Unleashed Knot

di Saruwatari_Asuka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Unleashed knot

 

 

CAPITOLO 1

 

 

Quel primo giorno del secondo anno era iniziato male fin da principio.

Aveva preparato la valigia per tornare in dormitorio la sera prima, ed era tutto pronto. Come tutti gli altri doveva arrivare al Dormitorio per lasciare il borsone con le poche cose che si era portato a casa per le vacanze estive, e poi andare a lezione.

Invece non aveva sentito la sveglia, si era dovuto alzare di corsa e arrivare altrettanto frettolosamente al Dormitorio e poi in classe. Era stato l’ultimo a mettere piede in aula, ma almeno Aizawa non era ancora arrivato.

Ciò nonostante era già sudato, aveva iniziato la giornata nel modo peggiore per lui, a cui piaceva essere sempre puntuale e, se poteva, arrivava persino in anticipo.

Avrebbe dovuto capire che le cose non potevano che peggiorare quando Aizawa aveva messo piede in classe, imponendo l’ordine ma lasciando la porta dell’aula aperta. Come se dietro di lui dovesse entrare qualcun altro.

Poiché era successo alla fine del primo anno lo aveva quasi scordato, Ojiro, di quella faccenda lasciata in sospeso fra 1-A e 1-B.

Chi si sarebbe preso Shinsou Hitoshi.

E fissando la porta aperta ebbe un lungo brivido lungo la schiena.

L’anno prima non avevano detto in quale classe delle due sarebbe capitato, all’inizio del secondo, ma solo che sarebbe passato dal Dipartimento Generale a quello Eroi. E adesso che il fantomatico secondo anno era iniziato, era il momento di svelare l’arcano.

Dietro di lui, Kaminari stava già strepitando, lo percepiva chiaramente. Gli allontanò la coda da davanti prima che potesse sfogarsi su di essa.

“C’è Shinsou dietro la porta, prof? Dai, ce lo dica, non ci tenga in sospeso!” esclamò euforico, sporgendosi in avanti.

L’occhiataccia di Aizawa lo aveva subito rimesso in riga, ma anche se era tornato a sedersi composto Ojiro lo sentì chiaramente muoversi esagitato sulla sedia.

“Sta al tuo posto, Kaminari,” lo redarguì Aizawa, ma a quel punto non serviva più a nulla stare lì a fare chissà quale tipo di discorso. Tanto, lo sapevano già.

“Dunque, come Kaminari ha fatto presente pur senza che gli venisse richiesto, oggi, in quanto primo giorno del vostro secondo anno, verrà svelata la classe in cui studierà anche Shinsou Hitoshi. Ma non qui. Prendete le vostre divise e scendete nella palestra, vi aspetta lì anche la sezione B,” e detto questo, Aizawa era stato il primo ad uscire.

Ojiro si era alzato insieme agli altri per ritirare la valigetta con le loro divise da Hero e poi aveva seguito i compagni negli spogliatoi per cambiarsi. A differenza dell’entusiasmo di Kaminari o della trepidanza di Midoriya e Kirishima, però, Ojiro si sentiva decisamente teso.

Non sapeva perché in effetti, non era un pensiero che avesse molto senso, eppure non si sentiva per nulla felice all’idea di avere Shinsou Hitoshi in classe con lui. Forse era per quello che era successo al Festival Sportivo dello scorso anno, anche perché non avrebbe avuto altri motivi per avercela con lui.

Eppure una parte di lui sperava che la classe ad accoglierlo fosse la B.

Non gli piaceva l’idea di averlo in classe, senza contare che sarebbe stato seduto accanto a lui e la cosa gli piaceva ancora meno. Non c’era un vero motivo, e non era forse un pensiero o un comportamento molto eroico, ma dubitava di poter facilmente andare d’accordo con Shinsou né di poterlo facilmente perdonare per quello che gli aveva fatto al Festival Sportivo.

Eppure pareva essere l’unico a pensarla così.

Anche Tokoyami aveva ammesso, durante il tragitto, che si sarebbe sentito a disagio ad averlo come compagno di classe. Ma Midoriya era subito corso in sua difesa, e Ojiro proprio non capiva perché. Eppure, anche lui ci aveva combattuto contro.

Ma Midoriya, con il suo buon cuore, continuava ad insistere che tutto sommato Shinsou era meno peggio di quello che voleva ammettere, che non era cattivo, e che dovevano dargli una possibilità.

Anche Kaminari era d’accordo, dopotutto era stato per lui che la loro squadra aveva vinto durante l’ultimo allenamento di gruppo con la B l’anno precedente, e l’aveva anche salvato.

Continuava a sentirlo bofonchiare su questo o quello e su Shinsou, soprattutto, quando raggiunsero la classe B e, ovviamente, l’interesse di quella mattina.

Che era in piedi fra Vlad King e Aizawa, la maschera già sulla bocca a coprire quello che giurava essere un sorriso sfrontato, come al solito.

Stavolta, però, non era in tuta. Aveva ottenuto la sua divisa da Eroe, Shinsou.

Niente di eccessivo o eclatante.

I pantaloni erano semplici, neri, calzavano negli stivali a metà polpaccio dello stesso colore ma con la bordatura e la suola tendente al violaceo. Anche la canotta e i guanti, senza dita, erano neri, ma decisamente più aderenti di quelli di Aizawa e giurava, seppur parzialmente coperta dalle bende grigie, fosse a collo alto, ma morbido e largo. Forse per nascondere la maschera e la bocca all’occorrenza. Alla cintola aveva appeso due piccole sacchette, probabilmente con qualche occorrente per il primo soccorso. O qualche arma, come Aizawa.

Doveva ammettere, Ojiro, che il fischio ammirato di Mina e Hagakure era ben riposto.

Shinsou doveva essersi allenato ancora tantissimo anche dopo aver passato il test perché, seppur la tuta ben lo nascondeva, Ojiro era certo che il suo fisico non fosse così quattro mesi prima. Si era irrobustito, le spalle lasciate parzialmente scoperto dalla maglia sembravano un po’ più larghe, le braccia non erano più magre e ossute.

La divisa da eroe fasciava adesso un fisico che non aveva nulla da invidiare a molti di loro.

“Cavoli, Shinsou, quasi non ti riconoscevo!” esclamò Kaminari, andandogli sotto all’istante. Monoma però lo scacciò via con sgarbo e si mise accanto all’altro, chiacchierando fitto.

Ecco, se quell’allenamento da primo giorno era per vedere con chi Shinsou avesse più affiatamento, e mandarlo in quella classe, il fatto che Monoma gli stesse così dietro era una cosa decisamente a suo vantaggio.

Eppure...lo infastidiva.

Perché Kaminari era fastidioso ma animato da buona intenzioni.

Monoma aveva la faccia del ruffiano lì solo per mettere zizzania.

Itsuka Kendo, per fortuna, arrivò il loro soccorso, trascinandoselo via per un orecchio. “Chiedo perdono per il mio compagno. La tua divisa è davvero interessante, mi piacerebbe trovarci come compagni, questa volta,” fece con gentilezza.

Shinsou rispose solo con un cenno del capo. La maschera lo copriva per metà e non era facile carpire per bene la sua espressione.

“Ti ringrazio,” mormorò.

“Oh, finalmente si può parlare!” esclamò di tutta risposta di nuovo Kaminari che, seguito da Kirishima e Ashido, si avvicinarono a lui. Stavolta, però, fece un passo avanti anche Midoriya, insieme anche a Shoda e Shiozaki della B.

Ed era strano, vederlo parlare con quei due, perché anche loro avevano avuto modo di provare il suo subdolo potere.

Shoda, soprattutto, si era ritirato dopo di lui durante il Festival Sportivo dell’anno prima, per lo stesso motivo che aveva spinto lui a fare altrettanto. Eppure, adesso gli sorrideva e scherzava con lui.

Forse perché era stato nel suo gruppo, contro quello di Midoriya, durante l’allenamento doppio dell’anno prima? Con Monoma e Yanagi, che però se ne stava in disparte.

Forse combattere con lui, parlarci in un momento di necessità, aveva fatto capire a Shoda qualcosa che a lui ancora sfuggiva? Che, come diceva Midoriya e sottolineava Kaminari, Shinsou non era così male?

Sorrideva, adesso, mentre parlava con loro.

Sogghignava, per la precisione, e sembrava un po’ una presa in giro, ma più probabilmente era il suo modo di fare e basta. Era la sua faccia.

Il modo in cui si stava approcciando a loro, la mano che aveva portato a grattarsi la nuca, gli dava un’aria anzi quasi imbarazzata. Come se fosse a disagio.

“Adesso basta stare qui a non far nulla, si passa all’allenamento!” tuonò Aizawa, battendo le mani fra loro per attirare l’attenzione.

Li guardò tutti, Aizawa, uno a uno, e Ojiro ebbe un attimo la sensazione che si fosse soffermato su di lui un secondo di troppo.

Aveva una brutta sensazione.

Bruttissima.

“Sarà simile a quello dello scorso anno, con una sostanziale differenza: stavolta verrete mischiati.”

Iida alzò prontamente la mano, tesissima, “Intende dire che potremmo capitare in gruppo con qualcuno della classe B contro qualcun altro della nostra classe?”

“Esattamente, Iida.”

“State scherzando, mi auguro!” gracchiò Monoma, sconvolto, “Mischiarci a questi...questi...”

“Non ti faccio neanche finire di parlare, Monoma,” sospirò Vlad King in risposta, “I ragazzi della 2-A potrebbero diventare vostri colleghi, un giorno. Nei prossimi tirocini potrebbe capitare di collaborare sotto le direttive dello stesso tutor com’è già successo lo scorso anno ad alcuni di voi. Il minimo è cercare di creare un rapporto amichevole e rispettoso, fra di voi.”

“Ma signore...”

L’espressione schifata di Monoma fu capace di far rizzare i peli anche a Ojiro, e se non fosse stato per il tempestivo intervento di Kendo forse Monoma non sarebbe arrivato a fine giornata, visto che Bakugou era parso intenzionato a farlo saltare in aria.

“Stupido coglione,” lo sentirono tutti borbottare.

Vlad King si massaggiò appena la base del naso, “Grazie, Kendo.”

“Di nulla, signore. Anche se il mio compagno è quel che è, spero si possa collaborare serenamente. Mi scuso per lui.”

“Non hai nulla di cui scusarti, Kendo-san,” sorrise subito Momo, “Anche io me lo auguro vivamente!”

“Bene, adesso, superata quest’interruzione passiamo alle cose serie. Di nuovo,” borbottò Aizawa. Sembrava risentito, se dell’interruzione o del comportamento di Monoma Neito era difficile dirlo.

“Le squadre saranno sempre di quattro o cinque a seconda dell’esigenza. Uno sarà il porta bandiere e leader, e lo sceglieremo noi per ogni squadra. L’obiettivo è non farlo catturare dagli avversari. Vince chi riesce a mettere per primo fuori gioco il leader del gruppo rivale o a trascinarlo fuori dalla linea di gioco. Sono stato sufficientemente chiaro?”

“Sì, signore!”

“Bene. Allora, adesso le squadre:

Tsunotori, Monoma, Ojiro e Tokoyami; squadra A.

Shinsou, Ashido, Kendo, Iida e Awase; squadra B

Kaibara, Shishida, Tetsutetsu e Kirishima; squadra C

Kaminari, Jirou, Tsuburaba e Asui; squadra D

Shoji, Kamakiri, Shoda e Satou; squadra E

Mineta, Rin, Yanagi e Sero; squadra F

Komori, Uraraka, Bondo e Todoroki; squadra G

Fukidashi, Tokage, Honenuki e Bakugou; squadra H

Shiozaki, Yaoyorozu, Hakagure e Aoyama; squadra I

Kodai, Kuroiro, Koda e Midoriya; squadra L.

“Inizierà la Squadra A, con Tokoyami come porta bandiera, contro la squadra B, con Iida come portabandiera. Avrete quindici minuti di tempo, dopodiché decideremo se considerare la prova fallita o meno in base allo svolgimento della stessa, nel caso nessuna delle due squadre sia riuscita a sconfiggere o catturare il portabandiera dell’avversaria. E’ tutto chiaro?”

“Sì, Professor Aizawa!”

“Molto bene. Iniziamo allora.”

Passando davanti a Bakugou per raggiungere il punto di partenza, Ojiro lo sentì chiaramente imprecare a denti serrati, maledicendo Aizawa e tutti quanti.

Non c’era da stupirsene, in fondo. Era finito circondato da quelli della B. Per lui, che già aveva faticato a relazionarsi a malapena con loro dopo un anno che si conoscevano, doveva essere fin troppo irritante.

E non era l’unico.

Anche Monoma era decisamente di cattivo umore.

Gli passò accanto tirandogli una spallata e affiancando invece la sua compagna di classe. Ojiro alzò a sua volta gli occhi al cielo.

Sarebbe stato un lungo, lunghissimo allenamento. Il più lungo della sua vita.

“Dovremmo cercare di collaborare,” mormorò Tokoyami dopo un po’, guardando proprio Monoma.

Pony per fortuna non sembrava avere troppi problemi.

“Taci, fallito. Io non collaboro con i nemici.”

“Non siamo nemici, siamo nella stessa squadra, Monoma,” ribatté anche Ojiro, contando mentalmente fino a dieci. “Sarebbe utile sapere qualcosa di più sul tuo potere, sai?”

“Non rivelo i miei segreti al nemico, non sono così ingenuo.”

“Ancora con questa storia? Non siamo nemici, siamo nella stessa squadra!”

“Per ora.”

“Beh, è per ora che dobbiamo collaborare,” sbottò Tokoyami, “Quindi cerca di essere ragionevole.”

Monoma schioccò la lingua, irritato, “Ma non capisco che abbiano in mente Vlad e Aizawa! La sezione B non dovrebbe mescolarsi con quei perdenti della A, per nessuna ragione!”

“Senti, tu...-“

“Non dovresti pensarla così, Monoma,” esclamò di punto in bianco Tsunotori, “Alla fine, siamo tutti eroi! Io sono felice di essere qui! Cosa c’è? Ho sbagliato qualche parola? Scusate, faccio ancora un po’ di confusione con alcuni termini...” aggiunse subito dopo, vedendo l’espressione stupita sia di Monoma stesso che di Ojiro.

Ma quest’ultimo scrollò velocemente la mano davanti al volto, “No, no, non hai sbagliato. Non me l’aspettavo,” sorrise quindi.

Tsunotori ricambiò raggiante, “Oh, ma prego! E’ la verità! Perché ho combattuto contro di te l’anno scorso e mi sei sembrato forte! Hai resistito alle mie corna!”

“E mi hai massacrato, a conti fatti. Ma ti ringrazio, Tsunotori-san.”

Tokoyami scoccò quindi un’occhiata a Monoma, che aveva ancora la bocca spalancata. “Visto? Almeno la tua compagna è ragionevole.”

“Assurdo...”

Pony chiuse entrambi i pugni davanti al petto in una posa che ad Ojiro ricordò tantissimo Uraraka quando voleva cercare di dare la carica a chi le era intorno, riuscendoci per altro benissimo.

“Dai, Monoma-kun! Non vuoi vincere? Io sì!”

“Già, Monoma, non vuoi vincere?” lo stuzzicò ancora Tokoyami, “Magari se dimostrate di essere superiori Shinsou finirà in classe con voi.”

“Già,” sogghignò Monoma, in quel suo modo sghembo e irritante, “Perché voi non lo volete, giusto? La grande inutile sezione A non può accettare qualcuno con un quirk così speciale come Shinsou, giusto? Voi pensate di essere superiori a qualcuno che viene dalla sezione ordinaria, no?”

Ojiro spalancò gli occhi, “Ma che c’entra? Tokoyami non ha detto questo!”

Tsk, era fra le righe.”

“Tu sei matto,” borbottò Mashirao, sempre più irritato. “E poi non andremo da nessuna parte se continui così, e non fai che mettere zizzania. Presto Aizawa darà il via alla prova, ti decidi o no a collaborare?”

Neanche l’avesse chiamato, il rumore sordo della sirena annunciò l’inizio.

Pony si lasciò andare ad un sospiro, “Comunque tu sei l’obiettivo, corvo, giusto? Allora basta che io o Ojiro-kun rimaniamo con te.”

“Sì, ma mi chiamo Tokoyami...”

“Ti chiedo scusa!”

“Non importa. E ricordatevi di parlare solo se possiamo guardarci in faccia, come ci ha mostrato Midoriya l’anno scorso è il modo migliore per non cadere nei trucchi di Shinsou.”

Ojiro annuì, “Sì. Tsunotori-san, ti dispiace andare avanti? Io rimarrò indietro e...”

“Siete anche codardi, adesso?” infierì Monoma d’improvviso, “Mandi avanti le ragazze, scimmione?!”

Ojiro digrignò i denti, “Sto per colpirti, sappilo.”

“Perché? Ti disturba, la verità?”

“Adesso basta! Qua Tsunotori è l’unica che ha un attacco a media e lunga distanza, è logico mandare avanti lei. Non dimentichiamoci che l’altra squadra ha Ashido e Kendo, oltre a Iida, anche se lui sarebbe l’obiettivo e forse si nasconderà.”

Tokoyami ha ragione. Posso andare avanti io, ma devo per forza avvicinarmi e mi vedrebbero subito. Iida non lo prenderemo mai, se non lo cogliamo di sorpresa. E’ così difficile da capire?”

Monoma storse la bocca, contrariato. Scocciò un’occhiata a Pony, che era determinata e non pareva avere niente da ridire su quel patetico piano, se così poteva essere definito. E ne dubitava fortemente.

“Probabilmente posso copiare il quirk di Tokoyami, di sicuro quello di Tsunotori. Dubito sia utile quello dello scimmione. Dura quindici minuti.” decretò alla fine, seppur scocciato come poche volte in vita sua e con l’espressione di chi preferirebbe star pulendo i bagni della scuola piuttosto che essere lì.

Ma lo ignorarono tutti comunque, e alla fine Tokoyami si limitò ad annuire e a porgergli la mano, “Copri tutta la prova, allora, bene. Copiali, sperando che tu possa riuscirci. Visto che puoi copiare quello di Tsunotori-san, andrai avanti anche tu. Più o meno come hai fatto lo scorso anno. Ricordati di non rispondere se non puoi vederci.”

“Non sono stupido come voi!”

“Non ci giurerei,” sospirò Tokoyami, “Dubito che la squadra avversaria punti a rimanere solo unita, è inutile. Per altro, hanno una persona in più rispetto a noi, quindi sarà un problema. E a litigare non abbiamo avuto tempo per creare un vero piano...”

“Andrà bene!” squittì Pony, “Improvviseremo e andrà bene!”

“Vorrei essere ottimista come te,” sorrise Ojiro.

Sarebbe stata  una prova davvero complicata.

 

 

 

Angolino Autrice:
Heilà!
Sono tornata con un’altra Shinoji.
Ma chi l’avrebbe mai detto.
Scommetto che non ve lo aspettavate!
Nessuno poteva aspettarselo.
...
Sono terrificante  lo so perdonatemi. Per altro, anche qui Angst a palate, ma chi mi ha seguito in Fear o chi sta seguendo Smash ormai lo sa: Asu e l’angst vanno a braccetto!!
Spero che questa nuova storia vi possa piacere.
Io mi sono divertita a scriverla e un grazie come al solito a Anya, che mi sopporta e supporta.
Un bacione,
Asu

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO 2

 

 

 

 

Come aveva previsto Tokoyami, la squadra di Iida aveva un piano decisamente migliore del loro. Non era neanche difficile, in effetti, visto che loro un piano non ce l’avevano.

Erano riusciti a spingere quasi subito anche Ojiro ad allontanarsi da Tokoyami, visto che Awase li aveva subito attaccati.

Letteralmente.

Si era attaccato a Ojiro e l’aveva trascinato via.

La scelta di mandare avanti Awase era sicuramente bizzarra, ma non poi così strana. Monoma poteva copiare facilmente il suo quirk e quindi era meglio che non si incontrassero e non potessero toccarsi, e loro avevano comunque un membro in più con cui giocare le proprie carte.

Era molto probabile che ognuno della squadra A fosse stato allontanato per essere tenuto impegnato da qualcuno dell’altra squadra, e anche così facendo Tokoyami rischiava di trovarsi contro due di loro, visto che era lui l’obiettivo.

Per ora andava ancora bene, perché Tokoyami era sicuramente in grado di contrattaccare e difendersi o scappare, se ce ne fosse stato bisogno. Anche se non per sempre.

Ojiro doveva togliersi di torno Awase il più velocemente possibile, il che non era per nulla semplice con quel suo potere così noioso e insidioso. Lo colpì con la coda al fianco, forte, ritirandosi subito dopo averlo colpito, prima che potesse attaccarlo anche con quella. Doveva essere velocissimo, o Awase l’avrebbe preso di nuovo, e allora non sarebbe riuscito a liberarsi.

Aveva già un braccio bloccato, attaccato al suo corpo.

“Lasciami!” sbottò, colpendolo di nuovo, stavolta al volto, veloce.

“Non è nei piani,” brontolò Awase, incassando di nuovo l’impatto. Una volta che lo ebbe allontanato abbastanza, Awase se lo staccò di dosso e, con il suo potere, lo attaccò al muro, bloccandolo lì.

“Accidenti! Torna qui!”

“Non ci penso neanche!”

Il suo compito, ideato dal piano di Kendo e Iida, era allontanare per primo Ojiro, ben lontano da Tokoyami, e poi tornare indietro. Se fosse riuscito a incollare anche Tokoyami ad un muro, avrebbero vinto loro senza alcun dubbio, poiché non sarebbe stato più in grado di muoversi.

E Awase era del tutto intenzionato a portarlo a termine per bene.

Ma Pony gli comparve davanti proprio quando stava per tornare da Tokoyami.

Awase sgranò gli occhi nel vedere la compagna di classe. “E tu che ci fai qui? Dov’è Ashido?”

Tsunotori si aprì in un enorme sorriso, “Svolazza qui e lì!” esclamò. Dall’aspetto della piccola Pony di sicuro neanche il loro combattimento era stato semplice, anche se veloce, entrambe avevano attacchi ben calibrati a distanza e doveva essere stato un faccia a faccia estremo, ma alla fine Pony, pur di togliersela di torno, doveva aver usato lo stesso trucchetto con cui aveva fregato lui l’anno prima, usando i corni per tenersela lontano.

“Prima o poi mi cadrà se continua a divincolarsi come l’ho vista fare prima!” fece verso Ojiro, “Ma ho visto Monoma in difficoltà! Devi andare ad aiutarlo!”

“Come se lo lasciassi andare, Pony!” brontolò Awase, “E tu senza i corni sei disarmata!”

“Appunto per questo, Ojiro-kun, devi andare tu!” proseguì lei, ignorando completamente il compagno di classe.

Ojiro sospirò, “Sono un po’ impegnato!”

“Lo so! Ma vedi...” Tsunotori sogghignò di nuovo, puntando entrambi gli indici verso di lui, “Ho tenuto un corno da parte proprio per questo!”

Awase si bloccò di colpo, girò i tacchi e puntò dritto verso Tsunotori, “Eh no!”

“E invece sì!” sorrise Pony, nel momento esatto in cui il suo corno  distrusse, dopo l’ennesimo colpo, il muro su cui Ojiro era stato attaccato con così tanta attenzione.

Awase digrignò i denti, vedendo l’altro di nuovo libero, ma Tsunotori non gli diede il tempo di seguire l’altro, bloccandolo a terra col corno.

Ojiro si voltò velocemente verso di lei, “Grazie mille, Tsunotori!”

“Figurati!” urlò anche lei in risposta, prima di inchiodare a sua volta il compagno col corno alla parete. “So perché non hai preso me di mira ma Ojiro, perché pensi che ti sia troppo difficile prendere i miei corni e attaccarli da qualche parte!”

“Non contarci. E poi te ne è rimasto uno solo. Adesso me ne libero e vado a riprendere Ojiro!”

 

Se avesse seguito il buon senso, Ojiro avrebbe virato per tornare indietro, da Tokoyami, e aiutare lui, che era il loro bersaglio e andava quindi protetto. Monoma, tutto sommato, poteva anche finire k.o, non era un grosso problema.

Ma non riuscì proprio a farlo. Aveva detto a Tsunotori che sarebbe andato ad aiutarlo. Tokoyami avrebbe capito, in fin dei conti.

E aveva fatto bene a prendere quella decisione.

Monoma, infatti, stava affrontando, da solo, Kendo e Shinsou.

E certo, per quanto antipatico e insopportabile Monoma lì era il più pericoloso di tutti, poiché poteva copiare quasi qualsiasi potere. Probabilmente anche quello di Kendo, tutto sommato.

Questo significava che Iida stava affrontando Tokoyami. Portabandiera contro portabandiera. Doveva sbrigarsi a salvare Monoma e andare da lui.

“Non ho bisogno di te!” sbottò Monoma. Non riuscì a vederlo in volto, quindi non gli rispose, la vicinanza di Shinsou era troppo pericolosa.

Quindi Ojiro puntò proprio a lui.

Kendo provò a fermarlo ingigantendo le mani ma, sorprendendolo, Monoma la fermò copiando il potere di Pony e usando due corna.

Se fosse stato qualcun altro, Ojiro l’avrebbe subito ringraziato, ma con Monoma non ne aveva proprio voglia.

Adesso, almeno, erano uno contro uno e potevano avere decisamente più speranze di riuscire a fermarli e poi tornare dal loro portabandiera.

Hey, Monkey Boy, non pensavo che ti saresti liberato così in fretta di Awase,” esclamò Shinsou, sotto di lui. Il sogghigno perenne sporcato da appena un velo di preoccupazione.

Era stato di nuovo troppo lento e non era riuscito a usare le bende.

Ojiro si morse la lingua, pur di non rispondergli.

Shinsou approfittò comunque della distrazione, tirandogli un calcio dritto ad altezza stomaco per poterselo allontanare. Ojiro saltò all’indietro, riuscendo ad evitarlo solo in parte, ma dando modo a Shinsou di rialzarsi e afferrare le bende pronto ad usarle.

Era più veloce dell’ultima volta. Decisamente più veloce.

Una piccola parte di sé ne fu contento, anche se non era qualcosa di sensato.

Fu Shinsou ad attaccare per primo, lanciando le bende contro Ojiro e riuscendo però a catturargli solo un polso, con cui lui si era protetto. Ojiro non si fece pregare troppo.

Aveva il polso bloccato da Shinsou, ma poco importava. Poteva usare la coda e fu proprio con quella che colpì l’altro, dritto al fianco.

Shinsou incassò bene, non poteva lamentarsene, giusto la smorfia che si lasciò andare faceva capire quanto gli avesse fatto male.

“Ho fatto bene a sceglierti quella volta, al Festival Sportivo,” sogghignò ancora, “Ma è più forte di quanto mi aspettassi. Che bravo, Monkey Boy. Allora facciamo così!”

Ojiro ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi, prima che Shinsou gli saltasse letteralmente addosso. Corpo a corpo, in una battaglia troppo ravvicinata per riuscire ad usare la coda liberamente, perché Shinsou gli stava troppo addosso e per di più gli bloccava ancora il braccio.

Riuscì a capovolgere la situazione un paio di volte, rotolandosi letteralmente a terra l’uno sull’altro.
“Cosa, Monkey Boy? Non riesci a liberarti?”

Ojiro digrignò ancora più forte i denti, ma prima che potesse colpirlo di nuovo l’enorme mano di Kendo lo afferrò e lo sbatté al muro.

“Grazie, Kendo,” mormorò Shinsou, nonostante sembrasse parecchio contrariato. Cercò Monoma con gli occhi, ma la ragazza l’aveva già conciato per le feste e legato in modo che non potesse essere più troppo pericoloso.

“Posso ancora usare i corni, cara Kendo!” esclamò quest’ultimo, che ancora stava cercando di liberarsi, “Non dovresti sottovalutarmi!”

“Non lo faccio,” rispose lei, seria e compunta, “Va da Iida, Shinsou-kun. Li tengo occupati io.”

“Sicura?”

“Sì. Abbiamo ancora cinque minuti, possiamo ancora farcela.”

“Non così in fre...tta! Ah!” Monoma non riuscì neanche a finire di parlare, la mano enorme di Kendo lo schiacciò in un attimo lasciando Shinsou libero di andare.

“Ribadisco,” soffiò anche Ojiro, seppur a fatica, “Non così in fretta...”

Itsuka inarcò le sopracciglia sentendo Ojiro fare forza per liberarsi, ma era inutile. In quelle condizioni era molto più forte lei.

Ojiro, però, riuscì a liberare la coda dalla presa della sua stessa schiena contro il muro. Poco, ma sufficiente a cercare di colpire Kendo come poteva, costringendo lei a fare un passo indietro e ad allontanare il tanto da liberarsi definitivamente.

“Non ti lascio andare!”

“Mi nuoce gravemente alla salute dirlo!” sbottò Monoma, riemergendo, “Ma temo proprio di sì invece!”

Itsuka non si aspettava di certo che Monoma copiasse il quirk di Tokoyami, invece che di nuovo i corni di Pony, ma così facendo, anche se legato, poté colpire Kendo il tanto necessario per dare via libera a Ojiro.

“Accidenti!”

“E’ la seconda volta che la classe B ti salva, scimmione!” urlò Monoma, “E’ la dimostrazione che siamo i migliori! Vedi di non dimenticarlo e almeno fa qualcosa di utile!”

Ojiro sogghignò appena, alzando il pollice verso di lui in segno di approvazione.

 

Quando arrivò da Tokoyami, era già accerchiato e legato dalle corde di Shinsou, che si dava probabilmente già per vittorioso.

Ojiro era ben consapevole di non essere veloce come Iida, ma non era quello l’intento. Atterrò Shinsou con una codata, riuscendo a malapena a liberare Tokoyami dalle sue bende prima che anche Iida gli finisse addosso.

“Ti chiedo scusa Ojiro-kun!” urlò Iida, prima di colpirlo con forza e spedirlo contro al muro.

Shinsou si tirò su a fatica, “Che male,” bofonchiò.
Anche Ojiro si stava rialzando, ma contro di lui ormai era chiaro ci sarebbe stato Iida.

Peccato.

Gli sarebbe piaciuto combattere ancora un po’ corpo a corpo contro di lui. Sentire i muscoli sodi sotto le dita quando lo colpiva, vedere il petto scolpito quando, per sbaglio –o forse no- aveva afferrato lo Ji e gliel’aveva scostato.

Scosse il capo. No, si stava distraendo per nulla.

Doveva riprendersi.

Tokoyami era ancora in circolazione, e adesso ce l’aveva con lui.

 

Il suono della sirena che annunciava la fine del primo mach dall’allenamento li colse un po’ tutti impreparati.

IidaTokoyami erano finiti impossibilitati del tutto a muoversi né erano stati catturati, quindi di comune accordo sia Vlad King che Aizawa dichiararono la sfida in parità.

Ojiro non poteva dirsi del tutto insoddisfatto, e neanche i loro compagni di squadra sembravano così infelici del risultato. Ce l’avevano messa tutti al massimo.

Gli unici due totalmente contrari erano Mina e Monoma, l’una perché sentiva di non essere riuscita a fare quasi nulla, l’altro perché non accettava la sconfitta se a causarla era stato, secondo lui, l’inutilità della A.

Kendo lo mise k-o in due secondi netti.

“Lo avessi fatto prima non avrei avuto speranza di sfuggire,” rise Ojiro, incrociando le braccia.

“Prima non era distratto dai suoi deliri di onnipotenza,” sorrise Itsuka, “Quando ci si mette, credetemi, anche se può non sembrare Monoma è un bravo eroe. Ma vi chiedo scusa per i suoi modi di fare.”

“Figurati,” affermò composto Tokoyami, “E’ stato un piacere avere a che fare con voi.”

“Anche per me!”

“Io sono felicissima di essere stata in squadra con voi della A!” esclamò anche Pony, correndo verso Ojiro, “Rifacciamolo!”

“Non mi dispiacerebbe,” fece anche Ojiro, porgendole la mano, “E grazie ancora dell’aiuto, Tsunotori!”

“E’ stato un gioco di squadra! Siamo stati bravi, io credo!”

“Non c’è stato male,” annuì Tokoyami.

“Tutti hanno dato il massimo e questo è senz’altro la cosa più importante!” sentenziò con decisione Iida, il braccio ben teso verso l’alto, “E’ stato un onore lavorare con voi della B!”

 

Vedendoli parlare tutti quanti insieme come un gruppo ben affiatato Vlad e Aizawa si scambiarono uno sguardo divertito. Non era la prima volta, ma erano sempre orgogliosi di vedere come i loro ragazzi fossero riusciti a mettere da parte la rivalità e diventare anche amici e compagni.

A parte Monoma.

C’era da lavorare su di lui. Vlad King si chiedeva ancora dov’era che sbagliava.

Eppure Monoma era così amico di tutti, nella classe B.

“Siamo d’accordo allora?” domandò Aizawa, estrapolandolo dai suoi pensieri.

Vlad King annuì.

Sì, era la scelta migliore.

Anche Aizawa annuì in risposta, prima di annunciare il secondo gruppo misto che si sarebbe sfidato e ordinare a tutti di andare ognuno al proprio posto.

Fu solamente alla fine dell’allenamento, quando tutte le squadre si erano scontrate, che i due docenti richiamarono l’attenzione generale di tutti i ragazzi.

“In generale ci riteniamo soddisfatti dei risultati che siete riusciti a raggiungere quest’oggi, ragazzi. Ci sono ancora delle cose che non vanno bene, sia nel vostro modo di affrontare i problemi che in quello di relazionarsi con gli altri compagni...cosa che crea poi una serie di eventi che porta inesorabilmente alla disfatta. E non credere, Bakugou, che solo perché le cose sembrino sempre andarti bene tu non sia il primo in lista su questo punto. Oggi abbiamo dimostrato che con persone che non ti conoscono e non sanno come starti dietro il tuo modo di fare è deleterio.”

Bakugou schioccò la lingua, “Quindi l’avete fatto apposta a mettermi in mezzo a quegli stronzi della B.”

“Di proposito o no non ti deve interessare,” gli rispose Vlad King, “Sta di fatto che nonostante il tuo modo di lavorare in squadra, a sentire Aizawa, è migliorato, hai ancora molta strada da fare. Non tutti riescono a passare sopra all’essere costantemente sbeffeggiati e le dispute interne, come hai potuto costatare oggi, non portano a nulla. Vale anche per te, Monoma. Hai creato zizzania iniziale nel gruppo, perso tempo prezioso e impedito ai tuoi compagni di mettersi d’accordo per una strategia d’attacco. Ti sei comportato bene durante lo scontro, ma questo è stato un grosso handicap per voi e non vi ha concesso la vittoria.”

Monoma storse la bocca, “Se il ragazzo scimmione avesse saputo fare qualcosa di decente avremmo comunque vinto! Non sono io che ho fallito!”

“Ojiro si è comportato bene, invece,” lo redarguì Aizawa, “Ha affrontato tre avversari diversi in pochissimo tempo dovendo quindi adeguarsi ad ognuno di loro. Idem Tsunotori. Ashido, tu devi lavorare sulla precisione dei tuoi attacchi e sulla velocità con cui riesci ad usarli. Non ho niente da dire su Tokoyami e Iida invece. Continuate così.”

“Grazie, professor Aizawa!” esclamò Iida, gli occhiali lanciarono uno scintillio d’orgoglio sotto la luce del sole. Tokoyami non si mosse, annuendo solamente.

Ojiro era invece rimasto felicemente colpito dal velato complimento di Aizawa, e per un lungo istante, mentre i due docenti continuavano ad elencare ad ognuno di loro cosa era andato storto e cosa no, si isolò completamente.

Non gli interessava.

Per una volta le cose erano andate bene, bene sul serio. Non avevano vinto, ma era riuscito a dare una prestazione soddisfacente, seppur aiutato in più occasioni anche lui si era ritrovato ad aiutare gli altri quindi, a conti fatti, erano tutti più o meno sullo stesso piano.

Per lui tutto quello era un traguardo importante, ed era felice di averlo raggiunto.

Si voltò appena, sentendosi lo sguardo di qualcuno addosso, insistente e pungente.

Shinsou.

Distolse subito il suo, di sguardo, sistemandosi meglio lo Ji addosso. Era sciocco e insensato ma si sentiva come se lo stesse sondandolo, spogliandolo strato per strato.

E non era sicuro gli piacesse.

“Ma tornando al motivo per il quale abbiamo ideato questo allenamento, oggi,” la voce di Aizawa lo riportò bruscamente alla realtà.

Già, il motivo per cui erano lì, tutti loro delle due sezioni eroe.

Non era del tutto sicuro di cosa volesse realmente, Ojiro.

“Shinsou ha dimostrato buon affiatamento sia con la sezione A che con la B, qui oggi e la volta precedente, quindi siamo certi che in entrambe le sezioni sarebbe ben accolto e darebbe il massimo,” iniziò Vlad, “Ma banalmente Aizawa ha seguito il suo percorso fin da principio ed è forse il più adatto a continuare a farlo, fra noi due.”

Aizawa annuì, poi si voltò verso Shinsou stesso, che lo fissava ancora imbambolato, “Benvenuto nella sezione A, Shinsou.”

Il broncio di Aizawa diventò velocemente un sogghigno divertito quando Shinsou, ancora bloccato al suo posto, gli occhi spalancati e la bocca semiaperta per lo stupore, venne travolto da Kaminari e Midoriya, e subito dopo da tutti gli altri.

Evvai! Lo sapevo che saresti venuto con noi!” squittì Kaminari, poggiandoglisi sulla spalla con nonchalance. Shinsou non lo scostò, si limitò a portarsi con un certo imbarazzo la mano dietro al collo e voltarsi verso Midoriya che stava ancora parlando.

“Sono felicissimo, Shinsou-kun! Benvenuto!”

“Vedrai che ti troverai benissimo!”

“Cerchiamo di andare tutti d’accordo e di fare per bene il nostro dovere di studenti!” si avvicinò anche Iida.

Anche alcuni studenti del B vennero a congratularsi con lui, e anche Monoma si avvicinò, ma prevalentemente per lamentarsi della –secondo lui- pessima decisione da parte del professori.

Shinsou non poté che sorridere, contenuto ma felice.

 

Angolino Autrice:

In realtà non sono sicura che Monoma possa copiare Dark Shadows. Io non l’ho capito che tipi di poteri possa copiare e cosa no. Cioè la coda la può copiare, per esempio? Quando prova a copiare il Rewind di Erichan gli spunta il corno, quindi suppongo di sì? Quindi forse anche Dark Shadows, anche se penso che non sia senziente come quello originale...o forse proprio per questo non può?
Boh, chi lo sa. Monoma è un mistero per me.
E sinceramente non è neanche un pg che ci tengo a svelare x°°D
Ad ogni modo avevo bisogno che usasse Dark Shadows e quindi nulla, l’ha usato x°°D
Fan di Monoma scusate e correggetemi se lo ritenete necessario!

Ad ogni modo non so descrivere i combattimenti. Un po’ li odio.
Aiuto.
Me ne vado.

Un bacione fortissimo!
Asu

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


CAPITOLO 3

 

 

Shinsou era ancora frastornato, benché sapesse bene che sarebbe finito in una delle due classi, quando alla fine delle lezione si ritrovò fuori dalla porta tre dei compagni del Dipartimento Generale.

Erano stati i suoi primi amici, lì alla Yuuei, e quelli che l’avevano più spronato anche durante il Festival Sportivo. Ed erano felici quasi più di lui, ora, sorridevano e continuavano a congratularsi con lui, chiedendogli ancora e ancora di andare a trovarli, di tanto in tanto, e di non dimenticarsi di loro.

Ma come poteva? Aveva iniziato il suo percorso proprio nel dipartimento generale, aveva capito quanto la Yuuei fosse una scuola folle e meravigliosa al tempo stesso proprio grazie a loro tre.

E se fosse stato una persona più spontanea, forse si sarebbe commosso.

“Vienici a trovare!”

“Facci sapere come sono gli aspiranti eroi in privato! Al Festival sembravano tutti dei pazzi esaltati!”

“Mi raccomando, metticela tutto Shinsou-kun!”

Shinsou sorrise, grattandosi la nuca e guardando altrove per nascondere gli occhi leggermente lucidi, “Grazie, ragazzi. Lo farò.”

“Bene!”

“Ci vediamo allora!”

“In bocca al lupo!”

Lasciare il Dipartimento Generale, anche se lo sapeva, lo aspettava e lo bramava, non era stato facile. Il primo giorno di lezione aveva fatto fatica a prestare attenzione, ma semplicemente era stato tutto il tempo più o meno perso nei propri pensieri, per poi farsi portare di qua e di là da Kaminari, che proprio non lo voleva lasciare in pace.

Certo, ci teneva a ribadire il fatto che non era lì per fare amicizia ma...poco importava. Poteva sopportarlo.

In fondo non gli dava fastidio.


Anche la classe A lo stupì, la sera del suo primo giorno nella Classe Eroe. Aveva già seguito la sua prima giornata di lezioni ufficiali come Aspirante Eroe, ed era rimasto tutto il tempo a fissare ammaliato il nulla o il quaderno, ancora vagamente scioccato da quello che era finalmente riuscito ad ottenere.

E per di più nella sezione A.

Non avrebbe mai potuto chiedere di meglio dalla sua vita.

Quindi, quando entrò in dormitorio per scoprire dove fosse la sua stanza era talmente sovrappensiero che l’urlo dei suoi nuovi compagni di classe lo fece sobbalzare.

“Benvenuto nel dormitorio della 2-A!”

Shinsou sgranò gli occhi, fissandoli uno ad uno. C’era persino Bakugou, tenuto fermo a braccetto da Kaminari e Kirishima e con l’evidente voglia di fuggire e andare magari a dormire, o farli esplodere tutti, era indeciso. L’espressione era ambigua.

Sopra le teste di tutti c’era un enorme striscione, ed era certo fossero state le ragazze a scriverlo perché era molto ordinato e ben fatto, e la scritta “Benvenuto Shinsou” spiccava tondeggiante e armonica.

E viola.

Sorrise.

Per qualche strana ragione non si aspettava affatto un simile entusiasmo da loro tutti, un po’ anche per quello che era successo al festival Sportivo. Ma forse li aveva giudicati male, come al solito. Pensava che gli unici felici del suo arrivo fossero Midoriya e Kaminari, e invece i primi a raggiungerlo, ancora imbambolato sulla soglia d’ingresso, furono Ashido e Kirishima, che lo presero per i polsi e lo trascinarono in mezzo a tutti gli altri.

Sato aveva preparato una torta e lui era sempre più perplesso e indeciso su come agire o cosa fare. Non era abituato a stare in mezzo a tutta quella gente, non gli era mai successo. Aveva degli amici, forse, al dipartimento Generale, ma solo tre. Il resto della classe per lo più lo evitava, o gli parlava solo per carineria, per salutarlo.

Invece la 2-A era speciale.

Non c’era altro modo per descriverla.

Dalla pacatezza di Todoroki all’esuberanza di Ashido, e persino Tokoyami che gli chiedeva scusa per averlo mal giudicato. Bakugou era l’unico che era sparito subito con un grugnito, appena aveva potuto.

Ma non gli importava più di tanto.

