Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Quel
primo giorno del secondo anno era iniziato male fin da principio.
Aveva
preparato la valigia per tornare in dormitorio la sera prima, ed era tutto
pronto. Come tutti gli altri doveva arrivare al Dormitorio per lasciare il
borsone con le poche cose che si era portato a casa per le vacanze estive, e
poi andare a lezione.
Invece
non aveva sentito la sveglia, si era dovuto alzare di corsa e arrivare
altrettanto frettolosamente al Dormitorio e poi in classe. Era stato l’ultimo a
mettere piede in aula, ma almeno Aizawa non era
ancora arrivato.
Ciò
nonostante era già sudato, aveva iniziato la giornata nel modo peggiore per
lui, a cui piaceva essere sempre puntuale e, se poteva, arrivava persino in
anticipo.
Avrebbe
dovuto capire che le cose non potevano che peggiorare quando Aizawa aveva messo piede in classe, imponendo l’ordine ma
lasciando la porta dell’aula aperta. Come se dietro di lui dovesse entrare
qualcun altro.
Poiché
era successo alla fine del primo anno lo aveva quasi scordato, Ojiro, di quella
faccenda lasciata in sospeso fra 1-A e 1-B.
Chi
si sarebbe preso Shinsou Hitoshi.
E
fissando la porta aperta ebbe un lungo brivido lungo la schiena.
L’anno
prima non avevano detto in quale classe delle due sarebbe capitato, all’inizio
del secondo, ma solo che sarebbe passato dal Dipartimento Generale a quello
Eroi. E adesso che il fantomatico secondo anno era iniziato, era il momento di
svelare l’arcano.
Dietro
di lui, Kaminari stava già strepitando, lo percepiva
chiaramente. Gli allontanò la coda da davanti prima che potesse sfogarsi su di
essa.
“C’è
Shinsou dietro la porta, prof? Dai, ce lo dica, non ci tenga in sospeso!”
esclamò euforico, sporgendosi in avanti.
L’occhiataccia
di Aizawa lo aveva subito rimesso in riga, ma anche
se era tornato a sedersi composto Ojiro lo sentì chiaramente muoversi esagitato
sulla sedia.
“Sta
al tuo posto, Kaminari,” lo redarguì Aizawa, ma a quel punto non serviva più a nulla stare lì a
fare chissà quale tipo di discorso. Tanto, lo sapevano già.
“Dunque,
come Kaminari ha fatto presente pur senza che gli
venisse richiesto, oggi, in quanto primo giorno del vostro secondo anno, verrà
svelata la classe in cui studierà anche Shinsou Hitoshi. Ma non qui. Prendete
le vostre divise e scendete nella palestra, vi aspetta lì anche la sezione B,”
e detto questo, Aizawa era stato il primo ad uscire.
Ojiro
si era alzato insieme agli altri per ritirare la valigetta con le loro divise
da Hero e poi aveva seguito i compagni negli
spogliatoi per cambiarsi. A differenza dell’entusiasmo di Kaminari
o della trepidanza di Midoriya e Kirishima,
però, Ojiro si sentiva decisamente teso.
Non
sapeva perché in effetti, non era un pensiero che avesse molto senso, eppure
non si sentiva per nulla felice all’idea di avere Shinsou Hitoshi in classe con
lui. Forse era per quello che era successo al Festival Sportivo dello scorso
anno, anche perché non avrebbe avuto altri motivi per avercela con lui.
Eppure
una parte di lui sperava che la classe ad accoglierlo fosse la B.
Non
gli piaceva l’idea di averlo in classe, senza contare che sarebbe stato seduto
accanto a lui e la cosa gli piaceva ancora meno. Non c’era un vero motivo, e
non era forse un pensiero o un comportamento molto eroico, ma dubitava di poter
facilmente andare d’accordo con Shinsou né di poterlo facilmente perdonare per
quello che gli aveva fatto al Festival Sportivo.
Eppure
pareva essere l’unico a pensarla così.
Anche
Tokoyami aveva ammesso, durante il tragitto, che si
sarebbe sentito a disagio ad averlo come compagno di classe. Ma Midoriya era subito corso in sua difesa, e Ojiro proprio
non capiva perché. Eppure, anche lui ci aveva combattuto contro.
Ma
Midoriya, con il suo buon cuore, continuava ad
insistere che tutto sommato Shinsou era meno peggio di quello che voleva
ammettere, che non era cattivo, e che dovevano dargli una possibilità.
Anche
Kaminari era d’accordo, dopotutto era stato per lui
che la loro squadra aveva vinto durante l’ultimo allenamento di gruppo con la B
l’anno precedente, e l’aveva anche salvato.
Continuava
a sentirlo bofonchiare su questo o quello e su Shinsou, soprattutto, quando
raggiunsero la classe B e, ovviamente, l’interesse di quella mattina.
Che
era in piedi fra Vlad King e Aizawa,
la maschera già sulla bocca a coprire quello che giurava essere un sorriso
sfrontato, come al solito.
Stavolta,
però, non era in tuta. Aveva ottenuto la sua divisa da Eroe, Shinsou.
Niente
di eccessivo o eclatante.
I
pantaloni erano semplici, neri, calzavano negli stivali a metà polpaccio dello
stesso colore ma con la bordatura e la suola tendente al violaceo. Anche la
canotta e i guanti, senza dita, erano neri, ma decisamente più aderenti di
quelli di Aizawa e giurava, seppur parzialmente
coperta dalle bende grigie, fosse a collo alto, ma morbido e largo. Forse per
nascondere la maschera e la bocca all’occorrenza. Alla cintola aveva appeso due
piccole sacchette, probabilmente con qualche occorrente per il primo soccorso.
O qualche arma, come Aizawa.
Doveva
ammettere, Ojiro, che il fischio ammirato di Mina e Hagakure
era ben riposto.
Shinsou
doveva essersi allenato ancora tantissimo anche dopo aver passato il test
perché, seppur la tuta ben lo nascondeva, Ojiro era certo che il suo fisico non
fosse così quattro mesi prima. Si era irrobustito, le spalle lasciate
parzialmente scoperto dalla maglia sembravano un po’ più larghe, le braccia non
erano più magre e ossute.
La
divisa da eroe fasciava adesso un fisico che non aveva nulla da invidiare a
molti di loro.
“Cavoli,
Shinsou, quasi non ti riconoscevo!” esclamò Kaminari,
andandogli sotto all’istante. Monoma però lo scacciò
via con sgarbo e si mise accanto all’altro, chiacchierando fitto.
Ecco,
se quell’allenamento da primo giorno era per vedere con chi Shinsou avesse più
affiatamento, e mandarlo in quella classe, il fatto che Monoma
gli stesse così dietro era una cosa decisamente a suo vantaggio.
Eppure...lo
infastidiva.
Perché
Kaminari era fastidioso ma animato da buona
intenzioni.
Monoma aveva la
faccia del ruffiano lì solo per mettere zizzania.
Itsuka Kendo,
per fortuna, arrivò il loro soccorso, trascinandoselo via per un orecchio.
“Chiedo perdono per il mio compagno. La tua divisa è davvero interessante, mi
piacerebbe trovarci come compagni, questa volta,” fece con gentilezza.
Shinsou
rispose solo con un cenno del capo. La maschera lo copriva per metà e non era
facile carpire per bene la sua espressione.
“Ti
ringrazio,” mormorò.
“Oh,
finalmente si può parlare!” esclamò di tutta risposta di nuovo Kaminari che, seguito da Kirishima
e Ashido, si avvicinarono a lui. Stavolta, però, fece
un passo avanti anche Midoriya, insieme anche a Shoda e Shiozaki della B.
Ed
era strano, vederlo parlare con quei due, perché anche loro avevano avuto modo
di provare il suo subdolo potere.
Shoda,
soprattutto, si era ritirato dopo di lui durante il Festival Sportivo dell’anno
prima, per lo stesso motivo che aveva spinto lui a fare altrettanto. Eppure,
adesso gli sorrideva e scherzava con lui.
Forse
perché era stato nel suo gruppo, contro quello di Midoriya,
durante l’allenamento doppio dell’anno prima? Con Monoma
e Yanagi, che però se ne stava in disparte.
Forse
combattere con lui, parlarci in un momento di necessità, aveva fatto capire a Shoda qualcosa che a lui ancora sfuggiva? Che, come diceva Midoriya e sottolineava Kaminari,
Shinsou non era così male?
Sorrideva,
adesso, mentre parlava con loro.
Sogghignava,
per la precisione, e sembrava un po’ una presa in giro, ma più probabilmente
era il suo modo di fare e basta. Era la sua faccia.
Il
modo in cui si stava approcciando a loro, la mano che aveva portato a grattarsi
la nuca, gli dava un’aria anzi quasi imbarazzata. Come se fosse a disagio.
“Adesso
basta stare qui a non far nulla, si passa all’allenamento!” tuonò Aizawa, battendo le mani fra loro per attirare l’attenzione.
Li
guardò tutti, Aizawa, uno a uno, e Ojiro ebbe un
attimo la sensazione che si fosse soffermato su di lui un secondo di troppo.
Aveva
una brutta sensazione.
Bruttissima.
“Sarà
simile a quello dello scorso anno, con una sostanziale differenza: stavolta
verrete mischiati.”
Iida alzò
prontamente la mano, tesissima, “Intende dire che potremmo capitare in gruppo
con qualcuno della classe B contro qualcun altro della nostra classe?”
“Esattamente,
Iida.”
“State
scherzando, mi auguro!” gracchiò Monoma, sconvolto,
“Mischiarci a questi...questi...”
“Non
ti faccio neanche finire di parlare, Monoma,” sospirò
Vlad King in risposta, “I ragazzi della 2-A
potrebbero diventare vostri colleghi, un giorno. Nei prossimi tirocini potrebbe
capitare di collaborare sotto le direttive dello stesso tutor com’è già
successo lo scorso anno ad alcuni di voi. Il minimo è cercare di creare un
rapporto amichevole e rispettoso, fra di voi.”
“Ma
signore...”
L’espressione
schifata di Monoma fu capace di far rizzare i peli
anche a Ojiro, e se non fosse stato per il tempestivo intervento di Kendo forse
Monoma non sarebbe arrivato a fine giornata, visto
che Bakugou era parso intenzionato a farlo saltare in aria.
“Stupido
coglione,” lo sentirono tutti borbottare.
Vlad King si
massaggiò appena la base del naso, “Grazie, Kendo.”
“Di
nulla, signore. Anche se il mio compagno è quel che è, spero si possa
collaborare serenamente. Mi scuso per lui.”
“Non
hai nulla di cui scusarti, Kendo-san,” sorrise subito
Momo, “Anche io me lo auguro vivamente!”
“Bene,
adesso, superata quest’interruzione passiamo alle cose serie. Di nuovo,”
borbottò Aizawa. Sembrava risentito, se
dell’interruzione o del comportamento di MonomaNeito era difficile dirlo.
“Le
squadre saranno sempre di quattro o cinque a seconda dell’esigenza. Uno sarà il
porta bandiere e leader, e lo sceglieremo noi per ogni squadra. L’obiettivo è
non farlo catturare dagli avversari. Vince chi riesce a mettere per primo fuori
gioco il leader del gruppo rivale o a trascinarlo fuori dalla linea di gioco.
Sono stato sufficientemente chiaro?”
“Sì,
signore!”
“Bene.
Allora, adesso le squadre:
Tsunotori, Monoma, Ojiro e Tokoyami; squadra
A.
Shinsou,
Ashido, Kendo, Iida e Awase; squadra B
Kaibara, Shishida, Tetsutetsu e Kirishima; squadra C
Kaminari, Jirou, Tsuburaba e Asui; squadra D
Shoji, Kamakiri, Shoda e Satou; squadra E
Mineta, Rin, Yanagi e Sero;
squadra F
Komori, Uraraka, Bondo e Todoroki;
squadra G
Fukidashi, Tokage, Honenuki e Bakugou;
squadra H
Shiozaki, Yaoyorozu, Hakagure e Aoyama; squadra I
Kodai, Kuroiro, Koda e Midoriya; squadra L.
“Inizierà
la Squadra A, con Tokoyami come porta bandiera,
contro la squadra B, con Iida come portabandiera.
Avrete quindici minuti di tempo, dopodiché decideremo se considerare la prova
fallita o meno in base allo svolgimento della stessa, nel caso nessuna delle
due squadre sia riuscita a sconfiggere o catturare il portabandiera
dell’avversaria. E’ tutto chiaro?”
“Sì,
Professor Aizawa!”
“Molto
bene. Iniziamo allora.”
Passando
davanti a Bakugou per raggiungere il punto di partenza, Ojiro lo sentì
chiaramente imprecare a denti serrati, maledicendo Aizawa
e tutti quanti.
Non
c’era da stupirsene, in fondo. Era finito circondato da quelli della B. Per
lui, che già aveva faticato a relazionarsi a malapena con loro dopo un anno che
si conoscevano, doveva essere fin troppo irritante.
E
non era l’unico.
Anche
Monoma era decisamente di cattivo umore.
Gli
passò accanto tirandogli una spallata e affiancando invece la sua compagna di
classe. Ojiro alzò a sua volta gli occhi al cielo.
Sarebbe
stato un lungo, lunghissimo allenamento. Il più lungo della sua vita.
“Dovremmo
cercare di collaborare,” mormorò Tokoyami dopo un
po’, guardando proprio Monoma.
Pony
per fortuna non sembrava avere troppi problemi.
“Taci,
fallito. Io non collaboro con i nemici.”
“Non
siamo nemici, siamo nella stessa squadra, Monoma,”
ribatté anche Ojiro, contando mentalmente fino a dieci. “Sarebbe utile sapere
qualcosa di più sul tuo potere, sai?”
“Non
rivelo i miei segreti al nemico, non sono così ingenuo.”
“Ancora
con questa storia? Non siamo nemici, siamo nella stessa squadra!”
“Per
ora.”
“Beh,
è per ora che dobbiamo collaborare,” sbottò Tokoyami,
“Quindi cerca di essere ragionevole.”
Monoma schioccò
la lingua, irritato, “Ma non capisco che abbiano in mente Vlad
e Aizawa! La sezione B non dovrebbe mescolarsi con
quei perdenti della A, per nessuna ragione!”
“Senti,
tu...-“
“Non
dovresti pensarla così, Monoma,” esclamò di punto in
bianco Tsunotori, “Alla fine, siamo tutti eroi! Io
sono felice di essere qui! Cosa c’è? Ho sbagliato qualche parola? Scusate,
faccio ancora un po’ di confusione con alcuni termini...” aggiunse subito dopo,
vedendo l’espressione stupita sia di Monoma stesso
che di Ojiro.
Ma
quest’ultimo scrollò velocemente la mano davanti al volto, “No, no, non hai
sbagliato. Non me l’aspettavo,” sorrise quindi.
Tsunotori ricambiò
raggiante, “Oh, ma prego! E’ la verità! Perché ho combattuto contro di te
l’anno scorso e mi sei sembrato forte! Hai resistito alle mie corna!”
“E
mi hai massacrato, a conti fatti. Ma ti ringrazio, Tsunotori-san.”
Tokoyami scoccò
quindi un’occhiata a Monoma, che aveva ancora la
bocca spalancata. “Visto? Almeno la tua compagna è ragionevole.”
“Assurdo...”
Pony
chiuse entrambi i pugni davanti al petto in una posa che ad Ojiro ricordò
tantissimo Uraraka quando voleva cercare di dare la
carica a chi le era intorno, riuscendoci per altro benissimo.
“Dai,
Monoma-kun! Non vuoi vincere? Io sì!”
“Già,
Monoma, non vuoi vincere?” lo stuzzicò ancora Tokoyami, “Magari se dimostrate di essere superiori Shinsou
finirà in classe con voi.”
“Già,”
sogghignò Monoma, in quel suo modo sghembo e
irritante, “Perché voi non lo volete, giusto? La grande inutile sezione A non
può accettare qualcuno con un quirk così speciale
come Shinsou, giusto? Voi pensate di essere superiori a qualcuno che viene
dalla sezione ordinaria, no?”
Ojiro
spalancò gli occhi, “Ma che c’entra? Tokoyami non ha
detto questo!”
“Tsk, era fra le righe.”
“Tu
sei matto,” borbottò Mashirao, sempre più irritato. “E poi non andremo da
nessuna parte se continui così, e non fai che mettere zizzania. Presto Aizawa darà il via alla prova, ti decidi o no a collaborare?”
Neanche
l’avesse chiamato, il rumore sordo della sirena annunciò l’inizio.
Pony
si lasciò andare ad un sospiro, “Comunque tu sei l’obiettivo, corvo, giusto?
Allora basta che io o Ojiro-kun rimaniamo con te.”
“Sì,
ma mi chiamo Tokoyami...”
“Ti
chiedo scusa!”
“Non
importa. E ricordatevi di parlare solo se possiamo guardarci in faccia, come ci
ha mostrato Midoriya l’anno scorso è il modo migliore
per non cadere nei trucchi di Shinsou.”
“Siete
anche codardi, adesso?” infierì Monoma d’improvviso,
“Mandi avanti le ragazze, scimmione?!”
Ojiro
digrignò i denti, “Sto per colpirti, sappilo.”
“Perché?
Ti disturba, la verità?”
“Adesso
basta! Qua Tsunotori è l’unica che ha un attacco a
media e lunga distanza, è logico mandare avanti lei. Non dimentichiamoci che
l’altra squadra ha Ashido e Kendo, oltre a Iida, anche se lui sarebbe l’obiettivo e forse si
nasconderà.”
“Tokoyami ha ragione. Posso andare avanti io, ma devo per
forza avvicinarmi e mi vedrebbero subito. Iida non lo
prenderemo mai, se non lo cogliamo di sorpresa. E’ così difficile da capire?”
Monoma storse la
bocca, contrariato. Scocciò un’occhiata a Pony, che era determinata e non
pareva avere niente da ridire su quel patetico piano, se così poteva essere
definito. E ne dubitava fortemente.
“Probabilmente
posso copiare il quirk di Tokoyami,
di sicuro quello di Tsunotori. Dubito sia utile quello
dello scimmione. Dura quindici minuti.” decretò alla fine, seppur scocciato
come poche volte in vita sua e con l’espressione di chi preferirebbe star
pulendo i bagni della scuola piuttosto che essere lì.
Ma
lo ignorarono tutti comunque, e alla fine Tokoyami si
limitò ad annuire e a porgergli la mano, “Copri tutta la prova, allora, bene.
Copiali, sperando che tu possa riuscirci. Visto che puoi copiare quello di Tsunotori-san, andrai avanti anche tu. Più o meno come hai
fatto lo scorso anno. Ricordati di non rispondere se non puoi vederci.”
“Non
sono stupido come voi!”
“Non
ci giurerei,” sospirò Tokoyami, “Dubito che la
squadra avversaria punti a rimanere solo unita, è inutile. Per altro, hanno una
persona in più rispetto a noi, quindi sarà un problema. E a litigare non
abbiamo avuto tempo per creare un vero piano...”
“Andrà
bene!” squittì Pony, “Improvviseremo e andrà bene!”
“Vorrei
essere ottimista come te,” sorrise Ojiro.
Sarebbe
statauna prova davvero complicata.
Angolino Autrice: Heilà!
Sono tornata con un’altra Shinoji.
Ma chi l’avrebbe mai detto.
Scommetto che non ve lo aspettavate!
Nessuno poteva aspettarselo.
...
Sono terrificantelo so perdonatemi. Per
altro, anche qui Angst a palate, ma chi mi ha seguito
in Fear o chi sta seguendo Smash ormai lo sa: Asu e l’angst vanno a braccetto!!
Spero che questa nuova storia vi possa piacere.
Io mi sono divertita a scriverla e un grazie come al solito a Anya, che mi sopporta e supporta.
Un bacione, Asu
Come
aveva previsto Tokoyami, la squadra di Iida aveva un piano decisamente migliore del loro. Non era
neanche difficile, in effetti, visto che loro un piano non ce l’avevano.
Erano
riusciti a spingere quasi subito anche Ojiro ad allontanarsi da Tokoyami, visto che Awase li
aveva subito attaccati.
Letteralmente.
Si
era attaccato a Ojiro e l’aveva trascinato via.
La
scelta di mandare avanti Awase era sicuramente
bizzarra, ma non poi così strana. Monoma poteva
copiare facilmente il suo quirk e quindi era meglio
che non si incontrassero e non potessero toccarsi, e loro avevano comunque un
membro in più con cui giocare le proprie carte.
Era
molto probabile che ognuno della squadra A fosse stato allontanato per essere
tenuto impegnato da qualcuno dell’altra squadra, e anche così facendo Tokoyami rischiava di trovarsi contro due di loro, visto
che era lui l’obiettivo.
Per
ora andava ancora bene, perché Tokoyami era
sicuramente in grado di contrattaccare e difendersi o scappare, se ce ne fosse
stato bisogno. Anche se non per sempre.
Ojiro
doveva togliersi di torno Awase il più velocemente
possibile, il che non era per nulla semplice con quel suo potere così noioso e
insidioso. Lo colpì con la coda al fianco, forte, ritirandosi subito dopo
averlo colpito, prima che potesse attaccarlo anche con quella. Doveva essere
velocissimo, o Awase l’avrebbe preso di nuovo, e
allora non sarebbe riuscito a liberarsi.
Aveva
già un braccio bloccato, attaccato al suo corpo.
“Lasciami!”
sbottò, colpendolo di nuovo, stavolta al volto, veloce.
“Non
è nei piani,” brontolò Awase, incassando di nuovo
l’impatto. Una volta che lo ebbe allontanato abbastanza, Awase
se lo staccò di dosso e, con il suo potere, lo attaccò al muro, bloccandolo lì.
“Accidenti!
Torna qui!”
“Non
ci penso neanche!”
Il
suo compito, ideato dal piano di Kendo e Iida, era
allontanare per primo Ojiro, ben lontano da Tokoyami,
e poi tornare indietro. Se fosse riuscito a incollare anche Tokoyami
ad un muro, avrebbero vinto loro senza alcun dubbio, poiché non sarebbe stato
più in grado di muoversi.
E
Awase era del tutto intenzionato a portarlo a termine
per bene.
Ma
Pony gli comparve davanti proprio quando stava per tornare da Tokoyami.
Awase sgranò
gli occhi nel vedere la compagna di classe. “E tu che ci fai qui? Dov’è Ashido?”
Tsunotori si aprì
in un enorme sorriso, “Svolazza qui e lì!” esclamò. Dall’aspetto della piccola
Pony di sicuro neanche il loro combattimento era stato semplice, anche se
veloce, entrambe avevano attacchi ben calibrati a distanza e doveva essere
stato un faccia a faccia estremo, ma alla fine Pony, pur di togliersela di
torno, doveva aver usato lo stesso trucchetto con cui
aveva fregato lui l’anno prima, usando i corni per tenersela lontano.
“Prima
o poi mi cadrà se continua a divincolarsi come l’ho vista fare prima!” fece
verso Ojiro, “Ma ho visto Monoma in difficoltà! Devi
andare ad aiutarlo!”
“Come
se lo lasciassi andare, Pony!” brontolò Awase, “E tu
senza i corni sei disarmata!”
“Appunto
per questo, Ojiro-kun, devi andare tu!” proseguì lei,
ignorando completamente il compagno di classe.
Ojiro
sospirò, “Sono un po’ impegnato!”
“Lo
so! Ma vedi...” Tsunotori sogghignò di nuovo,
puntando entrambi gli indici verso di lui, “Ho tenuto un corno da parte proprio
per questo!”
Awase si bloccò
di colpo, girò i tacchi e puntò dritto verso Tsunotori,
“Eh no!”
“E
invece sì!” sorrise Pony, nel momento esatto in cui il suo cornodistrusse, dopo l’ennesimo colpo, il muro su
cui Ojiro era stato attaccato con così tanta attenzione.
Awase digrignò
i denti, vedendo l’altro di nuovo libero, ma Tsunotori
non gli diede il tempo di seguire l’altro, bloccandolo a terra col corno.
Ojiro
si voltò velocemente verso di lei, “Grazie mille, Tsunotori!”
“Figurati!”
urlò anche lei in risposta, prima di inchiodare a sua volta il compagno col
corno alla parete. “So perché non hai preso me di mira ma Ojiro, perché pensi
che ti sia troppo difficile prendere i miei corni e attaccarli da qualche
parte!”
“Non
contarci. E poi te ne è rimasto uno solo. Adesso me ne libero e vado a
riprendere Ojiro!”
Se
avesse seguito il buon senso, Ojiro avrebbe virato per tornare indietro, da Tokoyami, e aiutare lui, che era il loro bersaglio e andava
quindi protetto. Monoma, tutto sommato, poteva anche
finire k.o, non era un grosso problema.
Ma
non riuscì proprio a farlo. Aveva detto a Tsunotori
che sarebbe andato ad aiutarlo. Tokoyami avrebbe
capito, in fin dei conti.
E
aveva fatto bene a prendere quella decisione.
Monoma, infatti,
stava affrontando, da solo, Kendo e Shinsou.
E
certo, per quanto antipatico e insopportabile Monoma
lì era il più pericoloso di tutti, poiché poteva copiare quasi qualsiasi
potere. Probabilmente anche quello di Kendo, tutto sommato.
Questo
significava che Iida stava affrontando Tokoyami. Portabandiera contro portabandiera. Doveva
sbrigarsi a salvare Monoma e andare da lui.
“Non
ho bisogno di te!” sbottò Monoma. Non riuscì a
vederlo in volto, quindi non gli rispose, la vicinanza di Shinsou era troppo
pericolosa.
Quindi
Ojiro puntò proprio a lui.
Kendo
provò a fermarlo ingigantendo le mani ma, sorprendendolo, Monoma
la fermò copiando il potere di Pony e usando due corna.
Se
fosse stato qualcun altro, Ojiro l’avrebbe subito ringraziato, ma con Monoma non ne aveva proprio voglia.
Adesso,
almeno, erano uno contro uno e potevano avere decisamente più speranze di
riuscire a fermarli e poi tornare dal loro portabandiera.
“Hey, Monkey Boy, non pensavo che
ti saresti liberato così in fretta di Awase,” esclamò
Shinsou, sotto di lui. Il sogghigno perenne sporcato da appena un velo di
preoccupazione.
Era
stato di nuovo troppo lento e non era riuscito a usare le bende.
Ojiro
si morse la lingua, pur di non rispondergli.
Shinsou
approfittò comunque della distrazione, tirandogli un calcio dritto ad altezza
stomaco per poterselo allontanare. Ojiro saltò all’indietro, riuscendo ad
evitarlo solo in parte, ma dando modo a Shinsou di rialzarsi e afferrare le
bende pronto ad usarle.
Era
più veloce dell’ultima volta. Decisamente più veloce.
Una
piccola parte di sé ne fu contento, anche se non era qualcosa di sensato.
Fu
Shinsou ad attaccare per primo, lanciando le bende contro Ojiro e riuscendo
però a catturargli solo un polso, con cui lui si era protetto. Ojiro non si
fece pregare troppo.
Aveva
il polso bloccato da Shinsou, ma poco importava. Poteva usare la coda e fu
proprio con quella che colpì l’altro, dritto al fianco.
Shinsou
incassò bene, non poteva lamentarsene, giusto la smorfia che si lasciò andare
faceva capire quanto gli avesse fatto male.
“Ho
fatto bene a sceglierti quella volta, al Festival Sportivo,” sogghignò ancora,
“Ma è più forte di quanto mi aspettassi. Che bravo, Monkey
Boy. Allora facciamo così!”
Ojiro
ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi, prima che Shinsou gli saltasse
letteralmente addosso. Corpo a corpo, in una battaglia troppo ravvicinata per
riuscire ad usare la coda liberamente, perché Shinsou gli stava troppo addosso
e per di più gli bloccava ancora il braccio.
Riuscì
a capovolgere la situazione un paio di volte, rotolandosi letteralmente a terra
l’uno sull’altro.
“Cosa, Monkey Boy? Non riesci a liberarti?”
Ojiro
digrignò ancora più forte i denti, ma prima che potesse colpirlo di nuovo
l’enorme mano di Kendo lo afferrò e lo sbatté al muro.
“Grazie,
Kendo,” mormorò Shinsou, nonostante sembrasse parecchio contrariato. Cercò Monoma con gli occhi, ma la ragazza l’aveva già conciato
per le feste e legato in modo che non potesse essere più troppo pericoloso.
“Posso
ancora usare i corni, cara Kendo!” esclamò quest’ultimo, che ancora stava
cercando di liberarsi, “Non dovresti sottovalutarmi!”
“Non
lo faccio,” rispose lei, seria e compunta, “Va da Iida,
Shinsou-kun. Li tengo occupati io.”
“Sicura?”
“Sì.
Abbiamo ancora cinque minuti, possiamo ancora farcela.”
“Non
così in fre...tta! Ah!” Monoma non riuscì neanche a finire di parlare, la mano
enorme di Kendo lo schiacciò in un attimo lasciando Shinsou libero di andare.
“Ribadisco,”
soffiò anche Ojiro, seppur a fatica, “Non così in fretta...”
Itsuka inarcò le
sopracciglia sentendo Ojiro fare forza per liberarsi, ma era inutile. In quelle
condizioni era molto più forte lei.
Ojiro,
però, riuscì a liberare la coda dalla presa della sua stessa schiena contro il
muro. Poco, ma sufficiente a cercare di colpire Kendo come poteva, costringendo
lei a fare un passo indietro e ad allontanare il tanto da liberarsi
definitivamente.
“Non
ti lascio andare!”
“Mi
nuoce gravemente alla salute dirlo!” sbottò Monoma,
riemergendo, “Ma temo proprio di sì invece!”
Itsuka non si
aspettava di certo che Monoma copiasse il quirk di Tokoyami, invece che di
nuovo i corni di Pony, ma così facendo, anche se legato, poté colpire Kendo il
tanto necessario per dare via libera a Ojiro.
“Accidenti!”
“E’
la seconda volta che la classe B ti salva, scimmione!” urlò Monoma,
“E’ la dimostrazione che siamo i migliori! Vedi di non dimenticarlo e almeno fa
qualcosa di utile!”
Ojiro
sogghignò appena, alzando il pollice verso di lui in segno di approvazione.
Quando
arrivò da Tokoyami, era già accerchiato e legato
dalle corde di Shinsou, che si dava probabilmente già per vittorioso.
Ojiro
era ben consapevole di non essere veloce come Iida,
ma non era quello l’intento. Atterrò Shinsou con una codata,
riuscendo a malapena a liberare Tokoyami dalle sue
bende prima che anche Iida gli finisse addosso.
“Ti
chiedo scusa Ojiro-kun!” urlò Iida,
prima di colpirlo con forza e spedirlo contro al muro.
Shinsou
si tirò su a fatica, “Che male,” bofonchiò.
Anche Ojiro si stava rialzando, ma contro di lui ormai era chiaro ci sarebbe
stato Iida.
Peccato.
Gli
sarebbe piaciuto combattere ancora un po’ corpo a corpo contro di lui. Sentire
i muscoli sodi sotto le dita quando lo colpiva, vedere il petto scolpito
quando, per sbaglio –o forse no- aveva afferrato lo Ji e gliel’aveva scostato.
Scosse
il capo. No, si stava distraendo per nulla.
Doveva
riprendersi.
Tokoyami era
ancora in circolazione, e adesso ce l’aveva con lui.
Il
suono della sirena che annunciava la fine del primo mach dall’allenamento li
colse un po’ tutti impreparati.
Né
Iida né Tokoyami erano
finiti impossibilitati del tutto a muoversi né erano stati catturati, quindi di
comune accordo sia Vlad King che Aizawa
dichiararono la sfida in parità.
Ojiro
non poteva dirsi del tutto insoddisfatto, e neanche i loro compagni di squadra
sembravano così infelici del risultato. Ce l’avevano messa tutti al massimo.
Gli
unici due totalmente contrari erano Mina e Monoma,
l’una perché sentiva di non essere riuscita a fare quasi nulla, l’altro perché
non accettava la sconfitta se a causarla era stato, secondo lui, l’inutilità
della A.
Kendo
lo mise k-o in due secondi netti.
“Lo
avessi fatto prima non avrei avuto speranza di sfuggire,” rise Ojiro,
incrociando le braccia.
“Prima
non era distratto dai suoi deliri di onnipotenza,” sorrise Itsuka,
“Quando ci si mette, credetemi, anche se può non sembrare Monoma
è un bravo eroe. Ma vi chiedo scusa per i suoi modi di fare.”
“Figurati,”
affermò composto Tokoyami, “E’ stato un piacere avere
a che fare con voi.”
“Anche
per me!”
“Io
sono felicissima di essere stata in squadra con voi della A!” esclamò anche
Pony, correndo verso Ojiro, “Rifacciamolo!”
“Non
mi dispiacerebbe,” fece anche Ojiro, porgendole la mano, “E grazie ancora
dell’aiuto, Tsunotori!”
“E’
stato un gioco di squadra! Siamo stati bravi, io credo!”
“Non
c’è stato male,” annuì Tokoyami.
“Tutti
hanno dato il massimo e questo è senz’altro la cosa più importante!” sentenziò
con decisione Iida, il braccio ben teso verso l’alto,
“E’ stato un onore lavorare con voi della B!”
Vedendoli
parlare tutti quanti insieme come un gruppo ben affiatato Vlad
e Aizawa si scambiarono uno sguardo divertito. Non
era la prima volta, ma erano sempre orgogliosi di vedere come i loro ragazzi
fossero riusciti a mettere da parte la rivalità e diventare anche amici e
compagni.
A
parte Monoma.
C’era
da lavorare su di lui. Vlad King si chiedeva ancora
dov’era che sbagliava.
Eppure
Monoma era così amico di tutti, nella classe B.
“Siamo
d’accordo allora?” domandò Aizawa, estrapolandolo dai
suoi pensieri.
Vlad King
annuì.
Sì,
era la scelta migliore.
Anche
Aizawa annuì in risposta, prima di annunciare il
secondo gruppo misto che si sarebbe sfidato e ordinare a tutti di andare ognuno
al proprio posto.
Fu
solamente alla fine dell’allenamento, quando tutte le squadre si erano
scontrate, che i due docenti richiamarono l’attenzione generale di tutti i
ragazzi.
“In
generale ci riteniamo soddisfatti dei risultati che siete riusciti a
raggiungere quest’oggi, ragazzi. Ci sono ancora delle cose che non vanno bene,
sia nel vostro modo di affrontare i problemi che in quello di relazionarsi con
gli altri compagni...cosa che crea poi una serie di eventi che porta
inesorabilmente alla disfatta. E non credere, Bakugou, che solo perché le cose
sembrino sempre andarti bene tu non sia il primo in lista su questo punto. Oggi
abbiamo dimostrato che con persone che non ti conoscono e non sanno come starti
dietro il tuo modo di fare è deleterio.”
Bakugou
schioccò la lingua, “Quindi l’avete fatto apposta a mettermi in mezzo a quegli
stronzi della B.”
“Di
proposito o no non ti deve interessare,” gli rispose Vlad
King, “Sta di fatto che nonostante il tuo modo di lavorare in squadra, a
sentire Aizawa, è migliorato, hai ancora molta strada
da fare. Non tutti riescono a passare sopra all’essere costantemente sbeffeggiati
e le dispute interne, come hai potuto costatare oggi, non portano a nulla. Vale
anche per te, Monoma. Hai creato zizzania iniziale
nel gruppo, perso tempo prezioso e impedito ai tuoi compagni di mettersi
d’accordo per una strategia d’attacco. Ti sei comportato bene durante lo
scontro, ma questo è stato un grosso handicap per voi e non vi ha concesso la
vittoria.”
Monoma storse la
bocca, “Se il ragazzo scimmione avesse saputo fare qualcosa di decente avremmo
comunque vinto! Non sono io che ho fallito!”
“Ojiro
si è comportato bene, invece,” lo redarguì Aizawa,
“Ha affrontato tre avversari diversi in pochissimo tempo dovendo quindi
adeguarsi ad ognuno di loro. Idem Tsunotori. Ashido, tu devi lavorare sulla precisione dei tuoi attacchi
e sulla velocità con cui riesci ad usarli. Non ho niente da dire su Tokoyami e Iida invece.
Continuate così.”
“Grazie,
professor Aizawa!” esclamò Iida,
gli occhiali lanciarono uno scintillio d’orgoglio sotto la luce del sole. Tokoyami non si mosse, annuendo solamente.
Ojiro
era invece rimasto felicemente colpito dal velato complimento di Aizawa, e per un lungo istante, mentre i due docenti
continuavano ad elencare ad ognuno di loro cosa era andato storto e cosa no, si
isolò completamente.
Non
gli interessava.
Per
una volta le cose erano andate bene, bene sul serio. Non avevano vinto, ma era
riuscito a dare una prestazione soddisfacente, seppur aiutato in più occasioni
anche lui si era ritrovato ad aiutare gli altri quindi, a conti fatti, erano
tutti più o meno sullo stesso piano.
Per
lui tutto quello era un traguardo importante, ed era felice di averlo
raggiunto.
Si
voltò appena, sentendosi lo sguardo di qualcuno addosso, insistente e pungente.
Shinsou.
Distolse
subito il suo, di sguardo, sistemandosi meglio lo Ji
addosso. Era sciocco e insensato ma si sentiva come se lo stesse sondandolo,
spogliandolo strato per strato.
E
non era sicuro gli piacesse.
“Ma
tornando al motivo per il quale abbiamo ideato questo allenamento, oggi,” la
voce di Aizawa lo riportò bruscamente alla realtà.
Già,
il motivo per cui erano lì, tutti loro delle due sezioni eroe.
Non
era del tutto sicuro di cosa volesse realmente, Ojiro.
“Shinsou
ha dimostrato buon affiatamento sia con la sezione A che con la B, qui oggi e
la volta precedente, quindi siamo certi che in entrambe le sezioni sarebbe ben
accolto e darebbe il massimo,” iniziò Vlad, “Ma
banalmente Aizawa ha seguito il suo percorso fin da
principio ed è forse il più adatto a continuare a farlo, fra noi due.”
Aizawa annuì,
poi si voltò verso Shinsou stesso, che lo fissava ancora imbambolato,
“Benvenuto nella sezione A, Shinsou.”
Il
broncio di Aizawa diventò velocemente un sogghigno
divertito quando Shinsou, ancora bloccato al suo posto, gli occhi spalancati e
la bocca semiaperta per lo stupore, venne travolto da Kaminari
e Midoriya, e subito dopo da tutti gli altri.
“Evvai! Lo sapevo che saresti venuto con noi!” squittì Kaminari, poggiandoglisi sulla
spalla con nonchalance. Shinsou non lo scostò, si limitò a portarsi con un
certo imbarazzo la mano dietro al collo e voltarsi verso Midoriya
che stava ancora parlando.
“Sono
felicissimo, Shinsou-kun! Benvenuto!”
“Vedrai
che ti troverai benissimo!”
“Cerchiamo
di andare tutti d’accordo e di fare per bene il nostro dovere di studenti!” si
avvicinò anche Iida.
Anche
alcuni studenti del B vennero a congratularsi con lui, e anche Monoma si avvicinò, ma prevalentemente per lamentarsi della
–secondo lui- pessima decisione da parte del
professori.
Shinsou non poté che sorridere, contenuto ma
felice.
Angolino Autrice:
In realtà non sono sicura che Monoma possa copiare Dark Shadows.
Io non l’ho capito che tipi di poteri possa copiare e cosa no. Cioè la coda la
può copiare, per esempio? Quando prova a copiare il Rewind
di Erichan gli spunta il corno, quindi suppongo di
sì? Quindi forse anche Dark Shadows, anche se penso
che non sia senziente come quello originale...o forse proprio per questo non
può?
Boh, chi lo sa. Monoma è un mistero per me.
E sinceramente non è neanche un pg che ci tengo a
svelare x°°D
Ad ogni modo avevo bisogno che usasse Dark Shadows e
quindi nulla, l’ha usato x°°D
Fan di Monoma scusate e correggetemi se lo ritenete
necessario!
Ad ogni modo non so descrivere i
combattimenti. Un po’ li odio.
Aiuto.
Me ne vado.
Shinsou
era ancora frastornato, benché sapesse bene che sarebbe finito in una delle due
classi, quando alla fine delle lezione si ritrovò fuori dalla porta tre dei
compagni del Dipartimento Generale.
Erano
stati i suoi primi amici, lì alla Yuuei, e quelli che
l’avevano più spronato anche durante il Festival Sportivo. Ed erano felici
quasi più di lui, ora, sorridevano e continuavano a congratularsi con lui,
chiedendogli ancora e ancora di andare a trovarli, di tanto in tanto, e di non
dimenticarsi di loro.
Ma
come poteva? Aveva iniziato il suo percorso proprio nel dipartimento generale,
aveva capito quanto la Yuuei fosse una scuola folle e
meravigliosa al tempo stesso proprio grazie a loro tre.
E
se fosse stato una persona più spontanea, forse si sarebbe commosso.
“Vienici
a trovare!”
“Facci
sapere come sono gli aspiranti eroi in privato! Al Festival sembravano tutti
dei pazzi esaltati!”
“Mi
raccomando, metticela tutto Shinsou-kun!”
Shinsou
sorrise, grattandosi la nuca e guardando altrove per nascondere gli occhi
leggermente lucidi, “Grazie, ragazzi. Lo farò.”
“Bene!”
“Ci
vediamo allora!”
“In
bocca al lupo!”
Lasciare
il Dipartimento Generale, anche se lo sapeva, lo aspettava e lo bramava, non
era stato facile. Il primo giorno di lezione aveva fatto fatica a prestare
attenzione, ma semplicemente era stato tutto il tempo più o meno perso nei
propri pensieri, per poi farsi portare di qua e di là da Kaminari,
che proprio non lo voleva lasciare in pace.
Certo,
ci teneva a ribadire il fatto che non era lì per fare amicizia ma...poco
importava. Poteva sopportarlo.
In
fondo non gli dava fastidio.
Anche la classe A lo stupì, la sera del suo primo giorno nella Classe Eroe.
Aveva già seguito la sua prima giornata di lezioni ufficiali come Aspirante
Eroe, ed era rimasto tutto il tempo a fissare ammaliato il nulla o il quaderno,
ancora vagamente scioccato da quello che era finalmente riuscito ad ottenere.
E
per di più nella sezione A.
Non
avrebbe mai potuto chiedere di meglio dalla sua vita.
Quindi,
quando entrò in dormitorio per scoprire dove fosse la sua stanza era talmente
sovrappensiero che l’urlo dei suoi nuovi compagni di classe lo fece sobbalzare.
“Benvenuto
nel dormitorio della 2-A!”
Shinsou
sgranò gli occhi, fissandoli uno ad uno. C’era persino Bakugou, tenuto fermo a
braccetto da Kaminari e Kirishima
e con l’evidente voglia di fuggire e andare magari a dormire, o farli esplodere
tutti, era indeciso. L’espressione era ambigua.
Sopra
le teste di tutti c’era un enorme striscione, ed era certo fossero state le
ragazze a scriverlo perché era molto ordinato e ben fatto, e la scritta
“Benvenuto Shinsou” spiccava tondeggiante e armonica.
E
viola.
Sorrise.
Per
qualche strana ragione non si aspettava affatto un simile entusiasmo da loro
tutti, un po’ anche per quello che era successo al festival Sportivo. Ma forse
li aveva giudicati male, come al solito. Pensava che gli unici felici del suo
arrivo fossero Midoriya e Kaminari,
e invece i primi a raggiungerlo, ancora imbambolato sulla soglia d’ingresso,
furono Ashido e Kirishima,
che lo presero per i polsi e lo trascinarono in mezzo a tutti gli altri.
Sato
aveva preparato una torta e lui era sempre più perplesso e indeciso su come
agire o cosa fare. Non era abituato a stare in mezzo a tutta quella gente, non
gli era mai successo. Aveva degli amici, forse, al dipartimento Generale, ma
solo tre. Il resto della classe per lo più lo evitava, o gli parlava solo per
carineria, per salutarlo.
Invece
la 2-A era speciale.
Non
c’era altro modo per descriverla.
Dalla
pacatezza di Todoroki all’esuberanza di Ashido, e
persino Tokoyami che gli chiedeva scusa per averlo
mal giudicato. Bakugou era l’unico che era sparito subito con un grugnito,
appena aveva potuto.
Ma
non gli importava più di tanto.
Assaggiò
la torta che aveva preparato Sato, stupendosi per l’ennesima volta quella sera,
“Oh.”
“Buonissima,
vero?!” squittì Hagakure, accanto a lui sul divano,
esaltata.
