L'esperimento di Fred

di Fred_998
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Il gatto nel vulcano che cerca di scappare dalla lava ***
Capitolo 3: *** Ciao, mi chiamo Maria... ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione

Ho voglia di scrivere di qualcosa di insensato.
Voglio che la gente leggendo queste righe non capisca.
Magari susciterò dei sorrisi, chissà forse dell’indignazione. Sicuramente qualcuno rimarrà indifferente. Altri invece troveranno tra le mie parole un significato, celato ai miei occhi o alla mia mente, dipende dai punti di vista.
Non sono sicura di quello che in questo momento sto scrivendo, semplicemente lascio che la mia mente viaggi e le mie mani clicchino le lettere sulla tastiera di questo mio computer cercando di non commettere troppi errori di battitura. Penso che questo si possa chiamare flusso di coscienza. Non ricordo se ne avesse parlato prima Joyce o l’altra, come si chiamava? Ah sì, Virginia Woolf. Scusate l’ignoranza, ma vi giuro che mi documenterò dopo. Sto solo mettendo in nero su bianco quello che mi viene in mente senza approfondire alcun tipo di conoscenza. Siamo tutti bravi a documentarci di qualcosa e poi a parlarne, ma io in questo caso non voglio farlo. Definiamolo un esperimento personale, sì, mi piace.
Bene, penso di aver trovato pure il titolo di questa cosa che sto facendo, la chiamerò “L’esperimento di Fred” (non scherziamo, questo soprannome mi piace troppo).
Vi spiego, ogni capitolo sarà una storia inventata sul momento (con luogo, personaggi e scopo suggeriti anche da voi. L’ho ammetto, questa parentesi la sto aggiungendo dopo aver riletto il testo perché avevo dimenticato di spiegarvi questo piccolo particolare). Lavorerò d’improvvisazione, se così si può definire. Non rileggerò ciò che ho scritto se non per modificare la punteggiatura e rimediare a qualche errore di battitura.
Sarà una sfida bella e grossa, visto il mio essere perfettino. Ma sarà anche tanto divertente.
Ok sento che adesso l’ispirazione mi sta abbandonando, sto iniziando a pensare e non è quello che voglio.
Sarà che sto iniziando ad avere fame.
 

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Capitolo 2
*** Il gatto nel vulcano che cerca di scappare dalla lava ***


Dedicato a Noemi, mia amica e una delle mie due mogli che mi ha fatto capire quanto l’amicizia possa oltrepassare la distanza. Ci siamo viste solo una volta, ma questo non esclude il fatto di vederci una seconda. 
 
Il gatto nel vulcano che cerca di scappare dalla lava
 
C’era una volta un gatto di nome Jack, sì, come Capitan Jack Sparrow. Ma lui non navigava sulla perla nera nei Caraibi con una ciurma di pirati spavaldi e idioti. E di certo, non aveva nemmeno il suo viso così affascinante e la sua aria un po’ da checca. Beh, diciamo che sarebbe stato un po’ raccapricciante.
 
Dunque, il gatto Jack abitava ormai da molto tempo in una landa desolata dentro a un vulcano ormai spento da secoli.
Come faceva a saperlo? Beh, era un gatto intelligente. Più di quei pirati che non capivano la grandezza di Sparrow. Pensate se ci fosse stato il nostro gatto Jack lì, di certo sarebbero stati un’ottima coppia.
 
Il suo esile corpo era rivestito di un manto rossastro, più tendente all'arancione. Aveva dei grandi occhi verdi e una coda così lunga che usava come arma per difendersi da coloro che volevano attaccarlo o rubargli il cibo.
Ricordate, mai rubare il cibo a un gatto affamato se non volete un graffio sulle vostre mani, faccia o qualunque cosa facilmente graffiabile, ricoperta da uno strato di pelle, da cui dal taglio ne uscirà del sangue liquido e rosso. Non parlo per esperienza, ma ehi, mi sembra un ragionamento piuttosto logico e valido.
E no, so a cosa state pensando, non si tratta del gatto con gli stivali.
 
