Di quando eravamo giovani e pieni di sogni e ancora non capivamo il vero significato dell’amore

di vincey_strychnine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fred Weasley non è del tutto privo di meriti ***
Capitolo 2: *** Purgatorio Romantico ***
Capitolo 3: *** In fuga dai Mangiamorte e dall'amore ***
Capitolo 4: *** Al diavolo Fred Weasley ***
Capitolo 5: *** Il principe rosso ***
Capitolo 6: *** Smettere di amarti fa male ***
Capitolo 7: *** La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi ***
Capitolo 8: *** Un piccolo segreto ***



Capitolo 1
*** Fred Weasley non è del tutto privo di meriti ***


Parte 1: Fred Weasley non è del tutto privo di meriti

 

Rebecca Nolton era incredibilmente nella media, per una bambina nata durante la Prima Guerra Magica. Il padre e la sua nuova moglie possedevano un rifugio per creature ferite, sia magiche che non, appena fuori Birmingham. Lei era nata in Italia, suo padre e sua madre si erano separati prima che nascesse e lui era subito tornato in Inghilterra, e quando lei aveva quattro anni sua madre Lidia aveva deciso che per il suo bene la figlia si sarebbe dovuta trasferire dal padre, ma nessuno le aveva voluto spiegare sul momento perché, né lei sapeva perché lui fosse andato via. Sapeva solo che erano successe tante cose strane in Europa nel periodo in cui un certo mago oscuro era tornato, anche se per lei erano poco più che ricordi molto offuscati della primissima infanzia trascorsa in sontuosi palazzi barocchi nel centro di un’antica città, e solo quando era già lontana da casa da qualche anno le era stato raccontato della guerra. D’altronde sua madre non si era mai preoccupata troppo di lei, e da quando erano lontane le aveva scritto sì e no una volta all’anno. Adesso viveva da tempo con il padre, su tre acri di terra con abbastanza spazio perché gli animali potessero rimettersi e per il cottage dove i tre abitavano. Da che era abbastanza grande per ricordare con chiarezza, Rebecca aveva vissuto tutto sommato una vita pacifica. Non c’era un gran bisogno di allontanarsi da casa dal momento che la seconda moglie del padre, che aveva una laurea in Erbologia, coltivava il loro cibo e spesso cuciva da sé i vestiti. Rebecca viveva in compagnia di ogni tipo di creatura nel giardino della signora Nolton. Aveva iniziato a imparare la magia quando era molto piccola, incantesimi di un tempo antico che le aveva insegnato la nonna materna Argenta, potente strega, quando ancora vivevano in Italia, parole latine rigorosamente da bisbigliare pianissimo. Ma il padre le aveva spiegato appena lei si era trasferita in Inghilterra, che non avrebbe mai e poi mai dovuto usarle, ed erano rimaste il suo piccolo segreto. Aveva invece imparato dalla moglie di lui, Hestia, ad usare semplici incanti, formule di guarigione sufficienti a riparare le ali dei gufi, che per una bambina di otto anni supponeva fosse abbastanza ragguardevole. Era una grande strega in fieri, o almeno questo era quello che la matrigna diceva ogni volta che vedeva Rebecca e il padre rintanati nello studio di lui ad analizzare pile di libri e circondati di pergamene. Nicholas Nolton raggiungeva esattamente il metro e novantacinque. Era arrivato a quell’altezza a sedici anni e aveva chiesto a Madama Chips di fargli un incantesimo cosicché non continuasse a crescere, e lei aveva acconsentito puramente perché l’idea di uno studente del settimo anno che torreggiava a più di due metri di altezza la spaventava a morte. Nicholas Nolton era un discreto appassionato del mondo babbano e spesso si scambiava lettere con un atro intenditore di nome Arthur Weasley. Aveva una gran testa di capelli biondi e scompigliati che potevano appartenere solo ad uno studioso, occhi scuri, e un paio di occhiali rettangolari appoggiati sul naso storto, risultato di un osso rotto che non si era mai preoccupato di aggiustare adeguatamente. Era molto più pallido di sua moglie, che passava tutto il tempo al sole. Hestia Nolton era il ritratto della sua antenata Cosetta Corvonero. Aveva la stessa sfumatura di capelli neri e gli stessi occhi blu che sembravano abissi, o petali di fiordaliso.

 

Rebecca aveva condotto quella che immaginava fosse un’infanzia non convenzionale per una ragazza discendente da due delle più potenti famiglie Purosangue d’Europa. La maggior parte delle ragazzine come lei crescevano sapendo che venivano addestrate per essere introdotte in società e incontrare un buon partito dal sangue puro, ma Rebecca non sapeva nulla di tutto ciò. Quel poco che aveva visto della società di là fuori era l’occasionale amico di famiglia che passava da loro e si fermava per un mese o due, come uno degli animali di cui si prendevano cura. Non fu finché non passò qualcuno che decisamente non era un amico di famiglia che Rebecca ebbe modo di vedere cosa la società dei maghi fosse veramente.

 

Aveva dieci anni quando i Malfoy fecero loro una visita. Pensò che Lucius assomigliasse più ad una statua che ad un umano, non solo perché i suoi capelli avevano lo stesso pallore diafano della pelle, ma perché i suoi occhi erano privi della scintilla che lei aveva sempre attribuito all’umanità. Quel lieve sfarfallare di gentilezza che trovava nelle bestie e negli uomini allo stesso modo. Lucius l’aveva spaventata, a le avrebbe fatto paura anche sua moglie se non le avesse rivolto il più lieve accenno di un sorriso, poi la contrazione delle sue labbra era svanita troppo in fretta quasi come se la donna avesse avuto paura che il marito potesse coglierla con un sorriso sulle labbra. Si erano portati dietro il piccolo Draco, che con il suo rigido contegno e la sua postura era così opposto rispetto a Rebecca che il risultato era quasi comico. Rebecca viveva ogni momento di veglia sotto il sole, i suoi occhi erano grandi, scuri e scintillanti e i suoi capelli cadevano liberi in onde color miele sulla schiena. Inizialmente aveva sorriso a Draco quando i genitori li avevano lasciati soli per ritirarsi nello studio, ma lui non aveva ricambiato il sorriso. Lei non aveva esperienza con i bambini della sua età poiché la maggior parte del tempo la passava con adulti o animali, ma aveva fatto lo sforzo di essere gentile con lui.

 

“Draco è un nome buffo.” Non l’aveva detto con crudeltà. Rebecca stava solo commentandone l’originalità, non le era mai passato per la testa che essere diversi potesse essere una cosa negativa. Ma quando la sua espressione impassibile e statuaria (insopportabile sul viso di un bambino) si era contorta in una di rabbia devastante si era resa conto del suo errore. Una volta che Draco se ne fu andato Rebecca ebbe la premura di dire al padre e alla moglie che i Malfoy non erano persone molto piacevoli. I genitori concordarono con lei.

 

Poco prima, nella primavera del suo nono anno, Remus era passato a trovarli per la prima volta. Erano passati sette anni da quando i Nolton avevano ricevuto notizie del loro vecchio amico. Da quando la guerra era scomparsa assieme a molti dei loro vecchi compagni. C’era una tempesta quella sera e Rebecca era stata tenuta sveglia dagli schianti dei tuoni, a fissare la luna piena. Terrorizzata, sarebbe voluta andare dai suoi ma temeva che li avrebbe svegliati. Quando sentì qualcosa cadere in cucina si decise finalmente ad alzarsi dalla stretta soffocante delle sue lenzuola blu e a cercare il padre e la moglie. Quello che invece aveva trovato era stata Hestia che piangeva in preda al panico e distruggeva la cucina alla ricerca disperata di qualcosa che non si riusciva a trovare, e suo padre accovacciato su quello che sembrava essere un cadavere. Solo che non era un cadavere, perché si agitava e sanguinava senza sosta.

 

“Papà? Chi è?”

 

“La mia bacchetta, Prendi la mia bacchetta, Rebecca!” la ragazzina era pietrificata a guardare gli occhi girati all’indietro di un tale Remus Lupin. “Adesso, Rebecca!” scattò all’azione. Non era nulla di nuovo, spesso si svegliava e vedeva i suoi che si affrettavano a curare qualche povera creatura dilaniata, ma questa volta non era un animale. Trovò la bacchetta di suo padre e lui cominciò a mormorare incantesimi di guarigione non appena fu fra le sue mani. Poi andò in cucina e trovò quello che Hestia stava cercando, una fiala di pozione Cura-ferite. La maggior parte della pozione era conservata nel deposito vicino agli animali, era raro che un membro della famiglia si facesse abbastanza male da necessitare più di un semplice incantesimo. Ma era tenuta a portata di mano per i casi di emergenza, come quando Rebecca si era rotta la testa su un sasso cercando di levitare nel giardino.

 

La matrigna l’aveva rimproverata mentre le spostava i capelli dal viso. “Devi imparare ad essere paziente con te stessa, Becky. Tutto succede a tempo debito e non c’è fretta che tu cresca così rapidamente.” Rebecca aveva imparato la lezione, ma non esattamente nel modo che intendeva Hestia. Smise di levitare sul terreno roccioso ma continuò a farlo sopra al letto, tenendosi in equilibrio finché non fu sicura delle sue abilità. La signora Nolton scherzava e diceva che non era una sorpresa che Rebecca fosse così ambiziosa dal momento che suo padre era un Serpeverde.

 

Era rimasta sveglia tutta la notte a fissare la figura addormentata di Remus Lupin. Non era insolito trovare Rebecca Nolton stesa sul pavimento del rifugio senza niente a farle compagnia oltre a una coperta di lana, mentre osservava un nuovo animale. Erano sempre molto spaventati nelle prime notti, senza dubbio perché si aspettavano di ricevere lo stesso trattamento pesante che gli era stato riservato troppe volte fuori dal rifugio. 

 

Remus Lupin si era svegliato con davanti gli occhi grandi e curiosi di Rebecca Nolton e per un minuto l’aveva scambiata per un gufo. Si limitava ad osservarlo mentre lui si tirava a sedere sulla branda che i Nolton avevano fatto apposta per lui, senza proferir parola mentre esaminava la nuova conoscenza.

“Tu devi essere Rebecca, io sono Remus Lupin,” fu il primo a parlare, allungando la mano per salutare la ragazzina che posizionò la sua mano in quella dell’uomo, quattro volte più grande della sua, e la strinse con fermezza. 

 

“Sta bene?” gli chiese e lui fece una smorfia di dolore mentre portava le gambe al lato del letto, gesto che sicuramente faceva bruciare la ferita ancora non del tutto guarita sul fianco. 

 

“Sto molto meglio ora grazie ai tuoi.” Lei annuì e gli allungò una tazza di tè che aveva preparato per lui. “Ti ringrazio Rebecca, è molto gentile da parte tua.” Soffiò via un po’ di vapore e bevve un sorso.

 

“Come conosce papà e Hestia?” lui la guardò con attenzione tentando di capire cosa sarebbe stato appropriato divulgare.

 

“Sai qualcosa su quello che è successo quando eri ancora in Italia?” lei annuì con fierezza, nonostante la sua giovane età, il padre e Hestia non avevano voluto allontanare la bambina dalle verità del mondo, ma solo spiegarle come conviverci. Le piaceva considerarsi una vera e propria adulta con tutti i libri che aveva letto e le sue conoscenze sulla guerra, e i suoi erano troppo divertiti dalla cosa per contraddirla.

 

“Colui Che Non Deve Essere Nominato formò un gruppo chiamato i Mangiamorte, basato sul principio che i maghi e le streghe Purosangue sono superiori ai Sanguemisto e ai Nati Babbani. Siccome era una cosa veramente assurda, fu formato l’Ordine della Fenice di cui facevano parte anche papà ed Hestia, per porre fine al suo regno del terrore.” Remus sorrise, divertito. Aveva recitato il passaggio da Storia della Magia Moderna dal 1725 ad oggi, si ricordava ancora di Nicholas Nolton che glielo leggeva quando era stato inizialmente pubblicato.

 

“Esatto, beh, tuo padre ed Hestia costruirono questo posto come rifugio per le streghe e i maghi feriti durante la guerra, poiché su questo terreno della famiglia di Hestia Cosetta Corvonero in persona aveva fatto un incantesimo di protezione ed era una delle poche barriere che Voldemort…” lei sobbalzò al sentir pronunciare quel nome, gli occhi vigili come se potesse spuntare dal muro. “…Non poteva penetrare. Sono molto coraggiosi, i tuoi.” Rebecca sorrise anche se velata da un’ombra di malinconia ed annuì, naturalmente questo lo sapeva già. Suo padre era sicuramente una delle persone migliori al mondo, tutti lo dicevano in continuazione. Nessuno menzionava mai Lidia e talvolta anche lei stessa scordava che Hestia non era la sua vera mamma.

 

Sedettero in silenzio per un po’, Remus osservando la sua tazza e Rebecca considerando la possibilità di iniziare una nuova amicizia. “Ha fame, signor Lupin?”

 

“Sono molto affamato, in effetti.”

 

“Come le preferisce le uova?” stava già andando verso la cucina.

 

Remus Lupin rimase con i Nolton per cinque mesi. Convertirono il laboratorio botanico al chiuso della signora Nolton in una stanza per gli ospiti, Rebecca cominciò a chiamare Remus ‘Remy’ dal secondo giorno della sua permanenza, e continuarono a scriversi anche molto tempo dopo che se ne fu andato. Era passato un bel po’ di tempo da quando Remus era stato chiamato Remy da qualcuno, così lui la ricopriva di regali e non scordava mai di passare a fare una visita a Natale o per il suo compleanno. Lei possedeva uno scaffale pieno dei libri che lui le aveva regalato oltre ad una serie di bizzarri monili. Un carillon della Cornovaglia che si diceva fosse appartenuto ad un vampiro cannibale, un gioco del mondo babbano chiamato Magic-8-ball, che era probabilmente la cosa meno magica che lui le aveva mai donato. Il miglior regalo arrivò per il suo undicesimo compleanno, a metà Giugno. Non era passato a consegnarlo di persona perché era in viaggio in Groenlandia a studiare qualcosa che certamente giaceva in una caverna fredda abbastanza da fargli perdere un dito del piede o due. Assieme al pacco mandò una foto della costa ghiacciata, con due cuccioli di orso polare che facevano la lotta nella neve. Lei strappo la carta da pacchi come un leone che sbrana una zebra. Lì, appoggiata nella bambagia c’era una scatola di legno, con papaveri arancioni dipinti sul coperchio. Era lunga quanto il suo avambraccio, la aprì e la sua bocca si spalancò.

 

“Per la barba di Merlino,” bisbigliò stupita. Dentro, accoccolato su un cuscino, c’era il gattino più adorabile che Rebecca avesse mai visto in vita sua. Hestia scoppiò a ridere quando si sporse per vedere per cosa la figliastra fosse così sbalordita.

 

“Oh, Remus! È proprio da lui fare una cosa del genere. Caro, vieni a vedere cos’ha regalato Lupin a tua figlia,” ridacchiò la signora Nolton deliziata.

 

“Beh ha un tempismo perfetto, adesso avrai un animale da portare a Hogwarts!” Il gatto aveva il manto da siamese, ma il pelo era troppo lungo perché fosse di razza pura. Gli sfiorò il nasetto nero e il gattino spalancò infastidito le piscine azzurre dei suoi occhi, agitando la coda e dandole le spalle. Aveva ancora un letto per animali da quando aveva ospitato una famiglia di porcospini nella sua camera l’estate precedente, lo sistemò accanto alla sua scrivania mentre si accingeva a scrivere un biglietto di ringraziamento per Lupin.

 

Caro Remy,

 

Grazie per il regalo! Ho aiutato a badare a dei gatti prima ma non ne ho mai avuto uno tutto mio quindi puoi solo immaginare quanto sono stata contenta quando ho aperto la scatola, che a proposito è una delle cose più belle che ho mai visto. Porterò sia la scatola che il gatto ad Hogwarts quando inizierà il semestre. Hestia spera che sarò smistata in Corvonero perché dice che sono una strega inusualmente brillante per la mia età, ma secondo papà me la caverei meglio in Serpeverde come lui, e so che tu e gli altri loro amici tiferete sicuramente per Grifondoro quindi non so proprio che pensare. Sto ancora cercando un nome per il gatto, penso si stia ancora abituando a me e quando ci saremo conosciuti meglio potrò trovargli qualcosa di adatto, anche se mi sembra abbia decisamente il muso da Azazel forse Azzie sarebbe un nome più carino. Anche se sono stata molto felice nel riceverlo, ci sono rimasta male che tu non sia venuto quest’anno. Verrai per Natale, vero? Ho deciso che non tornerò a casa se tu non ci farai una visita e farò sapere ai miei che la separazione dalla loro bambina è completamente colpa tua. Com’è la Groenlandia? Su cosa stai facendo le tue ricerche? Stammi bene, Remy. Non farti ammazzare, e grazie ancora per Azzie, è davvero il migliore dei gatti.

 

Ti voglio bene,

 

Beck

 

Hestia aggiunse una fiala di corno di Bicorno triturato e radice di Mandragola con l’istruzione di metterne un pizzico nel tè mattutino, per mantenersi al caldo fra i ghiacci, e la lettera fu spedita.

 

L’estate passò senza troppi eventi. L’avevano messa ad occuparsi dei clienti che intendevano adottare un animale e le avevano dato anche il compito di prendersi cura delle stalle. La mattina aiutava Hestia in giardino, anche se spesso questo voleva dire leggere qualcosa sotto una pianta di tasso mentre Azzie attaccava api e farfalle ignare. Quando fu il momento di prepararsi per Hogwarts, Rebecca ebbe l’estremo piacere di provare il suo primo attacco di panico.

 

Sedeva sul pavimento della sua camera, con le ginocchia premute forte contro il petto come se quel gesto potesse migliorare le cose. Azzie era incredibilmente preoccupato, i suoi miagolii si facevano sempre più forti perché lei non riusciva a rassicurarlo di star bene. Ma non riusciva a sentire nulla oltre al confluire del sangue nelle sue orecchie. Il gatto si alzò sulle zampe posteriori e le pose le anteriori sulle ginocchia, mentre il muso grigio indagava, senza capire cosa stesse succedendo. Aveva conosciuto a malapena una decina di bambini in vita sua, e nessuno di quelli si era tenuto in contatto con lei. Come sarebbe stato essere intrappolati in un castello senza vie di fuga? Il concetto di indipendenza era sempre stato intrigante per Rebecca, andarsene per mille avventure, senza una preoccupazione al mondo. Ma mentre la realtà della sua solitudine si fece strada in lei realizzava che forse non era pronta per nulla di tutto ciò. Bussarono alla porta.

 

“Stai bene cara?”

 

“Sì Hestia!” urlò.

 

“Bene, partiamo per Diagon Alley a mezzogiorno!”

 

“D’accordo!”

 

I passi della matrigna si allontanarono e i respiri affannosi di Rebecca tornarono, subito seguiti da un singhiozzo disperato. Rebecca si strinse più forte e aggrottò le sopracciglia, tentando disperatamente di calmarsi.

 

È solo una scuola, un sacco di ragazzini ci vanno e stanno tutti bene, anche tu starai bene. Se quei ragazzini ci riescono perché non dovresti riuscirci tu? Hestia e papà sono sopravvissuti a una guerra, Remy gira il mondo, questo non è niente a confronto. Potresti essere morta in un burrone, o coinvolta in una guerra, va tutto bene. Questa è una sciocchezza. Va tutto bene. È una sciocchezza. Va tutto bene. È una sciocchezza.

 

Si ripeté questo mantra nella testa finché non si sentì abbastanza bene da alzarsi. Azzie aveva smesso di miagolare già da un po’ e invece ora si era sdraiato ai suoi piedi, urtandoli con la testa ogni tanto per ricordarle che non era da sola, o almeno così a lei piaceva pensare. Guardò dentro allo specchio decorato che era appartenuto a Cosetta Corvonero e ora stava appoggiato nell’angolo della cameretta di un’undicenne. Si spostò i lunghi capelli dal viso e si guardò finché il rossore non se ne fu andato dalle sue guance e le tracce delle sue lacrime non si furono asciugate. Respirò a fondo e indossò un pullover blu.

 

“Hestia!” chiamò, “Sono pronta!” la donna sporse la testa dalla cucina, con la farina sparsa in fronte e sulla gonna nera.

 

“Perfetto, cara, dammi solo il tempo di cambiarmi e partiremo.”

 

I Nolton entrarono nel caminetto dopo che Nicholas ebbe gridato Diagon Alley e tutto quello che Rebecca riuscì a vedere per alcuni secondi fu luce verde.

 

“Bene cara, da dove vuoi cominciare?” Rebecca guardò suo padre come se le avesse appena fatto la domanda più stupida del mondo. Ridacchiò divertito: “Da Olivander, giusto,” disse facendo strada con sicurezza, aprendo la folla facilmente grazie all’alta statura. Rebecca seguiva con il cuore che batteva forte. Non che avesse paura di questa parte, anzi era qualcosa che attendeva con impazienza. Spesso aveva fabbricato finte bacchette con i rametti caduti dal tasso in giardino, agitandoli in aria come meglio poteva e gridando incantesimi che aveva sentito dire agli zii. Qualche volta li aveva usati anche per recitare le antiche magie latine della nonna, ma era stata presto rimproverata. Quando la porta di Olivander si aprì e lei entrò per la prima volta quasi pianse di gioia: finalmente sarebbe diventata una vera strega. C’era già una coppia di ragazzi dai capelli rossi lì dentro, assieme ad un uomo che Rebecca presumeva essere il padre. Uno dei gemelli aveva già la sua bacchetta, sedeva con il pacchetto in mano e attendeva pazientemente che il fratello ne provasse un’altra.

 

“Pino, anima di piuma di Fenice, 11 e 3/4, flessibile,” disse un uomo anziano, emergendo da dietro uno scaffale che arrivava al soffitto ed era pieno fino alla cima di bacchette di ogni tipo.

 

Rebecca capì che suo padre era impaziente di parlare con l’uomo dai capelli rossi, ma aspettava pazientemente che il ragazzo avesse testato la bacchetta. Lo fece e una scintilla arancio vivo partì dalla punta, esplodendo e frammentandosi in aria.

 

“Abbiamo trovato la sua bacchetta, signor Weasley,” non appena la bacchetta del ragazzo fu portata da Olivander a impacchettare, il signor Nolton fece un passo avanti.

 

“Arthur!” lo salutò giovialmente. L’altro uomo si girò con un largo sorriso, ricordando da quanto tempo non si vedessero. “Questa è mia figlia, Rebecca, Becky questo è il mio amico, il signor Weasley, te lo ricordi no? È quello che ti ha regalato il gufo di pezza per il tuo sesto compleanno.” Ah certo, ricordava quel gufo. Era stato il suo compagno di dormite per anni prima che una manticora particolarmente feroce lo sbranasse. Ricordava anche vagamente la presenza dei Weasley alla festa per i suoi sei anni. Aveva due figli della sua età che erano dei veri teppistelli, e aveva pregato Hestia di non invitarli mai più dopo che li aveva visti pungolare una fenice morta, ma i bambini a volte sono crudeli. Era certa che fossero maturati da allora, e in più si era trovata molto bene con i loro fratelli maggiori.

 

“Sì! Signor Wealsey, è un piacere rivederla.”

 

“Questi sono due dei miei figli, Fred, George, venite a salutare.” I gemelli si alzarono e salutarono i Nolton con sorrisi perfettamente gradevoli. I tre adulti si persero in una discussione alquanto interessata sugli artefatti Babbani e Rebecca guardò i gemelli imbarazzata mentre aspettavano che la bacchetta di Fred fosse impacchettata.

 

“Quindi siete al primo anno?” era una domanda stupida. Sapeva che erano al primo anno, avevano la sua stessa età. I loro volti si illuminarono un po’ nonostante la futilità della sua domanda, il che la fece sentire sollevata. “Io credo che verrò smistata in Serpeverde, o in Corvonero,” i due ridacchiarono e si scambiarono uno sguardo.

 

“Davvero, Rebecca, fossi in te spererei in qualcosa di meglio…”

 

“…Tutti sanno che Grifondoro è la Casa migliore.”

 

Rebecca sorrise, era abituata alla rivalità goliardica fra Case. Non aveva alcun significato oltre a quello, ma offriva anche un finto senso di intimità di cui sentiva di aver bisogno per calmare i nervi e smetterla di fare domande stupide.

 

“E lasciami indovinare, te l’ha detto la tua mammina?” chiese inarcando un sopracciglio chiaro.

 

“No,” negò George con un sorriso.

 

“Lo sappiamo per certo,” Fred mise su una finta aria altezzosa che a Rebecca ricordò quella vera di Draco Malfoy. Rise ed alzò gli occhi al cielo. “E non c’è niente di peggio di Serpeverde. Ma suppongo che Corvonero invece non sia troppo male.”

 

“In effetti il blu ti sta proprio bene, Freddie.”

 

“Sì, ma a te sta uno schifo George, ti sbatte proprio.” George annuì.

 

“Sicuri che ci entrereste a Corvonero? Non dovrebbero essere quelli intellettuali?” il suo sorriso lasciava capire che stava scherzando e i gemelli finsero di offendersi.

 

“Beh sappi che sono un grandissimo intellettuale,” George assentì alla la frase del fratello, “È vero, una volta l’ho visto leggere Aristotele.”

 

“Davvero impressionante,” Rebecca non sembrava minimamente impressionata.

“Ecco la sua bacchetta, signor Weasley, la usi con saggezza, e fanno quattordici galeoni,” Rebecca vide Fred e George irrigidirsi quando sentirono il totale e istintivamente fece qualche passo verso di loro. Il signor Weasley pagò e i ragazzi subito aprirono i pacchetti meticolosamente preparati da Olivander.

 

“Dove sei diretto adesso Arthur?”

 

“A casa, credo. Anche se Molly non tornerà per almeno un paio d’ore.”

“Lo vuoi un bel bicchiere di birra? Offro io,” Arthur stava per obiettare ma la signora Nolton intervenne. 

 

“Terrò d’occhio io i ragazzi, Arthur, voi avete tanto di cui parlare,” il sorriso di Hestia era caloroso.