“Sato
è il miglior cuoco del mondo!” rincarò anche Ashido,
che si era già spazzolata la sua fetta.
E
anche Uraraka aveva già finito di mangiare, persino Hagakure aveva chiesto il bis. Non sapeva perché, ma era
divertente osservarle.
Nel
Dipartimento Generale le ragazze erano sempre fin troppo attente a tutto quello
che mangiavano per mantenere la linea perfetta che avevano, invece lì nessuna
aveva un simile tarlo in testa.
Doveva
essere normale, in fondo si allenavano tutti i giorni moltissimo e la linea non
era un problema a cui un eroe doveva pensare. Eppure la cosa le rendeva molto
più spontanee e simpatiche delle ragazze che aveva conosciuto lui fino a quel
momento.
Poche,
in verità.
“In
effetti è deliziosa,” annuì anche lui.
Sato
arrossì e si grattò la nuca, “Ti ringrazio molto, Shinsou. Anche a voi,
ragazze, ma non esagerate...”
“Ma
non stiamo esagerando, Sato-san,” sorrise Momo, “E’
tutto vero.”
“Sì
sì! Anzi, Sato!” esclamò Uraraka, alzandosi
all’improvviso, “Voglio la ricetta! Insegnami, ti va?”
“Anche
a me, anche a me!”
Sato
fissò Uraraka e Ashido e,
se possibile, arrossì ancora di più, “Oh. Okay.”
Shinsou
sorrise, guardandolo andare via, poi tornò a dedicarsi alla sua torta mentre si
guardava intorno.
Monkey Boy era
introvabile.
Lo
aveva visto all’inizio, ovviamente, in piedi vicino a Shoji
ma con le braccia incrociate. Non aveva aperto bocca, pareva indifferente e,
anzi, aver voglia di andarsene tanto quanto Bakugou.
Ed
evidentemente lo aveva fatto, ed anche in fretta. Non si aspettava molto altro,
da lui.
A
stupirlo più che il comportamento di Ojiro, a cui aveva calpestato l’orgoglio,
al festival Sportivo, era abbastanza chiaro la pensasse così, era stato il
comportamento di Aoyama.
Come
Shoda lo scorso anno, con cui aveva collaborato per
contrastare la squadra di Midoriya al suo test
d’ingresso al Dipartimento Eroi, Aoyama se ne fregava
platealmente del suo gioco sporco al Festival Sportivo ed era andato anche ad
accoglierlo a suo modo.
“Sono
sicuro che brillerai insieme a tutti noi!” gli aveva detto, con una posa
teatrale ad accompagnare il tutto.
Shinsou
si era limitato a sorridere, perplesso e compiaciuto al tempo stesso.
Era
felice, in verità, di quell’atteggiamento, e irritato abbastanza da quello di
Ojiro, oltre che dispiaciuto. Perché lui non sentiva di aver giocato sporco.
Era
il suo potere, che ci poteva fare?
Eppure,
qualcuno non la pensava così. Ed era proprio quello che gli interessava di più,
anche se non sapeva dire il perché.
Semplicemente
dal giorno prima, quello della prova, non riusciva a toglierselo dalla testa.
Era diventato un’ossessione.
Quella
notte l’aveva persino sognato.
“Beh
ragazzi,” disse alla fine, alzandosi, “Io devo ancora vedere dov’è la mia
stanza, e ho sonno. Quindi me ne vado.”
“Oh,
già!” esclamò Kaminari, saltando in piedi, “Ti
facciamo vedere il dormitorio! Aizawa ci ha detto
dov’è la tua stanza. E’ accanto a quella di Bakugou!”
Shinsou
annuì, alzando gli occhi al cielo subito dopo.
Accanto
a quella di quel pazzo esaltato? Peccato. Avrebbe preferito un altro posto, era
un gran peccato davvero.
Ma
non importava.
Si
fece accompagnare al piano giusto, e aperto la porta fissò il devasto totale.
Non c’era niente lì, o meglio, le sue cose da sistemare un po’ ovunque.
Doveva
farlo quella sera, ma gli altri ovviamente lo avevano tenuto giù a festeggiare
fino a tardi. E adesso aveva solo voglia di dormire.
Kaminari gli diede
una pacca sulla spalla, “Tranquillo, ti aiutiamo noi domani a sistemare tutto
quanto, ci siamo già messi d’accordo. Intanto il letto è pronto e puoi dormire
tranquillo. Ci vediamo domani, amico. Notte!”
Shinsou
sospirò. Beh, se lo aiutavano era okay, supponeva, “Okay. Notte.”
E
lo aiutarono davvero, il giorno successivo. Appena finite le lezioni, Kaminari, Kirishima, Ashido, Midoriya, Iida e Uraraka si erano fiondati
nella sua stanza senza neanche avere prima il suo permesso e avevano iniziato a
svuotare gli scatoloni, montare la scrivania, il tavolo, attaccare il
televisore, lo stereo, il lettore dvd, attaccare i poster e sistemare le sue
cose senza neanche chiedergli come le preferisse lui.
Che
era rimasto a guardare quasi sotto shock.
“Ehm...”
Non
pensava che Midoriya, poi, timido e riservato come
fosse, potesse dimenticarsi di chiedere il suo parere.
Senza
contare che Ashido poi pareva essere lì solo per dare
il suo personale “tocco glamour” non richiesto. Assolutamente non richiesto.
“Ashido?”
Lei
alzò gli occhi tutta elettrizzata, “Sì? Ti piace? Ho pensato che potesse star
bene qui!”
“Esattamente,
come lo hai pensato? Non sapevi neanche com’era la mia camera...”
“Beh,
l’ho percepito dal tuo carattere. Era scontato. Mi ha aiutata anche Tooru-chan ed eravamo d’accordo!”
“Capisco...”
Quantomeno
c’era un gatto, su quel cuscino. Beh, era carino, ecco.
E
poi era un regalo.
“Okay.
Grazie.”
“Oh,
ma figurati! Ecco, quella va messa lì ragazzi, mi raccomando!”
Shinsou
si girò di scatto, a questo punto terrorizzato dal nuovo dono che avrebbe
trovato.
Tirò
un sospiro di sollievo quando vide che era solo una lavagnetta di compensato
che lasciarono appesa sopra la scrivania.
Ashido e Uraraka ci attaccarono subito qualcosa con una puntina. Una
foto e un cartoncino.
La
foto lo raffigurava insieme alla classe C del Dipartimento Generale, quella in
cui Omura l’aveva costretto a partecipare in vista
del suo trasferimento a quella Eroe, per dargli almeno un ricordo.
Dove
l’avevano presa?
“Ce
l’ha data Omura-san,” spiegò dolcemente Uraraka con un sorriso, “Ha detto che era importante che
l’avessi perché l’avevano scattata proprio per te.”
“Oh.”
Si
avvicinò allora per vedere il cartoncino. C’erano le firme di tutta la Classe
C. Eppure lui era diventato amico solo di tre persone, lì dentro, e tutto
grazie ad Omura, in verità.
Eppure,
contandoli, c’erano davvero tutti quanti. E alcuni avevano scritto delle frasi
di incoraggiamento, per spronarlo.
“Anche
questo ce l’ha dato Omura. L’hanno fatto per te,”
chiarì Midoriya.
Shinsou
annuì solamente, a quella frase. Se lo doveva immaginare, da lei. Aveva di
nuovo coinvolto tutti.
Era
una ragazza dinamica, avrebbe potuto essere una brava eroina, ma lei non lo
desiderava. Diceva di non avere il quirk adatto, non
ci aveva neanche mai provato. Voleva diventare medico e per quello aveva scelto
la Yuuei, perché era una buona scuola anche per prepararsi
all’università.
“E
quindi a noi è venuto in mente che sarebbe carino farsi foto di classe! Noi non
ci avevamo neanche pensato, lo scorso anno!” esclamò euforico Kaminari, “Ne faremo una di inizio anno con te e
l’appenderemo proprio qui! Che ne dici?!”
Normalmente,
Shinsou avrebbe negato l’invito, ma prima ancora di poterci pensare aveva già
annuito, “Okay,” disse.
Kirishima e Kaminari di diedero il pugno, “Grande!”
“E
adesso finiamo di sistemare tutto quanto!” affermò Iida,
compunto, “Non possiamo di nuovo lasciare il lavoro a metà e poi dobbiamo anche
spolverare tutto quanto!”
“Sì
capoclasse!”
“Ma...di
nuovo?”
“Sì.
Abbiamo provato anche ieri,” sorrise Kirishima, “Ma
ci siamo fermati al letto perché poi le ragazze ci hanno chiamato per finire di
sistemare di sotto prima che arrivassi tu!”
“Oh.”
“Ci
hanno aiutato anche Shoji e Ojiro ieri e non ho
capito che fine hanno fatto oggi,” sbuffò Kaminari.
“Non
lamentartene, Kaminari,” lo riprese Iida, “Avevano altri impegni. Siamo riusciti comunque quasi
a finire quindi coraggio, manca poco!”
Shinsou
si morse il labbro inferiore. Così il giorno prima aveva aiutato anche Ojiro.
Si
chiese, a quel punto, se lo avesse fatto volontariamente o su insistenza di
qualcuno, magari le ragazze, conoscendole.
Avrebbe
voluto vederlo anche quel giorno.
“Ah,
aspettate. A finire vi aiuto anche io,” esclamò alla fine Shinsou.
Lui
avrebbe posizionato il letto dall’altra parte della stanza e soprattutto il
televisore da appendere al muro in modo che fosse più comodo da vedere anche da
sdraiato a letto, invece loro l’avevano messo in un angolo della scrivania.
Ma
andava bene. Si sarebbe abituato a quella nuova disposizione e il televisore
poteva spostarlo in un secondo momento.
--
La
prima settimana nella Classe A gli sembrò quasi un sogno.
Era
pronto e preparato ma tutto quello che vedeva e sentiva era folle, per i suoi
abituali canoni.
Alcune
materie nel Dipartimento Generale non le avevano mai studiate, tutta quella
brama di diventare capoclasse l’avevano solo lì, anche se poi furono
riconfermati Yaoyorozu e Iida.
Alla prima lezione di Midnight gli era sembrato
quantomeno bizzarro che tutta l’attenzione fosse concentrata sul fatto che
dovesse trovare in fretta un nome da Hero anche lui,
come avevano fatto gli altri.
Solo
che Shinsou non ne aveva idea. Voleva diventare Eroe fin da quando era un
bambino, eppure forse perché sapeva di doversi impegnare più degli altri per
avere anche solo una piccola speranza di riuscirci, non aveva mai pensato al
resto.
Al
costume, al nome.
Il
costume l’aveva ideato insieme ad Aizawa,
quell’estate.
Ma
al nome anche Aizawa aveva detto che doveva pensarci
da solo, perché lui non era bravo in quelle cose. Non aveva ancora trovato
nulla, però.
“Pensaci
ancora. Avremmo un’altra lezione tutta su questo per vedere se anche qualcuno
di voi vuole cambiare il proprio. Fino all’ingresso del mondo dei
professionisti è possibile...ma ricordate che a volte già a questo punto si è
troppo famosi per cambiare radicalmente. La cosa non vale per te, Shinsou,
ovviamente. Non quest’anno. Quindi pensateci bene!”
Shinsou
annuì a quelle parole, tornando a capo chino sul quaderno.
Come
avrebbe potuto chiamarsi? Non lo sapeva proprio.
Doveva
pensarci bene. Era importante.
Tornò
a concentrarsi su quello che gli stava intorno solo quando entrò Aizawa per annunciare che dovevano scendere il palestra per
l’allenamento e cambiarsi quindi con la divisa da Hero.
Ecco,
quello era un argomento che lo interessava.
Anche
perché il suo armadietto era proprio accanto a quello di Ojiro.
E
fu proprio a lui che dedicò tutta la sua attenzione, seppur solo con la coda
dell’occhio e non visto.
Non
poteva evitarlo. Quando aveva lottato contro di lui una settimana prima aveva
potuto toccare con mano quei muscoli, e adesso finalmente poteva carezzarli
anche con gli occhi.
Le
spalle larghe, il trapezio in evidenzia ad ogni minimo movimento, adesso che
era a petto nudo, i pettorali che guizzarono verso l’alto quando si allungò per
afferrare il sopra della divisa nell’armadietto. Gli addominali, perfettamente
levigati. E le mani, anche.
Le
sue erano più grandi, e c’era anche chi era più muscoloso, come Shoji, Sato, eppure loro non gli davano le stesse
sensazioni.
Dio,
non doveva pensarci. Altrimenti non sarebbero bastati i pantaloni per
nascondersi.
Non
doveva pensarci.
Non
pensarci, Hitoshi. Nonpensarci.
Era
meglio se non guardava neanche, in effetti.
Finì
di vestirsi in fretta e raggiunse gli altri in palestra. Non li aspettava nulla
di strano, un allenamento come gli altri.
Solo
alla fine, quando volente o nolente aveva rinfrescato i bollenti spiriti, si
decise ad avvicinarsi a Ojiro, diretti verso lo spogliatoio.
Da
che era entrato nella 2-A non gli aveva mai parlato.
“Sai,
Monkey Boy, credo di aver scordato il suono della tua
voce, dopo tutto questo tempo,” fece, più ironico di quanto avrebbe dovuto,
forse, “Non ci siamo neanche salutati, da quando sono arrivato.”
Ojiro,
però, gli rispose solo con un’occhiata gelida di cui, a dover essere onesto,
Shinsou non lo riteneva neanche in grado.
Aveva
un fisico sicuramente sviluppato, Ojiro, ma nonostante quello aveva un viso
delicato, seppur dai lineamenti decisi. Quasi dolce, avrebbe detto. E stava
bene quando sorrideva, timido o allegro.
Quell’espressione
non gli si addiceva.
E
a Shinsou non piaceva.
Storse
quindi la bocca quando, una volta arrivati, Ojiro gli diede le spalle
avviandosi verso le docce senza neanche rispondere.
Ma
era ovvio che non avrebbe risposto. Non si aspettava che fosse una cosa rapida.
Anzi, tutt’altro. Visto come si era comportato fino a quel momento, era ovvio
che per avere la sua fiducia ci sarebbe voluto più tempo che con gli altri.
Ma
non gli stava neanche dando la possibilità di provarci, però.
Non
era molto cortese, da parte sua. Ma forse poteva capirlo.
Non
era neanche la prima volta che gli succedeva. Il suo potere metteva a disagio,
a volte soggezione, era sempre stato così.
Per questo non provò neanche ad insistere,
quel giorno, finendo di lavarsi e rivestirsi prima di lui e lasciando lo spogliatoio
insieme a Kaminari e Kirishima.
Al
bussare insistente di qualcuno alla porta, Ojiro alla fine decise di andare ad
aprire. Era appena uscito dalla doccia, aveva su solo l’asciugamano e i capelli
ancora umidi, quindi indossò in fretta e furia almeno un paio di pantaloni
della tuta per andare a vedere chi fosse.
Quando
aprì, però, si ritrovò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere.
Shinsou.
Da
quando era stato ammesso nella sezione A, spostandosi nella stanza accanto a
quella di Bakugou, Ojiro aveva sempre cercato di evitarlo il più possibile. E
di parlargli.
Non
voleva più rischiare di finire invischiato nel suo quirk,
non un’altra volta, per questo motivo aveva fatto di tutto per cercare di non
dovergli mai parlare. Ai suoi saluti rispondeva sempre e solo con un cenno del
capo e nient’altro, giusto per educazione.
Sapeva
di essere davvero pessimo, a comportarsi così, che tutti gli altri, persino
Bakugou a modo suo –costretto per lo più- e Tokoyami, avevano cercato di instaurare un rapporto col
ragazzo e alla fine, a quasi un mese dal suo ingresso, era stato proprio Tokoyami a dirgli che avrebbe potuto dargli una
possibilità, che non era male per nulla. Ma non ce la faceva.
Si
sentiva a disagio nella sua stessa stanza, non riusciva a essere oggettivo
quando si parlava di Shinsou.
Sapeva
che se tutti dicevano che era una brava persona, che se persino Aizawa si fidava tanto di lui, allora era ovvio che
qualcosa di vero doveva esserci. Eppure lui non ce la faceva.
Era
bloccato in un limbo da cui non riusciva ad uscire.
Cadeva
da giorni, da mesi, in un vortice nero come la pece e nessuno era riuscito a
lanciargli una corda a cui aggrapparsi. E lui non ce la faceva.
Non
aveva appigli.
Precipitava
incontrollato e disperato.
E
quando Shinsou lo guardava, gli sembrava di cadere ancora più in basso.
Lo
metteva in soggezione la sua sola presenza.
Si
sentiva sempre i suoi occhi addosso, sia in spogliatoio che durante le prove, e
non erano sguardi amichevoli. Non li sentiva tali.
Era
più come essere guardato da un animale che vuole saltarti addosso.
Ed
era un comportamento che si sarebbe aspettato da Bakugou, non certo da Shinsou.
Per altro, esserne il soggetto non gli piaceva.
Non
gli piaceva per nulla.
E
anche in quel momento si sentiva allo stesso modo. Spalle al muro, anche se
metaforicamente.
E
Shinsou era lì, che lo guardava, abbassando gli occhi dal volto al petto
seminudo.
“Ti
disturbo? Non volevo prenderti dopo la doccia, ti chiedo scusa,” gli disse
Shinsou, in tono gentile. In verità, era sempre così che parlava con loro.
Era cortese, anche nella sua aria un po’ spavalda si vedeva che a volte si
sentiva lui stesso in soggezione, forse per il fatto di aver appena cambiato
classe, di essere passato al Dipartimento Eroi.
L’arroganza
la teneva solo per le risposte ironiche, perché i piedi in testa Shinsou non se
li faceva mettere.
Eppure,
nonostante questo, nonostante paresse evidente che fosse andato lì con le
migliori intenzioni, Ojiro non aprì bocca.
Lo
sapeva che così era lui quello a fare la peggior figura di tutti, come non
fosse in grado di accettare un nuovo compagno di classe, come se se ne sentisse
minacciato.
Ma
non era così.
Non
del tutto. Solo che non riusciva a fidarsi come gli altri.
Non
ce la faceva. Era più forte di lui.
Fidarsi
di quel potere per lui era...impossibile.
Forse
se il suo quirk fosse stato un altro, forse se non
glielo avesse usato contro...ma l’aveva fatto. E questo non poteva essere
cambiato, ormai.
Non
poteva fidarsi di qualcuno con quel potere.
Anche
se Shinsou sembrava una brava persona, a detta degli altri.
Non
ce la faceva.
Non
ancora, per lo meno. Non se anche Shinsou continuava così.
“Okay,
ho afferrato. Non parlerai con me. Sono qui proprio per questo...Ojiro-kun,” continuò Shinsou, facendogli cenno col capo di
entrare.
Ojiro
annuì appena, scostandosi dalla porta quasi si fosse sentito attaccato e si
fosse spostato per difendersi. Troppo di fretta. Ma l’aveva fatto solo perché
era già stato maleducato a non rispondergli, non voleva anche tenerlo sulla
porta.
Gli
indicò il tavolino basso al centro della sua piccola stanza, e Shinsou si
accomodò subito sul pavimento. Ojiro lo imitò, tornando ad asciugarsi i capelli
con l’asciugamano di spugna.
“Mi
fai entrare, ma non ti fidi di me abbastanza da parlarmi?” lo schernì quindi
l’altro in tono ironico, guardandosi intorno quasi con distrazione.
Ojiro
rispose assottigliando gli occhi, la coda virò a destra e a sinistra con
lentezza, ma tesa. In allerta.
“Certo,
giusto. Finché non mi parli sei lucido e puoi atterrarmi facilmente. Non è
così? Non ti facevo un tipo così sospettoso, Ojiro-kun.
Sono venuto qui con tutte le buone intenzioni del mondo, credimi. Non sono qui
per fare amicizia, l’ho detto e lo ripeto...” iniziò quindi, parlando a raffica
ben sapendo che l’altro non l’avrebbe interrotto. “Ciononostante, visto che
siamo in classe insieme il fatto che tu ti ostini in questo modo a non parlarmi
potrebbe essere un problema. Ho promesso che non avrei usato il mio quirk su di voi. Quindi, perché dovrebbe essere diverso con
te?”
Ojiro
aprì la bocca come per parlare, ma la richiuse prima di emettere un suono e
abbassò gli occhi.
Non
sapeva perché avrebbe dovuto essere diverso, come diceva, eppure aveva sempre
la sensazione che Shinsou con lui si comportasse in modo differente rispetto
agli altri. Lo guardava in modo diverso.
E
lui non era paranoico, non lo era mai stato.
Era
proprio questo che lo agitava.
Shinsou
schioccò la lingua, evidentemente sul punto di innervosirsi davvero.
Aveva
ragione, parlare da solo in quel modo era snervante, eppure...
“Quindi
avevo ragione, tutto sommato, su di te...parli tanto di orgoglio, di fare la
cosa giusta, fai finta di essere una persona cortese con tutti, ma poi quando
vengo qui a porgerti la mano mi sputi addosso.”
Ojiro
digrignò i denti.
Poteva
afferrare un quaderno e cercare di spiegarsi, scrivendo, ma che senso aveva?
Doveva dirgli comunque che lo metteva a disagio, che non si fidava.
Avrebbe
dovuto ammettere di sentirsi nudo, davanti a lui. Fragile. Spaventato.
E
non gli piaceva neanche un po’, l’idea.
Shinsou
aveva ragione, ma se voleva davvero che la afferrasse, quella mano metaforica
che era venuto a porgergli, allora avrebbe dovuto essere lui il primo a
cambiare atteggiamento nei suoi confronti.
Guardarlo
come guardava gli altri.
Si,
era colpa di Shinsou.
Shinsou
batté la mani sul tavolino, facendolo sobbalzare e alzare il capo.
Lo
stava di nuovo guardando in quel modo. Come poteva fidarsi di lui e dargli
corda, se lo guardava costantemente così?
“Cosa,
Monkey Boy, ti da fastidio quello che dico ma non hai
fegato di dirmelo in faccia?” lo istigò ancora, alzandosi subito dopo,
“Immagino che sia inutile parlare con te. Per quanto evoluto, resti comunque
uno scimmione.”
Lo
scatto fu improvviso, repentino.
Ancora
senza dire nulla, Ojiro lo afferrò per la camicia della divisa e lo sbatté al
muro.
Certo,
Shinsou era più alto di lui di quasi dieci centimetri, ma Ojiro non aveva
problemi a tenerlo inchiodato al muro, guardandolo in cagnesco.
Ma
ancora in silenzio.
“Rode,
scimmione? Vuoi prendermi a pugni, adesso? Credi di aver ragione, magari?”
Ojiro
aprì di nuovo bocca, ma morse solo l’aria, richiudendola all’istante.
Shinsou
ghignò. C’era quasi, lo vedeva chiaramente.
“Dai,
picchiami. Coraggio, Monkey Boy, o non hai neanche il
coraggio di menare le mani, oltre ad avere paura anche solo a rivolgermi la
parola?!”
Ojiro
ripeté il gesto, sbattendolo di nuovo al muro con rabbia, “Smettila di
chiamarmi così!” si decise a ribattere alla fine.
Aveva
pensato di mantenere la calma fino alla fine, di non parlargli e basta, di
fargli capire che se ne doveva andare e basta.
Ma
non ce la faceva.
Quelle
cose non le sopportava, anche se era lui ad essere in torto.
“Non
ho paura di te, chiaro? Non voglio avere niente a che fare con te e basta. E
adesso sparisci.”
“Tutto
qui? E’ tutto quello che hai da dire?”
Ojiro
deglutì, allentando la presa, “Senti...mi dispiace. Forse sono stato scortese,
ma...” scrollò le spalle, “Lasciami in pace e basta, no? Tanto non sei qui per
fare amicizia, lo ripeti di continuo, e allora...-”
“Vuoi
sapere perché sono venuto qui, oggi?” sbottò di punto in bianco Shinsou,
interrompendolo. Tanto, il discorso che stava facendo non aveva senso, lo
sentiva già.
E
finalmente gli aveva risposto.
Attivato
il Brainwash, si fece lasciaree si scrollò la camicia per rimettersi a
posto.
“Vatti a sedere, scimmione,” ordinò.
Ojiro
eseguì.
Avrebbe
potuto dirgli il vero motivo per il quale era venuto, in effetti, prima di
attivare il quirk, ma non lo avrebbe ascoltato. Era
stato cocciuto tutto il tempo.
Aveva
dovuto farsi quasi prendere a pugni per spingerlo a parlare.
Era
davvero venuto lì con tutte le buone intenzione, ma quando si era visto
trattare in quel modo, aveva perso la testa anche lui.
Non
gli aveva fatto nulla, era certo di non avergli fatto niente. Okay, forse durante
il Festival Sportivo era stato meschino, ma che altro modo aveva? A modo suo lo
aveva ringraziato per averlo fatto arrivare fra i primi sedici ed era vero che
non gli aveva chiesto scusa, ma lui non credeva di aver sbagliato. Quindi,
perché avrebbe dovuto?
Ma
ad ogni modo, adesso stava cercando di soprassedere a tutto quello, stava
cercando di avere un rapporto normale con tutti loro.
E
lui, invece, lo trattava così.
Anzi,
non lo trattava affatto.
Non
gli parlava neanche per salutarlo alla mattina. Si era chiesto in più occasioni
se avrebbe accettato di parlargli almeno in caso di obbligo, magari durante un
allenamento.
Aveva
provato a non forzarlo, a guardarlo a distanza senza sembrare eccessivo, perché
aveva capito che Ojiro, come tanti altri prima, era a disagio con il suo
potere. Ma nel suo piccolo ci teneva ad avere un rapporto con lui.
Era
diventato un’ossessione, dopo il loro scontro durante il test del primo giorno.
Lo
guardava, lo cercava, e non poter neanche salutarlo lo innervosiva.
Così
aveva deciso di fare qualcosa. Subito.
Ma
il modo in cui Ojiro lo aveva trattato gli aveva fatto perdere il senno.
Evidentemente
l’aveva giudicato troppo bene, il ragazzo.
Era
bello, sì. Fisicamente lo attraeva.
Ma
era ovvio che il carattere che aveva trovato così eccitante durante il Festival
Sportivo era solo un bluff. Era solo un intollerante idiota.
Nient’altro.
E
non si meritava nient’altro che quello.
Perché
per quanto fosse uno stronzo, fisicamente lo attirava ancora. E non sarebbe
riuscito a toglierselo dalla testa se prima non avesse realizzato quei sogni
decisamente poco casti che ormai faceva quasi ogni notte.
“Sei
stato uno stupido, Monkey boy,” mormorò mentre
chiudeva la porta della camera a chiave, “Evidentemente sei meno intelligente
di quello che credevo. Un gran peccato. Spogliati.”
Non
aveva molto addosso, ma fece subito come gli aveva ordinato.
Sarebbe
stato più soddisfacente farlo lui, ma lo sarebbe stato se Ojiro fosse stato
sveglio e vigile. E invece non lo era.
Lasciò
cadere i pantaloni, che scalciò via, e poi ripeté il gesto anche con i boxer,
rimanendo completamente nudo davanti a lui.
In
quello stato, una cosa valeva l’altra. Non ci sarebbe mai stato lo stesso
gusto.
Shinsou
deglutì, avvicinandosi abbastanza da poterlo toccare.
Fece
scorrere una mano lungo i pettorali, l’addome scolpito, per un attimo tornò su,
verso le spalle larghe e muscolose, le braccia, sfiorò il palmo della mano
quasi come si aspettasse che Ojiro la stringesse.
Ma
ovviamente non lo fece.
Quindi
tornò ad accarezzarlo in maniera diversa, decisamente più spinta. In quello
stato non avrebbe mai avuto un’erezione, perché semplicemente non percepiva
nulla, quindi non perse neanche tempo a stuzzicarlo. Portò invece entrambe le
mani sui glutei, tondi e sodi, passando due dita nel solco fino alla sua
apertura.
Ma
non osò.
Non
così.
E
poi, si sarebbe svegliato all’istante, perché gli avrebbe fatto male. Quello lo
sapeva anche lui.
Non
era realmente suo intento farlo soffrire, anche se un po’ se lo sarebbe
meritato.
Ma
non era lì per torturarlo. Era un eroe, era quello che voleva diventare, non
certo un villan. Un villan avrebbe approfittato di Ojiro in quel modo, non lui.
Lui no.
Però
non voleva neanche andarsene a mani vuote. Ojiro aveva un corpo mozzafiato, per
quanto lo riguardava, e già solo guardarlo più intimamente di come riusciva in
spogliatoio non gli sembrava niente male.
Eppure...
Afferrò
un lenzuolo e la cravatta della divisa, legando col primo entrambe le mani
dietro la schiena, ben strette, e poi ancorando entrambe per bene alla coda di
modo che non avrebbe potuto usarla, se si fosse per caso risvegliato. Non senza
farsi male. Con la cravatta, invece, serrò le caviglie fra loro e poi
l’estremità ai piedi del letto in modo che fosse completamente alla sua mercè.
Lo
aveva fatto sdraiare di lato, a terra, per poterlo fare, e gli si sedette
quindi accanto.
Era
una follia.
Prendendo
il controllo aveva perso fin dall’inizio ogni possibilità di guadagnarsi anche
un po’ della sua fiducia e magari amicizia, anche col tempo, tanto tempo.
Spogliarlo
e poi legarlo come se volesse approfittarsi di lui aveva segnato la fine di
tutto.
Ma
lui ci aveva provato.
Davvero
ci aveva provato, con caparbietà e il più gentilmente possibile.
Solo
che quel tipo era davvero uno scimmione stupido, e lui era così dannatamente
deluso!
A
che serviva avere tante attenzione. Non se le meritava.
Si
piegò a baciarlo, sdraiandosi accanto a lui e tastandogli di nuovo il corpo a
piene mani. Quei muscoli quasi troppo pieni per essere quelli di un ragazzo che
non aveva ancora compiuto neanche diciassette anni.
Le
labbra di Ojiro erano morbide, e forse perché veniva adesso dalla doccia erano
anche profumate. Lui profumava.
Così,
d’istinto, scese.
Baciò
il collo, il petto, mentre si allentava la cinta dei pantaloni per liberarsi.
Ojiro non poteva, ma lui sì. Intrecciò le gambe con quelle ben legate
dell’altro, facendo in modo che i loro sessi si incontrassero.
Ma
non era la stessa cosa. Non riusciva neanche lui a provare del tutto piacere.
Così
era come farlo con una bambola e lui...non ci stava. Voleva vederlo eretto,
quel pene.
Per
questo gli morse un capezzolo, abbastanza forte da fargli male e sciogliere il brainwash. Era una follia, ma tanto non poteva attaccarlo.
Ojiro
si riprese con un sobbalzo, e ci mise giusto un attimo a capire dove fosse,
come e...con chi.
“Che...che
cosa...?” provò a muovere la coda per colpirlo, ma il movimento violento gli
causò solo un gran male alle spalle, tirate indietro con forza. E solo allora
si accorse di essere completamente immobilizzato, e nudo, con Shinsou davanti a
lui.
Anche
se non poteva guardarlo in volto perché aveva il capo chinato verso il suo
petto.
Ebbe
un fremito, si tirò indietro come poteva, ma era difficile.
“Che
cosa stai facendo?” urlò, e provò ad usare almeno le gambe, per tirargli una
ginocchiata, ma anche quelle erano bloccate.
Maledizione.
Shinsou
si tirò su piano, lo guardò negli occhi.
Non
poté che sgranare i suoi violetti quando vide quelli di Ojiro larghi e lucidi,
le spalle strette fra loro come unica fonte di protezione. Inutile.
Aveva
paura.
Era
terrorizzato da lui. Tremava, quasi.
“Ancora
niente.”
“E
cosa...che diavolo hai in testa?” la voce tremò inevitabile. Ah, l’orgoglio c’era
davvero, quello non era stata una bugia. Così forte da superare anche il
terrore che provava adesso.
“Io...”
Shinsou deglutì. Già, che aveva in mente? Niente di sano o logico. “Io ero
venuto qui per cercare di avere un qualche rapporto con te, Monkey
boy, per convincerti che non sono...che almeno potresti salutarmi, la mattina,
visto che fai tanto il bravo ragazzo e poi sei il peggiore di tutti.”
“Io
sono il peggiore di tutti? Io...Non provare a toccarmi!”
“Perché,
altrimenti che mi fai? Non puoi muoverti,” lo schernì, e all’espressione
dell’altro provò compassione.
E ribrezzo per se stesso.
“Forse
ho finito per perdere il controllo.”
“Vattene
via. Vattene via, Shinsou!”
“E
se non volessi comunque?”
Ojiro
ispirò bruscamente, quando tornò a toccarlo intimamente Shinsou lo sentì
chiaro, quel singhiozzò che gli sfuggì nonostante le labbra strette e i denti
serrati.
Continuava
a dirsi che forse era ancora vagamente in tempo per fermarsi, adesso o mai più.
Continuava a ripeterselo ancora e ancora, Shinsou.
Ma
il suo corpo non gli dava retta.
E
volle provare quello che aveva già fatto. Non sulle labbra, lì non rischiò.
Ojiro
l’avrebbe morso, o gli avrebbe dato una testata.
Scese
però a carezzarlo fra le gambe, a baciargli il petto ben fuori dalla sua
portata di bocca.
Le
orecchie tese verso i suoni che emetteva, involontariamente, per quanto si
sforzasse di evitarlo.
“Shi...Shinsou...”
Oh, sì. Avrebbe
voluto davvero che lo chiamasse così, ma preda del piacere e non...della paura.
Stava
facendo una cazzata. La più grande della sua vita.
Poteva
rovinargliela, con quello, la vita, in effetti.
Vederlo
lì, forzatamente abbandonato sul pavimento, legato, e stavolta vedendo
quell’unica scia salata a bagnargli il mento, lo capì una volta per tutte.
“Per
favore...no...”
Teneva
gli occhi chiusi, le labbra sanguinavano tanto se le era morse. Non poteva
neanche nascondere il volto, lì a terra, era in sua balia anche in quello, nudo
in tutti i sensi.
Senza
scampo, senza vie d’uscita.
E
tremava, cercando di stringere le gambe per nascondersi, per quel poco o nulla
che poteva.
Shinsou
fremette, terrorizzato da se stesso.
“Non
lo dirò ad Aizawa, ti parlerò in classe se vuoi,
però...per favore...”
Shinsou
deglutì per l’ennesima volta, al suono di quella vocina spezzata.
“Non
avrei...non volevo...”
“...Ti
prego...”
E
lì si fermò, Shinsou.
Aveva
pensato, per un attimo, di vedere se riusciva a dargli piacere a sua volta,
anche così. Se poteva cambiare idea.
Ma
davanti a quello non poteva più. Non poteva continuare.
Cos’aveva
fatto? Cosa aveva pensato di fare anche solo per un secondo?
Si
alzò, avvicinandosi alla cartella e frugandoci dentro fino a trovare un paio di
forbici che passò a Ojiro, mettendogliele in mano. Ci mise un po’, a fargliele
prendere, approfittando del gesto per stringergli le mani fra entrambe le sue.
“Per
liberarti, Ojiro, non voglio farti niente. Te lo giuro,” gli spiegò, e la voce
tremava anche a lui, adesso.
Stupido.
Che
eroe voleva diventare? Ridicolo.
Era
davvero solo un villan e niente più.
“Non
ti posso liberare io, mi ammazzeresti. E avresti ragione,” sospirò, prima di
dargli un bacio leggero sulla fronte.
Ma
Ojiro si tirò indietro anche da quello, e come dargli torto.
Quando
si alzò, e lo guardò un’ultima volta, anche Ojiro lo fissava.
Con
rabbia, follia, delusione.
“Era...”
deglutì per l’ennesima volta, asciugandosi i palmi delle mani sui pantaloni,
“Era solo un gioco, non ti volevo fare niente. Sogni d’oro, Monkey
Boy.”
Non
si stupì di non vederlo in mensa a cena, quella sera, né a colazione la mattina
dopo.
In
classe, aveva una pessima cera mentre parlava con Takoyami
che gli chiedeva se si sentiva bene.
Ma
nessuno lo guardò strano, quando entrò, quindi non aveva detto niente a
nessuno.
Se
l’era davvero tenuto per sé.
“Buongiorno,
Shinsou.”
Sgranò
gli occhi, a quel saluto, fermandosi come una statua di sale all’ingresso
dell’aula.
Lo
aveva salutato. Davvero? Anche adesso che era libero di muoversi, di saltargli
addosso ed ucciderlo?
Shinsou
non riusciva a smettere di guardare alla sua destra, dove gli sedeva Ojiro.
Sembrava
così normale da mettere inquietudine, visto che lui sapeva la verità. Se ne
stava lì, chino sul quaderno a prendere appunti. Avrebbe voluto sapere che cosa
stesse scrivendo: era davvero in grado di concentrarsi così tanto da prendere
ottimi appunti? Era solo lui quello che non riusciva a concentrarsi dopo quello
che era successo?
E
pensare che non era neanche lui la vittima.
Dio, cosa
aveva fatto.
Forse
poteva ancora avvicinarsi e scusarsi. Forse poteva ancora risollevarsi davanti
a lui. Forse se si fosse prostrato ai suoi piedi...
No.
No, era assurdo. Era imperdonabile quello che aveva fatto.
Perché
Ojiro non lo aveva denunciato ai professori? Davvero, non riusciva a capirlo.
Che aveva in testa?
Poteva
vendicarsi e rovinarlo, se lo sarebbe meritato.
Lui
l’avrebbe fatto, diamine. Perché Ojiro no?
L’aveva
di nuovo giudicato male. Il fare la cosa giusta a tutti i costi,
l’orgoglio...non erano una bugia, li aveva davvero. Non era uno scimmione. Uno
scimmione l’avrebbe preso a pugni sul serio, l’avrebbe disintegrato, e se lo
sarebbe meritato.
Ma
Ojiro no.
Anche
così, anche ferito e umiliato, forse proprio perché ferito e umiliato, era lì
per fare la cosa giusta.
Ma
era quella la cosa giusta? Lasciarlo impunito?
Lui
non credeva. Anche se avesse capito, con una freddezza che non sapeva dove
aveva trovato, che Shinsou non voleva farlo...quello che era successo era
mostruoso.
Il
cuore gli diede una scossa, per un attimo ebbe la sensazione di poter lasciarci
le penne proprio lì, in quel momento.
Ojiro
era davvero un’anima candida come aveva pensato durante il Festival Sportivo,
il suo comportamento la sera prima nella sua stanza era dovuto, probabilmente,
al timore per il suo quirk come aveva creduto
all’inizio. Come aveva potuto permettere alla rabbia di prendere il sopravvento
e fare quello che aveva fatto?
Dio mio,
Ojiro.
Come
poteva fare ammenda?
C’era
un modo?
Forse
no. Non era perdonabile. Nemmeno in tutta la vita avrebbe potuto.
Era
un mostro. Un villan non sarebbe stato così crudele.
Meritava
l’espulsione immediata. Nemmeno morendo avrebbe potuto farsi perdonare.
Sobbalzò
quando Midnight sbatté il libro sul quale stava
spiegando sul suo banco, “Sei con noi, oggi, Shinsou?”
Shinsou
deglutì, annuendo subito dopo, “Sì. Certo che sì.”
“Allora
non è un problema riassumermi quello che ho detto fino ad ora, giusto?”
“Ehm...”
gli venne istintivo voltare gli occhi verso Ojiro, ma era l’unico che non lo
stava guardando. Stava fermo adesso, ma gli occhi erano ancora fissi sul
quaderno. Anche se non sembrava stesse davvero guardando o ascoltando.
Era
perso. Chissà dove.
“Mi
scusi. No, è vero. Non stavo ascoltando.”
Non
gli importava una punizione o una sfuriata. Quello che lo preoccupata era
Ojiro. Ma Midnight era concentrata solo su lui e non
lo vedeva nemmeno, il modo in cui fissava il quaderno e stringeva la penna.
Eppure
era ovvio che non stesse bene. Ma nessuno aveva occhio, in quella classe?
Lui
non poteva dirgli niente. Non poteva azzardarsi a provare a parlargli.
Neanche
Kaminari che stava sempre a disturbarlo aveva
l’accortezza di notare che aveva una pessima cera?
“E
fai più attenzione. Se mi ritroverò a sgridarti di nuovo, stavolta ti beccherai
una punizione, intesi?”
“Sì,
professoressa.”
Sospirò,
finalmente libero, e questa volta si decise a sforzarsi quantomeno di far finta
di seguire e prendere appunti. Ma continuava a fissare il compagno di banco con
la coda dell’occhio.
Non
poteva farne a meno.
Quando
la campanella suonò e Midnight lasciò la classe, non
fu Midoriya l’unico ad avvicinarsi per chiedergli se
stava bene, che gli era preso.
E
Shinsou ebbe davvero la tentazione di alzarsi e gridarlo ai quattro venti. Che,
diamine, non era a lui che dovevano chiedere come stesse.
“Sì,
sì, sto bene!” esclamò dopo un po’, esasperato.
Era
circondato e non riusciva più a vedere Ojiro, ancora fermo al suo posto.
“Beh,
calmati però eh!” sbottò anche Kaminari, “Nervosetto
oggi?”
“Eh,
beh...chissà perché era così distratto. Magari stava guardando altro!” insinuò Mineta, ridacchiando e cercando, invano, di dargli una
gomitata.
Shinsou
digrignò i denti, infastidito.
Era
la prima volta che si sentiva così da quando era in quella classe, ma non ci
poteva fare niente.
Aveva
altre cose a cui pensare, di cui preoccuparsi.
Non
quelle sciocchezze.
“Possibile
che tu pensi sempre male, Mineta?” alzò gli occhi al
cielo Jirou, che era rimasta al suo posto ma si era
altrettanto interessata.
“Eppure
quelle occhiaie da qualcosa devono pur derivare!”
“Shinsou
non mi sembra proprio il tipo!” ribatté Uraraka, già
quasi in imbarazzo al solo pensiero di quelle che erano le insinuazioni
perverse di Mineta.
Che
stava già per ribattere, quando Ojiro fece strusciare volutamente e
fastidiosamente la sedia a terra, scostandola per alzarsi.
“Scusate.
Non starete esagerando? E poi fra un po’ arriverà Aizawa
per la lezione...”
“E’
vero,” mormorò Midoriya, “Scusa, non volevamo
disturbare anche te stando tutti intorno a Shinsou, Ojiro-kun.”
“Non
fa niente...”
“Oh,
ma che è stamattina? C’era acidità pura nel pesce, a colazione?” esclamò anche Kaminari, sgranando appena gli occhi.
“Ma
Ojiro ha ragione,” fece anche Iida, “Non è giusto
disturbare i compagni che magari stanno cercando di studiare!”
“Sì
ma tranquilli, eh, Aizawa non è ancora arrivato!”
continuò Kaminari, e stavolta si sporse verso il
biondo compagno con la coda, portandogli un braccio intorno alle spalle e
l’altro, come sempre, gli afferrò la coda.
Ojiro
irrigidì appena le spalle, ma nonostante ci fosse poggiato contro Kaminari sembrò non notarlo neanche, a differenza di
Shinsou.
Non
riuscì a non impallidire a sua volta, abbassando il capo verso le mani di
Ojiro. Aveva ancora la penna in mano e per un attimo temette il peggio per Kaminari. Ma la vide solo tremare.
“Hey, amico, tutto bene? Sei impallidito...” Shinsou
sobbalzò di nuovo alla domanda di Kirishima, sforzandosi
di voltarsi verso l’altro.
“Sì,
io...sì, sto benissimo, quante volte devo dirvelo? E’ tutto okay!” sbottò con
una certa fretta, “Lasciatemi in pace. E’ tutto apposto. Diglielo anche tu,
capoclasse, che è meglio farsi trovare seduti quando arriverà Aizawa.”
Iida, colto di
sorpresa, per un istante rimase silenzioso ad osservarlo, “Ah, beh, sì in
effetti...”
“Togli
quel braccio...”
“Eh?”
Kaminari si sporse verso Ojiro, che aveva appena
sussurrato quella frase e non era sicuro di essere riuscito a coglierlo del
tutto. “Ma lo vedete che siete tutti nervosi stamattina, voi due? Tu non c’eri
nemmeno a colazione, non posso neanche dare la colpa a quello adesso che ci
penso! Dai, pomeriggio venite con me, Kirishima e Sero, andiamo a rilassarci un po’ e...-“
“Togli
il braccio,” ripeté Ojiro, il tono più acuto e tremolante al tempo stesso.