Assaggiò la torta che aveva preparato Sato, stupendosi per l’ennesima volta quella sera, “Oh.”

“Buonissima, vero?!” squittì Hagakure, accanto a lui sul divano, esaltata.

“Sato è il miglior cuoco del mondo!” rincarò anche Ashido, che si era già spazzolata la sua fetta.

E anche Uraraka aveva già finito di mangiare, persino Hagakure aveva chiesto il bis. Non sapeva perché, ma era divertente osservarle.

Nel Dipartimento Generale le ragazze erano sempre fin troppo attente a tutto quello che mangiavano per mantenere la linea perfetta che avevano, invece lì nessuna aveva un simile tarlo in testa.

Doveva essere normale, in fondo si allenavano tutti i giorni moltissimo e la linea non era un problema a cui un eroe doveva pensare. Eppure la cosa le rendeva molto più spontanee e simpatiche delle ragazze che aveva conosciuto lui fino a quel momento.

Poche, in verità.

“In effetti è deliziosa,” annuì anche lui.

Sato arrossì e si grattò la nuca, “Ti ringrazio molto, Shinsou. Anche a voi, ragazze, ma non esagerate...”

“Ma non stiamo esagerando, Sato-san,” sorrise Momo, “E’ tutto vero.”

“Sì sì! Anzi, Sato!” esclamò Uraraka, alzandosi all’improvviso, “Voglio la ricetta! Insegnami, ti va?”

“Anche a me, anche a me!”

Sato fissò Uraraka e Ashido e, se possibile, arrossì ancora di più, “Oh. Okay.”

Shinsou sorrise, guardandolo andare via, poi tornò a dedicarsi alla sua torta mentre si guardava intorno.

Monkey Boy era introvabile.

Lo aveva visto all’inizio, ovviamente, in piedi vicino a Shoji ma con le braccia incrociate. Non aveva aperto bocca, pareva indifferente e, anzi, aver voglia di andarsene tanto quanto Bakugou.

Ed evidentemente lo aveva fatto, ed anche in fretta. Non si aspettava molto altro, da lui.

A stupirlo più che il comportamento di Ojiro, a cui aveva calpestato l’orgoglio, al festival Sportivo, era abbastanza chiaro la pensasse così, era stato il comportamento di Aoyama.

Come Shoda lo scorso anno, con cui aveva collaborato per contrastare la squadra di Midoriya al suo test d’ingresso al Dipartimento Eroi, Aoyama se ne fregava platealmente del suo gioco sporco al Festival Sportivo ed era andato anche ad accoglierlo a suo modo.

“Sono sicuro che brillerai insieme a tutti noi!” gli aveva detto, con una posa teatrale ad accompagnare il tutto.

Shinsou si era limitato a sorridere, perplesso e compiaciuto al tempo stesso.

Era felice, in verità, di quell’atteggiamento, e irritato abbastanza da quello di Ojiro, oltre che dispiaciuto. Perché lui non sentiva di aver giocato sporco.

Era il suo potere, che ci poteva fare?

Eppure, qualcuno non la pensava così. Ed era proprio quello che gli interessava di più, anche se non sapeva dire il perché.

Semplicemente dal giorno prima, quello della prova, non riusciva a toglierselo dalla testa. Era diventato un’ossessione.

Quella notte l’aveva persino sognato.

“Beh ragazzi,” disse alla fine, alzandosi, “Io devo ancora vedere dov’è la mia stanza, e ho sonno. Quindi me ne vado.”

“Oh, già!” esclamò Kaminari, saltando in piedi, “Ti facciamo vedere il dormitorio! Aizawa ci ha detto dov’è la tua stanza. E’ accanto a quella di Bakugou!”

Shinsou annuì, alzando gli occhi al cielo subito dopo.

Accanto a quella di quel pazzo esaltato? Peccato. Avrebbe preferito un altro posto, era un gran peccato davvero.

Ma non importava.

Si fece accompagnare al piano giusto, e aperto la porta fissò il devasto totale. Non c’era niente lì, o meglio, le sue cose da sistemare un po’ ovunque.

Doveva farlo quella sera, ma gli altri ovviamente lo avevano tenuto giù a festeggiare fino a tardi. E adesso aveva solo voglia di dormire.

Kaminari gli diede una pacca sulla spalla, “Tranquillo, ti aiutiamo noi domani a sistemare tutto quanto, ci siamo già messi d’accordo. Intanto il letto è pronto e puoi dormire tranquillo. Ci vediamo domani, amico. Notte!”

Shinsou sospirò. Beh, se lo aiutavano era okay, supponeva, “Okay. Notte.”

 

E lo aiutarono davvero, il giorno successivo. Appena finite le lezioni, Kaminari, Kirishima, Ashido, Midoriya, Iida e Uraraka si erano fiondati nella sua stanza senza neanche avere prima il suo permesso e avevano iniziato a svuotare gli scatoloni, montare la scrivania, il tavolo, attaccare il televisore, lo stereo, il lettore dvd, attaccare i poster e sistemare le sue cose senza neanche chiedergli come le preferisse lui.

Che era rimasto a guardare quasi sotto shock.

“Ehm...”

Non pensava che Midoriya, poi, timido e riservato come fosse, potesse dimenticarsi di chiedere il suo parere.

Senza contare che Ashido poi pareva essere lì solo per dare il suo personale “tocco glamour” non richiesto. Assolutamente non richiesto.

Ashido?”

Lei alzò gli occhi tutta elettrizzata, “Sì? Ti piace? Ho pensato che potesse star bene qui!”

“Esattamente, come lo hai pensato? Non sapevi neanche com’era la mia camera...”

“Beh, l’ho percepito dal tuo carattere. Era scontato. Mi ha aiutata anche Tooru-chan ed eravamo d’accordo!”

“Capisco...”

Quantomeno c’era un gatto, su quel cuscino. Beh, era carino, ecco.

E poi era un regalo.

“Okay. Grazie.”

“Oh, ma figurati! Ecco, quella va messa lì ragazzi, mi raccomando!”

Shinsou si girò di scatto, a questo punto terrorizzato dal nuovo dono che avrebbe trovato.

Tirò un sospiro di sollievo quando vide che era solo una lavagnetta di compensato che lasciarono appesa sopra la scrivania.

Ashido e Uraraka ci attaccarono subito qualcosa con una puntina. Una foto e un cartoncino.

La foto lo raffigurava insieme alla classe C del Dipartimento Generale, quella in cui Omura l’aveva costretto a partecipare in vista del suo trasferimento a quella Eroe, per dargli almeno un ricordo.

Dove l’avevano presa?

“Ce l’ha data Omura-san,” spiegò dolcemente Uraraka con un sorriso, “Ha detto che era importante che l’avessi perché l’avevano scattata proprio per te.”

“Oh.”

Si avvicinò allora per vedere il cartoncino. C’erano le firme di tutta la Classe C. Eppure lui era diventato amico solo di tre persone, lì dentro, e tutto grazie ad Omura, in verità.

Eppure, contandoli, c’erano davvero tutti quanti. E alcuni avevano scritto delle frasi di incoraggiamento, per spronarlo.

“Anche questo ce l’ha dato Omura. L’hanno fatto per te,” chiarì Midoriya.

Shinsou annuì solamente, a quella frase. Se lo doveva immaginare, da lei. Aveva di nuovo coinvolto tutti.

Era una ragazza dinamica, avrebbe potuto essere una brava eroina, ma lei non lo desiderava. Diceva di non avere il quirk adatto, non ci aveva neanche mai provato. Voleva diventare medico e per quello aveva scelto la Yuuei, perché era una buona scuola anche per prepararsi all’università.

“E quindi a noi è venuto in mente che sarebbe carino farsi foto di classe! Noi non ci avevamo neanche pensato, lo scorso anno!” esclamò euforico Kaminari, “Ne faremo una di inizio anno con te e l’appenderemo proprio qui! Che ne dici?!”

Normalmente, Shinsou avrebbe negato l’invito, ma prima ancora di poterci pensare aveva già annuito, “Okay,” disse.

Kirishima e Kaminari di diedero il pugno, “Grande!”

“E adesso finiamo di sistemare tutto quanto!” affermò Iida, compunto, “Non possiamo di nuovo lasciare il lavoro a metà e poi dobbiamo anche spolverare tutto quanto!”

“Sì capoclasse!”

“Ma...di nuovo?”

“Sì. Abbiamo provato anche ieri,” sorrise Kirishima, “Ma ci siamo fermati al letto perché poi le ragazze ci hanno chiamato per finire di sistemare di sotto prima che arrivassi tu!”

“Oh.”

“Ci hanno aiutato anche Shoji e Ojiro ieri e non ho capito che fine hanno fatto oggi,” sbuffò Kaminari.

“Non lamentartene, Kaminari,” lo riprese Iida, “Avevano altri impegni. Siamo riusciti comunque quasi a finire quindi coraggio, manca poco!”

Shinsou si morse il labbro inferiore. Così il giorno prima aveva aiutato anche Ojiro.

Si chiese, a quel punto, se lo avesse fatto volontariamente o su insistenza di qualcuno, magari le ragazze, conoscendole.

Avrebbe voluto vederlo anche quel giorno.

“Ah, aspettate. A finire vi aiuto anche io,” esclamò alla fine Shinsou.

Lui avrebbe posizionato il letto dall’altra parte della stanza e soprattutto il televisore da appendere al muro in modo che fosse più comodo da vedere anche da sdraiato a letto, invece loro l’avevano messo in un angolo della scrivania.

Ma andava bene. Si sarebbe abituato a quella nuova disposizione e il televisore poteva spostarlo in un secondo momento.

 

--

 

La prima settimana nella Classe A gli sembrò quasi un sogno.

Era pronto e preparato ma tutto quello che vedeva e sentiva era folle, per i suoi abituali canoni.

Alcune materie nel Dipartimento Generale non le avevano mai studiate, tutta quella brama di diventare capoclasse l’avevano solo lì, anche se poi furono riconfermati Yaoyorozu e Iida. Alla prima lezione di Midnight gli era sembrato quantomeno bizzarro che tutta l’attenzione fosse concentrata sul fatto che dovesse trovare in fretta un nome da Hero anche lui, come avevano fatto gli altri.

Solo che Shinsou non ne aveva idea. Voleva diventare Eroe fin da quando era un bambino, eppure forse perché sapeva di doversi impegnare più degli altri per avere anche solo una piccola speranza di riuscirci, non aveva mai pensato al resto.

Al costume, al nome.

Il costume l’aveva ideato insieme ad Aizawa, quell’estate.

Ma al nome anche Aizawa aveva detto che doveva pensarci da solo, perché lui non era bravo in quelle cose. Non aveva ancora trovato nulla, però.

“Pensaci ancora. Avremmo un’altra lezione tutta su questo per vedere se anche qualcuno di voi vuole cambiare il proprio. Fino all’ingresso del mondo dei professionisti è possibile...ma ricordate che a volte già a questo punto si è troppo famosi per cambiare radicalmente. La cosa non vale per te, Shinsou, ovviamente. Non quest’anno. Quindi pensateci bene!”

Shinsou annuì a quelle parole, tornando a capo chino sul quaderno.

Come avrebbe potuto chiamarsi? Non lo sapeva proprio.

Doveva pensarci bene. Era importante.

Tornò a concentrarsi su quello che gli stava intorno solo quando entrò Aizawa per annunciare che dovevano scendere il palestra per l’allenamento e cambiarsi quindi con la divisa da Hero.

Ecco, quello era un argomento che lo interessava.

Anche perché il suo armadietto era proprio accanto a quello di Ojiro.

E fu proprio a lui che dedicò tutta la sua attenzione, seppur solo con la coda dell’occhio e non visto.

Non poteva evitarlo. Quando aveva lottato contro di lui una settimana prima aveva potuto toccare con mano quei muscoli, e adesso finalmente poteva carezzarli anche con gli occhi.

Le spalle larghe, il trapezio in evidenzia ad ogni minimo movimento, adesso che era a petto nudo, i pettorali che guizzarono verso l’alto quando si allungò per afferrare il sopra della divisa nell’armadietto. Gli addominali, perfettamente levigati. E le mani, anche.

Le sue erano più grandi, e c’era anche chi era più muscoloso, come Shoji, Sato, eppure loro non gli davano le stesse sensazioni.

Dio, non doveva pensarci. Altrimenti non sarebbero bastati i pantaloni per nascondersi.

Non doveva pensarci.

Non pensarci, Hitoshi. Non pensarci.

Era meglio se non guardava neanche, in effetti.

Finì di vestirsi in fretta e raggiunse gli altri in palestra. Non li aspettava nulla di strano, un allenamento come gli altri.

Solo alla fine, quando volente o nolente aveva rinfrescato i bollenti spiriti, si decise ad avvicinarsi a Ojiro, diretti verso lo spogliatoio.

Da che era entrato nella 2-A non gli aveva mai parlato.

“Sai, Monkey Boy, credo di aver scordato il suono della tua voce, dopo tutto questo tempo,” fece, più ironico di quanto avrebbe dovuto, forse, “Non ci siamo neanche salutati, da quando sono arrivato.”

Ojiro, però, gli rispose solo con un’occhiata gelida di cui, a dover essere onesto, Shinsou non lo riteneva neanche in grado.

Aveva un fisico sicuramente sviluppato, Ojiro, ma nonostante quello aveva un viso delicato, seppur dai lineamenti decisi. Quasi dolce, avrebbe detto. E stava bene quando sorrideva, timido o allegro.

Quell’espressione non gli si addiceva.

E a Shinsou non piaceva.

Storse quindi la bocca quando, una volta arrivati, Ojiro gli diede le spalle avviandosi verso le docce senza neanche rispondere.

Ma era ovvio che non avrebbe risposto. Non si aspettava che fosse una cosa rapida. Anzi, tutt’altro. Visto come si era comportato fino a quel momento, era ovvio che per avere la sua fiducia ci sarebbe voluto più tempo che con gli altri.

Ma non gli stava neanche dando la possibilità di provarci, però.

Non era molto cortese, da parte sua. Ma forse poteva capirlo.

Non era neanche la prima volta che gli succedeva. Il suo potere metteva a disagio, a volte soggezione, era sempre stato così.

Per questo non provò neanche ad insistere, quel giorno, finendo di lavarsi e rivestirsi prima di lui e lasciando lo spogliatoio insieme a Kaminari e Kirishima.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


CAPITOLO 4

 

 

 

Al bussare insistente di qualcuno alla porta, Ojiro alla fine decise di andare ad aprire. Era appena uscito dalla doccia, aveva su solo l’asciugamano e i capelli ancora umidi, quindi indossò in fretta e furia almeno un paio di pantaloni della tuta per andare a vedere chi fosse.

Quando aprì, però, si ritrovò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere.

Shinsou.

Da quando era stato ammesso nella sezione A, spostandosi nella stanza accanto a quella di Bakugou, Ojiro aveva sempre cercato di evitarlo il più possibile. E di parlargli.

Non voleva più rischiare di finire invischiato nel suo quirk, non un’altra volta, per questo motivo aveva fatto di tutto per cercare di non dovergli mai parlare. Ai suoi saluti rispondeva sempre e solo con un cenno del capo e nient’altro, giusto per educazione.

Sapeva di essere davvero pessimo, a comportarsi così, che tutti gli altri, persino Bakugou a modo suo –costretto per lo più- e Tokoyami, avevano cercato di instaurare un rapporto col ragazzo e alla fine, a quasi un mese dal suo ingresso, era stato proprio Tokoyami a dirgli che avrebbe potuto dargli una possibilità, che non era male per nulla. Ma non ce la faceva.

Si sentiva a disagio nella sua stessa stanza, non riusciva a essere oggettivo quando si parlava di Shinsou.

Sapeva che se tutti dicevano che era una brava persona, che se persino Aizawa si fidava tanto di lui, allora era ovvio che qualcosa di vero doveva esserci. Eppure lui non ce la faceva.

Era bloccato in un limbo da cui non riusciva ad uscire.

Cadeva da giorni, da mesi, in un vortice nero come la pece e nessuno era riuscito a lanciargli una corda a cui aggrapparsi. E lui non ce la faceva.

Non aveva appigli.

Precipitava incontrollato e disperato.

E quando Shinsou lo guardava, gli sembrava di cadere ancora più in basso.

Lo metteva in soggezione la sua sola presenza.

Si sentiva sempre i suoi occhi addosso, sia in spogliatoio che durante le prove, e non erano sguardi amichevoli. Non li sentiva tali.

Era più come essere guardato da un animale che vuole saltarti addosso.

Ed era un comportamento che si sarebbe aspettato da Bakugou, non certo da Shinsou. Per altro, esserne il soggetto non gli piaceva.

Non gli piaceva per nulla.

E anche in quel momento si sentiva allo stesso modo. Spalle al muro, anche se metaforicamente.

E Shinsou era lì, che lo guardava, abbassando gli occhi dal volto al petto seminudo.

“Ti disturbo? Non volevo prenderti dopo la doccia, ti chiedo scusa,” gli disse Shinsou, in tono gentile. In verità, era sempre così che parlava con loro.
Era cortese, anche nella sua aria un po’ spavalda si vedeva che a volte si sentiva lui stesso in soggezione, forse per il fatto di aver appena cambiato classe, di essere passato al Dipartimento Eroi.

L’arroganza la teneva solo per le risposte ironiche, perché i piedi in testa Shinsou non se li faceva mettere.

Eppure, nonostante questo, nonostante paresse evidente che fosse andato lì con le migliori intenzioni, Ojiro non aprì bocca.

Lo sapeva che così era lui quello a fare la peggior figura di tutti, come non fosse in grado di accettare un nuovo compagno di classe, come se se ne sentisse minacciato.

Ma non era così.

Non del tutto. Solo che non riusciva a fidarsi come gli altri.

Non ce la faceva. Era più forte di lui.

Fidarsi di quel potere per lui era...impossibile.

Forse se il suo quirk fosse stato un altro, forse se non glielo avesse usato contro...ma l’aveva fatto. E questo non poteva essere cambiato, ormai.

Non poteva fidarsi di qualcuno con quel potere.

Anche se Shinsou sembrava una brava persona, a detta degli altri.

Non ce la faceva.

Non ancora, per lo meno. Non se anche Shinsou continuava così.

“Okay, ho afferrato. Non parlerai con me. Sono qui proprio per questo...Ojiro-kun,” continuò Shinsou, facendogli cenno col capo di entrare.

Ojiro annuì appena, scostandosi dalla porta quasi si fosse sentito attaccato e si fosse spostato per difendersi. Troppo di fretta. Ma l’aveva fatto solo perché era già stato maleducato a non rispondergli, non voleva anche tenerlo sulla porta.

Gli indicò il tavolino basso al centro della sua piccola stanza, e Shinsou si accomodò subito sul pavimento. Ojiro lo imitò, tornando ad asciugarsi i capelli con l’asciugamano di spugna.

“Mi fai entrare, ma non ti fidi di me abbastanza da parlarmi?” lo schernì quindi l’altro in tono ironico, guardandosi intorno quasi con distrazione.

Ojiro rispose assottigliando gli occhi, la coda virò a destra e a sinistra con lentezza, ma tesa. In allerta.

“Certo, giusto. Finché non mi parli sei lucido e puoi atterrarmi facilmente. Non è così? Non ti facevo un tipo così sospettoso, Ojiro-kun. Sono venuto qui con tutte le buone intenzioni del mondo, credimi. Non sono qui per fare amicizia, l’ho detto e lo ripeto...” iniziò quindi, parlando a raffica ben sapendo che l’altro non l’avrebbe interrotto. “Ciononostante, visto che siamo in classe insieme il fatto che tu ti ostini in questo modo a non parlarmi potrebbe essere un problema. Ho promesso che non avrei usato il mio quirk su di voi. Quindi, perché dovrebbe essere diverso con te?”

Ojiro aprì la bocca come per parlare, ma la richiuse prima di emettere un suono e abbassò gli occhi.

Non sapeva perché avrebbe dovuto essere diverso, come diceva, eppure aveva sempre la sensazione che Shinsou con lui si comportasse in modo differente rispetto agli altri. Lo guardava in modo diverso.

E lui non era paranoico, non lo era mai stato.

Era proprio questo che lo agitava.

Shinsou schioccò la lingua, evidentemente sul punto di innervosirsi davvero.

Aveva ragione, parlare da solo in quel modo era snervante, eppure...

“Quindi avevo ragione, tutto sommato, su di te...parli tanto di orgoglio, di fare la cosa giusta, fai finta di essere una persona cortese con tutti, ma poi quando vengo qui a porgerti la mano mi sputi addosso.”

Ojiro digrignò i denti.

Poteva afferrare un quaderno e cercare di spiegarsi, scrivendo, ma che senso aveva? Doveva dirgli comunque che lo metteva a disagio, che non si fidava.

Avrebbe dovuto ammettere di sentirsi nudo, davanti a lui. Fragile. Spaventato.

E non gli piaceva neanche un po’, l’idea.

Shinsou aveva ragione, ma se voleva davvero che la afferrasse, quella mano metaforica che era venuto a porgergli, allora avrebbe dovuto essere lui il primo a cambiare atteggiamento nei suoi confronti.

Guardarlo come guardava gli altri.

Si, era colpa di Shinsou.

Shinsou batté la mani sul tavolino, facendolo sobbalzare e alzare il capo.

Lo stava di nuovo guardando in quel modo. Come poteva fidarsi di lui e dargli corda, se lo guardava costantemente così?

“Cosa, Monkey Boy, ti da fastidio quello che dico ma non hai fegato di dirmelo in faccia?” lo istigò ancora, alzandosi subito dopo, “Immagino che sia inutile parlare con te. Per quanto evoluto, resti comunque uno scimmione.”

Lo scatto fu improvviso, repentino.

Ancora senza dire nulla, Ojiro lo afferrò per la camicia della divisa e lo sbatté al muro.

Certo, Shinsou era più alto di lui di quasi dieci centimetri, ma Ojiro non aveva problemi a tenerlo inchiodato al muro, guardandolo in cagnesco.

Ma ancora in silenzio.

“Rode, scimmione? Vuoi prendermi a pugni, adesso? Credi di aver ragione, magari?”

Ojiro aprì di nuovo bocca, ma morse solo l’aria, richiudendola all’istante.

Shinsou ghignò. C’era quasi, lo vedeva chiaramente.

“Dai, picchiami. Coraggio, Monkey Boy, o non hai neanche il coraggio di menare le mani, oltre ad avere paura anche solo a rivolgermi la parola?!”

Ojiro ripeté il gesto, sbattendolo di nuovo al muro con rabbia, “Smettila di chiamarmi così!” si decise a ribattere alla fine.

Aveva pensato di mantenere la calma fino alla fine, di non parlargli e basta, di fargli capire che se ne doveva andare e basta.

Ma non ce la faceva.

Quelle cose non le sopportava, anche se era lui ad essere in torto.

“Non ho paura di te, chiaro? Non voglio avere niente a che fare con te e basta. E adesso sparisci.”

“Tutto qui? E’ tutto quello che hai da dire?”

Ojiro deglutì, allentando la presa, “Senti...mi dispiace. Forse sono stato scortese, ma...” scrollò le spalle, “Lasciami in pace e basta, no? Tanto non sei qui per fare amicizia, lo ripeti di continuo, e allora...-”

“Vuoi sapere perché sono venuto qui, oggi?” sbottò di punto in bianco Shinsou, interrompendolo. Tanto, il discorso che stava facendo non aveva senso, lo sentiva già.

E finalmente gli aveva risposto.

Attivato il Brainwash, si fece lasciare  e si scrollò la camicia per rimettersi a posto.

Vatti a sedere, scimmione,” ordinò.

Ojiro eseguì.

Avrebbe potuto dirgli il vero motivo per il quale era venuto, in effetti, prima di attivare il quirk, ma non lo avrebbe ascoltato. Era stato cocciuto tutto il tempo.

Aveva dovuto farsi quasi prendere a pugni per spingerlo a parlare.

Era davvero venuto lì con tutte le buone intenzione, ma quando si era visto trattare in quel modo, aveva perso la testa anche lui.

Non gli aveva fatto nulla, era certo di non avergli fatto niente. Okay, forse durante il Festival Sportivo era stato meschino, ma che altro modo aveva? A modo suo lo aveva ringraziato per averlo fatto arrivare fra i primi sedici ed era vero che non gli aveva chiesto scusa, ma lui non credeva di aver sbagliato. Quindi, perché avrebbe dovuto?

Ma ad ogni modo, adesso stava cercando di soprassedere a tutto quello, stava cercando di avere un rapporto normale con tutti loro.

E lui, invece, lo trattava così.

Anzi, non lo trattava affatto.

Non gli parlava neanche per salutarlo alla mattina. Si era chiesto in più occasioni se avrebbe accettato di parlargli almeno in caso di obbligo, magari durante un allenamento.

Aveva provato a non forzarlo, a guardarlo a distanza senza sembrare eccessivo, perché aveva capito che Ojiro, come tanti altri prima, era a disagio con il suo potere. Ma nel suo piccolo ci teneva ad avere un rapporto con lui.

Era diventato un’ossessione, dopo il loro scontro durante il test del primo giorno.

Lo guardava, lo cercava, e non poter neanche salutarlo lo innervosiva.

Così aveva deciso di fare qualcosa. Subito.

Ma il modo in cui Ojiro lo aveva trattato gli aveva fatto perdere il senno.

Evidentemente l’aveva giudicato troppo bene, il ragazzo.

Era bello, sì. Fisicamente lo attraeva.

Ma era ovvio che il carattere che aveva trovato così eccitante durante il Festival Sportivo era solo un bluff. Era solo un intollerante idiota.

Nient’altro.

E non si meritava nient’altro che quello.

Perché per quanto fosse uno stronzo, fisicamente lo attirava ancora. E non sarebbe riuscito a toglierselo dalla testa se prima non avesse realizzato quei sogni decisamente poco casti che ormai faceva quasi ogni notte.

“Sei stato uno stupido, Monkey boy,” mormorò mentre chiudeva la porta della camera a chiave, “Evidentemente sei meno intelligente di quello che credevo. Un gran peccato. Spogliati.”

Non aveva molto addosso, ma fece subito come gli aveva ordinato.

Sarebbe stato più soddisfacente farlo lui, ma lo sarebbe stato se Ojiro fosse stato sveglio e vigile. E invece non lo era.

Lasciò cadere i pantaloni, che scalciò via, e poi ripeté il gesto anche con i boxer, rimanendo completamente nudo davanti a lui.

In quello stato, una cosa valeva l’altra. Non ci sarebbe mai stato lo stesso gusto.

Shinsou deglutì, avvicinandosi abbastanza da poterlo toccare.

Fece scorrere una mano lungo i pettorali, l’addome scolpito, per un attimo tornò su, verso le spalle larghe e muscolose, le braccia, sfiorò il palmo della mano quasi come si aspettasse che Ojiro la stringesse.

Ma ovviamente non lo fece.

Quindi tornò ad accarezzarlo in maniera diversa, decisamente più spinta. In quello stato non avrebbe mai avuto un’erezione, perché semplicemente non percepiva nulla, quindi non perse neanche tempo a stuzzicarlo. Portò invece entrambe le mani sui glutei, tondi e sodi, passando due dita nel solco fino alla sua apertura.

Ma non osò.

Non così.

E poi, si sarebbe svegliato all’istante, perché gli avrebbe fatto male. Quello lo sapeva anche lui.

Non era realmente suo intento farlo soffrire, anche se un po’ se lo sarebbe meritato.

Ma non era lì per torturarlo. Era un eroe, era quello che voleva diventare, non certo un villan. Un villan avrebbe approfittato di Ojiro in quel modo, non lui. Lui no.

Però non voleva neanche andarsene a mani vuote. Ojiro aveva un corpo mozzafiato, per quanto lo riguardava, e già solo guardarlo più intimamente di come riusciva in spogliatoio non gli sembrava niente male.

Eppure...

Afferrò un lenzuolo e la cravatta della divisa, legando col primo entrambe le mani dietro la schiena, ben strette, e poi ancorando entrambe per bene alla coda di modo che non avrebbe potuto usarla, se si fosse per caso risvegliato. Non senza farsi male. Con la cravatta, invece, serrò le caviglie fra loro e poi l’estremità ai piedi del letto in modo che fosse completamente alla sua mercè.

Lo aveva fatto sdraiare di lato, a terra, per poterlo fare, e gli si sedette quindi accanto.

Era una follia.

Prendendo il controllo aveva perso fin dall’inizio ogni possibilità di guadagnarsi anche un po’ della sua fiducia e magari amicizia, anche col tempo, tanto tempo.

Spogliarlo e poi legarlo come se volesse approfittarsi di lui aveva segnato la fine di tutto.

Ma lui ci aveva provato.

Davvero ci aveva provato, con caparbietà e il più gentilmente possibile.

Solo che quel tipo era davvero uno scimmione stupido, e lui era così dannatamente deluso!

A che serviva avere tante attenzione. Non se le meritava.

Si piegò a baciarlo, sdraiandosi accanto a lui e tastandogli di nuovo il corpo a piene mani. Quei muscoli quasi troppo pieni per essere quelli di un ragazzo che non aveva ancora compiuto neanche diciassette anni.

Le labbra di Ojiro erano morbide, e forse perché veniva adesso dalla doccia erano anche profumate. Lui profumava.

Così, d’istinto, scese.

Baciò il collo, il petto, mentre si allentava la cinta dei pantaloni per liberarsi. Ojiro non poteva, ma lui sì. Intrecciò le gambe con quelle ben legate dell’altro, facendo in modo che i loro sessi si incontrassero.

Ma non era la stessa cosa. Non riusciva neanche lui a provare del tutto piacere.

Così era come farlo con una bambola e lui...non ci stava. Voleva vederlo eretto, quel pene.

Per questo gli morse un capezzolo, abbastanza forte da fargli male e sciogliere il brainwash. Era una follia, ma tanto non poteva attaccarlo.

Ojiro si riprese con un sobbalzo, e ci mise giusto un attimo a capire dove fosse, come e...con chi.

“Che...che cosa...?” provò a muovere la coda per colpirlo, ma il movimento violento gli causò solo un gran male alle spalle, tirate indietro con forza. E solo allora si accorse di essere completamente immobilizzato, e nudo, con Shinsou davanti a lui.

Anche se non poteva guardarlo in volto perché aveva il capo chinato verso il suo petto.

Ebbe un fremito, si tirò indietro come poteva, ma era difficile.

“Che cosa stai facendo?” urlò, e provò ad usare almeno le gambe, per tirargli una ginocchiata, ma anche quelle erano bloccate.

Maledizione.

Shinsou si tirò su piano, lo guardò negli occhi.

Non poté che sgranare i suoi violetti quando vide quelli di Ojiro larghi e lucidi, le spalle strette fra loro come unica fonte di protezione. Inutile.

Aveva paura.

Era terrorizzato da lui. Tremava, quasi.

“Ancora niente.”

“E cosa...che diavolo hai in testa?” la voce tremò inevitabile. Ah, l’orgoglio c’era davvero, quello non era stata una bugia. Così forte da superare anche il terrore che provava adesso.

“Io...” Shinsou deglutì. Già, che aveva in mente? Niente di sano o logico. “Io ero venuto qui per cercare di avere un qualche rapporto con te, Monkey boy, per convincerti che non sono...che almeno potresti salutarmi, la mattina, visto che fai tanto il bravo ragazzo e poi sei il peggiore di tutti.”

“Io sono il peggiore di tutti? Io...Non provare a toccarmi!”

“Perché, altrimenti che mi fai? Non puoi muoverti,” lo schernì, e all’espressione dell’altro provò compassione.
E ribrezzo per se stesso.

“Forse ho finito per perdere il controllo.”

“Vattene via. Vattene via, Shinsou!”

“E se non volessi comunque?”

Ojiro ispirò bruscamente, quando tornò a toccarlo intimamente Shinsou lo sentì chiaro, quel singhiozzò che gli sfuggì nonostante le labbra strette e i denti serrati.

Continuava a dirsi che forse era ancora vagamente in tempo per fermarsi, adesso o mai più. Continuava a ripeterselo ancora e ancora, Shinsou.

Ma il suo corpo non gli dava retta.

E volle provare quello che aveva già fatto. Non sulle labbra, lì non rischiò.

Ojiro l’avrebbe morso, o gli avrebbe dato una testata.

Scese però a carezzarlo fra le gambe, a baciargli il petto ben fuori dalla sua portata di bocca.

Le orecchie tese verso i suoni che emetteva, involontariamente, per quanto si sforzasse di evitarlo.

Shi...Shinsou...”

Oh, sì. Avrebbe voluto davvero che lo chiamasse così, ma preda del piacere e non...della paura.

Stava facendo una cazzata. La più grande della sua vita.

Poteva rovinargliela, con quello, la vita, in effetti.

Vederlo lì, forzatamente abbandonato sul pavimento, legato, e stavolta vedendo quell’unica scia salata a bagnargli il mento, lo capì una volta per tutte.

“Per favore...no...”

Teneva gli occhi chiusi, le labbra sanguinavano tanto se le era morse. Non poteva neanche nascondere il volto, lì a terra, era in sua balia anche in quello, nudo in tutti i sensi.

Senza scampo, senza vie d’uscita.

E tremava, cercando di stringere le gambe per nascondersi, per quel poco o nulla che poteva.

Shinsou fremette, terrorizzato da se stesso.

“Non lo dirò ad Aizawa, ti parlerò in classe se vuoi, però...per favore...”

Shinsou deglutì per l’ennesima volta, al suono di quella vocina spezzata.

“Non avrei...non volevo...”

“...Ti prego...”

E lì si fermò, Shinsou.

Aveva pensato, per un attimo, di vedere se riusciva a dargli piacere a sua volta, anche così. Se poteva cambiare idea.

Ma davanti a quello non poteva più. Non poteva continuare.

Cos’aveva fatto? Cosa aveva pensato di fare anche solo per un secondo?

Si alzò, avvicinandosi alla cartella e frugandoci dentro fino a trovare un paio di forbici che passò a Ojiro, mettendogliele in mano. Ci mise un po’, a fargliele prendere, approfittando del gesto per stringergli le mani fra entrambe le sue.

“Per liberarti, Ojiro, non voglio farti niente. Te lo giuro,” gli spiegò, e la voce tremava anche a lui, adesso.

Stupido.

Che eroe voleva diventare? Ridicolo.

Era davvero solo un villan e niente più.

“Non ti posso liberare io, mi ammazzeresti. E avresti ragione,” sospirò, prima di dargli un bacio leggero sulla fronte.

Ma Ojiro si tirò indietro anche da quello, e come dargli torto.

Quando si alzò, e lo guardò un’ultima volta, anche Ojiro lo fissava.

Con rabbia, follia, delusione.

“Era...” deglutì per l’ennesima volta, asciugandosi i palmi delle mani sui pantaloni, “Era solo un gioco, non ti volevo fare niente. Sogni d’oro, Monkey Boy.”

 

Non si stupì di non vederlo in mensa a cena, quella sera, né a colazione la mattina dopo.

In classe, aveva una pessima cera mentre parlava con Takoyami che gli chiedeva se si sentiva bene.

Ma nessuno lo guardò strano, quando entrò, quindi non aveva detto niente a nessuno.

Se l’era davvero tenuto per sé.

“Buongiorno, Shinsou.”

Sgranò gli occhi, a quel saluto, fermandosi come una statua di sale all’ingresso dell’aula.

Lo aveva salutato. Davvero? Anche adesso che era libero di muoversi, di saltargli addosso ed ucciderlo?

Dio, che aveva fatto?

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


CAPITOLO 5

 

 

 

Shinsou non riusciva a smettere di guardare alla sua destra, dove gli sedeva Ojiro.

Sembrava così normale da mettere inquietudine, visto che lui sapeva la verità. Se ne stava lì, chino sul quaderno a prendere appunti. Avrebbe voluto sapere che cosa stesse scrivendo: era davvero in grado di concentrarsi così tanto da prendere ottimi appunti? Era solo lui quello che non riusciva a concentrarsi dopo quello che era successo?

E pensare che non era neanche lui la vittima.

Dio, cosa aveva fatto.

Forse poteva ancora avvicinarsi e scusarsi. Forse poteva ancora risollevarsi davanti a lui. Forse se si fosse prostrato ai suoi piedi...

No. No, era assurdo. Era imperdonabile quello che aveva fatto.

Perché Ojiro non lo aveva denunciato ai professori? Davvero, non riusciva a capirlo. Che aveva in testa?

Poteva vendicarsi e rovinarlo, se lo sarebbe meritato.

Lui l’avrebbe fatto, diamine. Perché Ojiro no?

L’aveva di nuovo giudicato male. Il fare la cosa giusta a tutti i costi, l’orgoglio...non erano una bugia, li aveva davvero. Non era uno scimmione. Uno scimmione l’avrebbe preso a pugni sul serio, l’avrebbe disintegrato, e se lo sarebbe meritato.

Ma Ojiro no.

Anche così, anche ferito e umiliato, forse proprio perché ferito e umiliato, era lì per fare la cosa giusta.

Ma era quella la cosa giusta? Lasciarlo impunito?

Lui non credeva. Anche se avesse capito, con una freddezza che non sapeva dove aveva trovato, che Shinsou non voleva farlo...quello che era successo era mostruoso.

Il cuore gli diede una scossa, per un attimo ebbe la sensazione di poter lasciarci le penne proprio lì, in quel momento.

Ojiro era davvero un’anima candida come aveva pensato durante il Festival Sportivo, il suo comportamento la sera prima nella sua stanza era dovuto, probabilmente, al timore per il suo quirk come aveva creduto all’inizio. Come aveva potuto permettere alla rabbia di prendere il sopravvento e fare quello che aveva fatto?

Dio mio, Ojiro.

Come poteva fare ammenda?

C’era un modo?

Forse no. Non era perdonabile. Nemmeno in tutta la vita avrebbe potuto.

Era un mostro. Un villan non sarebbe stato così crudele.

Meritava l’espulsione immediata. Nemmeno morendo avrebbe potuto farsi perdonare.

Sobbalzò quando Midnight sbatté il libro sul quale stava spiegando sul suo banco, “Sei con noi, oggi, Shinsou?”

Shinsou deglutì, annuendo subito dopo, “Sì. Certo che sì.”

“Allora non è un problema riassumermi quello che ho detto fino ad ora, giusto?”

“Ehm...” gli venne istintivo voltare gli occhi verso Ojiro, ma era l’unico che non lo stava guardando. Stava fermo adesso, ma gli occhi erano ancora fissi sul quaderno. Anche se non sembrava stesse davvero guardando o ascoltando.

Era perso. Chissà dove.

“Mi scusi. No, è vero. Non stavo ascoltando.”

Non gli importava una punizione o una sfuriata. Quello che lo preoccupata era Ojiro. Ma Midnight era concentrata solo su lui e non lo vedeva nemmeno, il modo in cui fissava il quaderno e stringeva la penna.

Eppure era ovvio che non stesse bene. Ma nessuno aveva occhio, in quella classe?

Lui non poteva dirgli niente. Non poteva azzardarsi a provare a parlargli.

Neanche Kaminari che stava sempre a disturbarlo aveva l’accortezza di notare che aveva una pessima cera?

“E fai più attenzione. Se mi ritroverò a sgridarti di nuovo, stavolta ti beccherai una punizione, intesi?”

“Sì, professoressa.”

Sospirò, finalmente libero, e questa volta si decise a sforzarsi quantomeno di far finta di seguire e prendere appunti. Ma continuava a fissare il compagno di banco con la coda dell’occhio.

Non poteva farne a meno.

Quando la campanella suonò e Midnight lasciò la classe, non fu Midoriya l’unico ad avvicinarsi per chiedergli se stava bene, che gli era preso.

E Shinsou ebbe davvero la tentazione di alzarsi e gridarlo ai quattro venti. Che, diamine, non era a lui che dovevano chiedere come stesse.

“Sì, sì, sto bene!” esclamò dopo un po’, esasperato.

Era circondato e non riusciva più a vedere Ojiro, ancora fermo al suo posto.

“Beh, calmati però eh!” sbottò anche Kaminari, “Nervosetto oggi?”

“Eh, beh...chissà perché era così distratto. Magari stava guardando altro!” insinuò Mineta, ridacchiando e cercando, invano, di dargli una gomitata.

Shinsou digrignò i denti, infastidito.

Era la prima volta che si sentiva così da quando era in quella classe, ma non ci poteva fare niente.

Aveva altre cose a cui pensare, di cui preoccuparsi.

Non quelle sciocchezze.

“Possibile che tu pensi sempre male, Mineta?” alzò gli occhi al cielo Jirou, che era rimasta al suo posto ma si era altrettanto interessata.

“Eppure quelle occhiaie da qualcosa devono pur derivare!”

“Shinsou non mi sembra proprio il tipo!” ribatté Uraraka, già quasi in imbarazzo al solo pensiero di quelle che erano le insinuazioni perverse di Mineta.

Che stava già per ribattere, quando Ojiro fece strusciare volutamente e fastidiosamente la sedia a terra, scostandola per alzarsi.

“Scusate. Non starete esagerando? E poi fra un po’ arriverà Aizawa per la lezione...”

“E’ vero,” mormorò Midoriya, “Scusa, non volevamo disturbare anche te stando tutti intorno a Shinsou, Ojiro-kun.”

“Non fa niente...”

“Oh, ma che è stamattina? C’era acidità pura nel pesce, a colazione?” esclamò anche Kaminari, sgranando appena gli occhi.

“Ma Ojiro ha ragione,” fece anche Iida, “Non è giusto disturbare i compagni che magari stanno cercando di studiare!”

“Sì ma tranquilli, eh, Aizawa non è ancora arrivato!” continuò Kaminari, e stavolta si sporse verso il biondo compagno con la coda, portandogli un braccio intorno alle spalle e l’altro, come sempre, gli afferrò la coda.

Ojiro irrigidì appena le spalle, ma nonostante ci fosse poggiato contro Kaminari sembrò non notarlo neanche, a differenza di Shinsou.

Non riuscì a non impallidire a sua volta, abbassando il capo verso le mani di Ojiro. Aveva ancora la penna in mano e per un attimo temette il peggio per Kaminari. Ma la vide solo tremare.

Hey, amico, tutto bene? Sei impallidito...” Shinsou sobbalzò di nuovo alla domanda di Kirishima, sforzandosi di voltarsi verso l’altro.

“Sì, io...sì, sto benissimo, quante volte devo dirvelo? E’ tutto okay!” sbottò con una certa fretta, “Lasciatemi in pace. E’ tutto apposto. Diglielo anche tu, capoclasse, che è meglio farsi trovare seduti quando arriverà Aizawa.”

Iida, colto di sorpresa, per un istante rimase silenzioso ad osservarlo, “Ah, beh, sì in effetti...”

“Togli quel braccio...”

“Eh?” Kaminari si sporse verso Ojiro, che aveva appena sussurrato quella frase e non era sicuro di essere riuscito a coglierlo del tutto. “Ma lo vedete che siete tutti nervosi stamattina, voi due? Tu non c’eri nemmeno a colazione, non posso neanche dare la colpa a quello adesso che ci penso! Dai, pomeriggio venite con me, Kirishima e Sero, andiamo a rilassarci un po’ e...-“

“Togli il braccio,” ripeté Ojiro, il tono più acuto e tremolante al tempo stesso.