 

“Solo se non è un grosso problema, Hestia… Fred e George possono essere un po’…“ Hestia alzò al cielo gli occhi fiordaliso. 

 

“Arthur, posso occuparmi di una stanza piena di maghi infortunati e posso anche tenere a bada due undicenni,” il sollievo comparve sul volto di Arthur e acconsentì ad andare con Nicholas volentieri. 

 

“Fred, George, fate i bravi,” i gemelli salutarono il padre e Hestia sorrise ai due maliziosi ragazzini, accomodandosi su una sedia e guardando mentre Rebecca prendeva la prima bacchetta offertale da Olivander.

 

“La piccola Rebecca Nolton,” le sue zampe di gallina si accentuarono mentre le sorrideva. “Mi stavo chiedendo quando sarebbe venuta nel mio negozio, ricordo ancora la bacchetta di suo padre: legno di quercia, anima di corde di cuore drago, nove pollici e mezzo,” annuì l’anziano mago, “lo ha servito bene. Dunque vediamo di trovarne una anche per lei, che ne dice signorina Nolton?” aprì la scatola che teneva in mano. “Legno di cipresso, anima di crine di unicorno, otto pollici, appena un po’ elastica.”

 

La sua mano si strinse attorno al manico e seppe subito che non era la bacchetta per lei. La lasciò andare come se il legno l’avesse bruciata, corrucciata.

 

“Non questa, eh? Bene…Vediamo un po’, vediamo un po’… Ah! Ecco, corniciolo, nucleo di piuma di fenice, otto e tre quarti.”

 

Rebecca quantomeno non provò repulsione immediata toccando la bacchetta. La tenne in mano per molto e con convinzione l’agitò in aria, una finestra si ruppe e lei sobbalzò. Hestia sembrava alquanto sorpresa.

 

“Irascibile,” commentò Olivander, e non si riferiva alla bacchetta. Aggiustò in fretta la finestra prima di sparire di nuovo fra le pile di bacchette, dando a Fred il tempo di fare un gesto col pollice all’insù alla ragazza per congratularsi.

 

“George non ha rotto nulla mentre provava le bacchette.”

 

“Che peccato,” disse Rebecca ancora un po’ scossa dall’improvviso frantumarsi del vetro. Né il padre né sua moglie avevano avuto un’esperienza simile quando avevano provato le bacchette.

 

“Ecco qua, signorina Nolton! Proprio quello che cercavo: legno di tasso, nucleo di corde di cuore di drago, 11 e mezzo, flessibile,” la prese delicatamente, temendo che si ripetesse quello che era appena successo. Era di un bel bianco, la base incisa come ali di drago. Perfettamente dritta e non troppo sottile. La agitò piano stavolta, come un direttore d’orchestra, e una serie di scintille viola ne fuoriuscirono, volando e riempendo l’aria prima di smorzarsi. “Credo che abbiamo trovato la sua bacchetta, signorina Nolton,” Olivander sembrava soddisfatto e Hestia ringraziò e pagò rapidamente.

 

Venne chiesto a Fred e George se avessero preferito tornare dal padre o andare con loro a comprare il necessario per la scuola per Rebecca. Fred guardò la ragazzina e sorrisero assieme, e bastò decisamente come risposta. Passarono assieme ancora tre ore, radunando oggetti e libri. Erano sulla via del negozio di cucito per comprare tre uniformi scolastiche quando Rebecca suggerì di fermarsi per un gelato.

 

“A voi ragazzi piacerebbe un gelato? Ma che domanda è, a quale razza di bambino non piace il gelato?”

 

“A uno decisamente discutibile, signora Nolton,” le disse Fred. Hestia annuì solennemente.

 

“Spero che voi ragazzi Weasley non giriate con soggetti di questo tipo.”

 

“Certo che no signora Nolton, non usciremmo mai con gente del genere.”

 

“Bene, allora che gusto vorreste?” si avvicinò al bancone ordinò il suo all’amarena e il caramello salato per Rebecca, aspettando pazientemente che Fred e George prendessero la loro decisione.

 

“Io lo prenderò al cioccolato, per favore,” disse George all’uomo.

 

“Anch’io.”

 

Con il gelato in mano, Fred e George educarono Rebecca riguardo all’abbigliamento di tendenza e la informarono che il color pervinca la faceva sembrare slavata, anche se lei non era del tutto convinta che sapessero che colore fosse il pervinca.

 

“E che ne dici di un vestito, cara? Ai miei tempi facevamo grandi balli, banchetti, cose così, vorrai apparire al meglio!” disse Hestia trasognata mentre piroettava lungo il reparto dei vestiti eleganti. Estrasse qualcosa in pizzo e scosse la testa, riponendolo.

 

“Non credo che le matricole siano invitate, Hestia,” disse Rebecca con un broncio. 

 

“Peccato. Al terzo anno, allora,” si diressero all’ingresso del Paiolo Magico, e a Rebecca sarebbe piaciuto posticipare la separazione dai Weasley. Per la prima volta da un po’ di tempo, si sentiva in pace. Come se fosse nel suo ambiente. Fred e George avevano completamente alleviato le sue paure e inibizioni, e se tutti ad Hogwarts erano come loro, allora da là non se ne sarebbe mai andata!

 

Sorrise tristemente, incerta sul da farsi, e loro sembravano chiedersi lo stesso.

 

“Ci vediamo fra tre settimane, allora,” si schiarì nervosamente la gola, girandosi per seguire la matrigna dentro al Paiolo Magico.

 

“Ehi, di un po’ Nolton, hai voglia di scrivermi? Magari se mi metto a studiare all’ultimo minuto, potrei davvero diventare un intellettuale e non so proprio cosa leggere,” lei sorrise e si mise i capelli dietro l’orecchio, estraendo una penna dall’inchiostro infinito che aveva incastrata lì.

 

“Dammi la mano, Weasley,” lui obbedì rapidamente, praticamente ficcando tutto il braccio nella mano di lei. Gli scrisse rapidamente l’indirizzo sulla pelle lentigginosa. “Scrivimi, allora.” Poi aggiunse subito: “Anche tu George, leggere un po’ ti farebbe bene,” lui si imbronciò. 

 

“Io non sono un traditore come Fred,” disse piccato, fingendo di guardare storto il fratello.

 

“Come dici tu George,” disse lei ridendo. “Ciao, allora,” i suoi occhi incontrarono quelli di Fred ed entrambi guardarono subito da un’altra parte. “Vi vedrò presto entrambi,” sorrise e diresse ai gemelli un saluto con la mano, rincorrendo la donna che le gridava di sbrigarsi.

 

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Capitolo 2
*** Purgatorio Romantico ***


Parte 2: Purgatorio romantico

 

Sta’ zitto Weasley!”

 

Ahia! Nolton, mi hai fatto male.”

 

“Non è colpa mia se ti comporti da idiota.”

 

Questo bastò a zittirlo, almeno per un po’. Rebecca era ancora fumante di rabbia quando si infilarono di soppiatto nel reparto di Ricerche Erbologiche. Hestia aveva lavorato lì dopo essersi diplomata ma aveva abbandonato dopo un anno perché erano ‘burocrati bigotti col cervello in pappa’ e ‘piedipiatti’. Il signor Weasley li aveva portati con sé a sbrigare qualche commissione a Londra, e loro dovevano essere al café dall’altra parte della strada e restarci. Dico sul serio, Fred, non come l’ultima volta. Fred aveva sogghignato alle parole del padre, perché ovviamente sarebbe stato come l’ultima volta. Fred era abbastanza tentato di afferrare la spalla di Rebecca e spaventarla, ma voleva davvero vedere cosa ci fosse nel laboratorio e quindi non lo fece per paura che li scoprissero. Avrebbe potuto fare un incantesimo silenziatore, ovviamente. E non avrebbe avuto importanza perché Rebecca l’avrebbe perdonato dal momento che era ‘soltanto uno stupido ragazzino immaturo’ e le pagliacciate di Fred erano diventate quasi piacevoli per lei nel corso della loro amicizia.

 

“Lumos,” bisbigliò Rebecca alla sua bacchetta. Illuminò il suo viso in un modo che fece rabbrividire Fred e gli gelò il sangue, ma per qualche motivo si sentì attratto più vicino a lei, le ombre sotto gli occhi mentre teneva la bacchetta per illuminare targhette e documenti, e occasionalmente scattava qualche foto alle catene di DNA. Sembrava il ritratto macabro di una principessa. Dorian Grey durante la sua discesa nel peccato. Fred fu immediatamente attirato dalle ombre che le scavavano le guance e affondò nei suoi occhi scuri. Voleva toccarla, allungare la mano e percorrere la sua schiena da spalla a spalla, arrotolarsi una ciocca di capelli color miele attorno al dito. Ma non lo fece.

 

Hestia avrebbe adorato tutto ciò, Rebecca spesso scherzava sul fatto che la matrigna si sarebbe volentieri trasformata in una pianta se ne avesse avuta la possibilità. Era triste vedere la donna voltarsi per ridere assieme a Nicholas quando Rebecca faceva qualche battuta. La signora Nolton si sforzava di mantenere il sorriso sul volto, fingendo di non aver appena rabbuiato l’atmosfera, ma era piuttosto palese. La sedia dove era solito accomodarsi era vuota: nessuno vi sedeva più, come per paura di essere inghiottiti. Non era solo il contegno di Hestia che mostrava i segni di quel dolore mai del tutto sfogato, anche l’animo di Rebecca sentiva il peso dell’assenza del padre, ma cercava in tutti i modi di far sì che Hestia non se ne accorgesse. Aveva già fatto abbastanza acconsentendo a tenerla con sé nonostante non avessero alcun rapporto di parentela sanguigna.

 

Finalmente Fred si protese verso di lei, quando guardarla e non toccarla divenne troppo difficile per lui. Le sorrise debolmente quando lei gli rivolse uno sguardo indagatore. 

 

“Ho paura del buio.”

Non gli fece domande. Sapeva che stava scherzando, ma Fred era altrettanto consapevole del fatto che se avesse preso la mano di Angelina o Katie, cosa che comunque non avrebbe mai fatto, gli avrebbero gridato di tenere le mani a posto. Il che avrebbe certamente attirato l’attenzione delle guardie nell’ingresso, il che li avrebbe fatti finire nei guai con suo padre. A Fred non importava, era tutto a posto, no? Insomma, era Fred fottuto Weasley, Fred ‘pericolo è il mio secondo nome’ Weasley, non teme l’autorità, affronta qualsiasi conseguenza con una risata. Lei si aspettava che lui fosse sicuro di sé, ma chissà per quale motivo Fred non riusciva mai a trovare il coraggio di dirlo. “Sono maledettamente innamorato di te, Nolton.” No, troppo aggressivo. “Nolton, ho notato che non vai mai con nessuno ad Hogsmeade…” no, lui non era Ron. Non si sarebbe ridotto a pungolare la sua futura ragazza per convincerla ad uscire con lui. Rebecca era… cos’era? Di classe, spiritosa, perfetta. Cosa avrebbe mai potuto dirle? Lei lasciò andare la sua mano.

 

“Hai sentito?” chiese voltandosi a fargli una fotografia e scansandosi quando lui provò di nuovo a prenderle la mano.

 

“Sentito cosa?” Fred agganciò il dito nel passante dei pantaloni di lei.

 

“Hanno iniziato a testare le cure per la licantropia sugli umani.” Fred contrasse le labbra ma non smise di camminare. Rebecca si voltò e chiuse la sua mano attorno a quella di lui, per farlo camminare accanto a lei.

 

“Beck, fanno sempre cure di ogni genere per la licantropia. Ma sono come le cure miracolose per l’acne, tesoro, non esistono.” Fred sfregò il pollice contro le nocche della ragazza, ma non sembrò calmarla abbastanza. “Vuoi tornare indietro?” lei sorrise amaramente e scosse la testa.

 

“Sono più forte di così, Weasley. Non devi trattarmi come se fossi di vetro,” Rebecca agganciò le braccia attorno a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. “E poi ti serviva… cos’è che ti serviva?” Fred annuì.

 

“Erba libellula, Hestia non vuole vendermene nemmeno un po’, non so perché…”

 

“Sai perfettamente perché.”

 

La matrigna di Rebecca era contro la preparazione di filtri d’amore per soldi, cosa che Rebecca trovava saggia. Fred le aveva fatto vedere il prodotto finito: era rosa chiaro, argentato quando la luce lo colpiva, ed emanava un leggero vapore biancastro che odorava di caprifoglio, pergamena, cannella e aghi di pino. Rebecca sarebbe cascata di testa nel calderone se Fred non avesse chiuso il coperchio. Non era un totale idiota, non avrebbe mai dato dell’Amortentia a Becky, nemmeno in questa versione estremamente diluita. I gemelli avevano proseguito con le ricerche e ben presto ‘filtri d’amore’ era stato aggiunto alla lista dei prodotti che avrebbero venduto nel loro futuro negozio. Fred e George non volevano che si sapesse così presto che avevano intenzione di aprire un negozio, ma non potevano fare a meno di parlarne. Becky gli aveva fatto sapere che la professoressa Cooman riconduceva questo fatto a tutti i pianeti in leone nel suo tema natale. A quel punto Fred l’aveva sbeffeggiata e aveva definito la professoressa un vecchio uccellaccio e l’aveva paragonata a un pipistrello, al che Rebecca lo aveva informato che i pipistrelli erano animali notturni, non ciechi, e questo fatto lo aveva irritato e aveva iniziato a lamentarsi del fatto che Rebecca era saccente e che doveva avere l’ultima parola in ogni discussione. Anche se non poteva essere troppo sorpreso, che altro aspettarsi da una Corvonero?

 

“Merda, Nolton, sta’ giù!

 

“Cosa?” 

 

Rebecca non si nascose in tempo, la porta si aprì proprio mentre Fred stava afferrando un angolo del suo cappotto per trascinarla giù. Entrò un mago che indossava un camice bianco da laboratorio.

 

“Oh, salve signore, non credo ci siamo ancora presentati,” disse cercando di sembrare innocente, impugnando un annaffiatoio mentre si avvicinava all’uomo, pregando che ci cascasse. In fin dei conti era estate, e una grande struttura come il Ministero della Magia sicuramente aveva stagisti che entravano e uscivano in continuazione, giusto? Non era del tutto inconcepibile. “Sono la nuova stagista, Bella King,” una ragazza di Serpeverde al terzo anno. “Sicuramente conosce mia madre, una donna un po’ robusta? Capelli biondi, lavora qui.” Rebecca aveva infilato la mano nel cappotto, cercando di puntare la bacchetta con discrezione verso l’impiegato del ministero mentre sussurrava un incanto Confundus e osservava i suoi occhi offuscarsi per un attimo.

 

“Ah ma certo, la signora King, donna adorabile,” disse con un sorriso da allocco. Rebecca sorrise appena.

 

“Sì signore, beh, ho quasi finito di innaffiare le piante ma,” ridacchiò portandosi il palmo della mano alla fronte, “non riesco a trovare il cespuglio di Erba Libellula, sono proprio una sciocca!” L’uomo annuì con compassione, prendendola per il gomito e portandola dietro a una tenda trasparente verso un’altra stanza.

 

“Ma certo, ma certo, la teniamo in una stanza più fredda, vede, perché l’Erba Libellula non risponde bene al calore.” L’impiegato del ministero sorrise e salutò Rebecca.

 

“Freddie! Puoi uscire adesso!” lo chiamò, osservando le foglie iridescenti della pianta tanto desiderata.

 

“Sei geniale,” Fred la strinse in un abbraccio che vibrava di irrequietudine, e le baciò la guancia. Si voltò verso il cespuglio e rise passandosi la mano nei capelli. “Rebecca Nolton, ce l’hai fatta di nuovo,” le mise un braccio attorno alle spalle. “Esperta di scherzi, menti ai lavoratori del Ministero e rubi per me, devo ammettere Nolton che ho avuto una meravigliosa influenza su di te.” Rebecca alzò gli occhi al cielo e si scrollò il rosso di dosso.

 

“Fred Weasley, sappi che mentivo alle autorità anche molto tempo prima di conoscerti, non darti troppe arie,” disse lei pensando a tutte quelle volte in cui aveva detto al padre che andava a giocare in giardino mentre in realtà con sassi, fango e il sangue degli animali morti che trovava si esercitava negli incantesimi proibiti che le aveva insegnato la nonna. Lui sorrise e staccò un ramo del cespuglio per ripiantarlo. 

 

“Se ci va bene ce ne saremo andati da un po’ prima che se ne accorgano,” disse Fred, indicando il liquido blu che colava dal punto dove aveva tagliato la pianta con la bacchetta.

 

“Non sarà un problema, ma adesso dobbiamo andarcene,” Rebecca lo prese per mano per arrivare più in fretta alla porta, “tuo padre presto verrà a cercarci, dovremmo ordinare qualcosa al café così non si insospettirà troppo.”

 

La coppia riuscì ad uscire dal Ministero senza causare troppi danni, anche se come si aspettavano fecero girare parecchie teste dal momento che erano le uniche due persone in tutto l’edificio sotto ai diciassette anni. Quando il signor Weasley ebbe finito di sbrigare i suoi affari, Rebecca e Fred sedevano con due cappuccini, lei leggeva un libro e ascoltava il mangianastri del signor Weasley, e Fred indossava l’altra cuffia e leggeva con lei. Ogni tanto la sua mano si sollevava per fermarla dal girare la pagina e lei aspettava pazientemente che lui finisse di leggere. Fred talvolta faticava a concentrarsi, ma era alla pari di qualsiasi Corvonero anche se non era altrettanto studioso. Rebecca era l’opposto poiché amava leggere. Era in grado di leggere per giorni senza batter ciglio, ma Fred ogni tanto si stufava.

 

Nell’ultimo anno Rebecca aveva iniziato a chiedersi perché Fred non la facesse finita. Si comportava come se lei fosse stata la sua ragazza, non uscivano con nessuno, ma comunque non uscivano neppure assieme. Era come un terribile purgatorio. Angelina, Alouette e Katie non le erano di alcun aiuto. Non voleva smettere di passare del tempo con Fred così che poi lui si trovasse qualcuno migliore di lei. Quando era iniziato il loro quinto anno Rebecca aveva già iniziato a perdere le speranze che Fred potesse mai essere più di un amico per lei.

 

“Bene ragazzi, sarà meglio tornare, tua madre si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.” Rebecca sorrise al signor Weasley e mise in pausa il mangianastri. “Vi siete divertiti?” Fred condivise un’occhiata di sbieco con Rebecca e il signor Weasley decise di ignorarla.

 

“Sì papà, ci siamo divertiti molto,” Fred mise il braccio attorno alle spalle di Rebecca e il trio si strinse nella macchina del signor Weasley, tornando rapidamente alla Tana.

 

Rebecca non ebbe nemmeno il tempo di respirare o parlare prima che Molly la stringesse in un abbraccio soffocante. Aveva passato almeno una settimana delle vacanze estive alla Tana sin dal suo primo anno e Molly era rapidamente diventata come una madre per lei, al pari di Hestia.

 

“Oh cara! È magnifico vederti di nuovo! Ma sei dimagrita? Eccome, ma mangi abbastanza? Siedi, siedi! Ti preparerò del tè e un sandwich al prosciutto,” Rebecca sedette rivolgendo un un caloroso sorriso alla signora Weasley, incrociando elegantemente le caviglie e osservando mentre la donna si muoveva per la cucina.

 

“Mi è mancata anche lei, signora Weasley, Hestia dice che lei e il signor Weasley siete i benvenuti per il tè quando volete,” notò che gli occhi di Molly si erano rattristati al solo menzionare la signora Nolton.

 

“Ma certo cara, Arthur le manderà un gufo immediatamente e quando voi sarete alla Coppa del Mondo Hestia ed io passeremo la giornata assieme. Non ci siamo viste abbastanza da quando…” lo sguardo di Molly si fece imbarazzato, e una strana tensione si diffuse nell’aria, come sempre quando qualcuno alludeva alla guerra.

 

“Beh, passa davvero troppo tempo con la fauna, penso che un po’ di compagnia umana le farebbe bene,” Rebecca si schiarì la voce imbarazzata e avvolse le mani attorno alla tazza di tè che Molly le aveva dato.

 

“Becky, ci facciamo una partitella a Quidditch in giardino! Sei dei nostri?”

 

“Ehm… sì Fred, arrivo subito, aspettatemi!”

 

Udì un mezzo grugnito e intese che Fred l’avrebbe aspettata finché non fosse diventato troppo impaziente.

 

“Farai meglio ad andare o tutte le posizioni da cercatore saranno prese,” Molly le sorrise dolcemente, come tutti coloro che erano stati amici di Nicholas Nolton intravedeva un barlume del padre della ragazza in lei. “Il tuo panino sarà pronto quando voi ragazzi avrete finito, e di’ a Fred e George che se rompono un’altra finestra passeranno le pene dell’inferno,” Rebecca sorrise e diede un bacio sulla guancia a Molly.

 

“Mi assicurerò che lo sappiano, signora Weasley.”

 

Rebecca scattò in piedi e prese la sua scopa dal patio, non l’aveva nemmeno messa a posto dalla partita del giorno precedente.

 

“Avete già fatto le squadre?”

 

C’erano Fred e George, Ron, Harry, Ginny, Rebecca e qualche ragazzino delle case vicine in visita dalla nonna per l’estate.

 

“Sei con me, Becky. Io sono il battitore, James e Ron cacciatori, Hart portiere e tu naturalmente cercatrice, carissima,” disse Fred sorridendo.

 

“Li hai costretti tu a separarsi?” chiese lei a Ron, che si lamentava sempre che avere Fred e George nella stessa squadra fosse un vantaggio ingiusto.

 

“No, sapevamo che avrebbe cominciato a frignare e quindi l’abbiamo fatto da soli senza che ce lo chiedesse,” Rebecca inarcò un sopracciglio alla frase di George.

 

“Sorprendentemente maturo da parte vostra Weasley, sono impressionata,” George fece spallucce.

 

“Bene ragazzi, cominciamo?” Rebecca passò la pluffa a Ginny, “il giocatore più giovane lancia la pluffa.”

 

Ginny sorrise orgogliosa quando sentì il cuoio della palla sulle mani. Non che non sapesse prendersi cura di sé stessa, ovviamente ne era più che capace. Ma Rebecca ogni tanto temeva che fosse trascurata da Ron e dal suo trio sempre impegnato a salvare il mondo, e da Fred e George che spesso non sembravano neppure reali, così al di sopra di ogni emozione e comportamento normale e umano. Anche se lo stesso si poteva benissimo dire di Becky, ma lei non se ne accorgeva perché era sempre persa nei propri pensieri.

 

“Vediamo di giocare pulito, eh!” disse Ginny, imitando quasi alla perfezione il ruggito di Madama Hooch. Salì a cavallo della scopa e lanciò la palla, e Ron si lanciò in avanti e la prese. Harry e Rebecca si alzarono in aria alla ricerca del boccino. 

 

Nolton!” Rebecca si voltò giusto in tempo per vedere il bolide diretto proprio verso di lei. Rilassò la stretta sulla scopa e dondolò il corpo appendendovisi come un bradipo, e il bolide la superò.

 

“Grazie per l’avvertimento, Freddie!” il ragazzo in questione alzò i pollici verso di lei e Rebecca continuò la ricerca del boccino d’oro.

 

La partita proseguiva senza che nessuna delle due squadre andasse in vantaggio. Quando la squadra di George segnava, poco dopo lo faceva anche quella di Fred. Erano in pareggio quando Rebecca vide qualcosa balenare con la coda dell’occhio. “Ci si vede Harry!” gridò, mandando al ragazzo un ghigno malefico. Harry capì subito cos’era successo. Le era dietro di almeno cinque metri quando lei si gettò sul boccino, aveva tentato di avvicinarsi, col braccio teso, ma Rebecca l’aveva preso per prima. Lei cadde a terra, emettendo un lamento quando strisciò su un punto pieno di sassi, ma si alzò in piedi con un largo sorriso. Fred esultò, correndo verso Rebecca e sollevandola in aria.

 

“Becky ti giuro che potrei baciarti!” disse Fred deponendola a terra e tenendole il viso tra le mani delicatamente, ancora esaltato dalla vittoria. “Oh merda, ma stai sanguinando?” la gioia sparì dal volto di Fred e tutta la sua attenzione si concentrò sul lato destro della faccia di Rebecca.

 

Il cuore di lei ancora sobbalzava per il commento che Fred aveva fatto poco prima di informarla che si era ferita gravemente mentre cadeva dalla scopa. Sospirò, infastidita ma non sorpresa.

 

“Oh beh è molto probabile. Non finisco sempre con del sangue addosso?” mise il boccino in mano a Fred e si tolse i guanti, toccandosi le guance con le mani che in effetti, si tinsero di rosso. “Devo essermi tagliata con quei sassi,” si affrettò ad entrare per prendere la bacchetta ma Fred la fermò facendo comparire la sua.

 

“Bel trucchetto, non è vero? Me l’ha insegnato Charlie. Devo avere sempre la bacchetta sottomano considerato quanto spesso ti fai male. Onestamente, sei così dedita alla partita che potrei scambiarti per una Grifondoro,” la punzecchiò Fred, poi puntò la bacchetta ai tagli irregolari sul viso di Rebecca mormorando l’incanto Epismendo. Le prese il mento e ammirò il suo lavoro. “Ecco, molto meglio.”

 

“Grazie Fred.”

 

Si girarono e videro George e Ginny che sorridevano loro con aria sorniona, mentre gli altri se ne erano andati quando la signora Weasley aveva comunicato che era pronto da mangiare. Fred si schiarì la voce e Rebecca abbassò lo sguardo.

 

“Ho sentito che c’è la torta di mele,” disse Rebecca a Fred.

 

“Davvero? Adoro la torta di mele,” Rebecca fece un cenno d’assenso ed entrambi si affrettarono ad entrare, evitando di incrociare gli sguardi di Ginny e George.