“Kami, lascialo in pace, dai,” mormorò Kirishima,
ma senza avvicinarsi. L’aveva notato anche lui, stavolta, che Ojiro aveva
qualcosa che non andava.
E
anche Kaminari, che mollò in fretta e furia la presa.
Almeno in un primo momento.
“Magari
non è giornata, oggi, no?”
“Sì
ma che cavolo, vi siete messi d’accordo oggi tu e Shinsou? Siete uno peggio
dell’altro.”
“A
volte capita che la gente non ti voglia fra i piedi, Kaminari:
sei pesante,” fece sapere Jirou, con il chiaro
intento di schernirlo.
Kaminari, in
risposta, mise il broncio e si voltò verso Ojiro, riafferrandogli di nuovo la
coda. Quasi come se fosse un oggetto a se stante e non una parte del corpo di
Ojiro.
“Che
crudele, Jirou! Non ho fatto niente di pesante e
antipatico, oggi! Sono solo preoccupato per i miei amici, non è essere
pesanti!” borbottò.
“Sì
ma Kami...”
“Cosa?
Che c’è ancora?”
Non
riuscì neanche a finire la frase, che la coda di Ojiro sfilò dalle sue mani,
finendo invece per colpirlo dritto al volto.
Kaminari perse
inevitabilmente l’equilibrio, e Kirishima riuscì a
prenderlo al volo per un soffio prima che finisse a terra.
“Hey, ma che...”
“Ho
detto di smetterla!” urlò Ojiro, il fiato corto e le mani che tremavano,
“Smettila di toccarmi, maledizione, sme...smettila...”
Shinsou
lo fissava ancora a bocca aperta, ormai senza riuscire a togliergli gli occhi
di dosso, e fu il primo a notare il cedimento di Ojiro dopo quella sfuriata
dettata da...dal panico.
Aveva
gli occhi spiritati e sgranati di qualcuno in pieno attacco di panico,
nonostante Kaminari gli avesse fatto quello che
faceva praticamente ogni giorno, giocando con la sua coda.
“Ma
Ojiro...”
“Ojiro,
ma stai...bene?”
Ojiro
si ritirò anche dal gesto cortese di Midoriya, e non
poté che essere grato al rumore della porta dell’aula che si apriva.
“Che
sta succedendo qui?”
La
voce di AIzawa fu perentoria come sempre. Nessuno
rispose, ma Ojiro sgusciò via in un lampo, lasciando l’aula.
Aizawa non lo
fermò.
Aveva
visto abbastanza da sapere che se lo avesse fermato o toccato avrebbe rischiato
un vero e proprio attacco di panico.
Già
pentito di essere sfuggito via da davanti al professor Aizawa
in quel modo, l’unica cosa di cui si ritenne fortunato durante il percorso che
lo aveva condotto al bagno fu di non aver incontrato nessuno.
Gli
studenti erano tutti nelle loro aule, ognuno a seguire la propria lezione.
Quindi
nessuno lo guardò storto per la sua presenza nel bel mezzo del corridoio
durante la terza ora di lezione di una giornata che già da principio a lui era
parsa infinita.
Ed
erano solo le dieci.
Ma
quella notte non aveva dormito neanche per un istante, non era riuscito a
chiudere occhio. E come poteva? Ogni volta che lo faceva si ritrovava legato a
terra, con le mani di Shinsou addosso. Nudo.
Mani
che tramavano come se avessero rimorso di quello che stavano facendo, certo, ma
che comunque lo toccavano senza il suo permesso. Che lo avevano spogliato senza
il suo permesso.
Come
altre mani, di tanti anni prima. Loro non tremavano, mentre gli facevano del
male, ma sapeva che non volevano.
E
per un lungo, infinito attimo era stato davvero colto dal panico più puro.
Forse per il senso di impotenza che l’essere legato in balia di un altro gli
aveva dato. Forse perché gli aveva ricordato qualcosa che sperava di aver
rimosso. Forse perché aveva davvero pensato, temuto, che Shinsou volesse
arrivare fino in fondo.
Gli
aveva detto di no ma cosa gli diceva il contrario? Come poteva saperlo?
Lo
toccava. Intimamente. Lo baciava. E toccava se stesso.
Per
lui anche solo quello era troppo.
Come
aveva potuto?
Se
chiudeva gli occhi, ancora adesso si vedeva così. E rivedeva gli occhi di
Shinsou, anche.
Occhi
strani, comunque. Occhi che non appartenevano a qualcuno che voleva fare
davvero del male, eppure l’aveva fatto.
Gli
ricordarono altri occhi. Neri, profondi. Vuoti. Spaventosi.
Per
lui, quello era stato troppo. Come poteva reggerlo? Come poteva dimenticarlo?
Aveva
provato a...e non importava se anche Shinsou per un attimo era parso
terrorizzato, no. Lo aveva fatto comunque.
E
lui...non aveva potuto fermarlo.
E
adesso non aveva neanche il coraggio di andare da Aizawa
a dirgli che il suo pupillo era un maniaco, che non meritava niente di tutto
quello. Che era un folle, e lui voleva giustizia.
Ma
questo l’avrebbe portato solo a farlo espellere e lui non era certo che lo
volesse. Cacciarlo per sempre.
Shinsou,
in fondo...lui era parso quasi in condizioni peggiori delle sue, quella
mattina.
Per
questo l’aveva salutato. E perché glielo aveva detto.
Pur
di tenerselo lontano, almeno un po’. Anche se gli sedeva accanto.
Ma
se lo salutava non aveva più scuse per andargli a parlare.
Voleva
ignorarlo, e sperava che Shinsou avrebbe ignorato lui. E anche se lo guardava
di tanto in tanto, pareva più preoccupato che malintenzionato e allora era
riuscito a fingere che non ci fosse.
Si
era dovuto concentrare, isolare del tutto da tutto, se non per la voce di Midnight, l’unica cosa che voleva sentire.
Poi
era arrivato Mineta, con le sue stupide battute. E
insinuazioni sessuali su Shinsou. Proprio lì, accanto a lui.
E
per un attimo gli era salito il sangue alla testa. Voleva solo allontanarli,
via, lontano da lui, tutti.
Voleva
bene ai suoi compagni, ma non quel giorno. Quel giorno non voleva neanche
toccarli, vederli, sentirli. Per questo Kaminari gli
aveva dato fastidio.
Non
sapeva neanche dire cosa gli fosse preso, quando Kaminari
l’aveva toccato.
E
da lì quasi non ricordava niente, se non i corridoi deserti e poi il bagno, in
cui era entrato di corsa per poi piegarsi su uno dei gabinetti e vomitare.
Anche se a conti fatti non aveva niente nello stomaco, perché non mangiava dal
giorno prima a pranzo.
Ma
aveva un groppo in gola, lo stomaco sottosopra così stretto da fare male e dare
delle fitte tremende, e continuò a sputare e vomitare saliva e bile finché le
gambe non gli cedettero. A quel punto si sedette a terra, pulendosi la bocca
con il dorso della mano.
Almeno
nell’attesa di riuscire ad arrivare al lavabo.
“Tutto
okay?”
Sobbalzò
sentendo la voce di Tetsutetsu della seconda B,
inginocchiato accanto a lui, una bottiglietta d’acqua aperta in mano.
“Scusa.
Ho provato a parlarti prima ma non mi hai nemmeno sentito, quindi ti sono
andato a prendere dell’acqua dalle macchinette al primo piano. E’ nuova,
tieni.”
Buttando
giù il nodo che aveva ancora in gola Ojiro si sforzò di prendere la bottiglia e
berne qualche sorso. L’acqua lungo la gola arida e ferita faceva quasi male,
regalando un lieve sollievo solo in un secondo momento.
“Ti
ringrazio.”
“Ma
figurati! Anche io mi sono svegliato con lo stomaco sottosopra stamattina,
chissà che non sia stato il dolce di ieri sera a cena! E non fare battute sullo
stomaco di ferro!”
Ojiro
scosse la testa, sforzandosi di abbozzare un sorriso, “Quanto ti devo?”
“Ma
niente, figurati. Però penso tu debba andare in infermeria. Hai una pessima
cera...Ojiro, giusto?”
“Giusto.
Ma...non sto così male.”
“Non
ti crede nessuno. Pare che tu stia per svenire. Vuoi che chiami Recovery Girl?”
“No,
no. Non serve.”
“Allora
Aizawa. Mi spiace, amico, ma non me ne torno in
classe lasciandoti moribondo nel bagno.”
Il
senso di giustizia di Tetstutetsu era pari solo a
quello di Kirishima, e questo lo sapevano tutti ormai.
Era gentile con tutti e anche se sembrava un idiota invasato in verità era solo
un bravo ragazzo troppo ingenuo. Avrebbe fatto davvero quello che aveva appena
detto, al costo di prenderlo di peso. E Ojiro pesava, ma Tetsutetsu
era forte, quindi ce l’avrebbe anche fatta.
Peccato
che Ojiro fosse ancora dell’idea di non voler essere toccato.
Gli
metteva i brividi solo a pensarci.
Qualsiasi
tocco gli riportava in mente la sera prima, con Shinsou però. E non riusciva a
sopportarlo.
Stava male solo all’idea.
Per
questo si alzò da solo, appoggiandosi al muro.
“Vado
io in infermeria. Non ti preoccupare...sei stato gentile, Tetsutetsu,
ti ringrazio.”
“Va
bene, mi sembra una buona idea. Dai, ti accompagno.”
“No,
non serve. Davvero.”
“E
se ti senti male in corridoio?”
“Ma...”
Ojiro sospirò, “Okay,” cedette infine. Perché se era anche solo un po’ come Kirishima, come aveva intuito, l’avrebbe comunque seguito.
E
quindi era inutile stare a discutere.
Tetsutetsu,
comunque, ebbe l’accortezza di non toccarlo a forza, visto che Ojiro riusciva a
camminare più o meno bene da solo. A volte traballava un po’, e lì Tetsutetsu lo aiutava a restare in piedi, ma non era mai
troppo invasivo.
Più
educato di quanto Ojiro avrebbe mai pensato, sapeva tenere le mani al suo
posto, forse consapevole che a Ojiro avrebbe potuto dar fastidio.
Bussò
comunque Tetsutetsu alla porta dell’infermeria,
affacciandosi per primo quando la vecchia Chiyo diede
loro il permesso di entrare.
“Buongiorno.
Ho accompagnato uno della sezione A. L’ho trovato in bagno che non stava tanto
bene,” spiegò.
Recovery scese
quindi dalla sedia, squadrò Ojiro dalla testa ai piedi e poi gli fece cenno
verso uno dei lettini liberi.
“Stenditi
lì, ragazzo. Grazie a te, caro, sei stato davvero utile! Torna in classe ora.”
“Subito.
Stammi bene, Ojiro.”
“Grazie,
Tetsutetsu. Ti devo un favore.”
Tetsutetsu gli fece
appena un cenno con la mano, chiudendosi subito dopo la porta alle spalle. Chiyo aspettò appena un attimo, prima di avvicinarsi ad
Ojiro e porgergli un bicchiere stracolmo.
“Bevi
questo. Ad occhio direi che tu non abbia niente, fisicamente. Hai bisogno di
dormire e di mangiare. Coraggio, riposati un po’. Dirò io ad Aizawa che sei qui e non ti senti bene.”
“Veramente
io...”
“Bevi
e dormi, Ojiro-kun.”
“Mh...” senza possibilità di scelta, Ojiro afferrò il
bicchiere e lo tracannò fino all’ultima goccia. Per un attimo ebbe la
sensazione che gli stesse per tornare tutto su, e si portò una mano alla bocca.
Riescì comunque a deglutire tutto e, alla fine, si
stese come gli aveva detto Recovery Girl.
Riuscì
a pensare che Recovery Girl dovesse aver messo
qualcosa nell’acqua solo un attimo, prima di cedere alla spossatezza ed
addormentarsi.
Nella
speranza di non sognare nulla di strano.
--
Aizawa
picchiettò sulla lavagna con il gesso, dando le spalle ai ragazzi. Il cellulare
gli era vibrato in tasca un secondo prima, e visto che era sempre stato attivo
come eroe aveva il permesso di tenerlo acceso e accettare chiamate.
Ma
era solo Chiyo che gli diceva di avere raccattato
Ojiro e che era lì in infermeria. Bene per loro. Stava giusto pensando di
mandare Iida a cercarlo e a costringerlo a tornare in
classe per avere la sua sfuriata.
Ma
se stava male non occorreva.
Non
che l’avrebbe davvero fatto, ovvio. Non così platealmente davanti a tutti.
Non
dopo quello che aveva visto.
Ojiro
era scattato come una molla quando Kaminari l’aveva
toccato, ma era anche vero che Kaminari era pesante
più che spesso, quindi poteva aver solo perso la calma per un attimo. Non gli
fosse passato accanto approfittando del fatto che entrando aveva distratto i
suoi compagni, Aizawa non avrebbe notato quanto gli
tremassero le mani e quanto fosse pallido e affannato.
Ma
l’aveva notato.
E
aveva parlato con Midnight due minuti prima, che gli
aveva detto che anche Shinsou non sembrava in grande forma, quel giorno.
E proprio su di lui posò gli occhi, quando finalmente finì di scrivere alla
lavagna.
Picchiettava
nervoso sul banco, continuava a fissare ad intermittenza il banco vuoto di
Ojiro, poi lui e poi di nuovo per finta il quaderno. Finché non si accorse di
essere osservato a sua volta, e allora provò a sfuggirgli come poteva.
Ma
non poteva sfuggirgli.
A
quel punto non riuscì a capire se le due cose fossero collegate o se era
effettivamente a Kaminari, che fissava il soffitto
con aria annoiata e distratta, che doveva chiedere delucidazioni.
Eppure
era stata una reazione eccessiva, ne era certo.
“Kaminari, ti stai annoiando?”
“Eh?
Ah...no, prof, ascoltavo, eh.”
“Ah
sì? Interessante. Kaminari...e Shinsou,” aggiunse
all’improvviso, spolverandosi le mani dal gesso residuo. “Qui, alla lavagna.
Fatemi risparmiare voce e raccontatemi qualcosa di quello che ho detto la
settimana scorsa, forza.”
“Ma...ma
la settimana scorsa ci siamo allenati!” esclamò Kaminari,
ora dritto sulla sedia.
Shinsou
invece lo stava guardando come se cercasse di fargli pietà, o qualcosa di
simile. Ma ci voleva ben di più per convincerlo ad aver pietà di loro.
“La
settimana è composta da sei giorni di lezione e noi ci vediamo tutti i giorni, Kaminari. Non provare a prendermi per fesso. In piedi,
tutti e due. Visto che state facendo finta di ascoltarmi, adesso va a me di
ascoltare voi. Per davvero, però.”
Shinsou
continuò a tacere, anche sotto gli occhi indagatori di Aizawa.
Si era alzato subito, a differenza di Kaminari, ma
fissava ancora il quaderno. Sulle pagine bianche, però, poco utile quindi.
Comportamento
strano. Sospetto, osava dire.
Kaminari invece
era sempre lo stesso, e adesso cercava di abbindolarlo e fargli credere che non
era vero che non lo stava ascoltando.
“Non
ero disattento, Prof! Stavo solo...solo...solo cercando di capire che avevo
fatto per meritarmi quella reazione di Ojiro. L’ha visto, no? Non è nemmeno
tornato in classe! Ma non dovrebbe andarlo tipo a cercare? Non è punibile il
fatto che stia saltando le lezioni senza permesso?!”
Aizawa spostò
appena lo sguardo verso Kaminari, che si sbracciava
verso di lui sotto gli occhi esasperati di Jirou e
quelli divertiti di Kirishima, poi tornò a guardare
Shinsou, mentre parlava.
“Ojiro
è uscito perché non si sentiva bene, me l’ha appena confermato la vecchia. E’
in infermeria adesso. Altre scuse, Kaminari?”
“Ah...beh...”
Shinsou,
quando aveva spiegato l’assenza di Ojiro, aveva di nuovo sobbalzato, e sgranato
gli occhi. Aveva stretto le mani a pugno e poi subito nascoste in tasca. Le
sopracciglia si erano arcuate verso il basso e si era morso le labbra.
Come
se cercasse di impedirsi di dire qualcosa.
Aah,
quei dannati ragazzini. Dovevano sempre fargli spremere le meningi oltre quello
che avrebbe voluto fare per degli studenti, e tutto perché non ne combinavano
mai una giusta nelle loro inesperte vite.
Solo
che c’erano cose a cui non poteva evitare di impicciarsi, anche se avrebbe
voluto.
“Tornate
a sedervi, tutti e due. Dovrete sgobbare per recuperare questo brutto voto.”
“Cosa?
Ci mette un voto?”
“Certo,
Kaminari. Eravate interrogati. E ora taci, e ascolta,
o questa volta non te la scampi così facilmente. Sono stato chiaro?”
“Sì,
professore.”
Ma
avrebbe dovuto parlare anche con Shinsou. Forse le cose non erano collegate,
non poteva dirlo visto che Ojiro era scattato con Kaminari,
ma di certo era sospetto.
Aizawa si recò
in infermeria appena la campanella liberò gli studenti dalla sua presenza,
prendendo inizialmente Chiyo da parte. Ojiro dormiva
ancora, nascosto dal paravento bianco che ne mostrava solo la sagoma scura.
“Ho
parlato con il ragazzo della sezione B che lo ha accompagnato gentilmente. Non
è grave ma ho preferito si riposasse qui.”
“Hai
fatto bene Chiyo,” annuì Aizawa,
“Cos’ha?”
“Mah,
a occhio e croce, vista la cera e quello che mi hanno detto potrebbe aver
mangiato qualcosa che lo ha disturbato. Niente di che, gli darò qualcosa per lo
stomaco e domani starà già bene.”
Aizawa storse
appena la bocca, avvicinandosi al letto e scostando il paravento. L’espressione
con cui stava dormendo Ojiro era rilassata e serena, ma Aizawa
era anche certo che Chiyo gli avesse dato qualcosa e
che non fosse un sonno del tutto naturale.
“Ne
dubito, Chiyo.”
“Stai
cercando di insinuare che non so fare il mio lavoro o che mi sono persa qualche
pezzo?”
“La
seconda,” confermò Aizawa, sedendosi davanti alla
donna.
Gli
spiegò brevemente quello che era successo in classe quella mattina, o per lo meno
quello che lui aveva visto.
Chiyo
picchiettò con la penna sulla scrivania durante tutto il racconto di Aizawa, fece mente locale su anche quello che aveva visto
lei e decise che non era in grado di constatare se era effettivamente qualcosa
di grave o meno.
“Hanno
litigato?”
“Non
ne ho idea. La reazione di entrambi, per come si comportano normalmente, mi è sembrata
eccessiva.”
“Non
erano tre le parti in causa?”
“Kaminari mi è parso solo confuso. Ad ogni modo li terrò
d’occhio tutti e tre...mi danno sempre lavoro extra da fare,” sospirò infine.
Recovery Girl
sogghignò divertita a quella lamentela, poi si alzò, “Si sveglierà a momenti
comunque.”
Aizawa sospirò,
guardandola uscire dalla stanza. Se non ricordava male, Vlad
aveva chiesto la sua presenza per un allenamento speciale della classe B quel
pomeriggio, quindi probabilmente si stava dirigendo lì. O forse al bagno.
Lui,
comunque, scostò il paravento e si sedette a braccia incrociate e gambe
accavallate accanto al letto di Ojiro, nell’attesa che si svegliasse.
E
non ci mise molto, proprio come aveva detto Chiyo.
Gli
dava le spalle, quindi per un primo momento gli diede il tempo di svegliarsi e
capire dove si trovasse, anche per cercare di carpire qualcosa dai suoi gesti.
Si era stretto nelle spalle e strofinato gli occhi, niente di strano.
“Ojiro.”
Sobbalzò
così forte, per l’ennesima volta, che ad Aizawa venne
spontaneo portare una mano verso di lui per impedirgli di cadere dal lettino,
visto che era stata colpa sua se l’aveva spaventato.
Ma
Ojiro fu più lesto ancora, raddrizzò la schiena e si schiacciò contro la
testata del letto. Fosse stato in allenamento, gli avrebbe fatto i complimenti
per la velocità di movimento.
Ma
adesso aiutò solo a far drizzare le antenne ad Aizawa.
“Come
ti senti? La vecchia dice che sei stato male.”
“Aizawa-sensei...buongiorno. Io...mi dispiace per prima...”
“Non
importa. Avresti dovuto chiedermi il permesso di uscire, ma se ti sei sentito
venire male all’improvviso non posso fartene una colpa,” affermò Aizawa, tornando a sedersi composto. “Allora, come ti senti
adesso?”
Ojiro
abbassò appena gli occhi sulle sue mani. Come si sentiva? Aveva dormito, grazie
a qualunque cosa gli avesse dato Recovery Girl,
quindi si sentiva più in forma, questo era ovvio. Ma non sapeva bene come si
sentisse, a dirla tutta.
Non
per tutto il resto, per quello che contava davvero.
Adesso
era calmo, ma se avesse rivisto Shinsou? E poi doveva scusarsi con Kaminari, era stato davvero tremendo con lui. E senza un
motivo.
Eppure
Shinsou lo voleva rivedere. Voleva vedere che faccia faceva, guardandolo
adesso. Se aveva il coraggio di dimostrarsi disperato e distrutto per lui
oppure no.
Ma
credeva di sì.
Era
la faccia che aveva avuto per tutta la mattina...
“Sto...bene.
Beh, mi sento meglio. Mi spiace di aver saltato la sua lezione, professor Aizawa. Recupererò gli appunti appena torno in classe...”
“Domani,”
lo interruppe Aizawa, “Recupererai domani. Adesso va
a riposare al dormitorio, e prima passa in mensa a prendere qualcosa di leggero
da mangiare. Sei assente giustificato, parlerò io con gli altri professori.”
“Ma...sto
bene, davvero!”
“D’accordo.
Ma per oggi stai comunque a riposo. E’ un ordine. Intesi?”
Ojiro
aprì bocca per ribattere, ma alla fine abbassò il capo per l’ennesima volta.
Si
sentiva così impotente quella mattina. Come se qualunque cosa potesse ferirlo e
lui non avesse alcun modo per difendersi.
“Va
bene. Tornerò al dormitorio.”
“Bene.
Un’ultima cosa, Ojiro.”
“Sì?”
“C’è
qualcosa che devo sapere? E’ successo qualcosa di particolare, stamattina?”
Ojiro
si morse il labbro, ma rialzò quasi subito gli occhi sul docente, stranamente
fermo mentre parlava, “No. Ero solo nervoso perché non mi sentivo bene. Non è
successo nulla. Chiederò scusa a Kaminari oggi
pomeriggio.”
Visto
che le lezioni dei suoi compagni sarebbero continuate fin nel pomeriggio, Ojiro
tornò in dormitorio come gli aveva detto Aizawa.
Aprì
la porta con fare distratto, smarrito. Perso in se stesso.
In
quella landa nera che lo avvolgeva.
Gli
occhi di Shinsou, quelli di sua madre, che si sovrapponevano. Che chiedevano
scusa, quasi. Ma le loro mani che lo toccavano, seppur in posti diversi,
ugualmente per fargli male.
E
ci riuscivano. Facevano male davvero.
Tanto.
E
quando aprì la porta e alzò gli occhi, per un attimo davanti a lui non vide più
la finestra, le tende tirate.
Era
buio, sì, ma qualcosa gli penzolava davanti.
Piedi.
Gambe.
E...
Saltò
indietro, la mano davanti alla bocca per non urlare, anche se il dormitorio era
vuoto e nessuno l’avrebbe sentito, visto.
No, no.
No.
Quello
non era reale. Non era vero.
Se
lo stava solo immaginando.
Non
c’era niente lì, solo il vuoto della sua stanza.
Nient’altro.
Dio.
Stava
diventando matto.
Con
un brivido che gli sconquassò le viscere e le gambe che tremavano, riuscì a
entrare in stanza.
Non
c’era niente lì. Niente.
Era
solo. Lui e basta.
Nessun’altro.
Aprì
le tende e accese il televisore, il volume al minimo, giusto per tenersi
compagnia, per avere un rumore che gli ricordasse dov’era e non per reale
voglia di guardare qualche programma, poi si posizionò a pancia in giù sul
letto.
Sperava,
una piccola parte di sé, che magari quel che gli aveva dato Recovery
Girl potesse fargli effetto anche adesso, ma come immaginava non andò affatto
così.
Chiuse
gli occhi.
Un
attimo che durò due ore, ma che avrebbe preferito evitare.
In
infermeria aveva dormito tranquillo, senza sogni.
Ma
adesso no. Adesso gli incubi arrivarono immediati, svegliandolo di soprassalto,
il sudore freddo a gelarlo lungo la nuca e la spina dorsale.
Doveva
immaginarselo.
Si
piegò in avanti, tirandosi dietro il cuscino per poterci affondare la faccia.
Ora
invece di vedere la cattiveria che gli aveva fatto Shinsou, vedeva il suo sguardo
ferito e crucciato, come se fosse lì per chiedergli qualcosa ma poi non ne
trovasse il coraggio. Come se sapesse di non averne il diritto, ed era vero.
Eppure
quello sguardo era uguale a quello che suo padre gli rivolgeva ogni singolo
giorno, da dopo la morte della mamma. Ogni giorno.
Scusa, mi
dispiace. Perdonami, figlio mio.
Scosse
il capo con forza.
No,
non era a quello che doveva paragonarlo. Non c’entrava nulla, quello! Né sua
madre né suo padre.
Ci
mancava solo che si sentisse in colpa per Shinsou.
Lui.
Che
era la vittima, lì!
Non
importava quanto Shinsou sembrasse dispiaciuto. No. Non gli aveva neanche
chiesto scusa.
Di
nuovo!
Di
nuovo sarebbe finito per fare la parte di quello che non aveva fatto nulla di
male, e Ojiro quello in torto, quello che esagerava sempre. Come dopo il
Festival Sportivo. E magari di nuovo gli avrebbero chiesto di perdonarlo, senza
neanche cercare di capire il perché del suo comportamento.
Perché
in fondo non aveva fatto niente di male, a conti fatti, no?
No.
Aveva
fatto qualcosa di male, invece. Qualcosa di disgustoso, e crudele.
Si
strinse il cuscino contro il volto ancora di più, soffocandoci dentro urla e
singhiozzi.
Si
era sempre detto di essere gentile e comprensivo, di alzarsi sempre quando
cadeva, da solo, perché nessuno gli avrebbe porto la mano, nessuno l’aveva mai
fatto, perché altrimenti col suo quirk non sarebbe
arrivato da nessuna parte. Ma perché con Shinsou non ci riusciva? Perché?
Perché
non era riuscito almeno a far finta di essere gentile? Non sarebbe mai andato a
cercarlo, e non sarebbe mai successo nulla, nulla.
E
invece no. Invece non ci era riuscito.
Non
riusciva a dimenticare l’odio per quel potere, quello che aveva fatto. Di come
un potere simile già in passato gli aveva rovinato la vita.
E
anche se Shinsou era un’altra persona, con un potere fondamentalmente diverso,
non era riuscito a far finta di niente. Non era riuscito ad ignorare la stretta
allo stomaco che lo prendeva ogni volta che ci pensava.
E
aveva finito per passare dalla parte del torto.
Era
stato un pessimo compagno di classe e quella era stata la punizione del karma.
E
non riusciva neanche a ritirarsi su. Era a terra, stava strisciando, e non
riusciva a rialzarsi. Per colpa di quello che gli aveva fatto Shinsou.
Di
nuovo lui, sempre lui.
Che
doveva fare?
Si
alzò di scatto, raggiungendo il bagno a fatica e quasi per miracolo, evitandosi
per un soffio di rimettere sul pavimento.
Era
seduto sul pavimento del bagno da almeno due ore, le gambe strette al petto e
la coda ad abbracciarlo e a proteggerlo, quando bussarono alla porta.
Non
voleva sapere chi fosse.
Non
rispose, e chiunque fosse oltre la porta si limitò a lasciargli un foglietto
sotto e ad andarsene, dopo un po’, con la delicatezza di non bussare oltre.
Ci
mise un po’ a decidersi ad andarlo a prendere, le mani gli tremavano ancora
tantissimo quando lo afferrò.
Ma
non era Shinsou.
Era
solo Iida. Gentilissimo, che gli chiedeva di bussare
ad ogni ora, anche di notte, se gli serviva qualcosa. E che se voleva gli
appunti poteva chiedere a lui.
Si
appoggiò alla porta d’ingresso, lasciandosi scivolare giù, la coda ancora
intorno alla pancia, come a volerla tenere al caldo.
Se
la sentiva ancora sottosopra, ma ormai non aveva davvero più nulla da buttar
fuori.
Doveva
chiedere scusa a Kaminari. Sì.
Magari
però poteva farlo anche più tardi, no?
Non
si sentiva di scendere. Adorava i suoi compagni ma si sarebbe ritrovato accerchiato,
lo sapeva.
E
non voleva.
La
sola idea lo mandava in panico.
--
“Mamma?!”
Gli occhi
neri che si girarono verso di lui erano diversi da quelli che aveva sempre
conosciuto e amato.
Erano
profondi, vuoti.
Un pozzo
senza fine dal quasi si sentiva risucchiato.
Era
perduto.
Non
sarebbe più riuscito ad uscire di lì.
“Mamma mi
fai male!”
Il nero lo
stava raggiungendo ovunque.
Lo
circondava e gli toglieva il fiato.
Come
quelle mani che una volta erano buone.
E adesso?
Che doveva
fare?
“Aiuto!”
Riaprì
gli occhi di soprassalto, sudato e affannato.
Non
si era neanche accorto di essersi addormentato lì, accucciato davanti alla
porta del bagno.
Ma
che gli prendeva ultimamente?
Anche
quello, adesso.
Era
dal Festival che non gli succedeva più.
Credeva
davvero di aver superato tutto quello, di nuovo.
Ma
non ci riusciva. Non riusciva a superare quello che Shinsou gli aveva fatto, e
come lo aveva fatto. E tutto quello che riportava a galla.
Il
suo potere di controllo.
La
causa di tutti i suoi problemi.
Di
tutti i suoi dannati problemi.
Riuscì
a calmarsi solo molto dopo, a darsi una sistemata e farsi una doccia, e solo
allora si decise ad uscire dalla stanza. Sarebbe potuto andare subito da Iida, nella stanza accanto alla sua, ma a quell’ora
probabilmente dormiva e se l’avesse svegliato si sarebbe preoccupato per nulla.
L’avrebbe
ringraziato il giorno dopo.
Kaminari invece di
norma era sempre sveglio, a quell’ora. Spesso era con gli altri, ma comunque
sveglio.
Sperava
solo fosse in stanza e non di sotto, in sala comune.
Lo
sperò davvero.
Ma
quando bussando nessuno venne a rispondergli, fu abbastanza ovvio che anche Kaminari non fosse dentro.
Poggiò
la fronte alla porta della stanza di Denki con una
lieve imprecazione, poi si decise a scendere. Ormai era fuori, aveva detto ad Aizawa che il giorno successivo sarebbe andato a lezione,
era inutile fare il recluso.
Non
ce ne era neanche bisogno. Poteva uscire, non era ammalato né nulla di simile.
Ce l’aveva solo in testa.
Doveva
solo controllarlo.
Poteva
controllarlo.
Doveva
e poteva.
Si
fermò di colpo sulle scale quando scorse la testa scompigliata di Shinsou
seduta accanto a quella disordinata di Midoriya e Uraraka. Parevano tutti abbastanza presi dal gioco con cui
stavano litigando Kaminari e Kirishima.
C’era
persino Bakugou, che imprecava su quanto fossero incapaci quei due che
continuavano a farsi ammazzare.
Per
un attimo pensò di fare retromarcia e arrendersi, chiedendo scusa a Kaminari in un altro momento.
D’altronde
se Shinsou era lì a divertirsi con gli altri evidentemente le cose erano meno
peggio di come se le era immaginate. Era evidente che avesse ingrossato di
nuovo tutti i suoi problemi, e invece...
“Oh,
Ojiro!”
Trattenne
il fiato. Non aveva fatto in tempo. Troppo tardi, l’avevano visto.
Abbozzò
un sorriso a quel richiamo.
Kirishima, dolce e
gentile sempre, ma questa volta avrebbe preferito tacesse.
Ma
poteva.
Doveva.
Shinsou
era l’unico che non si era girato. Aveva teso le spalle, questo l’aveva visto.
Lui e anche Bakugou, che lo fissava con le sopracciglia inarcate.
Ma
non si era girato.
Grazie
al cielo.
“Come
stai, Ojiro-kun? Aizawa ci
ha detto che stavi male e sei andato in infermeria oggi!” esclamò subito Midoriya, avvicinandosi con fare gentile.
E le mani al suo posto. Per fortuna.
“Sto
bene. Sì, non...non mi sentivo bene. Ma adesso è passato.”
“Sicuro?
Perché hai una cera,” mormorò anche Kirishima, ma
ancora seduto al suo posto accanto a Kaminari.
Sapeva
di avere un brutto aspetto. Si era fatto la doccia e lavato la faccia, ma gli
occhi erano ancora arrossati, non ci poteva fare niente. Ed era anche più
pallido del solito, senza contare che non riusciva proprio a tenere niente
nello stomaco, non era sceso a mangiare neanche quel giorno, e forse pareva un
po’ sciupato.
“Sì,
sicuro. Devo...riprendermi un po’. Ma sto meglio, davvero. Senti, ehm...Kaminari?”
Kaminari, che fino
a quel momento era rimasto in silenzio a guardarlo con la coda dell’occhio,
drizzò la schiena, alzando il naso con fare impettito.
Ojiro
storse la bocca. Perché sì, era vero che non era stato gentilissimo, ma lui
glielo aveva chiesto di lasciarlo. E Kaminari non
l’aveva ascoltato.
“Sì?”
“Volevo
chiederti scusa, Kaminari. Ero...nervoso oggi e mi ha
dato un po’ fastidio che mi stessi addosso. Tutto qui.”
“Tutto
qui? Ma hai fatto una scenata da donna isterica di prima categoria!”
Il
tic al sopracciglio passò inosservato a tutti, ma Ojiro perse anche il sorriso
di cortesia che aveva assunto, “Hai ragione,” affermò comunque, perché non
aveva voglia di litigare. Kirishima diede una forte
gomitata a Kaminari, accanto a lui, che rispose
borbottando appena.
Li
ignorò entrambi. “Hai ragione. Ti chiedo scusa.”
“Vabbeh. Perdonato, dai!” esclamò alla fine Kaminari, schiacciato dal braccio irrobustito di Kirishima proprio all’altezza dell’addome.
“Sono
contento che sia tutto risolto,” sorrise anche Midoriya,
ignorando volutamente i due amici che adesso discutevano sommessamente a bassa
voce. “Perché non ti fermi un po’ con noi, se te la senti? Kaminari
e Kirishima stavano giocando ma se vuoi possiamo fare
altro.”
“No.
Non importa, io...volevo solo scusarmi. Adesso penso che tornerò su.”
Guardò
la schiena di Shinsou, che si era infossata ancora di più.
Ma
non si era ancora mosso, quindi fu lui ad andarsene.
“Grazie
per l’invito. Io vado a letto. Buonanotte, ragazzi.”
“Riguardati!”
gli urlò dietro Uraraka, alzando la mano. Poi, però,
si voltò verso Shinsou al suo fianco. Lo aveva guardato tutto il tempo, ed era
sembrato agitato.
Si
torturava le mani, attorcigliandosi le dita fra di loro. E le spalle erano
tesissime.
“Shinsou-kun? Cosa succede?”
“Eh?”
Shinsou alzò il capo di scatto, guardando la ragazza, “Che deve succedere?”
“Beh...sei
strano, stasera.”
“Io?
No. Sono solo stanco. Davvero. Anzi, penso che andrò anche io.”
“Anche
tu vai, Shinsou?”
“Sì,
Midoriya. Buonanotte.”
Uraraka e Bakugou
furono gli unici occhi a non perderlo di vista finché non sparì sulla tromba
delle scale, poi Bakugou si ributtò sul divano e Uraraka
si allungò verso Midoriya, “Deku-kun,
vieni?”
“Sì,
eccomi!” sorrise Midoriya, tornando verso di lei.
Quando le si sedette accanto, però, sospirò a sua volta, “Non ti pare che...?”
“Oggi
siano tutti strani?” terminò per lui Ochako, che
annuì, “Sì. Decisamente.”
“Chi
si fa i cazzi propri campa cent’anni.”
“Eh?” Midoriya alzò appena gli occhi, guardando
l’amico d’infanzia che passava accanto al divano dov’erano lui e Uraraka per andare a sua volta verso le stanze, dopo aver
tirato un colpo a Kirishima, che rispose ridacchiando
neanche l’avesse salutato normalmente.
“Ma
Kacchan...”
“Dammi
retta e fatti i cazzi tuoi, Deku.”
Angolino Autrice:
Si lo so, la madre ha fatto qualcosa, il padre ha fatto qualcosa, sembra Todoroki!
In Realtà vi assicuro nella mia immensa cattiveria (scusa Mashi)
che non c’entra niente con Todo.
E lo so, lo so, pensavate tutti quanti che fosse stata una violenza di altro
genere, ma a quel livello ancora non ci sono arrivata xD
Per ora... <<
Per questa storia il background di Ojiro è si ispirato a qualcosa, ma non a
qualcosa che abbiamo visto nel manga. Cattiva lo sono stata, però!
Mi sono ispirata ad un film Horror di qualche anno fa, Oculus,
e tra quello che si è capito dal capitolo e, se avete visto il film, quello che
si scopre, avrete già capito xD
Abbiate fiducia in me, c’è una spiegazione a tutto!
E date una pacca sulla spalla a Kaminari, che
poverino è finito in mezzo ad un disastro!
Un bacione, Asu
Shinsou
si chiuse la porta alle spalle col cuore pesante.
Aveva accettato di stare con Midoriya e Uraraka, e inizialmente anche Iida,
per cercare di far finta di niente. Ojiro non si vedeva, e pensarci come un
ossesso non serviva a nulla, per altro rischiava anche che i suoi compagni
diventassero soffocanti nel continuare a chiedergli se era tutto okay.
Quindi
aveva fatto di tutto per non pensarci.
Anche
se non era stato facile. E ancora meno lo era stato quando Iida
si era alzato e aveva detto che voleva vedere come stava Ojiro.
E
quando era sceso dicendo loro che non gli aveva risposto, accompagnandoli a
cena in mensa, dove Ojiro non si era di nuovo presentato...si era sentito
davvero male.
Avrebbe
voluto sbattere la testa con forza sul tavolo fino a spaccarsela, ma non
sarebbe servito a niente.
Doveva
salire e chiedergli perdono. In ginocchio.
Doveva
farlo.
Ma
poi era sceso Ojiro a scusarsi con Kaminari e lui non
aveva avuto neanche la forza di girarsi. Di guardarlo.
Non
aveva diritto di guardarlo.
Dio, cosa
gli aveva fatto.
Non
meritava neanche di chiedergli scusa. Neanche quello. Non sarebbe bastato.
Cosa
doveva fare?
A
chi poteva chiedere?
No.
A nessuno. Non poteva chiedere a nessuno. Se si fosse sfogato con qualcuno era
rovinato, quello che aveva fatto era imperdonabile.
Ojiro
non aveva fatto niente, eppure si era comunque addossato le scuse a Kaminari. E lui non trovava neanche il coraggio di
guardarlo.
Era
un codardo.
Uno
stupido codardo.
La
mattina dopo fu il primo ad arrivare in classe, non era neanche sceso in mensa
a far colazione. Aveva lo stomaco troppo chiuso.
Si
sedette subito al suo posto, aprì già il quaderno e finse di studiare e di non
vedere né sentire niente di quello che gli capitava intorno.A malapena salutò chi gli si rivolgeva, e
comunque senza alzare gli occhi.
Non
voleva neanche vederlo entrare, Ojiro.
E
infatti non lo vide.
Per
tutta la prima ora rimase assente, per qualche ignota ragione, ma anche così
non riuscì a rilassarsi. Era preoccupato.
Se
ce l’aveva vicino era nervoso, terrorizzato dal potergli fare del male con la
sua sola presenza. Ma se ce l’aveva troppo lontano, non riusciva a non
preoccuparsi.
Forse
aveva chiesto un altro giorno, fingendosi malato?
No.
Ojiro non era come lui, non era un codardo. Non avrebbe saltato le lezioni per
lui.
Se
non veniva era perché stava davvero male. Ed era colpa sua.
Ma
Ojiro ricomparve alla seconda ora, la cartella in spalle che buttò a terra
prima di sedersi al suo posto. E salutarlo, come la mattina precedente.
Non
lo guardava, non gli rivolgeva la parola, eppure era la seconda mattina che lo
salutava.
Era
strano.
Lì
per lì non riuscì minimamente a reagire, Shinsou, ghiacciandosi sul posto.
Ojiro comunque non aspettò neanche per un attimo una sua risposta.
Era
solo cortesia, probabilmente.
Stava
mantenendo nient’altro che la parola che gli aveva dato per essere lasciato in
pace. Salutarlo e mantenere il segreto.
Oddio.
Serrò
gli occhi e prese un lungo respiro, girandosi verso di lui l’attimo prima che Kaminari richiamasse l’attenzione di Ojiro tirandogli un
piccolo calcio alla gamba della sedia dell’altro.
“Oj...-“
“Hey, ma che fine avevi fatto? Ti sei perso la lezione di Ectoplasm!”
Ojiro
guardò prima Shinsou, come se si aspettasse qualcosa. Che finisse di chiamarlo,
che dicesse qualcosa.
Ma
no, Shinsou continuò a tacere.
Ojiro
storse la bocca, in un’espressione fra l’infastidito e lo schifato, poi girò
solo il capo verso Kaminari, “Da Recovery
Girl. Voleva vedermi per ieri. Il professore lo sapeva.”
Kirishima spuntò da
dietro le spalle del biondo, spingendolo un po’ da parte per recuperare spazio,
“Ma tutto bene, sì?”
“Sì.
Sì, sto bene. Era solo per sicurezza,” spiegò.
Era
stata molto attenta e apprensiva, Chiyo, gli aveva
consigliato di nuovo di mettere qualcosa sotto i denti per tenersi su e poi,
visto che Ojiro era stato sincero nel dirle che da qualche giorno la notte non
riusciva più a dormire bene, gli aveva dato delle gocce da mettere in un
bicchiere d’acqua.
Così
da riuscire a riposare senza essere disturbato.
Gliene
era grato. Era davvero quello che gli serviva.
In
quel momento era consapevole di avere una pessima cera, le occhiaie e il
pallore non aiutavano nessuno a credere che stesse bene.
Anche
Aizawa, quando entrò all’ultima ora per la lezione
finale della giornata, lo guardò a lungo prima di sospirare.
“Faremo
una lezione teorica anche oggi,” affermò poi, e Ojiro ebbe la netta sensazione
che fosse per lui.
“Uh?”
“Qualcosa
in contrario, Bakugou?”
“Sì,
in effetti!”
“Beh,
fattelo andar bene,” sentenziò ancora Aizawa, “La prova
fisica sarà dopodomani. Shinsou, Kaminari, domani
interrogati. Vedete di farvi trovare pronti almeno adesso che siete stati
avvertiti.”
Lo
sbuffo di Kaminari riecheggiò quasi in tutta la
classe, “Sì, prof.”
Shinsou
tacque ancora. Aizawa lo fissò appena con la coda
dell’occhio, poi tornò a scrivere sulla lavagna.
Gli
sarebbe dispiaciuto bocciarlo dopo la fatica che aveva fatto per entrare nel
Dipartimento eroi. Che cos’è che poteva averlo distratto così tanto, dopo tutta
la concentrazione e la determinazione, e la fatica anche, che aveva dimostrato?
Diceva
di non voler fare amicizia con nessuno, quindi adesso cos’era che lo rendeva
così distratto?
Qualcosa
non gli tornava. Per nulla.
--
Aizawa finì la
lezione con fare annoiato, ma almeno l’avevano seguito tutti quanti in
silenzio. Chissà che non fossero tutti preoccupati di fare la fine di Shinsou e
Kaminari.
Anche
fosse quello il caso, meglio per lui.
Si
fermò alla cattedra mentre tutti quanti uscivano, fermando per un attimo Ojiro
giusto per accertarsi di come stesse. Non si allungò neanche per verificare il
gesto eccessivo del giorno prima, ma anche quando Ojiro rispose di stare bene,
non gli credette.
Non
stava bene per nulla. Fingeva discretamente, ma non stava bene.
