlare con Anna che cerca di avvicinarmi, soprattutto non col maresciallo nei paraggi. Ignoro anche le sue chiamate, nel tentativo di trovare un modo per raccontarle quanto successo.
 
Sara’s pov
 
Ieri Marco Nardi - mio collega, come ho scoperto l’altra sera - mi ha impedito di raggiungere Anna e conoscerla.
Ho capito benissimo qual era il suo problema, ma non mi ha lasciato spiegare.
È stato un bene, che l’altra notte non sia successo nulla.
Anch’io avevo bevuto, ed eravamo stati vicini a far danno, ma ci eravamo fermati in tempo.
Anche perché, una volta intuito del perché lui avesse bevuto, ho impedito io che accadesse.
Nel suo lungo monologo alcolico, Marco non aveva fatto altro che parlare della sua fidanzata, Anna, conosciuta sul lavoro, e di come lei gli avesse cambiato la vita.
Ero ancora abbastanza lucida da aver capito chi fosse la donna in questione - Anna Olivieri, Capitano della caserma dei Carabinieri di Spoleto.
Una collega, insomma.
Da quel che ho capito, si sarebbero dovuti sposare, ma lei aveva ricevuto una proposta di lavoro in Pakistan e aveva deciso di accettare, per cui si erano lasciati.
Ho provato a dire a Marco come stanno le cose, ma non mi ha lasciato parlare. Anche stamattina in tribunale, ma lui ha continuato a sviare ed evitarmi, in panico.
Non voglio essere messa in mezzo ai loro problemi, e voglio iniziare questo rapporto di lavoro in maniera pulita. Quindi, se lui non vuole ascoltarmi, proverò con lei.
Solo che vorrei capire se sia la soluzione migliore, perché se lui non le ha detto nulla, io rischio di peggiorare la situazione facendo venire allo scoperto un niente di fatto inutile.
Per il momento, decido di glissare, quando finalmente faccio la sua conoscenza, sperando di poter parlare con Marco prima.
Per cui, dopo aver discusso del caso, in un’aria di estrema tensione, vado via.
Anna comunque sembra simpatica, una con cui potrei andare d’accordo. Chissà, magari potremmo anche diventare amiche.
Una volta in piazza, però, Marco mi raggiunge di corsa per ringraziarmi di non aver detto niente.
Approfitto per tentare di spiegare, ma lui non mi lascia parlare, di nuovo, disperato com’è. Certo che è testardo! Sta blaterando qualcosa circa il volerle dire la verità senza però rivelarle che è successo con me, se io prometto di non parlare.
Ancora una volta, tento di rettificare, ma va via prima che ci riesca.
Se continua così, dovrò davvero dirlo a lei.
Perché Marco vuole raccontarle la sua versione, ma in realtà non è successo nulla.
E nonostante li conosca appena, nel clima teso di prima in ufficio, che si amino da morire, e non è certo un sentimento che cambierà dall’oggi al domani..
Non voglio che buttino alle ortiche un sentimento così, qualcosa che può essere recuperato, per un malinteso.
Un tradimento è una cosa terribile, e io ne so qualcosa... ma per il momento non voglio pensarci.
Il loro rapporto merita di essere salvato.
 
Marco’s pov
 
Basta tergiversare, Marco! Devi dirle la verità!
Ecco che il mio personalissimo grillo parlante che mi abita nella testa torna a farsi sentire dopo un sacco di tempo.
E fa benissimo.
Sara è ormai parte della nostra quotidianità, e Anna la verità deve saperla da me. Sarebbe peggio se lo scoprisse per errore in altro modo.
Per cui eccomi qui, a bussare alla porta di casa, sperando che lei apra, come quella sera in cui le ho confessato di amarla.
Solo che stavolta sono sobrio, per quanto mi riguarda non voglio più vedere alcol per un bel po’, ho già fatto fin troppi danni.
Anna finalmente apre, gli occhi lucidi e arrossati, le guance umide.
Ha pianto.
Sulle labbra ancora tracce di cioccolato, l’antidepressivo per eccellenza quando si parla d’amore.
Il suo viso smunto si illumina non appena mi vede.
“... Marco!”
Si sposta per lasciarmi entrare, e io mi sento anche peggio.
Perché lei è felice di vedermi, e io sto per dirle una cosa che mai avrei pensato di fare.
Ammettere di averla tradita, diventando come mio padre.
Non ho mai parlato molto di lui, ma ha fatto la stessa cosa, per anni, con mia madre, e io mi ero ripromesso che non avrei mai commesso i suoi stessi errori, e invece...
“Marco...”
Anna fa per parlare, ma io la interrompo prima che possa dire qualsiasi cosa.
Solo che la mia bocca e il mio cervello non si sono consultati, perché non potrei scegliere modo peggiore, ammesso che ce ne sia uno.
“Ti ho tradita.”
L’espressione di lei muta sotto i miei occhi, passando dall’incredulo al deluso, a una confusione di sentimenti. Vedo il suo cuore spezzarsi, come il mio.
“È... è stato la sera che ci siamo lasciati...” tento di spiegarle. “Pensavo che tra noi fosse finita, e  non sapevo che fare... Ho... ho bevuto, ero arrabbiato perché mi avevi mentito, ero-”
“Stai dicendo che è colpa mia?!” mi interrompe lei, un bagliore di rabbia nello sguardo colmo di lacrime.
“No, amore, non è mai colpa tua, è colpa mia, e-”
Qualsiasi cosa io volessi ancora cercare di dire è inutile, perché Anna mi spinge fuori di casa, il respiro affannato nel tentativo di non darmi la soddisfazione di vederla piangere, mettendo a tacere ogni tentativo di chiederle perdono.
Mi sbatte la porta in faccia con un colpo secco.
Me lo merito.
Sono stato un idiota. Di più. Non so se esista un termine che basti a contenere tutto quello che sono.
Il dolore al petto più forte di ogni altra cosa.
Il cuore in frantumi.
 
Anna’s pov
 
Non è possibile.
No.
Ditemi che è un incubo...
Marco non può avermi tradita davvero, non-
Come ha potuto?!
Un... un mezzo litigio e ha buttato tutto! Ha rovinato tutto!
Avevo deciso di rinunciare al lavoro in Pakistan per restare con lui, e lui...
Ho passato le ultime notti insonni a pensare a noi due, alla mia carriera che in fondo non era così importante, se paragonata alla nostra storia, mentre lui mi ha tradita... per nulla.
Magari, se fossi riuscita a dirgli che non partivo più, nemmeno me l’avrebbe detto. Mi avrebbe pure sposata, mentendomi.
Come ha potuto?
 
Passo l’ennesima notte senza chiudere occhio, la gola che fa male per aver singhiozzato tutto il tempo.
Il giorno dopo, scopro che Cecchini sa già tutto.
Il traditore è pure ospite a casa sua, naturalmente.
Il maresciallo tenta di parlarmi, ma io non lo voglio ascoltare. Di sicuro partirebbe con una delle sue solite storielle su un evento simile che gli è capitano con la moglie all’inizio della loro storia, e io non ho voglia di sentire.
Come se non bastasse, in caserma scopro Ghisoni a parlare di nuovo al telefono con la sua biscottina, prima di uscire e andare al bar di Spartaco. Io gli corro dietro, perché già sono furiosa di mio e ne ho abbastanza dei loro giochini, e al Tric Trac trovo ovviamente mia madre. Cerco di farla confessare, ma quello che scopro è anche peggio delle mie supposizioni errate. Cecchini! Mia madre si vede con Cecchini!
Vado via furiosa. Mi hanno presa in giro, tutto quel tempo a tenermi nascosta una cosa del genere pure loro! Sono a dir poco furibonda.
Vado via senza lasciarli spiegare.
So solo che mi sembra di essere circondata da gente che mi mente soltanto.
Torno di corsa in ufficio.
Mi sento malissimo.
Che cosa ho fatto per meritarmi un trattamento simile?
Sul divanetto nel mio ufficio vedo appoggiata la custodia con all’interno il mio abito da sposa.
Lo afferro, intenzionata a distruggerlo, se non fosse che arriva Chiara a impedirmelo, entrando a grandi falcate in caserma.
L’ho chiamata ieri sera, dopo aver saputo cosa aveva fatto Marco, e lei ha anticipato il suo arrivo, già previsto per il matrimonio, e che non aveva cancellato nonostante le nozze annullate.
E meno male, perché ho bisogno di lei, di una spalla su cui piangere.
“È un idiota!” esclama lei in mezzo al corridoio facendo sobbalzare tutti, che non sono ovviamente al corrente dell’accaduto, ma poco importa.
Noto solo adesso che in mano ha una vaschetta di gelato: cioccolato e panna, ovviamente.
“Tu sei matta, lo sai?” mormoro con voce incerta.
“Certo, ed è per questo che sono la sorella migliore del mondo.”
Abbasso le tendine del mio ufficio, sedendomi con lei sul divanetto. Metto da parte il caso per un po’, perché ho un disperato bisogno di parlare con lei ora.
Gran parte del tempo lo passa a ‘insultare’ Marco, nel tentativo di farmi stare meglio, anche se sa benissimo che serve a poco.
Perché lui mi ha ferita, tanto, e una parte di me lo odia per ciò che ha fatto, ma trovare qualcosa di concreto su cui parlar male di lui mi risulta difficile, e anche a Chiara. Nemmeno lei si capacita di come sia stato possibile.
Proprio Marco, quello che entrambe abbiamo imparato a conoscere!
Non c’è niente di sensato che possa spiegare il suo gesto.
Chiara cambia discorso nel tentativo di distrarmi, quando qualcuno bussa alla porta.
Sara.
 
Sara’s pov
 
Sono arrivata in caserma per parlare con Anna.
Ho incontrato Marco in tribunale, e dalla sua faccia ho capito che deve aver vuotato il sacco.
Non so se le abbia raccontato proprio tutto - naturalmente la sua verità - ma io voglio essere onesta con lei, per questo sono qui.
Dopo aver bussato, sento la sua voce invitarmi a entrare.
Trovo con lei anche una ragazza che le somiglia, dovrebbe essere sua sorella. Se non ricordo male, Marco nel suo monologo vi ha fatto riferimento.
Comunque adesso non sono qui per questo.
“Avrei bisogno di parlarti... in privato, se possibile. Non si tratta del caso.” chiedo ad Anna.
Sua sorella fa per alzarsi, ma lei la ferma.
“Va bene... qualsiasi cosa sia, mia sorella può restare. Non ho segreti con lei, non c’è niente che lei non possa sapere.”
“Come preferisci...” accetto, probabilmente glielo avrebbe comunque raccontato, e forse è meglio che abbia un sostegno accanto.
Mi invita a sedermi, così faccio un respiro profondo prima di iniziare.
“So quello che è successo con Marco, e... mi dispiace molto.”
Lei fa un’espressione sorpresa. Si starà chiedendo come mai io ne sia al corrente.
“Ah... ehm, grazie ma... non capisco cosa c’entri con noi due.”
Capisco che lui ha omesso il mio nome, quindi riformulo il discorso che mi ero preparata.
“Il fatto è che... l’ho incontrato al bar, un paio di sere fa.”
Vedo il suo sguardo cambiare in una frazione di secondo: ha già capito, ma prima che possa muovere accuse contro di me, continuo.
“Aspetta, lasciami finire, per favore.”
Lei annuisce.
“Dicevo, ho incontrato Marco al bar. Aveva chiaramente bevuto troppo, e inizialmente ammetto di aver pensato di poterne approfittare. Ma ho desistito subito. Perché dopo avermi offerto un drink, non ha fatto altro che parlarmi della donna per cui si era ridotto in quello stato.”
Chiara, sua sorella, le fa un sorrisetto consapevole, lasciando intendere che fosse convinta ci fosse una spiegazione valida sotto, e che non fosse successo nulla. Spero lo pensi anche Anna, sebbene dalla sua espressione corrente non mi dà modo di capire. Imperturbabile. Proseguo.
“Dopo un po’, in base al suo discorso, ho iniziato a capire di chi stesse parlando. Mi ero informata sui nuovi collaboratori che avrei avuto qui a Spoleto, e la descrizione che lui aveva fatto calzava a pennello con ciò che sapevo di te. E allora mi sono detta che avrei fatto di tutto per non fargli commettere errori. Non volevo compromettere il rapporto di lavoro con un collega diretto come lo è lui, e nemmeno con te, se decidessi di non partire per il Pakistan, perché immagino che a questo punto potresti averci ripensato, in un senso o nell’altro. E sì, ho portato Marco a casa mia, ma solo per impedirgli di far succedere quello che con me non sarebbe capitato, un gesto di cui si sarebbe certamente pentito. Volevo solo fargli passare la sbornia e spiegargli tutto la mattina, ma è sparito prima che mi svegliassi. Ho capito che è un testone, visto che ho tentato mille volte di raccontargli come sono andate le cose, ma non me l’ha lasciato fare,” commento, ottenendo un sorriso da parte sua, e mi sento un po’ più sollevata. “Non so se l’avrebbe fatto davvero, quello che è convinto di aver combinato, ma ti assicuro che tra noi non è successo nulla, e spero davvero che tu mi creda, perché vorrei poter creare con te un buon sodalizio lavorativo e, perché no, magari anche diventare amiche. Ritenevo fosse giusto che tu lo sapessi, e spero che possiate risolvere i vostri problemi, tu e Marco. È pazzo di te.”
 
Anna’s pov
 
Sara mi ha appena confessato di sapere tutto della sera del tradimento, che a quanto pare non c’è stato.
Ciò non toglie che Marco ci sia andato vicino, e se non si fosse trovato davanti lei, sarebbe successo. Su questo non ho intenzione di passarci sopra facilmente.
Però apprezzo la sincerità di Sara. Non mi sono sbagliata, alla prima impressione che ho avuto sul suo conto: è una bella persona, a tratti sembra perfino somigliarmi parecchio, e forse ha ragione, col tempo potremmo anche diventare amiche, chi lo sa.
Decido che è arrivato il momento di parlare.
Finora non ho aperto bocca, lasciando che fosse lei a dire tutto. Con la coda dell’occhio noto Chiara sorridere nella mia direzione. So cosa sta pensando: che ci aveva visto giusto, Marco non mi avrebbe mai davvero potuta tradire, non coscientemente, soprattutto visto il suo passato.
Come ho detto, ci è comunque andato vicino, volente o nolente, ma devo ammettere che è stato onesto. Avrebbe potuto starsene zitto, lasciarmi partire per il Pakistan senza dirmi nulla, perché non l’avrei mai saputo, ma non l’ha fatto.
Non ci siam mai detti delle balle, non iniziamo ora.
“... Grazie, davvero. Non penso che in molte avrebbero fatto quello che hai fatto tu. E... spero anch’io che possiamo andare d’accordo.”
Ci scambiamo una stretta di mano, a chiudere quello che è (o meglio, non è) successo, prima che lei si congedi e vada via.
Chiara non perde tempo, chiedendomi cosa io abbia intenzione di fare adesso che so come sono andate le cose.
Sinceramente, non lo so.
Sono arrabbiata con Marco, ma sono davvero pronta a partire per il Pakistan? A lasciare tutto così? A non tentare, come avevo deciso, di riparare al danno che la mia bugia aveva provocato?
Mia sorella mi dice di rifletterci, portandosi dietro il mio abito da sposa, per incontrare mia madre.
A questa notizia, scoppio a ridere.
“Che hai?” mi chiede lei, sconcertata dal cambiamento repentino del mio umore.
“Fatti raccontare da mamma perché ultimamente è venuta così spesso a Spoleto. E non farti fregare, non è per il matrimonio.” le dico soltanto, lasciandola più confusa di prima.
Oh, ci sarà da ridere, non appena anche lei verrà a sapere della storia tra mamma e il maresciallo.
 
Nonostante il sollievo, la sera a casa da sola, non va meglio.
Mia madre è passata per dirmi che lei e il maresciallo hanno deciso di non continuare la loro ‘amicizia’, cosa che mi fa stare anche peggio perché ho esagerato con la mia reazione.
Decido di tentare di affogare di nuovo le mie pene nel cioccolato, per cui mi armo di barattolo di Nutella e cucchiaio, e mi siedo sul divano.
Con il mio abito da sposa in grembo.
Mi fa male vederlo, eppure non riesco a staccarmici.
Sarò anche arrabbiata con Marco, ma in realtà non ha fatto niente, anche se lui crede di sì.
Testone che non è altro, non si è fatto dire la verità nemmeno da Sara - tralasciando di dirmi che era lei, l’altra.
Beh, se l’obbiettivo della sua sincerità era di avere la possibilità di riconquistarmi, dovrà sudarselo, il mio perdono!
Sempre che io non decida di partire per il Pakistan.
Il Pakistan... tutto per colpa del lavoro, un’altra volta.
Se ci penso, il mio dolore per la fine della storia con Giovanni era niente, appena un pizzicotto in confronto a questo, nonostante i cinque anni insieme.
Come in quell’occasione, ero tornata a scegliere il lavoro, e sento ripiombare addosso le accuse del mio ex in merito. Ma non è come allora... In quel caso, non ci ho prestato attenzione più di tanto, optando per la carriera senza voltarmi indietro.
Stavolta, invece, non sono mai stata realmente convinta.
Io amo Marco... come non ho mai amato nessuno prima, come non avrei mai pensato di poter fare. È stato l’unico a riuscire a vedere la vera Anna, quella dietro la corazza e la divisa e a innamorarsene.
Mi viene da sorridere perché Marco è la parte più casinista della mia vita, quella che ero convinta non avrei mai sopportato perché impossibile da gestire. Ora invece, nonostante sia l’uomo più impossibile che conosca, non riesco a immaginare in nessun modo la mia vita senza di lui.
Senza i suoi baci e le sue coccole, la mattina appena svegli.
Le sue battute e il suo voler scherzare per forza in ogni situazione.
Il suo essere terribilmente disordinato, con tutte le cose che lascia in giro e che mi esasperano.
I nostri battibecchi per niente.
I suoi goffi tentativi di far pace dopo una lite.
Le cene bruciacchiate perché troppo impegnati ad amarci.
La casa tutta per noi, un futuro da progettare insieme, tutto da creare...
Il mio sguardo ricade nuovamente sull’abito che ho in grembo.
Decido di chiuderlo nell’armadio: non lo voglio più vedere, fa troppo male, a prescindere da tutto.
Ancora una volta, a interrompere i miei pensieri ci pensa qualcuno che bussa alla porta.
Sbatto l’anta dell’armadio, imprecando dopo essermi quasi chiusa dentro una mano nella fretta di nasconderlo. Patatino mi osserva, confuso.
Vado ad aprire, infastidita, e ti pareva chi poteva essere... Cecchini.
Ci mancava solo lui.
“Maresciallo, scusi ma non è il momento miglio-” dico, ma lui insiste per entrare.
 
“Io devo parlare con Lei, però.”
Che mi deve dire di così importante? Mia madre mi ha già detto che hanno chiuso, e di sicuro non voglio parlare di Marco.
Mi chiede se ci possiamo sedere sul divano. Io lo accontento, confusa, abbassando l’ascia di guerra davanti al suo tono pacato.
“Le volevo dire che io a sua madre non ci rinuncio. Non lo so se quello che c’è tra me e sua madre si possa chiamare amore, però... io con lei sto bene. Mi piace parlare, mi piace chiacchierare, mi piace passeggiare, andare a comprare il gelato, andare a ballare... è follia? Del resto, l’amore è follia, come dice un mio amico, e io a questa follia non ci voglio rinunciare. È da stupidi, perdere una cosa così bella.” Mi dice, con una sincerità che mi stupisce.
“Non la facevo così... romantico, e profondo.”
Lui fa spallucce, poi si alza in piedi. “Comunque, se la cosa Le crea problemi, io mi faccio trasferire... a Orvieto o a Foligno...”
Gli concedo una piccola risata. “No, non mi crea problemi... Lei e mia madre non avete bisogno del mio consenso...” E, in realtà, non mi dispiace, che lui e mamma si frequentino. Cecchini ormai è un padre, per me, e la loro relazione mi fa piacere. Mi alzo in piedi anch’io, stringendo i denti per non piangere di nuovo. “Mi dispiace per quello che ho detto... ero nervosa...” mi scuso, riferendomi alla scenata che ho fatto al Tric Trac, abbracciandolo stretto.
Ho bisogno del suo affetto in questo momento, disperatamente. Ma una piccola minaccia non gliela toglie nessuno.
“Se la fa soffrire, la degrado.”
 
Va via poco dopo, lasciandomi di nuovo sola.
Le sue parole mi fanno riflettere, riprendendo il filo ingarbugliato dei pensieri che mi scorrevamo in mente prima del suo arrivo.
Torno al mio vasetto di crema alla nocciola, soffermandomi ad osservarlo.
Avrei preferito il gelato al cioccolato con le nocciole tritate sopra, ma quello lo prendo sempre con Marco, durante le nostre lunghe passeggiate dopo il lavoro. Come in quelle volte in cui non voleva nemmeno rientrare a casa per cambiarci, portandomi con sé ancora in divisa in giro per Spoleto. Oppure quando non vedevamo l’ora di tornare di corsa in appartamento, perché avevamo trascorso troppe ore divisi e avevamo solo voglia di stare insieme, di recuperare il tempo passato lontani nel modo più dolce possibile.
Le serate passate a cucinare insieme. I suoi abbracci improvvisi. I baci rubati.
All’improvviso, mi rendo conto di ciò di cui ho realmente bisogno.
Che stupida sono, ad aver pensato di poter fare a meno di Marco, del mio amato Marco.
Cecchini ha ragione: a volte bisogna davvero essere folli, come folle e rocambolesca è stata la nostra vita insieme fino a questo momento.
Ed io non voglio niente di più di questo nostro folle amore.
Questo non significa che lo perdonerò facilmente, però magari tutto questo è successo per un motivo.
E poi a Spoleto non sto male, anzi, c’è tutta la mia famiglia, qui. E se prima ero convinta che il mio futuro potesse essere a Islamabad, il fatto che per capire davvero cosa voglio mi ci è voluto di nuovo l’aiuto di Cecchini, Chiara, e anche Sara, mi fa decidere che per la promozione c’è tempo.
Che ho ancora bisogno di pratica per imparare a volare davvero, e che solo quando sarò in grado di farlo nel pieno delle mie capacità, allora deciderò se varrà la pena cambiare cielo, ma non da sola.
 
La mattina dopo, in caserma, riusciamo a risolvere il caso.
Il mio cellulare squilla, ed è il maggiore La Gumina, che mi chiede qual è la mia decisione in merito all’incarico. Ho rinviato più volte questo momento, ma adesso è giunto, e so cosa voglio fare.
Rispondo soltanto che devo rifiutare l’offerta, seppur orgogliosa di essere stata presa in considerazione, e che resterò a Spoleto.
Una volta chiusa la chiamata, mi accorgo di sentirmi più leggera, come se mi fossi tolta un peso enorme dalle spalle.
Una preoccupazione in meno.
Oltre il vetro, noto Marco avvicinarsi alla porta del mio ufficio, tentativamente.
“Ehi... Possiamo... possiamo parlare, per favore?” mi supplica, l’espressione di chi non dorme da giorni.
“Va bene,” rispondo, secca, dopo averlo osservato per qualche istante.
Sono ancora arrabbiata con lui, ma il suo tono disperato, come sempre, riesce a far breccia.
 
Marco’s pov
 
Da quando Anna mi ha cacciato di casa, non sono più riuscito a parlarle.
Me lo ha impedito in tutti i modi.
Persino per il caso, comunicava tramite Cecchini, o addirittura attraverso Sara.
Lei, per fortuna, ha desistito nell’intento di parlarmi, e di questo sono sollevato.
Il caso l’abbiamo chiuso, ma so che Anna deve ancora farci sapere cosa ha scelto di fare, se restare o partire per il Pakistan.
So che aspettava la chiamata per questa mattina, ma nessuno di noi è al corrente di quale risposta abbia dato.
Anche se so di aver rovinato tutto, voglio ancora tentare di risolvere le cose, prima che lei parta. O per lo meno, implorarla di non tagliarmi completamente fuori dalla sua vita. Forse è stato il mio tono disperato a convincerla a lasciarmi parlare.
“Anna, io... lo so che non ho giustificazioni, e io per primo non mi perdonerò mai, mai, per quello che ti ho fatto. Ho sbagliato, ho fatto una cazzata gigantesca, la Las Vegas delle cazzate, ma ti giuro che non volevo... è stato un errore, non ha significato niente... Non basteranno tutte le scuse del mondo, ma... Vorrei soltanto che mi dessi una seconda possibilità...per dimostrarti che posso essere un uomo migliore, un fidanzato migliore. Ero venuto per chiederti una nuova possibilità come amico, ma non... non posso farlo.Perché ii amo, e lo so che non basta, ma se vuoi andare, non sarò io a fermarti... ma ci spero ancora, nel tuo perdono.”
Lei però resta impassibile di fronte alle mie parole, chiaro segno che ho buttato via tutto.
Abbasso la testa.
Ci ho provato, ma non è servito.
Avevo sperato almeno di poterla salutare sapendo che non mi odiasse, ma mi rendo conto io stesso che fosse una speranza vana. Sapevo già che Anna non è una che perdona facilmente gli errori in generale, figuriamoci questo.
Mi alzo, e sono quasi fuori dalla porta quando la sua voce mi ferma.
“Marco, aspetta.”
Mi volto, incerto su cosa potrebbe mai volermi dire a questo punto.
“Sara mi ha detto della sera del bar,” afferma, e io mi sento gelare. È questo il motivo per cui non ha più tentato di aprire il discorso con me, perché ha raccontato tutto a lei! Faccio per rispondere, ma lei continua, anticipandomi. “A quanto pare, non avete fatto niente. Ti sei addormentato e basta.”
Io spalanco gli occhi.
Come, niente...? Vuoi vedere che... era questo che ha tentato di dirmi Sara per tutto questo tempo? E io, da cretino quale sono, non l’ho lasciata parlare!
Ma quindi, Anna...
Frena l’entusiasmo, idiota, e ascolta!
“Ho rifiutato l’incarico a Islamabad. Ma sono lo stesso furiosa con te, e il fatto che sia rimasta a Spoleto invece di andarmene a seimila chilometri di distanza, tra noi non cambia niente. Tu eri convinto di avermi tradita, ti sei sabotato da solo, e comunque se al posto di Sara ci fosse stata un’altra meno comprensiva, probabilmente non ti saresti fermato. Il fato è stato clemente con te, ma io non sono il fato. Ed è per questo che non ho intenzione di perdonarti tanto facilmente.”
Detto ciò, va via, lasciandomi da solo nel suo ufficio.
 
Eccoci qua!
Io e Martina vi avevamo promesso un ‘Don Matteo 12 - 2.0’, e finalmente l’avventura è cominciata!
Come avete già letto, i cambiamenti ci sono stati fin da subito.
In primis, il ritorno di Chiara, perché non potevamo lasciarla fuori, almeno non noi.
Assurdo averla eliminata dalla stagione, considerando il rapporto strettissimo tra le due sorelle, in una situazione come quella che ci hanno presentato, per cui... eccola! La vedremo spesso, non vi preoccupate, e non solo lei...
Marco non ha tradito Anna ma, convinto com’era, glielo ha detto comunque, facendo scoppiare il putiferio.
E Anna, giustamente, è arrabbiata.
Lo scenario è tutto da vedere, adesso...
Secondo voi, cosa succederà?
Ci piacerebbe tanto leggere i vostri commenti in merito.
Piccolo appunto: dopo esserci scervellate a lungo per capire in che accidenti di periodo dell’anno fossimo (o meglio dire, capire in che giorno di marzo fossimo, visto che la signora Cecchini risulta morta il 4 marzo 2018) - per essere più precise possibili sulle date - abbiamo capito che teoricamente la serie è ambientata nel 2020, però loro seguono il calendario del 2019. Il messaggio che Sofia riceve sul cellulare riporta la data di ‘Lunedì 18 marzo’. Il 18 cadeva di lunedì nel 2019, appunto. Noi faremo finta di essere comunque nel 2020, quindi il 22 - la data del matrimonio - è di domenica, come detto anche durante il primo episodio ufficiale.
Discorso un po’ intricato, ma spero si sia capito lo stesso... Tutto questo per dire che le date non saranno casuali, nella nostra versione dei fatti, quindi prestate attenzione! (Perdonateci eventuali sviste, un minimo di margine è tollerabile, ma i periodi saranno scanditi regolarmente.)
Detto ciò, speriamo la partenza vi sia piaciuta!
A prestissimo con il secondo episodio!
 
Mari
 

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Capitolo 2
*** Non nominare il nome di Dio invano ***


DON MATTEO 12 - 2.0
 
NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO
 
 
Anna’s pov
 
Sono passati un paio di giorni da quando ho deciso di non lasciare Spoleto.
Con l’aiuto di mia madre, ho fatto in modo di sottrarre a Cecchini il doppione delle chiavi del mio appartamento, così che né lui né Marco possano entrarci senza che io glielo permetta.
Non voglio vedere Marco, e onestamente ho bisogno di distrarmi, perché a casa ogni cosa mi ricorda lui, ciò che stavamo costruendo insieme, e mi fa male. Non voglio pensarci, almeno per un po’ - che sia solo qualche ora non importa.
Chiara ha colto la palla al balzo, ovviamente, e mi ha proposto di accompagnarla a una festa, in un locale appena fuori Spoleto, organizzata da una sua amica.
Siamo rimaste di vederci direttamente sul posto, perché Chiara lavora a Perugia, quindi, come al solito, io sono in perfetto orario e lei ancora non si vede.
Mi avvicino all’ingresso: la location è mozzafiato, una villa splendida.
Su suo consiglio, avevo invitato anche Sara, sia per conoscerci meglio che per ringraziarla per la sua sincerità, ma aveva già preso un impegno. Ci siamo comunque accordate per rimandare a un’altra sera.
Comunque, mia sorella ancora non arriva. Ma che fine ha fatto?
 
Attendo una ventina di minuti, poi provo a chiamarla.
Chiara è ritardataria con i ragazzi con cui esce, non con me. Anzi, in certi casi sono io quella che arriva in ritardo alle nostre serate tra sorelle, per contrattempi sul lavoro però.
Dopo un tentativo andato a vuoto, risponde, spiegandomi che ha trovato traffico lungo la strada tra Perugia e Spoleto, ma che sta arrivando. Questa cosa mi solleva, ammetto che avevo pensato già volesse darmi buca.
Comunque, per sentire meglio ciò che dice, mi sono spostata verso il parcheggio perché la musica era troppo forte.
 
Chiusa la telefonata, alzo lo sguardo e mi accorgo di due figure che se la prendono con un ragazzo, sembra, intimandogli di consegnar loro il portafogli. Non vedo bene il ragazzo, ha il volto coperto dal cappuccio della felpa che indossa, ma è evidente sia in difficoltà.
Io sono in borghese, e loro sono in due - o tre, non so come reagirebbe l’apparente vittima - ma il mio senso del dovere ha la meglio.
“Lasciatelo stare!” esclamo, avvicinandomi pur restando a distanza di sicurezza.
I due, ovviamente, non la prendono bene, facendo qualche passo nella mia direzione.
Pessima idea, Anna.
Okay, è vero che sono cintura nera di judo, ma sono lo stesso in minoranza. I tacchi non aiutano di certo, e riuscirei a resistere relativamente a lungo, anche perché uno dei due è armato di coltello.
Il ragazzo, comunque, non accenna ad aiutarmi.
Bel comportamento. Intervengo per te e tu non ti muovi. Grazie, grazie tante.
Non potrei essere più d’accordo, vocina.
 
Mentre cerco di capire in fretta cosa fare, qualcuno deve aver sentito le mie preghiere, perché un’auto giunge nella mia direzione. I fari mi abbagliano, ma sono sufficienti a far scappare i due malviventi, mentre altra gente inizia ad arrivare.
Noto che anche il ragazzo è fuggito, ho intravisto appena il suo volto teso.
Da quell’auto scende Chiara.
Non credo di essere mai stata tanto felice di vederla.
“Anna!” strilla lei, preoccupata, raggiungendomi. “Ho visto da lontano... stai bene?”
“Sì, sì, tranquilla... tempismo perfetto.” la ringrazio.
Lei mi scruta per qualche istante.
“Mi sa che è meglio se ce ne torniamo a casa, mh? Troppe avventure in una sera. Meglio un qualcosa di tranquillo come un bel re-watch di Cenerentola, che ne pensi?”
Io resto interdetta per un attimo, e non per la serata tranquilla, ma per la scelta del film.
Porta un po’ troppi ricordi con sé.
Chiara se ne rende conto, conoscendo il retroscena, perché cerca di rimediare.
“No no no, aspe’, forse Cenerentola non è una grande idea, che scema, non è il massimo da-... io...” biascica, impappinandosi.  
Io però scoppio a ridere, tranquillizzandola.
Che casinista, che è... ma non la cambierei per niente al mondo.
 
Rientriamo comunque a casa mia. Avevamo già deciso che si sarebbe fermata a dormire da me, per passare più tempo insieme.
Per fortuna c’è lei, ad aiutarmi, in questi giorni.
È l’unica che non insiste a tentare di convincermi a parlare con Marco, anche se le battutine le fa anche lei.
Lo so, che non posso evitarlo per sempre, ma non sono ancora pronta a perdonarlo.
O almeno, la mia testa non lo è, il mio cuore non è d’accordo.
 
Marco’s pov
 
Anna mi evita da un paio di giorni.
A me sembrano anni, davvero.
Sono sollevato di sapere che non ho combinato danni con Sara, e l’ho anche ringraziata per ciò che ha fatto per me scusandomi per non averla ascoltata prima.
Anche se devo ammettere che si comporta in modo strano, perché ha fatto qualche battuta circa il mio dovermi impegnare a rimediare.
Non è che si è alleata con Anna per fartela pagare, vero?
No, dai. Si conoscono appena. Non avrebbe ragione di farlo. Spero.
Fatto sta che non riesco a trovare un modo per parlare con Anna, e non posso nemmeno tornare a casa per aspettarla lì, visto che qualcuno ha fatto sparire la copia delle chiavi di Cecchini.
Grazie, signora Elisa.
 
Sono quindi seduto sul divano del maresciallo, che ancora mi ospita.
Sono talmente disperato da essere quasi disposto a seguire uno dei suoi assurdi consigli, ma per fortuna non sono ancora così folle da cedere.
Più che risolvere le cose, credo che al momento le peggiorerei, e non ho certo bisogno di fare ulteriori danni.
Devo trovare un modo, ma uno giusto per farmi perdonare da Anna.
So che l’ho ferita, ho tradito la sua fiducia, anche se non è successo nulla di fatto.
Ma poteva succedere, e solo il fato era stato clemente con me da impedirmelo.
Anna, come mi ha detto lei stessa, non è il fato, e il perdono dovrò sudarmelo.
Già il fatto di avere una possibilità di riscattarmi è più di quanto mi aspettassi quando sono andato a parlarle in caserma.
 
Nel momentaneo silenzio del palazzo, sento il portone richiudersi e due voci femminili ridere: Anna e Chiara.
Come, sono già rientrate? Strano, è prestissimo, ma forse hanno solo cambiato programma.
So che Anna doveva uscire con Chiara perché, usando Cecchini come tramite, proprio Anna mi aveva fatto sapere di dovermi occupare di Patatino stasera. Patatino che è seduto ai miei piedi, intento a fissarmi con aria confusa. E non ha tutti i torti, visto che io sono sul divano da ore, rigorosamente in bermuda e ciabatte, con l’aria di uno che non vorrebbe fare più nulla. Perché senza la mia Anna, nulla ha un senso.
Ma Patatino ha bisogno di fare la sua passeggiata, e forse anche io.
Mi decido a fare una doccia veloce e poi, preso il guinzaglio, usciamo. Magari l’aria fresca porta consiglio.
 
La mattina, dopo l’ennesima notte agitata, mi ritrovo a seguire Cecchini in un terreno di campagna per andare... dalla Madonna dei Disperati.
“Mi scusi, ma era proprio necessario costringermi a venire qui alla Madonna dei Disperati? Guardi che Anna ha solo bisogno di un po’ di tempo, ma mi perdonerà, dai... Le passerà, insomma,” minimizzo. Voglio dire, è stata lei stessa a lasciar intendere questo.
“Ma noi non siamo venuti qua mica per Anna, siamo venuti per Lei!” mi contraddice il maresciallo. “È la Madonna dei Disperati, e Anna la perdona solo se Lei espia le sue colpe. E per questo ci vuole il miracolo della Madonna!”
“A parte il fatto che non sono così disperato, non le pare un po’ eccessiva, ‘sta cosa qua?” tento.
Però, da un certo punto di vista, Anna si ostina a non voler neppure parlare con me, e tentar non nuoce. Dopotutto, che i miracoli esistono lo so anch’io, o almeno ci credo fin da quella notte di neve ad agosto in cui tutto è iniziato.
Chissà che crederci non possa essere di buon auspicio anche questa volta. Non ho niente da perdere, in fondo.
Certo, Cecchini che si mette a litigare con Cocozza, il proprietario del terreno in cui si trova la statua, non è proprio un inizio promettente. Riesco a trascinarlo via prima che la situazione degeneri, ma sulla via del ritorno inizio a macinarmi il cervello di domande.
È un cattivo segno, che non siamo riusciti nemmeno a vedere la statua? O peggio, sapere che Cocozza vuole distruggerla?
Mh, non eri tu che avevi dubbi sull’aver bisogno di un miracolo? Allora Cecchini ha ragione, non è che sembri disperato... lo sei!, commenta il grillo nella mia testa.
Non posso far altro che dargli ragione.
 
Anna’s pov
 
La serata a base di cinema, ieri sera con Chiara, è stata curativa.
Davvero. Avevo proprio bisogno di ridere, e mia sorella è la persona giusta per aiutarmi in questo senso, la sua leggerezza mi permette di scollegare il cervello e lasciarmi un po’ andare. Anche se lei sa essere anche un’ottima dispensatrice di consigli, soprattutto per le mie questioni di cuore.
Il mio cellulare stamattina è squillato prima del solito, a quanto pare c’è stata un’aggressione in un cimitero. Raggiungo i miei uomini sul posto. Cecchini si affretta ad affiancarmi, e dalla sua espressione capisco che non è del caso che vuole parlare.
 
“Come va?” mi chiede, cauto.
“Una meraviglia,” rispondo, seccata. So già dove vuole andare a parare.
“Senta, ma non pensa che dovrebbe parlare con Nardi? In fondo non ha fatto nient-”
“Non mi interessa, maresciallo. Inutile che insiste. Abbiamo un caso di cui occuparci, no? Pensiamo a lavorare!”
 
Scopro che l’uomo aggredito si chiama Sergio La Cava, un pregiudicato, assassino, uscito di carcere proprio ieri dopo sei anni. Lo ha trovato - casualmente - Don Matteo, riverso su una tomba, ferito da un colpo di pistola.
Mi reco in ospedale per parlarci, ma quando apro la porta della sua stanza, noto immediatamente la felpa appoggiata a una sedia.
Io la conosco...
Per poco non mi prende un colpo.
È l’uomo che ho salvato dall’aggressione ieri sera.
“Tu sei Sergio La Cava?” chiedo, esterrefatta, quando lui alza lo sguardo su di me, riconoscendomi a sua volta.
Lui scoppia a ridere, irritandomi subito.
“E tu sei un Capitano dei Carabinieri?! Scusami ma... ma non lo avrei mai immaginato!”
Quante possibilità c’erano che fosse lui, una su un milione?
E poi, tutta questa confidenza?
“Io non immaginavo che fossi appena uscito dal carcere...”
“Eh già... Quindi sai tutto?”
“So quello che hai fatto sei anni fa, sì.” Commento.
È una storia terribile, quella per la quale è finito in galera. Accusato dell’omicidio del nipotino. Il suo è stato un caso molto noto, in zona, da quello che ha detto Cecchini. Sebbene il dramma si sia consumato qui a Spoleto (la famiglia Spada è di qui), erano stati i colleghi di Perugia ad occuparsene, perché è lì che la sua fuga era giunta al termine. In ogni caso, non importa il suo passato, o almeno credo. Sono qui per parlare della sua aggressione, quella di cui è stato vittima.
“Ha a che fare con quello che è successo stanotte?” gli domando.
Provo a interrogarlo, ma lui non collabora, anzi, capisco che sta palesemente mentendo. “Smettila.” gli dico, infastidita, ma quello continua.
“Ahh, che dolore, è difficilissimo continuare a parlare, sa, Capitano...!” Mi prende in giro, con una ben poco credibile espressione dolorante, e un sorrisetto che gli cancellerei volentieri dalla faccia.
Che razza di sfacciato!
Sembra quasi lo stesso sorrisetto menefreghista che mi sono trovata davanti il giorno che ho conosciuto Mar-
Alt, Anna, non facciamo paragoni azzardati, su. Quello che hai davanti è un galeotto, l’altro è il tuo Marco.
Sì, ma non è il momento di pensare a lui, ora. Che c’entra Marco?
C’entra sempre, il tuo Marco. Ti mancano le sue battutine, e ti manca stare con lui, anche se sono passati pochi giorni. Ammettilo, dai.
Basta, devo pensare al lavoro.
Quando capisco che Sergio non ha intenzione di collaborare, faccio per andar via, bloccandomi però sulla soglia quando sento la sua voce richiamarmi.
“Meno male che non sono intervenuto, ieri sera, visto che sei un Carabiniere, eh...” Mormora, irritandomi ancora di più.
Mi trattengo dal rispondere, andando via.
 
Dovrò fare da sola per risolvere il caso, come sempre, a meno che non arrivi Don Matteo prima, visto che sta sempre in mezzo ai piedi. Come dicevo, chi ha trovato Sergio? Lui, naturalmente!
Vado a parlare con la famiglia di La Cava (famigliola tranquilla, a proposito, ma lasciamo perdere i commenti), e tornando il caserma Cecchini tenta di convincermi a parlare con Marco.
Acconsento per esasperazione, ma non è che abbia esattamente intenzione di farlo.
 
Marco’s pov
 
Per il momento, sono ancora ospite di Cecchini. Mi ha offerto di restare da lui finché le cose con Anna non si sistemano.
Sto per entrare in casa sua quando la porta alle mie spalle si apre, e Anna esce dall’appartamento con Patatino al guinzaglio.
Questo basta a farmi tornare alla mente i giorni felici con lei, a portare il nostro cane a passeggiare, e noi due mano nella mano... Per certi versi, oserei dire che Patatino abbia iniziato a preferire Anna a me, ma non è possibile... mi è sempre stato fedele, lui.
Torno alla realtà quando sento la sua voce chiamarmi.
Sono giorni che mi evita, e sentirle pronunciare il mio nome mi sembra quasi un sogno.
Ho cercato di provare a parlarle in ogni modo, forse in maniera anche troppo insistente, bussando ogni paio d’ore alla porta di casa, nella speranza che lei aprisse, ma niente da fare.
Anzi, avevo perfino cercato di chiamarla da fuori casa, in stile film, con i sassolini contro la finestra, ma l’unica a dare segni di vita è stata la signora Serena. Sì, proprio la vicina di casa del palazzo di fianco che ha sabotato la mia proposta di matrimonio più di una volta, mesi fa.
Ora, la signora sa essere anche simpatica, quando vuole, ma se qualcuno osa disturbarla mentre sta guardando una delle sue amate soap opera sono guai, per cui dopo un po’ ho desistito.
Il fatto che sia Anna, adesso, a parlarmi di sua spontanea volontà è inaspettato.
“Bene, ti stavo cercando!” afferma soltanto, il viso una maschera di ghiaccio.
“Ehh, no, sono qua perché mi ospita il Maresciallo, perché non ho un posto dove andare... Anch’io volevo parlarti, assolutamente...” tento di approfittare di questi istanti, non sia mai che riusciamo a risolv-
Come non detto.
“Questa roba è tua?” Chiede, accennando alla scatola che tiene in mano che ha appena recuperato dentro casa.
Sospiro di sollievo, perlomeno non mi ha chiesto di restituire i regali di nozze, visto che ci hanno già pensato Elisa e Cecchini quando abbiamo annullato tutto. L’esperienza, con Federica, era stata disastrosa.
Riconosco la scatola a cui Anna fa cenno.
“Sì!” E lei lo sapeva benissimo senza chiedere, che è roba mia. Ci sono i miei vestiti, dentro.
Guardandomi fisso negli occhi, Anna la gira sottosopra, riversando l’intero contenuto sul pavimento, ai miei piedi.
“Scusa, lo scatolo mi serve.”
Si volta per riportarlo in casa, mentre io mi do del cretino.
Abbi pazienza, Marco. Fa parte del processo di espiazione.
Mi torna in mente una scena simile: il mio rientro dopo il primo matrimonio mancato, quando ho aperto l’armadio e mi sono ritrovato tutti i vestiti tagliuzzati. Perlomeno Anna me li ha lasciati interi, e di certo la situazione è meno grave.
“Va bene, d’accordo, ho recepito il messaggio...” Abbasso la testa, e lei fa per andar via senza aggiungere nulla, afferrando il guinzaglio di Patatino.
Su questo però la fermo. “No, aspetta aspetta aspetta... Patatino - dico male? - ci penso io!” Le dico, un po’ più convinto. Il cane è mio, almeno quello! Dovrei occuparmene io, no?
Anna, naturalmente, non abbandona lo sguardo di sfida.
“Tieni!” Mi dice, sarcastica, porgendomi il guinzaglio senza opporre resistenza.
Oh, bene...
“Patatino, vieni, bello... Oh!” Esclamo, esterrefatto, quando lui si alza e raggiunge Anna, scodinzolante. “Ma perché?!”
Anna, che si era abbassata per accarezzare il cane, si rialza e mi lancia uno sguardo altezzoso. “Perché? Perché è lui che mi sceglie, Marco! Perché mi prendo cura di lui... lo porto fuori a fare pipì, gli do da mangiare...”
Lancio a Patatino uno sguardo infastidito.
“Tu sei un traditore, lo sai?”
Mi rendo conto con un secondo di ritardo di quello che ho detto, perché Anna si blocca e si gira verso di me, un’espressione sdegnata sul bel viso. Il pollice alzato come a dire ‘Ottima scelta!’.
Un’altra espressione no, eh? LO VUOI RICOLLEGARE IL CERVELLO, PER CORTESIA?
“No, dai, l’ho detto così per dire, non stavo alludendo a niente, Anna... però! Dai, per favore!”
Lei mi volta le spalle senza più degnarmi di uno sguardo, portando con sé Patatino, che la segue felice.
Perfetto, direi.
 
Rientro da Cecchini, che trovo sul divano. Mi sfogo con lui, disperato.
“Maresciallo, che devo fare? Non mi vuole parlare, ogni cosa che dico la prende male, e ora anche Patatino è andato con lei! Sono disperato, come faccio? E se non mi perdona?”
“Calma, calma, questo è un buon segno!”
“Ma che buon segno è?!”
“Un buon segno, almeno la calcola, perché la cosa più brutta è l’indifferenza!”
“Maresciallo, e se non mi perdona più, Anna?” biascico, sconsolato. Sono un grandissimo idiota, ho quasi commesso la cazzata più grave della mia vita e non so come fare ad avvicinarla per rimediare.
“Calma! Non non dobbiamo soffrire, noi non dobbiamo avvilirci!”
“Noi, chi?”
Lei! Noi la soluzione ce l’abbiamo, e si chiama ‘Madonna dei Disperati’!”
E ti pareva. Gran bella soluzione, proprio.
Ha deciso che deve avere quella statua, e ha pensato di fare una colletta. La prima vittima sono io, mi tocca pure sborsare cento euro. Glieli do sconsolato, nella speranza che almeno servano a qualcosa.
“No, ma io come faccio con Anna...?” Torno a deprimermi, la voce che trema. Non ce la faccio. Non ce la faccio. Sapere che non mi vuole nemmeno parlare... Non lo sopporto.
“Lei deve espiare! E poi Anna la perdonerà... Lei espii!”
 
Una volta a letto, cerco di riordinare le idee.
Mi è già capitato di litigare con Anna in questi anni, ovviamente, anche in modo pesante, ma la nostra separazione non è mai durata più di un paio di giorni. E spesso, in mio aiuto, interveniva Chiara a fare da mediatore tra le parti.
Ora so che si è coalizzata con sua sorella, ovviamente, anche se almeno lei mi saluta ancora.
Vorrei riuscire a parlare dei miei problemi con qualcuno che non sia Cecchini. È in momenti come questo che sento la mancanza di un vero amico, perché c’era stata Anna a sopperire, dopo il tradimento di Simone.
Con lei, eravamo stati prima colleghi, poi amici, poi molto di più. E adesso, l’idea di tornare ad essere, al massimo, ‘solo’ amici nemmeno la voglio considerare. Non è quello che voglio, e forse nemmeno lei lo vuole, perché non reagirebbe così se non gliene importasse più nulla di noi.
Avrebbe indossato la sua corazza e basta, limitandosi a parlare con me in ufficio per il lavoro. Invece no: come succede ogni volta che litighiamo seriamente, ha tagliato tutti i ponti, usando Cecchini, Chiara o sua madre per comunicare con me.
Devo riuscire a fare di nuovo breccia nel suo cuore. Dimostrarle che ciò che le ho detto l’altro giorno, che io sia un uomo migliore di quello che è apparentemente venuto fuori in questa storia, è la verità. E ci riuscirò.
Devo solo capire come.
 
Anna’s pov
 
Ho portato Patatino a fare una passeggiata, anche se forse avevo più bisogno d’aria io di lui. Poco importa.
Adesso che sono rientrata, e lui se ne sta accucciato in soggiorno, io cammino distrattamente per casa.
Sto aspettando la cena, perché non ho voglia di cucinare. Ho ordinato una pizza.
Farai seratona, quindi? Brava. Mi raccomando, la birra. E la caldaia che si rompe, un must.
Chiara è tornata a Perugia, quindi non so bene come impegnare le giornate; non sono più abituata a stare da sola, evidentemente.
Se la smettessi di fare la preziosa e perdonassi Marco, non ti porresti il problema. Ne trovereste taaanti di modi, insieme, per occupare il tempo...
Anche questo è vero.
Il fatto è che io voglio perdonarlo, ma non così facilmente. Se lui vuole realmente una possibilità, sa cosa fare, non ha bisogno che io gli apra necessariamente uno spiraglio.
Deve trovare la strada da solo!
Mentre litigo con la vocina, continuo a gironzolare per casa.
Ci sono scatoloni in ogni angolo, tracce di quel futuro che avevamo iniziato a costruire insieme.
E ora stiamo buttando via tutto.
‘State’? Ah, quindi ammetti di avere anche tu delle colpe? I miei complimenti, pensavo ci avresti messo di più a confessare i tuoi peccati. Chapeau, stellina, sono piacevolmente sorpresa.
Zittisco la vocina, irritata.
Il mio sguardo si posa su una foto di me e Marco poggiata davanti alle altre, su una mensola della libreria. La nostra preferita.
L’ha scattata Chiara durante una gita in campagna, organizzata per far svagare Cecchini dopo la perdita della moglie.
Una delle giornate più belle della mia vita.
C’erano tutte le persone che amo: la mia famiglia di sangue, con mia madre e mia sorella, la mia famiglia acquisita, con Cecchini, perché sì, è diventato come un padre per me, e c’era Marco. L’uomo con cui ero pronta a passare il resto della mia vita. Il mio grande amore.
Pochi mesi prima di scattare quella foto mi aveva chiesto di diventare sua moglie, e proprio in quei giorni avevamo iniziato a programmare tutto il necessario per il nostro matrimonio. Non avremmo potuto essere più felici, in quel momento.
Adesso, guardare quell’immagine mi fa male, se ripenso a quello che è successo.
La afferro di scatto, per poi gettarla con rabbia nel cestino. Un rumore di vetri rotti accompagna la sua caduta.
Non so nemmeno per quale motivo sono arrabbiata, in realtà.
Se con Marco per quello che stava per fare, se con me stessa perché ho ritardato a dirgli del Pakistan, se con il mio cuore che lo ha già perdonato o col cervello che insiste a non farlo.
Forse è un misto di tutte queste ragioni.
Noto appena che Patatino solleva la testa, incerto su cosa mai stia facendo.
Adesso parlo anche da sola. Se continuo così, ci finisco veramente, alla neuro.
Quando mi volto, noto il mio abito da sposa spuntare dall’anta mal chiusa dell’armadio. Deve essere rimasto lì dalla sera in cui ho parlato con Cecchini, nemmeno ci avevo fatto caso.
Quel vestito bianco mi fa tornare in mente le parole di mia madre, quando mi disse che non l’avrei mai indossato perché non sarei riuscita a conciliare amore e lavoro. Quelle parole, col tempo, sono diventate fin troppo reali, anche se mamma mi ha detto di non crederci più a quell’assunto, quando le ho raccontato cosa Marco era convinto di aver fatto.
Mamma adora Marco, da sempre.
Non me l’aveva mai detto a voce alta prima, ma era evidente. Lui l’aveva conquistata fin da quando li avevo presentati, quella mattina in caserma, ed era stata felicissima di scoprire che stavamo insieme.
Non mi stupisce che ora stia tentando anche lei, insieme al maresciallo, di farci far pace. Sotto sotto, non mi dispiace vederla insistere affinché io possa davvero tornare a indossare quel vestito prima o poi, nonostante io abbia messo in chiaro più di una volta che la mia divisa non la lascerò mai. Per nessun motivo al mondo.
Ma anch’io voglio poter vestire di bianco e raggiungere Marco all’altare. Il mio principe azzurro che mi considera bella anche vestita da Zorro.
Solo che, a rivederlo adesso, mentre il mio cuore e la mia testa sono impegnate in una lotta continua, vorrei solo ridurre quel bianco in brandelli.
Con un tempismo sempre perfetto, sento il campanello suonare, saltando in aria, persa com’ero nei miei pensieri.
Vado ad aprire, convinta sia il fattorino con la pizza, ma con mio enorme disappunto c’è Cecchini, al telefono, intento a parlare con ‘Biscottina’, ovvero mia madre.
Il maresciallo entra in casa mia come se niente fosse continuando a chiacchierare al cellulare. Di me, naturalmente.
“Dai, Biscottina, stai tranquilla, le faccio compagnia io! Stai tranquilla, ci penso io, non resterà mai sola, le faccio compagnia io appena- eh... Sua mamma.”
Tenta di passarmela, ma io ho altre idee. Ho evitato le sue chiamate per tutto il giorno. Così è una costrizione!
Vorrei spingerlo fuori, ma in realtà lui non ha fatto niente di male, se non ospitare il traditore.
Capisco tu sia arrabbiata, ma ti ricordo per l’ennesima volta che Marco non ti ha tradito. La smetti di chiamarlo così?
Al momento no, grazie vocina. Torno a Cecchini.
“Non ci voglio parlare... non ci voglio parlare, non ci voglio parlare!” Sussurro, leggermente in panico. Lui, sia mai che mi dia ascolto?
“Un minuto, che sta dando da mangiare al cane... te la passo subito!”
Afferro il telefono, furibonda. “Mamma, ciao... sì, sto bene... Non ti preo- no, non c’è bisogno che vieni, stai tranquilla... Sì, certo, lo tratto bene il maresciallo...” mormoro, apatica, prima di mettere una mano davanti al microfono del cellulare quando vedo che lui ha recuperato la foto dal cestino. “Si deve fare gli affari suoi!!” gli intimo prendendogli la foto di mano e buttandola di nuovo insieme alle cartacce prima di tornare, malvolentieri, a parlare con mia madre.
Lei insiste sul fatto che devo pensarci, che devo calmarmi, riflettere...
Io la ascolto per metà, assecondandola più per abitudine che per reale intenzione di seguire i suoi consigli.
Una volta chiusa la chiamata, riconsegnato il telefono e convinto il suo proprietario a lasciami da sola - perché non ho proprio voglia di restare in compagnia di Cecchini, e quella di non lasciarmi mai sola suonava più come una minaccia - finalmente torno alla mia attività precedente.
Aspettare la pizza, chiudendo la mente.
 
Marco’s pov
 
“Furto d’auto, truffa aggravata, violazione di domicilio...” Elenca Cecchini in ufficio, la mattina seguente, leggendo il fascicolo sull’indagato.
“Senza contare la storia del bambino...” Aggiungo.
Siamo in ufficio.
Io e il maresciallo stiamo leggendo il fascicolo di Sergio La Cava.
In realtà più per Anna che per me, perché io lo conosco bene.
Ero io il PM che si è occupato delle indagini, quella volta, quando ancora lavoravo a Perugia.
Il caso era stato terribile, anche se mi aveva lasciato diversi dubbi perché il ragazzo, dopo una breve fuga, non aveva esitato a farsi catturare e assumersi la colpa di tutto. Strano, no?
Ma si dichiarava colpevole, era stato sul luogo del delitto, gli elementi c’erano tutti.
Si era beccato sei anni di carcere per omicidio, e il suo era stato uno degli ultimi casi che avevo seguito lì. Avevo chiesto il trasferimento qui a Spoleto perché Federica era di qui, per evitare di spostarmi tutti i giorni, e quando il mio predecessore Lucrezia Volpi aveva lasciato il posto, avevo ricevuto l’agognato trasferimento.
Certo, aveva causato più problemi che altro con Federica, visto che la mia precedente assenza aveva già portato lei e Simone al tradimento, ma alla fine ne era uscito qualcosa di molto meglio.
Perché dal tradimento era nato un amore più grande.
Avevo incontrato Anna.
Non è un riferimento casuale, è lei che sto osservando in questi istanti.
È concentrata, attenta, e capisco che anche a lei risulta qualcosa di strano dalla storia dell’omicidio del piccolo Spada.
Stiamo per iniziare a discutere del caso, quando una voce ci interrompe.
“Si può?”
Sara.
Rivolge un saluto generale a tutti, prendendo poi parte alla conversazione sull’aggressione.
Una volta terminato, si rivolge ad Anna.
“In realtà sono venuta anche per un altro motivo. Posso parlarti un momento in privato?” le chiede, e Anna annuisce con un sorriso.
Questa strana confidenza mi preoccupa un po’.
Non è che ci avevo visto bene? Si sono alleate davvero in qualche modo contro di me?
In ogni caso, per non peggiorare la situazione, io e il maresciallo andiamo via, ma non prima che Cecchini, come al suo solito, decida di approfittare del momento per chiedere alla PM un contributo per salvare la Madonna dei Disperati.
Ancora con ‘sta statua?!
Lei, senza esitare, tira fuori una banconota da cento euro.
 
Io e il maresciallo usciamo dall’ufficio del Capitano, e mi siedo accanto a lui alla sua scrivania, più scoraggiato che mai.
“Ma che si stanno dicendo? Non si capisce ‘na parola...”
“Non lo so maresciallo, non ne ho idea...”
Chissà cosa stanno progettando...
Anche tu dovresti progettare. Un modo per riconquistare la fiducia di Anna. In fretta, anche. Perché sì, ha detto che ti perdona, ma non è che la puoi fare aspettare in eterno. Come per la proposta, ricordi? SBRIGATI.
Solo che non mi sembra una grande idea parlarne con Cecchini, ché rischio di combinare un altro disastro annunciato.
“Ahhh, invece ce l’ho io una buona notizia!” Esclama lui, con una nota di speranza. “La Capitana, l’abito da sposa lo ha conservato! L’ho visto io, lo ha conservato.”
“Davvero?”
“L’ho visto spuntare dall’armadio, ieri sera quando sono passato a casa sua! Se lei non se ne libera, vuol dire che sta pensando, riflettendo, nel suo cuore... Mia madre lo sa come diceva? Finché c’è il vestito, c’è speranza!”
Un sorriso si fa spontaneamente largo sulle mie labbra.
Cecchini ha ragione, il vestito è un buon segno.
Nemmeno si rende conto di quanto le sue parole mi abbiano aiutato.
 
Sara’s pov
 
Giungo in caserma per capire meglio il caso che si sono trovati sottomano.
Arrivata in ufficio, trovo Anna intenta a parlarne con Marco e il maresciallo.
Mentre mi faccio spiegare lo stato delle cose, non posso fare a meno di notare lo sguardo mesto di Marco, che torna sempre su Anna.
Vista la richiesta che mi aveva fatto lei, di darle una mano a far espiare il suo fidanzato, colgo al volo l’occasione, chiedendole di poter parlare in privato. Lui entra immediatamente nel panico, ma va via senza fiatare. Il maresciallo mi chiede un contributo per... salvare una statua? Strana richiesta, ma sembra che lui ci tenga molto, per cui mi limito a collaborare.
Una volta rimasta da sola con Anna, dopo qualche istante scoppiamo a ridere per la scenetta appena svoltasi.
“Grazie per... l’aiuto per l’espiazione,” ridacchia lei.
“Figurati, non devi nemmeno dirlo... è divertente.” sorrido. “Non mi costa niente, dopotutto.”
“Grazie lo stesso. Ah, a proposito... mi chiedevo se ti andava di andare a prendere qualcosa stasera, se ci sei... Ci sarà anche mia sorella, così magari possiamo conoscerci meglio...” propone Anna, con una leggera esitazione.
“Volentieri!” accetto.
Ci mettiamo d’accordo.
Facciamo anche il punto sul caso, e poi esco dall’ufficio dopo averla salutata.
Uscendo, passo davanti alla scrivania del maresciallo, e sorrido perfidamente a Marco, continuando il ‘giochino’ architettato con Anna, che lo fa andare ancora più nel panico.
Poverino...!
Ma ci si è messo da solo in questa situazione, e impegnarsi non gli farà di certo male.
Comunque, sono sempre più sicura che l’uomo ubriaco che ho conosciuto quella sera, innamorato perso della sua Anna, una soluzione per questo casino la troverà certamente.
 
Anna’s pov
 
Sara è uscita qualche minuto fa dal mio ufficio.
È veramente carina, e sebbene ci conosciamo da pochissimo, qualcosa mi dice che è anche una buona amica. Mi sta aiutando a far ‘espiare’ Marco senza che fosse dovuto, in fondo.
Ci siamo accordate per stasera, ma prima ho una lunga giornata di lavoro che mi attende.
Sto rileggendo il fascicolo di Sergio La Cava.
Questo ragazzo non è certo un santo: la lista dei reati è lunga, anche se non si tratta di cose troppo gravi, tranne ovviamente l’omicidio.
Dal fascicolo, scopro anche che il PM che si occupò del caso, sei anni fa, era proprio Marco.
Ecco perché non ha detto quasi nulla prima, mentre Cecchini leggeva... sapeva già tutto, ed ecco anche il motivo per cui continuava a fissarmi.
Per Marco sono sempre stata un libro aperto. Avrà capito che alcuni dettagli non mi convincevano e stava aspettando di terminare per chiedere la mia opinione in merito, quando era arrivata Sara.
Evidentemente anche lui aveva avuto dubbi, nonostante le prove fossero tutte contro La Cava.
Forse dovrei parlarne con lui... del caso, di nient’altro.
Certo, come no... ci sto credendo!
Eccola, dannata vocina. Sta’ zitta!
Eddai, sai benissimo anche tu che non parlate mai solo di ‘lavoro, lavoro, lavoro’...
La ignoro, tornando al fascicolo.
Penso a cosa possa c’entrare con il caso corrente.
Chi ha sparato a Sergio? E perché? Chissà se le due cose sono collegate...
 
Sono le 17 quando il mio turno finisce.
A casa, trovo Chiara, appena rientrata. Mi cambio in fretta, per incontrare Sara direttamente al bar.
Le presento ufficialmente, visto che qualche giorno fa, nel mio ufficio, non avevamo avuto modo di farlo, prima di ordinare da bere per tutte e tre.
La serata precede tra risate e scoperte.
Non avevo sbagliato sul suo conto, Sara mi somiglia molto: testarda quanto me, dedita al suo lavoro, forse un po’ cinica anche se credo possa avere a che fare con qualche ferita non rimarginata del suo passato, di cui però non ha parlato apertamente.
L’ho intuito dai suoi gesti, dal comportamento verso alcuni temi trattati - sembra un po’ Marco quando l’ho conosciuto.
Ora cosa c’entra Marco? E poi dici che non pensi sempre a lui... Sì, sì, si vede.
Evidentemente c’entra a prescindere, perché sento Sara fare il suo nome.
Torno alla realtà, solo che non ho idea di cosa lei mi abbia chiesto perché mi sono persa una parte del discorso.
“Uhm, sorellina, gli alieni che dicono, sono simpatici? No, perché solo un rapimento extraterrestre poteva riuscire a farti distrarre...” commenta Chiara, facendomi arrossire, prima di ridere insieme a loro.
“Fa niente... ti stavo chiedendo cosa hai intenzione di fare con Marco. Perché quando l’ho incrociato in tribunale, in questi giorni, mi è sembrato anche lui distratto e parecchio giù. Ho capito che sta tentando di farsi perdonare...”
Io abbasso lo sguardo.
“Hai ragione... è solo che... la verità è che non so ancora cosa fare. Sono abbastanza confusa, è... una situazione difficile, per tanti motivi.” mormoro, ripensando a quello che Marco ha passato con Federica.
Sara forse intuisce qualcosa, perché lascia cadere il discorso, ma non prima di avermi dato il suo consiglio.
“In fondo ti capisco... meglio di quanto credi. Fai bene a prenderti del tempo per riflettere.”
Poi solleva il bicchiere per un brindisi.
“A Marco Nardi, l’uomo che inevitabilmente abbiamo tutte e tre in comune, che è pazzo della sua Anna e che però deve prima espiare per riprendersela!” esclama, facendo ridere sia me che Chiara, che ne sta a sua volta apprezzando la compagnia.
Confermo, questa serata tra donne è stata una manna dal cielo!
 
Marco’s pov
 
Sono rientrato da poco a casa del maresciallo. È quasi ora di cena, e mi sto avviando in cucina con l’intento di mettermi ai fornelli quando Cecchini sbuca fuori dal nulla, facendomi quasi prendere un infarto.
“Dobbiamo fare qualcosa per la Madonna dei Disperati!”
“Maresciallo! Un colpo m’ha fatto prendere...” esclamo, una mano sul cuore.
“E vabbè... mi deve aiutare,” dice, senza curarsi di nient’altro. “Deve venire con me. So che cosa dobbiamo fare per la statua.”
A me già questa cosa non piace.
“Che ha in mente?” gli chiedo, sospettoso.
“Non si deve preoccupare, Lei, deve venire con me. Anche per passare una serata diversa... all’aria aperta.”
“Quello magari ci vuole...” commento, seguendolo fuori senza reale entusiasmo.
Quello che non ci voleva è il modo in cui passiamo la ‘serata diversa’, come immaginavo.
Perché il suo piano prevedeva di andare con Pippo al terreno di Cocozza a rubare la Madonna dei Disperati.
Non so nemmeno perché accetto lo stesso.
Peggio, sulla strada di ritorno, incrociamo Zappavigna e un altro carabiniere di pattuglia, che chiedono cosa ci sia nella carriola, mentre io mi sono nascosto: ci mancherebbe solo questa!
Cecchini mi mette in mezzo, dicendo che ci sono io, che mi sono ubriacato - e dire che vorrei tanto essere astemio, da un po’ di tempo a questa parte - e che mi stanno portando a casa. Mi ritrovo costretto ad ascoltare le parole di compatimento dell’appuntato, giusto per migliorare la mia fama in giro.
Rientriamo dal maresciallo, mentre io mi chiedo se non sono davvero impazzito.
Rubare una statua, ma si può?
Se Anna lo scopre, sono nei guai fino al collo! Ed è l’ultima cosa di cui ho bisogno, perché dovrei essere alla sua porta, a supplicarla perché possa parlarle, non con Cecchini e Pippo per i vicoli di Spoleto...
La statua giunge sana e salva fino all’appartamento.
Ho passato tutto il tragitto di ritorno a battibeccare col maresciallo, e lui come al solito vuole avere ragione.
Io sono già nervoso di mio perché ho pure saltato la cena, così me ne vado a dormire senza dire altro, nonostante lui tenti di fermarmi chiedendomi scusa.
Nel cuore della notte mi alzo per prendere un bicchiere d’acqua, ritrovandomi davanti la statua della Madonna. Una presenza un po’ inquietante da incontrare al buio, visto che Cecchini l’ha posizionata proprio al centro del salotto. Certo, sempre meglio dell’idea fantastica che aveva avuto all’inizio: piazzarla accanto al mio letto.
Disperato sì, ma fino a questo punto non ancora.
 
Anna’s pov
 
 
La serata di ieri sera con mia sorella e Sara è stata terapeutica.
Finalmente sono riuscita a dormire tutta la notte, come non facevo da un po’.
La mattina, decido di andare a trovare Sergio in ospedale, nella speranza di riuscire a convincerlo a collaborare. So che nasconde qualcosa, e vorrei capire di che si tratta.
Busso per avvisarlo del mio ingresso, ma quando apro la porta lo trovo intento a cercare di infilarsi la camicia.
“Scusa...” mormoro con un leggero imbarazzo.
“No, che scusa, figurati...” minimizza lui, affrettandosi il più possibile a indossare l’indumento.
Il mio sguardo coglie la catenina che porta al collo.
“Allora, a cosa devo questa visita?” chiede, sempre col suo tono velatamente sarcastico.
“Sappiamo che non è stato Alfiero a spararti, sappiamo però che gli Spada posseggono una pistola dello stesso calibro di quella che ti ha sparato, pistola che non si trova... sappiamo che sai chi ti ha sparato.” affermo, senza esitare.
“Sapete un sacco di cose... e allora non vi servo, giusto?” mormora, prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la porta, che apre e attraversa.
Mi sento interdetta.
“Che fai, te ne vai?”
Mi lancia un’occhiata divertita. “Sono un uomo libero o no?”
La frecciatina velata non ha l’effetto che lui vorrebbe. Mi avvicino.
“Senti... a me non interessa quello che hai fatto prima, né quello che gli altri pensano di te. Sto solo cercando di capire chi ti ha sparato, e lo scoprirò... con o senza il tuo aiuto.” gli dico, piantando lo sguardo nel suo, che non abbassa.
“Bene, in bocca al lupo allora... Capitano!” sottolinea con leggera ironia. Il sottotesto del mio grado mi fa innervosire, come ogni volta.
 
“Allora, Sergio La Cava non collabora, dobbiamo vedercela da soli. Abbiamo novità?” affermo, una volta rientrata in caserma.
Sono nel mio ufficio insieme a Cecchini e Zappavigna. Marco è in ritardo, ma quando arriva il mio tentativo di parlare del caso va in fretta a vuoto.
“Buongiorno a tutti!” saluta, una punta di fastidio nella voce.
“Come mai a quest’ora?” si impiccia il maresciallo, come al solito.
“Scusatemi per il ritardo... Sono dovuto andare in tribunale e poi venire qua a piedi,” dice, imbronciato. “Maresciallo, non è che ha preso Lei le chiavi della mia moto, vero?”
“Io?!” fa lui, sconcertato. “Che ci dovevo fare con le chiavi della moto?”
“Magari le ha prese per sbaglio...”
Io trattengo un sorriso.
“Dice-” tento di parlare, ma Marco mi interrompe di nuovo.
“Scusa, Anna, un attimo... Lei non sa niente nemmeno del casco?” continua a chiedersi, col maresciallo che nega ostinatamente di saperne nulla.
A me viene da ridere, perché è vero che Cecchini non sa niente.
Potrei essere stata io a nascondere entrambe le cose con l’aiuto di Chiara.
Per una buona espiazione, bisogna camminare, faticare. E poi gli fa bene alla salute, così si tiene in forma.
Interrompo di nuovo le lamentele. “Abbiamo novità?” insisto, cercando di chiudere il battibecco.
Zappavigna ci sta spiegando cosa c’è di nuovo, quando arriva Don Matteo che ha trovato l’arma del delitto.
Ma è sempre un passo avanti a noi, il prete!
Come se non bastasse, giunge anche una telefonata per avvisarci di una rapina avvenuta nella gioielleria della famiglia di Sergio.
Ci precipitiamo lì.
 
Appena entrati, troviamo il corpo di Egidio Spada privo di vita.
Mi basta un’occhiata per capire che non è stato preso niente.
“... Non è un furto.” affermo, prima di accorgermi di un oggetto per terra, accanto a Spada.
“Cos’è?” chiede Cecchini, ma io rispondo solo con un profondo sospiro.
Conosco quella catenina, so chi l’ha persa.
“Dobbiamo trovare Sergio La Cava.”
 
Chiara’s pov
 
Sto lavando i piatti.
Non so bene come Anna sia riuscita a incastrarmi, ma tant’è. Di solito me ne tiro sempre fuori.
Lei però mi sta dicendo di quanto sia stanca e di come abbia passato tutto il giorno a cercare quel ragazzo senza trovarlo, quando qualcuno bussa alla porta.
È mamma.
Non sapevo fosse a Spoleto.
Dopo averci salutate entrambe, chiede di poter parlare con Anna.
So bene perché: sono giorni che cerca di contattarla, ma mia sorella risponde solo con brevi messaggi privi di vere informazioni su come stia.
Capisco dalla sua espressione che è qui per raccontare ad Anna una storia che io già so, e che ho scoperto per sbaglio.
Non ho mai detto niente ad Anna perché sapevo che avrebbe dovuto sentirla dalla mamma, se mai ce ne fosse stato bisogno. Il momento della verità è arrivato, e so che se ha deciso di dirglielo, è per far breccia nella sua armatura, e per indurre il processo di riappacificazione con Marco.
Così afferro il guinzaglio di Patatino, portandolo a fare una passeggiata e lasciandole alla loro conversazione.
 
Elisa’s pov
 
Chiara ci ha lasciate sole, intuendo probabilmente il motivo del mio arrivo a Spoleto.
È il momento che anche Anna sappia quella storia che avrei preferito non doverle raccontare mai, visto il suo rapporto con il padre, e che Chiara sa già ma che ha scoperto per puro caso.
Mi siedo sul divano, invitando Anna a fare altrettanto.
Lei accetta di malavoglia.
“Allora, io sono venuta qui a dirti che... anche tuo papà mi ha tradita. E io... io ero furibonda, lo sono stata per tanto tempo...”
Lei spalanca gli occhi, incredula.
So che non si sarebbe mai aspettata una notizia del genere, e io stessa non gliel’avrei data se non l’avessi ritenuto fondamentale.
Anna sembra non capacitarsene.
“Perché me lo stai dicendo? Che... che cosa mi stai dicendo? Che gli uomini tradiscono... e basta? Questo, è così?” Mormora, rabbiosa, fraintendendomi.
Capisco che devo spiegarle tutto fino in fondo. È una donna perspicace, ma alcune verità ha bisogno di sentirsele dire, invece di intuirle solamente.
“No. Che nonostante questo errore, tuo papà resta l’uomo meraviglioso che hai conosciuto e che ho amato perdutamente per quasi vent’anni... Può succedere in una vita, Anna, si può sbagliare... l’importante è che nelle persone che abbiamo davanti, che amiamo, non vediamo solo gli errori, ma il cuore!”
Lei mi fissa con gli occhi lucidi, così continuo.
“Io ho perdonato tuo padre nonostante mi avesse tradita, ed è stata la scelta migliore che potessi fare... Se io ho perdonato un tradimento, allora tu puoi perdonare Marco, che non l’ha commesso. Non ha mai avuto l’intenzione di farti del male, anzi... so che fa soffrire, ma... può un piccolo errore contare più delle azioni buone, dei momenti belli che avete condiviso? Più del suo amore, e del fatto che ti avesse lasciata libera di inseguire il tuo lavoro, cedendo all’alcol solo perché disperato all’idea di perderti?”
Anna a questo punto non riesce a trattenere quelle lacrime che sono convinta tenesse dentro da giorni. Cerco di asciugargliele come posso, anche se so che ha bisogno di sfogarsi.
“Anna, pensaci...” le suggerisco in tono dolce, lasciandola poi da sola a riflettere.
Ho preferito non insistere, perché capisco che deve ancora avere del tempo per elaborare tutto.
So che per lei la fiducia è uno dei valori più importanti in assoluto, e Marco ha rischiato di tradire proprio quello. Adesso mia figlia ha bisogno di riflettere, anche se spero che riesca a venire a capo della questione in fretta, perché vederla stare così male, quando sono abituata anch’io alla sua facciata forte, mi provoca solo ulteriore dolore.
 
Anna’s pov
 
Il discorso di mamma l’ho capito fin troppo bene.
Non avrei mai, mai pensato che papà potesse aver fatto una cosa del genere.
Ma mia madre è riuscita a guardare oltre, come io stessa non avrei mai immaginato, anche per me e per Chiara, probabilmente, e lo aveva perdonato.
È andata via poco fa, ha preso una stanza in albergo per lasciare me e Chiara più libere, sapendo che ho bisogno di passare del tempo con lei.
Vado verso l’armadio, aprendo poi l’anta per tornare a fissare il mio abito da sposa.
Quel vestito mi confonde.
Più lo guardo, più mi viene in mente quello che sarebbe potuto succedere.
In questo momento rientra Chiara, che capisce e mi abbraccia a lungo senza dire nulla.
Solo dopo un po’ mi chiede se può fare qualcosa per me.
“Se vuoi aiutarmi davvero, devi far sparire il mio vestito da sposa. Mi fa male vederlo di continuo.”
“Va bene, non ti preoccupare. Ci penso io, ho già in mente cosa farne.”
Torna ad abbracciarmi, prima di lanciarmi uno sguardo divertito.
“Mi sa che ci vuole un po’ di gelato, mh? Cioccolato e panna.”
 
Marco’s pov 
 
Cecchini ha appena fatto credere ad Anna che la figura distesa sul divano fossi io.
Lei ha bussato per avvertirlo del risultato positivo dello stab sul corpo di Egidio Spada, indicandolo come colpevole dello sparo a Sergio La Cava. Il ragazzo, a quanto pare, è venuto a Spoleto per rintracciare la figlia, quindi probabilmente è ancora in paese.
Solo che, prima di aprire la porta, il maresciallo mi ha costretto a spostare la statua della Madonna dei Disperati, e l’unico modo veloce era quello di appoggiarla in orizzontale sul divano, gettandole sopra una coperta poggiata lì.
Solo che - me ne rendo conto solo ora - la statua, per qualche assurda ragione, ai piedi ha dei sandali che assomigliano terribilmente a delle infradito. Morale della favola: Anna ha pensato che fossi io, che mi stessi nascondendo - dandomi pure dell’ ‘essere che fa finta di dormire’, giusto per migliorare le cose - e Cecchini glielo ha pure lasciato credere, con una pessima scusa tra l’altro.
Sì, perché le ha detto che avevo addosso quella coperta perché ho sempre freddo, quando Anna sa meglio di chiunque altro che non è così.
Anche in pieno inverno, ho sempre avuto il vizio di stare in maniche corte, bermuda e ciabatte a casa, non c’è temperatura che tenga.
Lei ha sempre affermato di non riuscire a capirmi in quel contesto, visto che, al contrario, lei ha sempre freddo.
Una delle cose per cui, se da un lato la prendevo in giro per le sue lamentele in merito, dall’altra non potevo che approfittarne per prenderla tra le braccia e stringerla a me per attenuare i brividi.
Ogni scusa era buona per averla vicina.
Comunque sia, non è il momento di fare i nostalgici: più mi lascio coinvolgere da Cecchini, più la situazione peggiora. Se solo Anna rispondesse alle mie chiamate e al mio incessante bussare alla sua porta...
Da fuori non mi azzardo più a provare, ho troppa paura della signora Serena. Mi ha già innaffiato una volta e minacciato di buttarmi giù dalla scala, preferirei evitare.
 
Nel frattempo, mi comunicano di aver rintracciato Sergio, che si trovava insieme a Don Matteo presso una casa di cura, in cui hanno accolto un’anziana signora, e che con loro c’era una bimba.
Probabilmente sua figlia.
 
Quando lo portano in caserma affinché possiamo interrogarlo, lui mi riconosce immediatamente.
Certo, come dimenticare chi ti ha sbattuto in galera?
Solo che sul suo volto si dipinge lo stesso sorriso beffardo di allora, irritandomi.
Se pensa che io provi piacere a farlo tornare dentro, si sbaglia. Non è questo lo scopo  del mio lavoro, e avevo sperato che avesse cambiato testa in questi anni.
Lascio che sia Anna a condurre l’interrogatorio, almeno inizialmente.
“Questa è tua, vero? Era sul luogo del delitto.” Chiede lei, sollevando una catenina.
Sergio, come al solito, non collabora.
Anzi, mormora qualcosa che non capisco.
“Come, scusa?”
Lui mi rivolge uno sguardo irriverente. “Dico, pensa te dov’era finita...”
Tanto basta a innervosirmi. “Fai meno lo spiritoso, però. Ieri sei stato visto entrare dagli Spada in un orario compatibile con quello del delitto.”
“È stato Egidio a spararti, vero?” Preme Cecchini.
“Eh, non mi ricordo...” è però la risposta di La Cava. Niente, quel tono che usa non fa altro che irritarmi.
Interviene Anna. “Hai ucciso tu Egidio Spada?” gli chiede soltanto, guardandolo dritto negli occhi.
Lui non abbassa lo sguardo né esita a rispondere. “No.”
È Anna a puntare gli occhi in basso, stavolta, pensierosa.
Anche lei crede ci sia qualcosa di strano nel suo atteggiamento, sebbene non abbiamo ancora affrontato direttamente l’argomento, ma lui non può sperare di passarla liscia, stavolta, con queste prove a carico.
“Adesso ti dico cosa penso: penso che Egidio ti abbia sparato e tu l’hai ucciso per vendetta.” asserisco.
Lui non risponde. Anna torna a parlare. “È andata così?”
Perché gli fa queste domande così semplici? Perché non insiste?
Lo sai bene, il perché. Gli stessi dubbi, ricordi? Aspetta.
La Cava non cambia atteggiamento. “Ditemelo voi com’è andata e fatemi sapere, va bene?” commenta, con un altro sguardo strafottente a me.
“Va benissimo, te lo facciam sapere subito, guarda... Sei in stato di fermo.” Affermo io, gelido.
Lui non sembra sorpreso, anzi. Fa per alzarsi, rivolgendo però un sorrisetto ad Anna. “Ci vediamo... Capitano.” La saluta in tono sommesso, con una sfumatura nella voce che mi fa montare una gelosia senza precedenti.
 
Lo seguiamo giù fin quando gli altri agenti non lo fanno salire in macchina.
Lui e Anna si scambiano un lungo sguardo, un’altra volta.
“Sembra che non vedesse l’ora di tornare in carcere...” mormora lei con voce incerta, lanciando poi un’occhiata di traverso a me.
“Perché è colpevole!” esclama il maresciallo con ovvietà.
“No, non penso...” nega però lei. “I colpevoli abbassano lo sguardo...”
“... gli occhi non mentono.” finisco io per lei, quasi sovrappensiero.
Anna stavolta si gira a piantare gli occhi nei miei, un misto di stupore e consapevolezza perché, anche in questo caso la pensiamo allo stesso modo.
Sono d’accordo.
Come quel giorno.
Per un secondo, vedo un piccolo sorriso farsi strada sulle labbra di Anna, prima che lei mi volti le spalle, tornando in caserma.
 
Anna’s pov
 
Poco fa Marco ha confermato ciò che io sospettavo già, ovvero che, come me, ritiene che Sergio nasconda qualcosa.
Non che mi stupisca più di tanto. Io e Marco siamo spessissimo d’accordo sui casi, contrariamente all’inizio del nostro rapporto di lavoro.
All’epoca, non facevamo altro che litigare, ma col tempo ci eravamo resi conto di avere solo modi di ragionare diversi, ma i dubbi alla base erano uguali. Da quel momento, era diventato tutto più semplice, e il nostro sodalizio lavorativo ne aveva giovato, ma non solo quello.
Forse mamma ha davvero ragione, dovrei guardare oltre l’errore che Marco stava per commettere, concentrandomi invece su ciò che di lui ho sempre amato, ciò che mi ha portata a fidarmi, e innamorarmi di lui.
I miei pensieri sono interrotti da Cecchini che vuole parlarmi di una sua intuizione. Sua, come no.
Una di quelle di Don Matteo, che se possibile, mi fa innervosire di più.
È la stessa identica cosa che avevo detto io prima: perché se lo dice il prete, Cecchini ci crede, e se lo dico io no?! Che senso ha?
Mentre parliamo, si presenta in caserma Cocozza, che strilla che Cecchini gli ha rubato la statua della Madonna dei Disperati.
Cerco di calmare le cose, inutilmente, ma il furto mi sembra un’accusa esagerata.
Anche perché, il maresciallo non la voleva comprare? E poi, che se ne fa di una statua?
Certo, da lui c’è da aspettarsi la qualunque, non mi sorprendo più di niente, con lui, ma da qui a rubarla... si può essere così disperati da compiere un gesto del genere?
Mi sorge un dubbio. Non è che Cecchini ha rubato la statua per - o con - Marco, vero?
Voglio dire, non è poi così disperato da volersi affidare all’aiuto divino, no?
Sorrido.
Certo che è proprio un pazzo se ha perfino dato retta a un piano di Cecchini.
Sì, stellina. È pazzo di te, e lo sai.
Scuoto la testa, tornando alla realtà. Non credo che il mio rossore sia consono al momento, ecco.
Cocozza insiste per controllare a casa del maresciallo, che inizialmente non vuole ma poi desiste.
Mentre siamo da lui, dove non troviamo nulla, sentiamo uno strano rumore.
Cecchini borbotta a proposito di qualcosa che ha mangiato, ma non mi frega.
“No no no no no, veniva dal mio appartamento, maresciallo!”
“Andiamo a vedere!” salta su Cocozza.
Apro la porta di casa mia, e mi si presenta davanti una scena a dir poco strana.
Chiara, intenta a parlare con Marco.
“Ciao, scusa, che cosa fai a casa mia?!” chiedo, irritata, perché mia sorella sa benissimo che non volevo che lui ci entrasse.
Lui sembra senza parole per qualche istante, spiazzato, alla ricerca di una giustificazione, forse, quando risponde Chiara.
“No, l’ho fatto entrare io... è, uhm, venuto a riprendersi una cosa...”
Questa storia non mi convince.
“Cosa?” presso.
Mia sorella mi rivolge uno sguardo di sufficienza, prima di afferrare un oggetto accanto a lei.
“Questo.” afferma, con nonchalance.
Il pouf.
 
Marco’s pov
 
Tra tutte le cose che avrebbe potuto scegliere, proprio il pouf doveva nominare Chiara?!
L’espressione di Anna è indecifrabile. Starà pensando mille cose, e una buona parte posso perfino indovinarla.
La scusa comunque sembra reggere, che lei ci abbia creduto o meno, e senza pensarci due volte si trascina via Cecchini e Cocozza, non prima di avermi lanciato uno sguardo incerto.
Sto per dirne quattro a Chiara, quando lei mi precede, dicendomi che deve darmi una cosa per davvero.
Tira fuori una borsa dall’armadio, porgendomela.
Il suo contenuto mi lascia perplesso.
È l’abito da sposa di Anna.
“Perché lo stai dando a me?” le chiedo, confuso.
“Mia sorella mi ha chiesto di disfarmene, in realtà, perché più lo guarda, più sta male, dice che la manda in confusione.”
Io abbasso la testa, sconsolato. Se vuole farlo sparire, significa che non ho poi molte speranze.
“Guarda che non è un male, eh,” mi riprende Chiara. “Anna è troppo concentrata a pensare alla parte negativa di quel vestito, ma se sa di non averlo più in casa, riuscirà a ragionare meglio sui suoi sentimenti. La conosci anche tu, no? Lei è una che ragiona su tutto, anche troppo, direi, e il vestito la blocca. Se invece riuscirà a riflettere, arriverà a risolvere tutti i suoi dubbi, e quando lo farà, le servirà quello,” continua, accennando all’abito.
La fisso per qualche istante: è assolutamente certa di ciò che sta dicendo, e il suo sorriso sicuro ne fa baluginare uno sul mio volto.
“Perché mi stai aiutando? Pensavo parteggiassi per Anna, non per me.”
”Infatti sto dalla sua parte, ed è proprio per lei che lo faccio. E poi, nessuno più di te vorrà difendere quel vestito con le unghie e con i denti, perché sia sempre lei a poterlo indossare. È il suo vestito, e lo indosserà al vostro matrimonio, quando sarà il momento. Dalle solo un po’ di tempo, ha ancora bisogno di accettare l’idea che ti ami più di prima.”
Ci scambiamo un abbraccio.
Tra noi non ha funzionato per ovvi motivi, ma sono felice di averla come cognata.
All’improvviso mi ricordo del vero motivo per cui sono in casa di Anna.
 
Recupero Pippo, nascosto in bagno con alla statua, e insieme cerchiamo di riportarla all’appartamento di Cecchini, mentre Chiara ridacchia di fronte ai nostri sforzi.
Ma la statua ci sfugge dalle mani, finendo in frantumi.
Ci scambiamo tutti e tre uno sguardo terrorizzato.
E ora chi lo dice, a Cecchini?
 
Anna’s pov
 
È sera.
Sono seduta sulla poltrona a ripensare al mio abito da sposa.
La borsa è sparita dall’armadio, quindi Chiara ha fatto come le ho chiesto, lo ha fatto sparire.
Il pensiero che un’altra possa avere il mio abito mi fa male, ma so che è stata la scelta più giusta.
Chiudo gli occhi per un istante, mentre mi concedo di ripensare a quel giorno in atelier, insieme a mia madre, quando l’ho scelto.
Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ma ero incredibilmente emozionata.
Se ero lì, era perché finalmente io e Marco ci saremmo sposati.
Avevamo stabilito la data, e iniziato a prenotare il ristorante, i fiori, la chiesa...
Era arrivato anche il momento del vestito bianco.
Non sapevo nemmeno cosa chiedere alla commessa, ma per una volta mia madre non aveva messo bocca, lasciando che trovassi da sola quello che faceva per me.
L’ho riconosciuto subito, quando l’ho visto.
Ho capito che fosse il mio non appena ci ho posato gli occhi sopra.
Quando l’ho indossato, ne ho avuto la conferma.
Il mio abito da sposa.
Quello con cui avrei raggiunto Marco all’altare.
Avevo desiderato che quel momento arrivasse il prima possibile.
Forse, ora, senza averlo intorno, riuscirò a ragionare in maniera più lucida.
Lascio vagare lo sguardo, alla ricerca di una possibile risposta ai miei dubbi, quando mi accorgo di qualcosa seminascosto sotto al divano.
Mi abbasso, tirando fuori... una mano. Di gesso.
Chiudo gli occhi, scoppiando a ridere.
Marco era qui a casa mia, oggi, e avevo trovato strano che Chiara lo avesse lasciato entrare così, senza dirmi nulla.
Adesso capisco perché.
Non era affatto venuto per il pouf.
Ha... davvero aiutato Cecchini a rubare la statua. Probabilmente il maresciallo l’avrà avvisato dell’arrivo di Cocozza, e lui ha pensato di portarla per qualche minuto da me, con la complicità di mia sorella.
Evidentemente il trasloco non è andato così bene, però, se le ha (hanno? Dubito fosse solo lui, comunque) amputato un braccio.
Le idee di Cecchini sono sempre più strambe, e Marco non riesce mai a sottrarsi in tempo. Si trova sempre invischiato nei suoi casini, solito vecchio Marco.
Questa consapevolezza mi diverte, anche se una bella ramanzina non gliela leva nessuno.
Non hanno di certo bisogno di una statua per risolvere i problemi.
E il mio fidanzato - perché lo è ancora - dovrebbe trovare un modo più ‘terreno’ per farsi perdonare.
 
“Ma Lei che pensa, che è stato lui a uccidere Egidio?” mi chiede Cecchini l’indomani, in caserma, riferendosi al figlio di Spada.
“No, è escluso, era a scuola.”
“Posso dire quello che penso, senza offesa?” fa allora lui, alzandosi. “Secondo me è stato Sergio La Cava. Voleva ricattare Egidio per non fargli rivelare che era stato Stefano a sparargli.”
Io non sono d’accordo. “Che fa, lo ricatta e non prende neanche un gioiello? No, non è stato lui.”
“E allora perché non parla, perché non si difende?”
“Perché sta nascondendo qualcosa, o qualcuno per cui è disposto a finire in carcere e a perdere sua figlia.” spiego, convinta della mia idea. Sono sicura che Sergio è innocente. Devo solo capire perché si comporta così.
“No...” nega il maresciallo, nonostante ciò.
Io lascio correre, cambiando argomento. “Ah, a proposito di nascondere... guardi cosa ho trovato sotto al divano...” dico, prima di tirare fuori da sotto la scrivania il pezzo di gesso.
Lui si illumina. “Ahh, la mano della Madonna...” mormora, prima di rivolgermi uno sguardo incerto.
“Se Cocozza la denuncia, rischia la divisa...” lo avviso, preoccupata. Lui si rigira il frammento di statua tra le mani. Io trattengo un sorrisetto. Fa sempre casini, ma gli voglio bene anche per questo.
 
Scopriamo finalmente chi ha sparato a Sergio, anche se non capiamo perché lui si ostini a comportarsi come se non ne sapesse nulla. È chiaro che mente, ed è per questo che ho provato a farlo parlare, andando in carcere a trovarlo, con zero risultati.
Forse la cosa che posso provare a fare è tornare a parlare con la sorella... o meglio, con il nipote e il marito di lei, perché ho la sensazione che la vera soluzione sia lì.
Quando arrivo a casa, ho appena iniziato a fare qualche domanda al ragazzo quando arriva anche Don Matteo, che ha i miei stessi dubbi.
Insieme, riusciamo a risolvere l’enigma: non è mai stato Sergio il vero colpevole dell’omicidio del bambino, ma sua madre, per via di un terribile incidente.
Una volta tornata in caserma, riferisco tutto a Cecchini, con Marco e Sara presenti.
Marco ha in volto un’espressione soddisfatta: è finalmente riuscito a venire a capo dei dubbi che aveva sempre avuto, e questa cosa mi rende felice. Siamo ancora un grande team sul lavoro, e non solo.
Dispongono così il rilascio di Sergio dal carcere, e io decido di andare a parlargli, aspettandolo fuori.
 
Quando esce, gli chiedo perché si sia preso la colpa per un omicidio che gli è costato sei anni di galera e l’impossibilità di stare con la figlia. Lui mi dice che comunque non si pente della sua scelta, perché vuole bene alla sorella e voleva solo proteggerla. Capisco anche che ha paura di affrontare la sua bambina, Ines, e nonostante neghi sia venuto a Spoleto per conoscerla, è chiaro che sia terrorizzato all’idea che lei lo rifiuti, o che lui non possa essere all’altezza. Cerco di convincerlo che dovrebbe comunque proseguire nel suo intento, magari a piccoli passi, ma provarci.
Lui non sembra convinto, e va via senza dire nulla.
 
Quando finalmente rientro a casa, poso le chiavi e il cappello sul tavolo, accendendo la radio in attesa che torni mia sorella.
La musica riempie l’aria.
Mi accorgo solo ora che il pouf è ancora qui.
Allora avevo intuito bene, era solo una scusa per coprire il vero motivo, ossia nascondere la statua...
Mentre mi ci avvicino, noto nel cestino la cornice che avevo gettato via per rabbia.
La prendo in mano, stando attenta a non tagliarmi con i vetri rotti, osservandola pensierosa.
Ripenso ai toni della conversazione con Sergio.
Anche Marco ha fatto un sacco di casini, ma mai con l’intento di ferirmi, anzi. Ha sempre cercato di proteggermi, di rendermi felice, lasciandomi libera anche a costo di sacrificare il nostro amore.
Le parole della canzone alla radio mi distraggono per un attimo.
 
“E sembro matto
Perché mi hai preso il cuore dentro al petto
Quando credevo che si fosse rotto
Hai smontato tutto e l’hai rifatto
Il tempo si ferma quando siamo assieme
Perché è con te che io mi sento bene
Voglio quei pomeriggi sul divano
In cui mi stringevi e respiravi piano
Ho perso te e la mia armatura di vibranio
Sembro strano”
 
È chiaramente un segno, questo.
Quelli descritti nella canzone siamo noi due.
Che siamo tornati ad amare dopo due cocenti delusioni, avevamo distrutto l’una l’armatura dell’altro, e ci siamo insinuati talmente tanto l’una nel cuore dell’altro che riusciamo a stare bene solo se stiamo insieme.
Niente l’ha dimostrato più di questi giorni passati lontani.
Adesso so cosa fare.
 
Marco’s pov
 
È sera, l’ora di cena è appena passata.
Chiara mi ha chiamato poco fa, chiedendomi se possiamo vederci in strada, davanti al portone del palazzo.
Mi è sembrata una richiesta strana, anche considerato l’orario, ma ho accettato comunque, per cui sono qui ad aspettarla.
Finalmente scende, e quando mi si para davanti ha un sorriso a trentadue denti.
Solleva una mano: tra le dita stringe un mazzo di chiavi, ma non uno qualsiasi.
Sono le chiavi di casa di Anna, o meglio dire, sono le mie chiavi di casa, quelle col portachiavi che mi ha regalato lei.
Chiara me lo consegna, prima di abbracciarmi.
“Hai già fatto l’idiota una volta, vedi di non sprecare quest’altra occasione,” mormora al mio orecchio prima di lasciarmi andare.
Tanto basta a farmi correre da lei.
 
Salgo le scale di corsa, a due a due.
Apro la porta, trovando Anna seduta sul pouf, un sorriso incantevole sulle labbra, gli occhi che brillano.
Noto sulla libreria la cornice con la nostra foto preferita: il vetro è rotto, ma è tornata al suo posto, segno che tutto si può aggiustare.
Non riesco nemmeno a parlare, ma lei non sembra aspettarsi che io lo faccia, anzi, è lei a prendere la parola.
“Penso proprio che tu abbia espiato abbastanza,” esordisce. “Me lo ha detto anche la signora Serena, quando sono rientrata dal supermercato. Mi ha detto che ho un fidanzato completamente matto, ma che di sicuro è innamoratissimo... e non posso che darle ragione. Così come, anche se mi costa ammetterlo, hanno ragione il maresciallo e mia madre. Non sarei partita in ogni caso, avevo già rinunciato al lavoro in Pakistan per restare con te. Per il nostro amore. Perché ho capito che sei tu che mi rendi felice... Mi rendi felice quando passeggiamo insieme, mi rendi felice quando andiamo a prendere il gelato, quando passiamo le serate a coccolarci sul divano, quando cuciniamo insieme... la verità è che mi basta stare con te. E ho finalmente capito che non mi importa cosa stavi per fare, o meglio, sì, mi ha fatto male, ma se il destino ha voluto che non succedesse nulla, allora forse dovrei guardare a ciò che di buono è venuto fuori da questa situazione. Come l’aver capito che possiamo superare tutto, e come la nascita di una bella amicizia con Sara,” spiega, con un sorriso.
Allora si erano coalizzate davvero per farti espiare!, afferma il grillo parlante nella mia testa, ma io lo zittisco subito, perché Anna non ha ancora finito.
“E, ecco, io... mi chiedevo se... ti andasse ancora di sposarmi... Magari non subito, possiamo aspettare l’autunno per riorganizzare tutto e ricominciare per bene dopo questo ostacolo, ma... Se lo vuoi ancora...”
Mi aspettavo il suo perdono, ma in questo non avevo osato sperarci. Mi sembrava troppo, dopo tutto ciò che è successo.
Lei è ancora in attesa di una risposta, così mi decido, sul mio volto un sorriso ampio quanto il suo.
“Certo, che ti voglio risposare... duemila volte, ti risposo!” esclamo.
Anna ride, venendomi incontro e gettandomi le braccia al collo, prima di baciarmi.
Quanto mi era mancata la sensazione delle sue labbra sulle mie...
E quanto mi era mancato stringerla, fare l’amore con lei, sapere di nuovo che domattina la troverò al mio fianco, dopo una notte senza fine.
 
Anna’s pov
 
Stamattina mi sono svegliata, finalmente, tra le braccia di Marco.
Mi mancava, questo risveglio. Mi mancava averlo accanto, mi mancava lui.
Non potrei essere più felice della scelta fatta, di riprendere insieme il cammino dopo una pausa accidentale, per via di una storta che sì, sul momento ha fatto male, ma che non ha causato alcuna rottura.
Il maresciallo ha bussato poco fa alla porta di casa, senza mostrarsi sorpreso di trovare Marco con me, limitandosi a un sorriso affettuoso per poi dirci che voleva riportare la statua al suo posto, e che aveva bisogno del nostro aiuto.
Stiamo finendo di prepararci giusto adesso e, come di consueto, mi ritrovo ad aggiustare il nodo alla cravatta del mio fidanzato. Io alzo gli occhi al cielo, fingendomi esasperata, mentre lui ridacchia prima di baciarmi.
Non mi ero resa conto di quanto tutto questo mi mancasse.
Ci affrettiamo a correre giù, prima di recarci con Cecchini e una piccola folla al campo di Cocozza.
L’uomo è ancora intenzionato a distruggere la statua, ma il maresciallo riesce a farlo ragionare e desistere, con grande gioia di tutti.
La statua della Madonna dei Disperati è salva, e ha anche compiuto un miracolo, quello che inizialmente Cecchini aveva chiesto.
Riprendere la strada del nostro amore.
Io e Marco assistiamo a tutto con le mani intrecciate.
Questa è la seconda volta che ci capita, di essere partecipi di un evento del genere, e in entrambi i casi, noi siamo insieme, più innamorati che mai.
Chissà cosa il futuro ci riserverà...
Noi non vediamo l’ora di scoprirlo.
Insieme.
 


Eccoci al secondo ‘episodio’!
Beh, non potevamo farli restare arrabbiati a lungo, giusto? Avevano bisogno di tempo, Anna doveva aver modo di riflettere, e meno male che c’è Chiara a fare da cupido, insieme agli altri (è tornata anche la signora Serena!!), altrimenti saremmo persi.
Tutto si è risolto, per il momento: Anna e Marco hanno fatto pace, e tutto sembra andare per il meglio.
Secondo voi, cosa succederà ancora? Il percorso è lungo...
Chissà! Voi diteci le vostre idee in merito, sbizzarritevi, io e Martina siamo curiose di sapere!
A presto,
 
Mari
 

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Capitolo 3
*** Ricordati di santificare le feste ***


RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE
 
 
Marco’s pov
 
“Ma che...?”
Il cellulare di Anna che squilla ancora prima della sveglia ci fa sobbalzare.
Non sono nemmeno le 8 del mattino, e lei non dovrebbe essere di turno, oggi.
Da qualche giorno, le cose tra noi sono tornate alla normalità, e io avevo fatto presto a recuperare la mia roba da Cecchini e trasferirmi di nuovo a casa nostra, mia e di Anna.
Abbiamo ancora un po’ di scatoloni in giro da sistemare, ma piano piano ce la faremo.
Certo, saremmo più veloci se non ci distraessimo facilmente, per recuperare il tempo perso, quasi fossero passati anni invece di pochi giorni separati, ma poco importa.
In ogni caso, stamattina volevamo prendercela un po’ comoda e poi terminare di organizzare tutto, per questo eravamo ancora a letto, a dormire abbracciati.
Il fatto è che Pasqua sta arrivando e vorremmo concludere il trasferimento prima di quella data, così da poter ospitare Chiara mentre Elisa, la madre di Anna, si appoggerà dal maresciallo. Gli hotel sono strapieni, per cui ci saremmo adattati tutti.
Solo che, evidentemente, qualcuno ha deciso che non è arrivato il momento di terminare ‘i lavori’, perché la chiamata arriva dalla caserma: a quanto pare, c’è stata un’aggressione presso un’area di servizio appena fuori Spoleto.
Anna si alza in fretta, correndo a prepararsi per poi raggiungere Cecchini e gli altri e recarsi sul posto.
Visto che comunque ormai sono sveglio anche io, senza Anna non ha senso restare a letto, per cui mi alzo e mi preparo, per aspettare lei e Cecchini direttamente in caserma, dopo aver avvisato anche Sara del nuovo caso.
 
Anna’s pov
 
La suoneria del mio cellulare mi ha letteralmente buttata giù dal letto.
Peccato, perché avrei voluto restare tra le braccia di Marco ancora un po’, ma il lavoro è lavoro, e un Capitano dei Carabinieri non si sottrae mai al suo dovere.
E Marco questo lo sa bene, che nonostante io abbia rifiutato l’incarico in Pakistan, la mia divisa avrà spesso la precedenza nella mia vita.
Ma mi ama anche per questo, no?
E allora, se la ama, non le chieda di cambiare... perché non è niente male.
In ogni caso, i nostri piani per la mattinata sono sfumati alla chiamata che ho ricevuto dalla caserma, e dopo un bacio veloce a Marco, sono corsa al lavoro, con Cecchini che mi attendeva sul pianerottolo.
Solo che, quando ci è arrivata la segnalazione dell’aggressione in autogrill, tutto ci saremmo immaginati, tranne la scena che ci si para davanti.
Arrivati sul posto, infatti, una donna bionda attira l’attenzione del maresciallo: è Lia, sua nipote, con i bambini.
Scopriamo allora che la persona aggredita è il Maggiore Tommasi, il genero di Cecchini, in viaggio per Spoleto insieme alla moglie e i figli Martina e Nino jr per fargli una sorpresa per Pasqua, visto che Assuntina non riesce a rientrare da Parigi.
Cecchini, naturalmente, è preoccupato. Lia sale sull’ambulanza insieme al marito, mentre chiede al maresciallo di occuparsi dei bambini. Loro non hanno visto niente, perché si erano fermati proprio per i bimbi che dovevano andare in bagno, e tutto è accaduto durante la loro assenza.
A primo impatto sembrerebbe una rapina finita male, ma bisogna verificare. Il maresciallo è impegnato a cercare di confortare il piccolo Nino, che pensa sia colpa sua. La sorella maggiore, Martina, cerca di tranquillizzarlo a sua volta con un abbraccio.
Intenerita da questa scena, lascio che Cecchini si occupi dei bambini e vada in ospedale per avere notizie su Tommasi, mentre io rientro in caserma.
Il maresciallo mi informa poco dopo che suo genero si è fortunatamente svegliato, anche se ha accennato a un piccolissimo problema: Tommasi, sembra, ha perso la memoria. Sperano non sia niente di permanente, anche se attendono di saperne di più dai medici.
 
Qualche ora dopo, quando Cecchini rientra in ufficio, ci raggiungono anche Marco e Sara.
“Volevo esprimervi la mia solidarietà per l’aggressione al vostro collega, vi sono vicina.” dice lei in tono preoccupato, dopo aver saputo del legame familiare col maresciallo.
“Grazie per la tua vicinanza... la apprezziamo, davvero.” rispondo. “In fondo, ormai anche tu fai parte della grande famiglia della caserma, sei gentile a preoccuparti.”
Lei mi rivolge un sorriso grato.
“Ho saputo che il Capitano si è già ripreso!”
“È un po’ confuso ma ci stiamo lavorando.” è la risposta tesa di Cecchini.
E già, perché Tommasi, per via della botta in testa, è convinto di essere ancora il Capitano di Spoleto, e di essere legato a Bianca Venezia, sua amica di lunga data e PM con la quale ha collaborato per un periodo.
“Ci sono novità sugli aggressori?” mi chiede Marco, cauto, tornando al caso.
“Abbiamo diramato la targa dell’auto rubata.”
“Ma è stato un caso o volevano proprio colpire lui?”
“Gli hanno rubato il portafoglio,” rispondo alla Procuratrice, “probabilmente è solo una rapina finita male. Però, se abbiamo novità vi faremo sapere.”
Lei allora si congeda, accompagnata fuori da Cecchini e Marco, mentre io inizio a fare il punto della situazione per aprire il fascicolo del caso.
 
Anch’io sono preoccupata per Tommasi, sebbene non lo conosca ancora di persona, ma ho sentito parlare molto di lui sia dal maresciallo che da Marco, con cui aveva iniziato a collaborare da poco, prima della sua promozione a Maggiore e il trasferimento a Roma.
Lo avrei dovuto conoscere a breve, comunque, nella rimpatriata che Cecchini stava a tutti i costi cercando di organizzare, non sapendo che il genero sarebbe venuto con tutta la famiglia per le festività pasquali.
Sono contenta per lui, erano mesi che non vedeva i nipotini e gli mancavano molto. È un vero peccato che sia successo questo incidente, ammesso che lo sia.
Ma questo devo scoprirlo io.
Decido di mettere da parte i pensieri, dedicandomi al lavoro.
 
Marco’s pov
 
Sara è appena andata via, chiedendomi di tenerla aggiornata.
Visto il modo in cui ci siamo conosciuti, sono sinceramente stupito del rapporto che si è creato con lei in caserma.
Non mi stupisce invece il fatto che abbia legato con Anna, e anche con Chiara. Sono certamente un trio di amiche ben assortito, con Sara a fare da trait-d’union tra le sorelle Olivieri.
“E quindi? Ora che avete fatto pace, Lei e la Capitana, come va?” mi chiede Cecchini, una volta scesi in piazza.
Mi viene da sorridere. Avrebbe problemi ben più gravi, eppure si preoccupa ancora per noi. So che ci vuole un gran bene, ci considera di famiglia, dei Cecchini anche noi due.
In qualche modo lo siamo anche stati, io e Anna, per lo spettacolo con Carlo Conti a cui avevamo partecipato per fare felice il piccolo Cosimo.
Sono stati giorni molto belli, quelli delle prove.
Quel bacio rubato ad Anna, con la scusa della scena, e noi due che avevamo dovuto ritrarre una famiglia felice con il bambino.
Chissà che quel momento non arrivi davvero, prima o poi...
Sì, all’epoca mi ero dimostrato molto restio all’idea di fare il padre, anche se per finta, ma adesso le cose sono nettamente cambiate. Non mi dispiacerebbe diventarlo davvero, anzi... Me l’immagino già, una piccola Anna o un piccolo me corrermi incontro per farsi prendere in braccio... Assurdo, mi sembra di vederla già ora, ad occhi aperti, una-
No, aspetta, non è un sogno.
C’è davvero una bambina che mi sta correndo incontro.
“Per favore, mi potete aiutare?”
È la piccola Ines, la figlia di Sergio La Cava. È ospite di Don Matteo, mentre il padre è ancora qui a Spoleto a fare chissà cosa.
“Che c’è?” Le chiediamo.
“Mi dovete aiutare!”
“Per cosa?”
“Per mandare in prigione Don Matteo!” Afferma lei, lasciando sia me che il maresciallo basiti. “Abita là, è sempre vestito tutto di nero, con una bicicletta, dice che fa il prete ma io non ci credo, i preti non sono così!”
Non trattengo un sorriso. Hai capito, la piccolina...
“Perché vuoi mandare in carcere Don Matteo?” domanda Cecchini, curioso.
“Perché è cattivo. Ha mandato mia nonna in un posto brutto.”
Mi abbasso sulle ginocchia per stare al suo livello. “Un posto brutto... che posto brutto?”
“Una specie di casa grande, dove ci sono persone tanto vecchie.” mi spiega, imbronciata.
Una casa di cura, probabilmente.
Noto il maresciallo osservare interessato la nostra interazione, con un sorriso eloquente stampato in volto.
So che sta pensando: ne ho fatta di strada, da quel giorno in cui a chiedermi aiuto c’era Cosimo.
Però che carina, questa bimba... molto intraprendente e sicura di sé. “Tu mandi in prigione Don Matteo e poi liberi la mia nonna!” esclama, festosa: ha trovato una soluzione.
“Però non è che funziona proprio così...” le rispondo, col tono più dolce che riesco a trovare.
Lei cambia tattica. “Ti prego, non ho più la mamma, il papà non ce l’ho... Ti prego!”
Mi intenerisce da morire, ma non posso aiutarla come vorrebbe lei...
“Lo so, ma io non so veramente che cosa fare...”
Lei fa una buffa espressione infastidita. “Mia nonna aveva ragione, ‘chi è rosso di capello non è capace di fare niente di bello’.” Mi accusa, lasciandomi senza parole e saltellando via.
Mentre la osservo andar via, ripenso alla scena immaginata poco fa. La piccola Ines mi ricorda qualcuno... qualcuno che ‘odia’ Don Matteo, che è intraprendente, sicura di sé e che vuole sempre trovare soluzioni da sola... la sua versione in miniatura, diciamo. E forse è per questo che mi ha colpito tanto.
A rendere il tutto ancora più familiare, l’immancabile commento di Cecchini.
“Non lo conoscevo ‘sto proverbio... però secondo me è giusto- sbagliato... che c’entrano i capelli...”
La rettifica serve a poco, perché ha dato ragione alla bimba esattamente allo stesso modo in cui dà ragione alla sua versione adulta durante i nostri battibecchi.
Sì, decisamente mi ha ricordato i momenti con qualcuna...
 
Sono le 17.
Sarò sincero, rischio di finire fatto a pezzettini per quello che sto facendo.
Cioè, sto facendo una bella cosa, ma comunicarlo a qualcuna non sarà esattamente una passeggiata. Il mio intento sarà anche nobile, ma sarebbe stato più opportuno avvisarla, credo. Comunque sia, ormai è tardi, la mia fine è già segnata.
Ah già, che sto facendo... Sto aiutando Cecchini a riempire l’appartamento mio e di Anna con la roba di Tommasi. Abbiamo fatto sparire gli scatoloni e le nostre cose (a tal proposito, evidentemente il problema è davvero che ci perdiamo per strada nel sistemare... con lui ci è voluta un’ora scarsa per finire), per sostituirle con quelle di suo genero perché la sua memoria non è ancora tornata, anzi. È convinto di essere ancora Capitano qui a Spoleto e, cosa peggiore, di essere fidanzato con la sua collega PM Bianca Venezia, oltre che a vivere ancora qui in questa casa.
Cecchini, quindi, ha già elaborato un piano tutto suo (e già la vedo male) coinvolgendo naturalmente anche me.
Solo che ci sono giusto un paio di ostacoli in questa faccenda.
Il primo è arrivato: la serratura della porta è appena scattata.
Aiuto.
 
Anna’s pov
 
È stata una giornata lunga al lavoro, e non vedo l’ora di riposarmi un po’.
Ultimamente mi sento più stanca del solito a fine giornata.
Sarà che finalmente sto rilasciando il peso delle preoccupazioni delle scorse settimane, tra la storia del Pakistan, il matrimonio posticipato, mia madre e il maresciallo... adesso che le acque si sono calmate, io mi sto finalmente liberando.
Comunque sia, entro in casa con l’obbiettivo primario di togliere la divisa e fare una lunga doccia rilassante per poi godermi una serata tranquilla con Marco, quando un oggetto cattura la mia attenzione: una foto di Tommasi attaccata al muro, e con quella tanti altri quadri non miei e attrezzi da palestra e boxe che di sicuro io non uso, né tantomeno Marco.
Non ci metto molto a notare l’artefice del trasloco. O meglio, gli artefici.
Perché sono due.
“Posso sapere che state facendo?”
Marco e Cecchini mollano quello che hanno in mano e mi raggiungono in soggiorno, un’aria leggermente colpevole stampata in faccia.
“Ah, finalmente, Signor Capitano, è arrivata...”
Il maresciallo farfuglia qualcosa sull’intenzione di avvisarmi (tra l’altro, Marco si becca una strigliata perché mi aveva detto che la chiamata urgente che aveva ricevuto era per lavoro), per poi spiegare, “Ehh... ci siamo portati avanti col lavoro, mi sono permesso di iniziare, sapendo che pure Lei c’ha un cuore grande... Siccome oggi il Capitano Tommasi è stato dimesso dall’ospedale, e...”
“... E Lei lo vuole mettere a casa nostra.”
Trattengo malamente il nervosismo. Le adulazioni con me non funzionano, lui lo sa, ma il vizio non se l’è tolto. Con molta esitazione, ammette che ho ragione.
“... Sì. Allora, che succede... che lui è convinto che questa sia casa sua! E allora come si fa? Si tratta soltanto di due giorni... Siccome lui a suo tempo aveva prenotato l’albergo qua a Spoleto, il PQ Hotel... Ci andate voi! Si può fare...?”
Se da un lato vorrei strozzarlo, perché ci ha praticamente sfrattati da casa senza chiedere, dall’altro mi ha fatto capitolare all’istante.
“... Lei farebbe di tutto per il suo Capitano.” mormoro, avvicinandomi ai due.
Marco nota immediatamente il mio cambio d’umore, accarezzandomi con dolcezza la schiena mentre io appoggio la testa contro la sua spalla.
So che Cecchini ha le migliori intenzioni, con Tommasi. È suo genero, in fondo, ed è normale che voglia aiutarlo. Di più, per Tommasi, Cecchini è praticamente un padre, come ormai lo è per me e per Marco, e so che farebbe davvero qualunque cosa per chi ama. Nessuno meglio di noi lo sa, lo abbiamo visto in questi due anni.
Anzi, fin da quella mattina in piazza, quando aveva affermato che il PM mi sarebbe piaciuto di sicuro. Ci aveva presi sotto la sua ala protettrice, e nonostante i suoi goffi tentativi di aiutarci, spesso falliti, in qualche modo ci aveva sempre riportati uno tra le braccia dell’altra.
“Sì, e farei di tutto pure per voi due, sempre.” afferma infatti, in tono sincero.
Ma lo so, non c’è bisogno che lo ribadisca, perché lo ha già fatto anche per noi.
Perché nei due anni che sono passati, mentre io e Marco eravamo convinti di occuparci di lui, di dover fare del nostro meglio per aiutarlo a superare la depressione subentrata dopo la morte di Caterina, in parte era lui che si occupava di noi. Col suo continuo impicciarsi, il volersi assicurare che le cose tra noi andassero bene... Perché se noi stavamo bene, anche per lui sarebbe stato tutto a posto.
Il Maresciallo è così, generoso... a volte anche troppo.
Ma è proprio questa la sua qualità migliore.
“Va bene, per questa volta fingiamo di fare i turisti e andiamo in hotel,” commento soltanto, con Marco che si mette a ridacchiare.
Mi rincuora vedere il maresciallo tornare a sorridere per l’appoggio.
“Grazie, grazie veramente... Patatino, divertiti questi tre giorni!” gli dice, mentre il cane lo osserva, curioso.
Aspetta un attimo...
“Aveva detto due!”
Lui cerca di riprendersi. “Ho sbagliato... Due, due sono, Patatino...!” conclude in fretta, dileguandosi oltre la porta.
Sospiro pesantemente.
Due giorni... i primi, mi sa.
Ma per lui, questo e altro.
Dopo aver rifilato un colpetto a Marco, che non la smette più di ridere adesso che Cecchini è andato via, prendiamo cane e valigie, recandoci poi in albergo, dove scopro che il maresciallo aveva già provveduto a informare del cambio per le camere e i nominativi.
Ci affrettiamo a prepararci, per poi tornare a casa Cecchini per la cena che lui ha organizzato per riaccogliere Tommasi.
 
Sono in cucina a dare una mano a Lia per gli ultimi dettagli della cena che lei ha preparato. Fino a qualche istante fa c’era anche Marco con noi, ma adesso si è spostato in salotto a parlare con gli altri.
Da qui, noto Cecchini spiegare con pazienza ai nipoti come comportarsi quando arriverà il loro papà. Col piccolo Nino è più facile fargli credere che sia un gioco, mentre Martina, più grande, sembra aver intuito parte della storia. Con l’intervento di Lia, comunque, anche lei accetta di fingere di non conoscerlo per un po’.
Che situazione surreale.
 
Marco’s pov
 
Io e Anna siamo stati invitati a casa Cecchini, per la cena con Tommasi, dimesso oggi dall’ospedale. Ci sono anche Ghisoni, Barba e Zappavigna, naturalmente con Lia e i bambini.
Mentre attendiamo il rientro del Capitano, non posso fare a meno di pensare a Lia, a come si senta. Suo marito non solo non si ricorda minimamente di lei, ma peggio, è convinto di stare con un’altra.
La situazione ha del surreale.
Io e Anna ne abbiamo parlato... non sarà facile, ma faremo il possibile per aiutare il maresciallo e la sua famiglia in questa situazione.
I miei pensieri sono interrotti dall’arrivo di Tommasi, che ci saluta tutti. Il Maresciallo ci ripresenta, come se non ci conoscessimo, ma è comprensibile: ha rimosso gli eventi degli ultimi quattro anni e mezzo dalla memoria, non può certo ricordarsi di quei pochi mesi in cui avevamo lavorato insieme dopo il mio arrivo a Spoleto per sostituire la mia collega Lucrezia Volpi.
Mi ricordo bene il nostro primo incontro.
Mi è sembrato subito un Carabiniere molto professionale e in gamba, meticoloso, molto attento ai dettagli. Ma anche un ottimo padre e un buon marito.
Eravamo diventati amici, per quanto si possa legare in pochi mesi, e avevo scoperto una persona con cui sarei andato molto d’accordo.
Un uomo tutto caserma e famiglia.
Mi viene quasi da ridere: dev’essere un tratto distintivo dei Capitani, questo.
Certo, quell’incontro non assomiglia minimamente a quello avuto con un altro Capitano...
Lì erano state scintille.
A tal proposito, Cecchini chiama Anna, che ci raggiunge, presentandola a Tommasi soltanto come la mia fidanzata, omettendo il fatto che sia anche un Capitano dei Carabinieri. Vorrei capire come faremo ad ovviare al tutto, ma non è il momento di pensarci, ora.
Cecchini ci ha detto che bisogna assecondare Tommasi in tutto per adesso, secondo le direttive del medico, ed ecco perché mi sono ritrovato ad assicurargli di conoscere la sua ‘fidanzata’ Bianca Venezia. Questo nome non mi è nuovo, forse ci siamo incrociati in tribunale qualche volta, oppure è per via dei racconti del Maresciallo, non sempre troppo positivi nei suoi riguardi.
La cena scorre abbastanza tranquillamente.
Oddio, più o meno, visto che il piccolo Nino soprattutto enfatizza un po’ troppo il giochino del ‘non conoscere’, e Tommasi non fa che sottolineare quanto ami Bianca.
La cena ha un brutto risvolto quando Tommasi propone un brindisi a Bianca, e Lia si alza, offesa, con la scusa di dover mettere i bimbi a letto.
La capisco... è terribile vedere la persona che ami affermare di essere innamorata di un’altra. Fa male, malissimo, ma spero che nel suo caso tutto possa risolversi presto. Lui ha solo perso momentaneamente la memoria, Federica all’epoca no, era pienamente consapevole. Con lei sono stato sfortunato. E dall’amore, ero passato velocemente ad odiarla.
Ma ogni caso è a sé.
Spero comunque che le cose si sistemino presto, per loro, ma anche per Cecchini.
Si vede che è molto preoccupato, anche se non lo dà a vedere, e non si darà pace finché non avrà posto rimedio alla cosa.
Quel pazzo ha un cuore grande quanto una casa. Una casa enorme, in cui ci abitano tutti i commensali di stasera.
Cecchini, comunque, ha incitato tutti ad andar via quando la situazione è sfuggita di mano, così io e Anna stiamo tornando in hotel, e stiamo commentando quanto successo.
Anche noi siamo preoccupati, soprattutto per il maresciallo.
È una roccia, ma la circostanza è delicata e da solo non reggerà a lungo il peso di questo fardello.
La nostra conversazione viene interrotta dallo squillo del cellulare della mia fidanzata.
Non è così tardi, ma a quest’ora, solitamente, se è la caserma come in questo caso, le notizie non sono mai positive.
Infatti, una ragazza è stata aggredita.
Anna si affretta a mandare immediatamente i suoi uomini per il sopralluogo.
Una volta in hotel, lei si cambia in fretta per raggiungerli, da sola e soltanto perché insiste che io non la accompagni come volevo fare.
Ma in effetti, non le sarei di grande aiuto in questa fase delle indagini.
 
Anna’s pov
 
 
È stata una lunga notte di lavoro.
Sono rientrata in hotel che erano quasi le quattro del mattino per riposarmi un paio d’ore prima di tornare in caserma.
Solo che è stato Marco a dovermi svegliare, poco prima delle 8. Ho dormito più di quanto avrei dovuto, ma Marco evidentemente ha capito che ero stanca, oltre che nervosa.
Pensavo fosse dovuto alla perdita di sonno, invece quando entro in ufficio, più che calmarmi, mi ritrovo sul piede di guerra.
“Che cosa ci fa lui qui?” Chiedo, furiosa, quando noto Tommasi gironzolare indisturbato oltre la vetrata. Già, perché è convinto di essere ancora il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, ma magari fosse solo quello... oltre casa, si è preso pure il mio ufficio!
Giuro, mi sento più infuriata di quella volta che ci trovai qualcuno in mutande.
Veramente era vestito col completino per la partita di calcetto...
Zitta, vocina, non è il momento di contraddirmi!
Okay, okay, mi eclisso.
“Maresciallo, io posso capire la malattia, posso capire che devo dormire in albergo... però il lavoro no.”
Aspe’, però, Anna, respira. Che qua la pressione sale. Stai calma.
Lui fa spallucce, sconsolato. “C’ha ragione, però... gli parlo io, magari a me mi sta a sentire...” mi dice, ma io temo anche questo.
Perché, ieri sera, mi ha presentata solo come la fidanzata di Marco. Ora come glielo spieghiamo, che sono un Capitano e lavoro qui?
Che domande sceme che ti poni, certe volte. Hai Cecchini, davanti. In trenta secondi avrà pronta una scusa più o meno plausibile. Dagli corda, per una volta, su!
Tommasi esce, raggiungendoci. “Cecchini! Buongiorno Maresciallo! Mi scusi, ma... tutti i miei quadri, la mie foto, non ci sono più!” esclama, ignorandomi deliberatamente.
“Stiamo cercando di rimettere, diciamo, meglio...”
“E poi scusi, la divisa... io l’ho cercata a casa ma non la trovo!”
“L’ho portata in lavanderia io perché c’aveva una macchiettina...”
Io osservo lo scambio senza fiatare, tentando di restare calma.
“Mi sembra strano... Comunque pensiamo al lavoro, perché Ghisoni mi ha avvisato dell’aggressione. L’indiziata dov’è?”
L’occhiataccia a Ghisoni non gliela leva nessuno, così come qualche altro giorno di consegna. Inutile che si mangi le mani adesso. Ma che cavolo! Cos’è, si è già scordato chi è il Capitano, qui?
“L’indiziata è giù, sta salendo, diciamo... però, Lei, io la vedo più bianco... è meglio che si riposa, dopo tutto quello che Le è successo...”
“Quale riposo? Qua non c’è tempo di riposarsi! Io sono stato rapinato, è stata aggredita una ragazza, qui a Spoleto la situazione sta degenerando!”
Cosa?!
No, questo no. Va bene tutto, assecondarlo e quant’altro, ma questo non glielo faccio dire. Anzi! Semmai, molte cose io le ho sistemate!
“No, mi scusi, se permette... la situazione a Spoleto è perfettamente sotto controllo...!”
Lui si volta finalmente a guardarmi, come se fino ad ora non mi avesse nemmeno notata.
“Prego? Lei non è la fidanzata del Dottor Nardi?”
“Sì, infatti... ma sono anche-”
Cecchini si affretta a intromettersi, beccandosi una mia occhiata di sbieco, inventando una scusa. “Praticamente quando Lei è stato male, hanno mandato la sostituta... Conosce il caso alla lettera, sa tutti i dettagli, i particolari, però...” - tremo - “non ha l’esperienza che c’ha Lei! Una grande esperienza che a Lei farebbe comodo...! Quindi io farei ‘na cosa... L’interrogatorio lo fa Lei, e Lei invece supervisiona dall’alto!”
Non ho parole.
“Che faccio io, scusi?” fa l’altro, interdetto.
Mai quanto me, Maggiore, mai quanto me.
Non mi sembra tanto convinto, visto che avremmo potuto dirgli del mio ruolo anche ieri, senza contare il fatto che non avrebbe senso, che io viva a Spoleto ma lavori da tutt’altra parte. Non regge nemmeno la scusa che io stia con Marco.
Cecchini non demorde.
“Supervisiona, fa la supervisione dall’alto... giusto? Potrebbe essere una soluzione...”
“Va bene, sì, per il momento può rimanere. Venga, si accomodi.”
Perfetto, adesso vengo pure invitata ad accomodarmi nel mio ufficio.
Fantastico.
Santa pazienza... io ne ho tanta, di solito, ma qua mi sembra non basti affatto.
Mi ritrovo più nervosa che mai, oltre che stanca, ma ho dormito poco e male, per cui questa pressione addosso non mi aiuta di certo. Perché sentire darmi dell’inesperta, seppur indirettamente, mi manda su tutte le furie.
Come ha potuto il maresciallo dire una cosa del genere? Io posso capire e accettare tutto, ma-
Oddio, tutto non mi pare.
Non mi va che mettano in dubbio le mie capacità, soprattutto per uno che non mi conosce affatto.
Va bene, questo è vero, però ora calmati che se no ti prende un colpo.
 