Kami, lascialo in pace, dai,” mormorò Kirishima, ma senza avvicinarsi. L’aveva notato anche lui, stavolta, che Ojiro aveva qualcosa che non andava.

E anche Kaminari, che mollò in fretta e furia la presa. Almeno in un primo momento.

“Magari non è giornata, oggi, no?”

“Sì ma che cavolo, vi siete messi d’accordo oggi tu e Shinsou? Siete uno peggio dell’altro.”

“A volte capita che la gente non ti voglia fra i piedi, Kaminari: sei pesante,” fece sapere Jirou, con il chiaro intento di schernirlo.

Kaminari, in risposta, mise il broncio e si voltò verso Ojiro, riafferrandogli di nuovo la coda. Quasi come se fosse un oggetto a se stante e non una parte del corpo di Ojiro.

“Che crudele, Jirou! Non ho fatto niente di pesante e antipatico, oggi! Sono solo preoccupato per i miei amici, non è essere pesanti!” borbottò.

“Sì ma Kami...”

“Cosa? Che c’è ancora?”

Non riuscì neanche a finire la frase, che la coda di Ojiro sfilò dalle sue mani, finendo invece per colpirlo dritto al volto.

Kaminari perse inevitabilmente l’equilibrio, e Kirishima riuscì a prenderlo al volo per un soffio prima che finisse a terra.

Hey, ma che...”

“Ho detto di smetterla!” urlò Ojiro, il fiato corto e le mani che tremavano, “Smettila di toccarmi, maledizione, sme...smettila...”

Shinsou lo fissava ancora a bocca aperta, ormai senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso, e fu il primo a notare il cedimento di Ojiro dopo quella sfuriata dettata da...dal panico.

Aveva gli occhi spiritati e sgranati di qualcuno in pieno attacco di panico, nonostante Kaminari gli avesse fatto quello che faceva praticamente ogni giorno, giocando con la sua coda.

“Ma Ojiro...”

“Ojiro, ma stai...bene?”

Ojiro si ritirò anche dal gesto cortese di Midoriya, e non poté che essere grato al rumore della porta dell’aula che si apriva.

“Che sta succedendo qui?”

La voce di AIzawa fu perentoria come sempre. Nessuno rispose, ma Ojiro sgusciò via in un lampo, lasciando l’aula.

Aizawa non lo fermò.

Aveva visto abbastanza da sapere che se lo avesse fermato o toccato avrebbe rischiato un vero e proprio attacco di panico.

Solo, non capiva perché.

“Andate tutti ai vostri posti. Ora!”

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


CAPITOLO 6

 

 

 

Già pentito di essere sfuggito via da davanti al professor Aizawa in quel modo, l’unica cosa di cui si ritenne fortunato durante il percorso che lo aveva condotto al bagno fu di non aver incontrato nessuno.

Gli studenti erano tutti nelle loro aule, ognuno a seguire la propria lezione.

Quindi nessuno lo guardò storto per la sua presenza nel bel mezzo del corridoio durante la terza ora di lezione di una giornata che già da principio a lui era parsa infinita.

Ed erano solo le dieci.

Ma quella notte non aveva dormito neanche per un istante, non era riuscito a chiudere occhio. E come poteva? Ogni volta che lo faceva si ritrovava legato a terra, con le mani di Shinsou addosso. Nudo.

Mani che tramavano come se avessero rimorso di quello che stavano facendo, certo, ma che comunque lo toccavano senza il suo permesso. Che lo avevano spogliato senza il suo permesso.

Come altre mani, di tanti anni prima. Loro non tremavano, mentre gli facevano del male, ma sapeva che non volevano.

E per un lungo, infinito attimo era stato davvero colto dal panico più puro. Forse per il senso di impotenza che l’essere legato in balia di un altro gli aveva dato. Forse perché gli aveva ricordato qualcosa che sperava di aver rimosso. Forse perché aveva davvero pensato, temuto, che Shinsou volesse arrivare fino in fondo.

Gli aveva detto di no ma cosa gli diceva il contrario? Come poteva saperlo?

Lo toccava. Intimamente. Lo baciava. E toccava se stesso.

Per lui anche solo quello era troppo.

Come aveva potuto?

Se chiudeva gli occhi, ancora adesso si vedeva così. E rivedeva gli occhi di Shinsou, anche.

Occhi strani, comunque. Occhi che non appartenevano a qualcuno che voleva fare davvero del male, eppure l’aveva fatto.

Gli ricordarono altri occhi. Neri, profondi. Vuoti. Spaventosi.

Per lui, quello era stato troppo. Come poteva reggerlo? Come poteva dimenticarlo?

Aveva provato a...e non importava se anche Shinsou per un attimo era parso terrorizzato, no. Lo aveva fatto comunque.

E lui...non aveva potuto fermarlo.

E adesso non aveva neanche il coraggio di andare da Aizawa a dirgli che il suo pupillo era un maniaco, che non meritava niente di tutto quello. Che era un folle, e lui voleva giustizia.

Ma questo l’avrebbe portato solo a farlo espellere e lui non era certo che lo volesse. Cacciarlo per sempre.

Shinsou, in fondo...lui era parso quasi in condizioni peggiori delle sue, quella mattina.

Per questo l’aveva salutato. E perché glielo aveva detto.

Pur di tenerselo lontano, almeno un po’. Anche se gli sedeva accanto.

Ma se lo salutava non aveva più scuse per andargli a parlare.

Voleva ignorarlo, e sperava che Shinsou avrebbe ignorato lui. E anche se lo guardava di tanto in tanto, pareva più preoccupato che malintenzionato e allora era riuscito a fingere che non ci fosse.

Si era dovuto concentrare, isolare del tutto da tutto, se non per la voce di Midnight, l’unica cosa che voleva sentire.

Poi era arrivato Mineta, con le sue stupide battute. E insinuazioni sessuali su Shinsou. Proprio lì, accanto a lui.

E per un attimo gli era salito il sangue alla testa. Voleva solo allontanarli, via, lontano da lui, tutti.

Voleva bene ai suoi compagni, ma non quel giorno. Quel giorno non voleva neanche toccarli, vederli, sentirli. Per questo Kaminari gli aveva dato fastidio.

Non sapeva neanche dire cosa gli fosse preso, quando Kaminari l’aveva toccato.

E da lì quasi non ricordava niente, se non i corridoi deserti e poi il bagno, in cui era entrato di corsa per poi piegarsi su uno dei gabinetti e vomitare. Anche se a conti fatti non aveva niente nello stomaco, perché non mangiava dal giorno prima a pranzo.

Ma aveva un groppo in gola, lo stomaco sottosopra così stretto da fare male e dare delle fitte tremende, e continuò a sputare e vomitare saliva e bile finché le gambe non gli cedettero. A quel punto si sedette a terra, pulendosi la bocca con il dorso della mano.

Almeno nell’attesa di riuscire ad arrivare al lavabo.

“Tutto okay?”

Sobbalzò sentendo la voce di Tetsutetsu della seconda B, inginocchiato accanto a lui, una bottiglietta d’acqua aperta in mano.

“Scusa. Ho provato a parlarti prima ma non mi hai nemmeno sentito, quindi ti sono andato a prendere dell’acqua dalle macchinette al primo piano. E’ nuova, tieni.”

Buttando giù il nodo che aveva ancora in gola Ojiro si sforzò di prendere la bottiglia e berne qualche sorso. L’acqua lungo la gola arida e ferita faceva quasi male, regalando un lieve sollievo solo in un secondo momento.

“Ti ringrazio.”

“Ma figurati! Anche io mi sono svegliato con lo stomaco sottosopra stamattina, chissà che non sia stato il dolce di ieri sera a cena! E non fare battute sullo stomaco di ferro!”

Ojiro scosse la testa, sforzandosi di abbozzare un sorriso, “Quanto ti devo?”

“Ma niente, figurati. Però penso tu debba andare in infermeria. Hai una pessima cera...Ojiro, giusto?”

“Giusto. Ma...non sto così male.”

“Non ti crede nessuno. Pare che tu stia per svenire. Vuoi che chiami Recovery Girl?”

“No, no. Non serve.”

“Allora Aizawa. Mi spiace, amico, ma non me ne torno in classe lasciandoti moribondo nel bagno.”

Il senso di giustizia di Tetstutetsu era pari solo a quello di Kirishima, e questo lo sapevano tutti ormai. Era gentile con tutti e anche se sembrava un idiota invasato in verità era solo un bravo ragazzo troppo ingenuo. Avrebbe fatto davvero quello che aveva appena detto, al costo di prenderlo di peso. E Ojiro pesava, ma Tetsutetsu era forte, quindi ce l’avrebbe anche fatta.

Peccato che Ojiro fosse ancora dell’idea di non voler essere toccato.

Gli metteva i brividi solo a pensarci.

Qualsiasi tocco gli riportava in mente la sera prima, con Shinsou però. E non riusciva a sopportarlo.
Stava male solo all’idea.

Per questo si alzò da solo, appoggiandosi al muro.

“Vado io in infermeria. Non ti preoccupare...sei stato gentile, Tetsutetsu, ti ringrazio.”

“Va bene, mi sembra una buona idea. Dai, ti accompagno.”

“No, non serve. Davvero.”

“E se ti senti male in corridoio?”

“Ma...” Ojiro sospirò, “Okay,” cedette infine. Perché se era anche solo un po’ come Kirishima, come aveva intuito, l’avrebbe comunque seguito.

E quindi era inutile stare a discutere.

Tetsutetsu, comunque, ebbe l’accortezza di non toccarlo a forza, visto che Ojiro riusciva a camminare più o meno bene da solo. A volte traballava un po’, e lì Tetsutetsu lo aiutava a restare in piedi, ma non era mai troppo invasivo.

Più educato di quanto Ojiro avrebbe mai pensato, sapeva tenere le mani al suo posto, forse consapevole che a Ojiro avrebbe potuto dar fastidio.

Bussò comunque Tetsutetsu alla porta dell’infermeria, affacciandosi per primo quando la vecchia Chiyo diede loro il permesso di entrare.

“Buongiorno. Ho accompagnato uno della sezione A. L’ho trovato in bagno che non stava tanto bene,” spiegò.

Recovery scese quindi dalla sedia, squadrò Ojiro dalla testa ai piedi e poi gli fece cenno verso uno dei lettini liberi.

“Stenditi lì, ragazzo. Grazie a te, caro, sei stato davvero utile! Torna in classe ora.”

“Subito. Stammi bene, Ojiro.”

“Grazie, Tetsutetsu. Ti devo un favore.”

Tetsutetsu gli fece appena un cenno con la mano, chiudendosi subito dopo la porta alle spalle. Chiyo aspettò appena un attimo, prima di avvicinarsi ad Ojiro e porgergli un bicchiere stracolmo.

“Bevi questo. Ad occhio direi che tu non abbia niente, fisicamente. Hai bisogno di dormire e di mangiare. Coraggio, riposati un po’. Dirò io ad Aizawa che sei qui e non ti senti bene.”

“Veramente io...”

“Bevi e dormi, Ojiro-kun.”

Mh...” senza possibilità di scelta, Ojiro afferrò il bicchiere e lo tracannò fino all’ultima goccia. Per un attimo ebbe la sensazione che gli stesse per tornare tutto su, e si portò una mano alla bocca. Riescì comunque a deglutire tutto e, alla fine, si stese come gli aveva detto Recovery Girl.

Riuscì a pensare che Recovery Girl dovesse aver messo qualcosa nell’acqua solo un attimo, prima di cedere alla spossatezza ed addormentarsi.

Nella speranza di non sognare nulla di strano.

 

--

 

Aizawa picchiettò sulla lavagna con il gesso, dando le spalle ai ragazzi. Il cellulare gli era vibrato in tasca un secondo prima, e visto che era sempre stato attivo come eroe aveva il permesso di tenerlo acceso e accettare chiamate.

Ma era solo Chiyo che gli diceva di avere raccattato Ojiro e che era lì in infermeria. Bene per loro. Stava giusto pensando di mandare Iida a cercarlo e a costringerlo a tornare in classe per avere la sua sfuriata.

Ma se stava male non occorreva.

Non che l’avrebbe davvero fatto, ovvio. Non così platealmente davanti a tutti.

Non dopo quello che aveva visto.

Ojiro era scattato come una molla quando Kaminari l’aveva toccato, ma era anche vero che Kaminari era pesante più che spesso, quindi poteva aver solo perso la calma per un attimo. Non gli fosse passato accanto approfittando del fatto che entrando aveva distratto i suoi compagni, Aizawa non avrebbe notato quanto gli tremassero le mani e quanto fosse pallido e affannato.

Ma l’aveva notato.

E aveva parlato con Midnight due minuti prima, che gli aveva detto che anche Shinsou non sembrava in grande forma, quel giorno.
E proprio su di lui posò gli occhi, quando finalmente finì di scrivere alla lavagna.

Picchiettava nervoso sul banco, continuava a fissare ad intermittenza il banco vuoto di Ojiro, poi lui e poi di nuovo per finta il quaderno. Finché non si accorse di essere osservato a sua volta, e allora provò a sfuggirgli come poteva.

Ma non poteva sfuggirgli.

A quel punto non riuscì a capire se le due cose fossero collegate o se era effettivamente a Kaminari, che fissava il soffitto con aria annoiata e distratta, che doveva chiedere delucidazioni.

Eppure era stata una reazione eccessiva, ne era certo.

Kaminari, ti stai annoiando?”

“Eh? Ah...no, prof, ascoltavo, eh.”

“Ah sì? Interessante. Kaminari...e Shinsou,” aggiunse all’improvviso, spolverandosi le mani dal gesso residuo. “Qui, alla lavagna. Fatemi risparmiare voce e raccontatemi qualcosa di quello che ho detto la settimana scorsa, forza.”

“Ma...ma la settimana scorsa ci siamo allenati!” esclamò Kaminari, ora dritto sulla sedia.

Shinsou invece lo stava guardando come se cercasse di fargli pietà, o qualcosa di simile. Ma ci voleva ben di più per convincerlo ad aver pietà di loro.

“La settimana è composta da sei giorni di lezione e noi ci vediamo tutti i giorni, Kaminari. Non provare a prendermi per fesso. In piedi, tutti e due. Visto che state facendo finta di ascoltarmi, adesso va a me di ascoltare voi. Per davvero, però.”

Shinsou continuò a tacere, anche sotto gli occhi indagatori di Aizawa. Si era alzato subito, a differenza di Kaminari, ma fissava ancora il quaderno. Sulle pagine bianche, però, poco utile quindi.

Comportamento strano. Sospetto, osava dire.

Kaminari invece era sempre lo stesso, e adesso cercava di abbindolarlo e fargli credere che non era vero che non lo stava ascoltando.

“Non ero disattento, Prof! Stavo solo...solo...solo cercando di capire che avevo fatto per meritarmi quella reazione di Ojiro. L’ha visto, no? Non è nemmeno tornato in classe! Ma non dovrebbe andarlo tipo a cercare? Non è punibile il fatto che stia saltando le lezioni senza permesso?!”

Aizawa spostò appena lo sguardo verso Kaminari, che si sbracciava verso di lui sotto gli occhi esasperati di Jirou e quelli divertiti di Kirishima, poi tornò a guardare Shinsou, mentre parlava.

“Ojiro è uscito perché non si sentiva bene, me l’ha appena confermato la vecchia. E’ in infermeria adesso. Altre scuse, Kaminari?”

“Ah...beh...”

Shinsou, quando aveva spiegato l’assenza di Ojiro, aveva di nuovo sobbalzato, e sgranato gli occhi. Aveva stretto le mani a pugno e poi subito nascoste in tasca. Le sopracciglia si erano arcuate verso il basso e si era morso le labbra.

Come se cercasse di impedirsi di dire qualcosa.

Aah, quei dannati ragazzini. Dovevano sempre fargli spremere le meningi oltre quello che avrebbe voluto fare per degli studenti, e tutto perché non ne combinavano mai una giusta nelle loro inesperte vite.

Solo che c’erano cose a cui non poteva evitare di impicciarsi, anche se avrebbe voluto.

“Tornate a sedervi, tutti e due. Dovrete sgobbare per recuperare questo brutto voto.”

“Cosa? Ci mette un voto?”

“Certo, Kaminari. Eravate interrogati. E ora taci, e ascolta, o questa volta non te la scampi così facilmente. Sono stato chiaro?”

“Sì, professore.”

Ma avrebbe dovuto parlare anche con Shinsou. Forse le cose non erano collegate, non poteva dirlo visto che Ojiro era scattato con Kaminari, ma di certo era sospetto.

 

Aizawa si recò in infermeria appena la campanella liberò gli studenti dalla sua presenza, prendendo inizialmente Chiyo da parte. Ojiro dormiva ancora, nascosto dal paravento bianco che ne mostrava solo la sagoma scura.

“Ho parlato con il ragazzo della sezione B che lo ha accompagnato gentilmente. Non è grave ma ho preferito si riposasse qui.”

“Hai fatto bene Chiyo,” annuì Aizawa, “Cos’ha?”

“Mah, a occhio e croce, vista la cera e quello che mi hanno detto potrebbe aver mangiato qualcosa che lo ha disturbato. Niente di che, gli darò qualcosa per lo stomaco e domani starà già bene.”

Aizawa storse appena la bocca, avvicinandosi al letto e scostando il paravento. L’espressione con cui stava dormendo Ojiro era rilassata e serena, ma Aizawa era anche certo che Chiyo gli avesse dato qualcosa e che non fosse un sonno del tutto naturale.

“Ne dubito, Chiyo.”

“Stai cercando di insinuare che non so fare il mio lavoro o che mi sono persa qualche pezzo?”

“La seconda,” confermò Aizawa, sedendosi davanti alla donna.

Gli spiegò brevemente quello che era successo in classe quella mattina, o per lo meno quello che lui aveva visto.

Chiyo picchiettò con la penna sulla scrivania durante tutto il racconto di Aizawa, fece mente locale su anche quello che aveva visto lei e decise che non era in grado di constatare se era effettivamente qualcosa di grave o meno.

“Hanno litigato?”

“Non ne ho idea. La reazione di entrambi, per come si comportano normalmente, mi è sembrata eccessiva.”

“Non erano tre le parti in causa?”

Kaminari mi è parso solo confuso. Ad ogni modo li terrò d’occhio tutti e tre...mi danno sempre lavoro extra da fare,” sospirò infine.

Recovery Girl sogghignò divertita a quella lamentela, poi si alzò, “Si sveglierà a momenti comunque.”

Aizawa sospirò, guardandola uscire dalla stanza. Se non ricordava male, Vlad aveva chiesto la sua presenza per un allenamento speciale della classe B quel pomeriggio, quindi probabilmente si stava dirigendo lì. O forse al bagno.

Lui, comunque, scostò il paravento e si sedette a braccia incrociate e gambe accavallate accanto al letto di Ojiro, nell’attesa che si svegliasse.

E non ci mise molto, proprio come aveva detto Chiyo.

Gli dava le spalle, quindi per un primo momento gli diede il tempo di svegliarsi e capire dove si trovasse, anche per cercare di carpire qualcosa dai suoi gesti. Si era stretto nelle spalle e strofinato gli occhi, niente di strano.

“Ojiro.”

Sobbalzò così forte, per l’ennesima volta, che ad Aizawa venne spontaneo portare una mano verso di lui per impedirgli di cadere dal lettino, visto che era stata colpa sua se l’aveva spaventato.

Ma Ojiro fu più lesto ancora, raddrizzò la schiena e si schiacciò contro la testata del letto. Fosse stato in allenamento, gli avrebbe fatto i complimenti per la velocità di movimento.

Ma adesso aiutò solo a far drizzare le antenne ad Aizawa.

“Come ti senti? La vecchia dice che sei stato male.”

Aizawa-sensei...buongiorno. Io...mi dispiace per prima...”

“Non importa. Avresti dovuto chiedermi il permesso di uscire, ma se ti sei sentito venire male all’improvviso non posso fartene una colpa,” affermò Aizawa, tornando a sedersi composto. “Allora, come ti senti adesso?”

Ojiro abbassò appena gli occhi sulle sue mani. Come si sentiva? Aveva dormito, grazie a qualunque cosa gli avesse dato Recovery Girl, quindi si sentiva più in forma, questo era ovvio. Ma non sapeva bene come si sentisse, a dirla tutta.

Non per tutto il resto, per quello che contava davvero.

Adesso era calmo, ma se avesse rivisto Shinsou? E poi doveva scusarsi con Kaminari, era stato davvero tremendo con lui. E senza un motivo.

Eppure Shinsou lo voleva rivedere. Voleva vedere che faccia faceva, guardandolo adesso. Se aveva il coraggio di dimostrarsi disperato e distrutto per lui oppure no.

Ma credeva di sì.

Era la faccia che aveva avuto per tutta la mattina...

“Sto...bene. Beh, mi sento meglio. Mi spiace di aver saltato la sua lezione, professor Aizawa. Recupererò gli appunti appena torno in classe...”

“Domani,” lo interruppe Aizawa, “Recupererai domani. Adesso va a riposare al dormitorio, e prima passa in mensa a prendere qualcosa di leggero da mangiare. Sei assente giustificato, parlerò io con gli altri professori.”

“Ma...sto bene, davvero!”

“D’accordo. Ma per oggi stai comunque a riposo. E’ un ordine. Intesi?”

Ojiro aprì bocca per ribattere, ma alla fine abbassò il capo per l’ennesima volta.

Si sentiva così impotente quella mattina. Come se qualunque cosa potesse ferirlo e lui non avesse alcun modo per difendersi.

“Va bene. Tornerò al dormitorio.”

“Bene. Un’ultima cosa, Ojiro.”

“Sì?”

“C’è qualcosa che devo sapere? E’ successo qualcosa di particolare, stamattina?”

Ojiro si morse il labbro, ma rialzò quasi subito gli occhi sul docente, stranamente fermo mentre parlava, “No. Ero solo nervoso perché non mi sentivo bene. Non è successo nulla. Chiederò scusa a Kaminari oggi pomeriggio.”

Mh. D’accordo. Riposati, allora.”

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


CAPITOLO 7

 

 

 

Visto che le lezioni dei suoi compagni sarebbero continuate fin nel pomeriggio, Ojiro tornò in dormitorio come gli aveva detto Aizawa.

Aprì la porta con fare distratto, smarrito. Perso in se stesso.

In quella landa nera che lo avvolgeva.

Gli occhi di Shinsou, quelli di sua madre, che si sovrapponevano. Che chiedevano scusa, quasi. Ma le loro mani che lo toccavano, seppur in posti diversi, ugualmente per fargli male.

E ci riuscivano. Facevano male davvero.

Tanto.

E quando aprì la porta e alzò gli occhi, per un attimo davanti a lui non vide più la finestra, le tende tirate.

Era buio, sì, ma qualcosa gli penzolava davanti.

Piedi.

Gambe.

E...

Saltò indietro, la mano davanti alla bocca per non urlare, anche se il dormitorio era vuoto e nessuno l’avrebbe sentito, visto.

No, no.

No.

Quello non era reale. Non era vero.

Se lo stava solo immaginando.

Non c’era niente lì, solo il vuoto della sua stanza.

Nient’altro.

Dio.

Stava diventando matto.

Con un brivido che gli sconquassò le viscere e le gambe che tremavano, riuscì a entrare in stanza.

Non c’era niente lì. Niente.

Era solo. Lui e basta.

Nessun’altro.

Aprì le tende e accese il televisore, il volume al minimo, giusto per tenersi compagnia, per avere un rumore che gli ricordasse dov’era e non per reale voglia di guardare qualche programma, poi si posizionò a pancia in giù sul letto.

Sperava, una piccola parte di sé, che magari quel che gli aveva dato Recovery Girl potesse fargli effetto anche adesso, ma come immaginava non andò affatto così.

Chiuse gli occhi.

Un attimo che durò due ore, ma che avrebbe preferito evitare.

In infermeria aveva dormito tranquillo, senza sogni.

Ma adesso no. Adesso gli incubi arrivarono immediati, svegliandolo di soprassalto, il sudore freddo a gelarlo lungo la nuca e la spina dorsale.

Doveva immaginarselo.

Si piegò in avanti, tirandosi dietro il cuscino per poterci affondare la faccia.

Ora invece di vedere la cattiveria che gli aveva fatto Shinsou, vedeva il suo sguardo ferito e crucciato, come se fosse lì per chiedergli qualcosa ma poi non ne trovasse il coraggio. Come se sapesse di non averne il diritto, ed era vero.

Eppure quello sguardo era uguale a quello che suo padre gli rivolgeva ogni singolo giorno, da dopo la morte della mamma. Ogni giorno.

Scusa, mi dispiace. Perdonami, figlio mio.

Scosse il capo con forza.

No, non era a quello che doveva paragonarlo. Non c’entrava nulla, quello! Né sua madre né suo padre.

Ci mancava solo che si sentisse in colpa per Shinsou.

Lui.

Che era la vittima, lì!

Non importava quanto Shinsou sembrasse dispiaciuto. No. Non gli aveva neanche chiesto scusa.

Di nuovo!

Di nuovo sarebbe finito per fare la parte di quello che non aveva fatto nulla di male, e Ojiro quello in torto, quello che esagerava sempre. Come dopo il Festival Sportivo. E magari di nuovo gli avrebbero chiesto di perdonarlo, senza neanche cercare di capire il perché del suo comportamento.

Perché in fondo non aveva fatto niente di male, a conti fatti, no?

No.

Aveva fatto qualcosa di male, invece. Qualcosa di disgustoso, e crudele.

Si strinse il cuscino contro il volto ancora di più, soffocandoci dentro urla e singhiozzi.

Si era sempre detto di essere gentile e comprensivo, di alzarsi sempre quando cadeva, da solo, perché nessuno gli avrebbe porto la mano, nessuno l’aveva mai fatto, perché altrimenti col suo quirk non sarebbe arrivato da nessuna parte. Ma perché con Shinsou non ci riusciva? Perché?

Perché non era riuscito almeno a far finta di essere gentile? Non sarebbe mai andato a cercarlo, e non sarebbe mai successo nulla, nulla.

E invece no. Invece non ci era riuscito.

Non riusciva a dimenticare l’odio per quel potere, quello che aveva fatto. Di come un potere simile già in passato gli aveva rovinato la vita.

E anche se Shinsou era un’altra persona, con un potere fondamentalmente diverso, non era riuscito a far finta di niente. Non era riuscito ad ignorare la stretta allo stomaco che lo prendeva ogni volta che ci pensava.

E aveva finito per passare dalla parte del torto.

Era stato un pessimo compagno di classe e quella era stata la punizione del karma.

E non riusciva neanche a ritirarsi su. Era a terra, stava strisciando, e non riusciva a rialzarsi. Per colpa di quello che gli aveva fatto Shinsou.

Di nuovo lui, sempre lui.

Che doveva fare?

Si alzò di scatto, raggiungendo il bagno a fatica e quasi per miracolo, evitandosi per un soffio di rimettere sul pavimento.

 

Era seduto sul pavimento del bagno da almeno due ore, le gambe strette al petto e la coda ad abbracciarlo e a proteggerlo, quando bussarono alla porta.

Non voleva sapere chi fosse.

Non rispose, e chiunque fosse oltre la porta si limitò a lasciargli un foglietto sotto e ad andarsene, dopo un po’, con la delicatezza di non bussare oltre.

Ci mise un po’ a decidersi ad andarlo a prendere, le mani gli tremavano ancora tantissimo quando lo afferrò.

Ma non era Shinsou.

Era solo Iida. Gentilissimo, che gli chiedeva di bussare ad ogni ora, anche di notte, se gli serviva qualcosa. E che se voleva gli appunti poteva chiedere a lui.

Si appoggiò alla porta d’ingresso, lasciandosi scivolare giù, la coda ancora intorno alla pancia, come a volerla tenere al caldo.

Se la sentiva ancora sottosopra, ma ormai non aveva davvero più nulla da buttar fuori.

Doveva chiedere scusa a Kaminari. Sì.

Magari però poteva farlo anche più tardi, no?

Non si sentiva di scendere. Adorava i suoi compagni ma si sarebbe ritrovato accerchiato, lo sapeva.

E non voleva.

La sola idea lo mandava in panico.  

 

--

 

“Mamma?!”

Gli occhi neri che si girarono verso di lui erano diversi da quelli che aveva sempre conosciuto e amato.

Erano profondi, vuoti.

Un pozzo senza fine dal quasi si sentiva risucchiato.

Era perduto.

Non sarebbe più riuscito ad uscire di lì.

“Mamma mi fai male!”

Il nero lo stava raggiungendo ovunque.

Lo circondava e gli toglieva il fiato.

Come quelle mani che una volta erano buone.

E adesso?

Che doveva fare?

“Aiuto!”

 

 

Riaprì gli occhi di soprassalto, sudato e affannato.

Non si era neanche accorto di essersi addormentato lì, accucciato davanti alla porta del bagno.

Ma che gli prendeva ultimamente?

Anche quello, adesso.

Era dal Festival che non gli succedeva più.

Credeva davvero di aver superato tutto quello, di nuovo.

Ma non ci riusciva. Non riusciva a superare quello che Shinsou gli aveva fatto, e come lo aveva fatto. E tutto quello che riportava a galla.

Il suo potere di controllo.

La causa di tutti i suoi problemi.

Di tutti i suoi dannati problemi.

 

Riuscì a calmarsi solo molto dopo, a darsi una sistemata e farsi una doccia, e solo allora si decise ad uscire dalla stanza. Sarebbe potuto andare subito da Iida, nella stanza accanto alla sua, ma a quell’ora probabilmente dormiva e se l’avesse svegliato si sarebbe preoccupato per nulla.

L’avrebbe ringraziato il giorno dopo.

Kaminari invece di norma era sempre sveglio, a quell’ora. Spesso era con gli altri, ma comunque sveglio.

Sperava solo fosse in stanza e non di sotto, in sala comune.

Lo sperò davvero.

Ma quando bussando nessuno venne a rispondergli, fu abbastanza ovvio che anche Kaminari non fosse dentro.

Poggiò la fronte alla porta della stanza di Denki con una lieve imprecazione, poi si decise a scendere. Ormai era fuori, aveva detto ad Aizawa che il giorno successivo sarebbe andato a lezione, era inutile fare il recluso.

Non ce ne era neanche bisogno. Poteva uscire, non era ammalato né nulla di simile. Ce l’aveva solo in testa.

Doveva solo controllarlo.

Poteva controllarlo.

Doveva e poteva.

Si fermò di colpo sulle scale quando scorse la testa scompigliata di Shinsou seduta accanto a quella disordinata di Midoriya e Uraraka. Parevano tutti abbastanza presi dal gioco con cui stavano litigando Kaminari e Kirishima.

C’era persino Bakugou, che imprecava su quanto fossero incapaci quei due che continuavano a farsi ammazzare.

Per un attimo pensò di fare retromarcia e arrendersi, chiedendo scusa a Kaminari in un altro momento.

D’altronde se Shinsou era lì a divertirsi con gli altri evidentemente le cose erano meno peggio di come se le era immaginate. Era evidente che avesse ingrossato di nuovo tutti i suoi problemi, e invece...

“Oh, Ojiro!”

Trattenne il fiato. Non aveva fatto in tempo. Troppo tardi, l’avevano visto.

Abbozzò un sorriso a quel richiamo.

Kirishima, dolce e gentile sempre, ma questa volta avrebbe preferito tacesse.

Ma poteva.

Doveva.

Shinsou era l’unico che non si era girato. Aveva teso le spalle, questo l’aveva visto. Lui e anche Bakugou, che lo fissava con le sopracciglia inarcate.

Ma non si era girato.

Grazie al cielo.

“Come stai, Ojiro-kun? Aizawa ci ha detto che stavi male e sei andato in infermeria oggi!” esclamò subito Midoriya, avvicinandosi con fare gentile.
E le mani al suo posto. Per fortuna.

“Sto bene. Sì, non...non mi sentivo bene. Ma adesso è passato.”

“Sicuro? Perché hai una cera,” mormorò anche Kirishima, ma ancora seduto al suo posto accanto a Kaminari.

Sapeva di avere un brutto aspetto. Si era fatto la doccia e lavato la faccia, ma gli occhi erano ancora arrossati, non ci poteva fare niente. Ed era anche più pallido del solito, senza contare che non riusciva proprio a tenere niente nello stomaco, non era sceso a mangiare neanche quel giorno, e forse pareva un po’ sciupato.

“Sì, sicuro. Devo...riprendermi un po’. Ma sto meglio, davvero. Senti, ehm...Kaminari?”

Kaminari, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a guardarlo con la coda dell’occhio, drizzò la schiena, alzando il naso con fare impettito.

Ojiro storse la bocca. Perché sì, era vero che non era stato gentilissimo, ma lui glielo aveva chiesto di lasciarlo. E Kaminari non l’aveva ascoltato.

“Sì?”

“Volevo chiederti scusa, Kaminari. Ero...nervoso oggi e mi ha dato un po’ fastidio che mi stessi addosso. Tutto qui.”

“Tutto qui? Ma hai fatto una scenata da donna isterica di prima categoria!”

Il tic al sopracciglio passò inosservato a tutti, ma Ojiro perse anche il sorriso di cortesia che aveva assunto, “Hai ragione,” affermò comunque, perché non aveva voglia di litigare. Kirishima diede una forte gomitata a Kaminari, accanto a lui, che rispose borbottando appena.

Li ignorò entrambi. “Hai ragione. Ti chiedo scusa.”

Vabbeh. Perdonato, dai!” esclamò alla fine Kaminari, schiacciato dal braccio irrobustito di Kirishima proprio all’altezza dell’addome.

“Sono contento che sia tutto risolto,” sorrise anche Midoriya, ignorando volutamente i due amici che adesso discutevano sommessamente a bassa voce. “Perché non ti fermi un po’ con noi, se te la senti? Kaminari e Kirishima stavano giocando ma se vuoi possiamo fare altro.”

“No. Non importa, io...volevo solo scusarmi. Adesso penso che tornerò su.”

Guardò la schiena di Shinsou, che si era infossata ancora di più.

Ma non si era ancora mosso, quindi fu lui ad andarsene.

“Grazie per l’invito. Io vado a letto. Buonanotte, ragazzi.”

“Riguardati!” gli urlò dietro Uraraka, alzando la mano. Poi, però, si voltò verso Shinsou al suo fianco. Lo aveva guardato tutto il tempo, ed era sembrato agitato.

Si torturava le mani, attorcigliandosi le dita fra di loro. E le spalle erano tesissime.

Shinsou-kun? Cosa succede?”

“Eh?” Shinsou alzò il capo di scatto, guardando la ragazza, “Che deve succedere?”

“Beh...sei strano, stasera.”

“Io? No. Sono solo stanco. Davvero. Anzi, penso che andrò anche io.”

“Anche tu vai, Shinsou?”

“Sì, Midoriya. Buonanotte.”

Uraraka e Bakugou furono gli unici occhi a non perderlo di vista finché non sparì sulla tromba delle scale, poi Bakugou si ributtò sul divano e Uraraka si allungò verso Midoriya, “Deku-kun, vieni?”

“Sì, eccomi!” sorrise Midoriya, tornando verso di lei. Quando le si sedette accanto, però, sospirò a sua volta, “Non ti pare che...?”

“Oggi siano tutti strani?” terminò per lui Ochako, che annuì, “Sì. Decisamente.”

“Chi si fa i cazzi propri campa cent’anni.”
“Eh?” Midoriya alzò appena gli occhi, guardando l’amico d’infanzia che passava accanto al divano dov’erano lui e Uraraka per andare a sua volta verso le stanze, dopo aver tirato un colpo a Kirishima, che rispose ridacchiando neanche l’avesse salutato normalmente.

“Ma Kacchan...”

“Dammi retta e fatti i cazzi tuoi, Deku.”

 

 

Angolino Autrice:
Si lo so, la madre ha fatto qualcosa, il padre ha fatto qualcosa, sembra Todoroki!
In Realtà vi assicuro nella mia immensa cattiveria (scusa Mashi) che non c’entra niente con Todo.
E lo so, lo so, pensavate tutti quanti che fosse stata una violenza di altro genere, ma a quel livello ancora non ci sono arrivata xD Per ora... <<
Per questa storia il background di Ojiro è si ispirato a qualcosa, ma non a qualcosa che abbiamo visto nel manga. Cattiva lo sono stata, però!
Mi sono ispirata ad un film Horror di qualche anno fa, Oculus, e tra quello che si è capito dal capitolo e, se avete visto il film, quello che si scopre, avrete già capito xD
Abbiate fiducia in me, c’è una spiegazione a tutto!
E date una pacca sulla spalla a Kaminari, che poverino è finito in mezzo ad un disastro!
Un bacione,
Asu

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


CAPITOLO 8

 

 

 

Shinsou si chiuse la porta alle spalle col cuore pesante.
Aveva accettato di stare con Midoriya e Uraraka, e inizialmente anche Iida, per cercare di far finta di niente. Ojiro non si vedeva, e pensarci come un ossesso non serviva a nulla, per altro rischiava anche che i suoi compagni diventassero soffocanti nel continuare a chiedergli se era tutto okay.

Quindi aveva fatto di tutto per non pensarci.

Anche se non era stato facile. E ancora meno lo era stato quando Iida si era alzato e aveva detto che voleva vedere come stava Ojiro.

E quando era sceso dicendo loro che non gli aveva risposto, accompagnandoli a cena in mensa, dove Ojiro non si era di nuovo presentato...si era sentito davvero male.

Avrebbe voluto sbattere la testa con forza sul tavolo fino a spaccarsela, ma non sarebbe servito a niente.

Doveva salire e chiedergli perdono. In ginocchio.

Doveva farlo.

Ma poi era sceso Ojiro a scusarsi con Kaminari e lui non aveva avuto neanche la forza di girarsi. Di guardarlo.

Non aveva diritto di guardarlo.

Dio, cosa gli aveva fatto.

Non meritava neanche di chiedergli scusa. Neanche quello. Non sarebbe bastato.

Cosa doveva fare?

A chi poteva chiedere?

No. A nessuno. Non poteva chiedere a nessuno. Se si fosse sfogato con qualcuno era rovinato, quello che aveva fatto era imperdonabile.

Ojiro non aveva fatto niente, eppure si era comunque addossato le scuse a Kaminari. E lui non trovava neanche il coraggio di guardarlo.

Era un codardo.

Uno stupido codardo.

 

La mattina dopo fu il primo ad arrivare in classe, non era neanche sceso in mensa a far colazione. Aveva lo stomaco troppo chiuso.

Si sedette subito al suo posto, aprì già il quaderno e finse di studiare e di non vedere né sentire niente di quello che gli capitava intorno.  A malapena salutò chi gli si rivolgeva, e comunque senza alzare gli occhi.

Non voleva neanche vederlo entrare, Ojiro.

E infatti non lo vide.

Per tutta la prima ora rimase assente, per qualche ignota ragione, ma anche così non riuscì a rilassarsi. Era preoccupato.

Se ce l’aveva vicino era nervoso, terrorizzato dal potergli fare del male con la sua sola presenza. Ma se ce l’aveva troppo lontano, non riusciva a non preoccuparsi.

Forse aveva chiesto un altro giorno, fingendosi malato?

No. Ojiro non era come lui, non era un codardo. Non avrebbe saltato le lezioni per lui.

Se non veniva era perché stava davvero male. Ed era colpa sua.

Ma Ojiro ricomparve alla seconda ora, la cartella in spalle che buttò a terra prima di sedersi al suo posto. E salutarlo, come la mattina precedente.

Non lo guardava, non gli rivolgeva la parola, eppure era la seconda mattina che lo salutava.

Era strano.

Lì per lì non riuscì minimamente a reagire, Shinsou, ghiacciandosi sul posto. Ojiro comunque non aspettò neanche per un attimo una sua risposta.

Era solo cortesia, probabilmente.

Stava mantenendo nient’altro che la parola che gli aveva dato per essere lasciato in pace. Salutarlo e mantenere il segreto.

Oddio.

Serrò gli occhi e prese un lungo respiro, girandosi verso di lui l’attimo prima che Kaminari richiamasse l’attenzione di Ojiro tirandogli un piccolo calcio alla gamba della sedia dell’altro.

Oj...-“

Hey, ma che fine avevi fatto? Ti sei perso la lezione di Ectoplasm!”

Ojiro guardò prima Shinsou, come se si aspettasse qualcosa. Che finisse di chiamarlo, che dicesse qualcosa.

Ma no, Shinsou continuò a tacere.

Ojiro storse la bocca, in un’espressione fra l’infastidito e lo schifato, poi girò solo il capo verso Kaminari, “Da Recovery Girl. Voleva vedermi per ieri. Il professore lo sapeva.”

Kirishima spuntò da dietro le spalle del biondo, spingendolo un po’ da parte per recuperare spazio, “Ma tutto bene, sì?”

“Sì. Sì, sto bene. Era solo per sicurezza,” spiegò.

Era stata molto attenta e apprensiva, Chiyo, gli aveva consigliato di nuovo di mettere qualcosa sotto i denti per tenersi su e poi, visto che Ojiro era stato sincero nel dirle che da qualche giorno la notte non riusciva più a dormire bene, gli aveva dato delle gocce da mettere in un bicchiere d’acqua.

Così da riuscire a riposare senza essere disturbato.

Gliene era grato. Era davvero quello che gli serviva.

In quel momento era consapevole di avere una pessima cera, le occhiaie e il pallore non aiutavano nessuno a credere che stesse bene.

Anche Aizawa, quando entrò all’ultima ora per la lezione finale della giornata, lo guardò a lungo prima di sospirare.

“Faremo una lezione teorica anche oggi,” affermò poi, e Ojiro ebbe la netta sensazione che fosse per lui.

“Uh?”

“Qualcosa in contrario, Bakugou?”

“Sì, in effetti!”

“Beh, fattelo andar bene,” sentenziò ancora Aizawa, “La prova fisica sarà dopodomani. Shinsou, Kaminari, domani interrogati. Vedete di farvi trovare pronti almeno adesso che siete stati avvertiti.”

Lo sbuffo di Kaminari riecheggiò quasi in tutta la classe, “Sì, prof.”

Shinsou tacque ancora. Aizawa lo fissò appena con la coda dell’occhio, poi tornò a scrivere sulla lavagna.

Gli sarebbe dispiaciuto bocciarlo dopo la fatica che aveva fatto per entrare nel Dipartimento eroi. Che cos’è che poteva averlo distratto così tanto, dopo tutta la concentrazione e la determinazione, e la fatica anche, che aveva dimostrato?

Diceva di non voler fare amicizia con nessuno, quindi adesso cos’era che lo rendeva così distratto?

Qualcosa non gli tornava. Per nulla.

 

--

 

Aizawa finì la lezione con fare annoiato, ma almeno l’avevano seguito tutti quanti in silenzio. Chissà che non fossero tutti preoccupati di fare la fine di Shinsou e Kaminari.

Anche fosse quello il caso, meglio per lui.

Si fermò alla cattedra mentre tutti quanti uscivano, fermando per un attimo Ojiro giusto per accertarsi di come stesse. Non si allungò neanche per verificare il gesto eccessivo del giorno prima, ma anche quando Ojiro rispose di stare bene, non gli credette.

Non stava bene per nulla. Fingeva discretamente, ma non stava bene.

E continuava a non sembrargli un’indigestione.