 

Fred e Rebecca erano talmente di fretta che entrambi passarono dalla porta nello stesso momento anche se con grandi difficoltà, dato che l’ingresso non era abbastanza grande da permettere a due persone di starvi in piedi nello stesso momento, ma loro ci riuscirono. Quando finalmente entrarono in sala da pranzo la conversazione si fermò. La signora Weasley aveva un sorriso ambiguo quando disse loro di sedersi, poiché gli unici posti disponibili erano uno accanto all’altro. Harry almeno aveva la decenza di mostrarsi imbarazzato del fatto che stessero inequivocabilmente parlando di Fred e Rebecca prima che entrassero, ma gli altri continuarono a fare battutine e strani commenti per tutta la durata di quel pranzo decisamente imbarazzante.

 

Quando Rebecca ebbe finito si scusò dicendo che aveva dimenticato di dar da mangiare ad Azzie e corse al piano di sopra, con Ginny alle calcagna. C’erano due letti nella stanza di Ginny, uno matrimoniale che lei ed Hermione condividevano e un lettino appoggiato al muro opposto dove Rebecca dormiva da quando aveva undici anni.

 

“Azzie?” lo chiamò sommessamente, guardando sotto al copriletto per vedere dove si nascondesse.

 

“Tu e Fred sembravate terribilmente intimi in giardino,” Rebecca sobbalzò quando udì Ginny parlare. Si tirò in piedi e guardò la rossa che si era accomodata sulla sua sedia, a braccia incrociate e con lo sguardo indagatore. “Ma non è l’unica volta che vi ho visti così.”

 

“Non so proprio di cosa tu stia parlando,” Rebecca ostentò nonchalance alzandosi e spazzandosi la gonna con le mani.

 

“Dai Becky, ti conosco da anni e Fred è mio fratello, non sottovalutarmi,” Becky realizzò che Ginny non era arrabbiata per l’idea che Fred e Rebecca si piacessero. Ginny era solo arrabbiata che le avessero mentito. “Non sono una ragazzina stupida, Becky.”

 

Rebecca sospirò e si passò una mano sulla coda di cavallo. “Lo so Gin, mi dispiace. È solo che è… è un po’ più complicato di così.”

 

“In che senso?”

 

“Beh, perché tu non hai detto ad Harry che ti piace?”

 

Ginny arrossì, e la sua rabbia svanì in un secondo.

 

“Ma è diverso, lui è…” sospirò, “Sì, suppongo di poter capire. Solo, non mentirmi.”

 

“Non lo farò più. Ora, puoi aiutarmi a cercare il gatto?”

 

Azzie si era accoccolato in mezzo alla collezione di orsetti di pezza di Ginny e masticava la zampa di Mr. Finn. Le due ragazze faticarono a staccarlo dal povero orsacchiotto ma alla fine ci riuscirono. Il resto del pomeriggio trascorse tranquillo, Ginny puliva la bacchetta dal lato opposto della stanza rispetto a Rebecca, che aveva la testa sepolta in una copia di Il Popolo dell’Autunno di Bradbury. Ogni tanto lo schianto di un’esplosione risuonava dalla stanza di Fred e George, anche se loro avevano usato un incantesimo silenziatore così che il rumore non fosse troppo forte. Ma Rebecca cominciò a scocciarsi dopo al quarta esplosione. Si lamentò e si sedette di colpo, con le sopracciglia aggrottate per il fastidio. 

 

“Tutto a posto?” chiese Ginny alzando la testa dalla bacchetta.

 

“Sì, tutto a posto. Cercherò un altro posto dove leggere.” Ginny sorrise e tornò a preoccuparsi della sua bacchetta. “Azzie,” chiamò Rebecca mentre apriva la porta. Azazel si pose obbedientemente al fianco della sua padrona e la coppia si diresse verso il giardino della signora Weasley.

 

Era piuttosto tranquillo fuori sotto il salice piangente, se si era in grado di ignorare i nani, naturalmente. Ma Rebecca aveva fatto amicizia con uno di loro, che aveva chiamato Sir Bob. Talvolta lui sedeva poco distante da lei e la guardava leggere. Una volta, quando era rimasta lì per più di quattro ore, aveva alzato lo sguardo e lui sedeva solo a dodici centimetri di distanza. Era stato quel giorno che lei aveva deciso che doveva dargli un nome. Puntuale come sempre, dopo che si era seduta da pochi minuti Sir Bob emerse da dietro le petunie della signora Weasley. Rebecca sorrise mentre lui camminava goffamente verso il suo solito posto.

 

“Salve,” la ragazza salutò il nano, che la fissava con i suoi occhietti piccoli e brillanti, prima di tornare al suo tomo. Sedette lì fuori per un po’, lasciando che Azzie vagasse, mentre la sua stretta sul libro si faceva più forte man mano che la storia raggiungeva il momento clou.

 

Ahia! Merda! Brutto stronzetto!” Rebecca scattò, lasciando cadere il libro e puntando la bacchetta verso l’intruso.

 

Fred saltellava su una gamba sola, cercando di scrollarsi di dosso Sir Bob che si era aggrappato al suo stinco.

 

“Stupeficium,” disse Rebecca guardando con tristezza mentre Sir Bob veniva scagliato lontano da Fred. “Stai bene?” 

 

“Sì, tutto a posto, ero venuto solo per dirti che la cena è pronta poi quello stronzo mi ha attaccato,” lei guardò tristemente Sir Bob, che stava giusto recuperando il suo portamento.

 

“Ha un nome, sai?”

 

“Cosa? Hai dato un nome al nano?”

 

Rebecca sospirò quando Sir Bob la guardò arrabbiato. L’aveva tradito, dopotutto. “Sir Bob.”

 

“Non è nemmeno un gran bel nome, Nolton. Onestamente credevo di averti insegnato meglio.”

 

“Fred Weasley permettimi di informarti che a me piaceva un sacco quel nome, e ora guarda! È arrabbiato con me,” disse con un broncio. Fred d’altro canto sembrava alquanto divertito.

 

“Scusa Becky, cercherò di non farmi mordere dal tuo nano rabbioso la prossima volta,” disse tentando di togliersi di dosso la bava di nano, arrendendosi quando si accorse che non c’era verso. “Andiamo adesso, la mamma starà aspettando,” le mise un braccio attorno e la condusse dentro alla Tana.

 

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Capitolo 3
*** In fuga dai Mangiamorte e dall'amore ***


Parte 3: In fuga dai Mangiamorte e dall’amore

 

Una cosa che Rebecca Nolton capì di sé stessa la mattina della Coppa del Mondo di Quidditch, era che non era affatto una persona mattiniera. Hermione aveva svegliato Ginny e Rebecca alle quattro in punto del mattino, e nonostante le loro proteste aveva fatto levitare le lenzuola quando avevano tentato di nascondersi dalla luce. Su, su ragazze, suvvia Ginny sei quasi peggio di tuo fratello. Non vorrai mica fare ritardo, Rebecca? Muovetevi! Sì, guai se fossero state in ritardo. Sicuramente la terra sarebbe esplosa e l’umanità sarebbe stata distrutta. O almeno era questo che Hermione sembrava pensare mentre sgridava Ginny e Rebecca perché ci mettevano troppo ad allacciarsi gli stivali

 

Ginny si protese per bisbigliare a Rebecca mentre si trascinavano giù dalle scale, “Se non la smette di lamentarsi che ci stiamo mettendo troppo le faccio una fattura,” Rebecca concordava pienamente.

 

“Molly Weasley, santa donna!” Rebecca la acclamò a gran voce mentre la donna le passava una tazza di caffè. “Non è che per caso c’è…”

 

“Della cannella?” Fred le passò una zuccheriera piena della spezia con uno sbadiglio.

 

Becky sorrise e prese il barattolo. Ginny le lanciò uno sguardo d’intesa inarcando un sopracciglio con fare eloquente. Rebecca sapeva cosa la giovane strega stesse pensando senza bisogno di usare l’incanto Legilimens: è come guardare una coppia sposata. La guardò storto e le fece la linguaccia, e Ginny in risposta sorrise compiaciuta e si voltò a parlare con Hermione.

 

“Grazie,” disse Becky, restituendo la cannella. Fred annuì e prese un gran sorso del suo caffè, che beveva senza zucchero né latte. Rebecca arricciò il naso disgustata dal caffè nero nella tazza del ragazzo.

 

“Bene, siete tutti pronti?” chiese Arthur Weasley dopo aver bevuto il suo caffè.

 

“Ho svegliato Ron e Harry un secolo fa ma non sono ancora scesi,” lo informò Hermione, offesa che nessuno sembrasse apprezzare la sua puntualità.

 

“Non prenderla sul personale Mione, Ron è un incapace,” disse Ginny consolandola in quello che certamente doveva essere un momento difficilissimo per lei.

 

Ma nessun livello di incapacità da parte di Ron era sufficiente a giustificarlo e quando i ragazzi scesero dalle scale iniziò a redarguire Ron sul rispetto, cosa che sicuramente Molly dovette apprezzare perché le aveva risparmiato di farlo lei stessa.

 

Finalmente Hermione decise che aveva parlato a sufficienza e si unì a Ginny e Rebecca mentre camminavano per la foresta.Toccarono tutti i soliti punti di una conversazione, dalle lezioni che avrebbero frequentato nel nuovo semestre al libro che Rebecca stava leggendo, seguito poi quello che stava leggendo Hermione. La conversazione deviò quando Ginny e Rebecca cominciarono a lamentarsi di come le Holyhead Harpies fossero state assolutamente bistrattate, ma tornò sul tracciato quando Ginny chiese di Harry come le altre due si aspettavano che facesse, cercando di fingere di non essere completamente infatuata di lui. Ma prese subito un’altra piega inaspettata quando Fred fece cadere un petardo nei pantaloni di Ron e si girò a scambiarsi un’occhiata con Rebecca quando Ron gridò.

 

“Tu e Fred sembrate molto in confidenza,” commentò Hermione con un sorriso malcelato. “È successo qualcosa dall’ultima volta che ci siamo viste?” Rebecca roteò gli occhi al cielo quando il sorriso di Ginny si allargò alla vista di quello di Hermione.

 

“Fred non sa che cosa vuole. È solo uno stupido ragazzino e io mi sono stufata.”

 

“Davvero? Sei sicura che sia una buona idea Becky?” chiese Hermione.

 

“Certo che sì Mione, facciamo questi giochetti da quando abbiamo tredici anni, se non ha ancora fatto nessuna mossa fino ad ora magari devo accettare il fatto che non lo farà mai.”

 

“Hai mai pensato che magari ha paura Becky? Non è una cosa da poco…” lo sguardo di Hermione si perse “…confessare ad un tuo amico che ti piace.”

 

Rebecca rigettò l’ipotesi scuotendo il capo.

 

“Quando mai Fred Weasley ha avuto paura di qualcosa?”

 

Hermione e Ginny si scambiarono uno sguardo eloquente ma tennero a freno la lingua, temendo che se avessero continuato a discuterne Becky avrebbe iniziato ad ignorare Fred solo per dimostrare di aver ragione, il che non sarebbe stato affatto inaspettato da parte di una Corvonero.

 

“Quello è Cedric Diggory, o sbaglio?” bisbigliò Hermione, indicando l’albero sotto a cui si trovavano, dove un ragazzo con indosso un maglione giallo stava sdraiato su un ramo.

 

“Mamma quant’è carino,” commentò persa Ginny, guardandolo mentre saltava giù.

 

Le tre ragazze si affrettarono a fingere di non averlo fissato fino a quel momento quando si voltò per rivolgere loro un sorriso abbacinante. 

 

“Rebecca, è un vero piacere rivederti,” Rebecca era palesemente stupefatta che Cedric ricordasse chi era.

 

“Ehm, sì, anche per me Cedric,” rispose imbarazzata. Si erano conosciuti quando lei era al terzo anno: lo aveva aiutato a trovare un libro in biblioteca e si erano messi a chiacchierare di fiabe babbane. 

 

“Come hai passato l’estate?” si aspettava che la conversazione morisse dopo il ‘ciao’ e condivise un’occhiata incredula con Hermione e Ginny quando non fu così.

 

“Ho lavorato, principalmente. La mia matrigna gestisce un rifugio per animali, ma sono ospite dei Weasley dallo scorso venerdì,” il sopracciglio di lui si inarcò e gli occhi brillarono di interesse.

 

“Un rifugio per animali? Molto interessante, e ti piace?”

 

“Sì, è a posto. Ma ogni tanto è un po’ noioso stare sempre dietro al bancone.”

 

“Sei poi riuscita a leggere qualcosa di quel tale Andersen che ti dicevo?” il viso di lei si liberò di ogni traccia di apprensione.

 

“Sì! Avevi ragione, è stata un’ottima lettura. E tu, che hai fatto quest’estate?”

 

Cedric fece una smorfia. “Papà mi fa sgobbare parecchio durante l’estate e in più ho i M.A.G.O. quest’anno, quindi sono stato principalmente rinchiuso in camera mia con i libri di scuola,” fece un bel sorriso sincero, esattamente il tipo di sorriso che ci si sarebbe aspettati dal ragazzo modello Cedric Diggory. “Ma non fa nulla, è il suo modo di dimostrarmi che ci tiene a me, no?” fece un cenno alle tre ragazze. “Weasley, Granger, è stato bello vedervi,” e poi ritornò a camminare accanto al padre. 

 

“Come conosci Cedric Diggory?” chiese Hermione in un sussurro sbalordito, come se la conoscenza fra Rebecca e quel ragazzo fosse una sorta di prezioso segreto.

 

“Non saprei, l’ho incrociato in biblioteca un paio di volte e abbiamo parlato di libri, niente di che davvero,” Rebecca tentò di minimizzare nella speranza che i due piranha non le facessero l’interrogatorio, ma non bastò.

 

“Non sembrava.”

 

“Farai meglio a scegliere Fred anziché Cedric, non importa quanto sia carino,” Rebecca guardò in cagnesco Ginny.

 

“State ingigantendo la questione, a malapena gli ho parlato.”

 

“Ma se vi chiamate per nome, è decisamente una gran cosa!” Hermione continuò ad insistere desiderosa di ricevere risposte.

 

“Cedric è un ragazzo simpatico e gradevole ma non ho alcun interesse per lui a parte sapere che libro sta leggendo, adesso smettetela, d’accordo?”

 

Smisero di parlarne ma la tensione irrisolta divenne insopportabile così Rebecca accelerò il passo per camminare affianco a Fred e George. Fred la salutò con un sorriso smagliante e lei si unì con facilità alla conversazione.

 

“Aspetta un attimo, George, stai cercando di convincermi che quattro ragazze ti hanno scritto per tutta l’estate?” Rebecca lo osservò attentamente, cercando di cogliere segni rivelatori del fatto che stesse mentendo. “Sono solo un mucchio di stronzate,” concluse. 

 

“Becky, solo perché tu non ti accorgi di quanto io sia affascinante non vuol dire che il resto del mondo sia altrettanto cieco,” Rebecca roteò gli occhi e scoppiò a ridere.

 

“Sei affascinante quanto un Dissennatore, George, e non ti crederò finché non avrò prove concrete.”

 

George alzò gli occhi al cielo. “Tipica Corvonero,” disse a Fred scuotendo la testa deluso. “E va bene Becky, ho le lettere a casa, te le farò vedere quando torniamo e allora dovrai ammettere che avevi torto,” George sogghignò e scherzosamente diede una gomitata nelle costole a Fred, “E non sono solo io, tutti noi Weasley abbiamo molto successo con le donne, dovresti vedere alcune delle lettere che Fred…” George realizzò di aver commesso un errore solo quando fu troppo tardi. Guardò gli occhi terrorizzati di Fred e il sorriso di Rebecca che stava svanendo e subito chiuse la bocca.

 

Gli occhi di Rebecca si erano fatti di pietra. Era troppo orgogliosa per andarsene anche se voleva, ma non aveva nient’altro da dire, così il trio camminò in un silenzio imbarazzante fino alla passaporta, e Rebecca si assicurò di stendersi fra Hermione e Ginny. Fred lanciò un’occhiata feroce a George quando lei si allontanò da loro. 

 

“Scusa fratello,” disse George con poca enfasi. George presumeva che se Fred ancora non aveva ancora detto nulla a Rebecca a quel punto, non era un problema suo se quei due continuavano a rincorrersi e sfuggirsi e tentennare. In tanti condividevano la sua opinione.

 

Il trattamento del silenzio di Rebecca proseguì per buona parte della giornata. Si impegnava apposta a mantenere un’espressione impassibile ogni volta che Fred provava ad unirsi alla sua conversazione con Hermione e Ginny, al che le due scuotevano la testa e sospiravano, concordando sul fatto che Fred fosse il più grande idiota al mondo. Rebecca si allontanò dalle ragazze dicendo che sarebbe andata alla ricerca di un carretto che vendesse gelati. Ma Fred notò che aveva preso qualcosa dalla borsa prima di andarsene e rapidamente si alzò per seguirla.

 

E come previsto, ecco Rebecca Nolton sulla collina che sovrastava il campeggio, intenta a rollare una canna. Il cuore di Fred sbandò a quella vista, Dio se la amava.

 

“L’hai poi trovato quel gelato signorina Nolton? O era tutta una scusa?”

 

Rebecca gli sorrise prima di ricordarsi che era arrabbiata con lui, e allora si imbronciò di nuovo. “Ti serve qualcosa Weasley?”

 

Lui si sdraiò sul prato accanto a lei sorreggendosi la testa con la mano. “Beh, visto che me la offri così,” le fece cenno di passargli la canna e lei acconsentì. “George è un idiota.”

 

“Già,” le passò nuovamente la canna e sollevò lo sguardo su di lei. Ogni volta che Fred e Rebecca restavano separati per molto tempo Fred cominciava a chiedersi se era ammattito: sicuramente, pensava, nessuna creatura poteva essere così bella. Ma chissà perché lei lo era. Anche in quel momento, mentre guardava con aria truce le tende, con gli occhi stretti e praticamente il vapore che le usciva dalle orecchie, era comunque la ragazza più bella che avesse mai visto. “Scusa se ti ho ignorato,” i lineamenti di lei finalmente si addolcirono e si voltò a guardarlo, soffiando il fumo dal naso. “Mi sono comportata di merda.”

 

Fred le sorrise. “Giusto un pochino,” Rebecca fece roteare gli occhi con un largo sorriso.

 

“Sei un idiota Fred Weasley.”

 

“Solo per te, tesoro.”

 

L’attenzione di Rebecca tornò a fissarsi sul cielo, mentre guardava il sole calare dietro alle tende e i fuochi d’artificio rossi e verdi partire da ogni angolo del campeggio. Adesso era il momento perfetto: col tramonto, e lei che gli aveva praticamente appena confessato (a modo suo, certo) di amarlo. Fred aprì la bocca per dirlo.

 

“Rebecca, io…”

 

Lei si voltò verso di lui quando la frase finì a metà. “Sì, Fred? Tu cosa?”

 

Si irrigidì, sedendosi dritto e ricominciando la confessione.

 

“Forge! Muoviti! Dobbiamo dipingerci la faccia!”

 

Rebecca sorrise dispiaciuta a Fred.

 

“Perché non me lo dici dopo? Non puoi tifare per gli irlandesi senza la tenuta giusta.”

 

Rebecca spense la canna e nascose la metà che restava nella tasca della camicia, allungando la mano per aiutare Fred ad alzarsi, e scesero assieme dalla colina. La pittura facciale di Fred alla fine risultò molto più discreta di quella di George perché non avevano avuto molto tempo: si era accontentato di una riga bianca e una verde sulle guance, mentre l’unica parte visibile del viso di George erano gli occhi. Rebecca aveva resistito all’inizio, ma quando Fred aveva insistito l’aveva lasciato disegnare sulle sue guance linee bianche e verdi identiche alle sue anche se lei tecnicamente teneva per la Bulgaria. Ora stava seduta accanto a Hermione con un mucchio di merendine sulle ginocchia quando Fred arrivò con passo pesante, accigliato.

 

“Tutto a posto Freddie?” dalla sua voce trapelava la preoccupazione, anche se il fatto che avesse la bocca piena di gelatine Tuttigusti+1 diminuiva decisamente l’impatto della sua premura per Fred.

 

“Abbastanza direi, ho solo appena pestato un gigantesco mucchio fumante di Malfoy mentre venivo qua.”

 

Rebecca fece una smorfia, “Oh che schifo, adesso puzzerai per il resto della sera.” Fred sorrise e si piegò verso di lei. “Ew! Fred! Tieni lontani da me quei germi Malfoy! Oh no! Oh no! Mi ha toccata!” Fred rise fragorosamente mentre avvolgeva Rebecca fra le sue braccia. “Adesso puzzerò anch’io di Malfoy!” i due si appoggiarono alla ringhiera contemporaneamente per sbirciare i Malfoy, che stavano lanciando loro occhiate velenose. “Aw, piccolo Draco, mi dispiace. Non intendevo prendere in giro la tua grave malattia.”

 

Draco pareva sul punto di sbraitare contro Rebecca ma un’occhiataccia del padre lo mise a tacere.

 

“Ah, signorina Nolton,” la salutò Lucius educatamente. “Come sta suo padre?” ah, eccolo. Il classico fascino Malfoy.

 

Rebecca strinse gli occhi e guardò furiosa Lucius, tuttavia decise di restare in silenzio. Prendere in giro Draco era una cosa, ma Lucius aveva potere e lei temeva da morire le conseguenze se lui avesse deciso che meritava di essere schiacciata.

 

“Non è un Mangiamorte, se è questo che ti stai chiedendo Lucius,” il tono di Fred era leggero, ma i suoi occhi erano ancora più arrabbiati di quelli di Rebecca.

 

Il signor Weasley, George e Ginny si alzarono in piedi e guardarono storto Lucius finché lui non scrollò le spalle, mormorando qualcosa riguardo ai traditori e tornando a guardare l’arena.

 

“Stai bene cara?” il signor Weasley, sant’uomo, sembrava affranto quando le picchiettò sulla spalla.

 

“Sì, la ringrazio signor Weasley.”

 

La carezza dell’indice di Fred sulle nocche di lei sarebbe potuta essere un caso, ma Rebecca sapeva che non lo era. Gli regalò un sorriso tirato, che era l’unica cosa che sarebbe stata in grado di fare per un po’, e fu come se si fossero scambiati una qualche intesa. Senza pensarci due volte, Fred le prese la mano e la strinse fino alla fine della partita.

 

Andò esattamente come Fred e George avevano previsto, il che non avrebbe dovuto sorprenderla considerando che era stata lei a regalare ai gemelli una sfera di cristallo per il loro sedicesimo compleanno. Ciò nonostante iniziò ad infastidirsi un po’ quando cominciarono a comportarsi con arroganza per la vittoria degli irlandesi. Rebecca e Ron, che erano gli unici veri tifosi della squadra bulgara, stavano in piedi circondandosi con le braccia e, con i pugni chiusi portati al petto, cantavano la canzone da guerra della Bulgaria mentre gli altri Weasley li fischiavano.

 

“Un bravo cercatore non fa una buona squadra,” disse Harry a voce piuttosto alta.

 

“Beh immagino tu lo sappia bene, Harry, visto che sei l’unico giocatore buono di Grifondoro,” disse Rebecca con gli occhi scintillanti di malizia.

 

“Ehi!” gridarono Fred e George alzandosi dai loro posti a tavola.

 

Rebecca sorrise, soddisfatta di aver ottenuto da loro quella reazione. Aprì la bocca per rispondere ma fu interrotta quando il signor Weasley si gettò dentro alla tenda, agitatissimo e con gli occhi spalancati.

 

“Ragazzi, sbrigatevi! Adesso, è urgente!” dichiarò, agitando le braccia mentre tentava di far uscire tutti i ragazzini.

 

“Che succede?” chiese Harry mentre il signor Weasley lo spingeva fuori.

 

“Non c’è tempo per spiegare, prendi la giacca e vattene, e in fretta!”

 

Rebecca non se lo fece ripetere due volte, lanciò la giacca a Ron mentre prendeva anche la sua visto che lui sembrava inchiodato al pavimento.

 

“Muoviti Ron!” lo sgridò, spingendolo verso l’uscita.

 

Rebecca lasciò la tenda trascinandosi dietro Ron, per fermarsi subito dopo alla vista di una famiglia di babbani che venivano fatti levitare attraverso il campeggio da un gruppo di maghi mascherati.

 

“È una cosa da pazzi,” mormorò Ron guardando un ragazzino che stava vorticando per aria come una trottola. “È una cosa da pazzi furiosi,” Rebecca contrasse la mascella ed estrasse la bacchetta.

 

“Andiamo Ron,” disse poi, cercando di non sembrare troppo spaventata. Lo prese per la manica della maglietta e lo trascinò verso il resto del gruppo

 

Bill, Charlie e Percy uscirono dalle tende in assetto da battaglia nonostante i pantaloni del pigiama.

 

“Aiuteremo il Ministero!” gridò il signor Weasley. “Voialtri, andate nella foresta e non separatevi. Verrò a prendervi quando avremo sistemato la questione.”

 

Fred fu il primo ad agire, prese Ginny per il braccio con delicatezza portandola verso la foresta. “Andiamo,” disse agli altri. Rebecca fu l’ultima a cominciare a muoversi, fermandosi a controllare che tutti stessero bene prima di voltarsi a guardare un’ultima volta il ragazzino babbano, la cui testa penzolava a peso morto dal collo. Non sembrava nemmeno vivo ormai. “Becky,” la richiamò bruscamente Fred, mentre con lo sguardo passava dal ragazzino a Rebecca, che aveva tutta l’aria di star per vomitare. Si riprese al suono della sua voce, accelerando per raggiungere il resto del gruppo.

 

Tutto ciò che riuscì a sentire per un po’ furono grida. Rebecca faticava a guardare avanti pur sapendo che doveva allontanarsi più che poteva dalle persone mascherate. Sentiva un groppo in gola mentre correva attraverso i rami che le pungevano le guance, ma non le importava. Voleva solo essere il più lontana possibile da quel ragazzino babbano che sembrava morto ma era ancora vivo. Quando il rumore fu sufficientemente lontano smisero di correre e George si preoccupò immediatamente di chiedere a Ginny se stesse bene. I respiri di Rebecca iniziarono a farsi più faticosi, le sue mani come artigli attorno alle braccia mentre cercava di calmarsi.

 

Merda no, non ora, va tutto bene, va tutto bene.

 

Ma non era affatto così.