Arriva finalmente l’indiziata.
Almeno posso ancora sedermi al mio posto, per ora.
Inizio l’interrogatorio.
“In che rappor-”
“Maresciallo, io questa pianta non la voglio,” mi interrompe bruscamente Tommasi. “La porti via, la porti via... No, anzi, la metta lì...”
Io osservo Cecchini fare avanti e indietro, incredula.
Ma dove siamo, all’asilo?
“Abbiamo finito?” Faccio a un certo punto, seccata.
“Ho sistemato la pianta... lì.”
“Ho visto...”
“Continui, continui...” concede Tommasi, finalmente. Mi trattengo dallo scuotere la testa. Ma che modo è?
“Scusi... in che rapporti è con sua figlia?”
“Ultimamente non buoni.”
“Perché?”
Lei fa un sorrisetto ironico. “Eh, sarà capitato anche a Lei di discutere con sua madre senza un motivo preciso, no?”
Abbasso lo sguardo, infastidita. “No, mia madre me ne dà tanti, di motivi... e anche ben precisi.” commento, con un’occhiataccia a Cecchini.
Perché, come dicevo, non mi bastano i miei pensieri, pure i biscottini non mi danno tregua.
“Le dica di non farsi coinvolgere dai casi...” sento mormorare Tommasi, e stavolta mi devo impegnare sul serio per non saltar su.
“Non ho sentito niente...” biascica Cecchini nel tentativo di ignorarlo, senza successo.
“... Sul lavoro, le cose personali... è un pochettino acerba...”
Acerba? Io?!
“Aehm, come?!”
“... Un pochettino acerba...” borbotta il Maresciallo senza guardarmi, ma io non demordo.
“Non ho capito...!”
“Continui!”
Grazie, Tommasi, veramente!
Riprendo, e vediamo se la possiamo concludere.
“... Dicevo, dov’era ieri pomeriggio?”
“In hotel, al lavoro, come sempre.”
“E ha incontrato sua figlia?”
“Sì.”
“A che ora?”
“Alle quattro, più o meno.”
“Glielo dico io...”
Mi lancio nella spiegazione di come secondo me potrebbero essere andate le cose, quando Agata fa uno strano commento su cui non possiamo indagare per via dell’arrivo di De Seta, che se la porta via.
 
Tommasi cammina fin davanti alla scrivania, un’espressione di sufficienza sul volto.
“Benino, benino... certo, Lei ha ancora tanto da imparare, se lo faccia dire.”
Ovvio, ma non è che la sua uscita sulla pianta sia stata più professionale...
“Sicuro...” mormoro, evitando di guardarlo per non fare o dire cose che non vorrei.
“Se la cavicchia... 6... 6 e lode?” mi corre in aiuto Cecchini, con Tommasi che lo guarda come a dire ‘ma non più di così’.
“Scusi, ma adesso io e il Maresciallo dobbiamo continuare a lavorare. Può andare, grazie.”
“Assecondiamolo, assecondiamolo...” borbotta il Maresciallo alla mia esitazione. Io mi affretto a uscire, non prima di aver sbattuto la matita sul tavolo, rabbiosa.
Sarà l’ennesima che spezzo, in questi giorni.
Per la prima volta nella mia carriera, non riesco a sedare la rabbia.
E nemmeno la gelosia.
Sì, sono gelosa!
Va bene assecondare Tommasi, va bene aiutarlo per l’amnesia, ma il resto non posso accettarlo.
Non che tutti continuino a considerarlo superiore a me, Cecchini e Ghisoni in primis. Formalmente lo è, è un Maggiore, ma non significa che sia obbiettivamente più capace.
Sono arrabbiata anche col Maresciallo, adesso, perché lui ha detto di voler aiutare anche me, ma così fa tutto il contrario! Capisco che sia suo genero e che lo dobbiamo assecondare, ma lui è un mio sottoposto, e sono io il Capitano qui a Spoleto!
Poi tutta quella storia che per lui sono come una figlia, e non ha preso le mie parti nemmeno un pochino, per una questione che lui sa essere assolutamente obbiettiva!
Come se non bastasse, Tommasi pretende di voler dirigere la caserma al mio posto, limitando ogni mia mossa.
E poi, va bene la memoria persa, ma ‘benino’? ‘Acerba’?
Ci sono rimasta veramente male. Mi sono sentita offesa come poche altre volte.
Ancora peggio quando ha detto che mi lascio coinvolgere dai casi, per un semplice commento empatico!
A quelle parole mi sono arrabbiata davvero.
Va bene che è un mio superiore, ma in questo momento è convinto di avere il mio stesso grado, solo con qualche anno in più. Soprattutto, nemmeno mi conosce e si permette di sputare sentenze.
Come qualcun altro aveva fatto prima di lui, del resto...
‘Lei si lascia commuovere... Prima o poi Le passerà.’
Sorrido al pensiero di quella mattina.
Lui si era ricreduto subito, però.
Non ti ci mettere anche tu, per favore. Io non mi lascio condizionare, faccio solo il mio lavoro.
Non ti conosco da molto, ma non ho mai pensato il contrario.
Niente, nemmeno ricordare le parole di Marco riesce a calmarmi, tutt’altro.
 
Scendo in strada per tornare in hotel, visto che in caserma non sono la benvenuta, quando Marco mi viene incontro.
“Ehi... sto andando in tribunale. Come mai qui giù?” mi chiede in tono preoccupato, notando probabilmente la mia espressione furiosa.
“Lasciamo stare, guarda, non è aria!” sbotto, prendendomela anche con lui.
Lui mi rivolge uno sguardo incerto. “... è successo qualcosa col maresciallo?”
“Marco, lascia stare. Anzi, è meglio che io me ne stia un po’ da sola, se no rischio di far danni!” lo metto in guardia, inviperita.
Lui alza le mani, e io faccio per andar via, ma vengo fermata da Spartaco, che mi blocca.
“Capitano, proprio Lei cercavo! M’hanno rubato il motorino!”
Non nascondo il mio fastidio.
“Guardi, perché non va dal Capitano Tommasi, che a quanto pare è più bravo di me...?” rispondo, astiosa.
Lui ignora il mio commento. “Io tanto so chi è stato, da quando c’è lui sono aumentati i furti.”
“Lui chi?”
“Sergio La Cava, l’ex carcerato! Se controllate dove vive, saltano fuori tutti i motorini rubati, scommettiamo?”
Approfittiamo della giornata libera, allora.
 
Marco’s pov
 
Mi sto avviando verso il tribunale, passando davanti alla caserma, quando noto Anna uscire dal portone d’ingresso. Mi sembra piuttosto nervosa, così mi avvicino.
No, okay, riformulo: la mia fidanzata è furibonda, e non ha nemmeno voluto dirmi cos’ha, andando via rifiutandosi di parlare.
Beh, in compenso non è arrabbiata per qualcosa che io ho fatto, ma ad occhio e croce, direi che come minimo c’entra Cecchini, ma non escluderei anche lo zampino involontario di Tommasi nella faccenda. Perché non mi stupirebbe scoprire che il Maggiore è tornato al lavoro, alla faccia della convalescenza.
In questo, non è molto diverso da Anna: quando c’è da lavorare non esistono orari né intoppi, il senso del dovere e il peso della divisa che indossano vengono spesso prima di tutto il resto, talvolta perfino prima dell’amore. Ma, se entrambi fossero stati diversi da come sono, non sarebbero arrivati ad essere Maggiore uno e Capitano l’altra. Dopotutto, vale sempre lo stesso assunto: non vale la pena cambiare per gli altri, è meglio rimanere se stessi.
Tornando ad Anna, è probabile che Tommasi abbia scoperto che lavoro faccia, e Cecchini abbia inventato qualcuna delle sue scuse per giustificare il tutto, mandandola su tutte le furie.
Osservo la mia fidanzata parlare qualche istante con Spartaco prima di andarsene.
È evidente che questa situazione le sta mettendo addosso molta pressione, perché sì, vuole aiutare Cecchini, ma è pur sempre di Anna che stiamo parlando: il maresciallo le ha fatto stravolgere vita e abitudini in meno di ventiquattr’ore, e tutti sappiamo che lei è una che vuole avere tutto sotto controllo il più possibile.
Mi ricordo che le prime volte in cui ero stato a casa sua per le lezioni di cucina, avevo notato una lavagnetta in cui aveva scandito un programma giornaliero in base ai suoi impegni.
Adesso la lavagnetta è sparita, anche se Anna cerca sempre di mantenere tutto quanto più in ordine possibile (sì che con me funziona poco e lei lo sa, visto che adoro sconvolgerle i piani, e adesso non si arrabbia nemmeno più). Vorrei darle una mano, ma so che forzarla, in questo momento, peggiorerebbe le cose. Spero solo però che il suo nervosismo si attenui in fretta, non le fa bene questo umore sempre alterato.
Cosa più importante, non voglio che finiamo per litigare anche noi due.
Il mio cellulare mi riporta alla realtà. Sara.
Oh cavolo, sono in ritardo!  
 
Anna’s pov
 
Raggiungo il luogo secondo cui, dalle mie fonti, risulta abitare Sergio al momento: un camper in una strada di campagna appena fuori Spoleto.
Guarda caso, lo trovo intento a fare ‘affari’ con dei motorini.
“ ‘giorno.” mi saluta quando mi vede, la sua espressione che per un attimo tradisce il nervosismo.
Beccato in flagranza di reato, eh?
“Buongiorno.”
“Scusami, non ti do la mano, ché le ho sporche...”
“Figurati... vedo che hai aperto una nuova attività.” commento, sarcastica.
“Sì, in carcere ho imparato ad aggiustare motorini, macchine... mi arrangio.”
“Aggiustare o a rubare?”
Lui fa quel suo solito sorriso strafottente. “Rubare? Ah, che paroloni... Sono accuse gravi, queste qui, Capitano...”
“Per te è tutto un gioco, vero?” gli chiedo, lasciando perdere il giro largo.
“Stai tranquilla, tanto tra qualche giorno me ne vado.”
“E Ines?”
“Cosa? Ines non ha bisogno di me.” afferma, ma non mi convince.
Perché inizio a sospettare che si tratti solo di una maschera, una facciata per nascondere la sua paura. Visto che il suo atteggiamento cambia non appena si nomini la bambina.
Se vuoi mentire, magari impara a farlo bene, Sergio, perché non è che la divisa l’ho vinta con i punti del supermercato, eh. Me la sono guadagnata.
“Tutte le figlie hanno bisogno di un padre.” è la mia risposta, che non sortisce l’effetto che vorrei.
“E allora sono io a non aver bisogno di lei.”
“Eppure sei ancora qui.” ribatto. Può negare quanto vuole, ma lo sguardo non mente.
Non è andato via, e il motivo è questo.
Lui non sa cosa rispondermi per qualche secondo, così cambia argomento.
“... che vuoi? Cosa vuoi? Se sei venuta qui per scoprire se ci sono dei motorini rubati, prego, accomodati... Il resto, non sono affari tuoi!” sbotta, barricandosi dietro un muro difensivo stupido.
Ancora? Guarda che ti sei lanciato tu nel discorso. Per essere uno a cui non importa della figlia, ne parli davvero parecchio.
Capisco comunque che è inutile insistere, e vado via senza replicare.
 
Il suo modo di fare mi innervosisce e basta.
Perché, perché?
Ma chi si crede di essere?
Ci mancava solo la questione di Sergio per il mio nervosismo.
Non capisco perché si ostini a comportarsi così. Io sto solo cercando di farlo ragionare, non gli sto mica chiedendo la luna!
Tutti i bambini hanno bisogno dei propri genitori, e Ines ha soltanto lui.
Conta poco, che lui dica di non importargli, perché so che non è così. Non sarebbe nemmeno venuto a Spoleto, se così fosse.
Sono sempre stata brava a leggere le persone che ho davanti, chi mi conosce lo sa bene.
Sergio non è un santo, certo, ma ciò non toglie che sia il padre di una bambina che ha bisogno di lui, e che ha solo paura di fallire.
E io sono troppo testarda per arrendermi così.
 
Torno in hotel che è abbastanza tardi, perché sono comunque passata dalla caserma a continuare il mio lavoro a ‘fine turno’ di Tommasi. Sono ancora estremamente irritata da tutta la situazione, se non si fosse capito.
Non appena apro la porta della camera scopro che Marco è già arrivato da un pezzo, e c’è un profumino niente male.
“Ehi, bentornata!” mi accoglie lui con un sorriso, venendomi incontro.
Mi stringe in un abbraccio senza che io dica nulla.
Come faccia a sapere sempre ciò di cui ho bisogno resterà il più grande mistero, per me, ma proprio perché ciò sfugge alla razionalità, mi piace così tanto.
Con lui, solo con lui, posso lasciarmi andare senza pensare troppo.
Dopo qualche istante, lascio che Marco mi sfili la giacca della divisa prima di farmi trascinare alla scrivania nell’angolo, riadattata a tavolo per il momento, per cenare.
Terminiamo abbastanza in fretta, soprattutto perché io sono particolarmente stanca, e poi lui mi spedisce a farmi una bella doccia rilassante per scaricare la tensione.
 
Marco’s pov
 
Mentre Anna è sotto la doccia, io ne approfitto per dare un’occhiata ad alcuni documenti.
Quando sento l’acqua smettere di scorrere, faccio un sospiro. Devo cercare di capire cos’è successo oggi in caserma, e magari adesso è il momento migliore.
Dopo qualche instante, eccola che emerge dal bagno, un asciugamano stretto attorno al corpo esile e un altro a raccogliere i capelli bagnati, un’espressione soddisfatta in viso.
Mi dispiace rovinarle il momento, ma se non si sfoga, domani sarà peggio per tutti.
“Adesso mi dici cosa è successo con Cecchini e Tommasi, stamattina?”
Il suo sorriso si trasforma in una smorfia infastidita.
Mi sembra una bimba beccata ad aver detto una bugia e per questo ha messo su un adorabile broncio. Non riesco a trattenere una risata.
Dopo avermi rivolto un’occhiataccia, si siede sul letto e, seppur molto riluttante, mi racconta di come ha trovato il Maggiore nel suo ufficio, della bugia del maresciallo e dell’interrogatorio.
Come avevo previsto, Cecchini ha il novanta percento della colpa, solo lui riesce a indisporla così tanto.
Questa cosa mi fa scoppiare a ridere di nuovo, ragion per cui mi becco un cuscino in faccia, che Anna mi ha appena lanciato con una mira degna del tiratore scelto qual è.
“Guarda che non c’è niente da ridere, è una catastrofe!” esclama, indispettita, incrociando le braccia.
La raggiungo sul letto, sedendomi dietro di lei e iniziando a farle un piccolo massaggio.
Avverto la sua tensione sotto i polpastrelli.
“Devi cercare di calmarti, amore. Finirai per sentirti male, se continui così.” mormoro, continuando col mio lavoro.
Anna sembra apprezzare, perché dopo qualche minuto la sento finalmente rilassarsi.
“Lo so che è fastidioso, ma lo stiamo facendo per aiutare Cecchini, no? In qualche modo glielo dobbiamo, dopo tutto quello che lui ha fatto per noi. E poi, per quanto mi riguarda, lo sto facendo anche per Tommasi. Per quel poco che ci conosciamo, so che se lo merita. So che ama Lia, ne sono convinto, e presto anche il suo cuore se ne ricorderà. In fondo, sta facendo quello che hai fatto anche tu giusto pochi giorni fa...”
Lei ride al paragone, dandomi ragione implicitamente. Avrà capito anche lei che Tommasi in questo le somiglia: la razionalità lascia raramente le redini al cuore, per loro, ma arriva il momento in cui succede, e ne vale sempre la pena, di aver atteso.
Il mio discorso sembra aver fatto centro, perché Anna si è davvero calmata.
Lascio che si asciughi i capelli e si cambi per andare a letto e, una volta fatto, mi raggiunge sotto le lenzuola.
Le accarezzo piano la schiena, notando il suo viso stanco.
“Ci mettiamo a dormire, mh?” dico, preoccupato.
Lei però scuote la testa. “Non ci siamo visti per tutto il giorno, non ho ancora voglia di dormire.”
La osservo per qualche istante, leggendo nei suoi occhi qualcosa che vorrebbe dirmi, ma che non sa come tirar fuori.
Mi sistemo meglio contro i cuscini, stringendola di più.
“Cosa c’è che non va, oltre alla questione di Cecchini?”
Lei mi rivolge uno sguardo grato, prima di spiegarmi cos’è che la turba.
Inizia a parlarmi dell’incontro con Sergio, partendo dalla sera al parcheggio fino al battibecco di oggi.
La ascolto attentamente, intuendo i suoi dubbi.
Anche io ci ho pensato spesso, alla storia del ragazzo, e a quella di Ines, ho capito che è tornato per lei ma che ci sia qualcosa a impedirgli di avvicinarsi alla figlia.
“Hai ragione... Io posso solo dirti che, per quel che si può, possiamo tentare di dar loro una mano. Così magari veniamo a capo dei tuoi dubbi e soprattutto Ines non correrà il rischio di trovarsi nella situazione che hai dovuto vivere tu.” le assicuro.
Sento il suo corpo rilassarsi tra le mie braccia, a conferma del fatto che avesse bisogno di sfogarsi per riuscire a dormire.
A tal proposito, mi accorgo che la bella addormentata ora respira profondamente con il volto appoggiato sul mio petto.
Non sono nemmeno sicuro che abbia sentito tutto il mio discorso, ma non fa niente.
Sorriso, posandole un bacio sulla fronte prima di chiudere gli occhi.
 
Anna’s pov
 
La mattina, dopo un sonno ristoratore, corro al mio appartamento.
Cecchini mi ha detto di aver chiamato Tommasi da lui per riconsegnarli la vecchia divisa da Capitano, così io posso approfittarne per prendere alcune delle mie cose che mi servono, quindi ho i minuti contati.
Mi sono trattenuta dal rinfacciargli cosa ha combinato ieri solo perché l’ho promesso a Marco prima di uscire.
Ecco, brava. Ascolta Marco, che sa essere molto saggio, quando vuole.
Penso di essere riuscita a scamparla, quando Tommasi sbuca fuori dalla porta alle mie spalle in tenuta da corsa, chiedendomi che ci facevo a casa sua.
Per fortuna - più o meno - Cecchini corre in mio soccorso, con una scusa poco credibile, ma pazienza. Forse, per via della botta in testa, Tommasi ha preferito non indagare troppo.
Alla fine mi ritrovo pure senza chiavi di casa.
Ma quanto deve durare la nostra permanenza in hotel?!
Un piccolo segnale di ripresa sembra arrivare quando Tommasi sembra ricordarsi di un’allergia della moglie, che ci ha appena raggiunti sul pianerottolo.
Bene, è un buon segno, no?
A completare il quadretto arriva Bianca, che a quanto pare aveva appuntamento col Capitano per andare a fare jogging.
Ah, bene, quindi Cecchini con me si rifiuta di fare pure mezzo esercizio di stretching, con Tommasi invece andava pure a correre. Ora me lo segno.
Altro che buon segno... Tommasi ha appena chiamato Bianca tesoro e se n’è andato a correre con lei, dopo aver chiesto a Cecchini se voleva unirsi a loro due.
Ok, scherzavo.
Lia non p molto contenta, e c’è da capirla.
Convince suo zio a seguire Tommasi e la PM, dopo che Cecchini mi ha riconsegnato in fretta le chiavi senza farsi notare, e io resto da sola con lei.
Cerco di consolarla come posso.
“Tranquilla, vedrai che in breve tempo tuo marito si riprenderà.”
Lei mi concede un sorriso amaro. “Mh, forse. Tanto la verità è che non conosci mai chi hai di fianco.”
La sua frase mi spiazza.
Cosa avrà voluto dire?
 
Queste sue parole mi accompagnano durante tutto il percorso a piedi verso la caserma.
Ma è sempre stata così ripida e faticosa, la strada per arrivare da casa in piazza? Perché ho il fiatone, e sono già stanca nonostante ieri sera sia crollata come un sasso.
Comunque, la frase di Lia era strana... Non è che si riferiva a qualche problema tra lei e Tommasi? Cioè, da quando sono arrivati, non ha detto niente di loro, ha parlato sempre e soltanto dei bambini. Ma di loro due mai, nemmeno quando Tommasi era fuori portata.
 
Marco’s pov
 
La giornata è trascorsa abbastanza velocemente.
Sul caso non abbiamo novità, quindi non sono passato dalla caserma, oggi.
Sto per tornare in albergo, quando ricevo una strana telefonata da Don Matteo, che mi chiede di passare in canonica.
È qui che mi trovo, adesso, mentre fervono i preparativi per la Pasqua. Sofia sta aiutando il parroco a dipingere le uova, insieme a Natalina e Pippo. Mi ritrovo seduto a tavola con loro, una tazzina di caffè abbastanza imposta tra le mani.
Quasi mi ero dimenticato che la festività è così vicina, e che domani devo andare a prendere Elisa in stazione, mentre Chiara arriverà con la sua auto.
Sto per chiedere a Don Matteo il perché della chiamata, quando noto il sottofondo musicale: Ines è intenta a suonare la sua chitarra, e Natalina ha iniziato a dare di matto.
“Come sta Ines, è ancora arrabbiata?” chiedo, con un sorriso.
“Lei che dice? So’ tre giorni che suona a ‘sta maniera!” risponde Pippo.
Mi sa che è anche colpa mia, perché non ho arrestato Don Matteo. Ops.
Io e il Maresciallo gli abbiamo raccontato della conversazione con la piccola e lui, per tutta risposta, con la calma che lo contraddistingue e che gli invidio, ha semplicemente sorriso.
“Ohhhh, fa’ smettere subito sto sbobanamento, non c’ha facc’ ‘cchiu!” si dispera la perpetua.
Il suono si interrompe all’improvviso.
“Ahia...” mormoro.
Sofia spalanca gli occhi. “Sempre saputo che sei una strega!”
“Imbecille... Intanto ci rilassiamo... Santa pace!” è il commento di Natalina.
Dev’essere un problema tecnico, credo. Come minimo sarà saltata qualche corda.
Ed ecco la piccola Ines che ci raggiunge.
“Si è rotta!” esclama, affranta.
La scena mi intenerisce non poco: la chitarra è più grande di lei, la porta a fatica.
Provo ad avvicinarmi, abbassandomi sulle ginocchia per controllare il danno.
“Ehi... posso?”
“Non toccarla.” è la sua risposta piccata.
Ah.
Farsi aiutare spontaneamente non è una caratteristica che le appartiene, a quanto pare.
Ma io, col gentil sesso che non si lascia aiutare, ho una solida esperienza.
È incredibile quanto Ines sembri sempre più la versione mini di una donna che conosco molto bene.
Capisco che, come sono solito fare con lei, l’unica via da percorrere è quella di guadagnarmi la sua fiducia, cercando un terreno comune.
La strategia viene da sé, in modo molto naturale.
“Ma... è una Strato del ‘79, questa, giusto?” le chiedo. Conosco bene quella chitarra. Ci si suona un ottimo rock.
“Come lo sai?”
“Lo so, ne ho anch’io una, solo che la mia è dell’‘81, la tua è più preziosa, quindi... E la utilizzava quello che secondo me è il più grande di tutti i tempi. Jimi Hendrix...!”
“Jimi Hendrix!”
Rispondiamo entrambi in coro, e mi sorprende tantissimo. Così piccola, e già sa chi è Jimi Hendrix. Mi piace sempre di più, e il sorrisone che mi regala mi scioglie ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno.
“Posso?” provo a domandare, di nuovo. Lei stavolta mi lascia prendere la sua chitarra.
“Era della mia mamma... si può aggiustare?”
“Bisognerebbe cambiare la cassa.”
“Però se non si può, la pago io, non c’è problema!” si intromette Natalina. E meno male che lei non sopportava di sentirla suonare...!
“Eh, ma non ne fanno più, così.” sono costretto ad ammettere. È un modello antico, non ci sono più i ricambi.
“Non ne fanno più?”
“No... mi dispiace tanto tanto.” dico rammaricato ad Ines.
“Grazie lo stesso.” mormora lei, triste, prima di tornarsene mogia mogia in stanza, la chitarra stretta tra le manine.
Mi dispiace moltissimo non poterla aiutare, probabilmente quello strumento è uno dei pochi ricordi che le rimangono della madre, e vorrei poter trovare il modo di trasformare quel broncio nel meraviglioso sorriso di poco fa, quando anche lei è rimasta sorpresa di avere in comune con me la passione per il rock.
Chissà che questa passione tu non possa condividerla in futuro anche con qualche altro scricciolo, mh?
Torno al tavolo.
“Ma chi è il suo tutore legale, adesso?” chiedo, ricordandomi della situazione.
Me ne ha parlato Cecchini, e avendo familiarità col mondo dei tribunali, so che in assenza della nonna la bambina ha necessariamente bisogno di un tutore.
“Io spero che le cose si sistemino.” si limita a dire Don Matteo, facendomi capire che è di questo che voleva parlarmi. So che anche lui sta cercando di convincere Sergio a prendersi cura della piccola, senza successo. Non che sarebbe facile per lui ottenerne la custodia, è pur sempre un ex galeotto, e gli assistenti sociali ne terranno inevitabilmente conto.
“Eh, ho capito, però senza un tutore lei non potrà star qua. Mi dispiace, ma non è possibile...”
Capisco il punto di vista del parroco, davvero, ma non è una questione semplice.
Decido di non pressarli troppo per il momento, comunque, perché anch’io spero che Sergio si convinca. In fondo, molto in fondo, probabilmente, qualcosa di buono ce l’ha anche lui. Lo pensa Don Matteo, e anche Anna è dello stesso avviso. Proprio a lei ho promesso che avrei fatto il possibile per non far passare a Ines ciò che lei ha sofferto da piccola, e farò di tutto per mantenere la mia parola.
 
Terminato il caffè, mi accorgo che si è fatto tardi. Non ho avvisato Anna della mia deviazione, quindi sarebbe meglio che vada.
Dopo aver salutato tutti, in moto verso l’albergo, ripenso alla storia di Ines.
C’è qualcosa in lei che mi attira particolarmente.
Che faccio, te lo dico io, cos’è? È fotocopia in versione ridotta di Anna, e c’è anche un altro aspetto che è altrettanto rilevante, lo sai.
Il grillo parlante, come al solito, ha ragione.
In ogni caso, vorrei anch’io che la piccola restasse in canonica, e decido di provare a pensare a una soluzione, anche per prendere tempo e sperare che Sergio si decida a fare il padre.
Anna ha ragione: potrà anche avere paura, ma non è una giustificazione a non tentare nemmeno. Io, al suo posto, vorrei provarci.
Una volta rientrato in hotel, aprendo la porta della camera trovo Anna, in pigiama, distesa sul letto e profondamente addormentata, una matita tra le mani e diversi documenti sparsi sulla coperta.
Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che sono appena le 20.
Ultimamente è sempre stanca. Strano.
Sì, ma c’è da tener conto di tutti gli eventi del mese appena trascorso.
In fondo, abbiamo solo litigato perché lei voleva partire per il Pakistan, affrontato la crisi più difficile della nostra storia, rinviato il nostro matrimonio, e adesso abbiamo a che fare con un ex galeotto che ha paura di conoscere sua figlia e un Maggiore dei Carabinieri che ha perso la memoria.
In effetti, robetta da poco.
La osservo ancora per qualche istante, prima di ordinare qualcosa in camera per cena e poi, tentando di non svegliarla, mettermi con lei sotto le lenzuola.
 
Anna’s pov
 
Stamattina, Cecchini si è presentato in caserma dolorante, probabilmente per i postumi della ‘corsetta’ di ieri.
Così impara a non voler mai fare esercizio fisico con me. Ben gli sta.
 
 
Comunque, qui continua a spadroneggiare Tommasi.
Io sto cercando di tenere fede alla mia parola, lasciando che lui continui a credere di essere il Capitano, e che il mio ufficio sia ancora il suo.
Oh, brava Anna, così mi piaci! Tranquilla, matur-
Ovviamente, per il momento sto occupando la disordinatissima scrivania del maresciallo, obbligandolo a fare un po’ di ordine, e confinandolo poi da Zappavigna.
Come non detto. Una cosa però è certa: mai mettersi contro di te, o tirare troppo la corda.
 
Poco dopo, Tommasi arriva e convoca sia me che Cecchini in ufficio per sapere se ci sono novità.
Cecchini ci informa di aver pensato una cosa.
Certo, come no, di sicuro una ‘sua’ idea.
Ah, a quanto pare, dalla battuta di Tommasi, il vizio di andare dal suo amico prete, Cecchini lo ha sempre avuto.
Anche se con me non attacca. Non ho bisogno del suo aiuto, io.
Tommasi comunque mi infastidisce non poco.
Mi tratta come una recluta, come una che non ha idea di come si faccia il suo lavoro o di come si porti avanti un’indagine.
Questa cosa mi fa arrabbiare da matti.
Tutti sanno che sto facendo un ottimo lavoro, qui a Spoleto e, smemorato o meno, lui non ha il diritto di trattarmi così, non mi conosce affatto e invece pretende di sapere già tutto di me.
Cos’è, pensa che una donna non sia adatta a fare il Carabiniere?
No, non credo, Cecchini mi ha raccontato che proprio lui ha incoraggiato Lia a entrare nell’Arma, quindi non può essere questo, anche se nel suo caso era un Carabiniere semplice e io sono un Capitano...
Allora cosa, pensa che io possa prendergli il posto?
Non ha senso, perché in realtà l’usurpatore è lui... Sono io il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, lui è Maggiore a Roma, ormai. Io lo rispetto, ci mancherebbe, per aver ricevuto la nomina significa che ha svolto un lavoro encomiabile, ma proprio per questo dovrebbe smetterla di buttare sentenze a caso.
Anche io ho lavorato duro, fatto sacrifici quanto e più di lui, per arrivare dove sono. E mi farebbe piacere che quantomeno facesse lo sforzo di rendersene conto, come tutti gli altri con cui ho avuto a che fare finora.
Nessuno meglio di me qui sa che il mondo dell’Arma è chiuso e molto maschilista, l’ho anche reso abbastanza esplicito più volte, nel corso dei vari casi che abbiamo affrontato da quando sono qui. Ho dimostrato di essere all’altezza del mio ruolo, e Cecchini e Marco su tutti ne hanno avuto la conferma contro il loro iniziale scetticismo. Mi sono guadagnata il rispetto di tutti, e non è stato affatto facile.
Tutti avevano dei pregiudizi su di me, lo so anche se non me lo hanno mai detto platealmente. Ma era chiaro, al mio arrivo.
E farò lo stesso con Tommasi, lo farò ricredere.
Per questo decido di occuparmi di ciò che lui mi ha ordinato di fare, ma non perché è stato un ordine, appunto, ma perché voglio dimostrargli che sono molto più in gamba di quanto non creda lui.
Quell’aria di sufficienza che mi riserva non me la merito.
Sì, sono testarda, ovviamente, e orgogliosa, se non si fosse ancora capito.
E se qualcuno prova a mettermi i piedi in testa, io reagisco.
Dimostrerò di essere la donna fiera e forte che è arrivata dov’è oggi. Anche a Tommasi.
 
Più tardi, in caserma, Cecchini mi informa di ciò che gli ha raccontato la PM Bianca, a proposito del caso seguito da Tommasi a Roma.
Capisco che la sua aggressione dev’essere collegata.
“... Noi dobbiamo trovare un collegamento tra questi due e la PQ Hotel. Cos’è che ha detto la... l’amica del Capitano?” gli chiedo.
“Il Capitano non ha potuto dire a Bianca che la catena sospettata era proprio il PQ Hotel. E comunque,” cambia discorso lui, una volta nel mio ufficio, “‘amica’... Non è come pensa Lei. Il Capitano Tommasi è un marito esemplare, non tradirebbe mai mia nipote.”
Mi rendo conto di cosa ho detto, pentendomene immediatamente.
“Mi scusi, maresciallo, non volevo insinuare nulla. Sono solo un po’ nervosa per via di come lui mi sta trattando, ma non mi permetterei mai di giudicare in un argomento così, soprattutto non io, visti gli ultimi eventi...”
Cecchini scuote la testa, accennando un sorriso.
“Non si preoccupi, capisco. Io Le posso dire che Tommasi non è poi così diverso dal Dottor Nardi, in questo. Bianca potrà anche averci provato con lui, ma mio genero non tradirebbe mai mia nipote Lia, come Marco non l’ha fatto con Lei... Il Capitano è confuso, ma lui, come Nardi, nel suo cuore, veramente... lo sa, chi ama.”
Mi lascia così, da sola nel mio ufficio, a riflettere.
Il pazzo ha colpito ancora.
I suoi piani strampalati falliscono spesso, ma credo che d’amore ne sappia più lui di chiunque altro.
E probabilmente ha ragione anche stavolta.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma con Anna. Tommasi è convinto che sia il suo giorno libero, quindi lei è potuta rientrare senza averlo sempre in mezzo a controllare ogni sua mossa, così mi ha chiamato per dirmi che ci sono novità sul caso, per cui mi sta informando su come stanno andando le indagini in merito.
“... Oggi dovrebbero arrivare nuove informazioni sui due che hanno aggredito Tommasi...”
“Mh-mh, bene.”
La nostra conversazione è immediatamente interrotta da una vocina decisa che ormai conosco bene.
“Non mi hai detto come ti chiami!”
Ci voltiamo, scoprendo la piccola Ines, con la sua giacchetta verde, intenta a fissarmi.
È anche un mezzo ninja, ‘sta bambina. Da dove è sbucata, così in silenzio? 
Io e Anna ci scambiamo un sorrisetto divertito: che tipetto!
“Marco... Marco Nardi!” mi presento.
“Io sono Ines...” risponde lei, per poi passare direttamente al punto per cui è venuta. “Vuoi essere il mio tatuatore legale?”
Cerco di restare serio mentre Anna soffoca una risata dietro la mano.
“‘Tatuatore’ non lo so fare, purtroppo... Vuoi dire ‘tutore’ legale?”
Lei annuisce con un sorriso.
“E come mai lo chiedi proprio a me?” le domando.
“Perché ti piace Jimi Hendrix!”
Però, una motivazione niente male. Originale, di sicuro.
Lancio uno sguardo ad Anna, che lo ricambia, divertita.
Nessuno meglio di lei sa quant’è vera, questa affermazione.
Mi sembra quasi di rivivere quella scena con Cosimo, quando ci chiese di fingere di essere i suoi genitori per quello spettacolo.
Quel bambino manca a tutti, ed era molto simpatico. Mi piaceva anche perché, per merito suo, avevo trascorso più tempo con Anna e l’avevo conosciuta meglio.
Anna ci osserva interagire con un sorriso stampato in volto.
Chissà che cosa starà pensando.
Certo che Ines, una mini Anna lo sembra davvero: tosta, determinata, sensibile, molto intelligente, appassionata di rock.
Ines continua, ridestandomi dai miei pensieri. “Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?” mi dice, incrociando le braccia.
Come sempre, mi abbasso al suo livello.
“Ti ringrazio davvero tanto per avermelo chiesto,” rispondo, nel tono più delicato che mi riesce, “ma è una decisione davvero importante e devo pensarci, va bene?”
Lei accetta. Ma a quanto pare non ha finito, perché mi pone un’altra domanda, per lei molto importante, sembra.
“Sei sposato?”
Io sorrido, osservando Anna per un istante prima di tornare a lei.
“Purtroppo non ancora. Ma ho promesso a una donna di volerla sposare duemila volte, e accadrà molto presto, spero.”
La bimba, con una smorfia, dimostra di non essere del tutto soddisfatta dalla mia risposta, ovvero che, seppure io non sia sposato, una donna nella mia vita c’è.
A conferma del fatto che sia molto intelligente, credo abbia capito, senza che nessuno le dicesse nulla, che la donna in questione sia Anna, perché è a lei che rivolge la sua domanda successiva.
“Tu ti lamenti, quando lui suona la sua Strato?”
Alla sua innocente osservazione, io e Anna non riusciamo a trattenere una risata.
Ines sembra confusa, giustamente non capisce perché ridiamo.
“Sai,” le spiego, “non tutte le fidanzate si lamentano. Anzi, ce ne sono alcune molto rare, speciali, a cui il rock piace, e pure un sacco...”
Ines adesso sembra soddisfatta, e il suo sorriso dimostra che si sia ricreduta su Anna.
Il mio sguardo torna istintivamente in quello della mia fidanzata, che arrossisce ma sorride, una strana luce nei suoi occhi verdi.
“Bene...! Lasciamo che Marco ci pensi, allora, mh? Ti accompagno da Don Matteo...” si propone, prendendo per mano Ines, che la segue docilmente, saltellando.
“Ciao!”
“Ciao...” saluto io, accorgendomi solo in quell’istante della presenza di Cecchini vicino alla porta.
A giudicare dal sorriso, deve aver assistito alla scenetta.
Lo so bene, cosa pensa: io e Anna siamo una bella coppia e, si spera, un giorno saremo anche dei bravi genitori.
Ma per quello c’è tempo. Ines non è nostra figlia, e merita di conoscere suo padre, per quanto poco affidabile sembri essere.
Però, quant’è dolce quella bambina!
“Il tatuatore!”
 
Anna’s pov
 
Mentre sono in caserma con Marco a parlare del caso, ci raggiunge la piccola Ines.
Bastano poche battute per evidenziare che sia un tipetto tosto, ma estremamente adorabile.
Un sorriso si fa strada sulle mie labbra senza che io riesca a fermarlo, ad osservare la bimba e Marco interagire, con lei che gli chiede di essere il suo ‘tatuatore’ legale.
Lui sembra letteralmente stregato.
Ma tu guarda... Marco, così restio all’idea di avere intorno bambini, a parlare in tono adorante con questo scricciolo di sei anni!
Sarebbe un papà stupendo, non trovi?
Solitamente io e la vocina litighiamo, ma non ora. Anzi, sono d’accordo.
Davvero? Oh, che bello.
Mentirei, se dicessi di non aver mai immaginato Marco nelle vesti di papà.
Il suo passato niente affatto semplice con suo padre lo ha reso sempre restio all’idea, così come la storia con Federica.
Mi torna in mente la sua espressione terrorizzata quando Cosimo gli chiese di fingersi suo padre.
Tutore, padre...
È una calamita per i bambini, lui, ma non sono sorpresa.
Marco ha questa strana capacità di empatizzare con loro immediatamente, anche se non se n’è mai reso conto fino in fondo.
Forse è stato Cosimo a sbloccarlo, o forse è semplicemente il fatto che dietro a quell’aria da PM serioso in giacca e cravatta si nasconde un bambinone.
Perché Marco è così. Alterna grande serietà a momenti di gioco e scherzo come un bambino che ha bisogno di sfogare la sua indole, è più forte di lui.
E io lo so bene. È una delle tante cose di lui che mi ha colpita fin da subito.
Dopotutto, forse è questo il primo passo per diventare un buon padre: essere anche amico dei propri figli, così da ottenere la loro fiducia. La parte difficile arriva comunque, inevitabilmente, ma se l’amore che si riceve viene ricambiato da entrambe le parti, allora la vittoria la si ottiene.
E Marco, di questo, è capace.
Al perché Ines stia chiedendo proprio a lui di essere il suo tutore, la bimba risponde con ovvietà che è per la passione condivisa per Jimi Hendrix.
Chissà come lo sa, che piace anche a lui... Ah, certo, ieri sera Marco è passato dalla canonica.
Lei continua con una frase che mi fa sorridere.
“Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?”
Rispecchia molto bene Marco, questa osservazione.
Nel senso... Marco è più sensibile di quanto non dia a vedere, cerca di darsi da fare come può ma non sempre con grandi risultati, ma una cosa è certa: ci mette sempre il cuore.
La sua richiesta di pensarci, prima di darle una risposta, non è dettata dalla paura di rivestire un ruolo che sarebbe molto simile a quello di una figura paterna, ed è tutto dire, visto che Marco ha sempre paura, quando si tratta di rischiare.
Essere tutore comporta delle responsabilità non indifferenti, ed è giusto che ci rifletta, prima di dare risposte affrettate.
A riprova del fatto che sia davvero un uomo migliore di quanto già non lo fosse.
Pensa, prima di agire d’impulso.
Ti ama parecchio, sai? Perché è merito tuo.
 
Ines è proprio un tipetto, comunque, e sono felice di sapere che le sto simpatica, adesso che ha scoperto - da sola - che sono la fidanzata di Marco, e che come loro, ho anch’io la passione per il rock.
So che Marco si è accorto che l’ho osservato per tutto il tempo mentre interagiva con la piccola, e chissà se anche lui ha pensato a quanto sarebbe bello sapere di poter vivere scene del genere quotidianamente.
Ah, davvero ci stai pensando? Interessante, Anna! Dimmi, dimmi.
Scuoto la testa, tornando alla realtà, e decido di accompagnare Ines in canonica, dopo un breve saluto al maresciallo, appena arrivato in caserma.
 
Tommasi continua a soffrire d’amnesia, e Lia è sempre più preoccupata.
Nel pomeriggio, sono stata con lei al parco insieme a Martina e il piccolo Nino, e anche Chiara ci ha raggiunte, visto che è arrivata a Spoleto per passare la Pasqua con tutti noi.
Per un colpo di fortuna, in hotel si è liberata una doppia, e lei e mamma son riuscite a sistemarsi lì anche loro.
Comunque sia, io e Chiara abbiamo tentato di tranquillizzare Lia per quanto possibile, anche se non possiamo avere la certezza che tutto possa tornare come prima. Seppur con un sorriso triste, Lia ha accettato di buon grado il nostro tentativo di tirarla su di morale.
 
Dopo aver salutato Lia e mia sorella, andata via con la sua auto, sono quasi le venti quando salgo in macchina per tornare da Marco, in hotel.
Mi sono appena allacciata la cintura quando noto un ragazzo rubare un motorino.
Di sicuro uno degli affaristi di Sergio.
Senza pensarci due volte, lo seguo a distanza.
Come previsto, mi porta esattamente in quella strada di campagna.
Scendo in fretta, raggiungendo di corsa l’ingresso dell’officina, dove trovo Sergio.
“Dove sta?” chiedo, a bruciapelo.
“Chi?” fa lui, sempre con quella dannata espressione strafottente.
“Il ragazzo che ti ha portato il motorino! Il ladro!”
Quel solito sorrisetto irritante.
“Il ladro... è un ragazzo, è andato via adesso!”
Cioè... l’ho beccato con le mani nel sacco, e pensa di prendermi in giro?
“Lo sai come si chiama questo? Furto e ricettazione!”
“Ma ricettazione di che?”
“Del motorino! È rubato!”
“Ma che ne so, io, me l’ha portato per ripararlo e lo riparo!” mi risponde, allontanandosi come se non fossero affari suoi.
Lo seguo.
“Guarda che rischi dai due agli otto anni, con un’aggravante per la recidiva.”
“Eh, vorrà dire che per otto anni non dovrò preoccuparmi di pagare l’affitto.”
Tanto basta a farmi andare su tutte le furie.
“Non ti puoi trovare un altro modo per campare?!”
“Sì, sai, stavo pensando di consegnare in giro dei curricula, solo che non sapevo dove scrivere ‘sei anni per omicidio colposo’, sotto ‘formazione’ o ‘esperienze lavorative’?”
Giuro, lo prenderei volentieri a sberle.
Sergio insiste con questa sua facciata da duro che mi fa arrabbiare non poco.
“La devi smettere di piangerti addosso. In tutto questo c’è tua figlia che ha bisogno di un tutore legale, e l’ha chiesto a Marco!”
Perché non ci credo che non gli importi di Ines, nemmeno ha fatto lo sforzo di conoscerla! Se il suo problema è cosa potrebbe pensare la bambina di lui, è evidente che non ha capito nulla.
Ines ha bisogno di un padre, e non avendolo accanto, lo sta cercando in Marco, è evidente.
Perché va bene Jimi Hendrix e tutto il resto, ma la piccola ha disperatamente bisogno di una figura di riferimento, e Marco non ha fatto altro che essere gentile con lei e mostrarle interesse, facendole capire che di lui può fidarsi.
Ines, come tutti i bambini, ne è rimasta affascinata. E non la biasimo.
Perché i bambini questo vogliono: sentirsi amati, sapere che c’è qualcuno che li considera, su cui fare affidamento. Vogliono essere sicuri che l’amore che danno sia ricambiato.
E se Sergio ci provasse ad avvicinarsi a lei senza piangersi addosso e fare l’idiota, senza sentirsi inadatto, Ines il suo affetto glielo darebbe incondizionatamente.
Ha bisogno di suo padre, ha bisogno di sapere che lui c’è, che può averlo nella sua vita.
Ma la mia osservazione non sortisce l’effetto che volevo.
“Bene, buon per lei, così se in futuro farà qualche cavolata, non avrà problemi con la giustizia.”
Come non lo prendo a schiaffi non lo so nemmeno io.
“Sergio, non stiamo parlando solo di te, ma di una bambina... e se tu finisci in galera, Ines questa volta non ha più nessuno!”
Lui non ne vuole sapere.
“Ma cosa ho fatto, cosa ho fatto?! Senti, fai un po’ come ti pare, eh, sul serio, non mi importa!”
“Ah, a me ancora meno.” replico, esasperata, avviandomi verso l’esterno. “Questo motorino è sequestrato, e tu rischi una denuncia.”
Sergio potrebbe riscattarsi, riprendere in mano la sua vita e stare con sua figlia, e non lo fa. Negando le sue responsabilità di padre.
Me ne vado senza riuscire a restare un attimo in più.
 
Rientrata in hotel, trovo Marco intento a lavorare a qualcosa al pc.
Quando mi vede, si alza venendomi incontro.
Mi ritrovo stretta tra le sue braccia mentre mi accarezza i capelli, senza dire niente.
Avrà senz’altro notato la mia faccia strana.
“Possiamo ordinare la cena in camera anche stasera?” mormoro contro il suo petto.
“Certo.”
“Ho bisogno di una doccia.”
Lui mi lascia andare, ma non prima di avermi posato un delicato bacio sulle labbra.
 
Marco’s pov
 
Acconsento alla richiesta di Anna senza esitare.
Sul suo viso c’era un misto di frustrazione, stanchezza e preoccupazione, ma so che, qualunque sia il motivo, me ne parlerà probabilmente al termine della cena.
Come previsto, lei rimane in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo perso nel vuoto, a mangiucchiare distrattamente.
Una volta tolto tutto, mi basta cercare di attirare la sua attenzione, fissandola con un sopracciglio alzato e un sorriso incoraggiante, per convincerla a parlare.
“Si tratta di Ines,” mi dice infine, con un sospiro.
Mi spiega che non è solo per la questione di oggi in caserma, ma per la conversazione avuta poco fa con Sergio.
Mi sa che vi vedete un po’ troppo, tu e Sergio.
La risatina di Anna mi fa capire che l’ho detto a voce alta.
Bene, ma non benissimo, visto che il tono era molto geloso.
Sorrido anch’io, un tantino in imbarazzo. So bene perché lo abbia incontrato, la sua attività non proprio legale con i motorini mi è nota, ma mi fido di Anna e del piano che ha in mente.
“So che le cose non stanno andando esattamente come volevi, ma vedrai che è solo questione di tempo. Ti ho promesso che avrei fatto la mia parte, che ti avrei aiutata, e lo farò.”
Lei corruga le sopracciglia.
“Sì? Quando?
“Un paio di sere fa... ti sei addormentata prima, evidentemente...” sorrido. “Non importa, comunque. Si convincerà, Sergio, vedrai.”
A tal proposito, mi torna in mente un’altra questione di cui volevo parlare con lei.
“Volevo... chiederti cosa ne pensi della proposta di Ines di stamattina... di diventare il suo tutore,” le spiego in tono esitante. “Quella bimba mi piace, e so che la sua permanenza in canonica potrebbe favorire il nostro obiettivo di riavvicinarla a suo padre, oltre a permetterle di restare vicino alla nonna, che tanto ama.”
“Ma...?” mi incita Anna, che ha già intuito dove sta il problema.
“Ma... è un impegno importante, quello di un tutore legale. L’idea in sé non mi spaventa, so cosa vorrebbe dire per lei se io accettassi, ma farmi carico della vita di un’altra persona, così piccola soprattutto... Un po’ di paura mi viene, ecco.” ammetto.
Perché so bene che per la bimba, più che un tutore, diventerei una sorta di padre, ed è questo che mi preoccupa un po’. Di non essere all’altezza.
“Sono sicura che saresti un tatuatore legale formidabile,” mi rassicura Anna con un sorriso affettuoso, rimarcando l’adorabile errore di Ines.
Io le sorrido di rimando, prendendo la mia decisione.
Ora che sono certo del suo sostegno, sono pronto a fare realmente la mia parte per ricongiungere padre e figlia.
“Allora lo farò.” accetto. “Non sarà facile, e tu passerai probabilmente un po’ troppo tempo con Sergio per i miei gusti, ma Ines merita di conoscerlo. Non importa quali errori lui abbia commesso in passato, non serve che la sua fedina sia pulita, per essere un buon padre. Se vuole, può diventarlo comunque.”
Anna mi rivolge un sorriso radioso, venendo a sedersi sulle mie gambe, intrecciando poi le dita dietro al mio collo.
Ci scambiamo un lungo bacio, prima che lei si allontani appena, lo sguardo luminoso.
“So che non te l’ho mai detto prima, ma... sarai un padre fantastico, quando quel giorno arriverà.” mormora, accarezzandomi il volto.
Sentirglielo dire mi riempie il cuore di una gioia inspiegabile.
La avvicino di nuovo a me, tornando a baciarla.
 
Anna’s pov
 
La mattina seguente, in caserma, approfitto della temporanea assenza di Tommasi per portarmi avanti col lavoro sulle indagini, e scopro una serie di dettagli importantissimi. Metto insieme i pezzi, in attesa di poterli riportare a lui quando arriva.
Sono intenta a rivedere i filmati delle telecamere quando sento bussare alla porta del mio ufficio.
“Sì?”
“Capitano Olivieri?”
Cavolo, è Tommasi. Mi alzo in fretta.
“Capitano... non ha capito che cosa ho scoperto.. allora-”
Lui però mi interrompe, un’espressione colpevole sul volto. “Senta, no, prima io, perché... il Maresciallo mi ha raccontato tutto, e io ancora non mi ricordo della vita che avevo prima... volevo ringraziarla per la pazienza.”
Dire che sono stupita è poco, non mi sarei mai aspettata le sue scuse, anche se Cecchini qualcosa mi aveva accennato, in merito al fatto che avesse sorpreso lui e mia madre insieme, e quindi era stato costretto a spiegargli quanto la sua memoria avesse rimosso.
“Deve ringraziare il Maresciallo.” dico comunque, perché è merito suo se tutto è filato abbastanza liscio fino ad ora.
“Non c’è bisogno.” replica però lui, e basta uno sguardo con Tommasi per capire che entrambi sappiamo che non è solo quello.
Perché Cecchini per noi farebbe qualsiasi cosa, ma anche noi faremmo lo stesso per lui.
Io ho accettato di stare al gioco perché è stato lui a chiedermelo.
E lui lo sa.
“Comunque non perdiamo tempo. Lei non se lo ricorda, ma...” mi lancio nella spiegazione dei fatti, di quanto ho scoperto, prima di avviarci tutti e tre a prendere l’aggressore di Lara.
Durante il tragitto verso il PQ Hotel, Tommasi, che ha insistito per sedersi sui sedili posteriori insieme a me lasciando quello davanti a Cecchini, ne approfitta per parlarmi.
“Io... volevo complimentarmi con Lei,” esordisce, lasciandomi di stucco. “La verità è che il mio atteggiamento sulla difensiva era dovuto al fatto che mi ero accorto delle Sue capacità, e ho sentito il territorio minacciato. Nella mia testa, sono ancora un Capitano, non un Maggiore, e la presenza di una collega tanto in gamba mi ha fatto sentire in pericolo, diciamo così. Ma... è evidente che se il Comando Generale Le ha affidato la caserma, seppur così giovane, significa che se lo merita, e ne ho avuto le prove. Cecchini mi ha detto che in questi anni si è guadagnata il rispetto di tutti, non solo in caserma ma anche in paese, e l’ho notato anch’io, me ne sono reso conto. Anzi, il Maresciallo lo ha proprio conquistato, a quanto pare, ed è una bella cosa, si vede che vi volete bene. L’ho capito prima, nel suo ufficio. Sono felice di poter collaborare con un Capitano tanto in gamba.”
I suoi complimenti mi fanno arrossire. Biascico un “grazie”, senza riuscire ad aggiungere altro, ma so che non serve. Però sono contenta di aver risolto quella tensione tra noi, e di poter finalmente lavorare con lui da pari.
Una volta in hotel, però, troviamo De Seta assassinato.
Con l’aiuto di Sara e Marco, che sono stati informati e hanno anche loro analizzato le carte del caso, sembriamo riuscire a trovare il bandolo della matassa.
Convochiamo il nostro sospettato, convinti che sia il colpevole nonostante lui si professi innocente. Il movente però ce l’ha... vedremo.
 
La sera, io e Marco usciamo fuori a cena.
Questi giorni in hotel sono stati più frenetici della vita che conduciamo di solito, e poi era tanto che non lo facevamo.
Finalmente siamo riusciti a ritagliarci qualche ora tutta per noi, senza intralci di lavoro o questioni altrui.
Mentre facciamo la nostra solita passeggiata serale, mano nella mano, con Patatino al guinzaglio, incontriamo una Lia in lacrime diretta verso casa.
Mi sa che la cena organizzata da Cecchini non è andata molto bene, tanto per cambiare.
Poco più avanti, infatti, incontriamo anche il maresciallo e mia madre.
A quanto pare, i problemi tra Lia e Tommasi andavano avanti da tempo, l’amnesia era stata solo l’apice del rapporto già logoro.
Per un attimo, mi sento invadere dal terrore che una cosa simile possa accadere anche tra me e Marco.
Perché anch’io metto spesso la divisa prima dell’amore. Lo avevo fatto giusto un mese fa.
Ma quando alzo lo sguardo e incrocio quello del mio fidanzato, insieme a quel sorriso che mi fa capire che sa benissimo a cosa sto pensando, mi sento rassicurata.
Per quanto io possa assomigliare a Tommasi, la nostra storia non è uguale.
E se io e Marco abbiamo superato quella fase di crisi, la più complicata del nostro viaggio, possiamo affrontare tutto.
Insieme.
 
L’indomani, Spartaco si presenta in caserma, con l’intenzione di denunciare il furto del motorino.
Io sospiro pesantemente.
Giusto qualche istante fa stavo osservando la piccola Ines giocare in piazza con un palloncino, tutta sola.
Mi rivedo moltissimo, in quella bambina. Nei suoi modi di fare, anche se io ero un po’ più timida di lei, ma con la stessa testardaggine. Gli stessi sentimenti, le stesse necessità.
Certo, io una madre ce l’ho ancora, e non ero mai stata davvero sola perché avevo mia sorella, ma il padre non ce l’ho più da molti anni.
Quel padre che, come ho scoperto recentemente, non è l’uomo perfetto che credevo che fosse.
Ma non per questo mi sento meno coinvolta, anzi.
Anch’io, negli anni, ho cercato delle figure che potessero colmare quel vuoto immenso.
E quella figura l’ho trovata quando avevo smesso di cercare, nell’uomo più improbabile: Cecchini.
Così come Ines la sta cercando in Marco.
Lui ha saputo avvicinarla con pazienza, con quella dolcezza che conosco bene, quando nessun altro fino a quel momento, oltre Don Matteo, ci era riuscito davvero.
Ma Ines un padre vero ce l’ha.
Forse, Sergio ha solo bisogno di capire che, se c’è una fedina che può ripulire dai suoi peccati, è proprio quella di padre.
 
Spartaco per fortuna accetta di aspettare a esporre denuncia, scendendo a patti.
Non appena stacco dal mio turno e una volta tolta la divisa, raggiungo Sergio.
Ho deciso che è arrivato il momento di fare concretamente la mia parte nel progetto di ricongiungimento tra padre e figlia, come prefissato con Marco. Lui sta per dire ad Ines che accetta di diventare il suo tutore (ammesso che non lo abbia già fatto) mentre io devo convincere Sergio a darsi un’opportunità come padre.
Ho capito però che ha bisogno di darsi anche un’altra opportunità come uomo, prima. Di riacquistare la sua dignità. Per questo, e Marco non lo sa, sono qui per dirgli più di quanto non avessimo concordato insieme.
Ho optato per abiti in borghese proprio perché voglio che Sergio capisca che non sono lì in veste di Capitano dei Carabinieri, ma di amica. Che voglio soltanto aiutarlo.
Non lo vedo fuori, quindi immagino sia sul camper.
Busso, e lui si affaccia dal finestrino.
“Ciao!” mi saluta, prima di scendere.
“Ciao...” ricambio, per poi andare dritta al motivo della mia visita. “Pare che uno dei proprietari dei motorini rubati sia disposto a non sporgere subito denuncia, a condizione che gli venga restituito il motorino.”
“Mh...” lui si limita ad annuire, distogliendo lo sguardo.
Se pensa che basti questo a farmi desistere, si sbaglia.
“E c’è un’altra condizione... mia. Ti devi presentare a un indirizzo che ti darò, c’è un lavoro per te, un lavoro vero.”
Il messaggio è implicito: sto garantendo io per lui, sono disposta a metterci la faccia.
Lui stavolta mi osserva a lungo, un’espressione diversa.
“Perché lo fai?” mi chiede infine, in tono pacato.
Inspiro. Sapevo che me l’avrebbe chiesto, e per questo decido di essere sincera, dandogli l’esempio più reale che conosco.
“Perché io non ce l’ho più, un padre. Si è suicidato perché pensava di essere un fallito. Ma non lo era.. non era un fallito. E anche se lo fosse stato... io ero lì, lo avrei amato comunque, e avrei voluto che restasse insieme a me.”
Tiro fuori il bigliettino dalla tasca, consegnandoglielo. “È la mia ultima offerta, decidi tu.”
Con questo, spero solo che capisca che Ines non guarderà la sua fedina penale, ma solo l’amore che lui le darà, un amore che potrà conquistare solo guadagnandosi la sua fiducia.
Se lui si fiderà di se stesso, Ines si fiderà di lui.
Vado via senza attendere oltre. Ho fatto tutto quello che potevo, adesso sta a lui.
 
Marco’s pov
 
Dopo essermi confrontato con Anna, ho finalmente deciso cosa fare in merito alla richiesta di Ines.
È vero: non sono capace di arrestare Don Matteo per ovvi motivi, non sono capace di aggiustare la sua chitarra per ragioni che non dipendono da me, ma... posso esserci, per lei. Aiutarla, se ne ha bisogno. Provare a darle un po’ di quella spensieratezza che una bambina della sua età dovrebbe possedere.
Di questo, sono sicuro di essere capace.
Insieme a questo, voglio assicurarmi che possa arrivare a conoscere suo padre, a patto che entrambi siano pronti a farlo. Nel frattempo, spetta a me compiere il primo passo.
Per questo decido di andare in canonica, e non a mani vuote.
Per una notizia così importante, ci vuole qualcosa di altrettanto importante a confermarlo.
Con la complicità del sacerdote, preparo tutto e poi dico a Ines di chiudere gli occhi, mentre la guido per condurla alla sala da pranzo.
“Attenta...” mormoro.
Lei ha gli occhi coperti dalle manine. “Stiamo giocando a mosca cieca?” chiede, facendomi ridere.
“Una specie... vieni... ferma...” finalmente arriviamo alla meta. Mi sposto, sedendomi sulla poltrona lì accanto per gustarmi la sua reazione. “Apri gli occhi!”
Il suo visino stupito e felice nel vedere la chitarra elettrica nella sua custodia, con tanto di fiocco ad adornarla, è la cosa più bella che potesse capitarmi in questo periodo orribile.
“È la tua?” mi domanda, emozionata.
“Adesso se vuoi è tua!” rispondo con un sorriso.
“Davvero??”
“Sì, davvero!”
La gioia negli occhi di Ines mi ricorda quella di Anna ogni qualvolta tentassi di stupirla, con gesti che lei non si aspettava, ma che lei stessa aveva permesso scaturissero, rendendomi nel nostro viaggio insieme un uomo diverso, più maturo.
Un uomo migliore, poiché oggi ho accettato di assumere la tutela legale di una bambina che conosco appena, ma a cui voglio già un mondo di bene. So che farei bene a non affezionarmi troppo a questo scricciolo, perché se le cose andranno come dovrebbero, lei sarà presto pronta a spiccare il volo con il suo papà.
Eppure non riesco a trattenere quell’istinto paterno che scaturisce ogni volta che la vedo.
Conserva un po’ di questo entusiasmo per il futuro, Marco, non sia mai che ti serva.
Ines fa per prendere la chitarra, per bloccarsi subito dopo.
“Che c’è, non ti piace?” chiedo, interdetto. Ho forse sbagliato?
Lei sospira, guardandomi. “La nonna dice che non devo accettare regali dagli sconosciuti.”
Annuisco. “Dice una cosa molto giusta, tua nonna... però io non sono uno sconosciuto, giusto?”
Ines mi rivolge uno sguardo paziente, come se fossi un po’ stupido a non capire il concetto. “Sei mio parente? No, troppo rosso di capelli. Sei mio amico? No, troppo vecchio.”
“Grazie...!” commento, ridacchiando. Certo che è proprio un tipetto.
“Potrei accettare solo se tu fossi il mio tutore!”
Stavolta non trattengo una risata. “E mi sa che sei un po’ troppo furba per me, tu, eh?” dico, con Natalina e Don Matteo che ridono.
La bimba mi rivolge un sorrisetto.
“Allora? Ti sei deciso?”
Fino a qualche anno fa, non ci avrei sprecato un attimo, in una situazione così.
Ma proprio in questi dettagli l’amore per Anna mi ha trasformato.
Per questo, che sto accettando di prendere in custodia la vita di uno scricciolo dai riccioli castani, peperina e furbissima, che porta il nome di Ines.
“Va bene, lo faccio!”
Il suo abbraccio gioioso mi scioglie ulteriormente.
Con un ‘sì’ ho appena accettato di farmi carico della sua vita, così come con un altro ‘sì’ spero di unire la mia vita a quella di Anna molto presto, magari entro l’anno.
Voglio esserci per entrambe, sempre. Pronto a proteggerle da tutto e tutti.
Nell’attesa di sapere cosa il fato ci riserverà, mi godo questi istanti di gioia.
“Scemetta...” le dico, sciogliendo l’abbraccio dopo averle posato un piccolo bacio tra i capelli. Mi sento incredibilmente felice. “Dai, fammi sentire cosa sai fare, vieni!”
“No, scusate, scusate...” ci interrompe Natalina. “Tutto meraviglioso, ma perché non andate a suonare a casa Sua, per esempio?”
“È un’ottima idea ma... purtroppo in questo momento, casa mia è occupata da Tommasi!” le ricordo.
“Ines, potresti suonare in chiesa!” propone Don Matteo.
Ines è assolutamente d’accordo. “Sai come si dice? Chi canta, prega due volte, e chi suona, ancora di più!”
“Eh, sì!”
Gli istanti di gioia sono interrotti da una telefonata da parte di Cecchini.
Mi spiega che hanno catturato gli aggressori di Tommasi, ma è confuso, agitato, pare sia successo qualcosa, ma la mia richiesta di calmarsi e spiegarsi meglio cade nel vuoto, e quello che ne viene fuori mi fa quasi fermare il cuore.
Don Matteo e Natalina mi guardano, preoccupati probabilmente dalla mia faccia.
Sono sicuro di essere diventato pallido.
Spiego come posso.
“Anna ha arrestato gli aggressori di Tommasi, però non ho capito, c’è stato un conflitto e forse è-è ferita... scusate...”
Corro via senza attendere oltre, ogni istante è prezioso.
Sono nel panico più totale.
Anna, la mia Anna, è ferita.
Non riesco a capire niente, nella mia testa le stesse immagini di quando fu rapita, quella volta. Il terrore di perderla.
La mente annebbiata.
 
Mi precipito in ospedale di corsa, ritrovandomi col fiatone nonostante sia venuto in moto.
Non saluto nemmeno Cecchini quando arrivo, optando direttamente per le domande.
“Maresciallo! Scusatemi... Maresciallo! Come sta Anna?”
“Calma!” tenta di dirmi lui, ma non lo ascolto neppure.
Come può chiedermi una cosa del genere?
“No no no no no, non sto calmo! Voglio sapere come sta Anna! È grave? È in pericolo di vita? Perché se c’è bisogno di una trasfusione, io e lei abbiamo lo stesso gruppo sanguigno-”
“Marco!”
Una voce dietro di me tenta di zittirmi, ma io la ignoro.
“Lasciami stare! Io voglio sape- Anna!”
 
Anna’s pov
 
Sono appena uscita dallo studio del dottore che ha medicato Zappavigna, colpito di striscio da un proiettile, e fatto a me una leggera fasciatura al polso, che mi sono slogata nel tentativo di tener fermo uno degli aggressori, dopo aver tenuto per un po’ del ghiaccio sopra. Quando arrivo in corridoio, però, mi si presenta davanti una scena che ha del surreale.
C’è Marco, davanti a Cecchini, in una evidente crisi di panico, intento a blaterare qualcosa su... su trasfusioni, e la compatibilità dei nostri gruppi sanguigni.
È nel panico più totale, lo so bene, l’ho già visto reagire così altre volte, in altre circostanze, ma cambia poco.
Quando va in tilt, non controlla più le reazioni.
Chissà che ha combinato Cecchini, perché lui c’entra di sicuro.
Non è la prima volta che il maresciallo lo fa preoccupare per qualcosa che mi riguarda e che, puntualmente, è solo un fraintendimento. Prima o poi, se Cecchini non la smette, il mio fidanzato ci lascerà le penne.
Decido di intervenire, prima che la situazione degeneri, chiamandolo.
In un primo momento mi ignora, poi si volta.
Il mio nome, pronunciato con quel sollievo, mi destabilizza un pochino.
E poi Marco mi abbraccia.
Forte, fortissimo.
Anche un po’ troppo.
“Ma stai bene?”
“Sì!... se la smetti di stringere, sì...” sono costretta a dire, vista la mancanza d’aria.
Lui si scosta di poco, arrossendo appena.
“Non è successo niente...” lo tranquillizzo accarezzandogli il volto. “È stato colpito Zappavigna, ma solo di striscio, sta bene... Io mio sono solo slogata un polso, ma niente di che, davvero.” mormoro, nel tentativo di calmarlo.
“... Perché mi ero preoccupato...”
“Ho visto...” rispondo con un sorrisetto. “Sei bianco, a proposito. Mi sa che il dottore serve più a te che a me.” lo punzecchio, divertita.
Lui prova a negare, ma io continuo a prenderlo in giro nonostante i suoi tentativi di sviare.
È un battibecco giocoso, il nostro, e tra le risate noto negli occhi del mio fidanzato l’incredibile sollievo di sapermi sana e salva. Come quel giorno in cui mi salvarono dalla pressa, quando rimasi chiusa in quel furgone.
Allora, avevamo dovuto celare la nostra felicità di rivederci per non ferire Chiara, seppure poco tempo dopo avevamo scoperto essere stato un tentativo vano, perché mia sorella si era accorta proprio in quel frangente di cosa provassimo l’uno per l’altra.
 
Superato il momento - anche se Marco continuerà a ricevere qualche presa in giro da parte mia - rientriamo in caserma dove finalmente giungiamo alla risoluzione del caso.
Anche se, come al solito, al momento dell’arresto Don Matteo ci ha già preceduto.
 
Quando chiudiamo il fascicolo del caso, io e Marco approfittiamo della presenza di Sara per invitarla al pranzo di Pasqua di domani. Lei accetta volentieri.
Incredibile, se non glielo avessimo proposto, avrebbe passato la festa da sola!
Mentre i due PM lasciano il mio ufficio, io mi soffermo ad osservare Marco.
Certo che la scenetta in ospedale è stata divertente! Povero Marco, era andato completamente in tilt!
Ridacchio al commento della mia vocina. Non posso che essere d’accordo.
Anche su questo? Due su due in una settimana, io comincio davvero a preoccuparmi... dov’è la fregatura?
 
Sebbene il caso sia stato risolto, il problema più grave persiste.
Tommasi non ha ancora recuperato la memoria, e sembra sempre più concreta l’ipotesi che tra lui e Lia le cose siano destinate ad arenarsi per sempre.
Vorrei poter fare qualcosa, ma purtroppo non spetta a me. L’unico che può cambiare le carte in tavola è il Maggiore.
Lia sembra essersi messa l’anima in pace, un po’ come Marco quando si è fatto da parte perché io potessi andare in Pakistan.
Se solo potesse esserci qualcuno che lo aiutasse a ragionare, magari capirebbe... qualcuno che possa fargli rendere conto che non sempre bisogna seguire la testa, e che vale la pena dare fiducia al cuore, in alcuni casi soprattutto.
Io lo so bene, quell’aiuto per me è stato indispensabile.
Ma non posso essere io a dirlo a Tommasi: è una questione troppo personale, lo conosco appena.
L’unica cosa che posso fare è offrire il mio aiuto a Lia, con cui ho un po’ più di confidenza, per quel poco che posso.
A tal proposito, il maresciallo mi ha appena detto che Lia vuole andarsene a Roma, nonostante domani sia Pasqua.
A questo per fortuna riesco a ovviare, anche con l’aiuto di Martina e Nino jr, convincendola a restare almeno per la festa.
Capisco dal suo sguardo che è triste, ma sono convinta di aver fatto bene, a farla fermare un altro giorno. In casi del genere, il supporto della famiglia è indispensabile, e il calore di chi ti ama può aiutare a vedere tutto un po’ più chiaramente.
 
Marco’s pov
 
Mentre uscivo dalla caserma, ho incontrato Cecchini.
Era molto abbattuto, e quando gli ho chiesto se fosse successo qualcosa, mi ha spiegato che Lia e Tommasi non riescono a risolvere i loro problemi.
Per lui è una cosa inaccettabile, visto che in genere ha sempre un piano per tutto, ed è rientrato in caserma molto amareggiato, lasciandomi da solo a riflettere.
Inizio a salire verso la chiesa di Sant’Eufemia, dove poco fa ho visto entrare Tommasi.
Quando arrivo, lui ha appena terminato di parlare con Don Matteo, per cui gli propongo di andare a prendere insieme qualcosa da Spartaco. Lui accetta.
Una volta seduti, è Tommasi a prendere per primo la parola.
“Volevo scusarmi anche con Lei,” esordisce, “per tutto ciò che è successo in questi giorni. Non volevo stravolgere anche la vostra vita - cioè, la Sua e quella della Sua fidanzata, intendo... Mio suocero mi ha detto dell’appartamento, e anche sul lavoro...”
Io scuoto la testa. “Non si preoccupi, è il minimo che potessimo fare. Speriamo solo che la Sua memoria torni presto, è l’unica cosa importante.”
“A tal proposito... in che rapporti eravamo, noi due? Visto che Cecchini mi ha detto che ci conoscevamo già...” mi domanda, e io approfitto dell’assist che lui stesso mi fornisce per veicolare il discorso dove voglio.
“Beh, abbiamo collaborato per poco tempo, in realtà, giusto qualche mese. Ma avevamo iniziato a stringere una bella amicizia, c’era molta stima reciproca. Quello che più mi aveva colpito di Lei, comunque, era il suo stacanovismo.”
Alle mie parole, Tommasi abbassa la testa, forse sentendosi in colpa, e capisco di aver toccato il tasto giusto, così proseguo.
“Ma più di questo, avevo scoperto quanto fosse un buon marito, un ottimo padre, e un uomo pronto a tutto per la donna che amava e, sono convinto, ama ancora.”
Lui mi fissa per un istante, un’espressione incerta e confusa sul volto.
“Come fa a dirlo? Non mi fraintenda, non è un’accusa, è solo che io stesso non capisco cosa provo, invece Lei dice di essere convinto... com’è possibile?”
“È una domanda lecita.” annuisco. “Il fatto è che, in qualche modo, so come si sente. Poche settimane fa, ero certo che la mia storia con Anna fosse giunta al termine, e per colpa mia. Avevamo litigato, e io ero convinto di aver commesso un errore enorme che lei mai mi avrebbe perdonato. Non avevo idea di non aver fatto niente, in realtà, la mia testa era assolutamente convinta, anche se il cuore sperava e credeva che così non fosse. Certo, mi ci son voluti parecchi campanelli e altrettante strigliate per farmelo capire, ma è servito. Lei però ha tutto il tempo per ascoltare il cuore, perché ciò che è successo in questi giorni non è avvenuto per colpa Sua, non volontariamente, e può vederla come un’occasione di ricominciare. Ripartire da zero, decidere se veramente deve fidarsi della testa che non vuole ricordare, oppure del cuore, che forse una risposta ai dubbi ce l’ha già.”
Tommasi, dopo avermi ascoltato con estrema attenzione, annuisce a sua volta, rivolgendomi un sorriso prima di spostare lo sguardo sulla piazza, da dove provengono delle risate a lui molto familiari.
Lia sta giocando con i bambini nelle pozzanghere, ancora colme d’acqua dopo la pioggia della notte scorsa.
Capisco che Tommasi ha compreso perfettamente il senso del mio discorso.
 
Domenica di Pasqua.
Siamo tutti insieme a tavola, con la famiglia della canonica e della caserma al gran completo.
C’è Cecchini insieme ad Elisa, e poi ci sono Chiara, Lia con Nino jr e Martina, Zappavigna, Barba e Ghisoni, Sara, Don Matteo, Natalina, Pippo, Sofia e la piccola Ines.
Accanto a me, la mia Anna.
Manca solo Tommasi.
Mi rammarica pensare che forse ho sbagliato, a credere che avesse capito.
Nonostante ciò, non voglio che questo rovini la giornata che tutti ci siamo impegnati ad organizzare.
Cecchini è l’anima della festa, come al solito, e proprio adesso sta passando da tutti per versare lo spumante e brindare.
Dopo aver preso in giro il povero Ghisoni, a cui non ne ha voluto versare nemmeno un goccio, arriva da me.
“... Invece a Lei glielo riempio pieno pieno perché si deve dimenticare lo spavento che ha preso!” afferma con un gran sorriso.
“Lo spavento, Maresciallo? C’è mancato poco che lo ricoverassero alla neuro, visto che si stava comportando da pazzo,” è la risposta divertita di Anna, che mi rivolge un sorrisetto malizioso, facendomi arrossire.
Scoppiano tutti a ridere a mie spese.
Okay, okay, è vero, sembravo un pazzo, ma la verità è che lo sono.
Si, sono pazzo di Anna. Pazzo d’amore per lei.
Non resisterei un giorno senza averla accanto.
“Grazie, maresciallo,” esordisco, in imbarazzo, “e forse è meglio che ‘sto bicchiere non lo beva, sia mai che per colpa dell’alcol non combini altri guai.”
Anna mi guarda male, ma io continuo.
“Sto scherzando... Quella di ieri non è stata una bella figura, d’accordo, però... devo ringraziare quello spavento, perché ieri più che mai ho capito di che cosa non posso fare davvero a meno...” dico, rivolgendomi direttamente ad Anna. “E lo so che sembravo un pazzo, ma perché lo sono, di te, e il solo pensiero di perderti mi fa perdere la ragione.”
Alle mie parole, lei arrossisce.
“Che scemo che sei,” mormora, prima di baciarmi.
La sento sorridere contro le mie labbra quando tutti a tavola iniziano ad applaudire, e Natalina strilla un ‘Viva gli sposi!!’ che fa ridacchiare tutti, perché nonostante le nozze ci saranno, quel giorno è ancora lontano visto che non abbiamo ancora nemmeno fissato una data, ma lei sembra non vedere l’ora, quasi più di noi.
Comunque sia, stiamo per iniziare a pranzare, quando in lontananza vedo arrivare Sergio
Richiamo l’attenzione di Anna, intenta a parlare con sua sorella, per farglielo notare.
Dopo esserci scambiati uno sguardo d’intesa, lei si alza per andargli a parlare.
All’occhiata interrogativa della tavolata, rassicuro tutti di non preoccuparsi.
Immagino il motivo per cui è venuto, o almeno spero sia quello, e ciò non può che aggiungere un tassello felice a questa bella giornata.
 
Anna’s pov
 
Sergio è appena arrivato, quindi probabilmente ha deciso.
In realtà immaginavo mi avrebbe cercata già da quando Spartaco ha ritirato la denuncia perché il motorino gli era stato non solo restituito, ma anche rimesso a nuovo.
Quando mi avvicino lui tituba, così faccio io il primo passo, chiedendogli cos’ha deciso.
Lui afferma che sì, ci vuole riprovare. A ricominciare, perché forse se riuscirà ad avere di nuovo la sua vita, il resto verrà da sé. Io sono contenta per lui, e gli suggerisco di provare a chiamare il numero che gli ho lasciato quanto prima, perché quella persona ha bisogno che la sua auto sia sistemata, e che comunque quel foglietto potrebbe essere più di quanto non sembri: forse un biglietto per il treno diretto verso un futuro migliore.
Lui mi ringrazia, e per un attimo valuto l’idea di proporgli di fermarsi a pranzo con noi, ma mi rendo conto che è ancora presto per un passo del genere, così lascio stare. Mi accorgo che sta osservando Ines, ma noto la paura nei suoi occhi. Dopo un breve saluto, va via senza aggiungere altro.
Torno al mio posto, accanto a Marco, raccontandogli con un sorriso che, piano piano, qualche passetto in più lo sta cominciando a fare.
Sto però continuando a omettere la questione del lavoro, ma non perché voglia nasconderglielo o altro, in realtà c’è una ragione più profonda e personale, e glielo dirò a tempo debito.
Proprio in quel momento, arriva Tommasi.
Noto Marco mettere su un sorrisetto soddisfatto.
Uhm. Chissà come mai.
A quanto pare è giornata di dichiarazioni, perché anche lui fa lo stesso con Lia, come Marco ha fatto poco fa con me.
Mi volto a guardarlo, e il suo sorriso è diventato ancora più grande.
Fa perfino l’occhiolino a Tommasi a un certo punto, come fosse un cenno d’intesa.
Qualcosa mi dice che Marco e il Maggiore abbiano fatto una bella chiacchierata.
Mi sa che hai proprio ragione, vocina.
Veramente mi stai dando di nuovo ragione? Ma cos’è, Pasqua?
In realtà... sì.
Ah, già. Esempio sbagliato. Mi ritiro in silenzio.
Sorrido da sola al piccolo battibecco che ho appena sostenuto con la mia vocina petulante, quando Tommasi chiede a Lia di risposarlo. Mi sento riportare indietro a quella sera, quando io ho fatto la stessa domanda a Marco, dopo il nostro litigio. Sebbene da quel momento siano successe una miriade di altre cose, sono comunque felice di come la nostra vita sia proseguita. Arriverà quel giorno anche per noi.
So che il mio fidanzato sta pensando la stessa cosa, e sorrido prima di appoggiare il capo sulla spalla di Marco, beandomi del mezzo abbraccio in cui mi ha avvolto.
Lui mi posa un bacio in fronte, ma il nostro momento è interrotto da Don Matteo che si alza, proponendo un brindisi di buona Pasqua.
A lui si unisce, immancabile, Cecchini.
“Un brindisi pure per le nostre due coppie, che si risposeranno presto... anche duemila volte, se necessario!” esclama, festante.
Tra le risate di tutti, i bicchieri tintinnano mentre ognuno fa i propri auguri.
Dopo aver avvicinato il bicchiere a quello di Marco per un brindisi tutto nostro, avvicino il calice alle labbra, prendendo un piccolo sorso di spumante.
Mh. Che strano sapore che ha...
 
 
Ciao a tutti!
Eccoci con il terzo ‘episodio’! Le cose, tra Anna e Marco, si sono finalmente aggiustate, e tutto sembra andare per il verso giusto.
Come avete letto, abbiamo cercato di mantenere la linea dell’episodio originale, riadattando però le scene alla nuova trama.
Quindi, ad essere spediti in hotel, con tutti i pro e contro del caso, sono stati i poveri Anna e Marco, sempre invischiati nei piani del maresciallo.
Lia e Tommasi hanno interagito maggiormente con i nostri (abbiamo riportato Martina perché, come nel caso di Chiara, è stato inammissibile che non fosse nemmeno menzionata) e anche Sara ha avuto la sua parte, seppur marginale in questo caso.
Come vi abbiamo già chiesto, io e Martina vogliamo conoscere le vostre opinioni, e soprattutto le vostre ipotesi in merito a cosa succederà... è vero che siamo ancora all’inizio, ma di roba ce n’è già parecchia, ed è tutto in evoluzione (in positivo, però, si spera...).
Come sempre, grazie per il vostro affetto.
A giovedì,
 
Mari

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Capitolo 4
*** Onora il padre e la madre ***


ONORA IL PADRE E LA MADRE
 
 
Marco’s pov
 
È passata poco più di una settimana da Pasqua.
Lia e Tommasi hanno per fortuna risolto i loro problemi, le festività sono passate con la famiglia riunita, e per la gioia di Cecchini i quattro sono rimasti qualche giorno in più, prima di tornare a Roma. Il Maggiore ha iniziato a vedere uno specialista per cercare di trovare una soluzione alla sua amnesia, e il maresciallo ci ha riferito che sta già meglio. Almeno una buona notizia.
Quello che non è il massimo, al momento, è l’umore di Anna.
È sempre stanca, sta poco bene, all’ora dei pasti non riesce a toccare quasi nulla e questo contribuisce a renderla più nervosa del solito, e più spesso del solito.
L’ho anche trovata un paio di volte a parlare con Patatino con gli occhi lucidi, come se avesse pianto.
Insomma, il suo umore è parecchio altalenante, e a farne le spese sono io.
Due sere fa, nel tentativo di chiederle semplicemente come stesse, Anna ha sbottato, e in men che non si dica ne è nata una discussione accesa, perché a suo dire io insisto col fatto che non si senta bene quando invece lei sta benissimo, e pretendo di sapere sempre tutto.
In breve: abbiamo litigato e sono due notti che dormo sul divano, anche se ci sto a malapena. In compenso non mi ha cacciato di casa, anche se ho temuto lo facesse per un paio di secondi. Ho provato a chiedere ad Elisa, Chiara e Cecchini se sapessero il motivo per cui Anna sia così ingestibile ultimamente, ma nemmeno loro ci capiscono granché. Il punto è che, a prescindere da tutto, so che lei non ammetterà tanto facilmente che è anche colpa sua, la discussione che abbiamo avuto (perché, a dire che sia tutta colpa sua non se ne parla nemmeno sotto tortura), e quindi mi tocca inventarmi qualcosa per sistemare la situazione e farmi perdonare.
Naturalmente, Cecchini ha capito l’antifona, e come al solito ha deciso di intervenire.
Marco, lo sai che se lo lasci fare, finirà molto male, vero?
Certo che lo so, grillo, è esattamente questo che sto cercando di spiegare a Cecchini per telefono, mentre lui mi informa di aver fatto una mossa, a suo dire, perfetta.
Me lo immagino, avrà avuto una di quelle idee anni ‘20, sì... 1920. Tipo farle recapitare rose rosse e cioccolatini, doni che riceveranno esattamente il risultato opposto a quello che prevede lui.
Perché: punto uno, io sono quello che aveva, a suo tempo, preso in giro Giovanni  per l’originalità delle rose rosse ironizzando su una probabile successiva serenata; punto due, io non regalerei mai delle rose di quel colore alla mia fidanzata.
Come volevasi dimostrare, avevo intuito bene.
Cecchini ha fatto consegnare ad Anna un fascio di rose rosse e una scatola di cioccolatini. A nome mio.
“In queste cose non mi sbaglio mai! Ho un’esperienza secolare!” afferma, compiaciuto.
“Ma per una volta, le ho chiesto di starne fuori!” dico in tono semi-disperato. Ma perché deve impicciarsi anche quando gli spiego di non farlo?!
“Le rose funzionano sempre: rose, amore; dolcini, dolcezza! Perché alle donne, quando arrivano ‘ste rose, si sentono, diciamo-”
Ma Anna non è una donna qualsiasi, maresciallo.
“Maresciallo, io le ho chiesto di non introm-”
Il tu-tu-tu che proviene dal cellulare indica che mi ha staccato la chiamata in faccia.
E il motivo può essere solo uno: Anna ha fatto due più due, ovviamente.
Avrà trovato il ‘regalo’ perfetto di Cecchini.
Anna è meravigliosa, ma quando si arrabbia sul serio, diventa una furia, e stavolta mi sembra probabile.
Buona fortuna, Marco! Ne hai bisogno.
 
Anna’s pov
 
Stamattina, al mio arrivo in caserma, mi sono ritrovata in ufficio un mazzo di rose rosse e una scatola di cioccolatini, con due bigliettini annessi.
Awww! Un pensiero molto romantico, non trovi?
Come no, vocina... Peccato che non siano i miei fiori preferiti. I cioccolatini sì, ma l’odore che proviene dalla scatola mi dà la nausea.
Onestamente, su quest’ultimo punto, dovrei dire che è da più di una settimana che mi capita. Non capisco come mai, però è più o meno da Pasqua che ho notato che c’è qualcosa di ‘strano’.
‘Strano’ è la parola giusta. Da Pasqua.
... Uhm, Anna, non è che-
Interrompo la vocina (forse sto impazzendo, adesso... mi metto a litigare con la mia stessa testa) quando noto il contenuto dei biglietti, che mi lascia un attimo stupita.
No, non il ‘Ti amo’... la firma: Marco.
Ma non perché Marco non sia capace di gesti romantici, tutt’altro... sorrido, pensando a quei gesti tutti suoi, prima di tornare ai cartoncini.
Anche perché, Marco sa benissimo della mia predilezione per le rose bianche, e non dimenticherò mai quella volta in cui mia madre gli diede del pirla perché, dopo un litigio, mi aveva preparato dei cioccolatini per farsi perdonare.
Io avevo apprezzato, perché li aveva fatti lui - sapendo del mio debole per il cacao - ma mamma lo aveva considerato un gesto scontatissimo e banale.
Su, che hai riso anche tu all’aria di sufficienza con cui tua madre aveva guardato Marco.
Comunque sia, quella impressa sopra non è la calligrafia del mio fidanzato, ma di un certo Maresciallo che conosco bene e che non la vuole proprio piantare di impicciarsi dei fatti nostri, benché lui dica sempre il contrario.
Oltre a questo, Marco non si sarebbe mai limitato a quelle poche parole, o a messaggi così impersonali.
A dare manforte alla mia supposizione, becco proprio Cecchini al telefono, e il suo interlocutore, a giudicare dalle parole che sento, non può che essere Marco, e penso che sia felice quanto me, della sua ficcanasaggine.
Quando mi nota a fissarlo, chiude la chiamata all’istante.
Gli faccio cenno di venire nel mio ufficio, e chiudo la porta, prima di piazzarmi davanti a lui.
Gli punto un dito contro, infastidita. “Maresciallo, lei la deve smettere di impicciarsi tra me e Marco!”
“Ma che dice, che sta dicendo?”
Trattengo un sospiro esasperato. Gli voglio bene, ma deve finirla di intromettersi.
“Deve pensare ai suoi, di fatti amorosi! Usi queste tattiche con mia madre, se proprio deve!” Sbotto, indicando rose e dolci.
Magari lei le apprezza.
O dà del pirla anche a lui.
Cecchini continua a far finta di niente, con scarsi risultati. “Ma io veramente in questo momento sto cascando dalle nuvole!”
“Maresciallo, lo so che è stato lei!” affermo, perché conosco sia lui che Marco, e basta e avanza questo a commentare. “Comunque, sua figlia Assuntina torna da Parigi oggi, giusto?” cambio discorso.
“Ha preso ottimi voti, là dove studia, alla Sorbona, e mi sta dando grandi soddisfazioni.”
Finalmente, dopo anni di tira e molla con lo studio, Assuntina sembra aver trovato la sua strada, sebbene questa l’abbia portata lontana da Spoleto, poco dopo la morte della madre. Lei avrebbe voluto restare col padre, ma lo stesso maresciallo aveva insistito che partisse. Noi eravamo rimasti molto sorpresi, perché lui il più delle volte non era stato di questo genere di opinioni... basti pensare a quando Caterina e figlia erano partite per la crociera e lui era rimasto solo a doversela vedere con i tarli.
Comunque, Assuntina aveva deciso di ripagare il gesto del padre impegnandosi tantissimo nello studio. Adesso, dopo quasi un anno intero fuori, sta rientrando anche per conoscere la nuova compagna di suo padre.
Ta-daaaaan.
“E non ha ancora incontrato mia madre, giusto?” ridacchio.
Lui si fa piccolo piccolo. “E non ha ancora incontrato sua madre, giusto.”
“Sono sicura che andranno molto d’accordo.” lo prendo in giro.
Ora, non lo penso davvero, anzi. Sono convinta che andranno veramente d’accordo, ma lui non ha avuto ancora il coraggio di dire nulla ad Assuntina, so che è nervoso e preferirebbe evitare il momento. Ma la sua faccia era troppo divertente per non approfittarne.
La nostra conversazione è interrotta dall’arrivo di Natalina, che vuole denunciare qualcuno che si è introdotto in canonica e avrebbe, a suo dire, cercato di ucciderla.
Certo che la confusione che è in grado di creare la perpetua è a dir poco assurda.
Tracciare l’identikit con lei e Pippo, il sagrestano, è praticamente impossibile, e se consideriamo che a stilarlo è Cecchini... direi che siamo a posto.
Aggiungiamoci pure il mio umore ballerino, e il mio nervosismo schizza alle stelle.
Chiedo sconsolata a Don Matteo se ha visto o sentito qualcosa, ma l’unico affidabile del trio non ha notato nulla. Per una volta che il suo aiuto sarebbe stato apprezzato, non sa niente. Fantastico.
Nel mentre, arriva una chiamata che ci avvisa di un omicidio di un notaio.
Lascio i tre a Ghisoni, avviandomi col Maresciallo sul luogo del delitto, approfittando della ‘via di fuga’ per sfuggire a questo delirio che mi ha fatto tornare il mal di testa.
 
Marco’s pov
 
Stavo giocando in piazza con Ines quando Anna mi ha chiamato per informarmi di un caso di omicidio consumatosi in uno studio notarile, per chiedermi di raggiungerla in ufficio dopo il sopralluogo.
Esatto, avete capito bene. Stavo giocando.
Quella bambina mi sta portando a fare cose che mai avrei immaginato... proprio come la sua versione adulta.
Adoro passare il tempo con Ines, vederla sorridere, farla felice. Mi diverto un sacco anch’io.
Bravo, fai pure pratica, che non guasta.
Giusto, grillo.
Mi piace vedere che giorno dopo giorno mi sto conquistando la sua fiducia, lei sta iniziando ad aprirsi con me, a raccontarmi la sua storia e i pochi ricordi che ha legati alla sua mamma, di cui non conosco ancora il nome. Non ho voluto chiederglielo, sto lasciando che sia lei a decidere cosa farmi sapere.
La pratica per l’ottenimento della sua tutela è a buon punto, la burocrazia ha i suoi tempi, ma di fatto mi occupo già di lei a tutti gli effetti, col benestare dei servizi sociali.
Ho dovuto salutare Ines, che ha messo su un faccino triste perché ho dovuto dar precedenza al lavoro, promettendole però che mi sarei fatto perdonare, per raggiungere Anna.
Mentre salivo le scale, ho sentito Cecchini parlare con Zappavigna dell’arrivo di Assuntina, e della cena di stasera con tutti noi.
 
Quando arrivo in ufficio, Anna è ancora sulla difensiva per il nostro litigio.
Riusciamo però a parlare in maniera civile, da grande team quale siamo.
“A me la dinamica pare chiara: un ladro entra dalla finestra, comincia a frugare ma viene sorpreso dal notaio, che tenta di fermarlo, e a quel punto il ladro afferra l’attizzatoio e con un colpo lo uccide.” commento dal divanetto su cui sono seduto, osservando le foto del luogo del delitto.
Anna, appoggiata alla scrivania, però non sembra convinta. “... Sì, ma prima di tutto, cosa cerca un ladro in uno studio notarile?”
“Di solito, assegni circolari.”
“Perfetto... che sono chiusi in cassaforte. Invece questo ladro che cosa fa? Fruga nei cassetti... lasciando tutti i cassetti aperti. A me sa tanto di messa in scena, questa rapina.”
Mentre lei parla, noto poggiati in un angolo il mazzo di rose e la scatola di cioccolatini, e mi viene da ridere. Sapevo che sarebbe finita così.
Anna intercetta la destinazione del mio sguardo.
“Smetterai mai di dare retta al maresciallo?” chiede, infastidita, incrociando le braccia. È ancora sul piede di guerra.
Mi alzo, raggiungendola. Metto su la mia miglior espressione da cucciolo bastonato, mormorandole un martoriatissimo ‘scusa’.
Per fortuna, ottengo l’effetto sperato: vedo un sorrisetto farsi strada sulle sue labbra.
“In realtà anch’io devo chiederti scusa... So che ultimamente sono un po’ insopportabile.”
Io sto per rimarcare con un ‘solo un po’?’ che lei intuisce, impedendomi di proferir parola puntandomi un dito contro con aria minacciosa.
Io alzo le mani in segno di resa, prima di ridacchiare e baciarla, ignorando le sue finte proteste.
È stato più semplice del previsto, farmi perdonare.
Non che mi dispiaccia, anzi.
Dopo aver passato ancora qualche minuto insieme, mi rendo conto che si è fatta ora che io vada in tribunale.
Sciolgo di malavoglia l’abbraccio.
“Stasera credo farò tardi, arriverò giusto in tempo per la cena da Cecchini,” le spiego, contrariato.
“Non preoccuparti, capiranno.”
Io la osservo un attimo.
“Mh. Non è che sei tu, quella preoccupata? Hai una faccia...” le chiedo, vista l’espressione tesa.
“No no, conosco entrambe e sono sicura che andranno molto d’accordo. Certo, mia madre a primo impatto non ha mai un grande effetto sulle persone, ma Assuntina vuole il bene di suo padre, e sicuramente sarà felice per lui...” afferma con un sorriso.
Io annuisco, e dopo averla salutata, vado via.
 
Anna’s pov
 
Non mi aspettavo di ricevere la chiamata da Sergio questo pomeriggio.
Adesso lo sto attendendo sotto casa, gli ho dato appuntamento prima della cena con Assuntina perché è l’unico momento libero che ho avuto in tutta la giornata.
Eccolo arrivare, le mani in tasca.
“Ciao... allora, dov’è il mio datore di lavoro?” chiede col suo solito sorrisetto strafottente.
“Ce l’hai davanti,” affermo, ridacchiando alla sua faccia stupita.
Lo conduco quindi in garage, dove sta parcheggiato mio adorato maggiolino, in tutta la sua bellezza.
Oddio, bellezza... ha bisogno di essere rimesso a nuovo, e prima di spendere qualche parola in più per Sergio, voglio testare le sue capacità, per cui quale migliore occasione?
Accendo la luce e Sergio, non appena vede cos’ha davanti, fa un fischio d’approvazione.
“Guarda lì, Maggiolino Cabrio del ‘72, quarantaquattro cavalli!”
“...Sì!”
“Questo è un gioiellino, guarda, eh!”
“Tanto bisognoso di restauro...” Sorrido, prima di spiegarne i problemi. “Ha due cilindri grippati, la puleggia della dinamo non ne parliamo, i tamburi dei freni vanno cambiati e tutta la tappezzeria andrebbe rifatta.”
“Mh... te, non ti piaceva giocare con le bambole da piccola, vero?” mi chiede, sorpreso dalle mie conoscenze.
Non ci faccio neanche caso, tutti lo sono a primo impatto.
Tutti tranne Marco. Lui non ha battuto ciglio, quando lo ha scoperto.
Mi viene da ridere se ripenso a mia sorella, che si era inventata di amare tutte cose che detestava, e invece a me piacevano sul serio.
Ad esclusione del calcio, ma col tempo avevo rivalutato in parte anche quello, che non è così male, con la compagnia giusta. La sua.
Quando l’ho confessata a Marco, questa cosa, mi ricordo che ha sorriso abbracciandomi stretta, per poi dirmi che si era innamorato di me proprio per quel motivo. Perché io ero sempre stata diversa, speciale, e che una delle cose più belle tra noi era proprio il poter condividere tutto.
Ripenso alle innumerevoli cose che abbiamo in comune, anche se siamo opposti.
La perfezione di quei due anni passati insieme.
La felicità con lui.
Sì, tutto molto bello, Anna, son d’accordo. Un piccolissimo appunto: LA CENA! Sei in ritardo!
Torno con la mente al presente, a Sergio e il mio maggiolino.
“Allora, che dici? Si può fare? La paga è buona.”
Lui mi rivolge un sorrisetto. “Sì, la paga probabilmente è buona... è il capo che ho paura sia un po’ un gatto attaccato a...”
Si permette pure di fare la battutina!
“Attaccato a che?” lo metto in guardia. La continuazione della frase non la voglio neanche sentire.
Lui recepisce al volo, porgendomi la mano. “Affare fatto?”
“Affare fatto.”
 
Dopo averlo accompagnato fuori dal garage e salutato in fretta, torno su, passando un momento da casa prima di suonare il campanello di Cecchini.
Ad aprirmi è Marco.
“Ehi, sei già arrivato!” esclamo, e faccio per baciarlo, quando lui mi blocca.
Lo osservo, interdetta.
“Che c’è?”
“Perché eri con quel Sergio, in strada?” borbotta, infastidito.
Ops. È vero, Marco non sa del Maggiolino in procinto di essere aggiustato, e non deve proprio saperlo, visto che si tratta di una sorpresa.
“L’ho incontrato giù mentre tornavo da una commissione che avevo dimenticato di fare, e ne ho approfittato per chiedergli cosa ha deciso di fare con Ines... mi ha detto che non si è ancora convinto, però a quanto pare ha trovato un lavoro. Solo che non avevo fatto caso all’orario, ho perso la cognizione del tempo.” gli spiego.
Però, stai diventando brava a mentire.
Non sto mentendo, sto solo omettendo qualcosa, è diverso.
Come preferisci... Comunque, vogliamo parlare del comportamento di Marco?
Faccio un sorrisetto furbo, sfiorando il bavero della sua giacca.
“Non mi dire che sei geloso,” ridacchio, osservandolo da sotto le ciglia.
“Io? Geloso? Di quello lì? Figuriamoci...” ribatte, sulla difensiva, arrossendo.
“Mh-mh...”
Continuo a prenderlo in giro, mentre lui si calma, per fortuna lasciando cadere il discorso.
Assuntina ci chiama a tavola, avvisando che è pronto, così Marco mi bacia prima di prendermi per mano e condurmi al mio posto.
 
A cena c’è la famiglia al completo: Assuntina, Zappavigna, Cecchini, mia madre, Chiara, Marco ed io. Scorre tutto abbastanza bene, Assuntina, come previsto, accetta volentieri la presenza di mia madre - io e Chiara andiamo molto d’accordo con lei, quindi di problemi per noi non ce ne sono, e non possiamo che essere tutti felici.
Parlando della cena, il profumino di per sé è delizioso, ma c’è qualcosa che evidentemente il mio stomaco non apprezza.
Mia madre in quel momento mi distrae, facendo un’allusione ai chili in più di Assuntina.
Effettivamente, anch’io ho notato qualcosa di strano, perché a parte il vestito molto ampio, i chili in più sembrano un po’ troppi e mal suddivisi per essere dovuti solo al cibo francese, come sostiene Cecchini, mettendo in mezzo il burro.
Cibo. Uhm.
Io adoro la bourguignonne, menù di stasera, eppure nonostante abbia davanti una delle mie pietanze preferite, non faccio che rigirare i pezzetti di carne nel piatto senza mangiare quasi niente. La sola vista mi fa venire la nausea.
Cecchini propone ad Assuntina di fare un brindisi, che lei insiste a fare seduta.
Tutti noi solleviamo i bicchieri, anche se personalmente non berrò, visto che è da Pasqua che non tocco un goccio di vino. Dopo lo spumante, ho passato una brutta nottata, credo mi abbia fatto male, e quindi per ora ho preferito evitare di bere alcol.
Assuntina però, non appena assaggia un goccio, si sente male, correndo in tutta fretta verso il bagno.
Io spalanco gli occhi, mettendo giù il bicchiere di scatto mentre mia madre segue la figlia del maresciallo, preoccupata.
Chiara mi lancia un’occhiata stranita, mentre io fisso il calice che ho davanti.
Ehm, Anna... Facendo un calcolo rapido, ecco... non è che...
Oddio.
 
Chiara’s pov
 
Anna non ha toccato né bourguignonne né vino, sebbene siano entrambe cose che le piacciono. Cosa ancora più strana, mia sorella non ha smesso di osservare Assuntina per tutta la sera, come se stesse studiando il suo comportamento. Ora, in quella ragazza c’è chiaramente qualcosa di strano, e penso abbiamo intuito quasi tutti cosa, a maggior ragione adesso che è scappata in bagno, con mia mamma che le è corsa dietro, preoccupata.
Voglio dire, né io né Anna, e nemmeno Marco ci siamo stupiti: è evidente che Assuntina sia incinta, e anche Zappavigna ne sia al corrente. Probabilmente stanno cercando di capire come dirlo a Cecchini, l’unico incredibilmente ignaro di tutto.
Comunque, tornando a mia sorella, mi passa per la mente una strana idea.
Ma non è che pure lei...
Ma no, Chiara, figurati se... se...
I miei pensieri sono interrotti dalla stessa Anna.
“Come mai mamma e Assuntina ci mettono tanto?” mormora, prima di rivolgersi a me. “Andiamo a controllare, che dici? Magari hanno bisogno.”
Io annuisco, seguendola nella stanza accanto.
 
Raggiungiamo le due, proprio mentre sentiamo mamma dire ad Assuntina: “... non lo dirò a nessuno, che sei incinta.”
Assuntina si accorge della nostra presenza, e noi ci avviciniamo, con un piccolo sorriso per farle capire che anche noi avevamo intuito.
“Pensa se tuo padre lo scopre da solo, peggio,” continua mamma, in tono dolce.
“È vero, ti conviene dirglielo...” concorda Anna, stupendomi non poco. Da quando dà ragione a mamma? Boh... comunque.
“Sono d’accordo,” intervengo. “Non è che glielo puoi nascondere ancora a lungo, eh, già così... alla faccia dei chili in più per il burro francese!” esclamo, facendo ridacchiare tutte. “Tuo padre è una persona adorabile, ma se lo scopre per vie traverse sarà decisamente peggio.”
“Ti aiuto, se vuoi,” propone mamma ad Assuntina.
Mentre lei riflette, noto mia sorella osservarle il pancione, prima di portarsi una mano all’altezza dell’addome, sovrappensiero.
Okay, mi sa che , pure lei.
Chi l’avrebbe mai detto, che sarebbe arrivato questo giorno!
Prima del matrimonio!
 
Anna’s pov
 
Noto di essermi portata una mano all’addome solo dopo aver spostato lo sguardo dal pancione di Assuntina alla faccia di mia sorella, che mi sta scrutando con un’aria a metà tra il confuso e il consapevole.
Deglutisco a vuoto.
Forse dovrei parlare a qualcuno dei dubbi che mi stanno venendo, e chi meglio di Chiara?
Mamma e Assuntina tornano a tavola, dopo che quest’ultima ha accettato l’aiuto, e io penso di svignarmela e riaccomodarmi quando mia sorella mi ferma per un braccio.
Capisco che la mia idea di rinviare il discorso è sfumata.
“Va tutto bene?” mi chiede lei, sospettosa.
“Sì, certo, sto beniss-...” mormoro, la voce che si spegne all’occhiataccia di Chiara, che mi ha ovviamente sgamata.
Sospiro.
“E va bene. È da una decina di giorni che mi sento sempre stanca, cambio umore ogni tre secondi, ho spesso la nausea e... ho un ritardo. E guardando Assuntina, stasera, mi stanno sorgendo un po’ di dubbi...” mormoro.
E pensare che eri convinta che avresti assistito tu a un discorso del genere, perché sarebbe stata Chiara a farlo a te, prima o poi. Divertente questa inversione di ruoli, non trovi?
“Beh, direi che se questi dubbi ti inquietano così tanto, allora sarebbe il caso di verificarli, no?” suggerisce lei.
Con qualche esitazione, annuisco. Inutile girarci attorno o aspettare ancora.
“Chiara,” la fermo però, prima che torni a tavola. “Mi devi promettere che non lo racconti a nessuno,” la supplico. Lei annuisce, prima di avviarci verso i nostri posti.
 
Marco’s pov
 
Anna e Chiara si sono appena sedute quando Elisa, di punto in bianco, non tira fuori l’argomento bambini, chiedendo a Cecchini se gli piacciano.
Il maresciallo è stupito quasi quanto me, che stavo bevendo e per poco non ho sputato tutto.
Voglio dire, abbiamo capito tutti tranne lui che Assuntina è incinta, ma Elisa avrebbe potuto essere un pochino più delicata.
Cecchini sta commentando una domanda che gli è stata posta, mentre io, che mi sono appena ripreso dopo essermi quasi strozzato bevendo, noto la mia fidanzata e Chiara scambiarsi uno strano sguardo complice.
Mi accorgo solo adesso del piatto quasi intatto di Anna, e il bicchiere di vino ancora colmo. Strano. Ma probabilmente è dovuto al fatto che ultimamente non è stata benissimo, e quindi non aveva fame.
Torno ad osservare Assuntina: è evidente che lei e Zappavigna abbiano paura di dire la verità al maresciallo perché, conoscendolo, chissà come reagirebbe, all’idea di diventare di nuovo nonno.
Devo dire che Assuntina sembra più radiosa del solito. In genere è una ragazza molto allegra, ma adesso emana proprio un’altra luce.
Chissà come sarebbe, nel caso di Anna... te la immagini, Anna mamma?
Certo che me la immagino, grillo, cosa credi? Ci ho pensato parecchie volte, a tutto il percorso. Quello che porta ad essere genitori, con responsabilità, doveri, ma anche a donare il proprio amore a una parte di sé che poi andrà in giro per il mondo, pronta a farti mille domande perché curiosa di scoprire tutto, o pronta a chiederti di stringergli la mano perché ha paura di affrontarlo. Un pezzo di te che ti prenderà come modello perché sarà da te che imparerà. Ho pensato anche alle notti insonni dei primi tempi, a tutte le cose nuove da imparare per prendercene cura, io e Anna. Alle mille piccole discussioni sul fare una cosa in un modo o in un altro, perché so che avremmo da battibeccare.
Mentirei, se dicessi che non vorrei che accadesse. Presto, anche.
Prendermi cura di Ines non sta facendo altro che alimentare questo desiderio. Perché mi piace occuparmi di lei, ma non vedo l’ora di poterlo fare con un figlio tutto nostro.
Vengo riportato alla realtà quando mi accorgo che Chiara sta cercando in tutti i modi di trattenersi dal ridere per la reazione di Cecchini alla novità: ha quasi rovesciato il bicchiere. Ce lo vediamo svenire davanti agli occhi.
C’era da aspettarselo.
Con l’aiuto di Zappavigna, lo spostiamo sul divano. Quando torna in sé, inizialmente crede fosse stato tutto un sogno, ma quando gli riveliamo la verità, si scaglia contro il povero appuntato. Sono riuscito a trattenerlo a stento.
Accetta di risparmiarlo, almeno per il momento, prima di cacciarci tutti di casa, chiedendo di restare da solo.
 
Zappavigna va via, dispiaciuto, e io sono rimasto insieme alle quattro donne sul pianerottolo.
Avverto la vaga sensazione di essere di troppo, per cui decido di prendere Patatino e portarlo a fare una passeggiata.
Elisa mi stupisce, proponendosi di accompagnarmi. Accetto di buon grado: se l’ha fatto, avrà i suoi motivi, e la sua compagnia è piacevole.
 
Anna’s pov
 
Mamma ha colto al volo la silenziosa richiesta di Assuntina di essere lasciata da sola con me e Chiara, per cui ha accompagnato Marco per la passeggiata di Patatino.
Noi la invitiamo a entrare da me.
“Il bambino non è di Romeo,” mormora, dopo qualche istante di silenzio.
Io e Chiara spalanchiamo gli occhi. Dire che siamo stupite è poco.
“... è... è un ragazzo francese che ho conosciuto alla Sorbonne... mi sono innamorata, e... Io non volevo, ma non so cosa fare con Romeo! Lui pensa sia suo, ma io non gli voglio mentire!” ci spiega, quasi in lacrime.
Beh, perlomeno è positivo che voglia essere sincera. Non sarebbe giusto nei confronti del povero Zappavigna.
“Dovresti dirgli la verità il prima possibile,” le dico, “capisco che non sia una notizia facile da dare, ma aspettare e illuderlo peggiorerebbe le cose, soprattutto vista la reazione di tuo padre, poco fa.”
“Hai ragione,” accetta lei. “Solo che non so come dirglielo...”
“Puoi organizzare una serata con Romeo,” suggerisce Chiara, che era rimasta in silenzio finora. “Una cena, o una passeggiata, ma lontano da casa.”
Assuntina sembra apprezzare il consiglio, e dopo averci ringraziate, ritorna dal padre.
Buon segno, almeno lei è stata riammessa.
Chiara non attende un istante in più per riprendere il discorso interrotto di prima.
“Sei in ansia?” mi chiede, ma il mio sguardo basta e avanza come risposta, credo, perché continua.
“Devi fare il test,” afferma. “I sintomi ci sono, e in più hai detto che hai un ritardo, no? Com’è che non te ne sei accorta prima?”
“Pensavo fosse dovuto allo stress per il matrimonio saltato e tutto il resto...” mormoro. Chiara alza gli occhi al cielo.
“Se il dubbio ce l’hai - tu - evidentemente è molto probabile. Ci penso io, a portartelo, il test, non ti preoccupare, ti-”
Si interrompe bruscamente quando sentiamo aprire la porta: Marco e mia madre sono tornati.
Dopo un breve saluto, lei e Chiara se ne tornano in albergo.
La mia nottata passa in preda all’ansia.
 
La mattina successiva, in caserma, sono nel mio ufficio intenta a leggere documenti quando mi coglie uno sbadiglio.
Torno a sfiorarmi involontariamente l’addome.
Se non vuoi alimentare dubbi, forse ti conviene essere più discreta...
Sobbalzo all’insinuazione della mia vocina, convinta che qualcuno se ne sia accorto.
Realizzo che si è trattato di un falso allarme, quando sento un trambusto provenire, guarda caso, dalla postazione di Cecchini, a cui trovo anche Ghisoni e Zappavigna.
“Ma siete impazziti?! Ma che sta succedendo?” chiedo, in un tono che indica che è meglio che smettano.
È Zappavigna a rispondermi.
“È per ieri sera, Capitano,” mi spiega, agitato, prima di tornare a rivolgersi al suocero, in ginocchio. “Io non- Maresciallo, Maresciallo mi ascolti: io sono pronto a sposare Assuntina, a riconoscere il bambino e a crescerlo, e per me questo non è un sacrificio, Maresciallo, lo sa perché? Perché io amo Assuntina e voglio renderla felice. Ho detto che la sposo, e io la sposo!”
Da bravo ragazzo qual è, ha accettato di farsi carico di quelle che crede siano sue responsabilità.
La mia mente torna alla conversazione con Assuntina: è meglio che gli dica la verità, e in fretta, anche. Poverino, quando lo scoprirà...!
Cecchini lo fissa torvo. “Hai detto che la sposi?”
“L’ho detto, sì, l’ho detto!”
“Ha sentito, Lei?” chiede il maresciallo direttamente a me.
“... sì...” è la mia risposta esitante.
“Cos’ha detto?” domanda, stavolta al brigadiere.
“Che la sposa.” sorride Ghisoni.
“Le spese del matrimonio le paghi tu.”
“Sì... tutto io, pago tutto io! Grazie!”
Zappavigna corre via, mentre Ghisoni si volta verso di me.
“Capitano, le volevo dire che sono arrivati i risultati della scientifica sul caso del notaio.”
“Grazie.”
 
Chiamo in fretta Marco perché ci raggiunga e, insieme a Cecchini, ne discutiamo nel mio ufficio.
Sto cercando di mantenere la concentrazione nonostante il leggero mal di testa, quando qualcosa nella lettura di Marco attira la mia attenzione: forse abbiamo un sospettato.
Convochiamo il signor Manlio, che finiamo per mettere in stato di fermo.
 
Marco’s pov
 
Una volta arrestato Manlio dopo la deposizione di Pippo e Natalina, scendo in piazza con Anna.
Prima di tornare su, però, voglio chiedere una cosa alla mia fidanzata.
“Senti, Anna... visto che abbiamo risolto il caso velocemente e siam stati bravi... che ne dici se dopodomani andiamo insieme a Roma? Ho trovato i biglietti per il concerto degli Skunk Anansie!” propongo, gasatissimo. È uno dei nostri gruppi rock preferiti, un’occasione da non perdere.
Anna mi rivolge un’occhiata stranamente titubante, che non fa altro che scatenare il bambinone che è in me, portandomi a fare una battuta delle mie per provare a convincerla.
“Certo, capisco che non è il concerto di Nilla Pizzi che propone sempre il Maresciallo, però...” Scherzo, e lei ride, nascondendosi dietro la mano. Quel gesto mi scalda il cuore. Quanto mi piace, quel suo sorriso. “Considerato che per lui è ancora viva, soprattutto...” rincaro la dose, felice del fatto che abbia accolto bene il mio tentativo di ironizzare. Temevo avrebbe reagito male, visto che ultimamente ogni cosa la innervosisce.
Lei sta per rispondermi, quando il suo sguardo si sposta su altro.
“Oh, guarda!” fa, indicando qualcuno in basso.
C’è Ines, con un’espressione triste sul visino.
Sempre più ninja... da dov’è apparsa?
“Ines, ciao! Ma cos’è ‘sta faccia?”
“Mi manca tanto la nonna!” mi risponde, mogia. “Ti ricordi la promessa?”
“Di accompagnarti a trovarla? E certo che me lo ricordo!” Affermo, deciso. Ogni promessa è debito, mi sono impegnato a prendermi cura di lei, e non voglio deluderla. “Ho disdetto tutti gli appuntamenti, ho detto ‘nessuno mi deve rompere le scatole, assolutamente’ - vero?” dico, cercando il sostegno di Anna, che mi dà subito. “‘Io devo andare con Ines dalla nonna, assolutamente’, ci vengo!”
La bimba è al culmine della felicità, e non esita ad abbracciarmi forte. Io la prendo in braccio, con un sorriso altrettanto grande.
“Grazie grazie grazie!” esclama lei, stringendomi le braccine attorno al collo.
“Prego prego prego! Ci vengo volentieri!”
Ahhh, come sarebbe bello, avere un abbraccio così tutti i giorni! Far felice un figlio deve scaldare il cuore quanto e forse più di così.
Dopotutto, mi basta veder sorridere una bambina non mia per essere felice di riflesso.
Ines, però, non è ancora soddisfatta. Allenta il suo abbraccio, rivolgendosi ad Anna.
“Ci vieni pure tu? Ti prego, più siamo più la nonna è contenta! Ti prego!”
Anna fa un’espressione veramente buffa, indecisa sul da farsi.
Mentirei, se dicessi che non spero anch’io che ci venga. Sarebbe un po’ come rivivere quei giorni con Cosimo, quando abbiamo finto di essere la sua famiglia.
Sarebbe anche immaginare come potrebbe essere il vostro futuro!
So che Anna, però, è nel pieno del suo turno di lavoro, e che ultimamente chiederle una cosa è come sganciare una bomba su un campo minato. Già è stato strano che, quando le ho proposto il concerto, non abbia reagito.
Non ha avuto tempo, è arrivata Ines.
L’attesa dura solo qualche istante.
“... sì! Vi accompagno anch’io!” esclama Anna, con un sorriso per la piccola.
Ok, non avrei mai creduto di poter sentire quelle sillabe uscire dalle sue labbra.
Ines, se possibile, è ancora più felice.
E anch’io, come un bambino.
“Viene anche lei, hai visto?”
 
Anna’s pov
 
Eccomi qui, in piazza con Marco, che mi sta proponendo di andare al concerto degli Skunk Anansie.
Lo osservo attentamente: sta a distanza di sicurezza, titubante nel pronunciare quelle parole.
Lo capisco. Ultimamente do in escandescenza ad ogni minima cosa, me ne rendo conto, e anche per questo devo risolvere i miei dubbi il prima possibile, per capire se è quello il motivo del mio malessere generale e, in quel caso, prenderne atto e comportarmi di conseguenza.
Di punto in bianco, mi ritrovo a ridere come non facevo da giorni.
Il solito Marco, quello che amo immensamente anche se è l’uomo più impossibile che conosco, di fronte al mio silenzio ha rispolverato il consiglio di Cecchini di andare a un concerto di Nilla Pizzi invece di sentire quella musica spacca timpani.
Non so se mi fa ridere di più l’opinione del maresciallo sul rock, visto che anni fa fu lui a proporci la versione in questo stile di Tu scendi dalle stelle, o se il fatto che sia convintissimo che Nilla Pizzi sia ancora viva e in attività. Comunque sia, Marco ha colpito nel segno e mi ha fatta ridere con niente, come solo lui sa fare.
Però so che devo rispondere, e mentre valuto i pro e i contro - visto che in questo periodo non sto mai davvero bene - in mio soccorso arriva la piccola Ines, che cerca proprio Marco.
Il suo tatuatore legale.
Questa bimba è molto simpatica, oltre che estremamente dolce. Mi rivedo molto in lei.
Mentre la osservo interagire con il mio fidanzato, un sorriso si fa largo sulle mie labbra.
Non sarebbe un padre adorabile? Guardali!
Li sto guardando, vocina...
Ah già. Scusa, mi ero lasciata coinvolgere dal momento. Mi sono emozionata. Vado nel mio angolino.
Un po’ sono stupita.
Da quando Ines è apparsa nella nostra vita, lui, con lei, sembra totalmente un’altra persona.
È... cambiato. Il vecchio Marco non avrebbe mai giocato così con una bambina, trascorso il suo tempo cercando di farla felice.
Come se il suo istinto paterno fosse esploso tutto in una volta, quasi fosse una sorta di campanello che suona per dire ‘siete pronti anche per questo passo’.
Chissà, forse lo avete già compiuto, questo passo.
La mia mano corre di nuovo a posarsi sul mio addome, mentre continuo a osservare la scena davanti ai miei occhi, di lui con Ines in braccio che lo stringe forte e lo ringrazia con un sorriso enorme, e lui che risponde con una gioia incontenibile.
Quando la bimba però mi chiede se li accompagno anch’io, con sul viso un’espressione eloquente che non lascerebbe spazio a una risposta diversa da quella che si aspetta di sentire, io esito solo un attimo, ma alla fine cedo, non riesco a dire di no a quel faccino.
Accetterei altre mille volte, per rivedere la stessa felicità sui volti di Ines e Marco.
 
Ci accordiamo per recarci alla casa di riposo nel primo pomeriggio.
Visti da fuori, sembriamo decisamente una famiglia, così, mentre io tengo il giacchetto di Ines, che con una mano tiene la scatola di cioccolatini che ha chiesto di poter portare alla nonna, e l’altra è stretta a quella di Marco.
Quando ci avviciniamo all’ingresso della sala comune, Ines lascia la mano di Marco per stringere meglio la scatola.
 
“Alla nonna piacciono tanto questi cioccolatini!” esclama la piccola. “A te piacciono?” mi chiede, voltandosi verso di me.
Io esito un attimo, ma la mia lingua e il mio cervello non si sono messi d’accordo, perché viene fuori soltanto un: “... dipende.”
“Da cosa?”
Eh, ottima domanda. In realtà non so nemmeno io cosa volessi dire, perché solo il pensiero del cioccolato mi fa venire la nausea.
Oddio, Anna, non ora, non ora...
“Dipende da chi glieli regala...” ecco che Marco corre in mio soccorso. È bastato uno sguardo, per capirci. Come sempre, lui è pronto a tirarmi fuori da qualunque situazione strana.
“Perché? Mica cambiano sapore.” commenta Ines, e non è che abbia tutti i torti...
“Tu sei saggia, lo sai?”
Salutiamo tutti, e la bimba corre dalla nonna non appena la vede.
“Sorpresa! Ti ho portato questi!”
La signora sembra felice. “Che bello!! Grazie dei cioccolatini, sono proprio i miei preferiti!”
“Bene, si ricorda! È positivo!” mormoro, scambiando uno sguardo con Marco, che annuisce.
Ma tutto crolla in un attimo.
“Ma tu chi sei, bella bambina?” chiede a Ines, che si allontana di un passo, delusa.
Sua nonna, però, si accorge di me, sorride, ed esclama, “Oh, Irene! Sei arrivata finalmente!”
“... chi è Irene?” chiedo, in terribile imbarazzo. Nemmeno Marco sa cosa rispondere.
Ci pensa Ines a chiarire tutto. “Irene era la mia mamma...” mi spiega, e io mi sento stringere il cuore. “Nonna, lei non è mamma, è una mia amica, si chiama Anna! E io sono Ines... mi riconosci?”
Nonna Rosa, però, non dà segno di aver capito chi sia, e Ines è sull’orlo delle lacrime.
Un altro sguardo con Marco mi basta per capire che anche lui è preoccupato, perché questo è un problema enorme che nemmeno noi sappiamo come risolvere, ma dobbiamo tentare.
So che lui sta già pensando a cosa fare, lo capisco da come guarda la piccola e sua nonna.
Troverà una soluzione, lo fa sempre. Ancor di più adesso che ha accettato di essere il tatuatore legale di Ines.
Sappiamo benissimo entrambi che non è facile, ma qualcosa faremo affinché la piccola possa riappropriarsi della propria infanzia e avere qualcuno che si prenda cura di lei. Noi possiamo tentare di sopperire a tutto, ma Sergio deve comunque prendere una decisione, qualunque essa sia, perché non c’è solo il suo futuro in ballo, ma anche e soprattutto quello di un adorabile scricciolo di sei anni che non si merita tutte le ingiustizie e le sofferenze vissute finora.
 
Marco’s pov
 
La mattina seguente, il battibecco tra Cecchini e Zappavigna ci fa capire che Assuntina ha parlato con l’appuntato.
Povero ragazzo, Anna mi ha raccontato tutta la storia, e non è affatto bella.
In ogni caso, tutto viene interrotto dalla perpetua di Don Matteo, che ritratta la sua versione insieme al sagrestano.
 
“No, la deposizione di Natalina non mi convince.” afferma Anna, dopo che Natalina e Pippo sono andati via, facendo avanti e indietro nel suo ufficio, col foglio in mano.
“No, beh... Ho visto suo padre, a me sembrava sincero. Ha confermato anche il sagrestano, io dovevo rilasciarlo, no?”
“... sì, tu hai fatto bene, è che... se io fossi Natalina, anche se dovessi avercela con mio padre, mentirei per proteggerlo. È comunque suo padre, e secondo me lo sta aiutando perché-”
“-perché anche se le ha fatto del male, in qualche modo vuol dargli una seconda possibilità.”
Al mio completare la sua frase, ci mettiamo entrambi a ridere: siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda.
Anna, che nel frattempo si è seduta al posto accanto al mio davanti alla scrivania, si appoggia stancamente ad essa, sorreggendosi la fronte con una mano.
“... comunque ci conviene ricominciare tutto da capo, con le indagini.” mormora.
Io le rivolgo uno sguardo preoccupato.
“Stai bene?” provo a chiederle, col tono più delicato che mi riesce.
Ultimamente non solo è sempre più stanca, ma mangia anche poco, è nervosa...
Lei si limita a rispondermi con un mormorio.
“Non credi sia il caso di farti visitare dal dottore? E magari riposarti un po’ di più?”
Il suo viso si rilassa appena, un sorriso accennato nella mia direzione.
“Sto bene, non ti preoccupare. Però penso che rientrerò prima della fine del turno, stasera, sì...”
Non sono convinto della sua risposta, perché i suoi occhi mi stanno dicendo l’esatto opposto delle parole che ha appena pronunciato: è evidente che non stia bene affatto. Quantomeno, però, mi ha promesso di tornare a casa un po’ più presto, e so di poter contare, in caso, sull’appoggio di Cecchini per convincerla a staccare.
Decido di lasciar cadere il discorso, per il momento, perché so che non otterrò più di quello, prima che lei mi ricordi dell’appuntamento in tribunale.
Seppur molto riluttante, perché vorrei accertarmi che faccia esattamente ciò che ha detto, la saluto con un bacio e vado via.
 