“Shinsou?” lo chiamò prima che lasciasse l’aula anche lui. Per ultimo, stavolta, ben dopo Ojiro. Kaminari invece gli era andato subito dietro, incurante di tutto.
Gli aveva anche messo le mani sulla spalla, ma Ojiro l’aveva di nuovo scacciato di malagrazia. Niente di eclatante, e usando la coda.

Sospetto comunque.

S-sì, Aizawa-sensei?”

“Devo parlarti, fermati.”

Shinsou annuì appena, lo sguardo basso. Le spalle ricurve neanche reggesse il peso del mondo intero.

Aizawa stirò le labbra, finì di sistemare i fogliacci dei compiti da correggere e li sistemò per bene sopra la cattedra. Solo allora lo guardò.

“Che sta succedendo, Shinsou?”

“Niente.”

“Davvero? Pensi che io sia stupido? Direi che abbiamo passato tempo insieme durante gli allenamenti e ti ho conosciuto abbastanza...non mi incanti, ragazzo.”

Shinsou sbuffò, “Sto solo dormendo male, ultimamente.”

“Tu lo sai che sei sott’occhio molto di più rispetto agli altri, vero? Lo sai che iniziare il tuo primo anno da aspirante eroe in questo modo patetico non ti giova, vero?”

“Sto solo dormendo male, professore,” ribatté di nuovo, piccato.

Aizawa schiocca la lingua, “Quindi non hai scusanti, giusto? Shinsou, se è successo qualcosa...sei distratto, assente. Se ti è successo qualcosa a casa, o magari con qualcuno dei compagni, puoi dirmelo. Bada, non è comunque una scusante. Se vuoi fare l’eroe devi imparare a separare la vita personale da quella lavorativa, ma sei giovane e ci devi ancora lavorare, come tutti. Quindi, te lo richiedo: c’è qualcosa che non va coi tuoi compagni di classe? Con Kaminari, od Ojiro?”

Shinsou incassò la testa nelle spalle ricurve, stringendo la bretella dello zaino subito dopo fin quasi a farsi male.

Maledizione.

Eppure era sempre stato bravo ad ingannare la gente. Faceva parte del suo potere.

Ad Aizawa, comunque, il gesto non sfuggì. “Con Ojiro, quindi?”

“Io...”

“Sì? Tu?”

Shinsou digrignò i denti con forza, ingoiando bile. Doveva dirglielo.

Era la cosa giusta, dirglielo. Autodenunciarsi.

Se era un eroe doveva farlo.

Però aveva paura.

“Io e Ojiro a malapena parliamo, Aizawa-sensei. Perché mai dovrei essere distratto o stare male per lui? Non c’entra niente. Sto benissimo. E’ solo un periodo pesante. Devo ancora abituarmici, a questo corso di matti.”

“Tutto qui?”

“Tutto qui.”

Aizawa inarcò un sopracciglio, per nulla convinto, ma alla fine annuì. “Allora vedi di farti trovare più che preparato per domani, Shinsou. Ti consiglio di andare a studiare. Io non faccio preferenze, lo sai.”

“Sì, professore.”

Stirò di nuovo le labbra, Shinsou, mordendosi la lingua.

Avrebbe dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto.

Perché non l’aveva fatto?
Codardo.

Per un attimo si voltò a guardare ancora il docente, quasi avesse cambiato idea, ma poi cambiò di nuovo strada. Infilò lo zaino in spalla e prese la strada verso il dormitorio, ignorando la mensa e il pranzo in corso.

Mandò solo un messaggio a Midoriya per avvertirlo che sarebbe andato a studiare per il giorno successivo, e l’amico sembrò comprensivo.

 

Quando arrivò al dormitorio, però, non era l’unico.

Anche Ojiro era lì.

Solo.

Deglutì appena, la bocca improvvisamente arida come il deserto. Ma Ojiro non sembrò accorgersi di lui. Se ne stava seduto sui talloni al tavolinetto della sala comune, la tazza di tè calda in mano, le cuffie nelle orecchie e il quaderno aperto sotto gli occhi.

Due quaderni, anzi. Stava ricopiando gli appunti del giorno prima e della prima ora di quel giorno.

Di nuovo non era andato a mensa. Non c’era niente da mangiare sul tavolo, solo il tè che stava bevendo. Un po’ poco per mantenersi in forze.

Avrebbe voluto parlargli, ma non ci riusciva davvero. Guardava quella dannata coda, poggiata mollemente sulle ginocchia, la punta piumosa ad accarezzare il pavimento muovendosi appena su e giù. Le spalle rilassate.

Era serio, aveva il volto crucciato, amareggiato. Ma forse era solo concentrato.

Sembrava a suo agio per la prima volta da quando aveva provato a fare quelle cose orribili.

Forse perché era da solo, in pace, senza nessuno a disturbarlo. Forse perché poteva ben concentrarsi sullo studio, sgomberando la mente con una scusa credibile, senza dover pensare a niente, a nessuno.

Non a lui di certo.

Trattenne un sospiro e raggiunse le scale in punta di piedi.

Non era il caso di parlargli.

Era finalmente rilassato. Era giusto permetterglielo per qualche ora. Lui poteva solo far danni. E non era corretto.

E poi anche lui doveva studiare.

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


CAPITOLO 9

 

 

 

 

Il giorno dopo Shinsou era andato fin troppo bene durante l’interrogazione di Aizawa, a differenza di Kaminari che era stato appena sufficiente. Aizawa aveva dubitato per un misero istante di essersi effettivamente immaginato tutto quanto su quei tre e che Shinsou avesse effettivamente solo bisogno di abituarsi ai ritmi del corso eroi, ben diverso dagli altri.

Non era qualcosa di così impossibile, effettivamente.

Solo che le cose continuavano a non tornargli. Avrebbe preso una decisione durante il test del giorno successivo.

Aveva già preparato le coppie e se era vero che Shinsou non aveva problemi allora sarebbe andato tutto come da programmi.

Entrò in aula anche quel venerdì con la stessa flemma del solito, sbattendo la mano sulla cattedra senza apparente motivo.

“Prendete le divise da eroi e andate a cambiarvi. Vi voglio nella palestra B entro quindici minuti,” esclamò, uscendo per primo rispetto ai ragazzi.

 

Ojiro prese la valigetta con la sua divisa da eroe con i palmi sudati.

Doveva cambiarsi.

L’aveva scordato. L’aveva completamente scordato.

Doveva cambiarsi davanti agli altri, come aveva fatto a non pensarci? No. No, era stato meglio che non ci avesse pensato fino all’ultimo. Altrimenti sarebbe arrivato in classe già agitato.

Invece così no. Era stato tranquillo, sembrava stare bene, fino a prima, era sceso a far colazione –poco, giusto per far star tranquillo Shoji che lo guardava strano, preoccupato- aveva parlato con Shoji e Satou e per la prima volta nella sua vita si era sentito molto affine allo stato d’animo di Tokoyami.

Quasi tutto come al solito.

Doveva solo continuare così.

A non pensarci.

Doveva solo non pensarci. Come era stato in classe poteva essere fattibile anche in spogliatoio.

Togliersi la giacca e la camicia, e mettere su lo Ji.

Poi togliere i pantaloni, ed indossare...

“Ojiro, cos’hai lì?”

Ojiro trattenne il fiato, sentendo la voce di Kaminari accanto a lui.

Kaminari era sempre stato un tipo schietto senza peli sulla lingua –più che altro, non arrivava quasi mai a pensare alle conseguenze di quello che stava dicendo-, ce l’aveva sempre intorno in un modo o nell’altro, visto che era subito dopo di lui nell’elenco studenti...ma non gli aveva mai dato fastidio come in quel momento.

Come in quei giorni, anzi.

Mai come in quel momento aveva avuto voglia di tappare la bocca a qualcuno.

“Lì...dove?”

“Lì, sulle caviglie! Che brutti segni, come diamine te li sei fatti?”

“No, non è...”

Ooh, vuoi vedere che il nostro Ojiro si è finto malato per andare a fare giochettini erotici con qualche ragazza? Magari di un’altra classe? O magari anche più grande?!”

Ojiro risucchiò l’aria fra i denti, mordendosi la lingua. Il sudore freddo che gli attraversava adesso tutta la schiena gli dava una terribile sensazione.

“Ma possibile che tu pensi solo a quello, Mineta?” sbottò Iida, rigido, “Lascialo in pace, piuttosto!”

“Sì, che schifo,” storse la bocca anche Kirishima, “Non perdi mai occasione...”

“Ma quelli sono chiaramente segni di bondage!”

“Ma che sciocchezze dici? Ce le avrebbe anche altrove se facesse simili assurdità!”

“E tu che ne sai, Kirishima?”

“Ah, beh...”

“Sì, Kirishima, che ci nascondi?!”

“Dai, Kami, c’eri anche tu quando abbiamo intravisto quel film alla tv no? Te lo ricordi?”

“Ah, sì! Beh, l’hai guardato bene per ricordartelo però, eh?”

“Ma figurati, è stato solo...-“

Il rumore sordo dell’armadietto che sbatteva con forza li fece sobbalzare tutti e tre. Ma non era stato Ojiro, che ormai non era più sotto i riflettori ed era anche riuscito a mettersi i pantaloni.

Era stato Shinsou.

Più pallido che mai, o per lo meno più pallido di com’era di solito, tanto che per un attimo persino Shoji, accanto a lui, ebbe paura che potesse svenirgli davanti. Ma non successe. Shinsou tremava, sì, ma di rabbia. Irritazione. Nervosismo.

O chissà che altro.

“Siete delle bestie...”

“Ma dai, Shinsou, che cattivo che sei,” brontolò Kaminari, mettendo il broncio, “Stavamo scherzando per alleggerire la tensione, vero?”

“Sì, infatti,” annuì anche Mineta, “Mica lo penserei davvero, ma ti pare? Cioè, avrai sbattuto da qualche parte, no?

“Magari usi dei pesi per allenarti? Io lo faccio anche sui polsi!” fece genuino Kirishima, allargando il sorriso.

Kaminari annuì ripetutamente, “Sì sì, roba simile! No? Ojiro?”

Ma Ojiro non rispose. Aveva poggiato la fronte sul metallo freddo dell’armadietto, adesso chiuso, e serrato gli occhi, i pugni stretti accanto al volto come se gli servissero per nascondersi. Ma era inutile.
Era lampante che avesse qualcosa che non andava.

Iida scavalcò la panca che divideva la parte dello spogliatoio in cui era il suo armadietto da quella in cui era Ojiro e lo raggiunse in due falcate.

“Ojiro, va tutto bene?” gli chiese, apprensivo, passandogli una mano come poteva sulla fronte. Ojiro irrigidì i muscoli, ma non si tirò indietro.

Non ce la faceva.

Se avesse fatto uno scatto per allontanarsi da Iida, anche se voleva, sarebbe miseramente caduto a terra.

“Sei freddissimo! Vieni, siediti un attimo!”

Ojiro aprì bocca come a parlare, ma non uscì alcun suono, così fu costretto a farsi aiutare ad arrivare alla panca centrale. Su cui si accasciò.

“Ma adesso...che succede?” mormorò preoccupato anche Kaminari, inginocchiandosi davanti all’amico.

“Forse un calo di zuccheri,” fece pragmatico Todoroki, passandogli una boccetta d’acqua, “Convinti adesso che non abbia finto di stare male nei giorni scorsi?”

“Ma noi stavamo scherzando!” pigolò Mineta.

“Sì, infatti. Scusaci, Ojiro, scherzavamo.”

Ojiro si sforzò di abbozzare un sorriso, per quanto fosse davvero dura per lui in quell’istante. Gli sembrava ogni giorno in più che il mondo ce l’avesse con lui, per un motivo o un altro. E adesso anche il suo corpo gli faceva simili scherzi solo per un leggero stato d’agitazione.

Ma era colpa sua. Non aveva mangiato a sufficienza in quei giorni, e quello era il risultato.

L’ennesima magra figura davanti a tutti quanti.

“Lo so, ragazzi. Scusate, è che nei giorni scorsi a causa del malessere non sono riuscito a mangiare molto. Ha ragione Todoroki, è stato solo un attimo. Sto già meglio.”

“Sicuro?” si premurò anche Midoriya, “Forse dovremmo dirlo ad Aizawa.”

“No, non serve,” sentenziò subito Ojiro, finendo di bere l’acqua, “Mi è già passato. Sto già meglio.”

“Mangia qualcosa,” consigliò Todoroki, “Ti conviene.”

“Sì, giusto. Potete dire ad Aizawa che sono al bagno e tardo due minuti?”

“Sì, certo,” annuì Iida, per nulla convinto, “Ma io sono d’accordo con Midoriya. Dovremmo dirlo ad AIzawa.”

“No, Iida-kun. Sto bene.”

Iida storse la bocca, per nulla convinto, ma alla fine si alzò e seguì gli altri fuori dagli spogliatoi.

Shinsou fu l’ultimo ad uscire, dopo aver osservato Satou che, previdente, passava una barretta energetica e ricca di zuccheri all’amico. Lui ne aveva sempre dietro, ovvio, il suo quirk era legato all’assunzione di zuccheri.

Una vera fortuna, in quel momento.

Una volta fuori, si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò per un attimo al muro.

Le mani gli tremavano ancora, la voglia di staccarsi la testa e porgerla ad Ojiro su un piatto d’argento era sempre più forte.

Gli aveva lasciato anche i segni sulle caviglie.

Certo, lì aveva usato una cravatta per legarlo, sottile e tagliente, per altro Ojiro aveva provato a tirargli un calcio e si era strattonato. Fortuna che per i polsi e la coda aveva usato un morbido lenzuolo, altrimenti che cosa gli avrebbe lasciato addosso?

Aveva dato agli altri delle bestie per le battute stupide e volgari che stavano facendo, proprio ad Ojiro poi che era stato...che...non riusciva neanche a dirlo.

Lui.

Che era il carnefice.

Chissà come doveva sentirsi Ojiro.

Sperava di finire in gruppo contro qualcuno che fosse in grado di dargliene di santa ragione.

Se lo meritava.

Era lui lì l’unica bestia.

 

--

 

Ojiro raggiunse gli altri con non più di cinque minuti di ritardo, Aizawa non gli disse niente lì per lì, ma lo studiò con una tale intensità nello sguardo che Ojiro si sentì ben presto a disagio e abbassò il suo.

“Ci ha divisi in coppie,” gli spiegò gentilmente Shoji affiancandolo, “Non ci ha ancora detto in cosa consiste nel dettaglio.”

“Okay. E ha detto le coppie?”

“Sì. Sei nell’ultimo gruppo, con Shinsou.”

Ojiro si bloccò, a quelle parole. Shoji stava ancora parlando, ma non lo stava più ascoltando. E non si accorse neanche che adesso era Aizawa a star parlando, finendo le spiegazioni.

Un due vs due.

Lui e Shinsou contro Midoriya e Kaminari.

Non poteva essere un caso, aveva la sensazione che non lo fosse.

Ma non importava.

Era un allenamento in piena regola, e lui non aveva minimamente intenzione di finire ultimo solo perché era in gruppo con Shinsou. Non se lo sarebbe permesso, né perdonato.

Adesso quello era più importante. Era lì per fare l’eroe, non altro. Non certo per farsi buttare giù da un dramma che gli era successo.

Se il fato, il karma o la crudeltà di Aizawa che fosse aveva deciso che doveva stare in gruppo con Shinsou, se lo sarebbe fatto andare bene.

Ojiro-kun! Tu sei sicuro di stare bene? Per me non c’è problema se...”

“No, Midoriya. Sei gentile, ma sto bene,” esclamò Ojiro con forza. All’improvviso di nuovo carico, e determinato, riuscì persino a regalare a Midoriya un piccolo sorriso, “Non osare andarci troppo piano perché prima non mi sono sentito troppo bene!”

“Oh...d’accordo,” sorrise anche Midoriya, per quanto non fosse del tutto convinto. Ma non poteva costringerlo a tirarsi indietro. Se Ojiro pensava così intensamente di potercela fare, era giusto che desse il massimo anche lui. “Non lo farò. Buona fortuna per dopo allora!”

“A te. Ah, senti...Shinsou?”

“Laggiù,” gli indicò il punto più isolato della palestra, in cui si era rintanato Shinsou. Stringeva le fasce con entrambe le mani e aveva già la maschera indossata, come se volesse nascondersi come poteva.

Era pallido e le occhiaie erano più accentuate del solito.

“Si è isolato là appena hanno detto le coppie. Credo che anche lui non stia troppo bene in questi giorni. Forse gira un brutto virus?”

“Chissà. In fondo è periodo di influenza, giusto?”

“Temo di sì! Spero che anche Shinsou si riprenda in fretta.”

“Si riprenderà,” sentenziò Ojiro, lasciandolo per un attimo interdetto.

Ma senza neanche dargli il tempo di aggiungere altro, Ojiro si allontanò di gran carriera, raggiungendo Shinsou nel suo angolo isolato.

E non era facile.

Lo era stato parlare con Midoriya, ma adesso che se lo ritrovava davvero davanti e che erano soli, non era affatto facile.

Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto e la tentazione di voltarsi e sparire era tanta. Troppa.

“Shinsou?”

Al suono della sua voce, Shinsou chiuse gli occhi, prendendo un enorme respiro. Lo aveva sentito arrivare, ma aveva quasi sperato che non fosse davvero diretto verso di lui.

Aizawa lo aveva fatto apposta, a metterlo in coppia con Ojiro, era ovvio e lampante. Ma perché?

Come faceva a stare in squadra con lui, se non riusciva neanche a guardarlo negli occhi? E soprattutto con che diritto poteva anche solo parlargli?

Aveva ancora davanti i segni che gli aveva lasciato addosso, il pallore malato del suo volto.

Ed era tutta colpa sua.

“Okay. Anche io non ti ho risposto più volte quel giorno quindi immagino di meritarmelo...”

Shinsou sgranò gli occhi, a quella frase. Cos’era, una battuta? Come poteva pensare che fosse per quello che non gli parlava?

“Non voglio che tu mi parli, non voglio nemmeno avere niente a che fare con te. Ma non voglio neanche prendere un brutto voto qui oggi. E non intendo neanche arrivare ultimo per un soffio perché tu non vuoi collaborare. Shinsou, guardami.”

Shinsou prese di nuovo un grosso respiro, prima di decidersi ad alzare gli occhi. Senza vedere quello che si aspettava.

Ojiro gli parlava, sì, e con fare anche apparentemente tranquillo, ma era più che ovvio gli pesasse. Si era morso le labbra così tanto da rendere visibile il segno dei denti e gli occhi, che Shinsou aveva sempre apprezzato perché espressivi e luminosi, adesso erano spenti. Completamente inespressivi.

Quasi sentiva da lì il suo cuore tamburellargli nelle orecchie per l’agitazione.

“Volevo chiedere a Aizawa di scambiare le coppie. Con Midoriya ti sentiresti più a tuo agio...” provò quindi a parlare, la voce appena un sussurro tentennante.

Aizawa non scambia mai le coppie. Quando le sceglie c’è sempre un motivo,” lo rimbeccò Ojiro, “Quindi cerca solo di impegnarti.”

Shinsou abbassò pian piano la maschera che ancora gli copriva il volto, quasi avesse paura che un eventuale movimento troppo brusco avrebbe potuto infastidire l’altro. “D’accordo, sì. Ma...tu...”

“Io sto bene.”

“Okay.”

Sentendosi così osservato, Shinsou non riuscì più a reggere lo sguardo dell’altro e abbassò il suo. Sapeva che se Ojiro restava lì era perché stava aspettando qualcosa. Delle scuse magari.

Ma con che faccia? Non basterebbero comunque.

Anche se dovrebbe scusarmi a prescindere. Perché era giusto così.

“Ojiro...io vorrei...”

“Lascia stare. Non me ne faccio niente.”

Shinsou serrò le labbra fra loro, tremando per un attimo. Se non fosse stato in grado di trattenersi, si sarebbe ritrovato in un angolo a piangere, probabilmente.

Anche se era Ojiro quello che sembrava sul punto di farlo.

“E’ vero, non te ne fai niente, però...”

“Se non sono sincere, sono inutili,” sbottò Ojiro di punto in bianco, i pugni tesi lungo i fianchi.

Aveva atteso le sue scuse. Per tre giorni.

E anche adesso.

E aveva dovuto pensarci, per farle, come se fosse un atto caritatevole nei suoi confronti. Nonostante Shinsou sembrasse distrutto anche quel pomeriggio, così come lo sembrava ora, come faceva ad accettarle e basta? Come faceva a credere che fosse sincero se gliele porgeva in quel modo?

Non voleva neanche sentirle.

Non voleva sentirle, o avrebbe dovuto accettarle. Perché si vedeva, che era sinceramente dispiaciuto.

E lui non voleva.

Non poteva essere così facile.

“Sono sincere...” soffiò Shinsou, aggrappandosi alla maschera che aveva al collo come se fosse la sua unica ancora. E forse, in un certo senso, era davvero così.

“Se lo fossero state, me le avresti porte subito. Adesso è tardi. Impegnati nell’allenamento e basta, mi interessa solo quello.”

Shinsou prese aria dal naso, poi annuì. Non poteva ribattere in alcun modo a quello. Era vero.

“Va bene. Hai ragione...Hai un piano, contro quei due?”

 

 

Angolino Autrice:
Sì lo so, state pensando la stessa cosa che ho pensato io mentre scrivevo:
SHINSOU MA CHE STRAMINCHIA STAI FACENDO??
C’ha la testa nel pallone, poveretto. Mi fa un po’ pena.

Pronti all’allenamento???

Un bacione,
Asu

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


CAPITOLO 10

 

 

 

Aizawa diede la fascia nera al gruppo di Shinsou e Ojiro e quella bianca agli altri due, come aveva fatto già con tutte le altre coppie precedenti.

“Come ho detto agli altri, non ci sono regole. Dovete solo rubare la fascia agli avversari. Se vi rubano la vostra, siete esclusi. Andate al campo adesso,” spiegò Aizawa, le braccia incrociate al petto.

Annuirono tutti e quattro, poi imboccarono il corridoio verso il campo lasciando gli altri nella sala monitor. Avevano già osservato tutti gli altri scontri, e adesso toccava a loro.

Se da una parte, però, c’erano Kaminari e Midoriya che parlavano fittamente, dall’altra Shinsou e Ojiro quasi non si guardavano. Aizawa, che li stava seguendo con la coda dell’occhio, lo notò subito.

Così come notò la distanza autoimposta dei due poco prima che desse il segnale di inizio.

Su campo, Ojiro aveva detto qualcosa, anche se dal video non si poteva sentire. Ma Shinsou non aveva parlato.

Era sempre più convinto di non aver sbagliato a giudicare che fra i due ci fosse effettivamente qualcosa che non andava.

Era successo qualcosa. Che fosse un semplice litigio o meno non ne aveva idea, ma di certo si stava protraendo troppo e in modo un po’ troppo eccessivo, per i suoi gusti.

 

Ojiro era sempre più convinto che quella tipologia d’allenamento sarebbe stata più efficace in un uno vs uno e ancora non riusciva a capire perché li avesse messi in coppia.

A meno che non stesse tramando qualcosa che non avevano capito neanche guardando le precedenti sfide. Eppure loro erano stati gli ultimi...

“Mi ascolti?”

Si riscosse alle parole di Shinsou, scrollò la testa e tornò a fissarlo. Non gli aveva parlato per tutto il tempo, né nella sala monitor né mentre andavano lì, ed era ormai così convinto che non lo avrebbe fatto che non gli aveva prestato minimamente attenzione.

“Sì,” mormorò quindi, sospirando quando Shinsou si morse il labbro e distolse gli occhi, “Non ti stavo ignorando. Mi ero distratto un attimo. Che vuoi?”

“Niente. Stavo solo dicendo che sarebbe il caso che io vada contro Kaminari e cerchi di dividerlo da Midoriya. Ci sono più probabilità che a furia di provocarlo mi risponda...”

Ojiro inarcò un sopracciglio, “Pensavo avessi un conto in sospeso con Midoriya.”

“Alla fine...abbiamo già dato l’anno scorso,” mormorò Shinsou, di nuovo gli occhi bassi. Proprio non ci riusciva, a fissarlo per troppo tempo.

In special modo poi se Ojiro lo guardava in quel modo, con sgarbo e sprezzo. O almeno, era l’idea che dava a lui. Non era più così sicuro di essere davvero in grado di cogliere i comportamenti dell’altro, il suo sguardo.

Difficile, poi, se distoglieva il suo di continuo.

Non era comunque un’espressione che gli si addiceva, a suo parere.

Eppure, se la meritava.

“Va bene,” decise quindi.

Non era una cattiva idea, penso Ojiro. Alla fine, anche le altre coppie si erano divise per fare in modo di far cadere in trappola l’altra, ma c’era sempre il rischio che anche gli altri due facessero lo stesso.

Non che Kaminari non fosse in grado di schiacciare Shinsou, ma aveva la sensazione che Midoriya ci tenesse di più.

E non aveva sbagliato più di tanto.

Appena Aizawa aveva dato l’avvio alla prova, si erano scagliati l’uno contro l’altro, solo che era abbastanza ovvio che Kaminari ce l’avesse con lui e anche se Shinsou aveva provato a raggiungerli, Midoriya gli si era messo ben presto piazzato davanti per bloccarlo.

Ma andava bene. Midoriya non sarebbe mai caduto nei tranelli verbali di Shinsou, ma non c’era motivo per il quale Shinsou non dovesse riuscire a tenergli testa. Anche se Shinsou pareva non crederci più di tanto, da come schivava senza contrattaccare minimamente.

“Ehilà, Ojiro,” sogghignò Kaminari, l’elettricità statica che già gli percorreva il corpo, “Ho chiesto a Midoriya di affrontarti io, almeno per ora! Spero non ti dispiaccia, ma insomma...mi dovevo ancora vendicare! Ho accettato le tue scuse, ma sei stato proprio sgarbato quel giorno, e visto che ci sono...sai com’è!”

“Ma dai...porti rancore, Kaminari?”

“No,” rise l’altro, “Ma sai, l’occasione rende l’uomo ladro! Dopo amici come prima, posso contarci Ojiro?”

“Ma certo!”

 

Il movimento di Kaminari fu velocissimo, Ojiro era così concentrato su di lui e allo stesso tempo a guardare Midoriya con la coda dell’occhio che non lo aveva neanche visto.

Shinsou però sì.

Nel momento esatto in cui la coda di Ojiro cozzò contro il volto di Kaminari, uno dei dispositivi che usava per controllare l’elettricità si era andato a conficcare contro il muro dietro di loro.

Kaminari era stato bravo, veloce, rapido e preciso. Era migliorato incredibilmente in quell’ambito e se non fosse stato che Shinsou faticava a togliere gli occhi di dosso al combattimenti di quei due non se ne sarebbe accorto neanche lui. Ad occhio, l’obiettivo era colpire l’avversario ad altezza cosce e gambizzarlo, di modo che per un po’ non fosse possibile che colpisse. O forse voleva prendere Ojiro alla coda, che sapeva sensibile, e causargli un dolore tale da stordirlo il tempo necessario per contrattaccare.

Se gli avesse tolto la fascia al braccio, Ojiro sarebbe stato costretto dalle regole del test a star fermo e Shinsou si sarebbe ritrovato da solo contro due.

Un piano impeccabile visto la fretta con cui avevano dovuto crearlo e che sicuramente era opera di Midoriya che, infatti, continuava a ronzargli intorno per impedirgli di usare le bende. Per altro, c’era la possibilità che Kaminari facesse un passo falso, sempre disattento com’era, invece Midoriya stava costantemente ben attento a non rispondere alla sue provocazioni.

Non che fosse complicato, quel giorno.

Era Shinsou quello ad essere troppo distratto, quella mattina. Era lui che continuava a perdere di vista Midoriya per guardarsi dietro, neanche Ojiro avesse effettivamente bisogno di qualcuno che gli coprisse le spalle.

Eppure quando era Ojiro a voltarsi verso di lui, Shinsou distoglieva lo sguardo.

Per Midoriya fu anche troppo semplice colpirlo in più di un’occasione e persino fargli volare via la maschera. Non era un grosso danno per Shinsou, se erano così vicini tutti e quattro non avrebbe avuto comunque senso usarla, il suo potere era nelle corde vocali e contro quelle non potevano fare nulla, ma il fatto che ci fosse riuscito era testimonianza che Shinsou non si stava affatto impegnando.

Ma appena compreso la mossa di Kaminari, però, Midoriya notò subito la differenza. Certo, in confronto ai suoi i movimenti quelli di Shinsou erano comunque più impacciati, ma adesso era concentrato e determinato a toglierselo di torno almeno un po’.

Cercò di colpirlo come riusciva, usando le bende per rallentargli i movimenti.

Sembrava praticamente impossibile per lui fermare i movimenti di Midoriya, però. Anche la seconda volta che si erano sfidati era finita allo stesso modo e Midoriya sembrava solo che migliorato da allora. Come tutti, poi.

Gli tirò un pugno, usando l’altra mano per allungare le bende verso l’altro, ma Midoriya fu abbastanza lesto da farsi legare solo il polso ben riuscendo ad avere comunque controllo nei movimento e colpire Shinsou in pieno petto con un calcio.

Shinsou però approfittò anche di quello, seppur ingenuamente.

Invece di scattare verso Midoriya, appena recuperato l’equilibrio tornò sui suoi passi, correndo verso il compagno di squadra che stava invece fronteggiando Kaminari.

“Ojiro!” lo chiamò. Ma l’altro non gli rispose.

O lo stava ignorando, o non lo aveva sentito perché concentrato sull’altro.

“E tu che ci fai qui?!”

“Non gli parlare, Kaminari!” gli urlò dietro Midoriya.

Kaminari si morse la lingua. “Giusto!” esclamò, poi sogghignò, “Beh, meglio per noi...” doveva solo colpire un po’ più forte. Se avesse colto il momento giusto, con entrambi in mezzo, li avrebbe messi k.o. con un colpo solo.

Era perfetto.

Adesso che riusciva ad usare più potere elettrico senza friggersi il cervello, due avversari insieme erano niente per lui, anche se erano Ojiro e Shinsou. A dover essere onesti, quando Midoriya gli aveva proposto di affrontare lui Ojiro, Kaminari non aveva potuto che pensare che non ci sarebbe stato tanto gusto. Il compagno stava male, non era in forma smagliante e forse avrebbe anche dovuto ritrovarsi a fare attenzione lui stesso.

E invece no.

Nonostante il malore in spogliatoio, Ojiro era deciso più che mai a darci dentro e dopo i primi colpi Kaminari aveva dovuto convincersi che no, niente sconti, altrimenti non ne sarebbe mai uscito.

“Hai chiesto tu di mettercela tutta,” sogghignò Kaminari, “Non si torna indietro!”

Ojiro rispose con la stessa espressione, sicura e determinata, “Non chiedo altro!”

Shinsou, di contro, digrignò i denti, “Non avevi detto che dovevamo impegnarci per vincere?!” sbottò verso Ojiro, per riuscire a superare le chiacchiere degli altri due e farsi sentire, “Non andare da quella parte!”

Ojiro si voltò verso di lui appena di tre quarti, continuando a guardare Kaminari con la coda dell’occhio. “Cosa?”

“E’ una trappola!” esclamò Shinsou, ormai a portata di mano.

Quando vide Kaminari mettersi nella posa che usava di norma per lanciare le sue scariche elettriche, quel braccio lo allungò d’istinto.

Voleva solo afferrare il polso di Ojiro e tirarlo verso di sé prima che Kaminari gli friggesse chissà quale parte del corpo.

Ma non fece neanche in tempo.

Ojiro sbiancò d’improvviso, colpendolo con la coda per toglierselo di torno. “Non mi toccare!” gracchiò, gli occhi sgranati verso di lui. Lo sguardo folle bloccò Shinsou come neanche Todoroki con il suo ghiaccio avrebbe potuto fare, e non riuscì neanche ad avvertirlo di prestare attenzione.

Fu tutto così veloce che persino Midoriya, in un primo momento, fece fatica a capire cosa fosse realmente successo.

Ojiro era indietreggiato con la rapidità di qualcuno che era stato spaventato a morte, inciampando e cadendo all’indietro proprio nel momento in cui Kaminari lanciò il colpo.

Neanche Kaminari stesso aveva fatto in tempo a capire che doveva fermarsi.

E ormai era troppo tardi.

“Attento!”

Non era sua intenzione colpirlo in punti davvero pericolosi, e a dover essere onesti, Kaminari aveva mirato per non colpirlo neanche direttamente. Non sarebbe neanche servito, con quel voltaggio.

E invece Ojiro si era piegato a terra, o era inciampato, non aveva capito. Era stato tutto troppo veloce.

Nessuno dei tre poté evitare che la scossa lo raggiungesse dritto in testa.

Ojiro non ebbe neanche il tempo di emettere un suono.

Solo, subito dopo essere stato colpito si accasciò a terra, immobile e privo di sensi.

Shinsou si accucciò accanto ad Ojiro nel giro di un istante, cercando di capire come stesse. Allungò appena il braccio per sfiorargli il volto, visibilmente segnato dalla forte scarica elettrica che gli aveva attraversato il corpo.

Ma fermò la mano prima ancora di poterlo toccare.

Ojiro era finito in mezzo alla scossa di Kaminari proprio per evitare il suo tocco. Aveva fatto due passi indietro senza neanche guardare cosa ci fosse, pur di non farsi neanche sfiorare da lui. E nell’agitazione, nel panico, nella paura, era inciampato sui suoi stessi piedi.

Gli aveva detto di impegnarsi al massimo, di non pensare ad altro che all’allenamento, ma neanche lui ce l’aveva fatta.

Appena Shinsou aveva fatto per allungare la mano verso di lui, Ojiro era come impazzito.

“Ojiro...?” lo chiamò a mezza bocca, quasi si aspettasse che gli rispondesse. Che aprisse gli occhi e gli saltasse addosso per fargliela pagare di tutto quello che gli aveva fatto, compreso in quel momento esatto.

Ma Ojiro continuava a rimanere privo di sensi.

Midoriya e Kaminari erano ancora lì con loro, a pochi passi di distanza.

Continuare l’allenamento, in fondo, non serviva, se Ojiro era svenuto e Shinsou non si muoveva.

“Ma che è successo...?” mormorò Midoriya, sotto shock.

Kaminari, poco più avanti di lui, tremava, “Io...non era nella linea di tiro. Ero sicuro che non lo fosse!” bofonchiò, le parole impastate nella bocca fin troppo secca. “Non era un voltaggio mortale, però...Midoriya, tu eri d’accordo! Avevo calcolato la mira, non doveva essere colpito alla testa!”

Midoriya, a quel punto, si avvicinò subito al compagno e gli mise una mano sulla spalla, “Non è stata colpa tua, Kaminari-kun. Nemmeno io ho capito bene cos’è successo. E’ stato...velocissimo. Voglio dire, Ojiro ha fatto un movimento strano all’improvviso e...”

E niente. Quello che aveva intravisto era assurdo.

Shinsou aveva solo fatto il gesto di sfiorarlo, il che non doveva essere strano, giusto? Erano in squadra insieme, erano compagni di classe, stavano pure vicini di banco. E poi, nemmeno Bakugou era così restio a farsi toccare.

Ojiro poi non lo era mai stato, con nessuno.
Eppure, a quel solo movimento, Ojiro pareva aver perso la testa. L’aveva scacciato, gli aveva urlato contro qualcosa che non era riuscito a comprendere e poi si era allontanato, con uno scatto, senza tenere conto di loro due e soprattutto di Kaminari.

Che senza volerlo l’aveva preso in pieno con la sua scarica elettrica.

Ma perché Ojiro non voleva che Shinsou lo toccasse fino a quel punto? Fosse stato Kacchan avrebbe capito, ma Ojiro?

Era strano.

Anche il tentennamento di Shinsou nel momento di avvertirlo lo era stato, strano. Senza contare quel momento.

Teneva il braccio teso verso di lui ma non gli toccava neanche un capello.
Ed entrambi erano stati male, in quei giorni.

Ingenuamente aveva pensato ad un virus, ma iniziava a credere che avessero mentito. Non stavano male fisicamente, non in principio.

Era qualcosa nella loro testa.
Qualcosa si era spezzato, anche nel loro rapporto inesistente.

Ma come? Cosa?

Per un attimo fu colto da un brivido, Midoriya.

Ojiro e Shinsou erano scattati solo davanti alle battute perverse di Mineta, e i segni sulle caviglie di Ojiro, il fatto che non volesse farsi toccare, neanche da Kaminari, la ritrosia di Shinsou anche solo ad alzare gli occhi su di lui.

Ma non poteva essere. Shinsou...non era così.

Stava vaneggiando troppo. Stava lavorando troppo di fantasia.

Non era da lui pensare a qualcosa di così intimo e perverso.

“Shinsou che cosa...che cosa hai fatto...?” soffiò senza riuscire ad impedirselo, lasciò andare come in trance la spalla di Kaminari che, al suono della voce di Aizawa che annunciava la fine dell’allenamento e la vittoria del duo Midoriya-Kaminari, raggiunse di corsa i due compagni.

Shinsou si alzò, allontanandosi di due passi.

Aizawa, che era arrivato a controllare i danni, gli scoccò un’occhiata feroce. Ma durò un attimo, poi si concentrò su Ojiro, ancora a terra.

“Io giuro che non volevo! Non avrei usato una scossa così forte se avessi immaginato...ma non dovrei avergli fatto così male!”

Jirou fu la prima a raggiungere Kaminari. Gli si avvicinò e gli prese entrambe le mani fra le sue, tirandolo verso l’alto per farlo alzare in piedi ed allontanare, lasciando che i robottini chiamati da Aizawa portassero Ojiro in infermeria.

Hey, Pikachu!” esclamò, cercando di mantenersi più lieve possibile. Kaminari era preoccupatissimo e non riuscì a non farle tenerezza. Se non ci fossero stati tutti quegli occhi a guardarli, l’avrebbe subito abbracciato per cercare di tranquillizzarlo. “Non hai sbagliato tu! Poi ci facciamo sempre male fra di noi, in un modo o nell’altro, durante questi allenamenti. Non lo hai mica ucciso. Recovery Girl lo rimetterà in sesto, vedrai!”

Jirou ha ragione, Kami,” fece anche Kirishima, comprensivo, “Anche a me dispiace quando vi faccio male, però capita. Siamo eroi, no? Dobbiamo essere pronti a tutto.”

“Sì ma...stava già male ed è venuto giù come un palloncino esploso...”

“E’ stato lui a volersi allenare per forza,” continuò impettita Jirou, “Tu hai fatto un ottimo lavoro. Vieni, andiamo a prenderci qualcosa di caldo da bere, mentre aspettiamo di sapere come sta.”

Kaminari annuì appena, stringendo più forte ancora le mani che Jirou ancora gli teneva. Non se ne era neanche accorto, ma ci si aggrappò subito con forza.

Normalmente non avrebbe reagito così, ma forse era stato l’insieme di quanto successo, o forse perché si sentiva come se avesse colpito troppo forte qualcuno che non era del tutto in grado di difendersi, anche se era stato Ojiro prima a tirargli una –più di una in realtà- codata niente male.

Ma nel momento in cui l’aveva visto litigare con Shinsou gli era sembrato un pulcino spaurito, più che un aspirante eroe.

Solo che ormai era tardi.

“Shinsou?”

“C’è Midoriya con lui.”

Kaminari si voltò appena a controllare.

Sì, c’era Midoriya con lui, ma non sembrava lo stesse consolando. E c’era anche Bakugou.

Strano.

Tutto sempre più strano.

 

“Alla fine avevo ragione: uno così può essere solo un Villan.”

Kacchan!”

“Cosa, Deku? Lo hai visto, no? Lo abbiamo visto tutti, Strizzacervelli. Mi fai schifo. Ringrazia che non me ne frega un cazzo, altrimenti ti farei cacciare all’istante. Uno così non la merita, questa scuola.”

“Sei esagerato, Kacchan. Non sappiamo davvero come sono andate le cose...”

“No...ha ragione,” soffiò Shinsou. La sofferenza incisa nei lineamenti, e gli occhi lucidi di lacrime, “Dovresti dirlo ai docenti, Bakugou. Dovresti...”

“Diglielo tu. Abbi le palle almeno di questo. Non capisco solo una cosa; come ha fatto il ragazzo scimmia a finirti sotto?”

Midoriya saltò su immediatamente, preoccupato e scosso, “Adesso basta davvero, Kacchan. Noi non...”

“Lo hai fregato, eh? Infame il doppio, dunque. Dai segni che aveva, lo hai prima rincoglionito e poi legato per bene, così non si poteva muovere. Perché anche se è stupido, lo scimmione è più forte di te.”

Stavolta fu Shinsou a saltargli addosso. Gli occhi per un attimo di nuovo incendiati.

“Ojiro non è affatto stupido!”

Bakugou lo guardò per un istante appena, in silenzio, ricordando di quella sera.

Stava tornando nella sua stanza per dormire quando aveva incrociato Shinsou rientrare a sua volta, ed era rimasto perplesso dalla tremarella che aveva. Così forte che dovette provare due o tre volte ad infilare la chiave nella serratura della stanza prima di riuscire ad aprire. Quando si era accorto di lui, gli occhi violacei avevano fugato il suo sguardo e Shinsou era poi sparito nella stanza con un tonfo.

Ovviamente, Bakugou si era accostato alla porta. Non che si aspettasse di sentire chissà che cosa. Non fosse, però, che Shinsou doveva essere rimasto accostato alla porta, forse accasciato a terra, perché sentiva chiaramente il suo bisbiglio.

Su quanto fosse stato stupido, su che cazzata avesse fatto.

Quale cazzata? Se lo era appena chiesto, poi aveva scrollato le spalle. Non erano cazzi suoi ed aveva sonno.

Ma il giorno dopo, inevitabilmente, la reazione di Ojiro gli aveva fatto saltare tutti i campanelli in testa.

Non era difficile capire, a quel punto.

E ora questo.

“Oh. Dunque sei pentito. Troppo tardi, Strizzacervelli. Temo che il danno sia già troppo grosso per essere risolto. E toglimi le mani di dosso o te le faccio esplodere.”

Shinsou stava di nuovo per dire qualcosa, quando Midoriya lo afferrò per i polsi e lo costrinse a lasciarlo, frapponendosi fra i due.

“Adesso basta. Se Ojiro non ha detto nulla, forse siamo giunti a conclusioni troppo affrettate. Shinsou tu...tu non sei cattivo. Io...non ci credo che hai fatto una cosa simile...”

Shinsou lo scostò con sgarbo, ma rimase fermo, gli occhi bassi piantati verso il pavimento.

Avrebbe voluto, ma sarebbe stata una bugia. Certo, non era arrivato fino in fondo come pensavano quei due, come avrebbe pensato chiunque, ma contava davvero?

In fondo, lo aveva fatto.

“Dimmi di no, ti prego...”

Ancora, Shinsou non rispose.

Alla fine, fu Bakugou il primo ad allontanarsi, infastidito anche solo dalla presenza dell’altro, anche solo dal fatto che respirasse la sua stessa aria.