E
continuava a non sembrargli un’indigestione.
“Shinsou?”
lo chiamò prima che lasciasse l’aula anche lui. Per ultimo, stavolta, ben dopo
Ojiro. Kaminari invece gli era andato subito dietro,
incurante di tutto.
Gli aveva anche messo le mani sulla spalla, ma Ojiro l’aveva di nuovo scacciato
di malagrazia. Niente di eclatante, e usando la coda.
Sospetto
comunque.
“S-sì, Aizawa-sensei?”
“Devo
parlarti, fermati.”
Shinsou
annuì appena, lo sguardo basso. Le spalle ricurve neanche reggesse il peso del
mondo intero.
Aizawa stirò le
labbra, finì di sistemare i fogliacci dei compiti da correggere e li sistemò
per bene sopra la cattedra. Solo allora lo guardò.
“Che
sta succedendo, Shinsou?”
“Niente.”
“Davvero?
Pensi che io sia stupido? Direi che abbiamo passato tempo insieme durante gli
allenamenti e ti ho conosciuto abbastanza...non mi incanti, ragazzo.”
Shinsou
sbuffò, “Sto solo dormendo male, ultimamente.”
“Tu
lo sai che sei sott’occhio molto di più rispetto agli altri, vero? Lo sai che
iniziare il tuo primo anno da aspirante eroe in questo modo patetico non ti
giova, vero?”
“Sto
solo dormendo male, professore,” ribatté di nuovo, piccato.
Aizawa schiocca
la lingua, “Quindi non hai scusanti, giusto? Shinsou, se è successo
qualcosa...sei distratto, assente. Se ti è successo qualcosa a casa, o magari
con qualcuno dei compagni, puoi dirmelo. Bada, non è comunque una scusante. Se
vuoi fare l’eroe devi imparare a separare la vita personale da quella
lavorativa, ma sei giovane e ci devi ancora lavorare, come tutti. Quindi, te lo
richiedo: c’è qualcosa che non va coi tuoi compagni di classe? Con Kaminari, od Ojiro?”
Shinsou
incassò la testa nelle spalle ricurve, stringendo la bretella dello zaino
subito dopo fin quasi a farsi male.
Maledizione.
Eppure
era sempre stato bravo ad ingannare la gente. Faceva parte del suo potere.
Ad
Aizawa, comunque, il gesto non sfuggì. “Con Ojiro,
quindi?”
“Io...”
“Sì?
Tu?”
Shinsou
digrignò i denti con forza, ingoiando bile. Doveva dirglielo.
Era
la cosa giusta, dirglielo. Autodenunciarsi.
Se
era un eroe doveva farlo.
Però
aveva paura.
“Io
e Ojiro a malapena parliamo, Aizawa-sensei. Perché
mai dovrei essere distratto o stare male per lui? Non c’entra niente. Sto
benissimo. E’ solo un periodo pesante. Devo ancora abituarmici,
a questo corso di matti.”
“Tutto
qui?”
“Tutto
qui.”
Aizawa inarcò un
sopracciglio, per nulla convinto, ma alla fine annuì. “Allora vedi di farti
trovare più che preparato per domani, Shinsou. Ti consiglio di andare a
studiare. Io non faccio preferenze, lo sai.”
“Sì,
professore.”
Stirò
di nuovo le labbra, Shinsou, mordendosi la lingua.
Avrebbe
dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto.
Perché
non l’aveva fatto? Codardo.
Per
un attimo si voltò a guardare ancora il docente, quasi avesse cambiato idea, ma
poi cambiò di nuovo strada. Infilò lo zaino in spalla e prese la strada verso
il dormitorio, ignorando la mensa e il pranzo in corso.
Mandò
solo un messaggio a Midoriya per avvertirlo che
sarebbe andato a studiare per il giorno successivo, e l’amico sembrò
comprensivo.
Quando
arrivò al dormitorio, però, non era l’unico.
Anche
Ojiro era lì.
Solo.
Deglutì
appena, la bocca improvvisamente arida come il deserto. Ma Ojiro non sembrò
accorgersi di lui. Se ne stava seduto sui talloni al tavolinetto della sala
comune, la tazza di tè calda in mano, le cuffie nelle orecchie e il quaderno
aperto sotto gli occhi.
Due
quaderni, anzi. Stava ricopiando gli appunti del giorno prima e della prima ora
di quel giorno.
Di
nuovo non era andato a mensa. Non c’era niente da mangiare sul tavolo, solo il
tè che stava bevendo. Un po’ poco per mantenersi in forze.
Avrebbe
voluto parlargli, ma non ci riusciva davvero. Guardava quella dannata coda,
poggiata mollemente sulle ginocchia, la punta piumosa ad accarezzare il
pavimento muovendosi appena su e giù. Le spalle rilassate.
Era
serio, aveva il volto crucciato, amareggiato. Ma forse era solo concentrato.
Sembrava
a suo agio per la prima volta da quando aveva provato a fare quelle cose
orribili.
Forse
perché era da solo, in pace, senza nessuno a disturbarlo. Forse perché poteva
ben concentrarsi sullo studio, sgomberando la mente con una scusa credibile,
senza dover pensare a niente, a nessuno.
Non
a lui di certo.
Trattenne
un sospiro e raggiunse le scale in punta di piedi.
Non
era il caso di parlargli.
Era
finalmente rilassato. Era giusto permetterglielo per qualche ora. Lui poteva
solo far danni. E non era corretto.
Il
giorno dopo Shinsou era andato fin troppo bene durante l’interrogazione di Aizawa, a differenza di Kaminari
che era stato appena sufficiente. Aizawa aveva dubitato
per un misero istante di essersi effettivamente immaginato tutto quanto su quei
tre e che Shinsou avesse effettivamente solo bisogno di abituarsi ai ritmi del
corso eroi, ben diverso dagli altri.
Non
era qualcosa di così impossibile, effettivamente.
Solo
che le cose continuavano a non tornargli. Avrebbe preso una decisione durante
il test del giorno successivo.
Aveva
già preparato le coppie e se era vero che Shinsou non aveva problemi allora
sarebbe andato tutto come da programmi.
Entrò
in aula anche quel venerdì con la stessa flemma del solito, sbattendo la mano
sulla cattedra senza apparente motivo.
“Prendete
le divise da eroi e andate a cambiarvi. Vi voglio nella palestra B entro
quindici minuti,” esclamò, uscendo per primo rispetto ai ragazzi.
Ojiro
prese la valigetta con la sua divisa da eroe con i palmi sudati.
Doveva
cambiarsi.
L’aveva
scordato. L’aveva completamente scordato.
Doveva
cambiarsi davanti agli altri, come aveva fatto a non pensarci? No. No, era
stato meglio che non ci avesse pensato fino all’ultimo. Altrimenti sarebbe
arrivato in classe già agitato.
Invece
così no. Era stato tranquillo, sembrava stare bene, fino a prima, era sceso a
far colazione –poco, giusto per far star tranquillo Shoji che lo guardava strano, preoccupato- aveva parlato
con Shoji e Satou e per la
prima volta nella sua vita si era sentito molto affine allo stato d’animo di Tokoyami.
Quasi
tutto come al solito.
Doveva
solo continuare così.
A
non pensarci.
Doveva
solo non pensarci. Come era stato in classe poteva essere fattibile anche in
spogliatoio.
Togliersi
la giacca e la camicia, e mettere su lo Ji.
Poi
togliere i pantaloni, ed indossare...
“Ojiro,
cos’hai lì?”
Ojiro
trattenne il fiato, sentendo la voce di Kaminari
accanto a lui.
Kaminari era
sempre stato un tipo schietto senza peli sulla lingua –più
che altro, non arrivava quasi mai a pensare alle conseguenze di quello che
stava dicendo-, ce l’aveva sempre intorno in un modo o nell’altro, visto che
era subito dopo di lui nell’elenco studenti...ma non gli aveva mai dato
fastidio come in quel momento.
Come
in quei giorni, anzi.
Mai
come in quel momento aveva avuto voglia di tappare la bocca a qualcuno.
“Lì...dove?”
“Lì,
sulle caviglie! Che brutti segni, come diamine te li sei fatti?”
“No,
non è...”
“Ooh, vuoi vedere che il nostro Ojiro si è finto malato per
andare a fare giochettini erotici con qualche
ragazza? Magari di un’altra classe? O magari anche più grande?!”
Ojiro
risucchiò l’aria fra i denti, mordendosi la lingua. Il sudore freddo che gli
attraversava adesso tutta la schiena gli dava una terribile sensazione.
“Ma
possibile che tu pensi solo a quello, Mineta?” sbottò
Iida, rigido, “Lascialo in pace, piuttosto!”
“Sì,
che schifo,” storse la bocca anche Kirishima, “Non
perdi mai occasione...”
“Ma
quelli sono chiaramente segni di bondage!”
“Ma
che sciocchezze dici? Ce le avrebbe anche altrove se facesse simili assurdità!”
“E
tu che ne sai, Kirishima?”
“Ah,
beh...”
“Sì,
Kirishima, che ci nascondi?!”
“Dai,
Kami, c’eri anche tu quando abbiamo intravisto quel
film alla tv no? Te lo ricordi?”
“Ah,
sì! Beh, l’hai guardato bene per ricordartelo però, eh?”
“Ma
figurati, è stato solo...-“
Il
rumore sordo dell’armadietto che sbatteva con forza li fece sobbalzare tutti e
tre. Ma non era stato Ojiro, che ormai non era più sotto i riflettori ed era
anche riuscito a mettersi i pantaloni.
Era
stato Shinsou.
Più
pallido che mai, o per lo meno più pallido di com’era di solito, tanto che per
un attimo persino Shoji, accanto a lui, ebbe paura
che potesse svenirgli davanti. Ma non successe. Shinsou tremava, sì, ma di
rabbia. Irritazione. Nervosismo.
O
chissà che altro.
“Siete
delle bestie...”
“Ma
dai, Shinsou, che cattivo che sei,” brontolò Kaminari,
mettendo il broncio, “Stavamo scherzando per alleggerire la tensione, vero?”
“Sì,
infatti,” annuì anche Mineta, “Mica lo penserei
davvero, ma ti pare? Cioè, avrai sbattuto da qualche parte, no?
“Magari
usi dei pesi per allenarti? Io lo faccio anche sui polsi!” fece genuino Kirishima, allargando il sorriso.
Ma
Ojiro non rispose. Aveva poggiato la fronte sul metallo freddo dell’armadietto,
adesso chiuso, e serrato gli occhi, i pugni stretti accanto al volto come se
gli servissero per nascondersi. Ma era inutile.
Era lampante che avesse qualcosa che non andava.
Iida scavalcò
la panca che divideva la parte dello spogliatoio in cui era il suo armadietto
da quella in cui era Ojiro e lo raggiunse in due falcate.
“Ojiro,
va tutto bene?” gli chiese, apprensivo, passandogli una mano come poteva sulla
fronte. Ojiro irrigidì i muscoli, ma non si tirò indietro.
Non
ce la faceva.
Se
avesse fatto uno scatto per allontanarsi da Iida,
anche se voleva, sarebbe miseramente caduto a terra.
“Sei
freddissimo! Vieni, siediti un attimo!”
Ojiro
aprì bocca come a parlare, ma non uscì alcun suono, così fu costretto a farsi
aiutare ad arrivare alla panca centrale. Su cui si accasciò.
“Ma
adesso...che succede?” mormorò preoccupato anche Kaminari,
inginocchiandosi davanti all’amico.
“Forse
un calo di zuccheri,” fece pragmatico Todoroki, passandogli una boccetta
d’acqua, “Convinti adesso che non abbia finto di stare male nei giorni scorsi?”
“Ma
noi stavamo scherzando!” pigolò Mineta.
“Sì,
infatti. Scusaci, Ojiro, scherzavamo.”
Ojiro
si sforzò di abbozzare un sorriso, per quanto fosse davvero dura per lui in
quell’istante. Gli sembrava ogni giorno in più che il mondo ce l’avesse con
lui, per un motivo o un altro. E adesso anche il suo corpo gli faceva simili
scherzi solo per un leggero stato d’agitazione.
Ma
era colpa sua. Non aveva mangiato a sufficienza in quei giorni, e quello era il
risultato.
L’ennesima
magra figura davanti a tutti quanti.
“Lo
so, ragazzi. Scusate, è che nei giorni scorsi a causa del malessere non sono
riuscito a mangiare molto. Ha ragione Todoroki, è stato solo un attimo. Sto già
meglio.”
“Sicuro?”
si premurò anche Midoriya, “Forse dovremmo dirlo ad Aizawa.”
“No,
non serve,” sentenziò subito Ojiro, finendo di bere l’acqua, “Mi è già passato.
Sto già meglio.”
“Sì,
giusto. Potete dire ad Aizawa che sono al bagno e
tardo due minuti?”
“Sì,
certo,” annuì Iida, per nulla convinto, “Ma io sono
d’accordo con Midoriya. Dovremmo dirlo ad AIzawa.”
“No,
Iida-kun. Sto bene.”
Iida storse la
bocca, per nulla convinto, ma alla fine si alzò e seguì gli altri fuori dagli
spogliatoi.
Shinsou
fu l’ultimo ad uscire, dopo aver osservato Satou che,
previdente, passava una barretta energetica e ricca di zuccheri all’amico. Lui
ne aveva sempre dietro, ovvio, il suo quirk era
legato all’assunzione di zuccheri.
Una
vera fortuna, in quel momento.
Una
volta fuori, si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò per un attimo al
muro.
Le
mani gli tremavano ancora, la voglia di staccarsi la testa e porgerla ad Ojiro
su un piatto d’argento era sempre più forte.
Gli
aveva lasciato anche i segni sulle caviglie.
Certo,
lì aveva usato una cravatta per legarlo, sottile e tagliente, per altro Ojiro
aveva provato a tirargli un calcio e si era strattonato. Fortuna che per i
polsi e la coda aveva usato un morbido lenzuolo, altrimenti che cosa gli
avrebbe lasciato addosso?
Aveva
dato agli altri delle bestie per le battute stupide e volgari che stavano
facendo, proprio ad Ojiro poi che era stato...che...non riusciva neanche a
dirlo.
Lui.
Che
era il carnefice.
Chissà
come doveva sentirsi Ojiro.
Sperava
di finire in gruppo contro qualcuno che fosse in grado di dargliene di santa
ragione.
Se
lo meritava.
Era
lui lì l’unica bestia.
--
Ojiro
raggiunse gli altri con non più di cinque minuti di ritardo, Aizawa non gli disse niente lì per lì, ma lo studiò con una
tale intensità nello sguardo che Ojiro si sentì ben presto a disagio e abbassò
il suo.
“Ci
ha divisi in coppie,” gli spiegò gentilmente Shoji
affiancandolo, “Non ci ha ancora detto in cosa consiste nel dettaglio.”
“Okay.
E ha detto le coppie?”
“Sì.
Sei nell’ultimo gruppo, con Shinsou.”
Ojiro
si bloccò, a quelle parole. Shoji stava ancora
parlando, ma non lo stava più ascoltando. E non si accorse neanche che adesso
era Aizawa a star parlando, finendo le spiegazioni.
Un
due vs due.
Lui
e Shinsou contro Midoriya e Kaminari.
Non
poteva essere un caso, aveva la sensazione che non lo fosse.
Ma
non importava.
Era
un allenamento in piena regola, e lui non aveva minimamente intenzione di
finire ultimo solo perché era in gruppo con Shinsou. Non se lo sarebbe
permesso, né perdonato.
Adesso
quello era più importante. Era lì per fare l’eroe, non altro. Non certo per
farsi buttare giù da un dramma che gli era successo.
Se
il fato, il karma o la crudeltà di Aizawa che fosse
aveva deciso che doveva stare in gruppo con Shinsou, se lo sarebbe fatto andare
bene.
“Ojiro-kun! Tu sei sicuro di stare bene? Per me non c’è
problema se...”
“No,
Midoriya. Sei gentile, ma sto bene,” esclamò Ojiro
con forza. All’improvviso di nuovo carico, e determinato, riuscì persino a
regalare a Midoriya un piccolo sorriso, “Non osare
andarci troppo piano perché prima non mi sono sentito troppo bene!”
“Oh...d’accordo,”
sorrise anche Midoriya, per quanto non fosse del
tutto convinto. Ma non poteva costringerlo a tirarsi indietro. Se Ojiro pensava
così intensamente di potercela fare, era giusto che desse il massimo anche lui.
“Non lo farò. Buona fortuna per dopo allora!”
“A
te. Ah, senti...Shinsou?”
“Laggiù,”
gli indicò il punto più isolato della palestra, in cui si era rintanato
Shinsou. Stringeva le fasce con entrambe le mani e aveva già la maschera
indossata, come se volesse nascondersi come poteva.
Era
pallido e le occhiaie erano più accentuate del solito.
“Si
è isolato là appena hanno detto le coppie. Credo che anche lui non stia troppo
bene in questi giorni. Forse gira un brutto virus?”
“Chissà.
In fondo è periodo di influenza, giusto?”
“Temo
di sì! Spero che anche Shinsou si riprenda in fretta.”
“Si
riprenderà,” sentenziò Ojiro, lasciandolo per un attimo interdetto.
Ma
senza neanche dargli il tempo di aggiungere altro, Ojiro si allontanò di gran
carriera, raggiungendo Shinsou nel suo angolo isolato.
E
non era facile.
Lo
era stato parlare con Midoriya, ma adesso che se lo
ritrovava davvero davanti e che erano soli, non era affatto facile.
Il
cuore gli batteva all’impazzata nel petto e la tentazione di voltarsi e sparire
era tanta. Troppa.
“Shinsou?”
Al
suono della sua voce, Shinsou chiuse gli occhi, prendendo un enorme respiro. Lo
aveva sentito arrivare, ma aveva quasi sperato che non fosse davvero diretto
verso di lui.
Aizawa lo aveva
fatto apposta, a metterlo in coppia con Ojiro, era ovvio e lampante. Ma perché?
Come
faceva a stare in squadra con lui, se non riusciva neanche a guardarlo negli
occhi? E soprattutto con che diritto poteva anche solo parlargli?
Aveva
ancora davanti i segni che gli aveva lasciato addosso, il pallore malato del
suo volto.
Ed
era tutta colpa sua.
“Okay.
Anche io non ti ho risposto più volte quel giorno quindi immagino di
meritarmelo...”
Shinsou
sgranò gli occhi, a quella frase. Cos’era, una battuta? Come poteva pensare che
fosse per quello che non gli parlava?
“Non
voglio che tu mi parli, non voglio nemmeno avere niente a che fare con te. Ma
non voglio neanche prendere un brutto voto qui oggi. E non intendo neanche
arrivare ultimo per un soffio perché tu non vuoi collaborare. Shinsou,
guardami.”
Shinsou
prese di nuovo un grosso respiro, prima di decidersi ad alzare gli occhi. Senza
vedere quello che si aspettava.
Ojiro
gli parlava, sì, e con fare anche apparentemente tranquillo, ma era più che
ovvio gli pesasse. Si era morso le labbra così tanto da rendere visibile il
segno dei denti e gli occhi, che Shinsou aveva sempre apprezzato perché
espressivi e luminosi, adesso erano spenti. Completamente inespressivi.
Quasi
sentiva da lì il suo cuore tamburellargli nelle orecchie per l’agitazione.
“Volevo
chiedere a Aizawa di scambiare le coppie. Con Midoriya ti sentiresti più a tuo agio...” provò quindi a
parlare, la voce appena un sussurro tentennante.
“Aizawa non scambia mai le coppie. Quando le sceglie c’è
sempre un motivo,” lo rimbeccò Ojiro, “Quindi cerca solo di impegnarti.”
Shinsou
abbassò pian piano la maschera che ancora gli copriva il volto, quasi avesse
paura che un eventuale movimento troppo brusco avrebbe potuto infastidire
l’altro. “D’accordo, sì. Ma...tu...”
“Io
sto bene.”
“Okay.”
Sentendosi
così osservato, Shinsou non riuscì più a reggere lo sguardo dell’altro e
abbassò il suo. Sapeva che se Ojiro restava lì era perché stava aspettando
qualcosa. Delle scuse magari.
Ma
con che faccia? Non basterebbero comunque.
Anche
se dovrebbe scusarmi a prescindere. Perché era giusto così.
“Ojiro...io
vorrei...”
“Lascia
stare. Non me ne faccio niente.”
Shinsou
serrò le labbra fra loro, tremando per un attimo. Se non fosse stato in grado
di trattenersi, si sarebbe ritrovato in un angolo a piangere, probabilmente.
Anche
se era Ojiro quello che sembrava sul punto di farlo.
“E’
vero, non te ne fai niente, però...”
“Se
non sono sincere, sono inutili,” sbottò Ojiro di punto in bianco, i pugni tesi
lungo i fianchi.
Aveva
atteso le sue scuse. Per tre giorni.
E
anche adesso.
E
aveva dovuto pensarci, per farle, come se fosse un atto caritatevole nei suoi
confronti. Nonostante Shinsou sembrasse distrutto anche quel pomeriggio, così
come lo sembrava ora, come faceva ad accettarle e basta? Come faceva a credere
che fosse sincero se gliele porgeva in quel modo?
Non
voleva neanche sentirle.
Non
voleva sentirle, o avrebbe dovuto accettarle. Perché si vedeva, che era
sinceramente dispiaciuto.
E
lui non voleva.
Non
poteva essere così facile.
“Sono
sincere...” soffiò Shinsou, aggrappandosi alla maschera che aveva al collo come
se fosse la sua unica ancora. E forse, in un certo senso, era davvero così.
“Se
lo fossero state, me le avresti porte subito. Adesso è tardi. Impegnati
nell’allenamento e basta, mi interessa solo quello.”
Shinsou
prese aria dal naso, poi annuì. Non poteva ribattere in alcun modo a quello.
Era vero.
“Va
bene. Hai ragione...Hai un piano, contro quei due?”
Angolino Autrice:
Sì lo so, state pensando la stessa cosa che ho pensato io mentre scrivevo:
SHINSOU MA CHE STRAMINCHIA STAI FACENDO??
C’ha la testa nel pallone, poveretto. Mi fa un po’ pena.
Aizawa diede la
fascia nera al gruppo di Shinsou e Ojiro e quella bianca agli altri due, come
aveva fatto già con tutte le altre coppie precedenti.
“Come
ho detto agli altri, non ci sono regole. Dovete solo rubare la fascia agli avversari.
Se vi rubano la vostra, siete esclusi. Andate al campo adesso,” spiegò Aizawa, le braccia incrociate al petto.
Annuirono
tutti e quattro, poi imboccarono il corridoio verso il campo lasciando gli
altri nella sala monitor. Avevano già osservato tutti gli altri scontri, e
adesso toccava a loro.
Se
da una parte, però, c’erano Kaminari e Midoriya che parlavano fittamente, dall’altra Shinsou e
Ojiro quasi non si guardavano. Aizawa, che li stava
seguendo con la coda dell’occhio, lo notò subito.
Così
come notò la distanza autoimposta dei due poco prima che desse il segnale di
inizio.
Su
campo, Ojiro aveva detto qualcosa, anche se dal video non si poteva sentire. Ma
Shinsou non aveva parlato.
Era
sempre più convinto di non aver sbagliato a giudicare che fra i due ci fosse
effettivamente qualcosa che non andava.
Era
successo qualcosa. Che fosse un semplice litigio o meno non ne aveva idea, ma
di certo si stava protraendo troppo e in modo un po’ troppo eccessivo, per i
suoi gusti.
Ojiro
era sempre più convinto che quella tipologia d’allenamento sarebbe stata più
efficace in un uno vs uno e ancora non riusciva a capire perché li avesse messi
in coppia.
A
meno che non stesse tramando qualcosa che non avevano capito neanche guardando
le precedenti sfide. Eppure loro erano stati gli ultimi...
“Mi
ascolti?”
Si
riscosse alle parole di Shinsou, scrollò la testa e tornò a fissarlo. Non gli
aveva parlato per tutto il tempo, né nella sala monitor né mentre andavano lì,
ed era ormai così convinto che non lo avrebbe fatto che non gli aveva prestato
minimamente attenzione.
“Sì,”
mormorò quindi, sospirando quando Shinsou si morse il labbro e distolse gli
occhi, “Non ti stavo ignorando. Mi ero distratto un attimo. Che vuoi?”
“Niente.
Stavo solo dicendo che sarebbe il caso che io vada contro Kaminari
e cerchi di dividerlo da Midoriya. Ci sono più
probabilità che a furia di provocarlo mi risponda...”
Ojiro
inarcò un sopracciglio, “Pensavo avessi un conto in sospeso con Midoriya.”
“Alla
fine...abbiamo già dato l’anno scorso,” mormorò Shinsou, di nuovo gli occhi
bassi. Proprio non ci riusciva, a fissarlo per troppo tempo.
In
special modo poi se Ojiro lo guardava in quel modo,
con sgarbo e sprezzo. O almeno, era l’idea che dava a lui. Non era più così
sicuro di essere davvero in grado di cogliere i comportamenti dell’altro, il
suo sguardo.
Difficile,
poi, se distoglieva il suo di continuo.
Non
era comunque un’espressione che gli si addiceva, a suo parere.
Eppure,
se la meritava.
“Va
bene,” decise quindi.
Non
era una cattiva idea, penso Ojiro. Alla fine, anche le altre coppie si erano
divise per fare in modo di far cadere in trappola l’altra, ma c’era sempre il
rischio che anche gli altri due facessero lo stesso.
Non
che Kaminari non fosse in grado di schiacciare
Shinsou, ma aveva la sensazione che Midoriya ci
tenesse di più.
E
non aveva sbagliato più di tanto.
Appena
Aizawa aveva dato l’avvio alla prova, si erano
scagliati l’uno contro l’altro, solo che era abbastanza ovvio che Kaminari ce l’avesse con lui e anche se Shinsou aveva
provato a raggiungerli, Midoriya gli si era messo ben
presto piazzato davanti per bloccarlo.
Ma
andava bene. Midoriya non sarebbe mai caduto nei
tranelli verbali di Shinsou, ma non c’era motivo per il quale Shinsou non dovesse
riuscire a tenergli testa. Anche se Shinsou pareva non crederci più di tanto,
da come schivava senza contrattaccare minimamente.
“Ehilà,
Ojiro,” sogghignò Kaminari, l’elettricità statica che
già gli percorreva il corpo, “Ho chiesto a Midoriya
di affrontarti io, almeno per ora! Spero non ti dispiaccia, ma insomma...mi
dovevo ancora vendicare! Ho accettato le tue scuse, ma sei stato proprio
sgarbato quel giorno, e visto che ci sono...sai com’è!”
“Ma
dai...porti rancore, Kaminari?”
“No,”
rise l’altro, “Ma sai, l’occasione rende l’uomo ladro! Dopo amici come prima,
posso contarci Ojiro?”
“Ma
certo!”
Il
movimento di Kaminari fu velocissimo, Ojiro era così
concentrato su di lui e allo stesso tempo a guardare Midoriya
con la coda dell’occhio che non lo aveva neanche visto.
Shinsou
però sì.
Nel
momento esatto in cui la coda di Ojiro cozzò contro il volto di Kaminari, uno dei dispositivi che usava per controllare
l’elettricità si era andato a conficcare contro il muro dietro di loro.
Kaminari era stato
bravo, veloce, rapido e preciso. Era migliorato incredibilmente in quell’ambito
e se non fosse stato che Shinsou faticava a togliere gli occhi di dosso al
combattimenti di quei due non se ne sarebbe accorto neanche lui. Ad occhio,
l’obiettivo era colpire l’avversario ad altezza cosce e gambizzarlo, di modo
che per un po’ non fosse possibile che colpisse. O forse voleva prendere Ojiro
alla coda, che sapeva sensibile, e causargli un dolore tale da stordirlo il
tempo necessario per contrattaccare.
Se
gli avesse tolto la fascia al braccio, Ojiro sarebbe stato costretto dalle
regole del test a star fermo e Shinsou si sarebbe ritrovato da solo contro due.
Un
piano impeccabile visto la fretta con cui avevano dovuto crearlo e che
sicuramente era opera di Midoriya che, infatti,
continuava a ronzargli intorno per impedirgli di usare le bende. Per altro,
c’era la possibilità che Kaminari facesse un passo
falso, sempre disattento com’era, invece Midoriya
stava costantemente ben attento a non rispondere alla sue provocazioni.
Non
che fosse complicato, quel giorno.
Era
Shinsou quello ad essere troppo distratto, quella mattina. Era lui che
continuava a perdere di vista Midoriya per guardarsi
dietro, neanche Ojiro avesse effettivamente bisogno di qualcuno che gli
coprisse le spalle.
Eppure
quando era Ojiro a voltarsi verso di lui, Shinsou distoglieva lo sguardo.
Per
Midoriya fu anche troppo semplice colpirlo in più di
un’occasione e persino fargli volare via la maschera. Non era un grosso danno
per Shinsou, se erano così vicini tutti e quattro non avrebbe avuto comunque
senso usarla, il suo potere era nelle corde vocali e contro quelle non potevano
fare nulla, ma il fatto che ci fosse riuscito era testimonianza che Shinsou non
si stava affatto impegnando.
Ma
appena compreso la mossa di Kaminari, però, Midoriya notò subito la differenza. Certo, in confronto ai
suoi i movimenti quelli di Shinsou erano comunque più impacciati, ma adesso era
concentrato e determinato a toglierselo di torno almeno un po’.
Cercò
di colpirlo come riusciva, usando le bende per rallentargli i movimenti.
Sembrava
praticamente impossibile per lui fermare i movimenti di Midoriya,
però. Anche la seconda volta che si erano sfidati era finita allo stesso modo e
Midoriya sembrava solo che migliorato da allora. Come
tutti, poi.
Gli
tirò un pugno, usando l’altra mano per allungare le bende verso l’altro, ma Midoriya fu abbastanza lesto da farsi legare solo il polso
ben riuscendo ad avere comunque controllo nei movimento e colpire Shinsou in
pieno petto con un calcio.
Shinsou
però approfittò anche di quello, seppur ingenuamente.
Invece
di scattare verso Midoriya, appena recuperato
l’equilibrio tornò sui suoi passi, correndo verso il compagno di squadra che
stava invece fronteggiando Kaminari.
“Ojiro!”
lo chiamò. Ma l’altro non gli rispose.
O
lo stava ignorando, o non lo aveva sentito perché concentrato sull’altro.
“E
tu che ci fai qui?!”
“Non
gli parlare, Kaminari!” gli urlò dietro Midoriya.
Kaminari si morse
la lingua. “Giusto!” esclamò, poi sogghignò, “Beh, meglio per noi...” doveva
solo colpire un po’ più forte. Se avesse colto il momento giusto, con entrambi
in mezzo, li avrebbe messi k.o. con un colpo solo.
Era
perfetto.
Adesso
che riusciva ad usare più potere elettrico senza friggersi il cervello, due
avversari insieme erano niente per lui, anche se erano Ojiro e Shinsou. A dover
essere onesti, quando Midoriya gli aveva proposto di
affrontare lui Ojiro, Kaminari non aveva potuto che
pensare che non ci sarebbe stato tanto gusto. Il compagno stava male, non era
in forma smagliante e forse avrebbe anche dovuto ritrovarsi a fare attenzione
lui stesso.
E
invece no.
Nonostante
il malore in spogliatoio, Ojiro era deciso più che mai a darci dentro e dopo i
primi colpi Kaminari aveva dovuto convincersi che no,
niente sconti, altrimenti non ne sarebbe mai uscito.
“Hai
chiesto tu di mettercela tutta,” sogghignò Kaminari,
“Non si torna indietro!”
Ojiro
rispose con la stessa espressione, sicura e determinata, “Non chiedo altro!”
Shinsou,
di contro, digrignò i denti, “Non avevi detto che dovevamo impegnarci per
vincere?!” sbottò verso Ojiro, per riuscire a superare le chiacchiere degli
altri due e farsi sentire, “Non andare da quella parte!”
Ojiro
si voltò verso di lui appena di tre quarti, continuando a guardare Kaminari con la coda dell’occhio. “Cosa?”
“E’
una trappola!” esclamò Shinsou, ormai a portata di mano.
Quando
vide Kaminari mettersi nella posa che usava di norma
per lanciare le sue scariche elettriche, quel braccio lo allungò d’istinto.
Voleva
solo afferrare il polso di Ojiro e tirarlo verso di sé prima che Kaminari gli friggesse chissà quale parte del corpo.
Ma
non fece neanche in tempo.
Ojiro
sbiancò d’improvviso, colpendolo con la coda per toglierselo di torno. “Non mi
toccare!” gracchiò, gli occhi sgranati verso di lui. Lo sguardo folle bloccò
Shinsou come neanche Todoroki con il suo ghiaccio avrebbe potuto fare, e non
riuscì neanche ad avvertirlo di prestare attenzione.
Fu
tutto così veloce che persino Midoriya, in un primo
momento, fece fatica a capire cosa fosse realmente successo.
Ojiro
era indietreggiato con la rapidità di qualcuno che era stato spaventato a
morte, inciampando e cadendo all’indietro proprio nel momento in cui Kaminari lanciò il colpo.
Neanche
Kaminari stesso aveva fatto in tempo a capire che
doveva fermarsi.
E
ormai era troppo tardi.
“Attento!”
Non
era sua intenzione colpirlo in punti davvero pericolosi, e a dover essere
onesti, Kaminari aveva mirato per non colpirlo
neanche direttamente. Non sarebbe neanche servito, con quel voltaggio.
E
invece Ojiro si era piegato a terra, o era inciampato, non aveva capito. Era
stato tutto troppo veloce.
Nessuno
dei tre poté evitare che la scossa lo raggiungesse dritto in testa.
Ojiro
non ebbe neanche il tempo di emettere un suono.
Solo,
subito dopo essere stato colpito si accasciò a terra, immobile e privo di
sensi.
Shinsou
si accucciò accanto ad Ojiro nel giro di un istante, cercando di capire come
stesse. Allungò appena il braccio per sfiorargli il volto, visibilmente segnato
dalla forte scarica elettrica che gli aveva attraversato il corpo.
Ma
fermò la mano prima ancora di poterlo toccare.
Ojiro
era finito in mezzo alla scossa di Kaminari proprio
per evitare il suo tocco. Aveva fatto due passi indietro senza neanche guardare
cosa ci fosse, pur di non farsi neanche sfiorare da lui. E nell’agitazione, nel
panico, nella paura, era inciampato sui suoi stessi piedi.
Gli
aveva detto di impegnarsi al massimo, di non pensare ad altro che
all’allenamento, ma neanche lui ce l’aveva fatta.
Appena
Shinsou aveva fatto per allungare la mano verso di lui, Ojiro era come
impazzito.
“Ojiro...?”
lo chiamò a mezza bocca, quasi si aspettasse che gli rispondesse. Che aprisse
gli occhi e gli saltasse addosso per fargliela pagare di tutto quello che gli
aveva fatto, compreso in quel momento esatto.
Ma
Ojiro continuava a rimanere privo di sensi.
Midoriya e Kaminari erano ancora lì con loro, a pochi passi di
distanza.
Continuare
l’allenamento, in fondo, non serviva, se Ojiro era svenuto e Shinsou non si muoveva.
“Ma
che è successo...?” mormorò Midoriya, sotto shock.
Kaminari, poco più
avanti di lui, tremava, “Io...non era nella linea di tiro. Ero sicuro che non
lo fosse!” bofonchiò, le parole impastate nella bocca fin troppo secca. “Non
era un voltaggio mortale, però...Midoriya, tu eri
d’accordo! Avevo calcolato la mira, non doveva essere colpito alla testa!”
Midoriya, a quel
punto, si avvicinò subito al compagno e gli mise una mano sulla spalla, “Non è
stata colpa tua, Kaminari-kun. Nemmeno io ho capito
bene cos’è successo. E’ stato...velocissimo. Voglio dire, Ojiro ha fatto un
movimento strano all’improvviso e...”
E
niente. Quello che aveva intravisto era assurdo.
Shinsou
aveva solo fatto il gesto di sfiorarlo, il che non doveva essere strano,
giusto? Erano in squadra insieme, erano compagni di classe, stavano pure vicini
di banco. E poi, nemmeno Bakugou era così restio a farsi toccare.
Ojiro
poi non lo era mai stato, con nessuno.
Eppure, a quel solo movimento, Ojiro pareva aver perso la testa. L’aveva
scacciato, gli aveva urlato contro qualcosa che non era riuscito a comprendere
e poi si era allontanato, con uno scatto, senza tenere conto di loro due e
soprattutto di Kaminari.
Che
senza volerlo l’aveva preso in pieno con la sua scarica elettrica.
Ma
perché Ojiro non voleva che Shinsou lo toccasse fino a quel punto? Fosse stato Kacchan avrebbe capito, ma Ojiro?
Era
strano.
Anche
il tentennamento di Shinsou nel momento di avvertirlo lo era stato, strano.
Senza contare quel momento.
Teneva
il braccio teso verso di lui ma non gli toccava neanche un capello.
Ed entrambi erano stati male, in quei giorni.
Ingenuamente
aveva pensato ad un virus, ma iniziava a credere che avessero mentito. Non
stavano male fisicamente, non in principio.
Era
qualcosa nella loro testa.
Qualcosa si era spezzato, anche nel loro rapporto inesistente.
Ma
come? Cosa?
Per
un attimo fu colto da un brivido, Midoriya.
Ojiro
e Shinsou erano scattati solo davanti alle battute perverse di Mineta, e i segni sulle caviglie di Ojiro, il fatto che non
volesse farsi toccare, neanche da Kaminari, la
ritrosia di Shinsou anche solo ad alzare gli occhi su di lui.
Ma
non poteva essere. Shinsou...non era così.
Stava
vaneggiando troppo. Stava lavorando troppo di fantasia.
Non
era da lui pensare a qualcosa di così intimo e perverso.
“Shinsou
che cosa...che cosa hai fatto...?” soffiò senza riuscire ad impedirselo, lasciò
andare come in trance la spalla di Kaminari che, al
suono della voce di Aizawa che annunciava la fine
dell’allenamento e la vittoria del duo Midoriya-Kaminari,
raggiunse di corsa i due compagni.
Shinsou
si alzò, allontanandosi di due passi.
Aizawa, che era
arrivato a controllare i danni, gli scoccò un’occhiata feroce. Ma durò un
attimo, poi si concentrò su Ojiro, ancora a terra.
“Io
giuro che non volevo! Non avrei usato una scossa così forte se avessi
immaginato...ma non dovrei avergli fatto così male!”
Jirou fu la
prima a raggiungere Kaminari. Gli si avvicinò e gli
prese entrambe le mani fra le sue, tirandolo verso l’alto per farlo alzare in
piedi ed allontanare, lasciando che i robottini
chiamati da Aizawa portassero Ojiro in infermeria.
“Hey, Pikachu!” esclamò, cercando
di mantenersi più lieve possibile. Kaminari era
preoccupatissimo e non riuscì a non farle tenerezza. Se non ci fossero stati
tutti quegli occhi a guardarli, l’avrebbe subito abbracciato per cercare di
tranquillizzarlo. “Non hai sbagliato tu! Poi ci facciamo sempre male fra di
noi, in un modo o nell’altro, durante questi allenamenti. Non lo hai mica
ucciso. Recovery Girl lo rimetterà in sesto, vedrai!”
“Jirou ha ragione, Kami,” fece
anche Kirishima, comprensivo, “Anche a me dispiace
quando vi faccio male, però capita. Siamo eroi, no? Dobbiamo essere pronti a
tutto.”
“Sì
ma...stava già male ed è venuto giù come un palloncino esploso...”
“E’
stato lui a volersi allenare per forza,” continuò impettita Jirou,
“Tu hai fatto un ottimo lavoro. Vieni, andiamo a prenderci qualcosa di caldo da
bere, mentre aspettiamo di sapere come sta.”
Kaminari annuì appena,
stringendo più forte ancora le mani che Jirou ancora
gli teneva. Non se ne era neanche accorto, ma ci si aggrappò subito con forza.
Normalmente
non avrebbe reagito così, ma forse era stato l’insieme di quanto successo, o
forse perché si sentiva come se avesse colpito troppo forte qualcuno che non
era del tutto in grado di difendersi, anche se era stato Ojiro prima a tirargli
una –più di una in realtà- codata
niente male.
Ma
nel momento in cui l’aveva visto litigare con Shinsou gli era sembrato un pulcino
spaurito, più che un aspirante eroe.
Solo
che ormai era tardi.
“Shinsou?”
“C’è
Midoriya con lui.”
Kaminari si voltò
appena a controllare.
Sì,
c’era Midoriya con lui, ma non sembrava lo stesse
consolando. E c’era anche Bakugou.
Strano.
Tutto
sempre più strano.
“Alla
fine avevo ragione: uno così può essere solo un Villan.”
“Kacchan!”
“Cosa,
Deku? Lo hai visto, no? Lo abbiamo visto tutti,
Strizzacervelli. Mi fai schifo. Ringrazia che non me ne frega un cazzo,
altrimenti ti farei cacciare all’istante. Uno così non la merita, questa
scuola.”
“Sei
esagerato, Kacchan. Non sappiamo davvero come sono
andate le cose...”
“No...ha
ragione,” soffiò Shinsou. La sofferenza incisa nei lineamenti, e gli occhi
lucidi di lacrime, “Dovresti dirlo ai docenti, Bakugou. Dovresti...”
“Diglielo
tu. Abbi le palle almeno di questo. Non capisco solo una cosa; come ha fatto il
ragazzo scimmia a finirti sotto?”
Midoriya saltò su
immediatamente, preoccupato e scosso, “Adesso basta davvero, Kacchan. Noi non...”
“Lo
hai fregato, eh? Infame il doppio, dunque. Dai segni che aveva, lo hai prima
rincoglionito e poi legato per bene, così non si poteva muovere. Perché anche
se è stupido, lo scimmione è più forte di te.”
Stavolta
fu Shinsou a saltargli addosso. Gli occhi per un attimo di nuovo incendiati.
“Ojiro
non è affatto stupido!”
Bakugou
lo guardò per un istante appena, in silenzio, ricordando di quella sera.
Stava
tornando nella sua stanza per dormire quando aveva incrociato Shinsou rientrare
a sua volta, ed era rimasto perplesso dalla tremarella che aveva. Così forte
che dovette provare due o tre volte ad infilare la chiave nella serratura della
stanza prima di riuscire ad aprire. Quando si era accorto di lui, gli occhi
violacei avevano fugato il suo sguardo e Shinsou era poi sparito nella stanza
con un tonfo.
Ovviamente,
Bakugou si era accostato alla porta. Non che si aspettasse di sentire chissà
che cosa. Non fosse, però, che Shinsou doveva essere rimasto accostato alla
porta, forse accasciato a terra, perché sentiva chiaramente il suo bisbiglio.
Su
quanto fosse stato stupido, su che cazzata avesse fatto.
Quale
cazzata? Se lo era appena chiesto, poi aveva scrollato le spalle. Non erano
cazzi suoi ed aveva sonno.
Ma
il giorno dopo, inevitabilmente, la reazione di Ojiro gli aveva fatto saltare
tutti i campanelli in testa.
Non
era difficile capire, a quel punto.
E
ora questo.
“Oh.
Dunque sei pentito. Troppo tardi, Strizzacervelli. Temo che il danno sia già troppo
grosso per essere risolto. E toglimi le mani di dosso o te le faccio
esplodere.”
Shinsou
stava di nuovo per dire qualcosa, quando Midoriya lo
afferrò per i polsi e lo costrinse a lasciarlo, frapponendosi fra i due.
“Adesso
basta. Se Ojiro non ha detto nulla, forse siamo giunti a conclusioni troppo
affrettate. Shinsou tu...tu non sei cattivo. Io...non ci credo che hai fatto
una cosa simile...”
Shinsou
lo scostò con sgarbo, ma rimase fermo, gli occhi bassi piantati verso il
pavimento.
Avrebbe
voluto, ma sarebbe stata una bugia. Certo, non era arrivato fino in fondo come
pensavano quei due, come avrebbe pensato chiunque, ma contava davvero?
In
fondo, lo aveva fatto.
“Dimmi
di no, ti prego...”
Ancora,
Shinsou non rispose.
Alla
fine, fu Bakugou il primo ad allontanarsi, infastidito anche solo dalla
presenza dell’altro, anche solo dal fatto che respirasse la sua stessa aria.
Ojiro
non aveva detto niente a nessuno, e lui non era neanche suo amico, quindi non
erano fatti suoi e di certo non gliene importava nulla. Anche perché non aveva
prove e non era certo che le cose fossero davvero andate così.