 

“Becky?!” le disse la voce terrorizzata di Fred. Non l’aveva mai vista così prima. “Rebecca, che c’è?” lei sprofondò al suolo, premendosi la testa fra le ginocchia tenendo saldamente con le mani le caviglie. “Rebecca, che succede? Stai bene?! Rebecca di’ qualcosa, ti prego.”

 

Rebecca stava provando a rispondere a Fred, davvero. Odiava il fatto che lui suonasse così spaventato. Ma non riusciva a far uscire le parole.

 

“Becky è tutto okay, respira, siamo al sicuro adesso Becky,” disse Ginny sedendosi accanto a lei e passandole le unghie corte sulla schiena. Il respiro di Rebecca tornò nella norma, e si accorse di non aver nemmeno pianto quando portò le mani al viso per asciugarsi le lacrime.

 

“Scusate.”

 

“Non devi scusarti Becky, è tutto a posto,” disse Ginny regalandole un sorriso gentile. Gli occhi di Rebecca percorsero la radura circostante.

 

Dove sono?!” scattò in piedi e corse di nuovo nella foresta senza nemmeno pensare. Brandiva la bacchetta cercando di identificare Harry, Ron ed Hermione fra la folla di persone che attraversava il bosco, senza successo.

 

Fred, George e Ginny la raggiunsero e cominciarono anche loro a cercare il trio. Gridare i loro nomi si rivelò presto inutile poiché i loro urli venivano inghiottiti dal caos. Ginny gridò indicando quella che sembrava essere una nuvola dalla forma strana ma che ad un secondo sguardo si rivelò essere il Marchio Nero. Rebecca sbiancò mentre un’immagine di Harry, Ron ed Hermione che roteavano come quel ragazzino babbano si faceva strada nella sua mente. Riusciva a vedere i loro occhi: morti ma ancora vivi.

 

“Andiamo alla tenda,” disse George, prendendo Ginny per mano. “Probabilmente sono tornati là.”

 

Fred guardò Rebecca e lei annuì con aria assente, mentre continuava a cercare con lo sguardo fra gli alberi alla ricerca dei loro amici scomparsi. Fred la prese per mano e la condusse via dalla radura. Ora il campeggio era silenzioso, quasi troppo silenzioso: dopo essere stati immersi nel rumore per tutto il giorno il silenzio era inquietante. Si sentiva nell’aria che qualcosa di terribile era appena accaduto. Charlie aspettava fuori dalla tenda dei ragazzi, con la bocca stretta in una linea dura che si rilassò solo quando vide il quartetto.

 

“Meno male che siete qui… dov’è Ron? Ed Harry ed Hermione?” il collo di Charlie si sporse per guardare dietro di loro aspettandosi che il trio li stesse raggiungendo. “Stanno bene?”

 

“Li abbiamo persi nella foresta,” rispose Fred con ansia, mentre la sua stretta su Rebecca si faceva più forte.

 

La bocca di Charlie si strinse di nuovo, ed annuì bruscamente. “Bene, voi quattro tornate dentro. Io starò di guardia,” li condusse all’interno della tenda, chiudendo bene i lembi dietro di loro. Bill stava sistemando il naso di Percy che sembrava fosse rotto, sul divano.

 

Rebecca tentò di restare il più ferma possibile per non contribuire alla tensione dovuta alla rivelazione che lei, Fred e George avevano perso non solo il fratello dei ragazzi, ma anche il Ragazzo Sopravvissuto e la più brillante strega della loro generazione. Ma presto desistette e cominciò a percorrere a grandi passi la tenda.

 

“Becky,” Fred allungò il braccio e afferrò il suo polso, trascinandola a sedere con lui sul divano. “Hanno visto di peggio, Becky, se la sanno cavare.” Rebecca annuì ma sembrava quasi che Fred stesse rassicurando sé stesso piuttosto che lei riguardo alla loro incolumità.

 

Rebecca si alzò quando la tenda si aprì e il signor Weasley entrò. “Sono..” lui annuì. Fu come se lei avesse trasportato il trio sulla schiena tutto quel tempo mentre il sollievo la inondava. Si concesse persino un piccolo sorriso.

 

Appena entrarono li abbracciò tutti e tre assieme, investendoli di un fiume di parole che includeva: ‘Avete idea di quanto sarebbe potuto essere pericoloso?’ e ‘La prossima volta mi assicurerò di tenervi d’occhio’ e ‘Sul serio Ron, sei inciampato in una radice?’ Ma dopo che ebbe finito di agitarsi e si fu assicurata che nessuno di loro si fosse fatto male lasciò che il signor Weasley raccontasse di come Harry, Ron ed Hermione erano quasi stati colpiti dagli uomini del Ministero e di come l’elfo domestico del signor Crouch fosse stato licenziato perché era in possesso della bacchetta di Harry. A quel punto Hermione esplose in una discussione sul trattamento degli elfi domestici con Percy Weasley e il signor Weasley li mandò tutti a letto senza troppe cerimonie.

 

“Stai bene?” chiese Fred bloccando Rebecca appena fuori dalla tenda dei ragazzi. Gli sorrise forzatamente.

 

“Non proprio, Fred, e tu?” gli chiese con una punta di sarcasmo.

 

“No,” ammise lui, “anche se in realtà mi riferivo a…” ah già, il suo attacco di panico nella foresta.

 

“Sì, sto bene.”

 

“Mi dispiace di non aver potuto… aiutare di più,” sembrava incerto su cosa dire. Rebecca alzò lo sguardo su di lui e sorrise, ma stavolta in modo meno forzato. Questa volta il suo sorriso sembrava solo stanco.

 

“Non è colpa tua Freddie, non posso aspettarmi che tu risolva tutti i miei casini,” gli strinse leggermente la mano. “Buonanotte Fred.”

 

“‘Notte Becky.”

 

Il gruppo lasciò il campeggio prima dell’alba, e Rebecca tentò di evitare lo evitare lo sguardo di un babbano mentre gli passavano davanti. Li salutò con un cenno disorientato e un debole “Buon Natale,” mentre superavano il suo cottage. La signora Weasley era, se possibile, ancora più preoccupata di quanto lo fosse stata Rebecca la notte precedente. Rebecca pensò che la povera donna fosse sul punto di piangere quando vide il marito trascinarsi con passo stanco verso la Tana, con i figli che lo seguivano altrettanto esausti, ma la signora Weasley era piena di energie.

 

“Oh grazie a Dio! Grazie a Dio!” gridò correndo lungo il sentiero con un giornale in mano, che cadde al suolo e si srotolò quando abbracciò il signor Weasley. “Arthur, ero così preoccupata!” gli disse mentre si separava da lui per guardarlo bene. La sua attenzione si spostò su Fred e George: “Oh ragazzi miei!” la voce le si spezzò mentre abbracciava i gemelli, e Rebecca trasalì quando le loro teste si scontrarono.

 

“Ahi, mamma! Ci strangoli così!” Fred si agitò nella morsa di sua madre.

 

“Molly? Sono tornati?” il viso di Rebecca si illuminò al suono della voce di Hestia. “Oh signore, Rebecca!” la signora Nolton lasciò la porta d’ingresso aperta mentre correva dalla figliastra. “Oh cara, stai bene? Ero così preoccupata, ma sei illesa giusto? Nessuno ti ha fatto nulla?” Rebecca sapeva che con ‘nessuno’ Hestia parlava dei Mangiamorte. Becky scosse la testa.

 

“No Hestia sto bene, va tutto bene.” Rebecca tentò di scansare le mani della donna mentre lei le spostava i ciuffi di capelli dal viso e le alzava le maniche per controllare non ci fossero ferite. “Hestia, avrei un po’ fame,” dichiarò la ragazza.

 

“Ma è naturale, avrete tutti fame,” Molly lasciò andare Fred e George e disse a tutti di entrare per il tè.

 

Hestia continuò a tenere un braccio attorno a Rebecca anche quando si furono sedute a tavola, il che rese il tentativo di prendere una focaccina piuttosto difficile. Finalmente, quando la signora Weasley iniziò a rompere le uova nella padella Hestia si alzò per chiedere se avesse bisogno di aiuto a preparare la colazione. Molly impallidì ed insistette che non c’era bisogno, costringendo Hestia a restare seduta. Venne letto ad alta voce l’articolo sulla prima pagina del giornale e il signor Weasley e Percy si scusarono dicendo che dovevano andare ad “appianare la questione”, poco dopo che Harry Ron ed Hermione avevano dichiarato che dovevano andare a dare un’occhiata a qualcosa in camera di Ron e se n’erano andati.

 

Rebecca si scambiò un’occhiata con Fred e George. “Beh, io, Becky e George dobbiamo… ehm…”

 

“Ho lasciato Azzie in camera loro!” disse Becky con rinnovato vigore, impaziente di sfuggire all’atmosfera tesa della cucina.

 

Fred schioccò le dita. “Esatto, e io ho lasciato una scatola di bombe puzzolenti aperta nell’armadio, quindi dobbiamo assicurarci che il tuo gatto non sia morto.”

 

Rebecca annuì concordando, “Già. Ciao Hestia!” la ragazza balzò giù dalla sedia e rincorse Fred e George.

 

“Ehi! Lasciate la porta aperta! Fred! Dico sul serio…”

 

Fred chiuse con forza la porta con un largo sorriso.

 

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Capitolo 4
*** Al diavolo Fred Weasley ***


Parte 4: Al diavolo Fred Weasley

 

Una settimana dopo la Coppa del Mondo Rebecca stava correndo con Fred e George verso l’ingresso del binario 9 e 3/4, con risultati a dir poco disastrosi: tutti e tre si scontrarono e caddero in un gran mucchio dall’altra parte. Ginny, che era stata la seconda ad emergere dal muro, sospirò ed alzò gli occhi al cielo quando vide il casino che avevano combinato.

 

Rebecca fu la prima ad alzarsi, spazzò i jeans con le mani e prese Azzie nel suo trasportino mentre il suo baule veniva messo sul treno assieme a quelli dei Weasley. Lei, Fred e George cominciarono a percorrere l’Hogwarts Express alla ricerca di una cabina vuota.

 

“Ehi George,” Rebecca diede una gomitata nello stomaco dell’amico quando vide la ragazza Tassorosso con cui usciva l’anno prima che gli rivolgeva un sorriso solare e lo salutava con la mano. “Quella non è Violet Penn?” la loro rottura non era stata delle più pacifiche. “Dio, non riesco a credere che abbiamo ancora due anni da passare con lei,” disse Rebecca con una smorfia.

 

L’anno precedente Violet Penn si era dichiarata certa del fatto che Rebecca e George avessero una relazione segreta dopo che George aveva rotto con lei. In effetti, sosteneva che l’unica ragione per cui George l’aveva lasciata fosse che era coinvolto in una torrida storia d’amore con Rebecca. Rebecca aveva sofferto sei mesi di accuse di parte e drammi meschini, era stato orribile. La bionda non poté far a meno di lanciare uno sguardo a Fred dopo quell’incontro con il passato: lui naturalmente aveva trovato tutta la questione esilarante, finché Violet non si era messa a dire in giro che aveva visto George e Rebecca limonare nel corridoio del terzo piano, cosa che ovviamente non avevano fatto. Si era sorpresa che Fred avesse dato anche solo il minimo ascolto a quello che Violet aveva detto, eppure lui era incredibilmente turbato. Per un attimo Rebecca aveva pensato che fosse sul punto di baciarla nel bel mezzo della Sala Grande, ma subito dopo si era convinta che fosse tutto frutto della sua immaginazione. Abbassò lo sguardo su Azzie quando miagolò, guardandola pigramente.

 

Il trio trovò una cabina vuota verso la fine del treno ed aspettò che arrivassero Alouette, Angelina e Lee. Quando li raggiunsero Rebecca e i Weasley avevano già tirato fuori le carte e stavano usando bacchette di liquirizia e piume di zucchero come moneta per una partita a poker. Rebecca aveva il mucchio più grande: sapeva sempre capire quando Fred e George stavano bluffando. Appena arrivò Angelina tutti e tre misero via in fretta le carte: Angelina era una fantastica giocatrice di poker, nessuno sapeva come ma riusciva a vincere qualsiasi partita. Una volta le avevano dato del Veritaserum prima di giocare per capire come facesse, ma non ci erano riusciti comunque, e così presto avevano deciso di non giocare mai più a poker con lei poiché Lou aveva perso una fortuna a causa sua e gli altri non volevano fare altrettanto.

 

Rebecca, Fred e Lee stavano giocando a Sparaschiocco sul pavimento della cabina (e anche un po’ nel corridoio) mentre Lou, George e Angelina si raccontavano storie sul Quidditch. Alouette era in tutta la scuola quella che più volte si era fatta male sul serio, anche se dati gli eventi degli ultimi tre anni, probabilmente Harry Potter avrebbe presto battuto il suo record.

 

La relativa quiete della cabina, che a dirla tutta non era affatto quieta, esplose rapidamente nel caos quando Rebecca propose di giocare alla variante bavarese di Sparaschiocco: Fred e George non avevano bisogno di farsi spiegare le regole anche se non ci avevano mai giocato, e Lou strillò quando l’intero mazzo di carte esplose in un colpo solo. Rebecca l’aveva avvertita, ma Lou si spaventava facilmente.

 

“Oh, siamo quasi arrivati,” commentò Angelina controllando l’orologio. “Voi tre potete cambiarvi nella cabina,” indicò Fred, George e Lee, “Noi useremo il bagno.”

 

“Spero di non mancarti troppo,” disse Rebecca a Fred con un sorriso, prendendo la sua uniforme e mettendosi in coda dietro ad Angie e Lou.

 

“Pensi che non riesca a sopravvivere cinque minuti lontano da te, Nolton?”

 

“Precisamente,” lo informò lei, andandosene prima che lui potesse dire qualunque cosa. Le ragazze incontrarono Alicia Spinnet e Katie Bell nel bagno delle donne e si fermarono a chiacchierare molto più a lungo di quello che avevano previsto.

 

“Avete visto Cedric Diggory?” disse Katie interrompendo la discussione, e il nome del ragazzo fu accolto da un coro di approvazioni da parte di Lou e e Alicia.

 

“Cedric? Intendi il Prefetto di Tassorosso?” chiese Angelina cercando di ricordare che faccia avesse.

 

“Proprio lui, Cho mi ha detto che pensa di piacergli.” Angelina roteò gli occhi.

 

“Certo, come no. Cho è del nostro anno, non c’è possibilità che un ragazzo del settimo le vada dietro. Cosa pensano di fare? Uscire assieme per un anno e poi non vedersi mai più?”

 

Lou scosse la testa, “Angie, hai troppo senso pratico per l’amore. L’amore non deve essere logico.”

 

“Oh, adesso sono innamorati?” disse Angelina ridacchiando. “Becky, se mai dovessi impazzire per qualche stupido ragazzino hai il mio permesso di usare una Maledizione Senza Perdono contro di me, non importa quanto sia carino.” Rebecca sorrise e promise ad Angelina che avrebbe posto fine alle sue sofferenze.

 

“Adesso dici così Angie, ma quando qualcuno ti conquisterà capirai di aver torto,” continuò Lou.

 

“Non credo proprio,” Angelina incrociò le braccia sul petto e le due sembrarono concordare sul fatto che non erano d’accordo.

 

“Dovremmo tornare indietro,” disse Katie ad Alicia, “Mione e Luna ci staranno aspettando.”

 

Le ragazze si salutarono e tornarono nelle rispettive cabine. Fred, George e Lee si erano già cambiati da un pezzo quando le amiche tornarono e adesso stavano inseguendo una cioccorana che era sfuggita e che scappò del tutto quando Lou aprì la porta.

 

“Bella mossa Smith!” le gridò Lee in un tono che suggeriva un tradimento ben più grande della perdita di una cioccorana.

 

Lou subito gli gridò indietro, e presto i due iniziarono a lanciarsi addosso insulti poco creativi.

 

“Quanto credi che ci metteranno a realizzare di essere innamorati?” chiese Fred, allungandosi verso Rebecca cosicché nessun altro potesse sentire.

 

“Due mesi,” rispose lei senza esitare. Fred inarcò un sopracciglio con aria di sfida.

 

“Ti ci giocheresti dei soldi?” lei fece la sua stessa espressione e si voltò dando le spalle ad Angelina in modo che tutto il suo corpo fosse rivolto verso Fred.

 

“Prima che ci spingiamo oltre Fred devo informarti che non ho mai sbagliato prima d’ora,” il suo sguardo era mortalmente serio mentre lo fissava.

 

“Nemmeno io Nolton.”

 

Si strinsero la mano, due galeoni al vincitore.

 

Lee e Lou continuarono a battibeccare per il resto del tragitto verso Hogwarts, e Angelina dovette minacciare Lee di cacciarlo dalla carrozza se non avesse smesso di fare l’idiota. Smisero di discutere, ma il vuoto che lasciarono le loro voci non fu riempito da nessun altro. Rebecca e Lou si separarono dal gruppo per unirsi alla loro Casa quando arrivarono al castello, correndo a salutare le altre ragazze Corvonero che non avevano visto sul treno. Si accomodarono assieme alle ragazze del sesto anno Nichola Rowe, Evaleen Yates e Henrietta Haynes bevendo succo di zucca mentre attendevano che lo smistamento fosse finito.

 

C’era una cinquantina di matricole quell’anno e Rebecca si stava praticamente squagliando sul tavolo quando finalmente anche l’ultimo studente si sedette ad uno dei tavoli. Corvonero aveva quattordici nuovi studenti, tutti piccoli e imbarazzati come Rebecca ricordava di essere stata al suo primo anno. Era stata davvero una bella prova per i suoi nervi, statene seduta sul palco con quel vecchio cappello puzzolente (che, a proposito, non amava sentirsi definire puzzolente) calato sugli occhi, in attesa che decidesse il suo futuro. Era indeciso fra Serpeverde e Corvonero da quasi tre minuti quando Rebecca gli aveva gridato di sbrigarsi: il cappello sembrava essere più divertito che offeso e la smistò in Corvonero, i Serpeverde fischiarono mentre passava per andare a sedersi al tavolo della sua Casa. Pensava di aver interpretato il ruolo di una Serpeverde quella sera, perciò si chiese per quale motivo il cappello non l’avesse messa assieme alle serpi, e perché ora sedesse con lo stemma blu sul petto invece di quello verde.

 

Non che non le piacesse essere una Corvonero, semplicemente cercava di capire le motivazioni del cappello: una strega come Hermione si sarebbe trovata a suo agio con i corvi, e Neville sembrava più un tasso che un grifone, ma il cappello aveva le sue ragioni e lei certamente non poteva guardare nella testa di Neville per sapere quale fosse quella ragione, e iniziava a chiedersi anche se fosse in grado di guardare nella propria, di testa.

 

Presto furono scortate verso il dormitorio, Emma Morton si unì al loro gruppetto quando fu in grado di separasi da Roger Davies e dai suoi muscoli guizzanti e le sei ragazze si arrampicarono su per le scale, con Lou ed Evaleen che a faticavano a trascinare Emma lontana dal suo ragazzo cosicché potessero spettegolare nel dormitorio. A Rebecca piacevano le ragazze della sua camerata, ma Nicola ed Henrietta appartenevano a quella parte di Corvonero un po’ spocchiosa e spesso rovinavano l’umore generale. Certo avevano le loro qualità, Rebecca in effetti le riteneva molto gentili e la loro dedizione all’educazione scolastica era sicuramente ammirevole, ma avevano come pecca una certa aria di alterigia. D’altronde persone di tutte le case avevano lo stesso difetto, anche se era raro trovarlo nei Tassorosso: nonostante Rebecca dovesse ammettere di aver incontrato dei Tassorosso alquanto sgradevoli, il loro atteggiamento era quasi sempre riconducibile a qualcosa di esterno a loro che li faceva comportare a quel modo. Nichola ed Henrietta erano invece semplicemente nate già convinte di essere migliori degli altri.

 

Il primo giorno trascorse con facilità: tutte le sue lezioni erano con i Tassorosso e i Serpeverde, e i Tassorosso nel suo corso di Pozioni erano molto beneducati così Piton si risparmiò di assegnare uno smisurato carico di lavoro. L’anno precedente Rebecca non aveva avuto altrettanta fortuna: Fred le aveva regalato delle Mou Mollelingua e lei ne aveva data una ad Augustus Green che le era stato assegnato come compagno dal momento che Lou era ammalata, e Piton le aveva assegnato come punizione un saggio di tre rotoli di pergamena sulle proprietà curative dell’aconito, mortalmente noioso. Le punizioni di Piton erano sempre le peggiori, Rebecca non riusciva a capire in che modo comunicare con lui. Il secondo professore più spaventoso di Hogwarts invece era abbastanza semplice da capire: la McGranitt teneva in considerazione sopra ad ogni cosa il rispetto e il carattere forte perciò se si dimostrava di avere un interesse genuino la conversazione scorreva abbastanza facilmente e la stessa cosa valeva per la maggior parte dei professori. Ma Piton era un mistero avvolto da un enigma e sembrava proprio che odiasse Rebecca. Fortunatamente, Lou era una delle migliori studentesse di Pozioni fra i Corvonero, e anche se Rebecca non pensava ci fosse una vera amicizia né nulla di simile fra Lou e Piton, si trattava comunque di una sorta di rispetto reciproco forzato: Lou si impegnava davvero in ogni compito Piton le assegnasse, non importava quanto fosse assurdo, ed era bravissima a preparare le pozioni.

 

Rebecca attendeva con impazienza Difesa Contro le Arti Oscure, se non altro almeno per assistere al metodo di insegnamento di Malocchio Moody, che era certa sarebbe stato estremamente anticonvenzionale proprio come lui. Sperava di impressionarlo, era uno di quei tratti da Corvonero di cui non riusciva a liberarsi: Rebecca voleva piacere agli insegnanti, specialmente se i professori in questione avevano la reputazione di essere crudeli con gli studenti, e dal modo in cui Hermione aveva parlato della sua lezione col professor Moody a pranzo, era decisamente quello il caso.

 

Appena ebbe finito di mangiare Rebecca si diresse verso la biblioteca e radunò tutti i libri sulle arti oscure che riuscì a trovare senza dover andare nella sezione proibita. Ci fu un lungo momento di torturato non-silenzio mentre Rebecca Nolton sedeva in biblioteca indossando le cuffie: non riusciva a non sentire nulla, certo Ian Curtis le stava cantando piuttosto forte nelle orecchie ma al tempo stesso c’era anche l’altro mondo, quello vero. Quel mondo che non c’era entro le porte chiuse del suo dormitorio, entro gli occhi sognanti di Ian Curtis: il mondo in cui Seamus Finnegan tossiva direttamente dentro alla copia di 13 Abitudini Efficienti per Streghe e Stregoni che lei stessa aveva letto solo una settimana prima. Rebecca fece una smorfia mentre Seamus dava un altro colpo di tosse grassa, si strofinava il naso e poi usava la stessa mano moccicosa per girare la pagina.

 

Almeno non poteva a sentirlo. Rebecca sospirò prendendo la bacchetta e ordinando ai libri di disporsi ordinatamente nella sua borsa. Il grammofono che usava per ascoltare la musica levitò dietro di lei mentre si dirigeva verso la torre di Corvonero. Stava camminando tranquillamente con gli occhi rivolti dritti davanti a lei, non stava nemmeno leggendo come era solita fare, quando per poco non fu mandata a gambe all’aria da Oliver Baston. La parte peggiore era che Rebecca era perfettamente consapevole che sarebbe successo, ma era troppo appesantita dai libri che aveva ritirato dalla biblioteca per riuscire ad impedirlo.

 

Ehi! Stai attento Baston!” gridò, oscillando pericolosamente mentre Oliver si voltava sorpreso.

 

A sua discolpa, Oliver era ovviamente dispiaciuto di aver quasi buttato a terra Rebecca, e così si offrì di accompagnarla fino alla torre di Corvonero e la aiutò a portare più di metà dei libri.

 

“Com’è andata l’estate, Nolton? È successo qualcosa di emozionante?”

 

“Sono andata a quel disastro della Coppa del Mondo, anche se onestamente è stata piuttosto divertente finché non sono arrivati tutti quei Mangiamorte.”

 

“Sei andata alla Coppa del Mondo?”

 

“Ero furibonda quando la Bulgaria ha perso.”

 

“Nolton, ti facevo più sveglia, l’Irlanda è una squadra nettamente superiore.”

 

“Per Merlino! Smettila, sembra di sentire Fred e George.”

 

“Beh è una questione d’insieme, dalla formazione all’allenatore…” mentre Oliver elencava tutte le ragioni per cui l’Irlanda era migliore della Bulgaria gli brillavano gli occhi: era piuttosto adorabile il modo in cui amava quello sport. O lo sarebbe stato se non fosse stato anche così fastidioso.

 

“La Bulgaria ha giocatori migliori!” lo interruppe Rebecca, che aveva già sentito dire praticamente le stesse cose da Fred e George.

 

“Sì, ma quei giocatori non compensano la cattiva gestione e lo scarso allenamento, per non parlare del fatto che tutti i loro cacciatori sono troppo egoisti per passarsi la pluffa. La forza degli irlandesi sta…”

 

“…Nel loro gioco di squadra e nel fatto che si impegnano di più per vincere della Bulgaria, blah blah blah, lo so Baston, ma ti morderai la lingua quando la Bulgaria decide di fare sul serio.” Baston alzò un sopracciglio con aria interrogativa.

 

“E quando succederà Nolton?” ora le camminava più vicino.

 

“Beh, quando Krum sarà un po’ cresciuto, e anche tutti quei cacciatori sono molto giovani…”

 

“Parli come se avessi quarant’anni più di Krum ma sei più giovane di lui.”

 

Erano arrivati alla torre di Corvonero e Rebecca riprese i libri da Oliver.

 

“Non ho mai detto di non essere immatura e orgogliosa: ammetto di avere gli stessi difetti, dico solo che sono caratteristiche che con l’età si smorzano.” Oliver aggrottò le sopracciglia, appoggiandosi allo stipite blu della porta della Sala Comune.

 

“E chi lo dice che l’orgoglio è un difetto?”

 

“Non saprei Baston, Jane Austen, Oscar Wilde, qualsiasi fiaba dei fratelli Grimm, Platone,” la confusione di Oliver andava crescendo man mano che Rebecca continuava a parlare.