Quindi, Jack passava il tempo a cacciare, mangiare e dormire. Questo si ripeteva ogni giorno, in una routine che qualcuno potrebbe trovare piuttosto noiosa, ma vi ricordo che abitava in una landa desolata, non è che aveva poi così tante cose da fare. Se ne stava solo soletto lì, nel suo vulcano. Usciva arrampicandosi su per il mmh coso, mmh ok, non mi viene il nome quindi diciamo solo che saliva su per la parete interna del vulcano e poi scendeva giù scivolando per la parte esterna (come su uno scivolo), cacciava qualche topolino, uccellino o insettino (avevo utilizzato i diminutivi per quelli di prima, non mi piaceva non farlo con l’ultima parola) e poi ritornava nella sua grande tana. Si arrampicava su per il vulcano e arrivato in cima si lanciava da un’altezza di tantissimi metri e bum, si schiantava.
No scherzo, altrimenti la storia avrebbe meno senso di quello che non ne abbia già. Quindi, lui saltava dal cratere e atterrava sulle sue quattro zampine pelose e carine. Con quei suoi gommini così morbidi e rosa (provare per credere).
Così poi mangiava il pranzo, cena o che ne so colazione e poi dormiva.
Voi ci scherzate, ma una vita così la vorrebbero tutti, lo so.
Comunque, il fatto è che questo gatto Jack non faceva altro che questo. Chi lo avesse abbandonato, non si sa. Diciamo che un giorno qualcuno di veramente stupido lo lasciò, e lui vagò così tanto fino a finire in questo posto sconosciuto da tutti.
 
Tuttavia un giorno il gatto venne svegliato da un rumore strano. Erano come tanti tamburi (lo so che i gatti non capiscono nemmeno cosa siano, ma era solo per farlo capire a voi). Quel rumore si faceva sempre più forte e la terra iniziò addirittura a tremare e a scottare. Così sobbalzò sulla parete, giusto in tempo per vedere del liquido viscoso di un rosso incandescente venir fuori dalla base.
Ok, mi sa che il vulcano non era del tutto spento, magari era stato solo inattivo per un po’ di tempo fino a quel momento (adesso non ricordo se erano i vulcani spenti a non poter più attivarsi o erano quelli inattivi, comunque avete afferrato il punto).
Doveva scappare!
Il livello della lava si alzava sempre di più a una velocità sempre più elevata. Jack prese ad arrampicarsi più velocemente. I suoi artigli infilzavano la parete con veemenza finché non arrivò in cima al vulcano. Senza perdere tempo scivolo giù da esso e prese a correre  più che poteva. Dietro, la lava era fuoriuscita con tutta la sua violenza. I gas stavano avvelenando l’aria, a Jack sembrava fosse arrivata la fine.
Poi dal nulla, si sentì sollevare da terra, aprì gli occhi ed era la sua padroncina.
 
Non so se i gatti sognano, ma ehi, mi è venuta così.
Almeno non è morto nessuno, per questa volta.
 
Fine.

***
 
Spazio autrice
Ciao a tutti! Spero che la mia prima storiella vi sia piaciuta, assurda e insensata, come promeaso. Spero di non aver deluso le vostre aspettative, in ogni caso, sono solo all'inizio. Non so cosa accadrà, nel senso che non ho in mente nulla a parte che scrivere delle storie senza pensarci due volte e giuro che lo sto facendo davvero in questo modo. 
Se avete voglia di suggerirmi un luogo, un personaggio e uno scopo con cui poter scrivere una prossima, siate liberi di farlo. 
Se vi va, lasciate pure una recensione, positiva, neutra o negativa che sia, il vostro parere conta. 
Alla prossima
Fred xx


 

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Capitolo 3
*** Ciao, mi chiamo Maria... ***


Dedicato a Ilha, mia compagna di una parte di vita ben più importante delle nostre aspettative. Forse non rivivremo più quei tempi, ma allo stesso dobbiamo a loro la nostra amicizia.
 