Anna’s pov
 
Marco è sempre più sospettoso.
Che ti aspettavi, scusa? Ti ha sempre letta alla perfezione, c’è da stupirsi che non abbia ancora messo insieme i pezzi del puzzle come fece, seppur erroneamente, quella famosa volta.
La vocina ha ragione. Allora, Marco ci aveva messo un attimo a convincersi di un sospetto che, all’epoca era infondato, ma adesso non credo lo sia così tanto, perché la possibilità c’è eccome.
Devo fare quel test, e in fretta.
Decido di scendere in piazza a soddisfare da me l’improvvisa voglia di tè caldo.
Come quella volta!
In effetti... rido alla somiglianza dei casi, quando noto scendere le scale una figura molto familiare.
Che ci fa qui?
“Anna, ciao!”
Giovanni, sorpreso quanto me di vedermi.
Non ci incontravamo da tempo. Lui, di tanto in tanto, torna a Spoleto per seguire qualche causa o per andare a trovare Don Matteo, e qualche volta ci era capitato di incrociarci.
Gli propongo di farmi compagnia da Spartaco.
Siamo seduti proprio a uno dei tavolini, qualche minuto dopo.
“Sono qui per un seguire una causa, e sono passato da Don Matteo,” mi spiega, prendendo un sorso di caffè. “Mi fa sempre uno strano effetto, sapere che tu e lui andiate d’accordo adesso, se ripenso all’inizio quando lo detestavi. Sarà che, a differenza di allora, non c’è il minimo rischio che Marco consideri l’idea di farsi prete come avevo fatto io...” scherza, facendomi ridere.
Non ha tutti i torti, anche perché Marco ha sempre ripetuto di non essere un santo, come certi miei amici, seppur adesso in tono scherzoso.
Io e Giovanni abbiamo ormai un rapporto amichevole, dopotutto non ci siamo lasciati in malo modo, abbiamo solo preso strade diverse. Ci siamo buttati il passato alle spalle, da persone mature, ed è molto meglio così. Io sono felice per lui, e lui lo è per me. Gli capita di incontrare anche Marco, a volte, e anche loro due hanno instaurato un rapporto civile. Saperlo mi fa sempre piacere.
Sto sorseggiando il mio tè mentre ripenso alla scena di qualche anno fa: molto simile, ma di fronte a me c’era seduto Marco.
Noto Giovanni osservarmi con insistenza, dopo avermi posto una domanda che in realtà non ho sentito, e sono costretta a farmi ripetere.
“Dicevo... glielo hai già detto, no?” mi chiede, con uno sguardo eloquente.
Dire cosa? A chi?
Seh, vabbè, Anna, non fare la finta tonta. La domanda l’hai capita, e ha capito pure lui. Non si sa come, ma lo sa.
Quindi è così evidente?
Ma evidente cosa... in fondo non sono nemmeno certa.
“No, non... non è come pensi...” mormoro, negando in un tono che spero suoni convincente.
Giovanni alza una mano in segno di scuse. “Mi dispiace, non intendevo insinuare nulla... è che, mi sei sembrata strana, e... avrò interpretato male i tuoi gesti, un po’ come Marco quella volta, quando fraintese per noi due!”
Mi viene da ridere al rimando. Che confusione aveva creato Cecchini quella volta! Ma gliene sono grata... era stato l’inizio di tutto, per me e Marco.
Mi accorgo dell’orario.
“Devo proprio rientrare,” esclamo, finendo in fretta il mio tè e alzandomi. Giovanni fa lo stesso, avvicinandosi.
“Certo, tranquilla. E, se posso... mi sei sembrata preoccupata, e penso ti converrebbe, non so... schiarirti un po’ le idee...” mi suggerisce, in leggero imbarazzo.
Ho capito il sottinteso: devo fare il test. Ha evidentemente capito che, benché io abbia negato, la possibilità c’è eccome.
Sorrido in risposta, dopotutto siamo stati insieme per cinque anni, mi conosce abbastanza da aver intuito tutto e sapere di potersi permettere di azzardare un consiglio.
E non serve che io dica nulla, se non ‘grazie’.
Dopo un abbraccio veloce, torno in ufficio, leggermente più tranquilla.
 
Sono le 17.
Il mio turno finirebbe tra un’ora, ma non mi sento bene per niente, e so che Marco mi rimprovererebbe se sapesse che non sono andata via (e lo scoprirebbe sicuro, con Cecchini intorno), per cui ho deciso di mantenere fede a quanto avevo detto e tornarmene a casa prima.
Mentre rientro, mi ricordo che Sergio questo pomeriggio avrebbe continuato i lavori sul mio Maggiolino, per cui passo prima dal garage.
Qui, scopro che lui è bloccato perché ha problemi a trovare l’intoppo.
Dopo essermi fatta spiegare il problema, mi sorge un dubbio.
“Ma non potrebbe essere la valvola a farfalla del carburatore?” chiedo, le sopracciglia inarcate.
Sergio va subito a controllare.
Come previsto, avevo ragione.
“Ma sul serio? Ma pensa te...” fa lui una volta riemerso, sorpreso, prima di rivolgermi uno sguardo divertito. “Tu mi fai paura, sai?”
“Perché?”
“Come fai a sapere cos’è una valvola a farfalla?”
Alzo gli occhi al cielo. “Ah, pregiudizio maschile...! Un sacco di ragazze vorrebbero sapere che cos’è una valvola a farfalla, solo che i genitori le riempiono di favole per bambine o bambole.” gli spiego in tono pratico. Dopotutto, è facile far colpo sui ragazzi quando dimostri di saperne anche in campi non troppo comuni, benché facciano finta di non esserne impressionati.
Come Chiara versione geisha con Marco.
“Invece i tuoi no?” chiede Sergio.
Decido di dirgli qualcosa in più, sfruttando il suo interesse. “Mio padre era diverso, sì. Prima di fare un viaggio facevamo la messa a punto e la revisione di un Maggiolino come questo... Era un rito tutto nostro... mi piaceva più quello del viaggio. Eravamo felici, insieme.” mormoro, ripensando a quei momenti con papà. Ho cercato di mantenermi sempre sul vago, prestando però attenzione a evidenziare le cose che ritengo fondamentali per lui sapere, per fargli capire il rapporto speciale che può instaurarsi tra un padre e una figlia.
“E perché si è tolto la vita, allora?” Io abbasso per un attimo lo sguardo, prima di puntare gli occhi su di lui, che si affretta a fare un passo indietro, temendo di aver posto una domanda inopportuna. “Scusami... sono veramente un cretino, no, era solo- sono un imbecille, non so perché l’ho detto...”
“No, non è un problema... non è un problema, davvero.” lo rassicuro. “È stato accusato ingiustamente di aver fatto una cosa, e nessuno voleva credere che fosse innocente. Un po’ come te.”
Non c’è bisogno che io gli riveli di più, ma ho visto Ines soffrire sapendo che l’ultima persona che ha al mondo, per quanto lei ne sappia, non la riconosce più.
Conosco bene il senso di vuoto che una perdita così importante può scatenare, per questo ho deciso di raccontargli questa storia in versione ridotta.
Io e Marco stiamo facendo tutto il possibile. Inutile dire che la vicenda di Sergio e sua figlia mi sta molto a cuore, e ci rivedo molto della mia storia personale in loro. Per questo vorrei che avessero un finale diverso dal nostro.
“Sì, sai, solo che io l’ho scelto, quindi forse è per quello che ho retto. Diversamente anch’io avrei gettato la spugna.” mi dice lui, un’espressione quasi arrabbiata sul volto.
“Tu però hai passato sei anni in carcere! Hai pagato il tuo debito. Perché non provi a riprenderti la tua vita? Perché non provi a fare il padre?” tento, ma lui sembra non volerne sapere.
“Mi ci vedi come padre, sul serio? Ines non mi vuole!”
“Non lo sai se non glielo chiedi!” ribatto però io. “È una bambina, è piccola, e non ti conosce...”
“Non cambia nulla, questo. Non si merita uno come me come padre.” insiste.
Come previsto, non accenna a smuoversi dalla sua posizione, e io sto sempre più male, per cui lo lascio al suo lavoro, salendo a casa.
 
Trovo mia sorella sul pianerottolo, ad aspettarmi. Di Marco neanche l’ombra, probabilmente è ancora in tribunale.
Non appena mi chiudo la porta alle spalle, mia sorella mi mi si piazza davanti, noto solo adesso che ha una borsa in mano.
“Ti ho preso il test,” asserisce. “Anzi, te ne ho presi tre così andiamo sul sicuro.”
Mi sento invadere dal nervosismo.
E dalla paura.
Di cos’è che avresti paura, esattamente?
Beh, se è come penso, la mia vita cambierà davvero, radicalmente.
Certo, ma non credo sia questo il problema.
No, infatti.
È una cosa che non avevamo programmato, io e Marco. Veniamo da un periodo complicato, ed è la notizia più inattesa che potrebbe arrivare.
Non ne abbiamo ancora parlato seriamente, di avere figli, certo avevamo fantasticato, ma pensando di riprendere la discussione dopo il matrimonio... Invece adesso, con tutta probabilità, succederà prima, ed è una sensazione strana, stranissima.
In più, adesso che ho quei test tra le mani, ho anche paura del dopo. Perché se da un lato vorrei che mi dicessero che è come penso, dall’altro ho paura di cosa questo comporti. Ma non solo perché cambia la vita: mi chiedo se sarò all’altezza, se saprò offrire a questa creatura la giusta educazione e il giusto esempio, come i miei genitori hanno fatto con me. Se io e Marco siamo davvero pronti per questo passo.
Chiara sembra intuire la mia ansia e mi prende per mano, quando sentiamo la serratura scattare.
In panico, scappo verso la camera da letto, nascondendo il tutto in un cassetto del comodino, mentre sento mia sorella salutare Marco.
Ci è mancato poco! So che vuoi essere sicura, prima di dirglielo. Non è una brutta idea, vuotare il sacco col rischio di alimentare false speranze non è il caso, in questo momento.
Quando torno in soggiorno, lui mi rivolge uno sguardo strano, chiedendomi se va tutto bene.
“Ehm... sì sì,” mi corre in aiuto mia sorella. “Stava aiutando me per... una cosa da donne.”
Marco alza le mani. “Okay, io non voglio sapere niente,” afferma, convinto, prima di spostarsi in cucina per iniziare a preparare la cena, lasciando me e Chiara da sole.
“Allora? Quando?” mi chiede lei a bassa voce.
“Domani mattina,” sussurro io di rimando. “Dopo che Marco sarà uscito.”
“Voglio saperlo subito!” mi avverte.
Mi fa promettere che la chiamerò immediatamente, poi ci saluta e va via.
 
La cena scorre abbastanza tranquillamente, a parte il fatto che, come al solito, è la nausea a comandare e io non ho toccato quasi niente. Ci mettiamo a letto abbastanza presto, su insistenza di Marco che, una volta, sotto le coperte, decide di curarmi a modo suo: con le coccole.
 
La mattina, mi sveglio senza trovare Marco accanto.
Mi accorgo dopo qualche istante del biglietto sul suo cuscino. Lo prendo, portandomelo davanti agli occhi ancora socchiusi e assonnati.
Buongiorno amore! Ho ricevuto una chiamata dal tribunale e sono dovuto uscire di corsa. Dormivi così bene che ho preferito non svegliarti! Ci vediamo più tardi in caserma. Ti amo.
Sorrido alle sue parole, prima di inspirare a fondo.
È arrivato il momento di sapere.
Mi alzo, tirando fuori dal comodino la borsa con i test di gravidanza, poi mi avvio in bagno.
Un altro sospiro prima di chiudermi nervosamente la porta alle spalle.
 
Sto fissando il risultato da cinque minuti buoni, un garbuglio di emozioni si agitano in me, il cuore che batte forte.
Avvio la chiamata a mia sorella con dita tremanti, e lei risponde dopo appena uno squillo: probabilmente era in attesa che io la chiamassi.
Anna! Allora?” chiede dall’altro capo del telefono, in fibrillazione.
“Chiara... è positivo.” mormoro.
La vocina nella mia testa e mia sorella strillano di gioia allo stesso modo.
Io sono ancora bloccata a fissare il bastoncino di plastica che stringo tra le dita, mentre Chiara blatera qualcosa sul fatto di stare per diventare ‘zia Chiara’ e di quanto suoni bene.
Oddio. Sono incinta.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma. Anna non è ancora arrivata.
Sto prendendo un caffè quando lei entra, passandomi accanto senza degnarmi di uno sguardo né salutarmi, procedendo spedita verso il suo ufficio.
Cioè, per essere precisi non ha salutato nessuno, sembra immersa nei suoi pensieri.
Richiamo la sua attenzione, un po’ preoccupato.
Lei si blocca sui suoi passi prima di voltarsi a guardarmi.
“Ehi... ciao...” mormora con aria assorta.
C’è qualcosa di strano, o sbaglio?
In realtà non solo oggi. E a tal proposito, ho riflettuto sul fatto del concerto, per cui ne approfitto per parlargliene.
Mi avvicino.
“Senti, pensavo... Non credo sia il caso di andare a Roma, stasera. Ieri stavi male, e non voglio rischiare che tu stia peggio.”
Lei mi rivolge un mezzo sorriso. “Mi sa che hai ragione...” concorda, dispiaciuta, prima di continuare. “Però, se non posso venirci io, non significa che tu non debba andarci. Era da un sacco che cercavi i biglietti, e... magari a Ines farebbe piacere, venire con te. Almeno avrà un nuovo ricordo bello da poter custodire.”
“Non ci avevo pensato... è una buona idea!” accetto. “Ma... sicura che a te non dispiaccia?”
Anna scuote la testa con un altro sorriso. “Certo che no. Sono sicura che sarà felicissima di passare una serata con te, soprattutto considerando che non è un bel periodo, per lei. Le farà bene, svagarsi, e con una cosa che le piace.”
“Giusto. Tu come stai? Meglio?” le chiedo poi, ma prima che lei riesca a rispondermi, ci raggiunge Barba. “Capitano, ho delle novità sull’omicidio...”
Anna lo invita a seguirci nel suo ufficio.
 
Dopo l’interrogatorio all’assistente di studio, io e Anna ci confrontiamo un attimo, prima che il suo cellulare suoni. Mi fa un cenno, rientrando nel suo ufficio per parlare.
Strano, chissà perché non vuole che tu senta.
Non abbiamo segreti tra noi, giusto?
Io non sono uno che origlia, ma lei ultimamente si comporta in modo strano, e le sue parole finiscono per catturare la mia attenzione.
“... stavo cercando la tappezzeria per un Maggiolino Cabrio del ‘72... eh, lo so che son difficili da trovare... no, no, li sto cercando originali, è una questione affettiva...”
So quanto ci tenga, a quel Maggiolino. È stato il suo primo acquisto con il suo stipendio personale e i risparmi accumulati dai vari lavoretti, per via di tutti i ricordi della sua infanzia felice legati a quell’auto.
Noi stessi ci abbiamo passato ore, seduti lì dentro nonostante i sedili rovinati, abbracciati, a parlare di tutto e niente, per un tempo infinito, a immaginare il futuro che ci attendeva, i progetti, la casa, dei bambini...
Ci sono anche i nostri ricordi, su quella macchina.
Se sta cercando la tappezzeria, può significare solo una cosa.
Rientro nel suo ufficio.
“Come mai non mi hai detto che volevi aggiustare il tuo Maggiolino?” le chiedo, cercando di non assumere un tono accusatorio.
Lei sembra presa in contropiede dalla mia domanda, che probabilmente non si aspettava.
“Ehm, sì...” cede infine, esitante. “Ho trovato un meccanico molto brano e... ho pensato che l’auto si merita finalmente di essere rimessa in sesto. Per poterla usare davvero, così che possiamo legarci ricordi di viaggi veri e non solo quelli che abbiamo immaginato di fare in garage...”
Dal suo tono capisco che non avrei dovuto scoprirlo, che si trattava di una sorpresa.
Forse è per questo che ultimamente sembra così in ansia, non è mai stata brava a nascondere le cose, nemmeno le più innocenti.
“E adesso non trovi le tappezzerie?” le domando con un sorriso.
“Mh... hanno solo delle riproduzioni e fantasie diverse, ma io volevo trovare quelle originali e non so come fare.”
“Non ti preoccupare, una soluzione la troveremo.”
 
Non è stato affatto semplice, ma ci sono riuscito, ho trovato le stoffe. Quelle giuste.
Ho fatto di tutto per poterle avere già nel pomeriggio, e non appena le ricevo, scendo in fretta in garage a portarle ad Anna per farle una sorpresa, prima di partire per Roma con Ines. Sono sicuro che la mia fidanzata sia lì, mi ha detto che avrebbe dovuto vedere il meccanico verso quest’ora.
Trovo la porta socchiusa e mi faccio avanti, gasatissimo. Noto la sua borsa appoggiata a una sedia nell’angolo, così esclamo un sonoro “Amore, ho trovato le stoffe!” stringendo la scatola tra le mani.
In risposta, però, ricevo un’imprecazione e un colpo secco, come se qualcuno avesse sbattuto la testa contro un oggetto metallico.
Da sotto l’auto qualche istante dopo, dolorante, esce... Sergio?!
Sarebbe lui il meccanico bravo?
Non è esattamente la scena che avevo immaginato, e in effetti ben gli sta, la testata che ha preso, così impara! Tiè!
Vero, che gli sta bene, però ti ricordo che Anna ha ‘dimenticato’ di raccontarti alcuni dettagli...
Non importa, grillo, Sergio è comunque complice. Magari si schiarisce le idee, così.
“... ecco la chiave inglese! L’avevo portata su perché mi era servita per-”
Anna è appena spuntata alle mie spalle con l’oggetto in questione.
Al mio sguardo indagatore, me ne rivolge uno di panico.
Non si aspettava di trovarmi qui.
 
Anna’s pov
 
Boccheggio alla ricerca di una spiegazione.
Di fronte al mio silenzio, Marco appoggia la scatola sul cofano dell’auto, prima di uscire dal garage, sorpassandomi senza dire niente.
Mi distraggo solo un istante quando Sergio, curioso, solleva il coperchio.
Le stoffe sono esattamente quelle che volevi!
Corro dietro al mio fidanzato, tentando di fermarlo.
“Marco, aspetta... posso spiegarti tutto, non è come sembra,” gli dico, una volta che lui si volta a guardarmi, infastidito.
“Ah, no?”
“Lo so che non ti ho raccontato tutto, hai ragione... Il lavoro che ti avevo detto che Sergio aveva trovato gliel’ho offerto io. L’ho fatto per tenere fede al nostro progetto di riavvicinarlo ad Ines... Non si fida più di se stesso e finché non lo farà, non sarà mai pronto ad avvicinarsi a sua figlia. È un modo per fargli capire che c’è chi è disposto ad aiutarlo, a dargli una possibilità... E poi, in realtà, non ti ho detto niente perché il fatto che avessi deciso di aggiustare il Maggiolino doveva essere una sorpresa,” ammetto. Lui solleva un sopracciglio, dubbioso, così continuo. “Volevo ripararlo prima del nostro matrimonio, per usarlo quel giorno. Il fatto che sia arrivato Sergio e si siano anticipati i tempi è una casualità. Non te l’ho nascosto perché volevo agire alle tue spalle, né tantomeno per farti ingelosire. Anche perché Sergio è insopportabile, non potrebbe mai piacermi.”
“Se non ricordo male, dicevi lo stesso di me...” mi fa notare Marco.
Io alzo gli occhi al cielo.
“Vero, però... Sergio non è pigro, e a me piacciono gli uomini che ottimizzano le energie. Lui non mi fa ridere come qualcun altro che crede di essere simpatico anche quando non lo è. E soprattutto, a me piacciono i PM, anzi, uno in particolare, che si chiama Marco Nardi, è il mio fidanzato e ultimamente fa spesso il geloso...”
Tento di avvicinarmi e prenderlo per mano quando noto che lui sta cedendo, le labbra piegate in un sorriso.
Evidentemente non è in grado di stare arrabbiato con me troppo a lungo, visto che ora mi sta baciando, zittendo la mia risata.
Mormoro un ulteriore ‘scusa’ quando ci separiamo.
“Quindi, quello che mi hai detto oggi in ufficio, sul motivo per cui stai facendo aggiustare il Maggiolino... è vero, o c’è dell’altro?” mi chiede.
“No, è vero. Lì sopra abbiamo creato dei ricordi bellissimi insieme, e su quei sedili abbiamo progettato gran parte del nostro matrimonio saltato per sfuggire alle orecchie radar di Cecchini e mia madre, sempre in agguato per impicciarsi,” borbotto facendolo ridere. “Fa parte della nostra storia, e mi sembrava una bella idea tenerlo pronto per il nostro giorno, quando sarà, così da iniziare ufficialmente la nuova strada proprio con quello.”
 
La mattina, i lavori sul caso proseguono. Ci sono tante cose che non quadrano.
Ho appena preso un caffè e sto tornando nel mio ufficio, quando sento il Maresciallo e Marco chiacchierare.
Il mio fidanzato gli sta raccontando in tono adorante del concerto a cui è andato con Ines ieri sera, dopo avermi lasciato alle prese con la tappezzeria del Maggiolino.
“... ci siamo divertiti tantissimo, Ines è una vera rockettara,” sta spiegando a Cecchini con gli occhi che brillano, “e mi creda, sono sempre più convinto, se potessi scegliere, un giorno, vorrei avere una figlia femmina.”
Mi viene da sorridere. È strano sentirlo parlare di figli proprio adesso.
Cecchini però non è del suo stesso avviso.
“No, no, Lei non deve fare l’errore che ho fatto io, ho fatto due figlie femmine! Ci vuole un maschio!”
Mi impongo di stare zitta, ma la replica di Marco arriva puntuale, rimarcando il mio stesso pensiero.
“Che è, il Medioevo, questo...?”
Chissà se sarà un maschio o una femmina...
Ancora non mi è possibile saperlo, anche se me lo sono già chiesta anch’io. La verità è che non saprei scegliere, e comunque adorerò la nostra creatura indipendentemente dal sesso... magari, a voler sperare, vorrei che fosse un po’ meno puntigliosa di me.
Ridacchio alla mia autocritica, mentre sento Cecchini borbottare qualcosa a proposito del fatto che il nuovo fidanzato di Assuntina sia arrivato e glielo vuole presentare. Mia madre me l’aveva accennato, in effetti. A quanto pare vuole passare con lui dalla caserma prima della cena ufficiale di stasera.
Decido di unirmi alla conversazione.
“Maresciallo, mia mamma mi ha detto che è arrivato il fidanzato di sua figlia!”
Marco mi fa cenno verso le mie spalle.
“Ehi, ehi, ehi...”
Ah, c’è Zappavigna, giusto... poverino, sembra disperato.
“Cioè, quello nuovo... com’è?” chiedo, curiosa.
“Volete sapere la verità? Preferivo Zappavigna!”
“Siiii!!!” esclama Marco, costringendomi a trattenere una risata. “Ci ha fatto una testa così, che Zappavigna... non è un’aquila...” commenta, e in effetti non è che abbia tutti i torti... nei due anni scorsi, ci ha esasperato dicendo che il povero appuntato non era la persona giusta per la figlia, che non faceva per lei, al contrario di...
Di voi due, che siete fatti l’uno per l’altra.
Esattamente, vocina.
Cecchini è più mogio che mai. “Non è un’aquila assolutamente, però... male minore... male minore!”
“Ma che vuol dire!” replico io, interdetta.
“Vuol dire, vuol dire!”
Manco finiamo di parlare che arriva Assuntina, accompagnata proprio dal suo nuovo fidanzato francese.
“Oh, si parla del diavolo...” borbotta il maresciallo.
Assuntina ha un sorriso radioso.
“Ciao papà, Anna, Marco... lui è Vincent, il mio fidanzato!”
Enchanté!” esclama Vincent rivolgendosi solo a me, facendomi addirittura il baciamano.
“Piacere!”
Credo di essere arrossita. È il primo uomo che mi tratta da donna pur vedendomi in divisa.
“Parla francese!” borbotta ancora il Maresciallo, e arriva pronta la battuta di Marco.
“Veda Lei, è francese...”
Marco sta apprezzando parecchio...!
Già, perché dopo il baciamano, Marco si è materializzato accanto a me, passandomi un braccio intorno alla vita con fare possessivo e un’occhiataccia al ragazzo.
Vincent continua, ignorando comunque gli altri due. “Sono proprio felice di conoscere un officiel donna. À mon avis, in Italia siete ancora troppo poche.”
“È vero,” confermo, “però stiamo recuperando in fretta, ci sono tre Generali donna nell’Arma.”
“Beh, mi auguro allora che Lei sia la quarta!”
Stavolta sono arrossita davvero, perché ha proprio centrato il punto.
“Ruffiano!”
Certo, Cecchini non si astiene dal commentare, e a giudicare dall’espressione del mio fidanzato, lui la pensa allo stesso modo.
Marco geloso a me piace un sacco, eh! 
“Va bene, noi andiamo! Gli sto facendo vedere le bellezze di Spoleto!” si congedano i fidanzatini.
Quando i due escono, io non nascondo il mio apprezzamento. “Ma qual è il problema? È un bel ragazzo, si vogliono bene, è di col-ma non è che Lei è razzista?” chiedo sospettosa al Maresciallo, che mi lancia un’occhiata indignata.
“Io? Razzista, io? Che ho sposato una meridionale?” Marco scoppia a ridere senza ritegno, scambiando con me un’occhiata divertita seppur ancora in modalità gelosia, perché Vincent ha comunque fatto colpo su di me. In ogni caso, a parte il fatto che Cecchini e sua moglie sono entrambi di Messina, quindi il paragone non regge, la cosa più ironica è che, tra tutti e tre, quelli a poter parlare saremmo io e Marco, viste le nostre origini ai poli opposti dello Stivale.
Cecchini continua con le lamentele. “Semmai il razzista è lui! La Francia, Francia, Francia... tutto invertito! Come maggio, giugno, luglio... agosto, settembre, ottobre!”
Ormai nemmeno mi chiedo più che cavolo intenda certe volte.
 
Marco’s pov
 
Ho avuto il piacere di conoscere il nuovo fidanzato francese di Assuntina.
Per la prima volta mi ritrovo d’accordo con Cecchini, è un antipatico presuntuoso e ruffiano.
Sì, sono geloso! Come si permette di rivolgersi in quei toni alla mia Anna?
È vero che lei è incredibilmente in gamba, e quel grado lo meriterebbe senza ombra di dubbio perché ha tutte le carte in regola per arrivarci, ma stai calmo.
Il baciamano? Pure?!
Aria, francesino, mantieni le distanze.
Anna sembra particolarmente divertita dal mio comportamento.
Comunque sia, dopo aver finito di aggiornarmi sul caso, saluto la mia fidanzata per andare in tribunale.
Sceso in piazza, sono pronto a salire in sella alla mia moto quando noto la piccola Ines seduta mogia mogia sugli scalini del teatro, e Sergio guardarla da lontano.
Anna ha ragione: per essere uno a cui non importa della propria bambina, le si avvicina spesso. Va via non appena mi vede.
Codardo, tua figlia è da sola, triste, e tu che fai, te ne vai?
Quello scricciolo seduto sulle scale avrebbe solo bisogno dell’amore di suo padre, e lui si rifiuta perfino di provarci. Capisco che non è facile farsi carico di questo tipo di responsabilità, ma accettare il ruolo di padre potrebbe offrirgli una vita diversa, migliore. Sarebbe l’occasione per lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare, soprattutto perché non sarebbe solo, avrebbe tutto l’aiuto possibile. E Ines non lo giudicherebbe per i suoi trascorsi, di questo sono certo: l’ho sempre detto, è la versione in miniatura di una donna che conosco molto bene e che non ha pregiudizi.
Do un’occhiata all’orologio e decido che posso rimandare di qualche minuto la mia partenza per occuparmi di lei. Sono pur sempre il suo tatuatore, no?
Mi avvicino alla bimba, sedendomi accanto a lei.
“Ehi, come stai, Ines?”
“Schifissimo...” mi risponde lei con una vocina triste. “Natalina va via con il suo papà, e la nonna non mi riconosce.”
“Mi dispiace...”
Lei, come al solito, ha la soluzione pronta a portata di mano.
“Perché non dici che sei il suo fidanzato e poi vi sposate, così la nonna torna a casa? Se torna a casa, vedrai che guarisce!”
Con mio enorme rammarico, sono costretto a dirle che non è così facile.
“Lo so, ma... vediamo. Questo non te lo posso promettere, Ines...”
Sorrido alla sua idea innocente. Se tutti fossimo così puri come i bambini... Alzo istintivamente lo sguardo verso la finestra di Anna, trovandola affacciata ad osservarci e salutarci da lontano.
“Ah, giusto... c’è Anna, non ti puoi sposare con la nonna...” osserva Ines, notandola anche lei e mettendo su un adorabile broncio per via dell’intoppo non previsto nel suo piano.
“Vedrai che troveremo una soluzione senza che io sposi la tua nonna,” rispondo, col tono più rassicurante che mi riesce.
Ines mi concede un sorriso e mi propone una nuova idea.
“Andiamo a prendere un gelato tutti insieme, dai!” mi chiede, speranzosa.
Tutti insieme. Io, Anna, lei e sua nonna.
Dio solo sa quanto vorrei dirle di sì, che possiamo andarci, ma non è così facile.
“Eh, non lo so, perché ci vuole un permesso per fare uscire la nonna, e Anna ultimamente non sta molto bene...”
Ines fa di nuovo un’espressione delusa, e noto due lucciconi minacciare di rotolare giù. Cerco di rimediare come posso. “Ehi, ti imbronci? Dai, vediamo, forse ci riusciamo, va bene?” tento, ma lei non sembra convinta.
Don Matteo ci raggiunge con la sua bicicletta, e nota l’espressione della piccola.
“Ehi, Ines, cos’hai?”
Lei non risponde, scappando via in canonica, in lacrime.
Sento il cuore sprofondare. L’ho delusa.
Ci ho provato, ma non è una situazione facile da gestire.
Il sacerdote segue la bimba con lo sguardo, così gli spiego. “Eh, è per la nonna... è preoccupata che non la riconosca più. Già che è qua, Don Matteo, il corpo del notaio non occorre più all’autorità giudiziaria, può celebrare i funerali.” lo informo.
“Grazie...” mi dice, ma capisco che non si riferisce al notaio. Parla di Ines.
“No, grazie a Lei, davvero...”
Sono io a doverlo ringraziare per avermi fatto il dono di poter conoscere Ines. Dandomi la possibilità di maturare ulteriormente, poiché sto facendo tesoro dei momenti trascorsi con la bimba, e spero tanto che l’aiuto che io e Anna stiamo cercando di darle non sia vano.
Saluto Don Matteo, prima di salire in sella alla mia moto e recarmi in tribunale.
 
Anna’s pov
 
Qualche istante dopo che Marco è sceso giù per andare in tribunale, decido di aprire la finestra per areare un po’ la stanza. Ho caldo, e la scoperta che il mio malessere e l’umore altalenante siano dovuti alla gravidanza ha reso la mattinata più difficile da gestire. Più del normale, cioè. Voglio dire, è una notizia bellissima, e sono davvero felice, lo volevo più di quanto credessi, ma adesso le cose dovranno inevitabilmente cambiare. Cosa più importante, devo dirlo a Marco. Non ho paura di una sua reazione negativa, tutt’altro, vederlo con Ines non fa che mostrarmi quanto sia pronto a diventare padre, e quanto lui stesso non veda l’ora, ma in mezzo a tutto il caos di questi giorni non ho idea di come farò a dirglielo. Forse è meglio attendere almeno che Assuntina sistemi la sua situazione, e poi procedere di conseguenza.
Quando mi affaccio alla finestra, noto Sergio appoggiato al muro della canonica, intento a osservare Ines seduta sugli scalini, prima di andare via. Vedo che Marco le si sta avvicinando, per sedersi di fianco a lei. Sembra triste, e parlottano di qualcosa che da qui non riesco ovviamente a sentire. Rivolgono uno sguardo a me, così ne approfitto per salutarli e poi rientrare e tornare al lavoro, lasciandoli alla loro privacy. Non è che io possa origliare, anche perché Marco mi dirà tutto una volta tornati a casa.
Quell’immagine di loro due insieme, comunque, non ha fatto altro che rafforzare le mie convinzioni: Marco sarà un ottimo papà, e Sergio non riuscirà a sbloccarsi con Ines se non riacquista prima la fiducia in se stesso.
Per il momento, però, preferisco non pensarci e dedicarmi ai documenti del caso, sperando di trovare una soluzione almeno a questo.
 
Oggi pomeriggio la caserma sembra a lutto, sono tutti col muso lungo.
Raggiungo Cecchini, affiancato da Marco e Zappavigna, con l’intenzione di provare a risollevargli il morale.
“Caffè per consolarsi?” tento, facendo per porgergli il bicchierino solo per accorgermi che lo ha già. Glielo ha portato Marco.
Do il caffè in più all’appuntato, decisamente a terra, scambiando uno sguardo preoccupato con Marco.
Avete avuto la stessa idea... di nuovo.
Il maresciallo riprende a parlare. “Grazie, grazie, siete molto gentili... il mondo va alla rovescia: i superiori che portano il caffè ai sottoposti, i figli che disobbediscono ai genitori... il mondo è cambiato.”
Scambio di nuovo uno sguardo complice con Marco: capisco il maresciallo, ma anche lui dovrebbe cercare di essere felice... sta per diventare di nuovo nonno, e Vincent sembra un bravo ragazzo. Perlomeno, dovrebbe cercare di parlarci, farsi un’idea che non sia dettata dal pregiudizio. Zappavigna, altrettanto giù di morale, dice che non è mai stato all’altezza di Assuntina, e il ragazzo francese riuscirà a farla più felice di quanto mai avrebbe potuto fare lui.
A me dispiace sentirgli dire queste cose, perché non è vero: si è sempre sottovalutato, ed è un giovane estremamente maturo. Il desiderio di vedere la ragazza che ama felice, seppur con un altro, lo dimostra ancora di più.
 
Sono le 18 quando esco dalla caserma per tornare a casa. È stata una lunga giornata ma non è ancora finita: c’è la cena di presentazione con Vincent - anche basta con ‘ste cene, ora - da Cecchini, che ha di nuovo invitato tutti, compreso il povero Zappavigna. Ora che ci penso, manca solo mia sorella all’appello.
Prima, comunque sia, passo dal garage per vedere se Sergio ha fatto progressi col mio Maggiolino.
Okay, in realtà ci sto andando per parlargli di ciò che ho visto in piazza stamattina, ma non è colpa mia se ho trovato una buona scusa.
Arrivata, scopro che sta lavorando alla tappezzeria con le stoffe trovate dal mio fidanzato. È a buon punto col lavoro.
“Sta venendo proprio bene!” mi complimento.
“Sì, è vero... ah, mi dispiace per ieri sera, non sapevo che non gli avessi detto del lavoro,” azzarda lui con uno sguardo di sottecchi.
Io faccio un cenno con la mano per minimizzare tutto.
“Figurati... non è colpa tua, anzi. Volevo che lo scoprisse a lavoro ultimato, in realtà, ma... pazienza.” sospiro, prima di cambiare discorso e portarlo al mio obiettivo originario. “Piuttosto, tu... ti ho visto, sai? Ci tieni, a Ines, sei andato a trovarla!”
“Non sono andato a trovarla, passavo di lì.”
“Sì, certo...” replico, sarcastica. È ovvio che mi sta mentendo. “È tua figlia, perché non ci provi?”
“Senti, perché? Perché non la pianti di fare la crocerossina?”
Queste sue uscite mi innervosiscono tutte le volte. Perché deve sempre fingere che non gliene importi nulla?
“Ma perché fai così? Perché vai sulla difensiva?”
“Perché sì.” risponde, evitando il mio sguardo. Io cerco di pressare ancora.
“Lo so che in fondo sei un bravo ragazzo!”
Lui mi lancia un’occhiata infastidita. “Ma cosa sai...? Cosa sai, non sai niente!”
“Conosco la tua fedina penale... qualche furtarello, due o tre truffe, niente di che. L’unica colpa che avevi è non sapere di avere una figlia!” affermo, risoluta.
Lui esita, prima di fronteggiarmi con fare strafottente. “Sai che c’è? Che io lo sapevo. Irene, la madre, me lo aveva detto. Le ho lasciate da sole, me ne sono fregato.” mi svela, lasciandomi di stucco. “Sei contenta? Ecco chi sono! Ta- dan!”
A queste parole, scuoto la testa e vado via, lasciandolo da solo.
Quindi non è come credevo... lo sapeva. Sapeva della gravidanza di Irene, sapeva che sarebbe diventato padre, eppure non glien’è importato niente. Va bene, avrà anche accettato la galera per proteggere sua sorella, ma cambia poco.
Questa consapevolezza mi destabilizza.
Come si fa ad aiutare qualcuno che ha volutamente mentito alla propria figlia, fingendosi morto pur di non prendersi le proprie responsabilità? Mi ricorda vagamente un episodio simile, quella volta della gita al monastero: anche in quel caso, un padre si era finto deceduto e aveva fatto sparire ogni traccia della sua esistenza, salvo poi essere ritrovato dalla propria figlia, che lo odiava per questo.
Mentre rientro a casa, sulle scale incrocio mia sorella.
“Ehi, Anna... ero passata a casa a cercarti ma non mi ha risposto nessuno.”
“Sì, sto rientrando ora. Stasera c’è la cena da Cecchini, Assuntina vuole farci conoscere il fidanzato francese, vuoi venire anche tu? Penso le farebbe piacere.” le propongo, ma lei scuote la testa con una smorfia.
“No grazie, preferisco risparmiarmela, questa. Ero passata solo per chiederti cos’hai intenzione di fare, quando glielo dirai... Oh, sono così felice!!” esclama, abbracciandomi di slancio.
Io ricambio il suo abbraccio, divertita, prima di rispondere.
“Anch’io... tantissimo, Chiara... davvero, è... non so dirti nemmeno io come mi sento. Ma sono... felice. Tantissimo. E... glielo dirò non appena si calmano le acque con Assuntina e questo caso, è veramente un caos in questi giorni. Ma questione di poco, non voglio aspettare troppo, o mentire a Marco su una cosa così importante.”
Chiara, alle mie parole, fa un sorrisone enorme.
“Sicura che va tutto bene, comunque? Mi sembravi arrabbiata, quando stavi salendo.” mi chiede poi con un cipiglio confuso.
“Sì, è... per Sergio, il papà della piccola Ines, te ne ho parlato... ma non voglio ammorbarti con questi problemi, ci pensiamo già troppo io e Marco,” ammetto.
Scambiamo ancora qualche parola, poi ci salutiamo, e lei va via.
Rientro per fare una doccia e cambiarmi, prima di passare a casa Cecchini per dare una mano a Marco a preparare la cena di stasera.
Speriamo ce la mandino buona. 
 
 
Marco’s pov
 
Sono le 20 quando ci mettiamo a tavola.
Vista la situazione, Cecchini mi ha chiesto di occuparmi della preparazione della cena. Ho accettato volentieri, era da un po’ che non mi dedicavo alla cucina ed è una cosa che mi rilassa molto, soprattutto quando posso sbizzarrirmi come più mi pare con i condimenti.
Certo, preferisco quando con me, sia a preparare che, soprattutto, assaggiare, c’è Anna, perché sotto questo aspetto il maresciallo ed Elisa sono un po’ troppo esigenti, anche se alla fine spazzolano sempre il piatto. Avere Anna ad aiutarmi, quando è rientrata da lavoro, mi ha messo di buon umore.
Comunque sia, Cecchini ha appena versato il vino che, a quanto pare, ha portato Zappavigna. Una cosa strana, a tal proposito, è che anche l’appuntato stia bevendo, sebbene sia praticamente astemio. In ogni caso, è un ottimo vino, e mi giro verso Anna con l’intenzione di chiederle cosa ne pensa, quando mi accorgo che il suo bicchiere è ancora pieno.
Strano, anche due sere fa non ne ha bevuto.
Sarà un caso.
I miei pensieri vengono interrotti da mia suocera, che inizia a conversare in francese con Vincent. Cecchini rimprovera bonariamente Zappavigna perché non conosce la lingua, quando nemmeno lui ci ha capito niente di sicuro. Io e Anna siamo abbastanza ferrati, invece, ma ci limitiamo ad ascoltare e tenere la tavolata d’occhio, nel caso dovessimo intervenire in qualche modo.
Infatti, parte una sorta di sfida tra Assuntina, che continua a sottolineare i pregi del nuovo fidanzato, e Cecchini, che fa lo stesso di Zappavigna.
È strano vedere Assuntina trattare in maniera tanto fredda il povero Romeo: sembrava lo amasse molto, invece adesso è come se non volesse averci più niente a che fare, come se fosse stato lui ad aver sbagliato, mentre l’unico gesto che il ragazzo ha fatto è stato mettersi da parte per la sua felicità. Lei, al contrario, lo ha tradito, e addirittura sta per avere un figlio dall’altro ragazzo. Zappavigna non ha fatto scenate, non ha insistito né alzato la voce. Non ha preteso nulla.
Certo, a vedere la scena in questo instante, Vincent sembrerebbe il genero che tutti vorrebbero al fianco della propria figlia.
Chissà se a te capirà mai, di trovarti al posto di Cecchini a cercare di capire se il ragazzo che tua figlia ti presenta sia affidabile o meno...
Però Zappavigna merita, assolutamente. Si è sempre dimostrato un bravissimo ragazzo, ora più che mai perché dal punto di vista umano, si sta perfino complimentando sinceramente per i successi del ‘rivale’.
Vincent, invece, lo guarda dall’alto in basso con aria di sufficienza.
Questo francesino mi piace sempre meno, io te lo dico.
Appunto. Piano con i complimenti ad Anna, ruffiano! E con me non attacca!
Geloso?
Sì, ma non per quello che pensi tu, grillo. E comunque, è orribile che Vincent faccia un brindisi per tutti ad esclusione di Romeo.
Anche Cecchini è contrariato. Certo che sembra strano, questo suo parteggiare spudoratamente per l’appuntato, eh? Chi l’avrebbe mai detto!
No, grillo, la verità è che Cecchini ha sempre ammirato l’ex genero, fin da quel giorno in cui ha scoperto che si era preso la responsabilità di un bambino che tutti credevamo essere suo figlio, quando invece era il suo fratellastro e lui se ne prendeva cura per non rovinare il matrimonio dei suoi genitori. Un gesto nobile che pochi, al suo posto, avrebbero compiuto.
Il maresciallo, secondo me, non ha tutti i torti: questo Vincent non mi convince, e non perché io sia geloso, come dicevo. Non ne ho motivo, solo che c’è qualcosa di... strano.
Cecchini propone a Zappavigna di fare lui un brindisi.
Solo che il ragazzo, come previsto, non regge per niente l’alcol, e sviene di botto.
Io corro in suo aiuto, mentre il maresciallo scuote la testa, sconsolato.
Elisa si affretta a preparargli un caffè quando si inizia a riprendere, visto che la cena era comunque terminata. Poi, esce sul pianerottolo con Cecchini, a prendere aria dalla finestra.
Vincent e Assuntina sono tornati da poco in albergo. Io sto aiutando Anna ed Elisa a sparecchiare, quando mi rendo conto che dal pianerottolo non si sente provenire alcun rumore, e mi insospettisco.
“Forse è meglio che vada a controllare,” suggerisco, “non vorrei che Cecchini, nel tentativo di aiutare Zappavigna, lo abbia fatto fuori...”
La mia fidanzata e mia suocera scoppiano a ridere.
Soddisfatto, mi avvio oltre la porta.
 
Elisa’s pov
 
Marco è uscito a controllare come procede tra Nino e Romeo.
Quest’uomo riesce sempre a far ridere tutti anche nei momenti più complicati. È una dote rara, e mi piace molto. È il genero che molti vorrebbero avere, e io posso ritenermi decisamente fortunata.
So quanto Anna sia felice al suo fianco, e quanto lui la ami. La tratta come una principessa, con i giusti accorgimenti per gestire una come mia figlia, che più che Cenerentola è Zorro, ma è anche per questo che stanno così bene insieme.
Ha ragione Nino a pensare che siano fatti l’uno per l’altra, ne hanno passate così tante, insieme, e ogni volta il loro amore ne è uscito fortificato, più profondo. Non vedo l’ora che si sposino, finalmente.
Sto appunto chiedendo ad Anna come va tra loro due, visto che è da un po’ che non parliamo.
“Va tutto benissimo, mamma, davvero,” mi dice con gli occhi luminosi e un sorriso felice sulle labbra. “Abbiamo sempre mille impegni col lavoro e poco tempo per noi due, ma sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stato così... Però adesso va tutto di nuovo bene.”
Mentre lei mi racconta e inizia a sciacquare le stoviglie, io sto svuotando i piatti appoggiati sul lavello. Noto che uno è quasi pieno, così come uno dei bicchieri.
So di chi sono, naturalmente, ci ho fatto caso mentre eravamo a tavola. 
Mi volto verso mia figlia.
“E... quando pensi di dirlo, a Marco, che sei incinta?” le chiedo, di punto in bianco.
Lei per poco non rompe il bicchiere che ha in mano.
Mi lancia uno sguardo impaurito, ed è chiaro che si stia chiedendo come io faccia a saperlo. In tutta risposta, io le indico il suo piatto e il bicchiere appena toccati con uno sguardo eloquente.
“Sono pur sempre tua madre, certe cose le capisco...”
Anna rivolge un’occhiata terrorizzata verso la porta, così mi avvicino a lei, prendendole le mani bagnate tra le mie e parlando piano in modo che nessun altro oltre lei mi possa sentire.
“È una notizia bellissima, tesoro,” le sussurro, e lei mi concede un sorriso, rilassandosi, “e Marco dovrebbe essere il primo a saperla. Non devi aver paura di una sua reazione contraria, sono sicura che sarà felicissimo.”
Anna scuote appena la testa.
“No, questo lo so... è solo che è un periodo incasinato, e... non era previsto... Non so come dirglielo, sembra sempre il momento meno adatto per farlo.” mormora.
“Vedrai che lo capirai da sola, il modo migliore per farglielo sapere,” la rassicuro, accarezzandole il viso. “Non dirò a nessuno della gravidanza finché non avrai parlato con Marco, anche se immagino che Chiara lo sappia già.”
Lei annuisce, prima di aprirsi in un sorriso meraviglioso.
Mia figlia è sempre stata bella, ma in questo momento è più radiosa che mai. Non credo di averla mai vista così felice.
E anch’io lo sono, mentre la stringo in un abbraccio, senza riuscire a trattenere del tutto le lacrime di gioia (che dovrò asciugare in fretta, sarebbe difficile spiegare a cosa sono dovute, se Marco o Nino dovessero rientrare prima del previsto).
È in questo momento che realizzo: diventerò nonna!
 
Anna’s pov
 
La mattina dopo, in caserma, ricevo la visita di Sergio che mi informa che il mio Maggiolino è tornato come nuovo!
Lo ringrazio, ma lui mi blocca dicendomi che, semmai, è lui a dover ringraziare me e Marco per ciò che stiamo facendo, e che ha ricevuto qualche proposta per altri lavoretti, oltre al fatto che Don Matteo gli ha promesso che proverà a mettere una buona parola per lui per un lavoro più stabile. Sono felice per Sergio, perché sembra finalmente convinto a darsi una possibilità di riprendere in mano la sua vita e ricominciare, è un primo passo importante.
Mi riconsegna le chiavi dopo aver ricevuto il suo compenso, poi va via.
Certo, il sapere che fosse a conoscenza del fatto di avere una figlia e di essersene fregato mi destabilizza ancora, a ripensarci, ma questo non significa che nel frattempo le cose non possano cambiare. Ci vuole pazienza per superare certi ostacoli. Sia lui che Ines hanno bisogno di trovare un equilibrio prima di incontrarsi ufficialmente per la prima volta, forzarli ora come ora sarebbe controproducente.
I miei pensieri vengono interrotti dall’arrivo di Marco. A vedere la sua espressione, faccio immediatamente due più due.
È di nuovo sulla difensiva, quel gelosone.
“Che ci faceva qui, Sergio?” mi chiede con un tono contrariato.
“Non c’è bisogno che fai il geloso tutte le volte, amore,” lo prendo in giro. “Comunque, è passato solo per riportami le chiavi del nostro Maggiolino.”
“Ah.” fa lui, imbarazzato, abbassando lo sguardo. “Scusa, è che... quel tipo ti ronza sempre intorno, non si sa mai...” si giustifica.
Io ridacchio prima di baciarlo, per poi chiedergli come mai sia qui, visto che non ci sono novità sul caso e lui dovrebbe essere in tribunale.
 
Marco’s pov
 
Alla sua domanda, mi ricordo del motivo per cui sono passato.
Anna sembra stare meglio, in questi giorni, nel senso... non proprio benissimo, ma meglio ed è anche meno nervosa, e ho pensato che forse è il momento buono per proporle di andare a prendere il gelato con Ines e sua nonna. Avevo promesso alla bimba che ci avrei provato, e forse ho trovato il modo per poter far uscire l’anziana donna dalla casa di cura. Ma per esaudire al cento per cento il desiderio della piccola, ho bisogno che anche la mia fidanzata accetti.
“Posso chiederti una cosa?” Lei annuisce. “Quando sei libera... ci verresti a prendere un gelato?”
Anna mi rivolge uno sguardo tra il divertito e lo sconcertato.
“Da quando in qua, per andare a prendere il gelato, hai bisogno di invitarmi? Messa così, sembra un’idea da bimbi dell’asilo.” afferma, ridacchiando.
In effetti ha ragione. Riformula, per cortesia.
“Sì, ma... ma infatti è... è un’idea di Ines... perché lei vorrebbe che andassimo a prendere un gelato, ti spiego, io, te, lei e sua nonna...”
Anna continua a sorridere, divertita dal mio impacciato tentativo di farle capire di che si tratta.
“... perché lei crede che tu sia sua figlia, e allora...”
Di fronte al silenzio della mia fidanzata, penso di aver detto una cazzata, perché in tutta onestà sembra una cosa insensata, davvero, come potrebbe essere utile, un tentativo così? Cerco un modo per ritrattare.
“Scusami, è un’idea stupida, scema, come non detto, è-”
“Ci vengo.”
Torno a guardarla con tanto d’occhi, convinto di aver sentito male.
“... non ho capito, scusami, come-”
“Ci vengo... a prendere il gelato, dico. È una bella idea.” conferma, sempre con quel sorriso che mi scioglie il cuore.
Nonostante la mia pessima spiegazione, Anna ha capito benissimo il motivo dietro questa richiesta. Sto per chiederle quando potremmo andarci, quando il lavoro reclama.
“Mi scusi, Capitano...” ci interrompe esitante Barba, e ci ritroviamo a rispondergli in contemporanea, come al solito.
 
Dopo aver discusso con lei del caso ed essere venuti a capo delle incongruenze, Anna è andata con i suoi uomini a controllare che le nostre ipotesi siano corrette.
Io, nel frattempo, mi sono recato a casa della signora Rosa, dove ho trovato delle foto della bimba in compagnia della nonna e della madre.
Resto basito ad osservarle: a parte qualche dettaglio, Irene e Anna sembrano due gocce d’acqua. Se non lo sapessi, direi che sono gemelle.
Mhhh, meglio tenere d’occhio Sergio ancora di più. Non sia mai che questa somiglianza con la sua ex lo attiri un po’ troppo...
Ci mancava solo il grillo parlante a insinuarmi il dubbio, come se non fossi già un pochino geloso di mio.
Un ‘pochino’?
Okay, okay. Sono molto geloso. Non piace vederlo ronzare intorno alla mia fidanzata, soprattutto dopo aver scoperto di Irene. È meglio per lui che giri al largo.
Comunque, finito di raccogliere le foto che mi servono rientro a casa, mettendomi all’opera per incollarle su un album da usare più tardi.
 
Cecchini’s pov
 
Sono appena arrivato allo studio del notaio con il Capitano e gli altri, quando mi arriva una chiamata: Assuntina sta per partorire.
Anna mi dà il permesso di recarmi da mia figlia così da poterle stare accanto.
Quando arrivo davanti all’ospedale, però, incontro Vincent, intento a parlare al cellulare con i suoi genitori. A quanto pare ha deciso di rientrare in Francia, ufficialmente per sostenere un esame, ma in realtà capisco che sta scappando: non è pronto a diventare padre, a prendersi le sue responsabilità.
Che razza di persona è?
Dopo avergli intimato di non farsi più vedere se la pensa così - e lui ormai è salito in macchina, per cui è evidente che la sua decisione l’ha presa - corro da mia figlia in sala parto, dove per poco non svengo.
Va bene, va bene... svengo, ma mi riprendo in tempo per vedere Assuntina dare alla luce il suo bambino.
Quando la portano in stanza, però, e lei mi chiede dove sia Vincent, sono costretto a dirle la verità: è scappato.
Assuntina scoppia a piangere, chiedendomi scusa perché in fondo se lo aspettava: Vincent ha sempre fatto ciò che i suoi genitori gli chiedevano, nonostante lo avesse più volte negato, e mi chiede scusa per non avermi ascoltato. Sperava che lui, così, sarebbe maturato, invece era stata lei a farsi prendere in giro dal suo carisma e le sue menzogne.
Io la rassicuro, dicendole che non è colpa sua, e quel ragazzo non sa cosa si perde. Che non deve pensare che sia tutto perduto nella sua vita, magari quando meno se lo aspetta, l’amore tornerà a bussare alla sua porta.
 
Come se fosse un segno, proprio la porta della camera si apre, lasciando entrare Zappavigna.
Il povero ragazzo si scusa per l’irruenza, non voleva disturbare, ma aveva messo la mano sulla maniglia, pensava fosse chiuso.
Assuntina per fortuna ride alla goffaggine dell’appuntato, che mi spiega che hanno arrestato il colpevole, e che è stata il Capitano a mandarlo qui, a vedere se fosse andato tutto bene.
Anna ha capito tutto prima di tutti.
È in quel momento che sembra notare il bimbo in braccio ad Assuntina, e si imbambola ad osservarli finché non ci interrompe l’infermiera, arrivata per prendersi cura di mamma e bebè.
Nel frattempo, io vado a prendere un caffè, e quando faccio la strada all’inverso per andare a controllare come sta Assuntina, noto l’appuntato ammirare il piccolino oltre il vetro della nursery.
Io mi avvicino, e lui sobbalza, colto sul fatto.
Si scusa, perché mi aveva detto che stava per andare via, ma non si capacita di come Vincent abbia potuto decidere di andarsene e perdersi la gioia di avere un figlio.
Io gli metto una mano sulla spalla: è sempre stato un bravo ragazzo, e in questi giorni ne ho avuto un’ulteriore conferma. Gli suggerisco di andare a parlare con Assuntina, di provare ancora a risolvere le cose tra loro, se ancora vuole. Lui non sembra convinto, perché continua a credere di non essere all’altezza di mia figlia. Mi ritrovo quindi a ricordargli che io, d’amore, me ne intendo, modestamente, perché sono riuscito a far ricongiungere coppie in crisi come Giulio e Lia, e Marco e Anna, no? Lui sta per ribattere, ma desiste. Sì, avrò fatto qualche pasticcio, con loro, ma l’importante è che ora sono tornati insieme, no? E sono convinto che andrà tutto per il meglio anche tra lui e mia figlia. Gli do uno dei miei soliti schiaffi affettuosi mentre lui mi ringrazia.
Torniamo a osservare il bebè, e io non resisto.
“Però si nota una certa somiglianza, tra me e mio nipote, non è vero?” gli chiedo, speranzoso.
Ricevo in risposta solo una risata.
 
Anna’s pov
 
Abbiamo risolto il caso, anche se come al solito il prete era già in mezzo ai piedi.
Comunque, io e Marco avevamo ragione: i veri colpevoli erano Manlio e la figlia del notaio, che si erano messi d’accordo per organizzare quella truffa ai danni dell’anziana mamma di Natalina.
Prima o poi, in ogni caso, riuscirò ad arrestare qualcuno senza che Don Matteo venga coinvolto. Succederà, che lo incontreremo per strada e lui ammetterà di non aver capito tutto prima di - o in contemporanea a - me.
Okay, non accadrà mai finché Cecchini continuerà a spifferargli tutto, ma sognare con costa nulla.
 
Ad ogni modo, io e Marco ci siamo organizzati per il gelato già per questo pomeriggio.
Sono seduta a un tavolo del Tric Trac con Ines da quasi venti minuti, ormai, e il mio fidanzato non si vede ancora. Ci siamo dati appuntamento direttamente qui, accordandoci perché io mi occupassi della bambina mentre lui sarebbe andato a prendere la nonna alla casa di cura.
“Ma quando arriva? Se l’è dimenticato, lo sapevo!” si lamenta Ines, imbronciata.
Io controllo nervosamente l’orologio.
“No, no, non si è dimenticato, vedrai che sta arrivando,” la rassicuro.
Proprio in questo momento, noto Marco arrivare con la nonna a braccetto, intento a mostrarle la piazza, forse nel tentativo di rispondere a una domanda in merito a quei luoghi che lei conosce ma non ricorda più.
Quando ci raggiungono, la signora mi scambia nuovamente per Irene, ma per fortuna il discorso cade in fretta perché Marco le suggerisce di dare un’occhiata all’album che le ha portato. Anche Ines si mette a sfogliarlo con lei, curiosa.
Io, in piedi dietro loro tre, mi rendo conto del motivo per cui nonna Rosa continua a pensare che io sia sua figlia: Irene sembra la mia fotocopia.
A pensarci adesso, mi sembra strano che Ines non lo abbia rimarcato... furba com’è, avrà notato anche lei la somiglianza tra me e sua madre, anche se non ce ne ha mai parlato.
I miei pensieri sono interrotti dalla nonna, che inizia a mormorare in direzione delle fotografie.
All’improvviso qualcosa in lei sembra scattare.
“Questa è mia figlia... e questa è mia nipote! Com’era carina!” dice, nostalgica.
Ines, come suo solito, ha la battuta pronta. “Perché, ora non sono carina?”
L’anziana donna sembra illuminarsi quando si accorge di lei. “Ines! Ma come sei cresciuta!”
Scambio uno sguardo sollevato con Marco.
La piccola è al settimo cielo. “Meno male che mi ha riconosciuto...” mormora festante, rivolta a lui. “Quindi ora la puoi fare uscire dall’istituto quando voglio?”
“E certo! Chi sono io?”
“Il tutore legale!” sorride lei, scaldandoci il cuore.
“Eh! Visto, te l’avevo detto, che avremmo trovato una soluzione!” le dice Marco, strizzandole l’occhio.
È vero... certo, la nonna continuerà a non ricordarsi, di tanto in tanto, ma l’album di sicuro la aiuterà a fare un po’ di chiarezza in più.
“Andiamo a prendere i gelati. Dai dai dai dai, torniamo presto!” spiega poi il mio fidanzato a Ines, stringendola a sé e dandole un bacio, prima di alzarsi.
 
Io e Marco scendiamo mano nella mano i pochi scalini che portano al carretto dei gelati.
“È molto bello, quello che stai facendo per lei... anche l’album...” mi congratulo con lui con un sorriso.
Lui si gasa in un secondo.
“Sì, ho scoperto che i malati di Alzheimer ricordano la memoria a lungo termine meglio di quella a breve, e ho pensato che le foto sarebbero state un buon modo per farle tornare qualcosa alla mente.” mi spiega, in fibrillazione.
Non posso non ridacchiare di fronte al suo entusiasmo.
“Sarai un padre fantastico...” sussurro con dolcezza, improvvisamente emozionata, pensando a quanto devo dirgli.
Lui fa un sorriso enorme.
“Solo perché, quando accadrà, avrò accanto una donna meravigliosa che sarà di certo un’ottima madre: tu,” è la sua pronta replica, baciandomi subito dopo.
Succederà prima di quanto immagini...
Marco torna con l’attenzione al carretto, facendo per chiedere al gelataio le coppette per tutti.
“Ah, per me non ne prendere... No-non ne ho voglia...” mormoro.
Marco mi lancia un’occhiata stranita, e so benissimo perché: non ho mai rifiutato un gelato prima d’ora.
“Stai bene?” mi chiede lui infatti, preoccupato.
“Sì sì, tranquillo...” tento di rassicurarlo anche se, come mi succede ormai ogni volta che penso, perfino, al cioccolato, avverto il senso di nausea salire prepotentemente in gola.
Cerco disperatamente un modo per celare il mio malessere, insieme a una buona scusa per sfuggire al dialogo che sta per nascere.
Come se qualcuno avesse ascoltato le mie preghiere, il mio cellulare suona.
Tanto glielo devi dire, prima glielo confessi, meglio è!
Sì, sì, vocina, ma non è il momento più adatto, questo! Ho urgentemente bisogno di un bagno, non ho intenzione di rischiare di vomitare in piazza!
Afferro il telefono: Chiara.
Mia sorella, dopo un brevissimo saluto, mi chiede senza mezzi termini se ho detto della novità a Marco.
So che sarà una discussione lunga, con lei, e decido di sfruttare la cosa a mio vantaggio. Le dico di aspettare un secondo, mettendo poi la mano sul microfono.
“Ehm, è Chiara,” spiego al mio fidanzato, “a quanto pare ha bisogno di me per qualcosa... è meglio che vada, lo sai com’è lei, quando si mette a parlare...” mi giustifico. Non è una bugia, mia sorella mi tiene ore attaccata al cellulare, certe volte, e questa non sarà diversa, quindi so che la scusa reggerà.
“Certo, figurati... vai pure, ci penso io a Ines e sua nonna,” mi rassicura, seppure il suo sguardo non sembra completamente convinto.
Si accorge in quel momento che i gelati gli si stanno sciogliendo in mano.
“Ops, meglio che vada anche io...”
Dopo un bacio veloce e un saluto alla bimba e nonna Rosa, corro in direzione di casa, con mia sorella che ha capito l’antifona e continua a ripetermi che devo dire a Marco della gravidanza, e pure in fretta, insieme a un numero imprecisato di commenti sul fatto che non vede l’ora di diventare zia e spera sia una femmina, così da crescerla fashionista come lei.
Oddio, no. Passi il volerla viziare, ma quello proprio no.
Non posso che concordare con la vocina.
E gioire, perché io e Marco stiamo davvero per diventare genitori.
 
 
Ciao a tutti!
Eccoci qua col quarto ‘episodio’! Ebbene, ecco perché Anna si sentiva strana, come molti di voi avevano intuito... Un baby Nardi è in arrivo!
Marco, però, non lo sa ancora. In fondo è presto, Anna lo ha appena scoperto, e un po’ di paura, a dirglielo, ce l’ha.
Che succederà, ora? Vi ricordate cosa succede nel prossimo episodio, no? In quello ufficiale, perlomeno...
Sbizzarritevi con le teorie, e fate sapere a me e Martina se vi è piaciuto!
A giovedì prossimo,
 
Mari

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Capitolo 5
*** Non uccidere ***


NON UCCIDERE
 
Marco’s pov
 
È lunedì sera.
Da un paio di giorni sto poco bene, e nel tardo pomeriggio è salita anche qualche linea di febbre. Devo essermi beccato l’influenza.
Ho chiamato già al lavoro per dire che non sarò presente nei prossimi giorni, e visto l’orario, le farmacie sono chiuse, quella di turno è dall’altra parte di Spoleto e non volevo far fare tardi ad Anna, così sto bussando alla porta di casa Cecchini per chiedergli se lui ha dell’aspirina da potermi prestare.
In altre circostanze avrei aspettato la mattina, anche a costo di sentirmi uno zombie, ma anche Anna è rientrata da lavoro che stava poco bene e spero davvero non sia influenza anche la sua. Non voglio che si ammali anche lei standomi accanto, prendendosi cura di me come fa ogni volta che mi ammalo. Sì, okay, rientro anch’io nella categoria di uomini che con tre linee di febbre crede di essere a un passo dalla morte, e forse sono un pochino ipocondriaco (anche se questo potrebbe essere l’effetto di Cecchini su di me). comunque sia, quando sto male, Anna sveste i panni di Capitano per indossare quelli da perfetta infermiera. Non che mi dispiaccia, anzi, e stavolta non sarebbe diverso, ma lei è già da un po’ che non sta benissimo, e io non ho ancora capito come mai. Mi ha rassicurato dicendo che è stata dal medico come le avevo suggerito, e che lui le ha detto solo di riposarsi un po’ di più. A me le cose non è che sembrano poi tanto migliorate sebbene, miracolosamente, lei abbia iniziato davvero a prendersi un po’ più cura di sé. In ogni caso, non voglio correre il rischio che, se non ha l’influenza, la prenda per colpa mia, per cui mi sto attrezzando per prendere precauzioni in fretta.
Cecchini finalmente apre la porta.
“Dottore, buonasera! Che faccia che ha.”
Delicato sempre, lui.
“‘Sera a Lei. Sono passato per chiederle se-”
Mi interrompo di botto quando noto che non è solo: ha un maialino in soggiorno.
Okay, sapevo che lo avesse ‘ereditato’ da un amico, ma da qui a tenerlo come animale da compagnia...
“Ha bisogno di qualcosa? Mi sembra in uno stato tipo moribondo,” mi riporta alla realtà lui, sempre con la sua finezza.
Gli chiedo quindi dell’aspirina, e mi ritrovo non so come a battibeccare con lui che insiste a volermi fare una foto col maialino in braccio perché, a suo dire, “La pet therapy fa bene alla salute!”.
Io non ho nessuna intenzione di cedere alla sua stramba richiesta e per fortuna lui si arrende, chiedendomi però di tenere d’occhio l’animale mentre lui va a cercare le medicine.
Torna poco dopo con quanto gli avevo chiesto, e per evitare che riprovi col discorso delle foto, lo ringrazio in fretta e rientro a casa.
Una volta in appartamento, vedo emergere la mia fidanzata dal bagno.
Non ha una bella cera, eh.
Affatto: è bianca bianca, tiene una mano sullo stomaco e l’altra sulla fronte, e sembra instabile sulle gambe.
Mi affretto ad aiutarla, passandole un braccio attorno alla vita, preoccupato.
“Ehi... come ti senti?” chiedo.
Ricevo in risposta solo una smorfia.
“Cecchini aveva l’aspirina per fortuna, magari riesco ancora ad evitare di attaccarti questa influenza. Anzi, forse è meglio se la prendi anche tu, visto che stai così...”
 
Anna’s pov
 
Maledettissima nausea.
Va avanti da settimane, non mi lascia un attimo di tregua.
Com’è normale che sia nella tua condizione, stellina. Lo sai, sì?
Certo, vocina, ma non poteva essere una di quelle gravidanze tranquille, in cui il massimo del fastidio è prendere qualche chilo? No, ovviamente. Devo vomitare pure l’anima a ogni ora del giorno.
Tra l’altro, non ho ancora detto niente a Marco.
Sì, lo so, ho passato le 5 settimane, ma sto aspettando il momento giusto, solo che prima una cosa, poi l’altra e non è ancora arrivato.
Male, Anna. Sono scuse, lo sai, E NON PROVARE A NEGARE.
È la verità, non sono scuse! E comunque, in realtà volevo dirglielo ieri, ma Marco si è beccato l’influenza, e si è convinto che anche io ce l’abbia, nonostante stia male da molto prima.
Non so come farò a gestire questa situazione, in realtà, perché davvero ieri avevo provato ad aprire il discorso, dopo pranzo, solo che lui ha iniziato a sentirsi poco bene, e quando si è misurato la febbre ho capito che avrei dovuto posticipare la notizia. Perché sì, il mio fidanzato è un po’ ipocondriaco (anche se dice di no) come Cecchini, e ora come ora è concentrato solo sul fatto che stia malissimo. Lui.
Se glielo dicessi ora, come minimo capirebbe che si comporta come un bambino, non che ne aspettiamo uno, visto che non fa altro che andare in giro per casa moribondo, fraintendendo ogni cosa che provo a dirgli, neanche stesse per morire.
Uomini. Bah.
Mai una cosa che vada come voglio io, mai. Che devo fare?
Vabbè, hai aspettato tanto... un paio di giorni in più non cambiano niente. Fallo guarire, ma appena sta meglio, DIGLIELO.
Mi sa che la vocina ha ragione.
Concludo il discorso con la mia testa in bagno, davanti allo specchio, sciacquandomi il viso dopo aver constatato che, tra me e Marco, quella che sembra decisamente uno zombie sono io e non lui. Esco, stropicciandomi gli occhi e portando istintivamente una mano all’addome, quando Marco (riapparso dal nulla) mi si avvicina per sostenermi - non mi ero accorta di essere instabile in effetti - e mi chiede come mi sento.
Una meraviglia, amore, non si vede?
Di fronte alla mia non risposta, lui dice di essere passato da Cecchini per farsi dare un’aspirina, visto che quelle che avevamo in casa erano scadute e io non me n’ero accorta, e che forse dovrei prenderne una anche io, considerato il mio malessere.
Mi sento invadere dal panico.
“No no no, non ce n’è bisogno,” ribatto, rifiutando. “è solo stanchezza, sul serio, non ho bisogno di medicine...”
Dalla sua faccia so che non l’ho convinto, ma non posso fare altrimenti: non posso prendere niente che non mi venga prescritto, è pericoloso per il bambino, e poi per le nausee non c’è molto che possa fare, se non sperare che passino presto.
Marco, come previsto, insiste, ma alla fine la discussione la vinco io, come sempre.
Abbiamo appena terminato il battibecco quando, naturalmente, Cecchini bussa alla porta. Solo che la notizia che ci dà è preoccupante: Don Matteo ha appena avuto un incidente.
Raggiungiamo in fretta il parroco in ospedale dove scopriamo che, per fortuna, lui è rimasto illeso. Ha però investito una ragazza, adesso in fin di vita, che si è ritrovato davanti all’improvviso e non è riuscito a scansare in tempo.
Rimango in caserma fino a tarda notte per riuscire ad aprire il fascicolo, sono quasi le due quando, col Maresciallo, decidiamo di tornare a casa per riposare e riprendere il lavoro in mattinata.
 
Quando mi sveglio, Marco non è accanto a me, nel letto.
Confusa, mi alzo, per trovarlo in soggiorno, seduto sul divano, intento a leggere i bugiardini di una pila di farmaci che avrà tirato fuori a casaccio dall’armadietto in cui li teniamo.
E meno male che non è ipocondriaco. Figuriamoci.
“Ehi... buongiorno!” lo saluto, avvicinandomi per capire cosa sta scrutando con tanta concentrazione.
“A te, amore,” mormora con un sorriso, prima di tornare al foglietto.
“Come ti senti? Hai ancora febbre?”
“No, quella è scesa, ma non mi sento ancora granché. Non abbastanza da tornare al lavoro, comunque,” mi risponde, senza staccare gli occhi dalla sua lettura.
Scuoto la testa: sembra mia sorella quando cercava scuse con mamma per non andare a scuola.
Lascio cadere il discorso, ben consapevole che non otterrei niente continuando se non conoscere gli effetti collaterali di chissà cosa, ma soprattutto perché, come ogni mattina, il senso di nausea torna prepotente costringendomi a correre in bagno.
Quando riemergo, noto che Marco è tornato a letto, nel tentativo di riaddormentarsi, probabilmente.
Beh, se si riposa un altro giorno, non può che fargli bene.
 
I miei pensieri vengono bruscamente interrotti dal campanello.
Quando vedo chi è alla porta, mi pento immediatamente di aver aperto.
“Sorpresa!!!”
Elisabetta, mia cugina.
No! Lei no, no, NO!
E invece sì, lei sì.
Porca miseria, ma non potevo far finta di non esserci?
Sì, sto sprizzando evidentemente gioia da tutti i pori.
Lei, di sicuro, è contenta, perché con quel suo ‘Sorpresa!’ penso abbia svegliato tutto il vicinato, oltre ad avermi spaccato i timpani.
Speriamo che la signora Serena abbia il sonno pesante.
Per fortuna, una volta essersi fatta strada da sé nel mio appartamento - senza esimersi dal commentare, naturalmente - ha moderato i toni.
Cerco di sopportare i suoi modi sperando in una visita breve e indolore, imponendomi di non dar peso a quello che dice su casa mia.
Solo che lei si blocca di colpo, e si gira verso di me con un’espressione corrucciata.
“Dimmi la verità, tesoro... come stai?” mi chiede, spalancando gli occhi.
Mi sento assalire dal panico.
Oddio, e lei ora come l’ha capito?
Quando non le rispondo, Elisabetta decide di continuare.
“Dopo quello che ti è successo, intendo” fa lei, e mi rendo conto di essere stata ingenua. “dopo il tuo matrimonio saltato!”
Ah, ecco. Rilascio l’aria che non mi ero resa conto di stare trattenendo, decidendomi a rispondere.
“No, no, sto bene, sul serio...”
“Ah! Bene...! Ma allora come mai non hai risposto alla mia richiesta di RSVP sull’invito del matrimonio? Ero preoccupata che stessi male, dopo la notizia orribile che ho ricevuto... che la tua storia con Marco è colata a picco, voglio dire...” commenta.
Sempre delicatissima.
Un momento: il matrimonio di Elisabetta!!
Cavolo, è vero! Come ho fatto a dimenticarlo?
L’invito è appoggiato sulla libreria da un sacco, ma tra le mie nozze posticipate e la scoperta di essere incinta, e il lavoro, non ci avevo più nemmeno pensato.
“Sì, hai... hai ragione. Anzi, scusa se non ti ho dato la conferma prima, ma... ci vengo. Certo, tutto come ti avevo detto...”
“Ma quindi verrai lo stesso?” mi domanda, esterrefatta.
“Sì, certo che vengo,” è la mia risposta sconcertata. Perché non dovrei?
“Uh, che sollievo! Sai, avevo paura che per te fosse troppo deprimente... Visto che tu hai dovuto annullare le tue nozze perché tu e il tuo fidanzato vi siete lasciati...” commenta, mentre io mi ritrovo a dover fare appello a tutti santi del paradiso per non insultarla. Come dicevo, il tatto non è il suo forte, e non ha ancora finito... “Io invece sono così felice! Sto per sposare l’uomo dei miei sogni, non potrei chiedere di meglio!” continua, al settimo cielo, e non so come faccio a trattenermi dallo spingerla fuori di casa.
Elisabetta, come dicevamo, è sempre molto delicata nel suo modo di esprimersi.
Prima che io possa fare o dire qualcosa, comunque, lei mi stringe in un abbraccio.
Stringe... stritola, semmai.
Me lo sarei volentieri risparmiata, oltre al fatto che devo trattenermi dallo strozzarla per quello che ha blaterato finora.
Non perché non voglia bene a mia cugina, sia chiaro, è solo che Elisabetta è invadente.
Molto invadente.
E rumorosa...
Molto rumorosa.
Sì, anche mia sorella lo è, ma non quanto e come lei.
Se Elisabetta è presente, in qualsiasi contesto, sarà assolutamente lei il centro dell’attenzione. Ma non perché abbia qualcosa in più degli altri, o di più interessante da dire. No, è solo rumorosa e logorroica fino allo sfinimento. Non c’è modo di rubarle la scena.
Non che io ci abbia mai provato, anzi. Io mi sono sempre tenuta in disparte. Meglio lei con tutti i riflettori puntati addosso che io. Ho sempre preferito starmene nelle retrovie, a farmi gli affari miei.
Elisabetta sa essere particolarmente insopportabile, se ci si mette.
Ma siamo sicure di essere parenti, noi due?
Certe volte penso di essere stata adottata.
Comunque, il suo abbraccio è interrotto da Marco, che riemerge dalla nostra camera da letto chiedendo a cosa sia dovuto l’improvviso trambusto in casa.
Mia cugina mette su un’espressione estremamente confusa, spalancando gli occhi in maniera teatrale.
Evidentemente non sei aggiornata sul gossip di famiglia, Eli.
“Ah. Ciao, Elisabetta,” la saluta il mio fidanzato, comprendendo al volo l’antifona.
“Ciao!” fa lei, prima di voltarsi verso di me con un dito puntato contro Marco.
“Ma non vi eravate lasciati?”
Sarò ripetitiva, ma... délicatesse, cette inconnue.
Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo.
“Ehhh, è una lunga storia...” biascico, ma per fortuna lei interrompe il mio tentativo di minimizzare chiedendomi se andremo insieme al suo matrimonio.
Alla nostra risposta affermativa, replica solo con un “Fantastico!” per poi andarsene in tutta fretta per un appuntamento dal parrucchiere.
Una volta chiusa la porta, rilascio il ringhio rabbioso trattenuto nei quindici minuti di tortura immeritata.
“Ma che c’ha nel cervello?!” impreco.
Per mia fortuna interviene il mio fidanzato a calmarmi, abbracciandomi da dietro e appoggiando il mento sulla mia spalla.
“Respira...”
 
L’idillio termina in fretta, perché quando torno in soggiorno dopo colazione, in divisa, Marco mi guarda male, e iniziamo una lunga discussione perché non vuole lasciarmi andare al lavoro: insiste che io resti a casa, visto che ieri sera stavo male, rientrata dall’ospedale stavo peggio, e stamattina non è da meno.
Alla fine l’ho avuta vinta io lo stesso perché sa che non c’è scusa che tenga: la divisa è la divisa, e io al lavoro, finché posso, ci vado.
 
Cecchini’s pov
 
Le indagini proseguono e nel pomeriggio, una volta in caserma, chiamo Elisa al telefono. Le sto raccontando del sogno che ho fatto stanotte, prima che lei mi chieda, di nuovo, di tenere d’occhio Anna.
Me l’ha chiesto spesso negli ultimi tempi, quando non è qui a Spoleto, anche se non mi ha mai detto perché tanto interesse per la figlia.
Cioè, ci tiene ad Anna, mi chiede sempre di lei (visto che la Capitana tende a dire molto poco di come sta), ma ultimamente lo fa più spesso del normale. Come se ci fosse qualcosa sotto che lei sa e io ancora non posso sapere.
Anche se io, un’idea, ce l’ho, ma la devo verificare.
Devo mettere a punto un altro piano.
Anna è appena uscita dal suo ufficio, probabilmente per andare ad accogliere la Procuratrice Santonastasi, che prenderà il posto del PM in questi giorni, visto che lui è malato. Ne approfitto per fermarla.
“Era Sua madre, dice che le manco,” la informo.
“Bene a sapersi,” ribatte lei, facendo per andar via lo stesso, ma io non demordo.
“Dice che è preoccupata per Marco, voleva sapere come sta, e pure come sta Lei, perché dice che l’ha sentita più stanca in questi giorni,” continuo, fissandola.
Anna mi rivolge un’occhiata sospettosa.
“Non ho idea di cosa stia parlando, ma Le assicuro che io sto bene come sempre, e Lei non si deve impicc-”
Il suo discorso è interrotto da mio genero che mi ha portato il caffè. Sì, avete sentito bene: Zappavigna e Assuntina hanno fatto pace e sono tornati insieme. Lei è rimasta a Spoleto, ha deciso di seguire le lezioni via computer fino alla fine del trimestre, così da potersi dedicare a suo figlio, che Romeo ha riconosciuto come suo.
Comunque, fa notare a me e al Capitano che è arrivata la Procuratrice, così rimando la conversazione a un altro momento.
 
Sara’s pov
 
Sono arrivata in caserma per parlare del nuovo caso con Anna. Marco sta male e non potrà rientrare al lavoro per qualche giorno, quindi invece di delegare qualcun altro, ho pensato di occuparmene personalmente.
Seppur breve, il colloquio è stato proficuo. Come sempre, del resto, Anna è molto meticolosa e il suo mestiere lo sa fare molto bene.
Forse è un po’ troppo dedita alla divisa a volte, una stacanovista, direi, e non le farebbe male prendersi un po’ di tempo per sé e per Marco ogni tanto. Io ne so qualcosa, su come può andare a finire se si trascura chi si ama. Gliel’ho anche consigliato più di una volta, siamo amiche ormai e posso permettermelo, ma Anna mette sempre il dovere prima di tutto. La conosco da poco, ma su questo aspetto non ho dubbi, perché anche io sono così.
Forse è per questo che mi trovo tanto bene, con lei.
 
Stiamo scendendo le scale, chiacchierando per qualche istante del più e del meno, perché lei ha insistito ad accompagnarmi fino alla mia auto, da ‘padrona di casa’, poiché io sono un’ospite della caserma.
Giunte in piazza, le propongo di fare un’uscita tra donne stasera, visto che è da un po’ che non lo facciamo per via dei vari impegni.
Lei però esita.
“Mi piacerebbe, ma... forse è meglio fare un’altra volta. Marco non sta bene e non voglio lasciarlo da solo. Un conto è assentarmi per lavoro...” mi spiega, al che io la tranquillizzo, dicendole che non c’è problema.
Sono felice di aver agito come ho fatto, quella notte. Sono una coppia meravigliosa, pronti a sostenersi l’un l’altra ogni volta che ne hanno bisogno. All’apparenza sembra mettano entrambi il lavoro prima di tutto, ma l’uno per l’altra smuoverebbero mari e monti.
Dopo un augurio di pronta guarigione per Marco, vado via.
 
Anna’s pov
 
Ho appena salutato Sara, dopo aver dovuto trovare una mezza scusa plausibile per rifiutare il suo invito per stasera. Come glielo spiegavo, che non posso bere niente perché sono incinta, se lo sanno solo mia madre e mia sorella, per giunta perché lo hanno scoperto da sole?
Comunque sia, faccio per tornare in caserma quando, ai tavolini del bar di Spartaco, noto una scena che non mi piace per niente: cosa ci fa Chiara con Sergio?! E a completare il quadretto c’è pure Elisabetta!
Mi precipito a interrompere qualsiasi conversazione stia avvenendo, sperando di arrivare in tempo.
“Ciao!” mi intrometto, rendendomi conto che è peggio di quanto pensassi: Chiara ci sta provando spudoratamente con Sergio, mentre Elisabetta, arrivata a suo dire per salutare mia sorella, ne approfitta per commentare quanto sia carino.
Che c’è di male, scusa?
Vocina, non ti ci mettere anche tu per cortesia. Sergio sarà anche un ‘tipo’, ma nessuna delle due conosce il suo passato, e probabilmente entrambe lo giudicherebbero in virtù dello stesso, se sapessero.
Ah, ecco. Avevo temuto che il motivo del tuo fastidio fosse un altro.
E c’è un altro motivo, sì.
Eh?
Sergio non dovrebbe perdere tempo con altre donne, perché lui soltanto a una deve pensare.
Mi auguro siano gli ormoni a farti dire scemenze.
La donna in questione ha 6 anni, un carattere peperino, vive in canonica ed è sua figlia!
Ma dai!! Mi hai fatto prendere un colpo!
Dovevo vendicarmi, prima o dopo, no?
Comunque, riprendo in fretta in mano la situazione sviando Sergio per chiedergli come va con i lavoretti che Don Matteo gli ha trovato, e lui dopo avermi confermato che procede bene, sembra ricordarsi di un impegno e va via, lasciandoci da sole.
Mi sa che ti ho fatto un favore. Me lo segno, eh!
Elisabetta, dopo essersi assicurata che anche mia sorella andrà al suo matrimonio - facendo una battuta scema sul fatto che, se io non fossi andata con Marco, avrebbe messo entrambe al tavolo dei bambini per non farci sedere da sole - si dilegua, con mio sommo piacere.
Rimango da sola con mia sorella, e non sono sicura sia un bene, per me.
Infatti, lei si volta verso di me con un cipiglio accusatorio.
Perché non hai ancora detto a Marco che sei incinta? È passata più di una settimana da quando l’hai saputo, e gli hai già mentito una volta nascondendogli una cosa importante, e non mi sembra il caso che tu faccia di nuovo la stessa cavolata!” mi rimprovera, senza lasciarmi parlare. “Ti ricordo che Marco è come un panda, in via d’estinzione, e non te lo devi far scappare!”
Alla sua affermazione, scoppio a ridere beccandomi un buffetto sul braccio: ha riportato entrambe a quella mattina in caserma, quando me lo disse la prima volta e io avevo negato che lui mi piacesse.
“Lo so che devo dirglielo, e l’avrei già fatto, te lo giuro, ma si è ammalato e tu lo sai, com’è lui, quando non si sente bene... non capisce nient’altro al di fuori del suo malessere e dei risvolti improbabili della malattia.”
Però Marco non è ipocondriaco, no no. Uomini.
Chiara sbuffa. “Sì, questo è vero. Comunque, per questa volta accetto la scusa, ma non appena sta meglio, tu glielo dici. Deve saperlo per primo! Anche se tecnicamente io e mamma lo sappiamo già, ma... vabbè, hai capito cosa intendo...”
Rido al suo impappinarsi, prima di scusarmi perché devo necessariamente tornare al lavoro.
Mi avvio verso la caserma quando mia sorella mi richiama, e con un dito puntato verso di me in modo minaccioso, strilla: “Diglielo!!!”
 
Marco’s pov
 
Sono rimasto a casa tutto il giorno perché non avevo proprio la forza di uscire, tanto che ho perfino chiesto a Cecchini di passare per me dalla farmacia. Solo che il maresciallo, come al solito, invece di portarmi le medicine a casa, le ha lasciate nel suo appartamento quando è passato a controllare che Jimmy, il maialino, stesse bene.
Quindi mi ritrovo a dover usare il doppione delle chiavi per passare da lui, dove vengo accolto da un sonoro “Sgrunt!” da parte del maiale, che se ne sta al centro del salotto.
Le medicine sono sul tavolino del soggiorno.
Il maialino sembra non curarsi affatto della mia presenza, riprendendo a gironzolare indisturbato. Certo che di ‘-ino’ non ha niente. Anzi, è parecchio in carne, non penso sia adatto a fare l’animale da compagnia, e mi sfugge il motivo per cui Cecchini continui a tenerlo in casa.
Quando faccio per andarmene, noto una figuretta accovacciata accanto al maiale.
“Ines! E tu che ci fai qua?”
Sempre detto che è un ninja.
Lei mi saluta con un sorrisone e un abbraccio.
“Sono venuta a trovare te,” mi spiega. “Don Matteo ha detto che non stavi bene, però poi ho visto la porta aperta qua e sono entrata per salutare anche Jimi.”
“Chi?”
Lei non mi risponde, sorpassandomi e fiondandosi in cucina.
“Che fai?” dico, seguendola.
Certo che basta lei a rivoluzionarmi la giornata. Per un po’ dimentico tutto il resto.
Ecco chi è Jimmy... il maialino.
La osservo sorridendo, mentre lei accarezza l’animale, affermando che dev’essere affamato.
Do un’occhiata in frigo, come fosse casa mia.
“... Secondo me preferisce la pasta al forno, Jimmy, che dici?”
Lei scoppia inaspettatamente a ridere.
“Che c’è, che ho detto?” Le chiedo, senza capire.
“Non si chiama Jimmy... si chiama Jimi! Come Hendrix!”
Certo che Cecchini aveva capito tutto, eh.
“Gli hai dato il nome di Hendrix? Ah, ma allora è un intenditore! Pasta al forno tutta la vita!”
Lei sorride, e io le porgo il piatto affinché possa dare lei stessa da mangiare al maialino.
Ha proprio bisogno di qualcuno che le stia accanto. Un papà, e una mamma.
Concordo, grillo, per una serie di motivi: innanzitutto, perché una bambina di sei anni non dovrebbe gironzolare da sola per Spoleto come fa lei senza problemi (facendo sempre preoccupare tutti), e soprattutto è una bambina, e dovrebbe vivere la sua vita come tale, non come una piccola donna indipendente che si occupa di tutti.
“Prendi pure il latte!” mi dice Ines a un certo punto, riportandomi alla realtà.
“Come, perché i maiali bevono anche il latte?”
“No, quello è per me!” ridacchia.
Io le verso il liquido nel bicchiere, soffermandomi poi a guardarla.
Mi viene spontaneo pensare a quanti passi avanti io abbia fatto con i bambini in questi ultimi anni. E pensare che prima la sola idea mi dava l’orticaria... soprattutto dopo la fine della mia storia con Federica, non ne volevo proprio sentir parlare. Lei aveva già deciso tutto: ne voleva due, un maschio e una femmina, come se fosse possibile scegliere in anticipo. Che follia.
Stranina, la tua ex...
Io direi qualcosa in più di ‘stranina’, ma vabbè.
Dovresti denunciarla per circonvenzione di incapace.
E in effetti, il suggerimento tanto sbagliato non era.
Però, dopo aver conosciuto meglio Anna e trovato finalmente il mio posto nel mondo, al suo fianco, le cose erano drasticamente cambiate.
Cambiare, un termine che prima avevo ripudiato, e che invece negli ultimi due anni e mezzo avevo imparato ad amare. A metterlo in pratica, in ogni ambito possibile.
Un esempio? Beh, Cosimo, quella sera del test, mi aveva detto che come padre facevo schifo, ma appena pochi giorni fa Anna, in hotel prima e da Spartaco poi, ha affermato che sarei un padre fantastico.
E a guardarmi adesso, con una bottiglia di latte in mano e la piccola Ines intenta a berne un bicchiere, mi rendo conto del perché, e ammetto che vorrei tanto poterlo essere.
Ed è una sensazione bellissima.
La bimba ha adesso il segno del latte sul labbro superiore, a mo’ di baffo. Mi viene da ridere e lei, giustamente, mi chiede perché.
Prendo un tovagliolino, abbassandomi sulle ginocchia per pulirle la bocca, e lei si mette a ridacchiare, intuendo il motivo della mia risata.
Poi mi abbraccia di slancio, chiedendomi se sto meglio.
“Sì, sto benissimo.” posso risponderle soltanto. Dopo un abbraccio così, non avrei potuto dire diversamente.
Se è questo l’effetto che fa l’abbraccio di un figlio, allora spero che arrivi presto il giorno in cui diventerò padre, perché so che prima o dopo accadrà, e non vedo l’ora di poterlo sperimentare davvero.
 
Cecchini’s pov
 
In caserma, Anna sta dando le direttive su come proseguire le indagini.
Io però sono distratto: la sto osservando attentamente, perché mi sono accorto che c’è qualcosa di diverso in lei ultimamente, e il fatto che Elisa sia così premurosa nei suoi confronti non mi convince. Sta male? È grave? Oppure... c’è altro? Perché è nervosa, stanca, pensierosa, e non può essere solo dovuto al dover gestire la caserma e contemporaneamente occuparsi del suo Marco ammalato. Non è la prima volta che succede, e non si era mai comportata così. Devo indagare.
Ghisoni e Zappavigna vanno via e quando rimaniamo soli nel suo ufficio, mi informa su cosa dobbiamo fare noi.
“Maresciallo, io e Lei dobbiamo andare alla fabbrica dolciaria.”
Colgo il pallone al balzo per cercare di smuoverla di nuovo.
“Così magari ne approfittiamo per comprare qualche dolcino, quelli che a Lei piacciono tanto,” suggerisco, sperando in una sua reazione. Me lo ha detto Elisa, che va matta per quei dolcetti.
Ma lei non è della mia stessa idea.
“No,” afferma, con un tono che non ammette repliche e un’occhiata minacciosa, “dobbiamo andare a parlare con una donna che potrebbe conoscere la ragazza aggredita. E comunque non mi vanno.”
“Comandi,” mormoro.
Strano, molto strano.
Quando ci sono dolci di mezzo, lei ci si fionda sempre sopra, altro che “non mi vanno”... Questa ragazza non me la conta giusta.
 
Stiamo per uscire, quando il cellulare di Anna suona.
Lei mi intima di andar fuori dal suo ufficio, ma io resto a portata d’orecchio.
‘Ste telefonate possono essere utili.
E infatti, sta parlando con sua sorella.
Quello che sento mi lascia di stucco.
Cos’è che deve dire a Marco, che cambierà la loro vita? Non sarà mica di nuovo un lavoro da qualche parte, oppure le hanno riproposto quello in Pakistan?
Forse è per questo che è strana, allora, e non per il motivo che pensavo io.
Ma stavolta non posso permettere che combinino il pasticcio di qualche mese fa. Lo devo dire a Marco, o comunque, dirgli di parlare con Anna.
 
Anna’s pov
 
La mia intenzione di andare con Cecchini alla fabbrica dolciaria (ma perché mi deve venire la nausea solo a pensarci? Perché?!) è stata posticipata da mia sorella, che mi sta chiamando, immagino, per il solito motivo.
Invito il maresciallo ad aspettarmi in strada, dandogli le spalle per rispondere al telefono.
Anna! Finalmente hai risposto! Ti ho chiamato per ricordarti, casomai lo dimenticassi, di dire a Marco che sei incinta,” esordisce lei, senza neanche salutarmi.
Certo, nonostante me lo abbia detto ieri, sentiva proprio la necessità di ribadirlo.
“Chiara... Ciao. Lo so che glielo devo dire, ma è una questione delicata... cambia la vita di entrambi. Voglio solo aspettare che Marco si riprenda, per poter affrontare la discussione con calma.” le spiego per la milionesima volta.
Lei, come al solito, non è convinta, lamentandosi per la fretta con cui la sto liquidando - peccato che io sia di turno al lavoro - ma cede e mi saluta, rimarcando la solfa di prima.
Tu già sei nervosa di tuo, ma la gente che hai intorno non ti aiuta proprio, eh.
Staccata la telefonata, mi giro per raggiungere Cecchini in piazza, solo per ritrovarmelo appoggiato alla vetrata del mio ufficio.
Oddio, non è che stava origliando?
“Maresciallo, tutto bene?” gli chiedo, tentando di celare il mio nervosismo.
“Sì sì, sono risalito a prendere il cappello, me lo ero dimenticato,” fa lui.
Io faccio finta di credergli e lascio correre, ma devo assicurarmi che non abbia origliato perché, conoscendolo, potrebbe aver capito qualsiasi cosa e fare danni.
Irreparabili. Indaga, Anna.
 
Rientrati dal sopralluogo, mi siedo nel mio ufficio per qualche minuto, nel tentativo di riprendermi.
Mi sento più stanca del solito oggi, e non vorrei aver davvero preso anche l’influenza.
Però non mi sento la febbre, non sembro avere nulla di diverso se non la stanchezza maggiore e il solito senso di nausea che si è acuito dopo la tappa alla fabbrica dolciaria.
Getto un’occhiata a Cecchini, oltre il vetro: sta parlottando al telefono con qualcuno.
Mi insospettisco, per cui mi alzo e vado a controllare che non stia combinando qualche casino dei suoi.
Infatti lui, appena mi vede, stacca la chiamata in faccia a chiunque ci fosse dall’altra parte del ricevitore. Questa cosa non mi piace.
Che starà combinando?
 
Marco’s pov
 
Cecchini mi ha chiesto di passare nel suo appartamento, di tanto in tanto, a controllare come stia Jimi, oltre a portarlo ai giardinetti a fare i suoi bisogni, “Già che sta a casa”. Certo, perché a casa ci sto per sport invece di andare al lavoro, no? Comunque, chi l’avrebbe mai detto, che un giorno mi sarei ritrovato a portare a spasso non solo il mio cane, ma pure un maiale? Patatino era decisamente confuso.
Rientrato in casa, ricevo una chiamata proprio dal maresciallo.
Giuro, se è per quel maiale, stavolta do di matto!
Ah, no, a quanto pare ho scoperto la funzione dell’animale: dovrà diventare un asado.
Poveraccio, però, diventare il piatto del Papa...
Poveraccio? Cinque minuti fa lo avresti voluto fare arrosto anche tu!
Bah, a quanto pare il Papa verrà in visita a Spoleto domenica, ma non è questa la parte importante della chiamata.
Cecchini ha intavolato uno strano discorso sul non ripetere gli errori del passato, perché le cose si possono risolvere col dialogo.
Non ho capito molto, ma di sicuro ho sentito benissimo che “deve parlare con Anna, che le deve dire una cosa importante”, e che “riguarda il lavoro”. Nient’altro, perché, come è prassi con lui, mi ha staccato la chiamata in faccia a metà del discorso.
Che mi deve dire Anna, di che lavoro si tratta? O forse Cecchini intendeva che deve dirmi qualcosa di lavoro, inerente al caso? Ma c’è Sara che se ne occupa, io cosa c’entro?
Forse sarebbe stato meglio se non mi avesse chiamato, perché oltre a non stare bene, adesso sono anche confuso.
E un po’ preoccupato.
 
Anna’s pov
 
Dopo una meticolosa ricerca con Zappavigna, abbiamo scoperto una probabile sospettata per il caso: la ragazza che Don Matteo ha investito stava scappando da qualcuno che l’ha ferita, e forse abbiamo scoperto l’identità della persona in questione.
Tornati in caserma, continuo con le indagini.
Sto interrogando la principale indiziata, con Sara.
La donna, la Dottoressa Montella, sembra essere sincera. Non sarà una santa, ma sta collaborando... e la storia dei certificati falsi, messa così, la capisco pure, ma riguardo al caso sembra non c’entrare nulla.
Per questo, la decisione di Sara mi sconvolge.
“Lei è in stato di fermo,” sentenzia, fredda.
Io poso il blocknotes e la penna, avvicinandomi a lei.
“Forse potrebbero bastare i domiciliari...” mormoro, cercando di farla ragionare. “Voglio dire, sta collaborando, e non mi sembra un’assassina.”
Lei però pronuncia una frase alquanto sibillina.
“Aveva ragione Marco, allora.” afferma, spiazzandomi.
“Aveva ragione su cosa?” chiedo confusa, senza capire dove vuole andare a parare. In che senso?
“Che ti fai coinvolgere emotivamente. Ma qui i fatti sono che lei è stata trovata sulla scena del crimine, e aveva un movente visto che la vittima la ricattava.”
Io non so cosa risponderle, ma non per i fatti o il resto.
Perché quand’è che Marco le avrebbe detto quelle cose di me? E soprattutto, da quando pensa che sia un tratto negativo?
Lui ha cambiato idea su questo aspetto da un sacco di tempo, ormai. Praticamente da subito.
Cioè, capisco che a Sara, che non mi conosce, potrei aver dato questa impressione: lo aveva pensato Marco, così come Cecchini e Tommasi. Ma io non mi faccio coinvolgere, valuto i fatti, la situazione e cerco di mettermi nei panni di chi ho davanti, e spesso si è rivelato un comportamento corretto.
Per un attimo rivedo in Sara il cinismo di Marco dei primi tempi, con quell’aria da “so-tutto-io” che non ammette un punto di vista diverso dal proprio. Siamo in una posizione di muro contro muro, io e Sara, esattamente com’è successo con Marco per i nostri primi casi.
I miei pensieri confusi sono interrotti dal telefono che squilla, e che mi dà una notizia che non avrei voluto ricevere: la versione della donna non è confermata.
Mi sento sprofondare.
Ha ragione Sara. Come ho potuto sbagliare giudizio sulla Montella? Non mi è mai capitato prima, ho sempre letto bene chi mi trovo davanti... gli occhi non mentono, e neppure i gesti. Certo, ci sta ancora nascondendo qualcosa, e forse Sara può anche avere ragione in parte, ma non per quello che pensa lei. E poi, io sto valutando i fatti, e oltre lei c’è di mezzo la vita di un bambino, separato da sua madre che vuole solo riaverlo indietro.
Per un attimo, la mia mano si posa istintivamente sul mio addome.
Non conosco ancora nulla della creatura che sta crescendo in me, sebbene sia ancora all’inizio di questo percorso, ma non riesco nemmeno a immaginare cosa possa provare una donna che si vede sottratto il proprio figlio in quel modo. Io non credo riuscirei a sopravvivere a una cosa del genere.
Non so ancora niente del mio bambino, il momento in cui potrò tenerlo tra le braccia è ancora lontano, ma l’idea che potrebbero portarmelo via mi strazia anche solo pensarla.
Sono costretta a chiamare Ghisoni per portare via l’indiziata.
Lancio un’occhiata di traverso a Sara: ha uno sguardo fiero, sì, ma velato di una strana malinconia. Mi dà di nuovo l’impressione che ci sia dietro molto di più di quel che appare, e che la storia stia toccando molto anche lei nonostante affermi il contrario. E non mi sto sbagliando, anzi, ne sono assolutamente certa, anche se non saprei spiegare il perché.
Lei fa per andar via, ma prima di uscire si rivolge di nuovo a me.
“Meglio non farsi coinvolgere,” mi avverte. “perché alla fine tutti mentono, o nascondono qualcosa.”
Le sue parole non sono che una conferma a ciò che penso. Non so a chi si stesse riferendo, ma Sara sembra celare una ferita profonda che vuole occultare a tutti, ma con me non riuscirebbe nemmeno volendo. L’ho intuito la prima sera che siamo uscite insieme, anche con Chiara, che c’è qualcosa che le fa male, toccando certi tasti. Non voglio pressarla, ovviamente, ma nessuno meglio di me sa come si nascondono i dubbi e le paure dietro una corazza rigida e impermeabile a tutto, almeno in apparenza.
 
Sara’s pov
 
Forse sono stata dura con Anna con il mio commento sul non lasciarsi coinvolgere dai casi.
Marco mi ha raccontato del suo approccio la sera del qui pro quo al bar, quando si era ubriacato e io lo avevo lasciato sfogare.
Aveva parlato di quando l’aveva conosciuta, dei primi giorni sul lavoro con lei. Ma, a parte quella sera, non gli ho mai più sentito dire che Anna si lasci coinvolgere, anzi, lui ha sempre sottolineato la sua bravura nel gestire le situazioni complesse, quando in tribunale analizziamo le carte prodotte dai casi che seguiamo in caserma. Io stessa ho avuto modo di rendermene conto: Anna ha un ottimo approccio alle indagini, un mix perfetto di empatia ed estraniazione che le permette di ottenere risultati brillanti in tempi rapidi. Lo dimostra anche il fatto che, a nemmeno 30 anni, sia già da tempo Capitano dei Carabinieri e che lo stesso comando generale le avesse offerto un incarico di caposcorta ad Islamabad.
Anche oggi, in questo caso, è stato evidente come Anna avesse empatizzato con la donna indagata per ottenere da lei le risposte che cercava, ma mi era sembrata troppo partecipe e per questo non avevo esitato a commentare, anche se non pensavo davvero quelle parole che le ho rivolto. Perché quella donna è comunque coinvolta in un traffico di minori ancora tutto da verificare, e vede anche un bambino separato dalla madre: ecco, questo aspetto non lascia indifferente neanche me, sebbene io stia cercando in tutti i modi di non darlo a vedere. Nessuno deve sapere. Per questo è stato più semplice alzare un muro anche con lei, piuttosto che lasciar trasparire altro.
Alla notizia dell’assenza dell’impalcatura sulla strada, leggo chiaramente lo sconforto negli occhi di Anna nello scoprire che si stava sbagliando. Per un attimo avevo avvertito l’istinto di consolarla, ma mi sono trattenuta, perché la Montella potrà anche non essere l’esecutrice materiale della sottrazione di minore o dell’aggressione, come Anna pensa, ma ha comunque la sua parte nella vicenda, e le prove sono più che sufficienti a incastrarla.
Mentre il brigadiere porta via la donna, rifletto per un attimo su cosa dire ad Anna, delusa di aver dato una valutazione errata. Opto per una sentenza di testa, come faccio sempre da quel giorno in cui la mia vita è cambiata, mettendola in guardia sul non lasciarsi coinvolgere, perché tutti alla fine mentono o nascondono qualcosa. Perfino chi ci ama.
 
Marco’s pov
 
Questo mercoledì mi è sembrato interminabile.
Però finalmente si vedono gli effetti delle medicine, mi sento già molto meglio.
Ho perfino preparato la cena stasera, anche perché la mia aiutante è stata molto convincente... Quindi adesso sono in cucina con Anna, e mentre io finisco di spezzettare le ultime verdure, lei si è seduta su una sedia, intenta a sbocconcellare una fetta di pane mentre mi racconta dell’interminabile telefonata di sua cugina che ha ricevuto nel pomeriggio.
Finiamo inevitabilmente per parlare del matrimonio di Elisabetta. Quella ragazza ha preparato tutto con un programma fitto fitto di roba, nemmeno fosse una convention.
Deformazione professionale, probabilmente, visto che che si occupa di organizzare eventi di quel genere.
Mi viene da ridere alla battuta del ‘grillo’, e Anna, giustamente, mi chiede perché.
Ahia, ti sei fatto beccare mentre non ascoltavi.
“Scusa, amore... mi sono distratto,” ammetto, e lei alza gli occhi al cielo con uno sbuffo.
“Vabbè, non era importante. Comunque, pensavo... noi?”
“Noi... cosa?”
Anna mi rivolge uno sguardo eloquente.
“Il nostro matrimonio. Per caso hai una data in mente, o...?” chiede, spiazzandomi un po’. In effetti, abbiamo toccato l’argomento diverse volte, collocando tutto in un ‘presto’ indefinito. Autunno, ma nient’altro.
Ergo, no, non ne ho idea, ma preferisco stuzzicarla piuttosto che negare.
“E tu?” ribatto quindi con un sorrisetto.
Lei spalanca gli occhi per un attimo, perché non si aspettava di ricevere in risposta un’altra domanda, prima di scoppiare a ridere entrambi.
“Forse sarebbe ora di ricominciare a programmare davvero...” affermo comunque, quando le risate si placano.
Lei annuisce, sovrappensiero.
“Chissà che brano ha scelto Elisabetta come primo ballo con suo marito...” mormora a un certo punto, più a se stessa che come una vera domanda per me.
So che è un argomento che le sta particolarmente a cuore.
Ne avevamo parlato a lungo, una sera, sui sedili allora malconci del Maggiolino, quando mi aveva confessato di aver sognato più volte il momento del primo ballo, al suo matrimonio. In ogni singolo sogno, era suo padre, a ballare con lei, anche quando stava con Giovanni succedeva sempre così. Mai il fidanzato o lo sposo... suo papà.
Poi, un giorno, era cambiato tutto.
Al posto di suo padre, in quei sogni, ero apparso io.
Anna mi aveva rivelato, qualche settimana prima del matrimonio che poi è saltato, di aver interpretato quel cambiamento come un segno del destino: non era mai riuscita a vedere prima il volto dello sposo perché nessun uomo era mai stato all’altezza di suo padre.
Nessuno, tranne me.
Il suo racconto mi aveva commosso, era stata la dichiarazione più bella che potessi sentirmi fare, e nel caso di Anna, vale ancora di più.
Perché essere considerato al pari di Carlo Olivieri è più che un onore. So quanto lei lo amasse, e lo ami ancora nonostante la recente scoperta che fosse lungi dall’essere l’uomo perfetto che lei aveva sempre creduto.
Ma in fondo, chi lo è? La perfezione non esiste, sarebbe monotona.
Meglio essere se stessi, pregi e difetti compresi.
Se si accettano entrambi, si ama davvero.
Di un amore folle, imperfetto e profondo come il nostro.
È in questo istante che decido di interrompere ciò che sto facendo.
Leggo la sorpresa negli occhi della mia fidanzata, mentre le prendo le mani e la trascino in mezzo al soggiorno, dopo aver fatto partire dal cellulare la nostra canzone.
Un ballo di prova prima del matrimonio serve.
Uno... meglio più di uno.
Uno per sera, come minimo.
Quando le ultime note di Anna e Marco sfumano, c’è ancora lei che ride perché, come il mio omonimo, io sembro un cavallo, a ballare.
La punzecchio insistendo che non è vero, e che semmai è lei che non sa i passi.
“E, a tal proposito, penso che potremmo allenarci più spesso, in vista del grande giorno, no?” suggerisco, e in tutta risposta Anna mi tira a sé per baciarmi.
Ehi, che irruenza... Continua pure, Anna, te ne prego.
Quando ci allontaniamo per riprendere fiato - negli ‘allenamenti’ dev’essere compreso anche questo! - decido di tentare di chiederle quella cosa che mi ronza in mente da stamattina, dalla strana telefonata di Cecchini. Non avevo toccato l’argomento finora perché Anna era presa dal raccontarmi di Elisabetta, ma adesso stiamo parlando di noi, del nostro matrimonio, e quelle frasi sconnesse del maresciallo mi hanno riportato a quella sera, alla telefonata dal Comando Generale, quando tutto è precipitato.
Inspiro a fondo.
“C’è una cosa che volevo domandarti...” esito. “Devi... devi per caso dirmi qualcosa... anche importante? Forse mi sbaglio, ma... ho avuto l’impressione che da qualche giorno tu voglia parlare di qualcosa, ma per un motivo o per un altro resta sempre tutto in sospeso...”
Anna mi rivolge uno sguardo incerto.
“Ecco... in real-”
Prima che possa completare la frase, qualcuno bussa alla porta, mentre lei scioglie l’abbraccio per correre improvvisamente in bagno, dopo essere sbiancata di colpo.
Sbaglio, o la tua fidanzata ci va un po’ troppo spesso, in bagno così di fretta? A vomitare?
Non ho tempo di rispondere al grillo, perché chiunque ci sia dall’altro lato della porta è parecchio insistente.
Ovviamente chi può essere...? Cecchini.
Cioè, fatemi capire: ha la copia delle chiavi e spesso e volentieri entra senza farsi problemi e senza preavviso anche nei momenti meno opportuni, e oggi improvvisamente bussa? Vai a capire.
Apro, leggermente infastidito per l’interruzione.
“‘Sera, maresciallo, ha bisogno di qualcosa?”
“No no, è che ho appena buttato la spazzatura, e quando salivo le scale ho sentito la musica venire dall’appartamento, quindi... tutto risolto, con Anna? Le ha detto del lavoro!” dice tutto d’un fiato quando vede che non è a portata d’orecchio.
“No, maresciallo, Anna non mi ha detto proprio niente.” nego, e lui fa una faccia delusa alla mia risposta, ma non si perde d’animo.
“Ma Lei deve insistere! Deve parlare con la Capitana, non deve ricommettere l’errore di qualche mese fa! La coppia ha bisogno di dialogo. Col dialogo si risolve tutto.” afferma, prima di andarsene senza darmi modo di replicare.
Ma perché rimarca sempre ‘sta cosa di non rifare lo stesso errore di ‘qualche mese fa’?
... non è che i dubbi che avevo oggi sono fondati, vero? Non mi starà mica nascondendo un’altra proposta di lavoro, o un trasferimento?
Bello! Stavolta dove si va? Sempre in Pakistan oppure cambiamo, Iran, Iraq magari?
Zitto, grillo. Non c’è niente da scherzare.
Non può essere così, non di nuovo.
Non di nuovo.
 
Anna’s pov
 
È giovedì mattina.
Sto andando a sentire il vedovo per cui la ragazza aggredita lavorava.
Mentre scendo dall’auto, Cecchini, che mi affianca, mi rivolge uno sguardo interessato.
“Ieri sera ho sentito musica venire da casa Sua... avete passato una bella serata, Lei e Nardi?” mi chiede, impicciandosi come al solito.
Per un attimo, sorrido ripensando al motivo della musica e al ballo con Marco, prima di ricordarmi della domanda che lui mi aveva fatto prima di dover correre in bagno.
Sarebbe stato il momento perfetto per dirglielo, e invece niente, posticipato di nuovo.
Non è colpa mia, e poi hanno anche bussato. Sempre Cecchini, tra l’altro, e non avrei potuto dirglielo lo stesso.
Sì, certo. Scuse.
Il maresciallo interrompe i miei pensieri per farmi un’altra domanda.
“E, al PM, quand’è che gli dice la verità?”
Mi sento invadere dal panico: e lui come lo sa?!
Non ho tempo di fare altro se non lanciargli uno sguardo sconcertato perché la porta di casa del vedovo si apre, e il lavoro ha di nuovo la meglio.
Fiùùù, salvata in corner. Ma se Cecchini l’ha scoperto, è pericoloso, lo sai, vero?
Eccome. Mi auguro che non sia stata mia madre a spifferare tutto - me l’ha promesso! - ma in ogni caso, devo essere io a dirlo a Marco. Non posso rischiare che sia il maresciallo a farlo al posto mio.
Al termine del colloqui, torniamo in caserma.
Qui, ricevo la chiamata di mia sorella, che mi impone di andare a fare shopping con lei, pomeriggio, per comprare i vestiti per il matrimonio di Elisabetta (io avevo tentato inutilmente di dirle che ne avrei indossato uno che già avevo, ma non ha voluto sentire ragione). Ormai manca poco: sabato finalmente questa tortura di avere mia cugina sempre in mezzo ai piedi finirà. Prima o poi mi farà ricoverare in qualche centro di igiene mentale, sicuro. Già mi viene l’ansia a pensare che stasera mi ha imposto di uscire con lei e il suo fidanzato per andare a prendere qualcosa e ‘parlare un po’’, come se negli ultimi giorni non l’avessimo fatto anche troppo. Marco è entusiasta quanto me all’idea, ma perlomeno avrò un supporto psicologico e pure fisico, visto che probabilmente mi dovrà trattenere dallo strozzarla sul serio, perché una vaga idea della conversazione che ci aspetta ce l’ho, e non mi piace.
Una volta terminato il mio turno di lavoro, passo da casa a cambiarmi prima di raggiungere Chiara direttamente al negozio in centro, che lei ha scelto perché a suo dire il migliore. Io mi fido.
Quando arrivo, lei è già lì ed è al settimo cielo. Ha già trovato l’abito perfetto per sé, e sono cinque minuti abbondanti che mi sta spiegando in dettaglio perché il vestito sia così adatto, prima di bloccarsi di botto.
“Oh. Ma io non ti ho nemmeno salutata, mi sa.”
Recupera immediatamente, stringendomi in un abbraccio che per poco non mi soffoca, perché, come accade ormai ogni volta che ci vediamo, il suo entusiasmo è tutto per il fatto che diventerà zia.
Ahia, ora ricomincia la ramanzina.
Appunto, eccola.
“Anna, devi assolutamente dire la verità a Marco! Non puoi rimandare per sempre, lo deve sapere! E io voglio essere libera di esprimere la mia felicità in merito.” esclama, gironzolando all’interno del negozio e spulciando tra i vari abiti per trovare quello che sta a me.
Io, al contrario, sono ferma nello stesso punto, lasciando fare a lei.
“Sì, Chiara, lo so, me l’avrai ripetuto almeno cinquecento volte, credo. Ma hai ragione, non posso posticipare ulteriormente. Ma glielo dico dopo il matrimonio, comunque...”
“Mhhh...” mormora lei, scrutando un abito che ha tirato fuori per osservarlo meglio. “Sì, beh, hai aspettato tanto, dirglielo dopo il matrimonio forse è la scelta migliore, in effetti...”
“Appunto. Ormai manca pochissimo, e poi Elisabetta è già insopportabile così, pensa se nel giorno del suo matrimonio dovessi involontariamente rubarle la scena dopo anni di imbattibilità...”
Mia sorella scoppia a ridere.
“Sì, beh, mamma a quel punto lo direbbe a tutti i parenti, credo, e finiresti per diventare tu il centro dell’attenzione. Tutti a chiedere a te della gravidanza invece che concentrarsi sulla sposa. Ti ammazza!”
“E io avrei in prospettiva di vivere un po’ più a lungo, ecco. Oltre al fatto che farei volentieri a meno delle domande ficcanaso di qualcuno. Finirebbero per chiedere se io e Marco siamo tornati insieme ‘solo’ per questo, e non mi pare né il giorno né affare altrui. Anche perché, tra tutte noi cugine, io sarò la prima a... ad avere un figlio,” mormoro, la voce che trema perché sembra ancora così strano, “mentre tutti in famiglia sono sempre stati convinti che, se e quando sarebbe successo, io sarei stata l’ultima. Ho sempre messo la carriera davanti a tutto, è anche comprensibile. Solo che, in ogni caso, non posso rischiare che sia Cecchini a dire tutto a Marco prima di me. Due giorni ancora riesco a tirare.”
“Ma non oltre,” mi avverte lei, che ha continuato nel frattempo a cercare. “Okay far passare il matrimonio di Elisabetta, ma dopo glielo dici. E per dopo intendo domenica mattina. Marco finisce che lo scopre da solo, perché non è che lo puoi nascondere per sempre, che sei incinta...” con un gesto eloquente indica il pancione, facendomi ridacchiare. “Tu non hai la scusa del burro francese come Assuntina, per i chili in più!”
Dopo una breve risata, nel silenzio che segue il nostro discorso, mia sorella caccia un urlo degno di quelli che fa mia madre facendomi sobbalzare, immersa com’ero nei miei pensieri.
“Eccolo, eccolo, eccolo! L’ho trovato, il vestito per te! È perfetto!”
Sai che sono d’accordo con Chiara, per una volta? Starai bene, bene, bene, bene, con quello.
Lo sguardo fiero di mia sorella indica che sa di aver fatto centro. Mi piace, e anche un sacco.
 
Cecchini’s pov
 
Ero in piazza a parlare del caso con Don Matteo, quando ho visto Anna uscire dalla caserma. In mattina ho origliato una telefonata in cui diceva a qualcuno di doversi incontrare pomeriggio in centro, che si sarebbero visti lì e che sarebbe prima passata a cambiarsi. Così, mi sono messo in moto per seguirla.
Non ho capito bene chi c’era dall’altro lato del telefono, ma probabilmente è la persona con cui deve parlare del lavoro.
Ma perché deve fare tutto di nascosto a Marco?
La destinazione, però, è un negozio di abbigliamento.
Che c’entrano i vestiti eleganti col lavoro?
Mi nascondo fuori dalla porta, in una posizione da cui riesco a sentire quello che stanno dicendo.
Il suo interlocutore mi è familiare... ma è sua sorella! Mi sistemo meglio, visto che lei sa tutto, per capirci di più.
“... assolutamente dire la verità a Marco! Non puoi rimandare per sempre, lo deve sapere! E io voglio essere libera di esprimere la mia felicità in merito.” le sento dire, e non posso che essere d’accordo. Brava Chiara! Ma felicità in merito a cosa? Che lavoro è?
“Sì, Chiara, lo so, me l’avrai ripetuto almeno cinquecento volte, credo. Ma hai ragione, non posso posticipare ulteriormente. Ma glielo dico dopo il matrimonio, comunque...” risponde la Capitana.
Fermi tutti: come, dopo il matrimonio? Ma se ancora non hanno stabilito nemmeno la data! Oppure si sposano in segreto?
Chiara sembra accettare la decisione di sua sorella, mentre io mi allontano dall’ingresso del negozio.
Devo parlare con Marco, e subito anche! Non posso permettere che rifacciano il danno dell’altra volta! Le sento continuare a parlottare ma non ci presto attenzione, indeciso se andare a dirlo a Nardi adesso o aspettare ancora.
Alla fine, la soluzione è una sola: se Anna non vuole dirgli la verità, lo faccio io!
 
Marco’s pov
 
Oggi mi sento decisamente meglio. Sto perfino uscendo con Anna per raggiungere sua cugina e il fidanzato per la serata che lei ha organizzato, probabilmente per recuperare il gossip mancato su noi due. Sa vita, morte e miracoli di chiunque, Elisabetta.
Chissà se anche lei sa del lavoro...
Dato che sembrano esserne a conoscenza tutti, tranne me.
Ancora fatico a crederci, a quello che mi ha detto Cecchini.
Ecco perché insisteva a dirmi di non fare lo stesso errore di ‘qualche mese fa’: Anna mi ha di nuovo nascosto di aver ricevuto una proposta di lavoro, ma addirittura stavolta vuole aspettare di sposarci, prima di dirmelo. E anche perché mi ha chiesto se avessi già una data in mente... Allora non mi sbagliavo, quella volta... Anna è sempre Anna, nel bene e nel male, e la sua divisa viene prima di tutto, anche di me. E le decisioni che riguardano la carriera le prende da sola. Il fatto è che io l’amo anche perché è fatta così, e non mi riesce più nemmeno di arrabbiarmi. Sono solo deluso, perché speravo che non ricapitasse, o comunque che mi avrebbe detto di aver già preso una decisione subito, senza attendere, così da trovare un modo per poter restare insieme lasciandola libera di perseguire la sua ambizione lavorativa. So benissimo che anche questa volta, passata la delusione, la seguirò ovunque perché sono pazzo di lei e non voglio rischiare di nuovo di perderla, ma voglio anche che me ne parli, per trovare insieme una soluzione.
So anche che stasera devo trattenermi, non è la serata adatta per affrontare l’argomento, visto che già l’idea di dover sottostare alle domande impertinenti di Elisabetta rende Anna nervosa, e ci dobbiamo andare piano, perché qualsiasi informazione di troppo, lei la sfrutterebbe per stamparci i manifesti in famiglia, per far sapere a tutti degli ennesimi problemi in Paradiso.
Quindi eccoci qui, seduti al tavolo del pub, con un bicchiere di birra davanti che Elisabetta ha deciso di ordinare per tutti, e per il momento la conversazione sta mantenendo toni abbastanza sobri. Io però ho ancora la mente concentrata sulla notizia che Anna non ha voluto condividere, e so che non dovrei, ma ho mandato giù un po’ troppa birra nel tentativo di distrarmi senza successo. Non sono ubriaco, sia chiaro: diciamo allegro con brio, per usare l’espressione tanto cara al mio vecchio insegnante di musica, e riesco a intercettare il cambio di atmosfera immediatamente.
Anna ha già assunto una posizione difensiva, perché Elisabetta ha appena chiesto quando e come siamo tornati insieme.
“No, perché da come mi aveva raccontato mia madre, avevate avuto un problema insormontabile ed era saltato tutto, a una settimana dal vostro matrimonio... addirittura lasciarvi...” ridacchia, scrutandoci con estrema curiosità.
Anna esita nel rispondere, perché in realtà non abbiamo reso noto il motivo della nostra fortunatamente temporanea separazione. O comunque non noi, perché a quanto sta dicendo Elisabetta, che ha ripreso a parlare, sa benissimo che è successo per via dell’incarico in Pakistan che avevano offerto alla mia fidanzata.
“E onestamente l’altra mattina, quando sono venuta a trovarti e ho visto Marco, sono rimasta molto sorpresa! Conoscendoti, ero sicura avresti dato priorità al tuo lavoro, e invece alla fine hai scelto l’amore. A dir poco inaspettato... no?” incalza.
Anna resta ancora una volta in silenzio, e decido di intervenire.
Oh, no no no. Marco, fermati, che di sicuro il cervello e la lingua non si sono consultati, non è una buona idea, n-
“Il fatto è che, a quanto pare, le notizie girano in fretta, nella famiglia Olivieri.” commento, una punta di sarcasmo nella voce. “Talmente in fretta che io non faccio in tempo a saperle per primo.”
Anna si volta a guardami, confusa.
Segno che è arrivato il momento di tacere. Zitto!
Elisabetta sembra pendere dalle mie labbra. “Ah sì?”
Marco, sei ancora in tempo! Silenzio!
Fisso la mia fidanzata a mia volta, e il tono che esce fuori è chiaramente provocatorio.
“In effetti sei diventata brava, a mantenere i segreti. Strano, perché prima non ti riusciva mai.”
Lei fa un’espressione offesa.
“Non ti seguo. Di che accidenti stai parlando?”
Sono pronto a ribattere quando Elisabetta ci interrompe, con un sorriso enorme stampato in faccia.
“Io, di certo, problemi a dire esattamente quello che penso non ne ho. Non ho segreti per nessuno! Quindi direi che possiamo fare un brindisi alla mia sincerità, no?” esclama, sollevando il bicchiere.
Egocentrica all’inverosimile, sempre a pensare a se stessa.
Difetto di famiglia, evidentemente.
Marco, SMETTILA IMMEDIATAMENTE. Se c’è un difetto che Anna non possiede, è proprio questo. Non ci credi nemmeno tu.
Quando prendo di malavoglia il mio bicchiere per il brindisi, noto che Anna il suo non l’ha minimamente toccato.
Pieno.
Anche sua cugina lo nota.
“Come mani non hai bevuto neanche un goccio?” chiede.
Anna, per tutta risposta, si alza.
“Brindate pure senza di me. Io me ne torno a casa. Ci vediamo sabato.” asserisce, dirigendosi a passo spedito verso la porta.
E ora che le è preso?
Ma veramente lo stai chiedendo? Stavate litigando fino a tre secondi fa, l’hai accusata di nasconderti cose... secondo te cosa può esserle preso? Ma soprattutto, perché accidenti sei ancora seduto e non le sei corso dietro?! MUOVITI!
 
Siamo ormai quasi arrivati sotto casa.
Ho dovuto correre per recuperare la distanza tra noi, e lei è palesemente arrabbiata.
Sta cercando nervosamente le chiavi di casa nella borsa senza degnarmi di uno sguardo, e dopo aver percorso tutto il tragitto di ritorno in furente silenzio.
Sei ancora stupito che si sia arrabbiata? Io te l’avevo detto, di chiudere il becco quando potevi!
La corsetta mi ha fatto smaltire quel minimo di sbornia che mi ero preso, ma lei nel frattempo ha trovato le chiavi e si sta avvicinando al portone, sempre senza calcolarmi.
Di punto in bianco però si volta verso di me.
“Ora posso sapere che ti è preso, al bar?” chiede, infastidita, il tono più alterato del normale.
Mi basta guardarla un istante negli occhi per rendermi conto appieno della ennesima stupidaggine che ho fatto: non volevo metterla in una posizione scomoda con Elisabetta, e ho fatto l’esatto contrario. Tutti i buoni propositi sono andati a farsi benedire, ma ormai abbiamo iniziato il famoso discorso, tanto vale portarlo a termine.
“So del lavoro, va bene? Me lo ha detto Cecchini, che ti ha sentita al telefono... E sono deluso dal fatto che per la seconda volta nel giro di pochi mesi, sono di nuovo venuto a saperlo da un altro, e non da te. Ecco che c’è.”
Lei mi rivolge uno sguardo sconcertato, prima di costringermi ad arretrare di un passo: è furiosa.
 