Ojiro non aveva detto niente a nessuno, e lui non era neanche suo amico, quindi non erano fatti suoi e di certo non gliene importava nulla. Anche perché non aveva prove e non era certo che le cose fossero davvero andate così.
Che fosse uno stupro in piena regola, per essere schietti.

Ma se già prima Shinsou gli stava antipatico, adesso faticava anche solo a guardarlo senza farlo esplodere.

 

 

 

Angolino Autrice:

Io i capitoli d’azine NON LI SO SCRIVERE.
Uffa. Perdonatemi, se potete ^^’’ Spero si capisca comunque quello che stava succedendo, insomma!
Ad ogni modo, potrei aver preso un po’ di licenza sul dispositivo di Kaminari, ma giusto un po’. Il funzionamento di base dovrebbe essere quello.

Detto questo, vado.

Il prossimo capitolo sarà un po’ più corto ma poi arriva la bomba –per fortuna la storia è già pronta sennò co tutti sti turni in ospedale ci rivedevamo l’anno del mai x°°°D-, abbiate sempre fiducia-

Un bacione, e state a casa a leggere, da bravi!
Asu

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


CAPITOLO 11

 

 

 

 

 

Era stato un trauma per tutti quanti scoprire, un’ora scarsa dopo l’incidente, che Ojiro non era più in infermeria, ma che era stato trasportato per accertamenti medici direttamente in ospedale insieme a Recovery Girl. Kaminari e Shinsou erano quelli che l’avevano presa peggio.

Kaminari si era coperto il volto con le mani, quasi tremando. Jirou e Aizawa erano stati i primi ad avvicinarsi per cercare di calmarlo e di fargli capire che non era successo nulla di grave. Era solo una precauzione, ma probabilmente non correva alcun rischio. Anzi, quasi sicuramente.

“Quindi non stare così in pensiero,” concluse Aizawa, che pure se non gli aveva nemmeno dato una pacca sulla spalla pareva sinceramente preoccupato, forse anche per Ojiro che adesso era in ospedale.

Era Jirou che invece gli stava massaggiando pian piano la schiena, ma nessuno ci stava facendo caso. Persino Mina era troppo impegnata a cercare di tirar su il morale dell’amico per mettersi a far battute su quanto quei due sembrassero stranamente vicini, in quei giorni.

E Tooru, che solitamente spettegolava volentieri insieme ad Ashido, era troppo sconvolta a sua volta per mettersi a parlare di frivolezze.

“Ma siamo sicuri che starà bene?” mormorò infatti, tenendosi vicina a Uraraka che le circondò le spalle invisibili coperte dalla camicetta della divisa.

Aizawa sospirò, “Lo sapremo fra un paio di giorni. Ma non c’è bisogno di fare così, non è in pericolo,” li guardò uno ad uno, ormai in gruppetti scomposti in classe e con una pessima cera, poi si massaggiò il naso, “Ragazzi, tornatevene al dormitorio. Fate quello che vi pare, per oggi la lezione finisce qui.”

“Ma, professore, posso?”

“Dimmi, Midoriya.”

“Possiamo andare a trovare Ojiro in ospedale? Domani è sabato e possiamo lasciare l’istituto per il weekend col suo permesso.”

“Non posso impedirvelo,” afferma Aizawa, “Ma non credo otterreste nulla.”

“Grazie professore!” esclamò anche Iida. Lui e Midoriya sicuramente sarebbero andati a trovare l’amico, ne avevano appena discusso. E forse era il caso di portarsi dietro anche Kaminari.

Forse così si sarebbe tranquillizzato meglio.

Sembrava davvero distrutto per averlo colpito in quel modo, pur senza farlo di proposito. Midoriya non lo invidiava affatto.

Anche se dovette ammettere che quello che sembrava messo peggio era Shinsou, che aveva finito per isolarsi dal resto della classe, in disparte.

E lo lasciarono lì anche mentre uscivano, anche se Midiriya ebbe per un attimo la tentazione di andare da lui.

“Lascialo stare,” sbottò Bakugou invece, fermandolo, “Lascialo nel suo brodo. E’ quello che si merita.”

“Ma, Kacchan...”

“Devi imparare a stare al tuo posto a volte, Deku. Lo vuoi capire o no? Quello che ha fatto Shinsou meriterebbe molto peggio dell’isolamento.”

“Sì, ma...non ne siamo sicuri...”

“Vuoi chiedere allo scimmione? Negherebbe. E’ troppo orgoglioso. Oh, ma tu volevi andare in ospedale proprio per chiederglielo, vero, Deku?”

Midoriya indurì lo sguardo, “Nient’affatto. Sono solo preoccupato per un mio amico.”

“E chi è che ha fatto del male al tuo amico, merdina?”

“Sono sicuro che c’è una spiegazione!”

“Ah sì? Beh, buona fortuna nel trovarla!”

“Che cos’ha fatto Shinsou?”

Midoriya sobbalzò quando anche Todoroki si avvicinò a loro due. Bakugou, invece, alzò gli occhi al cielo, “Eccolo l’altro...”

“Avevo già capito che era successo qualcosa fra quei due perché erano gli unici ad essere così strani ma non riuscivo a capire...perché ne state discutendo? Se fosse qualcosa di personale non lo faresti, Midoriya. Quindi devo pensare che sia grave?”

“Ma no, Todoroki-kun. Noi...non sappiamo niente. Solo...abbiamo solo dubbi.”

“Dubbi, Deku? Certo. Ma mi sembra abbastanza scontato cosa sia.”

Todoroki assottigliò gli occhi, “Scontato, Bakugou? Di che parli?”

“Spremiti le meningi, metà e metà. Sono sicuro che ci puoi arrivare anche tu col tuo cervellino,” affermò, prima di allontanarsi da solo. Si limitò solo a lanciare a Deku uno sguardo quasi d’avvertimento a cui comunque il più piccolo rispose con fermezza.

“Se Shinsou ha fatto...”

“Noi non sappiamo davvero che cosa ha fatto Shinsou, Todoroki-kun. Lo sa solo Ojiro. E io non voglio sparlare di un mio amico senza avere delle prove contro di lui.”

Todoroki sospirò, “Sì. Ma se sospettiamo una violenza perpetrata fra le mura della scuola, Aizawa dovrebbe saperlo.”

“Allora avevi capito anche tu...”

“Sì, perché...” Todoroki abbassò appena gli occhi, come se all’improvviso non si sentisse del tutto sicuro di quello che stava dicendo, “Mia madre si comportava come Ojiro nei confronti di mio padre, a volte. Ma immagino anche che tu abbia ragione. Sta a Ojiro, perché noi non abbiamo prove...e non è giusto giudicare un amico.”

Midoriya gli rispose con un sorriso, “Sì. Sono certo che non sia così grave. Che c’è una spiegazione, anche se non sembra. Domani io volevo andare a parlargli. Credi che dovrei evitare, Todoroki-kun?”

“No. Credo sia la cosa migliore da fare invece,” abbozzò un sorriso.

Midoriya annuì, lanciò appena un’occhiata a Shinsou che era rimasto da solo in classe e poi uscì insieme agli altri.

Una volta soli, fu Aizawa ad avvicinarsi al ragazzino, seduto ancora al suo banco, gli occhi bassi persi nel vuoto, i capelli più scarmigliati del solito.

Teneva la mano che aveva allungato verso Ojiro aperta e poggiata sul ginocchio, e la fissava senza muoverla. Senza muoversi.

“Shinsou...dovrei dirti di non preoccuparti, ma ho la sensazione che tu debba dirmi qualcosa che non mi piacerà,” sentenziò, le braccia incrociate.

Shinsou rimase immobile, ma iniziò a mordersi il labbro inferiore con forza.

Aizawa era arrabbiato. Furioso. Forse aveva finalmente capito e aspettava solamente la sua confessione.

Era il momento giusto per farla. Adesso. Proprio in quel momento.

Doveva dirglielo, accettare la situazione e sparire dalla vita di Ojiro prima che tornasse a scuola lunedì.

Così al suo ritorno non avrebbe avuto più né problemi né sofferenza.

I-io...io...”

Aizawa sospirò, “Me lo dirai lunedì. Quando anche Ojiro potrà dare la sua versione. Pensaci bene, Shinsou. Non farmene pentire.”

Shinsou strinse le labbra, a quelle parole. Nette, ferme, forti.

Si era fidato di lui, Aizawa, della sua determinazione e delle sue capacità. Lo avrebbe deluso. Lo sapeva già.

Aveva sbagliato ogni cosa.

 

--

 

La notte era scura come la pece. Aveva la sensazione che anche accendendo la luce non riuscisse a vedere nulla.

Il rumore era angosciante. Lo sentiva avvolgerlo come l’oscurità che aveva intorno.

Non riusciva a capire dove fosse ormai.

E dove fossero gli altri.

Era solo?

Aveva paura.

“Mamma? Papà?”

Poi un altro botto. Suo forse? Qualcosa era caduto.

Lui.

Non da solo.

Non aveva fatto male, però.

Non il buio, non la caduta.

Gli occhi neri che la guardavano sì, però. Quelli facevano male davvero.

E facevano paura.

“Mamma? Mamma mi fai male!”

Ma non cambiava niente.

Le mani stringevano ancora.

E gli occhi lo guardavano.

Facendolo precipitare ancora di più nel buio.

 

Aprì gli occhi di scatto, fissando il soffitto bianco della sua camera d’ospedale.

Non aveva urlato, ma nell’alzarsi così di colpo aveva fatto cadere qualcosa, probabilmente, perché sua zia Emma corse immediatamente da lui.

Era strano che non fosse al locale ad occuparsi dei suoi clienti ma fosse lì con lui. Quando l’avevano portato lì per dei controlli doveva averla fatta preoccupare molto. Gli dispiaceva.

Secondo lui non era necessario, si sentiva già meglio per quel che riguardava l’incidente avuto durante l’allenamento.

A farlo stare male non era quello.

Era tutto il resto.

E quei sogni che si facevano sempre più vividi, dolorosi.
Erano ricordi confusi, perché lui all’epoca era troppo piccolo per ricordare bene. Per anni li aveva avuti ogni giorno, ogni notte.

Poi erano passati.

Con lo sbiadire dei ricordi, crescendo, erano spariti.

A volte aveva incubi di cui non capiva bene le dinamiche. Ma non erano così.

Non facevano così...male.

Il petto si faceva pesante, il cuore batteva all’impazzata.

Non voleva ricordare quella notte. Non voleva.

Se solo Shinsou lo avesse lasciato in pace, forse avrebbe potuto riuscire a tornare nella sua tranquillità.

Ma non lo faceva mai. Non lo lasciava in pace, il fato era contro di lui.

E se non era realmente Shinsou, erano i suoi occhi che lo fissavano ogni volta che era lui a chiuderli.

Forse il problema non era Shinsou, tutto sommato.

Era lui. Era sempre stato lui, anche quel giorno.

“Stai bene, tesoro?”

Alzò gli occhi verso sua zia Emma e sorrise, annuendo appena. “Sto bene, zia. Tranquilla.”

Povera Emma, la faceva sempre penare. Aveva perso anche lei un parente, quando i suoi genitori erano morti, ma non aveva potuto piangerli affatto, troppo impegnata ad occuparsi di un nipote troppo piccolo per cavarsela da solo. Come se anche lei, per altro, non avesse avuto a sua volta una figlia a cui badare.

Quando le aveva detto che voleva iscriversi alla Yuuei quasi si era sentita male all’idea di tutti i pericoli che avrebbe potuto correre, e adesso per la prima volta c’era davvero finito, in ospedale.

Le aveva detto di non venire, che era questione di un giorno o due e stava benone, ma Emma non aveva voluto saperne.

“Ne sei sicuro?”

“Zia, sto bene. Anche prima stavo bene, ho solo un leggero mal di testa.”

“Vuoi che chiami qualcuno?”

“No, zia. Non serve. Sta tranquilla.”

In realtà era abbastanza certo che quel perenne martellare che aveva da quando si era svegliato non fosse affatto causato dalla scossa di Kaminari, ma da tutto il resto. Il nervosismo, il panico seguito all’incubo che l’aveva svegliato.

Era stanco. Il problema era quello.

Era davvero stanco. Altrimenti non si spiegavano gli incubi ad occhi aperti, oltre al resto.

Forse era per questo che Recovery, anche dopo averlo curato, aveva avuto paura di chissà quali tipi di danni e l’aveva portato in ospedale per degli accertamenti.

Ma non era quello. Né l’attacco di panico che aveva avuto negli spogliatoi prima della prova, né la mancanza di sonno o il poco appetito.

Non singolarmente almeno.

Era tutto un’insieme di cose.

Doveva trovare una soluzione a tutto quello, o non ne sarebbe mai uscito.

Sarebbe diventato pazzo.

“D’accordo amore. Senti, sono venuti a trovarti dei tuoi amici, oggi. Li faccio entrare, o vuoi riposare?”

Ojiro scosse il capo, “Certo che puoi. Sto bene, te l’ho detto.”

La donna annuì, lasciò la stanza e poco dopo, al posto suo, entrarono Midoriya e Shoji. Aveva intuito che uno dovesse essere Shoji, era il suo migliore amico, il primo ad aver capito che non stava bene, e l’unico con cui aveva avuto la forte tentazione di confidarsi, anche se poi non l’aveva fatto.

Non per sé stesso, per orgoglio. Non con Shoji, non aveva mai peccato d’orgoglio con lui. Forse l’unico che non aveva conosciuto direttamente questo suo piccolo –enorme- difetto.

Non l’aveva fatto perché una parte di sé gli diceva –urlava- che non poteva, non doveva. Cosa ne sarebbe stato di Shinsou? Dove sarebbe finito?

Una parte che era senz’altro più forte dell’altra, di quella che voleva punirlo.

Ma non poteva.

Quegli occhi viola, quegli occhi...tristi. Non erano gli occhi di qualcuno che meritava di vedersi la vita rovinata, il sogno infranto.

Era diviso a metà.
E così non faceva nulla.

Chiuse un attimo gli occhi, scrollò il capo. Riprenditi!

“Ciao, ragazzi.”

Ojiro-kun, come stai?”

“Bene, sto bene. Non so neanche perché sono ancora qui, ad onor del vero. Mi dispiace per la sfida, Midoriya.”

Midoriya gli sorrise, “Ma tranquillo, figurati. Voglio dire, capita. Più che altro mi spiace per te e Shinsou. Non...bhe, non avete superato la prova.”

“Immaginavo,” scrollò le spalle Ojiro, “Non importa. E’ stata colpa mia.”

“Sono cose che succedono,” affermò Shoji, avvicinandosi a lui e poggiandogli un cesto di frutta sul comodino, “A nome della classe.”

“Grazie,” fece Ojiro, “Kaminari come sta? Cioè, non è che se l’è presa?”

“E’ molto preoccupato. Gli dispiace di averti fatto male.”

“Non è stata colpa sua. Magari più tardi lo chiamo.”

“E’ una buona idea,” annuì Midoriya.

Poi rimasero in silenzio.

Volevano tutti e tre la stessa cosa.

Midoriya pareva aver intuito qualcosa, e forse anche Shoji perché era molto sveglio, e lo conosceva meglio di chiunque altro in quella classe.

E Ojiro, invece, che sperava se ne andassero, o comunque cambiassero discorso. Lì, subito.

Invece nulla. Ancora silenzio.

“Ieri...avete continuato le lezioni, poi?” si azzardò a chiedere Ojiro, tentennante.

Fu Shoji che rispose, ma lo fece con un tono strano. Come se volesse...dirgli qualcosa. Ma non riuscì a capire cosa.

“No. Aizawa le ha sospese. Non eravamo dell’umore e tanto mancavano due ore.”

“Ma...non è la prima volta che qualcuno si fa male durante un allenamento.”

“Non è quello, Ojiro. Lo sai, che non è quello.”

Ojiro abbassò gli occhi. Oh, sì che lo sapeva.

Aizawa, poi, non era certo stupido. Se anche Midoriya –pareva- sospettava qualcosa, figurarsi lui. Ancor più, poi, se si pensava che Shinsou era il suo “pupillo”.

Ma forse proprio per questo, era meglio se si facesse i fatti suoi.

“No, in realtà,” mentì, rialzando gli occhi sull’amico, “Non lo so.”

“Noi...abbiamo tutti avuto la sensazione che...insomma, che fra te e Shinsou...”

Ojiro voltò gli occhi verso Midoriya, adesso, “Tra me e Shinsou niente. Nemmeno ci parliamo. A malapena ci salutiamo. Non gli ho mai parlato.”

“No, è vero. Eppure, negli ultimi giorni...”

“Negli ultimi giorni non stavo bene. Ragazzi, lo sapete. Anche prima dell’allenamento non ero in forma. E’ stata colpa mia, avrei dovuto dirlo ad Aizawa come mi avevate consigliato.”

“Ojiro...”

“Scusate, ragazzi. Siete stati gentili a venire, ma adesso vorrei dormire un po’. Ho la testa che mi scoppia.”

Midoriya stirò le labbra, a quella frase. Era ovvio fosse una bugia, “Ojiro-kun, in verità io volevo chiederti una cosa. Su...una frase che ha detto Shinsou dopo che sei svenuto.”

Midoriya,” la voce di Ojiro era particolarmente piatta, ma ferma, “Ti posso assicurare che non ho niente da dire su niente di quello che potrebbe aver detto Shinsou.”

“Però...”

“Nessun però. Ve lo chiedo per favore.”

Midoriya, a quel punto, poté solo annuire, “Okay. Sono felice che tu stia meglio. Ci vediamo lunedì, Ojiro-kun.”

Ojiro gli fece solo un cenno col capo, poi si voltò verso Shoji che, invece, era ancora lì. Fermo, a fissarlo.

Serio.

Ojiro deglutì.

“Tu lo sai, vero, che ce l’hai scritto in faccia che hai qualcosa che non va?” gli chiese, apprensivo.

Ojiro si ritrovò a sorridere, “Immagino di sì. Ma, sai, non per forza deve essere qualcosa di importante o da far sapere...a un professore. Sono solo un po’ stressato, Shoji.”

“Per Shinsou?”

“Non proprio. Indirettamente,” mentì, “E’ che sto avendo un po’ di problemi a dormire, non mi piaceva averlo intorno prima e non mi piace neanche adesso.”

“Dovresti superarla, questa cosa del suo potere. Lo sai che un quirk non fa una persona. Io sarei un mostro, altrimenti.”

“Tu sei una persona bellissima, Shoji,” sorrise Ojiro, rivolgendogli un’espressione grata. “Mi passerà, come dopo il festival sportivo. Mi serve un po’.”

“D’accordo,” annuì Shoji, “Però, sai, ti stai comportando in modo strano con lui. Sembra...sospetto.”

Ojiro sospirò. Già, immaginava fosse così, altrimenti figurarsi se un anima candida come Midoriya avrebbe potuto anche solo pensare di sfuggita qualcosa di anche solo lontanamente simile a quello che era realmente successo.

Ma poi, in fondo, non era successo granché.

Un bacio che non ricordava. Carezze non volute, uno spogliarello non richiesto.

Non era andato oltre e i suoi occhi...quei dannati occhi, che lo tormentavano la notte, si erano scusati abbastanza anche se Shinsou non l’aveva fatto a voce.

Quegli occhi...neri, e viola.

Ma gli dicevano tutti e due la stessa cosa.

Che lui non era certo di voler ascoltare.

Mi dispiace.

“Mi sforzerò di riprendermi in fretta.”

“Va bene, amico. Allora, ci vediamo in classe lunedì.”

 

 

Angolino Autrice:

Alla fine ho unito un pezzettino dell’altro cap perché era insulso, questo, senza il discorso finale. Shoji dovevo metterlo. DOVEVO. Lo adoro, adoratelo con me!
Oibò, ci siamo.
Col prossimo cap siamo a più di metà e arriva la parte clow. Bluebb ha già capito x°D
Un bacione,
Asu

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


CAPITOLO 12

 

 

 

 

Ojiro tornò in classe il lunedì dopo, come previsto, apparentemente senza niente che non andasse a parte lo sguardo spento e stanco.

Midoriya cercò gli occhi di Todoroki prima e Bakugou poi. Voleva ancora parlare con Ojiro, su quella storia, visto che in ospedale non aveva ottenuto nulla, ma vederlo così non faceva altro che preoccuparlo ancora di più. E la faccia di Shinsou, cinerea, non li aiutava a farsi idee diverse da quelle che avevano già.

Ojiro-kun,” mormorò Midoriya, avvicinandosi con un piccolo sorriso, “Bentornato.”

“Grazie,” rispose lui, cercando invano di abbozzare un piccolo sorriso, “Mi spiace per avervi fatto preoccupare. Chiedo di nuovo scusa anche a te, Kaminari,” fece, girandosi verso il compagno, “E’ stata colpa mia, sono inciampato come un idiota.”

“Sei...sicuro di essere inciampato?”

“Certo. Mi sono distratto alle parole di Shinsou e sono inciampato,” confermò.

Era ridicolo, perché era stato ovvio a tutti quello che era successo, e Kaminari poi l’aveva sentito chiaramente, anche se non ne aveva mai fatto parola.

Ma Ojiro aveva urlato, si era ritratto, scappato. E scappata da Shinsou.

Eppure mentiva spudoratamente, adesso.

“Avevi mica...cioè, tipo, che ne so...litigato con lui? Con Shinsou dico,” azzardò Kirishima, affacciandosi dal suo banco, “Sai per...quello che è successo.”

Ojiro tacque, inizialmente, poi si limitò a scuotere il capo, “Niente che c’entrasse con la prova. Lì ho inciampato, e basta. Mi spiace di aver creato confusione, davvero. Chiedo scusa a tutti.”

“Ma non devi scusarti!” esclamò subito Hagakure, “Noi siamo solo contenti che tu stia bene adesso!”

“Sì,” annuì Ojiro, “Sto bene.”

“Ci fa piacere,” affermò subito anche Iida, “Ma adesso andiamo tutti ai nostri posti. Aizawa-sensei sta per arrivare!”

Aizawa, infatti, entrò in classe un istante dopo le parole di Iida, costringendo tutti quanti a mettersi a sedere.

Ojiro ne approfittò subito per abbassare gli occhi sul quaderno, con tutto l’intento di non alzarli più.

I suoi compagni non erano stupidi, e si erano sicuramente fatti idee sbagliate sul suo rapporto travagliato con Shinsou, per colpa della sua reazione durante la prova.

Se solo fosse riuscito a trattenersi...

Ma non i se non si andava da nessuna parte. Ormai era successo, e loro chissà cosa pensavano adesso. Aveva la sensazione che non fosse niente di bello –che potesse essere persino peggiore di quello che era in realtà realmente successo- e che riguardava soprattutto Shinsou, che involontariamente stava contribuendo a rovinare.

O meglio, Shinsou si era rovinato con le sue mani quando era entrato nella sua stanza quel giorno. E allora perché? Perché diavolo non riusciva a fregarsene e basta?

Perché si preoccupava di quello che i suoi compagni –e soprattutto quelli che erano vicini alla verità- pensavano?

Non avrebbe dovuto importargli niente, in effetti. Eppure non era così.

Non riusciva proprio a fare a meno di cercare di sdrammatizzare per fare in modo che non pensassero che Shinsou fosse...beh, qualsiasi cosa potessero pensare di negativo. Ancora di più non voleva che facessero qualcosa con chissà quali buone intenzioni.

Era meglio che si facessero i fatti loro.

“Shinsou, Ojiro,” al richiamo di Aizawa entrambi alzarono il capo di scatto.

Shinsou stava già sudando freddo, si notava chiaramente.

“Dopo in sala insegnanti, tutti e due.”

“Sì, professore...”

 

Si recarono insieme nell’ufficio di Aizawa alla fine delle lezioni del pomeriggio, proprio come aveva chiesto il docente.

Li stava chiaramente aspettando, perché non attese un solo attimo prima di iniziare a parlare.

“Immagino che sappiate perché siete qui. Innanzitutto come stai, Ojiro?”

“Bene.”

Aizawa annuì, “Mi fa piacere. Meno mi piace invece quello che è successo alla prova,” Aizawa sospirò, incrociando le braccia, “Ormai è chiaro che fra di voi sia successo qualcosa, e normalmente non mi importerebbe. Ma la cosa si sta spingendo oltre intaccando anche la vostra carriera scolastica. Accetto che possiate essere distratti a lezione, ma quello che è successo durante la prova è inammissibile. E voglio sapere perché hai reagito così, Ojiro.”

Ojiro per un attimo abbassò il capo, poi tornò a guardarlo, “Per nessun motivo, professore. Sono solo...-”

“Inciampato, sì, conosco la versione che hai dato agli altri,” lo stoppò subito il docente, “Ma non credere di prendermi in giro, ragazzo. Ti sei agitato quando Shinsou ti si è avvicinato. Hai rifiutato di farti toccare. Stai male da giorni, e non è un’influenza intestinale. Inoltre, Shinsou, sei un pessimo attore. Hai la faccia di qualcuno che sta nascondendo qualcosa che proprio non avrebbe dovuto fare,” si alzò, avvicinandosi a Shinsou e sovrastandolo con i suoi dieci centimetri di differenza, “Io voglio pensare di star sbagliando, Shinsou. Mi sono fidato di te e ho investito su di te. Ma tutto quello che ho visto in questa settimana mi porta a pensare solo ad una cosa. Ed è una cosa che ti porterà a ben più che solo l’espulsione.”

“Io....”

“Ojiro,” lui sobbalzò, a quel tono perentorio, perché tutto si aspettavo tranne che Aizawa adesso si rivolgesse a lui. “Che cosa ti ha fatto Shinsou?”

Ojiro sgranò gli occhi, che saettarono d’istinto su Shinsou.

Shinsou che se ne stava immobile, tremante, con gli occhi sgranati puntati verso il pavimento.

Che doveva dire, adesso? Aizawa aveva capito tutto. Anzi, di sicuro immaginava ben peggio di quello che era realmente successo, come tutti.

Perché Shinsou non lo aveva fatto sul serio, quello che sembrava avesse fatto. Si era fermato prima.

Si era...fermato.
Quindi cos’era giusto fare?

Che cosa doveva fare? Che cosa doveva dire?

Punire una persona che si stava già punendo da sé e che a conti fatti non...non aveva fatto niente. O fare silenzio e lasciar passare qualcosa che però poteva diventare molto peggio, e che andrebbe per lo meno sanzionato.

Ma quella era una scuola di eroi, piena di eroi.

Non sarebbe stata una strigliata, sarebbe stata...sarebbe...

“Glielo posso dire io, Aizawa-sensei,” la voce di Shinsou risuonò più ferma di quanto lo fossero le sue mani, che subito nascose in tasca.

Ojiro smise di respirare, trattenne il fiato e non riuscì a spostare gli occhi dal pavimento per guardarlo.

“Glielo dico io cosa ho fatto. E mi dispiace, mi creda, anche se so che non dovrei nemmeno sperarci. Ma mi dispiace di averla delusa. E mi assumo totalmente la responsabilità.”

Aizawa assottigliò gli occhi, “Per cosa? Che cosa hai fatto?”

Shinsou prese un enorme respiro, ma quando aprì bocca per iniziare a raccontare  la voce di Ojiro lo anticipò, lasciandolo di sasso.

“Era uno scherzo,” si affrettò a dire Mashirao, perentorio. La voce tremava come le mani che reggevano la coda, forse per avere qualcosa da fare, forse per nascondere il tremito. “Mi ha fatto uno scherzo, e ho reagito male. Voleva vendicarsi della mia accoglienza al suo arrivo in classe e mi ha fatto uno scherzo.”

“Che scherzo?” gli occhi di Aizawa saettavano ancora dall’uno all’altro. Erano tutti e due bravi a trovare scuse credibili ma così, con quei comportamenti involontari del corpo che a lui non potevano sfuggire, era impossibile che riuscissero ad ingannarlo.

“Mi ha fatto il brainwash e mi ha spinto a fare una cosa imbarazzante di cui preferirei non parlare,” rispose Ojiro, pronto. Speranzoso che non gli chiedesse cosa fosse di preciso, cercò di assumere l’aria più sicura e perentoria che riuscì a trovare. “E io l’ho presa sul personale. Per questo non volevo mi toccasse. Ero furioso e non volevo avere niente a che fare con lui, quindi ho agito nella maniera più sbagliata possibile. Chiedo perdono per aver creato tanti danni e problemi. Farò in modo che non succeda più.”

Aizawa lo fissò a lungo, ma non poteva costringerlo a parlare e quello che diceva aveva senso, purtroppo. E senza prove, ma solo sospetti verso due ragazzi che comunque non erano mai andati d’accordo, non poteva fare niente.

Quindi, fare un passo indietro. Neanche metterlo sotto pressione aveva funzionato.

“Sarà meglio. Potevi farti molto più male. O finire molto peggio. Tu, Shinsou, mi confermi la sua versione?”

I-io...” Shinsou deglutì, “Sì.”

Perché? Perché l’aveva fatto?

Shinsou abbassò di nuovo il capo, “Sì, ma è stata colpa mia per quello...scherzo. Di cattivo gusto. Chiedo scusa.”

Aizawa chiuse gli occhi. Cosa doveva fare con quei ragazzi?

Quella situazione era assurda e il suo istinto gli diceva –urlava- di non fidarsi.

Ma non aveva alternativa.

“Molto bene allora. E bada, Ojiro...la prossima volta non lascerò passare un simile errore. Adesso andate. E non costringetemi a richiamarvi di nuovo.”

“Sì. Grazie, professore.”

 

Ojiro uscì per primo dall’ufficio, a passo frettoloso e spedito.

Stava scappando.

Ma Shinsou non poteva davvero permetterlo. Allungo il passo con decisione e stava per allungare la mano per fermarlo, bloccarlo, ma riuscì ad impedirselo. Era dura, ma non poteva. Non dopo la reazione che aveva avuto due giorni prima.

Non oggi che era appena tornato dall’ospedale, che era in convalescenza.

La ritirò subito, ma anche Ojiro si era già fermato da solo.

Shinsou deglutì, più volte, finché la saliva non gli andò di traverso.

Pe-perché? Perché mi hai impedito di dire la verità ad Aizawa?”

Ojiro non si voltò, strinse invece forte i pugni, portando la coda sul davanti, come di nuovo a proteggersi. Anche se gli dava le spalle. “Perché non sarebbe stata la verità...” soffiò, “Avresti mentito per farti dare una punizione maggiore.”

“Ma io ti ho fatto quelle cose...”

“No...Non le hai fatte.”

Shinsou arcuò le sopracciglia, stupito e preoccupato al tempo stesso. Stava negando l’ovvio? Stava cercando di convincersi che non era successo niente per qualche motivo? Per cercare di superarlo forse. Di andare avanti.

Non lo sapeva. Non riusciva più a capire niente.

Era in totale confusione, ormai.

Era solo disperato. Si sentiva solo così, distrutto dentro. E avrebbe voluto solo prendere quelle spalle tremanti e stringere Ojiro a sé.

Forte.

Fortissimo.

Ma non poteva nemmeno sfiorarlo.

“Ojiro...” lo chiamò, la voce che tremava sensibilmente, “Mi dispiace. Farei qualsiasi cosa per tornare indietro e non fare niente. Mi dispiace così tanto...Io non...”

Ojiro si strinse nelle spalle, così forte che a Shinsou non poté che far tenerezza, nonostante fossero larghe molto più delle sue. “Non puoi tornare indietro,” sussurrò, “Però...Forse è stata colpa mia. È iniziato tutto da me, perché sono stato io il primo intollerante nei tuoi confronti. Se mi fossi sforzato come gli altri di accoglierti in modo decente forse...in ospedale ci ho pensato, e pensato. Tanto. Ma non riesco a capire. Davvero, io...”

“Ojiro...”

“Perché? Cioè...volevi umiliarmi? E’ stato questo? Perché hai usato il brainwash per farmi quella cosa? Io...non capisco. Sto cercando di convincermi che sto esagerando ma...ma non riesco a capire...” per un attimo gli mancò la terra sotto i piedi, si sentì come svenire. S’affrettò quindi a rimettersi seduto, spalle al muro, ginocchia alzate e coda a terra come se cercasse di creare una linea di demarcazione invisibile e invalicabile. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose la testa fra le mani.

Shinsou gli andò vicino in un lampo, “Ti senti male?”

“Non toccarmi!”

“No. No, scusa. Però...”

“Sto bene,” pigolò alla fine, “Sto bene, solo...aiutami a capire. L’hai fatto tu. Hai voluto farlo tu. Aiutami a capire, altrimenti...io non so più come uscirne...”

Shinsou strinse i pugni sulle ginocchia, facendosi un po’ indietro per mantenere le giuste distanze. Quando alzò gli occhi verso il soffitto, per frenare le lacrime e prendere coraggio, scorse subito la figura di Aizawa che si stagliava sulla soglia della porta del suo ufficio dal quale erano appena usciti.

Doveva averli sentiti ed era uscito a controllare.

Andava bene. Che sentisse. Era giusto.

Poi avrebbe preso le sue giuste contromisure.

“E’ che da quando abbiamo fatto la prova, il primo giorno di scuola, non riuscivo a togliermi dalla mente di te. Tutto. Ma tu non mi parlavi, non mi guardavi. A differenza di tutti gli altri, eri l’unico che aveva alzato una barriera invalicabile e non riuscivo a buttarla giù in nessun modo. Ed era frustrante. Non volevo ci fosse tanta distanza, così...sono venuto da te. Per parlarti. Con tutte le più buone intenzioni del mondo, credimi. Non volevo fare niente di male. Ma poi tu...” deglutì il groppo che gli era salito alla gola, asciugandosi gli zigomi con la manica della giacca anche se, a conti fatti, non stava piangendo. “Ero così deluso, e arrabbiato. Così ho pensato che forse, se mi fossi tolto quel desiderio che non mi faceva dormire la notte, me ne sarei fatto una ragione più facilmente. Del fatto che tu non volessi nemmeno sapere della mia esistenza. Non volevo fare altro che...guardarti. O toccarti. O farti toccare me. Dio, non lo so più. Anche se è disgustoso. E l’ho capito, per questo ho sciolto il Brainwash. Ma...sarebbe stato più logico farti rivestire e andarmene. Ma io volevo...dare qualcosa anche a te. Che non fosse a senso unico. Solo che tu sei andato nel panico e io...non sono più riuscito a reggere, e sono scappato. E il giorno dopo eri...così strano...”

Ojiro tremò, stringendosi ancora di più su se stesso come se cercasse di sparire nel muro. “Quello che dici...è strano. Non io. Quello che hai appena detto.”

“Forse è vero. Io...” si bloccò di colpo, come frastornato da una botta.

Non poteva dirlo.

Non poteva dirgli che lo amava, adesso. Non adesso.

Non per Aizawa, che li guardava, quanto più per tutta la situazione che aveva creato. Che era stato lui a creare.

Se quel giorno si fosse limitato a dirgli che credeva gli piacesse, e che per questo voleva conoscerlo e cercare di conquistare la sua fiducia e magari anche qualcos’altro, forse Ojiro avrebbe risposto in modo diverso. O risposto e basta. Invece non lo aveva fatto.

E le cose erano andate in malora forse per sempre.

Ma era stata colpa sua. Quindi, adesso non poteva neanche...sperare.

“Sono un codardo. Sono stato un codardo, e per questo ho sbagliato. Lo sono stato quel giorno, e per tutta la settimana, quando invece di venire a scusarmi con te fuggivo, perché capivo che tu non volevi vedermi. Ma hai ragione tu a non voler più avere niente a che fare con me. Per questo non capisco perché mi hai impedito di dire ad Aizawa la verità...Ti saresti tolto la mia faccia di torno una volta per tutte.”

“Avresti mentito. Non mi hai toccato, non mi hai fatto nulla. Io ho reagito come uno stupido. In maniera così plateale ed eccessiva e invece...anche se mi hai spogliato, per quel che ne sapevo poteva essere solo uno scherzo di pessimo gusto...”

Shinsou sgranò gli occhi, allarmato. Lo stava facendo di nuovo? Non era vero che non lo aveva toccato. Lo aveva fatto eccome.

Lo aveva baciato contro il suo volere, carezzato anche intimamente, seppur appena.

Era una molestia sessuale in piena regola!

“Negare la verità non...non serve a niente, Ojiro. Ho sbagliato. Ho fatto una cosa disgustosa, tu non hai esagerato. Hai ragione. Hai sempre avuto ragione. Ce l’hai anche adesso.”

“Non sto negando la verità,” la voce era appena un sussurro, sì, arrochito dalle lacrime, ma perentorio.

Aveva visto Aizawa anche lui e stava agendo di conseguenza.

Lo stava proteggendo di nuovo, come prima. Ancora.

“Ojiro...perché?”

Ojiro alzò definitivamente il capo, piano. Come se gli pesasse, se fosse troppo faticoso.

Piangeva.

“Perché io non voglio. Non so perché. Ma non voglio non dover più vedere la tua faccia...”

Shinsou rilassò le spalle, cadendo di botto seduto all’indietro. Si coprì il volto con una mano, giusto per cercare di trovare un minimo di contegno, ma non nascose i singhiozzi.

Tanto non ci sarebbe riuscito.

“Mi dispiace così tanto. Ti prego, perdonami...”

Ojiro lo sfiorò per la prima volta da quel giorno. Alzò la punta della coda e gliela passò raso viso. Piano. Appena.

Durò un millesimo di secondo, poi Ojiro si alzò e, anche se traballante e sfatto, si allontanò velocemente da lì.

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


CAPITOLO 13

 

 

Shinsou non aveva più pensato ad eventuali ripercussioni da parte di Aizawa, dopo quello che era successo quel pomeriggio.

Aveva in mente solo Ojiro e quello che era successo con lui, e per alcune ore dimenticò il resto. Come poteva pensare a cosa stava rimuginando Aizawa, su che punizione dargli, se l’unica cosa che vedeva era il volto di Ojiro, e l’unica cosa che sentiva era la sua coda che gli sfiorava il volto?

Una parte di sé non voleva assolutamente sperare nulla. L’altra, invece, bramava nel poter almeno fare quello: sperare che si potesse creare un rapporto, uno qualsiasi.

Che potesse perdonarlo.

Non chiedeva un miracolo, non chiedeva ricambiasse i suoi sentimenti. Ma che almeno potessero essere amici. Almeno parlare normalmente.

Almeno perdonarlo.

Quindi quando gli comparve davanti Iida, dicendogli che Aizawa lo mandava a chiamare, cadde completamente dalle nuvole. Ma andò subito nel suo ufficio, passando per la sala comunque con le mani in tasca e la testa bassa.

Ojiro lo guardò uscire, ma non chiese dove andasse. Invece, si alzò e andò di nuovo nella sua stanza.

Ci provò, almeno.

“Ojiro?”

Si voltò verso Shoji, che l’aveva chiamato e lo fissava con serietà. Quasi a doverlo studiare per bene.

“Sto bene, Shoji.”

Quello annuì, ma ben poco convinto.

Quando era tornato al dormitorio, tre ore prima, Ojiro era andato subito nella sua stanza, nonostante la cera funerea. Normalmente avrebbe passato quanto più tempo possibile da solo, troppo orgoglioso per farsi vedere in quello stato.

Ma non quel pomeriggio.

Era distrutto e aveva bisogno di tutto fuorché di rimanere da solo con se stesso. Aveva paura, a dover essere onesto, di rimanere da solo. Dei sogni ad occhi aperti, dei ricordi. Stare con qualcuno era la cosa migliore, e Shoji era la prima e unica persona che gli era venuta in mente.

Per questo era andato da lui e gli aveva chiesto se poteva aiutarlo con la parte del programma che aveva perso durante quei giorni d’assenza.

Shoji non aveva fatto obiezioni, gli aveva passato gli appunti e, per quanto non fosse certo il primo della classe e Ojiro in graduatoria fosse sopra di lui di diversi posti, lo aiutò dove poteva. Perché tanto, non era di ripetizioni vere e proprie che Ojiro aveva bisogno, tutt’altro.

Solo di compagnia.

Adesso, però, che l’aveva visto alzarsi non appena Shinsou era passato, e farlo con la coda arrotolata intorno alla vita, non poteva che preoccuparsi un altro po’.

Lui non aveva capito cosa, non si azzardava a sparare teorie a caso come gli altri, ma che fosse qualcosa di grave fra quei due era abbastanza ovvio. Bastava conoscere un poco Ojiro per capirlo, e lui ormai lo conosceva bene.

“Vuoi comunque un po’ di compagnia?” gli chiese, facendo comparire una bocca appena sorridente, con dolcezza, su una delle sue appendici.

Ojiro guardò ancora la porta dov’era sparito Shinsou, poi rivolse all’amico uno sguardo grato. “Vuoi?”

“Non te l’avrei proposto.”

“Grazie, Shoji.”
“Fate un festino?” trillò la vocina di Hagakure, divertita.
Ojiro rise appena, “No. Penso...beh...”

“Che ci guardiamo un film,” concluse Shoji per lui, più risoluto, “Buonanotte, ragazzi.”
“Oh, uffa. Ma secondo voi che cosa vuole Aizawa da Shinsou? Te l’ha detto, Iida-kun?”

“No, non mi ha specificato. Ma sono certo non sia nulla.”
Fu l’ultima cosa che sentì dire ai ragazzi Ojiro, poi li lasciò confabulare fra loro e salì nella sua stanza con l’amico.

“Senti, Shoji...”

“Dimmi.”

“Non si può espellere una persona per dei dubbi se non si ha niente contro di lei, giusto? Non si caccia uno studente per antipatia, no?”

“Di chi parli?”

“No, io...” Ojiro sospirò, carezzandosi il pennacchio della coda. “Di Shinsou,” ammise alla fine. Stranamente, anche se Shoji non sapeva assolutamente nulla di quello che era successo fra lui e Shinsou, con lui proprio non riusciva a mentire.

Ma l’altro, come al solito, non fece domande inopportune.

Forse Ojiro aveva ben scritto in faccia che non voleva parlarne.

Aizawa sarebbe capace,” ammise Shoji, ma notò subito le spalle di Ojiro farsi tese, quindi gli mise una mano sulla spalla, stringendo la presa, e gli sorrise, “Ma non credo che lo farà. E’ Shinsou, e poi, insomma, Aizawa di solito cerca di essere oggettivo e giusto. Qualsiasi cosa abbia fatto, prenderà la scelta giusta.”

“Non ha fatto niente,” sbottò tutto d’un fiato Ojiro.

“E allora, che problema c’è?”

Ojiro sospirò, “Niente. Grazie per la compagnia, Shoji.”

“Ma ti pare.”

 

Aizawa lo accolse già seduto sulla scrivania, e gli fece appena un cenno col capo. “Siediti,” ordinò.

Shinsou eseguì, teso come una corda di violino.

Adesso era arrivato il momento che stava aspettando da più di una settimana. Era evidente che, nonostante le parole di Ojiro, Aizawa non gli avesse creduto.

Era ovvio che doveva affrontare le conseguenze delle sue azioni.

Adesso, subito.

E rinunciare per sempre al suo sogno.

Era giusto. Era pronto.

“Ho riflettuto su quello che mi avete detto e su quello che, immagino tu mi abbia visto, ho ascoltato,” iniziò Aizawa. Shinsou annuì, grave. “So che sei una persona sveglia, anche se probabilmente ti ho giudicato fin troppo bene. Ma immagino tu abbia compreso che quello che...si evince, da fatti e parole che vi siete scambiati davanti a me, che qualunque ‘scherzo’, volendo chiamarlo così, tu abbia fatto, sia imperdonabile. Probabilmente meriteresti l’espulsione.”