 

“Leggi un sacco di letteratura babbana, o sbaglio?”

 

“Mio padre aveva un bel po’ di libri, mi annoio sempre durante le vacanze e quindi li leggo,” alzò la mano per bussare alla porta. “E comunque, non si tratta dell’orgoglio in sé e per sé ma dell’eccesso di orgoglio,” gli disse, voltandosi e attendendo che il batacchio della porta si svegliasse. “Grazie per l’aiuto Baston.”

 

“Alcuni di noi vanno al campo per fare una partita domani durante l’ora libera,” le disse sovrappensiero, “se non sei impegnata.”

 

“Dipende da quanti compiti mi assegna Piton, ma se dovesse cambiare idea e decidere che non mi odia più, mi piacerebbe passare.”

 

“Molto bene allora, ci vediamo domani.” Rebecca salutò Baston con la mano mentre lui si affrettava a tornare dai suoi amici. Non gli aveva mai parlato molto al di fuori delle partite di Quidditch fra Grifondoro e Corvonero e oltre all’occasionale chiacchierata amichevole quando si ritrovavano soli in biblioteca o erano i primi ad entrare nella Sala Grande: in quel caso era quasi maleducato sedersi ad un tavolo diverso, la distanza fra due persone diventava molto più evidente, ma al contempo non potevi mai essere certo se l’altra persona fosse infastidita dalla distanza o se avesse davvero voglia di chiacchierare così presto la mattina.

 

“Mi trascino nella polvere, non posso vivere senza il mio gemello,” disse il batacchio con uno sbadiglio.

 

“Accidenti, spero non stia parlando di me.” Rebecca sorrise a Fred, che sembrava spuntare sempre dovunque lei fosse.

 

“No, non sta parlando di te,” gli disse.

 

Un silenzio imbarazzante si depositò sui due. Non era certa del perché quel silenzio fosse imbarazzante, ma era abbastanza certa che avesse fare con la contrazione arrabbiata della mascella di Fred.

 

“Tutto a posto?” le chiese, e mentre si avvicinava a lei riusciva a vedere la rabbia che gli fumava negli occhi, la bocca stretta in una linea.

 

“Sì, sto bene. E tu?” lui fece spallucce.

 

“Bene.” Era chiaro che non stava bene, ma Rebecca non aveva colpe se lui non voleva dirle cosa ci fosse che non andava.

 

Alzò gli occhi al cielo. “Ragazzi,” mormorò riportando la sua attenzione al batacchio, decidendo di ignorare Fred dal momento che probabilmente era arrabbiato per qualcosa di futile. “Un’ombra,” risolse l’indovinello e la porta si aprì.

 

Fred la seguì all’interno senza che lei glielo chiedesse, ma era ancora furente mentre camminava. Rebecca si chiese se gli altri Corvonero lo notassero, o se magari lo stessero ignorando. No, non era quello il caso: Fred non se ne accorse, ma le teste di almeno cinque ragazze scattarono in su quando lo videro. Rebecca le vide sistemarsi i capelli e incrociare le gambe, tentando con quei minuscoli cambiamenti di risultare più attraenti, ma Fred sembrava troppo impegnato a perforare la testa di Rebecca con lo sguardo per accorgersene.

 

Michael Corner e Marietta Edgecomb sedevano sul pavimento piegati sopra a uno strano congegno di provette e calderoni contenente una sorta di melma viola che ribolliva, Rebecca era abbastanza certa che Marietta e Michael avrebbero passato le settimane seguenti a tentare di levarsi dai capelli quello schifo. Luna Lovegood sedeva ad una scrivania in una delle alcove della libreria, osservando un folletto morto attraverso una grande lente, con un libro di schizzi aperto accanto a lei.

 

“Che fai Luna?” Luna alzò lo sguardo con quel suo solito modo sognante che aveva, come fosse sempre lievemente sorpresa del fatto che il mondo attorno a lei continuasse a muoversi quando lei si perdeva nei suoi pensieri. “Annoto le differenze fra Nargilli e folletti per un articolo di ricerca,” Rebecca annuì.

 

“Per il Cavillo vuoi dire? Mi farebbe piacere comprarne una copia quando esce,” Rebecca si piegò sul tavolo di Luna per dare un’occhiata al folletto.

 

“Oh non c’è bisogno Rebecca, è gratis per gli amici, tento solo di diffondere la conoscenza,” Rebecca sorrise a Luna e l’abbracciò rapidamente.

 

“Bene, beh non vedo l’ora che esca, fammi sapere se ti serve aiuto a raccogliere materiale di ricerca.” Rebecca salutò Luna, conducendo Fred su per la spirale delle scale che portavano al suo dormitorio. Proprio quando erano arrivati a quelli delle ragazze del sesto anno Rebecca udì il marchingegno di Marietta e Michael esplodere. “Non mi sorprende,” disse a Fred. “È la terza volta che cercano di preparare la pozione dell’invisibilità, e io continuo a dirgli che non c’è verso che due studenti del quarto anno riescano a preparare una pozione che sicuramente nemmeno Piton è riuscito a creare con successo più di una volta, ma rifiutano di ascoltarmi.”

 

“E perché stanno preparando una pozione dell’invisibilità o… perché insistono nel provarci?” Rebecca appoggiò i suoi libri e la borsa sul pavimento accanto al letto e fece levitare il grammofono cosicché si appoggiasse sul baule chiuso. Iniziò a rovistare nella scatola di dischi che le aveva spedito Hestia cercando qualcosa che potesse piacere a Fred.

 

“Per dimostrare che possono farlo,” rispose estraendo vittoriosa il nuovo album dei Pulp, che aveva specificamente chiesto alla matrigna.

 

“Chi sono?”

 

“Una band babbana,” rispose abbassando la puntina e guardando il disco girare. “Papà mi ha lasciato una discreta ossessione per la musica babbana,” ammise voltandosi a sorridere a Fred. “Tuo padre ha fatto lo stesso per le paperelle di gomma, o sbaglio?”

 

“Oh sì, non posso passare più di un giorno senza vedere una paperella di gomma, ne ho una che tengo sotto al cuscino,” le disse lui, distendendosi sul letto. “Si chiama Justine,” si tolse un pelucchio dal maglione e spianò le pieghe con la mano. “Bella canzone,” disse poi Fred indicando il grammofono.

 

Justine? La tua papera ha un nome da ragazza?”

 

Fred sorrise, sorreggendosi la testa con la mano e girandosi sul fianco per guardare Rebecca. “Ho per caso sentito una punta di gelosia Nolton?” Rebecca scosse la testa sbuffando e gli diede le spalle, incrociando le braccia.

 

“Nei tuoi sogni Weasley.”

 

Lui le pizzicò i fianchi, e Rebecca tentò di divincolarsi. “Oh non preoccuparti Becky, nessuna ragazza potrebbe mai rimpiazzarti, non importa quanto siano gialle e gommose,” i suoi pizzichi divennero solletico e Rebecca ben presto scoppiò a ridere tentando di spingerlo via.

 

“Fred smettila di fare l’idiota.” Rebecca si girò e gli bloccò i polsi, trattenendo le sue mani dal farle il solletico mentre si sforzava di non sorridere. Lo guardò negli occhi con estrema serietà, facendo del suo meglio per interpretare la McGranitt quando rimproverava qualcuno, e Fred smise di tentare di divincolarsi dalla sua stretta per ascoltare cosa dovesse dirgli. “Devi restare fedele a Justine,” esplose in una risata quando Fred roteò gli occhi e si liberò dalle sue mani. “Mi rifiuto di far la sfascia-famiglie! Mi rifiuto!” gridò prima di rimettersi a ridere scompostamente.

 

“Non posso credere di aver pensato che tu stessi per dire qualcosa di serio,” disse Fred quando ebbe deciso di averle fatto abbastanza solletico. Si tirò a sedere appoggiandosi alla testata del letto.

 

“In effetti raramente sono seria,” disse lei.

 

Sedettero in silenzio per un po’ ai lati opposti del letto mentre ascoltavano il disco.

 

“E così, tu e Baston, eh?” Rebecca alzò la testa, sorpresa.

 

Cosa?” credeva seriamente di aver sentito male.

 

La mascella di Fred era tornata a contrarsi, e lui guardava di lato rifiutando di incrociare il suo sguardo. “Tu e Baston? Vi ho visto assieme, sembravate molto intimi.”

 

“Beh, insomma Baston è un bravo ragazzo, ma non lo conosco molto bene.”

 

“Ci esci assieme?”

 

“No.” Rebecca ora era del tutto seduta, e analizzava Fred che si era un po’ addolcito quando lei aveva detto di no. “Non vedo perché sia affar tuo, però.”

 

Era di nuovo arrabbiato quando si girò a guardarla con le sopracciglia aggrottate. “Sono tuo amico, quindi sono anche affari miei.” Rebecca scosse la testa.

 

“Non funziona così, Fred, posso uscire con chi mi pare!” Fred spalancò gli occhi, sorpreso.

 

“Non ho mai detto che non puoi, ero solo curioso, tutto qui.” Si era un po’ sgonfiato, e aveva le guance arrossate mentre con gli occhi vagava per la stanza.

 

“Ah sì? E perché ti importa Fred?” lui sbuffò.

 

“Non mi importa con chi esci, Nolton, puoi farti anche Piton per quel che mi riguarda,” lei emise un rantolo di rabbia e scese dal letto.

 

Rebecca stringeva i pugni, con gli occhi furiosi: sembrava una madre pronta a rimproverare il proprio bambino. “Dici sul serio?”

 

“Certo.”

 

“Bene.”

 

Bene!

 

Rebecca girò i tacchi e si diresse a grandi passi fuori dal dormitorio. “Ragazzi,” disse arrabbiata mentre scendeva dalle scale a pugni stretti.

 

“Problemi in paradiso?” chiese Augustus seduto sul divano, il che scatenò una risatina generale degli altri Corvonero.

 

Rebecca fece dietrofront, con gli occhi ardenti, e ad ogni passo che faceva verso Augustus il sorrisetto compiaciuto svaniva dalla faccia del ragazzo.

 

“Perché sei arrabbiata, Nolton? Weasley ti ha mollata?”

 

Rebecca non stava pensando a nulla se non a come togliere quel ghigno dalla faccia di Augustus quando gli fece una fattura. Normalmente non era una persona violenta, né il tipo di persona che ricorreva alla magia per appianare i suoi contrasti con gli altri: la trovava una cosa grossolana, e diceva sempre che chiunque ricorresse alla violenza per risolvere le discussioni era sicuramente un ignorante che aveva paura di uscirne sconfitto. Ma in quel momento era davvero furiosa: guardava Augustus e tutto quello che riusciva a vedere era Fred con la sua stupida mascella contratta dalla rabbia, che si rifiutava di fare qualcosa per risolvere la questione. Riusciva a vedere Fred l’anno precedente che si sporgeva dal cerchio di persone per baciare Harper Botts proprio davanti a lei. Fred, e immagini del suo sorriso strafottente che la faceva imbestialire. Era come un gioco, un orribile gioco infinito che nessuno poteva vincere, e in cui lei finiva sempre per farsi male. Perché? Perché lei non gli piaceva? Perché non poteva dire qualcosa? Rebecca amava Fred più di qualsiasi altra persona al mondo, eppure lui era la causa di tutti i suoi struggimenti.

 

E quindi, quando Rebecca puntò la sua bacchetta contro Augustus e gli lanciò una fattura scotennante, non era di certo lucida. Augustus lanciò uno strillo alquanto soddisfacente mentre tutti i suoi capelli cascavano. Gli studenti di Corvonero sembrava non sapessero come reagire: un paio fecero delle risatine sorprese e ben presto si stavano rotolando per terra dal ridere, mentre gli altri sembravano ancora stupiti da quanto in fretta le cose si fossero messe male. Se Fred avesse deciso di scendere dalle scale in quel momento, lei avrebbe sicuramente fatto qualcosa anche a lui, magari una fattura gambemolli, o una fattura orcovolante che era sempre un classico. Ma lui era assente e la cosa la mandava ancor di più su tutte le furie, così se ne andò con passo pesante, dimentica di tutti i propositi di studiare per la lezione del professor Moody del giorno dopo mentre iniziava a correre per il corridoio. Cercò di correre abbastanza veloce da lasciare quei terribili sentimenti nella torre di Corvonero, ma era tutto inutile.

 

Ma si sa, non puoi correre più veloce di te stesso, e così si trovò nella Stanza dei Trofei senza poter più andare da nessuna parte. Si infilò dentro e si rannicchiò nell’angolo di una panca, lasciando che le lacrime di rabbia le scorressero sul viso finché non le ebbe finite tutte. Era soprattutto arrabbiata con sé stessa, perché di chi altri poteva essere la colpa se aveva investito tanto tempo ed energie per Fred Weasley? Non era colpa di Fred se lei voleva qualcosa che lui non poteva darle, dopotutto. Si rifiutava di singhiozzare e non faceva alcun rumore, mentre premeva gli occhi contro le ginocchia finché non smise di tremare. Poi, con un respiro spezzato si alzò in piedi.

 

Al diavolo Fred Weasley.

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Capitolo 5
*** Il principe rosso ***


Parte 5: Il principe rosso

 

“Becky? Cosa fai sveglia così presto?” Lou si sollevò con uno sbadiglio.

 

“Oh merda, scusa Lou non volevo svegliarti.”

 

“Fa niente.” Lou rassicurò Becky voltandole le spalle e tornando a dormire.

 

Rebecca aspettò ancora un po’ per assicurarsi che Lou si fosse addormentata del tutto prima di continuare a mettersi la divisa da quidditch. Nelle ultime settimane non riusciva a dormire bene e da un po’ aveva iniziato a girovagare per il castello all’alba: sarebbe rimasta sveglia a fissare il soffitto comunque, perciò tanto valeva farsi un giro. Inizialmente si limitava a portarsi un libro da leggere nella torre di Astronomia, poi aveva rivolto la sua attenzione alla capanna di Hagrid e aveva iniziato ad aiutarlo a nutrire le creature di cui si prendeva cura prima di andare a fare colazione.

 

Dopo due settimane che seguiva questa routine aveva incontrato un altro insonne. Puoi togliere un ragazzo dal campo da quidditch, ma non potrai mai togliere il quidditch al ragazzo: Oliver Baston si allenava dalle cinque alle sei del mattino. L’aveva invitata a fare un po’ di sollevamento pesi, offerta che lei aveva educatamente declinato, ma ora erano soliti fare partite uno contro uno tutte le mattine. Una pluffa, due cacciatori: niente di emozionante dal momento che non c’erano bolidi che potessero colpirla, ma era una bella sensazione volare ancora. Specialmente la mattina, con l’aria fredda che le pungeva le guance e le faceva lacrimare gli occhi, si sentiva come uno spiritello del vento, libera e senza preoccupazioni tranne in quale fiore posarsi a dormire. Naturalmente alla fine doveva sempre tornare a terra e continuare ad essere umana, ma era grata ad Oliver per questi brevi attimi di respiro.

 

Si incontrarono al campo da quidditch, lui stava già facendo stretching e gli si illuminarono gli occhi quando la vide. 

 

“Nolton, sei un po’ in ritardo.”

 

Rebecca si raccolse i capelli in una coda. “Ho svegliato Lou e ho dovuto aspettare che si addormentasse di nuovo.”

 

Rebecca e Oliver avevano un bizzarro modo di salutarsi, toccandosi i gomiti al posto di una stretta di mano o del cinque babbano. Avevano iniziato per sbaglio, e dopo che si erano scontrati gomito contro gomito accidentalmente fin troppe volte avevano cominciato a farlo apposta.

 

“Vuoi lanciare una moneta?” Oliver scosse la testa.

 

“Prima le signore.”

 

Rebecca inarcò un sopracciglio divertita ma acconsentì, sollevando la pluffa abbandonata sul prato e tentando di togliere il fango dalla superficie. “Ho il presentimento che rimpiangerai questa decisione, Baston.”

 

Lui sogghignò: “Probabilmente, Nolton.”

 

Ed in effetti se ne pentì: allo scadere dell’ora, Rebecca lo aveva battuto di soli quindici punti, cosa che non mancò di fargli pesare mentre tornavano alle docce. “Oliver Baston, battuto per quindici punti. Com’è stato Ollie? Vedersi soffiare la vittoria per un pelo?” Oliver sbuffò e dichiarò che il mattino seguente non sarebbe stato altrettanto cavalleresco. Le ci volle un bel po’ per rimuovere dai capelli biondi tutto il fango che ci si era incastrato, dal momento che Rebecca cominciava a dimostrarsi incapace di giocare una partita a quidditch senza cadere a terra: era atterrata dritta di testa nel fango, e Oliver si era preoccupato talmente tanto che era sceso dalla scopa per vedere se aveva bisogno d’aiuto ma lei era scoppiata a ridere tentando di pulirsi il fango da un occhio, con scarsi risultati. Si osservò nello specchio quando ebbe finito di prepararsi, ispezionando i capelli un’ultima volta: sì, poteva andare.

 

Non parlava con Fred da quel giorno nel suo dormitorio: non si erano detti altro, ma c’era come una sorta di reciproco accordo sul fatto che entrambi avessero bisogno di spazio. Rebecca aveva investito troppo tempo in lui senza ottenere quelli che considerava risultati proficui: Fred si era comportato in modo possessivo senza darle alcuna indicazione di volere una vera relazione con lei. Forse era meglio lasciarlo andare, ma naturalmente ne era stata innamorata per tre anni e dimenticarlo non era così facile. Non che avesse intenzione di non parlargli mai più: Fred aveva ancora molta della sua stima, la loro amicizia era forte e non avrebbe mai potuto farne a meno, ma senza che lui ci mettesse alcun impegno per essere più che amico, lei aveva iniziato a chiedersi quanto fossero salutari i suoi sentimenti per Fred. Non riusciva nemmeno a guardarlo senza che le si stringesse in cuore e così lo evitava del tutto, ignorando il suo sguardo e fingendo che non esistesse. 

 

Naturalmente i loro amici erano preoccupati: Fred e Rebecca erano sempre stati culo e camicia e l’unica persona con cui Fred passava più tempo di lei era George, e all’improvviso era come se nessuno dei due volesse ricordarsi dell’altro. Bastava pronunciare il nome di Fred e Rebecca si distaccava dalla conversazione, come se la mente le fosse stata rapita da una nuvola e lei fluttuasse lontana sopra tutti loro. Fred aveva smesso di ridere: era strano vederlo non ridere per così tanto tempo, poiché sembrava fosse in grado di trovare sempre qualcosa di divertente in tutto e quando nulla lo intratteneva era lui stesso a intrattenere gli altri. George era il più disperato di tutti: aveva tentato di ragionare con Fred, ma più lo incoraggiava a parlare con Rebecca, più lui si convinceva che non l’avrebbe fatto. Non che non sapessero come sistemare la loro relazione, anzi: sia Fred che Rebecca sapevano bene che se si fossero scusati tutto sarebbe tornato a scorrere normalmente. Sarebbero facilmente tornati ad essere amici e a rincorrersi in cerchio come se un grande falò divampasse fra di loro e se si fossero avvicinati troppo si sarebbero bruciati. Rebecca non voleva correre, ma non sapeva come fermarsi. Fred… non riusciva a capire perché lui non si scusasse. Orgoglio? Il ragazzo pensava forse di essere dalla parte della ragione quando Rebecca gli aveva giustamente detto che lui non aveva nessun diritto su di lei? Non riusciva a capire, e non intendeva chiedere alcuna spiegazione.

 

Mentre faceva il suo ingresso nella Sala Grande sfrecciando con lo sguardo per tutta la stanza subito individuò Fred e George al tavolo di Grifondoro. Chiuse gli occhi mentre camminava, tentando di calmarsi, perché anche solo vederlo era sufficiente ad indebolire la sua risolutezza nell’ignorarlo. C’era un muro fra lei e la felicità: una piccola parte di lei che era troppo debole per stare vicino a Fred e amarlo come aveva sempre fatto. Prese a muoversi in fretta fra i tavoli per raggiungere Lou il più velocemente possibile: se aveva qualcosa a cui pensare, era in grado di sovrastare il pensiero di Fred. Ma Lou e gli altri studenti del sesto anno di Corvonero erano seduti paralleli a Fred e a George, Lou era girata verso di loro e mostrava qualcosa che aveva scritto su un pezzo di pergamena. Dritta nella tana del grifone, Rebecca sedette di fronte ad Emma e si sforzò di non girarsi nemmeno un po’ verso destra: non si erano ancora accorti della sua presenza, così tentò di accomodarsi con discrezione.

 

“Rebecca? Per Merlino, sei stata sotto la doccia per così tanto che avevo cominciato a pensare che ci fossi annegata;” lei tentò di trattenere la sua sorpresa al suono della voce di Oliver, ma ormai i Weasley se ne erano accorti.

 

“Lo so Ollie, mi ci è voluto un secolo per togliere tutto quel fango dai capelli,” se li sfiorò sovrappensiero, all’improvviso insicura mentre si chiedeva se le fosse rimasto dello sporco in testa.

 

“Immagino che non sia stato facile, hai fatto proprio una bella caduta,” Oliver piegò la testa per ispezionare quella della ragazza. “Mi sembra tutto a posto,” la informò con un cenno d’assenso. “Ora devo andare, ci vediamo domani?”

 

Rebecca annuì, “Di prima mattina Ollie, non sarò in ritardo stavolta.”

 

“Ci conto, Nolton.” Rebecca batté il suo gomito contro quello del ragazzo che dopo aver rapidamente salutato gli amici se ne andò.

 

Rebecca non poté evitare di dare uno sguardo a Fred, domandandosi se la sua amicizia con Oliver potesse essere male interpretata: Oliver era un buon amico, era lì quando ne aveva bisogno per giocare a quidditch nelle prime ore del mattino cosicché lei non dovesse restarsene sola con i suoi pensieri. Fred aveva la mascella contratta e i suoi occhi scuri vagavano per la sala con aria solenne finché non trovarono quelli di lei, che riuscì a leggervi dentro la domanda che avrebbe voluto farle. Scosse il capo, e lui senza dare alcuna indicazione di aver capito si limitò a concentrarsi sul fratello che stava raccontando a Lee una storia che, a giudicare dal suo ampio gesticolare, comprendeva un’enorme quantità di esplosivi. Rebecca bevve il suo caffè in due sorsi e afferrò un muffin ai mirtilli.

 

“Già te ne vai?” chiese Lou con la bocca piena di toast. “E dove?”

 

“In biblioteca è appena arrivata la nuova edizione delle Cronache di Chrestomanci, e volevo essere la prima a darci un’occhiata.” Lou prese un sorso di tè e si affrettò a raggiungere Rebecca.

 

“Quei libri sono così belli come dici tu?”

 

Rebecca sospirò sognante, posizionando una mano sul cuore. “Anche meglio.”

 

“Bisogna proprio che li prenda in considerazione allora.”

 

“Dovresti, Lou, credo che ti piacerebbero moltissimo,” Rebecca percorse la base delle statue di marmo che stavano superando con le punte delle dita.

 

Rebecca e Lou trascorsero la mezz’ora restante cercando quanti più libri della loro infanzia possibile. A Rebecca piaceva leggere i libri che aveva amato da bambina, la riportavano a giorni più felici, a prima che il mondo diventasse un posto così oscuro. Era iniziato tutto quando aveva ritrovato una copia delle Favole di Tumulus, un libro di storielle su un rospo composte quasi tutte di giochi di parole, molti dei quali erano parecchio più inappropriati di quel che si ricordava da bambina, quando li leggeva in salotto dopo cena.

 

Quando iniziò Difesa contro le Arti Oscure Rebecca e Lou finirono per essere le ultime ad arrivare: ovviamente gli unici posti disponibili erano con Fred e George, poiché l’aula utilizzata da Moody aveva tavoli da quattro per far fronte all’elevato numero di studenti di Corvonero e Grifondoro. Lou sedette fra Fred e Rebecca.

 

Rebecca tenne gli occhi fissi davanti a sé senza osare spostarli dal professor Moody mentre questi si presentava alla classe. Il suo sguardo penetrante non passò inosservato al professore che la chiamò a rispondere alla prima domanda.

 

“Dunque, signorina Nolton, può dirmi il nome di una delle Maledizioni senza Perdono?”

 

“La maledizione Cruciatus, signore.”

 

“Ed è in grado di eseguire una maledizione Cruciatus, signorina Nolton?” Rebecca guardò di sbieco Lou, convinta di aver sentito male, ma l’amica era stupita quanto lei.

 

“Ehm, non sono imperdonabili, signore?” Moody stava rovistando sulla cattedra, sollevando barattoli di polveri ed erbe, finché non ne trovò uno contenente un singolo ragno. Lo raccolse dal barattolo e lo depositò sul banco di Rebecca.

 

“È abbastanza semplice, signorina Nolton, tutto quello che deve fare è puntare la bacchetta.” Rebecca osservò il ragno camminare sul suo banco mentre scuoteva la testa. Voleva disperatamente piacere al professor Moody, ed eccola lì alla prima lezione che già lo contraddiceva.

 

“Non posso, signore. Non lo farò,” gli disse con convinzione.

 

Moody fece un verso di disapprovazione ma non discusse ulteriormente. “E va bene, ma quantomeno dovrebbe essere in grado di riconoscerla, signorina Nolton,” sollevò lo sguardo sul resto della classe, “lo scopo di questo corso è insegnarvi a difendervi contro la magia oscura, e l’unico modo per farlo è che voi conosciate la cosa contro cui vi state difendendo.” Puntò la bacchetta sul ragno. “Crucio.”

 

“Ehi, la smetta!” Fred scattò in piedi con tutta l’aria di esser pronto a spingere Moody via da Rebecca se fosse diventato necessario. George era in piedi accanto al fratello, ed entrambi guardavano in cagnesco il professore che ricambiava lo sguardo con un solo occhio gelido, mentre con l’altro fissava Rebecca.

 

“Molto bene, allora perché non mi elenca un’altra Maledizione senza Perdono, signor Weasley? O per caso preferirebbe sostituirmi nella gestione dell’intero corso?”