Anna’s pov
 
Non ci posso credere.
Cecchini ha di nuovo combinato un casino! E Marco che gli crede pure!
Ferma, ferma, ferma: Cecchini sapevamo che avrebbe fatto danni, ma tu di sicuro gli hai dato una gran mano per peggiorare le cose, eh.
Non mi sembra il momento di contraddirmi, dannata vocina!
E invece sì, e lo sai anche tu! Sono giorni che devi dirgli la verità, ma ogni volta trovavi una scusa per rimandare.
Beh, di sicuro adesso non lo posso fare più, ma non è certo così che avrei voluto che lo sapesse!
Con una rabbia che cresce ogni istante di più, mi rendo conto di aver alzato il tono almeno quanto ha fatto Marco.
“Non è come credi tu! Non avete capito niente, né Cecchini né tantomeno tu! Non c’è nessun maledetto lavoro che non ti ho detto!” strillo, esasperata.
“E allora perché tanto mistero? Perché tutti sembrano sapere di un segreto che io in teoria dovrei conoscere, e invece sono all’oscuro di tutto? Non ci siamo mai nascosti niente, Anna. Voglio la verità!” esclama. La voce alta di Marco ha probabilmente attirato l’attenzione del vicinato, a questo punto.
Contrariamente a quanto sarebbe stato istintivo per me fare, ovvero rispondere con lo stesso tono alterato, mi ritrovo ad abbassare lo sguardo.
“Sono incinta.” sussurro appena, senza guardarlo.
“Perdonami, ma non ho sentito niente. Se magari parli un po’ più forte, capisco.”
Io sollevo gli occhi, per incontrare i suoi.
“Sono incinta.”
Stavolta so che mi ha sentito forte e chiaro: la sua espressione cambia radicalmente in pochi attimi, e da infastidito, diventa sorpreso... e poi l’immagine della felicità.
E lo sapevi che sarebbe stato così, quindi perché hai aspettato tanto per dirglielo?
Dopo qualche istante passato ad assimilare la notizia fa per avvicinarsi, probabilmente per festeggiare con un bacio, ma io alzo le mani impedendogli di avanzare ancora.
“Quello che mi fa rabbia è che tu hai davvero pensato che sarei stata capace di fare quello che Cecchini ti ha suggerito. Cecchini, Marco, che capisce sempre male! Che ti avrei di nuovo nascosto una proposta di lavoro... soprattutto dopo quello che è successo qualche mese fa! Ho già commesso questo errore, e tu lo sai che non sarebbe mai ricapitato! Come hai fatto a credergli?”
Lui, saggiamente, non ribatte.
“Direi che, visto che hai più fiducia in quello che ti dice lui, che in me, una notte a casa di Cecchini ti farà senz’altro bene.”
Con questo, mi affretto a salire le scale, rientrando a casa e chiudendo lui fuori.
 
Cecchini’s pov
 
Venerdì mattina.
Sono in caserma, ad aspettare che arrivi Anna.
Ieri sera, quando sono rientrato dalla passeggiata con Jimi, mi sono ritrovato il PM seduto a terra accanto alla porta di casa, in attesa del mio rientro. Ha biascicato qualcosa di incomprensibile sul motivo per cui aveva bisogno di ospitalità per una notte. Ovviamente l’ho accolto subito, anche perché mi ero quasi abituato ad averlo a casa, in quei giorni di qualche mese fa, e nel mio appartamento per un po’ c’era stato un gran via vai, mentre ora è vuoto. Avere compagnia mi piace più che stare solo.
Certo, Marco non è stato granché di compagnia, onestamente, perché si è chiuso nella stanza che aveva occupato quella volta senza dirmi niente, e stamattina è uscito prima che io mi alzassi.
Ora, non è che mi servano tante conferme per intuire il motivo per cui me lo sono ritrovato di nuovo come coinquilino: è ovvio che lui e Anna hanno parlato del lavoro ed è andata a finire più o meno come l’altra volta. L’entità del danno però la posso capire solo chiedendo alla Capitana. Forse.
Dopo qualche minuto, lei arriva, e dopo un saluto generale alla caserma si fionda subito sul lavoro.
Tipico di quando i due piccioncini litigano.
La raggiungo in ufficio, e lei alza lo sguardo, perplessa.
“Mi dica, Maresciallo. Ci sono novità?” chiede.
Io decido di approfittarne, fingendo di non capire che sta alludendo al caso.
“Una sì... mi sono ritrovato a ospitare di nuovo il PM a casa mia. È successo qualcosa?”
Lei mi rivolge uno sguardo minaccioso.
“Parlavo del caso, Maresciallo. Le uniche novità che mi interessano riguardano il caso.”
Prima che io posso ribattere, Zappavigna bussa per comunicare di alcuni sviluppi, e quindi devo rimandare il mio tentativo di approfondire la questione. Ma non mi darò per vinto. Devono fare pace.
 
Anna’s pov
 
Il mattino seguente, dopo aver sviato il tentativo di Cecchini di impicciarsi ancora negli affari miei e del mio fidanzato, Zappavigna mi informa di nuovi sviluppi nelle indagini.
Visto che il caso lo sta seguendo Sara fin dall’inizio, abbiamo deciso che sarà lei ad occuparsene fino alla fine, anche se Marco si è ormai ripreso.
Ragion per cui sto interrogando, insieme a lei, un altro sospettato, che però ci fornisce informazioni lacunose che non stanno né in cielo né in terra, senza alcun senso logico.
Io osservo la Procuratrice mentre porta avanti l’interrogatorio, ed è come tornare indietro nel tempo, a quando ho conosciuto Marco. Ha lo stesso tipo di approccio che aveva lui, cinico, austero, e ogni parola pronunciata non ammette replica, nessuna possibilità di smentita anche se dovesse aver torto.
In questo vi assomigliate tutti e tre, eh.
Zittisco la vocina perché non è il momento, intervenendo nella questione perché ciò che l’uomo dice fa sempre più acqua da tutte le parti, per cui Sara dispone il fermo.
Quando Barba e Ghisoni lo portano via, mi rendo conto che, com’era tra me e Marco, con Sara la questione è uguale: la vediamo in modo diametralmente opposto e non sembrano esserci punti di contatto.
Io ne approfitto per chiederle la scarcerazione della Dottoressa Montella, visto lo stato delle indagini anche se Sara insiste che nasconda qualcosa. Anche io lo penso, così come il fatto che abbia sbagliato, però non per questo è necessariamente una potenziale assassina.
“Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori. Le persone possono cambiare.” le faccio notare, cautamente.
“Concetto interessante,” commenta lei, “anche se non sono d’accordo con te. Capisco che tu, come Marco, sosteniate questa possibilità, e in fondo è quello che state cercando di dimostrare con Sergio ed è ammirevole il vostro impegno, ma non va sempre così. La realtà, in genere, è ben diversa, soprattutto se si commettono sbagli di un certo tipo. Non tutti gli errori si possono perdonare.” afferma.
Nonostante ciò, acconsente al rilascio della Montella, cosa che suona molto come un contentino, perché il tono che ha usato sottintendeva che lo stesse facendo ‘a mio rischio e pericolo’.
Rimango da sola a pensare a ciò che Sara ha detto, mentre riprendo in mano le carte del caso.
E a proposito di impossibilità a perdonare e nascondere cose, se c’è qualcuno che lo sta facendo, tra gli altri, questa è lei.
Perché è sempre più evidente che Sara abbia un segreto, probabilmente la ferita di un dolore profondo, anche se non saprei dire cosa, né lei ha mai accennato apertamente a nulla di particolare. Non so niente del suo passato, né molto altro della sua vita al di fuori del lavoro. Vorrei davvero farle capire che su di me può contare, perché a questo servono gli amici, no? In lei, rivedo sempre di più il Marco dei primi tempi, quello che a sua volta nascondeva dentro di sé una ferita profonda, nascondendosi dietro la facciata da cinico PM. Come Sara in questo momento, come facevo io stessa. E per questo so bene che non starà mai meglio se non si libererà di quel peso, aprendosi con qualcuno. E quando succederà, anche lei si renderà conto che non fidarsi è bene, ma a volte fidarsi è anche meglio. Perché sì, è faticoso, e doloroso, ma ne può nascere qualcosa di veramente bello e importante, col tempo, e io, oggi più che mai, posso dimostrarlo.
La mia mano si posa istintivamente sul mio addome.
Al mio arrivo in caserma, stamattina, ho comunicato il mio stato ai miei superiori, così da poter ufficialmente essere esonerata da tutto ciò che potrebbe mettere in pericolo la mia creatura, quindi sono un po’ più tranquilla su questo fronte. E dovrò anche comunicarlo al resto della caserma... aiuto.
Comunque, procedo alla scarcerazione della Montella, e scendo giù in piazza dove, ad attendere la donna appena uscita di prigione, c’è la sua famiglia.
Osservo i suoi figli correrle incontro.
Che bello, essere mamma, vero? Non vedo l’ora di litigare con te per come ti occuperai di l-
Non incominciamo già da ora, vocina!
 
Marco’s pov
 
Sebbene io sia guarito, il caso lo seguirà Sara fino alla fine quindi, dopo essere stato in tribunale per portarmi avanti con altro lavoro, sono rientrato a casa. Per fortuna è un periodo più tranquillo.
Strano, perché in certi periodi Spoleto è peggio di Caracas!
Ho appena messo piede in appartamento, quando Cecchini mi chiama per chiedermi di far fare la passeggiata al maiale.
Sono appunto a passeggio con Jimi, quando noto Anna uscire dalla caserma.
Non ho ancora avuto modo di parlarle, dopo la scenata di ieri sera.
Ho fatto un casino, come al solito.
Per forza, dai sempre retta a Cecchini! Che ti aspettavi?
Non è vero!
Ti ricordo che hai un maiale al guinzaglio.
Ah, già. Va bene, grillo, è vero, ma comunque, per fortuna, il maresciallo stavolta ha capito male, perché la vera notizia che Anna doveva darmi è mille volte meglio di quella che mi aspettavo: diventerò papà!
Ho passato tutta la notte sveglio, alternando momenti di sconforto per aver dubitato di Anna e averla fatta arrabbiare, ad altri di gioia incontenibile per la novità.
È la cosa più bella che potesse dirmi.
Ottimo, hai la tua occasione per scusarti. Ti sta fissando.
Approfitto di Pippo, casualmente di passaggio, per mollargli Jimi e correre da Anna, che tiene le braccia incrociate ma non sembra arrabbiata.
Una volta davanti a lei, che mi osserva in attesa che io parli, non perdo tempo.
“Anna... scusami, scusami, scusami. Ho fatto un casino terribile, come al solito, e hai ragione, non avrei dovuto stare a sentire Cecchini, ma quando mi ha detto che c’era qualcosa che dovevi dirmi e che probabilmente si trattava di nuovo di una questione di lavoro, la mia mente è partita un’altra volta, convincendomi che tu potessi aver deciso di andartene a migliaia di chilometri da Spoleto mentre progettavamo il nostro matrimonio, e-”
Anna però mi interrompe, prendendomi le mani come quella sera in cui le ho detto per la prima volta di amarla, accennando un sorriso.
“Sono io a doverti chiedere scusa.”
Io la osservo, leggermente confuso. Lei dovrebbe scusarsi? Perché?
“Sappi che ammetterlo mi costa parecchio, quindi non ti azzardare a farmelo ripetere,” mi avverte, facendomi ridere, “ma ho sbagliato io. Avrei dovuto dirtelo prima, solo che sono successe mille cose, ogni volta rimandavo, poi Cecchini ha capito male, come al solito, e abbiamo finito per litigare per una cosa che invece è bellissima...” ammette, con gli occhi adesso lucidi. “Avremo un figlio, non l’avevamo previsto, ma sta succedendo e io... sono davvero felice, non so dirti nemmeno quanto... Anche se, onestamente, all’inizio avevo paura di dirtelo.”
Io le accarezzo il dorso delle mani con il pollice, commosso quanto lei.
“Non avevi motivo di avere paura. Dopotutto, l’hai detto tu stessa, che sarei stato un padre fantastico, no? Anzi, non sarei... sarò!” esclamo, facendola ridere, stavolta di cuore.
So cosa intendeva senza bisogno di ulteriori spiegazioni: la nostra vita cambierà per sempre, la strada che stiamo percorrendo insieme ha preso una svolta inaspettata, e per una come Anna, che ha sempre bisogno di tenere tutto sotto controllo, è stato un salto nel vuoto.
Ma non è sola. Ci sono io, con lei, e non vedo l’ora.
La bacio, catturando il suo sorriso sulle mie labbra.
Sembra un momento da film.
E, come ogni film che si rispetti, arriva l’interruzione: un colpetto di tosse alle nostre spalle ci riporta alla realtà.
Sara, con un sorrisetto divertito, fa cenno ad Anna di rientrare, scusandosi per averci disturbati.
Anna, con le guance in fiamme e lo sguardo imbarazzato per essere stata sorpresa in un momento così intimo, in divisa, davanti alla caserma, mi saluta in fretta per raggiungere la Procuratrice.
Ogni volta che fa così, ti innamori nuovamente di lei. Le farfalle nel tuo stomaco hanno ripreso a sbattere le ali, le senti?
Ti assicuro che è una sensazione bellissima.
 
Anna’s pov
 
Sono rientrata in caserma dopo aver parlato con Marco e risolto la lite di ieri sera. Per il momento ci siamo fatti bastare quella breve conversazione e un bacio, ma più tardi, a casa, potremo finalmente affrontare il discorso come si deve.
E dire che sono al settimo cielo è poco, perché finalmente lui lo sa, posso condividere davvero la mia felicità con lui. Mi sento più libera, come se mi fossi tolta realmente un peso di dosso.
Ahhh, non vedo l’ora che cominciate a parlare del vostro bebè!
“Ehm, Anna...” mi richiama all’ordine Sara, facendomi arrossire di nuovo. “Il telefono sta squillando. Capisco che, dopo quel bacio, tu abbia la testa altrove, ma quel genere di ‘conversazione’ vi conviene continuarla in separata sede...” ridacchia, in un’allusione molto poco velata che le fa guadagnare un buffetto sul braccio.
Rispondo al telefono, e mi comunicano che la ragazza si è svegliata.
Rintracciato Cecchini, vado con lui in ospedale per parlarle, e scopriamo che lei era riuscita a ricongiungersi col figlio, Yuri. Il piccolo doveva essere affidato a sua cugina, ma prima che potesse farlo, glielo avevano rapito. E l’autrice sarebbe, a suo dire, la Montella.
Come immaginavo, al mio rientro in caserma, mi aspetta la ramanzina di Sara, perché lei me l’aveva detto, di non fidarmi, e ho sbagliato. Per giunta, la Montella sembra essere sparita. Mi assumo tutte le responsabilità del caso, anche se Zappavigna tenta di aiutarmi cercando di dare spiegazioni alla Procuratrice. Io però glielo impedisco, perché non voglio che cerchi di arginare un mio errore: le spiego che secondo me, la donna ha agito con l’aiuto di un complice e lei mi dice di provare a rimediare, prima di andare via.
Do ordine all’appuntato di diramare le foto segnaletiche della Montella e del piccolo Yuri, poi resto sola in ufficio.
Mi è sembrato di tornare all’agosto di quasi tre anni fa, quando Cecchini si fece sfuggire Remo Farina, il papà di Cosimo. Quella volta, mi ero assunta la colpa per proteggerlo, mentre in questo caso l’errore l’ho commesso io in prima persona. In entrambi i casi, però, i PM sono andati via arrabbiati e, in parte, delusi. So bene che Sara, come Marco, crede che io sia un ottimo Capitano, che non è da me commettere sbagli tanto superficiali, ma lei è anche convinta di avere ragione a pensare che le persone non cambino.
In effetti, in tutte e due le situazioni, si è trattato di dare fiducia a due ‘delinquenti’.
Spero comunque che, come avvenne in quell’agosto tanto importante nei miei ricordi, anche in questo fine aprile, il colpevole torni sui propri passi, comprendendo cosa è davvero importante nella vita.
 
Marco’s pov
 
Sono a casa, intento a prepararmi uno spuntino.
Poco dopo pranzo, Anna mi ha chiamato per dirmi che sua madre e sua sorella sono tornate a Spoleto per il matrimonio di sua cugina, che sarà domani, e visto quanto successo, forse sarebbe meglio fare una cena tutti insieme, stasera, per far schiarire le idee al Maresciallo sull’intera vicenda. Lui è ancora convinto che si tratti di una questione di lavoro, e non fa che riempire entrambi di domane per sapere di più. Accetto volentieri l’idea della mia fidanzata, accordandomi di preparare tutto con lei più tardi.
Sto per addentare la mia bruschetta quando il campanello suona.
Ines.
Stavo proprio pensando alla notizia da dare al Cecchini, immaginando già il giorno in cui ci sarà davvero un bimbo o una bimba in giro per casa, e si è materializzato di nuovo quello scricciolo che mi ha fatto rendere conto quanto desiderassi essere padre.
Coincidenze fantastiche e dove trovarle.
“Oh, ciao!” la saluto, immaginando il motivo della sua visita. “Se sei venuta qui per Jimi, mi dispiace, non c’è più perché Pippo se l’è perso.” la informo, dispiaciuto.
“Lo so,” mi dice però lei, “sono venuta a trovare te, volevo sapere come stai.”
“Adesso molto bene,” le rispondo, ma il suo sguardo furbetto mi fa capire che c’è dell’altro.
E infatti...
“Ti devo dire una cosa.”
Mi conduce in strada, e scopro che... Jimi ce l’hanno lei e il suo amichetto.
E vogliono il mio aiuto per nasconderlo, per impedire che diventi un asado.
Accetto volentieri, avviando l’operazione ‘Salviamo il suino Jimi’!
Trovo il posto perfetto, così lasciamo lì il maialino.
Ines è al settimo cielo.
“Credo che il mio papà era come te,” mi dice, facendomi stringere il cuore al pensiero che Sergio stia rinunciando a tutto questo. “certo, non con questi capelli.”
“Che scema!” le dico ridendo, e ricambiando il suo abbraccio.
La sua frase mi ha scaldato il cuore. Il fatto che, nella sua innocenza di bambina, ha detto che vorrebbe suo padre mi assomigliasse, mi ha illuminato dentro con una gioia che non riesco a descrivere. E la felicità all’idea che non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui una scena simile potrò viverla con il figlio che io e Anna aspettiamo, viene troppo in fretta soppiantata dal timore di dover dire ad Ines che suo padre non è morto come crede, anzi, è più vicino di quanto immagini e dovrà conoscerlo?
 
Dopo aver riaccompagnato a casa il suo amichetto, porto anche lei in canonica dove troviamo un Cecchini disperato per la perdita di Jimi, ma scopriamo che Pippo, per rimediare, ha comprato un altro maialino e un porcellino d’India, che Ines chiede di poter tenere.
“‘n’altro...” mi viene istintivo commentare, ben consapevole che mi chiamerà in causa anche stavolta, ma non mi dispiace.
In compenso, convinciamo Cecchini a optare per un menù vegetariano, con grande gioia della bimba.
A un certo punto, il Maresciallo mi ricorda che tra un po’ ha una certa cena... a casa mia.
Oddio, me n’ero dimenticato!
Saluto in fretta tutti per poi correre a casa, dove trovo Anna, già ai fornelli, che al mio arrivo mi accoglie a braccia incrociate, indicando poi l’orologio appeso al muro.
Vabbè, qualcosa mi dice che un modo per farti perdonare lo trovi.
 
Anna’s pov
 
La cena è ormai pronta, la tavola apparecchiata, e all’appello manca solo il Maresciallo.
Mia madre non fa altro che sorridere, abbracciarmi e sospirare che finalmente non dovrà più tenere il segreto con il suo biscottino.
Mia sorella fa una faccia schifata simulando un conato di vomito al nomignolo mentre io e Marco ridiamo. Nemmeno lei si è ancora abituata all’idea.
Cecchini finalmente ci raggiunge. Adesso ci siamo tutti.
Dopo aver servito l’ultimo piatto, Marco si siede accanto a me con un sorriso entusiasta.
Abbiamo parlato del bimbo in arrivo per tutto il tempo in cui abbiamo cucinato.
E avete già iniziato a battibeccare. A-D-O-R-O!
Per forza... Marco ha già cominciato a dire che devo lavorare meno, che devo stare attenta, prendermi più cura di me, non affaticarmi ecc ecc..., col risultato di rendermi solo più nervosa. Lo so già cosa posso o non posso fare, non c’è bisogno che me lo si imponga! In ogni caso, sono stati assolutamente più consistenti i momenti belli, e la consapevole felicità di questa nuova avventura che ci attende.
A dire la verità, sarei rimasta volentieri a parlare solo di quello per tutta la sera con Marco, ma ci sarà tempo e modo.
Ora non resta che farlo sapere anche al Maresciallo, anche se una bella ramanzina per il vizio di origliare non gliela leva nessuno.
La cena scorre tranquilla, senza che nessuno di noi faccia esplicito riferimento alla gravidanza, ma accennando spesso a questa ‘bella novità’ che sta mandando fuori di testa Cecchini, sempre più confuso sul perché siamo tutti euforici per quello che lui crede essere un lavoro chissà dove.
Dopo un cenno d’intesa con Marco, che non sa più come trattenersi dal ridere nel vedere il Maresciallo in quello stato autoinflitto, decido che è giunto il momento.
Mi alzo, affermando che c’è una cosa che devo comunicare, facendolo sbiancare.
Vado a prendere la foto appoggiata alla libreria, ancora nella cornice rotta, prima di tornare al tavolo e rievocare per un istante i ricordi legati ad essa, e quanto fossimo felici quel giorno.
Dai Anna, sii buona! Se non dici la verità in fretta, a quel pover’uomo prende un infarto.
“Oltre a questo,” spiego quindi, “mi è tornato in mente un momento simile, di qualche anno fa: stavo fissando una foto che mi aveva mostrato Giovanni, chiedendomi se mi ricordassi del giorno immortalato. Io avevo risposto di sì... e qualcuno, da dietro la porta, aveva capito che avessi accettato una proposta di matrimonio.” racconto, prendendo posto in piedi accanto allo stesso Cecchini, visibilmente preoccupato perché ha già capito che è in arrivo una strigliata delle mie.
Mi giro verso di lui, abbassandomi per poterlo fissare meglio negli occhi, ripetendogli le stesse parole di quella volta nel mio ufficio.
“Lei la deve smettere di origliare!” affermo, puntandogli un dito contro.
Lui alza le mani.
“Involontariamente...” mormora.
Come allora...!
E io, per riprendere appieno il déjà-vu, rispondo auto-citandomi ancora.
“E involontariamente ha capito male... di nuovo.” gli dico, accennando poi un sorrisetto. “Perché la notizia che dovevo dare a Marco non riguardava affatto un lavoro.”
Il Maresciallo a questo punto non ci sta capendo più niente. Chiara e Marco non sanno più come trattenersi dal ridere da cinque minuti buoni, mentre mia madre, con gli occhi lucidi, mi esorta a confessare.
Torno con l’attenzione a Cecchini, stavolta con un sorriso vero.
“Gli altri lo sanno già... Sono incinta.”
Cecchini, alle mie parole, resta paralizzato.
Siamo tutti pronti a intervenire, perché solitamente queste scene preludono ai suoi svenimenti.
Invece, lui ci sorprende, alzandosi dalla sedia per stringermi in un abbraccio che quasi mi toglie il fiato.
Ricambio la sua stretta, felice, mentre mamma prende la mano di Chiara, entrambe ormai in lacrime, e Marco si avvicina a noi due.
Quando sciogliamo l’abbraccio, Cecchini si volta verso mia mamma con un sorriso, solo che io non ho ancora finito.
“Sono contenta di vedere che è felice di sapere che diventerà nonno per la quarta volta...”
Lui torna a fissarmi con gli occhi spalancati, rendendosi conto dopo qualche istante dell’implicito riconoscimento quale figura paterna per me.
Torna ad abbracciarmi forte, commosso, prima di rivolgersi a Marco, scusandosi per l’ennesimo casino provocato.
“Non sono arrabbiato con Lei,” nega però il mio fidanzato. “So che l’aveva fatto per il nostro bene... e comunque una notizia c’era, decisamente migliore di quella che avevamo sospettato.”
Il maresciallo annuisce, prima di farci i suoi auguri.
Marco, allora, per la gioia di tutti, mi bacia, scatenando un brindisi per il nuovo imminente arrivo in famiglia.
 
Marco’s pov
 
Sabato.
Io e Anna ci siamo alzati più tardi, stamattina, visto che nel pomeriggio ci sarà finalmente il matrimonio di Elisabetta.
Lei non vede l’ora che passi l’impiccio di oggi.
Adesso è in camera da letto, mentre battibecca con Chiara sulle scarpe, più basse, che ha optato per mettere. Sua sorella non è d’accordo, mentre la mia fidanzata le sta (im)pazientemente spiegando che quelle alte non può indossarle per ovvi motivi.
Io sono in soggiorno, con Elisa già pronta e vestita di tutto punto che mi fissa mentre litigo col nodo della cravatta, che continua a venirmi storto.
Mia suocera nota il mio malumore, e al terzo tentativo fallito, mi si avvicina.
“Hai bisogno d’aiuto, caro?” chiede.
Io accetto, sconsolato.
“Prima o poi mi sarebbe riuscito, ma se insiste...”
La lascio fare, mentre lei sbuffa.
“È la stessa cosa che diceva mio marito Carlo. Il nodo alla cravatta non gli veniva mai bene, e alla fine doveva sempre chiedere aiuto, anche se insisteva che non ce ne fosse bisogno e avesse accettato solo per non indispormi.”
Ti ha sgamato in una frazione di secondo!!
La ringrazio, ma lei minimizza con un cenno della mano.
“Per così poco...” Mi rivolge uno sguardo affettuoso prima di continuare. “Sono proprio felice, sai... è vero, avevo sempre desiderato avere dei nipotini, ma sapevo che avrei dovuto attendere il momento giusto. E soprattutto, che la persona giusta arrivasse nella vita di Anna. Sono felice che ci sia tu, al suo fianco. So che l’ho già detto altre volte e non faccio che ripetermi, ma è la verità. Tu ed Anna siete fatti per stare insieme, e sono certa che sarete degli ottimi genitori. Lo so perché anche io e il mio Carlo eravamo come voi: opposti in tutto, ma ci completavamo, e siamo riusciti a tirare su due magnifiche bambine. Almeno, finché lui c’è stato...”
Io le rivolgo un sorriso grato. “Mi sembra Lei abbia fatto un ottimo lavoro anche da sola... e io non posso che esserle riconoscente per aver portato, in modi e tempi diversi, Anna nella mia vita, ma anche Chiara. Non avrei potuto desiderare di più.”
Elisa mi abbraccia di slancio, e quando si allontana noto che ha gli occhi lucidi.
Proprio in quel momento, Anna e Chiara riemergono dalla camera da letto.
“Ta-daaan!” esclama Chiara, indicando la sorella: aveva insistito a non farmi vedere il vestito che l’aveva convinta a comprare, dicendo che dovesse essere una sorpresa. “Come stiamo?” chiede poi, beccandosi un’occhiata imbarazzata da parte di Anna.
“Bellissime!” esclama orgogliosa Elisa, e io non potrei essere d’accordo mentre bacio la mia fidanzata, ignorando le proteste di Chiara perché rischio di rovinarle il trucco.
 
Il matrimonio è andato bene, tutto si è svolto in maniera tranquilla.
Elisabetta è stata il centro dell’attenzione come lei - e tutti gli altri, per il bene comune - desiderava.
Al lancio del bouquet, ha letteralmente trascinato Anna e Chiara al centro della sala ignorando le loro proteste.
Ironia della sorte, il mazzolino di fiori è finito dritto dritto tra le mani della mia fidanzata. Chiara non ha nemmeno provato a prenderlo, affermando che “Non troverò mai un panda abbastanza in fretta da poter trasformare la leggenda del bouquet in realtà”.
Che cavolo vuol dire secondo te?
Io non ne ho idea, grillo, ma Anna evidentemente ha capito, perché sta ridendo da cinque minuti.
Okay, forse è meglio non saperlo.
 
Il ricevimento è stato piuttosto lungo, ed è abbastanza tardi quando rientriamo. Elisa e Chiara sono venute per conto loro, per cui adesso io e Anna siamo da soli a bordo del Maggiolino: ormai la sorpresa legata all’auto è saltata, e abbiamo deciso che non ci fosse motivo di attendere a utilizzarla.
Sulla strada di ritorno, ci siamo fermati su un promontorio con una vista splendida su Trevi per ammirare le stelle e goderci qualche istante solo per noi due.
 
Anna’s pov
 
Sono appoggiata al cofano del mio adorato Maggiolino insieme a Marco, le mie scarpe gettate di lato.
Sto appunto commentando come Sergio abbia fatto un ottimo lavoro di restauro.
“Devo dire che se ‘La Cava’ bene con i lavori manuali,” affermo, ridacchiando alla mia stessa battuta. Sì, Marco ha una pessima influenza su di me.
Quando non lo sento replicare, però, alzo lo sguardo verso di lui, accorgendomi che mi sta fissando con aria gelosa.
“Intendi dire che io sono invece un disastro, con i lavori manuali?” chiede, piccato.
Alzo gli occhi al cielo.
“Ma è mai possibile che ogni volta che nomino Sergio fai il geloso? Anche perché, è vero che sei un disastro in quel tipo di cose, sono più brava io.” affermo.
“Ah sì?” è la pronta replica di Marco che, dopo uno sguardo che non promette niente di buono, inizia a farmi il solletico.
“Basta, basta, smettila!” lo prego, con le lacrime agli occhi per le risate.
Lui per fortuna accoglie la mia richiesta, interrompendo il solletico per baciarmi.
Mi godo il momento, scambiando poi uno sguardo sognante con Marco quando si scosta.
“Comunque ero seria, prima,” gli dico, dopo qualche istante. “Non c’è bisogno che tu faccia il geloso. Dopotutto, chi se la accolla, una donna incinta?” scherzo, ottenendo una risata in risposta: ha ovviamente capito il rimando a quando, all’inizio della nostra conoscenza, il Maresciallo lo aveva convinto che io aspettassi un bambino da Giovanni e lui, pur intuendo in quale casino si stesse cacciando, aveva comunque accettato di ‘starmi più vicino’, come gli aveva suggerito Cecchini. Mi aveva raccontato tutta la storia, la mattina dopo davanti alla caserma, e proprio quel momento aveva cambiato tutto, per noi due.
Quando la sua risata si spegne, appoggio le mani sul suo petto, rivolgendogli un’occhiata maliziosa.
“Non c’è pericolo che io guardi altri, sai,” mormoro, “e non solo perché sono incinta di tuo figlio... Io amo solo e soltanto il mio panda ottimizzatore di energie.
Lui fa per chiedermi, confuso, cosa significhi di nuovo questa storia del panda, ma io non glielo permetto, tirandolo verso di me per baciarlo ancora una volta.
 
Cecchini’s pov
 
È domenica mattina, e finalmente oggi pomeriggio arriva il Papa.
Io sono ancora euforico per il nuovo bimbo in arrivo, e sommato alla visita del Santo Padre, sono su di giri.
Marco si sta lamentando sul perché io lo abbia buttato giù dal letto tanto presto, visto che ieri è rientrato tardi dal matrimonio, ma io insisto che ci sono gli ultimi dettagli da completare e che lui mi deve aiutare. Mi chiede che cosa c’entra lui con questa cosa, ma io lo ignoro e proseguo.
Una volta in piazza, gli chiedo se davvero il Papa apprezzerà il menù vegetariano, prima di ammettere che Jimi mi manca, e che non lo avrei davvero fatto arrosto.
Nel frattempo, si materializzano accanto a noi Anna e la piccola Ines che le stringe la mano, con la bimba che ha qualcosa da dirmi.
Mi portano allora a un piccolo recinto, dove Jimi vive già da qualche giorno a questa parte: Ines ha chiesto aiuto al PM per nasconderlo e salvarlo, e io tento di dire che in realtà lo avevo capito.
La loro risata mi dimostra che non mi credono, e hanno ragione.
Mi complimento con la bambina per il gran lavoro da diavoletto che ha fatto, prima di dare a Jimi la mela che lei mi porge.
Quando mi giro, vedo Marco che nel frattempo ha preso Ines in braccio, mentre la piccola stringe la mano di Anna che si congratula con lei per aver ‘salvato il soldato Jimi’.
Sorrido.
Sono proprio belli, tutti e tre insieme.
Anna e Marco saranno dei bravi genitori, non ho dubbi.
Spero che anche Ines, prima o dopo, possa essere felice e avere l’affetto che sta ricevendo adesso anche dal suo vero padre.
 
Anna’s pov
 
Sono le 10 quando rientro con Marco in caserma, perché non abbiamo ancora trovato la Montella e io non sono riuscita a venire a capo della situazione.
Lui mi chiede se può essermi d’aiuto, vedendo la mia espressione preoccupata.
Gli racconto del caso, per poi chiedergli, con voce incerta, se pensa che io abbia sbagliato a lasciarmi coinvolgere troppo dal caso, come sostiene Sara.
Marco mi prende una mano tra le sue.
“Non penso sia questo il problema che vi ha portate a scontrarvi sul caso. Forse, questa storia, non coinvolge solo te...” mormora, facendomi capire che anche lui ha intuito che Sara nasconda qualcosa. “Rivedo molto del ‘vecchio me’ in lei, riconosco gli atteggiamenti, e sono sicuro che anche tu l’hai notato,” afferma, facendomi sorridere.
Certo che come vi capite voi due, nessuno.
Lui però non ha ancora terminato il suo discorso.
“Sono certo che Sara avrà bisogno di sfogarsi prima o poi, e credo fermamente che, quando succederà, ci sarai tu ad ascoltarla, perché avrai capito quale sia il problema, come sempre. Sei sempre stata brava sotto questo aspetto, sul lavoro come nella vita privata.”
Io gli lascio un leggero bacio sulle labbra.
“Grazie,” mormoro. “Ma sai, visti i tuoi ultimi discorsi profondi, forse sarai tu a capire cosa stia nascondendo Sara...”
“Forse...” concede. “Ma se sarà il caso, è solo perché tu mi hai reso capace di farlo.”
Il nostro momento romantico e molto intimo viene interrotto dall’arrivo della Dottoressa Montella, venuta in caserma per costituirsi e collaborare.
Come Farina.
Con il solito aiuto non richiesto di Don Matteo, veniamo a capo del caso.
La deposizione della Montella mi ha scossa parecchio, e so che una volta riferita la storia a Sara, anche su di lei ha avuto lo stesso effetto. Mentre i miei uomini portano via il colpevole dell’aggressione alla ragazza, io e Sara ci confrontiamo su cosa fare quando ritroveremo il bambino.
So che ha ragione nel dire che per la madre non sarà facile ottenere la custodia del figlio, ma io cerco di farle capire che quella ragazza ha già espiato abbastanza le sue colpe e non merita di finire in prigione.
Sara commenta che non riesco proprio a non farmi coinvolgere, ma stavolta sorride.
“Sono d’accordo con te, comunque. Hai qualche proposta in merito?” mi chiede, facendomi capire che è pace fatta.
Le suggerisco la casa famiglia di cui si occupa Suor Maria, e lei accetta.
Proprio in quel momento, squilla il telefono: il bambino è stato ritrovato.
Ci rechiamo personalmente a prenderlo, ricongiungendolo poi con la sua mamma. La storia non avrebbe potuto concludersi meglio di così.
Torniamo in piazza il prima possibile, ricordandoci in ritardo dell’arrivo del Papa.
Una volta sul posto, del Santo Padre non c’è traccia: Don Matteo ci spiega quindi che di fatto da Spoleto è passato durante la notte e poi è andato via, lasciando però un messaggio registrato affinché tutti potessero ascoltare le sue parole.
Il discorso termina tra gli applausi di tutti, con la banda che inizia a suonare.
Marco raggiunge me e Sara non appena può con un gran sorriso stampato in volto, capendo che abbiamo risolto il diverbio.
Lei ci saluta prima di andare via, e io ne approfitto per baciare il mio fidanzato.
Osserviamo quanto sta accadendo sul palco, scoppiando a ridere nel vedere Natalina saltellare su di giri con Ines che si diverte, felice della festa.
Marco è alle mie spalle, e mi sta abbracciando da dietro, con la mia nuca appoggiata al suo petto e le sue mani che accarezzano lievi il mio addome ancora piatto, ma in cui sta crescendo una nuova vita, il frutto del nostro amore.
“Ho visto Sergio tra la folla, prima,” mi sussurra lui a un certo punto. “Non so se abbia sentito tutto il discorso del Papa, ma di certo non ha smesso un attimo di fissare Ines.”
Io appoggio le mani sulle sue, intrecciando le nostre dita, mentre lui continua.
“Sono convinto che Sergio, col giusto tempo, capirà che diventare, o essere, padre è una cosa bellissima. Dopotutto, l’ho capito perfino io! E non vedo l’ora di poter conoscere il nostro bambino. O bambina... chi lo sa!”
 
Ciao a tutti!
Eccoci, finalmente Marco ha saputo la novità, che non si aspettava: diventerà papà!
Anna ha avuto un po’ di difficoltà a dirglielo, complice il vizio di Cecchini di impicciarsi, al solito, ed Elisabetta non è che sia stata molto più utile alla causa, ma ce l’abbiamo fatta!
E adesso, che succederà? Ci sono ancora tanti risvolti, dopotutto siamo solo a metà ‘stagione’... Diteci le vostre supposizioni in merito!
Una info importante: il link alle storie, da adesso in poi, lo troverete anche sulla pagina Instagram “nardolivieri_”, oltre che sui soliti profili Twitter e anche su Wattpad.
Ah, per le parti di Cecchini, gli errori grammaticali sono voluti: non parla sempre in italiano corretto, quindi ho cercato di rendere il suo modo di esprimersi il più possibile simile, ma senza eccedere. Troppi errori (voluti o meno) di tempi verbali mi urtavano. xD
Come sempre, grazie da parte mia e di Martina!
A giovedì (si spera),
 
Mari

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Capitolo 6
*** Non commettere adulterio ***


Non commettere adulterio
 
Sara’s pov
 
È venerdì pomeriggio.
Sto rientrando a casa dopo una giornata lunghissima in tribunale. Spoleto è una cittadina tranquilla, ma in alcuni periodi sembra che i peggiori delinquenti del mondo si riuniscano qui per fare convention.
Le carte dei vari casi si sono ammucchiate sulla mia scrivania senza che riuscissi a star loro dietro, ma non chiederei mai aiuto. Guai: io sono Sara Santonastasi, Procuratrice Capo, e se sono arrivata a svolgere il mio lavoro, è perché me lo sono guadagnata, me lo sono conquistata con le unghie e con i denti, e chiedere aiuto non rientra nei piani di una donna in carriera come me, dove un solo passo falso può costare tutto. Ho sacrificato ogni cosa per essere qui, obbligandomi a vivere la vita con più leggerezza, dopo una storia importante finita malissimo.
La cosa peggiore? Che quel finale terribile non è nemmeno stato colpa mia. Magari avessi potuto controllare gli eventi, e rimediare. Avrei dato qualsiasi cosa per mutare il destino, allora come oggi.
Prima di rientrare a casa, sono passata dal parco: sono nascosta dietro un albero, intenta a osservare una famiglia giocare felice. Ci sono una donna, un uomo e una bambina bionda. Quell’uomo, io lo conosco bene: è il mio ex marito. La nostra storia è finita da molti anni, ormai, lo dimostra anche il fatto che sua figlia sia già così ‘grande’.
Sto scattando loro delle foto, e può sembrare un atteggiamento da stalker, lo so, ma in realtà sono immagini che tengo per me, senza nessun altro fine se non vedere crescere quella bambina, immaginando come potrebbe essere se, al posto della sua compagna, ci fossi ancora io.
Chissà cosa si prova, ad essere davvero madre.
Sentire dentro quell’esserino crescere, sapendo che un giorno non troppo lontano potrò tenerlo per mano, da stringere, amare. Non passa giorno in cui non desideri che sia stato tutto un incubo, per svegliarmi e trovare accanto a me l’uomo che amo, e una vocina che esclama “Buongiorno, mamma!”, nascosta in qualche angolo della casa.
Ma purtroppo non è così, e come ogni venerdì questa scena fa sempre più male. Anche più del solito.
Sì, ci vengo ogni settimana, perché sono certa di trovare tutti e tre qui al parco per poterli guardare, per vedere con i miei occhi ciò che avevo sempre sognato di avere, vedere lui felice con la sua famiglia, quella che io non avrei mai potuto dargli. Fa male, malissimo, ed è per questo che vado via in fretta, senza farmi notare.
Sabato. Ho un appuntamento con una persona, a teatro. Non una qualsiasi: la compagna di Massimo, il mio ex. Ieri sera mi ha mandato un messaggio per chiedermi di incontrarci. Non so come ha avuto il mio numero, ma mi ha detto che è urgente, senza specificare altro.
Quindi è qui che mi sto recando, prima di andare in tribunale. È ancora presto, e il teatro è vuoto. Quando arrivo non c’è ancora nessuno, della donna nemmeno l’ombra, e mi sembra strano. Faccio per chiamare il suo nome, quando all’improvviso tutto intorno a me diventa buio...
 
Anna’s pov
 
Sto uscendo dal mio appartamento per passare da Cecchini prima di andare con lui in caserma.
Mi ha detto di aver bisogno di aiuto per qualcosa, e immagino di sapere anche cosa. 
Mia madre è partita per uno dei suoi soliti viaggi, ma stavolta non ha potuto lasciare il suo adorato Carlino (di nome e di fatto) a nessuna delle sue amiche o dei vicini, quindi ha incaricato il maresciallo di tenerlo.
Non lo ha mollato a me perché non credo che con Patatino andrebbe d’accordo - cioè, Patatino è buonissimo, è Carlino che è una piaga. E non ho bisogno di un altro cane in casa, ho già abbastanza da fare di mio.
Sto intanto controllando i messaggi, e leggo quello di Sergio che mi dice che è pronto per conoscere ufficialmente Ines. Si è deciso a provare a fare il padre, e la cosa non può che rendermi felice.
Avevo cercato di non insistere più negli ultimi tempi, e probabilmente è stato un bene, perché forzarli non sarebbe servito, anzi. Poi, a dir la verità, nei miei piani giornalieri non c’è più ‘soltanto’ il ricongiungimento tra Ines e Sergio, perché da quando Marco ha saputo della mia gravidanza, più o meno una settimana fa ormai, le cose sono cambiate ulteriormente.
Io mi sto divertendo da matti!
Non avevo dubbi, vocina... Si tratta di quei piccoli battibecchi - sul serio, solo piccole divergenze di veduta - tra me e Marco, perché lui vorrebbe che mi riposassi di più, lavorassi meno e mi prendessi meno pensieri. Io ovviamente lo faccio, ho rallentato parecchio rispetto al mio solito, ma non è che posso stare ferma a non fare niente!
Certo, ci mancherebbe! Perché la fascia di Miss Relax 2018, se non si fosse capito, l’hai vinta di nuovo per l’edizione 2019 e anche 2020!
Vocina!! Sei peggio di Marco!
Scusa! Mamma mia, quanto sei permalosa...
Comunque, il maresciallo ha finalmente aperto, e i miei sospetti erano fondati: non capisco perché ogni volta che Cecchini decide di mandare un video a mia madre, ci devo essere io. E non solo perché mi costringe a tenere il cane in braccio - ora pure il saluto con la zampa - ma anche perché lui mi dà l’impressione di essere uno di quei teenager che fa le vocine e usa nomignoli assurdi con la fidanzata, che guarda caso è mia madre. È terribilmente imbarazzante, e se mai qualcun altro dovesse vedere quei video oltre mamma, penso che per Cecchini non basterebbe un bunker antimissile contro di me, e io mi trasferirei su Plutone, come minimo.
Ma tu guarda cosa mi tocca fare per il bene di questi due, io, un Capitano dei Carabinieri!
Certo che, tu sei quella che si lamenta quando Marco si fa coinvolgere dai piani del maresciallo, ma tu non è che scherzi, eh...
Lasciamo stare.
In realtà mia madre nemmeno voleva partire per questo viaggio, per restare a Spoleto a controllarmi perché, a detta sua, “nemmeno ora che sei incinta sei capace di stare ferma un attimo!”, ma io l’ho costretta ad andare. Ho già due guardiani, che bastano e avanzano, e non è che devo partorire domani! Senza contare che, se dovessi averla qua per i sette mesi che mancano, non è che finisco in sala parto, e nemmeno alla neuro: direttamente in galera per tentato omicidio, me lo sento.
Mia mamma è buona e cara e le voglio un bene dell’anima, ma in certi casi è insopportabile. Ragion per cui non capisco com’è che vada così d’accordo con Marco.
In effetti... mai visti genero e suocera più affiatati.
Ho appena messo a terra quel cane alla fine del video, o meglio, dopo 5 secondi più che sufficienti alla ripresa - quel poco che è venuto fuori in mezzo al continuo battibeccare col maresciallo, e faccio per tornarmene al mio appartamento per prendere la giacca con lui che continua a blaterare qualcosa, quando il mio sguardo coglie una cosa che non mi piace affatto.
“CECCHINI!” strillo, facendolo saltare in aria, indicando qualcosa dietro al divano: Carlino ha fatto pipì.
Cecchini dà appena appena un’occhiata, liquidando il tutto con una scrollata di spalle e intimandomi di calmarmi.
“Lei non si deve agitare! Le fa male, e poi il PM e sua mamma se la prendono con me che dicono che è colpa mia!” si giustifica lui, mettendo le mani avanti.
Cioè, fatemi capire: quel dannato cane ha appena rovinato il tappeto più caro del maresciallo, quello che sua moglie Caterina adorava e che nessuno doveva osare toccargli (un giorno ha perfino minacciato Marco con un coltello perché gli era caduta sopra una fetta di pane, pensa te), e ora non gli fa né caldo né freddo! Io non ho parole.
Mia madre ha una brutta influenza sulle persone, quando si tratta di quel cane, viziatissimo, mica come il mio Patatino.
In ogni caso, non ho tempo di dar retta al maresciallo, che nel tentativo di calmarmi come insistono a fare un po’ tutti ultimamente, non fa che peggiorare le cose, perché ricevo una chiamata di Don Matteo, per un probabile tentato omicidio.
Assurdo come ovunque vada quel prete, si imbatta sempre in un caso da risolvere.
Manco fossimo a Caracas!
Per la precisione, ci sono due persone coinvolte: una è Sara.
Rientro in fretta a casa per riferire tutto a Marco, e tutti e tre raggiungiamo il teatro.
 
Quando raggiungiamo il luogo dell’aggressione, Don Matteo ci spiega cos’ha trovato.
“... e ha visto qualcuno entrare o uscire dal teatro?”
“No, c’era soltanto Sara!”
Io e Marco siamo già preoccupati, perché l’hanno ritrovata a terra priva di sensi, dopo aver ricevuto un colpo alla nuca che le ha provocato una lieve commozione celebrale.
Dopo aver ascoltato il parroco, raggiungo Marco, accovacciato davanti a lei, che è seduta su una poltroncina mentre la medicano.
Lascio che sia lui a porre le domande.
“Sara, tu la conosci quella donna?” le chiede lui, in tono pacato.
“Di vista… però conosco bene il suo compagno.” risponde Sara. Noto che evita il suo sguardo. Sembra molto scossa. Per qualche motivo, ho la sensazione che dietro questa aggressione, ci siano i segreti che lei custodisce gelosamente da tempo.
“Come mai?” insiste Marco a voce bassa.
Lei esita, prima di decidersi a rispondere. “... è il mio ex marito.”
 
Marco’s pov
 
Io e Anna siamo corsi a teatro non appena saputa la notizia.
La preoccupazione per le condizioni di Sara, però, una volta sul posto ha lasciato spazio a quella per un suo probabile coinvolgimento nell’aggressione.
È bastato uno sguardo con Anna per decidere che fossi io a fare le domande, ma la risposta ci ha lasciati di stucco: la donna che c’era con lei è la nuova compagna del suo ex marito.
Lei ci ha seguiti in caserma nonostante la commozione celebrale, rifiutandosi di farsi aiutare.
Come Anna, UGUALE.
E proprio per questo, probabilmente, la mia fidanzata mi ha chiesto di condurre l’interrogatorio, perché, come succede con lei, so toccare i punti giusti per farla parlare.
“La vittima è l’attuale compagna del tuo ex marito, Massimo Ruggeri, architetto. Ce lo confermi?” le chiede Anna, e lei annuisce, senza però elaborare. Provo io.
“Sara, puoi dirci cosa è successo al teatro?”
“Lucia mi ha mandato un messaggio ieri sera, voleva parlarmi, mi sembrava agitata.”
“Parlare di cosa?” tenta ancora Anna.
“Non lo so, avevamo appuntamento stamattina.”
“E vi siete incontrate?”
“No, io stavo entrando in sala e qualcuno deve avermi colpito alle spalle perché non mi ricordo più niente, devo essere svenuta.”
Anna mi rivolge uno sguardo preoccupato, prima di tirar fuori un foglio da una carpetta.
“Questa è una denuncia di stalking, la vittima l’ha sporta nei tuoi confronti qualche settimana fa. A quanto pare sei stata sorpresa a spiare Lucia e sua figlia di tre anni… figlia avuta col tuo ex marito.” spiega, pacata.
Sara è costretta ad abbassare lo sguardo, mentre mi ritrovo a fissarla, allibito.
“Sara, è vero?”
Lei non può far altro che confermare.
“Quindi forse… vi siete viste a teatro, avete discusso e siete cadute entrambe dal palco, solo che Lucia ha avuto la peggio.” ipotizza la mia fidanzata, sempre cercando di mantenere un tono calmo.
“No, non è andata così.” nega però Sara.
Non cambia granché, però, perché tutte queste prove non mettono la PM in una buona posizione.
“Nessuno ha visto una terza persona, e tutti gli elementi sono contro di te.” spiega ancora Anna. Io non sono proprio d’accordissimo con tutto, però Anna sta svolgendo il suo lavoro, come al solito, mettendo in campo tutte le ipotesi possibili, e anche Sara lo sa.
Se ha ancora dei dubbi circa il coinvolgimento di Anna, questa forse è l’occasione buona per toglierli.
“Io non ho fatto niente a quella donna.”
Scambio uno sguardo preoccupato con Anna: la situazione prevederebbe il fermo, ma forse possiamo sfruttare un escamotage per questa volta.
“Hai una commozione celebrale e non prevede il carcere, quindi i domiciliari andranno più che bene.” affermo, trovando approvazione da parte di Anna.
Sara fa per uscire dall’ufficio quando, davanti alla scrivania di Cecchini, non si imbatte nel suo ex. Il breve scambio di battute è molto doloroso perfino da vedere.
Avverto il tocco delicato della mano di Anna sulla mia.
“Forse sarebbe bene che la riaccompagnassi tu a casa,” suggerisce con un sorriso mesto. “Sara sta cercando di mostrarsi forte, ma sono sicura che ha bisogno di sostegno, di qualcuno che le parli o che semplicemente la ascolti. Non credo di essere l’opzione migliore al momento, visto che comandano gli ormoni e finirei per rendere le cose difficili, ed è l’ultima cosa di cui Sara ha bisogno. Senza contare che non c’è persona migliore di te per assolvere a questo compito, nessuno lo sa meglio di me.”
Le accarezzo una guancia col dorso delle dita per ringraziarla delle sue parole, prima di salutarla con un lieve bacio per seguire il suo suggerimento. Fermo Sara nonostante le sue insistenze a fare da sola, sentendo Anna che battibecca con Cecchini perché lui non sta ricevendo il suo aumento mentre Zappavigna probabilmente la sua promozione la avrà.
Siamo una famiglia allargata veramente stramba... ma non la cambierei per nulla al mondo.
Nel pomeriggio, mi reco in canonica perché Don Matteo mi ha riferito che ha parlato con Anna per la questione di Sergio. So già che finalmente si è convinto a conoscere sua figlia, e per quanto il percorso sarà tortuoso, ne varrà la pena. Il parroco ha richiesto la mia presenza in quanto tutore legale di Ines, e devo accertarmi che la bimba sia decisa a conoscere suo padre senza che si senta obbligata. Vederla rispondere di sì mi stringe il cuore e mi commuove anche.
Guarda che quella con gli ormoni in subbuglio è Anna, mica tu...
Sì, sì, grillo, fatti gli affari tuoi.
Comunque, la piccola sembra pronta al grande passo, e io non posso che essere felice per lei.
 
Anna’s pov
 
Marco è appena rientrato a casa dall’incontro con Ines e Don Matteo.
Sono felicissima, perché la piccola ha accettato di conoscere Sergio.
Sì, forse potrei sembrare perfino più emozionata io di loro, però è pur vero che la loro storia mi ha colpita fin dall’inizio per l’affinità con la mia personale, e seppur con le dovute differenze, non vorrei mai che Ines viva la sua vita senza poter almeno provare ad avere accanto suo padre. Certo Sergio ha commesso molti errori, e nessuno li potrà cancellare, ma non significa che non possa ricominciare da capo, rimediare. Non che sarà facile, ma può provarci, e sembra avere tutta l’intenzione di farlo.
Io e Marco possiamo solo osservare dall’esterno a questo punto, assicurandoci che tutto si svolgerà per il meglio domani pomeriggio, per quando abbiamo fissato l’incontro.
Fortuna che domani è domenica e, sebbene dobbiamo occuparci del caso, possiamo ritagliarci qualche minuto per essere presenti anche noi.
Nella conversazione con Marco sui dettagli, però, non posso fare a meno di notare un velo di tristezza nella sua voce.
Forse perché tu sembri entusiasta per il loro riavvicinamento, dimenticando che lui è dispiaciuto perché, se le cose dovessero andare bene come sperate, dovrà iniziare a separarsi dalla piccola?
So come consolarlo: mi alzo dalla sedia per andarmi ad accomodare in braccio a lui, seduto sul divano, che mi accoglie volentieri, cingendo stretta la mia vita e facendomi accoccolare contro di sé, quasi dovessi scappargli anch’io.
Quando fa così è proprio un bambinone. Mi fa intenerire un sacco.
Oh, anche tu hai un cuore, vocina?
Comunque, sono d’accordo.
Infilo le dita tra i suoi ricci, rivolgendogli poi un sorriso affettuoso.
“Lo capisco che un po’ ti dispiace,” mormoro, “e non significa che Ines non ti vorrà più, anzi... Però quello che so con certezza è che, tra non molto, arriverà un altro scricciolo tutto nostro, e nessuno ce lo potrà portare via.”
 
Domenica pomeriggio.
Ieri, dopo aver consolato Marco, abbiamo terminato di mettere a punto l’incontro di oggi, così io sono in piazza, in attesa che Sergio arrivi.
Quando si presenta, noto che si è vestito piuttosto elegante, anche se sembra aver visto un fantasma.
“Sei pronto?”
Lui esita, evidentemente agitatissimo. “...no. Anzi, forse è un po’ presto… dovremmo aspettare ancora un po.”
Sapevo che l’avrebbe detto, ma è solo paura, la sua.
“No, non è presto. Ines ha bisogno di te, ora.”
Lui non è convinto. “E cosa faccio, cosa le dico? ‘Scusami se non ci sono stato, ho avuto degli impegni’?”
“Penso che verrà tutto in modo naturale.”, cerco di tranquillizzarlo, anche se non ha tutti i torti e io non ho risposte per le sue domande. “Non devi avere paura, sei il suo papà… Appena ti vedrà, andrà tutto bene. Davvero, te lo prometto.”
Posso dirgli solo questo, perché di questo sono convinta.
Ines ha bisogno di suo padre, di sapere che c’è.
Io avrei dato qualunque cosa per sapere che quel giorno, nella camera ardente, ci fosse stato un errore. Che quello sul lettino non era il mio papà, e che lui era ancora vivo, da qualche parte, e che sarebbe tornato da me.
Ma ormai sono cresciuta, so che è impossibile.
E se ho imparato che esistono tanti tipi di dolore, e io ne ho provati tanti, a Ines proprio questo vorrei risparmiarlo.
Ragion per cui voglio aiutare Sergio come posso.
Perché nessuno può insegnare a un uomo ad essere padre, si impara col tempo. Crescendo, e cambiando insieme, come in tutte le storie d’amore.
Perché, in fondo, un padre è il primo amore di una figlia.
“Grazie...” mormora, ma io scuoto la testa.
“È merito di Marco, è stato lui a organizzare tutto.” preciso. “È il suo tutore legale, e senza la sua approvazione non si sarebbe fatto nulla.”
Sergio si limita ad annuire, e al mio invito ad andare, finalmente cede e mi segue.
 
Ci rechiamo quindi in canonica, dove ci aspettano già tutti.
“Buonasera!”
“Buonasera, Capitano!” mi saluta Don Matteo con un sorriso incoraggiante. Sergio è l’immagine della paura.
“... dov’è Ines?” chiedo, notando che non è insieme agli altri. Non c’è nemmeno Marco.
Brutto segno.
Infatti, il mio fidanzato emerge dal corridoio con un’espressione lugubre in viso.
“Ines è in camera sua e non vuole uscire,” ci informa, lanciando a Sergio uno sguardo obliquo.
“Possiamo aspettare…” tento, ma Sergio lo ha naturalmente preso come un rifiuto.
“Lo sapevo… è che io non sono nessuno per lei. Scusate.” mormora, fuggendo via dopo aver lasciato il regalo che le aveva portato sul tavolo.
Io e Marco avevamo messo in conto che sarebbe potuto succedere, in fondo Ines è una bambina ed è normale che possa aver avuto paura. È un passo impegnativo, e non si sarà sentita pronta, ripensandoci. Ha sei anni, passati tutti a credere che il suo papà fosse ‘andato in cielo’, come dice lei, per scoprire che non solo è vivo, ma pronto anche a conoscerla. Marco mi aveva avvisata ieri sera, ma io, molto più ottimista, avevo cercato di pensare in bene. Lui, evidentemente, aveva valutato tutti i pro e contro con più lucidità di me, sorprendentemente.
Ci stiamo appunto confrontando sul tema, quando il cellulare di Marco squilla.
Riesco a leggere sottosopra, ‘Sara’.
Perché lo sta chiamando, ora?
Probabilmente per lavoro.
Adesso, vocina? È domenica, e comunque ti ricordo che è accusata di tentato omicidio.
Vero anche questo. E quindi perché lo chiama?
Sospettosa anche tu, eh?
Osservo Marco risponderle, senza capire il discorso. Quando stacca, mi rivolge uno sguardo incerto.
“Mi ha... chiesto se posso andare a casa sua. A quanto pare ha qualcosa da dirmi.” mi spiega, esitante.
Ehi stellina, cos’è questa vaga sensazione di gelosia che sento espandersi alla velocità della luce?
Non sono gelosa! Sono stata io a dirgli di starle accanto in questo momento.
Certo, non così tanto accanto...
Allora sei gelosa! Ammettilo, dai.
E va bene! Sono un pochino gelosa.
Beh, Sara è una bella donna, carismatica, femminile, e sicuramente non sta mettendo su chili di troppo come me che, sportiva come sono, non sono abituata a questo tipo di regime.
Anna! Lo sai che Marco ha occhi solo per te, e Sara è tua amica!
Sto per ribattere alla vocina quando mi accorgo che il mio fidanzato mi sta stringendo le mani con un sorriso un po’ troppo comprensivo.
Hai parlato a voce alta.
“Sara è senza dubbio una bella donna, ma... non sei tu. E tu, a me piaci esattamente come sei. Anzi, ancora di più adesso, perché avrai preso sì e no un paio di chili e ti assicuro che non si nota, e in ogni caso, è per una bella ragione, no? Una ragione piccola piccola che ha bisogno di te per crescere. E questo ti rende ancora più bella di quanto tu già non sia.”
Mi sento arrossire.
Le mie insicurezze sono riaffiorate così, all’improvviso, e Marco, come quella volta in caserma, la sera del gelato, o per il reality a bordo piscina, ha trovato subito il modo per rassicurarmi.
Sei una donna molto fortunata, lo sai?
Su questo, non ho mai avuto dubbi.
 
Marco’s pov
 
Sono appena arrivato a casa di Sara.
Lo ammetto, questo posto rievoca un brutto ricordo, per fortuna solo un incubo mai avverato, anche se fa un certo effetto in ogni caso.
Non mi accorgo nemmeno che Sara ha già aperto la porta, e solo la sua risatina mi desta dai miei pensieri.
“Tranquillo, stavolta sei sobrio,” mi rassicura, invitandomi a entrare.
Mi fa accomodare sul divano, offrendomi un caffè.
“Grazie per essere venuto…” mi dice Sara, ma io minimizzo.
“Ah, spero che la mia chiamata non ti abbia creato problemi con Anna…” continua poi, “In questo caso, chiedile scusa da parte mia, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno. Onestamente, avrei chiamato lei, ma nelle ultime settimane l’ho vista più nervosa e non volevo darle altre preoccupazioni.”
“Figurati, nessun problema. E comunque, anche se sono la tua seconda scelta, spero di poter comunque esserti d’aiuto,” scherzo, facendola ridere. “Mi hai chiamato per... parlare di qualcosa in particolare?”
Sara, però, sembra non sapere da dove cominciare, così opto per intavolare tutto come una sorta di interrogatorio informale, con cui entrambi ci troviamo più a nostro agio. La tattica funziona, e ben presto lei si rilassa abbastanza da trasformare la conversazione in un monologo, riuscendo a sfogarsi.
Mi racconta la sua storia.
Come avevo intuito, è una ferita terribile.
Massimo Ruggeri, il suo ex marito, l’ha tradita quando hanno scoperto che lei non poteva avere figli.
Abbandonandola, creando una famiglia con un’altra donna.
Calpestando la sua dignità. Il tradimento è stato solo una conseguenza, non la causa.
Essere rifiutati per una cosa che non dipende da te è quanto di più terribile possa accadere, e ti fa sentire più imperfetto di quanto già non sei come essere umano.
L’ha abbandonata perché la considerava una ‘macchina rotta’. Un gesto di una crudeltà immane.
Sara sta cercando di nascondere comunque quel dolore che non è così facile contenere, ma le sue parole mi hanno colpito come un pugno allo stomaco. Come quella sera, quando Anna venne a casa mia per raccontarmi di suo padre, la sensazione è molto simile.
Non riesco a immaginare come lei possa sentirsi, soprattutto in questo momento, ma di certo so come mi sento io adesso.
Lei soffre per il dolore di non poter essere madre.
Io, invece, ho scoperto da poco che diventerò padre.
E l’idea che lei non potrà mai provare la sensazione di gioia che io, ma soprattutto Anna, stiamo vivendo adesso, mi distrugge dentro.
Perché è terribile pensare che io e Anna, sì, una famiglia la volevamo, ma non avevamo ancora deciso niente, era solo un desiderio vago che si è concretizzato nel momento più inaspettato possibile. Avevamo appena fatto pace dopo quell’orribile fraintendimento, e stavamo consolidando ciò che aveva rischiato di crollare dopo una scossa violenta, quando lei ha scoperto di essere incinta.
È stata un’emozione che è difficilissimo descrivere a parole, sapere che dentro di lei stesse iniziando a crescere una nuova vita, silenziosa, inattesa ma che, una volta mostrata, ci ha conquistati senza che ce ne accorgessimo nemmeno. Lo volevamo, ma non sapevamo quanto.
Ed è bello notare i cambiamenti, giorno dopo giorno, immaginare cosa ci attende.
Pensare che Sara questo non potrà mai provarlo è terribile. Anche di più, sapendo cosa ha dovuto passare per quella che non è una colpa, e forse, da parte del suo ex marito, non era nemmeno amore.
 
Sara’s pov
 
Ho appena rivelato a Marco la mia ferita profonda, quella che mi dilania da anni e avevo custodito gelosamente dentro.
Lui mi ha osservata, ferito, per qualche istante, come se fosse riuscito a empatizzare col mio dolore, prima di abbracciarmi. Un conforto silenzioso che mi dimostra quanto Anna sia fortunata ad avere un uomo come lui nella sua vita, al suo fianco. E questo mi dà la speranza che forse anch’io, un giorno, potrò trovare qualcuno che mi ami incondizionatamente, nonostante il mio ‘difetto di fabbrica’.
Quando lui, poi, mi rassicura dicendomi che non c’è niente che non vada in me, e che l’unico che dovrebbe considerarsi sbagliato è Massimo, semmai, perché non si può considerare nemmeno uomo qualcuno che fa sentire una donna, o una persona, come ha fatto sentire me, sento gli occhi velarsi di lacrime.
Il destino ha voluto che incontrassi due persone meravigliose con Marco e Anna, e mi sento molto fortunata, perché mi stanno aiutando più di quanto immaginano.
Sono sicura che saranno degli ottimi genitori per quell’esserino che vedrà la luce tra qualche mese.
Sì, mi sono accorta del segreto che nasconde Anna. Sono abbastanza certa che il maresciallo ne sia già a conoscenza, ma non gli altri, non ancora. È vero che io non potrò mai sperimentare in prima persona quello che sta vivendo lei, ma i sintomi li conosco. Ho sperato a lungo di poterli provare, inutilmente, e non ho faticato a fare due più due. Sono rimasta colpita dal tatto che Marco ha dimostrato di avere con me. In fondo, so che è al settimo cielo per la notizia, eppure non ha lasciato trasparire nulla, tantomeno il fatto che, sicuramente, nella sua testa stesse mettendo anche lui a confronto le due situazioni.
Oggi ancora di più, sono felice di aver impedito che accadesse l’irreparabile, quella sera. Sono stata fortunata ad averlo incontrato, e l’amicizia che lui e Anna mi hanno regalato è più di quanto osassi sperare di ricevere in quel momento.
 
Anna’s pov
 
Sto tornando in canonica.
Ero rientrata a casa per riposarmi un po’, dopo il trambusto di oggi e il mancato incontro tra Ines e Sergio, ma una quindicina di minuti fa ho ricevuto una chiamata da Don Matteo, che mi chiedeva se Marco fosse con me, perché aveva provato a chiamarlo e stranamente non aveva risposto. Io gli avevo spiegato che fosse fuori per un altro impegno, senza specificare che si trattasse di Sara e del caso (mica sono Cecchini, io), e poteva dire a me, se potevo aiutarlo o riferirlo al mio fidanzato quando fosse rientrato, intuendo il motivo della chiamata.
Infatti, come sospettavo, si tratta di Ines: la bambina si è chiusa nella sua cameretta e si ostina a non uscire (con Sofia che non può entrarci a sua volta, visto che la condividono). Don Matteo aveva provato a chiamare Marco perché, visto il loro rapporto, forse lui sarebbe riuscito a convincerla ad aprire ma, poiché lui non è disponibile, potrei tentare io.
Ragion per cui mi sto recando lì.
Quando arrivo, la situazione è ferma a come me l’ha raccontata il sacerdote: Ines è chiusa in stanza, Sofia sta dando di matto perché costretta a studiare in cucina con Natalina che strilla, al solito, e Pippo che la sommerge di domande.
L’esempio lampante di come perfino un tipo tranquillo e pacato come Don Matteo ha bisogno di distrarsi da questo casino. Le indagini sono un’evasione, altro che hobby, hehehe.
C’è poco da ridere, vocina. Anche se è vero, sembra di stare a un centro per pazzi.
Quando Don Matteo mi accompagna davanti alla porta della cameretta e io provo a bussare, la sola risposta che ottengo è: “Andatevene tutti! Non voglio parlare con nessuno!”, il tutto sovrastato dal suono della chitarra regalatale da Marco.
Approfitto dei pochi istanti di silenzio, quando termina il suo brano.
“Ines, sono Anna...” mormoro con più dolcezza possibile. “Non posso entrare nemmeno io?”
Il parroco, accanto a me, si limita a osservare, pensieroso.
Passa qualche istante, poi sentiamo la serratura scattare e un faccino corrucciato fare capolino dallo spiraglio di porta che ha aperto.
“Che cosa vuoi?” mi chiede Ines, imbronciata.
“Parlare con te, se ti va.”
Lei mi scruta seria seria per poi spalancare la porta, che lascia aperta mentre torna sul lettino.
Don Matteo resta fermo sulla soglia, lasciando che sia io ad avvicinarmi, come la bambina ha voluto.
Mi siedo accanto a lei, mentre riprende la chitarra e ricomincia a suonare senza dire nulla.
Io mi limito ad ascoltarla, per poi farle un piccolo applauso quando si ferma.
“Sei veramente brava!” affermo, guadagnandomi un mezzo sorriso, ma senza aggiungere altro. Non l’ho interrotta perché sapevo che avrebbe scelto da sola quando farmi parlare.
Le porgo la borsa lasciata da Sergio qualche ora fa.
“Questo te l’ha lasciato il tuo papà... puoi aprirlo!” la incoraggio, quando lei esita.
Ne tira fuori una maglietta di Jimi Hendrix.
“Bella, ma... un po’ grande,” afferma, facendomi ridacchiare.
Perlomeno le piace. Certo, Sergio ha seguito il tuo suggerimento, ma poteva almeno impegnarsi a cercare una taglia più adatta...
“È perché lui ancora non ti conosce bene,” le spiego.
Lei ci pensa un attimo, poi torna a guardarmi.
“Come mai il mio papà non è stato con me?”
Me l’aspettavo, questa sua domanda, dopo quanto successo oggi. È normale che abbia dubbi sulla sua assenza, così come è normale che sia arrabbiata e non abbia voluto incontrarlo. È un passo importante, e sono felice che Sergio abbia trovato il coraggio di tentare, ma non possiamo obbligare Ines se lei non vuole. L’avevo messo in guardia io stessa, che sarebbe potuto succedere.
Anche Marco ha ragione, quando mi aveva avvertita che, nonostante fosse lecito tentare, avremmo probabilmente forzato i tempi.
“Non poteva... stava in un posto lontano.”
Perché non posso certo dirle che quel posto lontano fosse il carcere... non è necessario che lo sappia, ma lei non è convinta.
“Se voleva stare con me, veniva comunque,” mormora, triste.
“Eh, ma da dove stava lui non si poteva andare via.”
Non è facile dissipare i suoi dubbi, ovviamente. Non senza nascondere ciò che non è ancora pronta a sapere, però vale la pena provare.
So cosa vuoi fare, Anna... sei sicura?
Voglio solo capire.
“Però il tuo papà ti vuole bene, e ora è qui, e vuole stare sempre con te...” le spiego. “Tu hai paura?” domando allora, e lei annuisce subito, abbassando gli occhietti a terra.
Come immaginavo.
Le circondo le spalle in un abbraccio che lei accoglie volentieri.
“Guarda che lui ha più paura di te,” le rivelo. “Non sa che giochi ti piacciono, non conosce la taglia delle tue magliette, non sa cosa ti piace fare...”
“A me piace suonare e nuotare,” mi risponde lei, una spontaneità che mi fa sorridere.
Io e Marco abbiamo scoperto subito cosa la appassionasse perché è stata lei stessa a dircelo, con un entusiasmo travolgente. La musica, perché la sua chitarra si è rotta e Marco le ha regalato la sua; il nuoto, perché lo ha suggerito Don Matteo sperando di farle fare amicizia con altri bambini della sua età, e lei ha scoperto un’altra passione.
Mi balena in mente un’idea.
“Che ne dici se domani, in piscina, ti accompagna il tuo papà? Così la paura passa a te, e anche a lui.” propongo.
Lei ci riflette un attimo su, poi annuisce e, con un sorriso, mi abbraccia forte.
Ho ancora le sue manine strette dietro alla mia nuca, quando strilla festante: “Marco!!!”, prima di sciogliere l’abbraccio e correre dal suo tatuatore legale.
Don Matteo mi raggiunge, ringraziandomi a bassa voce.
“Scusate, è che avevo il cellulare silenzioso e non me n’ero accorto, non ho sentito la chiamata. Ma... mi sembra che sia tutto risolto!” afferma Marco, intuendo quale fosse il problema.
“Mh-mh!” risponde Ines, ricambiando la mia strizzatina d’occhio.
L’idillio del momento è interrotto da Sofia che sbuffa, felice di poter essere finalmente sfuggita all’inferno della cucina, lasciandosi cadere di peso sul letto.
Scoppiamo tutti a ridere, prima di salutare tutti e congedarci, promettendo a Don Matteo che organizzeremo noi con Sergio, per domani.
 
La mattina, in caserma, scorre tutto abbastanza tranquillamente, e tutti stanno facendo del proprio meglio per venire a capo del caso. Dal mio ufficio, noto il battibecco tra Zappavigna e Cecchini. Giuro, se esco sana di mente da questo momento in cui uno aspetta l’aumento e l’altro la promozione, sarò capace di resistere a tutto.
Sono giorni che il maresciallo mi tormenta, pregandomi di mettere una buona parola, ma io non c’entro nulla e lui lo sa bene, che non dipende da me, come non ho voce in capitolo per la promozione di Zappavigna. Io posso solo riferire che entrambi hanno fatto un buon lavoro, niente di più.
Quando raggiungo però la scrivania dell’appuntato il discorso cade, perché Ghisoni fa accenno a uno strano video in rete che Cecchini insiste per spiegarmi, per cui non ci ho capito nulla, ovviamente. Va beh, comunque sia, quando il maresciallo viene nel mio ufficio per riferirmi di un suo pensiero notturno - come se ci credessi, visto che lui stesso se l’è appena lasciato sfuggire - interviene Zappavigna informandomi di aver già provveduto ai controlli che servivano per appurare la versione del prete. Cecchini non apprezza particolarmente, anche se il genero ha svolto un ottimo lavoro. Il maresciallo comunque ci spiazza, dicendo che conosce l’identità del tipo che la donna aggredita ha incontrato venerdì.
Ho chiamato quindi Marco per andare con lui a sentire il sospettato, il direttore d’orchestra, a teatro. A quanto pare, l’uomo avrebbe pagato per una notte con Lucia, anche se al momento questa è solo una teoria.
Durante il tragitto, Marco ne approfitta per chiedermi come sto.
“Negli ultimi giorni, abbiamo avuto parecchio lavoro, e poi c’è tutta la questione di Ines e Sergio... non voglio che ti stanchi.”
I miei tentativi di convincerlo che vada tutto bene non vanno proprio a buon fine, ma l’arrivo a teatro lo fa desistere dal continuare oltre.
Una volta dentro, notiamo il maestro gesticolare sul palco vuoto, come se avesse davanti un’orchestra intera da dirigere. Peccato non ci siano né musicisti né musica. Io e Marco ci scambiamo uno sguardo confuso, prima che lui tenti, inutilmente, di richiamare l’attenzione del maestro. Costringendomi a soffocare una risata al suo gesto, che lascia intendere come il tizio sembri avere le rotelle fuori posto.
Sempre a fare il simpatico quando non è il momento.
 
 
 
Marco’s pov
 
“... professionalmente, mi dispiace molto per quello che è successo.” dice il direttore d’orchestra, parlando di Lucia, quando finalmente riusciamo a richiamare la sua attenzione.
“Solo professionalmente?” chiedo sarcasticamente.
“Cosa intende?”
“Lei e Lucia avete passato la notte insieme, hotel ‘Il colle’.”
Il maestro è costretto ad ammettere che è così. “Ci siamo conosciuti, ci siamo piaciuti e… è successo ma… si è trattato solo di una notte.”
Le sue parole mi suonano false e, probabilmente per colpa sua, Sara rischia una pena per un reato che non ha commesso.
“E guarda caso il giorno dopo, Lei firma il suo primo contratto e le versa cinquantamila euro in un’unica soluzione.”
“Non ci vedo niente di strano.”
“No? No, magari qualcuno potrebbe pensare che Lei le abbia offerto il posto in orchestra e una paga nettamente al di sopra delle sue possibilità-”
“Marco…” tenta di calmarmi Anna, che la pensa come me, ma non la lascio parlare, bloccandola.
“-no, scusami, cosa…- per passare una notte insieme, magari.” continuo, la mia voce che trema. Sono furioso.
“E io le ripeto che c’è un regolare contratto, e farei molta attenzione prima di fare accuse di questo genere.”
”Io le sto so-”
A questo punto, Anna interviene con maggiore fermezza, interrompendomi seccamente. “Ha ragione. Scusi… scusi.” dice soltanto, intimandomi di andar via.
Lo so, l’ho accusato senza avere prove e non dovevo, e se Anna conoscesse il motivo per cui ho agito così, mi direbbe che mi sto lasciando coinvolgere da motivi che non riguardano il lavoro, e avrebbe pienamente ragione.
Ma non per chissà quale motivo: Sara è una collega, oltre che un’amica mia e della mia fidanzata, ma io al momento so qualcosa in più di lei, che Anna non conosce ancora, altrimenti capirebbe.
Durante il tragitto di ritorno, lei ha cercato di chiedermi perché mi fossi comportato in quel modo, ma io, più che calmarmi, mi sono ulteriormente innervosito. Non per lei, ma per la situazione, perché per l’ennesima volta in questi mesi c’è di mezzo un tradimento. A Spoleto, c’è il record di gente con le corna, a quanto pare.
Una volta in caserma, e nell’ufficio di Anna, lei tenta di tranquillizzarmi di nuovo.
“Marco, ti prego... Lo capisco, perché fai così, perché sai che il tradimento fa male. Nel mio caso, per fortuna non è successo e lo sappiamo, ma per qualche ora l’ho creduto, e il solo pensiero che tu ci sia andato vicino, seppure non volontariamente, fa comunque male. Ma tu lo sai meglio di me, purtroppo. E sentire quel tipo dare quelle risposte ti ha fatto arrabbiare, e hai ragione. Però devi calmarti.” mi spiega, stringendomi la mano. Quel contatto basta a far rallentare i battiti al loro ritmo naturale.
Questa storia riporta alla mente brutti ricordi, così come le parole di Sara sul sentirsi una ‘macchina rotta’.
Dovrebbe essere il periodo più bello e sereno della nostra vita, e invece siamo incasinati da mille problemi, e io, come al solito, non riesco a controllare il mio istinto. Se non avessi avuto Anna al mio fianco, poco fa, avrei combinato uno dei miei soliti casini.
Anna è la mia stella polare, quella che mi riporta sempre sulla strada corretta. E per questo non posso che ringraziare quel cupido pasticcione del Maresciallo coi suoi improbabili piani G.
Quella volta, mi aveva fatto credere che Anna fosse incinta per indurmi ad essere più gentile con lei e placare le nostre litigate.
Oggi, Anna un bambino lo aspetta davvero, ed è nostro. Una creaturina che non conosco ancora, ma che amo già infinitamente.
Il telefono di Anna squilla: è Sergio, che ci informa di essere arrivato in piazza, come lei gli ha chiesto. Non sa perché sia qui.
Scendiamo giù, e lui ci saluta, confuso dalla mia presenza. Io non sono sorpreso dalla sua reazione, dopotutto è Anna ad avergli dato appuntamento qui, a quest’ora del pomeriggio. Per questo lascio che sia lei a spiegare, restando un passo indietro.
Molto cavalleresco e maturo da parte tua. Bravo, non me l’aspettavo.
“Ciao! Che volevi dirmi?” le chiede.
“C’è una sorpresa per te.” commenta la mia fidanzata, indicandogli qualcuno alle sue spalle: Ines, con Don Matteo e un borsone rosa.
“Che significa?” domanda lui, incerto.
“Ines ha chiesto se l’accompagni in piscina.”
Sergio spalanca gli occhi, e cerca di aggiustarsi alla ben’e meglio quando la piccola ci raggiunge.
“Ciao! Sei… tu, il mio papà?” gli domanda lei, esitante, ma con un sorriso. Lui non riesce a spiccicare parola, limitandosi ad annuire. È nervoso, incredulo ma felice.
Io li osservo con un garbuglio di sentimenti nello stomaco, incerto su come sentirmi.
Ines non si lascia condizionare dal suo tentennamento. “Grazie per la maglietta… mi potresti aiutare con la borsa? È un po’ pesante.” gli chiede, e ci riempie il cuore di tenerezza.
“Certo…!” fa lui, prendendola. Sembra non riuscire a credere che lei gli stia finalmente parlando.
“Eh, quindi… ci avviamo?”
“Sì! Andiamo!” prima di andar via, però, Sergio ringrazia Anna con uno strano sguardo, che mi induce ad avvicinarmi per affiancarla e posare una mano sulla sua schiena.
Lei sembra non farci troppo caso, rivolgendomi un sorriso felice. Sergio fa un cenno anche a me mentre la bimba ci saluta con la mano, poi i due si avviano in direzione della piscina.
Dimentica quello che ho detto sull’essere cavaliere e maturo. Ma era proprio necessario, marcare il territorio?
Grillo, non cominciamo. Non mi fido di Sergio, l’abbiamo appurato, mi pare, e tra il fatto che il suo sorrisetto sempre stampato in faccia mi dà il nervoso, e la somiglianza della sua ex con la mia fidanzata, preferisco stare in guardia.
“Secondo te stiamo facendo la cosa giusta?” chiedo ad Anna, notando in ritardo il suo sguardo divertito.
Hai capito, o ti serve un disegnino?
Cerco di correggere il tiro, ma lei scuote la testa, ridendo.
“Lo so che sei geloso, e che ti preoccupi per lei, ma non puoi evitare per sempre che si conoscano. Il fatto che lei passi del tempo con suo padre non significa che non ti vorrà più nella sua vita o che non avrà più bisogno di te, anzi. Dubito si stancherà tanto facilmente di stringere la tua mano, sai? Ti vuole troppo bene.”
Qualcosa mi dice che non ha ancora finito il suo discorso, e lo sguardo furbetto che ha messo su non mi piace per niente.
“E poi, chissà... fai tanto il geloso adesso, magari fra un po’ di tempo ti ritrovo a scambiare consigli con Sergio su come essere un bravo papà!”
Ma tu guarda... che brava, ha imparato proprio bene a prenderti in giro. Siete fatti l’uno per l’altra, non c’è che dire!
 
Anna’s pov
 
Poco dopo giunge Massimo Ruggeri, il compagno della donna in coma ed ex di Sara.
L’interrogatorio inizia, e lui sostiene di non sapere nulla né dei soldi né del tradimento.
Non so, la sua confessione mi sembra sinceramente quella di un uomo che sta soffrendo. Bisogna capire però se se sia vera, oppure lui sia un ottimo attore.
Marco, probabilmente, ha i miei stessi dubbi, perché mi chiede di poter uscire dall’ufficio per parlarmi.
“Sta mentendo, sa tutto.” mi dice, una volta al riparo dalle orecchie di Ruggeri.
“Come fai ad esserne sicuro?”
“Perché so come reagisce un uomo che ha appena scoperto di essere stato tradito.”
Io resto interdetta per un attimo. Anche io l’ho saputo, come ci si sente, sebbene alla fine non fosse vero. Certo, Marco lo sa meglio di me, come ho detto prima, ma non possiamo arrestarlo, non abbiamo prove.
Annuisco, però ho un dubbio sul suo comportamento. È strano, come quella volta con Simone.
“Marco, va tutto bene?” gli chiedo, preoccupata.
“Sì, sì, certo, perché?”
“No, è che... sembra che tu voglia trovare un colpevole a tutti i costi. È per scagionare Sara?” gli chiedo infine, nervosamente.
“No, voglio solo essere sicuro di tutto e fare tutti gli accertamenti del caso su di lui, solo questo.” mi spiega, scrutandomi.
“Che ho già disposto.”, confermo, cercando di mantenere un tono neutro. “Quindi nel frattempo, dovremmo rilasciarlo.”
Mentre lo osserviamo andar via, la mia mente è ancora ferma sulle frasi di prima.
Cioè, Marco è andato da Sara, ieri sera, e non mi ha raccontato niente del motivo, di cosa hanno parlato. Se hanno parlato. E noi ultimamente, tra il lavoro e il mio malessere, non... beh, insomma, abbiamo avuto poco tempo per stare da soli.
Anna, non ci posso credere, che tu stia davvero pensando una cosa del genere.
Il fatto è che io non sono mai stata molto sicura di me, e tutta questa situazione non mi aiuta. Non dovrei pensarlo, è vero, ma è più forte di me.
“Anna...”
La voce di Marco mi riporta nel mondo reale.
“Stai bene?”
“Cos’è, facciamo a turno, con queste domande?” scherzo, per sviare la sua attenzione.
Lui ridacchia, prima di rivolgermi il sorriso di chi la sa lunga.
“È una questione delicata, ma l’unico fine è la giustizia, davvero. E meno male che ci sei tu, con me, perché non riuscirei ad essere obbiettivo, altrimenti.”
Le sue parole mi rassicurano, e faccio per chiedergli anche di quell’altra questione, quando le risate degli altri carabinieri mi distraggono dal mio intento.
Sono tutti concentrati a guardare qualcosa su un cellulare.
Forse il famoso video di cui parlava Cecchini?
Mi avvicino per capire meglio, ma decisamente non è quello che pensavo.
“CECCHINI!!” strillo, furiosa.
Perché quel video ritrae me, in divisa, con in braccio quel dannato Carlino. Per il saluto a mia madre. Che figura, un Capitano dei Carabinieri in carriera! Per non parlare del fatto che il video non si interrompe lì, ma mi vede ancora inveire contro il cane che aveva fatto pipì sul tappeto e Cecchini che lo difendeva pure!
Stavolta non la passa liscia.
Non ti agitare, però!
...
... seh, vabbè, sei già partita in quarta. Mo’ chi ti ferma più.
Spedisco Cecchini nel mio ufficio, con Marco che mi trattiene per le spalle, suggerendomi di fare un respiro profondo e calmarmi, perché non mi fa bene. Ha ragione, ovviamente.
La strigliata al maresciallo non gliela leva nessuno in ogni caso, ma in maniera più tranquilla di come avrei fatto normalmente.
Devo però dargli anche la notizia che non voleva: non ha ottenuto l’aumento, e lui mi accusa che sia colpa mia, che l’ho fatto per il video, quando invece non è minimamente vero perché non ne sapevo nulla fino a poco fa, e va via arrabbiato.
Dipendesse da me, lui avrebbe avuto il suo aumento come Zappavigna la promozione, per il semplice fatto che entrambi meritano di essere premiati per il lavoro svolto. È anche grazie a loro se riesco a svolgere il mio lavoro al meglio, e so che quando dovrò lasciare temporaneamente la mia divisa per ovvi motivi, la caserma rimarrà in ottime mani. Anche per questo, credo che sia giunto il momento di comunicare a tutti la novità, ma prima voglio archiviare il caso.
 
È stata una giornata lunghissima ma, finalmente, dopo un periodo pieno di contrattempi, posso godermi una serata tranquilla a casa con Marco.
L’ho appena raggiunto in cucina dopo una doccia che definire rigenerante è poco, e il mio fidanzato ha già iniziato a preparare la cena.
Il mio arrivo, però, lo distrae.
“Vieni qua...” mormora con un sorrisetto, attirandomi a sé per baciarmi. Intreccio le dita dietro il suo collo, beandomi di questo contatto tanto agognato.
Aehm, ragazzi... il sugo!
Okay, ci siamo distratti un po’ tanto, abbiamo rischiato di giocarci la cena, per cui decido che, per evitare di restare a digiuno, mi limiterò ad accomodarmi sulla sedia e osservare il mio chef preferito districarsi tra i suoi adorati fornelli e condimenti, porgendogli il necessario all’occorrenza.
Parliamo del più e del meno, compreso Cecchini.
Sono preoccupata, non si è più fatto vivo da pomeriggio, quando è uscito dal mio ufficio. Ci teneva a quell’aumento, anche per via delle spese cresciute con l’arrivo del nuovo nipotino, visto che lui vuole dare una mano alla figlia come può. Non capisco però perché sia così contrario alla promozione di Zappavigna, dato che l’obbiettivo dell’appuntato è uguale al suo.
Anche Marco è d’accordo con me, e mi ricorda che Cecchini si comporta sempre così col genero, ma lo sappiamo tutti che gli vuole un gran bene.
Annuisco, mentre mi torna in mente una domanda che ho lasciato in sospeso, quando ho scoperto del video.
“E... da Sara, ieri sera, com’è andata?”
 
Marco’s pov
 
 
Sapevo che prima o dopo, Anna me l’avrebbe chiesto, di quelle ore di ieri passate a casa del mio capo. Avevo stirato i tempi solo perché so come si sentirà, alla fine, ma adesso è arrivato il momento che anche lei sappia.
Così, prima di metterci a cenare, la invito a seguirmi sul divano per raccontarle tutto.
Al termine della storia, Anna non sa più come fermare le lacrime che le rotolano incessanti lungo le guance. Cerco di asciugargliele meglio che posso: sapevo avrebbe reagito così, e non per via degli ormoni, perché anch’io avrei pianto, da Sara, ma non era il caso.
“È una cosa terribile... Come... come può un uomo trattare così la donna che dice di amare, come se fosse solo un oggetto da possedere e nient’altro?” chiede, la rabbia e l’amarezza evidenti nella sua voce. Sara è una donna forte, non tutte avrebbero reagito come ha fatto lei. Non riesco nemmeno a calmare Anna, in questo momento, che continua, come un fiume in piena.
“Sono stata una pessima amica per lei, in questi giorni. Se avessi saputo, mi sarei comportata diversamente, dimostrarmi più comprensiva con lei...”
“Non devi sentirti in colpa. Sara sa bene che hai fatto solo il tuo lavoro nel migliore dei modi e, se ancora aveva dei dubbi sul tuo farti coinvolgere nei casi, questa è la volta buona che riuscirà a toglierseli, no?” scherzo, riuscendo a farla sorridere. “In ogni modo, hai ancora tempo per farle sentire la tua vicinanza. Risolvendo il caso e aiutandola a scoprire la verità, come solo tu sei capace di fare.”
Certo che, quando ti ci metti, sai essere davvero profondo. Non riuscirò mai a capire come puoi passare dall’essere questo Marco, a quello che ascolta solo lo stomaco. Non me ne capacito, e neanche Anna.
Stiamo per metterci a tavola quando il campanello suona.
L’espressione sul viso della mia fidanzata cambia di botto, e intuisco che crede possa essere il maresciallo. Da un lato è preoccupata; dall’altro, se suona a quest’ora in questo periodo, significa che vuole fare un video con Carlino, quella specie di topo pestifero.
“Calma, amore... respira. Ci vado io, ad aprire,” mormoro, suggerendole di rimanere seduta.
Quando spalanco la porta, però, non mi trovo davanti Cecchini, bensì... Sergio.
Che non sembra particolarmente felice di aver trovato me ad ‘accoglierlo’.
Ma quaaaanto mi dispiace, vederti deluso. Tanto. Tanto tanto, proprio.
Uh.
“Ehm, ciao,” mi saluta. “Cercavo Anna.”
Invece ho aperto io. Tiè!
Io sto per rispondergli, quando giunge una voce dalle mie spalle.
“Maresciallo, ha qualche proble-oh.
Anna si materializza al mio fianco, la mia stessa espressione confusa sull’essersi trovata Sergio sul pianerottolo e non Cecchini come avevamo pensato.
Anche l’espressione di Sergio cambia: diventa soddisfatta, mentre il solito sorrisetto strafottente si fa strada sul suo volto.
Senti, Coso, quel sorrisetto irritante te lo togli da solo, o faccio io?
Lui evidentemente si accorge del mio sguardo, perché smette di fissare la mia fidanzata, riprendendo a parlare in tono più cauto.
“Ero passato per... ringraziarvi del vostro aiuto con Ines. Sono andato in piscina, con lei, l’ho accompagnata, ed è andata bene!” ci spiega. “E… domani la riaccompagno! E… grazie. Per avermi convinto a fare il padre.” conclude, e dal suo tono sembra trasparire reale entusiasmo.
“E di che?” replica Anna, in tono affettuoso.
Io però non rispondo, ancora intento a scrutarlo in cagnesco, con un braccio stretto intorno all’esile figura della mia fidanzata, che nel frattempo si è appoggiata a me.
Sergio capisce che non è aria, così ci saluta e va via.
Se gli sguardi potessero uccidere, Coso sarebbe morto da tempo. Razza di gelosone che non sei altro... Non che Anna sia da meno, eh, con Sara. Ma, sinceramente, a voi, chi vi separa?!
Finalmente dici cose giuste anche tu, grillo. Siamo gelosi l’uno dell’altra, sì, il giusto.
Il giusto, nel senso che sarebbe ‘giusto’ spedire Coso in Uzbekistan perché fissa un po’ troppo insistentemente la tua futura moglie? Sono assolutamente d’accordo con te.
Anche perché, niente potrebbe separarci. Ci amiamo troppo perché qualcuno o qualcosa possa riuscirci.
 
Mi ridesto dai miei pensieri, per rivolgermi ad Anna che sta osservando Sergio andar via.
“Sei contenta?”
“Parli di Ines?” mi chiede, leggermente confusa dalla mia domanda. “Sì, è la cosa migliore per lei.” conferma, ma io non sono convinto. È dal primo rifiuto di Ines di incontrarlo che ho la pulce nell’orecchio, oltre che un grillo parlantino in testa.
Ehi! Io che c’entro, ora? Sono la voce della tua coscienza, dovresti ringraziarmi!
Sicuro. Comunque, le espongo i miei dubbi.
“Non lo so... la cosa migliore per lei è stare con uno che se n’è sempre fregato?”
Per quanto voglia tentare - giustamente - di recuperare il rapporto con sua figlia, quello è passato dal non considerarla neppure a sentirsi un padre a tutti gli effetti nel giro di un giorno. Ma il percorso per diventarlo davvero è un tantino più complesso, non basta accompagnarla due giorni in piscina.
Non c’è verso, sei geloso di tutte le donne della tua vita, tu.
Non sono geloso! Voglio solo essere certo che quello scricciolo sia felice. È per il suo bene.
Sì, comportamento che, nei dizionari, trovi sotto la dicitura ‘gelosia’.
E va bene! Lo ammetto, e lo so che Anna se n’è resa conto per l’ennesima volta, perché il suo sorrisetto dice tutto.
“Marco, lo sai che io sono cresciuta senza un padre. Non vorrei mai che Ines facesse la stessa fine, non se posso impedirlo.” mi spiega, con cautela.
Lo so, che si sente coinvolta per via della sua storia personale, e la capisco, ma anch’io ho le mie ragioni.
Stai davvero per raccontarle quella storia, quello che ti sei rifiutato di confessare ogni volta? Allora devi essere veramente preoccupato, visto che finora non hai mai voluto dirla nemmeno a lei, pur sapendo che non ti avrebbe mai giudicato.
Rientriamo, chiudendo la porta.
Inspiro a fondo, prima di riprendere a parlare.
“Io, quand’ero un ragazzino, giocavo a pallone tutti i sabato pomeriggio, ed ero una pippa stratosferica, ma…” inizio a raccontare, mentre lei si lascia coinvolgere immediatamente, ridacchiando alla mia battuta. “Però ero orgoglioso, sapevo che papà veniva a vedermi. Allora mi vestivo, facevo tutti ‘sti passaggi storti, però guardavo in tribuna, papà… e non c’era mai. Perché ha trovato qualcosa di meglio da fare, oppure era ‘oh, scusami, mi sono dimenticato…’.” Anna si limita ad ascoltare senza interrompermi. Conosce bene il difficile rapporto che ho sempre avuto con lui, fin da quando ero un ragazzino. Tutti i contrasti, gli scontri con mio padre assente, fino al climax: l’imposizione di abbandonare il sogno, secondo lui stupido, di diventare attore che avevo, per perseguire una carriera più seria. Continuo, aggiungendo piccoli dettagli che finora non le avevo mai detto. “A un certo punto, basta. Ho smesso di guardare in tribuna. Ho giocato… male, ma…” lascio in sospeso la frase, ma il finale si capisce eccome.
Lei mi stringe le mani tra le sue, cercando di farmi forza come può, gli occhi nuovamente lucidi e colmi di lacrime. Sa benissimo quanto per me sia difficile questo momento, e la mia voce trema.
“Fidati che è molto meglio non averlo, un padre, piuttosto che averne uno che ogni volta ti delude. Ti fa meno male.” mormoro soltanto, chiudendo il discorso con quella che può sembrare una sentenza esagerata, ma è la verità. Io un padre ce l’ho ancora, ma è come se non esistesse, ed è anche peggio che non averlo affatto.
Anna mi abbraccia forte, nel tentativo di consolarmi e farmi capire che lei c’è, e che, quando mi sentirò abbastanza pronto, potrò rivelarle anche il resto.
Lo farò, ma non oggi, non ora.
Dopo questo momento fatto di sguardi, mi conduce con sé a tavola, per metterci finalmente a cenare, cercando di lasciarci alle spalle quel caos di eventi ed emozioni che continua a travolgerci, almeno per questa qualche ora, e provare a goderci la serata.
 
Anna’s pov
 
Ieri sera, nonostante le lacrime a più riprese, o forse proprio per via dello sfogo, sono riuscita a riposare come non facevo più da tempo. Le nausee sono leggermente diminuite, riesco a dormire meglio e mangiare un po’ di più, con grande gioia di Marco, che si adopera a cucinare tutto ciò che le mie strane voglie richiedano esserci in menù.
Finalmente, ieri sera, sono riuscita a gustare di nuovo il mio amato gelato. Sì, ho dovuto cambiare gusto, ma non ha importanza.
Sono appena arrivata in caserma, per la prima volta tranquilla e rilassata dopo settimane, quando Zappavigna mi ferma per aggiornarmi sul caso. A quanto pare il giorno dell’aggressione della donna in coma, il marito si trovava nei pressi del teatro. La scientifica lo ha comunicato per mail, ma non avendo ricevuto risposta hanno chiamato in caserma.
La mail, sembra, era indirizzata al maresciallo, che non l’ha letta e ha provocato un ritardo nelle indagini, e forse anche un danno non di poco conto.
Lui insiste a dire che non ne sa niente, che non gli è arrivata e che lo sto accusando ingiustamente per una cosa che non ha fatto. Mi interrompe un sacco di volte, e la cosa mi fa parecchio innervosire.
Lui, notandolo, per fortuna desiste.
“Va bene, lasciamo stare, ma solo perché Lei, nelle sue condizioni, deve stare calma e non si deve agitare, che poi il PM se la prende con me.” borbotta.
Zappavigna ci osserva confusi.
Nooo, maresciallo! Ora chissà cosa pensa! Perché parla sempre a sproposito?!
Devo sbrigarmi a chiudere il caso, così posso smettere di tenere il segreto, per una serie di motivi.
Chissà come la prenderà Sara.
Già...
Chiedo a Zappavigna di inviare la richiesta di revoca dei domiciliari per la Procuratrice, prima di recarmi con lui a prelevare il nuovo sospettato. Sempre che non sia già fuggito.
Sia io che Marco temevamo mentisse, e l’intuizione si è rivelata corretta. Col senno di poi, forse avrei fatto bene a fidarmi del suo istinto, ma non avevamo comunque prove per il fermo. Adesso sì.
Siamo riusciti a rintracciarlo poco prima di pranzo, e dopo un breve interrogatorio, i miei uomini lo stanno portando via quando in caserma giunge Sara.
Quando vede Massimo si blocca, sembra incredula.
Dall’ufficio, riusciamo a sentire come lui le chieda di prendersi cura di sua figlia mentre è via.
Lei ci si avvicina per chiedere spiegazioni, così la aggiorniamo sulle novità per poi chiederle, quasi in sincro, se è certa di voler accudire la figlia del suo ex.
Noto il suo sguardo soffermarsi un attimo su Marco prima di affermare che non vede quale sia il problema. Poi si alza e se ne va, chiaramente infastidita.
Io esito un istante, ma dopo un cenno d’intesa con Marco, mi affretto a seguirla, riuscendo a fermarla in piazza.
“Sara, aspetta... Marco mi ha raccontato tutto. Io... mi dispiace, davvero, non avrei mai immaginato una cosa simile...”
Lei mi rivolge un sorriso di ringraziamento che, però, è palesemente forzato. Capisco che forse avrebbe preferito che io non sapessi, anche se non ne comprendo il motivo.
“Non prendertela con Marco, sono stata io a chiedere. E lo so che non è una giustificazione, ma mi è servito per capire che dovevo cercare di impegnarmi ancora di più per arrivare alla risoluzione del caso. Non so perché tu abbia scelto di dirlo a lui, né voglio saperlo, ma sappi che se hai bisogno di parlare, io ci sono... Tra donne, in fondo, ci si capisce...”
“Già, ma non è sempre così,” replica però lei freddamente. “Men che meno in questa circostanza. Non puoi sapere cosa si prova, a sentirsi una ‘macchina rotta’, perché così mi ha definita Massimo. Perché non potrò mai essere madre, colmare quell’istinto naturale che è in ogni donna. E non puoi capirlo perché, a differenza mia, tu, madre lo stai diventando.”
Io mi blocco alla sua affermazione. Quindi lo ha capito...
Mi sento invadere da un senso di colpa forse ingiustificato mentre lei, senza attendere risposta, va via, dirigendosi a passo spedito in canonica, dove si trova la bambina.
Ripenso alle parole che le ho rivolto: sono suonate di circostanza, quasi obbligate, dette per compassione, ma non è quello che volevo trasmetterle.
Volevo davvero offrirle il mio sostegno, ma mi rendo conto che forse ha ragione, non sono nella posizione adatta per farlo.
Torno in caserma amareggiata, e Marco tenta di consolarmi, dicendomi che devo darle tempo di capire che non le ho detto quelle cose tanto per, e che tutto si risolverà. Poi è costretto a salutarmi per andare in tribunale, non prima di avermi ricordato di cercare di non pensarci troppo, perché siamo una famiglia, e le divergenze capitano.
 
Qualche ora dopo, la caserma festeggia: Zappavigna è stato promosso a vice brigadiere. Io lo sapevo già, ma non ho potuto dire nulla finché non fosse ufficiale. Lui, comunque, sembrava certo la notizia sarebbe arrivata, perché ha ordinato dei dolci direttamente da Napoli qualche giorno fa. Il maresciallo si rifiuta di festeggiare. Io prendo uno dei dolcetti, prima di chiamare Cecchini nel mio ufficio.
Mi dispiace dirglielo, ma non posso passare sopra al suo errore perché ha intralciato le indagini, ma lui sembra essere già un passo avanti. Dice che non gli importa più della mail, è più deluso dal fatto che l’Arma abbia deciso di premiare uno con poca esperienza come Zappavigna e non lui dopo trent’anni di onorato servizio, che in fondo chiedeva un misero aumento. Quello che fa dopo mi lascia di stucco: mi consegna la sua pistola d’ordinanza, dimettendosi, e va via senza aggiungere altro.
Io resto sola.
Ma... è successo davvero, o ce lo siamo sognate?
Questa sua decisione mi preoccupa: lui sembrava tenerci davvero, e forse non l’ha ottenuto per via anche di quel video, finito in rete per errore, per il quale io mi sono arrabbiata. È un casinista, e potrebbe stare più attento a quello che fa, ma agisce sempre in buona fede. E soprattutto, è il migliore ‘vice’ che potessi sperare di avere al mio fianco per l’inizio della mia carriera. Ho imparato molto da lui, sia come carabiniere che come uomo, ma anche padre. Spero davvero torni sui suoi passi, perché la famiglia e l’Arma sono tutta la sua vita, come mi ha dimostrato più volte. E in fondo, non ha ancora presentato le dimissioni ufficiali. Magari è solo arrabbiato.
 
Marco’s pov
 
Ieri sera, Anna è tornata a casa in preda all’ansia per il gesto di Cecchini.
Stamattina, in caserma, non va meglio, perché lo ha visto in piazza con Don Matteo e non le ha nemmeno rivolto la parola. Ci mancava solo lui.
Sto ancora cercando di tranquillizzarla quando sentiamo bussare: è Sara, ancora palesemente infastidita per ieri, ma è qui per lavoro, per confrontarci sulle novità riguardanti il caso.
“Questo cambia le cose… perché se il direttore d’orchestra era ossessionato da Lucia, potrebbe averla colpita.” afferma Anna, quando veniamo a conoscenza di ulteriori dettagli sul caso e ne discutiamo nel suo ufficio.
Sara è d’accordo. “Allora procediamo con un supplemento d’indagine.”
“Va bene.”
“Grazie.” aggiunge, prima di alzarsi.
Fa per andar via, ma io la fermo prima che possa uscire.
“Sara, un attimo.” Lei si volta a guardarmi, incerta. “Sappiamo che pensi che Massimo sia innocente, davvero. Ma… stai attenta a fidarti di lui, perché potrebbe usarti per uscire di galera.” la metto in guardia, parlando anche per Anna
“So quello che faccio.” ci risponde però lei, fredda. “Sono grande abbastanza da sapere come comportarmi, non ho bisogno dei genitori che mi dicano cosa fare.”
Nel caso non fosse stato chiaro, è evidente ce l’abbia con entrambi: con me, perché ho raccontato la sua storia ad Anna, e con lei perché ha frainteso le sue parole per commiserazione.
 
Io e Anna siamo fermi davanti alla scrivania del maresciallo, intenti ad osservarla andarsene a testa alta.
“Beh, non possiamo insistere più di tanto, con lei,” commento, prima di cambiare discorso. “E con Cecchini cosa intendi fare?” le chiedo sommessamente, al che lei mi guarda come se fossi impazzito.
È preoccupata, ma come previsto, è anche terribilmente testona. Lui è un casinista, fa più danni di quanti non ne aggiusti, ma non credo che lei sia arrabbiata a tal punto da mollare tutto così.
“No, vuoi davvero che lasci l’Arma?”
“Certo che no!” ribatte infatti, indignata.
“E parlagli!” le suggerisco col tono più delicato che riesco.
“Ah, io gli devo parlare!” esclama, indispettita, smuovendo in me un senso di tenerezza che non riesco a trattenere dal mostrare.
“Sì…”
“No! Lui deve parlare con me, lo sa che gli aumenti non dipendono da me. E poi mi chiedere scusa per quel video!” afferma, ferita nell’orgoglio, e non ha tutti i torti, anzi. Stavolta l’ha combinata più grossa del solito, Anna ha tutto il diritto di avercela con lui, però il maresciallo è un uomo dal cuore d’oro a cui l’Arma deve tantissimo nonostante i metodi d’indagine non proprio consoni. Ed è il primo ad aver creduto, e che continua a credere, nel nostro amore, come il primo giorno. La nostra storia non sarebbe stata la stessa senza di lui. È una colonna portante ovunque.
“L’ho capito! Ma è il maresciallo Cecchini!” cerco di farla ragionare, abbassando la voce. “Hanno costruito la caserma e c’era già lui dentro, qua! Dai!”
Per fortuna Anna ride alla mia battuta idiota, calmandosi un pochino.
La caserma non è la stessa senza di lui, e la sua scrivania vuota fa un certo effetto, soprattutto ripensando al casino che aveva combinato, quando io e Anna ci siamo conosciuti. Si era convinto che lei volesse trasferirlo e gli aveva buttato la scrivania, mentre lei aveva provveduto a fargliene recapitare una nuova, visto che la vecchia stava letteralmente cadendo a pezzi.
Sospira. “Va bene, proverò a fare io il primo passo. Comunque, non ha ancora firmato le dimissioni, vedrai che cambia idea…” mi rassicura, facendomi capire che non sta accettando passivamente il comportamento del maresciallo. Che è sì arrabbiata, ma lo tiene d’occhio per impedirgli di commettere una stupidaggine.
Poi il suo cellulare squilla.
“Sergio! Ciao, allora com’è andata…” Ma capisco che qualcosa non va, perché Anna cambia drasticamente tono ed espressione. “No, stai calmo… che significa, che hai perso Ines?!”
 
Come si fa a perdere una bambina di cinque anni in piscina, come?!
Ma come, perso? Che cos’è, un pacco?!
A che accidenti stava pensando?!
Io e Anna ci dirigiamo spediti verso la sua auto senza nemmeno rifletterci, ma lascio che sia lei a guidare, io sono troppo nervoso per farlo.
Devo impormi di stare il più calmo possibile, altrimenti appena me lo ritrovo davanti lo ammazzo. Già non mi fidavo molto di lui, adesso proprio zero. Ma come si fa?
Se non fossi un uomo di legge in carriera, in procinto di diventare padre e sposarmi con una donna meravigliosa, a quest’ora lo avrei già fatto fuori e starei scontando i miei giorni di galera.
Fortuna che sei un uomo di legge in carriera, in procinto di diventare padre e sposarti con una donna meravigliosa, allora. A tal proposito, la donna meravigliosa in questione ha capito l’antifona.
Si sono ribaltati i ruoli nella coppia, è lei a doverti dire di stare calmo e tranquillo, ora? Ricordati che non la devi fare stressare!
Quando scendiamo, troviamo Sergio nel panico più totale, spaventato quanto noi.
È il minimo che può fare.
“Ho fatto quattro volte il giro del palazzo e non l’ho trovata, non l’ha vista nessuno…” ci dice, quasi tremando.
“Ma… mi spieghi che è successo?” tenta Anna. Non capiamo niente se lui non ci dice com’è andata.
“Era nello spogliatoio, come ieri, tutto a posto, io sono uscito per fumare una sigaretta, e non l’ho più trovata.” fa lui, e questa cosa mi manda completamente in bestia.
Al diavolo la razionalità e la calma.
“E quindi l’hai lasciata sola?!” esclamo, furioso. Ci manca poco che non lo sbatta al muro.
Anna interviene a fermarmi.
“Marco, non risolviamo niente se fai così,” mi avverte, cercando di mantenere la calma tra noi, da donna razionale e previgente qual è.
Continuo a guardarlo in cagnesco, mentre il cellulare di Anna torna a squillare.
“Don Matteo, non posso parla- ah, va bene! Arriviamo subito. È in canonica, Ines…” ci informa lei, sollevata.
Torniamo in auto verso la casa di Don Matteo, un silenzio carico di tensione.
Per questa volta ti sei salvato, Sergio. Ma se dovesse ricapitare, sei fregato.
 
In canonica, Ines rende ben chiara l’idea che Sergio l’abbia delusa. Le aveva promesso che l’avrebbe aspettata, e invece quando è uscita lui non c’era.
Capisco come si sente Sergio che va via, il senso di colpa troppo pesante, ancor di più dopo che Natalina lo invita, non troppo gentilmente, a uscire.
Quando incrocio lo sguardo di Anna, capisco che non possiamo lasciar correre.
Ines è delusa, e nessuno meglio di me sa come ci si senta, di fronte a una consapevolezza del genere.
Però so che anche Anna ha ragione. Ines ha bisogno di suo padre, e a prescindere dal tempo, ci sono cose che succedono comunque. Però Sergio sembra dare per scontato alcuni piccoli gesti che invece sono indispensabili per guadagnarsi la fiducia altrui.
Ma ci riusciranno, a diventare una famiglia, anche io ne sono convinto. Non solo perché voglio sostenere Anna, ma perché è lampante.
Anche se fa male questa consapevolezza, perché mi sono affezionato a Ines, e l’idea che l’avvicinamento a suo padre la porti un po’ più lontana da me mi ferisce.
Anche per questo, lascio che Anna corra dietro a Sergio.
Per quanto non mi vada a genio, so che anche lui ha paura davanti a questa situazione, e come un bambino, ha bisogno di essere rassicurato.
Certo che la tua Anna ha un’ottima influenza su di te. Bene.
Nel frattempo, decido di andare da Ines, per vedere se c’è qualcosa che posso fare per lei.
 
Anna’s pov
 
Esco dietro a Sergio per tentare di calmarlo, dopo un cenno d’intesa con Marco.
Come sempre, tra noi è bastato solo uno sguardo per capirci.
So che siamo giunti alla stessa conclusione: Ines ha bisogno di suo padre, ma anche di tempo. E la fiducia si costruisce passo dopo passo, pur commettendo errori.
“Sergio… Sergio, non è successo niente, Ines sta bene! Può capitare!” cerco di tranquillizzarlo, raggiungendolo sugli scalini del teatro.
“Sì, sì, infatti, lo so… l’ho soltanto delusa, guarda, non è successo niente.” mormora lui, affranto. “È il mio secondo giorno da padre, e l’ho già delusa, un record! Le avevo promesso che l’avrei aspettata e non l’ho fatto. È una bambina, ha sei anni, ed è tornata a casa da sola.”
Certo che è cocciuto. Il discorso che fa è sempre lo stesso: teme di non essere all’altezza, di non essere capace, e che per un piccolo errore lei lo odierà e basta.
Ma non è così.
Non si nasce padri o madri, lo si diventa, e anche per questo i figli non sono necessariamente di chi li fa, ma di chi li cresce.
“Succede.” gli dico, ma lui nega ancora.
“Non succede, non a me. Non ho speranze, senti. Sono lo stesso che sei anni fa se n’è fregato di sua figlia, non se lo merita un padre così.”
“Lei si merita un padre che la ami, e tu questo lo sai fare. Io credo davvero che tu possa farlo!”
“Io non capisco… tu ti ostini a voler vedere qualcosa di buono in me, ma perché? Non c’è niente di buono, in me!”
“Invece sì, e non lo vedo solo io…”
Non dovrebbe lasciare che quello che gli altri pensano di lui condizioni il suo modo di essere, e se non si dà una possibilità finirà per distruggersi da solo, perdendosi ciò che di bello la vita gli sta regalando.
Una possibilità di riscattarsi, di ricominciare.
Ma lui non sembra convinto di quello che gli ho detto, per cui scuote la testa prima di andare via senza rispondermi.
 
Non me la sento di tornare in canonica, così entro in chiesa, dicendo a Marco che lo aspetto lì.
Ho bisogno di riflettere. Di capire se ho fatto bene, perché adesso non ho altro che dubbi. Inizio a capire meglio il punto di vista di Marco, la sfiducia che un figlio può maturare nei confronti di un genitore assente, per volontà sua o meno.
Io so cosa voglia dire crescere senza un padre, che è assente perché si è tolto la vita, ma se avesse trovato una via d’uscita a quella situazione sarebbe ancora al mio fianco, ne sono certa. Il padre di Marco, invece, lo ha ignorato per anni, poi gli ha imposto quale carriera intraprendere ed è sparito nuovamente. Non so cosa si provi, in un caso così, ma il dolore che ho visto nei suoi occhi mentre, con un esempio quasi banale ha cercato di spiegarmelo, è bastato a farmelo intuire. Oggi è stato il turno di Ines, di restare delusa perché quel padre, che lei credeva morto, è tornato ma ha sbagliato ancora.
Forse anche noi abbiamo commesso un errore, nel forzare i tempi. A credere che lui fosse pronto per questo passo. Mi fa sorridere pensare che sia stato Marco a dirmelo. Lui, che agisce sempre senza riflettere.
Mi accorgo di non essere più sola.
“Don Matteo…”
“Capitano!” mi saluta lui, sedendosi poi sul banco dietro di me, in attesa che sia io a parlare.
“Non lo so, forse gli abbiamo dato troppa fiducia… o abbiamo esagerato.” mormoro.
Ma Don Matteo ha sempre una parola giusta per tutti.
“La fiducia è un salto nel vuoto. Ma se prima di saltare guardi giù, vedi quanto è alto. E poi magari ti guardi intorno e cerchi una scala per scendere… ma che fiducia è? O salti, o non salti!” sorride. “Sergio deve solo imparare a fidarsi degli altri. Soprattutto di Lei e Marco che, in fondo, ne sapete qualcosa, di salti nel vuoto... avete affrontato molti ostacoli insieme, imprevisti e bivi a non finire, ma avete sempre trovato il modo migliore per trovare la strada più giusta da percorrere, fidandovi di voi stessi, e l’uno dell’altra. E il bambino che nascerà dal vostro amore ne è la dimostrazione più bella.”
Spalanco gli occhi. Quindi anche lui l’ha capito, e so che non glielo ha detto il maresciallo.
Non c’è bisogno che io aggiunga altro, mi limito a sorridere e ringraziarlo per le sue parole. In questo momento arriva Marco, che ci spiega di aver convinto Ines a non chiudersi di nuovo nella sua stanzetta, prima di rivolgersi a Don Matteo.
“Ah, e Natalina ha minacciato di non farla cenare, se non torna immediatamente in canonica...”
Noi ci mettiamo a ridere.
“Allora è meglio che mi sbrighi!”
Lo salutiamo, per poi avviarci verso casa.
 
La mattina successiva, in caserma, dopo un breve e doloroso confronto con Cecchini, in cui lui mi consegna le sue dimissioni (facendomi capire che la situazione è più grave del previsto), arriva il direttore d’orchestra.
Ci raggiungono anche Marco e Sara per l’interrogatorio.
“Questo è uno scambio di messaggi tra Lei e Lucia Amato che abbiamo trovato nel suo cellulare, dopo che lei li aveva cancellati. Perché?” gli chiedo, fredda, diretta. Lui non risponde, così continuo. “Lo dico io? Mi sembra evidente che Lei sia interessato a Lucia, le scriveva in continuazione.”
“Siamo rimasti amici.” si limita a dire Gallo, che sostiene poi di non aver aggredito Lucia, perché la ama.
Qualsiasi cosa dica, comunque, non fa che aggravare la sua posizione, per cui Sara dispone il fermo.
È evidente ci sia qualcosa di molto strano in tutta questa storia, che ancora ci sfugge, ma io e Marco siamo convinti che Ruggeri nasconda qualcosa, ma Sara non ci crede.
Il maestro, però, è sembrato davvero innamorato di Lucia, e non ha fatto che ribadire come lui potesse renderla felice, come se lasciasse sottintendere problemi di coppia.
Tuttavia, il briefing con Sara è stato inutile da questo punto di vista, e lei ha perfino revocato il fermo per l’ex marito.
Mentre la osserviamo allontanarsi, riesco solo a pensare come il nostro tentativo di metterla in guardia dal fidarsi dell’ex non ha avuto alcun successo, e il mio timore è che rischi di prendere una batosta ben peggiore della prima. Ovviamente spero di sbagliarmi, ma quell’uomo nasconde chiaramente qualcosa, e Marco è d’accordo con me.
 
Nel pomeriggio, io e lui andiamo a scuola a prendere Ines per poi accompagnarla in piscina, come Marco le ha promesso ieri sera.
Quanto ci piace, quando si comporta da papà senza nemmeno farci caso?
Lui è entrato per vedere se è già pronta, mentre io li aspetto fuori.
In attesa che arrivino, noto una figura familiare avvicinarsi a me: Sergio.
“Ciao,” lo saluto, stupita di vederlo.
“Ehi...” mormora. “Don Matteo mi ha detto che vi avrei trovati qui, e allora... Vorrei provare a parlare con Ines, se vuole darmi un’altra possibilità.” mi spiega a testa bassa.
Lo ammetto, sono colpita.
Annuisco, perché se è stato Don Matteo a suggerirlo, dopo il discorso di ieri, non può che essere un buon segno. Vale la pena tentare.
Mentre cerco di capire come convincere Marco, lui e Ines giungono alle mie spalle.
Il mio fidanzato è a dir poco confuso.
 
Marco’s pov
 
Sto uscendo da scuola tenendo Ines per mano, quando noto che vicino ad Anna è apparso, in mia assenza, Sergio.
La mia fidanzata mi fa un cenno per lasciarli parlare, mentre lui si abbassa sulle gambe per poterla guardare meglio.
Propone alla bimba di riprovarci, che se le va possono andare in piscina insieme, per dimostrarle che il giorno prima ha commesso un errore ma che non ricapiterà più.
Ines si lascia convincere in fretta, abbracciando suo padre, ma poi si volta a guardarmi, quasi volesse il mio permesso.
Alla mia esitazione, Anna mi chiama da parte.
“Non possiamo provare a dargli un’altra possibilità? In fondo si è presentato qui, non può non essere un buon segno... Marco,” torna a richiamare la mia attenzione, quando io evito il suo sguardo. “La storia di Ines non deve per forza finire come la tua, e il fatto che Sergio sia qui la rende già diversa. Ci sta provando, a impegnarsi, ma se non lo lasciamo tentare, non sapremo mai se è in grado di riuscirci.”
Non riesco a resistere al suo sguardo da cucciolo, né alle sue parole, molto vere. Ha ragione, anche se ammetterlo mi costa.
Acconsento, e Ines è al settimo cielo, a giudicare dall’abbraccio in cui mi stringe.
Lei, comunque, sembra avere già un’idea ben precisa di ciò che vuole, perché ci chiede di accompagnarla tutti e tre in piscina.
Come dirle di no?
 
Giunti sul posto, Anna accompagna Ines a prepararsi per la lezione, mentre io resto da solo con Sergio.
Non so come resisto all’istinto di strozzarlo se ripenso a ieri, e soprattutto non so come io stesso stia per fargli questo discorso, da amico.
Tu? Da amico? A lui? Non sto capendo.
Siamo fuori sul balcone, mentre lui fuma una sigaretta.
“Senti, grazie... veramente. So che non ti vado a genio, ma è merito tuo se siamo qui, mi stai dando l’occasione di conoscere mia figlia, e se non fosse per te che sei il suo tutore, io non potrei nemmeno vederla.”
“In realtà, il merito è di Anna, non mio, devi ringraziare lei. È molto più positiva di me nel giudicare la gente e dare fiducia agli altri anche se, a primo impatto, non se lo meritano. È anche per questo che mi sono innamorato di lei, fin dal nostro primo incontro,” ammetto con un sorriso.
Lui mi osserva con una strana espressione, ma non mi interrompe, così continuo.
“Ti assicuro che io voglio solo il bene di Ines, ed è per questo che ho accettato che venissi anche tu, qua. I bambini non hanno filtri, si fidano a prescindere se vedono che dai loro un minimo di corda. E proprio perché non hanno freni inibitori, si lanciano a fare tutto anche se hanno paura. Anche Ines ne ha, tantissima, ma la voglia di conoscere te è più forte, per questo ci sta provando, e devi provare anche tu. Credimi, io so bene cosa voglia dire, avere paura di affrontare le cose,” ammetto. “Non hai idea di quante volte io abbia rischiato, per questo, di perdere tutto, compresa la donna che amo ma, grazie all’aiuto di alcuni amici, e di Anna stessa, sono riuscito a superare quelle paure. Certo, non tutte, con alcune ci convivo, ma sono felice di averle affrontate. Anche adesso ne sto affrontando una nuova... Diventare padre comporta tutta una serie di cose per le quali non so se sarò all’altezza, ma mi basta sapere che io e Anna stiamo per accogliere una nuova vita che, prima di tutto, avrà bisogno del nostro amore, per farmi passare qualunque timore. È una gioia talmente grande che il resto passa in secondo piano. Vedrai, col tempo te ne renderai conto anche tu.”
Sergio, che è rimasto in silenzio ad ascoltare, stupito, il mio discorso, annuisce, per poi porgermi una mano in una sorta di tregua.
Io la accetto, anche se sono ancora convinto che nasconda qualcosa, ma si tratta del bene di Ines, e tanto mi basta, per adesso.
 
Anna’s pov
 
Sono con Ines negli spogliatoi.
Certo che è una bimba veramente matura per la sua età, e mi ha sorpresa molto quando ha accettato la proposta di Sergio, anche se ci speravo. E ciò non può che rendermi orgogliosa.
Sai che, vista così, sembra quasi tu stia guardando i tuoi figli camminare per la prima volta sulle loro gambe, senza aiuto?
Non hai tutti i torti, vocina. Non dico che sarà tutta in discesa, adesso, ma bisogna fidarsi.
Mentre la aiuto a prepararsi, diventa però triste come ieri, e la domenica, nel vedere un’altra bimba con il proprio padre, convincendosi per un attimo che il suo forse non vuole stare davvero con lei.
Allora decido di raccontarle un episodio della mia infanzia, senza specificare che si tratta dell’ultimo compleanno che ho trascorso con il mio papà. Compleanno che, per un crudele scherzo del destino, non avevo nemmeno festeggiato. Solo dopo ho scoperto perché lui lo avesse dimenticato.
C’erano già state avvisaglie di problemi, in fabbrica, e Claudio era già sparito. Papà aveva altro a cui pensare.
Ma a me, nonostante fossi rimasta delusa dal fatto che se ne fosse scordato, importava solo che lui ci fosse. Del resto avrei fatto a meno. La torta potevamo mangiarla un altro giorno, il regalo non era poi così importante.
Forse è per questo che, da quel momento, avevo iniziato a detestare il giorno del mio compleanno. Perché l’unico dono che avrei voluto, era anche il solo che non avrei potuto mai più avere. Col tempo, le cose sono cambiate, e adesso i miei desideri sono molto diversi. Sono riuscita a far pace con quella parte del mio passato.
Per fortuna Ines si convince, e alla fine della lezione chiede addirittura a Sergio di andare con lei nello spogliatoio.
Marco nel frattempo mi si è avvicinato e, quando la porta si chiude dietro di loro, mi stringe in un abbraccio che mi fa sospirare di sollievo.
Con le spalle poggiate contro il suo petto, ho potuto notare il cenno di approvazione che lui e Sergio si sono scambiati: ho intuito che abbiano parlato, prima, e qualsiasi cosa Marco gli abbia detto, evidentemente ha fatto breccia, così come il mio discorso a Ines.
“Ogni giorno che passa, sono sempre più sicura che sarai un ottimo papà,” commento di punto in bianco, “e sono felice di vedere che anche noi, come loro, stiamo facendo dei passi importanti per il nostro futuro da genitori. Non vedo l’ora di poter vivere tutte le fasi di crescita del nostro baby Nardi, come lo chiama Chiara...”
Marco ride alla definizione della nostra creatura, le sue mani sul mio addome. Lo fa sempre più spesso, e non c’è sensazione più dolce di questa. Non sappiamo ancora nulla del nostro bambino, ma abbiamo fissato il primo controllo tra un paio di settimane, ed entrambi non stiamo più nella pelle, per poter sentire finalmente il battito del suo cuoricino per la prima volta. So già che piangeremo entrambi.
Ed è tutto dire, visto che tu ti vergognavi tanto a piangere davanti agli altri, e nessuno dei due in passato sembrava particolarmente incline ad avere figli.
Sarà un momento bellissimo. Il primo di molti altri a venire.
 