Shinsou chiuse gli occhi, “Se vuole, lascio il dormitorio...-”

“Sta zitto, non ho finito. Tutto quello che ho sono le divergenze di due ragazzini che già da prima non andavano d’accordo. Due mocciosi che si sono sempre battibeccati, indirettamente o meno. Quello che ho sentito non è una prova, anche perché Ojiro ti ha salvato continuando a negare tutto. Io non ti credo, né a te né a lui, ma non posso fare niente.”

“Ma...”

Aizawa scosse il capo, davanti agli occhi di Shinsou ormai ridotti a due puntaspilli.

Lo aveva temuto davvero, di essere cacciato.

Invece, alla fine, Ojiro l’aveva salvato. Era proprio il caso di dirlo.

Dopo tutto quello che gli aveva fatto, era riuscito a salvarlo.

E lui, invece, non poteva fare niente per l’altro. Niente di niente, visto che neanche voleva si avvicinasse.

“No. Non è giusto,” decise alla fine, “Non è giusto. Ojiro ha mentito, e lei lo sa. Glielo dico io che cosa...-”

“Non voglio neanche sentire,” lo interruppe Aizawa, che iniziava ad essere davvero irritato, all’apparenza, e Shinsou trattenne il fiato. “Non voglio sentire altro. Io non ho prove, Ojiro ha negato e si è preso la colpa della distrazione, voi non siete mai andati d’accordo, quindi farò finta di non aver intuito nulla. Per ora. Se le cose non migliorano, Shinsou, ti caccio a calci qualsiasi sia la cosa che hai fatto. Se migliorano, dovrò credere alla scusa dello scherzo. Ma ti tengo d’occhio, ragazzino. Al minimo sgarro, il più piccolo che trovo, sei fuori. Hai capito?”

S-sì. Anche se...non me lo merito.”

“Penso anche io che non te lo meriti. Ma ho pensato che ti meritassi di essere qui, e ci ho messo la faccia. Spera che Ojiro ci passi sopra e ti perdoni, perché la mia fiducia farai fatica a riaverla.”

Shinsou abbassò gli occhi, affranto. “Mi dispiace.”

“Sparisci dalla mia vista,” sentenziò Aizawa.

Avrebbe potuto fregarsene di tutto ed espellerlo lo stesso. In effetti avrebbe dovuto, forse. Stava diventando troppo buono con quei ragazzini, e questo era male.

Non era da lui.

Ma voleva provare a dargli una seconda possibilità.

Perché alla fine ci teneva, a loro, e Shinsou sembrava realmente distrutto da quella storia. Quindi, forse, aveva compreso il suo errore.

 

--

 

“Sei da solo?”

Shinsou alzò mollemente il capo dal suo vassoio, quando sentì la voce di Monoma. Sì, in effetti si era seduto solo. Ma era stata una sua scelta.

Era sceso volutamente per ultimo in mensa, per la colazione, e quando aveva scorto la classe divisa nei soliti banchi, ma l’assenza di Ojiro, si era allontanato da loro.

Dopo la discussione avuta la sera prima con Aizawa, non si sentiva di sedersi in mezzo a tutto il resto della classe.

In verità era certo di aver visto Midoriya fargli un cenno, forse per farlo sedere insieme a lui, ma aveva finto di non vederlo. Non lo meritava, proprio come aveva detto il docente.

Non lo meritava affatto.

Ormai aveva capito bene che la classe sospettava qualcosa, o più probabilmente aveva inteso la verità –almeno alcuni di loro. Non sapeva perché ignorassero il fatto, se per carineria o solo per mancanza di prove, anche se non credeva Midoriya capace di tanto.

Quello che sapeva, però, era che la sua presenza li avrebbe messi tutti quanti a disagio. E non aveva voglia di subire domande, o ancora qualche battuta da parte di Bakugou, per quanto avesse ragione.

Quindi si era seduto in disparte, da solo.

A quell’ora c’erano già tanti tavolini liberi di gente che aveva finito e se ne era andata.

Quello che non si aspettava era la presenza di Monoma.

Perché non era già in classe?

Che barba.

“Sì,” gli rispose solamente. Monoma, allora, gli si sedette accanto. Senza neanche chiedergli se poteva o meno.

“La sezione A ti sta ignorando e evitando, vero? Ti isola addirittura, che stupidi,” rise, di quella risata irritante e cattiva, iniziando a mangiare il suo pesce, “Non riescono a carpire lo splendore del tuo quirk, sono davvero degli ottusi.”

“Perché, tu credi di essere meglio?”

“Ma ovviamente!” esclamò, “Nella sezione B ti saresti trovato molto meglio. Non sarebbe mai successo niente di tutto questo, saresti stato accolto a braccia aperte. Il tuo quirk è fenomenale, subdolo il giusto, come il mio. Ma loro non possono capire.”

Shinsou ghignò, come al suo solito, ma gli occhi puntavano amari davanti a loro, malinconici.

Quanto si sbagliava, Monoma, non ne aveva idea.

La sezione A lo aveva accolto a festa, ed era stato fantastico, tutto fantastico. Si era sentito apprezzato fino in fondo, come persone e come futuro eroe. Kaminari e Midoriya erano stati gentilissimi e ispirati da loro anche tutti gli altri.

Soprattutto le ragazze, capeggiate da Uraraka.

Era stato lui a rovinare tutto

Partendo da Ojiro.

“Non me ne importava prima e non me ne importa adesso.”

“Beh, dovrebbe. La A cos’ha da darti? Con quel pazzo isterico di Bakugou che non fa altro che menare le mani e quella scimmia ottusa accompagnata da quell’uccellaccio...ci credo che poi ti ritrovi tutto da solo!”

Shinsou assottigliò lo sguardo, quando sentì Monoma rivolgersi a Ojiro e Takoyami. Evidentemente ce l’aveva ancora per quello che era successo al test del primo giorno di scuola.

Per essere stato in squadra con loro e ancora di più per essere stato salvato da loro.

“Sai, tutto sommato per te potrei fare un’eccezione, Shinsou. Anche se sei nella A sei stato a poco così dall’entrare in B e poi...tu sei diverso, da loro. Potrei esserti amico io, che ne dici?”

Mphf,” bofonchiò Shinsou, più che altro trattenendosi dal parlare realmente.

Amico di Monoma...sì, gli sarebbe stato indifferente in momenti normale. Gli avrebbe persino potuto far piacere.

Ma adesso aveva solo voglia di tirargli un pugno. Lo irritava enormemente.

“Posso sedermi?”

Stava diventando un’abitudine essere colto di sorpresa da gente che non si aspettava di vedersi arrivare vicino.

Prima Monoma, che comunque qualche volta provava ad attaccare bottone, ma la presenza di Midoriya e Todoroki gli faceva cambiare idea –o le manate di Kendo, doveva ancora decidere-. E adesso...Ojiro.

Che con la sua scarsissima colazione in mano se ne stava lì ad aspettare.

Come se avesse mai potuto dirgli di no.

C-certo,” soffiò infatti.

Ojiro guardò appena Monoma, che aveva inarcato un sopracciglio, irritato, poi scostò la sedia usando la coda e si sedette.

“Ciao, Monoma.”

“Oh, è tornato. Non ti vedevo più nei dintorni, pensavo avessi finalmente capito che una nullità come te non ci faceva niente, in questa scuola!”

Shinsou tese subito le spalle, ma Ojiro si limitò a prendere un boccone di riso.

“Oh, ignori la realtà? Tipico gesto dei vigliacchi. Cos’hanno fatto, quei fessi della A? Hanno già iniziato ad allontanare anche te? Dopotutto, è la natura. Gli esemplari più deboli e inutili vanno allontanati, per non rallentare il branco!”

Shinsou prese un lungo sospiro, perché in quel momento avrebbe voluto prenderlo e sbatterlo al muro.

Ma non era il caso. No.

Aizawa era stato chiaro: uno sgarro ed era fuori. E per Monoma, no, non ne valeva la pena.

“Quindi vale anche per te, giusto Monoma?” gli chiese subito, “Che sei da solo, non vedo gli altri della B.”

“No Shinsou. Mi sono solo svegliato tardi.”

“Anche io,” sentenziò Ojiro, “E anche Shinsou non mi risulta sia stato isolato dagli altri. Siamo solo in ritardo.”

Monoma scoppiò a ridere, di quella sua risata inutilmente sguainata, “Che scusa patetica per uno scimmione patetico!”

Shinsou sbatté la mano sul tavolo con tanta forza da far sobbalzare anche Ojiro, seduto davanti a lui. “Ripetilo di nuovo,” ringhiò, alzandosi con il preciso intento di sormontare il collega della sezione B, “E ti farò pentire amaramente di avermi rivolto la parola.”

Monoma fu percorso da un lungo brivido, “Che ti prende? Non ce l’avevo mica con te!”

“E’ indifferente. Non sono qui per fare amicizia con nessuno, tantomeno con uno patetico come te, Monoma. Sparisci dalla mia vista o userò il brainwash su di te e non lo renderò piacevole.”

Monoma si alzò di scatto, “Voi della A siete tutti fuori di testa! Mi devo rimangiare le mie parole, Shinsou, sei pazzo come quell’esaltato di Bakugou! La sezione A è proprio quella che ti si addice di più!” disse, prima di girare i tacchi e sparire oltre la porta della mensa.

Shinsou, però, rimase ancora in piedi. Di profilo rispetto a Ojiro, ma gli occhi puntati altrove.

Ojiro teneva ancora le bacchette a mezz’aria, e lui era terrorizzato all’idea di poter aver di nuovo fatto qualcosa che non doveva, seppur non direttamente a lui. Aveva di nuovo fatto il folle davanti a lui.

Quando lo vide alzarsi, per un attimo tremò. Ma Ojiro si limitò a prendere i tre vassoi, i loro e quello che Monoma aveva lasciato lì, e impilarli.

“Mangi ancora?”

N-no.”

“Balbetterai per sempre quando parlerai con me?”

“...eh?”

Ojiro scosse il capo, gli diede le spalle per andare a posare i vassoi nei punti di raccolta e poi tornò a recuperare lo zaino. Per un attimo scorse un breve, minuscolo sorriso.

“Potevo difendermi da solo.”

“Sì. Lo so. Ma mi stava innervosendo.”

“Già. E’ una cosa che gli riesce molto bene.”

“Ojiro...senti...”

“Ci ho pensato tutta la notte. Alle cose che mi hai detto ieri,” lo interruppe lui, “Alla fine avevo ragione. Sembravi così sincero...che non posso proprio ignorarti.”

“Avresti ragione a farlo.”

“Forse. Ma non penso che capirò mai niente se...ti ignoro e basta. Anzi ho la sensazione che...sia sempre peggio...proprio perché ti ignoro. E io...Non ce la faccio più. Sta diventando...soffocante. Sto uscendo di testa.”

Shinsou digrignò i denti, lo sguardo basso e ancora le giuste distanze da lui. “Mi spiace.”

Ojiro sospirò, la coda fece un minuscolo movimento circolare a mezz’aria e poi se la portò sulla spalla. Come faceva prima. Niente più abbraccio intorno alla vita. Perché non ce ne era bisogno, forse?

Poteva sperarlo? Solo un po’.

“D’accordo,” acconsentì Ojiro, “Le accetto. Accetto le tue scuse.”

A Shinsou per un attimo mancò la terra sotto i piedi.

Solo che questa volta non era per disperazione.

“Però non toccarmi.”

“No. Certo,” giusto, si disse Shinsou, ma senza poter nascondere un minuscolo sorriso di commozione. Un po’ per volta, a piccoli passi.

Per farsi perdonare.

“Andiamo? Arriveremo tardi a lezione.”

“Sì, eccomi. Ojiro?”

“Dimmi.”

“Grazie. Davvero.”

Quando misero piede in classe insieme, e per di più per ultimi, il primo ad accoglierli fu lo sguardo di Aizawa.

Non stupito, però. Shinsou era pronto a scommettere che se lo aspettava, visto com’erano andate le cose il pomeriggio prima, sotto i suoi occhi nascosti e attenti. Era lui l’unico che non credeva affatto che Ojiro potesse fare qualcosa di simile? Quell’uomo era un mostro.

Gli altri invece ebbero proprio la reazione che lui si aspettava.

Bakugou lo incenerì con gli occhi, per poi schioccare la lingua, “Che cazzata,” borbottò, ma Shinsou aveva tutta l’intenzione di ignorarlo.

Guardò solo Midoriya, dietro di lui, che aveva l’espressione quasi scioccata. Lo stupore di chi non stava capendo nulla di quello che stava succedendo. Eppure, alla fine gli rivolse un sorriso rassicurante, e Shinsou rilassò le spalle.

“Scusi il ritardo,” fece al suo posto Ojiro, a nome di entrambi.

Ignorò tutte le occhiatacce, e anche il chiacchiericcio di Ashido e Hagakure, che forse pensavano avessero fatto pace dopo la presunta litigata. O qualsiasi cosa pensassero dell’accaduto.

Chissà che non avessero ragione. Non ne era del tutto certo, Ojiro.

Non era ancora certo di quello che stava facendo.

“Per oggi va bene. Sedetevi,” esclamò Aizawa, indicando i due posti in prima fila. Ojiro e Shinsou non persero tempo, anche perché Ojiro non aveva davvero voglia di sentir borbottare tutti i loro compagni, per quanto fosse certo lo facessero con tutte le buone intenzioni.

Comunque, era soddisfatto che anche Midoriya stesse confabulando con Bakugou, anche se era strano vederli parlare così fitti senza tentare di uccidersi. Anche se Bakugou, in effetti, pareva più intento a cercare di non tirargli un pugno.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


CAPITOLO 14

 

 

 

 

Shinsou si accasciò letteralmente sul banco, faticando terribilmente a tenere alta l’attenzione. Ma doveva, almeno durante la lezione di Aizawa, ecco. Altrimenti poteva diventare un problema davvero.

Aveva la testa pesante già dal giorno prima, non era riuscito a chiudere occhio, continuava a girarsi e rigirarsi in attesa che Aizawa gli bussasse alla porta e gli dicesse che era espulso, anche se sapeva che non era così che funzionava, sapeva di non aver fatto nulla. E poi aveva ancora il viso di Ojiro davanti agli occhi, le sue parole. Il suo perdono.

Dormire era impossibile.

Era tutto quello che Shinsou aveva desiderato dopo quel suo orrendo gesto.

Eppure adesso non sapeva più che fare, come comportarsi. Forse perché non si aspettava affatto che Ojiro potesse davvero perdonarlo.

Il punto era che sì, certo, gli aveva detto che gli avrebbe dato una seconda possibilità, ma ovviamente non poteva toccarlo. Quindi, che fare? Doveva ancora evitarlo come la peste e lasciarlo in pace, o poteva azzardarsi a provare ad essergli amico?

Solo amico. Oramai non avrebbe mai chiesto niente di più.

“Shinsou?”

Mmh?”
Era Midoriya. Era iniziata la pausa pranzo e non se ne era neanche accorto, chissà da quanto tempo stava con la fronte appoggiata al banco senza che nessuno gli dicesse niente. Forse Shoji, seduto dietro di lui, gli aveva effettivamente picchiettato sulla spalla per attirare la sua attenzione.

Ma non se ne era neanche accorto.

Ad ogni modo, i docenti non avevano alzato poi quel gran polverone per la sua disattenzione.

“Stai bene, Shinsou?”

Mh.”

“Ehm...” Midoriya si accucciò davanti a lui, piegandosi per cercare almeno di guardarlo in viso, “Non sembra. Ojiro ti ha attaccato l’influenza?”

Shinsou si sforzò di alzare il capo il tanto sufficiente da guardare gli occhioni verdi dell’altro. “Che influenza? Lo sai benissimo che...”

“Beh, in verità,” lo interruppe Midoriya, “Sto iniziando a credere davvero che avesse solo l’influenza, no? Insomma, siete arrivati in classe insieme, ieri. E adesso Ojiro è andato a pranzo con Shoji e Takoyami, quindi l’inappetenza gli è passata, no? Sembra...davvero che sia tornato tutto come prima. Voglio credere che sia così.”

“Ti facevo più intelligente, Midoriya.”

Fu Midoriya a sospirare stavolta, “Sto solo cercando di smetterla di pensare alla cosa peggiore. Perché...l’idea che quello che dice Kacchan sia vero...”

“Cosa dice Bakugou?”

“Beh...”

“Che sono un mostro? Degno di un villan, se non peggio? Che se Ojiro adesso mi parla ed è entrato in classe con me è perché gliel’ho imposto? Magari col Quirk, giusto? Perché so fare solo questo. E forse ha ragione.”

“No. Che Ojiro lo ha fatto perché gli fai pena. E che sei patetico. Che hai fatto...ma io non ci credo. Deve esserci qualcosa.”

“Invece no. Ha ragione.”

“Dici? Ojiro è orgoglioso, non lo farebbe per pietà. E poi...è una settimana che anche tu sembri stare sempre male.” Shinsou non gli rispose, si limitò invece ad abbassare il capo e tornare a poggiare la fronte sul banco. Era fresco. “Io credo che ci siano motivi che non abbiamo calcolato, sia per il comportamento tuo e di Ojiro sia per...la sua mancata denuncia ai professori.”

“Sì. Che è troppo buono. Lo siete tutti, qua.”

“Non credo. Forse...Ha semplicemente capito che il tuo stato d’animo era vero e che ti stavi già punendo da solo.”

“Stronzate.”

“Forse. Ma io mi fido di quello che vedo  e quello che ho davanti è che Aizawa non ti ha neppure punito. Eppure ieri ci hai parlato, giusto?” sorrise ancora Midoriya, tornando ad alzarsi in piedi.

“Non c’entra.”

“Se fosse davvero stato il caso, AIzawa l’avrebbe fatto. E lui sa sempre tutto, non gli si nasconde qualcosa facilmente.”

“In questo caso è diverso, Midoriya.”

“Io penso che dovresti perdonarti anche tu. Se l’ha fatto Ojiro e Aizawa non ti ha punito, forse dovresti. Non trovi?” affermò, determinato. Aveva ancora idea che qualcosa gli sfuggiva, Bakugou era ancora convinto di quello che diceva fino al giorno prima nonostante le cose, fra quei due, sembrassero essersi stabilizzate. Ma voleva pensare il meglio possibile.
Non ce la faceva proprio, e nemmeno voleva, pensare a Shinsou in quei termini.

“Vieni a pranzo con noi? Todoroki e Iida sono già andati a prenderci i posti! Non puoi rifiutare!”

 

--

 

A quattro giorni da quella decisione presa nei confronti di Shinsou, tutto sembra tornato come prima. A prima che succedesse tutto, a prima che Shinsou facesse quel passo falso con lui.

L’unica cosa cambiata, era che Ojiro lo salutava, la mattina, quando passava davanti al tavolo in cui Shinsou sedeva con Midoriya e il suo solito gruppo, prima di raggiungere Shoji, Tokoyami e gli altri, dall’altra parte.

Ma non perché l’avesse perdonato solo per pietà o chissà che altro.

Semplicemente, era difficile anche per lui. Forse molto più difficile che per Shinsou stesso, anche se a guardarli in volto non si direbbe.

I ruoli, infatti, sembravano essersi scambiati, adesso.

Ed era Shinsou quello malaticcio.

In verità, l’idea di averlo perdonato gli aveva come tolto un peso dal petto.

Non che si sentisse meglio, ma più leggero. La sensazione di soffocare che aveva avuto in quei giorni era passata. Si era ridotta così tanto che adesso non era che un fastidio.

Era bastato decidere di perdonarlo.

Forse perché dentro di sé era consapevole che non era giusto quello che aveva fatto fino a quel momento. Che Shinsou aveva sì sbagliato, ma si era anche pentito fin da subito. E cosa ancora più importante, che non poteva giudicare una persona in base al suo Quirk, perché quello che contava davvero era come lo si usava. E Shinsou non l’avrebbe mai sfruttato per fare quello che aveva fatto quell’uomo, rovinando la sua famiglia.

Era stato così male anche fisicamente nei giorni scorsi e invece gli era bastato arrivare a questa semplice conclusione, quasi ovvia, per far si che tutto sembrasse passato. Non del tutto, ma decisamente meglio. Più sopportabile.

Dormiva la notte, mangiava di nuovo, il suo colorito era tornato quasi normale ed era molto più in forze. Niente più incubi ad occhi aperti, soprattutto.

Se non fosse per il divieto di Recovery avrebbe affrontato gli allenamenti con gli altri senza alcuna remora.

Ma non poteva. Dopo il ricovero in ospedale era esonerato fino a nuovo ordine.

Kaminari l’aveva guardato con rammarico, ma prima ancora che potesse dirgli niente Ojiro gli aveva sorriso appena, alzando il pollice. Ma non per prenderlo in giro.

L’amico gli aveva risposto alzando entrambi i suoi.

Seduto in disparte rispetto agli altri che si stavano allenando con i professori e fra di loro, Ojiro si guardò un po’ intorno.

Shinsou non c’era.

Da nessuna parte.

“Sono felice di vedere che ti sei ripreso per bene, giovane Ojiro.”

All Might gli si sedette accanto senza neanche chiedere, gli occhi azzurri fissi alternativamente su Bakugou e Midoriya.

“Sì signore. Sto bene.”

“Sì nota la differenza. Solo mi chiedo....Avevi solo un’influenza, come dice Chiyo?”

Ojiro piegò il capo di lato con un sospiro, “Io...” era dura pensare di mentire all’ex Eroe numero Uno, però sapeva anche che se avesse detto la verità a lui c’erano buone possibilità che il suo senso di giustizia lo portasse poi a parlarne con Aizawa.

Aveva fatto di tutto per cercare di scagionare Shinsou, anche entrare in classe con lui il giorno prima, o sederglisi accanto in mensa a colazione, erano cose che aveva fatto per far capire ai compagni e a chi puntava il dito su di lui che stavano esagerando proprio come aveva esagerato lui fin da principio.

E tutto era iniziato proprio da quello.

Ma Shinsou non era cattivo.

Vederlo piangere il giorno del suo rientro a scuola, fuori dall’ufficio di Aizawa, glielo aveva fatto capire. Lo sapeva già, ovvio, ma era stato come liberarsi dal velo che gli copriva gli occhi.

Shinsou non era cattivo. Si era solo fatto prendere dal desiderio e dalla rabbia.

Anche lui lo aveva sbattuto al muro.

Era stato simile, solo che Shinsou provava qualcosa per lui, e aveva agito di conseguenza, mentre Ojiro credeva di no.

Provava qualcosa di simile al timore, alla paura e al disgusto per lui e per il suo quirk, e aveva tenuto ingiustamente le distanze. Credeva di odiarlo perché odiava il suo potere per quello che gli aveva fatto in passato, seppur gestito da qualcuno che non era affatto Shinsou.

Shinsou non aveva mai fatto niente, la verità era che Ojiro stesso era l’unico che non aveva capito niente. Mai.

Ciononostante adesso era forse troppo tardi? Per qualsiasi cosa fosse realmente la sensazione che provava per Shinsou e che aveva voluto scambiare per odio per sopperire ai sensi di colpa verso i suoi genitori e quello che era successo quel giorno.

Scosse il capo.

No, stava delirando.

“Stavo male sì. In più avevamo litigato, io e Shinsou. E’ stato solo questo, Professor All Might. So di aver fatto preoccupare tutti quanti e mi dispiace molto.”

Toshinori sorrise dolcemente, voltandosi verso di lui, “E adesso? Vi siete chiariti?”

“Credo. Insomma...ci stiamo...lavorando. Io...beh, diciamo di sì,” decise alla fine. In fondo l’aveva perdonato, quindi era inutile stare lì a girarci intorno.

“Mi fa molto piacere, ragazzo.”

“Senta...Shinsou ha detto a voi professori come mai non c’è oggi?”

Toshinori si portò una mano al mento, pensieroso, “Mah, credo Aizawa borbottasse qualcosa sul fatto che fosse assente giustificato.”

“Quindi sta male?”

“Vado a chiedere ad Aizawa se vuoi.”

“Ah, no, no. Non fa niente. Grazie lo stesso.”

“Come vuoi,” sorrise ancora Toshinori.

Rimase accanto a lui tutto il resto dell’allenamento finché non tornarono in classe, forse per tenergli compagnia o forse perché voleva vedere che combinavano Bakugou e Midoriya.
Ojiro comunque lo degnò di attenzione solo se era il professore a parlare con lui, per il resto del tempo non riusciva a smettere di pensare, rimuginare.

 

Ojiro ci aveva pensato a lungo, durante il brevissimo tragitto che andava dalla scuola al dormitorio, e alla fine decise che non ci trovava niente di male, tutto sommato. Per questo si alzò, quando Midoriya disse che sarebbe stato il caso che qualcuno andasse da Shinsou a vedere come stava e a portargli gli appunti di quel giorno.

Probabilmente, conoscendolo, stava per dire che ci sarebbe andato lui, ma Ojiro lo anticipò.

“Glieli porto io,” affermò. Midoriya lo fissò sbalordito solo per un istante, poi sorrise a sua volta.
“Okay. Grazie, Ojiro-kun!”

“Ah, aspetta aspetta!” lo fermò al volto Sato, porgendogli poi il vassoio con cui era sceso dalla sua stanza ma su cui erano rimaste solo due fette dell’enorme torta glassata e ricoperta di panna montata che aveva portato per tutti loro.

Anche se non era il compleanno di nessuno.

Ma Sato lo faceva spesso, in verità, soprattutto se aveva tempo e di mattina avevano affrontato un duro allenamento. Preparava un dolce e ne dava un pezzo a tutti quanti. Una gentilezza dolcissima che aveva riscontrato molto clamore nella loro classe.
“E’ la tua parte e quella di Shinsou. Portagliela...se non ha un’influenza intestinale secondo me gli farà benone! Da energia!”

“Va bene. Grazie!”

Sato si risedette al suo posto, mentre Ojiro entrava e spariva nell’ascensore.

Arrivato al piano di Shinsou, però, Ojiro ebbe per un attimo un tentennamento.

Di nuovo in una stanza da soli. Forse...forse era stata una brutta idea, tutto sommato. Bruttissima.

Forse era meglio scendere e far andare Midoriya.

Anzi, no.

No, se l’avesse fatto, anche a chi non sospettava la verità sarebbero venuti i dubbi più disparati. Se oltre a dar di matto per un tocco che non c’era stato, tanto da finire in ospedale pur di evitarlo, tornava tremante sui suoi passi senza una scusa e senza aver visto Shinsou come se ne avesse timore, anche la mente più genuina avrebbe capito.

Aveva capito anche Midoriya, anima pura.

Ma avevano capito male, però.

Non gli aveva fatto niente, niente più di pochi baci leggeri e molestie fatte a cuor pesante. Per altro era stato appena uno sfiorarsi.

Prese un lungo respiro e bussò due volte. Shinsou non rispose subito, e stava già iniziando a pensare che forse stesse dormendo, quando la porta si aprì.

Il volto di Shinsou sbucò sfatto e arrossato dalla febbre, i capelli scompigliati e stranamente liberi dal gel, gli occhi viola cerchiati come mai sgranati verso di lui, “Ojiro?”

“Ti ho portato i compiti e la torta di Sato,” mormorò Ojiro, perdendosi per un attimo a fissargli i capelli abbassati.

Sembrava un’altra persona, conciato così. Se l’avesse incontrato per strada in quello stato forse non l’avrebbe neanche riconosciuto.

“Oh...grazie,” soffiò Shinsou.

Erano ancora sulla porta, notò Shinsou distrattamente. Doveva farlo entrare, forse. O chiedergli di lasciarlo solo e toglierlo dall’ingombro?

“Non credo che mangerò la torta.”

“Non ti farebbe male,” inarcò un sopracciglio Ojiro, “Sembri sul punto di svenire. Non hai dormito?”

“No,” ammise Shinsou, passandosi una mano fra i capelli. Il movimento lo portò a staccarsi dal muro e traballò appena, instabile sulle gambe.

Ojiro gli avvicinò la coda d’istinto, come a volerlo sorreggere, ma fermandosi poco prima. Senza neanche sfiorarlo.

“Dovresti stenderti. Ti metto io gli appunti sul tavolo.”

Shinsou sgranò gli occhi ancora di più, se possibile, “Vuoi...entrare?”

“Solo...” Ojiro si bloccò, fissando per alcuni istanti davanti a sé, senza guardare nessuno. L’aveva già preso in considerazione, quell’eventualità. Andava tutto bene. Tutto bene. Scosse il capo, “Solo un attimo,” sentenziò.

Shinsou annuì, scostandosi dalla porta e lasciandolo entrare mentre lui, distrutto, si buttò di peso sul letto. Ojiro si chiuse la porta alle spalle, poggiò il quaderno sulla scrivania ben sapendo che ridotto così Shinsou non li avrebbe mai neanche guardati.

“Hai la febbre alta?”

“Non l’ho misurata, a dire il vero.”

“Come no? Non sei andato da Recovery Girl?”

“No.”

“Avresti dovuto. Te la vado a chiamare.”

“No, no! Non serve. Un po’ di febbre non ha mai ucciso nessuno...”

Ojiro stirò le labbra a quel punto, per qualche ragione il tono usato dall’altro non gli era piaciuto “Lo dici come se fosse una sfortuna. Sai, Shinsou, se avessi voluto che morissi o sparissi l’avrei detto ad Aizawa all’istante, quando avevo ancora i segni. E avrei anche potuto ingigantire la cosa, e suppongo tu non avresti neanche negato.”

“E con quale diritto?”

Ojiro sospirò e, anche se non era l’idea iniziale, si sedette a terra davanti al letto dov’era sdraiato Shinsou, col piatto in mano. “Non è che hai un calo di zuccheri e stai delirando?”

“Forse,” soffiò Shinsou, rimanendo sdraiato solo per poterlo fissare negli occhi. Cercava di cogliere qualcosa, ma non ci riusciva. La febbre e la stanchezza non lo aiutavano a ragionare. “Non dovresti sforzarti così tanto.”

“Di fare cosa?”

“Di...stare qui. Di starmi vicino.”

Ojiro abbassò di poco gli occhi, come se per un attimo si fosse di nuovo perso nei suoi pensieri, “l’altra volta mi sono sforzato, parecchio” ammise alla fine con un filo di voce, “Però stamattina, visto che non c’eri e io non potevo allenarmi, ho avuto tanto tempo per pensarci. E...mi sento meglio così, in realtà. Dopo aver deciso di perdonarti...mi sono sentito meglio.”

“...Meglio?”

“Sì. Io...te l’ho detto, quella situazione stava iniziato a farmi stare male, era soffocante. Ma adesso non ho più quella sensazione. E’...strano, lo so. Forse è adesso che sto fingendo che sia tutto okay, che sto fuggendo dalla realtà, come mi hai accusato l’altro giorno. Non so. Ma non mi sto sforzando adesso.”

Shinsou trattenne il fiato quando Ojiro gli regalò quel piccolo, timido sorriso.

Sorrideva a lui. O comunque con lui.

Poco, ma era qualcosa no?

Era...felice. Non se lo meritava, ma era felice.

Era davvero felice.

“Hai saltato sia la colazione che il pranzo, vero? Hai preso qualcosa per la febbre?”

“Sì, non avevo fame. E no, non ho preso niente.”

Ojiro annuì e gli poggiò il piatto sul letto, proprio accanto al viso, “Allora mangia. Ti fa bene. Io torno subito.”

“E dove v...ai. Okay,” Shinsou sospirò, si alzò a sedere e, seppur con ben poca voglia, iniziò a mangiare. La torta era squisita, come ogni cosa che preparava Sato, e ad ogni boccone si rendeva conto che, in effetti, era vero che dopo tutta una giornata senza mangiare aveva fame.

La finì in un lampo, senza neanche chiedersi se erano entrambe per lui. Ad ogni modo ormai era tardi.

Ojiro non era ancora tornato, ovunque fosse andato, quindi tornò a stendersi sul letto, la faccia arrossata dalla febbre –e forse non solo- affondata nel cuscino.

Non sentì neanche la porta riaprirsi.

Di solito Shinsou non si addormentava mai così in fretta, anzi erano più le volte in cui non si addormentava affatto. Ma era stanco, ammalato, appesantito da quello che aveva appena mangiato e dalla notte precedente passata insonne.

Per questo quando Ojiro rientrò lo trovò così, il viso per metà nascosto dal cuscino e gli occhi chiusi. I capelli, però, erano appiccicati alla fronte dal sudore ed ebbe la netta sensazione che la febbre si fosse davvero alzata.

“Non dovresti metterti così. Peggiori se prendi freddo e non ti copri bene,” gli disse. Ma Shinsou non rispose. “Shinsou?” Si girò di nuovo verso di lui, ma non si era mosso.

Il respiro, adesso che lo notava, era pesante, leggermente irregolare per colpa della febbre alta.
Doveva essere peggiorato ancora. Si vedeva. Il volto era arrossato e sudato.

Si inginocchiò di nuovo davanti al letto, “Shinsou?”

Niente.

Doveva svegliarlo? No, sarebbe stato ingiusto. Però...

Sospirò, prese un pezzo di stoffa e andò in bagno a cercare una bacinella. Si fermò sulla soglia.

Se Shinsou aveva una camera piena ma ordinata, il bagno era un disastro.

Evidentemente ci metteva più tempo a sistemare i capelli di quanto se ne prendesse per mettere senso in quel bagno. L’idea, per qualche ragione, lo faceva ridere.

Prese una bacinella e la riempì d’acqua fresca, poi tornò nella stanza.

Dove si fermò a guardare Shinsou.

Poggiò la bacinella sul comodino, accanto alla medicina che gli aveva preparato, ma...l’idea che gli era venuta adesso gli sembrava folle.

Gli aveva chiesto lui di non toccarlo. Era stato lui.

Però Shinsou stava male...

Non era giusto lasciarlo lì, così.

Deglutì, stringendo la mano a pugno.

Era stupido. Era proprio stupito. Tanto, Shinsou dormiva.

Trattenne il fiato mentre, pianissimo, gli sfiorava la fronte. Al primo contatto ritirò la mano, ma Shinsou non si mosse comunque così ripeté il gesto. Con appena solo la punta dei polpastrelli, scostandogli le piccole ciocche violacee zuppe di sudore.

Aveva ragione. Era proprio bollente.

Scosse il capo con forza e si tirò indietro di scatto.

No, non poteva fare quello che aveva pensato. Asciugargli il sudore andava bene, ma aiutarlo a cambiarsi il pigiama fradicio no. Quello no.

Si limitò a coprirlo per bene con il piumino, asciugandogli e rinfrescandogli solamente il volto e il collo.

Non riuscì ad evitarsi di sfiorargli di nuovo il volto, nel farlo. La pelle era accaldata, ma sembrava morbida. Shinsou l’aveva baciato, ma non gli aveva permesso di ricordarsi il sapore delle sue labbra.

E lui l’aveva fermato, impedendosi di scoprire il calore di quelle mani così grandi.

No.

No, che stava pensando?
Stava impazzendo, forse.

Lasciò tutto lì, la bacinella e anche le medicine, ben in vista, e uscì dalla stanza.

Che gli saltava in mente?

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


CAPITOLO 15

 

 

 

Shinsou tornò in classe solo due giorno dopo, quando la febbre gli era finalmente passata.

Era di nuovo sceso a colazione per ultimo, aveva visto Monoma ma quello l’aveva fortunatamente ignorato. Ojiro doveva aver già mangiato, perché non vedeva metà della classe, fra cui Shoji, Sato e Tokoyami con cui stava sempre in gruppo.

Non era neanche più venuto a trovarlo, dopo quel pomeriggio.

Quando Shinsou si era svegliato, quella volta, era solo in stanza, ma stranamente sotto le coperte. Non ricordava di essercisi messo, e ne ebbe conferma quando, guardandosi intorno, aveva notato la bacinella sul comodino e le medicine. E qualcuno, Ojiro probabilmente, aveva portato via il piatto con la torta.

Per un attimo era rimasto interdetto all’idea che fosse stato Ojiro a metterlo sotto le coperte perché, volente o meno, significava che lo aveva toccato. Non ce lo vedeva ad andare a cercare qualcuno. Doveva averlo fatto lui.

Lo aveva messo sotto le coperte, gli aveva fatto degli impacchi e gli aveva anche lasciato delle medicine.

E Shinsou, quando aveva capito, si era sentito subito meglio.

Anche se Ojiro non era più tornato a trovarlo e il giorno dopo era stato Midoriya a passare per portargli i compiti, e alla sera era passato Kaminari, lui si era sentito comunque bene.

Era decisamente più felice di quanto si meritasse di essere.

Per questo quando era entrato in classe aveva pensato che permettersi di fargli un sorriso non fosse una cattiva idea. Ma Ojiro rispose arrossendo appena sulle goti e distogliendo lo sguardo.

Shinsou inarcò un sopracciglia, stranito. Non sembrava il comportamento di qualcuno che era contrario, quanto più...imbarazzato. Ma perché mai avrebbe dovuto?

“Bentornato, Shinsou!” esclamò Kirishima da in fondo alla classe, seduto sul banco di Sero che chiacchierava con lui e Kaminari, che alzò la mano per salutarlo.
We! Ce l’hai fatta a riprenderti!”

“Non sono mancato così tanto,” gli rispose con una scrollata di spalle, prima di sedersi al suo posto. Midnight arrivò quasi subito dopo, dando inizio alla lezione.

Shinsou, nel corso della mattina, aveva portato lo sguardo su Ojiro in più di un’occasione, ma quello non aveva staccato gli occhi dal libro neanche per un secondo e al suono della campanella della pausa pranzo si era alzato ed era subito andato verso Sato e Shoji per andare in mensa.

Non aveva fatto neanche in tempo ad avvicinarsi.

“E’ di nuovo nervosetto?”

“Non iniziare, Kaminari,” lo interruppe subito, alzandosi e recuperando la cartella.

“Ma no, non inizio. Ho avuto solo una strana sensazione di deja-vu!”

Shinsou sospirò. E come dargli torto? L’aveva avuta anche lui, solo che mica poteva andare da lui e chiedergli che succedeva. Se aveva deciso che aveva di nuovo voglia di ignorarlo, era libero di farlo.

Hey, dove te ne scappi pure tu? Ma che, andate sempre in coppia voi due? Vieni a pranzo con noi, dai!”

“Ehm...” Shinsou alzò gli occhi su Bakugou, che stava fermo sulla porta con Kirishima e Ashido e probabilmente stavano aspettando Kaminari. Bakugou pareva già contrariato da prima, ma quando sentì dire quella frase a Kaminari gli scoccò un’occhiata tale che Shinsou fu certo se non ci fosse stato Kirishima l’avrebbe già spedito al creatore con un’esplosione.

“Meglio di no, Kaminari.”

“E perché? Eddai, non farti rapire sempre da Midoriya, non c’è mica solo lui!”

“No, ma almeno lì non rischio di finire al creatore.”

“Dici Bakugou? Ah, tranquillo, lui abbaia ma non morde!”

“Cos’è che hai osato dire, faccia da scemo?!”

“Ahia Bakugou!” sbottò Kirishima, finito inevitabilmente vittima dell’altro visto che era quello che gli era più vicino e stava cercando di quietarlo, “Kaminari, Shinsou, vi muovete?”

“Io quello stronzo non ce lo voglio al tavolo con me, cazzo!” esclamò Bakugou, ululando in mezzo al corridoio.

“Oh, su, non fare tutte queste storie!” squittì anche Mina, appoggiandosi al braccio di Kirishima per affacciarsi verso Bakugou, “Mangiamo solo insieme, mica te lo devi limonare! Andiamo adesso? Voglio mangiare, ho fame!”

Vaffanculo Ashido!”

“Grazie, anche a te, tesoro!” sorrise apertamente lei, “Adesso andiamo? Su, forza! Muovete quei bei sederini!”

“Bei...sederini?” mormorò Shinsou, sempre più perplesso, ma lasciò che Kaminari lo prendesse per il braccio e lo trascinasse fuori, verso la mensa.

Bakugou però non era d’accordo sulla sua presenza, e anche se Kirishima e Ashido fecero in modo che si sedesse il più lontano possibile da lui, mettendosi in mezzo, nel passargli accanto non esitò a ringhiargli contro.

 

--

 

Shinsou non provò a forzare Ojiro neanche una volta, nei giorni successivi.

In classe lo salutava appena a mezza voce, ma quando Ojiro distoglieva lo sguardo si limitava a sospirare e lasciarlo in pace.

Aveva tutto il diritto anche di cambiare idea, Ojiro. Era lui la parte lesa, aveva il coltello totalmente dalla parte del manico e mai si sarebbe azzardato ad andargli contro, anche se per un periodo aveva sperato che le cose si potessero risolvere.

Ma forse era semplicemente impossibile.

Quella volta, l’ultima in cui avevano parlato civilmente, ormai quasi una settimana prima, Ojiro gli aveva detto che perdonarlo lo aveva fatto sentire meglio, e che non si stava sforzando. Ma forse non era così.

Non che credesse fosse un bugiardo, ma semplicemente doveva aver capito altro standogli così vicino. O forse, febbricitante, aveva detto o fatto qualcosa che non ricordava affatto?

Perché era stato dopo quel giorno che Ojiro aveva smesso di nuovo di parlargli.

Ma lui davvero non lo ricordava.

O meglio, gli sembrava di non aver fatto niente, ma iniziava a dubitare che i suoi ricordi fossero consequenziali. Forse gli mancava un pezzo del pomeriggio?

Non avrebbe saputo dirlo.

Ma dopotutto, anche se avesse semplicemente cambiato idea di punto in bianco, non avrebbe avuto diritto di dirgli assolutamente nulla.

Quindi taceva, guardandolo con la coda dell’occhio sia in classe che in mensa ma senza rivolgergli la parola e, soprattutto, cercando di stargli più lontano possibile.

Se Ojiro gli aveva tolto di nuovo il saluto, allora era abbastanza evidente che non volesse avere a che fare con lui, quindi già da qualche giorno se Ojiro rimaneva in Sala Comune con gli altri, di solito per studiare col gruppo capitanato da Momo, lui saliva in camera e restava lì, da solo.

E forse gli faceva anche un favore.

Aveva la scusa per sfuggire a Midoriya e Shinsou aveva sempre preferito studiare per conto proprio. Si concentrava meglio.

Farlo con Midoriya, a volte, in preparazione a qualche compito o interrogazione, poteva essere utile, soprattutto per la presenza anche di Iida e Todoroki che erano fin troppo preparati. Ma preferiva comunque farlo in solitudine.

E anche quel giorno era così. Soprattutto visto il periodo che stavano vivendo, e tutti i dubbi che Midoriya aveva ancora in testa e per i quali, anche se senza mai puntargli il dito, gli rivolgeva di continuo occhiate strane. Con quegli occhioni verdi inquisitori che sembravano sempre sul punto di scrutargli l’anima e che, adesso, lo mettevano fin troppo in soggezione.

Per lui in quel momento era molto meglio così.

Se ne stava in camera sua, e in neanche un paio d’ore aveva quasi finito tutti i compiti che avevano dato per il giorno successivo. Se riusciva a finire presto forse poteva anche leggersi un libro o guardarsi un film.