Che fosse uno stupro in piena regola, per essere schietti.
Ma
se già prima Shinsou gli stava antipatico, adesso faticava anche solo a
guardarlo senza farlo esplodere.
Angolino Autrice:
Io i capitoli d’azine NON LI SO SCRIVERE.
Uffa. Perdonatemi, se potete ^^’’ Spero si capisca comunque quello che stava
succedendo, insomma!
Ad ogni modo, potrei aver preso un po’ di licenza sul dispositivo di Kaminari, ma giusto un po’. Il funzionamento di base
dovrebbe essere quello.
Detto questo, vado.
Il prossimo capitolo sarà un po’
più corto ma poi arriva la bomba –per fortuna la
storia è già pronta sennò co tutti sti turni in ospedale ci rivedevamo l’anno del mai x°°°D-,
abbiate sempre fiducia-
Un bacione, e state a casa a
leggere, da bravi! Asu
Era
stato un trauma per tutti quanti scoprire, un’ora scarsa dopo l’incidente, che
Ojiro non era più in infermeria, ma che era stato trasportato per accertamenti
medici direttamente in ospedale insieme a Recovery
Girl. Kaminari e Shinsou erano quelli che l’avevano
presa peggio.
Kaminari si era
coperto il volto con le mani, quasi tremando. Jirou e
Aizawa erano stati i primi ad avvicinarsi per cercare
di calmarlo e di fargli capire che non era successo nulla di grave. Era solo
una precauzione, ma probabilmente non correva alcun rischio. Anzi, quasi
sicuramente.
“Quindi
non stare così in pensiero,” concluse Aizawa, che
pure se non gli aveva nemmeno dato una pacca sulla spalla pareva sinceramente
preoccupato, forse anche per Ojiro che adesso era in ospedale.
Era
Jirou che invece gli stava massaggiando pian piano la
schiena, ma nessuno ci stava facendo caso. Persino Mina era troppo impegnata a
cercare di tirar su il morale dell’amico per mettersi a far battute su quanto
quei due sembrassero stranamente vicini, in quei giorni.
E
Tooru, che solitamente spettegolava volentieri
insieme ad Ashido, era troppo sconvolta a sua volta
per mettersi a parlare di frivolezze.
“Ma
siamo sicuri che starà bene?” mormorò infatti, tenendosi vicina a Uraraka che le circondò le spalle invisibili coperte dalla
camicetta della divisa.
Aizawa sospirò,
“Lo sapremo fra un paio di giorni. Ma non c’è bisogno di fare così, non è in
pericolo,” li guardò uno ad uno, ormai in gruppetti scomposti in classe e con
una pessima cera, poi si massaggiò il naso, “Ragazzi, tornatevene al
dormitorio. Fate quello che vi pare, per oggi la lezione finisce qui.”
“Ma,
professore, posso?”
“Dimmi,
Midoriya.”
“Possiamo
andare a trovare Ojiro in ospedale? Domani è sabato e possiamo lasciare
l’istituto per il weekend col suo permesso.”
“Non
posso impedirvelo,” afferma Aizawa, “Ma non credo
otterreste nulla.”
“Grazie
professore!” esclamò anche Iida. Lui e Midoriya sicuramente sarebbero andati a trovare l’amico, ne
avevano appena discusso. E forse era il caso di portarsi dietro anche Kaminari.
Forse
così si sarebbe tranquillizzato meglio.
Sembrava
davvero distrutto per averlo colpito in quel modo, pur senza farlo di
proposito. Midoriya non lo invidiava affatto.
Anche
se dovette ammettere che quello che sembrava messo peggio era Shinsou, che
aveva finito per isolarsi dal resto della classe, in disparte.
E
lo lasciarono lì anche mentre uscivano, anche se Midiriya
ebbe per un attimo la tentazione di andare da lui.
“Lascialo
stare,” sbottò Bakugou invece, fermandolo, “Lascialo nel suo brodo. E’ quello
che si merita.”
“Ma,
Kacchan...”
“Devi
imparare a stare al tuo posto a volte, Deku. Lo vuoi
capire o no? Quello che ha fatto Shinsou meriterebbe molto peggio
dell’isolamento.”
“Sì,
ma...non ne siamo sicuri...”
“Vuoi
chiedere allo scimmione? Negherebbe. E’ troppo orgoglioso. Oh, ma tu volevi
andare in ospedale proprio per chiederglielo, vero, Deku?”
Midoriya indurì lo
sguardo, “Nient’affatto. Sono solo preoccupato per un mio amico.”
“E
chi è che ha fatto del male al tuo amico, merdina?”
“Sono
sicuro che c’è una spiegazione!”
“Ah
sì? Beh, buona fortuna nel trovarla!”
“Che
cos’ha fatto Shinsou?”
Midoriya sobbalzò
quando anche Todoroki si avvicinò a loro due. Bakugou, invece, alzò gli occhi
al cielo, “Eccolo l’altro...”
“Avevo
già capito che era successo qualcosa fra quei due perché erano gli unici ad
essere così strani ma non riuscivo a capire...perché ne state discutendo? Se
fosse qualcosa di personale non lo faresti, Midoriya.
Quindi devo pensare che sia grave?”
“Ma
no, Todoroki-kun. Noi...non sappiamo niente.
Solo...abbiamo solo dubbi.”
“Dubbi,
Deku? Certo. Ma mi sembra abbastanza scontato cosa
sia.”
Todoroki
assottigliò gli occhi, “Scontato, Bakugou? Di che parli?”
“Spremiti
le meningi, metà e metà. Sono sicuro che ci puoi arrivare anche tu col tuo
cervellino,” affermò, prima di allontanarsi da solo. Si limitò solo a lanciare
a Deku uno sguardo quasi d’avvertimento a cui
comunque il più piccolo rispose con fermezza.
“Se
Shinsou ha fatto...”
“Noi
non sappiamo davvero che cosa ha fatto Shinsou, Todoroki-kun.
Lo sa solo Ojiro. E io non voglio sparlare di un mio amico senza avere delle
prove contro di lui.”
Todoroki
sospirò, “Sì. Ma se sospettiamo una violenza perpetrata fra le mura della
scuola, Aizawa dovrebbe saperlo.”
“Allora
avevi capito anche tu...”
“Sì,
perché...” Todoroki abbassò appena gli occhi, come se all’improvviso non si
sentisse del tutto sicuro di quello che stava dicendo, “Mia madre si comportava
come Ojiro nei confronti di mio padre, a volte. Ma immagino anche che tu abbia
ragione. Sta a Ojiro, perché noi non abbiamo prove...e non è giusto giudicare
un amico.”
Midoriya gli
rispose con un sorriso, “Sì. Sono certo che non sia così grave. Che c’è una
spiegazione, anche se non sembra. Domani io volevo andare a parlargli. Credi
che dovrei evitare, Todoroki-kun?”
“No.
Credo sia la cosa migliore da fare invece,” abbozzò un sorriso.
Midoriya annuì,
lanciò appena un’occhiata a Shinsou che era rimasto da solo in classe e poi
uscì insieme agli altri.
Una
volta soli, fu Aizawa ad avvicinarsi al ragazzino,
seduto ancora al suo banco, gli occhi bassi persi nel vuoto, i capelli più
scarmigliati del solito.
Teneva
la mano che aveva allungato verso Ojiro aperta e poggiata sul ginocchio, e la
fissava senza muoverla. Senza muoversi.
“Shinsou...dovrei
dirti di non preoccuparti, ma ho la sensazione che tu debba dirmi qualcosa che
non mi piacerà,” sentenziò, le braccia incrociate.
Shinsou
rimase immobile, ma iniziò a mordersi il labbro inferiore con forza.
Aizawa era
arrabbiato. Furioso. Forse aveva finalmente capito e aspettava solamente la sua
confessione.
Era
il momento giusto per farla. Adesso. Proprio in quel momento.
Doveva
dirglielo, accettare la situazione e sparire dalla vita di Ojiro prima che
tornasse a scuola lunedì.
Così
al suo ritorno non avrebbe avuto più né problemi né sofferenza.
“I-io...io...”
Aizawa sospirò,
“Me lo dirai lunedì. Quando anche Ojiro potrà dare la sua versione. Pensaci
bene, Shinsou. Non farmene pentire.”
Shinsou
strinse le labbra, a quelle parole. Nette, ferme, forti.
Si
era fidato di lui, Aizawa, della sua determinazione e
delle sue capacità. Lo avrebbe deluso. Lo sapeva già.
Aveva
sbagliato ogni cosa.
--
La notte
era scura come la pece. Aveva la sensazione che anche accendendo la luce non
riuscisse a vedere nulla.
Il rumore
era angosciante. Lo sentiva avvolgerlo come l’oscurità che aveva intorno.
Non
riusciva a capire dove fosse ormai.
E dove
fossero gli altri.
Era solo?
Aveva
paura.
“Mamma?
Papà?”
Poi un
altro botto. Suo forse? Qualcosa era caduto.
Lui.
Non da
solo.
Non aveva
fatto male, però.
Non il
buio, non la caduta.
Gli occhi
neri che la guardavano sì, però. Quelli facevano male davvero.
E facevano
paura.
“Mamma?
Mamma mi fai male!”
Ma non
cambiava niente.
Le mani
stringevano ancora.
E gli
occhi lo guardavano.
Facendolo precipitare
ancora di più nel buio.
Aprì
gli occhi di scatto, fissando il soffitto bianco della sua camera d’ospedale.
Non
aveva urlato, ma nell’alzarsi così di colpo aveva fatto cadere qualcosa,
probabilmente, perché sua zia Emma corse immediatamente da lui.
Era
strano che non fosse al locale ad occuparsi dei suoi clienti ma fosse lì con
lui. Quando l’avevano portato lì per dei controlli doveva averla fatta
preoccupare molto. Gli dispiaceva.
Secondo
lui non era necessario, si sentiva già meglio per quel che riguardava
l’incidente avuto durante l’allenamento.
A
farlo stare male non era quello.
Era
tutto il resto.
E
quei sogni che si facevano sempre più vividi, dolorosi.
Erano ricordi confusi, perché lui all’epoca era troppo piccolo per ricordare
bene. Per anni li aveva avuti ogni giorno, ogni notte.
Poi
erano passati.
Con
lo sbiadire dei ricordi, crescendo, erano spariti.
A
volte aveva incubi di cui non capiva bene le dinamiche. Ma non erano così.
Non
facevano così...male.
Il
petto si faceva pesante, il cuore batteva all’impazzata.
Non
voleva ricordare quella notte. Non voleva.
Se
solo Shinsou lo avesse lasciato in pace, forse avrebbe potuto riuscire a
tornare nella sua tranquillità.
Ma
non lo faceva mai. Non lo lasciava in pace, il fato era contro di lui.
E
se non era realmente Shinsou, erano i suoi occhi che lo fissavano ogni volta
che era lui a chiuderli.
Forse
il problema non era Shinsou, tutto sommato.
Era
lui. Era sempre stato lui, anche quel giorno.
“Stai
bene, tesoro?”
Alzò
gli occhi verso sua zia Emma e sorrise, annuendo appena. “Sto bene, zia.
Tranquilla.”
Povera
Emma, la faceva sempre penare. Aveva perso anche lei un parente, quando i suoi
genitori erano morti, ma non aveva potuto piangerli affatto, troppo impegnata
ad occuparsi di un nipote troppo piccolo per cavarsela da solo. Come se anche
lei, per altro, non avesse avuto a sua volta una figlia a cui badare.
Quando
le aveva detto che voleva iscriversi alla Yuuei quasi
si era sentita male all’idea di tutti i pericoli che avrebbe potuto correre, e
adesso per la prima volta c’era davvero finito, in ospedale.
Le
aveva detto di non venire, che era questione di un giorno o due e stava benone,
ma Emma non aveva voluto saperne.
“Ne
sei sicuro?”
“Zia,
sto bene. Anche prima stavo bene, ho solo un leggero mal di testa.”
“Vuoi
che chiami qualcuno?”
“No,
zia. Non serve. Sta tranquilla.”
In
realtà era abbastanza certo che quel perenne martellare che aveva da quando si
era svegliato non fosse affatto causato dalla scossa di Kaminari,
ma da tutto il resto. Il nervosismo, il panico seguito all’incubo che l’aveva
svegliato.
Era
stanco. Il problema era quello.
Era
davvero stanco. Altrimenti non si spiegavano gli incubi ad occhi aperti, oltre
al resto.
Forse
era per questo che Recovery, anche dopo averlo
curato, aveva avuto paura di chissà quali tipi di danni e l’aveva portato in
ospedale per degli accertamenti.
Ma
non era quello. Né l’attacco di panico che aveva avuto negli spogliatoi prima
della prova, né la mancanza di sonno o il poco appetito.
Non
singolarmente almeno.
Era
tutto un’insieme di cose.
Doveva
trovare una soluzione a tutto quello, o non ne sarebbe mai uscito.
Sarebbe
diventato pazzo.
“D’accordo
amore. Senti, sono venuti a trovarti dei tuoi amici, oggi. Li faccio entrare, o
vuoi riposare?”
Ojiro
scosse il capo, “Certo che puoi. Sto bene, te l’ho detto.”
La
donna annuì, lasciò la stanza e poco dopo, al posto suo, entrarono Midoriya e Shoji. Aveva intuito
che uno dovesse essere Shoji, era il suo migliore
amico, il primo ad aver capito che non stava bene, e l’unico con cui aveva
avuto la forte tentazione di confidarsi, anche se poi non l’aveva fatto.
Non
per sé stesso, per orgoglio. Non con Shoji, non aveva
mai peccato d’orgoglio con lui. Forse l’unico che non aveva conosciuto
direttamente questo suo piccolo –enorme- difetto.
Non
l’aveva fatto perché una parte di sé gli diceva –urlava-
che non poteva, non doveva. Cosa ne sarebbe stato di Shinsou? Dove sarebbe
finito?
Una
parte che era senz’altro più forte dell’altra, di quella che voleva punirlo.
Ma
non poteva.
Quegli
occhi viola, quegli occhi...tristi. Non erano gli occhi di qualcuno che
meritava di vedersi la vita rovinata, il sogno infranto.
Era
diviso a metà.
E così non faceva nulla.
Chiuse
un attimo gli occhi, scrollò il capo. Riprenditi!
“Ciao,
ragazzi.”
“Ojiro-kun, come stai?”
“Bene,
sto bene. Non so neanche perché sono ancora qui, ad onor del vero. Mi dispiace
per la sfida, Midoriya.”
Midoriya gli
sorrise, “Ma tranquillo, figurati. Voglio dire, capita. Più che altro mi spiace
per te e Shinsou. Non...bhe, non avete superato la
prova.”
“Immaginavo,”
scrollò le spalle Ojiro, “Non importa. E’ stata colpa mia.”
“Sono
cose che succedono,” affermò Shoji, avvicinandosi a
lui e poggiandogli un cesto di frutta sul comodino, “A nome della classe.”
“Grazie,”
fece Ojiro, “Kaminari come sta? Cioè, non è che se l’è
presa?”
“E’
molto preoccupato. Gli dispiace di averti fatto male.”
“Non
è stata colpa sua. Magari più tardi lo chiamo.”
“E’
una buona idea,” annuì Midoriya.
Poi
rimasero in silenzio.
Volevano
tutti e tre la stessa cosa.
Midoriya pareva
aver intuito qualcosa, e forse anche Shoji perché era
molto sveglio, e lo conosceva meglio di chiunque altro in quella classe.
E
Ojiro, invece, che sperava se ne andassero, o comunque cambiassero discorso.
Lì, subito.
Invece
nulla. Ancora silenzio.
“Ieri...avete
continuato le lezioni, poi?” si azzardò a chiedere Ojiro, tentennante.
Fu
Shoji che rispose, ma lo fece con un tono strano.
Come se volesse...dirgli qualcosa. Ma non riuscì a capire cosa.
“No.
Aizawa le ha sospese. Non eravamo dell’umore e tanto
mancavano due ore.”
“Ma...non
è la prima volta che qualcuno si fa male durante un allenamento.”
“Non
è quello, Ojiro. Lo sai, che non è quello.”
Ojiro
abbassò gli occhi. Oh, sì che lo sapeva.
Aizawa, poi, non
era certo stupido. Se anche Midoriya–pareva- sospettava qualcosa, figurarsi lui. Ancor più,
poi, se si pensava che Shinsou era il suo “pupillo”.
Ma
forse proprio per questo, era meglio se si facesse i fatti suoi.
“No,
in realtà,” mentì, rialzando gli occhi sull’amico, “Non lo so.”
“Noi...abbiamo
tutti avuto la sensazione che...insomma, che fra te e Shinsou...”
Ojiro
voltò gli occhi verso Midoriya, adesso, “Tra me e
Shinsou niente. Nemmeno ci parliamo. A malapena ci salutiamo. Non gli ho mai
parlato.”
“No,
è vero. Eppure, negli ultimi giorni...”
“Negli
ultimi giorni non stavo bene. Ragazzi, lo sapete. Anche prima dell’allenamento
non ero in forma. E’ stata colpa mia, avrei dovuto dirlo ad Aizawa
come mi avevate consigliato.”
“Ojiro...”
“Scusate,
ragazzi. Siete stati gentili a venire, ma adesso vorrei dormire un po’. Ho la
testa che mi scoppia.”
Midoriya stirò le
labbra, a quella frase. Era ovvio fosse una bugia, “Ojiro-kun,
in verità io volevo chiederti una cosa. Su...una frase che ha detto Shinsou
dopo che sei svenuto.”
“Midoriya,” la voce di Ojiro era particolarmente piatta, ma
ferma, “Ti posso assicurare che non ho niente da dire su niente di quello che
potrebbe aver detto Shinsou.”
“Però...”
“Nessun
però. Ve lo chiedo per favore.”
Midoriya, a quel
punto, poté solo annuire, “Okay. Sono felice che tu stia meglio. Ci vediamo
lunedì, Ojiro-kun.”
Ojiro
gli fece solo un cenno col capo, poi si voltò verso Shoji
che, invece, era ancora lì. Fermo, a fissarlo.
Serio.
Ojiro
deglutì.
“Tu
lo sai, vero, che ce l’hai scritto in faccia che hai qualcosa che non va?” gli
chiese, apprensivo.
Ojiro
si ritrovò a sorridere, “Immagino di sì. Ma, sai, non per forza deve essere
qualcosa di importante o da far sapere...a un professore. Sono solo un po’
stressato, Shoji.”
“Per
Shinsou?”
“Non
proprio. Indirettamente,” mentì, “E’ che sto avendo un po’ di problemi a
dormire, non mi piaceva averlo intorno prima e non mi piace neanche adesso.”
“Dovresti
superarla, questa cosa del suo potere. Lo sai che un quirk
non fa una persona. Io sarei un mostro, altrimenti.”
“Tu
sei una persona bellissima, Shoji,” sorrise Ojiro,
rivolgendogli un’espressione grata. “Mi passerà, come dopo il festival
sportivo. Mi serve un po’.”
“D’accordo,”
annuì Shoji, “Però, sai, ti stai comportando in modo
strano con lui. Sembra...sospetto.”
Ojiro
sospirò. Già, immaginava fosse così, altrimenti figurarsi se un anima candida
come Midoriya avrebbe potuto anche solo pensare di
sfuggita qualcosa di anche solo lontanamente simile a quello che era realmente
successo.
Ma
poi, in fondo, non era successo granché.
Un
bacio che non ricordava. Carezze non volute, uno spogliarello non richiesto.
Non
era andato oltre e i suoi occhi...quei dannati occhi, che lo tormentavano la
notte, si erano scusati abbastanza anche se Shinsou non l’aveva fatto a voce.
Quegli
occhi...neri, e viola.
Ma
gli dicevano tutti e due la stessa cosa.
Che
lui non era certo di voler ascoltare.
Mi
dispiace.
“Mi
sforzerò di riprendermi in fretta.”
“Va
bene, amico. Allora, ci vediamo in classe lunedì.”
Angolino Autrice:
Alla fine ho unito un pezzettino
dell’altro cap perché era insulso, questo, senza il
discorso finale. Shoji dovevo metterlo. DOVEVO. Lo
adoro, adoratelo con me!
Oibò, ci siamo.
Col prossimo cap siamo a più di metà e arriva la
parte clow. Bluebb ha già
capito x°D
Un bacione, Asu
Ojiro
tornò in classe il lunedì dopo, come previsto, apparentemente senza niente che
non andasse a parte lo sguardo spento e stanco.
Midoriya cercò gli
occhi di Todoroki prima e Bakugou poi. Voleva ancora parlare con Ojiro, su
quella storia, visto che in ospedale non aveva ottenuto nulla, ma vederlo così
non faceva altro che preoccuparlo ancora di più. E la faccia di Shinsou,
cinerea, non li aiutava a farsi idee diverse da quelle che avevano già.
“Ojiro-kun,” mormorò Midoriya,
avvicinandosi con un piccolo sorriso, “Bentornato.”
“Grazie,”
rispose lui, cercando invano di abbozzare un piccolo sorriso, “Mi spiace per avervi
fatto preoccupare. Chiedo di nuovo scusa anche a te, Kaminari,”
fece, girandosi verso il compagno, “E’ stata colpa mia, sono inciampato come un
idiota.”
“Sei...sicuro
di essere inciampato?”
“Certo.
Mi sono distratto alle parole di Shinsou e sono inciampato,” confermò.
Era
ridicolo, perché era stato ovvio a tutti quello che era successo, e Kaminari poi l’aveva sentito chiaramente, anche se non ne
aveva mai fatto parola.
Ma
Ojiro aveva urlato, si era ritratto, scappato. E scappata da Shinsou.
Eppure
mentiva spudoratamente, adesso.
“Avevi
mica...cioè, tipo, che ne so...litigato con lui? Con Shinsou dico,” azzardò Kirishima, affacciandosi dal suo banco, “Sai per...quello
che è successo.”
Ojiro
tacque, inizialmente, poi si limitò a scuotere il capo, “Niente che c’entrasse
con la prova. Lì ho inciampato, e basta. Mi spiace di aver creato confusione,
davvero. Chiedo scusa a tutti.”
“Ma
non devi scusarti!” esclamò subito Hagakure, “Noi
siamo solo contenti che tu stia bene adesso!”
“Sì,”
annuì Ojiro, “Sto bene.”
“Ci
fa piacere,” affermò subito anche Iida, “Ma adesso
andiamo tutti ai nostri posti. Aizawa-sensei sta per
arrivare!”
Aizawa, infatti,
entrò in classe un istante dopo le parole di Iida,
costringendo tutti quanti a mettersi a sedere.
Ojiro
ne approfittò subito per abbassare gli occhi sul quaderno, con tutto l’intento
di non alzarli più.
I
suoi compagni non erano stupidi, e si erano sicuramente fatti idee sbagliate
sul suo rapporto travagliato con Shinsou, per colpa della sua reazione durante
la prova.
Se
solo fosse riuscito a trattenersi...
Ma
non i se non si andava da nessuna parte. Ormai era successo, e loro chissà cosa
pensavano adesso. Aveva la sensazione che non fosse niente di bello –che potesse essere persino peggiore di quello che era in
realtà realmente successo- e che riguardava soprattutto Shinsou, che
involontariamente stava contribuendo a rovinare.
O
meglio, Shinsou si era rovinato con le sue mani quando era entrato nella sua
stanza quel giorno. E allora perché? Perché diavolo non riusciva a fregarsene e
basta?
Perché
si preoccupava di quello che i suoi compagni –e soprattutto
quelli che erano vicini alla verità- pensavano?
Non
avrebbe dovuto importargli niente, in effetti. Eppure non era così.
Non
riusciva proprio a fare a meno di cercare di sdrammatizzare per fare in modo
che non pensassero che Shinsou fosse...beh, qualsiasi cosa potessero pensare di
negativo. Ancora di più non voleva che facessero qualcosa con chissà quali
buone intenzioni.
Era
meglio che si facessero i fatti loro.
“Shinsou,
Ojiro,” al richiamo di Aizawa entrambi alzarono il
capo di scatto.
Shinsou
stava già sudando freddo, si notava chiaramente.
“Dopo
in sala insegnanti, tutti e due.”
“Sì,
professore...”
Si
recarono insieme nell’ufficio di Aizawa alla fine
delle lezioni del pomeriggio, proprio come aveva chiesto il docente.
Li
stava chiaramente aspettando, perché non attese un solo attimo prima di
iniziare a parlare.
“Immagino
che sappiate perché siete qui. Innanzitutto come stai, Ojiro?”
“Bene.”
Aizawa annuì,
“Mi fa piacere. Meno mi piace invece quello che è successo alla prova,” Aizawa sospirò, incrociando le braccia, “Ormai è chiaro che
fra di voi sia successo qualcosa, e normalmente non mi importerebbe. Ma la cosa
si sta spingendo oltre intaccando anche la vostra carriera scolastica. Accetto
che possiate essere distratti a lezione, ma quello che è successo durante la
prova è inammissibile. E voglio sapere perché hai reagito così, Ojiro.”
Ojiro
per un attimo abbassò il capo, poi tornò a guardarlo, “Per nessun motivo,
professore. Sono solo...-”
“Inciampato,
sì, conosco la versione che hai dato agli altri,” lo stoppò subito il docente,
“Ma non credere di prendermi in giro, ragazzo. Ti sei agitato quando Shinsou ti
si è avvicinato. Hai rifiutato di farti toccare. Stai male da giorni, e non è
un’influenza intestinale. Inoltre, Shinsou, sei un pessimo attore. Hai la
faccia di qualcuno che sta nascondendo qualcosa che proprio non avrebbe dovuto
fare,” si alzò, avvicinandosi a Shinsou e sovrastandolo con i suoi dieci
centimetri di differenza, “Io voglio pensare di star sbagliando, Shinsou. Mi
sono fidato di te e ho investito su di te. Ma tutto quello che ho visto in
questa settimana mi porta a pensare solo ad una cosa. Ed è una cosa che ti
porterà a ben più che solo l’espulsione.”
“Io....”
“Ojiro,”
lui sobbalzò, a quel tono perentorio, perché tutto si aspettavo tranne che Aizawa adesso si rivolgesse a lui. “Che cosa ti ha fatto
Shinsou?”
Ojiro
sgranò gli occhi, che saettarono d’istinto su Shinsou.
Shinsou
che se ne stava immobile, tremante, con gli occhi sgranati puntati verso il
pavimento.
Che
doveva dire, adesso? Aizawa aveva capito tutto. Anzi,
di sicuro immaginava ben peggio di quello che era realmente successo, come
tutti.
Perché
Shinsou non lo aveva fatto sul serio, quello che sembrava avesse fatto. Si era
fermato prima.
Si
era...fermato.
Quindi cos’era giusto fare?
Che
cosa doveva fare? Che cosa doveva dire?
Punire
una persona che si stava già punendo da sé e che a conti fatti non...non aveva
fatto niente. O fare silenzio e lasciar passare qualcosa che però poteva
diventare molto peggio, e che andrebbe per lo meno sanzionato.
Ma
quella era una scuola di eroi, piena di eroi.
Non
sarebbe stata una strigliata, sarebbe stata...sarebbe...
“Glielo
posso dire io, Aizawa-sensei,” la voce di Shinsou
risuonò più ferma di quanto lo fossero le sue mani, che subito nascose in
tasca.
Ojiro
smise di respirare, trattenne il fiato e non riuscì a spostare gli occhi dal
pavimento per guardarlo.
“Glielo
dico io cosa ho fatto. E mi dispiace, mi creda, anche se so che non dovrei
nemmeno sperarci. Ma mi dispiace di averla delusa. E mi assumo totalmente la
responsabilità.”
Aizawa
assottigliò gli occhi, “Per cosa? Che cosa hai fatto?”
Shinsou
prese un enorme respiro, ma quando aprì bocca per iniziare a raccontare la voce di Ojiro lo anticipò, lasciandolo di
sasso.
“Era
uno scherzo,” si affrettò a dire Mashirao, perentorio. La voce tremava come le
mani che reggevano la coda, forse per avere qualcosa da fare, forse per
nascondere il tremito. “Mi ha fatto uno scherzo, e ho reagito male. Voleva
vendicarsi della mia accoglienza al suo arrivo in classe e mi ha fatto uno
scherzo.”
“Che
scherzo?” gli occhi di Aizawa saettavano ancora dall’uno
all’altro. Erano tutti e due bravi a trovare scuse credibili ma così, con quei
comportamenti involontari del corpo che a lui non potevano sfuggire, era
impossibile che riuscissero ad ingannarlo.
“Mi
ha fatto il brainwash e mi ha spinto a fare una cosa
imbarazzante di cui preferirei non parlare,” rispose Ojiro, pronto. Speranzoso
che non gli chiedesse cosa fosse di preciso, cercò di assumere l’aria più
sicura e perentoria che riuscì a trovare. “E io l’ho presa sul personale. Per
questo non volevo mi toccasse. Ero furioso e non volevo avere niente a che fare
con lui, quindi ho agito nella maniera più sbagliata possibile. Chiedo perdono
per aver creato tanti danni e problemi. Farò in modo che non succeda più.”
Aizawa lo fissò
a lungo, ma non poteva costringerlo a parlare e quello che diceva aveva senso,
purtroppo. E senza prove, ma solo sospetti verso due ragazzi che comunque non
erano mai andati d’accordo, non poteva fare niente.
Quindi,
fare un passo indietro. Neanche metterlo sotto pressione aveva funzionato.
“Sarà
meglio. Potevi farti molto più male. O finire molto peggio. Tu, Shinsou, mi
confermi la sua versione?”
“I-io...” Shinsou deglutì, “Sì.”
Perché?
Perché l’aveva fatto?
Shinsou
abbassò di nuovo il capo, “Sì, ma è stata colpa mia per quello...scherzo. Di
cattivo gusto. Chiedo scusa.”
Aizawa chiuse
gli occhi. Cosa doveva fare con quei ragazzi?
Quella
situazione era assurda e il suo istinto gli diceva –urlava-
di non fidarsi.
Ma
non aveva alternativa.
“Molto
bene allora. E bada, Ojiro...la prossima volta non lascerò passare un simile errore.
Adesso andate. E non costringetemi a richiamarvi di nuovo.”
“Sì.
Grazie, professore.”
Ojiro
uscì per primo dall’ufficio, a passo frettoloso e spedito.
Stava
scappando.
Ma
Shinsou non poteva davvero permetterlo. Allungo il passo con decisione e stava
per allungare la mano per fermarlo, bloccarlo, ma riuscì ad impedirselo. Era
dura, ma non poteva. Non dopo la reazione che aveva avuto due giorni prima.
Non
oggi che era appena tornato dall’ospedale, che era in convalescenza.
La
ritirò subito, ma anche Ojiro si era già fermato da solo.
Shinsou
deglutì, più volte, finché la saliva non gli andò di traverso.
“Pe-perché? Perché mi hai impedito di dire la verità ad Aizawa?”
Ojiro
non si voltò, strinse invece forte i pugni, portando la coda sul davanti, come
di nuovo a proteggersi. Anche se gli dava le spalle. “Perché non sarebbe stata
la verità...” soffiò, “Avresti mentito per farti dare una punizione maggiore.”
“Ma
io ti ho fatto quelle cose...”
“No...Non
le hai fatte.”
Shinsou
arcuò le sopracciglia, stupito e preoccupato al tempo stesso. Stava negando
l’ovvio? Stava cercando di convincersi che non era successo niente per qualche
motivo? Per cercare di superarlo forse. Di andare avanti.
Non
lo sapeva. Non riusciva più a capire niente.
Era
in totale confusione, ormai.
Era
solo disperato. Si sentiva solo così, distrutto dentro. E avrebbe voluto solo
prendere quelle spalle tremanti e stringere Ojiro a sé.
Forte.
Fortissimo.
Ma
non poteva nemmeno sfiorarlo.
“Ojiro...”
lo chiamò, la voce che tremava sensibilmente, “Mi dispiace. Farei qualsiasi
cosa per tornare indietro e non fare niente. Mi dispiace così tanto...Io
non...”
Ojiro
si strinse nelle spalle, così forte che a Shinsou non poté che far tenerezza,
nonostante fossero larghe molto più delle sue. “Non puoi tornare indietro,”
sussurrò, “Però...Forse è stata colpa mia. È iniziato tutto da me, perché sono
stato io il primo intollerante nei tuoi confronti. Se mi fossi sforzato come
gli altri di accoglierti in modo decente forse...in ospedale ci ho pensato, e
pensato. Tanto. Ma non riesco a capire. Davvero, io...”
“Ojiro...”
“Perché?
Cioè...volevi umiliarmi? E’ stato questo? Perché hai usato il brainwash per farmi quella cosa? Io...non capisco. Sto
cercando di convincermi che sto esagerando ma...ma non riesco a capire...” per
un attimo gli mancò la terra sotto i piedi, si sentì come svenire. S’affrettò
quindi a rimettersi seduto, spalle al muro, ginocchia alzate e coda a terra
come se cercasse di creare una linea di demarcazione invisibile e invalicabile.
Poggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose la testa fra le mani.
Shinsou
gli andò vicino in un lampo, “Ti senti male?”
“Non
toccarmi!”
“No.
No, scusa. Però...”
“Sto
bene,” pigolò alla fine, “Sto bene, solo...aiutami a capire. L’hai fatto tu.
Hai voluto farlo tu. Aiutami a capire, altrimenti...io non so più come
uscirne...”
Shinsou
strinse i pugni sulle ginocchia, facendosi un po’ indietro per mantenere le
giuste distanze. Quando alzò gli occhi verso il soffitto, per frenare le
lacrime e prendere coraggio, scorse subito la figura di Aizawa
che si stagliava sulla soglia della porta del suo ufficio dal quale erano
appena usciti.
Doveva
averli sentiti ed era uscito a controllare.
Andava
bene. Che sentisse. Era giusto.
Poi
avrebbe preso le sue giuste contromisure.
“E’
che da quando abbiamo fatto la prova, il primo giorno di scuola, non riuscivo a
togliermi dalla mente di te. Tutto. Ma tu non mi parlavi, non mi guardavi. A
differenza di tutti gli altri, eri l’unico che aveva alzato una barriera
invalicabile e non riuscivo a buttarla giù in nessun modo. Ed era frustrante. Non
volevo ci fosse tanta distanza, così...sono venuto da te. Per parlarti. Con
tutte le più buone intenzioni del mondo, credimi. Non volevo fare niente di
male. Ma poi tu...” deglutì il groppo che gli era salito alla gola,
asciugandosi gli zigomi con la manica della giacca anche se, a conti fatti, non
stava piangendo. “Ero così deluso, e arrabbiato. Così ho pensato che forse, se
mi fossi tolto quel desiderio che non mi faceva dormire la notte, me ne sarei
fatto una ragione più facilmente. Del fatto che tu non volessi nemmeno sapere
della mia esistenza. Non volevo fare altro che...guardarti. O toccarti. O farti
toccare me. Dio, non lo so più. Anche se è disgustoso. E l’ho capito, per
questo ho sciolto il Brainwash. Ma...sarebbe stato
più logico farti rivestire e andarmene. Ma io volevo...dare qualcosa anche a
te. Che non fosse a senso unico. Solo che tu sei andato nel panico e io...non
sono più riuscito a reggere, e sono scappato. E il giorno dopo eri...così
strano...”
Ojiro
tremò, stringendosi ancora di più su se stesso come se cercasse di sparire nel
muro. “Quello che dici...è strano. Non io. Quello che hai appena detto.”
“Forse
è vero. Io...” si bloccò di colpo, come frastornato da una botta.
Non
poteva dirlo.
Non
poteva dirgli che lo amava, adesso. Non adesso.
Non
per Aizawa, che li guardava, quanto più per tutta la
situazione che aveva creato. Che era stato lui a creare.
Se
quel giorno si fosse limitato a dirgli che credeva gli piacesse, e che per
questo voleva conoscerlo e cercare di conquistare la sua fiducia e magari anche
qualcos’altro, forse Ojiro avrebbe risposto in modo diverso. O risposto e
basta. Invece non lo aveva fatto.
E
le cose erano andate in malora forse per sempre.
Ma
era stata colpa sua. Quindi, adesso non poteva neanche...sperare.
“Sono
un codardo. Sono stato un codardo, e per questo ho sbagliato. Lo sono stato
quel giorno, e per tutta la settimana, quando invece di venire a scusarmi con
te fuggivo, perché capivo che tu non volevi vedermi. Ma hai ragione tu a non
voler più avere niente a che fare con me. Per questo non capisco perché mi hai
impedito di dire ad Aizawa la verità...Ti saresti
tolto la mia faccia di torno una volta per tutte.”
“Avresti
mentito. Non mi hai toccato, non mi hai fatto nulla. Io ho reagito come uno
stupido. In maniera così plateale ed eccessiva e invece...anche se mi hai
spogliato, per quel che ne sapevo poteva essere solo uno scherzo di pessimo
gusto...”
Shinsou
sgranò gli occhi, allarmato. Lo stava facendo di nuovo? Non era vero che non lo
aveva toccato. Lo aveva fatto eccome.
Lo
aveva baciato contro il suo volere, carezzato anche intimamente, seppur appena.
Era
una molestia sessuale in piena regola!
“Negare
la verità non...non serve a niente, Ojiro. Ho sbagliato. Ho fatto una cosa
disgustosa, tu non hai esagerato. Hai ragione. Hai sempre avuto ragione. Ce
l’hai anche adesso.”
“Non
sto negando la verità,” la voce era appena un sussurro, sì, arrochito dalle
lacrime, ma perentorio.
Aveva
visto Aizawa anche lui e stava agendo di conseguenza.
Lo
stava proteggendo di nuovo, come prima. Ancora.
“Ojiro...perché?”
Ojiro
alzò definitivamente il capo, piano. Come se gli pesasse, se fosse troppo
faticoso.
Piangeva.
“Perché
io non voglio. Non so perché. Ma non voglio non dover più vedere la tua
faccia...”
Shinsou
rilassò le spalle, cadendo di botto seduto all’indietro. Si coprì il volto con
una mano, giusto per cercare di trovare un minimo di contegno, ma non nascose i
singhiozzi.
Tanto
non ci sarebbe riuscito.
“Mi
dispiace così tanto. Ti prego, perdonami...”
Ojiro
lo sfiorò per la prima volta da quel giorno. Alzò la punta della coda e gliela
passò raso viso. Piano. Appena.
Durò un millesimo di secondo, poi Ojiro si
alzò e, anche se traballante e sfatto, si allontanò velocemente da lì.
Shinsou
non aveva più pensato ad eventuali ripercussioni da parte di Aizawa, dopo quello che era successo quel pomeriggio.
Aveva
in mente solo Ojiro e quello che era successo con lui, e per alcune ore dimenticò
il resto. Come poteva pensare a cosa stava rimuginando Aizawa,
su che punizione dargli, se l’unica cosa che vedeva era il volto di Ojiro, e
l’unica cosa che sentiva era la sua coda che gli sfiorava il volto?
Una
parte di sé non voleva assolutamente sperare nulla. L’altra, invece, bramava
nel poter almeno fare quello: sperare che si potesse creare un rapporto, uno
qualsiasi.
Che
potesse perdonarlo.
Non
chiedeva un miracolo, non chiedeva ricambiasse i suoi sentimenti. Ma che almeno
potessero essere amici. Almeno parlare normalmente.
Almeno
perdonarlo.
Quindi
quando gli comparve davanti Iida, dicendogli che Aizawa lo mandava a chiamare, cadde completamente dalle
nuvole. Ma andò subito nel suo ufficio, passando per la sala comunque con le
mani in tasca e la testa bassa.
Ojiro
lo guardò uscire, ma non chiese dove andasse. Invece, si alzò e andò di nuovo
nella sua stanza.
Ci
provò, almeno.
“Ojiro?”
Si
voltò verso Shoji, che l’aveva chiamato e lo fissava
con serietà. Quasi a doverlo studiare per bene.
“Sto
bene, Shoji.”
Quello
annuì, ma ben poco convinto.
Quando
era tornato al dormitorio, tre ore prima, Ojiro era andato subito nella sua
stanza, nonostante la cera funerea. Normalmente avrebbe passato quanto più
tempo possibile da solo, troppo orgoglioso per farsi vedere in quello stato.
Ma
non quel pomeriggio.
Era
distrutto e aveva bisogno di tutto fuorché di rimanere da solo con se stesso.
Aveva paura, a dover essere onesto, di rimanere da solo. Dei sogni ad occhi
aperti, dei ricordi. Stare con qualcuno era la cosa migliore, e Shoji era la prima e unica persona che gli era venuta in
mente.
Per
questo era andato da lui e gli aveva chiesto se poteva aiutarlo con la parte
del programma che aveva perso durante quei giorni d’assenza.
Shoji non aveva
fatto obiezioni, gli aveva passato gli appunti e, per quanto non fosse certo il
primo della classe e Ojiro in graduatoria fosse sopra di lui di diversi posti,
lo aiutò dove poteva. Perché tanto, non era di ripetizioni vere e proprie che
Ojiro aveva bisogno, tutt’altro.
Solo
di compagnia.
Adesso,
però, che l’aveva visto alzarsi non appena Shinsou era passato, e farlo con la
coda arrotolata intorno alla vita, non poteva che preoccuparsi un altro po’.
Lui
non aveva capito cosa, non si azzardava a sparare teorie a caso come gli altri,
ma che fosse qualcosa di grave fra quei due era abbastanza ovvio. Bastava
conoscere un poco Ojiro per capirlo, e lui ormai lo conosceva bene.
“Vuoi
comunque un po’ di compagnia?” gli chiese, facendo comparire una bocca appena
sorridente, con dolcezza, su una delle sue appendici.
Ojiro
guardò ancora la porta dov’era sparito Shinsou, poi rivolse all’amico uno
sguardo grato. “Vuoi?”
“Non
te l’avrei proposto.”
“Grazie,
Shoji.”
“Fate un festino?” trillò la vocina di Hagakure,
divertita.
Ojiro rise appena, “No. Penso...beh...”
“Che
ci guardiamo un film,” concluse Shoji per lui, più
risoluto, “Buonanotte, ragazzi.”
“Oh, uffa. Ma secondo voi che cosa vuole Aizawa da
Shinsou? Te l’ha detto, Iida-kun?”
“No,
non mi ha specificato. Ma sono certo non sia nulla.”
Fu l’ultima cosa che sentì dire ai ragazzi Ojiro, poi li lasciò confabulare fra
loro e salì nella sua stanza con l’amico.
“Senti,
Shoji...”
“Dimmi.”
“Non
si può espellere una persona per dei dubbi se non si ha niente contro di lei, giusto?
Non si caccia uno studente per antipatia, no?”
“Di
chi parli?”
“No,
io...” Ojiro sospirò, carezzandosi il pennacchio della coda. “Di Shinsou,”
ammise alla fine. Stranamente, anche se Shoji non
sapeva assolutamente nulla di quello che era successo fra lui e Shinsou, con
lui proprio non riusciva a mentire.
Ma
l’altro, come al solito, non fece domande inopportune.
Forse
Ojiro aveva ben scritto in faccia che non voleva parlarne.
“Aizawa sarebbe capace,” ammise Shoji,
ma notò subito le spalle di Ojiro farsi tese, quindi gli mise una mano sulla
spalla, stringendo la presa, e gli sorrise, “Ma non credo che lo farà. E’
Shinsou, e poi, insomma, Aizawa di solito cerca di
essere oggettivo e giusto. Qualsiasi cosa abbia fatto, prenderà la scelta
giusta.”
“Non
ha fatto niente,” sbottò tutto d’un fiato Ojiro.
“E
allora, che problema c’è?”
Ojiro
sospirò, “Niente. Grazie per la compagnia, Shoji.”
“Ma
ti pare.”
Aizawa lo
accolse già seduto sulla scrivania, e gli fece appena un cenno col capo.
“Siediti,” ordinò.
Shinsou
eseguì, teso come una corda di violino.
Adesso
era arrivato il momento che stava aspettando da più di una settimana. Era
evidente che, nonostante le parole di Ojiro, Aizawa
non gli avesse creduto.
Era
ovvio che doveva affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Adesso,
subito.
E
rinunciare per sempre al suo sogno.
Era
giusto. Era pronto.
“Ho
riflettuto su quello che mi avete detto e su quello che, immagino tu mi abbia
visto, ho ascoltato,” iniziò Aizawa. Shinsou annuì,
grave. “So che sei una persona sveglia, anche se probabilmente ti ho giudicato
fin troppo bene. Ma immagino tu abbia compreso che quello che...si evince, da
fatti e parole che vi siete scambiati davanti a me, che qualunque ‘scherzo’,
volendo chiamarlo così, tu abbia fatto, sia imperdonabile. Probabilmente
meriteresti l’espulsione.”