Marco’s pov
 
La mattina seguente, sto per andare in tribunale a recuperare alcune carte, quando noto Sara arrivare, pronta ad entrare in caserma. Ho bisogno di parlarle, per cui la fermo prima che oltrepassi l’ingresso.
“Sara, un secondo… Volevo chiederti scusa. Non volevo fare la ‘spia’ con Anna, raccontandole quello che mi hai detto, né nessuno dei due intendeva giudicarti. E se il tuo istinto ti dice di fidarti di Massimo, noi speriamo solo che tu abbia ragione, davvero.”
Lei mi rivolge uno sguardo di sufficienza.
“Scuse accettate.” dice soltanto, tornando ad avviarsi verso l’ingresso della caserma, ma io non ho ancora finito.
“Ma… tu lo ami ancora? Pensi che… solo con lui puoi sentirti di nuovo a posto? Tu non sei una macchina rotta, Sara. Sei già a posto, così come sei.”
“Grazie…” mi dice Sara dopo qualche istante, stavolta in tono sincero, prima di avviarsi su per le scale e lasciandomi solo.
In questa stessa piazza, in momenti e per ragioni diverse, ho vissuto molti avvenimenti importanti, e in ognuno c’era una donna: Anna, Elisa, Chiara, Ines, Sara. Ogni volta, in questo posto, ho dimostrato di essere un uomo maturo, consapevole dei propri errori e conoscitore del mondo femminile più di quanto immaginassi. Ognuna di queste donne aveva paure, timori, e io avevo cercato di spiegare loro che non vale la pena cambiare solo per piacere agli altri, che ogni persona è bella per ciò che è, con pregi e difetti. Sono pronto a farlo di nuovo ogni volta che ne avranno bisogno, perché so che, se capitasse a me, loro non esiterebbero a tendermi la mano. E se oggi questo è Marco Nardi, è anche merito loro.
 
“Non ci credo, non è possibile…” mormora però la stessa Sara nel primo pomeriggio, quando Don Matteo ci raggiunge in caserma per comunicarci una notizia che ci lascia sconvolti.
Massimo è colpevole di tentato omicidio.
È una cosa orribile.
Io e Anna ci scambiamo un lungo sguardo, e nel suo leggo solo sconcerto.
Non riesce a capacitarsi di questa storia, e in effetti è veramente troppo da credere, perché dimostra che è un essere spregevole, nemmeno degno di essere chiamato uomo.
“Lei è sicuro, Don Matteo?” gli chiede, sperando in una smentita che non arriva.
“Massimo me l’ha confessato, ha tentato di uccidere Lucia e poi ha colpito anche te.” conferma infatti il parroco, accennando alla PM.
“Sì, ma non c’è traccia dei cinquantamila euro sul conto di Massimo, non abbiamo né prove né testimoni della confessione.” ragiona il Capitano, giustamente. Così non possiamo far niente. Però…
“Se troviamo i soldi, però, possiamo incastrarlo.” mormoro, lanciando uno sguardo d’intesa con Anna.
“Scusatemi…” sussurra Sara, allontanandosi.
Noi non la fermiamo.
È incredula, e delusa da se stessa, perché davvero si è lasciata convincere da Massimo della sua innocenza, che l’ha portata nella direzione sbagliata per farsi scagionare e far arrestare l’uomo con cui lui stesso aveva convinto la compagna ad andare a letto.
Noto Anna esitare, per cui le accarezzo un braccio, invitandola con un dialogo visivo tutto nostro a seguire la sua amica, che adesso ha bisogno di una spalla a cui appoggiarsi.
 
Sara’s pov
 
Non riesco a credere di essermi lasciata abbindolare così da Massimo.
Ci sono ricascata, e non me ne capacito.
Perché ho ceduto? Per mancanza d’affetto? Eppure, c’è chi mi offriva sostegno da giorni, e io continuavo a rifiutarlo, preferendo fidarmi di un uomo che non ha fatto altro che ferirmi ripetutamente.
Sono seduta sulle scale del teatro, in lacrime, quando sento dei passi avvicinarsi a me. Non ho bisogno di alzare lo sguardo per riconoscere i tacchi degli stivali che indossa la mia collega, e amica.
Infatti eccola, Anna, in piedi davanti a me. Non dice nulla, però, accomodandosi al mio fianco aspettando che sia io a parlare per prima.
“Mi dispiace, non è da me comportarmi così,” le dico dopo alcuni istanti.
Lei scuote la testa.
“Un uomo, una volta, mi ha detto che è normale piangere, quando si soffre. E non perché siamo donne, ma perché è umano.”
Non mi ci vuole chissà quale indizio per intuirne l’identità.
“Dev’essere uno di quegli uomini rari, in via d’estinzione, come i panda,” mormoro, ridacchiando.
Lei fa lo stesso, dicendomi che sua sorella usa sempre la stessa battuta.
Così decido di sfogarmi finalmente con lei, raccontandole come mi senta, di come all’inizio fossi quasi contenta che Lucia fosse in coma, e mi penti di aver sperato che morisse. Come se questo avrebbe potuto vendicare la ferita che Massimo mi aveva provocato. Ma ora mi rendo conto che io e Lucia non siamo diverse... e mi sento una cretina per aver pensato tutte quelle cose.
Anna però mi assicura che non è colpa mia, che gli ho solo dato una possibilità per riscattarsi, e che è lui ad aver sbagliato ancora una volta. Perché il fatto che io non possa avere figli non è un difetto, anzi, mi rende solo più unica, e capace di amare di più proprio per questa ragione. Che non devo rinunciare all’idea di essere madre, perché posso esserlo ancora, in altri modi, ma che questo non mi rende certo meno donna.
“Se vuoi, nel frattempo, puoi esercitarti a fare la zia...” aggiunge in fine, stupendomi non poco. La abbraccio di slancio.
“Mi dispiace per averti detto quelle cose, sulla gravidanza, non le pensavo davvero,” le chiedo scusa poi. “Anzi, sono contenta per voi... e mi piacerebbe molto essere partecipe della vita della vostra creatura.”
 
Torniamo in caserma, con lei che mi stringe la mano per farmi forza, e Marco sorride compiaciuto alla scena, felice a sua volta che abbiamo fatto pace, prima di informarci che Don Matteo nel frattempo ha avuto un’idea su come incastrare Massimo e indurlo a confessare.
Si becca ovviamente un’occhiataccia da parte della sua fidanzata per il coinvolgimento del prete. Non che la cosa renda particolarmente contenta anche me, perché non è legale, ma devo ammettere che ha sempre delle ottime idee e farò finta di non sapere cosa combina il maresciallo. A tal proposito, è da un po’ che non lo vedo in giro, ma non ho tempo di occuparmene, adesso.
Anna, comunque, accetta la proposta di Don Matteo, seppur riluttante. Io ho fatto lo stesso, dato che il piano prevede il mio intervento in prima persona, perché a quanto pare solo io posso spingere Massimo a cadere nella trappola.
 
Anna’s pov
 
Alla fine della giornata, il piano per incastrare Massimo è pronto in ogni dettaglio. Il primo passo tocca a Sara, stasera stessa, e noi possiamo solo aspettare.
Sono felice di aver fatto pace con lei, e sto proprio parlando di questo con Marco mentre, prima di rientrare a casa, passiamo dalla canonica per vedere come siano andate oggi le cose tra Ines e Sergio.
Natalina non è felicissima di vederci, considerato l’orario, ma ci lascia comunque entrare.
Sergio è ancora qui, ma si sta rimettendo la giacca per andar via, ed è intento a salutare una Ines molto assonnata e già in pigiama.
Quando ci nota, la bimba viene a salutare anche noi, prima che la perpetua la prenda per mano per portarla a letto nonostante le sue leggere proteste.
“Com’è andata oggi?” chiedo a Sergio quando la piccola si decide ad andare.
“Benissimo!”, risponde lui con un sorriso stampato in faccia.
Ci mostra un disegno tutto colorato.
“L’ha fatto Ines! Eh! Che ne dite?” spiega, orgoglioso.
La bimba ha disegnato due figure sorridenti: una è lei, su un’altalena, e l’altra è lui. Con la sua grafia di bambina, ha scritto ‘io e il mio papà’.
“Questo qua sono io! Mi ha fatto i capelli un po’ più lunghi, però secondo me ci ha azzeccato… c’è una certa somiglianza, o no?”
“Mh-mh!” confermiamo noi, ridacchiando.
“Non lo dico perché sono il padre, ma credo seriamente che ci sia del talento qui, ha un futuro!” continua lui, e si vede che è felicissimo. È il primo regalo della sua bimba, ed è comprensibile.
“È bellissimo!” confermo, con un sorriso.
Se la merita, questa opportunità. E farà meglio a non lasciarsela scappare, perché poi ottenere di nuovo la fiducia di qualcuno che si fida ciecamente di te è difficile, anche se non impossibile.
Sono felice per lui, davvero. Marco ha ancora qualche dubbio, ma so che col tempo riuscirà ad accettare di non essere più l’uomo più importante per Ines, accontentandosi, per così dire, del secondo posto.
Natalina torna in cucina con uno sguardo eloquente, così decidiamo tutti di togliere il disturbo, salutando.
 
Durante il tragitto di ritorno, io e Marco parliamo di quanto successo in questi giorni, compresi gli avvenimenti con Ines e Sergio.
“Sono veramente stupita di come tu ti stia comportando con Sergio, sai?” ammetto con un sorriso. “So quanto ti costi fidarti di lui, perfino lui se ne rende conto... è bello però che tu ti stia sforzando per il bene di Ines.”
Prima che io possa infilare la chiave nella serratura del portone, Marco mi blocca per il polso, tirandomi delicatamente verso sé e baciarmi. Non me lo aspettavo, in fondo non ho detto niente di particolare, solo la verità. Non che mi lamenti, eh... questa sorta di bacio della buonanotte mi sta piacendo parecchio.
Il suo “Ti amo” appena sussurrato mi provoca le farfalle allo stomaco come fosse il primo giorno.
Era da un po’ che non le sentivo più così forti, probabilmente per via dei mille pensieri che mi avevano tenuta impegnata.
Il rumore di una persiana che si sta aprendo, minacciosa, ci fa affrettare ad aprire il portone e correre dentro.
Forse forse siete riusciti a scansare una delle famose secchiate d’acqua notturne della signora Serena, appena in tempo.
Infatti, il rumore d’acqua che piomba a terra proprio mentre il portone si chiude, conferma la nostra ipotesi, facendoci scoppiare a ridere.
 
Sara’s pov
 
Ieri sera ho incontrato Massimo.
Sono sicura che il mio discorso abbia avuto l’effetto sperato, perché adesso mi trovo in un bosco appena fuori Spoleto insieme agli uomini della caserma.
Ci sono anche Don Matteo e Cecchini.
Un’auto fuori dalla villa del mio ex marito ci ha informati della sua partenza e la direzione imboccata: qui. Stiamo appunto osservando le sue mosse, e a quanto pare aveva nascosto i soldi nel punto in cui sta scavando. Mentre è ancora chino a controllare, viene sorpreso alle spalle dal parroco e il maresciallo. Ci avviciniamo poi anche noi, e mente Anna recupera i soldi, io provvedo a fare ciò per cui sono venuta.
Lo arresto, per chiudere il capitolo definitivamente e lasciarmi alle spalle questa storia.
Dopo un cenno soddisfatto a Marco, notiamo Anna avvicinarsi a Cecchini.
“Ottimo lavoro.” si congratula con lui. “Ah, poi ho controllato, e effettivamente la mail l’hanno inviata… ma Lei non ha potuto riceverla, perché avevamo un problema con un server. Mi spiace di averla accusata ingiustamente. Ora vada a mettersi la divisa.” afferma, facendo per voltarsi, ma lui la blocca, interdetto.
“Ma, e… le dimissioni?”
Anna fa un sorrisetto. “Quali dimissioni? “ chiede, fingendosi sorpresa, per poi spiegare. “Mai inoltrate. Per me, è stato in malattia tre giorni.”
Marco scuote la testa, divertito dalla scenetta.
Per concludere in bellezza, il maresciallo non perde tempo ad assestare il solito schiaffo a Zappavigna, ordinandogli di sistemare la sua scrivania. Lui, povero bersaglio, ha accettato come sempre.
 
Sto rientrando dall’ospedale, dove mi sono recata dopo l’arresto di Massimo, perché ci è arrivata la notizia del risveglio di Lucia.
Qui, ho scoperto che lei mi aveva chiamata perché aveva bisogno d’aiuto: aveva paura dell’uomo possessivo che il mio ex era diventato, e voleva chiedermi scusa per il male che mi aveva causato anni prima. Io l’ho perdonata.
In caserma, nel frattempo, hanno chiuso il caso definitivamente.
Quando arrivo lì, un’auto sta portando Massimo in carcere, e Anna e Marco sono sulla porta ad osservare la scena.
Mi avvicino a loro.
“Volevo ringraziarvi ancora per quello che avete fatto per me, e chiedervi scusa per come mi sono comportata. Avevate provato a mettermi in guardia ma io non vi ho ascoltati.”
Loro mi dicono di non preoccuparmi, perché l’importante è che si sia risolto tutto, e che posso sempre contare sul loro aiuto. Mi invitano a brindare con loro, per il ritorno del maresciallo: hanno organizzato tutto a sorpresa da Spartaco.
Io accetto volentieri, ma prima chiedo ad Anna di poter parlare ancora un attimo con lei.
Marco annuisce, lasciandoci sole e avviandosi verso il bar.
 
Anna’s pov
 
Sara mi sta raccontando cosa le ha detto Lucia in ospedale, prima di tornare a ringraziarmi.
“Hai ragione... arriverà il momento in cui anch’io troverò il mio panda che mi ami esattamente per come sono.”
Io la abbraccio, felice che abbia capito anche lei il suo valore, e che non deve mai più sminuirsi per nessuno.
“Adesso, direi che possiamo raggiungere gli altri,” ridacchio io, una volta sciolto l’abbraccio, accennando al Tric Trac. “Oltre al ritorno di Cecchini, c’è una certa notizia che dobbiamo dare...”
Lei mi rivolge un sorrisetto divertito.
“A tal proposito... sono davvero felice di potermi considerare una sorta di zia per il vostro piccolo.”
“Basta che non fai come Chiara... ha già programmato vita, morte e miracoli del nostro baby Nardi!” mi lamento, sconsolata, facendo scoppiare a ridere Sara.
 
Ci avviamo finalmente verso il bar, dove ci sono caserma e canonica al gran completo, insieme ad Assuntina e il suo bambino, e anche Chiara - che, a mia insaputa, è appena arrivata per passare qualche giorno con noi.
Iniziamo a tremare per i suoi piani per il week-end.
I festeggiamenti hanno avuto inizio senza di noi, ma arriviamo giusto in tempo per vedere l’ennesimo schiaffo bonario del maresciallo al povero Zappavigna, che a quanto pare ha voluto farsi carico delle spese della festicciola.
Spartaco inizia a distribuire i bicchieri a tutti, ma Marco mi consegna con un sorriso un bicchiere diverso, contenente una bibita analcolica.
Molti dei presenti si sono accorti della scena, e ora ci osservano in modo criptico.
“Lei non lo vuole uno spritz, Capitano?” mi chiede Spartaco, interdetto.
È il momento.
“No, grazie, non posso... ma ho un motivo più che valido. Sono in dolce attesa!”
Dalle mie parole, scaturisce un coro festante, e al brindisi per il maresciallo se ne aggiunge un altro per l’arrivo del nostro bambino.
Per la gioia di tutti - mia, principalmente - Marco mi bacia.
Mentre i presenti si congratulano con noi, mia sorella non perde occasione di fare il suo personalissimo commento in stile Chiara.
“Meno male che finalmente tutti sanno del baby Nardi! È stato difficilissimo tenere segreto lo scoop per tutto questo tempo!”
 
 
Ciao a tutti!
Ecco il sesto ‘episodio’! Adesso tutti, proprio tutti, sanno la novità!
Anche Sara - e possiamo solo vagamente immaginare quanto possa essere stato difficile per lei, accettare la situazione. Ma ce l’ha fatta, e la sua amicizia con Anna e Marco è più solida che mai.
Il prossimo episodio, il numero 7, sarà molto interessante: arriva a Spoleto Eugenio Nardi, il padre di Marco. Sappiamo già della sua storia, ma... adattata alla nuova storyline, cosa succederà?
Come ogni volta, io e Martina vi invitiamo a condividere con noi le vostre idee!
A giovedì,
 
Mari

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Capitolo 7
*** Non rubare ***


NON RUBARE
 
Marco’s pov
 
Le ultime due settimane sembrano volate, complici le giornate sempre piene e il costante via vai di Chiara ed Elisa, interessate a controllare come procedono le cose -  facendomi ritrovare spesso a dover trattenere la mia fidanzata dal dare di matto - e che hanno già cominciato con lo shopping per il baby Nardi, come ormai hanno iniziato a chiamarlo tutti.
Secondo mia cognata, “si possono comprare molte cose senza conoscere il sesso del bebè”, il che, di conseguenza, significa che ci sarà una seconda farse di acquisti in cui zia Chiara svaligerà i negozi per neonati, per mettere su il corredo di vestiti e cose varie di tutte le tonalità di rosa o azzurro che riuscirà a trovare. Anche se temo dovrà posticipare di un bel po’ questo proposito, perché io e Anna abbiamo deciso di non conoscere in anticipo il sesso della nostra creatura.
Comunque sia, non vorrei essere nei panni delle commesse in quei giorni - e nemmeno le commesse stesse, credo.
Non fraintendetemi, anche a me entusiasma l’idea di dover preparare la casa per l’arrivo di mio figlio, moltissimo, ma loro un pochino esagerano, e ogni tanto una pausa - da mia suocera e mia cognata - non mi dispiace.
Anna ha già minacciato di non lasciarle entrare più in casa se non la smettono, perché altri cinque mesi e mezzo così, e finiamo al manicomio.
Loro hanno intuito che sarebbe stato meglio seguire il suggerimento, per cui sembrano essersi calmate, almeno negli ultimi giorni.
Dicevo, qualche ora di evasione ci vuole, ed è per questo che sono a casa Cecchini, birra in mano, a seguire la partita infrasettimanale di campionato appena iniziata. Certo, la mia squadra del cuore non è che stia andando benissimo - non che me lo aspettassi, visto com’è messo il mio amato Genoa - ma il calcio mi piace troppo per non seguirlo semplicemente per passione (anche perché di risultati se ne vedono pochi).
Anche il maresciallo aveva previsto di seguire la partita, pur non tifando nessuna delle due squadre, e aveva invitato me e Anna da lui per l’occasione. Anna, però, sebbene tolleri questo sport molto più che in passato, era un po’ stanca e ha preferito restare di là, lasciandoci alla nostra ‘serata tra uomini’.
Peccato che Cecchini avesse dimenticato un piccolo dettaglio: avendo confuso i giorni, aveva invitato Elisa per cena. Quando me lo ha confessato, io sono scoppiato a ridere per l’ennesimo pasticcio, con lui che se l’è presa perché era nei guai, ma che ha insistito che andassi comunque, perché convinto che avrebbe trovato il modo di conciliare le due cose.
 
Adesso, sono seduto sul divano del soggiorno, e teoricamente starei cercando di seguire la partita, ma Cecchini ed Elisa continuano a discutere sul galà che lei sta organizzando e a cui lui non vuole partecipare. Per meglio dire, lui si era proposto di accompagnarla senza pensare al dress code richiesto. Il loro battibecco di per sé non mi darebbe fastidio, anzi, devo trattenermi dal ridere, se non fosse che Cecchini cerca il mio supporto, che io provo a dargli ma viene prontamente smontato da mia suocera, che conosce benissimo i nostri reciproci impegni (ha ovviamente chiesto ad Anna) e il tentativo del maresciallo di inventarsi una scusa cade nel vuoto.
Certo che lui dovrebbe ormai saperlo meglio di me: vincere nelle diatribe con le donne è difficilissimo. Al massimo, tentando, si può ottenere un compromesso, ma dipende dai casi.
Naturalmente, Elisa è una che non si lascia prendere in giro da nessuno, figurarsi da Cecchini, quindi è inutile che lui provi a insistere, perché perderebbe comunque anche se avesse ragione.
La battuta di mia suocera - sul non seguire il mio esempio, perché sono stravaccato sul divano - magari l’avrei evitata, anche se non mi sono offeso davvero.
“Oh, scusa caro, era per dire... Mica tu sei come lui,” afferma infatti lei.
Ah, poi ‘sta cosa che vai tanto d’accordo con tua suocera un giorno me la spieghi con calma. Cioè, è fantastico, eh, ma mi riferisco a quando vi siete conosciuti. Boh, meglio così.
Loro due continuano a litigare, con Elisa favorita alla vittoria, ma tutto degenera quando il maresciallo fa un’uscita delle sue. Cioè, un secondo prima dice che non gli interessa il calcio (bugia ENORME) e quello dopo, con la delicatezza che non lo contraddistingue, chiede a Elisa di spostarsi perché non vede la tv. A decretare la sua sconfitta è la cosa che dice dopo: ha invitato Elisa a cena, ma pretende sia lei a preparare. Lei, ovviamente, va su tutte le furie.
Per forza passa per maschilista, lui, di che si stupisce? Questa cosa che devono essere le donne a cucinare e gli uomini no è sbagliatissima. È la stessa cosa che ho detto ad Anna, quella sera nella mia vecchia casa: non doveva imparare a cucinare perché le donne devono saperlo fare, ma perché voleva imparare per sé. Così come gli uomini non dovrebbero vergognarsi di farsi trovare ai fornelli con un grembiule addosso, lo dico per esperienza. Perché magari, dopo lo stupore iniziale, quella donna ti chiede di insegnarle a cucinare, e il resto è storia...
Ahh, e io che stavo per dire che fossi il ‘paladino delle donne’! A te, di una sola ti importa... BRAVO.
Cerco di intervenire per evitare che le cose peggiorino, ma invano perché Elisa se ne va a grandi falcate verso la porta, che spalanca per bussare a quella di casa mia e di Anna.
L’occhiataccia rivolgo a Cecchini è sufficiente a farlo smuovere per tentare di arginare il danno.
 
Anna’s pov
 
Il campanello di casa ha suonato - senza sorprendermi - dopo che le urla dall’appartamento di fronte sono arrivate nitide a interrompere la mia lettura.
Apro la porta ritrovandomi davanti mia madre, furiosa, con Cecchini che la segue vestito da pinguino. Lei entra nel mio appartamento, così che mi ritrovo anche io a battibeccare con lui. Sta borbottando qualcosa circa il caratterino di mia madre e, sebbene non abbia tutti i torti, lui non è che sia proprio da meno, per cui gli dico senza tanti giri di parole come non mi stupisca che litighino sempre, sono troppo diversi per essere compatibili. E comunque non sono affari miei, come gli ho detto più volte. Non ne voglio sapere niente, ma se mia madre sta male per colpa sua, ne risponderà a me, altro che aumento come l’altra volta! Quando Cecchini mi chiede se pensi che lui sia maschilista, il mio secco ‘Sì!’ lo lascia senza parole, così rientro finalmente a casa, dopo aver intravisto Marco ridere dal salotto del maresciallo.
Sempre il solito Marco.
Richiudo la porta ben consapevole che questo litigio tra i biscottini avrà non poche ripercussioni nei giorni a venire, ma so anche che di là, nonostante la partita di calcio in corso, Marco farà un bel discorsetto a Cecchini su come non siamo più nel medioevo e le donne nel frattempo abbiano ottenuto l’emancipazione.
È ora che certe cose non le sappiano più soltanto i ‘panda’. Si aggiorni, maresciallo!
 
Marco’s pov
 
Cecchini è rientrato in casa col cilindro in mano e l’aria abbacchiata.
So che non ha combinato l’ennesimo casino di proposito, ma stavolta ha esagerato e non esito a dirglielo.
“Maresciallo, davvero! Lo stereotipo della donna che cucina se lo poteva risparmiare... non esistono più i vincoli di sesso in nessun ambito, e noi uomini possiamo sostenerlo quanto ci pare, ma alla fine Lei sa bene che siamo costretti ad ammettere che le donne sono sempre un passo avanti in ogni cosa. E quindi fare un passo indietro in certi casi si può, e si deve, anche solo chiedendo scusa o mettendoci ai fornelli al posto loro.”
Lui ascolta il mio breve discorso, corrucciato.
“Io non capisco dall’alto di che cosa Lei mi dà questi consigli,” si lamenta, come previsto. “L’esperto in amore sono io tra noi due, e poi Lei dice che è colpa mia ma ha cominciato Elisa!”
Inarco un sopracciglio.
Cosa siamo, all’asilo?
“Elisa è una donna particolare, va saputa prendere, esattamente come Anna. Certo, madre e figlia sono diverse, ma se c’è una cosa che hanno in comune è l’orgoglio. Sono entrambe testarde, sicure di sé e non si lasciano né mettere i piedi in testa né tantomeno ammettono di aver torto tanto facilmente. Non serve che Le ricordi che Elisa voleva fare l’avvocato, da giovane, no? E che Anna è Consulente Legale dell’Arma? Sanno benissimo come difendersi. Ma dietro quella corazza nascondono un animo estremamente sensibile. Elisa ci tiene a quel galà, ci ha messo un sacco per organizzarlo, e visto che né io e Anna, né Chiara riusciremo ad andarci, era felice di sapere che almeno Lei l’avrebbe accompagnata. Il Suo rifiuto l’ha ferita parecchio.”
Insomma, ho capito benissimo perché Elisa se la sia presa, perché ha reagito esattamente come avrebbe fatto Anna al suo posto, e anche Chiara.
La famiglia Olivieri non ha segreti per te, eh? Hehehe.
Comunque, è anche per questa personalità che ammiro molto mia suocera. La sua forza di carattere le ha permesso di crescere da sola due donne splendide come la mia fidanzata e mia cognata, a prescindere da tutto.
“Sì sì,” fa però Cecchini, “in ogni caso, Lei non è nella posizione di giudicare, perché io sono quello che sistema le cose nelle coppie, sono io il cupido, e la sua Anna è ‘sua’ per merito mio e del mio piano G.”
Oddio, su questo avrei qualcosina da ridire... appena appena.
Ma lui non ha finito.
“E poi, altro che esperto di donne, Lei! Litiga sempre con Anna, e ora mi vorrebbe dire a me che sa tutte ‘ste cose!”
Va via borbottando, facendomi scuotere la testa, divertito.
Per il momento lascio correre, sapendo che non otterrò niente di più per stasera, tornando con l’attenzione alla partita.
 
Ieri sera ho lasciato Cecchini ancora arrabbiato, quando sono rientrato a casa.
Mia suocera era già rientrata in hotel, mentre Anna si era messa da poco a letto, dopo aver ascoltato a sua volta le lamentele della madre. Non sapevamo se ridere o piangere, pensando a quanto ci aspetta nei prossimi giorni.
Comunque sia, stamattina Anna è dovuta uscire prima per via di un caso di omicidio, e mi sto apprestando ad entrare in caserma quando alle mie spalle sento qualcuno suonare insistentemente il clacson. Insulto mentalmente chiunque sia, quando mi accorgo che l’autista sta urlando il mio nome.
Mio padre.
Che ci fa, qua? La mia vita stava scorrendo benissimo senza la sua presenza.
Abbiamo sempre avuto un pessimo rapporto, è ormai chiaro a tutti, sebbene io non parli quasi mai di lui, non apertamente.
Anzi, in generale evito di pensare di averne uno.
L’ho anche detto ad Anna, recentemente. Meglio non averlo un padre, piuttosto che ritrovarsene uno che ti delude costantemente, e non solo perché non veniva a vedere le partite quand’ero un ragazzino, anzi.
Ma questa è una parte della mia vita che ho chiuso in un cassetto che non ho nessuna intenzione di riaprire. Un passato che vorrei poter cancellare, che non voglio condividere perché troppo doloroso, senza nessun attimo di felicità.
E mentre lui commenta quanto io sia cresciuto - nemmeno troppo ironicamente, visto che non ci vediamo da più di un anno, perché lui è sempre troppo impegnato a fare altro per domandarsi che fine io abbia fatto - mi ritrovo a sperare che questa visita duri il meno possibile.
Qualcuno sembra rispondere alle mie preghiere di poter evitare un dialogo con lui, perché giunge un’auto dei Carabinieri dalla quale scendono Zappavigna, Cecchini e Anna.
Oh, ecco, qualcuno che può darti una mano per-
Il maresciallo inizia a inveire contro mio padre, perché a quanto pare ha forzato un posto di blocco, con tanto di ‘gesto apotropaico’ nei confronti di Cecchini, passandogli con le ruote dell’auto su un piede.
Io sono sul punto di dirgliene quattro quando Anna, intuita l’atmosfera ben poco pacifica, non richiama tutti all’ordine.
Ha senz’altro notato il mio disagio, e tenta quindi di mediare alla diatriba optando per lasciar correre e abbonare a mio padre il reato, per stavolta.
Oh, che è questo mezzo abuso d’ufficio?
Appunto, io avrei applicato pure le virgole della legge.
Mio padre capisce che quello di Anna, più che un gesto gentile, è un invito a calmarci tutti, per cui si affretta ad andare in hotel per fare il suo check-in, dopo che io gli intimo di sbrigarsi a togliere la sua macchina dalla piazza.
 
Anna’s pov
 
Anna, sei ancora sicura di non voler entrare in maternità prima del tempo?
Non esageriamo, vocina.
Okay, ogni giorno ce n’è una nuova, ma per la mia sanità mentale, preferisco restare finché posso.
E meno male, perché se non fossi stata presente, poco fa sarebbe finita male.
Il mio futuro suocero, Eugenio Nardi, è appena giunto a Spoleto con la teatralità che, stando a quel poco che mi ha raccontato Marco, lo ha sempre contraddistinto.
È la seconda volta che vedo Eugenio in vita mia, e il mio fidanzato è scontento quanto allora, di vederlo.
I reali motivi di scontro non li conosco, perché Marco è sempre stato molto restio a parlarmi di lui. Io non ho mai voluto forzarlo, anche perché so che non servirebbe: mi ha sempre detto qualcosa quando si sentiva pronto a farlo, e so che anche stavolta sarà così.
Adesso, ha l’aria di uno che vorrebbe essere ovunque tranne che qui, per cui decido di mettere un punto a tutto questo casino, abbonando il reato di Eugenio per farlo sloggiare il prima possibile.
Stiamo per avviarci tutti e tre nel mio ufficio per un interrogatorio sul caso, quando sento Marco intimare al padre di sbrigarsi ad andar via, così mi avvicino a lui.
Lo sguardo che mi rivolge, una volta al suo fianco, mostra tutto il suo malessere.
“Mi dispiace... è sempre il solito.” mormora, ma io scuoto la testa.
“Dai, non fare così... Me lo fai un sorriso?” scherzo, tentando di tirargli su il morale almeno un pochino, senza forzarlo a parlare.
Lui sembra apprezzare, prima di far cenno alle scale.
“Meglio se andiamo a lavorare, mh?”
Accetto volentieri la mano che lui mi porge, per avviarci insieme in caserma.
 
La storia del caso è terribile: abbiamo trovato una donna morta su una tomba, e la figlia adolescente ci spiega che la madre era qui a Spoleto per cercare, a suo dire, la sua gemella che le era stata rubata al momento del parto, poiché aveva scoperto qualcosa.
Noi ascoltiamo attentamente le parole della ragazza, e la storia non può certo lasciarmi indifferente: si parla di un bambino rubato, di nuovo, e non posso fare a meno di portarmi la mano all’addome.
Inizia a crescere, anche se dall’esterno non è così evidente, ma la divisa inizia ad andar stretta.
Riesco a pensare solo che se mai qualcuno osasse toccare il mio bambino, io...
Anna, calma. Respira.
Lo so, ma non posso fare a meno di sentirmi coinvolta, e Marco ha probabilmente intuito il mio stato d’animo perché si è avvicinato, posandomi una mano sulla schiena nel tentativo di tranquillizzarmi.
Anche lui starà pensando alla stessa cosa, solo che lo sta nascondendo meglio.
È diventato più bravo, e poi si sta sempre di più calando nella veste del padre di famiglia, consapevole delle proprie responsabilità, e non può che farmi piacere.
Sta proseguendo nel suo percorso di cambiamento, voluto e non imposto, cosa che fino a non molto tempo fa lo spaventava terribilmente.
 
Ringraziamo la ragazza per il suo aiuto, e chiedo al maresciallo di accompagnarla fuori.
Quando rientra, iniziamo a discutere del caso, partendo da quanto lei ci ha detto.
“Ma a voi non vi pare strano che una donna muoia sulla tomba di un’altra donna che porta lo stesso nome? Non è una coincidenza!” esclama Cecchini, baldanzoso.
Marco lo guarda con aria di sufficienza. “No, Lei crede davvero a questa roba della figlia, e che c’entri con la sua morte?”
“Sì!”
“In effetti è un ottimo ragionamento. Faccia i miei grandissimi complimenti a Don Matteo.” affermo, ironica, sgamando la sua bugia al volo.
“Che cosa c’entra Don Matteo...”
Marco scoppia a ridere.
Disponiamo comunque gli accertamenti del caso, ma il mio fidanzato si blocca a metà frase perché ha appena notato Sergio entrare in caserma.
“Che ci fa, lui, qui?” mi chiede.
“Non ne ho idea...” replico però io, altrettanto confusa.
 
“Salve! Si può?” domanda La Cava, una volta giunto alla porta del mio ufficio.
Lo invito a entrare.
“Mi chiedevo se... fosse possibile parlare con te, in privato.”
Sono a dir poco sorpresa della sua strana richiesta, così come Marco e Cecchini, ma lui insiste con uno sguardo speranzoso, così mi ritrovo ad accettare.
Il mio fidanzato è evidentemente riluttante all’idea di lasciarmi da sola con lui, ma Cecchini lo invita a prendere un caffè, dopo una mia occhiata eloquente.
“Dimmi...” mormoro, una volta rimasti soli.
Lui sorride. “Volevo ringraziarti per l’aiuto che mi stai dando.”
Scuoto la testa. “Non ce n’è bisogno, e come ti ho già detto, molto del merito va a Marco. È lui che dà l’autorizzazione di volta in volta.” spiego, leggermente perplessa.
So che Marco sta iniziando a valutare con gli assistenti sociali la possibilità di rendere più ufficiale il rapporto e gli incontri tra Sergio e Ines, ma ci sta andando con i piedi di piombo e per adesso continua ad essere lui il garante. Per questo non ne faccio accenno.
“Comunque sia, mi fa piacere, sapere che tu ti stia impegnando così tanto, con Ines.”
Lui annuisce. “E volevo dirti anche che ho trovato lavoro!”
“Davvero?”
“Mh-mh! Lavoro serio, busta paga, contributi...”
“Bene, sono contenta...”
Dopo un breve saluto imbarazzato, se ne va, lasciandomi sola e più confusa di prima.
Marco non attende un altro istante per rientrare in ufficio, dopo un’occhiataccia a Sergio in corridoio.
“Che aveva da dirti con tanta riservatezza?”
Io faccio spallucce.
“Dirmi che ha trovato lavoro.”
Marco non sembra convinto, e fa per dire qualcosa ma richiude immediatamente la bocca alla mia occhiata, che gli intima di non fare di nuovo il geloso.
 
Cecchini’s pov
 
Sono in cucina a districarmi a gran fatica tra i fornelli.
C’è Marco, appoggiato al piano cucina, che ride per il mio look.
“Che c’è? Ho un grembiule! Mica il vestito da pinguino di ieri, che ride?” gli chiedo, un po’ offeso.
“Scusi, è che mi ha chiesto una full immersion in cucina, ma mi ha preso troppo alla lettera, Lei,” mi spiega continuando a ridacchiare, e indicando la... cuffia per la doccia che mi sono messo. Vabbè.
Ho appena finito di friggere i pitoni siciliani, e ringrazio comunque il pm per l’aiuto, perché mi ha consigliato il modo più adatto per farmi perdonare da Elisa. Mi ha assicurato che funzionerà, e inizio a credere che ha ragione: ho invitato la mia biscottina a cena, e ho cucinato io.
Lui minimizza, ma per me è veramente importante la loro vicinanza.
Farei di tutto sia per lui che per Anna, per saperli felici.
Sono stati la mia ancora di salvezza quando ho perso mia moglie Caterina e ho spinto io stesso Assuntina a continuare a studiare fuori senza farla restare qua a farmi da ‘badante’, perché sapevo che non sarei stato solo. È grazie a loro due se ho superato la depressione, e sempre per merito loro ho conosciuto meglio Elisa ed è nata questa nostra amicizia speciale. Non sono ancora pronto a dare un altro nome al nostro rapporto, ma so che lei è importante per me.
Per fargli capire la mia gratitudine, gli do un abbraccio, uno di quelli che ci scambiamo da un po’ di tempo a questa parte, che ha tanto l’aria di essere tra padre e figlio.
“Ora è meglio che vada, però”, dice poi lui, “così ha il tempo di sistemarsi, meglio che la cuffia e il grembiule se li toglie! Non sono il massimo del romanticismo...” mi prende in giro.
“Sì sì, rida...” lo rimbecco affettuosamente. “Passi una bella serata, con Anna e Suo padre.”
Marco sembra stupito dalle mie parole, e capisco perché, visto che il nostro incontro di stamattina non è stato proprio il massimo, ma so che apprezza l’augurio.
Lo accompagno però alla porta.
Quello che vedo quando la apro non mi piace per niente.
 
Anna’s pov
 
Il padre di Marco ha appena suonato alla porta del nostro appartamento.
Gli ho aperto, e sono uscita con lui sul pianerottolo, per chiamare Marco che è ancora da Cecchini, quando arriva mia madre.
“Oddio, ma Lei è Eugenio Nardi!” esclama, improvvisamente euforica. “Io sono una fan sfegatata, ho letto tutti i Suoi libri... Elisa, piacere! Sono la mamma di Anna!” esclama, emozionatissima.
Perfetto, direi.
Già, perché il padre di Marco è un noto psicanalista. E mia madre va matta per le sue pubblicazioni.
“Piacere!” risponde mio suocero, con un baciamano.
Proprio in quel momento, si apre la porta dell’appartamento di Cecchini, e lui esce insieme a Marco. Nessuno dei due sembra particolarmente entusiasta della scenetta.
“Perché non me l’hai detto, che hai un papà così famoso?” chiede mia madre, naturalmente, al che Marco si limita ad allargare le braccia.
In compenso, Cecchini ci dà grandi soddisfazioni. “Famoso... io non l’ho mai visto!”
“Ma come non l’hai... Eugenio Nardi, il famoso psicanalista!” replica però mamma, al che il mio fidanzato cerca di togliere l’impiccio, proponendo di andar via.
“No no no, ma quale ristorante, voi restate con noi a cena!” replica però mia madre, con grande disappunto di tutti. 
 
Ecco, non so bene come ci ritroviamo tutti a tavola, da Cecchini, quando a quest’ora avremmo dovuto essere al tavolo del ristorante.
Tra l’altro, sto mangiando quello che ha preparato il maresciallo (mi fido solo perché so che l’ha aiutato Marco - non me lo sono scordata, quando ha interrotto la mia ‘lezione di cucina’ con Marco per chiedermi come si usasse il forno), perché il sushi è taboo per me adesso.
Ohhh, anche io me lo ricordo bene, quel periodo! Il caprone Sasà!
Ecco, vocina, tu ti ricordi proprio le cose importanti, non c’è che dire.
Marco non è a suo agio, ma non mi stupisce.
Mi aveva presentata a suo padre, l’unica volta in cui era tornato a Genova con me, e non è che lui si fosse dimostrato molto affettuoso. Aveva provato i suoi giochetti psicologici anche con me, ma era andato a sbattere contro un muro. Lui aveva anche fatto una brutta battuta sulla precedente esperienza matrimoniale di Marco, e aveva rischiato di farsi prendere a pugni davvero, se non ci fossi stata io a trattenere il mio fidanzato.
Quindi il clima che si respira a tavola non è che sia rilassatissimo.
Marco sembra perfino più nervoso del solito, mentre osserva suo padre interagire con mia madre. Non che io sia particolarmente contenta, perché la tensione tra Eugenio e il maresciallo è palpabile: è evidente che Cecchini sia geloso, e la cosa al di là di tutto mi fa sorridere perché mi dimostra quanto lui ci tenga, a mia madre, e ne sono contenta, nonostante i nostri battibecchi e i casini che combina.
È bello vederlo così, adesso, soprattutto se ripenso al periodo buio che lo ha travolto dopo la morte della moglie. Ha sofferto tantissimo, non parlava mai di quanto si sentisse solo, ma si percepiva... Per questo motivo, io e Marco avevamo iniziato a proporgli le gite con mia madre e la sua compagnia di amiche.
Principalmente per distrarsi, e inaspettatamente lui aveva invece trovato un modo per sopperire al vuoto lasciato da Caterina. All’inizio questa situazione mi metteva a disagio, ma col tempo mi sono abituata, e in fondo il maresciallo per me è diventato davvero una figura paterna, e sono felice di sapere che sia così presente nella mia vita.
Comunque sia, ho capito cosa sta facendo mia madre: oltre ad una vera ammirazione per Eugenio, sta sondando il terreno per accertarsi quanto il suo biscottino tenga a lei.
Cecchini sta addentando un pitone, decidendo di partecipare alla cena a modo suo, però il wasabi forse sarebbe meglio evit-… ecco, appunto, va’ come è costretto ad alzarsi da tavola con la lingua in fiamme.
“Comunque è bello vedere che siete tornati insieme,” afferma mio suocero di punto in bianco alludendo a me e Marco, “dato che sapevo vi foste lasciati... Io pensavo che Lei fosse in Pakistan, giusto? È per questo lavoro in Pakistan che avevate annullato tutto!” continua, al che rivolgo uno sguardo interrogativo al mio fidanzato.
Non sapevo che si fossero parlati, men che meno che Eugenio fosse a conoscenza del mio incarico a Islamabad.
Lui ricambia con aria leggermente colpevole, ma capisco che mi spiegherà tutto dopo, e quindi mi rivolgo a mio suocero.
“Sì, inizialmente avevo pensato di accettare, ma poi... ho capito che, per me, contava di più l’amore per Marco. Quando ho valutato davvero la proposta, ho capito che non sarei mai partita veramente.” ammetto, prima di continuare. “E, in fondo, ha vinto anche la divisa: il mio obiettivo fin dall’inizio è stato quello di entrare nell’Arma dei Carabinieri, sono riuscita a diventare Capitano prima del previsto e per il momento mi basta. Il resto che verrà, lavorativamente parlando, lo valuterò, certo, ma so già bene quello che voglio. E la mia vita è qui, con lui.”
Mi vedo rivolgere uno sguardo pieno d’ammirazione da parte di tutti i presenti, ed Eugenio non si esime dal commentare.
“Ben detto! A me piace la donna forte, moderna, in grado di determinare il proprio destino... come te, Elisa!” esclama lui, però, facendomi rendere conto solo in quel momento che Cecchini non è ancora tornato a tavola.
Anzi, eccolo, che si lamenta degli effetti del wasabi.
“Adesso svengo!” replica mia madre, estasiata, alzandosi per iniziare a sparecchiare.
Io la imito, alzandomi a mia volta e raccogliendo il resto dei piatti, alzando gli occhi al cielo.
 
Marco’s pov
 
Anna e mia suocera si sono appena alzate da tavola, così ne approfitto per avvicinarmi a mio padre e dirgli di smetterla di provarci con Elisa. Lui finge di non saperne nulla, ma non mi frega. Perché è sempre stato questo il suo problema, non rendersi conto quando è il caso di finirla.
E infatti, come se io non avessi detto niente, si alza per raggiungere Elisa in cucina, mentre Anna si allontana per lavarsi le mani.
Cecchini mi chiede sospettoso se mio padre stia facendo lo scemo di proposito, ma io cerco di sviare pur sapendo che ha ragione, per non peggiorare le cose.
Eugenio Nardi ha sempre avuto la fama di don Giovanni, ed è questo che ha rovinato tutto. Solo che lui se n’è sempre fregato.
La serata si conclude quando Anna, qualche minuto dopo, mi si avvicina, chiedendomi se possiamo tornare a casa, perché è stanca dopo la lunga giornata che abbiamo avuto. Io annuisco, cingendole le spalle con un braccio. Salutiamo tutti, e anche mio padre ed Elisa vanno via, con enorme fastidio di Cecchini, perché mia suocera si è offerta di accompagnarlo, visto che alloggiano nello stesso hotel.
Ho inutilmente cercato di fargli segno di rifiutare, perché lui ha fatto finta di non vedermi e ha accettato.
 
“Stai bene?” mormora Anna, una volta chiusa la porta alle spalle.
“Certo... perché non dovrei?”
Lei mi rivolge uno sguardo eloquente.
“Marco... siamo a casa, da soli, e nessun altro ci sente. Puoi smettere di fingere che vada tutto bene.”
Scuoto la testa con un mezzo sorriso. Avrei dovuto immaginarlo, che la stanchezza era solo una parte del motivo per cui siamo rientrati.
Proprio non ci riesco, a mentirle. Non che voglia farlo, almeno non su tutto, ma le assicuro che adesso è tutto a posto.
Mio padre riapparso dal nulla, tornato come se niente fosse mi ha destabilizzato e mi innervosisce non poco, ma non è niente che io non riesca a sopportare per i soliti due, tre giorni prima che lui si decida a ripartire per chissà dove, dopo essersi stufato di ronzarmi intorno.
Anna non sembra molto convinta dalle mie parole ma non insiste, come sempre quando entriamo nel discorso.
“... come mai non hai detto a tuo padre che siamo tornati insieme?” mi chiede, però, perplessa. “Pensavo non sapesse nemmeno che ci eravamo lasciati, in realtà.”
“Sinceramente non avevo intenzione di raccontargli proprio niente, ma è stato lui a chiamarmi. Era venuto a sapere del matrimonio rimandato e ha insistito a voler sapere il perché. Dopo quel pomeriggio non ci siamo più sentiti, per questo non lo sapeva.”
Lei torna a fissarmi, ben consapevole che, per l’ennesima volta stasera le sto nascondendo qualcosa.
Ha ragione, ma non posso certo dirle che, durante quella telefonata, mio padre mi aveva definito di nuovo un fallito, perché non avevo saputo perseguire ciò che sognavo di avere. Avevamo finito per litigare, forse come mai prima di allora.
L’ho odiato come poche altre volte. Proprio lui ha osato dirmi che non ho saputo lottare per ciò che volevo! Lui, che mi ha costretto ad abbandonare il mio desiderio di fare l’attore, lui che non c’è mai stato, lui che se n’è sempre fregato di me.
Lui che non mi ha mai nemmeno chiesto perché il matrimonio con Federica fosse saltato, o il motivo per cui avevo lasciato che la mia Anna preferisse la carriera a me.
Lui, che non è mai stato capace di essere padre, perché sperare che fosse un buon padre sarebbe stato ancora più inutile e deleterio.
Sento la rabbia tornare a montare, ma non voglio che Anna lo noti. Non ha bisogno di farsi carico anche delle mie preoccupazioni, del mio nervosismo, tantomeno delle mie vecchie paure che riaffiorano.
Quelle che avevo sempre tenuto relegate in un angolo, sperando che restassero lì per il resto della mia vita, e che invece mi sono piombate addosso tutte insieme stamattina, quando ho scoperto che lui si era presentato qui a Spoleto.
Saprò essere un buon padre per mio figlio? O sarò come il mio, incapace di trovare il tempo da dedicargli per lavoro o irresponsabilità? O... altro?
Già quella maledetta sera avevo temuto di essermi trasformato nella sua copia.
Io non voglio essere come lui. Non voglio.
Torno alla realtà solo quando mi accorgo che Anna ha schioccato le dita davanti ai miei occhi.
“Ci sei?”
“Sì, sì... scusa.”
Mi accarezza il volto, preoccupata.
“Lo so che non sei pronto a dirmi più di quanto tu non abbia già fatto, visto che ti sei perso nel tuo mondo per diversi minuti, ma non fa niente... Però, non devi dimenticarti che stiamo condividendo la nostra vita, e se hai bisogno di parlare di questa cosa che sembra tormentarti, io ci sono... Anche se hai bisogno solo di sfogarti e non dire niente... sono qui con te, come sempre. Ma non farei mai nulla per forzarti, se non vuoi. Solo... non tenerti tutto dentro. Qualcuno, una volta, mi ha detto che non si deve cercare di essere forti, sempre, a prescindere...”
La bacio di slancio, stringendola a me.
È un bacio lungo, appassionato, carico di tutto l’amore e la gratitudine che provo per lei. Per il suo essere sempre al mio fianco. Per essere sempre se stessa. Perché nessuno, più di me, potrà mai capire quanto io sia fortunato ad averla accanto.
Perché mi sembra sempre tutto troppo bello per essere vero, quasi fosse un sogno a occhi aperti.
Perché non avevo mai capito quanto fosse incredibile vivere, amare... prima di lei.
“Ti amo...” le sussurro, quando ci allontaniamo col respiro affannato.
Tanto basta perché lei capisca che ho recepito il messaggio.
 
Ci eravamo messi a letto da poco, ieri sera, quando il maresciallo ci ha chiamati per dirci che Don Matteo ha forse capito l’identità della gemella di Alice, la ragazza che abbiamo interrogato, che ci ha raccontato della neonata rubata.
Eccoci quindi in caserma, insieme al prete e a Sofia, perché pare essere stata lei a recepire il nesso.
Stare in compagnia di Don Matteo acuisce le doti investigative, a quanto pare.
Anna è convinta che le supposizioni del prete siano giuste, e questa cosa mi ha sorpreso non poco.
Giuro, se non l’avessi ribadito tu, ora, affermerei di averlo sognato.
Una volta soli, Anna mi spiega anche che ha scoperto che il certificato di morte della gemella scomparsa è falso, e che ulteriori dari forniti da Cecchini, indicano che la ragazza potrebbe essere stata ‘adottata’ dal ginecologo che, sedici anni fa, ha fatto partorire la donna.
Convochiamo l’uomo, che sorprendentemente si presenta accompagnato dal suo avvocato. Un comportamento a dir poco strano, perché se lo fai, significa che hai bisogni di difenderti.
È proprio quello che gli faccio notare, davanti all’alibi che lui afferma di avere, e come se non bastasse, l’avvocato interviene sfacciatamente, commentando che è venuto proprio perché sa come ragionano i PM come me, interessati solo a trovare un colpevole senza curarsi del resto.
Fosse successo qualche anno fa, avrei reagito d’istinto, alzando la voce e facendo il suo gioco. Adesso, invece, mi ritrovo semplicemente a ribattere che, visto che non ha niente da nascondere, il ginecologo di certo non avrà problemi a sottoporsi al test del DNA.
Lui, come immaginavo, rifiuta, e il legale minaccia di denunciarci per calunnia.
Cerco di mantenere la calma fino all’ultimo istante in cui sono in caserma, ma se pensano di impedirmi di fare giustizia, si sbagliano di grosso.
 
Anna’s pov
 
Il ginecologo e il suo avvocato hanno appena lasciato l’ufficio, quando mi alzo dalla mia sedia per avvicinarmi a Marco.
È nervoso per l’affronto subito, perché quel tipo ha generalizzato senza sapere, ma sono felice di vedere che il mio fidanzato abbia imparato a controllare le sue emozioni e il suo istinto.
Di una cosa sono sicura: anche se quel tizio dovesse rivelarsi innocente, meno male che non è il mio ginecologo.
Durante tutto l’interrogatorio, ha cercato di mantenere un’espressione neutra, ma si vedeva, che aveva paura di qualcosa, ma di sicuro la storia del neonato rubato non aveva avuto su di lui alcun effetto.
Quanta poca empatia negli esseri umani...
Marco mi dice che tenterà comunque di convincere il giudice a disporre il test del DNA, per quanto difficile sia, perché chiunque avrà di sicuro più cuore e umanità di quei due, e che riterrà gli accertamenti necessari allo svolgimento delle indagini.
Vedere il mio fidanzato così coinvolto dai casi che riguardano minori nemmeno mi stupisce più ormai, ma mi rende orgogliosa comunque. Quanta strada ha fatto, e forse nemmeno se n’è reso completamente conto...
 
Usciamo dal mio ufficio quanto notiamo Cecchini che si è messo a spiare dalla finestra della caserma, e con mio profondo orrore vedo mamma con il padre di Marco.
Cecchini è evidentemente sempre più geloso: ironia della sorte, chi di piano G ferisce, di piano G perisce? Chi lo sa. La scena mi fa sorridere, perché mi dimostra che lui ci tiene veramente a mia madre, ma comunque la ramanzina non gliela leva nessuno, perché se pensa che lei sia il tipo da farsi abbindolare dal primo che passa allora non ha capito niente. Certo, mia madre ha mille difetti, ma non questo. E nemmeno il padre di Marco lo farebbe, sfrutta solo la sua popolarità. Cerco conferma proprio da Marco, che in teoria mi dà corda, ma il suo tono non è che mi convinca moltissimo.
Okay, io sono la prima a credere che mia madre stia un po’ marciando sulla gelosia del maresciallo, per fargliela pagare per l’altra sera, ma non le è mai piaciuto vedere l’amico di turno (perché ce ne sono stati altri, negli anni, meno duraturi di Cecchini e di cui non ricordo più nemmeno i nomi) geloso, proprio perché non è quel genere di persona che pensa lui. Sto provando inutilmente a farglielo capire, ma lui è cocciuto e resta convinto di ‘vedere cosa vede’.
Dopo un sospiro esasperato, impongo a tutti di tornare a lavorare, perché questa storia mi ha già irritata parecchio.
Sto spiegando al maresciallo e a Marco gli accertamenti che mi servono per proseguire le indagini, quando mi accorgo che Cecchini è sparito.
Ma dov’è andato?
 
Cecchini’s pov
 
Approfitto della distrazione della Capitana e del PM per seguire Elisa ed Eugenio.
Voglio bene a Marco, ma suo padre non lo sopporto proprio. Da quando è arrivato a Spoleto, non ha fatto altro che pestarmi i piedi in tutti i sensi, letterale e figurato.
Ora, pure Elisa in albergo si deve portare? In pieno giorno?
Li seguo, senza farmi notare, e mi ingelosisco ancora di più.
Sì, la mia relazione con Elisa non ha ancora una definizione precisa, ma non lascerò che il primo che passa approfitti di un piccolo litigio per rovinare tutto.
Va bene, piccolo non proprio, ma non ha importanza.
Quello là deve stare a distanza, soprattutto perché si sono conosciuti da un giorno e c’è troppa intimità per i miei gusti.
Per non farmi beccare, entro nella prima stanza che trovo aperta... e scopro che c’è Elena Sofia Ricci, l’attrice famosa.
Lei però si mette a parlare, parlare, parlare e pensa che io sono un cameriere e mi ritrovo a farle da facchino per le sue spese.
Quando riesco ad andare via dalla stanza, però, le cose non vanno come volevo io, perché incontro sulle scale Elisa e Eugenio. Sto scoprendo solo ora che il famoso galà l’ha organizzato tutto Elisa, che la battuta sulla mia gelosia se la poteva risparmiare.
Eugenio ‘Piero Angela’ Nardi ovviamente ha sfoderato tutta la sua cultura per farmi sembrare scemo, quando è solo un don Giovanni.
Non mi interessa se la mia risposta gli ha fatto capire che il suo discorso per me era arabo, ma non ci sto a subire il piano G di Elisa.
Così gli dico che sono venuto qui in hotel per incontrare la mia grande amica Elena Sofia Ricci, anche se non è proprio vero, e prima di andare via, dico a ‘Piero Angela’ che suo figlio Alberto mi sta più simpatico.
Sicuro, da uomo acculturato, avrà capito la metafora legata a suo figlio Marco.
 
Anna’s pov
 
Cecchini non si è visto per tutto il pomeriggio, nessuno in caserma sa che fine abbia fatto.
Io sono seduta alla scrivania del mio ufficio a compilare alcuni documenti, mentre Marco è sul divanetto intento a leggere delle carte.
Il mio cellulare squilla: è Sergio.
“Che voleva?” mi chiede Marco, una volta conclusa la telefonata.
“Mi ha chiesto di passare dal posto in cui lavora, perché vuole parlarmi. Mi ha appena mandato l’indirizzo,” gli spiego, dubbiosa quanto lui.
Ultimamente ti cerca un po’ troppo spesso, Sergio...
Il mio fidanzato è d’accordo con te, vocina, a giudicare dall’espressione che ha messo su.
“Magari si tratta di Ines... dopotutto è a me che riferisce, no? Meglio verificare invece di non presentarmi affatto.” tento di convincerlo, ragionevole.
Lui, seppur con qualche esitazione, annuisce.
So che ha le sue riserve, nonostante la tregua dal giorno della piscina - Marco mi ha poi raccontato cosa si sono detti - e per questo preferisce stare in allerta, oltre ad essere un po’ tanto geloso che possa succedere qualcosa che non deve tra me e lui.
Non per me, perché si fida, ma per intraprendenza di Sergio, visto che sembra non mancargli.
 
Come gli avevo detto per messaggio, l’ho raggiunto una volta finito il turno e tolta la divisa, perché ogni giorno che passa risulta sempre più stretta e fastidiosa da indossare.
Mi duole ammetterlo, considerando quanto ho faticato per ottenerla, ma l’idea che per un lungo periodo non potrò più portarla - anche se per un motivo che mi rende estremamente felice - mi destabilizza non poco.
Comunque sia, ho parcheggiato fuori dal posto indicato dal navigatore.
Resto basita quando scopro qual è il nuovo lavoro di Sergio, che mi aspettava all’entrata.
“Non ci credo! Ti hanno assunto in un motodromo?!” esclamo, elettrizzata.
Lui mi rivolge uno dei suoi soliti sorrisetti.
“Sorpresa? Hai poca fiducia, Capitano,” replica, anche se so che scherza.
Entriamo, e mi mostra la sua postazione.
“Fai il meccanico per una squadra professionistica!”
“La Superbike! Non c’è Valentino Rossi, però, insomma, un bel campionato!” conferma lui.
“E come hai avuto il lavoro?”
“Don Matteo ci ha messo una buona parola…” mi spiega, “ma è anche merito tuo.”
Il tono della sua voce mi fa arrossire per un attimo.
Anna...?
“Sono felice per te... ma non è affatto merito mio. Tuo, semmai. Io e Marco, così come Don Matteo, ti stiamo solo dando una mano.” rispondo soltanto, tenendoci a precisare che io, da sola, avrei fatto ben poco.
Ahhh, ecco. La devi smettere di farmi preoccupare ogni volta!
Noto che, dopo aver nominato Marco, Sergio è tornato a metter su quel suo solito sorrisetto.
Mh, non ti sembra strano?
Ma tu sei sempre complottista, vocina?
No, stellina, sono realista. Anzi, giudiziosa. Sono la tua coscienza, dopotutto!
“Allora? Facciamo un giro in pista? Si fanno 300 km/h. Ti va?” mi propone lui, ma io rifiuto.
“Non mi sembra una buona idea.”
“Come, perché no? Cos’hai, paura? Un Carabiniere che ha paura non s’è mai visto!” mi prende in giro, “Però in effetti, considerata la moto che ha Nardi, non mi stupisce, che tu preferisca quelle che vanno piano, sano e lontano come la sua.”
Ehi, piano con i commenti su Marco e la sua moto, ché l’avete pure scelta insieme, quando lui l’ha cambiata! Anche perché, ci metto un secondo a contattare il grillo-coscienza del tuo fidanzato!
Gli lancio un’occhiata eloquente, fingendo di non aver sentito il commento su Marco.
“No, non ho paura, ti informo che hai davanti una paracadutista esperta. Ma sono incinta, e la salute del mio bambino ha la priorità su tutto.”
Sergio alza le mani.
“Scusami... non ci avevo pensato, non lo ricordavo...” si giustifica, ma so benissimo che sta mentendo.
Marco glielo ha detto l’altra volta in piscina, per cercare di fargli capire quanto fosse importante prendersi cura di Ines, e non mi frega, con la scusa della dimenticanza.
Mi propone quindi di prendere un chinotto al bar del motodromo. A me non piace, ma non vorrei risultare scortese, così acconsento.
 
Saranno dieci minuti buoni che parliamo, appoggiati a una catasta di pneumatici, e io la mia bottiglietta non l’ho ancora toccata.
“Bastava dirmelo se non ti piaceva, eh... potevi prendere un’altra cosa,” mi rimbecca Sergio quando se ne accorge, con una risata.
Abbasso la testa, in imbarazzo, minimizzando tutto. Mi affretto a cambiare discorso.
“Hai sempre avuto la passione per le moto?” gli chiedo.
Lui sembra illuminarsi alla mia domanda.
“Fin da piccolino... mio padre era un appassionato. Amava tutte le moto veloci... ci faceva le rapine. Sto scherzando... sto scherzando! Ma ci caschi sempre!” mi prende in giro. “No, sul serio, era un appassionato... le montava, le smontava, un hobby, come tuo papà col maggiolino.”
“Sì, in effetti è una coincidenza curiosa.” concedo. Un paragone un pochino azzardato forse, ma ci può stare.
Il suo sguardo non mi piace. Attenta.
Smettila di pensare a certe cose, vocina! Non crederai mica che-
Oh, cavolo.
Sergio si sta avvicinando.
Mi raddrizzo, scostandomi dalla pila di pneumatici a cui ero appoggiata.
Coso, fai un altro passo e sei un uomo morto.
Indietreggio ancora, ma lui è ormai vicinissimo.
Ok, anche no.
“Sarò anche incinta, ma resto sempre cintura nera di judo, e se non ti fermi, ti spezzo i denti.”
E ti conviene recepire il messaggio, Coso, oppure chiedi conferma al principe dei crackers.
Sergio si blocca, spalancando gli occhi di fronte alla mia espressione, che di sicuro gli ha fatto capire che sono una che le promesse che fa, le mantiene.
Evidentemente ha buonsenso, perché fa un passo indietro.
“Devi avere le idee un po’ tanto confuse, se hai scambiato i miei gesti per altro, visto quello che volevi fare... Io sono venuta qui, oggi, pensando che volessi parlarmi di Ines, perché è questa l’unica ragione per cui ti ho aiutato finora. Perché potessi avere qualcuno su cui contare, ma nient’altro.” continuo, freddamente. “Pensavo ti fosse chiaro, soprattutto considerando che aspetto un figlio dall’uomo che amo, ed entrambi stiamo facendo di tutto per tua figlia perché sappiamo cosa voglia dire, crescere senza un padre. Dovresti pensare a lei, invece di perdere tempo con me.”
Detto questo, vado via senza aspettare una sua risposta.
 
Quando rientro a casa, ancora scossa per quanto successo poco fa al motodromo, trovo Marco ai fornelli intento a cucinare, con la tavola già apparecchiata per due per una inaspettata cenetta romantica, con tanto di rosa bianca al centro.
“Ho pensato di ritagliarci qualche ora come si deve... che ne dici?” mi chiede, avvicinandosi a me.
Io lo saluto con un bacio, prima che lui torni a scrutarmi con le sopracciglia corrugate.
“Tutto bene? Hai una faccia strana.”
Ops.
“Sì, sì... sono solo stanca.” minimizzo, il che non è proprio una bugia.
“E con Sergio com’è andata?”
Una domanda di riserva non ce l’hai, amore?
Non posso mica raccontargli quello che è successo... non perché me ne vergogni o altro, ma Marco è già nervoso di suo per la questione di suo padre, ci manca aggiungere pure Sergio che lo indispone in tempo di pace, figuriamoci ora.
Se glielo dicessi adesso, che ha tentato di baciarmi, tra qualche mese mi ritroverei ad allattare il nostro baby Nardi tra una visita e l’altra al mio fidanzato, in carcere per omicidio.
La vittima?
Sergio La Cava.
Meglio di no. Mi conviene aspettare un momento più tranquillo, se proprio devo dirglielo.
“Era per Ines, come avevamo immaginato,” mento, a fin di bene. “per aggiornarmi sui progressi che ha fatto con lei negli ultimi tempi, e per mostrarmi che ha un lavoro vero, così che fossi sicura che non si trattasse di una balla.”
“Bene, buon per lui,” approva Marco, che per mia fortuna sembra credermi.
Torna a baciarmi, stavolta più tranquillo, con una carezza per la nostra creatura - che inizia a mostrarsi, sotto i nostri occhi consapevoli - per poi suggerirmi allegramente di accomodarmi, ché ha già pensato a tutto lui, per la cena.
Inutile dire che la serata è proseguita meravigliosamente, a parlare del nostro futuro insieme, a scherzare sul comportamento estatico di mia sorella, con il nostro piccolino, grande protagonista dei mesi a venire.
 
La mattina, quando esco sul pianerottolo per andare in ufficio incontro Cecchini, che non perde tempo a impicciarsi, chiedendomi della mia serata romantica con Marco.
Ma cos’è, un investigatore privato? Come fa a sapere sempre tutto?
Comunque, sto per dirgli che è andato tutto bene, quando lui si fa strada nel mio appartamento, attirato dalle voci di mia mamma e di mio suocero, che lei stessa ha chiamato di buon mattino in qualità di ‘idraulico esperto’ per aggiustare il lavandino, che come al solito ha ripreso a perdere acqua.
Marco, ovviamente, non si è pronunciato, limitandosi a prepararsi ad andare a lavoro, prima di afferrare il guinzaglio con l’intenzione di portare Patatino a fare una passeggiata.
Io ho solo annuito, sconsolata, perché ho capito il suo disagio nel trovarsi Eugenio in casa, ma di certo non avevo previsto che mi sarei ritrovata da sola alle prese con un Cecchini geloso.
La situazione infatti è degenerata in fretta una volta sparito mio suocero, e i due hanno imbastito un litigio da adolescenti che mi fa quasi tornare su la colazione, e che mi innervosisce. Okay, va bene la gelosia del maresciallo, ma mia madre che si comporta come una ragazzina col padre di Marco, davvero? Cosa sono, quindicenni?
Certo, non mi sarei aspettata che finisse tutto con una pausa di riflessione.
Non sono mai riuscita a capire come proprio loro due fossero finiti insieme, visto quanto sono incompatibili in apparenza, ma davvero stanno buttando tutto all’aria per una specie di terzo incomodo che fa lo scemo con lei, ma che è evidentemente solo una pedina nella partita a scacchi che mamma e il maresciallo stanno giocando?
Cecchini va via parlando al telefono, a suo dire con Elena Sofia Ricci, mentre mia madre gli dà del ‘ridicolo’.
Marco sarà anche convinto, ma a me suo padre pare tanto un Casanova.
Mamma sceglie quel momento per chiudere la porta in faccia al maresciallo, continuando a borbottare.
Marco rientra qualche minuto dopo, informandomi di aver incontrato un Cecchini molto abbattuto all’ingresso del nostro palazzo, che nemmeno lo ha salutato.
Gli spiego cosa è successo, e lui è più sconcertato di me.
Mah!
 
Marco’s pov
 
Quando Anna mi racconta quanto è accaduto poco fa, decido che devo necessariamente parlare con mio padre, anche se avrei preferito evitare ogni forma di dialogo con lui, sperando che il mio silenzio sarebbe bastato a fargli capire che non era il benvenuto, qui a Spoleto. Ma adesso sta tentando di rovinare la vita delle persone a cui tengo di più, dopo la mia fidanzata, e non posso permetterglielo.
Comunque sia, prima dobbiamo occuparci di lavoro. Fermiamo il ginecologo perché la sua posizione si aggrava, e lo informo anche che ho trovato un giudice abbastanza folle da disporre il test del DNA che lui aveva rifiutato di fare. Il suo avvocato è costretto a lasciarci fare.
Marco 1 - avvocato 0. Vai così!
 
Sono le 22 quando finalmente riesco a raggiungere mio padre in hotel.
Ho deciso di approfittare della passeggiata serale di Patatino e del fatto che Anna abbia preferito non venire, per andargli a parlare senza che lei lo venisse a sapere.
Ho capito che ha iniziato a sospettare che le mie rassicurazioni circa il comportamento di mio padre non fossero del tutto sincere, ma se posso, voglio ancora evitare di raccontarle che tipo è davvero lui.
Quando busso alla porta, lo sento da fuori che borbotta mentre guarda un programma di Vespa e commenta di come gli ascolti sarebbero maggiori se lui fosse ospite.
Mi fa entrare, ma rifiuto i convenevoli, lasciando entrare Patatino che si accomoda poco distante da noi, per poi andare dritto al punto per cui sono venuto.
“Perché ti sei messo in mezzo tra il maresciallo ed Elisa?” gli chiedo senza giri di parole, ma lui mi guarda un attimo prima di tornare alla tv.
Il suo comportamento mi innervosisce, così spengo quel dannato aggeggio e ripeto la domanda.
“Perché?”
“Ma è il maresciallo che non riesce a controllare i suoi istinti primordiali!” mi risponde lui con un tono evasivo. “E poi tra me e Elisa cosa c’è, alla fine... è un gioco!”
Eccolo, il punto in cui sapevo avrei sbroccato.
“Un gioco...? Per te è sempre un gioco.” replico, la rabbia che aumenta.
Non è cambiato nemmeno un po’. Per lui è tutto un gioco, sempre, non pensa mai alle conseguenze di quello che fa.
“Guarda che fra me e te, il genitore sono io... sono io che eventualmente dovrei esercitare la funzione del super io-” prova, ma io non ci casco.
“Non fare i giochi psicologici, tanto io il libro non te lo compro. Tu vuoi fare il padre? Non ci sei mai stato, per i miei momenti importanti! All’invito per le nozze con Federica non hai mai risposto, e se quantomeno ti sei degnato di farlo per il mio matrimonio con Anna, probabilmente non ti saresti presentato lo stesso, se non fosse saltato!”
“Ma se a quello con Federica non ti sei presentato nemmeno tu che eri lo sposo, e con Anna è saltato perché aveva preferito il Pakistan a te!” ha il coraggio di ribattere, e non so nemmeno io come faccio a trattenermi dall’insultarlo davvero.
Penso però la mia faccia dica tutto, perché lui mi chiede scusa in modo più convinto.
È una cattiveria gratuita. Non ha idea nemmeno di quello che dice, di cosa significhi.
Finisce sempre così, con lui.
“E allora perché ti sei presentato adesso, a Spoleto, visto quello che pensi di me? Voglio saperlo, dimmi perché!” gli domando, la voce che si alza.
Lui non riesce nemmeno a darmi una risposta.  
“Perché a te non te ne frega niente di nessuno. Come al solito arrivi, non dici niente, giochi, poi mandi a puttane la vita di qualcuno, o di qualcuna, perché a te veramente te ne frega solo di te stesso. Come sempre.” gli dico infine, con un tono pieno di disprezzo.
Se c’è una cosa che ho sempre voluto, era proprio non diventare mai come lui.
E sono felice di non essere incappato nello stesso errore, ma il suo comportamento non fa meno male, per questo.
Tutto l’odio accumulato dentro di me in questi anni esplode in quelle parole che gli ho appena detto.
Perché non c’era mai, non c’è mai stato.
La sua mancanza. La sua presenza vuota.
Perché anche quando c’era, era come se non ci fosse, o sarebbe stato meglio se fosse stato assente.
Come ho detto ad Anna, in casi come il mio, meglio non averlo proprio, un padre.
“Se questa è la situazione, allora forse è meglio che io non stia più qui.” dice soltanto lui.
“Mh, forse era meglio proprio se non venivi, sai?” replico invece io, afferrando il guinzaglio di Patatino, per andarmene senza aggiungere altro.
Mi sono tolto un peso enorme dalle spalle, anche se mi è costato moltissimo.
Sento gli occhi velarsi, anche se non vorrei.
Come ogni volta, la rabbia diventa sofferenza.
Che non c’è modo di lenire.
 
Anna’s pov
 
Ieri sera, quando Marco è rientrato dalla passeggiata post-cena con Patatino, era terribilmente scosso.
Avevo provato a chiedergli cosa avesse, senza successo, e per di più ero stata costretta a lasciarlo da solo perché mi era arrivata una chiamata per un’aggressione ai danni di Rik, il figlio dell’avvocato del ginecologo.
Al mio ritorno dopo il breve sopralluogo, Marco dormiva già. Magari era solo stanco, perché stamattina apparentemente andava tutto bene.
La mattinata è trascorsa tranquilla, non abbiamo avuto novità in merito ai due casi che stiamo affrontando, e sto per rientrare in caserma dopo aver preso un tè al bar con mia madre, quando vedo la piccola Ines chiamare il mio nome, mentre tenta di trascinare con sé Sergio, alquanto riluttante ad assecondarla.
Lei lascia la sua mano, correndomi incontro e, per quanto preferirei non parlare con lui adesso, alla bimba non so resistere.
“Ciao!” la saluto, abbassandomi al suo livello per abbracciarla.
“Io e papà stiamo andando a nuoto! Tu non vieni? Dai, vieni, vieni!” mi prega, ma io sono costretta a rifiutare, sia perché sono ancora di turno, ma anche perché non sarebbe una buona idea.
“Non posso venire... devo lavorare!” le rispondo, e non sono mai stata così contenta di avere una scusa reale per declinare un invito, seppur a malincuore.
“Uffa, ma tu lavori sempre!” dice, imbronciata.
Sergio, che fino ad ora era rimasto impassibile di fronte alla scena, cerca di richiamare l’attenzione di Ines per andar via, ma proprio in quel momento lei torna a distrarsi.
“Marco!!” esclama, felice, sciogliendo l’abbraccio con me per correre da lui, appena arrivato, che la solleva da terra con altrettanto entusiasmo.
Non mi stupisce, che entrambi siano così euforici di rivedersi: negli ultimi giorni, Marco è stato più impegnato del solito, e sono passata io dalla canonica per avere novità.
Approfittando della loro distrazione, Sergio mi si avvicina.
“Senti, mi dispiace per quello che è successo al motodromo,” mormora, tenendosi comunque a distanza, “non avrei dovuto. È stato un gesto irrispettoso da parte mia, ti chiedo scusa.”
Sinceramente mi sembrano parole di circostanza e non reale pentimento, e che ha preso male il mio rifiuto, ma cosa si aspettava? Che cadessi ai suoi piedi?
Sono felicemente fidanzata con un uomo meraviglioso, dal quale aspetto anche un figlio, e sicuramente non sarà il primo tizio che passa per strada a far vacillare i miei sentimenti per Marco e incrinare l’amore che ci lega. Né ora, né ci sarebbe riuscito mesi fa, quando sembrava essere finito tutto tra noi.
Faccio comunque finta di credergli, accettando le scuse.
Lui allora richiama Ines, evidentemente geloso di quell’affetto che la piccola sta mostrando nei confronti del suo tutore.
Colgo la promessa di Marco di accompagnarla a trovare la nonna, e anche il maialino Jimi non appena avrà un attimo di tempo, e la cosa mi fa sorridere.
Ines corre poi da suo padre, salutandoci con la manina prima di avviarsi con lui in direzione della piscina.
“Ehi, tutto bene?” mi chiede Marco, avvicinandosi. “Ho visto che hai parlato appena con Sergio, contrariamente al solito non sembrava in vena di fare conversazione...”
Cerco di sminuire il tutto, e per mia fortuna arriva Barba che ci informa su alcune novità.
 
Rik si è svegliato, e ha detto che ad aggredirlo è stato Jordi, il ragazzo di Sofia.
Lo abbiamo interrogato, e lui continua a dire di essere innocente, ma sfortunatamente per lui tutte le prove sono a suo sfavore, e Marco è costretto a disporre il fermo.
Lo stanno portando via, e mentre Natalina inveisce contro il mio fidanzato e Cecchini, io scendo appena in tempo per riportare l’ordine e sedare le sue urla.
La perpetua va via infuriata, e dico a Marco e al maresciallo di aspettarmi di sopra.
Mi avvicino a Sofia e Alice, chiedendo a quest’ultima se può lasciarmi da sola con la Gagliardi. Lei annuisce, allontanandosi.
Sofia non sembra bendisposta, e inizialmente si rifiuta di ascoltarmi.
“Anch’io credo che Jordi sia innocente, davvero, e farò di tutto per scoprire la verità, anche se al momento siamo stati costretti a disporre il fermo. E so benissimo come ti senti, perché il tuo ragazzo è appena stato accusato di qualcosa che sono certa non abbia commesso.”
“Non lo sai, come mi sento, non è vero.” ribatte lei, cocciuta.
“Ti assicuro di sì, e per più di un motivo. È come se fossi tra due fuochi, no? Sei sicura dei tuoi sentimenti, ma non riesci a non essere a disagio. Come se questa situazione fosse colpa tua.”
Sofia mi rivolge uno sguardo stupito, che mi fa capire di aver colto nel segno.
La abbraccio.
“Non preoccuparti... Non devi sentirti in colpa. Amare non è mai una colpa. Mai. Bisogna solo avere fiducia.”
Lei annuisce, ringraziandomi con un sorriso.
Ci salutiamo, e io torno in caserma.
 
Cecchini’s pov
 
È sera.
Sto rientrando a casa dopo una giornata lunghissima, strapiena di telefonate di Elena Sofia Ricci che mi cerca mille cose e parla, parla, parla che non finisce più. Mi sono inventato una scusa per interrompere la chiamata in corso, quando dall’appartamento di Anna esce Elisa, che probabilmente era venuta a trovare la figlia.
La Capitana infatti se n’è andata un paio d’ore prima perché non si sentiva tanto bene, anche se niente di grave, per fortuna.
Elisa non perde tempo per commentare sulla mia presunta amicizia con l’attrice, e ne nasce un battibecco come al solito vinto da lei, che va via.
Questa cosa mi intristisce, perché lo facciamo solo per gelosia e orgoglio, nessuno dei due vuole ammettere di stare sbagliando e risolvere.
Decido quindi di non mollare col mio piano G, rientrando in casa: devo farmi una foto con Elena Sofia Ricci, così almeno mi crede, quando le dico che la conosco veramente.
 
La mattina dopo, ci provo in tutti i modi, ma quando finalmente riesco a scattare la foto, Elena Sofia cade sulla gamba già infortunata, e mi spedisce a prenderle del ghiaccio, ma in corridoio, ovviamente, incontro Elisa in compagnia di Eugenio.
Oltre al galà, scopro che stanno pure organizzando un viaggio insieme! Nardi l’ha invitata a Roma, ad assistere a una puntata di Porta a Porta il prossimo mercoledì, in cui lui sarà ospite d’onore.
Pure il viaggio ci mancava, l’hobby preferito di Elisa! Ma non resterò di certo impassibile davanti a questa cosa.
Gli mostro la foto con la Ricci, solo per scoprire che nell’immagine mi vedo solo io, perché lei è caduta nel momento sbagliato!
Eugenio non perde l’occasione per provocarmi, e mi dice di farmi accompagnare dall’attrice al galà.
Sono nei guai!
 
Marco’s pov
 
“Non sono convinta che sia stato Jordi ad aggredire quel ragazzo; hanno litigato, com’è possibile che non ha segni sul volto?”
Io e Anna siamo in ufficio. Lei ha molte perplessità sull’aggressione di Rik, ci sono troppe cose che non le quadrano, e mi sta illustrando infatti ciò che non le sembra pertinente.
La sua meticolosità non mi sorprende più da anni, in fondo la vediamo allo stesso modo, seppur con approcci diversi. Anche stavolta, nemmeno io credo sia stato Jordi, anche se la lite in un certo senso potrebbe esserci stata, per via di Sofia.
Comunque sia, la storia è strana, e ne stiamo proprio discutendo quando Anna, di punto in bianco, cambia argomento.
“Tuo padre ha invitato mia madre ad andare a ‘Porta a porta’...” mi dice. “Tu lo sapevi?”
Ma quindi mio padre il mio discorso non l’ha manco ascoltato?!
Ti stupisci? Quando mai ti ha dato retta...
Alzo gli occhi al cielo, maledicendolo mentalmente, e mi siedo sul divanetto.
Deciso a fare una cosa che non avrei mai pensato di fare, neppure con Anna: condividere con lei i ricordi più dolorosi della mia vita.
Che?! Ma sei proprio sicuro?
Anna sembra infastidita.
“Senti, te lo posso dire, sinceramente? Non ti offendere, ma tuo padre è veramente un grandissimo cafone.”
“No, no, è più di questo, è un grandissimo... al cubo, proprio...” commento, implicando che sia stata anche troppo gentile. “E lo è sempre stato, così. Posso dirti...? È per questo che non ho detto la verità su noi due, del perché non ci siam sposati...” mormoro, e lei mi rivolge uno sguardo confuso, senza riuscire a mettere insieme i pezzi. In fondo, sono giorni che le dico di non preoccuparsi, mentre le ho praticamente rivelato adesso di averle mentito.
“Non ho capito, perché?”
Sospiro, prima di aprire per lei un cassetto della mia memoria.
“Mio padre non è mai stato solo una delusione perché non si presentava agli eventi per me importanti, come le partite di calcio o il mio compleanno... è sempre stato una figura ben peggiore di quella che mi ero costruito in testa, pur odiandolo già...” mormoro. “Mia madre metteva a posto gli indumenti di papà, ogni tanto vedevo che piangeva, e io ero piccolo e dicevo, ‘Perché, mamma, perché piangi?’. E allora lei si metteva a sorridere e diceva, ‘Eh, perché sono allergica al cotone delle camicie’... Crescendo poi ho capito che non era allergica al cotone delle camicie... ma al rossetto che ci trovava sopra.” le spiego, lasciando intendere benissimo il problema. “E dopo che la mamma è morta, io gliel’ho sempre rinfacciato, a mio papà, gli ho detto ‘è colpa tua, che l’hai fatta soffrire ogni volta che la tradivi’. Ed è per questo che non gli ho detto niente, di quello che è successo davvero. Perché non volevo riaprire l’argomento che più ci ha portati ad odiarci... il tradimento.” Ammetto. “Io non ho commesso lo stesso errore, per fortuna, ma il solo pensiero, in quei giorni, di poter essere diventato come lui mi dilaniava più di quanto riesca a dire. Mi sono ripromesso che mai sarei stato come lui, che mai avrei tradito o fatto soffrire la donna che amo, e mi fa star male anche solo l’idea di averti provocato un dolore come quello, anche se minimo al confronto. Non passa istante in cui non cerchi un modo per farti cancellare quel ricordo, amandoti se possibile più di prima, e mostrandoti che posso migliorare.”
Anna, che fino a questo momento è rimasta in silenzio, cercando di trattenere - inutilmente - le lacrime di fronte alla mia confessione, mi si avvicina e, dopo essersi abbassata sulle ginocchia, mi prende per mano.
“Non devi rimproverarti per questo...” sussurra, “tu non sei come lui... non lo sei mai stato, e non lo sarai mai... io lo so.”
 
Nel pomeriggio, sono con Patatino a passeggio per le vie di Spoleto.
Non faccio che ripensare alla confessione di Marco, poche ore fa.
Nelle sue lacrime, nelle sue parole, non c’era solo la rabbia per suo padre e per il rischio di commettere lo stesso errore, ma anche la tristezza di aver chiuso completamente i rapporti con Eugenio dopo la morte di sua madre, l’odio come unico sentimento possibile, a impedire ogni tentativo di dialogo.
So che il mio fidanzato ripete continuamente che non vede l’ora suo padre vada via, ma ho capito che in realtà sperava ci fosse una motivazione diversa, alla base di questa sua visita.
Sta per diventare padre a sua volta, e pur non avendo avuto il modello ideale da cui imparare, più lo vedo interagire con i bimbi più ne rimango affascinata. L’istinto paterno è innato, in lui, ma nelle parole che non dice, nel suo sguardo, c’è racchiusa la voglia ardente di poterci riprovare, col suo. Anche se si è apparentemente arreso, il suo modo di manifestare il dolore rende lampante che vorrebbe tanto avere un’altra possibilità con lui.
E io sono convinta che potrebbero riuscirci, non solo per ricucire il loro rapporto, ma anche per il nostro bambino in arrivo.
Quel nipotino di cui Eugenio non sa ancora nulla.
 
Sto camminando completamente assorta nei miei pensieri, lasciando che sia Patatino a scegliere il percorso.
Il suo improvviso abbaiare mi ridesta, oltre ad aver fatto spaventare un uomo in uscita dalla farmacia, che si sta abbassando per recuperare le medicine, sfuggitegli di mano.
Lo precedo.
“Aspetti, aspetti che l’aiuto io... faccio io.”
“Grazie...”
Alzo gli occhi a quella voce: Eugenio.
Il mio sgomento non è dovuto solo al fatto che sia lui, la persona a cui il mio cane ha provocato uno spavento, ma per i farmaci che mi ritrovo in mano.
Tra le varie scatoline, c’è un barattolo di pillole che conosco molto bene, purtroppo.
“Il Triptorelin è una terapia antitumorale... Lei è...?” mormoro, con un nodo alla gola. Lui mi lancia una lunga occhiata, e temo di essere stata indiscreta. “Scusi, scusi, è che mia madre ha fatto un intervento qualche anno fa, e l’ha preso per...” biascico, sentendo lo stomaco sprofondare.
“Sì... Infatti mi hanno operato.” conferma lui in tono quasi disinteressato. “Alcuni medici hanno detto che non tornerà più, altri che potrebbe ripresentarsi, che si possono fare previsioni, non ne sono sicuri... Certo che prima di andarmene, avrei voluto recuperare uno straccio di rapporto con mio figlio... è per quello che sono tornato.” mi spiega infine, ammettendo la verità sul suo improvviso arrivo a Spoleto.
“E... che cosa aspetta, a dirglielo?” gli chiedo allora, ma dal suo sguardo capisco le sue intenzioni.
“... Non vuole dirglielo?” constato, sconvolta.
“I nostri rapporti sono troppo compromessi. Mio figlio mi odia, forse è questa l’unica cosa che ci lega.” dice soltanto, prima di salutarmi e andare via, lasciandomi da sola.
Per tutto il resto della passeggiata di Patatino, non faccio altro che ripensarci.
Il padre di Marco è malato, vorrebbe cercare di ricucire un minimo il loro legame, ma Marco lo odia, e lui non vuole rivelargli la verità sul suo stato di salute.
Ma io non posso lasciare che non si parlino! Eugenio non può arrendersi alla sua malattia, né al tentativo di ricucire il suo rapporto con il figlio. Perché certo, ha sbagliato, ha deluso Marco, ha ferito la moglie, ma almeno per una volta è riuscito a fare il passo più difficile: il primo.
Per questo meriterebbe una seconda possibilità.
Io ne ho date tante, a molte persone, a volte finendo per essere fraintesa. Ma Eugenio, se ottenesse un altro rifiuto, non potrebbe tornare alla vita di prima come se niente fosse, perché non sa quanta strada gli resta ancora da poter percorrere.
Io ho perso mio padre senza poter fare nulla per impedirlo, adesso non posso lasciare che a Marco succeda lo stesso. Non se posso evitarlo.
Voglio aiutare mio suocero, e c’è solo un modo.
Anche perché... merita di sapere che diventerà nonno. Potrebbe essere un motivo in più per convincere entrambi a ricominciare.
Solitamente non sono mai d’accordo, quando decidi di fare questi salti nel vuoto, ma stavolta è diverso. Hai ragione, vale la pena tentare.
 
Cecchini’s pov
 
Mancano pochi minuti alle 20 quando mi alzo dal tavolino del Tric Trac, dove stavo giocando a scacchi con Don Matteo, per prepararmi ad andare alla serata di gala organizzata da Elisa.
Lei, che casualmente sta passando proprio ora a braccetto di Eugi, uscendo dal bar dov’erano per un aperitivo.
Lui ne approfitta per ricordarmi che non vede l’ora di conoscere Elena Sofia Ricci, peccato solo che io non abbia idea di come convincerla, per non fare una figuraccia col mio rivale.
Prima, però, devo andare a riferire i miei pensieri alla Capitana - sì, i miei. Don Matteo, stranamente, non ci ha capito nulla stavolta.
La raggiungo nel suo ufficio vestito da pinguino. Questo look proprio non mi piace, ma me lo sono messo, ‘sto coso, solo per fare colpo su Elisa.
Spiego le mie idee ad Anna, che mi ascolta molto interessata, per poi chiedermi se sia davvero farina del mio sacco. Al mio ‘sì’, però, mi dice che lo sapeva già senza conferma, visto che sono sbagliate. Ha già scoperto che Maddalena non è la gemella di Alice, dobbiamo ricominciare da capo con le indagini.
Li lascio a lavorare mentre mi reco al galà, grazie alle ore libere che mi ero preso appositamente.
Sono le 21 all’incirca quando, nella stanza di Elena Sofia, riesco a convincerla a partecipare con me all’evento di sotto, pure se si lamenta perché è stato organizzato in contemporanea alla finale di Coppa Italia. Invento una scusa qualsiasi, sperando che non se ne accorge.
Lei però becca il mio tentativo di far ingelosire Elisa, e incredibilmente mi regge il gioco perché manco lei sopporta Nardi.
E riesco pure a far ingelosire Elisa! Sì, ho dovuto sopportare il contrattacco, ma sono comunque riuscito nel mio intento.
Poco dopo, acconsento alla proposta di Elena Sofia di tornare nella sua stanza per vederci la partita in santa pace.
Certo, il piano G lo ha vinto Elisa, almeno per questa sera. Sì, sono geloso, gelosissimo! Ma non mi arrendo.
Riavrò la mia Elisa.
 
Marco’s pov
 
È tarda sera.
Sono passate le 21, eppure io e Anna siamo ancora in caserma. Mi ha richiamato perché voleva parlare del caso, visti i dubbi che le aveva insinuato il maresciallo in giornata.
Finito l’aggiornamento, e dopo averle concesso quello che posso in quanto ad autorizzazioni, ce ne torniamo a casa, consapevoli che non riusciremmo a ottenere di più, a quest’ora.
 
Patatino ci accoglie festante. Cioè, più che felice di rivederci, credo sia sollevato perché finalmente potrà mangiare, e vista l’ora non ha tutti i torti.
Mentre io vado a recuperare i suoi croccantini, Anna, si sfila la giacca.
“Uffa, mi va sempre più stretta,” si lamenta con uno sbuffo.
Una volta sistemata la ciotola del cane, torno con la mia attenzione a lei, per accorgermi che sta accarezzando distrattamente i nastrini sulla stoffa nera, totalmente assorta.
Tra non molto dovrà riporre la sua divisa nell’armadio per diversi mesi, e so bene quanto le costi, anche se è per una buona causa.
Un’ottima causa, vorrai dire. E quel sorrisone che ti si è appena stampato in faccia lo so, a cosa è dovuto!
Appena qualche giorno fa, io e Anna siamo finalmente andati alla sua visita di controllo, e per la prima volta abbiamo sentito battere il cuore del nostro bambino.
È stato un momento incredibilmente emozionante. Non lo dimenticherò mai, ne sono certo. Mi commuovo ogni volta che ci ripenso.
Un tocco delicato sulla mia guancia mi riporta alla realtà.
Anna si è accorta che la stavo osservando, prima di distrarmi.
“Sei triste? Che non ti stia più?” le chiedo, esitante, alludendo alla sua uniforme.
“Un pochino... è strano, più che altro. Anche l’idea di dover andare a lavoro in abiti civili...” mi spiega, corrucciata. La divisa di un Carabiniere non può essere modificata, per cui non appena sarà troppo stretta, dovrà sostituirla con il suo guardaroba normale, finché sarà in servizio. “Ogni tanto mi sembra un problema dell’altro mondo, ma è solo un attimo, davvero. Sono più che felice di abbandonarla per un po’, per il bene della nostra creatura.”
Le do un bacio, prima di metterci a tavola per una cena tardiva.
Una volta terminato, ci rilassiamo qualche minuto sul divano, e tra una cosa e l’altra Anna mi racconta di come Chiara oggi l’abbia chiamata ben tre volte, visto che non può tornare spesso a Spoleto per via del suo lavoro, per aggiornarla sui nuovissimi acquisti per il/la nipote. Non sono riuscito a trattenere le risate di fronte all’esasperazione della mia fidanzata per l’entusiasmo eccessivo di sua sorella, soprattutto considerando che mancano ancora molti mesi alla nascita.
Le sto accarezzando lievemente il braccio nel tentativo di calmarla, quando lei sembra ricordarsi di qualcosa all’improvviso, mettendosi dritta e scostandosi appena dal mio abbraccio.
“Hai... pensato quando dire del bambino a tuo padre?” mi chiede, tesa.
Le rivolgo uno sguardo stranito, perché non avevo esattamente intenzione di farlo.
Lei mi lancia un’occhiataccia delle sue, e capisco di essere stato sgamato, perché in realtà vorrei dirglielo eccome, ma sono troppo orgoglioso per farlo. Alzo le mani in segno di resa.
“Più che altro perché, non è che possiamo nasconderglielo per sempre... Se dovesse tornare a trovarti, fra qualche mese, ormai sarà evidente, e non credo sarebbe giusto.” afferma, ragionevole. Io, però, scuoto la testa.
“Non penso di volerlo rivedere tanto presto.”
Anna cambia espressione, rabbuiandosi, come se avessi detto qualcosa che avrebbe preferito non sentire.
“Secondo te merita di saperlo? Visto come si comporta con me?” le domando, ma quello che mi dice subito dopo, arriva come una secchiata d’acqua gelida.
“Marco, tuo padre è stato operato per un tumore...” mi confessa con un filo di voce rotta.
“... cosa, scusa? Cosa?”
Sento crollarmi il mondo addosso.
Per un attimo, spero lei stia scherzando, ma mi accorgo che è serissima. Non mi chiedo nemmeno come faccia a saperlo, troppo sconvolto dalla notizia che mi ha appena dato.
“... è venuto qua per dirtelo... e per cercare di recuperare un rapporto con te.” continua lei, spiegandomi quello che papà non è riuscito a dirmi l’altra sera, quando gli ho chiesto perché fosse venuto a Spoleto.
E per quanto io mi ostini a negarlo, per quanto io voglia tenerlo lontano da me per tutto il male che a fatto a me e mia madre, non credo nemmeno io a quello che ho detto ad Anna qualche settimana fa. Aveva ragione lei, non è vero che preferirei non averlo.
E lei lo sa.
“Lo so che ti ha fatto tanto male... a te, a tua madre...” mormora, prendendomi per mano. Io le stringo istintivamente le dita, come se lei fosse l’ancora che mi impedisce di affondare, un faro che mi aiuta a non perdere l’orientamento in questa tempesta improvvisa. “... però è il tuo papà, e io lo so che te ne pentirai, se non cercherai in qualche modo... di dargli una possibilità. O di perdonarlo...”
Sapevo che lei avrebbe capito tutto, per quanto mi ostini a negare.
E io vorrei davvero provare a fidarmi di mio padre, perché come mi ha insegnato Anna, tutti meritano una seconda possibilità. Solo che lui ne ha combinate talmente tante da farmi credere che io gliene abbia date fin troppe, di occasioni.
Non so che fare.
“Lo so che non è facile...” continua lei con dolcezza. “Ma forse dirgli che avrà un nipotino potrebbe essere un buon punto di partenza, per ricominciare... Però la scelta sta a te, e non ti costringerei mai a fare una cosa che non vuoi, visto quello che hai dovuto passare... Però pensaci, almeno.”
Torna nella sua posizione precedente, con la testa appoggiata al mio petto, accoccolata tra le mie braccia. È intenta a giocherellare con la mia cravatta, che non mi sono ancora tolto, mentre io sono assorto nei miei pensieri.
Mi rendo conto che, ancora una volta, ha ragione lei. Mio padre ha commesso molti errori, ma il nostro rapporto logoro non può precludergli di sapere che diventerà nonno. E magari, con questa scusa, col nipote riuscirà ad essere una figura migliore, rispetto a ciò che è stato per me.
“Gli dirò del nostro bambino,” mormoro all’improvviso, ridestandola. “Non ti posso promettere che risolverò i miei problemi con lui, ma almeno con nostro figlio avrà la possibilità di comportarsi meglio.”
Capisco dalla sua espressione che Anna non è completamente soddisfatta dalla mia risposta, ma mi concede lo stesso un sorriso, felice per essere comunque riuscita a farmi ragionare.
“Qualsiasi passo avanti che farò con lui, sarà sempre e solo merito tuo,” confesso, allora, accarezzandole una guancia col dorso delle dita. “Tu sei la parte migliore di me, e senza di te non sarei mai diventato l’uomo che sono adesso.”
I suoi occhi si fanno lucidi - ultimamente è più emotiva del solito, e davvero non vorrei farla piangere, ma so che sono lacrime di commozione.
“Ti amo...” sussurra, prima di baciarmi.
La stringo tra le braccia, con più dolcezza possibile.
Stasera, più che mai, ho bisogno di sentirla vicina.
 
Sono le 9 del mattino quando busso alla porta della stanza d’hotel in cui alloggia mio padre.
Quando apre, noto immediatamente che sta preparando i bagagli per andar via. Probabilmente ha già intuito il motivo della mia visita, ma lascia che sia io a parlare.
“Perché non mi hai detto che... che eri malato?” gli chiedo, quando riesco a raccogliere abbastanza coraggio.
In realtà ero venuto solo per dirgli di suo nipote, eppure mi sono ritrovato a cambiare idea non appena ho messo piedi qui dentro.
L’hai sempre detto, no? Anna è la parte migliore di te, e lo è fino in fondo.
Non è mai stato facile intavolare una conversazione con lui senza che finisse in litigio, con me costretto a fare l’adulto e lui che sembrava un bambino.
E non è che io sia poi così maturo, o almeno non sempre.
Ma per quanto io faccia il bambinone in alcuni casi, per le cose importanti sono sempre stato anche fin troppo maturo, e stavolta vale la pena fare lo stesso.
“Non volevo crearti altri casini. Ne ho combinati già abbastanza.” dice semplicemente lui.
“E da quando in qua per te è una priorità preoccuparti per gli altri?”
“Hai ragione, touché... So che ti ho fatto del male, a te e alla mamma... Ma la vuoi sapere la verità?”
“Oh, sì... per una volta mi piacerebbe sentire il suono che ha.”
Mi fa cenno di sedermi sul divano accanto a lui, e comincia a parlare.
Per una volta, senza filtri o mezze frasi.
“Quando mi hanno operato, poco prima dell’anestesia, ho avuto paura. Ma non del fatto che questa malattia mi stava portando via la vita, o quello che mi restava, no... quella non era la parte peggiore. La cosa peggiore era che mi stava rubando... te. Sì, la possibilità di stare vicino a te, cercare di essere un padre migliore... Ecco.”
Non ho detto una parola durante il suo discorso, limitandomi ad ascoltare. Seguendo il consiglio di Anna di permettergli di spiegare senza attaccare.
Come ho già detto, è per merito suo se ho tirato giù quel muro tra noi.
Aveva ragione.
Anna ha sempre ragione.
Perché è vero che ho sofferto a lungo per colpa di mio padre, ma avrei continuato a farlo se non mi fossi presentato qui, stasera.
Negandomi l’opportunità di provare a recuperare uno straccio di rapporto con lui prima che fosse troppo tardi.
“Papà, ti prometto che nessuno te la porterà via, questa possibilità.” riesco a dirgli, prima che lui mi avvolga in un abbraccio che non sentivo da anni.
È come se fossi tornato di nuovo bambino. Una sensazione bellissima, che non ricordavo più, ma che mi mancava terribilmente, solo ora mi rendo conto di quanto.
E quel pianto che segue non è affatto di debolezza, non ci rende meno uomini.
 
Solo a questo punto rivelo a mio padre che, inizialmente, ero venuto per una ragione diversa.
“Pensavo fosse per via della malattia, perché Anna lo aveva scoperto,” dice, sorpreso.
“Non solo,” ammetto. “Anna è incinta. Aspettiamo un bambino.”
Dopo un attimo di smarrimento, mio padre mi rivolge uno sguardo indagatore.
“Quindi è per questo che siete tornati insieme, o...?”
“No. Stiamo insieme perché ci amiamo, perché ci completiamo, ed è la cosa più bella che la vita mi ha regalato finora. Questo bambino non era ancora nei nostri piani, è successo dopo, ma c’è, sta già crescendo e, insieme a lui, il nostro amore. E non c’è niente che vorrei più di questo.”
Mio padre abbassa la testa. “Mi dispiace, non volevo alludere a niente, ero solo stupito. E sono davvero, davvero felice per voi. Di vedere l’uomo che sei diventato, nonostante il pessimo esempio che io ti ho dato.”
Io gli stringo di nuovo la mano.
“Se vuoi, è il momento migliore per provare a lasciarci il passato alle spalle. Puoi... puoi provare ad essere innanzitutto un buon nonno, e il resto magari verrà da sé.”
Mio padre annuisce, commosso, prima di abbracciarmi ancora.
 
Anna’s pov
 
Sto scendendo le scale che portano alla caserma, quando incrocio Sara che esce dal Tric Trac.
Sono passate un paio di settimane dall’ultima volta in cui ci siamo viste.
Ci scambiamo un saluto affettuoso, poi le chiedo come mai fosse sparita così all’improvviso.
Prima che lei possa però rispondermi, ci raggiunge Marco, appena uscito dall’hotel qui accanto, in cui alloggia Eugenio.
Anche lui la saluta, stupito di vederla.
“Scusate se non mi sono più fatta sentire, ma avevo bisogno di un po’ di tempo per me stessa, per riflettere su quanto successo. Avevate ragione, prendermi qualche giorno per me mi è servito a schiarirmi le idee e capire che posso andare avanti senza il timore di sembrare più fragile se, di tanto in tanto, la mia ferita si noterà.”
Io e Marco non possiamo che essere felici, sembra davvero molto più rilassata di prima, più felice.
“Sono veramente contenta per te,” affermo con un sorriso. “E anche che tu sia tornata. Potrò sembrarti egoista, ma ho bisogno di qualcuno che tenga a bada l’entusiasmo di mia sorella...”
La mia battuta fa ridere entrambi, poi Sara ci propone una cena, non appena saremo un po’ più liberi, così da passare del tempo insieme senza per forza doverci occupare di lavoro. Accettiamo volentieri.
“Adesso scusate, ma queste settimane lontana dal tribunale hanno fatto accumulare sulla mia scrivania un’infinità di fascicoli.”
“Vuoi una mano?” le chiede Marco, ma lei rifiuta.
“No, grazie, non ce n’è bisogno. Avete già parecchio da fare per conto vostro con questo caso, da quello che ho sentito. Sono sicura che ne verrete a capo come sempre.”
Ci salutiamo, osservandola allontanarsi.
Torno con la mia attenzione a Marco.
“Hai parlato con tuo padre?” domando, dato che veniva dall’albergo.
Lui annuisce.
“Sì... ed è andata meglio del previsto. Certo, siamo solo all’inizio di questo percorso, ma... ci possiamo riuscire. Imparare a fare il nonno riavvicinerà anche noi, abbiamo ancora tempo per recuperare.”
Le sue parole mi fanno capire che non si è limitato a dirgli soltanto del nostro bambino, ma sono riusciti anche a mettere da parte, per quanto possibile, il passato, e tentare un primo passo verso la riappacificazione. Non potrei esserne più felice.
“È merito tuo,” aggiunge, “e so che te l’ho già detto, ma è vero. Tu sei la parte migliore di me. E, devo ammettere, sei proprio brava a ricongiungere genitori e figli, oserei dire ‘campionessa europea’!” scherza, ma io non riesco a ridere alla sua battuta come avrei fatto di solito, incupendomi.
Lui se ne accorge.
“Ehi, che c’è?”
Io esito, iniziando a litigare con la vocina nella mia testa.
Forse è il caso di dirglielo, non credi?
Potrebbe reagire male. Con suo padre va meglio, ma Sergio è un’altra storia.
Se lo scopre da solo, finirà peggio.
Sto per ribattere mentalmente quando, per una crudele coincidenza, dalla porta della canonica esce proprio Sergio.
Distolgo immediatamente lo sguardo, dopo che lui ci rivolge a mala pena un’occhiata, finendo però per peggiorare i sospetti di Marco.
“Non dirmi che c’entra quello lì con questo tuo atteggiamento strano!” insiste.
In effetti, non gli ho più parlato di lui e dei progressi con Ines, come facevo di solito. Era ovvio, che avrebbe finito per accorgersene.
Il mio fidanzato, di fronte al mio mutismo, si innervosisce ancora di più, tanto che mi ritrovo costretta a calmarlo.
“Marco, per favore... ti spiego tutto, ma tu mi devi promettere che non reagirai d’istinto.”
Esattamente le parole da NON dire a un Marco nervoso.
Infatti, lui intuisce subito che Sergio ha tentato quello che non doveva.
Cerco di trattenerlo afferrandogli le mani.
“Non è successo nulla, davvero! È morto tutto sul nascere, ho già messo le cose in chiaro con lui, non c’è bisogno che tu intervenga-”
“Non si doveva azzardare!” sbotta invece lui, ignorando la mia spiegazione.  
“Va bene, hai ragione, ma tu non devi fare colpi di test-”
Come non detto.
Ha già preso la moto.
 
Marco’s pov
 
Marco, ascoltala! Calmati un attimo!
No, grillo, non ascolto né te né Anna! Non mi fidavo di Sergio, e avevo ragione!
Che razza di persona è? Sa benissimo che Anna è fidanzata, incinta, e ci prova lo stesso! Ma è mai possibile che gli uomini pensino sempre che, quando una donna offre loro il suo aiuto, ci dev’essere necessariamente un interesse dietro? Ha deliberatamente frainteso il senso del mio starmene più defilato, facendo finta di non aver capito cosa può, o non può fare.
Ora glielo vado a spiegare per bene.
So che dovrei tentare di fermarti, ma... VAI, MARCO! Fagli vedere chi comanda!
Okay, mi calmo pure io.
Non mi perdo in convenevoli, quando arrivo al motodromo.
Ho tentato di sbollire un po’ la rabbia, ed è passata un’ora dalla conversazione con Anna, ma non ha avuto chissà quale effetto.
Per cui chiedo immediatamente di lui e mi indicano dov’è, e quando entro in garage non perdo tempo.
Afferro Sergio per la tuta da meccanico che ha addosso e lo sbatto con la schiena contro il muro qui accanto.
“Non ti devi mai più azzardare a provarci con Anna, hai capito?” sibilo, tenendolo saldamente incollato ai mattoni. Lui ha stampato in faccia quel dannato sorrisetto strafottente, ma se pensa che io stia scherzando, ha sbagliato tutto.
Mi avvicino ancora, fissandolo duramente negli occhi.
“Non ti conviene fare il furbo, ché il coltello dalla parte del manico ce l’ho sempre io. Potrò anche sembrarti innocuo, all’apparenza, ma ti assicuro che non vuoi conoscere il mio lato peggiore. Perché se hai questo lavoro, se puoi rivedere tua figlia, lo devi solo a me e ad Anna, e non mi ci vuole niente a toglierti tutto. E se già prima mi stavi poco simpatico, adesso quel poco di tolleranza è ai minimi storici. Fossi in te, ci penserei.”
Evidentemente il mio discorso lo convince, perché quel sorrisetto scivola presto dal suo volto.
Rilascio il tessuto, stropicciato per via della mia stretta.
“Se lo rifai, rimpiangerai la galera,” gli intimo, prima di voltargli le spalle e andare via, senza aspettare una sua risposta.
Beh, hai fatto centro! Il colorito cereo faceva da contrasto con i pneumatici. Carino, come effetto.
Abbassa la cresta, Coso.
 
Anna’s pov
 
Non sono riuscita a fermare Marco, è andato via furioso prima che potessi tentare altro.
Adesso speriamo che non ci chiamino per avvisare di un omicidio al motodromo.
Non scherziamo!
Piuttosto, ero rientrata da un’ora dalla caserma, e poco dopo Barba mi aveva comunicato di una strana coincidenza nelle carte relative alla tomba che portava il nome della vittima: risulta che l’avvocato del ginecologo, all’epoca, fosse il sindaco della città, ed è stato lui a falsificare gli atti.
Abbiamo il colpevole.
Sara è stata profetica.
Quando arriviamo dall’avvocato, troviamo ovviamente Don Matteo, e scopriamo che la vera colpevole è la madre di Rik, non il marito, sebbene quest’ultimo e l’avvocato dovranno comunque rispondere di altri reati.
Chiudiamo il caso nel primo pomeriggio con la consegna dei fascicoli al tribunale, di cui si occupa Marco.
Sì, nel frattempo è rientrato, dicendomi di non preoccuparmi, che Sergio è vivo e hanno ‘solo’ parlato.
 
Sono le 16 circa quando decido di portare Patatino a fare la sua passeggiata.
Sia io che Marco abbiamo preso il resto della giornata libera dopo la frenesia degli ultimi giorni.
A pranzo con noi c’era anche mia madre, che adesso è in soggiorno, intenta a chiacchierare con il mio fidanzato.
Ci metto un po’ a convincerli che posso andarci da sola, col cane, che non mi stancherò e che possono stare tranquilli.
Smetteranno mai di insistere, a tentare di tenerti sotto una campana di vetro?
In fondo sei solo incinta... una passeggiata non può che farti bene.
Esatto, solo che sono ancora a casa, perché il guinzaglio di Patatino si è rotto, e mi ricordo che io e Marco ne avevamo preso uno di riserva, che però non sto trovando.
Mi ricordo anche che lo aveva conservato lui ma, disordinato com’è, chissà dove lo avrà messo.
Continuo a frugare senza successo, così apro un’altra anta dell’armadio, e per poco non mi si ferma il cuore.
Mi porto le mani alla bocca: c’è un abito bianco che conosco molto bene, nella borsa arancione riposta qui dentro...
“... è il mio vestito da sposa!” mormoro, sconvolta. Lo tiro fuori, sfiorando la stoffa del corpetto, senza capire come ci sia finito qui dentro.
Sento una mano accarezzarmi la schiena, e una voce chiedermi se va tutto bene.
Mi volto, trovandomi Marco davanti che, non appena vede cosa ho scovato, fa una piccola risata.
“Non l’ho rubato, se è questo che stai pensando...” sdrammatizza. “Quell’abito mi è stato affidato da una fata madrina molto fashion che mi ha chiesto di conservarlo, convinta che la sua proprietaria sarebbe stata felice di riaverlo a tempo debito.”
Scoppio a ridere: non ci posso credere, Chiara lo ha dato a lui, quando le ho chiesto di disfarsene! Pensavo fosse ormai andato perduto, a chissà chi, e invece... Non mi importa se Marco ormai lo ha visto, sognavo di indossarlo per il nostro matrimonio, e così sarà...
O forse no.
“Che c’è?” mi domanda il mio fidanzato, quando nota la mia espressione farsi cupa.
“Niente... è solo che... Visto che abbiamo pensato di sposarci in autunno, non lo potrò più indossare,” mormoro, alludendo all’abito. “A quel punto avrò il pancione, mi andrà stretto.”
Marco mi solleva il mento con due dita, così che torni a guardarlo negli occhi.
“Non abbiamo stabilito una data precisa, in fondo... l’autunno non è tassativo.”
Sono confusa.
“No...?
“Pensavo che... potremmo posticipare il nostro matrimonio a marzo dell’anno prossimo. Così il nostro bimbo avrà già tre mesi, e tu potrai di nuovo mettere il tuo vestito. Dopotutto avremmo dovuto sposarci lo scorso marzo, no? Sarà un po’ come celebrare di nuovo tutto a distanza di un anno dal nostro ‘primo matrimonio’. Mi pare avessimo deciso di sposarci duemila volte!” afferma con un sorrisetto.
Ma quanto è scemo? E quanto ti ama?
Gli getto le braccia al collo, più felice che mai, prima di scambiarci un lungo bacio.
Molto lungo. Ti ricordo che tua madre è in soggiorno.
Bacio che, puntualmente, viene interrotto.
 
Marco’s pov
 
Ma è mai possibile che ogni volta che c’è un momento romantico, qualcuno si deve impicciare? Cos’è un complotto?
Visto quanto qualcuno a caso ami presentarsi nei momenti meno opportuni, mi stupisce ancora sapere che la tua fidanzata sia addirittura incinta.
Ci spostiamo in soggiorno, trovando Elisa che ci viene incontro, sussurrandoci di dire che non è qui.
Qualcuno continua a bussare alla porta, e presto si aggiunge una voce che minaccia di volerla sfondare se non apriamo: Cecchini, che afferma di sapere che Elisa è da noi. 
Scambio una rapida occhiata con Anna, e mentre lei raggiunge sua madre nel tentativo di farla uscire dalla stanza degli ospiti, io invito dentro il povero maresciallo, attendendo con lui, chiedendogli di avere pazienza.
La mia fidanzata, come previsto, convince mia suocera quantomeno ad ascoltare, così noi due ci spostiamo in cucina, in disparte, lasciando loro un po’ di privacy.
Elisa all’inizio non vuole saperne, ma Cecchini inizia a parlare con un tono di voce che non gli sentivamo usare da tempo.
“Io, quand’è morta mia moglie, ero arrabbiato con Dio, pensavo, ‘ma perché, perché proprio lei?’... Ho sofferto, ho sofferto tanto, poi col tempo è passato... grazie a te. E poi, grazie a quella cosa che mi ha detto Don Matteo, del contadino che coltiva le olive, ho capito che ho sbagliato. Sì, ho sbagliato a pensare che Dio fosse un ladro.” dice, col cuore in mano, con una dichiarazione in perfetto stile Cecchini. “La peggiore cosa non è se qualcuno ti porta via l’amore... è quando ce l’ha accanto, vicino... e lo butta via. Io non lo voglio, buttare... Elisa, io ti amo, non voglio perderti. E voglio cambiare. Ti lascerò tutti i tuoi spazi, voglio migliorare, mi vestirò elegante tutti i giorni, col frac... e poi pulisco per terra, lavo, stiro, lavo le tende, e cucino...”
Io sono ancora abbracciato alla mia fidanzata, con le mani sul pancino che ha iniziato a crescere, e mi viene da sorridere, tornando con l’attenzione su di lei.
Perché un discorso simile l’ho fatto anch’io ad Anna, molto tempo fa ormai.
Se due anni fa ci avessero detto che Cecchini avrebbe davvero trovato la forza di ricominciare, non ci avremmo mai creduto, eppure eccolo qua, a dichiararsi a una donna che è il suo opposto, ma che sta bene con lui proprio per questo.
Come me e Anna.
Mia suocera piange di gioia. “Tu ti fai servire a tavola, parli solo di calcio e sei anche geloso, ma sei l’unica persona al mondo che mi fa ridere... Ti amo anch’io, maresciallo.”
A queste parole, Anna ha fatto una piccola risata perché, come sua madre, anche lei ha elencato i miei difetti, quando mi ha confessato di amarmi, in quel messaggio.
Mentre i due biscottini si abbracciano e continuano a parlare sottovoce, noto la mia fidanzata asciugarsi le lacrime che continuano a rotolarle lungo le guance.
Lei si accorge del mio sguardo.
“... è colpa degli ormoni,” mormora, sulla difensiva, visto che ultimamente piange molto spesso.
Io ridacchio, beccandomi in risposta un buffetto sul braccio.
Aggiusto il tiro.
“Non ti devi giustificare. Il maresciallo e tua madre sono una bella coppia, e lui le ha fatto una dichiarazione bellissima, poco fa. Certo, non quanto le nostre, visto che io ho citato la mia ex e tu il mio pessimo brasato, però diciamo che poteva andare.” scherzo.
Anna si mette a ridere.
“Che scemo che sei...” mi dice, stringendomi le braccia attorno al busto.
Accenno ai biscottini.
“A vedere i loro passi avanti, finisce che si sposano prima di noi... Oppure potremmo organizzare un bel matrimonio a quattro, altro che Ghisoni!”
“Marco!” mi rimbecca Anna con la stessa espressione scandalizzata di mesi fa.
È pronta a continuare, quando ai nostri piedi giunge Patatino, scodinzolante e con tanto di guinzaglio in bocca, che ci osserva speranzoso di poter finalmente fare la sua passeggiata.
“Ho cercato quel guinzaglio per due ore... dove lo ha trovato?” mormora la mia fidanzata, perplessa.
Ci scambiamo uno sguardo confuso, prima di scoppiare a ridere.
Ma sì, accontentiamo il nostro cagnolone.
Adesso sì che va tutto bene.
 
 
 
Ciao!
Beh, stavolta io e Martina PRETENDIAMO i commenti.
Ve lo aspettavate, questo palo a Coso? Se n’era stato fin troppo tranquillo finora, non aveva capito tanto bene e c’è stato bisogno di rimetterlo in riga.
Marco ha fatto finalmente pace con suo padre, che ha saputo anche del nipotino in arrivo... chissà che non lo rivedremo ancora, hanno un rapporto da ricostruire!
Anna ha scoperto che il suo abito da sposa lo aveva Marco, e quel piccolo ostacolo della data l’abbiamo superato.
Abbiamo ancora tre episodi davanti, ma molto deve ancora succedere.
Secondo voi, come proseguirà la storia?
Vi ricordo che i PoV di Cecchini sono volutamente sgrammaticati (a scanso d’equivoci), e il dettaglio delle partite di campionato è gentilmente fornito da Martina (perché io e il calcio siamo come due rette parallele). Per amor della precisione, nel caso in cui aveste dei dubbi sulla linea temporale, siamo a fine maggio.
Ci vediamo il prossimo giovedì,
 
Mari

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Capitolo 8
*** Non dire falsa testimonianza ***


NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA
 
Toc toc!
C’è nessuno? Ehilà...!
Sono due mesi e mezzo che parlo da sola, Anna non mi ascolta più... mi sento ignorata!
Sul serio, ho disperatamente bisogno di poter interagire con qualcuno, perché siamo ad agosto, e non ho nessuna intenzione di essere spedita alla neuro vestita da Babbo Natale, dopo aver scampato la prima ammissione. Pure Grillo la pensa come me.
Qui a Spoleto, comunque, va tutto bene.
Cioè, è tutto calmo. Molto calmo... troppo calmo.
Insomma, si può avere un pochino di brio? Che so, Ghisoni che viene ingiustamente incolpato da Cecchini per non aver messo in ordine lo schedario? Ché ultimamente nemmeno quello succede, sono tutti diligenti perché temono di indispettire Anna e doversela vedere con Marco, poi. Pure i delinquenti se ne sono andati in vacanza. E beati loro, almeno si divertono, mentre io mi sto annoiando da matti, senza fare niente. Mi sento disoccupata.
E poi fa un caldo, ma un caldo...! Un agosto più afoso di questo non me lo ricordo, e io ho una memoria formidabile!
Perché sì, sarà successo poco in termini ‘lavorativi’, ma di altri fatti importanti ce ne sono stati parecchi, e quelli sì che me li ricordo bene!
Ahhh, cosa sento? Volete sapere anche voi cos’è accaduto in quel di Spoleto in questi lunghi giorni di assenza?
Beh, modestamente, non avreste potuto scegliere narratrice migliore di me!
Pronti?
Dovete sapere che, da quando Elisa e il maresciallo hanno fatto pace, nella vita di Anna e Marco tutto è tornato alla normalità. Un clima così sereno non si viveva da mesi, e il piccolo Nardi - okay, okay, baby Nardi, come ormai lo chiamiamo tutti - cresce, settimana dopo settimana, sotto gli occhi attenti di mamma e papà. Io c’ero, col mio posto in prima fila, insieme a Grillo. Ce li siamo guadagnati, per poter assistere a ogni novità!
Certo, zia Chiara avrebbe parecchio da ridire su questo.
Eh sì, perché è parecchio crucciata, dopo aver ricevuto un secco ‘stop’ riguardo agli acquisti per il/la nipote in arrivo.
Perché? Facile: nonostante le sue pressanti insistenze, che hanno portato a qualche sbotto nervoso di Anna, i futuri genitori hanno preso una decisione che lei non ha apprezzato molto, e che ha contestato.
Quale...? Non vogliono conoscere in anticipo il sesso del nascituro.
Questa scelta ha stupito un po’ tutti, in realtà, tranne ovviamente me e Grillo, che sappiamo sempre tutto, prima di tutti, perfino prima di Anna e Marco! Infatti, la creatura in arrivo sarà... *rullo di tamburi*...
Va bene, proprio questo non lo sappiamo nemmeno noi, MA di sicuro siamo a conoscenza del perché i due non vogliano saperlo.
Anna e Marco hanno stretto una strana scommessa, in una tarda sera di luglio, durante una delle loro lunghe passeggiate in maggiolino per le colline dell’Umbria.
In quell’occasione, hanno deciso di affrontare il tema ‘nomi’.
Che ve lo dico a fare, hanno battibeccato come al solito, incapaci di trovare un buon compromesso, ed è stata Anna a proporre la scommessa al suo fidanzato.
Qual è la scommessa?
Quando arriverà il grande giorno, se sarà maschio, il nome lo sceglierà lei; se sarà femmina, toccherà a papà Marco.
Anna spera sia un maschietto (non che il contrario non le piacerebbe, anzi... solo che così zia Chiara non potrà tentare di trasformarlo nella sua copia tanto facilmente), mentre Marco vorrebbe una femminuccia, perché sogna di poterla sentire un giorno parlare di lui come fa Anna di suo padre Carlo.
Strano,vero? Considerata l’avversione di Marco nei confronti del gentil sesso fino a qualche anno fa... come cambiano le cose!
Ognuno tira acqua al suo mulino, diciamo, anche se Grillo mi ha rivelato che Marco è convinto che in realtà la scommessa, alla fine, la vincerà Anna. Da buon genovese, proprio perché desidera fortemente una femmina, è certo che la sua solita fortuna gli porterà un maschio. Il massimo che potrà insegnargli sarà giocare a calcio come una pippa, ma di sicuro si divertiranno moltissimo insieme. Su questo non ci sono dubbi.
A parte questa piccola digressione, comunque (non dite niente a quei due, o bandiscono me e Grillo a vita!), zia Chiara non ha nessuna intenzione di arrendersi, e si è convinta che Anna in realtà le stia nascondendo il sesso del bebè solo per impedirle di fare shopping per la creatura. Le sorelle Olivieri, infatti, si sono beccate parecchio sull’argomento - povero Marco - talmente tanto che, dopo l’ecografia all’inizio del secondo trimestre, Anna aveva quasi ceduto affinché Chiara non la stressasse più.
... Peccato solo che baby Nardi abbia evidentemente altre idee, e si sia rifiutato categoricamente di far vedere alcunché. Sia quella volta, che per i controlli successivi.
Anna sperava che, a quel punto, sua sorella avrebbe desistito, interpretando tutto come un segno a sostegno della loro volontà di non sapere.
Naturalmente Chiara mica le ha dato retta: da brava amante delle credenze popolari, ha interpretato la ‘timidezza’ della creatura come la dimostrazione inequivocabile che sia, di fatto, una femminuccia, alimentando in un colpo solo sia la sua euforia che le speranze di papà Marco.
Per il quale i bookmaker ormai non danno nemmeno più le quote dell’esito ‘palo in piena faccia’, talmente è scontato.
Non che per il resto non ne abbia uno già bell’e pronto all’orizzonte.
Dopo il suo ultimo incontro con Coso (non chiedetemi di chiamarlo per nome perché mi rifiuto), il giovanotto sembra aver imparato la lezione e compreso di dover stare nel suo, dedicandosi solo alla figlioletta.
Il che è stato un bene, ovviamente, perché il loro legame si è evoluto verso la direzione giusta.
Sebbene Marco sia molto legato a Ines, e viceversa, giorno dopo giorno la piccola lo vede sempre meno come una figura paterna, avendo trovato quella reale (anche perché il test del DNA non mente), e lui sta soffrendo abbastanza questo lento distanziarsi da lei. È in parte anche per questo che spera il suo bebè sia una bimba.
Per quanto vorrebbe che il loro legame non si spezzasse mai, sa bene che deve mettere da parte il suo orgoglio, per il bene di Ines, e concorda con Anna sul fatto che la piccola abbia tutto il diritto di passare più tempo con Coso... suo padre, che con lui, o loro due.
Marco si fida ciecamente dell’istinto della sua futura moglie, e per questo da qualche settimana ha iniziato a discutere con gli assistenti sociali in merito alla possibilità di concedere a Coso un parziale affidamento, per poter assecondare il desiderio di Ines di poter stare più con lui. Non sarà un percorso facile, non che finora lo sia stato, ma è il passo successivo da fare, ed è inevitabile.
Per quanto riguarda gli altri, i nonni sono incredibilmente tutti calmi.
Nonna Elisa è in viaggio, e forse è meglio così per tutti visto che, insieme a zia Chiara, è come avere a portata di mano una bomba a orologeria. Nonno Eugenio fa spola tra Roma e Spoleto, cercando pian piano di ricostruire un rapporto con il figlio e la nuora, e devo dire che il tentativo sta dando ottimi frutti, da quanto mi riferisce Grillo.
E poi, pe-
 
Vocina? Con chi stai parlando?
 
ANNA! Sei tornata!
Non sai quanto sono felice di poter parlare di nuovo con te!
Dimmi, sono tutta orecchi.
 
Anna’s pov
 
Stamattina mi sono svegliata con uno strano ronzio in testa, quasi come se la mia vocina stesse parlando con qualcuno che non fossi io. Probabilmente era solo una zanzara, in realtà, perché già è preoccupante che io parli con la mia testa, ma la mia coscienza che fa i discorsi da sé è pure peggio.
Dicevo, non escluderei si sia trattato di uno di quei fastidiosissimi insetti, e tra loro e il caldo, questo agosto è davvero invivibile.
Col pancino che cresce, non è che sia proprio bello.
La nostra creatura ha iniziato a farsi sentire, per la gioia mia e di Marco.
Ho sentito i primi movimenti una decina di giorni fa, una sera, mentre eravamo seduti sul divano. Subito, mi sembrava di aver frainteso, perché non vedevo l’ora e pensavo di averlo immaginato, invece poi ha ripreso, e non ho avuto dubbi.
Adesso, riesco a riconoscere i suoi calcetti, ed è sempre una sensazione stranissima ma meravigliosa. Adesso  che sembra reale.
Certo, abbiamo da lavorare sul ritmo sonno/sveglia invertito, e stamattina ha deciso che doveva scalciare alle 5.30. Non sono riuscita a rimettermi a dormire, e più che mai, quando mi sono alzata, ho avvertito l’irritazione nel sapere che la mia divisa, appesa alla sua gruccia, resterà chiusa nell’armadio mentre io andrò a lavoro, come succede ormai da un paio di mesi a questa parte.
Fa ancora uno strano effetto, ma so che è necessario, e ne sono felice, felicissima.
Solo che certe volte, i movimenti del mio bambino mi ricordano soltanto che sta crescendo, e che presto anch’io sarò costretta a rimanere a casa, come la mia divisa.
E per una come me, che ha sempre vissuto in funzione del lavoro, non è facile accettarlo. Sono momenti sporadici, ma la malinconia a volte arriva, nonostante io cerchi di mandarla giù.
Comunque sia, è la mia nuova realtà, e mentre mi vesto, soffermandomi ad osservare allo specchio per qualche istante il mio corpo cambiato, penso che in fondo si tratta solo di paura. Che, quando avrò il nostro scricciolo tra le braccia, tutti quegli aspetti della mia vita che per il momento mi costa dover mettere da parte, passerà completamente in secondo piano, e questi dubbi mi sembreranno sciocchi.
 