Non era un programma così malvagio, per la serata.

Non appena riuscì a chiudere il libro di matematica si stiracchiò per bene e a lungo sulla sedia, sgranchendo schiena e spalle, e solo dopo si decise ad alzarsi.

Erano appena le nove e mezza. Gran parte dei suoi compagni dormivano e l’altra metà era comunque nelle proprie stanza, di norma, a quell’ora, quindi si ritenne libero di scendere e prepararsi qualcosa di caldo da bere. Un tè per esempio. Si diresse quindi nella cucina, passando per il salotto vide svegli solo Kaminari, Sero e Mineta, ma non era una novità. Quei tre facevano sempre nottata se potevano.

Li ignorò e andò dritto verso i fornelli per prepararsi un tè, ma aveva appena messo piede nella cucina quando vide chiaramente la coda di Ojiro ondeggiare pigramente a destra e a sinistra. Si fermò sulla porta, indeciso, ma Ojiro gli dava le spalle e forse, con un po’ di fortuna, non si era neanche accorto di lui.

Rimase comunque a guardarlo per un po’, non riuscì ad evitarselo, e forse proprio per questo Ojiro si voltò, sentendosi osservato.

Shinsou svicolò più veloce che poté.

“Shinsou?”

Era sicuro che Ojiro fosse in stanza, a quell’ora, se non addirittura addormentato, invece se lo ritrovava in cucina con un bicchiere d’acqua in mano. Se era sceso solo per bere, e proprio in quel momento si erano incontrati, il karma doveva odiarlo davvero tanto.

Se odiasse lui od Ojiro non ne era però sicuro.

Perché di norma a lui non sarebbe dispiaciuto vederlo, osservarlo, stare fermo anche solo a goderselo con gli occhi, ma quell’aria sciupata che aveva ultimamente faceva male. Perché era colpa sua.

E Ojiro doveva star odiandolo, quindi incontrarlo non doveva rasserenarlo affatto.

Preso com’era da quei pensieri funesti non si era minimamente accorto dei passi alle sue spalle, almeno fin quando non si sentì afferrare per il polso. E per un attimo raggelò.

Perché se era stato un gesto istintivo per placcarlo, quello di Ojiro, ancora non lo lasciava. Ancora non interrompeva il contatto.

Anzi, strinse ancora più forte.

“Shinsou...? Fermati un attimo!”

Shinsou si bloccò all’istante, a quella richiesta, e si voltò a guardarlo.

Il tono con cui glielo aveva chiesto era stato quasi un’imposizione, ma adesso se ne stava lì, fermo con gli occhi bassi e il labbro inferiore fra i denti.
Gli fece tenerezza.

“Se...ecco, puoi tornare in cucina, se ti serviva. Io ho finito.”

“Non importa, non dovevo fare niente di particolare.”

Ojiro annuì, per un attimo strinse ancora la presa.

Era stato l’istinto a spingerlo a buttarsi all’inseguimento di Shinsou, quando l’aveva visto andare via in quel modo, dopo averlo trovato ad osservarlo.

Il problema era che ora non sapeva bene che cosa fare. Dire.

In quei giorni aveva pensato a lungo, e non era arrivato a niente. Era solo confuso. Voleva e non voleva le stesse cose, desiderava e temeva le stesse situazioni.

Era follia pura, quella che aveva in testa.

Ma dopotutto erano svariati giorni che aveva la sensazione di star impazzendo.

Ma Shinsou gli era sempre stato a distanza di sicurezza ed era riuscito, in un certo senso, ad accantonare tutto quello in un angolo remoto della sua testa. Facendo finta che non esistesse.

Trovarlo che lo guardava di nuovo in quel modo, come quando non gli toglieva gli occhi di dosso a inizio anno, se pur in verità con un altro tipo di sguardo, lo aveva in un certo senso spronato, poco prima.

Perché adesso che sapeva perché Shinsou lo fissava, perché si sentiva così nudo davanti ai suoi occhi viola in classe, a lezione, in spogliatoio, non poteva semplicemente ignorarlo.

E soprattutto non poteva ignorare il fatto che, adesso che aveva acquisito quella consapevolezza, anche il suo modo di vederlo era cambiato. E di pensare, anche.

L’aveva mal giudicato, aveva malinteso quegli sguardi perché convinto d’altro, cieco nelle sue certezze per un passato di cui Shinsou non era neanche invischiato.

E adesso che sapeva perché, quindi, tutto aveva preso un’altra ottica. L’aveva capito quando era andato da lui quella sera, e l’aveva trovato febbricitante e debole.

Pensava di aver odiato l’essere stato baciato a forza, ingannato, l’essere stato toccato, e spogliato.

E invece, per un misero istante aveva rimpianto di averlo fermato.

Di non ricordarsi il sapore delle sue labbra.

E fin dall’inizio aveva avuto il terrore che qualcuno potesse scoprire quello che era successo e dirlo ad Aizawa, che Shinsou potesse autodenunciarsi al docente. Che lo mandassero via.

Che non potesse più vederlo.

E quei pensieri non avevano senso.

Avrebbe dovuto odiarlo.

Perché no, invece? Perché si sentiva così?

Perché quella stretta allo stomaco che aveva provato fin da principio, nell’averlo in classe e per di più nel banco accanto, invece di sparire era aumentata?

Il disagio, l’inadeguatezza.

E il desiderio.

Gli aveva chiesto lui di non toccarlo.

Adesso, però, adesso che era lui ad averlo toccato di propria iniziativa, se ne pentiva, e non riusciva a lasciare il suo polso.

“Ojiro?”

Alzò appena gli occhi, a quel richiamo. Gli aveva messo l’altra mano sulla sua, ancora intorno al suo polso, ma non per spingerlo a lasciarlo. Non con la forza, quantomeno.

Era preoccupato.

“Stai bene?”

Ojiro aprì bocca per dire che no, non stava bene, ma cambiò idea prima ancora di emettere il primo suono.

Aveva pensato che toccarlo, dopo quello che gli aveva fatto, gli avrebbe dato fastidio, ma non era così.

Quindi, quanto il suo desiderio, conscio o meno che fosse, di ricordarsi il sapore delle sue labbra poteva stare in equilibrio con quelli che erano, invece, i bisogni del suo corpo?

“Non lo so,” rispose, sincero, prima di aprire la porta della stanza di Shinsou, che non era stata chiusa a chiave, e spingercelo dentro.

Hitoshi eseguì meccanicamente, spiazzato.

“Posso...aiutarti?”

Ojiro non gli rispose, non a voce almeno.

Ma Shinsou non avrebbe mai potuto aspettarsi niente di quello che accadde due secondi dopo quella domanda.

Ojiro, infatti, dopo aver chiuso la porta della camera con la coda, lo spinse verso il muro, alzandosi in punta di piedi per riuscire a congiungere le sue labbra con le proprie.

Shinsou irrigidì le spalle, colto di sorpresa.

Che...stava succedendo?

Forse si era addormentato con la faccia sul libro di matematica senza che se ne fosse accorto e adesso stava sognando. Perché se era un sogno, era un bel sogno.

Ma se era la realtà...come doveva giudicarla?

Perché Ojiro, proprio Ojiro, dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che gli aveva fatto, dopo avergli chiesto di non toccarlo, dopo averlo ignorato per giorni...perché adesso lo baciava?

Era un bacio leggero, praticamente a stampo, ma era comunque un bacio.

Non capiva.

Non capiva più niente.

Ma sapeva che non poteva lasciarsi andare all’istinto di prenderlo per le spalle e approfondire il contatto. Schiudergli le labbra a forza per poter incontrare la sua lingua.

Quello non poteva farlo.

Per questo lo afferrò e se lo allontanò di scatto, quasi con violenza. Troppa forse.

“Cosa...cosa stai facendo?” soffiò Shinsou, il capo chino per non essere costretto a fissare quel volto. Percepiva il suo stupore, poteva immaginare gli occhi sgranati, le guance arrossate, e forse era meglio se non vedeva niente di tutto quello.

“Ora capisci perché mi ha dato fastidio?”

Shinsou sgranò gli occhi. Evidentemente aveva fatto male ad immaginarlo stupito e sconvolto. “Cosa? Ti stavi...vendicando?”

Ojiro sobbalzò visivamente, “No!” esclamò, “Non era quello...quello che volevo dire...”

“Allora perché mi hai baciato?”

“Io...” si morse il labbro con così tanta forza da spaccarlo e Shinsou si mosse d’istinto, a quella vista, prendendogli il volto fra le mani e passandogli il pollice sul labbro ferito per liberarlo dalla piaga dei denti.

“Non fare così...”

Ojiro serrò gli occhi, incassando la testa nelle spalle, “Mi dispiace,” soffiò, “Scusami...”

“Non-” Non poté neanche finire la frase, aveva appena aperto bocca che Ojiro si era già voltato per sfuggirgli via.

“Ojiro! Aspetta!”

La sua voce si perse nel corridoio, accompagnata solo dai passi frettolosi di Ojiro per le scale.

Poteva andargli dietro, forse avrebbe dovuto.

Ma Ojiro gli sembrava così sconvolto da se stesso che, forse, la cosa migliore che poteva fare era lasciarlo un po’ solo, per pensare e schiarire le idee.

E forse lui poteva sperare. Anche se non lo meritava affatto.

Non meritava Ojiro.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


CAPITOLO 16

 

 

 

Se lo era detto e ripetuto innumerevoli volte. Non meritava Ojiro e non era giusto forzarlo, in nessun modo e per nessuna ragione.

Eppure, quando il giorno dopo lo rivide a scuola, con gli occhi segnati dall’insonnia, non riuscì più a pensare di stare zitto ed aspettare.

Lo aveva baciato lui, quindi forse poteva sperare e peccare un poco di presunzione nel pensare che poteva anche aiutarlo. Se poteva dissipare anche un solo dubbio, qualcosa di piccolo...perché non farlo.

Glielo doveva.

Per questo approfittò subito della lentezza di Ojiro, alla fine della giornata scolastica, nel mettere tutto quanto in cartella. Di solito si sbrigava, pur di non far aspettare troppo Shoji e Sato, ma quel giorno gli sembrava quasi scarico. Come a rallentatore.

Anche durante le lezione, pur avendo in mano la penna per tutto il tempo, aveva scritto pochissimo. Quasi nulla. Era lampante non riuscisse a stare dietro la ti parlantina di Present Mic.

“Ojiro?”

Il sobbalzo fu così improvviso e violento che l’astuccio che Ojiro aveva ancora in mano si schiantò a terra.

Shinsou si abbassò subito a recuperarlo, prima ancora che potesse piegarsi Ojiro per farlo. Glielo passò quasi con timore, ancora inginocchiato accanto al banco, guardandolo dal basso.

Facendosi più piccolo possibile, timido.

“Ojiro possiamo...possiamo parlare un attimo? Da soli?”

Mashirao lo fissò a lungo, si perse in quegli occhi viola lucidi, quegli occhi che ultimamente l’avevano fatto penare così tanto, che lo avevano portato a rivangare e ricordare cose che forse non avrebbe voluto ricordare.

Eppure erano così belli, quegli occhi. Non per il colore, no, per quello che trasmettevano.

Un pentimento totale e sincero.

Annuì, alla fine, mordendosi nuovamente il labbro. Lo sapeva che gliel’avrebbe chiesto, era ovvio, per questo era stato così nervoso per tutta la mattina, assente. Pensieroso.

Ma se non fosse venuto Shinsou, prima o poi sarebbe stato lui ad andarlo a cercare.

Per se stesso.

Shoji-kun?” chiamò, e quando l’altro si affacciò dalla porta dell’aula si sforzò di abbozzare un sorriso, “Andate pure avanti. Io vi raggiungo più tardi.”

Shoji in un primo momento non disse nulla, limitandosi a fissare Shinsou che se ne stava ancora nella stessa posizione accovacciata, gli occhi puntati al pavimento adesso. Scambiò appena un’occhiata con Satou, poi annuì. “Va bene. Ti aspettiamo al dormitorio, allora.”

“Sì. A dopo.”

Shinsou si alzò solo quando lo fece anche Ojiro, dopo aver finito di sistemare le ultime cose in cartella.

 

Fecero la strada in silenzio, fino al cortile sul retro.

A quell’ora non c’era nessuno perché tutti quanti si stavano già dirigendo verso il dormitorio, per riposare o studiare.

C’era tranquillità, in totale contrasto con quello che Ojiro aveva nella testa, invece.

Il caos totale.

Avrebbe voluto riuscire a tranquillizzarsi, sapere che cosa rispondere a quelle che sarebbero state le domande di Shinsou, ma non ne era in grado. Non lo sapeva neanche lui.

C’erano cose che semplicemente non si potevano controllare, come i sentimenti. Ma comprenderli un po’ forse l’avrebbe fatto sentire meglio.

Invece era nella confusione più assoluta, e non sapeva più che fare, o dire.

Non aveva spiegazioni logiche a quello che provava. Niente di tutto quello era logico.

“Mi dispiace per ieri,” mormorò alla fine, gli occhi fissi sul pavimento, “Scusa, davvero, non so che...non so.”

“Non è per quello,” sussurrò anche Shinsou, grattandosi la nuca. Non si sarebbe mai lamentato di un bacio di Ojiro, rubato o meno che fosse.

Tutta quella situazione era iniziata proprio perché lui lo desiderava, in fondo.

Non era lì per lamentarsi. Era solo preoccupato.

Da morire.

“Non devi scusarti, Ojiro. Però...Io credevo che non volessi.”

Mashirao strinse le labbra fra loro, “Anche io lo pensavo.”

Ma...

Lo lasciò sospeso nell’aria, senza più continuare.

Shinsou avrebbe voluto estorcergli tutto con le pinze, perché così non poteva neanche aiutarlo.

Ma non era il caso. Doveva lasciargli i suoi spazi. Anche a costo di aspettare tutto il giorno. O più di un giorno.

“Quando sei stato male ho pensato fosse meschino non aiutarti solo perché ti avevo chiesto di non toccarmi, anche perché quando sono tornato nella stanza tu dormivi,” iniziò Ojiro, legandosi la coda alla vita e stringendosi nello stesso momento nelle braccia.

Allora aveva ragione, Shinsou. Era stato Ojiro. E quindi, volente o meno l’aveva toccato, quel giorno.

“Ho fatto qualcosa...”

“No. Te l’ho detto, dormivi.”

“Non capisco. Scusami, Ojiro, ma proprio non capisco,” ammise alla fine, perplesso, “Ho pensato che ce l’avessi di nuovo con me, e sarebbe stato giusto. Ma quello che hai fatto ieri mi confonde.”

Ojiro si coprì gli occhi con le mani, ben strette a pugno. Il pennacchio della coda, che teneva stretta alla vita, a darsi piccole pacche sulla schiena. “Sapessi quanto confonde me...”

Hitoshi assunse un’espressione stupita solo per un breve attimo, poi aggrottò le sopracciglia.

Aveva pensato fosse utopistico pensarlo –sperarlo-, ma forse era così.

Forse Ojiro provava qualcosa.

Per questo era così confuso, spaesato, per questo l’aveva baciato. Per provare.

Per questo aveva detto quella frase, quel giorno.

Non voglio tu sparisca dalla mia vita.

E per questo non lo aveva denunciato.

Perché provava qualcosa per lui.

Per questo non gli dava corda, per questo a differenza di tutti manteneva le distanze da lui fin da principio.

Se solo l’avesse capito o sospettato prima, anche solo per un attimo, non l’avrebbe mai fatto. Mai.

Ma ormai era tardi, per quello.

“Ascolta, Ojiro...posso?”

Gli lasciò il tempo di pensare e capire, ma non appena, seppur impercettibilmente, Mashirao annuì, Shinsou gli prese entrambi i polsi fra le mani e lo costrinse a staccare i pugni dal volto. A scoprirsi.

Era quello che doveva fare, da adesso in poi.

Scoprirsi.

Altrimenti non sarebbe riuscito ad arrivare a nulla, temeva. Poteva aiutarlo, in quello. Lo sperava, almeno.

“Mi puoi guardare un attimo?”

Mashirao sospirò. Aveva ancora i polsi bloccati dalla presa delicata di Hitoshi, e il calore di quelle mani così grandi gli si irradiò fino alle guance. Alzò gli occhi piano, ma alla fine catturò le iridi violacee di Shinsou, perdendocisi.

E per qualche ragione gli diedero un senso di pace.

Shinsou si ritrovò a sorridere, un sorriso vero, dolcissimo, che non aveva nulla dei suoi soliti sogghigni. E Ojiro, per un attimo, sentì chiaramente un crampo allo stomaco a quell’espressione.

E un pizzico di felicità.

“Possiamo...fare una cosa,” azzardò allora Hitoshi, senza distogliere lo sguardo né cambiando espressione.

Quel velo di lacrime fu come una carezza per Mashirao, che d’istinto sciolse la presa della coda su se stesso e l’allungò verso di lui, sfiorandogli la guancia con l’estremità pelosa.

“Cosa?”

Hitoshi trattenne per un attimo il respiro, “Potremmo...se sono io a confonderti, per qualche ragione, potremmo provare a passare un po’ di tempo insieme, invece di ignorarci a forza. Così...Il silenzio non può aiutarti a capire. Finora non ti ha aiutato, no?”

“Già. Non lo ha fatto.”

“Allora...potremmo. E se deciderai che è stato solo un attimo di confusione, non ti parlerò mai più.”

Mashirao rimase in silenzio solo pochi istanti, prima di annuire.

Per qualche assurda ragione, la stretta allo stomaco non si era allentata affatto, dopo quella proposta. Eppure, non faceva male. Era quasi piacevole.

Una coccola, come la stretta di Shinsou sui suoi polsi, che adesso sembrava quasi una carezza.

“Va bene,” sussurrò quindi. Se solo quello lo faceva sentire così, forse la risposta ce l’aveva già? Forse era lui, invece, a non volerla vedere?
“Sì. Va bene.”

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


CAPITOLO 17

 

 

 

La proposta di Shinsou non gli aveva dato fastidio anzi, una parte di sé era stato felice e sollevato. Per qualche ragione, però, ancora non l’avevano messa in pratica. Semplicemente Ojiro aveva avuto la sensazione che le cose si fossero rilassate, come se si stessero pian piano sistemando da sole.

Come se quello, solo parlare, ancora prima di fare, bastasse.

Aveva dormito sonni sereni per le due notti successive e anche Shoji aveva notato la differenza, aveva smesso di chiedergli come stesse e sembrava meno preoccupato.

Quando li aveva raggiunti dopo aver parlato con Shinsou, due giorni prima, Shoji era parso seriamente apprensivo. Si capiva guardandolo quanto, involontariamente, avesse messo in ansia i suoi amici, con il suo comportamento strano e sospetto.

Però adesso stava iniziando ad andare meglio. Credeva, almeno.

Riusciva a sorridere a Shinsou con tranquillità la mattina e anche se quando lui gli rispondeva, con quel sorrisino impacciato e quasi timido che non era affatto abituato a vedere, il cuore gli esplodeva nel petto, e doveva di nuovo distogliere lo sguardo.

Non riusciva a fare altrimenti.

Forse era per quello che non aveva ancora messo in atto la proposta. E Shinsou doveva star aspettando lui.

Ne aveva però approfittato per stare più in tranquillità con i suoi amici. Entrambe le sere si era fermato a guardare un film con Kirishima, Midoriya e gli altri, fino anche ad abbastanza tardi per i suoi standard.

Quel giorno, però, si presentò davanti alla porta di Shinsou e bussò.

Il giorno dopo Present Mic aveva detto che avrebbe interrogato e lui, proprio a causa dei suoi pensieri calamitati su Shinsou, all’ultima lezione non aveva prestato minimamente attenzione. Avrebbe potuto approfittare di Yaomomo che stava aiutato Ashido e Kaminari di sotto, eppure per qualche ragione gli sembrava la scusa ideale per presentarsi da Shinsou e stare con lui.

“Sono Ojiro,” mormorò ancora alla porta, sentendo il borbottio poco convinto di Shinsou dietro di essa.

Un istante dopo Shinsou aveva già aperto, accogliendolo con una tuta bluastra dall’aria non esattamente nuova e, soprattutto, con i capelli calati sulla fronte.

Per un attimo Ojiro rimase interdetto.

“Non mi aspettavo...”

Ojiro si lasciò scappare una mezza risata, lasciando Shinsou a metà frase e senza più parole. “Lo vedo!” esclamò, “Se vuoi torno...beh, un’altra volta. Magari la prossima volta ti avverto.”

“No! Cioè...” Shinsou sbuffò, tirandosi di forza i capelli all’indietro e liberando la fronte, come se stesse cercando di trovare da dire e non sapesse come comportarsi.

Ojiro provò per un momento l’impulso di togliergli quella mano dalla fronte e farci ricadere i capelli.

Perché era bello.

Era bello con i capelli liberi dal gel, morbidi. Sembravano morbidi, almeno.

Gli circondavano il viso rendendo i lineamenti più dolci. Non sapeva se fosse possibile o era lui che vedeva qualcosa che non c’era, ma era la sensazione che gli dava.

Gli piaceva di più.

Perdeva l’aria da ragazzo arrogante, superbo e irriverente che aveva di solito e ne acquisiva una più timida, dolce.

Voleva passarci le mani in mezzo. Proprio in mezzo.

Scosse il capo con forza. “Eh?”

“Dicevo...che stavo studiando. Per questo.”

“Oh, sì, anche io. Ma poi mi sono accorto che mi mancano gli appunti di Mic per domani. Per caso...”

“Li ho io,” esclamò subito Shinsou, cogliendo la palla al balzo. Aveva già tentennato abbastanza. In fondo, che gli importava se aveva l’aspetto stropicciato di chi si era appena svegliato?

Ojiro era venuto lì apposta.

“Vuoi entrare? Possiamo studiare insieme,” provò Shinsou, facendosi lievemente da parte sulla porta.

Ojiro annuì, “Ero venuto apposta,” sorrise.

 

Si sedettero uno vicino all’altro alla scrivania, perché non c’era altro spazio. L’unico altro posto sarebbe stato il letto, ma a Shinsou non pareva affatto una buona idea.

La scrivania o il pavimento.

Aveva scelto lui la scrivania. Ci si era seduto senza lasciare ad Ojiro il tempo di fare altro, e lui si era accomodato di conseguenza.

Lo aveva fatto di proposito, in verità. Così, aveva la scusa di stargli vicino.

Quasi gomito contro gomito.

Ognuno sul suo quaderno.

Anche se Shinsou spesso lo sbirciava con la coda dell’occhio, non visto.

Aveva una scrittura piccola, non come se l’aspettava lui ma che rispecchiava molto il suo senso di insicurezza, la timidezza, il sentirsi spesso inadeguato. Però era anche ordinato, preciso, chiaro. Non si aspettava niente di diverso, su quello.

Lui invece era l’esatto opposto anche in quello. Calcava tantissimo la mano, scriveva velocemente, nella fretta non rispettava quasi mai i margini. 

Sorrise appena.

Non aveva pazienza neanche quando doveva scrivere, era quello il punto. E non l’aveva avuta neanche con Ojiro.

E invece era l’unica cosa che occorreva, con lui. Un po’ di pazienza.

Quando Ojiro poggiò la penna sul quaderno, si decise ad alzare gli occhi sul suo volto. Aveva finito di ricopiare i suoi appunti e di fare gli esercizi per metà, ma adesso lo stava guardando.

“Grazie per gli appunti.”

“Ah,” Shinsou stirò le labbra. Si aspettava altro che quella frase, ma era ovvio che non sarebbe andato oltre, “Prego, figurati.”

“Qualcosa non va?”

“No, niente.”

Ojiro scrollò le spalle, spostando lo sguardo un po’ su tutta la stanza. Si era guardato intorno anche quando era entrato, non era neanche la prima volta, ma quel giorno i suoi occhi vennero calamitati dal calendario appeso sul letto.

La data cerchiata di rosso era alla fine del mese, da lì a due settimane.

“Come vanno gli allenamenti con il professor Aizawa?”

“Sto migliorando.”

“Sì, si vede anche quando ti alleni con noi. Hai già deciso se chiederai il permesso per qualche oggetto, durante il festival sportivo?”

Anche Shinsou alzò gli occhi verso il calendario.

Già, mancavano due settimane al Festival Sportivo di quell’anno. Il loro secondo. La loro seconda, e penultima, possibilità di farsi notare nel mondo del professionismo.

“Terrò solo le bende, la maschera non mi serve. Ho già inviato la richiesta al preside. So che probabilmente pensi che dovrei cavarmela con le mie sole forze ma...-”

“No, in verità no,” lo interruppe subito Ojiro, “Anche Aoyama usa la sua cintura. Ci sono dei quirk per cui non basta il proprio fisico, lo capisco.”

“Ah sì?”

“Sì. So che...me la sono presa lo scorso anno, ma era diverso.”

“Eppure, io non ho fatto altro che usare tutto quello che avevo.”

“Lo so. Però...io stavo cercando di dare il massimo, di ottenere qualcosa, e tu me lo hai impedito.”

“Non ho fatto niente di simile. Non ho impedito nulla. Anzi, ti ho fatto arrivare fra i primi sedici, fino a prova contraria. Sei tu che ti sei ritirato!”

Ojiro indurì lo sguardo, “Ma non ero io a scegliere cosa fare e a farlo, eri tu! E’ per questo che ce l’avevo con te, è così difficile da capire? Il tuo potere è dannato! Quello che fai alla gente è disgustoso!”

“Ma è il mio potere! Non posso cambiarlo...”

“Ma era anche il mio corpo. La mia volontà. Io...”

Tacquero entrambi. Era ovvio che Shinsou capisse quello che voleva dire Ojiro, quello che pensava. Era anche il motivo per cui per anni nessuno gli aveva mai dato corda, non più di tanto.

Nessuno voleva essere controllato, nessuno voleva perdere il controllo di sé stesso, fare qualcosa che non voleva contro la propria volontà.

Era normale. Era la natura umana.

“Senti...” mormorò dopo un po’ Ojiro, le mani palmo contro palmo strette in mezzo alle ginocchia, gli occhi puntati proprio lì, “Non...non sono venuto per discutere.”

“No. Scusami tu, non dovevo scaldarmi così tanto...”

“Io lo capisco, davvero, che non avevi scelta. Però cerca anche di capire me.”

Shinsou annuì, “Certo che capisco. E ti ammiro, anche. Se...se avessi pensato che qualcuno di voi aspiranti eroi mi avrebbe calcolato, non avrei usato il brainwash come prima scelta. Ma non mi conoscevate...o meglio, avevamo avuto quella discussione con Bakugou, che non è mai il massimo per iniziare. E avevo bisogno di voi.”

“I tuoi amici del Dipartimento Generale non erano abbastanza?”

“No. E poi non c’erano, si erano arresi ben prima, durante la corsa.”

Ojiro alzò gli occhi sulla foto appesa alla bacheca, la 1-C al completo, con una ragazza che teneva fermo Shinsou per un braccio, davvero poco propenso a farsi fotografare. Sorrise, “Li senti ancora?”

Shinsou seguì lo sguardo di Ojiro e, quando incontrò la foto appesa alla parete, sogghignò, “Chi, loro? Sì. Non sempre, e poi solo Omura e Tetsuya.”
“Gli altri?”

“Gli altri...no. La gente fatica ad avvicinarsi a me, è così da sempre. Ci sono abituato. Omura è stata un caso a parte, come voi, del resto. Ve ne fregate del mio potere, non avete paura. Di norma, invece, sì.”

“Quindi non avevi molti amici, prima della Yuuei?”

“Non avevo nessuno amico, prima della Yuuei,” chiarì Shinsou, “La gente ha paura a parlarmi. Forse pensa che mi diverta a farli spogliare e farli andare in giro nudi per dispetto. O che li usi per fare una rapina!”

Ojiro scoppiò a ridere, “Dai!”

“E’ vero, me l’hanno detto.”

“Cosa?”
“Che se fossero loro ad avere questo potere userebbero il primo che gli parla per fargli fare una rapina e prendersi tutti i soldi.”

“Davvero? E per questo non ti parlavano?!”

“Già.”

“Assurdo,” scosse la testa Ojiro, sporgendosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia, “E’ una fortuna, in fondo, che sia tu ad avere questo potere.”

Shinsou, per un attimo, drizzò la schiena, “Ojiro...”

“No, dico sul serio. Cioè...” si morse l’interno della guancia, ma poi sorrise, “Cioè, ti sei fermato, no? E non hai mai approfittato del tuo potere. Potevi. Potevi davvero diventare facilmente un Villan, molto più facilmente di un eroe. Però sei qui. Quindi è una fortuna.”

Hitoshi strinse le labbra, “Ma l’ho fatto. Mi sono approfittato.”

Il sorriso sulle labbra di Ojiro sparì all’istante, il labbro inferiore tremò appena, “Non...non hai idea di quello che potresti fare, se fossi davvero un villan. Non...” la coda virò agitata sopra la sua testa a destra e a sinistra.

Shinsou mise subito le mani avanti, “Credo di conoscere il potenziale del mio potere,” mormorò, “E il fatto che potrei fare cose ancora più cattive non mi giustifica.”

Ojiro scosse il capo, “Almeno il tuo potere non lascia effetti collaterali.”

Shinsou lo guardò a lungo. Sembrava turbato, agitato.

Se aveva in mente di chiedergli qualcosa, ne perse subito la voglia. “Vuoi un bicchiere d’acqua?”
“Sì,” sorrise, “Grazie.” Aspettò in silenzio che Hitoshi si avvicinasse al minifrigo che aveva in camera e tirasse fuori una bottiglietta, che poi gli porse. La prese subito e ne scolò una buona metà.

Tutto quello gli metteva addosso una tremenda arsura.

“Mi dispiace che la gente ti abbia sempre giudicato solo per il tuo quirk.”

“E’ okay. In fondo lo facciamo tutti, soprattutto su alcune cose.”

“Già. L’ho fatto anche io.”

“Tu avevi ragione.”

“No, non ce l’avevo. Midoriya l’aveva. Lui ti ha capito fin da principio, è stato incredibile. E aveva ragione. E poi, è davvero ridicolo che io abbia giudicato te per il tuo potere...dovrei sapere quanto dia fastidio. Dovrei essere l’ultimo a farlo.”

“Anche a te è successo?”

“Già, beh...non ho neanche mai fatto niente per dimostrare il contrario. Io sono davvero un tipo normale, monotono e comune, come il mio potere. Quindi avevano ragione a giudicarmi tale. Però comunque mi da ancora fastidio, a volte, e quindi non dovrei fare qualcosa che so già dia fastidio.”

“Monotono non direi. E normale non è un difetto.”

“Infatti ho attirato la tua attenzione, comunque, no?”

Shinsou arrossì appena, “Sì. Ti...ti ricordi che cosa ti ho chiesto quando...beh, al Festival Sportivo?”

Ojiro inclinò il capo, “No. Cosa? Se volevo fare squadra con te?”

“No,” Shinsou scosse il capo, divertito. Non riuscì, stavolta, ad evitare di sogghignare, nonostante tutto.

Era...commovente. Sì, era commovente parlare con così tanta normalità e tranquillità, nonostante il disagio iniziale, con Ojiro.
Era strano, e bello, perché era la prima volta.

Avrebbe voluto continuare per sempre!

“E cosa? Dimmelo! Perché non me lo ricordo? Dovrei ricordare l’ultima cosa che mi hai chiesto!”

“Forse l’hai rimosso per lo shock.”

“Addirittura! E cosa mi hai detto, allora? Shinsou, dai!”

“No. Scordatelo!”

“Ma ormai hai tirato il sasso, non puoi nascondere la mano! Non mi arrabbio, giuro!”

“Non è per quello!” rise, “Non te lo dirò oggi!”

“Avanti, cosa sarà mai!”

“Ho detto no! Non oggi.”

“E quando? Che cambia oggi o un altro giorno?”

“Cambia...che mi conoscerai meglio e non ti arrabbierai.”

“Ma non mi arrabbierò, te l’ho detto! Mi hai chiamato –scimmione-?” Shinsou tacque e Ojiro lo prese con un assenso, “Non fa niente. Alla fine è la traduzione del mio nome, più o meno,” sorrise, allungando le braccia sulla scrivania e distendendo per bene la schiena per sciogliere i muscoli, tesi per le lunghe ore passato lì seduto.

Shinsou fissò la coda che continuava a virare a destra e a sinistra come se Ojiro fosse di nuovo di buon umore. Era ipnotica.

“Beh, vogliamo ripetere la lezione?”

Ojiro annuì, “Sì, va bene. Ma ho la sensazione che non fosse questo quello che mi hai detto quel giorno...”

“Non te lo dirò, Ojiro. Fattene una ragione!”

“Ma non è giusto, così! Mi hai messo il tarlo!”

Shinsou rise, “Forse un giorno.”

“Mi stai mentendo, vero? Se mi avessi detto qualcosa di particolare me ne ricorderei, i ricordi si fanno offuscati dopo il brainwash!”

Shisnou alzò le spalle con aria divertita, “Chissà!”

Ojiro mise il broncio, prima di tornare sui suoi quaderni, mentre Shinsou ancora ridacchiava.

 

Rimasero insieme quasi due ore, studiando e ripetendo la lezioni per il giorno dopo.

Quando Ojiro si alzò per tornarsene nella sua stanza, dietro la porta ci trovò Bakugou, seppur di passaggio verso la sua stanza, accanto a quella di Shinsou.

Era una sfortuna, perché non può definirlo in altro modo, che la stanza di Shinsou fosse proprio sullo stesso piano di quella di Bakugou, che adesso li fissava in cagnesco, passando dall’uno all’altro a intermittenza. Avrebbe fatto a meno di incontrarlo, Ojiro, a dover essere del tutto onesto.

E anche di essere guardato così, in una sorta di pietà e ribrezzo. Senza contare lo sguardo assassino che rivolse a Shinsou.

Per fortuna su quel piano c’era anche Kirishima, che salvò la situazione in extremis.

“Oh, Ojiro! Sei andato a studiare da Shinsou?”

Ojiro si voltò verso l’amico con un piccolo sorriso, “Mh...si.”

Bakugou schioccò la lingua, “Che stronzata. Quindi cos’era, tutta una farsa per attirare l’attenzione? O lo stronzo lì sa strizzare i cervelli più di quanto pensassi?”

Shinsou assottigliò le labbra fra loro, ferito dalla schiettezza dell’altro.

Aveva ragione. Ah, se aveva ragione.

Per un attimo sperò che Ojiro dicesse qualcosa in proposito, ma l’altro tacque.

Bakubro, che intendi?”

“Niente, cretino, tu lascia stare! Non capisci mai un cazzo di niente!”

“Ma...”

Shinsou arpionò la maniglia della porta ancora aperta, gli occhi ametista fissi sul pavimento.
Ojiro, davanti a lui, lo guardò con la coda dell’occhio, lo fissò a lungo aspettandosi che dicesse qualcosa, rispondesse a Bakugou. Ma non c’era nulla da fare. Con quella storia in mezzo Shinsou sarebbe sempre fuggito via con la coda fra le gambe, uggiolando come un cane ferito.

Gli faceva pena, un po’.

E allo stesso tempo non riusciva a provare rabbia verso Bakugou. Perché aveva ragione anche lui.

Passò lo stesso la punta della coda sotto il mento di Shinsou, costringendolo ad alzare il capo che lo volesse o meno, seppur senza guardarlo.

“Aveva solo bisogno di aiuto con la lezione di inglese dell’altro giorno, Bakugou,” disse, sicuro.

“Hai fatto bene, Ojiro! E sono proprio felice che voi due abbiate chiarito!”

Ojiro annuì, “Sì. E’ stato solo un grande malinteso.”

“Ma fammi il piacere!” sbottò Bakugou senza alcun garbo, superando il gruppo in due falcate e chiudendosi di botto la porta della sua stanza alle spalle.

“Ma...Bakubro...”

Ojiro sorrise, fissò Shinsou che ancora lo guardava e ormai non vedeva altro, poi si rivolse a Kirishima, allontanandosi da lui e lasciandolo andare regalandogli solo un’ultima, veloce carezza sul collo col pennacchio della coda.

“Senti, Kirishima! Ultimamente mi stanno tenendo fermo in tutti i modi, mi sembra di star perdendo un sacco di tempo, specie in confronto a voi! Non è che ti andrebbe di allenarti un po’ con me dopo le lezioni?!”

Kirishima sbatté le palpebre, perplesso, “Ma...e sei sicuro? Se ti dicono che non puoi...”

“Certo! Dalla prossima volta potrò ricominciare con voi e nel frattempo ho bisogno davvero di distendere i nervi e poi non voglio rimanere indietro, te l’ho detto!”

“Ah, beh, allora va bene! Ci sto! Ah, e Shinsou: non fare troppo caso a quello che dice Bakubro. Non è cattivo, credimi!”

Shinsou annuì, abbozzando un sorriso. No, non lo era, lo sa.
Non voleva né poteva dire fosse preoccupato per il compagno di classe, ma di certo aveva un’etica personale ferrea, Bakugou, su alcune cose soprattutto, e per questo non riusciva davvero a farselo andare giù.

Lo capiva. Come dargli torto? Aveva ragione da vendere, in fondo.

Non tutti potevano essere come Midoriya. Od Ojiro.

O come Kirishima stesso che, a quanto pareva, non aveva capito assolutamente nulla.

“Beh allora siamo d’accordo, Kirishima-kun! Io adesso vado nella mia stanza. Buonanotte, Kirishima...Shinsou!”

 

--

 

Non aveva affatto dimenticato quello che gli aveva detto Shinsou, nonostante la conclusione tormentata da Bakugou e Kirishima, e tanto meno aveva scordato che, in fondo, il piano era proprio passare più tempo possibile insieme per rischiarare anche i suoi sentimenti, quello che aveva in testa e nel cuore. Per questo, preso da un desiderio di farlo subito e ottenere anche qualcosa, da se stesso, in fretta, Ojiro decide che forse studiare non bastava più.

Gli era utile, ma su certe cose non aveva molta pazienza. C’erano volte, come quella, che l’attesa gli sembrava solo una punizione. E non si sarebbero conosciuti meglio e non avrebbe iniziato ad apprezzarlo di più solo studiando insieme.

O meglio, forse in parte sì, avrebbe potuto apprezzare lo studente che era.

Ma per il resto aveva bisogno di altro.

Di più.

Quindi quel giorno, il terzo giorno in cui studiavano nella stanza di Shinsou, solo loro due, Ojiro poggiò sulla scrivania la penna e si allungò un po’ verso lo schienale della sedia, allungando la schiena. Gli occhi neri di nuovo fissi su Shinsou.

“Sei figlio unico?” chiese all’improvviso Ojiro, senza un’apparente logica.

Shinsou alzò il capo sorpreso, sgranando appena gli occhi, ma non si fece troppi problemi, davanti a quella domanda. La prima di tante. Se Ojiro voleva conoscerlo un po’, per curiosità o per dissipare i propri dubbi, a lui andava bene.

Anzi, era felice.

Forse poteva anche fare lui, un giorno, qualche domanda all’altro. Per conoscerlo meglio, più profondamente.

“Sì.”

“E i tuoi genitori?”

“Mio padre fa lo scrittore, mia madre la segretaria.”

“E i loro quirk somigliano al tuo? Hai ripreso da loro?”

“Non proprio. Quello di mio padre non c’entra niente, lui può leggerti nel pensiero solo se ti tocca. Per questo lavora da solo, lo preferisce, non gli piace granché.”

“Però è utilissimo per le forze dell’ordine! Ci ha mai pensato?”

“A volte collabora, se glielo chiedono.”

“Poteva essere un grande eroe, se ci avesse provato. E’ un peccato!”

“Una volta mi ha detto di averci provato, ad entrare in una scuola per eroi –non questa però. Ma non ci è riuscito e secondo me neanche ci si è impegnato troppo. Il suo quirk non gli è mai piaciuto, dice che ha provato ad entrare perché pensava che così avrebbe potuto accettarlo, ma avendo fallito si è messo il cuore in pace.”
“Deve essere dura entrare nella testa degli altri così. Specie di alcuni. E tua madre, invece?”

“E’ in grado di immobilizzarti, se canta, o urla.”

“Ah, nella voce. Come te, allora.”

“Sì. Ma lei non può farti fare nulla, ti immobilizzi ma rimani cosciente. Un problema quando vuoi sfuggirle dopo aver commesso qualche guaio!”

Ojiro rise, “Anche questo sembra un potere davvero utile.”

Shinsou scrollò le spalle, “Forse. Ma a lei non interessa. Non voleva neanche che fossi qui.”

“E perché?”

“Si preoccupa troppo, solo questo.”

Ojiro sorrise, “Ma tu l’hai ignorata e sei qui.”

“Beh, penso che valga per quasi tutti, no? A parte forse chi è già figlio di un eroe, quale genitore non si preoccupa? Oppure vuoi dirmi che i tuoi ti hanno fatto andare con gioia?”

“Mia zia è svenuta quando le ho detto che volevo entrare e anche quando le ho detto che ce l’avevo fatta,” rise Ojiro, “Ho pensato per un attimo di averla uccisa!”

Shinsou si appoggiò allo schienale della sedia a sua volta. Era bello vederlo ridere, ed era bello lui quando rideva.

“Sei legato ai tuoi zii?”

“Molto. Mi hanno cresciuto loro, dopo la morte dei miei.”

Shinsou perse il sorriso, “Oh.”

“Tranquillo. Ero piccolo.”

“Mi spiace...”

Ojiro scosse il capo, “Va tutto bene, davvero. Dimmi una cosa, invece. Perché uno come te è qui? Perché vuoi diventare un eroe?”

“Uno come me?”

Ojiro non rispose, lasciando cadere la domanda con un sorriso che Shinsou ricambiò appena.

“Per ripicca. E perché li ammiro. Ho sempre ammirato gli eroi, fin da bambino. Ma mi hanno sempre detto che non ero adatto, che facevo prima a diventare un villan. O a stare lontano da queste cose e basta.”

“Così tu invece ti ci sei buttato.”

“Esatto. Volevo dimostrare loro, e anche a me stesso, che non era il mio quirk che doveva decidere cosa sarei diventato. Dovevo decidere io. E io volevo diventare un eroe.”

“Questo pensiero ti rende già migliore di tutte le persone che ti dicevano quelle cose. E’ bello, che tu voglia diventarlo per questo. Forse potresti essere un esempio per chi ha quirk particolari come il tuo, ed è insicuro di quello che potrà diventare da grande.”

Shinsou non commentò, limitandosi a grattarsi il collo quasi con imbarazzo. Non credeva di poter diventare una persona simile, così bella da essere d’esempio per gli altri.

Non ne aveva le capacità.

Non era come Midoriya, Kirishima o Ojiro stesso. Loro erano speciali.

Puri, luminosi, ingenui.

“Di sicuro è un motivo meno nobile del tuo,” azzardò.

“Io? Nah. Io volevo solo vendicare i miei.”

Shinsou per un attimo rimase stupito, quasi agghiacciato, “Sono stati...”

“Sì, ma...Lui è stato arrestato e condannato. Però ho deciso comunque di andare avanti. Vorrei...che siano orgogliosi, penso,” spiegò, muovendo la coda davanti al volto, “E mi sento in colpa per averti giudicato e non averti dato la minima occasione di spiegarti, dopo il festival, per il tuo quirk.”