 

Fred si sedette a disagio, il suo sguardo incrociò quello di Rebecca per un istante e lei vide ancora l’agitazione che bruciava in lui: era stato orribile guardare quel ragno torturato così, anche se per un millesimo di secondo.

 

“Professor Moody, posso assentarmi un attimo?” Rebecca non riusciva ad alzare la testa dalle venature del legno del suo banco. “Non mi sento troppo bene.”

 

“Certo Nolton, vada subito in infermeria e torni se si sente meglio prima della fine della lezione.”

 

La classe rimase mortalmente silenziosa mentre la sedia di Rebecca strideva contro il pavimento di pietra e lei usciva rapidamente dall’aula. Non svoltò verso l’infermeria quando avrebbe dovuto: salì le scale finché non giunse alla voliera, dove non ci sarebbe stato nessuno a quell’ora del mattino il che la rendeva il posto perfetto. Non era certa di come si aspettava che andasse la prima lezione di Difesa contro le Arti Oscure, ma sicuramente meglio di così. Aveva perso lucidità al primo istante di pressione: si aspettava di essere più risoluta, di essere in grado di guardare la magia oscura e il male dritti in faccia e scoprirsi abbastanza forte da urlargli di andare al diavolo. Ma non riusciva a chiudere gli occhi senza vedere il Marchio Nero, il ragazzino babbano che era vivo e sembrava morto, e ora la maledizione Cruciatus. Quella maledizione era stata usata contro suo padre durante la guerra: Bartemius Crouch Jr. in persona aveva rivolto la bacchetta contro il signor Nolton e aveva pronunciato quella singola, orribile parola. Crucio. Ma Rebecca non poteva pretendere di essere all’altezza del suo cognome se nemmeno riusciva a dirla.

 

“Moody mi ha mandata a cercarti.” Rebecca sobbalzò al suono della voce di Lou, che stava in piedi nell’ingresso della stanza. “Stai bene?” le chiese preoccupata.

 

Rebecca scosse la testa e Lou si affrettò ad abbracciarla. “Non aveva il diritto di chiederti di farlo, Becky, e hai ragione ad essere turbata, e sicuramente hai fatto bene a rifiutarti.”

 

“L’hai visto, Lou? Il ragno intendo.”

 

“Sì.”

 

“È stato orribile, non è vero?” la stretta di Rebecca sull’amica si fece più forte, mentre tentava di sostituire tutti i suoi brutti ricordi con la sensazione di essere abbracciata.

 

“Fred era molto preoccupato, ha persino urlato contro Moody dopo che te ne sei andata.” Rebecca si lasciò sfuggire una risata sommessa.

 

“Ah sì? Immagino che Moody non l’abbia presa troppo bene.”

 

“Poteva andargli peggio, non deve scontare nessuna punizione ma Moody gli ha urlato indietro. Mi sa che se non torno di là in fretta verrà a cercarti di persona.”

 

Rebecca annuì e tornò con Lou verso l’aula, dove rimasero sedute fuori dalla porta per i cinque minuti di lezione che restavano. Rebecca sorrise a Fred quando passò da lì, e lui ricambiò il sorriso con una vaga esitazione, come se non fosse stato sicuro che fosse la cosa giusta da fare. Le si spezzò un po’ il cuore in quel momento, perché non era giusto che Fred pensasse di non avere il diritto di sorriderle.

 

“Fred!” lo chiamò. Lui si voltò subito al suono della sua voce.

 

“Sì?”

 

“Grazie.” Le fece un gran sorriso, stavolta senza la minima titubanza, e poi riprese a camminare accanto al fratello.

 

 

Nota dell’autrice: Appena iniziata la quarantena Italia 1 ha deciso di farci lo splendido regalo di una maratona di Harry Potter, e naturalmente mi è tornata come ogni volta la fissa e ho deciso di rispolverare questa cosina che aveva scritto circa quattro anni fa, sistemarla e pubblicarla. Se la storia finora non vi è piaciuta, quindi, prendetevela con la Vincey di sedici anni che detestava le Fremione e quindi ha sentito la necessità di scrivere una ff su Fred Weasley inventandosi un personaggio ad hoc (non che adesso mi piacciano le Fremione, continuo a trovarle un po’ forzate, non vogliatemene). Purtroppo, quello che ho scritto quattro anni fa si interrompe qui come tutte le cose che scrivevo all’epoca senza mai riuscire a concluderle. La noia da quarantena però mi ha portata pensare che non sarebbe una brutta cosa continuare questa storia, magari senza tirarla troppo per le lunghe ma comunque dandole un senso e una conclusione, nonostante la mia cara sorellina mi abbia fatto notare che forse vent’anni sono un’età un po’ tarda per scrivere fan fiction su Harry Potter. Perciò, dal prossimo capitolo in poi quello che leggerete sono cose che sto scrivendo ora, passo per passo. Spero possa tenervi compagnia in queste giornate in cui sembra di stare in una realtà parallela, e naturalmente spero vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate,

Vincey.

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Capitolo 6
*** Smettere di amarti fa male ***


Parte 6: Smettere di amarti fa male 

 

“Per chi tieni?” Angelina si accomodò accanto a Becky e Lou sugli spalti del campo da quidditch dove era in procinto di disputarsi una partita amichevole fra i ragazzi di Beauxbatons e quelli di Durmstrang.

 

“Beh normalmente per la Bulgaria, perciò direi decisamente per Durmstrang,” Angelina sbuffò con disappunto.

 

“Ma come fai? Guarda quanto è grezzo il loro gioco!” Rebecca alzò gli occhi al cielo ma non poté fare a meno di notare che i giocatori di Durmstrang si stavano effettivamente concentrando solo sul far cadere dalla scopa gli avversari francesi.

 

“Però devi ammettere che il loro cercatore è davvero fenomenale,” Rebecca si concentrò sulla figura di Krum che sfrecciava in cielo.

 

“Ah e così adesso sai cosa vuol dire essere dei bravi cercatori?” Rebecca diede una leggera gomitata nelle costole dell’amica.

 

“Scherzo, lo sai. Probabilmente sei l’unico motivo per cui la squadra di Corvonero non è arrivata ultima al torneo l’anno scorso,” Lou guardò storto Angelina che ridacchiava compiaciuta per la battuta ma decise di non replicare e le ragazze rimasero in silenzio a seguire il gioco per un po’.

 

“Sei proprio sicura di non voler cambiare idea all’ultimo minuto?” chiese Lou a Rebecca che ora guardava disgustata i ragazzi di Durmstrang che a stento restavano al passo con gli avversari, vagando senza una meta definita e lanciandosi la pluffa con scarsa precisione.

 

“Ehm, direi di no… forse i francesini hanno davvero una marcia in più,” e aveva ragione: gli studenti di Beauxbatons batterono quelli di Durmstrang per ben 30 punti.

 

“Eccome se ce l’hanno!” esclamò Angelina che da quando era iniziata la partita non aveva levato gli occhi da uno da uno dei battitori della scuola francese. “Venite, andiamo a presentarci,” prese Lou e Rebecca sottobraccio e le trascinò verso il punto in cui adesso si stava formando una piccola folla di giocatori e studenti.

 

“Gran bella vittoria,” disse la Grifondoro con un sorrisetto malizioso all’oggetto del suo desiderio, che stava scendendo dalla scopa in quel momento. “Mi chiamo Angelina, e queste,” disse gesticolando verso le amiche che erano rimaste un po’ in disparte, “sono Rebecca e Alouette.”

 

Enchanté, io sono Francis,” lo studente di Beauxbatons prese la mano di Angelina e la sfiorò appena con le labbra. Lei gli rivolse un sorriso stucchevole.

 

“Stavamo pensando che non sarebbe una brutta idea fare una bella partita tutti assieme la settimana prossima,” disse lei senza staccare gli occhi da quelli del ragazzo.

 

“Io sono una cacciatrice, Lou è un eccellente portiere e la nostra Becky è la miglior cercatrice che Corvonero abbia avuto negli ultimi anni, e con l’aggiunta di qualche nostro amico Grifondoro e Tassorosso ne uscirebbe una bella squadra.”

 

“Ma non dovremmo invitare anche qualche studente di Serpeverde?” chiese lui con una lieve inflessione sulla r. Angelina rise, sarcastica.

 

“Lo prenderò come un no.”

 

“Allora è deciso, sabato prossimo.”

 

“Eccellente,” Rebecca non credeva nemmeno che Angelina fosse in grado di sorridere così.

 

Au revoir, Francis.”

 

“Sei proprio senza vergogna!” esclamò Lou sgranando i grandi occhi grigi mentre si avviavano per il giardino a braccetto.

 

“Che c’è? Credevo che lo scopo del torneo fosse socializzare con gli studenti stranieri!”

 

“E tu sei un’esperta nel socializzare, non è così?” Lou scoppiò a ridere al commento di Rebecca e pochi secondi dopo anche Angelina non riuscì più a fingersi offesa. Al coro di risate delle tre ragazze fecero eco pochi metri più in là due ben note voci maschili: Lee e Fred, che avevano assistito anche loro alla partita, si stavano scambiando opinioni poco favorevoli sui giocatori di Durmstrang. Alla vista di Lee, Alouette avvampò bofonchiando una scusa e velocissima si allontanò dalle amiche per sfuggire al campo visivo dei ragazzi. 

 

“Ehi, eccovi!” Lee si avvicinò sorridente a Rebecca e Angelina con Fred al seguito. “Che fine ha fatto Lou? Credevo di averla vista al campo.”

 

“Ha detto che doveva…” Rebecca lanciò un’occhiata ad  Angie pregandola silenziosamente di dire qualcosa.

 

“…Studiare.” Rebecca scosse impercettibilmente la testa: con tutte le scuse possibili che Alouette dovesse studiare quel pomeriggio insolitamente soleggiato di Novembre, era decisamente la meno plausibile.

 

“Ah, ecco cosa mi sono scordato! Avevo una ricerca di Erbologia da fare per la Sprout, grazie per avermelo ricordato Angie.” Lee si congedò dal gruppo andandosene praticamente di corsa. Rebecca non poté fare a meno di rivolgere un sorrisetto trionfale a Fred: due mesi, avevano detto all’inizio dell’anno.

 

“Beh, io credo di aver lasciato la borsa sugli spalti, vado a vedere se è là,” disse Angelina, e dopo aver dato una pacca sulla spalla a Rebecca trotterellò via senza lasciarle il tempo di replicare.

 

Lei e Fred rimasero in silenzio qualche secondo, incapaci di guardarsi negli occhi.

 

“Credo che le interessasse più il battitore di Beauxbatons che la borsa,” disse finalmente Fred trovando il coraggio di alzare lo sguardo dal suolo e Rebecca ridacchiò, sollevata che l’ingrato compito di rompere l’imbarazzo non fosse toccato a lei.

 

“Conosci Angie… Ad ogni modo, Weasley, credo che tu mi debba due galeoni.”

 

“Spero che tu stia scherzando Nolton,” Fred sollevò un sopracciglio con aria perplessa mentre riprendevano a camminare lungo il sentiero che portava all’ingresso del castello.

 

“Ma come, Lee scopre che Lou è in biblioteca a studiare e subito si ricorda misteriosamente che ha una ricerca da fare per la Sprout?” Rebecca lo guardò divertita. 

 

“Facciamo lezione di Erbologia assieme e lo sai anche tu che non c’è nessuna ricerca assegnata per la settimana prossima.”

 

“Non è abbastanza convincente.”

 

“Ti facevo più sveglio Weasley, Lou è scappata appena l’ha visto, Lee ha chiesto di lei immediatamente…” Fred continuava a mantenere un’espressione confusa.

 

“Certo che voi ragazzi siete proprio ciechi!”

 

“Alcuni più di altri,” mormorò Fred a voce talmente bassa che Rebecca credette di aver sentito male.

 

“Come scusa?” si voltò bruscamente a guardarlo, fermandosi proprio all’ingresso della Sala Grande.

 

“Oh, niente. Di’ un po’, ti va di fare qualcosa stasera?” le chiese con noncuranza. Becky sbuffò.

 

“Non credo proprio.” Magari avevano tacitamente fatto pace, ma il fatto che si parlassero di nuovo non implicava necessariamente che Rebecca dovesse ancora acconsentire a qualsiasi piano strampalato e rischioso Fred le proponesse. 

 

“Ti prego, vorrei farmi perdonare.” Fred la guardò speranzoso con un mezzo sorriso stampato in faccia: Dio, se le era mancato quel sorriso strafottente.

 

“D’accordo,” sbuffò Rebecca dopo qualche secondo di esitazione. Il mezzo sorriso di Fred si allargò.

 

“Alle dieci alla torre di Astronomia allora,” le disse prima che si separassero per andare ognuno ai rispettivi tavoli.

 

Una volta arrivata in dormitorio, Rebecca non fu più in grado di trattenere il sorriso ebete che aveva combattuto per tutta la cena e per il tragitto fino alla torre di Corvonero. Guardandosi allo specchio, si chiese se non fosse il caso di truccarsi: come ogni giorno aveva optato per una lieve passata di mascara ma cominciava a domandarsi se non avesse voglia di provare a fare qualcosa di più per quella sera. Si derise da sola per quell’idea idiota: si conoscevano da quando erano bambini, Fred avrebbe notato qualsiasi cambiamento e l’avrebbe trovato bizzarro. In più se ancora non era stato colpito dal suo aspetto, forse non lo sarebbe mai stato: l’aveva vista crescere, per Merlino! Rebecca decise comunque di cambiarsi, rifiutando l’idea di andare ad un rendez-vous notturno in divisa scolastica. Naturalmente si riconfermò incapace di arrivare puntuale: mise piede sull’ultimo scalino della torre di Astronomia alle dieci e dodici minuti, la saletta circolare e buia era vuota.

 

“Fred?” chiamò. Nessuna risposta, decise di riprovare un po’ più forte.

 

Fred?

 

“Quassù!” la voce del rosso la fece trasalire. Fred sbucò dalla finestrella sul soffitto.

 

“Ma sei completamente impazzito Weasley?” Rebecca faticò a trattenere una risata di stupore.

 

“I Prefetti non possono venire a fare la ronda fin quassù, e poi guarda: ho portato da bere!” agitò soddisfatto una bottiglia mezza vuota di Whisky Incendiario che Rebecca conosceva bene, l’aveva vista tante volte nel baule di Fred ed era quella che lui definiva la scorta per le occasioni speciali, come uno scherzo estremamente ben riuscito o qualche successo personale a quidditch. Mentre Fred la aiutava ad arrampicarsi nella stretta finestra, a Rebecca quasi fece un salto il cuore al pensiero di quanto conoscesse bene il ragazzo: da quando suo padre era sparito a volte Fred era una delle poche cose che dessero un senso alla sua vita, e solo in quel momento realizzò quanto le fosse mancato.

 

Rebecca circondandosi le ginocchia con le gambe e Fred sdraiato sui gomiti, per un po’ restarono sul tetto in silenzio, un silenzio che finalmente era tornato ad essere confortante come prima. Ogni tanto uno dei due prendeva un sorso dalla bottiglia.

 

“Non ho mai fatto abbastanza attenzione a lezione di Astronomia,” disse Fred ad un certo punto sommessamente, quasi fra sé e sé. Nonostante questo Rebecca si sdraiò accanto a lui su un gomito e gli indicò un gruppo di stelle.

 

“Quella è la costellazione dell’Ariete, la tua.” Fred non credeva molto ai vagheggiamenti astrologici quando a spiegarli era la Cooman, ma se invece era Rebecca a parlargliene l’avrebbe ascoltata per ore.

 

“Ah, quella la conosco! Orione, quel tale che voleva farsi talmente tanto Artemide che si è fatto ammazzare!”

 

“Più o meno. Artemide era innamorata di Orione e per questo Apollo era geloso, così con un inganno fece in modo che lei lo uccidesse. Quando Artemide scoprì di aver ucciso l’amato era così disperata che Zeus ebbe pietà di lei e trasformò il giovane in una costellazione, cosicché lei potesse vederlo tutte le notti.”

 

“Un po’ melodrammatico,” commentò Fred.

 

Il silenzio della notte invernale tornò ad avvolgerli e Rebecca riprese a concentrarsi sulla volta stellata e sulla luna. L’aveva sempre messa a disagio, la luna: non sopportava di avere la perenne sensazione che sapesse tutti i suoi segreti. Si ritrovò a pensare a quanto profondamente capisse il dolore di Artemide a guardare Orione in cielo tutte le notti: un ragazzo perfetto, sempre davanti ai suoi occhi ma fuori dalla sua portata di mano, che fluttuava distante da lei. Una eterna tortura che era al contempo gioia e conforto.

 

“Becky… ehi, che succede?” Rebecca non si era nemmeno resa conto di aver cominciato a piangere. Si portò le mani al viso e con le maniche del maglione tamponò le lacrime che le scorrevano sulle guance.

 

“Ho… ho detto qualcosa di sbagliato? Perché io…senti mi dispiace,” Fred aveva le pupille dilatate dall’ansia. “Per la storia di Baston non importa davvero, se vuoi uscire con lui sono felice per te…”

 

Rebecca lo guardava, confusa: che cosa gli stava prendendo? Vedere il suo migliore amico spezzarsi così al pensiero di poter essere la causa del suo pianto la distruggeva e afferrò le mani di Fred fra le sue.

 

“Solo… ti prego non andartene più. Non lasciarmi più solo.” La voce di Fred ora tremava. Istintivamente, Rebecca si precipitò ad allacciare le sue braccia attorno al ragazzo. 

 

“Non potrei mai, non potrei… Io ti voglio bene Freddie,” gli sussurrò nella spalla. Con un istinto d’affetto che aveva soppresso troppe volte, la mano di lei si posò sul collo di Fred in un abbraccio protettivo, come se stringendolo così avesse potuto proteggerlo dai mali del mondo. 

 

“Io sono innamorata di te, Freddie.” Lo diceva a lui, lo diceva a sé stessa.

 

“Io… sono innamorata di te.” Un’altra volta, solo per assicurarsi di aver avuto davvero il coraggio di dirlo ad alta voce.

 

Fred si separò da lei e la guardò con un’espressione indecifrabile negli occhi: stupore, orrore, sollievo, gioia? Rebecca non avrebbe saputo dirlo, ma quello sguardo la bruciava. Le bruciava le guance e le bruciava gli occhi scuri riflessi nei suoi e le mozzava il respiro in gola: fu solo un millesimo di secondo ma se fosse durato di più sapeva che le si sarebbe fermato il cuore. E poi entrarono in collisione. Le loro bocche si scontrarono, si presero: si cercavano, si baciavano con un’intensità che li portava a sbattere i denti e a mordersi le labbra a vicenda ogni tanto ma non importava. Era la cosa più naturale che avessero mai fatto in vita loro, lui le schiuse le labbra con la lingua e lei lo lasciò entrare e a sua volta si lasciò andare, entrambi famelici come non si bastassero mai: un braccio di Fred era saldamente avvolto alla sua vita, l’altra mano le teneva il viso e di questo supporto lei era eternamente grata perché sapeva che se non ci fosse stato lui a sorreggerla sarebbe crollata, sopraffatta da quel bacio. 

 

Quando si separarono, fu solo perché ad entrambi mancava ormai il respiro. Restarono ancora sdraiati in silenzio in a guardare il cielo, entrambi godendosi la reciproca compagnia in pace, finché il vento freddo della notte non si alzò.

 

Cinque giorni dopo, Rebecca sedeva all’ora di pranzo in Sala Grande fra Lou ed Henrietta, tentando di eludere le loro domande su dove fosse finita nell’ora libera della mattina dal momento che non l’avevano trovata in biblioteca dove di solito la trascorreva. Era rimasta chiusa, naturalmente, nel dormitorio di Fred ad oziare sul suo letto come aveva fatto per ogni ora libera della settimana: non facevano mai nulla di che, o almeno non abitualmente. Di solito lei leggeva con la testa appoggiata sul suo petto e lui si alternava fra il giocherellare con le sue ciocche bionde e lo scarabocchiare idee per nuovi oggetti che lui e George avrebbero potuto realizzare, oppure leggeva assieme a lei. Lee, che non aveva capito il cambiamento nella relazione di Rebecca e Fred, ogni tanto gli chiedeva se stesse bene, e lui rispondeva che sì, stava bene come non era mai stato prima con un sorriso ambiguo, il che veniva regolarmente accolto con una gomitata e un’occhiataccia da parte di Rebecca, irritata per il tono allusivo.

 

Non che non volesse dire a tutti che ora lei e Fred stavano assieme, anzi, ma dopo che erano stati migliori amici per tanto tempo, e dopo tutte quelle frecciatine ed insinuazioni da parte di chiunque nel corso degli anni sembrava solo una cosa superflua rendere pubblica la loro relazione. E anche un po’ surreale: cosa mai avrebbero potuto dire? Alla fine però lui l’aveva convinta a renderlo noto a tutti, anche se Rebecca non ebbe voce in capitolo sul come, dove e quando.

 

Un gran clamore si sollevò dal tavolo di Grifondoro quando Fred salì in piedi sulla tavola imbandita.

 

“Rebecca Nolton,” cominciò lui solennemente.

 

L’aula si fece silenziosa e Rebecca avvampò: le piacevano le sceneggiate di Fred ma detestava in quel momento esserne al centro. Subito la McGranitt scese dal tavolo dei professori con uno sguardo da basilisco, marciando rapida verso di lui.

 

“Signor Weasley, ma cosa sta facendo? Scenda immediatamente da lì!” 

 

“Un momento professoressa, la prego, devo fare una domanda importantissima alla mia ragazza.”

 

Un coro di oooh di sorpresa si alzò dalla maggior parte degli studenti del sesto anno, e Fred si girò ad indicare Rebecca finendo con tutta la scarpa dentro il budino di Ron. Lei si rintanò nelle spalle sentendo tutti gli occhi addosso. Fred le rivolse un sorriso smagliante e si scrollò il dolce dalla scarpa, qualche schizzò finì in faccia a George e Lee.

 

“Becky Nolton, vuoi farmi l’onore di sposarmi?” disse lui con tono drammatico. Rebecca scoppiò a ridere.

 

“Nemmeno per sogno, Weasley!” 

 

“Oh, va bene. Allora che ne dici di venire con me al Ballo del Ceppo?”

 

Lei finse di pensarci un momento e poi acconsentì. “Ha detto di sì, professoressa!” disse Fred agitando il pugno in aria. La McGranitt sbuffò e gli intimò di nuovo di scendere trattenendo a stento un mezzo sorrisetto, e lui obbedì avviandosi trionfante verso il tavolo di Corvonero. La stanza riprese i suoi soliti rumori di sottofondo e presto ognuno tornò alle proprie conversazioni. 

 

“Beh, spero che ti sia sfogato a dovere Freddie, perché se provi a fare un’altra cosa del genere giuro che ti ammazzo,” Rebecca aveva appena ripreso il suo colore normale. Fred le mise un braccio attorno alla spalla e le scoccò un bacio leggero sui capelli.

 

“Di’ la verità, ti è piaciuto,” le disse sornione, mentre attorno a loro Lee, Angie, Lou, e gli altri li tempestavano di commenti che andavano da ‘Io l’ho sempre detto’ a ‘Sono così felice per voi!’

 

Rebecca non aveva partecipato a molte feste in vita sua ma anche se fosse stata invitata ad ogni ballo a Malfoy Manor nulla avrebbe potuto prepararla per quella serata: le pareti coperte di brina argentea, ghirlande su ghirlande di vischio innevato ad addobbare tutto, e migliaia di lumini bianchi, azzurri, violetti avevano sostituito le solite candele, dando alla stanza un’aria ancor più magica. E subito in fondo allo scalone, il suo cavaliere: chi l’avrebbe mai detto che Fred Weasley stesse così bene in un abito da cerimonia? Quando la vide gli si illuminarono gli occhi.

 

“Sei bellissima,” sorrise porgendole il braccio.

 

“Anche tu non sei male.” Rebecca si strofinò i palmi sudati sul tulle color pervinca del vestito che le aveva spedito Hestia per il ballo e agganciò il braccio a quello di Fred mentre attendevano che i Campioni del torneo facessero il loro ingresso.

 

“Ehi di’ un po’, ma che ci fa Hermione con Krum? Ero convinta che sarebbe venuta con tuo fratello”

 

“Lo pensavamo tutti, ma quell’idiota di Ron è un caso disperato.” Rimasero ad osservare mentre i Campioni danzavano il primo ballo, Ron dall’altra parte della sala fissava in cagnesco Victor che volteggiava con Hermione.

 

“Mi fai l’onore di un ballo?” il sussurro di Fred sul suo collo la fece rabbrividire. Perché era così nervosa? Era sempre lui in fin dei conti, era sempre Freddie. Così gli prese la mano e ballarono. Ballarono per quella che sembrò al contempo un’eternità e un istante, ridendo e scambiandosi battute sui professori e sugli allievi, dall’abito di Malfoy che lo faceva sembrare un vicario alla bizzarra accoppiata formata da Hagrid e Madame Maxime, e volteggiando per la sala cercando in tutti i modi di urtare le altre coppie. Ad un certo punto, Fred l’aveva portata dietro ad uno dei pesanti tendaggi e aveva estratto con discrezione dal mantello una fiaschetta di Acquallegra, e da quel momento la sua percezione della festa si era fatta un po’ sfocata. Sapeva solo che dopo un paio d’ore, il quartetto d’archi che suonava valzer e varsoviennes era stato rimpiazzato dalle Sorelle Stravagarie, al che Lou era andata in visibilio totale: Rebecca l’aveva vista baciare il poster di Myron Wagtail che aveva appeso sul letto quando avevano tredici anni ma aveva promesso che non ne avrebbe mai fatto parola con nessuno. Dopo altri innumerevoli passaggi di fiaschetta fra lei, Fred e George le era venuto un gran caldo. Troppo caldo: il tessuto del vestito pareva all’improvviso soffocarla, e così preso Fred per mano si trascinò barcollante fuori dalla Sala Grande.

 

Fuori nel cortile, l’aria gelida di Dicembre ci mise un po’ a farla rabbrividire tanto era accaldata per il troppo ballo e il troppo alcol. Si gettò di schiena nella neve trascinando anche Fred con lei.

 

“Ah, adesso sì che ci siamo avevo giusto bisogno di un po’ di fresco,” Rebecca chiuse gli occhi e respirò a fondo.