Proprio adesso sto aspettando Cecchini all’esterno di un locale abbandonato, appena fuori Spoleto.
Fosse stata una circostanza diversa, avrei già agito insieme ai miei uomini, in prima fila, ma per ovvi motivi devo starmene qui in attesa del via libera da parte del maresciallo. Senza contare che Marco mi ha avvertita di non fare niente di avventato, e tutti gli altri ne sono stati informati.
Inutile dire che la cosa mi renda un po’ nervosa.
Respira, vedrai che è questione di minut- oh, eccolo.
Ecco Cecchini, che si scusa per il ritardo, perché ha dovuto accompagnare una sua zia suora in canonica, presso la quale sarà ospite per qualche giorno.
Spero inutilmente di potermi dedicare al lavoro, visto che abbiamo già perso abbastanza tempo, ma il maresciallo mi chiede di mia madre.
Con mia grande gioia (e non è un eufemismo), non è ancora rientrata dal suo ultimo viaggio che, ironia della sorte, aveva come destinazione il Pakistan.
Rido ancora pensando alla faccia di Marco, quando ti ha sentita pronunciare le parole ‘viaggio’ e ‘Pakistan’ nella stessa frase, al telefono, e non sapeva che il tuo interlocutore fosse lei! Poverino, era diventato bianco come un lenzuolo!
Smettila, vocina!
Quello che mi stupisce in realtà, è che il biscottino sia così felice del suo ritardo.
In effetti... non è che ha qualche strano piano in mente, vero?
Comunque, blocco qualsiasi altra domanda a dopo, spiegandogli perché siamo qui.
Lui, ovviamente, si affretta a dirmi che devo restare fuori dallo stabile, ma io non mi lascio fermare.
“Se lo può scordare. Sappiamo che non c’è pericolo, starò attenta, e se pensate che starò sotto una campana di vetro, avete sbagliato soggetto.”
“Va bene, va bene,” concede lui, “ma deve stare attaccata a me. In effetti se resta fuori da sola può essere peggio... non si sa mai.”
Mi trattengo dallo sbuffare all’osservazione, ricordando le scarse qualità di Cecchini come cecchino, a dispetto del cognome, ma faccio come dice.
All’interno, comunque, non troviamo niente di pericoloso, come previsto... solo Don Matteo (mi pareva strano, che non lo avessimo visto...) e una donna priva di sensi.
Io e il maresciallo ci scambiamo un’occhiata confusa.
 
Lo seguiamo in ospedale, con la donna in coma non possiamo far altro che aspettare.
Lì ci raggiunge però una ragazzina, la figlia della donna aggredita, che non ha dubbi riguardo al colpevole: lo stesso Don Matteo.
Ma la cosa più sconvolgente non è tanto questa, quanto la ragione dietro... afferma che il prete sia suo padre.
Quelle che fa contro di lui sono accuse pesantissime, ma Don Matteo sta rifiutando di difendersi, e io e Marco siamo costretti a dargli il fermo.
Cecchini è furioso, più con sé stesso che altro, ma non c’è niente che possiamo fare, purtroppo.
Avremmo voluto, ma il suo mutismo ce l’ha impedito.
Non ho mai amato particolarmente Don Matteo, ma col tempo ci ho fatto più o meno l’abitudine a quella sua costante presenza in mezzo alle indagini, e il suo aiuto - anche se mai lo ammetterò ad alta voce - è spesso stato indispensabile.
Solo che se lui nasconde qualcosa, io ho le mani legate. Ma non ci credo, alla storia di quella ragazzina. Troppe incognite, e lei un po’ troppo prepotente, ma per il momento il fermo è da disporre.
Lo accompagniamo giù e Cecchini va via deluso, nonostante io e Marco gli assicuriamo che siamo d’accordo sull’innocenza del parroco e che faremo il possibile per tirarlo fuori dai guai.
Faccio per tornare su in ufficio, quando Marco mi blocca davanti alla caserma.
 
Marco’s pov
 
Prima di rientrare e proseguire con il lavoro, voglio approfittarne per chiedere una cosa ad Anna.
“Amore, aspetta... volevo chiedertelo stamattina, ma poi ti hanno chiamata qui dalla caserma, e ho dovuto posticipare. Pensavo che... potremmo andare fuori a cena, stasera... sai, per i nostri primi tre anni insieme...” le propongo.
Qualche giorno fa è stato il nostro anniversario, ma per diverse ragioni di lavoro, non abbiamo potuto festeggiarlo come si deve.
In realtà, nessuno dei due ritiene sia d’obbligo farlo, non cade il mondo, ma è comunque un momento importante, e credo che una cena possiamo concedercela.
“Sempre per la teoria che è banale seguire la massa ed è più divertente festeggiare a modo nostro, come il San Valentino per la prima volta che ci siamo trovati d’accordo?” scherza Anna, facendomi rilasciare un sospiro di sollievo.
“Certo! Dopotutto, anche in questo caso, festeggeremmo il nostro esserci vestiti da Babbo Natale ad agosto, con tanto di nevicata!” le strizzo l’occhio.
Lei ride. “Non avevo dubbi... e cena sia!” accetta, rendendomi felicissimo.
So già dove portarla: al ristorante ‘Mezzomare’. Perfetto, e un po’ ironico, con lei incinta...
Ahhh, adesso ho capito! Ma le cozze pelose le prendiamo, stavolta?
Ovviamente no, vocina.
 
Nel pomeriggio, Cecchini torna in caserma dopo aver parlato con Don Matteo, ma la sua posizione si aggrava solamente.
Per quanto io e Anna vorremmo poter fare qualcosa, il suo mutismo non ci aiuta, e non possiamo ignorare le prove contro di lui.
Dai tabulati emerge però un numero sospetto, e Cecchini è sicuro non sia quello del prete. Forse è una nuova pista da vagliare, così chiedo ad Anna di tenermi informato, facendo per andare in tribunale, quando il suo cellulare squilla.
Il nome sul display, che leggo al contrario, mi trattiene sul posto: Sergio.
Anna è stupita: era da un po’ che non la chiamava, preferendo presentarsi direttamente in caserma quando sapeva ci fossi io, così da parlare direttamente con me per Ines.
Ha evidentemente recepito il messaggio, non che io gli avessi reso la vita facile, pur permettendogli di incontrare la figlia.
Anna è ovviamente intervenuta, facendo da mediatore e portandomi ad essere ragionevole. Mi ci era voluto un po’, ma avevo allentato la presa.
La chiamata comunque è strana: lui le ha telefonato solo perché non ha il mio numero, e ha bisogno di chiedermi una cosa, ma non essendo in zona non poteva passare da qui.
Ines, sembra, gli ha chiesto di accompagnarla a visitare la centrale idroelettrica per un progetto scolastico, ma Sergio sa benissimo che per ogni cosa, deve ottenere prima il mio consenso. Anna lo mette in attesa, per parlarne con me e verificare che la storia della gita sia vera e, seppur reticente, acconsento. Lei lo richiama per dargli conferma che può andare con la bambina.
È stato tutto molto formale e conciso. Mah, meglio così.
Saluto la mia fidanzata con un bacio, prima di avviarmi finalmente verso il tribunale, in ritardo.
 
Anna’s pov
 
Dopo l’attento lavoro dei miei uomini, siamo riusciti a venire a capo del proprietario del numero ricorrente nei tabulati, in merito alle chiamate ricevute dalla donna in coma: l’allenatore della figlia, con il quale la signora ha una relazione. Nessuno però sa chi sia il padre biologico della ragazzina, il che non aiuta a scagionare Don Matteo. Sto per chiedere al maresciallo se ha qualche suggerimento su come procedere, ma lui corre via dicendo di avere le lodi.
Cos’è, con Don Matteo in carcere lui, in qualità di suo migliore amico, lo sostituisce in chiesa?
Comunque sia, nonostante gli sforzi non riusciamo a venire a capo della situazione, così poco dopo le 18, rientro a casa.
 
Cosa ti è saltato in mente, quando hai detto a Chiara della cena di stasera col tuo fidanzato, durante la vostra telefonata a pranzo?
Me lo chiedo anch’io, vocina.
In camera da letto, dove siamo adesso, sembra essere esplosa una bomba: ci sono vestiti dappertutto, con mia sorella intenta a tirare fuori quelli, secondo lei, più adatti per l’occasione, e tutti puntualmente bocciati non appena lei me li suggerisce.
“Quello mi va stretto... Troppo corto, adesso, sei impazzita?... Quello non sapevo nemmeno di averlo nell’armadio, ma è il mio?” chiedo, quando me ne mostra uno che non ricordavo affatto.
La sua occhiataccia offesa mi fa capire che me lo aveva sicuramente regalato lei.
Mi siedo sul letto sbuffando, sconsolata, una mano a sfiorare l’addome, con la mia creaturina che ha appena dato un calcetto.
“Mi sa che mi devo arrendere e andare a fare shopping premaman seriamente, non come ho fatto finora,” mormoro, perché sono passata da un negozio qualche settimana fa, e ho preso giusto il minimo indispensabile, ma è evidente che mi serva altro.
Al quinto mese di gravidanza, ormai mi vanno stretti quasi tutti gli indumenti che posseggo.
“Come se non bastasse, sabato ci sarà pure la festa al comune,” continuo, infastidita. “Preferirei non andare, ma sono il Capitano della caserma di Spoleto, Marco è il PM, e non possiamo non esserci...”
“Anna, seriamente, devi smetterla di soffermarti su queste cose come se fossero una più negativa dell’altra,” sbotta mia sorella, con un cipiglio indispettito. “Pensa a goderti questo momento, invece! Aspetti una bambina - sì, per me è femmina e non fare smorfie - stai benissimo, ed è bellissimo vedere il tuo pancino che cresce... Tra qualche mese diventerai mamma, e poco dopo anche moglie, e non hai dovuto rinunciare a niente per avere tutto questo! Nemmeno alla tua carriera, come invece diceva sempre mamma. Ogni piccolo sacrificio che fai adesso, verrà ripagato quando avrai tua figlia, ne sono certa. E so che anche tu lo sai, che hai paura, ma è normalissimo... Io sarei molto più spaventata di te, perché non riuscirei a essere così razionale come sei tu,” scherza. “Così come sono convinta che nel tuo armadio c’è un vestito che per stasera andrà benissimo. Non sarà il tubino nero della vostra ‘prima’ cena, ma Marco ti ‘troverà bene’ comunque.”
La sua battuta mi fa ridere: Marco ha detto che andremo in quello stesso ristornante in cui siamo andati quella famosa sera, con Cecchini che aveva organizzato tutto fregando entrambi. All’epoca, aveva fatto credere a Marco che io fossi incinta per convincerlo a uscire con me, mentre stavolta, incinta lo sono davvero, del nostro bambino.
La costante in entrambi i casi, è che anche allora lui sarebbe stato al mio fianco, nonostante non fossimo niente, e anche se il piano G del maresciallo non era andato come voleva, un risultato lo aveva avuto, migliore di quello previsto: io e Marco eravamo passati dall’essere solo colleghi, a diventare amici fino a innamorarci, e adesso siamo fidanzati e tra non molto ci sposeremo e diventeremo perfino genitori.
Lo strillo di Chiara mi riporta alla realtà: ha trovato il vestito giusto. Non ricordavo nemmeno di averlo nell’armadio, ma credo abbia ragione lei.
Quando riemergo dal bagno, mia sorella mi scruta soddisfatta, prima di farmi accomodare su una sedia per dedicarsi ai miei capelli e al trucco.
Osservo i cambiamenti allo specchio: ormai l’abbiamo appurato, queste cose non sono da me, e non fanno per me in genere, ma oggi, stranamente, ne sentivo quasi il bisogno per sentirmi più femminile.
Chiara, come al solito, deve aver intuito i miei pensieri.
“Sempre a rimuginarci sopra, mh?” domanda. “Dai, dov’è finita la donna sicura di sé, quella a cui non è mai importato se la divisa faceva scappare gli uomini? Mia sorella, quella convinta che prima o dopo, avrebbe trovato l’uomo che l’avrebbe amata per ciò che è: una rompiscatole, puntigliosa, precisina... ma anche dolce, sensibile, intelligente... Marco ti ama proprio perché tu sei così, e davvero non capisco perché tu ti stia facendo tutte queste paranoie, visto che non ne hai motivo. Per la cena sarai bellissima, per sabato uno schianto, e te lo dico perché ti ci porto io, a fare shopping per trovare l’abito più adatto a te, così non puoi cercare scuse. Da principessa, se è quello che hai bisogno ora, ma che non ti renderà meno Zorro perché quello lo sei fino in fondo.”
Attendo che finisca il suo lavoro, prima di alzarmi e abbracciarla forte.
Certi giorni la strozzeresti, ma non sarebbe lo stesso, senza di lei.
Una volta terminato di prepararmi, raggiungo Marco, intento ad aspettarmi sul pianerottolo.
Probabilmente si sarà stufato di stare a sentire Cecchini, visto che nel mentre era andato da lui, che lo avrà tempestato di domande e consigli su cosa possiamo o non possiamo fare.
Adoro il maresciallo, ma è davvero troppo iperprotettivo con me. So benissimo cosa mi sia concesso o meno di fare, non ho bisogno della balia.
Comunque, quando Marco si accorge della mia presenza, passa un minuto buono ad ammirarmi.
Per un secondo mi è tornata in mente quella volta su questo stesso pianerottolo, quando mia sorella voleva convincermi a leggere quell’assurdo libro sulle geishe, e il mio allora collega stava uscendo da casa del maresciallo, come ora, e beccò me in una mise che faceva a pugni con il mio modo di vestire abituale, ma che mi aveva fatto guadagnare un mormorio d’approvazione da parte sua.
Certo, un po’ meno accentuato come sta facendo adesso, non che mi dispiaccia.
Ehm ehm,” fa Chiara, fingendo un colpo di tosse per richiamare l’attenzione del mio fidanzato, che arrossisce per essere stato colto in flagranza.
Suvvia, è il tuo futuro marito. Considerato l’esserino che scalcia, direi che ha già visto ben più di una scollatura, no?
VOCINA!!
 
Giunti al ristorante, Marco si dimostra essere come sempre un cavaliere e un fidanzato premuroso, e sposta la sedia per farmi accomodare, prima di prendere il suo posto di fronte a me, al tavolo.
Il cameriere sta accendendo la candela al centro, con un’immancabile rosa bianca a decorare il tutto.
Certo che questo posto non è cambiato affatto, dopo tre anni... Non ci siamo più venuti qui dopo quella sera, le nostre cene romantiche sono state quasi sempre casalinghe, con l’uno o l’altra a cucinare per l’occasione.
Mi sono un po’ persa nei miei pensieri, per cui Marco opta per il suo umorismo per richiamare la mia attenzione.
“Dici che Cecchini si arrabbia, se prendo le cozze pelose? Dopo che mi ha fatto una testa così, mentre tu ti preparavi, dicendomi di evitarle come la peste... io, non tu.”
Mi trattengo dallo scoppiare a ridere. Tipico di Cecchini.
Ordiniamo, e tutto trascorre tranquillamente, e parliamo del più e del meno, compreso il lavoro perché in fondo non riusciremmo mai a staccare veramente.
Dopo aver cenato, visto che è ancora abbastanza presto, decidiamo di approfittare della bella serata non eccessivamente afosa per far fare una passeggiata a Patatino.
Io amo questi momenti, queste sere in cui possiamo stare in giro per le vie semi-deserte di Spoleto, nonostante siamo nel pieno della stagione turistica.
Visto comunque il caldo che si fa sentire, Marco mi propone di prendere un gelato.
Mentirei, se dicessi che non avevo rifiutato il dolce, al ristorante, proprio nella speranza che succedesse esattamente questo.
Come fa a sapere sempre ciò di cui hai bisogno? Ha ragione tua sorella, il tuo fidanzato è proprio un panda.
 
La passeggiata ieri sera si è conclusa intorno alle 23, quando la lunga giornata di lavoro ha iniziato a farsi sentire, nonostante Marco e Cecchini mi impediscano di fare buona parte dei sopralluoghi, relegandomi al mio ufficio in caserma il più possibile.
Comunque stamattina mi sono svegliata presto e di buon umore, cosa insolita ma apprezzata.
La serata volta a suggellare i tre anni d’amore con il mio Marco era proprio quello che mi serviva, così come le ore insieme a mia sorella, nonostante il caos per trovare il vestito che mi andasse bene.
 
Comunque, in caserma continuiamo le indagini, con Sara e Marco che giungono a seguito di alcuni fatti emersi in merito al caso. Il marito della donna aggredita si è presentato spontaneamente, affermando di essere anche il padre della ragazzina, facendo cadere i dubbi sulla presunta paternità di Don Matteo.
Scopriamo anche, grazie alle informazioni fornite dal marito, si era creata una falsa identità, e c’è anche una denuncia a suo carico per rapimento della figlia, della quale non ha la custodia. Questo spiega il perché non riuscissimo a trovare informazioni su di lei, ma non scagiona completamente il prete, perché nonostante tutto lui si ostina a difendere una donna che ha rapito la figlia.
Qualcosa non torna, e tocca a noi scoprirlo.
 
Marco’s pov
 
Terminato il briefing, Anna e Cecchini stanno per lasciare la caserma per andare a parlare con Don Matteo, quando Sara li blocca.
“Ah, dimenticato, prima che tu vada via, Anna... Verrete alla festa del comune, vero?”
Anna le rivolge un’occhiata nervosa.
“Certo,” biascica, palesemente irritata, prima di andare via in fretta, trascinandosi dietro il maresciallo, e lasciando me e Sara da soli.
Lei si gira a guardarmi, confusa.
“Ma... ho detto qualcosa di male? Mi è sembrata infastidita...”
Io faccio spallucce.
“Sinceramente, non so cosa le sia preso, andava tutto bene fino a poco fa... anzi, scusala, a proposito... Sono sicuro che non era sua intenzione. Ci veniamo, al comune, sabato, sappiamo quanto il sindaco ci tenga, ad avere le cariche cittadine presenti, inclusi noi.”
Sara annuisce. “Non ti preoccupare per Anna, figurati... Anzi, se è per il motivo che immagino, la capisco. Nemmeno io amo molto questo tipo di eventi, ma so che fa parte del mio lavoro presenziare e assicurarmi che i miei collaboratori partecipino, per dare quell’immagine di unità che il comune vuole far trasparire nelle manifestazioni pubbliche...”
Mi viene da sorridere perché è vero, in questo lei e Anna si somigliano moltissimo: entrambe amanti del proprio lavoro, nessuna delle due apprezza questo tipo di ‘dimostrazioni di compiacimento’. Anna, quando è capitato altre volte, non ha fatto che ripetermi come non sia entrata nell’Arma per dedicarsi a inaugurazioni varie od ostentare il suo grado davanti agli altri, così come detesta dover fare da giudice nelle gare di beneficenza.
Forse ha ragione Sara, l’idea la infastidisce e magari si è innervosita per questo.
Magari sì, ma potrebbe esserci sotto anche dell’altro, che al momento non saprei definire, ma prima o dopo magari ci vengo a capo.
 
Anna e Cecchini sono rientrati da poco dalla loro visita a Don Matteo, e hanno scoperto che la donna non ha davvero rapito la figlia, semplicemente è scappata con lei per proteggerla perché il padre e la famiglia sembrano essere coinvolti nella malavita, e la donna ha avuto paura che potesse succedere qualcosa alla figlia. Addirittura, il nonno potrebbe avere perfino a che fare con un omicidio.
Appena è arrivata, mi ha chiesto di disporre il rilascio del prete, prima di rimettersi al lavoro.
Ma una pausa se la prende mai? Sempre dietro quella scrivania sta!
Mh.
Mi avvicino, cercando con cautela di avere delucidazioni in merito alla sua reazione di qualche ora fa.
“Amore... ti posso chiedere una cosa, un momento?”
Lei solleva lo sguardo su di me, confusa.
“Certo!”
“Ecco... prima, con Sara, mi sei sembrata... nervosa, le hai dato quella risposta sbrigativa... è successo qualcosa?” tento, anche se ho il timore di aver peggiorato le cose.
 
Anna’s pov
 
Avrei dovuto aspettarmela, questa domanda.
E che avrebbero notato la mia irritazione anche.
Vorrei evitare di discuterne con lui perché ho già affrontato l’argomento con Chiara, ieri sera, ma so anche che Marco non lascerà stare finché non scoprirà perché l’idea della festa di sabato mi dia così fastidio.
Non posso svegliarmi e scoprire che quel ballo non esiste?
Evidentemente no.
Mi appoggio alla scrivania e, dopo un lungo sospiro, mi decido a dire a Marco cosa mi turba.
“No, è che... non mi entusiasma l’idea di doverci andare, alla festa. Il problema è che... anche per via del vestito che dovrò mettere, mi troverò a dovere essere al centro dell’attenzione. Sia perché è il primo evento pubblico a cui prendiamo parte da quando ho scoperto di essere incinta, e quindi i curiosi che non si sapranno fare gli affari propri ci saranno, perché ormai, che io sia in dolce attesa, si vede chiaramente; sia per il fatto che questo genere di eventi mi indispone a prescindere. Il dress code non aiuta, e poi non sono diventata un Capitano dei Carabinieri per andare alle feste, ma per rendere giustizia alle persone che hanno subito un torto,” sbuffo, inquieta, come una bambina che non vuole fare ciò che i genitori le hanno imposto.
Marco, alla fine del mio discorso, non sembra affatto stupito. Anzi, ridacchia appena al mio comportamento, facendomi leggermente irritare.
Ti conoscerà meglio delle sue tasche, ma sfidare la sorte quando sei nervosetta non lo spaventa affatto, eh? Impavido, il ragazzo.
Gli lancio un’occhiataccia delle mie, e lui solleva le mani in segno di resa, prima di avvicinarsi ancora a me, abbracciandomi.
Io lo lascio fare, docile.
“Ehi... lo capisco, questo tuo stato d’animo, ma davvero vorrei che tu riuscissi a vivere questo momento in modo più sereno. So che tutte le restrizioni su cosa puoi o non puoi fare ti pesano, che vorresti essere più libera, ma non possiamo riavvolgere il nastro e dire al nostro bimbo di ripassare un’altra volta, perché non siamo pronti ad affrontare quel che viene, no? Io, purtroppo, non posso fare molto, oltre che starti accanto, perché in questa fase sei tu a... dover ‘fare tutto’, diciamo, ma sono certo che quando il nostro bebè nascerà, tutte le ansie, le paure, i dubbi passeranno, magari rideremo perfino di questi momenti di inquietudine. Cioè, probabilmente saremo troppo impegnati a capire quando dormire, all’inizio, per poter pensare ad altro, però... ne varrà la pena, anche quello.”
Alle sue parole, io lo abbraccio più forte che posso. Non smetterà mai di stupirmi, solo lui riesce a calmarmi così. Ha ragione su tutto. Sembra quasi che, a distanza di anni, adesso sia lui a dover aiutare me a superare quel groviglio di incertezze che ti assalgono quando arriva un evento che ti cambia la vita. E so bene che ogni cosa che faccio è volta alla giusta causa.
Davvero, a parte tutto, non vedo l’ora che arrivi il momento in cui potrò tenere il mio bambino tra le braccia per la prima volta, con la consapevolezza di essere diventata mamma, e certa dell’amore dell’uomo di cui altrettanto presto diventerò moglie.
Forse aveva ragione mia madre, quando mi diceva che, nonostante la mia testardaggine, sarebbe arrivato un momento nella mia vita in cui avrei sentito il bisogno di avere una famiglia, e che i momenti di sconforto li abbiamo tutti, ma ne vale sempre la pena e adesso, tra le braccia del mio Marco, non ho nessun dubbio sul fatto che sia così.
Il nostro momento, come spesso accade, è interrotto dall’arrivo di Cecchini e Zappavigna che ci portano novità sul caso.
Effettivamente, la famiglia paterna della ragazzina risulta davvero avere rapporti con la malavita, ma non abbiamo abbastanza prove per procedere, anche perché di quel presunto omicidio non esistono tracce.
Proprio per questo, non abbiamo in mano niente che ci permetta di agire contro di loro, sebbene tutti pensiamo che l’aggressore possa essere stato l’ex marito della donna.
Le incognite sono però ancora troppe, dobbiamo continuare a cercare.
 
Sono seduta sul divano a guardare la tv con Marco.
Abbiamo finito di cenare presto, e sono passate da poco le 20,30 quando il campanello suona.
Convinta sia Cecchini, come al solito, vado ad aprire, trovandomi invece davanti mia sorella e Sara.
Prima che io possa dire niente, Chiara prende la parola.
“Prendi la borsa e sbrigati, è arrivato il momento della nostra serata tra donne.” annuncia.
“Come... che-?” faccio per chiedere, più confusa che mai quando vedo il mio fidanzato venirmi incontro e porgermi la borsa e una giacca leggera.
“Tu lo sapevi?” gli domando allora, con le sopracciglia corrugate.
Lui mi rivolge un sorriso timido.
“In effetti, le ho chiamate io,” ammette, portandosi una mano dietro la nuca, in imbarazzo, “per organizzarsi per una serata tra voi. L’ho detto a Chiara pomeriggio, e visto il poco preavviso, per la cena era impossibile, ma hanno accettato di portarti a fare una passeggiata, o non lo so, altro... La mia unica richiesta è stata di farti distrarre un po’, per goderti qualche ora con le tue amiche.”
L’ho già detto, che sei fortunata? È vero che vi beccate spesso, ma quando fa così... awww!
Non dico nulla, basta il mio bacio a fargli capire quanto io gli sia grata.
Alle nostre spalle, arriva pronto il commento. Ma mentre Sara si limita a un verso d’affettuosa approvazione, mia sorella scuote la testa.
“Oh, se preferite un cambio di piano, noi ce ne andiamo, eh!” scherza con una risatina.
Saluto allora Marco, seguendo le mie amiche giù in strada, tutte e tre intente a ridere al fatto che il mio fidanzato passerà anche lui una ‘serata tra uomini’... con Patatino.
 
Dopo una lunga passeggiata rilassante e chiacchiere varie, torniamo in piazza per andare a prendere qualcosa da Spartaco, a conclusione della bella serata.
Marco aveva proprio ragione, ti ha fatto bene rinfrescare la mente e non pensare a sabat- ops.
Dannatissima vocina, ero riuscita a non pensarci, me lo dovevi giusto ricordare adesso?
Così mi ritrovo a fissare il mio bicchiere di succo di frutta, corrucciata, mentre Chiara e Sara discutono di qualcosa, non so più quale sia l’argomento perché ho perso il filo del discorso.
“... vero? Tu che ne pensi, Anna? ... Anna?” mi chiede allora mia sorella, schioccandomi le dita davanti agli occhi e ridestandomi.
“Scusate, mi sono distratta... cosa mi stavi dicendo?”
Chiara mi scruta un attimo.
“Niente di importante. Piuttosto, tu sei sempre più nell’aria, negli ultimi giorni. C’è qualcos’altro che non va, o è per la storia di ieri? Marco mi ha detto che ne hai parlato anche con lui... pensavo avessimo risolto.”
Io le rivolgo uno sguardo colpevole.
“Sì, lo so... hai ragione. Continuate tutti a dirmi che è normale essere ansiosa e che passerà, ma io non riesco a non pensarci. Lo sai come sono fatta, che rimugino mille volte sulla stessa cosa e se non trovo una risposta soddisfacente è peggio. È questo che mi irrita.”
Sara mi osserva a lungo, prima di fare un piccolo sorriso.
“Ti capisco, sai?” mormora. “Anch’io ho passato settimane, anzi mesi, a pensare agli eventi che mi erano capitati, e alla dura scoperta di non poter avere figli... ma proprio perché ti capisco, forse meglio di altri, ti dico che devi fidarti perché non ne vale la pena, logorarsi così. Finisci per credere che il problema in realtà sei tu, il modo in cui sei fatta, e che pensi troppo e che questo potrebbe portare gli altri ad allontanarsi. Ma io sono convinta che dovresti cercare di focalizzarti sugli aspetti positivi, goderti il momento e imparare piano piano, e con l’aiuto di chi ti ama, che se il destino sceglie per noi una determinata strada, mettendoci anche a dura prova, lo fa per un motivo. E se il fato ha deciso che tu e Marco foste pronti per questo passo, è perché siete in grado di compierlo. Insieme.”
Chiara, che per tutto il tempo ha stretto le mani di entrambe - anche lei a conoscenza della storia di Sara - prende a sua volta la parola.
“Sono d’accordo. Condivido anche le virgole, lo sai.”
Hanno pienamente ragione. Mi sono ripromessa mille volte di ascoltare meno il cervello e fare più affidamento sulle emozioni, e forse ora più che mai è giusto provarci.
La nostra serata si conclude una mezz’oretta dopo, quando ci salutiamo sotto casa mia, con loro che mi promettono di portarmi a fare shopping per la festa del comune. Mia sorella ha convinto anche Sara a prendere il suo nella stessa occasione, e già non vede l’ora.
Quando rientro in appartamento, trovo Marco appisolato sul divano con la tv ancora accesa, e Patatino che sonnecchia ai suoi piedi.
Quando si dice che il cane assomiglia al padrone.
 
La mattina, ci sono novità sul caso. Don Matteo ha spiegato a Cecchini che i Laganà non possono aver scoperto dal telegiornale dell’aggressione della donna. Non avrebbero avuto il tempo di arrivare da Milano a Spoleto: tra il servizio al tg e il loro presentarsi in caserma per raccontare la storia del rapimento della figlia, quattordici anni prima, il lasso di tempo è stato troppo breve. Comunque sia, non ci serviva l’intervento del prete, perché noi avevamo già scoperto che i Laganà erano giunti a Spoleto la sera prima dell’aggressione. L’ex marito della donna è qui per essere risentito, e del suo interrogatorio ci occupiamo io e il maresciallo: lui si professa innocente, affermando di voler solo recuperare il rapporto con sua figlia. Quando finalmente giungono anche Marco e Sara, spieghiamo loro quanto abbiamo scoperto.
 
Marco’s pov
 
Nonostante la coincidenza sospetta dei tempi dell’aggressione alla donna e l’arrivo a Spoleto dei Laganà, Anna mi fa notare che non abbiamo niente di concreto per incastrare l’uomo, perché nessuno può testimoniare la sua presenza sulla scena del crimine. Anche Sara è confusa, perché abbiamo tanti indizi, poche certezze ma nessun colpevole. Questo caso è più complicato del previsto.
Anna suggerisce comunque di sondare la nuova pista fornita dal sospettato, legata a un ricatto per conoscere la nuova residenza della figlia, sparita anni prima.
Cecchini si occupa delle verifiche necessarie sul gestore dell’area di servizio che avrebbe ritirato la somma di denaro per le informazioni, e tutti siamo preoccupati perché non riusciamo a venire a capo di nulla, quando Zappavigna entra per chiedere conferma della nostra presenza alla festa del comune.
Tutti e tre annuiamo, e il vice brigadiere va via. Sara si alza per andarsene a sua volta, ricordando ad Anna del loro appuntamento per lo shopping, l’indomani pomeriggio, proprio in vista della festa.
Una volta rimasti soli, la mia fidanzata mi si avvicina, intrecciando le nostre dita.
“Lo so che te l’ho già detto, ma... Grazie per ieri sera...” mormora, con un sorriso. “Mi serviva proprio, passare del tempo con loro.”
“Era il minimo che potessi fare,” replico, posandole un leggero bacio sulle labbra.
All’improvviso mi ricordo che avevo bisogno di farle una domanda.
“Ah, dimenticavo... La gita a cui Sergio doveva accompagnare Ines è oggi o domani? Perché ho un incontro con gli assistenti sociali tra poco, per parlare della formalizzazione del rapporto, anche se mi hanno accennato che gli concederanno qualcosa a patto che si cerchi una casa vera, naturalmente. Dovrò dir loro della gita, ma non mi ricordo più quando...” biascico.
Per mia fortuna, la mia fidanzata ha una memoria decisamente migliore della mia per certe cose.
“Stamattina... che c’è?” mi chiede però, notando il mio volto farsi cupo.
“Niente, è solo che... Beh, che Sergio non mi piaccia non è un mistero, e lo so che bisogna comunque dargli questa possibilità, però ho sempre l’impressione che ci sia qualcosa che ci sfugge, sul suo conto.” le spiego. La mia è solo una sensazione, ma non riesco a scrollarmela di dosso.
Lei mi rivolge uno sguardo comprensivo. “Purtroppo non possiamo prevedere tutto, e per verificare certe cose, bisogna prima che accadano... Ma cerca di non preoccuparti troppo, vedrai che andrà tutto bene, alla gita. Tu hai fatto tutto quello che potevi, sei stato un tutore perfetto per Ines.”  
“È merito tuo, fosse stato per me, avrei già bloccato tutto da tempo... forse hai ragione, mi sto facendo solo paranoie inutili, ma quello che conta è che Ines sia felice. So solo che, se per caso dovessimo scoprire che Sergio ha intenzioni losche, per qualsiasi motivo, non risponderei di me... Spero davvero di sbagliarmi.”
Getto un’occhiata all’orologio, accorgendomi di essere quasi in ritardo, come al mio solito.
“Devo andare... rientrerò più tardi stasera, credo.”
“Va bene, non c’è problema... ma... come mai?”
“Ho promesso a Ines che l’avrei portata a trovare sua nonna... avevamo rimandato più volte, tra il lavoro e gli incontri con i servizi sociali... Non avevo più avuto l’occasione di accompagnarla. Qualche giorno fa mi ha pregato di andarci insieme e le ho detto di sì, per oggi, Avevo dimenticato di dirtelo.”
Anna accenna un sorriso, poi annuisce.
“Salutate nonna Rosa da parte mia.”
La lascio lavorare, andando via dopo un bacio a lei e una carezza al nostro baby Nardi.
 
Anna’s pov   
 
In serata, è arrivato l’identikit fatto dal gestore dell’area di servizio: l’uomo che gli ha chiesto di ritirare i soldi di Laganà e fornire le informazioni al padre della ragazzina altri non è che il suo allenatore di nuoto, che come se non bastasse ha una relazione con la donna aggredita.
Quando andiamo a parlare con l’uomo, però, ci accorgiamo di essere arrivati in ritardo: qualcuno lo ha ucciso.
 
Ieri sera non ho avuto modo di parlare con Marco del caso, visto che alla fine io sono rientrata più tardi di lui, che già dormiva.
Riesco a dirgli tutto solo la mattina, in ufficio: l’allenatore aveva venduto le informazioni all’ex marito della donna, mentendo tra l’altro, perché inizialmente sosteneva di non sapere neppure chi fosse il padre della ragazza. Pensiamo potrebbe essere stato lui ad aggredire la donna, ma Cecchini ci fa giustamente notare che non ci sarebbe un buon motivo per la sua uccisione, se così fosse.
Il telefono suona, e dopo la frustrazione per i pochi risultati, arriva una notizia positiva: la donna si è risvegliata.
Vado in ospedale con il maresciallo, per parlarle.
Lei rivela che, nell’edificio in cui l’abbiamo trovata, avrebbe dovuto incontrare Don Matteo, ma in realtà si era presentato anche Rudy, l’allenatore. Avevano litigato, e lei aveva accidentalmente perso l’equilibrio ed era caduta sbattendo la testa.
Lascio che sia Cecchini a dirle che Rudy è stato ucciso, quando lei chiede di lui. A peggiorare il tutto, in quel momento arriva la figlia Chiara, accompagnata dal padre. La donna, Grazia, cerca dal dissuaderla dal seguirlo, ma lei non l’ascolta, andando via con l’uomo.
Non c’è nient’altro che possiamo fare, per cui anche io e il maresciallo andiamo via poco dopo.
 
Rientrati in caserma, spiego a Marco cosa abbiamo scoperto: ci rimane da capire chi abbia ucciso Rudy, adesso.
Cecchini, nel frattempo, è scappato di corsa perché a quanto pare la sua vecchia zia suora si è sentita male ed è stata ricoverata.
Giusto per alimentare il via vai in caserma, oggi, è arrivata anche mia madre, che dopo aver salutato il suo biscottino, ha raggiunto me e Marco nel mio ufficio per vedere di persona come procede la mia gravidanza prima di tornare a casa.
Incredibilmente, il viaggio e forse la stanchezza del rientro l’han fatta calmare un po’, e meno male. Per la mia sanità mentale, intendo.
Anche Chiara ha recepito il messaggio, soprattutto dopo gli ultimi giorni.
Dopo averci raccontato a grandi linee del suo viaggio, mamma ci saluta per lasciarci lavorare.
“E mi raccomando, tesoro, non esagerare e non ti stancare troppo!” rimarca, come fa ogni volta che ci vediamo o sentiamo.
La mamma è sempre la mamma.
“Non si preoccupi, Elisa. Ci penso io, a tenerla d’occhio,” la rassicura prontamente il mio fidanzato.
Lei, che lo adora e si fida di lui più di quanto non faccia di me - siamo a questi livelli, sì - va via più tranquilla.
 
Marco’s pov
 
Nel primo pomeriggio, sono in canonica con Ines.
Ieri, quando l’ho accompagnata dalla nonna, mi ha pregato di aiutarla con un cartellone legato alla produzione di energia, per la scuola, visto che Sergio non poteva.
Ho accettato volentieri. Adoro questo scricciolo, così le sto dando una mano a incollare le foto che ha scattato ieri mentre lei mi racconta di nuovo della gita.
È ancora euforica per l’esperienza. Lo ammetto, sono un po’ geloso del rapporto che sta creando con suo padre. So che non dovrei, che è giusto che succeda, ma mi mancano i giorni in cui cercava solo me, mi correva incontro in piazza, per salutarmi, chiacchierare o giocare insieme.
So che arriverà il momento in cui potrò farlo con mio figlio, o figlia, ma è ancora lontano, e nel frattempo non mi dispiacerebbe dedicare ancora parte del mio tempo a Ines.
Lei mi ridesta toccandomi il braccio.
“Ci possiamo andare di nuovo, alla centrale, qualche volta? Tutti insieme, io, tu, Anna e pure il vostro bambino. Quando sarà più grande, così gli posso spiegare tutto io!” esclama, felice.
Le rivolgo un sorriso affettuoso, commosso dalla sua richiesta.
“Mi sembra un’idea bellissima, Ines. Sono sicuro che anche Anna la pensa così. Ci andremo, sicuro.”
Lei sembra soddisfatta della mia risposta, così continua a incollare le immagini, prima di pormi un’altra domanda alquanto curiosa.
“Tu lo sai che cos’è un tesamento?”
“Un tesamento? No, c-un testamento, vuoi dire?” le chiedo, intuendo si tratti di una delle sue storpiature.
“Sì, quello, bravo!” si complimenta lei, continuando a colorare.
Mi fa sempre ridere con queste sue risposte.
“Grazie! Ma non sei un po’ piccola per fare testamento? Perché lo vuoi sapere?” Le chiedo, incerto.
“Ho promesso a papà di non dirlo a nessuno,” mi spiega, e questa cosa mi inquieta ancora di più. “Ma se non so cosa devo dire, come faccio a mantenere il segreto?”
“Ma scusami, che cosa hai promesso di non dire esattamente?”
“Se te lo dico non è più un segreto,” mi dice giustamente Ines, al che cambio tattica.
“Ho capito, però io sono un avvocato, lo puoi dire a me, no?” cerco di convincerla.
Questa cosa del ‘segreto’ non mi piace affatto.
“E va bene!” cede, dimostrando di fidarsi di me. “Stavamo nello studio di Don Matteo, e papà ha preso un foglio con su scritto tesamento.”
 
Aspetto che termini il cartellone e torni nella sua cameretta prima di cercare di capire meglio che sta succedendo. So di averle promesso che non ne farò parola con nessuno, ma è stata una menzogna a fin di bene. Devo vederci chiaro, in questa storia.
Trovo la carpetta in cui avrebbe dovuto trovarsi quel foglio, come mi ha spiegato lei, solo per scoprire che è vuota.
Un problema in più, perché non so cosa ci fosse scritto.
Mi raggiunge Cecchini, vestito da... da prete?! Qualcosa mi dice che io in questa storia non ci voglio entrare, almeno per una volta, così gli spiego cosa ci faccio io qui.
“Devo necessariamente parlare con Anna. Sergio ha rubato il testamento della mamma di Ines, e poi ha detto a Ines di non dire assolutamente niente a nessuno.”
Anche lui concorda con me che Sergio ha in mente qualcosa di losco, per sfruttare la bimba e fregare i beni della famiglia probabilmente, e che è urgente che anche Anna lo sappia, così da agire in fretta.
Non mi importa se Sergio si caccia nei guai, non sarebbe una novità vista la sua fedina penale, ma non deve assolutamente permettersi di usare Ines, né tantomeno di renderla infelice in alcun modo, e se non l’ha capito dopo il mio famoso discorso, allora varrà la pena rinfrescargli la memoria.
 
Quando arrivo in caserma, l’ufficio è vuoto.
Mi ricordo solo ora che Anna aveva appuntamento con Chiara e Sara per acquistare con loro l’abito per domani. Non vorrei disturbarla, ma ho bisogno di parlare con lei di questa storia. So che dovrei provare a fidarmi di Sergio, ma su quel testamento potrebbe esserci scritta qualunque cosa, ed è meglio intervenire in fretta.
La chiamo, pregandola di raggiungermi in caserma appena può, perché ho scoperto qualcosa sul padre di Ines che le spiegherò meglio al suo arrivo. Lei mi dice che è questione di qualche minuto, perché aveva terminato con le ragazze e stava già per rientrare.
Quando arriva, non perdo altro tempo e le spiego tutto.
Lei cerca di mettere ordine nel caos della situazione.
“Cerchiamo di ragionare un attimo: magari c’è una spiegazione plausibile che non stiamo calcolando, e non è detto che voglia necessariamente appropriarsi dei beni della famiglia, ammesso che ne abbiano, ma in ogni caso è meglio verificare. Io direi di convocarlo qui in caserma per vedere cosa ha da dire in merito, con calma, però. E dopo agiremo di conseguenza.” precisa, rivolgendomi un’occhiata di sbieco.
Io accetto, seppur riluttante.
Alla richiesta telefonica di Anna, Sergio dice che non riuscirà a venire prima delle 18, quando stacca dal turno di lavoro, così nel frattempo ci occupiamo del caso.
Parliamo con la figlia della donna aggredita, che stando alle indagini di Zappavigna, è stata vista litigare col suo allenatore prima che questi venisse aggredito.
Conduce Anna l’interrogatorio, egregiamente come sempre. La giovane, per fortuna, sembra fidarsi di lei e inizia a parlare, quando fanno irruzione nell’ufficio il padre e il nonno, affermando che non abbiamo nulla di concreto contro la ragazzina.
Siamo costretti a rilasciarla, anche se Cecchini ha ragione sul fatto che quei due siano da tenere d’occhio.
È in questo momento che ci raggiunge Sergio.
Beh, perlomeno non ha mentito sulla questione dell’orario.
Entra col suo solito sorrisetto strafottente e la battuta pronta.
Anna, però, non perde tempo in convenevoli.
“Sappiamo del testamento,” dice soltanto. “quello della mamma di Ines. Perché l’hai preso?”
Lui spalanca appena gli occhi, il sorrisetto che lascia spazio all’espressione di chi è stato beccato. Resta in silenzio, così Anna insiste.
“Cosa vuoi fare, appropriarti dell’eredità? Ti sai occupando di Ines per questo?”
“È questo che pensate?” domanda allora lui decidendosi a rispondere, prima di mettere una mano in tasca, tirandone fuori una scatolina stretta e lunga.
“Dunque, il testamento è tornato a posto, dentro c’erano le istruzioni per trovare questo qui. Stava in una cassetta di sicurezza: è un braccialetto, vale pochi euro, però valeva moltissimo per la mamma di Ines e ci teneva tanto che lo avesse sua figlia. Lo sapevo perché Irene stessa me ne aveva parlato, ma avevo bisogno delle coordinate della cassetta per recuperarlo.” spiega. “Se volevate sapere solo questo, posso andare, o dovete arrestarmi?” chiede, in tono leggermente irritato.
Io e Anna ci scambiamo uno sguardo.
“No, puoi andare,” mormora la mia fidanzata. “Scusaci se ti abbiamo accusato ingiustamente, ma capirai che è nostro dovere controllare.”
Lui annuisce, sparendo senza aggiungere altro.
“Ma veramente gli credete?” ci domanda Cecchini esterrefatto, una volta soli.
“Non proprio,” replico io, “magari avrà anche detto la verità, ma vale la pena verificare.”
Notiamo in questo istante, dalla finestra, Sergio che consegna il braccialetto alla figlia. Lei lo abbraccia, felice, e proprio per questo spero di essermi sbagliato, su di lui. Ines non si merita di essere usata da nessuno, soprattutto non da suo padre.
 
La mattina dopo, mentre Anna si occupa di risolvere i problemi di Don Nino (sì, abbiamo scoperto il suo piano, insieme al rapimento di tre bimbi africani attuato da sua zia suora), io provvedo a verificare la versione di Sergio.
Sono passato prima dalla canonica, per leggere il testamento: sul foglio in realtà non c’è scritto molto, parla solo di un bracciale, come ha detto lui. Viste le condizioni in cui la bimba viveva con la nonna, non penso possedessero chissà cosa da poterle lasciare in eredità, però... se il bracciale non valeva nulla, perché conservarlo addirittura in una cassetta di sicurezza? È strano.
Mi reco dunque alla banca presso la quale era conservato, dove però mi comunicano che sì, un certo Sergio La Cava è stato qui, ieri, per prelevare il gioiello, ma l’accesso allo stesso gli era stato negato poiché, come richiesto da Irene, avrebbe potuto ritirarlo solo Ines una volta raggiunta la maggiore età, oppure un suo tutore legale.
Inquieto, spiego di essere di fatto il tutore della bambina, con tanto di prove, e richiedo di poter vedere il bracciale.
Loro acconsentono, così quando me lo mostrano scatto una foto, ringraziando poi l’impiegato e tornando in caserma, dove chiedo a Zappavigna di indagare sull’oggetto.
Lui ottiene informazioni già nel primo pomeriggio: a quanto pare, il braccialetto vale qualche migliaio di euro, e questo spiega perché sia custodito in banca. Inoltre, sorprendentemente, il prezioso fa parte di una refurtiva di gioielli per i quali era stata sporta denuncia circa sette anni fa.
Tombola.
Spiego tutto ad Anna, che ci è rimasta male perché sperava davvero nella redenzione di Sergio, e decidiamo di andare da lui per farlo parlare.
Giunti al suo camper, Anna mi impone di mantenere la calma, e se lei non fosse incinta, avrei tranquillamente disobbedito. Ma ci manca solo che Sergio reagisca e scoppi una mezza rissa e lei ci vada di mezzo.
Accetto, così lei bussa.
Sergio esce dopo qualche istante, senza mostrarsi sorpreso per la nostra visita.
“In realtà pensavo non ci fossi,” osserva la mia fidanzata. “dovresti essere al lavoro, a quest’ora.”
“Non mi sembra io debba rendere conto a te di cosa faccio,” replica però lui, arrogantemente.
Ah, il santo ha perso l’aureola, a quanto pare.
“Ti ricordo che stai parlando a due rappresentanti della legge, e anche se Anna non porta la divisa, siamo entrambi in servizio. Non ti conviene peggiorare la tua posizione,” lo avverto.
Sergio mi guarda male, prima di chiederci perché siamo lì.
“Vista l’accoglienza che ci hai riservato, immagino tu lo sappia già,” rispondo, stupendolo. “Penso tu abbia la memoria corta, e faccio questo mestiere da troppi anni per farmi fregare da uno come te, quindi se vuoi te la rinfresco io,” continuo, quando vedo che lui non accenna a parlare.
Gli spiego tutto quello che abbiamo scoperto, del fatto che fosse stato lui l’esecutore materiale del furto dei gioielli, e che Irene lo sapeva ma aveva tenuto da parte il bracciale per avere qualcosa da passare a sua figlia, perché era l’unico oggetto di valore che poteva lasciarle. Lui lo sapeva, e per questo aveva cercato il testamento, sperava di poterci ricavare dei soldi per lasciare Spoleto.
Quando gli chiedo conferma, lui si ostina a restare nel suo mutismo.
“Sergio, non risolverai niente se non ci dici come stanno le cose,” pressa Anna, tesa.
Lui sembra sbloccarsi di colpo. “Avete ragione. È andata esattamente così,” confessa allora, freddamente.
“Perché? Perché hai tentato di fare una cosa così?” gli chiede la mia fidanzata, delusa dal suo comportamento. So che ci aveva sperato, forse più di tutti.
“Io ti avevo sempre detto che ti sbagliavi, a vedere qualcosa di buono in me.” replica Sergio. “Solo che a forza di ripetermelo, ho iniziato a crederci anch’io. Ho rivisto Irene, in te, nelle tue parole... Ti somigliava molto, e per questo all’inizio mi sono avvicinato, e mi sono innamorato di te, mi ricordavi lei,” afferma poi. Alle sue parole, il ribrezzo nei suoi confronti aumenta: anche Anna, per lui, sarebbe stata solo un diversivo, un rimpiazzo... Sono pronto a dirgliene quattro, ma lui continua, cambiando argomento. “Ed era come dicevo io, Ines non si merita un padre come me. Non sarò mai all’altezza del mio compito, nonostante il test del DNA dica che sono suo padre, non lo sarò mai veramente. Il mio passato mi perseguiterà sempre, Ines mi odierà quando sarà abbastanza grande da capire, e si vergognerà di me. Per questo ho cercato il bracciale. Ho quel lavoro, ma comunque non ho i soldi per andarmene da qui, e speravo di venderlo per avere qualcosa in più.”
Nonostante ce lo aspettassimo, né io né Anna ci capacitiamo di ciò che abbiamo appena sentito. Sergio era... è pronto a sparire di nuovo dalla vita di sua figlia, ad abbandonarla un’altra volta...
Senza rendermene conto, inizio a insultarlo, chiedendogli che razza di uomo sia, come possa anche solo pensare di fare del male a Ines, ora che lei si fida di lui, che finalmente lo ha ritrovato.
Lui mi dice solo che per quanto la ami, è meglio per lei che gli stia lontano.
Faccio un passo verso di lui, quando Anna mi richiama, pregandomi di calmarmi.
“Beh, quello che volevi lo hai ottenuto,” affermo soltanto, col respiro affannato per la tensione. “Per tua sfortuna, il tuo piano è andato male e non hai ricavato un soldo, ma se volevi allontanare Ines dalla tua vita, ce l’hai fatta. I servizi sociali saranno immediatamente informati di questa storia, e molto probabilmente non ti lasceranno più nemmeno vederla. Congratulazioni, davvero,” mi complimento sarcasticamente, mentre lui impallidisce.
Non c’è altro da dire né da fare, così io e Anna andiamo via, profondamente delusi, lasciando Sergio da solo, a riflettere su quanto abbia perso.
 
Anna’s pov
 
Non riesco davvero a capacitarmi del comportamento di Sergio.
Di ciò che era pronto a fare, del risvolto degli eventi.
Che volesse usare anche me, non è importante, a questo punto, perché non ci sarebbe riuscito comunque, ma Ines non si meritava questo nuovo dolore, e sarà difficile adesso spiegarle perché non potrà più vedere suo padre.
Marco ha già contattato i servizi sociali e, come previsto, hanno già disposto il divieto per lui di vederla. Adesso resta da capire se la bambina potrà comunque restare da Don Matteo, sotto la tutela di Marco o altro. Sapremo a breve cosa decideranno.
 
Siamo rientrati in caserma da qualche ora, ed è primo pomeriggio. Abbiamo scoperto che l’allenatore aveva deciso di dopare la figlia della compagna per migliorare le sue prestazioni in vista delle Olimpiadi, ma non solo lei, anche la sua amica.
Quando siamo andati in piscina a parlare con quest’ultima, abbiamo trovato Don Matteo con lei.
È stata lei a uccidere l’allenatore, per difendersi dalla sua aggressione. La ragazzina infatti aveva scoperto che l’uomo dopava sia lei che Chiara, quando era andata da lui per cedere il suo posto alle Olimpiadi all’amica. Aveva minacciato di denunciarlo e lui aveva tentato di metterla a tacere. Lei si era solo difesa, colpendolo con un oggetto, ma si era spaventata e non aveva avuto il coraggio di confessare l’accaduto, preferendo mentire sul doping per permettere a Chiara di gareggiare.
La dinamica dei fatti è semplice, si tratta di legittima difesa, è Marco è d’accordo nel credere che il giudice la penserà come noi.
Il caso è stato finalmente risolto e non avrebbe potuto concludersi in modo migliore.
Anche se vorrei tanto fosse già domenica, visto che domani c’è ancora il ballo.
 
Sabato mattina è passato abbastanza tranquillamente, anche se Marco ha dovuto fare i conti con una Ines molto imbronciata, perché il papà l’aveva chiamata per dirle che non sarebbe potuto andarla a trovare per un po’. Non potendole dire la verità, ha provato a spiegarle che il padre è dovuto andar via da Spoleto per lavoro, ma che tornerà, in attesa di notizie da parte degli assistenti sociali.
La bimba si è tranquillizzata solo dopo aver preso un gelato col suo tatuatore nel pomeriggio.
Quando Marco rientra a casa, io mi sto già preparando per la festa, con Sara che si è offerta di aiutarmi per trucco e acconciatura, visto che mia sorella non poteva, così da recarci poi tutti e tre insieme al comune.
Assomigli veramente a una principessa con questo vestito, sai?
Una volte uscite dalla stanza, il mio fidanzato non esita a complimentarsi per la nostra bellezza.
Nemmeno lui scherza, guarda quanto sta bene con quel papillon! Certo, farebbe un effetto migliore se non sbavasse ogni volta che ti vede così elegante... ma lo perdoniamo volentieri!
Sara fa una risata.
“Fossi in te, starei attento a espormi così tanto con dei complimenti per un’altra donna. Qualcuno potrebbe ingelosirsi,” scherza, riferendosi a me, che le reggo il gioco, divertita.
“Esatto, quindi vedi di non provarci, questo panda è solo mio,” la ammonisco in tono fintamente geloso, prima di scoppiare a ridere, coinvolgendo anche loro.
Una volta accertato che fossimo entrambe pronte, ci avviamo.
 
Giunti al salone in cui si sta tenendo la festa, incontriamo il resto dei carabinieri con le rispettive fidanzate, tutti intenti a ridere del look di Cecchini: mia madre lo ha costretto a vestirsi da pinguino, visto che per il galà era riuscito a svignarsela, come una sorta di punizione.
Tua madre certe cose se le lega proprio al dito, non c’è che dire.
Dopo un breve saluto, io e Marco ci siamo prestati ai convenevoli del caso: ci tocca, in quanto PM e Capitano. A un certo punto, a noi è tornata ad aggiungersi Sara, riemersa dalla folla in cui l’avevamo persa di vista una volta entrati, e che ha colto l’occasione per presentarmi a un giudice che aveva più volte chiesto a lei e Marco di complimentarsi con me per il modo eccellente di condurre le indagini.
Ho accettato volentieri i suoi complimenti, dopo le presentazioni. È un uomo simpatico, anche se avrei evitato le miriadi di domande sulla mia gravidanza, ma per fortuna è stato l’unico a impicciarsi.
Nonostante infatti il mio vestito mostri ormai chiaramente il mio stato, pochissimi altri hanno fatto domande, con mio enorme piacere, anzi si sono limitati a fare gli auguri a me e il mio fidanzato, cosa che abbiamo apprezzato di buon grado.
Per tutta la serata, ho avuto accanto il mio Marco in versione perfetto principe azzurro, attento e premuroso come sempre.
Contrariamente alle mie aspettative, devo dire che mi sono divertita.
Sta per concludersi tutto quando Marco decide che non vuole perdere l’occasione di mostrare i suoi miglioramenti come ballerino, in vista del matrimonio, soprattutto a mia madre.
Lei infatti, pur adorandolo, gli ha fatto notare più volte che ‘a ballare sembra un cavallo, per citare Dalla che la sapeva lunga’, e al mio fidanzato questo rimprovero non è andato particolarmente giù.
Accetto il suo invito a ballare, giusto per accontentarlo, perché non è esattamente una cosa che mi piace molto fare - non in pubblico, in ogni caso.
Ehi, ma è migliorato davvero, il ragazzo! Caspita, che disinvoltura!
Eccome, vocina... sono sorpresa anch’io.
Una volta finito il ballo e raggiunti mia madre e Cecchini, scopro che il mio fidanzato è migliorato perché, per citare lui, “mia suocera mi ha dato qualche lezione, di tanto in tanto”.
Io sono ancora ferma al fatto che vadano così tanto d’accordo, e ‘sti due addirittura tramano alle tue spalle e ti nascondono ‘ste cose. Wow, sono impressionata.
 
È mezzanotte, quando rientriamo a casa.
Che puntualità, nemmeno fosse Cenerentola, con l’incantesimo che finisce.
Ridacchio quando, non appena chiudiamo la porta, Marco non perde un secondo per sfilarsi giacca e papillon, rilasciando un sospiro di sollievo.
So che non lo ammetterà mai, ma anche lui detesta questo tipo di eventi formali.
Una volta in camera da letto, faccio per aprire l’armadio, quando mi soffermo ad osservare la mia immagine riflessa allo specchio.
Il vestito rosa che mia sorella ha scelto per me è davvero bello... mi sono veramente sentita una principessa, anche grazie al miglior cavaliere che potessi desiderare al mio fianco.
Un calcetto mi ricorda che il merito è anche suo, e non potrei essere più d’accordo.
Mi sfioro la pancia, sovrappensiero, lì dove ho sentito scalciare il mio bimbo, quando Marco mi si avvicina, chiedendomi se va tutto bene.
“Sì, sì... qualcuno ha pensato bene di farsi sentire... ecco,” lo informo con un sorriso, prendendogli la mano e posandola sul punto in cui il piccolo continua a dare calcetti.
Marco, come ogni volta, è entusiasta. Passerebbe ore a bearsi dei movimenti del nostro bambino.
“Sai, pensavo che, quello di stasera, è stato probabilmente l’ultimo evento a cui prenderemo parte prima della nascita di nostro figlio,” commento dopo qualche istante. “Anche se dico sempre di sentirmi più Zorro che Cenerentola, quando siamo rientrati, poco fa, è stato come se l’incantesimo si fosse sciolto anche per me.” Alla sua occhiata curiosa, elaboro meglio il mio pensiero.
“Quello che ho addosso è l’ultimo abito elegante che indosserò da nubile,” preciso, con un sorriso felice. “Perché il prossimo sarà il mio vestito da sposa... Quando arriverà quel giorno, sarà già cambiato tutto, e io non vedo l’ora.”
 
Ciao!
Questo ottavo episodio è stato un po’ complicato da modificare, potete benissimo immaginare perché.
Comunque sia, abbiamo visto un salto temporale (non potevamo certo ricoprire tutti i mesi, gli episodi a disposizione sono dieci!) - a proposito, vi è piaciuto l’inizio? - in cui la nostra super Vocina ci ha raccontato quello che è successo nel frattempo.
Siamo a metà agosto, più o meno, come avrete intuito, e va tutto, finalmente, bene.
Anna sembra essersi tranquillizzata, grazie all’aiuto di sua sorella e Sara, e del suo Marco, ovvio.
Sergio... beh, quella storia del braccialetto a noi non è mai andata giù (siamo dell’idea che la sua vera risoluzione faccia parte delle scene tagliate, perché messa in quel modo ha davvero poco senso), e stavolta è proprio caduto in basso.
Quindi... bye bye Coso? Vedremo.
Vi è piaciuto? Diteci un po’! Io e Martina siamo sempre curiose di conoscere i vostri commenti in merito.
Ci vediamo giovedì prossimo per il penultimo appuntamento!
 
Mari

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Capitolo 9
*** Non desiderare la donna d'altri ***


NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI
 
Buongiorno, mondo!
Mi riconoscete?
No, non sono Vocina, ehi! Come fate a confondermi?
È Grillo che vi parla, stavolta! Doveva pur venire il mio turno, non pensate?
In realtà, non è tanto presto come potrebbe sembrare. Il sole è sorto da un pezzo, e l’aria da queste parti si è fatta fresca. Anzi, forse un po’ più che ‘fresca’ e basta, visto che proprio in questo momento, fuori dalla finestra si vedono scendere lenti i fiocchi di neve. Si respira qualcosa di speciale, di magico, in giro... dopotutto, è quasi Natale! Quello vero, intendo, non quello dove ‘qualcuno’ ha pensato bene di vestirsi da Babbo Natale, anche se era agosto. Ovunque ci si giri, c’è gente che fa acquisti, in mezzo alle lucine colorate, regali, alberi addobbati a festa (alberi, non palme, anche perché, diciamocelo: Cosimo aveva ragione, la palma con le lucine fa un po’ schifo)...
Per farla breve, si respira aria tranquilla e serena!
 
“Chiara, basta! Sarò anche fuori servizio, fuori forma, non mi alleno da mesi, ma non istigare la judoka che è in me!”
 
Ecco, più o meno.
In realtà, negli ultimi tre mesi e mezzo c’era davvero stata abbastanza calma ma, come dire... senza spoilerare tutto in una volta... ci vorrebbe Vocina, lei è più brava di me a creare suspence, e soprattutto sa soppesare le parole meglio, come la sua amica, mentre io sono più casinista e istintivo come il mio ‘proprietario’...
Vabbè, ve lo dico a modo mio: ORMAI MANCA POCO!!!
Ah, che liberazione!
Non avete idea di quanto io abbia atteso questo momento! Sarà maschio? Sarà femmina? Sarà uno/a solo/a? No, okay, questo lo sappiamo, però il concetto non cambia.
Siamo tutti in fibrillazione per il grande evento in casa Nardi-Olivieri: baby Nardi is coming!
Ormai è davvero questione di giorni, forse di ore addirittura, e c’è grande agitazione come avrete intuito dal commento calmo di Anna, poco fa. Marco sta facendo del suo meglio per tenere la sua fidanzata buona, impedire alla cognata di peggiorare le cose, e non ridere nel processo.
Forse però sarebbe meglio fare un passo indietro e raccontarvi cosa è successo dall’ultima volta che ci siamo visti, vero? Vi va? Prometto che sarò esaustivo come Vocina. So che preferite tutti lei, e un po’ sono offeso da questa cosa perché non capisco cos’abbia lei più di me. Ma per stavolta passerò sopra questo dettaglio, solo perché sono di buon umore. E magari, dopo il mio super riassunto, diventerò IO il vostro preferito!
Seh, ti piacerebbe!
È il mio momento, Vocina, sparisci! Torna da Anna che è nervosa, guardala! Tra un po’ fa fuori Chiara!
Ti lascio lo spazio solo per questo. Goditelo finché puoi.
Vocina e la sua mania di protagonismo! Okay, adesso possiamo iniziare il racconto.
 
Ad agosto, l’ultimo evento noto e di rilievo è stato l’incontro conclusivo di Marco con Sergio. Dopo quello che aveva progettato di fare, il delinquente è sparito senza farsi più vedere, o almeno, nessuno tra canonica e caserma si è più preoccupato di controllare dove sia, fintantoché se ne sta buono.
Nessuno tranne Marco, sebbene non lo abbia detto nemmeno ad Anna: il ragazzo infatti non ha lasciato Spoleto come voleva fare. Il suo camper è ancora al solito posto in quella stradina di campagna fuori città. Ha perso il lavoro che Anna e Don Matteo, con tanta fatica, gli avevano procurato al motodromo, ed è tornato al traffico illecito di motorini.
Ne avrebbe fatto volentieri a meno, Marco, di essere ancora coinvolto nella vita di Sergio, ma la piccola Ines non perde occasione di chiedergli perché il suo papà sia improvvisamente sparito di nuovo. I suoi ‘dov’è papà?’, ‘quando torna papà?’ e ‘mi manca il mio papà’ non possono più essere soddisfatti con delle scuse a cui lei fa ormai finta di credere.
Gli assistenti sociali, come avevano già avvisato di voler fare, hanno proibito a Sergio di vedere la figlia dopo la scoperta del tentato furto del bracciale. Per ovvie ragioni non si fidano più di lui, e Marco nemmeno, ma la soluzione che stanno vagliando di prendere da qualche settimana non piace né a lui né tantomeno ad Anna.
In mancanza di una figura familiare che possa occuparsi di lei, visto che la nonna malata di Alzheimer abita ormai presso la casa di cura e Sergio è off-limits, l’unica opzione è trovarle una famiglia affidataria, perché è ancora piccola e ha bisogno dell’affetto che due genitori potrebbero darle, soprattutto vista l’infanzia traumatica che ha passato.
In altre parole, non potrà restare ancora a lungo in canonica con Don Matteo, sotto la custodia del suo tutore legale.
Ovviamente, non appena la notizia è arrivata, Marco ne è rimasto straziato. Si è ormai affezionato a quello scricciolo, e l’idea di doversene separare è troppo dolorosa. Sta cercando per questo un’alternativa che non la porti lontana da Spoleto, dalla sua adorata nonna e dagli affetti che, dopo anni da sola, è riuscita a crearsi.
Gli assistenti sociali hanno detto che gli lasceranno tempo fino all’inizio di gennaio, quindi il tempo stringe.
 
Sono successe naturalmente anche altre cose, nel frattempo! Dopotutto, la vita di Marco - e non solo la sua - sta per cambiare radicalmente, e lui ha una paura tremenda. Non c’è da biasimarlo, gli eventi di grande portata finora non sono mai andati particolarmente bene.
Comunque, dicevo, sono successe altre cose: Anna ha lasciato il lavoro ad ottobre, ad esempio.
No, che avete capito, mica ha dato le dimissioni! È iniziato per lei il periodo di maternità, e non è stato un distacco facile, il suo. Alla fine ha ceduto, lasciando il comando della caserma a Cecchini, assicurandosi però una sorveglianza stretta da parte di Marco e Sara, anche per evitare che Don Matteo diventasse presenza fissa in sua assenza. È pur vero che negli ultimi tempi a Spoleto va meglio, il numero di reati e omicidi è diminuito. A quel passo, avremmo presto raggiunto Caracas...! Anna però non si fida - e non è che faccia male - quindi meglio controllare. Anche perché, come Cecchini del resto, senza il lavoro non sa stare e quindi chiede sempre a Marco di aggiornarla non appena lui rientra in casa, la sera.
Marco cerca sempre di ricordarle che dovrebbe stare tranquilla, ma la conoscete anche voi, sapete com’è lei... e sapete quanto Marco la tema quando si arrabbia... Vi lascio immaginare come finiscano le discussioni, e chi le vinca.
Non sono mancati i momenti divertenti, e quelli che preferisco in assoluto hanno coinvolto la vicina di casa, la signora Serena. Aspettavate sue notizie, lo so!
La simpatica vecchietta infatti, nonostante la giornata scandita da una fitta programmazione di soap opera, è un’attenta osservatrice, e la cosa che le piace più fare è proprio controllare cosa faccia Anna quando è da sola.
Naturalmente, non perde tempo a spifferare a Marco tutte le azioni poco consone a una donna incinta che le vede/sente fare dalla finestra, finendo per provocare, cela va sans dire, l’irritazione di Anna stessa, ogniqualvolta Marco le dica che sa cosa combina.
Inizialmente non capiva come facesse lui a conoscere davvero ogni sua mossa, ma poi la soluzione è arrivata, non è un ottimo Capitano per caso.
 
Per quanto riguarda i nonni... Eugenio viene spesso a far visita a Spoleto, e nelle ultime settimane si è presentato quasi tutti i fine settimana. Se non ricordo male, dovrebbe arrivare domani, a proposito, per fermarsi qui e attendere, col resto della famiglia, sia il Natale che il lieto evento. Trascorrerà le festività con il figlio, la nuora e il nipotino, già. Ve l’avevamo detto, che le cose andavano molto meglio!
Elisa invece ha preso domicilio da Cecchini, non sia mai si perda un movimento della figlia! Inutile dirvi che enorme gioia sia stata per Anna, la consapevolezza di avere sua madre a pochi metri di distanza! A portata d’orecchio, ventiquattrore al giorno, sette giorni a settimana!
Sì, appunto, sempre.
Sì, sono ironico, per quanto riguarda la gioia di Anna.
Marco prova sempre a mediare tra la suocera (anzi, i suoceri, visto che le cose, tra i biscottini, vanno a gonfie vele) e la sua fidanzata, ma non è sempre facile.
Ovviamente, è euforico per l’imminente arrivo del suo bebè, che è ormai convinto sarà maschio e di conseguenza perderà la scommessa, e anche per questo è curioso di scoprire quale nome Anna avrà scelto per lui.
Però è anche un po’ stressato, perché si trova a dover gestire quasi da solo l’equilibrio della famiglia, per il bene di Anna che alla neuro è meglio non ci vada, e della caserma, dove l’assenza del Capitano si fa sentire eccome, sebbene nessuno di loro lo abbia ammesso ad alta voce (sì, orgoglio maschile, ma si è notato da quando è entrata in maternità, quanto Anna sia brava a gestire quella banda di scalmanati disordinati).
 
Comunque sia, a parte qualche intoppo di routine, da agosto le cose sono davvero andate bene, soprattutto tra Anna e Marco come coppia, dimostrando ancora una volta quanto abbiano fatto bene entrambi a tornare sui propri passi.
Certo, i due piccioncini a volte fanno perfino venire la nausea per quanto sono smielati, veramente da cariare i denti, ma la verità è che non li avevamo mai visti così felici come nell’ultimo periodo. Diventare genitori li sta cambiando, in meglio, ancora di più. Se qualcuno, quattro anni fa, avesse detto a Marco che a distanza di poco tempo sarebbe stato al settimo cielo all’idea di sposarsi e diventare padre, avrebbe riso in faccia a chiunque, prendendo la previsione come uno scherzo di cattivo gusto.
E invece, tutto è cambiato... ed è bello, così. Si merita questa felicità.
 
Grazie, Grillo! Ma con chi stai parlando?
 
Aehm... nessuno! Riflettevo tra me e me...
(Vi saluto, il mio momento di gloria è finito, ci becchiamo più avanti!)
 
Marco’s pov
 
Inizio a credere che, dopo tre anni, forse alla neuro devo andarci davvero, quantomeno per un giro: ho sentito la mia coscienza parlare in modo autonomo? Forse sono solo stanco.
Ultimamente lavoro il doppio del solito, perché oltre ad andare in tribunale, per tranquillizzare Anna passo quasi giornalmente dalla caserma a sorvegliare Cecchini. Senza contare una cosa assurda che prima avevo notato, ma non essendo direttamente coinvolto non mi aveva toccato più di tanto: ma Don Matteo, i cadaveri o vittime di aggressioni, li deve trovare sempre di notte o all’alba?!
Sono le 23 quando il maresciallo mi chiama, e ci rechiamo insieme sul luogo in cui il prete aveva visto una ragazza litigare con un uomo, prima che questi la chiudesse in un’auto e tentasse di darle fuoco. Il suo provvidenziale intervento l’aveva salvata, ma le condizioni della donna adesso sono gravi. Tutto fa pensare a un tentato femminicidio, ma non abbiamo altri indizi per il momento, e dopo aver incaricato gli altri carabinieri di indagare sul ‘Paolo’ nominato dalla ragazza, torno a casa.
Rientro che la mezzanotte è già passata da un pezzo, e Anna è ovviamente già a letto, addormentata.
Entro in camera cercando di fare meno rumore possibile, e trovando l’abat-jour ancora accesa, mi soffermo ad osservarla: il suo pancione lascerà molto presto il posto alla meravigliosa creatura che è cresciuta in lei, e non vediamo l’ora che accada.
Col passare dei mesi, la mia Anna è diventata ancora più bella: è vero che la gravidanza fa risplendere le donne di una luce particolare, lo pensavo quella volta di Assuntina, e adesso che la mia futura moglie ha raggiunto il nono mese, posso affermare che avevo ragione.
È questione di giorni, ormai, e il nostro piccolino sarà finalmente con noi, per renderci davvero una famiglia.
 
Sono in cucina, intento a osservare il calendario: è il 19 dicembre, e mentirei se dicessi che non sono in fibrillazione.
Sto aspettando Anna per andare da Ines, prima di recarmi in caserma dove ho appuntamento con Sara per parlare del caso.
Don Matteo ci ha chiamati poco fa, pregandoci di passare dalla canonica perché la piccola ha messo su uno spettacolare broncio, stamattina: è quasi Natale, e vuole il suo papà.
È chiaro che le bugie, seppur a fin di bene, non reggano più. Temo già il momento in cui dovremo dirle che, oltre a non poterlo più vedere, dovrà anche lasciare la canonica. Quando usciamo dalla stessa, quasi un’ora dopo, non abbiamo ottenuto grandi risultati.
A questo punto credo sarò obbligato ad andare a trovare il galeotto, ma per adesso devo occuparmi del caso.
Saluto quindi Anna, che insiste a voler tornare a casa da sola.
“Sono sì e no cinque minuti a piedi, in una strada pedonale e trafficata. Sta’ tranquillo,” mi rassicura.
“Va bene, ma l’aria stamattina è gelida, meglio che rientri subito, non vorrei ti prendessi qualche malanno.”
Lei sbuffa. “Figurati, c’è già il maggiore Elisa che mi tiene d’occhio, e anche il mio personalissimo Big Brother, o sister, la nostra adorabile vicina Serena che fa altrettanto. Potrai chiedere a lei l’orario di rientro, sarà felicissima di fare la spia.”
Rido al suo umorismo, scuotendo la testa.
Ha imparato dal migliore, non c’è che dire.
 
Mentre mi dirigo verso la caserma, incontro Cecchini, anche lui diretto lì.
Mi saluta da lontano con un sorriso, facendo un cenno ad Anna mentre lei va via.
“Vi ho visti, prima... lo so che ve l’ho detto già, ma siete proprio una bella coppia. E a breve, sarete una bella famiglia.” commenta in tono affettuoso.
“Ah, non vedo l’ora, mi creda! Faccio il conto alla rovescia anche delle ore, ormai!” esclamo, felice.
Il maresciallo però sembra confuso.
“Che ha detto?” mi chiede, e io ripeto la mia frase, ma lui mi guarda come se avessi detto chissà cosa.
“Ma che c’ha in bocca, un fischietto?” fa, spiazzandomi.
Ma che ha?
In questo momento, arriva Sara.
“Buongiorno!” ci saluta. “Scusate il ritardo, ho avuto qualche problema a far partire l’auto stamattina, col freddo che fa.”
“Ha ragione, e ieri sera non scherzava!” risponde il maresciallo, corrugando le sopracciglia. “Anzi, forse è proprio colpa dell’aria fredda di ieri notte, m’è venuto mal d’orecchi.”
“In effetti ieri sera tirava parecchio vento, su quella strada...” mormoro.
“Ma non può parlare normale, Lei?” mi chiede di nuovo Cecchini, perplesso. “‘Sto verso che fa è fastidioso!”
Sara assume un’espressione preoccupata.
“In... in che senso, che verso?”
“Quello che ha fatto ora! Non so perché, mi parla così, strano...” mi accusa lui.
Sara mi rivolge uno sguardo sconcertato, incitandomi a parlare per poi confermare, ovviamente, che sto parlando come sempre.
“Ma parla che sembra un animale preistorico!!” insiste Cecchini.
Noi siamo sempre più basiti.
“Maresciallo, quindi Lei, a me, mi sente, e Marco no, giusto?” indaga ancora Sara, cercando di capirci un po’ di più, ma lui com’era ovvio, ipocondriaco com’è - chi se lo scorda, quello che ha combinato qualche anno fa con i tarli in casa - va nel panico più totale e sviene.
Chiamo gli altri carabinieri per darmi una mano a portarlo su, nell’ufficio di Anna, dove riusciamo a rianimarlo - più o meno - ma la situazione non sembra migliorare, perché continua a sentire solo Sara e non me, né Zappavigna o Ghisoni.
“Sono malato!” si dispera, “io non so che malattia è questa qua, non lo so, sento solo le voci femminili... Sto diventando donna?” chiede addirittura a Sara, al che lei nega, sconcertata. Suggerisce che forse è meglio portarlo da un medico.
Le chiedo quindi di occuparsi della caserma in mia assenza per l’avvio delle indagini mente io lo porto da un dottore.
“Sì, ma con voi è meglio che venga una donna... altrimenti come farete, a capirvi?”
Giusta osservazione. Sempre detto che le donne stanno diversi passi avanti a voi uomini.
Voi...?
Io sono un grillo, mica un uomo!
 
Anna’s pov
 
Marco mi ha chiamata una ventina di minuti fa per informarmi del nuovissimo problema di Cecchini, che a quanto pare riesce a sentire solo le voci femminili, e che ha bisogno che io li accompagni da un medico per fare da ‘interprete’.
Una volta dallo specialista, questi ci dice che si tratta di uno strano disturbo, molto raro, che gli permette di sentire solo le frequenze più acute, quindi le voci femminili, ma non quelle maschili, più gravi, e che la probabile causa è lo stress.
Il medico però non sa dirci quanto tempo il disturbo persisterà, per cui non possiamo far altro che aspettare e farlo riposare.
Cecchini, ipocondriaco com’è, va nel panico un’altra volta, ma il vero problema è un altro: al comando della caserma c’è lui, in mia assenza, e sono tutti uomini lì, con un caso di tentato femminicidio tra le mani.
Potrebbe occuparsene Marco, ma il maresciallo si rifiuta di restare a casa a riposarsi, come aveva suggerito il medico, e un po’ io lo capisco, perché significherebbe stare tutto il giorno a sentire mia madre...
Anna!!
Dai, Vocina, lo sai anche tu che è una forma di tortura! I nervi dopo un po’ saltano!
Sì, ma i tuoi devono stare CALMI.
“Potresti chiedere a Sara,” suggerisco allora al mio fidanzato, “potrebbe darvi una mano, così Cecchini potrà continuare a lavorare e potrete comunicare con lui nel frattempo, finché non si riprende.”
Ci mancavano lui e le sue strane malattie. Dopo i tarli, ci voleva questa!
Marco mi riaccompagna a casa, dopo aver tentato inutilmente con me di convincere il maresciallo a riposarsi almeno oggi. Con un sospiro, accetta di tornare con lui in caserma.
Non lo invidio per niente, povero amore mio.
 
Marco’s pov
 
Una volta arrivati in caserma, prego Sara di restare e occuparsi del caso con noi finché il maresciallo non si riprende.
“Ma certo, l’avrei fatto comunque. Cecchini ha bisogno di una voce femminile per comunicare, e inoltre so che ormai manca poco per la nascita di tuo figlio, non puoi fare tutto da solo!” risponde in tono scherzoso.
La ringrazio, e poi lei mi informa che durante la mia assenza non è stata con le mani in mano. Infatti, emerge una pista legata al presunto stalker della ragazza, così dopo che gli altri lo hanno prelevato a casa, l’uomo viene portato qui in caserma, e lo stiamo interrogando.
È Sara a cominciare con le domande, chiedendogli spiegazioni sul reato che ha tentato di commettere.
“Perché avrei dovuto bruciare quella ragazza?”
“Perché ne sei ossessionato.”
“Ma sa quante ragazze posso avere come quella?” replica quel... quello, e Sara perde immediatamente la calma.
Gli chiede delle foto, che lui dice di aver fatto solo perché gli piace la fotografia, e di chiederlo a Francesca, la ragazza ritratta.
“Quella ragazza sta in ospedale, e non può parlare per colpa tua!” perde le staffe lei, e posso capirla, vista la sua posizione.
Mi ritrovo a doverla calmare, anche se non sono stupito dalla sua reazione: qualsiasi donna al suo posto si infurierebbe, a maggior ragione lei che è stata tradita dall’uomo che amava e che si è dimostrato viscido quasi quanto l’essere seduto di fronte a noi con quell’espressione da sbruffone. Definirlo ‘uomo’ sarebbe troppo, perché uno che tratta una donna come se fosse un oggetto di cui essere proprietario, disporre a piacimento e gettare via se insoddisfatto, non merita nemmeno di essere definito essere umano. Prendo io le redini della situazione, iniziando a esporre al tizio i motivi sul perché avrebbe tentato di uccidere la ragazza.
Lui però, purtroppo, afferma che le nostre sono solo supposizioni, e non ha torto.
Non abbiamo elementi a sufficienza e siamo costretti a lasciarlo andare, perché Don Matteo non è stato in grado di riconoscerlo, avendolo visto solo di spalle, e da lontano.
Restiamo con Don Matteo a discutere della situazione per qualche attimo, obbligati a sperare che la ragazza si svegli e riesca a identificarlo.
Il parroco si scusa per non essere stato d’aiuto, ma Cecchini si avvicina a noi per tentare di capirci qualcosa in più.
Sara, conscia del suo problema, si mette a fare da ‘interprete’, poi Don Matteo, leggermente sconcertato dalla situazione, ci saluta e va via.
Stiamo per rimetterci al lavoro, quando ci raggiungono... Anna ed Elisa.
Come mai qui? È forse successo qualcosa?
 
Anna’s pov
 
Stare ferma, per di più in casa, non fa proprio per me.
Ci ho messo un po’, ma alla fine sono riuscita a convincere mia madre a fare una passeggiata nonostante il freddo.
Lei era molto riluttante all’inizio, ma quando siamo arrivate in piazza, mi ha letteralmente trascinata in caserma.
“... e non significa che tu debba correre e affaticarti!” mi rimprovera, solo perché ho salito le scale quasi più in fretta di lei. Non mi dà il tempo di replicare. “Marco! Diglielo anche tu, che deve ascoltarmi!” fa, chiamando in causa il mio fidanzato, che ci osserva confuso.
Si chiederà che ci fate qui, ma in effetti non lo sai neanche tu.
Rivolgo un saluto generale ai miei uomini - era da un po’ di tempo che non passavo a trovarli - mentre Marco mi bacia, accarezzando lievemente il mio pancione.
“Non mi dà ascolto, invece di riposarsi vuole andare in giro per Spoleto! Con questa temperatura!” continua mia madre, imperterrita.
Marco corruga le sopracciglia.
“Non credo che una passeggiata possa farle male, se si sente di farla, no? Non deve mica correre la maratona...”
Mamma non è convinta, ovviamente, e fa per dire qualcosa ma la interrompo, infastidita.
“È vero che sono stata io a voler uscire, ma non siamo qui in caserma perché volevo controllare che steste tutti lavorando, se è questo che vi state chiedendo,” affermo, con un’occhiata di sbieco a Cecchini. “perché sei stata tu a trascinarmi qui. Io avevo in mente il parco.”
Mia madre assume un’espressione inizialmente sostenuta, ma sotto lo sguardo curioso di Marco e il mio indagatore, si decide a vuotare il sacco.
“... volevo solo vedere come stava il mio biscottino.”
Trattengo a stento uno sbuffo, e anche il mio fidanzato si impegna a non ridere.
“Va come prima, sono passate solo un paio d’ore dalla visita, in effetti...” spiega allora il maresciallo con ovvietà.
“Beh, ma è normale preoccuparsi per le persone a cui si vuole bene!” si difende lei.
“Assolutamente... ma pensavi potesse essere cambiato qualcosa in due ore, mamma?”
Lei, stranamente, recepisce il messaggio e fa spallucce, prima di dirmi che, adesso che si è accertata delle condizioni del suo biscottino, possiamo andare via.
Scuoto la testa, salutando tutti e seguendola giù.
Mentre vado via, becco il commento di Cecchini a Marco.
“Deve tornare nel mondo reale però, Lei, ora... Mica può stare imbambolato così, come la favola, là... quella col principe che sta due ore a fissare la sua principessa con l’erede in grembo!”
“... ma le favole strane, tutte Lei le conosce?” è la replica perplessa del mio fidanzato.
Rido.
Tutte lui se le inventa! 
 
Marco’s pov
 
Dopo cena, sono uscito per la consueta passeggiata di Patatino. Anna avrebbe voluto accompagnarmi, ma l’aria è gelida più del solito, e in più per stanotte si prevede neve, quindi abbiamo concordato che fosse meglio per lei restare a casa.
In realtà ho fatto abbastanza presto, e ho incrociato mio padre in piazza. Finalmente è arrivato anche lui, per trascorrere il Natale con noi, in famiglia. Mi sembra strano anche solo pensarlo, ma ne sono felice. Erano anni che speravo accadesse, e finalmente stavolta sarà così.
Quando rientro a casa, decido di passare un attimo a vedere come sta Cecchini, che a quanto pare è nella stessa situazione di stamattina.
Mentre lui va in bagno, mi fermo a scambiare quattro chiacchiere con mia suocera, che era rimasta da lui per stare dietro ad Anna, e adesso si è trovata a doversi occupare del maresciallo più che di lei.
Mentre parliamo, si abbassa ad accarezzare Patatino, scatenando però la gelosia di Carlino, che inizia ad abbaiare. Elisa lo zittisce subito.
“Ma sta bene, Patatino?” mi chiede, rialzandosi. “Mi sembra un po’ giù di tono.”
“No, in effetti non è in gran forma, anche la veterinaria lo ha detto. A quanto pare, è risultato qualcosa di strano nell’ultimo esame che ha fatto, ma vuole vederci chiaro prima di dare giudizi. Mi ha assicurato comunque che non è niente di grave, ma in ogni caso preferisco non dire niente ad Anna. Ha già altro a cui pensare, sarebbe peggio, farla preoccupare inutilmente.”
“No, sono d’accordo con te: meglio che Anna non sappia niente, del suo problema. Vedi cosa ti dice la dottoressa, e nel caso ci pensiamo. Ma se, come ti ha detto, non è grave, magari non sarà nemmeno necessario.”
In questo momento, Cecchini riemerge dal bagno, così li saluto entrambi, portando Patatino con me per rientrare a casa.
 
Cecchini’s pov
 
Poco fa è passato Marco dopo la passeggiata serale col suo cane.
Mentre ero in bagno, ho sentito Carlino abbaiare - evidentemente ha una voce acuta - e la sua padrona intimargli di non fare il geloso.
Sto uscendo adesso, e colgo la risposta di Elisa a qualcosa che lui le avrà appena detto.
“No, sono d’accordo con te, meglio che Anna non sappia niente, del suo problema. Vedi cosa ti dice la dottoressa, e nel caso ci pensiamo. Ma se, come ti ha detto, non è grave, magari non sarà nemmeno necessario.”
Problema? Che problema? Chi sta male, Anna? O il piccolino in arrivo? E perché Anna non lo deve sapere?
Non mi sembra una cosa giusta, va bene non preoccuparla a pochi giorni dal parto, ma qualsiasi cosa sia, non sarebbe più corretto informarla?
Mi appoggio alla libreria, facendo inavvertitamente rumore e attirando l’attenzione degli altri due.
Marco allora ci saluta con un cenno, tornando a casa sua.
“Nino, tutto bene?” mi chiede Elisa, una volta soli. “Dalla tua espressione, sembra tu abbia visto un fantasma!”
Io mi limito ad annuire.
Ora che devo fare? Con chi posso parlare di questa cosa che ho sentito? Ma soprattutto, cos’hanno Anna e il bambino?
 
Sara’s pov
 
Il calendario sulla scrivania di Anna segna il 20 dicembre.
Mi provoca una strana sensazione, essere seduta qui, al posto del Capitano. Ma Marco mi ha chiesto una mano col caso, e in realtà io stessa gli avrei offerto il mio aiuto a prescindere, in questi giorni frenetici.
Lo sarebbero già stati per il Natale, ma per la famiglia di Anna e Marco ancora di più. E, come non mancano mai di ripetermi, ormai anch’io ne faccio parte.
Ripensandoci a distanza di così tanto, non avrei mai immaginato che quell’incontro con Marco, al bar quella sera per il suo matrimonio saltato, avrebbe portato alla nascita di una bella e solida amicizia con dei colleghi. E invece eccomi qua, a parlare col maresciallo del caso, visto che al momento sono l’unica a poterlo fare per via del suo problema d’udito.
Lui, in questo momento, sta commentando come Lamantia sia un uomo senza cuore: addirittura ieri sera si è presentato in ospedale e ha litigato con il padre della povera ragazza in coma. Don Matteo per fortuna ha evitato che la lite degenerasse, ma Cecchini ha ragione: che razza di uomo! Il problema è che non abbiamo abbastanza indizi per incastrarlo, e speriamo la scientifica trovi altri elementi con la perizia sull’auto.
Solo adesso mi ricordo della diagnosi del medico per il maresciallo.
“Scusi, ma Lei non doveva riposare?” gli chiedo, corrucciata. “Sa cos’ha detto il medico, lo stress, le cose...”
“Io mi stresso di più se non lavoro,” risponde però lui, “a me mi piace lavorare, almeno così non ci penso. E Elisa e Anna per adesso hanno altro a cui pensare, invece di stare appresso a me.”
Sorrido al pensiero che Cecchini non voglia essere un peso per loro, adesso che il baby Nardi è in arrivo, ma vista la sua strana espressione, gli chiedo se c’è qualcosa in particolare che lo turba.
Lui inizialmente sembra incerto, poi si decide.
“Dottoressa, Le posso confidare una cosa? Però non lo deve dire a nessuno!”
Capisco dal suo tono che si tratta di qualcosa di importante, per cui gli assicuro che non ne farò parola con altri. Probabilmente riguarda la sua famiglia, o se stesso, perché se fosse stato diversamente ne avrebbe parlato con la signora Elisa, con sua figlia o con Anna, visto che con Marco non può interagire.
“Si tratta di Anna... o del piccolino, in realtà non ne sono sicuro,” mormora, mettendomi in allerta. “Ho sentito una conversazione ieri sera, tra Marco ed Elisa, e parlavano di un piccolo problema di salute che non vogliono far sapere ad Anna...”
Questa notizia mi rende ancora più preoccupata: di che si tratta, e perché lei non dovrebbe saperlo?
Certo, Anna è in fibrillazione per la nascita imminente del suo primo figlio, o figlia, ma proprio per questo, se c’è qualche problema, dovrebbe esserne al corrente!
All’inizio era molto impaurita, spaesata dalla svolta improvvisa della sua vita, ma dopo le prime incertezze e pur dovendo rinunciare temporaneamente alla sua amata divisa, ha iniziato a vivere il periodo con gioia all’idea che diventerà mamma. Se scoprisse nel modo sbagliato che il suo piccolo, o lei stessa, potrebbero andare incontro a rischi di cui lei non sa nulla, sarebbe un colpo terribile.
Non posso immaginare il suo dolore, perché io non potrò mai provarlo, ma so cosa voglia dire scoprire di essere un ostacolo, o un problema. È una sensazione terribile, e non voglio che lei la provi, per cui dovrebbe sapere la verità; da Marco, possibilmente.
Cerco di tranquillizzare Cecchini, assicurandogli che magari non è nulla di così grave, e Marco con ogni probabilità le dirà tutto.
Lui però non è tranquillo, e mi chiede come deve comportarsi, perché si sente spaesato.
“Basterà dar loro il Suo appoggio, maresciallo. Sarà più che sufficiente.”
Lui mi ringrazia, leggermente rincuorato, e torna alla sua scrivania.
 
Nel pomeriggio, in caserma ci raggiunge Marco.
Non appena si siede alla scrivania, mi domanda se ci sono novità in merito al caso, e non ha affatto l’aria preoccupata, anzi. Sembra su di giri.
È strano, perché in genere lui non sa nascondere eventuali turbamenti.
“C’è qualcosa che non va?” mi chiede lui a un certo punto, probabilmente perché devo averlo fissato per parecchi secondi senza rendermene conto, “Ho il trucco sbavato, che...?”
Rido alla sua battuta, ma non posso fare a meno di chiedergli se vada tutto bene,
“Sì, certo, come non potrebbe? Io e Anna siamo un po’ in ansia, ma credo sia normale a questo punto, però è tutto nella norma. Cioè, credo che a tutti tremano le gambe, quando si diventa genitori per la prima volta!”
Sorrido alla sua risposta, e valuto la possibilità che il maresciallo abbia effettivamente capito male. Non sarebbe tanto difficile, stando a quello che mi hanno raccontato in molti, però...
“L’unica cosa che ci dispiace è di non poter fare una cena tra amici,” continua Marco, “per Natale. Ormai era diventata una specie di tradizione, ma mia suocera insiste che per Anna sarebbe troppo stancante, e quindi...”
“Beh, potremmo comunque vederci per cena stasera, da voi, se volete. Possiamo prendere qualcosa di già pronto, così Anna potrà svagarsi, sua madre l’avrà sott’occhio, e magari è la volta buona che ci dite se il vostro bebè sarà un lui o una lei!” scherzo.
“Oh, ma tu e Chiara siete proprio fissate con questa storia!” ribatte lui, ridacchiando. “E comunque ormai manca poco, cosa vi cambia saperlo adesso?”
“Tua cognata non te lo perdonerà mai, questo silenzio, sappilo. Comunque ero seria, per stasera. Potremmo dirlo anche ad Assuntina e Romeo. Portiamo una cosa ciascuno, così voi siete tranquilli.”
“È una bella idea, si può fare,” accetta con un sorriso.
Ci mettiamo d’accordo per l’orario, prima che lui vada via e io mi diriga in tribunale.
 
Marco’s pov
 
Mentre esco dalla caserma per tornare a casa, vedo Ines corrermi incontro, avvolta nel suo giubbottino rosa.
“Marco!” mi chiama a gran voce e quando mi raggiunge, la sollevo al volo, abbracciandola.
“Ti stavo venendo a cercare, ho visto la tua moto!” mi spiega.
“Come mai?”
“Mi manca tanto il mio papà...” afferma, facendomi stringere il cuore. “Pensavo che potevamo passare il Natale insieme, e invece lui non c’è. Ma tu pensi che lui se n’è andato perché io sono stata cattiva? Oppure ho fatto qualcosa che gli ha dato fastidio? Lo so che non sono vere, le cose che mi dite.”
Il suo visino triste mi intenerisce, e mi fa tornare in mente il piccolo Cosimo, quando fece una richiesta simile a Cecchini. Ora mi ritrovo nella sua stessa posizione, a dover spiegare a questo scricciolo perché il suo papà non è presente.
Oppure, potresti provare a farlo tornare...
In effetti, forse è arrivato il momento che io torni a fargli visita, per davvero.
“Ma la lingua si è congelata? Perché non parli più?” mi chiede la bimba, ridestandomi.
Rido, prima di porle un’altra domanda.
“Dimmi un po’, hai scritto la letterina per Babbo Natale?”
“Sì... ho chiesto se papà torna. Non voglio altre cose, perché ci siete tu, Anna, la nonna, Don Matteo e tutti gli altri, e io non festeggiavo il Natale da quando la mia mamma è andata in cielo, quindi sono già tanto contenta così. Mi manca solo il mio papà.”
Le accarezzo il visino infreddolito.
“Allora vedrai che Babbo Natale farà tutto il possibile per far avverare il tuo desiderio. Una volta, un signore alla radio mi ha detto che i desideri si possono avverare anche quando meno te lo aspetti!”
Lei mi abbraccia di nuovo, poi torna in canonica richiamata da Natalina che le dice che fa troppo freddo per stare fuori.
Do un’occhiata all’orologio: sono passate da poco le 17, ho ancora un po’ di tempo a disposizione per un tentativo.
 
Una volta arrivato alla mia destinazione, quasi mezz’ora dopo. La luce all’interno del camper è spenta, ma è accesa quella nel garage di fianco.
Scendo dalla moto e raggiungo l’interno dello stabile, dove poco fa è entrato un motorino e ne è uscito un ragazzo a piedi.
Uno degli affaristi di Sergio, sicuro.
Richiamo la sua attenzione con un colpo di tosse.
La sua espressione non appena mi nota si fa indispettita.
“Non mi stupisce, che tu ed Anna stiate insieme,” mi accoglie sarcasticamente, “stesso tempismo, tutti e due,” spiega, riferendosi forse a qualche evento simile capitato con lei.
Ignoro il suo commento.
“Non sono qui per il tuo ‘lavoro’, anche perché, se così fosse, sarei già intervenuto da tempo. So che hai ripreso la tua attività illecita da mesi, così come so che alla fine non sei andato via da Spoleto per Ines.”
Lui ride, innervosendomi.
Senti, Coso, fai meno il gradasso, che ci mettiamo un attimo ad appenderti di nuovo al muro.
“Non mi interessa cosa pensi, se il fatto che io sia venuto fin qui ti fa ridere,” gli dico solo, freddamente. “Sono qui solo perché Ines, poco fa, è venuta a dirmi che le manca suo padre. E se per quanto mi riguarda, le tue possibilità con lei le hai esaurite tutte, lei non sa nulla di ciò che hai tentato di fare.”
“Non... non glielo avete detto?” mi chiede lui, stupito.
“Non c’era bisogno che lo sapesse. A lei importa di te, di ciò che rappresenti, e le manchi. Io e Anna non faremmo mai niente che possa renderla infelice, per questo sono qui. Se vuoi vederla, non ti impedirò di farlo.”
Dalla sua espressione, so che ha capito che la mia proposta è legata all’affetto che nutro per Ines.
“Su una cosa hai ragione: mi sono giocato tutte le possibilità, Ines non ha bisogno di me, e presto se ne accorgerà da sola.”
L’istinto mi direbbe di attaccarlo di nuovo al muro, perché è assurdo che si comporti così dopo che sua figlia lo ha accettato e aspetta solo lui, però è pur sempre l’uomo che ha cercato di approfittare della sua posizione per rubarle l’eredità.
“Fa’ come credi.” mi limito a dire, voltandogli le spalle e andando via. È inutile, insistere.
 
Prima di rientrare a casa per la serata con la famiglia, passo da Cecchini, per sapere come sta col suo problema d’udito.
Lui però mi dice di sapere tutto, di ciò che stiamo nascondendo. Alla mia espressione interdetta, prende il discorso alla larga: mi dice che sa del problema che ha Anna, o nostro figlio, non ha ben capito, ma ha sentito me ed Elisa parlarne, ieri sera.
Io lo osservo senza capire per qualche istante, poi scoppio a ridere.
Mi sembrava strano, si fosse mantenuto così calmo! Ha frainteso tutto, come al suo solito!
Prendo la lavagnetta che ho sperimentato ieri sera per comunicare con lui, scrivendogli che era Patatino a stare poco bene, ma si è già risolto tutto e non era niente di grave.
Lui, non appena finisce di leggere, rilascia un sospiro di sollievo, perché si era molto preoccupato e, visto cosa aveva capito, è anche comprensibile.
Sono sul punto di rispondergli che meno male che si è trattato di un semplice fraintendimento, quando sento un rumore provenire dall’altra parte del pianerottolo, seguito da uno strillo e un incessante bussare.
È Elisa.
“Anna...! È ora, ci siamo!”
 
Elisa’s pov
 
Giunti in ospedale, Marco è entrato in reparto con Anna, che si è categoricamente rifiutata di lasciargli la mano, in preda alle contrazioni.
Fatico ancora a crederci. Il giorno è arrivato: sto per diventare nonna!
Io sono rimasta fuori insieme a Nino, e dopo una mezz’oretta ci hanno raggiunti anche Chiara, Sara, Assuntina e Romeo col bambino, e per ultimo Eugenio.
Siamo tutti in attesa di notizie, ma non si vede ancora nessuno.
Nel frattempo, dopo che Nino mi ha detto del malinteso avuto con me e Marco per la storia di Patatino, ho spiegato tutto alla povera Sara, estremamente preoccupata. Le ho stretto la mano, per ringraziarla della sua amicizia. Sono contenta che le cose siano andate così, tra lei e mia figlia. Avevano entrambe bisogno di un’amica, e l’hanno trovata in un modo inaspettato, è vero, ma è servito anche quel passaggio.
“Ma non è che Marco è svenuto per l’emozione, dato che non esce?” chiede all’improvviso Nino, pensieroso.
“Sarò anche leggermente ipocondriaco, maresciallo, ma non significa che reagisco come Lei in tutte le occasioni,” esclama mio genero con un sorrisetto, emergendo finalmente dal reparto.
Io scatto in piedi.
“Allora?”
“Sembra ci voglia ancora un po’,” ci informa lui, facendo spallucce.
“Non penso servano altri indizi allora,” interviene immediatamente Chiara, “mi sembra logico che sia femmina, visto che si fa attendere!”
“Beh, credo sia una spiegazione inequivocabile!” ironizza Sara, ridacchiando.
Io non sono d’accordo. “Ti sbagli, tesoro, semmai in questo assomiglia a suo padre, visto che è lui che procrastina tutto e ottimizza le energie, quindi credo che sarà maschio.”
Marco mette su una finta espressione offesa. “Sempre ‘ste osservazioni carine... Maresciallo, per cortesia, lo so cosa devo fare!” esclama poi, mentre Nino continua a blaterargli di non svenire, di essere forte, e dandogli dritte su come, secondo lui, deve comportarsi.
“Sì, ma io ci sono passato, Le posso dare un supporto, diciamo...”
“Nino, sinceramente, non mi sembri la persona più adatta per dare certi consigli,” lo rimbecco, prima di rendermi conto di una cosa. “Ma lo hai sentito! Hai sentito Marco!”
Lui salta su per la gioia. “È vero, è vero! Sono guarito!”
Mentre lui festeggia, dal reparto emerge un’infermiera.
“Nardi?” chiede. “È ora!”
Il piccolino è pronto a venire al mondo!
 
Anna’s pov  
 
Sono stravolta, ma felice.
Come non avrei mai pensato di poter essere.
Sono nella stanza che mi hanno assegnato, insieme a Marco e... nostra figlia.
Sì, è una bambina.
Io e il suo papà siamo incantati ad osservare lo splendore a cui abbiamo dato vita, mentre lei se ne sta a dormicchiare serenamente tra le mie braccia.
Marco la ammira con lo sguardo sognante di chi si è appena perdutamente innamorato - lo so perché è lo stesso che rivolge a me. E sono più che felice di condividerlo da oggi in poi con la nostra piccolina.
Lui è seduto sul letto, di fianco a me, con un braccio intorno alle mie spalle, mentre l’altra mano libera accarezza la guancia della nostra bimba, prima di sfiorare la sua manina. Lei, istintivamente, stringe il suo dito con le sue, minuscole, quasi a volersi assicurare che lui non scappi.
Direi che l’amore è corrisposto...
“Ah, ho perso la scommessa, comunque...” informo Marco, ridacchiando. “Tocca a te scegliere il suo nome.”
Lui sembra ridestarsi, seppur senza staccare gli occhi dall’angioletto che tengo stretto tra le braccia, come se fosse un miraggio e stentasse ancora a crederci.
“Su questo, non ho mai avuto dubbi. Lo so dal primo istante, prima della nostra scommessa... Avevo già pensato da tempo che, se mai avessimo avuto una figlia, il suo nome non avrebbe potuto che essere uno: Carlotta.”
Lo osservo in silenzio per qualche istante.
“Carlotta Nardi...” mormoro, poi. “Suona bene.”
Marco sorride. “Sapevo che ti sarebbe piaciuto.”
“E... c’è un motivo specifico, dietro questa scelta?”
“Ehi, dovresti saperlo, in fondo! Si vede che sei stanca,” scherza. “In un certo senso, te l’ho anche rivelato quella sera... avrei voluto che fosse femmina perché un giorno parlasse di me con lo stesso sguardo innamorato che hai tu, quando nomini tuo padre. Così, anche lui sarà sempre con noi, attraverso lei.”
All’improvviso capisco tutto: Carlotta, in onore di mio padre Carlo, che non è fisicamente con noi, ma che ha contribuito alla nostra storia quanto, e forse più degli altri. Che non è presente nella sua forma corporea, ma c’è ancora, e sarà felice quanto lo siamo noi.
“È un pensiero bellissimo...” mormoro, commossa.
Marco mi si avvicina ancora per asciugare le mie lacrime, prima di baciarmi.
Adesso sì, che è tutto perfetto.
 
Marco’s pov
 
Dopo essermi goduto questi meravigliosi minuti con Anna e Carlotta, finalmente tutti e tre insieme, decidiamo che è giunto il momento di dare la notizia anche al resto della famiglia.
Quando esco, trovo tutti in trepidante attesa.
La visione della nostra famiglia, riunita qui insieme a noi, mi commuove non poco.
“Ti vuoi dare una mossa, per favore? Vogliamo sapere, parla!” sbotta Chiara, dopo qualche istante di silenzio.
Rido alla sua impazienza: non cambierà mai!
“È nata!”
“... nata? Significa che...”
“Sì, è una femmina!”
L’urlo di esultanza di Chiara si sarà sentito almeno fino a Perugia, credo.
“Da brava zia, non avevo sbagliato! L’avevo detto fin dall’inizio, che sarebbe stata femmina!!”
“Anna come sta?” mi chiede Elisa, la voce che trema per l’emozione.
“Stanca, ma bene. Potete entrare a salutarle, adesso. L’infermiera ha concesso quindici minuti.”
 
Quando entrano nella stanza, Cecchini e mio padre stanno già piangendo, così come Chiara e Sara, che sono andate subito da Anna per abbracciarla e conoscere finalmente il nostro piccolo angelo.
Noto solo adesso che mia suocera è accanto a me, che osserva la scena con gli occhi lucidi, ma ha lasciato che fossero gli altri a salutare madre e figlia prima di lei. Sono sorpreso, ero convinto sarebbe passata avanti a tutti.
“Allora, come si chiama questa meraviglia?” chiede mio padre, curioso.
Anna mi rivolge un sorriso radioso.
“Carlotta... si chiama Carlotta.”
“È proprio un bel nome, le si addice!” commenta Cecchini, mentre gli altri annuiscono.
“È stato Marco, a sceglierlo...” precisa la mia futura moglie, spostando lo sguardo da me a Elisa. “Per papà... e sono sicura che c’è anche lui, con noi, adesso. Così come la mamma di Marco.”
Mia suocera, a questo punto, scoppia in lacrime, voltandosi verso di me per abbracciarmi.
Sono colpito dal suo gesto, ma lo ricambio con affetto, prima che finalmente anche lei si avvicini ad Anna, per stringerla e accogliere a sua volta la nostra bambina.
È il momento più bello della mia vita. Ci sono tutte le persone a cui tengo di più, in questi attimi.
Potessi scegliere, vorrei che durasse in eterno.
 
Stanotte, avevo talmente tanta adrenalina in corpo che non sono riuscito a chiudere occhio.
Mentre Anna dormiva, approfittando delle ore di sonno che potrà concedersi, sono rimasto ad osservare Carlotta dal vetro della nursery, per essere sicuro di non aver sognato tutto.
Quando anche la piccola si è svegliata perché aveva fame, l’hanno riportata da Anna per poi lasciarla insieme a lei nella stanza, visto che è stato un continuo alternarsi di nanna e pappa per tutta la notte.
In queste due attività, ha preso da te.
Che simpatico che sei, Grillo. Abituati, che resterai sveglio anche tu, a breve...
 
Ho salutato le mie due donne con estrema riluttanza, ma devo tornare al lavoro, non ho tempo di riposarmi adesso.
Il caso di femminicidio è ancora aperto, lo stalker è a piede libero, ma perlomeno la ragazza si è risvegliata dal coma in tarda sera, ieri. Me ne sta parlando adesso Sara, all’ingresso della caserma, spiegandomi perché fosse in ritardo per la cena che alla fine è saltata, per la nascita di Carlotta.
Non appena entro in caserma, vengo accolto da urla festanti: Cecchini li ha informati della nascita della piccola, e si sono organizzati tutti con dolcetti e spumante.
Ringrazio per gli auguri anche a nome di Anna, dicendo loro che sono liberi di andare a trovare lei e la bambina se vogliono, in fondo come abbiamo sempre detto, in questa caserma siamo una grande famiglia.
Dopo aver brindato, Ghisoni si avvicina a me e Sara per informarci che hanno trovato gli indizi necessari per collocare lo stalker sulla scena del crimine, e finalmente possiamo arrestarlo.
Cecchini si avvia con gli altri a casa di Lamantia, ma ci chiamano poco dopo, dicendoci di averlo trovato morto.
Adesso ci tocca indagare anche sul suo omicidio.
Sara mi propone di dividerci i compiti per i giorni a seguire, così che io possa stare anche con la mia fidanzata e nostra figlia. Se tutto va bene, come ci auguriamo, entrambe potranno tornare a casa prima di Natale.
 
Nel pomeriggio, accontento anche la richiesta di Ines di portarla a trovare Anna e Carlotta. Anche lei ha fatto i salti di gioia non appena ha saputo che avevamo avuto una femminuccia, perché così potranno giocare insieme.
Per tutto il tragitto verso l’ospedale, non fa altro che raccontarmi cosa potrà insegnare a Carlotta di tutto ciò che lei già sa, oltre a ricordarmi che quando sarà più grande, dovremo andare insieme alla centrale geotermica, come le ho promesso.
La ascolto fantasticare per tutto il tempo, pensando a come sarebbe un’ottima ‘sorella maggiore’, se solo non fosse figlia unica, e suo padre mettesse la testa a posto.
Quando giungiamo in ospedale, Ines non esita a fiondarsi nella stanza di Anna, che sta allattando Carlotta.
Quando, voltandosi verso di me con un’espressione nauseata, esclama “Ma è una cosa schifosissima!”, fa scoppiare a ridere sia me che Anna, facendoci tornare in mente per un attimo Cosimo.
Ah, l’innocenza dei bambini!
La convinco ad aspettare fuori, mentre la piccolina termina la sua poppata, poi entriamo finalmente a salutarle.
Ines è al settimo cielo quando ha il permesso di dare una carezza a Carlotta, prima di abbracciare forte Anna e iniziare a raccontarle quanto ha già detto a me in macchina.
Nel mentre, io prendo nuovamente mia figlia tra le braccia, ancora incredulo che sia davvero qui, approfittando di questi minuti per coccolarla.
 
Anna’s pov
 
Marco ha portato Ines a conoscere Carlotta.
È proprio un tipetto, sta parlando ininterrottamente da quasi un quarto d’ora, piena di entusiasmo. Ne sono contenta, è bello vederla così felice e la sua compagnia è piacevole.
Marco, nel frattempo, ha Carlotta tra le braccia, intento a osservarla ammaliato e a sussurrarle qualcosa in tono dolce.
Sono stupita non sia ancora crollato dal sonno, visto che stanotte non ha chiuso occhio  e stamattina ha lavorato tutto il tempo.
Dopo un po’, ci raggiunge anche Don Matteo, congratulandosi con noi per la nascita della nostra piccola.
L’infermiera, che avrà notato la leggera confusione creatasi, chiede a qualcuno di uscire dalla camera, così Marco propone a Ines di andare a prendere un succo di frutta mentre riportano Carlotta alla nursery, così da permettere al parroco di parlare con me.
Non che sia strano, che sia venuto a trovarci, ma se è venuto da solo, senza Natalina e Pippo, credo anch’io ci sia un motivo.
Lui si accomoda sulla sedia accanto al mio letto.
“Come ti senti? Sei riuscita a riposare un po’? mi chiede lui in tono gentile.
“Sono ancora un po’ stanca, ma è vero quello che dicono... Quando mi hanno messo in braccio mia figlia per la prima volta, ho dimenticato tutto il resto, il dolore, l’ansia... Sparisce tutto. È una gioia che è davvero difficile spiegare.”
Don Matteo annuisce. “Ero sicuro che ne saresti stata felice. Questo genere di salto nel vuoto fa più paura degli altri, ma ne vale sempre la pena.”
Sorrido alle sue parole. È vero che negli anni, io e lui abbiamo avuto qualche screzio, ma sempre e solo in merito alle indagini. Per il resto, è stato importante sia per la mia crescita personale, che quella intrapresa con Marco, al pari di Cecchini.
“E Lei, invece? Tutto bene?” indago allora, perché sono sicura che non sia venuto solo per chiedermi del mio stato di salute.
Lui sorride timidamente, sapendo di essere stato scoperto.
“Sapevo fossi in gamba, e che avresti intuito subito che ci fosse altro... Deformazione professionale?”
Rido, lasciando poi che mi spieghi tutto.
“So che tu e Marco avete altro a cui pensare, e a ragione direi, ma so anche che entrambi tenete molto a Ines. E lei, da giorni, non fa che ripetere che vorrebbe rivedere il suo papà per passare con lui il Natale...”
Intuisco subito cosa lui voglia dirmi, ripensando alla vicenda di Cosimo: sono situazioni simili, vorrei tanto che anche per la piccola andasse come fu allora per lui.
E nonostante tutto, sono ancora convinta che Sergio potrebbe avere uno spazio nella vita di Ines. Non è un santo, ma è pur sempre suo padre.
“Io posso solo provare a chiedere a Marco di fare qualcosa, ma sa bene anche Lei quanto sia restio quando si tratta di Sergio, sia per le sue esperienze personali che per quanto accaduto qualche mese fa...” mormoro, dispiaciuta di non poter fare di più.
Don Matteo però è di diverso avviso. “Non ti chiedo nessuna promessa, Anna, solo di provare ad aiutare Ines. Vale la pena tentare, ma solo voi due potete realmente fare qualcosa di concreto, per lei,” afferma in tono vago, lasciandomi intuire che il significato delle sue parole sia più profondo di quanto non sembri.
Io annuisco, leggermente perplessa, mentre Marco entra con la bambina al seguito.
“Ines, che ne dici se adesso lasciamo riposare Anna e torniamo a casa? Altrimenti Natalina non ci lascia niente, per cena!” suggerisce il parroco alla piccola, che accetta subito. Ci salutano ancora, lasciandomi poi da sola con il mio fidanzato.
Lo osservo stropicciarsi gli occhi.
“Dovresti andare anche tu a riposarti”, gli dico, ignorando il suo cenno di diniego.
“Non preoccuparti per me, davvero,” mormora, tornando a sedermisi accanto. Esita un attimo, prima di pormi la domanda che sapevo sarebbe arrivata. “Di cosa voleva parlare Don Matteo?”
Sospiro.
“Si tratta di Ines... probabilmente già lo sai, ma continua a chiedere di poter rivedere il suo papà, e Don Matteo non sa più cosa dirle. Voleva sapere se noi potessimo fare qualcosa per lei...”
Marco mi rivolge uno sguardo incerto.
“Sì, lo ha detto anche a me, Ines. E vorrei tanto poter realizzare il suo desiderio, ma la verità è che nemmeno io so come comportarmi. Sai dell’ultimatum che ci hanno dato gli assistenti sociali, per trovarle un’alternativa che non la allontani da Spoleto, ma sai meglio di me che non concederebbero mai a Sergio l’affido, non dopo quello che è successo.”
Io lo ascolto parlare, ben consapevole dei suoi dubbi, che in fondo sono gli stessi che provo anch’io. È una situazione complicata.
“Beh, magari la notte porta consiglio,” mormoro, a mo’ di battuta, accarezzando il suo viso stanco. “Marco, davvero, vai a dormire. A questo possiamo pensarci nei prossimi giorni, vedrai che troveremo una soluzione.”
Lui finalmente cede, acconsentendo alla mia richiesta, così dopo il ‘bacio della buonanotte’ va a casa, lasciandomi da sola a riflettere sulla situazione di Ines.
 
Marco’s pov
 
Dopo una notte di meritato riposo per recuperare le energie, stamattina sono tornato in caserma per sapere da Cecchini se ci sono novità sul caso.
È il 22 dicembre, domani Anna tornerà a casa con la nostra Carlotta, e per questo spero che riusciamo presto a chiudere il caso, così da poter passare le feste in tranquillità.
Una volta in ufficio, il maresciallo mi informa che le telecamere vicine all’abitazione di Lamantia hanno ripreso il padre della ragazza, e così convochiamo entrambi per interrogarli.
L’uomo sostiene di non essere stato lui a uccidere lo stalker della figlia, anche se avrebbe voluto farlo. Queste parole però di certo non lo scagionano, e sono costretto a disporre il fermo, richiedendo però ulteriori accertamenti, perché dal sopralluogo all’abitazione risulta che chiunque si sia introdotto all’interno abbia anche frugato alla ricerca di qualcosa.
Mentre l’uomo viene comunque portato via, il maresciallo commenta che in fondo lo capisce. Io non sono esattamente d’accordo, sebbene anch’io sia convinto che un padre, per i propri figli, farebbe qualunque cosa. E a tal proposito, gli chiedo se ha qualche minuto da dedicarmi. Lui, stupito, accetta di seguirmi di nuovo nell’ufficio di Anna.
“Si tratta di Ines,” gli dico, una volta dentro. “Non è mai andato via da Spoleto, in realtà, ed è rimasto per la bambina. Ines mi chiede sempre di rivederlo, ma io ho molti dubbi, al riguardo. Anche Don Matteo adesso ha chiesto a me ed Anna se possiamo fare qualcosa, ma... non so come comportarmi. Vorrei poterla accontentare, e in realtà ci ho anche provato, a convincere Sergio ad andarla a trovare, ma lui continua a dire che finirebbe solo per fare guai. È per questo che volevo un consiglio da Lei, in fondo c’è già passato da una situazione simile, e i suoi piani in genere funzionano, anche se mal congegnati...” ironizzo, ottenendo da lui una risata.
“Questo è vero, ha ragione,” commenta. “E so anche che insistere può servire, ma certe volte fa più effetto lasciare che gli altri riflettano da soli, sulle cose che gli diciamo. Forse, più che chiedere a Sergio di tornare, potrebbe provare a stuzzicarlo... fare leva sul suo desiderio di rivedere Ines, invece di obbligarlo. Un po’ come quel pazzo alla radio, pure un discorso serio da PM potrebbe convincere un delinquente a tornare sulla retta via,” mi suggerisce.
“Grazie, maresciallo. Davvero. Avevo bisogno di fare chiarezza.”
 
Dopo pranzo, la ragazza aggredita viene riconvocata in caserma insieme al fisioterapista del fidanzato in coma farmacologico da anni.
Lo stalker, a quanto pare, aveva fotografato i due insieme, in cui attestava il tradimento di entrambi. Lamantia aveva chiesto loro dei soldi per non far avere le foto alla moglie di lui, e voleva anche ‘di più’ dalla ragazza.
I due, però, si rifiutano di parlare e di ammettere la loro relazione nonostante le prove inconfutabili. Non abbiamo però la certezza che i soldi trovati nell’abitazione di Lamantia fossero i loro, e quindi siamo costretti a rilasciarli.
Questo caso sembra davvero irrisolvibile.
 
Chiara’s pov
 
Dopo un sacco di insistenza, sono riuscita a convincere Sara a prendere mezz’ora di permesso per andare a trovare mia sorella in ospedale. Non mi stupisce, che sia diventata così amica di Anna, sono uguali! Forse è anche per questo che anche a me è simpatica.
Comunque, abbiamo preso un regalino sia per lei che per Carlotta. Ora che finalmente ho avuto la conferma, le preparerò un guardaroba degno di una principessa. Non mi interessa se mia sorella protesterà, mia nipote diventerà una fashionista come la zia.
“Buongiorno!” esclamo, aprendo la porta quando arriviamo, e scatenando il pianto della bambina.
“Chiara!! Si era appena addormentata!” mi rimprovera Anna con un’espressione esasperata.
Ops...
Nonostante il rimbecco meritato, è felice di vederci, e ancora di più quando Sara prende in braccio la piccolina tentando di tranquillizzarla.
Lottie si calma abbastanza in fretta, e dopo qualche minuto, arriva il mio turno, di tenerla tra le braccia.
Quant’è bella... un angioletto. Ha un ciuffetto di capelli ramati sulla testolina, e sebbene sia ancora troppo presto per avere la certezza sul colore, sono sicura che quando crescerà, avrà gli occhi verdi.
Voglio dire, sia la sua mamma che il suo papà li hanno. Me la immagino già... boccoli biondo rame, e due occhioni verdi da cerbiatta. Sarà una bambolina più di quanto non lo sia già!
Con la coda dell’occhio, noto mia sorella stringere la mano di Sara, e sorrido.
È bello vederla reagire così, nonostante tutto.
Rimetto la bimba nella sua culletta, per poi porgere a mia sorella i regalini, spiegandole che con mamma stiamo già provvedendo a comprarle dei vestitini e tutto l’occorrente che le serve.
Anna alza gli occhi al cielo, disperata al solo pensiero, facendo ridere Sara.
“Tranquilla, al prossimo round di shopping, potrai tenere a bada tu stessa nonna e zia,” le suggerisce, con mia sorella che fa una smorfia.
“Sarà comunque inutile, faranno come vogliono ignorando le mie proteste, lo so già.”
Dopo le risate dovute agli aneddoti che racconto a mia sorella, riguardo alle chiacchiere scambiate mentre aspettavamo notizie sulla nascita di Carlotta, le chiedo come si sente.
“L’avrò ripetuto non so più quante volte... sto bene, sono solo un po’ stanca. È un lavoraccio, partorire.”
“Come, non eri tu quella instancabile per natura?” le chiedo, fingendomi sconcertata.
Sara ride. “Allora è vero, che fare la mamma è il lavoro più difficile del mondo, nonostante noi siamo abituate ad orari imprevedibili!”
La sua battuta fa ridere sia me che Anna, ed è bello vedere che Sara è davvero passata dal vergognarsi della sua ferita, al riuscire addirittura a scherzarci su.
“Vedrai che da domani andrà meglio,” assicuro poi a mia sorella, “una volta a casa, ci sarà tutta la famiglia a darti una mano. Lo sai, che non sei sola.”
“Ho come l’impressione che ci sia anche altro, che ti preoccupa,” constata però Sara, dopo qualche istante a osservarmi.
“In un certo senso... sì. È per Ines,” ammette Anna, spiegandoci poi tutta la storia, e chiedendo la nostra opinione sulla soluzione a cui ha pensato.
“Solo tu sai se può essere davvero quella migliore,” mormoro io, dopo una lunga pausa. “Perché si tratta di una scelta importante...”
“Sono certa che saprai cos’è più giusto fare,” concorda Sara. “Lo capirai al momento opportuno.”
  
Marco’s pov
 
Oggi è il grande giorno.
Finalmente Anna e Carlotta, nel pomeriggio, torneranno a casa.
Tre giorni senza Anna, e l’appartamento mi è sembrato enorme e terribilmente vuoto, ma da stasera, quando saremo tutti e tre insieme, tornerà ad essere colmo di gioia e amore. Non vedo l’ora.
Prima di andare in caserma, però, decido di seguire il consiglio che Cecchini mi ha dato ieri.
Sono quasi arrivato al casale fuori città, dove so che è parcheggiato il camper di Sergio, per tentare un’ultima volta di convincerlo a rivedere i suoi piani.
So che è davvero l’ultimo tentativo che posso fare, poi il mio tempo a disposizione sarà scaduto, e Ines verrà portata via.
Quando busso alla porticina, mi risponde una voce poco distante: Sergio è appoggiato all’ingresso della sua officina clandestina, intento a fumare una sigaretta.
“Come mai da queste parti?” mi chiede, dubbioso.
“Sono passato per farti gli auguri di Natale, ormai ci conosciamo da abbastanza tempo e mi sembrava giusto...” ironizzo.
Lui ride alla mia battuta, prima di tornare serio, come me.
“Dovresti immaginare, perché sono venuto.”
“Provo a indovinare... Ines?”
Annuisco. “Volevo solo dirti che hai ancora tempo per ripensarci. Puoi ancora provare ad essere presente nella sua vita, anche se nell’immediato non potrai avere di più. Ma non ti obbligherò a fare qualcosa che non vuoi, non più. Ci abbiamo provato, e il risultato lo conosciamo. Ines però vorrebbe averti accanto, e nonostante io non sia esattamente d’accordo perché non voglio che soffra di nuovo, non ti impedirò di vederla, se vorrai.” affermo, prima di andare alla parte peggiore del discorso. “Devi comunque sapere che Ines presto verrà affidata a un’altra famiglia, non resterà a Spoleto, gli assistenti sociali ritengono che sia meglio. Fossi in te, non permettei che mia figlia mi venga portata via senza far niente. L’amore per lei, e non solo quello, può cambiarti nel profondo. Ricucire quelle ferite che sembrano insanabili. Lo so perché l’ho imparato a mie spese, qualche anno fa. Ho fatto tesoro di quegli insegnamenti, e oggi più che mai sono sicuro di aver fatto la scelta giusta, perché porterò a casa il frutto dell’amore di quella mia sfida personale contro le mie stesse paure. Non avrei mai pensato che sarei stato così felice di avere una famiglia, eppure ti assicuro che non c’è niente che vorrei di più, in questo momento.”
Sergio annuisce dopo avermi ascoltato attentamente.
“Suppongo tu e Anna siate ufficialmente genitori, allora...”
“Sì, la nostra bambina è nata tre giorni fa. Si chiama Carlotta.”
“Congratulazioni per il suo arrivo... sono molto felice per voi,” afferma. “E... grazie, per quello che hai continuato a fare per me, nonostante io non me lo meriti. Posso assicurarti che ci penserò, a quello che mi hai detto.”
Mi porge una mano, che io accetto senza esitazione.
Non ha più senso farci la guerra, e aver ottenuto questa tregua è più di quanto avessi sperato.
 
Rientro in caserma in tarda mattinata, e scopriamo che l’arma che ha sparato allo stalker appartiene alla moglie del fisioterapista.
Riusciamo a rintracciarla nel primo pomeriggio, e lei stessa ci dice che aveva cercato di ottenere le foto da Lamantia così che smettesse di ricattare suo marito. Sapeva della sua relazione extraconiugale, ma se questa fosse venuta allo scoperto, lui l’avrebbe lasciata, perché innamorato di Francesca. Quando era andata da Lamantia per consegnargli i soldi, lui ne aveva chiesti più di quanto pattuito, e durante il litigio era partito un colpo dalla pistola che si era portata dietro.
Io ho seguito il caso fino alle fasi finali, ma ho lasciato che fossero Cecchini e Sara ad occuparsi della chiusura delle indagini, perché altrimenti avrei fatto tardi e devo andare da Anna in ospedale.
 