Shinsou
chiuse gli occhi, “Se vuole, lascio il dormitorio...-”
“Sta
zitto, non ho finito. Tutto quello che ho sono le divergenze di due ragazzini
che già da prima non andavano d’accordo. Due mocciosi che si sono sempre
battibeccati, indirettamente o meno. Quello che ho sentito non è una prova,
anche perché Ojiro ti ha salvato continuando a negare tutto. Io non ti credo,
né a te né a lui, ma non posso fare niente.”
“Ma...”
Aizawa scosse il
capo, davanti agli occhi di Shinsou ormai ridotti a due puntaspilli.
Lo
aveva temuto davvero, di essere cacciato.
Invece,
alla fine, Ojiro l’aveva salvato. Era proprio il caso di dirlo.
Dopo
tutto quello che gli aveva fatto, era riuscito a salvarlo.
E
lui, invece, non poteva fare niente per l’altro. Niente di niente, visto che
neanche voleva si avvicinasse.
“No.
Non è giusto,” decise alla fine, “Non è giusto. Ojiro ha mentito, e lei lo sa.
Glielo dico io che cosa...-”
“Non
voglio neanche sentire,” lo interruppe Aizawa, che
iniziava ad essere davvero irritato, all’apparenza, e Shinsou trattenne il
fiato. “Non voglio sentire altro. Io non ho prove, Ojiro ha negato e si è preso
la colpa della distrazione, voi non siete mai andati d’accordo, quindi farò
finta di non aver intuito nulla. Per ora. Se le cose non migliorano, Shinsou,
ti caccio a calci qualsiasi sia la cosa che hai fatto. Se migliorano, dovrò
credere alla scusa dello scherzo. Ma ti tengo d’occhio, ragazzino. Al minimo
sgarro, il più piccolo che trovo, sei fuori. Hai capito?”
“S-sì. Anche se...non me lo merito.”
“Penso
anche io che non te lo meriti. Ma ho pensato che ti meritassi di essere qui, e
ci ho messo la faccia. Spera che Ojiro ci passi sopra e ti perdoni, perché la
mia fiducia farai fatica a riaverla.”
Shinsou
abbassò gli occhi, affranto. “Mi dispiace.”
“Sparisci
dalla mia vista,” sentenziò Aizawa.
Avrebbe
potuto fregarsene di tutto ed espellerlo lo stesso. In effetti avrebbe dovuto,
forse. Stava diventando troppo buono con quei ragazzini, e questo era male.
Non
era da lui.
Ma
voleva provare a dargli una seconda possibilità.
Perché
alla fine ci teneva, a loro, e Shinsou sembrava realmente distrutto da quella
storia. Quindi, forse, aveva compreso il suo errore.
--
“Sei
da solo?”
Shinsou
alzò mollemente il capo dal suo vassoio, quando sentì la voce di Monoma. Sì, in effetti si era seduto solo. Ma era stata una
sua scelta.
Era
sceso volutamente per ultimo in mensa, per la colazione, e quando aveva scorto
la classe divisa nei soliti banchi, ma l’assenza di Ojiro, si era allontanato
da loro.
Dopo
la discussione avuta la sera prima con Aizawa, non si
sentiva di sedersi in mezzo a tutto il resto della classe.
In
verità era certo di aver visto Midoriya fargli un
cenno, forse per farlo sedere insieme a lui, ma aveva finto di non vederlo. Non
lo meritava, proprio come aveva detto il docente.
Non
lo meritava affatto.
Ormai
aveva capito bene che la classe sospettava qualcosa, o più probabilmente aveva
inteso la verità –almeno alcuni di loro. Non sapeva
perché ignorassero il fatto, se per carineria o solo per mancanza di prove,
anche se non credeva Midoriya capace di tanto.
Quello
che sapeva, però, era che la sua presenza li avrebbe messi tutti quanti a
disagio. E non aveva voglia di subire domande, o ancora qualche battuta da
parte di Bakugou, per quanto avesse ragione.
Quindi
si era seduto in disparte, da solo.
A
quell’ora c’erano già tanti tavolini liberi di gente che aveva finito e se ne
era andata.
Quello
che non si aspettava era la presenza di Monoma.
Perché
non era già in classe?
Che
barba.
“Sì,”
gli rispose solamente. Monoma, allora, gli si sedette
accanto. Senza neanche chiedergli se poteva o meno.
“La
sezione A ti sta ignorando e evitando, vero? Ti isola addirittura, che
stupidi,” rise, di quella risata irritante e cattiva, iniziando a mangiare il
suo pesce, “Non riescono a carpire lo splendore del tuo quirk,
sono davvero degli ottusi.”
“Perché,
tu credi di essere meglio?”
“Ma
ovviamente!” esclamò, “Nella sezione B ti saresti trovato molto meglio. Non sarebbe
mai successo niente di tutto questo, saresti stato accolto a braccia aperte. Il
tuo quirk è fenomenale, subdolo il giusto, come il
mio. Ma loro non possono capire.”
Shinsou
ghignò, come al suo solito, ma gli occhi puntavano amari davanti a loro, malinconici.
Quanto
si sbagliava, Monoma, non ne aveva idea.
La
sezione A lo aveva accolto a festa, ed era stato fantastico, tutto fantastico.
Si era sentito apprezzato fino in fondo, come persone e come futuro eroe. Kaminari e Midoriya erano stati
gentilissimi e ispirati da loro anche tutti gli altri.
Soprattutto
le ragazze, capeggiate da Uraraka.
Era
stato lui a rovinare tutto
Partendo
da Ojiro.
“Non
me ne importava prima e non me ne importa adesso.”
“Beh,
dovrebbe. La A cos’ha da darti? Con quel pazzo isterico di Bakugou che non fa
altro che menare le mani e quella scimmia ottusa accompagnata da
quell’uccellaccio...ci credo che poi ti ritrovi tutto da solo!”
Shinsou
assottigliò lo sguardo, quando sentì Monoma
rivolgersi a Ojiro e Takoyami. Evidentemente ce
l’aveva ancora per quello che era successo al test del primo giorno di scuola.
Per
essere stato in squadra con loro e ancora di più per essere stato salvato da
loro.
“Sai,
tutto sommato per te potrei fare un’eccezione, Shinsou. Anche se sei nella A sei
stato a poco così dall’entrare in B e poi...tu sei diverso, da loro. Potrei
esserti amico io, che ne dici?”
“Mphf,” bofonchiò Shinsou, più che altro trattenendosi dal
parlare realmente.
Amico
di Monoma...sì, gli sarebbe stato indifferente in
momenti normale. Gli avrebbe persino potuto far piacere.
Ma
adesso aveva solo voglia di tirargli un pugno. Lo irritava enormemente.
“Posso
sedermi?”
Stava
diventando un’abitudine essere colto di sorpresa da gente che non si aspettava
di vedersi arrivare vicino.
Prima
Monoma, che comunque qualche volta provava ad
attaccare bottone, ma la presenza di Midoriya e
Todoroki gli faceva cambiare idea –o le manate di
Kendo, doveva ancora decidere-. E adesso...Ojiro.
Che
con la sua scarsissima colazione in mano se ne stava lì ad aspettare.
Come
se avesse mai potuto dirgli di no.
“C-certo,” soffiò infatti.
Ojiro
guardò appena Monoma, che aveva inarcato un
sopracciglio, irritato, poi scostò la sedia usando la coda e si sedette.
“Ciao,
Monoma.”
“Oh,
è tornato. Non ti vedevo più nei dintorni, pensavo avessi finalmente capito che
una nullità come te non ci faceva niente, in questa scuola!”
Shinsou
tese subito le spalle, ma Ojiro si limitò a prendere un boccone di riso.
“Oh,
ignori la realtà? Tipico gesto dei vigliacchi. Cos’hanno fatto, quei fessi
della A? Hanno già iniziato ad allontanare anche te? Dopotutto, è la natura.
Gli esemplari più deboli e inutili vanno allontanati, per non rallentare il
branco!”
Shinsou
prese un lungo sospiro, perché in quel momento avrebbe voluto prenderlo e
sbatterlo al muro.
Ma
non era il caso. No.
Aizawa era stato
chiaro: uno sgarro ed era fuori. E per Monoma, no,
non ne valeva la pena.
“Quindi
vale anche per te, giusto Monoma?” gli chiese subito,
“Che sei da solo, non vedo gli altri della B.”
“No
Shinsou. Mi sono solo svegliato tardi.”
“Anche
io,” sentenziò Ojiro, “E anche Shinsou non mi risulta sia stato isolato dagli
altri. Siamo solo in ritardo.”
Monoma scoppiò a
ridere, di quella sua risata inutilmente sguainata, “Che scusa patetica per uno
scimmione patetico!”
Shinsou
sbatté la mano sul tavolo con tanta forza da far sobbalzare anche Ojiro, seduto
davanti a lui. “Ripetilo di nuovo,” ringhiò, alzandosi con il preciso intento
di sormontare il collega della sezione B, “E ti farò pentire amaramente di
avermi rivolto la parola.”
Monoma fu
percorso da un lungo brivido, “Che ti prende? Non ce l’avevo mica con te!”
“E’
indifferente. Non sono qui per fare amicizia con nessuno, tantomeno con uno patetico come te, Monoma.
Sparisci dalla mia vista o userò il brainwash su di
te e non lo renderò piacevole.”
Monoma si alzò
di scatto, “Voi della A siete tutti fuori di testa! Mi devo rimangiare le mie
parole, Shinsou, sei pazzo come quell’esaltato di Bakugou! La sezione A è proprio
quella che ti si addice di più!” disse, prima di girare i tacchi e sparire
oltre la porta della mensa.
Shinsou,
però, rimase ancora in piedi. Di profilo rispetto a Ojiro, ma gli occhi puntati
altrove.
Ojiro
teneva ancora le bacchette a mezz’aria, e lui era terrorizzato all’idea di
poter aver di nuovo fatto qualcosa che non doveva, seppur non direttamente a
lui. Aveva di nuovo fatto il folle davanti a lui.
Quando
lo vide alzarsi, per un attimo tremò. Ma Ojiro si limitò a prendere i tre
vassoi, i loro e quello che Monoma aveva lasciato lì,
e impilarli.
“Mangi
ancora?”
“N-no.”
“Balbetterai
per sempre quando parlerai con me?”
“...eh?”
Ojiro
scosse il capo, gli diede le spalle per andare a posare i vassoi nei punti di
raccolta e poi tornò a recuperare lo zaino. Per un attimo scorse un breve,
minuscolo sorriso.
“Potevo
difendermi da solo.”
“Sì.
Lo so. Ma mi stava innervosendo.”
“Già.
E’ una cosa che gli riesce molto bene.”
“Ojiro...senti...”
“Ci
ho pensato tutta la notte. Alle cose che mi hai detto ieri,” lo interruppe lui,
“Alla fine avevo ragione. Sembravi così sincero...che non posso proprio
ignorarti.”
“Avresti
ragione a farlo.”
“Forse.
Ma non penso che capirò mai niente se...ti ignoro e basta. Anzi ho la
sensazione che...sia sempre peggio...proprio perché ti ignoro. E io...Non ce la
faccio più. Sta diventando...soffocante. Sto uscendo di testa.”
Shinsou
digrignò i denti, lo sguardo basso e ancora le giuste distanze da lui. “Mi
spiace.”
Ojiro
sospirò, la coda fece un minuscolo movimento circolare a mezz’aria e poi se la
portò sulla spalla. Come faceva prima. Niente più abbraccio intorno alla vita.
Perché non ce ne era bisogno, forse?
Poteva
sperarlo? Solo un po’.
“D’accordo,”
acconsentì Ojiro, “Le accetto. Accetto le tue scuse.”
A
Shinsou per un attimo mancò la terra sotto i piedi.
Solo
che questa volta non era per disperazione.
“Però
non toccarmi.”
“No.
Certo,” giusto, si disse Shinsou, ma senza poter nascondere un minuscolo
sorriso di commozione. Un po’ per volta, a piccoli passi.
Per
farsi perdonare.
“Andiamo?
Arriveremo tardi a lezione.”
“Sì,
eccomi. Ojiro?”
“Dimmi.”
“Grazie. Davvero.”
Quando
misero piede in classe insieme, e per di più per ultimi, il primo ad
accoglierli fu lo sguardo di Aizawa.
Non
stupito, però. Shinsou era pronto a scommettere che se lo aspettava, visto
com’erano andate le cose il pomeriggio prima, sotto i suoi occhi nascosti e
attenti. Era lui l’unico che non credeva affatto che Ojiro potesse fare
qualcosa di simile? Quell’uomo era un mostro.
Gli
altri invece ebbero proprio la reazione che lui si aspettava.
Bakugou
lo incenerì con gli occhi, per poi schioccare la lingua, “Che cazzata,” borbottò,
ma Shinsou aveva tutta l’intenzione di ignorarlo.
Guardò
solo Midoriya, dietro di lui, che aveva l’espressione
quasi scioccata. Lo stupore di chi non stava capendo nulla di quello che stava
succedendo. Eppure, alla fine gli rivolse un sorriso rassicurante, e Shinsou
rilassò le spalle.
“Scusi
il ritardo,” fece al suo posto Ojiro, a nome di entrambi.
Ignorò
tutte le occhiatacce, e anche il chiacchiericcio di Ashido
e Hagakure, che forse pensavano avessero fatto pace
dopo la presunta litigata. O qualsiasi cosa pensassero dell’accaduto.
Chissà
che non avessero ragione. Non ne era del tutto certo, Ojiro.
Non
era ancora certo di quello che stava facendo.
“Per
oggi va bene. Sedetevi,” esclamò Aizawa, indicando i
due posti in prima fila. Ojiro e Shinsou non persero tempo, anche perché Ojiro
non aveva davvero voglia di sentir borbottare tutti i loro compagni, per quanto
fosse certo lo facessero con tutte le buone intenzioni.
Comunque,
era soddisfatto che anche Midoriya stesse
confabulando con Bakugou, anche se era strano vederli parlare così fitti senza
tentare di uccidersi. Anche se Bakugou, in effetti, pareva più intento a
cercare di non tirargli un pugno.
Shinsou
si accasciò letteralmente sul banco, faticando terribilmente a tenere alta
l’attenzione. Ma doveva, almeno durante la lezione di Aizawa,
ecco. Altrimenti poteva diventare un problema davvero.
Aveva
la testa pesante già dal giorno prima, non era riuscito a chiudere occhio,
continuava a girarsi e rigirarsi in attesa che Aizawa
gli bussasse alla porta e gli dicesse che era espulso, anche se sapeva che non
era così che funzionava, sapeva di non aver fatto nulla. E poi aveva ancora il
viso di Ojiro davanti agli occhi, le sue parole. Il suo perdono.
Dormire
era impossibile.
Era
tutto quello che Shinsou aveva desiderato dopo quel suo orrendo gesto.
Eppure
adesso non sapeva più che fare, come comportarsi. Forse perché non si aspettava
affatto che Ojiro potesse davvero perdonarlo.
Il
punto era che sì, certo, gli aveva detto che gli avrebbe dato una seconda
possibilità, ma ovviamente non poteva toccarlo. Quindi, che fare? Doveva ancora
evitarlo come la peste e lasciarlo in pace, o poteva azzardarsi a provare ad
essergli amico?
Solo
amico. Oramai non avrebbe mai chiesto niente di più.
“Shinsou?”
“Mmh?”
Era Midoriya. Era iniziata la pausa pranzo e non se
ne era neanche accorto, chissà da quanto tempo stava con la fronte appoggiata
al banco senza che nessuno gli dicesse niente. Forse Shoji,
seduto dietro di lui, gli aveva effettivamente picchiettato sulla spalla per
attirare la sua attenzione.
Ma
non se ne era neanche accorto.
Ad
ogni modo, i docenti non avevano alzato poi quel gran polverone per la sua
disattenzione.
“Stai
bene, Shinsou?”
“Mh.”
“Ehm...”
Midoriya si accucciò davanti a lui, piegandosi per
cercare almeno di guardarlo in viso, “Non sembra. Ojiro ti ha attaccato
l’influenza?”
Shinsou
si sforzò di alzare il capo il tanto sufficiente da guardare gli occhioni verdi dell’altro. “Che influenza? Lo sai benissimo
che...”
“Beh,
in verità,” lo interruppe Midoriya, “Sto iniziando a
credere davvero che avesse solo l’influenza, no? Insomma, siete arrivati in
classe insieme, ieri. E adesso Ojiro è andato a pranzo con Shoji
e Takoyami, quindi l’inappetenza gli è passata, no?
Sembra...davvero che sia tornato tutto come prima. Voglio credere che sia così.”
“Ti
facevo più intelligente, Midoriya.”
Fu
Midoriya a sospirare stavolta, “Sto solo cercando di
smetterla di pensare alla cosa peggiore. Perché...l’idea che quello che dice Kacchan sia vero...”
“Cosa
dice Bakugou?”
“Beh...”
“Che
sono un mostro? Degno di un villan, se non peggio? Che se Ojiro adesso mi parla
ed è entrato in classe con me è perché gliel’ho imposto? Magari col Quirk, giusto? Perché so fare solo questo. E forse ha
ragione.”
“No.
Che Ojiro lo ha fatto perché gli fai pena. E che sei patetico. Che hai fatto...ma
io non ci credo. Deve esserci qualcosa.”
“Invece
no. Ha ragione.”
“Dici?
Ojiro è orgoglioso, non lo farebbe per pietà. E poi...è una settimana che anche
tu sembri stare sempre male.” Shinsou non gli rispose, si limitò invece ad
abbassare il capo e tornare a poggiare la fronte sul banco. Era fresco. “Io
credo che ci siano motivi che non abbiamo calcolato, sia per il comportamento
tuo e di Ojiro sia per...la sua mancata denuncia ai professori.”
“Sì.
Che è troppo buono. Lo siete tutti, qua.”
“Non
credo. Forse...Ha semplicemente capito che il tuo stato d’animo era vero e che
ti stavi già punendo da solo.”
“Stronzate.”
“Forse.
Ma io mi fido di quello che vedoe
quello che ho davanti è che Aizawa non ti ha neppure
punito. Eppure ieri ci hai parlato, giusto?” sorrise ancora Midoriya,
tornando ad alzarsi in piedi.
“Non
c’entra.”
“Se
fosse davvero stato il caso, AIzawa l’avrebbe fatto.
E lui sa sempre tutto, non gli si nasconde qualcosa facilmente.”
“In
questo caso è diverso, Midoriya.”
“Io
penso che dovresti perdonarti anche tu. Se l’ha fatto Ojiro e Aizawa non ti ha punito, forse dovresti. Non trovi?”
affermò, determinato. Aveva ancora idea che qualcosa gli sfuggiva, Bakugou era
ancora convinto di quello che diceva fino al giorno prima nonostante le cose,
fra quei due, sembrassero essersi stabilizzate. Ma voleva pensare il meglio
possibile.
Non ce la faceva proprio, e nemmeno voleva, pensare a Shinsou in quei termini.
“Vieni
a pranzo con noi? Todoroki e Iida sono già andati a
prenderci i posti! Non puoi rifiutare!”
--
A
quattro giorni da quella decisione presa nei confronti di Shinsou, tutto sembra
tornato come prima. A prima che succedesse tutto, a prima che Shinsou facesse
quel passo falso con lui.
L’unica
cosa cambiata, era che Ojiro lo salutava, la mattina, quando passava davanti al
tavolo in cui Shinsou sedeva con Midoriya e il suo
solito gruppo, prima di raggiungere Shoji, Tokoyami e gli altri, dall’altra parte.
Ma
non perché l’avesse perdonato solo per pietà o chissà che altro.
Semplicemente,
era difficile anche per lui. Forse molto più difficile che per Shinsou stesso,
anche se a guardarli in volto non si direbbe.
I
ruoli, infatti, sembravano essersi scambiati, adesso.
Ed
era Shinsou quello malaticcio.
In
verità, l’idea di averlo perdonato gli aveva come tolto un peso dal petto.
Non
che si sentisse meglio, ma più leggero. La sensazione di soffocare che aveva
avuto in quei giorni era passata. Si era ridotta così tanto che adesso non era
che un fastidio.
Era
bastato decidere di perdonarlo.
Forse
perché dentro di sé era consapevole che non era giusto quello che aveva fatto
fino a quel momento. Che Shinsou aveva sì sbagliato, ma si era anche pentito
fin da subito. E cosa ancora più importante, che non poteva giudicare una
persona in base al suo Quirk, perché quello che
contava davvero era come lo si usava. E Shinsou non l’avrebbe mai sfruttato per
fare quello che aveva fatto quell’uomo, rovinando la sua famiglia.
Era
stato così male anche fisicamente nei giorni scorsi e invece gli era bastato
arrivare a questa semplice conclusione, quasi ovvia, per far si che tutto
sembrasse passato. Non del tutto, ma decisamente meglio. Più sopportabile.
Dormiva
la notte, mangiava di nuovo, il suo colorito era tornato quasi normale ed era
molto più in forze. Niente più incubi ad occhi aperti, soprattutto.
Se
non fosse per il divieto di Recovery avrebbe affrontato
gli allenamenti con gli altri senza alcuna remora.
Ma
non poteva. Dopo il ricovero in ospedale era esonerato fino a nuovo ordine.
Kaminari l’aveva
guardato con rammarico, ma prima ancora che potesse dirgli niente Ojiro gli
aveva sorriso appena, alzando il pollice. Ma non per prenderlo in giro.
L’amico
gli aveva risposto alzando entrambi i suoi.
Seduto
in disparte rispetto agli altri che si stavano allenando con i professori e fra
di loro, Ojiro si guardò un po’ intorno.
Shinsou
non c’era.
Da
nessuna parte.
“Sono
felice di vedere che ti sei ripreso per bene, giovane Ojiro.”
AllMight gli si sedette accanto senza neanche chiedere, gli
occhi azzurri fissi alternativamente su Bakugou e Midoriya.
“Sì
signore. Sto bene.”
“Sì
nota la differenza. Solo mi chiedo....Avevi solo un’influenza, come dice Chiyo?”
Ojiro
piegò il capo di lato con un sospiro, “Io...” era dura pensare di mentire
all’ex Eroe numero Uno, però sapeva anche che se avesse detto la verità a lui
c’erano buone possibilità che il suo senso di giustizia lo portasse poi a
parlarne con Aizawa.
Aveva
fatto di tutto per cercare di scagionare Shinsou, anche entrare in classe con
lui il giorno prima, o sederglisi accanto in mensa a
colazione, erano cose che aveva fatto per far capire ai compagni e a chi
puntava il dito su di lui che stavano esagerando proprio come aveva esagerato
lui fin da principio.
E
tutto era iniziato proprio da quello.
Ma
Shinsou non era cattivo.
Vederlo
piangere il giorno del suo rientro a scuola, fuori dall’ufficio di Aizawa, glielo aveva fatto capire. Lo sapeva già, ovvio, ma
era stato come liberarsi dal velo che gli copriva gli occhi.
Shinsou
non era cattivo. Si era solo fatto prendere dal desiderio e dalla rabbia.
Anche
lui lo aveva sbattuto al muro.
Era
stato simile, solo che Shinsou provava qualcosa per lui, e aveva agito di
conseguenza, mentre Ojiro credeva di no.
Provava
qualcosa di simile al timore, alla paura e al disgusto per lui e per il suo quirk, e aveva tenuto ingiustamente le distanze. Credeva di
odiarlo perché odiava il suo potere per quello che gli aveva fatto in passato,
seppur gestito da qualcuno che non era affatto Shinsou.
Shinsou
non aveva mai fatto niente, la verità era che Ojiro stesso era l’unico che non
aveva capito niente. Mai.
Ciononostante
adesso era forse troppo tardi? Per qualsiasi cosa fosse realmente la sensazione
che provava per Shinsou e che aveva voluto scambiare per odio per sopperire ai
sensi di colpa verso i suoi genitori e quello che era successo quel giorno.
Scosse
il capo.
No,
stava delirando.
“Stavo
male sì. In più avevamo litigato, io e Shinsou. E’ stato solo questo, Professor
AllMight. So di aver fatto
preoccupare tutti quanti e mi dispiace molto.”
Toshinori sorrise
dolcemente, voltandosi verso di lui, “E adesso? Vi siete chiariti?”
“Credo.
Insomma...ci stiamo...lavorando. Io...beh, diciamo di sì,” decise alla fine. In
fondo l’aveva perdonato, quindi era inutile stare lì a girarci intorno.
“Mi
fa molto piacere, ragazzo.”
“Senta...Shinsou
ha detto a voi professori come mai non c’è oggi?”
Toshinori si portò
una mano al mento, pensieroso, “Mah, credo Aizawa
borbottasse qualcosa sul fatto che fosse assente giustificato.”
“Quindi
sta male?”
“Vado
a chiedere ad Aizawa se vuoi.”
“Ah,
no, no. Non fa niente. Grazie lo stesso.”
“Come
vuoi,” sorrise ancora Toshinori.
Rimase
accanto a lui tutto il resto dell’allenamento finché non tornarono in classe,
forse per tenergli compagnia o forse perché voleva vedere che combinavano
Bakugou e Midoriya.
Ojiro comunque lo degnò di attenzione solo se era il professore a parlare con
lui, per il resto del tempo non riusciva a smettere di pensare, rimuginare.
Ojiro
ci aveva pensato a lungo, durante il brevissimo tragitto che andava dalla
scuola al dormitorio, e alla fine decise che non ci trovava niente di male,
tutto sommato. Per questo si alzò, quando Midoriya
disse che sarebbe stato il caso che qualcuno andasse da Shinsou a vedere come
stava e a portargli gli appunti di quel giorno.
Probabilmente,
conoscendolo, stava per dire che ci sarebbe andato lui, ma Ojiro lo anticipò.
“Glieli
porto io,” affermò. Midoriya lo fissò sbalordito solo
per un istante, poi sorrise a sua volta.
“Okay. Grazie, Ojiro-kun!”
“Ah,
aspetta aspetta!” lo fermò al volto Sato, porgendogli
poi il vassoio con cui era sceso dalla sua stanza ma su cui erano rimaste solo
due fette dell’enorme torta glassata e ricoperta di panna montata che aveva
portato per tutti loro.
Anche
se non era il compleanno di nessuno.
Ma
Sato lo faceva spesso, in verità, soprattutto se aveva tempo e di mattina
avevano affrontato un duro allenamento. Preparava un dolce e ne dava un pezzo a
tutti quanti. Una gentilezza dolcissima che aveva riscontrato molto clamore
nella loro classe.
“E’ la tua parte e quella di Shinsou. Portagliela...se non ha un’influenza
intestinale secondo me gli farà benone! Da energia!”
“Va
bene. Grazie!”
Sato
si risedette al suo posto, mentre Ojiro entrava e spariva nell’ascensore.
Arrivato
al piano di Shinsou, però, Ojiro ebbe per un attimo un tentennamento.
Di
nuovo in una stanza da soli. Forse...forse era stata una brutta idea, tutto
sommato. Bruttissima.
Forse
era meglio scendere e far andare Midoriya.
Anzi,
no.
No,
se l’avesse fatto, anche a chi non sospettava la verità sarebbero venuti i dubbi
più disparati. Se oltre a dar di matto per un tocco che non c’era stato, tanto
da finire in ospedale pur di evitarlo, tornava tremante sui suoi passi senza
una scusa e senza aver visto Shinsou come se ne avesse timore, anche la mente
più genuina avrebbe capito.
Aveva
capito anche Midoriya, anima pura.
Ma
avevano capito male, però.
Non
gli aveva fatto niente, niente più di pochi baci leggeri e molestie fatte a
cuor pesante. Per altro era stato appena uno sfiorarsi.
Prese
un lungo respiro e bussò due volte. Shinsou non rispose subito, e stava già
iniziando a pensare che forse stesse dormendo, quando la porta si aprì.
Il
volto di Shinsou sbucò sfatto e arrossato dalla febbre, i capelli scompigliati
e stranamente liberi dal gel, gli occhi viola cerchiati come mai sgranati verso
di lui, “Ojiro?”
“Ti
ho portato i compiti e la torta di Sato,” mormorò Ojiro, perdendosi per un
attimo a fissargli i capelli abbassati.
Sembrava
un’altra persona, conciato così. Se l’avesse incontrato per strada in quello
stato forse non l’avrebbe neanche riconosciuto.
“Oh...grazie,”
soffiò Shinsou.
Erano
ancora sulla porta, notò Shinsou distrattamente. Doveva farlo entrare, forse. O
chiedergli di lasciarlo solo e toglierlo dall’ingombro?
“Non
credo che mangerò la torta.”
“Non
ti farebbe male,” inarcò un sopracciglio Ojiro, “Sembri sul punto di svenire.
Non hai dormito?”
“No,”
ammise Shinsou, passandosi una mano fra i capelli. Il movimento lo portò a
staccarsi dal muro e traballò appena, instabile sulle gambe.
Ojiro
gli avvicinò la coda d’istinto, come a volerlo sorreggere, ma fermandosi poco
prima. Senza neanche sfiorarlo.
“Dovresti
stenderti. Ti metto io gli appunti sul tavolo.”
Shinsou
sgranò gli occhi ancora di più, se possibile, “Vuoi...entrare?”
“Solo...”
Ojiro si bloccò, fissando per alcuni istanti davanti a sé, senza guardare
nessuno. L’aveva già preso in considerazione, quell’eventualità. Andava tutto
bene. Tutto bene. Scosse il capo, “Solo un attimo,” sentenziò.
Shinsou
annuì, scostandosi dalla porta e lasciandolo entrare mentre lui, distrutto, si
buttò di peso sul letto. Ojiro si chiuse la porta alle spalle, poggiò il
quaderno sulla scrivania ben sapendo che ridotto così Shinsou non li avrebbe
mai neanche guardati.
“Hai
la febbre alta?”
“Non
l’ho misurata, a dire il vero.”
“Come
no? Non sei andato da Recovery Girl?”
“No.”
“Avresti
dovuto. Te la vado a chiamare.”
“No,
no! Non serve. Un po’ di febbre non ha mai ucciso nessuno...”
Ojiro
stirò le labbra a quel punto, per qualche ragione il tono usato dall’altro non
gli era piaciuto “Lo dici come se fosse una sfortuna. Sai, Shinsou, se avessi
voluto che morissi o sparissi l’avrei detto ad Aizawa
all’istante, quando avevo ancora i segni. E avrei anche potuto ingigantire la
cosa, e suppongo tu non avresti neanche negato.”
“E
con quale diritto?”
Ojiro
sospirò e, anche se non era l’idea iniziale, si sedette a terra davanti al
letto dov’era sdraiato Shinsou, col piatto in mano. “Non è che hai un calo di
zuccheri e stai delirando?”
“Forse,”
soffiò Shinsou, rimanendo sdraiato solo per poterlo fissare negli occhi.
Cercava di cogliere qualcosa, ma non ci riusciva. La febbre e la stanchezza non
lo aiutavano a ragionare. “Non dovresti sforzarti così tanto.”
“Di
fare cosa?”
“Di...stare
qui. Di starmi vicino.”
Ojiro
abbassò di poco gli occhi, come se per un attimo si fosse di nuovo perso nei
suoi pensieri, “l’altra volta mi sono sforzato, parecchio” ammise alla fine con
un filo di voce, “Però stamattina, visto che non c’eri e io non potevo
allenarmi, ho avuto tanto tempo per pensarci. E...mi sento meglio così, in
realtà. Dopo aver deciso di perdonarti...mi sono sentito meglio.”
“...Meglio?”
“Sì.
Io...te l’ho detto, quella situazione stava iniziato a farmi stare male, era
soffocante. Ma adesso non ho più quella sensazione. E’...strano, lo so. Forse è
adesso che sto fingendo che sia tutto okay, che sto fuggendo dalla realtà, come
mi hai accusato l’altro giorno. Non so. Ma non mi sto sforzando adesso.”
Shinsou
trattenne il fiato quando Ojiro gli regalò quel piccolo, timido sorriso.
Sorrideva
a lui. O comunque con lui.
Poco,
ma era qualcosa no?
Era...felice.
Non se lo meritava, ma era felice.
Era
davvero felice.
“Hai
saltato sia la colazione che il pranzo, vero? Hai preso qualcosa per la
febbre?”
“Sì,
non avevo fame. E no, non ho preso niente.”
Ojiro
annuì e gli poggiò il piatto sul letto, proprio accanto al viso, “Allora
mangia. Ti fa bene. Io torno subito.”
“E
dove v...ai. Okay,” Shinsou sospirò, si alzò a sedere e, seppur con ben poca
voglia, iniziò a mangiare. La torta era squisita, come ogni cosa che preparava
Sato, e ad ogni boccone si rendeva conto che, in effetti, era vero che dopo
tutta una giornata senza mangiare aveva fame.
La
finì in un lampo, senza neanche chiedersi se erano entrambe per lui. Ad ogni
modo ormai era tardi.
Ojiro
non era ancora tornato, ovunque fosse andato, quindi tornò a stendersi sul
letto, la faccia arrossata dalla febbre –e forse non
solo- affondata nel cuscino.
Non
sentì neanche la porta riaprirsi.
Di
solito Shinsou non si addormentava mai così in fretta, anzi erano più le volte
in cui non si addormentava affatto. Ma era stanco, ammalato, appesantito da
quello che aveva appena mangiato e dalla notte precedente passata insonne.
Per
questo quando Ojiro rientrò lo trovò così, il viso per metà nascosto dal
cuscino e gli occhi chiusi. I capelli, però, erano appiccicati alla fronte dal
sudore ed ebbe la netta sensazione che la febbre si fosse davvero alzata.
“Non
dovresti metterti così. Peggiori se prendi freddo e non ti copri bene,” gli
disse. Ma Shinsou non rispose. “Shinsou?” Si girò di nuovo verso di lui, ma non
si era mosso.
Il
respiro, adesso che lo notava, era pesante, leggermente irregolare per colpa
della febbre alta.
Doveva essere peggiorato ancora. Si vedeva. Il volto era arrossato e sudato.
Si
inginocchiò di nuovo davanti al letto, “Shinsou?”
Niente.
Doveva
svegliarlo? No, sarebbe stato ingiusto. Però...
Sospirò,
prese un pezzo di stoffa e andò in bagno a cercare una bacinella. Si fermò
sulla soglia.
Se
Shinsou aveva una camera piena ma ordinata, il bagno era un disastro.
Evidentemente
ci metteva più tempo a sistemare i capelli di quanto se ne prendesse per
mettere senso in quel bagno. L’idea, per qualche ragione, lo faceva ridere.
Prese
una bacinella e la riempì d’acqua fresca, poi tornò nella stanza.
Dove
si fermò a guardare Shinsou.
Poggiò
la bacinella sul comodino, accanto alla medicina che gli aveva preparato,
ma...l’idea che gli era venuta adesso gli sembrava folle.
Gli
aveva chiesto lui di non toccarlo. Era stato lui.
Però
Shinsou stava male...
Non
era giusto lasciarlo lì, così.
Deglutì,
stringendo la mano a pugno.
Era
stupido. Era proprio stupito. Tanto, Shinsou dormiva.
Trattenne
il fiato mentre, pianissimo, gli sfiorava la fronte. Al primo contatto ritirò
la mano, ma Shinsou non si mosse comunque così ripeté il gesto. Con appena solo
la punta dei polpastrelli, scostandogli le piccole ciocche violacee zuppe di
sudore.
Aveva
ragione. Era proprio bollente.
Scosse
il capo con forza e si tirò indietro di scatto.
No,
non poteva fare quello che aveva pensato. Asciugargli il sudore andava bene, ma
aiutarlo a cambiarsi il pigiama fradicio no. Quello no.
Si
limitò a coprirlo per bene con il piumino, asciugandogli e rinfrescandogli
solamente il volto e il collo.
Non
riuscì ad evitarsi di sfiorargli di nuovo il volto, nel farlo. La pelle era
accaldata, ma sembrava morbida. Shinsou l’aveva baciato, ma non gli aveva
permesso di ricordarsi il sapore delle sue labbra.
E
lui l’aveva fermato, impedendosi di scoprire il calore di quelle mani così
grandi.
No.
No,
che stava pensando?
Stava impazzendo, forse.
Lasciò
tutto lì, la bacinella e anche le medicine, ben in vista, e uscì dalla stanza.
Shinsou
tornò in classe solo due giorno dopo, quando la febbre gli era finalmente
passata.
Era
di nuovo sceso a colazione per ultimo, aveva visto Monoma
ma quello l’aveva fortunatamente ignorato. Ojiro doveva aver già mangiato,
perché non vedeva metà della classe, fra cui Shoji,
Sato e Tokoyami con cui stava sempre in gruppo.
Non
era neanche più venuto a trovarlo, dopo quel pomeriggio.
Quando
Shinsou si era svegliato, quella volta, era solo in stanza, ma stranamente
sotto le coperte. Non ricordava di essercisi messo, e
ne ebbe conferma quando, guardandosi intorno, aveva notato la bacinella sul
comodino e le medicine. E qualcuno, Ojiro probabilmente, aveva portato via il
piatto con la torta.
Per
un attimo era rimasto interdetto all’idea che fosse stato Ojiro a metterlo
sotto le coperte perché, volente o meno, significava che lo aveva toccato. Non
ce lo vedeva ad andare a cercare qualcuno. Doveva averlo fatto lui.
Lo
aveva messo sotto le coperte, gli aveva fatto degli impacchi e gli aveva anche
lasciato delle medicine.
E
Shinsou, quando aveva capito, si era sentito subito meglio.
Anche
se Ojiro non era più tornato a trovarlo e il giorno dopo era stato Midoriya a passare per portargli i compiti, e alla sera era
passato Kaminari, lui si era sentito comunque bene.
Era
decisamente più felice di quanto si meritasse di essere.
Per
questo quando era entrato in classe aveva pensato che permettersi di fargli un
sorriso non fosse una cattiva idea. Ma Ojiro rispose arrossendo appena sulle
goti e distogliendo lo sguardo.
Shinsou
inarcò un sopracciglia, stranito. Non sembrava il comportamento di qualcuno che
era contrario, quanto più...imbarazzato. Ma perché mai avrebbe dovuto?
“Bentornato,
Shinsou!” esclamò Kirishima da in fondo alla classe,
seduto sul banco di Sero che chiacchierava con lui e Kaminari, che alzò la mano per salutarlo.
“We! Ce l’hai fatta a riprenderti!”
“Non
sono mancato così tanto,” gli rispose con una scrollata di spalle, prima di
sedersi al suo posto. Midnight arrivò quasi subito
dopo, dando inizio alla lezione.
Shinsou,
nel corso della mattina, aveva portato lo sguardo su Ojiro in più di
un’occasione, ma quello non aveva staccato gli occhi dal libro neanche per un
secondo e al suono della campanella della pausa pranzo si era alzato ed era
subito andato verso Sato e Shoji per andare in mensa.
Non
aveva fatto neanche in tempo ad avvicinarsi.
“E’
di nuovo nervosetto?”
“Non
iniziare, Kaminari,” lo interruppe subito, alzandosi
e recuperando la cartella.
“Ma
no, non inizio. Ho avuto solo una strana sensazione di deja-vu!”
Shinsou
sospirò. E come dargli torto? L’aveva avuta anche lui, solo che mica poteva
andare da lui e chiedergli che succedeva. Se aveva deciso che aveva di nuovo
voglia di ignorarlo, era libero di farlo.
“Hey, dove te ne scappi pure tu? Ma che, andate sempre in
coppia voi due? Vieni a pranzo con noi, dai!”
“Ehm...”
Shinsou alzò gli occhi su Bakugou, che stava fermo sulla porta con Kirishima e Ashido e probabilmente
stavano aspettando Kaminari. Bakugou pareva già
contrariato da prima, ma quando sentì dire quella frase a Kaminari
gli scoccò un’occhiata tale che Shinsou fu certo se non ci fosse stato Kirishima l’avrebbe già spedito al creatore con
un’esplosione.
“Meglio
di no, Kaminari.”
“E
perché? Eddai, non farti rapire sempre da Midoriya, non c’è mica solo lui!”
“No,
ma almeno lì non rischio di finire al creatore.”
“Dici
Bakugou? Ah, tranquillo, lui abbaia ma non morde!”
“Cos’è
che hai osato dire, faccia da scemo?!”
“Ahia
Bakugou!” sbottò Kirishima, finito inevitabilmente
vittima dell’altro visto che era quello che gli era più vicino e stava cercando
di quietarlo, “Kaminari, Shinsou, vi muovete?”
“Io
quello stronzo non ce lo voglio al tavolo con me, cazzo!” esclamò Bakugou,
ululando in mezzo al corridoio.
“Oh,
su, non fare tutte queste storie!” squittì anche Mina, appoggiandosi al braccio
di Kirishima per affacciarsi verso Bakugou, “Mangiamo
solo insieme, mica te lo devi limonare! Andiamo adesso? Voglio mangiare, ho
fame!”
“VaffanculoAshido!”
“Grazie,
anche a te, tesoro!” sorrise apertamente lei, “Adesso andiamo? Su, forza!
Muovete quei bei sederini!”
“Bei...sederini?”
mormorò Shinsou, sempre più perplesso, ma lasciò che Kaminari
lo prendesse per il braccio e lo trascinasse fuori, verso la mensa.
Bakugou
però non era d’accordo sulla sua presenza, e anche se Kirishima
e Ashido fecero in modo che si sedesse il più lontano
possibile da lui, mettendosi in mezzo, nel passargli accanto non esitò a
ringhiargli contro.
--
Shinsou
non provò a forzare Ojiro neanche una volta, nei giorni successivi.
In
classe lo salutava appena a mezza voce, ma quando Ojiro distoglieva lo sguardo
si limitava a sospirare e lasciarlo in pace.
Aveva
tutto il diritto anche di cambiare idea, Ojiro. Era lui la parte lesa, aveva il
coltello totalmente dalla parte del manico e mai si sarebbe azzardato ad
andargli contro, anche se per un periodo aveva sperato che le cose si potessero
risolvere.
Ma
forse era semplicemente impossibile.
Quella
volta, l’ultima in cui avevano parlato civilmente, ormai quasi una settimana
prima, Ojiro gli aveva detto che perdonarlo lo aveva fatto sentire meglio, e
che non si stava sforzando. Ma forse non era così.
Non
che credesse fosse un bugiardo, ma semplicemente doveva aver capito altro standogli
così vicino. O forse, febbricitante, aveva detto o fatto qualcosa che non
ricordava affatto?
Perché
era stato dopo quel giorno che Ojiro aveva smesso di nuovo di parlargli.
Ma
lui davvero non lo ricordava.
O
meglio, gli sembrava di non aver fatto niente, ma iniziava a dubitare che i
suoi ricordi fossero consequenziali. Forse gli mancava un pezzo del pomeriggio?
Non
avrebbe saputo dirlo.
Ma
dopotutto, anche se avesse semplicemente cambiato idea di punto in bianco, non
avrebbe avuto diritto di dirgli assolutamente nulla.
Quindi
taceva, guardandolo con la coda dell’occhio sia in classe che in mensa ma senza
rivolgergli la parola e, soprattutto, cercando di stargli più lontano
possibile.
Se
Ojiro gli aveva tolto di nuovo il saluto, allora era abbastanza evidente che
non volesse avere a che fare con lui, quindi già da qualche giorno se Ojiro
rimaneva in Sala Comune con gli altri, di solito per studiare col gruppo
capitanato da Momo, lui saliva in camera e restava lì, da solo.
E
forse gli faceva anche un favore.
Aveva
la scusa per sfuggire a Midoriya e Shinsou aveva
sempre preferito studiare per conto proprio. Si concentrava meglio.
Farlo
con Midoriya, a volte, in preparazione a qualche
compito o interrogazione, poteva essere utile, soprattutto per la presenza anche
di Iida e Todoroki che erano fin troppo preparati. Ma
preferiva comunque farlo in solitudine.
E
anche quel giorno era così. Soprattutto visto il periodo che stavano vivendo, e
tutti i dubbi che Midoriya aveva ancora in testa e
per i quali, anche se senza mai puntargli il dito, gli rivolgeva di continuo
occhiate strane. Con quegli occhioni verdi
inquisitori che sembravano sempre sul punto di scrutargli l’anima e che,
adesso, lo mettevano fin troppo in soggezione.
Per
lui in quel momento era molto meglio così.
Se
ne stava in camera sua, e in neanche un paio d’ore aveva quasi finito tutti i
compiti che avevano dato per il giorno successivo. Se riusciva a finire presto
forse poteva anche leggersi un libro o guardarsi un film.