 

“Tu sei tutta matta Nolton.” Fred non poté fare a meno di pensare osservandola che non gli era mai parsa così bella come in quel momento, sdraiata nel bianco della neve, con le guance arrossate e ubriaca di vita.

 

“Ma è per questo che mi ami, no Freddie?” 

 

“Anche per questo, sì.”

 

“E quanto mi ami?” Rebecca schiuse gli occhi scuri sfavillanti di alcol e gioia su di lui.

 

“Troppo, Becky. Non puoi immaginare quanto.” Si piegò su di lei e le depose un bacio eterno sulle labbra. 

 

“Sapessi io,” sussurrò Rebecca quando si separarono. Rimase immobile a fissarlo, con la mano ancora sul suo volto. Lo accarezzò delicatamente col pollice, decisa ad imprimere quell’esatto momento nella sua memoria come uno dei più belli della sua vita.

 

Fred si distese di nuovo accanto a lei e intrecciò le dita con le sue, Rebecca chiuse di nuovo gli occhi, e sorrise: sì, era felice come mai prima di allora.

 

 

Nota dell’autrice: ho dovuto scrivere questo capitolo super fluff perché dovevo consolarmi del fatto che oggi è finita la maratona di Harry Potter su Italia Uno e già sento la sindrome da abbandono che avanza (anche se ovviamente ho tutti i DVD e ho il netto presentimento che da domani ricomincerò a guardarmeli tutti, who cares.)

Ad ogni modo spero che il capitolo vi sia piaciuto e ci tenevo a farvi sapere che ho già una bozza della trama da qui fino alla fine della storia, dovrebbero mancare ancora sei capitoli circa ma chissà dove mi porterà il vento.

Alla prossima,

Vincey

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Capitolo 7
*** La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi ***


Parte 7: La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi 

 

Il castello brulicava di studenti intenti a fare le valigie frettolosamente, in vista delle vacanze estive. Non avrebbero avuto scuola per quasi quattro mesi ed era una sensazione esaltante per la maggior parte di loro, eccetto quelli che si stavano diplomando. L’anno scolastico si era concluso tragicamente con la morte di Cedric e cominciavano a sollevarsi i primi sussurri sul fatto che Colui Che Non Deve Essere Nominato fosse tornato: alcuni dei ragazzi non avrebbero mai fatto ritorno in quel luogo che chiamavano casa, ma fortunatamente Rebecca non era fra questi. Sarebbe tornata a Settembre come una matura studentessa del settimo anno, pronta a combattere se fosse stato necessario come suo padre ed Hestia avevano fatto prima di lei.

 

Rebecca non riusciva a non sentirsi almeno un po’ in colpa a pensare che, nonostante tutto, quello era stato l’anno scolastico più bello della sua vita: immagini di lei e Fred a passeggio lungo il Lago Nero chiacchierando del più e del meno mano nella mano, dei pomeriggi ad Hogsmeade, delle sessioni di studio che iniziavano in biblioteca ma quasi sempre si concludevano nel dormitorio di uno dei due. Tutti questi ricordi felici si contrapponevano bruscamente all’immagine del corpo di Cedric senza vita appena fuori dal labirinto con Harry riverso sopra di lui che balbettava confusamente Lui è tornato, Lui è tornato. Le grida straziate del signor Diggory, le lacrime di Cho, il terrore che serpeggiava fra gli studenti. Con un sorriso amaro fece levitare nel baule la copia de Il Coraggioso Soldatino di Piombo che Cedric le aveva prestato: non aveva neanche avuto il tempo di restituirglielo.

Rebecca sedette sul letto rifatto da poco con le mani in grembo osservando ognuna delle foto che aveva appeso alle pareti e non poté fare a meno di sentire il pizzicore delle lacrime agli angoli degli occhi. Il rumore di qualcuno che bussava alla porta la fece sobbalzare: si alzò asciugandosi gli occhi ed andò ad aprire. Un sorridente Fred stava in piedi fuori dal dormitorio delle ragazze. 

 

“Becky, è ora di andare… ma stai bene?” entrò nella stanza praticamente vuota: Lou se n’era già andata dopo essersi affrettata ad augurare a Rebecca una buona estate.

 

“Sì, ho quasi finito Fred… e non preoccuparti, è tutto a posto,” Rebecca si concentrò sui vestiti che ancora doveva mettere via e con un gesto della bacchetta fece sì che cominciassero a piegarsi e a riporsi ordinatamente nel baule. Fred si sedette accanto a lei per aiutarla e non poté fare a meno di notare le occhiaie ben visibili sotto ai suoi occhi. I lunghi capelli biondi erano raccolti in una coda bassa e spettinata.

 

“Beck sei sicura che sia tutto a posto? Sembri piuttosto giù,” disse prendendole il viso con una mano e costringendola a guardarlo negli occhi. Rebecca scosse la testa e continuò a mettere via le sue cose. All’improvviso la stanza le pareva quasi una sauna, l’aria sembrava essere irrespirabile e Rebecca si diresse verso la finestra che dava sulla Foresta Proibita. Rimosse la leva che teneva chiusi i vetri e poi li spinse forte tentando di aprirla: anche un minuscolo spiraglio le sarebbe bastato, ma la finestra non si mosse di un millimetro.

 

“Aspetta, ci penso io,” Fred la spostò delicatamente e cominciò a mormorare Alohomora. Finalmente la finestra si aprì con uno scatto secco e l’aria fresca di fine Maggio si riversò nella stanza alleviando il rossore sulle guance di Rebecca.

 

“Grazie… sono solo un po’ sopraffatta, tutto qui.”

 

Fred la guardò interrogativo aspettando che lei si spiegasse del tutto ma dall’espressione di Rebecca capì che non avrebbe ottenuto nulla. La ragazza tolse dal muro l’ultima foto, che era anche la sua preferita, e si perse a guardarla con un sorriso mesto. Molly l’aveva scattata durante quelle vacanze di Natale, le prime che Rebecca aveva trascorso alla Tana come vera e propria ragazza di Fred, e la foto era stata fatta poco prima che il signor Weasley li riportasse alla stazione di King’s Cross: George era distratto da Percy che stava bisticciando con lui, il braccio di Fred circondava saldamente Rebecca e lei era premuta contro il suo fianco, con il braccio sul suo petto per mantenere l’equilibrio, entrambi sorridevano come due idioti.

 

“Mi manca tutto questo…” mormorò Fred sporgendosi oltre la spalla di Rebecca per guardare la fotografia. In realtà poteva ben immaginare perché Rebecca fosse così tesa, sapeva quale fosse il motivo per cui nelle ultime settimane si era comportata in modo così strano.

 

“Niente sarà più come prima, non è così?”

 

Per alcuni secondi rimasero a sedere in silenzio mentre Fred pensava a come risponderle: non c’erano parole che potessero esprimere il modo in cui si sentiva, voleva bene a Rebecca più di ogni altra persona al mondo e tutto quello che voleva era farla sentire al sicuro, farla sentire amata, vederla ridere di nuovo.

 

“Probabilmente no, ma chi dice che non possiamo essere comunque felici?” le prese la mano e vi depose un bacio. Rebecca gli sorrise debolmente.

 

“Andiamo adesso, il treno sta per partire.”

 

Gran parte dell’estate trascorse abbastanza tranquillamente: dopo quell’anno decisamente pieno di emozioni, era una boccata d’aria fresca per Rebecca tornare alla pace e alla solitudine del cottage dei Nolton. Inizialmente trascorreva le giornate aiutando Hestia a prendersi cura delle creature ferite che trovavano come aveva sempre fatto, anche se adesso ogni volta che le vedeva contorcersi dal dolore non poteva fare a meno di ricordarsi di quel povero ragno torturato durante la prima lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Hestia aveva notato il suo disagio e così l’aveva spostata a lavorare nella stalla. A dirla tutta, Rebecca passava la maggior parte del suo tempo a leggere al sole, come aveva sempre fatto, e a scriversi con Alouette, Angelina, George e Fred. Dalle lettere di Lou sembrava che lei e Lee avessero intrapreso un fitto scambio epistolare, e che tutto andasse bene anche se i genitori di lei erano ancora un po’ scettici all’idea di farla tornare a Hogwarts a Settembre, mentre Angie era riuscita ad ottenere l’indirizzo di Francis, il battitore di Beauxbatons, forse anche grazie al filtro d’amore che si era fatta vendere da George pensò Rebecca sorridendo. Ma erano ovviamente le lettere di Fred che più di tutte la riempivano di gioia: lui le mancava terribilmente. Nella maggior parte delle lettere, Fred la aggiornava entusiasta sui recenti sviluppi nelle invenzioni che lui e George creavano, le chiedeva consigli su come perfezionarle e le raccontava di quello che succedeva alla Tana: Ron ha comprato un gufo, Bill si è portato a casa Fleur Delacour, ho trovato il diario di Ginny e c’erano tre pagine piene solo del nome di Harry, e così via. A metà Giugno, però, una lettera di Fred aveva portato notizie più cupe.

 

Cara Becky,

 

la settimana scorsa Percy se ne è andato di casa. Era tornato dal Ministero tutto contento perché l’avevano promosso, diceva che gli avevano affidato un incarico come assistente di Caramell. Noi eravamo tutti un po’ perplessi perché non ha fatto un gran lavoro con tutta quella questione di Tu Sai Chi ma papà è diventato addirittura furioso. Diceva che hanno promosso Percy solo per tenere d’occhio la nostra famiglia perché al ministero non piace che Silente dica in giro che Tu Sai Chi è tornato e che vogliono tentare di provare che papà è in combutta con lui. Allora Percy si è arrabbiato moltissimo e ha cominciato ad urlare delle cose terribili su tutti noi e soprattutto su papà, diceva che papà non fa altro che remargli contro e tarpargli le ali, che lui è fedele al Ministero e non a Silente e così via (sai com’è Percy quando parte per la tangente), poi ha fatto i bagagli e se n’è andato a vivere a Londra dicendo che non vuole più far parte della famiglia. Ti puoi immaginare come l’ha presa mamma, è una settimana che piange e non riesce nemmeno a cucinare.

Ad ogni modo, spero che tu stia bene e non vedo l’ora di vederti, mi manchi.

 

Fred

 

Era passato più di un mese da quella lettera e nel frattempo si erano scritti un paio di volte, per il suo compleanno Fred le aveva spedito un lunascopio intarsiato che aveva trovato Bill in un mercato in Egitto ma di Percy non aveva più fatto parola. 

 

“Becky, vieni a darmi una mano a preparare la cena!” Rebecca mise il segno al libro che stava leggendo e si diresse dentro al cottage con Azzie al seguito. In cucina, Hestia stava infornando una teglia di patate.

 

“Potresti apparecchiare, tesoro?” 

 

Rebecca iniziò a tirar fuori dalla credenza i piatti di ceramica decorati con grappoli non-ti-scordar-di-me. Lo sguardo le cadde sulla sedia a capotavola.

 

“Ancora nessuna notizia?” chiese titubante.

 

“No, Remus dice che l’ultima volta che l’ha visto era in Romania che si nascondeva nei boschi, sembrava piuttosto affranto.” Rebecca ammirava il contegno di Hestia quando parlava del marito, ma avrebbe voluto che almeno una volta la voce le tremasse, si incrinasse. Invece sembrava che la donna avesse preferito chiudere le emozioni fuori dal cervello, come tante volte faceva anche lei da tipica Corvonero. Però non capiva come la matrigna potesse essere così rassegnata all’idea che Nicholas non sarebbe più tornato. Non possiamo farci nulla, l’hanno morso ed è dovuto scappare per non mettere in pericolo noi: era sempre quella la risposta che Rebecca riceveva da Hestia quando le chiedeva perché non si impegnassero più a fondo per cercare una cura per la licantropia, o anche solo per avere più notizie sul padre. 

 

“Sai, il mese scorso Fred mi ha mandato una lettera piuttosto triste, dice che Percy se n’è andato di casa.” Decise di cambiare argomento.

 

“Ah sì, Molly me l’ha detto. Povera donna! Ma d’altronde non è certo colpa sua, lei ha sempre dedicato tutto l’amore possibile ai suoi figli.”

 

“Già… comunque mi sembrava molto giù, e ho pensato che magari quest’estate potrei restare alla Tana un po’ di più, due settimane per esempio…” l’attenzione di Hestia sembrava completamente assorbita dall’arrosto che stava affettando. 

 

“Fred dice che per i suoi non c’è problema perché adesso hanno anche un letto in più…”

 

“Non andrai alla Tana dei Weasley quest’estate.” Hestia depose il coltello e la guardò con fermezza. Rebecca appoggiò bruscamente la pila di piatti sul tavolo e la guardò stupita.

 

“Come scusa?”

 

“Non andrai alla Tana quest’estate, Rebecca.”

 

“E perché mai, Hestia?” Rebecca si mise le mani sui fianchi con aria di sfida.

 

“La settimana prossima verrai con me a Londra.” Hestia tornò al suo arrosto.

 

“Stai scherzando vero? Io voglio vedere Fred, è l’unica cosa che quest’anno…”

 

“Oh, ma lo vedrai,” la interruppe Hestia enigmatica. “Ci sarà anche lui, e George, Molly, Arthur, Ron e tutti gli altri.”

 

Rebecca la guardò, confusa. “Di che diavolo stai parlando?”

 

“Dobbiamo andare in un posto, ma non posso dirti dove, il quartier generale dell’Ordine, Silente ha convocato una riunione.”

 

Al sentire quella parola Rebecca fu pervasa da un brivido: i suoi le avevano sempre raccontato che l’ultima volta che l’Ordine della Fenice si era riunito era stato dopo la sconfitta di Voldemort. Il fatto che Hestia fosse stata convocata significava che era tutto vero, che lui era tornato e che forse avrebbero dovuto combattere. Il solo pensiero le faceva venire un groppo in gola e le accelerava il respiro.

 

“Vuoi dire che…”

 

La donna le sorrise con dolcezza guardandola intensamente con gli occhi blu oceano. Le spostò delle ciocche bionde dietro alle orecchie e le carezzò il volto.

 

“Non preoccuparti tesoro mio, non è successo nulla di grave.” Per ora, pensò Rebecca. “È solo una riunione di sicurezza, sai, per controllare che siano tutti dell’idea di partecipare caso mai si dovesse… ma basta con questo muso lungo!” Hestia le scompigliò i capelli e ostentò un sorriso come se l’ombra di paura che Rebecca aveva visto nei suoi occhi pochi istanti prima non fosse mai esistita.

 

“Credevo saresti stata felice di rivedere il tuo fidanzatino.”

 

“Hestia, Fred non è il mio fidanzato!” Rebecca alzò gli occhi al cielo scrollandosi di dosso la matrigna. “È il mio ragazzo.”

 

“Ah, adesso fra i giovani si dice così? Beh, signorina, fidanzato o ragazzo che sia, devi finire di apparecchiare la tavola.” E con quello, l’ultima briciola di tensione nell’aria della cucina dei Nolton si dissipò.

 

Il numero dodici di Grimmauld Place era un’antica casa in stile vittoriano dalle strette scale scure. La carta da parati di broccato si stava scrostando agli angoli dei muri e il pavimento scricchiolava sinistro ad ogni passo, ghirlande di teste di elfi domestici rinsecchite decoravano i corridoi e vecchi mobili di mogano con zampe inquietanti occupavano massicci le stanze dimesse. Rebecca rabbrividì non appena vi ebbe messo piede dentro, non avrebbe saputo dire se per l’aria fredda e umida che si respirava o per l’atmosfera inquietante del posto. La sua ansia svanì nel momento in cui un volto conosciuto sbucò da dietro un tendaggio di velluto.

 

“Remy!” Rebecca corse incontro all’amico di famiglia. L’ultima volta che l’aveva visto era stato quasi un anno prima: lei ed Hestia erano corse sulla soglia di casa con gli occhi pieni di speranza e angoscia e lui aveva solo scosso il capo con aria cupa. Ora l’uomo aveva l’aspetto di un fantasma ma gli sfavillavano gli occhi di determinazione mentre accanto a lui faceva capolino una giovane dai capelli rosa brillante che doveva avere all’incirca cinque anni più di Rebecca.

 

“Tu devi essere Rebecca, o sbaglio? Io sono Tonks,” la ragazza le porse la mano e Rebecca la strinse.

 

“Ninfadora Tonks,” la corresse Lupin.

 

“Non chiamarmi Ninfadora!” i capelli della strega divennero all’improvviso rosso vivo.

 

Rebecca stava ancora cercando di capire come avesse fatto quando udì uno schiocco assordante e un paio di braccia forti la presero da dietro facendola strillare.

 

“È questo il trattamento che riservi al tuo ragazzo dopo non averlo visto per due mesi?”

 

“Fred Weasley, sei un idiota! Mi hai fatto prendere un colpo!” il sorriso smagliante di Rebecca contrastava con il suo tono arrabbiato. Si girò per accogliere l’abbraccio di Fred che si era appena materializzato alle sue spalle. 

 

“Mi sei mancato tanto,” sussurrò sepolta nel maglione del ragazzo e aggrappandosi alle sue spalle ampie. Fred era cresciuto parecchio in statura quell’estate mentre lei si era ormai rassegnata a non superare il metro e sessanta.

 

“Anche tu,” Fred si piegò per baciarle la fronte.

 

“Nolton, anche per me è un piacere rivederti.” Rebecca si staccò da Fred per salutare George.

 

“Per quanto sia felice che voi due stiate assieme, cercate di non fare troppo casino stanotte, vi prego: Bill e Fleur mi hanno già traumatizzato troppo.” Rebecca gli diede una gomitata scherzosa nella pancia. 

 

“Oh ma naturalmente, Becky dormirà in camera con Ginny. Dovrete passare sul mio cadavere prima che io permetta… Hestia! Becky! Finalmente siete arrivate.” La signora Weasley scese dalle scale e si precipitò ad abbracciare le due donne. 

 

“Ho finito giusto adesso di prepararvi i letti, Becky cara perché non vai di sopra e ti sistemi nella tua stanza? Ginny ti farà vedere dove puoi mettere le tue cose. Hestia… ci sarebbe bisogno di te di là.” Molly divenne subito seria e fece un cenno del capo verso la tenda di velluto.

 

Al piano di sopra nella terza camera del corridoio un’altra testa rossa si affacciò alla porta.

 

“Becky sei tu? Oh, ero sicura che fossi arrivata quando ho visto Azzie entrare nella stanza.”

 

Rebecca varcò la soglia. Azazel sedeva impettito su un vecchio letto in ferro battuto accanto a Ginny. Anche quella stanza come tutto il resto della casa era fredda e inospitale, ma il sorriso della piccola Weasley  bastava a renderla più accogliente. Rebecca posò il baule che aveva fatto levitare su per le scale ai piedi del letto gemello di fianco a quello di Ginny, che non le diede nemmeno il tempo di cominciare ad aprirlo prima di attaccare a chiacchierare. Ginny le spiegò che Ron ed Hermione dormivano nella stanza accanto e che erano molto agitati perché all’indomani sarebbe arrivato anche Harry che non sapeva nulla di tutta la faccenda dell’Ordine. Rebecca non poté trattenere un sorriso alla vista degli occhi di Ginny che si illuminavano al solo nominare Harry.

 

“Mi sa che Ron e Hermione non sono gli unici a non stare nella pelle per l’arrivo di Harry, o sbaglio?” Ginny avvampò.

 

“Ma di che stai parlando? Harry… Harry è il migliore amico di Ron, non sa nemmeno che esisto al di là del fatto che sono sua sorella.”

 

“Oh insomma, volete stare un po’ zitte? Stiamo cercando di ascoltare la riunione,” bisbigliò George infilando la testa nella porta. In mano aveva un filo color carne.

 

“Sono le famose Orecchie Oblunghe quelle?” chiese Rebecca con un sorriso. Fred gliene aveva parlato nelle lettere. 

 

“Proprio così, invenzione originale Weasley. Vuoi provarle?”

 

Rebecca non se lo fece ripetere due volte: sgusciò fuori dalla porta, si accucciò sul pianerottolo fra Fred e George e si mise all’ascolto. Una voce maschile che non conosceva sembrava parecchio alterata.

 

“Non se ne parla nemmeno, la ragazza non può stare qui!”

 

“Rebecca è mia figlia, Shacklebolt, e starà dove io lo ritengo più opportuno,” era la voce di Hestia a parlare, adesso. Rebecca corrugò la fronte e si sforzò di ascoltare meglio.

 

Figliastra, Nolton, è la tua figliastra. E vorrei ricordarti che Lidia era una Mangiamorte, e se non sbaglio mandò la figlia in Inghilterra perché temeva ripercussioni dopo la sconfitta del Signore Oscuro…” Il cuore di Rebecca saltò un battito. Fred e George sembravano sconvolti quanto lei.

 

“…Se Lidia fosse ancora nelle schiere di Voldemort, se dovesse venire a cercare la figlia, se loro dovessero reclamarla, sempre che non l’abbiano già fatto s’intende…”

 

“Ho avuto Rebecca sott’occhio per tutta l’estate, Kingsley, e posso assicurarti che mi sarei accorta se dei Mangiamorte si fossero presentati nel mio cortile per irretire la ragazza.” 

 

“Rebecca resterà qui, dove sarà al sicuro, e non negozieremo su questo punto. Ora se l’orologio non m’inganna, voialtri dovreste partire per andare a prendere Harry,” la signora Weasley aveva lo stesso tono che non ammetteva repliche di quando rimproverava uno dei suoi figli.

 

La conversazione proseguì ma Rebecca non riuscì a sentire oltre: tutto ciò che udiva era il battito assordante del suo cuore e il fruscio del sangue nelle orecchie, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Sua madre, una Mangiamorte! Certo sospettava da sempre che la donna dovesse aver compiuto delle scelte sbagliate nella vita, da come tutti evitavano sempre di parlare di lei. Ma essere una Mangiamorte voleva dire essersi macchiata di crimini orribili: tentò di immaginare il nobile viso mediterraneo di Lidia Flores su uno di quei poster di Azkaban che si vedevano in giro, ma non ci riuscì. Tentò di immaginarla mentre rideva, folle, dopo aver ucciso un babbano, mentre si inchinava al cospetto del mago più potente e crudele di tutto il mondo, mentre ululava al Marchio Nero in cielo. Prima che potesse rendersene conto la testa cominciò a girarle e dovette rannicchiarsi in un angolo del corridoio. Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene. Fred si precipitò al suo fianco.

 

“Becky…” le prese le mani e le strinse forte, incapace di fare altro davanti a quella scena. Non aveva assistito ad altri attacchi di panico di Rebecca oltre a quello alla Coppa del Mondo, e non sapeva come comportarsi. Ma la stretta rassicurante della sua mano sulle sue sembrò sufficiente a calmare la ragazza che lo guardava con gli occhi sgranati e pieni di lacrime.

 

“Hai… hai sentito anche tu?”

 

“Sì, lo abbiamo sentito tutti.” Fred si voltò verso George che annuì prima di stringerle una spalla per rassicurarla e poi li lasciò soli.

 

“Speravo di essere impazzita e di averlo sentito solo io.” Fred si sedette contro il muro accanto a lei.

 

“Lei non potrebbe mai trovarti qui, Becky. Sei al sicuro, e anche se riuscisse a trovarti, dovrebbe prima vedersela con me.” Fred le accarezzava le nocche con il pollice, la mano ancora stretta attorno alla sua. Rebecca avrebbe voluto ridere, davvero, avrebbe voluto anche solo ridacchiare. Sapeva che Fred stava tentando come poteva di farla star bene, ma un’altra orribile realizzazione si stava facendo strada in lei. Ricordò gli incantesimi proibiti della nonna, e di quanto le piacesse eseguirli, quanto la intrigassero e la affascinassero.

 

“Freddie… e se quel Shacklebolt avesse ragione? Se loro mi volessero nel loro esercito? Oh Dio Fred, se io fossi come loro?” 

 

“Non dire scemenze Nolton. Sei la strega più buona, più compassionevole che io abbia mai…”

 

“Ma stavo per essere smistata in Serpeverde!” lo interruppe lei. “Fred, e se una parte di me…”

 

“Tuo padre era Serpeverde, eppure era nell’Ordine!”

 

È, Fred. Non parlare al passato di lui, è ancora vivo, da qualche parte.” Gli occhi di Fred si colmarono di paura, temendo di aver rattristato ancora di più Rebecca, ma l’espressione di lei sembrava solo rassegnata.

 

“Non fa niente,” mormorò la ragazza notando che lui si era ammutolito. “A volte penso che sarebbe meglio anche per lui se fosse semplicemente morto.”

 

Fred non poteva più sopportare di sentirla dire quelle cose, di vederla così. La cinse in un abbraccio rassicurante e lei si lasciò cullare, tentando di annegare le informazioni terribili che aveva appena scoperto nel profumo di Fred: era incredibile come perfino in quella casa decrepita dall’atmosfera stantia lui potesse comunque odorare di aria aperta, aghi di pino e spensieratezza. Quando il respiro di Rebecca si fu del tutto calmato, Fred la prese per mano e la aiutò ad alzarsi in piedi. 

 

“Beh, direi che nessuno ti ha ancora fatto fare un tour della reggia dei Black, ed è giunto il momento.”

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Capitolo 8
*** Un piccolo segreto ***


Parte 8: Un piccolo segreto

 

Nonostante la stanza fosse piena del rumore degli studenti che chiacchieravano e del tintinnare delle posate, Rebecca trovava che il Gran Banchetto di Ognissanti fosse alquanto monotono, quell’anno. Faceva oscillare il succo di zucca nel bicchiere, pensando con bramosia alla bottiglia di Ogden Stravecchio nascosto nel suo dormitorio, finché non incrocio un paio di occhi scuri dall’altra parte della Sala Grande. Fred aveva intuito la sua noia e le rivolse un pollice alzato come a dire: ci penso io. Rebecca si scosse dal suo umore imbronciato e si concentrò sul tavolo dei Grifondoro, in attesa di vedere l’ennesima diavoleria che Fred e George stavano pianificando.

 

“Le lezioni della Umbridge sono a dir poco ridicole, o sembra solo a me? Non passeremo mai i M.A.G.O. se continuiamo così,” si lamentò Lou mentre si riempiva il piatto di crostata alla melassa.