Per tutto il tragitto di ritorno dalla struttura, ho dovuto impormi di non guardare costantemente lo specchietto retrovisore, per vedere Anna e Carlotta nella sua culletta, sui sedili posteriori dell’auto. Riesco a mala pena a contenere la mia felicità.
Giunti sotto casa, davanti al portone incontriamo la signora Serena, intenta a spazzare.
Ma non ce l’ha un altro hobby? O spazza, o guarda soap opera.
Scendo dall’auto, affrettandomi ad aiutare Anna, che ha in braccio nostra figlia. Fa freddo, stanotte è piovuto, non vorrei che ci sia del ghiaccio e scivolino. Afferro il porte-enfant e il borsone con i vestiti di Anna, mentre lei ha preso quello con l’occorrente di Carlotta, avviandoci poi verso l’ingresso del palazzo.
Quando la signora ci nota avvicinarci, con la piccola in braccio alla mia fidanzata, inizia a lamentarsi.
“Adesso non si potrà più stare tranquilli, con la bambina che piangerà sempre,” borbotta, come se non sapesse già da tempo che questo momento sarebbe arrivato... sono mesi che spia Anna e adesso si stupisce che abbiamo uno scricciolo tutto nostro?
“Le assicuro che faremo del nostro meglio per evitare che la disturbi,” mormora la mia fidanzata avvicinandosi al portone, in attesa che io apra, e la vecchietta ne approfitta per osservare il visino che sbuca in mezzo alla coperta in cui è avvolta Carlotta, e cambia espressione di botto.
Sembra folgorata, quasi fosse bastato vederla per spezzare l’incantesimo che la rendeva la ‘strega cattiva’ della fiaba.
“Pensandoci meglio, in effetti una neonata ci voleva, in questo quartiere,” afferma poi, con una voce intenerita che non credevo possedesse. “Ormai non nascono più tanti bambini da queste parti, e se non vi date da fare voi giovani per ripopolarlo, finisce che restano solo vecchie rompiscatole come la signora Lucia che sta nel palazzo di fronte, che si lamenta dalla mattina alla sera.”
Io mi giro verso Anna, sconcertato.
Sto per dire che di vecchiette rompiscatole ne sappiamo già qualcosa, oltre alla signora Lucia, ma la mia fidanzata mi blocca appena in tempo con una leggera gomitata e un’occhiataccia.
“Ma che ci fate ancora qua?” strilla d’un tratto la nostra adorabile vicina, che a quanto pare è tornata in sé. “State qua impalati al freddo invece di portare questo angioletto a casa! Su, sbrigatevi a salire!”
Ah, menomale. Per un attimo, ho temuto fosse cambiata davvero!
 
Anna’s pov
 
È la mattina di Natale.
Fuori, nevica piano.
Mi sto preparando per andare alla messa insieme a Marco e Carlotta - avendo mancato quella di mezzanotte di ieri per ovvi motivi.
Fatico ancora a credere alle coincidenze che si sono venute a creare: io e Marco siamo diventati genitori poco prima di Natale (quello vero), dopo esserci messi insieme la notte del Natale di Cosimo, ad agosto.
Marco mi ha chiesto di sposarlo proprio il 20 di dicembre, nella stessa data a distanza di due anni abbiamo accolto nostra figlia, e tra qualche mese, dopo mille intoppi, ci sposeremo. Finalmente.
Non potrei essere più felice di così.
Non ho dovuto rinunciare a nulla, né al lavoro, né all’amore. Ho vinto contro tutti i pregiudizi del mondo dell’Arma e di mia madre, che credeva non avrei mai potuto avere una famiglia se avessi fatto il Carabiniere, o almeno lo aveva pensato fino a quando non aveva conosciuto Marco. A quel punto, anche lei era tornata sui suoi passi.
Una volta preso tutto, andiamo a piedi verso la chiesa di Sant’Eufemia, dove incontriamo la nostra famiglia al completo: quella di sangue, quella della caserma e anche della canonica.
Stiamo per entrare, quando una figura in lontananza alza la mano in segno di saluto.
Ines spalanca gli occhi.
“Papà!!” strilla, correndo incontro a Sergio, al settimo cielo, gettandogli poi le braccia al collo.
Rivolgo uno sguardo stupito ma felice al mio fidanzato: non so come né quando sia riuscito a convincerlo, ma sono certa che la sua presenza qui, stamattina, sia merito suo.
Sergio si avvicina a noi con la figlia in braccio, salutandoci prima di stringere amichevolmente la mano di Marco.
Don Matteo chiama la piccola dopo qualche istante, per servire la messa insieme a lui. Lei lo segue, certa che il suo papà stavolta non andrà via.
“Se la tua offerta è ancora valida, vorrei accettarla,” chiede poi Sergio a Marco, in tono quasi di supplica. “Vorrei poter vedere Ines, di tanto in tanto.”
“Come ti ho detto, i servizi sociali la affideranno a una famiglia lontana da Spoleto, probabilmente, ma posso tentare di parlare di nuovo con loro. Magari riusciamo a trovare una soluzione alternativa.”
Sergio lo ringrazia comunque, prima di seguirci in chiesa.
 
È sera.
Siamo tutti a casa mia e di Marco.
C’è nonno Eugenio, intento a coccolare Carlotta, nonno Nino, che tiene in braccio il figlio di Assuntina mentre lei chiacchiera con Zappavigna. Mia madre è in cucina con Chiara, intenta a spiegarle cosa fare e lamentandosi perché non ha ancora imparato.
Se invece di fare la geisha, si fosse fatta dare lezioni di cucina...
... oggi non saremmo qui a festeggiare il Natale così, con me e Marco in procinto di sposarci e con una figlia appena nata.
Ah, giusto. Come non detto.
Sto finendo di mettere a posto i regali ricevuti e scartati nel pomeriggio, quando tutta la famiglia si è riunita a casa nostra insieme agli amici.
Sento due braccia stringermi con dolcezza.
“Posso avere la mia fidanzata tutta per me, per due minuti?” scherza Marco, quando mi volto verso di lui.
In effetti, è tutto il giorno che ci tengono separati per un motivo o un altro.
“Fossi in te, approfitterei del momento...” suggerisco, prima di ricambiare il suo lungo bacio, godendoci questi pochi attimi di tranquillità insieme.
Dopo un po’, decido di farmi coraggio.
Inspiro a fondo.
“Pensi davvero quello che hai detto a Sergio, stamattina?” gli chiedo, leggermente titubante. “Cioè... se troverai una soluzione che le consenta di restare a Spoleto, intendi davvero permettere a Sergio di vederla di tanto in tanto, o comunque fare in modo che gli venga tolto il divieto di avvicinarsi?”
Marco annuisce. “Il mio obiettivo è sempre stato la felicità di Ines, fin dal primo giorno, e so che con suo padre lei è contenta. Quindi sì, manterrei la mia parola, pur continuando a tenerlo d’occhio.”
Ammetto di essere un po’ stupita dalla grande maturità che sta dimostrando nell’affrontare questo discorso. Ogni giorno, mi accorgo sempre di più quanto sia davvero diventato un uomo migliore, e soprattutto, come sia riuscito ad accettare e superare le paure che lo avevano sempre bloccato.
È a questo punto che decido di parlare.
“Io, in effetti, una soluzione forse ce l’avrei...” mormoro.
“Sì?” mi chiede lui, inarcando le sopracciglia.
“Pensavo che... ecco... potremmo chiedere noi l’affidamento di Ines,” suggerisco infine. “Tu sei già il suo tutore legale, noi stiamo per sposarci, e non credo te lo negherebbero. Così potrà restare a Spoleto, vedere la nonna, il suo papà e non perdere gli affetti che è riuscita a costruire in questi mesi. Anche loro vogliono tutelare il suo benessere, e lei qui sta bene.”
Sul volto di Marco si fa strada un sorriso enorme, come un bambino che ha trovato sotto l’albero il regalo che più desiderava.
“Dici che potremmo davvero... davvero?” torna a domandarmi, quasi stentasse a crederci, e facendomi ridere.
“Davvero,” sorrido. “Anche perché, abbiamo tutto da imparare, per diventare dei buoni genitori per Carlotta. Qualcosa mi dice che Ines sarà più che contenta, all’idea di avere una ‘sorellina’.”
La risposta di Marco non si fa attendere, e non servono parole, in questo caso.
Torna a baciarmi, e non potremmo essere più felici.
Finalmente è tutto perfetto.
Questo Natale, non lo dimenticheremo mai.
 
Ciao a tutti!
Finalmente!!! Carlotta è nata!
Ve lo aspettavate, che arrivasse già in questo episodio? (Che fosse femmina neanche ve lo chiediamo, tifavano tutti per lei!) Vi è piaciuto il nome?
E il caso di Ines e Sergio? Restavano soltanto loro, ormai... e Coso ha certamente sbagliato, ma nella nostra versione dei fatti, ha saputo cogliere l’opportunità che gli è stata offerta. Ines potrà restare col suo adorato tatuatore legale e vedere il suo papà ogni volta che vorrà.
Sembra incredibile, siamo giunti quasi alla fine! Un altro capitolo, e questo viaggio sarà concluso.
Cosa manca, adesso, per il gran finale?
Come sempre, io e Martina vi ringraziamo per l’affetto!
A giovedì,
 
Mari
 

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Capitolo 10
*** Non desiderare la roba d'altri ***


NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI
 
Lottie... Lottie!
Certo che è proprio bella, eh? Un angioletto! Ma ciao, Lottie!
Guarda, Vocina! Mi ha sorriso! In barba a te!
Ma lascia perdere, Grillo! La fai solo spaventare, con quella faccia che ti ritrovi.
Perché invece tu sei più bella ed esperta di neonati...
Grazie, Grillo! Modestamente, sì.
Guarda che io ero sarcastico.
Io no, è la verità. Comunque, spostati, che ci parlo io con Lottie! Ciao, stellina! Ma chi è questo Grillo brutto brutto che fa le voci strane, eh? Eh?
Ah, io sarei quello che fa le voci strane e le facce buffe!
Ma... una domanda, Vocina, ora che ci penso... come fa a sentirci e vederci, Lottie...?
Oh, cavolo.
Ho ragione!
Non ti esaltare, anche perché significa che prima, questa bambolina stava sorridendo a Marco, non a te! Fiuuu, per un attimo avevo pensato che ti preferisse a me.
Ma perché sei sempre così cattiva con me, Vocina? Sempre a rimproverarmi, a fare la saputella saggia e intelligente... anch’io ho un cuore, sai?
Mamma mia quanto sei melodrammatico, Grillo! Proprio tu che dovresti essere quello ironico della coppia!
Essere ironici non significa non avere sentimenti. E tu mi offendi sempre! Scusa, Lottie, ma io non ho più voglia di condividere questo momento con Vocina! Me ne vado!
Ma no, dove vai? Grillo!
... Niente, è andato via. Pazienza.
Sai cosa facciamo, Lottie? Raccontiamo ai nostri amici cos’è successo negli ultimi mesi! Ti va? Mi aiuti?
Beh, chi tace, acconsente!
Iniziamo!
 
Innanzitutto, ciao!
Quanto tempo che non parliamo, e quante cose sono cambiate dall’ultima volta!
In primis, l’arrivo di Lottie! Cioè, Carlotta... ma zia Chiara è passata al diminutivo meno di mezz’ora dopo la sua nascita, e la chiamiamo tutti così.
Comunque, dicevo, ne sono successe di cose da quel giorno, non immaginate quante!
Ora vi dico tutto, il tempo di prendere un fazzoletto perch-... e-e-e-etciù!!
Scusate, ma questa allergia al polline non mi dà tregua, è insopportabile! La primavera sembra essere arrivata prima del previsto, quest’anno.
Ah già, dimenticavo... Buon 2021 a tutti!
Comunque, non manca molto all’inizio ‘ufficiale’ della primavera, appena una settimana. Come, del resto, manca una settimana al grande evento... sento già le note della marcia nuziale risuonare nell’aria!
“Save the date: 21 MARZO 2021 - ANNA & MARCO FINALMENTE SPOSI!”
Era questo che io e Grillo avremmo voluto scrivere sugli inviti al matrimonio, ma Elisa ha preferito una forma più sobria ed elegante.
Però quel ‘finalmente’ ci stava da Dio! Dopo tutte le cose che hanno passato quei due per arrivarci... Sempre che ci arrivino, ecco.
Vocina!
Non eri andato via, Grillo? E poi era una battuta! Scaramanzia, mica ero seria, dai! Non sei divertente per niente, tu.
E poi, qua a Spoleto basta un attimo, e ti ritrovi stecchito.
Ma torniamo a noi, vi stavo raccontando gli eventi degli ultimi tre mesi...
La nostra adorata famiglia Nardi se la passa piuttosto bene.
‘Piuttosto’ perché tra notti insonni passate dietro a pannolini da cambiare e poppate ogni tre ore, e i preparativi per il matrimonio da ultimare, ogni tanto i futuri sposi danno in escandescenza.
Non fraintendete, Lottie è un amore! Mangia molto, dorme un sacco e piange il giusto, come tutti i neonati. Sta simpatica perfino alla vicina Serena, voglio dire.
Però era inevitabile, sapevamo tutti che il suo arrivo avrebbe scombussolato la routine di Anna e Marco, com’è normale che sia. Le nozze imminenti e la bimba appena nata sono stati due eventi difficili da incastrare, nonostante tutta la famiglia abbia dato una mano.
Le sorprese non sono mica finite, eh! All’inizio dell’anno gli assistenti sociali hanno accettato la richiesta di affido fatta da Marco ed Anna per Ines. Lei, quando l’ha saputo, ha iniziato a saltellare per tutta la canonica, euforica, prima di correre ad abbracciare la sua famiglia adottiva. Perché per lei sono una famiglia a tutti gli effetti.
È già tutto deciso: Ines andrà a vivere con il suo tatuatore legale, Anna e Lottie molto presto, il tempo che la burocrazia faccia il suo corso. E potrà anche vedere il suo papà! Marco ci ha messo la faccia, come si suol dire, accettando di rispondere in prima persona di qualsiasi problema, nel caso in cui Coso - va bene, va bene, Sergio - dovesse fare qualcosa che non dovrebbe. Ma non sembra un evento così probabile, non più.
Il dilemma più grande adesso è... come faranno a stare tutti in questa casa? Certo, Ines si trasferirà solo dopo il matrimonio, ma i due sposini non hanno ancora trovato un nuovo nido per la famiglia.
Ah, è vero, non ve l’avevo detto! Stanno cercando una casa, proprio perché l’appartamento di fronte a quello del maresciallo è diventato troppo piccolo per starci in quattro. E Cecchini, adesso, non ha più bisogno di averli così tanto vicini come quando hanno deciso di restare lì e non trasferirsi nella villetta (purtroppo venduta). Il problema è che ogni volta che l’agente immobiliare propone qualcosa, il maresciallo ed Elisa li accompagnano, e puntualmente c’è sempre qualche dettaglio che fa saltare l’accordo, esasperando il pover’uomo.
Serve che trovino una soluzione in fretta, il tempo stringe!
Tornando ai biscottini, Cecchini non sarà più solo, quando Anna e Marco andranno via: c’è Elisa con lui. La neo-nonna ha deciso di trasferirsi definitivamente a Spoleto, così da poter restare anche più vicina alla figlia e darle una mano con la sua nipotina. Anzi, nipotine, a breve.
E chissà che non ci saranno i fiori d’arancio anche per loro, tra un po’!
Su zia Chiara, non ci conterei troppo, di convolare a nozze, invece... il vizio di cambiare fidanzato ogni mese non lo ha ancora perso. Però anche lei è spesso a Spoleto, e spera di riuscire ad ottenere un trasferimento. Comunque, vedeste che guardaroba ha creato per la piccola Lottie! Anna ha tentato inutilmente di fermarla, soprattutto perché la bimba cresce in fretta e le tutine diventeranno troppo piccole nel giro di poco. Ma parliamo di Chiara, ecco... tentativo vano, appunto.
Però, a parte questo, è stata di grande aiuto per sua sorella, in questi tre mesi. Ha imparato perfino a cambiare il pannolino a Carlotta!
Per quanto riguarda Nonno Eugenio, beh... si è visto e non visto. Con Marco le cose sono migliorate, ma lo spirito vagabondo non l’ha perso, quindi latita. Forse ha ragione Anna, lo sta facendo solo per lasciare loro il tempo di adattarsi alla nuova realtà senza troppe pressioni addosso, o perché si sente ancora ‘di troppo’, ma Marco ha i suoi dubbi (non proprio infondati).
Ma tra le mille notti insonni e le presenze in stile zombie (testuali parole di Sara) di Marco in tribunale, i giorni trascorsi hanno portato soprattutto momenti di gioia pura e indimenticabile: avreste dovuto vedere la faccia di papà Marco quando Lottie gli ha sorriso per la prima volta! Un bambino al lunapark al confronto sembrerebbe a un funerale!
Anna ha pianto un quarto d’ora abbondante alla scena, per poi dare parte della colpa agli ormoni ancora ballerini, ma lo sappiamo tutti che non è proprio così.
Però la capiamo, perché è stato in quell’istante che si è resa davvero conto quanta strada avessero fatto insieme lei e Marco, e quanto siano cambiati l’uno al fianco dell’altra. Hanno superato le loro paure, e sono prontissimi a scrivere un altro capitolo della loro storia.
E non c’è modo migliore di cominciare la nuova pagina, se non co-
Uèèèèèèè!!!!
Oh, tesoro, non piangere! Adesso ci pensa la tua mamma, a te!
Ma certo! Tu con chi stai parlando, Vocina?
Io? Nessuno! Si vede che ti mancano delle ore di sonno, Anna!
(A dopo!)
 
Anna’s pov
 
Lottie ha richiamato la mia attenzione nel bel mezzo di un piccolo diverbio con Marco circa la suddivisione degli invitati nei tavoli, per il ricevimento.
Per fortuna però la mia piccola si è tranquillizzata subito.
Quando torno a concentrarmi sul tableau dispiegato sul tavolino del bar di Spartaco, davanti al quale sono seduta per mettere a punto gli ultimi dettagli, mi sembra di essere in un déjà-vu.
E lo è, in un certo senso.
“... e Zia Carmela, sono sempre dell’idea che starebbe benissimo al tavolo delle cugine!”, sta dicendo infatti Marco, staccando il segnaposto.
Ecco, ci risiamo: come un anno fa, siamo in disaccordo sullo stesso identico punto, anche se non credo abbia tutti i torti, in realtà. A Elisabetta non farebbe affatto male, trascorrere qualche ora in compagnia della zia, visto che quando si è sposata lei ha piazzato noi due al suo stesso tavolo.
“E ti dirò di più, ci metterei anche la nostra adorata vicina, la signora Serena. Sarebbe perfetto.”
Guarda che Marco ha ragione, Anna. Zia e vicina sarebbero l’accoppiata vincente per far abbassare la cresta a tua cugina. Digli di sì!
“... Va bene. Mettile entrambe lì, con le cugine.” accetto infine, trattenendo a stento un sorrisetto.
“Ah!” esclama il mio fidanzato, alzando una mano in segno di vittoria. “Ci ho messo un anno a convincerti, ma ne è valsa la pena... Salve, Don Matteo!”
Déjà-vu in tutto e per tutto!
“Allora, come va con la preparazione del matrimonio? Stavolta non ci sono viaggi in Pakistan previsti?” scherza il prete.
Io faccio un sorriso innocente mentre Marco mi lancia uno sguardo ironico, prima di scoppiare a ridere.
Un versetto gioioso arriva dal passeggino accanto a me, come se Lottie avesse capito la battuta e stesse ridendo con noi.
“Ciao, piccolina!” la saluta affettuosamente Don Matteo, mentre lei gli afferra le dita. “Vi ricordo l’ultimo incontro del corso prematrimoniale, stasera! Ma... il maresciallo e Sua madre non ci sono?”
“In effetti, è da ieri sera che non li vediamo,” replica Marco, pensieroso.
“Oh, eccoli!” esclamo dopo qualche istante, vedendoli scendere la scalinata che porta in piazza.
Mia madre sembra euforica, e ci saluta con la mano mentre Cecchini le corre dietro dicendole di rallentare, che ci manca solo che si facciano male a una settimana dal matrimonio.
Questa reazione mi turba: quando abbiamo organizzato tutto, l’anno scorso, lei aveva messo su quest’aria festante all’idea specifica della carrozza con i cavalli bianchi.
“Mamma, giusto per essere chiari, te lo dico subito: delle solite smancerie non ne voglio sentire parlare! Sarà anche passato un anno, ma continuano a non piacermi.” affermo perentoria, quando ci raggiungono.
“Ma no, non è questo che volevo dirti!” esclama mia madre alzando la voce.
Prima che io possa rispondere, interviene Marco.
“Calma, calma, che Lottie finisce per mettersi a piangere!”
Già, peccato che la piccola sia completamente rapita dal maresciallo, che ha iniziato a parlottarle come fa ogni volta che la vede.
Mia madre richiama la sua attenzione, invitandolo a dirci il motivo del loro arrivo.
“Sì, giusto. Abbiamo trovato la casa perfetta per voi!” esclama lui.
Io e Marco ci scambiamo un’occhiata incerta. I loro gusti non sono sempre... diciamo, di tendenza. O per meglio dire, ciò che piace a uno non va giù all’altra, in genere.
“Davvero, stavolta dovete venire a vederla, prima di scartare l’opzione a prescindere! Ci possiamo andare nel pomeriggio!” insiste mamma, cercando il supporto nientemeno che di Don Matteo.
“Vale la pena dare un’occhiata!”
Decidiamo di ascoltare il consiglio, poi lui ci saluta e noi due torniamo a dedicarci alla piantina dei tavoli, mentre i nonni coccolano una felicissima Carlotta.
 
Elisa’s pov
 
Io e Nino siamo già arrivati alla casa che vogliamo fare vedere ad Anna e Marco. È una villetta appena fuori dal centro storico, abbastanza grande da poter ospitare comodamente tutti e quattro, ed eventualmente anche nuovi arrivi in futuro. Ha perfino un piccolo giardino: Ines, Carlotta e Patatino avranno uno spazio per poter giocare all’aperto.
 
È perfetta.
Non come le altre case che avevamo visto nei mesi scorsi.
La prima era un appartamento, in pieno centro ma all’ultimo piano. Nino aveva giustamente fatto notare la scomodità della posizione, oltre al fatto che non avesse l’ascensore: e il passeggino di Lottie? Sarebbe stato improponibile!
Per non parlare dell’ultima, che si è liberata perché la signora che ci viveva è morta da poco, ed era per giunta arredata come una villa del Settecento! Non mi interessa se avrebbero cambiato il mobilio. E poi, chi è questa Amanda Valéry di cui parlavano Marco e Nino, che aveva una casa simile? Mah.
Ma stavolta non ho dubbi, è quella giusta. Sono sicura che piacerà anche ai due sposini!
E a proposito degli sposini, eccoli arrivare con Ines e Lottie.
Se anche stavolta hanno il coraggio di dire che non va bene, dopo la faccia che hanno fatto scendendo dall’auto, non rispondo di me! Significherebbe che bocciano le nostre proposte a prescindere!
Ines sta già saltellando perché ha visto il giardino, mentre Marco si osserva intorno con Carlotta in braccio.
“Mamma, ma come lo avete trovato, questo posto?” chiede Anna estasiata, avvicinandosi.
“Lo sapevo, che vi sarebbe piaciuta! E non hai ancora visto l’interno!”
Raggiungiamo Nino, che ci aspetta all’ingresso della villetta insieme all’agente immobiliare.
Lui ci fa (ri)fare il giro delle stanze, e mentre gli altri commentano l’arredamento, io mostro ad Ines quella che potrebbe essere la sua cameretta. Lei è contentissima.
“Nonna, ma è bellissima! Veramente posso avere una stanzetta tutta mia? Così colorata?”
Quest’altro adorabile scricciolo non l’avevo previsto, ma non mi ci è voluto molto ad affezionarmi anche a lei in questi mesi.
Marco e mia figlia hanno preso una decisione non facile, ma se la stanno cavando benissimo. Ammetto di aver pianto, quando la bambina mi ha chiesto se poteva chiamarmi ‘nonna’. Sono felice che abbiano deciso di prenderla in affido. Ha bisogno dell’affetto che una madre e un padre possono darle e, sebbene un papà biologico lo abbia, è evidente che nonostante ciò la prima figura che ha considerato come tale sia stato Marco. Tuttora è così, ogni giorno di più.
Alla fine della visita, ci ritroviamo tutti in salotto.
Nino si è seduto su una poltrona, dicendo di essere esausto - nemmeno avesse corso la maratona! - con Ines che continua a ripetere quanto sia bella questa casa.
L’agente immobiliare ci ha dato qualche minuto per discuterne, lasciandoci soli.
Io mi volto verso la coppia, in attesa di sapere cos’hanno deciso.
“Allora?”
 
Marco’s pov
 
Questa casa è perfetta per noi.
Non avrei mai immaginato che i biscottini avrebbero potuto azzeccare la nostra casa dei sogni.
Dei sogni, appunto, perché tale resterà. È vero che abbiamo bisogno di un appartamento più grande, ma i soldi - nonostante entrambi svolgiamo una professione che ci permette una vita più che dignitosa - non crescono sugli alberi. E una villetta così, in questa zona di Spoleto, di sicuro non costa poco.
“È bellissima mamma, ma... non credo possiamo permettercela, al momento,” risponde Anna che, come me, ha pensato all’aspetto economico della faccenda.
Elisa, però, solleva una mano rivolgendosi a me.
“Tu, Marco, cosa ne pensi?”
“Condivido quello che ha appena detto Anna... è splendida, ma temo costi un po’ troppo.”
“Non faccia il genovese tirchio, Lei,” esclama Cecchini dalla poltrona, con Ines accomodata in braccio.
“Non è questo, maresciallo, davvero. Ci sono spese, e spese da sostenere. Non siamo più soltanto noi due, dobbiamo pensare per quattro...” replico, cercando di essere ragionevole.
Ma Cecchini sorride.
“Per vostra fortuna, questa casa non vi costerà nulla.”
Io e Anna ci scambiamo uno sguardo perplesso, prima di tornare a lui e mia suocera, che prende la parola.
“Se pensate che questa sia la casa giusta per voi, allora è vostra. Sarà il regalo per il vostro matrimonio.”
Noi restiamo senza parole mentre lei continua a spiegare.
“Non avete voluto niente per queste ‘nuove’ nozze, da parte di nessuno degli invitati. Avete chiesto a tutti di essere presenti e basta, per il vostro giorno, ma nessuno ha accettato di partecipare a mani vuote. E, visto che hanno chiesto a noi, abbiamo avuto l’idea di fare una... piccola raccolta, racimolando una parte della somma. Il resto, lo metteremo noi due. Dopotutto, come quella volta in cui pensavo che tu e Giovanni vi doveste sposare, ti avevo detto che avrei rinunciato a quel viaggio che volevo fare... ecco, è arrivato il momento.”
“Esatto,” continua il maresciallo, “E io ho già trovato un nuovo acquirente per l’appartamento in cui abitate voi per ora, quindi è già tutto sistemato.”
Elisa si avvicina ad Anna, prendendole le mani, mentre lei è ancora incredula.
“Noi abbiamo avuto molti scontri, negli anni, sul fatto che tu volessi fare carriera e rinunciare al resto. Eppure eccoci qui, a cercare la casa giusta per te e la famiglia che hai saputo crearti senza dover rinunciare a nulla. Tra una settimana, sposerai un uomo che non è perfetto, ma che ti ha amata fin dal primo istante, quell’uomo che quel giorno, in piazza, ha avuto il coraggio di dirmi di amare mia figlia perché era diventata una donna meravigliosa, e io non me n’ero accorta. Già allora sapevo che oggi sarebbe arrivato, che mi sarei trovata qui con voi a dirvi quanto io sia felice per ciò che avete saputo costruire insieme. E donarvi questo nido d’amore, anche se vi sembra troppo, in realtà è nulla rispetto alla gioia che spero porti con sé. Che è la stessa che noi, ed Eugenio, proviamo nel vedervi insieme, così innamorati.”
La mia fidanzata sta ormai piangendo da un po’, e non esita a ricambiare l’abbraccio caloroso di sua madre.
Cecchini, che tiene Ines per mano, mi si avvicina dandomi una pacca sulla spalla, mentre Lottie dorme beata tra le mie braccia.
“Grazie...” riesco solo a dire dopo qualche istante. So che capiranno lo stesso, nonostante la mancanza di parole.
Mentre il maresciallo e mia suocera raggiungono l’agente immobiliare per concludere l’affare, io, Anna e le bambine rimaniamo da soli nel salotto della nostra nuova casa.
Anna ha preso in braccio Ines, guardandosi attorno stupita prima di voltarsi verso di me, gli occhi ancora lucidi e un sorriso enorme sulle labbra.
Abbiamo trovato il nostro posto nel mondo.
 
Anna’s pov
 
Sono passate le cinque del pomeriggio quando rientriamo dalla visita alla villetta.
Fatico ancora a crederci, che le nostre famiglie e i nostri amici abbiano fatto a me e Marco un regalo del genere.
Non volevamo nulla, perché convinti di avere già tutto ciò di cui avevamo bisogno. Eppure, dopo esserci sempre dedicati agli altri, loro hanno deciso di ricambiare, facendo perfino più del dovuto.
Stiamo riaccompagnando Ines in canonica, dove lasceremo anche Lottie mentre saremo al corso prematrimoniale.
Natalina si è gentilmente offerta di occuparsene, visto che mia madre aveva un altro impegno.
La sto giusto ringraziando, mentre lei è intenta a preparare il caffè.
“Oh, non c’è bisogno, non c’è bisogno... almeno così me la posso spupazzare un poco, ‘st’angioletto,” esclama, mentre Marco chiacchiera con Pippo.
Il sagrestano e la perpetua sono un po’ matti, ma sono sempre stati molto disponibili e carini anche con noi. Battibeccano sempre, ma in fondo si vogliono bene.
Ecco, si stanno beccando anche adesso, perché Natalina afferma che Pippo spaventa Lottie con le sue presunte facce buffe.
A interromperli arrivano Sofia e Jordi, che ci ringraziano per l’invito al matrimonio. Era il minimo che potessimo fare, ormai canonica e caserma sono una grande famiglia.
“Dotto’, forse è meglio che ‘ndate al corso pe’ ‘l matrimonio, so’ quasi le 18, so’,” ci informa il sagrestano a un certo punto, dopo un’occhiata all’orologio appeso alla parete.
“Ma lo state rifacendo?” ci chiede Sofia, dubbiosa. “Lo avevate già seguito... cos’è, siete stati bocciati, la prima volta?” ironizza, facendoci ridere.
Marco, come suo solito, deve avere sempre l’ultima battuta.
“Al corso prematrimoniale no, ma ricordo bene la telefonata della mia catechista, che diceva che mi avevano bocciato e non potevo fare la cresima coi miei amici... Mi è toccato il corso di recupero, ma alla fine son riuscito a rimettermi al passo giusto in tempo...”
Io non posso non ridere, sebbene conosca questa storiella a memoria. Gli altri stanno ridendo come dei matti tenendosi lo stomaco, con estrema soddisfazione del mio fidanzato.
Tipico Marco!
Raggiungiamo Don Matteo in chiesa. Lui ci attendeva già all’ingresso, le altre coppie non sono ancora arrivate, così dopo un sorriso ci chiede se la sorpresa di mia madre e del maresciallo ci sia piaciuta.
Avrei dovuto immaginarlo, che lui lo sapesse!
Lui sa sempre tutto.
Sebbene, come ha sottolineato Sofia, sia la seconda volta che seguiamo il corso, ascoltare il parroco parlare è sempre piacevole.
Ma davvero, Anna?
Dai, Vocina, non esageriamo!
Ormai non è così strano, sentirmi parlar bene di lui. Certo, potrebbe ficcare meno il naso nelle indagini, ma a parte ciò, non ho più il timore che voglia plagiare il mio fidanzato per farlo diventare prete.
Anche perché... Marco, prete e santo mi pare estremamente difficile, possa diventarlo.
Hahaha! Buona questa!
Terminato l’incontro, restiamo a parlare con Don Matteo per qualche minuto.
“Pronti, per domenica?” ci chiede, una volta soli.
“Onestamente? Non vediamo l’ora,” risponde Marco, euforico.
“Già... sa, Don Matteo, forse quel passo falso, l’anno scorso, era necessario sul nostro percorso, visto a cosa ci ha portati,” aggiungo io, accennando un sorriso.
Lui annuisce.
“Hai ragione, ogni cosa succede per un motivo. È stata una prova, come le altre che avete dovuto affrontare da quando vi conoscete. E siete riusciti a superarla... insieme. In fondo, dovevate soltanto trovare la strada giusta.”
Sorrido alle sue parole: ricordo ancora il suo discorso, nel furgone in cui ci hanno chiusi quella volta, quando ero convinta che sarei morta. Mi aveva insegnato che ognuno deve cercare la propria strada, e che per poter perdonare gli altri per gli errori commessi, bisogna prima perdonare se stessi. E questo ho fatto, nel corso della mia storia con Marco. Solo così ce l’abbiamo fatta... e la prossima meta di quel percorso è l’altare, di fronte al quale ci troviamo adesso.
“Anche se ci incontreremo di certo nei prossimi giorni, vi do comunque appuntamento qui, domenica prossima!” afferma lui, salutandoci.
Torniamo in canonica a prendere Lottie e, dopo aver salutato Ines (non vedo l’ora di averla sempre a casa con noi), rientriamo al nostro appartamento.
 
Marco’spov
 
Ogni mattina, alzarsi sembra un’impresa.
Le notti insonni si fanno sentire, eccome. Però, ogni volta che il pianto della mia Carlotta mi sveglia, non posso fare a meno di pensare a quanto io sia fortunato.
Dopo anni, ho trovato la pace e la serenità che, crescendo, a me sono mancate per molte ragioni diverse, tanto che avevo una paura terribile anche all’idea di crearmi una famiglia.
Ero convinto che sarebbe stato impossibile, per me. Che non sarei stato capace, che non fossi tagliato a fare il marito e soprattutto il padre. Avevo il terrore di diventare come mio padre - non necessariamente tradendo, ma trascurando chi avrei dovuto porre al centro della mia vita. Oltre alla convinzione che non sarei stato in grado di affrontare un’altra storia con nessuna donna, perché non avrei potuto più fidarmi, col rischio di essere buttato da parte perché non ero l’ideale.
Eppure eccomi qui, a pochi giorni dal matrimonio con la donna della mia vita, e papà di una creatura d’amore, che tengo in braccio con estrema cura e attenzione, quasi fosse fatta di cristallo e potessi farle male stringendo di più, anche se so che non è così. Uno scricciolo che mi scalda il cuore, così come una signorinella peperina che presto accoglierò in casa con Anna e Lottie.
 
Seppur con la cera da zombie - c’è poco da fare, Sara ha ragione a fare battute - sto andando in tribunale a lavorare.
Sono appena sceso dalla moto e sto togliendo il casco, quando noto ai piedi della scalinata che porta all’ingresso dell’edificio una figura familiare: Giovanni.
Mi avvicino mentre lui è intento a parlare al telefono, e riesco a cogliere una frase prima che chiuda la chiamata.
“Ah, Lina, per domani sera va bene... Sì, sì, sono riuscito a liberarmi... Perfetto... Allora a dopo, amore.”
Un sorrisetto si fa strada spontaneamente sulle mie labbra.
Lui si volta, accorgendosi di me.
“Marco, ciao!” mi saluta, venendomi incontro. “Quanto tempo!”
È abbastanza ironico, incrociarci proprio adesso. Non ci vediamo da quasi un anno, credo, il che è strano perché sono sicuro che lui sarà venuto più volte qui a Spoleto, ma evidentemente i nostri impegni non coincidevano.
Nel corso degli anni il rapporto tra noi è cambiato, e anche per via del lavoro abbiamo sotterrato l’ascia di guerra. Abbiamo perfino scoperto di avere molte cose in comune. Certo, definirci ‘amici’ è troppo, ma buoni colleghi sì, e la cosa mi fa piacere.
Ricambio il suo saluto.
“Non volevo origliare, ma... ho sentito bene? Hai detto ‘Lina’ e ‘amore’ nella stessa frase?” chiedo, curioso, con una chiara allusione alla sua telefonata.
Giovanni fa un sorriso imbarazzato.
“Sì, ecco... ci siamo ritrovati qualche mese fa, e... insomma, credo che Anna, all’epoca, non avesse torto,” ammette. “Ah, a proposito di Anna... alla fine, i suoi dubbi sulla gravidanza erano fondati, o...?”
Io gli rivolgo uno sguardo stupito.
“Come fai a saperlo?”
“In realtà è stata una coincidenza,” spiega lui, intuendo la mia incertezza. “ci siamo incontrati quasi un anno fa, ormai, e diciamo che la conosco abbastanza da aver notato la sua inquietudine, e un comportamento piuttosto strano... Senza contare che... lo sai com’è fatta lei, no? Ha cercato di nasconderlo, ma era evidente il sospetto lo avesse.”
Rido alla sua scelta dei termini, e lui fa lo stesso. Proprio quella frase era stata rivelatrice, riguardo al nostro rapporto. Ma ormai è acqua passata.
“Beh, quel sospetto adesso ha tre mesi,” confermo con un sorriso, “e una vocina squillante., soprattutto alle quattro di mattina. Si chiama Carlotta.”
Giovanni spalanca gli occhi.
“Ma che bello! Sono contento per voi, veramente...” si congratula in tono sincero.
“Grazie. Non è l’unica novità, a dire il vero...” gli spiego, raccontandogli brevemente anche di Ines, che lui stesso ha avuto modo di conoscere passando dalla canonica, e delle nozze imminenti.
“Era ora!” ride lui, “Non capisco perché abbiate aspettato tanto, per sposarvi, davvero. Sono stupito.”
Io corrugo le sopracciglia.
“In che senso?”
“Beh, credo sia normale... Cioè, chiunque abbia avuto modo di conoscervi e interagire con voi, ha capito che sareste finiti insieme. Era evidente fin dai tempi in cui ci contendevamo il cuore di Anna, se così si può dire, perché in realtà non c’è mai stata partita. Quella sera al bar, anche se teoricamente frequentavi Chiara, non so se te ne sei reso conto ma non hai fatto altro che rimproverarmi per aver scelto il seminario, senza soffermarmi a guardare chi avessi accanto. E avevi ragione, me l’ero fatta scappare... per citare il maresciallo, il mio ‘biglietto’ era scaduto da un pezzo, perché Anna si era innamorata di te, e tu di lei. Lo sapevo, ma non volevo ammetterlo. È stata dura, accettare il suo rifiuto, ma ho capito che non avrebbe potuto essere altrimenti. Per questo ero convinto che vi sareste sposati subito, ecco. Non mi avrebbe stupito, trovarvi marito e moglie dopo appena un anno.”
Sorrido al suo racconto. In effetti è ciò che ci hanno sempre detto tutti, da anni. Solo che noi, all’epoca, non volevamo rendercene conto e, per la paura di ferire gli altri e ferirci a vicenda, stavamo sacrificando la nostra felicità per le persone a cui volevamo più bene.
Forse è anche per questo che adesso tutti ci stanno donando a loro volta questo affetto incondizionato, e hanno insistito per partecipare all’acquisto della nostra casa.
Giovanni mi riporta alla realtà facendomi notare che si sta facendo tardi.
“E devo anche incontrare il Procuratore Santonastasi, per conoscerlo,” afferma lui, accigliato.
“Ti accompagno,” propongo. “Devo andare anch’io a parlare con la Procuratrice.”
Lui mi rivolge uno sguardo stupito.
Dopo qualche passo, ridacchio, mentre mi torna in mente un aneddoto.
“Hai fatto la stessa faccia che ho fatto io, quando ho scoperto che il mio nuovo capo era una donna,” gli spiego, e lui ricambia con un’altra risata.
“Probabilmente anche il maresciallo Cecchini avrà fatto lo stesso, quando ha incontrato Anna per la prima volta.” commenta.
“Onestamente? Da quello che mi risulta... ha fatto peggio.”
 
Anna’s pov
 
Queste giornate che anticipano la primavera sono una manna dal cielo.
Non sono abituata a stare tutto il giorno in casa, e il clima mite di metà marzo mi permette di uscire più spesso con Carlotta, adesso.
Visto che Marco oggi è impegnato tutto il giorno al tribunale, sono andata a prendere Ines a scuola e mi sono concessa un pranzo con le mie bimbe e il mio cagnolone.
Adesso siamo al parco, e mentre Ines è impegnata a giocare con alcuni suoi amichetti che ha incontrato poco fa, io mi sono seduta su una panchina poco distante, con Patatino accoccolato ai piedi della carrozzina in cui Lottie dorme beata.
Sicura che Ines sia ben sorvegliata da mamme e tate varie, mi godo qualche attimo di pace, le urla dei bimbi che giocano l’unico suono che si sente, unito al canto degli uccellini.
D’un tratto, Patatino si alza di scatto, iniziando ad abbaiare.
“Shhh, Patatino... buono,” cerco di calmarlo, prima che svegli la piccola.
Come non detto.
Lei si mette a piagnucolare e, nonostante i miei tentativi di tranquillizzarla, sono obbligata a prenderla in braccio ridandole poi il ciuccio che aveva buttato quando aveva iniziato a piangere, attaccandolo al bavaglino.
Il cane si quieta, ma mantiene lo sguardo fisso sul fondo del vialetto.
Solo in quel momento noto una figura esile e dai corti capelli biondi avvicinarsi, trascinata nella nostra direzione da un cagnolino di piccola taglia che tiene al guinzaglio. Sembra che sia lui a portare la padrona e non il contrario.
Quando la donna è ormai a pochi metri di distanza, i miei sospetti su chi fosse vengono confermati: Federica, la ex di Marco.
L’ho vista giusto un paio di volte e sono passati anni, ma non è cambiata di una virgola: ha sempre quell’aria di superiorità che anche allora mi aveva colpita, e non mi rivolge nemmeno uno sguardo, dedicandosi immediatamente al mio cane.
“Ciao, Patatino! Mi spiace constatare che tu ti sia dimenticato in fretta della tua prima padrona...” asserisce.
L’animale inclina il capo, prima di voltarsi verso di me e fare uno strano verso, quasi a dirmi, “E ora che vuole, questa?”, poi torna accanto a me e Lottie, guardingo.
Mi verrebbe quasi da ridere alla sua reazione, se non fosse per la tensione nell’aria.
Federica sposta lo sguardo da Patatino a Carlotta, adesso tranquilla tra le mie braccia.
“Però... ne abbiamo fatta di strada, dall’ultima volta che ci siamo viste,” esclama, dimostrando che anche lei mi ha riconosciuta benissimo.
Noto i suoi occhi velarsi per un attimo di malinconia nell’osservare la bambina: non c’è bisogno di dirle che sia figlia di Marco, l’ha già capito da sola.
Ma dura tutto pochi istanti, poi i suoi occhi si stringono in un’espressione dura.
“Beh, se non altro, alla fine la cameretta che avevo realizzato nella villetta vi tornerà utile,” continua con una risata sprezzante.
Io le rivolgo uno sguardo obliquo.
“Non viviamo lì,” obbietto, “non era il posto giusto per noi, quello. Anche perché, visto che siamo in argomento, è da folli organizzare il proprio futuro nei minimi dettagli per poi mandarlo all’aria da soli.”
Lei sembra colpita, forse non si aspettava la mia risposta, ma la sua replica mi lascia interdetta, e non poco.
“In fondo, ti invidio, sai?” ammette semplicemente, dopo qualche istante passato a fissarmi, “Perché tu hai tutto quello che io avevo desiderato quattro anni fa, da poter condividere con un uomo che ho lasciato perché non lo amavo. Mi sembra stupido nasconderlo, ormai. Forse ho sbagliato nei modi e nei tempi, e rovinargli ancora di più la vita perché non si era presentato in chiesa non è stata una grande mossa, questo sì, ma io e Marco non avremmo mai potuto percorrere la stessa strada.”
Si avvicina ancora di un passo, tentando di allungare la mano verso Carlotta, di nuovo sonnecchiante e appoggiata contro il mio petto, il pugnetto stretto intorno al colletto della mia giacca. Patatino però inizia inaspettatamente a ringhiare.
Lei la tira indietro, sorpresa. Poi riprende a parlare.
“Non invidio la tua vita con lui, no. Invidio il tuo essere madre. Perché avrei tanto voluto due bambini - un maschio e una femmina - e invece non sono arrivati. Nonostante le cure, i tentativi... niente. Non ho avuto figli e forse non ne avrò mai, a questo punto. Magari è colpa del karma, chi lo sa, per quello che ho fatto a Marco. Non lo amavo, ma non si meritava il male che gli ho inferto, anche se adesso è troppo tardi anche solo per dirglielo.”
Io l’ho ascoltata senza dire nulla, perché sinceramente non saprei cosa ribattere.
La donna che ho davanti ha contribuito in maniera determinante a distruggere le poche certezze che ancora resistevano per il mio futuro marito, quelle certezze che lui aveva impiegato anni a ricostruire, dopo i traumi dell’infanzia. Ma lei lo aveva tradito, e per Marco era stato come rivivere la storia dei suoi genitori da capo.
Non posso provare compassione per Federica, nonostante lei mi abbia appena confessato la sua debolezza più grande.
Non le auguro il male, non potrei mai, anche perché ci sono molti altri modi per essere madre e non solo mettere al mondo un bambino, come ho già detto a Sara, ma non posso essere triste per una persona che ha fatto a Marco solo del male, per di più con il suo migliore amico.
Un doppio tradimento che non può essere perdonato.
Come si suol dire, parli del diavolo, e spuntano le corna.
Un fuoristrada si ferma fuori dall’ingresso del parco, suonando il clacson per attirare l’attenzione di Federica.
Quando abbassa il finestrino, non mi sorprende vedere Simone Castagnati seduto al posto del guidatore.
Anche a distanza, i suoi occhi spalancati indicano che mi ha riconosciuta.
Io ci presto poca attenzione, perché quel suono improvviso ha svegliato nuovamente Carlotta, che adesso ha iniziato a piangere.
Patatino scatta in piedi, abbaiando in direzione dell’auto.
Sembra quasi voglia difenderci, e Marco aveva ragione: lui è rimasto fedele al suo padrone.
Federica torna per un attimo a guardarmi.
“Ti direi di non ferirlo come ho fatto io, ma mi sembra evidente sia superfluo farlo. Gli hai dato più di quanto non abbia mai fatto io,” afferma alludendo a nostra figlia e, probabilmente, anche all’anello di fidanzamento che porto all’anulare sinistro.
Fa un ultimo cenno, poi mi volta le spalle, andando via senza aggiungere altro.
 
Dopo l’episodio di pomeriggio, ho deciso di accontentare Ines, che mi ha pregato di poter restare a dormire da noi come fa sempre più spesso. Tanto che ormai una parte dei suoi vestiti sono sistemati in un angolo del mio armadio.
Così, di ritorno dal parco, siamo passate dalla canonica per informare Natalina e Don Matteo del cambio di piani, per poi tornare a casa.
Adesso, Lottie ha appena finito la sua poppata e dorme nella sua culletta, mentre Ines sta facendo i compiti in salotto.
Sono le 18 quando Marco, finalmente, rientra.
Saluta ‘le sue donne’, come ha iniziato a chiamarci, dicendomi che penserà lui a preparare la cena, dopo la doccia.
La mia protesta serve a poco.
Resto quindi seduta sullo sgabello in cucina, ad osservare come la casa, dal vuoto di quelle settimane, in questo stesso periodo dello scorso anno, si sia riempita così tanto in poco tempo.
Sorrido, ripensando a quando Cecchini in caserma disse a Marco di non commettere il suo stesso errore di fare solo figlie femmine.
Per uno strano scherzo del destino, in casa adesso si ritrova circondato da donne.
“Ehi, cos’è quel sorrisetto?” chiede curioso il mio fidanzato, riemerso dal bagno dopo una meritata doccia rigenerante.
“Stavo pensando a quanto sia fortunata,” ammetto.
Lui fa uno sguardo furbo.
“Ad avere me come futuro marito?” chiede, impedendomi poi di ribattere baciandomi all’improvviso.
Abbandono l’intenzione di replica senza pensarci due volte, passandogli le braccia intorno al collo per averlo più vicino.
Lui si allontana un po’ troppo presto per i miei gusti.
“Se vogliamo cenare, stasera, devo pur riuscire a preparare,” mi spiega ragionevolmente, dopo il mio verso di dissenso.
Annuisco, restando ad osservarlo mentre lui si destreggia tra i fornelli.
 
Quando capisco cosa sta cucinando, mi viene da ridere: è la prima cena in assoluto che abbiamo condiviso, risotto e gamberi.
Ironia della sorte proprio questo piatto, oggi che hai incontrato la sua ex. Proprio questo, che stava preparando quando ti ha detto perché non si era sposato.
“Ah, sai, stamattina in tribunale ho incontrato Giovanni,” mi dice lui all’improvviso, ricordandosi. “Ti saluta.”
Okay, non è più ironico... è inquietante.
“Anch’io pomeriggio ho incontrato... Federica, al parco,” ammetto, incerta, raccontandogli della reazione di Patatino.
Marco, a sentirla, scoppia a ridere.
“Si merita una doppia pappa, allora!” asserisce, affrettandosi a portargliela.
Prima di tornare ai fornelli, però, si ferma a sistemare la copertina di Lottie, che dorme nella sua culletta vicino al divano, e accarezza la guancia di Ines, che gli rivolge un sorrisone sdentato (ha perso un altro dentino qualche giorno fa) prima di tornare con l’attenzione alla tv.
Sorrido ai gesti di Marco: gli viene proprio spontaneo, fare il papà.
Lui riprende il suo posto in cucina, iniziando a raccontarmi del suo incontro con Giovanni, e io faccio lo stesso col mio con Federica.
Nel mentre, Ines ha spento la tv, sbuffando perché non ha trovato niente che le interessasse. Dopo aver gironzolato per la stanza, torna a sedersi sul divano con un album di foto in mano, chiedendomi se può sfogliarlo.
Al mio assenso, inizia a girare le pagine chiedendomi di tanto in tanto spiegazioni, per cui decido di raggiungerla, sedendomi accanto a lei mentre Marco continua a cucinare, pur seguendo il nostro discorso.
Dall’album, a un certo punto, cadono due foto, probabilmente incollate male.
Ines si affretta a raccoglierle, scrutandole poi con cipiglio confuso.
“Dov’eravate, qua?” mi domanda.
Le osservo: sono due selfie.
“Non mi ricordavo nemmeno di averle stampate, queste,” commento, accigliata. Ci siamo solo io e Marco, ritratti. “Non eravamo nemmeno fidanzati, qui.”
“No?” chiede la bimba, interessata.
“Mh-mh,” confermo. “In quella che hai in mano tu adesso, eravamo ad Acquasparta... te la ricordi?” chiedo a Marco con una risatina.
Lui mi risponde con un sorrisetto.
“Eccome se me la ricordo, quella gita!” afferma. “Era domenica, è stata una delle prime uscite che abbiamo fatto insieme, al solo scopo di migliorare il nostro rapporto lavorativo. Il che, ovviamente, era una scusa bella e buona, perché io volevo uscire con te e basta, altro che lavoro!” esclama, facendomi ridere. “Anche se... il venditore di rose doveva essere un indovino, sai? Mi chiese se volevo comprarne una per la mia fidanzata...”
“Non che il violinista al bar scherzasse,” aggiungo, divertita, “si è messo a suonarci una canzone d’amore!”
Ines ci osserva curiosa.
“E quest’altra?” domanda, riferendosi alla seconda foto che tengo in mano io.
“Ah, questa non è un selfie, avevo visto male. Ce l’ha scattata Chiara, eravamo all’interno di un labirinto,” le spiego, sorridendo al suo sguardo incantato. “Vuoi conoscere la leggenda del principe e le due principesse?”
“Sì, sì, sì!” esclama Ines, avvicinandosi di più a me e mettendosi ad ascoltare più attentamente.
“Marco, ma tu ti sei sentito come quel principe, a visitare il castello? Visto che c’era Anna, con te? È la tua principessa,” gli chiede lei, voltandosi a guardarlo, curiosa.
Io però lo precedo nel rispondere.
“Beh, in quel momento non ero io, la ‘sua principessa’, ma Chiara.”
Ines mi osserva con tanto d’occhi.
“Non ci credo! Forse si era solo confuso, ma era innamorato di te. Si vede da come ti guarda nella foto,” afferma, seria.
Marco scoppia a ridere dalla cucina.
“L’ho sempre detto, che tu sei troppo furba per me!” esclama, prima di correre da lei e iniziare a farle il solletico, con lei che si dimena, in preda alle risa, chiedendogli di smettere.
Rido con loro.
Non vedo l’ora che queste serate diventino quotidianità.
 
È un bellissimo mercoledì primaverile, sebbene la stagione non sia ancora ufficialmente iniziata.
Mi sto preparando, con Carlotta e Ines, per passare la giornata fuori con zia Chiara e Sara.
Né io né Marco volevamo un vero addio al nubilato e celibato, per più di un motivo, ma in famiglia si sono messi tutti d’accordo perché almeno uno dei giorni antecedenti al matrimonio lo passassimo con i nostri amici.
Così alla fine abbiamo optato per oggi, e mentre io andrò a fare shopping e poi a cena fuori (si capisce, che ha organizzato tutto mia sorella nei minimi dettagli?), Marco passerà la serata con gli amici della caserma e Pippo a vedere la partita della nazionale alla saletta del pub.
Sono le 14 quando Chiara e Sara si presentano alla mia porta.
Ines è su di giri, non vede l’ora di poter portare a casa il suo vestitino per il nostro matrimonio.
Passa troppo tempo con tua sorella. Ci manca solo che Chiara abbia intenzione di trasformare anche lei in una fashionista, e siamo a posto.
Carlotta dorme, ma Chiara afferma che si sta solo riposando in vista della grande giornata con le zie.
Inutile dire che mia sorella, ovviamente, ha preteso che girassimo quasi tutti i negozi del centro perché aveva bisogno di fare compere a prescindere, per recuperare tutto ciò che le serve per il matrimonio - compresi gli accessori per il suo nuovo vestito. Sì, teoricamente avrebbe potuto indossare quello che aveva acquistato l’anno scorso, ma si è rifiutata categoricamente di farlo perché nel frattempo lo ha usato per un’altra ricorrenza.
Deve fare solo l’ultima prova, come Sara e Ines. Io, invece, il mio abito ce l’ho già, ed è proprio quello che avevo scelto prima, devo solo passare in atelier per riprovarlo, più tardi, quando ci raggiungeranno anche mia madre e Assuntina.
L’ho portato a sistemare, perché è rimasto chiuso nell’armadio per un anno, e qualche perlina si era staccata. Adesso però è di nuovo a posto, e sono tutte in fermento perché lo indossi di nuovo.
Sono incredibilmente tornata al mio peso precedente la gravidanza, quindi per fortuna non sono state necessarie grandi modifiche.
L’abitino per Lottie, invece, lo stiamo acquistando adesso, non potendolo prendere in anticipo per ovvi motivi. Mia sorella li aveva bocciati tutti, tranne quello che le ho proposto io dopo un po’. Me la segno sul calendario, decisamente.
Adesso mi sto dedicando alla mia piccolina, mentre Ines esce dal camerino con addosso il suo vestitino giallo. È adorabile, sembra una bambolina.
Chiara caccia un urlo soddisfatto, al che Carlotta riprende a piangere dopo l’inutile tentativo di mia sorella di tapparsi la bocca in tempo. Per fortuna mia figlia si calma in fretta, e Ines ci raggiunge sul divanetto in attesa che anche Chiara e Sara facciano la loro uscita con gli abiti che stanno provando.
A un certo punto, sento ridacchiare mia sorella.
“Ehi, Anna, ti ricordi che questo è lo stesso negozio in cui siamo venute per prendere il mio vestito per la laurea?”
“Sì, certo che mi ricordo.”
“E anche il discorso che ti ho fatto, su quanto io stessi bene con Marco, quanto fosse diverso con lui, e quanto volessi diventare più simile a te?”
Sara fa capolino dalla tenda del suo camerino, un’espressione sbigottita sul viso.
“Ho capito bene? Marco stava con te?” chiede a Chiara, che risponde affermativamente.
“Già! Assurdo, vero?”
“Io l’ho detto ieri sera,” interviene Ines, tranquillissima, “stava con te ma era innamorato di Anna... si vedeva da quelle foto che abbiamo visto!”
Chiara si affaccia, con uno sguardo perplesso alla bambina.
“Grazie per la grande considerazione che hai di me, Ines!”
Allo “scusa” della piccola, scoppiamo tutte a ridere.
“No, dai, scherzavo,” continua mia sorella, “hai ragione, sai? Era davvero chiaro a tutti, cosa ci fosse tra Anna e Marco, tranne a loro due, e quando mi sono messa in mezzo ho solo peggiorato le cose. Abbiamo finito per mentirci a vicenda, pur di non ferirci, ma davvero... non sarebbe mai durata, tra me e Marco. Il panda si sarebbe stancato presto della geisha... altro che soddisfare i suoi desideri: in cucina sono un disastro, di fuorigioco e calcio continuo a non capirci niente e odio auto e moto da corsa. E soprattutto, non mi chiamo Anna.”
Ridacchio, mentre lei e Sara emergono dal camerino.
“Belleeee!” esclama Ines, e ha proprio ragione. Sono bellissime entrambe.
Finalmente anche loro sono a posto, per l’abbigliamento.
Mentre ci incamminiamo verso l’atelier, con Lottie che fa versetti felici nella carrozzina, Sara si informa sul nostro passato triangolo amoroso.
A parlarne adesso viene normale riderci su, ma all’epoca ci stavo molto più male di quanto non riuscissi ad ammettere.
“Comunque sei stata un’ottima attrice,” commenta mia sorella, “perché inizialmente non mi ero accorta della tua gelosia.”
Le rivolgo uno sguardo sconcertato.
“Dai, è impossibile! Cioè, ti ricordi quando siamo state a casa di Marco per via dei tarli-”
“-I miei poveri maglioni di cashmere umbro, che rischio hanno corso!” mi interrompe lei, lamentandosi.
“...sì, a parte i tuoi maglioni di cashmere... Non è possibile, che quella notte in cui sei scesa da Marco, in cucina, hai creduto alla scenetta con cui vi ho interrotti, dicendo che il maresciallo non respirava!”
Mia sorella si ferma di botto.
“Cioè, tu hai messo su quel teatrino per impedirmi di baciarlo?” mi chiede, sconcertata. “Beh, in effetti avrei dovuto sospettarlo, col senno di poi. Ma sul momento me la sono bevuta eccome, ipocondriaco com’è lui...”
Sara scoppia a ridere.
“Ti sei lasciata fregare perfino tu!”
Mentre camminiamo, di punto in bianco mia sorella si blocca davanti a un negozio di biancheria intima, richiamando me e Sara con lei davanti alla vetrina.
“Che c’è, ancora? Se non ci sbrighiamo, arriveremo in ritardo alla mia prova dell’abito.”
“Sì, sì, certo, ma questa cosa mi era sfuggita. Non puoi non comprare la biancheria intima per la prima notte di nozze, certi dettagli non vanno trascurati!”
Io mi sento avvampare, certa di essere arrossita a livelli inimmaginabili perché, ovviamente, mia sorella non ha certo parlato a voce bassa.
Sara non ha perso tempo a tappare le orecchie di Ines, che ci osserva confusa, la testolina tra le mani della mia amica.
Alla fine l’ha spuntata Chiara, obbligandomi a comprare la mise secondo lei fondamentale per il matrimonio.
Penso che il rossore abbia preso residenza stabile sulle mie guance, ancora peggio quando mia sorella ci tiene a raccontarmi un aneddoto passato.
“Sono venuta qui, in vista dell’Umbria Jazz Festival di quella sera, quando ci sono andata con Marco. Purtroppo inutilmente... peccato, era bello quel completino,” aggiunge, con un’occhiata divertita a me. Si becca una gomitata, ovviamente.
“Ehi! È del mio futuro marito, che stiamo parlando!” la rimbecco scherzosamente.
“Beh, i risultati mi sembrano evidenti, no?” mi fa notare, alludendo a Carlotta.
“In effetti...” mormoro, al che lei scoppia a ridere, abbracciandomi.
 
Finalmente arriviamo in atelier, mia madre ci attendeva già qui con Assuntina da qualche minuto.
Porgo Lottie a mamma, lasciando tutte ad aspettare mentre Chiara mi accompagna per aiutarmi a indossare l’abito.
Sta tirando su la zip, davanti a uno specchio, come il giorno in cui era lei ad osservare il suo look per la laurea e io che l’aiutavo, solo a ruoli invertiti.
Noto che mia sorella ha gli occhi lucidi, così mi volto per abbracciarla.
Quando mi scosto, faccio per uscire dalla stanza ma lei mi blocca.
“Aspetta un attimo,” mi dice. Io mi fermo per ascoltarla.
“Di sicuro oggi non è stato l’addio al nubilato che avrei voluto organizzarti, perché per ovvie ragioni tutto è stato più contenuto,” spiega, ridacchiando alla mia espressione, imbarazzata al solo pensiero. “Sarò ripetitiva, forse, ma dicevo davvero quella volta, quando ti ho detto che avrei voluto essere come te. Tu hai tutto: un lavoro che adori, un uomo e una famiglia che ti rendono felice. Mentre io sono la solita casinista, che pensa solo a divertirsi e fare shopping, e la relazione più lunga che ho avuto è stata proprio con l’uomo che tu stai per sposare. Per il resto, ho conosciuto solo caproni, e mamma probabilmente ha ragione a pensare che non cambierà mai niente. Ma sono fortunata, perché ho una sorella come te, che ci sei sempre stata quando ho avuto bisogno, e che stavi perfino sacrificando la tua felicità per me, rinunciando a tutto quello che hai adesso. E sinceramente, ho aspettato il momento che sta per arrivare dal giorno in cui mi sono fatta da parte. Non c’è nessuno più di te che si merita questo amore da fiaba.”
Dire che sono commossa è poco.
“E io ti ho sempre detto che tu sei molto di più di quello che credi, e non sarei qui senza di te. Sono convinta che anche per te arriverà il momento in cui si realizzerà la fiaba da principessa che sognavi quando io volevo essere Zorro... ma non devi mai pensare di cambiare, perché non saresti tu, senza i tuoi pregi e i tuoi difetti. A Lottie, e non solo, zia Chiara piace proprio perché è fatta così.”
Asciugate le lacrime, raggiungiamo le altre nel salone.
Nel vedermi, mia madre non esita a definirmi una dea, come fece quel giorno in cui ‘giocavo a Barbie sposa’, per citare Marco.
Assuntina, Sara e Ines mi hanno accolta con un “wow” che mi fa arrossire di nuovo, ma la reazione più bella la ricevo da mia figlia.
Mi avvicino per prenderla in braccio.
“Tu che ne dici, Lottie? Ti piace?” le chiedo, e lei mi risponde con un sorriso e un versetto gioioso che mi riempie il cuore.
Dev’essere proprio l’abito giusto, se è piaciuto anche a lei.
Dopo aver lasciato l’atelier, facciamo ancora una passeggiata, in attesa che arrivi l’ora di cena per raggiungere il ristorante.
 
Marco’s pov
 
Alle 20 in punto, Cecchini suona il campanello di casa mia, informandomi che è pronto e possiamo andare.
Dopo una lunga giornata al lavoro, sono rientrato in tempo per portare Patatino a fare la sua passeggiata (al rientro ho perfino incontrato le donne della mia famiglia, organizzate a loro volta per passare il pomeriggio con Anna), per poi prepararmi e andare a vedere la partita al pub con gli amici, il mio ‘addio al celibato’. Il maresciallo è stato categorico su cosa si potesse e non potesse fare, a tal proposito, perché il danno lo stavo già per fare un anno fa e non si doveva assolutamente rischiare.
E io concordo con Cecchini, meglio la partita, sorvegliati.
Arrivati alla saletta, ci sono già tutti: Ghisoni, Barba, Zappavigna e anche Pippo. La partita inizierà intorno alle 20.30, così nell’attesa ordiniamo da bere e qualcosa da mangiare. Stiamo chiacchierando quando Barba rievoca vecchi ricordi. In effetti, non ci avevo pensato: siamo nello stesso posto in cui circa quattro anni fa, ci eravamo ritrovati a vedere un’altra partita della Nazionale, mentre l’allora appuntato era a cena con Anna, Assuntina, Cecchini e sua moglie Caterina.
“È vero! Quando il maresciallo aveva finto di detestare il calcio per ingraziarsi il Capitano, ma si era fatto sgamare in fretta!” rido.
“Ha ragione Lei, non era stata una buona idea fingermi diverso, all’epoca, ma neppure Lei è stato fedele alla sua parola, però,” mi dice lui.
Prendo un sorso di birra, perplesso.
“A cosa si riferisce?”
“Il Marco di quattro anni fa si era rifiutato categoricamente di venire alla cena con la Capitana per andare a giocare a calcetto prima di vedere la partita... Invece ora è un uomo tutto casa e lavoro, e le scarpette da calcetto le ha appese al chiodo! E la Capitana se la sta per sposare.”
Sorrido alle sue parole.
In effetti, non gioco a calcetto da quasi un anno, ormai. Di tanto in tanto avevo fatto qualche partitella con gli amici, anche perché Anna non me lo aveva mai vietato né l’ha fatto dopo... sono stato io a voler smettere, perché nel frattempo molte cose sono cambiate, e adesso ho altre priorità.
“Beh... diciamo che ho capito cosa intendesse qualcuno, quando mi diceva che una volta trovata la persona giusta, avrei preferito passare le serate con lei invece che rincorrere un pallone,” ammetto, ottenendo una risata da parte del maresciallo.
“Sono contento che nel frattempo Lei ha rivalutato le sue priorità, ma io ero convinto fin da subito che vi sareste piaciuti, con la Capitana, anche se lei era esasperante...!” mi rimbecca, alzando le sopracciglia con espressione furba.
Ha una memoria di ferro per le cose sbagliate.
“Non avevo dubbi, che credesse in noi,” gli rispondo comunque, sinceramente grato, “quando non Le ho risposto, quella volta davanti al municipio, quando mi ha chiesto se fossi contento che Anna avesse accettato la proposta di Giovanni, penso di essere stato fin troppo eloquente.”
Lui annuisce.
“Io l’ho sempre detto, il piano G funziona sempre!” esclama a gran voce in modo che lo senta tutta la tavolata, che mormora il suo dissenso in modo non troppo velato. Sì, tutti, almeno una volta, sono stati vittima del piano G di Cecchini.
La partita inizia, e il tifo si accende in fretta.
Mi fermo ad osservare i miei amici divertirsi, sorridendo.
Quando ho accettato il trasferimento a Spoleto, non avrei mai immaginato che avrei potuto trovare degli amici così leali. Eppure è successo, e nonostante gli alti e bassi di questa montagna russa, sono felice di aver vissuto tutto il turbinio di emozioni che mi ha portato fino a qui.
Tra il primo e il secondo tempo, esco a prendere una boccata d’aria con Cecchini.
“Allora, è nervoso per il grande giorno?” mi domanda una volta fuori.
“Non vedo l’ora che arrivi,” replico con un sorriso. “Certo, un po’ di ansia c’è, com’è normale per un evento così importante, ma non vedo l’ora di poter dire che Anna è mia moglie... finalmente.”
Lui mi dà una pacca sulla spalla, ripetendomi quanto sia felice per noi, oltre a esserci grato per ciò che abbiamo fatto per lui negli anni.
Io torno a dirgli che lo abbiamo fatto volentieri, in virtù dell’affetto che si è venuto a creare tra noi, e di ciò che lui per primo ha fatto per noi due.
“E poi, sono contento che sia Lei ad accompagnare Anna all’altare,” aggiungo. “Sono sicuro che anche Carlo, ovunque sia, sarà felice di vedere che sua figlia ha trovato qualcuno su cui contare, e che è riuscito a colmare il vuoto che lui ha lasciato.”
Cecchini alle mie parole si commuove, abbracciandomi.
Una volta tornati dentro, riprendiamo a vedere la partita.
L’Italia vince, ma io sarei stato felice in ogni caso, stasera.
 
Oggi è il mio giorno libero dal lavoro, e meno male. È finalmente arrivato il momento di traslocare le prime cose nella nuova casa.
Mentre sono intento a caricare alcune scatole in auto, ecco che mi si avvicina la signora Serena.
Ahia, vi siete dimenticati di dirle che andate via! Dopo anni passati a infastidirvi, ora che era felice per l’arrivo di Lottie, voi ve ne andate!
Lei sembra particolarmente calma, quest’oggi.
“Allora avevo immaginato bene, avete deciso di trasferirvi in una casa più grande, ora che la famiglia si è allargata. Ho sentito un’altra vocina squillante di tanto in tanto provenire dall’appartamento. La bimba della canonica.”
Io sono sul punto di risponderle per scusarmi se qualche volta l’abbiamo disturbata, ma lei riprende a parlare.
“Avete fatto la scelta giusta, c’è bisogno di più spazio. Mi ricordo ancora quando, con il mio amato marito, avevamo cercato la casa dove ancora abito, per la nostra famiglia.”
La signora inizia un lungo monologo fatto di ricordi, e mi dispiace interromperla. Sarà stata anche una rompiscatole, ma negli anni ci siamo affezionati a lei, e dalle sue parole traspare tanta tristezza e solitudine... forse le sue soap opera a quello servono, a colmare quel vuoto. I suoi figli, in quattro anni, li abbiamo visti venire poche volte, mentre il marito era già scomparso da tempo, quando io ho ottenuto il posto qui.
“Ma Lei ha da fare, mi dispiace se l’ho ammorbata col mio discorso,” dice poi, interrompendosi.
Io però scuoto la testa.
“Ma no, è stato piacevole chiacchierare con Lei... Le dirò, anche a noi dispiace lasciare l’appartamento in cui abbiamo costruito tanti ricordi, ma come ha detto anche Lei, la famiglia si allarga e la casa si fa sempre più piccola. E Le confesso che ci mancherà, signora Serena... ma non lo dica alla signora Lucia, che poi dice che facciamo preferenze!” scherzo.
Lei mi stringe la mano.
“Lo può dire, che sono stata una grande rompiscatole, è la verità!” esclama. “Ma è stato bello ‘occuparmi’ di voi in un certo senso. Siete simpatici, anche voi mi mancherete molto. Sarà strano non sentir piangere la bambina.”
“Non si preoccupi, i nonni abitano ancora qui, quindi torneremo spesso. Anzi, qualche volta dovrà venire a cena da noi.”
Lei annuisce.
“Non vedo l’ora di sentire Carlotta, e Ines che arriva correndo per salutarmi.”
“Adesso la devo salutare,” mi scuso poi, “devo darmi una mossa, gli scatoloni nella casa nuova, non ci arrivano da soli.”
Lei mi lascia andare, salutandomi a sua volta.
 
Quando giungo alla villetta, sembra sia scoppiata una bomba.
Trovo tutti gli amici della caserma, della canonica e la nostra famiglia, che si alternano a portare dentro pacchi, scatole, e mobilio vario.
Elisa, da organizzatrice seriale qual è, controlla che tutto si svolga secondo le sue direttive. Anche i quadri, guai che non siano appesi come dice lei. Il povero Ghisoni è da mezz’ora che posta la stessa tela in giro per il salotto, finendo per doverla piazzare esattamente dov’era all’inizio.
Anna sta sistemando alcune cose in cucina, mentre Lottie dorme tranquilla nel passeggino, ignara della confusione attorno a lei. La culla è ancora al vecchio appartamento, dove resteremo comunque fino alla mattina del matrimonio.
Chiara è seduta sul divano intenta a limarsi le unghie, quando mia suocera va a rimproverarla perché non aiuta. Lei sbuffa, dicendo di essersi appena seduta a riposarsi cinque minuti (la mia fidanzata mi informa, esasperata, che non è vero, perché è accomodata lì da mezz’ora), prima di cedere e alzarsi per andare a sistemare roba in bagno. Io mi aggiro per la casa, portando gli scatoloni nelle varie stanze, e trovo Ines, in quella che sarà la sua cameretta, intenta a dare ordini a Pippo su dove mettere le cose.
“Stai attento con la mia chitarra!” lo avverte in tono minaccioso, “Me l’ha regalata il mio tatuatore quella, non la rompere!”
Io rido, unendomi a loro.
“Attento, Pippo, che la ragazza è tosta,” scherzo, indicando Ines, che corre ad abbracciarmi.
“Lo so, lo so che è gagliarda, ‘sta ragazzina!” esclama, prima che lei torni a rimproverarlo perché si distrae invece di lavorare.
“Me pare Natalina, quanno fa così,” commenta il povero sagrestano, proprio mentre la perpetua entra in casa accompagnata da Don Matteo.
“E men’ male, l’ho istruita bene, ‘sta bella bambina,” gli risponde a tono lei.
Han portato il pranzo per tutti, sapendo che non avremmo avuto il tempo di preparare nulla.
Io e Anna la ringraziamo, ma lei si schernisce, dicendo che non ha fatto niente di che.
Mentre parliamo, arriva un urlo dal bagno. Scappo a vedere cos’è successo, trovando il povero Zappavigna piegato in due che si tiene la schiena, mentre Cecchini lo rimprovera perché aveva rischiato di rompere la lavatrice che stava portando.
“Stai bene, Zappa?” gli chiedo preoccupato, e lui annuisce.
“Sì, sì, solo un po’ di mal di schiena. Non volevo assolutamente rompere nulla...”
“Non fare il ruffiano che non serve!” lo rimbrotta il maresciallo, dandogli un’altra manata.
“Ora però prendetevi una pausa, Natalina e Don Matteo hanno portato il pranzo per tutti!”
 
Anna’s pov
 
Nel pomeriggio, il trasloco continua.
Ma avevamo davvero tutta questa roba, nel vecchio appartamento? Sembra non finire più.
Sono seduta in giardino ad allattare Lottie. Lei ha la precedenza su tutto, per cui mi son dovuta fermare.
Le sfioro una guancia, inspirando il suo profumo di neonata. A volte mi sembra impossibile, che sia davvero qui. Sembra ieri, che avevo paura di fare il test di gravidanza, e invece è già nata, e non potrei essere più felice del suo arrivo.
Ines sta giocando poco distante con Patatino, mentre Marco continua a scaricare roba dall’auto.
Proprio adesso sta rientrando in casa con uno scatolone in una mano, e un altro oggetto di mia conoscenza nell’altra.
“Ehi, guarda che per il pouf non c’è posto, in casa,” esclamo scherzosamente, attirando la sua attenzione.
Lui consegna la scatola a Barba, avvicinandosi a me con quel coso ancora stretto tra le dita.
“Sarà anche passato un anno, ma il mio discorso resta sempre valido,” mi informa. “Questo ‘sacco di polvere’, come lo chiami tu, mi ha permesso di capire che mi ero innamorato di te, per cui in casa ci resta. Piuttosto, chiediamo a Cecchini e Zappavigna di togliere la lavatrice.”
Io scoppio a ridere, rischiando di disturbare Lottie.
Lei, invece, continua a mangiare indisturbata.
Marco si abbassa per baciarmi, prima di accarezzare la testolina della nostra bimba con un sorriso.
“Ha un sacco di fame, eh?” scherza, per poi tornare a fare la spola tra la casa, l’auto e il nostro vecchio appartamento.
Decidiamo di interrompere i lavori verso le 18 per riprendere domani, così magari riusciamo a riposarci un po’ tutti.
Anche perché Lottie ultimamente è più tranquilla, meglio approfittare delle ore di sonno che ci concede.
 
Marco, in accordo con Sara, ha preso le ferie per questi due giorni prima del matrimonio, e la settimana prossima.
Il viaggio di nozze lo abbiamo rinviato a quando sarà possibile, ma abbiamo pensato di visitare qualche paese qui vicino nelle prossime settimane, con Ines e Lottie.
Per questo però c’è tempo, per il momento siamo ancora alle prese con il trasloco. Mia madre ha accettato di occuparsi di mia figlia per qualche ora, così che io e Marco potessimo dedicarci a sistemare la roba che solo noi sappiamo dove mettere, mentre Ines è a scuola.
Quando scendiamo dall’auto, parcheggiata appena fuori dal cancello, vediamo arrivare verso di noi una moto.
Una gran bella moto, direi.
Il centauro parcheggia vicino a noi, prima di togliere il casc rivelando la sua identità.
Sergio.
Ci saluta, ma noi siamo ancora intenti a fissare il suo mezzo di trasporto.
“Non l’ho rubata, eh. L’ho comprata.” ci informa, intuendo i nostri dubbi. “L’anno nuovo ha portato novità anche per me. Ho pensato molto a quello che mi avete detto, e ho deciso di provare davvero a riprendere in mano la mia vita. Ho trovato un lavoro, in un’autofficina appena fuori Spoleto, e anche un monolocale in cui stare. È in periferia, ma è il meglio che posso permettermi e per il momento è più che sufficiente.”
“Hai fatto più in tre mesi che in un intero anno,” scherzo, e lui ride.
“Sono venuto per vedere se ci sono novità con gli assistenti sociali,” ci dice poi. “Ieri sono passato per caso da questa strada, e ho visto che eravate impegnati col trasloco... immaginavo vi avrei trovati qui.”
Marco annuisce.
“Sì, hanno accettato di allentare la presa, come già sai. Provvederò a informarli che adesso hai un lavoro e una casa più stabile, magari la loro considerazione su di te potrebbe migliorare, ma hai ancora parecchia strada da fare.”
Sergio abbassa il capo, comprendendo.
“Certo, capisco... grazie comunque per tutto quello che state facendo, e... volevo... chiedervi se posso tenere Ines per un giorno, qualche volta. So che vi chiedo tanto, però...” azzarda.
Io e Marco ci consultiamo con un solo sguardo, come facciamo spesso.
In realtà, di questa cosa avevamo anche parlato, sia noi che con gli assistenti sociali.
“Beh... domenica ci sposiamo, però se vuoi, visto che Ines sarebbe comunque rimasta in canonica per qualche altra sera, dopo il ricevimento potremmo proporle di andare a trovare il suo papà nella nuova casa,” commento, e lui sembra illuminarsi.
Marco gli punta un dito contro.
“Vedi di non fare cavolate, però, ché stiamo facendo più del dovuto.”
Sergio, per la prima volta, non mette su il suo solito sorrisetto sbruffone o l’atteggiamento strafottente di sempre. Invece, porge la mano a Marco, affermando che non ci deluderà.
Osservo i due uomini studiarsi per qualche minuto, poi il mio futuro marito accetta di stringergli la mano.
“Ho già combinato fin troppi guai da quando vi conosco, e voi invece avete sempre cercato di aiutarmi, anche quando altri, per molto meno, non lo avrebbero fatto. So che vale poco, ma vi chiedo scusa per tutti i casini che ho combinato, e... Vi auguro un felice matrimonio. E... sono contento che abbiate voi Ines in affido, almeno sono sicuro che crescerà bene, anche quando io non potrò ancora starle accanto.”
Detto questo, ci saluta e va via.
Io e Marco restiamo a guardarlo fin quando scompare dalla nostra vista in sella alla sua moto.
Le mie dita si intrecciano a quelle del mio fidanzato, e lui si volta a guardarmi.
“Sono orgogliosa di te,” mormoro, “e per tutto ciò che stai facendo per Ines.”
“È solo merito tuo,” replica però lui, passando il braccio libero intorno alla mia vita. “Se sono diventato l’uomo che sono oggi, è solo grazie a te, perché insieme abbiamo perso delle cose, ne abbiamo prese altre, siamo cambiati, e siamo arrivati qui, insieme. Ed è stata la cosa più bella che mi potesse capitare. Tu sei la cosa più bella che mi potesse capitare,” sussurra, prima di baciarmi.
Ci godiamo questo momento tutto per noi. Non ci capita più tanto spesso, di riuscire a restare da soli. Non che ci dispiaccia, ma ogni tanto è piacevole poterci ritagliare qualche minuto per noi due.
Io, però, da mente razionale quale sono, interrompo la magia ricordandogli che non abbiamo tanto tempo, perché Carlotta non resisterà a lungo con la nonna, e senza la sua mamma.
“Uhm,” commenta Marco con un sorrisetto divertito, “è lei che ha bisogno di te, o tu di lei?”
“Che domande sono?” gli chiedo, fingendomi scandalizzata. “... io di lei, ovviamente,” replico, prima di correre in casa senza lasciargli il tempo di ribattere.
Colgo la sua risata alle mie spalle, prima di rimetterci a lavoro.
 
Nel pomeriggio, Marco ha finito di portare le ultime cose nella nuova casa. Nell’appartamento è rimasto lo stretto necessario per poter affrontare l’ultimo giorno qui. Io sono rimasta insieme a Lottie, perché lei, dopo il nostro rientro in mattinata, si è rifiutata categoricamente di lasciarmi andare, scoppiando a piangere ogni volta che tentavo di metterla nella carrozzina.
Da una mezz’oretta, però, ha accettato di lasciarsi prendere da zia Chiara senza fare troppe storie.
Sono appena passate le 20 quando sento il rumore familiare di un’auto parcheggiare sotto casa: sono Marco e il maresciallo che tornano dalle ultime sistemazioni nella villetta. Hanno portato anche la culla, così che sarà pronta per domenica, mentre Lottie dormirà nel porte-enfant.
Patatino scalpita per la sua passeggiata da un po’, ma io non sono potuta uscire con lui per via di Carlotta. Vorrei poter lasciar riposare Marco, ma il nostro cucciolone ha necessariamente bisogno di fare il solito giro, così afferro il guinzaglio e lo porto giù, per informare il mio fidanzato.
Mia madre si affaccia però alla finestra, dicendomi di accompagnarlo e concedermi anch’io una pausa, che Lottie si è appena addormentata e se avranno bisogno di noi, ci chiameranno.
Io accetto con estrema riluttanza. Sto scoprendo giorno dopo giorno che non è affatto semplice, separarmi da mia figlia anche per un minuto.
Interviene Chiara.
“Godetevi gli ultimi momenti da fidanzati, ma evitate di litigare per favore,” ci dice. “Manca poco, e Marco di matrimoni saltati ne ha già due. E il detto ‘non c’è due senza tre’ fa schifo, a meno che non si parla di nipotini... Dopo Ines e Lottie, ci potete pensare!”
Le faccio un gestaccio mentre il mio fidanzato se la ride, prima di porgermi la mano e metterci in marcia con Patatino.
 
Marco’s pov
 
Io e Anna abbiamo deciso di fare il nostro percorso preferito per le passeggiate in notturna: la strada che porta al Ponte delle Torri.
Stiamo chiacchierando del più e del meno, come la prima volta che abbiamo fatto questa stessa via da fidanzati, e Anna mi sta appunto ricordando come quella sera non la smettessi di fare le mie solite battute, quelle che credo facciano ridere ma non è così.
Mi fingo offeso.
“Se non sbaglio, però, tu ridi sempre!” le faccio notare, provocandole una risatina.
“Certo che... chi l’avrebbe mai immaginato che saremmo arrivati a questo momento. Quanta strada abbiamo fatto.” commento poi.
“Io non ci avrei scommesso un euro, quando Cecchini mi ha detto che mi saresti piaciuto, quella mattina in piazza,” risponde Anna, “ma mi sono accorta che era già tutto cambiato quella sera a bordo piscina, quando quello scemo di Lupo Dossi ci ha provato con me. Mi sono resa conto quanto tu fossi diverso da tutti gli altri... e quanto stessi bene, insieme a te.”
Io le rivolgo uno sguardo stupito.
“Beh... mi sono scoperto terribilmente geloso, quella sera,” rido, “e confermo che quel vestito ti stava bene. Bene bene bene bene...”
Anche alla tenue luce dei lampioni, noto il suo rossore, proprio come quella volta. “E visto che siamo in vena di ricordi, mi è appena tornata in mente un’altra cosa... Avevo già capito che era stato inutile, credere che avrei potuto smettere di pensare a te, accettando le avance di tua sorella, ma quella sera al drive-in avevo avuto la conferma che non ero l’unico, ad essermi innamorato, tra noi due... e se quel dannato cellulare non avesse squillato nel momento meno adatto, al rientro, finalmente ti avrei baciata. Sapevo che, in quel caso, non sarebbe stato un gesto dettato dall’istinto, come il primo che ci eravamo dati.”
Sento le dita di Anna stringersi di più attorno alle mie.
“Certo... avevamo un ottimo motivo. Avevamo appena trovato il nostro posto nel mondo.”
Siamo quasi giunti al Ponte, quando noto la mia fidanzata rabbrividire.
Sciolgo le nostre dita per togliermi la giacca e appoggiargliela sulle spalle.
“Grazie... però così finirai per prendere freddo tu,” obbietta, ma io scuoto la testa.
“Non preoccuparti, io sto benissimo.”
Decidiamo di fermarci nella piazzetta che dà una vista spettacolare sul Ponte delle Torri illuminato. Patatino si siede tranquillo ai nostri piedi, come sempre.
Dopo qualche istante di silenzio, le faccio una domanda che mi frullava in testa da tempo.
“Pensavi davvero che il nostro primo bacio fosse stato un errore, come mi avevi detto?” le chiedo. “Ci conoscevamo ancora poco, è vero, e probabilmente non sarebbe cambiato comunque nulla, però... Non avevo mai voluto tirar fuori l’argomento, ma ora che stiamo ripercorrendo i ricordi della nostra storia, sono curioso.”
Anna abbassa lo sguardo, sorridendo prima di rispondermi.
“Non l’ho mai pensato davvero, anzi. Quella sera, dopo anni, avevo sentito di nuovo le farfalle allo stomaco. Sì, anni,” ripete, davanti alla mia espressione sorpresa, “anche se io e Giovanni ci eravamo lasciati da poco. Non c’era già più nulla, ma era difficile ammetterlo. E avevo una paura folle per ciò che avevo iniziato a provare per te. Ma non ho mai pensato fosse uno sbaglio.”
Come quella sera, siamo uno di fronte all’altra.
Abbiamo appena ripercorso tutti quei ricordi in cui un bacio avrebbe potuto cambiare tutto e suggellare i nostri sentimenti molto prima. Ma, proprio in virtù di ciò, credo non ci sia finale migliore per porre rimedio a quegli istanti mancati, se non recuperare ora.
Le scosto una ciocca di capelli che le è scivolata davanti al viso.
“Ti amo,” le sussurro, per poi baciarla. Le sue braccia scivolano attorno al mio busto, e percepisco il suo sorriso contro le mie labbra.
È un momento perfetto.
Se ci fosse ancora Cosimo, direbbe che è una cosa schifosissima. Ma io sono Grillo, per cui... fate pure.
 
Domani è il grande giorno.
Sono nervoso, ma non per il matrimonio in sé, anzi per quello sono elettrizzato. Non vedo l’ora, davvero, di essere con lei sull’altare e pronunciare finalmente il nostro ‘sì’.
È altro, a preoccuparmi.
Lo sto confessando proprio adesso alla mia Lottie, che tengo in braccio e che con le manine cerca di tirarmi la barba: mio padre non si è ancora fatto vedere.
Non sarebbe la prima volta che diserta le mie nozze, in realtà: a quelle con Federica non si è presentato, ma in effetti non ci sono andato nemmeno io. Al ‘primo’ matrimonio con Anna, che comunque è stato rinviato, non ci sarebbe stato in ogni caso. E ora... beh, magari arriva, ma non capisco perché stia aspettando l’ultimo minuto per presentarsi.
Le cose tra noi sono migliorate, e di molto anche, però ultimamente latita. Dopo Capodanno è sparito, è riapparso i primi di febbraio per venire a trovare Lottie per poi andarsene di nuovo.
Anna sostiene che magari si stia facendo vedere poco per lasciarci il tempo di adattarci alla nuova realtà e non essere un peso, tra l’organizzazione del matrimonio e la bambina. Senza contare il fatto che, in un certo senso, si senta ancora ‘di troppo’ rispetto agli altri. Io spero abbia ragione lei, però non riesco a non essere preoccupato.
Mentirei se dicessi che non ci tengo, ad averlo presente, stavolta più che mai.
“Dimmi, amore di papà, anche tu sei preoccupata per il nonno che non si fa vedere?” mormoro, mentre lei mi porta alle labbra le sue manine, sulle quali poso un bacetto. Fa un versetto a mo’ di risposta, facendomi sorridere.
Resto incantato ad ammirare il mio angioletto, totalmente stregato, e dimenticando per un po’ tutto il resto che non sia lei.
 
Quasi lo avessi invocato, nel pomeriggio mentre sono in piazza, sento il suono familiare di un clacson che attira la mia attenzione.
C’è mio padre, e non è da solo: con lui, in un autobus che lo segue, ci sono anche i miei parenti dalla Liguria.
Non riesco a credere i miei occhi.
Ero convinto non sarebbero venuti nonostante l’invito, come l’anno scorso - sì, sembra un vizio di famiglia, ma da quando è morta mia madre i rapporti con loro, per via di mio padre, si erano raffreddati parecchio e io non ero più riuscito ad avvicinarli - e invece ci sono tutti.
Si sono fermati per un breve saluto e per conoscere Anna e Carlotta, poi sono andati in hotel a sistemarsi.
Mio padre invece si è fermato per qualche ora a casa da noi, e io l’ho osservato interagire con Lottie per tutto il tempo in cui è rimasto.
Come padre non è stato un granché, ma come nonno devo dire che se la cava piuttosto bene.
Lo sto riaccompagnando alla sua macchina.
Siamo fuori casa, quando mi decido a prendere la parola.
“Per un po’ ho temuto non ti saresti presentato neanche stavolta,” ammetto, e lui fa una smorfia.
“È comprensibile, visto quante volte ti ho deluso.”
Sembra sul punto di darmi una spiegazione scientifico-psicologica sul perché mi sentissi così, ma lo blocco dicendo di non provarci nemmeno, a fare uno dei suoi giochetti.
Lui alza le mani in segno di resa, prima di ridere.
“Sono felice che tu sia qui, papà.”
“Anch’io. E ammetto che non pensavo saremmo stati in grado di recuperare il nostro rapporto, perché veramente mi sembrava troppo tardi.”
“Se non fosse stato per Anna, probabilmente no,” replico, d’accordo con lui. “Lei è la parte migliore di me, l’unica persona che in punta di piedi e con pazienza ha saputo entrarmi dentro e farmi ragionare, senza mai obbligarmi a fare nulla. È tutta la mia vita.”
Mio padre sorride.
“Si vede quanto Anna ti faccia stare bene, e non mi sorprende sapere che proprio lei sia riuscita ad avventurarsi con successo su quella strada che nessuno aveva osato battere. Ti avevamo sempre tutti forzato, io per primo, e lo so bene. Anche con la tua carriera.”
“Vero, ma non sono più arrabbiato per questo, anzi. Alla fine, è stata proprio quella tua imposizione a farmi diventare un PM e, di conseguenza, a farmi incontrare Anna.”
Lui ridacchia.
“Allora, alla fine qualcosa di buono l’ho fatta anch’io! Pur essendo stato un disastro come padre...”
“Fai ancora in tempo a recuperare, come ti ho detto quella mattina,” ribadisco, convinto, “e comunque come nonno sei già molto più in gamba.”
Lui mi dà una pacca sulla schiena, ma io non mi accontento, abbracciandolo.
Quando ci separiamo, lui mi stringe di nuovo le braccia.
“Sono molto fiero dell’uomo che sei diventato.”
 
Sono le 21.
Sono in garage, seduto sui sedili posteriori del maggiolino, insieme ad Anna, mentre Lottie è con Cecchini e mia suocera.
Anna ha voluto decorare da sola l’auto, in vista del matrimonio, e abbiamo passato l’ultima ora ad attaccarci sopra fiocchi e nastri, così che domani mattina sarà pronta per portarla in chiesa.
Lei adesso ha la testa appoggiata sulla mia spalla, lo sguardo che passa in rassegna ogni dettaglio, soddisfatta del proprio lavoro.
Ora è veramente tutto pronto.
Attorciglio una ciocca dei suoi capelli ramati attorno al mio dito.
“Sei nervosa per domani?”
Lei scuote appena la testa.
“Non sono agitata... solo, non mi ricordo più se dovrò rispondere ‘sì’ o ‘no’, a Don Matteo...” commenta con fare pensieroso, un luccichio giocoso negli occhi verdi.
So che sta scherzando, così le reggo il gioco.
“Dipende da cosa vuoi.”
Anna si volta a guardarmi, scostandosi appena.
“Voglio sposare l’unico uomo che, nei miei sogni, è stato in grado di sostituirsi a mio padre per il primo ballo, al mio matrimonio.”
“Allora la risposta te la ricordi...” mormoro con una piccola risata.
Lei porta una mano tra i miei ricci, avvicinandomi a sé.
“Hai ragione, è vero. Sono pronta a dire il primo di duemila ‘sì, lo voglio’,” asserisce, prima di baciarmi.
La stringo contro il mio petto, contando gli istanti che ci separano da domani.
 
Sono già in chiesa con Elisa da quasi un’ora, per accogliere gli invitati, in attesa che arrivi l’ora che Anna ci raggiunga. Lei, nel frattempo, è a casa con Sara e Chiara, le bambine e Cecchini.
Dopo aver salutato tutti, mia suocera mi tira in disparte, con la solita delicatezza che la contraddistingue.
 
“È successo qualcosa? C’è qualche problema?” le chiedo, leggermente in ansia.
“Ma no, va tutto bene. Volevo solo parlarti un attimo.” mi tranquillizza, aggiustandomi il bocciolo di rosa bianca nel taschino.
Mi capita spesso di parlare con lei, in effetti, ma non credevo volesse farlo anche oggi, e soprattutto non ora, così.
“Sai, non pensavo che avrei mai riprovato le emozioni del mio matrimonio con Carlo. È stato il giorno più bello della mia vita, insieme a quelli della nascita delle mie figlie... nonostante il tradimento, nonostante ciò che è successo dopo e che tu sai bene. Eppure, sono emozionata come quel giorno. Non scherzavo, quando dicevo ad Anna che temevo non si sarebbe mai sposata perché gli uomini li avrebbe fatti scappare a causa della sua divisa. Ma è cambiato tutto quando ho conosciuto te. Quel giorno, in piazza, mi hai aperto gli occhi. Mi hai fatto capire che non era il lavoro che mia figlia svolge, o il suo essere una donna sicura di sé il problema... molto semplicemente, non aveva ancora trovato l’uomo giusto. Ma quell’uomo giusto è arrivato, e io l’ho guardato dritto negli occhi, proprio in quella piazza davanti alla caserma, mentre mi diceva che dovevo amare mia figlia esattamente per com’era, perché non era niente male. E sono orgogliosa, oggi, di poter definire quell’uomo mio genero. Certo, non è impeccabile, ha i suoi difetti,” scherza, facendomi ridere proprio perché ha ragione, “ma rende felice la mia Anna più di quanto sia mai riuscito a fare chiunque altro. Ed è questa, l’unica cosa che un genitore vuole per i propri figli. Desidero augurati il meglio, per la vostra vita insieme, e sono sicura che farai di tutto per rendere felici lei e le vostre figlie. Anche Ines è come se lo fosse, in verità... per voi, come per lei. Ci tenevo a dirtelo.”
Riesco solo a mormorare un “grazie” per le sue splendide parole. Mi sono anche lasciato sfuggire qualche lacrima, lo ammetto, che mia suocera ha prontamente asciugato come una madre farebbe col proprio figlio. Avere il suo appoggio, a prescindere da tutto, per me è importante.
Ci abbracciamo, prima di tornare dagli altri.
Adesso sono in piedi davanti all’altare, in attesa della mia sposa.
 
Anna’s pov
 
Finalmente è arrivato il giorno del mio matrimonio con il mio Marco.
Sono a casa, sto finendo di prepararmi per la cerimonia.
Mi guardo intorno: c’è Ines che sta parlando ininterrottamente con Chiara da un quarto d’ora, mentre lei la pettina, c’è Sara, che sta ultimando il mio leggerissimo make-up, e poi c’è Lottie, che ha finito da poco la sua poppata e adesso è in braccio a Cecchini intento a raccontarle una delle sue strambe storielle, con lei che risponde con dei versetti.
Il maresciallo è già pronto, deve solo indossare la giacca e il cappello, a completare la divisa. È in alta uniforme, ovviamente. Sta attenendo che sia pronta io, così da andare in chiesa.
Quando Chiara termina l’acconciatura di Ines, che corre da Cecchini per ascoltare anche lei la favola, mi accompagna nella camera da letto, per aiutarmi a indossare il mio abito da sposa.
Una volta fissato al suo posto anche il velo, esco dalla stanza per trovare il maresciallo, adesso vestito di tutto punto, ad attendermi in piedi in salotto.
Mi rivolge uno sguardo fiero e felice, prima di aiutarmi a scendere le scale del palazzo, con mia sorella che mi dà una mano col vestito mentre Sara tiene mia figlia in braccio e Ines le saltella accanto.
Mi aiutano a salire sul maggiolino, con Cecchini al mio fianco, mentre mia sorella e la mia amica prendono con sé Lottie e Ines per andare in chiesa con un’altra auto.
Il tragitto fino a Sant’Eufemia è breve, ma mi è sembrato eterno per via del silenzio che lo ha occupato.
Giunti lì davanti e scesi, fermo Cecchini prima che possa entrare.
“Non mi dica che ci ha ripensato!” si preoccupa subito lui.
“Certo che no, Le pare?” rispondo. “È che Lei mi è sembrato strano, non ha detto niente da quando siamo partiti da casa.”
“Va tutto bene, sono semplicemente rimasto senza parole. Aveva ragione Sua madre, quando ha detto che assomigliava a una dea,” afferma.
Sorrido, ripensando a quel giorno in atelier di tre anni fa.
Il suo tono, quando riprende a parlare, si fa più confidenziale.
Solo adesso mi sto rendendo davvero conto di quanto la sua presenza sia importante per me.
“Come ho detto quella volta, per me è un onore accompagnarla all’altare, stavolta per davvero. E sono convinto, anche se mi sto ripetendo di nuovo, che Suo padre è sicuramente orgoglioso della donna che è diventata, e di tutto quello che ha fatto per arrivare a questo momento. E... spero non sarà geloso, se dico che anche io lo sono. In questi anni, è riuscita a colmare prima il vuoto che aveva lasciato Patrizia, e poi ha fatto di tutto per riempire anche quello lasciato da mia moglie Caterina, facendomi conoscere Elisa. So quanto ha sofferto, quando pensava di aver perso la Sua occasione con Marco perché Sua sorella era stata più intraprendente, e quanto ha lottato contro la Sua parte più razionale quando Le hanno offerto quel lavoro in Pakistan... Ma ora, per fortuna, tutti questi momenti di sconforto stanno per lasciare il posto a un futuro che sono convinto sarà radioso per Lei, per Marco e la vostra famiglia. Oggi è il giorno in cui Zorro dimostrerà di essere una principessa, senza bisogno di abbandonare la sua maschera. Perché è proprio quella che la rende unica.”
Io a questo punto ho gli occhi colmi di lacrime, ma cerco di trattenermi in tutti i modi.
“Se piango, mia sorella mi uccide perché si rovinerà il trucco,” gli dico scherzando, con la voce che trema.
Abbraccio forte il mio ‘papà Cecchini’, perché è questo che è per me, lui: un padre.
“Pronta a entrare?” mi chiede, quando ci separiamo.
Annuisco.
 
Quando giungo sulla soglia della chiesa di Sant’Eufemia, le note della marcia nuziale riempiono l’aria mentre tutti si alzano in piedi, voltandosi a guardarmi.
Stare al centro dell’attenzione non mi piace, ma in questi instanti non ci faccio nemmeno caso: i miei occhi hanno già trovato quelli di Marco, in piedi davanti a Don Matteo, in attesa che io lo raggiunga.
Sento qualcuno commentare quanto io sia bella oggi, e sarà anche vero, ma di certo il mio fidanzato non scherza. Quel completo blu gli sta benissimo.
Quando arriviamo all’altare, Marco solleva il velo davanti al mio viso, posandomi poi un bacio in fronte mentre lo sento sospirare al contatto.
Cecchini gli porge la mia mano, augurando a entrambi una vita bellissima insieme, prima di prendere posto accanto a mia madre.
Incrociamo lo sguardo della nostra famiglia per un attimo, per poi rivolgere l’attenzione verso Don Matteo.
La cerimonia ha inizio.
Quando il parroco chiede se ci sia qualcuno che voglia opporsi alla nostra unione, nel silenzio della chiesa si sente solo la vocina di Carlotta, intenta a parlottare al carillon che ha appeso alla carrozzina. I nostri invitati, così come me e Marco, ridacchiano quando interviene Ines.
“Shhhh, Lottie!”
A quel punto, Don Matteo è pronto per le promesse nuziali.
Ci rivolge un sorriso.
“Anna, vuoi accogliere Marco come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?”
Mi accorgo di essere rimasta in silenzio solo perché sento la mia Vocina mettersi a strillare nella mia testa.
ANNA, DEVI DIRE ‘SÌ, LO VOGLIO’! PRONTO?!?! CAPITANO ANNA OLIVIERI, QUELLO DAVANTI A TE È IL PM MARCO NARDI, L’UOMO CHE DEVI SPOSARE! ANNA!!
“Sì, lo voglio,” esclamo infine, mentre sento i presenti rilasciare un sospiro di sollievo.
 
Marco’s pov
 
L’esitazione di Anna mi ha portato via dieci anni di vita.
Al suo ‘sì, lo voglio’, ho sentito il cuore riprendere a battere a ritmo più o meno regolare.
Adesso, Don Matteo si rivolge a me, ponendomi la stessa domanda.
“Marco, vuoi accogliere Anna come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?”
Il mio sguardo si fonde in quello di Anna, in quegli occhi verdi in cui mi perdo ogni volta.
Probabilmente anche adesso, perché sento uno strano ronzio in testa.
MARCO? GRILLO CHIAMA MARCO! SVEGLIA!! DEVI DIRE ‘SÌ, LO VOGLIO’! RICORDI, TI STAI SPOSANDO CON IL CAPITANO ANNA OLIVIERI, LA DONNA DAVANTI A TE...? MARCO!!
“Sì, certo che lo voglio. Duemila volte...” dico infine, senza riflettere.
Anna ridacchia sottovoce alla mia risposta, cogliendo il mio involontario riferimento.
Don Matteo sorride, e qualcuno in chiesa si lascia sfuggire una risata, ma poco importa, è la verità.
Sposerei Anna duemila volte, se potessi.  
Io e Vocina ci prendiamo una vacanza dopo ‘sto matrimonio. Quanto siete impegnativi, oh!
Dopo lo scambio degli anelli, Don Matteo ci dichiara (finalmente) marito e moglie.
La chiesa si riempie degli applausi dei nostri invitati, accompagnati da un ‘Viva gli sposi!’ di Pippo e Natalina.
Quando il parroco ci dà il permesso, bacio finalmente la mia sposa.
Mia moglie.
Per la prima volta, Ines non si sta coprendo gli occhi a vederci baciare.
Quando la cerimonia si conclude, corre da noi ad abbracciarci, mentre mia cognata si avvicina con Lottie, porgendola ad Anna. Lei stringe le piccole dita attorno al suo velo, mentre io le sistemo il ciuccio.
Dopo le foto di rito, restiamo tutti e quattro da soli, mentre gli invitati escono per aspettarci all’esterno.
Accompagnati da Carlotta e Ines, usciamo dalla chiesa, dove ci accoglie una cascata di petali bianchi.
Se è un sogno, nessuno mi svegli.
Non osi l’uomo separare ciò che Dio ha unito.
 
Il ricevimento scorre tranquillo.
Il pranzo sembra interminabile, come tutti i matrimoni che si rispettino.
Io e Anna stiamo girando tra i tavoli a salutare gli invitati.
Alla fine, come avevamo già stabilito, zia Carmela è seduta al tavolo delle cugine (compresa Elisabetta e marito - Anna ha ammesso che ha accettato per vendetta), insieme alla signora Serena, la nostra (ex) vicina di casa.
Ma la zia è certamente l’anima della festa.
Sta raccontando barzellette a tutti quelli che passano, e la sua vittima preferita è il povero Ghisoni, che ormai ha perso il conto di quante ne ha sentite.
Riesce a sfuggire alle grinfie della zia solo al nostro arrivo.
Zia Carmela è al settimo cielo nel vederci, e propone un bel brindisi, ma non ci lascia andare prima di aver raccontato una barzelletta speciale anche a noi, dedicandola alla nipote.
Anna vorrebbe scappare, ma io la trattengo, curioso.
La mia sposa alza gli occhi al cielo, fingendosi irritata prima di concedermi un sorriso.
Restiamo lì ad ascoltare, le nostre dita intrecciate.
“Ci sono un prete e un carabiniere...”
Già l’esordio promette male, e Anna è sul piede di guerra. Rido solo a vedere la sua espressione.
“Il carabiniere vuole arrestare a tutti i costi questo prete che tutte le mattine scende a tutta velocità, lungo una discesa, con la sua bicicletta...”
Io scoppio a ridere senza ritegno mentre Anna mi guarda storto. Le cugine mi guardano stupite, senza capire.
“... Il primo giorno, il prete scende, e il carabiniere a 20 metri dal semaforo mette il rosso, ma quello riesce a frenare in tempo. Il secondo giorno, a 10 metri dal semaforo, il carabiniere mette il rosso ma il prete frena di nuovo in tempo. Il terzo giorno, convinto di fregarlo, mette il rosso a un metro dal semaforo ma il prete frena lo stesso in anticipo. Allora il carabiniere lo ferma e fa, ‘Ma come fa a fermarsi sempre prima?’, e il prete, ‘Io viaggio con Dio!’. Il carabiniere, allora, tutto contento, esclama, ‘Ahh, allora ti faccio la multa, in due sulla bicicletta non si può andare!’”
Come se non bastasse ci raggiunge Cecchini, che ha evidentemente sentito l’ultimo pezzo, e commenta, “Ma per caso, il prete si chiama Don Matteo?”
Le risate aumentano, e mia moglie mi dà un buffetto per tentare di farmi smettere.
 
Anna’s pov
 
Ma possibile che zia Carmela debba sempre raccontare barzellette sui carabinieri?! E il maresciallo, che infierisce! Va bene, ormai ho imparato a voler bene anche a Don Matteo, ma così è veramente troppo!
Eddai, Anna, è una barzelletta! Fattela una risata, ogni tanto! Poi, dai, il carabiniere e il prete... era azzeccatissima!
Decido di dar retta a Vocina, lasciando correre. Marco però decide di portarmi via da qui, tirandomi delicatamente per le dita, proprio mentre sento le note di una canzone diffondersi nell’aria.
Ma non è una qualsiasi, no: è la nostra canzone.
Anna e Marco.
Il mio Marco ha un sorriso enorme stampato sul volto, e immagino abbia tutta l’intenzione di dimostrare che, grazie alle lezioni di sua suocera, è diventato un ottimo ballerino.
Dimentico tutto il resto, mentre lui mi stringe a sé per iniziare a ballare.
Mi rendo conto appena che in sala è piombato il silenzio. Io so solo che il mio sguardo è incatenato a quello di mio marito, senza che riesca a distoglierlo, né lo voglia fare.
Perché non esiste altro, in questi istanti, oltre noi due.
Quando la canzone giunge alla fine e Marco mi bacia con una dolcezza che mi fa venire di nuovo il batticuore, la stanza scoppia in un fragoroso applauso. Io non riesco a smettere di sorridere. Mia sorella, perspicace, mi porge Carlotta, e Ines ci raggiunge al centro della pista, saltando in braccio a Marco. Ci scambiamo un sorriso. Non potremmo essere più felici di così.
 
A un certo punto, Ines va via con Sergio, che è venuto a prenderla come da accordo. Ci ha fatto i suoi auguri prima di allontanasi con la bambina.
Chiara, invece, ha passato un sacco di tempo a lamentarsi dopo che Lottie ha rigurgitato sul suo abito, provocando la risata di Sara che ha richiamato l’attenzione di tutta la sala.
Mia sorella non ha apprezzato particolarmente.
Ma a parte questi trascurabili dettagli, è stata una gran festa, che si è conclusa poco fa quando, insieme a Carlotta, abbiamo varcato l’ingresso della nostra nuova casa.
 
Ahhh, Grillo, sono ancora su di giri! Mi sono divertita tantissimo! Peccato che tu non abbia voluto ballare con me!
Cos’è, Vocina, una dichiarazione?
Non ti gasare, ho detto ballo, mica ti ho chiesto di sposarmi.
Ecco, ora ti riconosco. Ma sai che ti dico? Ti preferisco così, anche se mi fai arrabbiare.
Disse quello che sette giorni fa se n’è andato via, offeso, perché gli ho detto che con la faccia che si ritrova, fa spaventare Lottie.
Certo, se fossi un po’ meno diretta nell’esprimere giudizi, non guasterebbe.
Stai cercando di cambiarmi, Grillo? Proprio tu, col padrone che hai?
Il mio padrone è cambiato, alla fine. Di quello che avete incontrato tu e Anna in piazza quella mattina è rimasto ben poco, come sai anche tu.
Questo è vero. Certo, però, quanta strada da quel ‘Capitano Anna Olivieri”...
“Marco Nardi, Pubblico Ministero”... Eccome!
Chissà ora che ne sarà di noi, di Anna e Marco, visto che siamo giunti alla fine...
Quale fine, scusate?
Chi ha parlato? Grillo, ti sei messo a fare le voci strane?
Io veramente non ho detto nulla...
Ho parlato io!
Siamo al colmo, le voci che sentono le voci! Grillo, chiama la neuro, che siamo fritti!
Oh, quale fritti! Chi mi vuole mangiare fritto?!
È un modo di dire, scemo, mica intendevo dire che ci friggono veramente!
La smettete di litigare? Sto cercando di dormire!!
Noi la smettiamo, ma tu chi sei?
Come, chi sono? Lottie!
Ahhhh! Lottie! Ma davvero ci puoi sentire?
Purtroppo, sì.
Ehi!
Sto scherzando, siete simpatici! Ma ora possiamo andare a dormire? Io ho sonno! E tra un po’ avrò fame.
Va bene, va bene, andiamo a nanna. Ma perché prima hai detto che non è la fine?
Perché non lo è... il meglio deve ancora venire!
 
*The end*
 
 
 
Ciao a tutti!!
Oddio, non riesco a crederci, siamo giunti al termine di questa avventura, iniziata per gioco con Martina, di “Don Matteo 12 - 2.0”, causa insoddisfazione circa l’originale.
È stato super divertente progettare di volta in volta gli episodi, capire ciò che volevamo inserire, dove portare la storyline... Ve l’ho sempre detto, in realtà. Ci abbiamo preso gusto, a scrivere.
Per questo ultimo appuntamento, per il “finale di stagione”, abbiamo pensato di lasciare da parte i casi e concentrarci sulle parti “belle” della storia di Anna e Marco, ripercorrendo i loro momenti nel corso di DM11 e il ‘nostro’ DM12. Una scelta che speriamo abbiate apprezzato.
Ma non è finita, ho una sorpresa per voi...
Un messaggio da parte di Martina:
 
Dopo aver lasciato parlare per due mesi le storie e la mia socia al posto mio, mi faccio viva solo per dirvi alcune cose, lasciando poi l’onore dei saluti a Mari.
In questi 10 capitoli, abbiamo attraversato un climax di emozioni in cui, passo dopo passo, spero la mia fantasia sia stata all’altezza di quello che avreste voluto leggere. Vi avevamo chiesto di dirci cosa avreste voluto trovare tra le numerose pagine di questa versione alternativa di “Don Matteo 12”, e ci avete risposto che avreste voluto rivedere Marco e Anna come avevamo imparato a conoscerli nella stagione 11. Che sarebbe stato bello veder nascere un baby Nardi. Ci avete chiesto il loro matrimonio. Abbiamo cercato di riproporvi tutto questo e qualcosina in più dove possibile. Abbiamo tentato, come in passato, di immedesimarci in loro, in quelli che sono diventati. Ci siamo trasformate in Vocina e Grillo, per aiutarli nei momenti difficili o per strappare un sorriso. Perché la verità che è ciò che desideravate leggere era ciò che volevamo scrivere noi.
Ora, come dice Lottie, “il meglio deve ancora venire”. Sicura che questo sia solo un “arrivederci e alla prossima storia”, vi ringrazio per i messaggi e commenti di questi mesi, sebbene solo ora che siamo alla fine di questa avventura (ma giuro che c’ero, anche se nell’ombra!). E, oltre a voi, ringrazio la mia socia e partner in crime Mari, per aver dato forma ai miei “tipo…” e “cioè…” <3
Un saluto da Grillo. No scusate, volevo dire da Marty :D
 
Non ho molto altro da aggiungere, se non ribadire il mio grazie alla mia super socia Marti, senza la quale questa, e molte altre storie, non avrebbero mai preso forma... (E non solo, visto che, grazie a DM, ho trovato un’ottima amica <3)
Grazie anche a voi che avete letto in silenzio, e a chi ha lasciato un messaggio, pubblico o privato che fosse. Li abbiamo apprezzati tutti tantissimo, cercando di rispondere sempre. Scusate se ci siamo dimenticate di qualcuno, nel caso rimedieremo.
Come ha già detto Marti, è solo un arrivederci.
Alla prossima storia,
 
Mari
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Le mille e una fonte ***


LE MILLE E UNA FONTE

Grillo! Guarda Ines come saltella tutta felice e… Mah, cosa fai? Lo sai, vero, che quello che saltella dovresti essere tu, dato che sei un Grillo? No, perché son tre giorni che invece te ne stai lì, a poltrire e leggere chissà quale noioso libro dei tuoi...

Possibile che tu debba sempre avere da ridire su qualsiasi cosa faccio?

Ovvio che sì! Non si è mica mai visto un Grillo intellettuale! E poi cos’è quella roba che leggi? Architettura? Storia? Roba noiosa, sicuramente…

Per tua informazione, ‘Storia dell’architettura può essere molto interessante, ma non è comunque quello che sto leggendo ora.

E quindi? Cosa vuoi che me ne importi dell’argomento del tuo libro! Io sto solo cercando di farti notare che passi tutto il tempo a leggere, quando invece potresti goderti questa settimana di vacanze, come sto facendo io! Non capita tutti i giorni di vedere Anna e Marco liberi da impegni di lavoro! Abbiamo dovuto attendere che si sposassero e andassero in luna di miele per vedere arrivare questo giorno, e tu che fai? LEGGI!

Tecnicamente, questa non è la vera luna di miele, è quella «alternativa» …

Come sei pignolo e noioso, Grillo: sembri la Anna dei primi giorni! Goditi questo tempo libero come me, Marco, Anna, Ines e Lottie! Posa quel mattone e vieni a divertirti con noi!

Questo libro è divertente! Sto imparando delle favole nuove da raccontare a Lottie e Ines!

Ah, sì? E com’è che sarebbero «nuove»?! L’hanno scritto i nonni «biscottini»? Ahahah.

Ridi, ridi, che io intanto mi documento. Sulla copertina è riportato solo il titolo «LE FAVOLE DEL MARESCIALLO C.» … Che strano però: chissà chi è questo maresciallo C. che si è messo a scrivere favole? …

Sei serio? Cioè, maresciallo Cnon ti dice niente?!

Dovrebbe?

Quanto sei scemoDuro di comprendonio, oltre che noioso. Vabbè, lasciamo perdere. Comunque, visto che sembrano così interessanti queste favole, perché non me ne racconti una?

Perché dovr…

Ehi! La voglio sentire anch’io, una favola!

Lottie! Principessa! Certo che te la racconto! Vuoi che il tuo Grillo preferito non te ne voglia raccontare una? Sono qui apposta! Questo ed altro per la mia principessina!

Sei proprio un ruffiano… E uno stron…

Vocina!! Ci sono dei bambini!

Ti salvi solo per quello, dagli insulti. E ora, su, racconta sta favola!

Vediamo se ne trovo una interessante… uhm… questa no... questa boh… questa forse…

Taglia corto, Grillo!

Che maniere! Ah, ecco; questa sì! Si intitola: LE MILLE E UNA FONTE. 

C’era una volta, nella valle del fiume Naia, tra le fonti dell’Amerino e di Furapane, un re che non sapeva più amare. Egli era stato tradito dalla sua sposa e, da allora, il suo cuore si era ammalato. Un giorno, una fanciulla raccolse dell’acqua da una fonte nascosta: lei non lo sapeva, ma quell’acqua aveva dentro lacrime d’amor perduto. Lungo la via di casa, la fanciulla incontrò il re assetato, e gli porse la sua acqua. E senza nemmeno rendersene conto, grazie a quell’acqua miracolosa, il re guarì dal mal d’amore, e il suo cuore fu pronto ad amare di nuovo…

Marco’s pov

I giorni di vacanza stanno letteralmente volando, è già mercoledì! Sembra ieri, la domenica che ci siamo sposati... È stato il giorno più bello della mia vita, insieme a quello in cui è nata Lottie…. A quello in cui ho conosciuto Anna… a quello in cui abbiamo preso in custodia Ines…
Praticamente qualsiasi giorno da 4 anni a questa parte che abbia a che fare con le tue 3 donne! 
Esattamente, Grillo.
Comunque, oggi siamo tutti ad Acquasparta. Io ed Anna abbiamo deciso di prenderci una settimana di ferie da sfruttare come “viaggio di nozze alternativo” e visitare l’Umbria. Ci sarà tempo, per me ed Anna, per fare una luna di miele come si deve, quando Lottie sarà più grande.
Abbiamo tutta la vita davanti, in fondo. 
Ines era estasiata all’idea di poter finalmente vedere posti nuovi, dopotutto non ha mai avuto la possibilità di uscire veramente fuori da Spoleto prima d’oggi.

Secondo me anche il fatto di poter saltare una settimana di scuola ha avuto la sua importanza nell’entusiasmo espresso dalla piccola… Peccato che le avete distrutto i sogni di gloria poco dopo, dicendole che al mattino doveva comunque andare a scuola e le gite sarebbero state pomeridiane. 

In effetti, il suo faccino era tutto un programma quel giorno... Non sapeva se essere felice o delusa. 
In ogni caso, è evidente che alla fine il giusto compromesso lo abbiamo trovato, e lei finalmente sta visitando luoghi fuori dalla sua cittadina natale. Sembra un cucciolo che si appresta a visitare il mondo per la prima volta, gli occhi curiosi che si spostano di dettaglio in dettaglio, questa volta per divertimento e senza pensieri. Sì, perché in realtà Ines una volta è già uscita dalle terre spoletine, lo scorso febbraio, ma in quel caso ci eravamo recati a Roma per impedire a Don Matteo di accettare l’incarico di cardinale, salvo poi scoprire che aveva rinunciato all’offerta fattagli dal Papa per restare a Spoleto con i suoi amici. In quell’occasione Cecchini e la “canonica gang”, compresa la stessa Ines, avevano letteralmente trascinato mezza Spoleto fino al Vaticano per impedire al prete di abbandonare la sua Sant’Eufemia a qualche prete sprovveduto, uno tipo quel Don Faustino che aveva rovinato i piani della gara di bocce di beneficenza.

Che scena! Che ridere quel giorno... Quanto te la sei goduta, quando il ragioniere lo ha preso a colpi di pallina, dopo che quello aveva osato fare insinuazioni su Anna! 

Stai calmo, Grillo, ché dovevo difendere il suo onore!

In pieno stile ‘cavaliere’.

In ogni caso, come detto, a febbraio, nel freddo inverno, Cecchini aveva costretto anche me ed Anna ad andare con loro, «usando» Ines per convincerci, anche grazie all’appoggio della sua biscottina, che nel mentre si sarebbe occupata di Lottie. Per fortuna tutto è finito bene, e soprattutto con il Maresciallo al settimo cielo nello scoprire che il suo migliore amico e compagno di scacchi non lo lasciava da solo. 

E poi, onestamente: come avreste fatto senza Don Matteo a risolvere i casi? Ci fosse mai una volta che azzecchi il colpevole! 

Grazie Grillo, ti assumo come mio motivatore personale... 

Ma non lo sono già?! 

Secondo me non sei la mia coscienza per davvero, Grillo. L’ironia non la capisci mai.
 
È una giornata tiepida di primavera, Sta stringendo la mano di Ines mentre la conduco all’interno di un bellissimo palazzo, spiegandole la storia dello stesso. Anna ci segue pochi passi più indietro, con Lottie nel passeggino e, fedelissimo al suo fianco, Patatino al guinzaglio. Ines sembra affascinata da tutte le storie e gli aneddoti che le sto raccontando.
 
“Sai un sacco di cose belle su questo posto!” esclama, in tono sorpreso. “Sono contenta che me le stai raccontando!”
Le rivolgo con un sorriso enorme: Ines è una bambina molto curiosa. Fin dal primo giorno in cui l’ho vista, ne sono rimasto affascinato. Avevo intuito fosse una bambina «diversa», speciale, come qualcun altro di mia conoscenza… E dimostra sempre di più di essere la sua involontaria fotocopia.
 
Mi volto proprio verso quel «qualcuno», che nel mentre ci ha raggiunti.
“Se ti piace la storia, nessuno meglio di Marco può insegnarti cose interessantissime sui borghi dell’Umbria, e non solo...” afferma Anna, sorridendo e strizzando l’occhio nella mia direzione. 
Mi soffermo qualche istante ad osservarle: non posso fare a meno di pensare a quanto io sia stato davvero fortunato ad incontrarle. Sì, entrambe. Perché se Anna ha insegnato ad amare di nuovo, Ines mi ha fatto capire che amare è un dono da condividere e che nel mio cuore c’è posto per entrambe. Anzi, non solo per loro. Perché l’amore può cambiare, può spingerti a fare cose che mai penseresti di poter fare. E io, per quelle due donne - anzi, tre -  l’ho già fatto e sto continuando a farlo. Perché ne sono certo: per loro sarei pronto a fare qualsiasi cosa, pur di renderle felici. Non esiterei a prendere un aereo per il Pakistan seduta stante, se il sogno di Anna fosse ancora quello di diventare Caposcorta a Islamabad. Non esiterei a cercare Sergio in ogni garage/autofficina del mondo, per riportarlo da Ines. Perché il mio posto nel mondo, ora, è insieme a loro. E quel posto, che ho cercato a lungo, non pensavo potesse essere così bello.
In realtà qualche anno fa, non pensavo nemmeno più che i pezzi del mio cuore potessero essere rimessi insieme. Eppure era successo, una mattina in Piazza Duomo a Spoleto, quando una certa fanciulla ribelle era riuscita a fare breccia nel mio cuore, prendendomelo dal petto per curarlo e rimetterlo a posto, nonostante quell’aria da Zorro, atipica per la principessa che ho scoperto fosse, e l’atteggiamento da «so tutto io» che un tempo di lei non sopportavo.
Quel giorno, non ne ero ancora pienamente cosciente, ma avevo trovato l’altra metà della mia anima. Perché se una donna aveva smontato, pezzo dopo pezzo, il suo mondo, un’altra era arrivata a ricomporlo. Perché il mio problema non erano le donne, in senso lato, ma la donna che mi aveva tradito e buttato perché non ero quello «giusto». Perché, diciamocelo, se il problema fosse stato veramente quello, ora non sarei qui, sposato con la donna che mi ama nonostante il mio arrosto salato e le mie battute che non fanno ridere, e nemmeno insieme alle due splendide bambine che giorno dopo giorno sono pronte a insegnarmi che i padri possono anche sbagliare, ma possono sempre migliorare, perché non è mai troppo tardi (e nessuno meglio di me lo sa).
La passeggiata per il centro storico di Acquasparta scorre tranquillamente da un paio d’ore, tra le risate di Anna ogni qual volta Ines si cimenta in tentativi, poco riusciti, di ripetere quello che io le sto raccontando, come se fosse una guida turistica.

Ho perso il conto di quanti nomi ha storpiato nell’ultima mezzora, ma è adorabile!

Anche io l’ho perso il conto, Grillo, ma vederla così euforica mi riempie il cuore di gioia. Sono giorni che Ines è al settimo cielo ed incontenibile, tra la felicità di aver assistito al matrimonio mio e di Anna, e l’euforia per il ritorno di suo papà Sergio dopo mesi di latitanza forzata.
Fatico ancora a crederci, di essere riuscito veramente a convincerlo: io, Marco Nardi, che l’ho sbattuto contro un muro per averci provato con Anna e che dopo aver scoperto cosa era pronto a fare, ovvero ad abbandonare Ines, senza rendersi conto di cosa avrebbe potuto perdere, gli avevo intimato di non ripresentarsi più. Eppure erano bastati gli occhioni di Ines a sciogliermi come un ghiacciolo al sole e a spingermi a cercare Sergio per farlo tornare. La felicità sul volto della piccola, quando lo aveva visto quella mattina in piazza, era stata la risposta più eloquente a tutti i miei dubbi: avevo fatto bene a tentare.
 
“... Marco?”
Sono talmente immerso nei miei pensieri che mi rendo conto solo ora che Anna sta cercando di richiamare la mia attenzione da chissà quanto.
“Scusami, mi ero distratto...” mormoro.
“Ti stavo chiedendo se possiamo raggiungere un bar qualsiasi. Qua la situazione puzza.” mi spiega, accennando al pannolino di Lottie.
La mia risata è interrotta dalla vocina squillante di Ines.
“Possiamo prendere un gelato? Dai, dai!”
Come dirle di no?
Siamo appena usciti da Palazzo Cesi, quando un uomo mi si avvicina.
“Una rosa per le sue splendide signore?” chiede, porgendomi una rosa rossa.
 Ho uno strano senso di déjà-vu
Lo è, Grillo! Anna sta infatti ridendo alla scena, mentre io mi limito a ringraziare il venditore,  declinando l’offerta. Fossero state bianche, questa volta ne avrei comprata una, ma rosse no.
Rose rosse solo se sei mezzo prete, oppure Cecchini.
Scambio un’occhiata complice con mia moglie, prima di riprendere il cammino verso il bar, quando Ines, curiosa, decide di capirci di più. 
“Perché vi siete messi a ridere, quando il signore gli voleva vendere i fiori?” 
Lascia che sia Anna a rispondere alla piccola, curioso di scoprire la sua versione di quel ricordo, di quel giorno.