Non
era un programma così malvagio, per la serata.
Non
appena riuscì a chiudere il libro di matematica si stiracchiò per bene e a
lungo sulla sedia, sgranchendo schiena e spalle, e solo dopo si decise ad
alzarsi.
Erano
appena le nove e mezza. Gran parte dei suoi compagni dormivano e l’altra metà
era comunque nelle proprie stanza, di norma, a quell’ora, quindi si ritenne
libero di scendere e prepararsi qualcosa di caldo da bere. Un tè per esempio. Si
diresse quindi nella cucina, passando per il salotto vide svegli solo Kaminari, Sero e Mineta, ma non era una novità. Quei tre facevano sempre
nottata se potevano.
Li
ignorò e andò dritto verso i fornelli per prepararsi un tè, ma aveva appena
messo piede nella cucina quando vide chiaramente la coda di Ojiro ondeggiare
pigramente a destra e a sinistra. Si fermò sulla porta, indeciso, ma Ojiro gli
dava le spalle e forse, con un po’ di fortuna, non si era neanche accorto di
lui.
Rimase
comunque a guardarlo per un po’, non riuscì ad evitarselo, e forse proprio per
questo Ojiro si voltò, sentendosi osservato.
Shinsou
svicolò più veloce che poté.
“Shinsou?”
Era
sicuro che Ojiro fosse in stanza, a quell’ora, se non addirittura addormentato,
invece se lo ritrovava in cucina con un bicchiere d’acqua in mano. Se era sceso
solo per bere, e proprio in quel momento si erano incontrati, il karma doveva
odiarlo davvero tanto.
Se
odiasse lui od Ojiro non ne era però sicuro.
Perché
di norma a lui non sarebbe dispiaciuto vederlo, osservarlo, stare fermo anche
solo a goderselo con gli occhi, ma quell’aria sciupata che aveva ultimamente
faceva male. Perché era colpa sua.
E
Ojiro doveva star odiandolo, quindi incontrarlo non doveva rasserenarlo
affatto.
Preso
com’era da quei pensieri funesti non si era minimamente accorto dei passi alle
sue spalle, almeno fin quando non si sentì afferrare per il polso. E per un
attimo raggelò.
Perché
se era stato un gesto istintivo per placcarlo, quello di Ojiro, ancora non lo
lasciava. Ancora non interrompeva il contatto.
Anzi,
strinse ancora più forte.
“Shinsou...?
Fermati un attimo!”
Shinsou
si bloccò all’istante, a quella richiesta, e si voltò a guardarlo.
Il
tono con cui glielo aveva chiesto era stato quasi un’imposizione, ma adesso se
ne stava lì, fermo con gli occhi bassi e il labbro inferiore fra i denti.
Gli fece tenerezza.
“Se...ecco,
puoi tornare in cucina, se ti serviva. Io ho finito.”
“Non
importa, non dovevo fare niente di particolare.”
Ojiro
annuì, per un attimo strinse ancora la presa.
Era
stato l’istinto a spingerlo a buttarsi all’inseguimento di Shinsou, quando
l’aveva visto andare via in quel modo, dopo averlo trovato ad osservarlo.
Il
problema era che ora non sapeva bene che cosa fare. Dire.
In
quei giorni aveva pensato a lungo, e non era arrivato a niente. Era solo
confuso. Voleva e non voleva le stesse cose, desiderava e temeva le stesse
situazioni.
Era
follia pura, quella che aveva in testa.
Ma
dopotutto erano svariati giorni che aveva la sensazione di star impazzendo.
Ma
Shinsou gli era sempre stato a distanza di sicurezza ed era riuscito, in un
certo senso, ad accantonare tutto quello in un angolo remoto della sua testa.
Facendo finta che non esistesse.
Trovarlo
che lo guardava di nuovo in quel modo, come quando non gli toglieva gli occhi
di dosso a inizio anno, se pur in verità con un altro tipo di sguardo, lo aveva
in un certo senso spronato, poco prima.
Perché
adesso che sapeva perché Shinsou lo fissava, perché si sentiva così nudo
davanti ai suoi occhi viola in classe, a lezione, in spogliatoio, non poteva
semplicemente ignorarlo.
E
soprattutto non poteva ignorare il fatto che, adesso che aveva acquisito quella
consapevolezza, anche il suo modo di vederlo era cambiato. E di pensare, anche.
L’aveva
mal giudicato, aveva malinteso quegli sguardi perché convinto d’altro, cieco
nelle sue certezze per un passato di cui Shinsou non era neanche invischiato.
E
adesso che sapeva perché, quindi, tutto aveva preso un’altra ottica. L’aveva
capito quando era andato da lui quella sera, e l’aveva trovato febbricitante e
debole.
Pensava
di aver odiato l’essere stato baciato a forza, ingannato, l’essere stato
toccato, e spogliato.
E
invece, per un misero istante aveva rimpianto di averlo fermato.
Di
non ricordarsi il sapore delle sue labbra.
E
fin dall’inizio aveva avuto il terrore che qualcuno potesse scoprire quello che
era successo e dirlo ad Aizawa, che Shinsou potesse
autodenunciarsi al docente. Che lo mandassero via.
Che
non potesse più vederlo.
E
quei pensieri non avevano senso.
Avrebbe
dovuto odiarlo.
Perché
no, invece? Perché si sentiva così?
Perché
quella stretta allo stomaco che aveva provato fin da principio, nell’averlo in
classe e per di più nel banco accanto, invece di sparire era aumentata?
Il
disagio, l’inadeguatezza.
E
il desiderio.
Gli
aveva chiesto lui di non toccarlo.
Adesso,
però, adesso che era lui ad averlo toccato di propria iniziativa, se ne
pentiva, e non riusciva a lasciare il suo polso.
“Ojiro?”
Alzò
appena gli occhi, a quel richiamo. Gli aveva messo l’altra mano sulla sua,
ancora intorno al suo polso, ma non per spingerlo a lasciarlo. Non con la
forza, quantomeno.
Era
preoccupato.
“Stai
bene?”
Ojiro
aprì bocca per dire che no, non stava bene, ma cambiò idea prima ancora di
emettere il primo suono.
Aveva
pensato che toccarlo, dopo quello che gli aveva fatto, gli avrebbe dato
fastidio, ma non era così.
Quindi,
quanto il suo desiderio, conscio o meno che fosse, di ricordarsi il sapore
delle sue labbra poteva stare in equilibrio con quelli che erano, invece, i
bisogni del suo corpo?
“Non
lo so,” rispose, sincero, prima di aprire la porta della stanza di Shinsou, che
non era stata chiusa a chiave, e spingercelo dentro.
Hitoshi
eseguì meccanicamente, spiazzato.
“Posso...aiutarti?”
Ojiro
non gli rispose, non a voce almeno.
Ma
Shinsou non avrebbe mai potuto aspettarsi niente di quello che accadde due secondi
dopo quella domanda.
Ojiro,
infatti, dopo aver chiuso la porta della camera con la coda, lo spinse verso il
muro, alzandosi in punta di piedi per riuscire a congiungere le sue labbra con
le proprie.
Shinsou
irrigidì le spalle, colto di sorpresa.
Che...stava
succedendo?
Forse
si era addormentato con la faccia sul libro di matematica senza che se ne fosse
accorto e adesso stava sognando. Perché se era un sogno, era un bel sogno.
Ma
se era la realtà...come doveva giudicarla?
Perché
Ojiro, proprio Ojiro, dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che
gli aveva fatto, dopo avergli chiesto di non toccarlo, dopo averlo ignorato per
giorni...perché adesso lo baciava?
Era
un bacio leggero, praticamente a stampo, ma era comunque un bacio.
Non
capiva.
Non
capiva più niente.
Ma
sapeva che non poteva lasciarsi andare all’istinto di prenderlo per le spalle e
approfondire il contatto. Schiudergli le labbra a forza per poter incontrare la
sua lingua.
Quello
non poteva farlo.
Per
questo lo afferrò e se lo allontanò di scatto, quasi con violenza. Troppa
forse.
“Cosa...cosa
stai facendo?” soffiò Shinsou, il capo chino per non essere costretto a fissare
quel volto. Percepiva il suo stupore, poteva immaginare gli occhi sgranati, le
guance arrossate, e forse era meglio se non vedeva niente di tutto quello.
“Ora
capisci perché mi ha dato fastidio?”
Shinsou
sgranò gli occhi. Evidentemente aveva fatto male ad immaginarlo stupito e
sconvolto. “Cosa? Ti stavi...vendicando?”
Ojiro
sobbalzò visivamente, “No!” esclamò, “Non era quello...quello che volevo
dire...”
“Allora
perché mi hai baciato?”
“Io...”
si morse il labbro con così tanta forza da spaccarlo e Shinsou si mosse
d’istinto, a quella vista, prendendogli il volto fra le mani e passandogli il
pollice sul labbro ferito per liberarlo dalla piaga dei denti.
“Non
fare così...”
Ojiro
serrò gli occhi, incassando la testa nelle spalle, “Mi dispiace,” soffiò,
“Scusami...”
“Non-”
Non poté neanche finire la frase, aveva appena aperto bocca che Ojiro si era
già voltato per sfuggirgli via.
“Ojiro!
Aspetta!”
La
sua voce si perse nel corridoio, accompagnata solo dai passi frettolosi di
Ojiro per le scale.
Poteva
andargli dietro, forse avrebbe dovuto.
Ma
Ojiro gli sembrava così sconvolto da se stesso che, forse, la cosa migliore che
poteva fare era lasciarlo un po’ solo, per pensare e schiarire le idee.
E
forse lui poteva sperare. Anche se non lo meritava affatto.
Se
lo era detto e ripetuto innumerevoli volte. Non meritava Ojiro e non era giusto
forzarlo, in nessun modo e per nessuna ragione.
Eppure,
quando il giorno dopo lo rivide a scuola, con gli occhi segnati dall’insonnia,
non riuscì più a pensare di stare zitto ed aspettare.
Lo
aveva baciato lui, quindi forse poteva sperare e peccare un poco di presunzione
nel pensare che poteva anche aiutarlo. Se poteva dissipare anche un solo
dubbio, qualcosa di piccolo...perché non farlo.
Glielo
doveva.
Per
questo approfittò subito della lentezza di Ojiro, alla fine della giornata
scolastica, nel mettere tutto quanto in cartella. Di solito si sbrigava, pur di
non far aspettare troppo Shoji e Sato, ma quel giorno
gli sembrava quasi scarico. Come a rallentatore.
Anche
durante le lezione, pur avendo in mano la penna per tutto il tempo, aveva
scritto pochissimo. Quasi nulla. Era lampante non riuscisse a stare dietro la ti
parlantina di PresentMic.
“Ojiro?”
Il
sobbalzo fu così improvviso e violento che l’astuccio che Ojiro aveva ancora in
mano si schiantò a terra.
Shinsou
si abbassò subito a recuperarlo, prima ancora che potesse piegarsi Ojiro per
farlo. Glielo passò quasi con timore, ancora inginocchiato accanto al banco,
guardandolo dal basso.
Facendosi
più piccolo possibile, timido.
“Ojiro
possiamo...possiamo parlare un attimo? Da soli?”
Mashirao
lo fissò a lungo, si perse in quegli occhi viola lucidi, quegli occhi che
ultimamente l’avevano fatto penare così tanto, che lo avevano portato a
rivangare e ricordare cose che forse non avrebbe voluto ricordare.
Eppure
erano così belli, quegli occhi. Non per il colore, no, per quello che
trasmettevano.
Un
pentimento totale e sincero.
Annuì,
alla fine, mordendosi nuovamente il labbro. Lo sapeva che gliel’avrebbe
chiesto, era ovvio, per questo era stato così nervoso per tutta la mattina,
assente. Pensieroso.
Ma
se non fosse venuto Shinsou, prima o poi sarebbe stato lui ad andarlo a
cercare.
Per
se stesso.
“Shoji-kun?” chiamò, e quando l’altro si affacciò dalla
porta dell’aula si sforzò di abbozzare un sorriso, “Andate pure avanti. Io vi
raggiungo più tardi.”
Shoji in un
primo momento non disse nulla, limitandosi a fissare Shinsou che se ne stava
ancora nella stessa posizione accovacciata, gli occhi puntati al pavimento
adesso. Scambiò appena un’occhiata con Satou, poi
annuì. “Va bene. Ti aspettiamo al dormitorio, allora.”
“Sì.
A dopo.”
Shinsou
si alzò solo quando lo fece anche Ojiro, dopo aver finito di sistemare le
ultime cose in cartella.
Fecero
la strada in silenzio, fino al cortile sul retro.
A
quell’ora non c’era nessuno perché tutti quanti si stavano già dirigendo verso
il dormitorio, per riposare o studiare.
C’era
tranquillità, in totale contrasto con quello che Ojiro aveva nella testa,
invece.
Il
caos totale.
Avrebbe
voluto riuscire a tranquillizzarsi, sapere che cosa rispondere a quelle che
sarebbero state le domande di Shinsou, ma non ne era in grado. Non lo sapeva
neanche lui.
C’erano
cose che semplicemente non si potevano controllare, come i sentimenti. Ma
comprenderli un po’ forse l’avrebbe fatto sentire meglio.
Invece
era nella confusione più assoluta, e non sapeva più che fare, o dire.
Non
aveva spiegazioni logiche a quello che provava. Niente di tutto quello era
logico.
“Mi
dispiace per ieri,” mormorò alla fine, gli occhi fissi sul pavimento, “Scusa,
davvero, non so che...non so.”
“Non
è per quello,” sussurrò anche Shinsou, grattandosi la nuca. Non si sarebbe mai
lamentato di un bacio di Ojiro, rubato o meno che fosse.
Tutta
quella situazione era iniziata proprio perché lui lo desiderava, in fondo.
Non
era lì per lamentarsi. Era solo preoccupato.
Da
morire.
“Non
devi scusarti, Ojiro. Però...Io credevo che non volessi.”
Mashirao
strinse le labbra fra loro, “Anche io lo pensavo.”
Ma...
Lo
lasciò sospeso nell’aria, senza più continuare.
Shinsou
avrebbe voluto estorcergli tutto con le pinze, perché così non poteva neanche
aiutarlo.
Ma
non era il caso. Doveva lasciargli i suoi spazi. Anche a costo di aspettare
tutto il giorno. O più di un giorno.
“Quando
sei stato male ho pensato fosse meschino non aiutarti solo perché ti avevo
chiesto di non toccarmi, anche perché quando sono tornato nella stanza tu
dormivi,” iniziò Ojiro, legandosi la coda alla vita e stringendosi nello stesso
momento nelle braccia.
Allora
aveva ragione, Shinsou. Era stato Ojiro. E quindi, volente o meno l’aveva
toccato, quel giorno.
“Ho
fatto qualcosa...”
“No.
Te l’ho detto, dormivi.”
“Non
capisco. Scusami, Ojiro, ma proprio non capisco,” ammise alla fine, perplesso,
“Ho pensato che ce l’avessi di nuovo con me, e sarebbe stato giusto. Ma quello
che hai fatto ieri mi confonde.”
Ojiro
si coprì gli occhi con le mani, ben strette a pugno. Il pennacchio della coda,
che teneva stretta alla vita, a darsi piccole pacche sulla schiena. “Sapessi
quanto confonde me...”
Hitoshi
assunse un’espressione stupita solo per un breve attimo, poi aggrottò le
sopracciglia.
Aveva
pensato fosse utopistico pensarlo –sperarlo-, ma
forse era così.
Forse
Ojiro provava qualcosa.
Per
questo era così confuso, spaesato, per questo l’aveva baciato. Per provare.
Per
questo aveva detto quella frase, quel giorno.
Non voglio
tu sparisca dalla mia vita.
E
per questo non lo aveva denunciato.
Perché
provava qualcosa per lui.
Per
questo non gli dava corda, per questo a differenza di tutti manteneva le
distanze da lui fin da principio.
Se
solo l’avesse capito o sospettato prima, anche solo per un attimo, non
l’avrebbe mai fatto. Mai.
Ma
ormai era tardi, per quello.
“Ascolta,
Ojiro...posso?”
Gli
lasciò il tempo di pensare e capire, ma non appena, seppur impercettibilmente,
Mashirao annuì, Shinsou gli prese entrambi i polsi fra le mani e lo costrinse a
staccare i pugni dal volto. A scoprirsi.
Era
quello che doveva fare, da adesso in poi.
Scoprirsi.
Altrimenti
non sarebbe riuscito ad arrivare a nulla, temeva. Poteva aiutarlo, in quello.
Lo sperava, almeno.
“Mi
puoi guardare un attimo?”
Mashirao
sospirò. Aveva ancora i polsi bloccati dalla presa delicata di Hitoshi, e il
calore di quelle mani così grandi gli si irradiò fino alle guance. Alzò gli
occhi piano, ma alla fine catturò le iridi violacee di Shinsou, perdendocisi.
E
per qualche ragione gli diedero un senso di pace.
Shinsou
si ritrovò a sorridere, un sorriso vero, dolcissimo, che non aveva nulla dei
suoi soliti sogghigni. E Ojiro, per un attimo, sentì chiaramente un crampo allo
stomaco a quell’espressione.
E
un pizzico di felicità.
“Possiamo...fare
una cosa,” azzardò allora Hitoshi, senza distogliere lo sguardo né cambiando
espressione.
Quel
velo di lacrime fu come una carezza per Mashirao, che d’istinto sciolse la
presa della coda su se stesso e l’allungò verso di lui, sfiorandogli la guancia
con l’estremità pelosa.
“Cosa?”
Hitoshi
trattenne per un attimo il respiro, “Potremmo...se sono io a confonderti, per
qualche ragione, potremmo provare a passare un po’ di tempo insieme, invece di
ignorarci a forza. Così...Il silenzio non può aiutarti a capire. Finora non ti
ha aiutato, no?”
“Già.
Non lo ha fatto.”
“Allora...potremmo.
E se deciderai che è stato solo un attimo di confusione, non ti parlerò mai
più.”
Mashirao
rimase in silenzio solo pochi istanti, prima di annuire.
Per
qualche assurda ragione, la stretta allo stomaco non si era allentata affatto,
dopo quella proposta. Eppure, non faceva male. Era quasi piacevole.
Una
coccola, come la stretta di Shinsou sui suoi polsi, che adesso sembrava quasi
una carezza.
“Va bene,” sussurrò quindi. Se solo quello lo
faceva sentire così, forse la risposta ce l’aveva già? Forse era lui, invece, a
non volerla vedere?
“Sì. Va bene.”
La
proposta di Shinsou non gli aveva dato fastidio anzi, una parte di sé era stato
felice e sollevato. Per qualche ragione, però, ancora non l’avevano messa in
pratica. Semplicemente Ojiro aveva avuto la sensazione che le cose si fossero
rilassate, come se si stessero pian piano sistemando da sole.
Come
se quello, solo parlare, ancora prima di fare, bastasse.
Aveva
dormito sonni sereni per le due notti successive e anche Shoji
aveva notato la differenza, aveva smesso di chiedergli come stesse e sembrava
meno preoccupato.
Quando
li aveva raggiunti dopo aver parlato con Shinsou, due giorni prima, Shoji era parso seriamente apprensivo. Si capiva
guardandolo quanto, involontariamente, avesse messo in ansia i suoi amici, con
il suo comportamento strano e sospetto.
Però
adesso stava iniziando ad andare meglio. Credeva, almeno.
Riusciva
a sorridere a Shinsou con tranquillità la mattina e anche se quando lui gli
rispondeva, con quel sorrisino impacciato e quasi timido che non era affatto
abituato a vedere, il cuore gli esplodeva nel petto, e doveva di nuovo
distogliere lo sguardo.
Non
riusciva a fare altrimenti.
Forse
era per quello che non aveva ancora messo in atto la proposta. E Shinsou doveva
star aspettando lui.
Ne
aveva però approfittato per stare più in tranquillità con i suoi amici.
Entrambe le sere si era fermato a guardare un film con Kirishima,
Midoriya e gli altri, fino anche ad abbastanza tardi
per i suoi standard.
Quel
giorno, però, si presentò davanti alla porta di Shinsou e bussò.
Il
giorno dopo PresentMic
aveva detto che avrebbe interrogato e lui, proprio a causa dei suoi pensieri
calamitati su Shinsou, all’ultima lezione non aveva prestato minimamente
attenzione. Avrebbe potuto approfittare di Yaomomo
che stava aiutato Ashido e Kaminari
di sotto, eppure per qualche ragione gli sembrava la scusa ideale per
presentarsi da Shinsou e stare con lui.
“Sono
Ojiro,” mormorò ancora alla porta, sentendo il borbottio poco convinto di
Shinsou dietro di essa.
Un
istante dopo Shinsou aveva già aperto, accogliendolo con una tuta bluastra
dall’aria non esattamente nuova e, soprattutto, con i capelli calati sulla
fronte.
Per
un attimo Ojiro rimase interdetto.
“Non
mi aspettavo...”
Ojiro
si lasciò scappare una mezza risata, lasciando Shinsou a metà frase e senza più
parole. “Lo vedo!” esclamò, “Se vuoi torno...beh, un’altra volta. Magari la
prossima volta ti avverto.”
“No!
Cioè...” Shinsou sbuffò, tirandosi di forza i capelli all’indietro e liberando
la fronte, come se stesse cercando di trovare da dire e non sapesse come
comportarsi.
Ojiro
provò per un momento l’impulso di togliergli quella mano dalla fronte e farci
ricadere i capelli.
Perché
era bello.
Era
bello con i capelli liberi dal gel, morbidi. Sembravano morbidi, almeno.
Gli
circondavano il viso rendendo i lineamenti più dolci. Non sapeva se fosse
possibile o era lui che vedeva qualcosa che non c’era, ma era la sensazione che
gli dava.
Gli
piaceva di più.
Perdeva
l’aria da ragazzo arrogante, superbo e irriverente che aveva di solito e ne
acquisiva una più timida, dolce.
Voleva
passarci le mani in mezzo. Proprio in mezzo.
Scosse
il capo con forza. “Eh?”
“Dicevo...che
stavo studiando. Per questo.”
“Oh,
sì, anche io. Ma poi mi sono accorto che mi mancano gli appunti di Mic per domani. Per caso...”
“Li
ho io,” esclamò subito Shinsou, cogliendo la palla al balzo. Aveva già
tentennato abbastanza. In fondo, che gli importava se aveva l’aspetto
stropicciato di chi si era appena svegliato?
Ojiro
era venuto lì apposta.
“Vuoi
entrare? Possiamo studiare insieme,” provò Shinsou, facendosi lievemente da
parte sulla porta.
Ojiro
annuì, “Ero venuto apposta,” sorrise.
Si
sedettero uno vicino all’altro alla scrivania, perché non c’era altro spazio.
L’unico altro posto sarebbe stato il letto, ma a Shinsou non pareva affatto una
buona idea.
La
scrivania o il pavimento.
Aveva
scelto lui la scrivania. Ci si era seduto senza lasciare ad Ojiro il tempo di
fare altro, e lui si era accomodato di conseguenza.
Lo
aveva fatto di proposito, in verità. Così, aveva la scusa di stargli vicino.
Quasi
gomito contro gomito.
Ognuno
sul suo quaderno.
Anche
se Shinsou spesso lo sbirciava con la coda dell’occhio, non visto.
Aveva
una scrittura piccola, non come se l’aspettava lui ma che rispecchiava molto il
suo senso di insicurezza, la timidezza, il sentirsi spesso inadeguato. Però era
anche ordinato, preciso, chiaro. Non si aspettava niente di diverso, su quello.
Lui
invece era l’esatto opposto anche in quello. Calcava tantissimo la mano,
scriveva velocemente, nella fretta non rispettava quasi mai i margini.
Sorrise
appena.
Non
aveva pazienza neanche quando doveva scrivere, era quello il punto. E non
l’aveva avuta neanche con Ojiro.
E
invece era l’unica cosa che occorreva, con lui. Un po’ di pazienza.
Quando
Ojiro poggiò la penna sul quaderno, si decise ad alzare gli occhi sul suo
volto. Aveva finito di ricopiare i suoi appunti e di fare gli esercizi per
metà, ma adesso lo stava guardando.
“Grazie
per gli appunti.”
“Ah,”
Shinsou stirò le labbra. Si aspettava altro che quella frase, ma era ovvio che
non sarebbe andato oltre, “Prego, figurati.”
“Qualcosa
non va?”
“No,
niente.”
Ojiro
scrollò le spalle, spostando lo sguardo un po’ su tutta la stanza. Si era
guardato intorno anche quando era entrato, non era neanche la prima volta, ma
quel giorno i suoi occhi vennero calamitati dal calendario appeso sul letto.
La
data cerchiata di rosso era alla fine del mese, da lì a due settimane.
“Come
vanno gli allenamenti con il professor Aizawa?”
“Sto
migliorando.”
“Sì,
si vede anche quando ti alleni con noi. Hai già deciso se chiederai il permesso
per qualche oggetto, durante il festival sportivo?”
Anche
Shinsou alzò gli occhi verso il calendario.
Già,
mancavano due settimane al Festival Sportivo di quell’anno. Il loro secondo. La
loro seconda, e penultima, possibilità di farsi notare nel mondo del
professionismo.
“Terrò
solo le bende, la maschera non mi serve. Ho già inviato la richiesta al preside.
So che probabilmente pensi che dovrei cavarmela con le mie sole forze ma...-”
“No,
in verità no,” lo interruppe subito Ojiro, “Anche Aoyama
usa la sua cintura. Ci sono dei quirk per cui non
basta il proprio fisico, lo capisco.”
“Ah
sì?”
“Sì.
So che...me la sono presa lo scorso anno, ma era diverso.”
“Eppure,
io non ho fatto altro che usare tutto quello che avevo.”
“Lo
so. Però...io stavo cercando di dare il massimo, di ottenere qualcosa, e tu me
lo hai impedito.”
“Non
ho fatto niente di simile. Non ho impedito nulla. Anzi, ti ho fatto arrivare
fra i primi sedici, fino a prova contraria. Sei tu che ti sei ritirato!”
Ojiro
indurì lo sguardo, “Ma non ero io a scegliere cosa fare e a farlo, eri tu! E’
per questo che ce l’avevo con te, è così difficile da capire? Il tuo potere è
dannato! Quello che fai alla gente è disgustoso!”
“Ma
è il mio potere! Non posso cambiarlo...”
“Ma
era anche il mio corpo. La mia volontà. Io...”
Tacquero
entrambi. Era ovvio che Shinsou capisse quello che voleva dire Ojiro, quello
che pensava. Era anche il motivo per cui per anni nessuno gli aveva mai dato
corda, non più di tanto.
Nessuno
voleva essere controllato, nessuno voleva perdere il controllo di sé stesso,
fare qualcosa che non voleva contro la propria volontà.
Era
normale. Era la natura umana.
“Senti...”
mormorò dopo un po’ Ojiro, le mani palmo contro palmo strette in mezzo alle
ginocchia, gli occhi puntati proprio lì, “Non...non sono venuto per discutere.”
“No.
Scusami tu, non dovevo scaldarmi così tanto...”
“Io
lo capisco, davvero, che non avevi scelta. Però cerca anche di capire me.”
Shinsou
annuì, “Certo che capisco. E ti ammiro, anche. Se...se avessi pensato che
qualcuno di voi aspiranti eroi mi avrebbe calcolato, non avrei usato il brainwash come prima scelta. Ma non mi conoscevate...o
meglio, avevamo avuto quella discussione con Bakugou, che non è mai il massimo
per iniziare. E avevo bisogno di voi.”
“I
tuoi amici del Dipartimento Generale non erano abbastanza?”
“No.
E poi non c’erano, si erano arresi ben prima, durante la corsa.”
Ojiro
alzò gli occhi sulla foto appesa alla bacheca, la 1-C al completo, con una
ragazza che teneva fermo Shinsou per un braccio, davvero poco propenso a farsi
fotografare. Sorrise, “Li senti ancora?”
Shinsou
seguì lo sguardo di Ojiro e, quando incontrò la foto appesa alla parete,
sogghignò, “Chi, loro? Sì. Non sempre, e poi solo Omura
e Tetsuya.”
“Gli altri?”
“Gli
altri...no. La gente fatica ad avvicinarsi a me, è così da sempre. Ci sono
abituato. Omura è stata un caso a parte, come voi,
del resto. Ve ne fregate del mio potere, non avete paura. Di norma, invece,
sì.”
“Quindi
non avevi molti amici, prima della Yuuei?”
“Non
avevo nessuno amico, prima della Yuuei,” chiarì
Shinsou, “La gente ha paura a parlarmi. Forse pensa che mi diverta a farli spogliare
e farli andare in giro nudi per dispetto. O che li usi per fare una rapina!”
Ojiro
scoppiò a ridere, “Dai!”
“E’
vero, me l’hanno detto.”
“Cosa?”
“Che se fossero loro ad avere questo potere userebbero il primo che gli parla
per fargli fare una rapina e prendersi tutti i soldi.”
“Davvero?
E per questo non ti parlavano?!”
“Già.”
“Assurdo,”
scosse la testa Ojiro, sporgendosi in avanti e poggiando i gomiti sulle
ginocchia, “E’ una fortuna, in fondo, che sia tu ad avere questo potere.”
Shinsou,
per un attimo, drizzò la schiena, “Ojiro...”
“No,
dico sul serio. Cioè...” si morse l’interno della guancia, ma poi sorrise,
“Cioè, ti sei fermato, no? E non hai mai approfittato del tuo potere. Potevi.
Potevi davvero diventare facilmente un Villan, molto più facilmente di un eroe.
Però sei qui. Quindi è una fortuna.”
Hitoshi
strinse le labbra, “Ma l’ho fatto. Mi sono approfittato.”
Il
sorriso sulle labbra di Ojiro sparì all’istante, il labbro inferiore tremò
appena, “Non...non hai idea di quello che potresti fare, se fossi davvero un
villan. Non...” la coda virò agitata sopra la sua testa a destra e a sinistra.
Shinsou
mise subito le mani avanti, “Credo di conoscere il potenziale del mio potere,”
mormorò, “E il fatto che potrei fare cose ancora più cattive non mi giustifica.”
Ojiro
scosse il capo, “Almeno il tuo potere non lascia effetti collaterali.”
Shinsou
lo guardò a lungo. Sembrava turbato, agitato.
Se
aveva in mente di chiedergli qualcosa, ne perse subito la voglia. “Vuoi un
bicchiere d’acqua?”
“Sì,” sorrise, “Grazie.” Aspettò in silenzio che Hitoshi si avvicinasse al
minifrigo che aveva in camera e tirasse fuori una bottiglietta, che poi gli
porse. La prese subito e ne scolò una buona metà.
Tutto
quello gli metteva addosso una tremenda arsura.
“Mi
dispiace che la gente ti abbia sempre giudicato solo per il tuo quirk.”
“E’
okay. In fondo lo facciamo tutti, soprattutto su alcune cose.”
“Già.
L’ho fatto anche io.”
“Tu
avevi ragione.”
“No,
non ce l’avevo. Midoriya l’aveva. Lui ti ha capito
fin da principio, è stato incredibile. E aveva ragione. E poi, è davvero
ridicolo che io abbia giudicato te per il tuo potere...dovrei sapere quanto dia
fastidio. Dovrei essere l’ultimo a farlo.”
“Anche
a te è successo?”
“Già,
beh...non ho neanche mai fatto niente per dimostrare il contrario. Io sono
davvero un tipo normale, monotono e comune, come il mio potere. Quindi avevano
ragione a giudicarmi tale. Però comunque mi da ancora fastidio, a volte, e
quindi non dovrei fare qualcosa che so già dia fastidio.”
“Monotono
non direi. E normale non è un difetto.”
“Infatti
ho attirato la tua attenzione, comunque, no?”
Shinsou
arrossì appena, “Sì. Ti...ti ricordi che cosa ti ho chiesto quando...beh, al
Festival Sportivo?”
Ojiro
inclinò il capo, “No. Cosa? Se volevo fare squadra con te?”
“No,”
Shinsou scosse il capo, divertito. Non riuscì, stavolta, ad evitare di
sogghignare, nonostante tutto.
Era...commovente.
Sì, era commovente parlare con così tanta normalità e tranquillità, nonostante
il disagio iniziale, con Ojiro.
Era strano, e bello, perché era la prima volta.
Avrebbe
voluto continuare per sempre!
“E
cosa? Dimmelo! Perché non me lo ricordo? Dovrei ricordare l’ultima cosa che mi
hai chiesto!”
“Forse
l’hai rimosso per lo shock.”
“Addirittura!
E cosa mi hai detto, allora? Shinsou, dai!”
“No.
Scordatelo!”
“Ma
ormai hai tirato il sasso, non puoi nascondere la mano! Non mi arrabbio,
giuro!”
“Non
è per quello!” rise, “Non te lo dirò oggi!”
“Avanti,
cosa sarà mai!”
“Ho
detto no! Non oggi.”
“E
quando? Che cambia oggi o un altro giorno?”
“Cambia...che
mi conoscerai meglio e non ti arrabbierai.”
“Ma
non mi arrabbierò, te l’ho detto! Mi hai chiamato –scimmione-?”
Shinsou tacque e Ojiro lo prese con un assenso, “Non fa niente. Alla fine è la
traduzione del mio nome, più o meno,” sorrise, allungando le braccia sulla
scrivania e distendendo per bene la schiena per sciogliere i muscoli, tesi per
le lunghe ore passato lì seduto.
Shinsou
fissò la coda che continuava a virare a destra e a sinistra come se Ojiro fosse
di nuovo di buon umore. Era ipnotica.
“Beh,
vogliamo ripetere la lezione?”
Ojiro
annuì, “Sì, va bene. Ma ho la sensazione che non fosse questo quello che mi hai
detto quel giorno...”
“Non
te lo dirò, Ojiro. Fattene una ragione!”
“Ma
non è giusto, così! Mi hai messo il tarlo!”
Shinsou
rise, “Forse un giorno.”
“Mi
stai mentendo, vero? Se mi avessi detto qualcosa di particolare me ne
ricorderei, i ricordi si fanno offuscati dopo il brainwash!”
Shisnou alzò le
spalle con aria divertita, “Chissà!”
Ojiro
mise il broncio, prima di tornare sui suoi quaderni, mentre Shinsou ancora
ridacchiava.
Rimasero
insieme quasi due ore, studiando e ripetendo la lezioni per il giorno dopo.
Quando
Ojiro si alzò per tornarsene nella sua stanza, dietro la porta ci trovò
Bakugou, seppur di passaggio verso la sua stanza, accanto a quella di Shinsou.
Era
una sfortuna, perché non può definirlo in altro modo, che la stanza di Shinsou
fosse proprio sullo stesso piano di quella di Bakugou, che adesso li fissava in
cagnesco, passando dall’uno all’altro a intermittenza. Avrebbe fatto a meno di
incontrarlo, Ojiro, a dover essere del tutto onesto.
E
anche di essere guardato così, in una sorta di pietà e ribrezzo. Senza contare
lo sguardo assassino che rivolse a Shinsou.
Per
fortuna su quel piano c’era anche Kirishima, che
salvò la situazione in extremis.
“Oh,
Ojiro! Sei andato a studiare da Shinsou?”
Ojiro
si voltò verso l’amico con un piccolo sorriso, “Mh...si.”
Bakugou
schioccò la lingua, “Che stronzata. Quindi cos’era, tutta una farsa per
attirare l’attenzione? O lo stronzo lì sa strizzare i cervelli più di quanto
pensassi?”
Shinsou
assottigliò le labbra fra loro, ferito dalla schiettezza dell’altro.
Aveva
ragione. Ah, se aveva ragione.
Per
un attimo sperò che Ojiro dicesse qualcosa in proposito, ma l’altro tacque.
“Bakubro, che intendi?”
“Niente,
cretino, tu lascia stare! Non capisci mai un cazzo di niente!”
“Ma...”
Shinsou
arpionò la maniglia della porta ancora aperta, gli occhi ametista fissi sul
pavimento.
Ojiro, davanti a lui, lo guardò con la coda dell’occhio, lo fissò a lungo
aspettandosi che dicesse qualcosa, rispondesse a Bakugou. Ma non c’era nulla da
fare. Con quella storia in mezzo Shinsou sarebbe sempre fuggito via con la coda
fra le gambe, uggiolando come un cane ferito.
Gli
faceva pena, un po’.
E
allo stesso tempo non riusciva a provare rabbia verso Bakugou. Perché aveva
ragione anche lui.
Passò
lo stesso la punta della coda sotto il mento di Shinsou, costringendolo ad
alzare il capo che lo volesse o meno, seppur senza guardarlo.
“Aveva
solo bisogno di aiuto con la lezione di inglese dell’altro giorno, Bakugou,”
disse, sicuro.
“Hai
fatto bene, Ojiro! E sono proprio felice che voi due abbiate chiarito!”
Ojiro
annuì, “Sì. E’ stato solo un grande malinteso.”
“Ma
fammi il piacere!” sbottò Bakugou senza alcun garbo, superando il gruppo in due
falcate e chiudendosi di botto la porta della sua stanza alle spalle.
“Ma...Bakubro...”
Ojiro
sorrise, fissò Shinsou che ancora lo guardava e ormai non vedeva altro, poi si
rivolse a Kirishima, allontanandosi da lui e
lasciandolo andare regalandogli solo un’ultima, veloce carezza sul collo col
pennacchio della coda.
“Senti,
Kirishima! Ultimamente mi stanno tenendo fermo in
tutti i modi, mi sembra di star perdendo un sacco di tempo, specie in confronto
a voi! Non è che ti andrebbe di allenarti un po’ con me dopo le lezioni?!”
Kirishima sbatté le
palpebre, perplesso, “Ma...e sei sicuro? Se ti dicono che non puoi...”
“Certo!
Dalla prossima volta potrò ricominciare con voi e nel frattempo ho bisogno
davvero di distendere i nervi e poi non voglio rimanere indietro, te l’ho
detto!”
“Ah,
beh, allora va bene! Ci sto! Ah, e Shinsou: non fare troppo caso a quello che
dice Bakubro. Non è cattivo, credimi!”
Shinsou
annuì, abbozzando un sorriso. No, non lo era, lo sa.
Non voleva né poteva dire fosse preoccupato per il compagno di classe, ma di
certo aveva un’etica personale ferrea, Bakugou, su alcune cose soprattutto, e
per questo non riusciva davvero a farselo andare giù.
Lo
capiva. Come dargli torto? Aveva ragione da vendere, in fondo.
Non
tutti potevano essere come Midoriya. Od Ojiro.
O
come Kirishima stesso che, a quanto pareva, non aveva
capito assolutamente nulla.
“Beh
allora siamo d’accordo, Kirishima-kun! Io adesso vado
nella mia stanza. Buonanotte, Kirishima...Shinsou!”
--
Non
aveva affatto dimenticato quello che gli aveva detto Shinsou, nonostante la
conclusione tormentata da Bakugou e Kirishima, e
tanto meno aveva scordato che, in fondo, il piano era proprio passare più tempo
possibile insieme per rischiarare anche i suoi sentimenti, quello che aveva in
testa e nel cuore. Per questo, preso da un desiderio di farlo subito e ottenere
anche qualcosa, da se stesso, in fretta, Ojiro decide che forse studiare non
bastava più.
Gli
era utile, ma su certe cose non aveva molta pazienza. C’erano volte, come
quella, che l’attesa gli sembrava solo una punizione. E non si sarebbero
conosciuti meglio e non avrebbe iniziato ad apprezzarlo di più solo studiando
insieme.
O
meglio, forse in parte sì, avrebbe potuto apprezzare lo studente che era.
Ma
per il resto aveva bisogno di altro.
Di
più.
Quindi
quel giorno, il terzo giorno in cui studiavano nella stanza di Shinsou, solo
loro due, Ojiro poggiò sulla scrivania la penna e si allungò un po’ verso lo
schienale della sedia, allungando la schiena. Gli occhi neri di nuovo fissi su
Shinsou.
“Sei
figlio unico?” chiese all’improvviso Ojiro, senza un’apparente logica.
Shinsou
alzò il capo sorpreso, sgranando appena gli occhi, ma non si fece troppi
problemi, davanti a quella domanda. La prima di tante. Se Ojiro voleva
conoscerlo un po’, per curiosità o per dissipare i propri dubbi, a lui andava
bene.
Anzi,
era felice.
Forse
poteva anche fare lui, un giorno, qualche domanda all’altro. Per conoscerlo
meglio, più profondamente.
“Sì.”
“E
i tuoi genitori?”
“Mio
padre fa lo scrittore, mia madre la segretaria.”
“E
i loro quirk somigliano al tuo? Hai ripreso da loro?”
“Non
proprio. Quello di mio padre non c’entra niente, lui può leggerti nel pensiero
solo se ti tocca. Per questo lavora da solo, lo preferisce, non gli piace
granché.”
“Però
è utilissimo per le forze dell’ordine! Ci ha mai pensato?”
“A
volte collabora, se glielo chiedono.”
“Poteva
essere un grande eroe, se ci avesse provato. E’ un peccato!”
“Una
volta mi ha detto di averci provato, ad entrare in una scuola per eroi –non questa però. Ma non ci è riuscito e secondo me neanche
ci si è impegnato troppo. Il suo quirk non gli è mai
piaciuto, dice che ha provato ad entrare perché pensava che così avrebbe potuto
accettarlo, ma avendo fallito si è messo il cuore in pace.”
“Deve essere dura entrare nella testa degli altri così. Specie di alcuni. E tua
madre, invece?”
“E’
in grado di immobilizzarti, se canta, o urla.”
“Ah,
nella voce. Come te, allora.”
“Sì.
Ma lei non può farti fare nulla, ti immobilizzi ma rimani cosciente. Un
problema quando vuoi sfuggirle dopo aver commesso qualche guaio!”
Ojiro
rise, “Anche questo sembra un potere davvero utile.”
Shinsou
scrollò le spalle, “Forse. Ma a lei non interessa. Non voleva neanche che fossi
qui.”
“E
perché?”
“Si
preoccupa troppo, solo questo.”
Ojiro
sorrise, “Ma tu l’hai ignorata e sei qui.”
“Beh,
penso che valga per quasi tutti, no? A parte forse chi è già figlio di un eroe,
quale genitore non si preoccupa? Oppure vuoi dirmi che i tuoi ti hanno fatto
andare con gioia?”
“Mia
zia è svenuta quando le ho detto che volevo entrare e anche quando le ho detto
che ce l’avevo fatta,” rise Ojiro, “Ho pensato per un attimo di averla uccisa!”
Shinsou
si appoggiò allo schienale della sedia a sua volta. Era bello vederlo ridere,
ed era bello lui quando rideva.
“Sei
legato ai tuoi zii?”
“Molto.
Mi hanno cresciuto loro, dopo la morte dei miei.”
Shinsou
perse il sorriso, “Oh.”
“Tranquillo.
Ero piccolo.”
“Mi
spiace...”
Ojiro
scosse il capo, “Va tutto bene, davvero. Dimmi una cosa, invece. Perché uno
come te è qui? Perché vuoi diventare un eroe?”
“Uno
come me?”
Ojiro
non rispose, lasciando cadere la domanda con un sorriso che Shinsou ricambiò
appena.
“Per
ripicca. E perché li ammiro. Ho sempre ammirato gli eroi, fin da bambino. Ma mi
hanno sempre detto che non ero adatto, che facevo prima a diventare un villan.
O a stare lontano da queste cose e basta.”
“Così
tu invece ti ci sei buttato.”
“Esatto.
Volevo dimostrare loro, e anche a me stesso, che non era il mio quirk che doveva decidere cosa sarei diventato. Dovevo
decidere io. E io volevo diventare un eroe.”
“Questo
pensiero ti rende già migliore di tutte le persone che ti dicevano quelle cose.
E’ bello, che tu voglia diventarlo per questo. Forse potresti essere un esempio
per chi ha quirk particolari come il tuo, ed è
insicuro di quello che potrà diventare da grande.”
Shinsou
non commentò, limitandosi a grattarsi il collo quasi con imbarazzo. Non credeva
di poter diventare una persona simile, così bella da essere d’esempio per gli
altri.
Non
ne aveva le capacità.
Non
era come Midoriya, Kirishima
o Ojiro stesso. Loro erano speciali.
Puri,
luminosi, ingenui.
“Di
sicuro è un motivo meno nobile del tuo,” azzardò.
“Io?
Nah. Io volevo solo vendicare i miei.”
Shinsou
per un attimo rimase stupito, quasi agghiacciato, “Sono stati...”