“Smettila di scusarti per questo,” soffiò Shinsou.

“No, invece...devo. Quando ho capito qual era il tuo potere io...ti ho sempre paragonato a quell’uomo, mi sono rifiutato di darti fiducia dando per scontato che dovessi essere una persona cattiva, come lui. Magari un suo parente...”

“Di chi stai parlando?”

Ojiro si chiuse nelle spalle, per un attimo senza dire né fare niente se non per la coda che, quasi agisse di testa propria, si passò davanti agli occhi.

“Ero piccolo e non ricordo bene. Non ricordo che giorno fosse, ma solo che era sera. E non ricordo neanche che cosa successe di preciso, prima che scendessi. Quell’uomo, lui era un allievo della palestra di mio padre, questo lo ricordo. Aveva un potere simile al tuo, l’ipnosi. Forse ce l’aveva con mio padre. Ha fatto qualcosa a mia madre, è stato...come se le avesse fatto il lavaggio del cervello. E’ impazzita. Non era più lei. Ha cercato di uccidermi, quella notte. E quando mio padre ha cercato di fermarla, hanno combattuto e alla fine...Mio padre non si è mai ripreso per quello che ha fatto. Cinque anni fa si è impiccato nel suo studio. E io, il tuo potere...scusami...”

Shinsou non commentò, non aveva parole per farlo. Che doveva dire? Aprì la bocca per parlare, ma alla fine la richiuse.

Cazzo.

Non se l’aspettava, quella storia.

E con un potere così simile al suo.

Ora capiva. Ora capiva davvero perché tanto risentimento, odio, scetticismo verso di lui. No, non verso di lui. Solo verso il suo potere.

Lo capiva.

Evidentemente smosso da quel discorso, Ojiro si alzò di scatto.

“Adesso vado,” fece, teso e sbrigativo, dirigendosi verso la porta.

Shinsou si affrettò a prendere il quaderno e seguirlo verso l’uscita. Glielo passò, altrettanto teso, le labbra strette fra loro.
“Ah, si. Grazie.”

“Figurati e...Ojiro?”

“Sì?”

“Sono sicuramente fieri di te.”

Ojiro non rispose, gli occhi neri però si fecero lucidi e, prima di mostrarsi a lui in lacrime, girò le spalle e andò via.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


CAPITOLO 18

 

 

 

“Mi canti di nuovo la canzoncina, mammina?”

La donna sorrise, dolce, si stese con il piccolo Mashirao sul suo lettino, rimboccandogli per bene la coperta, “Va bene tesoro. Ma mettiti buono, perché è ora della nanna.”

Mashirao si accoccolò subito per bene accanto a lei, la coda passava sul fianco e lui si strinse il pennacchio al petto con una manina mentre l’altra teneva quella della donna, che prese a cantare dolcemente, la voce bassa e melodiosa.

Quanto gli piaceva la voce della sua mamma.

Lo rendeva felice.

Anche quella sera si addormentò subito, lei gli diede un bacio sulla fronte e chiuse piano la porta della stanza, tornando al piano di sotto.

 

Gli occhi neri come i suoi che lo osservavano dal nero oltre la porta brillavano nel buio.

Non sbattevano le palpebre.

Poi la porta sbatté.

 

Mashirao si tirò a sedere di soprassalto, l’urlo bloccato in gola lo mandò giù a fatica, nel silenzio della stanza.

Almeno non aveva fatto alcun rumore.

Asciugò il sudore freddo con il palmo della mano, poi andò al bagno a farsi una doccia calda. Probabilmente non sarebbe più riuscito a dormire.

Non capiva il perché di quel sogno assurdo, in verità.

Era un incubo che faceva spesso, a dover essere onesto, soprattutto i primi tempi. E che era tornato dopo il Festival Scolastico.

A volte durava di più, vedeva...altro, prima di riuscire a svegliarsi, per sfuggire a tutto quello per tornare nella realtà.

Una realtà che per quanto complicata, a tratti dolorosi, e confusa in quel momento, era migliore di quei sogni, di quei ricordi, di quel passato.

Anche se lui la ricordava comunque con gioia, la sua famiglia.

Fino a quella notte.

Prima che giungesse l’inferno.

Sospirò, poi decide di scendere di sotto. Aveva bisogno di qualcosa di caldo da bere. E...per qualche motivo, prese il cellulare.

 

--

 

Il rumore al piano di sotto lo svegliò. Non era notte fonda, così decise di andare al bagno. Sgattaiolò fuori dal letto, i piedini nudi sul pavimento gelido per un attimo lo fecero tremare, ma non trovava le sue ciabattine e doveva davvero andare.

Era a metà corridoio quando sentì qualcosa.

Erano le voci del suoi genitori, però c’era anche qualcun altro. Lì per lì non gli disse nulla, quella voce, ma era sicuro di conoscere quella voce. Così, tranquillo, andò al bagno e poi, invece di tornare nel suo lettino caldo, iniziò a scendere le scale.

“Sai bene quali sono le regole nelle Arti Marziali. La mia è una palestra seria,” la voce di suo padre era furiosa. Con lui non aveva mai parlato così.

Forse lo stava sgridando.

“Non prendermi in giro! Sai bene che non è stata colpa mia!”

“Non è la prima volta che fai a botte al di fuori delle lezioni. Sai come la penso. Non sei più il benvenuto nella mia palestra!”

“Non puoi scacciarmi così! Non hai alcun diritto di farlo!”

“Ne ho eccome! Cercati un'altra palestra e, se sei così interessato a diventare un campione di Arti Marziali, cerca di darti una calmata! Comportandoti come ti comporti non sei molto meglio di alcuni Villan.”

“Come osi!”

“Per favore, smettetela!”

Mashirao spiò meglio dal corrimano delle scale, infilandoci quasi la testa in mezzo, cercando la madre che aveva appena parlato. Aveva una faccia preoccupata, e non gli piaceva vedere così sua madre. Così, anche se forse non avrebbe dovuto, si prese la codina fra le mani e scese gli ultimi gradini.

La porta d’ingresso di casa era ancora aperta, come se quell’uomo non fosse davvero il benvenuto e volessero farlo andare via il prima possibile.

Ma quell’uomo, che lui aveva visto tante volte in palestra, era ancora lì.

“Mamma?”

“Mashirao torna subito di sopra!” ordinò suo padre.

Perentorio.

“Ma...”

“Niente ma. Torna di sopra.”

Mashirao mise il broncio, “Mamma, vieni anche tu con me?”

“Certo, tesoro.”

L’uomo della palestra fece un movimento strano di braccia, poi si voltò verso suo madre, afferrandole il polso “Mi permette, signora Ojiro?”

“Non permette proprio nulla! Vattene via e sta lontano da me e dalla mia famiglia!” ululò suo padre. A Mashirao per un attimo salirono le lacrime agli occhi. Suo padre così arrabbiato era spaventoso.
Fortuna che non ce l’aveva con lui.

“Ma certo, maestro. Solo, volevo salutare la signora. E dirle che, forse, dovrebbe fare attenzione. Ha una bellissima famiglia. Sarebbe un peccato se qualcuno volesse uccidere il bambino. O lei.”

“Fuori!”

Mashirao lo guardò andarsene, mano nella mano con la madre. Eppure, la stretta che gli stava dando per una volta non era carezzevole.

Stringeva davvero. E tanto.

“Non posso credere che sia venuto qui a litigare e minacciarmi! Coraggio, torna a letto adesso, Mashirao.”

“Sì, ma...la mamma sta bene?”

L’uomo inarcò un sopracciglio. “Perché?” Alzò gli occhi sulla moglie, ma lì per lì non notò nulla di strano. Sembrava solo stanca.

Sapeva bene che il potere del suo ex allievo era quello dell’ipnosi, e che per farlo doveva riuscire a fissarti negli occhi per almeno dieci secondi.

E sì, in effetti aveva guardato Mitsuna ma...non capiva cosa intendesse Mashirao.

“Non ti preoccupare. Vai a letto adesso.”

“Sì. Va bene papà.”

 

In camera, Mashirao si arrampicò di nuovo sul letto, in trepitante attesa che la madre gli rimboccasse le coperte come faceva sempre.

“Mamma, mamma, vieni! Visto che ci siamo svegliati mi racconti una storia stavolta? Per favore!”

Ma lei non disse niente e non sorrise, stavolta. Le sue belle mani delicate che ogni volta gli carezzavano i capelli non afferrarono la trapunta ma si avvicinarono al suo volto, e Mashirao chiuse gli occhi, in attesa di una carezza o di un bacio sulla fronte.

Invece, le dita esili si strinsero intorno al suo collo sottile. E strinsero.

Forte.

Gli mancò il fiato, tanto da non riuscire a chiedere aiuto. Non ce la faceva.

Non respirava.

Faceva male.

“Ma...mamma...”

Non voleva farle male, ma lei ne stava facendo a lui. Per questo, iniziò a scalciare e a muovere la coda per cercare di allontanarla da lui.

“Mamma...mi fai...male...”

Probabilmente riuscì a colpirla, anche se solo una volta, per bene. Per un attimo la presa si allentò appena quanto sufficiente perché Mashirao le mordesse una mano e riuscisse poi a sgusciare via.

Scalzo, in lacrime e spaventato scese dal letto, cadendo malamente sulle ginocchia, ma riuscì ad aiutarsi con la coda a ritirarsi su in fretta e a correre via.

“Papà!” urlò, arrivando quasi alle scale. Qualcosa gli calpestò la coda, facendolo cadere in avanti.

Mashirao urlò, ma la voce gli si fermò in gola quando lei tornò a stringere. A soffocarlo.

Perché gli stava facendo quello?

La sua mammina.

“Che succede?” la voce del padre gli arrivò ovattata.

Gli occhi stavano per chiudersi, ma la figura di suo padre lo sovrastò, spinse via la donna e lo prese in braccio, stringendolo e massaggiandogli la schiena mentre lui tossiva e cercava di recuperare fiato.

“Che stai facendo, Mitsuna?” gli domandò, quasi urlando.

Poi sgranò gli occhi.

Era stato quell’uomo. Quando aveva parlato. Aveva calcato sulla minaccia perché era un ordine.

Come faceva a farla tornare in sé?

Come?

Che doveva fare?

Mitsuna, ti prego, torna in te! E’ tuo figlio!”

“Papà...papà, che succede alla mamma?”

Ayashi strinse i denti, costringendolo con una carezza gentile ma ferma a girare il capo per guardare alle sue spalle. Ma così Mashirao non riusciva a vedere la sua mamma.

Che stava male, no?

Altrimenti perché faceva quelle cose?

“La mamma sta male?”

L’uomo scosse il capo, poi lo mise a terra, “Ci riesci ad andare dai vicini, Mashirao?”

“E la mamma?”

Ayashi gli si mise davanti, come se sapesse che sarebbe stato necessario farlo. Quando Mitsuna scatta verso di lui, infatti, l’uomo riuscì subito a fermarla prima che raggiungesse Mashirao, che urlò e fece un salto indietro.

“Che ho fatto, mamma? Perché sei arrabbiata?!”

“Va dai vicini, Mashirao! Vai e digli di chiamare la polizia!” sbottò l’uomo, “Corri!”

Mashirao si sfregò gli occhi, asciugandosi anche il naso con la manica del pigiamino.

Avrebbe chiamato gli eroi, sì. Loro avrebbero salvato la sua mamma.

Gli eroi salvano sempre tutti.

Era a metà scalinata quando sentì un botto, poi la voce di suo padre che urlava il nome di sua madre.

Quando  si girò, qualcosa gli passò velocemente davanti agli occhi.

Non capì subito cos’era.

Sentì però la voce disperata di suo padre, ancora in cima alle scale.

E quando guardò stavolta in basso, c’era sua madre.

Però a terra. Ferma.

Non si muoveva più.

“Mamma...?”

Scese le scale di corsa, inginocchiandosi accanto a lei.

“Papà, la mamma...”

Ma l’uomo era ancora in cima alle scale, in ginocchio. Le mani fra i capelli. Gli occhi persi nel vuoto.

Mashirao strinse i pugni, “Adesso vado a chiamare gli eroi!”

 

 

Erano quasi le due di notte quando Shinsou scese in sala comune.

E Ojiro era proprio lì dove gli aveva detto che l’avrebbe aspettato. Gli era sembrato più che strano ricevere quel messaggio, ma non aveva davvero potuto ignorarlo.

E poi, in realtà gli faceva piacere sapere che, in una serata così strana per lui, Ojiro avesse deciso di chiedere la sua compagnia.

Non avrebbe avuto diritto di farlo, ma glielo aveva chiesto Ojiro, quindi era felice.

Anche se gli dispiaceva vederlo così.

Almeno quella volta non era colpa sua.

“Ojiro?”

Ojiro si girò verso di lui, sorridendogli appena, tirato, “Scusa se ti ho mandato un messaggio a quest’ora.”

“Tranquillo. Ma...va tutto bene?”

“Sì, solo...raccontarti di quella notte mi ha fatto tornare in mente tante cose. E non riuscivo a dormire. Ti ho svegliato?”

“No. Non dormo molto già di mio. Hai...ricordato qualcosa?”

“In realtà ricordo tutto. Non i dettagli, tipo com’è iniziato. Ero al piano di sopra, quindi non ho visto. Ma il resto...lo ricordo. A volte, specie vicino all’anniversario, gli occhi di mia madre mi perseguitano. Quando mi hai usato contro il Brainwash lo scorso anno...E’ stato orribile. Per un sacco di settimane non sono riuscito a dormire bene, la vedevo in continuazione.”

Shinsou stirò le labbra, “Non mi scuserò di nuovo. Non lo sapevo e...di certo non volevo torturarti. Di questo mi dispiace.”

Ojiro sorrise. Non si aspettava niente di diverso ma in fondo era giusto così.

Aveva capito da tempo che Shinsou non aveva sbagliato e che forse il suo ritiro era stata una scelta avventata –di cui, però, non si pentiva di certo. Ne valeva del tuo orgoglio, e non solo.

L’idea di aver subito il lavaggio del cervello lo aveva sempre ripugnato. Forse, proprio per quello che era successo quella notte.

Sua madre, che era così buona, dolce, si era trasformata completamente a causa di quel potere. O di qualcosa che gli somigliava molto, comunque.

“Hai detto...che rivedi continuamente gli occhi di tua madre. Ieri non te l’ho chiesto, mi sembrava poco...delicato. Ma...”

“Se ho visto tutto, vuoi chiedermi?”

Shinsou stirò le labbra, “Beh...”

“Ha cercato di uccidermi. Sotto l’ipnosi di quell’uomo, sia chiaro. Mio padre l’ha fermata, questo te l’ho già detto, no? Quello che non ti ho detto è che...beh, si è rotta l’osso del collo cadendo dalle scale. Voleva venire a prendere me. Penso che nella furia di fermarla papà l’abbia spinta, o comunque afferrata in malo modo. E lei ha perso l’equilibrio ed è caduta dalle scale.”

“Cazzo...”

“Parlando con mio padre, quando ero un po’ più grande, ho capito che forse quell’uomo voleva che mamma uccidesse me, per fargliela pagare e rovinarlo. Ma fermandola dopo un po’ siamo riusciti a trovare abbastanza prove e testimoni che confermassero che quell’uomo ce l’avesse con noi e il suo quirk, che confutava la possibilità dei fatti, l’ha incastrato.”

“Quanti...anni avevi, Ojiro?”

“Sei.”

“Eri...un bambino...”

“Già. Ma ho vissuto con mio padre fino ai dodici anni.”

“E poi cos’è successo?”

Ojiro sospirò, la coda, che ondeggiava un po’ a destra e a sinistra, si arrotolò intorno alla vita, “Mio padre è stato forte finché non hanno condannato quell’uomo. Era desideroso di avere giustizia a tutti i costi e non ha ceduto finché non gli sono stati dati quindici anni al tartaro per omicidio più sei mesi di domiciliari per l’utilizzo di un quirk pericoloso contro terzi. Quando ha ottenuto quello che voleva, e io ero abbastanza grande da badare a me stesso, si è...lasciato andare.”

“Ma tu eri ancora un ragazzino. Facevi solo le medie...”

“Lo so. Ma credo fosse depresso. Io...non l’ho capito. Era sempre triste, beveva molto, penso si sentisse schiacciato dai sensi di colpa. Quelli non lo hanno mai lasciato.”

Shinsou abbassò gli occhi sulle ginocchia, prima che la sua attenzione fosse catturata dai movimenti delle mani di Ojiro, che giocava spasmodicamente con l’orlo della manica della felpa che indossava.

Doveva essere difficile parlarne.

Doveva essere stato un incubo viverlo.

Ed era solo un bambino. Così piccolo.

Non poteva che stimarlo ancora di più, adesso che sapeva la verità.

Capiva perché fosse restio a parlargli, ad avere a che fare con lui. E apprezzava il fatto che fosse comunque riuscito a superarlo.
Questo...e quello che gli aveva fatto lui, che doveva avergli confermato inizialmente che quel potere fosse solo il male.

Eppure, alla fine l’aveva perdonato.

Parlava con lui, per lo meno. Si stava confidando.

Era buono, nonostante tutto quello che gli era successo. Così...gentile.

Anche se non se lo meritava.

“Lo hai...trovato tu?”
“Sì.”

 

“Papà, sono tornato!” urlò, buttando lo zaino in un angolo accanto alla porta d’ingresso. Con la coda appese la giacca all’appendiabiti e tornò poi a girare per casa.

Era stanco morto dopo la giornata a scuola, e non vedeva l’ora di mangiare. Ma non sentiva il solito odorino in casa, segno che il padre stavolta non aveva preparato niente.

“Papà, ma ci sei? Ho una fame da lupo, per caso c’è qualcosa in frigo? Vuoi che prepari anche per te?”

Ancora nessuna risposta.

Sbuffando, Mashirao si diresse verso lo studio del padre. Di solito se ne stava lì, da solo. Adesso che non avevano più la palestra –venduta insieme alla casa per trasferirsi in un bilocale in centro- passava molto tempo lì a lavorare.

O almeno così gli diceva.

Lavorava a casa, lo preferiva.

Così gli aveva sempre detto.

Ma quando aprì la porta, si accorse in fretta che era una bugia.

Non era per lavorare in casa che lo faceva.

Adesso che gli penzolava davanti, appeso al soffitto, capiva che c’era una cosa di cui non si era accorto mai: che aveva bisogno di aiuto.

E lui, suo figlio, non era stato in grado di capire e darglielo.

“Papà!”

 

 “Il tuo è un potere tremendo,” mormorò Ojiro dopo un po’, come pensieroso. Fissava il vuoto davanti a sé invece che Shinsou e sembrava estremamente malinconico.

“Non più di altri, Ojiro.”

“Invece sì. Uccidere, ferire, mutilare, trasformare, è una cosa che tu fai agli altri. E’ brutto ma accettabile. Ma costringere una persona a farlo a qualcun altro, a qualcuno che ama...è peggio. E’ molto peggio.”

Shinsou abbassò di nuovo gli occhi.

Forse era vero. Dopotutto, era stato lui il primo ad essere sempre messo da parte proprio per questo motivo.

Proprio perché la gente poteva accettare un potere che portava il rischio di farti saltare in aria, ma uno che poteva costringerti a perdere contatto con se stessi...quello no. Era inaccettabile.

E per quanto fosse il suo potere, Shinsou lì capiva.

Poteva controllare gli altri ma era lui stesso il primo che non avrebbe mai voluto che qualcosa lo muovesse contro la sua volontà.

“Mi dispiace per quello che ti è successo.”

“Non importa. Alla fine, i miei zii si sono presi cura di me. In fondo, avrei dovuto farlo prima.”

“Che cosa?”

“Parlarti. Perdonarti per lo scorso anno. Ci saremmo risparmiati un sacco di problemi, non trovi?”

Shinsou si limitò ad annuire. Considerare quello che aveva fatto solo un problema, magari da poco, era decisamente restrittivo.

Ancora adesso, se ci pensava, non poteva che maledirsi.

E ringraziava di potergli di nuovo parlare in quel modo.

“A prescindere da questo io non avrei...-”

“Dovuto. Sì, lo so. Ma ormai lo hai fatto,” lo interruppe. Poi si alzò, allungandosi per stirare la schiena e muovendo piano la coda in maniera circolare. “E’ quasi l’alba ormai. Grazie per avermi fatto compagnia anche se ti ho scritto a tarda notte.”

“Non ho fatto niente,” mormorò Shinsou, alzandosi a sua volta, “Fai ancora in tempo a riposare un po’, prima delle lezioni.”

“Sì. Anche se...mh...”

“Cosa c’è?”

“Ecco...” Ojiro stirò le labbra. Non era il tipo di persona che riusciva a dire e fare facilmente certe cose. Con Shinsou, poi, ancora di meno. “In realtà non credo che riuscirei a dormire. Oggi è...strana per me.”

“Immagino. Ma non hai dormito neanche ieri suppongo, vero?”

“E come avrei potuto.”

“Allora dovresti davvero oggi.”

“Sì, immagino. Non che possa decidere io,” ridacchiò, “Però...ecco, mi piacerebbe avere compagnia, in realtà. Tu hai sonno?”

Shinsou sgranò gli occhi, “Non particolarmente...” mormorò.

Non pensava l’avrebbe mai più invitato nella sua stanza, dopo quello che era successo l’ultima volta.

E invece era proprio lì che stavano andando.

Ojiro doveva stare davvero male, per chiederlo a lui.

“Gli altri lo sanno?”

“No. L’ho accennato a Shoji, ma non sa tutti i dettagli. Ma tu...hai il suo stesso potere, o comunque simile.”

“Già. E non solo quello...”

“Non dire sciocchezze. Sei stato uno stronzo, avrei dovuto picchiarti, ma c’è un oceano di differenze fra te e lui. Te lo posso assicurare.”

E chissà se era per questo che adesso era lì con lui, in piena notte, nella sua stanza dopo tutto quello che era successo fra loro lì dentro.

Shinsou era una brava persona, che aveva sbagliato a suo danno. Ma era il primo che si stava punendo per quello.

Aveva odiato Shinsou per un passato in cui non c’entrava nulla, e questo aveva solo portato problemi e guai. E l’errore iniziale era stato il suo, perché non era stato in grado di distinguere due persone totalmente diverse accomunate da un quirk che non si erano certo scelte.

E forse per questo lo aveva perdonato così velocemente.

Ne aveva bisogno. Era giusto così.

Shinsou non era come quell’uomo. Era migliore. Nettamente migliore.

E lo stava capendo pian piano.

“Onestamente mi chiedo ancora che cosa ti sia saltato in mente quel pomeriggio.”

Shinsou sgranò gli occhi, poi li abbassò sulle caviglie intrecciate. “Te l’ho...detto, mi pare.”

“Mi viene difficile credere di poter...” scosse il capo, Ojiro. No, non doveva mettersi a pensare a quelle cose, era controproducente.

Ormai era passato.

Shinsou aveva ceduto ad istinto e rabbia e forse avrebbe dovuto essere onorato di scatenare certe pulsioni in qualcuno, lui che era così normale. Anche se bisognava essere in grado di reprimerle, e Shinsou non lo era stato.

Eppure non riusciva più ad avercela con lui.

Gli faceva tenerezza.

“Non ho molte cose da fare in stanza, in realtà,” ammise dopo un po’, “Potremmo vedere un film, abbiamo giusto il tempo.”

“Va benissimo, Ojiro.”

 

--

 

Il cielo era torbido.

Gli ricordava gli occhi di suo padre, grigi. Di un grigio che negli ultimi anni era diventato particolarmente scuro e freddo.

Carico di nubi colme di pioggia che non era stato mai in grado di vedere, e che gli avevano impedito di salvarlo.

“Mashirao? Hai compilato la domanda per la scuola superiore, tesoro?”

Ojiro abbassò appena gli occhi, guardando sua zia. Ora era la sua tutrice.

Si occupava lei di lui, adesso.

Era tutta la famiglia che gli era rimasta.

“Andrò alla Yuuei,” affermò, “Entrerò alla Yuuei e diventerò un eroe.”

Sua zia per poco non svenne. Ce l’aveva scritto in faccia.

“Ne sei sicuro, tesoro? E’...è pericoloso...”

“Lo farò. Farò capire a papà che non avrebbe dovuto arrendersi. Non avrebbe dovuto arrendersi quando non è riuscito ad entrare alla Yuuei e non avrebbe dovuto arrendersi alla vita un anno fa. Metterò in pratica tutto quello che mi ha insegnato sulle arti marziali. Anche con solo la mia coda, anche se da solo. Ce la farò. Lui è stato...egoista, e mi ha lasciato solo. Si è arreso, ha smesso di combattere. Io non lo farò mai. Io non mi arrendo.”

 

 

 

Angolino Autrice:
Buondì carissimi! Innanzitutto scusate per l’attesa un po’ più lunga di questo capitolo, ma ultimamente sto fusissima.
Ad ogni modo, spero che la storia fino a qui sia stata ancora di vostro gusto, e vi sia piaciuta.
Il prossimo capitolo è l’ultimo, siamo in dirittura d’arrivo.
Ma vi ringrazio già da adesso per avermi seguito fin qui anche in questo e non preoccupati, ho in servo tanti altri problemi e tante altre storie per il mio povero Mashirao Ojiro.
Un grazie particolare a Bluebb e MeryHope e ai loro meravigliosi commenti!
Un bacione grande, fatemi sapere cosa ne pensate mi raccomando!
Asu

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Epilogo ***


CAPITOLO 19 – EPILOGO

 

 

 

 

Festival Sportivo.

Il giorno era arrivato più velocemente di quanto Shinsou si sarebbe mai aspettato. Due settimane erano letteralmente volate via. Quasi non se ne era neanche accorto.

Ed era stato bello, intenso. Non aveva passato con Ojiro tutti i giorni, come avrebbe voluto, ma era successo spesso, quello sì.

Molto spesso.

E quelle volte che era successo era stato Ojiro a venire da lui, mai il contrario. Non perché Shinsou non volesse, anzi, tutt’altro. Ma perché non voleva pressarlo. Era Ojiro che doveva decidere.

E forse stava decidendo, anche in fretta.

Ojiro gli stava palesemente dicendo che andava bene, che era del tutto intenzionato a dimenticare, ad andare avanti.

E quelle due settimane Shinsou aveva deciso di sfruttarle al meglio delle sue possibilità, con tutta la delicatezza di cui era capace.

E gli era piaciuto, passare il tempo così. Soprattutto gli era piaciuto vedere che anche ad Ojiro pareva aver fatto piacere. Quantomeno, sorrideva, e la sua coda parlava ancora più chiaro, sbattendo di qua e di là ogni volta che rideva.

Ed era proprio quando sorrideva che a Shinsou si scioglieva il cuore. Perché non credeva di meritarlo, ma era lì per lui. Con lui.

A volte incrociava ancora gli occhi di Aizawa, in aula o dopo le lezioni, lo scrutavano e lo giudicavano. Studiavano i fatti ma alla fine non diceva mai niente.

Stava mantenendo la sua parola. Lo teneva d’occhio, ma se Ojiro aveva deciso di perdonarlo, Aizawa rispettava quel volere.

Perché la presenza a scuola di Shinsou, la sua non espulsione, dipendeva proprio da Ojiro Mashirao.

Non si erano più baciati, i tocchi erano lievi, casuali. Ma non pesava. Finché Ojiro non si tirava indietro, finché poteva azzardarsi a sfiorargli una mano in una carezza delicata, casuale, quando si trovava vicino alla sua, o carezzargli la coda quando gliela faceva passare vicino, a lui andava bene. Più che bene.

 

Ma adesso erano lì. Dopo aver superato individualmente le prime due prove, erano arrivati di nuovo fra i primi sedici.

L’ultima prova.

Un torneo uno vs uno. Di nuovo.

Pareva che come ultima prova quella fosse molto quotata. Ogni anno le prime due erano differenti, ma l’ultima, per decidere il podio, era quasi sempre quella.

Un combattimento singolo.

Per dare modo a tutti di dare il massimo, di usare al cento per cento il loro potere e riuscire a farsi notare per quelli che erano e che erano in grado di fare.

Era il modo più giusto, in fondo, per dare a tutti la medesima possibilità.

E non sarebbe stato un problema neanche per Shinsou, non lo era stato neanche durante il loro primo anno in fondo, perché doveva cambiare qualcosa adesso che era molto più preparato, fisicamente e strategicamente?

Già.

Peccato che il tabellone gli fosse contro in tutti i modo. E anche chi aveva deciso le accoppiate.

Strinse le bende che ha sulle spalle con entrambe le mani, fissando il nome accanto al suo.

Il suo prossimo avversario.

Dopo il combattimento fra TetsuTetsu e Kaminari, che aveva visto vincitore il primo, toccava a loro.

Lo schermo parlava chiaro.

Ojiro Mashirao vs Shinsou Hitoshi, entrambi Dipartimento Eroi, Sezione A.

Proprio contro di lui.

Tra tanti, doveva finire proprio contro di lui.

Lo guardò con la coda dell’occhio, ma non c’era niente da fare. Doveva combatterci contro.

 

Mic, nella cabina da cui faceva la telecronaca diretta di tutto il Festival, coprì il microfono con la mano e si voltò verso Aizawa al suo fianco.

“E’ stata una tua idea, bro?”

“Non so di cosa parli.”

“L’accoppiata con Shinsou. Non è casuale, no?”

“Certo che lo è.”

Mic inarcò un sopracciglio, scettico. Non lo era per nulla.

Non lo poteva fregare in nessun modo, Aizawa, lo conosceva come le sue tasche e forse anche di più.

Gli aveva già raccontato brevemente e approssimativamente quello che Shinsou aveva combinato, senza scendere nei dettagli gli aveva rivelato quanto fosse stato deluso da quel ragazzino impertinente. Ma allo stesso tempo Mic non aveva potuto non notare quando fosse stato invece sollevato, Aizawa, di non doverlo espellerle, di potergli dare un’altra possibilità.

Il tutto era stato possibile proprio grazie alla decisione di mentire di Ojiro.

E ora erano faccia a faccia.

Non era possibile che fosse un caso.

“Sei un pessimo bugiardo, Shota!” esclamò con enfasi Present Mic.

Adesso era curioso anche lui di vedere come sarebbe andata a finire!

 

--

 

La voce di Present Mic raggiunse ovattata le orecchie di Shinsou, anche se sembrava impossibile visto quanto era alto e acuto il tono della sua voce.

Ma era talmente concentrato su Ojiro, che a malapena si accorse che Midnight aveva dato il via allo scontro.

Ojiro era più attento, invece, e gli andò subito addosso.

Fece un’immensa fatica a schivare il primo colpo, buttandosi di lato, e non riuscì ad usare le bende prima che Ojiro lo colpisse con la coda.

E fece male, ma non era un colpo con cui voleva buttarlo fuori subito.

Il suo sguardo, però, si indurì nel momento in cui Shinsou riuscì a tirarsi su e ad allontanarsi di due passi.

Lo slancio che si diede con la coda fu talmente repentino che Shinsou non fece neanche in tempo ad accorgersene che era già a terra, schiena contro il pavimento. Ojiro gli era praticamente sopra, il palmo della mano sulla bocca per impedirgli di emettere alcun suono.

“Cosa stai facendo, Shinsou? Mi stai evitando? Vuoi farmi vincere, o non vuoi combattere contro di me? Non ci provare, Shinsou! Te l’ho detto, sono qui per rendere fieri i miei genitori, sono qui perché voglio dimostrare a mio padre che avrebbe potuto farcela, anche da solo! Quindi non provare a non dare più del massimo perché ti giuro, te lo giuro, stavolta non ti perdonerei mai!”

Shinsou sgranò gli occhi, a quel discorso.

Aveva ragione. Cercando solo di evitare i colpi, continuando a pensare solo di non voler combattere contro di lui, gli stava mancando di rispetto.

Invece doveva fare il contrario.

Doveva impegnarsi più che poteva, anche a rischio di fargli male, o di farsene. Tanto nessuno lì poteva ferirsi in modo grave e Recovery Girl era pronta a curarli tutti quanti immediatamente.

Doveva cercare di vincere. Era questo l’unico modo che aveva per far vedere a Ojiro che era sincero, che lo stimava e lo rispettava e che gli voleva bene.

Di più, anzi. Molto di più.

Si rialzò non appena Ojiro lo lasciò andare, togliendosi dalla testa qualsiasi pensiero sul fatto che fino a due minuti prima gli fosse praticamente seduto sul bacino.

Non era il momento, quello, non adesso.

Ora dovevano combattere.

E lui aveva intenzione di vincere.

Il combattimento iniziò in quel momento, la voce di Present Mic gridava euforica mentre loro si muovevano sul ring, attaccando e difendendosi ritmicamente.

Shinsou, adesso che si era sbloccato, era lesto nell’uso delle bende, segno che Aizawa era stato un ottimo insegnante con lui in quell’ultimo, lunghissimo anno.

Ojiro, però, non aveva certo intenzione di farsi catturare facilmente. Usava la coda per scattare velocemente di lato, o sbattere via le bende prima che potesse bloccarlo in ogni movimento.

Nello stadio c’era ormai silenzio. La determinazione di entrambi si respirava nell’aria, pesante come le urla di Mic, unico a rompere quell’atmosfera.

Lo scontro andava avanti già da alcuni minuti, serrato.

All’ennesimo calcio, Shinsou si accasciò per un secondo a terra, provato. Non ci era abituato. L’allenamento andava bene, ma arrivare a combattere così e per così tanto era diverso.

Sulla resistenza durante uno scontro diretto ci stava ancora lavorando.

L’unica possibilità che aveva per batterlo era spedirlo fuori. In uno scontro di resistenza Ojiro avrebbe vinto. Stava già vincendo.

Ma lui era ancora in gara e voleva restarci.

Si alzò con uno scatto nello stesso istante in cui Ojiro l’aveva afferrato per il bavero per spedirlo fuori, facendogli brevemente perdere l’equilibrio e approfittandone immediatamente per immobilizzargli le braccia con le bende. Era quasi riuscito a spingerlo fuori, visto come l’aveva bloccato, quando Ojiro riuscì a fargli lo sgambettò usando la coda, ma finì solo per essere trascinato giù con lui.

Il rossore soffuso sulle gote di Ojiro fece capire immediatamente a Shinsou di essere stato tristemente scoperto, ma invece di cedere all’imbarazzo approfittò di quel breve attimo di distrazione per continuare a tirarlo verso i bordi del ring.

Bastava solo quello. Un piede. La punta della coda solamente.

Ojiro non si riprese in tempo.

Quando mosse la coda e colpì Shinsou dritto in faccia, lui riuscì comunque a mantenere l’equilibrio, seppur con un gemito di dolore.

Ma proprio in quel momento la voce di Midnight squarciò l’aria, trillando tanto da far tremare entrambi loro e il ring stesso.

“La sfida è terminata!” ululò, “Ojiro è fuori dal ring! Vince Shinsou!”

Shinsou si permise di accasciarsi per riprendere fiato solo in quel momento. Ojiro era ancora a terra, per metà legato, con l’unica visuale libera sul cielo terso.

Aveva un piede fuori dal ring. Come diavolo era successo? Non se ne era neanche accorto. Era così impegnato a cercare di togliersi Shinsou di torno, per impedirgli di raggiungere il suo scopo, che glielo aveva permesso e non se ne era neanche reso conto.

Il volto di Shinsou gli comparve davanti, disturbando il suo campo visivo.

“Tutto okay?”

Annuì, “Tutto okay,” rispose.

Aspettò che Shinsou ritirasse le bende liberandogli i movimenti e si tirò su. Sapevano di dover abbandonare in fretta il ring perché toccava ai prossimi due sfidanti, entrambi della classe B questa volta, anche se non ricordava neanche chi fossero. Non aveva prestato attenzione.

Ma prima gli porse la mano, regalandogli un sorriso, “Sei stato più bravo e attento di me. Complimenti, Shinsou.”

Hitoshi per un attimo rimase interdetto, ma alla fine la strinse, “Grazie.”

Era imbarazzante, in verità, se pensava al motivo che aveva distratto Ojiro. Senza quel colpo di fortuna forse starebbero ancora combattendo o, peggio, avrebbe vinto Ojiro. Ed invece...ma Ojiro pareva intenzionato a far finta di non averci fatto caso, per sua fortuna.

Midnight squittì, stringendosi la frustra al petto, fra i seni prosperosi che a quel gesto risaltarono ancora di più. “Aaah, il candore dell’adolescenza! Il fuoco dell’amicizia e della sportività! Fantastico, ragazzi, fantastico!”

Ojiro arrossì di botto, a quelle parole, seppur senza un apparente motivo logico, ritirando in fretta la mano. “Beh...okay,” brontolò, superando Shinsou e scendendo dalla piattaforma. Come se all’improvviso gli fosse tornato in mente ben altro fuoco, rispetto a quello dell’amicizia.

Anche Shinsou arrossì.

Accidenti.

Hey, Ojiro!” lo chiamò, sforzandosi di mantenere una certa dose di compostezza. Appena ebbe le attenzioni dell’altro, gli indicò gli spalti.

Ojiro non se ne era accorto, ma lo capiva. Conosceva quella sensazione, l’aveva provata anche lui l’anno precedente.

La delusione della sconfitta, di essersi lasciato scappare l’ennesima occasione.

Ma alla fine, non era così.

Gli Hero e i civili fra il pubblico, lì sugli spalti, parevano invece entusiasti.

“Ragazzi, siete stati grandi!”

“Bel combattimento, tutti e due!”

“Tu, con la coda, c’è mancato pochissimo! Ce l’avevi quasi fatta!”

“La prossima volta andrà meglio, ve lo meritate!”

Ojiro sgranò gli occhi, sentendo tutto quel fracasso per loro. Lo scopo del Festival Sportivo era farsi notare e questa volta c’erano riusciti anche loro.

La scarica d’adrenalina gli percorse tutta la schiena e la coda, provata dal combattimento.

Era...fantastico.

Ce l’avevano fatta.

Ce l’avevano fatta davvero! O quantomeno, era un ottimo inizio rispetto allo zero assoluto dell’anno precedente.

Si voltò in automatico verso Shinsou, regalandogli un sorriso. Il più aperto e sincero che gli avesse mai rivolto, da quando si conoscevano.

Avevano riso insieme, in quella settimana, ma quel sorriso...era diverso.

Era completamente diverso.

E quando Ojiro si accorse di come Shinsou lo stesse guardando, arrossì, girò i tacchi e sgusciò via, seguito dal compagno di classe solo qualche minuto dopo.

Ma ormai era tardi.

Shinsou quel sorriso se l’era ben impresso in mente, fra i suoi ricordi più dolci.

E dopo averlo visto voleva davvero credere che, nonostante l’inizio tormentato, forse ce l’aveva fatta a vincere l’unica battaglia che voleva vincere.

 

Mic si voltò verso Aizawa, cercando nella sua espressione la soddisfazione di quello che aveva appena visto.

Era stato un bell’esempio di amicizia. E considerando com’erano quei ragazzini, dubitava fortemente che stessero recitando per il pubblico.

No, avevano davvero chiarito i dissidi avuti, e nella migliore delle maniere, creando con un po’ di fortuna un affetto davvero sincero, e forse duraturo.

Non trovò niente, in apparenza. Aizawa era immutato, le braccia conserte e le labbra all’ingiù.

Ma come aveva detto prima, Shota non poteva mentirgli.

Gli occhi scuri luccicavano.

Mic rise anche per lui, euforico, “Nice catch, guys!” urlò.

Aizawa si lasciò scappare un sorriso, veloce come fu veloce a nasconderlo.

Hey bro! Ti ho visto sai?!”

“Non hai visto niente. Continua a fare quello che devi.”

Mic scrollò le spalle, sorridendo, poi tornò a rivolgere tutta la sua attenzione al nuovo scontro e alla presentazione dei nuovi sfidanti.

 

--

 

L’aveva aspettato lì, lontano dagli occhi del pubblico stavolta. Il pubblico, gli Hero erano entusiasti.

E anche lui lo era, ed era soddisfatto.

Shinsou l’aveva sconfitto con determinazione e una buona dose di fortuna, ma ad Ojiro andava bene. Aveva dato il massimo e si era fatto valere, credeva.

Comunque, ormai era andata. Magari l’anno dopo, l’ultimo, ci sarebbe riuscito.

Era il secondo anno di fila che arrivava fra i primi sedici, e non era tutto sommato un punteggio così cattivo, credeva. Ma voleva di più.

Avrebbe voluto puntare ai primi dieci. Ai primi cinque.

Ma non quell’anno.

Quell’anno era stato troppo distruttivo per lui, era iniziato in modo così atroce che essere giunto fra i primi sedici ed essere stato sconfitto con un certo onore gli sembrava già una gran vittoria.

Ed era colpa di Shinsou.

Allo stesso tempo, però, era anche merito di Shinsou.

Forse poteva essere assurdo, ma era così.

Lo fece poggiare con le spalle al muro senza dire altro, alzandosi sulle punte per arrivare alle sue labbra.

Shinsou gli portò entrambe le mani al viso, carezzandogli le guance con i pollici all’inizio con gentilezza. Poi cambiò modo di fare.

Gli infilò le dita della destra fra i capelli, succhiandogli il labbro inferiore fra i denti finché Ojiro non schiuse entrambe le sue, cercandogli il palato con la lingua, giocando con la sua.

La sinistra di Shinsou scese lungo il collo dell’altro, sul segno ancora rosso che gli aveva lasciato durante il combattimento.

Si staccarono solo per riprendere aria e si guardarono a lungo, occhi negli occhi.

E Ojiro sorrise con un calore così intenso che Shinsou non poté che arrossire.

“Al prossimo scontro...devi farti valere ancora di più.”

Shinsou corrucciò le sopracciglia.

Era...strano.

Averlo vicino, poterlo toccarlo, e farlo rendendolo felice stavolta. Perché era così, no? Quel sorriso non poteva mentire.

A volte pensava che fosse un sogno.

Si riscosse dai suoi pensieri, quando lo sentì parlare ancora. Labbra contro lobo. Rabbrividì inevitabilmente, stringendolo a sé per i fianchi, “Era la mia idea...”

“Farò il tifo per te, sugli spalti,” gli disse Ojiro, allontanandosi di nuovo e sciogliendo quello strano, intimo contatto.

“Era da...un bel po’ che non ti azzardavi a baciarmi.”

“Magari, se vinci ti bacerò di nuovo.”

“Contro Tokoyami? Non ho molte speranze.”

Ojiro sorrise, allungando la mano per poter sfiorare quella dell’altro, ma senza afferrarla davvero, “Tu impegnati. Poi deciderò, se farlo di nuovo anche se perdi.”

 

 

 

 

 

ANGOLINO AUTRICE:

Ed eccoci qui, alla fine di quest’a breve avventura.

Quantomeno, più breve di Fear.

Ho lasciato le cose un po’ in sospeso, stavolta, niente dichiarazioni d’amore, niente decisione nette.

Le cose andranno per le lunghe, e con lentezza e delicatezza.

Ma andranno, almeno nella mia testa stanno già andando!

Spero che questo finale possa piacervi, e spero che mi facciate sapere cosa ne pensate!

E state liete, perché tornerò molto presto!

Un bacione grande,

Asu

 

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