Anna’s pov

Oggi siamo ad Acquasparta, e sebbene io l’abbia già visitata, sono decisamente sorpresa dallo scoprire quanti dettagli mi erano sfuggiti la prima volta. Quel giorno ero venuta a visitarla con Marco, come del resto anche oggi. Ma le cose tra noi sono leggermente cambiate, nel frattempo. Poco poco.
All’epoca, io e Marco avevamo deciso di fare qualche uscita nel fine settimana, di tanto in tanto, per conoscerci e migliorare il  rapporto lavorativo. O, perlomeno, questa era la versione ufficiale. Quella ufficiosa ci vedeva a voler trascorrere insieme più tempo possibile, anche se ancora non sapevano che invece quelle gite avrebbero portato a qualcosa in più.
Molto di più, vorrai dire.
Devo darti ragione, Vocina.
Sorrido, nell’osservare Marco e Ines interagire. È bello vedere mio marito così appassionato e felice di condividere con la piccola tutto quello che sa, così come sono felice di vedere Ines pendere dalle labbra di Marco, con gli occhi sgranati e incuriosita. Sono perfettamente consapevole del fatto che, tra i due, è di certo l’uomo più impossibile che conosca quello più entusiasta. Di tanto in tanto, perdo il filo del discorso di Marco, e un po’ mi dispiace perché è veramente un ottimo cicerone. Però Lottie richiama spesso la mia attenzione, oppure, come ora, seguo il filo dei pensieri.
Perché non mi ero sbagliata quando avevo deciso che un lavoro come quello a Islamabad avrei potuto trovarlo ancora, ma un uomo come Marco no. E giorno dopo giorno me ne rendo sempre più conto. La capacità del mio bambinone in giacca e cravatta di cambiare il verso delle mie giornate col suo semplice essere sé stesso, non smetterà mai di sorprendermi. Le risate alle sue battute che non fanno ridere. Le liti ai fornelli perché Marco non ha accettato ancora l’idea che l’allieva abbia superato il maestro. I nostri momenti romantici interrotti da Lottie che piange, ma soprattutto da Cecchini e mia madre che bussano alla porta per andare a trovare le nipotine. Una vita, fianco a fianco, a casa e sul lavoro. Perché siamo un team, sempre. Anche quando litighiamo perché la pensiamo diametralmente all’opposto.
Eppure, tra alti e bassi, ora siamo qui, ad Acquasparta, con la nostra famiglia. Sembra ieri, che ci siamo stretti la mano per la prima volta, in Piazza Duomo. Ora, quando le nostre mani si stringono, le mie dita trovano la loro strada tra quelle di Marco in maniera naturale, come se fossero pezzi di puzzle destinati a combinarsi insieme. Ed è perfetto.
Vengo riportata alla realtà da Ines che dice a Marco quanto le piacciano le cose che le sta raccontando. Decido di affiancarmi a loro, spiegando alla piccola che non c’è persona migliore del suo tatuatore, quando si tratta di storia e architettura.

Come quel noioso del suo Grillo.

Chi?

Nessuno, fai finta che io non abbia detto niente.

Ines mi rivolge un sorriso, prima di voltarsi verso Marco e chiedergli altre curiosità. Ma Marco nel frattempo si è incantato a guardare me. Gli sorride, facendo l’occhiolino. Ogni volta che i nostri sguardi si incrociano, sento come una scarica attraversarmi il corpo. Un brivido lungo la schiena. Di pienezza. Di amore. Mi sente una principessa, in questi momenti. Io, che avevo sempre pensato non sarei mai stata niente più che un semplice Zorro. Che avrei fatto scappare gli uomini per colpa della divisa, come mi ripeteva sempre mia madre. Ma così non è stato. O perlomeno, non è successo con Marco. Perché lui ha guardato oltre la corazza, là dove nessuno aveva mai osato spingersi. Ha saputo far breccia dentro di me, entrando in punta di piedi nel mio cuore, per poi stabilirvisi e non andarsene più.
La passeggiata continua tranquilla per un altro po’, fino a quando la mia attenzione viene richiamata da Lottie che si mette a piangere. E a giudicare dall’odorino che si sta propagando nell’aria, il problema è facile da intuire. Chiedo quindi a Marco se possiamo andare in un bar, così posso occuparmi di nostra figlia, ma lui sembra assorto nel suo mondo, mentre Ines saltella allegra guardandosi attorno. Dopo vari tentativi, riesco a richiamare l’attenzione di mio marito. Ines coglie al volo l’opportunità per chiedere un gelato. Marco accetta volentieri di accontentarla.
Ci dirigiamo all’uscita. Ines mi sta già dicendo quale gusto di gelato vuole, quando un uomo ferma Marco. Ma quello non è…? Sì, proprio lui: il venditore di rose. Lo stesso di quel giorno. Non riesce a trattenere una risata mentre Marco declina l’offerta, come quella volta.
Quando riprendiamo a camminare, Ines chiede curiosa perché stiamo ridacchiando. Un solo sguardo con Marco è sufficiente, come sempre, a farmi capire che tocca a me raccontare il motivo delle risate.
Non abbiamo mai parlato di quel giorno, io e Marco. Forse perché entrambi sappiamo che, in fondo, ci eravamo trattenuti. Che le cose sarebbero già potute cambiare allora, ma avevamo preferito barricarci ognuno nel proprio castello, alzando le mura di difesa, per paura di soffrire ancora. Semplicemente perché entrambi eravamo consapevoli che quel nodo allo stomaco, quel turbinio di farfalle che arrivava sempre, puntuale, quando rimanevamo da soli e non si parlava di lavoro, erano il segnale che c’era già qualcosa di più di una semplice amicizia. Che c’era una strana sinergia tra noi.

Ah sì, era già vero amore.  

Ma non ero pronta, allora. Non lo ero stata per parecchio tempo. E per poco non mi ero lasciata sfuggire quello che più desideravo. Avevo rischiato che quel panda in via d’estinzione se lo prendesse mia sorella Chiara, con uno dei suoi sotterfugi. Ma la verità è che tutti, in quel triangolo ambiguo, avevamo capito fin da subito che c’era qualcosa di sbagliato. E quando meno ce lo saremmo aspettati, proprio Chiara, per una volta più matura di quanto non fosse mai stata, si era fatta da parte. E il resto, si sa, è storia ormai.
Ines mi sta fissando. Mi rendo conto che non le ho ancora risposto, mentre Marco si rivolge a Lottie con una battuta delle sue, in merito al pannolino che puzza. Comincio così a raccontare della visita ad Acquasparta con Marco. Sono passati anni, ma ricordo di ogni singolo dettaglio di quella giornata.
“E quel venditore di rose che abbiamo incontrato poco fa, è lo stesso che quella volta voleva convincere Marco a comprarne una.”
“E certo, anche lui si era accorto di come vi guardate sempre!” esclama la bambina, candidamente. 
“In che senso?” chiedo, corrugando le sopracciglia.
Lei mi lancia uno sguardo rassegnato, come se la risposta fosse ovvia.
“Succede tante volte che vi bloccate a guardarvi con un sorriso enorme in faccia. Sembrate quelle coppie dei film d’amore che guardano sempre nonno Nino e nonna Elisa.” 
Alzo gli occhi per incontrare quelli di Marco, e ciò che Ines ha appena finito di spiegare diventa nuovamente realtà senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
La piccola richiama subito la nostra attenzione con un sonoro, “Visto? Lo state facendo anche ora!”, prima di fare un sorrisone sdentato.  “Siete carini, quando lo fate. Pure se un po’ strani.” 
Noi non possiamo fare altro che ridere all’affermazione della piccola. Ormai a pochi passi dal bar, Marco scuote la testa, divertito. “L’ho sempre detto, io, che tu sei un po’ troppo furba per me!”

Marco’s pov

Giunti al bar, io e Ines ci accomodiamo a un tavolino, mentre Anna si dirige al bagno con la nostra piccola Lottie per cambiarle il pannolino.
Mentre aspettiamo che torni, notiamo due signori poco distanti intenti a giocare a scacchi.
“Cosa guardate?” chiede Anna, con Lottie che fa un versetto felice tra le sue braccia.
Ci pensa Ines a rispondere.
“Sembrano Don Matteo e Cecchini: uno dei due ha appena perso la partita e si lamenta che vince sempre l’altro.”
“Beh, sai, una volta Cecchini ha vinto contro Don Matteo...” commento, ricordando quel momento epico. Ines, però, non ci crede, così le spiego meglio.
“E’ stata Anna ad allenare il maresciallo per la partita. Si trattava di una scommessa con Spartaco, il proprietario del Tric Trac.”
Anna si intromette nel discorso. “In realtà, a un certo punto ho smesso di allenare Cecchini, e non c’entro proprio niente con la sua vittoria.”
Decido di cogliere la palla al balzo. So benissimo la ragione per cui aveva ‘abbandonato la sfida’, ma fingo di non ricordare.  
“E come mai, hai smesso?” 
“Perché invece di dargli una mano, ho perso più di tre ore del mio prezioso tempo per far marinare la carne di uno stracotto che, alla fine, non ho mangiato per colpa di un sacco di polvere.” sbuffa, mettendo su una falsissima espressione indispettita.
Visto che il giochino mi sta piacendo, decido di godermela fino in fondo.
“Questa cosa mi ferisce profondamente,” ribatto con fare teatrale, “ e il sacco di polvere in questione ha dei grandi meriti, visto che adesso siamo seduti qui, al tavolino di un bar di Acquasparta, a raccontare questa storia a una bimba curiosa.”
Ines ci guarda con gli occhi spalancati.
“Io non ho capito niente di quello che avete detto, cosa c’entra allenare nonno Nino con un sacco di polvere? Io voglio il gelato che mi hai promesso!” esclama infine seccata, rivolgendosi a me. Anna ride alla mia faccia esterrefatta.
Richiamata l’attenzione di un cameriere, ordiniamo quindi il gelato per Ines e due caffè per noi. Passano pochi minuti e, assieme ai caffè, come spesso accade, riceviamo anche due bicchieri di acqua. Anna prende in mano il suo bicchiere e dopo un sorso si mette a ridacchiare, spiegando, a nessuno in particolare e a tutti al contempo, delle fonti della zona da cui quell’acqua proviene.
Io la guardo ammaliato, mordendomi il labbro inferiore nel tentativo di non ridere. So bene cosa sta facendo. Ricordo anch’io tutto di quel giorno. Appena Anna termina il suo discorso, Ines, riemersa dalla sua mega coppa di gelato (in cui sembra essersi letteralmente tuffata, perché ha gelato ovunque sulla faccia), ci tiene a dire la sua.
“Anche tu sai un sacco di cose belle, come Marco!” 
Anna la ringrazia, ridacchiando, approfittandone per pulirle il visino. Io non posso esimersi da fare la stessa battuta che di quel giorno. 
“Quindi ci hai trascinati qui... solo per bere dell’acqua?”
Anna intuito perfettamente il gioco.
“Eh, sai com’è, Amore, ci tengo alla vostra salute, soprattutto alla tua. Alla soglia dei quaranta, si sa, il declino è a un passo”, scandisce, con un sorrisetto furbo.
In momenti come questo, non posso far altro che innamorarmi nuovamente di lei come fosse la prima volta. Nessuna donna è mai stata capace di tenermi testa come fa lei. Ma Anna non è solo questo. Non lo era nemmeno quando la trovavo esasperante per il medesimo motivo.
Anna è ciò che cercavo e che non avrei mai immaginato di trovare. Sicuramente non dopo aver lasciato la mia ex storica, a un passo dall’altare, doppiamente tradito: dalla donna che amavo e dall’amico di sempre. Come si può pensare che l’amore, non necessariamente di coppia, anche quello tra amici, possa esistere dopo una cosa del genere? Io, di certo, non ci credevo più.
Quel giorno si ero sentito come sua madre, quando aveva scoperto per la prima volta il rossetto sulle camicie di mio padre. Solo che lei non aveva fatto nulla. Mentre io avevo reagito subito. Tutto istinto, come sempre fai. Ma quella sera, a poche ore dal matrimonio, la mia coscienza non mi aveva impedito di agire. Non mi aveva detto: fermati, ragiona. Mi aveva lasciato libero di provare a  far capire a Federica cosa si provasse a sentirsi una nullità. Non era andata come speravo, perché mi ero ritrovato con le camicie stracciate e la macchina venduta, ma quella sera non importava, avevo solo bisogno di sfogarmi. E in quell’occasione deciso di dire basta all’amore. Che non ci sarei mai più ricascato, convinto che le donne fossero tutte uguali e non vogliono far altro che cambiarti tutto il tempo, per poi buttarti via come un bambino col giocattolo vecchio non appena arriva quello nuovo.
Ma tutto è cambiato quando, quella famosa mattina, sono sceso dalla moto e, tolto il casco, avevo incrociato gli occhi verdi ed ipnotici del nuovo Capitano dei Carabinieri della caserma di Spoleto. Affianco a lei, c’era lo stesso uomo che qualche domenica fa l’ha accompagnata all’altare. Il nostro cupido pasticcione. La colonna portante della caserma e della loro vita. Il giorno del nostro matrimonio tutto ha acquisito un senso: ogni singolo dettaglio, anche quello a cui magari non si fa caso perché distratto da altro. Si è chiuso il cerchio. Ma si sa, il cerchio, con la sua perfezione, è simbolo di infinito. Come la loro storia.
Ines mi sta tirando un lembo della giacca nel tentativo di richiamare la mia attenzione per l’ennesima. Torna nel mondo reale mentre la piccola scuote la testa, sconsolata.
“Il tuo caffè ormai sarà più freddo del gelato che ho appena mangiato.”
Rido all’affermazione e sono sul punto di risponderle, quando si avvicina al tavolino un uomo con un violino, iniziando a suonare per noi. Non lo interrompo. Ines ascolta estasiata la bravura del musicista, mentre Anna culla tra le braccia una Lottie assonnata, con un occhietto chiuso e uno ancora semiaperto. Se esiste la perfezione, io sono convinto di averla trovata. In quest’immagine della mia famiglia. Delle mie donne.
Come sei diventato romantico! Ma continua così che mi piaci.
Il violinista conclude il suo brano. Gli do una mancia e lui, ringraziando, se ne va.

Anna’s pov

Il violinista è stato veramente bravo. E questa volta ho avuto l’opportunità di sentirlo suonare, di godermelo, non come l’altra volta. Sorrido, rivolgendomi ancora una volta a Marco. 
“Prima le rose, poi il violino... Non è che mi trovo un anello sotto il piattino?”
Marco scoppia a ridere, mentre Ines, confusa dice che oggi siamo più strani del solito, per poi chiedere se può alzarsi e andare a giocare poco distante con Patatino.
Mentre lei si allontana col cagnolone al guinzaglio, rimetto una Lottie ormai addormentata nel suo passeggino. Siamo rimasti soli, io e Marco. Non capita spesso. E il tempo sembra fermarsi quando i nostri occhi si incatenano a causa di una forza incontrollabile. Marco si sposta sulla sedia prima occupata da Ines con un guizzo divertito nello sguardo.
 “Per rispondere alla tua domanda di poco fa... Questa volta, se l’anello c’è, è sicuramente il mio, perché ti ho promesso che ti risposo duemila volte e, come hai detto tu stessa poco fa, ‘lla soglia dei quaranta, il declino è a un passo’, quindi mi devo sbrigare per arrivare a duemila”.
La sua battuta, come sempre, mi fa ridere.
E dopo parole del genere, non posso non baciarlo, no? 
Mentirei se dicesse che quel giorno sempre qui ad Acquasparta, qualche anno fa, non avrei voluto che accadesse lo stesso. Avrei tanto voluto avere il coraggio di mandare al diavolo tutto, afferrarlo per il bavero della giacca e lasciare entrambi senza fiato. Ma ero bloccata dietro la corazza, terrorizzata dal fatto che fosse ancora presto, che era passato troppo poco tempo dalla fine della mia storia con Giovanni, e convinta che sarebbe scappato anche Marco. Perché gli uomini vogliono donne che sappiano ascoltare, non donne che comandano. Ma forse quel bicchiere d’acqua, quello che avevamo bevuto brindando all’amicizia, conteneva veramente lacrime d’amor perduto.

Lacrime di che?

Ma cosa vuoi che ne sappia Vocina... ricordo solo di aver letto una favola, tempo fa, che ne parlava. Però dopo quella gita, nulla era stato più come prima: mia madre aveva scoperto che Giovanni mi aveva lasciata, che aveva ragione lei. E poi dal nulla, Marco le si era avvicinato, e le aveva detto che non ero così male e che non doveva volermi cambiare. Che le persone vanno amate per quello che sono. Quel giorno avevo capito che non eravamo colleghi, al massimo amici, come gli avrei detto poco tempo dopo. Ma non eravamo nemmeno ancora pronti per il passo successivo. Eravamo fermi in una sorta di limbo. Perché la paura può giocare brutti scherzi e far dire cose che non pensiamo davvero. Ma come dice Don Matteo, è la fiducia la vera chiave di volta: se sei pronto a buttarti nel vuoto insieme a qualcuno, allora è amore vero. E io da quel giorno, con Marco, nel vuoto mi ci sono buttata spesso. Quando mi sono aperta con lui, raccontandogli di papà, avevo cercato di fargli capire che poteva fidarsi di me, come io mi fidavo. Mi ero buttata, e avevo fatto bene.
Dopo esserci goduti una parvenza di viaggio di nozze, ‘solo’ noi due e per pochi minuti, decidiamo che è arrivato il momento di tornare a casa. Dopo aver pagato, ci dirigiamo verso il parcheggio dove abbiamo lasciato il maggiolino. È un po’ scomodo? Non importa. Doveva essere il mio regalo il nostro matrimonio, così che quell’auto a me (anzi, a noi) tanto cara ci avrebbe accompagnati nel loro viaggio di nozze itinerante per l’Italia. E quindi è lui, il caro vecchio maggiolino cabrio (ma con la tappezzeria nuova di zecca), che ci accompagna in giro per l’Umbria per questo viaggio di nozze “alternativo”. E non potrei esserne più felice.
Mentre ci lasciamo alle spalle Acquasparta, osserva le mie bambine addormentate, una accanto a me nel seggiolino e l’altra, in via del tutto eccezionale, seduta davanti con Marco. Il mio sguardo incontra quello di mio marito, per un secondo, attraverso lo specchietto retrovisore. Ma è bastato quell’istante, per tornare con la memoria a quella sera al drive-in, quando avevo ammesso, senza quasi rendermene conto, di aver trovato il mio posto nel mondo. Perché è così. Il mio posto nel mondo è accanto all’uomo che ama bermuda e ciabatte, che fa un pessimo brasato, ma che soprattutto mi ha donato ciò che più desideravo: amare ed essere amata in egual misura. Salvo poi scoprire che in realtà ero pronta a donare amore anche ad altri, o, in questo caso, altre: due bambine meravigliose che hanno aggiunto dolcezza a una vita già splendida di suo. E so che per Marco è lo stesso.
Stiamo tornando da Acquasparta, consapevoli che quel giorno di circa tre anni fa, mentre brindavamo all’amicizia, in realtà stavamo già brindando a al nostro amore.
Perché il re stava già guarendo dal suo mal d’amore e la fanciulla era la sua medicina.
 
Aaaaand we’re back!
Sorpresa! Io e Martina vi avevamo promesso nuove storie al più presto, ed eccoci qua!
Ve lo aspettavate, un sequel di Don Matteo 12 - 2.0?
Sarà una piccola raccolta di tre episodi ‘bonus’, ambientati dopo il matrimonio di Anna e Marco. Probabilmente avrete già individuato il filo conduttore.
Una precisazione: tutte e tre le storie sono state scritte per intero da Martina, io mi sono limitata a fare da ‘revisore’ e a postare.
Tenete d’occhio la pagina, i nostri profili Twitter e Instagram per gli aggiornamenti.
A presto,
 
Mari

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Capitolo 12
*** Il principe indeciso ***


IL PRINCIPE INDECISO

Grillo? Grillo? Ma dove si è cacciato?! Ehilà, Lottie! Tu lo hai visto?

Eh? Chi?

Hai visto Grillo? Non lo trovo…

No. Doveva raccontarmi la storia, come sempre, ma non si è ancora visto …

Siete ancora appresso alle favole del Biscottino?

Quale biscottino?

Lascia stare, lunga storia. Intendevo dire se ti sta ancora leggendo le Favole del Maresciallo C.?

Ah, sì! Oggi me ne aveva promessa una speciale, ma non…

ECCOMI, LOTTIE! Sono in ritardo, lo so! PERDONAMI! Io non volevo, ma tuo padre…

Sì, certo. Ora è colpa di Marco... Prenditi le tue responsabilità Grillo!

Ma è vero, è colpa di Marco!

Risparmiaci i dettagli, Grillo. E raccontaci questa storia speciale, che ora sono curiosa anche io di sentirla.

Va bene, aspettate che non trovo il libro… Comunque spero esca il nuovo volume delle Favole del Maresciallo C., perché sono veramente belle. Non le trovate belle
anche voi?


Sìììììì!!!!

Belle mi pare un parolone… carine forse…

A te non piace mai niente, vero, Vocina? A meno che non sia una tua idea.

Sai che hai ragione? Dovrei scrivere un libro anche io!

Ma io non ho detto quello! Io… Vabbè lasciamo perdere. Comunque, ho trovato il libro. Che faccio? Inizio, o vuoi dirci di cosa parlerà il tuo libro, Vocina?

Secondo te, anche sapessi già cosa scrivere, lo vengo a raccontare a TE?

Sempre gentilissima….

Allora, questa favola?!

Sì, scusa Lottie, hai ragione. Mettiti comoda. Questa è una bomba!

C’era una volta, nella Val Tiberina, nel piccolo borgo fondato da San Giustino, un antico castello medievale in cui viveva un principe indeciso. Egli non sapeva chi scegliere tra due principesse da sposare... Allora, pensò di lasciar decidere al destino. Così costruì un labirinto e ci mise dentro le due principesse: avrebbe preso in sposa la prima che fosse riuscita a uscire. Il principe rimase in attesa tutta la sera, ansioso di sapere cosa il destino avesse deciso per lui, pronto ad accogliere a braccia aperte la donna della sua vita.

Anna’s pov

Oggi è domenica. La settimana di ferie per la luna di miele è giunta al termine. Ci resta solo questa ultima giornata, e Marco ha deciso che deve essere dedicata alla gita più speciale. Destino vuole che anche zia Chiara questo weekend sia a Spoleto e Marco ha proposto che tutta la famiglia, nel senso più ampio del termine, passi la domenica insieme. Dove? In Val Tiberina.
Ci siamo alzati presto per poter passare l’intera giornata qui, e visitare il luogo con calma. Ci sono anche Cecchini e mamma con noi, oltre a Chiara e ovviamente le bambine.
Il maresciallo sta spingendo il passeggino con Lottie che dorme, mamma a braccetto del suo biscottino. Non avrei mai pensato all’inizio di dirlo, ma questi due sono una bella coppia. Ogni volta che li vedo insieme stento ancora a crederci, ma davvero non potrei immaginare uomo migliore di Cecchini per mia madre. Gli opposti si attraggono, no?
Il mio sguardo si posa su Chiara, che tiene Ines per mano. Le sta raccontando qualcosa circa il suo look.

Solita cara vecchia Chiara ahahah. 

Ines ascolta interessata. Qualsiasi cosa che non conosce la incuriosisce, vuole scoprire sempre cose nuove.

Come te, del resto.

Ogni tanto, mi domando se Irene, oltre a somigliarmi fisicamente, avesse un carattere simile al mio. Giusto per capire se è questo il motivo per cui rivedo molto di me, in Ines. Perché della piccola, tutto si può dire fuorché che abbia preso da suo padre, nel carattere. Sergio non le assomiglia per niente. Ma si sa, per essere padri, non serve per forza essere uguali, né tantomeno è necessario un legame di sangue. Ciò che conta è l’amore. In ogni caso, se ha preso da qualcuno, di sicuro è da Irene.
Mi sarebbe piaciuto conoscerla. Ines, negli ultimi mesi, si è aperta con me, raccontandomi quelle poche cose che ricorda della sua mamma. Ma sono tutti aneddoti di momenti di vita insieme, di come Irene fosse si sa poco o nulla. Se somigliava alla piccola, certamente era una ragazza molto alla mano, con cui sono sicura sarei andata d’accordo.
Continuo ad osservare la piccola, che tiene gli occhi fissi su Chiara che continua a parlarle. Domani rivedrà finalmente il suo papà. Non è stato un peso per lei rinunciare a vederlo per tutta la settimana, perché l’ha passata con noi, ovviamente. Ma so bene che la bambina ci tiene, a passare del tempo con lui, a ricostruire il loro rapporto.

Tu faresti la stessa cosa, in fondo.

Decisamente, pagherei oro per poter passare qualche ora con papà, per rivederlo. Per dirgli quanto io sia felice della mia vita. Anche per questo ho sempre insistito perché Ines potesse recuperare il rapporto col Sergio. E alla fine, la piccola è risultata essere più fortunata di altri bambini: ne ha ben due, di papà. Perché, sebbene, in tutta probabilità, non arriverà mai a chiamarlo così, anche Marco assume questo ruolo, nella sua vita, è stata lei stessa a sceglierlo.
Un sorriso si fa largo sul mio volto, al pensiero del giorno in cui Lottie finalmente pronuncerà la parola “papà”.

Come, papà? Non vorresti dicesse prima mamma, scusa?

Certo che mi piacerebbe, Vocina. Ma per qualche motivo, sono certa che dirà prima “papà”. Per via di come si illuminano gli occhi di Carlotta quando vede Marco e istintivamente alza le braccia verso di lui per giocare con la sua barba, con u sorrisone sul visino. Perché Marco fa quell’effetto a tutti i bambini, figuriamoci se non sarebbe capitato con sua figlia! E comunque, se andasse così, ne sarei estremamente felice. Come mi ha detto più volte, Marco vuole essere per Carlotta quello che papà Carlo è stato per me, per cui sarebbe più che contenta di vedere gli occhi di mio marito brillare, velati di lacrime di gioia, perché Lottie, come sua prima parola, avrà scelto di dire “papà”. E anch’io mi commuoverei non poco.
Sì, sono diventata particolarmente emotiva, forse strascichi delle gravidanza, ma non importa. Va bene così.
Chiara, nel frattempo sta continuando a parlare di vestiti ad un’attentissima Ines, quando percepisco una mano stringersi attorno alla mia. Le mie dita si intrecciano istintivamente a quelle che si sono fatte spazio tra le mie, poiché non ho bisogno di guardare per capire chi sia. Quando alzo gli occhi incrocio quelli di mio marito, lo trovo a scrutarmi preoccupato.
“Va tutto bene?” mormora. “Ti sei fermata all’improvviso a fissare il vuoto...”
Sorrido alla sua apprensione, lasciandogli un bacio affettuoso sulla guancia. “Sì, tranquillo, ero solo sovrappensiero.”
“A che pensavi?”
Esito solo un istante, prima di decidermi a confessare la verità. 

Perché non vi raccontate mai balle. Brava, Anna. Hai imparato la lezione!

“A quanto sia fortunata Ines ad averti incontrato, come del resto lo sono io... e come lo è Lottie, ad avere un papà fantastico come te.”
A giudicare dall’espressione sbigottita, Marco tutto si aspettava tranne questo.
“Ma no... semmai, sono io quello fortunato, perché non avrei mai immaginato di poter tornare ad essere felice, tantomeno quanto lo sono adesso... con voi.”
Il nostro bacio viene bruscamente interrotto da Patatino, che inizia a tirare il guinzaglio appeso alla mano di Marco, per trascinarci verso il resto della famiglia che sta tentando di richiamare la nostra attenzione da un po’.
“Se avete finito con le smancerie,” ridacchia Chiara, “proporrei di andare  a visitare il castello...”

Marco’s pov

Sto camminando tranquillo, con uno sguardo attento sul resto della mia famiglia intenta a camminare davanti a me, Patatino al guinzaglio, quando mi accorgo che Anna si è bloccata sui suoi passi, lo sguardo assorto.
Mi avvicino, per assicurarmi che vada tutto bene, ma la sua risposta non me l’aspettavo di certo, così dal nulla.
E ogni scusa è buona per baciarla.
Non mi stancherò mai della sensazione che provo quando le nostre labbra si sfiorano. Il sapore di questi baci non ha eguali, le farfalle allo stomaco pari soltanto a quei momenti in cui i nostri occhi si incrociano, e tutto il resto smette di esistere.
Come quella sera, nell’appartamento che all’epoca era solo di Anna, quando l’avevo raggiunta con l’intenzione di ringraziarla per avermi impedito di fare una cazzata mondiale con Simone. Anna è sempre stata la parte migliore di me, anche quando non stavamo ancora insieme.
Sono certo che, se non l’avessi mai incontrata, adesso non sarei l’uomo che sono.
E non solo perché lei mi ha regalato la gioia di diventare padre, ma in senso molto più ampio. Sarei ancora l’uomo terrorizzato all’idea di amare di nuovo, quello che cercava in tutti i modi di convincersi che il problema fossero le donne, e non Federica.
Anche se ci era voluto poco, per rendermi conto che le donne, è vero che cercano di cambiarti e ce la fanno, ma non per forza in negativo.
Anzi.

Già, e chi meglio di te poteva accorgersene! Hai ben TRE donne in casa, senza contare suocera, cognata e amica... Sei circondato! Hahahaha.

Il nostro bacio perfetto viene interrotto quando mi sento allontanare di colpo da Anna. Ma non perché lei si sia scostata, ma perché Patatino ha fatto uno scatto in avanti,
tirandomi nella direzione opposta. E certo, perché la nostra famiglia sta cercando invano di attirare la nostra attenzione, e mia cognata non può certo perdere l’occasione di fare una battuta delle sue a nostre spese...
Però ha ragione, visitare il castello è un’ottima idea, visto che la volta in cui ci siamo venuti, abbiamo circoscritto la visita al labirinto. Alla nostra approvazione, Ines strilla di gioia, su di giri all’idea di entrare in un castello vero, e anche i miei suoceri - perché ormai, Cecchini lo possiamo considerare come tale - sembrano parecchio entusiasti.

La visita si rivela estremamente interessante, ma io sono di parte. Mi piace molto la storia, specialmente quella medievale. Ines, sembra, abbia iniziato anche lei ad appassionarsi, perché pendeva dalle labbra della guida, intervenendo con domande su ciò che a lei più premeva di sapere, facendo ridacchiare la ragazza addetta alle spiegazioni. Chiara, come c’era da aspettarsi, non ha seguito molto, preferendo prestare più attenzione al cellulare. Elisa e il maresciallo, invece, hanno passato gran parte del tempo a discutere per i differenti gusti in merito all’arredamento.
Anna invece è stata costretta a uscire da una Lottie in vena di pianto: non c’è stato verso di farla smettere.

Magari aveva fame... o sonno. In effetti, un pisolino lo farei volentieri anch’io.

Adesso ci stanno aspettando fuori dalle mura, in giardino, con Patatino a far loro compagnia.
Al termine del giro, mentre gli altri danno un’occhiata al negozio di souvenir, io raggiungo mia moglie, dispiaciuto che sia rimasta sola. Anche se è stata lei a insistere affinché proseguissero tutti con la visita.
Quando arrivo in giardino però non la trovo, e il mio sguardo si volge istintivamente in direzione del labirinto. Ho la sensazione che sia là.
Mi avventuro all’interno, alla ricerca della mia famiglia, e girando tra siepi e vialetti, mi torna in mente una storia che Anna stessa mi aveva raccontato, mentre cercavamo le indicazioni per il labirinto. La leggenda secondo cui lo stesso sia stato fatto piantare dal principe che abitava il castello, e c’è chi dice che aiuti a trovare il vero amore.
A me sembra più una favola per bambini, però...

Dai, è carina, però! Dopotutto, quella volta, tra le due ‘principesse’ all’interno, la prima a uscire è stata proprio Anna. E secondo la leggenda, è la stessa cosa che successe al principe... Anche tu l’hai sposata, e sai senza ombra di dubbio che lei è il tuo vero amore. Non fare il guastafeste!

In effetti, è così che è andata.
Anch’io avevo visitato il labirinto con due fanciulle, estremamente diverse e alle quali ero molto legato, seppur non in egual maniera. La cosa che, a distanza di tempo, mi fa sorridere, è che all’epoca frequentavo quella per cui, tra le due, sapevo di nutrire soltanto affetto. Ma a controllare le mie azioni era la paura, e avevo per questo preferito affrontare la strada più semplice, piuttosto che rischiare. E avevo rischiato tutto, perché Giovanni, l’ex fidanzato di Anna, era tornato più deciso che mai a riconquistarla. Quando Cecchini mi aveva detto che si sarebbe sposata, ero rimasto sconvolto dalla notizia: ero certo che il nostro legame andasse ben oltre l’amicizia che continuavamo ad ostentare, ed era assurdo che lei avesse accettato la proposta di matrimonio da parte dell’ex. Ma avevo ancora troppa paura, tant’è che avevo dovuto ricorrere all’alcol per lasciarmi andare. E per un motivo analogo avevo rischiato nuovamente di perderla, a un passo dall’altare per il nostro matrimonio. Ma Anna aveva avuto ragione, il fato era stato clemente con me, e qualcosa, o qualcuno, aveva fatto in modo che non accadesse nulla di irreparabile.
Lo dimostra il fatto che oggi io sia qui, felicemente sposato con quella principessa che è riuscita a superare il labirinto che conduceva al mio cuore, dove a ogni angolo aveva incrociato una paura diversa. In genere si impara da piccoli, a superarle, ma io le avevo conosciute maggiormente da adulto, e per questo le avevo usate per la mia protezione. Per non soffrire più. Ma superarle è valso ogni sforzo, vista la meta raggiunta.
E sono certo che per Anna sia lo stesso.

Anna’s pov

Dopo una buona mezz’ora passata a tentare di calmare Lottie, che non smetteva più di piangere, finalmente ce l’ho fatta. Patatino sembra orgoglioso di me, quando posa il muso sulla mia gamba fissandomi come se volesse congratularsi. Certo che questo cucciolone assomiglia proprio tanto al suo padrone... forse è per questo che mi ci sono affezionata subito.
Il giro guidato all’interno del castello durerà ancora molto, per cui, per passare il tempo, decido di avviarmi verso il labirinto. La volta che sono venuta con Chiara e Marco, lo avevamo visitato molto di sfuggita, per via di quel giochino proposto da mia sorella.
A vederlo adesso, ho la conferma che sia un luogo magico, uscito dritto dritto da una fiaba.
Gironzolando all’interno, giungo al centro, dove trovo una splendida fontana. Alzo lo sguardo per osservare il castello torreggiare sopra il giardino e la vallata.

Chissà se la leggenda del labirinto è vera...

Hai ragione, Vocina! C’era una storia, legata a questo posto, a proposito del principe che, non avendo il coraggio di scegliere la propria moglie tra le due principesse, aveva lasciato che ci pensasse il destino.

Che ridere! Sembra la tua storia con Marco, e il triangolo con lui e Chiara! Ahahah! 

Magari sarò egoista a pensarlo, ma sono felice che il fato abbia condotto Marco da me. Che per una volta, Zorro abbia ‘vinto’ contro ‘Cenerentola’. Mia sorella è sempre stata la più femminile, la più disinvolta con i ragazzi, la più desiderata, il centro dell’attenzione ovunque andassimo.
A me non piace, essere al centro dell’attenzione, ma sono più che orgogliosa di essere il centro del mondo di Marco, insieme a Carlotta e Ines. La certezza di essere amata, supportata e rispettata, da pari, che provo quando sto con Marco, non l’avevo mai davvero sperimentata in vita mia. Come se lui fosse il mio premio per essere riuscita a superare tutti quegli ostacoli che la vita mi aveva posto sulla strada.
Marco è il posto nel mondo che andavo cercando, l’unico al mio fianco quando nulla lo obbligava ad esserci. Parlare con lui mi ha sempre fatto stare bene, perché ha sempre il consiglio giusto da darmi, e sa scegliere le parole più adatte per calmarmi e farmi ragionare. Come nessun altro riesce a fare. Perfino quando vuole avere ragione a tutti i costi e litighiamo, ma alla fine le sue parole fanno sempre breccia.
I miei pensieri sono interrotti dall’abbaiare festoso di Patatino: c’è Marco.
Dopo un’occhiata a Lottie per assicurarmi che non si sia svegliata, rivolgo l’attenzione a mio marito, chiedendogli cosa ci faccia qui. Lui fa spallucce, affermando che gli altri sono al negozio di souvenir mentre lui aveva deciso di venirmi a cercare.
“E come facevi a sapere che ero qui?”
“Sinceramente... non lo so. È stato l’istinto a guidarmi fin qua. Come se ci fosse una forza che mi attirava qui... e adesso ne ho avuto la conferma: era il mio sole, ad attrarmi.”
Sento le guance avvampare alle parole di Marco, che ridacchia appena, le dita a sfiorarmi una gota.
“Mi fa piacere vedere che i miei complimenti fanno sempre effetto, anche adesso che siamo sposati.”
Io gli do un buffetto sul braccio, ridendo. È sempre il solito!

Nemmeno foste sposati da una vita... quanto è passato, un mese, sì e no?

Vocina... era una battuta...

Oddio! Non capisco più le battute! È un disastro! Passo troppo tempo con Grillo... a proposito, ci dev’essere stato uno scambio di personalità, perché tu e lui andreste d’accordissimo, così come me e Marco, sai?

Eh?

Lascia stare.

Meglio, anche perché Marco mi sta baciando, e io non ho idea di come sia successo, impegnata com’ero a disquisire con la voce nella mia testa.
Quando ci separiamo, mi viene in mente una cosa.
“Ma... adesso, come faranno gli altri a trovarci? Non sanno dove siamo.”
Mio marito sembra avere idee diverse, perché torna a serrare le braccia attorno ai miei fianchi, avvicinandomi a sé.
“Proprio ora, è l’ultimo dei miei pensieri. Voglio godermi questi minuti da solo con te.”

OTTIMA risposta. E tu chi sei per obbiettare, scusa?

Le nostre labbra si uniscono nuovamente in un bacio.
Non sarò mai sazia di lui.

Chiara’s pov

Insieme a Ines, mamma e Cecchini, sono appena uscita dal negozio di souvenir. Siamo arrivati al giardino, ma di mia sorella e mio cognato non c’è traccia.
Strano, eppure sono certa che Marco abbia detto che ci avrebbero aspettati qui.
Ines si guarda attorno mente il maresciallo prova a chiamarli al cellulare, che risulta irraggiungibile.
La mia attenzione scatta però verso una fila di siepi.
Ma certo! Il labirinto! Come ho fatto, a non pensarci subito?
È il loro posto. Perché in fondo, i protagonisti di quella leggenda sono loro, ne sono convinta. Come se fossero predestinati.
Perché il labirinto aveva fornito un aiuto, ma loro sapevano già di essersi innamorati, e io ero stata un ostacolo al loro amore. Per questo mi ero fatta da parte.
Perché mia sorella lo aveva sempre fatto, per me, e quella volta toccava a me dimostrare di essere matura.
Sento una manina tirarmi un braccio.
“Secondo te sono al labirinto?” mi chiede Ines, indicandolo.
“Caspita, hai ragione! Hai avuto un’idea super, non ci avevo pensato! Andiamo!” esclamo.
È vero, le ho mentito, ma a fin di bene, perché anch’io avevo capito potessero essere lì, ma ho fatto la scelta giusta, perché lei è felicissima e adesso mi sta spiegando come fare per attraversare il labirinto e scovarli, con mosse, a suo dire, da ‘spia’.
Mi viene da sorridere.
Essere zia mi piace molto. Chissà, un giorno magari sarò anche mamma, ma devo prima trovarmi un panda e smetterla con i caproni.
Per il momento però va bene così, e la bambina continua a tirarmi verso il labirinto. Mamma e Cecchini dicono che resteranno qui ad attenderci, stanchi dalla camminata all’interno del castello.

Mentre passeggiamo per il labirinto, Ines mi ferma, gli occhi vispi.
“Io questo posto l’ho già visto!” afferma.
Corrugo le sopracciglia: com’è possibile? È la prima volta che ci viene, magari avrà trovato qualche brochure, o qualche programma in tv...
Lei però alza un ditino.
“Adesso me lo sono ricordata! C’è una foto di Anna e Marco che hai fatto tu! Quando però stavi tu con lui... Però, zia, sai,” afferma, seria, “ho visto pure altre foto, e Marco non ti guardava come guarda Anna. Non solo in quella fotografia, lo fanno sempre.”
Ah.
Sapevo che Ines fosse a conoscenza della storiella, ma non pensavo l’avesse capita da una foto! Ma non posso che essere d’accordo con lei, in merito alla questione. Perfino una bambina come lei se n’è accorta subito! Io ci avevo messo un po’ di più a capirlo, forse in maniera un tantino egoistica, col senno di poi, ma non importa più.
Intravediamo la nostra meta, il centro del labirinto.

E come previsto, ci sono Marco, Anna, Lottie e Patatino, che scodinzola vendendoci arrivare, senza abbaiare, come se neanche lui volesse interrompere il momento.
Perché i due sposini sono in altre faccende affaccendati... quel bacio che si stanno scambiando sta decisamente occupando tutta la loro attenzione.
Non posso lasciarmi sfuggire l’occasione per sfotterli un po’.
“Cavolo, sapevo che avrei perso la scommessa, ma non pensavo che principe e principessa si fossero dati già così tanto da fare...!”
La coppia si separa, colta alla sprovvista, ma dopo un istante di smarrimento scoppiano entrambi a ridere per il mio arrivo in grande stile, al solito.
Io faccio loro l’occhiolino, mentre Ines corre loro incontro. Marco si china per prenderla in braccio, mentre lei si lancia nel racconto di come sia stata una sua idea venirli a cercare qui, chiedendo a me la conferma della sua versione dei fatti.
Ci avviamo tutti insieme verso l’uscita del labirinto, con Ines che tiene Patatino al guinzaglio e mio cognato che spinge la carrozzina. Io sono poco dietro con mia sorella.
Mentre Ines continua il racconto di ciò che ha visto all’interno del castello, Marco, da bravo papà, le risponde con grande entusiasmo e frasi colme di stupore. La scenetta mi fa ridacchiare, e noto che Anna è intenta ad ammirare a sua volta quanto sta accadendo poco distante.
“Siete una famiglia meravigliosa,” affermo all’improvviso. “Forse sarà l’aria che si respira in questo posto, ma sembrate veramente i protagonisti di una fiaba. E vi meritate davvero il finale di capitolo che avete scritto il giorno del vostro matrimonio.”
“In che senso, di ‘capitolo’?” chiede mia sorella, perplessa.
“Perché la vostra storia è solo all’inizio. C’è ancora parecchio da scrivere, e sono contenta di essere parte del vostro racconto, in qualche modo. Certo, per un periodo sono stata un ostacolo invece che un’aiutante, ma spero di essere riuscita a darvi una mano comunque.”
Noto gli occhi di mia sorella farsi lucidi.
“Tu non sei mai stata un ostacolo, né lo sarai mai... e sono felice di poter condividere con te la mia fiaba, anche se sono certa che presto avrai la tua. E sarà come l’hai sempre sognata: come Cenerentola.”
La abbraccio di slancio, perché sarà anche mamma adesso, ma è pur sempre la mia sorellina, e niente potrà dividerci.
Riprendiamo il cammino, raggiungendo gli altri al giardino.

Anna’s pov

 Una volta usciti dal labirinto, abbiamo raggiunto mamma e Cecchini, che ci hanno poi condotti fuori dal complesso del castello. Dopo pranzo, abbiamo trascorso un altro po’ di tempo per la Val Tiberina, prima di giungere a una locanda molto carina.
Il seguito però non me l’aspettavo.
Dopo l’incitamento del maresciallo e di Chiara, mamma prende la parola.
“Ecco, non siamo qui per caso... Ovviamente questa non è stata la luna di miele che avevate progettato di fare in origine, ma da quando l’avevate programmata sono cambiate molte cose: prima il matrimonio rimandato, poi l’arrivo di Carlotta, Ines... e tu, Marco, tornerai a lavorare, domani pomeriggio. Abbiamo pensato che fosse giusto, che aveste la possibilità di trascorrere qualche ora da soli.”
Io e Marco ci scambiamo un’occhiata confusa, ma mia madre non ha ancora terminato.
“Abbiamo prenotato per voi una cena qui, in questa locanda, e una stanza per stanotte. Così che possiate godervi almeno un barlume di luna di miele. Ci penseremo noi a Lottie e Ines, e non ammettiamo obbiezioni,” precisa, quando faccio per aprir bocca esattamente con quell’intenzione.
Interviene mio marito.
“Beh... apprezziamo moltissimo quello che volete fare, ma davvero non è necessario... Siamo contenti di aver passato questa luna di miele ‘alternativa’ con le bambine, è stata bellissima così.”
“Non ho dubbi, ma ho detto niente obiezioni.” afferma mia madre, austera, prima di tornare a sorridere. “Tu stesso hai voluto che l’ultimo giorno lo passassimo tutti assieme, rinunciando al tempo da soli con le vostre figlie. Quindi vi meritate queste ore tutte per voi.”
“Invitarvi a trascorrere la giornata con noi è stata la cosa più naturale del mondo, e... grazie,” mormora Marco, accettando poi l’abbraccio di sua suocera.
Mamma viene poi ad abbracciare me.
“Non preoccuparti per Carlotta, ce la caveremo. E poi, devi riprendere l’abitudine a non stare sempre con lei, no? Oppure vuoi rinunciare alla tua divisa?”
Spalanco gli occhi alla sua affermazione.
Non ci avevo pensato, ma ultimamente mi sono comportata davvero come se volessi mettere da parte il lavoro, stregata dalla meraviglia di passare tutto il tempo con la mia bambina. Ma mai rinuncerei alla mia divisa. Mai.

Mentre osserviamo la nostra famiglia allontanarsi (solo dopo aver salutato mia figlia a fatica), con una valigia preparata da Chiara con dentro i vestiti per la notte fuori, mi rendo conto di quanto veramente ci tenessi, a stare un po’ da sola con Marco, senza le bambine.
Neanche a dirlo, le amo follemente e non potrei mai immaginare la mia vita senza di loro, ma questa sensazione, queste farfalle allo stomaco mi mancavano.
Siamo da soli, noi due e nessun altro.
Mi volto verso mio marito, che mi osserva a sua volta con un sorriso che è lo specchio del mio: sta pensando la stessa cosa.
Dopo un leggero bacio a fior di labbra, entriamo nella locanda, dove ci accompagnano alla nostra stanza e ci comunicano l’ora della cena.
Approfittiamo del tempo di attesa per rinfrescarci, dopo aver scoperto che, in valigia, mia sorella ha riposto un completo blu per Marco e l’abito verde di pizzo per me, con annesso un bigliettino.

“Il vostro look sarà stropicciato, quando indosserete i vostri vestiti, e questa cosa mi irrita enormemente. Ma so che a voi non importerà, perché l’unica cosa che conta è che siate insieme. Quindi spicciatevi a mettere cosa ho scelto per voi e divertitevi. Sarò felice anch’io pur sapendovi stropicciati. Vi voglio bene, Chiara.”

Tipico di mia sorella, il suo messaggio ci ha fatto ridere parecchio. Ma sappiamo che, pur non essendo presente, verrà a sapere se abbiamo seguito le istruzioni, per cui obbediamo.
La cena è stata molto romantica, a lume di candela. Chiara si è premurata che venisse posta una rosa bianca al nostro tavolo.
Siamo stati benissimo, stasera, e i nostri familiari sono stati molto carini a pensare a questa sorpresa per noi.
Dopo cena, abbiamo approfittato della temperatura piacevole per fare una passeggiata qui intorno, godendoci quegli istanti da ‘sposini’, come dice il maresciallo.
Quando rientriamo nella nostra camera, sono da poco passate le 22.
Mi fermo davanti allo specchio, a scrutare la mia silhouette. Non indossavo questo vestito da... dal nostro primo anniversario, credo.
Alle mie spalle, appare Marco, che mi osserva curioso.
“Ogni tanto, mi sembra strano, non vedere più il pancione... Avevi ragione, quando dicevi che eri certo che mi sarebbe mancato, nonostante le mie proteste e la convinzione che non sarebbe mai accaduto.”
Lui sorride, prendendomi le mani.
“Beh, sei bellissima con e senza pancione, ma se proprio insisti, possiamo rimediare alla mancanza...” suggerisce, con un luccichio malizioso nello sguardo.
Io spalanco gli occhi mentre lui scoppia a ridere. Alla sua risata, presto si aggiunge la mia.
Mi avvicino, incontrando le sue labbra a metà strada.
Quel ‘ti amo’ sussurrato all’unisono nei pochi istanti in cui ci separiamo fa sorridere entrambi, prima che le nostre labbra tornino ad unirsi, e...
 
E siamo in fascia protetta, per cui il resto, se proprio volete, lo immaginate. Vero, Grillo?

Per una volta concordo con te, Vocina. È ora di lasciar loro un po’ di privacy. È la loro luna di miele, e abbiamo già visto quanto basta…

 Quanto basta per essere sicuri, se ancora ci fossero dei dubbi, che tra Anna e Marco “sarà per sempre.

***
 
Eccoci al secondo capitolo di questa ‘trilogia’ post DM12 - 2.0!
Come avevate probabilmente intuito, abbiamo ripercorso i momenti delle due ‘Favole del Maresciallo C.’ per far trascorrere ad Anna e Marco un po’ di quel tempo felice che si sarebbero meritati. Io e Martina stiamo cercando di dar loro quanto è stato negato, e quello che avremmo tanto voluto vedere.
Ma non è ancora finita, ci attende l’ultimo capitolo, per cui... stay tuned!

Mari
 

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Capitolo 13
*** Sembro matto ***


SEMBRO MATTO

Marco’s pov

“Sei un idiota, lo sai?”

Non ti ci mettere anche tu, Grillo! Lo so già di mio, che ho fatto un casino... come sempre, del resto. Ci penseranno Cecchini ed Elisa appena scoprono tutto, a dirmene quattro. Posso già sentirli, “Come ti è saltato in mente? Lo sai, com’è fatta Anna!
Appunto, nessuno meglio di me lo sa, ma non è bastato a fermarmi in tempo, a impedirmi di dire quelle cose.
Quando tutto va bene, ci penso da solo a mettermi i bastoni tra le ruote. Perché deve succedere tutte le stramaledette volte?!
Sono appoggiato all’auto parcheggiata fuori dal cancello della villetta.
È sera, la luce è accesa, Anna è in casa.
Il problema è che io sono stato chiuso fuori, ed è stata lei a farlo.
Vedo la sagoma di mia moglie, attraverso le tende della finestra del salotto, intenta a giocare con le bambine, Ines e Lottie.
Ebbene sì, abbiamo litigato, e stavolta non per motivi tanto futili: Anna vuole rientrare al lavoro.
Okay, i quattro mesi di maternità stanno per terminare, ma il punto è lei vuole ricominciare praticamente a tempo pieno, e io ritengo che sia ancora troppo presto.

Mai toccare la divisa ad Anna o dirle cosa deve fare! Le basi, Marco!

Lo so, lo so, ma quando mi innervosisco, tendo a perdere il controllo, te lo devo ricordare? E non intendevo dire quello che ho detto.

Ma lo hai detto!

Infatti ora ne sto pagando le conseguenze, no?
 
Continuo a osservare quanto accade all’interno della villetta, finché le luci si spengono. Abbasso la testa, sconsolato. Sapevo che non avrebbe cambiato idea.

Vuoi farti perdonare? E allora pensa ‘da Marco’! La soluzione la trovi.

Magari fosse facile, Grillo... e poi, non sei tu che dovresti suggerirmi cosa fare?

Io sono la tua coscienza, ma quando si tratta d’amore, è il cuore che devi seguire, non la testa!

Anche questo è vero.
A forza di ascoltare il cervello, per poco non mi ero lasciato scappare la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita, qualche anno fa. Di certo non posso permettere che adesso sia un litigio, a rovinare tutto.
So che Anna non vede l’ora di rimettere la divisa, che per quanto adori passare il tempo con le bambine, dedicandosi a loro tutto il giorno, l’uniforme è praticamente la sua seconda pelle. Che se non torna ad essere Zorro sta male.
E proprio io, che avevo sempre sostenuto che avrebbe potuto essere madre e Capitano al contempo, che una cosa non esclude l’altra, me ne sono uscito con quella discussione.
Il punto è che lei non è arrabbiata solo perché le ho detto che è ancora presto, ma perché ho affermato che la divisa non è impostante. E detto da me, quelle parole le hanno fatto ovviamente male.
Devo trovare una soluzione, inventarmi qualcosa... ma cosa?

Per il momento, ho chiesto ospitalità a Cecchini. Elisa è andata a Roma a trovare alcune sue amiche, e per fortuna il maresciallo non ha fatto domande, sul perché io sia qui, alle undici di sera, a domandargli di ospitarmi per stanotte. Si è limitato a sorridere, accogliendomi come un padre farebbe col figlio. Ha certamente capito che è successo qualcosa con mia moglie, solo mi sembra strano non abbia commentato, conoscendo il soggetto. Ma probabilmente ha solo rinviato la conversazione a domattina.

Anna’s pov

Ho messo da poco le bambine a letto, quando mi chiudo in bagno e mi immergo nella vasca.
Le candele profumate che mi ha regalato Chiara riempiono l’aria di un meraviglioso odore di rosa.
Appoggio stancamente la testa al bordo della vasca, una ciocca di capelli sfugge alla crocchia tenuta su da una matita, bagnandosi, ma non ci faccio troppo caso, mentre mi soffermo a osservare il piccolo vaso poggiato sul mobiletto.
C’è una rosa bianca, dentro, in mezzo ad altri fiori essiccati. Ma, seppur immacolata, non è finta, tutt’altro: ha subito tutta una procedura affinché la potessi conservare intatta, e di queste rose ce n’è almeno una in ogni stanza della casa.
Sono dodici in tutto, e formavano, insieme ad altri fiori, il bouquet del mio matrimonio.
Era stata mia sorella a coglierlo al volo, ma me lo aveva restituito, tenendo per sé solo uno degli altri fiori. Mi aveva detto semplicemente che bastava il valore simbolico, in fondo non aveva nemmeno un panda da sposare, e che secondo lei era giusto lo conservassi io, in quanto emblema perfetto di come nei dodici mesi (come le rose) che avevano separato un matrimonio dall’altro, io e Marco eravamo cresciuti insieme, come coppia, ed eravamo riusciti a trasformare la nostra vita, perché quando tutto stava per crollare, avevamo saputo rialzarci insieme, più forti e uniti di prima. Era stata mamma a volere che il bouquet avesse esattamente questa composizione, per queste ragioni. Ricordo di aver pianto, quando me lo ha detto.
E anche ora son tornate le lacrime. Ma non di gioia, stavolta. Perché quando tutto sembra andar bene, ecco che succede qualcosa che rompe l’equilibrio. E nonostante la presenza delle bambine con me, questa sera la casa sembra estremamente vuota.
 
«Come ritrovarsi in una casa vuota…»

Sono arrabbiata con Marco.

Sicura, sia rabbia?

no, in effetti forse è più delusione. Il mio Marco, l’uomo che ha ripetuto più volte che mi ama esattamente come sono, ha definito la mia divisa ‘non importante’.

Sono certa che non lo pensa davvero, dai...

Ma lo ha detto, Vocina. Le hai sentite anche tu, le sue parole. E mi hanno fatto male, soprattutto perché è stato lui a pronunciarle.

Io non voglio sminuire la situazione, ma non pensi sia giusto cercare di vedere la situazione anche dal suo punto di vista?

Ma tu da che parte stai?

Dalla tua, ovviamente. Ma sono la tua coscienza, e do voce a quei pensieri che non vuoi ascoltare, ma che tu stessa generi.

Rilascio un lungo sospiro. Forse dovrei davvero farlo, ma... cosa può aver spinto mio marito a dire certe cose? Perché se le ha dette, vuol dire che le pensa. E da lui, non me lo aspettavo.
Sento altre lacrime tornare a pizzicare, quando una testolina riccioluto fa capolino dalla porta.
Ines.
“Non riesco a dormire...” biascica, stropicciandosi un occhio.
Sorrido, intenerita.
“Torna a letto, arrivo subito.”

Fine della pausa relax.

Quando la raggiungo nella sua cameretta, la trovo seduta a gambe incrociate sul letto, con stretta tra le mani una foto scattata la settimana scorsa durante il nostro viaggio di nozze alternativo.
“Perché Marco non è a casa con noi?”
“... è fuori per lavoro,” mento, mordendomi la lingua. Avrei dovuto aspettarmi la sua domanda.
“Non ci credo. Vi ho sentiti litigare, prima. E ho visto che piangevi, nella vasca.”

Tuo marito l’ha sempre detto, che è troppo furba.

“No, hai ragione. Abbiamo litigato, e stasera non torna. Ma sono cose che capitano, tra grandi, tu non ti devi preoccupare.”
Lei però abbassa lo sguardo, e noto i suoi occhioni nocciola riempirsi di lacrime.
“Avete litigato perché non vi volete più bene?”
Avverto il cuore incrinarsi alle sue parole, così la abbraccio forte, mentre lei si accoccola contro il mio petto, le manine chiuse a pugno attorno alla mia canotta.
“Ma no, non è per questo, anzi...!” cerco di rassicurarla. “è proprio perché ci vogliamo bene, molto bene, che abbiamo litigato.”
Ines sembra confusa. “E com’è possibile?”
“Siamo complicati, noi grandi, vero?” scherzo. “Sai, certe volte, quando due persone si vogliono così tanto bene, come me e Marco, a volte vedono le cose in maniera diversa, ma solo perché vogliono il meglio l’uno per l’altra.”

Un ragionamento interessante. Su cui puoi riflettere per bene.

La bambina annuisce, prima di assopirsi tra le mie braccia. La sistemo sotto le coperte, pensando alle mie stesse parole.
E se Marco quelle cose le avesse dette perché vuole il meglio per me? Per... noi?
 
«…E il cuore batte forte perché ha l'ansia di arrivare...»

Prendo la foto che Ines stringeva prima tra le mani, avvertendo il cuore iniziare a battere forte solo osservandola.
È incredibile come quell’uomo impossibile sia capace di provocare tutto questo scompiglio, dentro di me. Come riesca sempre a smuovere qualcosa. E nessuno prima, o dopo, di lui, è mai riuscito a fare altrettanto. È come se ogni volta che ci guardassimo negli occhi, in realtà ci guardassimo dentro, per controllare che sia tutto a posto, integro, senza dolori, o ricordi, o incomprensioni che possano farci star male. E se c’è qualche problema in punta di piedi entriamo l’uno dentro l’altra per provare a sistemare ciò che non va.

Sai che parlare con te mi fa stare meglio?

Quanto avevo ragione, quel giorno...
Parlare è sempre la chiave per risolvere tutto, tra noi.
Solo che stavolta ho paura. Sì, io.
Paura che quelle parole che Marco ha detto, possa pronunciarle di nuovo. Che lui creda veramente che tornare a indossare la divisa full-time adesso sia troppo presto, o addirittura sbagliato. Ma per me è come una seconda pelle, e non potrebbe mai essere presto o sbagliato.
Non sono ancora pronta a parlare con Marco, ho bisogno di stare un po’ da sola per riflettere.
A volte, la solitudine fa bene, no?

Se lo dici tu...

Marco’s pov

Sono le 7.30 del mattino. Mi sono appena alzato dal divano di Cecchini, scomodo come lo era un anno e mezzo fa. Il maresciallo è a tavola, intento a fare colazione, ma non appena nota i miei movimenti, si affretta a salutarmi e a farmi posto.
“Ha dormito bene?”
“Avrò chiuso occhio sì e no un paio d’ore, maresciallo.”
“È per quello che è successo con Anna?”
Annuisco, incerto. Cos’è, le ha telefonato e lei gli ha raccontato della lite?

Non sono neanche le 8 del mattino, e per quanto tua moglie sia mattiniera, dubito che avrà avuto il tempo, o la voglia, di vuotare il sacco con Cecchini. C’è Ines da portare a scuola e Carlotta da sistemare.

“Io non so perché avete litigato - perché il motivo per cui è qua può essere solo questo - ma dev’essere stata una cosa più pesante del solito.”
Alle sue parole, tentenno. Non so se raccontargli tutto o meno. Alla fine decido di farlo, ma quando sono sul punto di parlare, lui mi blocca.
“Stavolta non mi voglio immischiare. Perché a furia di mettermi in mezzo, ho sempre combinato casini e peggiorato la situazione. Ma sono sicuro che tutto si risolve, Lei la soluzione la sa trovare. Deve solo capire cosa è andato storto, e pensare a cosa piace ad Anna per farsi perdonare, e poter chiarire. Ma se ha bisogno d’aiuto, io sono qua. Mi impiccio solo se me lo chiede.”
Lo osservo per qualche istante, assimilando le sue parole, prima di ringraziarlo. Ha ragione, e mi ha dato un’idea su cosa posso fare. Sto per alzarmi, quando lui riprende a parlare.
“Sa quante volte, io e mia moglie Caterina abbiamo litigato per motivi stupidi, ma poi si è sempre sistemato tutto, come quella volta che-”
“Ah, maresciallo!” lo interrompo, con una risata. “Aveva detto che il Suo aiuto me lo avrebbe dato solo su richiesta!” lo prendo bonariamente in giro.
“Giusto,” mormora lui, abbassando la testa, colto sul fatto.

Sempre il solito Cecchini.
 
«…Come un tornado hai scompigliato tutto
Mentre dormivo lì tranquillo a letto...»

Sono sceso in strada, pronto a dirigermi in tribunale. Però... è come se avessi qualcosa in sospeso, come se mi mancasse qualcosa, stamattina.

Il buongiorno della tua famiglia, magari.

Già, anzi direi proprio la mia famiglia in sé. Mi manca Ines, già iperattiva appena sveglia, che mi racconta i sogni che ha fatto. Mi manca Carlotta, che gioca con la mia barba quando la tengo in braccio mentre facciamo colazione. E mi manca Anna, che mi dà il buongiorno con uno dei suoi baci...
Devo risolvere questo casino in fretta, non è passato nemmeno un giorno e sto già così! Con il matrimonio, è come se la mia vita fosse cambiata di botto, o perlomeno, è così che l’ho percepito. Come un uragano.
 
«…Perché mi hai preso il cuore dentro al petto
Quando credevo che si fosse rotto…»

Ma chi voglio prendere in giro... quel tornado ha mutato tutto la mattina che ho conosciuto Anna, quando tutto ha cambiato colore. Quando la divisa che indossava l’avevo notata appena, perché rapito da quelle iridi di smeraldo, ipnotiche. Avevo sentito un calore diverso pervadermi, come se improvvisamente gli ingranaggi dentro di me avessero ripreso a lavorare dopo un periodo di fermo.
È questo il punto: Anna mi manca più di tutto il resto, non sono passate nemmeno ventiquattr’ore eppure ne sento già gli effetti. Come se quegli ingranaggi si fossero nuovamente bloccati. Mi sento come una nave bloccata a terra, le vele immobili in assenza del vento che le sospinge.
Rivoglio il mio tornado. Devo farmi perdonare.
 
Sto per salire in auto quando una voce richiama la mia attenzione: la signora Serena. Si avvicina, chiedendomi come mai sono da queste parti.
Col miglior sorriso che riesco a mettere su, rispondo che sono passato solo per un saluto al maresciallo.
“Mh... non mi convince. Non sono mica nata ieri, io, giovanotto! Di solito c’è almeno Ines, con Lei, prima che l’accompagnate a scuola. È proprio sicuro che vada tutto bene?” indaga, con uno sguardo che non ammette bugie.
Mi decido a vuotare il sacco, dicendo di aver avuto semplicemente un diverbio con mia moglie, ma che non è niente di irrisolvibile. Lei, inaspettatamente, mi si avvicina e, stringendomi un braccio, afferma che è convinta si sistemerà tutto in fretta.
 
«…E parlare e ridere con le persone
Per finire ogni discorso sempre e solo col tuo nome...»

Al mio sguardo confuso, lei precisa, “Lei è sempre lo stesso uomo che si è arrampicato su per una scala per raggiungere la finestra della sua Giulietta, e per di più s’è beccato una secchiata d’acqua dalla sottoscritta. Può tutto!”
Ridiamo entrambi al ricordo, con lei che approfitta per scusarsi dell’accaduto.
“Lasci stare, acqua passata.”

Direi più ‘gelata’...

Grillo, ti pare il caso?
La signora Serena mi incoraggia nuovamente, prima di salutarmi e andar via.
“E dica a Sua moglie di passare, ché voglio salutare le bambine!”

Nel tragitto in auto verso il tribunale, ripenso alla conversazione. Tra tutte le idee che mi frullano per la testa, c’è di sicuro la soluzione. Ma qual è quella giusta?
Nel pomeriggio, passo dalla caserma per il solito controllo di routine che faccio ogni giorno da quando Anna è in maternità. Sceso in piazza, in attesa che arrivi anche Cecchini, mi torna in mente quando, proprio da questo punto, le avevo fatto quella ‘sorpresa’, mentre lei era in servizio. Dire che fosse arrabbiata è poco.
Lei sempre così ligia sul lavoro, quell’episodio non le era andato giù.

Mai azzardare qualcosa che va contro le regole, che non rispetta la divisa che indossa.

All’inizio, perfino un bacio era un problema, soprattutto se davanti agli altri. Col tempo è diventata più accondiscendente in merito, ha accettato di passarci sopra, ma sul resto no.
Quella sua seconda pelle va rispettata e nulla deve inficiarne il valore.
Noto un gruppo di ragazze passarmi accanto, e le sento chiedersi perché c’è un tizio strano che da più di dieci minuti è fermo in piazza, a fissare la finestra di una caserma dei carabinieri.
Nel frattempo, Cecchini mi raggiunge, chiedendomi, adesso che siamo lontani da orecchie indiscrete, se ho trovato la soluzione al mio problema. Sono costretto a negare.
“Non si preoccupi, vedrà che troverà il modo di farsi perdonare da Anna.”
“Lo spero, maresciallo. In fondo non è nulla di irrisolvibile, ma Anna ha ragione, ad essere arrabbiata con me dopo quello che le ho detto... Ne sono consapevole, ed è per questo che devo rimediare.”

Mentre ci dirigiamo a piedi verso casa del maresciallo, passiamo accanto alle ragazze di poco fa, e stavolta becco uno strascico di conversazione che mi porta a rallentare il passo.
“... c’era da aspettarselo, che avesse problemi sentimentali e ci fosse di mezzo una donna!” dice una di loro.
Sto per intromettermi per dirle che non è carino origliare (Perché, tu che stai facendo, scusa?), quando lei riprende a parlare.
“Certo, a sentire la conversazione, la sua sembra una causa persa in partenza... deve averla combinata grossa, se ha pure ammesso che lei ha ragione ad arrabbiarsi! Però... tifo per lui.”
“Anch’io,” replica un’altra, annuendo. “Sembra convinto, ce la può fare.”
Le altre ragazze sono d’accordo sulla questione.
Scuoto la testa, ridacchiando, mentre riprendo a camminare.

Wow, chi l’avrebbe mai detto? Hai pure un fanclub! Chiamiamole “Le paladine delle cause perse!” Hahaha!

Grillo!
«…Mi sa che non saprò spiegarti bene tutto questo perché so
Che sembro matto...»

Il maresciallo mi assicura che posso restare da lui finché non risolvo con Anna, ma io spero che accada presto. Solo che non so come spiegarle perché ho detto quelle cose, come giustificarmi, come farmi perdonare.
Arriviamo sotto casa, per trovare in strada Anna e le bambine, che lo aspettano. A quanto sembra, è stata Ines a insistere.
Non riesco a decifrare l’espressione di mia moglie: è felice di vedermi o no?
Ines, nel frattempo, mi è corsa incontro, dopo aver urlato un “Marcooooooo!” che ha attirato l’attenzione del vicinato, e adesso è aggrappata alla mia gamba rifiutandosi categoricamente di allentare la presa.
Sentiamo una certa finestra aprirsi.
“Buongiorno! C’è bisogno di un secchio d’acqua, per caso?” domanda con un sorriso la signora Serena, scherzando. Per fortuna.
Noto Anna cambiare espressione di botto, così decido che per il momento è meglio non forzare le cose: sembra non essere ancora disposta a parlare con me, per cui saluto il maresciallo,  dicendogli che lo raggiungerò più tardi.
“No, no, non te ne andare!” piagnucola Ines, serrando di nuovo le braccia. “Non te ne andare, Marco!”
Ci vuole qualche minuto di pazienza, ma alla fine accetta il compromesso: domani usciamo per un gelato.
 
Anna’s pov

Quando la signora Serena minaccia di ricorrere al secchio d’acqua, ho avuto un flashback che mi ha riportata a quel dicembre. Marco le aveva tentate tutte, per trovare il modo giusto di farmi la proposta, ma non gliene era andata bene nemmeno una. Eppure aveva sfruttato tutte idee legate a ciò che era sicuro mi sarebbe piaciuto. Ma era stata la maniera più semplice, la meno scontata, quella che solo noi due avremmo potuto comprendere e apprezzare, ad avergli permesso di mettermi al dito quell’anello che ora indosso insieme alla fede nuziale.
A volte mio marito sembra matto, ma è proprio questo che lo rende unico. Senza i suoi difetti, le sue paure e la sua fiducia incondizionata verso i piani di Cecchini non sarebbe lui. E io lo amo anche per questo.
Sono salita in casa con il maresciallo e le bambine, e adesso siamo in soggiorno. Ines fa merenda, raccontando la sua giornata a nonno Nino, che tiene in braccio Lottie, ma la mia mente è altrove.
Sta ripercorrendo il litigio con Marco, in seguito alla mia affermazione di voler tornare al lavoro.

Inizio flashback

«Credo sia arrivato il momento che io rientri al lavoro. Potremmo cercare una babysitter, o chiedere a mia madre di darci una mano con le bambine... Sono sicura che…». Lo sguardo di Marco si era fatto cupo, nel sentire le mie parole, e mi aveva interrotta dicendomi che forse era ancora presto. La situazione era degenerata in pochi in secondi. Avevamo alzato la voce, e poi Marco aveva pronunciato quelle parole «…la divisa, ora, non è la cosa più importante, non credi?». Io, lì non ci avevo più visto: la mia divisa è sempre importante! Un attimo dopo Marco era fuori dalla porta, la mia schiena appoggiata contro di essa e le lacrime che scendevano a fiume.

Fine flashback

Un rumore improvviso alla finestra richiama l’attenzione di tutti.
Qualcuno sta davvero lanciando sassolini? Non sarà Marco, spero!
Nonostante il maresciallo dica che sicuramente sono dei ragazzini che giovano, io mi alzo per controllare, scoprendo che avevo immaginato bene.
Non ci posso credere.
Non passa nemmeno un secondo, e senza rifletterci afferro uno dei cuscini sul dicano per scagliarlo con violenza in strada, beccando in pieno mio marito che non fa in tempo a scansarsi, intimandogli di smetterla di comportarsi come un ragazzino. Chiudo la finestra con un colpo secco, indispettita.
Cecchini mi lancia un’occhiata perplessa.
“Se ne vuole parlare, io sono qua...”
Declino l’offerta, optando per tornare a casa.
 
Sono le 22 quando Ines, esausta per la giornata intensa, è crollata nel suo lettino. Lottie dorme già da un’oretta, dopo l’ultima poppata serale.
Vista la temperatura mite di questo aprile, decido di uscire in balcone a prendere una boccata d’aria.
Noto immediatamente la moto di Marco in strada, ma di lui nemmeno l’ombra.
Aguzzo la vista, prima di vederlo in giardino, intento ad armeggiare con una scala a pioli che avrà recuperato dal garage. Vuole beccarsi un altro cuscino in testa?
“Posso sapere che cosa pensi di fare?” gli chiedo a bruciapelo. Lui solleva lo sguardo.
“Vorrei solo parlare con te.”
“Beh, io non voglio parlare.”
Mio marito fa spallucce, appoggiando la scala, ma quando arriva all’ultimo gradino e scavalca la ringhiera, è troppo tardi, io sono già rientrata chiudendo la porta finestra, sedendomi poi stancamente a terra, con la schiena poggiata contro il vetro.
“Va bene, stiamo così...” sento mormorare dal balcone, e dal fruscio capisco che anche Marco si è seduto per terra, nella mia stessa posizione, dietro di me.
Come ci siamo arrivati, a questo punto? A essere separati volontariamente da un vetro?

Volontariamente per te, vorrai dire. Fosse per lui, lo avrebbe già sfondato, se non fosse che la cosa ti farebbe arrabbiare più ti quanto tu già non lo sia.

E che cosa dovrei fare?

Parlagli! Prima che si presenti con un mandolino per farti una serenata, cortesemente. Le mie orecchie non lo sopporterebbero.

Forse devo darti retta, Vocina. E farlo ora.
Ma quando mi alzo, Marco è già andato via.
 
Marco’s pov

Sono in piazza, sotto la caserma. Ho chiesto aiuto a Cecchini, alla fine.
Anna è su con lui, nel suo ufficio, per ritirare alcuni documenti.
Nel suo ufficio, dove vuole tornare al più presto.
Nel frattempo, intorno a me si è radunato un gruppo di curiosi, e a ragione: ho un megafono in mano, anche se non so bene né cosa dire, né cosa io stia facendo. Ma non mi importa se sembro matto, come borbotta una signora alle mie spalle. Sarei pronto a tutto per Anna, e non ho certo paura che alcuni pensino io mi stia mettendo in ridicolo, perché non è così. Ho imparato ad affrontarle, le vere paure.
E l’unica cosa di cui adesso ho davvero paura, è di perdere Anna.
A quanto pare non c’è solo la signora che pensa io sia pazzo, ma qualcuno che scommette che sto per urlare alla mia ‘innamorata’ qualcosa di romantico.
Mi volto, per capire chi sia.

Ehi, ma è una delle ‘Paladine’ di ieri!

Lei mi fa l’occhiolino, proponendosi insieme alle ragazze della combriccola di darmi una mano. Dopo esserci accordati, conto.
3... 2... 1...
Un coro squillante che intona un “TI AMO!” riempie l’aria della piazza.
Come previsto, la finestra si apre, e Anna si affaccia, incredula, le mani a coprire la bocca.
Adesso non so come continuare. Ma lei non sta scappando, è lassù, immobile, che mi osserva.
Una delle ragazze dietro di me mi fa cenno di passarle il megafono, avvicinando poi il cellulare.
Si diffondono le note di una canzone, e le parole sono quelle che probabilmente avrei dovuto dire io.
 
«…Abbiamo dedicato le energie che avevamo
Ai bimbi, ai tramonti, a quei giorni
Che scivolano tra le dita e ora che non ritorni
Ho perso una via d’uscita
La mia migliore amica…»

È vero, mi sento perso senza di lei. Anna è la mia bussola che indica il nord, la strada giusta da prendere. E la stavamo percorrendo assieme, quando io mi sono perso. Ho lasciato che la paura prendesse di nuovo il sopravvento, perché in fondo è questo il problema, ogni volta: non so affrontare ciò che mi spaventa come dovrei, ma stavolta ammetterlo è più difficile, perché riguarda lei.
 
«…La tua risata, i tuoi occhi due fari
Le tue labbra, le tue mani
Ora ricordo quei particolari
Che impari quando servi chi ami...»

Quella mattina, in piazza, mi ero perso nei suoi occhi, e la divisa era come se non ci fosse. Non perché non l’avessi notata, ma perché mi sarebbe servito del temo per notare i veri particolari.
La cura con cui appoggiava la giacca quando la toglieva, il modo di mettere il cappello. L’attenzione con cui osservava la sua immagine allo specchio una volta pronta, per essere sicura che fosse tutto in ordine. La fierezza del portamento, quando la indossa. L’amore per il suo lavoro.
Ha dedicato tutta la vita all’impegno per diventare un carabiniere, conscia dei pericoli che possono presentarsi in ogni momento. Consapevole che avrebbe dovuto lottare contro tutto e tutti per dimostrare di meritare ciò che ha ottenuto. Che quella divisa l’avrebbe fatta sembrare meno donna agli occhi dei più, ma che qualcuno sarebbe stato capace, prima o poi, di guardare oltre.
E io l’avevo fatto, o almeno dall’esterno così sembrava.
Ma la verità è che quella divisa non è mai stata, e mai sarà un ostacolo che mi impedisce di vedere chi la indossa. Perché quando vedo Anna, colgo anche la sua risata alle mie battute che non fanno ridere, quegli occhi verdi che cercano sempre i miei, le sue labbra che mi riportano ai baci che mi lasceranno sempre senza fiato, e le sue mani che stringono forti alle mie come a voler dire, “Sono qui, non vado da nessuna parte.”
Vedo Anna, semplicemente. La donna di cui mi sono perdutamente innamorato. Mia moglie, la madre di mia figlia, che è anche un Capitano dei Carabinieri.
E io non potrei essere più fiero di poterlo dire, e di lei. Della donna che è.
 
«...Il tempo si ferma quando siamo assieme
Perché è con te che io mi sento bene
Voglio quei pomeriggi sul divano
In cui mi stringevi e respiravi piano
Ho perso te la mia armatura di vibranio
Sembro strano…»

Il tempo sembra essersi fermato davvero. La gente intorno a me osserva la scena: Anna continua a fissarmi, ferma alla finestra, mentre io prego per un suo cenno.
La finestra, però, si richiude con un colpo secco.
La piccola folla accenna uno sconsolato “Nooo!”, mentre la ragazza che teneva il megafono ha nel frattempo fermato la musica. Mi consegna l’oggetto, asserendo però che  non devo preoccuparmi, che lei mi perdonerà.
“Forse sei troppo ottimista, mi sa che è davvero una causa persa, questa.”
“Niente affatto,” scuote la testa lei, con un sorriso. “Solo un matto avrebbe accettato di mettersi in gioco così, davanti a tutti. Ma amare è follia, e se lei non è folle abbastanza da capirlo, ha solo da perderne.”
 
Anna’s pov

Sono a casa, intenta a pensare a quanto successo in piazza nel pomeriggio.
Ines ne sta parlando estasiata -  perché Cecchini, ovviamente, non poteva non raccontarle per filo e per segno l’accaduto - e lo sta mimando a Lottie. Ha messo su uno spettacolino niente male, prima interpretando Marco, seduta per terra con un foglio arrotolato a mo’ di megafono, e poi fingendo di essere me, in piedi sul divano.
Carlotta ride, dal suo porte-enfant, mentre Ines si accomoda sul pouf posizionato proprio accanto a mia figlia, e commenta quanto secondo lei la scena sia stata romantica, perché Marco non ha avuto paura che le persone intorno a lui potessero prenderlo in giro nonostante il lavoro importante che fa.
Come fa una bambina di neanche otto anni ad essere così saggia?

Tuo marito l’ha sempre detto.

Lo so, Marco ha sempre affermato che io sono più importante di qualsiasi altra cosa, compreso il suo lavoro. E ha deciso di ignorare il mormorio della gente perché voleva dirmi, in modo che io lo ascoltassi per forza, quanto mi ama.
Mi avvicino alla finestra, per vedere la moto di Marco parcheggiata al solito posto in strada e lui seduto in giardino.

È sempre qui. Nonostante tutto. E lo sai bene, perché.

Esco in balcone. Lui deve avermi sentito aprire la portafinestra, perché si è alzato in piedi. Io non apro bocca, limitandomi a lanciargli le chiavi di casa per poi rientrare.
Passano pochi istanti, prima che Marco mi raggiunga. Ines si sistema meglio sul pouf, in silenzio, prendendo la manina di Carlotta, in attesa.
“Scusa...” è l’unica cosa che mormora mio marito, osservando la mia reazione. Quando io non rispondo, lui continua. “Scusa, se mi sono comportato come un ragazzino lanciando i sassolini alla finestra. Scusa, se ho cercato di forzarti a parlare quando mi sono presentato con la scala sotto casa, e tu non eri pronta a farlo. Scusa, se ti ho messa in imbarazzo, con quella scenetta in piazza. Scusa, se ti sono sembrato un matto. Ma la verità è che lo sono. Lo sono, perché ti amo. Perché non c’è posto nel mondo in cui non sarei pronto ad andare, pur di stare con te. Anche in Pakistan, se fosse necessario. Perché non posso nemmeno immaginarla, una vita senza di te. E non dovevo dirti quelle cose, l’altra sera, ma avevo paura.”
“Paura... di cosa?”
“Di perderti,” risponde mio marito, semplicemente.
Solo adesso capisco tutto. La sua reazione... Il problema non era volermi impedire di tornare a lavorare, ma tutto ciò che può accadere mentre sono in servizio.
Non è più come prima. Adesso siamo sposati, abbiamo una famiglia, e l’idea che possa succedere qualcosa fa più paura.
Scuoto la testa, lasciandomi andare.
Gli prendo il volto tra le mani per poterlo avvicinare a me e baciare.
Ancora una volta, l’errore di partenza è stato il mio, ma non succederà come l’anno scorso.
 
Sento Ines ridacchiare.
“Hai visto, Lottie? Mamma ha perdonato papà! Aveva ragione il nonno...”
Persa nel momento, non capisco se sto fraintendendo le parole della bambina, ma avremo modo di verificare più avanti.
Quando io e Marco ci separiamo per riprendere fiato, lui appoggia la fronte alla mia, le braccia strette attorno ai miei fianchi.
“Lo so quanto la divisa sia importante per te, e quanto non vedi l’ora di poterla indossare di nuovo... So anche che non posso pretendere di tenerti a casa per sempre, pensando che sia questo il posto più sicuro, solo perché ho paura... E... lo ammetto, in realtà mi manca il mio Capitano...”
Rido sommessamente alla sua affermazione.
“Posso prometterti che starò attenta, più di prima. E supereremo questo ostacolo insieme... perché anch’io ho paura. Paura che niente sia più come prima, che possa accadere qualcosa non solo a me, ma anche a te o alle bambine... Però non possiamo vivere ingabbiati. Se siamo arrivati qui, è perché abbiamo imparato che insieme possiamo affrontare tutto, perché per amore si può e si deve cambiare. E cambiare non significa per forza evolversi in qualcosa di nuovo, ma semplicemente... crescere. Maturare. Anche cadendo e sbagliando. Anch’io ho sbagliato, tanto... e avevi ragione, non sono davvero pronta a tornare al lavoro a tempo pieno. Piano piano. Devo ancora abituarmi all’idea di dovermi separare da Carlotta... ce la posso fare solo se mi aiuti tu.”

Marco’s pov

Sono in piazza con Cecchini e le bambine.
Oggi è un giorno importante.
Dietro di noi ci sono schierati tutti i carabinieri della caserma di Spoleto.
Di fronte a me, con passo sicuro e testa alta, con indosso la sua fedele divisa, c’è la donna più bella del mondo, con un sorriso radioso sul viso.
Quando ci raggiunge, tutta la caserma si pone sull’attenti.
Ines, che ha insistito per vestirsi nel modo più simile ad Anna, imita a modo suo la posizione, strappando a tutti una risata. Io tengo la mia Lottie tra le braccia, prima di avanzare, per prendere posto davanti a mia moglie.
“Bentornata, Capitano!”
Anna ha gli occhi lucidi e, con mia grande sorpresa, mi bacia.
“Sei matta? Un bacio, in divisa, davanti a tutti?” scherzo.
Lei accarezza la testolina di nostra figlia, stringendo a sé Ines con la mano libera, prima di tornare con l’attenzione a me.
“A volte ne vale la pena, di sembrare matti.”
 
THE END
 
Eccoci alla fine - vera, stavolta -  di Don Matteo 12 - 2.0!
Come accaduto per il capitolo 10, lascio lo spazio alla mia socia.

Siamo giunti alla vera fine di questa avventura chiamata “Don Matteo 12 - 2.0”.
Questi tre capitoli bonus, il cui numero non è voluto ma sembra quasi richiamare la cabala cristiana, vanno a completare un percorso logico naturale, che riporta Anna ad indossare nuovamente la sua divisa dopo la pausa per la maternità. Perché Anna la considera la sua seconda pelle e per nulla (e nessuno) al mondo è pronta a rinunciarvi. E il cerchio si chiude in piazza Duomo, con Anna e Marco uno di fronte all’altra, dove tutto è iniziato.
L’avventura finisce perché, nonostante le mille idee che potremmo avere sul continuo, voglio (e vogliamo) sperare che la storia per i nostri amati Capitano e PM torni sulla retta via con Don Matteo 13. E quindi, quelle idee, incrociamo le dita perché possano tornarci utili nei prossimi anni, come naturale prosieguo di una stagione andata in onda nel modo che tutti vorremmo.
Se così non fosse, Grillo vi promette che questa storia può sempre ripartire da dove ora finisce.
Come ho fatto qualche capitolo fa, voglio ringraziare nuovamente la mia super socia e amica Mari, che più di altre volte ha dato fiducia alle mie idee. Ma come ho già detto, tutto questo è sempre frutto di un meraviglioso lavoro di squadra. <3
E a proposito di squadra, di team, questo capitolo in particolare è dedicato a tutti quelli che si professano (mi auguro con convinzione) membri del Team Nardi, o meglio di quello Anna&Marco, ma soprattutto alle ‘Paladine delle cause perse’ (che spero abbiano letto il capitolo), perché quando dicevo e dico che prendo spunto da cosa ci raccontiamo, è vero, e i capitoli bonus ne sono la conferma. Un cameo era il minimo che potessi fare per ringraziarvi dell’aiuto che date a “Dory”.
Don Matteo 12 ha fatto molti ‘danni’, ma ha anche fatto cose buone. Spero che l’amicizia nata con le Paladine, e questa storia, ne siano l’esempio, e non solo per me.
Grazie a tutti per averci sostenuto in questo lungo viaggio. Ma come sempre, non è un addio, solo un arrivederci e alla prossima avventura.
Il vostro Grillo <3

Non c’è molto altro che io possa aggiungere, se non che è proprio vero: nonostante lo scempio, è nata un’amicizia bella e speriamo duratura con le “Paladine”, e se per questa volta ci siamo incontrate a Spoleto solo virtualmente, chissà che un giorno riusciamo a farlo davvero, nel ‘mondo reale’.
Io e Marti abbiamo condiviso tanto - anche e soprattutto al di fuori della serie tv - ed è la parte più bella di tutte. Come ho già detto, ho trovato un’amica, e ne sono felice.
Come già menzionato dalla mia socia, è solo un arrivederci, perché altre opere sono in cantiere, tempo permettendo.
A presto,

Mari
 

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Capitolo 14
*** Un Natale da ricordare ***


Un Natale da ricordare
 
“Mamma, quando arriva papà?”
“Presto, tesoro. Tuo padre è ancora in fabbrica. Lo sai che in questo periodo dell’anno ha sempre molto da fare...”
La piccola Anna è in ginocchio su una sedia accanto alla finestra, intenta a osservare la neve che cade lenta, in una fredda e tarda sera di inizio dicembre. Sono passate le 20, eppure suo padre Carlo non è ancora rientrato a casa dal lavoro.
Anna sa che quando il Natale si avvicina, lui è sempre molto impegnato e ha tanto da fare, come le ha appena detto la mamma, ma lei vorrebbe tanto che papà fosse lì a casa con lei, sua sorella Chiara e sua madre Elisa, a preparare l’albero e appendere le decorazioni natalizie in giro per casa. È un pensiero un po’ egoistico ma è solo una bambina, dopotutto, e il broncio non abbandona il suo viso, gli occhi verdi ridotti a due fessure mentre fissa ostinatamente la strada, tirandosi il maglioncino colorato sulle mani per riscaldarle, in attesa che lui torni.
Ogni anno è così: suo padre non c’è mai, con loro, quando è il momento di tirar fuori gli scatoloni con gli addobbi rossi e dorati.
Anzi, addirittura certe volte manca anche per Natale...
 
Anna’s pov
 
Mi sveglio di soprassalto, il cuore che batte più rapido.
Perché questo sogno? Perché ora?
È l’inizio di dicembre, esattamente come negli istanti che stavo rivivendo nel sonno.
Oddio, sonno... ero riuscita ad appisolarmi da poco, perché lo scricciolo che porto in grembo ultimamente è agitato, quasi fremesse di venire al mondo.
Anche perché, manca poco. Due settimane all’incirca, e ci siamo.
E noi non vediamo l’ora!
“Noi” chi, Vocina?
Ehm... noi, io e te! E Marco, ovviamente! A chi vuoi che mi riferisca, non conosco nessun Grillo con cui condividere l’entusiasmo. Sono la tua coscienza, ricordi? Solo tu puoi sentirmi...
Hai ragione, sarà la mancanza di sonno a farmi fare strani pensieri.
Figurati, Anna. È normale, essere un po’ in ansia!
Ma io non sono in ansia. Non più di tanto, in realtà. La gravidanza è andata benissimo, dopo la nausea dei primi mesi, e tutto è tranquillo. Quanto può esserlo con i biscottini che non vedono l’ora di diventare nonni e una sorella che ha svaligiato Spoleto e dintorni per preparare i regali per la nipotina in arrivo (sì, continua a dire che sarà femmina con assoluta convinzione).
Tutto perfetto.
C’è solo il sogno che ho appena fatto che mi inquieta.
Capisco che non mi riaddormenterò tanto presto, per cui decido di andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Cerco di essere il più silenziosa possibile - mica facile, incinta di nove mesi... un’impresa titanica - per non svegliare Marco, che dorme accanto a me.
Il fremito che gli attraversa il viso mi fa temere che mi abbia sentita, ma per fortuna sembra stato solo un riflesso involontario perché si sistema meglio, riprendendo a russare piano.
 
Il bicchiere d’acqua è servito a poco, per cui mi sono seduta sul divano dopo uno sguardo di sfuggita all’orologio appeso al muro.
Segna le 3.32, è notte fonda e dalle fessure delle persiane si intravede la luce dei lampioni che illuminano la strada deserta.
Sono sola con i miei pensieri più confusi che mai.
Erano anni che non sognavo mio padre, soprattutto facendo emergere così dal nulla un ricordo legato alla mia infanzia.
Per essere precisi, papà non era presente, ma si parlava di lui... e si parlava di Natale.
Chissà perché un episodio così lontano mi è tornato alla mente proprio adesso...
Che senso ha?
 
Marco’s pov
 
Un rumore in cucina mi fa svegliare.
Allungo istintivamente la mano verso l’altra parte del letto, trovandola vuota anche se il lenzuolo è tiepido.
Non è una novità, è già da una settimana che mi capita di ridestarmi nel cuore della notte e non trovare Anna. Il nostro baby Nardi è inquieto, non lascia dormire la sua mamma concedendole il riposo che meriterebbe. Ma forse, quando si dice che per i figli si fa qualsiasi cosa e ogni sacrificio possibile, si intendono anche i nove mesi che precedono la loro nascita. E Anna è una che non si risparmia affatto.
Aspetto qualche istante, perché di solito lei si alza per fare due passi per poi tornare a letto, ma quando mi rendo conto che stavolta sta tardando decido di alzarmi anch’io e raggiungerla, preoccupato.
La trovo seduta sul divano, intenta a mormorare a Patatino di non far rumore per non svegliarmi. Intuisco che dev’essere stato lui, prima, a urtare qualcosa.
Sorrido, battendo piano il pugno sullo stipite della porta per rendere nota la mia presenza senza spaventarli, ottenendo così l’attenzione di entrambi.
La mia fidanzata alza gli occhi al cielo, tornando a rivolgersi al nostro cagnolone.
“Niente, abbiamo fallito, Patatino. Marco si è svegliato lo stesso!” esclama in tono sconsolato, facendomi ridacchiare.
La raggiungo, sedendomi accanto a lei.
“Tutto bene?” chiedo, sistemandole i capelli dietro l’orecchio.
Anna si rilassa sotto al mio tocco premuroso rivolgendomi un sorriso assonnato.
“Sì... al solito, il nostro piccolino non mi lascia dormire.”
Uhm, lo sai che non ti sta dicendo tutta la verità, vero?
Certo, Grillo, ma devo andarci piano.
La osservo meglio, notando gli occhi lucidi alla luce dell’abat-jour accesa sul tavolino nell’angolo. Non credo abbia pianto, però, e lei comunque non sembra voglia dire di più.
Per il momento lascio correre, fingendo di accettare la sua scusa.
Le accarezzo dolcemente il pancione, avvertendo con chiarezza i calcetti del bambino.
In ogni caso, è vero che non le dà tregua.
“Dovrai avere un altro pochino di pazienza, anche se so benissimo che non sei esattamente miss relax...”
Il mio tentativo di farla ridere per fortuna funziona.
Anna mi rivolge uno sguardo affettuoso.
“Grazie.”
Okay, questa ammetto di non averla capita. Perché mi sta ringraziando?
Lei sembra quasi leggermi nel pensiero - e ti stupisci pure, ora? - perché la sua spiegazione non tarda ad arrivare.
“Avevo proprio bisogno di una risata.”
Sposto la mano dal pancione alla sua guancia calda.
“Sono qui per questo, io, no? La mia missione nella vita è farti ridere, è una delle poche cose in cui sono veramente bravo,” replico, orgoglioso.
La mia fidanzata scuote la testa, divertita, prima di portare le dita dietro la mia nuca, avvicinandomi a sé per un bacio.
Devo dire che questi momenti di veglia notturna non mi dispiacciono affatto.
Non avevo dubbi. Però siete tanto carini quando fate così! Anche un po’ smielati a dire il vero, ma ci passiamo sopra, per adesso...
 
Anna’s pov
 
Dopo una lotta impari con baby Nardi, la scorsa notte sono riuscita ad addormentarmi intorno alle 5. Peccato che la sveglia di Marco abbia iniziato a suonare alle 7.30, ridestandomi completamente. Lui mi avrà chiesto scusa un milione di volte, perché sperava di svegliarsi in tempo per staccarla in anticipo, ma non sono mica arrabbiata con lui. Deve andare al lavoro, ed è già abbastanza complicato per via delle notti in bianco che anche lui spesso trascorre, senza il trillare del suo cellulare non riuscirebbe ad alzarsi.
 
Il mio fidanzato è uscito per andare al tribunale da un paio d’ore quando mi metto a cercare nella libreria un album di foto che non apro da tempo.
Lo tiro fuori non appena lo trovo, incastrato tra altri volumi, e sulla copertina c’è scritto “I primi ricordi di Anna” nell’inconfondibile calligrafia elegante di mia madre.
All’interno sono raccolte molte immagini della mia infanzia, risalenti a prima che mio padre morisse.
Conosco tutte le foto a memoria, nonostante non apra queste pagine ingiallite da parecchi anni.
È la prima cosa che metto negli scatoloni ogni volta che mi capita di dover traslocare, eppure non ho provato il desiderio di sbirciare all’interno per un sacco di tempo. Perché dovrei farlo adesso?
In realtà non lo so neanche io. C’entra il sogno, sicuro, ma so bene che non è qui dentro che troverò le risposte ai miei dubbi.
Faccio per sollevare la copertina, quando qualcuno bussa alla porta di casa.
Ripongo l’album sul tavolino in salotto con un sospiro, per andare a vedere chi è.
Naturalmente è mia sorella Chiara, con l’ennesima serie di borse in mano dopo una mattinata di shopping.
Se si tratta di università o lavoro ritiene sia un crimine contro l’umanità svegliarsi presto, ma per fare spese evidentemente no.
Ignorando la mia occhiata esasperata, lei entra in casa con fare disinvolto, spiegandomi nel mentre che Marco l’ha chiamata, chiedendole di passare da me per via della nottata agitata.
“... ero a prendere un cornetto al bar giù in piazza quando mi ha telefonato, e nel tragitto verso casa tua ho visto questo vestito in vetrina, c’era pure lo sconto! Non potevo non comprarlo! Naturalmente dovevo abbinare borsa e scarpe, se no che senso avrebbe avuto? E così... ho perso tempo,” si giustifica, senza però mostrare ombra di rimpianto.
Si è comprata il negozio, secondo me. Lo sconto era sul negozio, non sul vestito e il resto.
Rido alla battuta della mia Vocina, facendo inarcare un sopracciglio a mia sorella.
“Che c’è da ridere? Era un’occasione u-n-i-c-a!”
“Immagino...! Non ci fare caso, comunque, non era per te che ridevo.”
Chiara mi scruta con espressione di colpo dubbiosa.
“Tutto bene? Marco mi è sembrato preoccupato al cellulare, anche se ha detto che non fosse successo nulla di grave... però ha ragione, tu non me la conti giusta.”
Beh, era normale che se ne accorgesse. Ci conosce troppo bene, difficile le sfugga qualcosa. Però non so spiegarle quale sia il problema perché non è chiaro nemmeno a me, e per il momento preferisco non condividere l’inquietudine per quel sogno.
Chiara per fortuna accetta la mia scusa sul fatto che sia io che Marco siamo un po’ scombussolati per via del sonno perso, così mi propone di fare una passeggiata e portare con noi Patatino, in attesa che si faccia l’ora di andare a prendere Ines a scuola.
Natalina mi ha chiamata stamattina chiedendomi se potevo andarci io, perché la bambina ha chiesto di poter passare un po’ di tempo con me.
A me, a volte, non sembra neanche vero. Adoro Ines, e adoro spendere i pomeriggi in sua compagnia. È davvero un tesoro.
Non ho esitato neanche un istante ad accettare la richiesta della perpetua.
Così eccomi qui con mia sorella, davanti all’ingresso della scuola.
Al suono della campanella Patatino scatta in piedi, iniziando a scodinzolare come un matto.
Ines ci nota subito, correndo allegramente verso di noi: la sua attenzione si concentra prima su Patatino, che ricambia festante il suo saluto. Non mi aspettavo però che la bambina, dopo essersi dedicata al cagnolone, venisse da me lasciando un delicato bacino sul pancione, sussurrando un “Ciao, baby Nardi!” che mi scioglie all’istante.
Saranno gli ormoni sballati, probabilmente, ma avverto gli occhi inumidirsi. Una risatina da parte di mia sorella mi porta a voltarmi nella sua direzione.
“Chi l’avrebbe mai detto, Anna che si lascia commuovere per così poco!”
Poche parole che vanno a colpire dritto il mio orgoglio, facendomi tornare in mente tutte le volte in cui la stessa cosa mi è stata detta sul lavoro, per sminuire le mie capacità.
“Io non mi lascio commuovere,” ribatto piccata.
Quanto sei permalosa, mamma mia.
Zitta, Vocina, io non sono permalosa!
Certo, certo. Tu valuti la situazione, naturalmente. E questa ti diceva di commuoverti. Non fa una piega.
Ci mancava la mia coscienza che mi fa il verso!
 
Abbiamo terminato di pranzare da un’oretta, quando Chiara va via. Marco non è rientrato, ma lo sapevo già, e adesso sono seduta con Ines appoggiata alla mia spalla, a guardare i cartoni alla tv prima che si metta a fare i compiti.
Un buon allenamento per il futuro, non trovi?
Vocina, sei una tortura oggi. Vuoi stare zitta?!
Ancora offesa per prima? Ma daaaai!
Sbatto le palpebre più volte, ridestandomi dai miei pensieri quando noto una manina sventolare davanti agli occhi.
“Stai bene, Anna? È da un pochino che ti chiamavo, ma non mi rispondevi...”
Io le accarezzo la testolina riccioluta con un sorriso.
“Non ti preoccupare, sono solo un po’ stanca, tutto qui.”
“Allora puoi fare un pisolino mentre io faccio i compiti, così ti riposi e possiamo giocare insieme, più tardi!” propone, saltando in piedi. Rido alla sua affermazione, mentre lei inizia a tirar fuori i quaderni dallo zaino.
 
Marco’s pov
 
Visto che non ho altro lavoro da fare per oggi, riesco a rientrare a casa un po’ prima del previsto. Sono passate da poco le 17 quando varco la soglia di casa, immersa nel silenzio a parte lo scorrere delle matite su un foglio: c’è infatti Ines, seduta al tavolo e intenta a colorare, che mi fa segno col ditino di non fare rumore, indicando il divano.
Solo adesso noto la mia fidanzata, appisolata contro i cuscini.
Sorrido, avvicinandomi alla bimba che adoro, posandole un bacio sulla testolina.
“Ciao!” mi saluta, abbracciandomi forte. “Anna si è addormentata poco fa, prima non ci riusciva. Ogni volta che sembrava dormire si svegliava dicendo qualcosa che però non ho capito,” mi spiega con espressione seria.
“Mh,” commento, pensieroso. “Non ti preoccupare per Anna. Per ora riesce a dormire poco, è normale. Tu stai tranquilla. Fammi vedere cosa hai disegnato!” provo allora a distarla.
La tattica funziona e così mi mostra la sua opera d’arte: ci sono lei e Patatino che giocano in un prato.
Si è affezionata un sacco al mio cagnolone, oltre che a me.
D’altronde, tale cane tale padrone.
Bel complimento, Grillo, molto gentile.
Oh, quanto sei permaloso pure tu! Io intendevo in positivo!
‘Pure’ io? Chi altro c’è di permaloso, sentiamo?
Ehm, nessuno. Lo dicevo così, per dire. Cosa vuoi che ne sappia, chi altro è permaloso, che parlo solo con te, io... Mica ci sono Vocine permalose...
“Marco...?”
Una voce assonnata mi riporta alla realtà.
Anna si è svegliata, e si sta stropicciando gli occhi.
La raggiungo, salutandola con un lieve bacio sulle labbra per poi sedermi sul bracciolo del divano, accanto a lei. “Ciao, amore... Puoi dormire ancora un po’ se vuoi, a Ines ci penso io.”
Lei scuote appena la testa, alzandosi con non poca fatica.
“Preferisco andare a fare un bagno... mi sa che ne ho più bisogno.”
Annuisco. “Se ti serve qualcosa, chiamami e arrivo di corsa.”
Anna ridacchia prima di sparire oltre la porta.   
 
Sono ancora seduto nello stesso punto quando Ines mi affianca, indicando un album di foto sul tavolino.
“Che cos’è quello?” mi chiede, ma io sinceramente non so risponderle.
Allungo un braccio, recuperando il libro rivestito di pelle blu, e il titolo impresso sopra mi sembra abbastanza eloquente. Rivolgo uno sguardo verso la porta del bagno, cercando di fare ordine tra le domande che mi frullano in testa su cos’abbia Anna in questi giorni. Prima che possa impedirglielo, distratto com’ero, Ines mi sfila l’album dalle mani e inizia a sfogliarlo, curiosa, sedendosi comodamente sul divano.
Dalla mia posizione, riesco a vedere le foto all’interno: sono tutte immagini che ritraggono Anna da piccola, insieme alla madre e alla sorella, ma anche insieme al padre Carlo.
In realtà le foto con lui non sono moltissime, stranamente, però in ognuna di esse lei sorride con uno di quei sorrisi enormi che raramente mi capita di vedere, ma che anch’io sono riuscito a strapparle qualche volta.
Doveva amarlo moltissimo.
Già, Grillo. Non solo: queste foto raccontano più di quanto a parole Anna sia mai riuscita a dirmi su di lui.
“Chi è il signore nelle foto?” Mi chiede Ines, indicandolo. Giustamente lei non l’aveva mai visto prima, Anna è molto gelosa di tutto ciò che conserva di lui, tiene tutto ‘sotto chiave’, in un certo senso.
“Questo ‘signore nelle foto’ si chiama Carlo Olivieri, ed è il papà di Anna. Come sai anche tu, è morto quando lei era piccola...” le spiego, cauto. Non voglio rischiare di provocarle ricordi tristi, ma lei non sembra turbata.
“Come la mia mamma... è in cielo come lei,” commenta infatti, serena, prima di riprendere a sfogliare quelle pagine ingiallite dal tempo.
Torno con lo sguardo alla porta del bagno.
Perché Anna ha tirato fuori dalla libreria quest’album?
 
Anna’s pov
 
Ero finalmente riuscita ad addormentarmi senza rifare quello strano sogno, quando il mio baby Nardi ha iniziato a dare pugnetti, svegliandomi. E il bagno non è così rilassante come speravo che fosse.
Quelle immagini continuano a frullarmi in testa, riproponendomi i momenti in cui da bambina stavo ore attaccata al vetro della finestra in attesa che mio padre rientrasse. Facendomi ricordare come lui, a Natale, non ci fosse quasi mai. Quello che non capisco è perché, tra tutti gli anni, questa memoria debba riemergere proprio adesso che sto per diventare mamma.
Se l’acqua calda ha tranquillizzato la mia creatura, a me sono invece aumentati i pensieri. Quando raggiungo Ines e Marco, in cucina, scopro che nel frattempo la bambina ha chiesto di poter restare per cena, e il mio fidanzato ovviamente non si è fatto pregare. Adesso sono entrambi ai fornelli, mentre lui dà sfogo al suo estro da chef e lei gli passa gli ingredienti o lo ascolta rapita mentre le spiega tutte le fasi di preparazione.
Il profumino che si alza dalle pentole sul fuoco è decisamente invitante.
Dopo qualche istante, Ines rivolge la sua attenzione su di me.
“Anna, ma ormai manca poco prima dell’arrivo del bimbo, vero?” mi chiede, arricciando le labbra in un’espressione concentrata.
“Sì, due settimane, più o meno.”
Lei annuisce con fare pensieroso.
“Allora forse è meglio che iniziate a mettere le decorazioni per Natale ora... così se vuole nascere prima, troverà tutto pronto! Arriverà che è già festa per tutti, e sarà più bello!” esclama, sollevando le braccia a indicare l’ambiente circostante.
È il 5 dicembre, non ha tutti i torti...
Però non riesco a rispondere alla sua proposta, le parole che si impigliano in gola. Non perché non sappia come replicare, ma perché mi ha ricordato una frase che io stessa, da piccola, ripetevo a mia madre in continuazione, anche se la spiegazione in quel caso era diversa.
... Mamma, perché non cominciamo a decorare casa? È dicembre...! Così, se papà rientra prima, vedrà che ci siamo date da fare! Sarà contento, e magari ci aiuterà pure lui a mettere le lucine sull’albero...
Sento gli occhi pizzicare e il dolore ricominciare a espandersi, come se quel ricordo avesse riaperto una ferita che non si era mai cicatrizzata del tutto.
“... Anna...? Ti senti male?” domanda Marco, preoccupato, riportandomi alla realtà.
Scuoto la testa. “No no, tutto bene... è solo che non mi va tanto di mangiare, stasera... E sono stanca... Scusate...” mormoro.
Raggiungo la nostra camera da letto in fretta quanto il mio pancione consente, mentre gli occhi lucidi hanno ormai lasciato spazio a lacrime vere, che tento di asciugare col dorso della mano prima di cambiarmi e mettermi a letto. So già che non riuscirò a prendere sonno tanto presto.
 
Marco’s pov
 
Dopo aver cenato e aver rassicurato Ines spiegandole che dobbiamo avere un po’ di pazienza con Anna, l’ho riaccompagnata in canonica approfittandone per far fare a Patatino la sua consueta passeggiata, seppur più breve del solito.
L’aria fredda non dà comunque l’impressione che possa nevicare, anche se non mi stupirebbe se succedesse.
Quando rientro a casa, ripenso per l’ennesima volta a ciò che è successo meno di due ore fa, ad Anna e alla sua reazione.
Adesso sono davvero preoccupato, perché okay gli sbalzi d’umore, gli ormoni alterati, la gravidanza e tutto, ma sono sicuro che ci sia altro sotto. La mia fidanzata però evita il discorso e, peggio ancora, non lascia nemmeno parlare i suoi occhi. Sono sempre stati una porta attraverso cui sono sempre riuscito a leggere il suo cuore. Ma se me lo impedisce, cosa posso fare? Voglio aiutarla, voglio capire, ma non so come.
Rivolgo l’attenzione verso quell’album ancora poggiato sul tavolino del soggiorno: forse la risposta potrebbe essere lì dentro, così mi metto a sfogliarlo ancora una volta, dedicando alle foto tutta la mia concentrazione.
Un’ora dopo chiudo stancamente le pagine ingiallite, rimettendo l’album nella sua postazione temporanea.
Non ho trovato nessuna risposta ai miei dubbi, non c’è nulla lì dentro che mi possa aiutare a comprendere lo strano comportamento di Anna. Non c’è traccia del periodo natalizio che potrei associare ad ora.
La raggiungo in camera, notando che è ancora sveglia.
“Ehi... come va?” tento.
Ricevo solo un mormorio incomprensibile in risposta, che mi fa capire non abbia tanta voglia di parlare.
Non la voglio forzare, così le sfioro i capelli prima di fare una doccia veloce e mettermi anch’io a letto senza dire nulla.
 
Sono le 3.28 quando una voce mi sveglia.
Anna.
Mi alzo di scatto, temendo stia male o che il bambino voglia nascere con decisamente troppo anticipo, ma mi blocco un attimo prima di toccarla, ascoltando più attentamente.
Non sta chiamando me, né altro.
Sta parlando nel sonno.
“... papà farà tardi anche stasera, vero?... Ma perché è sempre a lavoro?! Non c’è mai...”
Capisco stia sognando di parlare con sua madre, in un momento della sua infanzia.
Dal tono e dall’inquietudine che la scuote, non è certamente un bel sogno, quello che sta facendo.
Forse è questo il problema che non la fa dormire, che le distrugge l’umore... forse si tratta di un sogno ricorrente su qualche evento del suo passato che è tornato a tormentarla.
Ma come posso aiutarla se non mi dice cosa le passa per la testa?
Mi avvicino cercando di non svegliarla: mi sta dando le spalle, l’espressione nervosa che le distorce i lineamenti del viso, la mano serrata attorno alla federa del cuscino.
Con tutta la delicatezza che riesco a mettere insieme, la cingo in un abbraccio, accarezzando quel punto del suo grembo contro cui sento la pressione dei piedini della nostra creatura, agitata quanto la sua mamma.
Le poso un bacio sui capelli, facendo aderire la sua schiena al mio petto, nella speranza di riuscire a tranquillizzarla e placare quella rabbia che sembra provare per via del sogno.
Per fortuna pare funzionare, perché dopo qualche istante il respiro di Anna si fa più lento e regolare e la smorfia contrariata si rilassa in un’espressione serena.
Il mio intento è andato a buon fine.
Solo così riesco a riprendere sonno anch’io.
 
La mattina seguente, sono in cucina a preparare la colazione quando Anna mi raggiunge.
A parte il brutto sogno, è riuscita a dormire tutta la notte e il suo umore ne ha giovato, perché è molto più sorridente rispetto ai giorni scorsi.
Quel suo “Buongiorno!” accompagnato da un bacio e una risatina quando rischio di versare a terra il latte, mancando il bersaglio della tazza, fanno partire la giornata nel modo migliore.
Dopo aver sbocconcellato qualcosa insieme, seppur a malincuore la lascio per andare al lavoro.
Ci sarà Patatino a farle compagnia in mia assenza.
 
Anna’s pov
 
Sono da poco passate le 14 quando il campanello di casa suona, allertando Patatino che inizia a scodinzolare, segno che, chiunque sia, è qualcuno di noto a entrambi.
Dall’altra parte della porta, infatti, ci sono mia madre, Chiara e la piccola Ines.
Oltre a loro, una quantità indefinita di scatole, borse e pacchetti è stata portata sul pianerottolo, evidentemente in attesa di essere trasferita in casa mia. Basta un’occhiata per capire che contengono decorazioni natalizie.
“Buongiorno, sorellina! Adesso che hai aperto, possiamo finalmente dare il via all’operazione ‘Decoriamo casa per Natale e per accogliere baby Nardi’!”
Tua sorella ha una pessima capacità di inventiva, per i nomi  delle sue missioni.
Le accolgo con un sorriso, aiutandole per quanto riesco a portare dentro tutto.
Pochi minuti dopo, però, mentre stiamo iniziando a tirar fuori gli addobbi dalle scatole, mi blocco osservando le donne in casa con me.
Una strana sensazione alla gola.
“Anna, che hai?”
Chiara ha alzato lo sguardo, beccandomi a fissare il vuoto.
“Niente, niente... stavo solo cercando di capire cosa appendere per primo.” replico.
Perché continui a mentire a tutti, Anna? Perché non dici la verità?
Quale verità, Vocina? Non so di cosa tu stia parlando...
Sì, certo, e io sono scema come Grillo e ti credo! Ma per favore!
Non so chi sia questo ‘grillo’ di cui parli spesso, ma io sto benissimo.
Ah, sì? E allora perché invece di aiutare tua madre, tua sorella e la bimba a preparare la casa per Natale, sei qui alla finestra, intenta a fissare la strada sperando che arrivi qualcuno?
... ha senso, continuare a mentire a me stessa?
Forse ho capito cosa significhino quei sogni. Perché ricordo ogni Natale passato senza papà, quando era ancora vivo e avrebbe potuto esserci? Perché era ancora con noi, perché Lisi non aveva ancora attuato la sua truffa, perché noi eravamo lì e lui era sempre al lavoro.
E se sono alla finestra, è perché sto desiderando con tutto il cuore di veder arrivare la moto del mio fidanzato. Di sentirlo salire le scale di corsa, aprire la porta e aiutarmi con le decorazioni. Sto sperando che lui sia diverso, che la creatura che porto in grembo non debba mai affrontare ciò che io ho vissuto.
Solo adesso capisco davvero.
E sono convinta che questi pensieri sono molto simili a quelli che deve aver fatto mia madre quand’ero piccola e lei restava in casa da sola, con me e Chiara.
Sto per allontanarmi e tornare da mia sorella quando il rumore di una moto attira la mia attenzione. Non è il solo, però: c’è anche quello di un’auto.
Il mio cuore inizia a battere più in fretta.
Passano pochi istanti, poi la porta di casa si spalanca, e Marco e Cecchini fanno il loro ingresso, portando a loro volta decorazioni natalizie da aggiungere alle altre.
Il maresciallo raggiunge mamma, mentre Marco riesce appena  a salutare perché Ines gli si lancia addosso e lui non esita a prenderla al volo.
La scena è davvero troppo per me.
Non riesco più a trattenermi e scoppio a piangere in mezzo al salone, sotto lo sguardo stupito dei presenti.
Mi rifugio in fretta in camera da letto, chiudendo la porta per lasciare che quel pianto liberatorio che trattenevo da giorni possa aver sfogo.
 
Marco’s pov
 
Nella stanza, in mezzo agli addobbi natalizi, sono tutti stupiti dal comportamento di Anna.
Tutti, tranne la mia futura suocera, che mi osserva mentre tengo ancora in braccio Ines.
Marco, io sono scemo, ma credo che in tutta questa storia, sia suo padre che tu abbiate un ruolo determinante.
Metto a terra la bambina, lasciandola insieme agli altri mentre io mi dirigo con un sospiro verso la camera da letto.
Busso piano contro il legno della porta, ma in risposta ricevo solo i singhiozzi di Anna.
Lascio passare qualche istante in attesa di un segno che non arriva, così decido di provare in un altro modo.
“Anna... sono qui, lasciami entrare.”
E non solo in senso letterale, nella camera, ma anche e soprattutto nel mondo che si porta dentro, per poter capire cosa abbia e cosa posso fare per alleviare quel dolore.
Come ho fatto in passato e come vorrei poter fare per il resto della mia vita.
La maniglia si abbassa, lasciando uno spiraglio: il lasciapassare.
Una volta dentro, trovo la mia fidanzata seduta sul letto, la testa china, una mano che tenta di asciugare le ennesime lacrime cadute.
Io mi siedo a terra davanti a lei, in silenzio. Sono qui per ascoltarla, se vorrà parlare, perché forzarla non servirebbe a nulla.
Lei fa scorrere la mano libera sul suo pancione, soffermandosi sui punti in cui probabilmente avverte poggiato il bambino, per poi sollevare lo sguardo e puntarlo dritto nel mio.
Eccoli, finalmente, quegli occhi verdi che da giorni cerco e bramo.
La porta sul suo cuore, su quel mondo più complesso del Paese delle Meraviglie di Alice.
“Scusa.”
Corrugo le sopracciglia. Non capisco, di cosa dovrebbe scusarsi? Avrà anche avuto uno strano comportamento, ultimamente, ma...
Passano alcuni instanti in cui lei non dice nulla, e io non so se rompere il silenzio e chiederle il perché di quelle scuse, se azzardare una mossa, o attendere.
Ma la regina della scacchiera è lei, ed è a lei che tocca la prossima mossa.
Un lungo sospiro, poi inizia a parlare.
“Il fatto è che... vederti con Ines, vederti accoglierla in quel modo, ha fatto sanguinare una ferita che c’è sempre stata ma non si era mai riaperta, perché fino ad oggi non c’era stato motivo che succedesse. Mentre ora... ora c’è.”
La mia confusione aumenta e lei sembra accorgersene, perché continua la spiegazione.
“Ho sognato spesso mio padre, negli ultimi giorni. O, per meglio dire, la sua assenza. Capitava spesso che non ci fosse, a casa, nemmeno per Natale. Per i suoi viaggi di lavoro, o perché era in fabbrica. Papà era un uomo meraviglioso, ma anche un lavoratore instancabile, e durante le feste, le scarpe che produceva erano regali natalizi molto apprezzati... A dicembre, era più il tempo che passava in fabbrica, che a casa. Non c’era mai quando decoravamo l’albero... spesso, mancava anche la vigilia di Natale, e la mattina stessa, se arrivavano ordini dell’ultimo minuto. Ma non perché non volesse stare con noi... era sempre in fabbrica perché voleva che i suoi dipendenti avessero tempo per stare con la famiglia, così lo sottraeva alla sua per far sì che gli altri potessero godersi la propria. Come se volesse far capire a tutti quanto fosse importante stare con le persone che amiamo...”
Inizio a capire dove il discorso stia andando a parare, così le stringo le mani, per incitarla a continuare.
Solo liberando i suoi pensieri si sentirà meglio.
 
Anna’s pov
 
La carezza delle dita di Marco attorno alle mie è sufficiente a far proseguire la mia ‘confessione’.
Fino ad ora non ci avevo mai ripensato a quei momenti in particolare, perché non sapevo che mio padre avesse tradito mia madre. E le giornate che passava al lavoro gli servivano per non pensare ai suoi sentimenti. E io lo so cosa vuol dire, perché io stessa l’ho sempre fatto. Adesso, quel suo buttarsi a lavorare senza sosta assume sempre più i tratti di un atto di espiazione per quel tradimento... Evidentemente ha capito solo col tempo quanto fosse importante avere accanto persone che ti amano e ti perdonano anche quando sbagli. E magari non voleva che qualcuno dei suoi dipendenti trascurasse la famiglia come aveva fatto lui, e commettesse l’errore di dimenticare chi avesse accanto.
Marco, nel frattempo, si è seduto accanto a me sul letto.
“A pensarci adesso sembravo un’egoista, però da piccola avrei tanto voluto avere papà tutto per me. Ero convinta che sì, ci volesse bene, ma che preferisse il lavoro a noi...”
Il mio fidanzato asciuga le mie lacrime con dolcezza, prima di accarezzarmi una guancia, comprensivo.
“Non c’è nulla di male, in questo... eri solo una bambina, sono pensieri che si fanno, non potevi sapere-”
“Io non voglio che al nostro bambino succeda quello che è successo a me,” lo interrompo improvvisamente, ammettendo ciò che mi spaventa di più in assoluto. “Lo so che è una cosa stupida, che tu mi ami e non sei come mio padre, ma con il parto che si avvicina, proprio a ridosso del Natale, non riesco a non pensarci. E quando ho visto mia madre e mia sorella impegnate a decorare e tu non c’eri, ho iniziato a immaginare il nostro futuro, con me o te impegnati col lavoro, che non siamo a casa con nostro figlio a preparare biscotti e decorare la casa. Ma quando tu sei arrivato, e Ines ti è corsa incontro... mi sono sentita una sciocca. Perché ho pensato che potessi essere come lui, ma non è così, e... e-”
Il flusso dei miei pensieri sembra inarrestabile come le lacrime che Marco sta tentando inutilmente di asciugare.
È di nuovo lui a salvarmi dalla mia mente, posandomi un dito sulle labbra, obbligandomi poi a guardarlo.
“Anna... calmati. Spegni per un attimo la testa, perché tutti questi pensieri ti fanno più male dei ricordi che sono giustamente affiorati negli ultimi tempi.”
Prima che possa chiedergli cosa intenda con ‘giustamente’, lui continua.
“Io ho sempre sperato di poter essere per nostro figlio ciò che tuo padre è stato per te... Ma vorrei essere quello dei bei ricordi, quello che tu hai sempre amato perché ne conoscevi i pregi, più che i difetti. Un figlio vede i suoi genitori con gli occhi del cuore e non con il cervello... a volte ci facciamo condizionare dall’immagine ideale che abbiamo di loro, però è vero che tutti possiamo sbagliare. L’importante è imparare dagli errori, e tuo padre lo ha fatto. Certo, ha sottratto tempo a sua moglie e alle sue figlie, ma non poteva sapere che quelli erano gli unici Natali che gli restavano, che avreste potuto passare insieme. Sperava di poterne vivere molti altri con voi, con più serenità, e se avesse saputo come sarebbe andata, si sarebbe comportato in modo diverso. Ma il passato è passato, non si può cambiare. Possiamo però scegliere quali ricordi conservare, come quelli che hai nell’album di foto che hai tirato fuori dalla libreria qualche giorno fa. Non ci sono foto del Natale lì dentro, perché il tuo papà non c’era. Ce ne sono altre, però, in cui eravate felici... Non erano nemmeno eventi speciali, ma lo sono diventati col tempo. Anche noi due commetteremo errori, e magari capiterà di non essere sempre presenti per il nostro scricciolo perché saremo al lavoro fino a tardi, o avremo turni nei giorni festivi... ma nostro figlio non sarà meno amato, per questo, così come tuo padre non amava di meno te e Chiara quando era in fabbrica e non a casa con voi a decorare l’albero.”
Bacio Marco di slancio non appena termina il suo discorso, perché non c’è nulla da aggiungere a quello che ha detto. Ha ragione su tutto, e sono felice che mi abbia aiutata a trovare e risolvere il problema.
Solo lui, come sempre.
Perché Marco c’è sempre.
È un bacio lungo, intenso e colmo di sentimenti: c’è tristezza per i ricordi evocati, paura per il futuro che ci attende, e c’è la voglia di avere già il nostro baby Nardi tra le braccia per potergli dire quanto lo amiamo, che ci saremo, che non siamo perfetti e mai lo saremo, ma possiamo provare ad essere la versione migliore di noi stessi.
La cosa certa è che io, Marco e lo scricciolo che sta per arrivare saremo una famiglia, come tante altre, dove ci sarà gioia, amore, e qualche volta anche rabbia e tristezza. Ma non importa, fa parte del gioco. Quello che conta siamo noi, e i ricordi che creeremo insieme.
“Vuoi riposarti un po’? Visto lo sfogo...” mi suggerisce il mio fidanzato quando ci separiamo, ma io ho un’idea migliore.
“Torniamo di là,” affermo, “c’è la casa da decorare.”
 
Marco’s pov
 
La giornata di ieri è stata colma di emozioni ed eventi, ma per fortuna tutto sembra essere andato per il meglio.
Oggi, una volta finito di lavorare, mi sono recato al vivaio più grande di Spoleto, quello dove qualche anno fa avevo cercato di trovare un abete in pieno agosto insieme a Cecchini, per il piccolo Cosimo. Stavolta, visto che siamo a dicembre, non ho avuto problemi a recuperarne uno.
Anche perché, detto tra noi, il bambino aveva ragione: sarà anche la tradizione, ma la palma, come albero natalizio, fa schifo.
Quando rientro a casa, non appena apro la porta, trovo Anna e Ines alle prese con la preparazione dei biscotti, in cucina. C’è farina ovunque, sul viso della bimba (e i vestiti non sono da meno), ma soprattutto ci sono risate.
Hanno bisogno di qualche minuto, concentrate come sono, per notare che oltre a me, c’è anche un abete.
“L’alberoooo!” esclama Ines, mettendosi a saltellare, felice. Anna ha sulle labbra un sorriso molto, molto simile a quello sulle foto nell’album.
La bambina è estasiata all’idea di decorare un altro albero, oltre a quello che ha addobbato in canonica con Natalina e Pippo, e sta già commentando quanto sembrerà bello con le lucine colorate, quando la mia fidanzata mi si avvicina, gli occhi lucidi.
“Per favore, non metterti di nuovo a piangere!” esclamo, allarmato. “Stavolta cosa ho sbagliato?”
La mia voce lascia trasparire solo panico.
Ma Anna sorride di nuovo.
“Non hai sbagliato niente, anzi... Stai facendo tutto nel modo giusto... più che giusto. Sei qui.”
La sua risposta mi tranquillizza quasi quanto il bacio che ci scambiamo.
“Allora, Ines, dove lo mettiamo quest’albero?” le chiedo, per coinvolgerla. Lei non perde neanche un secondo a darmi direttive, facendomi ridere.
Con la coda dell’occhio, noto Anna dirigersi verso il tavolino dov’è poggiato l’album di foto della sua infanzia: lo osserva per un attimo, prima di riporlo al suo posto nella libreria.
Lascio Ines a scegliere le prime palline da appendere, per recuperare una piccola borsa dall’ingresso e porgerla alla mia fidanzata.
“Non è ancora presto, per scambiarci i regali di Natale?” fa lei, inarcando le sopracciglia.
“Non farti troppe domande, amore. Aprilo e basta.”
Fa come le dico, tirando fuori dalla busta un album per le foto.
Bianco, per non far torto a nessuno, visto che non sappiamo ancora se il nostro baby Nardi sarà un maschietto o una femminuccia.
Scritto sulla copertina, con la mia calligrafia, c’è impressa la frase “I ricordi di...”, incompleta perché manca il nome, che aggiungeremo tra qualche giorno.
Anna mi regala un sorriso splendido, posando la mano sulla mia guancia e accarezzandola.
Ha capito.
“Penso di sapere quale sarà la prima foto che incolleremo, su quest’album.”
Annuisco.
“Sarà certamente un Natale da ricordare.”
 
Psst! Psst! Grillo!
 
Che c’è, Vocina?
 
Stiamo veramente lasciando andare i nostri amici così, senza dire quella cosa?
 
Quale cosa?
 
Come, quale cosa? Grillo, mancano appena cinque giorni!
 
Ahhhh, hai ragione, è vero! Lascio a te l’onore.
 
Va bene. Amici, ci siamo! No, non c’entrano niente le storie, le favole... È quasi Natale. Non esattamente quello che ci aspettavamo, ma non per questo sarà meno Natale del solito.
 
Bella spiegazione! Poi sono io, quello che dice le cose a metà!
 
Zitto, Grillo!
 
Vocina, dai, è Natale! Non dovresti essere più buona anche tu?
 
E va bene! Scusa, Grillo. E a voi, amici, auguriamo tutti un Buon Natale! E visto che dobbiamo essere più buoni, lo auguriamo pure a chi non fa il tifo per i nostri Anna e Marco. Ma solo per stavolta!
 
Ben detto! Tanti auguri!
 
 

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