Ciao, mi chiamo Maria
 
Ciao, mi chiamo Maria e ho 21 anni.
Da tre anni circa vivo in Inghilterra. Prima abitavo in una piccola città vicino Bristol, poi ho deciso di trasferirmi qui, a Brighton, vicino al mare.
Sì perché a me manca tantissimo il mare, manca tantissimo la mia terra. In estate andavo sempre in spiaggia con i miei amici o con la mia famiglia e passavamo mattinate o addirittura giornate intere lì, sulla sabbia giallina e liscia. Lì a consumarci i piedi passeggiando sul bagnasciuga.
Mi ritrovavo sempre a raccogliere conchiglie, o pietruzze. Non ho mai capito perché mi piacesse farlo, solo, lo facevo. Anche se dopo le dimenticavo sulla spiaggia, andandomene. Anche se a volte la tasca dello zaino era così tanto piena di quella roba che non c’entrava più nulla. Un giorno presi addirittura un’alga, la misi sulla mia libreria, ma quella si asciugò in fretta e diventò qualcosa di raccapricciante, un mucchietto verde puzzolente che non rendeva per niente quello che era stato prima. Forse mia madre l’ha già tolta perché in effetti non è che fosse un gran pezzo di arredo.
Così mi trasferii in una casa sulla spiaggia. Beh, non proprio su perché è illegale, ma diciamo che mi basta attraversare la strada e sono già lì, con i piedi a giocare con la sabbia fresca e sempre un po’ umida, con gli occhi rivolti verso l’orizzonte e i polmoni pieni di salsedine.
Mi sono detta che in questo modo sarebbe stato bello d’ora in poi. Si sai, con il mare lì di fronte a me, sarebbe stato bellissimo d’ora in poi. Inoltre se avessi avuto voglia di boschi e di colline a qualche chilometro da lì potevo accedere a tutto quello che volevo e se invece avessi avuto voglia di musei o serate strabilianti in città, Londra si trova a circa un’ora da dove abito io.
Sì, in quel momento quando mi trasferii lì, pensai che non mi sarebbe mancato davvero più nulla, che sarebbe stato diverso.
Il problema è che volevo scappare da quei ricordi che mi legavano a quella città da cui sono andata via. Fare le stesse strade, senza però avere accanto le stesse persone, a volte era davvero straziante. Un dolore difficile da reprimere.
Ho lasciato anche il mio ragazzo, che mi ripeteva sempre che dovevo stare tranquilla e andare avanti. Ma come potevo farlo?
È stato dura lasciarlo, ma poi l’ho fatto perché forse il mio affetto per lui era solo legato dal fatto che avessi vissuto un’esperienza di vita bellissima durante quell’anno e lui ne aveva fatto parte. Ma adesso che non c’erano le altre persone, stare con lui non aveva più senso.
 
Adesso mi ritrovo qui, nella mia stanza, a osservare dalla mia finestra la pioggia scendere sui vetri e dall’altra parte il mare che si appropria delle lacrime del cielo sempre così grigio. Lui però era calmo, e le accoglieva come se volesse consolarlo, cullando quelle piccole gocce nel moto dolce delle sue piccole onde che si abbattevano dolcemente sulla spiaggia per poi ritirarsi indietro. In un ciclo che non avrà mai fine.
Anch’io volevo essere cullata da quelle onde.
Il mio bisogno di andare a mare si faceva ogni giorno sempre più forte. Nonostante la giornata uggiosa, io volevo uscire fuori e stendermi sulle piccole pieghe che increspavano l’acqua. E lo feci.
Mi cambiai in fretta e furia. Presi le chiavi e le infilai nella mia felpa blu. Non mi misi nemmeno le scarpe, sentivo il catrame freddo e umido sotto i miei piedi mentre attraversavo la strada. Poi il fresco della sabbia bagnata mi investì con un’ondata di felicità , si ero felice. Mi svestii in fretta buttando tutto per terra e corsi verso il mare. Era straordinariamente tiepido.
Era nero e non si vedeva nulla, ma non mi fece paura, anzi quell’alone di mistero mi faceva sentire più al sicuro.
Così mi stesi sull’acqua come facevo quando ero piccola. Lasciai trasportarmi dal movimento del mare. Era così strana la sensazione della pioggia mentre metà parte del mio corpo era leggermente immersa nel mare. Era strana, ma bella.
Sto così bene, adesso. Mi sento finalmente in pace.
Sarei potuta rimanere in quella posizione per sempre.

***
Spazio autrice
Se siete arrivati fin qui, immagino che abbiate letto questo terzo capitolo. Sta volta sono stata un po' più malinconica nella scrittura e sperovi sia piaciuta. Se avete voglia di farmi sapere il vostro parere, scrivetemi pure. Inoltre potete contribuire anche voi alla creazione di questa mia cosa (si, mi piace definirla così), basta che mi diate un luogo, un personaggio e uno scopo.
Alla prossima.
Fred xx

 

 
 

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