 

“Secondo mia madre invece è giusto così,” ribatté Marietta. “Non dovremmo essere esposti a pericoli di nessun genere dentro alla scuola, tantomeno durante le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure.”

 

“Beh mi pare che sia un po’ troppo tardi per questo, non ti pare Marietta?” Luna riusciva a mantenere quel suo tono trasognato anche quando discuteva con qualcuno, dando sempre l’impressione di essere incredibilmente calma. “Ormai Tu-Sai-Chi è tornato, non abbiamo altra scelta che imparare a difenderci.”

 

“Oh certo, sono sicura che l’hai sentito da tuo padre,” lo sdegno di Nichola Rowe nel parlare del signor Lovegood traspariva nonostante avesse la bocca mezza piena di torta di zucca. “Ma nessuno presta attenzione alle diavolerie che scrive sul Cavillo.”

 

Luna aveva sicuramente una risposta pronta, ma Rebecca non la sentì perché era troppo concentrata ad osservare con un sorrisetto mentre Fed trasformava il suo calice dorato in un enorme ragno dal colore ambrato e lo appoggiava sulla sedia di Ron, che aveva deciso di dar tregua alla forchetta e prendere un attimo di respiro dalla cena, riposando il braccio stanco sulla tavola. Il ragno, forse per istinto o forse per volere dei gemelli, accolse l’invito ad arrampicarsi lungo il braccio di Ron fino al collo lentigginoso.

 

I minuti seguenti furono un caos di urli acuti e risate fragorose provenienti dalla parte opposta della sala. Ron era caduto all’indietro dalla sedia nel tentativo di liberarsi dell’aracnide ed ora si agitava e si dibatteva. Harry ed Hermione tentavano di calmarlo abbastanza a lungo da togliergli di dosso la creatura: Harry faticava a tener fermi gli arti impazziti di Ron mentre Hermione torreggiava su di loro con la bacchetta già pronta.

 

Nel mentre, l’intera Sala Grande aveva interrotto le varie conversazioni per osservare l’ennesima sceneggiata che si stava verificando al tavolo dei Grifondoro. Rebecca si accorse che anche la discussione piuttosto animata fra Lou e Marietta sul sistema educativo di Hogwarts si era interrotta. Fred e George si stavano godendo il successo del loro magnifico scherzo accogliendo i complimenti degli studenti dei tavoli di Grifondoro e Tassorosso vicino a loro. Il trionfo cessò solo quando la McGranitt, che era scesa da tavolo dei professori col suo solito sguardo impassibile, prese George per un orecchio e iniziò a trascinarlo fuori dalla sala. Fred, che come Rebecca sapeva bene si sarebbe dannato piuttosto che lasciare che il gemello soffrisse da solo un tale destino, si inchinò, le sorrise ancora una volta e le fece l’occhiolino prima di seguire il fratello fuori dalla Sala Grande. Ma non fu l’ultimo ad andarsene: al seguito dei gemelli, una piccola strega in abito rosa si alzò lentamente dal tavolo dello staff e si fece strada verso l’uscita. Rebecca non poté fare a meno di avere un presentimento sinistro. 

 

Rebecca fece del suo meglio per continuare a mangiare come nulla fosse ma il pensiero di Fred chiuso nello studio rosa caramella della Umbridge per uno stupido scherzo le fece venire la nausea. “Credo che mi assenterò un attimo,” mormorò a Lou rivolgendole un sorriso teso. L’amica corrugò le sopracciglia scure ma non fece domande quando vide la preoccupazione nei suoi occhi. 

 

Uscì di fretta dalla sala e subito si chiese dove sarebbe stato meglio dirigersi ma nel dubbio l’istinto la portò verso la Sala Comune di Corvonero. Era a metà strada per arrivarci quando intravide una familiare zazzera rossa. Fred sedeva sulle scale con la testa appoggiata contro il muro e Rebecca immediatamente accelerò il passo per raggiungerlo più in fretta.

 

“Freddie…” si precipitò verso di lui non appena notò lo stato in cui si trovava.

 

“Oh, ciao tesoro.” La voce di Fred era provata. Si voltò verso di lei e tentò quello che Rebecca credeva dovesse essere un sorriso, ma il suo volto era contorto in un smorfia di dolore e il suo braccio sinistro cullava la mano destra: sembrava che la Umbridge avesse avuto l’ultima parola in merito al piccolo scherzetto dei gemelli nella Sala Grande. Rebecca gettò un’ultima occhiata vigile dietro di lei e si sedette sul gradino accanto a Fred: gocce di sudore rigavano il suo viso scolpito e i suoi occhi scuri erano puntati al suolo. Rebecca osservò il suo petto sollevarsi e abbassarsi lentamente ma con movimenti controllati, come se il ragazzo si stesse sforzando di non piangere.

 

“So di essere incredibilmente attraente, Becky, ma credo che il mio bell’aspetto ti abbia fatta smettere di respirare,” le fece notare Fred con una risata forzata. Rebecca fu bruscamente riportata alla realtà ed emise un suono a metà fra uno squittio e un colpo di tosse.

 

“Non mi sembra il momento, Fred.”

 

Osservò meglio la sua mano destra: le parole Non devo causare disagi erano incise sulla pelle chiara con lettere color sangue, e i tagli erano profondi. A quanto pareva la Umbridge aveva ritenuto che Fred dovesse scrivere la frase più volte per capirne appieno il messaggio. Le contorceva le budella vedere Fred provare quel dolore, ma mentre si chiedeva se i tagli sarebbero guariti prima che i gemelli ricominciassero a fare i loro soliti scherzi seppe subito che la risposta era no.

 

“Questo,” cominciò Fred, notando la direzione del suo sguardo, “Questo non è niente. Una volta mi è esploso un fuoco d’artificio Filibuster in mano…”

 

“…E tua madre disse che eri fortunato ad avere ancora tutte le dita,” lo interruppe lei. Rebecca conosceva quella storia: era successo quando avevano tredici anni e lei era presente, ovviamente. Era orribilmente preoccupata ma Fred dopo qualche momento iniziale di confusione aveva cominciato a ridere e tutti avevano capito che stava bene. In quel momento, invece, sembrava davvero abbattuto, e questo bastava a preoccuparla oltre misura.

 

“Come posso aiutarti?”

 

“Non servirebbe a nulla,” mormorò Fred febbrilmente. “Madama Chips ha detto che non c’è niente da fare a parte metterci del ghiaccio sopra e aspettare che guarisca.”

 

Rebecca gli prese la mano e la esaminò attentamente: era umida e tiepida per via della ferita infiammata e Fred rabbrividì al contatto, ma lei aveva già visto quel tipo di magia prima. Era lo stesso genere di punizione che la nonna Argenta era solita riservare agli elfi domestici che osavano contraddirla. 

 

“Beh…” disse lei alquanto sommessamente, “…non dovresti mai chiedere ad una santa di fare il lavoro di un peccatore.”

 

Rebecca aveva capito dall’esame della ferita di Fred che la Umbridge per la punizione aveva utilizzato delle piume che contenevano una forma di magia antica ed oscura, e dubitava fortemente che qualunque incantesimo convenzionale sarebbe stato in grado di annullare gli effetti della maledizione. Fortunatamente per lei e per Fred, però, in tutti quegli anni si era sempre allenata in segreto con i pochi incantesimi proibiti che ricordava dall’infanzia.

 

“Ci penso io,” gli disse spostandosi i capelli chiari dal viso per guardarlo negli occhi. “Ma dovrai fidarti di me…” non c’era nemmeno bisogno di dirlo: sapeva che Fred si fidava di lei più di chiunque al mondo ad eccezione di George, e le spezzava il cuore il pensiero di come lui avrebbe reagito dopo aver visto il genere di incantesimi di cui era capace.

 

“…e devi promettermi che non lo dirai a nessuno. Non credo che questo tipo di magia sia ben accetto a Hogwarts.” 

 

Fred annuì con sicurezza e dopo che ebbe acconsentito, l’attenzione di Rebecca tornò alla sua mano. Non estrasse la bacchetta, ma semplicemente avvolse le sue mani su quella del ragazzo. Fred si agitò impercettibilmente. 

 

“Va tutto bene,” gli sussurrò. Non sapeva esattamente se stesse cercando di calmare lui o sé stessa.

 

L’aveva già fatto centinaia di volte con i pipistrelli moribondi al cottage, ma ora a starsene seduta sulle scale imponenti del castello, con la salute di Fred a gravare su di lei, sentiva un’enorme quantità di pressione. Dopo che ebbe coperto la mano del ragazzo con la sua iniziò a recitare, dapprima così sommessamente che Fred a malapena riusciva a sentirla. Mentre la sua voce si alzava, il rosso capì che non stava parlando una lingua corrente ma che si trattava di un incantesimo in latino.

 

Si minus offendit vitam vis horrida teli

ossibus ac nervis disclusis intus adacta,

at tamen insequitur languor terraeque petitus

suavis et in terra mentis qui gignitur aestus

interdumque quasi exsurgendi incerta voluntas.* 

Il fuoco delle fiaccole attorno a loro cominciò ad affievolirsi man mano che la voce di Rebecca si innalzava sempre più forte e i suoni del banchetto sotto di loro sembravano sfumare nel silenzio. La magia sfrigolava nell’aria come scintille in un focolare e le loro mani unite cominciarono a pulsare e brillare di una lieve luce dorata. E poi tutto si interruppe com’era iniziato, le fiamme delle torce erano tornate alla normale intensità e i rumori provenienti dalla Sala Grande ricominciarono ad echeggiare dalla scala subito sotto.

 

Rebecca si sforzò di guardare Fred in faccia, decisa ad imprimersi a fuoco nella mente ogni singolo lineamento in vista dell’espressione di terrore che era sicura di trovarvi: il suo viso aveva ripreso colore, le guance erano rosee e le labbra che prima erano quasi blu ora invece si incurvavano nello spettro di un sorriso. Incrociò i suoi occhi, ora non più addolorati ma pieni di… non di paura, ma di qualcos’altro. 

Fred respirò a fondo strappandola al suo torpore, Rebecca slegò le mani dalla sua, sollevata. Quando si separarono Fred esaminò la sua mano: non c’era nemmeno un graffio, nemmeno una cicatrice.

 

“Ma come…?”

 

“Non importa come,” tagliò corto Rebecca. “Non ne parleremo mai più, ricordi?”

 

Lo sguardo di Fred si spostò dalla sua mano agli occhi della ragazza: non sembrava spaventato, ma piuttosto stupito. Prima che potesse fare altre domande, lei si alzò in piedi e gli porse la mano per aiutarlo a fare lo stesso.

 

“Coraggio Freddie, vieni con me,” disse tirandolo per la manica del mantello. “Ti offro da bere, direi che te lo sei guadagnato.”

 

La Sala Comune di Corvonero era deserta dato che tutti erano ancora a cena, e così Fred e Rebecca poterono tranquillamente accomodarsi su uno dei divani di raso blu. Rebecca versò due bicchieri di liquido ambrato e poi appoggiò la sua bottiglia di whisky Ogden Stravecchio sul tavolino.

 

“Regalo di Remus per il mio diciassettesimo,” disse con fierezza in risposta all’occhiata interrogativa di Fred.

 

“Cos’è, Lupin vuole trasformare la sua protetta in un’alcolizzata?”

 

“Si è alcolizzati solo se si beve da soli, e guarda un po’,” rispose facendo tintinnare il bicchiere contro il suo, “Tu stai bevendo con me.” Inghiottì tutto il contenuto in un sorso solo. 

 

“Becky, quella cosa che hai fatto prima…”

 

“Lascia stare Fred,” Rebecca sbatté il bicchiere sul tavolo con più forza di quella che intendeva usare e Fred sobbalzò appena.

 

“Qualsiasi cosa sia, Becky, sai che puoi parlarmene.”

 

Aveva ragione, naturalmente: non c’era segreto di Rebecca che lui non conoscesse, e per quanti potessero essere i suoi scheletri nell’armadio, lei sapeva che Fred l’avrebbe sempre considerata la persona migliore del mondo, ma come avrebbe reagito sapendo che la sua ragazza, la sua piccola Becky praticava incantesimi per nulla dissimili da quelli che eseguivano i Mangiamorte? Eppure sentiva di dovergli una spiegazione: poteva mentire a tutta la scuola, ad Hestia, all’intero mondo della magia ma non a Fred, lo capiva dai suoi occhi.

 

“Sai, quand’ero in Italia mia nonna materna, Argenta, era solita insegnarmi degli incantesimi,” cominciò quindi lei, accomodandosi meglio sul divano. “Era un tipo di magia antica, di prima che le bacchette venissero inventate.” Prese un respiro profondo. “Magia del sangue.”

 

“Arti Oscure, vuoi dire.” Rebecca non riusciva più a reggere lo sguardo di Fred e dovette abbassare gli occhi. Prese a tormentarsi le mani.

 

“Beh, non sapevo si chiamasse così finché non mi sono trasferita e mio padre mi disse che non avrei mai dovuto usare quegli incantesimi, ma quando ho visto la tua mano ho capito subito che non era una fattura normale.” Si spiegò tutta d’un fiato e attese che Fred sfogasse il suo shock e la sua rabbia, ma non accadde nulla di tutto ciò. Invece, lui le mise due dita sotto al mento per sollevarle il viso cosicché potesse guardarla negli occhi.

 

“Se scoprissero cos’hai fatto ti potrebbero espellere.” Non l’aveva mai guardata così: un misto di stupore e pura gioia alla consapevolezza che Rebecca aveva appena infranto circa una decina di regole del mondo della magia per lui, che lo amava tanto quanto lui amava lei.

 

“Ma non l’hanno scoperto, o sbaglio? E in più, forse preferirei farmi espellere che passare un intero anno con la Umbridge.” Si accoccolò più vicina a lui, ora che aveva la certezza di non averlo spaventato a morte.

 

“Quella megera…” sibilò Fred con il ricordo del dolore alla mano destra ancora vivo più che mai.

 

“Se potessi, farei esplodere quella stupida bottiglietta parlante di Pepto-Bismol con le mie mani!” Fred scoppiò a ridere.

 

“Sei proprio la donna della mia vita, Nolton. Ma anche se non è affatto una cattiva idea, prima di ricorrere a misure così drastiche forse dovremmo sentire cos’ha da dirci Harry.” Rebecca inarcò un sopracciglio con aria interrogativa sollevando la testa dal petto di Fred.

 

“Non lo so, Ron dice che hanno un piano per imparare davvero a difenderci e insegnarci tutto quello che la Umbridge non vuole che facciamo. Dobbiamo incontrarlo domenica prossima alla Testa di Porco a Hogsmeade, vuoi venire anche tu?”

 

“Mi pare ovvio.”

 

***

 

La Stanza delle Necessità aveva le pareti coperte di scaffali pieni di ogni libro sulle Arti Oscure si potesse immaginare, a Rebecca si illuminarono gli occhi appena li vide. Il pavimento era coperto di cuscini e un grande Avversaspecchio riempiva l’unica parete non occupata dai libri. Rebecca si scambio un’occhiata emozionata con Lou mentre entravano e la porta scompariva dietro di loro: Rebecca, Fred e George avevano fatto del loro meglio per reclutare più studenti del settimo anno possibili per l’Esercito di Silente ma in pochi si erano dimostrati interessati, quasi tutti troppo presi dall’ansia per i M.A.G.O. e poco disposti a rischiare di mettersi nei guai. Alla fine, Rebecca era riuscita a convincere Lou e naturalmente Lee aveva seguito a ruota dal momento che non avrebbe mai perso occasione per passare del tempo con la bruna, e George era riuscito a portarsi dietro Angelina. Luna e Cho avevano avuto anche loro scarso successo fra i loro compagni e avevano convinto soltanto Marietta e Michael Corner, anche se quest’ultimo, sospettava Rebecca, probabilmente si era unito a loro più perché gliel’aveva chiesto Ginny che per vera e propria lealtà nei confronti di Silente o desiderio di nuocere alla Umbridge: Rebecca aveva visto il ragazzo e Ginny scambiarsi timidi sorrisi e tenersi per mano nei corridoi nelle ultime settimane. 

 

Non era una sorpresa per lei che pochi Corvonero avessero deciso di unirsi all’ES, dal momento che il confronto diretto non era esattamente il loro forte. E non c’era nulla di più diretto che un duello, si disse lei mentre prendeva posto con le spalle rivolte allo specchio, la bacchetta ben salda in mano: Harry aveva appena finito di spiegare gli Schiantesimi e adesso voleva testare la loro prontezza di riflessi. Rebecca fece scrocchiare il collo, roteò le spalle un paio di volte ed alzò gli occhi sul suo avversario: Zacharias Smith non le era mai stato troppo simpatico, era uno di quei pochi Tassorosso con cui faticava ad andare d’accordo, e da quando si era unito all’ES si era dimostrato a dir poco insopportabile.

 

“Molto bene, cominciate!” Harry soffiò nel fischietto.

 

Expelliarmus!” gridò Rebecca prima che Zacharias avesse avuto tempo di aprir bocca. La bacchetta gli volò via dalla mano e Rebecca non poté trattenere un sorrisetto soddisfatto: Non credo che l’Expelliarmus ci aiuterà, aveva detto lui. 

 

Stupeficium!” Zacharias volò in aria per poi atterrare a peso morto su un mucchio di cuscini.

 

“Ottimo, ottimo. Bene, avete visto tutti? Disarmare l’avversario come prima cosa può essere un’ottima mossa, vi da il tempo per pensare a quale incantesimo usare. A chi tocca adesso?” Harry le diede una piccola pacca sulla spalla e Rebecca gli sorrise di rimando prima di prendere posto fra Fred e Lee contro il muro.

 

“Ricordami di non farti arrabbiare mai,” le disse Fred ammirato. 

 

Quando fu il suo turno, Fred si girò a farle un occhiolino prima di puntare la bacchetta contro Angelina ma la ragazza fu più veloce: in un millesimo di secondo Fred fu schiantato con violenza contro il pavimento e qualche risatina si sollevò dagli studenti.

 

“Gran bel colpo Angie!” Rebecca si congratulò con la ragazza che stava tornando verso di loro accogliendo le pacche e i complimenti da parte dei loro amici.

 

“Oh, non preoccupatevi per me, sto bene.” Fred fece una smorfia mentre si massaggiava la schiena con una mano e si alzava dolorante. “Certo sarebbe carino se almeno a mio fratello e alla mia ragazza importasse qualcosa.” George lo aiutò a sorreggersi mentre Marietta e Hannah Abbott si preparavano al duello. 

 

“Coraggio ragazzone, non è nulla.” Rebecca lo guardò divertita dalla sua teatralità.

 

“In realtà mi fa un po’ male qui, ecco,” disse lui drammatico indicandosi la faccia. “Ma sono sicuro che un bacio della mia donzella farebbe passare tutto.” Rebecca scosse la testa con una risatina.

 

“Vi prego, non anche durante le esercitazioni!” esclamò Lou rivolgendo loro un’occhiataccia.

 

“Davvero, siete disgustosi,” le fece eco Lee.

 

“Vi dispiacerebbe restare concentrati sui duelli? Solo perché adesso tocca agli altri non vuol dire che siate autorizzati a distrarvi.” Un coro di sbuffi e sospiri scocciati si levò dal gruppetto del settimo anno alle parole di Hermione, ma un suo eloquente sguardo truce fu sufficiente a zittirli per il resto della lezione.

 

***

 

Le esercitazioni dell’ES continuarono per tutto il trimestre, senza mai un orario fisso: era difficile incastrare gli impegni di tutti soprattutto considerando che molti di loro erano nelle squadre di quidditch, ma Harry sosteneva fosse meglio così poiché le rendeva più difficili da scoprire e Rebecca non poteva dargli torto. Le cose presero una brutta piega poco prima di Natale quando giunse la notizia che il signor Weasley era stato ferito gravemente ed ora si trovava all’Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche: successe nel cuore della notte, e Rebecca lo scoprì soltanto il giorno dopo quando le arrivò un gufo dall’ospedale. Fred le diceva di non preoccuparsi, e di raggiungerli il prima possibile al Quartier Generale per festeggiare il Natale tutti insieme, ma quando fu lì nonostante le decorazioni festose che Sirius aveva appeso ovunque e il tentativo di tutti di ostentare serenità, trovò Fred nello stato peggiore in cui l’aveva mai visto.

 

Quando Rebecca ed Hestia si materializzarono nel salotto della casa di Grimmauld Place, la signora Nolton subito fu arruolata da Molly per aiutarla a finire gli ultimi pacchetti regalo. La signora Weasley stessa sembrava meno calorosa del solito ma la cosa non sorprese affatto Rebecca: la povera donna aveva avuto uno degli spaventi più grandi della sua vita ed era normale avesse la testa da tutt’altra parte. Fred era allungato su una poltrona e la salutò mestamente senza nemmeno alzarsi per salutarla.

 

“Ehi…” disse soltanto, alzando appena gli occhi dalla bacchetta con cui stava giocherellando. 

 

Non l’aveva mai visto così: era già raro vederlo arrabbiato, come sicuramente doveva essere stato non appena aveva ricevuto notizia dell’attacco al padre, ma ora era soltanto affranto, rassegnato,lo sguardo spento. Rebecca detestava l’idea di non essere stata lì per lui quando ne aveva avuto bisogno, quando quella notte era stato svegliato da una McGranitt insolitamente in preda al panico, quando era stato portato all’ospedale e si era seduto accanto al padre ferito e debole, ma nessuno l’aveva avvertita. Un figlio non dovrebbe mai vedere il genitore inerme e impaurito, e questo lei lo sapeva bene. Si fece strada fino alla poltrona di Fred e sedette sul bracciolo.

 

“Ciao Freddie,” sussurrò appena piegandosi per baciargli una guancia. Finalmente Fred alzò lo sguardo su di lei: gli occhi erano arrossati e gonfi, come se avesse passato gli ultimi giorni a piangere. Rebecca gli accarezzò delicatamente il viso e il contatto con la sua pelle fu come un segnale per Fred che lasciò cadere la bacchetta e le cinse la vita con le braccia, bagnandole il maglione di lacrime che aveva cercato di trattenere per tutto il giorno. Rebecca gli passò una mano fra i capelli più e più volte, tentando di calmarlo.

 

“Va tutto bene Fred, tuo padre sta bene. Guarirà in fretta, non è successo nulla.” Rebecca continuò a ripetere queste parole mentre stringeva Fred al suo petto finché i suoi singhiozzi non si furono calmati: non l’aveva mai visto piangere prima, non così almeno. 

 

“Arthur è un osso duro, lo sai. Ci vuole ben più di uno schifido serpente per mandarlo al tappeto.”

 

Fred le fece un sorriso forzato e si spostò un po’ di lato in modo che sulla grande poltrona ci fosse posto anche per lei. Rebecca gli si rannicchiò accanto e per qualche minuto rimasero in silenzio ad ascoltare il crepitio del fuoco nel caminetto.

 

“Percy ha rimandato indietro il maglione che mamma gli aveva fatto per Natale.”

 

“È un gesto veramente orribile.”

 

“E c’è di più: non è nemmeno andato a trovare papà in ospedale, né ha scritto per sapere come sta, e mamma è inconsolabile… Ma forse Lupin ed Hestia riusciranno a tirarla su meglio di me e George.”

 

“Remus è qui?”

 

“Adesso no, ha accompagnato Sirius a sbrigare non so quale faccenda ma dovrebbero tornare dopo pranzo, e poi forse ci porterà a trovare papà a San Mungo.” Con l’ultima frase il tono di Fred si fece di nuovo cupo.

 

“Mi dispiace tanto Fred, per tuo padre, per Percy, davvero… dimmi cosa posso fare per aiutarti e lo farò.”

 

“Sei qui, basta questo.” Fred le mise un braccio attorno alle spalle e l’attirò più vicina a sé.

 

“Avrei voluto essere con te quando…”

 

“Non fa niente, non parliamone più,” la zittì Fred prima di catturarle la bocca in un bacio lento ed esasperato che, lo sapeva, le avrebbe lasciato le labbra livide e doloranti per un po’. Rebecca lo lasciò fare perché, se consumandola così lui poteva dimenticare per qualche minuto tutta la sofferenza degli ultimi giorni, allora lei era più che disposta ad offrirsi come bestia sacrificale. Non che la cosa le dispiacesse, poi: una vibrazione soddisfatta le sfuggì dalle labbra mentre Fred spostava la sua attenzione sul suo collo candido mordendolo appena e lei si sciolse come burro fuso sotto ai suoi baci.

 

“Ahem.” Rebecca spalancò gli occhi e vide Ginny in piedi sulla soglia del salotto, si separò da Fred paonazza per la commistione fra imbarazzo e calore.

 

“Sarebbe pronto da mangiare, piccioncini.” Il tono di Ginny era sarcastico ma il suo sorriso tradiva quanto fosse felice di vedere Fred di buonumore per la prima volta da una settimana. Fred si alzò dalla poltrona e tese la mano a Rebecca per aiutarla a tirarsi su. 

 

“Meno male che la mamma ha mandato me ad avvertirvi che il pranzo è pronto,” disse Ginny con un sorriso beffardo quando Rebecca le passò accanto. La bionda per tutta risposta arricciò la faccia in una smorfia.

 

“Anche se ho come l’impressione che non abbiate troppa fame,” mormorò la rossa fra sé e sé seguendo il fratello e Rebecca verso la cucina.

 

 

Nota dell’autrice: scusatemi se ci ho messo tanto a caricare questo capitolo: avrei voluto farlo ieri ma durante il pranzo di Pasqua ho alzato un po’ troppo il gomito e non essendo più abituata a bere ho passato metà pomeriggio con la testa nel gabinetto e l’altra metà a dormire, e anche quando mi sono svegliata avevo un giramento di testa tale che non riuscivo a guardare lo schermo del computer. Morale della favola: due spritz, tre bicchieri di chianti e un digestivo sono più che sufficienti e dovrei imparare a fermarmi lì anziché farmi anche un secondo gin tonic “per digerire meglio”. Comunque, spero che questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere cosa pensate della storia e buona Pasquetta,

 

Vincey 

 

*da Lucrezio, De Rerum Natura III, 170-174

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