“Sì,
ma...Lui è stato arrestato e condannato. Però ho deciso comunque di andare
avanti. Vorrei...che siano orgogliosi, penso,” spiegò, muovendo la coda davanti
al volto, “E mi sento in colpa per averti giudicato e non averti dato la minima
occasione di spiegarti, dopo il festival, per il tuo quirk.”
“Smettila
di scusarti per questo,” soffiò Shinsou.
“No,
invece...devo. Quando ho capito qual era il tuo potere io...ti ho sempre
paragonato a quell’uomo, mi sono rifiutato di darti fiducia dando per scontato
che dovessi essere una persona cattiva, come lui. Magari un suo parente...”
“Di
chi stai parlando?”
Ojiro
si chiuse nelle spalle, per un attimo senza dire né fare niente se non per la
coda che, quasi agisse di testa propria, si passò davanti agli occhi.
“Ero
piccolo e non ricordo bene. Non ricordo che giorno fosse, ma solo che era sera.
E non ricordo neanche che cosa successe di preciso, prima che scendessi.
Quell’uomo, lui era un allievo della palestra di mio padre, questo lo ricordo.
Aveva un potere simile al tuo, l’ipnosi. Forse ce l’aveva con mio padre. Ha
fatto qualcosa a mia madre, è stato...come se le avesse fatto il lavaggio del
cervello. E’ impazzita. Non era più lei. Ha cercato di uccidermi, quella notte.
E quando mio padre ha cercato di fermarla, hanno combattuto e alla fine...Mio
padre non si è mai ripreso per quello che ha fatto. Cinque anni fa si è
impiccato nel suo studio. E io, il tuo potere...scusami...”
Shinsou
non commentò, non aveva parole per farlo. Che doveva dire? Aprì la bocca per
parlare, ma alla fine la richiuse.
Cazzo.
Non
se l’aspettava, quella storia.
E
con un potere così simile al suo.
Ora
capiva. Ora capiva davvero perché tanto risentimento, odio, scetticismo verso
di lui. No, non verso di lui. Solo verso il suo potere.
Lo
capiva.
Evidentemente
smosso da quel discorso, Ojiro si alzò di scatto.
“Adesso
vado,” fece, teso e sbrigativo, dirigendosi verso la porta.
Shinsou
si affrettò a prendere il quaderno e seguirlo verso l’uscita. Glielo passò,
altrettanto teso, le labbra strette fra loro.
“Ah, si. Grazie.”
“Figurati
e...Ojiro?”
“Sì?”
“Sono
sicuramente fieri di te.”
Ojiro
non rispose, gli occhi neri però si fecero lucidi e, prima di mostrarsi a lui
in lacrime, girò le spalle e andò via.
La donna
sorrise, dolce, si stese con il piccolo Mashirao sul suo lettino, rimboccandogli
per bene la coperta, “Va bene tesoro. Ma mettiti buono, perché è ora della
nanna.”
Mashirao
si accoccolò subito per bene accanto a lei, la coda passava sul fianco e lui si
strinse il pennacchio al petto con una manina mentre l’altra teneva quella
della donna, che prese a cantare dolcemente, la voce bassa e melodiosa.
Quanto gli
piaceva la voce della sua mamma.
Lo rendeva
felice.
Anche
quella sera si addormentò subito, lei gli diede un bacio sulla fronte e chiuse
piano la porta della stanza, tornando al piano di sotto.
Gli occhi
neri come i suoi che lo osservavano dal nero oltre la porta brillavano nel
buio.
Non
sbattevano le palpebre.
Poi la
porta sbatté.
Mashirao
si tirò a sedere di soprassalto, l’urlo bloccato in gola lo mandò giù a fatica,
nel silenzio della stanza.
Almeno
non aveva fatto alcun rumore.
Asciugò
il sudore freddo con il palmo della mano, poi andò al bagno a farsi una doccia
calda. Probabilmente non sarebbe più riuscito a dormire.
Non
capiva il perché di quel sogno assurdo, in verità.
Era
un incubo che faceva spesso, a dover essere onesto, soprattutto i primi tempi.
E che era tornato dopo il Festival Scolastico.
A
volte durava di più, vedeva...altro, prima di riuscire a svegliarsi, per
sfuggire a tutto quello per tornare nella realtà.
Una
realtà che per quanto complicata, a tratti dolorosi, e confusa in quel momento,
era migliore di quei sogni, di quei ricordi, di quel passato.
Anche
se lui la ricordava comunque con gioia, la sua famiglia.
Fino
a quella notte.
Prima
che giungesse l’inferno.
Sospirò,
poi decide di scendere di sotto. Aveva bisogno di qualcosa di caldo da bere.
E...per qualche motivo, prese il cellulare.
--
Il rumore
al piano di sotto lo svegliò. Non era notte fonda, così decise di andare al
bagno. Sgattaiolò fuori dal letto, i piedini nudi sul pavimento gelido per un
attimo lo fecero tremare, ma non trovava le sue ciabattine e doveva davvero
andare.
Era a metà
corridoio quando sentì qualcosa.
Erano le
voci del suoi genitori, però c’era anche qualcun altro. Lì per lì non gli disse
nulla, quella voce, ma era sicuro di conoscere quella voce. Così, tranquillo,
andò al bagno e poi, invece di tornare nel suo lettino caldo, iniziò a scendere
le scale.
“Sai bene
quali sono le regole nelle Arti Marziali. La mia è una palestra seria,” la voce
di suo padre era furiosa. Con lui non aveva mai parlato così.
Forse lo
stava sgridando.
“Non
prendermi in giro! Sai bene che non è stata colpa mia!”
“Non è la
prima volta che fai a botte al di fuori delle lezioni. Sai come la penso. Non
sei più il benvenuto nella mia palestra!”
“Non puoi
scacciarmi così! Non hai alcun diritto di farlo!”
“Ne ho
eccome! Cercati un'altra palestra e, se sei così interessato a diventare un
campione di Arti Marziali, cerca di darti una calmata! Comportandoti come ti
comporti non sei molto meglio di alcuni Villan.”
“Come
osi!”
“Per
favore, smettetela!”
Mashirao
spiò meglio dal corrimano delle scale, infilandoci quasi la testa in mezzo, cercando
la madre che aveva appena parlato. Aveva una faccia preoccupata, e non gli
piaceva vedere così sua madre. Così, anche se forse non avrebbe dovuto, si
prese la codina fra le mani e scese gli ultimi gradini.
La porta
d’ingresso di casa era ancora aperta, come se quell’uomo non fosse davvero il
benvenuto e volessero farlo andare via il prima possibile.
Ma
quell’uomo, che lui aveva visto tante volte in palestra, era ancora lì.
“Mamma?”
“Mashirao
torna subito di sopra!” ordinò suo padre.
Perentorio.
“Ma...”
“Niente
ma. Torna di sopra.”
Mashirao
mise il broncio, “Mamma, vieni anche tu con me?”
“Certo,
tesoro.”
L’uomo
della palestra fece un movimento strano di braccia, poi si voltò verso suo
madre, afferrandole il polso “Mi permette, signora Ojiro?”
“Non
permette proprio nulla! Vattene via e sta lontano da me e dalla mia famiglia!”
ululò suo padre. A Mashirao per un attimo salirono le lacrime agli occhi. Suo
padre così arrabbiato era spaventoso.
Fortuna che non ce l’aveva con lui.
“Ma certo,
maestro. Solo, volevo salutare la signora. E dirle che, forse, dovrebbe fare
attenzione. Ha una bellissima famiglia. Sarebbe un peccato se qualcuno volesse uccidere
il bambino. O lei.”
“Fuori!”
Mashirao
lo guardò andarsene, mano nella mano con la madre. Eppure, la stretta che gli
stava dando per una volta non era carezzevole.
Stringeva
davvero. E tanto.
“Non posso
credere che sia venuto qui a litigare e minacciarmi! Coraggio, torna a letto
adesso, Mashirao.”
“Sì,
ma...la mamma sta bene?”
L’uomo
inarcò un sopracciglio. “Perché?” Alzò gli occhi sulla moglie, ma lì per lì non
notò nulla di strano. Sembrava solo stanca.
Sapeva
bene che il potere del suo ex allievo era quello dell’ipnosi, e che per farlo
doveva riuscire a fissarti negli occhi per almeno dieci secondi.
E sì, in
effetti aveva guardato Mitsuna ma...non capiva cosa
intendesse Mashirao.
“Non ti
preoccupare. Vai a letto adesso.”
“Sì. Va
bene papà.”
In camera,
Mashirao si arrampicò di nuovo sul letto, in trepitante
attesa che la madre gli rimboccasse le coperte come faceva sempre.
“Mamma,
mamma, vieni! Visto che ci siamo svegliati mi racconti una storia stavolta? Per
favore!”
Ma lei non
disse niente e non sorrise, stavolta. Le sue belle mani delicate che ogni volta
gli carezzavano i capelli non afferrarono la trapunta ma si avvicinarono al suo
volto, e Mashirao chiuse gli occhi, in attesa di una carezza o di un bacio
sulla fronte.
Invece, le
dita esili si strinsero intorno al suo collo sottile. E strinsero.
Forte.
Gli mancò
il fiato, tanto da non riuscire a chiedere aiuto. Non ce la faceva.
Non
respirava.
Faceva
male.
“Ma...mamma...”
Non voleva
farle male, ma lei ne stava facendo a lui. Per questo, iniziò a scalciare e a
muovere la coda per cercare di allontanarla da lui.
“Mamma...mi
fai...male...”
Probabilmente
riuscì a colpirla, anche se solo una volta, per bene. Per un attimo la presa si
allentò appena quanto sufficiente perché Mashirao le mordesse una mano e
riuscisse poi a sgusciare via.
Scalzo, in
lacrime e spaventato scese dal letto, cadendo malamente sulle ginocchia, ma
riuscì ad aiutarsi con la coda a ritirarsi su in fretta e a correre via.
“Papà!”
urlò, arrivando quasi alle scale. Qualcosa gli calpestò la coda, facendolo
cadere in avanti.
Mashirao
urlò, ma la voce gli si fermò in gola quando lei tornò a stringere. A
soffocarlo.
Perché gli
stava facendo quello?
La sua
mammina.
“Che
succede?” la voce del padre gli arrivò ovattata.
Gli occhi
stavano per chiudersi, ma la figura di suo padre lo sovrastò, spinse via la
donna e lo prese in braccio, stringendolo e massaggiandogli la schiena mentre lui
tossiva e cercava di recuperare fiato.
“Che stai
facendo, Mitsuna?” gli domandò, quasi urlando.
Poi sgranò
gli occhi.
Era stato
quell’uomo. Quando aveva parlato. Aveva calcato sulla minaccia perché era un
ordine.
Come
faceva a farla tornare in sé?
Come?
Che doveva
fare?
“Mitsuna, ti prego, torna in te! E’ tuo figlio!”
“Papà...papà,
che succede alla mamma?”
Ayashi strinse i denti, costringendolo con una
carezza gentile ma ferma a girare il capo per guardare alle sue spalle. Ma così
Mashirao non riusciva a vedere la sua mamma.
Che stava
male, no?
Altrimenti
perché faceva quelle cose?
“La mamma
sta male?”
L’uomo
scosse il capo, poi lo mise a terra, “Ci riesci ad andare dai vicini,
Mashirao?”
“E la
mamma?”
Ayashi gli si mise davanti, come se sapesse che
sarebbe stato necessario farlo. Quando Mitsuna scatta
verso di lui, infatti, l’uomo riuscì subito a fermarla prima che raggiungesse
Mashirao, che urlò e fece un salto indietro.
“Che ho
fatto, mamma? Perché sei arrabbiata?!”
“Va dai
vicini, Mashirao! Vai e digli di chiamare la polizia!” sbottò l’uomo, “Corri!”
Mashirao
si sfregò gli occhi, asciugandosi anche il naso con la manica del pigiamino.
Avrebbe
chiamato gli eroi, sì. Loro avrebbero salvato la sua mamma.
Gli eroi
salvano sempre tutti.
Era a metà
scalinata quando sentì un botto, poi la voce di suo padre che urlava il nome di
sua madre.
Quandosi girò, qualcosa gli passò velocemente
davanti agli occhi.
Non capì
subito cos’era.
Sentì però
la voce disperata di suo padre, ancora in cima alle scale.
E quando
guardò stavolta in basso, c’era sua madre.
Però a
terra. Ferma.
Non si muoveva
più.
“Mamma...?”
Scese le
scale di corsa, inginocchiandosi accanto a lei.
“Papà, la
mamma...”
Ma l’uomo
era ancora in cima alle scale, in ginocchio. Le mani fra i capelli. Gli occhi
persi nel vuoto.
Mashirao strinse
i pugni, “Adesso vado a chiamare gli eroi!”
Erano
quasi le due di notte quando Shinsou scese in sala comune.
E
Ojiro era proprio lì dove gli aveva detto che l’avrebbe aspettato. Gli era
sembrato più che strano ricevere quel messaggio, ma non aveva davvero potuto
ignorarlo.
E
poi, in realtà gli faceva piacere sapere che, in una serata così strana per
lui, Ojiro avesse deciso di chiedere la sua compagnia.
Non
avrebbe avuto diritto di farlo, ma glielo aveva chiesto Ojiro, quindi era
felice.
Anche
se gli dispiaceva vederlo così.
Almeno
quella volta non era colpa sua.
“Ojiro?”
Ojiro
si girò verso di lui, sorridendogli appena, tirato, “Scusa se ti ho mandato un
messaggio a quest’ora.”
“Tranquillo.
Ma...va tutto bene?”
“Sì,
solo...raccontarti di quella notte mi ha fatto tornare in mente tante cose. E
non riuscivo a dormire. Ti ho svegliato?”
“No.
Non dormo molto già di mio. Hai...ricordato qualcosa?”
“In
realtà ricordo tutto. Non i dettagli, tipo com’è iniziato. Ero al piano di
sopra, quindi non ho visto. Ma il resto...lo ricordo. A volte, specie vicino
all’anniversario, gli occhi di mia madre mi perseguitano. Quando mi hai usato
contro il Brainwash lo scorso anno...E’ stato
orribile. Per un sacco di settimane non sono riuscito a dormire bene, la vedevo
in continuazione.”
Shinsou
stirò le labbra, “Non mi scuserò di nuovo. Non lo sapevo e...di certo non
volevo torturarti. Di questo mi dispiace.”
Ojiro
sorrise. Non si aspettava niente di diverso ma in fondo era giusto così.
Aveva
capito da tempo che Shinsou non aveva sbagliato e che forse il suo ritiro era
stata una scelta avventata –di cui, però, non si
pentiva di certo. Ne valeva del tuo orgoglio, e non solo.
L’idea
di aver subito il lavaggio del cervello lo aveva sempre ripugnato. Forse,
proprio per quello che era successo quella notte.
Sua
madre, che era così buona, dolce, si era trasformata completamente a causa di
quel potere. O di qualcosa che gli somigliava molto, comunque.
“Hai
detto...che rivedi continuamente gli occhi di tua madre. Ieri non te l’ho
chiesto, mi sembrava poco...delicato. Ma...”
“Se
ho visto tutto, vuoi chiedermi?”
Shinsou
stirò le labbra, “Beh...”
“Ha
cercato di uccidermi. Sotto l’ipnosi di quell’uomo, sia chiaro. Mio padre l’ha
fermata, questo te l’ho già detto, no? Quello che non ti ho detto è che...beh,
si è rotta l’osso del collo cadendo dalle scale. Voleva venire a prendere me.
Penso che nella furia di fermarla papà l’abbia spinta, o comunque afferrata in
malo modo. E lei ha perso l’equilibrio ed è caduta dalle scale.”
“Cazzo...”
“Parlando
con mio padre, quando ero un po’ più grande, ho capito che forse quell’uomo
voleva che mamma uccidesse me, per fargliela pagare e rovinarlo. Ma fermandola
dopo un po’ siamo riusciti a trovare abbastanza prove e testimoni che
confermassero che quell’uomo ce l’avesse con noi e il suo quirk,
che confutava la possibilità dei fatti, l’ha incastrato.”
“Quanti...anni
avevi, Ojiro?”
“Sei.”
“Eri...un
bambino...”
“Già.
Ma ho vissuto con mio padre fino ai dodici anni.”
“E
poi cos’è successo?”
Ojiro
sospirò, la coda, che ondeggiava un po’ a destra e a sinistra, si arrotolò intorno
alla vita, “Mio padre è stato forte finché non hanno condannato quell’uomo. Era
desideroso di avere giustizia a tutti i costi e non ha ceduto finché non gli
sono stati dati quindici anni al tartaro per omicidio più sei mesi di
domiciliari per l’utilizzo di un quirk pericoloso
contro terzi. Quando ha ottenuto quello che voleva, e io ero abbastanza grande
da badare a me stesso, si è...lasciato andare.”
“Ma
tu eri ancora un ragazzino. Facevi solo le medie...”
“Lo
so. Ma credo fosse depresso. Io...non l’ho capito. Era sempre triste, beveva
molto, penso si sentisse schiacciato dai sensi di colpa. Quelli non lo hanno
mai lasciato.”
Shinsou
abbassò gli occhi sulle ginocchia, prima che la sua attenzione fosse catturata
dai movimenti delle mani di Ojiro, che giocava spasmodicamente con l’orlo della
manica della felpa che indossava.
Doveva
essere difficile parlarne.
Doveva
essere stato un incubo viverlo.
Ed
era solo un bambino. Così piccolo.
Non
poteva che stimarlo ancora di più, adesso che sapeva la verità.
Capiva
perché fosse restio a parlargli, ad avere a che fare con lui. E apprezzava il
fatto che fosse comunque riuscito a superarlo.
Questo...e quello che gli aveva fatto lui, che doveva avergli confermato
inizialmente che quel potere fosse solo il male.
Eppure,
alla fine l’aveva perdonato.
Parlava
con lui, per lo meno. Si stava confidando.
Era
buono, nonostante tutto quello che gli era successo. Così...gentile.
Anche
se non se lo meritava.
“Lo
hai...trovato tu?”
“Sì.”
“Papà,
sono tornato!” urlò, buttando lo zaino in un angolo accanto alla porta
d’ingresso. Con la coda appese la giacca all’appendiabiti e tornò poi a girare
per casa.
Era stanco
morto dopo la giornata a scuola, e non vedeva l’ora di mangiare. Ma non sentiva
il solito odorino in casa, segno che il padre stavolta non aveva preparato
niente.
“Papà, ma
ci sei? Ho una fame da lupo, per caso c’è qualcosa in frigo? Vuoi che prepari
anche per te?”
Ancora
nessuna risposta.
Sbuffando,
Mashirao si diresse verso lo studio del padre. Di solito se ne stava lì, da
solo. Adesso che non avevano più la palestra –venduta
insieme alla casa per trasferirsi in un bilocale in centro- passava molto tempo
lì a lavorare.
O almeno
così gli diceva.
Lavorava a
casa, lo preferiva.
Così gli aveva
sempre detto.
Ma quando
aprì la porta, si accorse in fretta che era una bugia.
Non era
per lavorare in casa che lo faceva.
Adesso che
gli penzolava davanti, appeso al soffitto, capiva che c’era una cosa di cui non
si era accorto mai: che aveva bisogno di aiuto.
E lui, suo
figlio, non era stato in grado di capire e darglielo.
“Papà!”
“Il tuo è un potere tremendo,” mormorò Ojiro
dopo un po’, come pensieroso. Fissava il vuoto davanti a sé invece che Shinsou
e sembrava estremamente malinconico.
“Non
più di altri, Ojiro.”
“Invece
sì. Uccidere, ferire, mutilare, trasformare, è una cosa che tu fai agli altri.
E’ brutto ma accettabile. Ma costringere una persona a farlo a qualcun altro, a
qualcuno che ama...è peggio. E’ molto peggio.”
Shinsou
abbassò di nuovo gli occhi.
Forse
era vero. Dopotutto, era stato lui il primo ad essere sempre messo da parte
proprio per questo motivo.
Proprio
perché la gente poteva accettare un potere che portava il rischio di farti
saltare in aria, ma uno che poteva costringerti a perdere contatto con se
stessi...quello no. Era inaccettabile.
E
per quanto fosse il suo potere, Shinsou lì capiva.
Poteva
controllare gli altri ma era lui stesso il primo che non avrebbe mai voluto che
qualcosa lo muovesse contro la sua volontà.
“Mi
dispiace per quello che ti è successo.”
“Non
importa. Alla fine, i miei zii si sono presi cura di me. In fondo, avrei dovuto
farlo prima.”
“Che
cosa?”
“Parlarti.
Perdonarti per lo scorso anno. Ci saremmo risparmiati un sacco di problemi, non
trovi?”
Shinsou
si limitò ad annuire. Considerare quello che aveva fatto solo un problema, magari
da poco, era decisamente restrittivo.
Ancora
adesso, se ci pensava, non poteva che maledirsi.
E
ringraziava di potergli di nuovo parlare in quel modo.
“A
prescindere da questo io non avrei...-”
“Dovuto.
Sì, lo so. Ma ormai lo hai fatto,” lo interruppe. Poi si alzò, allungandosi per
stirare la schiena e muovendo piano la coda in maniera circolare. “E’ quasi
l’alba ormai. Grazie per avermi fatto compagnia anche se ti ho scritto a tarda
notte.”
“Non
ho fatto niente,” mormorò Shinsou, alzandosi a sua volta, “Fai ancora in tempo
a riposare un po’, prima delle lezioni.”
“Sì.
Anche se...mh...”
“Cosa
c’è?”
“Ecco...”
Ojiro stirò le labbra. Non era il tipo di persona che riusciva a dire e fare
facilmente certe cose. Con Shinsou, poi, ancora di meno. “In realtà non credo
che riuscirei a dormire. Oggi è...strana per me.”
“Immagino.
Ma non hai dormito neanche ieri suppongo, vero?”
“E
come avrei potuto.”
“Allora
dovresti davvero oggi.”
“Sì,
immagino. Non che possa decidere io,” ridacchiò, “Però...ecco, mi piacerebbe
avere compagnia, in realtà. Tu hai sonno?”
Shinsou
sgranò gli occhi, “Non particolarmente...” mormorò.
Non
pensava l’avrebbe mai più invitato nella sua stanza, dopo quello che era
successo l’ultima volta.
E
invece era proprio lì che stavano andando.
Ojiro
doveva stare davvero male, per chiederlo a lui.
“Gli
altri lo sanno?”
“No.
L’ho accennato a Shoji, ma non sa tutti i dettagli.
Ma tu...hai il suo stesso potere, o comunque simile.”
“Già.
E non solo quello...”
“Non
dire sciocchezze. Sei stato uno stronzo, avrei dovuto picchiarti, ma c’è un
oceano di differenze fra te e lui. Te lo posso assicurare.”
E
chissà se era per questo che adesso era lì con lui, in piena notte, nella sua
stanza dopo tutto quello che era successo fra loro lì dentro.
Shinsou
era una brava persona, che aveva sbagliato a suo danno. Ma era il primo che si
stava punendo per quello.
Aveva
odiato Shinsou per un passato in cui non c’entrava nulla, e questo aveva solo
portato problemi e guai. E l’errore iniziale era stato il suo, perché non era
stato in grado di distinguere due persone totalmente diverse accomunate da un quirk che non si erano certo scelte.
E
forse per questo lo aveva perdonato così velocemente.
Ne
aveva bisogno. Era giusto così.
Shinsou
non era come quell’uomo. Era migliore. Nettamente migliore.
E
lo stava capendo pian piano.
“Onestamente
mi chiedo ancora che cosa ti sia saltato in mente quel pomeriggio.”
Shinsou
sgranò gli occhi, poi li abbassò sulle caviglie intrecciate. “Te l’ho...detto,
mi pare.”
“Mi
viene difficile credere di poter...” scosse il capo, Ojiro. No, non doveva
mettersi a pensare a quelle cose, era controproducente.
Ormai
era passato.
Shinsou
aveva ceduto ad istinto e rabbia e forse avrebbe dovuto essere onorato di
scatenare certe pulsioni in qualcuno, lui che era così normale. Anche se
bisognava essere in grado di reprimerle, e Shinsou non lo era stato.
Eppure
non riusciva più ad avercela con lui.
Gli
faceva tenerezza.
“Non
ho molte cose da fare in stanza, in realtà,” ammise dopo un po’, “Potremmo
vedere un film, abbiamo giusto il tempo.”
“Va
benissimo, Ojiro.”
--
Il cielo
era torbido.
Gli
ricordava gli occhi di suo padre, grigi. Di un grigio che negli ultimi anni era
diventato particolarmente scuro e freddo.
Carico di
nubi colme di pioggia che non era stato mai in grado di vedere, e che gli avevano
impedito di salvarlo.
“Mashirao?
Hai compilato la domanda per la scuola superiore, tesoro?”
Ojiro
abbassò appena gli occhi, guardando sua zia. Ora era la sua tutrice.
Si
occupava lei di lui, adesso.
Era tutta
la famiglia che gli era rimasta.
“Andrò
alla Yuuei,” affermò, “Entrerò alla Yuuei e diventerò un eroe.”
Sua zia
per poco non svenne. Ce l’aveva scritto in faccia.
“Ne sei
sicuro, tesoro? E’...è pericoloso...”
“Lo
farò. Farò capire a papà che non avrebbe dovuto arrendersi. Non avrebbe dovuto
arrendersi quando non è riuscito ad entrare alla Yuuei
e non avrebbe dovuto arrendersi alla vita un anno fa. Metterò in pratica tutto
quello che mi ha insegnato sulle arti marziali. Anche con solo la mia coda,
anche se da solo. Ce la farò. Lui è stato...egoista, e mi ha lasciato solo. Si
è arreso, ha smesso di combattere. Io non lo farò mai. Io non mi arrendo.”
Angolino Autrice:
Buondì carissimi! Innanzitutto scusate per l’attesa un po’ più lunga di questo
capitolo, ma ultimamente sto fusissima.
Ad ogni modo, spero che la storia fino a qui sia stata ancora di vostro gusto,
e vi sia piaciuta.
Il prossimo capitolo è l’ultimo, siamo in dirittura d’arrivo.
Ma vi ringrazio già da adesso per avermi seguito fin qui anche in questo e non
preoccupati, ho in servo tanti altri problemi e tante altre storie per il mio
povero Mashirao Ojiro.
Un grazie particolare a Bluebb e MeryHope
e ai loro meravigliosi commenti!
Un bacione grande, fatemi sapere cosa ne pensate mi raccomando! Asu
Il
giorno era arrivato più velocemente di quanto Shinsou si sarebbe mai aspettato.
Due settimane erano letteralmente volate via. Quasi non se ne era neanche
accorto.
Ed
era stato bello, intenso. Non aveva passato con Ojiro tutti i giorni, come
avrebbe voluto, ma era successo spesso, quello sì.
Molto
spesso.
E
quelle volte che era successo era stato Ojiro a venire da lui, mai il
contrario. Non perché Shinsou non volesse, anzi, tutt’altro. Ma perché non
voleva pressarlo. Era Ojiro che doveva decidere.
E
forse stava decidendo, anche in fretta.
Ojiro
gli stava palesemente dicendo che andava bene, che era del tutto intenzionato a
dimenticare, ad andare avanti.
E
quelle due settimane Shinsou aveva deciso di sfruttarle al meglio delle sue
possibilità, con tutta la delicatezza di cui era capace.
E
gli era piaciuto, passare il tempo così. Soprattutto gli era piaciuto vedere
che anche ad Ojiro pareva aver fatto piacere. Quantomeno, sorrideva, e la sua
coda parlava ancora più chiaro, sbattendo di qua e di là ogni volta che rideva.
Ed
era proprio quando sorrideva che a Shinsou si scioglieva il cuore. Perché non
credeva di meritarlo, ma era lì per lui. Con lui.
A
volte incrociava ancora gli occhi di Aizawa, in aula
o dopo le lezioni, lo scrutavano e lo giudicavano. Studiavano i fatti ma alla
fine non diceva mai niente.
Stava
mantenendo la sua parola. Lo teneva d’occhio, ma se Ojiro aveva deciso di
perdonarlo, Aizawa rispettava quel volere.
Perché
la presenza a scuola di Shinsou, la sua non espulsione, dipendeva proprio da
Ojiro Mashirao.
Non
si erano più baciati, i tocchi erano lievi, casuali. Ma non pesava. Finché
Ojiro non si tirava indietro, finché poteva azzardarsi a sfiorargli una mano in
una carezza delicata, casuale, quando si trovava vicino alla sua, o carezzargli
la coda quando gliela faceva passare vicino, a lui andava bene. Più che bene.
Ma
adesso erano lì. Dopo aver superato individualmente le prime due prove, erano
arrivati di nuovo fra i primi sedici.
L’ultima
prova.
Un
torneo uno vs uno. Di nuovo.
Pareva
che come ultima prova quella fosse molto quotata. Ogni anno le prime due erano
differenti, ma l’ultima, per decidere il podio, era quasi sempre quella.
Un
combattimento singolo.
Per
dare modo a tutti di dare il massimo, di usare al cento per cento il loro
potere e riuscire a farsi notare per quelli che erano e che erano in grado di
fare.
Era
il modo più giusto, in fondo, per dare a tutti la medesima possibilità.
E
non sarebbe stato un problema neanche per Shinsou, non lo era stato neanche
durante il loro primo anno in fondo, perché doveva cambiare qualcosa adesso che
era molto più preparato, fisicamente e strategicamente?
Già.
Peccato
che il tabellone gli fosse contro in tutti i modo. E anche chi aveva deciso le
accoppiate.
Strinse
le bende che ha sulle spalle con entrambe le mani, fissando il nome accanto al
suo.
Il
suo prossimo avversario.
Dopo
il combattimento fra TetsuTetsu e Kaminari,
che aveva visto vincitore il primo, toccava a loro.
Lo
schermo parlava chiaro.
Ojiro
Mashirao vs Shinsou Hitoshi, entrambi Dipartimento Eroi, Sezione A.
Proprio
contro di lui.
Tra
tanti, doveva finire proprio contro di lui.
Lo
guardò con la coda dell’occhio, ma non c’era niente da fare. Doveva combatterci
contro.
Mic, nella
cabina da cui faceva la telecronaca diretta di tutto il Festival, coprì il
microfono con la mano e si voltò verso Aizawa al suo
fianco.
“E’
stata una tua idea, bro?”
“Non
so di cosa parli.”
“L’accoppiata
con Shinsou. Non è casuale, no?”
“Certo
che lo è.”
Mic inarcò un
sopracciglio, scettico. Non lo era per nulla.
Non
lo poteva fregare in nessun modo, Aizawa, lo
conosceva come le sue tasche e forse anche di più.
Gli
aveva già raccontato brevemente e approssimativamente quello che Shinsou aveva
combinato, senza scendere nei dettagli gli aveva rivelato quanto fosse stato
deluso da quel ragazzino impertinente. Ma allo stesso tempo Mic
non aveva potuto non notare quando fosse stato invece sollevato, Aizawa, di non doverlo espellerle, di potergli dare un’altra
possibilità.
Il
tutto era stato possibile proprio grazie alla decisione di mentire di Ojiro.
E
ora erano faccia a faccia.
Non
era possibile che fosse un caso.
“Sei
un pessimo bugiardo, Shota!” esclamò con enfasi PresentMic.
Adesso
era curioso anche lui di vedere come sarebbe andata a finire!
--
La
voce di PresentMic
raggiunse ovattata le orecchie di Shinsou, anche se sembrava impossibile visto
quanto era alto e acuto il tono della sua voce.
Ma
era talmente concentrato su Ojiro, che a malapena si accorse che Midnight aveva dato il via allo scontro.
Ojiro
era più attento, invece, e gli andò subito addosso.
Fece
un’immensa fatica a schivare il primo colpo, buttandosi di lato, e non riuscì
ad usare le bende prima che Ojiro lo colpisse con la coda.
E
fece male, ma non era un colpo con cui voleva buttarlo fuori subito.
Il
suo sguardo, però, si indurì nel momento in cui Shinsou riuscì a tirarsi su e
ad allontanarsi di due passi.
Lo
slancio che si diede con la coda fu talmente repentino che Shinsou non fece
neanche in tempo ad accorgersene che era già a terra, schiena contro il
pavimento. Ojiro gli era praticamente sopra, il palmo della mano sulla bocca
per impedirgli di emettere alcun suono.
“Cosa
stai facendo, Shinsou? Mi stai evitando? Vuoi farmi vincere, o non vuoi
combattere contro di me? Non ci provare, Shinsou! Te l’ho detto, sono qui per
rendere fieri i miei genitori, sono qui perché voglio dimostrare a mio padre
che avrebbe potuto farcela, anche da solo! Quindi non provare a non dare più
del massimo perché ti giuro, te lo giuro, stavolta non ti perdonerei mai!”
Shinsou
sgranò gli occhi, a quel discorso.
Aveva
ragione. Cercando solo di evitare i colpi, continuando a pensare solo di non voler
combattere contro di lui, gli stava mancando di rispetto.
Invece
doveva fare il contrario.
Doveva
impegnarsi più che poteva, anche a rischio di fargli male, o di farsene. Tanto
nessuno lì poteva ferirsi in modo grave e Recovery
Girl era pronta a curarli tutti quanti immediatamente.
Doveva
cercare di vincere. Era questo l’unico modo che aveva per far vedere a Ojiro
che era sincero, che lo stimava e lo rispettava e che gli voleva bene.
Di
più, anzi. Molto di più.
Si
rialzò non appena Ojiro lo lasciò andare, togliendosi dalla testa qualsiasi
pensiero sul fatto che fino a due minuti prima gli fosse praticamente seduto
sul bacino.
Non
era il momento, quello, non adesso.
Ora
dovevano combattere.
E
lui aveva intenzione di vincere.
Il
combattimento iniziò in quel momento, la voce di PresentMic gridava euforica mentre loro si muovevano sul
ring, attaccando e difendendosi ritmicamente.
Shinsou,
adesso che si era sbloccato, era lesto nell’uso delle bende, segno che Aizawa era stato un ottimo insegnante con lui in
quell’ultimo, lunghissimo anno.
Ojiro,
però, non aveva certo intenzione di farsi catturare facilmente. Usava la coda
per scattare velocemente di lato, o sbattere via le bende prima che potesse
bloccarlo in ogni movimento.
Nello
stadio c’era ormai silenzio. La determinazione di entrambi si respirava
nell’aria, pesante come le urla di Mic, unico a
rompere quell’atmosfera.
Lo
scontro andava avanti già da alcuni minuti, serrato.
All’ennesimo
calcio, Shinsou si accasciò per un secondo a terra, provato. Non ci era
abituato. L’allenamento andava bene, ma arrivare a combattere così e per così
tanto era diverso.
Sulla
resistenza durante uno scontro diretto ci stava ancora lavorando.
L’unica
possibilità che aveva per batterlo era spedirlo fuori. In uno scontro di
resistenza Ojiro avrebbe vinto. Stava già vincendo.
Ma
lui era ancora in gara e voleva restarci.
Si
alzò con uno scatto nello stesso istante in cui Ojiro l’aveva afferrato per il
bavero per spedirlo fuori, facendogli brevemente perdere l’equilibrio e
approfittandone immediatamente per immobilizzargli le braccia con le bende. Era
quasi riuscito a spingerlo fuori, visto come l’aveva bloccato, quando Ojiro
riuscì a fargli lo sgambettò usando la coda, ma finì solo per essere trascinato
giù con lui.
Il
rossore soffuso sulle gote di Ojiro fece capire immediatamente a Shinsou di
essere stato tristemente scoperto, ma invece di cedere all’imbarazzo approfittò
di quel breve attimo di distrazione per continuare a tirarlo verso i bordi del
ring.
Bastava
solo quello. Un piede. La punta della coda solamente.
Ojiro
non si riprese in tempo.
Quando
mosse la coda e colpì Shinsou dritto in faccia, lui riuscì comunque a mantenere
l’equilibrio, seppur con un gemito di dolore.
Ma
proprio in quel momento la voce di Midnight squarciò
l’aria, trillando tanto da far tremare entrambi loro e il ring stesso.
“La
sfida è terminata!” ululò, “Ojiro è fuori dal ring! Vince Shinsou!”
Shinsou
si permise di accasciarsi per riprendere fiato solo in quel momento. Ojiro era
ancora a terra, per metà legato, con l’unica visuale libera sul cielo terso.
Aveva
un piede fuori dal ring. Come diavolo era successo? Non se ne era neanche
accorto. Era così impegnato a cercare di togliersi Shinsou di torno, per
impedirgli di raggiungere il suo scopo, che glielo aveva permesso e non se ne
era neanche reso conto.
Il
volto di Shinsou gli comparve davanti, disturbando il suo campo visivo.
“Tutto
okay?”
Annuì,
“Tutto okay,” rispose.
Aspettò
che Shinsou ritirasse le bende liberandogli i movimenti e si tirò su. Sapevano
di dover abbandonare in fretta il ring perché toccava ai prossimi due sfidanti,
entrambi della classe B questa volta, anche se non ricordava neanche chi
fossero. Non aveva prestato attenzione.
Ma
prima gli porse la mano, regalandogli un sorriso, “Sei stato più bravo e
attento di me. Complimenti, Shinsou.”
Hitoshi
per un attimo rimase interdetto, ma alla fine la strinse, “Grazie.”
Era
imbarazzante, in verità, se pensava al motivo che aveva distratto Ojiro. Senza
quel colpo di fortuna forse starebbero ancora combattendo o, peggio, avrebbe
vinto Ojiro. Ed invece...ma Ojiro pareva intenzionato a far finta di non averci
fatto caso, per sua fortuna.
Midnight squittì,
stringendosi la frustra al petto, fra i seni prosperosi che a quel gesto
risaltarono ancora di più. “Aaah, il candore
dell’adolescenza! Il fuoco dell’amicizia e della sportività! Fantastico,
ragazzi, fantastico!”
Ojiro
arrossì di botto, a quelle parole, seppur senza un apparente motivo logico,
ritirando in fretta la mano. “Beh...okay,” brontolò, superando Shinsou e
scendendo dalla piattaforma. Come se all’improvviso gli fosse tornato in mente
ben altro fuoco, rispetto a quello dell’amicizia.
Anche
Shinsou arrossì.
Accidenti.
“Hey, Ojiro!” lo chiamò, sforzandosi di mantenere una certa
dose di compostezza. Appena ebbe le attenzioni dell’altro, gli indicò gli
spalti.
Ojiro
non se ne era accorto, ma lo capiva. Conosceva quella sensazione, l’aveva
provata anche lui l’anno precedente.
La
delusione della sconfitta, di essersi lasciato scappare l’ennesima occasione.
Ma
alla fine, non era così.
Gli
Hero e i civili fra il pubblico, lì sugli spalti,
parevano invece entusiasti.
“Ragazzi,
siete stati grandi!”
“Bel
combattimento, tutti e due!”
“Tu,
con la coda, c’è mancato pochissimo! Ce l’avevi quasi fatta!”
“La
prossima volta andrà meglio, ve lo meritate!”
Ojiro
sgranò gli occhi, sentendo tutto quel fracasso per loro. Lo scopo del Festival
Sportivo era farsi notare e questa volta c’erano riusciti anche loro.
La
scarica d’adrenalina gli percorse tutta la schiena e la coda, provata dal
combattimento.
Era...fantastico.
Ce
l’avevano fatta.
Ce
l’avevano fatta davvero! O quantomeno, era un ottimo inizio rispetto allo zero
assoluto dell’anno precedente.
Si
voltò in automatico verso Shinsou, regalandogli un sorriso. Il più aperto e
sincero che gli avesse mai rivolto, da quando si conoscevano.
Avevano
riso insieme, in quella settimana, ma quel sorriso...era diverso.
Era
completamente diverso.
E
quando Ojiro si accorse di come Shinsou lo stesse guardando, arrossì, girò i
tacchi e sgusciò via, seguito dal compagno di classe solo qualche minuto dopo.
Ma
ormai era tardi.
Shinsou
quel sorriso se l’era ben impresso in mente, fra i suoi ricordi più dolci.
E
dopo averlo visto voleva davvero credere che, nonostante l’inizio tormentato,
forse ce l’aveva fatta a vincere l’unica battaglia che voleva vincere.
Mic si voltò
verso Aizawa, cercando nella sua espressione la
soddisfazione di quello che aveva appena visto.
Era
stato un bell’esempio di amicizia. E considerando com’erano quei ragazzini,
dubitava fortemente che stessero recitando per il pubblico.
No,
avevano davvero chiarito i dissidi avuti, e nella migliore delle maniere,
creando con un po’ di fortuna un affetto davvero sincero, e forse duraturo.
Non
trovò niente, in apparenza. Aizawa era immutato, le
braccia conserte e le labbra all’ingiù.
Ma
come aveva detto prima, Shota non poteva mentirgli.
Gli
occhi scuri luccicavano.
Mic rise
anche per lui, euforico, “Nice catch, guys!” urlò.
Aizawa si lasciò
scappare un sorriso, veloce come fu veloce a nasconderlo.
“Heybro! Ti ho visto sai?!”
“Non
hai visto niente. Continua a fare quello che devi.”
Mic scrollò
le spalle, sorridendo, poi tornò a rivolgere tutta la sua attenzione al nuovo
scontro e alla presentazione dei nuovi sfidanti.
--
L’aveva
aspettato lì, lontano dagli occhi del pubblico stavolta. Il pubblico, gli Hero erano entusiasti.
E
anche lui lo era, ed era soddisfatto.
Shinsou
l’aveva sconfitto con determinazione e una buona dose di fortuna, ma ad Ojiro
andava bene. Aveva dato il massimo e si era fatto valere, credeva.
Comunque,
ormai era andata. Magari l’anno dopo, l’ultimo, ci sarebbe riuscito.
Era
il secondo anno di fila che arrivava fra i primi sedici, e non era tutto
sommato un punteggio così cattivo, credeva. Ma voleva di più.
Avrebbe
voluto puntare ai primi dieci. Ai primi cinque.
Ma
non quell’anno.
Quell’anno
era stato troppo distruttivo per lui, era iniziato in modo così atroce che
essere giunto fra i primi sedici ed essere stato sconfitto con un certo onore
gli sembrava già una gran vittoria.
Ed
era colpa di Shinsou.
Allo
stesso tempo, però, era anche merito di Shinsou.
Forse
poteva essere assurdo, ma era così.
Lo
fece poggiare con le spalle al muro senza dire altro, alzandosi sulle punte per
arrivare alle sue labbra.
Shinsou
gli portò entrambe le mani al viso, carezzandogli le guance con i pollici
all’inizio con gentilezza. Poi cambiò modo di fare.
Gli
infilò le dita della destra fra i capelli, succhiandogli il labbro inferiore
fra i denti finché Ojiro non schiuse entrambe le sue, cercandogli il palato con
la lingua, giocando con la sua.
La
sinistra di Shinsou scese lungo il collo dell’altro, sul segno ancora rosso che
gli aveva lasciato durante il combattimento.
Si
staccarono solo per riprendere aria e si guardarono a lungo, occhi negli occhi.
E
Ojiro sorrise con un calore così intenso che Shinsou non poté che arrossire.
“Al
prossimo scontro...devi farti valere ancora di più.”
Shinsou
corrucciò le sopracciglia.
Era...strano.
Averlo
vicino, poterlo toccarlo, e farlo rendendolo felice stavolta. Perché era così,
no? Quel sorriso non poteva mentire.
A
volte pensava che fosse un sogno.
Si
riscosse dai suoi pensieri, quando lo sentì parlare ancora. Labbra contro lobo.
Rabbrividì inevitabilmente, stringendolo a sé per i fianchi, “Era la mia
idea...”
“Farò
il tifo per te, sugli spalti,” gli disse Ojiro, allontanandosi di nuovo e
sciogliendo quello strano, intimo contatto.
“Era
da...un bel po’ che non ti azzardavi a baciarmi.”
“Magari,
se vinci ti bacerò di nuovo.”
“Contro
Tokoyami? Non ho molte speranze.”
Ojiro
sorrise, allungando la mano per poter sfiorare quella dell’altro, ma senza
afferrarla davvero, “Tu impegnati. Poi deciderò, se farlo di nuovo anche se
perdi.”
ANGOLINO AUTRICE:
Ed eccoci qui, alla fine di quest’a breve avventura.
Quantomeno, più breve di Fear.
Ho lasciato le cose un po’ in sospeso, stavolta, niente
dichiarazioni d’amore, niente decisione nette.
Le cose andranno per le lunghe, e con lentezza e delicatezza.
Ma andranno, almeno nella mia testa stanno già andando!
Spero che questo finale possa piacervi, e spero che mi facciate
sapere cosa ne pensate!